I canti di Israele. Preghiera e storia di un popolo 8810402545, 9788810402542

La presente ricerca intende rispondere al desiderio di trovare il filo conduttore del dialogo ininterrotto di lode e di

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I canti di Israele. Preghiera e storia di un popolo
 8810402545, 9788810402542

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La parola greca psalm6s significa il canto accompagnato da uno strumento a corda. Il libro dei Salmi ne contiene 150. I giudei li designano come rhillim, cioè canti di lode, oppure rfillot, cioè preghiere di supplica. Ogni salmo forma un'unità compiuta in se stessa, con un suo specifico messaggio. Ma visti insieme, ciascuno aiuta l'altro per una migliore comprensione. E ne risulta una sinfonia corale di valore inestimabile. La presente ricerca, del noto biblista Gianfranco Ravasi, intende rispondere appunto a questo desiderio: trovare il filo conduttore di questo dialogo ininterrotto di lode e di supplica, tra Israele e il suo Dio, lungo tutto il corso della sua storia: e così, inni gloriosi, urla desolate, odi di guerra, salmi liturgici, carmi del lavoro, acclamazioni regali, voti e ringraziamenti... appaiono come altrettante gemme nel meraviglioso tessuto dell'intera rivelazione biblica. Questo viaggio all'interno del libro dei Salmi si snoda secondo una mappa precisa, con soste obbligate nei centri lirici principali. Punto di partenza obbligato è Gerusalemme, col tempio, dimora terrena del Dio vivente. Seguirà una tappa prevalentemente letteraria, dove i canti del popolo orante sono visti come preghiere di supplica o come inni di lode. Segue un esame sintetico del «primo salterio», e poi distintamen­ te del «Secondo salterio». E, infine, vengono esaminati i canti dei patriarchi, dove prevalgono i temi dell'esodo, della terra promessa, dell'esilio e del giudaismo. Del libro dei Salmi l'A. aveva già pubblicato un ampio commentario in tre volumi. Nessuno quindi meglio di lui era preparato a descriverei, con competenza ma anche con stile limpido ed essenziale, la bellezza letteraria di questi testi, l'attualità del loro messaggio e tutta la ricchezza di valori, umani e spirituali, che essi tuttora rappresentano per l'intera umanità. GIANFRANCO RAVASI, nato nel 1942, ordinato sacerdote della diocesi di Milano nel 1966, ha compiuto gli studi all'Università gregoriana, al Pontificio istituto biblico di Roma e all'Univeristà ebraica di Gerusalemme.

È

membro della Pontifi0a commissione biblica e insegna esegesi dell'Antico

Testamento nella Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, nel seminario arcivescovile milanese e nell'Istituto regionale lombardo di pastorale. Tra le sue pubblicazioni: I profeti, Ancora, Milano 1975; Voi siete miei amici, OR, Milano 1976;

Quale Dio è così vicino?; Ancora, Milano 1976; La

Palestina, Viptours, Lecce 1979; Giobbe, Boria, Roma 1979 (21984); L'Esodo, Queriniana, Brescia 1980; Celebrare e vivere la Parola, (3 voll.), Ancora - Vita e Pensiero, Milano 1981-1983; Il Libro dei Salmi,

(3 voll.), Dehoniane,

Bologna 1981-1984; Gesù una buona notizia, SEI, Torino 1983; Videro il

Bambino e sua Madre, Ancora, Milano 1984. Ha curato varie edizioni di opere straniere e collabora a riviste scientifiche e divulgative di argomento biblico.

ISBN 88-1 0-40254-5

collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio

La collana si caratterizza per una lettura rigorosamente storica delle scritture sacre, ebraiche e cristiane. A questo scopo, i libri biblici, oltre che come documenti di fede, saranno presentati come espressione di determi­ nati ambienti storico-culturali, punti di arrivo di un lungo cammino di esperienze significative e di vive tradizioni, testi incessantemente riletti e re-interpretati da ebrei e da cristiani. Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una storia e che i suoi libri sacri ne siano, per definizione, le testimonianze scritte. Più da vicino, ci sembra fecondo criterio interpretativo la compren­ sione, criticamente vagliata, della Bibbia intesa come frutto della storia d'Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme, parola sempre di nuovo ascoltata e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli post-biblici. Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editrice si assumono il preciso impegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettato piano e accessibile a un vasto pubblico. Questi i titoli programmati: l. L'ambiente storico-culturale delle Scritture ebraiche (A. Bonora) 2. Da Mosè a Esdra: i libri storici dell'antico Israele (E. Cortese: 1985) 3. I profeti di Israele: voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) 4. l sapienti di Israele (G. Ravasi) 5. l canti di Israele (G. Ravasi, 1986) 6. La letteratura dell'epoca inter-testamentaria (A. Bonora) 7. L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane (R. Penna: 1984) 8. La voce delle prime comunità cristiane ( V. Fusco) 9. Il vangelo di Paolo: analisi storica delle sue lettere (G. Barbaglio) 10. Le redazioni evangeliche (G. Segalla) 11. Gesù di Nazaret, evento fondante (G. Barbaglio) 12. Gli scritti delle tradizioni paolina e giudeo-cristiana 13. L'apocalittica cristiana del primo secolo (U. Vanni) 14-17. L'uso della Bibbia: nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli; 2 voll.); nel medio-evo (a cura di C. Leonardi); nell'epoca moderna (a

cura di R. Fabris)

18. 2

La lettura ebraica delle Scritture

GIANFRANCO RAVASI

I CANTI DI ISRAELE Preghiera e vita di

un

popolo

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

© 1986 Centro Editoriale Dehoniano Via Nosadella, 6 - 40123 Bologna ISBN 88 10 40254 - 5 Stampa: Grafiche Dehoniane Bologna , 1986

Introduzione «Voglio cantare a Jahweh finché avrò vita, vog lio i n n eggiare al mio Dio finché esisterò» (Sal 1 04,33).

Un famoso mistico ebreo dell'XI sec. Bahya Ibn Paquda nella sua opera I doveri del cuore indirizza al lettore un avvertimento significativo: « È folle, fratello, estrarre dai salmi e dalle preghiere (bibliche) i loro sensi, lasciando l'uno o l'altro in libertà. Si tratta di una collana di perle infilate: se ne liberiamo una sola, il legame è spezzato ed esse fuggono tutte. Ordinali tutti e ciascuno aiuterà l'altro nella comprensione». L'itinerario che ora iniziamo nell'interno dei canti che Israele ha indirizzato a Dio in un continuo dialogo­ contrappunto di fiducia e di ansia vuole rispondere appunto al desiderio di trovare il filo di quelle perle: inni gloriosi, urla desolate, odi di guerra, salmi liturgici, epopee cosmiche, carmi del lavoro, liriche mistiche, acclamazioni regali, benedizioni solenni, lamenta­ zioni nazionali, suppliche penitenziali, riflessioni oranti, voti e ringraziamenti . . . sono altrettante gemme apparentemente disperse nel tessuto della rivelazione veterotestamentaria, in realtà legate tra loro da un filo sottile di cui è possibile rintracciare il bandolo. Questo viaggio testuale nell'interno dell'A T si snoderà secondo una mappa precisa e, come in tutti gli itinerari, comporterà soste prolungate nei centri lirici principali, sguardi essenziali su alcuni grandi territori, semplificazioni obbligate per altre visite. Il punto di partenza naturale è Gerusalemme, la città JHWH sammah , «lahweh è là», secondo il suggestivo anagramma di Ez 48,35. Nel cuore del tempio e della teologia di Israele si possono identificare le strutture fondamentali della preghiera e del culto biblico. Il tempio, infatti, anche a livello architettonico, è il compendio simbolico della planimetria del cosmo e della fede d'Israele. È questa la prospettiva di tutte le culture, anche di quella ebraico-cristiana. Scriveva s. Massimo il Confessore: > . È il rischio di certe normative cultiche che canonizzano rendendole intangibili realtà materiali éome vesti , oggetti , prassi , atti purificatori , fenomeni fisici . C'è , però , già in questa legislazione una certa attenzione a non spegnere l'anima del culto nel bieco ritualismo . Esemplare può essere la norma sui «fiocchi dei vestiti» di Nm 1 5 ,37-41 : «Avrete tali fiocchi e , guardandoli , vi ricorderete di tutti i miei comandi , l i metterete in pratica e così sarete santi per il vostro Dio» (vv . 39.40) . La santità sacrale viene corretta con l'impegno della santità etica nell'adesio­ ne ai comandamenti. L'idea di separazione non è esclusa ma viene corretta facendo sì che essa permei l'esistenza. Israele , allora, sarà «un regno di sacerdoti e di leviti» ma destinato ad annunziare nel mondo le meraviglie di Dio e a santificare tutti i popoli della terra (Gn 12,3) . Inoltre , mentre i culti cananei e mesopotamici, attraver­ so una teologia mitica e il rito della prostituzione sacra, delle ierogamie e del Nuovo Anno (t.tkitu babilonese) , trasferivano Dio nella sessualità umana, Israele rifiuta la «baalizzazione» di Jahweh , cioè la sua cattura nell'interno dei meccanismi biologici e stagiona­ li , ma ne esalta la «santità» pur affermando una relazione. d'amore tra lui e l'umanità (Os 1-3 ; Ez 16; Is 54; Ct) . Terzo attore è il cosmo: per esso è facile assistere alle due 1 Cf. G. W. ANDERSON , lsrael's creed: sung not signed, in entrava una sola volta l'anno , in occasione della solennità dell'espiazione (il Kippur) , il sommo sacerdote . La storia del tempio avrà una tappa amara nel 586 a . C . allorché il nono giorno del mese di Av (luglio-agosto) l'esercito dell'imperatore babilonese Nabucodonosor penetrò nel tempio sac­ cheggiandolo e demolendolo. Ancor oggi gli ebrei con la giornata penitenziale del 9 A v commemorano quella data tragica. Ma il tempio non era morto per sempre . Ciro con l'editto del 538 a . C . concedeva ad Israele esule a Babilonia di ritornare al focolare nazionale per iniziare la ricostruzione di quello che sarà chiamato «il secondo tempio» , consacrato nel 5 15 a . C . Questo tempio modesto , violato da Pompeo nell'autunno del 63 a.C. , sarà sostituito da Erode il grande nel 19 a . C . con un nuovo , immenso tempio. Eretto in 24 anni da centomila operai e mille sacerdoti muratori (stando allo storico giudeo Giuseppe Flavio) , esso si componeva di tre cortili rigidamente distribuiti per gli stranieri , per le donne e per gli israeliti , di grandiose strutture edilizie , di mastodontiche muraglie (ultima reliquia è l'attuale «muro del pianto» o «muro occidentale») . Nel 70 d.C. Vespasiano prima e Tito poi assediavano , incendiavano e demolivano questa superba costruzione che solo sei anni prima era stata completamènte rifinita e che aveva visto tra i suoi frequentatori Gesù di Nazaret. È naturale che il tempio sia per eccellenza il segno del sacro soprattutto coi suoi filtri purificatori ; è la «santa dimora dell' Altis-

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simo» (Sal 46,5 ; cf. Sal 87 ,2; Sir 24,7-8. 10- 1 1 ) ; è lì che sperimentia­ mo che «il Signore degli eserciti è con noi» (Sal 46, 12 ; cf. Ez 48 ,35 ) , è a d esso che ci rivolgiamo nella preghiera (Dn 6, 1 1 e tRe 8 ,38) come i musulmani poi si orienteranno verso la Mecca; l'isolamento architettonico disegnato soprattutto da Ezechiele nel suo progetto ideale del tempio futuro (cc. 40-48) diverrà col protezionismo di Esdra e Neemia e della teologia sacerdotale post-esilica (Lv ; Cronache)5 un'espressione fortissima di esclusivismo sacrale . An­ che il movimento deuteronomico , spiritualmente libero ai suoi esordi (in questo senso era da intendere la centralizzazione del culto a Gerusalemme) , si era fossilizzato in un certo conservatori­ smo cultico e in uri materialismo sacrale . Ma vediamo subito nella Bibbia lo sforzo di riportare la sacralità, segno della trascendenza di Dio , alla sua vera anima, quella della santità. La riflessione più significativa sul tempio come luogo dell'incontro non magico ma libero tra Dio e il suo popolo è sviluppata dalla splendida preghiera deuteronomistica che Salomo­ ne pronunzia in t Re 8 per la consacrazione del tempio . È necessario che nel santuario di Sion avvenga un duplice movimen­ to: là deve giungere Dio e là si deve dirigere l'uomo per iniziare un incontro , un «convegno» (mo 'ed) . Attraverso questo duplice movimento si risolve il dilemma teologico del tempio: Dio , che è trascendente e infinito, come può essere «presente» nel tempio di Sion? I due poli del dilemma sono così formulati da Salomone : «Ti ho costruito una casa per tua dimora , un luogo per tua perpetua abitazione ! >) (v . 13) ; ma «Dio potrà veramente abitare con gli uomini sulla terra? Ecco , i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere , quanto meno questa casa che ti ho costruito ! >) (v. 27) . La soluzione è trovata proprio sulla base dell'idea dell'incontro per cui Dio e uomo non si confondono sacralmente : «Se il tuo popolo Israele ti prega e ti supplica in questa casa, tu ascoltalo venendo dal cielo)) (vv . 33-34) . Nel tempio Israele porta l'intera sua esistenza per presentarla a Dio , illuminarla e giudicarla alla luce della sua

s Per le Cronache la gestione statale di Davide e di Salomone è tutta basata sulla preparazione e la costruzione del tempio ( l Cron 22-29 e 2Cron 2-7) con la complessa organizzazione del culto . Un personaggio dell'Athalie di Racine potrebbe con una sua frase sintetizzare bene la «Cittadella» teocratica di Esdra-Neemia , delle Cronache e, in seguito , dei Maccabei ( l Mac 2,7; 2Mac 14,3): «Ce tempie est mon pays; je n 'en connais point d'autres», «questo tempio è il mio paese : non ne conosco altri>>.

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parola . Per questo l'orazione di 1 Re 8 introduce un settenario di casi in cui l'incontro tra Dio e l'uomo è fondamentale : il giudizio di Dio in caso di giuramento, la sconfitta militare , la siccità , la calamità nazionale , la supplica dello straniero giusto , il tempo di guerra, l'incubo dell'esilio . Questi casi testimoniano l'incontro tra esistenza e liturgia, tra fragilità dell'uomo e grandezza di Dio e rivelano la forza «Onnisantificante e onnifecondante» (L. Maldona­ do) della vera «santità)) spaziale . Al contrario, la fiducia magica nella sacralità del tempio non può salvare . È questo l'atteggiamento dei contemporanei di Geremia i quali sono certi dell'inviolabilità di Sion a causa della presenza di Dio nel tempio ( Ger 7 , 1-15; 26, 1-15) . Il profeta , richiamandosi al santuario di Silo ridotto ad un cumulo di rovine nonostante fosse stato la sede dell'arca (Sal 78,60) , ricorda che la presenza di Dio è personale e può cessare per sua libera decisione qualora sia assente la risposta umana nella fede e nella vita (7 ,5-6) . Ma ormai, a causa dell'ingiustizia di Giuda , il tempio si è ridotto ad essere «una spelonca di ladrh) , un rifugio per i peccatori (7, 10; Mc 1 1 , 17) ed allora Dio è assente e il tempio in sé diventa privo di qualsiasi efficacia salvifica nonostante i suoi riti e la sua sacralità esteriore . La denunzia di Geremia, anticipatrice della polemica di Gesù (Mt 23 , 17 . 19) , è un appello continuo alla fede e alla giustizia contro il sacralismo magico . Ma questa esaltazione della vera santità non è dissacrazione dello spazio : Geremia replica ai. recabiti , movimento integralista e puritano , non accettando il loro rifiuto aprioristico del tempio. E in questa visione della nuova sacralità del tempio, non legata alla purità estrinseca , si inoltreran­ no i profeti post-esilici col rifiuto degli esclusivismi autarchico­ sacrali (Ag 2, 6-9 ; Is 56,6-7 ; 60; 66, 18-21 ; cf. Tb 13, 10-13) , le «liturgie d'ingresso)) al tempio (Sal 15, ad es . ) che in seguito esamineremo , e naturalmente il cristianesimo . 6 Infatti il Cristo risorto diverrà principio di integrazione di tutto l'essere in Dio . È per questo che nella Gerusalemme celeste - afferma l'autore

6 Si pensi solo a Gv l , 14 che vede nel Cristo incarnato la nuova tenda della sekinah-presenza di Dio in cui contempliamo la gloria di Dio (vedi Gv 2 , 1 9-22 ; 19,37; Mc 14,58; Gv 10,7 . 9 ; Mt 12,6). Per Paolo il tempio è simbolo cristologico (Rm 15 ,20 ; lCor 3 , 10-17) ed ecclesiologico ( l Cor 6, 10-17); anzi , il singolo cristiano è «tempio dello Spirito>> ( l Cor 6,19-20). Anche la lettera agli Ebrei nella sua sezione centrale (cc. 8-9 ; cf. anche 4 , 1 4-5,10) si espande in una ricca riflessione su questa nuova visione «somatica>> del tempio ·e del culto . Vedi poi lPt 2,4-5 e Gc 2 , 1 -5 .

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dell'Apocalisse - «io non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio , l'onnipotente , e l'agnello sono il suo tempio» (Ap 2 1 ,22) . 3. Il canto nel tempo

del riposo sabbatico codificata nelle 39 proibizioni del trattato 'oneg del Talmud . C'è un altro modo di sacralizzare il tempo ed è ben documentato nel mondo semitico. Si connette la festa al ritmo ciclico della natura in un contesto teologico immanentista (i culti della fertilità) . Le feste , allora , si trasformano in riti ciclici , naturistici , meccanici , legati al succedersi necessario delle stagioni , chiusi alla libertà della storia e delle sorprese di Dio e dell'uomo . La festa si «disumanizza» . Forse anche in Israele originariamente la pasqua era un rito pastorale di transumanza: trasmigrazione verso nuovi pascoli al plenilunio di primavera , abbigliamento da viaggio , cibi di fortuna, sacrificio di auspicio per i futuri parti del gregge , rito apotropaico del sangue . La festa delle Settimane era , invece , probabilmente la celebrazione agraria della mietitura e delle primizie (vedi i cataloghi rituali di cereali in Dt 18,4; Lv 19 ,24 ; 23 ,9- 1 1 . 15- 17) mentre le Capanne possono rimandare ad una festa della vendemmia7 (Gdc 9 ,27 ; 2 1 , 19-23) . 7 Sulla questione del tempo sacro e della festa la letteratura è immensa. Come esempi indichiamo solo J. HENNINGER, Les fetes de printemps chez /es Sémites et la Paque israé/ite, Paris 1975 . Per il resto rimandiamo al nostro Strutture teologiche della festa biblica, in > e quindi profani durante il sabato appare anche in Nm 15 ,32-36, è ribadito per il «ghetto>> post-esilico (Ne 1 3 , 15-22) , è esasperato dai Macca­ bei che si lasciavano massacrare di sabato dimostrando così il pericolo di essere uomini «schiavh> della legge (l Mac 2,3 1-41: 2Mac 15 ,2-4 ; cf. Mc 2,27) ed è ipostatizzato dal casuismo rabbinico . Eppure le motivazioni sabbatiche del decalogo erano ben diverse . In Es 20,8- 1 1 una glossa tardiva connette la celebrazione al «sabato cosmico>> di Gn 2 , 1 -4a : «In sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato santo» (Es 20 , 1 1 ) . Nel sabato, allora, si ricompone l'armonia di un nuovo cosmo , l'uomo non domina più le cose come nella sequenza feriale dei sei giorni creativi ma ne scopre il senso e loda il Creatore . Inoltre è da notare che l'uomo , pur essendo il vertice della creazione, è sempre relegato nell'imperfezione del «sesto» giorno (Gn 1 ,24-3 1 ) . Attraverso il sabato l'uomo esce dal limite del suo sesto giorno ed entra nella perfezione di Dio , pregustando così il riposo definitivo e perfetto del sabato escatologico (Eb 3 ,7-4 , 1 1 ) . È per questo che l'apocrifo giudaico Vita di Adamo ed Eva osserva che «il settimo giorno è il segno della risurrezione e del mondo futuro» ( 41 , l ) mentre Heschel ritiene che il sabato «fornisca nel tempo un assaggio di eternità» . Il sabato nella motivazione del decalogo deuteronomico diven­ ta celebrazione della libertà e della vita sociale spogliandosi di ogni

1 3 Vedi N. NEGRETII , Il settimo giorno, Roma 1973 ; E . LoHSE, Sabbaton, in G . KlTIEL - G . FRIEDRICH, Grande Lessico del NT, vol . XI, Brescia 1977 , 1019-1 106; G . RAvASI, Il settimo giorno, i n ParVita, 22( 1977) , pp. 27 1-282; H . ScHONGEL­ STRAUMANN, Decalogo e comandamenti di Dio, Brescia 1977 , pp. 88-96 . Significative sono anche le riflessioni del noto A.J. HESCHEL, Il sabato, Milano 1972 .

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sacralismo cronologico: «Ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso ; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt 5 , 15). «Ogni sette giorni Israele deve ricordarsi che il suo Dio è un Dio liberatore , il quale pose fine ad una dura schiavitù e che continua ad ergersi contro tutte quelle potenze che vogliono opprimere il suo popolo» . 14 Il rituale liturgico è pervaso dall'impegno storico , la sacralità è nutrita dalla santità della giustizia. Il sabato diventa l'esodo settimanale dalla schiavitù verso la libertà e l'esodo dal «servizio-lavoro» verso un «servizio­ festa» , è esodo dalle ingiustizie per l'inizio di una nuova settimana di giustizia. Esemplari in questo senso sono anche due istituti giuridici modellati sul sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare (Lv 25) . In questi sabati di anni e di secoli si cerca di riportare Israele alla sua purezza , alla sua uguaglianza, alla sua giustizia ideale con la liberazione generale delle persone e dei beni così da assicurare la continuità della libertà , della famiglia e del clan contro ogni forma di concentrazione di potere . 15 Come dirà il Terzo Isaia il vero sabato , più che nell'osservanza rigida del rituale (per la cui violazione il libro dei Giubilei commina la pena di morte , 50,8-12) , è l a ricerca della giustizia e della santità etica : «Beato chi osserva il sabato senza profanarlo , preservando la sua mano da ogni male» (Is 56,2) . Il tempo è , quindi , un tempio in cui lodare Dio ma non lo è in quanto viene ritagliato in tanti periodi sacrali ma in quanto esso è fecondato e benedetto dalla lode e dall'adesione a Dio. È per questo, come dice simbolicamente il Sal 1 19,164, che la preghiera si leva al Signore sette volte al giorno . «Di sera, al mattino , a mezzogiorno mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce», esclama l'orante del Sal 55 ,18 (cf. Dn 6,11): la preghiera pervade le nostre ore quotidiane sostenendole ed alimentandole . Cosl c'è la lode mattutina considerata particolarmente efficace perché affidata alla luce di Dio (Sal 5 ,4; 17 , 1 5 ; 57 ,9) . C'è la lode serale (Esd 9,5 ; Dn 9 ,21 ) , accompagnata dal sacrificio vespertino . C'è la lode notturna (Sal 92,3; 134 , 1 ) che per alcuni esegeti comprenderebbe

14 H.W. WOLFF, Antropologia dell'A T, Brescia 1975 , p. 178. 15 Purtroppo come testimonia Geremia (34,8- 16) , questa esigenza di umanitari­ smo sociale resterà spesso un'utopia sistematicamente violata dall'egoismo e dal potere. Vedi E. CoRTESE , L'anno giubilare: profezia o restaurazione?, in RivBib , 18(1970) , pp. 395-410.

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anche l'«incubazione sacra)) cioè la permanenza notturna nel ' tempio in attesa di una visione o di un oracolo , come avveniva nei templi egiziani . Il tempo è, quindi , innervato dalla preghiera ma non neutralizzato o assorbito sacralmente . Basta leggere il libro dei Proverbi per vedere come esiste una vita quotidiana , sociale e personale , da condurre con attenzione e impegno . Il sabato racchiude in sé e santifica il lavoro di sei giorni feriali . Per usare un'immagine di Heschel la vera santità del tempo è come una foglia illuminata dal sole : essa rivela tessuto connettivo e nervature . Se fosse solo nervature sarebbe un mostro accartocciato , se fosse solo tessuto ben presto si sfalderebbe . La preghiera è nervatura dell'ampio tessuto del tempo quotidiano: ogni integralismo sacrale o secolaristico crea solo assurdi mostri e non la gioia della festa e della quotidianità. 4. Il canto del rito « G radi rà i l Signore le m i g l iaia d i montoni e torrenti di olio?» (Mi 6,7)

Potremmo iniziare la nostra analisi essenziale del rito nei suoi atti fondamentali rimandando ai due monumentali blocchi di legislazione sacrale raccolti in Es 25-31 e 35-40. Abituati come siamo - nonostante certi recenti revivals- all'eclisse del rito e del sacrale , queste pagine ci sembrano un relitto arcaico in cui si inciampa senza scampo . Si tratta, infatti , di una selva di prescrizio­ ni sull'arca , sugli altari, sui sacrifici , sul candelabro , su macchinose architetture di veli , di assi , di abiti , di riti : un itinerario piuttosto arido e molto qados, «sacro e separato)), Eppure per Israele questa massa di gesti , pur costituendo un rischio magico o un alibi per sottrarsi agli impegni della fedeltà interiore , era espressione anche della sua cultura, della simbolica dell'esistenza. In questo senso il rituale , anche rubricario , ha un suo valore «catechetico)) e umano . In questa luce devono essere lette le molteplici prescrizioni di purità del Levitico (cf. 2Re 10,22) , le posizioni somatiche nella preghiera come la prostrazione , l'inginocchiarsi (Es 4,31 ; 1 Re 8,54; Esd 9,5) , l'ergersi (Gn 19 ,27 ; Dt 10,10; 1Re 3 ,15 ; Ger 18 ,20) a mani levate (Es 9 ,29.33 ; 1Re 8,22; Is 1 , 15 ; Sal 28 ,2) , il bacio e il giro processionale (1Re 19 , 1 8 ; Os 13 ,2) o l'appassionato apparato del lutto e della penitenza (Gdc 20,26; 1Sam 1 , 10 ; 1Re 21 ,27 ; Os 7,14; Lm 2,18) . 23

Procedendo per sommi capi , il primato è da attribuire al sacrificio la cui articolazione è ampiamente documentata da Lv 1-7 : olocausto , sacrificio espiatorio , sacrificio di comunione o d i pace , offerte votive o spontanee (vegetali , pani , incenso) , ecc. L'antico oriente aveva sacralizzato fino alla magia il rito sacrificale : il totemismo , ad esempio , supponeva che il fedele , cibandosi della vittima totem , si unisse alla divinità ; oppure il pasto sacrificale era considerato cibo per la divinità (cf. Gn 8,21 ) ; il sangue , essendo simbolo della vita (Lv 4) , poteva suggerire comunione sacrale con la divinità. Tracce di sacrifici arcaici sono rintracciabili in Gn 15 , 7ss (Abramo) , Gdc 6 , 1 8-22 (Gedeone) , Ode 13, 15-20 (Manoal) , padre di Sansone ) , 1Re 18 (Elia) e negli infanticidi rituali del culto di Molok , un rito di origine fenicia infiltratosi sino a Gerusalemme (Ger 7 ,3 1 ; cf. Lv 18,21). È soprattutto la teologia profetica ad intraprendere un'opera di desacralizzazione rituale per recuperare l'autentica spiritualità del rito!6 Il culto , senza un impegno nell'esistenza, si riduce a farsa e magia. Questo kerygma profetico appare già in bocca a Samuele che di fronte al culto ipocrita regale esclama: «>, atto penitenziale previo alla celebrazione liturgica vera e propria. Come vedremo in seguito , queste liturgie sono documentate sufficientemente nel salterio. Come avveniva nelle iscrizioni del pronao dei templi egiziani e babilonesi inizialmente anche per Israele la condizione prerequisita per l'accesso al culto era la purità rituale ed esteriore . Successivamente - probabilmente anche per merito della predica­ zione profetica - le esigenze sono più etiche ed esistenziali. Così è per i Sal 15 ; 24; 26 ; 40,7-9 ; 50; 82 ; Dt 26, 13-15 ; 27 ; Is 33 , 1 5 ; Mi 6,68 ; Ez 18 ,5-7 . Infatti i vv. 2-Sb del Sal 15 sono strutturati sulle esigenze del decalogo , da taluni ritenuto impropriamente esso stesso liturgia d'ingresso . Almeno tre punti della lista di proposte su cui condurre l'esame di coscienza sono dedicati al peccato di lingua , essendo la parola l'elemento fondamentale delle relazioni umane e socio-giuridiche del mondo orientale. La carità verso il prossimo , soprattutto n el settore socio-economico (vv . 4-5 ) , è la «giustizia» che spalanca al credente le porte del tempio. Anche la seconda strofa del Sal 24 (vv. 3-6) è una liturgia d'ingresso in cui i sacerdoti rispondono col decalogo alla domanda sulle condizioni d'accesso al culto avanzata dal popolo. La sequenza di impegni del Sal 15 è qui vigorosamente sintetizzata in tre semplici e precise esigenze . «Chi ha mani innocenti e cuore puro» è la prima e fondamentale condizione . «Mani» e «cuore» riassumono l'azione e l'intenzione , cioè l'essere integrale dell'uomo e quindi l'anima della morale . La seconda richiesta «chi non pronunzia menzogna» appartiene forse al vocabolario anti-idolatrico: «vanità, menzogna» è l'idolo (Es 20,7) . La dimensione verticale dell'impegno religioso è così associata alla prospettiva orizzontale che è ripresa dal terzo e ultimo comandamento : «chi non giura a danno del suo prossimo» . Concludendo , possiamo affermare che il canto che sale a Dio dal rituale biblico non è mai separato dalla «profanità>> dell'azione umana , ma esprime ed anima l'esistenza mondana del credente . Questo è l'orientamento generale della collezione di riti presenti nell'AT nonostante il loro evidente aspetto sacrale , aspetto che non dev'essere eliso, pena la riduzione del rito a pura convenzione sociale . Ma l'appello decisivo è quello a intrecciare il rito alla storia, il sacro al giusto , il puro al vero . « È impossibile rimanere sempre davanti all'immagine del Dio prediletto ad agitare lampade 28

rituali , è possibile invece agitare sempre davanti al nome del proprio Dio la lampada ardente del proprio amore».20

5 . Il canto del sacerdozio «l figli di Levi i nsegnano la tua legge e pongono i l sacrificio sul tuo altare » ( Dt 33 , 1 O)

Se le vittime rituali sono selezionate come espressione della purità dell'offerta, è naturale che anche chi le offre sia selezionato dall'ambito generale umano . Nasce così in tutte le religioni una classe di specialisti , professionisti del sacro , ufficialmente investiti del potere di offrire le vittime sacrificali con validità e liceità rituali . Anche Israele risponde a questa esigenza con l'istituzione del sacerdozio levitico , narrata in una pericope piuttosto polemica nei confronti del precedente sacerdozio aronitico (Es 32,25-29) : i leviti sono i tutori gelosi della purezza jahvistica contro i cedimenti di Aronne (il toro d'oro) .21 Il termine «levita» diventa in Dt 10,8; 17,9. 18; 18,1 equivalente a «sacerdote» ; altrove (Ez 44, 10-31 ; 1Cr 23) sembra essere più esteso rispetto al sacerdozio. Col post-esilio la moltiplicazione delle classi sacerdotali (21 in Ne 12,1-7. 12-21 e 24 in 1Cron 24 ; cf. Le 1 ,5) fa sospettare che «levita» fosse una generalizzazione , applicata a tutti i sacerdoti , del termine che originariamente riguardava solo il più antico degli ordini sacerdota­ li pre-esilici . Ora , anche nell'ambito dell'uomo «sacro» assistiamo nell' AT ad un processo di desacralizzazione per definirne una figura più «santa» , connessa ad un culto «santo», così com'era quello che finora abbiamo descritto . È evidente che il sacerdozio biblico , essendo ereditario e

20 Il detto è di Tukaram, poeta mistico indù del XVII sec. , citato in M. QuEGUINES, Introduzione a/l'induismo, Bologna 1962 , p. 7. Anche Racine nell'A tha lie esprime bene quest'esigenza: «A che serve ornarvi con lo zelo della mia legge? Pensate forse di onorarmi con voti sterili? Qual frutto mi proviene da tutti i vostri sacrifici? Ho forse bisogno del sangue dei capri e delle giovenche? Rompete , rompete ogni patto con l'empietà ; sterminate i crimini dall'interno del mio popolo . E allora verrete ad immolarmi vittime !» (atto l, scena 1). 21 L. LELOJR, Valeurs permanentes du sacerdoce lévitique, in NRTh , 92( 1970), pp. 246-266. Vedi anche L. Cerfaux , Regale sacerdotium, in Recueil L. Cerfaux II, Gembloux 1954 , pp. 283-3 15 e J . CoPPENS, Le sacerdoce chrétien, in NRTh , 92(1970) , pp . 225-245 ; pp. 337-364 . ·

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tribale , nasce da una specie di sacralità biologica. Questa eredita­ rietà ha esiti amari nei figli di Aronne : «Nadab e Abiu , figli di Aronne , presero ciascuno un braciere , vi misero dentro il fuoco e l'incenso e offrirono davanti al Signore un fuoco illegittimo che il Signore non aveva ordinato. Ma un fuoco si staccò dal Signore e li divorò e morirono così davanti al Signore» (Lv 10, 1 -2) . La stessa vicenda negativa si ripete per gli ingordi figli di Eli , il sacerdote di Sito (1Sam 2, 12-17) e persino per quelli di Samuele «Che non camminavano sulle sue orme , perché deviavano dietro il lucro , accettavano regali e sovvertivano il giudizio» ( 1 Sam 8,3) . È interessante notare che la benedizione di Mosè in Dt 33 su Levi cerca di spezzare i legami cianici e biologici per esaltarne l'autono­ mia , la purezza e la gratuità: «Levi dice del padre e della madre: Io non li ho visti . Egli non riconosce i suoi fratelli e ignora i suoi figli» (Dt 33 ,9; cf. Mt 8,21-22 ; Le 14,26) . Come il Cristo, che è «Senza genealogia» (Eb 7 ,3) , il NT contrappone a quello ereditario un sacerdozio carismatico con diretta vocazione divina come nel profetismo . Il sacerdozio di Cristo, non più secondo Ja carne e il sangue , diventa il tipo del sacerdozio della nuova alleanza : è questo il tema strutturale della grande riflessione omiletica di Eb 7-10. Il riferimento , allora , non sarà più a Levi ma a Melkisedek (Gn 14; Sal 110,4) : Melkisedek , re di Salem , sacerdote del Dio altissimo , andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse ; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa e il suo nome tradotto significa re di giustizia e quindi anche re di Salem, cioè di pace . Egli è senza padre , senza madre , senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita , fatto simile al figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno (Eb 7 , 1-3) .

Il sacerdozio biblico comprende anche una specie di sacralità antologica. Il rituale d'investitura esprime con evidenza la «segre­ gazione» a cui è sottoposto il sacerdote e la sua collocazione in uno statuto separato : il bagno di purificazione , il cambio delle vesti (Es 39 ; 40, 12-14; cf. 28 ,29 ; Zc 3 , 1-7) , l'essere stranieri e senza possesso nella terra promessa (Nm 18,20.23 ; Dt 18,1-5 ; cf. Sal 16) , l'iscrizione della lamina della tiara («sacro a Jahweh>> , Es 39,30) dimostrano che nel sacerdote si concentra quasi metafisicamente il sacro . Tuttavia la celebre e non ancora pienamente decifrata definizione di Es 19 ,5-6 («Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa . . . ») sul sacerdozio «comune» dell'intero Israele tende a dialettizzare il rapporto tra l'uomo-sacerdote e il popolo30

profano . Il Terzo Isaia marca ulteriormente questa consacrazione dell'intero Israele : «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore , ministri del nostro Dio sarete detti» (Is 61 ,6) . E giungerà sino a quell'affermazione sorprendente secondo cui anche tra i pagani convertiti «io mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il Signore» (Is 66,21 ) . Non è certo la dissacrazione del sacerdozio «ministeriale» come voleva Qorab nella sua ribellione , descritta nel racconto sacerdotale di Nm 16, la .2b- 1 1 . 16-24.27a.35 : «Basta ! Tutta la comu­ nità , tutti sono santi e il Signore è in mezzo a loro ! » (v . 3) . Il sacerdote , pur essendo destinato al culto in modo specifico , ha la radice della sua «santità» non in un privilegio fisico o metafisico bensì nell'inserirsi nel popolo di Dio . Cristo , il «santo-sacro» per eccellenza (Mt 1 ,20 ; Mc 1 ,24; Le 1 ,35) , desacralizza la segregazione sacerdotale «divenendo in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17; 1Cor 9,22) . C'è poi nel sacerdozio una sacralità cultuale: la liturgia stessa lo separa e isola rispetto all'assemblea . Il Siracide ci offre il quadro più suggestivo della ieraticità del sacerdote nell'esercizio del suo ministero. Si tratta del ritratto di Aronne ( 44,6-22) e del sommo sacerdote Simone II (220- 195 ca. a.C. : Sir 50, 1 -2 1 ) . L'abbigliamen­ to sacerdotale , la coreografia che accompagna l'ingresso al culto , la solennità del rito conquistano questo giudeo palestinese . Le due miniature preziose di Aronne e di Simone si soffermano persino sui particolari dei paramenti . Il fascino provato è tale che il Siracide cerca in 50,5- 1 1 tutte le realtà più mirabili dell'orizzonte terrestre e celeste per tentare di dipingere i colori e le armonie del quadro liturgico che ha di fronte . La sua venerazione di ebreo per il sacerdozio è testimoniata anche dal resto del suo insegnamento . Timore , venerazione , cura , onore devono accompagnare l'osser­ vanza delle prescrizioni riguardanti il sacerdote presenti nella legislazione biblica. 22 Il fedele deve porsi in questo atteggiamento davanti al sacerdote : «Temi con tutta l'anima il Signore e riverisci i suoi sacerdoti . Ama con forza totale chi ti ha creato e non trascurare i suoi ministri. Temi il Signore e onora il sacerdote ,

22 Le primizie (Nm 18, 1 1 -18), sacrifici espiatori per il peccato (Lv 5 ,6), offerta delle spalle degli animali immolati , destinate al sacerdote (Es 29 ,27 ; Lv 7,32; Dt 18 ,3) , ecc.

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co nsegna la sua pa rte , come ti è stato comandato : pri mizie , sacrifici espiatori , offerta delle spalle , vitti ma di santificazione e primizie delle cose sante» (Sir 7,2931).

Ma il testo più preciso sulle funzioni cultiche del sacerdote è quello della benedizione di Mosè in Dt 33,8-10. In esso possiamo intravedere il superamento di una visione solo sacrale del sacer­ dote-liturgista . «Da' a Levi i tuoi tummim e i tuoi urim all'uomo a te fedele . . . Essi osservano la tua parola e custodiscono la tua alleanza; insegnano i tuoi decreti a Giacobbe e la tua legge a Israele ; pongono l'incenso sotto le tue narici e un sacrificio sul tuo altare» .

Certo, il sacerdote esercita una funzione oracolare attraverso le sorti sacre , gli urim e i tummim (bastoncini , dadi , pietruzze?) e l'efod divinatorio (Es 28,30; Lv 8,8; 1Sam 14,41). L'intervento dei profeti farà sl che questi strumenti oracolari primitivi siano destinati all'estinzione e si affermi un'interpretazione della volontà di Dio nella storia attraverso una parola libera da addentellati magici . Altra funzione sacerdotale secondo Dt 33 è «l'insegnare i decreti e la legge» (v. 10) , cioè la catechesi, e questo sarà un impegno nobile , purtroppo però non sempre adempiuto : «Neppure i sacerdoti si domandarono : Dov'è il Signore? I detentori della legge non mi hanno conosciuto , i pastori mi si sono ribellati . . . » (Ger 2,8). Per questo il carisma della parola di Dio viene donato spesso al di fuori del canale sacerdotale ufficiale . È il caso di profeti sacerdoti contestati , come Geremia (c. 28) ed Ezechiele (7 ,26) , proprio dal sacerdozio ufficiale o di profeti laici (Os 4,6; Am 7 , 1017) . Gli scribi sapienziali completeranno quest'opera di «liberazio­ ne>> della parola da un puro incarico ministeriale ereditario per espletarlo in modo nuovo, anche appellando a valori desunti dalla cultura profana. Non dimentichiamo che i sapienti erano prevalen­ temente laici . «Ogni sommo sacerdote , preso fra gli uomini , viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio , per offrire doni e sacrifici» (Eb 5 , 1 ; cf. Sir 45 , 16) : il ministero strettamente cultico è la qualifica più caratteristica per il sacerdote , come ricorda 32

in finale il testo citato di Dt 33 , 10. All'origine , in realtà , l'atto liturgico era presieduto dal capofamiglia (Gn 22 ; Gdc 6,26; 1 3 , 19 ; 1Re 18,30ss): la stessa Pasqua era una festa familiare . Quest'aspetto , co­ me quello oracolare , corre il rischio di essere il più sacrale , legato all'ex opere operato. Si introduce allora l'esigenza di un esercizio più vitale e «santo» del culto da parte del sacerdote anche sulla base della lettura che del culto faceva la profezia . Così , essendo mediatore tra Dio e il suo popolo (non per nulla sul pettorale del sacerdote sono incastonate dodici pietre , «ciascuna col nome delle dodici tribù» , Es 28 ,2 1 ) , il sacerdote dev'essere «modello del suo gregge» (1Pt 5 ,3) . «Un insegnamento fedele dev'essere sulla sua bocca né dev'esserci falsità sulle sue labbra ; con pace e rettitudine camminerà davanti a me trattenendo molti dal male» (Ml 2 ,6) . Dall'atmosfera rarefatta della liturgia il sacerdote deve uscire per essere testimone in Israele . Per essere , infine , come il definitivo e perfetto mediatore , Cristo «che ha dato se stesso in riscatto per molti» ( 1Tm 2,5-6) . Questo viaggio molto semplificato nell'interno delle strutture cultiche di Israele ci ha costantemente mostrato un'oscillazione dal «sacro» al «santo». La vera liturgia ha il suo pendolo continuamen­ te in movimento : pur essendo avvolto nell'incenso del tempio e nella pace della trascendenza , esso si immerge nei rumori delle strade , nel vivo dell'esistenza. Questa tensione è indispensabile alla liturgia perché risponde alla sua duplicità , quella di essere rivela­ zione e grazia divina e quella di essere canto di lode e supplica umana. Per questo il culto del fedele dev'essere sempre contempla­ zione ed azione , fede e amore , canto e lotta, lode e giustizia . Nella Regola della Comunità di Qumran si legge che «la miglior parte dei sacrifici è l'offerta delle labbra e la perfezione della condotta è un dono d'offerta gradito» (1QS IX, 4-5) . «Se infatti uno dicesse : Amo Dio , e odiasse il suo fratello , costui sarebbe un mentitore» (1Gv 4,20) , un «ateo» . I canti di Israele che ora ascolteremo vivono ininterrottamente di fede e di esistenza , di cielo e di terra , di gioia pura e di lamento fisico . Ma è solo attraverso una preghiera fatta con questo spirito che Dio si fa incontrare . Ecco una illuminante strofa di Geremia (29 , 12-14) : Voi mi invocherete , ricorrerete a me e io vi esaudirò . Voi mi cercherete e mi troverete ; perché mi avrete cercato con tutto il cuore , io mi lascerò trovare da voi .

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2 I mille canti d'Israele «Acclamate a Jahweh .. . servite Jahweh . . ven ite davanti a l u i . . . riconoscete che Jahweh è Dio . . ven ite alle sue porte con i n n i di g razie . . ri ngraziatelo, bened ite i l suo nome ! » (dal Sal 1 00) .

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I canti d'Israele, pur essendo mille , molteplici e diversi per autore , data, spiritualità e teologia , rispondono ad un filo poetico , musicale , letterario spesso comune . È utile , perciò, identificare le forme (nel senso definito dalla scuola esegetica di Formgeschichte) , cioè le unità e le strutture letterarie entro cui il canto orante d'Israele si è abbastanza costantemente codificato . La poesia , infatti, non è vaga intuizione o giuoco di parole ma è rigore , è fedeltà ad una logica superiore , è stile , metro , ritmo, struttura viva. Dopo una breve ricerca lessicale , isoleremo le due aree dominanti entro cui le forme oranti si cristallizzano , quella della lode e quella della supplica . Ma lo spettro dei sentimenti espressi e, quindi , delle forme è molto più variegato e comprende decine di sfumature e di tonalità che possono persino porsi a cavallo tra le due dominanti in un intreccio inestricabile . l . Il lessico della preghiera « Lodatelo col suono del corno, lodatelo con l'arpa e la cetra, lodatelo col tim pano e con la danza lodatelo con cembali sonori , lodatelo con cembali squ i llanti . Ogni essere che respira dia lode a Jahweh» (Sal 1 50,3-5)

Se il nostro catalogo è completo , il lessico della preghiera biblica ci offre ben 43 vocaboli articolati secondo tre grandi settori : 35

quello generale liturgico , quello della supplica e quello della lode . 1 Pur essendo la lingua ebraica una lingua povera , quando si trova di fronte ad una realtà amata cerca di sfoderare tutte le sue potenzialità. Il primo gruppo di vocaboli (sei) è di ordine generale e conserva elementi di tipo rituale e sacrale . Cerchiamo di elencare queste radicali verbali attribuendo ad esse il loro valore semantico più preciso . Si sa infatti che è difficile ricostruire filologicamente il diagramma dei significati accolti da un determinato vocabolo nella storia della sua evoluzione . Inoltre il contesto finale in cui il termine è collocato dà ad esso accezioni o colori diversi . Il vocabolo più classico e generale è pii (donde tefillah, «preghiera>>) che rivela origini rituali arcaiche : all'inizio esso indicava l'atto delle incisioni fatte nella carne dell'arante , posto in uno stato di esaltazione mantica . Nella sfida del Carmelo tra Elia e i profeti di Baal si dice , infatti , che essi «Si facevano incisioni , secondo il loro costume , con spade e lance , fino a bagnarsi tutti di sangue» ( 1 Re 18 ,28) . In seguito la radice si riferisce al «giudicare» divino : Dio decide e risolve benevolmente il caso dell'arante . Classico è anche 'bd, «servire», che , oltre ad esprimere il lavoro umano (gioioso se libero , amaro se da schiavo) , descrive secondo il contesto le due dimensioni del vero e del falso culto : «Servire» Dio nella fedeltà all'alleanza e «Servire» gli idoli nell'apostasia da Jahweh (vedi i 14 'bd di Gs 24 , 14ss) . Rituale è 'tr, «sacrificare» , termine che suggeriva l'immagine dello squartare gli animali per evocare un'automaledizione sul fedele qualora non avesse osservato gli impegni presi nel culto (Gn 15 ,8- 17) o anche più semplicemente la preparazione degli animali per il sacrificio . L'elemento esteriore , somatico , fondamentale per la rubrica liturgica ma anche prezioso per sottolineare la globalità della risposta da offrire a Dio , è evocato da altri verbi come qr' che ricorda la preghiera a voce spiegata : non è mai una persona isolata che incontra Dio ma il membro di un pop�lo , come è attestato dall'episodio di Anna in

1 Vedi E . A . SPEISER, The stem pll in Hebrew, in JBL, 82(1963), pp . 301 -306; K. HEINEN , Das Gebet im A T. Eine exegetisch-theologische Untersuchung zur hebriii­ schen Gebetsterminologie, Rom 197 1 ; J . F.A. SAWYER, Types of prayer in the 0/d Testament. Some semantic observations on hitpallel, hitiJ.annen ecc. , in «SemitiCS>> , 7(1980) , pp. 131 -143 ; J . MILGROM , Studies in eu/tic theology and terminology, Leiden 1983 . Utili sono anche tutte le voci corrispondenti dei dizionari biblici come quelle del Dizionario Teologico dell'A T curato da Jenni-Westermann (2 voli . ed. Marietti) o del Grande Lessico del NT (ed. Paideia : ad es. latreuo, latreia, vol . VI, 1970 , 167190) .

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1 Sam l. S}J.h indica la prostrazione esteriore profonda , manifesta­ zione dell'adorazione interiore dell'uomo e si' l'inchino reverenzia­ le e timoroso davanti . alla maestà divina. È per questo che la tradizione giudaica ha introdotto la prassi della preghiera accompa­ gnata dal movimento del corpo in tutte le sue giunture : tutto l'essere deve dar lode al Signore . Entriamo poi nel settore della supplica che ci offre una seconda lista di almeno 18 vocaboli che cercano di cogliere maggiormente anche lo stato d'animo dell'arante , pur non eliminando i connotati rituali. S 'l è la domanda effettuata attraverso la consultazione oracolare ; drs è la ricerca amorosa ed affannosa del volto luminoso di Dio , fonte di salvezza; bqs è la ricerca intensa ed appassionata ; sw ' è il grido lanciato verso Dio che conosce tutta una serie di sfumature . Si va dall'invocazione implorante (s'q) al sospiro ( 'nh) , dall'urlo (z 'q) al gemito amaro ('nh) , dal fremere dell'anima (hmh) al pianto (bkh) e alle lacrime versate (spk o alla preghiera stessa «versata» davanti a Dio) , dal lamento quasi animale ( 'nq ) alla riflessione silenziosa , espressione di uno spirito abbacinato sotto il peso del dolore (sj}J.) . Due verbi paralleli , hgh e hgg, si riferiscono al «sussurrare» nel mormorio tipico delle labbra dell'orientale quando «medita» la sua situazione o la parola di Dio (Sal 1 19 , 1 3 . 15) . A questo punto il supplice si avanza davanti al Signore , pg', per esprimergli la richiesta ufficiale dell'esaudimento . Come dice con un vivace antropomorfismo il verbo }J.lh, l'orante cerca di « accarezzare il volto» di Dio , cioè di placare la sua collera , e di renderlo favorevole (}J.nn) . Quest'ultimo verbo che è quello della «grazia» ha una significativa dimensione dialogica : indica infatti sia l'implorazione della grazia misericordiosa di Dio sia la concessione della grazia da parte del Signore che spesso previene la stessa invocazione dell'uomo. L'aspetto della lode gioiosa, della glorificazione e dell'adorazio­ ne pura, è esaltato da un terzo gruppo di verbi. Si tratta di almeno 19 radicali a cui possono allinearsi alcuni termini precedenti usati in contesto inni co (così pii, hgh e altri) . Emblematici sono l'hl/ dell'halleluia esultante , lo jdh della t6dah, la preghiera di ringrazia­ mento e di lode , sir del canto innico e brk, la benedizione , che ­ come si vedrà - è dono divino (benedizione «costitutiva») offerto all'uomo che reagisce con una benedizione adorante e grata (benedizione «dichiarativa») . La sequenza dei verbi di «comunica­ zione» gioiosa attraverso i quali si esaltano lo splendore di Dio e le sue opere salvifiche comprende la «celebrazione>> (sb}J.) , la lode 37

narrativa in cui si professano gli interventi salvifici (ngd, «narra­ re») , l'esaltazione (rwm), il magnificare (gdl) , il far conoscere a tutti gli atti di liberazione compiuti da Jahweh (jd') , il «memoriale» liturgico delle meraviglie storiche di Dio (zkr) . C'è poi tutta la collezione dei verbi di esultanza: dall' «inneggiare» musicale (zmr) al canto accompagnato dalla lira (ngn) , dall'urrah ! (rw') alla gioia (gjl) , dal grido frenetico di allegria (p�IJ.) all'esultanza danzante ( rnn ) , dall'acclamazione festante ( '4) all'esclamazione entusiasta (�hl) sino al finale scioglimento del voto nel tempio (slm) . Questa ricchezza lessicale è un invito a godere l a preghiera nella sua pienezza , fuori da frigidi schemi liturgici o da stereotipi dogmatici. È un insegnamento per le nostre preghiere spesso aride , monotone , preconfezionate: «Stiamo perdendo il potere di apprez­ zamento, stiamo perdendo la capacità di cantare» . 2 Come si è detto nell'analisi precedente sulle strutture della liturgia biblica , la preghiera d'Israele trapassa dal settore sacro e liturgico per collegarsi ai problemi , ai drammi , alle gioie dell'uomo. Anche il lessico eucologico è specchio delle emozioni , delle passioni e delle attese proprie dell'esistenza quotidiana . Il nodo attorno a cui si svolge l'incontro orante con Dio non è la sola sfera dei beni spirituali ma la totalità della vita. Vorremmo , infine , riservare un cenno alla musica che , come è attestato dalla dossologia del Sal 150, è spesso lo sfondo del canto d'Israele nel tempio . L'armonia cantata dal salmo parte dall'infini­ to di Dio , il cui indizio simbolico è il cielo (v . 1 ) , passa attraverso la storia santa (v. 2) e avvolge tutta l'umanità come emblema più alto della vita (v. 6) ma è particolarmente tipizzata in quel microcosmo che è il culto musicale gerosolimitano , sul cui sfondo è posta ogni preghiera, anche personale . La musica è in un certo senso il paradigma attraverso cui si esprime la lode cosmica. È questa una simbolica decisiva in tutte le culture e le religioni . Se vogliamo stare nell'area della Mezzaluna Fertile ricordiamo che «i sumeri classifi­ cavano più volentieri le preghiere pubbliche non dal loro oggetto bensì dagli strumenti musicali che le accompagnavano: il timballo, il timpano, il tamburello, l'algar (strumento a noi ignoto) , ecc . » .3 Ecco un esempio di liturgia musicale tratta dalla Grande liturgia di

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J . A . HESCHEL, Chi è l'uomo?, Milano 1971 , p. 197. C . JEAN, Le milieu biblique, Paris 1922- 1936, vol . II, p . 37. Vedi anche F. GALPIN, The music of the Sumerians, Babylonians and Assyrians, Cambridge 1937. 3

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/nanna, testo per la festa del nuovo anno nella città mesopotamica di Isin: Al suono del sacro strumento , dell'algar , passano in corteo alla presenza della pura !nanna . . . Percuotono il sacro cembalo e il timpano sacro , passando in corteo alla presenza della pura Inanna . . . Suonano la lira e il timpano sacro , passando in corteo alla presenza della pura l nanna.'

Se seguiamo l'elenco offerto dal Sal 150 troviamo nell'orchestra del tempio sette strumenti (altri, meno noti , sono citati nei titoli dei salmi) . Innanzitutto il celebre sofar, il «corno», la cui forma derivata è lo j6bel, il corno del giubileo , di capra o ariete . Esso produce due suoni con variazioni minori . Il corno, come la tromba, è strumento per le cariche della guerra santa e per le convocazioni cultiche .5 Segue il nebel, l'arpa orizzontale , strumento a corda dotato di cassa di risonanza trapezoidale (Sal 33 ,2; 57 ,9; 71 ,22 ; 8 1 ,3 ; 92,4 ; 108 ,3 ; 144,9; 150,3) . Ad esso affine è il kinn6r, la lira verticale con corde di budello di pecora tese su un asse sonoro e una sbarra trasversale con cassa triangolare . Il suonatore toccava le corde con un plettro trattenendo con le dita quelle che voleva bloccare (Sal 33,2; 43 ,4; 49,5 ; 7 1 ,22 ; 137,2; 147,7; 149,3) . L'ono­ matopeico top indica il tamburello usato nelle danze rituali e belliche (Sal 68 ,25-26 ; 149,3; Es 1 5 ,20) . Minnfm sono le «corde» , u n termine generico per abbracciare tutti gli strumenti a corde ammessi nelle sacre celebrazioni . Il flauto dolce ('ugab) , ben noto in Egitto , aggregava a sé tutti gli eventuali strumenti a fiato (Gn 4 ,21 ; Gdc 5 , 16; 1 Sam 10,5 ; 1 Re 1 ,40; Is 5 , 12 ; 30,29 ; Dn 3 , 5 . 10. 1 5 ; G b 21 , 12; 30,3 1 ) . Ci sono, infine i cembali (�el�lfm) , gli strumenti a percussione che con la loro sonorità squillante e stridente martella­ vano il ritmo dei canti e delle processioni (2Sam 6,5 ; 18,6; 1 Cron 1 5 , 1 9 ; 16)5 ; 2Cron 5 , 12 ; Esd 3 , 10 ; Ne 12,27 ; 1Cor 1 3 , 1 ) . I l culminé· musicale è , però , raggiunto dall'essere vivente , in particolare dal «respiro» dell'uomo (nesamah nella Bibbia è 4 G . R . CASTELLINO, Testi sumerici e accadici, Torino 1977 , p. 149. Per la musica nella Bibbia si veda il nostro Il Libro dei Salmi, vol . III, Bologna 1984 , pp. 997ss e AA.Vv . , Prophets, worship and theodicy. Studies in prophetism, biblica[ theology an d structural and rhetorical analysis on the piace of music in worship, Leiden 1984. s Gs 6,4-20; Gdc 3 ,27 ; 1Sam 13,3; 2Sam 2,28; 6 , 13 . 1 5 ; 1 5 , 10; 1 Re 1 ,4 1 ; 1Cron 1 5 ,24 . 28 ; 16,6; 2Cron 1 5 ,4; 29,26 ; Ne 4 , 1 4 ; 12,35.41 ; Os 5,8; 8 , 1 ; Is 18,3; Ger 6, 1 ; Ez 33,3; Gb 39,24-25 ; Sal 47 ,6; 81 ,4; 98,6.

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attribuito solo all'uomo : cf. Pro 20,27 e Gn 2,7) .6 È lui che diventa respiro di lode ed è attraverso lui che viene coinvolto nella lode ogni essere vivente . Una liturgia viva , gioiosa , corale , quindi . Tutto l'essere diventa un tempio per una liturgia cosmica , come afferma­ va Teilhard de Chardin nella sua opera La Messa sul mondo ricordando i momenti in cui nelle steppe asiatiche gli era impossibi­ le celebrare l'eucaristia : «Mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del reale , Signore ; io, tuo sacerdote , ti offrirò sull'altare della terra intera il lavoro e la pena del mondo» . 2. La supplica « R i cordati di me, mio Dio, per il mio bene» (Ne 1 3,32)

Con la supplica brevissima - una giaculatoria quasi - con cui vengono sigillate le memorie di Neemia , uno degli artefici della restaurazione post-esilica, apriamo il primo grande capitolo sulle «forme» letterarie oranti dell'AT.7 L'esperienza del male , del non­ senso , del dolore crea spontaneamente presso tutte le culture una direttrice spirituale e letteraria , legata al classico «Perché?», lanciata verso Dio , anzi verso il Dio at)parentemente muto ed indifferente . La supplica è una delle maxi-categorie della preghie­ ra , di impostazione prima «orizzontale» (la registrazione concreta

6 F. MoNTAGNINI, Omnis spiritus laudet Dominum (Rilettura di un 'acclamazio­ ne) , in BOr, 25( 1983) , pp. 1 1 1 - 1 1 3 pensa , invece , che il termine sia qui da intendere come «strumento a fiato , tromba». 7 Dati i fini sintetici della nostra ricerca, non ha senso allegare immense liste bibliografiche (a questo proposito rimandiamo ai tre voli . del nostro Il Libro dei Salmi, Bologna 1981 -84) . Citiamo solo qualche titolo indicativo. A livello generale : L. SABOURIN , Un classemenr littéraire des Psaumes, in «Sciences Ecclésiastiques», 16(1964) , pp. 23-58; H.H. Ro w LEY , Worship in Ancient Israel. Its form and meaning, London 1967 ; A. GoNZALEZ , Prière, in DBS, 8(1972) , pp. 555-606 (in part . pp. 566585) ; J. BECKER, Wege der Psalmenexegese, Stuttgart 1975 ; AA. Vv. , A sense of the text. The art of the /anguage in the study of biblical literature, Winona Lake 1982 ; M . H . VoGEL, The distinctive expression of the category of worship in Judaism, in «Bijdragen>> , 43(1982) , pp. 350-382. Per la supplica: C. WESTERMANN, Struktur und Geschichte der Klage im A T, in ZAW, 66( 1954) , pp. 44-80; J . M . VEWERS , A study in the form-criticism of individua/ complainr psalms, in VT, 6( 1956) , pp. 80-96; H . H . WOLFF, Der A ufruf z u r Vo/ksklage, i n ZAW, 76( 1964) , pp. 48-56; E. LIPINSKI , La liturgie pénitentielle dans la Bible, Paris 1969 ; E.S. GERSTENBERGER, Der bittende Mensch. Bittritual und Klal{elied des Einzelnen im A T, Neukirchen-Vluyn 1980 .

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dello squilibrio storico , fisico , psichico) e poi «verticale» (il coinvolgimento spesso aspro e protestatario di Dio) . Le «forme>> entro cui si cala questa preghiera incandescente e lacerante sono molteplici , le strutture spesso variabili , le sfumature talvolta impalpabili . Cerchiamo ora di identificare i modelli più significativi sempre ricordando che la libertà della persona col suo bagaglio di passione e di sofferenza e la sincerità della preghiera riescono a debordare dagli schemi rigidi e prefissati .

a) La struttura elementare della supplica Se vogliamo definire uno schema minimo di supplica possiamo ricorrere alla triade appello-oggetto-motivazione: non è necessario che i tre movimenti siano tutti esplicitati , essi infatti si richiamano quasi automaticamente anche se talvolta con la forma del sottinte­ so . Cerchiamo di offrire una sufficiente documentazione di questa impostazione triangolare che a prima vista sembra presentare una preghiera «povera» e quasi «economica» ma che è pur sempre una via primitiva per esaltare il primato glorioso di Dio . Questa volta scegliamo esempi extra-salmici . - Invocazione. Nella preghiera corale durante la dieta di Mispa in seguito al delitto della tribù di Beniamino : «Signore , Dio d'Israele , perché è avvenuto questo in Israele?» (Gdc 21 ,3) . Elia durante la sfida del Carmelo definisce così i due riti , quello j ahvistico e quello baalico : «Voi invocherete il nome del vostro Dio e io invocherò quello di Jahweh» (1Re 18,24) . L'appello è sempre specificato dal suo contenuto . - Oggetto. Il ventaglio delle richieste è il più vario e talvolta persino «spudorato» . Attesta però la sincerità della preghiera e del dialogo con Dio . Giacobbe all'essere misterioso durante la lotta notturna allo Jabbok: «Non ti lascerò se non mi avrai benedetto» (Gn 32 ,27) . Davide contro il traditore Achitofel passato nelle file di Assalonne : «Rendi vani i consigli di Achitofel, Signore ! » (2Sam 1 5 , 3 1 ) . Ancor più concreta e corposa la supplica di Sansone assetato : «Dovrò morir di sete , o Signore , e cadere nelle mani degli incirconcisi?» (Gdc 1 5 , 18) . Più «spirituale» la richiesta del Siracide : «Signore , padre e Dio della mia vita . . . , allontana da me la concupiscenza . . . , a desideri vergognosi non mi abbandonare ! » (Sir 23 ,4-6) . Nella stessa linea l'antifona liturgica del Sal 1 18, anche se con una sfumatura nazionalistica: «Oh sl, Jahweh , dona la salvezza , oh sl , Jahweh, dona la vittoria ! » (v. 25) . 41

- Motivazione. L'intervento divino è sollecitato sulla base di ragioni che spesso coinvolgono gli attributi di bontà, di misericor­ dia , di fedeltà. Lot per ottenere riparo dalla lava di Sodoma esclama : «> (Gn 19, 19) . Altre volte è la promessa divina , come nella supplica di Abramo : «Mio Signore , che mi darai? Io me ne vado senza figli» (Gn 15,2; cf. Gn 17,18: «Se almeno Ismaele potesse vivere . . . » ) . Oppure sono le azioni storico­ salvifiche del passato con un'aggiunta apologetica nei confronti di Dio che non può apparire debole e incapace di salvare agli occhi dei pagani. Così Giosuè davanti alla città di Ai : «Signore Dio, perché hai fatto passare il Giordano a questo popolo per metterlo poi nelle mani dell'amorreo? . . . Lo sapranno i cananei . . . E che farai tu per il tuo grande nome?» (Gs 7 ,7-9) . Così anche Elia al Carmelo: «Signore , Dio d'Abramo , di Isacco e di Giacobbe , oggi si sappia che tu sei Dio in Israele . . . Rispondimi , Signore , e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio» ( 1 Re 18,36-37). b) La supplica classica La vita conosce più spesso il colore della miseria che non quello della gioia. Per questo le suppliche nella Bibbia - e in particolare nel salterio - acquistano un peso e una presenza sempre più netta ed hanno caratteristiche poetiche e spirituali generali codificate. Come vedremo , la distinzione classica divide le suppliche in «personali-individuali» e «nazionali-comunitarie» , ma l'oscillazione dall'io personale , spesso regale , verso il noi e il noi comunitario che viene caricato di risonanze personali , così da permettere a ogni io di riconoscersi , rendono questa distinzione molto fluida. Cerchia­ mo , perciò, prima di definire le infrastrutture della supplica, di abbozzarne il clima generale. Le lamentazioni personificano spesso il male e la sofferenza in un nemico dai contorni personali: in questa luce i cosiddetti «salmi imprecatori» si ridimensionano considerevolmente nella loro carica di odio apparentemente personale . Il nemico , proprio perché compendio simbolico del male , è rappresentato attraverso una costellazione di simboli biblici negativi. Si usano immagini terio­ morfe (belve , mostri , leoni, tori , cani , bufali come nel Sal 22) , si ricorre a metafore belliche (Sal 3 ,7 ; 27 ,3; 55 , 1 9 ; 56,22) o venatorie (Sal 7 ,6. 16; 3 1 ,5 ; 35 ,7-8 ; 57,7) . Il nemico è il primo attore di quel mini-dramma esistenziale «triangolare» che è il lamento. Il nemico 42

può essere una malattia grave che minaccia la vita e che è segno di maledizione divina secondo la prospettiva teologica retribuzionisti/ ca (delitto-castigo , giustizia-premio) ; altre volte può essere un peccato che separa il credente dal suo Signore facendogli sperimen­ tare il silenzio di Dio ; talvolta è una tragedia nazionale o l'incubo di un processo che può risolversi in una condanna capitale ; altre volte ancora è un avversario implacabile che con le sue persecuzioni , il suo odio o la sua violenza sembra essere l'incarnazione di una potenza demoniaca contro la quale il fedele può solo invocare l'aiuto divino . E Dio è appunto il secondo attore del dramma che in certi casi assume i contorni di un processo a porte aperte , in cui Dio è chiamato in causa , come avviene anche in Giobbe . Nella tensione sorge quell'eterna e primordiale domanda che spesso sembra spegnersi in un puro e semplice interrogativo senza risposta (Sal 6,4; 13 ,2-3 ; 35 , 1 7 , ecc. : «Perché ? Fino a quandoh) . In alcuni testi (ad es. , certe strofe delle Lamentazioni) la supplica sembra trasformarsi in atto d'accusa contro Dio e la sua indifferenza: «Quanto tempo starai ancora a guardare , Signore? Libera la mia vita dalle loro violenze , dai leoni l 'unico mio bene ! » (Sal 35 , 17) . Per rendere più intensa la perorazione si allegano - come si è visto - i motivi che il Signore avrebbe per intervenire : la gloria der suo nome davanti ai «nemici)) , la sua fedeltà alle promesse , le azioni salvifiche passate , l'innocenza dell'orante . Terzo attore è l'io del fedele o il noi della comunità ebraica che spesso articola il dramma in tre atti, distribuiti sulle tre dimensioni del tempo : la felicità perduta del passato , il tragico presente che fa da contrasto con il «prima)) gioioso e pieno di nostalgia, la speranza nel futuro . È significativo quest'ultimo atto che spesso è anticipato e visto già in azione (il cosiddetto «perfetto precativo))) : il Dio muto e lontano esaudisce la supplica , interviene e libera. Per questo all'orizzonte di tutte le lamentazioni bibliche c'è sempre una lama di luce e di pace . La stessa concezione della storia nell'AT coh la sua proiezione messianica e col suo rifiuto di ogni ciclicità spinge il fedele alla speranza. Ed il fedele promette un voto , assicura un sacrificio di ringraziamento in attesa di proclamare all'assemblea degli oranti la grazia ricevuta . La supplica è , quindi , una preghiera dinamica , aperta, fiducio­ sa , diversamente da quanto accade nelle parallele orazioni orientali antiche ove dominano la pura protesta, la nausea della vita,. l'eccesso di sfiducia, il silenzio divino vanamente sollecitato , il cielo ·

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plumbeo ed indifferente . È una preghiera , però , anche carnale , con tutto l'impasto dei problemi dell'esistenza che sono la materia poetica del carme. È l'essere umano intero che diventa preghiera. Proprio come dice un commento l;tassidico al Sal 42 ,9: «A proposito delle parole del salmo: E io sono preghiera, rabbi Bunam disse : È come un povero che non ha mangiato da tre giorni e i suoi abiti sono stracciati e cosi egli appare davanti al re. Ha forse bisogno di dire che cosa desidera? Così stava Davide davanti a Dio : egli stesso era preghiera» . 8

c) La supplica personale Nell'interno del grande pianeta qella preghiera sofferente e sofferta questo genere è il più diffuso e il più ricco di annotazioni psicologiche che nascono da una gamma di stati d'animo . Dal punto di vista genetico le suppliche , nate da un dramma personale , possono espandersi in un senso corale del male di vivere , dell'infeli­ cità , del dolore . Altre volte si notano nel testo rimaneggiamenti o segnali di applicazioni posteriori comunitarie . Questa ripresa dei testi «supplici» da parte di altri singoli o dell'assemblea liturgica d'Israele era resa possibile dalla stilizzazione di certe situazioni che rendevano il lamento adatto a più necessità e a più aranti. Nonostante l'ovvia fluidità che il genere comporta data la comples­ sità delle sfumature spirituali e poetiche , possiamo tracciare uno schema strutturale che spesso appare nei lamenti individuali :

Introduzione: invocazione-appello-ultimatum Corpus della supplica

Finale

8

{

{

Dio e il suo silenzio9 io e il mio dolore essi, i nemici , il male

voto per un sacrificio lode nell'assemblea oracolo di esaudimento («Sono io la tua salvezza» , Sal 35 ,3)

M. BuBER, l racconti dei Chassidim, Milano 1979 , p. 577 .

9 Vedi U . DEVESCOVI, [ silenzi di Jahvé, in RivBib , 10( 1962) , pp. 226-239 ; C.

WESTERMANN , The role of the lament in the theology of the Old Testament, in «> , 28( 1974) , pp. 20-38 ; S . CARNEY, God damn God: a reflection on expressing anger in prayer, in BibThBull , 13( 1983) , pp. 1 16- 120; P. MtLLER, lnterpreting the Biblica/ laments, in ( Ger 17 , 14. 18) . Come è facile intuire , le suppliche del perseguitato possono spesso oscillare verso un altro genere , quello dei salmi imprecatori , o coinvolgere dei «giuramenti d'innocenza» . Un paio di altri esempi significativi possono essere ritrovati in Gn 32, 10- 13 e in I Re 19,4. Nel primo testo Giacobbe , atterrito per

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l'incontro col fratello Esaù, appella alla promessa divina («Hai detto : Ti farò del bene e renderò la tua discendenza come la sabbia del mare . . . », v. 13) ed esclama: «Dio del mio padre Abramo e Dio del mio padre Isacco, Signore che mi hai detto: Ritorna alla tua terra . . . , salvami dalla mano di mio fratello Esaù» . Ed Elia in cammino verso l'Horeb sotto l'incubo della regina Gezabele , grida a Dio : «Ora basta, Signore ! Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri ! » .

e) L a supplica del malato La teoria della retribuzione secondo la quale ogni malattia ha alla sua genesi il peccato del sofferente appaia queste suppliche a quelle penitenziali. 10 Per questo l'orante o ribadisce la sua innocen­ za oppure implora il perdono divino. Così Ezechia, sotto l'incubo di una grave malattia, grida a Dio : «Su , Signore , ricordati che ho camminato davanti a te con cuore integro ed ho compiuto ciò che è bene davanti ai tuoi occhi» (2Re 20,3) . E nell'inno di ringraziamen­ to per la salute ottenuta ribadirà il principio della retribuzione del bene attraverso la vita perché «non lo sheol ti loda , né la morte ti canta inni ; quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà . È il vivente , il vivente che ti rende grazie , come faccio io oggi ! >) (Is 38 , 1 8-19) . Nel salterio esemplari al riguardo sono i Sal 6; 38; 41 a cui possono essere associati i Sal 22 ; 88; 102. Di grande potenza è la «preghiera del lebbroso)) del Sal 38: «Purulente e fetide sono le mie piaghe a causa della mia follia peccatrice . . . Sl , i miei reni bruciano per la febbre , non c'è nulla di intatto nella mia carne . . . Batte il mio cuore , la forza mi abbandona, si spegne la luce dei miei occhi» (vv. 6.8. 1 1 ) . Una certa curiosità suscitano nei salmi dei malati i nemici chiamati po'alé 'awen, «malfattori>) , contro i quali gli oranti si scagliano con violenza . 1 1 Un'ipotesi li ha identificati coi cultori di 10 D . H . DuESBERG , Le Psautier des malades, Maredsous 1952 ; R. MARTIN­ ACHARD , La prière des malades dans le psautier, in LumVie , 86 ( 1 968) , pp . 25-43 ; N. AI ROLDI , La consultazione divina nella malattia in Israele, in BOr, 16( 1973), pp. 163172; K. SEYBOLD , Das Gebet des Kranken im A T, Stuttgart 1973 . 11 Vedi G . W . ANDERSON , Enemies and evildoers in the book of the Psalms, in BJRL, 48( 1965-66) , pp . 18-29 ; C. HAURET, Les ennemis-sorciers dans /es supplica­ tions individuelles, in «Recherches bibliqueS>>, 8(1967) , pp. 129- 137; E . S . GERSTEN­ BERGER, Enemies and evildoers in the Psalms: a challenge to christian preaching, in «Horizons of Bibl . Theol . » , 4/5(1982-83), pp. 61-77.

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arti magiche che , attraverso le loro fatture , seminavano mali e disgrazie , tant'è vero che si erano escogitati antidoti liturgici per bloccare l'effetto nefasto di queste maledizioni (i nam-erim a Sumer, i mammitu accadici , i rituali shurpu babilonesi erano formulari di maledizione contro i quali c'erano testi «profilattici» di liberazione) . Gli oranti , perciò , anche nel salterio si scaglierebbero contro i cultori di magia nera e contro i rituali di malocchio . L'espressione ebraica letteralmente significa «operatori di vanità», una terminologia con allusioni idolatriche (cf. Sal 28 ,3; 64,3). Si tratta, quindi , di persone che si schierano dalla parte degli idoli e forse potrebbero incarnare un altro tipo di nemici , diversi dai maghi . Sarebbero coloro che , approfittando dell'estrema desola­ zione dell'arante , scagliano le loro sottili frecciate contro la sua fiducia in Dio «ripetendo tutto il giorno : Dov'è il tuo Dio?» (Sal 42 ,4. 1 1 ) . Potrebbero essere anche i freddi spettatori del male simili agli amici di Giobbe - che , con la loro distaccata sicurezza, giudicano teologicamente il caso , pronti a lanciare le loro censure , non consolando ma infierendo su chi soffre . Ai loro occhi sereni e non consumati dal dolore il caso acquista i connotati di un esame clinico , oggettivo e «giusto>> : secondo il dogma veterotestamentario della retribuzione il malato non è forse un maledetto , uno scomunicato contro il quale si può procedere anche legalmente per ottenerne condanna e confisca dei beni? Molto indicativo di questo stato ci sembra il lamento del Sal 41 ,6-9 : «61 miei nemici mi augurano il male : Quando morirà e perirà il suo nome? 7Chi viene a visitarmi dice il falso , il suo cuore accumula malizia e, quando è uscito, maligna. 8Contro di me mormorano insieme i miei nemici , contro di me enumerano i miei mali : 9Un morbo letale è piombato su di lui , non potrà più rialzarsi da dove è steso ! » .

f) La supplica funebre È celebre l'annunzio con cui il califfo Abu Bakr comunicò la morte di Maometto : «Se adorate Muhammad , egli è morto . Se adorate Allah , egli è sempre vivo». Anche per la Bibbia il primato è attribuito al Dio della vita nei cui confronti la morte è il grande nemico (Sap 1 1 ,26; cf. Mt 22,23 ) . Alcune volte nei salmi il Nemico

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per eccellenza è appunto la morte . Anche a Ugarit e a Ebla contro Baal , il dio della vita , si ergeva Mot , la divinità infernale . Proprio per questo motivo la morte di un uomo , anche se eroe , è celebrata con lamenti più inespressi che letterari e liturgici . È sempre vero il principio del canto di Ezechia secondo il quale sono solo i vivi che lodano Dio (Is 38, 19) soprattutto nella cornice di una visione sull'oltrevita molto esitante come era quella dello sheol veterote­ stamentario . L'elogio funebre era , però , noto e poteva essere applicato anche all'intera nazione , come avviene nelle tre qin6t dei cc. 1 . 2.4 delle Lamentazioni , veri e propri canti funebri per la rovina della nazione ebraica e di Gerusalemme . 12 Ma l'esemplare più mirabile di elegia funebre è la lamentazione di Davide per la morte tragica di Saul e di Gionata sui monti di Gelboe nell'ultima e disperata lotta contro i filistei. Un altro breve esemplare è presente anche in 2Sam 3 ,33-34 per la morte di Abner , ex-capo di stato maggiore di Saul . Ma la commossa elegia di Davide «da insegnare ai figli di Giuda» è irraggiungibile (2Sam 1 , 19-27) . Sul panorama verdeggiante dei monti di Gelboe , che chiudono a sud la pianura galilaica di Izreel, sull'esultanza frenetica delle «figlie dei filistei» ( vv . 20-2 1 ) , che per le strade delle loro città di Gat e di Ascalon celebrano la vittoria, Davide fa scendere il velo delle sue lacrime che tutto annebbia e offusca . Interpretando letteralmente l'ordine poetico di Davide del v. 2 1 , lo stato d'Israele non ha piantato alberi né fatto crescere prati sui monti di Gelboe . Il grido angosciato di chi non sa rassegnarsi riecheggia nella triplice antifona: «Perché sono caduti gli eroi?» (vv . 19.25 .27) . Tutto il ritmo del lamento per il re nemico eppur amato , Saul , è affidato a coppie di sostantivi : rugiada-pioggia, sangue-grasso , arco-spada , aquile-leoni. Ma soprattutto risuonano i due nomi , Saul e Gionata, spasmodicamente invocati per quattro volte . Il sentimento nella preghiera non viene accantonato ma elevato: il dolore umano si confessa a Dio con sincerità totale . 13 12 Ezechiele è il maestro della celebrazione di tali morti metaforiche : le due elegie per Tiro (Ez 26 , 16- 18; 27, 1 - 1 1 ) , quella per il re di Tiro (Ez 28 , 1 1- 19) e per i capi d ' Israele (c . 19) ne sono testimonianze vive . Anche Amos ha un lamento sul crollo d'Israele (5 , 1 -3) e Geremia per Sion (9, 16-2 1 ) . Un'elegia satirica è quella di Is 14 contro il re di Babilonia . Geremia poi ci parla esplicitamente di Iamentatdci professioniste (9 , 16- 17). Vedi per l'aspetto metrico W.R. GARR, The qinah: a study of poetic meter, syntax and style, in ZAW , 95(1983), pp. 54-75 . 1 3 Abbiamo trovato un'ottima presentazione dell'elegia di Davide in un saggio di Y. BAZAK, in «Beth Mikra», 27( 1981 -82) , pp . 246-26 1 : purtroppo però è in ebraico moderno . L'a . mette in luce tutti i segreti dell'alta qualità artistica di questo

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È interessante segnalare che col tardo giudaismo , a causa di una più aperta visione dell'oltrevita, si introduce anche la preghiera di suffragio per i defunti : è la decisione presa da Giuda Maccabeo in favore dei suoi soldati morti in stato di peccato a causa dei portafortuna idolatrici che tenevano con sé in battaglia. «Fatta una colletta di 2000 dramme d'argento , le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio» (cf. 2Mac 12,38-45). L'autore del libro loda con entusiasmo questa prassi che era torse posteriore ai Maccabei (Giuda probabilmente ordinò solo un sacrificio per purificare la comunità ebraica dal peccato commesso dai caduti) : «Se non avesse ferma fiducia che i caduti sarebbero J;isorti , sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà , la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti , perché fossero assolti dal peccato» ( vv. 44-45) .

g) La supplica del voto e del segno «Tu, Dio , hai ascoltato i miei voti . . . ! » (Sal 61 ,6) . «Su di me , o Dio , i voti che ti ho fatto» (Sal 56 , 13). La preghiera sostenuta da un voto è un luogo comune in tutte le religioni e rivela direttamente o indirettamente una visione quasi «economica» della domanda rivolta a Dio . Il voto vuole soprattutto rafforzare la supplica, in particolare quando è emessa in situazione di grave angustia: celebre è il drammatico voto di Jefte che lo costringerà al sacrificio della figlia (Gdc 1 1 ,30) . Il voto è , nella sua forma più matura , anche espressione della fiducia totale che si ha nei confronti di Dio . «Quando l o supplicherai , Shaddaj ti esaudirà e tu scioglierai i tuoi voti» (Gb 22,27) . È per questo che lo scioglimento del voto costituisce il quadro finale , anticipato come se fosse già in azione , dei canti di ringraziamento che in seguito esamineremo . Nella Bibbia ci incontriamo con una precisa legislazione sul voto (Lv 7 , 16; 22,2 1 ; Dt 12 ,6-12; 23 ,19.22-24 ; Nm 30,3-16) . La questione interessa persino l' «indifferente» Qohelet nel suo paragrafo sulla religione (4, 1 7ss) : carme. Vedi anche M . SEKINE, Lyric literature in the Davidic-Salomonic period in the light of the history of lsraelite literature, in AA .Vv. , Studies in the period of Da vid and Salomon and other essays, Winona Lake (Indiana) 1982 , pp. 1-1 1 e D . L . ZAPF, «How are the mighty fallen!» A study of 2Sam 1 , 1 7-27, in «Grace Theol. Journ . >> , 5(1984) , p p . 95-126.

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«Quando hai fatto un voto a Dio , non indugiare a soddisfarlo, perché egli non ama gli stolti : adempi quello che hai promesso . È meglio non far voti , che farli e poi non mantenerli. Non permettere alla tua bocca di renderti colpevole e non dire davanti al messaggero14 che è stata una leggerezza perché Dio non abbia ad adirarsi per le tue parole . . . » (Qo 5 ,3-5).

Anche nelle narrazioni bibliche sono incastonate descrizioni di voti , emessi nelle più disparate situazioni (vedi , ad esempio , quello di Assalonne in 2Sam 15 ,8) . Ma i testi più significativi sono tre . Il primo è legato a Giacobbe e all'eziologia del santuario di Betel in una pericope (Gn 28, 10-22) considerata da alcuni un'abile miscela redazionale della tradizione jahvista e quella elohista (per altri della sacerdotale) e da altri un passo a genesi arcaica. «Giacobbe fece questo voto : Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre , Jahweh sarà il mio Dio. Questa pietra , che io ho eretta come stele , sarà una casa di Dio (bet-'el) ; di quanto mi darai io ti offrirò la decima» (Gn 28 ,20-22) .

La struttura della supplica è semplice : una condizionale con la richiesta («Se . . . ») , il voto del tempio e della decima per il suo mantenimento , la «caparra» (la stele) , anticipazione simbolica del futuro , celebre santuario (cf. Am 4,4; 5 ,4-6a) . In Nm 2 1 , 1-3 ci incontriamo col voto di un l)erem, cioè della guerra santa col relativo sterminio totale del bottino di guerra, nei confronti del «re di Arad che abitava il Negev». La supplica è molto primitiva, retta dal principio del do ut des : «Se tu mi metti nelle mani questo popolo, le loro città saranno da me votate allo sterminio» (v. 2). Alla base c'è , però , la fiducia nel Signore difensore d'Israele a cui la preda di guerra è presentata come olocausto di riconoscenza. Ed infine ricordiamo il voto di Anna , la futura madre di Samuele , con la promessa della consacrazione del figlio come nazireo : «Signore 14 La presenza di questo «messaggero» (mal'ak, ••angelo , messaggero») nel tentativo di sostituzione del voto è inteso da alcuni come quella del sacerdote incaricato dell'accettazione ed esecuzione del voto (Ml 2,7; Ag 1 , 1 3 ; Zc 3,7) , da altri come una perifrasi riverente (l' ••angelo») per indicare Dio stesso (cosi i LXX) o come l'angelo che registra le buone azioni autentiche (Tb 12, 12) alla cui presenza non si possono addurre comode scuse per sottrarsi all'impegno assunto . Vedi L. DI FoNzo, Ecclesiaste, Torino 1967 , pp. 200-20 1 .

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degli eserciti , se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me , se non dimenticherai la tua schiava e le darai un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo)) (1Sam 1 , 1 1 ) . Una certa primitività teologica suppone anche la supplica accompagnata dalla richiesta di un segno. Tuttavia nella Bibbia il segno è visto spesso come un elemento positivo e non di sospetto o sfiducia perché con esso l'uomo resta più strettamente coinvolto nell'adesione e nell'impegno tant'è vero che l'«empio)) re Acaz rifiuta il segno dell'Emmanuele che Isaia gli offre a nome di Dio . Egli allega un'ipocrita purezza religiosa ma il suo scopo è quello di sottrarsi all'impegno esatto da Dio . Ecco il dialogo tra Acaz e il profeta: «- Chiedi un segno dal Signore tuo Dio . . . - Non lo chiederò , non voglio tentare il Signore . . . - Il Signore stesso vi darà un segno . . . )> ( ls 7 , 10-14) .

Alla richiesta continua di un segno sono legate le preghiere che costellano Gn 24 , il racconto delle trattative matrimoniali condotte da Eliezer, maggiordomo di Abramo , per Isacco «nel paese dei due fiumi , alla città di Nal}on) (v. 10) ove risiedeva un clan imparentato con Abramo . Si legga in particolare 24 , 12-14 (il segno della ragazza con l'anfora) che viene ripreso in 24,42-44: «Da questo riconoscerò che tu , Signore , Dio del mio padrone Abramo , hai usato benevo­ lenza al mio padrone)) (v. 14) . Il segno è chiesto anche da Gedeone nel racconto della sua vocazione (Gdc 6) . In 6,1 1-24 la preghiera è inserita nel contesto di un dialogo quadruplice tra l'angelo , simbolo di Dio stesso , e Gedeone : «Signore mio , se il Signore è con noi , perché ci è accaduto tutto questo? Dove sono tutti i prodigi che i nostri padri ci hanno narrato dicendo : Il Signore ci ha fatto uscire dall'Egitto? Ma ora il Signore ci ha abbandonati . . . Signor mio , come salverò Israele? . . . Se ho trovato grazia ai tuoi occhi , dammi un segno che proprio tu mi parli» ( 6 , 13 . 15 . 17).

La lamentazione di Gedeone indirizzata all'angelo (Dio) si sviluppa nella richiesta di un segno che convalidi l'apparizione e la missione . E il segno è concesso (il fuoco che esce da una rupe e consuma l'ablazione di Gedeone : Gdc 6, 19-24) . Mosè cercava solo un segno per garantire l'efficacia della sua missione ; Gedeone , 52

invece , lo chiede soprattutto per identificare il suo interlocutore e quindi per legittimare «razionalmente» la sua adesione . Questo segno e quello di Es 3 , 12 («servirete Dio su questo monte») sono di tipo cultico, come - per il nostro racconto - è testimoniato anche dall'altare finale («Jahweh-Pace» , v. 24) . Nella seconda parte della narrazione (6,36-40) Gedeone osa chiedere una controprova del segno (vello asciutto e inumidito dalla rugiada) . Anche il brano di 2Re 20 sulla malattia di Ezechia, a cui abbiamo già altrove alluso , conserva una simile richiesta di segno avanzata dal sovrano tramite Isaia e riguardante la retrocessione dell'ombra della meridiana: «Il profeta Isaia invocò il Signore e l'ombra tornò indietro» (2Re 20, 1 1 ) . La domanda del segno punteggia anche il ciclo dell'eroe-giudice S ansone (Gdc 13,8; 16,28) ma la grande ordalia del Carmelo , celebrata da Elia, è la rappresentazione plastica del segno divino che risponde alla fede e alla preghiera autentica . L'elemento taumaturgico si intreccia, però , con quello più teologico , apologeti­ co e missionario nell'invocazione centrale di Elia: > che è il verbo dell'apostasia e dell'incredulità: «ricordare-dimenticare» riassume tutta la dialettica della fede e del rifiuto . 19 O. EISSFELDT, Ein Psalm aus Nord-lsrael. Mi 7, 7-20, in ZDMG , 1 12( 1962) , pp . 259-268 ; J . Dus, Weiteres zum nordisraelitischen Psalm Micha 7, 7-20, in ZDMG, 1 1 5( 1965), pp. 14-22 ; A . MAILLOT - A. LELI�VRE, Attualità di Michea, Brescia 1978, pp. 168-176.

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Lo vedrà la mia nemica e sarà piena di vergogna, lei che mi diceva: ((Dov'è Jahweh tuo Dio?» . I miei occhi gioiranno nel vederla calpestata come fango della strada . . . Pasci il tuo popolo con la tua verga , il gregge , tua eredità , che sta solitario nella foresta posta tra giardini . Come ai tempi antichi , pascoli in Basan e Galaad! - Come quando sei uscito dall'Egitto , 10 gli mostrerò cose prodigiose Vedranno le genti e saranno deluse di tutta la loro potenza. Metteranno la mano sulla bocca e i loro orecchi saranno assorditi. Come il serpente e il rettile leccheranno la polvere , verso il Signore nostro Dio usciranno tremanti dai loro nascondigli , trepidanti , ti temeranno (7,8-10. 14-17) . -.

Anche in una delle rare preghiere disseminate nel suo libro Ezechiele invoca: «Ah , Signore Dio , sterminerai tu quanto è rimasto di Israele , rovesciando il tuo furore sopra Gerusalemme?» (9 ,8) . Il Secondo Isaia , profeta del post-esilio , conosce anch'egli il genere : in 26,7-1 3 è raccolta una supplica che , richiamando la miseria della schiavitù esilica in cui «altri padroni , diversi da te , ci hanno dominato» (v. 13) , apre l'orizzonte alla speranza della liberazione («ci concederai la pace e darai successo alle nostre imprese» , v. 12) e al giudizio dei nemici («vedano , arrossendo , il tuo amore per il tuo popolo» , v. 1 1 ) . Stupenda è la supplica al «braccio di Jahweh» conservata in Is 5 1 ,9- 1 1 e destinata ai «riscattati dal Signore» , cioè ai profughi ebrei di Babilonia che stanno rientrando nella terra promessa , guidati in un secondo esodo dal Signore , dominatore del caos, del nulla, del mare e del male : «Svegliati , svegliati , rivestiti di forza , o braccio di Jahweh! Svegliati come nei giorni antichi , ai tempi delle generazioni passate . Non hai tu fatto a pezzi e trafitto il drago e prosciugato il mare . . . ?» (vv. 9- 10) . Il Sal 44,4 affermava: «Non con la spada conquistarono la terra né fu il loro braccio a salvarli ma la tua destra e il tuo braccio e la luce del tuo volto perché tu li amavi» . Per l a nazione in pericolo sotto l'incubo di un nemico implaca­ bile prega anche Giuditta, l'eroina dell'omonimo racconto naziona1" Forse questo è l'oracolo di esaudimento di Jahweh. Molti correggono in ((mostraci cose prodigiose» (CEI).

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le . Essa pronunzia una supplica retorica , ampollosa e battagliera , ridondante di parallelismi , in 9,2-14. I nemici , contro cui aveva già lottato l'antenato di Giuditta , Simeone , sono dipinti con disprezzo come i peccatori per eccellenza (v. 9) . Tutta la preghiera è , secondo la legge del taglione , un ritornello di «abbatti , rovescia, fa scendere la tua ira , spezza ! » . Il primo paragrafo (vv . 2-4) allude all'episodio della violenza fatta a Dina (Gn 34) : l'antica donna ebrea diventa simbolo di Giuditta, della città ebraica di Betulia e dell'intera comunità d'Israele umiliata dalla violenza straniera mentre lo stratagemma della vendetta escogitato dai fratelli di Dina , Simeone e Levi , trova il suo parallelo nella seduzione che la bellissima Giuditta userà per eliminare il generale nemico Oloferne . Nel secondo paragrafo (vv . 5-11) della supplica entra in scena Dio , il vero protagonista della storia, colui che «ha disposto le realtà presenti e le future , colui il cui pensiero si compie» (v . 5 ; cf. Is 42 ,9; 46,9) . La sua potenza agisce attraverso strumenti poveri e deboli . La classica antitesi superbo-umile , che era stata alla base dell'inno di Debora (Gdc 5) e del duello tra Davide e Golia, rivela che l'unico appoggio solido è in Dio e non nella forza dei cavalli , dei fanti , degli scudi e delle lan�e . La supplica di Giuditta si chiude con un terzo paragrafo (vv. 12-14) che è il riconoscimento della supremazia universale del Signore sulla natura e sulla storia, fonte di speranza e di fiducia per Israele (Sal 46, 1 1 ; 59 , 14 ; 83 , 19; 109 ,27) . Altre testimonianze dell'epoca giudaica sono rintracciabili nella supplica di Giuda presente in 2Mac 15 ,22-24 (cf. 1Mac 7 ,41-42) e nel salmo di Sir 36, 1 - 17, composto nel 190 a.C. , alla vigilia della rivoluzione maccabaica e pieno di ansia per la liberazione di Israele , per la distruzione dei nemici e il compimento delle promesse messianiche . Ecco alcune battute della supplica: Abbi pietà di noi , Signore , Dio di tutto, e guarda, infondi il tuo timore e alza la tua mano sulle nazioni straniere perché vedano la tua potenza . . . e ti riconoscano come noi ti abbiamo riconosciuto . Rinnova i segni e compi altri prodigi , risveglia lo sdegno, riversa l'ira, distruggi l'avversario , abbatti il nemico ! . . . Gli avversari del tuo popolo vadano in perdizione , schiaccia le teste dei principi nemici ! . . . Abbi pietà , Signore , del popolo d'Israele tuo primogenito , abbi pietà della città santa, Gerusalemme , tua stabile dimora . . . Ascolta, Signore , la preghiera dei tuoi servi

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e sappiano gli abitanti della terra che tu sei il Signore , il Dio dei secoli (vv. 1-2.4-6. 8 . 9 . 1 1-12. 16-17).

La supplica è antologica , carica di reminiscenze bibliche , è una specie di formulario ionico fisso di un «comune» liturgico per il tempo di persecuzione . Nell'interno del carme troviamo , però , un segnale fervido di speranza. Forse il messia sta per radunare la diaspora giudaica sparsa per il mondo e sta per costituire un popolo nuovo ed unito : «Raduna tutte le tribù di Giacobbe , rendi loro il possesso come era al principio» (v. 10) . La lamentazione nazionale non ha sempre per oggetto un incubo politico e militare . Talora può essere una calamità naturale la radice dell'implorazione . Un'eccezionale e violenta invasione di cavallette fa nascere la liturgia penitenziale di Gl 1 -2 su cui ritorneremo. Un altro flagello è la siccità. Geremia ci ha conservato un esempio , articolato in due suppliche , di preghiera nazionale per la pioggia. L'assenza della pioggia è interpretata come un giudizio di Dio esercitato attraverso gli elementi naturali (Ger 5,24-25 ; Lv 26 , 1 9 ; Dt 28 ,22-24) . Il popolo in lutto - narra Ger 14,2 - innalza a Dio due implorazioni per la liberazione da questa prova, descritta tra l'altro in una pagina magistrale (14,1-6. 17-18) . La prima supplica (Ger 14,7-9) , dopo una confessione delle colpe (v. 7) , si abbandona ad un appello caloroso impreziosito da alcune compara­ zioni originalissime : «0 speranza d'Israele , salvatore nella sventura , perché vuoi essere come uno straniero nel paese , come un viandante che si ferma solo una notte? Perché vuoi essere come un uomo sbigottito , come u n eroe incapace d i aiutare? Eppure tu sei in mezzo a noi , Signore , e noi siamo chiamati col tuo nome , non abbandonarci !»> (14 ,8-9) .

L'estraneità di Dio è raffigurata sotto le spoglie del forestiero , del viandante che si ferma solo una notte e il cui ricordo svanisce nel nulla. Il calore della sua presenza è tanto fugace da impedire un autentico rapporto di amicizia. Anzi , con inaudita sincerità, si rimprovera al Signore una debolezza: egli sembra quasi un «uomo sbigottito» , un gigante inebetito , «incapace di salvare». La seconda supplica è, invece , più penitenziale e suppone anche un'altra calamità nazionale , la sconfitta militare e gli «Orrori della fame)) (14, 19-22) . Ad entrambe le suppliche Jahweh risponde con una 66

specie di dialogo molto serrato col suo popolo (14, 10-12. 14-16; 1 5 , 1-4) . Ma l'illustrazione più alta del genere «supplica nazionale» dev'essere ricercata nell'interno di due libri fondamentali dell'AT, il Salterio e le Lamentazioni . La collezione dei lamenti nazionali salmici si apre col Sal 44, considerato da Gunkel «l'esempio più tipico della lamentazione collettiva di un popolo oppresso dal nemico», e prosegue col Sal 60, preghiera per la nazione sconfitta , comprendente un oracolo profetico-sacerdotale di risposta (vv. 810) , col Sal 74, una lamentazione sulle rovine del tempio, col 79 , supplica per Israele annientato , umiliato e devastato . Il Sal 80 è una famosa implorazione della restaurazione della «vigna» Israele (vv . 4.8.20) mentre il Sal 83 è una supplica davanti all'incubo di una coalizione nemica. Al genere appartengono i frammenti di 85 ,2-8 ; 89 ,39-52 ; 102 , 13-23 ; 90, 13-17 e il terribile e nostalgico Sal 137. Tonalità affini sono rintracciabili anche in Sal 59 ; 123 ; 129. Un'analisi a parte meritano le Lamentazioni , attribuite dalla tradizione a Geremia (su questi cinque carmi ritorneremo in seguito). I cc. 1-2 e 4 sono esplicitamente elegie nazionali. La prima lamentazione (c. l) è una commossa rappresentazione poetica della desolazione della città di Dio , scandita da un ritornello ripetuto cinque volte : «Non c'è nessuno che la consoli» (vv . 2.9. 16. 17.21). L'impressione globale è monocorde , sembra quasi di ascoltare un lamento orientale , uniforme , le cui spirali sonore si snodano sempre sullo stesso asse . Ma se si osserva il testo in profondità , ci si accorge di uno sviluppo psicologico e drammatico. All'inizio il protagonista è il poeta stesso che parla di Gerusalemme in terza persona (vv. 1 - 1 1 ) meditando dall'esterno sul suo destino . Due invocazioni ( vv. 9c e 1 1c) pronunziate dalla città stessa preparaNo la seconda parte (vv. 12-22) in cui Sion stessa, personificata, eleva il suo lamento . La supplica del c. 2 si svolge attorno all'amara scoperta del Signore come nemico del suo popolo . Jahweh stesso ha distrutto Sion (vv. 1-9) . Perché e come lo ha fatto? A questo interrogativo rispondono i vv . 10-17 con una spiegazione generale (vv . 10-12) e una indirizzata direttamente a Sion (vv . 13-16) . Sì , «il Signore ha compiuto quanto aveva decretato , ha adempiuto la sua parola decretata dai giorni antichi , ha distrutto senza pietà, ha dato modo al nemico di gioire di te , ha esaltato la potenza dei tuoi avversari» (v. 17) . Un invito al «grido» da rivolgere al Signore ( vv . 18-19) e la sua attuazione nella supplica dei vv . 20-22 chiudono il carme . 67

Più semplice la struttura tematica della terza elegia nazionale (c. 4) . Essa è dominata dalla lunga e patetica narrazione , fatta da un sopravvissuto , dell'assedio e della caduta di Gerusalemme (vv . 1 -20) : il destino delle varie classi di cittadini (vv . 1- 17) , il crollo della città , la fuga , la cattura del re (vv . 18-20) sono descritti con l'emozione e la vivacità d'un testimone oculare . Un'imprecazione contro Edom , tradizionale nemico d'Israele , che ovviamente approfittò della rovina di Giuda (cf. Sal 137, 7) , e una benedizione per Sion concludono l'inno (vv . 21-22) . C'è , infine , il c. 5 delle Lamentazioni («la preghiera di Geremia» secondo il titolo della Vulgata) che raccoglie una supplica comunitaria in occasione di una calamità nazionale . Domina il «noi» nell'invocazione dell'aiuto divino e nella descrizione della rovina . La parte maggiore della preghiera è riservata alla rievocazione della situazione di sofferenza in cui si è immersi e alla sua genesi (vv . 1-18) . Un'invocazione (vv . 19-21 ) e un lamento finale (v. 22) chiudono la supplica orientandola alla speranza: «Non ci hai rigettati per sempre , né senza limite sei sdegnato contro di noi» .

m) La supplica imprecatoria Nell' Institutio che precede la Liturgia delle Ore , nata dalla riforma liturgica del Vaticano II, leggiamo questa osservazione : «L'omissione dei salmi imprecatori si spiega per una certa qual difficoltà psicologica, sebbene questi testi si ritrovino nella pietà del NT (ad es. Ap 6 , 10) e in nessun modo intendano maledire» (n . 131) . L'abolizione dei passi «imprecatori» del salterio (Sal 5 ,5-7 . 1 1 ; 17, 13-14; 18,38-43 ; 35 ,8.26; 40, 15-16; 52,7-8; 58; 59,6. 12-14; 69 ,2229 ; 79 , 10- 12; 83 , 14-19; 94, 1-2 .23 ; 109 ; 120,3-4 ; 129,5-6; 137 ,8-9 ; 140,10-12) ha, quindi, una giustificazione di tipo psicologico­ pastorale , connessa ad una lettura immediata e senza ermeneutica del testo biblico . Tale lettura urterebbe con la tensione evangelica al perdono , con l'atteggiamento di Gesù che , ad esempio , nella citazione di Is 61 , lss durante il suo discorso programmatico a Nazaret (Le 4, 18-19) omette l'espressione «giorno di vendetta del nostro Dio>> . Tuttavia i l genere «imprecatorio» è saldamente attestato non solo nell' AT ma nell'antico oriente . 21 La maledizione pervade la 21 Per la bibliografia sul genere rimandiamo al nostro Libro dei Salmi, vol . Il, pp. 172ss . Le radici verbali ebraiche usate per indicare l'atto del maledire sono tre .

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Bibbia sin dalla Genesi : si maledice per punire , per scopo militare o liturgico, per prevenire un male , per dichiarare il peccato affidan­ dolo alla giustizia divina, ecc. Si forma, così, una vera e propria legislazione che regola la prassi della maledizione : è curiosa , ad esempio , la norma di Lv 19,14 che proibisce di maledire una persona sorda perché non avrebbe potuto udire la maledizione né p rendere le precauzioni per controbatteria. Da questo si compren­ de che la genesi della maledizione è legata al valore che il mondo semitico attribuisce alla parola proclamata. Se vogliamo qualche testimonianza extra-salmica di questa particolare letteratura euco­ logica , possiamo leggere qualche strofa delle «confessioni>) di Geremia. «Signore degli eserciti , giusto giudice , che scruti il cuore e la mente , possa io vedere la tua vendetta su di loro perché a te ho affidato la mia causa . . . Ma tu , Signore , mi conosci e mi vedi. . . Strappali via come pecore per il macello, destinali al giorno della strage ! . . . Siano confusi i miei avversari ma non io , si spaventino essi ma non io. Manda contro di loro il giorno della sciagura, distruggili , distruggili per sempre! . . . Abbandona i loro figli alla fame , gettali in potere della spada , l e loro donne restino senza figli e vedove , i loro uomini siano colpiti dalla morte , i loro giovani uccisi dalla spada in battaglia! . . . Non lasciare impunita la loro iniquità e non cancellare il loro peccato dalla tua presenza ! » (Ger 1 1 ,20 ; 12,3; 17,18; 1 8 ,21 .23) .

La prima è "alah ed esprime la maledizione scagliata contro i simili o i subalterni, mai contro Dio . Invece 'arar è il verbo classico , usato soprattutto nelle formule rituali e da Dio stesso la cui maledizione è sommamente efficace (Gn 3; cf. Nm 5 , 1213; Dt 27, 1 1ss; 28 , 16- 17). Qll è la radice più comune e più generica . Il suo primo sigmticato è quello di «trattare con disprezzo , insultare». Per i paralleli con l'antico oriente si veda G . R . CASTELLINO, Testi sumerici e accadici, Torino 1977 . Anche il NT rivela uno sdegno profetico contro le epifanie cruente e trionfali del male nella storia . Gesù denunzia i giudici corrotti ( Le 1 8 , 1 -8) e la sua sete di giustizia conosce invettive affini a quelle contenute nei testi imprecatori anticotestamentari (vedi Mt 23) . L'Apocalisse prosegue ulteriormente in questa protesta aspra (6,9-10; 18- 1 9) . «Liberaci dal male» è l a preghiera del cristiano pellegrino qui e ora, che inizia da se stesso , prima ancora che negli altri , l'estirpazione del male e dell'ingiustizia.

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E se proprio si vuole un altro esempio emblematico , basterà ricorrere al violento annunzio della giustizia vendicatrice di Dio contenuto nel Sal 58, carme testualmente molto lesionato: Dio , spezza loro i denti in bocca, rompi , Signore , le zanne dei leoni ! Si dissolvano come le acque e con esse si disperdano . Calpestino le loro frecce come coloro che sono finiti . Passino come la bava della lumaca che si scioglie , come aborto di donna non vedano il sole . All'improvviso li strappino via rovi spinosi o belva o incendio ! Gioisca il giusto nel vedere la vendetta , lavi i suoi piedi nel sangue degli empi . Dicano gli uomini : Sì , c'è un premio per il giusto ! Sì , c'è un Dio che fa giustizia sulla terra ! » (vv. 7-12) .

Certo , il salmo affida a Dio il compito della vendetta e del rendere giustizia; la sua è un' ansia per la giustizia contro la corruzione ; lo spirito è quello della profezia, fieramente attenta alla denunzia dell'ingiustizia ovunque essa si annidi (Am 5 ; Is l; 5 ; 10, 1-2; Ger 5 ,27-30 ; Ez 22, 1 . 16.27 ; Mi 3 , 1-4, ecc . ) . Tuttavia, spontaneamente, di fronte a tali modelli di protesta noi ci troviamo in palese difficoltà. Per comprendere correttamente questa preghiera «Carnale» e «sanguigna» (o «viscerale») dobbiamo tener presenti molti dettagli e molti elementi generali della cultura semitica . Già il Crisostomo vedeva nelle imprecazioni bibliche il segnq più vivo della «condi­ scendenza» di Dio che «assume linguaggio, concezioni umane e verità ancora imperfette» (PG 53,34-35), forme socio-politiche datate e superabili (}J.erem, violenze tribali , simboli militari , vendette) proprio nello spirito della progressività e della storicità della rivelazione . Queste tonalità truculente sono, quindi, una testimonianza dell'incarnazione della parola di Dio , esprimono plasticamente l'eterno conflitto tra bene e male , rappresentato in forma simbolica ed esistenziale , con una scelta affettiva e pratica per il bene . Questi testi riflettono anche l'anima orientale la cui emotività deborda nel pittoresco e nel barocco . La sensibilità accesa , la retorica e i furori verbali , la violenza oratoria della polemica , la fiducia nell'efficacia della parola, l'assenza grammati­ cale del comparativo e del relativo sostituiti dal superlativo e 70

dall'assoluto sono motivazioni che illustrano la psicolinguistica sottesa a queste preghiere . Ci sono poi ragioni più squisitamente teologiche da non ignorare in un'esatta ermeneutica delle pagine «imprecatorie». In Israele Dio è il custode di ogni ordinamento e il legislatore supremo . Perciò chi pronunzia una maledizione contro un empio nell' AT lo fa rivolgendosi a Dio quale custode del diritto pregando­ lo di applicare le sanzioni da lui stesso decretate . La maledizione orante è tanto più efficace quanto più Dio è vicino a chi maledice , quanto più peccatore è il colpevole, quanto più prezioso è il bene protetto dalla maledizione . Questa qualità etica dell'imprecazione biblica la differenzia sensibilmente da quelle magiche dell'antico oriente . Per questo la maledizione ingiusta ricade sul suo autore ( Sal 109 , 16-19 ) o viene da Dio mutata in benedizione per il giusto colpito . La maledizione è poi un correttivo della giustizia ufficiale spesso inefficiente , del potere assoluto dei sovrani e dei giudici, che venivano , così , controllati dalle forze numinose delle imprecazioni . Resta, però, sempre valido il principio della misericordia divina per chi si converte : Dio infatti annulla e rende inefficace la maledizione quando il maledetto si distoglie dalla via dell'empietà (Dt 4,29ss ; 30, 1-10; Zc 8 , 1 3 ) . C'è, poi , un'altra giustificazione teologica nella preghiera contro il malvagio . Le azioni degli empi sono provocazioni e tentazioni ad abbandonare il culto di Jahweh . Il nemico, allora, si presenta non solo come avversario di Dio in sé , ma come attentatore al bene massimo per un uomo fedele a Dio, che è l'adesione di pensiero e di vita a Jahweh , unica ragione del suo credere e sperare . In questa luce l'imprecazione è anche un appello alla purezza della fede nel cuore dei «poveri» del Signore perché il loro piede non inciampi «invidiando gli empi e la prosperità dei malvagi» ( Sal 73 ,2-3 ) . Sul labbro dei credenti queste suppliche esprimono , quindi , l'invocazione e l'attesa del trionfo finale di Dio sul male , sulle potenze nemiche al piano divino e alla salvezza portata dal messia.

n) La supplica penitenziale per il peccato «Chi confessa le proprie colpe e cessa di farle troverà indulgen­ za» ( Pro 28 , 1 3 ) . «Correggimi , Signore , ma con giusta misura, non secondo la tua ira , per non farmi vacillare» ( Ger 10 ,24) . È in questa luce che dobbiamo collocare la massa monumentale di testi che 71

l'AT riserva alla preghiera penitenziale . 22 Si può dire che il testo biblico sia quasi costantemente attraversato da un flusso di preghiere per il peccato che non rispondono a strutture rigorose ma che rivelano alcune direttrici e alcune modalità abbastanza fre­ quenti . La formula più elementare è quella messa in bocca a Davide in 2Sam 12,13 dopo il peccato con Betsabea e contro Uria: «Ho peccato contro Jahweh !)) (vedi Sal 5 1 ,6; Is 59 , 12) . Oppure quella di Es 34,9 dopo il peccato idolatrico del vitello d'oro : «Tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato)) , Altro esempio in 1Sam 7 ,6: «Abbiamo peccato contro Jahweh b) (1 Sam 7 ,6) e in Ger 14 ,20 : «Riconosciamo , Signore , l a nostra iniquità , l'iniquità dei nostri padri ; abbiamo peccato contro di te)) (l'elemento personale «contro di te)) è sempre presente nella confessione della colpa) . Alcune volte questa formula essenziale è accompagnata da una motivazio­ ne che cerca di specificare il peccato : «Abbiamo peccato perché abbiamo abbandonato Jahweh e abbiamo servito i Baal. . . )) ( 1 Sam 1 2 , 10) ; «abbiamo peccato perché abbiamo parlato contro Jahweh e contro di te (Mosè))) (Nm 21 ,7) . Altre volte si associa l'invocazione del perdono la cui sorgente è nella gloria e nella misericordia di un Dio «tenero e pietoso , lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà , che conserva il suo favore per mille generazioni , che perdona la colpa , la trasgressione e il peccato)> (Es 34,6-7) : «Se le nostre iniquità testimoniano contro di noi , Signore , agisci per il tuo nome ! » (Ger 14,7; cf. Gs 7 ,6-9 ; Ez 33 ,10) . Dopo la prova delle cavallette che «divorano ogni erba della terra e ogni frutto d'albero)> (Es 10,15) anche il faraone innalza a Dio una formula penitenziale : «Ho peccato contro Jahweh vostro Dio e contro di voi». Ad essa segue la richiesta di perdono attraverso la mediazione di Mosè e Aronne : «Ma ora perdonate anche questa volta il mio peccato e pregate Jahweh vostro Dio perché allontani da me questa morte» (Es 10, 16-17 J) . Anche per il peccato del re Geroboamo interviene la mediazione del profeta a «placare il volto del Signore)) ( 1 Re 13 ,6) . In 2Sam 24, in seguito al censimento , Davide costruisce una 22 Ricordiamo che in questo genere spesso rientrano anche le suppliche dei malati dato il nesso > . Fieramente ostile ad ogni dualismo , la Bibbia conosce un unico dualismo , quello dell'uomo che con la sua libertà può fronteggiare Dio , sottraendosi al suo piano di costruzione e di sviluppo della storia e dell'uni­ verso. 23 M a , come si è detto , è col post-esilio che l e suppliche per il peccato acquistano una rilevanza eccezionale . La lista completa dei testi più articolati comprende queste pagine : l. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Is 59,9-15 Is 63,7-64 , 1 1 Esd 9,5-10 , 1 Ne 1 ,5- 1 1 Ne 9 , 1 -36 Dn 3 ,25-45 Dn 9,3-19

8. 9. 10. 11. 12. 13.

Bar 1 , 15-3 ,8 Est 4 , 171-z Gdt 4,9-15 Tb 3 ,2-6 Gl 1-2 Sap 1 5 , 1-6.

2 3 Ezechiele , nel c. 20, con un abile capovolgimento tenta appunto di trascrivere il credo storico d'Israele (D t 26,5-9; Gs 24 , 1 - 13) dall'ang(i)IO di visuale della storia umana , mostrando come tutti gli articoli di fede , che offrivano benefici divini , si siano trasformati in risposte di peccato da parte dell'uomo . È una specie di anti-credo che il profeta sviluppa anche nelle storie simboliche dei cc . 16 e 23 .

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Si tratta, quindi , di un fascicolo molto ricco , dal quale scegliamo per ora solo qualche testo in attesa di completarne successivamente la lettura . Iniziamo coi due salmi penitenziali del Terzo Isaia, usati probabilmente nella liturgia post-esilica. Il primo (Is 59,9-15) è preparato da una dichiarazione introduttiva sui peccati della comunità , causa dell'indifferenza del Signore (59 ,1-2) , e da un esame di coscienza sui peccati del popolo e dei capi (59 ,38) . La confessione del peccato è affidata a immagini orientali («tastiamo come ciechi la parete . . . , inciampiamo a mezzogiorno come se fosse il tramonto . . . , urliamo come orsi e gemiamo come colombe . . . ») ma l'accusa del peccato è lucidissima e immediata: «Sono molti davanti a te i nostri delitti . . . , riconosciamo le nostre iniquità» (v. 12) . Segue un elenco di dodici colpe (vv . 13-15b) che riguardano le due dimensioni del peccato , la verticale («rinnegare Jahweh») e l'orizzontale («trascurare il diritto e la giustizia») . Alla supplica segue l'assoluzione da parte del Signore , «redentore» d'Israele (59,16-20) e, in un oracolo aggiunto , l'effusione dello Spirito che feconda l'aridità umana e ristabilisce una nuova alleanza tra Dio e l'uomo (59,21 ; cf. Ez 36 ,24-29). Quanto la supplica penitenziale sia legata al credo storico dei benefici di Dio, disprezzati dall'uomo nel peccato , appare dal secondo salmo di ls 63 ,7-64 , 1 1 (cf. Sal 44 e 89) . Infatti il punto di partenza della preghiera sono «i benefici , le glorie del Signore» che punteggiano la storia sacra (63 ,7) . La rievocazione del passato salvifico fa emergere la personalità di un Dio passionalmente impegnato nei confronti del suo popolo e non freddo e remoto come ora appare . La sua è un'azione paterna: il tema, caro alla letteratura biblica (Os 1 1 , 1-4 ; Is 1 ,2; Dt 8,5 ; Sal 103) , domina tutto il brano salmico (63 ,7.8. 16; 64 ,7) . Quella di Dio è un'azione personale e carica di calore e di affetto (Es 23 ,20.23 ; 32,34; 33 ,2) . Ma la risposta di Israele è solo una tragica sequenza di ribellioni , è un attacco sistematico alla «santità» di Dio , al suo «santo spirito)) ' cioè alla sua presenza salvifica in mezzo a Israele . Il tono del carme diventa , allora, triste (63 , 10- 14) : Dio si trasforma in nemico del suo popolo e il suo atteggiamento ostile introduce una punizione che rende amara e schiava l'esistenza d'Israele . C'è , però , sempre una speranza, anche nella punizione : il silenzio può essere una «tattica)) che il Signore adotta per ricondurre a sé Israele . Ed allora l 'invocazione penitenziale si fa più intensa ed è scandita dal tradizionale interrogativo «Perché?)) in attesa che riappaia dai cieli ' il volto del nostro padre e salvatore (63 , 15-64 ,4a) . Un'ultima 76

sezione (64,4b- 1 1 ) riprende con uguale passione i temi finora enunciati (ribellione , ira del Signore , punizione , paternità divina) e si conclude con una finale interrogativa altamente patetica : «Reste­ rai ancora insensibile , o Signore , tacerai e ci umilierai sino in fondo?» (64 , 1 1 ) . Il testo , che conserva ancora vivo il ricordo del crollo di Gerusalemme (64,9-10) , è una testimonianza della pre­ ghiera dei primi ebrei rientrati in Palestina dopo l'editto di Ciro del 538 a.C. , prima della ricostruzione e dedicazione del secondo tempio (515 a . C . ) . A d epoca post-esilica è d a ricondurre anche i l profeta Gioele ( 400 a . C . ?) che nel suo libretto ci ha conservato due liturgie penitenziali a cui abbiamo già alluso e che sono divenute classiche anche nel culto cattolico («P arce , Domine , parce populo tuo» , 2 , 17) . 24 Il contesto entro cui sono inserite è quello di due calamità agricole , la siccità (1 , 10-12. 16-20) e l'invasione delle cavallette (1 ,49; 2, 1-1 1 ) . 25 Quest'ultimo flagello , documentato anche in Egitto , è sempre impressionante per l'orientale e lo è ancor oggi , come attestano alcuni réportages fotografici dagli anni '30 in avanti . Le torme di cavallette , che coi loro sciami oscurano il cielo come nubi (2,2) , che trasformano una campagna verdeggiante in deserto (2 ,3) , sono simbolo di un'invasione militare che tutto annienta nel suo avanzare . Il riferimento da naturale diventa storico . Lo stesso termine italiano «cavallette» evoca i cavalli in corsa di un esercito . È ciò che Gioele descrive con uno stupendo parallelismo (2,4-9) : la libertà della sua fantasia poetica opera appunto questo accostamen­ to vivace e movimentato tra cavallette e cavalleria nemica. Ma l'ultima fase di applicazione dell'immagine è escatologica e si orienta verso quel «giorno di Jahweh» (2 ,10- 1 1 ) che dominerà il successivo c. 3 di Gioele . Anche Amos (7 ,1-2) userà questa piaga fatale delle colture agricole per introdurre il giudizio del Signore .

24 Vedi A . S . KAPELRUD, Joel studies, Uppsala 1948 ; G . W . AHLSTROM, Joel and the tempie cult of Jerusalem, Leiden 1971 . Per la datazione vedi W. Ru ooLPH , Wann wirkte Joel?, in Das ferne und das nahe Wort («Fs . L. Rost>>), Berlin 1967, pp. 193198 e G. RINALDI, Gioele e il Salmo 65, in BOr, 10( 1968) , pp. 1 13- 122 . 25 Le lingue ebraica ed aramaica posseggono ben venti vocaboli diversi per indicare le specie differenti di questo flagello delle coltivazioni: le cavallette , la locusta, il bruco, il grillo ( 1 ,4) non sono che tentativi di versione italiana. Per avere un'idea del fenomeno secondo cui una realtà importante nell'esperienza di una cultura esercita un influsso sulla lingua ad essa relativa, basti pensare che lo spazio occupato in italiano da una o due parole come e «palmizio» nelle lingue bantù è distribuito su una cinquantina di vocaboli diversi .

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Di fronte a questa prova Israele si rivolge al Signore e viene «adunata un'assemblea» ( 1 , 14 ; in ebraico c'è il vocabolo 'asarah, tipico per le riunioni ufficiali e penitenziali : Esd 8,21 ; 10,9; Ne 8,2; 9 , 1 ; cf. Ger 23 ,1-14; 49 ,3) . La prima liturgia è descritta in quattro strofe del c. l . La prima strofa ( vv. 5-7) ambienta la supplica nel problema concreto delle locuste. La seconda ( vv. 8-10) si apre invece su un lamento che nasce dalla drammatica situazione economica e sociale di Israele: si è giunti al punto di non avere più cereali per l'ablazione quotidiana al tempio con farina, vino e olio (v . 9; Es 29,38-42; Nm 28,3-8). Il lamento si espande nella terza strofa (vv . 1 1-12) e sfocia nella liturgia vera e propria descritta nella quarta strofa (vv. 13-15) con tutto il suo apparato penitenziale rituale. Prima della risposta di liberazione e speranza da parte di Jahweh , il c. 2 evoca una seconda convocazione liturgica dell'«assemblea)) d'Israele (2 , 12- 16) . Ad essa partecipa tutto il popolo , dai piccoli agli anziani . I «sacerdoti , ministri del Signore)) , elevano a Dio «tra i l vestibolo e l'altare)) ' cioè nel cortile orientale del tempio ( l Re 6,3 ; Ez 40,48-49) , rivolti verso il Santo dei santi , una supplica fondata su un motivo apologetico : la gloria di Jahweh è posta proprio nella felicità di Israele perché solo così i pagani riconosceranno Jahweh come unico e benefico Signore . «Perdona, Signore , al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio e alla derisione delle genti . Perché si dovrebbe dire fra i popoli : Dov'è il loro Dio? Il Signore si mostri geloso per la sua terra e si muova a compassione del suo popolo» (2, 17-18) .

Riserviamo una citazione anche alle suppliche penitenziali dei «romanzi storico-popolari)) a finalità religiosa sorti nell'epoca ellenistica giudaica , Ester, Tobia, Giuditta. In quest'ultimo , che ha per protagonista la donna «giudea)) (Giuditta) e che abbiamo già sfogliato , c'è proprio nelle prime pagine una liturgia penitenziale ( 4 ,9- 15) celebrata dagli abitanti di Betulia («Casa di Dio))) assediata col suo apparato tradizionale di grida , invocazioili , sacco , cenere , mani levate , digiuno , olocausti , sacrifici votivi e offerte volontarie mentre il testo della preghiera è carico di reminiscenze salmiche e profetiche . Nel testo greco di Ester ci incontriamo , invece , con una supplica dell'eroina (4, 171-z) che riprende , per interpretare la storia 78

d'Israele , lo schema classico deuteronomistico: benefici divini peccato d'Israele - punizione - supplica per la liberazione . In Tb 3 ,2-6 ci incontriamo invece con una «preghiera di lamento» che è un modello di sensibilità al peccato e alla colpevolezza collettiva che abbraccia verticalmente l'intera genealogia d'Israele e orizzon­ talmente l'intera società presente . Tobia esule si sente profonda­ mente coinvolto nel peccato dei suoi connazionali e degli stessi padri che l'hanno preceduto («non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti , non abbiamo agito secondo i tuoi decreti, non abbiamo camminato con rettitudine») . Le tappe delle suppliche sono quelle tipiche del genere : celebrazione della giustizia e fedeltà di Dio (v. 2) , confessione dei peccati personali e comunitari (v. 3 ) , la sofferenza riconosciuta come purificazione della colpa ( v . 4) , implorazione della liberazione piena che per Tobia , come per Giona (4, 3 . 8) ed Elia (tRe 19 ,4) , si identifica paradossalmente con la morte . Ma Israele , esponendo al suo Signore tutta la sua amarezza e il suo pentimento , ritroverà , invece della morte , la vita e la benedizione . E, in attesa di leggere le altre pagine del fascicolo penitenziale del post-esilio , finiamo per ora con la preghiera che il libro della Sapienza, espressione del giudaismo della diaspora ellenistica , pone a suggello del trattatello anti-idolatrico dei cc. 13- 1 5 : Tu, nostro Dio , sei buono e fedele, sei paziente e tutto reggi secondo misericordia. Anche se pecchiamo , siamo tuoi , conoscendo la tua potenza . Ma ora non peccheremo più , sapendo che ti apparteniamo . Conoscerti è giustizia perfetta , conoscere la tua potenza è radice di immortalità . . » (15,1-3). .

La supplica penitenziale ha, però , una sua area privilegiata all'interno del salterio coi celebri Sal 6; 38; 5 1 ; 130; 143 , a cui si possono aggiungere le frequenti invocazioni per il perdono del peccato che costellano altri salmi (ad es. , 25 , 1 1 ; 40, 1 3 ; 69,6, ecc . ) . S u quest'area letteraria e teologica dovremo ritornare percorrendo i testi del salterio . Per ora ricordiamo l'importanza che ha rivestito nella storia della liturgia e della pietà cristiana il Sal 5 1 : «Grazie , mio Dio , per averci dato questa divina preghiera del Miserere, che è la nostra preghiera quotidiana e il compendio di ogni nostra preghiera: adorazione , amore , offerta, ringraziamento , pentimen79

to , domanda» , scriveva P. Charles de Foucauld.26 Il suo movimento strutturale riflette , al di là dell'appendice liturgica nazionale finale (vv . 20-21) , i due grandi momenti della «confessione» penitenziale . Il primo è quello oscuro del peccato : il riconoscimento della colpa si intreccia con la purificazione-perdono (vv. 3-1 1 ) . Al centro (v . 6b) domina la giustizia salvifica di Dio , radice del perdono («sei giusto quando parli , retto quando giudichi») . Il secondo momento è quello luminoso della grazia (vv . 12-19) . L'inclusione «spirito» e «cuore» racchiude i due estremi (vv . 12. 19) del quadro che è una celebrazione dello spirito divino effuso nell'uomo perdonato il cui cuore diventa sacrificio gradito a Dio (cf. Sal 50) . La spiritualità di questo carme e di quelli ad esso affini (in particolare lo splendido Sal 130, De profundis) gli può realmente meritare il titolo originale di «salmo paolino)) escogitato da Lutero, appassionato lettore e commentatore di questo testo. Concludiamo questa nostra delimitazione delle forme letterarie penitenziali con un'ultima catalogazione esemplificativa. La con­ creta formulazione della supplica per il peccato risponde spesso ad esigenze specifiche del Sitz-im-Leben da cui sorge . Cosi , ad esempio , in 2Cron 30, 18-19 ci incontriamo con una formula di assoluzione per un peccato rituale piuttosto raro , quello dell'aver mangiato la pasqua senza la puntuale osservanza delle prescrizioni liturgiche . Ecco le parole del re Ezechia: di Signore , che è buono , perdoni chiunque abbia il cuore disposto a ricercare Dio , il Signore Dio dei suoi padri anche senza la purificazione necessaria per il santuario)) . È evidente in questa formula la spiritualità profetica per la quale la purezza del cuore e della vita è superiore alla purità rituale. In questa luce si possono intendere le preghiere penitenziali frammentarie presenti negli oracoli profetici . Osea, che in 6, 1-2 descrive una liturgia di penitenza , nell'ultima pagina del suo libro ci presenta nella cornice di un patetico appello alla conversione una breve ma intensa supplica che cancelli il passato di peccato , pietra d'inciampo che fa piombare a terra ( 14,2) . ·

«Preparate le parole da dire quando ritornerete al Signore : Togli ogni iniquità, accogli il nostro bene e ti offriremo il frutto delle nostre labbra . Assur non ci salverà né cavalcheremo sui cavalli

26 Per un'analisi e per la bibliografia si veda il nostro Il Libro dei Salmi, Bologna 1983 , vol . I l , pp. 1 1 -63 .

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né chiameremo dio nostro l'opera delle nostre mani : presso di te è l'orfano che trova misericordia» (14,3-4) .

A questa supplica Dio risponde con una promessa di amore e di grazia: «Li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore» ( 14 ,5) . Ed allora tutto il cosmo stesso si trasformerà in un paradiso ; la gioia del perdono e della liberazione è tale che inonda e contagia la terra. Dio solo , che è simile ad un cipresso sempre verde (14 ,9) , dona la vera vita che invano lontano da lui o sostituendosi a lui (Gn 3) l'uomo aveva cercato . Anche nel salmo di Mi 7, già citato , si incontra una breve supplica penitenziale : «Quale Dio è come te che togli l'iniquità e perdoni il peccato . . . , che non serba per sempre l'ira ma si compiace di usar misericordia? Egli tornerà ad aver pietà di noi , calpesterà le nostre colpe . Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati . . . » . Le «preghiere dell'intercessore» che abbiamo già esaminato per buona parte sono anche suppliche per il perdono del peccato. Un esempio per tutti nell'invocazione di Mosè in seguito alla ribellione di Israele nel deserto: «Il Signore è lento all'ira e grande in bontà , perdona la colpa e la ribellione ma non lascia senza punizione ; castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione . Perdona l'iniquità di questo popolo , secondo la grandezza della tua bontà , così come hai perdonato a questo popolo dall'Egitto fin qui» (Nm 14, 18-19) .

Anche le suppliche nazionali , come si è visto , contengono al loro interno una vera e propria implorazione del perdono essendo il peccato causa di rovina anche storica . Durante l'oppressione degli ammoniti gli ebrei gridano a Dio : «Abbiamo peccato contro di te , perché abbiamo abb andonato il nostro Dio e abbiamo servito i baal . . . Abbiamo peccato ; fa' di noi ciò che ti piace ; soltanto , liberaci in questo giorno !>> (Gdc 10, 10. 15) . Anche Geremia nella celebre pagina sulla siccità in Giuda raccoglie una supplica peniten­ ziale da indirizzare al Dio sdegnato (14, 10-17) e la quinta delle Lamentazioni ripete che il male presente nasce da un peccato antico : «< nostri padri peccarono e non sono più , noi portiamo la pena della loro iniquità . . . Facci ritornare , Signore , e noi ritornere­ mo perché non ci hai rigettati per sempre . . » (5 ,7.21 .22) . Un altro modello di questa costellazione molto differenziata di .

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preghiere potrebbe essere anche la strana invocazione dell'omicida Caino , in Gn 4, 13-14: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono ! Ecco , tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò celare lontano da te , sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere» .

L a supplica penitenziale d i Caino non chiede nulla esplicita­ mente , confessa solo la propria colpa e manifesta l'amarezza della pena nella solitudine e nella lontananza da Dio e dal prossimo che si è offeso . Implicitamente Caino spera nella remissione del peccato . E Dio lo ascolta ritornando ad essere il difensore anche del peccatore pentito : «Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte . Il Signore impose a Caino un segno perché non lo colpisse chi lo incontrasse» (Gn 4,15). L'amore di Dio non si arresta anche davanti al peccato più grave . Perciò, come ammoni­ sce il Siracide , «ritorna al Signore e cessa di peccare ! . . . Figlio , hai peccato? Non farlo più e prega per le colpe passate . Come alla vista del serpente , fuggi il peccato !» ( 17 ,20; 21 , 1-2) . Geremia in 3 ,22 mette in scena questo dialogo tra Dio e Israele che è la sintesi di tutto il movimento interiore della supplica penitenziale : - «Ritornate , figli traviati , io risanerò le vostre ribellioni» . - «Ecco noi veniamo a te perché tu sei i l Signore nostro Dio».

Sentiamo in queste battute tutta la teologia biblica del peccato e del perdono. Anche Pascal immaginerà un dialogo analogo tra Dio e il peccatore : - «Se tu conoscessi i tuoi peccati , ti perderesti d'animo . . . » . - «Allora mi perderò d'animo , Signore ! » . - «No! Perché i peccati t i saranno rivelati nel momento i n cui ti saranno perdonati» .

o) La supplica dell'innocente «Egli conosce il cammino della mia vita, se mi mettesse alla prova, ne uscirei puro come oro . Il mio piede è incollato alle sue orme , ho seguito il suo cammino senza deviazioni , senza allonta­ narmi dai comandi delle sue labbra, riponendo nel mio petto le 82

parole della sua bocca» (Gb 23 , 10-12) . È presente nell'AT un atteggiamento orante che si codifica nel genere letterario del «giuramento d'innocenza» : il contenuto è ben illustrato dalla dichiarazione di Giobbe appena citata . È questo un modo per rendere la supplica quasi esplosiva davanti a Dio e per «costringer­ lo» ad intervenire . La forza di questa proclamazione d'innocenza è superiore alla promessa del voto da sciogliere . Non è però un atteggiamento farisaico di autogiustificazione , è invece la protesta del povero ingiustamente calpestato che vuole coinvolgere Dio nel suo dramma «giurando nel suo nome)) . Blasfemo e catastrofico sarebbe il giuramento falso come fa purtroppo spesso Israele «giurando nel nome del Signore ma senza sincerità e rettitudine)) (Is 48 , 1 ) . I l modello più articolato e intenso d i questo canto dell'innocen­ za è da cercare in Gb 3 1 , costruito su dodici commi (vv . 1-4 ; 5-8 ; 912; 13-15 ; 16-20 ; 21-23 ; 24-25 ; 26-28 ; 29-30; 31-32; 33-34 ; 38-40) e accompagnato da una potente sfida indirizzata a Dio : Oh , datemi qualcuno che mi ascolti ! Ecco qui la mia firma. Shaddaj mi risponda! Il mio rivale scriva il suo allegato ! Io me lo caricherei sulle spalle e me lo cingerei come un diadema. Gli renderei conto dei miei passi e , come un principe , mi presenterei a lui .

Il giuramento d'innocenza era una prassi giuridica attestata nell'ambito del diritto sacrale dell'alleanza (Es 22,7.9-10; 1Re 8,3132 ; Nm 5 , 19-28 ; Gdc 17, 1-3 ; 2Cron 6,22-23) . «Quando l'inchiesta non permetteva di giungere ad una conclusione o quando l'accusato non poteva addurre testimoni a discolpa, si faceva questo giura­ mento)) . 27 Quando l'ordalia era stata celebrata, un oracolo di salvezza sigillava positivamente questa autoprofessione d'innocen2 7 R. DE VAu x , Le istituzioni dell'A T, Torino 1964 . Vedi anche F. HoRST, Der Eid im A T, in EvTh , 17( 1957) , pp. 366-384 e M. BRENNAN DICK , The legai metaphor in Job 31, in CBQ , 41 ( 1979) , pp. 37-50. Alcuni studiosi in passato hanno tentato di connettere questo genere letterario giuridico ai rituali Shurpu babilonesi di stampo apotropaico (di difesa contro le maledizioni e gli spiriti maligni) o alla «psicostasia» («peso delle anime» nel giudizio del defunto prima dell'accesso all'immortalità) testimoniata dal Libro dei Morti egiziano (la confessione dei peccati del c. 125) . In realtà le dichiarazioni bibliche accentuano l'aspetto morale e sociale della confessio­ ne e ignorano quello magico-sacrale predominante nei testi dell'antico oriente .

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za. Giurare voleva dire, infatti , coinvolgere direttamente Dio nella questione . E sempre si sperava che Dio non restasse indifferente di fronte all'ingiustizia. La procedura giuridica viene ritrascritta come supplica nelle preghiere dell'innocente che proclama davanti a Dio la sua giustizia morale per invitarlo a intervenire . Nel salterio abbiamo alcuni esempi di queste suppliche nei Sal 7; 17 ,3-5 ; 26 e tratti sono riconoscibili anche nei Sal 71 e 139. Ecco una testimo­ nianza tratta dal Sal 7: «Jahweh, mio Dio , se h o commesso una colpa, se c'è iniquità sulle mie mani , se ho ripagato il mio amico col male , se ho spogliato a torto i miei nemici , l'avversario mi insegua e mi raggiunga , calpesti a terra la mia vita e trascini nella polvere il mio fegato . . . » (7 ,4-6) .

Come è evidente , la struttura di questa supplica comprende una serie di «confessioni» negative espresse con un «se . . . » irreale a cui segue l'automaledizione (v . 6) affidata a Dio stesso . Alla base di tutto c'è naturalmente la fiducia incrollabile nella giustizia divina e nell'interesse di Jahweh nei confronti della storia: «Giudica i popoli , Jahweh , e giudica me secondo la mia innocenza e secondo la mia giustizia . . . » (Sal 7 ,9) . Jahweh , infatti , «non è un Dio che si compiace del male per cui il malvagio non può essere suo ospite , lo stolto non può sussistere davanti al suo sguardo» (Sal 5 ,5-6) . Questa certezza è fonte di speranza e di pace per l'orante perseguitato . Lo sguardo d'insieme che abbiamo rivolto all'area tormentata della preghiera supplice ci rivela una particolare interpretazione della preghiera. Essa , come avviene nella drammatica pagina di Gn 22 sul sacrificio di !sacco , è una lotta spesso lacerante . Particolar­ mente significativo è il testo di Gn 32 ,25-3 1 con l' «agonia)) di Giacobbe alle rive spumeggianti del torrente Jabbok . Osea ha iniziato a interpretare la lotta del patriarca con l'essere misterioso come una preghiera , un «domandar grazia)) (12,5). Al profeta si associa lo splendido midras sulla storia d'Israele di Sap 10-19 che commenta: «> (2Cor 5 , 17) . Anche Gesù nella sua agonia continua a mantenere sulle labbra , secondo Mc 14,36, l'invocazione dell'intimità , della comunione , della fiducia gioiosa: «Abba' , Padre» (cf. Gal 4,6; Rm 8 , 1 5 ) . La supplica , infatti , ha alla base la certezza che «il Padre vostro celeste 85

sa che di tutte queste cose voi avete bisognO>> . Giustamente scriveva il poeta libanese Kh. Gibran :28 «Io non posso insegnarvi a pregare. Dio non ascolta le vostre parole , se egli stesso non le pronunzia con le vostre labbra . . . Non possiamo chiederti nulla; tu conosci i nostri bisogni prima ancora che nascano. Il nostro bisogno sei tu ; nel darci te stesso , tu ci dai tutto».

3. La lode «Vog lio cantare a Jahweh fi nché avrò vita, voglio i nneggiare al mio Dio finché esisterò. Il mio carme salga sino a l u i , io gioisco in Jahwe h » (Sal 1 04,33-34)

Scriveva J. Heschel : «Questa è la ricompensa di essere uomini: la serena esaltazione , la capacità di celebrare Dio. È bene espressa in una frase che rabbi Akiba ha offerto ai suoi discepoli: Un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno» . 29 La lode gioiosa, l'halleluia allo stato puro , il ringraziamento festoso , l'abbandono fiducioso, il canto e la danza occupano la seconda grande area della preghiera biblica . È questa l'orazione più pura perché non si chiede nulla a Dio ma, .semplicemente lo si ringrazia per il semplice fatto che egli esista . E per questa ragione che la tradizione giudaica ha tentato di riportare a questa radice l'intera collezione salmica (comprese le suppliche ) dandole il titolo di tehillfm, «lodi». D 'altra parte come osservava H . Gunkel - questo è uno degli atteggiamenti fondamentali della preghiera di ogni cultura perché esprime «il bisogno più profondo e più nobile di ogni religione , quello di

28 KH. G I BRAN , Il Profeta, Milano 1977, pp. 97 e 99. 29 J. HESCHEL, Chi è l'uomo?, Milano 1971 , p. 198. Nella vasta letteratura sulla preghiera di lode segnaliamo innanzitutto l'opera fondamentale di F. CROSEMANN , Studien zur Formgeschichte von Hymnus und Danklied in lsrael, Neukirchen-Vluyn 1969. Vedi anche C. WESTERMANN, Das Loben Gottes in den Psalmen, Gottingen 1954 ; A. BARUCQ , L'expression de la louange divine et de la prière dans la Bible et en Egypte, Le Caire 1962 ; M. GJRARD , Louange cosmique: Bible et animisme, Montréal 1973 ; M. BALL, Singing to the Lord. The Psalms as hymns, London 1979.

86

adorare nella polvere chi è sopra di noi» . Quasi come in un quadro di Chagall in cui i canti di lode perforano i tetti e salgono sino al cielo , Geremia sognava una ricostruzione nazionale in cui da tutte le città e da tutte le tende di Giacobbe «usciranno inni di lode e voci di gente in festa» (30, 19) . La lode è contemplazione libera e spontanea di Dio , è ringraziamento «per la sua grande gloria» , per il suo «grande nome» (Sal 8,2. 10) , per la sua ineguagliabile grandezza (Sal 1 13,5). Lode è stupore , adorazione , esultanza , è anche «meditare» (o «mormorare» con le labbra, come dice un verbo ebraico già citato) e comprendere le meraviglie salvifiche da Dio disseminate nel cosmo e nella storia. Come affermava il filosofo Heidegger, «denken ist danken» , «pensare , comprendere è ringraziare». Anche per questa area della preghiera biblica dobbiamo registrare la presenza di «forme» molteplici , non sempre rigorosamente ricon­ ducibili a schemi rigorosi e costanti. Vogliamo, però, iniziare con un genere che è di difficile definizione , tant'è vero che alcuni esegeti ne negano persino l'esistenza . Si tratta dei «Canti di fiducia» . Essi in realtà , pur nella loro fluidità, ci permettono di identificare l'atmosfera di fondo che avvolge la preghiera di lode (e implicitamente quella di supplica) . Si ha qui la sorgente prima della lode , cioè l'abbandono mistico in Dio , la scoperta del «fascinosum» che è racchiuso nel credere e nell'adorare perché Dio è fascino, pace , sicurezza, gioia, amore . Lo spirito di questa preghiera potrebbe essere espresso con questa folgorante lode ionica indù : «Non prego per essere ricco né per essere colmato di onori. Non prego per possedere la felicità né il fascino della poesia. Prego solo perché per tutta la mia vita possa possedere l'Amore . Che io possa sempre gioire per l'amore d'amarti».30

a) I canti di fiducia «In Dio confido, non avrò paura: che cosa potrà farmi un uomo?» (Sal 56, 12) . «> . È il caso del Sal 4, «canto serale di confidenza in Jahweh>> (Podechard) , del Sal 1 1 («>) , dello splendido canto mistico del Sal 16, del celeberrimo canto del pastore e dell'ospite racchiuso nel Sal 23 , a dittico del Sal 27 , del Sal 3 1 ,2-9 («> (Gs 6,5) e Gerico crollò . «Non appena l'arca del Signore giunse all'accampamento, gli israeliti elevarono un urlo così forte che ne tremò la terra>> ( 1Sam 4,5 ; cf. 6,13). La formula più essenziale potrebbe essere una professione di fede come quella registrata in 1Re 18 ,39 dopo l'ordalia di Elia al Carmelo: dahweh è Dio ! Jahweh è Dio ! » . O quella di Naaman dopo la guarigione : «Ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele» (2Re 5 , 1 5 ; cf. Dn 2,47) . Lo sviluppo dell'innologia permette la costruzione di strutture poetiche più complesse . F. Criisemann ha identificato tre modelli ben attestati soprattutto nel salterio : l' «inno imperativo», dedicato alle azioni storico-salvifiche di Dio (Sal 29 , 1-2.9-10; 33 ; 47 ; 8 1 ; 96; 98; 100; 105 ; 107 ; 134; 148-150) ; l'«inno participiale» , costruito su lodi espresse con participi (146,6-9 ; 147,2-4.6.8-9. 14-17 . 19 ; cf. 65 ,7-8 ; 68 ,7.36b ; 104 ,2-5 . 10-1 1 ; 145 , 14-16.20) , e, infine , l'«inno individua­ le» con molteplici sottospecie (Sal 8; 44 ,5-6; 74 , 12-13; 77 , 12-1 3 ; 89 ,2-5 . 20-38; 103 ; 104; 1 1 1 ; 145 ; 146) . La suddivisione , però , a noi sembra un po' macchinosa. Certo è che in molti casi è possibile isolare una struttura ionica di base che possiamo cosi schematiz­ zare :

32

80.

90

Vedi M. Btl:, Trois prophètes dans un temps de tenèbres, Paris 1968 ,

pp.

75-

l

Invitatorio alla lode spesso in tono coortativo-imperativo con apparato musicale (lira, cetra, tamburo . . . ) con apparato rituale (applauso, prostrazione , canto) Corpus dell'inno aperto da un ki, «poiché», motivazione della lode indirizzato al tu di Dio (carmi recenti) al lui di Dio (carmi antichi) con lode >) ed è confutata duramente dal Sal 49, dall'autobiografi­ co Sal 73 e da 94 ,7- 1 1 , mentre i salmi 39 e 90 sottolineano la radicale inconsistenza delle cose e la fragilità dell'esistenza umana . Naturalmente le strutture di queste composizioni , pur rigorose, non obbediscono a schemi generali prefissati mentre potente è l'intensità della loro poesia e della loro passione spirituale . All'area sapienziale riconduciamo - sia pure per semplificazio­ ne - anche i canti alfabetici. Ritenuti in passato espressione di crittogrammi esoterico-cultici , gli acrostici alfabetici sono più semplicemente da spiegare con lo stile mnemotecnico proprio delle civiltà a prevalente struttura orale . Iniziare ogni versetto o ogni stico o ogni ottonario con un vocabolo che corrisponda alla sequenza delle lettere dell'alfabeto è certamente un procedimento artificioso che raffredda il fluire vivo del canto anche se in questo modo viene favorita la didattica mnemonica . In alcuni casi , però , la sovraimposizione del modulo alfabetico estrinseco serve a coordi­ nare le idee e a dare maggior rigore ai simboli e alle strofe . L'esempio più nobile di questa armonia e della permanenza di una grande arte , pur nello stampo rigido dell'acrostico , è offerto dal libro delle Lamentazioni , a cui ci siamo già riferiti e su cui ritorneremo. Il modello-principe resta il monumentale canto della torah del Sal 1 19 coi suoi 22 ottonari , tutti acrostici alfabetici anche nei singoli versetti . Nonostante la costanza nella reiterazione di otto vocaboli diversi riservati alla torah e usati singolarmente in ogni versetto , nonostante «la preoccupazione di ordine e di perfezione e la sua aspirazione alla totalità>> (E. Lipinski) questo inno alla parola di Dio ha un suo fascino . È simile ad una colata che procede inesorabile , avvolgendo con le sue ondate tutto l'itinerario della vita dall'A alla Z, dall " a /ef al tau. Alla lista dei canti alfabetici dobbiamo allegare testi esplicitamente sapienziali come la lode della donna sapiente di Pro 3 1 , 10-3 1 , come i salmi 37 e 1 12. Lo sono anche gli inni di lode dei salmi 1 1 1 e 145 , il ringraziamento presente nel Sal 34, l'antologico Sal 9-10 e la supplica del Sal 25 . Si conclude , cosl , il nostro sguardo «sincronico>> dato alle forme letterarie del canto d'Israele . Abbiamo riconosciuto due grandi categorie portanti entro cui si sviluppano complesse costellazioni di forme molteplici . Esse sono la supplica e l'inno e riflettono l'impasto stesso della vita nella sua polarità continua di incubo e di speranza, di lacrime e di gioia , di peccato e di perdono , di attesa e di possesso , di silenzio e di parola , di morte e di vita. Tutto questo 129

groviglio di opere, di giorni , di pensieri , di emozioni non è, però, disteso sul tavolo di un'analisi fredda psicologica e neppure solo è gettato nel fuoco incandescente della poesia . Esso è, invece , sempre consacrato a Dio nella speranza e nella fede. Le forme non sono solo letterarie ma anche eucologiche , il canto è soprattutto preghiera. La meta ultima non è il godimento estetico o la testimonianza umana ma la contemplazione . Anzi , il totale affida­ mento a Dio , anche e nonostante l'oscurità. È questo un atteggia­ mento che possiamo ben esprimere con le parole di un martire moderno, innamorato della poesia orante biblica, D. Bonhoeffer. Esse appartengono alla «preghiera per i compagni di prigionia nel Natale 1943». s7 «C'è buio in me , in te invece c'è luce ; sono solo ma tu non mi abbandoni ; non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto ; sono inquieto ma in te c'è pace ; c'è amarezza in me, in te pazienza ; non capisco le tue vie ma tu sai qual è la mia strada» .

s7 Cf. M. KusKE, Das A T als Buch von Christus. Dietrich Bonhoeffers Wertung und Auslegung des A T, Gottingen 197 1 .

130

3 Il primo salterio d' Israele «Venite, esaltiamo gioiosamente Jahweh, acclamiamo alla rupe della nostra salvezza, p resentiamoci davanti al suo volto con azioni di grazie, con inni acclamiamo a l u i ! Poiché Dio grande è Jahwe h , r e grande sopra tutti g l i dèi ! » (Sal 95, 1 -3) « Cantate a Jahweh un cantico nuovo, cantate a Jahweh da tutta la terra, cantate a Jahweh, bened ite il suo nome, ann u nziate di giorno in giorno la sua salvezza, narrate tra le nazioni la sua gloria, tra tutti i popoli i suoi prodigi ! Poiché grande è Jahweh e degno di lode, terri bile è sopra tutti gli dèi ! » (Sal 96, 1 -4)

· «Davide è il nostro Simonide , il nostro Pindaro , il nostro Alceo, il nostro Orazio , il nostro Catullo . È la lira che canta il Cristo» . Queste parole piuttosto retoriche di Gerolamo (PL 22 ,547) esprimono l'adesione entusiastica della comunità cristiana nei confronti della collezione maggiore dei canti d'Israele . Agosti­ no gli faceva eco esclamando al termine delle sue monumentali Enarrationes in Psalmos CL (PL 36-37) : «Psalterium meum , gaudium meum !» (PL 37 , 1775). Le 150 liriche di questo che è il primo salterio per eccellenza di Israele e della chiesa fanno parte , però, ormai del patrimonio della cultura mondiale e in particolare di quella a cui noi apparteniamo . Una testimonianza assolutamente insospettabile è quella di F.W. Nietzsche che in Aurora scriveva: «Tra ciò che sentiamo alla lettura dei salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro e Petrarca c'è la stessa differenza tra la patria e la terra straniera)) , E con passione romantica lo scrittore francese Lamartine nel suo Corso familiare di letteratura dichiarava: «Nel 131

cuore di Davide , eroe , poeta, santo , ci sono slanci di forza che spezzano il sepolcro, il firmamento e il tempo e che vanno , come i cerchi eccentrici della pietra gettata nel mare a morire solo sulle ultime spiagge del letto dell'oceano . Questa è la voce del poeta che può essere veramente chiamato il bardo di Dio ! Costui ha avuto una gioia suprema, quella di essere adottato come bardo del tempio per cui la poesia è divenuta religione !». Questi canti esprimono in modo netto la qualità profonda della rivelazione biblica che è dialogo tra Dio e l'uomo : accanto alla parola divina, agli atti salvifici , la Bibbia offre la risposta umana, anch'essa «ispirata» da Dio per cui essa è contemporaneamente parola umana e parola divina, prefigurazione della realtà del Cristo uomo e Dio . I salmi, termine greco dei LXX («canti musicali» , con accompagnamento strumentale) , sono in ebraico tehillim, cioè «lodh> , . I canti del salterio sono innanzitutto liriche , sono poesia: il loro messaggio ha come veicolo di comunicazione la superficie stilistica , simbolica , metrica della poesia semitica. Per entrare in sintonia piena coi salmi è indispensabile aprirsi all'intuizione libera e al rigore della poesia, realtà semplice e complessa, componente costante dell'umanità autentica, esperienza per molti versi affine alla fede . Cerchiamo ora di suggerire solo alcuni dati essenziali per favorire l'ingresso nel mondo mirabile della poesia salmica . Resta , però , sempre ferma la convinzione che solo una continua e amorosa assuefazione al testo poetico del salterio può veramente svelarne i segreti e lo splendore .

a) Ritmo e strutture Come si è detto , la metrica sem1ttca non si lega tanto alla quantità delle sillabe quanto piuttosto all'impasto sonoro , all'inten­ sità tonica delle sillabe , al loro dosaggio con le pause e le sillabe

3 ScH . AscH , Le juif aux Psaumes, Paris 1960. Atanasio nella sua Lettera a Marcellino 14 (PG 27 ,25-28) scriveva che «nei salmi , come in uno specchio , ritroviamo anche il nostro volto>>.

134

atone , cosi da stendere una specie di primordiale diagramma musicale . La perfezione dei ritmi è poi esaltata dalle allitterazioni , dalle onomatopee , dalle allusività lessicali, dalla costanza di alcuni schemi come il classico 3 + 3 accenti o lo spezzato 3 + 2 della qfnah, l'elegia , da originali e sorprendenti alternanze verbali di perfetti e imperfetti o pronominali o metriche , da chiasmi e da sapienti montaggi di scene , ecc.4 L'ancora oscura indicazione della selah, distribuita all'interno di alcuni salmi, forse allude a una pausa nel canto .5 Di grande rilievo è la divisione strutturale e strofica . Se in qualche caso essa emerge abbas tanza nettamente dal testo stesso attraverso un'antifona ripetuta (Sal 42-43) o attraverso un acrostico alfabetico (i 22 ottonari del Sal 1 19) , per il resto dev'essere pazientemente ricercata all'interno del testo stesso attraverso la recensione dei segnali letterari . Si può , cosi , individuare un piano strutturale talora evidente , altre volte più faticoso da dipanarsi (magari attraverso spie letterarie microscopiche) ma estremamente importante per determinare il flusso del pensiero e della poesia, anzi, per avere un vero e proprio piano di lettura del salmo . Contrariamente a quanto ritengono alcuni critici a matrice «roman­ tica» o alcuni lettori superficiali , la poesia ha un suo estremo rigore che è attestato fulgidamente anche dalle liriche del salterio . Ecco un esempio , presentato in forma schematica , di una struttura salmica.6

4 Qualche saggio bibliografico a mo' d'esempio : Sr. GEVIRTZ, Patterns in early poetry of lsrael, Chicago 1963; N. H . RIDDERBOS, The psalms: style1igures and structure, in OTS , 13 ( 1963), pp. 43-76; C. ScHEDL, Die Psalmen im Rhythmus des Urtextes, Klosterneuburg 1964; D . SruART, Studies in early hebrew meter, Missoula 1976; A . R . CERESKO, The function of chiasms in hebrew poetry, in CBQ, 40(1978) , pp. 1-10; l . HuNT, Recent psalm study: individuai psalms and verses, in «Worship» , 52( 1978) , pp. 245-258; E . J . REVELL, Pausa/ forms and the structure of biblica/ poetry, in vr, 3 1 ( 1981 ) , pp. 186-199; L. DUNLOP, Patterns of prayer in the Psalms, New York 1982 ; T. LoNGMAN, A critique of two recent metrica/ systems, in Bib, 63(1982) , pp. 230-254; W.R. GARR, The qinah: a study of poetic meter, syntax and style, in ZAW , 95(1983), pp. 54-75 . Vedi poi il nostro Il Libro dei Salmi, vol . l, pp. 35-37 . 5 B . HEMMERDINGER, Selan, in JTS , 2 1 ( 1 970) , pp. 152-153, ad esempio , sulla base dell'iranico sala, pensi si tratti del me'olam we'6lam («da secolo in secolo») 'attah («tU») 'el («Dio») Il salmo poi si snoda su un'alternanza tra la «causa o ragione in Dio» e l'effetto prodotto nell'uomo . Così il v. lb si collega al v. 3 perché entrambi descrivono l'effetto dell'azione di Dio nell'uomo sia pure da due angolature antitetiche : l'una presenta un Dio benefico , l'altra un Dio giudice , l'una si collega alla storia, l'altra alla condizione umana in genere . La congiunzione kf, enfatico­ causale ripetuta, connette il v. 3 al v. 4, mentre appare la causa o

50(1932) , pp . 252-256. L'attenzione alle strutture chiastiche era , invece , so�tolineata da N. W. LuNo , Chiasmus in the Psalms, in «American Journal of Semi tic Languages and Literatures>> , 49( 1932-33), pp. 104- 126 e Chiasmus in the N. T. , Chapel Hill 1942 , pp . 94-136. Ora vengono applicati spesso anche i metodi dell'analisi strutturale : segnaliamo in particolare gli studi P. Auffret , N. Aletti , M. Girard (di quest'ultimo è uscito un volume sui Sal 1 -50 ; Les Psaumes. Analyse structurel/e et interprétation, Montréal 1985) .

136

ragione in Dio . Si appaiano , così , i centrato sullo sguardo di Dio :

vv.

2 e 4 ed emerge uno schema

mille anni

�TUOIOC�

come il giorno ai ieri

passato

come una veglia notturna

Dopo i vv. 3-4 , una terza unità è reperibile nei vv. 5-6, scanditi dal termine «al mattino» (vv. 5b.6a) ed esprimono l' «effetto» nell'uomo e nella sua fragilità , rimandando ai vv . 1b.3. Una terza strofa appare nei vv. 7-9 segnati dall'inclusione del ki, «poiché» ( vv. 7. 9) e del verbo-chiave kalah, «essere annientati» ( vv. 7. 9) . Il tema ora riflette la «causa» , cioè l'azione di Dio (collera e giudizio) , come nei vv. 2.4. Col v . 10 ci riportiamo al v . 9 col tema degli «annh> (v. 9 «giorni>>) , ai vv. 5-6 per il motivo dell'inconsisten­ za umana , mentre il tema ci riporta all' «effetto>> (come nei vv. 1 b . 3 . 5-6) . I vv. 1 1-12, interrogativo retorico unito dal verbo jada', «conoscere>> , ripetuto (vv. 1 1 a. 12a) , sono , al pari dei vv . 1-2, l'introduzione al secondo movimento del salmo e un parallelo alla finale del v. 17. vv. 13-16 sono molto compatti a livello letterario :

I

v. 13 'al- 'abadéka, «Sui tuoi servi>> v. 14 sml), . « �ioire>> «Ogm gtOTOO>>

[

v.

{ 15 { s m_l), � gioire» «glOrOI»

v. 16 'el- 'abadeka, «ai tuoi servi»

ra 'ah, «vedere» ra' ah, «vedere»

Se vogliamo seguire l'alternanza causa-effetto già indicata, i vv. 1 1 . 13 . 16. 17a riflettono di più l'angolatura di Dio («causa») , mentre i vv. 12. 14-15. 17b gli «effetti» nell'uomo . Abbiamo , così , definito la planimetria del salmo in due grandi aree nei vv. 1-10 e 1 1 -17 e , senza entrare nel merito di molti altri segnali più fini ,' possiamo disegnare questo piano di lettura del Sal 90:

7 Vedi il nostro Il Libro dei Salmi, vol . I I , pp. 874-877 ; S . ScHREINER, Erwagungen zur Struktur des 90. Psalms, in Bib, 59( 1978) , pp. 80-90; P. AUFFRET, Essai sur la structure littéraire du Psaume 90, in Bib , 6 1 ( 1980) , pp . 262-276.

137

l.

II.

l

Solenne invocazione introduttoria (vv. 1-2) a struttura concentrica Elegia sapienziale sul male di vivere (vv. 3-10) Primo movimento (vv. 3-6): Dio e uomo, eterno e inconsistenza Secondo movimento (vv. 7-10): Dio e uomo , ira e peccato

{

Solenne invocazione introduttoria (vv. 1 1-12) a collegamento rigoroso

[ i tuoi servi la gioia dei giorni

Supplica per la liberazione dal male di vivere (vv. 13-16)

a struttura concentrica

i tuoi servi Solenne invocazione conclusiva (v . 17)

Possiamo, infine , parlare di un «ritmo interiore» che è quello del parallelismo, una legge cara alla poetica semitica ed identificata già dal 1753 da R. Lowth . Lungi dall'essere una stucchevole ripetizione didattica di concetti , il parallelismo , che spesso è simile ad una spirale musicale che ascende verso l'infinito , è la perlustra­ zione di un'idea o di un'immagine in tutte le sue potenzialità e dimensioni . Basterà anche un semplice esercizio di lettura per cogliere la pluralità dei parallelismi e delle loro funzioni : dalla sinonimia verbale (1 ,3; 6,2; 19,2; 38,2; 76,3; 85 ,3-4) a quella simbolica (52,7; 73 ,23-24 ; l'intero 1 14) , dall'antitesi (1 ,6; 20 ,9; 55 ,2) alla sintesi (9,8; 19,8; 27 , 1 ) , dalla progressione (1 , 1-2; 135 , 12 ; 145 , 1 8) al climax (29 , 3 . 5 . 8 ; 76,5 ; 77 , 1 1 ) .

b) Il «giardino dei simboli» Il poeta inglese Th . S . Eliot ha definito il mondo poetico dei salmi «il giardino dei simboli e dell'immaginazione» in cui è difficile mettere ordine o fare catalogazioni alla maniera occidentale . La gnoseologia biblica, d'altronde , è simbolico-poetica , si manifesta attraverso una «conoscenza-esperienza, saporosa , affettiva ed operativa» (J . Maritain) . Nella resa della poetica salmica c'è , quindi , un problema di versione nel senso più ampio del termine : non basta rendere nell'altra lingua le frasi , si devono trasferire tutti i sistemi di percezione con le loro «informazioni» globali , sinteti­ che , simboliche . Non basta, perciò , l'attenzione alla filologia, all'analisi comparata , alle imprevedibilità stilistiche , alle parono­ masie ; non basta una feconda applicazione delle nuove scienze linguistiche (si pensi, ad es. , allo strutturalismo) . È necessario 138

riconoscere la fondamentalità dell'analisi simbolica e mitica , una fondamentalità che è stata sempre più riconosciuta anche dalla cultura occidentale (K. G . Jung, E. Cassirer , P. Ricoeur, M. Eliade , J. Cazeneuve , G . Bachelard , G . Durand, ecc. ) . Tentiamo ora di raccogliere in forma fenomenologica e in una sintesi semplificatrice alcune costellazioni simboliche del _salterio . G. Durand e le sue teorie simboliche sono state applicate da L. Monloubou8 alla collezione dei salmi così da avere un sistema simbolico unitario , quello somatico nelle sue strutture posizionali e dinamiche (linea verticale eretta, linea orizzontale seduta, linea dinamica-temporale) . I risultati sono interessanti e rivelano l'esi­ stenza di una stretta concomitanza tra i gesti del corpo e le rappresentazioni simboliche . Noi , però , preferiamo seguire una via più descrittiva . Iniziamo con quella che potremmo chiamare la simbolica teologica che usa come via privilegiata l'antropomorfismo . Si ha, così , la tradizionale descrizione dell' «organismo» di Dio (faccia, . naso , labbra, braccio , mano , piede , occhio, orecchio , dito, visce­ re . . . ) e della sua «psicologia» (gioia, ira, vendetta, immaginazione , indignazione , pentimento, amore , ebbrezza , tristezza . . . ) . Esempla­ re in questo senso potrebbe essere il monumentale Te Deum regale davidico del Sal 18: il cuore dell'ode è costituito da due evocazioni dell'azione di Jahweh in cui egli piomba sulla terra come un cavaliere avvolto nel manto delle nubi per salvare il fedele naufrago e per addestrarlo a combattere con lui . Dio cavaliere e istruttore militare , quindi . E la prima immagine è di una potenza indimenti­ cabile : un gigantesco eroe, avvolto in un mantello tenebroso , con le narici spiranti fumo e con la bocca che emette fuoco divorante , tuona dal cielo scagliando folgori e sconvolgendo il mare e solleva il giusto dalle acque portandolo al largo «perché gli vuoi bene» . Per arditezza nell'uso dell'antropomorfismo sono celebri anche le immagini di Jahweh che tierle in pugno un calice di vino drogato M L. MoNLOUBOU , L'imaginaire des Psalmistes. Psaumes et symboles, Paris 1980 . Cf. G . DuRANO , Les structures anthropologiques de l'imaginaire, Paris 1 969 ; Id. , L'immaginazione simbolica, Roma 1977 . Qualche titolo per i salmi : W.L. REED , Symbolism and the theology of the Psalms, in CBQ, 37(1 960) , pp . 35-43 ; T.K. THORDARSON , The mythic dimension. Hermeneutical remarks on the language of the psalter, in vr, 24( 1974) , pp . 21 2-220 ; H. GmTLIEB, Myth in the Psalms, in AA .VV. , Myth in the Old Testament, London 1980 ; L. ALONso-ScHOKEL , El lenguaje imaginativo de los Salmos, in «Seminarium» , 34( 1982) , pp . 41 3-427 ; E . B . SMICK , Mythopoetic language in the Psalms, in «Westminster Theological Journah> , 44(1 982) , pp . 88-98 .

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che gli empi devono ingurgitare sino alla feccia (75 ,9) e di Jahweh ebbro e assopito dal vino (78 ,65 ) . Ma l'antropomorfismo conosce anche la delicatezza : pensiamo all'applicazione a Jahweh degli archetipi «psicanalitici» paterno e materno (27 , 10; 103 , 13 ; 131 ,2) o al difficile e mirabile Sal 139, l'inno al Dio infinito , onnisciente , onnipotente , che insegue sempre e dappertutto l'uomo per salvar­ lo . A Dio è applicata anche una simbologia ilemorfica: il cosmo intero parla di lui ed è al servizio del «Dio delle vendette». La tempesta (Sal 29) , le nubi (Sal 18 e 68) , il cocchio divino delle piogge (Sal 65 ) , le costellazioni che nascono dalle sue dita (Sal 8), le schiere astrali (Sal 148) e i misteri del mare (Sal 104) sono , col cosmo intero , l'armatura divina nella lotta contro il male . Anche lo schema militare produce definizioni di Dio come scudo , roccia, fortezza , rocca , baluardo , generale in ispezione , trionfatore , ecc. Se per decifrare il mistero di Dio si usava l'uomo , per definire quello dell'uomo si usano spesso simboli animali. La simbolica antropologica si affida , allora , ad un vero e proprio bestiario . La cerva che si lamenta per la sete (42 ,2) o che corre fulminea (18 ,34) , la rondine e il suo amore per il nido (84,4) , il gregge che vaga per le piste del deserto (23) , l'aquila ( 103 ,5 ) , l'ombra delle ali (36,8-9) , l'ignoranza ebete dell'ippopotamo (73 ,22) , la solitudine del gufo e del pellicano ( 102,7) sono alcune immagini con cui si disegna l'esperienza intima dell'orante . Altre volte , invece , si è trasportati in una scena di caccia in cui la preda è inseguita, raggiunta , calpestata, trascinata nella polvere (7 ,6) o fatta precipitare in una trappola scavata nel terreno (7 , 16) o irretita nel laccio teso (31 ,5; 35 ,7-8 ; 57,7) . L'orante è abbandonato alle fauci di un leone che lo vuole sbranare (7 ,3; 22 , 14) , a gole spalancate (35 ,21 ) , a denti che straziano la carne (27 ,2). Anche per l'uomo si usano simboli ilemorfici : è di scena soprattutto il simbolismo vegetale di matrice sapienziale che raffigura il giusto come albero verdeggiante ( 1 ,3), come palma e cedro (92 , 13- 15) , mentre gli alberi tipici del paesaggio mediterraneo , l'olivo e la vite , diventano emblemi della famiglia ideale (128 ,3) . C'è poi una «solarità» che avvolge il giusto : è una luce che si riflette da Dio e dalla legge (Sal 19; cf. 8; 104) e che appare spesso all'alba , il momento tradizionale dell'oracolo dell'esaudimento . Teoforo il recluso , proprio riferendosi ai simboli luminosi del salterio , scriveva : «Quando noi siamo col Signore anche il Signore è con noi e allora tutto è nella luce . Quando una persona è orientata verso

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Dio con tutta la ricchezza delle sue doti e dei suoi sentimenti , tutto in essa è luminoso , calmo e gioioso».

Anche l'organismo dell'uomo , secondo la visione unitaria dell'antropologia biblica, si può trasformare in simbolo allusivo della sua psicologia: le ossa che ardono come brace nella sofferen­ za, gli occhi che si consumano nel pianto , le viscere che si struggono , il battito del cuore che accelera , la disappetenza ( 107 , 18) , le piaghe putride e fetide che isolano (38,6) . . . L'intreccio retribuzionistico tra peccato e dolore fisico, .!!a teologia e fisiologia è vivissimo nell' AT e nel salterio . Ecco un esempio all'interno del Sal 38 , la preghiera del lebbroso : 2Jahweh, non colpirmi nel tuo sdegno , non castigarmi nel tuo furore ! 3Sl , le tue frecce mi hanno trafitto , su di me si è abbattuta la tua mano . 4Nulla c'è di intatto nella mia carne sotto il tuo sdegno , nulla di integro nelle mie ossa a causa dei miei peccati . 3Le mie colpe hanno sorpassato la mia testa , come fardello pesante m'hanno oppresso . 6Purulente e fetide sono le mie piaghe a causa della mia follia peccatrice . 7Sono curvo e accasciato all'estremo , tutto il giorno , triste , mi aggiro . 8Sì , i miei reni bruciano per la febbre , non c'è nulla di intatto nella mia carne . . . 11Batte il mio cuore , la forza mi abbandona, si spegne la luce dei miei occhi . 12 I miei amici e i miei vicini si arrestano davanti alle mie piaghe il mio prossimo si ferma a distanza . . . 14lo , come un sordo, non ascolto e come un muto , non apro la bocca. 13Sono come un uomo che non sente e che non ha parole sulle labbra. 16Ma io spero in te , Jahweh, tu mi risponderai , mio Dio . . . 19Ecco , io confesso la mia colpa, ho paura per il mio peccato ! » .

La terza area simbolica è quella cosmologica. La congenita incapacità semitica all'astrazione induce gli autori salmici a costrui­ re simboli teriomorfi o mostruosi per definire l'idea di nulla o di male . Rahab e Leviatan e altri mostri rappresentano l'anti141

creazione che però Jahweh nella sua provvidenza sa controllare (74, 13-14; 89 , 10-1 1 ; 104,26) . Ma esiste anche la natura contemplata come opera divina e come compendio cifrato simbolico delle perfezioni del creatore . Un mondo tripartito verticalmente ( cielo­ terra-inferi ) e bipartito orizzontalmente ( terra-mare ) , cantato in pagine indimenticabili (8; 19; 65 ; 104 ; 148) , un mondo i cui orizzonti, centrati su Gerusalemme , si protendono oltre la Palesti­ na, sino all'Hermon , alle isole , a TadiL . Ecco, allora , l'albero lussureggiante piantato lungo corsi d'acqua (l ,3) , ecco il cielo , «opera delle dita» divine , la luna e le stelle da lui fissate , i greggi , gli armenti , le bestie della campagna , gli uccelli del cielo , i pesci del mare che percorrono i sentieri del mare ( Sal 8) . Ecco il sole che , come uno sposo, esce al mattino dalla sua tenda nuziale e , simile ad un atleta, inizia la sua folle corsa nel cielo riscaldando tutto il nostro pianeta ( Sal 19) . Ecco i cedri del Libano sui quali fanno il loro nido gli uccelli , i cipressi ove la cicogna ha la sua casa , le rupi per i camosci , mentre , scesa la notte , tutte le bestie vagano nella foresta , ruggiscono i leoncelli in cerca di preda , accovacciati nelle tane (104, 16-22) . Ecco la dorata Sion, rallegrata da ruscelli come se fosse un parco , mentre , lontano , si sente il rombo dei terremoti che fanno piombare i monti nel mare ( Sal 46) : «Circondate Sion , giratele intorno, contate le sue torri , ponete attenzione ai suoi baluardi , passate in rassegna i suoi palazzi . . . » (48 , 1 3-14) . Ecco la terra di Palestina a primavera, con le zolle bagnate dalle piogge , coi germogli che spuntano , coi pascoli del deserto che stillano abbon­ danza , coi prati rivestiti di verde e del bianco dei greggi , con le valli ammantate di messi , un panorama in cui tutto grida di gioia e canta (65 , 10-14) . Ecco l'aridità estiva: l'erba «al mattino fiorisce e si rinnova ma a sera è falciata ed è avvizzita» (90,6) . Ecco la terra di Palestina devastata da un esercito invasore i cui fanti «sembrano coloro che vibrano in alto le scuri in una selva folta : tutti insieme sfondano le porte , abbattendole con asce e mazze , danno alle fiamme il tuo santuario !» (74,5-7) . Tutto l'universo raccoglie in sé un messaggio estetico e teologico che l'uomo deve decifrare : «< cieli narrano la gloria di Dio, il firmamento annunzia l'opera delle sue mani . Il giorno affida il messaggio al giorno e la notte alla notte ne trasmette la conoscenza , senza discorsi e senza parole , senza che si oda alcun suono» (19,2-4) .

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c) I generi letterari: strumento esegetico o schema riduttivo ? Nel 1926, a Gottingen , H. Gunkel pubblicava il suo commento ai salmi , seguito dall'incompiuta Einleitung in die Psalmen (19281933 , completata da J. Begrich) . L'intervento di questo solitario maestro dell'esegesi moderna, nato nel 1862 e morto nel 1932, è stato decisivo per la definizione dei generi letterari presenti nel salterio sulla base del loro Sitz-im-Leben (pubblico-levitico o della pietà personale) , dei rispettivi principi formali , delle finalità e delle tematiche . Questa operazione , continuamente affinata dall'esegesi successiva , ha permesso di determinare una catalogazione dei salmi per generi : dagli inni (alla creazione , a Sion , a Jahweh re) alle suppliche (personali , comunitarie) , dai salmi di fiducia a quelli di ringraziamento (personali , comunitari) , dai salmi regali a quelli sapienziali , dalle «liturgie d'ingresso» ai salmi-requisitoria (rib profetico) , dai macarismi ai salmi di protezione divina (73 ,26-27 ; 91 , 14-16; 121 ,3-8) , dai salmi storici a quelli alfabetici , ai canti di pellegrinaggio e così via. Le suddivisioni dei generi si sono sempre più moltiplicate fino a definire delle vere e proprie «forme» letterarie ridotte e circoscritte , come abbiamo dimostrato attraver­ so la lunga nostra descrizione del II capitolo .9 Una seconda fase nell'analisi letteraria del salterio è stata quella «pancultualista» che ha semplificato l'importanza dei generi ed ha avanzato l'ipotesi di un «ritual pattern» , cioè di una struttura cultica costante , spesso esemplata su quella dei popoli della Mezzaluna fertile . Il metodo , inaugurato dagli Psalmenstudien di S . Mowinckel (1921) , s i è diffuso nell'area esegetica scandinava (scuole di Lund e di Uppsala) e in quella inglese ove si manifestò con una specie di manifesto, l'opera collettiva curata nel 1933 da M . S . Hooke , Myth and· Ritua/. 10 L'attenzione fu rivolta in particola­ re ad alcuni salmi considerati come emblematici , quelli di Jahweh re (la cui formula di base è Jahweh malak, «Jahweh regna»: Sal 47 ; 9 Sull'opera di Gunkel vedi W. KLATI, Hermann Gunkel, Gottingen 1 969 , pp. 1 06- 1 16; 228-241 e H .-J . KRAus, L'Antico Testamento , Bologna 1975 , pp. 521-559 (in part. pp. 538-547). Vedi poi J.P.M. VAN DER PLOEG, Réflexions sur /es genres littéraires des Psaumes, in Studia Biblica et Semitica («Fs . Th . Ch. Vriezen) , Wageningen 1 966, pp. 265-277 ; M . J . Buss, The idea of Sitz-im-Leben. History and critique, in ZA W, 90(1978) , pp. 157-170. Per un'aggiornata classificazione dei generi salmici vedi la voce Psaumes di E. Lipinski (Formes et genres littéraires) , in DBS, 9(1973) , pp. 1 - 125 . 10 Per una critica vedi C. HAURET, L 'interprétation des psaumes selon l'école «Myth and Ritual», in RSR, 33( 1959) , pp. 321 -346; 34( 1960) , pp. 1 -34.

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93 ; 96-99) , considerati come testi di un rituale di intronizzazione di Jahweh nel tempio di Sion . Ora , sull'esempio di Babilonia, Israele avrebbe conosciuto una festa del nuovo anno (akitu) , espressione rituale di rinnovamento del cosmo. L'obiettivo sarebbe stato quello della celebrazione del trionfo di Jahweh re sul caos primordiale , una celebrazione che riattualizzava la creazione e riattivava tutte le energie della vita . Questa intronizzazione rinnovata di Jahweh legata alla solennità di capodanno (non documentata, però , nell'antico Israele) o ad una festa di rinnovamento dell'alleanza sinaitica (Weiser) o ad una ripresa liturgica del ritorno di Jahweh a Sion dopo l'esilio babilonese (Is 52,7-10) sarebbe lo sfondo per giustificare la nascita di molte composizioni salmiche . Successiva­ mente esse avrebbero ricevuto reinterpretazioni diverse perdendo la loro qualità originaria . La fase attuale dell'analisi dei salmi ha abbandonato la via «cultica» radicale della scuola scandinava ed ha reso più flessibile e duttile la teoria dei generi letterari . Infatti , dobbiamo riconoscere che più della metà dei salmi non risponde pienamente ai generi catalogati con precisione dall'esegesi classica ma ne assomma spezzoni e aspetti diversi . È, perciò , necessario ribadire la libertà della poesia e della fede , l'esuberanza della creazione artistica , refrattaria ai freddi e rigidi stampi dei generi letterari. Pur obbedendo a leggi abbastanza codificate della poesia semitica, l'artista introduce l'imponderabile della sua fantasia, del suo spirito , della sua personalità. Alcuni testi , poi , risultano talmente complessi e vari da impedire anche quel processo di censimento approssimativo o multiplo (forme miste) adottato dagli esegeti . Esemplare in questo senso è il Sal 1 15 , un testo liturgico dai molteplici trapassi di genere : in questa miscela si riconoscono la lode (v. 1 ) , l'elegia (v . 2) , l'ironia (vv . 4-7) , la maledizione (v. 8) , la professione di fede (vv. 3.9-1 1 ) , la formula rituale (vv. 12-16} , l'atmosfera sapienziale e non si può escludere - come sosteneva E . Lipinski - l a tendenza alla composizione libresca riassuntiva ad edificazione privata o comunitaria. Noi stessi nel nostro commento generale ai salmi solo raramente siamo riusciti ad escogitare una classificazione univoca delle singole liriche ma siamo ricorsi ad una tavolozza costante di sfumature . Infatti il lettore attento del salterio deve muoversi all'interno dei testi certamente con accurate selezio­ ni degli indizi letterari ma anche col dosaggio sapiente dei registri di lettura e con la capacità di rispettare sempre l'originalità e la libertà della poesia e della fede . Più facile è definire gli atteggiamenti 144

generali . Essi sono sostanzialmente due , la lode e la supplica, come abbiamo deciso di fare nella nostra catalogazione generale delle «mille forme» letterarie . Scriveva giustamente C. Westermann nel suo ottimo studio Lob und Klage in den Psalmen ( 1977) : «I generi del salterio sono in primo luogo categorie letterarie o cultuali , corrispondono innanzitutto ad atteggiamenti fondamentali che gli eventi impongono all'uomo davanti a Dio : supplicano e lodano» . 1 1 2 . I salmi storia d'Israele Ciò che abbiamo ud ito e conosciuto e i nostri pad ri ci hanno narrato, non lo terremo nascosto ai loro fig l i , narreremo alla generazione futu ra le azioni gloriose e potenti di Jahweh e i prodigi che egli ha fatto. (Sal 78,3-4)

Nel Salterio di Rutland (Belvoir Castle , ca. 1250) Davide è rappresentato mentre suona all'organo i suoi salmi , accompagnato alla viola da un giovane (fol . 97 verso). Questa miniatura attesta una tipologia, che è durata per secoli secondo cui il re ebraico sarebbe l'autore dell'intero salterio . Ancora ai nostri giorni il giornalista W. Keller nel suo fortunato e banale volume La Bibbia aveva ragione non esitava a chiamare Davide «il Nobel della letteratura del suo tempo» ! In realtà il salterio è una raccolta di poemi cronologicamente disparati , è una somma di situazioni vitali differenti che vanno dagli stessi primordi della letteratura biblica (pensiamo al Sal 29 , il «salmo dei sette tuoni» , al difficilissimo Sal 68, al davidico Sal 18 riedito in 2Sam 22, testimonianze dei primi secoli della presenza di Israele in Canaan sino al Sal 149 che è il canto di battaglia dei l}asfdfm, i «pii» dell'epoca maccabaica) . Il 11

Una menzione a parte merita l'opera di M. Dahood per il suo rinnovato impegno filologico sulla base dell'analisi comparata con l'ugaritico cosl da illustrare numerose oscurità del testo ebraico . Le sue proposte , spesso esageratamente comparativistiche , permettono tuttavia di confermare la sostanziale bontà del testo masoretico del salterio (i tre volumi dei Psalms di M. Dahood sono usciti nella collana «Anchor Bible» nel 1966; 1968; 1970) contro certe manie congetturali , testimoniate fncora in questi ultimi anni dal citato commento di L. Jacquet. Vedi anche R.J. M"oRODER, Ugaritic and modern translation of the Psalter, in UF, 6(1974) , pp. 249-269 e G. SAUER, Ugaritistik und die Psalmenforschung, in UF, 6( 1974) , pp . 401-406.

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salterio raccoglie quasi un millennio di letteratura ebraica , con stili , lessico , forme , situazioni profondamente diversificate , anche se pareggiate nella piattezza uniforme della versione . T.K. Cheyne ha affermato che esistono «salteri nel salterio» proprio perché c'è una storia della formazione e della redazione di questa collezione di carmi . Certo , la prassi «editoriale» del mondo semitico, attestata anche dalla tradizione giudaica coi suoi «titoli» imposti alla stragrande maggioranza dei salmi ( nel TM solo 34 salmi sono «orfani» ) ha posto le «lodi» salmiche sotto il patronato di Davide . In realtà la parola definitiva per la determinazione cronologica di ogni composizione dev'essere lasciata ad una paziente analisi condotta su ogni singola lirica, senza dimenticare che spesso il testo che è giunto a noi nella redazione definitiva ha dietro le spalle una sua Formgeschichte e una precedente Redak­ tionsgeschichte. Noi , ovviamente , ci dobbiamo accontentare solo di alcune osservazioni generali .

a) I salteri nel salterio Già la redazione finale del salterio cosl come ci è pervenuta nel TM ( o , con varianti , nei LXX) rivela uno sforzo di catalogazione · per sezioni con qualità e attribuzioni diverse . Questo sforzo emerge innanzitutto dai titoli o iscrizioni preposti ai salmi . 12 Essi ci offrono - non sempre in forma cumulativa - cinque tipi di informazioni : il genere letterario del salmo (mizmor, «Salmo» ; sir, «Cantico»; maskil, «composizione sapienziale» ; miktam, di valore ignoto ; tefillah, «preghiera» ; tehillah, «lode» , e un ignoto siggajon), la modalità di esecuzione ( strumentale o melodica ) , l'uso liturgico ( solennità , giorni , riti ) , riferimenti circostanziali soprattutto alla guerra partigiana di Davide contro Saul e, infine , la paternità , espressa col discusso lamed auctoris di solito davidico (ledawid) . Come si è detto, per alcuni si tratterebbe di una affermazione di autenticità davi dica ( supposta dal redattore giudaico ) , per altri , sulla base dell'ugaritico , sarebbe solo l'indicazione dell'apparte­ nenza ad una raccolta, per altri ancora sarebbe una dedica ( al re davidico ) . Certo è che Davide dev'essere stato l'iniziatore di un movimento poetico e cultico ( 2Sam 6; cf. Sal 132) di cui restano

12

Vedi D . BouRGUET, 6 1 ( 1981 ) , pp. 109- 1 24.

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La structure des titres des Psaumes, in RHPhRel,

tracce documentarie anche all'interno del salterio , naturalmente non nella misura enfatica immaginata dai titoli o dalla tradizione giudaico-cristiana. 13 Vediamo ora di tracciare un profilo della distribuzione dei vari «salteri» così come affiorano nell'attuale redazione della collezione dei salmi . Il blocco dei salmi 1-41 può essere descritto con tre formule : «salmi-io» perché sono in prevalenza suppliche personali , «salmi-Jhwh» perché si usa il tetragramma sacro nell'invocazione di Dio, «salmi-Davide» , anche se l'attribuzione , come si è detto , è da smitizzare . I salmi 42-49, «il salterio dei figli di Qorai:t» (2Cron 20, 19) , è un gioiello del salterio. Esso raccoglie una serie di deliziosi corali levitici il cui centro è il tempio e Gerusalemme . Diversa è la tonalità del cosiddetto «salterio di Asaf» (Esd 2,41 ; 1 Cron 1 5 , 19 ; 2Cron 35 , 15) che abbraccia i Sal 50 e 73-83 , una collezione violenta e nazionalistica: «Si destò come da un sonno il Signore , come un eroe assopito dal vino, colpì alle spalle i suoi avversari , inflisse loro una vergogna eterna» (78 ,65-66) . Coi salmi 5 1 -72 ; 101 ; 103 ; 108-1 10; 138-145 ci incontriamo con un secondo e improbabile «salterio di Davide» : pur contenendo qualche testo arcaico (Sal 1 10, ad es. ) , la collezione è molto eterogenea, al prevalente modulo della supplica si associano forme diverse come quella della sorprendente riflessione «filosofica» del Sal 139. Coi Sal 84-89 ci imbattiamo in un secondo «salterio-Jhwh>> , sigillato dal Sal 89 , un carme regale-messianico . I Sal 93 e 96- 100 (cf. Sal 47) sono un fascicolo di salmi dal tema comune , quello del «regno di Jahweh», mentre i Sal 105- 107 sono carmi aventi per filo condutto­ re il credo storico d'Israele (cf. Sal 78 e 136) . I tre Hallel (l'«Hallel pasquale>> dei Sal 1 13- 1 18 ; il «grande Halleh> dei Sal 135-136; il «piccolo Halleh> dei Sal 146- 150) sono testi di lode a coloritura liturgica ma soprattutto per l'uso che ne è stato fatto . La stessa situazione è da attribuire anche ai celebri «salmi delle ascensionh> verso Sion (Sal 120- 134) sulla cui genesi variamente si discute : la molteplicità dei generi e delle forme è stata unificata dalla trama liturgica del pellegrinaggio che ha fatto raccogliere in unità i testi all'insegna di un ideale «libro del pellegrino>> . A questo punto c'è

13 Cf. M. SEKINE, Lyric literature in the Davidic-Solomonic period in the light of the history of Israelite literature, in T. lsHIDA ed. , Studies in the period of David and Solomon and other essays, Winona Lake (Indiana) 1982 , pp. 1 - 1 1 ; A.M. CooPER, The /ife and times of king David according to the book of Psalms, in R. E. FRIEDMAN ed. , The poet and historian, Chico (California) 1983 , pp. 1 1 7-13 1 .

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una sequenza di salmi dispersi , che la stessa antica tradizione non ha ben coordinato : i due sapienziali 1 1 1-112, il raffinato e forse composito Sal 90, il grandioso corale del 104, i post-esilici e notevoli 102; 1 19 ; 137 e i salmi a matrice ideologica profetica come 91-92 ; 94-95 . Una mappa, quindi , molto articolata già nella stessa organizza­ zione redazionale della tradizione giudaica. Una mappa che può essere arricchita attraverso gli indizi che ogni composizione offre . Il salterio , infatti , non è un'opera nata in un eremo silenzioso , si spalanca invece sull'esistenza umana , sui lutti nazionali , sulle feste , sulla politica , sui re , sugli affetti intimi e sulle attese di un popolo; il brusio delle strade e della vita quotidiana si attenua ma non si spegne perché è l'essere intero che viene presentato a Dio nel canto e nella preghiera . La grande storia d'Israele , quella degli eventi salvifici dei patriarchi , dell'esodo , della terra promessa, dell'allean­ za davidica , è riproposta alla meditazione , alla lode e all'implora­ zione penitenziale (Sal 78; 105 ; 106; 1 13 ; 135 ; 136; 137) . Ma anche la piccola storia di drammi nazionali e individuali , di attese e speranze collettive e personali , di eventi minori diventa materia di preghiera e di canto . Per questo il travagliato dibattito sulle origini storiche dei salmi può e dev'essere affrontato caso per caso e non secondo schemi globali .

b) Le origini storiche dei salmi La tendenza a formulare cronologie assolute per l'intero salterio è sempre stata molto forte. Gli esegeti tedeschi dell'800 (ad es . , Wellhausen , Duhm) relegavano il salterio tra i prodotti del tardo giudaismo , soprattutto dell'epoca maccabaica . Famosa è una frase di Wellhausen: «Non si tratta di sapere se il salterio contiene salmi posteriori all'esilio ma se ne contiene di anteriori». Anche recentemente (1952) il Pfeiffer considerava il salterio «il grande manifesto dei hasidim post-esilici» . L a retrodatazione divenne , invece , comune con l a scuola «cultica» anglo-scandinava a cui ci siamo già riferiti ed è stata alla base anche del metodo comparativistico di M. Dahood: i salmi sono da riportare , in larga maggioranza, all'epoca monarchica . Scriveva H. Schmidt: «I salmi nel loro maggior numero hanno origine nell'epoca anteriore all'esilio , forse all'inizio stesso di quest'epoca» . Ma noi siamo convinti che la soluzione più equilibra148

ta e realistica sia ·q uella pluralistica , quella che tiene presente la molteplicità dei testi e dei diversi livelli storici entro cui essi sono stati prodotti e collocati . 14 Accanto a questo lavoro non bisogna dimenticare , soprattutto nel caso dei testi più antichi , che i canti di Israele non nascono in uno splendido isolamento . Essi suppongono nella loro genesi connessione coi tre poli della cultura dell'antico oriente : Babilonia con le sue lamentazioni e i suoi inni di lode ; l'Egitto con la sua innologia regale ( cf. Sal 2; 33 ; 34 ; 104 ; 1 10) e sapienziale ; Canaan , rappresentata soprattutto da Ugarit , è invece importante per decifrare simboli , lessemi , punti oscuri e travagliati di testi arcaici del salterio. 15 C'è , comunque , una culla entro cui molti salmi hanno visto la luce o entro cui sono stati posti per crescere . Si tratta del culto che in Israele , come nell'antico oriente , è stato decisivo per il fiorire di molti canti o per la loro codificazione definitiva. Questo , però , non esclude l'interferenza del privato o del personale che solo seconda­ riamente viene ricondotto al culto comunitario, essendo la pietà privata per l'ebraismo inseparabile dalla comunità dell'alleanza. Sul culto ebraico abbiamo molti dati ma piuttosto frammentari , coordinati solo dalla tradizione sacerdotale ( Es 25-3 1 ; 35-40; Lv ) e dalla tardiva rielaborazione del Cronista. Il salterio testimonia in proprio qualche dato del culto ma in forma molto sobria. Certo è che i Salmi divennero progressivamente l'innario liturgico del secondo tempio ed è a questo livello che si formarono nuove composizioni salmiche e si apportarono ritocchi ad altre preesisten­ ti . Indiscutibili sono , infatti, le allusioni a feste , processioni , sacrifici , oracoli , veglie notturne ( incubazione sacra? ) , benedizioni , funzioni sacerdotali e ad altre strutture cultiche del tempio . Lo sfondo è spesso «ecclesiale>>: la folla , i sacerdoti , il dialogo antifonale (15 ; 24; 1 18 ; 120; 122; 123 ; 13 1 ; 132; 134; 136) e la gioia

14 R. ToURNAY, Recherches sur la chronologie des Psaumes, in RB , 65( 1958) , pp. 321-357; 66( 1959) , pp. 161-190; C. HAURET, Un problème insoluble? La chronologie des psaumes, in RSR, 35(196 1 ) , pp. 225-256. 15 Anche qui la bibliografia è vasta . Citiamo solo alcuni testi recenti: G .R. CASTELLINO, Testi sumerici e accadici, Torino 1977 ; A. BARUCQ - F. DAUMAS , Hymnes et prières de l'Egypte ancienne, Paris 1979; J . P. VAN DER WESTHUIZEN , Assonance in biblica[ and babylonian hymns of praise, in «Semitics», 7(1980) , pp . 81-101 ; P. AUFFRET, Hymnes d'Egypte et d'lsrael. Etudes de structures littéraires, Gottingen 1981 ; L. RuPPERT, Klagelieder in Israel und Babylonien - Vorschiedene Deutungen der Gewalt, in Gewalt und Gewaltlosigkeit im A. T. («Fs.V. Hamp>>), Freiburg-Basel-Wien 1983 , pp. 1 1 1- 158.

149

del canto , della danza e della musica (esemplare è il 150) }6 In questa linea non manca anche la critica al culto di stampo profetico : illuminante è il Sal 50 con la sua contestazione del culto formale , come lo sono le «liturgie d'ingresso)) attente a segnalare le ' esigenze morali che permettono l'accesso al culto genuino dell'al­ leanza (Sal 15; 24; 95) . c) La storia della trasmissione testuale Il salterio può essere considerato un vero e proprio laboratorio di critica testuale anche perché si tratta di un'opera che ha vissuto una lunga esistenza e ha avuto applicazioni sempre nuove in contesti storici differenti . D'altra parte lo stesso uso liturgico reiterato ha reso il testo dei salmi simile a un disco che ha risentito dell'usura del continuo ascolto . P. Auvray affermava che «per i salmi la critica testuale è più delicata che per qualsiasi altro libro della Bibbia)) , Ed effettivamente chi esamina il salterio da questo punto di vista inciampa in tutta la tipologia delle questioni di critica testuale. In passato , ad ogni intoppo grave , si ricorreva al restauro congetturale sul TM , giungendo a risultati perversi e a veri e propri nuovi testi : è ancora il vezzo di taluni , come del già deprecato metodo di L. Jacquet . Il comparativismo filologico , soprattutto con l'area linguistica cananea, ha confermato la buona qualità sostan­ ziale del TM, superiore a nostro avviso a tutte le altre testimonian­ ze testuali che tra poco elencheremo . Tuttavia questa fedeltà al testo ebraico masoretico - che spesso dev'essere pazientemente compreso e in qualche caso «decrittato)) e non solo decifrato deve coniugarsi ad una certa duttilità e a delicate operazioni di comparazione . Oltre che nel TM , attestato da documenti rabbinici medievali , il 16 A. ARENS, Die Psalmen im Gottesdienst des Alten Bundes, Trier 1961 (21 968) ; WEISER, Zur Frage nach den Beziehungen der Psalmen zum Kult: die DCJrstellung der Theophanie in den Psalmen und im Festkult, in Glaube und Geschichte im A . T. und andere angewiihlte Schriften, Gottingen 1961, pp. 303-321 ; A. SzoRtNYt . Psalmen und Kult im A . T. Zur Formgeschichte der Psalmen, Budapest 1961 ; H . H . RoWLEY , Worship in ancient Jsrael. lts forms and meaning, London 1967 ; E . BEAUCAMP, Liturgia e salmi nelle grandi tappe della storia d'Israele, i n BOr, 13(197 1 ) , p p . 9-25 ; H . CAZELLES, Le sens de la liturgie dans l'A. T. , in AA. Vv . , La liturgie: son sens, son esprit, sa méthode, Roma 1982, pp . 47-56; M . HARAN , Priestertum, Tempeldienst und Gebet, in AA. Vv. , Das Land Jsrael in biblischer Zeit, Gottingen 1 983 , pp. 141-153; H. SEIDEL, Untersuchungen zur Auffuhrungspraxis der Psalmen im altisraelitischen Gottesdienst, in VT 33( 1983) , pp. 503-509 ; F. STOLZ, Psalmen im nachkultischen Raum, Ziirich 1983 .

A.

,

150

testo ebraico dei salmi ci è giunto in 27 frammenti contenenti 41 salmi dall'XI grotta di Qumran ( l l QPs•) , una raccolta a finalità liturgica17 di qualità inferiore a quella del TM , e nei duplicati all'interno della Bibbia stessa (Sal 14=53 ; 408 = 70; 57B = l08B ; 18=2Sam 22) . Si apre poi il capitolo ampio delle traduzioni . La prima è quella greca dei LXX che ha dominato nella tradizione cristiana: purtroppo si tratta di una delle peggiori versioni dei LXX , fortemente orientata in senso teologico (messianico) in più di un punto . Resta, però , un punto di riferimento comparativo imprescindibile . 18 Segue la Pesitta o versione «comune» siriaca che nella sua complessa vicenda riflette testimonianze testuali preziose e antiche . Un confronto rilevante è anche quello col Targum , parafrasi aramaica del salterio a tendenza allegorizzante e messia­ nica , utile per l'approfondimento della storia dell'esegesi giudaica. Una posizione a sé stante merita Gerolamo che ha preparato almeno tre versioni del salterio in latino: la prima è una revisione della preesistente Vetus Latina (sulla base dei LXX) ; la seconda è una nuova revisione della Vetus Latina sulla base delle Esaple ed è nota come Salterio gallicano perché adottata nelle Gallie (accolta poi nella Vg) ; la terza è l'unica «de hebraica veritate» ma non fu mai adottata dalla chiesa. Il concilio Vaticano II promuovendo una Neo-Volgata, edita nel 1979 , ha offerto un testo latino del salterio in sintonia con le acquisizioni dell'esegesi moderna. La tortuosa vicenda della genesi e della trasmissione del salterio riflette un dato corale : tutto un popolo, sia pure attraverso voci qualificate , ha risposto al Dio salvatore , mosso dallo Spirito e dalla fede ; tutto un popolo ha trasmesso di generazione in generazione e ,

1 7 Vedine l'edizione critica in J . A . SANDERS , The Psalms scroll of Qumrfin cave (llQPs•), Oxford 1965 . Cf. M . H . GosHEN-GOITSTEIN, The Psalms scroll (ll QPs"). A problem of canon and text, in «Textus>> , 5(1966) , pp. 22-33; S . B . HoENIG , The Qumran liturgie Psalms, i n JQR, 57( 1967) , pp. 327-332; L . OuELLETTE , Variantes qumrfiniennes du livre des Psaumes, in RQ, 7(1969) , pp. 105-123; G . H . WJLSON , The Qumran Psalms manuscripts and the consecutive arrangement of Psalms in the Hebrew Psalter, in CBQ, 45( 1983), pp. 377-388 . 18 Vedine la traduzione annotata italiana in L. MoRTARI , Il Salterio della Tradizione, Torino 1983 (cf. in RivBib, 32 , 1 984 , pp. 43 1-446) . Cf. A . PIETERSMA, The greek Psalter. A question ofmethodology and syntax, in VT, 26( 1976) , pp . 60-69 ; A . PASSONI DELL'AcQUA, L'elemento intermedio nella versione greca di alcuni testi sapienziali e del libro dei Salmi, in RivBib , 30( 1982) , pp . 79-90; O. MuNNICH , Indices d'une Septante origine/le dans le Psautier grec, in Bib, 63( 1982) , pp. 406-416; Id . , La Septante des Psaumes et le groupe kaige, in VT, 33(1983), p p . 75-89 ; A . VAN DER Koov, On the piace of origin of the o/d greek of Psalms, in VT, 33( 1983), pp. 67-

11

74. Altre versioni greche interessanti sono quelle di Aquila, Simmaco e Teodozione .

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poi , di lingua in lingua , questa risposta orante affidandola anche alla chiesa . «Ricorda i giorni del tempo antico , medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere , i tuoi vecchi e te lo diranno . . . Sì , Jahweh farà giustizia al suo popolo e dei suoi servi avrà compassione ! » (Dt 32 ,7.36) .

3. I salmi teologia d' Israele Ti amo, Jahweh, mia forza, Jahweh, mia roccia, mia roccaforte, mio liberatore, Dio . mio, mia rupe in cui trovo rifugio, mio scudo, mia potente salvezza, mio baluardo. (Sal 1 8 ,2-3) Jahweh, Signore, sei tu i l mio bene, sopra di te non c'è ness u n o ! (Sal 1 6 ,2)

«Sono solito definire questo libro un'anatomia di tutte le parti dell'anima , perché non c'è sentimento dell'uomo che non sia qui rappresentato come in uno specchio. Anzi , per meglio dire , lo Spirito santo ha messo qui , al vivo , tutti i dolori , le tristezze , i timori , i dubbi , le speranze , le preoccupazioni , le perplessità , fino alle più confuse emozioni da cui l'animo degli uomini è agitato». Queste parole della prefazione al commento dei salmi steso da Calvino esprimono bene la profonda «umanità» del salterio . Questo bagaglio creaturale è , però , trasferito continuamente davanti a Dio , letto e interpretato alla sua luce , vissuto attraverso la sua presenza. «Perché , Signore , la miglior testimonianza che noi possiamo dare della nostra dignità è veramente questo singhiozzo che rotola d'età in età e viene a morire ai bordi della tua eternità» , scriveva il poeta francese Baudelaire . Ma c'è qualcosa di più: all'interno della sua esistenza imperfetta e limitata, fragile come l'erba dei campi (Sal 90) e lunga quasi come un palmo della mano (Sal 39) , l'uomo dei salmi scopre la presenza attiva e salvifica di Dio e della sua parola. C'è , quindi , nella preghiera non solo una parola dell'uomo ma anche un ascolto della parola di Dio . È così che nei salmi si raccoglie quasi una sintesi privilegiata della rivelazione veterotestamentaria: giustamente s. Roberto Bellarmi­ no definiva il salterio «quasi compendium et summa totius Veteris Testamenti» . Anzi , a causa del suo frequente uso liturgico , il 152

salterio è stato lungamente l'antologia veterotestamentaria più nota a livello popolare . Il discorso che precedentemente abbiamo svolto sulla storia e sulla qualità letteraria dei salmi fa balenare subito le difficoltà concrete che si incontrano nel tracciare un panorama sintetico del messaggio teologico racchiuso nei 150 salmi . Considerando la diversità delle coordinate delle singole composizioni , le operazioni di attualizzazione a cui sono state sottoposte prima di cristallizzarsi nel testo attuale , la fluidità dei generi letterari e dell'uso liturgico , la complessità ideologica dei simboli , la diversità delle prospettive teologiche delle varie epoche in cui hanno lavorato i singoli autori , possiamo identificare strutture di pensiero presenti solo nel livello terminale redazionale , ignorando che i vari testi esprimono in sé momenti storici e teologici diversi dell'AT. In pratica i problemi che si incontrano per la costruzione di una teologia del salterio sono gli stessi (e gravi) che si trovano quando si prepara una teologia globale dell'AT. Noi, perciò , cercheremo ora di isolare soltanto i fili di pensiero principali che raccordano in unità la superficie attuale del salterio. Questo tentativo si allinea ai molti che sono stati finora esperiti dai vari commentatori : per tutti segnaliamo la monografia che H . -J . Kraus ha aggiunto all'ultima edizione del suo commento . Essa vuole affrontare la teologia salmica sviluppandola attorno al tema del «Deus praesens» (nel tempio, nella casa davidica, nella grande «assemblea» di Israele , nella comunione del giusto con Dio) . 19

a) I due interlocutori Essendo una preghiera , i salmi sono soprattutto un'implicita riflessione sul dialogo e sull'incontro che avviene tra il fedele e il suo Dio. Alla «tenda del convegno» del tempio si dirige l'orante ma vi giunge anche Dio e il dialogo inizia, magari in forma diretta, serrata , provocatoria : «Fino a quando , Jahweh, mi dimenticherai? Per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a

19 Un altro modello in H. RINGGREN , The faith of Psalmists, Philadelphia 1963 o in E . Beaucamp , in DBS 9(1973) , pp. 1 66- 1 87 . Vedi anche , ad esempio, G . W . ANDERSON, lsrae/'s creed: sung, not signed, i n «Scottish Journal o f Theology» , 16(1963) , pp . 277-285 ; s . e . LEWIS, Das Gespriich mit Gott. Gedanken zu den Psalmen, Ziirich-Einsiedeln-Koln 1978; R . E . MuRPHY , The faith of Psalmist, in «lnterpretation>> , 34( 1980) , pp. 229-239.

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quando nell'essere mio proverò affanni? Fino a quando su di me si ergerà il nemico?» (13 ,2-3). È l'eterna , spontanea domanda del sofferente : «Che ne sarà di me , o Dio , che conosci il mio dolore , tu che me l'hai dato?» , pregherà , secoli dopo , a suo modo G . Apollinaire in Alcools ( 1913) . 20 Il salterio è , quindi , la celebrazione di una relazione , di un IJ,esed, vocabolo che ricorre almeno un centinaio di volte nei salmi (127 volte ) e che scandisce antifonal­ mente il Grande Hallel ( Sal 136: kf le'olam IJ,asdo, «eterno è il suo amore» ) e che copre un'area semantica molto ricca e personalistica ( amore , fedeltà, fiducia, intimità) .21 È per questo che nel salterio trionfano l'aggettivo possessivo , il pronome personale e i vocaboli di possesso . Il «mio-nostro» rivolto a Dio ritorna per 75 volte , per una cinquantina di volte Israele è chiamato «SUO» popolo, per dieci volte «sua» eredità , per sette volte «SUO» gregge . Una relazione interpersonale che è espressa anche col «ricor­ do» di Dio ( una trentina di volte ) . Il «ricordarsi» di Dio è l'atteggiamento fondamentale dell'alleanza nei cui confronti egli è costantemente memore e fedele (105 ,8) , un «ricordarsi» che è sperimentabile nelle sue azioni storiche (78 ,4-5 ; 105 , 1 ) e nella creazione soprattutto dell'uomo (8,5 : «che cos'è mai l'uomo perché te ne ricordi?» ) . Al «ricordarsi» di Dio deve corrispondere il > di Dio (5 ,9 ; 7 1 ,2 ; 143 , 1 ) . Un progetto che è sa/Om, «pace», cioè un nuovo e definitivo ordine di rapporti (72,7 ; 85 , 1 1 ) . Os Salmos como expressiio de Espiritualidade, i n «Estudos Teologicos» , 23( 1983), lntérioriser /es psaumes, in «Lumen Vitae», 38( 1983),

pp. 141-153; A . KNOCKAERT, pp. 5 1 -61 . 23 G . S . GuNN, God in

the Psalms, Edinburgh 1956; W . l . WoLVERTON , The psaLmist's belief in God's presence, in «Canadian Journal of Theology>> , 9(1963) , pp. 82-94 ; E. BEAUCAMP, La théoLogie des Psaumes, un dialogue avec Le Dieu vivant, in «Etudes Franciscaines» , 18(1968) , pp. 103-136; J.L. DuHAIME, Le Dieu de La vie. Cohérence de Dieu dans le Psautier, in «Lavai Théol . Phil . » , 36(1980) , pp. 194-204 ; A . SCHENKER, Das Gebet im Lichte der Psalmen, in BiKi, 35( 1 980) , pp. 37-41 ; V. SciPPA, Dio nei Salmi, in «Asprenas>> , 32{ 1984), pp. 347-365 .

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L'uomo è l'altro soggetto del dialogo . Egli è descritto innanzi­ tutto nella sua creaturalità , vista con realismo venato di pessimismo da due stupende liriche , il Sal 39 e il 90: «Di pochi palmi hai fatto i miei giorni , la mia durata è un nulla davanti a te . Sì , come soffio è ogni uomo . . . » (39 ,6) . Egli è descritto , però , anche nei suoi splendori , esaltati da due carmi «umanistici» , il Sal 8, il canto dell'uomo capolavoro del creato , e il Sal 37, esaltazione del giusto, lo �addiq, fedele al suo Signore e avvolto nella gioia e nella pace. Indimenticabile è anche la strofa del Sal 139 dedicata alla gesta­ zione : 13«Sei tu che hai creato i miei reni , mi hai intessuto nel grembo di mia madre . 14Ti ringrazio perché con atti prodigiosi mi hai fatto mirabile : meravigliose sono le tue opere e la mia anima le riconosce pienamente . 15Il mio scheletro non ti era nascosto quando fui confezionato nel segreto , ricamato nelle profondità della terra . 16Anche l'embrione i tuoi occhi l'hanno visto e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che furono formati quand'ancora non ne esisteva uno» (vv. 13-16) .

In particolare è di scena nel salterio il giusto , il povero ( 'anawim) , il fedele24 il cui progetto di vita è la legge , cantata con una costellazione di otto sinonimi del Sal 1 1 9 (torah, «legge» , dabar, «parola» , 'edut/'edah, «testimonianza» , mi.Spat, «giudizio» , 'imrah, «detto», 1)6q, «decreto» , piqqudim, «precetti» , mi�wah, «ordine») . La legge divina è la «via da seguire>> ( 17 ,4-5 ; 18 ,22; 50, 17 ; 95 , 10) sulla quale si dirigono i passi delle scelte quotidiane (26,3) . La legge divina per il l)asid, colui che àccoglie il l)esed­ amore di Dio , è oggetto di una trama di verbi d'adesione (scegliere , amare , desiderare , dilettarsi , nascondere come tesoro prezioso, osservare) . La legge divina è la giustizia-salvezza divina cantata gioiosamente a livello «ecclesiale» (40,10) , universale (96 :,'98 ; 148) , cosmico (19,2-4 ; 89 ,6) . Proprio per la sua testimoni�nza dei sentimenti universali di gioia, di dolore , di speranza «il salterio 24 J. VAN DER PLOEG, Les pauvres d'Israel et leur piété, in OTS , 7(1950) , pp. 236270 ; F. CH. FENSHAM , Widow, orphan, and the poor in ancient near eastern legai and wisdom literature, in JNES , 2 1 ( 1962) , pp. 129- 139; R. MARTIN-ACHARD , Jahwé et [es 'anawim, in TZ, 2 1 ( 1965) , pp. 349-357 .

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narra la storia di tutti ed è anche infaticabile e penetrante ambasciatore della parola di Dio presso i popoli della terra» (A. Chouraqui) . L'orizzonte salmico , pur essendo centrato , come si è detto , su Sion e sul popolo di Dio , si estende a tutte le razze , a tutte le nazioni , a tutti gli uomini , coinvolgendoli in un unico coro di lode : «Re della terra e voi nazioni tutte , principi e voi tutti giudici della terra, giovani e fanciulle , vecchi insieme ai ragazzi lodino il nome di Jahweh perché solo il suo nome è sublime» (148 , 1 1-13). Nel salterio, infatti , assistiamo ad un interessante processo di valorizza­ zione degli archetipi fondamentali dell'esperienza umana ed anche ad un processo di «democratizzazione)) della figura umana. I simboli salmici non appartengono solo a modelli ideali come il re , il sacerdote o l'eroe , come avveniva nei miti orientali : la fenomenolo­ gia interiore del salterio è quella di ogni uomo , di quell'«Adamo)) che è presente in ogni creatura umana.

b) La terza presenza Tra i due protagonisti del dialogo salmico , Dio e l'uomo , si incunea un terzo elemento negativo che attenta allo splendore della loro relazione cercando di minarla alle radici . È il male-nemico che tanta parte ha nella fraseologia delle suppliche , fraseologia spesso mutuata anche da certi stereotipi simbolici sumerico-accadici . Tuttavia , come scrive Beaucamp (DBS 9, 1973 , 181) , «i salmisti di Israele tendono , più dei loro colleghi di Babilonia, a drammatizza­ re il loro caso , a radicalizzare il problema ; la difficoltà che essi devono fronteggiare assume l'aspetto di una lotta contro le forze del male)) . Si passa , cioè , da una visione magico-demoniaca ad un'impostazione teologica . In questa luce si possono comprendere e distinguere dai paralleli mesopotamici le composizioni imprecato­ rie (ad es. Sal 109) che abbiamo già presentato nella nostra precedente analisi delle varie forme letterarie dei canti d'Israele . Se identica talora è la simbolica e la trasformazione del Male nei «nemici)) concreti , diversa è la funzione dell'imprecazione orientale e di quella biblica : la prima nasce da esigenze magiche di maledizione e di malocchio , la seconda si sviluppa dall'etica della giustizia vendicativa, da una rappresentazione del conflitto tra bene e male con un'ovvia riapertura affettiva per il bene e per la giustizia. La descrizione del male è affidata ad una simbolica ormai 157

classica . Innanzitutto la simbologia bellica: guerra e assalti (27 ,3 ; 35 , 1 . . . ) , spada (17 , 1 3 ; 22,2 1 . . . ) , arco e frecce (7 , 14; 1 1 ,2; 37, 1 415 . . . ) , scudo (3 ,4; 7 , 1 1 ; 18,3.31 .36 . . . ) , la sconfitta (79 ; 80; 89 ,3946) . C'è poi una simbologia venatoria: reti e trappole (7 , 16; 9 , 16; 10,9 . . . ), leoni (7,3; 10,9; 17,12) , tori e cani (22 , 1 3 . 17; 59,7) . La simbologia diventa anche cosmica: acque caotiche inondanti ( 1 8 , 1 7 ; 32 ,6; 46 ,4; 69 ,2-3) , la fossa infernale (16,10; 28, 1 ; 30,4. 10; 40,3) , la sterilità agricola (Sal 85) . C'è , infine , una simbologia psico-fisica: la malattia (6,3 ; 30,3 ; 32 ; 38; 41 ; 88 ; 103 ,3-4; 107, 1722 ; 1 1 8 , 17-18) , la solitudine totale (31 , 12-14; 32, 12- 1 5 ; 41 ,8- 10; 69 ,20-22 ; 88 ,9. 19; 102,7-9) . Il male , però, diversamente dalle varie visioni religiose dualistiche dell'oriente , non è mai concepito come una divinità antitetica rispetto a Jahweh . Esso è sempre sotto il controllo divino , è segno di un limite creaturale o, come subito vedremo, è frutto della scelta libera dell'uomo . Infatti le manifestazioni teologicamente più rilevanti della crisi della relazione tra Dio e l'uomo nascono proprio dal mistero dei due attori . Il primo segno grandioso e «scandaloso» è quello del silenzio di Dio, un'espressione tremenda della sua trascendenza : «Dio, pronunziando il proprio silenzio , ha ricordato al fedele la sua propria impronunziabilità» .25 Questo silenzio è descritto in molti testi salmici dal sapore quasi giobbico (22 ; 73 ; cf. 4,5 ; 37 , 1 . 7-8; 38,2-4 ; 58; 62,2.6) ed è dipinto con vigorose rappresentazioni simboliche come }'«allontanarsi» di Dio (10, 1 ; 22,2. 12.20 . . . ), come il «nascondere il volto» da parte di Jahweh (22 volte nel salterio ; cf. 4,7 ; 10, 1 1 . . . ) , come }'«accendersi» dell'ira di Dio (2,5 ; 7,7. 12; 44 ,24 ; 79 , 5 ; 89 ,47) . Il silenzio di Dio è spesso «provocato» dal fedele che cerca di spezzarlo ( «fino a quando starai a guardare , Jahweh?», 35 , 17) ma le vie del Signore sono misteriose ; egli sa attendere ma sa anche estrarre dal groviglio attorcigliato della storia il suo disegno salvifico (40,6; 92,6) . Il silenzio di Dio è «provocato>> anche dall'empio che dice : «Dio non c'è» , arguendo dall'apparente distacco di Dio nei confronti della sofferenza del giusto ( Sal 14; 42 ,4. 1 1 ) . Ma di fronte a questa provocazione Jahweh non può restare indifferente ed allora, dinanzi al suo terribile intervento che squarcia il silenzio , «gli uomini diranno : Sì ,

25

M. PoMILIO , Il Natale del /833, Milano 1983 , p. 47 . Vedi anche U . DEvEscovi , di Jahvé, in RivBib, 10( 1962) , pp. 225-239 e l . R. M. PARSON , Suffering in the Psalms, in «Australian Biblica) RewieW>> , 20( 1972) , pp. 49-53 .

l silenzi

158

c'è un premio per il giusto ! Sì , c'è un Dio che fa giustizia sulla terra ! » (58 , 12) . Il silenzio dell'uomo è espresso , invece, dal suo peccato (5 ,5-6; 50,21) , approfondito nelle sue dimensioni morali dai «salmi d'in­ gresso» alla liturgia ( 1 5 ; 24 ; 26) e dai celebri Sal 51 e 131 (cf. 38) . Fondamentale è il Sal 51 che , proprio in apertura , offre un accurato lessico del peccato : 3«Pietà di me , o Dio , secondo la tua bontà , secondo l'immensa tua misericordia cancella le mie trasgressioni. 4Lavami totalmente dalla mia colpa, mondami dal mio peccato. 5Perché io riconosco le mie trasgressioni, il mio peccato mi sta sempre innanzi».

I tre vocaboli usati sono : pesa', «trasgressione», ribellione venata di hybris che ha come meta «l'essere come Dio , conoscitori del bene e del male» (Gn 3 ,5) ; 'awon, «colpa» , una radice che suppone una deviazione tortuosa , antitetica alla meta indicata da Dio ; l)atta ', «peccato» che etimologicamente suggerisce un «manca­ re il bersaglio» , un'aberrazione dal progetto proposto da Dio . C'è nel salmo un senso vigoroso della radicalità peccatrice dell'uomo («peccatore mi ha concepito mia madre», v. 7) ma anche della potenza salvifica di Dio che può «creare un cuore puro>> (v. 12) in questa creatura così fragile . Il salmo infatti si muove entro due poli di tensione che non sono tanto la vita e la morte «Ontologica» ma il cuore nuovo e il peccato , categorie morali e teologiche . 26 È , quindi , attraverso la grazia che nasce la confessione e il ripudio di questo «nemico» insito all'uomo stesso (32,5; 38, 19; 4 1 , 5 ; 5 1 ,6; 106,6) , è attraverso la grazia che fiorisce la riconciliazione (5 1 ,9) e si restaura il dialogo sigillato dal perdono di Dio che è la vittoria dell'amore più forte dell'offesa . Anche il lessico del perdono è suggestivo : «non ricordare» il peccato , «rivolgere il volto» lontano dalla colpa , «coprire-kipper il peccato» , cancellarlo , «ritornare-sub» a Dio da parte dell'uomo e di Dio verso il peccatore , «aver pietà» , «domina­ re il furore» . «Sì, come il cielo è alto sulla terra , così domina la sua benignità (l)esed) su coloro che lo temono ; come dista l'oriente dall'occidente , così allontana da sé le nostre ribellioni» (103 , 1 1-12) . Le dimensioni verticale e orizzontale di un nuovo mondo pacificato 26

Vedi il nostro Il Libro dei Salmi, vol

.

I I , pp .

1 1 -63 .

159

mcrociano nel cuore dell'uomo convertito e perdonato . Il perdono è anche l'alba di un nuovo giorno in cui la parola di Dio e quella dell'uomo torneranno ad intrecciarsi nel dialogo dell'amore (Sal 131 ,5-8) . SI

c) Lo spazio mistico del salterio Attorno al centro costituito da Dio e dall'uomo si articola tutta la realtà e tutto lo spazio della poesia salmica in una serie di cerchi concentrici . Il primo cerchio è il più ristretto ed è dedicato alla città santa, Gerusalemme-Sion , cantata con grande passione nei salmi di Sion . Nel suo grembo essa accoglie la presenza di Dio nel tempio (cf. Sir 24, 1 1 ) e nel re , figlio di Davide e figlio adottivo di Dio (2Sam 7; Sal 2,7) , i cui carmi d'intronizzazione sono poi idealizzati dalla rilettura messianico-escatologica (2 ; 72 ; 89 ; 1 10) . Di questo re si celebrano l'incoronazione (2 ; 1 10) , la partenza per la campagna militare (20) , le battaglie (18) , il ritorno trionfale (21 ) , il matrimo­ nio ( 45) , il governo giusto (72) , la politica retta ( 101 ) , la caduta (89) . In Sion il Signore si incontra con l'uomo nelle due dimensioni essenziali dell'esistenza, lo spazio (il tempio) e il tempo (la storia davidica) . E a Sion tutti «Canteranno danzando : Tutte le mie sorgenti sono in te>> (87 ,7) . Nello stesso Sal 87 tutta la planimetria della terra nei suoi quattro punti cardinali (Rahab-W ; Babel-E ; Tiro-N ; Etiopia-S) si dirama da Gerusalemme , ombelico del mondo . Ma da Sion si leva anche l'asse verticale terra-cielo : essa è «la città di Dio)) , il suo «monte santo)) olimpico è il punto di contatto tra terra e sfera celeste (Sal 36 ,6-7) , tra Sion e la Gerusalemme celeste , tra «il trono di Jahweh)) in terra (l'arca ; cf. Ger 3 , 17) e quello celeste . La carta anagrafica di Dio è cosi descritta da Gioele : «Voi sapete che io sono Jahweh vostro Dio ; abito in Sion ; mio monte santo e luogo santo è Gerusalemme>> (Gl 4, 17) . Il secondo cerchio di questo spazio mistico che si allarga dal centro di Sion è il popolo d'Israele , sede dell'elezione , dell'alleanza e della storia della salvezza. La storia non è un campo neutro , ma è la zona in cui si manifestano visibilmente l'amore e il giudizio di Dio , l'adesione e il rifiuto di Israele (105 ; 106; cf. 78 ; 1 1 1 ; 1 14; 135 ; 136) . Israele è la vigna di Jahweh , come canta il Sal 80: una vite divelta dall'Egitto , trapiantata e fatta prosperare sino al punto che i suoi tralci si stendevano fino al mare e i suoi rami coprivano i cedri altissimi ; una vite , però , anche abbandonata ai passanti , ai 160

cinghiali , ai parassiti della campagna (vv . 9-14) . Ed ecco allora la supplica per la «terra» : «Proteggi ciò che la tua destra ha piantato , il germoglio che hai reso vigoroso ! » (v. 16) . Il terzo cerchio è quello cosmico : la creazione , infatti , introdot­ ta come prima «meraviglia» salvifica di Dio nel credo del Sal 136 («Ha fatto i cieli con sapienza, ha fissato la terra sulle acque , ha fatto le grandi luci , il sole per reggere il giorno , la luna e le stelle per reggere la notte» , vv. 5-9) , nel salterio è presente in modo continuo e festoso . 27 Siamo , però , sempre ben lontani da ogni visione immanentistica di tipo cananeo: l'universo è sempre cosmo ordinato dalla sapienza divina, la natura è sempre creazione soggetta al suo Signore . Ascoltiamo i participi innici che aprono quel meraviglioso cantico delle creature e del creatore che è il Sal 104: 2«Egli s i avvolge d i luce come d i u n manto , egli distende i cieli come una tenda , 3egli costruisce sulle acque i suoi appartamenti , egli fa delle nubi il suo cocchio , egli cammina sulle ali del vento , 4egli usa i venti come suoi messaggeri , il fuoco e la fiamma come suoi ministri».

Il mondo e la sua genesi sono segno della regalità trascendente di Dio : «Tuoi sono i cieli e tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto lo riempie» (89 , 12) . Egli domina il caos , cioè le energie negative e il nulla , simboleggiate nei mostri marini e nel mare o nella tempesta planetaria (Sal 29 ; 46) : «Tu domini l'orgoglio del mare , tu plachi il sollevarsi dei suoi flutti , tu hai calpestato Rahab come un ferito . . . » (89 , 10- 1 1 ) . Egli abbraccia la verticale terra-cielo (29 ; 1 15 ,3) e la quadrimensionalità dello spazio (139) . L'uomo è «coronato» da Dio stesso come suo luogotenente nella creazione

27 G . J . BuOsTEIN, Nature in Psalms, in > , 13( 1964) , pp. 29-36; S . TERRIEN , Creation, cultus and faith in the Psalter, in Horizons of theological education («Fs . C . L . Taylor>>), Dayton (Ohio) 1966, pp. 1 1 6-128; G . RINALDI , L'universo nei Salmi in BOr, 15(1973) , pp. 229-238; Id. , Il mondo per l'uomo nei Salmi, in BOr, 16(1974) , pp . 163- 176; L . VosBERG , Studien zum Reden vom Schopfer in den Psalmen, Miinchen 1975 ; P. GIBERT, Nature et hi.stoire dans la Genèse et les Psaumes, in Lu> , 3( 1 98 3 ) , pp. 23 1-241 ; RAVASJ, Il Libro dei Salmi, voi I I I . pp . 79- 1 29. Vedi anche Is 40, 12- 17; Pro 8,22-3 1 ; Gb 38-39 , ecc.

161

(Sal 8) ma Dio si preoccupa anche di «far spuntare l'erba per il bestiame e i vegetali al servizio dell'uomo» (104 , 1 4) , curandosi persino della cicogna, del leoncello , del corvo , degli iraci perché «tutti da te aspettano che tu dia loro cibo a tempo opportuno» (104 ,27) . Una visione sostanzialmente creazionistica e provviden­ ziale del cosmo contro ogni tendenza panteistica (cf. Enuma Eli!) e dualistica (la negatività della materia secondo la visione greca) . Il senso del limite c'è ed è vivamente espresso attraverso l'idea del caos e dello sheol . Ma il creato è in sé t6b, «buono e bello», come si ripete nelle varie fasi della settimana cosmica di Gn l. «Gli abitanti degli estremi confini stupiscono davanti ai tuoi segni , fai esultare le soglie dell'aurora e del tramonto» (65 ,9; vedi 147 , 12-18; 148) . Tutto ciò che si integra in questa successione di cerchi centrati su Dio è valido , è prezioso , è solido . Tutto ciò che si sottrae è «il nemico», il male , il peccato , il nulla. Tutto ciò che è alienato rispetto a queste correnti vive è precario , ingannatore e falso . Il salterio è un corale e continuo invito a inserirsi in quest'area mistica e «fisica» , in questa vita e in questa grazia . Come pregava il mistico giudaico medievale ben Jehudah lbn Gabirol (1021- 1070) , coi salmi noi ripetiamo la nostra adesione alla roccia stabile in mezzo al fluire delle cose : «0 Signore , padrone del mondo, prima ancora del caos delle cose create tu eri re . Ed alla fine quando niente sarà , tu sarai . Tu sei il solo , nessuno sarà mai pari a te . Tu sei forza e potenza , non hai inizio né fine» .

d) Il tempo mistico del salterio Esistono due tempi «santi» per il salterio. Il primo è quello della grande storia della salvezza il cui memoriale è efficace anche nell' «oggi» liturgico del popolo di Dio . 28 Questo solenne credo storico è cantato nei Sal 78 ; 105 ; 106; 136 da angolature diverse ma è enunciato sinteticamente nei salmi 60 ; 65 ; 68; 74; 75 ; 76 ; 77 ; 79 ; 80; 81 ; 83 ; 89 ; 95 ; 107 ; 108; 1 14; 124 ; 125 ; 126; 129; 132; 135 ; 1 37 ; 144 ; 147A ; 149. Così i l Sal 78 conserva un canto del deserto (vv . 1243) come luogo del peccato , della ribellione e dell'ira e un canto dell'esodo e della terra promessa (vv . 44-72) ove all'infedeltà di

28 E. B EAUCAMP, Le présent du sa/ut Hierosolymitana» , 3(1982) , pp. 47-73 .

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dans le /ivre des Psaumes, in «Studia

Israele si oppone l'elezione divina di Giuda e di Davide . Nel Sal 105 , un «hallelujah>> al Dio che si rivela nella gloriosa storia della salvezza , il credo storico comprende cinque quadri : i patriarchi (vv. 8- 15), Giuseppe (vv . 16-22) , le piaghe d'Egitto (vv . 23-36) , l'esodo e il deserto (vv . 37-43), il dono della terra (vv. 44-45) . Al credo delle azioni salvifiche divine il Sal 106 oppone , invece , l'anti-credo del peccato d'Israele in otto scene (vv. 6-46) : la ribellione al mar delle Canne , la brama nel deserto, la gelosia nell'accampamento , l'adorazione del vitello all'Horeb , la mormorazione nelle tende , il cibo rituale di Ba'al Pe'òr, l'irritazione alle acque di Meri ba, le idolatrie nella terra di Canaan . Il Sal 136, invece , raccoglie tre articoli di fede della Heilsgeschichte : la creazione , l'esodo-deserto e la terra promessa . Israele , professando la sua fede storica , è invitato innanzitutto a lodare Dio «perché eterno è il suo amore» , a riconoscerne il primato , a «rendere grazie , a invocare il suo nome , a proclamare tra i popoli le sue opere , a meditare sui suoi prodigi» (105 , 1-2) . È invitato a riconoscere le sue ribellioni che incrinano il tempo salvifico , come è avvenuto per i quarant'anni del deserto : «Abbiamo peccato come i nostri padri , siamo stati colpevoli ed empi ; i nostri padri non compresero i tuoi prodigi , non ricordarono i molti tuoi atti d'amore , si ribellarono all'Altissimo» (106,6-7) . Israele, infine , è invitato ad inserirsi gioiosamente in questo tempo di salvezza lodando e benedicendo Dio per il suo IJ.esed amoroso . Ma accanto a questo tempo privilegiato c'è il tempo «quotidia­ no» , vissuto dai singoli attori dei salmi e dall'Israele storico . Un tempo fatto di lavoro , di molte sofferenze , di poche gioie , di calunnie di amici (55) e di nemici accaniti (57 ; 69) , di solitudine (88) e di feste ( 1 18) , di nozze (45), di famiglie serene (128) , di vecchi fiduciosi (92) o amareggiati (71 ) , di giovani e ragazze (144, 12) , di mattine (3 ; 5) e di sere (4 ; 134) , di fratelli (133) e di bambini ( 1 3 1 ) , di peccatori e di giusti . Tutta questa quotidianità non è cancellata quando si entra nel recinto sacro del tempio e del culto ma viene presentata a Dio perché la trasformi, la fecondi , la salvi con la sua benedizione . «Non permettere che la tua parola sia nella mia vita come un santuario che una grata separa dalla casa e dalla strada» . Questa invocazione del teologo e mistico russo P. Evdokimov esprime molto bene il nesso tra salmi ed esistenza , tra liturgia e vita di ogni giorno , uno dei motivi cari al kerygma profetico (cf. Is l ; Am 5 ; Sal 50) . C'è , però , anche un terzo «tempo» , più difficile da scoprire all'interno della fede salmica e veterotestamentaria in genere : 1 63

intendiamo alludere all' immortalità beata del giusto col suo Dio . 29 Il dialogo di intimità tra Dio e il fedele legato alla storia si spegne con la morte di quest'ultimo o può avere un destino di intimità? La vita del giusto sfocia nel grigiore dello sheol, residenza spettrale dei trapassati , oppure si apre ad una comunione con Dio dopo la morte? Se la formalizzazione del discorso immortalistico avviene in epoca tarda (Sap 3-5 ; Dn 12, 1-4 ; 2Mac 7), probabilmente con un forte contributo persiano e greco , è altrettanto vero che una formulazione ancora acritica , ma realistica e simbolica, appare qua e là nell'AT, soprattutto attraverso l'assunzione (lql}) di Enoc ed Elia , mentre lo schema resurrezionistico è ben attestato anche se a livello metaforico-nazionale (la rinascita del popolo ebraico dopo l'esilio : Ez 37 ; Is 26, 1 9 ; 53, 10ss ; cf. Os 6,1-3 ; 13,14; Gb 19 ,25-27 nella reinterpretazione giudaica) . Nel salterio , proprio per la molteplicità dei testi , abbiamo segnali diversi . Certo , lo schema dominante resta ancora quello piuttosto negativo dello sheol (63 , 10; 86, 1 3 ; 88,7 ; 139,8; 143 ,3) in cui l'esistenza è larvale e inconsistente . Vocaboli e simboli negativi lo definiscono : Abad­ don-distruzione (88 , 12) , non-vita (39 , 14; 41 ,6) , non-terra (3 1 , 13 ; 41 ,6; 88 , 1 3 ; 94 , 1 7 ; 1 15 , 17) , non-culto (6,6; 30, 10; 88 ,10-13; 1 1 5 , 17) , anti-città (9 ,14; 107 , 1 8) , mostro (69 , 16; 49, 1 6 ; 89,49) , destino universale irreversibile ( 49, 1 1 ) . Tuttavia, con la crisi della tesi retribuzionistica (peccato-punizione l giustizia-premio in ambi­ to terreno : Sal l e 37) , che pure costituisce il tessuto ideologico di

29 Vedi la bibliografia indicata in RAVASI , Il Libro dei Salmi, vol . I, p. 22. Aggiungiamo ora: E. SMtCK , The bearing of new philological data on the subjects of resurrection and immortality in the Old Testament, in «Westminster Theol . Journ . >> , 3 1 ( 1 968) , pp . 12-21 ; L. WXcHTER, Unterweltsvorstellung und Unterweltsnamen in Babylonien, Israel und Ugarit, in «Mitteilungen des Instituts fiir Orientforschung>> , 15( 1969) , pp. 327-336; B . VAWTER, Intimations of immortality and the Old Testament, in JBL, 91(1972) , pp. 158-1 71 ; J . B . BuRNS, The mythology of death in the Old Testament, in «Scottish Journ . of Theol . >> , 26( 1973), pp. 327-340 ; S. JELLICOE ,

Hebrew-Greek equivalents for the netherworld, its milieu and inha�itants in the Old Testament, in , 8(1973) , pp. 1-19; U. KELLERMANN , Uberwindung des Todesgeschicks in der alttestamentlichen Frommigkeit vor und neben dem Auferste­ hungsglauben, in ZTK , 73( 1 976) , pp. 259-282 ; L. PERLITT, Der Tod im A . T. , in «Pastoral-Theologie>> , 70( 198 1 ) , pp. 391-405 ; P. CASETTI , Gibt es ein Leben vor dem Tod? Eine Auslegung von Psalm 49, Freiburg (CH) 1982 ; F. FoRESTI , Il rapimento di Elia al cielo, in RivBib , 3 1 ( 1983), pp. 257-272 ; M.S. MooRE, Resurrection and immortality: two motifs navigating confluent theological streams in the 0/d Testament, in TZ, 39(1983), pp. 17-34 ; C. MARCHESELLI , Proiezione di risurrezione corporale nell'A T, in «Asprenas>> , 32( 1984) , pp. 367-382 ; L. RAMAROSON , Immortalité et résurrection dans /es Psaumes, in «Science Esprit>> , 36( 1984) , pp. 287-295 ; A . DELL'ERA, Il salmo della speranza, i n «Studi Cattolici>>, 29( 1985 ) , pp. 279-280.

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molti salmi (21 ,5 ; 23 ,6; 34, 13; 37,38; 52, 10; 55 ,24; 9 1 , 16; 92, 1 3-16; 102,25 ; 127 ,3-5 ; 128,3) , appare la possibilità di un nuovo orizzonte . I testi più interessanti sono: «Non abbandonerai la mia vita nello sheol , né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi mostrerai il sentiero della vita, gioia piena davanti al tuo volto , delizia alla tua destra per sempre» (Sal 16,10- 1 1 ) . «Dio potrà riscattarmi, sicuramente mi strapperà dalla mano dello sheol» (49 , 16) . JO «Io sono sempre con te , tu mi hai preso per la mano destra , mi guiderai secondo il tuo progetto e poi nella gloria mi condurrai . . . Anche se la mia carne e il mio cuore vengono meno, la rupe del mio cuore e la mia sorte è Dio in eterno . Ecco , infatti , perisce chi da te s'allontana tu distruggi chiunque è a te infedele . Il mio bene è stare vicino a Dio . . . » (73 ,23-24. 26-28a) .

Sia pure attraverso difficoltà epistemologiche e linguistiche , sembrerebbe aprirsi una tappa futura di speranza orientata verso una beatitudine piena con Dio , coronamento di quella già gustata nel tempio e nel culto . L'espressione di questa speranza è affidata a simboli estetici ( «delizia» : 16, 1 1 ; cf. 36,9; 63 ,8-9 ; 1 19, 14 . 16 . 3 1 . 32.35 . 36.40.47.92. 1 1 1 . 140. 162. 163. 174) e gustativi (19 , 1 1 ; 1 19; 103) . Alcuni ( come Dahood} , sulla base anche del contesto culturale di Israele , sono convinti che i testi citati siano esplicita­ mente immortalistici . Altri pensano che il loro tenore «eterno>> derivi da una reinterpretazione giudaica e dall'influsso cristiano che ha usato , ad es . , il Sal 16 per la risurrezione di Cristo ( At 2,27) .

JO È significativo il v. precedente che riduce lo sheol a sede degli empi , quindi ad inferno :

Come pecore sono avviati allo sheol, la morte sarà il loro pastore, vi discenderanno a precipizio. Al mattino la loro figura svanirà, lo sheol sarà il /oro empireo (v. 15).

Per un'esegesi accurata dei passi in questione rimandiamo al nostro Libro dei Salmi, vol . I , pp. 296-303 ; 869-892 ; vol . II, pp. 523-530. Vedi anche Sal 22,29-30 ;

90, 1 3-17.

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Forse , potremmo dire con E. Beaucamp che il salterio sul tema del futuro oltre la morte del giusto è simile ad «una porta socchiusa , anche se non ancora spalancata , sul mistero del destino ultimo dell'uomo» . D'altra parte la scissione tra presente e futuro non è , nello spirito della visione unitaria biblica , così netta come per noi . Il salmista nel Sal 16 o nel 49 e 73 ha la coscienza che l'eterno , nel senso più genuino di «Vita divina» , è già iniziato con la sua vita di fede ed è quindi già innervato nel presente . Ed è solo questa escatologia «presenziale» che conta per l'orante . Scriveva A. Causse : «L'uomo che ha fatto una volta l'esperienza della comunio­ ne col divino , sa che nulla al mondo lo potrà separare dall'amore del suo Dio . . . Dio è con lui e lui è con Dio» . 31 È in questa luce che si snodano anche. le «beatitudini» del salterio , una formula d'augurio sapienziale parallel a alla «benedi­ zione» sacerdotale . La prima riga del salterio , portale d'ingresso a tutti i canti d'Israele , suona così: «Beato l'uomo che . . . nella legge di Jahweh trova la sua gioia» ( 1 , 1 .2). La beatitudine nasce quindi dalla fede : «Beato l'uomo che in te confida>> (84 , 13) , «beato il popolo il cui Dio è Jahweh» (33 , 12 ; 144,15) , «beato l'uomo che teme Jahweh» ( 1 12, 1 ; 128 , 1 ) , «beato chi in lui si rifugia» (2, 1 2 ; 34,9) , «beato l'uomo che tu istruisci e ammaestri nella tua legge» (94 , 12 ; cf. 1 19, 1-2) . La beatitudine è alimentata dalla speranza: «Beato l'uomo che spera in Jahweh» (40 , 5 ; 146,5) , «beato l'uomo a cui è perdonato il peccato» (32 , 1 ) , «beato il popolo che cammin a alla luce del tuo volto» (89 , 16) . È una beatitudine che si lega all'amore : «Beato l'uomo che ha cura del debole» (41 ,2) , «beati coloro che agiscono con giustizia» (106,3) . È una beatitudine che fiorisce nell'intimità piena ed eterna con Dio : «Beato chi hai scelto e hai chiamato vicino a te» (65 ,5) , «beati coloro che abitano la tua casa, sempre canteranno le tue lodi ! » (84,5).

e) Il salterio, libro della preghiera cristiana I salmi non sono solo il libro della preghiera nazionale e della liturgia ufficiale d'Israele ( 1Cron 16; 25 ; 2Cron 7 , 3 ; Esd 3 , 10- 1 1 ; Ne 1 1 , 17) , non sono solo l'innario della sinagoga antica e attuale /2 31

A . CAussE,

Les pauvres d'/srael, Strasbourg 1922, p. 132.

32 N. PAVONCELLO, l salmi nella liturgia ebraica, in RivBib , 15( 1967), pp. 497-

525 ; E. BEAUCAMP, Le Psautier, répertoire des chants liturgiques d'lsrael, in «Science Esprit» , 23( 197 1 ) , pp. 153- 166. Cf. A. ARENS , Die Psalmen im Gottesdienst des Alten Bundes, Trier 1968.

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non sono neppure solo una testimonianza dell'universale interro­ garsi dell'uomo davanti a Dio quando le tempeste del dolore e della morte o le onde della vita e della felicità lo avvolgono . I salmi sono divenuti il libro della preghiera cristiana attraverso un'operazione ermeneutica iniziata nello stesso NT, che su 300 citazioni bibliche offerte ne desume un centinaio dai salmi , e culminata nel concilio Vaticano II che ha riportato a nuovo splendore il salterio nella Liturgia delle Ore e nel salmo responsoriale della Liturgia della Parola33 e che nella Sacrosanctum concilium ha definito la lode salmica «la voce della sposa (la chiesa) che parla al suo sposo (Cristo)>> (n. 84) . Ambrogio nell Esamerone (III , 5 ; PL 14, 178) , descrivendo le ondate sonore degli uomini , delle donne, delle vergini e dei bimbi che popolavano la sua chiesa di Milano cantando i salmi , le raffrontava al «maestoso ondeggiare dei flutti dell'oceano . Gli stiliti di Siria, dall'alto del loro isolamento spirituale sulla piattaforma delle colonne , come s. Simeone il Giovane, «passavano le notti a recitare i salmi , talora 50, altre volte 80 o anche l'intero salterio» , come ricorda Niceforo nella sua Vita di s. Simeone il Giovane (c. 2) . E Lutero nella sua Prefazione al salterio (1531) scriveva molto acutamente : '

«Ogni cristiano che voglia pregare e raccogliersi dovrebbe servirsi del salterio . Sarebbe bene che ne acquistasse una tale familiarità da conoscerlo a memoria, parola per parola , e fosse in grado per ogni circostanza di citarne un passo appropriato. Perché, veramente , tutto quello che un animo pio desidera esprimere con la preghiera lo trova formulato nei salmi in maniera così perfetta e così commovente che nessuno potrebbe esprimerlo meglio. II salterio ci ammaestra e ci fortifica proprio con la preghiera. Esso si accorda col si ritrova in esso in maniera così perfetta che uno serve a comprendere l'altro e tutti e due danno un identico suono».

L'influsso è stato decisivo anche nella teologia cristiana . Delle 60. 000 citazioni bibliche agostiniane , di cui 20.000 veterotestamen­ tarie , ben 1 1 .500 provengono dal salterio. E Tommaso d'Aquino nella sua In psalmos Davidis expositio scriveva che «a differenza degli altri scritti biblici il salterio abbraccia nella sua universalità la materia di tutta la teologia. La ragione per cui 33 R.-J . HESBERT, Le Graduel, chant responsorial, in EphLit , 95 (198 1 ) , pp. 316350; W. DANZE, Le ps_aume responsorial: ouvrir un passage jusqu'au coeur, in «Communautés et Liturgies» , 64( 1982) , pp. 123-136.

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questo libro biblico è il più usato nella chiesa è perché esso contiene in sé tutta la Scrittura. La sua caratteristica è quella di ridire , sotto forma di lode, tutto quello che gli altri libri espongono secondo i modi della narrazione , dell'esortazione e della discussione . Il suo scopo è quello di far pregare , di elevare l'anima fino a Dio attraverso la contemplazione della sua maestà infinita , attraverso la meditazione dell'eccellenza dell'eterna beatitudine , attraverso la comunione della santità di Dio e l'imitazione effettiva della sua perfezione».

Ora, il metodo con cui del salterio si è appropriata la pietà e la teologia neotestamentaria e cristiana è cristologico . Ugo di s. Vittore (De arca Noe moralia II , 8) formulava quel principio che aveva già retto tutta l'esegesi patristica e medievale e che sarebbe stato dominante nella lettura cristiana dei salmi : ((Tutta la divina scrittura costituisce un unico libro e quest'unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo la sua pienezza» .34 Queste parole pongono una questione molto più complessa di quanto ritenesse l'autore medievale , quello del rapporto tra i due testamenti e dell'ermeneutica cristiana dell' AT. 34 Per la foltissima titolatura sulla lettura cristiana rimandiamo alla bibliografia indicata nel nostro Il Libro dei Salmi. vol . I . pp . 23-2R a cui aggiungiamo qualche altro titolo . Per l'uso di Paolo : A . M . HARMON . Aspects of Paul's use of the l'l'a/m.\·, i n > , 14( 1982) , pp. 23-33 ; B . FISCHER, Die Psalmen als Stimme der Kirche, Trier 1982 ; A. RosE, Les Psaumes, voix du Christ et de l'Eglise, Paris 1982. Rimandiamo ai vari commenti dei salmi in particolare ai Sal 2; 8; 22; 1 10.

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Problema affrontato spesso sbrigativamente attraverso vie allegori­ che o, peggio , dualistiche (AT = ombra ; NT = verità) ; problema malamente fondato su un parziale e imperfetto concetto di profezia come predizione o su carenti metodologie ermeneutiche ; problema spesso solo intuito attraverso simboli (metafora pedagogica , simbo­ lo del velo , del libro , del dialogo , schema della «ricapitolazione in Cristo» , tutti cari alla teologia patristica) ; problema attualmente rinnovato attraverso la categoria della «reinterpretazione» (già l'A T reinterpreta in fasi successive se stesso) e l'uso della categoria escatologica. Già i salmi regali nell' AT da testi curiali per l'intronizzazione erano stati sottoposti ad un'espansione ermeneu­ tica di stampo messianico , come è stato mostrato ampiamente da J . Becker nella sua interessante opera Israel deutet seine Psalmen (Stuttgart 21967) . La posizione più corretta è, quindi, quella di metterei dal punto di vista neotestamentario per vedere come gli autori cristiani interpretino i passi salmici alla luce dell'evento pasquale . Si tratta naturalmente di un lavoro minuzioso da svolgere in sede esegetica in particolare attorno a quattro salmi : i salmi 2 e 1 10; 8 e 22 . I primi due sono interpretati in chiave messianica ma con nuovi orienta­ menti . Il famoso testo sulla filiazione divina del re di 2,7 a cui si allude nel battesimo di Gesù (Mc 1 , 1 1 ; Mt 3 , 17; Le 3,22) e nella trasfigurazione (Mt 17,5 ; Le 9,35) e che è citato in At 13,33; Eb 1 ,5 ; 5 , 5 ; 2,8-9 ; 1 ,2; Ap 2,26 ; 12,5 ; 19 , 1 5 ; 2, 1 1 (cf. Fil 2, 12) è proiettato verso l'esaltazione pasquale del Cristo figlio di Dio. Lo stesso si dica del Sal 1 10 , 1 -4 (LXX) che , oltre ad una vigorosa reinterpreta­ zione messianico-pasquale (Mc 12 ,36; 16,19; Mt 22 ,44; 26,64; Le 20,42 ; At 2,34; Rm 8,34; 1Cor 15 ,25 ; Ef 1 ,20-23 ; Col 3 , 1 ; Eb 1 ,3 ; 1 , 1 3 ; 8 , 1 ; 10, 12-13; 12,2) , riceve una nuova prospettiva di lettura da Eb 7 alla luce della sua teologia del Cristo sacerdote perfetto. Il Sal 22 è la grande griglia usata dal NT per seguire la passione di Cristo e la sua morte gloriosa (il salmo , infatti , dalla più profonda desolazione sfocia in una finale di liberazione gioiosa) attraverso un uso massiccio dei suoi simboli e di sue espressioni. 35 Il Sal 8, invece , celebrazione della grandezza dell'uomo , viene riconsiderato alla

35 Il Sal 22 , 1 è citato in Mc 15 ,34; Mt 27 ,46; al v. 5 dello stesso salmo si allude in Rm 5 , 5 . Mt 27 ,39 cita il v. 7, a cui allude anche Mc 15 ,29 ; i vv . 7-8 sono presenti allusivamente in Le 23 .35 ; 22 , 1 5 ; Gv 19,28 ; i vv . 16-18 sono presenti nello sfondo di Mt 26,24. Mt 27,35 e Gv 19 ,24 citano il v. 19 a cui alludono Mc 15 ,24; Le 23,34 mentre il v. 22 è citato in Eb 2,12. Ap 1 9 , 1 5 allude al v. 23 come Eb 5,7 allude al v .

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luce dell'uomo perfetto, Cristo (Eb 2,6-8 ; Mt 21 , 16 ; 1 Cor 15 ,27; Ef 1 ,22) . Il salterio è, quindi , un «canto nuovo», usato dal NT e dalla chiesa secondo nuove prospettive . Il salterio coi suoi canti è ormai anche il libro di preghiera, di inni e di suppliche della comunità cristiana di tutti i secoli . Scriveva il teologo americano H. Cox:36 «La chiesa coi salmi è invitata a cantare e a ballare , a fare un allegro chiasso e a rallegrarsi nel Signore . Dio invita tutti gli uomini da un passato di morte a un futuro di vita: credenti e non credenti , gente di tutte le razze e di tutte le lingue , ma, per la chiesa , gente a cui egli ha dato un dono speciale . Ha dato loro la consapevolezza di quel che egli sta facendo e l'incommensurabile gioia di proclamarlo e di celebrarlo. Ciascuno ha una parte nel dramma di Dio . Gli uomini di fede hanno in più il privilegio di conoscere l'autore , così da poterlo ringraziare per ciò che egli ha fatto , non soltanto per noi ma per tutti . Così , la chiesa è una comunità che canta» .

4. Cinque itinerari all'interno del salterio Venite, esaltiamo gioiosamente Jahweh, acclamiamo alla rupe della nostra salvezza, presentiamoci davanti al suo volto con azioni di grazie, con inni acclamiamo a l u i ! (Sal 95, 1 -2) Assaporate e gustate quanto è soave Jahweh, beato l ' uomo che a l u i si affida! (Sal 34,9)

Dopo aver offerto alcune chiavi di interpretazione e anche di semplice conoscenza dei 150 salmi , dopo aver dato uno sguardo dall'alto a questa estesa regione poetica e orante , è giunto il momento di entrare nel giardino dei salmi per gustarne i frutti,

25 e Ap 1 1 , 1 5 ; 19,7 al v. 28. Per altri usi salmici nel NT vedi Mt 2 1 ,42 (Sal 1 18,22) ; Mt 23,39 (Sal 1 1 8,26) ; Mt 26,30 (Sal 136) ; Le 23 ,46 (Sal 31 ,6) ; Mt 27,34.48 (Sal 69 ,22) , ecc. 36 H. Cox , Non lasciate/o al serpente, Brescia 1969 , pp. 1 27-128.

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condividerne le speranze e le sofferenze . Le vie per penetrare nel mondo dei salmi sono varie . C'è la corsa veloce di chi elenca brevemente generi e contenuti di tutte le 150 liriche ; c'è la proposta classica di chi seleziona alcuni esemplari per i vari generi letterari così da offrire un'idea anche dei testi di genere affine non considerati . C'è la «via regia» del commento esegetico integrale al salterio e c'è la via più riduttiva della sintesi generale dei motivi e dei temi. Fermo restando che la via migliore è quella «stretta>> della rigorosa lettura dell'intero salterio e considerando la finalità introduttoria di queste pagine , noi cercheremo di indicare alcune piste di lettura necessariamente sincroniche all'interno delle quali dissemineremo qualche breve analisi di testi emblematici. Le piste potrebbero essere ancora una volta quelle dei generi letterari ma correremmo il rischio di replicare dati già presentati nel capitolo precedente sulle forme letterarie . Scegliamo , perciò , cinque itine­ rari più generali legati a stati , a situazioni , a qualità interiorj che alimentano la preghiera salmi ca. 37 La meta da raggiungere resta sempre quella suggerita da Agostino: «Magnum opus hominum laudare Deum>> , il nostro capolavoro è quello della lode pura da innalzare a Dio .

a) L'itinerario dell'angoscia Almeno un terzo del salterio è sotto il segno del dolore , del lamento , della crisi proprio come la vita che conosce più facilmente l'oscurità della felicità. Claudel , pur nel romanticismo retorico della sua lettura dei salmi, aveva intuito che la poesia salmica è �> . Il Dio muto e lontano nelle suppliche bibliche è sempre invocato con una certezza : egli interverrà e la sua giustizia aprirà un orizzonte di pace e di gioia per il giusto sofferente . La componente decisiva all'interno delle suppliche è quella del «nemico» , cioè del male che genera la preghiera del fedele e che mette in causa Dio stesso . Ora , la tipologia del «nemico» nelle suppliche è molto articolata perché il mistero del male e del dolore ha molte sfaccettature . Noi ne identifichiamo ora cinque che portano altrettanti nomi oscuri e che mostreremo in azione attraverso altrettante lamentazioni salmiche . Non c'è che l'imba­ razzo della scelta data la vastità di numero dei salmi di supplica. Il primo nemico che incombe sull'arante può essere una malattia grave che minaccia la vita e che nella prospettiva veterotestamenta­ ria è segno di maledizione divina per un peccato commesso (Sal 6; 22 ; 38 ; 41 ; 88 ; 102) . Come modello scegliamo il già citato «salmo del lebbroso», il 38, testo sostenuto da una simbologia piuttosto accesa e quasi barocca : la malattia è fatta di frecce (v . 3) scagliate dal grande arciere che è Dio (Gb 6,4; 16,13; Dt 32 ,23 ; Lam 3 , 12- 1 3 ; Sal 64 ,8; 9 1 , 5 ; 144,6) , è come una mano che preme accanendosi sulla vittima (v. 3 ; Sal 32 ,4; 39 , 1 1 ) , è un fardello da schiavo (v. 5 ) , è come l'inondazione di un fiume fangoso che tutto sommerge (v. 173

5a) ; a questi simboli si associano immagini funebri e penitenziali (v. 7; Sal 35 , 13-15) a cui segue una ricca simbolica somatica che pervade tutto il carme. Infatti l'orante si presenta nel v. 12 come un piagato (cf. v. 6) , quindi un isolato dalla comunità perché il vocabolo ebraico usato , nega', rimanda spesso alla lebbra che costringeva il paziente alla scomunica e all'emarginazione in Israele . Da questa piaga fondamentale promana tutta la devasta­ zione organica descritta nel lamento (carne, ossa , reni . vista . voce, cuore). Il tessuto strutturale del Sal 38 è centrato su una grande supplica (vv. 3-2 1 ) , racchiusa entro due antifone (vv . 2 e 22-23) . Essa è caratterizzata dall'intreccio tra i tre attori delle suppliche :

Tu, Dio (vv. 3-4) --+ - lo, malato e peccatore (vv . 5-1 1 ) - Essi, i nemici (vv. 12-15)

- lo, confesso la mia colpa --+ a te, Jahweh (vv . 16- 19) - Essi, i nemici (vv . 20-21). L'apertura della supplica è al «tU» di Dio , invocato con timore e tremore come «sdegnato» giudice del peccato . Poi la preghiera si espande in un'amàra e autobiografica pittura della sofferenza e della sua genesi nel peccato : la penna del poeta si muove sempre secondo due sfumature , quella del dolore fisico accuratamente dettagliato e quella del mistero di colpa che in esso è racchiuso secondo la teoria della retribuzione . La supplica , allora , da implorazione per la guarigione si trasforma in salmo penitenziale . È a questo punto che l'obiettivo si sposta verso l'esterno , verso «essi» , i nemici (vv . 12-15) . Costoro, infatti , si scatenano sulla fragilità e sulla colpa del malato isolandolo , depredandolo , umi­ liandolo (vedi Sal 22; 31 ,12. 14; 35 , 1 5 ; 41 ,6-9 ; 52,4; 109 , 1 1 ) . Ma è attraverso questa umiliazione-purificazione che prende corpo la speranza nell'intervento liberatore di Dio espressa nel dialogo «io­ tu» dei vv . 16-19. Due sono le motivazioni allegate , la morte incombente e la confessione sincera del peccato : «Ecco , io confesso la mia colpa, ho paura per il mio peccato» (v. 19) . La supplica si chiude con un ultimo fosco ritratto , quello dei «nemici» che vengono ormai affidati al giudizio di Dio . Come si vede , malattia e peccato , delitto e castigo vengono mescolati senza esitazione nello spirito dell'etica retribuzionistica dell' AT. È per questo che il Sal 1 74

38 è spontaneamente slittato all'interno dei sette salmi penitenziali della tradizione cristiana (6; 32; 38; 5 1 ; 102; 130; 143). Possiamo , perciò , introdurre una seconda tipologia del nemico , quella del peccato, un avversario interno all'uomo stesso , che separa il credente dal suo Signore , facendogli cosi sperimentare la tragedia del silenzio di Dio . Per questo modello di supplica , che avrà successo nel post-esilio e che , come si ripeterà , è ampiamente documentato anche fuori del salterio , di solito si allegano come esempi sommi il Sal 51 (Miserere) e il 131 (De profundis) , due carmi commentatissimi38 e celebrati nella tradizione liturgica e letteraria cristiana . Noi invece optiamo ora per il meno noto Sal 32, una lirica commossa che potremmo quasi definire un «ringrazia­ mento penitenziale» . L'introito di stampo sapienziale (vv. 1-2) ci offre la guida di lettura delle due sezioni in cui si articola il salmo . Si tratta di una beatitudine destinata a chi è stato perdonato , a chi ha avuto «coperto» , cioè - nel linguaggio biblico e non luterano (cf. Rm 4,3-8) - cancellato il peccato: «Beato l'uomo a cui è stata tolta la colpa e perdonato il peccato ! Beato l'uomo a cui Jahweh non imputa l'iniquità e nel cui spirito non v'è inganno !» (vv . 1-2) .

Si apre , poi , il carme vero e proprio , composto da un canto del perdono (vv . 3-7) e da un'istruzione sapienziale (vv. 8-10) . Quest'ultima non fa che riprendere in linguaggio didattico la testimonianza della strofa precedente (cf. Pro 28 ,13). È ad essa che noi dedichiamo un po' di attenzione. Non siamo , infatti , davanti ad un'astratta riflessione sul peccato bensl davanti alla testimonianza autobiografica di un convertito , che si snoda sul filo del passato miserabile ( vv . 3-4) , del presente della conversione (v . 5) e del futuro fatto di pace e di serenità ( vv . 6-7). Il passato rappresenta il peccato dilagante nell'essere intero di chi lo commette . Secondo l'impostazione retributiva il peccato è ripagato con febbri che bruciano il sangue , le nervature , le energie : questa raffigurazione , che è una riproduzione visiva dei campi bruciati sotto l'incombere del sole estivo , è un'immagine dell'inaridimento interiore prodotto dal peccato . Ma ecco la grande svolta della conversione formulata

JR

Vedi il nostro Il Libro dei Salmi, vol . II.

pp. 1 1 -63

e vol . III ,

pp. 625-66 1 .

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in una dichiarazione che raccoglie, come nel Sal 5 1 , tutto il lessico del peccato (IJ,atta 'ah, 'awon, pesa') : «Ti ho fatto conoscere il mio peccato , non ho nascosto il mio errore . Ho detto: Confesserò a Jahweh le mie colpe . E tu hai tolto la malizia del mio peccato» (v . 5).

La luce del perdono illumina il futuro del penitente . Nonostan­ te qualche difficoltà testuale , nei vv. 6-7 si osserva che la marea montante dell'angoscia e del male non potrà sommergere l'uomo a cui è stata perdonata la colpa perché Dio lo condurrà in un luogo elevato e protetto , irraggiungibile dal diluvio . Anzi , al tumulto furioso delle acque caotiche subentrerà un mare di gioia per la salvezza ottenuta. In altre suppliche del salterio il «nemico» è un avversario concreto che con le sue persecuzioni (7 ,2; 142,7) o col suo odio (35 ,19; 38,20; 69 ,5 ; 86 , 17) o con la sua violenza (86, 14) sembra incarnare quasi una potenza demoniaca contro la quale il fedele non può far altro che invocare l'aiuto divino . Per rappresentare dal vivo questa situazione , che è frequentissima nel salterio ed è affidata a pagine di altissima tensione umana ( Sal 57 ; 59; 69) ,39 ci affidiamo al Sal 55, il canto dell'amico traditore : «Più untuoso del burro è il suo sorriso ma il suo cuore fa la guerra» ( v. 22) . È un mirabile componimento dalle tinte impressionistiche che è diventa­ to il Psalmus Hungaricus del musicista ungherese Z. Kodaly (18821967) e che rivela, pur nelle incertezze testuali e nel tono eccitato la mano di «un artista di gran classe , di talento poco comune e di alte qualità di cuore» ( L. Jacquet ) . Gli elementi tradizionali delle suppliche sono presenti ( l'io dell'arante , Dio , gli amici-nemici , i tre tempi , ecc. ) ma sono rielaborati con molta originalità e molto sdegno , attraverso il gusto amaro del tradimento , descritto con una simbolica icastica nei vv. 20c-23 : «Più fluide dell'olio le loro parole , eppure sono spade sguainate» (v . 22b) . 39 Potente , ad esempio , è la strofa di Sal 59,6-8:

6 Tu, Jahweh, Dio degli eserciti, Dio d'Israele, svégliati per ispezionare i superbi, non aver pietà dei perversi traditori! 1Ritornano a sera, ringhiando come cani che s'aggirano per la città. 8Ecco vomitano dalla loro bocca, spade dalle loro labbra . . .

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Questo amico-nemico è descritto con quattro vocaboli diversi : avversario ( 'ojeb, vv. 4. 13) , «odiatore» (sn ' , v. 13) , malvagio (rasa', v. 4) , persecutore (stm, v. 4) . Ma la sorpresa è proprio in una qualità che rende l'affronto intollerabile : il nemico era l'amico più caro , letteralmente «l'uomo dello stesso rango», cioè totalmente affine , intimo , unito dalla stessa mentalità , educazione ed opinio­ ne , dalla stessa fede , era l' «uomo della consuetudine», cioè dell'affetto , della convivenza, della collaborazione , era l' «uomo della conoscenza>> con tutta la carica affettiva che il termine comporta in ebraico , era colui col quale si era intrecciata una dolce amicizia (vv. 14-15). Il cuore della protesta dell'arante è nei vv. 10b-15 e nel v. 22. Cominciamo da quest'ultimo passo che abbiamo già citato . La bocca dell'amico traditore è comparata ad un'imma­ gine di dolcezza, di morbidezza, di benessere , di grasso , cioè al burro : è un'immagine «rotonda» a cui viene opposta quella aspra, dura, «acuta» della guerra. Già nel Sal 5 , 10 si diceva: «Non c'è sincerità sulla loro bocca , il loro interno è colmo di malizia e la loro gola è un sepolcro spalancato , la loro lingua è tutta adulazione» . Nel v. 22 si riprende l'immagine «rotonda» col simbolo dell'olio a cui si oppone la «spada affilata e sguainata» , una metafora classica per esprimere la forza tagliente della parola (Sal 37 ,14; 52,4; 57 , 5 ; 64 ,4; 140,4; Pro 5 ,3 ; 1 2 , 1 8 ; E z 21 ,33) . E d eccoci al centro del Sal 55 , un passo di profonda suggestione , segno vivo dell'incarnazione della parola di Dio nelle emozioni umane . 10«Ho visto nella città violenza e discordia: 11giorno e notte fanno la ronda sulle sue mura . Nel centro , iniquità e dolore , 12nel centro , malizie , dalla sua piazza centrale non si allontanano mai oppressione e frode . nPerché non è u n nemico che m i h a insultato: l'avrei sopportato ! Non è uno che mi odia che mi ha diffamato : da lui mi sarei nascosto ! 14Ma sei tu , mio caro compagno , mio amico e confidente , 15legato a me da dolce familiarità : camminavamo in sintonia verso la casa di Dio».

La scena si apre su una città avvolta nelle tenebre : è Sion , una città corrotta in ogni sua parte (Ger 5 , 1 ; 6,6-7 ; 9,5 ; Mi 7, 1-4) , le cui sentinelle notturne si chiamano violenza e discordia. Con una 177

simile ronda si può ben immaginare chi siano i residenti del centro cittadino : essi si chiamano iniquità , dolore , malizia. Il centro di Gerusalemme è una specie di quartiere del vizio . E persino la sua «piazza centrale» , la spianata del tempio , dove si svolgeva anche la vita commerciale e giudiziaria della nazione , è occupata da questi due abitanti : oppressione e frode . A questo punto entra sulla scena l'amico traditore nei cui confronti il salmista esprime l'ondata di amarezza che lo assale (si noti il passaggio nel v. 14 dalla terza alla seconda persona in un crescendo accorato) . L'orante è pronto a sopportare tutto da un nemico ma davanti al tradimento di un amico gli cadono le braccia, non sa più reagire : «Ma sei tu . . . » («Tu quoque , fili mi . . . » di Cesare). I vocaboli, già ricordati , con cui è definito l'amico falso sono posti in crescendo anch'essi , sino al vertice della comune fede . I due amici salivano insieme al tempio , uniti nei canti , nella gioia , nella fede , nella comunione fraterna . . . Su questa scena festiva di armonia e di amore il poeta, deluso e tradito , vorrebbe far scendere il sipario del nulla. Tutto il mondo gli sembra falso ora che ha visto infrangersi la bellezza intatta della fraternità (Sal 133 ) . Il quarto profilo del nemico è quello descritto dalla «più tenebrosa di tutte le lamentazioni salmiche» (Delitzsch) , il Sal 88, e da certi brani cupi di altre suppliche. L'orante sente attorno a sé il crollo di tutti gli appoggi umani, è la solitudine totale , la desolazio­ ne che oscilla paurosamente verso la disperazione. La preghiera diventa , allora, anche il grido di sofferenza per l'assenza di Dio , una preghiera come quella di Giobbe o dell'inizio del Sal 22, a prima vista blasfema , se non sapessimo , come scriveva Lutero , che Dio gradisce , talvolta , di più la bestemmia del disperato che non la lode asettica e soddisfatta del benestante . Una strana preghiera­ ultimatum , quindi ; una cupa bellezza , una potenza di sentimenti drammatici , un'umanità lacerata assunta dalla parola di Dio . Scriveva Joi.ion: «Se , come diceva A. Musset , i canti più disperati sono i più belli , al Sal 88 sarebbe da decretare la palma della bellezza» . È il grido lacerante di un uomo schiacciato sotto il peso di sventure insopportabili , trascinato all'orlo della tomba (v . 4) , anzi già ridotto ad essere uno spettro , abbandonato alle tenebre degli inferi (vv . 5 . 7) , colpito da un'ira sorda di Dio che su di lui senza tregua si accanisce (v. 8) , solitario ed emarginato (vv. 9 . 19) , chiuso in un carcere invalicabile (v. 9) , respinto continuamente da Dio pur invocato sino allo stremo (v. 15), legato ad un'esistenza tutta posta sotto il segno dell'infelicità fin dall'infanzia , torturato

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anche psicologicamente da incubi , terrori e debolezze (v. 16) , annientato dagli spaventi che il Signore gli semina attorno come un oceano che inonda distruggendo (vv . 17-18) . Quest'uomo, sazio di sventure (v. 4) , sa solo gridare giorno e notte (vv. 3 . 14) . Attento alla dimensione psicologica del soffrire , questo salmo si articola in due grandi movimenti: il primo (vv . 4-8) è un canto della morte e del sepolcro (b6r, la fossa infernale) , tutto retto da una ricca simbolica «sheolica» (tenebre , acqua, profondità, spettri , lontananza , ecc . ) ; il secondo (vv . 9-19) è un canto della solitudine , la terribile prigione dell'uomo . La solitudine porta la morte e il silenzio di Dio . Questo secondo canto , che è poeticamente il più fragrante , è racchiuso all'interno di un'inclusione folgorante : «Hai allontanato da me i miei conoscenti , mi hai reso per loro un abominio. Sono prigioniero , senza vie d'uscita. Il mio occhio si consuma nell'afflizione . . . » (vv. 9 . 10a) . «Hai allontanato da me l'amico e il prossimo , miei conoscenti sono solo le tenebre» (v. 19) .

Sembrerebbe che in questa supplica il nemico abbia vinto su Dio e sull'orante . La morte e la solitudine sembrano aver messo in fuga la vita , l'uomo e Dio . È assente quella lama di luce che squarcia tutte le finali delle lamentazioni salmiche . La conclusione sembra essere quella - superbamente terribile - di Gb 17, 13-14: «Se devo sperare , è solo lo sheol la mia casa, nelle tenebre stenderò il mio giaciglio . Al sepolcro io grido : Padre mio sei tu! Ai vermi: Madre mia , sorelle mie ! » (cf. il v. 19b) . Non vogliamo tentare di ammorbidire questo salmo e la sua testimonianza alla luce di troppo facili riletture cristiane . Esso conserva intatto un suo valore. È infatti un invito a vivere senza falsi pudori le proprie crisi , ad esporle con sincerità totale anche al Dio assente , come hanno fatto Giobbe e Geremia. Eppure nel Sal 88 , anche se attraverso lo scandalo accecante del dolore e del silenzio di Dio , c'è un filo sottile di attesa. Attesa di un Dio a cui si indirizza un ultimo , drammatico SOS ed è proprio quest'attesa , col suo grido , che dimostra che la fede del salmista non è morta. Abbiamo ora davanti a noi l'ultima tipologia del «nemico» : essa appartiene ad una suddivisione del genere delle lamentazioni , quella delle suppliche nazionali (Sal 44; 60 ; 74 ; 79 ; 80 ; 83 ; 85 ; 89 , 39-46; 123 ; 137) . Il nemico in questo caso è l'avversario della nazione ebraica , incarnato anche in una tragedia o in una calamità 179

dell'intera comunità. Il salmo più rappresentativo del genere è senz'altro il 44 , pronunziato da s. Ambrogio sul letto di morte . Retto, come spesso avviene nelle suppliche , dal filo del tempo (passato glorioso , presente di sconfitta, futuro di speranza) e recitato da tre attori (Dio interpellato , il «noi» della nazione in crisi , i nemici incombenti) , il salmo ha al centro una lunga lamentazione sul presente squallido (vv . 10-23). In un certo senso nemico è diventato anche Dio che non marcia più alla testa del suo popolo : «Ora ci hai respinti e coperti di vergogna , non esci più con le nostre armate» (v . 10) . È divenuto misteriosamente un avversa­ rio perché Israele ha la coscienza di essere stato fedele all'alleanza (e questo è un dato originale rispetto alle altre supplich�) : «Tutto questo è piombato su di noi senza che ti avessiDJO dimenticato , · senza che fossimo stati infedeli alla tua alleanza» (v. 18) . La sconfitta in cui è caduto Israele pone , quindi , un interrogativo teologico, diventa una palese contraddizione dell'alleanza. Le stragi che i nemici stanno conducendo tra il popolo di Dio (vv. 12.23) sono in un certo senso meno drammatiche rispetto a questo strano silenzio di Dio. Ecco , allora , il poderoso e ardito grido finale lanciato a un Dio che sembra in letargo perché si svegli : «Svégliati , perché dormi , Signore? Déstati , non ci respingere per sempre ! » (v . 24) . Jahweh non può restare «addormentato» come il suo rivale inesistente Baal ( 1 Re 18 ,27) , egli è per eccellenza colui che opera il suo progetto di salvezza per il suo popolo. Il Sal 44 non invoca né attende la vendetta sui nemici come i salmi 74 o 79 o 137, tutte le sue speranze sono concentrate sulla fedeltà di Dio alle sue promesse : «Liberaci per la tua fedeltà (}Jesed) !» (v. 27) . Il nemico storico appare con maggior veemenza in altre lamentazioni salmiche . Il caso più celebre è certamente quello dell'imprecazione che conclude il salmo degli esuli , il 137 : «Figlia di Babilonia devastatrice , beato chi ti r.enderà il contraccambio di quanto ci hai fatto! Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra ! » (vv . 8-9) .

Alla «figlia di Sion» si oppone a viso aperto la «figlia di Babilonia» , alla città della pace la metropoli della distruzione (586 a . C . ) , dell'oppressione , dell'imperialismo. A quest'ultima è riser­ vata la terribile beatitudine-maledizione che abbiamo appena citato e che è retta dalla logica della giustizia del taglione: la «devastatri-

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ce» è votata alla devastazione . I padri della chiesa e qualche moderno (Mannati) hanno tentato di spiritualizzare l'imprecazione così sanguigna (i «piccoli)) sfracellati sono i cattivi pensieri, sono «i germi di empietà e di paganesimo)) , ecc . ) . Si tratta solo di patetiche difese di una parola divina incarnata nella realtà e nei limiti della storia. Il poeta si allinea ad un tragico bagaglio di violenza presente in tutta la storia , antica e recente . La stessa Bibbia osserva che ad ogni conquista segue un massacro , spesso stilizzato secondo un linguaggio convenzionale (Gs 10; 2Re 8 , 1 2 ; Os 10,14; 14, 1 ; Is 1 3 , 16. 18; Na 3 , 10 ; Est 8 , 1 1 ; 2Mac 5 , 12-13, ecc. ) . Il fiume di sangue che percorre la storia del nostro pianeta non poteva non striare anche la storia della salvezza che è, sì , salvezza ma nella storia . La passionalità orientale , l'uso di stereotipi attestati in tutto l'oriente (ad es. , ANET, 442 o le iscrizioni aramaiche di Sefire) , l'eccitazione marziale del ritmo poetico , l'amore viscerale per Sion (leggi i vv . 5-6 dello stesso salmo) possono ridimensionare la brutalità dell'imprecazione . Ma essa non cessa di essere un segno di ferocia, simile alla prassi bellica orientale di sventrare le donne incinte quasi per negare alla radice la vita di un popolo nemico (2Re 8 , 1 2 ; Is 13 , 16; Os 10, 14; Am 1 , 13) . La frase diventa , allora , il segno di una «condiscendenza)) estrema della parola di Dio all'umanità, al suo sdegno primordiale , al suo disperato protestare , alla sua impotenza . Soprattutto quando , come «sui fiumi di Babilonia)) Israele ha �olo la forza delle parole e la speranza nella ' giustizia di Dio . Questo «fortissimo)) , espresso in un linguaggio simbolico radicale , caro al mondo semitico , non è però «da radiare dal salterio del nuovo popolo di Dio)) (Deissler) ma è da compren­ dere come fede nella giustizia divina, come impegno al rifiuto di ogni potere oppressivo e satanico , come ansia per la libertà. In attesa che si sveli , accanto alla giustizia e ai suoi diritti , anche la forza dell'amore che combatte ogni vendetta sanguinaria , ogni violenza cieca , ogni «beatitudine)) crudele (Mt 5 ,38-47) . Concludiamo qui il nostro primo itinerario all'interno del salterio , un viaggio tormentato nel mondo del dolore . Con le loro finali costanti di speranza , che cancellano la disperazione totale , le suppliche salmiche fanno diventare realtà quella che per Sofocle era solo , nell'Edipo a Colono, un'aspirazione ideale ed irreale : «Tanto è il dolore che tocca all'uomo senza ragione . Dio nella sua giustizia lo riconduca in alto)) . È comunque significativo un dato : presentare i propri incubi, le solitudini , le amarezze , le malattie a 181

Dio è già preghiera. C'è una lode di Dio fatta col corpo e con le proprie miserie senza aggiungere molto. «) suggerisce l'idea del basarsi su una roccia stabile , all'interno delle sabbie del dubbio. È questo il gioioso «rischio» del credente che , come Abramo , «spera contro ogni speranza» (Rm 4,18). Tutto il salterio è , perciò, permeato da questa atmosfera che in alcuni salmi diventa così intensa da costituirne l'unico tema . È «la situazione psicologica in cui l'orante non sollecita da Dio nessun bene ma esprime semplice­ mente la sua fiducia in Dio solo , sorgente di quiete e di gioia» .42 Così il fedele del Sal 16, il canto della mistica , esclama: «Jahweh , Signore , sei tu il mio bene , sopra di te non c'è nessuno ! » (v . 2) e a lui si associa l'intera assemblea che nel Sal 46 ripete antifonalmen­ te: «Jahweh degli eserciti è con noi, nostra roccaforte è il Dio di Giacobbe» (vv . 8. 12) . Come espressione di questo atteggiamento radicale di fiducia possiamo scegliere quel «delicato poemetto di limpida generosità , d a annoverare tra i più bei salmi» (Weiser) che è i l Sal 131 : «Un bimbo svezzato in braccio a sua madre , così è l'anima mia» . È il

4()

41

42

182

M . NOEL, Diario segreto, Torino s . a . , p. 8 3 . M. BuBER, I racconti dei Chassidim, Milano 1979 , E . LIPINSKI , Psaumes, in DBS, 9(1973) , p. 68.

p.

577 .

canto di una fede quasi istintiva , spontanea, simile appunto all'aggrapparsi affettuoso e sereno del bimbo alla madre , la persona che costituisce la sua sicurezza e la sua pace . Si tratta di un tema che percorrerà il NT (Mt 1 1 ,25-30; 18, 1-5 ; 19,13- 1 5 ; cf. 6,91 3 ; 1 1 , 16-19, ecc.) e tutta la storia della spiritualità cristiana ma anche di quella «pagana» . Ecco, ad esempio , un testo egiziano tratto dalla stele di Neb-re (Ramses Il, XIII sec. a . C . ) : ((Tu sei Amon , il signore del silenzio , che accorri al richiamo del povero . . . Due volte felice colui che riposa beatamente sul braccio di Amon , di Amon che ha cura del silenzioso , che aiuta il povero , che dà il respiro a chi lo ama» .'3

Il piccolo carme , legato alla simbolica del silenzio («anima distesa e tranquilla») e dell'intimità, è strutturato su un dittico in cui la prima tavola (v. l) è in negativo la descrizione di ciò che non è la fiducia in Dio. Lo schema è quello dell'orgoglio, verticale , proteso a sfidare Dio : esaltarsi , levare superbamente , cose grandi , cose prodigiose . La seconda tavola del dittico (v . 2) è invece consacrata alla descrizione di ciò che è la fiducia in Dio. Alle precedenti immagini > , letteralmente significa «appianare>> un territorio accidentato . La vera fiducia demolisce le colline della superbia e la vita si trasforma in una «via sacra>> pianeggiante , serena e facile (ls 40,3-5). «L'uomo abbasserà gli occhi orgogliosi , l'alterigia umana si piegherà , sarà esaltato Jahweh , lui solo , in quel giorno>> (ls 2 , 1 1 . 17) . Il «bambino svezzatm> è, quindi , il ritratto del vero fedele , dell' «> , come dice l'antifo­ na liturgica finale del v. 3 , degli 'anawim, i «poveri» di Jahweh . Potremmo idealmente immaginare questo percorso : dal lamen­ to lanciato al Dio silenzioso e quasi ostile si passa alla confessione delle proprie responsabilità di peccato . Tutto questo è possibile perché si ha fiducia nella fedeltà incrollabile di Dio (i salmi di fiducia) ; lo sbocco è nella grazia offerta da Dio e nel «grazie»

43 Citato in A. GELIN , // povero nella Sacra Scrittura, Milano 1956, pp . 174- 1 75 .

183

innalzato a Dio da parte del fedele , cioè la todah, la lode di ringraziamento . Questa è la trama che unisce i tre generi della supplica , della fiducia e del ringraziamento . Di quest'ultimo genere , altrettanto sereno e gioioso come il precedente , l'elemento fondamentale è l'evocazione del passato tragico che fa risaltare l'attuale celebrazione festosa della grazia ricevuta. Una sottolinea­ tura particolare è riservata all'esaltazione della fedeltà di Dio che salva al di là dei meriti dell'uomo ; a questa celebrazione spesso si accompagna un appello appassionato del «miracolato» , rivolto agli uditori perché si uniscano al suo ringraziamento (32 ; 34; 92) . Tra i non molti esempi di salini di ringraziamento , personali o comunita­ ri , presenti nella collezione del salterio diamo un rilievo particolare al gustoso Sal 107 che sa fondere in unità la preghiera individuale e il caso particolare col canto di lode e con l'esperienza di tutto Israele . D'altra parte lo sfondo liturgico e comunitario del «grazie» biblico è quasi costante : anche nell' «io» dell'arante si sente l'eco di un Israele legato da un'alleanza col suo Dio. Per questo molti testi «privati» sono entrati in repertori per uso liturgico comunitario come forse appare dalla formula, talora aggiunta , che si riscontra nei ringraziamenti : «Lo dice Israele ! » (Sal 124,1 ; 129 , 1 ) . I l Sal 107 è costruito s u quattro ex-voto di un viaggiatore , di un prigioniero , di un malato e di un marinaio, tutti cesellati alla stessa maniera (descrizione della situazione , invocazione a J ahweh , intervento di Jahweh , todah a Jahweh) , tutti celebrati insieme dall'assemblea liturgica , tutti applicati all'intero Israele attraverso un solenne inno finale sulla storia della salvezza (vv . 33-43) . Per avere un'idea dello svolgimento del canto ne diamo lo spartito strutturale essenziale . l l.

quattro ex-voto (vv. 4-32)

situazione (vv . 4-5)

III.

IV

I malati (vv. 17-22)

I marinai (vv . 23-32)

Il.

I carovanieri (vv. 4-9) I prigionieri (vv . 10- 16)

situazione (vv. 10-12) situazione (vv. 17-18)

situazione (vv. 23-27)

invocazione (v. 6)

invocazione (v. 13)

invocazione (v. 19)

invocazione (v. 28)

liberazione (v. 7)

liberazione (v. 14)

liberazione (v. 20)

liberazione (vv. 29-30)

tOdah (vv. 8-9)

tòdah (vv. 15- 16)

tòdah (vv. 21 -22)

tòdah (vv. 31-32)

L'inno della storia della salvezza (vv. 33-42)

184

L'esodo

La terra promessa

L'esilio e il ritorno

(vv. 33-35)

(vv. 36-39)

(vv. 40-42)

La sceneggiatura dei quattro ex-voto , pur nel rispetto del modulo prefissato , è estremamente vivace e dinamica. Il più lavorato e cesellato è naturalmente quello piuttosto «esotico» dei marinai . Infatti in un territorio dal litorale rettilineo com'è Israele , il mare era visto con un certo fascino-terrore ; anche durante lo splendore economico salomonico , l'avventura in mare era preroga­ tiva dei fenici (1Re 9 , 1 1 ) ; le vicende marine restavano cariche per gli ebrei di aspetti mirabolanti , come testimonia il delizioso libretto di Giona . Le navi partono dal molo per i loro commerci ed ecco subito davanti a loro il mare immenso , le «grandi acque» cosmiche (v . 23) . Gli occhi dei marinai sono pieni di stupore nel contemplare la potenza divina che compie il miracolo continuo del tener bloccato l'abisso con le sue energie caotiche (v. 24) . Ma ecco , all'improvviso Dio sembra smentire la sua promessa di stabilità , una sua parola fa levare una tempesta terrificante . Venti, flutti, paura popolano ormai la scena che si fa sempre più scura e drammatica (v. 25) . La nave è scagliata verso il cielo sulla cresta delle onde , ma subito dopo sembra che il teh6m, l'abisso primordia� le , si spalanchi per inghiottirla (v . 26) . L'ondeggiare dell'imbarca­ zione getta i marinai di qua e di là facendoli ballare (IJ,gg è il verbo della danza circolare cultica) e barcollare come ubriachi (v . 27) . Il filo di respiro che ancora resta nelle loro gole è usato per un'ultima invocazione (v. 28) . E Jahweh , Signore del cielo e della terra , si trasforma in nocchiero che guida la nave al porto sospirato . A ogni racconto del testimone viaggiatore , prigioniero, malato , marinaio tutta l'assemblea liturgica d'Israele , che nella sua storia è stata nomade per i deserti , carcerata sotto le potenze straniere , malata nelle molte sofferenze e calamità , sconvolta dalle tempeste del male e della vita, si associa con un'antifona corale : «Ringrazino Jahweh per la sua fedeltà e per i suoi prodigi in favore degli uomini» (vv. 8 . 15 . 2 1 . 3 1 ) . Ci sono , quindi , nel Sal l07 due momenti ermeneutici , quello del ringraziamento personale dei viandanti , dei prigionieri , dei malati e dei marinai e quello del ringraziamento comunitario storico-salvifico dell'Israele viandante , oppresso , ma­ lato , sconvolto ma alla fine sempre liberato dal iJ, esed divino. È in questa luce che si comprende perché ai quattro ex-voto sia stato aggiunto l'inno finale dei vv . 33-43 in cui si ripercorrono in modo allusivo e discreto le tappe principali della storia della salvezza. In questa prospettiva siamo invitati a vivere sempre la nostra esistenza personale all'interno del progetto generale di Dio riguardante la storia del suo popolo. E le parole dominanti del salmo - come 185

quelle di tutti i gioiosi ringraziamenti del salterio - sono due , l'una divina, }J,esed, l'altra umana, todah, amore di Dio e amore del­ l'uomo , fedeltà e gratitudine in un unico abbraccio : «Ringraziate Jahweh perché è buono , perché eterna è la sua fedeltà» (v . 1 ) .

c) L'itinerario della storia La storicità della rivelazione biblica fa sl che anche il canto d'Israele sia una celebrazione della presenza di Dio nella storia in tutte le sue manifestazioni , quella davidica (i salmi regali) , quella della salvezza d'Israele (salmi storici) , quella della vita quotidiana (salmi sapienziali) . Iniziamo questo nuovo percorso all'interno del salterio fermandoci subito alla prima tappa, quella regale, di grande rilievo per l'interpretazione messianica classica che ha ricevuto nella tradizione giudaica e cristiana. Il testo-base che questi salmi hanno davanti a sé è l'oracolo di Natan e Davide (2Sam 7) : «Sono stato con te dovunque sei andato . . . Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere» (vv. 9 . 12) . Nelle pur scialbe figure che si succedono sul trono di Davide la teologia ebraica vede il segno continuo della presenza di Dio nella storia. L'oracolo di Natan è ripreso e commentato innicamente dal Sal 89 (cf. Sal 132) . Secondo J .L. McKenzie44 il salmo rifletterebbe meglio la fonte originale di quanto lo faccia 2Sam 7; per altri , invece , è vero il contrario. È fuor di dubbio , comunque , il parallelo tra i due testi , anche se il Sal 89 affronta più nettamente una questione ulteriore di teodicea: l'attuale crollo di Giuda, lo spegnersi della dinastia davidica, la crisi generale della storia del popolo eletto come possono comporsi con la promessa di Natan? Certo , essa era condizionata alla fedeltà di Giuda e dei discendenti di Davide ma non in maniera totale perché la promessa divina è superiore all'infedeltà umana: «Io non ritirerò il mio IJ,esed, non tradirò la mia fedeltà , non profanerò la mia berit» (vv . 34.35). Il salmo sfocia allora verso una soluzione meno «dinastica>> e più «messianica». La presenza divina nel «messia-consacrato» concreto davidico non è più possibile ; è possibile , invece , la presenza nel «Messia-Consa­ crato» perfetto , inviato da Dio e atteso dall'Israele post-esilico . «> , la bocca, il cuore che esprimo­ no e meditano . . . ) La tesi fondamentale è formulata dal poeta attraverso una vigorosa struttura chiasmatica ed è ribadita da una doppia antifona. Ecco innanzitutto la struttura con la ripresa del tema dell'illusione della ricchezza, infranta dalla morte . .

Secondo quadro (vv. 14-20)

Primo quadro (vv. 6-12)

A. Perché temere? (vv.

6-9)

B'. Lo sheol e la sua voracità (vv. 14-16). Dio solo può sottrarci

Illusione della ricchezza per liberarsi

(pdh) .

(pdh) dalla morte.

B. Lo sheol e la sua voracilà ( vv. 10-12)

,;

�A'. Non temere! (vv. 17-20)

Nessuno può sottrarvisi

Illusione della ricchezza per non

(«non vedere»,

vedere

r'h).

(r'h) la morte.

Le due antifone dei vv. 13 e 21 nel TM presentano poi una curiosa variante che puntualizza le due conseguenze prodotte dalla ricchezza sul suo detentore: egli diventa come il suo idolo , cioè inconsistente e votato alla morte ; egli diventa ottuso riducendosi al livello della cosa che egli adora . Ecco in parallelo le due versioni : v. 1 3 : «L'uomo nella ricchezza non può durare (jalin) : è simile agli animali che periscono».

v. 2 1 : «L 'uomo nella ricchezza non può capire (jabin) : è come gli animali che periscono» .

A questa rilevazione centrale il salmista ne aggiunge un'altra che , nella sua costruzione antitetica , ribalta la tradizionale teoria della retribuzione . Essa ha due formulazioni parallele e antitetiche : 194

v.

8: «Ahimé, l'uomo non può riscattare (pdh) se stesso né versare a Dio una copertura finanziaria».

v . 16: «Certo , Dio potrà riscattarmi (pdh), sicuramente mi strapperà dalla mano dello sheol».

L'uomo è come un condannato a morte che chiede di essere «riscattato» dall'esecuzione capitale . Cifre anche colossali , disponi­ bilità finanziarie anche altissime (vv. 13.21) non bastano a placare la fame della morte che divora stolti ed empi , ricchi e poveri nella stessa maniera. Non esiste un'assicurazione contro la morte , né un riscatto possibile da versare alla morte di cui siamo ostaggi : «per quanto sia alto il prezzo del riscatto della vita, esso non sarà mai sufficiente , così da vivere per sempre e non vedere la fossa !» (vv . 910) . Il riscatto lo può condurre a termine solo chi è superiore a ogni cosa come creatore, a ogni potenza come liberatore , alla morte e al male come Signore della vita, cioè Jahweh (salmi 25 ,22 ; 26, 1 1 ; 3 1 ,6; 34,23 ; 44,27 ; 55 ,19; 69 , 1 9 ; 71 ,23 ; 78,42 ; 1 1 1 ,9 ; 1 19 , 134; 130,7-8) . «Se Dio è l'eterno vivente , l'uomo mortale , abbandonato alle sue sole risorse , non può che morire ; e se l'uomo deve attendere da qualcuno un aiuto efficace davanti alla morte , costui non può essere che Dio . È notevole il fatto che il Sal 49 non usa che due volte la parola «Dio» : la prima nel v. 8 per dire che gli uomini non possono comperare Dio ; la seconda per dire che Dio può riscattare l'uomo (v. 9)» . 49

d) L 'itinerario della liturgia Pochi sono i documenti liturgici espliciti del salterio: oltre a quelli che considereremo tra poco, possiamo rimandare ai salmi 2; 21 ; 1 10 che riflettono liturgie regali, al Sal 136 che suppone coro e solista, all'epitalamio del Sal 45 , alle processioni dei salmi 1 1 8 ; 132; 48, 13-14 , ai cantici delle ascensioni (salmi 120- 134) a cui si potrebbero allegare i salmi 63 e 84, all'invitatorio del Sal 95 , alle notazioni disperse all'interno di alcune composizioni che sembrano postulare un Sitz-im-Leben cultico, alle interpretazioni di alcuni esegeti che trovano per alcuni salmi collocazioni liturgiche precise

49 P.E. BoNNARD, Un Psaume pour vivre. Le Psaume 49, in «Esprit et Vie>> , 88(1978) , p. 566.

195

(la festa del nuovo anno per i salmi 93 ; 96-99 a Jahweh re , secondo la scuola scandinava, la festa dell'alleanza per Weiser, le «liturgie della fedeltà jahvistica» per Castellino , ecc . ) . Non bisogna, però , dimenticare che , a livello terminale , l'intera collezione dei salmi è divenuta il fondamento della liturgia ebraica e cristiana e che tracce di usi cultici sono presenti in molte composizioni salmiche . Inoltre , come si è già ribadito , il singolo non prega mai prescindendo dalla comunità perché egli è sempre un membro del popolo e fetto che dialoga col Dio dell'alleanza . I pochi salmi più nettamente connessi aJla liturgia sono le cosiddette liturgie d'ingresso : più che disegnare il piano di un rito e le relative rubriche , questi testi si preoccupano di offrici un metodo per celebrare il culto in modo autenticamente jahvistico . Essi sono comparabili al nostro «atto penitenziale» antecedente alla celebra­ zione eucaristica . Mentre nelle culture della Mezzaluna Fertile le condizioni prerequisite per accedere al culto erano sostanzialmente rituali ed esteriori (purità , vesti , prassi sacrale rubricaria) , per questi salmi la purità tende a diventare sempre più etica ed esistenziale , così da impedire la riduzione del culto a magia o a tradizionalismo ipocrita . È in questa luce che si capisce il motivo del riferimento al decalogo presente in questi salmi . Il testo basilare dei rapporti uomo-Dio e uomo-uomo è la verifica essenziale dell'autenticità del culto . I salmi che appartengono a questo genere sono il 1 5 , il 24 e il 26 (cf. il 95) . Il Sal 15 è i l più rigoroso , anche a livello strutturale . I l testo si apre nel v. l con la domanda ufficiale d'ingresso al tempio , rivolta probabilmente dai fedeli al personale sacerdotale in servizio alle porte della «tenda» , designazione arcaizzante del tempio. La risposta dei leviti addetti all'ammissione della processione si sviluppa su undici enunciati (vv . 2-5b) . Si tratta delle norme fondamentali dell'etica , del diritto e della vita sociale d'Israele. I commi , positivi (vv . 2.4a.b) e negativi (vv . 3 . 4c.5ab) , sono così ripartiti : Tre condizioni generali (v. 2) : l . «camminare con integrità» 2. «praticare la giustizia» 3. «dire la verità dal cuore». Tre condizioni «Orizzontali» (v. 3): 4 . «Senza calunnia sulla lingua» 5. «non far male al prossimo» 6. «non lanciare insulti al vicino>> .

1 96

Tre condizioni «Verticali» (v. 4) : so 7. «spregevole ai suoi occhi i l malvagio» 8. «Onorare chi teme Jahweh» 9. «non esitare anche dopo aver giurato a proprio danno» Due condizioni economico-giuridiche (v. 5): 10. «non prestare denaro a usura» 1 1 . «non lasciarsi corrompere a danno dell'innocente» .

I sacerdoti che devono vagliare l'accesso al culto propongono come criterio di ammissione una vera sintesi delle esigenze etiche dell'intera alleanza tra Jahweh e Israele . Giustamente il Talmud affermava simbolicamente che «Davide ha ridotto a 1 1 i 613 comandamenti della torah» (Makkot 24a) . La totale assenza di elementi rituali e la riduzione della religione all'impegno esistenzia­ le inducono a vedere in questo «endecalogo» l'anima profetica. Più che di una serie di atti precisi , compiuti i quali si è pagata la «tassa d'accesso» al tempio , si tratta di un atteggiamento vitale permanen­ te che abbraccia l'arco intero dell'esistenza . Più che una norma legale il Sal 15 è un appello morale , è la definizione di un'opzione fondamentale che regge il comportamento quotidiano e che dà senso al culto e alla preghiera . In esso l'aspetto comunitario , oltre a quello personale ed esistenziale , ha un peso decisivo . Per giungere alla comunione dell'intimità liturgica con Dio nel tempio è necessa­ rio aver percorso il cammino della giustizia e della carità. Altrettanto interessante ma molto più complesso · e difficile anche a causa della sua arcaicità è il Sal 24 che si articola in un inno al creatore (vv. 1-2) , in una liturgia d'ingresso (vv . 3-6) e in un'epifania divina nel tempio destinata ad una processione liturgi­ ca. Noi ci fermiamo brevemente solo sulla liturgia d'ingresso . Anche qui abbiamo la domanda del fedele giunto alle soglie dell'area sacra : «Chi potrà salire il monte di Jahweh , chi potrà accedere al suo luogo santo?» (v . 3) . Il coretto dei sacerdoti risponde ora con tre condizioni (v . 4):

50 Pur essendo , come le tre precedenti , rivolte ad impegni «orizzontali>> , cioè connessi col prossimo , queste tre condizioni coinvolgono anche Dio : il «riprovato>> (da Dio) , «chi teme Jahweh>>, «giurare (nel nome di Dio)>> . Vedi K. KocH, Tempeleinlassliturgien und Dekaloge, in Studien zur Theolor!ie der alttestamentlichen Oberlieferungen («Fs . G . von Rad») , Neukirchen 1961 . pp. 45-60: J . A. SoGGIN , Il Salmo 15(14), in BOr, 12(1970) , pp. 83-90. Per la struttura del salmo: P. AuFFRET, Essai sur la structure littéraire du Psaume 15, in VT, 3 1 ( 1981 ) , pp. 385-399 ; L . M . BARR�, Recovering the literary structure of Ps 15, i n VT, 34( 1984) , p p . 207-21 1 .

197

l . «Avere mani innocenti e cuore puro». «Mani» e «Cuore»

rappresentano l'azione e l'intenzione (26,6; 73 , 13), cioè tutto l'essere dell'uomo che deve orientarsi radicalmente a Dio e alla sua legge . 2. «Non rivolgere il suo essere ( nefef) a vanità» . «Vanità, menzogna» è un termine del lessico anti-idolatrico (cf. Dt 5 , 1 1 . 17) . Si tratta, quindi , di una opzione «Verticale» di fedeltà religiosa (Sal 1 19 ,37) . 3 . «Non giurare a scopo fraudolento» (LXX «non giurare a danno del prossimo») . In una struttura socio-politica a matrice orale è fondamentale la tutela della testimonianza verbale (cf. Es 20, 1 6 ; Dt 5 ,20) .

Nella stessa linea va il Sal 26 che però pone in bocca all'arante due professioni d'innocenza (vv. 2-5 e 6-10) dai contenuti simili a quelli dei Sal 15 e 24, sullo sfondo della liturgia del tempio (vv . 6b.8). L'ideologia costante di tutti questi salmi è sostanzialmente quella, notissima , della profezia secondo cui il culto non dev'essere un alibi per sottrarsi agli impegni sociali di giustizia e di amore (Is 1 , 1 1-17; Am 5 ,21-24; Mi 6,6-8 ; Ger 6,20; Os 6,6; cf. Mt 5 ,23-24; Gc 1 ,27 ; Eb 13, 16) . «Tu non ami il sacrificio e se ti offro l'olocausto , non lo gradisci» , esclama l'orante del Miserere secondo la famosa «negazione dialettica» tipica della profezia . 51 E continua: «Lo spirito contrito è il sacrificio perfetto , un cuore contrito e umiliato, o Dio, tu non disprezzi» (5 1 , 18-19) . Ma il testo salmico che meglio esprime q uesta teologia è la grande «requisitoria» (rib) del Sal 50. Aperta da una solenne teofania (vv . 1-6) , la discussione che Dio stesso instaura col suo popolo si. articola nei vv . 7-23 su una vigorosa contrapposizione tra la vana lista dei sacrifici che Israele offre (vv. 9-13) e la lista morale che Dio gradirebbe venisse osservata e che Israele invece sistematicamente viola (vv. 18-21 ) : l . giovenchi

l . ladro

2. 3. 4. 5.

2. 3. 4. 5.

capri animali fiere uccelli

adultero bocca lingua sedere

st «Misericordia io voglio e non sacrificio» , afferma Os 6,6 nella stessa maniera. La «negazione dialettica» o «paradossale>> è un modo semitico totalizzante per esprimere la fondamentalità del primo elemento («misericordia») rispetto al secondo («Sacrificio») . Il senso , quindi , non è quello di una negazione assoluta del culto ma relativa: «non basta il sacrificio senza la misericordia>> . Cf. H. KRUSE, Die dialektische Negation als semitisches ldiom, in VT, 4(1954) , pp. 385-400.

198

6. insetti 7. tori

6. parlare 7. calunnie

«Proprio perché pronunziata da Jahweh stesso , che di volta in volta apostrofa, interroga, rimprovera, minaccia o esorta Israele , il Sal 50 possiede una potenza di accusa , contemporaneamente solenne e tragica , che non si ritrova che in Is 1 » . 52 La tesi è chiaramente formulata nella finale delle due liste : «Offri a Dio un sacrificio di lode . . . Chi offre in sacrificio la lode , costui mi glorifica , a chi è posto sulla (retta) via mostrerò la salvezza di Dio» (vv . 14.23) . Al vero Dio il vero sacrificio da offrire è la todah, il «culto spirituale» di cui parlava Paolo in Rm 12, 1 , cioè la lode pura e totale che è un atteggiamento interiore ed esistenziale . È la lode che sale dalla coscienza dell'uomo la vera «gloria» di Dio. È la «via retta» della giustizia il sacrificio che ottiene la salvezza perché accolto da Dio . È camminando in questo itinerario di giustizia che l'uomo offre al suo Dio l'unico atto religioso che dà valore a tutti gli altri . Anche la sapienza egiziana aveva intuito questo nell' Istruzio­ ne per Merikare : «La divinità gradisce maggiormente le qualità dell'uomo dal cuore giusto che il bue dell'uomo perverso» (2100 a . C . ) . Col Sal 50 e la sua contestazione di ogni alienazione sacrale e cultuale si ha un'appassionata difesa della vera fede e della vera liturgia. Una fede e un culto esigenti , concreti , sociali , radicati nell'esistenza , eppure veramente todah, lode e contemplazione.

e) L 'itinerario della lode pura «Dio è una meraviglia. Egli è ciò che vuole e vuole ciò che è senz'alcuna misura e senza scopo . . . Dio si dà senza misura: più l'uomo lo cerca , più egli si offre e si concede» . Queste parole tratte dal libro I e III del Cherubinischer Wandersmann di A. Silesio (Breslau 1657) sintetizzano limpidamente il contenuto e il modo poetico e teologico con cui prende vita il canto più alto del salterio , quello ionico , quello della lode pura, della contemplazione libera e spontanea in cui si ringrazia Dio non per un beneficio ottenuto ma per il solo fatto che egli esiste . Non per nulla , come si è detto , tutti i salmi sono stati chiamati in ebraico tehillim, > nei Sal 120- 134. L' «ascen­ sione» per alcuni sarebbe solo un dato letterario, cioè la struttura «ascendente» delle varie composizioni , per altri , sulla base di Esd 2 , 1 e Ne 7 ,6, sarebbero i canti degli esuli babilonesi che «salgono» di nuovo a Sion dopo la prigionia «Sui fiumi di Babilonia» . Per i LXX-Vg forse i salmi evocherebbero i 15 gradini che nel tempio segnavano il passaggio dal cortile delle donne a quello degli israeliti : alcuni hanno pensato che i leviti in occasione delle solennità cantassero un salmo per ogni gradino di questa scala. A Qumran , invece , probabilmente si pensava che questi salmi fossero «la lode che viene da te , Sion, e sale da tutto il mondo» (l lQPs• Zion , 12) . Ma forse queste «ascensioni» (ma 'al6t) sono da spiegare nel modo più semplice : Gerusalemme è a 800 m. e quindi il pellegrinaggio a Sion è un'ascesa fisica e mistica verso un «alto» spaziale e spirituale . Questi salmi, allora, sarebbero una raccolta 201

costituita dai liturgisti del secondo tempio post-esilico per accom­ pagnare i pellegrinaggi delle feste principali di Pasqua , Pentecoste , Capanne. Si spiega così il fatto che questi salmi tocchino argomenti diversi , sforzandosi di penetrare negli impegni fondamentali e nelle tesi principali della teologia jahvistica. «Sono come una sorta di catechismo popolare in poesia, ben cadenzato e facile da ritenere , offerto ai pellegrini in vista di aiutarli a prendere coscienza delle realtà della loro religione e a dare , come frutto del loro pellegrinag­ gio , più posto alle esigenze dello jahvismo nella loro esistenza di tutti i giorni» (L. Jacquet, III , 403) . Sion , se costituisce il fondale di tutti questi salmi , diventa per alcuni di essi il tema poetico e spirituale specifico . È il caso del Sal 122, un gioioso saluto alla città santa da parte di un pellegrino , saluto ritmato sull'assonanza sa/Om-Jeru!alaim, «pace-Gerusalem­ me» :'4 6«lmplorate pace per Gerusalemme ; vivano in pace coloro che ti amano , 7sia pace nelle tue mura , prosperità nei tuoi palazzi ! 8Per i miei fratelli e i miei amici dirò : Sia pace su di te ! » (cf. Ger 1 5 ,5) .

Gerusalemme è per eccellenza la «Casa di Jahweh» (vv. 1 .9) ed è , quindi , con dolcissimo stupore che il pellegrino ne vede i contorni , appena giunto alle soglie della città. I vv. 1-2 uniscono in una felice sintesi psicologica l'istante in cui si varcano le porte della città santa e il giorno ormai passato in cui si pronunziò la decisione sognata: «Andremo alla casa di Jahweh ! » , forse frammento di un canto dei pellegrini o formula fissa con cui si iniziava ufficialmente il pellegrinaggio (Is 2,3) . Nell'ebreo fedele l'arrivo a Gerusalemme genera una gioia elementare , primitiva, istintiva. Ricorriamo per un istante ad un altro mirabile cantico di Sion , il Sal 84: «Anche il passero trova una casa e la rondine il suo nido dove porre i suoi piccoli , presso i tuoi altari , Jahweh degli eserciti , mio re e mio Dio ! » (v. 4) . Il lungo cammino è dimenticato (121), anzi è stato superato quasi come in una corsa «di baluardo in baluardo ed ecco il Dio degli dèi appare in Sion ! » (84,8) . Il distacco è lacerante '4 Nel salmo , oltre che in una struttura letteraria , ci imbattiamo anche in una struttura sonora soprattutto nei vv. 6-9: sa'alu, se/om, Jeruialaim, jiSiaja, salom, salwah, salom, 'abaqsah e , nei vv. 3-5 , ancora Jeruialaim e poi sel}ubbrah, sessam, sebatfm, sibte, lesem, !ammah, ja!ba, miSpat. Vedi L. ALONSO-SCHOKEL - A. STRUS, Salmo 122: canto al nombre de Jerusalém, in Bib, 61( 1980) , pp. 234-250.

202

perché «un giorno nei tuoi atri vale più di mille» (84 , 1 1 ) . E per tutta la vita resterà sempre il desiderio fremente di Sion: «Dio , Dio mio , dall'alba io desidero te solo , di te la mia gola ha sete , la mia carne a te è protesa come terra arida , assetata, senz'acqua. Cosl nel santuario ti vorrei contemplare e vedere la tua potenza e la tua gloria» (63 ,2-3) . Ma ritorniamo al Sal 122. Giunto davanti alle porte di Gerusalemme il cantore tesse la sua lode di Sion , esaltata anche architettonicamente come «città compatta e unita» (v . 3) , con le sue mura, i suoi palazzi , coi suoi tribunali , con la «Casa di Davide» (v . 5) e soprattutto con la «casa di Jahweh» verso cui converge un fiume vivo di persone (cf. Sal 48 ; Tb 1 3 , 17-18) . Sion è il centro di unità delle dodici tribù ed è l ' unico luogo del culto legittimo , secondo la prescrizione di Dt 12, 13-14 e 16,16. È il luogo della prese nza viva di Dio nella dinastia di Davide . Infine , essendo la capitale politica, è anche la sede del giudizio (v. 5). Se è vero che la vita giudiziaria si celebra nell'ambito della piccola comunità locale (alla porta della città) , Gerusalemme è la sede dell'appello e delle sentenze per le questioni riguardanti il diritto sacrale e regale . È là che le controversie più radicali e qualificate trovano la loro composizione e il popolo da Sion parte come comunità trasformata , divenuta più giusta . Il salmo. allora . si conclude col saluto d'addio a Gerusalemme , città-sacramento della pace , perché sede della presenza di Dio in mezzo all'umanità. Nel v. 9 a sal6m si aggiunge come saluto t6b, «bene», in un «pace e bene» quasi francescano per questa città in cui tutti , ebrei , cristiani , musulmani , hanno diritto di cittadinanza perché «tutti là sono nati» (87,4) . Il secondo oggetto della lode è il regno di Dio, cioè l'azione effica­ ce che Dio dispiega nella storia e nel cosmo . Jahweh malak, «Jahweh regna ! » , è l'acclamazione tipica di questi inni sui quali siamo già inter­ venuti soprattutto a causa delle varie interpretazioni a cui sono stati sottoposti nella storia dell'esegesi . Questi salmi , che in un certo senso preparano la predicazione di Cristo Sl;ll regno di Dio («Venga il tuo regno !») , vogliono tracciare le linee d i forza dell'azione divina «ad extra» . Il mondo e la storia non sono un regno di forze cieche né un campo neutro in cui si scontrano giochi assurdi di divinità ma sono l'oggetto di un progetto di giustizia e di salvezza . 55 Il primo di questi 55 Vedi E . LJPINSKI, La royauté de Yahvé dans la poésie et le culte de l'ancien Israel, Bruxelles 1965 e J . CoPPENS , Règne de Dieu. l. Ancien Testament, in DBS, 10(1982) , pp . 297-3 10.

203

carmi a Jahweh re è il Sal 47 , un solenne inno di parata accompagnato da un'orchestra cosmica ( vv . 2. 7). Il tema è svolto in chiave universali­ stica ( vv. 4. 9 . 10a) ed è espresso in entrambi i quadri del dittico su cui è distribuito il cantico : v. 3 : >

v. 8: «Re di tutta la terra è Dio . . . » v. 9: «Dio regna sulle genti !»

Il fascicolo degli inni a Jahweh re è posto , però , nel IV libro dei salmi (93 ; 96-99) : c'è il «cantico nuovo» del Sal 96 dedicato al Signore re , creatore , salvatore , giudice ; c'è la poderosa teofania cosmica e storica del re della luce nel Sal 97 («le sue folgori illuminano il mondo . . . una luce è spuntata per il giusto») ; c'è nel Sal 98 un altro «cantico nuovo» a Dio , re e giudice , un cantico per coro e orchestra cosmici ; c'è il Sal 99 che , dopo aver presentato Jahweh che regna in Sion , in Giacobbe e sui popoli (vv. 1-4) , descrive il dialogo d'alleanza che intercorre tra il Signore e Israele (vv . 6-8) . Noi cerchiamo ora di illuminare il Sal 93 , un piccolo salmo , simile a una miniatura , ma che pone seri problemi testuali soprattutto a proposito dell'ultimo versetto (v. 5) che , sullo stesso testo consonantico, è passibile di due versioni , la prima forse originale , la seconda dovuta alla vocalizzazione del TM .56 Il carme si apre con l'acclamazione classica Jahweh malak: il salmo si rivela subito come un inno entusiastico a Jahweh re dell'universo , ordinatore del cosmo e legislatore supremo della storia (Sal 19) . Al centro dello scenario campeggia il Signore come un sovrano assiso sul suo trono incrollabile (v . 2) , il cui manto è lo splendore della luce e la cui cintura è la sua onnipotenza (v. 1 ) . Secondo la cosmologia biblica il mondo è visto come un blocco che si erge sull'oceano primordiale , simbolo del nulla e delle forze che insidiano la creazione . Una colossale tempesta marina lancia le sue onde contro la terraferma e persino verso il cielo nel vano tentativo di annichilire l'opera creata da Dio : «Alzarono i fiumi , Jahweh , alzarono i fiumi il loro rombo , alzarono i fiumi il loro fragore 56

Ecco le due possibilità : tuo trono è fermamente stabile nel tuo tempio i santi ti glorificano per la durata dei giorni, o Jahweh! Il

204

TM : l tuoi decreti sono infallibili, la santità si addice al tuo tempio per la durata dei giorni, o Jahweh!

marino» (v. 3). Inutilmente le acque ribelli alzano per tre volte la loro protesta contro il dominio sovrano di Dio . Egli , dall'alto della sua trascendenza, controlla e vince con la sua potenza il caos ribelle : «Più possente del rombo delle grandi acque, più possente dei flutti del mare , in alto è Jahweh l » (v . 4; cf. Gb 38 ,10- 1 1 ) . Questo Dio immenso , onnipotente e invincibile è però vicino ad Israele . Nella lezione forse originale del v. 5 al trono altissimo dei cieli succede il trono dell'arca nel tempio di Gerusalemme , alla potenza della sua voce cosmica subentra la dolcezza della sua parola, della torah (v. 5 secondo il TM) . Egli, però , non riceve l'investitura come sovrano da nessuno , s'impone da sé , rimanendo fuori e sopra della portata delle acque . Ma nell'instaurazione del regno entrano in giuoco anche la libertà e l'adesione dell'uomo : «Nel tuo tempio i santi ti glorificano» (v . 5b secondo l'originale) . Fondati sulla roccia cosmica del tempio, trono di Jahweh re , i fedeli vivono nella lode e nella speranza, certi che , per quanto aggrovi­ gliato e mostruoso , contorto e tormentato possa sembrare il mondo o la storia, tutto è sotto il controllo supremo del Dio della vita , dell'essere e dell'amore . I cantici di Jahweh re sono , quindi , il segno dell'ermeneutica, al tempo stesso ottimistica e realistica , che la Bibbia ci offre della storia. È in questa luce che il fascicolo di questi cantici confluisce idealmente in quella cantata liturgica di lode , di gioia e di fede che è il Sal 100. La Interpreter's Bible ha elencato all'interno di questo salmo sei asserti capitali del credo post-esilico: l . Jahweh è Dio

2. 3. 4. 5. 6.

Jahweh è il nostro creatore Noi siamo il suo popolo Jahweh è buono Il suo amore (IJ.esed) è eterno La sua fedeltà ('emunah) è eterna.

I salmi di Jahweh re sostanzialmente ci ripetono in forma poetica l'asserto centrale del Sal 100 (v . 3) , quello che G. Fohrer ha definito il «Mittelpunkt>> , il punto centrale della teologia veterote­ stamentaria: «Riconoscete che Jahweh è Dio , egli ci ha fatti e perciò noi siamo suo popolo e gregge del suo pascolo». Giungiamo , così , alla terza ragione della lode : se Dio è il re del cosmo , l'universo intero è una sua parola . Il Sal 19 afferma che quella parola è più complessa e segreta di quanto lo sia quella della 205

torah . Tuttavia i salmi della creazione sono spesso convinti che sia facile lodare il creatore partendo dallo splendore delle sue creature (104 , 1 ) . Anzi , spesso è il creato intero che si trasforma in un'immensa ovazione che sale a Dio : «Gioiscano i cieli , esulti la terra, rombi il mare e quanto racchiude , si rallegri la campagna e quanto contiene , esplodano di gioia tutti gli alberi della foresta davanti a Jahweh che viene» (96,1 1-13). In questo concerto cosmico di lode la voce più alta è quella della creatura suprema di Dio , l'uomo , che con tutto il suo essere loda il Signore , che «con atti prodigiosi lo ha fatto mirabile» (139, 14) : «Voglio cantare a Jahweh finché avrò vita, voglio inneggiare al mio Dio finché esisterò ! » (104,33) . La formulazione più precisa della dottrina della creazione, anche se intuita ed espressa simbolicamente già in epoca arcaica , è da connettere al post-esilio (Gn 1 , 1 -3 ; Is 40,22ss ; Sal 136) ed entra stabilmente nel patrimonio della fede biblica che sempre rifiuterà ogni tentazione dualistica o immanentistica. Tuttavia, proprio come è attestato dal credo innico del Sal 136, la creazione non è presentata come un atto «cosmico» semplicemente , né come un dato da approfondire solo «sapienzialmente» , cioè filosoficamente ; essa è il primo atto della storia della salvezza , essa viene integrata nel progetto salvifico divino, essa è sempre posta in interazione con la signoria storica di Jahweh . Esemplare in questo senso è il Sal 33 , il cui «corpus» è continuamente ritmato sulla parola creatrice di Dio e sulla sua parola provvidente storica (vv . 6-19) . Appare , tra l'altro, la teologia della parola come strumento della creazione : si tratta di un «theologumenon» , noto anche alla cosiddetta «teologia menfitica» egiziana . Esso permette di salvaguardare la trascenden­ za del creatore pur nell'efficacia del suo atto creativo . Ecco tratto da una strofa del Sal 33 - un nitido asserto creazionistico : 6«Dalla parola di Jahweh furono fatti i cieli , dal soffio della sua bocca tutto il suo esercito . 7Come in una giara raccoglie le acque del mare , colloca in serbatoi gli abissi . ll'fema Jahweh tutta la terra! Tremino davanti a lui gli abitanti del mondo 9perché egli ha parlato e tutto fu ha comandato e tutto esistette» .

In pratica nel v. 6 s i evocano il primo e il quarto giorno dell'esamerone di Gn l . Con la serenità e l'efficacia d'un soffio , 206

d'un «flatus vocis» , Dio crea questa mastodontica calotta che sono i cieli e su di essa distribuisce lo splendore vivido delle stelle , il suo «esercito» (Go 2 , 1 ; Is 40,26 ; Sal 103 ,20-21 ; 147 ,5 ; 148,5) , a lui sottomesso (in polemica contro ogni tipo di idolatria astrale) . Il v. 7, attraverso l'immagine dell'otre o della giara , disegna le opere del secondo e terzo giorno della creazione secondo Go 1 ,9-10. L'ac­ qua, ricordo simbolico del caos, è ora addomesticata da Dio che la può usare come strumento di fecondità e non solo di distruzione , secondo la nota bipolarità del simbolo «acqua». Il cielo , considera­ to in oriente come una sfera metallica, sostiene i serbatoi delle acque cosl da non lasciarle piombare come nel diluvio , ma farle scendere , attraverso feritoie , in pioggia benefica ad irrorare la terra . Al centro di questo cosmo ordinato appare Jahweh come il sommo Pantokratòr, Signore di tutta la terra e di tutta l'umanità che sono davanti a lui nell'atteggiamento dell'adorazione (v . 8) . E tutti e tutto dipendono dalla sua parola che al nulla fa subentrare l'essere , al deserto la vita , alla solitudine la comunione : «eius dixisse, fecisse est» , commentava lapidariamente s. Gerolamo (cf. 107 ,20 ; 147 18) . ' La creazione diventa, cosl, la sostanza poetica e religiosa di liriche stupende del salterio . Scorriamone brevemente alcune , tutte celebri , a cui abbiamo già alluso altre volte . Iniziamo col Sal 29 , forse il salmo più antico (Kraus) , derivato simbolicamente e lessicalmente dal repertorio liturgico cananeo (XII sec. a. C . ? ) . Alcuni esegeti pensano che i l nucleo centrale d i questo «Gloria in excelsis dell'AT» (Weiser) sia stato mutuato dal mondo indigeno pre-israelitico, con ardito ecumenismo : infatti a Ugarit era cantato più o meno negli stessi termini B aal-Hadad , il dio della tempesta fecondatrice e devastatrice .57 Lo scenario centrale è costituito da una tempesta, còlta nel suo progressivo e violento dispiegarsi (vv . 3-9a) . Essa è scandita da un vocabolo onomatopeico ripetuto in crescendo sette volte , q o/, che significa sia «tuono» sia «voce» (di Dio) e che , col suo rimbombo , evoca il clamore cupo del tuono . Scoppiano i primi tuoni in lontananza : la tempesta sta muoven­ dosi da sud-ovest , dal «mare» Mediterraneo (v . 3 ) e si sposta verso il nord . Vaga sulla distesa sconfinata del mare che evoca l'ammasso primordiale delle acque della creazione (Go 1 ,9) . Ora gli scoppi si 57 Per la questione , per l'esegesi e la bibliografia vedi il nostro Il Libro dei Salmi, vol . l, pp. 521-543 . Aggiungiamo l'opera di P.C. CJWGJE, Ugarit and the Old Testament, Grand Rapids 1983 .

207

fanno più vicini (vv. 5-6) , incombono sulla costa e sulla terraferma: i cedri altissimi sono fracassati dalle folgori , le catene montuose del Libano e del Sirion (equivalente fenicio dell'Hermon biblico) , sotto questa implacabile irruzione , sembrano balzare come animali impauriti . La tempesta è ormai sopra lo spettatore (vv. 7-9) : i lampi sono accecanti , la steppa e il deserto meridionale sono coinvolti in questo turbinio che per il suo terrore fa partorire prematuramente i mufloni . Al dinamismo accelerato del quadro centrale si contrap­ pone la calma olimpica della sfera di Dio che fa da cornice inclusiva (vv . 1-2 e 9b- 1 1 ) all'inno vero e proprio . Nella corte di Jahweh i «figli di Dio» , cioè gli angeli (gli dèi inferiori nel mondo cananeo) , cantano la «gloria» divina e si prostrano a lui nella pace della trascendenza celeste . Nel tempio i fedeli cantano la «gloria» divina cosicché Gerusalemme celeste e Gerusalemme terrena si fondono in un'unica preghiera di lode mentre fuori imperversa la tempesta. Dio è nel «tremendum» della natura e della storia ma è anche il > , perfetta «irradiazione della gloria e impronta della sostanza divina>> (Eb l ,3) , il Cristo . Egli è l'unico che sull'universo regna con quel dominio di pace e di amore che prepara il nuovo mondo coi «nuovi cieli e la nuova terra>> (2Pt 3 , 13) . La festa notturna che l'inno suppone , nella lettura cristiana , acquista un significato inatteso : diviene l'annunzio della notte di natale in cui un fanciullo , «coronato di gloria e di magnificenza>> , inizierà la costituzione di una nuova umanità. La lode pura nella preghiera del salterio coinvolge tutto l'essere attraverso l'uomo che a tutto l'essere deve dare voce . Questo sentimento è messo a tema in modo chiaro dal Sal 148, ma appartiene a tutta l'innologia biblica. Il Sal 148 è un vero e proprio Te Deum cosmico che fa sfilare tutta la creazione davanti al creatore per un ultimo , infinito hallelujah : tutto il salmo è martellato dall'halleluhu, «lodatelo b> , celeste e terrestre . Nei cieli lo acclamano le altezze , gli angeli , l'esercito celeste , sole e luna , le stelle lucenti , i cieli dei cieli e le acque celesti ( vv. 1-6) . Sulla terra lo lodano i mostri marini, gli abissi , il fuoco , la grandine , la neve , la nebbia, il vento di bufera, i monti , le colline , gli alberi da frutto , i cedri , le fiere , gli animali domestici , i rettili , gli uccelli , i re , i popoli, i principi , i giudici , i giovani , le fanciulle , i vecchi e i ragazzi . Tutti gli abitanti del cielo e della terra sono convocati su una gradinata ai loro posti per costituire un coro e un'orchestra che innalzi la sua lode a Jahweh . «> , New York 198 1 .

223

Data la natura dialogica della rivelazione biblica , possiamo dire che alla parola divina incarnata negli atti storico-salvifici e nella Bibbia corrisponde la reazione dell'uomo , fatta di fede e di lode ma anche di dubbio e di peccato . I canti d'Israele sono, perciò, innestati nella storia della salvezza che diventa, non solo il luogo privilegiato della rivelazione divina ma anche quello della risposta umana al Signore liberatore . Usando la terminologia di C. Wester­ mann / si potrebbe affermare che i canti oranti d'Israele sono quasi costantemente una lode narrativa contrariamente alle lodi descritti­ ve, cioè costruite su attributi divini astratti e atemporali , tipiche delle culture extrabibliche .3 Il nesso con la storia è, quindi , strutturale nel culto ebraico e la base per tracciare un quadro e organizzare un'antologia del «secondo salterio» d'Israele potrebbe essere il credo d'Israele nei suoi vari articoli storici di fede , dai patriarchi all'esodo , dal deserto alla terra promessa e conquistata , dalla monarchia all'esilio , al giudaismo , partendo forse dalla stessa creazione , come insegna il «grande Hallel» , il Sal 136. Noi , però , prima di avviarci in questo itinerario storico-poetico, vorremmo offrire qualche nota sintetica sulle origini della poesia biblica.

l . I primordi dei canti d'Israele « Cantate a Jahweh perché ha mirabi lmente trionfato ! » (Es 1 5, 2 1 )

Come per ogni altra civilizzazione è difficile isolare le radici della genealogia letteraria della poesia d'Israele . Le ragioni sono molteplici . Di teoria estetica: si pensi all'eterno dilemma sui confini e sul primato storico tra poesia e prosa . Di linguistica : si pensi alla definizione della matrice lessicale , grammaticale e sociologica iniziale (nel semitismo si aggiunge la questione dell'assenza di un

2

87.

C. WESTERMANN, Das Loben Gottes in den Psalmen, Gottingen 1954 , pp. 83-

3 Vedi , ad es . , W . W . HALLO, Individua/ prayer in Sumerian: the continuity of a tradition, in «Journ . of American Orientai Society••, 88( 1968) , pp. 71-89 ; G . R . CASTELLINO, Testi sumerici e accadici, Torino 1977 ; A. BARUCQ - F . DAUMAS , Hymnes et prières de I'Egypte ancienne, Paris 1979 ; P. AuFFRET, Hymnes d'Egypte et d'/sraid. Etudes de structures littéraires, Gottingen 198 1 .

224

sicuro impianto vocalico) . Di Formgeschichte: i primordi poet1c1 biblici sono contrassegnati da una tradizione orale che usa «forme» , stilemi e complessi sistemi di trasmissione . Di Redaktionsgeschich­ te: l'antico testo, cristallizzato in scritti successivi , subisce palesi o occulte manipolazioni , inserzioni , attualizzazioni . Di storiografia : la distanza storica può essere talvolta invalicabile e può oscurare la comprensione delle connotazioni o del senso ultimo di un testo anche ben conservato . Di critica testuale: nella vicenda della trasmissione e dell'uso , soprattutto liturgico , il testo di carmi arcaici può subire lesioni , riedizioni , restauri che lo rendono fluido e in alcuni casi da restaurare . Di stilistica : pensiamo al valore del parallelismo (sinonimico, antitetico , sintetico, progressivo , ecc.) «scoperto» già nel 1753 da W. Lowth , alla qualità cromatica e non quantitativa della metrica semitica, ecc. Di filologia comparata : con un riguardo particolare al contributo offerto dall'ugaritico, lingua cananea sorella dell'ebraico. Di cronologia: l'esordio poetico ebraico , sulla scia di elementi pre-israelitici , viene di solito collocato attorno al XII sec. a.C. ma la determinazione dei testi primordiali è oggetto di aspre dispute .4 Storia, cosmo , esistenza umana sono sostanzialmente gli «uni­ versali» attorno ai quali sbocciano le prime intuizioni poetiche . È attorno a questi nodi che anche noi organizziamo empiricamente questo quadro antologico dei reperti poetici arcaici della Bibbia.

4 Ecco solo un'immagine della discussione scientifica sulla poetica biblica attraverso qualche titolo emblematico , oltre all'o .c. di L. Alonso-Schokel : E . KONIG, Die Poesie des A T, Leipzig 1907 ; A . CAUSSE, Les plus vieux chants d e la Bible, Paris 1926 ; E . DHORME, La poésie biblique, Paris 193 1 ; W.F. ALBRIGHT, A C_f:J talogue of early hebrew lyric poems, in HUCA , 23( 1950-5 1 ) , pp. 1-39; G . FOHRER, Uber den Kurzvers, in ZAW , 66(1954) , pp. 192-236 ; H. SEGERT, Problems of hebrew prosody, in VTS , 7( 1959) , pp. 283-291 ; S. GEVIRTZ , Patterns in the early poetry of Israel, Chicago 1963 ; H. KosMALA , Form and structure in ancient hebrew poetry, in VT, 14 ( 1964) , pp . 423-445 ; 16( 1966) , pp. 152-180; K. ELLIGER, Ein neuer Zugang?, in «Fs . L. Rost», Berlin 1967, pp. 59-65 ; W.F. ALBRIGHT, Yahweh and the gods of Canaan, London 1968 , c. I ; M . DAHOOD , Psalms I-III, New York 1966- 1970; J . J . GLUECK , Assonance in ancient hebrew: sound patterns as literary device, i n > interviene e libera e allora la supplica si trasforma in ode di ringraziamento . Ecco davanti a noi il celebre «canto del mare» o «canto di Mosè» innestato nella prima sezione dell'Esodo (c. 15) come vertice della liberazione . Il carme ha dietro le spalle una complessa vicenda di Formgeschichte. 13 Il primo stadio dell'inno è probabilmente conservato nel «canto di Maria» di Es 15 ,21 : «Cantate a Jahweh perché ha mirabilmente trionfato : ha

1 3 Non affrontiamo le questioni specifiche letterarie ed esegetiche per le quali rimandiamo a S. GAROFALO, L'epinicio di Mos�. in Bib, 18( 1937) , pp. 1 -22 ; M. ROZELAAR, The song of sea (Ex 15, lb-18), in VT,2( 1952) , pp. 237-250 ; F.M. CROSS ­ D . N . FREEDMAN , The song of Miriam, in JNES, 14( 1955) , pp. 237-250; N . LOHFINK, De Moysis epinicio (Ex 15, 1 -18), in VD , 41 ( 1963) , pp. 277-289 ; F.M. CRoss , Canaanite myth and hebrew epic, Cambridge (Mass . ) 1973, pp . 120- 144; F. FoRESTI , Composizione e redazione deuteronomistica in Es 15, 1 -18, in «Lateranum>> , 48( 1982) , p p . 41-69 ; F.-E. WILMS , l miracoli nell'A T, Bologna 1985 , pp. 179- 185. Per il midra� giudaico vedi U . NERI ed . , lt canto del mare. Omelia pasquale sull'esodo, Roma 1976.

241

gettato in mare cavallo e cavaliere !». Questo frammento è centrato sulla professione di fede nell'evento della liberazione . Da questo nucleo originale si è espanso il secondo stadio dell'inno fatto di un'am­ pia descrizione epica della liberazione in otto strofe (vv . 1b-12 ) : 1«Voglio cantare in onore di Jahweh perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere ! 2Mia forza e mio canto è Jahweh, egli mi ha salvato !

È il mio Dio e lo voglio lodare ,

è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare ! 3Dio è prode in guerra , suo nome è Jahweh. 41 carri del faraone e il suo esercito ha gettati in mare,

i suoi soldati scelti furono sommersi nel mar delle Canne! 5L'abisso li ricoprì e sprofondarono come un masso. 6La tua destra, Jahweh, terribile per potenza , la tua destra , Jahweh, annienta il nemico . 7Con sublime grandezza abbatti i tuoi avversari , scateni la tua ira che li divora come paglia. 8Al soffio della tua collera si ammassarono le acque , come un argine si levarono le onde , l'abisso si rapprese in fondo al mare. 911 nemico aveva detto :

Inseguirò , raggiungerò , dividerò la preda, si sazierà la mia brama, sfodererò la spada , li conquisterà la mia mano ! 10Soffiasti col tuo alito . Il mare li coprì e come piombo sprofondarono in acque profonde. 1 1Chi è come te fra gli dèi , Jahweh? Chi è come te , maestoso in santità, tremendo nelle gesta , operatore di prodigi? 12Stendesti la destra : li inghiotti la terra! » .

A l centro d i questo grande quadro bellico domina l a figura onnipotente del Signore guerriero , supremo arbitro della storia e dell'universo . Alle armate umane egli oppone la sua «destra» che brandisce la sua panoplia cosmica , cioè l'armatura delle forze naturali da lui create , tipizzate soprattutto nel mare caotico , simbolo del nulla e della distruzione ( Sap 18,15 ) . Ma l'inno , divenuto uno dei testi classici della liturgia ebraica e cristiana, ha subito un'ultima attualizzazione comprendente l'arco intero della 242

vicenda esodica . Dal deserto il movimento del popolo , e quindi dell'inno, si sposta fino alla terra promessa, anzi fino a Sion, cuore della nazione e del culto d'Israele , soprattutto secondo la teologia deuteronomistica che aveva appoggiato la centralizzazione del culto a Gerusalemme . È questo il terzo stadio di elaborazione dell'inno , concluso da un'acclamazione liturgica ( v . 18) salmica (Sal 10, 16; 29, 10 ; 93 , 1 ; 96, 10; 146,10; Mi 4,7) . 13«Guidasti col tuo amore il popolo che hai riscattato, con forza lo conducesti alla tua santa dimora. 14Hanno udito le nazioni e tremano , dolore ha colto gli abitanti della Filistea, 15si spaventano i principi di Edom, i capi di Moab sono presi dal terrore , tremano tutti gli abitanti di Canaan. 16Paura e terrore piombano su di loro, per la potenza del tuo braccio si immobilizzano come pietra, finché sia passato il tuo popolo, Jahweh , finché sia passato il popolo che ti sei acquistato . 11Lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, il luogo che per tua sede , Jahweh, hai preparato , il santuario che le tue mani , Jahweh, hanno fondato ! 18]ah weh regna in eterno e per sempre!».

Sono evidenti i temi della teologia di Sion, sede della presenza spaziale (tempio) e storica (dinastia davidica) di Dio , teologia cara a Isaia (2, 1-5) , al Deuteronomio e alla liturgia (Sal 46-48; 76; 84; 87 ; 93 ; 96-99; 122) . La redazione definitiva dell'ode è , quindi , quella deuteronomistica che l'ha adattata anche alla liturgia di Sion . Ma questo canto è autenticamente profetico perché aiuta a scoprire nell'interno della storia la dimensione escatologica della salvezza . È per questo che l'inno ha avuto anche un futuro , una storia davanti a sé . Una prima ripresa è conservata nella finale del «libro dell'Emmanuele» di Isaia (cc. 7-12) . Si tratta di un inno forse del Secondo Isaia e quindi post-esilico che cita Es 15 ,2 nell'inizio (Is 12 ,2) ed Es 15 , 1 nella fine (Is 12,5) . Un solista intona il cantico partendo da una sua esperienza personale (Is 12,1-3) . È la gratitudine per una consolazione ottenuta , un tema, questo , caro al Secondo Isaia (ls 40 , 1 ) . La radice di questa gioia è in Jahweh «mia salvezza» , esplicitazione del 243

significato del nome «Isaia» (v. 2) . Ma questa esperienza viene comunicata all'intero Israele sotto l'immagine dell'acqua: «Attin­ gerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza>> (v. 3; vedi Is 55 , 1 : «O voi tutti assetati , venite all'acqua !») . Al solista subentra l'intera assemblea liturgica con un canto tutto intessuto di imperati­ vi innici : «Lodate , invocate , proclamate , cantate , gridate ! » (vv . 46) . L'invito a celebrare il «Santo d'Israele» (Is 1 ,4 ; 5 , 19.24 . . . ) è esteso «a tutta la terra». Ora non è più il nome del profeta in questione , ora è celebrato il «nome» stesso di Jahweh , un nome grande e liberatore (v . 4) che Israele deve testimoniare ed annunziare a tutti i popoli . Sappiamo già che l'ultima sezione del libro della Sapienza , gioiello della letteratura giudaica alessandrina , contiene un midras poetico sull'esodo (cc. 1 1-19) . Questa meditazione si conclude appunto con un inno che è il nuovo canto dell'esodo definitivo e perfetto (Sap 19 ,6-21). Il poeta considera l'esodo come una ri­ creazione ed è per questo che egli l'accosta alle origini del cosmo e dell'uomo . Si tratta di una visione cosrno-soteriologica alla cui definizione contribuiscono anche elementi desunti dalle cosmologie ellenistiche , come quelli riguardanti il metabolismo dei vari esseri che acquistano forme nuove e insospettate . La prima strofa (19 ,6-12) è ritrnata su un contrappunto tra creazione ed esodo , così da concepire la liberazione come una riedizione della Genesi . La nube esodica richiama le tenebre primordiali ; il rnar Rosso , divenuto pianura asciutta e verdeggiante , evoca la terra arida da cui spunta il primo fogliarne ; le quaglie del deserto (Nrn 1 1 ,31) rimandano alla produzio­ ne degli esseri viventi nella creazione . Dio non è, quindi , indifferente alle vicende del suo popolo : gli offre il sostentamento per la marcia (v . 1 1 ) , gli stende innanzi una strada che sarà calcata dai salvati . Ma all'azione divina si oppone il peccato dell'uomo : è l'anti­ creazione descritta dalla seconda strofa ( vv . 13- 17) ed esemplificata nel peccato «originale» di Sodorna (gli inizi della storia) e in quello della persecuzione egiziana (esodo) , entrambi riconducibili alla ma­ trice comune della violazione del diritto sacro dell'ospitalità. Sui pec­ catori piomba l'identica punizione divina : tenebre e cecità per i sodo­ miti (Gn 19, 1 1) e piaga delle tenebre per gli egiziani (Es 10,21-28) . L'ultima strofa (vv. 18-21) si placa in una visione idilliaca sulla scia di una metafora musicale (« . . . come le note di un'arpa che variano la specie del ritmo» , v. 18) . Nella creazione ormai pacificata la manna esodica si trasforma in manna celeste (v. 21) destinata - come il nuovo mondo - agli eletti dell'ultimo e definitivo esodo . Ultimo 244

esodo descritto anche dall'Apocalisse che in bocca agli eletti porrà «il cantico di Mosè , servo di Dio» (Ap 15 ,3) .

b) Il canto del deserto Tra l' «uscire» deli' esodo dali 'Egitto e l' «entrare» nella terra di Canaan ci sono però lo spazio e il tempo intermedi del deserto, luogo dell'attesa, del rischio , della tentazione ma anche dell'intimi­ tà (Dt 8; Os 2) . In esso operano forze anti-salvezza che si pongono davanti alla libertà di Israele la cui scelta tra le «due vie>> (Sal l) diventa decisiva per la piena attuazione dello stesso gesto di salvezza compiuto da Dio . La preghiera del deserto riflette perciò tre atteggiamenti fondamentali d'Israele durante la marcia verso la terra promessa. Innanzitutto c'è la supplica per la sopravvivenza contro la resistenza frapposta dal cosmo alla salvezza. L'uomo nel deserto è proteso solo verso le necessità fondamentali dell'acqua e del cibo . La preghiera per l'acqua, spesso scoraggiata o venata di polemica nei confronti di Dio e di Mosè (il famoso «mormorare» : Es 15 ,24; 16,2.7-9. 12; 17,3; Nm 14,2.27.29 . 36; 16 , 1 1 ; 17,6.20.25 ; cf. Gv 6,41) , occupa il racconto di Es 17, 1-7 («Mosè invocò l'aiuto del Signore») , riedito dal P in Nm 20, 1-13 e commentato midra�ica­ mente da Paolo in lCor 10, 1-5 . Nelle solitudini del deserto la natura si oppone a Israele anche coi serpenti (Nm 21 ,6-9): «> della misericordia corrispondono la «terza e quarta generazione>> del castigo (Es 20,5-6) . Basta solo che l'uomo riconosca il suo peccato come fa Mosè nella supplica di risposta al credo pronunzia­ to da Dio : «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi , mio Signore , che il Signore cammini in mezzo a noi ! Sì , è un popolo di dura cervice ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato e fa' di noi la tua eredità! » (Es 34,9) .

Il perdono divino libera e ri-crea Israele come «eredità» del Signore nel legame intimo dell'alleanza, nella reciproca apparte­ nenza (Dt 4,20; 9,26.29 ; 32 ,9) . Il Dt raccoglie alla fine della vita di Mosè due carmi arcaici e li pone idealmente in bocca alla grande guida dell'esodo . Il secondo è la benedizione-testamento (Dt 33) che abbiamo già citato ; il primo è , invece , un eccezionale e monumentale cantico a struttura complessa e a cronologia incerta . 15 Innegabili sono tratti e stilemi arcaici che spingono a considerare il testo forse dell'XI sec. a.C. (gli oppressori d'Israele citati sarebbero , allora, i filistei) . Tuttavia sono altrettanto innegabili contatti con la letteratura profetica per

1 4 Nm 14,18; Dt 5 ,9-10; Ger 32 , 1 8 ; Na 1 ,3 ; Gl 2 , 1 3 ; Gio 4,2; Ne 9 , 1 7 . 3 1 ; Sal 86,5 . 1 5 ; 103,8; 1 1 1 ,4; 1 1 2,4; 145,8. 1 5 Vedi A . J . LEVI , The song of Moses, Paris 1930; P.W. SKEHAN , The structure of the song of Moses in Deuteronomy, in CBQ, 13(195 1 ) , pp. 153-163 ; P. WINTER , Der Begriff «Sohne Gottes» in Mose/ied, in ZAW, 67(1955) , pp. 40-48 ; E. BAUMANN, Das Lied Moses (Dt 32, 1 -43) auf seine gedankliche Gesch/ossenheit untersucht, in VT, 6( 1956) , pp. 414-424 ; W.F. ALBRIGHT, Some remarks on the song of Moses in Deuteronomy 32, in VT, 9(1959) , pp. 339-346 ; W.L. MoRAN, Some remarks on the song of Moses (Dt 32), in Bib, 43(1962) , pp. 3 17-327 ; G . E . WRIGHT, The lawsuit of God: a form-critical study of Deuteronomy 32, in «Fs . J . Muilenburg» , New York 1962, pp. 26-67 ; J . R . BosroN , The wisdom influence upon the song of Moses, in JBL, 87( 1968) , pp. 198-202 ; J . HARV EY, Le plaidoyer prophétique contre lsrael après la rupture de /'alliance, Bruges-Paris-Montréal 1967, pp. 31-36 ; P. Bu1s, Le Deutéronome, Paris 1969 , pp. 417-43 1 .

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cui si può ipotizzare una redazione definitiva in epoca tarda , post­ deuteronomica (VI sec. a.C. ; gli oppressori sarebbero, allora , i babilonesi). Non possiamo qui affrontare le molteplici questioni esegetiche che il testo pone né citarlo integralmente . Ci acconten­ tiamo solo di offrire un piano di lettura che si articola in due grandi movimenti (vv . 1-25 e vv . 26-43) . Il primo riguarda Israele e , come è stato dimostrato da J . Harvey, ricalca lo schema del rib, cioè di quella lite giudiziaria che i profeti instaurano tra Dio e l'Israele infedele agli impegni dell'alleanza (Is 1 ,2-3 . 10-20; Mi 6, 1-8; Ger 2 ,4-13.29 ; Sal 50,4-23) . l . Primo movime nto : Israele (vv . 1 -25) l.

Convocazione del cielo e della terra come testimoni (vv . 1-3) L'introduzione , che raccoglie in sé elementi sapienziali , presenta il riferimento ai cieli e alla terra, testimoni cosmici dell'alleanza: > , la tenerezza per Israele bambino perso nel deserto, il glorioso ingresso nella terra promessa . 5 . Il peccato d'Israele ( vv . 16-18) Alle azioni di Dio la risposta di Israele è stata una collezione di peccati , espressi soprattutto nell'idolatria . È ormai l'espli­ cita dichiarazione di colpevolezza di Israele . 6. Le minacce della collera divina (vv . 19-25) Jahweh farà piombare su Israele tutti i flagelli del suo giudizio : nemici , peste e belve . La tempesta della collera divina è dipinta dal poeta con grande potenza . 249

I l . S e c o n d o movim ento : I n e m i c i d ' I s r a e l e (vv . 26-43 )

l. La requisitoria contro i nemici d'Israele (vv . 26-33) Essi , mandati e guidati da Dio su Israele per punirlo delle sue infedeltà , dimenticano di essere solo strumento nelle mani del Signore e si caricano di orgoglio contro Dio. Jahweh , allora , irrompe su di loro perché sappiano che Israele è stato «venduto e consegnato nelle loro mani» solo dalla Rupe , Jahweh , il vero arbitro della storia. 2. La collera divina sui nemici e la salvezza d'Israele (vv. 3443) «Vicino è il giorno della loro rovina . . . Jahweh farà giustizia al suo popolo>> ( vv. 34.35). Da questo intervento apparirà che l'unico Dio, signore dei popoli e della storia, è Jahweh . Le immagini sono quasi truculente (vv. 41-42) e si placano nella dossologia finale del v. 43 che riassume tutta la tematica del secondo movimento . Concludiamo il nostro itinerario ionico nel deserto con la sequenza delle benedizioni poste sulle labbra di un pagano , Balaam , mago arameo (E?) o ammonita (J) , figura molto nota del folklore transgiordanico. 16 «Balaam viene incaricato dai moabiti di maledire Israele , che finalmente ha raggiunto i confini della terra santa. Ma invece della maledizione dalle sue labbra esce uno splendido presagio che supera tutte le promesse e le benedizioni patriarcali e dell'esodo , riprendendole e concludendole in maniera trionfale. Il carattere bellicoso dell'Israele descritto negli oracoli di Balaam è tipico dell'epoca monarchica . . . È probabile , quindi , che questi testi nella loro forma primitiva furono raccolti durante le guerre davidiche di Edom e di Moab (2Sam 8,2. 13- 14) e successiva­ mente abbelliti e valorizzati in epoca salomonica>> . 17 La Bibbia definisce i quattro carmi (Nm 23 ,7-10; 23 ,18-24 ; 24 ,3-9; 24, 15-24) col termine masal, genere letterario molto vario , caratteristico della letteratura sapienziale (proverbio, parabola , allegoria, poe-

16 Balaam appare anche nelle iscrizioni transgiordaniche di Deir 'Alla: G . GARBINI, Nuovi documenti epigrafici della Pàlestina - 1976, i n «Henoch», 1/2 (1979) , pp . 166- 1 88; H.P. MOLLER, Die aramiiische lnschrift von Deir 'Alla und die iilteren Bileamspruche, in ZAW , 94 ( 1 982) , pp. 214-243. 17 CoRTESE , Da Mosè a Esdra, pp. 52-53.

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sia) . Il tema fondamentale della narrazione che fa da cornice ai carmi è il superamento che J ahweh sa compiere di ogni resistenza magica e preternaturale per difendere il suo popolo. Israele , infatti, giunto alle steppe di Moab in Transgiordania, crea il panico tra moabiti e ammoniti che , timorosi d'un insuccesso militare, ricorro­ no alla magia. Ma Balaam , pur accogliendo le ripetute ambasciate di Balak , re di Moab , e pur manovrando le sue tecniche magico­ rituali, non sa emettere che benedizioni in luogo di maledizioni . Il racconto è vivacissimo e, data la sua arcaicità, ha più di uno spunto favolistico , come quello dell'asina parlante (Nm 22,22-35) . Noi leggiamo solo alcune battute del quarto carme , divenuto celebre per la reinterpretazione messianica a cui fu sottoposto nel giudai­ smo posteriore . «Oracolo di Balaam , figlio di Beor, oracolo dell'uomo dall'occhio penetrante , oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza deli' Altissimo e vede la visione dell'Onnipotente e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi . Io lo vedo , ma non ora , lo contemplo ma non da vicino : Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele , spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di Set. . . » (Nm 24, 1517) .

Il carme continua con la lista trionfale delle vittorie d'Israele (aggiornata con l'aggiunta dell'Assiria, vv . 22.24) . Ma il cuore dell'oracolo è nel v. 17 che il targum di Onqelos ha reso cosl: «Un re spunta da Giacobbe , un messia sorge da Israele». La stella diventa , allora, il simbolo del re messianico, anche se all'origine era solo un titolo regale orientale (cf. Is 14,12) : in questa linea sono forse da interpretare la stella dei magi (Mt 2,9- 1 1 ) e la definizione cristologica «stella del mattino)) usata dall'Apocalisse (2,28; 22 ,16) . 18 Lo scettro , simbolo del potere regale davidico , rimanda alla già nota benedizione di Giuda in Gn 49, 10 ed è anch'esso sottoposto dalla tradizione a reinterpretazione messianica . In tutti i

18

Nel 132 d.C. Simone , un capo ebraico anti-romano , ricevette da rabbi Aqiba il titolo di Bar-kokbah, «figlio della stella>>, di stampo messianico e si mise alla testa dell'ultima ribellione al potere romano dell'imperatore Adriano .

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carmi emerge la potenza di Israele , simile a «un leone che non si accovaccia finché non abbia divorato la preda e bevuto il sangue degli uccisi» (Nm 23 ,24) . Questa potenza ha la sua radice nella benedizione di Dio che rende Israele vigoroso «Come un leone tra le belve della foresta , come un leoncello tra greggi di pecore il quale , se entra , calpesta e sbrana e non c'è scampo» (Mi 5 ,7) .

4 . I canti della terra promessa cc Jahweh tuo Dio sta per farti entrare in una terra fertil e : terra di torrenti , d i fonti , di acque sotterranee . . . , terra di fru mento, di orzo, d i viti , d i fichi e melogran i , terra d i ulivi, d i olio e d i miele, terra dove non mangerai con scarsità i l pane . . . , terra dove le pietre sono ferro e dai monti scaverai rame . . Benedirai Jahweh tuo Dio per la terra fertile che ti avrà dato » ( Dt 8 , 7- 1 0) .

Il terzo articolo di fede che rintracciamo nella credenza dell'Israele biblico è il naturale sviluppo dell'esodo : esso abbraccia secoli di storia ebraica e ruota attorno al tema della terra , attesa e sognata prima, amata poi e da ultimo persa col crollo di Gerusa­ lemme del 586 a . C . Il tema è anticipato già nelle tradizioni patriarcali attraverso il motivo della benedizione , della promessa e dell'alleanza (Gn 12,5-6; 13 , 15-17; 15 ,7. 18; 1 7 , 1 8 ; 28,4, ecc . ) , è proclamato nel credo di Dt 26,9; Gs 24,8-13 ed è meditato con entusiasmo dal Deuteronomio (esemplare è il brano che abbiamo citato in apertura con la settemplice ripresa del vocabolo 'ere�, «terra») . La terra è pianta nelle lamentazioni per il crollo di Sion sotto Nabucodonosor ed è di nuovo attesa e sognata soprattutto nelle pagine ardenti del Secondo Isaia (Is 29 , 17ss; 35 ; 44,24-28 ecc . ) . All'origine di questa grande espansione teologica c'è l'evento della conquista della Palestina i cui reali contorni storici sono oggetto di varie analisi e discussioni . 19 Gs 1-12 descrive l'evento in termini panisraelitici e «teologici» : l'intero Israele entra in possesso dell'intera terra di Canaan sotto la guida di un unico capo in un

19 Sulla questione rimandiamo alle varie «Storie d'Israele» e a CoRTESE, Da Mosè a Esdra, 171ss . Un cenno particolare merita la «minimalista>> Storia d'Israele di J . A . SoGGIN , Brescia 1984, pp. 219-267 , ricca di analisi e di bibliografia.

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unico atto militare . Questa narrazione della conquista registrata da Gs 1-12 aveva visto i natali probabilmente nel santuario di Galgala appartenente alla tribù di Beniamino e luogo dell'elezione successi­ va di Saul {1Sam 1 1 , 15) . Il testo originario , che doveva menzionare soprattutto il passaggio del Giordano avvenuto vicino al santuario , costituiva quasi il «lezionario» (o «legenda cultica») ufficiale di questo santuario . La coloritura liturgica è ancora decifrabile anche nell'attuale stesura: si pensi soltanto al transito processionale del Giordano , alla presenza dei sacerdoti e dell'arca , agli elementi che sembrano una riproduzione liturgica dell'esodo . La conquista, in realtà , fu meno epica ed unitaria e fu cronologicamente distribuita su un arco più ampio variamente definito e interpretato dagli storici biblisti . Dalla conquista si apre una lunga e complessa fase storica che comprende due grossi periodi , quello dei giudici , con una struttura tribale , autonomista, forse federativa (se si accetta la teoria anfizionica di M. Noth) , e quello monarchico dalla metà dell'XI sec. sino al 722 a.C. per il regno settentrionale d'Israele , sino al 586 a.C. per il regno meridionale di Giuda . Una ricca porzione della letteratura biblica nasce e si sviluppa all'interno di questa fase della giudicatura e della monarchia . Non potendo seguire tutte le scansioni di questo periodo scegliendovi i canti principali con cui Israele celebra e interpreta la sua storia , preferiamo procedere in modo sincronico definendo i temi principali che affiorano dai vari cantici . Natural­ mente all'interno di ogni tema seguiremo una distribuzione che si snodi sulla successione storica .

a) I canti della vittoria La sopravvivenza fisica , l'occupazione di uno spazio territoriale proprio , l'ideologia della «guerra santa>> , la successiva visuale escatologica del «giorno di Jahweh» alimentano gli inni di battaglia caratteristici di quest'epoca espansionistica di Israele . Se il già citato frammento ionico di Gs 10, 12-13 è divenuto celebre più per la controversia astronomico-teologica di Galileo che non per il suo nesso con la battaglia di Gabaon , se l'inno cosmico-bellico di Ab 3 già esaminato è passato sotto il patronato della profezia nonostante la sua origine arcaica (forse X sec. a . C . ) , le sette strofe dell' inno di Debora (Gdc 5) , la madre della patria, costituiscono il modello più 253

antico e più alto della poesia marziale d'Israele.20 Pur nelle grandi difficoltà lessicali , testuali e stilistiche (cf. Sal 68) , è facile riconoscere in questa sequenza di quadri impressionistici e spesso antitetici un prodotto arcaico ma già maturo (Xl sec. a . C . ?) dell'arte e della fede d'Israele . Il cantico si apre con un invitatorio universalistico alla benedi­ zione e all'ascolto: le nazioni della terra sono invitate a contempla­ re la grandezza del Signore mentre i volontari di Israele che si sono arruolati nelle milizie vittoriose sono invitati a benedire il supremo comandante della guerra santa, Jahweh (vv. 2-3). Si apre poi il carme vero e proprio , diviso in due parti dalla ripresa nel v. 9 dell'invitatorio a «benedire Jahweh». La prima strofa è dominata da una teofania (vv. 4-5). In essa si immagina che Jahweh abiti nel sud (Seir-Sinai) , da dove ha accompagnato Israele nella sua marcia verso la liberazione (Dt 33,2; Ab 3 ,3 ; Sal 68,8-9) . Lo scenario della tempesta come teofania è caro alla poesia arcaica ebraica (e 20 La stessa instabilità testuale di Gdc 5 testimonia la lunga vicenda della trasmissione . Come abbiamo già osservato la prospettiva della pericope è di tipo cosmosoteriologico: la lotta tra Israele e Canaan ha i toni di un'epopea cosmica (cf. Es 15) su cui giganteggia la figura di Jahweh, il salvatore armato della panoplia d'una tempesta. Per chi vuole approfondire l'esegesi del cantico possiamo rimanda­ re ad una vasta bibliografia: W.F. ALBRIGHT, The song of Deborah in the light of archaeology, in BASOR, 62( 1936) , pp. 26-3 1 ; G . GERLEMAN , The song of Deborah in the light of stylistics, in VT, 1 ( 1 95 1 ) , pp. 168- 180; A. WEISER, Das Deboralied, in ZAW , 7 1 ( 1 959) , pp. 67-97 (composizione originariamente cultica); J . B LENKINSOPP, Ba/lad style and psalm style in the song of Deborah. A discussion, in Bib, 42( 196 1 ) , pp . 61 -76; J . SCHREINER, Textformen und Urtext des Deboraliedes in der Septuaginta, in Bib, 42( 196 1 ) , pp. 173-200; Id. , Zum B- Text des griechischen Canticum Deborae, in Bib, 42( 196 1 ) , pp. 333-358; H.-P. MDLLER, Der Aufbau des Deboraliedes, in VT, 16 (1966) , pp. 446-459; S. VIRGULIN , Cantico di Debora, in AA . Vv. , Introduzione alla Bibbia 111 1 , Torino 1969 , pp. 383-390; J . A . SoGGIN , Il canto di Debora, Giudici cap. V, in , contemporaneo del nostro testo. Il Signore del Sinai è un titolo che richiama un evento del passato che si riattualizza nella salvezza presente offerta da colui che è sempre il «Dio d'Israele». 4«Jahweh, quando uscivi da Seir, quando avanzavi nella steppa di Edom, la terra tremò , i cieli si scossero , le nubi si sciolsero in acqua. ssi stemperarono i monti davanti a Jahweh, lui che è nel Sinai , davanti a Jahweh , Dio d'Israele».

La seconda strofa (vv . 6-8) , che non citiamo , mette in scena Debora , donna fragile eppur «madre di Israele» , contrapposta all'inetto e titubante giudice-governatore Samgar. Il suo nome («ape») ricorda forse l'animale totemico della sua tribù ed è restato al villaggio arabo di Daburiyyeh , alle pendici del Tabor, il luogo dell'attività «profetica» dell'eroina. La situazione tragica in cui versava Israele è descritta con una sola pennellata: il terrore delle carovane commerciali e dei villaggi ebrei sotto l'incubo degli attentati e dei sabotaggi (v. 6b) . La causa di questo squallore è duplice (v. 8) . Teologica anzitutto : Israele è vulnerabile perché ha perso la fede optando per l'idolatria (cf. Is 7,9b) . Poi socio-politica: Israele è un popolo agricolo , senza «scudo» o «lancia» , cioè militarmente impreparato . Dopo la ripresa dell'invitatorio nel v. 9 , ora indirizzato «ai comandanti d'Israele», nella terza strofa (vv . 1012) si sente il grido di convocazione e di esortazione alla battaglia nel nome di Debora e del generale ebraico Barak («Déstati , déstati, Debora , déstati , déstati , intona un cantico . . . ! » , v. 12) . Nell'interno di questo canto si offre la chiave d'interpretazione per la vittoria successiva. Infatti nel v. 1 1 essa viene allineata alle vittorie precedenti chiamate nell'originale ebraico «le giustizie di J ahweh» , cioè i suoi grandi atti salvifici proclamati nella liturgia e nella fede d'Israele . La vittoria di Debora si collega , quindi, alla linea ininterrotta della storia della salvezza . Con uno sguardo dall'alto la quarta strofa (vv . 13-18) fa l'appello delle tribù schierate sul campo di battaglia: dieci tribù alleate , sono assenti le tribù meridionali di Giuda e Simeone, dato che ora è di scena soprattutto l'area settentrionale della Palestina. Nel v. 23 della successiva quinta strofa (vv. 19-23) si legge una 255

maledizione per il clan di Meroz renitente alla leva per Israele . La battaglia non è descritta ma evocata attraverso la teofania cosmica e lo scalpitare onomatopeico dei cavalli al galoppo (v. 22) . 19((Vennero i re , diedero battaglia, combatterono i re di Canaan , a Taanak sulle acque di Meghiddo , ma non riportarono bottino d'argento . 20Dal cielo le stelle diedero battaglia, dalle loro orbite combatterono contro Sisara. 21Il torrente Kis6n li travolse : torrente impetuoso fu il Ki�on ! Anima mia, calpesta con forza ! 22Allora martellarono gli zoccoli dei cavalli , al galoppo , al galoppo dei corsieri . . . » .

La sesta strofa (vv . 24-27) raccoglie un quadretto a sé stante . Con una sequenza di azioni rapidissime («chiese , diede , offrì , colpì , percosse , fracassò , percosse») un'altra donna, Giaele , celebra il trionfo della debolezza , sostenuta dal Signore , sulla forza del generale nemico Sisara, costretto a riparare tremebondo , sfinito ed assetato in una tenda di seminomadi . La violenza dell'uccisione è marcata dai tre verbi che riproducono quasi filmicamente la caduta («si contorse , cadde , giacque») mentre la triplice ripetizione della scena nel v. 27 estende e allarga il crollo del guerriero rendendo lo sconfinato e facendolo simbolo del crollo d'un intero popolo . 2 1 24((Sia benedetta fra le donne Giaele , la moglie di Eber il Qenita, benedetta fra le donne delle tende ! 2!1Acqua egli chiese, latte essa diede , in una coppa principesca offri latte acido. 26Una mano essa stese al picchetto e la destra a un martello da fabbri , e colpi Sisara, lo percosse alla testa , ne fracassò, ne trapassò la tempia. 2'Ai piedi di lei si contorse , cadde , giacque ;

21 Ben più debole poeticamente è la ripresa che ne fa Manzoni nell'ode Marzo 1821 : «quel (Dio) che in pugno alla maschia Giaele l pose il maglio ed il colpo guidò>>.

256

ai piedi di lei si contorse , cadde , dove si contorse , là cadde finito ! » .

Con un abilissimo montaggio la settima e ultima strofa (vv . 2830) sposta l'obiettivo in un altro ambito spaziale , presso la corte cananea di Sisara , ove la madre attende ansiosamente il ritorno trionfale del figlio . Mentre «dietro la persiana» spia la strada, «le più sagge principesse» ( l 'ironia è sferzante ) le parlano del bottino eccezionale di donne , di vesti e di gioielli che il figlio riporterà dai campi di battaglia (v. 30) . Il sogno non è infranto dal poeta con la descrizione della realtà , ma è lasciato sospeso nella sua stoltezza, pur essendo frutto di una sedicente sapienza . 28«Dietro la finestra si affaccia e si lamenta la madre di Sisara , dietro la persiana: Perché il suo carro tarda a ritornare? Perché così a rilento procedono i suoi carri? 29Le più sagge sue principesse rispondono e anche lei ripete a se stessa : 30Certo han trovato bottino, stanno facendo le parti : una fanciulla , due fanciulle per ogni uomo ; un bottino di vesti variopinte per Sisara , un bottino di vesti variopinte a ricamo , una veste variopinta a due ricami è il bottino per il mio collo . . . » .

A questo punto i l coro, attraverso l a finale liturgica del v. 3 1 , proclama a piena voce la sua lode per il trionfo del debole che è il trionfo di Jahweh che «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (Le 1 ,52; Gb 12,19) : «Così periscano tutti i tuoi nemici , Jahweh! Ma coloro che ti amano siano come il sole , quando sorge con tutto lo splendore». L'allegria primitiva della vittoria pervade anche altri testi di quest'epoca, certamente diversi per qualità dal capolavoro di Debora. Bellicosa come l'arante è , ad esempio , la preghiera di Sansone. Dopo aver vinto i filistei combattendo con l'arma inusitata di una mascella d'asino , l'urgenza elementare della sete gli fa gridare a Dio : «Tu hai concesso questa grande vittoria mediante il tuo servo . Ora ; dovrò forse morir di sete e cadere nelle mani degli incirconcisi?» ( Gdc 15 , 18) . Anche la tragica fine di questo campio­ ne dai contorni mitici e pittoreschi è segnata da una preghiera imprecatoria di vittoria. Il tempio del dio filisteo Dagon si eleva come un'alta aula divisa da due colonnati . Nella navata centrale si 257

snoda la coreografia liturgica con canti , danze , banchetti . In contrappunto al grido festoso dei filistei , ecco l'invocazione di questo illustre prigioniero ora ridotto a «fenomeno da circo». Il Signore deve sconfiggere Dagon , implora Sansone . Ormai il duello non è più tra due eroi o tra un lottatore e una schiera come spesso era accaduto a Sansone durante la sua vita avventurosa . Ora il contrasto è tra due divinità e si rivela assurdamente impari perché è uno scontro tra il nulla (l'idolo) e l'Onnipotente . «Jahweh , ricordati di me ! Dammi forza per questa volta soltanto, Dio , e in un colpo solo mi vendicherò dei filistei per i miei due occhi ! » (Gdc 16,28) . «Sansone palpò le due colonne di mezzo , sulle quali posava l'edificio . Si appoggiò ad esse . . . Si curvò con tutta la forza e l'edificio rovinò addosso ai capi e a tutto il popolo che vi era dentro» (Gdc 16,29-30) . Inno di ringraziamento per una vittoria è anche il cantico che il redattore deuteronomista ha posto sulle labbra di Anna, la madre di Samuele , un inno alla potenza del Signore che nelle sue scelte predilige l'umile e il povero , inno che diverrà il prototipo del Magnificat (1Sam 2 , 1-10) . Il testo è un salmo regale di vittoria contro nemici terribili , piegati con l'aiuto di Jahweh. La vittoria del debole , il cui difensore è il Signore , è concretamente attuata tutte le volte che il re jahvista, le cui armate sono inferiori rispetto a quelle dei re idolatri , riesce a trionfare conducendo una «guerra santa>> . Il carme offre , quindi , la prospettiva di fondo e il leit-motiv teologico dei libri di Samuele e dei Re . Esso può costituire un trittico ideale coi Sal 20 e 21 ed è quasi un centone di frasi e di espressioni del salterio .22 Il movimento dell'inno è teso lungo due

22

Ecco alcuni paralleli: v . l � Sal 5 , 12 ; 9,2; 35,21 v . 2 � Sal 95 , 1 ; 99 v . 3 � Sal 75,6; 94,4 v. 5 � Sal 1 13,9 v . 6 � Sal 30,4 v. 7 � Sal 75,8 v. 8 � Sal 1 13,7; 24 ,2; 75,4; 104,5 v. 9 � Sal 20,8; 21 ,2 v. 10 � Sal 20; 72 ,8; 96,10. Vedi sul cantico G . BRESSAN, Il cantico di Anna, in Bib, 32( 195 1 ) , pp. 503-521 ; 33( 1952) , pp. 67-89 ; M . PHILONENKO, Une paraphrase du cantique d'Anne, in RHPhRel, 42(1962) , pp. 1 57-168 (nel c. 5 1 del Liber Antiquitatum Biblicarum) ; P . A . H . D E BoER, A syro-hexaplar text of the song of Hannah: 1 Sam 2, 1-10, in Hebrew and Semitic studies («Fs. G . R . Driver») , Oxford 1963 , pp. 8- 1 5 .

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direttrici : il re debole e la donna sterile (Anna) vincono le potenze e le rivali feconde , celebrando così la continuità delle grandi azioni salvifiche di Dio nella storia . Ma la vittoria di Dio supera anche la storia espandendosi oltre i due limiti invalicabili all'uomo , il cosmo intero (v. 8) e la frontiera della vita , la morte (v. 6) . La situazione personale di Anna è menzionata incidentalmente solo nel v. 5b («la sterile ha partorito sette volte . . . »). Tuttavia il v. 6, che è al centro del carme , è l'interpretazione più completa dell'esperienza della madre di Samuele . Infatti là si confessa il trionfo del Signore sulla morte : il grembo sterile di Anna , come quello di Sara (Rm 4 , 19) , è il simbolo esplicito della morte e della tomba. Ebbene , il Signore può farvi germogliare la vita . Naturalmente l'orientamento è affine a quello di Is 26, 17- 19 o di Ez 37, è la celebrazione della rinascita nazionale di Israele , attestata appunto dalla finale : «Jahweh governa tutti i confini della terra e dà forza al suo re , innalza la fronte del suo consacrato>> (v . 10) . Questo schema del ribaltamento delle sorti (il debole vincitore e il potente scagliato a terra) , particolarmente caro alla storiografia deuteronomistica , si riflette anche in Davide. Si pensi solo al duello tra D avide e Golia ( 1Sam 17 ,40-5 1) che , nella sua vigorosa sceneggiatura , è la dimostrazione simbolica di questa tesi . Guerrie­ ro di fronte a pastore , violento di fronte a piccolo (v. 42) , ideale umano e ideale divino si confrontano in questa scena esemplare . Il discorso di Davide nei vv. 45-47 è una professione di fede che rende Dio alleato invincibile dell'uomo. Alle tre armi del filisteo (spada, lancia, asta) si oppone la realtà di Dio espressa attraverso tre formule (il nome e i due titoli «Signore degli eserciti» e «Dio delle schiere d'Israele») . Da quel momento dietro Davide si erge il Signore , vero arbitro della lotta . È lui che porta alla vittoria il suo fedele . Ora , secondo la testimonianza di 2Sam 22 , noi possediamo di Davide un cantico di ringraziamento pronunziato «quando il Si­ gnore lo liberò dalla mano di tutti i suoi nemici». Il testo è replicato nel Sal 18 ed è condensato nel Sal 1 44 , 1-1 1 : la recensione di 2Sam 22 è, però , più vicina all'originale dell'epoca davidica. 23 A nostro avviso il carme è costruito su 14 ottonari con un mutare frequente 23 Per un'esegesi accurata del carme e per la relativa bibliografia rimandiamo al nostro Il Libro dei Salmi, vol . I, Bologna 1 981 , pp. 317-343 . Vedi anche lo studio di G. ScHMUITERMAYR, Ps 18 und 2Sam 22. Studien zu einem Doppeltext, Miinchen 1971 .

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di generi (dalla lamentazione all'inno teofanico, dal canto di liberazione alla confessione d'innocenza, all'inno marziale) . Ma su tutti sovrasta la todah marziale dei vv . 29-46 seguita da una dossologia (vv. 47-50) e da un'aggiunta «messianica» posteriore (v. 5 1 ) . Si succedono immagini militari di grande potenza come quella del Dio rappresentato come istruttore militare : «Ha addestrato le mie mani alla battaglia, le mie braccia a tendere l'arco di bronzo» (v . 35) . Oppure come quella della vittoria trionfale sui nemici . I toni sono tipicamente orientali ; il re vittorioso assapora coine nei bassorilievi assiro-babilonesi la gioia di vedere ai suoi piedi il nemico schiacciato , strisciante ai piedi del trionfatore che pone il piede sul collo dello sconfitto . 38«Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti , non sono tornato senza averli annientati . 39Li ho feriti e non si sono rialzati , sono caduti sotto i miei piedi . . . 41Dei miei nemici mi hai mostrato le spalle , hai sterminato quanti mi odiavano . . . 43Come polvere ai crocicchi li ho calpestati , schiacciati come fango delle strade . . . » .

Come è scontato , talora all'orizzonte di Israele può balenare anche il vessillo stracciato della sconfitta. Ed allora al canto di vittoria subentra la lamentazione nazionale . Per l'epoca monarchi­ ca il modello più grandioso e commosso è certamente la qinah funebre composta da Davide per la morte di Saul e di Gionata (2Sam 1 , 19-27) , un testo che abbiamo già conosciuto e letto durante la nostra analisi della forma letteraria del lamento funebre che ha appunto nel canto di Davide il suo vertice sommo . b) I canti del re Come è noto , dal crollo della struttura intertribale nasce lo stato nazionale ebraico configurato come monarchia : esso diviene realtà soprattutto con Davide che ne determina anche la capitale a Gerusalemme . L'unità politica attuata dal nuovo regime - letto in modo antitetico dalla Bibbia, positivamente in lSam 9, 1-10,16; 1 1 , 1-15 ; 13-14 e nei salmi regali, negativamente in lSam 8,1-22; 10,18725 ; 12; 15 e dalla profezia - nello spazio di due generazioni si sfalda (scisma dei due regni , 93 1 a . C . ) . La figura del re di Giuda, 260

discendente di Davide , sosterrà però una nuova ideologia, quella messianica regale . È per questo che Davide e Salomone costitui­ ranno quasi come gli emblemi di un'alleanza «monarchica» tra Dio e Israele . Fondamentale è il celebre oracolo di Natan registrato in 2Sam 7 e rielaborato poeticamente soprattutto dal Sal 89 . È proprio in risposta a questa promessa divina di stabilità e di presenza che appare la preghiera regale per eccellenza, quella che Davide pronunzia in 2Sam 7, 18-29. Si tratta di un ringraziamento rituale («presentarsi a J ahweh» del v. 18 è una notazione liturgica) dal testo piuttosto martoriato e appesantito da ripetizioni e da uno stile pedante , riedito in 1Cron 17, 16-27 . Il canto si apre appunto con un ringraziamento prorompente e verboso (vv. 18-24) , retto dal tema tipico della storiografia deuteronomistica, l'esaltazione delle scelte di Dio che manifesta la sua grandezza attraverso la piccolezza e la fragilità degli uomini , cioè di Israele e di Davide . Al ringraziamento si associa una supplica (vv. 25-27) . Con un'assonanza irriproducibile in versione Davide chiede al Signore di «mantenere» (q wm ) la sua parola per far «permanere» , per «mantenere stabile» (kwn) la dinastia pro­ messa : «Signore , mantieni la parola che hai pronunciato riguardo al tuo servo e alla sua casa . . . La casa del tuo servo Davide permanga stabile davanti a te ! » (vv. 25 .26) . Una benedizione di andatura liturgica (Sal 67) chiude il salmo (vv. 28-29) e si ricollega alle benedizioni patriarcali per la discendenza (Gn 12 ,2-3). Perciò , al dono della promessa dinastica succede la risposta del destinatario , di Davide , «servo» del Signore . Questo termine che ricorre dieci volte nella preghiera indica che il re , nonostante i suoi limiti e il suo peccato , è colui che realizza la missione che la parola di Dio ha tracciato nella storia. Davide , come si è detto, resta per la tradizione il cantore per eccellenza di tutto Israele . Lo è attraverso l'attribuzione fittizia dell'intero salterio . Lo è con le sue suppliche per il peccato , come in quel celebre «Ho peccato contro Jahweh ! » (2Sam 12, 13) , dopo il peccato con Betsabea e contro Uria, o come nella preghiera per implorare il perdono dopo il peccato del censimento (2Sam 24 , 10ss) . Lo è col canto glorioso di liberazione e di vittoria citato in 2Sam 22 (Sal 18) , che abbiamo appena presentato . Lo è anche nel culto con la progettazione del tempio e l'organizzazione dei suoi servizi liturgici secondo la nota prospettiva sacrale della storiogra­ fia sacerdotale (1 Cron 22,29) . È ancora il libro delle Cronache che 261

mette sotto la paternità di Davide e sotto l'esecuzione di Asaf, capç> dei leviti , un centone di tre salmi in 1Cron 16: 1Cron 16, 8-22

=

1Cron 16,23-33

1Cron 16 ,34-36

=

Sal 105 , 1-15 L'alleanza del Signore con Abramo e la sua discendenza si rinnova con Davide . Sal 96 Inno a Jahweh re , che governa e giudica la terra. Sal 106 , 1 . 47-48 lnvitatorio alla lode e alla benedizione .

Ed è ancora il cronista sacerdotale che in 1Cron 29 , 10-20 mette sulle labbra di Davide una splendida preghiera d'offertorio . Tutte le offerte di Israele per la costruzione del tempio vengono presentate a Dio attraverso la mediazione del re . Il testo , che è di una bellezza sfolgorante , contiene anche una suggestiva definizione di Israele come popolo pellegrino , posseduto da un nomadismo escatologico: «Noi siamo stranieri davanti e te e pellegrini come i nostri padri» (v. 15; cf. Eb 1 1 , 10. 13-16; 13, 13-14) . «> .

Il centro della strofa è il v. 17 in cui si ha la certezza dell'elargizione della sapienza da parte di Dio . Salomone scompare dalla scena: ora sono tutti gli uomini che hanno bisogno della sapienza per ritrovare la salvezza eseguendo ciò che piace al Signore , cioè il suo «Volere» (v. 13) , il disegno salvifico che egli ha tracciato nella storia. Con riminescenze di stampo platonico (Pedone 81) nel v. 15 l'orante riconosce l'infermità nativa dello 264

spirito umano , la lotta interiore tra anima e passioni . Egli sa anche che le molteplici tensioni e le fatiche fisiologiche vincolano e talora stordiscono il progresso spirituale dell'uomo. Sa anche che , se l'uomo «a stento fa previsioni sulle realtà terrestri e ·con fatica scopre ciò che è in suo potere» (v . 16) , a maggior ragione è incapace di decifrare il mistero della volontà di Dio e di allinearvisi nel comportamento. Solo col dono della sapienza l'uomo «Sarà ammaestrato in ciò che è gradito a Dio» (v . 18; Bar 4,4) . Ma il capolavoro di Salomone secondo il libro dei Re è la solenne orazione di consacrazione del tempio , di cui 1Re 8 ci ha conservato la redazione deuteronomistica su materiali diversi e 2Cron 6 , 12-40 la ripresa «sacerdotale».26 Questa supplica pronun­ ziata da Salomone re e sacerdote (cf. Sal 1 10,4) davanti a tutta la qehal-Jisra'el, I'«assemblea di Israele», è anche una pagina di alta teologia sul «mistero del tempio» e sulla dialettica trascendenza­ immanenza , infinità-presenza di Dio , come abbiamo già sottolinea­ to . La preghiera , che è incorniciata dalla convocazione e dalla dimissione dell'assemblea e da riti di apertura e di conclusione (vv . 1-13 e 62-66) , si articola in tre grandi momenti: una benedizione iniziale con motivazione teologica (vv . 14-2 1 ) , una supplica solenne (vv . 22-53) e una benedizione finale con esortazione (vv . 54-61) . La benedizione iniziale sviluppa i l tema della promessa davidica il cui compimento sarà ricordato , all'interno dell'orazione , sette volte (nel v. 1 5 , due volte nel v. 20, due volte nel v. 24, nel v. 25 e nel v. 26) . Il secondo motivo che sostiene questa benedizione e l'intero capitolo è la costruzione del tempio, ugualmente menziona­ ta sette volte (vv. 13. 16. 17. 18. 19a . 19b.20) . Dono di Dio (promes­ sa) e impegno dell'uomo (costruzione del tempio) chiudono il

26 Sulla preghiera e sul contesto storico-religioso vedi A. GAMPER, Die heilsgeschichtliche Bedeutung des salomonischen Tempelweihgebet, in ZTK, 6 1 ( 1 963) , pp. 55-6 1 ; R. DE VAux, Le lieu que Yahvé a choisi pour y établir son nom, in Das ferne und nahe Wort («Fs. L. Rost»), Berlin 1 967 , pp. 219-228 ; J. LIVER , The book of the acts of Solomon, in Bib, 48(1967) , pp. 75-101 ; B . PoRTEN , The structure and theme of the Solomon narrative (l Kings 3-11), in HUCA , 38( 1967), pp. 93-128; N. PouLSSEN , Konig und Tempel im Glaubenszeugnis des A . T. , Stuttgart 1967 ; G. BRAULIK, Spuren einer Neuarbeitung des deuteronomistichen Geschichtswerken in l . Kon. 8,52-53.59-60, i n Bib, 52( 197 1 ) , pp. 20-33 ; M . G6RG , Die Gattung des sogenannten Tempelweihspruch (1 . Kon. 8, 12s) , in UF, 6(1974) , pp. 55-63 ; O. LoRETZ , Der Torso eines kanaanaisch-israelitischen Tempelweihspruches in l . Kg. 8, 12-13, in UF, 6(1974) , pp. 478-480 ; J . D . LEVENSON , From tempie to synagogue: l Kings 8, in Traditions in transformation («Fs. Cross••), Winona Lake (Indiana) 1981 , pp. 1 43-166.

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cerchio del dialogo tra Jahweh e Israele . A questo punto si apre la grande supplica centrale (vv . 22-53) che inizia con una fervente dichiarazione di monoteismo, di trascendenza e di presenza del Signore nella storia ( vv . 23-26) . In essa si riprende la teologia dell'oracolo di Natan (2Sam 7) : Dio è in azione nel tempo della dinastia davidica . Ma Dio è in azione anche nello spazio del tempio gerosolimitano . È ciò che si precisa nei vv. 27-30 ove si sviluppa un'accurata riflessione teologica che tenta di risolvere l'antitesi «presenza nel tempio - infinità di Dio» . Come sarà spiegato anche dalla casistica dei vv. 31-5 1 , il tempio è la «casa della preghiera>> (Ger 7 ; Is 56,7 ; Mt 2 1 , 13) , è il luogo dell'incontro tra il popolo e il suo Dio che scende dai cieli ad ascoltare la supplica . Dio conserva la sua trascendenza , la sua infinità , la sua libertà, ma sceglie di vincolarsi al tempio e allo spazio per ascoltare il popolo dell'elezio­ ne che nello spazio sacro del tempio si raccoglie . Come abbiamo già osservato parlando della sacralità spaziale , i due poli del dilemma sono : - «Ti ho costruito una casa potente , un luogo per tua dimora perenne» (v. 13). - «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti , tanto meno questa casa che ti ho costruita !» (v. 27) .

La soluzione è nel v. 30 e sarà ribadita dalla casistica successiva : - «Quando pregheranno i n questo luogo , ascoltali dal luogo della tua dimora, dal cielo» (v. 30) .

A questo punto Salomone introduce un settenario di casi di preghiera nel tempio , che testimoniano questo incontro tra il Dio trascendente ma vicino e il popolo presente davanti a Dio . I singoli casi sono letterariamente articolati sul modulo : a. peccato - calamità nazionale b. conversione - supplica c. perdono - liberazione .

Primo caso: il giudizio di Dio sul giuramento imprecatorio (vv . 31-32) . Si tratta di una delle frequenti ordalie che Israele imponeva (Es 22,7-12; Nm 5 , 1 1-3 1 ) per tutelare la comunità contro i delitti occulti . La prassi rituale , piuttosto arcaica e dai risvolti magici , 266

doveva sopperire alle carenze giudiziarie e agli errori processuali e tentava di presentare il carattere misterioso del peccato . Secondo caso : la sconfitta militare (vv . 33-34) . La clausola «fa' che Israele tuo popolo ritorni nella terra che hai dato ai suoi padri» è il segno di un'applicazione posteriore alla situazione esilica . Terzo caso : la siccità (vv. 35-36) . Problema endemico per Israele , la siccità è ricordata anche nell'eccezionale poesia di Ger 14 ,2-9 che potrebbe commentare questi versetti . Anche là è sottolineata l'esigenza della conversione e del perdono per ristabili­ re l'uomo nella prosperità e nella felicità. Quarto caso : le calamità pubbliche (vv . 37-40) . Si tratta dell'accu­ mulazione di varie catastrofi nazionali che evocano i contenuti delle maledizioni in caso di violazione dell'alleanza (Dt 28) . Quinto caso : la preghiera dello straniero (vv . 41-43) . L'inserzio­ ne è forse post-esilica e respira lo stesso clima di apertura universalistica documentato dal Terzo Isaia (Is 56; 60 ; 66 ,21) che scriveva: «Condurrò gli stranieri sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera . I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare , perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7; cf. Is 19, 16-25 ; Ez 29 ; Zc 8,20-23) . Sesto caso : in tempo di guerra (vv . 44-45). La battaglia viene vista come un giudizio in cui Dio esamina e condanna l'umanità, usando le nazioni come strumento per la purificazione di Israele . Si risente la cosiddetta «teologia dello strumento» propria dell'inter­ pretazione isaiana della storia. Settimo caso : l'esilio (vv . 46-5 1). L'inserzione è post-esilica e testimonia l'ansia con cui Israele sperimenta la lontananza dalla terra promessa . Anche lo schema usato per gli altri casi viene qui ampliato : peccato - ira divina - castigo - conversione - confessione perdono - liberazione . Il tempio appare in tutta la sua importanza e grandezza proprio quando esso è distrutto ed è evocato solo nella nostalgia. Ma il ricordo del tempio distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.C. non è solo fonte di malinconia e di dolore , è anche radice di speranza e di fede . Il v. 48 delinea , quasi in filigrana, nella conversione futura di Israele il ritorno alla terra in un nuovo esodo . Questo ritorno avrà tre tappe (v . 48) che si attueranno pienamente solo nel 515 a.C. con la consacrazione del secondo tempio: la terra , la città , il tempio . Sarà un pellegrinaggio che supererà una serie di cerchi concentrici verso la sorgente della vita , il tempio . La conclusione liturgica della pre g hiera di Salomone può anche 267

costituire l'epilogo alla grande avventura d'Israele dalla schiavitù d'Egitto alla libertà della terra dei padri . Una libertà non ancora piena e definitiva. «Siano attenti i tuoi occhi alla preghiera del tuo servo e del tuo popolo Israele : ascoltali in quanto ti chiedono ! Tu , infatti , li hai separati da tutti i popoli della terra come tua proprietà, secondo quanto avevi dichiarato per mezzo di Mosè tuo servo , mentre facevi uscire , o Signore , i nostri padri dall'Egitto» (vv. 52-53) .

c) I canti del profeta Con la monarchia appare anche la figura del profeta, l'interpre­ te carismatico della storia che egli vive con la comunità. Della storia egli ritrova la dimensione profonda , quella che la rivela come storia della salvezza , messianicamente tesa verso un progetto di libertà, di giustizia e di salvezza . 27 I canti del profeta sono appunto una riflessione poetica e teologica sulla storia d'Israele ed è per questo che la maggior parte degli oracoli profetici dovrebbero essere a questo punto citati . Già nella nostra analisi delle forme letterarie dei canti d'Israele abbiamo spesso rimandato a testi profetici come il canto di Sion di Is 2 e 60, come il canto della vigna di Is 5 , come il solenne inno cosmo-soteriologico di Ab 3 , come la grande e drammatica lamentazione di Ger 20, come le preghiere dell'ordalia del Carmelo di un profeta non-scrittore , Elia, ecc. Ora ci accontentiamo , data la finalità della nostra ricerca , di presentare solo un paio di esempi della letteratura profetica , testimonianza più esplicita di veri e propri canti , destinati all'intero Israele. Il primo è tratto da Amos, profeta del regno del nord (VIII sec. a . C. ) . Egli ha disperso nella raccolta dei suoi oracoli veementi, grondanti sdegno per l'ingiustizia delle alte classi di Samaria, un inno in tre strofe al Dio creatore . Raccolte in unità, le strofe possono diventare un canto liturgico che è un 'intensa esaltazione del Signore che dispiega la sua grandezza nella creazione e nella storia. Tutta l'umanità è invitata a unirsi in questa contemplazione

27 Rimandiamo per una più completa presentazione a G. SAVOCA, l profeti d'Israele: voce del Dio vivente, Bologna 1 985 .

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delle «Opere compiute da Dio» e intuire così «le sue perfezioni invisibili» (Rm 1 ,20) .28 4·13«Ecco colui che plasma i monti e crea i venti , che rivela all'uomo il suo pensiero , che fa l'aurora e le tenebre , che cammina sulle alture della terra , Jahweh, Dio degli eserciti è il suo nome! 5•8Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l'oscurità della notte , colui che comanda alle acque del mare e le effonde sulla terra , Jahweh è il suo nome! 9•5Jahweh , Dio degli eserciti , colpisce la terra ed essa si fonde e tutti i suoi abitanti prendono il lutto ; essa si solleva tutta come il Nilo e si abbassa come il fiume d'Egitto. 9·6Egli edifica nel cielo il suo soglio , ne fonda l a volta sulla terra . Egli convoca le acque del mare e le riversa sulla terra , Jahweh è il suo nome!».

In questo carme , scandito da un'antifona finale che proclama il nome santo di Dio, si intravedono segni della tradizione salmica e sapienziale (cf. Gb 9,5-10) . Tuttavia, come è stato osservato da K. Koch , non mancano collegamenti delle singole strofe col contesto : il crollo delle alture di Samaria annunziato in 4, lss è ripreso nella strofa di 4,13; la giustizia difesa in 5 ,7 ha la sua garanzia nel creatore degli astri ; la teofania giudiziaria di 8,4ss ha il suo sigillo nel terremoto di 9,5-6 . Natura e storia, come si è visto , sono sistematicamente intrecciate nei canti d'Israele . Esemplare in

28 Vedi F. HoRST, Die Doxologien in Amosbuch, in ZAW, 47(1929) , pp. 45-54; A. VACCA RI , Hymnus propheticus in Deum creatorem, in VD , 9(1929) , pp. 184-188; F. CitlJ SEMANN , Studien zur Formgeschichte von Hymnus und Danklied in /srael, Neukirchen-VIuyn 1969 , p. 36; G . TouRN , Amos profeta della giustizia, Torino 1972, pp. 201-21 1 ; K. KocH , Die Rolle der hymnischen Abschnitte des Amos-Buches, in ZAW, 86( 1974) , pp. 504-537 ; J . A . SoGGIN , Il profeta Amos, Brescia 1982 , pp . 107; 126- 127; 162 . J . L. CRENSHAW, Hymnic affirmations of divine justice: the doxologies of A mos and related texts in the Old Testament, Missoula 1975 .

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questo senso è la breve invocazione di Is 45 ,8, divenuta celebre come canto natalizio-messianico nella liturgia cattolica (Rorate, caeli) : «Stillate , cieli , dall'alto , le nubi facciano piovere la giustizia! Si apra la terra e produca salvezza e germogli giustizia!».

Cieli , nubi , terra , pioggia, germogli , prodotti , simboli cosmici si trasformano in segni della nuova economia di salvezza che il Signore sta compiendo con Ciro e che attuerà in pienezza col messia (il germoglio è, infatti , un simbolo messianico : Is 4,2; 6 , 1 3 ; 1 1 , 1 ; Ger 23 ,5 ; 33 , 1 5 ; Zc 3,8; cf. Sal 85 , 12) . L'altra testimonianza profetica che scegliamo è quella di un interprete fondamentale della tragedia finale del regno di Giuda , Geremia. Di lui abbiamo già parlato a più riprese perché i suoi canti sono contemporaneamente documento pubblico di una vicenda nazionale e grido del cuore e della coscienza ferita di un uomo vero e sensibile . Le sue «confessioni» sono , infatti , «suppliche del mediatore», come abbiamo già indicato , cioè testimonianza intima («confessione» , appunto) ma di un profeta che è latore di una parola aspra e «scandalosa» di Dio destinata ad un popolo illuso e peccatore . La timidezza dell'uomo , evidente anche nel racconto della sua vocazione (c. 1 ) , si scontra e si supera nella costante contestazione a cui è sottoposta la sua missione . I suoi canti sono fortemente datati e personali eppure si mutano in canti universali dell'oppresso , del giusto perseguitato , dell'uomo coerente sino al sangue , di una vita che è segno di contraddizione , «oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese» ( 1 5 , 10) . Abbiamo già raccolto , nell'analisi della forma «supplica del mediatore» , la pagina più lacerante , il lamento disperato del c. 20 (vv . 7-10. 14-18) . Esso è la prova più viva della contraddizione e dell'isolamento del profeta ed è anche l'esempio più alto dell'atmo­ sfera che domina nella preghiera di Geremia e nella preghiera biblica in genere . La sofferenza dell'esistenza tormentata del profeta interiorizza la sua religione , il rapporto con Dio diventa spontaneo , totale , libero da ogni artificiosità. È una religione più matura , non formale, che affina sino a livelli inauditi l'intimità con Dio . La preghiera esalta la coscienza individuale che non affoga nei miti nazionalistici , nelle magie dei contemporanei che credevano di 270

salvarsi solo perché ripetevano la litania «Tempio di Jahweh, tempio di Jahweh , tempio di Jahweh è questo ! » (7,4) . Geremia nei suoi canti rivolti a Dio scopre il destino che incombe su Giuda, in essi intuisce il movimento esatto della storia ma incontra anche il suo «io» e la sua coscienza . L ' ansia e la lacerazione interiore rendono la preghiera simile alla lotta di Giacobbe allo Jabbok (Grt 32) , ma - come scriveva l'autore medievale Ruperto di Deutz ----" «questa lotta alla fine è dolce ed è più gioiosa di ogni pace». Infatti , c'è sempre la certezza che l'imprecazione contro i perversi è ascoltata dal Dio giusto , difensore dei poveri . C'è sempre la fiducia nel Signore guida, educatore , padre : «Lo so , Signore , che l'uomo non è padrone della sua via ,

non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi. Correggimi , Signore , ma con giusta misura , non secondo la tua ira, per non farmi vacillare» (Ger 10,23-24) .

La supplica di Geremia, perciò , anche se giunge alle soglie della bestemmia e dell'audacia , come è attestato nel c. 20, conserva sempre un filo di fiducia e di speranza nell'amore di Dio . Infatti , proprio a metà della confessione angosciata del c. 20, è inserito un brano composto con elementi tipici dei salmi di ringraziamento («i nemici saranno confusi» , v. 1 1 ; «il Signore ha liberato» , v. 13; il v. 10 è citato dal Sal 3 1 , 14) . «11 Signore è al mio fianco come un eroe valoroso , perciò i miei persecutori cadranno e non prevarranno , saranno molto confusi e non avranno successo, la loro vergogna sarà eterna e incancellabile . Signore degli eserciti che provi il giusto e scruti il cuore e la mente , possa io vedere la tua vendetta su di essi : a te , infatti, io ho affidato la mia causa ! Cantate inni al Signore , lodate il Signore , perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori» (Ger 20, 1 1-13).

Il profeta guarda alla tribolazione come se fosse già passata. È probabile che la strofa riguardi un altro evento (sembra alludere ad una delle tante macchinazioni ordite contro il profeta per deferirlo all'autorità giudiziaria) . Ma può darsi anche che essa risponda agli occhi del poeta o del redattore finale alla tradizionale conclusione 27 1

delle suppliche che approdano sempre alla speranza nel giusto intervento di Dio . La fede nell'irruzione liberatrice del Signore degli eserciti , simile a un «eroe valoroso», non deve mai estinguer­ si . La speranza in questo intervento si articola in un'imprecazione molto sanguigna (v . 12) alla vendetta, che però è affidata solo a Dio («possa io vedere la tua vendetta su di essi») . La sicurezza della coscienza del profeta, la sua ansia per la giustizia e la verità, la nausea per gli intrighi e le meschinità dei suoi nemici lo . hanno «riempito di sdegno» (15 , 17) che egli travasa nella preghiera e nel canto. C'è , quindi, un orizzonte di luce che il profeta perseguitato e sdegnato attende : «Guariscimi , Signore , e sarò guarito , salvami e sarò salvato . . . Non essere per me causa di spavento , tu , mio unico rifugio nel giorno della sventura» (Ger 17,14. 17) .

La missione di Geremia è fallita ed è stata, politicamente parlando , uno scacco clamoroso , anche se la storia ha successiva­ mente confermato le sue previsioni . Ma la sua figura, il suo canto, la sua teologia fondata su un'alleanza «cordiale» e non esteriore con Dio (Ger 31 ,31-34) , la sua pietà intensa e limpida resteranno sempre vive nella tradizione del popolo di Dio . Giuda Maccabeo , nell'istante decisivo della sua rivoluzione , vedrà «un personaggio che si distingueva per la canizie e la dignità ed era rivestito di una maestà meravigliosa e piena di magnificenza» . È «Geremia , il profeta di Dio, l'amico dei suoi fratelli , colui che innalza molte preghiere per il popolo e la città santa» (2Mac 1 5 , 13-14) . Con la sua vicinanza e la sua preghiera, Israele esule continuerà a lottare e a sperare.

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5 . I canti dell'esilio e del giudaismo Sui fiumi di Babilonia là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion . . . S e t i d i mentico, Gerusalemme, anche la mia mano destra mi rinneg h i , m i si attacch i la lingua a l palato se non m i ricordo di te, Gerusalem m e . . . (Sal 1 37 , 1 5 6 ) .

.

Con la segnatura STU 71429 l'Erato ha pubblicato nel 1981 un disco di Chants de l'ex il, espressioni malinconiche e serene del giudaismo della diaspora dalla fine del medio evo al rinascimento. Potremmo idealmente tenere sullo sfondo un simile filo sonoro per leggere questa antologia di canti biblici dell'esilio. Infatti essi sono percorsi da una forte nostalgia del tempio, da un senso acuto del peccato, radice di ogni male per la nazione santa, e da un'atmosfera impalpabile ma reale di speranza. Come è noto , col 538 a.C. l'imperatore persiano Ciro col suo editto , citato due volte in Esdra (in ebraico in 1 ,2-4 e in aramaico in 6,3-5) segnava una svolta decisiva per l'ebraismo. Col ritorno al focolare nazionale di Palestina, Israele iniziava un'operazione di ricomposizione dello stato e della propria cultura religiosa. Essa raggiungeva il suo vertice con l'attività di Esdra e Neemia29 che davano il via al giudaismo in senso stretto , mentre le correnti «sacerdotali» codifi­ cavano la torah e la nazione si strutturava secondo una gestione teocratica molto rigida . Come spesso era avvenuto nell'interno della storiografia deute­ ronomistica, attraverso pagine ermeneutiche di teologia della storia (Gdc 2 , 1 1-22 ; 1 Sam 12,6-15; 2Re 17,7-14 . 18- 19) , così anche ora la riflessione sulla rovina del 586 a.C. porta ad accentuare il senso di colpa collettivo : Giuda ha seguito Israele , il regno gemello , nella tragedia perché ha violato sistematicamente gli impegni dell'allean­ za. Il giudizio implacabile di Dio è piombato su questa catena di infedeltà ma resta sempre aperto uno spiraglio di luce . Attraverso l'esperienza martoriante dell'esilio , che aveva affratellato i due

29 La bibliografia fondamentale per questo periodo è indicata in Cortese , Da Mosè a Esdra, p. 267 . Dello stesso autore vedi I problemi di Esdra-Neemia (e Cronache) oggi, in BOr, 25(1983) , pp. 1 1 ·19. Per una sintesi della letteratura di questo periodo storico vedi P. SACCHI , Storia del mondo giudaico, Torino 1976.

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regni divisi , spuntano la conversione e il perdono il cui sigillo , secondo la Bibbia , è nel ritorno nella terra promessa . Ed allora «essi non si contamineranno più coi loro idoli , coi loro abomini , con tutte le loro iniquità ; li libererò da tutte le ribellioni con cui hanno peccato ; li purificherò e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio» (Ez 37 ,23) . È naturale , perciò , che i primi canti dell'esilio siano quelli del lamento . Essi si articolano attorno a due nuclei tematici , la tragedia di Sion distrutta e la tragedia del peccato. Ma entrambi i lamenti sono aperti al futuro della ricostruzione e del perdono .

a) I canti delle Lamentazioni Aperte da una domanda 'ekah, «come?» , che ha dato il titolo al volume ebraico , le Lamentazioni30 sono come un poema corale che sale , simile ad un respiro di dolore , da tutta la nazione ebraica . Non per nulla esse hanno ispirato due importanti partiture musicali anche del nostro tempo . Nel 1949 L. Bernstein pubblicava la Jeremiah Symphony per mezzosoprano e orchestra , mentre nel 1958 l. Strawinskij dava a una sua composizione per coro e orchestra il titolo Threni, termine con cui le Lamentazioni sono chiamate nella versione greca dei LXX e latina di Gerolamo . D'altra parte la tradizione cristiana le aveva già ampiamente usate nella liturgia della settimana santa , come quella giudaica che le aveva introdotte nei cinque «rotoli» (megill6t) della liturgia sinago­ gale . Il «come?» iniziale contiene tutto l'attonito stupore d'Israele di fronte al tempio in rovina , è quasi la sintesi del lamento che ancor 30 Vedine la presentazione abbozzata nelle pp . 67-68 a proposito delle suppliche nazionali. Per un'analisi più approfondita rimandiamo a: B. ALBREKTSON, Studies in the text and theology of the book of Lamentations, Lund 1963 ; G. BuccELLATI , Gli israeliti di Palestina al tempo dell'esilio, in BOr, 2(1960) , pp. 199-209; D. CoLOMBO, Lamentazioni, Roma 21977 ; A . GELIN, Les Lamentations, Paris 195 1 ; Io . , Lamenta­ tions (Livre des), in DBS, 5( 1957) , pp . 237-25 1 ; D . R . HILLERS , Lamentations, New York 1972 ; H . J . KRAus, Die Klagelieder (Threni) , Neukirchen 31968 ; A. MINTZ , The rhetoric of Lamentations and the representation of catastrophe, in «Prooftexts>> , 2(1982) , pp. 1-17; M.S. MooRE, Human suffering in Lamentations, in RB , 90(1983), pp. 534-555 . O. PLé)GER, Die Klagelieder, in Die funf Megilloth, Ti.ibingen 21969, pp. 127-164; G . RAVASI , Fino a quando Signore? Dolore, peccato, speranza nella fomentazione biblica, in «Servitium>> , 1 8 , (1984) 32, pp. 10-21 ; W. Ru ooLPH , Die Klagelieder, Gi.itersloh 1962 ; A. WEISER, Die Klagelieder, Gottingen 1962. Vedi anche a livello introduttorio P. CoLELLA , Lamentazioni, in BALLARINI, Introduzione alla Bibbia, vol. 1112, pp. 284-290 e, per il c. 5 G. BRUNET, La cinquième Lamentation, in VT, 33( 1983), pp. 149-170.

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oggi gli ebrei ortodossi levano al cielo davanti al Muro del pianto , i blocchi di pietra del muro occidentale del tempio erodiano , ultima reliquia storica della realtà più cara e santa per Israele . «Uomini con la barba rasa, le vesti stracciate , le incisioni sul corpo . . . , nelle mani offerte e incenso da portare al tempio di J ahweh» ( Ger 41 ,5 ; cf. Zc 7,3-5 ; 8 , 19) : la scena di lutto dipinta da Geremia può essere lo sfondo ideale delle Lamentazioni , anche se la solennità del 9 Av, commemorazione penitenziale del giorno del crollo del tempio , entrerà solo tardivamente nella liturgia giudaica ove troverà collocazione anche il «rotolo» delle Lamentazioni . Come è noto , le suppliche contenute in questo libretto sono cinque e la loro intensità non è raffreddata dall'erudizione che sfoggiano in più di un punto (nessi con la letteratura orientale) e dallo schema dell'acrostico alfabetico da cui sono rette le prime quattro lamenta­ zioni (la quinta ha 22 versetti , quante sono le lettere dell'alfabeto ebraico). Il loro genere è, però , diverso : i cc. 1 .2.4 sono suppliche nazionali , il c. 3 è un lamento individuale e il c. 5 una supplica comunitaria. Come emblema noi scegliamo il c. l , il testo let­ terariamente più potente . La prima lamentazione col suo interrogativo attonito e incredu­ lo iniziale (v. l ; cf. Ger 48 ,17; Is 14,4; Ez 26, 17) apre la scena su Sion raffigurata come una vedova desolata che rievoca la gioia e lo splendore del passato : «Quanti passano per la via fischiano e scrollano il capo sulla figlia di Gerusalemme : È questa la città che dicevano bellezza perfetta, gioia di tutta la terra?» (Lam 2, 15) . Il v. 2 introduce la spiegazione teologica di questo squallore, espressa col lessico profetico dell'infedeltà idolatrica (Os 2; Ger 22 ,20-22; 30, 14 ; Ez 16; 20 ; 23) . Ma nella sofferenza gli idoli si rivelano inetti ed inerti , bisogna ricorrere al Signore prima tradito . Il poema poi riprende Gerusalemme da angolature diverse ma tutte angoscianti . Da un lato l'ebreo errante sotto cieli e in nazioni ignote (v. 3), dall'altro le strade di Sion non più animate dalle voci e dai canti delle sue vergini o dalle liturgie dei suoi sacerdoti (v . 4) . In un'altra scena (v. 5) ecco apparire , trionfanti , i nemici che spadroneggiano e allineano le file dei deportati , «i bambini della vedova» (v. l ) Gerusalemme . Più i n l à , ecco l'antica classe dirigente ebraica ( v . 6) fuggire inseguita, come in una scena di caccia (Lam 3 ,52 ; Ger 16,16) , mentre attorno a questo immenso cumulo di macerie «i nemici guardano e ridono della sua rovina» (v . 7; cf. Lam 3 , 14 ; Sal 37 , 1 3 ; 52 ,8; Pro 1 ,26 ; Gb 30, 1 ) . La desolazione è ancora descritta con un'altra immagine orientale (vv . 8-9) : la veste , simbolo della 275

dignità di una persona , è strappata da Sion , che viene , così , ridotta alla nudità e all'impurità (Ez 16) . Due scene antitetiche chiudono il film di questo disastro nazionale : da una parte i nemici che saccheggiano , s'arricchiscono e osano persino varcare lo spazio sacro e intangibile del tempio per sequestrarvi i tesori (2Re 25 , 1317) , dall'altra gli ebrei che cercano disperatamente anche un solo tozzo di pane al mercato nero (vv . 10- 1 1 ) . Da questa massa di rovine e di miserie si alza una voce, è Gerusalemme stessa che piange la sua fine (vv . 12-22) . Rivolgendosi agli spettatori distaccati , simili agli amici di Giobbe , Sion tratteggia la sua pena con una tavolozza di colori molto ricca e tipicamente orientale . All'origine di ogni male essa vede il «dies irae» , il «giorno di J ahweh» in cui Dio è apparso come giudice . Le fiamme che si alzavano da Gerusalemme (vv . 12-13) , il giogo che i babilonesi imponevano ai deportati (v. 14) , le cadute durante la marcia sotto le sferzate degli aguzzini (v . 14) si trasformano in strumenti del giudizio implacabile del Signore «giusto perché io mi sono ribellata alla sua parola» (v. 18) . Gli «amanti», gli idoli delle apostasie di un tempo , sono impotenti a salvare . Su tutto si stende il velo della morte : «Lontano da me è chi potrebbe ridarmi la vita (v. 16) . . . , le vergini e i giovani sono andati in schiavitù» (v. 18) . . . , gli anziani e i sacerdoti sono spirati mentre cercavano cibo (v . 19) . . . , la spada mi priva dei figli , dentro c'è la morte» (v. 20) . Il Signore è come un vendemmiatore che pigia l'uva facendone uscire il mosto rosso come sangue (v . 15) . La confessio­ ne penitenziale e la speranza nella liberazione divina attraverso la vendetta sui nemici (vv. 18. 20-22) sono l'ultima e l'unica forza che la città santa possiede . Sottomettendosi umilmente a Dio , ritrovan­ do il coraggio della conversione , Israele vedrà un nuovo «giorno del Signore» che sarà solo salvezza e liberazione . Finiranno, allora, i sospiri e il cuore non si consumerà più nel dolore (v. 22) . Da questa e dalle altre lamentazioni , come da altri poemi dell'epoca giudaica colmi di nostalgia per Sion (pensiamo al cantico , già esaminato , di Tb 1 3 , a quelli di Ger 14; Na 1 ,2-8; Gdt 9 ; Is 5 1 ,9-1 1 , tutti già citati) , emerge un forte senso del peccato , personale , nazionale , generazionale . Il peccato è una frattura cosciente dell'alleanza con Jahweh e trascina con sé una serie di reazioni a catena secondo la «tecnologia morale» (Ph . Nemo) della retribuzione . Con questo strumento ermeneutico della retribuzione il giudaismo post-esilico tenta di interpretare e giustificare la tragedia del 586 a.C. Come testimonierà la protesta di Giobbe , 276

troppo spesso , però , il mistero del male deborda da questa rigida meccanica costruita sulla bipolarità «delitto-castigo» . Questa per­ plessità emerge anche nelle Lamentazioni , in particolare nell'ulti­ mo testo , quello del c. 5 , che spezza la rigorosa catena della retribuzione introducendo un terzo anello : peccato-castigo-perdo­ no. All'orizzonte appare la speranza , la certezza della misericordia divina (vedi Is 1 , 18 e 2Mac 15,22-24) . Ed allora alla domanda angosciata delle Lamentazioni «Non c'è chi consoli?» il Secondo Isaia risponderà: «Consolate , consolate il mio popolo - dice Jahweh - e gridategli che è finita la sua schiavitù e che è stata scontata la sua iniquità» (Is 40, 1 -2) . Quindi , un grande realismo che ignora illusioni gratificanti e autogiustificanti ma anche una ferma speranza nel primato della grazia divina e della speranza . b) I canti penitenziali La letteratura storiografica «sacerdotale)) è costellata di un continuo ricorso alla preghiera, al canto , all'invocazione,31 un dato che è confermato dalle narrazioni di 1-2Mac . Il ritratto di Giuda Maccabeo offerto da 2Mac 1 3 , 10-17 è quello di un valoroso generale che curiosamente dà solo l'ordine di «pregare il Signore giorno e notte . . . di supplicarlo con gemiti e digiuni e prostrazioni per tre giorni continui . . . affidando ogni cura al creatore del mondo . . . e dando ai suoi uomini la parola d'ordine : Vittoria di Dio h) (cf. 1Mac 3 ,46-53; 4,10-1 1 ; 4,30-34.54; 7,40-42 ; 1 3 ,47 . 5 1 ; 2Mac 10,7; 3,30-3 1 ; 15 ,22-24) . M a all'interno di questo continuo flusso orante una posizione di prestigio è rappresentata soprattutto dalla confessione delle colpe che si cristallizza in una forma letteraria di grande successo , la supplica penitenziale. Studiandone la struttura , abbiamo già offerto una prima antologia di passi post­ esilici segnati da questo tema: da Is 59,9-15 a Is 63 ,7-64 , 1 1 , da Est 4 , 1 71-z a Gdt 4 , 1 9-25 , da Tb 3 ,2-6 a Gl 1-2, a Sap 1 5 , 1-6.32 Ora ne

31 Vedi lCron 1 5 , 1 6ss ; 16,36; 29 ,20; 2Cron 5, 12- 1 3 ; 20,21 . 26.28; 23, 1 3 ; 29,27 ; Ne 8,6; Esd 3 , 1 1 , ecc ; O. PLOOER, Reden und Gebete im deuteronomitischen und chronistischen Geschichtswerk, in , Neukirchen 1 957 , pp. 34-49. 32 Vedi pp. 71ss. Di rilievo è anche la solennità dell'Espiazione, il kippur, il cui rituale è presentato in Lv 16. Questa celebrazione del perdono sarà capitale per tutto il giudaismo. Il digiuno è il segno esteriore della conversione a Dio che offre il perdono solo a causa della sua fedeltà all'alleanza (Es 34,6-7 ; Nm 14,18-19; Gl 2, 1314) .

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presenteremo altri sei esemplari di grande rilievo e di profonda spiritualità . 33 Al centro di queste composizioni c'è il tema della riconciliazio­ ne con Dio, essendo il peccato per la Bibbia rottura del legame d'alleanza. La riconciliazione è ottenuta con l' «umiliarsi» , cioè con l'abbandonarsi a Dio nell'amore , appellando ai suoi interventi salvifici nella storia passata (Es 34,9) , interventi che possono essere rinnovati nel presente . Per questo la preghiera di conversione è chiamata «confessione» (il verbo ebraico è hitwaddah, caro alla teologia sacerdotale ed usato in tutte queste suppliche penitenziali: Lv 5 ,5 ; 16,21 ; 26,40; Nm 5 ,7 ; Ne 1 ,6; 9,2-3 ; Esd 10, 1 ; Dn 9,4.20) , cioè atto di fede e di lode , atto di glorificazione del Signore , riconoscimento della sua fedeltà e del nostro tradimento . La prima «confessione» che esaminiamo è quella di Esd 9,5-10, 1, inserita nel contesto dello scottante problema dei matrimoni misti che Esdra risolve con implacabile durezza spezzando matrimoni e affetti . Il tema, comunque , non entra che secondariamente nella supplica. Essa rispetta un formulario liturgico più stereotipo ed è proclamata «davanti alla casa di Dio» , con «il vestito e il mantello laceri , in ginocchio e con le mani tese verso J ahweh» e con la partecipazione di «un'assemblea molto numerosa di israeliti che piangevano» . La supplica penitenziale si apre con una confessione comunitaria dei peccati e con una rievocazione dei mali che essi hanno causato ad Israele (9 ,6-7) . Segue una celebrazione della misericordia divina. Essa ha usato come strumento della sua manifestazione la politica religiosa liberale dei re persiani che ha permesso ad Israele di ricostituire il focolare nazionale (9 ,8-9) . Il cuore della preghiera è nei vv . 10-12, una nuova confessione dei peccati espressa col lessico dell'idolatria («immondezza , nefan­ dezze , impurità») con cui i profeti avevano attaccato le infedeltà d'Israele nei confronti dell'alleanza con Jahweh (Ez 36,17) . A questa colpa si aggiunge quella specifica dell'impurità contratta coi matrimoni misti proibiti da Dt 7 ,3 . Dopo la confessione , il proposito ( vv. 13-15) . Ogni cittadino del futuro stato . teocratico dovrà impegnarsi a restaurare la purezza nazionale e religiosa con fedeltà totale : «Potremmo forse noi tornare a violare i tuoi comandi e a imparentarci con questi popoli abominevoli?» (v . 14) .

33

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CL E . LIPJNSKJ ,

La liturgie pénitentie/le dans la Bible, Paris 1969 .

Appare in questa domanda retorica tutta la rigidità dell'integrali­ smo esdrino ma anche si intravede l'ansia di santità di questa comunità consacrata a Jahweh. Subito dopo le allarmanti notizie che giungono da Gerusalem­ me e che riguardano lo stato di desolazione in cui sono poste la popolazione e la città santa (Ne 1 ,3 ) , Neemia, a Babilonia, «Si siede , piange , fa lutto per parecchi giorni e digiuna» (1 ,4) . E prega recitando una preghiera che è conservata nelle sue stesse «memo­ rie» e che è fortemente impregnata di espressioni deuteronomisti­ che ( 1 ,5-1 1 ) . Il «coppiere» regale comincia a confessare i peccati comunitari d'Israele (vv . 5-7) . Ma le antiche promesse fatte da Dio a Mosè e il pentimento presente di Israele possono ricreare la speranza in un futuro intervento liberatore del Signore (vv. 8-10) . Un auspicio di benedizione sull'operato che Neemia sta per intraprendere chiude la supplica (v. 1 1 ) . Nel c. 9 di Neemia troviamo un'altra supplica che i l testo ebraico fa pronunziare a un gruppo di levi ti (9 ,5) mentre la versione greca dei LXX la pone sulle labbra di Esdra . È una «confessione » liturgica , successiva alla lettura della legge e nella cornice della festa delle Capanne .34 Gli elementi cultici sono molteplici : digiuno , vesti di sacco , polvere , presentarsi davanti a Dio, segregazione dagli stranieri , confessione dei peccati per un quarto della giornata, lettura della legge per un altro quarto della giornata, prostrazione , invocazione e invitatorio da parte del coretto dei leviti . La supplica - come annota la Bible de la Pléi'ade «è una delle più belle e più complete preghiere liturgiche conservate nell'AT all'infuori dei salmi» . La pietà giudaica vede il pentimento come una forza che penetra orizzontalmente lo spazio dell'intera comunità ora esistente e presente davanti a Dio e che ripercorre verticalmente il tempo di tutta la genealogia ebraica coi suoi peccati presenti e passati . La confessione è articolata sul contrappunto tra gli atti di fedeltà di Dio , confessati nel credo , e le continue infedeltà umane simili ad un anti-credo (cf. Ez 20; Sal 78 ; 106) . Nella prima parte della preghiera (9,6-15) si elencano gli articoli di fede del credo storico d'Israele . Essi , secondo l'imposta­ zione post-esilica , sono quattro : la creazione (v. 6) , i patriarchi (vv . -

34 Per questo l'attribuzione al solista Esdra , presidente dell'assemblea liturgica , sarebbe più logica. Vedi F.C. FENSHAM , Neh 9 and Pss 105, 106, 135 and 136, in >, 3( 1982) , pp . 9 1 -96 . 41 Su questo inno sapienziale vedi T. MuRAOKA , Sir 51, 13-30: an erotic hymn to wisdom?, in > , 10(1979) , pp. 166-178 (l'autore suppone che alla base del carme ci sia un > elaborato in chiave spirituale dal Sir) ; C. DEUTSCH . The Sirach 51 acrostic: confession and exhortation, in ZAW , 94( 1982) , pp 400-409 42 Per un'edizione dei testi , con commento e bibliografia, vedi MoRALDI , l manoscritti di Qumran, pp. 329-463 . o

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spesso di intensa resa poetica , quasi sempre innervati di citazioni o riferimenti biblici . Infatti questi 20 inni completi e la ventina di frammenti che li accompagna come i salmi apocrifi ritrovati ugualmente a Qumran sono un ricamo liturgico e letterario su testi veterotestamentari . Per questi oranti si adattava una frase del Sonetto 76 di Shakespeare : «La cosa migliore che so fare è di rimettere a nuovo parole vecchie» («So ali my bes t is dressing old words new»). Ecco un esempio , il salmo n. 26 di Qumran , un «inno al creatore» (Sanders: l lQPs• Creat) , che citiamo nella versione di Moraldi (o. c. , 488) . «Grande e santo è Jahweh, santissimo di generazione in generazione . Davanti a lui cammina la maestà, dietro lui lo scrosciare di molte acque . Benevolenza e verità circondano il suo cospetto , verità , giudizio e giustizia sono il fondamento del suo trono . Separando la luce dalle dense tenebre stabilì l'aurora con la scienza del suo cuore . Allorché tutti gli angeli videro, giubilarono perché fece loro vedere ciò che ignoravano , coronando le colline di frutti , di un buon cibo per ogni vivente . Sia benedetto colui che fa la terra con la sua forza, colui che rende stabile il mondo con la sua sapienza; con la sua intelligenza ha teso i cieli e ha fatto uscire il vento dai suoi magazzini , produsse i lampi per la pioggia e fece salire le nubi dall'estremità della terra . . . » .

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Conclusione

Al termine di questo nostro itinerario all'interno dei canti d'Israele - i cantici gloriosi del salterio e quelli , molteplici , distribuiti nell'arco della rivelazione veterotestamentaria - più che tentare un bilancio teologico o raccogliere sintesi o elaborare liste di temi , vogliamo suggerire alcune provocazioni per una ricerca ulteriore . Le formuliamo in modo essenziale , quasi per tesi .

l. Tutta la storia della salvezza , nei suoi vari articoli di fede , nei suoi diversi stadi, nelle sue manifestazioni alte e quotidiane si rivela come dialogica. Non è un monologo divino che piomba dai cieli sul piccolo e peccatore Adamo ; è sempre il coinvolgimento dell'uomo in un'alleanza , in una risposta. Anzi , si giunge al punto di avere un libro intero di preghiere dell'uomo «ispirate» da Dio: il salterio raccoglie le parole stesse che Dio «desidera» sentirsi rivolgere dal suo interlocutore privilegiato , l'uomo . Così , in tutte le vicende della storia della salvezza , Dio attende che l'uomo comprenda, accetti , ringrazi , lodi , benedica, magari anche pianga, speri , protesti , cerchi e alla fine ami il Dio salvatore . L'uomo biblico - come il suo Dio - non è mai solo , racchiuso in drammatici o splendidi isolamenti ma è un essere per eccellenza aperto , verso cui scende la parola divina e da cui esce una parola umano-divina. Scriveva giustamente C. Pavese : 1 «La massima sventura è la solitudine tant'è vero che i l supremo conforto , la religione , consiste nel trovare una compagnia che non inganna , Dio . La preghiera è uno sfogo come con un amico . Tutto il problema della vita è dunque questo : come rompere la propria solitudine , come comunicare con gli altri».

1 C. PAVESE , Il mestiere di GREENBERG , Biblica[ prose prayer

lsrael, Berkeley 1983 .

vivere, Torino 1956, p . 161 . Cf. anche M . a window to the popular religion of ancient

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2. Proprio perché dialogica la rivelazione biblica ci presenta una teologia sistematicamente attenta alla dialettica tra trascenden­ za e immanenza. La preghiera d'Israele riflette limpidamente questa tensione : il Dio invocato è sempre il «totalmente Altro» che non può essere piegato a manovre magiche , è sempre il «terribile>> , il giudice , il re supremo del cosmo e della storia ma è anche sempre il Dio vicino, accessibile , alleato , liberatore , pastore che cammina col suo gregge rischiando con esso . 2 Folgorante in questo senso è la dichiarazione di Is 57 , 1 5 : «Così parla l'Alto , l'Eccelso , che ha una sede eterna e il cui nome è santo : In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati , per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi» . Egli è, sì, il Signore , creatore supremo dell'universo ma è anche il padre schiérato dalla parte dei figli più piccoli , più umiliati , più dimenti­ cati , come ripetutamente ci ha insegnato l'innologia della vittoria presente soprattutto nella narrazione deuteronomistica . Per questo già l'antico Israele non teme di coniare nomi propri di persona come Joab e Abia che significano «Jahweh è padre». 3 . La dimensione principale che la risposta «cantata» dell'uo­ mo al suo Dio rivela è quella personale. Non si tratta , infatti , di formule frigide e sacrali elaborate all'interno di sedi sacerdotali cultiche. Anche i testi del repertorio ufficiale di Sion o quelli nati da esercizio di imitazione o di centonizzazione sono sempre percorsi da un fremito di partecipazione . Per tutte le altre composizioni la vitalità dell'individuo e della comunità è prorom­ pente e affiora quasi in ogni stico .3 Come diceva suggestivamente Anna, la madre di Samuele , ogni orante autentico d'Israele può ripetere durante la sua preghiera: «Sto sfogandomi davanti al Signore» ( 1Sam 1 , 15 ) . E proprio perché la persona biblica è colta nella sua totalità anche corporale , la lode innica è un coinvolgimen­ to anche della fisicità dell'uomo e , attraverso la simbolica antropo­ morfica , di quella di Dio, cioè di tutto l'essere dell'uno e dell'altro. Orecchi, cuore , braccio , viso , reni , naso , fegato , mani , occhi . . .

2 Vedi , ad esempio , W . HARRELSON , Worship in early Israel, in (Sal 42,2-3) . È la forza della vita che esplode in lode attraverso tutto l'essere . Il corpo vivo per l'uomo biblico è esso stesso t6dah : «Non la morte ti canta inni né quanti scendono nella fossa . . . L'uomo vivo , il vivo ti rende grazie come faccio io oggi ! » , grida Ezechia guarito in Is 38 , 18-19. Questa mistica «Corporale» appare in modo molto intenso nell'originale ebraico del Sal 16,7ss: '