Corpus dei papiri filosofici greci e latini: CPF. Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina. Parte I.1, Filosofi, tomo 3 (Nicolaus Damascenus - Zeno Tarsensis) 8822247922, 9788822247926

Il volume completa la prima parte della raccolta dei testi di filosofi antichi trasmessi dai papiri greco-egizi. Il nucl

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Corpus dei papiri filosofici greci e latini: CPF. Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina. Parte I.1, Filosofi, tomo 3 (Nicolaus Damascenus - Zeno Tarsensis)
 8822247922, 9788822247926

Table of contents :
CRITERI EDITORIALI
NOTA SULLA TRADIZIONE MANOSCRITTA DELLE TETRALOGIE PLATONICHE
NOTA SULLA TRADIZIONE MANOSCRITTA DEL «FEDRO»
CONSPECTUS CODICUM PLATONICORUM
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
RIVISTE
SIGLE PAPIROLOGICHE
ABBREVIAZIONI
SEGNI CRITICI
COLLABORATORI DEL PRESENTE VOLUME
REVISORI DEI PAPIRI
RINGRAZIAMENTI
INDICE DEGLI AUTORI
73 NICOLAUS DAMASCENUS
74 NIGRINUS
75 PARMENIDES
76 PERIPATETICI
77 PERSEUS CITIENSIS
78 PHILO vel PHILIO LARISAEUS
78bis PHILODEMUS GADARENSIS
79 PHILOLAUS
80 PLATO
81 PLATONICI
82 POLEMO
83 PORPHYRIUS
84 POSIDONIUS
85 POTAMO (ALEXANDRINUS?)
86 PRAXIPHANES
87 PRODICUS
88 PROTAGORAS
89 PYRRHO
90 PYRRHONEI
91 PYTHAGORAS
92 PYTHAGOREI
92a [PYTHAGOREI]
93 SECUNDUS
94 SIMON SOCRATICUS
95 SOCRATES
96 SOCRATICI
97 SOPHISTAE
98 SPEUSIPPUS
98bis SPHAERUS
99 STILPON
100 STOICI
101 STRATO
102 THALES
103 THEOPHRASTUS
104 THRASYALCES
105 XENARCHUS
106 XENOCRATES
107 XENOPHANES
108 ZENO CITIEUS
109 ZENO ELEATICUS
110 ZENO (TARSENSIS ?)
INDICE ANALITICO

Citation preview

UNIONE ACCADEMIA

ACCADEMICA

NAZIONALE

TOSCANA DI SCIENZE «LA COLOMBARIA»

E

LETTERE

CORPUS DEI PAPIRI FILOSOFICI GRECI E LATINI (CPF) Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina Parte I: AuTORI Vor. (NicoLaus

DAMASCENUS

NOTI

1*** - PLATONIS

FRAGMENTA)

FIRENZE

LEO

S.

OLSCHKI MCMXCIX

EDITORE

Cornitato scientifico e redazionale FRANCESCO ADORNO (presidente) GUIDO BASTIANINI ANTONIO CARLINI FERNANDA DECLEVA CAIZZI

MARIA SERENA FUNGHI (segretaria) DANIELA MANETTI MANFREDO MANFREDI FRANCO MONTANARI DAVID SEDLEY

L'opera viene pubblicata sotto gli auspici dell'Union Académique Interna-

tionale e dell'Unione Accademica Nazionale. Il volume é stato stampato con il contributo del Ministero per l'Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica a seguito di finanziamento di progetto di interesse nazionale (Fondi 40%) amministrato dal Dipartimento di Filosofia

dell'Università degli Studi di Firenze e del Dipartimento di Scienze dell'Antichità

«G. Pasquali» dell'Università degli Studi di Firenze e del C.N.R. Il patrocinio e l'onere dell'impresa sono stati assunti dall'Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria» di Firenze col contributo del Mi. nistero per l'Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica a seguito di

finanziamento di progetto di interesse nazionale (Fondi 40%) amministrato dai Dipartimenti di Filosofia delle Università degli Studi di Firenzee di Milano; dai Dipartimenti di Filologia Classica dell'Università degli Studi di Pisa e della Scuola Normale Superiore di Pisa; dal Dipartimento di Scienze dell'Antichità «G. Pasquali» dell'Università degli Studi di Firenze. ISBN 88 222 4792 2

AVVERTENZA

Al CPF si affıanca la collana «Studi e testi per il Corpus dei Papiri Filosofici» (all'interno della serie «Studi» dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’ di Firenze), che accoglie tutti quegli studi che si siano sviluppati nel corso dell’indagine in maniera autonoma o comunque in una forma diversa da quella richiesta dalla struttura voluta per il CPF. In questa serie rientrano anche gli studi preliminari relativi all’attribuzione di paternità di un frammento, in particolare quando essa venga smentita e il papiro non venga più ripubblicato nel Corpus; oppure, sebbene il testo venga riedito in altra sezione del CPF, quando sia opportuno per maggior chiarezza offrire in anticipo i motivi che hanno indotto a respingerne la paternità. Il criterio di selezione delle testimonianze di filosofi greco-latini contenute in Didimo sì è fondato principalmente sulle indicazioni fornite dagli editori dei PTura, salvo occasionali verifiche. La datazione dei codici di Tura è stata riconsiderata da M. Manfredi: da ciò dipendono le divergenze con le edizioni ei repertori. Poiché non è stato possibile effettuare il controllo papirologico né sugli originali né su fotografia - salvo per alcune pagine dei codici — si riproduce il testo e l'apparato delle edizioni: si rimanda quindi alle introduzioni delle edizioni medesime per 1 criteri editoriali ivi adottati. Nei rari casi invece in cui è stata possibile una revisione si danno testo ed apparato secondo 1 criteri del CPF. Per quanto riguarda il presente volume si richiama l'attenzione

sui seguenti punti.

Nella citazione degli apparati delle edizioni platoniche, sono state mantenute le sigle e le abbreviazioni utilizzate dagli editori dei dialoghi, anche se in qualche caso divergono da quelle adottate nel CPF. Anche per le parole greche isolate di norma & stato mantenuto l’accento che hanno nel testo platonico. Pur non rientrando fra1 testi raccolti nel CPF, per completezza é stata inserita, alla fine delle testimonianze platoniche, una scheda

con informazioni bibliografiche e testuali relativa alla versione copta (PNagHammadi VI 5) di un passo della Repubblica.

__ V_

AVVERTENZA

Al termine della sezione platonica figura anche l'elenco dei pa-

piri che contengono scholia.

A] fine di agevolare la lettura, il testo di PBrLibr inv. 137 (= 80 129T) è stato predisposto con traduzione a fronte e apparati a piè

di pagina, in deroga ai criteri generalmente seguiti nel CPF. Per ana-

logo motivo, nel caso di alcune testimonianze si è dato il testo in colonna.

La traduzione dall’inglese dei contributi relativi a Platone di M.W. Haslam è stata effettuata da Isabella Andorlini e Stefano Martinelli Tempesta; quella del contributo relativo a Teofrasto, De ventis, è di Maria Serena Funghi; la traduzione dall’inglese del contributo di T. Renner (80 44) è di Marco Fassino.

Il volume è stato predisposto e impaginato da Maria Serena Funghi e Fernanda Decleva Cazzi. Il lettore che consulterà i quattro tomi che costituiscono la parte I.1 del CPF non potrà non imbattersi in numerose

incongruen-

.ze. Il tempo trascorso tra progettazione e realizzazione, se da un lato ha permesso di introdurre alcuni miglioramenti editoriali, dall’altro ha inevitabilmente prodotto, soprattutto per quanto riguarda i 1 nr mandi interni, delle discrepanze, dovute in parte anche ai nuovi papiri pubblicati nel frattempo.



VI—

CRITERI

EDITORIALI

Il Corpus dei Papiri filosofici (CPF) sı suddivide in quattro

partı: I)

Autori noti (in due volumi, ciascuno in più tomi):

1.

I FILOSOFI (Academici — Zeno, ordinati alfabeticamen-

te). In questa sezione, inoltre, sono compresi sia 1 Testimonia

Hercnlanensia (un indice di tutte le testimonianze dei nomi e

delle opere dei filosofi che compaiono nei papiri ercolanesi), 518 1 papiri che riportano elenchi di opere o nomi di filosofi. 2.

CULTURA E FILOSOFIA (Acusilaus — Xenophon, ordina-

ti alfabeticamente). Figurano in questa sezione autori che hanno influenzato la cultura filosofica o ne sono stati influenzati, la cui riflessione teorica e il cui lessico occupano un posto

di rilievo nella storia del pensiero. II)

Frammenti adespoti e sentenze (in più volumi):

1. FRAMMENTI TESTUALI, ordinati cronologicamente in base all’attribuzione paleografica degli esemplari papiracei. 2. SENTENZE E DETTI DI AUTORI NOTI 3. SENTENZE E DETTI ADESPOTI

4. fico.

5.

FRAMMENTI di dubbia appartenenza al contesto filoso|

FRAMMENTI

che, pur non strettamente ‘filosofici’ (di

carattere astrologico, medico, giuridico, etc.), risultano di no-

tevole importanza, soprattutto per il lessico, ai fini della ricostruzione dei vari momenti della storia del pensiero. III) Commentarî

IV)

1. Indici e Lessico 2. Tavole — VII—

CRITERI

EDITORIALI

Il CPF si apre con ı Testimonia Herculanensia (TH), un indice che elenca le menzioni di nomi e di opere di filosofi e j

riferimenti dottrinali o biografici che ricorrono nei papiri ercolanesi. La specifica premessa chiarisce 1 criteri adottati per questa sezione.

Seguono le Liste di Filosofi ed Elenchi di opere, in cui figurano nomi di filosofi o titoli di opere filosofiche (ai quali

si rimanda anche sotto le singole voci): si sono selezionati i

papiri che riportano in prevalenza titoli di opere filosofiche,

mentre, nel caso di elenchi di libri di vario interesse, la cita-

zione è stata inserita soltanto fra 1 testimonia relativi ai singoli autori.

Compaiono quindi in ordine alfabetico secondo la forma latina del nome le scuole filosofiche e i singoli autori. All’interno di ogni singola scuola i testi sono disposti in ordine di collezione papirologica. All’interno dei singoli autori si procede seguendo l’ordine . alfabetico nella forma latina del titolo delle opere: in parentesi quadre vengono posti i titoli delle opere di attribuzione discussa o considerate spurie, mentre viene apposto il punto interrogativo ai titoli delle opere alle quali i frammenti papıraceı

sono stati attribuiti, in via ipotetica ma con molta probabilità, dagli studiosi moderni. Dopo i frammenti testuali sono disposti con numerazione continua, ma contrassegnata dalla lettera T, 1 «Testimonia», e cioè, in quest'ordine: le citazioni dirette (ordinate secondo l'opera da cui sono tratte), 1 riferimenti

dottrinali generici, i riferimenti biografici, o, in casi di estrema lacunosità del contesto, semplicemente il nome del filosofo. In caso di citazioni plurime all’interno di un unico papiro, ogni opera menzionata viene registrata sotto diverso numero: rimandi incrociati (con l’eccezione dei PTura) con-

sentono gli opportuni collegamenti. In fondo alla sezione dedicata ad ogni autore, viene motivata l'esclusione di frammenti papiracei la cui attribuzione a guell’autore non è stata accolta: similmente si segnalano, qua-

lora siano risultate particolarmente significative, le proposte di lettura del nome di un filosofo non convalidate dalla nuova revisione papirologica.

L’asterisco accanto al nome di un autore indica che questi

compare anche nei TH.

u

u

Uve necessario, i riferimenti interni vengono effettuati in— VIII —

CRITERI EDITORIALI

dicando in neretto, entro parentesi quadre, la parte dove ıl te-

sto del papiro verrà pubblicato per intero: per esempio di una testimonianza estratta dal Commentario anonimo al «Teeteto»

51 indicherà

con LETT]

la parte

del Corpus

in cui figurerà per

intero il PBerol inv. 9782, vale a dire la parte III. CommenLari. Nel Caso 1n cui un papiro riporti un testo di carattere non

filosofico — che quindi non viene edito integralmente nel CPF-

contenente testimonianze relative a piü autori, o a piü opere di un

medesimo

autore, s1 effettuano

rimandi

interni incro-

ciati: ad esempio, nel caso di POxy 1012 si segnaleranno i luoghi ın cui verranno pubblicati passi del testo, ossia sotto Anas-

sagora, Eraclide Pontico, Teofrasto, Senofonte, quindi: > 10 1T; 56 2T; 103 6T; I.2 (indicazione, quest'ultima, che richia-

ma solo la sezione di appartenenza dell’autore citato). Per quanto riguarda la simbologia papirologica, si ricorda

che 1 punti sulla linea di base della trascrizione indicano lettere non decifrate oppure (entro parentesi quadre) il numero

presumibile delle lettere in lacuna. Le parentesi quadre indicano I punti in cui vengono a mancare - con il supporto grafico — anche le minime tracce della scrittura. Le parentesi un-

cinate racchiudono lettere cadute per svista dell’amanuense e che si ritiene necessario restituire per dar senso al contesto.

Le parentesi quadre doppie indicano le lettere o le parole del contesto che sono state espunte da un amanuense o da un let-

tore antico, mentre le graffe contengono parti di resto espunte dall’editore moderno. Le parentesi tonde servono solo ad indicare lo scioglimento di un’abbreviazione. Gli apici convergenti indicano l’inserimento di una parte di testo che nell’ori-

ginale si trova aggiunto nell’interlineo. Come di consueto 1 l punti sotto le lettere indicano le incertezze di lettura.

Per le sigle delle collezioni papirologiche ci sı è fondati sull’aggiornamento effettuato da M. Manfredi al siglario presente in E.G. Turner, Papiri Greci (ediz. it. a cura di M. Manfredi); per le abbreviazioni dei nomi degli autori e delle opere

si è adottato il criterio del Greek-English Lexicon di H. Liddell - R. Scott - H. Jones, a cui si è aggiunto il siglario dello

Ziegler per i Moralia di Plutarco; per gli autori latini si è seguito l'Oxford Latin Dictionary. Per le forme dei nomi pro

pri e degli etnici che compaiono nelle clencazioni

e

in particolare nei TH), si è adottata una soluzione rer

ca, utilizzando le forme quali compaiono negh elenchi

(e di

CRITERI EDITORIALI

‘Authors & Works’ del LS], integrando i nomi assenti con l'Oxford Latin Dictionary o, altrımenti, col Thesaurus Grae-

cae Linguae. Ne conseguono discrepanze e incongruenze ine-

vitabili a causa dei differenti criteri applicati, alcune delle qua-

li, peraltro, già presenti nei suddetti lessici; tuttavia, esse non

sono apparse problematiche per la piena comprensione da par-

te del lettore. Per le edizioni sı & di regola omesso, salvo casi

di ambiguità, il nome dell'editore quando l'edizione fosse quella indicata in LS].

Nell'elenco delle abbreviazioni sono comprese le opere di

piü corrente riferimento di carattere papirologico, paleografico, filosofico, filologico. Per quanto riguarda i testi di autori noti (sezioni 1.1 e 1.2) vengono pubblicati per completezza anche 1 frammenti in papiro di opere che non abbiano contenuto specificamente filosofico. Il testo del papiro viene dato per intero se non esiste tradizione medievale autonoma.

In caso contrario, se il testo

è già stato utilizzato per edizioni critiche si segnalano solo le varianti, salvo che la revisione papirologica abbia apportato delle modifiche significative nella presentazione del testo; se non è stato Impiegato per edizioni critiche esso viene inserito per esteso. Si precisa inoltre che nel caso di epitomi il testo dell’opera è inserito tra le testimonianze dell’autore che viene riassunto. Agli pseudepigrapha viene dato lo stesso numero dell’autore cui le opere sono attribuite, contrassegnato dalla lettera a. Il numero

dell’autore

seguito

da bis indica un’inserzione

posteriore all’elenco pubblicato nel primo volume del CPF. Per quanto riguarda le testimonianze relative ad un autore estratte da testi che figurano per intero in altra parte del Corpus, vengono in generale registrati solo gli elementi più signi-

icativi, come il tipo di testo, la datazione, le edizioni, le tavole più correnti, la bibliografia specifica; seguono poi il testo, gli apparati essenziali, la traduzione e i punti di riferimento più importanti. . Non si dà traduzione quando l’opera ha anche una tradizione manoscritta medievale e ne esiste almeno una versione

italiana corrente.

Può essere utile lo schema di ogni singola scheda, correda-

to di legenda:

—X—

CRITERI EDITORIALI

n? di serie, progressivo in neretto NOME DELL'AUTORE (con * se anche in TH) n? progressivo del frammento testuale (o del testimonium, seguíto da T) titolo dell'opera collez. papirol., n° papiro (in neretto) [event. rif. interno] datazione (se testimonium, utolo dell'opera o tipo di testo in cui compare) Prov.: luogo di provenienza, in latino. Cons.: città e istituzione presso cui è conservato il pap. Edd.: edizioni del testo, o se T, edizioni relative alla testimonianza spe-

cifica. Tavv.: facsimili o fotografie. Pal.: trattazioni paleografiche. Comm.: articoli o note sul papiro o, se T, sulla testimonianza specifica. Qualora il papiro sia stato edito in una collezione papirologica non si registra qui, poiché s! presuppone la presenza del commento nell'edizione. Introduzione generale, in cui figurano l'eventuale descrizione paleografica e la presentazione del testo; ove non intervengano ragioni particolari, essa viene omessa nel caso di T. Testo, se richiesto, in colonna nel caso di frammenti testuali, in con-

tinuo, salvo impossibilità di ricostruzione della colonna, per T. Apparato paleografico (in italiano). Apparato critico (in latino). Traduzione, ove richiesta. Commento filosofico: puó suddividersi in generale e puntuale. Firma in sigla del curatore o dei curatori: in caso di collaborazione compare prima la sigla di chi ha curato la parte papirologica e poi quella di chi ha curato il commento

filosofico, coerentemente con la suc-

cessione adottata nella presentazione del materiale. La traduzione si intende frutto di lavoro comune. Se i nomi sono uniti da un trattino invece che dalla barra obliqua si deve intendere che nel lavoro vi è stata completa interazione.

In particolare sı tenga presente: 1) Vengono usate le lettere maiuscole per le pagine dei codici e per 1 frammenti; i numeri romani per indicare le colonne; il numero arabo per i righi. I frammenti testuali sono stati numerati secondo lettere anche nei casi in cui venivano indicati precedentemente con numeri; si è adottata la numerazione dei righi colonna per colonna, anche quando nell’edizione originale compare la numerazione in continuo, come ad esempio nelle edizioni dei papiri di Ossirinco. Per le testimonianze invece si è mantenuta l’indicazione dell’edizione originale. — XI—

CRITERI

^V Sete la voce PZA

ΒΘ

ΙΔ

Δ.

dopo l'indicazione dei dati dell’edi-

De Bringen, Vione registrato il titolo con

Ni provino νὰ τὰ mandi

cui il papiro

veniva

qualora esso non ne rispecchi il contenuto e sia modificato,

S See la voce Tune si rimanda ad una riproduzione che visse indicata come nel volume di riferimento. € Sotto la voce Comm. si registra in posizione isolata il

secure che il papiro reca nei cataloghi del Pack?, ora Mersor-Tack\ oppure in quelli dell’Aland o del Van Haelst. S^ Per le riviste sono state adottate le sigle dell’Annee Phi DYCQLP4S e. se non vi siano comprese, quelle del Repertoire inzsgrapbigue de la Philosophie. o Le misure dei frr. papiracei si intendono in cm e larzhezza per altezza. e accent, segni di interpunzione e cosi via, e sottoscrivendo lo τοῖς mutum. Per 1 frr. testuali la presenza dello sota mutum non viene segnalata in apparato — salvo che nei casi in cui non sia stato individuato nell’ed.pr. -, ma solo nell’introduzione; per le testimonianze, invece, in apparato. I segni critici presenti nel papiro vengono

segnalati in apparato,

così come

le

parole o le lettere inserite o corrette dallo scriba (a meno che ciò non comporti un cambio nella numerazione dei righi, cfr. p. es. POxy 1364, fr. B col. II, 1-3 [17 1]), gli errori itacistici etc. Si segnala invece nel testo l’espunzione ad opera dell’editore moderno di lettere o parole presenti nel testo del papiro. Non si fa uso nel testo del sigma lunato a meno che non sia dubbia la divisione delle parole: esso viene invece impiegato

sempre nell’apparato papirologico. 8) Negli apparati l'abbreviazione ed.pr. indica letture o ricostruzioni accolte nel testo dell’editio princeps; le letture o integrazioni proposte nell’apparato della stessa editio princeps vengono invece indicate con il nome dell'editore. Per la citazione di quest'opera viene adottata la sigla CPF: 1 rimandi interni vengono effettuati nel seguente modo: [1.1]

24 6 per indicare p. es. POxy 666, Aristoteles Protrepticus. E necessario indicare la sezione di appartenenza di un autore, se

questi non viene specificamente menzionato, poiché la progressione numerica sarà separata all'interno delle sezioni l.1e12. —

XII—

NOTA SULLA TRADIZIONE MANOSCRITTA DELLE TETRALOGIE PLATONICHE

Secondo la stimolante ricostruzione di J. Irigoin [(Deux tradi-

tions 1985-1986, 684-696 (= Tradition 1997, 151-167)], tutti i manoscritti medievali, a parte il Vind. Suppl. Gr. 39 [F: studiato di recente per i due /ppia da B. VANCAMP, AC 63 (1994), 35-44: 37-43 e Philologus 139 (1995), 238-250; cfr. anche J. IRIGOIN, Traces de livres antiques dans trois manuscrits byzantins de Platon (B, D, F),

in Studies in Plato and the Platonic Tradition, Essays Presented to John Whittaker, ed. by M. Joyal, Aldershot, Ashgate 1997, 229-244:

233-244], che contiene solo una parte del Corpus Platonicum (tetr. VI, 3 - IX, 1) e che pare risalire più o meno direttamente a un esemplare in maiuscola, probabilmente un rotolo, sono in ultima analisi

riconducibili a due distinte iniziative editoriali collocabili nel IX secolo, mediante le quali il materiale eterogeneo allora disponibile fu ricomposto, rispettando nella sostanza l'ordinamento tetralogico, in due corpora, ciascuno materialmente diviso in due tomi: il primo tomo del primo corpus è rappresentato, pur non unicamente [in alcuni dialoghi si deve tener conto di altri testimoni indipendenti, quali ıl Ven. Marc. Gr. 185 (coll. 576) (D), il Tub. Gr. Mb 14 (C) e il Par. Gr. 1813 (G o Q), ma su quest'ultimo la questione è ancora

aperta: su tutto ciò si vedano le informazioni fornite nell’introduzione al primo vol. del nuovo Platone oxoniense (OCT I, 1995)],

dal Bodleianus Clarkianus 39 (B), vergato nell’895 dal calligrafo Giovanni su commissione di Areta, contenente le prime sei "tetralogie (Eutifrone- Menone); il secondo & individuabile nel Vat. Gr. 1 [O:

l'abbondante bibliografia è reperibile in P. CANART - V. PERI, Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1970 («Studi e Testi», 261), 353; M. BUONOCORE, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, ibid. 1986 («Studi e Testi», 319), II, 793;

M. CERESA, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, ibid. 1991 («Studi e Testi», 342), 324], copiato dallo stesso scriba del Par. Gr. 2935 (Y) di Demostene [N.G. WiLsON, CQ n.s. 10 (1960), 199-204: 200-202], che presenta caratteristiche codicologiche simili ai manoscritti di Areta; attualmente O contiene Leggi, Epi— XIII —

NOTA

SULLA TRADIZIONE

DELLE

TETRALOGIE

nomide, Lettere, Definizioni e Spuria, ma, come

rivela l’esame co-

dicologico, comprendeva in origine i dialoghi dall’/ppia Maggiore in poi, cioè le tetralogie VII, VIII, e IX (più Def. e Sp.). Il secondo tomo del secondo corpus, copiato nello ‘scriptorium’ della cosiddetta 'collezione filosofica', da alcuni accostata all'ambiente di Fozio (contra G. CAVALLO, 7 fondamenti culturali della trasmissione dei testi antichi a Bisanzio, in Lo spazio letterario,

II,

265-306: 279-280), sopravvive nel Par. Gr. 1807 [A: sulle vicende di questo codice è intervenuto di recente H.D. SAFFREY, Nouvelles observations sur le manuscrit Parisinus Graecus 1807, in Studies in Plato and the Platonic Tradition, cit. qui sopra, 293-306], contenente

le tetralogie VIII e IX (più Def. e Sp.), mentre del primo tomo perduto abbiamo una copia della seconda metà del sec. X, attribuita da A. Diller e da B. Fonkié alla scuola di Efrem, l’ attuale Marc. Gr. App. Class. IV.1 (coll. 542) (T), la cui parte antica comprende le te-

tralogie I-VII (più la Repubblica fino all’inizio del libro III, ma alla fine del Menesseno, ultimo dialogo della VII tetralogia, si legge τέλος τοῦ α΄ βιβλίου). A queste due iniziative editoriali se ne deve aggiungere una terza, coeva, riferita da alcuni con cautela alla cerchia di Leone il filosofo (Carlini, Studi, 147 e n. 9), sempre distinta in due tomi (nel πίναξ aggiunto in W da W2, ma probabilmente

copiato da quello originario, si legge Πλάτωνος βιβλίον πρῶτον), αἱ

cui il secondo non è più individuabile, mentre il primo è rappre-

sentato dalla parte antica del Vind. Suppl. Gr. 7 [W: a esso vanno

accostati altri testimoni indipendenti, Vat. Pal. Gr. 173 (P), Vat. Gr. 225 (V), Par. Suppl. Gr. 668 (S), il correttore del Bodleiano, B’, da alcuni identificato con Areta, la fonte greca (A) della versione latina di Aristippo per il Fedone e la versione armena (Arm) per l'Apologia, per 1 quali si rimanda all'introduzione del nuovo Platone OCT, I, 1995. Particolare & il caso di P che, pur conservando per intero solo alcuni dialoghi, presuppone la conoscenza dell'intero corpus presentando excerpta o scoli di dialoghi appartenenti a tutte le tetralogie], della seconda metà del secolo XI, contenente

le prime

sette tetralogie in un ordine tetralogico perturbato (l'importanza di questa terza impresa editoriale, sottovalutata da Irigoin, é stata messa in luce da E. BERTI, Osservazioni filologiche alla versione del «Filebo». di Marsilio Ficino, in Il «Filebo» di Platone e la sua fortuna, Atti del Convegno di Napoli 4-6 novembre 1993, Napoli, D'Auria 1996, 93-167: 131-132: cfr. Carlini, Studi, 169-173 e Martinelli Tem-

pesta, Liside, 272-276). Il fatto che i due tomi dei diversi corpora non siano stati poi copiati congiuntamente spiega la separazione della tradizione del blocco delle prime sei/sette tetralogie da quella dell'ottava e della nona (più Def. e Sp.). All’interno del primo blocco, per le prime due tetralogie si ri— XIV —

NOTA

SULLA TRADIZIONE

DELLE

TETRALOGIE

manda alle informazioni fornite in OCT I (1995), sia nella praefatto, sia nei sigla codicum premessi a ogni singolo dialogo: i rappor-

ti tra i testimoni primari possono infatti variare da dialogo a dialo-

go (talvolta anche all’interno del medesimo). Quanto alla III tetralogia, per Prm. e Phdr. si veda C. MORESCHINI, ASNP 34 (1965), 169-185 (ma per Phdr. vd. infra la nota di M.W. Haslam), per Smp. Brockmann, Überlieferung; per tutta la IV si rimanda a Carlini [1964]; nell'ambito della V, per Thg. a M. JovAL, RHT 28 (1998), 1-53 (che però non tiene conto di PKöln VII 307: 80 81), per Charm. a D. MURPHY, Mnemosyne 43 (1990), 316-340, per Ly. a Martinelli Tem-

pesta, Liside; per la VI tetralogia (Grg. e Men.) ci si riferisce ancora a Dodds, Plato. Gorgias e a Bluck, Plato's Meno; quanto alla VII, per la quale viene meno la testimonianza di B, si rinvia agli studi di B. Vancamp sui due Ippia (RHT 25 (1995), 1- 60; Vancamp (1996); RBPh 74 (1996), 27-55]. Ulteriori informazioni circa lo stato attuale degli studi sulla tradizione delle prime sette tetralogie, oltre che nelle bibliografie dei due volumi di Brockmann [Überlieferung, con la rec. di F. VENDRUSCOLO,

Gnomon

68 (1996), 200-206] e di Mar-

tinelli Tempesta (Liside), si puó reperire nelle recensioni a OCT I (1995) apparse sinora: cfr. A. CARLINI, RFIC 124 (1996), 366-375, M.W.

HASLAM,

BMCR

8 (1997), 212-218, D.J. MURPHY,

BMCR

(1997), 218-230, S.R. SLINGS, Mnemosyne 51 (1998), 93-102, Ch.

BROCKMANN,

Gnomon

8

70 (1998), 657-665.

Per tutta l'ottava tetralogia disponiamo di studi recenti: a parte i lavori di S.R. Slings sul testo del Clitofonte [A Commentary on the Platonic Clitophon, Diss. Amsterdam 1981; Supplementary Notes on the Manuscripts of the Clitophon, Mnemosyne, n.s. 40 (1987), 35-44], di cui nessun papiro & stato finora pubblicato, un esame della tradizione manoscritta medievale della Repubblica & stato effettuato

da

Boter,

Textual

Tradition,

secondo

il quale

i testimoni

di

rango primario sono tre: A, D [cfr. nota sulla tradizione manoscritta del Fedro] e F. Lo stesso Boter (Textual Tradition, 113-118) ha mostrato come M (Caesenas Malatestianus D 28, 4) e T (testimone pri-

mario per le prime sette tetralogie), considerati da alcuni studiosi come gemelli di A, ne siano in realtà apografi. Per una discussione complessiva sull’apporto dei papiri si rinvia, oltre che a Boter, Textual Tradition, 252-257, a Slings, Remarks e a Haslam, Ancient Manuscripts. Per uno studio completo della tradizione manoscritta medievale del Timeo (e del Crizia, di cui nessun papiro è stato sinora pubblicato) si rimanda a Jonkers, Manuscript Tradition, secondo cui hanno statuto di testimoni primari i seguenti manoscritti: A, C, F, Vind. Phil. Gr. 21 [Y: vd. oraI. PEREZ MARTIN, La "escuela de Planudes": notas paleográficas a una publicación reciente sobre los escolios euripideos, ByzZ 90 (1997), 73-90: 77-80 e A. D’ACUNTO, Su

— XV —

NOTA

SULLA TRADIZIONE

DELLE

TETRALOGIE

un’edizione platonica di Niceforo Moscopulo e Massimo Planude: il Vindobonensis Phil. Gr. 21 (Y), SCO 45 (1995 [ma 1997]), 261-279], il Vat. Gr. 226 (©) e il Par. Gr. 2998 (Y). Gli ultimi tre formano un'unica famiglia (6). Si devono quindi eliminare dall'apparato di Rivaud (BL, X, 1925), in relazione al passo conservato da PSI 1201,

le lectiones singulares della mano recente che ha copiato nel Vind.

Suppl. Gr. 7 (W) Clitofonte, Repubblica e Timeo (W2; ad es. a 2042 εὐδαιμονωτάτης in luogo dell'indiscutibile edvouwtarng degli altri manoscritti, su cui vd. Taylor, Timaens, 49), trascrivendo quest'ultimo da V (Jonkers, Manuscript Tradition, 203-205), e quelle del Par.

Gr. 1812 (Par), dipendente da C (Jonkers, Manuscript Tradition, 190-

196). Le trattazioni più recenti — talune non più recentissime — sui ma-

noscritti della IX tetralogia sono quelle di E. Des Places per le Leggi (introd. a BL, X1.1, 1951, pp. CCVII-CCXVII),

di L. Tarán per

l'Epinomide (Academica: Plato, Philip of Opus and the Pseudo-Platonic Epinomis, Philadelphia, American Philosophical Society, 1975, 171-180), di J. Moore-Blunt per le Epistole (introd. a BT, 1985, pp. V-XVIII) di J. Irigoin [Deux traditions 1985-86, 688-692 (= Tradition 1997, 157-162)] e di K. Schópsdau [Nomo: (1994), 143-145: non aggiornato sull'apporto dei papiri (144 n. 116), in quanto non tiene conto di POxy LII (1984)]. Tutti questi lavori accolgono 1 risultati raggiunti da L.A. Post [CQ 22 (1928), 11-15; Vatican Plato (1934), 1-14], dopo 1 pionieristici studi di A. Jordan (1877), O. Immisch (1903), H. Rabe (1908) e A.C. Clark (1918: indicazioni bibliografi-

che complete nelle opere sopra citate): la constitutio textus delle Leggi, se si prescinde dalla tradizione indiretta, studiata da Des Places

(vd. BL, X1.1, 1951, pp. CCXVI-CCXVII con bibl.; i lavori di Des Places sono stati ristampati in E. Des PLACES, Etudes Platoniciennes, Leiden, Brill 1981, 199-258) e dalla traduzione armena [su cui vd. ibid., pp. CCXIV, CCXVI e R.B. FINAZZI, Note sulla tradu-

zione armena del V libro delle «Leggi» di Platone, RIL 108 (1974),

203-222], si basa su A, O, alcuni dei loro correttori [soprattutto A’ = O}, da taluni identificato con Areta, e O‘, che registra in O le le-

zioni del libro del Patriarca (o del Patriarcato)], che offrono lezioni tratte da fonti per noi perdute, al pari di alcune delle zioni del bessarioneo Ven. Marc. Gr. 188 (coll. 1022) (K° o parte P [cfr. M. MENCHELLI, 7/ Vaticano Palatino Gr. 173

talora correK°). A (P) di

Platone e il Parigino Gr. 1665 di Diodoro, BollClass s. III, 12 (1991),

95-117], probabilmente indipendente ma di scarsa utilità (contiene solo estratti da IV 715e-718a e V 727a-732d), Voss. Gr. fol. 74 e Est. Gr. 114, entrambi derivati da A, tutti gli altri mss. derivano da O. Dopo Post O è generalmente considerato gemello di A fino a Leggi 746b8 (μηδὲν ἀπολείπειν), copia di A da questo punto in poi: — XVI —

NOTA

SULLA

TRADIZIONE

DELLE

TETRALOGIE

scarsa fortuna hanno avuto le obiezioni, non risolutive, mosse all’ıpotesi di Post da F. Lenz [Gnomon 12 (1936), 128-134: 130-132], che pensa piuttosto a un modello comune per A e O anche dopo 746b8. Il problema merita forse una nuova messa a punto, dato che, nonostante il complesso delle argomentazioni di Post, riprese e ampliate da Des Places, risulti in ultima istanza convincente, quasi tutte le omissioni di.O corrispondenti a righi interi di A — classica prova di dipendenza - o causate dal salto da un punto di un rigo al punto più o meno corrispondente del rigo successivo di A, citate da Jordan [Hermes 12 (1877), 161-172: 168-169; cfr. Clark, Descent, 396-397], da Post (Vatican Plato, 12-13) e da J. Moore Blunt (Plato, Epistulae, BT, 1985, p. VII) sono spiegabili per omoteleuto e risultano perciò non del tutto cogenti. I problemi relativi al rapporto della tradizione manoscritta medievale con quella papiracea saranno discussi nelle introduzioni ai singoli papiri. SMT

— XVII —

NOTA

SULLA

TRADIZIONE DEL

MANOSCRITTA

«FEDRO»

In relazione all’analisi filologica dei papiri del Fedro, si fa presente che le lezioni dei MSS sono citate seguendo la seconda edizione di Moreschini (BL, IV.3, 1985) con ulteriori note tratte da

Vinzent, Phaidros-Papyri e da altre fonti. Nei casi più problemati-

ci si è effettuato un controllo su microfilm. Di solito non si è ritenuto opportuno citare D [Ven. Marc. Gr. 185 (coll. 576)], tranne nei rari casi in cui aggiunge elementi alla testimonianza di B [per il ruolo di D nella tradizione, oltre a C. MORESCHINI, ASNP 34 (1965), 169-185: 171-172, Moreschini 1966, 9-11 e Moreschini 1985, pp.

CCX-CCXII, vd. Brockmann, Überlieferung, 32 (bibliografia pre-

cedente), 49-68, D.J. MURPHY, Mnemosyne 45 (1992), 312-332: 312,

n. 3, D.J. MURPHY, BMCRev 4.6 (1993), 429-436: 431-432, Ὁ].

MURPHY - W.S.M. NiCOLL, Mnemosyne 46 (1993), 458-472: 459, n. 9. Nicoll, Textual Tradition, 33, n. 4; F. VENDRUSCOLO, Gnomon

68 (1996), 200-206: 204; M.W. HASLAM, BMCRev 8.3 (1997), 212218; D.J. MURPHY, BMCRev

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Mnemosyne

51 (1998), 93-102:

94-96

e CH. BROCK-

MANN, Gnomon 70 (1998), 657-665: 661 e n. 25]. Il codice P [su cui sl veda M. MENCHELLI, BoliClass s. III. 12 (1991), 93-117] & citato laddove conserva il testo. Vengono menzionati i recentiores collazionati da Vinzent (ed occasionalmente altri, per lo pià da Bekker) nei casi di lezioni giuste o di accordo con la versione dei papiri, anche se rispetto alla tradizione testuale possono comunque risultare testimoni validi. Nel caso di discordanze nel riferire 1 dati relativi ad un medesimo manoscritto - fatto incredibilmente frequente — si dà conto della fonte su cui ci si basa, a meno che non si tratti delJ'ed. di Moreschini (1985). Si deve evidenziare lo stadio ancora iniziale dello studio sulla tradizione manoscritta. MWH

— XVIII —

CONSPECTUS

CODICUM

PLATONICORUM

Sigle utilizzate Parisinus

Graecus

Datazione

IX

1807

vetus corrector codicis A

(?Arethas, ut quidam putant) Bodleianus

Clarkianus 39

«Ioannes Calligraphus>

a. 895

vetus corrector codicis B

(? Arethas, ut quidam putant) correctores codicis B

recentioris

aetatis

Tubingensis Graecus Mb 14 Venetus

Marcianus

Graecus

m

185 (coll. 576) COrrectores

XI

recentioris

XI aetatis

codicis D Vindobonensis Suppl. Gr. 39 corrector codicis F Caesenas Malatestianus D 28, 4

Vaticanus Graecus 1 =A vetus codicis O corrector, qui lectiones e patriarchae libro deductas addidit. Vaticanus Palatinus Graecus 173 (G Bekkeri) Parisinus Graecus 1813 Parisinus Suppl. Gr. 668

XIII-XIV XIV IX-X

X med.

XIII

XI

(codex Minae’)

Venetus Marcianus App. Class.

IV, 1 «Ephrem»

X med.

vetus corrector codicis T recentior corrector codicis T

2X ex.



XIX—

CONSPECTUS

CODICUM

PLATONICORUM

V (+ ©) Vaticanus Graecus 225 (+ Vat. Gr. 226) 1-12v, mg.

27-356 Vindobonensis Suppl. Gr. 7

W w"

W2

W3

vetus corrector codicis W manus recentior, quae Clit., R., Ti. exaravit (necnon πίνακα, c. 4) manus recentior, quae Timaei

XIV

in.

XI ex.

XIV

Locrensis opusculum exaravit [necnon ff. 139 (Tht.), 256 (Smp.), 486, 487, 488 (La.)]

XIV

correctores recentioris aetatis codicis W

Vindobonensis phil. Gr. 21 «Maximus

Planudes>

«Nicephorus Moscopulus> Parisinus Graecus 3009 vide V.

XII-XIII (ante 1305) XVI

Parisinus Graecus 2998 part. «Gregorius Cyprius>

versio Armeniaca (Euthyphro et Apologia). exemplar Graecum, quo usus est Henricus Aristippus (Phaedo et

XIII-XIV non post XI

Meno).

codex deperditus, a quo pendent B, (C), (D) in tetralogus I-VI.

codex deperditus,

a quo pendent

W, (P), (V), (Q), (S), (Arm), (A) in

tetralogiis I-VII (ad hanc familiam etiam B^ atque T^, qui autem nominatim citantur, pertinent).

codex deperditus, a quo pendent Y, O, Y in dialogo Timaeo.

Manoscritti citati per esteso

Escorialensis y. I. 13 part.

XIII

CONSPECTUS

Florentinus

CODICUM

PLATONICORUM

Laurentianus

XIV

plut. 59, 1 Florentinus

Laurentianus

plut. 60, 6 Florentinus

XIV

Laurentianus

plut. 80, 17 Florentinus

XV

Laurentianus

plut. 80, 19 (B) Florentinus

(XIV

Laurentianus

plut. 85, 6 Florentinus

XIII ex.

Laurentianus

plut. 89, 78

XV

Florentinus Riccardianus «Marsilius Ficinus» Mediolanensis

92

XV

Ambrosianus

D 56 sup. Monacensis

Graecus

Mutinensis

Estensis

XIV XV

237 Graecus

114 «Georgius Valla» Neapolitanus III. E. 15 (337) Parisinus Graecus Parisinus Graecus Parisinus Graecus 2

Par’, Par

3

ex.

manus

XV XIII-XIV

1040 1642 1808

?a.1325

XV

in.

XIII ἢ

correctrices

Parisini 1808 Parisinus

Graecus

1809

Parisinus Graecus

1810

XIV

«Georgius Pachymeres> Parisinus Graecus 1811 mg. «Andronicus Callistus» Parisinus Graecus 1812 mg. «Ioannes

Iovianus

XIII XIV

Pontanus»

Parisinus Graecus 1814 Parisinus Graecus 2011 Parisinus Graecus 2110 Parisinus Graecus 3012 Parisinus Coislinianus 155, ff. Av-1v Perusinus F 56



XXI —

XV

in.

CONSPECTUS

CODICUM

PLATONICORUM

Pragensis Lobcovicianus VI Fa 1

XIV-XV

Romanus Angelicus 107 (olim C.1.4)

XIV

Vaticanus Vaticanus Vaticanus Vaticanus Vatıcanus Vaticanus Vaticanus

Barberinianus 270 Graecus 227 Graecus 229 Graecus 1029 Graecus 1030 Graecus 2218 Rossianus 558

?XIV-XV XIV in. XIV XIV XIV XV XVI in.

Vaticanus Urbinas Graecus 80 part.

Venetus Marcianus App. Cl. IV, 54 (coll. 984) Venetus Marcianus Graecus 184

XIV

in.

XV

(coll. 326)

Venetus Marcianus

XIV-XV

Graecus

186

(coll. 601) part. Venetus Marcianus

Graecus

XV 187

(coll. 742) part. Venetus Marcianus

Graecus

XV

189

(coll. 704) mg. Vindobonensis phil. Gr. 109

XIV XIV

Vossianus Graecus fol. 74

XV

Per le sigle dei manoscritti dei testimoni della tradizione indiretta si rimanda alle rispettive edizioni critiche di riferimento. $1 è ritenuto opportuno offrire i dati sulle datazioni dei manoscritti e sulle eventuali identificazioni di copisti (qui specificati solo se abbiano avuto una qualche rilevanza storico-testuale), perché, in qualche caso, le notizie fornite in OCT I (1995) non sono aggiornate: in particolare il Vat. Gr. 225-226 (V-0), oggi assegnato all'i-

nizio del sec. XIV, nell’ambito delle scritture librarie arcaizzanti della prima età dei Paleologi [G. PRATO, Scritture librarie arcaizzanti della prima età dei Paleologi e loro modelli, S&C 3 (1979), 151-193 (= ID., Studi di paleografia greca, Spoleto, Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo

1994, 73-114); ID., 1 manoscritti greci

dei secoli XIII e XIV: note paleografiche, iin Paleografia e codicologià greca. Atti del II Colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbiit— XXII —

CONSPECTUS

CODICUM

PLATONICORUM

tel, 17-21 ottobre 1983), cur. D. Harlfinger - G. Prato, Alessandria, Dell'Orso 1991, 131-149: 139-140 (= Id., Studi ..., cit., 115-131: 122-

123)], é dai nuovi editori oxoniensi attribuito, pur con dubbio, al XI; 11 Ven. Marc. Gr. 185 (D), inoltre, datato in OCT I (1995) al sec. XII, è stato retrodatato al sec.XI da ]. Irigoin [Deux traditions,

1985-1986, 687 (= Tradition, 1997, 155)]. La base per i dati qui forniti è costituita dalle recenti monografie di Jonkers (Manuscript Tradition), Boter (Textual

Tradition)

e, in particolare, di Brockmann

(Überlieferung); per i manoscritti ivi non considerati si sono utilizzate le liste di L.A. Post (Vatican Plato) e di N.G. Wilson [Scriptorium 16 (1962), 386-395]; & stato effettuato un controllo sul Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600 (1. Grossbritannien; 2. Frankreich; 3. Rom mit der Vatikan), Wien, Osterreichische Akademie der Wissenschaften 1981, 1989, 1997. Sul problema dell’i-

dentificazione di B^ con Areta e sulle mani correttrici di B si veda OCT I, 1995, p. XI n. 17 e Martinelli Tempesta, Liside, 9 n. 14. Per

le differenti mani correttrici (D?, d', d^) del Ven. Marc. 185 (D), in OCT I (1995) genericamente riunite sotto la sigla d (vedi supra), si rimanda a E. BERTI, Hermes 104 (1976), 129-140: 135-137, A. CARLINI in STCPF, 6 (1992), 11-35: 20-21 e D.J. MURPHY, RFIC 123

(1995), 155-168: 156-162. Per il discusso problema della datazione di Prag. Lobc. VI Fa 1 e dei suoi rapporti con W si vedano le recenti messe a punto di N.G. WILSON, SCO

44 (1994), 23-32, di Berti,

Lobcoviciano e di J. IRIGOIN, Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata n.s. 51 (1997), 27-35. Per gli autografi di età paleologa (Giovanni Cortasmeno, Giorgio Pachimere, Gregorio di Cipro, Gemisto Pletone, Massimo Planude: Y, Escor. y. I. 13, Par. Gr. 1810, Var. Urb. Gr. 80, Ven. Marc. Gr. 189, Vind. phil. Gr. 21) si rimanda a

D. HARLFINGER, Autographa aus der Palaiologenzeit, in Geschichte und Kultur der Palaiologenzeit, Referate des Internationalen Symposions zu Ehren von H. Hunger, Wien, Österreichische Akademie

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261-279. La datazione del Ven. Marc. 189 è quella proposta ora da J. Irigoin apud M. JovAL, RHT 28 (1998), 18 n. 64, ma per i problemi relativi vd. Martinelli Tempesta, Liside, 116-117, n. 368 (con

bibliografia). SMT

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Novae

commentationes

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den

Platocodex

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la Vertu, Démodochos,

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ABBREVIAZIONI

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II, Fragmenta adespota, testimonia volumini 1 addenda, indices ad volumina 1 et 2, ed. R. KANNICHT - B. SNELL, 1981; vol. IV, Sophocles, ed. S. RADT, 1977. Turner, GMAW

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Greek

Comm.

L.G. WESTERINK,

The

Greek

Commenta-

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ABBREVIAZIONI

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vd. Zeller.

— XLIV —

RIVISTE

A&A AAHG

Antike

AASF AAT

Annales

und Abendland.

Anzeiger für die Altertumswissenschaft, hrsg. von der Österreichischen Humanistischen Gesellschaft. Academiae

Scientiarum

Fennicae.

Atti della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scien-

ze morali, storiche e filologiche. AATC AAWG AAWM AAWW ABG ABSA AC Acme ADAIK ADAW

Atti

e Memorie

dell’Accademia

Toscana

‘La Colombaria'.

Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Göttingen. Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Mainz, Geistes- und socialwiss. Klasse. Anzeiger der Österr. Akad. der Wissenschaften in Wien, Phil.Hist. Klasse. Archiv für Begriffsgeschichte. Annual of the British School at Athens. L'Antiquité classique. Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Univer-

sità degli Studi di Milano. Abhandlungen des deutschen archäologischen Instituts Kairo Abhandlungen der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Philos.-hist. Klasse.

Aegyptus

AFLN

Aegyptus. Rivista italiana di Egittologia e di Papirologia. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di

Napoli. AGM

Sudhoffs Archiv für Geschichte turwissenschaften.

AGPh AHAW

Archiv für Geschichte der Philosophie. Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaf-

der Medizin

und

der Na-

ten, Philos.-hist. Klasse.

AJPh Anagennesis AnPap

American Journal of Philology. Anagennesis. A Papyrological Journal. Analecta Papyrologica. Rivista della Cattedra di Papirologia dell'Università di Messina.

— XLV—

ABBREVIAZIONI

RIVISTE

AncPhil AncSoc APAW

Ancient Philosophy. Ancient Society. Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wissenschaften.

Apeiron

Apeiron, publ. by the Department of Classical Studies of Mo-

nash University. Archiv für Papyrusforschung und verwandte Gebiete. APF Atene e Roma. Rassegna trimestrale dell'Associazione ItaliaA&R na di Cultura Classica. Archaeology Archaeology. A: magazine dealing with the Antiquity of the World. Archiv für Religionswissenschaft. ARW Annales du Service des Antiquités d’Égypte. ASAE Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di LetASNP

tere e Filosofia.

Athenaeum

AUS BAGB BASP BASR BCO BFC Biblica BICS

Athenaeum. Studi periodici di letteratura e storia dell’antichità. Annales Universitatis Saraviensis. Bulletin de l'Association G. Budé.

Bulletin of the American Society of Papyrologists. Bulletin de l'Académie des Sciences de Russie. Bibliotheca Classica Orientalis.

Bollettino di Filologia Classica. Biblica. Commentarii editi cura Pontifici Instituti Biblici. Bulletin of the Institute of Classical Studies of the Univer-

sity of London. BIEH BIFG

Bil BJ BMCRev

BollClass BPEC BPhW BRL BSAA BSG

ByzJb ByzZ

Boletín del Instituto de Estudios helénicos.

Bollettino dell'Istituto di Filologia greca dell’Università di Padova. Bilychnis. Rivista mensile di studi religiosi. Bonner Jahrbücher des Rheinischen Landesmuseums in Bonn und des Vereins von Altertumsfreunden im Rheinlande. Bryn Mawr Classical Review. Bollettino dei Classici, a cura del Comitato per la preparazione dell’Edizione nazionale dei classici greci e latini. cfr. BollClass. Berliner Philologische Wochenschrift (cfr. PhW).

Bulletin of the John Rylands Library. Bulletin de la Société d’Archéologie d’Alexandrie. Berichte über die Verhandlungen der kgl. Sächischen Gesellschaft. Byzantinisch-neugriechische Jahrbücher. Byzantinische Zeitschrift.

— XLVI —

ABBREVIAZIONI

CE CErc CF

C&M C&N CodMan Contributo CPh

CQ

CR CRIPEL

RIVISTE

Chronique d'Égypte. cfr. CronErc. Classical Folia. Studies in the Christian Perpetuation of the Classics. Classica et Mediaevalia. Classici e Neolatini.

Codices Manuscripti. Zeitschrift für Handschriftenkunde. Il Contributo. Rivista critica di scienze umane.

Classical Philology. Classical Quarterly. Classical Review.

Cahiers de Recherches de l'Institut de Papyrologie et d’ Égyptologie de Lille.

CronErc

Cronache Ercolanesi. Bollettino del Centro internazionale per

DArch

lo studio dei Papiri Ercolanesi. Dialoghi di Archeologia.

DAW

Denkschriften

Dioniso

Dioniso.

DLZ

Deutsche Literaturzeitung für Kritik der internationalen Wissenschaft. Dissertationes Philologicae Halenses. Danske Videnskabernes Selskabs historisch-filologiske Meddelelser.

DPhH DVSM

der Akademie

der Wissenschaften

in Wien.

Rivista trimestrale di studi sul teatro antico.

EEThess(philol) Ἐπιστημονικὴ &xetnpig τῆς φιλοσοφικῆς σχολῆς τοῦ ᾿Αριστοτελείου Πανεπιστημίου Θεσσαλονίκης, τμῆμα φιλολογίας. Eikasmos: quaderni bolognesi di filologia classica. Eikasmos Elenchos. Rivista di studi sul pensiero antico. Elenchos Emerita. Revista de Lingüística y Filología clásica. Emerita Enchoria. Zeitschrift für Demotistik & Koptologie. Enchoria Eos

EPap EPh Eranos Et

FBSM F&F

GArb GB Gesnerus

Eos. Commentarii Societatis Philologae Polonorum. Études de Papyrologie. Les Études philosophiques. Eranos. Acta Philologica Suecana. Études. Revue catholique d'intérét général. Forschungen und Berichte, hrgs. von den Staatlichen Museen zu Berlin. Forschungen und Fortschritte. Geistige Arbeit. Zeitung aus der wissenschaftlichen Welt. Grazer Beiträge. Gesnerus. Revue trimestrielle publ. par la Soc. suisse d'Histoire de la Médecine et des Sciences naturelles.

— XLVII —

ABBREVIAZIONI RIVISTE

GGA GHA Gnomon

Göttingische Gelehrte Anzeigen. Göteborgs Högskolas Ärsskrifter. Gnomon. Kritische Zeitschrift für die gesamte klassische AItertumswissenschaft.

G&R GRBS

Greece

and Rome.

Greek Roman and Byzantine Studies.

Helikon Hellenica

Helikon. Rivista di tradizione e cultura classica.

HZ ICS IMS

Historische Zeitschrift.

Ἑλληνικά. Φιλολογικόν, ἱστορικὸν καὶ λαογραφικὸν reριοδικὸν σύγγραμμα τῆς ‘Etarpeiag Μακεδονικῶν Σπουδῶν. Helmantica. Revista de Filología Clásica y hebrea. Helmantica Hermes Hermes. Zeitschrift für klassische Philologie. Hesperia Hesperia. Journal of the American School of Classical Studies at Athens. HG Humanistisches Gymnasium. HPLS History and Philosophy of the Life Sciences. HSPh Harvard Studies in Classıcal Philology. HThR Harvard Theological Review. Hyperboreus Hyperboreus. Bibliotheca Classica Petropolitana.

Janus

Illinois Classical Studies. Internationale Monatsschrift. Janus. Revue internationale de l'histoire des sciences,

JAW

médecine, de la pharmacie et de la technique. Jahresbericht über die Fortschritte der klassischen Altertums-

JbAC JCPh JEA JHPh JAS

JJ? JKPh JEByz

JPhil JRS JS JThS

de

la

wissenschaft. Jahrbuch für Antike und Christentum.

cfr. JKPh. journal of Egyptian Archaeology. Journal of the History of Philosophy. journal of Hellenic Studies. The Journal of Juristic Papyrology. Jahrbücher für Klassische Philologie. _ Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik. journal of Philology. Journal of Roman Studies. Journal des Savants.

Kernos

journal of Theological Studies. Kernos: revue internationale et pluridisciplinaire de religion grecque antique.

Klearchos

Klearchos. Bollettino dell'Associazione Amici del Museo Na-

zionale di Reggio Calabria.

— XLVIII —

ABBREVIAZIONI

Klio. Beiträge zur alten Geschichte. Koiovta. Organo dell’Associazione di Studi tardoantichi. Les Études Classiques. Lustrum. Internationale Forschungsberichte aus dem Bereich des klassischen Altertums.

Klio Koinonia LEC Lustrum

LZB MAI Maia MAWA

Literarisches Mémoires Maia.

MCr MD

^

MH Mind

Mnemosyne NGG

NJA ΝΙΚΙΑ NJkIPh NJPhP NJW NT NTF NTS

ODVE

OLZ Orpheus OSAPh PAPhS Papyri PAS PBA PCPhS Philologus Phoenix

RIVISTE

Zentralblatt.

de l’Acad. des Inscriptions

et Belles Lettres. Paris.

Rivista di Letterature classiche.

Mededeelingen der Akademie van Wetenschappen te Amsterdam. Museum Criticum. Materiali e Discussioni per l'analisi dei testi classici. Museum Helveticum. Revue suisse pour l’Etude de l’Antiquité Classique. Mind. A quarterly review of psichology and philosophy. Mnemosyne. Bibliotheca Classica Batava. Nachrichten der göttinger Gesellschaft der Wissenschaften, Phil.-hist. Klasse. Neue Jahrbücher für das klassische Altertum. cfr. NJA. Neue Jahrbücher für Philologie und Pädagogik. Abt. 1: Jarbücher für klassische Philologie. Neue Jahrbücher für Philologie und Pädagogik. Neue Jahrbücher für Wissenschaft und Jugendbild. Novum Testamentum. An international Quarterly for the New Testament and related Studies. Nordisk Tidsskrift for Filologi.

New Testament Studies. An international Journal published quarterly under the auspices of Studiorum Novi Testamenti Societas. Oversigt over det kgl. Danske Videnskabernes Selskabs Forhandlinger. Orientalistische Literaturzeitung. Rivista di umanità classica e cristiana.

Oxford Studies in Ancient Philosophy. Proceedings of the American Philological Association. Papyri. Bollettino del Museo del Papiro. Proceedings of the Aristotelian Society. Proceedings of the British Academy. Proceedings of the Cambridge Philological Society. Philologus. Zeitschrift für klassische Philologie. The Phoenix. The Journal of the Class. Assoc. of Canada.

— XLIX —

ABBREVIAZIONI

RIVISTE

Phronesis

Phronesis. A Journal for Ancient Philosophy.

PhW Platon PP Pr]

Philologische Wochenschrift (cfr. BPhW). Πλάτων. Δελτίον τῆς "Etatpetag Ελλήνων Φιλολόγων. La Parola del Passato. Rivista di Studi anuchi. Preußische Jahrbücher. Prometheus. Rivista quadrimestrale di studi classici. Prudentia. A journal devoted to the intellectual history of the Hellenistic and Roman periods. Philosophical Studies. Quaderni Urbinati di Cultura Classica. Rivista di Archeologia Cristiana. Rendiconti del! Accademia delle Scienze dell'Ist. di Bologna, Cl. di sc. mor.

Prometheus Prudentia

PS QUCC RAC RAIB RAL RAAN

RBPh RC REA RecPap RecSR REG RFIC REN RhM RHT

RI

Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filolo-

giche dell'Accademia dei Lincei. Rendiconti dell'Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli. Revue Belge de Philologie et d’Histoire. Revue .Critique. Revue des Etudes Anciennes. Recherches de papyrologie. Recherches de Science Religieuse. Revue des Études Grecques. Rivista di Filologia e di Istruzione Classica. Rivista di Filosofia Neoscolastica. Rheinisches Museum.

Revue d'Histoire des Textes. Rivista d’Italia. Rivista Indo-Greca-Italica di filologia, lingua, antichità.

RIGI RIL

Rendiconti dell’Istituto Lombardo, Classe di Lettere, Scien-

RMeta RMM RPh RSC RSF

ze morali e'storiche. Review of Metaphysics. Revue de Métaphysique et de Morale. Revue de Philologie. Rivista di Studi Classici. Rivista critica di Storia della Filosofia (poi: Rivista di Storia della Filosofia).

Rudiae

Rudiae: ricerche sul

SAMPhN SAWW

Society for ancient medicine review. Sitzungsberichte der Osterreichischen Akademie der Wissen-

mondo

classico.

schaft in Wien, Philos.-hıst. Klasse.

—L—

ABBREVIAZIONI

RIVISTE

SBAW

Sitzungsberichte der Bayerischen Akad. der Wissenschaften, Phil.-Hist. Klasse.

S&C SCO

Scrittura e Civiltà.

Scriptorium SDAW

Revue

SHAW

Studi

Classici e Orientali. internationale

des Études

relatives aux manuscrits.

Sitzungsberichte der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. Klasse für Sprachen, Literatur & Kunst. Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philos.-hist. Klasse.

SicGymn

SIFC Sileno

SMEA SMSR SO Sok

Sophia SPAW SSAC StudPap StudUrb

Siculorum Gymnasium. Rassegna semestrale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania. Studi Italiani di Filologia Classica. Sileno. Rivista di studi classici e cristiani. Studi micenei ed egeo-anatolici. Studi e Materiali di Storia delle Religioni. Symbolae Osloenses. Sokrates. Sophia. Rassegna critica di Filosofia e Storia della Filosofia. Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der Wissenschaften. Studi Storici per l'Antichità Classica. Studia Papyrologica. Revista espafiola de Papirología.

Studi Urbinati di Storia, Filosofia e Letteratura. Sudhoffs Archiv: cfr. AGM. TAPhA Transactions and Proceedings of the American Philological

TLS Tyche VChr VetChr Vichiana VS WIA WKPh WS

YCIS ZBB ZBS ZPE

Association. The Times Literary Supplement. Tyche. Beiträge zur Alten Geschichte, Papyrologie und Epigraphik. Vigiliae Christianae. Vetera Christianorum. Vichiana. Rassegna di Studi filologici e storici. Videnskabs- Selskabet Skrifter (Forhandlinger) i Christiani. Würzburger Jahrbücher für die Altertumswissenschaft. Wochenschrift für klassische Philologie. Wiener Studien. Zeitschrift für klassische Philologie und Patristik. Yale Classical Studies. Zentralblatt für Bibliothekswesen. Zeitschrift des Deutschen Vereins für Buchwesen & Schrifttum. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik.

—LI—

SIGLE PAPIROLOGICHE

Berichtigungsl. Berichtigungsliste der griechischen Papyrusurkunden aus Ägypten, hrsg. von I.F. PREISIGKE, Berlin-Leipzig (Heidelberg dal 1933): VI. ed. E. BOSWINKEL, P.W. PESTMANN, Leiden, Brill 1976. BGU

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BKT

Berliner Klassikertexte, Berlin, Weidmann

1904-1939.

I. Didymos, Kommentar zu Demosthenes

(Papyrus 9780),

nebst Wörterbuch zu Demosthenes’ Aristocratea (Papyrus 5008), ed. H. DIELS u. W. SCHUBART,

1904.

Il. Anonymer Kommentar zu Platons Theaetet (Papyrus 9782), nebst drei Bruchstücken philosophischen Inhalts (Pap. N.8; P.9766. 9569), ed. H. DiELS u. W. SCHUBART,

III. Griechische Papyri medizinischen

und naturwissen-

schaftlichen Inbalts, ed. K. KALBFLEISCH 1905.

IV. Hierokles ethische Elementarlebre

1905.

u. H.

SCHÓNE,

(Papyrus

9780),

nebst den bei Stobäus erhaltenen ethischen Exzerpten aus Hierokles, ed. H. von ARNIM,

1906.

IX. Catalogue of Greek and Latin Literary Papyri in Berlin, ed. G. IoANNIDOU, Mainz, Von Zabern 1996. ChLa

Chartae Latinae Antiquiores, ed. A. BRUCKNER - R. MARICHAL, Basel, Urs Graf 1954.

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vedi PLille,

Mittheilungen aus der Sammlung

der Papyrus Erzherzog

Rainer, ed. J. KARABACEK, Wien, Verlag der k.k. Hof- und

Staatsdruckerei 1887-1897: II-III. 1887

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— LII—

SIGLE PAPIROLOGICHE

I. Griechische literarische Papyri, I, ed. H. GERSTINGER, H. OELLACHER,

K. VOGEL,

1932.

III. Griechische literarische Papyri, Il, ed. H. OELLACHER, 1939.

IV. Griechische literarische Papyri christlichen Inhalts I (Biblica, Väterinschriften und Verwandtes), ed. P. von SANZ, 1946.

OThompson Pap. Brux.

Pap. Flor.

Ostrakon di proprietà dell'editore, H. Thompson, attualmente non piü reperibile. Papyrologica Bruxellensia, serie edita a Bruxelles, Fondation Égyptologique Reine Élisabeth, 1962-. Papyrologica Florentina, serie edita a Firenze, Gonnelli, 1976-:

VII. Miscellanea Papyrologica, ed. R. PINTAUDI, 1980. XII. Suppl. Biblioteca Medicea Laurenziana. Papiri greci e latini a Firenze (secoli III a.C. - VIII d.C.). Catalogo del-

la mostra maggio-giugno 1983, a cura di R. PINTAUDI, 1983. XIX. (1-2) Miscellanea papyrologica in occasione del bicentenario dell’edizione della Charta Borgiana, a cura di M CAPASSO, G. MESSERI SAVORELLI, R. PINTAUDI,

1990.

XXX. Scrivere libri e documenti nel mondo antico. Mostra di papiri della Biblioteca Medicea Laurenziana 25 agosto25 settembre 1998, a c. di G. CAVALLO, E. CRISCI, G. MESSERI SAVORELLI, R. PINTAUDI.

Pap. Lugd. Bat. Papyrologica Lugduno-Batava, dal 1941: XXV. PAmh

ed. F.A.J. HOOGENDIJK

serie edita a Leiden, Brill, - P. VAN MINNEN,

1991.

The Amberst Papyri, being an Account of the Greek Papyri in the Collection of ... Lord Amberst of Hackney, ed. B.P. GRENFELL & A.S. HUNT, London, Oxford Univ. Press 19001901 (rist. an. Milano, Cisalpino-Goliardica 1975):

PAnt PBerol

PBodmer

II. Classical Fragments and Documents of the Ptolemaic, Roman and Byzantine Periods, 1901. The Antinoopolis Papyri, London, Egypt Exploration Society 1950-. Sigla inventariale della collezione di papiri e ostraka (= OBerol) degli 1 Staatliche Museen zu Berlin (vd. anche BKT, BGU) e, dal n° 21.000 in poi, dell’Ägyptisches Museum, Berlin. Serie di papiri della Bibliotheca Bodmeriana, Cologny-Genève, 1954-

XXVII. A. CARLINI, Il papiro di Tucidide della Bibliotheca Bodmeriana,

67-77). PBour

MH

32 (1975), 33-40 (= PLettCarlını

5, pp.

Les papyrus Bouriant, ed. P. COLLART, Paris, Champion 1926.

— LIII —

SIGLE PAPIROLOGICHE

PBrLibr

PBrux

PCairoMasp

Sigla inventariale della collezione di papiri conservati nella British Library, London, anche noti come Pap. B.M. (British Museum). Sigla inventariale della collezione di papiri dei Musées Royaux, Fondation Égyptologique Reine Élisabeth, Bruxelles. Papyrus grecs d'époque bizantine, ed. J. MASPERO, Le Caire, Imprimerie de l'Institut Frangais d'Archéologie Orientale II. n; 67125-67278,

1913.

PChesterBeatty The Chester Beatty Biblical Papyri, London 1933-1958: Fasc. V. Numbers and Deuteronomy, ed. F.G. KENYON, London, Oxford Univ. Press 1935; Fasc. V-VI, Plates, DuPCol

blin, Hodges Figgis 1958. Columbia Papyri. Greek Series, New York 1929— VIII. edd. R.S. BAGNALL, T. T. RENNER, K.A. WoRP, Atlanta, Scholars

Press

(«American

Studies

in

Papyrology»,

PCollYoutie

XXVIII). Collectanea Papyrologica. ... in Honor of H.C.

PDerveni

A.E. HANSON, II (n' 66-126), Bonn 1976 (= PTA 19-20). Papiro scoperto a Derveni in Grecia, pubblicato parzialmen-

Youtie, ed.

te, cfr. S.G. KAPSOMENOS, Ὁ ὀρφικὸς πάπυρος τῆς Ozooaλονίκης, «᾿Αρχαιολογικὸν Δελτίον» 19 (1964), 17-25 e ZPE PDidot

47 (1982), dopo p. 300. H. WEIL, Un papyrus inédit de la biliothèque de M. Ambroise Firmin-Didot, in Monuments grecs publiés par l'Association pour l’encouragement des Etudes grecques en France, Année

PDuke

PEES PErlangen PFay

1879, I, n° 8, Paris, Firmin-Didot

1879.

Sigla inventariale della collezione di papiri della Duke University Library, Durham N.C. (U.S.A.). Papiri dell’Egypt Exploration Society. Die Papyri der Universititsbibliothek Erlangen, ed. W. SCHUBART, Leipzig, Harrassowitz 1942 («Katalog der Handschriften der Universitätsbibliothek Erlangen», III 1). Fayam Towns and their Papyri, ed. B.P. GRENFELL, A.S. HUNT, D.G. HOGARTH, J.G. MILNE, London, Egypt Explo-

ration Society 1900. PFayüm Coles Papiri dello stesso fondo di cui sopra, editi da R.A. COLES

in ZPE 6 (1970), 247-266.

PFlor

Papiri greco-egizit, ed. D. COMPARETTI e G. VITELLI, Milano, Hoepli 1906-1915 (rist. an. Torino, La Bottega d'Erasmo

1960):

II. Papiri fiorentini. Papiri letterari ed epistolari, ed. D. ComPARETTI,

1908.

Il. Papiri fiorentini. Documenti e testi letterari dell’età romana e bizantina, ed. G. VITELLI, 1915.

— LIV—

SIGLE PAPIROLOGICHE

PFouad

Les Papyrus Fouad I, ed. A. Bataille, O. Guéraud, P. Jouguet, N. Lewis, H. Marrou, J. Scherer, W.G. Waddell, Le

Caire, Publications de la Société Fouad I de Papirologie 1939 (rist. an. Milano, Cisalpino-Goliardica PGen

PGettyMus

Sigla inventariale della collezione di papiri della Bibliothèque Publique et Universitaire de Genéve. Sigla inventariale della collezione di papiri del J. Paul Getty Museum,

PGM

1976).

Malibu, Ca. (U.S.A.).

Papyri Graecae Magicae. Die griechischen Zauberpapyri, ed. K. PREISENDANZ, I-III, Leipzig-Berlin, Teubner 1928, 1931,

1941 (nuova ediz. dei voll. I-II, ed. A. HENRICHS, Stuttgart, Teubner PGraecMon

1973-1974).

Veröffentlichungen aus der Papyrus-Sammlung der K. Hofund Staatsbibliothek zu München: 11. Papiri letterari greci della Staatsbibliothek

PGrenf

PHamb

di Monaco

di Baviera, a cura di A.

CARLINI e altri, Stuttgart, Teubner 1986. II. New Classical Fragments and other Greek Papyri chiefly Ptolemaic, ed. B.P. GRENFELL, Oxford 1897 (rist. Milano, Cisalpino-Goliardica 1972). Griechische Papyrusurkunden der Hamburger Staats- und Universitäts-bibliothek: II. Griechische Papyri der Hamburger Staats- und Universitäts-Bibliothek, mit einigen Stücken aus der Sammlung Hugo Ibscher, ed. B. SNELL e altri, Hamburg,

Augustin

1954

(«Veróffentlichungen aus der Hamburger Staats- und Universitäts-Bibliothek», 4). PHarris

The Rendell Harris Papyri of Woodbroke College, Birmingham, ed. J.E. POWELL, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1936 (rist. Milano,

PHaun

Cisalpino-Goliardica

SEN, Kebenhavn, Munksgaard

PHawara

PHeid

PHerc

1974); vol. II ed.

R.A. COLES e altri, Zutphen, Terra Publishing Co. 1984 («Studia Amstelodamensia», XXVI). Papyri Graecae Haunienses I. Literarische Texte und ptolemäische Urkunden, ed. T. LAR1942 (rist. an. Milano, Cisal-

pino-Goliardica 1976). II. Letters and Mummy Labels from Roman Egypt, ed. A. BULOW-JACOBSEN, Bonn, Habelt 1981 (PTA 29). The Hawara Papyri, ed. J.G. MILNE, APF 5 (1913), 378-397. Veröffentlichungen aus den badischen Papyrus-Sammlungen, Heidelberg, Winter 1923-; poi Veróffentlichungen aus der Heidelberger Papyrus-Sammlung, 1956—. In generale per tutti i papiri editi sotto questa sigla vd. Catalogo dei Papiri Ercolanesi, sotto la direzione di M. Gi.GANTE, Napoli, Bibliopolis 1979.

— LV

SIGLE PAPIROLOGICHE

PHibeh

PHolm

The Hibeh Papyri, vol. I ed. B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, London, Kegan Paul 1906; vol. II ed. E.G. TURNER - M.T. LENGER, London, Egypt Exploration Society 1955. Papyrus Graecus Holmiensis. Recepte für Silber, Steine und Purpur, ed. O. LAGERKRANTZ, Uppsala-Leipzig, Akademiska Bokhandeln-Harrassowitz 1913.

Plbscher

vd. PHamb

II.

PKöln

Kölner Papyri, Opladen, Westdeutscher Verlag 1976-: l. ed. B. KRAMER u. R. HÜBNER, 1976. II. ed. B. KRAMER u. D. HAGERDORN, 1978. III. ed. B. KRAMER, M. EnLER, D. HAGERDORN, R. HÜBNER 1980.

V. ed. M. GRONEWALD u.a., 1985. VI. ed. M. GRÓNEWALD, B. KRAMER u.a., 1987.

VII. ed. M. GRÖNEWALD, K. MARESCH, 1991. VIII. ed. M. GRÖNEWALD, PLaur

PLeiden

K. MARESCH, C. RÖMER,

1997.

Dai Papiri della Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze, Gonnelli 1976I. ed. R. Pintaudi, 1976 (Pap. Flor. 1). II. ed. R. Pintaudi, 1977 (Pap. Flor. II). ΠῚ. ed. R. Pintaudi, 1979 (Pap. Flor. V). IV. ed. R. Pintaudi, 1985 (Pap. Flor. XII). Papyri Graeci Musei Antiquarii publici Lugduno-Batavi, ed. C. LEEMANS, 2 voll., Leiden, tip. Hazenberg 1843-1885.

PLettCarlini

PLille

Sigla inventariale della collezione dei papiri del Papyrologisch Instituut di Leiden. Papiri letterari greci, ed. A. CARLINI et al., Pisa, Giardini 1978. Papiri della Université de Lille III, editiin Cabier de Recherches de l'Institut de Papyrologie et d’Egyptologie de Lille (CRIPEL), Lille, Publications de l'Université de Lille III.

PLitLond

PLitPalauRib

Catalogue of Literary Papyri in the British Museum, ed. H.J.M. MILNE, London, The British Museum 1927 (rist. an. Milano, Cisalpino-Goliardica 1977). Papiros literarios griegos del fondo Palau-Ribes, ed.J. O' CALLAGHAN,

Barcelona, Institut de Teologia

fonamental,

Seminari de Papirologia 1993. PLond

Greek papyri in the Britisb Museum,

London, The British

Museum:

PLond Facsimiles PLouvre

PMacquarie

I. ed. F. Kenyon, 1893. Greek Papyri in the British Museum, Facsimiles [a cura dı E. SCOTT], voll. I-ITI, London, Longmans 1893-1907. vd. PPar. Sigla inventariale della Macquarie Univ., North Ryde (Aus).

— LVI—

SIGLE PAPIROLOGICHE

PMed

Sigla inventariale della collezione di papiri dell'Università Cattolica, Milano.

PMerton

A Descriptive Catalogue of the Greek Papyri in the Collection of Wilfred Merton, F.S.A.: I. ed. H.I. BELL, C.H. ROBERTS, London, Emery Walker 1948. II. ed. R. Rees, H.I. BELL, J. W.B. BARNES, Dublin, Hodges

PMich

PMilVogliano

Figgis 1959. Sigla inventariale della collezione di papiri della University of Michigan, Ann Arbor. Papiri della (R.) Università degli Studi di Milano, ed. A. VOGLIANO e altri, 1937—: I. ed. A. VOGLIANO, Milano, Hoepli 1937. II. ed. V. ARANGIO-RUIZ, I. CAZZANIGA, M. VANDONI ed altri, Milano, Giuffré 1961. IV. ed. D. FoRABOSCHI, M. VANDONI ed altri, Milano, Isti-

PNagHamm

tuto Editoriale Cisalpino 1967. Nag Hammadi Codices. Greek and Coptic Papyri from the Cartonnage of tbe Covers, ed. J. W.B BARNS, G.M. BRowNE, J.C. SHELTON,

POslo

Leiden, Brill 1981 («Nag Hammadi

dies», XVI). Papyri Osloenses, Oslo, Dybwad

Stu-

1925-1936:

II. ed. S. EITREM - L. AMUNDSEN, 193] III. ed. S. EITREM - L. AMUNDSEN, POxy

POxyHels

1936.

The Oxyrhynchus Papyri, ed. B.P. GRENFELL - A.S. HUNT e altri, London, Egypt Exploration Society 1898-. Fifty Oxyrbynchus Papyri, ed. H. ZILLIACUS, J. FRÖSEN, D. Hoduri, J. KAIMIO, M. KAIMIO, Helsinki, Societas Scientiarum Fennica 1979 («Commentationes Humanarum Litterarum», 63).

PPar

Notices et textes des Papyrus grecs du Musée du Louvre et de la Bibliothéque Impériale, ed. J.A. LETRONNE, W. BRUNET DE PRESLE, Paris, Imprimerie Impériale 1865 (rist. an.

PPetrie

Milano, Cisalpino-Goliardica 1975). The Flinders Petrie Papyri, Dublin, Academy House 18911905 (rist. an. Milano, Cisalpino-Goliardica 1975): I. ed. J.P. MAHAFFY, 1891. II. J.P. MAHAFFY, 1893 («Cunnigham Memoirs», IX). III. ed. J.P. MAHAFFY, J.G. SMYLY, 1905 («Cunningham Memoirs», XI).

PPrag

Papyri Pragenses. Sigla inventariale della Národní Knihovna v Praze.

PPrinc

Papyri in the Princeton University Collection, ed. A.C. JOHNSON e altri, Baltimore, Md., The Johns Hopkins Press 1931-

(rist. Milano, Cisalpino-Goliardica 1975).

— LVII —

SIGLE PAPIROLOGICHE

PRain

vd. M.P.E.R.

N.S e PVindob.

PRainerCent

Festschrift zum 100-jährigen Bestehen der Papyrussammlung der österreichischen Nationalbibliothek, Papyrus Erzherzog Rainer, Wien, Hollinek 1983.

PRein

II. Les papyrus Théodore Reinach, ed. P. COLLART e altri,

PRossGeorg

Le Caire, Imprimerie de l'Institut Frangais d'Archéologie Orientale 1940. Papyri russischer und georgischer Sammlungen, ed. G. ZERETELI, Tiflis, Universitätslitographie Amsterdam, Hakkert 1965-1966):

PRyl

1925-1935

(rist. an.

l. Literarische Texte, ed. G. ZERETELI u. O. KRÜGER, 1925. Catalogue ofthe Greek Papyri in the John Rylands Library, Manchester, ed. A.S. HUNT e altri, Manchester, University Press, 1911-1952:

II. Documents of tbe Ptolemaic and Roman Periods, ed. ]. DE M. JOHNSON, V. MARTIN, A.S. HUNT,

1915.

III. Theological and Literary Texts, ed. C.H. ROBERTS, 1938. PSchubart

Griechische Literarische Papyri, ed. W. SCHUBART, Berlin, Akademie 1950 (rist. an., Milano, Cisalpino-Goliardica 1974).

PSI

Papiri greci e latini (Pubblicazioni della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto), ed. G. VITELLI e altri, Firenze (fino al vol. XII tip. Ariani, dal XIII.2 Le -Monnier) 1912-.

PSILaur

Papiri del fondo dei PSI della Biblioteca Medicea Laurenziana, non editi nella collezione PSI.

PSorbonne PStrasb

Sigla inventariale della collezione di papiri dell'Institut de Papyrologie de la Sorbonne, Paris. Vd. anche PRein. Papyrus grecs de la Bibliothèque Nationale et Universitaire de Strasbourg, ed. P. COLLOMP e altri, Paris, Belles Lettres 1948- (dal 1963 ed. J. SCHWARTZ e altri, Strasbourg, nella

PTA

serie Publications de la Bibliothèque Nationale et Universitaire de Strasbourg). Papyrologische Texte und Abhandlungen, serie edita a Bonn, Habelt dal 1968: 1. Didymus der Blinde. Kommentar zu Hiob (Tura-Papyrus), Teil I. Kommentar CHS, 1968.

zu Hiob

Kap.

1-4, ed. A. HENRI-

2. Didymus der Blinde. Kommentar zu Hiob (Tura-Papyrus), Teil II. Kommentar zu Hiob Kap. 5,1-6,29, ed. A. HENRICHS, 1968.

3. Didymus der Blinde. Kommentar zu Hiob (Tura-Papyrus), Teil III. Kommentar HAGEDORN,

zu Hiob

D. HAGEDORN,

Kap. 7,20c-11, ed. U.

L. KOENEN,

1968.

4. Didymus der Blinde. Psalmenkommentar (Tura-Papyrus),

— LVII —

SIGLE PAPIROLOGICHE

Teil II. Kommentar zu Psalm. 22-26,10, ed. M. GRONEWALD, 1968.

6. Didymus der Blinde. Psalmenkommentar (Tura-Papyrus), Teil IV. Kommentar zu Psalm. 35-39, ed. M. GRONEWALD, 1969.

7. Didymus der Blinde. Psalmenkommentar (Tura-Papyrus), Teil I. Kommentar zu Psalm. 20-21, ed. L. DOUTRELEAU, A. GESCHÉ, M. GRONEWALD, 1969. 8. Didymus der Blinde. Psalmenkommentar (Tura-Papryrus), Teil III. Kommentar zu Psalm 29-34, ed. M. GRONEWALD, 1969.

9. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil VI. Kommentar zu Eccl. Kap. 11-12, ed. G. BINDER, L. LIESENBORGHS,

1969.

12. Didymus der Blinde. Psalmenkommentar (Tura-Papyrus), Teil V. Kommentar NEWALD,

zu Psalm 40-44,4,

ed. M.

GRO-

1970.

13. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil III. Kommentar zu Eccl. Kap. 5 und 6, ed. ]. KRAMER,

1970.

16. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil IV. Kommentar zu Eccl. Kap. 7-8,8, ed. J. KRAMER,

B. KREBBER,

1972.

22. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil II. Kommentar zu Eccl. Kap. 3-4,12, ed. M. GRONEWALD,

1977.

24. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil V. Kommentar zu Eccl. Kap. 9,8-10,20, ed. M.

GRONEWALD,

1979.

25. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil I.1. Kommentar zu Eccl. Kap. 1,1-2,14 (Einleitung, Text, Übersetzung, Indices), ed. G. BINDER, L. LIESENBORGHS,

1979.

26. Didymus der Blinde. Kommentar zum Ecclesiastes (Tura-Papyrus), Teil 1.2. Kommentar zu Eccl. Kap. 1,1-2,14 (Erläuterungen), ed. G. BINDER, 1983. 29. Papyri Graecae Haunienses, 11. Ed. A. BÙULOW-JACOBSEN,

1981.

37. E. LIVREA, Studi Cercidei (P.Oxy. PTebt

The Tebtunis Papyri: II. ed. B.P. GRENFELL, don, Frowde 1907.

PTura

1082), 1986.

A.S. HUNT,

E.]. GOODSPEED,

Lon-

Sigla per i codici papiracei da Tura con opere di Didimo 1] Cieco: pubblicati in PTA (vd. supra) e nella serie «Sources Chretiennes».



LIX —

SIGLE PAPIROLOGICHE

PTurner

Papyri Greek and Egyptian edited by various Hands in Honour of E.G. Turner on the Occasion of his Seventieth Birthday, London, Egypt Exploration Society 1981.

PVars

Papyri Varsovienses, ed. G. MANTEUFFEL, L. ZAWADOWSKI,

PVatic

K. ROZENBERG, Warszawa, Uniwersytet Warszawski 1935, rist. con addenda di Z. BORKOWSKI, Milano, Cisalpino- Goliardica 1974. Sigla inventariale della collezione di papiri della Biblioteca Apostolica Vaticana: Papiro Vaticano Greco 11: 1. Paßwpivov Περὶ φυγῆς, 2. Re-

gistri fondiari della Marmarica, ed. M. NORSA e G. VITELLI, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1931 («Studi e Testi», 53). PVindob

PYale

Sigla inventariale della collezione di papiri della Papyrussammlung der Osterreichischen Nationalbibliothek, Wien. Vd. anche M.P.E.R.; M.P.E.R., N.S.; PRain. Yale Papyri in the Beinecke Rare Book and Manuscript Library: I. ed. J.F. OATES, A.E. SAMUEL, C.B. WELLES, New Haven-

SB

Toronto, The American Society of Papyrologists 1967 («American Studies in Papyrology», 2). II. ed. S. A. STEPHENS, Chicago, Scholars Press 1985 («American Studies in Papyrology», 24). Sammelbuch Griechischer Urkunden aus Ägypten. Raccolta dei papiri documentari e delle iscrizioni edite in riviste o pubblicazioni sparse e prive di indici sistematici iniziata da F. PREISIGKE, 1915-, continuata daF. BILABEL, E. KIESSLING, H.-A. RUPPRECHT, Wiesbaden, Harrassowitz.

Stud. Pal.

Studien zur Palaeographie und Papyruskunde, ed. C. WESSELY,

Leipzig,

Avenarius

1901-1924

(rist. an. Amsterdam,

Hakkert 1964-1974): VI. W. CRÖNERT, Kolotes und Menedemos.

Texte und Un-

tersuchungen zur Philosophen- und Literaturgeschichte, mit einem Beitrag von P. JOUGUET und P. PERDRIZET und einer Suppl. Mag.

Lichtdrucktafel, München, Müller 1906 (rist. an. Amsterdam, Hakkert 1965). Supplementum Magicum, I, ed. by R.W. DANIEL - F. MALTOMINI, Opladen, Westdeutscher Verlag 1990 («Papyrolo-

gica Coloniensia», XVI.1).

— LX —

ABBREVIAZIONI

8.8. ac (a.c.) ac. a.C.

ante anno accademico ante correctionem a cura avanti Cristo

edidit, ediderunt

acc.

accusativo

exeunte foglio finis, in fine fortasse frammento-i;

a.

(a)

edito princeps exempli gratia emendavit

esempio

accepit add. addidit ad loc., locc. ad locum, -os adn. adnotatio adscr.

ap. app. art.

AA.VV. ca. cett. cf. cfr.

adscripsit apud

autori

vari

ceteri

coni.

coniecit, coniecerat

corr.

correxit, COrrectio, COTrector critico dopo Cristo delevit deletum deterior-es dissertazione dubitanter eccetera, et cetera eadem edizione-i; editio-nes; editore-i; editor-es;

col., coll. coll.

Crit.

d.C. del. det(t). Diss.

dub. ecc., etc. cad.

ed(d).

fuori testo hoc est ibidem idem id est

circa

comm.

cm cod., codd.

fragmentum-a fotografia

apparato, apparatus articolo

confer confronta Citato, -1; citazione centimetri codice-i; codexcodices colonna-e, columna-ae collato-tis commento, -tarium

Cit., CItt.

fort. F., fr., frr.

in margine

Ins. interp. inv. it (1.t.) l., ll

leg. litt.

ineunte incerto, incertus inedito inferiore, inferior inseruit

Interpunxit inventario in textu

lege; linea-ae legit littera-ae, loco laudato (citato) locus manus margo manoscritto-i

nota-e numero-i nuova serie

omisit

Opera citata

ABBREVIAZIONI

originale

sec.

paginae

sez.

post

secl.

paleografia papiro, papyrus parte, in parte particolarmente post correctionem per esempio plerique primitus precedente probabiliter probavit proposuit provenienza pezzo recto

Sg. sgg. sim. sl (s.l.) 5.) SS. spec. Suppl. suppl. suspic. S.V. S.VV.

rigo-ghi

tav., tavv.

rasura.

T, test.

recensione recentior-es rest.

rif.

riferimento

rist.

ristampa

rist. an. saec. sch. sc.

scr. pl.

tab.

scriptio plena

suspicatus est sub voce, -ibus, sotto supra versum

tabula: tavoletta lignea su cul sono

attaccati I

nesi

v.v.

rist. anastatica saeculum scholium-a scilicet

supra lineam sequens, -ntes specialmente Supplement(um) -o supplevit, supplendum

frr. di papiro ercola-

transp. v .

seguente-i simile, -ia

la voce, le voci

tip. tit.

recepit restituit

secolo seclusit sezione

Vac.

vd. vid. v.] vol.

— LXII __

tavola-e testimonium,-ia

tipografia

titolo

transposuit verso Verso-1, versus-us vacat vide, vedi videtur varia lectio volume

SEGNI

CRITICI

f...f [....]

locus nondum sanatus lacuna quattuor litterarum

[t 4]

lacuna quattuor fere litterarum

'apy

litterae supra lineam additae

[oy]

litterae in papyro resti-

[αβγ] [ay]

‚aßyı

tutae e codicibus vel coniectura litterae a librario deletae textus e testimoniis restitutus

litterae ex alio testimonio restitutae

(o By

litterae in papyro delen-

(o By)

ae litterae a scriba omissae, coniectura

()

voces additae elucidandi sensus gratia vel notae compendiariae in textu solutae litterarum vestigia quae legi non possunt litterae incertae

apy >

additae

dl

ductus fibrarum

— LXIII —

COLLABORATORI DEL PRESENTE VOLUME

Antonio Carlini

IA

Isabella Andorlini

Augusto Guida Alessandro Linguiti

IG

Italo Gallo

JL

John Lundon

MHW

Michael H. Haslam

Amneris Roselli Daniela Manetti

David N. Sedley

MHW* Michael H. Haslam con aggiornamenti di SMT

Ernesto Berti

MMS

Elena Giannarelli

MSF

Maria Serena Funghi

Elio Montanari Fernanda Decleva Caizzi Franco Montanari

MT MV

Mauro Tulli Maria Violante

PP

Paola Pruneti

Franco Maltomini Fabio Vendruscolo

R

Redazione

Guido Bastianini Giovanna Menci

SMT TD TR

Maria Michela

Sassi

(= uno

o più

membri del Comitato)

Gabriella Messeri Savorelli

— LXIV —

Stefano Martinelli Tempesta Tiziano Dorandi Timothy Renner

REVISORI DEI PAPIRI* 75 79 80

11 11

POxy 3219 PBrLibr 137

1

PHarris

2

POxy 3666

12

3

POxy

4 5

PSI inv. 12 PBerol inv.

6

POxy 2663

7

PAnt

8 9

PVindob G 39846 PHawara 26

12

POxy

13 14

PSI PSI

15

PLaur IV 134+POxy

16 17

POxy 3156+3669 PVindob 26001+39880

18

PFuad 2

21 22

POxy 3671 PLitLond 144

23

PPetrie

25

PKöln VII 306

28 29

PHarris 42 PBerol 21118

30 31

POxy 3674 POxy.23

34

| POxy 2662

10

19 20 24 26 27

32

35 36

foto Or. foto Or. Or. foto foto Or. Or. Or. foto Or. foto Or. Or. or. foto Or. foto foto Or.

3667 13291421210

II 79

POxy 3668 881

1392 1200

a,b,c+d

454+PSI

119

POxy 3683 POxy 3670 MSF IA/GMS AC AC MWH MSF MSF MWH SMT MSF MWH MSF MSF MSF AG

II 50

POxy 228

POxy 3672 POxy 3673

POxy 3675

‘PAnt III 181 PVindob

*I papiri non

G 3088

elencati

sono

stati rivisti dal curatore sulle tavole dell'edizione.



LXV—

RI REVISORI DEI PAPI

37 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 89T 95T 96T

foto foto foto

PDuke inv. G 5 PLeid inv. 22 PPetr I 5-8

foto

POxy 2181

PSI 1393a PSI 1393b PMich inv. 5980

POxy 1809 POxy 3676 POxy 229 POxy

1016

PSI inv. 1921+POxy 2102 POxy 1017 PAnt Il 77 PColUnivLibr 492A

PMilVogliano I 9

POxy 3677

POxy 3678 PKöln III 135

POxy 2468 PSI 1483 PLitPalauRib

Or. Or. 12

foto

POxy 1248 PSI 1484+POslo II 9

POxy 1624

or. or.

inv. 1994

POxy 455r POxy 2751

foto

or. foto or. or. or. foto or.

POxy 456

POxy 3679 PMilVogliano I 10 POxy 3326 PLugdBat XXV POxy

3

1808

POxy 24

foto

POxy 3157 PHibeh

or.

228

POxy 843

foto foto

PAnt II 78

or. or. Or. Or.

POxy 3680 POxy 3681

POxy 3682n

l 307 PKóVII PSI

or.+foto

foto

POxy 3509 PSI

Or.

foto foto

1201

POxy 2087

POxy 2087 PBerol 9766

Or. Or. foto

— LXVI —

REVISORI

102T 108T 110T I11T 118T 127T 129T 132T 136T 139T

DEI PAPIRI

POxy 1611 POxy

2087

PBero! 9809 POxy

3543

PFlor 371 PGen

inv. 203

PBrLibr

POxy

ınv. 137

12

PHaun I 8 PRyl 63

85 86

PSI 1476 POxy 1086 PSI 1219

87 88 91 92a 93 95

PCairoMasp Il 67175 POxy

221

PBrLibr Add.Ms. PHaun II 13

37516

PRossGeorg I 17 PFlor 113 PHibeh 182

POxy 1176 OBerol

96 99 100

inv.

12311

PBerol 21213 POxy 3655 PBrLibr

inv. 137

POxy 1082 POxy 102 103

3657

PMilVogliano

foto

I 18

POxy 3710 PHamb 143 POxy 699 PHibeh 16 POxy 3721

foto foto

POxy

foto foto

foto

Or. Or. foto

POxy 1012

107

foto Or. foto foto foto Or. Or. foto foto Or. or. or. foto foto foto or. or. foto Or. Or. Or. foto foto or. Or. Or. Or.

1611

POxy 221

— LXVII —

RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano le seguenti Istituzioni per averci consentito di ri-

pubblicare i testi che appaiono in questo volume e/o per averci fornito il materiale fotografico relativo: Ashmolean Museum, Oxford; Bibliotheca Bodmeriana, Cologny; Bibliothèque Publique et Universitaire, Genève; Biblioteca Apostolica Vaticana; Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze; Bodleian Library, Oxford; The British Li-

brary, Dept. of Manuscripts, London; The Syndics of Cambridge University Library; Central Library of the Selly Oak Colleges, Bir-

mingham; Columbia University; Egypt Exploration Society, London; Hatcher Library, The University of Michigan,

Ann

Arbor;

Houghton Library, Harvard University, Cambridge Mass.; Institut for Graesk

og Latin, Kebenhavns

Universitet;

Institut

für Alter-

tumskunde, Köln; Istituto di Papirologia, Università degli Studi di Milano; Istituto Papirologico ‘G. Vitelli’, Firenze; El Mathaf Εἰ Mi. sry, El Qahira; Österreichische Nationalbibliothek, Papyrussammlung, Wien; Papyrologisch Instituur, Rijksuniversiteit, Leiden; Perkins Library of Duke University, Durham, N.C.; John Rylands Library,

Manchester; Seminario de Papirologia, Facultad Teolögica, Barcelona; Staatliche Museen zu Berlin - Preussischer Kulturbesitz, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung, Berlin; Staats- und Univer-

sıtätsbibliothek, Hamburg; The Toledo Museum of Art, Toledo, Ohio; The Board of Trinity College, Dublin; Universitetsbiblioteket, Oslo; The University College, London; University Library, St. An-

drews; Yale University, Beinecke Rare Books and Manuscript Library. Per la collaborazione e l'aiuto fornitoci relativamente alla realizzazione di questo volume del CPF, siamo grati in primis, come sempre, a Paul Mertens, per averci consentito di utilizzare il catalogo aggiornato dei papiri letterari (Mertens - Pack?), ancora in corso di stampa, e per aver controllato e talora completato i nostri riferimenti bibliografici; inoltre, a W. Brashear, A. Bülow-Jacobsen, R. Coles, B. McGing, G. Poethke.

Ringraziamo Pierluigi Donini, Luigi Lehnus e Gabriella Messe— LXVIII —

REVISORI DEI PAPIRI

rı Savorelli, per aver offerto preziose consulenze specifiche o controllato punti difficili sugli originali. Un particolare debito di riconoscenza, per aver attivamente collaborato con la redazione e con la segreteria del CPF, abbiamo con Mauro Bonazzi, Marco Fassino, Stefano Martinelli Tempesta, Fran-

cesco Tissoni. Siamo grati al Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, all'Istituto Papirologico ‘G. Vitelli” di Firenze, alla Scuola Normale Superiore di Pisa, al Dipartimento di Filologia Classica dell'Università di Pisa e al Dipartimento di Scienze dell'Anuchità ‘G. Pasquali’ dell'Università di Firenze per aver notevolmente facilitato il nostro lavoro, mettendo a disposizione con generosità strumenti e servizi. -

— LXIX —

1.1 INDICE DEGLI

AUTORI

TESTIMONIA HERCULANENSIA LISTE DI FILOSOFI

ED ELENCHI

a v» t3 au

μὶ

DI OPERE

PDuke inv. G 178 PRossGeorg I 22 PSILaur 19662 PVars 5

PGettyMus acc. 76.41.27

PMilVoghano 11 FILOSOFI

Academici Aeschines Socraticus

27 28

Alcmaeon

29

Carneades Cebes Socraticus (?) Chamaeleon

Anaxagoras

30

Chrysippus

Anaxarchus

31

Anaxilaus

32

Anaximander Anaximenes

33 34

Cleanthes Clearchus Clitomachus Cornutus

Antiochus

36

Antipater Antipho

37 38

Crates Cynicus

Antisthenes Arcesilaus Archelaus

39 40 41

Aristippus

42

Aristo Chius

43

Aristophanes Byzantius >

43a

Aristophanes Peripateticus

45

(Byzantius?)

46

Aristoteles Aristoxenus Boethus

47 48 49

23 1T?; 24 36T

44

— LXX—

Critias Crito Socraticus (?) Critolaus Cynici

Cyrenaici Demetrius Phalereus Democritus [Democritus] Dicaearchus Dio Chrysostomus

Diogenes Apolloniates Diogenes Babylonius Diogenes Cynicus

Empedocles

50 51 52 53 54 55

Epicurei Epicurus Erastus Euclides Eudorus Harpocration Heraclides Lembus > 59 1 Heraclides Ponticus Heraclitus [Heraclitus] Hermarchus Hermippus Hierocles Hieronymus Rhodius Hipplas Hippo Leo Leucippus Megaclides Megarici Menedemus Eretrius Metrocles Cynicus Metrodorus

80 81 82 . 83 . 84 . 85 . 86 87 88 . 89 90 91 92 92a 93 94 95 96 97 J 98 | 98bis 99 100

71

Monimus

101

72 . 73 74 75 . 76 | 77 . 78 | 78bis 79 .

Musonius Rufus Nicolaus Damascenus Nigrinus (9) Parmenides Peripatetici Persaeus Citieus Philo vel Philio Larisaeus Philodemus Gadarensis Philolaus

102 103 104 105 106 107 108 109 110

.

.

56 . 57 57a 58 59 — 60 61 62 63 64 65 66 | 67 68 69 70

TVVI

Plato Platonici Polemo Porphyrius Posidonius Potamo (Alexandrinus ?) Praxiphanes Prodicus Protagoras Pyrrho Pyrrhonei Pythagoras Pythagorei [Pythagorei] Secundus Simon Socraticus (?) Socrates Socratici Sophistae Speusippus Sphaerus Stilpon Stoici Strato

Thales Theophrastus Thrasyalces Xenarchus X Xenocrates Xenophanes Zeno Citieus Zeno Eleaticus Zeno (Tarsensis ?)

FILOSOFI N-Z

73

NICOLAUS

DAMASCENUS

PMilVogliano 46 (P 2214? = MP?), edito da G. PUGLIESE

CARRATELLI, PMilVogliano II (1961), 39-41 (PMilVogliano inv. 40) [si veda anche l’ed.pr. di A. VOGLIANO, Un papiro storico

greco della raccolta Milanese e le campagne dei Romani in Etio-

pia, Milano, Hoepli 1940, e poi A. KÖRTE, APF 14 (1941), 131-132; E.G. TURNER, Papyrus 40 «della raccolta Milanese», JRS 40 (1950), 57-59; J. STROUX, Das historische Fragment des

Papyrus tiene un lica che libraria

40 der Mailinder breve frammento vede contrapposti informale di tipo

Sammlung, SDAW 1952, n° 2], condella descrizione di un’azione belRomani ed Etiopi. La scrittura, una rotondo eseguita senza molta accu-

ratezza, è collocabile nel I/II secolo d.C.

L’ipotesi di attribuzione del testo alle ‘Iotopiar di Nicola Damasceno avanzata dal Vogliano (17-18) poggiava su basi evidentemente troppo fragili, ed è stata di fatto lasciata cadere dagli studiosi che si sono occupati in seguito del papiro. È stato anzi ipotizzato che si tratti piuttosto di un documento, forse una lettera o un rapporto concernente l’azione guerresca (cfr. Turner), oppure che siano appunti stesi in vista di una trattazione più ampia e accurata (cfr. Stroux, 7).

Il carattere letterario del testo non sembra tuttavia contestabile: non sussiste nessun elemento decisivo, contenutistico o formale, che possa indurre a collocare il frammento nel-

l’ambito documentario. Si ribadisce comunque che il suo livello stilistico, decisamente (per quanto si può capire) modesto, non consente nessuna sicura attribuzione, quantunque una

menzione del papiro (come P^ 2214) figuri ancora nella bi-

bliografia relativa alla voce Nikolaos 3. (N. von Damaskos) cu-

rata da W. SPOERRI, Kleine Pauly, IV 109-111: 111.16.

AL

74 NIGRINUS

1T

PRossGeorg I 22, col. I 15 [vd. supra, 2]

75 PARMENIDES

*

ıT

PBerol inv. 9782, col. LXX Commentario

anonimo

33-43 [III 9]

Sec. IIP

al Teeteto

Edd.: ἘΠ. DieLs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 46-47; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 456-457. Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

Comm.: MP’ 1393 (= P^ 1393)

562: 555; A. COXON, The Fragments of Parmenides, Assen, Van Gorcum 1986, T 122.

περὶ τοῦ φέρεσθαι | πάντα πάντες σοφοὶ p ἰσ]υμφωνοῦσιν ὑπεϊξῃρημένου Παρμεῖν ἰδου- οὗτος γὰρ ἀποβλέψας εἰς τὴν τοῦ εἴδους φύσιν, nope “dov δὲ τὴν ὕλην, | φησίν : “olov ἀκίνητόν

τε θέλει τῷ παντὶ ὄνομα εἶναι. Sul fatto che tutte le cose sono in movimento tutti 1 sapienti sono d'accordo eccettuato Parmenide. Costui infatti, guardando alla natura della forma e lasciando da parte la materia, afferma: «“solo e immobile”

vuole essere il nome

del tutto». DNS

PARMENIDES 2 -3T

2T

PDuke inv. G 178, col. 17 [vd. supra, 1]

3T

POxy 3219, fr. 2, col. I 3-9 [> 24 21T; 80 137T; 11.1] Trattato su Platone (?) Sec. II? Edd.: M.W. HASLAM, Plato, Sophron and the Dramatic Dialogue, BICS 19 (1972), 24; Ip., POxy XLV

(1977), 31; 37-38.

Tavv.: BICS 19 (1972), VI.

Comm.: MP’2561.1

ΜΟΥ. HASLAM, 1972, supra, 25-26; DÓRRIE,

Platonismus, I, 140, n° 10. 3 (testo); 396-397 (comm.); O. Nùs-

SER, Albins Prolog und die Dialogtheorie des Platonismus, Stuttgart, Teubner 1991 («Beitrige zur Altertumskunde», 12), 16-17; TARRANT, Thrasyllan Platonism, Ithaca-London, Cornell Univ. Press 1993, T 22 n. 15; 104-105; 231; MANSFELD, Prolegomena, 80 en.

133.

].c Πρωταγόρας .[...]c..cav | [ἐλεγϊχομένων παρ᾽ αὐτῷ: τὰ δὲ [[αὐτ]ῷ δοκοῦντα ἀποφαίνεται διὰ |° [δ΄ π᾿Ιροσώπων, Σωκράτους, Tato τ]οῦ ᾿Αθηναίου E[£vov,] τοῦ Ἐλεάϊψ[του] &&vov- εἰσὶν δ᾽ [ὁ Ἐλε]άτης ξένο(ς) | [xà ᾿ΑἸθηναῖος &&vo[c Πλάτων kai | [Παρ]μενίδης: ἀλλὰ κτλ. 3 αὐτο

5 τεῖμαι

7 jJéevov:

ἕενο

3-9 omnia suppl. Haslam (coll. D.L. IH 52) Protagora [...] di coloro che sono confutati nella sua (sc. dı Pla—6—

PARMENIDES

3T

tone) opera; quanto alle sue dottrine, egli le fa conoscere mediante quattro personaggi, Socrate, Timeo, lo straniero Ateniese, lo straniero Eleate; in realtà lo straniero Eleate e lo straniero Ateniese sono Platone e Parmenide; ma [...]

I frammenti maggiori di POxy

3219 (che conteneva con

buona probabilità una monografia su Platone) riguardano spe-

cificamente il problema della forma dialogica. Se nel fr. 1 si affronta il problema della εὕρεσις del genere dialogico e del debito di Platone nei confronti dei predecessori (> 24 21T),

nella col. I del fr. 2 si afferma che Platone, mentre confuta le

posizioni dottrinali di vari filosofi (si recupera Protagora tra gli obiettivi polemici) ricorre a quattro personaggi come portavoce delle proprie dottrine: Socrate, Timeo (nel Timeo e nel Crizia), lo straniero Ateniese (nelle Leggi e nell’Epinomide, ma quest'ultimo dialogo era considerato opera di Filippo di Opunte, cfr. D.L. III 37), lo straniero Eleate (nel Sofista e nel

Politico). La col. I del fr. 2, che soffre in ogni rigo superstite di lacune, può essere ricostruita grazie al confronto con Diogene Laerzio III 52; senonché Diogene contesta proprio quello che qui si afferma e cioè l’identificazione dello straniero Eleate con Parmenide e dello straniero Ateniese con Platone (in POxy 3219, 8-9 sono invertiti i due nomi per ragioni meccaniche o per voluto chiasmo): εἰσὶ δ᾽ οἱ ξένοι οὐχ, ὥς τινες ὑπέλαβον, Πλάτων καὶ Παρμενίδης, ἀλλὰ πλάσματά ἐστιν ἀνώνυμα. Sul

problema dell'attribuzione del trattato restituito da POxy 3219, cfr. Haslam, 1972, 33-35: la possibile candidatura di Favorino

non sarebbe indebolita dalla genericità dell'obiettivo polemico

di Diogene Laerzio (ὥς τινες); Tarrant, Thrasyllan Platonism, 104-105, ritiene invece che il papiro segua la linea interpretativa di Aristofane di Bisanzio contro cui polemizzerebbe Trasillo, fedelmente riportato da Diogene Laerzio. Rispetto a POxy 3219, in Diogene Laerzio è diversa anche

la disposizione del materiale ricevuto dalla fonte testuale im-

mediata; Diogene fa seguire (e non precedere) all'esposizione delle dottrine proprie di Platone attraverso 1 quattro perso-

naggi la confutazione delle opinioni false, messe in bocca a «Trasimaco, Callicle, Polo, Gorgia, Protagora, Ippia, Eutidemo e altri dello stesso stampo». Questa successione è annunciata —7—

PARMENIDES

3T

del resto da Diogene già in avvio di periodo: ὁ τοίνυν Πλάτων περὶ μὲν ὧν κατείληφεν ἀποφαίνεται, τὰ δὲ ψευδῆ διελέγχει, περὶ δὲ τῶν ἀδήλων ἐπέχει. Della ‘sospensione di giudizio’ di

Platone dinanzi alle questioni oscure non c'é traccia 1n quello che resta di POxy 3219. La discussione sui personaggi interpreti del pensiero di Platone doveva continuare nella col. II del fr. 2 (τ. 7 διὰ Τειμα[ίου

τ. 8 ξένου), ma la ricostruzione è molto difficile. Alla col. IT

potrebbe ricollegarsi poi anche il fr. 8 nel quale al r. 3 si è pensato da parte dell’editore di poter supplire Παρμεν]είδη. AC-FM

76 PERIPATETICI

*

1T

PDuke

inv. G 178, col. II 17 [vd. supra, 1]

77 PERSEUS CITIENSIS *

11 (?)

PVars 5 v, 10 (vd. supra, 4]



10—

78 PHILO

vel PHILIO LARISAEUS

IT

PDuke inv. G 178, col. II 9 [vd. supra, 1]

*

78bis

PHILODEMUS

GADARENSIS

*

1T

POxy 3724, fr. 1, coll. II-VIII

Sec. I? ex.

Lista di epigrammi Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: P.]. Parsons, POxy LIV (1987), 65-82. Tavv.: POxy LIV, VII-X.

Comm.: MP’ 1596.21

D. SipER, The Love Poetry of Philodemus,

AJPh 108 (1987), 310-324 (a POxy 3724 si riferisce l'addendum a p. 324); B. PALME, Tyche 3 (1988), 306; W. LuPPE, CR 39 (1989), 125-126; D. SIDER, Looking for Philodemus in P. Oxy. 54.3724, ZPE 76 (1989), 229-236; M. GIGANTE, Filodemo tva poe-

sia e prosa (A proposito di POxy. 3724), SIFC s. III, 7 (1989), 129-151 (= Altre ricerche filodemee, Napoli, Macchiaroli

1998,

99-126); A. CAMERON, The Greek Anthology from Meleager to Planudes, Oxford, Clarendon 1993, 379-387; D. SIDER, The Epi-

curean Philosopher as Hellenistic Poet, in Philodemus and Poetry. Poetic Theory and Practice in Lucretius, Philodemus and Horace, ed. D. Obbink, New York-Oxford, Oxford Univ. Press 1995, 42-57: 43-45; The Epigrams of Philodemos, Intr., Text and

Comm. by D. SipER, New York-Oxford, Oxford Univ. Press 1997, 203-225; M. GIGANTE, Filodemo nella storia della letteratura greca, Napoli 1998 («Mem. Accad. Archeol. Lett. Belle Arti»,

11), 27-35.

Il frammento maggiore di POxy 3724 (ricavato molto pro—12—

PHILODEMUS

1T

babilmente da uno spezzone di rotolo papiraceo sfruttato per la trascrizione dello stesso testo anche nel verso) appare vergato da tre mani diverse (A, B, C), ma tutte assegnabih

alla

fine del sec. IP. Se si lascia da parte la mano B (cui si deve, nella col. III 1-6, una ricetta per combattere affezioni della

trachea), le altre due appaiono impegnate nella trascrizione o

nella elencazione di epigrammi: la mano A ha copiato nella col. I 15-20 un epigramma di Asclepiade (AP V 145) e probabilmente un altro epigramma nei righi successivi; la mano C, nelle colonne II-VIII, ha trascritto il testo di circa 175 incipit

(le prime parole soltanto, a volte abbreviate per troncamento, e non l'intero primo verso) di epigrammi dell'Antologia greca. Dei 31 incipit identificabili grazie alla loro presenza nell’Antò. Pal. (30) e, in un caso, a una citazione di Cameleonte in Ateneo I 41, 22e (fr. 11 Wehrli = 11 Giordano’), ben 25 possono

essere attribuiti con buona probabilità e due altri con qualche dubbio a Filodemo. I 25 epigrammi riconoscibili sono: II 5

(AP XI 34); II 14 (AP XI 41); II 18 (AP V 126); II 19 (AP V 121); IV 4 (AP XI 44); IV 7 (AP IX 570); IV 10 (AP V 4); IV 16 (AP X 103); IV 17 (AP V 24); IV 18 (AP VII 222); IV 19

(AP VI 349); V 3 (AP V 123); V 11 (AP V 112); V 13 (AP V

306); V 14 (AP V 131); V 20 (AP V 132); V 31 (AP XI 30);

VII 7 (AP V 115); VII 13 (AP V 107); VII 15 (AP V 46); VII 17 (AP XI 35); VII 21 (AP IX 412); VII 25 (AP V 13); VIII 2

(AP X 21); VIII 9 (AP V 120).

L'incertezza nei due casi (IV 31; VI 4) si spiega con l’attribuzione alternativa che si trova nell’Anth. Pal, rispettivamente a Platone (AP V 80) e ad Antifilo (AP V 308).

L'ordine in cui gli epigrammi

(dal prevalente contenuto

erotico o simposiale) erano distribuiti nella lista non è chiaro:

ci sono sequenze significative che riguardano proprio Filodemo (coll. II 18; 19; IV 16; 17; 18; 19), ma questo non basta

certo per dire che fossero ordinati per autore; anche gli occasionali accoppiamenti su base tematica non consentono di concludere per un ordinamento a soggetto (Parsons, 68; Gii gante 1989, 134). Se il compilatore, come è probabile, aveva accesso alla com-

pleta raccolta di Filippo di Tessalonica (la

Corona rappresen-

tava già una selezione di componimenti di Filodemo, ma era incomparabilmente

più ricca rispetto

alle scelte che saranno

poi operate da Costantino Cefala), è ragionevole pensare ad

PHILODEMUS

IT

una paternitä filodemea anche per altri epigrammi senza rıscontro nell’Antb. Pal, di cui POxy 3724 restituisce gli zncipit. L'assegnazione di paternità può essere proposta per la presenza del nome di Filodemo (II 12; II 15; VII 4), per la presenza di personaggi come Antigene, Santò, Demo che ricorrono negli epigrammi filodemei (II 8; IV 1; IV 21), per la menzione di Cesare (IV 25), di luoghi come Partenope ἄν 14), per l'uso di latinismi come παλλίολον (V 29) oppure "Pouoing (VIII 4).

Luppe, 125-126, e Cameron, 381-382, sono inclini a considerare tutti gli incipit come filodemei (in questo caso, gli epigrammi di Asclepiade sarebbero stati inclusi perché intesi come modelli per ‘variazioni’ da parte di Filodemo e gli incipit attribuiti ad Asclepiade non sarebbero di fatto di Asclepiade, ma parodie o variazioni di Filodemo inizianti più o meno con le stesse parole). Sider 1989, 229-236, ha cercato in vari incipit tracce filodemee, sforzandosi di enucleare temi di filosofia epicurea; a suo giudizio, se non tutti, certo buona parte degli 1n-

cipit dovrebbe essere attribuita a Filodemo (cfr. anche Sider 1997, 204). Molto più cauto si mostra Gigante che contesta diverse attribuzioni di Sider e discute criticamente, in generale, la sua interpretazione della poesia amorosa di Filodemo in rapporto con la produzione filosofica (Gigante 1989, 130; 146148; Gigante 1998, 27-29). POxy 3724 è i primo papiro di provenienza egiziana che reca ıl nome di Filodemo e, pur essendo stato vergato per uso privato, ci dà la prova della circolazione in Egitto degli epigrammi di Filodemo un secolo dopo la sua morte (Gigante

1989, 145).

Quanto alla natura del documento papiraceo che ci è conservato parzialmente da POxy 3724, sono state prospettate due ipotesi alternative: che si tratti di un indice di una raccolta di epigrammi contenuta nella parte perduta (M. Caponigro, ap. Cameron, 384-385) oppure che si tratti di una lista di incipit che doveva servire a predisporre una antologia di epigrammi di carattere erotico e simposiale (Parsons, 68). La testimonianza di POxy 3724, pur così contratta, non è irrilevante per il testo degli epigrammi filodemei: a col. IV 7 {AP IX 570= Phld. GP 3240 (A.S.F. Gow - D.L. PAGE, The Greek Anthology, The Garland of Philip, I, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1968)] viene confermata la correzione Ξανθὼ —

14 —

PHILODEMUS

IT

κηρόπλαστε di Huschke; la lezione tràdita EavBoxnporiaote è indifendibile. Cfr. Sider 1997, 69, 212.

A col. IV 16 (AP X 103 = Phld. GP 3310) appare confer-

mata la lezione, tràdita concordemente sia dall'Antologia Pa-

latina (P) che dalla Planudea (PI), θυμέλην che Gow - Page giudicavano corrotta. Cfr. Sider 1989, 234 [che rinvia a G.

GIANGRANDE, Konjekturen zur Anthologia Palatina, RhM 106

(1963), 255-257]; Gigante 1989, 136 e n. 31; Sider 1997, 176177, 214.

A. col. IV 17 (AP V 24): l'epigramma ψυχή por tpoA£(yeuU

in POxy 3724 è preceduto e seguito da due altri epigrammi sicuramente filodemei. Questo dà forza all'attribuzione appunto a Filodemo di AP V 24 che troviamo sia in P che in PI. Gow - Page (The Greek Anthology, Hellenistic Epigrams, I, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1965, 4218), accogliendo la proposta di Jacobs, assegnavano invece l'epigramma a Meleagro. Anche per Gigante 1989, 140 e per Sider 1997, 110111, 214, l'epigramma è filodemeo. A col. IV 31 (AP V 80) l'epigramma, attribuito a Platone in P e a Filodemo in PI, inizia con μῆλον ἐγώ" βάλλει με φιλῶν

σέ tig; POxy 3724 legge invece μῆλον ἐγώ: πέμ(πει). Che si tratti dello stesso epigramma & reso certo dal confronto, fatto da Cameron, 387 con uno degli epigrammi latini scoperti da A. Campana. L'incipit di Epigr. Bob. 32, che riprende fedelmente il testo di AP V 80, presuppone la variante πέμπει: «malum ego: mittit me quidam tibi munus amator» [su questo epigramma bobbiese, cfr. S. MARIOTTI, Da Platone agli Epigrammi Bobbiesi, in Studi in onore di A. Massolo, II, StudUrb 41 (1967),

1071-1096:

1077-1078)]. Sul problema della paternità filode-

mea e sulla variante testuale, cfr. Sider 1987, 324; Sider 1989, 234; Gigante 1989, 140 e n. 47; Cameron, 385-387. Da ultimo,

Sider 1997, 66 accoglie πέμπει, ma non esclude la possibilità

che ci fossero due distinti epigrammi filodemei, uno con βάλλει, uno con πέμπει.

A col. V 14 (AP V 131 = Phld. GP 3224) la lezione tràdita

nei manoscritti medievali è ψαλμός, ma in POxy 3724 leggiamo

sicuramente il plurale ψαλμοί che, considerato non originale da Sider 1997, 62-63, 217, è difeso invece da Gigante (1989, 143, n. 55; 1998, 28). Già l'ed.pr. rinviava per la forma al plurale a AP IX 409, 2. AC

—15 —

79 PHILOLAUS

11

PBrLibr inv. 137, coll. XVIII 8-XIX 1; XX 16-24 [> 24 22T; 37T; 43 7T; 63 1T; 80 129T; 100 3T; 1.2]

Sec. I?

Anonymus Londiniensis, /atrica Prov.: ignota.

Cons.: London, British Library. Edd.: H. Dies, Anonymi Londinensis ex Aristotelis Iatricis Menoniis et aliis medicis eclogae, Suppl. Arist. III.1, Berlin, Reimer 1893, 31-33; 36; 44427, 44A28 DK; M. TIMPANARO

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Pitagorici. Testimonianze e frammenti, Il, Firenze, La Nuova Italia 1962 («Biblioteca di studi superiori», XLI), A27-28, pp. 186-190; Aristotelis Opera, III, Fragmenta, ex rec. I. Bekkeri. Editio altera, addendis instruxit fragmentorum collectionem retractavit O. GIGON, Berlin-New York, de Gruyter 1987, 519b45-

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40; 132 n. 3; A. DÒRING, Geschichte der griechischen Philosophie, I, Leipzig, Reisland 1903, 186-187; WILAMOWITZ, Platon, II, Berlin, Weidmann

1919, 88; A. OLIVIERI,



16—

Osservazioni

sulla

dot-

PHILOLAUS

1T

trina di Filolao, RIGI 5 (1921), 29-46: 43-46 (poi in Civiltà greca nell Italia meridionale, Napoli, Loffredo 1931, 35-58); E. FRANK, Plato

und

die sogenannten

Pythagoreer,

Halle,

Niemeyer

1923

(rist. an. Tübingen, 1962), 327-329; E. HowaLD, Die Schrift des Philolaus, in Essays on the History of Medicine, Presented to K. Sudhoff on the Occasion of his Seventieth Birthday November 26th 1923, ed. by C. Singer - H. Sigerist, Zürich 1924 (repr. New York, Books for Libraries Press 1968), 71; MILNE [1927], n? 165;

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560-563; A. MADDALENA,

/ Pitago-

rici, Bari, Laterza 1954, A27-28, pp. 184-185; H. THESLEFF, An

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CARDINI

1962, supra,

104-105;

Flıst., I, [1962], 278-279; G.E.R. LLOYD,

186-190;

GUTHRIE,

Who is attacked in On

ancient medicine?, Phronesis 8 (1963), 118-126 (= Methods and Problems

in Greek

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Univ.

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1991,

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69); J. A. PHILIP, Pythagoras and Early Pythagoreanism, Univ. of Toronto Press 1966 («Phoenix Suppl.», VII), 119 n. 6; T.J. TRACY, Physiological Theory and the Doctrine of the Mean in Plato and Aristotle, Chicago, Loyola Univ. Press 1969, 130 n. 40; BURKERT, Lore and Science, 218-298: 221; 270-272; K. VON FRITZ, Philo-

laos, RE Suppl. XII (1973), 478-479; J. BARNES, The Presocratic Philosophers, II, London, Routledge & Kegan Paul 1979, 81; A. THIVEL, Cnide et Cos? Essai sur les doctrines medicales dans

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pocratic Treatises «On Generation» «On the Nature of the Child» «Diseases IV», Berlin-New York, de Gruyter 1981 («Ars me-

dica», II 7), 152; 285; M.-P. DUMINIL, Le sang, les vaisseaux, le

coeur dans la Collection Hippocratique, Paris, Les Belles Lettres 1983, 181, 221; G.S. KIRK - J.E. RAVEN - M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers, Cambridge, Cambridge Univ. Press 19837, 340-341; D. MANETTI, Note di lettura dell’Anonimo Lon-

dinese - Prolegomena ad una nuova edizione, ZPE 65 (1986), 68; D. GOUREVITCH, L’Anonyme de Londres et la médecine de l'I-

talie du Sud, HPLS 11 (1989), 242-246; MANETTI 1990, supra,

219-233: A.E. HANSON, SAMPhN 18 (1990), 36-37; H. VON STA—17—

PHILOLAUS

DEN, SAMPHN

IT

18 (1990), 36; J. Annas, Hellenistic Philosophy

of Mind, Berkeley-Los Angeles- -Oxford, Univ. of California Press 1992, 26 n. 24; HUFFMAN

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locutore nel «Fedone»: valore simbolico o personalità concreta?, Acme 49.3 (1996), 26-28; H.S. SCHIBLI, On

‘the one’ in Philo-

laus, fragment 7, CQ 46 (1996), 114-130: 123.

XVIII 8-XIX 1 Φιλόλαος

| δὲ ὁ Κροτ[ωνιάϊτης

συνεστάναι

eaoiv)

τὰ

ἡμέ ἢ τερα σώμ[ατα ἐκ] θερμοῦ. ἀμέτοχα γί(ὰρ) αὐτὰ (εἶναι) | ψυχροῦ, [ὑπομιϊμνήσκων ἀπό tw(ov) τοιούτ(ων)" | τὸ σπέρμία (εἶναι) Vepluöv, κατασκευαστικὸν δὲ | τοῦτο τοῦ ζῴο] ν᾽ καὶ ὃ τόποί(ς) δέ, εἰς ὃν | ἣ κ(ατα)βολίή-- μήτρ]α δὲ αὕτη - (ἐστὶν) θερμοτέρα |? koi £ow [vio ἐκ]είνῳ τὸ δὲ ἐοικός τινι ταὐτὸ δύναται ᾧ ἔοικεν ἐπεὶ δὲ τὸ καταϊσκευάζ[ον ἀμέ]τοχόν (ἐστιν) ψυχροῦ καὶ ὁ τόπος | δέ, ἐν o [n κ(ατα)βολ]ή, ἀμέτοχός (ἐστιν) ψυχροῦ, | δῆλον [ὅτι καὶ τὸ] κ(ατα)σκευαζόμενον ζῷον [|τοιοῦτο[ν

γίνεται. εἰς δὲ τούτου τὴν [ἢ κατασκ[ευὴν Ὁ]πομνήσει n(poo)χρῆται towwölen : με[τά] φίησιν) τὴν ἔκτεξιν εὐθέως | τὸ ζῷον ἐπισπᾶται τὸ ἐκτὸς πνεῦμα | ψυχρὸν ὄν: εἰτα πάλιν καθαπερεὶ χρέος | ἐκπέμπε[ι ] αὐτό: διὰ τοῦτο δὴ καὶ ὄρεξις |^ τοῦ ἐκτὸς πνεύματος, ἵνα τῇ | ἐπεισάκτῳ τοῦ πνεύματος ὁλκῇ θερμόϊτερα

ὑπάρχοντα τὰ ἡμέτερα σώματα π(ρὸς) αὐτ(οῦ) | καταψύχηται. καὶ τὴν μ(ἕν) σύστασιν

| τῶν ἡμετέρων

σωμάτ(ων)

ἐν τούτοις

φ(ησίν). |? λέγει δὲ Yu (νεσθαι) τὰς νόσους διά τε χολὴν | καὶ αἷμα καὶ φλέγμα, ἀρχὴν δὲ yt (νεσθαι) | τῶν νόσων ταῦτα: ἀπο-

τελεῖσθαι | δέ φί(ησιν) τὸ μ(ὲν) αἷμα παχὺ p(èv) ἔσω παραίθλιβομένης τῆς σαρκός, λεπτὸν | δὲ Yi(veodar) διαιρουμέν(ων) t(Gv) Ev τῇ σαρκὶ ἀγγείων -| τὸ δὲ φλέγμα συνίστασθαι ἀπὸ τῶν ὄμιβρων φ(ησίν). λέγει δὲ τὴν χολὴν ἰχῶρα | εἶναι τῆς σαρκός. παράδοξόν τε αὑτὸς | ἀνὴρ ἐπὶ τούτου κινεῖ’ λέγει γ(ὰρ) μηδὲ τεῖ' ᾿τάχθα[!] èἐπὶ oli ἥπατι χολήν, ἰχῶρα μί(έν)τοι τῆς σαρκὸς (εἶναι) ) τὴν χολήν. τό τ᾽ αὖ] φλέγμα *(üv) πλείστ(ων) ψυχρὸν (εἶναι) λεγόντων

αὐτὸς θερμὸν

Y(&p) τοῦ φλέγειν φλέγμα

τῇ φύσει drloltideron:

εἰρῆσθ(αι)—18 —

|" ταύτῃ

ἀπὸ

δὲ καὶ τὰ

PHILOLAUS

1T

φλεγμαίνοντα] | μετοχῇ τοῦ φλέγματος pAeyulolilver. καὶ ταῦτα μίεν) δὴ ἀρχὰς τ(ῶν) νό[σ]ων | ὑπ[ο]τίθεται, ἰσ]υνεργὰ δὲ ὕπερβολ[άς] | τε θερμασίας, τροφῆς, κ(ατα)ψύξεωί[ς koi] || ἐνδείας τ(ῶν) τούτί[ο]ις [παραπλησίων]. i XX

16-24

περὶ δὲ τῆς | χολῆς ἰδιώτερον παθολογεῖ (sc. ὁ Πέτρων): Q(notv) ylap) αὐϊτὴν ὑπὸ τ(ῶν) νόσων κ(ατα)σκευάζεσθιαι). |

οἱ u(èv) γίὰρ) ἄλλοι ἀπὸ τῆς χολῆς λέγουσι [^ γίίνεσθαι) τὰς νόσους, οὗτος δὲ ἀπὸ τ(ῶν) | νόσων τὴν χολήν -- καὶ σχεδὸν

[ooxo]c | ὁ Φιλόλαος οἴεται μὴ (εἶναι) ἐν ἡμῖν χολὴ [ν] οἰκείαν --. καὶ κ(ατὰ) μ(ὲν) τοῦτο συνηγόρευϊσεν τῷ Φιλολάῳ, κίατὰ) δὲ τάλλα T αὐτγνειῖι(). XVIII 8 diple obelismene 9. rigo oueto oppure aueyo pap. 12 visibile scorge la parte finale di a che tocca è TOÖVVATOLWIEOLKEV : tutto aggiunto sopra

in ekthesis Kpot[...]mc 10 la cuspide destra diu 14 si 15 ]ewei — "τοδεεοικοετινιταil rigo proseguendo nel margine

destro; per tato (= ταὐτό) cfr. J. WACKERNAGEL, Kleine Schriften, Góttin16 il gen, Vandenhoeck & Ruprecht 1955, 684 sgg.; Gignac, I, 187 sg. 17 © toro c secondo omicron di apeltoyov è stato corretto su n

21 dopo 19 dopo γινεῖται spazio bianco 18 ζωιον corretto dat? la lacuna, un po’ sotto il rigo, si vede una linea orizzontale: per la sua posizione non può che essere interpretata come parte dell'abbreviazione p(ncıv), cfr. p. es. r. 9

alla fine, dopo

evfewc,

[τὸ] cancellato

22

Lwıov

24 dopo ἐπ[ε]ιεπαταῖι pap.: fra x e 1 c'è sicuramente lacuna di una lettera 28 dopo xatayvynraı spazio bian26 ericaxtoi αὐτο spazio bianco 33 32 paragraphos 30 ekthesis di una lettera 29 paragraphos co co [cov]: pecov in un primo tempo pap., cov è stato poi cancellato μίεν)ε scrivendo al di sopra cw e aggiungendo il segno di abbreviazione sopra 38 dopo τὴ 35 paragraphos 34 dopocapxoc spazio bianco L 41 dopo xoAnv spazio bian29 xewei capkoc spazio bianco a v'toc 42 yvyov [Beppov]: woxov ((. woxpov) aggiunto sopra Beppov canco dopo vr[o]tide48 paragraphos 45 ταύτηι 43 tm cellato, pap. & sinistra di 49 ‘te’ è aggiunto nel margine ται spazio bianco ε visibile nella sua sezione suXIX 1 diple obelismene corretto day periore XVIII 10 — &ápéx(oy)a. Diels, cf. v. 16, ἀμιγῆ Kenyon ap. Diels 19 τοιοῦτο[ν γίνεται Diels, spatii gratia ψυχρὸν perperam pap.

peltà γί(ὰρ)] τὴν Diels

42

wvxov pap.: ψυχρὸν Diels

16 21

XIX I post

ἐνδείας add. τούτων ἢ Diels: fort., καὶ addito, ἐνδείας post τε (XVIII 49)

transponere possis (sc. ὑπερβολί[άς] | te (καὶ ἐνδείας) θερμασίας, τροφῆς, κ(αταψύξεωϊίς καὶ] || τ(ῶν) τούτ[ο]ις [παραπλησίων])

—19—

PHILOLAUS

IT

XX 18 "vocov'[cog ] (at(ov)): le lettere cop sono state cancellate con un tratto di penna; forse in un primo momento si intendeva correggere in

vocnuatov e per questo sono rimaste non cancellate le lettere ατίων) che però non hanno più senso 21 [ovrwlc: la lacuna non è superiore a circa quattro lettere 23 la prima lettera sembra più a che o, ma è stata forse rimaneggiata; non si distinguono bene i tratti del x 24 diple obelismene

taıpılolawı

avtyver.

lettura molto incerta, alla fine traccia

di una lettera sospesa come segno di abbreviazione: avtovei oppure amyvei Diels

XX 21 [οὗτος wlg Diels, spatio longius 23 οἰκείαν Manetti : [i] | ἀ[χρ]είαν Diels τοῦτο : ταῦτα perperam Diels 24 GUtyVEL corruptum: velis adtov(o)eî vel adro(yvopo)vei (Diels in app.) vel αὐτολογεῖ (cf. v. 17) vel similia

XVIII 8-XIX 1: Filolao di Crotone afferma che i nostri corpi sono formati dal calore; (sostiene) infatti che essi non partecipano del freddo, appellandosi a fenomeni di questo genere: lo sperma è caldo ed è questo a costituire l'essere vivente. E anche 1] luogo in cui avviene l'inseminazione - cioè l'utero — è ancora più caldo e simile allo sperma. Ora, il simile ha le stesse proprietà di ciò a cui è simile. Poiché dunque ‘il fattore costitutivo non partecipa del freddo e anche il luogo in cui avviene l’inseminazione non partecipa del freddo, è chiaro che anche l’essere vivente che viene costituito è di

tal genere. Per dimostrare questo, egli si appella a un fenomeno di questo genere: subito dopo la nascita - dice — l’animale inspira l'aria esterna che è fredda, poi di nuovo, come per un obbligo, la espelle. Per questa ragione, appunto, si verifica anche il desiderio di aria esterna, affinché, cioè, attraverso l’attrazione supplementare dell’aria esterna, i nostri corpi, che sono troppo caldi, siano raffreddati

da essa. In questo dunque egli afferma che consiste la formazione dei nostri corpi. Dice poi che le malattie si formano a causa della bile, del sangue e del flegma e che queste cose sono il principio delle malattie: afferma che il sangue diventa denso quando la carne è compressa all’interno, diventa invece fluido quando i vasi nella carne sono aperti. Dice che il ‘flegma’ si forma dai liquidi. E afferma che la bile è siero della carne. Lo stesso autore sostiene a questo proposito una tesi paradossale: dice infatti che la bile non ha sede nel fegato, la bile è invece siero della carne. E inoltre il flegma - che i più sostengono sia freddo — egli lo suppone caldo per natura, infatti ‘flegma’ sarebbe detto da flegein (= bruciare): in questo modo anche ciò che è infiammato si infiamma per la partecipazione del flegma. Questo è ciò che suppone come principio delle malattie e considera coadiu-

PHILOLAUS

1T

vanti sia gli eccessi di riscaldamento, nutrizione, raffreddamento, || sia la carenza di cose simili a queste . XX 16-24: [...]ma a proposito della bile (Petrone di Egina) sostiene una teoria piuttosto particolare. Ritiene infatti che la bile sia prodotta dalle malattie: mentre gli altri affermano che le malattie hanno origine dalla bile, egli invece. sostiene che è la bile che nasce

dalle malattie - e pressappoco in questo modo Filolao pensa che noi non abbiamo una propria bile - e sotto questo aspetto Petrone con-

corda con Filolao, per tutto il resto (sviluppa un pensiero autonomo?).

Il resoconto dell’Anonimo Londinese [per la datazione spo-

stata al sec. I d.C. cfr. 80 129T, p. 550] - risalente a una dossografia di ambiente peripatetico, attribuita ad Aristotele (>

24 37T) - ha contribuito alla discussione sui frammenti di Fi-

lolao, dandoci la certezza della circolazione di un suo scritto intorno alla metà del IV sec. a.C. (p. es. Wilamowitz, Platon, II, 88; Howald 1924, 71; Zeller - Mondolfo 1938, 1.2, 367; Burkert, Lore and Science, 221; Huffman 1993, 292). La pre-

senza di almeno una citazione letterale è dimostrata dall’uso della parola καταβολή (per altre possibili cfr. infra) nell’espressione «il luogo in cui avviene l’inseminazione», non solo per la sua coincidenza con B13 DK, ma soprattutto per ragioni interne, poiché l’espressione viene ‘glossata’ a r. 14 «cioè l’utero» (un caso analogo, nella parte dossografica del papiro, in VIII 29-30). È probabile dunque che la dossografia originaria avesse accesso diretto all’opera di Filolao. La sezione su

Filolao dell'Anonimo sembra però avere operato drastici tagli rispetto alla fonte dossografica. Da un esame generale di tutta la parte ‘aristotelica’ del papiro si ricostruisce abbastanza chiaramente uno schema espositivo diviso in tre punti, che, per quanto riguarda la sezione su coloro che attribuiscono le cause delle malattie agli stoicheia, è il seguente: 1) descrizione degli stoicheia secondo l’opinione di ogni pensatore; 2) cause delle malattie; 3) differenze fra le malattie. Lo schema è osservato nel caso di Platone, Polibo, Menecrate, Petrone e Filistione

(per quanto si può dedurre dallo stato lacunoso del testo). In

Filolao esso è meno evidente, sia perché il punto 3 è omesso,

sia soprattutto perché il passaggio fra il punto 1 e il punto 2 è estremamente brusco e la descrizione delle cause molto scarna

PHILOLAUS

IT

(cfr. infra). Ció che viene invece sottolineato é che, per quanto riguarda la concezione di bile e flegma, Filolao ha un ruolo assolutamente peculiare rispetto alla dominante opinione che vede bile e flegma come umori fondamentali del corpo umano, opinione condivisa dall'Anonimo. Probabilmente proprio la ‘diversità’ di Filolao su questo punto lo ha indotto a modificarne il resoconto generale. La teoria di Filolao sulla costituzione del corpo umano, che a suo parere sarebbe originato dal calore, si inquadra bene nella discussione sul ruolo delle qualità (e degli opposti) che

fu particolarmente viva nella seconda metà del V sec. a.C.,

come dimostra la polemica del trattato medico Sull’antica medicina (cap. 1), diretta proprio contro teorie simili a quella di Filolao, anche se l'unico autore espressamente citato (VM 20) € Empedocle (von Fritz 1973, 478; Lloyd 1963, 118 sgg.). Il medico Petrone di Egina, nella stessa dossografia arıstotelica, presenta una teoria simile, basata perö sulla coppia dı oppostı caldo-freddo, con un ruolo secondario anche per seccoumido (XX 2-7). A questo proposito si ricordi che, nel Corpus Hippocraticum, sia De carnibus (2-3, VIII, pp. 584 sgg. L.)

sia De septimanis (cfr. 13, IX, p. 439 L.; 20, IX, p. 443 L.) attribuiscono al calore un ruolo determinante nella costituzione del corpo umano. Quella di Filolao è una teoria monistica, nella misura in

cui rintraccia nel calore il solo principio preesistente, cioè l'ongine (ἀρχή) del corpo umano (in un quadro embriologico):

per una recente analisi cfr. Huffman 1993, 78-92; 291-306. Ma nel dare conto dell'essere vivente nella sua totalità e di fenomeni come salute e malattia, in ultima analisi, Filolao intro-

duce una polarità caldo-freddo, il cui ‘equilibrio è evidentemente condizione vitale. D'altra parte ciò si accorda anche con certi aspetti della dottrina dell’anima-armonia, cfr. A23 e B10 DK, e la ‘necessità’ della respirazione alla nascita ha fatto pensare che la concezione dell’anima-armonia in Filolao si basasse proprio su questo equilibrio fra calore del corpo (‘illimitato’) e freddo che introduce l’anima (‘limitante’), con il presupposto di un legame etimologico fra ψυχή e ψύχεσθαι, che è lar-

gamente diffuso: Sedley 1995, 24-26 e n. 26. Entrambi gli argomenti portati a supporto della teoria generale (carattere caldo dell’utero e prima respirazione del neonato come immissione di freddo dall’esterno per equilibrarne il calore) hanno evi-

PHILOLAUS

IT

denti connessioni con la cultura filosofica del V sec. Il richiamo

alla natura dello sperma rispecchia la preminenza del modello

embriologico e generativo nella cultura dei presocratici, per cui 51 veda p. es. l'affermazione della natura umida dello sperma in Ippone A10 DK (= Arist. De An. A2 405b1 (sc. τὴν ψυχήν]

ὕδωρ τινὲς ἀπεφήναντο, καθάπερ Ἵππων. πεισθῆναι δ᾽ ἐοίκασιν ἐκ τῆς γονῆς, ὅτι πάντων ὑγρά). L'esempio

della respira-

zione del neonato trova un parallelo piuttosto stretto in Dio-

gene di Apollonia A28 DK (Burkert 1972, 271-272), ma ha alla base la nozione di equilibrio termico, largamente diffusa e testimoniata anche in Empedocle (con cui si possono vedere certe affinità, sia per il ruolo del calore nella procreazione, sia per

la funzione della respirazione, cfr. Empedocle A74 e B100 DK, e infra). È stata da tempo messa in luce la connessione, nella tradizione pitagorica, fra la respirazione del neonato e la respirazione del cosmo (il confronto è specialmente con 58B30

DK: Frank 1923, 327-328; Kirk - Raven 1962, 313; Timpanaro Cardini 1962, 187; Guthrie 1962, 279 n. 1; oppure con Arist.

fr. 201 Rose, secondo Huffman 1993, 295-296). Se le connessioni con la tradizione filosofica del V sec. sono fin qui evidenti, ciò vale anche per la parte più strettamente medica di questa dossografia (contro Frank 1923). L’eziologia delle malattie è però una parte molto ellittica, e quindi molto difficile da collocare in una rete di relazioni coerenti. In primo luogo va chiarito il legame con la prima parte: anche se il calore non viene esplicitamente menzionato, è probabile che ı tre fattori produttivi di malattia siano connessi direttamente con esso o meglio con il problema del corretto equilibrio termico. Dunque su un piano più astratto è il calore il ‘principio’ delle malattie, ma sul piano concreto sangue bile e flegma costituiscono il punto di partenza delle malattie, in seguito ad alterazioni di calore: non può essere casuale che Filolao con-

sideri bile e flegma come fenomeni già patologici e che li col-

leghi al calore, anche contro l’opinione prevalente (vedi infra): su questo cfr. Huffmann 1993, 78-92. Va poi osservato che l tre fattori patologici, sangue, bile e flegma, non sono elementi omogenei. Infatti & ovvio che il sangue provoca malattia solo in seguito a un processo di alterazione (ispessimento e fluidi-

ficazione), le cui cause sembrano essere meccaniche (pressione e dispersione), in ogni caso esterne ad esso. Il flegma invece

non è probabilmente un umore, come nella tradizione medica

PHILOLAUS

dalla fine de] V sec. in pot, mentre la bile è un prodotto fra). E tanto piü probabile, che lega questi elementi cosi

1T

ma uno stato di infiammazione, di degrado della carne (vedi indunque, che l'elemento comune diversi sia ıl problema dell'equi-

librio termico (che del resto viene ribadito anche alla fine del

resoconto, XVIII 48 sg.). XVIII 9 ὁ Κροτ[ωνιάϊτης: la città natale è qui Crotone, cfr. D.L. VIII 84 e III 9, ma altre fonti lo dicono di Taranto,

ctr. Thesleff, Pythagorean Texts, 147. 10

duétoya: l'aggettivo è termine del greco tardo (a co-

minciare dal primo secolo, con Dioscoride, Filone, poi in autori platonici come Porfirio e Proclo, padri cristiani ecc.); è attestato in una testimonianza aristotelica, che parla di un problema cosmologico ([Ph.] De aet. 32, p. 83, 10 Cohn= Arist. fr. 20, p. 36, 4 Rose = 916, p. 812b8 Gigon ὁὁ δὲ κόσμος ἀμέτοχος

τῆς ἐν τοῖς λεχθεῖσιν ἀταξίας ἐστίν) ed & usato nella tradızıone dossografica su Epicuro nella descrizione degli atomi ([Plu.] 877d6

Ἐπίκουρος Νεοκλέους

᾿Αθηναῖος

κατὰ Δημόκριτον

φι-

λοσοφήσας ἔφη τὰς ἀρχὰς τῶν ὄντων σώματα λόγῳ θεωρητά, ἀμέτοχα κενοῦ, ἀγένητα, ἀΐδια, ἄφθαρτα, cfr. Stob. I 10, 14).

Un interessante confronto offre un passo del trattato ginecologico di Sorano (II 6 Burguiére - Gourevitch = II 12, 2 Ilberg) che presenta un contesto analogo: Sorano ha appena criticato gli usi di certi barbari che pongono il neonato in acqua o altri liquidi freddi subito dopo la nascita e ne spiega la ragione, TÒ “ψυχρὸν μὲν γὰρ διὰ τὴν πολλὴν καὶ ἀθρόαν πύκνωσιν, fig ἀμέτοχον ἦν τὸ γεννηθέν, πάντα βλάπτει. Si tratta

quindi di un termine dell’Anonimo e non della sua fonte. 11 ὑπομιμνήσκων ἀπό τινων τοιούτων, cfr. τ. 20 ὑπομνήσει προσχρῇται τοιαύτῃ: frasi simili ricorrono altrove nell’Anonimo (XXXI 6, 34; XXXV

3, 21) e introducono sempre l'ar-

gomentazione di supporto di una teoria, in genere richiami all'osservazione di fatti desunti dall'esperienza comune. L’Anonimo & estremamente sensibile all'apparato argomentativo delle varie dottrine e tende a sottolinearlo o a renderlo esplicito, con evidenti intenti didattici. C'é da notare però che nell’Anonımo

il termine ὑπομιμνήσκω

e 1 suoi affini non hanno

un uso tecnico filosofico, cioè non richiamano la teoria dei segni commemorativi

O indicativi, quale è esposta da Sesto Em-

pirico in M. VIII 151 sgg.



24 —

PHILOLAUS

15

1T

τὸ δὲ ἐοικός — ἔοικεν: la frase aggiunta nell'interlineo

rispecchia ancora una volta la tendenza dell' Anonimo ad estrarre

dalle dottrine che va esponendo1 principi logici e dialettici, passando ad un livello più astratto e generale, cfr. p. es. ΠῚ 27-28 τὸ δὲ ἐλάχιστον μέρος οὐκ ἔχει («1] minimo non ha parti»).

17

καταβολή: l'immagine dell’utero come terra in cui si.

getta il seme è comune. Per il lessico di Filolao, cfr. B13 DK καὶ τέσσαρες ἀρχαὶ τοῦ ζῴου τοῦ λογικοῦ, ὥσπερ καὶ Φιλόλαος ἐν τῷ περὶ φύσεως λέγει, ἐγκέφαλος, καρδία, ὀμφαλός, αἰδοῖον .. αἰδοῖον δὲ σπέρματος [καὶ] καταβολᾶς τε καὶ γεννήσιος.

20 εἰς κατασκευήν: nonostante l’insistenza sull’ıdea di ‘co-

struzione' espressa dagli aggettivi e dal verbo corrispondenti ai rr. 12 (κατασκευαστικόν),

15 (κατασκευάζον)

ε 18 (κατα-

σκευαζόμενον), & meglio intendere l'espressione nel suo significato comune,

‘a dimostrazione”, ma cfr. Huffman

290, «regarding the construction of the animal». 23

1993,

καθαπερεὶ χρέος: l'immagine del debito risale proba-

bilmente

a Filolao

Huffman

1993, 300.

e richiama

il fr. 1 di Anassimandro,

cfr.

26 ἐπεισάκτῳ: l'aggettivo, comune, è usato spesso da Aristotele in contesti biologici e in opposizione con ὑπάρχειν, come qui (cfr. in particolare EN 1169b26, GA 724b33, Mir. 836b23, PA 659b19, e Pr. 885b19 per il rapporto caldo- freddo). È stata riconosciuta nel passo una connessione con le testimonianze pitagoriche relative alla respirazione cosmica, cfr. 58B30 DK, ἐπεισιέναι αὐτὸ τῷ οὐρανῷ ἐκ τοῦ ἀπείρου πνεύμα-

τος ὡς ἀναπνέοντι, e Arist. fr. 201 Rose = 166 Gigon (Stob. I 18, 1), £v δὲ τῷ περὶ τῆς Πυθαγόρου φιλοσοφίας πρώτῳ γράφει

( ᾿Αριστοτέλης) τὸν μὲν οὐρανὸν εἶναι ἕνα, ἐπεισάγεσθαι δ᾽ ἐκ τοῦ ἀπείρου χρόνον τε καὶ πνοὴν καὶ τὸ κενὸν ὃ διορίζει ἑκάστῶν τὰς χώρας ἀεί. Huffman 1993, 300-301, sı basa su que-

st'ultimo confronto per supporre che P aggettivo ENEIGAKTOG o il verbo ἐπεισάγω, presente qui e nel frammento aristotelico, possano essere termini di Filolao, ma l’ipotesi sembra indimostrabile.

31 ἀρχὴν: Huffman 1993, 78-92, dimostra il particolare significato della parola nella dottrina di Filolao, ma non & dimostrabile che esso sia testimoniato anche nella dossografia dell’ Anonimo, trattandosi di un termine comune nell'ambiente

peripatetico. 32 Le alterazioni del sangue sono naturalmente oggetto di —25 —

PHILOLAUS

1T

attenta considerazione nei testi medici della collezione ıppocratica, cfr. p. es. Morb. I 20 (VI, p. 176, 11-12 L.), 24 (VI, p. 188, 21-23 L.), ma di solito il sangue non è causa, se non se-

condaria, di malattia perché tali alterazioni sono provocate da bile e flegma; oppure, se è causa di malattia, per eccesso, lo è solo all’interno della teoria delle quattro sostanze costitutive come quella di De natura hominis (Duminil 1983, 248 sgg.). Trasimaco di Sardi, la cui dottrina è esposta nella stessa dossografia aristotelica del papiro (XI 42-XII 8) considera bensì il sangue causa di malattia, ma anch'egli di fatto lo considera tale solo in caso di alterazione dovuta a squilibrio termico. Tuttavia vi sono

alcuni passi, nel Corpus

Hippocraticum,

in

cui il sangue si colloca alla pari di altri fattori patologici. Per esempio in Loc. Hom.

30 (VI,

p. 322, 21 L.) κύναγχος ἀπὸ

αἵματος γίνεται, ὅταν τὸ αἷμα παγῇ τὸ ἐν τῇσι φλεψὶ τῇσιν ἐν τῷ τραχήλῳ, si attribuisce la causa della malattia ad un ispessimento del sangue analogo a quello ipotizzato da Filolao; cfr. anche Morb. Sacr. 8; 9 (VI, p. 376, 1; 378, 2 L.); Epid. VI 2.20 (V, p. 288, 5 L.); Loc. Hom.

33 (VI, p. 326, 7-9 L.); Int. 32

(VII, p. 248, 14 L.) in cui il sangue è causa di una malattia

della milza; 51 (VII, p. 294, 5-6 L.), dove sangue, bile e flegma sono posti sullo stesso piano. L'importanza dello stato di fluidità del sangue in relazione alle malattie trova eco in un passo di Aristotele, HA 521213, che utilizza chiaramente una fonte

medica. 34-35 Le cause di alterazione del sangue sembrano consistere in fatti traumatici (effetti di urti o ferite?). In effetti il verbo θλίβω (con il suo corrispondente φλίβω e i composti)

indica di solito una pressione patologica nei testi ippocratici, cfr. p. es. Loc. Hom. 13 (VI, p. 300, 13 L.); Mul. 1 150 (VIII, p. 326, 10), 200 (p. 382, 20), 203 (p. 386, 21). Per παραθλίβω

cfr Sor. II 6a, 107 Bourguière - Gourevitch (= 14 Ilberg), 22,

8 (= 54 Ilberg); Orib. X 18, 15 (CMG VI 2.1, p. 61, 8: estratto

del medico Erodoto). È invece più difficile capire che cosa significhi l'espressione διαιρουμένων τῶν ἐν τῇ σαρκὶ ἀγγείων: Huffman 1993, 303, fa notare che la specificazione «1 vasi che sono nella carne» sembra voler escludere il significato più ovvio di ‘vasi sanguigni’ e propone quindi di pensare ad organi del corpo in modo più generico. Tuttavia è più semplice pensare a fatti traumatici, che provochino un’apertura dei vasi san— 26 —

PHILOLAUS

IT

guigni. Il verbo διαιρέω è usuale nei testi medici, da Galeno in poi, per indicare le incisioni chirurgiche: ma può essere usato anche per una lesione di origine traumatica, cfr. Gal. In Hp.

Epid. VI (XVIIB, p. 82, 11 K.) e specialmente Meth. Med. X, p. 311, 7 sgg. K., per una effusione di sangue in contesto patologico, dove διαιρέω è il termine generale che include vari tipi. di trauma: ἐκχεῖται τοίνυν αἷμα φλεβὸς καὶ ἀρτηρίας ἤτοι

κατὰ τὸ πέρας ἀνεστομωμένων τῶν ἀγγείων, ἢ τοῦ χιτῶνος αὐτῶν διαιρεθέντος, 1ἢ ὡς ἄν τις εἴποι διηθούμενον

ἢἢ διιδρούμενον. ὁ

μὲν οὖν χιτὼν διαιρεῖται τιτρωσκόμενός τε καὶ θλώμενος καὶ ῥηγνύμενος κτλ.

36

Diversamente dal sangue, il flegma à un prodotto pa-

tologico. Ció risulta chiaro dall uso del verbo συνίστασθαι a r. 36 «il flegma si forma da ...». Il carattere così scarno di questa dossografia lascia nell’ ombra che cosa significhi ὄμβρος, 1in relazione alla formazione del flegma. Poiché ὄμβρος é usato nel testi medici nel suo significato corrente di ‘pioggia, rovescio’, cfr. p. es. Nat. Hom.7 (VI, p. 46, 22-48, 1 L.)τὸ δὲ αἷμα

αὔξεται iὑπό τε τῶν ὄμβρων καὶ ὑπὸ τῶν θερμημεριῶν, il testo & stato interpretato come un riferimento a influenze climati-

che e avvicinato appunto a teorie come quelle di Nat. Hom. (Olivieri 1921, 43-46). Ma l'introduzione di elementi meteo-

rologici non è assolutamente motivata in questo contesto e per di più si scontra con la presenza di συνίστασθαι, il cui carattere tecnico sottolinea quanto lontano ci si trovi dal passo di Nat. Hom. L’indice dei Vorsokratiker offre la traduzione ‘urina’

(DK, 1952, III 308 s.v.), accolta da Maddalena 1954 e Timpa-

naro Cardini 1962 senza alcuna spiegazione, ma l’esistenza di

tale significato, che pure sembra a prima vista meglio adattarsi al contesto, non ha alcun serio supporto. Decisivo è comunque il fatto che una derivazione del flegma dall’urina non pare avere attestazioni. Huffman, 304, pensa ad un uso metaforico basato su un paragone come quello con il processo di formazione della pioggia (ὑετῶν), fatto esplicitamente da Arist. PA 65322, quando descrive il flegma prodotto da esalazioni calde che si innalzano e vengono raffreddate dal cervello. Sembra probabile che qui ci sia un uso traslato del termine, ma è più

appropriato un riferimento alla tradizione empedoclea, in cui il termine ὄμβρος è già usato per indicare l'elemento liquido, l'umidità là dove si presenta, nel mare, nel succo delle piante, nell’uomo. In B100, 12 e 18 DK (il frammento famoso sulla —

27 —

PHILOLAUS

IT

respirazione, con l'esempio della clessidra) ὄμβρος è usato nel

senso generico di liquido (ma di liquido 1n movimento), in alternanza con ὕδωρ; in B98, 2 insieme alla terra, a Efesto e al-

l'etere indica l'elemento liquido nella formazione del sangue e della carne umani; cfr. B21, 5 DK e anche Soph. OT 1428. E importante notare che la parola è usata qui in senso generico e in un contesto biologico: il passaggio da un livello antropogonico (empedocleo) a uno fisiologico, come si verifica nel caso di Filolao, é molto facile. La peculiarità dell'uso fa pensare che abbiamo qui una parola che Filolao ha mutuato da Empedocle, e che quindi si tratti, con ogni probabilità, di un’altra ‘citazione' della dossografia aristotelica (anche se questa non viene glossata): cfr. anche Lloyd 1963, 124(

67) n. 51.

L' interpretazione del passo potrebbe dunque essere: 1l ‘flegma’ è formato dai ‘liquidi’, o meglio dai ‘flussi di liquidi". Essa riceve supporto dal fatto che per Filolao flegma è qualcosa di caldo per natura (al contrario dell’opinione comune, come osserva esplicitamente l'Anonimo). Su questo punto Fi-

lolao si connette a una linea di tradizione conservatrice, poiché nel corso del V sec. il significato della parola ‘flegma’ è slittato da ‘infiammazione’, coerente con la sua etimologia, a

‘umore che provoca l’infiammazione’, a ‘umore freddo’ per eccellenza, che ha oscurato il legame con l’infiammazione (Fredrich 1899, 36-43; J. JoUANNA, Hippocrate. Pour une archéologie de l’école de Cnide, Paris, Les Belles Lettres 1974, 93 sgg.; Lonie 1981, 277-279), un “evoluzione che ha lasciato tracce nei testi della collezionei ippocratica (cfr. p. es. Morb. II 26 = VII, p. 42, 17 L. e 27 = VII, p. 42, 22 L., in cui è evidente il signifi cato di infiammazione). Il fatto che qui (rr. 44-46) si citi |’ etimologia di flegma e si faccia riferimento alla teoria che il flegma è causa dell’infiammazione ha immediati confronti con il frammento B4 DK di Prodico e la testimonianza A159 DK di Democrito, ma non

è affatto necessario interpretarlo come segno di dipendenza di Filolao dalla sofistica, come fa Diels 1893, 418-419 (cfr. invece Olivieri 1921, 58; Timpanaro Cardini 1962, 105). Un interesse per l’ etimologia può essergli attribuito forse anche sulla base della testimonianza A13 DK (= Lyd. Mens. 1 15) ὀρθῶς οὖν αὐτὴν ὃ Φιλόλαος δεκάδα προσηγόρευσεν

ὡς δεκτικὴν

τοῦ

ἀπείρου (da collegarsı con la definizione πανδοχεύς del numero dieci nello Hieros Logos, cfr. Timpanaro Cardini 1962, —28 —

PHILOLAUS

138:

1T

ma vd. 1 dubbi sollevati da Huffman 1993, 359-363, sulla

credibilitä della testimonianza). Il passaggio, nella costruzione

della frase, dal verbo all’infinito a r. 44 a quello all’indicativo a r. 46 può significare forse che l'Anonimo attribuisce a Filo-

lao solo il riferimento etimologico, mentre il resto è una sua interpretazione aggiuntiva (fenomeno non insolito in lui). Egli

può avere introdotto una frase di commento alla teoria di Filolao di questo tenore: «in questo modo, cioè se il flegma è caldo, ne deriva che anche le infiammazioni sono tali per la

presenza di flegma»; nel fare questo, però, l'Anonimo sovrappone alla teoria di Filolao la propria opinione che ‘flegma’ sia comunque

un umore, caldo o freddo che sia. Sia il tenta-

tivo di Prodico di normalizzare la lingua sia la teoria delle infiammazioni attribuita a Democrito (cfr. supra) presuppongono una frattura già avvenuta nell’uso fra la parola ‘flegma’ e la sua origine etimologica. Per quanto si può ricavare da questo resoconto, questa frattura in Filolao non è ancora avvenuta ed egli sembra usare la parola ‘flegma’ in modo coerente con la sua origine etimologica. Benché il carattere ellittico del discorso non permetta conclusioni sicure, Filolao sembra avere

un quadro di riferimento medico diverso, probabilmente più arcaico e conservatore, rispetto alla tipologia umorale definita dalla coppia bile-flegma nei trattati nosologici del Corpus Hippocraticum (contra Fredrich 1899, 40): in lui il flegma mantiene il suo legame con i processi infiammatori, designandone forse il prodotto concreto. La sua associazione con dei liquidi,

con una loro accumulazione, è perfettamente comprensibile e trova confronti nel Corpus Hippocraticum. In uno dei passi in cui il significato di ‘infiammazione’ ha lasciato ancora tracce,

cioè nella descrizione della malattia detta φλέγμα λευκόν in

Morb.

II 71 (VII, p. 108, 4 L.), sı può notare che essa, lungi

dall'essere messa in relazione con l'umore ‘flegma’, è curata

con farmaci che evacuano l'acqua. Anche in Int. 21 (VII, p. 220, 8-9 L.), 22 (p. 220, 19), per quanto Cl 51 trovi nel conte-

sto di una patologia umorale basata sulla coppia bile-flegma,

la malattia ‘flegma bianco’ è ancora connessa con il calore, con l’acqua, con l’idropisia. Infine, per una residua connessione di

‘flegma’, ormai divenuto un umore, con calore, infiammazione e farmaci che espellono acqua, cfr. Aff. 4 (VI, p. 212, 4 sgg. L.). Si noti inoltre la coincidenza d’espressione in uno dei passi

PHILOLAUS

ıT

che attestano il significato di ‘infiammazione’ per φλέγμα nei testi ippocratici: Morb. 11 32 (VII, p. 48, 20-22 L.) ἢν φλέγμα

συστῇ ... ὑποιδεῖ 37 In base al secondo cui é la (col. XX 16-24),

καὶ ἐμπυίσκεται. confronto esplicito con la teoria di Petrone, malattia a produrre la bile e non viceversa & chiaro che anche qui la bile & un prodotto

patologico. Il contesto ci assicura dunque che ἰχώρ deve avere valore negativo, nel senso di liquido nocivo. Duminil 1983,

164-180, ritiene che tale significato si perda nel corso del V secolo, ma J. JOUANNA e P. DEMONT [Le sens d’ ἰχώρ chez Homere (Iliade V, v. 340 et 416) et Eschyle (Agamemnon, v. 1480) en relation avec les emplois du mot dans la Collection Hippocratique, REA 83 (1981), 197-209] dimostrano che, al contrario, il valore di iyóp come 'sierosità' in origine riferita alle ferite, positiva o negativa a seconda dei contesti, rimane costante, È significativo il confronto con Platone, 77. 82e6 sgg., secondo cui in seguito alla liquefazione delle carni si produce una serie di liquidi (χολὰς καὶ ἰχῶρας kai φλέγματα). Il passo platonico era giä stato accostato ἃ Filolao da Taylor 1928, 592 e 595, che vi vede una derivazione diretta di Platone da Filo-

lao, ma é ancora utilizzato da Duminil 1983, 181, per attri-

buire l'origine di questa teoria alla scuola medica siciliana. 39-40

μηδὲ — χολήν: l'espressione ha fatto pensare (Lonie

1981, 285) che Filolao negasse l'esistenza della cistifellea (detta anch'essa xoAn). Ma questo non è sufficientemente dimostrato: Il resoconto dell'Anonimo sembra limitarsi a mettere in rilievo la posizione anomala di Filolao che considera la bile ‘siero’

della carne e dunque un liquido patologico e non fisiologico.

La negazionedi un rapporto della bile con il fegato può riguardare anche l’umore. In effetti è vero che Aristotele distingue bile del corpo e bile del fegato, cioè cistifellea (PA 677a11 Sgg., ἀλλ᾽ ἔοικεν n χολή, καθάπερ

καὶ n κατὰ τὸ ἄλλο σῶμα

γινομένη περίττωμά τι εἶναι ἢ σύντηξις, οὕτω καὶ ἣ ἐπὶ τῷ ἥπατι χολῇ περίττωμα εἶναι καὶ οὐχ ἕνεκά τινος, ὥσπερ καὶ f] ἐν τῇ κοιλίᾳ καὶ ἐν τοῖς ἐντέροις ὑπόστασις), ma assegna loro un uguale stato di residuo senza utilità biologica; da PA 676b16 sembra inoltre evidente che nel IV secolo c'era ancora un'ampia e confusa discussione sulla questione 'bile' in generale, condizionata dall'incertezza sulla posizione e funzione della cistifellea (ἔχει δὲ καὶ χοληντὰ πολλὰ τῶν ἐναίμων ζῴων, τὰ μὲν —

30 —

PHILOLAUS

IT

ἐπὶ τῷ ἥπατι, τὰ δ᾽ ἀπηρτημένην ἐπὶ τοῖς ἐντέροις, ὡς οὖσαν οὐχ ἧττον

ἐκ τῆς κάτω

κοιλίας τὴν

φύσιν αὐτῆς,

cfr.

31- 33

τούτων δ᾽ ἐστὶ καὶ ὃ ἄνθρωπος ἔνιοι μὲν γὰρ φαίνονται Éxovτες χολὴν ἐπὶ τοῦ ἥπατος, ἔνιοι δ᾽ οὐκ ἔχοντες. διὸ καὶ γίνεται ἀμφισβήτησις περὶ ὅλου τοῦ γένους). 48 συνεργὰ: la menzione finale di cause ‘coadiuvanti’, cioè di eccesso o difetto di calore, freddo o cibo (che sono 1nvece strettamente connesse con la tesi principale che i nostri corpi sono costituiti dal calore) rivela in realtà una classificazione

sicuramente posteriore sia a Filolao sia alla dossografia aristotelica: una gerarchia simile di cause non interviene mai nella dossografia dell’Anonimo

Londinese e la definizione di ov-

vepy&, che non ricompare altrove nel papiro, riecheggia alla . lontana la classificazione stoica delle cause, cfr. p. es. S.E. P. III 15 (cfr. Manetti

1990, 231-233).

XX 16-24 La menzione della bile è fatta alla fine del resoconto su Petrone e non è in alcun modo collegata con quanto precede. Infatti Petrone, dice l'Anonimo (XX 1-16), concepisce il corpo umano come costituito da due elementi, caldo e freddo, a ciascuno dei quali corrisponde un opposto: al caldo

il secco e al freddo l’umido. Petrone ritiene che le malattie in generale siano prodotte o dai residui della digestione (quando la loro quantità non permette una digestione corretta) o dagli stessi elementi quando siano irregolari e squilibrati. L’Anonimo conclude lo schema di esposizione precisando: «ma riguardo alla differenza della malattie non specifica niente» (rr. 14-16). Dunque lo schemaè stato rispettato e la dossografia è completa, ma egli aggiunge l’osservazione sulla concezione della bile di Petrone, perché questo evidentemente lo colpisce in modo particolare e gli permette inoltre di stabilire un collegamento esplicito con Filolao. Questo sembra un ulteriore

indizio che l’Anonimo ha diretto contatto con la fonte aristotelica e da essa seleziona liberamente il materiale. 23

οἰκείαν: ricostruzione incerta, ma cfr. XI 23 [> 63 IT]. DM

PHILOLAUS

xx *

Secondo Diels, n. 19 ad 44B11DK, reminiscenze vaghis-

sime di Filolao si troverebbero nel cod. Par. Suppl. Gr. 574 (= ‘ PGM

IV 1750 sgg., vol. I, 129 Preisendanz),

in un contesto

orfico-pitagorico. R



32 —

80 PLATO

*

1

Alcibiades I 107c11-108b6 PHarris

12

Sec. II? ex.

Prov.: incerta.

Cons.: Birmingham, Central Library of the Selly Oak Colleges. Eda.: J.E. POwELL, PHarris I (1936), 10-11. Tavv.: PHarris I, III; CARLINI 1994 (infra), 208/209.

Comm.: MP° 1407 (= P^1407) 579; P. Maas,

— B. SNELL, Gnomon 13 (1937), 578-

ap. Snell, supra, 578, n. 1; P. COLLART,

REG

50

(1937), 416-417; E.A. BARBER, JEA 23 (1937), 83; 24 (1938), 94; CARLINI [1964], 19 e n. 33; PHarris (rist. an. Milano, CisalpinoGoliardica, 1974, Corrigenda, ultima pagina senza numero); SIJPESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 30-31; H.M. COCKLE, POxy LII

(1984), 86-88; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 66-67; 114-116; A. CARLINI, Congiunzione e separazione di frammenti di tradizione

diretta (su papiro) e di tradizione indiretta, in Paideia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, Roma, GEI 1994, 207-215: 209212.

Pubblicato da Powell come frammento adespoto di prosa filosofica, & stato riconosciuto come resto di un volumen del-

l'Alcibiade I da P. Maas che consegnava questo contributo 'volante a Snell (578-579) mentre questi preparava la recensione

all’edizione dei PHarris. Utilizzato nell’edizione della quarta

tetralogia da Carlini (1964), è stato successivamente messo in

PLATO

1

stretta relazione da H.M. Cockle (POxy LII, 86-88) con POxy

3666; ma la proposta di idenuficazione delle due mani, che farebbe dei due papiri parti di uno stesso rotolo dell'A/cibiade I, incontra difficoltà sia sul piano bibliologico-paleografico sia sul piano critico-testuale (Carlini 1994, 209-212). Anche Johnson (Papyrus Roll, 66-67; 114-116), che pure attribuisce PHar-

ris 12 e POxy 3666 a una stessa mano, è costretto a riconoscere le sostanziali differenze tra i due rotoli per quanto riguarda larghezza delle colonne, intercolunnio e interlineo, nonché la probabile differenza di altezza delle colonne. Escludere la pos-

sibilità di un doppio esemplare dell’Alcibiade I per una pretesa scarsa circolazione di questo dialogo (Johnson, Papyrus Roll, 114) non ha alcun fondamento. Non vanno trascurati, tra l'altro, 1 due frammenti papiracei, pressappoco coevi, di un

Commento all’Alcibiade (> CPF III 5, pp. 52-62). PHarris

restituisce due colonne

mutile, con un lembo

margine superiore, di un esemplare vergato

di

accuratamente,

verso la fine del sec. IIP, nello ‘stile severo’, con un contrasto

modulare piuttosto accentuato. Il frammento (bianco nel verso) misura cm 7,8x23,3. Particolare interessante, che costituisce un

preciso segno di riconoscimento per questo manufatto, è la doppia paragraphos, per segnalare un ripetuto alternarsi di battute dialogiche in uno stesso rigo. Naturalmente uno scriba così scrupoloso non poteva trascurare il doppio punto all’interno del rigo. Le colonne (divise da un intercolunnio di cm 2) sono molto strette: il numero più elevato di lettere per rigo è 16, ma bisogna tener conto che lo scriba mostra la chiara volontà di ottenere un allineamento del testo anche a destra, impiegando, quando necessario, segni di riempimento. Una ricostruzione accettabile del rigo di scrittura, mai conservato integralmente, dà cm 5. La distribuzione del testo mancante tra la prima e la seconda colonna porta ad un totale di 37 righi per colonna (altezza cm 18). La parte iniziale del dialogo prima della colonna conservata doveva disporsi su 12 colonne. Il segno di interpunzione ricorrente è l’ano stigme; lo iota è sempre ascritto. L'aggiunta interlineare di τῶν (col. I 4) sana un'omissione in cui era incorso lo scriba in un primo tempo. Le caratteristiche grafiche di PHarris che sono utili per distinguere questo manufatto nell’ambito dello ‘stile severo’ (in particolare da POxy 3666) sono queste (Carlini 1994, 211): —

34 —

PHARRIS 12 ALC. I

nell’v il tratto obliquo di destra scende fino alla base della let-

tera; l'o è schiacciato sul rigo di base; l'o è di dimensioni molto ridotte; si nota un frequente ammorbidimento dei tratti diritti (si vedano le due oblique del x leggermente incurvate l'una alP'insü, l'altra all’ingiù); la curva del u arriva a toccare l’asta di destra nel punto centrale. Snell (578-579) sostiene che PHarris va giudicato un buon testimone

che

conferma

sistematicamente

le lezioni

di B; ma

tutte le convergenze cul si fa riferimento in Snell, 579 (107d4 ἄλλου, 108b2 κιθαρίζειν) sono in lezione buona e quindi non si può parlare assolutamente di una preformazione del filone B(CD), garantita dal papiro. Difficile dire se nel punto in cui PHarris si discosta da tutti i codici (107e5 κατ᾽ ἰ]δίαν, secondo la proposta di Maas, darebbe luogo a un rigo troppo lungo) si celi una buona lezione alternativa. Appare opportuno proporre qui il testo di PHarris 12 (an-

che se è già stato utilizzato in un’edizione critica), perché il

primo editore Powell ha presentato una trascrizione solo provvisoria (con una inversione di righi ed errate letture) di opera

non identificata. Per la collazione si è tenuto conto dell’edizione di A. CARLINI,

1964.

Col. I

5

10

éntoxaca]t. τοῦτ᾽ αἴτιov ἢ ἄλλο] τι; Οὐκ, ἀλλὰ τοῦτο.] ᾿Αλλὰ περὶ ποίων] τῶν ἑαυτῶν λέγεις πρα]γμάτων ὅταν βο]υλεύωνται; Ὅταν ne]pi πολέμου, à Σώκρατες, ἢ περὶ εἰρήνη]ς ἢ ἄλλου του τῶ]ν τῆς πό-

λεὼς πρ]αγμάτων. "Apa λέγε]ις ὅταν βουλεύωντ]αι πρὸς [τί-

νας χρὴ] εἰρήνηϊν ποι—

25



107c11 1074

PLATO

15

20

1-2

εἶσθα]ι Kat τίί Ἰσιν πολεμεῖν καὶ τίva τρόπϊ]ον; Ναί. Χρὴ δ’ οὐ]χ οἷς βέλτι[ον; Ναί. Καὶ τόθ᾽ ὁ-] πότε βέλτιον;)] Πάνυ γε.

107e

Καὶ τοσοῦτον

χρόνον ὅσοΪν ἄμεινον; Ναί. Ei o]üv .]. «αν DENN desunt 13 fere versus

col. II

οἷς [un καὶ ὁπότε κα[ὶ ὅντινα τρόπον; λέγ[ω δὲ τὸ τοιόνδε: &p[a τούτοις δεῖ προσπα[λαίειν οἷς βέλτι-

ov, [ἢ οὔ; Not. "Apa καὶ

107e11

108a

᾿το[σαῦτα ὅσα ἄμεινον;

_Tolooadta. Οὐκοῦν καὶ [τότε ὅτε ἄμει10

vov; [Πάνυ γε. ᾿Αλλὰ unlv καὶ ᾷδον-

ta δεῖ [κιθαρίζειν πο[τὲ πρὸς τὴν ᾧδὴν καὶ [βαίνειν; 15

“Δεῖ γάρ.

20

τε ὁπότε D[ ἔλτιον; Not. Καὶ το[σαῦθ᾽ ὅσα “Βέλτιον; Φ[ημί. Τί οὖν; ἐπειδ[ὴ βέλτιον μὲν ὠν[όμα-

Οὐκ[οῦν τό-

Ges ἐπ’ ἀμ[φοτέροις,

τῷ τε κιθ[αρίζειν

108b

πρὸς τὴν φ[δὴν καὶ τῷ πρίοσπα-

25

λαίειν, τί κ[αλεῖς τὸ] ἐν τῷ κι[θαρί—

36 —

PHARRIS

12 - POXY

3666

ALC. I

Ge]tv βέλίτιον, ὥσπε]ρ ἐγὼ [τὸ ἐν

τῷ] πα[λαίειν κα30

λῷ] γυμν[αστικόν: où ] δ᾽ ἐκεῖνο τί κα-

λεῖ)ς; Οὐκ év[voò. ᾿Αλ]λὰ πειρῶ [ἐμὲ μιμεῖσθαι 1.4 τῶν omesso in un primo momento è stato aggiunto dallo stesso scriba s.L 17 Ἰονῖναι: > — 24 delle lettere superstiti (tre o quattro?) sono ben riconoscibili solo le due finali ]..av; possibile Jótav, ma non si

può escludere Ἱμαν o ]vav I9 ἄλλου pap. cum BCD Ol, περὶ ἄλλου PT W 18 οὐχ om. T 24 quid habuerit pap. incertum: κατ᾽ i]ótav coni. Maas ap. Snell 1937, 579, 1; ᾿Αθηναῖοι codd.

II 15

quasi svanita la paragrapbos sotto le due lettere iniziali (de) a

loro volta molto danneggiate

29

yop:

17

prima di raf lettera cancellata I1 11

18

βελτιον:

25

Jew:

]c:ovxev[

quid habuerit pap. incertum: τὸ ἄδοντα BCD, ddovta PT W, τὸ(ν)

ἄδοντα Ast tò xr. Ρ

32

vau

16-17 222

perperam transposuit ed.pr.

22-24 τό te x18.- καὶ

κιθαρίζειν pap. cum BCD, ὀρθῶς κιθαρίζειν PT W. AC

2 Alc. I 113b6-9; 132a3-c1

POxy 3666

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. Cockrz, POxy LII (1984), 86-88.

Tavv.: CARLINI 1994 (infra), 208/209.

Comm.: MP’ 1407.1

JoHNSON, Papyrus Roll [1992], 66-67; 114-

116; 299; A. CARLINI, Congiunzione e separazione di frammenti di tradizione diretta (su papiro) e di tradizione indiretta, in Pai—37—

PLATO

2

deia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, Roma, GEI 1994, 207-215: 209-212.

Tre frammenti (A, B, C) di un volumen (verso bianco) che

restituisce porzioni staccate di un esemplare dell’Alcibiade I che, contro la proposta di identificazione dell’ed.pr. (ripresa sostanzialmente, ma in un quadro più articolato, da Johnson, Papyrus Roll, 114-116), deve essere tenuto distinto da PHarris 12 (+ 80 1) per ragioni bibliologiche, paleografiche, critico-filologiche (Carlini, 209-212). A (cm 5x5,2) comprende sei righi non integri della parte superiore di una colonna di cui è conservato, in parte, il margine superiore (cm 2,5). B conserva le finali della parte centrale di una colonna e le iniziali della colonna successiva divise da un intercolunnio di cm 1,6. Con C (margine superiore cm 3,5) si recuperano 1 primi quattro righi (conservati nella larghezza: cm 7,5 ca.) della colonna successiva a quella parzialmente restituita da B, col. I. $1 puö calcolare cosi il numero dei righi che mancano tra B, col. I e C: 13. Data la forte oscillazione del numero di lettere per rigo e ıl calcolo solo approssimativo del numero di righi di ogni colonna (34), non à compito agevole stabilire quante colonne contenesse il rotolo: nell’ed.pr. si collocano da 34 a 38 colonne tra A e Be sei colonne tra C e la fine. Puramente indicativo il numero complessivo di colonne: da 67 a 71. Il testo è stato vergato in una libraria di stile ‘severo’, leggermente inclinata a destra, con un moderato contrasto modulare, assegnabile alla fine del sec. IP. La preoccupazione dell'allineamento a destra porta lo scriba a usare frequentemente segni riempitivi o a ingrandire la lettera finale (es. B I, 8). La paragraphos e il doppio punto segnano, come di consueto, il passaggio da una battuta all’altra. POxy 3666 a 132c1 (C, col. II, 4), contro i codici medievali, ha la corretta lezione δὴ öltı che è condivisa da Stobeo.

Per il resto, sembra di poter concludere, diversamente dall’ed.pr., che pap. era più vicino al ramo tradizionale rappresentato da PT W, come si ricava da convergenze in diverso ordine delle parole contro BCD (A 3; B 3). Il testo è stato collazionato sull’edizione di A. CARLINI, 1964.

POXY 3666 ALC. I

A

patvollpar μέν, ὦ Σώκ[ρατες, ἐκ τῶν ὡμολογημένων

ἐγώ.

113b6

Οὐ-

κοῦν ἐλέχθη ὅτι περὶ δι-

καίων κα[ὶ ἀδίκων ᾿Αλκιβιάδης ὁ [καλὸς ὁ Κλεινί-

5

ov | B+C,

I tod [to γὰρ δὴ μάλιστα ἐγὼ φοβοῦ]μαι,

13223

μὴ δημεραστὴς γεν]όμε-

5

νος ἡμῖν διαφθαρῇς:] πολλοὶ γὰρ ἤδη καὶ ἀγαθοὶ αὐτὸ] πεπόνθασιν ᾿Αθηναίων. εὐπ]ρόσωπος γὰρ ὁ τοῦ μεγαλήτορ]ος δῆ-

μος 'Epex0éog: ἀλλ᾽ ἀποδ]ύντα χρὴ αὐτὸν θεάσασθαι. ε]ὐλα10

βοῦ οὖν τὴν εὐλάβειαν] ἣν ἐγὼ λέγω. Τίνα; Γύμν]ασαι

132b

desunt 13 versus, ut videtur

B+C, II

μὴ τούτου σφαλέντες λάθωμεν ἑτέρου τινὸς ἐπιμελού4

15

μενοι ἀλλ᾽ οὐχ ἡμῶν. "Ἔστι ταῦτα.] Καὶ μετὰ τοῦτο δὴ ὅτι desunt 9 versus, ut videtur

εἰ [ d [ dl

132b10 132ς

PLATO 2-3

20

πὶ

A 6 La traccia puntiforme in alto è compatibile con οἱ A 1 μέν om. OI 3-4 ou περὶ Oi]Ikavov καίι αδικὼν pap. (ut vid., spatii ratione) cum PT W, περὶ δικαίων καὶ ἀδίκων ὅτι BCD, ὅτι περὶ δικαίων Ol 6 o[vk suppl. H.M. Cockle B+C I 3-4. yevlonel[voc ἡμῖν pap. (ut vid., spatii ratione) cum PT W, ἡμῖν γενόμενος BCD 7-8 Ἐρεχθέως δῆμος Maximus Tyrıus, Plotinus 8 ἀποδύσαντα Athenaeus B+C IL 3

nuov:ecti» pap.

20

preferibile x a y

B+C II 2 επιμελουίμενοι pap., ἐπιμελόμενοι codd. 4 Sn o|u pap. cum Stob., δὲ ó PT W, ἤδη BCD 18-20 fortasse 132c-d ed.pr. AC

3 Alcibiades II 142b6-143c1

POxy 3667

Sec. III?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: A. CARLINI, POxy LII (1984), 89-90.

Comm.: MP’ 1407.3

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 67; 299.

Due frammenti (A e B) di un rotolo (verso bianco). Sia A che B presentano resti di due colonne con un intercolunnio di cm 1,5; in B é conservato un ampio margine inferiore (cm 4,5). L'analisi del contenuto consente di stabilire che A puö essere — 40—

POXY

3666

ALC. I - POXY

3667

ALC. II

collocato nella parte alta della stessa colonna di cui B forni-

sce la base. La colonna, alta circa cm 23, aveva 33/34 righi; ogni rigo (largo circa cm 10) aveva una media di 25 lettere. È visibile una kollesis: in A a circa cm 0,5 a sinistra della col. II; in B subito dopo le prime due lettere dei righi superstiti nella col. II (il verso mostra una sovrapposizione di cm 2-2,5).

La scrittura è una libraria inclinata a destra; non rigorosamente bilineare (A È p v τ escono dal rigo di base, p esce sopra e sotto). Le lettere sono scritte separatamente, ma c'é una tendenza corsiveggiante nel ductus (es. di v e di v). La mano può essere assegnata al sec. III". Il cambio di interlocutore è

segnato dalla paragraphos (II 29); i punti diacritici sono posti su iota e hypsilon iniziali (II 7, 30). POxy 3667 & il primo papiro contenente parte dell’Alcı-

biade iù Benché il dialogo περὶ εὐχῆς sia certamente spurio e

anzi di età recenziore (è stato attribuito con ragione all’ Acca-

demia di Arcesilao già da E. BICKEL, Ein Dialog aus der Akademie des Arkesilas, AGPh 17, 1904, 460-479), appare saldamente incorporato nel corpus tetralogico di Platone, come si può ricavare fin dalle più antiche testimonianze (cfr. Tarrant, Thrasyllan Platonism, 58-107). POxy 3667 non presenta novità testuali rispetto a1 codici, ma conferma l'antichità della lezione τυγχάνει a 143b6 (II 32) che alcuni editori a partire da Stephanus corfeggevano in τυγχά-

vot. Nei due casi (I 31 e II 25-26) in cui la tradizione è divisa (va ricordato che per l'Alc. II mancano rappresentanti della

terza famiglia), POxy conserva la lezione esatta e contribuisce così ad isolare in corruttela T (nel secondo caso alleato di

D).

Il testo è stato integrato in base all’edizione di A. CARLINI,

1964.

Col. I (fr. A + fr. B) (A) 5

desunt 4 versus τ]έκνω(ν) ὅλον τὸν βίον λυπούμενοι διή]γα-

yov: τοὺς δὲ χρηστῶν μὲν γενο]μέϊνων desunt 22 versus

—4—

14206

PLATO

(B) 30

3-4

αἰτιῶ]ν-

14246

ται, ἐξ ἐκείνων φάμενοι κα]κά σφισιν εἶναι: οἱ δὲ καὶ αὐτοὶ o9]fi-

σιν εἴτε ἀτασθαλίαισιν εἴτε ἀφ͵]ροσύναις χρὴ εἰπεῖν, ὑπὲρ μόροΪν Col. II desunt 4 versus (A) xpnoünellvog [ö]plöv αὐτοὺς καὶ πράττον-

6

142e3

τας κα ὶ εὐχομένους ἅπερ οὐ βέλ-

τιον flv, ἐκείνοις δὲ ἐδόκει, κοινῇ ὑϊπὲρ ἁπάντων αὐτῶν εὑ10

χὴν πο[ιήσασθαι: λέγει δέ πὼς de δί: Ζεῦ β[ασιλεῦ, τὰ μὲν ἐσθλά, φησί, κ]αὶ εὐϊχομένοις καὶ ἀνεύκτοις

143a

Jum δ[ίδου, desunt 11 versus

(B) 25

LI

oin-]

143b3

θείη, ἀλλὰ το[ῦτό γε πᾶς ἂν οἴοιτο ἱκαν]ὸς εἶναι, αὐτὸς αὑτῷ τὰ βέλτισῖτα εὔξασθ[αι, ἀλλ᾽οὐ τὰ κάκιστα. τοῦ-

τ]ὸ μὲν γὰρ [ὡς ἀληθῶς κατάρᾳ τι30

vi ἀλλ᾽ οὐκ εὐ[χῇ ὅμοιον ἂν εἴη. ᾿Αλλ᾽ ἴσως, ὦ βέλίτιστε, φαίη ἄν τις ἀνήρ, ὃς ἐμοῦ τε κ[αὶ σοῦ σοφώτερος dv τυγχάνει, οὐκ ὀρθῶς ἡμᾶς λέyelılv, οὕτως [εἰκῇ ψέγοντας ἄγνοι-

αν εἴ γε μὴ [

143c

I 5 il papiro è danneggiato sopra le lettere superstiti; forse il necessario v finale era rappresentato da un tratto orizzontale sopra l'o 30 del x resta solo una traccia del tratto obliquo superiore, ma la collocazione dei righi 29-33 è sicura: il calcolo della lunghezza dei righi esclude le altre possibilità, che p. es. 32 ]po possa rappresentare 142e1 φ]ρόϊνιμος

33

ılv

è rappresentato solo da un’asta verticale con una traccia dell’obliqua discendente. Non c’è traccia di inchiostro sotto per cui si puó pensare che



42 —

POXY 3667

ALC. II - PSI INV. 12

AMAT.

questo sia l'ultimo rigo della colonna (un po' pii alto dell'ultimo rigo della col. II) I 31 αὐτοὶ σφῇσιν rec. t, Ven. Marc. Gr. 186 (unde Ven. Marc. Gr. 184), αὐτοῖς φησὶν B, pr. C, D, αὐτοὶ ogíow T 32-33 ἀφροσύναις T, ἀφρονίαιciv ΒΟ), ἀφραδίαισιν coni. Hermann

II 7 τειον pap.: chiara è la barra orizzontale del τ iniziale; l'o è ridotto a una macchia circolare come al τ. 31 euov

8

öl

10

le tracce non

sono incompatibili con 1, il calcolo dello spazio consente la ricostruzione óh

12

lo spazio crea difficoltà alla ricostruzione a]uni

30

icac.

32

sopra y una traccia simile a un accento grave; meno probabile il resto di un v 0 di una diastole IT 8

αὐτῶν om. Proclus (/n R.

1187, 26-188,

8 K.)

Orion, Anthologn. 5, 17 (Meineke, Stobaei Flor. IV 257)

10

Ζεῦ Κρονίδη

25-26

ἱκανὸς

εἶναι om. Priscianus, Inst. XVIII 99 (II 252 H.) ἱκανὸς pap. cum BC, ἱκανῶς DT 32 τυγχάνει pap. codd., τυγχάνοι Stephanus (unde edd.).

AC

4 Amatores (immo Anterastae) 135b8-c2; 135d7-e2 PSI inv. 12

Sec. II?

Prov.: Oxyrhynchus? Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli”. Edd.: M. MANFREDI, Dai papiri della Società Italiana. Omaggio al XXI Congresso Internazionale di Papirologia, Berlino 13-19 Agosto 1995, Firenze, Ist. Pap. 'G. Vitelli” 1995, 3-4. Tavv.: Dai papiri della Società Italiana (supra), 1.

Comm.: MP’ 1426.01.

Frammento di volumen papiraceo (cm 6,8x9,1; verso bianco) che reca resti di due colonne di scrittura mutile in i basso, divise tra loro da un intercolunnio di ca. cm 1,7. La col. I con-

serva le finali di 9 righi di scrittura, la col. II le iniziali di 10 - 43—

PLATO

4

righi; tra le due colonne sono andati completamente perduti almeno 35 righi. Il generoso margine alto (di cm 3,5), come l'intercolunnio ben evidenziato, nonché lo spazio interlineare piuttosto ampio, indicano la buona qualità del manufatto, caratterizzato anche dalla presenza di segni riempitivi alla fine dei rr. 4 e 7. Le lettere per rigo vanno da un minimo di 10 a

un massimo di 15 (ampiezza media del rigo cm 5); 45/46 dovevano essere i righi per colonna. Se si assegnano cm 4 al margine inferiore (di norma più ampio di quello superiore), l'altezza complessiva del rotolo doveva essere di cm 34. E molto probabile che gli Anterastae [il titolo corrente nelle testimo-

nianze piü antiche (D. L. III 59, IX 37; Proclus, /n Enc. 66, 3),

recuperato anche da B^, è appunto ἀντερασταΐ, contro épaotai di BD T W, Olymp. In Alc. 2, 33] convivessero nel rotolo con altre opere, perché la lunghezza ricostruibile supera di poco m 1,20. La paragraphos a col. II rr. 4-5 segnala il punto in cui finisce la battuta, riportata, dell'interlocutore di Socrate e questi, narratore nel dialogo ‘dieghematico’, introduce con una formula di transizione la sua risposta. Lo scriba non ha avvertito la necessità di una nuova paragraphos per segnare l'inizio della battuta dialogica vera e propria (rr. 7-8). Non ci sono altri segni di lettura. Scriptio plena a col. II r. 8. La scrittura, elegante e arıosa, è una libraria di tipo rotondo che può essere assegnata, in base al confronto (già richiamato nell’ed.pr.) con POxy 1231 (Turner, GMA W° n° 17), al sec. II. La circolazione in questa età degli Anterastae (di cui PSI inv. 12 è il primo testimone diretto su papiro)

non

porta elementi validi per un giudizio sull’autenticità di questo dialogo: incluso nel canone tetralogico (alla fine della quarta tetralogia) da Trasillo, la sua autenticità veniva messa in discussione dallo stesso Trasillo (D.L. IX 37; Carlini, Studi, 48; Tarrant, Thrasyllan Platonism, 24 e n. 50), oltreché da Eliano, VH 8, 2, Ateneo II 506c, Clemente Alessandrino, Strom. I 19,

93. Del resto, anche dialoghi estranei al corpus e appartenenti all’ Appendix platonica, come l’Alcione, circolavano nel sec. II? sotto il nome di Platone (> 80 18). PSI inv. 12 non presenta varianti rispetto alla tradizione manoscritta medievale; dove questa è divisa, nella collocazione

cioè di ἀεὶ (135d6), si accorda con B contro gli altri.

Il testo è stato collazionato sull’edizione di A. CARLINI, 1964. —

44—

PSI INV. 12 AMAT.

Col.

I

xetpoupy]tac. *Ap'

135b8

οὖν οὕτω Aleyeıc, ἔφην ἐγώ, ὥ]σπερ

ἐν τῇ τεκ]τονικῇ; καὶ γὰρ ἐκ]εῖ τέκτονα μὲν ἂΪν πρί-

135c

oo πέντε ἢ] ἕξ μνῶν, ἄκρο]ν ἀρ-

χιτέκτονα] uel.] Col. II ἀεὶ παρόντωϊν ἐν τοῖς λεγομέν[οις τε

135d7

καὶ πραττο[μένοις “περὶ τὰς τέχνας. Κἀγώ, ἔτι γὰρ α[ὐτοῦ nuφεγνόουν [τὸν λό-

γον ὅτι ἐβ[ούλετο,

135e

?Ap' ἐννο[ῶ, ἔφην, ot]ov λέγε[ις τὸν φι10

I9

λόσ[ο]φο[ν ἄνδρα;

le due ultime lettere chiaramente distinguibili sono ]nel; in fine rigo

perduta una lettera I 9

quid habuerit pap. incertum (dplyxttéxtova] pè[v

«μέν scritto per

errore» ed.pr.; cf. 135c1 τέκτονα μὲν), ἀρχιτέκτονα δὲ codd. De dubia particulae δέ collocatione disputavit Denniston, 168; ἄκρον δ᾽ ἀρχιτέκτονα coni. Naber, apud Schanz VI.1

10 solo tracce all'inizio del rigo, menII 8 scriptio plena 'apaevvo[ tre è possibile recuperare sicuramente ἰφοί nella parte centrale II 1 [aei napovım[v pap., τῶν αἰεὶ παρόντων B, αἰεὶ τῶν παρόντων T 5-6 nullpeyvoovv [ pap. cum BD T W, W, τῶν αἰεὶ τῶν παρόντων D ἠμφηγνόουν vel ἠμφιγνόουν recc.

AC —— 45



PLATO

5

5

Apologia 25b7-c3; 28b; 40b6-41c8 PBerol inv. 21210 + 13291

Sec. I/II

Prov.: Soknopaiu Nesos. Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung.

Edd.: PBerol inv. 13291: W. SCHUBART, Ein Platon-Papyrus, JJP 4 (1950), 83-87: 85-87; PBerol inv. 21210:

A. VASSILIADIS,

Zwei

Platon-Fragmente, ZPE 42 (1981), 37-38; G. IoANNIDOU,

BKT

IX (1996), n? 114,

147-149.

Tavv.: ZPE 42 (1981), Ib, c (PBerol 21210); BKT

IX, 52 (PBerol

21210) Pal: TURNER PG, 100; TURNER, GMAW?, 17, n? 97. Comm.: MP’ 1387 SCHUBART, Einführung [1918], 483; OLDFATHER [1923], 92; LEISEGANG [1950], 2362-2363; SCHUBART,

(1950), supra, 83-85; M. HOMBERT, CE 26 (1951), 414-415; SıJPESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 27-30; CARLINI, Studi [1972], 68; NICOLL, OCT, I [1995], 28.

I due papiri (pap. I; pap. II), appartenenti ad uno stesso volumen (verso bianco?) come risulta dalle stesse caratteristi-

che paleografiche e dalla stessa disposizione del testo, provengono dagli scavi condotti nel 1909-1910 a Soknopaiu Nesos (l'attuale Dimeh), al limite del Faiyüm, da parte di Fr. Zucker (cfr. Preisendanz, Papyrusfunde, 185-186). È stata una sorpresa trovare un manufatto di Platone in «einem áussersten Vorposten griechischer Bildung» (Schubart 1950, 83; cfr. anche Turner, PG, 100). PBerol inv. 21210 (pap. I) è costituito da due frammenti,

mutili da ogni lato, senza continuità testuale tra loro: A (cm 5,6x1,9) conserva solo la parte centrale di 11 righi di una colonna (il numero di lettere per rigo oscilla qui tra 15 e 21); B (cm 2,6x0,9) è costituito da sequenze di lettere su soli tre righi. PBerol inv. 13291 (pap. Il) restituisce parti di tre colonne — 46 —

PBEROL 21210+13291

AP.

di scrittura (41/43 righi per colonna, 15/18 lettere per rigo),

con il margine superiore e ıl margine inferiore: l'altezza del volumen era di ca. cm 25. La scrittura & una libraria di modulo piuttosto grande, alquanto irregolare e poco elegante; puó essere assegnata alla fine del sec. I o all’inizio del sec. Il d.C. Confronti possibili con le tavv. 34 e 79 di Schubart, Gr. Pal. È stato notato giustamente da Turner (GMAW', 17, n. 97) che alcuni dei molti errori di trascrizione si spiegano, se si suppone che lo scriba

del nostro esemplare abbia lavorato su un antigrafo vergato in una scrittura corsiva, non libraria (ειωθες per εἰωθός, οντα per οὖσα, nat per τούς, εγπυοντοπῦ per ἐγένοντο ἐν). Frequente, ma non sempre corretto, l'uso dell’ano stigme per indicare le pause di senso.

Oltre ai tipici errori di trascrizione da modello in corsiva già rilevati, sul conto del copista piuttosto frettoloso possono essere messi Itacısmi, omissioni di singole parole (p. es. 40c4 ἐγὼ; 40d2 àv ‚post y&p, ut vid.), inversioni nell'ordo verborum

(p. es. 40c3 ἂν ἐναντιώθη). Resta un certo numero di varianti

non imputabili allo scriba, ma ricevute dal modello testuale e caratteristiche di un certo filone tradizionale; nessuna di queste merita di essere accolta a testo. Quando 1 codici medievali sono divisi, PBerol due volte (40e6; 41c3) si schiera con T con-

tro B δ, due volte (40c10; 40d2) con B è contro T. Mentre l'in-

contro con p à non prova molto, i due casi di convergenza con T (4086 εἰσι πάντες è lezione inferiore; 41c3 l'ordo ver-

borum di B 9 sembra preferibile, nonostante l'opzione testuale fatta da Nicoll) sono significativi, anche se non consentono di parlare, su questa pur sempre esile base, di ‘preformazione’ della linea tradizionale di T nel sec. I/II.

Pap. I e pap. II sono stati utilizzati (con le sigle Tlı, 112)

nella recente edizione oxoniense di W.S.M. NicoLL,

OCT,

(1995) che registra in apparato le varianti significative. Pap. I (PBerol inv. 21210) A 9 (25c2) Tutti gli editori accolgono a testo σαφῶς ἀποφαΐνεις. Pap., pur lacunoso (Jagacart), conferma l’ordo verborum di BT che è alterato in è: ἀποφαίνεις (-aıvnı W) σαφῶς. —

47 —

I

PLATO

B 2 (2806)

5

Anche pap. (lov«D) presenta, con B è Antonin.

Arıstid. Eus. Stob., il necessario οὐ prima di καλῶς λέγεις. Iso-

latissimo T nella omissione di où. Sul significato di queste parole di Socrate (b6-c1

οὐ καλῶς λέγεις — κακοῦ),

cfr. ora de

Strycker - Slings, Apology, 319. | Pap. II (PBerol inv. 13291) I 12 (40c3)

Pap. & il solo testimone ad opporsi all’ordo ver-

borum dei codici medievali: av ἠναντιώθη pap., ἠναντιώθη ἂν

codd. testes. Anche moni. 14 (40c4) Pap. che non si tratti di μέλλοιμι μὴ ὀρθῶς all'affermazione di 28 (4009)

Nicoll segue, giustamente, codici e testiomette ἐγὼ dopo ἔμελλον omissione meccanica (ctr. πράξειν). Certo, qui ἐγὼ Socrate che conclude una

e si può pensare p. es. 4046 ei τι vuol dare forza argomentazione.

τοῦ τόπου τοῦ ἐνθένδε è il testo di B T è, e della

maggior parte dei testimoni di Eusebio: τοῦ τόπου ἐνθένδε il testo di Stobeo. De Strycker - Slings (Apology, 385) pensano che non si tratti di un genitivo separativo da legare a petoixnσις quanto piuttosto di una «contamination of the objective genitive dependent on μεταβολή

[...] with μετοίκησις ἐνθένδε».

La lezione di pap. [e]k [ro]r[ov] evDev[öe, non menzionata da de Strycker - Slings, puö essere nata dall’esigenza di superare l’obiettiva difficoltà interpretativa. 29 (40c10)

εἴτε δὴ è il testo presentato

da T in accordo

con la maggior parte delle fonti testuali di Eusebio e accettato da Burnet e Nicoll. Pap. rientra nell'imponente schieramento di fonti che omettono δὴ: B 8 Stob., Eus. (DN). Con una attenta analisi dell’usus platonico, de Strycker - Slings (Apology, 386) ritengono con ragione che sia preferibile seguire BW (tacciono del papiro e delle altre fonti dirette, nonché dei testimoni), considerando δῆ «an interpolation of T». 30 (40c10) ἐστιν (dopo αἴσθησις) è omesso da pap. 32 (4041) μηδ v]rap unlöle opa pap., μηδ᾽ ὄναρ μηδὲν ὁρᾷ

codd 34 (40d2) Pap. presenta l’articolo è davanti a θάνατος con B 6 Stob. L'articolo è omesso da T e, sembra, da Eusebio (ma

nei codici eusebiani il luogo è corrotto). I 35-II 9 (40d2-8) Per la lunghezza della subordinata che —

48—

PBEROL 21210+13291

AP.

51 apre con ei τινὰ si richiede una ripresa del verbo della principale: ἐγὼ yàp ἂν οἶμαι — οἶμαι ἂν. Pap. a 4042 omette (sem-

bra) ἂν con Stobeo. Schanz propone la correzione γὰρ δή. 39 (40d4) Pap. ha unó]ev ovap [1]dew con Stob., Eus. (IN;

def. B), ma questa lezione, facilmente spiegabile nella sua genesi, è inferiore a μηδὲ ὄναρ ἰδεῖν di B T è, Eus. (O). II 12 (40e1)

ταῦτας πρὸς τὰς ἄλλας om. pap.

Questa nota

critica manca in Nicoll. 13 (40e2) τε kot [voxtoc] pap., καὶ νύκτας codd.

E op-

portuno anche qui seguire la tradizione manoscritta medievale: cfr. 40d6-7. 15 (40e3) eywye pap. cum B è Eus., ἐγώ te Stob., ἐγὼ T. 17 (40e3) πλείων D T ὃ, πλεῖον Eus. Stob. ,RÀet pap. Una

buona giustificazione della lezione dei codici ha dato J. Burnet (Plato's Euthyphro, Apology of Socrates and Crito, 168): «Of course πολὺς χρόνος is the normal phrase for ‘a long time’

and πλείων is therefore ‘longer’». 24-25 (40e6) εἰσιν ἅπαντες B è Eus. Stob., εἰσι πάντες T

pap.

27 (40e7) Ciò che si legge in pap. (a) consente di recuperare la lezione originaria del filone tradizionale: àv come in D WV Eus. [senza senso sarebbe qui dp(a)]; ἂν è omesso da T P Stob. | 30 (41a1) Gli editori (da ultimo Nicoll) seguono T che

legge τουτωνὶ. Indubbiamente inferiore appare la lezione τούτων, anche se attestata da B 6 Eus. Stob. e da pap. Certo, se Burnet doveva scegliere semplicemente tra T e B, ora lo schiera-

mento a favore della lezione ‘inferiore’ è imponente ed è difficile pensare a una semplificazione poligenetica. Si potrà trattare nel filone tradizionale di T di una correzione dotta? F. Vendruscolo (per litt.) rinvia a 4145 dove B 8 hanno τοῦτο, mentre T ha ταῦυτί. ΠῚ 11 (= 30) (41c3)

Pap. (oıc δια[) sta con T (oic διαλέγε-

σθαι ἐκεῖ). Mutano l'ordine delle parole (oic ἐκεῖ διαλέγεσθαι)

p δ. Burnet segue B (tace su W); Nicoll, evidentemente confor-

tato dall'accordo di T con pap., ritiene originaria la collocazione di ἐκεῖ dopo διαλέγεσθαι. AC/MV



49—

PLATO

6

6

Cratylus 405c3-d1 POxy 2663

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: P.J. Parsons, POxy XXXIII (1968), 84-85. Tavv.: POxy XXXIII (1968), 1 Pal: ΜΕΝΟΙ, Scritture, 47.

Comm. MP’ 1392.1 NicoLL - DUKE, OCT, I [1995], 188; JoHNSON, Papyrus Roll, 253.

Frammento di volumen (cm 6,4x7,5), con ıl verso bianco, contenente resti di una colonna di scrittura, mutila a sinistra,

in alto e in basso (17 sono i righi parzialmente conservati, con una media di 20 lettere per rigo), e, in corrispondenza dei righi 3 e 4, solo poche tracce della colonna successiva. Queste tracce rendono possibile la misurazione dell'intercolunnio: cm 2. La scrittura è una libraria diritta, bilineare (1 e v talvolta

scendono sotto il rigo), di ridotte dimensioni, caratterizzata sia da contrasto modulare (e£, 0, o, o molto stretti), sia dalla

presenza di gancı e obliqui trattini di coronamento. POxy 2663 è stato a buon diritto compreso nella lista di quei manufatti che costituiscono «una sorta di ibrido tra ‘maiuscola rotonda’ e ‘maiuscola bacchilidea’» (Menci, Scritture, 47); in base al con-

fronto con 1 manufatti compresi in questa lista, ma in particolare con POxy 1082, già richiamato dall'ed.pr., ıl nostro papiro può essere assegnato al tardo sec. II*.

Sporadico, ma oculato, l'impiego, da parte dello scriba, di spiriti e accenti; le pause di senso sono indicate da ano e mese stigme. Nell’ intercolunnio, i in corrispondenza del r. 6, alcune tracce di scrittura (parte superiore di un p?) sono state interpretate dall’ed.pr. come residuo del monogramma # (= χρηστόν), — 50 —

POXY

2663

CRA.

impiegato per segnalare un passo dı particolare interesse. E possibile che lo scriba intendesse evidenziare 1 termini del Cratilo sotto analisi (quelli che nelle edizioni critiche moderne sono virgolettati) con due punti (τ. 7 «ae βαλλων"), ma il se-

condo punto è stato inghiottito da un foro. Lo iota è ascritto (rr. 7, 16). POxy 2663, primo e

(finora) unico testimone diretto an-

tico del Cratilo, non presenta nuove lezioni; condivide (sembra) con B T ὃ la lezione καὶ τὴν a 405c10; si schiera ora con B ὃ (ἁπλῶν) contro T (ἁπλὸν) a 405c4, ora con B T (τοξικῇ) contro ὃ (τοξικῆς) a 405c6; isola in corruttela W (405c10-d1: la lezione del Vindobonense è περὶ τὴν wönv, mentre BT Q

hanno con pap. περὶ τὴν £v τῇ δῇ); non dà sostegno alla proposta congetturale di Ast (accolta anche da Burnet) di espungere ὥσπερ — ἄκοιτιν a 405c7-8.

POxy 2663 è stato utilizzato nell'edizione COLL - E.A. Duke, OCT, I (1995) (sigla II); zione è stata fatta la nuova collazione. È stato anche l’apparato dell’edizione di L. MÉRIDIER, testo di riferimento dell'ed.pr. I 3 (405c4)

di W.S.M. NIsu questa editenuto presente BL, V.2 (1961),

Dopo καλοῖτο lo scriba con l’ano stigme in-

terpunge correttamente il testo. La lettera successiva (a) è munita di spirito aspro e accento acuto: dunque ἅ![πλ]ων, non &[xA]ov

come nell'apparato dell'edizione oxoniense. E proprio l'accento acuto che mostra che lo scriba intendeva evitare la confusione con ἁπλοῦν. Nicoll - Duke danno informazione sulla tradi-

zione manoscritta medievale e sugli interventi critici in questo punto: ἄπλουν Boeckh [forma ricavata dalle iscrizioni tessaliche, accolta a testo nell'ed. oxon.], anAovv Coisl. 155, ἁπλὸν T, ἁπλῶν p 6. 6 (405c5-6) ae βόλων pap., dei βόλων vel ἀειβόλων codd. Gli editori hanno ripristinato la corretta lezione dei BoAàv. Se

l'ed.pr. coglie nel segno interpretando le tracce nell'intercoJunnio (piü vicine alla col. I che alla successiva) come residuo

del monogramma 5$ lo scriba voleva richiamare l’attenzione proprio su questo passo (sul significato del simbolo, ctr. Turner, GMAW’,

15 e n. 77, con i rinvii ivi contenuti).

7 (405c6) τοξικηι pap. cum B T, τοξικῆς è. La mese stigme dopo to&ırnı non si giustifica come segno di interpunzione —51—

PLATO

6-7

per una pausa di senso mentre, abbinata ad un altro punto in fine di rigo, potrebbe voler individuare ed evidenziare nel con-

testo ‘ager βαλλων-, ma cfr. supra, introd.

8 (405c6) Ano stigme in pap. dopo ect]w, per una corretta interpunzione. 9-11 (405c7-8)

ὥσπερ τὸν “ἀκόλουθόν᾽ te καὶ τὴν “ἄκοι-

τιν᾽ secl. Ast, probante Burnet (habet pap.). Méridier e NicollDuke non considerano, giustamente, interpolato il testo.

11 (405c8)

Mese stigme prima di ὅτι 1o ἃ (cosi pap.; ἄλφα

vel a codd.).

12 (405c9)

Mese stigme prima di καὶ ἐνταῦθα in pap. In

13 (405c9)

onodnöAncıv pap. (si deve leggere ὁμοῦ nóAn-

fondo al rigo segno angolare riempitivo. σιν). 15 (405c10)

Ano stigme dopo καλοῦσι. Come si ρυὸ rica-

vare dal calcolo dello spazio, anche pap. condivideva la lezione καὶ τὴν con BT è. Gli editori seguono la mano correttrice di T (rec.) che ha espunto τὴν. Per poter conservare qui καὶ τὴν

bisognerebbe integrare anche a c9 καὶ (τῆν), come suggerisce F. Vendruscolo (per litt.). 16 (405c10-d1) περι tn]v ev tnt wönlı pap. cum B ΤΟ, περὶ τὴν ὠδὴν W. Un controllo diretto sul manoscritto viennese

conferma che questa ? la lezione, come si ricava dall'apparato di Nicoll - Duke. AC

7

[De iusto] 372a2-9 PAnt 79

Sec. ΠΡ in.

Prov.: Antinoupolis. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: J W.B. BARNS - H. ZiLLiACUS, PAnt II (1960), 67-68. Tavv.: PAnt II, IV.



52—

POXY

2663

CRA. - PANT 79

Comm.: MP? 1427 (= P! 1427)

IUST.

SPESTEIJN, Platon-Papyri [1964],

29, n. 2; CARLINI, Studi [1972], 72-73; MÜLLER, Kurzdialoge

[1975], 35, n. 1.

Due frammenti di rotolo papiraceo (A = cm 4,2X6 ca.; B = cm 2,3x2,6), più un frustolo, appartenenti a una colonna di scrittura mutila da ogni lato. Si ricostruiscono 17 righi più o meno lacunosi (solo il r. 11 è stato completamente inghiottito

dalla lacuna): ogni rigo aveva in media 14 lettere. È conser-

vato solo un lembo dell’intercolunnio a sinistra in corrispondenza del r. 6; ma il recupero delle sequenze di lettere iniziali

sembra sicuro anche per 1 rr. 14-16. Il verso del papiro è bianco. Il testo conservato corrisponde proprio all’inizio del dialogo pseudoplatonico Περὶ τοῦ δικαίου (ciò che manca della prima battuta poteva essere contenuto in non più di quattro righi), ma anche qui come per PHawara 26 (+ 80 9) non si

può escludere che il volumen ospitasse più νόθοι. La scrittura è una elegante libraria ad alternanza modulare, diritta, databile al primo quarto del sec. III*: il contrasto fra tratti spessi e tratti sottili è netto anche se non vistoso (cfr. Crisci, Maiuscola ogivale, 111-112); v e p scendono molto sotto il rigo di base, l'o piccolo è sospeso in alto, il u ha 1 tratti obli-

qui fusi a formare un’unica curva, lo y è ridotto a forma di croce. Probante appare il confronto con POxy 2098 (= Roberts, GLH, tav. 19b).

Lo scriba impiega l'ano stigme per la pausa di senso e il doppio punto per il cambio di interlocutore (a r. 6-7 appare combinato con la paragraphos); in un caso (r. 6) il doppio punto è della stessa mano, ma aggiunto in un secondo tempo, evidentemente nel corso di una revisione che ha anche portato a mutare (erroneamente) yvyn in ψυχῆι (τ. 15). Altro segno di

lettura à l'apostrofo indicante l'elisione a r. 7. Il testo, che è stato collazionato sull'edizione di J. SOUILHÉ, BL, XIII.3 (1930), presenta a τ. 16 (37229) il corretto ὅτι omesso dai codici medievali.

λόγον n]epi αὐτ[οῦ

37242

PLATO

ποιεῖσθαι; 5

7-8

Ἔμίοιγε

καὶ μ]άλα. Τί ο[ὖν èἐστιν; T]i γὰρ &AA[o γε ἢ τὰ] νομιζόμ[ενα

᾿δίκαια;. Μή μίοι οὕ-

10

τως, ἀλλ᾽ ὥσπε[ρ ἂν ei] σύ με ἔροιο lie ἐστι]ν ὀφθαλ[μός, el ποιΪμι ἄν [ot ὅὅτι ᾧ [ὁρῶμ]είν, ἐὰν δὲ καὶ

deiélai ple κελεύ15

nie. δείξω σοι, καὶ ἐάν με É[pn ὅτῳ t ψυχὴ ὄνίομα, ἐρῶ cot St ᾧ] γιγνώσκομ]είν, ἐὰ]ν S[è ἔρῃ —

_———

2 Ibm: 3 ]oÀa: 6 δικαια!Ξ 7 soc: 0X) 12 delle tracce del rigo non si vede più niente 15 woxnı ma lo ı è stato aggiunto in un secondo tempo 8 μ᾽ ἔροιο codd.

9-10

ψυχῆι corr. eadem manus

εἴποιμ᾽ ἄν codd.

16

15

wvxn pap. (et codd.),

ὅτ[ι pap., om. codd. (cf. 37226). AC/MV

8 [Demodocus] 3801-4; [Eryxias] 405e1-6

PVindob G 39846 (> 80 11)

Sec. IV?

Prov.: ignota.

Cons.: Wien, Nationalbibliothek, Papyrussammlung. Edd.: H. HUNGER, Pseudo-Platonica in einer Ausgabe des 4. Jahrhun-

derts, WS 74 (1961), 40-42: 40-41.

Comm.: MP’ 1429 (= P? 1429)

— HUNGER, supra [1961], 40-42; SU—

54



PANT

79

IUST. - PVINDOB

39846

DEMOD.;

ERX.

PESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 29, n. 2; W.H.

WiLLIS,

A New

Fragment of Plato's Parmenides on Parchment, GRBS 12 (1971), 541, n. 2; CARLINI,

Studi [1972],

72-73, n. 109; MÜLLER,

Kurz-

dialoge [1975], 35, n. 1.

Frammento di un bifolium di codice pergamenaceo (cm 7,8x5,1) che conserva nel lato carne 14 righi di una colonna di scrittura chiaramente leggibile e nel lato pelo 12 righi di una colonna in alcuni punti quasi completamente svaniti. Ogni rigo è costituito da 12/14 lettere. Il margine superiore è di cm 2,8, quello interno di cm 1,3. È possibile una ricostruzione del bifolium del quale è nettamente individuabile la piegatura centrale interna sul lato carne: le colonne di scrittura, ben impostate grazie alla preliminare squadratura, con l’allineamento a destra garantito dalla riduzione del modulo delle lettere finali, erano due per pagina. La parte finale dell’Erissia (405e1-406a19), compreso probabilmente il titolo, occupava, oltre alla colonna di cui è conservata la parte superiore, altre due colonne ora perdute, la seconda delle quali (nel lato pelo) era contigua alla

colonna, parzialmente conservata, contenente le battute iniziali del Demodoco. Ogni colonna doveva comprendere 33 righi; ogni foglio doveva misurare cm 12/13x18 (XII gruppo della classificazione di Turner, Typology, 29). Sul lato carne sono individuabili alcune lettere finali della colonna che si trovava immediatamente a sinistra della piega-

tura centrale: in corrispondenza del r. 7 si legge ]ov (piuttosto che Jov) seguito dal doppio punto che divide le battute; il calcolo delle lettere per rigo esclude che possa trattarsi della battuta che termina con ὑγιαίνων (405d1), a meno di postu-

lare un? ampia omissione: si dovrà supporre allora la caduta di uno o più Pifolia interni al fascicolo. Nulla possono dare ]c e le, in corrispondenza rispettivamente del r. 8 e del τ. 9. La successione Erissia-Demodoco documentata dal frammento viennese é in contrasto con quella generalmente attestata dai manoscritti medievali [Demodoco-Sisifo-Erissia: ctr. N. WILSON, Scriptorium 16 (1962), 395]. Nell'elenco dei vó8oi

riportato da Diogene Laerzio (III 62), l'Erissia precede il De-

modoco, ma non immediatamente.

Il testo è stato vergato in ‘maiuscola biblica’ e il nostro esemplare è confrontabile con i prodotti della piena maturità — 55

PLATO

8-9

di questo stile dı scrittura (Cavallo, Maiuscola biblica, 45-67 e relativa documentazione fotografica); la datazione tuttavia per dovrà essere fatta scendere alla seconda metà del sec. IV? la presenza di trattını di coronamento che nei manufatti che rappresentano la *perfezione del canone non compaiono. Va

in ogni caso notata la produzione di un codice membranaceo

di fattura cosi accurata ed elegante per opere profane e, di più,

dell’Appendix platonica universalmente considerata inautentica. Per la confezione e circolazione di codici membranacei contenenti testi profani già in quest'epoca, si veda Cavallo, Li-

bri, editori, 88-91.

Per quanto riguarda il testo (trascritto accuratamente, con

impiego della paragraphos e del doppio punto per la divisione delle battute dialogiche), i due passi conservati non presentano varianti di rilievo rispetto alla tradizione manoscritta medievale: da segnalare solo un accordo della pergamena viennese con Stobeo (Erx. 405e2). Per la collazione del testo si è tenuta presente l'edizione di

]. SOUILHE, BL, XIII.3 (1930).

carne

τὰ πρὸς τὰς ἡδονὰς τὰς διὰ τοῦ σώματος, ἐν ἐπιθυμίαις 5

τε καὶ δεήσεσίν ἐ-

ισμεν; Οὕτως. O[oκοῦν κατὰ τὸν o[o-

τὸν λόγον ὥσπε[ρ αὐτὸς αὑτοῦ τότ[ε

10

φαίνεται βέλτιστ[α ἔχων, ὅταν ἐλα-

χίστων τῶν τοι-

οὕτω[ν] δέηται, ο[ὕ-

to π[ά]λιν καὶ δ[υοἷν ὄντο]ιν, [. . . 1] —



—-



56—

Erx. 405e

PVINDOB

39846

DEMOD.;

ERX. - PHAWARA

26

VIRT.

dividuare la formula responsiva & quasi completamente svanito

1 πρὸς τὰς pap. Stob., πρὸς codd.

12-13 oto pap. AO, τότε οὕτω Z

pelo Σὺ μὲν δὴ κελεύ-

Demod. 380a

εἰς μὲ, Q Anuodoκε, συμβουλεύ-

εἰν ὑμῖν περὶ ὧν

5

συνέρχεσθε

βουλευσόμενοι:



ἐμοὶ δὲ σκοπεῖ-

σθαι ἐπέρχεται τί ποτε δύναται

10

Tr σύνοδος ὑμῶν καὶ f. τῶν οἰομέvov συμβουλεύειν

4

ὑμῖν pap. AY, ἡμῖν Ζ

5.

συνέρχεσθε pap., ξυνέρχεσθε AZ, ἂν

συνέρχεσθε Y. AC/MV

9 [De virtute] 376b4-c5

PHawara

Sec. II?

26

Prov.: Hawara.

Cons.: London, University College. Edd.: ].G. MILNE, The Hawara Papyri, APF 5 (1913), 378-397: 379. Comm.: MP? 1428 (= P^ 1428)

GRENFELL, SOUILHÉ,

Value

S. DE Ricci, REG

15 (1902), 447;

(1919), 28 e n. 16; OLDFATHER

BL, XIII.3

[1930], 26; LEISEGANG

[1929], δ;

[1950], 2362-

;

PLATO

9

SIJPESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 29, n. 2; MÜLLER, Kurzdialoge

[1975], 35 e n. 1. Frammento

di volumen

W.M. Flinders Petrie

(cm

9,7x9,5),

portato

in luce da

a Hawara nel 1888 (cfr. A.H. Sayce in

W.M. FLINDERS PETRIE, Hawara, Biabmu and Arsinoe,

Lon-

don, Field and Tuer, “The Leadenhall Press” 1889, 24-37) e da lui affidato alcuni anni dopo per uno studio più approfondito 4.6. Milne. Sono conservati resti della parte inferiore di due colonne di scrittura divise da un intercolunnio di cm 1,5. La col. II ha un lembo del margine inferiore di cm 2. Il verso è bianco. Non si può dire se con la col. I (che contiene le battute iniziali del De virtute) iniziasse ıl rotolo; data la brevità

di questo come degli altri νόθοι, non si può escludere che il

De virtute fosse preceduto, secondo l’ordine normale del-

l'Appendix platonica, dal De iusto. Sulla base di una media di 12 lettere per rigo, si può calcolare che ogni colonna comprendesse 33 righi circa. Nella col. II si devono segnalare due lacune materiali dovute al distacco di fasci di fibre: la prima lacuna ha inghiottito due righi (9 e 10), la seconda un rigo

(12).

Tra le caratteristiche salienti della scrittura (informale con

alcuni legamenti) sı possono notare l’e con il tratto mediano staccato, il Ó con il tratto mediano alto e che si proietta verso la lettera successiva, l’n con il tratto verticale di sinistra più alto, il o con la curva superiore che si proietta verso il basso, lo y a forma di croce. E possibile un confronto con POxy XXXII 2625 (tav. XI) assegnabile, come PHawara, al sec. IIP.

Per la divisione delle battute dialogiche, lo scriba sembra essersi accontentato di lasciare uno spazio bianco (neppure ampio). Frequenti gli iotacismi (col. I 3 e 6 scambio di n per εἰ). L'esemplare di cui si è recuperato il frammento non era in generale molto accurato (non si ha difficoltà a mettere sul conto dello scriba l'evidente errore to de per ti δὲ a 3766); ma PHawara prova la circolazione di dialoghi pseudo-platonici nel sec. II’; pressappoco coevo è POxy 3683 (> 64 1; 80

19) che nel colofone attribuisce senza tentennamenti a Platone la paternità dell'Alcione. Gli iotacismi e i palesi errori di trascrizione non hanno il potere di infirmare la testimonianza testuale resa da PHawara. — 58——

PHAWARA

26

VIRT.

Si possono mettere in luce almeno due lezioni decisamente superiori a quelle dei manoscritti medievali: 376b5 e 376b6. Nel primo caso l'ed.pr. legge e integra [öndo]n, suggerendo in apparato di recuperare öfjAo]v, ma il calcolo dello spazio con-

sente di supplire δῆλον] δὴ, sfruttando la traccia prima di n che, perfettamente compatibile con è, mai potrebbe adattarsi a v. La successiva battuta responsiva dell'interlocutore di Socrate ha lo stesso avvio δῆλον δὴ. I codici omettono la parti-

cella. A 376b6, né l'ed.pr. né Souilhé segnalano la variante, ma

in pap. si legge chiaramente γενέσθαι come a 376b3, 376b9, 376c3:

à questa

la forma

che va ripristinata; i codici (γίγνε.

σθαι) innovano. Il frammento del De virtute è noto a J. SOUILH£, BL, XIII.3 (1930) che peró non cita le sue varianti in apparato, esprimendo nella Notice (26) un giudizio liquidatorio che non sembra giustificato. Per questa ragione si dà qui il testo, integrato sulla base della stessa edizione di Souilhé.

Col. I

]. [πόθεν ἂν γένοιτο;

376b4

Δῆλον] δὴ ὅτι εἰ

παρὰ τ]ῶν ἀγαdov μαγείρων μάθοι. Τί δὲ εἰ βούλοιτο ἀγαθὸς γενέσθαι ἰατρός, παρὰ τίνα ἂν ἐϊλθὼν

5







Col. II

&AXo]l0[ev;

Φέρε δή, ti-

vels ἡμῖν &v-

δρείς ἀγαθοὶ yeγόνασιν; ἵνα σκε-

376c7

PLATO

5

9-11

yope[0a εἰ ootot εἰσίιν οἱ τοὺς

ἀγαθο[ὺς ποιοῦντες. O[ovxvótἰδης καὶ Oe-]

10

[μιστοκλῆς] καὶ ᾿Αἰριστείlöng καὶ Hepi-]

κλῆς. Τοἰύτων &

x&oto[v 13

oun

6

todenfov

13 δῆλον] δὴ legendum et supplendum videtur ([önAoln ed.pr.), δῆλον codd. 7-8 γεϊνέσθαι pap., γίγνεσθαι codd.

Il 13 τούτων οὖν codd., το[ύτων pap., ut vid. (spatii ratione). AC

10

Epistula II 31065-31122 POxy 3668

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: W.A.H. CockLe, POxy LII (1984), 91. Comm.: MP? 1425.2

MOORE-BLUNT,

BT [1985], p. XVI.

Frammento di volumen (verso bianco) di cm 4,4x6,5; conserva la ‚parte alta di una colonna di scrittura (margine cm 2,2).

È il primo e unico papiro che ci abbia restituito resti di un esemplare delle Epistole platoniche la cui circolazione peraltro nel sec. II era stata già assicurata da preziose testimonianze come quelle, che riguardano proprio l'Epistola II, di Elio Ari— 60—

PHAWARA

26

VIRT. - POXY 3668

EP. II

stide II 373, 8 D. (= 3, 587 [1 488] Lenz - Behr),

X, 465, 10 Kühn e di Ateneo XV 702c. Diogene

di Galeno

Laerzio (III 60-61) conosce, come facente parte

integrante del corpus tetralogico di Trasillo, una silloge di tre-

dici lettere, lo stesso numero che è trasmesso anche dalla tra-

dizione manoscritta medievale (Tarrant, Thrasyllan Platonism,

89-98; specificamente per l'Ep. II si vedano le pagine 170-173).

Anche la lista dei corrispondenti trova in Diogene Laerzio pieno riscontro. L'unica lettera la cui autenticità nell'antichità è apertamente contestata è la XII, come risulta dal sigillo editoriale ἀντιλέγεται ὡς οὐ Πλάτωνος (cfr. G. PASQUALI, Le lettere di Platone, Firenze, Sansoni, 1967, 244).

|

La scrittura, ad alternanza modulare, lievemente inclinata a destra, tendenzialmente bilineare (escono dal rigo di base p, t, v), è un elegante esempio di ‘stile severo’ (o, secondo la denominazione di Turner, GMAW”, 22, «'Formal mixed’ style»).

La colonna (di 17/18 lettere per rigo) misurava in larghezza circa cm

5,5; le lettere sono alte mm

3, mentre gli spazi in-

terlineari sono piuttosto ridotti (mm 1,5).

Come segni di punteggiatura, lo scriba usa avvedutamente l'ano stigme (r. 6) per una pausa forte, la mese stigme (x. 3)

per una pausa meno forte. I segni di lettura visibili sono i punti diacritici su iota iniziale (τ. 4) e l'apostrofo per dividere le sillabe (r. 1 ανθ]ρω’ ποι: cfr. Turner, GMAW’, 11). It frammento,

che

contiene

310e5

ἄνθρωποι

— 31122

χ[αίρουσι, è stato tenuto presente già prima della pubblica-

zione, per concessione della prima editrice W.E.H. Cockle, da

J. MOORE-BLUNT nell'edizione teubneriana delle Epistole (1985);

non presenta alcuna variante rispetto alla tradizione manoscritta medievale. AC

11 [Eryxias] 405e [vd. supra, 80 8]



61—

PLATO

12

12

Euthydemus 301e9-302a4; 302b7-c6 POxy 8817

Sec. II? ex,

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Cambridge, The University Library, Add. Ms. 5884.

Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy VI (1908), 192-194.

Comm.: MP? 1412 (= P? 1412)

RITTER, Bericht [1912], 5-6, 54;

ALLINE, Histoire [1915], 143-146; GRENFELL,

Value [1919], 28;

LEISEGANG [1950], 2362-2363; ANDRIEU, Dialogue [1954], 295; SijPESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 29-30; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 30, 305; G. BASTIANINI, Βιβλίον ἑλισσόμενον.

Sull’av-

volgimento dei rotoli opistografi, ın Storia poesia e pensiero nel mondo antico. Scritti in onore di Marcello Gigante, Napoli, Bibliopolis 1994, 45-48: 46, n. 7; E. PUGLIA, Il catalogo di un fondo librario di Ossirinco del III d.C. (PSILaur. inv. 19662), ZPE 113 (1996), 51-65: 56-57; MARTINELLI TEMPESTA, Liside [1997], 248251.

Frammento di volumen (cm 10,2x6,2) che conserva, sul recto, solo le lettere finali di 10 righi di una colonna e 19 righi della successiva, mutili a destra, Le due colonne sono divise da un intercolunnio di cm 1 ‚5. È conservato un lembo del margine superiore e questo facilita il calcolo del numero dei righi per colonna (sulla base di 17/18 lettere per rigo): ogni colonna contava almeno 35 righi (gruppo I della classificazione di Irigoin, Rapport, 1971-1972, 202 (= Tradition, 71-72)). Il rotolo doveva essere lungo m 6,1. La scrittura, una libraria rotonda, diritta, bilineare, di pic-

cole dimensioni, è databile alla fine del sec. IIP. Paragraphos

e doppio punto segnalano l’alternarsi degli interlocutori; frequente la mese stigme per le pause di senso. Su iota inizialei punti diacritici sono impiegati, sembra, con regolarità. Jota ascritto notato. — 62 —

POXY

881

EUTHD.

Il verso del papiro è stato reimpiegato a distanza di tempo per la trascrizione di un altro dialogo platonico, il Liside (> 80 33). Le condizioni di conservazione della superficie in cui la scrittura corre parallela alle fibre sono complessivamente buone per cui si può pensare che anche l’Eutidemo abbia continuato ad essere letto (per casi analoghi di probabile contemporanea utilizzazione di recto e verso, cfr. CPF I.1** 60 1,

p. 272 e Bastianini, 46, n. 7). Val la pena di notare che Eutidemo e Liside sono contigui nel corpus di Trasillo, essendo l'uno il primo della VI, l’altro il quarto della V tetralogia. POxy 881 recto è stato utilizzato da L. MERIDIER, BL, V.1 (1931), per l'edizione dell’Eutidemo (sigla TI), ma la sua testi-

monianza è considerata sempre inferiore rispetto ai manoscritti medievali. Invece, almeno in un caso (302c4), il testo di POxy,

che ignora una espansione di B T W, potrebbe essere originale. 15 (302a1) Pap. ha προβαΐτα, accordandosi con T? (corr. s5.L), contro πρόβατον che è la lezione, corretta, di B T W. II 4 (302c1) Pap. colloca diversamente le parole: cv ye τίς, mentre T W (seguiti dagli editori) hanno τις σύ γε e B è del tutto fuori strada (te σύ ye). Méridier ignora nell'apparato

l'informazione testuale di pap. 12-13 (302c4) Pap. conferma il testo piü ampio di T W βωμοὶ καὶ ἱερὰ, considerato genuino da Burnet. Méridier segue invece B che omette βωμοὶ koi. 13 (302c4)

Pap. da solo omette οἰκεῖα xai, ma questa non

va interpretata necessariamente come un'omissione meccanica.

Se si considera che nella sequenza di battute in 302bc l'accento è posto sul culto di Ζεὺς πατρῷος, il testo breve che si legge in pap. (ἱερὰ πατρῷα) potrebbe essere originale; in un secondo momento 28-29 scrizione o[vx ecti

si sarebbe insinuata una zeppa (οἰκεῖα Kai). (302c6-7) Johnson (Papyrus Roll, 30) corregge la tradell’ed.pr. (o[vx ecti Zevc o rarpon]lolc) e propone Gevc o narpwoc:]lo[vx ectiv nv δ eyo. I due righi sono

separati dalla paragrapbos. AC —

63 —

PLATO

13

13

Euthyphro 2al-c4 PSI 1392

Sec. II?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli’. Edd.: M. MANFREDI, PSI XIV (1957), 67-68.

Comm. MP’ 1386 (= P° 1386)

CARLINI, Studi [1972], 68, n. 96;

Papiri dell'Istituto Papirologico ‘G. Vitelli’, Firenze, Giuntina 1988 («Quaderni dell’Accademia delle Arti del disegno», 1), 41; NICOLL, OCT,

2

I [1995], 2.

Due frammenti di volumen (A cm 3,2x12; B cm 2,7x2,4) che

restituiscono resti di una colonna di scrittura con serie mutilazioni a sinistra; dato che la media di lettere per rigo è di 19/20, si può calcolare che tra A e B stano caduti 7 righi, il che porterebbe a un totale di più di 34 i righi per colonna. A conserva 1l margine superiore (cm 3,5) e parte dell’intercolunnio a destra (cm 0,5). Sul verso, una mano di età più tarda, che ha impiegato un calamo spesso, ha lasciato tracce non identificabili. La scrittura del recto, molto danneggiata, è un’elegante libraria di tipo bacchilideo assegnata nell’ed.pr. alla fine del sec. I o all'inizio del sec. II; a seguito della revisione cronologica che questo stile di scrittura ha subito in anni recenti (Turner, GMAW', 22), anche il manufatto fiorentino dovrà essere postdatato e assegnato alla metà del sec. IIP. I segni di interpunzione, dovuti alla stessa mano che ha vergato il testo, sono co-

stituiti dall’ano stigme (per le pause di senso: r. 29) e dal doppio punto usato però incoerentemente (r. 17 sono divise correttamente due battute; r. 33 è incisa una battuta di Socrate; r. 16

manca dove sarebbe richiesto). Spazi bianchi compaiono ai rr. 9, 17, 26. Tracce di inchiostro al rr. 11 e 19 fanno pensare a segni di riempimento. Considerato che PSI 1392 conserva proprio le battute ini—

64 —

PSI 1392

EUTHPHR.

ziali dell’Eutifrone che & il primo dialogo della prima tetralogia, è molto probabile che la colonna superstite fosse la prima del rotolo. C’era una inscriptio? Nel margine superiore si nota una traccia di scrittura (interpretabile come c), che potrebbe essere residuo, se non di una originaria vera e propria inscriptio [nei papiri autore e titolo sono segnalati piuttosto alla fine: Turner, GMAW^, 13-14; ma cfr. G. BASTIANINI, Tipologie dei rotoli e problemi di ricostruzione, Atti del V Seminario internazionale di papirologia, Lecce, Congedo 1995 («Papyrologica Lupiensia», 4), 21-42: 25-27], in ogni caso di una annotazione

relativa al dialogo platonico. Nell’ed.pr. sono presentate due proposte di integrazione congetturale: ΠλάτωνοΪς o πειραστικόΪς; sempre in via ipotetica, si potrebbe anche pensare al-

l'indicazione dei personaggi del dialogo: Εὐθύφρων Zoxpátn]c.

È da notare, peraltro, che nei testimoni su papiro mancano esempi di notae personarum preposte a un dialogo filosofico. PSI 1392 presenta una sola lezione nuova (r. 16 ἕτερος in

luogo di ἄλλος dei codici medievali), ma si può ritenere che sia nata per forzata ‘analogia’ con il ob ἕτερον di 202. Problematica la ricostruzione del testo a r. 30 (2c2) dove la tra-

dizione è divisa. La forma di vocativo Εὐθύφρον, recuperabile con buona probabilità nonostante il danneggiamento serio del papiro, è attestata due volte (rr. 10 e 18). Nei codici medievali c'è qualche oscillazione, ma prevale nettamente Εὐθύφρων

(cosi sempre B T; à la mano correttrice, forse di Areta, che in

B ripristina la norma grammaticale che vuole -ov; in W la fluttuazione si registra anche nella trascrizione di base). Tra gli editori anteriori alla pubblicazione di PSI 1392 prevale, perché considerata meglio attestata, la scelta di Εὐθύφρων. Nonostante la modificazione del quadro tradizionale portata da

pap., anche Nicoll si orienta per -ov.

La collazione del testo è stata fatta sull’edizione di W.S.M. NICOLL,

OCT,

I (1995).

A+B

10 (225)

Εὐ]θύφρον pap. (ut vid.) cum VB’ "Wpc, Εὐθύφρων

BT Wac. Degli editori, Croiset (BL, II), seguendo probabilmente Schanz, ma fondandosi su dati tradizionali non precisi, accoglie a testo Εὐθύφρον, Burnet invece preferisce la -

ρ5--

PLATO

13-14

forma -ov, ritenendo [Vindiciae Platonicae I, CQ 8 (1914), 230-236: 232] che sia dovere di chi propone un testo critico seguire la migliore tradizione e non quella che può essere anche una ‘arbitraria’ regola grammaticale. PSI 1392 modifica in parte qui e a 2b7 il quadro tradizionale, ma, data l’esiguità del campione rimasto, non ha la forza di contrapporsi alla testimonianza coerente di D T. Nicoll, schierato come Burnet a favore di Εὐθύφρων, segnala che questa forma, oltreché da B T (sempre), è attestata anche da Wac fino a 1147, mentre Εὐθύφρον si trova sempre in V e dopo 11a7 in W. 15 (202) Dopo ἕτερον si richiederebbe il doppio punto, ma forse lo scriba non lo ha ritenuto necessario, coincidendo

fine di battuta con fine di rigo. Naturalmente questo vale nell'ipotesi che ci fosse regolarmente la paragraphos. 16 (2b4) Pap. è isolato nella lezione ἕτερος che si contrappone ad ἄλλος degli altri testimoni. 16-17 (2b4-5) Il doppio punto si trova correttamente prima di οὐδ’ αὐτὸς, ma non dopo ἕτερος dove pure sarebbe richiesto.

18 (2b7) Ancora Εὐθύφρο(ν) pap.; cfr. supra, τ. 10.

29 (2c2) L’ano stigme divide opportunamente la domanda che Socrate pone a se stesso e a cui poi dà risposta: ἥντινα; οὐκ ἀγεννῆ κτλ. 30 (2.2) L’ed.pr. propone una ricostruzione ἐμοιγ]ε che si

accorderebbe con ß T, lasciando senza sostegno ὡς ἔμοιγε di 6. Nicoll segue l'ed.pr., pur con la giusta cautela. Ma 1l calcolo dello spazio (mai facile con un manufatto come questo, dato il non rigoroso allineamento a destra) non esclude la presenza di ὡς prima di ἔμοιγε. 33 (2c3) Prima di ἐκεῖνος in pap. c'è un doppio punto, ma non è detto che lo scriba intendesse attribuire ciò che segue ad Eutifrone. AC

14 Gorgias 447b3-c2; 467e7-468d1; 486d3-6; 501c2-5

PSI 1200

Sec. IIP

PSI 1392

EUTHPHR.

- PSI 1200

GRG.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Edd.: G. VITELLI, PSI XI (1935), 82-83 (ABC); A. CARLINI - R. CINGOTTINI, Nuovi papiri letterari fiorentini presentati al “XIII Intern. Papyrologenkongress”, Marburg/Lahn 2-6 Agosto 1971, Pisa, Ed. Tecnico-Scientifica 1971, 31-32 (D); A. CARLINI, PLettCar-

lini, n° 27, pp. 188-192 (A B C D). Tavv.: PLettCarlini, XI (D); Pap. Flor. VII, III (BD). Comm.: MP’ 1414 (= P? 1414) ANDRIEU, Dialogue [1954], 295; DoDos, Plato. Gorgias [1959], 57-58; CARLINI, Studi [1972], 6972; A. CARLINI, Amicus Plato ...: a proposito di PSI XI 1200,

Gorg. 447b sgg., Pap. Flor. VII [1980], 41-45; K. TREU, APF 28 (1982), 96; E. PUGLIA, // catalogo di un fondo librario di Ossirinco del III d.C. (PSILaur. inv. 19662), ZPE 113 (1996), 51-65: 53-54.

Quattro frammenti (A B C D) di un volumen papiraceo bianco nel verso: il fr. A (cm 8,3x12,5) conserva la parte bassa di una colonna di scrittura (margine inferiore conservato di cm 5); il fr. B (cm 14,5x7,5) conserva la parte alta di due colonne (margine superiore cm 5,4; intercolunnio cm 1,8); il fr.

C (cm 6,3x10,5) conserva 8 righi, con mutilazioni, della parte bassa di una colonna (margine inferiore di cm 6,5); il fr.D (cm 2,5x4,3) è mutilo da tre lati.

Originariamente, sotto lo stesso vetro era stato collocato un altro frammento dalle caratteristiche grafiche simili, ma che non contiene né il Gorgia né Platone (cfr. Carlini 1980, 4142). Dei frammenti che contengono sicuramente brani del Gorgia, Vitelli aveva dato l'edizione di AB C, ma senza ıdentificare il contenuto di C che solo più tardi è stato riconosciuto e utilizzato come testimone da Dodds, Plato. Gorgias, 57-58. D rappresenta una acquisizione nuova (se Dodds, Plato. Gorgias, 57 conta quattro frammenti di PSI 1200, pur ignorando D, è perché sdoppia il contenuto testuale della col. I e della col. II dell’unico fr. B), non ancora messa a frutto in edizioni

del Gorgia. Il numero di lettere per rigo varia da 16 a 19, ma bisogna tener conto del punto in alto che indica le pause di senso, del doppio punto che (in combinazione con la paragraphos) segnala il mutamento di interlocutore, nonché del segno riempitivo finale — (su questo Turner, GMAW, 5 n. 12). —

67 —

PLATO

14

Il numero dei righi per colonna doveva essere di 33/34; PSI 1200 puó dunque essere fatto rientrare nel primo dei due gruppi in cui Ingoin (Rapport, 1971-1972, 202 = Tradition 71-72) divide 1 rotoli platonici dei primi tre secoli. La trascrizione dell’intero Gorgia richiederebbe 219 colonne di scrittura per comlessivi 19 m di lunghezza. Tale misura supera abbondantemente quella standard dei rotoli librari, per cui si può pensare che il dialogo fosse diviso in almeno due tomi (cfr. Puglia, 53-54). La scrittura è una libraria rotonda, elegante, di medio formato, bilineare (solo 9 e y escono sopra e sotto il rigo), con

tendenza a una leggera incurvatura dei tratti orizzontali e obliqui (caratteristiche appaiono lettere come e e x). I trattini di

coronamento talvolta assumono l'aspetto di ingrossamenti a bottone. Sicura l'attribuzione al sec. II. Della stessa mano

sono alcune correzioni (p. es., A 5 tor add. s.L5 A 10 vpi ex DHEIV corr.).

Sı registrano due casi di accordo in lezione inferiore di pap. con F (Grg. 486d6; 501c5), a conferma della preformazione del

filone tradizionale rappresentato dal Vindobonense e della sua diffusione nel sec. II? già documentata da altri testimoni diretti e indiretti (cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 41 sg.; Carlını, Studi, 43 sgg.; Boter, Textual Tradition, 99-110). PSI 1200 à stato nelle mani di un lettore che ha apposto alcune note esegetiche; quela superstite nel margine alto del

fr. B «ἕνεκα τῶν ἀγαθίων), in corrispondenza della col. I, sem-

bra riferirsi a 46825 (ἕνεκεν τῶν ἀγαθῶν): ıl correttore ınten-

deva forse riportare alla ‘norma’ platonica (cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 237) la preposizione? Di difficile lettura e interpretazione l’altra nota che si trova sempre nel margine alto del

fr. B in corrispondenza della col. II: crearo1.[—]Im.e1ovde.[-

Nessuna luce viene dagli Scholia vetera a Platone. I frr. A B C di PSI 1200 sono stati già utilizzati da E.R. Dopps, Plato. Gorgias [1959] (sigla IY). Viene qui proposta

solo l'edizione del fr.D, collazionato sempre sul testo critico di Dodds. L'apporto delle fonti papiracee non è considerato da W. THEILER nell’Appendix critica della sua edizione del Gorgia, Bern, Francke s.d., ma 1943 («Editiones Helveticae»,

9), 130-146.



68—

PSI 1200

GRG.

Fr. A (447bc)

8 (447b8)

γὰρ attestato, oltre che da

ps.Did., & omesso da T P

F.

h pap., anche da BW

Fr. B, col. I (467e-468a)

ἊΝ εἰν

4-5 (468a1-2) L'ed.pr. attribuiva a pap. un corrotto καδι-

ma in realtà si può leggere senza problemi κα[ [βα]δι| 7 (46823) ta αλλα pap., τάλλα codd. 8 (46823) ta è ricostruibile con sicurezza in pap. per ra-

gioni di spazio; isolato W nell'omissione dell'articolo.

Fr. C (486d) 4 (486d5) Anche in pap. è ricostruibile la lezione rpocaγαγὼν; isolato F (προαγαγὼν).

5-6 (486d5) Pap. si schiera qui con B T W, isolando F (ὁμολογήσῃ Ev ἐκείνῃ). 7 (486d6) Pap. conserva con F l’originale ἤδη (interpretato ‘at last" da Dodds, Plato.

Gorgias, 281), omesso da B T

W. Dopo ἤδη l'ed.pr. legge βυ(γ)θιοί, ma l’identificazione del testo ha consentito la corretta lettura ev y eıclelichan. Il y è e-

spunto dalla stessa mano. 9 (486d6) In luogo del corretto ὅτι, pap. legge ott n, accordandosi con F (ὅτι ἢ, sed ἢ puncto del. f). Fr. D

en]iut τὸ τ[οιοῦτον KoAa-

501c2

κείαν e[ivon καὶ περὶ

σῶμα κ[αὶ περὶ ψυχὴν

5

καὶ περ[ὶ ἄλλο ὅτου ἄν τις τὴν [ἡδονὴν θεραπεύη[ι ἀσκέπτως E xov τοῦ [ἀμείνονός

τε καὶ χε[ίρονος

8 τοῦ (post καὶ), om. pap. cum È. —

69—

AC

PLATO

15

15 Grg. 471d4-472b8;

507b8-508d6;

522b5-526a6

PLaur IV 134 + POxy 454 + PSI 119

Sec. IIP ex,

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: PLaur IV 134, PSI 119: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana; POxy 454: Oxford, Bodleian Library, Ms. Gr. Class. c 54 (D). Eda.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy III (1903), 105-109; T. Lopi, PSI II (1913), 11-14; R. PINTAUDI, Frammenti letterari laurenziani, ZPE 27 (1977), 107-117: 111-115; R. PINTAUDI, PLaur IV (1983), 22-24.

Tavv.: POxy 454: TURNER, GMAW n? 62; PLaur IV 134, PSI 119: Pap.Flor. XXX, XXII. SCI, Pap.Flor., XXX,

Pal.: TURNER, GMAW’, 107-108 n? 26.

Comm.: MP? 1414.1 (= P? 1416) S. DE Ricci, REG

106; E. CRI-

KENYON, Evidence [1904], 159;

18 (1905), 333; F. BLass,

APF

3 (1906), 294;

RITTER, Bericht [1912], 4, 44; SCHUBART, Einführung [1918], 483; CROISET - BODIN, BL, 1Π.2 [1923], 102; JACHMANN, Der Platontext (1941], 234, n. 2, 252; LEISEGANG [1950], 2362-2363; DODDs, Plato. Gorgias [1959], 57-58; CARLINI, Studi [1972], 71-

72, n. 105; M.

LAMA,

Aspetti di tecnica libraria ad

Ossirinco,

Aegyptus 71 (1991), 55-120: 98-99; JOHNSON, Papyrus Roll

[1992],

27, 120-121, 284, 291; E. PUGLIA, // catalogo di un fondo libra-

rio di Ossirinco del III d.C. (PSILaur.

inv. 19662), ZPE

113

(1996), 51-65: 56; E. PUGLIA, La cura del libro antico. Guasti e

restauri del rotolo di papiro, Napoli, Liguori 1997. 45; 52, n. 98.

POxy 454, PSI 119 e PLaur 134, pubblicau in quest'ordine separatamente e a considerevole distanza di tempo l'uno dall'altro, appartengono in realtà ad uno stesso volumen. Il testo del Gorgia & scritto sul verso del papiro, perpendicolarmente rispetto alle fibre; ıl recto contiene un registro di conti militari posteriore all'anno 111? (ediz. con tav. del solo recto di —

70 —

PLAUR

POxy

IV 134+POXY 454+PSI 119

454 in R. MARICHAL,

ChLA,

GRG.

IV, n? 264 e tav. p. 78) e

altri testi documentari (cfr. la tabella di Lama n? 109 a p. 67). Il rotolo poteva essere stato confezionato con spezzoni di altri rotoli; sul recto di PLaur 134 sono stati incollati frammenti

con testi documentari in greco allo scopo di rinforzare il papiro. PLaur è costituito da tre frammenti (A, B, C) che restitui-

scono due colonne non integre di scrittura: À (cm 1,9x4,7) e mutilo da ogni lato e contiene solo alcune sequenze di lettere della parte centrale della prima colonna; B (cm 5,6x11,5), che conserva un lembo del margine superiore e dell’ intercolunnio di sinistra, corrisponde alla parte superiore della seconda co-

lonna (resti di 18 righi); C (cm 5,5x14,4) conserva il margine

inferiore (cm 2) e ci fa recuperare i quattro ultimi righi della prima colonna e poco meno della metà inferiore della seconda colonna (21 righi). POxy 454 è costituito da un unico frammento (D), di cm 27,5x14,5, corrispondente a tre colonne mutile di scrittura, se-

parate da intercolunni di cm 1 circa. PSI 119 è costituito da quattro frammenti (E, F, G, H) con resti di sette colonne complessivamente. E (cm 19x17)

comprende quattro colonne e conserva parte del margine in-

feriore (cm 2) delle prime tre; F (cm 4,8x10,8) è mutilo da tutti 1 lati e conserva 13 righi mutili con un margine superiore di cm 3; G (cm 4x12,5) contiene 19 righi mutili di una colonna

con margine superiore di cm 2 e parte dell’intercolunnio di destra; H infine (cm 3,2x5,5) contiene la parte alta lonna di cui è conservato un margine superiore di ghi parzialmente superstiti sono 7. Tra E e F come manca una colonna. Consecutive invece le colonne

di una cocm 2; i ritra G e H di F e G.

Le colonne erano impostate in modo abbastanza irregolare: potevano comprendere da 47 a 51 righi (altezza della colonna

cm 27); molto vario anche il numero di lettere per rigo (da 15

a 22). Nel tentativo di mantenere l'allineamento a destra il co-

pista comprime le lettere finali, riducendone anche il modulo, oppure usa dei riempitivi nella forma di semplici trattini orizzontali. Johnson

(Papyrus Roll, 120-121) ritiene che l'omis-

sione di 46 lettere a C+B II 32 possa corrispondere a due righi del modello; ma l'omissione à dovuta ad omoteleuto e questo non consente calcoli precisi. La scrittura é una maiuscola diritta, di formato medio, ar— 71—

PLATO

15

rotondata ma con alcune lettere strette e slanciate che si proiettano oltre il rigo superiore (a ὃ x A), eseguita da una mano esperta che si concede qualche libertà di esecuzione. Non vistosi i trattini di coronamento alle estremità libere di alcune lettere. Una attribuzione della mano al tardo sec. II? appare come la più probabile. Oltre al preciso terminus post quem rappresentato dal testo sul recto (111°), c’è un altro, sia pure più vago, riferimento cronologico: l'apostrofo impiegato a dividere due consonanti (B col. II 10) si trova a partire dalla fine del sec. II? (Turner, GMAW’, 11 e n. 50). Lama istituisce un

preciso parallelo paleografico con l'Omero di POxyHels 2 a sua volta vergato sul verso di un rotolo (il recto contiene un documento relativo alla coltivazione della terra non inondata).

I segni di interpunzione, rappresentati dall’ano stigme e dalla mese stigme, sono dovuti alla stessa mano. Mancano paragraphoi e doppi punti, ma non è conservato alcun passo in cui ci sia avvicendamento di battute dialogiche neppure nei frammenti laurenziani più recentemente pubblicati. Punti diacritici su 1 e v iniziali. Alcune correzioni sono invece di una seconda mano: p. es., in fr. D col. I, 9 lo scriba aveva scritto kaAov, il correttore ottiene Il richiesto καλῶς cancellando con

un tratto orizzontale ov e aggiungendo s./. wc (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 121); in fr.G, 1 lo scriba nel testo aveva scritto e]nevov, provocando la correzione s./. e]rarvov. Dal punto di vista testuale, pap. non presenta alcuna novità di rilievo, ma il suo apporto è ugualmente significativo, perché si accorda in più casi con F contro B T W in lezione errata, dimostrando l’antichità della tradizione rappresentata dal testimone viennese (fr. D col. II 27 [5074]; fr. D col. III 34 [508c7]; forse fr. E col. I 1 [522b5]; fr. E col. Il 4 [522d8]).

Da segnalare anche la convergenza con Giamblico e Stobeo contro i manoscritti medievali a fr. D col. II 30 [50765].

PSI 119 e POxy 454 sono stati già utilizzati da E.R. DODDS, Plato. Gorgias (1959) (sigla IT). Viene qui proposto solo il testo di PLaur 134 (con una ricostruzione che, data la mutila-

zione dei frammenu, in molti casi & ipotetica), collazionato sempre sul testo critico di Dodds. La pur pregevole edizione del Gorgia di W. THEILER [Bern, Francke s.d., ma 1943, («Edi-

tiones Helveticae», 9), Appendix critica, 130- 146] non considera l'apporto delle fonti papiracee. —

72—

PLAUR

Fr.

(A)

IV 134+POXY 454+PSI 119

GRG.

A+ fr. CI: col. I

1... ὅτι μ͵οι δοκεῖ[ς εὖ πρὸς

471d4

τὴν ῥη]τορικὴ]ν πεπαι-

δεῦσθ]αι -- τοῦ δίὲ διαλέγεσθαι] ἠμεληκ[έναι- καὶ

νῦν ἄϊλλο τι οὗτός ἐστιν ó λό]γος, © με [καὶ ἂν παῖς ἐξ]ελέγξει[ε, καὶ ἐγὼ ὑπὸ σο]ῦ νῦν, ὡϊς σὺ οἴει, ἐξελήλεγ]μ[αι τούτῳ τῷ

10

desunt 9 versus, ut videtur

(C 1) 20 471e3

toic δικαστη]ρί[]οις 5-

γούμενοι éAé]yxew καὶ γὰρ ἐκεῖ οἱ ἕ]τεροι τοὺς 21

Ἰρ[ιτ]οιςη-

4

Jar

1

Éyo]ye ole suppl. Pintaudi dubitanter

2

„ler Gokei[c pap. cum

4 τοῦ codd., ἐδόκεις coni. Thompson (cf. Dodds, Plato. G078 145, 244) |. Pintaudi dubi20 ]or ev SUPP δὲ pap. cum B T F, W' (s.l.) οὐδὲ W tanter

Fr. B + fr.

(B)

C II: col. IT 471e4

ἑτέρους Ookob[oiv &Aéy-. XE, ἐπειδὰν Ἰτῶν λόγων ὧν ἂν λέγωσι μάρTupac πολλοὺς n[a.pexovται καὶ εὐδοκίμ[ους, ὁ δὲ τἀναντία λέγων ἕνα

τιν[ἀ] παρέχηϊτα]ι ἢ [un-

10

δέϊνα. οὗτος δ]ὲ ὁ ÉMeyxlolg [o]bölevös CASO: ἐστίιν] πρὸς τ[ὴν ἀ]λήθει[αν—73—

472a1 ἐ-

PLATO

15

viote] γὰρ dv [x]o[i] κατία-

ψευδομα[ρτυρ]ηθεί[η ti[c] ὑπὸ πολ[λ]ῶν καὶ δίοx[ovv]rov εἶναί} τι. κ[αὶ νῦν περὶ ὧν σὺ [λέγεις ὀλίγου coli πάϊντίες συμφήsovolt]v ταὐτὰ ᾿Αθηναῖοι καὶ oli ξένοι, ἐὰν

15

desunt 8 versus, ut videtur (C II)

30

35

40

45

sijoilv] ἐΐν τῷ Arovvoi]o, ἐὰν Öle βούλῃ, ᾿Αρισ]τοκ[ρ]άτηίς €ὁ ExgÀMov, od ad] ἐστιΐν £]v Πυθ[ίου tJo[lörlo «[9] καϊλὸν ἀνάθη.μ]α, e[&]v δὲ [βούλῃ τῶν ἐϊν[θ]άδε àxA[ ἰέξασθαι ἀλA ἐγ]ώ σοι ei[c dv è οὐχ ὁμο]λογῶ. old γάρ με σὺ Alvaykalelıc, ἀλλὰ ψευδομάϊ[ρτ]υραίς πολλ]οὺς κατ᾽ ἐμοῦ παρασχόμενος ἐπ[ιχειρεῖς ἐκβαλε[ἴ]ν [pe ἐκ τῆς οὐσίας καὶ τοῦ [ἀληθοῦς. ἐγὼ δὲ ἐὰν [μὴ σὲ αὐτὸν ἕνα ὄντα μάρτυρα παράσχωμί[αι ὁμολογοῦντα περὶ Av λέγω, οὐ-

47237 472b

δὲν οἶμαι ἄξιον λόγου μοι πεπ[εράνθαι 8 Ivo:

28

Je:

33

eyAl pap.

36

]vayxate[

38

κατα pri-

mitus pap.; la correzione è di altra mano 13 τιίς] ὑπὸ pap. cum codd., ὁ ὑπὸ OA 18 oli pap. cum codd., del. Stallbaum 28 Awvvci]o suppl. ed.pr. cum codd. (Dodds), Διονύσῳ Ol 30 Πυθίου suppl. ed.pr. cum F (Dodds), Πυθοῖ B T Wf 32 post βούλῃ om. pap. (homoeot.)

ἣ Περικλέους ὅλη οἰκία ἢ ἄλλη συγγένεια ἥντινα



74 —

PLAUR

IV 134+POXY 454+PSI 119

GRG.

ἂν βούλῃ 40 ex]iBoAelî]v pap., ἐκβάλλειν BT WF pap., ἐγὼ δὲ àv BT ΜῈ

42

ἐ]γὼ δὲ ἐὰν

Fr. D (507b-508c) I 9 (507c3)

xaXov di pap. è probabilmente un errore di

trascrizione dello stesso scriba; il correttore ha provveduto a ristabilire il richiesto καλῶς con un intervento nell'interlineo. 18 (507c8) Pap. è isolato nell'omissione di οὖν (dopo μὲν).

20 (507c8) Il sicuro supplemento aAn]On fa registrare la convergenza di pap. con BW F Stob.; T traspone (ἀληθῆ ταῦτα), Giamblico omette la sequenza. II 6 (507d3) Pap. conferma B T W f Iamb. (παρασκευαστέον) e isola Stobeo (παρασκευαστέον ἑαυτὸν). Corrotta ma facilmente emendabile la lezione di F ποᾶς oxevaoséov.. 7 (507d3) La lezione μη di pap. è isolata; μηδὲν cett.

9 (507d4) Pap. ha regolarmente come le altre fonti fj omesso dal solo Giamblico.

13 (507d6)

Pap. non trova alleati nella trasposizione ovtoc

εἰιναι.

14 (507d6) o «κοπίος pap. con B T W F, σκοπὸς Stobeo che sı ıncontra con Olimpiodoro (lemma). 19 (507d8)

Lo scriba ha ripetuto per errore δικαιο[ζευνη

(cfr. II 18), in luogo del corretto σωφροσύνῃ. 19-20 (507e1) Ancora una trasposizione di pap.: μελλον]τι

HOKAPLO. 27 (507e4)

e]m pap. cum F Iamb. Stob., àv ein B T W.

Come osserva giustamente Dodds (Plato. Gorgias, 338), ἄν ripetuto (all'inizio di frase e dopo la forma verbale cui si riferisce) & uso attico ed à quindi da considerare con ogni probabilità originale. 30 (507e5)

yap pap. con Giamblico e Stobeo;

B T W f

hanno δὲ, F omette la particella. Una mano correttrice di Par. Gr. 1808 (Par? ap. Dodds) ha aggiunto γὰρ s.l. intendendo sostituire l'originario dè del codice che è apografo di T. Gli editori sono concordi nell'accogliere δὲ, ma la variante yàp è dun-

que antica e diffusa. 45 (50826) Pap. (n icotnc con i codici) isola Stobeo (ἰσότης). — 75

PLATO

15

ΠῚ 5-6 (508b2) Pap. non sostiene l'aggiunta di ἄθλιοι (dopo oi ἄθλιοι, secondo Dodds e da Croiset sto comune a tutta antico, a meno che

la proposta - Bodin) che la tradizione non si pensi

di Heindorf fatta propria da pur sembra necessaria; il guamanoscritta è dunque molto alla poligenesi. Per la collo-

cazione delle parole, cfr. Dodds, 340. Theiler rinuncia al sup-

plemento senza giustificare nell'Appendix critica la sua opzione. Anche Burnet aveva seguito il testo dei codici sottolineando in apparato la convergenza di pap. con i codici. 8 (508b3)

Pap. omette da solo ἐκεῖνα (ragioni di spazio),

ma trova la difesa di Jachmann, Der Platontext, 252. Contro il testo breve del papiro si può con Dodds (Plato. Gorgias, 340) rinviare a 499b1 τὰ πρότερα ἐκεῖνα. Anche Burnet, Croi-

set - Bodin e Theiler seguono 1 codici. 34 (508c7)

Pap. si accorda con F nella lezione inferiore

οὐδὲ cocar contro οὐδ᾽ ἐκσῶσαι di B T W. Un buon parallelo (Dodds, Plato. Gorgias, 340) è 486b6 und’ ἐκσῶσαι.

35-36 (508c8) Il testo ricostruibile di pap. (e]Inı tw Bo[vAoμενῶ con B T W oppure ellnı tw Bo[vAevouevo con F) non so-

stiene l'espunzione di questa sequenza di parole proposta da Morstadt e accolta da Theiler. Altrettanto priva di sostegno nel testimone papiraceo la proposta di espunzione di τοῦ ἐθέλοντος di Hirschig nel rigo successivo. Sul problema cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 340. 42 (508d2)

Pap. è isolato nella lezione ἐκβαλειίν contro

ἐκβάλλειν di B T W F. Se Badham e Schanz proponevano di sostituire a 43 ἀποκτεῖναι con il presente per bilanciare ἐκβάλAeıv, allo stesso fine Jachmann (Der Platontext, 234, n. 2), mantenendo il testo dei codici a d3, si dichiarava a favore di

ἐκβαλεῖν di pap. Ma lo scriba del papiro anche in altro luogo (472b5) aveva sostituito ἐκβαλεῖν ad ἐκβάλλειν unanimemente

attestato. Dodds (341) motiva la superiorità del testo dei codici (accolto del resto anche da Theiler): τύπτειν, ἀφαιρεῖσθαι,

ἐκβάλλειν descrivono azioni che si ripetono, ἀποκτεῖναι si riferisce ad un atto non ripetibile. ‘45 (508d4) Pap. (tovtolv) si contrappone da solo a B T W F (πάντων). Fr. E (522b-523e) I 1 (522b5)

Secondo Dodds, pap. concorderebbe —

76—

con F

PLAUR

IV 134+POXY 454+PSI 119

GRG.

nella omissione di καὶ ὠφελίας; data la materiale lacuna prima di evu|[epyectac, si può pensare anche a una inversione, come

suggerisce l’ed.pr. con il supplemento ὠφελίας καὶ] evl[gpyeciac. II 4 (522d6) Pap. condivide con F, le mani correttrici btw e II’ (= PFouad 2), la corretta lezione ei διὰ, Lettura itacistica

e successivo maldestro raddrizzamento hanno prodotto la lezione idia di B T W. 10-11 (522d8)

La collocazione delle parole in B T W (padimg

ἴδοις ἄν με pepovta) sembra preferibile perché l'avverbio subito dopo ὅτι ha particolare forza; ma pap. è alleato di F e

forse di PFouad 2 (> 80 18) nella trasposizione ἴδοις ἄν με ῥαδίως φέροντα, dovuta con ogni probabilità (cfr. Dodds, Plato.

Gorgias, 372) all'esigenza di chiarire che ῥαδίως qualifica φέροντα e non ἴδοις.

ΠῚ 20 (52356) F Plu. Stob. OD,

τῇ regolarmente dato, oltre che da pap., da è invece omesso da B T W.

25 (523b7) Anche pap. sembra essere incorso con B T W F Stob. nell'omissione dell'indispensabile oi dopo ἐπιμελεταὶ tramandato dal solo Plutarco: cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 377.

IV 8 (523d4-5) lezione 1solata.

τα av]tov di pap. in luogo di tà αὑτῶν è

Fr. F (524de)

4 (524e1)

Pap. non condivide l'espansione testuale oi δ᾽ ἐκ

τῆς Εὐρώπης παρὰ τὸν Αἰακόν che si legge nel solo Par. Gr.

2110 (V) dopo 'Ραδάμανθυν. Cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 380.

Fr. G (524e-525b) 10 (52524)

Per ragioni di spazio si può ricostruire in pap.

axpalt[ılac. È questa anche la lezione di BW Ft, accolta a te-

sto da Croiset - Bodin e Theiler, ma non da Dodds che preferisce ἀκρατείας di Y ed Eusebio, essendo questa seconda la forma normale dell'uso attico, attestata anche dalle fonti ma-

noscritte primarie di Platone in altri luoghi; ἀκρασίας di T è invece estraneo a Platone. Cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 380. 13 (52536) εἶδεν è ovviamente la lezione corretta, attestata —

77 —

PLATO

15-16

da T W F Eus. Se B presenta un innocente errore itacistico

ἴδεν, pap. (idew) è fuori strada. 14 (52526)

Pap. (tavinv con BT W F) contribuisce ad 1so-

lare Eusebio (αὐτὴν). 15 (52526) εὐθυ pap. con B T F Eus., εὐθὺς W. Fr. H (526a) 1 (52621) Lo scriba aveva scritto e]xevov, ma la forma cor-

retta εἸπαῖνου è stata ripristinata con un intervento s./. (modulo delle lettere corrette leggermente inferiore). AC/MV

16 Grg. 491a5-b6; 494e2-495e6; 508d4-e2

POxy 3156 + 3669

Sec. II?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: POxy 3156: M.W. HASLAM, POxy XLIV (1976), 40-43 (A 115, B, Ὁ); POxy 3669: M.W. HASLAM, POxy LII (1984), 92-93

(A 15-28, C).

Tavv.: POxy 3156: POxy XLIV (1976),

V. — Pal.: H.M. COCKLE,

POxy L (1983), 124.

Comm.: MP’ 1414.2

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 61, 151, 207

e n. 22.

Quattro frammenti di volumen, piuttosto dannéggiati, contenenti! complessivamente resti di sei colonne di scrittura: A cm 8,7x21; B cm 7,5x12,3;

C cm 8x8,5; D cm 4,5x8,1. L’indi-

viduazione di altri pezzi dello stesso rotolo, avvenuta dopo

l’ed.pr. del 1976, ha consentito il recupero di altri 14 righi di A e di alcuni righi del corpo centrale di due altre colonne (C) che seguono immediatamente le due colonne di B. Il papiro è stato reimpiegato nel verso per la registrazione —

78—

PLAUR

IV 134+POXY 454+PSI 119 - POXY 3156+3669

GRG.

di alcune operazioni finanziarie: la mano che ha notato talenti, dracme e arure appartiene al tardo sec. III. Il confronto tra i diversi frammenti non lascia dubbi sulla variazione anche sensibile nell'impostazione delle colonne: rispetto ad A e B, p. es., D presenta interlinei molto più ridotti (4 rispetto a 6 mm) e una piü serrata successione di lettere nei righi. Visto che il calcolo della lunghezza del rotolo conduce a valori molto alti (25-26 m), si può pensare o a una divisione del testo del Gorgia in due rotoli (il secondo con diversa ımpostazione) o, più probabilmente, a un tentativo dello scriba, già avanti con il suo lavoro, di contenere le proporzioni del manufatto (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 207 e n. 22). La scrittura è una libraria caratterizzata da vistosi trattini di coronamento alle estremità libere e da un contrasto modulare volutamente accentuato (lettere come ὃ n x v τ sono

allungate in modo anomalo). Nel tracciare alcune lettere (in particolare a p), lo scriba cede a un gusto di maniera; seriamente preoccupato per l’allineamento in fine di rigo, usa se-

gni riempitivi quando lo spazio è in eccesso, comprime e magari deforma le lettere finali quando lo spazio è in difetto. Ci sono forti somiglianze tra POxy 3156 + 3669 e POxy 2749, tanto da far pensare a una stessa mano che potrà essere assegnata alla seconda metà del sec. IIP. Su questo stile di scrittura si può vedere ora G. ΜΕΝΟΙ, Per l’identificazione di un nuovo stile di scrittura libraria greca, in Atti del XVII Congresso Internazionale di Papirologia (Napoli, 16-26 Maggio 1983),

Napoli,

CISPE

1984, I, 51-56: 55. Anche

POxy

228

(> 80 24) è stato accostato dal punto di vista paleografico ai due frammenti del Gorgia (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 151: «?Scribe 23»).

Il cambiamento di interlocutore è indicato dalla paragraphos e dal doppio punto. Segno sussidiario di punteggiatura è la mese stigme. Per quanto riguarda il testo, POxy si accorda due volte

(B col. I 7, C col. II 2) con F contro gli altri manoscritti, confermando l’antichità della linea tradizionale rappresentata dal codice viennese, ma presenta anche due lezioni, finora non attestate da nessuna delle fonti testuali, che potrebbero essere originali: C col. I 1 (495c5) ÉAeyéc] τι εἶναι merita at-

tenzione perché si adatta bene nella forma alla domanda im—

79 —

PLATO

16

mediatamente precedenteἐἐπιστήμην που καλεῖς τι (certamente ἔλεγές τινα εἶναι dei codici è difendibile, ma Haslam fa notare giustamente che, con tiva, si adatta meglio a c5 tadrag

del solo W contro tavra degli altri testimoni, compreso pap.); C col. II 2 8é ye dei codici puó essere stato influenzato dall'attacco della battuta precedente (495d6) Σωκράτης dé ye; la

particella ye, assente in pap., non appare strettamente necessaria a 495el.

Costante in pap. la desinenza -ei, nella seconda persona singolare. Per le integrazioni del testo è stata tenuta presente l’edizione di E.R. Dopps, Plato. Gorgias (1959). Fr. A

5

[M #5 ] g[povinorlepolg πλέ[ον Eχῶν δικαίως πλίεovelktei; ἢ οὔτ᾽ ἐμο[ῦ ὑπ[οϊ]βάλλί[ο]ντος ἀ[νέ-

49125

„Ger οὔτ᾽ αὐτὸς £pe[ic;

᾿Αλλ’ ἔγωγε καὶ πάλ[αι λέγω. πρῶτον μὲν

10

15

τοὺς κρείττους οἵ

εἰσιν οὐ σκυτοτόμους λέγω, οὐδὲ μαγείρους, ἀλλ᾽ οἱ ἂν εἰς τὰ τῆς πόλεως

πράγματα φρόνιμοι ὦσιν ὅντιν᾽ ἂν τρόΪπον εὖ [οἰκο]ῖτο

καὶ] μὴ u[óvo]v [o]póviluot, ἀλίλὰ καὶ ἀἸνὸ-

20

peJtor i ἱκανοὶ ὄντες ἂΪν νοήσωσιν ἐπιτελεῖν, καὶ μὴ ἀπο-

κά]μνωσι διὰ μαλα—

80 —

491b

POXY

3156+3669

GRG.

.xijav τῆς ψυχῆς. Ὅρᾷ!ς, ὦ βέλτιστε Ka[A]25

λίκ]λεις, ὡς οὐ ταὐ- | τὰ c]ó τε ἐμοῦ κ[ατ]ηγορεῖ]ς καὶ ἐγὼ σοῦ;

σὺ yà]p ἐμὲ φὴς [ἀεὶ

3-6

s

le lettere nella parte finale di questi righi sono per lo piü evanide

6 ξειουτ᾽αυτος 8 λεγω: probabile stigme dopo w 19 ikovoi 21 ]v 23

9 kperttovedi [10 eıcıv 11 Aeyol. Jovde 12 povci.la probabile stigme dopo c — o1av ψυχῆς: UC

4 ἢ om. B (add. B^ 7 παλῖαι et pap. (spatii ratione), πάλαι ἃ F 15 ävom.F 20 a]v pap, ἃ àv codd. 25 οὔταὐτὰ B 26-28 κατηyopeîg — σὺ om. F relicto spatio (suppl. ἢ 28 cv ya]p pap. spatii ratione, i

σὺ μὲν γὰρ codd.

Fr. B, col. I

[τί σε [ἐρωτῶ;

494e

ὅρα, à K]aAA[tx]Aetc,

τί anokpılvei, ἐάν τίς σε τὰ ἐχόμ]ενα τούτοις ἐφεξῆς] ἅπαντα ἐρωτᾷ. καὶ] τούτων τοιούτων κ]εφαλαί-

5

Qv, ὁ τῶν κιϊναίδω(ν ) Bios, οὗτος οὐ] δεινὸς

10

καὶ αἰσχρὸς κ]αὶ ἄθλιος; ἢ τούτους] τολμήσεις λέγει]ν εὑ-

δαίμονας εἶναι, ἐ]ὰν ----΄

-ὀ΄--.. -.ο- -.

col. II Kallkat; ἀλλ᾽ [ἔτι καὶ νῦν λέγε πότερον φῇς

εἶναι τὸ [αὐτὸ ἡδὺ

495a2

PLATO

16

καὶ ἀγαθόϊν, ἢ εἶναί 5

τι τῶν ἡ[δέων ὃ οὐκ ἔστιν [ἀγαθόν;

“Iva δή u[ot μὴ ἀνο-

μολογούμ[ενος n ὁ λόγος, ἐἐὰν ἱἕτερον φήσω εἶν[αι, τὸ αὐ56 [.] φημίι εἶναι.

10

Διαφθείρίεις, ὦὦ Καλλίκλεις, τοὺϊς πρώ-

τους λόγους [ I8

varda

12-3 ὦ Καλλίκλεις ante νεῖ Β, ἀποκρίνει T, ἀποκρίνῃ codd., ἑπόμενα coni. Bekker, man (receperunt edd.) 7.

ἐάν transp. F 3 aroxpi)ve pap., ἀποκριW F, ἀποκρινῇ restituit Dodds 4 ἐχόμενα seclusit Schanz 6 τὸ ante τούτων add. Buttpost τοιούτων praebent ὄντων B T W (recte),

om. F (add. f) et ut vid. pap. (spatii ratione)

κ]εφαλαι|{ν pap. ut vid.

(spatii ratione) cum B T W, κεφάλαιον Fb (recepit Dodds), κεφαλαιότατον

fort. Antiatticista Bekkeri

17 iva 9 Xoyog: 11 to.pnul il grave danneggiamento della superficie del papiro non consente di individuare la lettera tra o e @ cancellata dallo scriba e neppure la paragraphos all'inizio del rigo IL 7-8 μὴ ἀνομολογούμενος B T W f, schol. vet., et pap. ut vid. (spatii ratione), μὴ ὁμολογούμενος F, yp. καὶ ἀνομολογούμενος καὶ μὴ ὃμολογούμενος Ol 10-11 τὸ αὐτόν φημίι pap. a.c.?

Fr. C, col. I

ἔλεγές] τι εἶναι

5

495ς5

μετὰ ἐπιστ]ήμης; Ἔλεγον γάρ.] ᾿Αλλ’ örıοὖν ὡς ἕτ]ερον τὴν ἀνδρείαν τ]ῆϊς ἐ]πιστήμης δύο ταῦτα ἔλεγες; Σφόδρ]α γε. Τί δέ; ἡδονὴν κ]αὶ —

82—

POXY

315643669

GRG.

ἐπιστήμην ta.]oτὸν ἢ ἕτερον; Ἕτ]ε!!ρον

10



- ..

——

col. II —

—_—

.

onloMoyet οἶμαι

495ς

δὲ] οὐδὲ Κ[αλλικλῆς, ὅταν αὐ[τὸς αὑτὸν

θεάσηται ὀρθῶς. 5

εἰπὲ γάρ μίοι, τοὺς εὖ

πράττοντίας τοῖς

κακῶς π[ράττουσιν οὐ τοὐϊναντί-

ον nyleli π[άθος πε_novdevalı; Ἔγωγε.

10

ἾΑρ᾽ ο]ὖν, εἴπ[ερ ἐνανtia ἐ]στινί ταῦτα I2

]nunc:

3

Ἰαλλ᾽δὅτι

7 we

I1

eAeyec] τι εἰναι pap. fort. recte, ἔλεγές τινα eivaıcodd.

yov — ἐπιστήμης om. F (suppl. i.m. f) vid.), ἄλλο τι οὖν codd. (recte)

4

3-5

ἔλε-

— 3 aAA’ ὅτι pap. (ἀλλ᾽ ὁτιοῦν ut ἕτερον (ὃν) Heindorf

6 ταύτας W

H9 Anl II 2

$l[e] pap. (fort. recte), δέ ye codd.

9 nylelı pap., tYfi Platonis

edd.

Fr. D ἐ]στιν, ὡς [ὁ σὸς λόγος. ὁ δ]ὲ δὴ ἐμὸς ὅ[σ-

5

τις, πολλ]άκις μὲν [ἤSn εἴρηται, οὐδὲν δὲ κωλύ]ει καὶ ἔτι λέvecdar' oJ φημι, ὦ Καλλίκλει]ς, τὸ τύπτεσθαίι

508d4

PLATO

16-17

ἐπὶ κόρρ]ης ἀδίκως alio-

χιστο]ν εἶναι, οὐδέ [γε τέμνεσ])θαι οὔτε τὸ [σῶ-

10

508e

μα τὸ é]uòv οὔτε [τὸ βαλάντιον, ἀλ[λὰ τὸ τύπτειν κ]αὶ ἐμ[ὲ

4 Ἰηται.1

9 ewoar

12 Ἴτιον-

ἐστιν ὡς. οπι. Ε (ὡς add. ἢ

9-10

τὸ ante τέμνεσθαι B. T W, om.

F et ut vid. pap. (spatii ratione) 10 οὔτε pap. B T W, οὐδὲ F Aav]ttov pap. (spatii ratione) cum W F OIX, βαλλάντιον B T P.

12

a.

AC

17

Grg. 502b4-503a7; 504b9-505a9 PVindob G 39880 + PVindob G 26001

Sec. III?

Prov.: Arsinoites.

Cons.: Wien, Osterreichische Nationalbibliothek, Papyrussammlung. Edd.: PVindob G 39880: H. METZGER, Ein neues Gorgias-Fragment aus der Papyrus-Sammlung Erzherzog Rainer in Wien (PGraec. Vindob. 39880), WS 78 (1965), 40-44: 42-43; PVindob G 26001: C. WESSELY, M.P.E.R. II-III (1887), 76-78. Tavv.: WS 78 (1965), 42/43 (PVindob G 39880); H. LOEBENSTEIN -

H. HARRAUER, Die Papyrussammlung der Österreichischen Nationalbibliothek, Katalog der Sonderausstellung 100 Jahre Papyrus Erzherzog Rainer, Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 1983, 1 (PVindob G 39880 recto).

Comm.: MP’ 1415 (= P^ 1415)

ALLINE, Histoire [1915], 143-146

(PVindob G 26001); LEISEGANG [1950], 2362-2363 (PVindob G 26001); ANDRIEU, Dialogue [1954],. 295 (PVindob G 26001); Dopps, Plato. Gorgias [1959], 56-57; SUJPESTEIN, Platon-Papyri

[1964], 30; METZGER, supra Edd., 40-44; LOEBENSTEIN

RAUER, supra Tavv., n? 4 (p. 2). — 84—

- HAR-

POXY 315643669 - PVINDOB

39880+26001

GRG.

Due frammenti (A e B) pubblicati separatamente a notevole distanza di tempo, appartenenti a due distinti e non con-

secutivi fogli di un codice papiraceo. PVindob G 39880 (A: cm 5,5x12), mutilo nel lato interno e in basso (restano ıl mar-

gine superiore di cm 2 e solo un lembo del margine esterno), restituisce parti di 20 righi di scrittura; PVindob G 26001 (B:

cm 8,3x8,8), mutilo nel lato interno e in basso (sono conservati il margine superiore di cm 2,5 e un lembo di quello esterno), restituisce (non integralmente) 13 righi di scrittura. A, dato il

cattivo stato di conservazione, fu sottoposto a un accurato trattamento di pulitura ad opera di A. Fackelmann, ma la superficie del verso è irrimediabilmente danneggiata e la lettura del testo è ardua.

Ogni foglio del codice aveva una sola colonna di 28 righi (ogni rigo in media 33 lettere). L’altezza complessiva del foglio si può calcolare in cm 16,8; mancano i dati per calcolare la larghezza (cfr. Turner, Typology, 114, n? 253). La scrittura presenta tutte le caratteristiche del tipo cancelleresco: 1 ripiegamenti all'estremità dei tratti di alcune lettere (soprattutto x), il contrasto modulare tra le lettere e anche nel tracciato delle stesse lettere (p. es. e, o ora grossi, ora ridotti), la tendenza agli svolazzi in finale di rigo, i legamenti o pseudolegamenti di e. La proposta dell'ed.pr. (confermata da Turner, Typology, 114) è per una datazione al sec. III. Non mancano paralleli di testi letterari vergati in cancelleresca: p. es. PBodmer XXVII (Tucidide) che però è di diversi decenni

più tardo (ctr. PLettCarlini 5, pp. 67-69). Il doppio punto in combinazione con la paragraphos (per la mutilazione di A e B nel lato interno, la verifica positiva è possibile solo ai rr. 13-14 di A verso) individua e isola le bat-

tute dialogiche. Le stigmai (ano, mese, kato) segnano le pause importanti o, in qualche caso, isolano piccoli membri all’ınterno della frase. L’ apposizione occasionale dello spirito (in A e B), alcune correzioni interlineari (in B), un accento circon-

flesso (A recto 19) sono dovute ad altra mano.

Da un punto di vista testuale, il papiro di Vienna non contiene novità, ma dà un apporto non trascurabile alla constitutio textus, confermando alcune lezioni corrette altrimenti attestate solo da F o da Giamblico: 504c7, 504e7, 504e8 (bis), 505a6. Per le integrazioni di A (recto e verso) è stata tenuta pre-

sente l'edizione di E.R. Dopps, Plato. Gorgias (1959). Non —

85—

PLATO

17

viene riprodotto il testo di B già utilizzato nelle edizioni critiche.

A recto

(>)

ἐάν τι αὐτοῖς ἡδὺ] μὲν ἢ καὶ κεχαρ[ισμένον, πονηρὸν δέ, ὅπως τοῦτο μὲν μ[ὴ ἐρεῖ, εἰ δέ τι τυγχάνει ἀη]δὲς καὶ ὠφέλιμ[ον,

502b4

τοῦτο δὲ καὶ λέξει κ]αὶ ᾷσεται, ἐάν τίε χαίρωσιν ἐάντε μή;] ποτέρως σοι δοκί[εῖ παρεσκευάσθαι n τῶν] τραγῳδιῶν ποίηϊσις;

Δῆλον δὴ τοῦτό γε, ὦ] Σώκρατες, ὅτι npó[c τὴν ἡδονὴν μᾶλλον ὥ]ρμηται καὶ τὸ χαρίί-

ζεσθαι τοῖς θεαταῖϊς.

502c

Οὐκοῦν τὸ τοιο[ῦ-

τον, ὦ Καλλίκλεις, ἔφ]αμεν νυνδὴ κολακεΐαν εἶναι; Il&v]v γε. Φέρε δή, εἴ τις περιέλοι τῆς πο]ιήσεως πάσης τό τε μέλος καὶ τὸν] ῥυθμὸν καὶ τὸ μέτρον, ἄλλο τι ἢ λόγοι γίγνονται τὸ λειπόμενον; ᾿Ανάγκη. Οὐκοῦν πρὸς

10

15

πολὺν ὄχλον κ]αὶ δῆμον οὗτοι λέγονται οἱ λόγοι; Φημί.] Δημηγορία ἄρα τίς ἐστιν f| ποιητικ]ή. Φαίνεται. Οὐκοῦν

5024

ῥητορικὴ δημηγ]ορία ein: ἢ οὐ ῥηίτορεύειν δοκοῦσί σοι οἱ ποιηταὶ] ἐν τ[οῖς

20

1

]uievn

ται:οὐκουν

4

cicetar

11

]oye:

15

Ἰγκη:οὐκουν

18.

:φαινε-

19 Hodpnl

12 περιέλοι F Aristides et schol. vet., περιέλοιτο B T W f. In pap. fort. supplendum (spatii ratione) περιέλοιτο

19

ῥητορικὴ Laur. 89, 78 (coni.

Heindorf, recepit Dodds), n ῥητορικὴ B T W F. In pap. supplere possis fj ῥητορικὴ (spatii ratione) ἢ codd.

Em pap., ἂν εἴη codd. recte

ἢ pap. (ut vid.),

A verso (1) £v ταῖς πόλεσιν [δήμους τοὺς τῶν ἐλευ—

86—

502e

PVINDOB

5

GRG.

θέρων ἀνδρῶν, [ti ποτε ἡμῖν αὕτη ἐστίν; πότερόν oot δοκ[οῦσιν πρὸς τὸ βέλτιστον ἀεὶ λέγειν oi ῥήϊτορες, τούτου στοχαζόμενοι, ὅπως [οἱ πολῖται ὡς βέλτιστοι ἔϊσονται διὰ τοὺς [αὑτῶν λόγους, iἢ καὶ οὗτοι πρὸς τὸ χαρ[ίζεσθαι τοῖς πολίταις ὡρμημένοι, καὶ [ἕνεκα τοῦ ἰδίου τοῦ αὑτῶν

10

39880+26001

ὀλιγωροῦίντες τοῦ κοινοῦ, do-

περ παισὶ προσομ[ιλοῦσι τοῖς δήμοις,

χαρίζεσθαι αὐτί[οῖς πειρώμενοι μόνον, εἰ dé γε βελτίίους iἔσονται ἢ χεί-

15

8

_povg διὰ ταῦτα, οὐϊδὲν φροντίζουσιν; Οὐχ ἁπλοῦν i ἔτι το[ῦτο ἐρωτᾷς: ἐ εἰσὶ μὲν 5038 γὰρ οἵ ᾿κηδόμενοι ἱτῶν πολιτῶν λέγουσιν ἃ λέγ[ο]υσιν, εἰσὶ δὲ καὶ οἵους σὺ λέγεις. [[Ἐ]ξαρκεῖ. εἰ γὰρ καὶ [τοῦτό ἐστι διπλοῦν, τὸ] μὲν [ἕτε]ρόν [που τούτου κολακεία ἂν εἴη καὶ αἰσ]χρ[ὰ δημηγορία, τὸ δ᾽ ἕτερον

ὠρμήμενοι-

16

lo scriba aveva ın un primo momento omesso εἰ

di eıcı e lo ha aggiunto poi s./. 14 ett pap. cum B T W Aristide, ἐστι PF B recto (>)

4 (504c3)

Pap. concorda con B T W F nella lezione £xeivo,

ma è richiesta qui la correzione di Heindorf ἐκείνῳ accolta anche da Dodds (ad loc.) che rinvia a Cra. 385d8. Più lontana dal testo tràdito la correzione di Burnet ἐκεῖ. 8 (504c7)

ἐμοι γὰρ pap. che conferma F e Bim contro ἔμοιγε

di T W, Bit f, ἔμοιγε γὰρ di B

12 (504d1) (ταῖς dé ye);

Ancora una conferma di F da parte di pap. B T W omettono γε.

B verso (1)

1 (504e7) Pap. inserisce fj prima di σιτία insieme con F e Giamblico; Dodds lascia B T W e accoglie nel testo la di-

47...

PLATO

17-18

sgiuntiva. In un primo tempo il copista aveva scritto cırıaπαλλα, ma successivamente è intervenuta la correzione.

2 (504e8) Pap. aveva scritto καὶ αλλ; la mano ripristina s.l. quella che è anche la lezione attestata ἢ ἄλλ᾽. 3-4 (504c8) Pap. si accorda di nuovo con F e (ma qui anche con B primitus) nella lezione αὐτὸν;

correttrice dai codici Giamblico αὐτὸ e in-

vece dato da T W f e, come correzione, da Β΄ (o b). Sull'ori-

inalità di αὐτὸν che dà luogo a una «natural sense-construc-

tion», cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 330. 5 (50522) Sopra γὰρ, il correttore di pap. ha aggiunto kat, ma resta solitario testimone. Può essere casuale qui |’ accordo

di pap. con Giamblico (λυσιτελεῖν contro λυσιτελεῖ dei codici), dovuto forse a οἶμαι che immediatamente precede. 6 (50523) In luogo del primo ζῆν, lo scriba ha scritto ine-

quivocabilmente ectiv, ma il correttore è intervenuto s./. ripristinando la lezione comune a tutto il resto della tradizione. L’unico modo per spiegare ectiv è di collegarlo con la variante λυσιτελεῖν («non è possibile giovarsi»); ma è chiaro

che si

tratta solo di un tentativo di rabberciare il testo. 7 (50533)

καὶ Env pap. con W P F b Iamb., kai ζῆν xoi B

T che restano isolati. 8 (50536)

xat pap. cum F Iamb. (recte), om.

BT W. AC

18

Grg. 522c8-el PFouad 2

Sec. IP in.

Prov.: ıncerta.

Cons. El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Mu. seum), inv. n° 11 (J. 72041). Edd.: W.G. WADDEL,

PFouad

1 (1939), 2-3.

Comm.: MP? 1417 (= P^ 1417)

M. HOMBERT, AC 10 (1941), 193; —

88—

PVINDOB

39880+26001

- PFOUAD

2

GRG.

H.I. BELL, CR 55 (1941), 34-35; P. COLLART, REG 56 (1943), 129; Dopps, Plato. Gorgias [1959], 57-58; CARLINI, Studi [1972], 71-72, n. 105.

i

Frammento di volumen (cm 2,5X7,5), contenente la parte alta di una colonna di scrittura (margine conservato di cm 1),

con 12 righi, mutili a sinistra e a destra. La scrittura è una maiuscola molto

serrata, arrotondata ma con alcune lettere

slanciate che si proiettano oltre il rigo superiore; come nei manufatti caratterizzati dal cosiddetto stile di scrittura ‘epsilontheta”, anche in PFouad 2 si nota l’isolamento e a volte la riduzione a un punto del tratto mediano die e 8. Altri confronti probanti, p. es., con Turner, GMAW’, n' 41 e 57 suggeriscono una retrodatazione rispetto all’ed.pr. (sec. II?) e una assegnazione di PFouad 2 all’inizio del sec. IP. Sul verso c’è una registrazione di conti. Il frammento, che contiene Grg. 522c8 βεβοηθηκὼς — el αὐτό, si sovrappone parzialmente al testo di PSI 119 (> 80 15, fr. E col. II).

Nonostante l'esiguità della porzione di testo conservata, PFouad 2 è un testimone non trascurabile: si accorda una volta in lezione corretta (r. 8, 522d6) e una volta anche in lezione

inferiore (r. 11, 522d8) con F, confermando la preformazione del filone tradizionale rappresentato dal manoscritto viennese. Nei due casi peraltro, PFouad 2 era stato preceduto dalla testimonianza di PSI 119. Il testo di pap. è stato tenuto presente nell’edizione critica di E.R. Dopps, Plato. Gorgias (1959) (sigla IT).

1-2 (522c8-d1)

Contrapponendosi da solo ai codici me-

dievali, pap. legge une] | ἱπερι θεους] μητε ἀνθρω[πους. Dodds

segue giustamente, come 1 precedenti editori, B T W F: μήτε περὶ ἀνθρώπους μήτε περὶ θεούς. 3 (522d2-3) Pap. omettendo (probabilmente per ragioni meccaniche) l'intera sequenza αὕτη γὰρ — κρατίστη non ci soc-

corre nella ricostruzione di un passo molto tormentato. Cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 372. 4 (522d3) Pap. legge tic pe, dando solo parziale conferma a F (pe τις); Dodds segue, come Theiler, B T W: ἐμέ tic.

PLATO

7 (522d5)

18-19

ελεγχομίενος è la lezione di pap.; ἐξελεγχόμενος

codd. (recte). 8 (522d6) εἰ διὰ pap. (recte) con FbtwIl’ (= PSI 119), ἰδίᾳ BTW.

10 (522d7)

Pap. non conforta la proposta di espunzione

di ῥητορικῆς fatta da Naber. Cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 372. 11 (52248) idotc av p[e padroc è il quasi sicuro testo di

pap. che così si allinea con F e PSI 119 (> 80 15). Nonostante la convergenza di queste fonti, si deve giudicare più corretta la diversa collocazione delle parole in; B T W ῥαδίως ἴδοις ἄν ue. Cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 372. AC

19

[Halcyon) 8 (184 Hemsterhusius) POxy 3683 (> 64 1)

Sec. ΠΡ ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: W.E.H. Cockrz, POxy LII (1984), 113-116. Comm.: MP’ 1283.1

M.D. MACLEOD, Praefatio in Luciani Opera,

IV, Libelli 69-86, OCT

1987, pp. IX-XII; W. Luppe,

CR

36

(1986), 124-125; A. CARLINI, CPF I.1**, 463-466; JOHNSON, Papy-

rus Roll [1992], 69; 97-98; 151; 1. BARNES, (rec. JEA

a CPF 1.1**),

82 (1996), 233 e n. 1.

Frammento

di volumen (cm 3,1x6,5) che reca sul verso la

battuta finale e il colofone del dialogo Alcione (sul recto resti di conti agricoli su due colonne). La scrittura è stata attribuita, ma con cautela, allo ‘scriba 24’ (cfr. Johnson, Papyrus Roll,

97-98; 151).

Il papiro è stato già presentato in CPF L1** 64, pp. 463-

466, perché, essendo fuori discussione la non originalità pla— 90 —

PFOUAD

2

GRG.

- POXY

3683

HALC.

tonica, è stata accolta l’attribuzione del dialogo a Leo Academicus che troviamo concordemente attestata da Ateneo (506c)

che cita come fonte Nicia di Nicea e da Diogene Laerzio (II

62) che cita come fonte Favorino (cfr. Miiller, Kurzdialoge,

303-304); ma la sua testimonianza è rilevante in ogni caso anche per la storia della tradizione platonica e della tradizione lucianea, perché il colofone, quasi interamente conservato (MAorwv[og] | 'AXxvóv), mostra che il dialogo alla fine del sec.

II? circolava con il nome di Platone, ed era aggregato, tra i νόθοι, al corpus platonico; anche se non si può provare una diretta ‘dipendenza’ delle fonti manoscritte lucianee a noi note da quelle platoniche, tutto lascia pensare che solo in età tardoantica l’Alcione sia entrato nel corpus lucianeo, vivendo poi in questo una sua vita tradizionale ‘parallela’. Il testo di POxy 3683, che viene riproposto per la diversa ricostruzione che Johnson (Papyrus Roll, 69) ha suggerito in modo convincente rispetto all’ed.pr., è stato collazionato sull'edizione lucianea di M.D. MAcLEoD (OCT, IV, 1987, n° 72).

φαλη]ρικίο 10. [Πάνυ μὲν οὖν: ποιῶμεν οὕ-τῶς. vacat

5

᾿ Πλάτωνίος v v ᾿Αλκυών Λ

N

1

La lettera iniziale, con un tratto discendente che esce dal rigo di ase, è conciliabile con p, non con x 1 φαλη!ρικ[ο]ῦ legit et suppl. Johnson, ravv [uev ed.pr.

2-3 οὕ]τως

Pap. codd. dett. Luciani, οὕτω codd. Platonis, ΓΝ Luciani.

AC

—91—

PLATO 20

20

Hippias Maior 291d11-e9 POxy 3670

Sec. I/II

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: A. CARLINI, POxy LII (1984), 93-94.

Comm.: MP! 1417.2

JoHNSsON, Papyrus Roll [1992], 281.

Due frammenti dı un volumen (verso non scritto), appartenenti a due colonne successive. Il fr. A (cm 5,2x8,5) con-

serva la parte inferiore di una colonna di scrittura (sei righi), mutila a sinistra. Il margine inferiore, molto danneggiato, è di

cm 5. Lo scriba si è preoccupato dell'allineamento verticale a destra ponendo, alla fine dei righi più brevi, segni riempitivi di ridotte dimensioni (rr. 2, 4). L’intercolunnio di destra conservato misura cm 1,1. Gli spazi interlineari sono abbastanza ampi (cm 0,3), ma l’ultimo rigo appare addossato al precedente (cm 0,1), forse per un 'esigenza di allineamento orizzontale in

basso delle varie colonne. Il fr. B (cm 3,7x6) è mutilo da ogni lato e in qualche punto molto danneggiato: possono essere ri-

costruiti 11 righi; il calcolo dello spazio permette di dire che

sono andati perduti cinque righi di scrittura nella parte alta della colonna (media di 16 lettere per rigo). La scrittura è una libraria di modulo ridotto, con una leggera inclinazione a destra, tendenzialmente bilineare (p e v sotto il rigo, 9 sopra e sotto; mancano esempi di vy). Il confronto, p. es., con POxy 843 (> 80 76) e con POxy 2256 (per

una descrizione di questo stile scrittorio, Turner, GMAW', n 25, p. 56) induce a datare il manufatto alla fine del sec. II o all’inizio del sec. IMP. Lo iota è ascritto (A, r. 1; B, r. 6). Segni di lettura: punti --. 92...

POXY

3670

HP.MA.

diacritici su hypsilon iniziale (A, τ. 5), apostrofo per l'elisione (B, τ. 3). Forma non contratta (ξαυτοῦ) A, r. 2.

Questo è in assoluto il primo papiro dell’/ppia Maggiore venuto alla luce. Due

sono, nel fr. B, le varianti (la seconda

ricostruita faticosamente) rispetto alla tradizione manoscritta medievale (T F WP, manca B): r. 8 γ᾽ è aggiunto dopo 0]cov; τ. 11 ἀλλὰ 6] νῦν νῷν in luogo di ἀλλ᾽ ἡμῶν δὴ νῦν. Se nel

primo caso il testo dei manoscritti medievali sembra difficilmente attaccabile (precisi paralleli s1 trovano, p. es., in La. 17938, Plt. 27426), nel secondo caso la forma duale (con il diverso ordo verborum che dà rilievo a vov) merita conside-

razione. Non c'é ragione di pensare che la forma duale sia frutto di una revisione atticistica di Platone (vàv anche in Tht. 144e1).

Il testo è stato integrato sulla base dell'edizione di B. VANCAMP (1996), che peró non considera la testimonianza di POxy 3670.

Fr. À (col. I)

5

] ἀφικομένῳ εἰς γ]ῆρας, τοὺς ἑαυτοῦ yov ]£ac τελευτήσαν τας] καλῶς περιστείλαντΊι, ὑπὸ τῶν αὑτοῦ ἐκγόν]ων καλῶς καὶ

291d11

291e

Fr. B (col. II) desunt

5 versus

"Hpa]v ἄγαμί[αί oov ὅτι μ]οι δοκεῖς εὐνοϊ[κῶς, καθ᾽ ó]cov y ᾿οἷός τ᾽ εἶ, βίοη-

θεῖν] ἀλλ[ὰ] γὰρ τοῦ [ἀν10

δρὸς o]ò ruyxavoulev, ἀλλὰ δ]ὴ νῦν νῷν κ[αὶ

πλείστον καταγελ[άσε-

291e4

PLATO 20-21

ται. .].... Πονηρόν [v', ὦ Σώκ]ρατες, γέλωτα: [ὅταν

15

γ]ὰρ πρὸς ταῦτα [ἔχῃ μὲν unó£]v ὅτι | —

A 1 αφικομένωξς

mn

5

mem

ὕπο

A 2 £avtov pap. αὑτοῦ codd.

6 καὶ καλῶς F (sed καὶ punctis no-

tatum)

B8y B8

11 vow

13

γ᾽ pap., om. codd.

ἡμῶν νῦν δὴ WP

13

tracce di quattro lettere non riconoscibili 11

Sin vov vo

pap.,

ἡμῶν δὴ vov T F,

quid habuerit pap. incertum, ed ἴσθι codd. AC

21 Laches 179b3-c2

POxy 3671

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: A. CARLINI, POxy LII (1984), 94-95. Comm.: MP? 1407.4

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 67.

Parte superiore di una colonna di rotolo con il verso bianco

(cm 7,7x8,1); il lembo del margine superiore rimasto misura cm 1. I righi conservati hanno da 17 a 21 lettere; se si possono dare 52-53 righi a ogni colonna (come sembrerebbe possibile data la forte riduzione dell’interlineo), l’intercolunnio a sinistra (conservato solo in corrispondenza dei rr. 8-16) probabilmente separava la colonna superstite dalla prima colonna, contenente proprio l’inizio del Lachete. Naturalmente non si

può dire se l’inizio del Lachete coincidesse con l’inizio del ro— 94 —

POXY

3670

HP.MA.

- POXY

3671

LA.

tolo. Nella tipologia del rotolo dei primi secoli dell'impero analizzata da Irigoin [Rapport, 1971-1972, 202 (= Tradition, 71-72)] POxy 3671 va collocato nel II gruppo. La scrittura, veloce, con tratti corsiveggianti, tendenzialmente bilineare (p normalmente

esce sotto il rigo di base), è

inclinata a destra; presenta un contrasto tra lettere larghe (a n X pv) e lettere strette (e 0 o o); può essere assegnata alla fine del sec. ΠΡ, Se si eccettua una aplografia (τ. 14 παρ- per παρρ-), la trascrizione del testo à corretta. Pause di senso sono indicate da punti in alto (rr. 9, 11, 15; gli ultimi due aggiunti in un secondo tempo) e forse da un punto in basso (r. 12) e da un punto mediano

(r. 5). Altri segni di lettura sono uno spirito

aspro (τ. 6), forse di altra mano, 1 punti diacritici su Pypsilon iniziale. Jota ascritto a r. 9, ma non ai rr. 5 e 8. Non ci sono

varianti rispetto alla tradizione medievale che in questo punto del Lachete è unanime. L'edizione di riferimento per l'integrazione del testo é quella di J. BURNET (OCT, III). dronvnoovlitels] ὅτι οὐ χρὴ αὐτοῦ duleAeiv, καὶ παρακαλοῦντες ὑμᾶς ἐπὶ τὸ ἐπιμέλ[ειάν τινα ποιήσασθαι τ[ῶν 5 ὑέων κοινῇ μεθ’ ἡμ[ῶν. ὅθεν δὲ ἡμῖν ταῦτ᾽ [ἔδοξεν, ὦ Νικία τε καὶ A&y[nc, χρὴ ἀκοῦσαι, κἂν 5 o[AtYO μακρότερα. συσσ[ιτοῦ-

10

179b3-4

μεν γὰρ δὴ ἐγώ τε κα[ὶ] M[eλ]ησίας ὅδε, καὶ nulilv [τὰ

μειράκια παρασιτεῖ. ὅπερ

15 > ὕεων

179c

oJóv καὶ &[p]xóuevoc εἶπον τοῦ λόγου, παρρησιασόμε-

θα xp]óc ὑμᾶς. ἡμῶν yàp

ἑκάτερος π]ερὶ τοῦ ἑαυ[τοῦ

prima di koıvn probabile traccia di mese stigme

— 95—

6 NUW

PLATO

9 γωιμακροτερα:

tra lettera

21-22

il primo o di cocc[ sembra frutto di correzione da al-

11 ode

12 prima di onep una traccia di inchiostro: punto

in basso aggiunto in un secondo tempo

14 nrapecincone

15

ὕμας:

(punti diacritici di seconda mano)

5 post ἡμῶν lacunam statuit Král. AC

22 La. 18128-18224

PLitLond 144

sec. II/III

Prov.: incerta.

Cons.: London, British Library, inv. 187. Edd.: inedito. Comm.: MP’ 1408 (= P^ 1408) ALLINE, Histoire {1915], 143-146; 144; MILNE [1927], 122; A. CROISET, BL, II [1921], 89; LEISE-

‚GANG [1950], 2362-2363; E. PUGLIA, I! catalogo di un fondo librario di Ossirinco del III d.C. (PSILaur. inv. 19662), ZPE 113

(1996), 51-65: 58.

PLitLond 144, vergato sul verso di un volumen che ospita

anche sul recto un testo letterario, pur essendo uno dei primi papiri platonici venuti alla luce e segnalati agli studiosi, & ri-

masto finora inedito. Acquistato nel 1891 e subito identificato, compare nel 1897 nella lista di papiri letterari di C. Haeberlin [Griechische Papyri, ZBB

14 (1897), 274, n° 72], è men-

zionato più volte da Kenyon cui si deve l’edizione principe del testo storico recuperabile dal recto [RPh 21 (1897), 1-4],

figura tra i papiri platonici elencati da Immisch, De praesidiis

(12, n. 1), da Oldfather (n? 997) e infine da Pack che si fonda sulla breve scheda descrittiva di Milne, 122.

Tra gli editori platonici, mentre Burner (OCT, II) e Vicaire (1963) trascurano del tutto PLitLond 144, Croiset (BL,

II, 89) lo menziona soltanto, ammettendo di non averlo po—

96—

POXY

3671 - PLITLOND

144

LA.

tuto utilizzare per la constitutio textus perché gravemente mutilato e poco leggibile. Il testo letterario di contenuto storico trasmesso dal recto (PLitLond 114), una Λακεδαιμονίων πολιτεία secondo la proposta di Kenyon o piuttosto una Κρητῶν πολιτεία da ascrivere a Eforo secondo la valutazione critica di Crónert (af. Milne, che lo segue), & stato vergato in una maiuscola libraria di grande formato, rotonda, che puó essere con buona proba-

bilità datata al sec. II? (alcune particolarità del tracciato, come l’e occhiellato e il tratto mediano dell’n molto alto fanno pen-

sare piuttosto all'inizio del secolo: cfr. Cavallo, Onciale romana, 213-214). Alla fine del sec. II o agli inizi del III andrà assegnata la scrittura contro le fibre del Lachete che è una maiuscola di medio formato, tracciata da mano esercitata, ma

poco elegante ed uniforme, con tendenza all'uso di legature. Il primo dei due frammenti di cui consta PLitLond 144 (A: cm 11,1x6) contiene le lettere finali di 17 righi di una colonna di scrittura e le iniziali di 7 righi della colonna successiva; l’intercolunnio è di circa cm 1,5. Il fr. B (cm 11,7x11,2), di cui è conservato il margine inferiore (cm 1,5), contiene 17 righi mu-

tili a sinistra e in parte a destra che trovano collocazione nella stessa colonna di cui sono superstiti le lettere iniziali di A II. Nella parte destra di B compaiono solo tracce delle lettere iniziali di una terza colonna, divisa in questo caso da un intercolunnio di oltre cm 2. La pur grave mutilazione del testo non impedisce di calcolare l’ampiezza dei righi che dovevano contenere una media di 28 lettere; l’accertata collocazione reciproca dei due frammenti consente di calcolare in 28 il numero dei righi di ogni colonna. L’anomalia rispetto ai due grandi gruppi in cui si dividono1 rotoli platonici dei primi tre secoli dell'impero, secondo la classificazione di Irigoin (Rapport, 1971-1972, 202 = Tradition, 71-72), si può spiegare con Il ca-

rattere ‘privato’ della trascrizione del Lachete sul verso. Nel testo platonico il cambio di interlocutore era indicato, come di norma, dal doppio punto che si vede ancora al r. 13 di col. I; ma dalla maggiore brevità proprio di questo rigo rispetto agli altri (22 lettere) si può ricavare che lo scriba anasse di proposito a capo per la battuta successiva. Questo modo di procedere (per l’esiguità della porzione di testo rimasta, non è possibile una verifica sicura in altri casi: improbabile nuova battuta a inizio di rigo a col. II 5; se lo scriba

PLATO 22

andava a capo anche a col. II 15 dopo ὑμῶν, la battuta successiva doveva iniziare con οὐδὲν κωλύει perché non c’è spazio per

ἀλλ᾽) non è senza esempi proprio nella pratica di scribi impegnati nella trascrizione di dialoghi platonici (+ 80 37 e 58). Per quanto riguarda l’informazione testuale, PLitLond 144 dà un sostegno alla tradizione manoscritta a 182a3 dove per οὗτοι γυμνάζονται sono state proposte varie correzioni (ὀρθῶς γυμνάζονται Christ, οὗτοι ἀγωνίζονται Wotke) e 1813 dove ἡμῶν (extra versum in T, espunto da Schanz e Croiset) è rı-

costruibile con sicurezza per ragioni di spazio. Nei casi di tradizione divisa, PLitLond 144 a 181b8 isola T (nyov ue con B W; facile caduta di T in nyoduaı), a 181d7 presenta πότερος

con B T (πρότερος W) ea 181e4 si schiera con B W (ἔχει) contro T (ἔχειν). L'edizione di riferimento é quella di J. BURNET (OCT, III). Sono state ricontrollate le lezioni di BTW. Col. I (Fr. A) desunt 6 fere versus

πα]τέρα, ἀλλὰ καὶ τὴν πατρίδα ὀρθοῦν]τα.

18128

1810

ἐν γὰρ τῇ ἀπὸ Ankiov φυγῇ] μετ᾽ ἐμοῦ

10

συνανεχώρει, κἀγώ σοι λ]έγω € ὅτι εἰ οἱ ἄλλοι ἤθελον τοιοῦτοι εἶϊναι, Ópθὴ üv c ἡμῶν ἡ πόλις ἦν Kali οὐκ ἂν

ἔπεσε τότε τοιοῦτο]ν πτῶμα. Ὦ Σώκρατες, οὗτος ᾿'μέν]τοι ὁ ἔπαινός

15

20

ἐστιν καλός, ὃν σὺ νῦν ἐϊπαινῇ Èὑπ᾽ ἀνδρῶν ἀξίων πιστεύεσ]θαι καὶ εἰς ταῦτα εἰς ἃ οὗτοι ἐπαινοῦσι]ν, εὖ οὖν [1]σθι ὅτι ἐγὼ ταῦτα ἀκούων] χαίρω [óc εὐδοκιμεῖς, καὶ σὺ δ]ὲ 1Nyod με ἐν τοῖς εὐνούστατόν σοι εἶνα]ι. χρῆν μὲν οὖν καὶ πρότερόν γε φοιτ]ᾶν αὐτ[ὸν παρ᾽ ἡμᾶς καὶ οἰκείους] ἡγεΐσθα[ι, ὥσπερ τὸ δίκαιον νῦν] δ᾽ οὖν ἀπ[ὸ desunt 5 fere versus

— 98—

1810.

PLITLOND 144 LA.

Col. II (Fr. A + fr. B) desunt

5 fere versus

τού]τωΐν πέρι, ὦ Λυσίμαχε, ἔγωγε πειράσομαι

συμβουλεύειν ἄν è τι δύνωμαι, καὶ αὖ ἃ προκ[.αλῇ πάντα ποιεῖν. δικαιότατον μέντοι uloı δοκεῖ εἶναι ἐμὲ νεώτερον ὄντα τ[ὥνδε καὶ ἀπειρότερον τούτων ἀκούειν πρ[ότερον τί λέγουσιν καὶ μανθάνειν παρ᾽ αὑτῶν : ἐὰ]ν δ᾽ ἔχω τι ἄλλο παρὰ τὰ ὑπὸ

10

1814

τούτων] λεγόμενα, τότ᾽ ἤ[δη διδάσκειν

καὶ . πείθ]ειν καὶ σὲ καὶ το[ύτους. ἄλX ὦ Νικία, τί οὐ λ]έγει πότερος ὑμῶν;

15

᾿Αλλ᾽

οὐδὲν κωλήϑει, ὦ Σώκρατες, δοκεῖ γὰρ καὶ ἐμοὶ τοῦ]το τὸ μάθημα τοῖς [ν]έοις

1816

ὠφέλιμον εἶναι ἐπίστασθαι πολλαχῇ. καὶ γὰρ τὸΪuμὴ ἄλλοθι διατρίβειν, ἐν οἷς 20

δὴ φιλο]ῦσιν οἱ νέ[οι] τὰς διαϊτρι]βὰς ποιεἶσθαι, ὅϊταν σχολὴν ἄ[γ]ωσιν, ἄλλ᾽ ἐν Ἰτ]ούτῳ, εὖ ἔχ]ει, ὅθεν καὶ τὸ σῶμα βέλίτιον ἴσχειν ἀνάγκη-- [οὐδ]ενὸς γὰρ [τ]ῶν γυμνασίων φαυ]λότερίον] οὐδ᾽ ἐλάττω nó[vov

25

ἔχει -- κ]αὶ ὁἅμα προσήκει ula ]aov ἐλευθέρῳ τοῦτό τε] τὸ [y]vυμνάσιον καὶ ul ἱππική᾽ οὗ γὰρ ἀγῶνος ἀ]θλη[τ]αί ἐσμεν καὶ ἐν οἷς

182a

ἡμῖν ὁ ἀγὼν πρόϊκειται, μόϊνο]ι. οὗτοι γυμνάζονται I8 I 19

II 19 II 15

13

khoa»

dopo πτῶμα: spazio bianco

nyov με pap. cum BW,

ἡγοῦμαι T

διατρειβιν rotepoc pap. cum B T, πρότερος W

Éxew T ζονται coni.

28

22

eyleı pap. an

BW,

ὀρθῶς γυμνάοὔτοι γυμῃναζονται pap. (ut vid.) cum codd.,

A.T.

Christ, οὗτοι ἀγωνίζονται

coni. Worke.

AC

PLATO 23

23 La. 189d2-e2; 19021-19238

PPetrie II 50

Sec. III° in.

Prov.: Ársinoites.

Cons.: Fr. A: Dublin, Trinity College, Pap. F8A; frr.

Be C: Oxford

Bodleian Library, Ms. Gr. class.d. 22(P)-23(P).

Edd.: P. MAHAFFY, PPetrie II (1893), 165-175 (190b-192a). L’ed.pr. del fr. contenente 189de & stata fatta successivamente da J.G.

SMYLY, A new Fragment of the Laches of Plato, Hermathena 10 (1899), 407-408. Nuova edizione complessiva dei frammenti: PONTANI, Lachete, 117-126. Tavv.: PPetrie II, XVII-XVIIIL | Pal: THOMPSON, GLP, 111-112; BLANCHARD, Cartonnages, 28, 33-36; PONTANI, Lachete, 102105.

Comm.: MP’ 1409 (= P^ 1409)

TH. GOMPERZ, Bericht über ei-

nen zu Tell-Gurob in Ägypten aufgefundenen und von ]. P. Mahaffy in Dublin entzifferten Plato-Papyrus, AAWW 29 (1892), 100-106; O. IMMIscH, BPhW 13 (1893), 187-191; A.TH. CHRIST,

Beiträge zur Kritik des Platonischen Laches, Programm des k. k. deutschen Obergymnasiums der Kleinseite in Prag, Prag 1895, 3-11; C. HAEBERLIN, ZBB 14 (1897), 274-275; BLASS, Geschichte

[1898], 198-203; HARTMAN, De emblematis

[1898],

11-22; R.

KÖLLNER, Bemerkungen zu den Papyrusfragmenten des platonischen Laches, Philologus 58 (1899), 312-314; W. CRÖNERT, APF 1 (1901), 521; J. BURNET, The Criticism of the Platonic Text in

the Light of the Petrie and Oxyrhynchus Papyri, ap. L.R. FARNELL, Reports, CR 16 (1902), 329-330; IMMISCH, De praesidiis [1903], 12-13; KENYON, Evidence [1904], 158-159; ED. TURNER, Quaestiones criticae in Platonis Lachetem, DPhH 16.2 (1904), 89-142; K. PRAECHTER, Griechische Philosophie, ]JAW 124 (1905), 97; E. BICKEL, BPhW 1907, 929-936; RITTER, Bericht [1912], 34; 20-26; 42; ALLINE, Histoire [1915], 65-78; SCHUBART, Einführung [1918), 92-93; 483; GRENFELL, Value [1919], 27-28; WILA-

MOWITZ, Platon, Il [1920], 366-369; COPPOLA, Appunti [1924], 213-220; CoLLOMP,

Éclectisme [1929], 256-257; - 100 ---

PREISENDANZ,

3

PPETRIE II50

LA.

Papyrusfunde [1933], 128-129; PASQUALI, Storia [1934], 262-263; JACHMANN, Der Platontext [1941], 278-292; BICKEL, Schriftenkorpus [1943], 94-96; BICKEL, Geschichte [1943], 97-159; LEISEGANG [1950], 2362-2363; ANDRIEU, Dialogue [1954], 294; S1jPESTEUIJN, Platon-Papyri [1964], 31, n. 3; Hooc, Wert [1965], passim; TURNER,

GP [1968], 107- 108 (= PG, 126-127); CARLINI,

Studi [1972], 11-17: 13, n. 39; STARK, Aristotelesstudien [1972], 151-153; IRIGOIN, Rapport, 1973-1974, 295-298 (= Tradition, 83-

85); DÖRRIE, Bruch [1976], 23; SOLMSEN, Editions [1981], 102111; BARNES,

The Hellenistic Platos [1991], 128; D.J. MURPHY,

Parisinus Gr. 1813 and its Apographa in Plato’s «Laches», Mnemosyne

47 (1994), 1-11: 7; PONTANI, Lachete [1995], 99-111.

Due frammenti maggiori di volumen da 'cartonnage' (B e C) portati in luce da Flinders Petrie, nel corso degli scavi iniziati nel 1889, in una delle tombe del cimitero tolemaico a nord di Tell Gurob; sollecitamente pubblicati da Mahaffy, sono

poi entrati nella Bodleian Library grazie alla munificenza di Jesse Haworth nel 1895. Un frammento aggiuntivo della stessa provenienza (A), non segnalato da Mahafty, & stato pubblicato

da Smyly nel 1899. Il deposito biancastro sulla superficie che rende talvolta difficile la lettura & un residuo del trattamento

subito dallo spezzone di rotolo destinato ad avvolgere la mummia. Il fr. A (cm 10x11,3) presenta resti di due colonne: poco più della metà di destra di 17 righi nella prima (189d2 ἀκο]ύσας - 189e2

σ]χεδὸ[ν),

solo le prime lettere di 15 righi nella se-

conda (190a1-4 napayevo]juevin - cop fovAo). Dal fr. B si recuperano due colonne, mutila in alto la prima, in alto e a destra la seconda (190b7 o]àv — 19126 πολεμίοις); dal fr. C si

recuperano tre colonne, mutila a sinistra e in basso la prima, quasi integra la seconda, mutila a destra la terza (191a5 ἀλ]λὰ - 19228 Eport[o). Si ristabilisce così una sequenza di sette co-

lonne, pur in diverso stato di conservazione, in immediata successione. Il margine inferiore, conservato nelle due colonne del fr. B, è di cm 2,5; le due ultime colonne (appartenenti al fr. C), di cui si conserva il margine superiore (cm 2) e un lembo

dell’inferiore, hanno 32 righi, sia pure non regolarmente allıneati. Varia il numero delle lettere per rigo nelle varie colonne, da un minimo di 15 a un massimo di 21. La lunghezza del rotolo doveva essere di 4,9 metri (61 colonne di scrittura). La scrittura è una capitale di tipo epigrafico (E quadrato, —

101 —

PLATO

23

© vergato come un cerchio con un punto centrale, Z nella forma I, Q non ancora evoluto nella forma w, M in quattro movimenti) e può essere ascritta al "Group A’ nella classificazione delle librarie di età tolemaica di Turner, Ptolemaic Bookhands, 25-27; se non addirittura agli ultimi anni del sec. IV’, la mano appartiene certo ai primi anni del sec. III, anteriore a quella che ha copiato il Fedone trovato da Flinders Petrie nel corso degli stessi scavi (+ 80 40). L'esemplare è stato vergato 1n ogni caso da uno scriba professionale [Irigoin, Rapport, 1973-1974, 296-297 (= Tradition, 84)] ed è ragionevole

pensare che il dialogo sia stato trascritto per intero; non appare convincente l’ipotesi, fatta da Alline, Histoire (67), che si

trattasse di una copia privata fatta da un soldato che aveva tra-

scelto il brano del Lachete sul coraggio in guerra per tenerlo sempre con sé. La lunghezza del rotolo con l’intero Lachete (calcolata sulla base di cm 6,5 per ogni colonna

e di cm

1,5

per l’intercolunnio) doveva essere di circa 4,9 metri: cfr. Pontani, Lachete, 105 (Blanchard, Cartonnages,

39, aveva calco-

lato m 4,2 sulla base di 60 colonne di scrittura, ognuna leg-

germente ridotta in larghezza).

Lo scriba, per avere una guida nel lavoro di trascrizione, ha segnato l’inizio dei righi a sinistra con piccoli tratti di ca-

lamo che solo in alcuni casi sono ancora visibili, essendo stati in altri casi assorbiti dalla lettera che apre il rigo. In questa pratica lo scriba di pap. non è certo isolato: per altri esempi di una serie verticale di punti con la stessa funzione di divisione dello spazio tra i righi di una colonna si può vedere ora Turner, GMAW’, 4 e n. 7. Molto precisa è anche la divisione delle battute dialogiche per ottenere la quale lo scriba ricorre

alla paragraphos combinata, all’interno del rigo, con un tratto orizzontale che separa l’ultima parola di una battuta e la prima della battuta successiva. Un segno di questo tipo sarà nei secoli successivi Impiegato per distinguere le sezioni esegetiche negli ὑπομνήματα; nel dialogo filosofico come in quello drammatico il cambiamento di interlocutore sarà segnato costantemente dal doppio punto (per una apparente eccezione, cfr. Turner, GMAW’,

n° 30).

Non mancano nella trascrizione errori ortografici: εἰδὲν per eıder (VI 16), αλλαι per αλλα (VI 18), tpexe per tpexew (VII

20); ma le forme toc per τους (IV 17; VI 12), ovv per ov (VII —

102—

PPETRIE II50

LA.

10, 12), ınnec per τππεις (VI 3; cfr. Mayser, L1, 30 e n. 1) mo-

strano che il copista seguiva un esemplare in antica scrittura attica (Wilamowitz, Platon, II, 336-338; Pasquali, Storia, 263; Hoog, Wert, 123, n. 2). Frequenti sono i casi di assimilazione: p. es. III 19; IV 27; V 22; V 25; VII 6; VII 14. ξυμβουλοι (III 8) si alterna con cvunaveı (VI 14): cfr. Mayser - Schmoll, I.1

[19707], 184.

Il valore della testimonianza di PPetrie del Lachete, così come di quello del Fedone (+ 80 40), per la costituzione del testo platonico e anche per la ricostruzione della fase più antica della storia del testo platonico è ormai fuori discussione: i numerosi errori materiali dello scriba e le non poche varianti

inferiori [che hanno provocato severe formule di condanna e hanno fatto considerare da Turner, GP, 108 (= PG, 127), i due

papiri tolemaici «wild indeed»] non hanno il potere di oscurare una linea di tradizione testuale nettamente distinta da quella rappresentata dai manoscritti medievali (le varianti ri-

guardano spesso l’assetto del testo) e non di rado superiore. Gli editori si sono mostrati finora troppo timidi di fronte alle novità dei due papiri arsinoitici che in più di un caso possono condurre a Platone anche al di là dell’edizione accademicoalessandrina continuata dalla tradizione manoscritta medievale. I casi in cui il papiro del Lachete conserva con buona pro-

babilità il testo originale contro i codici, o in cui presenta lezioni che sono equipollenti, non giustificando quindi opzioni editoriali solo per inerzia favorevoli ai codici, sono stati am-

piamente illustrati nel pluridecennale dibattito critico. Il bilancio generale delineato da Turner, GP, 107-108 (= PG, 126-

127), pesante per il papiro, è senza dubbio da rivedere. Il papiro del Lachete è stato utilizzato come testimone per la constitutio textus da J. BURNET (sigla Ars.), da A. CROISET

(BL, II, 1921, sigla FI. P. Pap.), daP. VICAIRE (Paris 1963, sıgla Fl. P. Pap. ) e da Hoog, Wert, che presenta l'edizione del testo limitatamente alla sezione 189d2- 192a7 (162-168) (sigla

Ars.). L'edizione di riferimento per noi resta quella di Burnet; si sono registrate in alcuni casi anche le lezioni di Q (Par. Gr. 1813) che da Murphy (1994, 1-11), è stato difeso come fonte primaria.

I 3 (fr. A), (189d3) Pap. omette kai contro B T, accordandosi invece con Laur. 59,1, Par. Gr. 3012 e Par. Gr. 1040, —

103—

PLATO

23

ma & facile spiegare l'accordo per poligenesi. Contro Ed. Turner (1904, 113) e Hoog (Wert, 124), καὶ può essere mantenuto come originale: cfr. Denniston, 294. 4-6 (189d4) A fronte del testo di B T πειστέον ὦ Νικία te καὶ Λάχης, Λυσιμάχῳ καὶ MeAnoia, pap. ha reıcteovll... .]oUvocuree] es lt. Smyly integrava μέντ]οι, ma questa inte-

grazione non sembra giustificata perché non c’è opposizione, mentre all’inizio di una lunga battuta si richiede un apostrofe; da questo la proposta, già di Crónert (1901, 521), di ὦ φίλ]οι, ripresa da Jachmann (Der Platontext, 290, n. 2) che peró per

ragioni di spazio fa anche una proposta alternativa: ὠγαθ]οί. La variante, ricostruibile, di pap. sembra equivalente a quella

di B T: come rileva Hoog (Wert, 37-38), cı sono nel Lachete sia casi di apostrofe diretta, con 1 nomi, a Nicia e Lachete (178a1- 2; 180d4;

18623; 187c2-3), sia generici indirizzi

(es.

18768 ὦ ἄνδρες). Nella lacuna di τ. 6 non puó essere integrato καὶ MeAnoia dei codici per ragioni di spazio; il supplemento congetturale di Smyly (408) tovrolı ripristina una lezione in ogni caso inferiore a quella di B T (cfr. Pasquali, Storia, 263). La difesa della lezione del papiro da parte di Smyly (408) e Hoog (Wert, 65) parte dalla considerazione che solo Lisimaco

(e non anche Melesia) fa la sua proposta per il proseguimento della discussione, ma è una difesa debole.

8 (189d6)

Pap. presenta n in luogo dell’articolo oi di BT

che è richiesto qui di Jachmann (Der 13 (189d7) La net (non invece da

(Hoog, Wert, 34-35), nonostante le riserve Platontext, 291). lezione εἶχε di pap. è stata accolta da BurCroiset) con piena giustificazione di fronte

a ἔχει di B T: in vari passi paralleli nei quali è contenuto un giudizio su un atto che poteva o doveva essere compiuto ma che non è stato né sarà compiuto troviamo l'imperfetto [Euthd. 304d9, Cri. 52c3-4;.Tht. 199e2-3 (cfr. Pasquali, Storia, 263 e soprattutto Hoog, Wert, 65-66)]. 17 (189e2)

La lezione κα[ι εἸχεδοίν τι di pap. si oppone a

σχεδὸν δέ τι dei codici che però è da preferire: 11 δέ vuol sottolineare la specificità della nuova linea di ricerca che ha lo stesso obiettivo della precedente, ma se ne differenzia anche, in quanto deve riprendere l’argomento dall’inizio (per avere basi più solide). Cfr. Hoog, Werz, 109-110. II 8-11 (fr. A) (190a4-5)

Badham espungeva la sequenza

— 104—

PPETRIE

I150

LA.

ἧς πέρι — κτήσαιτο; pap. non conforta la proposta di espunzione. 14 (190a6-7) Secondo la plausibile ricostruzione di Pontani, Lachete, 107, pap. ometteva il secondo ὅτι ἐστιν prima di ἀκοή. III 1 (fr. B) (190b7) ἡμῖν prima di τοῦτο γ᾽ conservato da pap. è omesso per meccanica omissione da B T. Burnet accoglie ἡμῖν già difeso da Blass (Geschichte, 198) e da Christ (1895,

8), mentre la lezione di pap. è ignorata da Croiset e Vicaire. Hoog (Wert, 114) rinvia correttamente a La. 186b5.

3 (190b7) ὅτι (dopo τὸ εἰδέναι) di B T è lezione preferibile a τι di pap. Con οἶδα usuale il pronome interrogativo indiretto ὅτι: esempi vicini in La. 19026, 190b8-9, 190c4. Cfr. Hoog, Wert, 107-108. 7-8 (190b9-c1) tivo τρόπον τούτου σύμβουλοι γενοίμεθα

ὁτῳοῦν è il testo di B T che gli editori prima della scoperta di pap. (ma Croiset anche dopo) correggevano (τίν᾽ dv τρόπον) sulla base della testimonianza di manoscritti recenziori. Pap. presenta àv, secondo un uso attico, due volte, in posizione iniziale (τίν᾽ àv) e dopo la forma verbale cui si riferisce (γενοίμεθ᾽

ἂν). L’originalitä dell’assetto testuale di pap. è fuori discussione: cfr. Pasquali, Storia, 262-263; Jachmann, Der Platontext, 287; Hoog,

Wert, 66-68.

9 (190c1) αὐτὸ è la lezione corretta di pap. (αὐτῷ B T) che prima era stata recuperata da manoscritti recenti a seguito di interventi congetturali (Coisl. 155, Par. Gr. 1811, Vat. Gr. 1029; ctr. Hoog,

Wert,

100). Burnet,

Croiset, Vicaire seguono B T

in cui àv è collocato dopo ὅπως. In pap. ἂν sta dopo κάλλιota (esattamente come a 190b1), che evidentemente & consi-

derato il termine in particolare rilievo nella proposizione. Jachmann (Der Platontext, 287-288, 291) e Hoog (Wert, 116-117)

danno giustamente la preferenza alla collocazione di pap. 10 (190c3) οὐδεν di pap. sembra errore materiale per οὐδένα qui richiesto: cfr. Blass, Geschichte, 198; Hoog, Wert, 125. Non si può escludere però che lo scriba abbia inteso elidere οὐδέν᾽ ἔμοιγε: cfr. Pontani, Lachete, 107.

12-14 (190c4) Gli editori seguono B T nell’ordo verborum φαμὲν ἄρα, ὦ Λάχης, εἰδέναι αὐτὸ ὅτι ἔστιν. Pap. traspone αὐτό prima di ὦ Λάχης. Difficile la scelta, ma Christ (1895, 9-10)

inclina verso la variante di pap. notando che αὐτὸ è «nicht ge—

105—

PLATO 23

gen den Geist der griechischen Sprache zum regierenden Verbum gezogen».

14 (19005)

Puramente meccanica appare l’omissione da

parte di pap. della battuta di risposta di Lachete φαμὲν μέντοι:

Jachmann, Der Platontext, 385, n. 3; Hoog, Wert, 108.

21 (190c10) Pap. conferma BT ((Bouev); privo di fondamento l'intervento di B^ εἰδῶμεν.

25 (19042) ἀλλ᾽ B T, a..ıpap.

Non c'è certo spazio in pap.

per «Aka xot, suggerito in un primo tempo da Blass, Geschichte

o ἀλλ᾽ ἴθι da Gomperz (ap. Mahaffy). Cfr. Hoog, Wert, 123. 26 (190d2)

ὡς E βούλει di B T, accolto dagli editori, sem-

bra inattaccabile (Immisch, De praesidiis, II, 13; Alline, Histoire, 70; Hoog, Wert, 47); Blass, Geschichte, 199, difende i in-

vece ὅπίως σὺ (da lui letto in pap. contro οὕτω yàp di Mahatfy;

la nuova autopsia di Pontani, Lachete, 119 garantisce ὅπως [o]ò) con l'argomentazione che Socrate non si è espresso a proposito del modo in cui intende giungere al concetto di ἀρετή. Ma Socrate a 190c9-10 propone precisamente di indagare prima su una parte della ‘virtù’. IV 6 (fr. B) (190d8)

In luogo di μετὰ τοῦτο pap. ha τὸ

μετ[ὰ τοῦτο. Gli editori Burnet e Croiset seguono B T, ma la scelta non è così sicura (cfr. Hoog, Wert, 124; nell’ edizione

del testo è preferita la lezione di pap.). Secondo Christ (1895,

9), l'inserimento di τὸ in pap. libera il testo da una ripetizione

fastidiosa.

13 (190e3)

τί ἐστιν ἀνδρεία dei codici è testo che non me-

rita di essere sospettato. Pap. presenta tıvovöl..... che, dato lo spazio ridotto tra 1 e v, può essere completato tiv’ dvS[petov

(sc. λέγεις) secondo la proposta di Gomperz apud Mahaffy (τίν᾽ avölpeiov Köllner, 313) o, con minore aderenza ai dati di realtà (cfr. Pontani, Lachete, 107), τὸν ἀνδίρεῖον. Questo secondo supplemento, proposto da Blass (Geschichte, 200), è stato da lui difeso con sottile argomentazione come testo ori-

ginale: Socrate avrebbe fatto una domanda relativa non al con-

cetto astratto (ἀνδρεία), ma al concreto è ἀνδρεῖος, conside-

randola più facile; a questa domanda Lachete risponderebbe a e4-6. Eppure solo se si segue il testo dei codici appare chiaro il richiamo a qualche rigo prima in cui Socrate si pone precisamente il problema della definizione di ἀνδρεία (190d8); capita di frequente poi (anche in altri dialoghi) che Socrate fac—

106—

PPETRIE

II 50

LA.

cia una domanda relativa ad un concetto astratto e che l’interlocutore rısponda sciorinando esempi concreti. Cfr. Immisch, De praesidiis, 13, Alline, Histoire, 70-71, Pasquali, Storia, 263, Hoog, Wert, 53-54. Anche Jachmann (Der Platontext, 284)

considera la lezione ricostruibile di pap. una «hóchst unsokraüsche Lesung». 13 (190e4) Pap. aveva probabilmente (per ragioni di spazio) μὰ τὸν Δία, non ov μὰ τὸν Δία come nella ricostruzione di Mahaffy e P ellissi della negazione ha precisi paralleli: p Grg. 489e2 (Dodds, Plato. Gorgias, 287-288), Alc. I 10946 (À. CARLINI, SIFC 19 (190e7)

34, 1963, 180). καλῶς μὲν λέγεις di pap. si oppone

a εὖ μὲν

λέγεις dei codici (lezione, quest'ultima, preferita dagli editori).

Secondo Christ (1895, 10) la formula del papiro «trifft ohne Zweifel den Sinn der beschränkten Zustimmung des Sokrates besser als die Uberlieferung», ma questa è forse una spiegazione troppo sottile. C'é una sostanziale equivalenza di significato, ma la formula con ed è più frequente e quindi si potrebbe pensare facilmente a un passaggio da καλῶς a εὖ magari influenzato, come

osserva Blass (Geschichte, 200), approvato

da Ed. Turner (1904, 119), da εὖ ἴσθι del rigo immediatamente superiore. 21 (190e8)

Pap. leggeva forse σὲ um allnoxpivaodaı τοζῦτο

(con omissione anche di tò per ragioni di spazio) con un ordine delle parole dunque diverso dai codici (τὸ σὲ ἀποκρίνασθαι μὴ τοῦτο). Cfr. Blass, Geschichte, 200. 28 (191a2) Mahaffy, seguito da Burnet, legge in pap. tm ταζει, ma non sembra da escludere una cattiva esecuzione di

che darebbe τῆι ta&eı, qui richiesto: cfr. Pontani, Lachete, 107, n. 32.

29 (19125)

Tra la fine della col. IV e l'inizio della col.V

manca lo spazio per la battuta di risposta di Lachete che si legge nella tradizione manoscritta medievale ἐγὼ γοῦν φημὶ (cfr.

Pontani, Lachete, 122). V 2-3 (fr. C) (191a6)

La collocazione di B T μάχηται τοῖς

πολεμίοις ripete quella di pochi righi sopra (191a2-3). Pap. verte l'ordine toic πολεί[μιοις μ]αχηται. Christ (1895, 1) iin-

clina per il testo di pap. ma la scelta & difficile. Cfr. Hoog, Wert, 116.

5 (19128)

Per ragioni di spazio, all'inizio del rigo si deve —

107—

PLATO 23

supplire ὥς in luogo di ὥσπερ dei codici medievali (Pontani, Lachete, 122). 8 (19129) In luogo di nov, pap. presenta la lezione senz'altro inferiore note. Per mero errore materiale, Burnet attribui-

sceela variante ποτε di pap. (in luogo di που) a 191a8, ma qui p. ha, come B T, n}ov. i) (191b1); V 17 (19163)

Pap. conferma le lezioni dei ma-

noscritti medievali διώκειν (διωκέμεν Hom.)

e μήστωρα

(μή-

otwpe Hom.) che potevano appartenere a edizioni omeriche circolanti nel sec. IV: cfr. J. LABARBE, L’Homere de Platon, Paris, Les Belles Lettres 1949, 211-213; 306-309.

20 (191b5) In pap. sı legge tov (in luogo di τὸ di B T e anche di W, da qui in avanti di nuovo utilizzabile); forse lo

scriba intendeva τούτων Σκυθῶν. Questa variante di pap. non è segnalata nelle edizioni platoniche. Cfr. Pontani, Lachete, 107.

22-24 (191b6-7) B T W presentano questo testo: τὸ μὲν γὰρ ἱππικὸν TO ἐκείνων οὕτω μάχεται, TO δὲ ὁπλιτικὸν TO γε τῶν Ἑλλήνων, ὡς ἐγὼ λέγω. Badham espungeva τὸ ἐκείνων («non

Scytharum tantummodo sed cuiusvis populi equitatus eo modo pugnat») e la sua iniziativa congetturale ha trovato il sostegno di pap. che però non omette solo τὸ ἐκείνων, ma anche τό ye τῶν 'EAAnvov. La tradizione manoscritta medievale appare qui viziata dall'introduzione abusiva di due glosse (Gomperz, 1892, 103; Christ, 1895, 8; Blass, Geschichte, 201; Alline, Histoire, 71; Wilamowitz, Platon, II, 366; Jachmann, Der Platontext,

285); inefficace la difesa fatta da Immisch, BPhW

1893, 189-

190 e da Hoog, Wert, 35-36. Degli editori, Croiset segue B T W senza alcuna nota critica, Burnet opta per il testo ‘breve’ di pap., chiudendo entro parentesi quadra le due glosse; ma pap., che delle due glosse è privo, fa parte integrante della tradizione diretta. 25 (191b8) Pap. legge tov (chiaramente errato) in luogo di tò: cfr. Jachmann (Der Platontext, 290, n. 1) che rimpro-

vera il silenzio di Burnet su questa variante. Vendruscolo (per litt.) propone di restituire τὸ τῶν Λακεδαιμονίων. 26 (191b8) Non Λακεδαιμονίους si legge in pap. (come in BT W), ma τοὕτους. Jachmann (Der Platontext, 290) ritiene che la ripetizione Λακεδαιμονίων / Λακεδαιμονίους sia intollerabile e si dichiara (come già avevano fatto Blass, Geschichte, —

108—

PPETRIE

II 50

LA.

201 e Ed. Turner, 1904, 121) per τούτους, ma è anche uso platonico ripetere il nome proprio (Hoog, Wert, 38). Gli editori seguono B T W, ma la scelta resta incerta. 27 (191c1)

In luogo di £v Πλαταιαῖς di

B T W

(e anche

di Elio Aristide che cita questo passo nell’Or. XLVI 309, II p. 278, 10 Dindorf, I p. 396, 25 Behr), pap. presenta καὶ πλαteil. A parte l’errore ortografico dello scriba, già Christ (1895, 5) e Blass (Geschichte, 201) ritenevano di poter integrare una forma di locativo Πλαται[ αἷς. Cfr. Hoog, Wert, 74-75 (con rinvio a Mx. 245a6). Pontani (Lachete, 122) preferisce resti-

tuire ıl locativo Πλαταιἄσι, peraltro mai altrove attestato in Platone. Anche il καὶ di pap. (Blass, Geschichte, 201: «unter anderm») puó essere originale e non interpolato, perché i Lacedemoni si comportarono allo stesso modo anche in altri eventi bellici: ctr. Hoog, Wert, 113-114. 30-31 (191c2-3) Burnet, Croiset e Vicaire non segnalano in apparato la diversa collocazione πρὸς] αὐτοὺς | μένοντας

μάχεσθαι che, secondo Blass (Geschichte, 201), sarebbe attestata da pap. (mentre i codici concordemente hanno μένοντας πρὸς αὐτοὺς μάχεσθαι). Si è cercato di giustificare il diverso

ordo verborum (Hoog, Wert, 117: participio immediatamente prima di forme del verbo μάχεσθαι anche a 191a2 e 191a5-6; Jachmann, Der Platontext, 291: quella dei manoscritti è una

«glattere Wortstellung, aber eben vermutlich eine geglättete»), ma ci sono forti dubbi sulla lettura del papiro fatta da Blass: cfr. Pontani, Lachete, 107 e app. ad loc., p. 123. VI 3 (fr. C) (19104) ınnec è ciò che si legge in pap.: se noi correggiamo ἱππείῖ)ς recuperiamo una forma di accusativo plurale che è estranea a Platone, ma è attestata da altre fonti anche epigrafiche (Mayser, I.2, 30 e n. 1). Cfr. Hoog, Wert, 121, n. 2.

4 (191c5) τιν pap., τὴν codd.: cfr. Pontani, Lachete, 123-124. 6-7 (191c7) La lezione di B T W αἴτιον à priva di senso (sicura corruttela comune della tradizione manoscritta!) e già Ast aveva proposto congetturalmente ἄρτι che assicura il riferimento a quanto Socrate aveva detto a 190e7-9. Pap. presenta ὃ ἄρτι che è stato accolto non solo da Burnet e da Vicaire, ma anche da Croiset, di solito diffidente nei confronti

di pap.; αἴτιον dei codici è una indebita anticipazione di αἴτιος —

109—

PLATO 23

(Pasquali, Storia, 263), favorita dalla facilità dello scambio vp. Le riserve di Immisch (1893, 188) e di Hartman (De emble-

matis, 20) nei confronti della lezione di pap. non sono giustificate: cfr. Blass, Geschichte, 201; Hoog, Wert, 68. 9 (191c8)

σὲ davanti ad ἠρόμην si trova solo in pap., ma

potrebbe restituire l’originale: Socrate considera malposte le domande da lui fatte a Lachete solo perché non ha sufficientemente pesato la sua condizione di semplice soldato, incapace di muoversi agilmente in sottili questioni dialettiche. Per la lezione di pap. si schiera decisamente Hoog, Wert, 114. 10-11 (191d1) Pap. (γάρ cov) contribuisce ad isolare T che

omette σοῦ. 14 (191d2)

Nonostante la difesa di Gomperz (1892, 104-

105) dell'asindeto di pap. (ev τῶι cuulnavtı), la lezione καὶ Ev σύμπαντι di B T W è confortata dall’uso platonico: Hoog, Wert, 109.

19 (191d4)

κινδύνοις di

T WB

(κινδύνους B) è, nono-

stante le riserve di Christ (1895, 10), senza dubbio la lezione

corretta; κινδυνεύουσι di pap. obbligherebbe ad intendere, in

modo del tutto innaturale, ἐν τοῖς κινδ, ‘tra’ (‘quelli che sono coraggiosi tra coloro che rischiano in mare’). Cfr. Hartman, De emblematis, 12; Hoog, Wert, 82. 21 (191d5) ye (dopo ὅσοι) di B T W va difeso (vari esempi anche in Platone di ye che segue pronomi); pap. ha te perperam (difficile per la collocazione di te poter intendere te ... καὶ). Cfr. Hoog, Wert, 122-123. 23 (191d5) Burnet, Croiset, Vicaire tacciono in apparato,

ma pap. omette ἢ davanti a καὶ πρὸς τὰ πολιτικὰ. 1] testo di BTW ('o anche’) é corretto. Hoog, Wert, 108-109. 24 (191d6) Pap. conferma la lezione di W (presente anche in Q) Èἔτι contro l’errato ὅτι di B T (cfr. Hoog, Wert, 68). Non

si puó costruire troppo su un accordo in lezione corretta, ma è il caso di richiamare le coincidenze particolari con W (questa volta in lezioni inferiori) del papiro arsinoitico del Fedone (cfr. Carlini, Studi, 13-14; scetticismo al riguardo è espresso da Pontani, Lachete, 109 e n. 37). 26 (191d6-7) Pap. (ἢ φόβους ἀνδρεῖοί εἰσιν) si oppone nel-

l'ordine delle parole a B T W (ἀνδρεῖοί εἰσιν ἢ φόβους). Anche se gli editori sono tutti a favore dei codici medievali, la

scelta critica è obiettivamente incerta. —

110 —

PPETRIE

II 50

LA.

29 (19161) Pap. (che presenta regolarmente kai davanti a μένοντες) non conforta la proposta di espunzione della particella proposta da Schanz. Blass (Geschichte, 202) intende xoi «und zwar». — (191e1) Contro l'indicazione di Burnet che legge in pap. καὶ ἀναστρέφοντες (ma cfr. anche Christ, 1895, 10 e nota), ac-

cogliendo nel testo questa lezione (già proposta congetturalmente da Kräl), la lettera visibile dopo μένοντες è ἢ. La tesu-

monianza di pap. si accorda quindi con B T W. Nonostante le riserve text, 286), (cfr., per 116-117;

di Immisch (1893, 189) e di Jachmann (Der Platonla sequenza καὶ μένοντες ἢ ἀναστρέφοντες è genuina la difesa, Gomperz, 1892, 105; Bickel, Geschichte, Hoog, Wert, 127-128). Denniston (292) si dichiara

per καὶ in luogo di ἢ, ma per l'informazione tradizionale dipende da Burnet. Croiset e Vicaire optano anch'essi per xoi, ma richiamandosi alla correzione di Král, senza citare pap. VII 1 (fr. C) (191e3)

La formula responsiva di Lachete &

kai σφόδρα in B T W, apparentemente σφόΪδρα Ye in pap., καὶ σφόδρα γε nel Ven. Marc. Gr. 184, coll. 326, kat ye in Q. Le

prime tre forme sono ben attestate in Platone; gli editori seguono B T W, ma il problema della scelta resta aperto (cfr. Hoog, Wert, 128 che peró attribuisce erroneamente a Q la lezione καὶ σφόδρα γε). Jachmann (Der Platontext, 297, n. 2)

propone di ıntegrare in pap. contro Mahaffy e Burnet xai | ἰσφό]δρα γε e considera questa lezione (riemersa nei due ma-

noscritti tardı) come originale. Come emerge dalla nuova autopsia di pap. (cfr. Pontani, Lachete, 108 e 124), ragioni di spazio non si oppongono a supplire xai alla fine del r. 32 della col. VI, staccato da [α]νίδρειοι dal non infrequente tratto oriz-

zontale che segna il cambio di interlocutore. 1-3 (19164) È questo uno dei punti in cui i critici appaiono più divisi. Christ (1895, 9), Blass (Geschichte, 202), Ed. Turner (1904, 122), Wilamowitz (Platon, II, 366), Coppola (Ap-

punti, 219), Pasquali, (Storia, 262) ritengono genuino il testo di pap. οὐκ [οἷυν ανδρεῖαι μεν [παν] [τε]ς ovtot avdperor (ἰ οὐκοῦν ἀνδρείᾳ μὲν πάντες οὗτοι ἀνδρεῖοι): si intende che l'o-

biettivo di Socrate è quello di arrivare a una definizione di àvδρεία come concetto unico, pur tenendo conto che si può essere ἀνδρεῖοι in condizioni e circostanze diverse e rispetto a —

111—

PLATO 23 -24

oggetti diversi. Per Pasquali l'eliminazione di ἀνδρείᾳ sarebbe «una semplificazione che toglie alla frase tre quarti della sua forza e del suo sapore platonico». Jachmann (Der Platontext, 282-283) e soprattutto Hoog (Wert, 52-53) difendono la scelta editoriale di Burnet (e degli altri editori) che seguono BTW

(οὐκοῦν ἀνδρεῖοι μὲν πάντες οὗτοί εἰσιν) e relegano in apparato la variante di pap.: Socrate nella sua ricerca della definizione dell’ ἀνδρεία prima enumera le situazioni in cui si può

essere ἀνδρεῖοι e poi chiede (191e10-11) ció che vi e 1n esse

di comune, Eppure è più facile pensare che l'assetto testuale dei codici sia una semplificazione di quello per noi rappresentato da pap. che pensare ad una consapevole alterazione operata dallo scriba di pap. o da un suo ascendente; tanto piü che il concetto di valore non ancora definito ricompare nello stesso periodo (19166 τὴν ἀνδρείαν κέκτηντα!).

7 (19166)

ἔκτηνται è congettura di Schanz (non segnalata

in apparato da Croiset e da Vicaire che pure sto) pap. ha κέκτηνται con B T W e questa ıfesa. 11 (191e9) La forma all'imperfetto di B è senz'altro da preferire a quella al presente

l’accolgono a teforma può essere

T W ἐπυνθανόμην di pap. πυνθάνο-

μαι, perché corrisponde all'andamento della discussione (cfr.

191c6 sgg.). Cfr. Blass, Geschichte, 202; Hoog, Wert, 54-55. 13 (191610)

Pap. presenta τὴν ἀνδρείαν,

ma

quando

si

tratta di procedere alla definizione di un concetto l’articolo di norma manca (190b7-8, d8, e3; cfr. peró 192b5); difendibile dunque la lezione di B TW ἀνδρείαν accolta da Burnet e da-

gli altri editori. Cfr. Hoog, Wert, 48-49.

22-23 (19223- 4) Correttoè il testo di BT W con la successione καὶ - καὶ. Non si vede alcun particolare legame tra ἐν τῷ μανθάνειν e ἐν ἄλλοις πολλοῖς che giustifichi ev te τῶι

μανθανε[ιν che, secondo Mahaffy, seguito daglı editori, sa-

rebbe la lezione di pap. (Hoog, Wert, 75). In realtà, la corretta lettura di pap. è quella già proposta da Blass (Geschichte, 202203: ey ye τῶι povdavelw) che però non modifica il giudizio

sulla superiorità dei codici (Pontani, Lachete, 108). 29 (19226) Secondo la ricostruzione di Mahaffy, pap. omet-

terebbe ἢ διανοίας (dopo φωνῆς); accettando un suggerimento di Diels, lo stesso Mahaffy a rr. 28-29 propone [n vonnallt[oc

te] αἷμα per ἢ στόματος te. Hoog (Wert, 145) rileva con ragione che la lunghezza dei righi in pap. è variabile, ma il rigo —

112 —

PPETRIE

II 50 - POXY

228

LA.

29 non sembra proprio poter contenere, secondo la sua proposta, φω νης n Siavorac. Il risultato della nuova autopsia di

Pontani (Lachete,

125) per i rr. 29-30 dà invece: φωΐνης n

διανίοι]ας ἡ οὐχ ovto. AC

24 La.

197a1-198a1

POxy 228

Sec. ΠΡ ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Bodleian Library, Ms. Gr. Class. d 64(8).

Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy II (1899), 123-126. Comm.: MP? 1410 (= P^ 1410) U. WILAMOWITZ-MOELLENDOREF,

GGA 162 (1900), 49-50; W. CRÖNERT, APF 1 (1901), 521-522;

S. DE RICCI, REG

14 (1901),

183-186;

IMMISCH, De praesidüs

[1903], 12-13; KENYON, Evidence [1904], 159; ED. TURNER, Quaestiones criticae ın Platonis Lachetem, DPhH 16.2 (1904), 91-142; FR. BLASS (rec. a Kenyon, Evidence), CPh 2 (1907), 101-108: 105-107; E. BICKEL, PhW 27 (1907), 929-936; RITTER, Bericht [1912], 4, 43; ALLINE, Aıstoire (1915], 143-146; SCHUBART, Einfüh-

rung

[1918],

92-93,

483;

GRENFELL,

Value

[1919], 28; WILA-

MOWITZ, Platon, II [1920], 366; JACHMANN, Der Platontext [1941],

322, n. 1; BICKEL, Geschichte [1943], 127-128; A. CROISET, BL, II [1921], 89; LEISEGANG [1950], 2362-2363; ANDRIEU, Dialogue [1954], 295; M. HASLAM, POxy XLIV (1976), 40-41; ID., POxy

XLVII (1980), 38; H.M. COCKLE, POxy L (1983), 124; JOHNSON, Papyrus

Roll [1992],

151, 299; PONTANI,

Lachete [1995],

111-116.

Un frammento

maggiore

di volumen

(cm

tuisce resti di tre colonne di scrittura: della servate solo le finali di 28 righi; la seconda, stituisce 32 righi esattamente come la terza, la di gravi mutilazioni nella parte destra. Due —

113—

16x25,5) resu-

prima sono conquasi integra, requale peró soffre minuscoli fram-

PLATO 24

menti staccati consentono il recupero della parte alta della quarta colonna con un solo rigo di scrittura. L'intercolunnio misura cm 2,2; il margine alto, dove conservato, cm 3; il margine inferiore, molto ampio, tocca 1 cm 6. Johnson (Papyrus

Roll, 299) ricostruisce un rotolo di 66 colonne, pari a m 5,7 di lunghezza. La scrittura è una libraria fluida, ‘diritta, che presenta un

contrasto modulare piuttosto marcato tra lettere molto larghe (n pv a) e lettere strette (e o o e B). Il tracciato di al-

cune lettere è decisamente irregolare: p. es. l’v ha un calice ora largo ora stretto e l'asta verticale ora corta ora lunga. Lievi trattini ornamentali chiudono alla base le aste verticali.

Confronti paleografici sono stati già proposu da M. Haslam (introduzione a POxy 3156) che assegna POxy 2749 e POxy

3156 (da lui ritenuti della stessa mano; cfr. peró Pontani, Lachete, 111) alla seconda metà del sec. II? e vede nel nostro POxy 228 uno sviluppo ulteriore dello stesso stile scrittorio. Johnson (Papyrus Roll, 151) assegna, ma con qualche esitazione, ad uno stesso scriba («scribe 23») POxy

228, POxy

2749, POxy 315643669. Un ulteriore confronto possibile con PVindob G 26727 [ed.pr. CE 49 (1974), 5317-324] suggerisce di datare POxy 228 alla seconda metà avanzata del sec. ΠΡ. Allo stesso risultato giunge, al termine di una puntuale analisi paleografica, Pontani, Lachete, 111-113. Le correzioni (I 4 aggiunta s./. di variante; I 27, II 6, Il 32 espunzioni di lettere) e 1 segni di lettura (spiriti o accenti: I 6, II 4, 18) sono della stessa mano. Il cambio di interlocutore, se cade all’in-

terno del rigo, è indicato dalla presenza combinata della paragraphos e del doppio punto.

Pap. presenta frequenti trasposizioni, dovute a trascura-

tezza di trascrizione dello scriba o di un suo antenato; non

sono cogenti le argomentazioni a difesa della collocazione delle parole nel testimone papiraceo avanzate da Ed. Turner, 126127. L’apporto di pap. è però tutt'altro che trascurabile: in un caso (II 10) la sua testimonianza è decisiva per ristabilire ıl testo originale, corrotto nei manoscritti, e in altri casi (II 20, 21; III 1, 3, 19) le sue lezioni possono essere accolte a testo o in

ogni caso meritano la massima attenzione critica. In più di un

caso si registra la convergenza di pap. con codici di età tarda e in particolare con il Par. Gr. 1813 (Q) e il Vat. Gr. 1029 (R). Per una valutazione complessiva del rapporto tra il papiro os-

— 114—

POXY

228

LA.

sirinchita e la tradizione medievale si rimanda a Pontani, La-

chete, 113-116.

Questo papiro del Lachete & stato utilizzato come testimone per la constitutio textus da J. BURNET (OCT, III, sigla Oxy.), da A. CROISET (BL, II, 1921, sigla Ox. Pap.), da P. ViCAIRE (Paris 1963, sigla Ox.

Pap.), da W.R.M. LAMP (Loeb,

sigla papyr.Oxyr. . L'edizione di riferimento è quella di Burnet. Sono segnalate occasionalmente le lezioni di alcuni codici recenziori e in particolare di Q (Par. Gr. 1813), considerato da D.J. Murphy [Parisinus Gr. 1813 and its Apographa in Plato’s «Laches», Mnemosyne 47 (1994), 1-11] fonte primaria an-

che per il Lachete. [1 (197a1) ye dopo εὖ om. pap. Questa omissione, che si registra anche in alcuni manoscritti recenziori (p. es. nel Ven. Marc. Gr. 186, coll. 601 e nel Ven. Marc. Gr. 184, coll. 326)

puó essersi prodotta indipendentemente in fonti diverse. Cfr. Ed. Turner,

128; Pontani,

Lachete,

113. Bickel, Geschichte,

127-128 pensa alla «Fernwirkung der Einzelüberlieferung». 4 (19742) Pap. legge no]tepo, ma pone [olv sopra a. Con l'intervento interlineare lo scriba ha ripristinato nótepov, la lezione che troviamo

in B T W. πότερα si trova nel Vat. Gr.

1029: si dovrà pensare alla «Fernwirkung der Einzelüberlieferung» (Bickel,

1907,

935; Id., Geschichte,

127-128)? Cfr. an-

che su questo problema testuale Pontani, Lachete, 114. 4-6 (197a2-3) Pap. legge collpatepa nuo]v ταῦτα | [ewvan τα θηρια φίης, modificando l’ordine originario: σοφώτερα φὴς

ἡμῶν ταῦτα εἶναι τὰ θηρία BT W. Di diverso avviso Ed. Turner, 128.

11 (19726)

Pap. muta l'ordine delle parole: eyoye ὦ] Xaync

in luogo di ὦ Λάχης, ἔγωγε (B T W). Ed. Turner (128) si schiera con pap. 13 (19727) Per ragioni di spazio, pap. doveva omettere οὐδὲν; ma ἄλλο poteva essere seguito da τι. 13-14 (19727) BTW presentano un assetto testuale plausibile τὸ τὰ δεινὰ ὑπὸ ἀνοΐας μὴ φοβούμενον. Si ha qualche

esitazione a considerare τὰς di pap. un semplice errore di trascrizione (per τὰ di B T W), perché sarebbe l'unico caso di mancato intervento del correttore; ma se tac introduce una va-

riante, difficile riesce la ricostruzione del testo gravemente lacunoso in questo punto. —

115—

PLATO

15-16 (19728)

24

Gitlbauer espunge koi uòpov; pap., benché

lacunoso al r. 16, presenta però chiaramente καὶ a fine r. 15. 18 (197b1) Ció che si legge in pap. è ]vo[i]av; impossibile decidere se la fonte papiracea avesse a]vo[i]av con il più corretto ay]vo[i]av di typ.

27 (197b4)

B

T W o

La lezione di base, ricostruibile, di pap. è

ἀπρομ]ηθει[ας (che ritroviamo in WB’), ma la mano

corret-

trice ha espunto e (punto sopra la lettera), intendendo quindi ripristinare ἀπρομηθίας che è precisamente la forma che rica-

viamo da B T. Burnet non segnala la lezione di W, coincidente con B° pap.; Pontani, Lachete, 114, assegna a W la stessa lezione di B T. II 4-5 (19702) Partendo dal testo di B T W, accettato da tutti gli editori (ὡς εὖ ὅδε ἑαυτὸν δή), si potrebbe pensare che

è la trasposizione ὡς e[v εαῦτον [ollöe che ha favorito in pap. la caduta per aplografia di δή. Ma questo δή (omesso anche da Q: cfr. Pontani, Lachete, 114) è in realtà un'inutile zeppa, difficilmente originario. Concordi nell'analisi Wilamowitz 1900, 49 e Jachmann, Der Platontext, 322, n. 1.

6 (197c3) tovc si legge in pap. (in luogo del corretto og di B T W), ma la mano correttrice ha espunto τ con vistoso segno. 10 (197c5) Burnet e Lamb optano giustamente per la lezione di pap. οὔκουν σέ ye mentre Croiset e Vicaire stanno dalla parte di BT W (οὔκουν ἔγωγε), senza neppure informare

sulla variante, Indiscutibile per Wilamowitz 1900, 49 e Blass, 107 la superiorità del papiro. Se la battuta di Nicia, secondo il resto di BT W, presenta solo una neutra difesa del punto di vista appena espresso, ben altra vivacità essa ha nel testo del testimone papiraceo in quanto scopre subito quello che nella battuta di Lachete era detto in modo coperto e si incardina sul ripetuto oe (οὔκουν σέ γε — φημὶ γάρ os).

13 (197c6) L'errato apayov di pap. (che si contrappone al sano Λάμαχον di B T W) si ritrova sorprendentemente come correzione nel Ven. Marc. Gr. 189 (coll. 704), uno dei mano-

scritti del Bessarione. 14 (197c7)

Pap. omette ye dopo ἄλλους.

18 (197c9) Pap. con la lezione aı&avea si accorda con B°T W (Αἰξωνέα) e isola in errore B (ἐξωνέα). —

116—

POXY

19 (197d1)

228

LA.

yeınnc pap., ye εἴπῃς B T W edd.

20 (197d1) Burnet e Vicaire seguono pap. (ovi[6]e), relegando giustamente in apparato la lezione di B T W οὐδὲ un. Ad intervento di correzione si dovrebbe secondo Grenfell e Hunt l'eliminazione di un nel Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), ma in realtà anche Giovanni Roso, lo scriba del codice del Bes-

sarione, ha scritto οὐδὲ un. Croiset accoglie la correzione congetturale da Keck apportata al testo delle fonti manoscritte medievali τοῦδε un. Prima della pubblicazione di POxy

228,

1. ADAM (CR 6, 1892, 392) aveva giudicato difendibile la lezione dei codici solo a patto di fare di un ἠσθῆσθαι «a single positive notion». 21 (19742) Dopo ὅτι pap. aggiunge la particella δὴ non accolta dagli editori, ma difesa da Wilamowitz 1900, 49 e da Ed. Turner, 130. Bekker, seguendo alcuni apografi, stampava nella sua edizione ὅτι ὅδε. Cfr. anche Pontani, Lachete, 114. 24 (197d3) παρείληφα di pap. è lezione errata (e del tutto

isolata) di fronte a παρείληφεν di B T W. Impensabile qui un cambio di interlocutore: giuste le considerazioni di Pontani, Lachete, 114. 26 (197d3)

All’unanıme

πολλὰ

dei manoscritti medievali

si oppone ta πολλα di pap. 28 (197d4) Pap. elide τοιαῦτ ovol[uara (τοιαῦτα ὀνομ. B T W).

29 (197d6)

Pap. omette γὰρ dopo καὶ.

32 (197d7)

ἀνδρὶ ὃν è il testo corretto di

B T W: la mano

correttrice di pap. arriva ad esso faticosamente da ἀνδρεῖον (£ espunto, spirito aspro su 0). III 1 (19747) (aé[101 n πολις)

La probabile collocazione delle parole in pap. è innovazione

rispetto al testo di B T W

(i

rpollectav[ar

è la lezione, corretta, sicura-

πόλις ἀξιοῖ). 1-2 (197d8)

mente ricostruita di pap.; gli editori l'avevano già recuperata dal Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), dove però è stata semplicemente ripresa dal modello di copia, il Ven. Marc. Gr. 186 (coll. 601). προεστάναι si trova, senza che οἱὸ configuri rapporti organici con pap., anche in Q e nel Vat. Gr. 1029 (cfr.

Bickel 1907, 935; Id., Geschichte, 128). In B T W si legge προϊστάναι. Discussione su questa variante anche in Wilamowitz, 1900, 49; Pontani, Lachete, 114.

3 (197e1)

Burnet accoglie nel testo la lezione di Stobeo —

117—

PLATO 24-25

(IV 5, 90) πρέπει μέν που e registra in apparato la almeno parziale conferma che viene da pap. (]Inov). Cfr. Wilamowitz, 1900, 49. Croiset e Vicaire.seguono B T W (πρέπει μέντοι) senza dar conto della variante di Stobeo riconoscibile anche in pap. (nonostante le riserve di Pontani, Lachete,

114).

14-15 (197e6) Ancora una trasposizione di pap.: ne] | [o]tov ax[ncew in luogo di οἴου pe ἀφήσειν. Casuale è l'incontro di

pap. con il Par. Gr. 1811. 17 (197e8) Per ragioni di spazio, pap. leggeva (forse) σκόπει

in luogo di συσκόπει. 19 (197e9) δὴ è la lezione corretta, già ripristinata congetturalmente da Schanz, di pap. e accolta nel testo da Burnet, Croiset e Vicaire.

B

T W hanno

δὲ, il Coisl.

155 cor-

regge ye e questa correzione è stata difesa da Ed. Turner, 131-132, AC

25

Leges IV 71628-c3 PKóln 306

Sec. I/Il

Prov.: ignota. Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde, inv. 3602 r. Edd.: M. GRONEWALD, PKöln VII (1991), 51-52. Tavv.: PKöln VII, Xa.

Comm.: MP? 1422.11 Frammento di rotolo papiraceo di cm 19x4, che consi-

ste in una striscia della parte superiore di tre colonne di scrittura per soli 4 righi, con un margine superiore fino a cm 1,4 e un intercolunnio di cm 2,5 ca. Le colonne, strette

(cm 5 ca.), hanno in media una decina di lettere per rigo. I

righi per colonna dovevano essere 22-23. L'altezza della co—

118—

POXY

228

LA. - PKOLN

306

LG.

lonna quindi raggiungeva circa 16 cm e l'altezza del rotolo è stimabile in ca. 20 cm. Il testo è vergato in maiuscola rotonda, paragonabile all'Omero di Hawara e a POxy I 20 (cfr. Turner, GMAW’ n° 13, Roberts, GLH n? 12b e Cavallo, Maiuscola biblica, tavv.

2 e 3); nello stesso stile è scritto anche il testo che si trova sul verso, PKöln 298 (Hom. IL, tav. VIIIa), che non pare databile oltre la metà del sec. IIP, per cui è possibile che la datazione del recto risalga alla fine del sec. IP. Non resta traccia di segni critici e diacritici. Il testo di questo frustulo, che è stato collazionato sul-

l'edizione di E. Des PLACES, BL, X1.2 (1951), non presenta varianti rispetto ai manoscritti medievali.

Col. I dv ἡγεῖσθαι,

716a8-b1

kao A ein[e-

ται ἔρημος O[e-

[od], κατ[αλειμφθεὶς —

——

.

.

Col. II πρὸς ταῦτ᾽ οὖν οὕτω

716b5-6

διατετα-

γμένα τί χρῆ δρᾶν

Col. III

716c 2-3

ὄ τι öll ὅ inorov [ὄν

uec[pio gi-

Xo[v ἂν ein MWH



119—

PLATO

26

26

Lg. VI 751a6-c2 POxy 3672

Sec. III?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. CockL£, POxy LII (1984), 96-97.

Comm. MP’ 1422.2 JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 67, 77, 176, 187, 254, 275, 283, 291, 301, 304. Rotolo papiraceo, bianco sul verso. Frammento, di cm 10,1x10,9, che reca la parte inferiore (mg. cm 3,5 ca.) di due colonne consecutive, scritto 1n una libraria di stile severo di medie dimensioni, con effetto di chiaroscuro, assegnabile alla prima metà del sec. III? (cfr. ΒΚΤ II, 53-54 = Seider, Pal. Gr. Pap., 1.2, n° 33 e POxy XVII 2098 = Roberts, GLH, 19b).

L'ampiezza della colonna & di ca. 4,5 cm, la sua altezza & calcolata in ca. 17 cm per 28 righi, l'intercolunnio di 2 cm ca. Segni di punteggiatura visibili: una ano stigme in corrispondenza di una pausa forte a I 10 e una mese stigme in corrispondenza di una pausa debole a II 5. Segni riempitivi sono utilizzati per la giustificazione del margine destro. Forse una seconda mano ha aggiunto un circonflesso su ev a Il 2. Quanto all’ortografia, il papiro presenta a II 5 (751c1) ξυμβαινοι, non ovp-. Per questo aspetto le edizioni di Burnet (OCT) e di Des Places (BL) sono inaffidabili, in considerazione della loro sistematica normalizzazione (ovv- pro Guv-): vd. L.A. POST

[rec. a Des

Places, BL, XI.1 (1951)], AJPh 75 (1954), 201-206: 203-204 e Kerschensteiner, Gebrauch, 32 e n. 1. H.M. Cockle ha verifi-

cato la lezione di A sul facsimile di H. Omont (Paris 1908, f. 202r: Evv-). Sul problema, con particolare riferimento al testo

delle Leggi, vd. Kerschensteiner, Gebrauch, 34-43 (cfr. anche Post, Vatican Plato, 9, 13-14). L'inizio del libro VI delle Leggi sarà stato all'inizio della —

120—

POXY

3672

LG.

col. I, presumibilmente la prima del rotolo (cfr. 80 27). La lunghezza del rotolo doveva essere, secondo 1 calcoli dell'editrice,

di ca. 12 m (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 301). Il nuovo testimone, che

stato collazionato sull' edizione

di É. Des PLACES, BL, XI.2 (1951), non presenta varianti rispetto a1 manoscritti medievali. Col. I καθ]ιστα-

75126

μένας: ἔπειτα οὕτω δὴ] τοὺς νό-

μους τ]αῖς ἀρχαῖς

5

ἑκάσταις ἀΪπ|ο-]

δοτέον. οὔσ]τι-

7510

νάς τε αὖ κ]αὶ ὅσους καὶ oli[o]ug προσῆκο]ν ἂν

10

ἑκάσταις εἴ]η.

Col. II μ[όϊνοίν ο]ὐδὲ[ν

751b8

πλέον εὖ tedévτῶν [o]68" ὅτι γέAoc ἂν πάμπολυς ξυμβαΐίνοι, σχεδὸν δὲ βλάβαι καὶ λῶβαι

5

751ς

πολὺ μέγιστί[αι

τα[ἴ]ς πόλεσι γ[{{{ηγὨπνοιντ᾽ ἂν 110

]n:>>

punto in alto posto successivamente (cfr. inoltre Johnson,

Papyrus Roll, 67) II2

εὖ

5

Euußawvor-

II 5

ξυμ- pap. A, ovu- edd.

8

dieediy

visibile solo un puntino MWH*



121—

PLATO 27

27

Lg. VI 771a2-d1

POxy 3673

Sec. II/IH

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: H.M. CockLE, POxy LII (1984), 97-99. Comm.: MP’ 1422.3

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 77, 255, 276,

284, 291, 297, 300, 306.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 9,2x11,3), che reca la parte superiore di una colonna con tracce di ognuna delle colonne adiacenti (ma della prima colonna è visibile solo la trac-

cia della lettera finale - a oppure A - in corrispondenza del r. 1), scritto in uno stile severo di medie dimensioni, assegnato

alla fine del II o agli inizi del sec. III, L'ampiezza della colonna è di ca. 6,5 cm con una media di 19 lettere per rigo; la sua altezza è calcolata in ca. 18 cm per ca. 36 righi; il margine

superiore è conservato per almeno 3,5 cm. Le colonne sono

state numerate da una seconda mano: la col. II riporta 51 (va), dal che si può dedurre che il rotolo cominciava con l’inizio del libro VI. A meno che il rotolo non contenesse libri successivi, doveva essere lungo, secondo 1 calcoli dell'editrice, ca.

6,5 m, con ca. 84 colonne per un'altezza di ca. 27 cm. L'elisione non € segnalata, non ci sono segni diacritici e neppure - cosa peraltro eccezionale — di interpunzione, a parte una paragraphos sotto II 8. Occasionalmente (II 5 e 9) si riscontrano

segni riempitivi. Il verso del rotolo fu usato più tardi nel sec. II? per un conto agricolo. Per l'ortografia si noti: πεντακισχειλίων (et per t lungo), τεττεράκοντα, εἶχε invece di εἶχεν (A)

a II 14 (77127: su questo aspetto vd. Post, Vatican Plato, 13). I] nuovo testimone, che & stato collazionato sull’edizione di É. Des PLACES, BL, XI.2 (1951), non presenta varianti ri-

spetto ai manoscritti medievali. —

122 —

POXY

3673

LG.

Col. II να΄

φιλοφρό]!νς δεχόμενοι ζῆτε ἐν

αὐτοῖς: τὰ δ᾽ ἄλλα ἐπιτηδεύματα κ]αὶ πρὸς ἄλλα τείνον-

77122

va τῶν ἀγαθῶν λεγομένων χαίρειν χρὴ xpoco[y Ἰορεύειν. ἀρχὴ δὲ ἔστω τῶν με-

τὰ ταῦτα ἡμῖν νόμων ἥδε τις ἀφ’ ἱερῶν ἠργμένη.

τὸν ἀριθμὸν γὰρ δὴ δεῖ 10

πρῶτον ἀναλαβεῖν ἡμᾶς τὸν τῶν πεντακισχιλίων καὶ τετταράκοντα, ὅ-

σας εἶχε τε καὶ ἔχει τομὰς προσφίό Ἰρουςὅ τε óMo Jc ἅμα καὶ ὁ κ[ατὰ] φυλάς, ὃ δὴ τοῦ

771b

παντὸς ἔθεμ]εν [δ]ωδεκ[α τημόριον

Col.

III

[c πάσας τὰς διανομὰς Elxeı μέχρι τῶν δώδεκα dπ[Ἕ[ὸ μιᾶς ἀρξάμενος πλὴν es

771c2

ἑν[ δεκάδος -- αὕτη δ᾽ ἔχει σμ[ικρότατον 1 ἴαμα: ἐπὶ

θίάτερα γὰρ ὑγιὴς γίγνεται δ[υοῖν ἑστίαιν ἀπονεμῆ-

θ[είσαιν — ὡς δ’ ἐστὶν ταῦτα ἀ-

10

λ[ηθῶς ὄντα, κατὰ σχολὴν οὐ[κ ἂν πολὺς ἐπιδείξειεν μῦθος. πιστεύσαντες δὴ t[ò νῦν τῇ παρούσῃ φήμῃ

[koi λόγῳ, νείμωμέν τε ταύ-

τίην, —

123—

771d

PLATO

II 11

12

πεντακιςχεῖλι

27-29

τεττεράκοντα pap.

Il1 13 εἶχεν A I 2 in margine all'inizio un doppio punto il cui significato è in.

certo.

MWH

28

Lg. VII 797a2-b2 PHarris 42

Sec. III?

Prov.: ignota.

Cons.: Birmingham, Central Library of the Selly Oak Colleges, inv. 174a.

Edd.: J.E. PoweLL, PHarris I (1936), 30.

Comm.: MP’ 1423 (= Y^ 1423)

Des PLACES, BL, XI.1 [1951], p.

CCXV n. 4; SCHÖPSDAU, Nomo: [1994], 144 n. 116.

Frammento di una colonna di rotolo papiraceo, mutila su tutti 1 lati, in una scrittura di stile severo leggermente incli-

nata. Sul verso qualche sporadica traccia di scrittura. Il cambio di interlocutore & segnalato come al solito dal doppio punto,

presumibilmente accompagnato da paragrapbos. Delle due nuove lezioni, una è una semplice svista (τ. 12: θέσεων per θέσεως prima di νόμων), ma l’altra, l'omissione di un γάρ apposizionale (cfr. Denniston, 67) che evita l'asindeto a τ. 4 (79724),

sembra almeno degna di considerazione. Per motivi di spazio non é possibile che pap. a 797b2 (r. 16) condividesse l'aplo-

grafia di A O, sanata da O*.

$1 dà qui il testo, poiché sebbene il papiro fosse già disponibile per 1 curatori dell’edizione Budé e fosse di fatto menzionato da Des Places nella sua introduzione generale (XI.1, p. CCXV n. 4), le lezioni che presenta non sono registrate da Dies ad loc. (XIL1, p. 24). Collazionato sull'edizione di A.

Di£s, BL, XII.1 (1956).

— 124—

POXY

3673 - PHARRIS 42 - PBEROL 21113

£G.

τό ye σφόδρα] &on[ov καὶ ἄηBes διευλαβ)]εΐσθαίι δεῖ λέγοντα κ]αὶ ἀκούοντα, [καὶ δὴ καὶ

79742

νῦν. ἐρ]ὼ μὲν ἐγὼ [λόγον οὐκ

5

ἄφοβοΪν εἰπεῖν, ὅμ[ως δέ πῃ θαρρ]ήσας οὐκ ἀπ[οστήσο-

μαι.

Τ]Ίίνα δὴ τοῦτί[ον, ὦ ξέ-

ve, λέγεις; Φημὶ [κατὰ πάcac πό]λεις τὸ τῶν [παιδιῶν γένο]ς ἠγνοῆσ[θαι σύμπασιν ὅτι] κυριώτατόίν ἐστι πεpi θ]έσεων νόμων, ἢ povi-

10

uo]uc εἶναι το[ὺς τεθέντας ἢ μ]ή. ταχθὲν μ[ὲν γὰρ αὐτὸ καὶ με]τασχὸν το[ῦ τὰ αὐτὰ

15

κατὰ τὰ αὐ]τὰ καὶ ὡσαύτως

797b2

IBI 8

yeıc:

4

μὲν pap. μὲν γὰρ codd. post κατὰ O^: om. AO.

12

θ]έσεων pap., θέσεως codd.

16 «à MWH

29

Lg. VII 80924-6 PBerol inv. 21118

Sec. IIP

Prov.: Hermupolis Magna. Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: W. LUPPE, APF 41 (1995), 24; G. IOANNIDOU, ΒΚΤ IX (1996), 27, n?

18.



125—

PLATO

29-30

Tavv.: BKT IX, VIII. Comm.: MP? 1423.01.

Si tratta di un piccolo frammento papiraceo di volumen

(2,8x4 cm), bianco sul verso, recante le vestigia di cinque righi della parte destra di una colonna e, a ca. 0,8 cm dall'ultima lettera di col. I 5, parte di un segno critico relativo a una seconda colonna, della cui scrittura non resta traccia. Il testo

é accuratamente vergato in una maiuscola rotonda che segue il canone degli esemplari più evoluti, come l'Omero di Hawara, pur con qualche influsso dello stile severo in alcuni particolari, quali la forma di a: tutto ciò induce a datare il frammento

alla seconda metà del II?, piuttosto che al I? (Luppe, Ioannidou). Da notare la forma semicircolare non occhiellata di e, il

tratto mediano di @ perpendicolare al rigo, l’asta verticale di

v ben sviluppata e gli apici ornamentali del u (Cavallo, Onciale romana, 217-218). I resti del segno critico a margine di col. II sono forse interpretabili come una diple obelismene

(Luppe), piuttosto che come una semplice diple (Ioannidou);

dato che non sono conservati né il margine superiore né quello inferiore, non è possibile sapere in quale punto della colonna

si collochi il testo superstite, ma è verisimile supporre una fine di sezione dopo il periodo di transizione che va da τοῦτον δὲ (80927) a γίγνηται (809b5), tra quest'ultimo e tà μέν. In que-

sto caso, sulla base di una media di quindici lettere per rigo, st può calcolare una colonna di ca. 19 righi. Il testo di questo minimo frustulo, collazionato con l’edizione di A. Diès, BL, XILI (1956), non presenta varianti rispetto ai manoscritti medievali. Col. I ἡμῖν ὀξὺ xoi διαφ]ε-

80924

ρόντως ἐπι]μελούμενος τῆς τῶΪν παίδων

τροφῆς κατε]υθυνέ5

τῷ τὰς φύσεις αἰὐτῶϊν



126—

80926

PBEROL

21118 - POXY 3674

LG.

Col. II

[ L [ | | —

I1

(mnmn

traccia del tratto curvo della parte inferiore di e (Luppe), non del-

l'ansa angolare di a (Ioannidou)

4-5 un trattino orizzontale nell’inter-

lineo fra ε di r. 4 e il perduto v di r. 5 II

resti di una diple obelismene (Luppe) piuttosto che di una semplice diple (Ioannidou). SMT

30

Lg. IX 854c6-d4

POxy 3674

Sec. II? med.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. CocKLE, POxy LII (1984), 99-100.

Comm.: MP? 1424.1

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 77, 152, 254,

279, 309.

Rotolo papiraceo, bianco sul verso. Frammento, ricostruibile in cm 5,3x10,3, recante parte di una colonna. La scrittura è una libraria di medie dimensioni, rotonda e diritta, con una

forte bilinearità, accentuata da una leggera compressione in altezza e dall'uso di apici, il cui scriba & stato identificato dall'editrice con quello registrato col n? 29 in Johnson, Papyrus Roll. Non sono visibili segni di interpunzione. Punti diacri—

127—

PLATO

30-31

tici su t; vengono impiegati 1 consueti segni angolari di riempimento in fine di rigo. Lo τοῖα mutum è regolarmente ascritto col dativo singolare e in ἄδειν a 854d1 (7-8), ma non in ληφθῇ

a 854d1 (9). Altre peculiarità ortografiche: πολ]ειτοφθόρα (et per t lungo) a 854c7 (3), xep]oiv in luogo di xep]oi a 854d2

(12).

Il testimone, che & stato collazionato sull'edizione di A. Dies, BL, XII.1 (1956), non presenta varianti rispetto δι ma-

noscritti medievali. Col. II

toig πάν͵Ἶτα τ[αῦτα ἐπινοοῦσιν] ὅσα ἀνόσια ἔργα καὶ πολ]ιτοφθόρα, τῷ μὲν πειθ]ομένῳ τὸν νόμον £&]v σιγῇ δεῖ, τῷ δὲ ἀπε]ιθοῦντι μετὰ τὸ προοίμιον ἀδεῖν μέγα ὃς δ᾽ ἂν ἱερο10

854c6

854d

συλῶν] ληφθῇ, ἐὰν μὲν ἢ] δοῦλος ἢ ξένος, ἐν τῷ προϊσώπῳ κ[αὶ ταῖς χερσὶν Ὑ[ρ Ἰαφεὶς: [τὴν συμφοράν], καὶ] μ[α]στίιγω-

θεὶς ὁπόσ]ας ἂν [δόξῃ 15

τοῖς δικασ]ταῖς, ἐ[κτὸς τῶν

ὅρων τῆς xópe]c γυμ[νὸς

1... LL. LI

E. 1.

ll

20

3 12

}ειτοφθορατωΐ pap.

8 iepo

9

χερσὶ A.

Ἰλήφθη pap.

MWH —

128—

POXY

3674 - POXY 23

LG.

31

Lg. IX 862b3-863c2 POxy 23

Sec. III?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Cambridge, University Library Add. Ms. 4030. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy I (1898), 50-51.

Tavv.: POxy I, VI. MAEHLER,

Pal: SEIDER, Pal. Gr. Pap., 95-96; CAVALLO-

10.

Comm.: MP? 1425 (= P° 1425) 115;

RITTER,

Bericht

W. CRONERT, APF 1 (1901), 114-

[1912],

4; ALLINE,

Histoire

[1915],

144;

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dievale 1971,

e Me-

195-219: 214-216); LEISEGANG [1950], 2362; DES

PLACES, BL, XI.1 (1951], p. CCXV n. 4; CARLINI, Studi [1972], 9 n. 23; JoHNSON, Papyrus Roll [1992], 24, 71, 152, 153, 202,

256, 277, 285, 292, 300, 306; SCHOPSDAU, Nomoi [1994], 144 n. 116.

Resti della parte superiore di tre colonne consecutive di un rotolo papiraceo, scritto 1n uno stile severo inclinato e poco formale assegnabile al sec. III; la datazione consolare al 295 d.C. che si legge sul verso costituisce un terminus ante quem per il testo di Platone. Larghezza della colonna cm 6,5 ca. con ca. 17 lettere; l'altezza della colonna può essere calcolata in cm 24 ca. con 43 righi; intercolunnio cm 2 ca. I segni di pun-

teggiatura sono ovunque aggiunti in una fase successiva: ricorrono ano stigmai, una, non segnalata in ed.pr., si rileva dopo adıkılav (II 6-7: Johnson, Papyrus Roll,:24); il doppio punto con paragraphos segnala come di consueto il cambio di interlocutore. Lo zota mutum viene apposto. Numerosi gli emendamenti: aggiunte supra lineam, cancellature ottenute col punto

sopralineare. Della Corte, 404 ha ıdentificato la mano di POxy —

129—

PLATO

31

23 con quella di PBerol 9766 (> 80 957), considerando i due papiri come parti di un unico rotolo, ma, oltre al fatto che si tratta di testi di natura differente, la mano non è la stessa. Il testo sembra esser stato collazionato con un esemplare diverso da quello del copista. In due casi il correttore ha introdotto quella che per noi è una lezione nuova, laddove il primo testo del papiro si accordava con la tradizione medievale: I 19-21, II 20-21. Si notano inoltre tre emendazioni testuali: a II 7, a III 13 e a III 18. Almeno gli ultimi due interventi possono interpretarsi come autocorrezioni dello scriba calamo currente: A III 21 si trova un errore evidente non corretto.

A I 8-10 il passo, corrotto in AO

(restaurato da A°O?),

era evidentemente sano in pap., anche se la presenza di ἀβλαβὲς a 862b7 é solo ipotizzabile. Un altro caso di concordanza con A’O’ contro il testo base di AO sembrerebbe riscontrabile in II 25. In un caso (III 7) pap. condivide un errore con AO

ante

correctionem, ma si tratta di uno scambio facile (öv per dv). Altrove (III 18) pap. sembra non condividere un errore di O, sanato da O°. Infine una congettura antica (Laur. 80. 17 del

XV sec.) non trova conforto nel papiro. I] testo è stato collazionato con l'edizione di A. Diès, BL,

XII.1 (1956). I 8-10 (862b6)

Dove AO danno il passo privo di senso τὸ

μὲν ἀβλαβὲς ὑγιὲς toig νόμοις εἰς τὸ δυνατὸν ποιητέον in textu (con yp. βλαβὲν, per ἀβλαβὲς in margine A’O°), il papiro presenta τὸ μὲν βλ]αβὲν | [ἀβλαβὲς (9) τοῖς νόμοις eilg τὸ | [κτλ. (col. I 8-10). Il testo giusto dovrebbe essere ο τὸ μὲν βλαβὲν

ὑγιὲς [così Burnet (con AO)], oppure τὸ μὲν βλαβὲν ἀβλαβὲς [cosi Dies, sulle orme di Badham, Mnemosyne

12 (1884), 44-

55: 49 e di Ritter (Platos Gesetze, Kommentar zum griechischen Text, Leipzig, Teubner 1896, ad loc.), a ragione, 1n considerazione dell'i impiego piü limitato di ὑγιές subito sotto]: evidentemente il passo nel papiro non era corrotto. Non si può dire cosa seguisse βλαβὲν (ὑγιὲς è forse preferibile ad ἀβλαβὲς per motivi di spazio, ma l'argomento SIVO). —

130—

non

è deci-

POXY

23

LG.

19-21 (862c3) Il correttore ha collocato πειρατέον dei dopo καθιστάναι anziché prima, un banale scambio nell’ordine delle parole. II 7 (862d7)

In pap. δὲ ἢ è corretto in è’ ἢ (den con espun-

zione con punto sovrastante di e). 20-21 (862e4-6) Nel periodo τοὺς τε ἄλλους dv διπλῇ ὠφελοῖεν ἀπαλλαττόμενοι τοῦ βίου, παράδειγμα μὲν τοῦ μὴ ἀδικεῖν τοῖς ἄλλοις γενόμενοι, ποιοῦντες δὲ ἀνδρῶν κακῶν ἔρημον τὴν πόλιν, μὲν & stato inserito dopo ἀπαλλαττόμενοι e δὲ

al posto di μὲν (interessato da un segno di cancellatura) segue παράδειγμα, certo un fraintendimento, anche se comprensibile. 25 (863c1) Un altro caso di concordanza con A’O’ contro

il testo base di AO: l’ampiezza della lacuna in fine rigo a col. II 25 assicura della presenza di μὲν dopo οὕτω. III 7 (863b3)

Pap. si accorda con AO

(ὄν), contro la le-

zione, accolta dagli editori, di A? (ἢν: ὦ ex o: cosi risulta dall'apparato di Diés [Burnet non riporta la lezione], ma da Post, Vatican Plato, 99, sembra potersi dedurre che anche in O l'errore é stato sanato).

9-10 (863b4) Pap. (ἀϊλογίστω, con AO) non offre appoggio all’antıca congettura del Laur. 80, 17 (L, del XV sec.: cfr. su questo manoscritto

Post, Vatican Plato, 22-28): ἀλόγῳ.

12-13 (863b6) In pap. ταύτην è corretto in ταὐτὸν (o scritto sopra n). 18 (863b8) In pap. βίου è corretto in βιαίου (at soprascritto). βιαίου è dubbio: secl. Bury, con:. οὐ βίᾳ England [cfr.

England, Leges, II, 400 e T.J. SAUNDERS, The Socratic Paradoxes in Plato's Laws. A Commentary on 859c-864b, Hermes 96 (1968), 421-434: 425-426], tuttavia il testo del papiro 1mplica βιαίου come testo della tradizione; inoltre considerazioni d spazio fanno supporre che pap. avesse πᾶν, omesso da O e pplito da O*. IM (863c1) In pap. si legge μὲν invece di μὴν: un errore evidente non corretto. MWH*



131—

PLATO

32

32

Lg. IX 865a3-c7

POxy 3675

Sec. IP

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. Cocxrz, POxy LII (1984), 100-101. Comm.: MP?

1425.1

JOHNSON,

Papyrus Roll [1992],

17, 67-68,

77, 150, 254, 276, 283, 290, 299, 305.

Rotolo di papiro, bianco sul verso. Frammento, di cm 7,5x12,3 nella sua massima estensione, che reca la parte infe-

riore (mg. per cm 5,7, cfr. Johnson, Papyrus Roll, 67) di due

colonne, vergato (dallo scriba identificato dall'editrice con quello registrato col n? 11 in Johnson, Papyrus Roll, cfr. Turner, GMAW^, n° 28, p. 23; la scrittura è in uno stile diritto, bilineare e decorato (definito intermedio

da G. Menci),

che in

qualche modo richiama la capitale rustica latina, e la cui datazione & controversa. Turner, GMAW’, 22-23, seguendo Hunt, in opposizione a Schubart, Gr. Pal. 114, argomentó a favore del II secolo [cosi anche G. ΜΕΝΟΙ, Per I ‘identificazione di un nuovo stile di scrittura libraria greca, in Atti del XVII Congresso Internazionale di Papirologia (Napoli 19-25 maggio 1983), Napoli, C.I.S.P.E. 1984, I, 51-56] piuttosto che del sec. I^, ma Cavallo (Scr. Erc., 55- -56) ha addotto esempi di scrit-

tura in rotoli ercolanesi a supporto di una datazione anteriore, fino al I sec. a.C.; e, sebbene si possa supporre che gli sviluppi evolutivi della scrittura in Egitto fossero in ritardo rispetto a quelli in Italia, gli elementi di prova sembrano a favore del sec. IP. L'altezza Sella colonna può essere stimata in ca. 21 cm con ca. 34 righi; la sua larghezza è di circa 5,2 cm. L’editrice ha calcolato che per l’intero libro IX occorreva un rotolo di ca. 5,5 m con 84 colonne (5,6 m con 83 colonne secondo Johnson, Papyrus Roll, 299, 305). Ano stigma: sono utilizzate per —

132—

POXY

3675

LG.

la punteggiatura e alcuni segni diacritici sono stati dallo scriba (accento circonflesso sun a I 5 e punti su v a II 8). Il testo è anche corredato di segni critici, a quanto pare apposti dallo scriba stesso: due diplai

aggiunti diacritici anch'essi e il dop-

pio segno HF 4 meno usuale (cfr. PSI 1484, II 10, infra, 80 61, in cui c'e il segno 4), accanto all'ultimo rigo di col. II, il tutto

nell’ambito di 865c. La funzione attestata della diple |in Platone è quella di segnalare passi caratteristici della dottrina platonica (D.L. III 65 e PSI 1488 [> 80 142T]; cfr. introd. a POxy

3326 [> 80 70]); in pratica sembra che ciò capiti di rado, ma in questo caso tale funzione sarebbe appropriata. Il significato del doppio segno meno usuale, che assomiglia a due spiriti, il primo aspro e il secondo dolce, posti l’uno di fronte all’altro, non è chiaro; si può immaginare che abbia a che fare con le varianti testuali χρησάσθωχρήσασθαι (entrambe attestate nella

tradizione medievale: vd. sotto). Un piccola svista sembra corretta da m' a II 3 (865c4) e una seconda mano è responsabile dell'aggiunta testuale interlineare (correzione o variante che sia) a I 6 (86523).

Il papiro, collazionato sull'edizione di A. Di£zs, BL, XIII (1956), non

offre

novità

testuali di rilievo, à 1n accordo

coi

manoscritti medievali in una lezione problematica (I 9) e non offre purtroppo, a causa del cattivo stato di conservazione, un contributo sicuro in un punto in cui la tradizione medievale e divisa (II 11-12). Col. 1 καὶ ἄθλοις δημ]οσίοις ἄκων, εἴτε rapa ]xofiuo εἴτε καὶ ἐν ὑστέρ]οις xpóvoig ἐκ τῶν πλη]γῶν,

5

10

ἀπέκτεινέν τι]να φίλιον, ἢ κατὰ πόλε]μον ᾿ὡσαύτως΄ fi κατὰ μελέτην τ]ὴν πρὸς πόλεμον, ποιουμένων ἄσκησιν τῶν ἀρχ]όντωϊν ψιλοῖς σώμασιν ἢ] με—

133—

86523

PLATO 32-33

τά tıvav ὅπλων dn]o,

3

j;

μιμουμένων τὴν x]ol[Aeuucrv πρᾶξιν —_ — —

i

86 »b

Col. II J...[ vout-] ζων τὸν ἑαυτοῦ διειρ-

86503

γάσθαι τὸν [τοῦ τελευτήσαντος δεσπότην ἀβλαβῆ παρεχέτίω καὶ ἀζήμι-

5

> ον, ἢ δίκην [eic τὴν ἀξίαν τοῦ τελευτή[σαν> τὸς ὑπεχέτω διπλῆν, τῆς δὲ ἀξίας οἱ δικαστί[αὶ

10

διάγνωσιν ποιείσθωσαν, καθαρμοῖς δὲ χρῇ ἷσαF 4 o0. μείζοσίν τε καὶ πλείοσι

16 .ὠξαύτὠξ. aggiunto s.l. da m? 16 ὡσαύτως et pap.pc (m. 2): om. pap.ac 9 τῶν ἀρχόντων secl. Burnet (probavit England): τῶν ἀκοντίων Bury (probavit Dies) 113 γέεθαι o posto sopra € dam’ 5 Bi 6 ov. 8 ὕπεχετω 11 cav: 12 traccia di una lettera tondeggiante seguita da un ‘obliqua discendente in basso a unirsi con una verticale: possibile in questa scrittura sia αι sia ὦ (cfr. infra), ma con maggiore probabilità per o 113 AO

τὸν pap. A O'(s.v.): om.

et Ilim Οὐ, χρησάσθω

O

11-12

xpncalc8. pap., χρήσασθαι

O° vel O* (ὦ s.l.)

I 6 (86523) Il testo di pap.ac era privo del tràdito ὁὡσαύτως,

ma la parola che probabilmente figurava nell’antigrafo è stata aggiunta successivamente da una seconda mano. 9 (86527)

L’imbarazzante τῶν ἀρχόντων della paradosis, le

cui difficoltà sono. state messe bene in luce da England (Laws, IT, 406), che ha accolto la. proposta di espunzione avanzata da Burnet, era evidentemente presente in pap. (τῶν ἀκοντίων proposto da Bury sembra escluso).

— 134—

POXY

3675

LG. - POXY 881

LY.

II 2-3 (865c4) Il copista aveva scritto Öleipyeodoı per διειργάσθαι, una svista rettificata forse dallo scriba.

3 (865c4)

Pap. non si accorda con Oac nell'omettere τὸν

davanti a tod.

11-12 (865c7)

Per un caso sfortunato la lezione del papiro

non è molto chiara, ma sembra essere stata χρησάσθω piutto-

sto che χρήσασθαι: la prima è la lectio facilior (ma probabil-

mente quella giusta), offerta soltanto da una mano più tarda in O (O°, secondo Burnet e Greene, Sch. Plat., 346, oppure O‘, secondo Dies: sui problemi relativi ai correttori di O vd. Post, Vatican Plato, 9-10, Greene, Sch. Plat., pp. XVIII-XIX, Des Places, BL, XI.1, pp. CCX-CCXIV), la seconda è la meglio attestata (A O e, secondo quanto ci attesta O^, τὸ βυβλίον

τοῦ πί(ατ)ρι(ἀρ)χίου)

[oppure n{at)pı(ap)x(eiov): sur problemi

relatıvi al libro del Patriarca, o del Patriarcato, vd. Immisch, De praesidiis, 51-53, Alline, Histoire, 206-207, Greene, Sch. Plat., p.

XXXII, P. LEMERLE, Le premier humanisme byzantin, Paris, P.U.F. 1971, 191 n. 49, Irigoin, Deux traditions, 683-699: 690 (= Tradition, 159), L. CANFORA, Le collezioni superstiti, in Lo spazio letterario, 11, 95-250: 203-204 e nn. 192, 193, G. CAVALLO, La trasmissione dei testi antichi a Bisanzio, ibid., Il, 265-306:

287, A. PONTANI, La filologia, ibid., II, 307-351: 317 e n. 24]. MWH*

33

Lysis 208c2-d3

POxy 881 v (> 80 12)

Sec. III? in.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Cambridge, The University Library, Add. Ms. 5884. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy VI (1908), 192-194.

Comm.: MP? 1411 (= ΡΖ 1411)

RITTER, Bericht [1912], 5-6, 54-

55; ALLINE, Histoire [1915], 143-146; SCHUBART, Einführung [1918], 92-93; GRENFELL, Value [1919], 28; WILAMOWITZ, Platon, II [1920], 68 e n. 2; JACHMANN, Der Platontext [1941], 241, n. 3; LEISEGANG [1950], 2362-2363; SiJPESTEIJN, Platon-Papyr: —

135—

PLATO 33

[1964], 29-30; O. MONTEVECCHI, La papirologia, Milano, Società

Editrice Internazionale 1973 (ristampa con addenda Milano, Vita e pensiero 1988), 381; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 30; 108-

109; G. BASTIANINI, Βιβλίον ἑλισσόμενον. Sull’avvolgimento dei rotoli opistografi, in Storia poesia e pensiero nel mondo antico. Studi in onore di Marcello Gigante, Napoli, Bibliopolis 1994, 45-48: 46, n. 7; E. PUGLIA, Il catalogo di un fondo

librario di

Ossirinco del III d.C. (PSILaur. inv. 19662), ZPE

113 (1996),

51-65: 56-57; MARTINELLI TEMPESTA, Liside [1997], 248-256.

I 18 righi (nessuno dei quali integro) di una colonna di scrittura che si leggono sul verso di POxy 881 (cm 10,2x6,2) restituiscono una porzione del Liside (208cd): il volumen che aveva ospitato nel recto l'Eutidemo (> 80 12) è stato reimpiegato a distanza di tempo per la trascrizione (nella faccia transfibrale) di un altro dialogo platonico. Ο ὃ una sostanziale corrispondenza tra la quantità di testo

che nel recto manca per arrivare alla fine dell’Eutidemo e quella che nel verso doveva essere contenuta tra l’inizio del Liside e il primo rigo del nostro frammento. Questo sia pur approssimativo calcolo dà sostegno alla tesi che le edizioni dei due dialoghi fossero integrali e non limitate ad estratti, come pure è

stato affermato (Montevecchi, 381). Sul problema si può vedere ora Martinelli Tempesta, Liside, 250-251.

La superficie del verso è molto danneggiata, mentre ben

leggibile ancora è il recto con l’Eutidemo; se il recto non era

danneggiato al momento del reimpiego e se non ha sofferto per il reimpiego, si può pensare che il volumen opistografo, una volta entrato in possesso di chi ha trascritto privatamente ıl Liside, fosse utilizzato anche per leggere l’Eutidemo: si sco-

pre un lettore amante di Platone, ma costretto a qualche eco-

nomia. Per il problema posto da rotoli reimpiegati per la trascrizione di testi letterari, si può vedere l’introduzione a Hierocles, CPF 1.1**, p. 272 e Bastianini, 46, n. 7. Johnson

(Papyrus Roll, 108-109), rilevando le affinità di impostazione tra recto e verso (praticamente uguale la larghezza delle colonne, cm 5-5,2), tende a ridurre l’intervallo cronologico

tra

le due trascrizioni, essendo chiaramente quella dell’Eutidemo il modello formale per lo scriba del Liside. La scrittura del verso è una maiuscola informale, —

136—

con al-

POXY

881

LY.

cuni tratti corsiveggianti, databile alla prima metà del sec. IIIP.

La media di lettere per rigo & 17/18, molto vicina dunque alla media del testo trascritto sul recto. Lo scriba si mostra molto attento nel segnalare il cambio

di interlocutore con la paragraphos e il doppio punto (nella

porzione di testo rimasta le battute dialogiche si succedono a ritmo incalzante) e nell'indicare con l'ano stigme una pausa di senso all'interno di una pur breve battuta. Punti su v iniziale (r. 6) e un segno di lunga su n (r. 4) completano il quadro (visibile) dei segni diacritici. Sorprende la ricchezza di varianti rispetto alla tradizione manoscritta in un testimone di questa età, in una porzione cosi esigua di testo. Già Ritter (Bericht, 54-55) rilevava la singolarità della testimonianza di POxy 881 verso, ma senza trarne le conseguenze per la constitutio textus del Liside; Wilamowitz (Platon, II, 68 e n. 2) dà il dovuto rilievo al frammento ossirinchita, illustrandone le novità testuali. Almeno in tre luoghi (208c3, 208c6, 208d2) pap. appare depositario di lezioni originali, ma anche altre varianti non vanno trascurate (208c3).

A. Croiset non tiene conto di POxy 881 verso nella sua edizione (BL, II, 129: «mèmes sources que pour le Charmide»; ma questa identità non vale per le fonti papiracee!); le varianti

del testimone papiraceo sono invece registrate nell’apparato di

Vicaire (Paris 1963, sigla Ox.Pap.). Il testo è stato collazionato sull’edizione

di J. BURNET OCT,

III), ma si è tenuto

conto dell'apparato di P. VICAIRE (BL, II, 1963). 1-2 (208c3)

Pap. presenta

questo testo: ἀλλα apl[xeı co]o

tic; Diversa la collocazione delle parole in B T W: ἀλλ᾽ ἄρχει tig σου; Contro Wilamowitz

(Platon, 11, 68, n. 2), sembra da

preferire l'ordo verborum di pap. con tig (indefinito, non interrogativo; cfr. Martinelli Tempesta, Liside, 252-253) in po-

sizione finale, in forte rilievo. Nell? immediata risposta di Liside, |’ ὅδε deittico prima di παιδαγωγός [che Wilamowitz (Platon, II, 68, n. 2) giudica giustamente «unbedingt echt»] si legge in B T W, ma & caduto in pap. Molto articolato l'intervento critico di Martinelli Tempesta (Liside, 253-254) che ritiene ὅδε dei codici errore (molto antico) provocato dalla vicina sequenza οὗτος ὁ παιδαγωγός (208c6), intesa in modo non

corretto come se fosse riferita al pedagogo di Liside fisica—

137—

PLATO 33-34

mente presente al dialogo. E vero che non c'é una necessità ‘drammaturgica’ per la presenza del pedagogo, ma pap. qui non offre un testo capace di contrapporsi a quello dei codici, appare lacunoso. La variante a ὅδε che si trova in Par. Gr. 1811 e in Vat. Urb. Gr. 80 (6) è nata chiaramente in una fase recenziore della tradizione. 4 (208c4) Pap. omette da solo ἀλλὰ ti μήν; Per la corretta interpretazione del testo dei codici, qui non messo in discus-

sione da pap., cfr. Denniston, 332.

6 (208c5) Pap. inserisce da solo ye dopo ovta per sottolineare la contrapposizione &AebOepov/onó δούλου, ma il testo dei codici, senza ye, è difendibile. Cfr. anche Martinelli Tem-

pesta, Liside, 254-255. 7 (20806) τι de καὶ pap., ti δὲ B T W, τί καὶ Vat. Gr. 226.

Il xoi di pap., che facilmente puó essere caduto nelle fonti primarie (ricompare nel Vat. Gr. 226, ma sul valore di questa testimonianza si deve vedere ora Martinelli Tempesta,

Liside,

255), vuol dare rilievo speciale a ciò che segue immediatamente

e cioè ποιῶν: cfr. Denniston, 312-313. Si può citare come pa-

rallelo Euthphr. 349 ti καὶ ποιοῦντα. Perentorio il giudizio, peraltro condivisibile, di Wilamowitz (Platon, II, 68, n. 2) che

considera xoi «sehr gut». 8 (208c6) Pap. traspone da solo oov prima di ὃ παιδαγωγός.

Wilamowitz (Platon, II, 68, n. 2) giudica preferibile il testo del frammento ossirinchita, ma ci sono ragioni per considerare secondario, frutto cioè di intervento deliberato, l'ordo verborum di pap.: in B T

(οὗτος ὁ παιδαγωγός σου ἄρχει;) σου

ha un doppio valore (possessivo di ὁ παιδαγωγός e oggetto di ἄρχει); la diversa collocazione in pap. dà a cov l'esclusivo va-

lore possessivo. Cfr. Martinelli Tempesta, Liside, 255.

14 (208d1) Dopo σοι pap., contro i codici, aggiunge ye che

non merita qui particolare attenzione (diverso il giudizio di

Martinelli Tempesta, Liside, 256). Nell’apparato di Vicaire questa variante non figura. 15 (208d2) Prima di ἑκὼν, pap. inserisce un parentetico ὡς eoi[xev]. Jachmann (Der Platontext, 241, n. 3) vede qui un'e-

spansione del testo, frutto di attività *diascheuastica'; l'interpolatore sarebbe stato influenzato da 208b6 xoi δοῦλον, ὡς ἔοικεν, ἡγοῦνται κτλ. La presenza di varianti sicuramente ori-

ginali in pap. rende cauti ne] giudizio e non pregiudizialmente —

138—

POXY

881

ΕΥ̓͂. - POXY

2662

MEN.

contrari all’aggiunta: ὡς ἔοικεν, originale, avrebbe la funzione di mettere in particolare rilievo ἑκὼν. Wilamowitz (Platon, II, 68, n. 2) non esclude l'originalità di ὡς ἔοικεν («möglich»): Martinelli Tempesta (Liside, 256) si dichiara incerto. AC

34 Meno

92e8-93c1

POxy 2662

Sec. I’/IP

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: P.J. Parsons, POxy XXXIII (1968), 82-84. Comm.: MP? 1417.1 D. DEL Corno, Gnomon 42 (1970), 261;

FR. UEBEL, APF 21 (1971), 180; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 57.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 2,9x12,2), mutilo da ogni lato, contenente la parte centrale di una colonna di scrittura: 25 sono 1 righi superstiti (pià o meno danneggiati), privi tutti delle lettere iniziali e finali. Si può calcolare che ogni rigo avesse in media 30 lettere. Lo scriba ascriveva abitualmente lo iota mutum (p. es. r. 15), cadendo addirittura in ipercorrettismo (r. 16); altri errori

di trascrizione sono iotacismi (r. 13) oppure scambi di lettere e dittografie, prontamente corretti però inter scribendum (rr. 7 e 18); solo al r. 10 la correzione interlineare sembra essere

di altra mano. L’unico segno di interpunzione è una mese stigme al r. 20; per quanto è dato vedere, le battute dialogiche $1 succedono senza che compaia il doppio punto a dividerle (la paragraphos, se c’era, è stata inghiottita in lacuna). Johnson (Papyrus Roll, 57) ritiene che a r. 8 dopo avöpelc una mese stigme (non segnalata dall'ed.pr.) possa indicare il cambiamento di personaggio. Un nuovo esame diretto del papiro porta ad —

139—

PLATO 34

escludere la presenza di un qualsiasi segno di interpunzione. Un tratto obliquo (simile a un accento grave) al r. 20 (sopra il primo 1) potrebbe aver avuto la funzione di richiamare l'attenzione su una trasposizione di termini. La scrittura, diritta, tendenzialmente bilineare, è piuttosto compressa; nonostante la presenza di apici ornamentali, a volte anche molto vistosi, l'esecuzione è rapida e inelegante. Si alternano ben tre forme di a (A A A), ma la scarsa regolarità

del tracciato riguarda anche altre lettere. I confronti già proposti dal primo editore con PFay 7, POxy 2545, POxy

2555

portano a datare il nostro testimone papiraceo alla prima età romana, alla fine del sec. I° o all’inizio del sec. IP.

Questo frammento è il primo (e finora l’unico) testimone

diretto su papiro del Merone (per le testimonianze indirette —

80 99-102T); nessun altro papiro platonico

se non

questo

si colloca nella fascia cronologica che va dal sec. II* all’inizio del sec. IP. I dati statistici elaborati da W.H.

WILLIS (A Cen-

sus of the Literary Papyri from Egypt, GRBS 9, 1968, 205-241: 230) vanno integrati, per quanto riguarda Platone in età tolemaica, con l'esemplare del Teage (> 80 81), del sec. II°. POxy 2662 non presenta novità di interesse per quanto riguarda il testo del Merone (semplici sviste sono probabilmente

l'omissione di ὦ al τ. 8 e la trasposizione ἐνθάδε ἄν[δρες al τ. 14) e non reca alcun nuovo elemento per la storia della tradizione manoscritta di F, che ha radici nel sec. IIP. Quando

la

tradizione manoscritta si divide al suo interno, gli accordi particolari di pap. sono sempre in lezione corretta.

Il testo è stato collazionato sull'edizione di R.S. BLUCK, Plato's Meno

(1961), ma

si & tenuto

conto

sempre,

nell'apparato,

delle testimonianze di P e di A (fonte greca ricostruibile di Aristippo), da Bluck citate solo occasionalmente. La piü recente edizione del Menone di R. MERKELBACH (Platons Menon, Frank-

furt/M., Athenäum 1988) non fa ricorso a POxy 2662. La ricostruzione dei righi, in mancanza delle iniziali o delle finali, è ipotetica.

]1.α.[...1..}

τοιοῦτο]ι, παρ᾽ οὐδενὸς μαθόντες ὅμως

— 140—

92e8

POXY

2662

MEN.

μέντοι ἄϊλλους διδάσκε[ιν οἷοί τε ὄντες ταῦτα ἃ αἸὐτοὶ οὐκ ἔμαθον; Καὶ τούτους

5

93a

ἔγωγε ἀξι]ῶ παρὰ τῶν x[potépov μαθεῖν, ὄντων κα]λῶν κἀγαθῶν - [ἢ οὐ δοκοῦσί σοι πολλοὶ καὶ ἀγ]αθοὶ γεγον[έναι ἐν τῇδε τῇ πόλει ἄνδρεΪς; ᾿Ἔμοιγε;, 'Avvt[e, καὶ εἶναι δο-

κοῦσιν ἐϊνθάδε ἀγαθοὶ [τὰ πολιτικά, 10

Kal yeyovevlaı ἔτι οὐχ Ἧἥττίον ἢ εἶναι- ἀλ-

λὰ μῶν καὶ δι]δάσκαλοι ἀγ[αθοὶ γεγόνασιν τῆς αὑτῶν ἀρετῆς; τοῦτ[ο γάρ. ἐστιν περὶ οὗ ὁ λόγος n]uiv ruyxaveli ὦν- οὐκ εἰ εἰσὶν ἀγαθοὶ fl μὴ ἐνθάδε ἄν[δρες, οὐδ᾽ εἰ γεγό-

15

93b

νασιν £]v τῷ πρόσθεν, [ἀλλ᾽ ei διδακτόν ἐσ͵Ϊτιν ἀρετὴ πάλαι σκοποῦμεν. τοῦτο δὲ σκοποῦντες [τόδε σκοποῦ-

μεν, &pa οἱ ἀγα]θοὶ ἄνδρες κ[αὶ τῶν νῦν καὶ τῶν προτέρων] tavinv τ[ὴν ἀρετὴν ἣν αὐτοὶ 20

ἀγαθοὶ ἦσαν ἠπίσ]ταντο κα[ὶ ἄλλῳ πα-

ραδοῦναι, ἢ οὐ παρα]δοτὸν το[ῦτο ἀνθρώπῳ

25

7

οὐδὲ παραλῃηϊπτὸν ἄλλῳ [παρ᾽ ἄλλου: τοῦτ᾽ ἔστιν ὃ πάλαι ζητοῦμεν ἐγώ è τε καὶ Μένων. ὧδε οὖ]ν σκόπει ἐκ [τοῦ σαυτοῦ λόγου’ Θεμιστοκλέ]α οὐκ ἀγα[θὸν ἂν φαίης 93c

Ἰθαθαι è ciò che lo scriba ha scritto in un primo momento; ]θοι è

stato poi ottenuto correggendo il primo a in o ed espungendo il seguente θα (con due vistosi punti sopra le due lettere) 10 lo scriba ha scritto ovx, ma nell’interlineo il x è stato corretto (da una seconda mano) ing

13

]uew pap. 16 apernı pap. 18 avópec è frutto di correzione dello stesso scriba (da avtpec) 20 Ἰταντο: pap.: sopra il primo τ un tratto obliquo discendente verso destra forse a indicare una trasposizione 1

τοῖν av[tou]at[ov

suppl. ed.pr. dubitanter

4

ÉuoO[ov pap. B T

F, ἐξέμαθον WP, didicerunt Aristippus 8 ὦ ante "Avvte 10 ἔτι post ἢ transp. Gedike 14 ενθαδε av[8psc pap., codd. οὐδ᾽εἰ pap. (spatii ratione) B T WPAf, om. F 21 tov pap., ut vid., cum B T WPAf, ἢ (lacuna) οὐδὲ τὸν F B T WPAf, ἀλλὰ F.

codd., om. pap. ἄνδρες ἐνθάδε n ov παραΪδο22 ἄλλῳ pap. AC



141—

PLATO 35

35 Minos 314d16-317b8

PAnt

181

Sec. III? in.

Prov.: Antinoupolis. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: J. W.B. BARNS, PAnt III (1967), 121-123.

Comm.: MP 1426.1

J. IRIGOIN, REG 81 (1968), 246-247; U.

FLEISCHER, Gnomon 41 (1969), 640-646: 645; TURNER, Typology

[1977], 114.

Quattro frammenti di un codice di papiro, recuperati da J.

Johnson negli scavi fatti a Sheikh Abäda, antica Antinoupolis

nell'inverno 1913/1914. Il contenuto di altri quattro frustoli

con poche lettere in successione, probabilmente appartenenti

allo stesso codice (non necessariamente alla stessa opera platonica) non & stato identificato. Il fr. A (cm 5,6x10,8) consente il recupero della parte centrale di undici righi con un margine

inferiore conservato di cm 2,3; nel fr. B, che misura cm 5,8x4,2,

sono contenute le lettere iniziali di cinque righi con una parte del margine interno; il fr. C (cm 2,7x1,8) e il fr. D (cm 3x3,4) restituiscono rispettivamente resti di due e di cinque righi non facilmente ricostruibili nel loro reale assetto (come, del resto,

quelli del fr. A), perché mutili a destra e a sinistra. Se C e D avevano la loro collocazione in una stessa pagina del codice, A e B appartenevano invece a due pagine distinte, ma in immediata successione, secondo questo schema: / C2

Dato che Al e Bl, cioè le facce dei due primi frammenti in cui la scrittura corre perpendicolarmente alle fibre, si af-

— 142—

PANT

181

MIN,

frontavano, mentre B+ si trovava contro Cl DI, A e B vanno

assegnati al bifolium centrale di un fascicolo nel

qualei fogli

si succedevano secondo lo schema > J; + 4; > di + Y. Ben difficilmente il codice conteneva solo il Minosse: si può pen-

sare che questo dialogo fosse associato ad altri dialoghi del corpus platonico oppure a scritti di autori diversi, ma sempre secondo un piano editoriale (nella prima fase della storia del codice non si incontrano miscellanee 'disorganiche' di testi pagani: cfr A. PETRUCCI, Dal libro unitario al libro miscellaneo, in Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, a cura di A. Giardina, in Società romana

e impero tardoantico, vol.

IV, Roma-Bari, Laterza 1986, 173-180). Come nulla si può dire sulla struttura del codice (se a fascicolo unico, prevalente nei secoli III-IV, o a più fascicoli), è arduo anche pronunciarsi sul formato originario: Turner rinuncia del tutto alla ricostruzione (Typology, 114), ma un tentativo, cauto, si può fare partendo dalle misure ricostruibili dell’area di scrittura (30 righi, cm 12x24) e dai margini conservati: il risultato, certo solo approssimato, di cm 16x28 sarebbe confrontabile con quello dei codici del ‘group 6’ (Typology, 18) nel quale però sono collo-

cati da Turner alcuni manufatti che potrebbero rientrare tra 1

casi speciali del ‘ group 5° (Typology, 24). Val la pena segnalare che nel ‘group 5° è compreso un altro codice proveniente sempre da Antinoupolis (PAnt 160 dell’/liade: sec. III/IV, cm 18x29).

La scrittura è una libraria di ‘stile severo’ con asse leggermente inclinato a destra e con accentuata alternanza tra lettere larghe e lettere strette; può essere confermata la proposta dell’ed.pr. (approvata anche da Turner, Typology, 114) di darazione all'inizio del sec. IIPP. C’® un caso di punti diacritici su iota iniziale (DU 2); regolare l'impiego del doppio punto per dividere le battute dialogiche. Dal punto di vista critico, PAnt 181 presenta proprie lezioni inferiori (314e7 ἀποκρίνασθαι) ed omissioni (316e9-10, omoteleuto), nessuna variante di interesse; invece, ogni volta che la tradizione manoscritta medievale è divisa, pap. si schiera con A, lasciando solo F sia quando il codice viennese incorre in errori (314e2

χρυσά,

316d5

αὐτοί) od omissioni patenti

(317b4-5 οὐ - αὐτῶν), sia quando invece conserva una lezione buona (316e6 yewpyixoi F, om. A pap.).

L'ed.pr. presenta, come appartenenu allo stesso codice, al-

— 143—

PLATO

35

tri quattro frammenti non identificati di ridottissime dimensioni: ogni tentativo di collocazione nel Minosse o ın altro dialogo di Platone & stato vano. Il testo dei frammenti A-D di PAnt 181 è stato collazionato sull'edizione di J. SOUILHE, BL, XIII.2 (1962°). La rico-

struzione dei righi nei frr. ACD, che sono mutili a destra e a sinistra, è puramente ipotetica. Fr. A>

5

Οὐκοῦν δόγμα ἔφαμε]ν eivalı πόλεως τὸν νόμον; Ἔφα]μεν γάρ. [Τί οὖν; οὐκ ἔστι τὰ μὲν ] χρηστὰ δόγίματα τὰ δὲ πονηρά; Ἔστι] μὲν οὖν. K[ai μὴν νόμος ye οὐκ ἦν ποϊνηρός. Οὐ ἱγάρ. Οὐκ ἄρα ὀρθῶς ἔχει aro]kpivacdali οὕτως ἀπλῶς ὅτι νόμος ἐσ]τὶ δόγμα [πόλεως. Οὐκ ἔμοιγε È δοκεῖ.) Οὐκ ἄρα ἁρμί[όττει ἂν

τὸ πονηρὸν δόγμα vlönoc εἶναι.

Οὐ

10

δῆτα. ᾿Αλλὰ μὴν δ]όξα [ylé τις κ[αὶ αὐὖτῷ μοι καταφαίν]εται ὁ νόμος [εἶναι-

2 γὰρ

4 οὐν:

5

3 χρηστὰ A pap. χρυσὰ

rmo]vnpoc:

F

3144 314ς

7 ecltw

6 ἀποΪκρίνασθαϊ[ι pap., ἀποκρίνεσθαι

ΔΕ

Fr. Al

önAov γένηται] εἴτε [τοῖς αὐτοῖς dei νόμοις χρώμ] εθα ἢ [ἄλλοτε ἄλλοις, καὶ εἰ ἅπαν]τες τοῖς αὐτοῖς

5

315b ἢ1 ἄλλοι

ἄλλοις. ᾿Αλλὰ] τοῦτό γε, ὦ Σ[ώκρατες, οὐ χαλεπὸν γ]νῶναι, [ὅτι οὔτε οἱ αὐτοὶ ἀεὶ τοῖς αὐτοῖϊς νόμοις χρῶνται ἄλλοι τε ἄλλο]ις. ἐπεὶ αὐτίκα ἣμῖν μὲν οὐ νόϊμος ἐστὶν ἀϊνθρώπους

θύειν ἀλλ᾽ ἀνόσιον: Κ[αρχηδόνιοι

— 144—

PANT

10

181

MIN.

δὲ θύουσιν ὡς] óo1[ov dv καὶ νόμιμον] αὐτοῖς, xoi [ταῦτα ἔνιοι

315c

9 Jevocıov: Fr. BJ ]..

-[

σῃυμ-

Bönev,] ὡς [ἐγὼ οἶμαι" ἐὰν δὲ κοινὸν 5

τεθῇ [τὸ σ]κέμ[μα, τάχ᾽ ἂν ὁμολογήσαιμεν. eli] μὲϊν οὖν βούλει, πυνθανόμενός τι παρ᾽ [ἐμοῦ κοινῇ uec ἐμοῦ σκόπ[ε]ι- eli δ᾽ αὖ βούλει, ἀποκρινόμενος.

315e

Fr. B

5

ταὐτὰ φαίνεται νόμιμα] κα[ὶ ἡμῖν ἀεὶ καὶ toig ἄλλοις: ἐπειδὰΪν δ᾽ ἐννοήσω ὅτι οὐδὲν παυόμεθα &]vo κ[άτ]ω μετατιθέμενοι τοὺς völuovg, οὐ δύναμαι πεισθῆναι. Ἴσως γὰ]ρ οὐκ ἐννοεῖς ταῦτα μεταπεττευόμ]ενα ὅτι ταὐτά

316b

βάρβαροι αὐὑ]τοῖς te κ[αὶ τοῖς " EAAncı

3164

316c

Fr. Cl

1 αὐτοῖς A pap., αὐτοὶ F

Fr. DI

γράμμα-

Pn

].

.

τα ἐστὶ τὰ] τῶν iatp[@v.

’Iatpixà μέντοι.

*Ap'oov καὶ] tà γεωρ[γικὰ συγγράμματα

— 145—

316e

PLATO 35-36

νόμοι eiot;] Nat. [Τίνων οὖν ἐστι τὰ nepi κηπουρ]ῶν. [Κηπουρικοὶ ἄρα νόμοι

5

2 ἴατί

4 ναι:

5 ]ov:

4 ante νόμοι praebet γεωργικοὶ F, om. A pap. ἐργασίας συγγράμματα καὶ νόμιμα pap. (ut vid.)

5 post περὶ om. κήπων

Fr. CO

ἐστιν; ἀ]ρ᾽

οὐ τῶν [ἐπισταμένων πόλε-

ὧν ἄρ]χειν;

2

”Euloiye δοκεῖ.

317a

᾿Επίστανται

χειν:

Fr. D>

γράψουσι περὶ τῶν αὐτῶν;

O[d.

Oo-

317b

δὲ μεταθήσονταί πο]τε περὶ τ[ῶν αὐτῶν ἕτερα καὶ ἕτερα ν]όμιμ[α; Οὐ δῆτα. Ἐὰν οὖν ὁρῶμέν] τινας [ὁπουοῦν

1 Ἰυτων: 1-2

οὐ -- αὐτῶν om. F.

AC

36 Parmenides 148c7-149c7

PVindob G 3088 (= PRainerCent 23) Prov.: incerta.

— 146—

Sec. IV/V

PANT

181

MIN.

- PVINDOB

3088

PRM.

Cons.: Wien, Nationalbibliothek, Papyrussammlung. Edd.: J. LENAERTS, PRainerCent (1983), 265-267. Tavv.: PRainerCent,

46.

Comm.: MP’ 1398.1. Due frammenti (A: cm 5,5x4,7; B: cm 6x3), che sı saldano

insieme, di un foglio di codice di pergamena. La ricomposizione dei due lacerti consente di recuperare (sul lato carne e sul lato pelo) resti della parte centrale di due colonne di scrittura di larghezza variabile tra cm 5 e cm 5,5, divise tra loro da un intercolunnio di cm 1. L'altezza delle colonne (di 30 o

31 righi) doveva essere di cm 16,5. Dando cm 3,5 ai margini superiore e inferiore e cm 3,5 ai margini interno ed esterno, si arriverebbe a una misura del foglio di cm 15 di larghezza e cm 20 di altezza: PVindob G 3088 rientrerebbe nel ‘group IX’ della tipologia di Turner (Typology, 28). La scrittura è una ‘maiuscola biblica’ che appartiene (come già si vede dalla presenza di trattini di coronamento, ad es. τ e, e da un accentuato contrasto, sia pure senza esasperazioni, tra pieni e filetti) alla fase di decadenza di questo stile scrittorio. Corretta appare l’assegnazione di questo manufatto, già proposta nell’ed.pr., al tardo sec. IV o all’inizio del sec. V. Probante è il confronto con PBerol 18131 della Genesi (Cavallo, Mazuscola biblica, 72 e tav. 51b).

Il sistema di segni per l’interlocuzione dialogica è più complesso che in altri manufatti: accanto alla paragraphos e al doppio punto, compare anche (lato pelo, col. II, r. 4), per separare due battute, un tratto orizzontale che ha paralleli, sembra, solo nei più antichi esemplari di Platone, PPetrie I 5-8 (> 80 40) e PPetrie II 50 (> 80 23). Colpisce in questo caso l’impiego combinato di tratto orizzontale e paragraphos, di fronte alla parsimonia con cui le battute vengono isolate negli altri casi con il ricorso consueto al doppio punto. Forse si è voluto, come suggerisce l'ed.pr., segnalare che con οὔκουν inizia una serie di battute destinate a precisare il significato

dell’Uno. | L'informazione testuale recata da PVindob 3088 in un passo vessato dai critici non è senza interesse: se, a 148e7, PVindob

3088 conferma l’antichità della lezione ἕδρα (che compare nei

— 147—

PLATO

36

nostri manoscritti, ma che non si legge nella testimonianza indiretta di Proclo ed è considerata interpolata), potrebbe essere difesa come originale la variante ἅπτεσθαι a 148e7 (in luogo di ἅπτεται dei codici). A giudizio dell'editore principe Lenaerts, 267, l’infinito ἅπτεσθαι dipenderebbe da δεῖ (τ, 5) come κεῖσθαι e la sequenza ταύτην — ἅπτεσθαι dovrebbe essere intesa come un'apposizione a ἐφεξῆς — κεῖσθαι; ma un senso soddisfacente si avrebbe solo sopprimendo ἡ ἕδρα ἢ (in

parziale accordo con Procli suppl. AB, cioé con Giorgio Pachymeres) e il secondo àv: «tout ce qui doit toucher quelque chose ne doit-il pas se trouver à la suite de ce qu'il doit toucher, C'est à dire toucher en occupant cette place qui se trouve après celle-là?». La difesa dell’infinito è ingegnosa, ma si deve mettere in conto la possibilità di una variante indotta, dato il frequente ripetersi in questa parte del Parmenide di änteσθαυμάἅψεσθαι.

Il giudizio sulle convergenze dell’antico testimone con le singole famiglıe di codici medievali dovrà essere rivisto alla luce dei più recenti studi che, pur ritenendo W nel Parmenide un testimone primario, non ne fanno il rappresentante di un raggruppamento a sé, ma lo pongono accanto a T (ctr. G.]. BOTER, The Vindobonensis, 144-155). Dove c’è divisione nella tradizione manoscritta, PVindob 3088 si schiera tre volte con

TW contro BCD (148d3; 148e5; 14926), una volta con TW° contro BCD W Procli suppl. Nessun accordo con BCD. È interessante che l’esemplare sempre in pergamena e di poco posteriore del Parmenide rappresentato da PDuke inv. G 5 (> 80 37) mostri la tendenza ad accordarsi con BCD: in questa età 1 due rami erano già preformati. Il testo è stato collazionato sull’edizione di C. MORESCHINI (1966), ma si è tenuto conto anche dell’edizione A. Diès, BL, VIIL1 (1956). Per la ‘continuazione’ del Commento di Proclo contenuta nel Par. Gr. 1810 (in Burnet ‘Procli Suppl.’), or-

mai attribuita con sicurezza a Giorgio Pachymeres, si veda l’edizione critica nel Corpus Philosophorum Medii Aevi - Philosophi Byzantini 4: George Pachymeres, Commentary on Plato's Parmenides [Anonymous Sequel to Proclus" Commentary], edited and translated by Th.A. Gadra, S.M. Honea, P.M. Stinger and G. Umholtz, Introduction by L.G. Westerink, Paris-Bruxelles, Vrin- Éditions Ousia 1989.

— 148—

PVINDOB

3088

PRA.

A+ fr. B carne

Fr.

Col. I

1...} ΤἸαὐτόν τε ἄρα ὃν τὸ &[v] τοῖς ἄλλοις καὶ óti] ἕτερόν ἐστι, κατ᾽ ἀμpJotepa καὶ κατὰ ἑκάτερο]ν, ὅμοιόν τίε ἂ]ν εἴη καὶ ἀνόμοιον τοῖς ἄλλοις. ΠΙάνυ γε. Οὐκ[οῦν καὶ ἑ]αυτῷ ὡσαύτωϊς,

148c7

5

5

10

Z]neinep ἕτερόν τε [ξαυto]o καὶ ταὐ[τ]ὸν ἑαυ[τῷ

1484

e [n

Col. II

ἅπτοι[το [ἂν τὸ Ev αὑτοῦ τε καὶ τ[ῶν ἄλλων.

148e2-3

“Arto

το. Τί δ[ὲ τῇδε; ἀρ οὐ πᾶν τὸ ué[AXov ἅψεσθαί τινος ἐ[φεξῆς δεῖ κεῖσθαι ἐκείνῳ οὗ μέλλει [n Ire[odar ταύτην τὴν ἕδρα[ν κατέχον

5

m ?

ἣ àv nelt ἐκείνην ἢ ἕδρα n G[v κέηται ἅπτεσθαι; ᾿Ανάγ[κη. Καὶ τὸ ἕν ἄρα [εgJi μ[έλλει αὐτὸ αὐτοῦ

10

A+B

u

carne

5

della prima lettera dopo καὶ visibile solo un'asta

I1

forse Joi

15

καὶ κατὰ pap. TW, καὶ ΒΟ.

verticale: possibil e x

111

«θαι:

— 149—

PLATO

36-37

[I 8 xotexov pap. (ut vid., spatii ratione) cum TWb, om. BCD Procli suppl. A 10 ἕδρα pap. codd., om. Procli suppl. AB, secluserunt Bekker, n pap., ἢ W, ἢ B, n T, om. Procli Burnet, Dies, ἕδραν coni. Heindorf suppl. AB, fiv coni. Burnet in app., (ἐν) ἢ Moreschini (probante Brisson) 10-11

antellcdar pap., ἅπτεται codd., (οὗ) ἅψεται Heindorf, (οὗ) ἅπτεται

Dies

Fr.

A+ fr. B pelo

Col. I

eillvar οὗ μέλλει ἅπ]τεσθαι, τρίτον δὲ] αὖ-

149a5

τῶν ἐν μέσῳ] μ[η]δὲν εἶναι. Αἰλ]ηϑῆ. Δύο ἄρα δεῖ τὸ ὀἸλίγιστον εἶναι, εἰ μέϊλλει ἅψις |

εἶναι.

Δεῖ.

Ἐὰν] δὲ v[oi]v

δυοῖν ὅροιν ( τ]ρίτον

προσγένηται ἑξῆς, 10

αὐτὰ μὲν τρ]ία ἔ[σται, αἱ δὲ ἅψεις d[vo.

Ναί.

Kai] οἰύτω δὴ] ἀε[ὶ

149b

Col. II —

(m



ἐλάττους εἰσὶν αὐτῶν.

᾿Αληθῆ.

Εἰ δέ γε ἕν ulö-

νον ἐστίν, ἅψις οὐκ [ἂν εἴη. Πῶς γάρ; Οὔκοίνυν,

φαμέν, τὰ ἄλλα τοῦ [ἑνὸς

10

οὔτε ἕν ἐστιΐν οὔτε μετἐχ]εῖ αὐτοῦ, elinep ἄλλα ἐϊστίν. Οὐ γάρ. [Οὐκ ἄρα ἔνε]στιν ἀριθ[μἱὸς èἐν [τοῖς ἄλ]λοις, £[vó]c μὴ [ἐνόντος —

_



— —

150—

14903

PVINDOB

3088 - PDUKE

INV.

G 5 PAM.

A+B pelo I4 o[XA]n0n: I 1 an]zel[cOot pap. (ut vid.) TW, ἅψεσθαι BCD

τ ν΄, ὀλιγοστὸν BCD W Procli suppl. dorf

5 oJAiytctov pap.

7 τίοιϊν pap. codd., secl. Hein-

8 ὅροιν pap. (ut vid., spatii ratione) codd., secl. Bekker

II 4 tratto orizzontale tra yap e ovxo[vv, con valore di separazione di battuta dialogica IT 3 post ἐστίν, verba δυὰς δὲ μὴ ἔστιν om. pap. (homoeot.).

AC

37 Prm.

PDuke

152b2-d2

inv. G 5

Sec. VP ex.

Prov.: ignota.

Cons.: Durham N.C., Perkins Library of Duke University. Edd.: W.H. WiLLIs, A Parchment Palimpsest of Plato at Duke University and the Ilias Ambrosiana, in Akten des XIII. Internationalen Papyrologenkrongresses (Marburg/Lahn 2. bis 6. August 1971), München, Beck 1974 («Münchener Beitráge zur Papyrusforschung und antiken Rechtsgeschichte», 66), 461-467: 461-462;

ID, A new Fragment of Plato's «Parmenides» on Parchment,

GRBS

12 (1971), 539-552: 540.

Tavv.: Akten, cfr. supra, 6; GRBS 12 (1971), 6; DArch 7 (1973), 2 (riprod. parz.). Pal.: WILLIS, 1974, supra, 463-467; ID., 1971, supra, 544-552; IRIGOIN, Rapport,

1971-1972, 201-202 (= Tradi-

tion, 71-72); G. CAVALLO, Considerazioni di un paleografo per

la data e l'origine della Iliade Ambrosiana, DArch 7 (1973), 7085: 78-85; CAVALLO - MAEHLER, 5. Comm.: MP? 1398.2 WILLIS, A Parchment, supra, 461-467; WILLIS, GRBS, supra, 541-544; G. NACHTERGAEL, CE 47 (1972), 300302; CAVALLO, Libri, editori [1975], 90-91; W.H. WiLLIS, Recent

Papyrological Work in North America, in Actas de la Sesión Papirolögica del VI Congreso Internacional de Estudios Clásicos (Madrid, 2-6 Septiembre 1974), Studia Papyrologica 15.1 (1976), 112-113; J. LENAERTS,

PRainerCent —

151—

[1983], 266, n. 4; J. VAN

PLATO

37

HAELST, Les origines du codex, in Les débuts du codex, Turnhout,

Brepols 1989 («Bibliologia», 9), 13-35: 25.

Frammento pergamenaceo di cm 7,9x7,6, acquistato sul mercato antiquario nell'autunno del 1969, appartenente ad un codice 1 cui fogli, secondo una plausibile ricostruzione, misu-

ravano cm 19x24 ed erano scritti su due colonne, ognuna di 29 righi (PDuke è compreso nel V gruppo di Turner, Typology, 27). La pergamena & di buona qualità e mostra di essere stata ben preparata per ospitare il testo del Parmenide (e forse dell'intera terza tetralogia); il frammento conservato è il resto

di un foglio (frutto probabilmente di uno smembramento del

codice) che fu raschiato su una faccia per essere reimpiegato: sul verso si recuperano sei righi frammentari in copto-saidico di una lettera privata. La scrittura superiore (da assegnare al sec. VII/VIII, cfr. Cavallo 1973, 79, n. 44) induce a pensare che il codice sia stato conservato per un certo tempo in un centro culturale del Medio o Alto Egitto. La scrittura in cui è stato vergato il Parmenide, invisibile con luce ordinaria ma ben leggibile con gli ultravioletti, è una maiuscola rotonda che il primo editore assegna al sec. II? (questa cronologia è accolta anche da Roberts - Skcat, Birth, 71), ma che successive analisi inducono a postdatare. Cavallo (1973,

79) fa vedere che le caratteristiche grafiche di PDuke con il suo «contrasto marcato tra pieni e filetti, isolamento dei singoli tratti, salti studiati dell'angolo di scrittura» sono quelle dello stile tardo e colloca il manufatto (che rientrerebbe così

nei casi di accurata mimesi grafica) alla fine del sec. V. Anche Turner (Typology, 27, 114) si oppone decisamente alla datazione alta, ma pensa che non si debba scendere oltre il sec. IIVIV. Cavallo non considera isolatamente

PDuke,ma asso-

cia questo ‘manufatto all’/liade Ambrosiana (Ambros. F 205 inf.) e a PAnt 78 (+ 80 77) e formula l’ipotesi ragionevole (Libri, editori, 90) che tutti possano essere stati prodotti nell'Alessandria culturalmente dominata dalla presenza ‘accademica’. Molto accurata appare la presentazione del testo platonico (lo scriba si giovava di una precisa squadratura del foglio, fatta con punta secca): l'allineamento a destra è rigorosamente rispettato con il ricorso, ove necessario, alla riduzione del mo—

152—

PDUKE

INV. G 5 PRM.

dulo delle lettere finali, a segni di riempimento, all’ ἐπίσημα per -v ın fine di rigo; solo alla conclusione di una battuta dialogica il rigo può restare incompiuto; l’ekthesis a sinistra di una lettera è invece funzionale al proposito di evidenziare l'1nizio di una battuta dialogica. Se per indicare l'alternarsi delle battute del dialogo lo scriba non faceva ricorso ai consueti segni (paragraphos e doppio punto), otteneva però un risultato anche più chiaro, esponendo appunto a sinistra l’inizio di una battuta e lasciando bianco il rigo alla conclusione della stessa. Spiriti, accenti, segni di elisione sono impiegati con discernimento nei casi in cui ıl lettore potrebbe incontrare difficoltà o cadere in fraintendimenti. Lo iota ascritto è notato. La correzione s./. di un banale errore di trascrizione (recto 3)

è stata fatta con buona probabilità dal diorthotes. Sul piano testuale, PDuke non presenta alcuna variante apprezzabile rispetto alla tradizione manoscritta medievale; nell’unico caso in cui quest’ultima si divide con varianti significative, PDuke,

alleato di BCD

T, isola ulteriormente W.

Il testo è stato collazionato sulla base dell’edizione di C. MORESCHINI (1966), ma si è tenuto conto anche dell’edizione

A. Dizs, BL, VIII.1 (1956). carne (recto)

οὕτω. Ναί. Ἔστιν δὲ πρεσβύτερον

5

15202

ἀρ᾽ οὐχ ὅταν κατὰ c[óv] νῦν χρόνον È γιγνόμενον τὸν με-

ταξὺ τοῦ ἦν τε καὶ 10

l1

ἔσται; οὐ γάρ zou πορευόμενόν γε ἐκ τ[οῦ] ποτὲ εἰς τὸ ἔπειτα ὑπερβήσεται τὸ ν[ῦν] dopo to il rigo è lasciato bianco —

153—

2

dopo vai (prima lettera in

PLATO

37-39

ekthesis) il rigo & lasciato bianco 3 ἐςτιν (prima lettera in ekthesis) rpecßv'te’pö (l'aggiunta sopralineare è di altra mano) 4 ap 5 î 9

ρευόμενόνγε

11

ünepßnceton

3 éctw pap., ἔστι codd.

pelo (verso) —

——



yıyvölluevov, [1]o9 te ἔπειTa. καὶ τοῦ vOv.

15265

᾿Αληθῆ.

[E]i δέ γε ἀνάγκη μὴ

5

παρελθεῖν τὸ νῦν πᾶν τὸ γιγνόμενον, ἐπειδὰν κατὰ τοῦ-

to ἢ, ἐπίσχει ἀεὶ τοῦ γίγνεσθαι καὶ ἔστιν 10

2

1524

τότε τοῦτο ὅτι ἂν [τ]ύχῃ γιγνόμενον. dopo vvv il rigo è lasciato bianco

3

αληθη: (prima lettera in

ekthesis) 4 Jıdeye (la prima lettera del rigo, in ekthesis, è stata inghiottita dalla lacuna) qm» 6 ywvouevo. 8 $i enícyei 9 eui 10 ὅτιαν» 11 Ἰυχηιγιγνομενδ-

9 ἔστιν pap. ἔστι edd.

11

τύχῃ pap. BCD T, τύχοι W. AC

38 Phaedo

60de

Sec. ΠΡ

PSI inv. 1056 Si veda l'edizione di I. ANDORLINI,

— 154—

Un papiro del « Fedone”

PDUKE

INV.

G 5

PRM. - PLEIDEN

INV.22

PHD.

di Platone (PSI inv. 1056) in Papyri in bonorem Jobannis Bingen octogenarii (P.Bingen), Leuven, Peeters 2000.

39 Phd.

65a8-c3; 65e3-66b3

PLeiden inv. 22

Sec. I/II

Prov.: Lycopolis. Cons.: Leiden, Papyrologisch Instituut.

Edd.: P.]. SyPESTEIJN, Ein bisher unveröffentlicher Platonpapyrus des Leidener Papyrusinstitut: Platon «Phaidon» 65 a8-c3 und 65 e366 b3, Mnemosyne

s. IV, 19 (1966), 231-240: 231-232; R.V. Da-

NIEL, Notes on the Leiden Phaedo, ZPE 66 (1986), 53-58: 54-55. Tavv.: Mnemosyne s. IV, 19 (1966), p. 232/233. Comm.: MP

1387.1

SIJPESTEIJN, supra [1966], 232-240; W.J. VER-

DENIUS, Zum Leidener Phaidon-Papyrus, Mnemosyne s. IV, 19 (1966), 269; J. LENAERTS, CE 42 (1967), 213-214; CARLINI, Studi [1972], 70, n. 102; VICAIRE, BL, IV.1 [1983], p. LXXXVI; DaNIEL, supra [1986], 53-58; STRACHAN, OCT, I [1995], 86.

Il frammento, acquistato a Luksor nell'inverno 1938/39 da B. van Groningen, conserva la parte superiore di due colonne di scrittura (separate tra loro da un intercolunnio di cm 1,3),

appartenenti ad un volumen che, nel verso, presenta tracce non decifrabili di una scrittura corsiva. Le dimensioni generali sono cm 12,3x17. Il margine alto in corrispondenza della col. I è di cm 2, in corrispondenza della col. II di cm 2,5; la differenza si spiega anche con il non regolare allineamento dei primi due righi. Un frammentino staccato (di cm 1,7x1,7) è facilmente collocabile perché restituisce alcune sequenze di lettere dei righi 17-19 della col. II. Le colonne, non rigorosamente impostate, come già Si è visto, avevano un’ampiezza di circa cm 11 (variabile è il numero di lettere per rigo, da 30 a 41) e un’altezza di almeno cm 27, con 42/43 righi per colonna. Sijpesteijn (233) ha calcolato che, per contenere tutto —

155—

PLATO

39

il Fedone, il rotolo doveva essere lungo dai 9 ai 10 metri [per

la lung hezza standard del volumen, cfr. TH. SKEAT, ZPE 45

(1982). 169-175].

La trascrizione del Fedone è stata fatta su un rotolo reimpiegato (cfr. Turner, GMAW’, 151, n. 102); tracce della primitiva scrittura sono ancora visibili nell’intercolunnio. La scrittura del Fedone è una libraria non formale, diritta, rotonda, bilineare. I tratti verticali discendenti (p. es. di t oppure di v) tendono a ripiegarsi vistosamente alla base (verso sinistra o verso destra). Sijpesteijn (233-234) chiama a confronto le tavole 77 e 79 di Schubart, Gr. Pal, che si riferiscono entrambe

a manufatti del sec. IP: ma PLeiden inv. 22 sembra piuttosto assegnabile alla fine del sec. IP, se non addirittura aglı inizi del sec. ΠΡ,

Per segnalare il cambio di interlocutore, lo scriba impiega come di consueto il doppio punto combinato con la paragraphos, ma in due casi (col. I 1, col. II 16) ricorre allo spazio bianco. Dieresi (talora in corpo di parola, es. col. II 3) aggiunta non sistematicamente da una seconda mano. /ota ascritto, tranne in un caso (col. I 15). Si segnala la forma non assımılata a col. II 11 (cvvnavtoc). A parte alcune novità testuali che non vanno sopravvalutate, ma neppure sottovalutate (cfr. Verdenius, 269 e la messa a punto di Daniel, 53), merita particolare attenzione l’accordo ripetuto anche in lezione inferiore di pap. con T (65e9; 6627; 6603); questo conferma il forte radicamento del filone tradizionale rappresentato dal codice Marciano, in più casi sostenuto da testimoni indiretti autorevoli come Giamblico e Olimpiodoro. PLeiden figura tra le font testuali impiegate da Vicaire (sıgla II) e da Strachan (sigla Π1); l'edizione critica di J.C.G.

STRACHAN, OCT, I (1995) resta per noi il testo di riferimento. Alle testimonianze indirette del brano del Fedone coperto da pap., si aggiungono Tertulliano, De anima, 18,1 Waszink e la redazione alternativa di un passo del De mortuis di Gregorio Nisseno contenuta nel Vat. Gr. 2066, f. 140' ( A. CARLINI, Appunti sul testo del «De mortuis» di Gregorio di Nissa contenuto nel Vaticanus gr. 2066, ASNP s. II, 36 (1967), 85-86; cfr. Strachan, OCT, I, 563].



156—

PLEIDEN

I 4-5 (65a10-b1)

INV.22

PHD.

Diversamente dall'ed.pr. che segue nella

ricostruzione la tradizione manoscritta medievale, dando luogo

però a un rigo troppo corto, Daniel (55-56) ritiene che si debba restituire κοινωί[νὸν... - συμπαραλαμβ]άνηι. La parola di quat-

tro lettere richiesta potrebbe essere olov (cfr. rr. 5-6), qui trasposto erroneamente. 5-6 (65b1) Pap. da solo presenta λέγω δὲ τὸ |[τοιόνδε, mentre i codici e Giamblico hanno οἷον τὸ τοιόνδε λέγω che è un

assetto testuale confermato sostanzialmente dal Vat. Gr. 2066 (οἷόν τι λέγω) e da Tertulliano (tale quid dico). Il confronto

con altri luoghi platonici proposto da Lenaerts, 213 induce a preferire con Verdenius,

dici. 6-7 (6502)

269, contro l’ed.pr., il testo dei co-

ἡ ὄψις | [te καὶ ἀκοὴ pap. cum Ol., ὄψις te καὶ

ἀκοὴ B T ὃ Iamb., Vat. Gr. 2066. sopra

ricostruita

(V ed.pr.

propone

La lezione di pap. come invece ἣ ὄψις | [te καὶ ἣ

aKon) è stata difesa con buoni argomenti come originale da Daniel, 56 contro le obiezioni di Verdenius, 269 e di Lenaerts, 213.

7 (65b2-3) ἢ tà ye τοιαῦτα pap. che conferma il testo dei codici. Tertulliano (an non etiam poetae baec nobis semper obmussant) forse traduce da un testo diverso: ἢ (οὐ) τά ye τοιαῦτα. Cfr. S. LAVECCHIA, Note su alcuni testimoni cristiani del «Fe done», SCO 45 (1995), 127-129. 8 (65b3) I codici oscillano tra θρυλοῦσι (confermato da

pap.) e θρυλλοῦσι. 18-19 (65c3) Le tracce farebbero pensare piuttosto ad αὐτῶν | [γίγνεται (certamente errato), che non ad αὐτῆϊι ylillyveraı

come legge e integra l'ed.pr. Cfr. Daniel, 57. II 3 (65e7) ποιήσειεν pap., ποιήσειε Β΄ (cere s.l.) T 6 Iamb., ποιήσῃ B (BC).

4 (65e7) Pap. aggiunge da solo αὖ dopo i ὅστις. Daniel, 57 non esclude che αὖ possa stare al posto di Gv, ma questa spiegazione lascia dubbiosi. Nell’ apparato critico di Strachan manca la nota relativa all'aggiunta di αὖ. 5 (65e8) μήτε [τ]ὴν pap. con le fonti primarie medievali (tranne WA

μήποτε τὴν), con Giamblico e Clemente. Nessun

sostegno viene alla congettura di Burnet μήτε τιν᾽ che già Verdenius, Notes, 200, aveva giudicato infondata. Cfr. Daniel, 57. —

157—

PLATO 39-40

6 (6569) μήτε ἄλλην pap. cum T ΡΟ Iamb. Ol, μήτε τινὰ

ἄλλην B WVA, μήτε τινὰ τῶν ἄλλων Clem. Burnet metteva tra parentesi quadre tiva che però si giustifica con il tono enfatico di tutta l'espressione: cfr. Daniel, 57. 9 (6623) ἐπιχειροίη pap. cum Iamb., ἐπιχειροῖ B T δ. B? ha collocato n sopra ot e questo può significare sia che il correttore volesse ottenere ἐπιχειρῇ (come pensano Schanz e Vi-

caire) sia che volesse ripristinare la più diffusa forma -poin. Proprio perché in Platone è più rara la forma -oin, si è indotti a dare a questa la preferenza. Cfr. Sijpestei]n, 237-238. 11 (6625) La lezione σύνπαντος di pap. (ξύμπαντος codd.)

puó essere frutto di intervento di normalizzazione, come sottolinea Sijpesteijn, 238 (che rinvia a Kerschensteiner, Gebrauch, 28-45). Contro Burnet (che scrive sempre ovv- normalizzando, seguito in questo dai nuovi editori oxoniensi), Vicaire acco-

glie ξύμπαντος. 13 (6626) Pap. aggiunge contro i codici e Giamblico l’articolo determinativo: τὴν ἀλήθειάν τ]ε καὶ τὴν opóv[now. 51-

pesteijn, 238 difende come originale la lezione di pap., ma Vicaire e Strachan non trovano ragioni sufficienti per negare fiducia alla tradızione manoscritta medievale, confortata anche dal testimone indiretto. 14-15 (6627-8) In pap. si può ricostruire (in base al calcolo dello spazio) τις ἄλίλος con TV e Giamblico; le altre fonti primarie (B WPQA) leggono τις xoi ἄλλος, testo accolto da-

gli editori. 15 (6628) Dopo zoo ovt[oc] lo scriba di pap. aveva forse ripetuto per errore © Σιμμία. Ciò che si legge è wc..| con due punti sopra le due lettere riconoscibili (a indicare la volontà di espunzione) e con un segno di richiamo al di sopra di ὦ (rs a indicare la corretta lezione data nel margine). Cfr. Damel, 58.

19 (66b3) Il calcolo dello spazio ancora una volta porta a una ricostruzione del testo di pap. che coincide con T (e V): τοιαῦτα che si oppone a τοιαῦτα ἄττα di p WPQAT Iamb.

Quest'ultima resta in ogni caso la lezione corretta.

AC



158—

PLEIDEN INV. 22 - PPETRIE I 5-8 PHD.

40 Phd.

67b7; 67e-69a; 79bc; 80d-81d; 82a-84b2

PPetrie I 5-8

Sec. III°

Prov.: Arsinoites (Tell Gurob). Cons.: London, British Library inv. 488. Edd.: J.P. MAHAFFY, PPetrie I (1891), pp. [18]-[28]; USENER, Unser Platontext, 28-37 (= Kl. Schr., 107-117); A. CARLINI, Sul papiro Flinders Petrie I 5-8 del «Fedone», 1992 (STCPF, 6), 147-167: 156-160.

Tavv.: PPetrie I, V-VIII;

The Palaeographical Society, Second Se-

ries, vol. I 2, 161; F. KENYON, The Palaeography of Greek Papyri, Oxford, Clarendon KENYON,

1899, X; SCHUBART, Gr. Pal., 67.

Palaeography

Pal.:

(supra), 19; 27-29; 61-64; E.M. THOMP-

SON, Handbook of Greek and Latin Palaeography, Chicago, Argonaut 1966 (rist. dell’edizione 1903), 118-120; THOMPSON, GLP, 109-113; GARDTHAUSEN, Gr. Pal., II, 93; SCHUBART, Gr. Pal., 103-105; F. KENYON, Books and Readers in ancient Greece and Rome, Oxford, Clarendon 1932, 54; TURNER, Ptolemaic Bookhands,

30; A. DAIN, L’écriture grecque du VIII: siècle avant notre ère à la fin de la civilisation byzantine, in L'écriture et la psychologie des peuples. XXII° semaine de synthese, Paris, Centre international

de synthèse,

Colin

1963,

167-182; A. PRATESI, Paleo-

grafia greca e paleografia latina o paleografia greco-latina? in Studi storici in onore di Gabriele Pepe, Bari, Dedalo 1969, 161-

172: 170-171 [= Frustula palaeographica, Firenze, Olschki 1992,

(«Biblioteca di Scrittura e civiltà», 4), 128-141: 139-140]; G. CA-

VALLO, Fenomenologia ‘libraria’ della maiuscola greca: stile, canone, mimesi grafica, BICS 19 (1972), 131-140: 132; TURNER, GMAW?° (Addenda and Corrigenda), 151, n. 118; CAVALLO, Scr. Erc., 47-48; 50; BLANCHARD, Cartonnages, 26, 32, 34-36, 39. Comm.: MP? 1388 (= P^ 1388) [Preliminary Notice], CR 5 (1891),

349-350; L. CAMPBELL, On the Text of the Papyrus Fragment of the Phaedon, 1891.42,

CR

1529; TH.

5 (1891), 363-365; 454-457; H. DieLs, DLZ GOMPERZ,

Die jüngst entdeckten

Überreste

einer den platonischen Phädon enthaltenden Papyrusrolle, SAWW —

159—

PLATO

40

127 (1892), 14. Abhandl., 1-12; J.]J. HARTMAN, Ad Platonis Phaedonem, Mnemosyne 20 (1892), 152-167; O. IMMISCH (rec. a Gom-

perz), BPhW 12 (1892), Nr. 48, 1506-1508; 1533; Nr. 49, 1538. 1540; 1565; USENER, Unser Platontext [1892], 25-50; 191-215 (= Kl. Schr. 104-162); O. IMMISCH (rec. a Usener), BPhW 12 (1892.36), 1122-1124; 1149; A.TH. CHRIST, Zur Frage über die Bedeutung

des Phaidonpapyrus, Symbolae Pragenses, Wien, Tempsky 1893, 8-16; P. COUVREUR, Notre texte du Phedon, RPh 17 (1893), 1428; R. PEPPMÜLLER, WKPh 1893, 1196-1202; M. WOHLRAB, LZB 1893

(rec.

a Gomperz,

1892),

17; A.TH.

CHRIST,

Beiträge

zur

Kritik des Phaidon, Progr. des k. k. deutschen Obergymnasiums der Kleinseite in Prag, Prag 1894, 3-13; K. REINHARDT, Der neuentdeckte Phädonpapyrus, Berichte des Freien Deutschen Hochstiftes in Frankfurt am Main 10 (1894), 138-149; BLASS, Geschichte [1898], 203-217; HARTMAN, De emblematis [1898], 4; 1112; Fr. Brass, BSG Phil.-hist. Kl. 51 (1899), 161-164; E. BICKEL,

De Ioannis Stobaei excerptis platonicis de Phaedone, JKPh Suppl. 28 (1903), 409-509: passim; KENYON,

Evidence

K. PRAECHTER, Griechische Philosophie, J AW

[1904],

157-159;

124 (1905), 84-128:

97; H. ALLINE, L'histoire et la critique du texte platonicien et les papyrus d'Oxyrbynchus 1016-1017 (Fragments du Phedre), RPh 34 (1910), 251-294: 263-265; E. KORKISCH, De papyri, qua Phaedonis Platonici partes quaedam continentur, fide et auctoritate, Diss. Wien 1910; BURNET, Plato’s Phaedo [1911], p. LIX, passim; E. BICKEL, BPhW 32 (1912), 257 sgg. (rec. a Korkisch, 1910); RITTER, Bericht [1912], 2-3; 8-20; 26-42; ALLINE, Fistoire [1915],

65-78; KÖRTE, Papyrusfunde [1917], 302-303; CLARK, Descent [1918], 385; SCHUBART, Einführung [1918], 92-95; 485; GRENFELL, Value [1919], 27-28; WILAMOWITZ, Platon, II [1920], 330331; OLDFATHER [1923], 52; COPPOLA, Appunti [1924], 213-220;

ROBIN, Phedon, BL, IV.1 (1926, 1960°), pp. LXXIX-LXXXVII; MILNE

[1927], n? 145, p. 122; COLLOMP,

Eclectisme

[1929],

256-

257; DES PLACES, Études [1929], 220; PREISENDANZ, Papyrusfunde [1933], 128-129; PASQUALI, Storia [1934], 261-264; JACHMANN, Der Platontext [1941], 227-278; BICKEL, Schriftenkorpus [1943], 94-96; BICKEL, Geschichte [1943], 105-132; H. LANGERBECK (rec.

a Jachmann,

1941), Gnomon

22 (1950), 375-380;

[1950], 2361-2363; ANDRIEU, Dialogue

LEISEGANG

(1954], 294-295;

BLUCK,

Plato’s Phaedo [1955], passim; HACKFORTH, Plato’s Phaedo [1955], passim; C. GORTEMAN, Un fragment du περὶ εὐσεβείας de Théophraste, CE

33 (1958), 79, n. 4; 101

e n. 3; VERDENIUS,

Notes

[1958], 193-243; STARK, Folgerungen [1959], 35-36; ERBSE, Überlieferungsgeschichte [1961], 261-262; SIJPESTEIN, Platon-Papyri [1964], 31, n. 3; Hooc,

Wert [1965], passim; M. UNTERSTEINER,



160—

PPETRIE

15-8

PHD.

Senocrate editore del «Fedone»?, RFIC 95 (1967), 397-411 (= Studi di letteratura e filosofia greca, Brescia, Paideia 1971, 623640); A. CARLINI, Note critiche al testo del «Fedone», BPEC, n.s. 16 (1968), 25-60; REYNOLDS - WILSON, Scribes and Scholars [1968], 294; LORIAUX, Le Phedon (I) [1969], passim; CARLINI, Studi [1972], 10-17; STARK, Aristotelesstudien [1972], 151-153; IRIGOIN, Rapport, 1973-1974, 295-298 (= Tradition, 83-85); DÖRRIE, Bruch [1976], 23; L. TARAN (rec. a Carlını, 1972), Gnomon 48 (1976), 760-768:

764-766;

SOLMSEN,

Editions [1981], 102-111; VICAIRE,

Phedon, BL, IV.1 [1983], pp. LXXXV, XCIV; BARNES, The Hel-

lenistic Platos [1991], 128; CARLINI, 1992, supra, Edd.; J.C.G. STRACHAN, Flinders Petrie Papyrus 1.7, 1992 (STCPF, 6), 160162; RowE, Plato. Phaedo [1993], passim; STRACHAN, OCT, I

[1995], 87; A. CARLINI, Del buon uso dei testimoni testuali antichi e medievali, in Le vie della ricerca [1996], 121-130: 122; A. CARLINI, Il nuovo Platone di Oxford, RFIC 124 (1996), 366-375: 372-373.

Il ritrovamento del papiro arsinoitico del Fedone si deve a Flinders Petrie che nel 1889 nella necropoli tolemaica di Tell Gurob ebbe la ventura di reperire vari rivestimenti di mummie fatti con fogli di papiro usati (sui papiri riportati in luce da Flinders Petrie, cfr. Preisendanz, Papyrusfunde, 127-130; M.S. DROWER, Flinders Petrie: a Life iin Archaeology, London, Gollancz 1985, 149). Il ‘cartonnage’ consentì il recupero di dodici frammenti di varie dimensioni (alcuni ricomposti da lacerti minori) che resero possibile la ricostruzione (in alcuni casi quasi completa, in altri molto parziale) di più colonne di scrittura. I frammenti furono sistemati in quattro cornici riprodotte poi negli ‘Autotypes’ (V-VIII) che corredano l’edizione curata da J.P. Mahaffy: Aut. V (1a), (1b), (2), (3), (4);

VI (1), (2), (5), (4), (5); VII (1) (2), (3), 4), (5); VII (1), (2), (3), (4). Va subito notato che i numeri in parentesi degli Au-

totypes non indicano i frammenti in successione nelle diverse cornici, ma le colonne di scrittura recuperate, in totale 17 se 5] toglie, come è giusto, VII (5), perché questo frammento, avvicinato agli altri platonici in un primo momento per ragioni paleografiche, fu presto riconosciuto come resto di un esemplare di un poeta comico della véo (Pack? 1635; Austin, CGFP, 276; Kassel - Austin, PCG, 1058). Nella terza cornice in alto (Autotype VII) trovarono col—

161—

PLATO

40

locazione, senza indicazioni numeriche,

alcuni frammenti di

ridotte dimensioni che, pur non identificati nel loro contenuto testuale, vennero associati giustamente agli altri perché non si poteva dubitare dell’ appartenenza allo stesso rotolo. A questi frammenti assegneremo provvisoriamente, per comodità, cominciando dall'alto a sinistra, le lettere minuscole dell’ alfabeto entro parentesi: (a), (b), (c), (d), (e), (f). Dopo la pubblicazione

dell'editio princeps di Mahaffy (che proprio in extremis era riuscito a identificare un frammento particolarmente ostico, Autotype VII (4), collocandone la trascrizione, Phd. 8440, in una

posizione di fortuna a p. 24) furono fatti alcuni tentativi per dare una sede certa ai lacerti dispersi. Blass (Geschichte, passim) ebbe il merito di ampliare la base documentale leggendo e interpretando i resti di righi conservati nei frammenti VII

(a) e VII (b) che si saldano insieme [(b) va collocato immediatamente sotto (a)], nonché quelli conservati in VII (d); i

primi due recano rispetto a Blass), già identificato di locazione di VII Strachan

1992,

70b (è possibile qualche progresso di lettura il terzo integra parzialmente un frammento 82d. Queste due acquisizioni (ma sulla col(b) è stata fatta una proposta alternativa da

160-162

che pensa

a 67d7-8)

sono

state per

lungo tempo ignorate sia dagli studiosi che si sono occupati del rapporto tra 1 papiri antichi e la tradizione manoscritta medievale, sia dagli editori del Fedone (Burnet, Robin, Vicaire); solo ora la nuova

edizione

oxoniense

(OCT,

I, 1995)

tiene

conto (con adeguata analisi critica) dei contributi di Blass. Non

può dirsi riuscito il tentativo di Blass (Geschichte, 213) di leggere in (c) alcune sequenze di lettere di P5d. 83c1-2; in realtà

questo frammentino aggiunge qualcosa a 81c, come emerge da un controllo eseguito sulla base del TLG di Irvine. Proprio il ricorso a questo mezzo di ‘accertamento di identità ha consentito di restituire una sia pur lieve capacità testimoniale ad altri pezzi che avevano opposto il loro segreto a Mahaffy e Blass. In un caso (VII (c)] si giunge alla scomposizione di un frammento cheè la risultante di un arbitrario accostamento di due frustoli (1 loro reali contorni sono visibili anche in fotografia), i quali appartengono a due colonne molto lontane tra loro: il primo a sinistra restituisce 67b6-7, il secondo 83c. Se uest’ultimo si integra bene anche fisicamente nel secondo rigo di VIII (3), il primo rappresenta l’esiguo resto di una colonna a sé stante, la prima delle colonne recuperate. —

162—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

Alla conclusione di questo esame, possiamo rappresentarci in questo modo la sequenza di tutti 1 frammenti, comprest quelli identificati ed ediu dopo Mahaffy (Carlini 1992, 156159) L’edizione critica di riferimentoè quella di J.C.G. STRACHAN, OCT,

I (1995).

Fr. A = VII (c1): Phd. 67b6-7 Fr. B = V (1a): 67e1-5

Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr. Fr.

C= V (1b): 6823-5 D col. I = V (2): 68b2-c8 D col. II = V (3): 68c8-e4 D col. III = V (4): 68e4-69a8 E = VII (a) + (b): 70b7-c1 F = VI (1): 79b13-c3 G = VI (2): 80d2-9 H col. I = VI (3): 80e5-81b3 H col. II = VI (4): 81b3-c9 I = VI (5) + VII (d): 81c9-d7 L col. I = VII (1): 8223-10 L col. JI = VII (2): 82b4-c3 L col. III = VII (3) + VII (e): 82d3-9 M col. I = VIII (1): 82e2-83a5 M col. II =VIII (2): 83a5-c1 M col. ΠῚ + N col. I = VIII (3) + VII (c2): 83c2-d8 N col. II = VIII (4): 8348-8426 O = VII (4): 84a6-b2

I tre frustoli [VII (d), (e), (c2)], il cui contenuto è stato

identificato in un secondo momento, si integrano rispettivamente nei righi 2-4 del fr. I, nei rr. 2-4 del fr. L col. III e nel r. 2 del fr. M col. III. Tra A e B è andata perduta una colonna; tra B e D III c'é continuità nella successione delle colonne; tra D III ed E mancano tre colonne; tra E e F mancano 27 colonne; tra F e G mancano 3 colonne; tra G ed O c’è conti-

nuità. La parte del testo coperta, a macchia di leopardo, va dunque da 67b a 84b. La rappresentazione schematica dei frammenti (con il tentativo di collocazione nel rotolo) è stata proposta in Carlini 1992, 163-167 (Figg. 7-11). Una colonna misurava in media cm 6,7 in larghezza e poco più di cm 14,5 in altezza. Se il numero dei righi per colonna appare costante (precisamente 22, come si può calcolare nelle tre colonne di cui si conservano il margine superiore e il mar—

163 —

PLATO

40

gine inferiore), non rientra invece nelle preoccupazioni dello scriba un rigoroso allineamento, sia orizzontale, sia verticale: dato che lo spazio interlineare subisce qualche variazione, la conseguenza & che alcune colonne scendono, sıa pure di poco, sotto il livello di altre; PPetrie I 5-8 poi si presenta come un bell'esempio di composizione ‘a bandiera’ (l'intercolunnio misura in media cm 1,5, ma si dà anche ıl caso di righi che giungono quasi a toccare la colonna successiva: cfr. p. es. M T 1). Se diamo al margine superiore l'altezza di cm 3 circa e a quello inferiore di cm 4 circa, abbiamo un'altezza totale del rotolo di

cm 21,5. Il rotolo doveva comprendere più di 180 colonne (non 122 come dice l'editore principe Mahaffy, 20), giungendo cosi a una lunghezza totale di almeno 15 metri e superando abbondantemente la misura standard (cfr. Kenyon 1932, 54; Carlini, 1992, 150, n. 8; a risultati non molto diversi giunge Blanchard, Cartonnages, 39). Questi valori sono indubbiamente molto alti, ma non impossibili; non è credibile, d'altra parte, che PPetrie I 5-8, come vorrebbe Campbell 1891, 363 (seguito da Alline, Histoire, 67), contenesse soltanto brani scelti del Fe-

done, quelli ini specie che potevano essere cari a un soldato che voleva vincere la paura della morte. $1 tratta, ben diversamente, come ha sottolineato Irigoin, Rapport, 1973- 1974, 296-297 (= Tradition, 84) di un esemplare «de librairie». L'aspetto generale del manufatto, molto accurato, che & privo, in ció che ri-

mane, di ogni segno esterno di incisione del testo fa pensare che lo scriba (scriba professionale e non studente frettoloso che copiava sotto dettatura) fosse impegnato nella trascrizione dell’intero dialogo. Ci si può chiedere invece con Cavallo (Scr. Erc., 47, n. 312) se testi molto lunghi fossero distribuiti in due ‘tomi’; ; questa potrebbe essere una spiegazione alternativa. La scrittura diritta, non bilineare (y x p t v sotto il rigo, p

sopra), tracciata con un calamo a punta fine, va assegnata alla prima metà del sec. III°; nella classificazione di Turner (Ptolemaic Bookhands, 30-31), rientra nel «group D» (dove figurano anche PPetrie I 1-2, Euripide, Antzope; PHibeh I 26, Rbe-

torica ad Alexandrum; PHibeh

II 179, Antologia

di versi

euripidei; PSorbonne inv. 2328, Euripide, Eretteo; PStrasb inv. Gr. 2342-4, Euripide, Alessandro). Se alcune lettere (come A, E quadrato con il tratto sopra allungato, Z nella forma di due barre parallele congiunte da un tratto verticale, E costituito da

— 164—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

tre tratti paralleli, Q) richiamano ancora le forme epigrafiche, la scrittura, più morbida nel tracciato, misurata ed armoniosa pur nell’alternanza di moduli assai larghi (H M N) e stretti (B

K), segna indubbiamente un notevole progresso nell’affermazione della libraria (Schubart, Gr. Pal., 103-104). La mano che

ha vergato PPetrie del Fedone appare di alcuni anni più recente rispetto a quella che ha vergato, all'inizio del sec. III, se non addirittura alla fine del IV*, 1 frammenti del Lachete (> 80 23): per il Fedone, Turner propone dubitativamente il 270 a.C. (Ptolemaic Bookhands, 30; Postscriptum 40); P.J. Parsons

avvicina la mano di PPetrie I 5-8 a quella che ha vergato PSorbonne inv. 1167, testo documentario datato 266 a.C. (Addenda and Corrigenda

a Turner,

GMAW’,

151, n. 118).

Come nel papiro del Lachete anche nell'esemplare del Fedone l'individuazione delle battute dialogiche è affidata di regola, oltreché alla paragraphos, a trattini orizzontali nel corpo del rigo. Questo

sistema, come noto, sarà in seguito abban-

donato a favore dell’impiego esclusivo del doppio punto che compare qui (ma per iniziativa tardiva dello stesso scriba o per intervento successivo di un altro scriba, come si desume dal

fatto che i due punti non si integrano nella successione delle lettere) solo due volte, la prima per segnalare la formula responsiva ἀνάγκη (D II 6, 6841) e la seconda dopo πῶς δ᾽ οὔ; (B 5, 67e4). Per quanto riguarda l'uso del trattino orizzontale,

in PPetrie I 5-8, si nota che esso viene usato solo quando l'uluma lettera di una battuta e la prima della successiva 51 in-

contrano nel corpo di un rigo; quando invece una battuta finisce alla fine di un rigo, la paragraphos appare allo scriba segnale sufficiente (spiegazione un po' diversa in Andrieu, Dialogue, 294-295). Le peculiarità ortografiche di PPetrie sono queste (per il rinvio a1 singoli luoghi, cfr. Carlını 1992, 152-153): costante € l'impiego di 6vv- nei composti (nei manoscritti medievali prevale nettamente &vv-); lo sota muto

è sempre ascritto; l'assi-

milazione della nasale davanti a labiale e gutturale è osservata non solo in fine di sillaba, ma anche in fine di parola; le forme aspirate οὐθείς, μηθείς (e derivati) prevalgono rispetto alle

forme non aspirate, in conformità del resto alla documentazione epigrafica successiva al 330 a.C.; sempre corretta è la forma oiónc per ἀιδής (mentre 1 manoscritti hanno di norma —

165—

PLATO

40

ἀειδής); c'è un solo caso di αἰεί, di fronte a quattro casi di ἀεί; non infrequente la scriptio plena; il -v efelcistico si trova due volte davanti a consonante; all'uso normale di οὕτω davanti a consonante e οὕτως davanti a vocale, si alterna l'uso di

οὕτω davanti a vocale; -eı in luogo di -ni si trova in dativi femminili come ταῦτει (per tavini) e più volte nella terza persona

del congiuntivo singolare. Compaiono tipici errori di trascrizione (es. H I 18, 81b1

OLNENLOCHEVN

meno facılmente spiegabile

per oipot μεμιασμένη);

èè D II 15 vroueiu[ dove si richiede

ὑπομένωσιν. Lo scriba talvolta pratica delle correzioni inter scribendum; anche un'integrazione interlineare (H I 13, 8148 δέ) sembra dovuta alla stessa mano.

La pubblicazione di PPetrie I 5-8 con le significative novità testuali che recava non poteva non portare a una riconsiderazione della validità dei fondamenti della nostra tradizione manoscritta platonica; si formarono

presto

due

schieramenti,

l’uno a difesa dei manoscritti contro il nuovo testimone giudicato inaffidabile perché scorretto e variamente interpolato, l’altro teso a dimostrare l’originalità platonica di almeno alcune varianti testuali del papiro che sarebbero state poi oscurate o consapevolmente modificate nel lungo percorso tradizionale fino ai nostri primi manoscritti del IX e X secolo. Sulla storia del problema fino al 1910 informa bene Ritter (Bericht, 2-3; 8-20; 26-42); Alline (Histoire, 65-78) offre un utile aggiornamento fino al 1915. Se si analizza l’esito di questa contrapposizione nella serie di edizioni critiche del Fedone a partire dal Burnet, si nota che si afferma nettamente (in piena adesione alla posizione critica autorevolmente espressa da Usener, Unser Platontext) la considerazione della superiorità del testo dei codici dal quale ci si allontana nelle opzioni editoriali solo quando è giudicato manifestamente errato o lacunoso. Del resto, anche in tempi più vicini a noi appare diffuso il giudizio sul carattere ‘selvaggio’ e ‘aberrante’ dei papiri Petrie del Fedone e del Lachete (cfr. Carlini 1992, 154). La superiorità della tradizione manoscritta medievale è stata contestata vivacemente da Jachmann (Der Platontext, 225-389)

che, procedendo a un confronto serrato con i papiri del Fedone e del Lachete, denuncia in più casi nel testo giunto alla rinascenza bizantina del sec. IX la presenza di espansioni esplıcative, di aggiustamenti e ‘armonizzazioni’ dovuti ad antichi «Textredaktoren»; ma la conclusione dello studioso è che non —

166—

PPETRIE

15-8

PHD.

esistono fonti ‘privilegiate’ nella tradizione platonica: se la nostra tradizione medievale dipende dall’edizione alessandrina di Platone, questa, a sua volta, ha avuto a fondamento le prime recensioni attiche del tipo dei papiri arsinoitici; papiri tolemaici e di età romana, manoscritti medievali e testimoni della tradizione indiretta sono irrimediabilmente segnati da una at-

tività interpolatoria antichissima (praticamente contemporanea alla ‘pubblicazione’ delle opere platoniche) e allora solo ope ingenti sarà possibile correggere le comuni innovazioni, saltando tutti i testimoni e mettendosi in sintonia con l’autore. Lo scetticismo critico di Jachmann sulle fonti testuali è stato

contrastato da Bickel (Geschichte, 97-159) che giudica i manoscritti medievali eredi e continuatori dell’edizione accademica di Platone ‘costituita’ al tempo di Arcesilao sul fondamento di buoni esemplari conservati all’interno della scuola. Ma anche l’interpretazione di Bickel, che rivaluta la tradizione manoscritta, riconoscendole una antica e autorevole ascendenza, non può non dare per scontate due cose: che l’edizione accademica, per quanto ben fondata dal punto di vista documentale, è lungi dal confondersi con il testo originale di Platone [Pasquali (Storia, 261-262), riprendendo un ragionamento di Wilamowitz

(Platon II, 331), dice di non avere alcuna dif-

ficoltà a far risalire alcune corruttele o lezioni inferiori che si trovano in tutti 1 codici proprio all’edizione accademica alla cui esistenza fermamente crede]; che negli anelli intermedi della catena tradizionale tra sec. III a.C e sec. IX d.C. si sono pro-

dotti guasti e si sono formate incrostazioni (che le fonti papiracee e la tradizione indiretta occasionalmente consentono di rimuovere).

Un confronto spregiudicato tra il papiro arsinoitico del Fedone e le fonti medievali dello stesso dialogo, continuatrici di una antica edizione ‘normativa’, porta alla conclusione che il testimone tolemaico, pur nell’ abbondanza degli errori singolari, è rappresentante di una linea di tradizione, alternativa a quella dei nostri manoscritti, che non può essere liquidata come ‘selvaggia’ e ‘aberrante’ e che, ben diversamente, in alcuni casi presenta lezioni superiori, in altri si mostra priva di incrostazioni fiorite nel testo dei codici o di restauri maldestri, in al-

tri ancora ha un testo di almeno pari valore. In questo esame comparativo fondato sull’usus scribendi platonico ha acquisito sicuro merito Ilseborg Hoog. —

167—

PLATO

40

Questa contrapposizione tra le due linee di tradizione e la

difficoltà in alcuni casi dell'opzione testuale possono far sorgere il problema di una «plurivocità» del testo di Platone (il termine é mutuato da G. CONTINI, Breviario di ecdotica, Milano-Napoli, Ricciardi 1986, 7-8) che obbligherebbe a tenere ben distinte, sul piano editoriale, le due redazioni.

SulPirri-

ducibilità delle fonti testuali più antiche insiste Barnes (The Hellenistic Platos, 128), come già appare dal titolo del suo con-

tributo. Ma nell'analisi comparativa dei due filoni tradizionali

non si mettono in luce quelle «opposizioni di varianti adiafore» che farebbero riconoscere due distinte redazioni [precisazioni a Contini sul piano teorico fa G. ORLANDI, Pluralità di redazioni e testo critico, in Atti del Convegno «La critica del testo mediolatino» (Firenze 6-8 Dicembre 1990), Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo

1994, 82-83]. Si deve

notare invece che neppure quella della tradizione manoscritta medievale è una unità rigidamente chiusa, perché i singoli rami mostrano parziali convergenze con la tradizione rappresentata da PPetrie (Carlini, Studi, 13-14): 68b4 ἄλλοθι καθαρῶς ἐντεύξεσθαι φρονήσει : ἄλλοθι δυνατὸν εἶναι καθαρῶς φρονήσει ἐντυχεῖν B (i.m. yp) PPetrie (ut vid.); 82c3 φιλόσοφοι T PPetrie Iamb., φιλοσοφοῦντες B è;

8307 καὶ φόβων om. T (add. i.m.), PPetrie Iamb.; 83b8 ἢ λυπηθῇ ἢ φοβηθῇ PPetrie cum PQVAB” Iamb., koi λυπηθῇ

ἢ φοβηθῇ W, ἢ φοβηθῇ ἢ λυπηθῇ T, ἢ φοβηθῇ B: 8348 ὁμότροπός τε καὶ ὁμότροφος : ὁμότροφός τε καὶ ὁμότροπος PPetrie cum WPQVA;

83d9 eig “Αιδου καθαρῶς : καθαρῶς εἰς "Aıdov WPQVA

et, ut vid.,

PPetrie;

8401 οἴεται οὕτω δεῖν : οἴεται δεῖν οὕτω PPetrie cum T.

Il problema delle ‘varianti d'autore! in Platone è destinato a riaccendersi dopoché gli editori oxoniensi (in particolare Nicoll e Duke), accogliendo la proposta critica di E. Kapp, hanno integrato a testo, come redazione alternativa, quanto trasmesso a Cra. 438a dal solo W. PPetrie è stato utilizzato per la costituzione del testo (sulla base dell’ed.pr.) nelle edizioni di J. BURNET (OCT, I: sigla Ars.), L. ROBIN (BL, IV.1: sigla Ars.), Hoog (Wert, 146-161:

sigla Ars.), P. VICAIRE (BL, IV.1: sigla II); la nuova edizione di J.C.G. STRACHAN (OCT, I, 1995: sigla Π2), che per noi e —

168—

PPETRIE

[5-8

PHD.

l'edizione di riferimento, ha potuto sfruttare anche i frammenti prima trascurati. A = VII (c1), 1-2 (67b6-7)

Nessuna variante rispetto al te-

sto dei codici medievali in questo frustolo non identificato da Mahaffy (cfr. Carlini 1992, 156). B 2 V (1a), 5 (67e4)

Il calcolo dello spazio porta ad esclu-

dere che in pap. si leggesse, come nei manoscritti, οὐ prima di γελοῖον. Si può allora distribuire diversamente il testo tra Socrate e Simmia, attribuendo a quest’ultimo (come già proponeva Blass, Geschichte, 204) la battuta γελοῖον πῶςδ᾽ οὔ; L'as-

setto testuale (ricostruito) di PPetrie trova diversi paralleli: cfr. Hoog, Wert, 86-87. Nella nuova edizione oxoniense si attrıbuisce γελοῖον a P che cosi si opporrebbe da solo a tutto il resto della tradizione medievale; ma in realtà anche P ha, come gli altri, οὐ γελοῖον: cfr. Carlini, RFIC 1996, 372-373. C = V (1b),

3 (6834)

Se si eccettua Vicaire, gli editori del

Fedone seguono i manoscritti che leggono Kal ὑέων, relegando in apparato la variante di pap. ἢ παίδων ἕνεκα; l'opzione testuale è tutt'altro che pacifica. Nella sua difesa del testo tradizionale, Jachmann

(Der Platontext, 252-254) sostiene che

ἕνεκα è stato interpolato per semplificare la costruzione sintattica, che nalöwv è stato sostituito a ὑέων (o υἱέων) per la difficoltà di suono e di flessione di υἱός, che, dopo παιδικῶν,

ὑέων sta meglio di παίδων. Ma Bickel (Schriftenkorpus, 94-96), richiamando alcune considerazioni di Korkisch, ha proposto un confronto probante con Smp. 179c sgg. (dove si parla del sacrificio della vita che, soli, sono pronti a fare oi ἐρῶντες per coloro che amano) e ha concluso che ὑέων dei codici si può

spiegare solo come glossa di naidwv, nata in un’epoca in cui non si comprendeva più l'eros attico (παίδων qui significa amasu, cfr. Smp. 181b2-3 dove sono insieme γυναῖκες e raîdec). Prima di Bickel, già Christ (1893, 14) e Blass (Geschichte, 205),

non riconoscendo come platonico il valore esemplare dell’amore dei genitori nei confronti dei figli, si erano schierati a favore della lezione del papiro. Sullo scarso valore degli esempi mitici come quello di Evadne o di Giocasta, invocati, p. es., da Hackforth (Plato’s Phaedo, 53, n. 2), cfr. Hoog, Wert, 104. —

169—

PLATO

40

Come Jachmann, anche Hoog (Wert, 39) giudica non autentico ἕνεκα; ma qui si vuol sottolineare con forza la contrapposizione di ἀνθρώπινα παιδικά alla φρόνησις che va intesa

come θεῖα παιδικά. Accogliendo a testo, con Vicaire, ἢ παίδων ἕνεκα si dovrà intendere (Carlini 1968, 39): «per amori umani o di donne o di amasıı morti, molti vollero spontaneamente scendere nell'Ade ...». Nel testo di pap., γυναῖκες ἢ παῖδες è da intendere come apposizione disgiuntiva a ἀνθρώπινα παιδικά (cfr. Hoog, Wert, 104). Troppo drasuco 1] rimedio proposto da Verdenius (Notes, 202-203) di espungere καὶ γυναικῶν καὶ ὑέων. 4 (6835) PPetrie omette δὴ che però è lezione autentica: cfr. Hoog, Wert, 39; Denniston, 205 (III). 5 (6845) La preferenza data da Burnet, Vicaire e Strachan a μετελθεῖν che è la lezione di Bim e T non è giustificata dal punto di vista ‘stemmatico’ (la variante alternativa ἐλθεῖν è presente in

B WPQVAT

e confermata

da PPetrie)

e non è

conforme all'uso 'platonico' [Hoog, Wert, 87-88; J. MEWALDT, Liebestod bei Platon, AAWW, Phil. hist. KI. 80 (1943), 85-97: 86, n. 1; Carlini 1968, 39, n. 67]. Le traduzioni correnti attri-

buiscono i impropriamente a μετελθεῖν il significato di «andare nell’Ade alla loro ricerca» (cfr. Verdenius, Notes, 203). D col. 12 V (2, τ. 2 (6802) ἐὰν τῷ ὄντι yet: così anche PPetrie (con B); meccanica è l'omissione di ye in T è.

4-6 (68b3-4)

I codici leggono μηδαμοῦ ἄλλοθι καθαρῶς

ἐντεύξεσθαι φρονήσει ἀλλ᾽ ἢ ἐκεῖ; diverso appare l’assetto di PPetrie un]dauov αλλοθι! [............ καίθαρως ppovncei evi[ che

però trova sorprendentemente un parallelo in Bmg ἄλλοθι δυνατὸν εἶναι καθαρῶς φρονήσει ἐντυχεῖν.

I] testo di PPetrie rı-

costruito grazie al confronto con Bmg è stato giudicato genuino

da Korkisch,

9-10;

67-68;

Alline,

Histoire,

71-72;

Jachmann, Der Platontext, 254-256; Bickel, Geschichte, 110, n.

2; ἀλλ᾽ ἢ ἐκεῖ (che si legge nei manoscritti dopo φρονήσει, ma é estraneo a PPetrie) sarebbe aggiunta secondaria. Ma, anche astraendo dal problema particolare di ἀλλ᾽ ἢ ἐκεῖ (pare ridondante, ma non & estranea a Platone una negazione seguita da una forma di ἄλλος e, come qui appunto, dalla formula ἀλλ᾽ ἢ: cfr. Hoog, Wert, 26; Verdenius, Notes, 203-204; Loriaux, Le Phedon (I), 98; Denniston, 24), la costruzione di Bmg —

170—

PPETRIE

[ 5-8

PHD.

e probabilmente di PPetrie con δυνατὸν ἐντυχεῖν sembra togliere forza all'espressione fortemente connotata dall’avverbio καθαρῶς. E vero che ciö che si legge a 68b3-4 & praticamente una ripetizione di ciò che si leggeva subito prima a 68a8 [questa ripetizione è giudicata da Jachmann (Der Platontext, 255) «eine Verarmung... für die Diktion»], ma su 68a8 gravano so-

spetti di non originalità (Carlını 1968, 39-41; Vicaire, app. crit. ad loc.) e in ogni caso non sono da condannare sbrigativamente le ripetizioni in Platone (Verdenius, Notes, 203). Ciò che & rilevante qui & il riemergere nel margine di B, dopo una circolazione sotterranea, di una variante alternativa glà presente 1n un esemplare della prima età tolemaica. 7-8 (68b5-6) è inattaccabile,

Il testo dei manoscritti πολλὴ àv ἀλογία εἴη nonostante

(1893), 15 e Bickel,

le riserve di Couvreur,

Geschichte,

ro]A An αλογια av | [ew

RPh

17

110, n. 2 (PPetrie traspone

perché èἂν segue in modo naturale il

termine che nella frase ha particolare rilievo (πολλὴ è ripreso nella risposta di Simmia b7): Hoog, Wert, 114-115. Anche Verdenius, Notes, 204 vede in ἂν ein «a normalization».

10 (68b8) L'ordine delle parole in PPetrie ıxavov coi] epn τεκμήριον [τοῦτο (ἱκανόν σοι τεκμήριον, ἔφη, τοῦτο codd.) po-

trebbe essere originale e non frutto di trasposizione (Jachmann, Der Platontext, 265-266; Bickel, Geschichte, 110): ın Platone

sono frequenti gli inizi di battute dialogiche in cui 1] sostantivo é separato dall'aggettivo attributivo (su cui cade l'accento) da ἔφη (o ἔφην): Hoog,

Wert, 118. Per lo stesso effetto, otte-

nuto con l'interposizione di un vocativo, cfr. E. FRAENKEL, Noch einmal Kolon und Satz, SBAW Phil. hist. KI., 1965, 3639. Diverso l'avviso di Verdenius, Notes, 204 che ritiene Par-

ticolazione dı pap. (per lui trasposizione) frutto di semplificazione dovuta a qualcuno che non vedeva che τοῦτο è spiegato da ὃν ἂν Tong κτλ.

11 (6869) Non c’è spazio in pap. per μέλλοντα ἀποθανεῖσθαι dopo ἀγανακτοῦντα. Il supplemento τούτῳ di Usener [Unser Platontext, 29 (= 108), 42 (= 121)] si adatta meglio alla lacuna

di θανάτῳ proposto da Jachmann (Der Platontext, 267), che, sospettando nei codici (come già Blass, Geschichte, 206; Alline, Histoire, 72) una espansione esplicativa (sı susseguono due participi, uno subordinato all'altro), & incline a preferire il testo ‘breve’. Ma non si vedono difficoltà grammaticali à seguire con gli editori fino a Strachan (che peró non dice nulla —

171—

PLATO

40

in apparato) il testo della tradizione manoscritta medievale che ha indubbiamente maggior forza espressiva dello sbiadito τούτῳ (Ritter, Bericht, 10; Hoog, Wert, 30-32) e che potrebbe essere

stato semplificato proprio per la relazione ıpotattica che lega i due participi (Usener, Unser Platontext, 42 [= 121]; Verdenius, Notes, 204). Bickel [BPhW

32 (1912), 258 e in partico-

lare Geschichte 110, n. 2] adotta τούτῳ («wo das Pronomen für θανάτῳ steht»). 14-15 (68c2)

τυ͵γχᾶνει φιλοι[χρηματος PPetrie che omette

apparentemente ὧν καὶ dopo τυγχάνει. Ma c’è la possibilità (cosi pensano Couvreur 1893, 16 e Hoog, Wert, 129) che àv seguisse φιλοχρήματος e fosse a sua volta seguito da n φ]ιλοtipoc (καὶ φιλότιμος codd.).

16 (68c2-3)

Il rigo 16 di PPetrie ricostruito da Mahaffy è

breve (Hoog, Wert, 142), ma apparentemente non manca nulla: τὰ &tepo. tolotov n augotepa. 18 (68c5) PPetrie ometteva probabilmente Epn, non à Σιμμία, come vorrebbe Mahaffy. Hoog, Wert, 106.

D col. II = V(3), 4 (68c10) novov μόνοις dei codici. È vero che entrambe bili (Hoog, Wert, 129-130), ma sembra forma aggettivale alla forma avverbiale. è registrata da Strachan.

di PPetrie si oppone a le lezioni sono possipiü facile passare dalla La variante di pap. non

à (6841)

PPetrie omette ἔφη dopo ἀνάγκη.

6 (6842)

PPetrie contribuisce ad isolare è che presenta

ἐθελήσεις contro ἐθέλεις di tutti gli altri testimoni. 7 (6842) «nv ye à il testo di PPetrie che si accorda con T W Giamblico e Stobeo; inferiore la variante τὴν τε di B V. Que-

sta nota critica manca nell'apparato di Strachan. 1 (6846)

Gli editori oscillano, ma la lezione μεγάλων di

PPetrie, in sé ineccepibile, & ben attestata sia nella tradizione diretta (B, Typ), sia nella tradizione indiretta (Giamblico, Olimpiodoro, subs)

Il superlativo μεγίστων

(di T δ, compreso

B^), preferito da Verdenius, Notes, 204 «for the very fact that it is not strictly logical (cf. d8 μειζόνων)», potrebbe essere nato dall'esigenza di correggere un testo mal compreso [Loriaux, Le Phédon (1), 101].

12 (68d6) Jachmann (Der Platontext, 236-237) ritiene che eivaı (presente in PPetrie T 6, compreso Β΄, assente invece in β Iamb. Ol. Stob.) dopo κακῶν sia un ‘interpolazione dovuta —

172—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

al bisogno di chiudere la frase. Cosi anche Bickel (Geschichte, 123-124), Verdenius (Notes, 204: si rinvia a Phd. 68e4 e Euthphr. 4212) e Loriaux, Le Phedon (I), 101. Come si vede, la situa-

zione tradizionale, per quanto riguarda codici e testimoni indiretti, è la stessa che 51 registra per l'opposizione μεγάλων! ueyiotov; solo PPetrie appare schierato su un diverso fronte. Nonostanteı paralleli raccolti da Hoog, Wert, 20 (in particolare La. 192c5-6), εἶναι qui sembra aggiunta secondaria. Strachan accoglie il testo ‘breve?. 12 (6847) PPetrie legge in realtà xot podo (con i codd.), non vor μᾶλα come vorrebbero Mahaffy e Korkisch, 1910: Hoog, Wert, 135-136. 15 (68d9) vropeutu[ 1 in PPetrie, ma qui si richiede ὑπομένω-

civ. Che l'uso del congiuntivo presente sia corretto mostrano vari paralleli: Hoog, Wert, 40-41. 18 (68d12) Ancora una divisione netta nel campo tradizionale tra ἄλογον attestato da PPetrie con BD Iamb. Stob. e

ἄτοπον attestato da B^ C T WPV. La contraddizione logica che si vuol sottolineare (paura e viltà non possono rendere coraggiosi) essere 22 verso

richiede ἄλογον (cfr. Hoog, Wert, 88-89); ἄτοπον può un'assimilazione a 43 ἄτοπος (Verdenius, Notes, 204). (68e3) coqopov]ovci di PPetrie non ha significato dirispetto a σώφρονές εἰσιν dei manoscritti, di Giamblico,

di Stobeo e ha trovato difensori (Blass, Geschichte, 207; Gom-

perz 1892, 7; Korkisch 1910, 77); ma la costruzione con aggettivo predicativo, che ha il carattere di una definizione (oi κόσμιοι sono σώφρονες), appare originaria: Hoog, Wert, 80-81.

D col. III = V(4), 1 (68e4)

τοῦτο (per τοὐτῷ necessario qui)

é lezione singolare di PPetrie. Casuale l'incontro con alcune fonti medievali come Q: cfr. Bickel (Geschichte, 126-127) che discute Jachmann, Der Platontext, 296.

— Anche se gli apparati delle edizioni di Burnet e Vicaire tacciono, si può dire, in base al calcolo dello spazio, che PPetrie concordava con BC Iamb. Stob. (ὅμοιον) contro T δ, compreso

p? (ὅμοιον

εἶναι).

εἶναι

& un’ espansione

non

necessaria,

come mostra p. es. Grg. 479c8 (già richiamato da Burnet, Pla-

to's Phaedo, 41; cfr. anche Dodds, Plato. Gorgias, 257). 2-3 (68e5) τοι ET αὐτὴν τὴν ανδραποδώδη «ωφροεῦνην PPe-

trie, τὸ (τῷ B^) περὶ ταύτην τὴν εὐήθη σωφρ. codd.

Se τοι ex

αὐτὴν niente altro puö essere che un errore di trascrizione, —

173—

PLATO

piü attenzione

merita la lezione

40

ἀνδραποδώδη

che

a torto è

stata vista [da Usener, Unser Platontext, 43-44 (= 122-123), Burnet (Plato’s Phaedo, 42), Allıne, Histoire, 74; Jachmann, Der Platontext, 258-259; Bickel, Geschichte, 112, n. 3; Verde-

nius, Notes, 204] come una anticipazione di 69b7 e che invece trova sostegno, nonostante le perplessità di Ritter, Bericht, 3941, nella tradizione indiretta e precisamente nello scolio a Phdr. 258e4-5, già utilizzato in questo senso da Blass 1899, 163. Gomperz 1892, 11-12 (cfr. anche Ritter, Bericht, 34) dubita a

ragione che εὐήθης sia «das angemessene Wort». per esprimere

il concetto e Couvreur 1893, 16 più decisamente dice che «la

sottise n'a que faire ici». L'aggettivo ἀνδραποδώδης è sì ripetuto a 6907, ma quivi è preceduto da τῷ ὄντι che sottolinea e ribadisce il concetto. Hoog,

Wert, 55-57.

4-5 (68e6) ἑτέρων ἡδονῶν στερηθῆναι codd. Iamb. Stob.; la trasposizione otep. £t. 160v. vede isolato PPetrie. Hoog, Wert, 120.

7 (68e7) La situazione tradizionale è piuttosto movimentata: ὑπ᾽ ἄλλων κρατούμενοι BT Iamb., κρατούμενοι ὑπ᾽ dÀλων è, un εκεινω[ν] κρατουμενοι PPetrie, ox ἄλλων κρα-

τουμένων Stob. Se si trascura (come secondaria) la trasposizione di 8 e la forma al genitivo plurale in Stobeo (influenzata da ἄλλων), resta la contrapposizione B T - PPetrie. Non è mancata qualche difesa di PPetrie (p. es. Christ 1893, 14-15; Coppola, Appunti, 216), ma si richiede qui ἄλλων correlato al precedente ἄλλων e impiegato con valore generale. Secondo Usener [Unser Platontext, 44 (= 123)] e Alline (Histoire, 74), avremmo un’anticipazione del concetto dell’ ἀλλαγή (6947). ἐκείνων di

PPetrie riprenderebbe solo l'éxeivov di 68e6. Hoog, Wert, 4142.

8 (6941)

τῶν secondo l'ed.pr. (seguita, p. es., da Burnet)

sarebbe stato omesso da PPetrie; ma la sua integrazione nella lacuna di fine rigo & possibile per il calcolo dello spazio: Ritter, Bericht, 31; Korkisch 1910, 14; Coppola, Appunti, 216 e n. 2; Hoog,

Wert, 142-143.

9-10 (6931-2)

ἀλλ᾽ ὅμως συμβαίνει è il testo dei codici me-

dievali, di Giamblico e Stobeo, giudicato genuino da Usener [Unser Platontext, 44 (= 124)], adottato da Burnet

e Robin;

συμβαίνει | ö’odv il testo di PPetrie considerato originale da Alline (Histoire, 73), Bickel (Geschichte, 110-111, n. 2) e pre-

— 174—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

ferito da Vicaire e Strachan. Come

già aveva puntualizzato

Christ 1894, 10, è richiesta una formula che riassuma in modo

conclusivo il ragionamento: οὖν di PPetrie serve appunto a riprendere quanto detto prima, in particolare la frase φοβούμεvot γὰρ — κρατούμενοι (68e5- 7) il cui contenuto essenziale deve

essere richiamato alla memoria dopo l'interruzione con καίτοι καλοῦσι κτλ. Invece ἀλλ᾽ ὅμως dei codici, ben lontano dal ri-

prendere conclusivamente

quanto detto, fa attendere ancora

qualcosa. La successione Kkaitor φαμέν γε

. ἀλλ᾽ ὅμως che si

legge a 68e3-4 è ben altrimenti giustificata, perché ἀλλ᾽ ὅμως ha un valore concessivo. L'accento logico della frase cade su kpotouuévoig dp” δονῶν

(6942): «accade dunque ad essi (la

cui condizione è di essere dominati dai piaceri) di dominare alcuni piaceri», ma questo è contraddittorio. Con la lezione dei codici si stabilisce una sorta di equilibrio tra dominio di alcuni piaceri e soggezione ad altri che non può corrispondere al pensiero di Socrate. Blass (Geschichte, 208) sosteneva la sostanziale equivalenza di significato tra ἀλλ᾽ ὅμως e δ’οὖν e, pur dando la preferenza alla lezione del papiro, traduceva «aber in der That». Anche Des Places, Études, 220 n. 1, nega, a torto dato il contesto, che ci sia differenza di significato tra le due formule. Qui δ᾽ οὖν è «resumptive» (Denniston, 462-463) e questo valore non può riconoscersi in ἀλλ᾽ ὅμως (Hoog, Wert, 59,

n. 2). Prima di kaitor καλοῦσι ye andrà messo un punto in alto, mentre una pausa forte si richiede tra ἄρχεσθαι e συμβαΐνει

δ᾽ οὖν. Contro le obiezioni di Hoog (Wert, 58-59), la frase finale τοῦτο è’ ὅμοιον va considerata strettamente collegata a quella aperta da συμβαίνει δ’ οὖν: prima si riassume, ma puntualizzando, poi si conclude. Per la discussione anche di altri punti di vista critici, cfr. Carlini 1968, 50-52. 16 (69a6)

PPetrie presenta yàp (dopo un) omesso, tra i co-

dici, solo da T V. 16-17 (6926-7)

προς α]!ρετηΐίν

éè presenza sicura in PPetrie

come nei codici. L’ espunzione proposta da Jachmann (Der Platontext, 260-261), sulla scia di Ast, non ha fondamento: Bickel, Geschichte, 120-121. E = VII(a)+(b), 3-4: (70b8-9) Blass (Geschichte, 208) pensa che PPetrie avesse τινα | δίοξαν 1 in luogo di ἥντινα δόξαν, ma

il calcolo dello spazio qui non può essere conclusivo (cfr. Car-

lini 1992, 157).



175—

PLATO 40

5-10 (70b10-c2)

L'assetto testuale della prima parte della

battuta che segue περὶ αὐτῶν era in PPetrie senz'altro diverso, ma difficile & ]a ricostruzione; ció che si legge al τ. 5 è alv ovμαι ye pe n O[oc. ΑἹ r. 6 forse c'era un'inversione (vvv t[ıvo

per τινὰ νῦν): cfr. Carlini 1992, 157. F = VI (1), 3 (79b16) PPetrie legge correttamente oie (ἀιδεῖ). I manoscritti oscillano tra &t0- e ἀειδ-. Cfr. Hoog, Wert, 61, n. 3 e Verdenius (Notes, 213-214) che critica Robin

per le sue scelte.

G = VI (2), 3 (80d5) Sull’ordine delle parole è sempre difficile pronunciarsi, ma i codici medievali, sostenuti da Eusebio e Stobeo (I 431), in questo punto meritano più fiducia:

τοιοῦτον τόπον ἕτερον con iperbato rende più incisiva l'espressione, τοιοῦτον ἕτερον τόπον di PPetrie appiattisce la costruzione: Hoog, Wert, 116. Isolato Teodoreto (V 43) che, se

da un lato condivide l’ordo verborum di PPetrie (ma è coin-

cidenza casuale), aggiunge poi τινά a ἕτερον τόπον. 4 (8046) Nonostante il diverso parere espresso da Korkisch 1910, 63, Blass (Geschichte, 208-209) e Couvreur 1893, 16, il testo di PPetrie che premette l'articolo (toy) a γενναῖον

non è da accogliere: Usener, Hoog,

Unser Platontext, 42 (= 121);

Wert, 51.

5 (8046)

καὶ ἀιδῇ è espunto da Hackforth (Plato’s Phaedo,

87, n. 3), perché τοιοῦτον ἕτερον sarebbe equivalente a (e as-

sorbirebbe) ἀιδῆ, Ma Platone non evita le ripetizioni. Cfr. Verdenius, Notes, 215. — atòn PPetrie cum T recte, ἀειδῆ cett.

6-7 (8047) Non si può ricostruire con sicurezza la lezione di PPetrie forse viziata da trasposizione meccanica: tov αγαθον θεον | [xot epovuo]v? Il testo dei manoscritti τὸν ἀγαθὸν καὶ

φρόνιμον θεόνè inattaccabile. 7 (8047)

oi ἂν codd. Eus. Stob., ot δὴ ἂν PPetrie secondo

. la ricostruzione di Mahaffy accolta da Burnet e Vicaire. In

realtà in pap. si vede τὰν; Hoog (Wert, 121-122) interpreta le tracce delle prime due lettere come Jıdıav, ma non è impossibile leggere e articolare gpovino]v ot av con o appuntito in alto.

7 (8048)

In Platone sono presenti le due forme θέλω ed —

176—

PPETRIE

15-8

PHD.

ἐθέλω e spesso in uno stesso passo la tradizione manoscritta è divisa. Nella formula qui ricorrente prevale la forma piena (ἂν θεὸς ἐθέλῃ). Resta isolato dunque PPetrie che presenta θελει [la desinenza della terza persona singolare del congiuntivo in -& è attestata nelle iscrizioni già dal sec. IV ed è frequente nei papiri letterari nel sec. III a.C. (cfr. Mayser, I, 128; Belege 129)].

È curioso

che Burnet,

così poco incline al consenso

verso le lezioni di PPetrie, accolga a testo θέλῃ disconoscendo la validità delle testimonianza concorde di tutti ı codici, di Eu-

sebio, di Stobeo: Verdenius, Notes, 215; Hoog, Wert, 69-71. Dei due editori più recenti, Vicaire accoglie a testo ἐθέλῃ, Stra-

chan invece, seguendo Burnet, θέλῃ. 8 (80d8) καὶ omesso da PPetrie (come si può calcolare dallo spazio) e da Stobeo, è espunto da Usener, Unser Platontext, 40 (= 120). Ma qui l’aplografia è più facile della dittografia: Verdenius, Notes, 215. H col. I = VI (3), 1 (80e6)

La lezione di PPetrie toöe che

si oppone a τοῦτο δὲ di codd., Eus. Stob. va interpretata τὸ δὲ con Burnet, Vicaire e Strachan (non τόδε con l’ed.pr.) e può essere considerata originale. È vero che, seguendo 1 codici e i testimoni, avremmo a 80e6 τοῦτο che riprenderebbe riassunti vamente

la serie dei participi femminili (e3-6) come a 81al

τοῦτ᾽ riprende riassuntivamente 1 due participi (φιλοσοφοῦσα .. μελετῶσα), ma ha ragione Burnet quando dice (Plato’s Phaedo,

72) che è più facile che tò dè (per questa formula si possono provare precisi paralleli: cfr. Korkisch 1910, 83-84; Hoog, Wert, 79-80) 51 sia alterato in τοῦτο dè, meno facile 1] contrario. Verὧν, (Notes, 215) difende μελετῶσα ἀεὶ -- τοῦτο δὲ κτλ. 4 (8141) Jachmann (Der Platontext, 227-232), sulla scıa di Hirschig e Schanz, vede in ῥᾳδίως (presente anche in PPetrie)

una aggiunta spuria; per una difesa dell’originalitä, ampiamente argomentata, cfr. Usener, Unser Platontext, 39 (= 118-119); Bickel, Geschichte, 119- 120; Verdenius, Notes, 215.

— (81a1) οὐ, presente in pap. come nella maggioranza delle fonti primarie e necessario per 1l senso, é omesso da CD. Que-

sta nota & omessa nell'apparato di Strachan. 7 (8144) oıdec correttamente PPetrie con T, ἀειδὲς cett. 12 (8148) Interessante l'accordo di PPetrie con ß nella lezione ἀνθρωπίνων (ἀνθρωπείων WQVT’ Eus. Stob., ἀνθρωπίων

TP), ma frequenteè l’oscillazione tra le due forme (in Platone —

177 —

PLATO

40

e all'interno della tradizione manoscritta): non si può dire con Hartman 1892, 160 che quando c’è una contrapposizione con θεῖος viene impiegato esclusivamente ἀνθρώπειος (cfr. Hoog,

Wert, 90), né con Hoog, Wert, 91-92 che quando si parla come qui dei mali dell'uomo, 51 richiede necessariamente ἀνθρώπινος. 13 (8148)

de dopo ὥσπερ, omesso in un primo

tempo, è

stato aggiunto sopra la riga (dalla stessa mano?) in PPetrie. 15 (8149) Forse pap. ometteva ὡς prima di ἀληθῶς (ragioni di spazio). Hoog, Wert, 131. 16 (8149)

PPetrie rafforza lo schieramento

rappresentato

da T 8 (compreso B^) Eus. Stob. Damasc. che leggono μετὰ θεῶν (si veda p. es. 69c7); B aggiunge l'articolo (p. τῶν 0.), qui non richiesto. Non sono convincenti le considerazioni di Hartman 1892, 160 a favore dei codici della prima famiglia (Hoog, Wert, 98).

18 (8101)

owepracuevn di PPetrie per οἶμαι μεμιασμένη è

un caso interessante di aplografia. 22 (81b3) Pur riconoscendo che non mancano ragioni a favore di yeyontevpévn (attestato da è (compreso B^) Eus. (BIO) Stob., difeso da Verdenius (Notes, 216) che rimanda al perfetto ᾿᾽συνηθροισμένη di 8065, accolto a testo p. es. da Dirl-

meier e da Vicaire], la scelta della forma del participio presente (yontevopévn) con PPetrie e C T Eus. (ND) consente un

naturale coordinamento con i tre participi presenti che precedono e che spiegano la condizione nella quale si trova l'anima (8101 μεμιασμένη). Anche Jachmann (Der Platontext, 250) giu-

dica genuina la forma al presente. Difficoltà di scelta tra le due forme, entrambe ben attestate (va precisato però che BD hanno yeyontevou£vn),

è confessata da Burnet, Plato’s Phaedo,

da Hoog, Wert, 131-32. H col. II = VI (4), 1 (81b3)

72 e

PPetrie omette ὑπ᾽ αὐτοῦ e te

dopo ὑπό (l'omissione di te non è rilevata nell'apparato di Vicaire, lo è in quello di Strachan); da questa omissione risulta un testo perfettamente leggibile (nonostante le riserve di Jachmann, Der Platontext, 250-251), ma impoverito perché deve esserci anche per yontevonevn un preciso riferimento al corpo come c’è per gli altri participi presenti che sono, si è visto, coordinati. Il te ha un valore esplicativo (Verdenius, Notes, 216): desideri e piaceri sono i mezzi che il corpo usa per stregare l'anima (Phd. 66c7 τὸ σῶμα καὶ ai τούτου ἐπιθυμίαι). Vi—

178—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

caire e Strachan optano, come Burnet e Hoog (Wert, 32), per

il testo dei codici e di Eusebio. Non giustificata appare la proposta di espungere ὑπό te — ἡδονῶν fatta da M. VERMEHREN (Platonische Studien, Leipzig, Breitkopf & Härtel 1870, 24): cfr. Usener, Unser Platontext, 41 (= 120). 1-2 (81b4) WPQV invertono l'ordine delle parole (n8ovàv καὶ ἐπιθυμιῶν), ma sono smentiti anche da PPetrie. Non si può escludere tassativamente, invece, che PPetrie avesse τῶν ἐπιθυμιων [kot των] | nóovov.

Ctr. Hoog,

Wert, 143.

2-5 (81b4-5) Gli apparati di Burnet, di Vicaire e di Strachan non informano in modo esauriente sul testo di PPetrie (cocte undev [Boxetv εἰναι] | aAndec αλλο n To co[patoer8ec) in contrapposizione a quello dei codici (ὥστε μηδὲν ἄλλο δοκεῖν εἶναι ἀληθὲς ἀλλ᾽ ἢ τὸ σωματοειδές). La costruzione dei codici (μηδὲν ἄλλο congiunto con ἀλλ᾽ ἢ a sottolineare la con-

trapposizione) ha un preciso parallelo in Phd. 8328 e può essere difesa come originale. Nella costruzione di pap., la contrapposizione sarebbe segnata invece dalla collocazione se-

parata e distante di μηθὲν e ἄλλο (p. es. Phd. 11721), ma l'e-

spressione non ha la stessa efficacia. Hoog (Wert, 132-133) si

dichiara per una equipollenza dei due assetti testuali alternativi. 4 (8105)

Gli editori seguono i codici e Stobeo (xig àv), ma

PPetrie, questa volta alleato con Eusebio, inverte l'ordine delle parole (av tic). Hoog

(Wert,

120) è agnostico. $1 può notare

che la collocazione dei codici evita lo iato, ma questo non è decisivo per la scelta. 4-5 (81b6)

è Eus. (ON) traspongono φάγοι καὶ πίοι; PPe-

trie, per quanto ἃ possibile ricostruire, stava con le altre fonti manoscritte e gli altri testimoni indiretti, Eus. (I) Stob. (πίοι καὶ φάγοι). Manca Vicaire.

la rilevazione della variante del papiro in

7 (81b7) Contrariamente alla ricostruzione del testo dell'ed.pr., PPetrie doveva avere καὶ t[o aıdec. Ma Platone non

intende accostare qui ciò che è oscuro agli occhi e ciò cheè

invisibile, quanto definire l'intelligibile, come si ricava anche dall’opposizione che segue. Si deve optare allora per il testo dei codici e dei testimoni che omettono τὸ prima di ἀιδές. ‘1006 Wert, 50. 8 (81b7)

copia di PPetrie si contrappone a φιλοσοφίᾳ dei

codici e dei testimoni antichi. Nonostante la difesa di Cou—

179—

PLATO

40

vreur 1893, 17 e di Korkisch 1910, 84-85, la lezione di PPe-

trie & da considerare innovazione. Come dice Hoog (Wert, 43),

solo φιλοσοφία risponde a ciò che si richiede in questo luogo: un termine «der sowohl ein Erkenntnismittel als auch eine Lebensform bezeichnet». Untersteiner 1967, 410 (= Scritti minori, 637) ritiene che σοφίᾳ sia stato sostituito a φιλοσοφίᾳ da

Senocrate per «armonizzare il pensiero del Fedone con quello dell’Accademia postplatonica»; cfr. però Carlini apud Untersteiner (Scritti minori, 639-640) e Studi, 6-8. 12 (8102) απαλλα]ξεεθαι

legge correttamente PPetrie [con

C T WPV Stob. (F)], mentre D QA sono alleati di Eusebio e Stobeo (P) nella forma ἀπαλλάξασθαι. Il codice Bodleiano in

questo punto e evanido. 14 (81c4)

ἀλλὰ καὶ - γε è la lezione di B, ma giustamente

gli editori hanno seguito PPetrie T 8 (compreso

B^) Stob.

che leggono ἀλλὰ — ye. Questa costruzione ha molti paralleli in Platone: Hoog, Wert, 97. 20 (81c8) In PPetrie doveva esserci una inversione dei termini: δὲ Ye tovfto ὦ φιλε che si riscontra anche in Q (δέ ye, à φίλε, τοῦτο cett.). I = VI (5), 2-4 + VII (d) (81c10-11)

Il frammentino

non

identificato da Mahaffy VII (d) è fisicamente contiguo ai rr.

2-4 di VI (5), ma non consente il recupero completo di tali righi. La sicura integrazione al r. 4 περι contribuisce ad isolare ancor di più Origene (Cels. VII 5 = II, p. 156 K.) che presenta (a 81c11-d1) la variante ἐπὶ tà μνήματα in luogo di περὶ τὰ μνήματα che è la lezione concordemente tramandata dai co-

dici medievali. Carlini 1992, 157.

-8 (81d1-3)

La ricostruzione in PPetrie è problematica;

51 tratta In ogni caso di un assetto del testo molto diverso da quello dei manoscritti (περὶ ἃ δὴ koi — εἴδωλα) il quale, nonostante le riserve di Jachmann (Der Platontext, 271-272), è

pienamente accettabile. Se i supplementi proposti da Blass (Geschichte, 210), pur ingegnosi, non seguono sempre le tracce e

non tengono conto dello spazio, la restituzione congetturale di Usener [Unser Platontext, 33 (= 112); 42 (= 122)] rispetta

le lettere e le tracce superstiti (contro le riserve di Hoog, Wert,

110-111), purché si tenga conto che all’inizio del r. 8 in lacuna poteva trovarsi una sola lettera e si dividano diversamente le —

180—

PPETRIE

15-8

PHD.

parole: ^yv]xov φανίταςματα ovx 6n all'[v]o vox[ov ev] achevelo παρε]! xovxo. Alla probabile omissione di σκιοειδῇ se-

guirebbe in PPetrie una espansione testuale che difficilmente (si consideri περὶ — τοὺς τάφους di 81c11-d1) può essere con-

siderata originale. £v ἀσθενείᾳ è stato interpretato da Usener [Unser Platontext,

42

(= 122)]

come

un glossema a σκιοειδῆ

entrato nel testo. Naturalmente non possono essere esclusi al-

tri supplementi che porterebbero ad un assetto diverso: ingegnoso oun]w ταφίεντων

di Purser richiamato da Strachan. Per

una nuova discussione

dei problemi critici posti dall’intero

passo 81c11-d2, cfr. ora S. LAVECCHIA, Note su alcuni testimoni cristiani del Fedone, SCO 45 (1995), 127-141: 137-141. 11-12 (81d4) Solo Jachmann (Der Platontext, 247) ha rac-

colto la proposta

di van Herwerden

di espungere διὸ καὶ

ὁρῶνται, presente in PPetrie come nei codici: Bickel, Geschichte, 122.

12 (8145)

PPetrie dopo il tratto orizzontale che segna la

divisione di battuta (cfr. introd.), presenta εἰκοτῶς Ye contro

εἰκός ye dei codici. Per ragioni di spazio, la battuta successiva di Socrate doveva però iniziare con eıkoc. In Platone la ripresa di norma avviene con lo stesso termine, senza variazioni come risulterebbe da PPetrie.

Si veda

Hoog,

Wert,

78 che confuta

Korkisch 1910, 86. Non c’è ragione per integrare nel testo di pap., con Burnet, Robin, Vicaire (ma tutti seguono Couvreur 1893, 17-18), ἔφη in luogo di ὦ Σώκρατες dopo εἰκότως ye: cfr. Hoog, Wert,

13 (8146)

143-144.

Stobeo ha μέντοι ye, isolato però dai codici e da

PPetrie che omettono ye.

14 (81d7)

Nonostante l’assenso unanime degli editori più

accreditati alla lezione di PPetrie avi[ac, il ταῦτας dei codici

e di Stobeo appare preferibile. Una forma di αὐτός può essere seguita da una frase relativa, ma in questo caso αὐτός ha il valore di ‘appunto questo’ (documentazione esemplificativa in Hoog, Wert, 76-77); qui nel membro negativo della frase (οὐ - tàg τῶν ἀγαθῶν), i1 meno enfatico tavtag trova più naturale collocazione. L col. II= VII (2), 2 (82b5)

eıkoc PPetrie, εἰκός ἐστιν codd.

POxy 2181 (> 80 41) Eus. Stob. È vero che si possono invocare luoghi platonici in cui εἰκός ha la copula, altri in cui la copula manca (Verdenius, Notes, 216; Hoog, Wert, 37), ma —

181 —

PLATO 40

c’è una presunzione a favore della lezione asciutta di PPetrie; l'aggiunta di ἐστιν può ben rispondere a una strategia di antichi redattori del testo (Jachmann, Der Platontext, 236-237). Già Usener [Unser Platontext, 40-41 (= 120)] e Blass (Geschi-

chte, 211) giustificavano positivamente l'assenza di ἐστιν. Vicaire, a differenza di Burnet e di Strachan, segue PPetrie, ma inspiegabilmente chiude ἐστιν entro parentesi quadre, come se

fosse stato espunto congetturalmente. 3 (82b5)

Nonostante la difesa (debole) di Couvreur 1893,

18 e Korkisch 1910, 68, l'aoristo ἀφικέσθαι di PPetrie non può essere accolto: le forme verbali che in questa sezione del Fedone descrivono lo stesso processo (82al; a6; b8; c1) sono tutte infiniti presenti, come qui ἀφικνεῖσθαι dei codici. Hoog, Wert, 101-102.

4 (82b6)

tepov di PPetrie all’inizio del rigo va completato

congetturalmente. Burnet propone un improbabile supplemento

(Nué)tepov, cioè ἡμέτερον, senza menzionare quello {già pre-

sente in Mahaffy, Usener, Unser Platontext, 39 (= 113), Blass, Geschichte, 211] che si può ricavare dal confronto con i codici: nuep@]jtepov; Vicaire completa tacitamente ἡμερώτερον,

ma senza la sigla IT” (caduta meccanicamente) e senza i segni critici che consentano di capire che solo tepov è conservato. Eppure la lezione (così ricostruita) di PPetrie merita più at-

tenzione di quanta gli editori non le abbiano accordato: Blass

(Geschichte, 211) dice giustamente che «ἥμεροι im Positiv sind

Bienen und Wespen nicht», sottintendendo che la forma al comparativo meglio si adatta al contesto, soprattutto in rap-

porto agli animali violenti nominati prima (82a4-6). Anche Hoog (Wert, 59-60) si schiera a favore di PPetrie.

Strachan

pone in alternativa (come entrambi possibili) in pap. ı due supplementi: ἡμερώ]ϊτερον vel ἡμέ]ϊτερον, ma accoglie a testo la lezione ἥμερον della tradizione manoscritta medievale. Un sug-

gerimento critico che merita attenzione viene ora da D. Sedley (per litt.): ἥμερον È ]ltepov γένος. Il supplemento non in-

contra problemi di | Spazio; ἕτερον si contrapporrebbe a ταὐτὸν (07); la caduta di ἕτερον nei codici si spiegherebbe facilmente per aplografia. 7 (8208)

Si deve pensare che PPetrie omettesse ἐξ αὐτῶν;

il rigo risulterebbe effettivamente molto più lungo degli altri. Usener [Unser Platontext, 41 (= 120)] e Blass (Geschichte, 211) —

182—

PPETRIE

15-8

PHD.

non avevano trovato spazio per ἐξ αὐτῶν la cui assenza sul piano critico sarebbe peraltro ben sopportata dal senso del passo: Jachmann, Der Platontext, 251. Perplesso sull'originalità di un testo senza ἐξ αὐτῶν Verdenius, Notes, 216.

11-12 (82c1) Jachmann (Der Platontext, 247) giudica interpolata la sequenza ἀλλ᾽ ἢ (o ἄλλῳ ἢ) τῷ φιλομαθεῖ (si tratterebbe di interpolazione molto antica, visto che PPetrie è solidale con 1 codici e 1 testimoni indiretti), ma cfr. Bickel, Geschichte, 118-119. A causa della mutilazione della colonna

a destra, non si può dire invece se PPetrie avesse ἀλλ᾽ ἢ con B PQ Niceph., oppure ἄλλῳ ἢ con T WVAB? IT Iamb. Stob. 14 (82c3)

Con la lezione qiX[oco]oo: PPetrie si insinua nel

corpo della tradizione medievale alleandosi a T Giamblico e contrapponendosi a B ὃ (φιλοσοφοῦντες). Le ragioni ‘stemmatiche' che militano a favore di PPetrie T Iamb. sono sostenute dall’analisi interna: le tre categorie di uomini contrapposti ai filosofi sono indicate con aggettivi sostantivati, non con forme verbali participiali (c6-8 φιλοχρήματοι, φίλαρχοι, φιλότιμοι):

cfr. Hoog, Wert, 92-94. Il passaggio al participio potrebbe essere stato provocato dalla presenza dell’avverbio. Si può rinviare, con Burnet (Plato’s Phaedo, 74) e Verdenius (Notes, 217), a 67b4 τοὺς ὀρθῶς φιλομαθεῖς e anche, come suggerisce Ven-

druscolo (per litt.), a 83b5 τοῦ ὡς ἀληθῶς φιλοσόφου. — ἔχονται di B è un evidente errore (che stravolge il significato della frase); la corretta lezione ἀπέχονται è presente,

oltreché in PPetrie, in T 8 (compreso B^) Iamb. Cfr. Hoog, Wert, 97.

L col. III = VII (3) + VII (e), 2 (8244) PPetrie è solo nel presentare qui la forma al futuro rop]evcovraı (πορεύονται

codd. Iamb.), pur avendo più avanti, nel luogo che ha stretta corrispondenza con questo, il presente (d6 τρέπονται) con tutti gli altri testimoni. Si tratta di un evidente errore, nonostante la difesa tentata da Campbell 1892, 456 e da Ritter, Bericht, 10. Cfr. Hoog, Wert, 44. 3-4 (82d4-5) Un frammentino sfuggito a Mahaffy e non considerato dagli editori Burnet, Robin, Vicaire, né da Hoog

consentirebbe, se inserito correttamente in questo punto, di prospettare, con Blass (Geschichte, 211-212), un assetto del te-

sto completamente diverso: in luogo di αὐτοὶ de ἡγούμενοι κτλ. dei manoscritti possiamo ricostruire nyo]vvralı de ov] | [de]w —

183—

PLATO 40

evavtia [rmi pi]iocog[i]ar. αὐτοί dei codici (non conveniente dopo αὐτοῖς del rigo precedente) può essere interpolazione

esplicativa. Cfr. anche Carlini 1992, 158-159. Ma il problema non può considerarsi risolto: una diversa collocazione del frammentino (sempre Fedone, ma 67d7-8) propone, con argomentazioni non trascurabili, Strachan 1992, 160-162.

6 (8246) kai to καθαρμω PPetrie solitario (xoi καθ. cett.). -7 (8246) Dopo ταύτῃ PPetrie ha la particella δὴ che è

omessa da tutti gli altri testimoni. In Platone δή è spesso ım-

piegato dopo un pronome dimostrativo per sottolinearne il rilievo nella frase (Hoog, Wert, 94-95). Già Burnet e Vicaire, pur non conoscendo nella sua integrità la testimonianza di PPetrie, hanno giustamente accolto a testo δῇ.

7 (8246)

ἐκείνῃ omesso da PPetrie era già stato espunto

congetturalmente da Herwerden. L’aggiunta di ἐκείνῃ come di αὐτοί (d4) sembra rispondere ad un'unica strategia di correzione (aggiunta esplicativa). Anche l’accanıto oppositore di PPetrie Usener [Unser Platontext, 41 (2 120)] in questo caso ne preferisce il testo. Cfr. Blass, Geschichte, 212 e Ritter, Be-

richt, 40. Hoog (Wert, 33-34), contrapponendosi (Histoire, 72) e a Jachmann

(Der Platontext,

251),

ad Alline dice che

ἐκείνῃ ἑπόμενοι νὰ giudicato genuino in quanto si contrappone a ἐναντία τῇ φιλοσοφίᾳ (45) e che la ripetizione del pronome ἐκεῖνος (cfr. 47) non è estranea all'uso platonico. Su questa stessa linea anche Verdenius, Notes, 217-218 e Loriaux, Le

Phedon (I), 182. Ma proprio il trattamento ‘redazionale’ che sembra stato imposto all'intero passo come lo leggiamo nei

codici fa propendere per la non originalità. 8-9 (82d8)

La battuta di Cebete che in PPetrie è segnalata

dalla paragraphos e ben individuata all’interno del rigo dai due tratti orizzontali (secondo il costume dello scriba) suona così: πως Aeyeıc | epn o coKxpatec. I codici non leggono λέγεις ἔφη,

trasmettendo quindi una formula con una domanda espressa

dal solo avverbio interrogativo, seguito dall’«Anrede», che è meno frequente in Platone, ma che proprio per la sua singo-

larità è stata difesa (Hoog, Wert, 111-112). Va osservato perö che ha buoni paralleli ini Platone la collocazione di ἔφη (o ἡ 6' 6c) tra formula interrogativa e vocativo, come in PPetrie: es. Phd. 63c8, 92e5. 9 (82d9) Gli editori (Burnet, Robin, Vicaire, Strachan) se-

— 184—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

guono ı codici che presentano ἔφη dopo ἐρῶ. Ma subito dopo abbiamo γιγνώσκουσι γάρ, ἡ δ᾽ ὅς, che apparirebbe una ripe-

tizione molesta. PPetrie ci risparmia, opportunamente, il primo ἔφη. Hoog, Wert, 95. (8291) Non si può invocare con Vicaire la testimonianza di PPetrie per l'omissione di fj (prima di φιλοσοφία), perché

questa parte del testo manca in pap. M col. I, 11 (82e7)

Tutti i codici e Giamblico hanno τῷ

δεδέσθαι, mentre la costruzione normale richiede τοῦ δεδέσθαι

congetturato da Heindorf e subito adottato da Schanz. La difesa di τῷ operata da Hartmann

1892, 163 e Reinhardt 1894,

148 non é valida, nonostante Blass, Geschichte, 212. Secondo

Mahaffy, PPetrie confermerebbe la correzione di Heindorf, ma una nuova autopsia porta a dire che anche il papiro leggeva tot (si veda anche la nota critica di Strachan). Appaiono ingiustificati sia l'agnosticismo di Hoog (Wert, 145), sia l'adozione da parte di Vicaire, senza alcuna giustificazione, di una presunta lezione τοῦ di PPetrie. 20 (8344) ἀκοῶν è errore confinato al gruppo WPQV; anche PPetrie, con p T A Iamb., ha xov. 20 (83a4-5)

καὶ τῶν ἄλλων dei codici e di Giamblicoè le-

zione superiore ar τῶν ἄλλων di PPetrie. In Platone, anche quando c’è una concatenazione di termini legati tra loro da καὶ, questa particella figura anche alla fine con forme di üAloc. Hoog, Wert, 72. M col. II = VIII

(2), 3 (8326)

L’assenza, in PPetrie, di

αὐτοῖς prima di χρῆσθαι può essere giudicata, con Blass, Geschichte, 212, «sehr gut». E solo la forza di inerzia che porta

gli editori ad accettare il testo piü ampio dei codici, perché le

due lezioni contrapposte hanno almeno lo stesso peso; sarebbe dunque opportuno in apparato apporre accanto alla lezione non accolta a testo un «fortasse recte»: Hoog, Wert, 153-134. 3 (83a7) Va segnalato eavımv di PPetrie; 1 codici hanno

αὑτήν.

5-6 (8348) Si deve scegliere tra due assetti testuali entrambi corretti e non privi di precisi richiami ad altri luoghi platonici: undevi aAAoı | n αὐτ[η]ῖ pap. μηδενὶ ἄλλῳ ἀλλ᾽ ἢ αὐτὴν

αὑτῇ codd. Iamb. La scelta puö cadere sul testo dei codici e di Giamblico,

considerando —

il forte accento con cui Socrate 185—

PLATO

40

afferma che l'anima puó avere fiducia solo in se stessa. Hoog, Wert, 45-47. Un richiamo preciso puó essere fatto a 81b4-5. 6 (8348) Burnet attribuisce falsamente a PPetrie la lezione ὅταν, quando invece anche il testimone di età tolemaica con-

divide ὅτι ἂν con 1 codici. ὅταν è una proposta congetturale di Tournier (cfr. Blass, Geschichte, 212-213 — (83a8) voncei PPetrie per νοήσῃ.

e Hoog,

Wert, 112).

7 (8301) τι τῶν ovıwv PPetrie, ma τι è interpolato: cfr. Blass, Geschichte, 212-213, Hoog, Wert, 112. Troppo artifi-

cioso il procedimento di Tournier (ap. Blass, Geschichte, 212-

213) che, per salvare τι, è costretto a postulare un errore in ὅτι àv emendabile, come già detto sopra, in ὅταν. Avremmo

ὅταν νοήσῃ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν αὐτὸ καθ’ αὑτό τι t&v ὄντων. 8 (8302) Blass (Geschichte, 213) ritiene che ὃν omesso da

PPetrie dopo ἐν ἄλλοις non sia necessario dato che la contrapposizione è con αὐτὸ καθ’ αὑτό (sul significato di questa contrapposizione, cfr. Verdenius, Notes, 218), ma si può opporre (Hoog,

Wert, 71) che, con un verbo

che esprime una

percezione sensibile, Platone impiega 1l participio (p. es. Phdr. 247de). 10-11 (83b3)

PPetrie omette senza ragione (pace Korkisch

1910, 53) te prima di xoi. Anche la coppia contrapposta νοητόν e ἀιδές (b4) è legata da te kai. Cfr. Blass, Geschichte, 213; Hoog, Wert, 73. 11 (83b3-4)

PPetrie.

ὃ δὲ αὐτὴ ὁρᾷ codd. Iamb., ὡς de av[mn r]pocexei

Come già Christ (1893, 15), Blass (Geschichte, 213)

giudica superiore il testo di pap. perché qui - egli dice - si vuol proprio contrapporre il ‘pensare’ al ‘vedere’ (ὁρατόν che precede immediatamente potrebbe aver influenzato la lezione dei codici). Ma |’ espressione di pap. appare poco appropriata,

sia che sottintenda τὸν νοῦν, sia che venga usata assolutamente. Ancora, ᾧ δὲ αὐτὴ προσέχει non fa cadere l'accento sull’oggetto della percezione dell’anıma, ma piuttosto su «the act or habit of attention (or of devotion)» (Campbell 1892, 456; cfr. anche Ritter, Bericht, 32). La ripresa ὅτι ἂν νοήσῃ richiede δρᾷ. €

Che 1] verbo δρᾶν possa essere impiegato per l'anima non fa difficoltà: sono molti i passi paralleli raccolti da Hoog (Wert, 84-86) che lo dimostrano. Accogliendo il testo dei manoscritti medievali, come fanno anche Burnet, Vicaire, Strachan, si deve

rilevare che Platone, pur avendo a disposizione molti altri verbi, —

186—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

si è compiaciuto di usare ὁρᾶν e di contrapporre òpa/didéc: cfr. Ritter, Bericht, 38. ; 12 (8304) ταῦτει ov[v PPetrie (per tavini oo[v). οὖν di

pap. sostiene D T V Iamb., contro δ᾽ οὖν di WA e δὲ di ΡΟΒ΄. Manca il riferimento a PPetrie nella nota critica di Strachan. 15 (83b6-7)

La tradizione manoscritta & divisa: PPetrie si

schiera con T e Giamblico che ignorano καὶ φόβων da Jachmann (Der Platontext, 249) giudicato senz'altro «Interpolation»; ἐπιθυμιῶν καὶ λυπῶν koi φόβων è il testo di P. T! vel Tm.1 (καὶ φόβων add. 1.m.), λυπῶν καὶ ἐπιθυμιῶν καὶ φόβων è i] testo di ὃ. Blass (Geschichte, 213) riteneva invece meccanica

la caduta di καὶ φόβων e attribuiva al caso la convergenza di Giamblico (T non gli era conosciuto) con PPetrie. E vero che Platone non cerca in modo esasperato la completezza nelle elencazioni (qui dei πάθη) ed è vero che spesso nel corso della tradizione si è sentito il bisogno di integrare elementi di una serie che si consideravano mancanti [Hoog, Wert, 95-96; favorevoli all’omissione anche Verdenius, Notes, 218 e Loriaux,

Le Phédon (1), 184], ma l’atteggiamento del filosofo di fronte

alle ‘paure’ è particolarmente rilevante in questo contesto (Rowe, Plato. Phaedo, 197). Anche Burnet e Vicaire accettano

Il testo del papiro, di Te Giamblico, ma curiosamente mettono Kal φόβων tra parentesi quadre come se si trattasse di espunzione congetturale. Bickel (Geschichte, 124-125) vede nell'assenza di kai φόβων una prova della «Güte des Venetus T»,

pur attribuendo alla stessa mano l'integrazione marginale. Strachan invece opta per il testo più ampio di f ὃ ricostituito anche nel margine di T. 18 (8307)

τις codd. Iamb., tic τι PPetrie.

τι in relazione

con i quattro verbi che si succedono può essere difeso. Hartman 1892, 164 pensa a una dittografia in PPetrie (τιςτιςφοδρα); può essersi invece prodotta, altrettanto naturalmente, una aplografia nella tradizione manoscritta medievale. 18-19 (8308)

Il testo di PPetrie ncOni [m λυπηθει ἡ φοβηθει

1 [emBvun]icni coincide nella successione dei verbi (a parte la

desinenza εἰ per nt, del resto frequente) con quello di PQVAB^W (W ha in realtà xoi λυπ. ) e Giamblico, mentre T traspone (nof ἢ φοβηθῇ ἢ λυπηθῇ ἢ ἐπιθυμήσῃ) e βὶ omette ἢ λυπηθῇ. Burnet chiude in parentesi quadre ἢ λυπηθῇ (ma non si tratta di

espunzione congetturale!) e dice nel commento (Plato's Pbaedo, 76) che sarebbe stato inserito da qualcuno nel corso della tra—

187—

PLATO

40

smissione per ‘simmetria’; la stessa causa a spiegare la pretesa interpolazione (interpolazione antica!) è invocata da Jachmann, Der Platontext, 248 e da Bickel, Geschichte, 125-126. Ma non si può trascurare qui la ‘copertura’ tradizionale di ἢ λυπηθῇ di fronte alla quale BCD (= B) appaiono isolati. In Burnet i primato di B(CD)

è una sopravvivenza

della linea critica di

Schanz. Anche Vicaire e Strachan optano per il testo ampio.

Per altre considerazioni ‘interne’, cfr. Hoog, Wert, 17-18; Verdenius, Notes, 218; Loriaux, Le Phédon (I), 184-185: le quat-

tro forme verbali sono ordinate in forma chiastica (due gruppi di contrari piacere e pena; timore e desiderio). 21 (830,9) ὧν trasmesso dai codici e da PPetrie è necessario; mera trivializzazione ὡς di Giamblico. — ἄν τις οἰηθείη codd. Iamb., tic oındein av PPetrie. Blass (Geschichte, 213) richiama 68b8-9 e 81b5 a sostegno dell’ordo verborum dei codici, mentre Hoog (Wert, 118) giudica ge-

nuina la lezione del papiro, perché, a suo giudizio, è sul verbo che «eine gewisse Betonung liegt». Mancano ragioni stringenti

per impugnare la tradizione medievale qui sostenuta da Giamblico.

M col. III + N col. I = VIII (3) + VII (c2), 2-3 (83c2) È sicura la collocazione in questo punto del frammentino VII (c2), perché non compare altrove la forma μέγιστον che si può

recuperare con sicurezza. 2 (83c2) Mahaffy riteneva di poter completare la lacuna di PPetrie con ECYOATOV ecti]v, ma non c’è spazio sufficiente. Pap.

ometteva in realtà &otı come si rıcava dal tivo esaminato da Blass, Geschichte, 213, editori e da Hoog, Wert, 144 (cfr. Carlini 2 va completato ecyato]v. Anche è omette sario ἐστι.

frammento aggiunma trascurato daglı 1992, 159). Il rigo il certo non neces-

6-7 (83c6) Burnet, Vicaire e Strachan seguono PPerrie e Giamblico nella successione σφόδρα ἢ λυπηθῆναι che fa ap-

parire ‘secondario’ (nonostante l'invito a sospendere il giudizio di Hoog, Wert, 129) il testo di B WPV, "I? (add. i.m.) ἢ λυπηθῆναι σφόδρα. In Q si legge xoi σφόδρα λυπηθῆναι (sed ἢ add. s.l.); il testo di A doveva essere καὶ λυπηθῆναι σφόδρα;

T omette l'intera sequenza. 8 (83c6)

.

nlepı o]u PPetrie, περὶ ὃ codd. Iamb.

È

richie-

sto l'accusativo (Blass, Geschichte, 214; Hoog, Wert, 122). Non —

188—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

c'è ragione per pensare con Korkisch 1910, 88-89 a una ricostruzione diversa in pap. tipo z[poc o]v o πίαρ᾽ o]v. 8 (83c7) padicta tovro racyeı PPetrie, μάλιστα τοῦτο πάσχῃ

C T WPVB’, μάλιστα πάσχει τοῦτο BD, πάσχῃ μάλιστα τοῦτο lamb. Gli editori accolgono giustamente il testo di C T WPVB’ che, a parte lo scambio -euni, è confermato da PPe-

trie. Questa nota critica manca in Strachan. 9 (83c7-8)

μ[αλις]τα de εἰναι tovx[o] PPetrie, τοῦτο ἐναρ-

γέστατόν τε εἶναι καὶ ἀληθέστατον codd. Tamb.

Anche cor-

reggendo il non accettabile δὲ ın δὴ (con Korkisch 1910, 89;

Allıne, Histoire, 72-73) ıl testo dı pap. non dä un senso soddisfacente; bisognerebbe intendere «credere che esista in sommo grado ciò che produce la più grande emozione». Bickel (Geschichte, 112, n. 3; si discute quanto afferma Jachmann, Der Platontext, 276) attribuisce l'intervento manipolatorio a

un «philosophisch interessierter Athener» che avrebbe cercato, tra l'altro, l'effetto retorico derivante dalla triplice ri-

petizione di μάλιστα. Chiaro e non problematico il testo dei codici adottato dagli editori. Hoog, Wert, 83-84. Non convince l'ipotesi combinatoria di Blass (Geschichte, 214) e, sem-

bra, di Coppola, Appunti, 217. Usener [Unser Platontext, 45-

46 (2 125)] ha pensato a una caduta meccanica e ha supplito e.g. μάλιστα (μὲν ἐναργές τε φαίνεσθαι καὶ ἀληθὲς, μάλιστα) δὲ εἶναι τοῦτο. 10 (83c8) La ricostruzione fatta da Mahaffy ö[e] μ[αλιετα] opata che allineerebbe PPetrie con i codici non è convincente.

Le tracce inducono a leggere e integrare con Korkisch 1910, 90 e Ritter, Bericht, 31 (cfr. Hoog, Wert, 61-63) δ[ε] ec[tıv; se

μάλιστα cade, c’è ancora spazio in lacuna che potrebbe essere riempito da τὰ (prima di ὁρατά) che già Heindorf integrava e che è largamente accettato (da Burnet, Plato’s Phaedo, 77; Jachmann, Der Platontext, Dirlmeier,

248,

non

247-248;

però

Bickel, Geschichte,

da Verdenius,

114-115;

Notes, 218-219;

Lo-

riaux, Le Phedon (I), 185; Vicaire, Strachan). Resta l’imbarazzo di un confronto tra testo dei manoscritti medievali che richiede una correzione (ma l’omissione di tà è una facile «Satzhaplologie», Bickel, Geschichte, 115) e testo (ricostrui-

bile) del papiro che potrebbe essere genuino, ma in ogni caso risulterebbe privo di quella notazione non irrilevante che è rappresentata da μάλιστα (Hoog, Wert, 106-107). È ragione—

189—

PLATO

40

vole optare con Strachan per il testo dei codici (ταῦτα δὲ μάλιστα ὁρατά) che non soffre certo per l'assenza di ἐστιν. 19 (83d6)

Il calcolo dello spazio in lacuna ha indotto

Mahaffy a ritenere che xoi (prima di τὸ σῶμα) fosse omesso da pap. L’indicazione & stata ripresa anche da Jachmann, Der Platontext, 262 (che vede nell'omissione di καὶ il frutto di una operazione ‘editoriale’ di età attica) e da Bickel,

Geschichte,

127, ma Hoog (Wert, 19) ha fatto notare che, in presenza di

καὶ, il posto di ἅπερ (da difendere certo come originale) nel

papiro poteva essere tenuto in lacuna dal semplice pronome

relativo ἃ. 22 (8348) ὁμότροπός τε καὶ ὁμότροφος D T Iamb. , ὁμότροφός τε καὶ ὁμότροπος PPetrie cum WPQVA, ὁμοιότροφος τε καὶ ὁμότροπος Β΄. La successione dei termini quale attestata in

pap. e WPQVA è la più naturale (prima la τροφή. poi il τρόπος) e potrebbe essere originale (Hoog, Wert, 118-119). C'è una

parziale sovrapposizione tra PPetrie e POxy 2181(> 80 41), ma la testimonianza di quest'ultimo non ci soccorre sull'ordo verborum. N col. II = VIII (4), 2 (8349-10) La tradizione manoscritta è divisa: μηδέποτε εἰς “Αιδου καθαρῶς ἀφικέσθαι B T Iamb. (cosi anche gli editori), μηδέποτε καθαρῶς εἰς "Aıdov ἀφικέσθαι ö. Il testo di PPetrie à lacunoso e la ricostruzione deve far perno sulla sola lettera, di non facile identificazione, prima

della lacuna. Se leggiamo con Mahaffy ul dovremo ricostruire

καθαρως] | εἰς a1dov μίηδεποτε, ma già la revisione di Blass,

Geschichte, 214 (cfr. anche BSG, 1894, 164) con 1l riconoscimento di d portava a negare una «Abweichung» rispetto al

manoscritti allora conosciuti. Hoog (Wert, 134-135), nell’incertezza della lettura, non ricostruisce. La genza di PPetrie con W nella trasposizione δου, segnalata da Burnet e ripresa da Carlini, dubbia. Incerto anche il testo ricostruibile

presunta converκαθαρῶς εἰς "Av Studi 13-14, resta in POxy 2181 (>

80 41): forse underote αφικεςθαι ka]dap@[c] ew [o180v. Si veda

la discussione ad loc. 3 (83d10)

L’ordine delle parole in PPetrie quei av[orAeo

tov coportoc è lo stesso che constatiamo in T 8 Iamb. e può essere difeso come originale (Hoog, Wert, 98-100). BCD (= B), seguiti generalmente dagli editori per inerzia, traspongono ἀεὶ τοῦ σώματος ἀναπλέα. —

190—

PPETRIE

I 5-8

PHD.

11 (83e5) Casuale appare l'incontro di PPetrie con P nell'omissione di © Κέβης. Sul problema testuale presentato da pap., cfr. Blass, Geschichte, 215; Hoog,

13 (83e6)

Wert, 107.

Secondo Mahaffy, si dovrebbe colmare la lacuna

di PPetrie con [aAAa ovy; ma dopo avöpeuoı ci sono tracce conciliabili con «AA[, che consentono una ricostruzione «AA[o

οὐχ (cfr. Blass, Geschichte, 215). Il testo dei codici (οὐχ e non ἀλλ᾽ οὐχ) resta peraltro preferibile: Hoog, Wert, 51-52. — Non c’è spazio in PPetrie per φασιν (trasmesso concordemente dalle fonti medievali dopo ἕνεκα) che già Hermann e Hirschig giudicavano interpolato. Sulle posizioni criüche dopo la scoperta del papiro, generalmente favorevoli all'eliminazione di φασιν, cfr. Ritter, Bericht, 41; Hoog, Wert, 63-64; Hackforth, Plato’s Phaedo, 93, n. 2; Verdenius, Notes, 219; Loriaux, Le Phedon (I), 185-186. E meno probabile che

PPetrie omettesse ἕνεκα. Contro la difesa che ne tenta Burnet (Plato's Phaedo, 77), φασιν va considerato un glossema: le parole di Socrate in questo luogo possono essere poste a confronto con quanto Socrate stesso dice a 82c2-8; anche qui egli oppone le ragioni che ispirano la condotta del filosofo da un

lato, della moltitudine dall'altro: invano peró si cercherebbero

accenni alle motivazioni attribuite da oi πολλοί ai filosofi o alle motivazioni da oi πολλοί avanzate a giustificazione della propria condotta (cfr. Carlini 1968, 47). Jachmann (Der Platontext, 234) ha spiegato l'interpolazione di φασιν con l'avversione degli antichi διασκευασταί nei confronti delle proposizioni che restano ‘aperte’. 18 (84a4) Burnet accoglie a testo (prima di λύειν) la lezione αὐτὴν che attribuisce a PPetrie. Anche Jachmann (Der

Platontext, 232-234) giudica superiore αὐτὴν a ἑαυτὴν del manoscritti (fa eccezione

V che ha αὑτὴν) e di Giamblico. Ma

αὐτὴν di pap. può anche essere forma riflessiva (Hoog, Wert, 134). Senza

fare

riferimento

alla lezione

alternativa di pap.,

Verdenius (Notes, 219) difende αὐτήν, rinviando a Kühner -

Gerth, I, 562. Vicaire opta per la lezione di B T WPQA Iamb. 19 (8444)

Dopo

l'errato Soxewnc

(ἰ δ᾽ ἐκείνης), PPetrie

presenta αὐτῇ (contro αὐτὴν dei codici), non segnalato in apparato da Vicaire. Couvreur Ritter, Bericht,

1893, 20, Blass, Geschichte, 215,

41 si schierano a sostegno della lezione di pap.

(ragioni addotte a giustificazione e paralleli 1n Hoog, Wer . —

191—

PLATO 40-41

100), ma αὐτὴν dei codici è accolto giustamente

da tutti gli

editori. αὐτῇ di PPetrie potrebbe essere la spia che giustifica la correzione μεταχειριζομένη (cfr. infra). — παραδιδόναι espunto da Jachmann (Der Platontext, 239240) è regolarmente presente in PPetrie. Ragioni contro l’espunzione in Bickel (Geschichte, 121-122) e Verdenius (Notes,

219).

O = VII (4), 2 (8447) La lezione attribuita a PPetrie da Vicaire è μεταχειριζομένη, ma le tre lettere fuori lacuna, pur molto sbiadite, sono riconoscibili come ]vnc; si può allora ri-

costruire la lezione u[ezo|xeipiGopge]vnc che è la stessa di B T WPQA Iamb.; V e una mano recente di C hanno μεταχειριζομένην che è forse anche (Carlini 1968, 29-30) la lezione presupposta nel Commento al Fedone di Damascio (C II 167, 17 sgg. Norvin = $ I 358 Westerink πῶς ἐναντίως τῇ Πηνελόπῃ ἱστὸν μεταχειρίζεται;). Se si accetta la forma all'accusativo riferita all'anima, si ha un senso soddisfacente; il paragone è tra

Penelope che prima tesse e poi stesse la tela e l’anima che, al contrario (Πηνελόπης — ἐναντίως. Per ἐναντίως con genitivo si

può rinviare a R. 394b3, come indicato da G. MÜLLER, Gnomon 31, 1959, 342), prima scioglie, ma poi riannoda ı legami

con il corpo. Jachmann (Der Platontext, 239, n. 2) e Bickel (Geschichte, 126) giustificano con la presenza di Πηνελόπης il

mutamento di desinenza (ma per il primo si tratterebbe di 'error coniunctivus’, per il secondo di spontanea insorgenza in PPetrie e nellé fonti medievali). Se si accetta μεταχειριζομένην, il riferimento è ad αὐτὴν di 8444. Una strenua difesa del testo di pap. e di B T WPQA Iamb. è stata fatta da Hoog (Wert, 2124) che non accenna peró alla difficoltà che anche Burnet (Plato's Phaedo, 78) avverte: la presenza di τινά in luogo di un più naturale τινός. Se per salvare il testo ci si deve affidare a una congettura, si dovrebbe se mai pensare con Peipers (cfr. Burnet, ibidem) a μεταχειριζομένη (che si riferirebbe sempre all'anima, ma avrebbe dalla sua αὐτὴ, la variante recuperabile da

PPetrie; si veda la nota a N col. II, r. 19). 4-5 (84a8-9) τὸ ἀληθὲς καὶ τὸ θεῖον καὶ τὸ ἀδόξαστον codd. Iamb. edd. PPetrie omette il τὸ davanti a θεῖον e a ἀδόξαστον, dandoci un testo migliore («weil weder θεῖον noch ἀδόξαotov selbständiges Gewicht hat», Blass, Geschichte, 215), an-

che se non accolto da alcun editore. Anche Jachmann —

192—

(Der

PPETRIE

I 5-8 - POXY

2181

PHD.

Platontext, 235-236) e Hoog (Wert, 64-65) vedono la superiorità del testo del papiro. Non convincente Verdenius (Notes, 219) che giudica l’omissione degli articoli dovuta a uno scriba

pedante «who tried to harmonize this phrase with the singular ἐκείνου».

7 (8401) Mero errore materiale di PPetrie: Gov per ζῆν. 7-8 (8401) οἴεται οὕτω δεῖν B Iamb., οἴεται δεῖν οὕτω T PPetrie, οὕτως οἴεται δεῖν è.

Non è

il caso di abbandonare

la collocazione di B e Giamblico (generalmente seguita dagli editori) che dà rilievo a οὕτω. Hoog,

Wert, 120-121 cita que-

sto passo tra quelli caratterizzati da divisione all’interno della

tradizione e il cui ordo verborum non è precisabile in base a sicuri criteri. AC

41 Phd.

7526-117d1

POxy 2181

Sec. {1711

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: C.H. RoBERTs, POxy XVIII (1941), 110-127; S. FORTUNA

R. BINDI - A. ΒΟΖΖΙ, Nuovi frammenti di P. Oxy 2181 (Platone, «Fedone») identificati con il ricorso all’archivio computerizzato (T.L.G.), SCO 37 (1987), 191-203; D.D. von DORNUM -. M. W. HASLAM, Fishing for Phaedo, ZPE 89 (1991), 1-14. Comm.: MP? 1389 (= P! 1389) A. TOVAR, Emerita 11 (1943), 441; ANDRIEU, Dialogue [1954], 294-295; BLUCK, Plato's Phaedo [1955], passim; HACKFORTH, Plato’s Phaedo [1955], passim; VERDENIUS, Notes [1958], 193-243; STARK, Bemerkungen [1962], 283-290: 290; A. CARLINI, Note critiche al testo del «Fedone», BollClass n.s. 16 (1968),

25-60:

53

e n. 140;

IRIGOIN,

Rapport,

1971-1972,

202

(= Tradition, 72); CARLINI, Studi [1972), 70; STARK, Aristotelesstudien [1972], 151-153; LORIAUX, Le Phedon (II) [1975], pas-

sim; K. MCNAMEE, Greek Literary Papyri Revised by Two or More Hands, in Proceedings of the XVI International Congress —

193—

-

PLATO 41

of Papyrology (New York 24-31 July 1980), Chico, Scholars Press 1981, 90; T.C. SKEAT, The Length of the Standard Papyrus Roll and the Cost- Advantage of the Codex, ZPE 45 (1982), 171; ViCAIRE, BL, IV.1 [1983], p. LXXXVII; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 47-53; STRACHAN, OCT, I [1995], 87; A. CARLINI, Del buon uso dei testimoni antichi e medievali, in Le vie della ricerca [1996], 121-132:

121-122,

130.

Alcuni frammenti maggiori e uno sciame di frammenti minori e minimi di un volumen (verso bianco) contenente il Fe-

done, del quale si recuperano porzioni di testo da 75a a 1176; totalmente perdute sono dunque le volute esterne del rotolo. Data la grande compressione delle lettere (circa 40 per rigo; larghezza della colonna cm 10), dati l'alto numero di righi per colonna

(57, per un'altezza

di cm

21,7)

e ıl ridotto

interco-

lunnio (cm 1,8), l'intero dialogo doveva essere contenuto in un rotolo di 49 colonne, misurante non piü di m 5,8 (John-

son, Papyrus Roll, 300). Irigoin (Rapport, 1971- 1972, 202= Tradition, 72) sottolinea la singolaritä di impostazione grafica di POxy 2181 nel quadro dei papiri platonici dei primi tre secoli della nostra era. Roberts aveva identificato 50 frammenti, in alcuni casi con-

giungendo frustoli di ridottissime dimensioni, e aveva proposto la trascrizione di altri 34 frammenti di sede incerta. Di questi 34 frammenti, 24 erano successivamente identificati da R. Rau (lettera del 1963, cfr. Haslam,

1), 19 erano, indipen-

dentemente, identificati e analizzati filologicamente da S. Fortuna (con l’aiuto di Bindi e Bozzi). Con grande sagacia von Dornum e Haslam sono riusciti alla fine a trovare la collocazione praticamente per tutte le tessere di papiro (anche le più minute) trascritte da Roberts, nonché per una buona parte dei circa «70 odd pieces», lasciati senza trascrizione da Roberts. Per la corretta utilizzazione di POxy 2181 come testimone del Fedone vanno anche attentamente considerati gli addenda et corrigenda che Johnson (Papyrus Roll, 47-53) ha portato all'ed.pr. La presentazione del testo à piuttosto accurata. Accenti e

spiriti sono collocati di norma dove li richiede qualche problema di comprensione del dettato; anche il punto in altoè impiegato sempre accortamente, tanto che in un luogo (92d4-

— 194—

POXY

2181

PHD.

5) consente di recuperare ıl corretto assetto del testo oscurato

nelle altre fonti manoscritte; ıl doppio punto sı assocıa alla paragraphos quando deve indicare cambio di battuta, ma può essere Impiegato anche (ovviamente senza paragraphos) per segnalare una pausa forte. Quando, in un rigo lungo, si succedono

più doppi punti con diverso significato, lo scriba sottolinea la lettera che precede immediatamente il doppio punto con valore di separazione di battute dialogiche (p. es. fr. 34, rr. 9, 18, 20; fr. 84). Non appare la sottolineatura quando in un rigo cé un solo doppio punto, sia che questo segno, senza paragraphos, indichi pausa forte, sia che, con paragraphos, indichi cambio di interlocutore (Johnson, Papyrus Roll, 47). Lo iota è sempre ascritto, mentre c'è un uso parsimonioso dei punti diacritici su zota iniziale. Nel fr. 19, nell’intercolunnio in corrispondenza del r. 14, si vede una nota che è stata variamente letta e decrittata: οὔ(τως)

θέ(ων) secondo Haslam, 11, οὐ(τως) α΄ (da στοφάνης oppure il primo dei due esemplari condo Johnson, Papyrus Roll, 48-49. Per un merale riferito a un testo usato dal revisore

intendere ’Apicollazionati) seesempio di nuper collazione,

McNamee, 13, n. 17, menziona POxy 2452 οὕ(τως) ἐν β΄ no(v-).

La scrittura chiara ed elegante, con lettere strette e alte, leggermente inclinata a destra, può essere assegnata alla fine del sec. II o all'inizio del IIIP. Per Johnson (Papyrus Roll, 74), i limiti cronologici sono invece gli anni 150-200. Incerto resta se alcuni interventi di correzione interlineare (p. es. 85d8) siano dovuti allo stesso scriba oppure alla mano di un reviSore successivo. Una valutazione d'insieme della testimonianza di POxy 2181, sia delle novità testuali recate, sia della trama di rapporti

che lo legano alle componenti del corpo tradizionale medie-

vale e ai testimoni indiretti, era già stata fatta da Roberts, ma deve ora tener conto del contributo importante di Haslam che ha saputo estrarre utili informazioni critiche anche dalle par-

ticelle prima trascurate. Se lasciamo a parte le particolarità ortografiche, pur interessanti (p. es. 104a8 neunoc, codd. πεμπτάς;

32e3 &py[uov, codd.

εἱργμοῦ;

115e2 xaousvov, codd. καιόμε-

vov), dall'analisi non esce confermata a 100d6 l'integrazione xpoc]oyo[pevouevn, proposta da Roberts, che avrebbe dato ragione alla congettura di Wyttenbach. Haslam (12) solleva qual-

che dubbio sulla collocazione del frammentino, Strachan pone —

195—

PLATO

41

Invece un problema di lettura e interpretazione delle tracce. Nuovo e sicuro & invece il recupero (affidato a un segno di

interpunzione, come si è già accennato) della corretta collocazione nella frase di ed μάλα a 92d4-5. A 100d1 ἔχει in luogo

di ἔχον è solo supposto congetturalmente, ma, partendo da ἢ

ὅτι sicuramente leggibile, appare molto plausibile l’integra-

zione in lacuna della forma al presente. Senza paralleli nella tradizione medievale sono due altre lezioni, l'una 77c3 och ἔτι

ricostruita congetturalmente da Haslam, l'altra 92b5 ἔτι, che implicherebbe una diversa costruzione della frase con συμβαίνειν in luogo di συμβαΐνει in lacuna. La trasposizione εκεῖνοις £&]nc

(100c3) non ha la forza per imporsi, così come la diversa articolazione undenote αφικεεθαι xa]dapo[c] εἰς [αιδου (8349). Di fronte a questa maggiore ricchezza di varianti rispetto alla tradizione medievale (ampiamente documentata da altri papiri coevi), si devono registrare alcuni casi di errori condivisi da POxy 2181 con ı codici: p. es. 87b9 ἀπιστῶν corretto dagli editori in ἀπιστοίη; 104b10 £v αὐτῇ mutato dai recc. in £v αὐτοῖς. Questi casi possono certo far pensare a ‘strettoie’ nella fase più antica del corso della trasmissione del testo platonico (cfr. Pasquali, Storia, 257; 261-262; Bickel, Geschichte,

103), ma sarebbe improprio usare il termine ‘archetipo co-

mune? (come fa Maas, Textkritik, 23-24, per segnalare la con-

vergenza dei codici e di un testimone del sec. I°). Per quanto riguarda 1 rapporti con i singoli rami della tradizione medievale, la convergenza parziale con T è provata da

più casi significativi, il ‘textus brevior’ a 99a7 (considerato au-

tentico da Haslam, 14), la comune corruttela (fraintendimento da maiuscola) a 115e3, le lezioni inferiori a 80b6 (questa del resto presente anche in Eusebio e Stobeo) e a 100b8 (ma si

veda anche 115b2); la convergenza con è è più debolmente segnalata dalla forma ἐδόκει a 8547 (ma A condivide con BC T la lezione δοκεῖ) e dall'aggettivo δυσελεγκτότατον a 85d1 (δυσεξελ. cett.; ma qui potrebbe essere in gioco la poligenesi come si vede anche dalla convergenza in questa lezione di C che appartiene a tutt'altro schieramento). Se si tolgono invece gli isolati accordi (del resto in lezione buona) con B a 10302 e 115b8, bisogna dire che in un notevole numero di casi (7763; 80b6, 8624; 99a8; 100d1; 100d8; 101d1;

101e5;

107d4)

POxy

2181 contribuisce ad isolare la testimonianza di questo ramo, indubbiamente sopravvalutato dagli editori dopo la scoperta —

196 —

POXY

del Bodleiano.

2181

PHD.

In base a questi elementi, sembra necessario

sottoporre a revisione il giudizio di Roberts che qualifica POxy

2181 come ‘eclettico’ (sull'improprietà, in ogni caso, di questa qualificazione dei papiri rispetto ai codici medievali, si veda

CPF L1*, p. XIV).

POxy 2181 si affianca ai papiri del Simposio [POxy 843 (> 80 76)] e del Fedro [POxy 1016 (> 80 48), POxy 1017 (> 80 50)] che hanno dato utilissimi elementi per capire qual era lo stato del testo platonico nel sec. II? e IVIIT. Se già Vicaire aveva tenuto conto della testimonianza di questo papiro (sulla base della pur incompleta ed.pr.), Strachan ha potuto mettere

a frutto per la sua edizione anche gli altri cospicui contributi interpretativi.

La nuova

edizione

oxoniense

di J.C.G. STRA-

CHAN (OCT, I, 1995: sigla [13) è per noi quella di riferimento, ma si è tenuto conto anche dell’apparato di P. VICAIRE (BL, IV.1, 1983: sigla IT^). Fr. 1,2 βούλεται lettera. Fr. 2,1 corre qui

(7529-10) n aggiunto erroneamente dallo scriba tra e δηλῶσαι è stato cancellato con un punto sopra la (76c6) αὐτῶν è omesso solo da T; anche pap. conad isolare questo testimone medievale.

Fr. 4,6 (7708) L’ed.pr. attribuisce a pap. arjoAAam (sic), ma l'autentica lezione rıcostruibile, in accordo con i codici,è απα]λλαττη ται. Haslam, 9. Fr. 5,1 (77c1) In luogo di Σιμ]μιαί dell’ed.pr. si deve probabilmente leggere Jev Aleyeıc che si adatta meglio alle tracce

e consente una migliore ricostruzione del testo. Fr. 5,4 (77c3) ].eti[ pap. Certamente in questo punto pap. non aveva 1l testo di B (ὅτι καὶ), ma non ὃ detto che condivi-

desse la lezione ἔτι ei καὶ di T (sed εἰ 5.1.) WVA o £u καὶ di PQ. C'è il sospetto che POxy 2181 in questo punto avesse un assetto diverso rispetto alle fonti manoscritte medievali (Has-

lam, 10). Strachan, pur con qualche esitazione, ricostruisce ὅτ]ι ἔτι [καὶ.

Fr. 6,4 (77e7) dı WVA

Il testo platonico richiede πειρῶ μεταπείθειν

[cfr. Verdenius, Notes, 212; Loriaux, Le Phedon (T),

161], ma pap. condivide la lezione inferiore πειρώμεθα πείθειν di B T PQ. Nel capostipite della famiglia di W erano compresenti le due lezioni? Certamente, πειρώμεθα è frequente in —

197—

PLATO 41

Platone anche in bocca ad interlocutori di Socrate, come qui; per πειρώμεθα... πείθειν, cfr. R. 471e3-4, Lg. 638b4-5.

Fr. 7,1 (79410)

rpocdev pap. con T 5 (compreso B^) Eus.

Stob., ἔμπροσθεν β.

Fr. 60,2 (8066-7) Molto probabile il recupero ın pap. della lezione wc οὐχ ἰουτῶς che allineerebbe 1] testimone antico con T Eus. Stob., contro ἢ οὐχ οὕτως di CD, Img, 8 e ἦ οὐχ οὕτως di B (ἢ ὡς bmg); N οὐχ οὕτως è il testo di Schanz, seguito da-

gli editori successivi fino a Strachan. Cfr. Haslam, 3; 10. Fr. 60,3 (80b9) Il calcolo dello spazio porta ad escludere che pap. avesse con Stobeo τούτων dopo ἐχόντων.

Frr. 9-11,5 (81e7) διευλαβουμένους è la lezione accolta a testo da Vicaire sulla scorta di BCD (= B) WP Athen. Eus.

Stob. [giustificazione dell’originalità della lezione in Verdenius, Notes, 216; Loriaux, Le Phédon

(I), 180; Rowe,

Plato.

Phaedo, 195]. TOV leggono invece διευλαβημένους ed è que-

sta la lezione preferita da Burnet e da Strachan, previa correzione in διηυλαβ. Impossibile decidere sulla lezione di pap.: levAal.

Frr. 12-14,2 (8248) (Schanz).

HB T WPQV

Eus., fj Stob., οἵ b recc.

Pap. ha ]t che è stato integrato n]t a partire dal-

l’ed.pr. e questa è la ricostruzione più probabile, ma la presenza, sia pure nei rami bassi della tradizione, di ot lascia un minimo di incertezza. Frr. 12-14,6 (82312)

La tradizione è divisa tra καὶ rodi

τικὴν di B Eus. (adottato da Burnet, Vicaire, Strachan) e te koi

πολιτικὴν di T è Alb. Stob.; pap. conferma te xoi πολ. Frr. 12-14,10 (82b5)

ἐστιν (dopo εἰκός), omesso da PPe-

trie I 5-8 (> 80 40), è presente 1n POxy 2181, come nei codici, in Eusebio e in Stobeo. Verdenius (Notes, 216) non cita

POxy 2181 nella sua difesa di ἐστιν per la quale richiama Phdr. 23164 e R. 337a1 dove tutta la tradizione è concorde. Jachmann (Der Platontext, 236) ritiene invece che si tratti di una

aggiunta di "Textredaktoren'. Cfr. anche Carlini 1968, 49 e

Studi, 12.

Frr. 12-14,11 (8206) κίαι] pap. T Eus. Stob., te καὶ f 8. Non segnalata né da Vicaire né da Strachan la lezione di pap. — nneplo]v pap. con codici e testimoni antichi; nuepo]|ce-

pov probabilmente PPetrie I 5-8 (> 80 40). Frr. 12-14,12 (82b7)

Robin, Vicaire e Strachan accolgono —

198 —

POXY

2181

PHD.

a testo la lezione ἢ καὶ che appare effettivamente meglio atte-

stata (B PQVA W^ Eus. Stob.) contro xoi di T e Niceph. (seguito da Burnet) ed ἢ di W. In pap. si legge soltanto n[, ma il calcolo della spazio rende probabile la presenza di [kaı. Frr. 12-14,16 (82c1) WVAB!

Iamb.

Stob.;

αλίλ]ωι n pap. che si allinea con T

nella forma ἀλλ᾽ ἢ accolta da Strachan

convergono invece B PQ.

Frr. 12-14,17 (82c2-3)

La ricostruzione del testo di pap.

resta incerta a causa della lacuna. Roberts opta per ot opdac φιλοοοφοι

αἀπε]χον[τ]αι (con T PPetrie

Iamb.), ma il calcolo

dello spazio da lui invocato consentirebbe anche o1 opQoc pıAocopovvrec e]lxov[t]ar che è la sequenza attestata da B. Il numero di lettere risultante in questo rigo (44) sarebbe lo stesso del rigo precedente. Se mai, sono ragioni critiche che sconsigliano di ricorrere a D per l integrazione della lacuna, data la scarsa (o nulla) propensione che pap. mostra per il testo rappresentato in età medievale dai codici del primo ramo tradizonale (cfr. introd.). Frr. 12-14,25 (8242) ὦ Κέβης B, ἔφη ὦ Κέβης T WQVAP', om. P, TI3 ut vid., Iamb. La nota critica di Strachan dä le

informazioni essenziali; sarebbe davvero difficile costruire sull'accordo in omissione tra P e POxy 2181 tanto più che la ricostruzione del testo nel papiro in questo punto è quanto mai incerta. — Pap. ha exei]vor con tutta la tradizione e non exei]voic come erroneamente trascritto da Roberts e registrato 1n apparato da Vicaire. Haslam,

10.

Frr. 12-14,26 (82d3) π]λαττοίντες di pap. non conforta la congettura di Heindorf σώματι λατρεύοντες giudicata con favore anche da G. Müller [rec. a Dirlmeier, Gnomon 31 (1959), 342]. Cfr. anche Stark, Bemerkungen, 290. Frr. 12-14,30 (82d6)

Pap. probabilmente, come si ricava

dal calcolo dello spazio, dopo ταύτῃ non presentava l'enfatico δὴ conservato invece da PPetrie I 5-8 (> 80 40) e giudicato necessario dagli editori. Sul diverso assetto complessivo di PPe-

trie in questo punto, si veda la nota ad loc.

Frr. 12-14,31 (82d8) Dopo πῶς (che & anche la lezione dı pap.), solo PPetrie I 5-8 presenta un'espansione testuale (λέγεις, ἔφη:) giudicata

generalmente

non

originale e non accolta da-

gli editori. —

199—

PLATO 41

Frr. 12-1435 (8263) Cfr. Haslam, 9 e n. 8.

Fr. 63,4 (83c2)

δι &py[uov

pap., διὰ eipynod

codd.

ecltiv pap. con B T Iamb., om. è.

Fr. 73,1-2 (83d2) Difficile dire se pap. avesse l'articolo prima di clopato[c (la tradizione medievale è divisa). Frr. 57,1 + 75,5 (8348) Nonostante il felice accostamento

dei due frustoli, difficile dire se pap. avesse ὁμότροπός τε καὶ ὁμότροφος con B T Iamb. oppure ὁμότροφός τε καὶ ὁμότροπος con WPQVA PPetrie (ὁμοιότροφός τε καὶ ὁμότροπος B’). Ro-

berts ricostruisce il testo del papiro secondo l'edizione Burnet che segue (come poi Vicaire e Strachan) B T Iamb. Johnson (Papyrus Roll, 51) conferma, ma sulla lettura ouotpo]roc

te κίαι opotpogoc ‘qualche dubbio resta.

Frr. 57,2 + 56,1 (83d9) L’accostamento dei due frustoli operato da von Dornum - Haslam consente di leggere xo]dapalc]

εἰς [ardov che allineerebbe pap. con è (eig "Ardou καθαρῶς cett.). Ma Haslam, 10 vede problemi nella collocazione di ἀφικέσθαι (seguiva forse immediatamente μηδέποτε, presentandosı cosi in una collocazione non attestata dalle fonti me-

dievali?). Problematica anche la ricostruzione di PPetrie I 5-8 (> 80 40).

.

Fr. 62,2 (85b6) E probabile che pap. avesse (con la tradizione medievale e Stobeo) xewolvl (= χεῖρον), ma non si può escludere χειρο]νία (xetpov' vel χείρω Hermann). Va registrata anche la variante inferiore ἧττον di Proclo.

— Dopo δεσπότου Stobeo aggiunge αὑτοῦ per cui non sembra esserci spazio 1n pap. Si veda anche la ricostruzione fatta

da Johnson, Papyrus Roll, 48. Fr. 62,3 (8507)

La lettura οὐδὲ òv[ che allineerebbe pap.

con i codici (οὐδὲ δυσθυμότερον) presenta qualche difficoltà. Haslam, 5 sospetta una variante: οὐδὲ adv|uorepov? Johnson

(Papyrus Roll, 48) ricostruisce ] ουδὲ [SvcBvuotepov, ma dopo ουδὲ sl vedono alcune tracce di inchiostro.

Fr. 16,4 (85c1-2) enot γ]ὰρ δοκεῖ pap. T WP, prQ, Ab. La lezione alternativa è rappresentata da B: ἔμοιγε δοκεῖ. V conosce e combina le due lezioni (ἔμοιγε γὰρ δοκεῖ), Q ritorna

su quanto scritto e abrade yàp. Fr. 17,2-3 (85c4) Pap. (το μεν]]τοι ta) si accorda con T PQ,V(corr.)A contro B (τὸ μέντοι ad τὰ). Gli editori seguono

p. É rischioso assegnare valore congiuntivo a omissioni di au—

200—

POXY

2181

PHD.

tonome particole della frase. È invece interessante notare la diversa articolazione del testo pieno in alcuni testimoni: τὸ μὲν τοιαῦτα C, prD, prW.

Fr. 17,9 (8541)

δυςελεγκτοτίατον è la forma presentata da

pap. in accordo con C WPV e anche Damascio, [n Phd. I 391, 2 Westerink. Tutti gli altri manoscritti hanno δυσεξελεγκτότατον. Va registrato l'accordo con la cosiddetta terza famiglia di codici che peró in questo caso potrebbe essere poligenetico, come già indica la dissociazione di C da BD. δυσέλεγκτος è sicuramente attestato con lo stesso significato (p. es. Str. I 2,

1; Luc. Pisc. 17), ma e pıü facile spiegare la caduta per aplografia che non l'aggiunta di εξ, Fr. 17,11 (85d3) Pap. presenta övvarlaı, lezione certo infenore rispetto a δύναιτο (Rowe, Plato. Phaedo, 202-203) che però non e attestato come vorrebbe l'ed.pr. da tutti i codici; C V si accordano con pap. (δύναται τὸ), senza peraltro che questo possa far pensare a legami organici. Cfr. Haslam, 14. Fr. 17,16 (8547) a μοι εδίοκει pap. che si accorda con D ΡΟΝ Β΄, ma trova il resto della tradizione diviso tra & pot δοκεῖ di T e ἃ ἐμοὶ δοκεῖ di BCd. Burnet dice (non corretta-

mente) che anche B ha ἅ μοι δοκεῖ. Vicaire e Strachan seguono T, ma Haslam,

14 ritiene con ragione ἐδόκει la forma origi-

naria, da accogliere a testo. Fr. 17,17 (8548) xoı dopo ἐπειδὴ è in pap. aggiunta successiva supra lineam. Haslam, 11 ritiene che la mano del correttore sia la stessa che («with a thinner pen») ha apposto nel fr. 19 la nota marginale da lui interpretata come οὕ(τως) Oé(ov)

e giudica questa aggiunta frutto di una collazione con altro testo. Dalla fotografia, la mano correttrice, pur dal tratto più sottile, non sembra diversa da quella che ha vergato il testo;

non si può escludere che si tratti di correzione inter scribendum. Anche Johnson, Papyrus Roll, 48 lascia aperto il problema. Fr. 17,26 (8642) Dopo σύνθετα, T aggiunge te, ma è isolato anche da pap. Fr. 17,28 (8624)

La lezione di BC xoi generalmente ac-

colta dagli editori sembra preferibile nel contesto a ἢ che però è largamente attestata (oltre a pap., T à). D presenta ἢ xai, conflazione delle due lezioni; Bekker del resto accettava a te-

sto ἢ καὶ. —

201—

PLATO 41

Fr. 18,8 (87b7)

]cec pap., ἴσως codd.

E probabile, non

certo, che la lezione ἴσως fosse condivisa anche da pap. Tra gli editori, solo Wohlrab segue 1 manoscritti attribuendo all'avverbio il significato di «verosimilmente», ma già la collocazione fa difficoltà (Verdenius, Notes, 220-221); imperiosa e

apparsa nel contesto la correzione σῶς proposta da Forster, che ristabilisce il naturale legame con 87b8, c4 [Loriaux, Le

Phedon (11), 29]. E merito di Strachan aver visto che la correzione σῶς si trova già nel Laur. 60, 6. Dopo ]cox in pap. c'è il doppio punto nell’impiego particolare già segnalato nell'introd.: lo scriba avrà voluto dare articolazione a un periodo particolarmente complesso. Fr. 18,10 (8709) ἀπιστῶν (di pap. come di tutte le altre fonti) genera un anacoluto insostenibile a cui Heindorf ha portato rimedio Cfr. il Fr. visa da

con la correzione &rictotn [Loriaux, Le Phedon (II), 29]. comm. ad loc. di Archer-Hind, The Phaedo, 67. 18,13 (87c3) L’espunzione operata da Burnet (condiDirlmeier, da Verdenius, Notes, 221, e da Strachan, ma

non da Vicaire) di tivog visto come il frutto di un maldestro tentativo di aggiustare il testo dopo che anıctoin (b9) si era corrotto in ἀπιστῶν (cfr. nota precedente) non appare necessaria [Loriaux, Le Phédon (II), 29-30; Rowe, Plato. Phaedo,

207]. Anche questa volta pap. (tivloc), non menzionato da Verdenius né da Loriaux, è solidale con i codici.

Fr. 18,15-16 (87c5-6) Ragioni di spazio fanno pensare che pap. prima di cx]onet (τ. 16) soffra di una omissione (di origine meccanica) di non trascurabili dimensioni; Roberts ipotizzava l’omissione di à Σιμμία, ma Haslam, 11 ritiene che an-

che altre possano essere le lettere in sequenza cadute, tra l’uno e altro rigo. Fr. 18,19 (87c9) ὕστερος pap. con T, W°VB%, ὕστερον p WPQA. Fr. 18,22 (87d3)

ταύτην (omesso da B) era presente in pap.

(ragioni di spazio). Fr. 19,1 (9247)

do]lölaı à la ricostruzione praticamente si-

cura (per ragioni di spazio) della lezione di pap., in accordo con T" Stob.; divise le altre fonti: δοξάσαι B δ, δόξαιεν T. Wohlrab, Verdenius, Notes, 224, Loriaux, Le Phedon

(II), 46

preferiscono giustamente δοξάσαι come lectio difficilior (ἀνάγκη σοι — δόξαι nato per suggestione di 92a5 ei μοι — δόξειεν); —

202—

POXY

2181

PHD.

δόξαι (accolto a testo da Burnet, Gigon, Vicaire, Strachan) si

rivela in ogni caso innovazione assai antica. Fr. 19,8 (92b5) et di pap. (per ὅτι di tutt gli altri testimoni) non è necessariamente un errore, peraltro facile (cfr., p.

es., 77c3), ‘da maiuscola’ (ma WVA aggiungono οὐ dopo ὅτι); la sua difesa come lezione alternativa (anche se inferiore) comporta però una costruzione diversa: dovremmo avere in lacuna (n luogo di συμβαίνει) una forma participiale collegata ad αἰσθάνῃ, come suggerisce D. Sedley (per litt.), piuttosto che l'infinito συμβαίνειν, come proponeva Roberts. Fr. 19,14 Nell intercolunnio (in relazione a 92c1-2) si legge una nota (di altra mano) che probabilmente segnalava un problema critico e si appellava a una auctoritas: diverse le letture e le decrittazions: οὕ(τως) Oé(@v) secondo Haslam, 11, οὕ(τως)

α΄ [secondo Johnson completare

(Papyrus Roll, 48-49) che propone di

᾿Α(ριστοφάνης)

o, in alternativa, di intendere α΄

come il primo di due esemplari collazionati]. Fr. 19,27 (9244)

Lo spazio obbliga a ricostruire [e]a[v];

i

codici hanno &v. Solito iimpiego particolare del doppio punto in pap. dopo ἀλαζῶσι, per marcare pausa forte. Fr. 19,28 (92d4-5) Haslam (11; 13) ha opportunamente richiamato l’attenzione sul punto in alto che in pap. si trova dopo μα]λα. Il diverso assetto che ne consegue (ἐάν τις αὐτοὺς μὴ φυλάττηται εὖ μάλα, ἐξαπατῶσι) è preferibile nettamente a quello comunemente accettato dagli editori (ἄν τις αὐτοὺς μὴ φυλάττηται, εὖ μάλα ἐξαπατῶσιν). Per la posizione di εὖ μάλα, Haslam,

13 rinvia a Phd.

116e4; R. 411c4-5. La novità

è recepita nella recente edizione di Strachan (si veda la nota in apparato ad loc.); Rowe (Plato. Phaedo, 71) nel testo mette

virgola dopo εὖ μάλα, ma nel commento non dà giustificazione della novità. Fr. 83,4 (93d4)

Il riconoscimento del contenuto del fr. 83

consente di dire che pap. si allineava con la tradizione medievale, non condividendo

l'omissione di ἁρμονίαν con Stobeo

né l’omissione di ἁρμονίας (per la proposta di espunzione di ἁρμονίας, si veda Hackforth, Plato’s Phaedo, 115, n. 4); sul passo cfr. Verdenius, Notes, 227; Loriaux, Le Phédon (ID), 61-62. Fr. 20,9-10 (94a2-3) Il calcolo dello spazio consente di

postulare in pap. una lacuna anche più ampia di quella considerata (pur senza nota giustificativa) nell'ed.pr. e cioè ἐστιν —

203—

PLATO 41

(9412). Haslam, 11 pensa che l'occhio del copista sia saltato dal primo al secondo ἁρμονία (omettendo quindi ἁρμονία ἐστιν). Puó essere sollevato il problema dell’ originalità di ἐστιν é

che si sarebbe tentati di considerare frutto di intervento 're-

dazionale' (su questo problema, in generale, cfr. Jachmann,

Der Platontext, 236); si potrebbe cosi ancor piü facilmente

spiegare l'omissione di pap., ma di fronte alla concorde testimonianza di tutte le altre fonti testuali & d' obbligo la massima cautela. Fr. 22,2 (9941)

Prima di Βοιωτούς, pap., in solitudine, ag-

giunge περι. Fr. 22,8-9 (99a7) Per il calcolo dello spazio, è ipotizzabile che pap. omettesse ἀληθῆ àv λέγοι, incontrandosi in questo caso con T. Haslam, 14 ritiene, contro gli editori, che il testo breve, con soppressione dell’apodosi, sia il testo originale. I rinvii a R. 575d e Prt. 325d non riescono ad eliminare ogni residuo dubbio su questa opzione testuale. La convergenza par-

ticolare di pap. con T resta in ogni caso significativa (cfr. su-

pra, introd.). Fr. 22,9 (9948) row a pap. con T ὃ (compreso Β΄ ex em.), contro l'errato ποιῶν à di D. Fr. 67,2 (99e6) «| pap. prT ut vid., QB', ὡς B T WPVA Stob. Anche pap. dunque si oppone a ὡς, timidamente difeso da Archer-Hind, The Phaedo, 98. Fr. 23,4-5 + 67,3-4; 23,5-6 (100a2-3)

Difficile calcolare se

pap. avesse τοῖς davanti a λόγοις (come solo in B) e davanti a ἔργοις (come in B Stob.). Haslam, 11 cita ἃ. RENEHAN [Some Passages in Plato, GRBS 22 (1981), 374-375] che difende gli articoli senza riferirsi al papiro, ma richiamando Arist. Metaph. 987b31-32 che è una precisa reminiscenza di Platone, Phd. 100a. In generale sul passo si veda anche Loriaux, Le Phedon (II), 94. Strachan omette l’articolo nei due casi. Fr. 92,4 (10026) nelpı τωΐν pap. (che isola è nell'omissione di περὶ). Frr. 24-27,4 (100b8) σε pap. con T, σοι p δ. Frr. 24-27,5 (100b9) αθανατο]ν ψυχηϊ èè 1l testo di pap. che è senz'altro originale (cfr. Haslam, 13). Burnet stampa[f ] ψυχή,

annotando in apparato « om. pr. T»; Vicaire accoglie f ψυχὴ senza citare la lezione di pap. La reale situazione fedelmente registrata da Strachan è questa: ἣ ψυχή B δ, ψυχή 1 (add. s.l.

— 204—

POXY

2181

PHD.

à T ipse) pap.; anche Strachan opta per la lezione di β 6. Frr. 24-27,7 (100c3) Haslam, 12 contesta con ragione la ricostruzione di Roberts che presupponeva in pap. una Inversione. L'allineamento con le altre fonti appare sicuro: e&nc ekew]oic. Frr. 24-27,9 (100c4-5) La sequenza πλὴν αὐτὸ τὸ καλὸν omessa da BCD (= f) per omoteleuto (ma add. B’cd) doveva

regolarmente leggersi in pap. Questa nota critica manca in Strachan. Frr. 24-27,14-15 (100d1)

La tradizione medievale & divisa:

lo spazio 1n pap. poteva essere meglio riempito da un testo vicino a quello (più lungo) di ὃ ἢ ὅτι χρῶμα εὐανθὲς ἔχον ἢ ὅτι σχῆμα, ma verosimilmente con ἔχει αἱ posto del non corretto ἔχον, nato per contaminazione con il testo di B (ἢ χρῶμα εὐανθὲς ἔχον ἢ σχῆμα). T Philop. leggono ἢ ὅτι χρῶμα εὐανθὲς ἔχον ἢ

σχῆμα. Per una pià approfondita analisi, cfr. Haslam, 12. Frr. 24-27,20 (100d6) La lezione ricostruita dall'ed.pr. npocJayolpevonevn darebbe un sostegno documentale alla con-

gettura di Wyttenbach

che intendeva sanare l'errato npooye-

vouévn della tradizione manoscritta [giustificazione approfon-

dita della correzione in Burnet (Plato’s Phaedo, 111), ma cfr. Bluck, Plato’s Phaedo, 115, n. 1]. In realtà ı codici non sono proprio unanimi: apooyevon£vn BT PO Philop., προσγι(γγνομένη WA, προσγινομένου V. Stark, Bemerkungen, 290 ritiene ormai provato che προσαγορευομένη sia «alte Überlieferung», ma

qualche dubbio resta sulla collocazione del frammentino che reca le tre lettere Jayo[ (cfr. Haslam, 12). Di più, Strachan, pur

senza mettere in discussione la collocazione, giudica incompatibile la traccia della lettera prima della lacuna con omicron e propone una diversa lettura/integrazione: naplayılyv. Sul sıgnificato del passo,

cfr. Rowe

(Plato. Phaedo, 243) che, se-

guendo tacitamente FR. UEBERWEG [Zu Platon’s Phaedon, Philologus 20 (1863), 513], F.M. CORNFORD (Plato and Parmenides:

Parmenides’ Way of Truth and Plato’s «Parmenides» translated with an Introduction and a running Commentary, London, Routledge

&

Kegan

Paul

1939, 77), Hackforth (Plato’s

Phaedo, 134, n. 1), propone la correzione del tràdito προσγενομένη in προσγενομένου (in accordo con ἐκείνου τοῦ καλοῦ). Tentativo di difesa di προσγενομένη in Verdenius, Notes, 231

e Loriaux, Le Phedon (II), 96-97. Per Vendruscolo (per litt.), —

205—

PLATO

41

ὅπῃ δὴ καὶ ὅπως mal si giustificano in ogni caso con npocaγορευομένη.

Frr. 24-27,22 (10048) Pap. omette γίγνεται dopo τὰ καλὰ con T POV; WA omettono γίγνεται καλὰ, sequenza che è conservata solo da ß. Tra gli editori moderni Burnet mette yiyve-

ται tra parentesi quadre (giustificazione in Plato’s Phaedo, 112; ma poteva essere semplicemente omesso, come semplicemente omesso & in Strachan), Vicaire lo accoglie a testo, ma non re-

gistra il papiro in apparato, tra i testimoni del testo più breve. Contrari all'espunzione

di γίγνεται Verdenius,

Notes,

231 e

Loriaux, Le Phedon (II), 97, ma cfr. Haslam, 14, 9. Fr. 29,1 (101c9) cavtov pap., σεαυτοῦ vel ἑαυτοῦ codd. Fr. 29,2 (101d1) covl[tov pap. con T WV Β΄, ἑαυτοῦ BC, prD PA.

Fr. 29,3 (101d1-2) καὶ τὴν ἀπειρίαν è stato sospettato (Car-

lini 1968, 56-57), ma questi dubbi di genuinità non trovano sostegno in pap. (che si allınea con 1 manoscritti medievalı). Contrario all'espunzione anche Loriaux, Le Phedon (IT), 101. Fr. 59,2 (10144) E dimostrata, grazie a pap., l'antichità della lezione ἔχοιτο, del resto difesa come originale, contro le varie proposte di correzione (ἔφοιτο vel ἐφεῖτο coni. Madvig, λάβοιτο vel erıkaßorto Richards), da Loriaux, Le Phedon (II),

111. Su questo problema testuale si veda anche Bluck, Plato’s Phaedo, 116, n. 2; G. MÜLLER,

Unechte

Zusätze

im Platon-

text, MH 26 (1969), 180 (= Platonische Studien, Heidelberg, Winter 1986, 127).

Fr. 29,4 (101d4) a]rokpivoio pap. con T è, ἀποκρίναιο D. Burnet, Vicaire, Strachan seguono BCD (= p. Nel, ed.pr. sı attribuisce erroneamente ἀποκρίναιο a T W e ἀποκρίνοιο a B. Fr. 29,14 (101e3-4) Una parentesi rovesciata nell'ed.pr. ha tratto in inganno Vicaire: ov[ó- di pap. non consente di dire che c'era convergenza con οὐδὲ eig di B (οὐδεὶς invece T δ).

Fr. 29,16 (101e5) Fr. 30,8 (102c7) tro WV (τούτῳ ὅτι) Fr. 33,1 (103c2)

ὁμῶς pap. con T è (compreso B^), ὅπως B. Pap. si accorda con B T ΡΟ (xà ὅτι), cone forse Aristippo (eo quod). Pap. si accorda con ß (πρὸς), contro T è

(compreso B^) che hanno εἰς. Nessuna menzione dell’accordo

di pap. con β in Verdenius, Notes, 233 che giudica preferibile eig contro la gran parte degli editori. Il rinvio proposto da Verdenius è a 6037. —

206—

POXY

2181

PHD.

Fr. 33,8 (103c13) Solo T ha χιὼν, quando il contesto richiede χιόνα, confermato anche da pap. (x[ılovla). Fr. 76,2 (103d8) Per quanto è dato vedere, pap. (avto]1) concordava con T WPQ, mentre B, prC ut vid., hanno αὐτὸ, V ha adto*, A omette. In D la sequenza ἢ ὑπεκχωρήσειν ἀλλὰ va attribuita alla mano recente αἱ Fr. 31, col. II 9 (104a1) Va rettificata la trascrizione del-

l'ed.pr. che poteva far pensare a una variante rispetto alla tradizione manoscritta medievale. Pap. ha onep to [repıttov, non onep ne[pırrov. Fr. 34,3 (1047) Pap. è solidale con i codici (ὅπερ) e lascia quindi senza sostegno la congettura di Heindorf (οὗπερ).

Fr. 34,4 (10427)

Il calcolo dello spazio in pap. rende pro-

babile la ricostruzione (in lacuna) οὕτω πως. T A (οὕτως) re-

stano così isolati. Fr. 34,4 (10428) π͵εμπας è forma attestata solo da pap.: tutti gli altri manoscritti hanno reuntac. Fr. 34,13 (104b10) ev ovini pap. che coincide con le fonti

primarie in un errore che ha evidentemente radici antiche. La necessaria correzione £v αὐτοῖς è stata dagli editori recuperata dalla mano correttrice di C e dai recc. Fr. 34,17 (104c5)

C.

οὐδὲ pap. T WVAB?, οὐ δὴ BD P W', οὐ

Questa nota critica manca in Strachan.

Fr. 68,4 (104d3) Il calcolo dello spazio accuratamente fatto da Haslam, 12 rende probabile per pap. la sequenza aet τινος αὐ͵τωι[ (con è), escludendo invece l’articolazione ov cox [at τινος (con B). T ha una corruttela da maiuscola (ἀεὶ è diven-

tato dei) e un ordo verborum ancora diverso rispetto agli altri (δεῖ αὐτῷ τινος). Strachan accoglie a testo la proposta congetturale di Stallbaum αὖ τῷ ἀεί τινος € registra 1n apparato gli altri interventi congetturali: tQ ἀεί τινος Robin, αὐτῷ del. Schleiermacher, αὖ &et τινος Robinson.

Fr. 35,1 (10524)

oti pap. cum B T, ὅτω WPQA Β΄, ὅπερ

τῷ V.

Frr. 36-37,4-5 (105b5-6)

]av epolto pap. Gli editori ac-

colgono ὃ div ἐρωτῶ di B è, ma l'assetto testuale è diverso nei

tre rami della tradizione medievale. L’unica cosa che si può dire con sicurezza (per considerazioni di spazio) è che pap. non condivideva la variante presente nel margine di W preceduta dalla sigla yp: ἣν ἂν ἐρωτῶ ἀπόκρισιν. —

207 —

PLATO

41-42

Fr. 39,13 (106c8) La formula responsiva πάνυ μὲν οὖν, presupposta da ciò che resta anchein pap. (]v ovv:[), è omessa da TQ. Fr. 74,2 (107d4) Per considerazioni di spazio l'ordine delle parole in pap. doveva essere λέγεται μέγιστα (con T è Iamb. Stob.) e non μέγιστα λέγεται (come in B seguito da Strachan). . Cosi Haslam, 12; diversa ricostruzione in Fortuna, 197.

Fr. 40,3 (107e2) POxy 2181 contribuisce ad isolare T (ἐνθάδε). presentando con tutti gli altri testimoni il corretto ἐνθένδε.

Fr. 97,3 (108c5) L’asta verticale superstite basta ἃ mostrare come pap. si schiera: exacın]ı accomuna pap. a T WA; ἑκάστη è invece la lezione di B PQSV Stob. accolta a testo da Wohlrab, Archer-Hind, Burnet, denius, Notes, 237.

Dirlmeier,

Strachan,

ma

cfr. Ver-

Fr. 127,3 (109c2) La felice identificazione del frustolo fatta da von Dornum - Haslam, 12 (al τ. 3 si legge ]e100[) consente

di dire che pap. conteneva (con tutti i codici, Eusebio, Stobeo) la sequenza εἰωθότων λέγειν sospettata da Burnet (Plato’s Phaedo, 130) e Verdenius (Notes, 238), espunta da Vicaire

e da Rowe (Plato. Phaedo, 273) come interpolazione derivata da 108c7. Fr. 43,2 (109c4)

emi [nc pap. con tutte le fonti manoscritte;

Stobeo omette τῆς.

Fr. 47,4 (115b2)

La lezione di pap. non è

ricostruibile

con sicurezza: ]Aeıc. Divise sono le fonti manoscritte medievali: ἐπιτέλλεις T, ἐπιτέλλει B, D ut vid., S, ἐπιτέλλῃ WPVB’,

enıteA* C, ἐπιτέλεις Q. Burnet e Vicaire adottano

la corre-

zione del Coislinianus 155 ἐπιστέλλεις («the vox propria for . the last wishes of the dying», Burnet, Plato's Phaedo, 143), ma nell’apparato critico del secondo manca la registrazione della attestazione pur incompleta di pap. Anche la difesa della scelta editoriale di Robin (ἐπιτέλλει) fatta da Verdenius (Notes, 241) e Loriaux [Le Phedon (II), 158] non tiene conto di pap. Fr. 47,9 (115b8) ne]v pap. con B, om. T è.

Fr. 48,4 (115e3)

δεινάτταί è& la lezione di pap. che sembra

accordarsi con T (δεινὰ ἄττα oxövrog), contro

gli altri testi-

moni che conservano il testo autentico (δεινὰ πάσχοντος). Si

noterà il facile scambio πήττ. —

208 —

POXY

2181

- PSI 1393A

PHD.

Frr. 47, 48, 49 Johnson (Papyrus Roll, 50) osservando attentamente l'andamento di una kollesis, arriva alla conclusione che 1 tre frammenti appartenevano ad una stessa colonna. È possibile calcolare lo spazio necessario per una ricostruzione: il testo di POxy 2181 doveva avere una consistente lacuna. Johnson ipotizza che fosse omessa la sequenza ἢ δ᾽ óc, ὦ ἄριστε Κρίτων (11565). Fr. 50,2 (117c7-8) La corretta trascrizione e immediata ri-

costruzione del testo di pap. sembra qui ego]u ye καὶ αὐτου Bia come l'ed.pr. suggerisce nella nota ad loc. (p. 127) e Haslam, 13 non esclude; pap. si avvicinerebbe in questo caso a W, ma con ye in luogo di te. Ecco il quadro completo della tradizione (che corregge alcune 1 imprecisioni di Burnet e Vicaire): ἐμοῦ γε βίᾳ καὶ αὐτοῦ ἀστακτ(ε)ὶ B T (ἐμοῦ καὶ αὐτοῦ γε βίᾳ Β᾽ im), ἐμοῦ TE καὶ αὐτοῦ βίᾳ ἀσταλακτὶ W, ?A, ἐμοῦ τε καὶ αὐτοῦ ἀβαστακτὶ καὶ βίᾳ P, prS, W (im yp), ἐμοῦ γε καὶ αὐτοῦ

ἀσταλακτὶ καὶ βίᾳ V, ἐμοῦ τε καὶ αὐτοῦ ἀστακτὶ καὶ βίᾳ Q. AC

42

Phd.

96d7-97a1

PSI 1393a

Sec. II?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli’. Edd.: M. MANFREDI,

PSI XIV (1957), 69.

Tavv.: Papiri dell'Istituto

Papirologico

‘G.

Vitelli’, Firenze, Giun-

tina 1988 («Quaderni dell’Accademia delle Arti del disegno», 1), 42.

Comm.: MP? 1390 (= P^ 1390)

= CARLINI, Studi [1972], 68, n. 96;

VICAIRE, BL, IV.1 [1983], pp. LXXXVI- LXXXVII; Papiri dell'Istituto Papirologico *G. Vitelli', Firenze, Giuntina 1988 («Quaderni dell’Accademia delle Arti del disegno», 1), 42; STRACHAN,

OCT, I [1995], 87.



209—

PLATO

42-43

Frammento di volumen (cm 9,5x11,5; bianco sul verso) che

presenta resti di 22 righi di una colonna di scrittura di cui è perduta la parte superiore. Il margine inferiore è di cm 1; gli intercolunni conservati sono, a sinistra, di cm 2,5, a destra, di cm 1,5. Sotto lo stesso numero l'editore pubblica 1] testo di un altro frammentino, vergato nella stessa scrittura, con un

contenuto riferibile allo stesso passo del Fedone, ma che va tenuto distinto in quanto assicura una autonoma testimonianza

(PSI 1393b — 80 43).

L'ed.pr. assegna PSI 1393a al sec. I/II. La scrittura è di ‘stile severo’ e avvicina il frammento fiorentino ai manufatti

in ‘bacchilidea’: la revisione cronologica cui è stato sottoposto negli ultimi anni questo stile di scrittura (Turner, GMAW',

22-23) induce ad abbassare l’età di PSI 1393a alla metà del se-

colo IN. L’allineamento verticale è particolarmente curato ed è ot-

tenuto anche grazie a segni riempitivi in fine di rigo. Frequente

l’impiego da parte dello scriba del punto in alto. /ota regolarmente ascritto.

Non è facile, data l’esiguità della porzione testuale rimasta, caratterizzare la linea tradizionale seguita da pap.: al di là

di una serie di convergenze con rami della tradizione manoscritta in lezione corretta (che non provano molto), si segnala un caso di accordo in lezione inferiore con f a 96e3. Pap. è stato tenuto presente da Vicaire (sigla ID) e da Stra-

chan (sigla II5) che però non distinguono PSI 1393a da PSI

1393b. La porzione di testo conservata è parzialmente coperta dalle testimonianze indirette di Prisciano (Phd. 96e3-4 καὶ τὸ — ὑπερέχειν Priscian., /nst. XVIII 300, III, 371, 12 Hertz) e di

Plotino (VI 6, 14, 13-24) trascurate da Vicaire, ma considerate da Strachan (cfr. p. 566) e di fatto utili alla constitutio textus.

L'edizione di riferimento è quella di J.C.G. STRACHAN,

OCT, I (1995).

3 (9649) ἄνθρωπος] παραστὰς pap. con B T, contro è che traspone 1 due termini. 9 (96e3) Pap. (τὸ con B T) indebolisce ancora di più la lezione di ὃ (τὸ tà).

10 (96e3) (recte).

προσ]θεῖναι pap., ut vid., cum ß, προσεῖναι T ὃ

Questa nota critica manca nell’ apparato di Vicaire. —

210 —

PSI

12 (9664)

1393A

- PSI

1393B

PHD.

ἡμίσει pap. con T WPQA

(medietate Aristip-

pus), ἥμισυ B V Prisc. (sulle convergenze di V con altri rami, cfr. Carlini, Studi, 187-193).

16-17 (96e7)

τουϊτῶν tov pap. Solo la mano correttrice di

T (t) ha ripristinato Il corretto τούτων tov: B T WP presen-

tano τούτων τοῦ, V reca τούτων che è anche la lezione ottenuta dal correttore di Q con l'eliminazione di 109, Aristippo traduce de his. 22 (9669)

Pap.

non sostiene l'aggiunta di ἢ τὸ προστεθὲν

(dopo γέγονεν) proposta congetturalmente da Wyttenbach e integrata nel testo critico da Schanz, Burnet e Strachan (non peró da Robin e Vicaire). Hackforth (Plato’s Phaedo, 124, n. 3) sostiene la scelta di Robin di rigettare l'aggiunta di ἢ τὸ npoστεθὲν, per la ragione che non c’è bisogno qui che siano menzionate tutte e tre le possibilità; Strachan rinvia opportunamente in apparato alla testimonianza di Plotino (VI 6, 14,

13-24).

AC

43 Phd.

96e3-5

PSI 1393b

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli’. Edd.: M. MANFREDI,

PSI XIV (1957), 70.

Comm.: MP? 1390.1 (= P^ 1390)

ViCAIRE, BL, IV.1 [1983], pp.

LXXXVI-LXXXVII; Papiri dell'Istituto Papirologico Ὁ. Vitellt", Firenze, Giuntina 1988 («Quaderni dell’Accademia delle Arti del disegno», 1), 42; STRACHAN,

OCT, I [1995], 87.

Frammento di volumen, mutilo da ogni lato, di ridottissime dimensioni (cm 2,5x3), bianco sul verso, pubblicato ın-

sieme con PSI 1393a (— 80 42) al quale si avvicina in modo —

211—

PLATO

43-44

singolare per caratteristiche grafiche. Il cambio di interlocutore & indicato dalla paragrapbos.

Come PSI 13933, anche questo testimone gemello legge (rr. 2-3, 96e4) ἡ] μίσείι con tro B V Prisc. (ἥμισυ).

T WPQA (medietate Aristippus), con-

La testimonianza di PSI 1393b non è stata considerata autonomamente rispetto a quella di PSI 1393a nelle edizioni di Vicaire e Strachan: vi figura dunque con la stessa sigla di PSI 1393, rispettivamente II e Π5.

L'edizione di riferimento à quella di J.C. G. STRACHAN, OCT, I (1995). AC

44 Phd. 99a4-b4; 100a5-b9

PMich inv. 5980

Sec. I/II

Prov.: Karanis.

Cons.: Ann Arbor Mich., Hatcher Library, The University of Michigan.

Edd.: T. RENNER, Towards Plato in Context: A Papyrus Containing Phaedo 99a-100b from CS 190 (B 224?) at Karanis, in Akten des 21. Internationalen Papyrologenkongresses (Berlin, 13.-19.8.1995), Stuttgart-Leipzig, Teubner 1997, II, 827-834: 829-831. Tavv.: Akten, supra, XIX.

Comm.:

MP 1390.11

RENNER, Akten, supra, 827-834.

Questo frammento di rotolo papiraceo (6x7 cm) & stato portato alla luce durante la campagna 1930/31 della spedizione condotta dalla University of Michigan a Karanis (edificio CS 190). Il contesto archeologico documentato rende il frammento degno di nota fra 1 papiri letterari, e l'esame delle relazioni di scavo a Karanis suggerisce la possibilità che il volume facesse

parte di un archivio appartenente a sacerdoti egiziani (per al—

212—

PSI

tri riferimenti sto archivio di nerale circa la papirologiche

1393B - PMICH

INV. 5980

PHD.

a papiri che possono essere appartenuti a quefamiglia, come pure per una discussione piü gecombinazione di informazioni archeologiche e a Karanis, vd. Renner, 834 e n. 6). Il papiro con-

tiene sul recto le parti finali di 12 righi, provenienti da una prima colonna separata con un intercolunnio di circa 1,5 cm da una seconda colonna, 1 cui resti conservano il primo terzo

di altri 15 righi. Il verso è privo di scrittura. Spesso sia la lunghezza che la formulazione del testo del papiro divergono noe volmente dalla tradizione medievale; tuttavia, se sı utilizza come modello la nuova edizione oxoniense di Strachan (OCT 1995) e si suppone che non ci siano scarti rispetto al testo trà-

dito tra la fine conservata della colonna I e l’inizio della colonna II, 11 calcolo conduce a un risultato di 45 righi per colonna nel rotolo, con colonne alte circa 21 cm e larghe 7,5-8,0 cm (30-38 lettere per rigo).

Un punto simile a una mese stigme a II 5 è l'unico segno di punteggiatura visibile. Inserito probabilmente mentre il testo veniva vergato, esso segnala il solo luogo nel papiro che conservi un cambio d’ interlocutore, i in contrasto con il doppio punto che a questo scopo è utilizzato all’interno dei righi nella maggior parte dei papiri platonici. In accordo con l’uso corrente, comunque,

per indicare il cambio

d’interlocutore

erano anche impiegate le paragraphoı, come è dimostrato da

II 5-6. Da notare l’uso di &ov- a II 13 (cfr. Kerschensteiner, Gebrauch). Uno iota ascritto può essere stato vergato a I 6. Non ci sono accenti. L’unico indizio di possibili aggiunte o correzioni ricorre in margine a Il 12, dove compaiono tracce d'inchiostro forse identico a quello del testo principale. Benché il copista fosse esperto, l’aspetto complessivo della scrittura è piuttosto privo di uniformità, specialmente per quanto riguarda le dimensioni e la forma delle lettere: in principio di rigo o in inizio di parola all’interno dei righi sono spesso usate lettere di dimensioni abnormi; particolarmente sorprendenti sono gli epsilon di II 4 e 9, che ricordano le grandi

lettere iniziali nelle intestazioni o in principio di rigo dei documenti. Talvolta il copista impiega forme corsive fianco a fianco con tratteggi più posati e formali della stessa lettera. I tratteggi di parecchie lettere richiamano alla mente mani documentarie, in particolare quelle dello stile ‘di cancelleria’ della fine del secondo e del terzo secolo: cfr. ad esempio BGU II —

213—

PLATO

44

423 (assegnato al IIP), in Schubart, PGB, n? 28; BGU I 15 (194P), in Schubart, PGB, n? 32b; PSI X 1148 (210^); POxy

XXXI 2612 (285-290?) [per una discussione dettagliata delle mani ‘di cancelleria’, vd. G. CAVALLO,

La scrittura del P. Be-

rol. 11532: contributo allo studio dello stile di cancelleria nei papiri greci di età romana, Aegyptus 45 (1965), 216-249]. Re-

lativamente pochi testi letterari, comunque, sono scritti da mani con caratteristiche “di cancelleria’ [per testi non documentari

in stile ‘di cancelleria’, vd. infra a proposito di PLitLond 255. A. Carlini (per litt.) suggerisce anche accostamenti con le seguenti mant: PVindob G 39880 + 26001 (IIIP; Platone Gorgia — 80 17), PBodmer XXVII (III/IV; Tucidide), PMacquarie inv. 360 + PMilVogliano iinv. 1224 (HIP; Arti)]. Da questo come da altri punti di vista, il papiro dà l'impressione di una copia privata, piuttosto che prodotta in modo professionale.

Degli otto altri papiri del Fedone pubblicau, POxy XVIII 2181 (> 80 41) (MP' 1389 = P^ 1389; assegnato al II? ex.) co-

pre porzioni di 99a e 100b che sono presenti anche in PMich,

ma mostra di non condividere le peculiarità testuali di que-

st'ultimo. A I 5 PMich sembra sostenere BW contro POxy e T (cfr. anche I 9-10), mentre a II 2 si schiera con è e contro POxy. Pure in varie altre occasioni, in cui non è disponibile la testimonianza di POxy, PMich si accorda bene con l'eclettismo osservabile nella gran parte dei papıri platonici di età

romana rispetto al testo tràdito: a giudicare dall'ampiezza della lacuna a Il 2, esso sostiene T Stobeo contro la lezione, pro-

babilmente interpolata, fornita da BW; a II 8 probabilmente

non sostiene la lezione di B 6; a Il 14 sostiene B contro ὃ; e a I 7, anche se la situazione appare complicata da errori di copiatura, esso sembra sostenere T 8 d' Eusebius contro BCD.

A II 2 ıl papiro mostra una lieve variante, non altrimenti attestata, nell'accusativo αἰτίαν retto da περί. A I 1, se la lettura proposta e corretta, abbiamo un accordo tra pap. ed Eusebio contro 1 manoscritti medievali. Nessuna congettura moderna trova sostegno nel papiro: in particolare & impossibile verificare il πράττων, tràdito da P, proposto congetturalmente da Heindorf e accolto da alcuni editori a 9948 (I 6-7). Benché non sempre le lezioni del papiro sopra menzionate rappresentino la scelta più soddisfacente, tutte tranne una trovano

però almeno qualche sostegno nella tradizione medievale, e nessuna turba seriamente l'andamento del dialogo che ci è fa-

— 214—

PMICH

INV.

5980

PHD.

miliare. In breve, esse sono di un tipo che non sarebbe troppo sorprendente in un papiro platonico ‘normale’. È comunque il carattere e la frequenza delle sue più singolari deviazioni testuali rispetto a tutti 1 manoscritti medievali a far sì che PMich, per breve che sia l’estensione di testo da esso conservata, si distingua dalla maggioranza dei papiri di età romana contenenti autori già noti. Alcune di queste divergenze si fondano su errori di copiatura, ma almeno una non può essere spiegata così. Sembrano esserci due tipi generali di deviazioni significative dal testo tràdito: nel tipo 1, il papiro dà fattivamente un testo divergente da ogni manoscritto medievale e la divergenza, dovuta all’errore o alla creatività del copista oppure a una preesistente peculiarità nell’esemplare, si estende a più di una parola. Nel tipo 2, le dimensioni della lacuna sono incompatibili con la presenza in essa del testo tràdito, ma non possiamo dire quale fosse la specifica divergenza. La prima deviazione riconoscibile del papiro, a II 3, è un esempio del tipo 2, dal momento che il testo tràdito ha 7 o più lettere di troppo per adattarsi alla lacuna. Possiamo solo provare a indovinare in che modo sia stata accorciata la sequenza che

precedeva ὀστᾶ e se l'accorciamento sia stato dovuto a consapevole ragionamento oppure, come suggeriscono altri aspetti

del papiro, semplicemente a una svista. Per i successivi tre righi il papiro sembra restituirci un testo familiare. Alla fine del r. 7, comunque, incontriamo un’altra divergenza del tipo 1 oppure una breve dittografia avay dopo noAAn. A meno che il copista non avesse in mente ἀνάγκη,

sembra che egli abbia scritto ἄν due volte (la seconda volta con il gamma a causa del kappa del kai che segue nel testo tràdito?). Questa deviazione, tuttavia, non dovrebbe aver turbato troppo seriamente l’andamento complessivo del greco, dal momento che il testo tràdito si adatterebbe bene alla lacuna dei rr. 8 e 9. Al r. 11, comunque, sembra che abbiamo un’al-

tra deviazione del tipo 2 nella forma di una lacuna che diffi-

cilmente avrebbe testo tràdito, ma sere ricostruita. Nella colonna righi conservati ci

potuto contenere le 42 lettere richieste dal la natura esatta dell’omissione non può esII, la lunghezza leggermente maggiore dei consente talora di apprezzare meglio la spe-

cificità degli scarti rispetto al testo tràdito. Benché il r. 4 possa contenere una deviazione del tipo 1, l’interpretazione della se—

215—

PLATO 44

quenza αλλεί come inizio di ἃλ λέγω = ἃ λέγω (oppure stava

pensando ad ἀλλ᾽ £yá?) evita questa possibilità. Al r. 6, abbiamo una chiara divergenza del tipo 1 in Aeyeöe.|, in cui I ım-

perativo λέγε non si adatterebbe al senso. Che questo sia un

‘pasticcio’ sembra inevitabile. Se la lettera sul bordo della la-

cuna è effettivamente un zy, forse il testo aveva dev, ricavato

dalle parole adiacenti ὧδε e οὐδέν. All’inizio del τ. 7 il papiro,

a quanto pare, segue ancora una volta il testo che noi cono-

sciamo, ma al r. 9 ci troviamo di fronte al terzo e più sor-

prendente esempio di deviazione del tipo 2. Qui c’era un’o-

missione rilevante, dal momento che il testo medievale richiederebbe 63 lettere per essere contenuto in una lacuna che non avrebbe dovuto contenerne molto più di 22 (l’omissione

di καὶ -- πολυθρύλητα, ad esempio, facilitato dal salto dal primo καὶ al secondo, si accorderebbe con lo spazio).

Infine, al rr.

11-12 il frammento presenta un’altra divergenza del tipo 1, la

quale questa volta nòn può derivare da un errore di copiatura: mentre Socrate suppone che esista ciò che è in sé bello, buono, grande e così via, nella serie di aggettivi appare la parola

ἀκέραιον. Questa aggiunta si accompagnava con altre divergenze rispetto al testo tràdito, poiché τάλλα sembra comparire come ἄλλα, mentre ἀκέραιον è preceduto non da una con-

giunzione, ma da un ulteriore e sconcertante alpha (probabilmente l'a. di μέγα). L'annotazione marginale (cfr. Renner, 832) forse era destinata a fare luce su questa frase. Quindi, gli ingredienti minimi necessari a spiegare le inusuali caratteristiche del papiro sono (1) rilevanti errori di co-

piatura di vario genere e (2) l'introduzione, almeno occasio-

nale, di una formulazione significativamente divergente dai manoscritti medievali. Quest'ultima poteva derivare o dall'utilizzo di un testo deviante come esemplare o dalla mente crea-

tiva del copista. Omissioni durante la copiatura e disattenzioni

di vario genere - che non necessariamente penetrano nel testo in una fase sola - potrebbero dar ragione di tutte le divergenze

del tipo 2 cosi come della maggior parte di quelle del tipo 1. Soltanto ἀκέραιον a II 12 richiede un più attivo coinvolgi-

mento delle facoltà intellettuali di un individuo. Lo stato frammentario del testo e il ruolo ovviamente importante che rivestivano nella sua creazione gli sbagli degli scribi [per sbagli in misura simile, cfr. PTurner 7 (IIP; Phaedrus), > 80 49] ren-

dono abbastanza difficile e non particolarmente appropriato —

216—

PMICH

INV. 5980

PHD.

un confronto tra le caratteristiche di PMich e quelle di PPetrie

15-8 (> 80 40), un lungo testo della prima età tolemaica

il quale offre nuove varianti che spesso competono bene con quelle del nostro testo tràdito [vd. Carlini, Studi, 10-23; ID., Sul papiro Flinders Petrie I 5-8 del «Fedone», STCPF.6, 147159 (seguito dal commento di C. Strachan)]. Scrittura creativa

e/o copia attraverso dettato interiore, soprattutto se il copista di PMich non era uno scriba professionista e aveva delle pretese culturali, possono essere stati un fattore significativo che ha contribuito ad alcune delle deviazioni testuali che abbiamo notato, in particolare

il caso

interessante di II 12. A questo

proposito, un testo come PLitLond 255 (MP? 1245 = P? 1245; III/IV), un papiro della Ad Demonicum che sembra incorporare materiale proveniente da altri luoghi del corpus isocrateo e la cui descrizione suggerisce un testo di scuola, potrebbe fornire un argomento di riflessione e di possibile confronto, soprattutto dal momento che la sua mano mostra alcune delle caratteristiche generali di PMich [vd. il commento di R. CRIBIORE, Writing, Teachers and Students in Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996, 245 n° 298 e tav. XXXVIII, la

quale individua in PLitLond 255 la mano di un maestro con una certa influenza dello stile di cancelleria. Il recto dello stesso papiro (= PLitLond 207; cfr. Cribiore, n° 297) contiene un testo dei Salmi vergato da una mano cancelleresca che può an-

ch’essa appartenere a un maestro]. Il testo del papiro è stato collazionato sulla base dell’edizione di J.C.G. STRACHAN, OCT I (1995), ma si è tenuto conto anche delle edizioni di Burnet [Plato’s Phaedo (1911)] e di Vi-

carre BL, IV.1 (1983). In qualche punto è stato possibile controllare le collazioni personali di A. Carlini.

Col. I

[

+ 30

1. ATAVINV

9924

[ἀλλ᾽ αἴτια μὲν τὰ τοιαῦτα καλεῖν λίαν] ἄτοπον. ei

+ 30

[

^.

Τ ὀστᾶ

καὶ —

217—

PLATO

44

[νεῦρα καὶ ὅσα ἄλλα ἔχω, οὐκ Av οἷός τ᾽ ἡ ποιεῖν 5.

[τὰ δόξαντά μοι, ἀληθῆ ἂν λέγοι. ὡ]ς μέντοι [διὰ ταῦτα ποιῶ ἃ ποιῶ, καὶ ταῦτα νῶ]ι πράτ-

[τω, ἀλλ᾽ οὐ τῇ τοῦ βελτίστου αἱρέσει, πολ]λὴ αναγ-

[

_

+ 32

[διελέσθαι οἷόν τ᾽ εἶναι ὅτι ἄλλο μέν] ti 7

10

τ

΄

,

3

lun

᾿

(Td

»

£

x

L

[ἐστι τὸ αἴτιον τῷ ὄντι, ἄλλο δὲ ἐκεῖνο ἄνευ] oo [

+ 32

yn]Aa-

1.

+ 25

ἰφῶντες

99b4

Col. II 100a5

φωνεῖν τίθημι ὡς ἀληθῆ ὄντα, καὶ περὶ] αἰτίαν xoi τῶν [ἄλλων ἁπάντων: ἃ δ᾽ ἂν un] ὡς οὐκ ἀληθῆ. [βούλομαι δέ σοι σαφέστερον] εἰπεῖν ἃ λέίγω: οἶμαι γάρ σε νῦν οὐ μαν- -]

5 θάνειν- Od μὰ [τὸν Δία, ἔφη 6 Κέβης, οὐ σφόδρα.

λ᾽, ἢ δ᾽ ὅς Aeyede . [

'AM]

+ 22

]

15

ἄλλοτε καὶ ἐν τ[ῷ παρεληλυθότι λόγῳ οὐδὲν] πέπαυμαι λέγωϊν. ἔρχομαι δὴ ἐπιχειρῶν σοι] ἐπιδείξασθαι τῆς + 20 ] xoi ἄρχομαι ar’ [éxetvov, ὑποθέμενος eivoi] τι καλὸν αὐ[τὸ + 23 ] « ἀκέραιον καὶ ἄλλα πάντα. ἃ εἴ μοι δίδως te] καὶ ξυγχωρεῖίς εἶναι ταῦτα, ἐλπίζω σοι ἐκ) τούτων τὴν ailtiav ἐπιδείξειν καὶ ἀνευρή-] σειν ὡς ἀθάνατον 100b9

I1 I1

].atarınv possibile | 6 vJet possibile ἥντινα ταύτην pap. ut vid. Eusebius, ἥντιν᾽ ἂν ác]

10 l.. 1)

B T δ

-

4 εἰ δέ τις λέγοι ὅτι, ἄνευ τοῦ τὰ τοιαῦτα ἔχειν καὶ ὀστᾶ codd. 5 ἀληθῇ ἂν λέγοι om. T et, ut vid., POxy XVIII 2181 (cf. D.D. von DORNUM M.W. HASLAM, ZPE 89 (1991), 11, 14, qui haec verba minime platonica putant)

7-8

πολλὴ ἂν xol μακρὰ ῥᾳθυμία εἴη τοῦ λόγου- τὸ γὰρ μή T δα'

Eusebius, àv om. BCD, è’ ἂν ΡΟ, δὴ ἂν Q^, div post ῥᾳθυμία pos. recc.



218—

9-

PMICH

10 ἐστι τι T 10-12

10

INV. 5980

ἐκεῖνο BCDTV

PHD.

Stobaeus Simplicius, ἐκεῖνο

ὃ ΒῚΨΡ

V Simplicius) τὸ αἴτιον οὐκ ἄν ποτ’ εἴη αἴτιον ὃ

ἄνευ οὗ (οὗ ἄνευ

δή μοι φαίνονται ψηλαφῶντες codd.

I4 112

αλλεί pap. αἰτίας codd.

5

Saver: pap. 9 t[oppurer καὶ τῶν è pap., καὶ περὶ τῶν B T POxy 2181 (cf.

von Dornum - Haslam, /. ἰ., 6,11) ἁπάντων T, πάντων Stobaeus, ἀπάντων ὄντων B ὃ 5-7 ἀλλ᾽, ἡ δ᾽ ὅς, ὧδε (BTWPQ, 6 ye V, ὅ vel ὅ γε A) λέγω οὐδὲν καινόν, ἀλλ᾽ ἅπερ ἀεί τε [T δ, καὶ B: cf. Schanz, Novae commentationes, 141, Verdenius, Notes, 231 et Loriaux, Le Phedon (II), 94] ἄλλοτε

codd. 8 δὴ T et, ut vid., pap., γὰρ δὴ B8 9-10 ἐπιδείξασθαι τῆς αἰτίας τὸ εἶδος ὃ (B T, ὅπερ δ) πεπραγμάτευμαι, καὶ εἶμι πάλιν En’ ἐκεῖνα τὰ πολθρύλητα καὶ ἄρχομαι καὶ μέγα καὶ τάλλα codd.

codd. 11-12 αὐτὸ καθ’ αὑτὸ καὶ ἀγαθὸν 14 τὴν B T, τήν τε ὃ

11 (9944) Nonostante la forma di hypsilon insolita in pap., la lettura più probabile

è ταύτην

(7.αταττὴν = nvrv’avoren

ed.pr., con nota in app. crit.) In luogo della lezione dei manoscritti medievali (ἥντιν᾽ ἂν τάττῃ), pap. sembra dunque offrire quella di Eusebio (ἥντινα ταύτην PE XIV 15, 8,5 Des Places), registrata nell’apparato di Vicaire, non da quello di Burnet, né da quello di Strachan. Quest'ultima, nella sua forma ellittica, è degna di considerazione, vista la possibilità che, alla base del testo dei codici, ci sia stata una lettura della mede-

sima sequenza di lettere influenzata da 98e4-5 (ὑπέχειν τὴν δίκην ἣν ἂν κελεύσωσιν). Sul valore della testimonianza di Eu-

sebio si veda Carlini, Studi, 82-84 (con indicazioni bibliografiche). 5 (99a7) Ragioni di spazio inducono a credere che in pap.

come in B è, fosse presente l'apodosi (ἀληθῇ ἂν λέγοι), omessa

da T e, a quanto pare, da POxy 2181. M.W. Haslam e D.D. von Dornum [Fishing for Phaedo, ZPE 89 (1991), 1-14: 14] ri-

tengono che il testo di B è sia interpolato e citano a sostegno della loro ipotesi esempi di ellissi dell’apodosi: R. 575d3 e Pri. 325d5-6 [Kühner - Gerth, II.2, 484-485, $ 4d; H. VAN HERWER-

DEN, De locis nonnullis Platonis e libris de Republica, Mnemosyne n.s. 19 (1891), 325-340: 338-339]. Pur essendo teorica-

mente possibile pensare all’intervento di un antico διασκευαστής infastidito dalla struttura ellittica (in certo qual modo analoga

è la tendenza a evitare le proposizioni «aperte», per cui ctr. Jachmann, Der Platontext, 234, Carlini, Studi, 12), gli esempi —

219—

PLATO

44

addotti di ellissi dell'apodosi si riferiscono a una struttura sintattica costante [ei (ἐὰν) μέν ... εἰ (ἐὰν) δὲ μή] formalmente

piuttosto differente da quella del nostro passo (... μὲν ... εἰ δὲ .. ὡς μέντοι ...): il testo offerto da f è e pap. pare quindi,

tutto sommato, preferibile.

6-7 (9948) πράττω p T 8 Eus., πράττων P (coni. Heindorf).

Purtroppo non è possibile verificare la testimonianza del papiro in un punto che ha diviso gli studiosi: cfr. Burnet, Plato's Phaedo, 106, Verdenius, Notes, 230, Loriaux, Le Phedon (II), 83-84. πράττων, giustamente restituito da Vicaire a P, ri-

sulta essere solo il frutto della congettura di Heindorf nell'edizione di Strachan, che peraltro lo accoglie nel testo. 7 (9901) Per la presenza di ἂν in pap., che appoggia la lezioni di T 8d' (a parte Q P) ed Eusebio, contro l'omissione di BCD, cfr. supra, introd.: questa notizia, presente In parte nell’apparato di Burnet e in quello di Vicaire, è scomparsa da quello di Strachan [cfr. CH. BROCKMANN, Gnomon 70 (1998),

663]. La presenza di àv dopo ῥᾳθυμία è segnalata da Bekker (Comm. Crit. I, 390) per il Ven. Marc. Gr. 184 e per il Vind. Phil. Gr. 21 (Y), da Robin (BL, IV.1, 1926) per Y.

9-10 (99b2-3) Pap. sembra appoggiare l'ordo verborum di B è (ti ἐστι), con τι accentato per enclisi di ἐστι, preferibile a quello trasmesso da T (ἐστι τι), con tt atono in posizione enclitica. 10 (99b3) Benché valutazioni fondate su calcoli troppo precisi del numero delle lettere mancanti in lacuna siano sempre da accogliere con la massima cautela, non pare probabile che pap. condividesse l'errore di B? t WP (ἐκεῖνο ὃ pro ἐκεῖνο: cfr. Bekker, Comm. Crit., I, 390, TH. GAISFORD, Lectiones Platonicae e membranis Bodleianis, Oxford, Clarendon

1820, 23

e Schaeffer, Quaestiones Platonicae, 14), né la lezione dı Ve Simp. In Phys., CAG IX, p. 388, 40 Diels (οὗ ἄνευ pro ἄνευ ob), che era piaciuta ad A. Schaeffer (zbid.: ctr. Carlini, Studi,

192), l'uno e l'altra citati nell'apparato di Vicaire, non in quello di Burnet, né in quello di Strachan. II 2 (10026)

L'accusativo con περὶ è certo una svista, dato

il genitivo che immediatamente segue (τῶν). Si nota inoltre, nell’omissione del secondo περί, un accordo in lezione infe-

riore con è. Ragioni di spazio inducono a ritenere che ὄντων —

220 —

PMICH

INV. 5980

PHD.

(B8) non fosse presente in pap. che si accorda con T in quella che, confermata nella sostanza anche dallo Stobeo, è certo la lezione esatta (cfr. Rowe, Plato. Phaedo, 241), nonostante M. DixsAUT, Platon, Phedon, Paris, Flammarion 1991, 196 (cfr. la

traduzione a p. 278: «aussi bien s'agissant de la cause toutes les autres réalités sans exception»). 3 (10027) Nell'apparato di Vicaire viene segnalata sione di οὐκ da parte di W. La testimonianza di P e A tayıa permesso di isolare questa omissione come lectio laris del vindobonense (Carlini, Studi, 183): giustamente omessa nell’apparato di Strachan. 4 (10027)

que de l'omisha tutsinguè stata.

L’ipotesi più economica è quella di considerare

cà = ἃ: cfr. supra, introd. 6 (100b1) La sequenza di lettere Aeyede rappresenta probabilmente

un

errore

di lettura del testo trädito (ὧδε λέγω

οὐδέν) da B T WQ. Se la lettera incerta è un v, si può pensare a una confusione causata dalle due parole adiacenti ὧδε e οὐδέν (heyedev: cfr. supra, introd.); se invece sı tratta, come pure è possibile, di un y, si può immaginare un ‘pasticcio’ indotto dalla presenza nell’antigrafo, ad esempio come variante interlineare (cfr. sotto il commento a II 11-12), della lezione tra-

messa da V e, forse, da A (ὅ ye pro ὧδε). 8 (100b3)

La lezione di T (om. γὰρ), condivisa, a quanto

pare, da pap. e accolta da Burnet, è probabilmente da ritenersi inferiore a quella di B è, accolta da Vicaire e Strachan (ctr. 59d1: Denniston, 243, Rowe, Plato. Phaedo, 241).

11-12 (100b6-7) Nella sequenza aakepaov all'inizio del ngo 12 & presumibile che il primo a sia la lettera finale di μέγα (56), anche se ciö implica una divisione in sillabe non del tutto usuale. Una banale svista puó essere l'omissione di t in τάλλα. Più sconcertante è l'asindeto che si produrrebbe nel caso intendessimo ἀκέραιον come parte integrante del testo nella serie di aggettivi neutri: asındeto incompatibile con la presenza (molto probabile per ragioni di spazio) dei due xai nella lacuna del rigo 11. Una possibile spiegazione sı può trovare se si considera ἀκέραιον (aggettivo usato solo quattro volte da Platone e mai in un contesto paragonabile al presente: Pit. 268b8, R. 342b5, 40926, Criti. 111b7) come una glossa marginale nell' antigrafo (cfr. sopra il commento a II 6), atta a spiegare o a specificare meglio l'espressione αὐτὸ καθ’ αὑτό, inserita per errore nel testo dal copista di pap.; chi ha aggiunto la —

221—

PLATO

44-45

glossa può aver avuto in mente contesti (vd. Phd. 6642 e 81c1; cfr. anche Smp. 211e1, Phlb. 30b6, 32c7) in cui Platone stesso utilizza il termine εἰλικρινής, sinonimo di ἀκέραιος, per pre-

cisare il significato di αὐτὸς καθ’ αὑτόν, quasi ‘tecnico’ per qualificare le ‘realtà in se’.

14 (100b8)

Il papiro conferma la lezione di

BT (mv: cfr.

Schanz, Novae commentationes, 130) contro quella, inferiore,

di 6 (τήν te). Quest'ultima sottolinea la separazione tra i due kola αἰτίαν ἐπιδέξειν e ἀνευρήσειν ὡς, che da Riddell, Digest, $ 308 sono considerati un hysteron proteron e da Burnet, Pla-

to’s Phaedo, 110 un «curious and characteristic interlacing of words ... (a b a b)». In realtà è probabilmente nel giusto R. Loriaux, quando sostiene che αἰτίαν «est, logiquement, complément des deux verbes», e che «ὡς ... explicite αἰτίαν» [Le

Phedon (II), 95]. TR

45 Phd. 102e2-103c4

POxy 1809

Sec. I/II

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy XV (1922), 191-194; TURNER, GMAW', 48 (col. IL, rr. 1-8 ); E.G. TURNER, The Papyrologist at Work, Durham N.C. 1973 («Greek, Roman and Byzantine Monographs», 6), 22 (col. II, rr. 1-8). Tavv.: E.G. TURNER, Scribes and Scholars of Oxyrbynchus, M.P.E.R.,

N.S. V (1 956), 3; TURNER, The Papyrologist, supra, 4c; TURNER, GMAW',

n? 19.

Comm.: MP? 1391 (= P^ 139) OrpraTHER [1923], 52; CARLINI, Studi [1972], 69; R. VAN BENNEKOM, A Reexamination of P.Oxy.

2288 (Sappho 1LP), Proceedings of the XIV Intern. Congress of

Papyrologists (Oxford, 24-31 July 1974), London,

British Ex-

ploration Society 1975 («Graeco-Roman Memoirs», 61), 327; M.

HASLAM, POxy XLVII (1980), 39; ViCAIRE, BL, IV.1 [1983], p. —

222—

PMICH

INV. 5980 - POXY

1809

PHD.

LXXXVIL JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 37; 93-94; 150; STRACHAN, OCT, I [1995], 87.

Frammento della parte superiore dı un rotolo papiraceo (bianco sul verso), di cm 12x11,7: sono superstiti solo poche lettere finali di una prima colonna, 21 righi (pià o meno mutili) di una seconda colonna, la parte iniziale di 15 righi di una. terza colonna. Gli intercolunni, ampi, sono di cm 2; il margine superiore superstite arriva a cm 4. La forte mutilazione della seconda colonna crea qualche difficoltà nel calcolo dei righi per colonna; se l'ed.pr. arriva a un totale di 48/49 righi, più attendibile risulta la proposta di Johnson (Papyrus Roll, 37): 46 righi sia per la col. I che per la col. II. La larghezza della colonna è cm 5 ca. Si può in ogni caso far rientrare POxy 1809 nel secondo gruppo di rotoli platonici della classificazione di Irigoin, Rapport, 1971-1972, 202 (= Tradition, 71-72). Lo scriba impiega come segni di punteggiatura ano e mese stigme, ma ricorre anche al doppio punto, dove non c’è divisione di battute dialogiche (p. es. col. II 1, 4). Il cambio di interlocutore à segnato regolarmente dalla paragraphos, ma le lacune del papiro impediscono di chiarire se questa si combinasse con il doppio punto (che in questo caso sarebbe stato piegato ad una doppia funzione). Accenti e spiriti, inseriti qua e là, ma con discernimento (cfr. Mazzucchi, Accentazione, 155) sono

dovuti probabilmente alla stessa mano (sec. II) che in una scrittura minuta ha aggiunto nel margine superiore alcune note. Non mancano 1 segni critici (x a col. II 15, non rilevato in ed.pr., ὦ a col. III 13). Un segno costituito da tre punti collocati verticalmente nell’intercolunnio in corrispondenza del r. 10 della col. III voleva forse richiamare una nota marginale ora scomparsa. La scrittura è una libraria diritta, rotonda, bilineare, con

leggeri apici alla base dei tratti verticali che a volte si ripiegano ad uncino. Pur tracciate autonomamente, senza legamenti, le lettere sono caratterizzate da una notevole rapidità di esecuzione. Lobel ha identificato la mano con quella dello scriba

di POxy 2076 e POxy 2288 (cfr. Turner 1973, 22; Johnson,

Papyrus Roll, 150: scriba n° 6); come i due frammenti di Saffo,

anche l'esemplare platonico potrà essere assegnato alla fine del sec. I o agli inizi del IIP. —

223 —

PLATO

45-46

Gli editori principi ritengono pap. depositario di un testo «of the eclectic type frequently met with in papyri»; ma, a

parte la difficoltà di accettare per 1 papiri la nozione di *ecletusmo' (cfr. CPF L1*, p. XIV), non appaiono rilevanti, ai fini di stabilire un rapporto organico, i casi in cui pap., in accordo con la maggioranza dei testimoni, contribuisce ad isolare in

lezione inferiore un singolo ramo (p. es. Phd. 102e5, e6, e8). L'ordine delle parole a 103c3, condiviso da T WPQA, potrebbe essere originale (la preferenza data a B nelle edizioni è feno-

meno inerziale). Appare 1importante l'accordo di pap. con 1 soli QB? nella lezione corretta καίτοι οὔτι a 103c5: καὶ τοιοῦτό τι

di tutte le fonti primarie é una corruttela che poteva prodursi: non per nulla a II 14 il correttore di pap. cento acuto sul secondo omicron per separare οὔτι. Nell’ edizione del Fedone di Vicaire, pap. figura gla II”, in quella di Strachan con Ile. Entrambi gli

facilmente pone l'ac-

con la sıeditori at-

tribuiscono il frammento al sec. ΠΡ. Il testo à stato collazionato sull'edizione di J.C.G. STRACHAN, OCT, I (1995).

II 6 (10205) Anche pap. sostiene la lezione indubbiamente corretta ὅσπερ di Pp T, contro ὥσπερ di WPQA (ὅπερ V). 8 (102e5) ἐκεῖνο δὲ οὐ è il testo, corretto, che leggiamo,

oltre che in pap., anche in T ὃ (compreso B^). I codici della prima famiglia sono variamente corrotti o lacunosi: ἐκεῖνο δὲ C, ἐκεῖνος δὲ BD. Questa nota critica manca in Strachan. 10 (102e6) Di fronte al necessario ὡς δ᾽ αὕτως (confermato

da pap.), solo T cade nella banalizzazione ὡσαύτως. 12 (102e7)

γενέσθαι W (che è isolato anche all'interno del

suo gruppo), yiyveodaı gli altri manoscritti, con pap. --- οὐδὲ pap. con β T, οὔτε è (compreso B^. 13 (102e8) ἀλλ᾽ pap., ma si richiede ἄλλο. 13-14 (1028)

ἔτι ὃν è la lezione richiesta, presente in pap.

e in T ὃ; αἴτιον di B Whp, se non è mero errore fonetico, na-

sce da infelice tentativo di correzione del testo. Appare giustificato invece l’intervento del correttore di pap. che ha collocato l'accento acuto su o per staccare ὄν. 19 (103a3) Ancora isolato W nella trasposizione pot φαίνε-

ται.

-

224 ---

POXY

1809 - POXY

3676

PHD.

III 11 (103c3) ἔφη ὦ Κέβης pap. cum T WPQA, ἔφηὁ Κέβης Ν, ὦ Κέβης ἔφη DB. | Reagendo alla communis opinio critica, Strachan dà giustamente la preferenza all'ordo verbo-

rum con più saldo fondamento tradizionale. 14 (103c5)

καίτοι οὔτι di pap. con QB’ si contrappone

come testo corretto

a καὶ τοιοῦτό τι di tutti gli altri. OB

si

rivelano anche in questo caso capaci di recuperare lezioni autentiche. AC

46 Phd.

107d4-110a1

POxy 3676

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: M.W. HASLAM, POxy LII (1984), 102-105.

Pal: M.S. FUNGHI - G. MESSERI SAVORELLI, Note papirologiche e paleografiche, Tyche 7 (1992), 75-79: 76. Comm.: MP? 1391.1 JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 90-93, 149, 253; STRACHAN,

OCT, I

[1995], 87.

Vari frammenti di rotolo (verso bianco), la cui ricomposi-

zione ha consentito il recupero di parti di quattro colonne di scrittura. Ogni colonna, larga circa cm 4,5 e alta circa cm 21,

doveva avere 46 righi. L'intercolunnio misura cm 2 ca. E conservato un lembo del margine superiore (cm 2 ca.). La mano

dello scriba, attribuibile senza esitazioni alla fine del sec. IIP,

è facilmente riconoscibile come quella che ha vergato altri testi letterari (Erodoto,

Alceo,

forse Alcmane

ed Euforione e

una serie di commentari): è stata descritta nelle sue peculiarità

da M.S. Funghi e G. Messeri Savorelli, 76. Anche il Fedone

dunque era rientrato nei programmi ‘editoriali’ dello scriptorium dove era attivo il cosiddetto ‘scriba quinto’ di Ossirinco —

225—

PLATO

46

(Johnson, Papyrus Roll, 90-93). Per la lista degli scribi professionali operanti ad Ossirinco, cfr. J. KRÜGER, Oxyrhynchos in der Kaiserzeit. Studien zur Topographie und Literaturrezeption, Frankfurt a.M., Lang 1990, 193-195; Johnson, Papyrus Roll, 149-152. Come di consueto, 1! cambio di battuta all'interno del rigo é indicato dal doppio punto (col. III 2; 21); il danneggiamento del papiro impedisce di verificare se si accompagnava anche la paragraphos. Per le pause di senso sono impiegate ano, mese e kato stigme; altri segni di lettura sono l'accento acuto (col. III 18 exöv, prima di una pausa) e i punti diacritici su zota iniziale (col. III 13; col. IV 27). L'attenzione prestata all'allineamento verticale prevede l'impiego di segni riempitivi angolari (semplice col. III 20; doppio col. III 21). Lo iota è generalmente ascritto.

La parziale sovrapposizione con POxy 229 (> 80 47) e POxy 2181 frr. 41-42 (> 80 41) consente un utile, anche se limitato, confronto ‘orizzontale’ con altri testimoni dello stato

del testo del Fedone nel sec. ΠΡ. POxy 3676 contiene, rispetto alla tradizione manoscritta medievale, diverse varianti, alcune chiaramente

errate, altre di incerta valutazione:

meritano

at-

tenzione l'omissione di μὲν τοίνυν (col. III 19, 10926) e il rıcostruito assetto ἀϊνακύψαντες ἴδ[οιεν ἄν (col. IV 24, 109e4).

Non si delinea alcun accordo significativo (fondato su una serialità di innovazioni) con singoli rami tradizionali o testimoni della tradizione indiretta. Il testo del papiro é stato considerato nella recente edizione oxoniense di J.C.G. STRACHAN

(OCT,

I, 1995: sigla II7) che è

anche per noi l'edizione di riferimento. I7 (107d7) ov]roc di pap. è anche la lezione di BT WPQA;

οὕτως hanno invece SV Stobeo. Verosimilmente pap. (in lacuna) aveva ὅσπερ come BD T WPQ vid. SVA Stob. Ol.).

II 4 (108b5-6)

Plot. Procl. (ὥσπερ C ut

Non c’è spazio in pap. per la sequenza ἢ

ἄλλ᾽ ἄττα τοιαῦτα trasmessa concordemente dai codici e da POxy 2181 ( 80 41), frr. 41-42: evidentemente erano caduti

per aplografia o ἄττα ο ἄλλα. —

226—

POXY

10 (108b8-9)

3676

PHD.

0]v9 ἡγεμὼν pap., οὔτε ἡγεμὼν codd.

Sopra

o]v0 in pap. subito prima di v un trattino obliquo (accento acuto?).

III 3 (108e4) £yo- ὡς pap. Va notato il punto in alto prima di ὡς che introduce la frase secondaria. ὡς omesso dal solo Eusebio.

— L’omissione in pap. di ei prima di ἐστιν (forse dovuta a un'esigenza di semplificare la costruzione) é condivisa anche da Q e da Stobeo (qui si legge γῆ). 4 (108e5)

5 stato 9 —

τῶι ovpavot pap., codd.; τοῦ οὐρανοῦ Stob.

(108e5) av|tnv pap., αὐτῇ codd., testimonia. αὐτὴν è evidentemente considerato dallo scriba soggetto di δεῖν. (10922) αλλ pap., ἀλλὰ codd. Pap. si rivela immune dalle aggiunte di te (PQ) o ye (B^)

dopo | ἱκανὴν e di te (WPQAB?) dopo αὐτὴν. Attestata dal solo Eusebio l'iinversione dell'ordine delle parole ἴσχειν αὐτὴν εἶναι (εἶν. adr. Toy. cett.).

11 (10933)

Pap. inverte l'ordine delle parole: eavt]or av-

12 (109a3)

Pap. condivide la lezione αὐτῆς con B è Stob,;

του.

αὐτὴν hanno invece T Eus.

13 (10924)

icoppontav é omesso dai codici di Stobeo. Manca

la nota al riguardo in Strachan. 15 (10935)

Ancora

un accordo

(in lezione inferiore) tra

pap. e Ὁ (τεθέντος; gli altri hanno τεθὲν). Come sottolinea Haslam (104, nota ad loc.) & della terra e del suo non-movi-

mento che qui si discute, non dell’universo. Del resto, la forma al genitivo puó essere stata provocata (anche indipendentemente in pap. e in Q) dall’ ὁμοίου τινὸς che precede. 18 (109236) exov. pap. L’accento acuto e il punto hanno l'evidente scopo di individuare, nel contesto, la sequenza ὁμοίως δ᾽ ἔχον. Per l’impiego associato di accento acuto e punto, Haslam rinvia a POxy 841, XVIII 48 (Pi. Pae. 4, 44), avvertendo però che qui -xw è la sillaba finale di una domanda. — μενεῖν" pap. perperam; μένει B T δ Eus. Stob. Stephanus ha proposto congetturalmente μενεῖ in accordo con ἕξει (10925) e la sua proposta (peraltro anticipata dal Ven. Marc. Gr. 184, coll. 326) & in genere seguita. dagli editori. Haslam (105, nota ad loc.) pensa che l’infinito μένειν in pap. sia la spia di una continuazione della costruzione indiretta e invita a sup—

227 —

PLATO

46-47

plire in lacuna (τ. 15) el[&eıv (che risponderebbe anche meglio

al calcolo dello spazio).

19 (10926) Pap. omette μὲν τοίνυν dopo πρῶτον; ma τοίνυν è omesso anche da f Stob. (Eusebio ha μὲν δὴ, accettato a te-

sto da Robin e da Vicaire). Il testo piü semplice di pap. puó esercitare qualche suggestione, anche perché ci si trova in presenza di una divisione del resto della tradizione, ma μὲν totvuv

serve a riprendere e ribadire quanto affermato all'inizio della battuta. Burnet e Strachan (quest'ultimo dopo aver conosciuto il testo di pap.) seguono T è. Diverso valore ovviamente ha

ἔτι τοίνυν all'inizio della battuta successiva di Socrate: qui si aggiunge un nuovo punto (cfr. Rowe, Plato. Phaedo, 272, che rinvia a Denniston, 575-576).

— 1| δ᾽ ὅς pap. con B Tmg, Eus. Stob.; om. T δ. 22 (10929)

Caso di dissimilazione in pap.: navueyo.

25 (109b2) μικρῶι pap., σμικρῷ codd.

IV 7 (109d4)

Il calcolo dello spazio consente di dire che

pap. prima di ἑωρακότος aveva τοῦ (I. τοῦ) come in BT ὃ oppure tov come aveva suggerito Leopardi [cfr. G. LEOPARDI, Scritti filologici (1817-1832), a cura di G. Pacella e S. Timpanaro, Firenze, Le Monnier 1969, 482], ma non τοῦτο come leg-

giamo 1n Eusebio. Anche POxy 229 (> 80 47) ha 10v e contribuisce a isolare ulteriormente Eusebio. 13 (109d7) In pap. si legge (e si ricostruisce) τουτοῦ τοῦ [ovpavov, ma si richiede τούτου οὐρανοῦ come nella tradizione

manoscritta medievale e nei testimoni. Facile spiegare la dit-

tografia in pap.

16 (109e1) Bpayvtntoc è la lezione, del tutto isolata, di pap.; ad essa si oppongono la tradizione manoscritta medievale, ma anche Origene, Eusebio, Stobeo (βραδυτῆτος).

17 (109e1)

διελθίειν di pap. è lezione inferiore rispetto a

διεξελθεῖν dei codici e dei testimoni. Frequente la semplificazione della forma in singoli rami della tradizione platonica. 19 (109e2) Ciò che resta in pap. en [a]xpa basta a isolare

ulteriormente 8 che ha ἐπ’ ἄκρον. Ma pap. aveva un ordine delle parole (ex [o]xpa [avrov) diverso da quello delle altre fonti adn

POxy

2181

(>

80 41), fr. 44, 2 (αὐτοῦ

En’

ἄκρα). Questi dati mancano nell'apparato di Strachan. 21 (109e3) Non c’è spazio in pap. per ἂν prima di ἀνακύ—

228—

POXY

3676 - POXY

229

PHD.

yavta, caduto per aplografıa dai codici e da Stobeo e aggiunto congetturalmente da Stephanus (unde edd.). δὴ che leggiamo in Eusebio è quasi certamente dovuto a fraintendimento (‘da maiuscola’) di &v.

24 (109e4) Dopo verticale e una traccia con o[pwcı. Buona la, di Haslam (105, nota

o]|vakvwyavtec si vede in pap. un tratto di inchiostro, difficilmente compatibili cauta, proposta di lettura e integrazione ad loc.): ἀϊνακύψαντες té[owv ἄν. Non

c'è ragione però per modificare il testo dei codici, di Eusebio e Stobeo: ἀνακύπτοντες ὁρῶσι.

25 (109e5)

Dopo ev]Bade in pap. forse una kato stigme.

31 (109e7)

a]AnOivo[v pap. con T ὃ (compreso B’im) Ori-

gene, Eusebio, Proclo, Stobeo; ἀληθῶς B. Questa nota critica manca in Strachan. AC

47

Pbd.

109c1-d7

POxy 229

Sec. II? in.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library inv. 786. Edd.: B.P. GRENFELL

- A.S. HUNT, POxy II (1899), 126-127.

Comm.: MP? 1392 (= P^ 1392)

W. CRÓNERT, APF 1 (1901), 522;

IMMISCH, De praesidiis [1903], 12, n. 1; RITTER, Bericht [1912], 4, 43; GRENFELL, Value [1919], 28, n. 16; OLDFATHER [1923], 52; MILNE

[1927],

n? 146, p. 122; VICAIRE,

BL, IV.1 [1983], p.

LXXXVII; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 26; STRACHAN, OCT, ] [1995], 87.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 4,9x17) che resutuisce trenta righi (privi delle lettere iniziali) di una colonna di scrittura. In corrispondenza dei righi 28 e 29 si intravvedono solo deboli tracce di scrittura (forse e e a) della colonna successiva

e nell’intercolunnio si nota un segno a forma di virgola, la cui —

229—

PLATO

funzione

è incerta (McNamee,

47-48

Sigla,

table

3): è interpretato

come antisigma da Johnson, Papyrus Roll, 26. Il margine su-

periore conservato (cm 4,5) è occupato da due righi (con un’in-

tegrazione s.l.), vergatr in una corsiva del sec. II/ITI; la nota si

riferisce chiaramente a 109cd e vale come κεφάλαιον. 51 può leggere e integrare così: ὡς oi ἰχθύες δι᾽ ὕδατος τὸν οὐρανὸν] | [öp&oıv, οὕτως] ἡμεῖς δι’ ἀέρος. Il verso non è stato utiliz-

zato per la trascrizione di altro testo; sempre di una mano corsiva del sec. IUIII vi si legge 'A[86]p λ΄. Il testo presenta qua e là spiriti e accenti e merita attenzione nello studio del sistema di accentazione dei testi greci in età romana (cfr. Mazzucchi, Accentazione,

161); al r. 8, fe-

nomeno raro nei testi prosastici, è segnata la quantità della sillaba. Le pause di senso sono segnate non soltanto dall’ano stigme, ma anche, come del resto in altri esemplari (— 80 45),

dal doppio punto. Tutti quesu interventi sembrano dovuti allo stesso scriba, ma sono stati eseguiti probabilmente in un secondo tempo, a trascrizione conclusa. L'allineamento verticale

a destra non è rigoroso, nonostante l’impiego di segni riempitivi. $1 noti al r. 3 la forma non assimilata Svvilpeilv.

La scrittura, assegnabile all'inizio del sec. IIP, è una librarıa rotonda, bilineare, molto compatta se non addirittura com-

pressa, con trattini di coronamento obliqui alla base delle aste verticali (su quest’uso, cfr. Menci, Scritture, 50-51). Va notata

la forma ancora occhiellata dell’e. Non si registrano divergenze con la tradizione manoscritta

medievale; questa appare divisa solo a 109d1 dove pap. conferma l'originalità di μηδεπώποτε.

È rilevante in ogni caso il

sostegno che il frammento ossirinchita dà alla sequenza εἰωθότων

λέγειν (1092), sospettata da Burnet e da Verdenius, espunta

da Vicaire e da Rowe (cfr. infra). POxy 229, non preso in considerazione da Burnet né da Robin, figura tra i Fragmenta papyracea utilizzati da P. VICAIRE (BL, IV.1, 1983: sigla II”) e da J.C.G. STRACHAN (OCT, I, 1995: sigla Πρ). C'é una parziale sovrapposizione con la testimonianza di POxy 2181 fr. 43 (> 80 41). 1-2 (109c1-2)

Sull’originalità di εἰωθότων λέγειν, presente

in pap. come in tutte le altre fonu dirette e indirette, sono stati

espressi dubbi da Burnet (Plato’s Phaedo, 130) e da Verdenius —

230—

POXY

229

PHD.

- POXY

1016

PHDR.

(Notes, 238), essenzialmente perché l'uso attico prevede λέγειν περί τινος e non, come qui, περί τι (cfr. anche Dodds, Plato. Gorgias, 289). Vicaire e Rowe (Plato. Phaedo, 273) espungono i due termini, Strachan li considera invece autentici. Se anche

si trattasse di un’ espressione testuale ispirata da 108c7, τῶν περὶ γῆς εἰωθότων λέγειν, la sua origine sarebbe antica, come provato anche

da POxy

mente ‘secondario’

2181

(>

80 41), fr. 127, 3. Chiara-

il tentativo di correzione dell'assetto te-

stuale con l'espunzione di περὶ (per far dipendere τὰ τοιαῦτα da λέγειν) che si registra in Eusebio e in V (altra mano).

3 (10962) Pap. con i codici e Stobeo legge ταῦτα εἶναι; Eusebio inverte l'ordine delle parole. 4 (109c4)

Stobeo omette da solo τῆς prima di γῆς (habent

codd. POxy 229, POxy 2181 fr. 43,2, Eus.) 16 (109d1) μηδεπώποτε pap. con BT Eus. Stob., οὐδεπώποτε ὃ [compreso B^ (ov im)].

17-18 (109d1)

In pap. si ricostruisce sicuramente la lezione

ἀφιγμένος condivisa da tutte le fonti tranne che da Eusebio (ein ἀφιγμένος). Questa nota critica, presente in Vicaire, manca In Strachan.

21 (109d3)

Nonostante la mutilazione, in pap. lo spazio

consente l’i integrazione oc]o (/. ὅσῳ) che è la lezione di tutte le fonti, se si eccettua Stobeo (ὅσον). Questa nota critica, presente in Vicaire, è stata omessa da Strachan.

24 (109d4) του empax[otoc pap. che isola Eusebio (τοῦτο ἑωρακότος). Cfr. POxy 3676 (+ 80 46), ad loc. AC

48 Phaedrus 227a1-230e4

POxy 1016

Sec. III?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Toledo, Ohio, The Toledo Museum of Art. Edd.: A.S. HUNT, POxy VII (1910), 115-126. —

231—

PLATO

Tavv.: POxy VII, V; ROBERTS,

n° 84.

48

GLH,

20a; TURNER,

GMAW?,

— Pal: ROBERTS, GLH, 20; TURNER, GMAW?, 142; Ca.

VALLO, Maiuscola biblica, 22 n. 1; M.S. FUNGHI SAVORELLI, AnPap

- G. MESSERI

1 (1989), 40-41, nn. 9-10; M.S. FUNGHI - G,

MESSERI SAVORELLI, Note papirologiche e paleografiche. II. P.Oxy.

VII 1016 e P.Oxy. LVII 3885: uno stesso scriba, Tyche 7 (1992), 79-83. Comm.: MP? 1400 (= P? 1400) H. ALLINE, L'histoire et la critique du texte platonicien et les papyrus d’Oxyrbynchus 1016-

1017, RPh 34 (1910), 251-294: 288-294; RITTER, Bericht [1912],

6, 55-57; ALLINE, Histoire [1915], 144-145; GRENFELL, Value [1919], 28; WILAMOWITZ, Platon, II [1920], 362-363; COPPOLA,

Appunti [1924], 225; RoBIN, CLXXVII;

LEISEGANG

BL, IV.3

[1933], pp. CLXXVI-

[1950], 2362; PASQUALI,

Storia [19527],

256; VINZENT, Phaidros-Papyri [1961], 23-71; STARK, Bemerkungen [1962], 287; BUCHWALD, Phaidros [1964], 172-174: MORESCHINI [1966], 14 n. 37; DE VRIES, Commentary [1969], 4 e 33-58 (passim); CARLINI, Studi [1972], 70-71, 76; IRIGOIN, Rapport, 1972-

1973, 203 (= Tradition [1997], 73); L.C. YOUTIE, A terminus post quem for the Oxyrbynchus Phaedrus, ZPE 21 (1976), 14; MoRESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. CCXXIII; JOHNSON, Papyrus Roll

[1992], 31, 125.

Sei colonne consecutive e quasi integre del proemio del Fedro scritte sul verso di un rotolo papiraceo contenente sul recto un testo documentario del sec. II o III. Doveva esser stato co-

piato solo il proemio, a meno che non seguisse un intercolunnio eccezionalmente ampio. Alline 1910, 288 e Coppola,

Appunti, 225 pensano a una trascrizione per esercitazioni let-

terarie. La scrittura è una realizzazione diritta, di dimensioni medie, di stile severo, eseguita con notevole fluidità. Il testo

sul recto, scritto precedentemente, costituirebbe un terminus post se datato con sicurezza [la datazione proposta da L. Youtie 1976, 14 al 235? non sembra poter esser sostenuta da elementi interni al testo, cfr. J. ROWLANDSON, P.Oxy. XLII 3047, VII 1044, and the Land Tax in Kind, ZPE 67 (1987), 283- 291). Per il testo del Fedro viene proposta una data intorno alla metà del sec. III: vd. la discussione di Funghi

e Messeri Savorelli,

1992. La larghezza della colonna scritta & variabile (col. IV:

ca. 7,5 cm; col..V: ca. 6,5 cm), così come la lunghezza del rigo; Pallineamento a destra è irregolare e non ci sono segni riem—

232—

POXY

1016

PHDR.

pitivi; tuttavia il v in fine di rigo è spesso realizzato con un trattino in sospensione. L'altezza della colonnaè di ca. 24 cm, occupata da 42 (col. V) fino a 47 righi (coll. I, II).

La punteggiatura é data da ano stigme, 1l doppio punto al cambio di interlocutore, paragraphos (omessa a col. VI 239 nell'ed.pr.); l'uso di tali segni non è del tutto costante. La fine dell’estratto è segnalata da una diple obelismene (non si tratta di coronide, come segnalato nell’ed.pr.). Quanto agli emendamenti testuali, alcuni sono opera dello scriba stesso che corregge calamo currente; in uno o due casi [evidente quello di ὅτῳ corretto in ὁποίῳ a VI 267 (230e3)] si tratta di interventi di una seconda mano desunti senz’altro da un altro esemplare. POxy 1016 fu trovato insieme con POxy 1017 (anch’esso contenente il Fedro), ma i due manufatti sono del tutto diversi

sia nelle loro. caratteristiche esterne che in quelle testuali. Pur trattandosi di un papiro post-tolemaico il testo di POxy

1016 presenta un ragguardevole numero di lezioni nuove (in-

dizio di una trasmissione indipendente per il Prooemium?), e

ll suo valore testuale à, pià del solito, difficile da giudicare. Secondo Wilamowitz, Platon, II, ıl papiro scuote la nostra fiducia nella tradizione offrendo una «unverächtliche Reihe von Verbesserungen» (362) — ma sarà vero? Alline 1910, 291 è stato In grado di riscontrare come sicuramente affidabili solo tre delle lezioni del papiro, giudicandone dubbie altre dodici: entrambe le posizioni estreme si trovano sostenute. L’adesione indiscriminata di Vinzent per le lezioni del papiro può essere recepita solo come ‘parti pris’, mentre anche i migliori critici

ricorrono ad affermazioni come quella di de Vries, Commen-

tary, per il caso di 227c7 (I 32), dove il papiro omette il yàp

della tradizione medievale, che «nothing compels us to deviate here from the unanimous mss. tradition» (37) - un giudizio che può esser vero (se si dimentica che anche i papiri sono ‘manoscritti’), seppure pregiudiziale. Proviamo a sostituire l’e-

spressione «il testimone più antico» a «unanimous mss. tradi-

tion» (ovvero invertiamo il pregiudizio), e il testo risulterà assal diverso.

Fatto salvo qualsiasi apriorismo, si può dire che il testo del

papiro è alquanto inaffidabile. È stato copiato con trascura-

tezza da un esemplare con punti illeggibili e non ha benefi—

233 —

PLATO

48

ciato delle necessarie cure di un correttore. Del tutto errata

l'affermazione di Coppola, Appunti, 225 che il testo sia stato

«curato con diligenza» (vd. IV 160, V 187-188, VI 229, rette. Lo scriba pensava solo vd. I 4, 40, III 115-116, IV

anche Alline 1910, 288-289). Vd. 232, tutte sviste rimaste non cora metà a quello che stava facendo: 151, 179-180, dove rettifica egli

stesso 1 propri errori. Dobbiamo inoltre tener conto della possibilità che altre omissioni o alterazioni inconsapevoli siano passate inosservate si da diventare ‘perle’ per lo sciocco. Facili da individuare alcune banalizzazioni: vd. III 123, VI

259 (Vinzent, Phaidros-Papyri 48, 70 difende le lezioni del pa-

piro in entrambi i casi). Non si può arguire se corruttele di questo tipo siano opera del nostro copista o di uno precedente.

Sarà da attribuire allo stesso genere delle banalizzazioni inconsapevoli anche la prima delle tre lezioni del papiro senz’al-

tro accolte da Alline 1910, 289-291, e può darsi tutte e tre: | 32-33, III 92, V 185-186.

Delle altre nuove lezioni del papiro molte hanno trovato difensori,ma sono affidabili ben poche (vd. I 4, 5, 11-12, 1415, 18, 40, 41, II 81, 85, III 96, 101, 103, 106, 126-127, 132, IV 152-153, 154, 163, 176, VI 254, 267).

Ma non sempre al papiro è stata resa giustizia: vd. I 25-32, III 119, IV 144, VI 254. Il papiro porta alla luce casi in cui la tradizione medievale è incorsa nella tendenza alla trivializza-

zione, proprio del tipo che il testo del papiro stesso manifesta altrove.

E sempre incoraggiante scoprire in un papiro una conget-

tura moderna: vd. II 74, III 133, anche se in entrambi 1 casi dubbi devono restare.

Sono da notare alcune peculiarietà ortografiche. Iliso &

scritto correttamente con un solo o (iAıcov IV 142 [229b5], iA[tco]v III 121-122

[22921]:

Ἰλισσ-

codd.;

a VI

244-245

(230d1) alctewg non ἄστεος (non segnalato da Moreschini 1966 e 1985: vd. Verdenius, Phaedrus, 270 e Vinzent, PhaidrosPapyri, 68) a IV 175 (229d7) avrıc non αὖθις; a II 72 (228b4) eyanoı cioè ἐγῴμαι (segnalato da Moreschini

Moreschini 1985), a VI 245 (230d1) £g. Non

1966, ma non da

si segnalano le

particolarità dell'elisione. Talora il papiro offre una lezione diversa da quella della maggior parte dei codici ma che ricorre più tardi nella tradizione, sia questa o no frutto di congettura. Naturalmente le

— 234—

POXY

1016

PHDR.

lezioni che hanno piü probabilità di essere corrette sono an-

che quelle meno significative: vd. VI 239, 253, e cfr. 121 e IV 179, 11 78-79, III 126, IV 145-146, VI 263.

Il papiro dimostra l’antichità di corruttele in entrambe le famiglie maggiori (pace Pasquali, Storia, 256): vd. VI 230-231 (in errore con B), II 60 (in errore con T). Altri accordi con B

contro T W (vd. a I 16, III 112, V 199) e - più frequentemente, mostrando cosi la qualità di B, pieno di errori - con T o T W contro B [vd. a III 103 (228d4- 5), 138, VI 254-255, 264, 266; cfr. III 103

(228d5)]

sono o possono essere giusti.

Vd. anche 1 19, VI 258-259. Non ci sono coincidenze con lezioni singolari di W Lezioni peculiari dei vari testimoni della tradizione indiretta non trovano appoggio nel papiro con una sola eccezione, vd. V 223.

Notevole l’accordo con la tradizione manoscritta, giusta o sbagliata che sia,.a IV 150. Se Moreschini ha ragione a espungere 229d1-2, anche questa corruttela è condivisa dal papiro e dalla tradizione medievale (vd. IV 164-167). Accordi con con-

getture moderne si limitano a quelli già citati (II 74, III 133). Il testo è stato collazionato sulla base dell'edizione di C. MoRESCHINI, BL, IV.3 (1985).

Per 1 criteri seguiti nell'analisi filologica dei papiri del Fedro si veda supra, p. XVIII.

14 (22733)

Il papiro condivide l'ordo verborum dei codd.

rispetto all’ı inversione di Hermias (τείχους πρὸς περίπατον). — Per ἔξω τείχους era scritto εξωχοῦς, svista rettificata

dallo scriba stesso, che ha scritto ter nell'interlineo sopra ox. -- μικρὸν (με[Πκρον) pap. invece di συχνὸν: forse un errore antitetico piuttosto che indotto da un μακρὸν intermedio,

come suggerito da R. Stark (ap. Vinzent, Phaidros-Papyri, 2324)? Vinzent, Phaidros-Papyri, 23 ritiene che la lezione del papiro getti luce sull’attegggiamento di Platone nei confronti di Lisia, ma quest’ ipotesi é criticata da de Vries, Commentary, 33.

5 (22723) γὰρ | [δὴ (?) £]xei ἔτριψα invece di yàp ἐκεῖ διέτριψα. La lettura del papiro è dubbia, tuttavia non sembra esser stato scritto διέτριψα. 11-12 (227b2) La versione del papiro καλῶς Y ἔφη [ὦ

ἑ]ταῖρε, difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 25-26, è senz’al—

235—

PLATO 48

tro inferiore a quella inimitabilmente idiomatica καλῶς γάρ, ©

ἑταῖρε, λέγει della tradizione medievale (vd. de Vries, Commentary, 34 e cfr. Heitsch, Phaidros, 170-171

14-15 (227b4-5)

n. 363).

Dove i codici hanno ἐν τῇδε τῇ πλησίον

tod Ὀλυμπίου οἰκίᾳ τῇ Mopvyia (πλησίον τοῦ ᾿Ολυμπίου secl.

Naber, Mnemosyne n.s. 36, 1908, 217), il papiro ha ἐν tnóe tnt nAncıov [r]n (sic) Mopuxiat οἴκιαι, ma con uno spazio di

una lettera lasciato in bianco prima di oıkıaı (non registrato

nell'ed.pr. ma visibile chiaramente). Il secondo articolo, condannato da Alline 1910, 289, è accolto da Vinzent, Phaidros-

Papyri, 26-27, il quale difende l’intera lezione del papiro, secludendo τοῦ 'OX- (glossa inserita nel testo? Dubbi esprime de Vries, Commentary, 34), seguito da Buchwald, Phaidros, 173. Malgrado l'apparenza, l'ipotesi più plausibile sembra quella

che fosse il testo tradizionale alla base di quello del papiro. Non c’è motivo di eliminare tod Ὀλυμπίου senza πλησίον. 16 (227b6) δὴ ([6]n pap.) cum B : om. T W. Vd. introd. P. nu 8 (227b8) [cx]oÀn εἰ cot pap. incomprensibilmente per seien εἴ σοι 0X0AT; e sono omessi i due punti attesi dopo

εἱστία (ἴστια) e dopo axovew (tutt'e due a fine di riga); 1] ten-

tativo di Vinzent, Phaidros-Papyri, 27-28 di difendere, contro

Alline 1910, 289, la lezione del papiro, non è tuttavia plausibile (vd. de Vries, Commentary, 35). 19 (227b9) Il testo generalmente accolto è ti δέ. Il papiro ha [τι öJaı (1 integrazione, messa in dubbio da Vinzent, Phai-

dros-Papyri, 27-28, è fuori discussione), una lezione riportata in vari modi per B (0 Bpc; ma Moreschini non registra affatto ti dai), per Vat. Gr. 225 (V), e per Ven. Marc. Gr. 189 (coll.

704) (da Bekker, non da Vinzent). Giusta (Buchwald, Phaidros, 173; de Vries, Commentary,

35; Heitsch, Phaidros, 263)

o erronea che sia (cfr. Denniston, 262, per l’alternanzaa de/dai in Platone), è lezione antica. 21 (227b10) ποιήσασθαι pap., Par. Gr. 1811, Esc. y. I. 13: ποιήσεσθαι

BTW.

Gli editori sono divisi su quale sia la

lezione giusta (Vinzent, Phaidros-Papyri, 28-30; Verdenius, Phaedrus, 265; de Vries, Commentary, 35-36; Rowe, Phaedrus, 136; Heıtsch, Phaidros, 263), e la coincidenza tra il papiro e 1 recentiores può non essere significativa. Vd. introd. P. 235.

25-32 (227c4-7)

In questo passo il papiro non ha ἦν dopo —

236—

POXY

1016

PHDR.

λόγος, aveva, a quanto pare, μὲν fra γέγραφε e γὰρ δὴ (yeypallpe

μ]εν yap δη), e non aveva, a quanto pare, γὰρ dopo λέγει (λέγει ὡ]ς, Aél[(ye)) yàp ὧὡ]ς per aplografia, possibile ma meno probabile; non plausibile Aé[yov &]c, proposto da Vinzent, Phai-

dros-Papyri, 32 e accolto da Buchwald, Phaidros, 173). Tutte e tre le lezioni sono respinte da Moreschini ma può darsi che

tutte siano giuste. ἦν è forse un caso di interpolazione della copula (Alline 1910, 289; Vinzent, Phaidros-Papyri, 31; Buchwald, Phaidros,

173; de Vries, Commentary,

36), benché non

si possa qui esserne tanto sicuri, dal momento che questa non è la posizione più naturale per la sua interpolazione e l'omissione sarebbe stata facile fra λόγος e περὶ ὃν; μὲν offre una lo-

cuzione genuinamente platonica [Vinzent, Phaidros- -Papyri, 31; Buchwald, Phaidros, 173 (omette a torto il δὴ presente in pap.); de Vries, Commentary, 36], ma, nello stesso tempo, poteva facilmente cadere. L’ aggiunta di γὰρ per evitare l'asindeto (al quale inspiegabilmente fa obiezione Alline 1910, 289) & molto più probabile della sua omissione. Vd. introd. p. 233. 32-33 (227c7-8)

χαριστέον (τῷ) um ἐρῶντι μᾶλλον ἢ (τῷ)

ἐρῶντι: il papiro ha gli articoli che mancano nel testo trädito dai manoscritti medievali. La lezione del papiro & accolta da Alline 1910, 289, ma verosimilmente è erronea: utrum in alterum? Vd. introd. p. 234. 40 (227d2)

Strana omissione di οἱ λόγοι καὶ ἔγωγε, sanata

dallo scriba stesso. —

καὶ ἔγωγε pap. : ἔγωγ᾽ οὖν B T : ἐγὼ γοῦν W.

La le-

zione trasmessa dalla tradizione medievale ha causato difficoltà

(de Vries, Commentary, 37-38): ciò che il papiro riporta in sua vece è da considerarsi lectio facilior, nonostante Vinzent, Phaidros-Papyri, 33-34, seguito da Buchwald, Phaidros, 173. 41 (227d3) αὐτῶν prima di ἀκοῦσαι: nonostante Alline 1910, 289, seguito da Vinzent, Phaidros-Papyri, 34 (vd. Ritter,

Bericht, 56), da considerare interpolazione (cfr. de Vries, Commentary, 38).

II 60 (22826)

Pap. condivide con T l'aggiunta di δ᾽ dopo

ed (B W) che serve a evitare l'asindeto (de Vries, Commen-

tary, 39; la lezione di pap. è preferita però da Vinzent, Phaidros-Papyri, 35, seguito da Buchwald, Phaidros, 173; cfr. Alline 1910, 291). Vd. introd. p. 235. —

237—

PLATO 48

74 (228b5)

W.

πάνυ τι pap., iam coni. Schanz : πάνυ τις B T

Benché questo possa essere un caso di ‘conferma in-

gannevole' (cosi Alline 1910, 289; Verdenius, Phaedrus, 266),

gli editori moderni sono forse nel giusto, quando l accolgono

(cfr. de Vries, Commentary, 40). 78-79 (228b7) La maggior parte dei codici presenta lo sconcertante ἰδὼν μὲν ἰδὼν, variamente trattato da studiosi medie-

vali e moderni (Thompson, GLP, 5; Verdenius, Phaedrus, 266; Denniston 365; Moreschini, Note critiche al Fedro, 422; Rowe,

Phaedrus, 138; Heitsch, Phaidros, 73 n. 86): il papiro convalida la soluzione adottata da t (teste Moreschini) e dal corret-

tore del Coisl. 155 (teste Vinzent, Phaidros-Papyri, 38) che semplicemente scioglie la difficoltà, eliminando il secondo ἰδὼν; il testo della paradosis è evidentemente una fusione (cfr. de Vries, Commentary, 41). 81 (228c1) Dove e tràdito ἐκέλευε, il papiro è danneggiato ma c’è spazio all’inizio per più lettere ([..g]xgAeve è la trascrizione dell’ed.pr.; ulteriori deterioramenti hanno fatto cadere keA). Se sussisteva una lezione più lunga, con una particella (ye o δὴ Hunt) o un prefisso (ἐπεκέλευσε Vinzent,

Phaidros-Papyri, 39), non & possibile sapere quale fosse (cfr. de Vries, Commentary, 41). 85 (228c3)

ἔλεγεν per ἔμελλε: influenzato da λέγειν scritto

poco prima? La lezione del papiro, certo erronea (cfr. de Vries, Commentary, 42), è stata difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 39-40. 92 (228c7) In pap. è scritto non ὅπως δύναμαι (codd.) m ὅπως ἄν δύνωμαι (οἰπίως elav: εαν, piuttosto che av per ra-

gioni di spazio, grafia errata, come a III 123 [229a2], usuale

‘nei papiri: per questa ragione non ha alcun significato la convergenza tra pap. e T a III 138 [229b2]). Le due lezioni sembrano più o meno indifferenti come alternative, ma quella del papiro, sebbene accolta da Alline 1910, 290 (vd. introd. p. 234), seguito da Vinzent, Phaidros-Papyri, 40 (contra vd. de Vries, Commentary, 42), può essere ancora un’altra banalizzazione

del nostro scriba.

ΠῚ 96 (228d1) οὕτω νῦν pap.ac, οὕτω τοίνυν pap.pc: οὑτωσὶ τοίνυν codd. νῦν per τοίνυν ἃ difendibile, anche se piü verosimilmente si tratta di aplografia di tor dopo τὼ (Vinzent, Phaidros-Papyri, 41-42). —

238—

POXY

101 (228d3)

1016

PHDR.

Pap. offre πάντων (π[α͵ντων) per ἁπάντων dei

| codd. (Vinzent, Phaidros-Papyri, 42). 103 (228d4-5) Complicata da valutare & la presenza di otv

dopo ἐν κεφαλαίοις, in quanto cambia la costruzione della frase rendendo τὴν μέντοι διάνοιαν dipendente da ἐξέμαθον. Alline (1910, 290) la definisce «spécieuse», con ragione, mentre Vinzent, Phaidros-Papyri, 43-44 la difende, seguito in questo da Buchwald, Phaidros, 174. Il fatto che con οὖν si elimini

un anacoluto lo condanna più che raccomandarlo (cfr. de Vries,

Commentary, 43). Cosi la parola seguente, ἕκαστον — assente in B ma presente nel papiro e in T W — , può essere stata eliminata nel tentativo di trovare una differente soluzione al me-

desimo problema. 106 (228d6) Il papiro reca ancora una novità rispetto alla

tradizione medievale che è divisa: non ti ἄρα come B, né ti ἄρα ὃ come T W, ma ὃ soltanto. Benché la lezione di T e W

possa essere considerata un accumulo di varianti, una delle quali viene attestata ora dal papiro (cosi Alline 1910, 290 e de Vries, Commentary, 43: la lezione preferita è quella di B), sem-

bra plausibile che T e W offrano la lezione giusta, e che la le-

zione di B, come quella del papiro, sia una semplificazione (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 44-45).

112 (228e1) Pap. condivide con T W l'omissione di kai (B) prima di Λυσίου, difesa da Alline 1910, 291-292 e da Vinzent, Phaidros-Papyri, 46, accolta da Buchwald, Pha:dros, 174.

Vd. introd. p. 235. Sul valore di questo xai vd. Verdenius,

Phaedrus, 266-267 e de Vries, Commentary, 43-44. 115-116 (228e4) Dopo ἐκκέκρουκάς pe era scritto τῶν

ἐλπίδων invece di ἐλπίδος, quindi rettificato dallo scriba stesso. 119 (228e4) ποῖ pap. : ποῦ codd. La lezione del papiro è respinta da de Vries, Commentary, 44, ma il criterio dell'strum in alterum pare far preferire la lezione del papiro (ctr. Wilamowitz, Platon, II, 363; Vinzent, Phaidros-Papyri, 46-47; Buchwald, Phaidros, 174; Moreschini, Note critiche al Fedro,

422-423).

123 (229a2) Al posto di £v ἡσυχίᾳ in pap. è scritto il più familiare καθ’ ἡσυχίαν: una sostituzione banale, forse aiutata

dal κατὰ della linea precedente (Alline 1910, 290), difesa tuttavia da Vinzent, Phaidros-Papyri, 48 e accolta da Buchwald, Phaidros, 174 (entrambi fraintendono il significato di ἡσυχία:

cfr. de Vries, Commentary, 45). —

239—

PLATO 48

126 (22924) δὴ om. pap., Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326). L'omissione è difesa da von der Mühll [Platonica, MH 9 (1952), 58-59] e da Vinzent, Phaidros-Papyri, 48, seguiti da Buchwald, Phaidros, 174, ma & forse un errore dello scrıba (Verdenius, Phaedrus, 267); de Vries, Commentary, 45 pensa a un pév so-

litarium. L'accordo col Ven. Marc. Gr. 184 non è necessaria-

mente significativo. Vd. introd. p. 235. 126-127 (22924) In pap. si legge θᾶσσον per ῥᾷστον: er-

rore strano, forse di origine grafica. ἄριστον fu proposto da Naber [Platonica, Mnemosyne n. s. 36 (1908), 217-288: 217].

Nonostante Alline 1910, 290 ritenga entrambe le lezioni interessanti (Ritter, Bericht, 56), il testo tràdito dai manoscritti è

da preferirsi secondo Vinzent, Phaidros-Papyri, 48-49 e de Vries, Commentary, 45.

132 (22947) ἅμα è omesso: molto meglio giustificabile la perdita dell’aggiunta: cfr. de Vries, Commentary, 45, contro Vinzent, Phaidros-Papyri, 49, che ritiene ἅμα superfluo. 133 (22937) καθεδούμεθα pap., iam coni. Vollgraff : καθιζησόμεθα codd.

Cfr. 22922 subito so ra, ove però il papiro

(III 123-124) concorda coi codici nel καθιζησόμεθα invece del-

l'attico καθεδούμεθα proposto da Vollgraff. Moreschini 1966 aveva accolto καθεδούμεθα

iin entrambi i casi (con diversa ac-

centazione καθεδοῦμεθα), ma non si può trascurare con leggerezza l’esplicita testimonianza di Anecd. Gr. I, 101, 2 Bekker

καθιζησόμεθα ἀντὶ τοῦ καθεδούμεθα Πλάτων Φαίδρῳ. In ef-

fett! questa può gettare sospetti sul καθεδούμεθα del papiro

nel secondo luogo, ma forse è da accettare la mancanza di

uniformità offerta dal papiro, come ha del resto fatto anche

Moreschini 1985 (vd. anche Wilamowitz, Platon II, 363 e de Vries, Commentary, 46). 138 (229b2) Il papiro conferma βουλώμεθα di T W con-

tro βουλόμεθα di B. Per ἐὰν di

pap. e T W in luogo di àv di

B (dati non registrati da Moreschini 1966 e 1985) vd. Vinzent, Phaidros-Papyri, 50 e de Vries, Commentary,

II 92 (228c7)].

46 [cfr. supra a

IV 144 (229b7) Il papiro riporta xoi prima di ἐνθένδε (la lezione & sfuggita alla registrazione di Alline 1910). Vinzent, Phaidros-Papyri, 52-54 lo difende, associando tuttavia la sua difesa ad una implausibile trasposizione (cfr. de Vries, Commentary, 47, 49). Sorprende che nessun altro l'abbia difeso,

— 240—

POXY

1016

PHDR.

perché & sicuramente giusto. Fedro continua la sua precedente domanda, οὐκ ἐνθένδε ποθέν; confermata da Socrate con dp

οὖν καὶ ἐνθένδε; («Was this che actual spot?» trad. Hackforth di un testo senza καὶ).

145-146 (229b7- 8) La paradosis è καὶ καθαρὰ καὶ διαφανῆ:

il papiro dà καὶ διαφανῆ καὶ καθαρὰ, in accordo con uno dei recentiores, il Ven. Marc. Gr. 189 (coll. 704). Ma δια- nel papiro è corretto da ka-: evidentemente lo scriba aveva iniziato a scrivere καθαρὰ (cioè era saltato da un καὶ al successivo),e si era corretto calamo

currente (Alline 1910, 295 pensa a un

errore nell antigrafo). Quello che si conserva nella tradizione medievale è probabilmente un prodotto differente del medesimo errore — καὶ διαφανῆ omesso e poi reincorporato (Vinzent, Phaidros-Papyrı, 54, seguito da Buchwald, Phaidros, 174, considera καὶ καθαρὰ una glossa: cfr. anche Stark, Bemerkungen, 287 e vd. contra de Vries, Commentary, 47). 150 (229c2)

Pap. insieme alla tradizione medievale dà τῆς

"Aypo (sul significato di questo genitivo Verdenius, Phaedrus, 267-268) non ev "Aypag o τῆς ᾿Αγραίας: sembra essere una cor-

ruttela diffusa nella tradizione già nell’antichitä: cfr. Wila-

mowitz, Platon, II, 363; P. CHANTRAINE, METPOZ EN ATPAZ, C&M 17 (1956), 1-4; Vinzent, Phaidros-Papyri, 54-55; P. CHAN-

TRAINE, Encore

Ev

"Aypag,

RPh

92 (1966), 37-39; de Vries,

Commentary, 47. 151 (229c2) Un originario καὶ τοῦτ᾽ (diversamente ed.pr., che legge. καὶ τοῦτι in pap.ac; per il segno di elisione cfr. I 11 [227b2: γ᾽ di pap. contro γὰρ dei codd.]), in luogo di kai πού τις (T W: καί πού τι B), è stato corretto dapprima trasformando τοῦ in zov e, forse, eliminando 1° (tratto obliquo che attraversa 1), poi, per un ripensamento (Hunt in ed.pr.), man-

tenendo τ e aggiungendo i Lt. t e s.l. o (solo quest'ultimo secondo ed.pr.). Non & chiaro se la correzione sia stata fatta dallo scriba, accortosi di un proprio errore di trascrizione (come infra a 179-180)

o da una seconda mano (come a VI

267 infra); la prima eventualità sembra più probabile. In entrambi i casi non sembra che τι di BD trovi alcuna attestazione nel papiro. 152-153 (229c4) ἐννενόηκα per νενόηκα: errore in parte di origine fonetica (preceduto da navv)? La lezione del papiro, giustamente respinta da Alline 1910, 290 e da de Vries, Commentary, 48, è difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 56.

— 241—

PLATO

154 (229c5)

48

σὲ per ov: veniva frainteso il successivo πείθει

all’attivo anziché al medio? Diversamente Vinzent, PhaidrosPapyri, 58, criticato da de Vries, Commentary, 48. 160 (229c8)

Al posto di συν prima di φαρμακείᾳ è scritto

163 (229c9)

Omissione di τοῦ prima di Βορέου: non liquet,

l'incomprensibile ovn.

nonostante Vinzent, Phaidros- -Papyri, 59-60. 164-167 (229d1-2)

Le parole ἢ ... ἡρπάσθη, così tràdite dai

codici e dal papiro, omesse da Ermia, furono espunte da Bast, Schanz e Moreschini (Thompson, GLP, 7-8, Jachmann, Der Platontext, 316; Moreschini, Note critiche al Fedro, 423); Hein-

dorf e Robin le trasposero dopo ἁρπάσαι (05), Vinzent, Phaidros-Papyri, 51-54 dopo λέγεται (b6), criticato in questo da de Vries, Commentary, 49. Il testo tràdito è stato difeso da F. BLASS, Kritische Bemerkungen zu Platons Phaidros, Hermes 36 (1901), 580-596: 583 (cfr. Verdenius, Phaedrus, 268; Rowe, Phaedrus, 140). 176 (229d7) Omissione di καὶ prima di ἐπιρρεῖ dè: una

semplificazione sintattica. Diversamente Vinzent, PhaidrosPapyri, 61, giustamente criticato da de Vries, Commentary, 50.

179 (229e1) πλήθει te καὶ ἀτοπίᾳ pap., Par. Gr. 1811, Par. Gr. 1812pc, Athenaeus : πλήθη te καὶ ἀτοπίαι BT W, Galenus. Qui come a I 21 (227b10) gli editori sono divisi su

quale sia la lezione giusta (vd. Vinzent, Phaidros-Papyri, 6162, de Vries, Commentary, 50, l'apparato ad loc. in Moreschini 1985 e Heitsch, Phaidros, 73-74 n. 89), e la coincidenza puó non essere significativa. Vd. introd. p. 235. 179-180 (229e1)

Lo scriba aveva scritto θρεμμάτων (scritto

prima Bepu- poi corretto) invece di τερατολόγων, ma ha rettificato la svista prima di proseguire, cancellando θρεμμα e correggendo τῶν in tepor- (diversamente ed.pr., seguita da Moreschini). V 185-186 (229e4)

πρὸς τὰ τοιαῦτα pap.

: πρὸς ταῦτα T

W: πρὸς αὐτά B. La lezione del papiro viene largamente preferita (raccomandata da Wilamowitz, Platon, II, 363, accolta nel testo da Robin, da Moreschini e da Buchwald, giudicata favorevolmente da Vinzent, Phaidros-Papyri, 62-63, da de Vries, Commentary, 50-51 e da Heitsch, Phaidros, 263), ma

non pare attendibile, considerata la tendenza del papiro ad alterare il testo che ci si aspetterebbe. Vd. introd. p. 234.

— 242 —

POXY

187-188 (229e5) τουτου: dittografia.

199 (23024)

1016

PHDR.

In pap. invece di τούτου È scritto tov-

In pap. come in B manca ὃν tra θηρίον e

τυγχάνω; è ancora possibile che si tratti di un errore di aplografia (Burnet accoglie nel testo öv di T W), ma ora sembra più probabile che il participio fosse aggiunto per normalizzare la sintassi (cfr. Verdenius, Phaedrus, 269; Vinzent, Phaidros-

Papyri, 64; de Vries, Commentary, 51). 223 (230b7) Pap. dà l'esatto ὥς ye in accordo con Aristeneto ed Ermia, di contro a ὥστε ye della tradizione manoscritta (B T WP : ὡς τό γε D) [secondo de Vries, Commentary, 54, la

registrazione di ὥς ye anche per Ermia è erronea, ma il controllo sull’edizione di Couvreur (43, 10) dà ragione a Robin, Vinzent e Moreschini]. ὥστε ye probabilmente trae origine in ὥστε con γε soprascritto, cfr. ἰδὼν μὲν ἰδὼν a 228b7 (vd. a II 78-79: Verdenius, Phaedrus, 269). VI 229 (230c1) Lo scriba ha lasciato una lacuna di due lettere dove dovrebbe esserci τὸ. 230-231 (230c2)

Pap. condivide ἤδη con B: ἡδύ T WP. La

lezioneè intelligibile ma meno adatta al contesto (così Alline 1910, 292; è difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 66-67 e accolta da Buchwald, Phaidros, 174): di origine fonetica (cfr. de

Vries, Commentary, 55). Vd. introd. p. 235. 232 (230c2)

In pap. si legge vnxet per ὑπηχεῖ.

239 (230c7) σὺ δέ ye recte pap.T° [cosi giustamente (f. 109, col. 2, l. 12) de Vries (Commentary, 56); Vinzent, (PhaidrosPapyri, 67-68) attrıbuiscono la lezione a T, Burnet a W; Mo-

reschini non la registra], alcuni recentiores [Vinzent, PhaidrosPapyri, 67-68 cita Barb. Gr. 270 (ye supra δὲ scriptum, Par. Gr. 1811 (σὺ οὐδέ ye) ed Esc. y. I. 13 (σὺ supra οὐ scriptum]:

od B T WP. Il papiro evita una corruttela di B T W (cfr. Pasquali, Storia, 256, che però si fonda sui dati errati riferiti da

Burnet). Il papiro non dà motivo per considerare che σὺ nei recentiores (tutti appartenenti alla famiglia di T) sia altro che congetturale, o anche frutto di una scelta tra due lezioni, una

delle quali (οὐ) originata da Tac o da una cattiva lettura di Tpc. Cfr. VI 253 (230d6), e vd. introd.p. 235. 253 (230d6) Qui ancora (cfr. capra a VI 239) il papiro offre il giusto σὺ con T^ [cosi giustamente (f. 109, cooL 22,1. 19) Moreschini, che cita anche D; Vinzent, Phaidros-Papyri, 68 at-

— 243—

PLATO

48-49

tribuisce la lezione a T] e alcuni recentiores (Vinzent cita Coisl.

155, Par. Gr. 1811, Esc. y. I. 13, Barb. Gr. 270 e Laur. 85, 6) contro οὐ dei principali Manoscritti. 254 (230d6) γε dopo μέντοι e assenza di μοι fra δοκεῖς e τῆς ἐμῆς ἐξόδου (quest'ultima lezione non registrata da Mo-

reschini 1966, ma giustamente riportata in Moreschini 1985):

forse entrambe giuste (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 68-69). 254-255 (230d6-7) Il papiro conferma δοκεῖς ed ἐμῆς ἐξόδου di T WP contro δοκεῖ ed ἐξόδου di B. 258-259 (230d8) Qui, ove B T W come pure Ateneo sono

concordi nella lezione προσιόντες, il papiro dà il corretto

προσείοντες, che viene riportato non solo da t (man. rec. in T) ma anche dal codice P [= Vat. Pal. Gr. 173, della metà del X sec.: cfr.

M. MENCHELLI, BollClass s. III 12 (1991), 93-117],

del cui testo sopravvivono solo frammenti; ma la differenza fra ı e εἰ è minima, 259 (230d9) Il testo del papiro conclude la clausola ın ὥσπερ (d7) non con σὺ ἐμοὶ λόγους οὕτω ma normalizzando

(cfr. de Vries, Commentary, 58) l'ordine delle parole in οὕτω

σύ por λόγους, lezione difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 70 e accolta da Buchwald, Phaidros, 174. 263 (230e1) La lezione ὅπῃ del papiro di contro a ὅποι dei

codici maggiori & registrata da Vinzent, Phaidros-Papyri, 71 per numerosi recentiores, Par. Gr. 1810, Neap. 337 (III. E. 15), Laur. 85, 6, Ven. Marc. App. Cl. IV. 54 (coll. 984), Esc. y. I. 13, Coisl. 155. Forse un accordo in errore, ma non necessa-

riamente significativo. Vd. introd. p. 235. 264 (230e2)

Il papiro condivide δ᾽ οὖν di T contro οὖν di

B W (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 71 e de Vries, Commen-

tary, 58). 266 (230e3) Il papiro conferma κατακείσεσθαι di T (cfr. già C.G. CoBET, Variae Lectiones, Lugduni Batavorum, Brill 1858, 245) contro κατακεῖσθαι di BW (cfr. Vinzent, PhaidrosPapyri, 71); de Vries, Commentary, 58 ritiene, tuttavia, possibili entrambe le lezioni. 267 (230e3)

ὅτωι (sic, non onw come Moreschini) pap.ac:

ὁποίῳ pap.pc e codd.; la prima lezione presumibilmente erronea (nessun cenno in Vinzent, Pbaidros-Papyri, 71). MWH

— 244—

1016 - PTURNER

POXY

7+POXY

2102

PHDR.

49 Phdr.

233e3-234b1;

242d4-244e1

PTurner 7 (= PSI inv. 1921) + POxy 2102

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli’; Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: PTurner 7: A. CARLINI, PTurner (1981), 31-33; POxy 2102: A.S. HUNT, POxy XVII (1927), 167-172. Tavv.: PTurner, V; SCO 32 (1982), XXVII (POxy 2102).

Pal.:

G. MENCI, Osservazioni paleografiche ad alcuni papiri letterari,

SCO

32 (1982),

249-252:

249-251.

Comm.: MP? 1400.1 (= P! 1402) CLXXVI-CLXXVII; JACHMANN,

ROBIN, BL, IV.3 (1933), pp. Der Platontext [1941], 304 n.

1; PASQUALI, Storia [1952?], 256-257; VINZENT, Phaidros-Papyri [1961], 124-143; STARK, Bemerkungen [1962], 289-290; BUCHWALD,

Phaidros [1964], 172-176; DE VRIES, Commentary [1969], 4, 6970, 108-117;

CARLINI,

Studi [1972], 69, 72 n. 106; TURNER, GP

[19807], 116 (= PG [1984], 136); MORESCHINI, BL, IV.3 [1985], pp. CCXXIV-CCXXV; JoHNSON, Papyrus Roll [1992], 45-46,

74, 128-129, 155, 159, 161, 163, 176, 187, 195, 225, 253, 274, 283,

290, 293, 297, 301, 304.

Rotolo papiraceo con il verso privo di scrittura. PTurner 7 conserva resti della parte inferiore di due colonne successive, POxy 2102 conserva nove colonne complete. Scrittura di modulo medio, rotonda e diritta, probabilmente da assegnare all'ultima parte del II secolo d.C. Colonne di dimensioni ridotte (altezza cm 15, larghezza cm 4,5/5 ca.), occupate in media da 29 righi di ca. 14-17 lettere. Margine superiore e inferiore di ca. cm

5/5,5

ciascuno,

intercolunnio di ca. cm 2/2,5.

E conservata l’altezza originaria di cm 25,5. I calcoli di Mencı, 250-251, cui si deve anche l’unione dei due frammenti, por-

— 245—

PLATO

49

tano a ipotizzare un rotolo di circa m 12. I segni di riempimento che contribuiscono all'allineamento del margine destro assumono una forma insolita che puó variare da quella di una lineetta a un semplice punto; l'allineamento si ottiene anche restringendo o dilatando le dimensioni delle ultime lettere de] rigo. 9 Ano e mesai stigma, le prime accompagnate talora da pa-

ragraphos; il doppio punto accompagnato da paragraphos per segnalare il cambio di personaggio, come di consueto; incerta la presenza di paragraphos in PTurner 7 II 2-3; diversamente da quanto segnalato in ed.pr., non ci sono paragraphoi iin POxy 2102 a II 25-26, VI 29, VIII 18-19 (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 45-46); coronide con diple obelismene all'inizio della palinodia di Socrate, col. V 21 (243e9). Questi segni di punteggiatura sembrano in buona parte essere stati aggiunti in un secondo tempo, presumibilmente dal correttore. Senza dubbio al correttore si devono anche alcuni segni di lettura impiegati con criterio e generalmente al fine di evitare ambiguità (si notino in particolare I 21 τὼ, II 2 ἄρα, IV 2 έχθρας, IV 6 xác,

IV 9 nov, V 11 ei che vale per ei, VIII 14 ἣ (non segnalato in ed.pr.): ı riferimenti alle colonne, qui e in seguito, sono a POxy 2102 salvo diversa indicazione).

La citazione a 243a9-b1

(II

21-25) é segnalata mediante doppie virgolette nel margine sinistro, secondo l'uso convenzionale.

Il correttore ha introdotto numerosi emendamenti testuali, apposti nell'interlineo, in una scrittura meno formale e necessariamente più piccola, spesso evidenziati da un tratto obliquo prima e dopo; le cancellazioni sono effettuate di norma barrando le lettere da espungere, tranne che in un caso (PTurner 7, I 2) in cui si adotta l’uso, meno pesante, dei punti sopra le lettere, questa volta ad opera del copista stesso. I] testo è stato evidentemente oggetto di qualche attenzione critica, in aggiunta alle alterazioni testuali: vi sono alcune diplai nel margine [II 1, 14, 17, 23 (243b3, 8, 9, c3)] e più di una volta si osservano segni X [in riferimento a II 18 64337) ὥσπερ Ὅμηρος, VI 1 (24423) Εὐφήμου Ἱμεραίου (detto di Stesicoro), VIII 16 (244d1) τῷ ο΄ σεμνύνοντες (di una etimologia platonica)]; nel margine superiore della colonna che contiene 242d4-243a1 (col. I) vi

et

rot di due righi, forse uno scolio, che Hunt legge cosi:

c.[ |

]. «

Il copista era insolitamente distratto: ovvi errori materiali

— 246—

PTURNER

si riscontrano

VI 14, VI 1-2 bis, VI che spiriti corruttela,

7+POXY

2102

PHDR.

a I 13, III 26, IV 5, IV 8-9, V 11, VI 4, VI 7,

18-19, VIII 9; cfr. anche PTurner 7, I2 e II 1-2; V 21, VI 27 (1n alcuni di questi casi verranno dati ane accenti per indicare più chiaramente l'origine della ma gli errori sono per lo più di un tipo in cui non

si sarebbe incorsi in un testo scritto sotto dettatura). Con l’ec-

cezione di IV 5 e IV 8-9, tutti questi sono stati corretti da una

seconda mano. Il correttore evidentemente usava un testo diverso dall’esemplare del copista e si è impegnato a uniformare a quello il testo che aveva dinnanzi (vale a dire che la collazione è stata

effettuata soltanto allo scopo di ‘correggere’ il testo, non per inserire varianti, a differenza di POxy 1017). Talora accade che il testo di pap.ac coincida con il testo trasmesso dai manoscrit-

ti medievali, mentre il testo di pap.(m°) introduce lezioni che per noi sono novità: cfr. II 15, III 13-16, V 10, V 21-22, V 23-

25, VIII 15-16 (non chiaro), PTurner 7, 1 2. Di queste altera-

zioni, tutte piuttosto incongruenti, alcune comportano un peggioramento del testo (V 21-22, V 23-25), e nessuna reca un

netto miglioramento. Un vicino confronto si può stabilire con

il papiro del Protagora, POxy 1624 (

80 62).

Il testo originale del copista presenta un certo numero di

innovazioni lasciate inalterate dal correttore, anche se non si può concludere con certezza che il testo del correttore concordasse con esso (è difficile supporre che avesse φανερῶς a 243c6). Oltre a εὐσσέλμοις (forse è preferibile ἐῦ-}) a II 24,

una sola lezione, forse, merita veramente di essere presa in

considerazione: κληθείς in luogo di pndeig a III 22. A I 1920, d’altro canto, il testo tràdito dai mss. medievali pare senza dubbio corretto contro quello, più breve, testimoniato dal papiro (cfr. anche II 6 e III 18). Nessuna delle innovazioni contenute nel testo originale ed eliminate dal correttore sembra essere degna di nota: anche a I 13 non si tratta che di un’altra svista. A IV 9-10 il papiro condivide sicuramente un errore comune alla tradizione

retta τεθραμμένων

medievale

(τεθραμμένον:

la forma cor-

si trova in alcuni recentiores, nessuno dei

quali anteriore al XIII secolo, presumibilmente come frutto di congettura); 51 tratta, tuttavia, di un errore abbastanza facile

nel contesto e non c'é bisogno di attribuirne la diffusione fi-

nale nella tradizione all'influenza di una particolare edizione.

— 247—

PLATO

49

A che epoca risalga tale diffusione, non siamo in grado di stabilirlo.

Il testo del papiro concorda in errore palese con B contro T W a III 9-10, mentre concorda in errore palese con T W contro B a V 14. A PTurner 7, I 14 concorda sicuramente con

la lezione di T W (]civ pap.) poiché lo spazio non consentirebbe di supplire quella di B, testimoniandone cosi, giusta o sbagliata che fosse, la diffusione nell’antichità. I casi di accordo con T W contro ovvi errori di B (I 27, VI 2, cfr. VI 19 e I 21) sono scarsamente significativi, cosi come quelli di ac-

cordo con B W contro ovvi errori di T (VI 4) oppure con B e la tradizione indiretta contro T W P (VIII 11). Più singolare appare invece la coincidenza del testo di pap.ac con Wa

II 2-3.

Un caso di coincidenza con recentiores contro B T W concordi si ha a II 16 e a III 6, in comune con Hermias, ma non

se ne deve necessariamente trarre la conclusione che la lezione dei recentiores sia stata ereditata da una parte della tradizione,

poiché potrebbe trattarsi benissimo di una sostituzione indipendente, deliberata o involontaria. Ancor

meno

si puó co-

struire sulla lezione di pap.(m^) a V 2, dove quanto si legge in B T e W° è evidentemente frutto di un errore nella separazione di ovt@cov in maiuscola. Nel paragrafo precedente abbiamo menzionato una lezione in comune con Hermias. Lezioni peculiari di Proclo (I 7-8) e

di Plutarco (IV 23) non trovano qui alcun sostegno. Altrettanto dicasi per le espunzioni ecc. proposte da vecchi editori [II 17-18 (Vollgraff), III 20-22 (Hirschig), PTurner 7, I 14 (Herwerden, Platonica; Vollgraff)]. POxy 2102 è stato usato nell’edizione del Fedro di Robin e nelle due edizioni di Moreschini (sebbene in entrambe il testo sia riportato in maniera imprecisa). PTurner 7 è stato utilizzato nella seconda

edizione

di C. MORESCHINI,

BL, IV.3

(1985), su cui è basata la presente collazione. PTurner 7

I 2 (233e4)

[elmi τας ...Jac [θυρας] pap. 1 ἐπὶ τὰς θύρας

codd. (in pap. θύρ]ας verisim., nisi fort. πύλ]ας). Si può pensare che ciò che precedeva la parola θύρας, cancellata, non fosse

— 248—

PTURNER

7+POXY

2102

PHDR.

un altro θύρας, bensì la frequente v.]. πύλας, ma il testo non sembra trarne vantaggio. 14 (233e8) ἑρῶσι T W pap. : προσερῶσι B : προσαιτοῦσι con. Ast. Pap. concorda sicuramente con T W (Jcıv pap.),

poiché lo spazio non consentirebbe di supplire la lezione di B; la lezione non è sicura (cfr. de Vries, Commentary, 69), ma

αἰτοῦσι e.g. (cfr. la congettura di Ast) si adatta molto meno

allo spazio; cosi il papiro testimonia che ἐρῶσι, giusto o no,

era comunque corrente nell'antichità.

— (233e8) I sospetti di Herwerden, Platonica, 183 e di I.C. VOLLGRAFF, Coniectanea in Platonis Phaedrum, Mnemosyne n.s. 37 (1909), 433-445: 435-436, su μόνον non trovano

conferma nel papiro (cfr. de Vries, Commentary, 69). Il 1-2 (234b1)

επίιδεξονται! [xot] pap. : ἐπιδέξονται codd.

POxy 2102 ] 7-8 (242d7-8) τίς ... δεινότερος et pap.] τί ... δεινότερον Proclus. 13 (242d12) La lezione di pap.(m°) (ye) è in accordo coi codd. La lezione di pap.ac (dè o qualsiasi altra cosa fosse scritta) è, probabilmente, una svista. 13 (242d13) In pap.ac si legge οὖν per οὔτι dopo δή; si tratta di un ovvio errore materiale: corr. pap.(m°).

19-20 (242e2) ὥσπερ... θεῖον] om. pap. Il testo tràdito dai mss. medievali pare senza dubbio corretto (cfr. le argomentazioni.di

Hackforth,

Phaedrus,

55 e di de Vries, Com-

mentary, 108-109) contro quello, più breve, testimoniato dal

papiro, difeso da Vinzent, Phaidros- -Papyri, 125-126, che ricostruisce un improbabile ei dè [θεὸς] ὁ Ἔρως κτλ. (supportato da Stark, Bemerkungen, 290 e accolto da Buchwald, Phaidros, 175, come se fosse la lezione di pap-), in luogo di εἰ δ᾽ ἔστιν] ὁ Ἔρως κτλ. di Hunt; l'omissione è facilmente spiega-

bile se si suppone che il testo dell’esemplare su cui è stata esepus la copia fosse ei δ᾽ ἔστιν θεὸς ἤ τι δεῖον, ὥσπερ di οὖν ἔστιν, ὁ Ἔρως KtÀ., con una variazione lieve (ma probabilmente i Inferiore) nell’ ordine delle parole del testo tràdito. 21 (242e3) L'accento su τὼ ha lo scopo di evitarne l'erro-

nea interpretazione come dat. sing., come invece accade in B:

l'accordo con T

W à comunque scarsamente significativo.

— 249—

PLATO 49

JI 2-3 (243a2)

Singolare è la coincidenza di pap.ac con W

nella lezione ἀνθρωπίκους, dove ἀνθρωπίσκους (B T pap.pc)è certo: si tratta soltanto di un /apsus ricorrente? 6 (243a3) La lezione di pap. (ἐμὲ per ἐμοὶ) è chiaramente

inferiore, pace Vinzent, Phaidros-Papyri, Commentary,

128 (cfr. de Vries,

109).

15 (24326) Pap.(m?) ha inserito s.l. τῆς fra τὴν e ‘EXévng, lezione non attestata nei codici. L'articolo davanti a 'EA&vng potrebbe essere giusto [ctr. τοῦ Ἔρωτος nella frase parallela a III 5 (243b4)], ma non é sicuro [cfr. la discussione di Vinzent,

Phaidros-Papyri, 128-129, che propende per la lezione dei manoscritti, facendo propria la regola stabilita da K. SCHMIDT,

De articulo in nominibus propriis apud Atticos scriptores pedestres, Diss. Kiel 1890, 43 e condivisa da B.L. GILDERSLEEVE, On the Article with Proper Names, AJPh 11 (1890), 483-487: 485 n. 1, secondo cui la prima menzione di un nome proprio

sarebbe di norma senza articolo: Schwyzer, II, 25 n. 2]. 16 (24327) κατηγορίαν pap. Hermias recc. La lezione tràdita Kaxmyopiov [sicuramente inserita da pap.(m°) in III 6

(243b5) κακηγορίαν, probabilmente sfuggitagli qui] è chiaramente piü appropriata (pace Vinzent, Phaidros-Papyri, 129131; cfr. de Vries, Commentary, 109-110). Non se ne deve tuttavia necessariamente trarre la conclusione che κατηγορίαν nei

recentiores (a 243a7: Barb. Gr. 270, teste Vinzent, Par. Gr. 1809, Par. Gr. 1810, Par. Gr. 1813 [Q], Parr. Grr. 1825 e 1826 [Hermias], testibus Vinzent et Bekker; a 243b5: Par. Gr. 1813 [0], Parr. Grr. 1825 e 1826 [Hermias], testibus Vinzent et

Bekker) sia lezione ereditata da una parte della tradizione, poi-

ché potrebbe trattarsi benissimo di una sostituzione indipen-

dente, deliberata o involontaria.

17-18 (243a7)

LC. VOLLGRAFF,

Coniectanea

in Platonis

Phaedrum, Mnemosyne n.s. 37 (1909), 433-445: 437, ritenne da espungersi le parole ὥσπερ “Ὅμηρος, che però si leggono

anche nel papiro. 23 (24349)

οὐδ᾽ pap.ac: οὗτος pap.(m?). Johnson, Papyrus

Roll, 128-129 interpreta la correzione di pap.(m^) come un errore meccanico dovuto alla ripetizione -og ov-, piuttosto che

come una variante. 24 (243210)

La forma epica εὐσσέλμοις (forse è preferibile

£0-?) attestata da pap. nella citazione di Stesicoro (difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri,

132, accolta Buchwald, —

290 —

Phaidros,

PTURNER

7+POXY

2102

PHDR.

175, neppure segnalata in apparato da Moreschini) sembra avere almeno tante probabilità quante ne ha εὐσέλμοις (codd.) di essere ció che Platone

scrisse.

IE 6 (24365)

kaxnyopiav

et pap.(m?),

κατηγορίαν pap.

Hermias recc. — Vd. supra a Il 16 (24327). 9-10 (243b6) τῇ T WP Hermias : om. B pap. Vinzent Buchwald, Phaidros. 1] papiro concorda qui in errore palese con

B contro T WP:

la scelta di Vinzent, Phaidros-Papyri, 132

(condivisa da Buchwald, Phaidros, 175) in favore del papiro

non è sufficientemente fondata (cfr. Pasquali, Storia, 257 e de

Vries, Commentary,

13-16 (243b8-9)

111).

Pap.(m^) ha modificato la forma del pro-

nome (ἐμοὶ codd. pap. .ac) e l’ordo verborum dei manoscritti (=

papac: τουτωνεὶ ὦ “Σώκρατες οὐκ ἔστιν ἅττ᾽ ἂν ἐμοὶ εἶπες): τουτώνει OVK εςτιν΄ ὦ corpaltec È att av’ μοι eınec [corretta è la menzione di pap.(m^) nella prima edizione di Moreschini, che però nella seconda sembra attribuire la lezione di pap.(m°) à pap. ac]. Entrambe le lezioni, a meno che la cancellazione di ein ἐμοὶ non sia stata involontaria, potrebbero essere giuste,

ma non lo si puó affermare con certezza. 18 (243c1)

La presenza di ἀληθῶς καὶ prima di ἀναιδῶς

è chiaramente inferiore (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 133-134 e de Vries, Commentary, 111): è improbabile che si tratti di un’interpolazione ironica, come la considera Stark, Bemerkungen, 289 (cfr. Jachmann, Der Platontext, 304, n. 1 e Carlini, Studi, 72, n. 106). Risulta difficile stabilire se sotto ad ἀληθῶς si nasconda un altro avverbio, oppure se l’errore sia stato originato semplicemente

da una

lettura erronea di ἀναιδῶς, come nel

caso di φθονερῶς divenuto φανερῶς (IV 5). 20-22 (24302) L’inutile (cfr. de Vries, Commentary, 111) seclusione di οὗτος ... pndeic, proposta da Hirschig nell'edizione didotiana e accolta da Vollgraff nella sua edizione (33, 122) non trova appoggio nel papiro.

22 (243c2)

In pap. si legge κληθείς in luogo di ῥηθείς. Il

testo della frase è xoi yàp ὠγαθὲ Φαῖδρε ἐννοεῖς ὡς ἀναιδῶς

εἴρησθον τὼ λόγω, οὗτός τε καὶ ὁ ἐκ τοῦ βιβλίου ῥηθείς. Utrum

in alterum? κληθείς non significherä «rühmend vorgetragen»

(Vinzent, Phaidros-Papyri, 134), ma sarà piuttosto da riferire a un'area semantica compresa tra ‘convocato’ e ‘invitato’ (che —

251 —

PLATO 49

ben si accorda con 242d4 ἐκόμισας): il ‘discorso-ospite’, in al-

tre parole. Gli editori si attengono tutti (anche Vinzent Phaidros-Papyri, 133-134; cfr. de Vries, Commentary, 111) al banale pndeig (a cui sarebbe preferibile rinunciare definitivamente),

ma κληθείς parrebbe giusto. 26 (243c4)

In pap.ac 51 legge ἑτέρων per ἐρῶν poco dopo

ἑτέρου: un ovvio errore materiale: corr. pap.(m°). IV 5 (243c6)

In pap. si legge φανερῶς per φθονερῶς: un

ovvio errore materiale.

8-9 (243c8)

In pap. si legge ἐν αὐταῖς per Ev ναύταις; un

ovvio errore materiale. 9-10 (243c8) Il papiro presenta sicuramente l'erroneo teθραμμένον

comune

alla tradizione

medievale:

la forma

te-

θραμμένων, senz'altro corretta, si trova in alcuni recentiores, nessuno anteriore al XIII secolo [oltre che nel correttore del Coisl. 155 e nel Par. Gr. 1810 (Moreschini), anche in Par. Gr. 1811, Par. Gr. 1812, Par. Gr. 1814, Par. Gr. 2011, Vat. Pal. Gr. 173 (P), Ven. Marc. Gr. 184 e Ambr. D 56 sup.

stando a Bekker (Comm. Crit., I, 15), che menziona anche tre codici parigini contenenti il commento di Hermias (Par. Gr. 1825, 1826 e 1827)], presumibilmente come frutto di congettura. -ov in luogo di -ov non rientra tra 1 comuni errori fonetico-ortografici, ma deve essere considerato frutto di una corruttela nella tradizione che, come ora si conferma, deve essere stata corrente nell’antichità. Tuttavia si tratta di un errore abbastanza facile nel contesto (acc. masch. sing. da en-

trambe le parti: πῶς οὐκ ἂν οἴει αὐτὸν ἡγεῖσθαι ἀκούειν Ev

ναύταις που τεθραμμένων

καὶ οὐδένα

ἐλεύθερον

ἔρωτα

ἑωρακότων), e non c'é bisogno di attribuirne la diffusione finale nella tradizione all'influenza di una particolare edizione.

A che epoca risalga tale diffusione, non siamo in grado di

stabilirlo. 23 (243d6) ἀποκλύσασθαι et pap. (anorAlalvcacdaı) Plutarchus (Mor. 7094), κατακλύσασθαι Plutarchus (Mor. 711d).

V 1-2 (243d9)

In pap. si riscontrano due errori materiali,

entrambi corretti: ἐξε Nel secondo caso T hanno οὕτως où: non cordo di pap.(m^) con

per ἕξει e ουτως «του per οὕτως: σου. W hanno οὕτως cov, mentre B T W^yo si ,puó tuttavia costruire molto sull’ acT^ W, poiché quanto si legge in B T W' —

252—

PTURNER

7+POXY

2102

PHDR.

non è altro che un errore di divisione tra le parole in maiuscola. 10 (243e2)

Pap.(m°) ha scritto av sopra wc in ἕωσπερ ἄν

(codd. e pap.ac). Il senso dell'emendamento non è chiaro: se si intendeva far risultare ἐάνπερ (ma né wc né il successivo av

sono cancellati: registrazione di ἐάνπερ come variante?), la variante è Inferiore. 11 (243e3) In pap.ac si legge Aeyoıvvv per λεγετοινῦν per aplografia: corr. pap. (m^). 14 (243e4) τοῦτο B : τούτου T W pap. 51 verifica qui un accordo in errore palese di pap. con T W contro B. 21-22 (243e9)

Pap.(m^) ha modificato οὑτωσὶ dei codd. e

di pap.ac in οὕτως, trivializzando il testo dei manoscritti. 23-25 (24441)

Pap. (m^ ) ha modificato l'ordo verborum dei

manoscritti (πρότερος nv λόγος Φαΐδρου = pap.ac), banalızzandolo (πρότερος λόγος ἦν Φαίδρου).

VI 2 (24443) λεκτέος T W pap. : om. B. gnificativo. 4 (24424) λόγος B W pap. : ὁ λόγος T. gnificativo. — (24424) In pap.ac 51 legge ἀνήρ per ἄν, materiale, corretto da pap.(m^), che ha eraso

Accordo non siAccordo non siun ovvio errore np naplovtoc ri-

scrivendo s.l. napovroc.

7 (24425) In pap.ac si legge φημὶ per φῇ prima di δεῖν, un ovvio errore materiale corretto da pap.(m?). 14 (244a7) Il copista, dopo aver scritto ἔλεγεν per ἐλέγετο, si corresse in modo non del tutto perspicuo, modificando v in τ; l'ovvio errore materiale fu sanato s.4, probabilmente da

pap.(m^).

18-19 (24428) In pap.ac si legge δοκεῖ per δύσει, un ovvio errore materiale corretto da pap.(m°). 20 (24439) δὴ T WP pap. Hermias : δ᾽ ἢ D : om. in ras. B Aristides. Accordo non significativo. 21 (24429) In pap.ac si legge α per ai, errore materiale corretto da pap.(m°).

27 (24462) In pap.ac si legge per dittografia eipyalcavio: to invece di εἰργάσαντο, corr. pap.(m° VIII 9 (244c8)

In pap.ac si legge ateraravorac per arex—

253 —

PLATO 49-50

Siavorac, un errore materiale (A>A) corretto da pap.(m?). 11 (244c8)

οἰήσει B pap. Par. Gr. 1808pc Aristides Her-

mias : νοήσει T WP.

Accordo scarsamente significativo.

15-16 (244c9- -d1) Sembra che pap.(m^) abbia modificato s.l.

il giusto οἰωνιστικὴν di pap.ac (= codd.) in οἰωνοιστικήν, forse influenzato dal precedente (c9) οἰονοιστικήν (WP pap. Aristides Hermias : οἰωνιστικήν BD

Hermogenes

: Οἷον νοιστικήν

T), ma nel papiro non sono chiare né la lettera originaria (pap.ac), né le lettere dell'intervento sopralineare di pap.(m?). MWH

50 Phdr. 238c6-240d5; 245a5-251b3

POxy 1017

Sec. I/II

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library, inv. 2048.

Edd.: A.S. Hunt, POxy VII (1910), 127-140. Tavv.: POxy VII, VI. Pal.: TURNER, GMAW?, 9 n. 40. Comm.: MP? 1401 (= P? 1401) H. ALLINE, L'histoire et la critique du texte platonicien et les papyrus d’ Oxyrbynchus 1016-1017,

RPh 34 (1910), 251-294: 278-288; RITTER, Bericht [1912], 6-7, 57-61; ALLINE, Histoire [1915], 143-146; SCHUBART, Einführung [1918], 92; GRENFELL, Value [1919], 28; WILAMOWITZ, Platon, II [1920], 363; COPPOLA, Appunti [1924], 224-225, 226, 229-230;

ROBIN, BL, IV. [1933], p. CLXXVII; JACHMANN, Der Platontext [1941], 310; LEISEGANG [1950], 2362; PASQUALI, Storia [19527],

255-256, 258; VINZENT, Phaidros-Papyri [1961], 72-123; MORE-

SCHINI [1966], 14 n. 37; DE VRIES, Commentary [1969], 4, 89-97, 119-141, 153-154; CARLINI, Studi [1972], 42, 71-72; IRIGOIN, Rapport, 1972-1973, 203 (= Tradition [1997], 73); MORESCHINI, BL,

IV.3 [1985], pp. CCXXIII-CCXXIV;

JOHNSON,

Papyrus Roll

[1992], 31, 125-126, 135, 140, 142, 143, 154, 158, 160, 162, 202, 217 n. 33, 223, 256, 278, 285, 292, 301, 305; M. TULLI, Sul testo

— 254—

PTURNER

7+POXY

2102 - POXY

1017

PHDR.

del Protagora nella tradizione antica. Il corrector di POxy 1624, in Le vie della ricerca [1996], 457-465: 460 n. 16.

Sulla questione delle lezioni &ewtvntov/attokivntov a 245c5: I.C. VOLLGRAFF, Coniectanea in Platonis Phaedrum, Mnemosyne n.s. 37 (1909), 433-445: 437-438; HUNT, supra Edd. [1910], 138; ALLINE, supra [1910], 279-281; RITTER, Bericht [1912], 59; VOLLGRAFF [1912], 143-144; WILAMOWITZ, Platon, I [1919], 457; COPPOLA, Appunti [1924], 228-230; G. PASQUALI (rec. a P. Maas,

Textkritik, Leipzig-Berlin, Teubner 1927), Gnomon 5 (1929), 417-435, 498-521: 424 [= rist. G. PASQUALI, Scritti filologici (a cura di F. Bornmann, G. Pascucci, S. Timpanaro), II, Firenze,

Olschki 1986, 867-914: 875-876]; L. RoBIN [1930] in Moreschini 1985, p. XCIV n. 1; BIGNONE, Aristotele perduto [1936], 247 n. 2, 254 n. 2, 256

[= 19737, 224 n. 39, 231 n. 62, 233-234]; G. AM-

MENDOLA, Platone, Fedro, testo critico, introduzione e commento

di G. A., Milano, Signorelli 1937, 108; J.B. SKEMP, The Theory of Motion in Plato's Later Dialogues, Cambridge, Cambridge Univ. Press DIANO,

1942 (rist. Amsterdam, Hakkert 1967), 3 n. 2; C.

Quod

semper movetur aeternum est, PP 2 (1947), 189-

192; A.J. FESTUGIERE

(rec. a Skemp

1942), REG 59/60 (1946-

1947), 496-497: 496; P. COURCELLE, Les lettres grecques en Oc-

cident. De Macrobe à Cassiodore, nouv. éd., Paris, De Boccard 1948, 231-232, n. 7; A. BARIGAZZI, Marci Tulli Ciceronis Tuscu-

lanarum Disputationum Liber I, Torino, Paravia 1949, 28; D. Ross, Plato’s Theory of Ideas, Oxford, Clarendon 1951, 236 n. 2; É. Des PLACES, L’authenticite des Lois et de | 'Epinomis, AC 21 (1952), 376-383: 382; HACKFORTH, Plato’s Phaedrus [1952], 65-68; PASQUALI, Storia [1952°], 255 n. 5, 257-258; J.L. ACKRILL

(rec. a Hackforth 1952), Mind 62 (1953), 277-279: 278; A.-]. FESTUGIERE,

Corpus

Hermeticum,

BL

1954, III, 74 n. 2; J. TATE

(rec. a Hackforth 1952), CR n.s. 5 (1955), 157-159: 158; VERDENIUS, Phaedrus [1955], 276; Maas, Textkritik [1960], 23-24; J. MEUNIER (rec. a Platon, Fedro, ed. J. Gil Fernandez, Madrid, Instituto de Estudios Politicos 1957), AC 30 (1961), 213-215: 214; VINZENT, Phaidros-Papyri [1961], 92-98; C. HUBER, Anamnesis bei Plato, München, Hueber 1964, 73-74 e n. 2; A. RONCONI, Cicerone, Somnium Scipionis, ed. A. R., Firenze, Le Monnier

1966", 139-140; M. UNTERSTEINER, Aristotele, Della filosofia, in-

troduzione, testo, traduzione e commento esegetico di M. U., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1963, 271; BUCHWALD, Phaidros [1964], 182-183; P. Pucci in Platone, Opere, vol. I, Roma-Bari, Laterza 1966, 751-752 n. 34; P. COURCELLE, Recherches sur les Confessions de Saint Augustin, nouv. éd., Paris, —

255—

PLATO

50

De Boccard 1968, 331-332 n. 2; G. MÜLLER, Studien zu den platonische Nomoi, München, Beck 1968°, 85 n. 2; L. ROBIN, Platon, Paris, Presses Universitaires de France 1968, 138 e n. 1 (trad. it., Milano, Cisalpino 1988, 131 e n. 1); T.M. ROBINSON, The

Nature and Significance of the Argument for Immortality in tbe Phaedrus, Apeiron 2.2 (1968), 12-18; DE VRIES, Commentary [1969], 121-122; F. DECLEVA CAIZZI, AEIKINHTON o AYTOKINHTON? (Plat. Phaedr., 245c), &cme 23 (1970), 91-97; P.

THILLET (rec. a Moreschini 1966), REA 72 (1970), 422-424: 424; M. UNTERSTEINER, Posidonio nei placita di Platone secondo Diogene Laerzio III, Brescia, Paideia 1970, 35-36 e n. 36; J. MANs-

FELD, The Pseudo-Hippocratic Tract περὶ ἑβδομάδων ch. 1-11 and Greek Philosophy, Assen, Van

Gorcum

1971, 38-40; T.M. Ro-

BINSON, The Argument for Immortality in Plato's Phaedrus, in Essays in Ancient Greek Philosophy, edd. J.P. Anton - G.L. Kustas, I, Albany (N. Y.), State Univ. of New York Press 1971, 345-353: 345-347; A. TRAGLIA,

Note su Cicerone

traduttore di

Platone e di Epicuro, in Studi filologici e storici in onore di Vittorio De Falco, Napoli, Libreria scientifica editrice 1971, 307340: 318-324; CARLINI, Studi [1972], 42-43; GuTHRIE, Hist., IV [1975], 402 e n. 3; H. CHERNISS, Plutarch’s Moralia, XIII.1 (999C1032F), with an English Translation by H. C., Loeb 1976, 174175 n. b; E. DES PLACES, Atticus, Fragments, texte établi et traduit par E. D. P., BL 1977, 63-64 n. 6; C. GRISWOLD,

Self-Knowledge and the Idea of the Soul in Plato's Phaedrus,

RMM 86 (1981), 477-494: 480-481; MORESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. XCIV n. 2, 32 n. 2; R. BETT, /Immortality and the Nature of the Soul in the Phaedrus, Phronesis 31 (1986), 1-26: 4 e n. 6; Rowe, Phaedrus, 1986 [1988], 175; C. GAUDIN, Automotricite et auto-affection: un commentaire de Platon, Lois X 894d-895c,

Elenchos 12 (1990), 169-185: 174-175 n. 11; J. WHITTAKER, Alcinoos, Enseignement des doctrines de Platon, Introduction, texte

établi 89 n. tarda the II

et commenté par J. W. et traduit par P. Louis, BL 1990, 83; C. MORESCHINI, Elementi dell'esegesi del Fedro nella antichità, in Understanding the Phaedrus, Proceedings of Symposium -Platonicum, ed. by L. Rossetti, Sankt Augu-

stin, Academia

1992, 191-205:

201-202

e n. 32; P.M.

STEINER,

Psyche bei Platon, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1992,

86-87; A. GRAESER, Die Philosophie der Antike, II: Sophistik und

Sokratik, Plato und Aristoteles, München, Beck 1993?, 323 n. 109; G. LACHENAUD, Plutarque, Oeuvres Morales, XII.2, BL 1993,

277 n. 7; T.M. ROBINSON, Plato’s Psychology, Toronto-BuffaloLondon, Univ. of Toronto Press 1995”, 111-112; HEITSCH, Phaidros [1997], 108 e nn. 198, 199. —

256—

POXY

1017

PHDR.

Rotolo papiraceo che conserva complessivamente resti di 18 colonne in diverso stato di conservazione (la numerazione delle colonne

dell’ed.pr.,

I-VII,

XIX-XXIII,

XXXVI-XXX-

VII, tiene conto anche delle colonne perdute). Il testo é scritto da un «calligrapher of no mean order» (Hunt), in uno stile severo semplice, diritto, di dimensioni lievemente superiori alla

media, messe in risalto dalla non comune ampiezza degli spazi

interlineari. Le dimensioni sono normali: altezza della colonna ca. 24,5 cm, larghezza ca. 6,5 cm con 33-35 rıghi di ca. 18 let-

tere; intercolunnio ca. 2 cm. Si può quindi ricostruire approssimativamente un rotolo di 11 m con 135 colonne. Sistema di punteggiatura a tre livelli, ano, kato, mese stigme. La paragraphos è usata per segnalare il cambio di interlocutore, insieme con 1 due punti. Una paragraphos con accenno di biforcazione (non una coronide, come é definita nell'ed.pr.) segnala l'inizio del brano con la metafora del carro alato a 24626 (XXI 29); forse anche l'inizio della dimostrazione dell’immortalità dell'anima a 245c5 (XX 4) era segnalato in modo analogo, ma il bordo della colonna è in quel punto perduto. Il caso ha voluto che non vi sia sovrapposizione testuale con POxy 2102.

Il papiro, già utilizzato in diverse edizioni del Fedro (cfr. supra), viene qui riesaminato criticamente, data la peculiarità del testo offerto, tenendo come base di discussione la seconda edizione di C. MORESCHINI, BL, IV.3 (1985). L’apparato cri-

tico di Moreschini, infatti, a prescindere dalla costante confusione tra emendamenti testuali e variae lectiones (vd. infra), è abbastanza attendibile. Tuttavia si noti che a III 6 (23921) οὔτε

è integro e pertanto l’apparato deve essere corretto, e a XXXIII 14 (250b9) non è affatto sicuro che twv stesse nel papiro; inoltre precisiamo che

per tt a XXI

l'ed. pr.

yryvolpev per yıyvolnevov a XX

18-19 e τὸ

16 (245e8) non sono che errori di stampa nel-

|

POxy 1017 ci restituisce due manoscritti in uno, perché, in aggiunta al proprio testo — ché indicheremo con pap.' — presenta un apparato di varianti tratte evidentemente da un altro

esemplare, pap.^. Che le lezioni di pap." siano varianti e non

congetture è dimostrato dal fatto che nella maggior parte dei casi il testo del papiro non presenta né nella forma né nella sostanza vere e proprie inesattezze. Le varianti, sorprendentemente numerose (si puó pensare che derivino dalla colla—

257—

PLATO

50

zione di piü di un esemplare), sono inserite da una seconda

mano, piccola e informale, e sono registrate in due diverse maniere: o la v./ è scritta nell'intercolunnio destro (che taloraè

piuttosto stretto non essendo stato previsto per questo impiego), oppure, quando si tratta soltanto di una o due lettere, la lettera o le lettere alternative possono essere scritte direttamente sopra. il corrispondente punto del testo, racchiuse tra punti (e.g. δὴ segnala la v./. δέ), Non viene mai citata la fonte o l’auctor delle varianti. La sola cosa che interessava erano le

lezioni di per sé; non c’era la preoccupazione di stabilire un

testo, almeno non nel presente manoscritto. E le lezioni indicate non intendono neppure sostituire quelle preesistenti nel

testo: si tratta solo di registrare varianti.

E questa registrazione deve essere tenuta ben distinta da una correzione del testo. Ci sono qua e là correzioni di lapsus dello scriba o casi di emendamenti del testo (III 13, 16; IV 32;

V 6, 31; VI 11, 16, 22, 32; XIX 28; XX 9; XXI 6, 15; XXII

24; XXXIV 5), ma se, per esempio, a XX 5-6 (245c5) troviamo

αὐτοκίνητον nel testo e ἀεικίνητον nel margine, questo non deve essere preso per una ‘correzione’. Non vi è nessuna indicazione che la lezione di pap. debba essere preferita a quella di pap. ' (da questo punto di vista, l'apparato di Moreschini

può essere fuorviante, così come, p. es., in parte, Carlini, Studi, 72). Questo manoscritto, dunque, consente uno sguardo meno parziale del solito sul ventaglio delle varianti testuali correnti in un momento e in un luogo nell’antichità. Qualora una nuova lezione che si trova nel testo non sia

accompagnata da una variante, è possibile che fosse comune

ad entrambi gli esemplari. Di questo non si può essere del

tutto certi, dal momento che non ci si deve aspettare che la collazione fosse perfetta, ma in pratica quasi tutte le nuove lezioni di pap.! sono perlomeno plausibili. Spesso tuttavia l'in-

tercolunnio è perduto, e con esso le eventuali varianti di pap.

che potrebbero esservi state registrate. E opportuno consul-

tare la trascrizione dell’ed.pr. per verificare se una variante di pap. * potrebbe essere stata conservata oppure no. Né pap.' né pap." hanno il monopolio della verità, né quello della coincidenza con la tradizione medievale. Pur essendo poche le lezioni della tradizione medievale che non siano antiche, la loro distribuzione nei manoscritti antichi è più o meno casuale; non vi è prova che la tradizione medievale (nella mi—

258—

POXY

1017

PHDR.

sura in cui si può parlare di tradizione medievale, non trattandosi, naturalmente, di qualcosa di interamente unitario) ab-

bia in qualche modo

avuto una esistenza separata nell'anti-

chità. Non è facile dare una valutazione sicura delle lezioni singolari nel corpo stesso del testo (pap.'), soprattutto laddove ν ἀεικίνηpiù importa: vd. spec. XX 5-6 (245c5 αὐτοκίνητο©.

τον). In un solo caso il papiro 81 accorda con una congettura generalmente accolta (si veda a XXXV 12 [2516] ἐδεδίει), mostrando che non ancora tutte le corruttele hanno inquinato la tradizione. Un altro luogo, dove il papiro appare chiaramente superiore alla tradizione medievale, sebbene esso attenda tut-

tora un riconoscimento da parte degli editori, si trova a VI 9 (24022 ἑαυτόν). Il papiro mostra che il testo platonico era soggetto all’interpolazione e/o alla caduta: esso presenta infatti parecchi esempi sia di aggiunta sia di omissione in rapporto al testo trasmessoci dalla tradizione medievale. Siamo liberi di riconoscere o un’interpolazione nel papiro o una caduta nella tradizione medievale a XX 2, XXI 29, XXII 23, XXVI 10, 29, e sia interpolazione nella tradizione che caduta nel papiro a XX 29-30, XXI 23, XXVI 31-32. Altrove sono evidenti varr tipi di normalizzazione: in moltissimi casi può essere il papiro che ha subìto una corruttela (vedi a VII 30-31, 31, XIX

11-

12, XXI 26, XXVI 31 [248a2: θεοῖς], XXVII 29, XXXIV 13), ma in altri il papiro svela forse una trivializzazione nella tradizione medievale (vedi a XIX 29, XXXV 3-5). Divergenze testuali impossibili da recuperare si segnalano intorno a VII 67ea XXVI 14-15. Le lezioni registrate dalla seconda mano (pap.”) offrono un: bottino meno ricco. Circa la metà concorda con la tradizione medievale. Per le lezioni di pap.” non attestate nella tradizione, alcune delle quali - ma non tutte — senza dubbio sbagliate, vedi a IV 5, 6, 16, 31, V 15, 17, XIX 33-34, XXI 17. In questo elenco non sono comprese lezioni di pap. * danneggiate i in modo tale da non poter essere ricostruite se non in modo ipotetico (vd. a IV 25, VII 32, XXXII).

Accordi con la tradizione indiretta contro tutti i manoscritti medievali

costituiscono una salutare conferma che, se

papiri o citazioni divergono dai codici medievali, una tale divergenza non deve essere automaticamente liquidata come aberrante. Qui si trovano una coincidenza verosimilmente in er—

259—

PLATO

50

rore con Stobeo (vd. a V 33) e un’altra con Simplicio (vd. a XXVI 17), ma nessuna delle due è necessariamente significativa; cfr. anche XXII 14-15, 20. Più notevole è l'assenza nel papiro del manifestamente scorretto στῆναι che ha inquinato

l’intera tradizione manoscritta ma non il testo di Stobeo a 245e2 (XXI 4). È da fenomeni come questo che dipende, o do-

vrebbe dipendere, l’argomentazione a favore di un archetipo per la tradizione medievale. Sono degni di nota anche due luoghi nei quali il papiro concorda, forse in errore, con 1 manoscritti contro altri testi-

moni VII 8 e XX 22. Vd. anche a VII 3. Dove i manoscritti più importanti divergono (di norma B rispetto a T W o T WP, benché talora W sia isolato), il papiro, quando la sua lezione può essere ricostruita con ragionevole sicurezza (talvolta ini corrispondenza di divergenze tra 1 codici primari pap. è lacunoso: cfr. VI 38 [240b4], VII 34

[240d5], XXVII 27 [248b6], XXXIII

15 [25069], XXXIII 16

251c1], XXXIV 12 [250d5]), può dimostrare che entrambe le lezioni sono antiche: IV 24 pap. con T W, pap.° con B; cfr. XX 31-32. Il papiro concorda molto più spesso con T W (14 volte: III 4; IV, 2-3, 24; V 1, 31; VI 4, 19; XIX 11; XX 24; XXI 6, 34; XXII 7; XXVI 8; XXXV 22) che con B (solo tre

volte: XXII 18-19, 21; XXVI 1); ma dal momento che tutti i punti di accordo con T W sono o in probabile o in manifesta

lezione esatta, questo squilibrio indica solo che B & pieno di errori (quest'affermazione non sarebbe stata possibile fintanto che il pregiudizio a favore di B includeva p. es. μέντοι rispetto a μὲν σοί a 245b1, ma per fortuna le cose oggi non stanno più

così). Dei tre punti di accordo con B, uno né importa né è si-

gnificativo (vd. a XXII 21), ma gli altri due possono avere un certo peso (vd. a XXII 18-19 e a XXVI 1). Non risultano esempi di accordi significativi con 1 recen-

tiores contro 1 manoscritti più importanti, pur essendovi alcune coincidenze testuali. Vd. a I 1, III 6, VII 1, XXII 31,

XXVI 9.

Il papiro sı accorda con congetture moderne in tre luoghi

(IV 3, XXXV 3 [n per oj, 12). In altri luoghi dove il testo tràdito è stato messo in dubbio, il papiro si allinea con la tradizione. I più notevoli sono forse: ein senza àv a 239b8 (IV 2425); dé, non δή a 239c6 (V 2 nessuna v.] marginale); e la —

260—

POXY

1017

PHDR.

resenza dell'interpolazione sospetta μάλιστα δὲ τῷ ἐραστῇ a

23963 (V 31-32).

Quanto all'ortografia si notino: τοιοῦτο, non -ov a V 19 (239d4: cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 81); αὖτις, non αὖθις. ἃ XXI 3 (245e2); teAeto, non τελέα a XXII 18 (246c1); στερροῦ, non στερεοῦ a XXII 24 (246c3); di solito Guv-, non ovv- (su questo problema si veda Kerschensteiner, Gebrauch, 29-45 (revidierter Nachdruck, München, 1956, 28-41]; anche μόλις,

non μόγις a XXVII 4 (24824). πτερρορυήσασα a XXII 22 (246c23) è un lapsis calami. νυμφόλημπτος a III 8 (238d1) riflette la

grafia e la pronuncia del tempo (cfr. Gignac, I, 118). La valutazione delle lezioni del papiro qui offerta cerca di considerare ogni lezione per ı suoi meriti intrinseci, evitando ogni preconcetto sia nei riguardi del papiro, sia nei riguardi della tradizione medievale. Benché molti sottoscriverebbero questo metodo in linea teorica, esso non è sempre seguito nella pratica. Moreschini abbandona la tradizione manoscritta in favore della lezione del papiro solo nei due casi dove la lezione già stava nel testo (om. στῆναι 245e2, ἐδεδίει 25126). Se si è

costretti a riconoscere che il papiro contiene lezioni giuste non presenti nei manoscritti, non ha molto senso comportarsi come se non avesse alcun valore. I 1(238b2)

Ciò che resta della lezione marginale alla col.

I, Jex, implica forse la coesistenza di κεκλημένον (B T WP) e κεκτημένον (Vat. Gr. 225 [V] teste Bekker; probabilmente at-

tratto da κεκτημένον di 238b3), ma non si può trarre nessuna conclusione da questo, anche se qualcosa di analogo capita anche a III 6 (239a1): Vinzent, Phaidros-Papyri, 72 non discute questo punto. III 4 (238e5)

τὸ un T WPb pap. : un Stob. τὸ B (cfr. Vin-

zent, Phaidros-Papyri, 72-73). III 6 (239a1) La v.i. δέ per δή (sul valore della quale vd. Denniston, 238: cfr. de Vries, Commentary, 89) registrata dal papiro ricorre anche nel testo di Vat. Gr. 225 [V] (test. Bekker;

Vinzent, Phaidros-Papyri, 73 non discute questo punto, ma cfr. 76). Cfr. 11. Vd. introd. p. 260. ΠῚ 10 (23943) ἥττων B T pap.: ἧττον WP. Secondo de Vries, Commentary, 90 la lezione di WP è difendibile, ma poco plausibile (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyrı, 74). —

261—

PLATO 50

IH 13 (23935) oayxlelılvil'v’ov pap. il secondo v aggiunto da m', eyywov codd. ed. II 16 (23926) epa.ctmv [epo] Il lepo]nevoı pap.

IV 2-3 (23947) IV 3 (23937)

ἐνόντων B' T WP pap. Stob. : £v ὄντων B. Viene ‘confermata’, cioè attestata come an-

tica, una congettura di Heindorf: toig per τῶν ("οἷς soprascritto: nel Coisl. 155, teste Moreschini, si legge τὸν in luogo di τῶν, secluso da Burnet). Non si sapeva, in precedenza, che toig fosse una lezione antica (mentre lo era τῶν, in quanto è data anche da Stobeo). Dato che τῶν si spiega cosi facilmente come una corruttela (tiene dietro a ἐνόντων), è difficile una soluzione sicura, ma sembra plausibile (cosi anche Verdenius, Phaedrus, 273, de Vries, Commentary, 90, Moreschini 1966 e 1985, Rowe, Phaedrus, 159, contra Alline 1910, 286-287, se-

guito da Vinzent, Phaidros-Papyri, 74-76 e da Buchwald, Phaidros, 174) considerare τῶν come la lezione originale (genitivo

partitivo, secondo Verdenius, o assoluto, secondo Rowe) e toig

come una normalizzazione. IV 6 (23938) Pap! offre δὲ per δὴ, ma quest'ultimo è preferibile (cfr. Alline 1910, 287; Vinzent, Phaidros-Papyri, 76; de

Vries, Commentary, 90). Vd. introd. p. 259. IV 16 (2395) Si può spendere una parola a favore del possibile πορρωτάτω di pap.” (nopp[o]vox[o Haslam, πορρ[ω]τατία Hunt), contro πόρρωθεν della tradizione, ma quest'ultima forma

potrebbe forse essere giudicata più idiomatica. IV 24 (239b8) —

(239b8)

ἑαυτῷ T WP p ap. Stob. : τῷ ξαυτῷ B. βλαβερώτατος pap.

con T w,

βλαβερώτερος

pap. con B (quest'ultimo corretto? cfr. de Vries, Commentary, 91). Vd. introd. p. 260. IV 24-25 (239b8) In pap. si legge, come nei manoscritti (ad eccezione del Vind. Phil. Gr.

109, testibus Moreschini

e

Vinzent), ein senza ἂν, ma il testo era stato messo in discussione: Verdenius, Phaedrus, 273, Vinzent, Phaidros-Papyri, 78,

de Vries, Commentary, 91. IV 31 (239c4) Pap. offre θεραπεύσειεν (lezione non di-

fendibile: Alline 1910, 287; Vinzent, Phaidros-Papyri, 79, in parte criticato da de Vries, Commentary, 92) per Vd. introd..p. 259. IV 32 (23964)

V 1 (239c5)

θεραπεύσει.

rpolc ] pap.

μετὰ Β΄ T WP pap. Stob.AS : pe B Stob.M

(cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 79-80). —

262—

POXY

V 2 (239c6)

1017

PHDR.

In pap. si legge dé, come nei manoscritti, non

δή, congetturato da Hirschig e accolto da Schanz, Burnet e Buchwald (nessuna v./ marginale): cfr. Denniston, Vries, Commentary, 92. Vd. introd. p. 260.

V 6 (239c8)

170 e de

cefe dio. pap.

V 15 (239d2)

ἃ δὴ δῆλα

riportato

nell’intercolunnio da

pap. potrebbe essere giusto (cfr. Vinzent, Phaidros- -Papyri, 8081, seguito da Buchwald, Phaidros, 174), di contro ad è δῆλα, che si puó presumere frutto di aplografia (contra vd. Alline 1910, 287 e de Vries, Commentary, 93), di pap.' e della tradizione (aònda

[ἃ δῆλα

b t Stob.], scorrettamente

ἄδηλα dai manoscritti più importanti [B T WP]). V 17 (239d4) introd.p. 259.

Pap. offre ὁρισάμενον per ὁρισαμένους. Vd.

V Ti (23902)

te kai T B pap. Stob. : om. W.

V 31 (239e3)

παντὶ ex nav corr. s.l. pap.



artıcolato

δὲ T WP pap. Stob. : ye B.

V 31-32 (239e3)

In pap. sı nota la presenza, come nei ma-

noscritti, dell’interpolazione sospetta μάλιστα δὲ τῷ ἐραστῇ (cfr. Verdenius, Phaedrus, 274; de Vries, Commentary, 94). Vd. introd. p. 261. V 33 (239e4) Pap. omette te, con Stobeo (coincidenza non significativa): sulla necessità di te cfr. de Vries, Commentary,

94, che critica il tentativo di Vinzent, Phaidros-Papyri, 82-83 di difendere la lezione di pap., considerando il te dei codd. interpolato e intendendo καὶ θειοτάτων come una climax. Vd. introd. p. 260. VI 4 (23966)

μητρὸς koi T W pap. Stob. : μητρὸς B [μητρὸς

καὶ suspic. F. BLASS, Kritische Bemerkungen zu Platons Phaidros, Hermes 36 (1901), 580-596: 595-596). VI 9 (24022) ἑαυτόν in luogo di αὐτόν, nella frase τῆς ἡδίστης πρὸς αὐτὸν ὁμιλίας non conferma nessuna precedente

congettura e non è stato ancora accolto nel testo: tuttavia si può osservare che l’ ἐραστής considererà i genitori dell’ ἐρώμενος come un ostacolo a che l' ἐρώμενος si accompagni con lui, P ἐραστής (cfr. anche de Vries, Commentary, 94). VI 11 (24033) xpucov ex ypvcov corr. pap.

VI 16 (24025) VI 19 (24047)

φθονεῖν ex Bovet corr. s.l. pap. ἄοικον T WP b pap. Stob. : οἶκον B.

VI 22 (24028)

το ex 10v corr. pap. —

263—

PLATO

50

VI 32 (240b3)

tı[vollc pap. corretto con puntini di espun-

VII 1 (240b4)

Una variante marginale (θρεμμ[άτων καί,

zione sopra v € 0.

-

suppl. Hunt) registrava pr obabilmente kai come variante per te Kal; καί è attribuito al Ven. Marc. Gr. 189 (coll: 704) (Bekker) e Ven. Marc. App. Cl. IV, 54 (coll. 984) (Vinzent, Phaidros-

Papyri, 85) e la coincidenza non è significativa (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 85-86). Vd. introd. p. 260.

VII 3 (240b5) nóictoig (pap. Stobeo AM) per ἡἠδίστοισιν (pap, B T WP, Stobeo S) è una corruttela inevitabile appena degna di menzione (Pasquali, Storia, 255-256, che s1 fonda sui

dati errati riferiti da Burnet, la sopravvaluta); i] fatto che sia condivisa da alcuni dei manoscritti di Stobeo e da alcuni recentiores [Ven. Marc. Gr. 189 (coll. 704), Par. Gr. 1810, Par. Gr. 1812, Par. Gr. 1825, Par. Gr. 1826, Par. Gr. 2011 teste

Bekker (Vinzent, Phaidros- -Papyri, 85-86): Burnet la riferisce

erroneamente a T] non ha nessuna importanza. Sull’uso della

forma ionica cfr. Alline 1910, 285, Vinzent, Phaidros-Papyri, 86, de Vries, Commentary,

96 e Rowe, Phaedrus,

160.

VII 6-7 (240c1) Lacune di lunghezza anomala indicano un qualche tipo di discrepanza testuale (ἁπάντων oppure τῶν

πάντων per πάντων, od omissione di καί prima di £ig?); ma,

In presenza di lacune, non si può ricostruire più di tanto. Cfr.

XXVI 14-15. Vd. introd. p. 259. VII 8 (240c1)

Il papiro non ha δή presentato da Stobeo e

Aristeneto, forse un errore comune al papiro e a1 manoscritti (ctr. Vinzent, Phaidros- -Papyri, 87). Vd. introd. p. 260. VII 9 (240c2)

τέρπειν B T^ WP pap. Aristaenet. : τέρπει T.

VII 30-31 (240d3) - o forse μεθ}

Il papiro non ha μεθ᾽ ἡδονῆς ma μετὰ]

-- ἡδ[ον]ῶν: che sarebbe lectio difficilior, se non

fosse per l’ ἡδονάς al plurale che precede e che segue (cfr. Verdenius, Phaedrus, 274 e Vinzent, Phaidros-Papyri, 87-88).

VII 31 (240d3- 4) Sembra che il papiro avesse αὐτῷ non fra ἀραρότως e ὑπηρετεῖν ma prima di ἀραρότως (av [to αρα-

pot]ac); c'è iato in entrambi 1 casi, e αὐτῷ interrompe una sequen-

za di tre metra giambici; non è facile decidere, ma anche qui l'ordine tradizionale sembra preferibile (ctr. Alline 1910, 279).

VII 32 (24044)

]A[.]

sopra t]ax (pap. ^.

XIX 11 (245b1) μέν coi T WP pap. Aristid. Hermias : μέντοι B. La lezione di B a torto è stata accolta da Stallbaum, Schanz e Vollgraff, difesa da Alline 1910, 285 e ritenuta lectio

— 264—

POXY

1017

PHDR.

difficilior da Pasquali, Storia, 255 n. 7: μὲν, tuttavia, non è solitarium, bensì controbilanciato da ἡμῖν δὲ a b7: cfr. de Vries, Commentary, 119.

Forse un tipo di normalizzazione del-

XIX 11-12 (245b1)

l'ordine delle parole nella tradizione: non πλείω ἔχω μανίας

γηνομένης ma μανίας prima di ἔχω (sfuggito ad Alline e che nessuno ha difeso);

ma l'ordine delle parole nel papiro è so-

spetto in quanto voluto per evitare lo ıato. Vd. introd. p. 259, XIX 28 (245b8) XIX 29 (245b8)

εὐυτυχιαι ex εὐτυχιὰ corr. s.]. pap. Pap. offre θεῶν (i.m.) in luogo di θεοῦ

di pap. (1.t.) e dei codd. Cfr. Alline 1910, 279, Vinzent, Phaidros-Papyri, 89-90, de Vries, Commentary, 119 e vd. a XXVI

31-32 (24822).

XIX 33-34 (245c2-3)

Pap.’ offre, a quanto pare (cfr. Vin-

zent, Phaidros-Papyri, 91) (ψυ)χῆς περὶ θείας φύσεως te ἀνθρωπίν(ης) per ψυχῆς φύσεως πέρι θείας τε καὶ ἀνθρωπίνης, giudicato improbabile (cfr. Alline 1910, 287; Vinzent, PhaidrosPapyri, 92; de Vries, Commentary, 120). Vd. introd. p. 259.

XX 2 (245c3-4)

In pap. (non nei codd.) si legge xoi εἴδη

dopo [πάθη te κα]ὶ ἔργα senza altri interventi dell'autore della

collazione; fa bene Alline 1910, 279 a definirlo glossa di un ‘demi-savant’; la lezione di pap. à difesa da Vinzent, PhaidrosPapyri, 92 (cfr. de Vries, Commentary, 120). XX 5-6 (245c5)

το] y[ap] avitlox]Jewntov pap. (xewntov

= κινῆτον), letto e restituito da Hunt nell'ed.pr. certo non sicuramente, ma, come

osserva Hunt (ed.pr., 138), «it suits the

vestiges and is in itself likely enough». La lezione di pap-^, scritta nell’ıntercolunnio, sembra essere stata to γὰρ [aeılkıvn-

tov, in conformità coi codd. La nuova lezione, già ipotizzata da Vollgraff (1909), è stata una lectio conclamata dal momento

stesso della pubblicazione del papiro (1910). Tra le varie discussioni (vd. supra le indicazioni bibliografiche: rassegna di alcune opinioni in Vinzent, Phaidros-Papyri, 92-98) si può individuare quella di P. Maas (Textkritik, 23-24), il quale l'ha posto tra gli esempi di "trügerische Bestátigung", sostenendo la necessità di mantenere ἀεικίνητον con un punto fermo dopo 245c6 (ἀθάνατον) e un punto in alto dopo 245c7 (ζωῆς): questa modifica di punteggiatura, dettata dal δ᾽ di 245c7 inteso come avversativo, si rivela non necessaria se si intende quest'ultimo in senso progressivo, come a introdurre la premessa minore del sillogismo (Diano 1947, 190; Verdenius, Phaedrus, —

265—

PLATO

276; de Vries, Commentary, Non

50

122; Decleva

del tutto chiara à l'affermazione

Caizzi

di Maas,

1970, 93). secondo cui

«ist das neue Zeugnis bedeutend jünger als der vorher erreichbare Archetypus»: sembra voler dire, con un utilizzo non del

tutto coerente del termine ‘archetipo’, che l'accordo dei testimoni coi manoscritti permette di risalire a una lezione, giusta

o sbagliata che sia (ma solo nel secondo caso sarebbe realmente databile), databile al tempo di Cicerone (Rep. VI 27 e Tusc. I 53: «nam quod semper movetur aeternum est»; per gli altri testimoni antichi, tutti in accordo coi manoscritti, vd. l’apparato di Moreschini 1985); si potrebbe intendere che, ove fosse provata la convergenza in errore tra la tradizione manoscritta medievale e Cicerone, si risalirebbe a un archetipo databile al

sec. I a.C. Secondo un modello un po’ diverso, si direbbe che tutt'e due le lezioni erano correnti già nel I o II secolo.

Chi ha sostenuto la validità della lezione di pap.' ha giudicato tautologica (cfr. per tutti Pasquali, Storia, 258) la lezione dei codici, dei testimoni e di pap.”, ma questa supposi-

zione è stata confutata con buoni argomenti da Diano 1947,

191, secondo cui τὸ yàp ἀεικίνητον ἀθάνατον, in perfetta polarità con παῦλαν ἔχον κινήσεως παῦλαν ἔχει ζωῆς, è una definizione (in quanto tale naturalmente tautologica), che serve

a introdurre il sillogismo, ponendone in evidenza il termine medio; Robinson 1968, 12 ha inoltre sottolineato che proprio

il fatto che con la lezione del papiro «one can reduce a complicated argument to the neater lines of an Aristotelian first-

figure syllogism» la rende sospetta. D'altra parte si è cercato

un sostegno per αὐτοκίνητον in alcuni testimoni antichi [cfr. in particolare l'utilizzo, da parte di Robin, di Ermia (102, 10114, 27 Couvreur), che in realtà, come è stato dimostrato, con-

ferma la lezione dei codici: de Vries, Commentary, 121 e Decleva Caizzi 1970, 96], che riassumono e discutono il ‚Passo

del Fedro, ma ıl fatto che in essi ricorra spesso αὐτοκίνητον

come attributo sintetico dell'anima (termine che, secondo Decleva Caizzi 1970, 96-97, diviene usuale «ad indicare la facoltà

dell'anima di muovere se stessa al posto della forma verbale

riflessiva» almeno a partire dall'ambiente del medio platoni-

smo e dai Placita di Aezio) non prova nulla: in alcuni testimoni, infatti, come in Apuleio (De Platone I 9, 199: «ipsam-

que semper et per se moveri»), i due aggettivi compaiono

accostati (vd. Moreschini 1992, 201-202). Motivi fondati sul —

266—

POXY

1017

PHDR.

procedere dell'argomentazione [per la quale cfr. Decleva Caizzi 1970, 91-94; Robinson 1968, 12-13; Guthrie 1975, 402; F. TRABATTONI, Platone, Fedro (a cura di F.T.), Milano, Bruno Mondadori 1995, 72-73; Heitsch, Phaidros, 108 nn. 198 e 199; con-

tra Ackrill 1953, 278; Bett 1986, 4 n. 6 preferisce basarsı sul peso della tradizione manoscritta, praticamente concorde, lasciando da parte, come non decisive, le considerazioni sulla logica del passo] combinati con il criterio dell’utrum in alterum inducono a ritenerla errata, considerandola un’alterazione

male indirizzata o involontaria del testo dato. XX 9 (245c7) exov fort. ex exe corr. s.l. pap. XX 22 (2453) Il papiro ha ἐξ ἀρχῆς (cosi 1 codd. e Stobeo), non ἀρχή o ἔτι ἀρχή (cfr. de Vries, Commentary, 122-

123 per 1 testimoni e la discussione al riguardo), giusto o sbagliato che sia (cfr. Verdenius, Phaedrus, 277 e Vinzent, PhaidrosPapyri, 98-101). Vd. introd. p. 260. XX 24 (245d4) ἀδιάφθορον T WP pap. Procl, Resp. : ἀδιάφορον B : ἀδιάφθαρτον Philopon. : ἄφθορον Stob. : ἄφθαρ-

tov Albin. Procl., 777. XX 29-30 (245d6) πάντα del papiro (‘ogni cosa’) di contro a tà πάντα (tutte le cose’; pap. e codd.), è certamente difendibile, ma la caduta dell’ articolo per aplografia sarebbe stata facile. XX 31-32 (245d7)

Pap.' ha il corretto τὸ αὐτὸ ἑαυτὸ κινοῦν

con B T W (prescindendo dalle varianti ortografiche), pap. ha τὸ αὑτὸ κινοῦν

[το αὐτο κεινου(ν)] con PW°

e Filopono; cfr.

la stessa variazione a XXI 17 (245e7), non rappresentata nella tradizione manoscritta. Vd. introd. p. 260. XXI 4 (245e2) Notevole è l'assenza nel papiro, come in Stobeo (e in altri testimoni? l'apparato critico di Moreschini indica almeno Filopono), del manifestamente scorretto στῆναι, che ha

inquinato l’intera tradizione manoscritta. Vd. ıntrod. p. 260. XXI 6 (24563) δὲ T WP pap. Alex. Aphrod. Philopon. : om. B. — vg ex vr corr. s.l. pap. XXI 15 (245e7) ect ex get corr. s.l. pap.

XXI 17 (245e8)

Pap. offre τὸ αὐτὸ Keıvodv (lege κινοῦν)

XXI 23 (24624)

αὐτῆς dopo ἰδέας (αὐτῆς om. pap.', ἰδέας

per τὸ αὐτὸ ἑαυτὸ κινοῦν. Cfr. supra a XX 31-32 (245d7). Vd. introd. p. 259. —

267—

PLATO

50

αὐτῆς pap.” e codd.) potrebbe essere una interpolazione nella

tradizione medievale, ma la spiegazione più probabile sembra essere quella di un’omissione nel papiro. La questione potrebbe assumere un aspetto differente se effettivamente αὐτῆς fosse

espunto in V^, come dice Robin, ma la cosa non è sicura. Vinzent, Phaidros- -Papyri, 104 afferma che «die Photokopie dieser Handschrift weist nichts dergleichen auf», ma a f. 2930, |. 4 & chiaramente visibile un punto sopra m, a sinistra dell'ac-

cento circonflesso, di cui certo non fa parte: puó trattarsi di

un segno di espunzione. XXI 26 (24625) μακαρίας per μακρᾶς è un errore (pace Vinzent, Phaidros-Papyri, 104) dovuto al precedente θείας (cfr. de Vries, Commentary, 125). Vd. introd. p. 259. XXI 29 (24626) ταύτῃ οὖν [6] λέγωμεν rest. Hunt (vi sono

tracce di una nota marginale, forse lo stesso testo senza δή): ön om. codd. Psell. La lezione del papiro dovrebbe forse essere accolta (Alline 1910, 282; contra Vinzent, Phaidros-Papyri, 105, de Vries, Commentary, 125-126): cfr. XXVI 29 (248a1).

Vd. introd. p. 259.



(24626)

λέγωμεν B T pap. : λέγομεν W Stob. Psell.

XXI 30 (24626-7)

Pap. sembra (ma occorre prudenza dato

che la presenza di ı mutum, qui assente, non è costante in pap.) confermare ἐοικέτω δὴ di Wit e Stobeo (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 105-106; de Vries, Commentary, 126) contro ἔοικέ τῷ (vel xà) di B T P ed Ermia (difeso da Verdenius, Phaedrus, 277) ed ἔοικε δή τῳ di W Par. Gr. 1808. XXI 34 (24629) πᾶντες αὐτοῖ te T WP pap. Procl. Hermias Psell. : καὶ πάντες αὐτοὶ B. XXII 7 (2464) te T WP pap. (in lacuna, ma ragionevol-

mente supposto per ragioni di spazio) Hermias : om. B.

XXII 14-15 (246b7) v[vxi] πᾶσα pap., non sembra esserci spazio per ψ[υχὴ ἢ]. Il papiro concorda in evidente lezione

esatta (Moreschini 1985 ha giustamente cambiato idea rispetto a Moreschini, Note critiche al Fedro, 428 e a Moreschini 1966) con i testimoni (Plotino, Ermia, Simplicio) riportando ψυχὴ πᾶσα contro le varie lezioni dei manoscritti (πᾶσα ἣ ψυχή B, t| ψυχὴ πᾶσα T W, πᾶσα ψυχή Par. Gr. 1810): cfr. de Vries, Commentary, 128. XXII 16 (246b9) οὐρανὸν B T pap. Atticus (ap. Eus.) Sy-

ἕδη. Simplic. Procl. : ἄνθρωπον W. —

268—

POXY

1017

PHDR.

XXII 18-19 (246c1) Pap. omette οὖν con B ed Ermia contro T WP. Entrambe le lezioni sono possibili (cfr. Vinzent, Phaidros-Papyri, 108-109; de Vries, Commentary, 128). XXII 20 (246c1-2)

Pap.! presenta μετεωροπολεῖται, pap.

μετεωροπολεῖ te: la prima lezione è nuova, la secondaè in accordo con numerosi testimoni cod. M), mentre 1 manoscritti, tewponopei te. Qualunque dei nerewponopei te: cfr. de Vries,

(Filone, Siriano, Proclo, Ermia con Ermia e Plotino, hanno μεdue sia corretto (probabilmente Commentary, 128), è chiaro che

almeno entrambe le forme attive (μετεωροπολεῖται potrebbe infatti essere semplicemente un errore ortografico) erano correnti nell’antichità.

XXII 21 (246c2)

In pap. si legge πάντα, in accordo con DB,

Plotino, Siriano ed Ermia, contro ἅπαντα di T WP (Proclo of-

fre σύμπαντα). Vd. introd. p. 260. XXII 23 (246c3)

Il πως del papiro dopo πτερορρυήσασα

(pur non essendo del tutto certa, la lettura è praticamente inevitabile) preannuncia la spiegazione introdotta a 246d e probabilmente (come già riteneva Wilamowitz, Platon, II, 363) è giusto (la lezione, respinta da Moreschini 1966 e 1985, & stata

difesa da Alline 1910, 283 e da Vinzent, Phaidros-Papyri, 109-

110, ed à stata accolta da Buchwald, Phaidros, 175: contra vd.

de Vries, Commentary, 128-129); un'altra piccola perdita nella tradizione. Vd. introd. p. 259.

XXII 24 (246c3)

πτερροῦ pap. lac : στερροῦ pap.pc : στε-

peoò pap.’mg (= codd.).

Il lapsus calami di pap.'ac è stato

indotto dal precedente erroneo nzteppopvficaca (c1-2). XXII 31 (246c6) θνητήν, la lezione attestata in Ven. Marc. App. Cl. IV, 54 (coll. 984) e Par. Gr. 2011 (nessuno dei due

studiati da Vinzent) era stata registrata come ®.]. nel papiro (θνητίην pap.^, Ovntov pap.'), ma si tratta di una alterazione facile. Vd. introd. p . 260. XXVI 1 (247d3) δέξασθαι T WP Herm. : δέξεσθ[α]ι pap. B.

Può trattarsi di un accordo con B in lezione errata (ma

sulla possibilità di entrambe le lezioni vd. de Vries, Commenary, 136), che però potrebbe essere casuale. Vd. introd. p. 260. XXVI 8 (247d6)

καθορᾷ μὲν T WP rec.b pap. : καθορῶμεν

B. XXVI 9 (247d6) a$«nv? pap.? (i.m.), cioè αὖ τὴν invece di αὐτὴν prima di δικαιοςύνην. Questa lezione, una differenza

di interpretazione piuttosto che di testo, & attestata da Bekker —

269—

PLATO

50

per Coisl. Gr. 155 (non registrata peró 1n Vinzent, Phaidros-

Papyri, 112) ed era stata considerata favorevolmente da Heindorf (cfr. de Vries, Commentary, 137). In questo caso la situazione & complicata dalla presenza nel testo del papiro di una frase aggiuntiva dopo δικαιοσύνην, cfr. infra a XXVI 10

(247d6-7).

XXVI 10 (247d6-7)

Dopo αὑτὴν dikarocvvnv, il papiro ha

[...].89uxatocovn, per cui Hunt aveva suggerito 0 ἐστι δικαιοσύνη.

L'autore della collazione non è intervenuto. La frase potrebbe essere un'interpolazione, nel qual caso si tratta di un'interpolazione notevolmente erudita (cfr. l'aggiunta di καὶ εἴδη a XX 2), oppure potrebbe essere originale (discussione in de Vries, Commentary, 137). La sua perdita sarebbe davvero molto facile, specialmente i in considerazione del fatto che, in un rotolo papiraceo, αὐτὴν δικαιοσύνηί(ν) e ὅ ἐστι δικαιοσύνη potevano facilmente trovarsi in due righi successivi. XXVI 13 (247e1)

οὐδ᾽ ἥ B WP pap. (ουδε n) : οὐ On (sic)

T : οὐδ’ fl corr. Par. Gr. 1808 (errato è il riferimento nell’apparato di Moreschini a Vinzent, Phaidros- Papyri, il quale dichiara «falsch» quest'ultima lezione: cfr. Vinzent, PhaidrosPapyri, 113). XXVI 14-15 (247e2)

Si può

scritto nell'intercolunnio,

che & la sola lezione

inferire da ἐν ἑτέρῳ οὖσα, nota, che nel

testo stava qualche cosa d'altro, che per altro verso potrebbe

essere plausibilmente restituito ἐν ἑτέρῳ [οὖσα ὧ]ν κτλ. (forse οὖσα ἐξ); ma in presenza di lacune, non si può ricostruire più

di tanto. Cfr. VII 6-7. Vd. introd. p. 259. XXV] 17 (247e3) Pap. omette per aplografia (ma la lezione di pap., cosiderata possibile da Alline 1910, 283, & stata difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 113: cfr. tuttavia de Vries, Commentary, 137-138) óv, con Simplicio (coincidenza non significativa). Vd. introd. p. 260. XXVI

29 (24831)

καὶ οὗτο]ς μὲν δὴ OsG[v βίος a 248al

(XXVI 29; nessuna variante marginale). Cfr. XXI 29 (24626): entrambe le lezioni del papiro dovrebbero forse essere accolte (cfr. Alline 1910, 283, Vinzent, Phaidros-Papyri, 113, Buchwald, Phaidros, 175: contra de Vries, Commentary, 138). vd. introd. p. 259.

XXVI 31-32 (24822) θεοίι]ς enouevn pap. : θεῷ ἑπομένη καὶ εἰκασμένη codd. — L'autore della collazione non segnala nessuna variante. Si è corrotto θεῷ in θεοῖς, o vice versa? L'analoga domanda si pone a XIX 29, dove però sono i codici —

270—

POXY

1017

PHDR.

che offrono il plurale. La risposta giusta a quest utrum in al-

terum non è affatto chiara. L'assenza nel papiro di καὶ εἰκασμένη forse svela un’interpolazione nella tradizione medievale. Questo è un punto molto discusso (cfr. ad es. Alline 1910, 283; Wilamowitz, Platon, Il, 363; Jachmann, Der Platontext, 310311; Verdenius, Phaedrus, 278; Moreschini, Note critiche al

Fedro, 428; Vinzent, Phaidros- -Papyri, 1 14-115; de Vries, Commentary, 138-139), ma si può ritenere che la superiorità del testo del papiro possa essere messa in questione solo da chi non accetti l'idea stessa che piccole interpolazioni possano essersi insinuate nella tradizione. Secondo de Vries, Commentary, 139 si tratterebbe di un'interpolazione ‘molto grave’; di

per sé, non sembra così grave; potrebbero esserlo le implica-

zioni che ne derivano per l’attendibilità della tradizione, ma si deve ipso facto screditare qualunque cosa disturbi la fiducia nella tradizione? Come fa notare de Vries, Commentary, 138, il testo del commentario di Ermia (157, 24-26 Couvreur: τὴν γὰρ ἀκροτάτην εὐδαιμονίαν ἡμῶν παραδοὺς καὶ τὴν ἄριστα θεῷ εἰκασμένην. ψυχὴν λαβών) indica che εἰκασμένη ἃ lezione

antica; forse si ἃ originata caso ci troviamo di fronte dizione. XXVII 6 (24845) τότε comprensibile (aplografia:

come variante di ἑπομένη, nel qual alla fusione di doppioni nella tra_ δ᾽ οὐ per τότε δ᾽ ἔδυ è un errore cfr. tà 6° où a 24826), e quasi ine-

vitabile. , XXVII 27 (24866) oo δὴ ἕνεχ᾽ ἡ T WP Hermias : οὐδὲν ἔχει B (et D, teste Moreschini) : οὐδ’ ἐνέχει D (teste Vinzent): οὐδ᾽ ἕνεχ᾽ m Die (teste Vinzent; οὗ è” Every i teste Burnet: cf. Moreschini, Note critiche al Fedro, 429) : οὗ ἕνεκα Procl. Pare

certo che pap. (]xo. n n[) non condividesse la lezione di B, non si può stabilire se leggesse ov δὲ oppure ov δη (cfr. Hunt, 139): la lezione del papiro è erroneamente riportata da Vinzent, Phaidros-Papyri, 116 (ov de evejka n), sia da Vries, Commentary,

ma già sia de

141 (οὗ δ᾽ ἕνεχ᾽).

XXVII 29 (24807) πεδίον οὗ ἐστι : οὗ ἐστι πεδίον pap. ut vid. Problematica questa variazione nell'ordine delle parole (implausibilmente difesa da Vinzent, Phaidros-Papyri, 116-117). La tradizione

sostiene ἀληθείας

ἰδεῖν πεδίον où ἐστι, mentre

sembra che nel papiro le ultime tre parole fossero nell’ordine

οὗ ἐστι πεδίον (rimane solo οἱ ma le parole collimano con gli

spazi), lezione difficile da difendere e difficile da spiegare (de —

271—

PLATO

Vries, Commentary,

50

141): più probabilmente

un errore piut-

tosto che un indizio di intrusione di una glossa (Wilamowitz,

Platon, II, 364). Heitsch, Phaidros, 263 propone di porre un «kolon» dopo ob ἐστιν, supponendo l’ellissi di un τοῦτό ἐστιν ὅτι, ma non è necessario. XXXII (25024-6)

τε (inteso da Hunt come aggiunta di te

nel margine sinistro di XXXIII 14, 250b8, ma forse da inter-

pretare, più opportunamente, come traccia di una v./. (pap. ἢ

alla colonna precedente, e.g. ὧν δὴ τό]τε, Jar, e δαῦται] ὅταν

δ]έ τι τῶ]ν (pap.).

XXXIII 14 (250b9)

E scorretto dire (vd. l'apparato di Mo-

reschini 1985) che il papiro ha τῶν prima di τελετῶν (con B: om. T WP Clem.); qui sono conservati appena gli inizi dei rıghi: e se Hunt, riprendendo le parti mancantı dal testo OCT, includeva τῶν, tuttavia la lunghezza del rigo fa pensare che

esso mancava. Certo è che il papiro non dà appoggio all’arti-

colo, che (pace omnium?) & fuori luogo nel testo (la sua mancanza & in accordo con lo stile elevato del passo; e utrum in alterum?).

XXXIII 15 (250b9)

Non é possibile stabilire se in pap.

(n[) sı leggesse il giusto b

[corr. Par. Gr.

1808, teste More-

schini: in T (f. 113r, c. 2, 1. 27) non si riscontra la correzione

alla quale fa cenno Vinzent, Phaidros-Papyri, 118], oppure n (h T ἢ W [ma l'accento è forse aggiunto], ἡ B: "ἢ apparato di

Burnet, pur non registrando W, è in questo punto più corretto di quello di Moreschini) o ei (Esc. y. I. 13, teste Moreschini, ma, secondo Vinzent, Phaidros-Papyri, come B).

118, Esc. ha ἢ,

XXXIV 1 (250d1) ὁ prima di μετ᾽ ἐκείνων (secondo la lettura di Hunt, ma sembra che il segno che sta sopra all'o possa

essere un punto di cancellazione piuttosto che uno spirito) sarebbe comprensibile se il testo seguente non avesse te e τ᾽ questi punti il papiro è lacunoso, ma lo spazio sembra ;dat-

tarsi meglio al testo tradizionale. XXXIV 5 (250d2) edd.

XXXIV 13 (250d6)

alıchnltalellwc pap., αιἰσθησεως codd.,

È chiaro cheè il testo del papiro che

è normalizzato: il manoscritto è danneggiato, ma è sicuro che non aveva τοιοῦτον ἑαυτῆς ἐναργὲς εἴδωλον: si propone τοι[οῦτον

ἐναργὲς ἑαυ]τῆς [εἴδωλον. Vd. introd. p. 259. XXXV 2-5 (251a2-3) Il papıro presenta un certo numero —

272—

POXY

1017

PHDR.

di variazioni minori: dove la tradizione ha ὃ δὲ ἀρτιτελής, ὁ τῶν τότε πολυθεάμων, ὅταν θεοειδὲς πρόσωπον ἴδῃ κάλλος εὖ

μεμιμημένον xtÀ., il papiro presenta n (ἢ) in luogo del secondo 0, un t1 prima di θεοειδές, e ἴδῃ πρόσωπον in ordine invertito

(inoltre, una mano successiva — non quella dello scriba o dell'autore della collazione, ma evidentemente quella di un lettore che, comprensibilmente,

non capiva — ha aggiunto n s4-

pra lineam prima di κάλλος; ma questo non influisce sul testo). Si potrebbe pensare che per il senso ἢ sia superiore a ὁ [e in

effetti fu congetturato da P. FRIEDLÄNDER, Platon, I°, 226, a

quanto pare senza conoscere il papiro, citato conda edizione (Berlin, de Gruyter 1964), 207, e nella versione inglese (New York, Bollingen 27 a p. 372]: 51 ottengono un filo logico e un

però nella sen. 24 a p. 349, 1958), 196, n. equilibrio mi-

gliore con il precedenteὃ μὲν οὖν μὴ νεοτελῆς ἢ διεφθαρμένος; ma nel contesto questi sembrano argomenti piü contro (Ver-

denius, Phaedrus, 280; de Vries, Commentary, 153) che a favore [Alline 1910, 284; VON

DER MUHLL, MH 9 (1952), 58;

Vinzent, Phaidros-Papyri, 119-121]. Invece la versione data dal papiro dell’inciso con ὅταν (benché sia stata difesa solo da Vinzent, Phaidros-Papyri, 119-120, il quale difende anche il successivo ἢ), sembra avere maggiori probabilità di essere quella giusta: t1 (per di più in questa posizione) poteva più facilmente essere omesso piuttosto che inserito (Buchwald, Phaidros, 72 pone tt dopo θεοειδές, con un compromesso non accettabile), e πρόσωπον ἴδῃ è una normalizzazione dell'ordine delle parole

del tutto consueta. XXXV 12 (251a6) ἐδεδίει di pap., già generalmente accolto fin da quando lo propose C.G. Cobet (Variae lectiones, Lugduni Batavorum, Brill 1858, 467), dimostra che il δεδίει della tradizione medievale (T W: dediein B [-ein punctis no-

tatum]: Sedein P) non si era ancora imposto nella tradizione. XXXV 22 (251b2) Pap. si accorda in lezione manifestamente esatta (NN) con T WP, contro la banale aplografia di B

(n).

MWH*



273 —

PLATO

51-52

51 Phdr. 257d3-e1

PAnt

77

Sec. IP

Prov.: Antinoupolis. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: ].W. BARNS, PAnt II (1960), 65-66. Tavv.: PAnt II, IV. Comm.: MP’ 1403 (= P^ 1403)

VINZENT, Phaidros-Papyri [1961],

157-159; BUCHWALD, Phaidros [1964], 172; DE VRIES, Commentary [1969], 184-187; MORESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. CCXXIV.

Piccolo frammento di rotolo papiraceo, bianco sul verso, mutilo su tutti i lati, vergato in una scrittura chiara, informale, rotondeggiante e diritta, di dimensioni leggermente inferiori alla media, probabilmente del II sec. d.C. Larghezza della colonna ricostruibile in ca 8 cm, per ca 35 lettere. Della punteggiatura o di altri segni diacritici, non si può dire niente. Il papiro non presenta divergenze rispetto al testo trasmesso dalla tradizione medievale. In particolare conserva il tormen-

tato passo 257d9-e1 (sulle lievi discrepanze della tradizione vd.

Vinzent, Phaidros-Papyri,

157-158

e de Vries,

Commentary,

184), dove alcuni editori (Heindorf, Schanz, Vollgraff, Ritter, Robin, Buchwald, Moreschini; su questa linea è anche Vinzent, Phaidros- -Papyri; 158) espungono ὅτι ἀπὸ τοῦ μακροῦ ἀγκῶνος τοῦ κατὰ Νεῖλον ἐκλήθη, ritenendo si tratti di una

glossa [più elaborato l'intervento di B. MARZULLO, ΓΛΥΚΥΣ

ATKQN, SIFC n.s. 27/28 (1956), 255-271, che, intendendo l’e-

spressione γλυκὺς ἀγκὼν come un galante vezzeggiativo con cui Socrate si rivolgerebbe a Fedro, propone di espungere da ὦ Φαῖδρε a λανθάνει oe, ma cfr. le critiche di de Vries, Commentary, 185-186]: se è così, essa si è inserita nel testo molto

presto (cfr. anche Moreschini 1985, p. CCXXIV).

— 274—

PANT 77 - PCOL 203

ΑΙ τ. 10 (257e1)

PHDR.

l'ed.pr., integrando la lacuna, per un /a-

sus ometteva oi dopo ὅτι (vd. Vinzent, Pbaidros-Papyri, 157 P Moreschini 1985, p. CCXXIV). MWH*

52

Phdr. 266b1-e3

PCol VIII 203

Sec. I/II

Prov.: 1gnota. Cons: Columbia University, inv. 4924. Edd.: C.W. KEYES, Papyrus Fragments of Extant Greek Literature, AJP 50 (1929), 260-262;

R.S. BAGNALL

- T.T. RENNER

- K.A.

Won», PCol VIII (1990), 55-57. Tavv.: PCol VIII, 12.

Comm.: MP! 1405 (= P* 1405) CLXXVII;

VINZENT,

RoBIN, BL, IV.3 [1933], p.

Phaidros-Papyri [1961], 144; BUCHWALD,

Phaidros [1964], 172; DE VRIES, Commentary [1969], 4, 221; Mo-

RESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. CCXXIV.

Due frammenti di rotolo papiraceo, ciascuno con resti di un'unica colonna: fr. A (cm 6x3,1) tervduevo]c (266b1) - ἄλλον (266b5); fr. B (cm 10,9x3,1) tod]to[v (266d1) -- t[pitov (26683). Il fr. A conserva la parte in alto a destra della colonna, il fr. B la parte centrale sinistra di quella che, come pare probabile, era la colonna successiva. La scrittura & di stile severo assegnabile con minore probabilità alla prima metà del II sec. (Keyes) che non alla seconda metà dello stesso, se non ancora dopo (alla fine del II

o all'inizio del III lo assegnano gli ultimi editori). La punteg-

giatura è indicata con ano stigme; il cambio di interlocutore è

segnalato come

di solito dal doppio punto, sicuramente ac—

275—

PLATO

52-53

compagnato dalla paragraphos (appena visibile nel fr. B 8, contra edd. PCol VIII, 55). Non ci sono segni di lettura, tranne un rozzo circonflesso aggiunto al fr. A 9 οἷος τε ὦ. Lo iota mutum è ascritto. Una particolarità ortografica nel fr. A_8-9; Evvayalyav (266b4; συν- BT; συναγαγῶν W), in coerenza col-

l'immediatamente precedente ξυναιρέ[σεως (vd. Kerschensteiner, Gebrauch).

Il testo del papiro (già utilizzato da Robin) è stato collazionato con la seconda edizione di C. MORESCHINI, BL, IV.3

(1985).

Fr. A

7-8 (266b4) Pap. presenta Svvoipé[ceov al posto di διαιρέσεων, per evidente anticipazione. del successivo ξυναγωγῶν

(Vinzent, Phaidros-Papyri, 144 conserva ξυναιρέσεων ipotizzando che kai ξυναγωγῶν sia una glossa introdotta come al-

ternativa rispetto a διαιρέσεων): cfr. PCol VIII, 57. Fr. B

Pap. si accorda con la tradizione medievale (xoi [καλῶς) e con Ermia (p. 237, 19 Couvreur), non offrendo alcun conforto

alla proposta di Hirschig (accolta da Stallbaum, Schanz, Burnet e Buchwald) di espungere καὶ, né a quella di Vollgraff (Appendix Critica, p. 150) di correggere καὶ καλῶς in παγκάλαος.

Thompson, Phaedrus, 111 accoglie la correzione di Hirschig e Stallbaum, sostenendo che καὶ non abbia «particular force» (cfr. però Heitsch, Phaidros, 264: sul significato di questo kai vd. Denniston, 158, Verdenius, Phaedrus, 284-285 e de Vries, Commentary, 221). 17-18 (266d8) ἐν ἀρχῇ T:en’ ἀρχῇ B : ἐν vel en’ ἀρχῇ W. In pap. (AeyecO[ | 71) è possibile supplire una o l’altra lezione,

ma, in ogni caso, non ne deriva alcun supporto all'espunzione della locuzione, proposta da Schanz e accolta da Vollgraff. MWH*



276—

PCOL

203 - PMILVOGLIANO

9 PHDR.

53 Phdr.

267b3-268c7

PMilVogliano 9

Sec. II/III

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Milano, Università degli Studi, Istituto di Papirologia. Edd.: A. VOGLIANO, PMilVogliano I (1937), 14-15. Comm.: MP? 1406 (= P? 1406) VINZENT, Phaidros-Papyri [1961], 145-152; BUCHWALD, Phaidros [1964], 172, 176; DE VRIES, Commentary

[1969],

4, 224-226;

MORESCHINI,

BL,

IV.3

[1985], p.

CCXXIV.

Un unico frammento di rotolo papiraceo (cm 19,5x14,5), bianco sul verso, che conserva la parte inferiore di due colonne

consecutive. Scritto in modo accurato, in una mensioni medie, rotonda e diritta, probabilmente alla fine del II oppure agli inizi del III secolo ghezza della colonna, di ca. 6,5 cm, à occupata

grafia di diappartenente d.C. La larda ca. 22 let-

tere; la sua altezza, calcolabile intorno ai 24 cm, contiene ca.

26 righi. Il margine inferiore misura almeno 3,5 cm, l'intercolunnio 2,5 cm.

Sono usate ano e mesai stigmai; il doppio punto accompa-

gnato dalla paragraphos segnala il cambio di interlocutore, come avviene di norma (nell'ed.pr. sono omesse le paragraphoi di col. I 9, 15, 17 e col. II 15), ma ad I 23 una seconda mano

lo inserisce come segno di interpunzione. L'indicazione della doppia paragraphos (I 9-10) segnala la doppia battuta all'interno dello stesso rigo (cfr. PHarris I 12 - 80 1). I segni di ausilio alla lettura sono stati inseriti con criterio (nell'ed.pr. sono omessi: col. I 3 ὧν, I 9 yev&chaı, I 17 ἀττα), non è chiaro

se talora attribuibili ad una seconda mano. Una diple margi-

nale é indicata in col. I 8 (267b8), con evidente riferimento a —

277—

PLATO

53

τὸν Ἠλεῖον ξένον, e forse un'altra in col. I 13 (267c2) (non è

segnalata nell'ed.pr., tuttavia sono visibili tracce d'inchiostro nel margine), che sarà da riferire a Λικυμνιείων (cfr. schol. vet.

ad loc., p. 87 Greene); ogni ulteriore annotazione è andata perduta. Viene apposto lo zota mutum. Il papiro conserva una porzione di testo maggiore di quanto risulti dalla trascrizione dell’ed.pr., soprattutto in col. I 5-9, laddove sono parzialmente superstiti parti finali dei righi (per questo motivo se ne offre una trascrizione, nonostante il papiro sia stato preso in considerazione dagli editori), ma non

si recupera niente di significativo dal punto di vista testuale. Il testo in col. I 14-21 si sovrappone a quello di POxy 3677 (> 80 54).

In un paio di punti lo scriba ha commesso errori che non sono stati corretti(I 15; I 17). In alcuni casi pap. conferma o dà sostegno

a interventi

moderni

(I 13

[Ast];

I 24

e II 16

[Bekker]). In un passo (II 15) pap. si accorda in errore coi ma-

noscritti medievali. Un apparente errore di TW contro B è condiviso in I 11 da pap. e c’è accordo con W in una lezione sfavorita a I 10. Invece gli accordidi pap. con W contro BT (I 4), con BT contro

W

anche con B contro TW

(I 22), con TW

contro B

(I 23) e forse

(I 10), sono sempre in lezione esatta

o altamente probabile. Il testo è stato collazionato con la seconda edizione di C. MORESCHINI, BL, IV.3 (1985). Col. I

ποτέ polo, Πρόδικος ἐγέλασεν καὶ povofg αὐτὸς εὑρηκέναι E-

267b

en ὧν δ[εῖ λόγων xéxvnv(?): δεῖν δὲ ov[te μακρῶν οὔτε βρα5

“χέων ἀλλὰ

μετρίωϊν.

Σοφώϊτα-

τὰ γε, ὦ ΠΙρόδικε. "Innt]av δὲ o[o λέἼομεν; [οἶμαι γὰρ ἂν σ]ύμψηφίον > αὐτῷ κ[αὶ] τὸν [ Ἠλεῖο]ν

“ενέσθίαι. 10

Ti δ᾽ οὔ;

ξένον

Τὰ FJ IHoAo[v

πῶς φράσωμίεν Mov]oeîa λόγ[ων

ὃς διπλασιολογίαν καὶ γνω—

278—

267€

PMILVOGLIANO

9

PHDR.

μολογίαν καὶ eikovoAoytalv; »

ὀνομάτων

τε Λικυμνιείων,

ἃ ἐ[κ]είνῳ ἐδωρήσατο πρὸς ποί15

σιν εὈυρεπειας; dé, ᾧ Σώκρατες,

Πρωταγόρεια οὐκ ἦν μὲν

[το]ιαῦτ’ ἄττα;

Ὀρθοέπειά γέ

τις, ὦ παῖ, cal

ἄλλα πολλὰ καὶ κα-

ἰλ]ά. τῶν γε μὴν οἰκτρογόων, ἐπὶ γῆρας καὶ πενίαν ἑλκομέvov, λόγω[ν κ]εκρατηκέναι

20

τέχνῃ μοι plailveraı τὸ τοῦ Χαλκηδονίου [σθέΪνος: ὀργίσαι τε αὖ πολλοὺς ἅϊμα] δεινὸς ἁνὴρ γέγονεν, cali πά]λιν, ὠργισμένοις ἐϊπάδων

25 Col.

2674

II

desunt

15

11 versus

εἴπίοι Óti' “οὐδαμῶς. ἀλλ᾽ ἀξιῷ τὸν [ταῦτα παρ᾽ ἐμοῦ μαθόντα αὐτὸν [οἷόν τ’ εἶναι ποι-

268b

εἶν ἃ ἐρωτᾷς" Εἴποι ἄϊν, οἶμαι, [ὅ]τι μαίνεται ἄνθρωπος καί, ἐκ βιβλίου ποθὲν àxob[co]c ἢ

268c

π[ε]ριτυχὼν φαρμακίοις, ἰατρ[ὸ]ς οἴεται γεγονέναι, οὐδὲν ἐπαΐων τῆς τέχνης. Τί δ᾽, εἰ Σοφοκ]λεῖ αὖ προσελθὼν καὶ Εὐριπίδ]ῃ τις λέγοι’ als] ἐπίσταται περ]ὶ σμικροῦ πράγματος ῥήσεις

20

παμμήκεις ποιεῖν, καὶ περὶ u[e]y&Aov πάνυ σμικράς, ὅταν

25 I3

5 Ἰν: 9 yevécO[

6

ὧν

acuto

Ἰιαυτ [α] ἀττα: ὁ

21

14

lav prima di o visibile la traccia dell’accento 17 à ]ewe'v 15 evpererac:npo pap.

]sekpotnkevai»

22

vexvyv.

23

[voc

24

ἁνηρ

αὖ

I4

δεῖν W

pap. : δεῖνα B T



10

279—

φράσωμεν B : φράσομεν T W :

PLATO

«ob» φράσομεν Schanz

53

ante Movoeia add. αὖ BT: om. W et ut vid. Pap

11 ὡς Β : ὃς T W pap. 13 Λικυμνίων codd. : Λικυμνιείων pap. Ast ἃ ἐκείνῳ ἐδωρήσατο secl. Ast 14-15 προσεποίησεν Cornarius

i4 15

εὐεπείας codd. : εὐεπίας Hermias : ευρεπεῖας pap. : εὐέπειαν Schanz

17

μέντοι τοι- codd. : μὲν τοι- pap.

19 οἰκτρογόων codd. pap. et POxy 3677

(i.t) : olxtpoóov POxy 3677 s.l. m^ W

22-23

opyicarto 113

22

τέχνῃ μοι B T pap. : por τέχνῃ

KaAyxndoviov van Herwerden

B

24.

ξι

II 14-15

opyicoi ce T W pap. :

ἁνὴρ pap. Bekker : ἀνὴρ codd. 15

cuna ἁνθρῶπος 25 cyueiKkpac.

23

epoxaw: 20

]i

16 τεχνῆ:

visibile l'accento sull'o caduto in [121

αὖ

22

λεγοι:

24

ποιεῖν codd. : ἐπαΐειν Schleiermacher : secl. Buttmann

εἴποι codd. pap. : εἴποιεν Stephanus : εἰπεῖν Burnet

16

moi. 15

ἄνθρωπος pap.

Bekker : ἄνθρωπος codd.

I 3 (267b4)

τέχνην codd. : τέχνη Ald (Par. Gr. 1811, Esc.

y. I. 13 teste Vinzent) : τέχνῃ Stephanus : secl. Ast. Il papiro è lacunoso e non si può dire quale testo offrisse (Moreschini assegna a pap. erroneamente τέχνην). Si può solo dire che con τέχνην la riga risulterebbe di tre o quattro lettere troppo corta. Il testo tràdito à stato molto discusso (cfr. ad es. Thompson, Phaedrus,

114; Ὁ. AMMENDOLA,

Platone, Fe-

dro, Milano, Signorelli 1937, 216-217; Vinzent, Phaidros-Papyri, 146; de Vries, Commentary, 223; Rowe, Plato. Phaedrus, 202, Heitsch, Phaidros, 264).

BT.

4 (267b4) 10 (267b10)

Pap. sı accorda in lezione esatta con

W contro

In pap. sembra di poter leggere φραςωμίεν.

Difficile à qui la scelta fra le due lezioni (cfr. de Vries, Com-

mentary, 223), ma quella di B (et pap. ut vid.) ha buone probabilità di essere giusta. Ragioni di spazio inducono a credere che αὖ, assente in W, fosse omesso anche in pap. 11 (267c1) Un errore palese (ὅς per ὧς, ovviamente uno scambio comune) à condiviso con T W contro B; si tratta di una frase (267b10-c3) tormentata (cfr. Thompson, Phaedrus, 114-115; Vollgraff, 150-151; Hackforth, Phaedrus, 139 n. 4; Verdenius, Phaedrus, 285; Vinzent, Phaidros-Papyri, 147-149;

de Vries, Commentary, 223-225), ma il testo del papiro - qui come altrove - concorda nella sostanza con la tradizione me—

280—

PMILVOGLIANO

9

PHDR.

dievale, senza offrire appoggio (a parte un caso: cfr. I 15) alle svariate congetture proposte (un elenco delle principali in Vollgraff, 133).

13 (267c2)

Pap. conferma Awvpvietov di Ast; gli editori,

eccetto Schanz e Buchwald, hanno sempre mantenuto Λικυμνίων dei manoscritti,

che

non

sembra

difendibile, nonostante

l'e-

splicito tentativo di Wilamowitz nella sua nota al v. 56 dell'Hercules furens di Euripide (Berolini, Weidmann 1895". 227 n. 1).

14 (267c2) Pap. condivide il tràdito ἃ ἐκείνῳ ἐδωρήσατο (cfr. POxy 3677 > 80 54) contro l'espunzione proposta da Ast e accolta da Vollgraff: vd. de Vries, Commentary, 224-225. 14-15 (267c2-3) Pap. non offre supporto alla congettura di Cornarius (npocenoinoev),

Vollgraff (cfr. POxy

accolta da Stallbaum, Schanz e

3677 — 80 54): cfr. de Vries, Commen-

tary, 225.

15 (267c3) In pap. è stato scritto eupenetac per εὐεπείας, forse distrattamente causato da un epe, piuttosto che da un εὐπρεπείας (Vogliano in ed.pr. ad loc.): cfr. POxy 3677 (> 80

54).

17 (267c4-5) In pap. si deve probabilmente riconoscere un errore d: aplografia, μέντοι (τοιδαῦτα (l'ed.pr. dà μενί[τοι torav]t otto per cui sicuramente non c’è spazio sufficiente). 22 (267c8) Pap. si accorda, nell'ordo verborum, probabilmente a ragione, con B T contro W.

22-23 (267c9) L'ipotesi di van Herwerden, Platonica, 182, accolta da Vollgraff (77, 133), secondo cui si dovrebbe leggere KoAyndoviov invece di Χαλκηδονίου della tradizione medievale [cfr. Cic. De orat. III 128: vd. RuGE, RE X.2 (1919), 1555

per l'attestazione di entrambe le forme nelle iscrizioni] non trova appoggio nel papiro, che offre la forma tràdita dai manoscritti (vd. Vinzent, Phaidros-Papyri,

149 e de Vries, Com-

mentary, 226).

23 (267c9) Pap. si accorda in lezione esatta con T W contro B: cfr. Vinzent, Phaidros-Papyrı, 150. 24 (267d1)

Lo spirito aspro sopra ἁνὴρ a I 24 (267c9) e

sopra &vOponoc a II 16 (268c2) dà sostegno all’intervento di Bekker (la modifica è tacitamente introdotta in questi passi del Fedro, ma è esplicitamente segnalata, ad es. nei Commentaria Critica, I, 291 a proposito di Soph. 2109 e c4) rispetto ad ἀνήρ —

281 —

PLATO

53-54

e ἄνθρωπος dei codici medievali; Vinzent, Phaidros-Papyri, 150 cita giustamente Cobet [Platonica, Mnemosyne 9 (1860), 337.

389: 341] contro quelli che si oppongono alla restituzione della crasi (cfr. anche C.G. COBET, Novae lectiones, Lugduni Batavorum, Brill 1858, 323-324, 602-605).

II 14-15 (268c1) Presumibilmente il papiro condivideva ποιεῖν con i codici piuttosto che ἐπαΐειν con Schleiermacher (rifiutato dagli editori, vd. Verdenius, Phaedrus, 285, Vinzent, Phaidros-Papyri, 150 e de Vries, Commentary, 228). 15 (268c3) Il papiro concorda con i codici medievali nel dare εἴποι ἄν, che non è coerente con τί ἄν οἴει ἀκούσαντας εἰπεῖν κτλ. di sopra ed è comunemente considerato corrotto (è tuttavia accolto da Heindorf, Bekker, Ast, Stallbaum e Buch-

wald e parzialmente difeso da Vinzent, Phaidros-Papyri, 151 e da de Vries, Commentary, 228), o per εἴποιεν ἄν (Stephanus: cfr. Thompson, Phaedrus, 117, Verdenius, Phaedrus, 285

e Rowe, Plato. Phaedrus, 203), oppure per εἰπεῖν ἄν (Burnet: per altre proposte e relativa discussione vd. Vollgraff, 133 e

Vinzent, Phaidros-Papyri, 151): un errore piuttosto facile dopo ei οὖν εἴποι κτλ. precedente. Come per τεθραμμένον di 243c7 (codd. e POxy 2102 [> 80 49]), anche in questo caso una piccola corruttela comune alla tradizione medievale si trovava già

nel testo (seppure non necessariamente in tutte le sue copie) fin dal III secolo.

16 (26863) Cfr. I 24. MWH*

54 Phdr. 267c2-8

POxy 3677

Sec. II*

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: W.E.H. CocCkLE, POxy LII (1984), 105-107. —

282—

PMILVOGLIANO 9 - POXY

Comm.: MP? 1406.1

3677

PHDR.

MORESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. CCXXV;

J. KRÜGER, Oxyrhynchos in der Kaiserzeit: Studien zur Topographie und Literatur-Rezeption, Frankfurt, Lang 1990, 193; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 68, 77, 88 n. 3, 149, 152, 254.

Rotolo di papiro, bianco sul verso. Frammento, di cm 4x57, recante parte di una singola colonna, mutilo in alto ein basso,

vergato 1n una scrittura informale rotonda, attenta il bilinearismo, con le lettere distanziate fra loro, sec. II. Le verticali di sinistra di y,k,v,n,t hanno basso rivolto a sinistra. La mano é simile a quella 3, e a POxy XXVI

a rispettare assegnata al un apice in dello scriba

2441 (Pi. Pae. in Turner, GMAW’ n° 22),

cir. Johnson, Papyrus Roll, 88 n. 3, 149, 152. L'ampiezza della colonna puó essere calcolata in almeno 5,2 cm; la sua altezza

è sconosciuta; dieci lettere occupano una profondità di 3,5 cm. Punteggiatura con una ano stigme (r. 8). Il doppio punto è usato per indicare il cambio

di interlocutore (r. 3), come è

usuale, presumibilmente in unione con una paragraphos, non più visibile. Viene usato il trattino di abbreviazione del v in fine di rigo (r. 10). Il testo si sovrappone a quello di PMilVogliano 9 (+ 80

53), I 14-21.

Nel papiro, collazionato sulla seconda edizione di C. MoRESCHINI, BL, IV.3 (1985), una seconda mano ha inserito una

nuova (ma inferiore) lezione (r. 9: 267c7). Le congetture moderne, proposte per 267c2 (r. 1) e per 267c2-3 (r. 2), non vi trovano appoggio.

ἐδωρ]ήσ[α-

5

to n]plölg ποίησιν εὐ-enía]c; Πρωταγόρειία δὲ ὦ] Σώκρατες, οὐκ ἦν] μέντοι τοιαῦτ[α ἄττα; ;] Ὀ[ρ]θοέπειά γέ τις, ὦ παῖ,] κα[ὶ ἄϊλλα πολλὰ καὶ κ]αλὰ. τῶν γε μὴν οἰϊκτρογόων -

283



26702

PLATO

10

54-55

ἐπὶ γῆρα]ς καὶ nevia(v)

ἑλκομ]ένων λόγων κεκρατ]ηκέίναι

2-3 oppure εὐ[εἰπειαῆς (ευ[επειία]ς ed.pr.)

3

k:

8 ἰΙαλα-

€ forse un puntino accidentale (tracce di riempitivo, Johnson) 10

dopo

9 Ἰκτροΐοων

πενιᾶ

L'ed.pr. divide i righi differentemente. Le divisioni offerte qui sono suggerite dal grado di compressione o di dilatazione delle presunte lettere di fine rigo: cfr. anche Johnson, Papyrus Roll, 68 pex 1 rr. 8-10 1-2

(ἃ ἐκείνῳ) ἐδωρήσατο

ἐποίησεν Cornarius

2-3

secl. Ast

2

πρὸς ποίησιν codd., προσ-

εὐεπείας codd., εὐεπίας Hermias (339, 14 Cou-

vreur), eupeneiag PMilVogliano 9, εὐέπειαν Schanz

9 οἰκτρογόων codd.

pap.ac et PMilVogliano 9, οἰκτροβόων pap.(m’)

1 (267c2) Il sospetto (cfr. de Vries, Commentary, 224-225)

ἃ ἐκείνῳ ἐδωρήσατο era evidentemente presente ın pap. (cfr. PMilVogliano 9 ad loc.). 2 (267c2-3) Per πρὸς ποίησιν Cornarius propose προσἐποίησεν, accolto da Stallbaum, Schanz e Vollgraff (con ὃς in

ci: T W PMilVogliano 9, contro ὡς di BD): il papiro, come PMilVogliano 9, offre la lezione trädita. 2-3 (267c3) Non si sa se in pap. fosse scritto εὐεπίας (Hermias) oppure εὐεπείας (manoscritti medievali); presumibil-

mente non Evpe- come in PMilVogliano 9. 9 (267c7)

Sopra il y di οἰκτρογόων una seconda mano ha

scritto un D. a e D sono spesso usati per correggere I' ordo verborum, ma qui l'intenzione & evidentemente quella di registrare οἰκτροβόων — non necessariamente come una «correzione» (così ed.pr.), ma forse come variante o congettura. Chiaramente οἰκτροβόων non è da preferire: a parte il peso delle testimonianze (PMilVogliano 9 e tutti i manoscritti medievali, se si eccettua l’irrilevante oixtpoyövwv

del Par. Gr.

1825 di Ermia [Bekker, Comm. Crit., Y, 33] hanno oixtpoyóog è una parola molto più accettabile.

-yóov), MWH*



284—

POXY

3677

PHDR.

- POXY 3678

PHLB.

55 Philebus 18e9-19a5

POxy 3678

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. COcKLE, POxy LII (1984), 107-108.

Comm.: MP? 1398.3

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 253.

Frammento di volumen (largo cm 4,6, alto cm 8,3) che con-

tiene le lettere finali di 12 righi di una colonna (mutila anche in alto e in basso) e le lettere iniziali di due soli righi della colonna successiva. L'intercolunnio misura cm 2,2. L'allinea-

mento a destra & tenacemente perseguito dallo scriba, come si vede dalla riduzione o ingrandimento del modulo delle lettere finali, dall'impiego molto frequente di segni riempitivi (5 su 12 righi) e del tratto orizzontale per -v (due casi). Il numero

di lettere per rigo oscilla da 14 a 18 (larghezza della colonna: cm 4,8). Una traccia di inchiostro alla fine del r. 2 della col. I

è interpretabile come una ano stigme. Sul verso del rotolo una mano corsiva del sec. III ha scritto annotazioni varie (si leggono numeri, simboli di artabe, si individuano termini come ’Ereig, τρύγη, ποταμός).

La scrittura, leggermente inclinata a destra, tendenzialmente

bilineare (p e v scendono sotto il rigo), può essere assegnata

alla fine del sec. II? (Johnson, Papyrus Roll, 253: anm 151200). Come paralleli nell’ed.pr. sono indicati POxy V 843 (tav. 6), POxy XIII 1620 (tav. 6), POxy XVII 2082 (tav. 4). Il testo è stato collazionato sull’edizione di A. DiIEs, BL, IX.2 (1959) che, oltre a B T, ha tenuto presente W, ignorato

da Burnet: non ci sono varianti. Nessuna novità significativa viene da un allargamento del quadro tradizionale alle altre fonti ormai riconosciute come primarie, D V. L’unico punto in cui —

285—

PLATO

55-56

la nuova testimonianza può essere registrata nell'apparato è al r. 5 di col. I: pap. concorre a isolare in corruttela

W che legge

ἄπείρου (sic), frutto evidente di pentimento (ἄπειρα BT recte) Col. I

Col. II

ἑκά]τε[ρ]ον καὶ

1869

πῶς μὴ ἄπει]ρα εὐθύς, ἀλλά τινά tolte ἀριθμὸν

198

ἑκάτερον ἔμπ]ροσθεν 5.

κέκτηται τοῦ Ἰἄπειρα

αὐτῶν ἕκασ]τα γεγονέναι; Οὐκ εἰ]ς φαῦλόν

γε ἐρώτημα, ὦ] Φίληβε, 10

I 1 evduc:

οὐκ 018’ ὅντιν]α τρόπον κύκλῳ πως] περιαγα-

— —

γὼν ἡμὰς ἐμ]βέβλη-

öl

xe Σωκράτης.] καὶ oxó|[nei

τί 2

Sotto v una traccia di inchiostro probabilmente accidentale 3 apiÜuo 9. «pono

I 5 (1942)

oaneıpa pap. recte cum BD T V, ἄπείρου (sic) W.

AC

56 Phlb.

PKöln

61c6-e8

Sec. II e*

135

Prov.: ignota.

Cons.: Kóln, Insutut für Altertumskunde, inv. 40. Edd.: M. ErLER, PKöln III (1980), 48-53. Tavv.: PKöln

III, VIb.

Comm.: MP? 1398.4. —

286—

POXY

3678 - PKÖLN

135

PHLB.

Frammento di rotolo (bianco sul verso) di cm 3,5x4,2, mu-

tilo da ogni lato, che restituisce resti di una colonna di scrittura: nella sottile striscia in alto a destra, che ha perduto quasi per intero lo strato di fibre orizzontali, si distinguono solo

due lettere, in corrispondenza del r. 1. S1 puó calcolare per ogni rigo una media di 35 lettere. Compare regolarmente il doppio punto per la divisione delle battute, ma nessun altro segno di interpunzione è visibile. Lo zota mutum non è ascritto; al r. 9 un errore 1tacistico. La scrittura, di piccole dimensioni, è una informale con

tendenza al legamento delle lettere (a 6 εθ X μ x o si legano

normalmente alle successive). Il bilinearismo è violato da 9 (sopra e sotto) e da p (sotto) e, vistosamente, da v (il calice di

questa lettera sovrasta le altre e il tratto obliquo discende parecchio). La verticale di destra del v & rialzata sul rigo di base; caratteristico appare anche il tracciato di p con il tratto di destra ridotto e praticamente orizzontale, proiettato verso la lettera successiva. Il confronto proposto dall’ed.pr. con Turner, GMAW’, n° 66 (= POxy 1019 a cui si deve aggiungere POxy 2948, cfr. p. 152) non è forse del tutto probante per la spiccata inclinazione a destra della scrittura di POxy 1019 (+ POxy 2948) e una minore presenza di legamenti. È pacifica però l’assegnazione di PKöln 135 alla seconda metà, meglio alla fine del sec. ΠΡ. Pur nelle ridotte dimensioni, PKöln 135 non & avaro di va-

rianti rispetto alla tradizione manoscritta medievale; alcune di queste varianti sono anche di buona qualità e impongono una attenta analisi comparativa. Se nel primo caso (r. 7: 61c7)& difficile decidere, perché ὅτι (testimoniato da pap.) è frequente in Platone con un superlativo ma trova nei dialoghi più tardi la forte concorrenza di ὡς (qui attestato da tutti i codici), interessante è la lezione πότερον [presente anche nell’apografo commissionato dal Bessarione Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326) e indipendentemente

congetturata da Cornarius] che si con-

trappone a πρότερον delle fonti primarie a 61d1 (τ. 8). Naturalmente per costruire la frase bisognerebbe cambiare la punteggiatura (φέρε δὴ πότερον ἄρα; i codici poziori hanno φέρε δὴ πρότερον: ἄρα), prendendo a modello Cra. 424b4, già ci-

tato dall'ed.pr. Ma tra i due passi non c'è una piena corrispondenza, perché in Cra. 424b4 πότερον ἄρα è preceduto da —

287—

PLATO

56-57

ἴδωμεν. Il testo dei manoscritti poziori πρότερον ἀρα può es-

sere mantenuto. Sicura la ricostruzione del testo ai rr. 8-9 (61d1-2) πᾶσαν [ἡδονὴν uew]l[vóvteg π]άσῃ φρονήσει che dä luogo a una col-

locazione diversa delle parole rispetto ai codici (μειγνύντες dopo φρονήσει), ma non tale da imporsi su di essa. Difficilmente contestabile invece il recupero della lezione originale grazie a PKöln al r. 13 (61d7): la premonizione di Schleiermacher che giudicava necessario proporre una correzione ἀληθής (in luogo di ἀληθῶς dei codici), a parte un inizıale consenso di Stallbaum, era caduta nel vuoto. Ma ora la

congettura di Schleiermacher è sostenuta pienamente da pap. e ci obbliga a una riconsiderazione generale del passo: ἀληθής, come già suggeriva Schleiermacher e come consente l'uso pla-

tonico, va connesso con μᾶλλον (che per ragioni di spazio doveva trovarsi anche in PKöln 135 come in T). Illuminanteé il

confronto con 53c1-2 [che & il passo a cui Socrate stesso si riferisce con ὡς οἰόμεθα (cosi anche pap., ma Wilamowitz, Pla-

ton, II, 356, proponeva ὡς φόμεθα)]: qui 1° n6ovf] libera dal dolore è detta ἡδίων καὶ dAndeotépa xoi καλλίων rispetto a

quella mista. Decisamente inferiore al r. 15 (61d10) koi ἐπιστήμη δὲ di pap. rispetto ai codici che presentano καὶ ἐπιστήμη δὴ con im-

piego enfatico di ön (Denniston, 204) che qui si richiede. Nei punti in cui la tradizione manoscritta sı divide, PKóln 135 conferma T: lo si è già visto per μᾶλλον (τ. 13: 61d7); lo stesso si può dire per la variante al r. 20 (61e4): @An[de]o[tepav isola ulteriormente B che ha ἀσφαλεστέραν. La collazione di PKöln 135 ὃ stata fatta sull’edizione di A. Dits, BL, IX.2 (1959); sono state ricontrollate su fotografie le

lezioni di W non sempre registrate da Dies. 1

}.vl

6ic

desunt 4 versus

6

o$01]np[o9 xoi ὑγιεινοῦ τινος ὕδατος: ἃς προθυμη]τέον ὅτι κάϊλλιστα συμμ]ει[γνύναι. Πῶς οὔ;

Φέρε] δὴ πότερον ἄρα πᾶσαν —

288—

γὰρ

[ἡδονὴν μει- 614

PKÖLN

(

135

PHLB.

- POXY

2468

PLT.

νύντες π]άσῃ φρονήσει Tod κα[λῶς ἂν μάλιστα ἐπιτύχ]οιμεν; Ἴσως. ᾿Αλλ᾽ οὐκ ἀσφαλές. f δὲ ἀκινδ]υνότερον ἂν μειγνύ[οιμεν, δόξαν μοι δοκῶ] τινα ἀποφήνασθαι [ἂν. Λέγε τίνα. Ἦν ἡμῖν n]dovn τε ἀληθής, ὡς οἰόμεθα, μᾶλλον

ἑτέρας 15

ἄλλη καὶ] δὴ καὶ τέχνη τέχνη[ς ἀκριβεστέρα; Πῶς γὰρ οὔ; Kali ἐπιστήμη δὲ [ἐπιστήμης διάφορος, ἣ μὲν ἐπὶ τ]ὰ γιγνόμενα [καὶ ἀπολλύμενα 616

ἀποβλέπουσα, tj δ᾽ ἐπ]ὶ τὰ unt[e γιγνόμενα μή-

τε ἀπολλύμενα, κατὰ] ταὐτὰ [δὲ καὶ ὡσαύτως ὄντα ἀεί. ταύτην εἰς τὸ ἀ]ληθὲς ἐϊπισκοπούμενοι 20

ἡγησάμεθα ἐκείνης] ἀλη [θε]σ[τέραν εἶναι.

Πάνυ μὲν οὖν ὀρθῶς; Οὐϊκοῦν [εἰ τἀληθέστατα τμήματα ἑκατέρας] ἴδοιμεν πρῶτον συμμείξαντες, ἀρα ἱκανὰ ταῦτα ovyxexpoa]ué[va. τὸν ἀγαπητότατον 1 Ἰνν] prima di v tratto curvilineo che si adatta a w piuttosto che a o (che è di modulo molto ridotto) 9 gpovna [10 :icoc 23 stante l'esiguità delle tracce, le due lettere ]ue[ sono riconoscibili

nono-

1 de]ov[ ed.pr. (cf. 61c1) 7 ot pap. ὡς codd. 8 rotepov apa pap., πότερον ἄρα Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), coni. Cornarius, npótepov: apa BTW 8-9 μειγίνυντες rlacn ppovncı pap. (ut vid.), πάσῃ φρονήσει μειγνύντες codd. 13 aAnOnc pap., ἀληθὴς coni. Schleiermacher, ἀληθῶς codd. μᾶλλον pap., ut vid. (spatti ratione), cum T, om. B 14 καὶ] δη καὶ pap. cum B T W, καὶ δὴ Par. Gr. 1811, Stephanus 15 ἐπιςτήμη δε pap., ἐπιστήμη δὴ codd. 20 oAn[Belclrepav pap. cum T, ἀσφαλεστέραν B W. AC

57

Politicus 257b4-262c3 POxy 2468

Sec. I/II —

289—

PLATO

57

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library, inv. 3051.

Edd.: 1. REA, POxy XXVII (1962), 138-141. Tavv.: POxy XXVII (1962), IV (fr. A). Pal: CAVALLO, Onciale romana [1967], 212-213.

Comm.: MP’ 1396 (= P° 1396)

SIJPESTEIN, Platon-Papyri [1964],

26-27 n. 5; M. MANFREDI, Dai papiri della Società Italiana, Firenze, Le Monnier 1966, 9; CARLINI, Studi [1972], 69; J. O’CaL-

LAGHAN, StudPap 14 (1975), 119; TURNER,

GP [1980], 117 (=

PG, 136); NICOLL, Manuscript Tradition [1995], 33; ROBINSON,

OCT, I [1995], 474.

POxy 2468 è costituito da tre frammenti

di un volumen

che doveva contenere il Politico. Sul più grande, il fr. B (= 1 Rea), di cm

12,5x17,5, sono visibili tre colonne

di scrittura:

della col. I rimangono solo le lettere finalı dei rx. 7-23 (ma alcuni righi sono perduti completamente), della col. II, sopra la quale s1 conserva parte del margine superiore (misurabile per cm 2), sopravvivono più o meno mutili i rr. 1-28; della col. III rimangono alcune labili tracce delle lettere iniziali dei rr. 7-10. I due intercolunni sono di circa cm 2. La col. II è larga

6 cm: è possibile calcolare che si sviluppasse in altezza, ap-

prossimativamente, per 18 cm (33 righi). Sia il fr. A (= 2 Rea) sia il fr. C (= 3 Rea) non lasciano scorgere margini o interco-

anni Sulla base del contenuto è possibile ipotizzare che il fr. A (257b4-8) provenga da quella che doveva essere proprio la

prima colonna del volumen, con il dialogo tra Teodoro e Socrate. Le tre colonne del fr. B erano forse le coll. XII, XIII e XIV: in ció che rimane della XII e della XIII si legge la diairesis fra gli animali (261d1-10, 261e5-262b2), mentre nulla si

evince dalle labili tracce della XIV. Certo peró il fr. C, pur non essendo fisicamente congiungibile al fr. B, doveva appartenere alla stessa col. XIV, perché contiene un passo sempre relativo alla diairesis fra gli animali (262b8-c4): & possibile anzi calcolare che τ]οῦτο del, rigo iniziale del fr. C, fosse il r. 10 della col. XIV (cioè la III del fr. B).

La scrittura, di tipo informale rotondo, è attribuibile al I/II

secolo d.C., perché mostra elementi che preludono alla piena canonizzazione della cosiddetta ‘onciale romana": simile la scrittura di POxy V 844, tav. VII (Isocrate, Panegirico), e PRyl III —

290—

POXY

2468

PLT.

482, tav. 4 (frammento di tragedia); cfr. Cavallo, Onciale romana, 212-214.

Pause di senso sono segnalate da stigmai (ano in A 8, BI 21, II 7, II 15, II 21 e kato in B II 5, II 17). La fine di bat-

tuta nel dialogo à marcata dal doppio punto (omesso tuttavia a C 4), il quale doveva essere accompagnato dalla paragraphos sotto l'inizio del rigo: la paragraphos è però sempre perduta in lacuna, meno

che a B II 18, dove ne rimane una minima

traccia, non segnalata dall’ed.pr. Lo iota mutum nell’unica occorrenza rilevabile (B I 7) è presente. In A 3 (25755) 51 nota un'aggiunta interlineare (( à' Σώκρατες). In εἶναι a B II 17 (262a4) non sembra ci sia omissione del primo tota, come in-

vece risulta dall’ed.pr. Nel volumen è possibile riscontrare una particolare cura del testo. Il fr. B conserva una diple a sinistra di II 9, II 22, III 7 e a destra di II 13 è riportata la variante notet seguita da οὕ(τως) ἦν.

La diple per PSI 1488 (> 80 1427) e per Diogene Laerzio

(III 65-66) richiama le dottrine di Platone, 1 δόγματα e gli ἀρέσκοντα. Cfr. Dórrie, Platonismus, Il, 347-356. Ma Peic

αὐθ[ις] x[atà δύνα]μιϊν di II 22 (26226), al di là del testo di II 9 o di III 7, non è certo una sequenza centrale nella grande trama della diairesis. In generale, per Turner, GP, 115-118 (= PG, 134-137), forse la diple risale a una sistematica interpretazione del testo,

richiama

sul volumen,

o sul volumen che

nella tradizione antica precede, il volumen di un hypomnema. Per il Politico è possibile pensare alla circolazione di un 55pomnema nel sec. IIP. Cfr. W. LuPPE, Nochmals zum PolitibosKommentarP. Berol. 11749, APF 42 (1996), 9-11. Ma, per Pfeiffer, History, 115 n. 4 (= Storia, 195 n. 58; Geschichte, 147 n.

58), la diple non ha sempre questo scopo. Da non escludere un'esigenza di aiuto nella consultazione del testo, l'esigenza di rintracciare i 3 righi fra le numerose colonne del volumen. Arnghetti, Poeti,

eruditi, 194-196, 203, vede un'esigenza si-

mile nella capitulatio del Didimo di PBerol 9780 r. Non a torto M.W. HASLAM, POxy XLVII (1980), 38-39, per la diple attribuisce alla tradizione antica più di un errore di collocazione. Il ποιεῖ, in B II 13, è di un corrector. La presenza di οὐ(τως)

ἦν, sic, lascia pensare a un corrector che interviene sul testo per collazione. Il Sofocle di POxy IX 1174, qui citato da Rea —

291—

PLATO

57-58

con POxy XVII 2181 (> 80 41), sul margine ha con frequenza οὕ(τως) ἦν ἐν t(Q) Θέω(νος).

Per ıl testo che suggerisce un

corrector οὔ(τως) ἦν è abituale. Cfr., sull'abbreviazione, Mc-

Namee 74-75, e, sull’Alcmane di POxy XXIV 2387, Turner, GP, 93-94 (= PG, 112-113). utile considerare 1l rapporto con il testo della tradizione

medievale. Lo schema qui ha per base la nuova edizione di D.B. ROBINSON, OCT,

I (1995), che, pur in forma non siste-

matica, richiama il fr. A e il fr. B, con la sigla III.

A 3-4 (257b5-6) Ha il sostegno di B e di T l'ordine di pap. 'à' Σώκρατεϊς, τὸ}}[ν "Aunwvja. Ma W conserva τὸν "Augova, ὦ Σώκρατες. 5-6 (257b6) È certo in pap. πάνυ] μὲν οὖν μν[πημ]ονικῶς, di per sé testo della tradizione medievale accolto da Burnet.

Ma Robinson giunge all'espunzione di μὲν οὖν che suggerisce Denniston, 480-481.

B I 15 (261d5)

Non è possibile scegliere nella ricostru-

zione fra κοινὴν e κοινῇ. Burnet offre κοινῆν, con W, Ro-

binson κοινῇ, con D, forse a ragione. T ha nel testo κοινὴν, sul margine κοινῇ. 19 (261d8)

Rea offre iJóu[otpóqov. Ma non è da esclu-

dere la presenza di un errore comune di αὶ T W, ἰδιότροπον. Robinson risale qui al Par. Gr. 1814 che ha ἰδιοτρόφον fra 1 righi, certo per un impegno congetturale. II 3-4 (261e6) Indiscutibile n]Aovoıwteplog] εἰ[ἰς τὸ γῆ]ρας, con B T W e con Eusebio (PE II 97, 23). Ma Clemente (Strom. I 48, 2) ha πλουσιώτερος εἰς γῆρας. La tradizione medievale

di Teodoreto (Affect. I 32), che dipende da Clemente, ribadisce il problema: πλουσιώτερος εἰς τὸ γῆρας KBLMS,

ac-

colto da Canivet, πλουσιώτερος εἰς γῆρας C e V. Isolato il πλουσιώτερος καὶ εἰς γῆρας di Ateneo (III 99c). Forse πλουσιώτερος εἰς γῆρας è il testo ,parafrasato da Proclo (In Cra. 3, 8) con πλουσιώτεροι φρονήσεως εἰς γῆρας.

11-12 (26241)

Con evöınAalcıovravov Rea ritiene che lo

scriba pensasse a ἕν διπλάσιον τὰ νῦν, ma la sequenza non trova una funzione sintattica nel testo. Anche BT W sono pe—

292—

POXY

2468 - PSI 1483

PLT.

raltro in errore: £v διπλασίοις ἢ τὰ νῦν. Il Par. Gr. 1812 ha

un εἶτα sul margine. Dal Par. Gr. 1814 lo Stephanus invece deriva £v διπλασίοισι tà νῦν, accolto da Burnet e da Robin-

son. Cfr., su ἰδιότροπον o ἐν διπλασίοις ἢ τὰ νῦν e il carat-

tere della tradizione medievale, per lo più concorde, Nicoll, 33. Lo scopo dello Xenos è scindere il campo di ricerca per studiare un elemento

semplice. Subito dopo, Ev toig ἡμί!σε-

σιν εἰς τότε, II 12-13 (26242), di per sé offre un sostegno a ἐν διπλασίοισι tà νῦν. È palese lo schema: ἐν τοῖς ἡμίσεσιν Tichiama per contrasto ἐν διπλασίοισι e ad un tempo εἰς τότε richiama per contrasto τὰ νῦν. CertoEv διπλάσιον τὰ νῦν ha il merito di esprimere in forma veloce il problema dello Xenos, il campo di ricerca ἕν e διπλάσιον, uno da scindere perché articolato. Forse una soluzione qui è ὃν διπλάσιον τὰ νῦν che, se impoverisce lo stile, certo ἃ plausibile subito dopo τὸ | ζητούμενον, II 10-11 (26221).

13 (2622)

La presenza di εἰς τότε dopo il πῇ dell'inter-

rogativa, II 9 (261e8), offre una ragione per scegliere ποιήσει

e non il ποιεῖ del margine: ποιήσει trova conferma nella tradizione medievale, nel ποιήσῃ di B e di W, nel ποιήσει di T.

Certo utile un paragone con il Parmenide (135c5) o con le Leggi (830b2) per il valore di eig τότε. (26244)

Prima di εἶναι, manca il τις della tradızıone me-

dievale. Ma il testo nasce da una cattiva interpretazione, con &[X]An τροφῇ, II 18 (26224), per ἄλλη τροφή della tradızıone medievale. Robinson non indica l'omissione di tic. MT

58

Plt. 258e10-259c2

Sec. ΠΡ

PSI 1483 Prov.: 1gnota.

Cons.: Firenze, Istituto Papirologico ‘G. Vitelli'. —

293—

PLATO

58

Edd.: M. MANFREDI, in Comunicazioni, Firenze, Istituto Papirolo-

gico 'G. Vitelli’ 1995, 71-74: 73-74. Tavv.: Comunicazioni, supra, I. Comm.: MP" 1396.01 MANFREDI, supra; A. CARLINI, RFIC 124

(1996), 372.

Questo frammento di volumen

(cm 7,5x13,5), bianco sul

verso, conserva in parte due colonne consecutive del Politico

di Platone: il testo con la synagoge iniziale fra il sapere dell'amministratore o del padrone, del re o del politico (258e1025938, 259b2-c2).

Le colonne sono mutile in alto e in basso: di ognuna nmangono, molto danneggiati, 24 righi (ma I 14-16, II 11 e II 18-19 sono del tutto perduti). Originariamente, le colonne do-

vevano contenere 27 righi, con al massimo 18 lettere ciascuno.

La loro altezza è valutabile intorno ai 13 cm, la loro larghezza intorno ai 4,3 cm. L'intercolunnio misura mediamente cm 2,2.

E possibile calcolare che tutto il testo del Politico si estendesse

per ca. 183 colonne su ca. 12 m di lunghezza: le due super-

stiti sarebbero la quinta e la sesta. La scrittura, una informale rotonda di media qualità, è assegnabile intorno alla metà del II sec. d.C.: cfr. PBerol 9782 (> CPF IMI 9). Nella disposizione del testo, è interessante no-

tare ]’ ‘a capo’ ad ogni battuta del dialogo, anche se brevissima. Per Platone non vi sono altri esempi su volumen, ma è

possibile citare due codici pergamenacei del V/VI secolo d.C.,

PDuke G 5 (> 80 37) e, limitatamente al fr. A, PAnt II 78

(> 80 77). Il cambio di battuta è evidenziato anche dalla paragraphos. In tre casi è riscontrabile la presenza della stigme

(1 6,111 e II 3). Lo scriba usa sistematicamente lo zota mutum. La diple nel margine a sinistra di II 7 ha la funzione in-

dicata da PSI 1484 (> 80 1427) e da Diogene Laerzio (III 6566), segnala cioè un passo di rilievo per le dottrine, forse la definizione del re (259b3-5). Un accento è su 1 di ei 417 (25941), prima dell’enclitica, un accento su a di dp a I 11 (25922), un accento su a e l’ apostrofo dopo p di ἀρ’ οὐ a I 20 (25937). ll testo & collazionato

sull'edizione

di D.B.

ROBINSON,

OCT, I (1995), che non considera il frammento. Minima la di-

vergenza dal testo della tradizione medievale.

— 294—

PSI

1483

PLT.

Col. 1 —

.--.ὄ.-,...

το]! [σαύτα]ς τέχναϊς o ]bτὰς εἶναι φῶμεν ὅσα-

258e10

περ ὀ]νόματα ἐρρή-

θη; μᾶλλον δέ μοι 5

δ]εῦρο ἕπου.

N

10

Tnlöle.] εἴ τῷ τις [τ]ῶν δημοσι]ευόντων ἰατρῶν] ] ἱκανὸς συμβουλεύ]ειν ἰδιωτεύ|

25931

ὧν αὐτόΐς, ἀρ’ ὁ οὐκ ἀ[ναγ-

καῖον αὐ͵τῷ προ[σαγορεύεσ]θαι [τοὔνο15

20

col. II

[μα τῆς τέχνης ταὐτὸν] [ὅπερ ᾧ συμβουλεύει;] [Nat.]

Ti 5°;] ὅ[σ]τι[ς] βασιλεύ[οντι χἰώρας ἀνδρὶ παίραινεῖν] δεινὸς ἰδι[ώτῆς à]v αὐτός, Ap’od φήσομ]εν ἔχειν adτὸν τὴν] ἐπιστήμ[ην ἣν ἔδει τὸν ἄρ]χοντα αὐτὸν κεκτῆ]σθαι; [Φήσομεν.]

[᾿Αλλὰ μὴν ἥ γε ἀληθι-] [νοῦ B βασιλέως βασιλική;] Noi

sp

5

10

25938

Αὐτ[ὴν dè ὁ kextnuelvog οὐκ, ἄντε ἄρxov [ἄντε ἰδιώτης

» ὧν τ[υγχάνῃ, πάνtoc xa [cá γε τὴν τέxvn[v αὐτὴν βασι-

λι[κὸς ὀρθῶς προσ—

295—

259b2

PLATO

58

[ρηθήσεται;]} Δίκ[αιον γοῦν.᾽ "Koi μ[ὴν οἰκονόμος [ye καὶ δεσπότης -ταὐτίόν.

15

Τί μίήν; Τί [δέ; μεγάλης σχῆμα

[οἰκήσεως ἢ σμικρᾶς αὖ]

[πόλεως ὄγκος μῶν τι πρὸς] ἀρχ[ὴν διοίσετον;

20

_Ovölev.

Οὐ[κοῦν, ὃ νυνδὴ die-

259c1

σκ[οπούμεθα, pavepo[v ὡς ἐπιστήμη 25

μία π[ερὶ πάντ᾽ ἐστὶ

ταῦτα. [ταύτην δὲ

I6

an

7

Jeito

11

259c2

]Je-Gpovx

20

àp'ov

II3 vor al di sopra di v è possibile scorgere una paragrapbos che garantisce di norma la presenza di uno se non di piü righi subito pri-

ma

26 1 forse corretto da α 114

ταύτην δὲ B T W (cf. er Clem. Strom. Il 4, 18, 2)

ἄρχων ἐάν τε Clem. Strom. II 4, 18, 2

10-11

5-6

ἐάν τε

προσρηθήσεται suprascr.

ayopev T, προσρηθήσεται B W, προσαγορευθήσεται Coisl. 155 Par. Gr. 1808 Clem. Strom. 11 4, 18,2 post προσρηθήσεται 259d3-5 ti μήν ... συνθήcopev transp. Sandbach

transp. Robinson

II 4 (259b3)

.

13-14

12

post δίκαιον γοῦν 259d4-6 τὴν ἄρα ... δῆλον

οἰκονόμος καὶ W

Per il ταύτην dè della tradizione medievale,

il frammento qui offre αὐτ[ὴν Sè. Clemente (Strom.

II 4, 18,

2) ha ταύτην. Ma da ὥστε a ταύτην il testo che richiama è pa-

rafrasato. Funzione simile ha subito dopo un [tadımv δὲ, II 26 (259c2).

5-6 (259b3) Per lo piü la tradizione medievale attribuisce a Platone la forma ἐάν te. Ma conserva qui ἄντε o ἄν te: la forma ἐάν te risale a Clemente (Strom. II 4, 18, 2). Il frammento non offre aiuto. —

296—

PSI

1483

PLT.

10-11 (259b5) L'integrazione di προσ [ρηθήσεται] è in base al testo di B e W. Ma T ha ayopev su προσρηθήσεται, di t per Burnet. Certo προσαγορευθήσεται trova conferma nella tradizione che dipende da T e nel testo di Clemente (Strom. Il 4, 18, 2). Ha un sostegno subito prima, προ[σαϊγορεύεσ]θαι, I 12-

13 (25943), e a grande distanza, nella sezione che richiama questo momento dell'inda ine, κατὰ τὸν ἔμπροσθε λόγον ὅμως Baσιλικὸν προσαγορεύεσθαις (292e10-293a1).

| — F.H. SANDBACH, Five Textual Notes, ICS 2 (1977), 5032, suggerisce di trasferire dopo προσρηθήσεται un testo, di per sé non certo, che la tradizione medievale ha nella successiva diairesis: tl μήν; dı Socrate 1] giovane, τὴν ἄρα πολιτικὴν καὶ πολιτικὸν καὶ βασιλικὴν καὶ βασιλικὸν εἰς ταὐτὸν

ὡς ἕν πάντα ταῦτα συνθήσομεν; dello Xenos (259d3- 5). In palese rapporto con la synagoge, il testo non è adeguato allo schema della diairesis e &pa, che ha funzione connettiva dopo προσρηθήσεται, non è di semplice interpretazione con l'ordine della tradizione medievale. Ma & una ricostruzione che non trova conferma nel frammento. Una ragione decisiva per dubitare

della

tradizione

medievale

forse manca:

Platone,

prima di sviluppare la nuova indagine, richiama l'indagine che precede. 12 (259b6) Robinson giunge a stampare dopo δίκαιον γοῦν il testo che la tradizione medievale ha nella successiva diairesis. In forma certo autonoma da Sandbach e con una variazione, minima: τὴν ἄρα πολιτικὴν καὶ πολιτικὸν καὶ βασιλικὴν καὶ βασιλικὸν εἰς ταὐτὸν ὡς ἕν πάντα ταῦτα συνθήσομεν;

dello Xenos, δῆλον di Socrate il giovane (25944-6). Una variazione che di per sé conserva il rapporto, non felice, fra δίκαιον γοῦν e ὀρθῶς, II 10 (259b5). Cfr. Robinson, Statesman, 37, 41.

13-14 (259b7) W non ha il ye di B e di T, un ye forse da postulare nel frammento. MT



297—

PLATO

59-60

59 Plt. 273d5-e1 PLitPalauRib

12

Sec. [ΠΡ

Prov.: ignota. Cons.: Barcelona, San Cugat del Valles, Facultad Teolögica, Semi-

nario de Papirología, inv. 186. Edd.: J. O'CALLAGHAN, StudPap 14 (1975), 119-121; J. O'CALLAGHAN, PLitPalauRib (1993), 82-83. Tavv.: StudPap 14 (1975), fra 120 e 121; PLitPalauRib (1993), X. Comm.: MP? 1396.1 ]. O'CALLAGHAN, supra [1975]; O. MonTEVECCHI, Aegyptus 75 (1995), 328; A. CARLINI, RFIC 124 (1996), 372; J.A. STRAUS, LEC 65 (1997), 78.

Il frammento, di minime dimensioni (cm 3,9x2,2), deriva

da un volumen di buona qualità, utilizzato su entrambe le facce: il recto contiene 5 righi, mutili da ogni lato, di un passo del Politico sulla metabole cosmica (273d5-e1), sul verso rimangono tracce di una scrittura corsiva che, secondo l’ed.pr., risale al IV sec. d.C. La scrittura del recto, di stile severo ad

asse leggermente inclinato e contrasto chiaroscurale, è attri-

buibile alla prima metà del III sec. d.C. Non è presente alcun caso di iota mutum. La mese stigme a 2, dopo ταραχῆς (273d6), nasce da un'interpretazione: ὑ]πὸ ταραχῆς è da legare a χειμ[ασθείς, non a δια[λυθείς.

L'apporto del frammento alla costituzione del testo & ben

scarso. A 2 (273d6) non & possibile capire se ha un sostegno

nella tradizione antica il διαλυθῇ di t e del Coisl. 155, in asindeto con 6]ó[n, 5 (273e1): il διαλυθεὶς di B T W è in asindeto con χειμ[ασθεὶς, 1 (273d5). Dopo Aneıpo[v ὄντα, 4 (273d6-e1), la tradizione medievale ha τόπον. Risale a Proclo (In Alc. 34, 6, In Cra. 47, 26) e a Simplicio (In Ph.

1122, 10-11) una le-

zione alternativa, πόντον, Ma Proclo (In Alc. 257, 12-13) forse —

298—

PLITPALAURIB

12 - POXY

1248

PLT.

conosce τόπον che di per sé trova conferma in Plutarco (1015d) e in Eusebio (PE II 73, 6). Il testo è con grande frequenza parafrasato. Se da Proclo (15 Ti. I 174, 10-11, I 175, 20, I 179, 25-26) deriva πόντον, certo suggerisce τόπον Plotino (I 8, 13, 16-17); cfr. A.Ph. SEGONDS, Proclus. Sur le Premier Alcibiade de Platon, Paris, BL 1985, 143. Robinson, con Burnet, ha πόντον, Hermann

ha τόπον. Cfr. H. DiELs, CAG X, 1122. Ma

il frammento non offre aiuto: non è possibile una ricostruzione del testo che precede δ]ύ[ῃ, 5 (273e1). Cfr., per πόντον, H. HERTER, Gott und die Welt bei Platon, B] 158 (1958), 110 n. 20 (= Kleine Schriften, München, Fink 1975, 321 n. 20).

La ricostruzione ha per base l'edizione di D.B. ROBINSON, OCT, I (1995), che non considera il frammento.

273d5

co’

ἵν]α [μ]ὴ χειμ[ασθεὶς Ἰπὸ ταραχῆς δια[λυθεὶς ε]ϊς τὸν τῆς ἀν[ομοιότητος &netpo[v ὄντα πόντον 6]ó[n, πάλιν ἔφ]εδρος

5 1-5

273e1

il frammento & mutilo sia a sinistra sia a destra: e.g. la divisione

del testo fra i righi

2 ταραχη.

5 Jl

1

la ricostruzione considera l'ampiezza di a, 4, n

73, 6, Procl. In Alc. 257, 12-13

PE InII Alc. 34, 6, In Cra. 47, 26, Simp. . l. 5d,τονEusProc Plu. 17),101πόν S. et> Plot τόπ.ον I B8, T 13,W 16x)

^

1122, 10-11

1 179, 25(cf. et Procl. In Ti. I 174, 10-11, I 175, 20,

MT

60

Plt. 280e3-282e13

lOxy 1248

Sec. IF —

299—

PLATO

60

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: St. Andrews, University Library. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy X (1914), 129-133.

Comm.:

MP^ 1397

(=P?1397)

B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy

XI (1915), 113 e 115; GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16; EC KENYON, The Library of a Greek of Oxyrbynchus, JEA 8 (1922), 132-133; COPPOLA, Appunti [1924], 225; G. RUDBERG, SO 8 (1929), 92-93; S. EITREM - L. AMUNDSEN, POslo II (1931), 7; J.

REA, POxy XXVII (1962), 138; M. MANFREDI, Da: papiri della Società Italiana, Firenze, Le Monnier 1966, 9-11; CARLINI, Studi [1972], 69; GALLO, I [1975], 13-15; J. O'CALLAGHAN, StudPap

14 (1975), 119-120; TURNER, GP [1980], 117(= PG, 136); TUR-

NER, GMAW?

[1987], 9 n. 40; GALLO, CPF, I 1** [1992], 250

(59 1); NICOLL, Manuscript Tradition [1995], 33, 34 n. 7; RoBINSON,

OCT,

I [1995], 474; E. PUGLIA,

Un

titolo iniziale in

POxy 1367?, Papyri 1 (1996), 45-50; E. PUGLIA, La cura del li-

bro nel mondo antico. Guasti e restauri del rotolo di papiro, Napoli, Liguori 1997, 33-35, 51 n. 90.

POxy 1248 (cm 24,7x33,7) & parte di un volumen che doveva contenere il Politico di Platone: ne rimangono due co-

lonne di 51 righi, pressoché integre, seguite da una terza, muula in alto, e da una quarta, della quale si scorge solo la parte iniziale degli ultimi righi. Le colonne, lievemente inclinate secondo la legge di Maas, sono piuttosto alte, ca. cm 25 (per un

esame comparativo con 1 manufatti di Oxyrhynchus, cfr. Johnson, Papyrus Roll, 180-185) e larghe ca. 5 cm. L'intercolunnio

misura ca. cm 1,5, il margine superiore, molto danneggiato, cm 2,5, quello inferiore cm 6,5. Il volumen

fu rinforzato, sul

verso, con l’applicazione di toppe ritagliate da un rotolo con l Epitome di Eraclide Lembo a Ermippo (> 59 1): cfr. Puglia 1997, 33-35. La parte di testo sul recto conserva la sezione del Politico sulla diairesis per la techne hyphantike (280e3-282e13). La scrittura é una informale rotonda piuttosto elegante, attribuibile al pieno II sec. d.C. Per mantenere l'allineamento a destra, lo scriba usa la diple riempitiva o rimpiccolisce il modulo delle lettere finali. Lo iota mutum non è apposto. Il v efelcistico compare piü volte senza ragione. È presente qualche errore iotacistico. Il cambio di battuta è indicato da spazio bianco sul rigo e paragraphos. Una seconda mano, forse quella di un corrector, ha aggiunto nello spazio bianco il dop—

300—

POXY

1248

PLT.

pio punto. Verosimilmente di questa stessa seconda mano sono le stigmai, variamente

posizionate

ferenziazione nel valore.

nel rigo senza precisa dif-

La seconda mano

ha mutato ἀμφι-

σβητοῦσι in ἀμφισβητήσουσιν con l'inserzione di nc a 40 (28157), ha espunto e barrato il o finale di τὰς a 51 (281c3), ha aggiunto τὰ dopo tav a 71 (28145), inı λεγόμενα o λεγομένη

a 121 (28228) ha barrato e mutato in lv l'a o [ἢ finale, ha inserito lo 1 di texvaıv

a 127 (282b2), ha espunto τῆς a 151

(282c6), prima di αὐτῇ a 152 (282c5-6) ha inserito ἐν. Nella

col. II, a 53 (281c4), nell’interlineo ha aggiunto του" per indicare la variante συναιτίους rispetto a συναιτίας e nella col. III, a 123 (282b1),*n- per indicare δὴ in alternativa al δὲ della

prima mano. Se la prima mano ha usato molto spesso per il v finale di rigo ıl tratto orizzontale, la seconda mano lo ripristına nella sua forma normale. In πρᾶγμ’ αὐτὸ, 81-82 (281e1), e δ᾽ αὐτὸ, 90-91 (281e4), è

tacitamente attuata l'elisione: Robinson e Burnet hanno πρᾶγμα e δὲ. Si noti la grafia yv per kv in γναφευτικῆν, 30 (281b3), da postulare in yva]jJpevtixf, 112-113 (28224): Robinson e Burnet hanno κναφευτικὴν e κναφευτικῇ, ma nel Sofista (22743) yvapevrırn. Forse yv è da postulare anche in 1vá]lyeo[c, 165-

166 (282e13), dell'ed.pr., ora non piü leggibile: Robinson offre τῆς κνάψεως,

Burnet τῆς yvayeoc. Cfr. Mayser, 1.1, 154-

156 e Gignac I, 76-80. Il papiro ha ξανθικὴ per ξαντικὴ, 140 (282b10). Non sorprende la presenza di vx in cvvxet[ue]lvo, 130-131 (282b5), e in συνκριτικῆς, 150 (282c5), da postulare in [συνκριτ]ικὴ, 137 (282b7). Cfr. Mayser, I.1, 206-209 e Gignac, I, 168-170.

Sul margine di 115 (28226) appare una diple che forse se-

gnala un problema nel testo: lo stato lacunoso dei righi impedisce di verificare se ci fosse ξα[ντική ye καὶ] | νηστικὴ [καὶ,

al nominativo, invece dell'erroneo accusativo che offre la tradizione medievale,

o se subito dopo. ci fosse πάντα] | ταῦτα,

invece dell'indispensabile πάντα αὖ tà. E opportuno esaminare il rapporto con il testo della tradizione medievale in base alla nuova edizione di D.B. ROBINSON, OCT,

I (1995), che richiama, in forma sistematica, il te-

sto del frammento, con la sigla II2. Su T per il Politico, simile più a B che a W prima di προσῆκον οὐδὲν ἀτεχνῶς ἐπιστήμῃ

(28821), più a W che a B dopo, cfr. Nicoll, 34-36. —

301—

PLATO

I 2 (280e4)

60

Con epeov pap. non offre aiuto sul problema

di &peod, per B e per W, o épéov, per T. Ma ἐρεοῦ ha un so-

stegno subito dopo (281c9 o 28327) e nel Cratilo (389b9). Cfr. Chantraine, Dict., 324-325.

6 (280e7) 7-8 (280e7)

ro pap. con B T W, που Y. Invece di τοῦτο λελεγμένον di B T W, accolto

da Robinson, pap. ha vo[9]xo τὸ | λελειμμένον. Dopo τοῦτο, il

tò nasce per dittografia nella tradizione antica o manca per aplografia nella tradizione medievale. Ma forse trova conferina

subito prima, nel τοῦτο τὸ μέρος (27905) ο nel xa tnc τῆς ἱματιουργικῆς (280a4-5). Una banale ripetizione, dopo τοῦτο, è il τέλεον di Y, da τέλεον, ὦ παῖ che precede, 7 (28067). Lo scarto fra λελεγμένον

e λελειμμένον

ἃ trascurabile

per

Grenfell -

Hunt. Ma, più di AeAeynévov, forse λελειμμένον richiama la diairesis che Platone offre subito prima (279a7-280e5). Nel Po-

litico la presenza di λείπω è abituale per la diairesis (da 261c4 a 303e9). Platone qui riesce a delimitare con la diairesis la techne hyphantike, λελοίπαμεν (28062). Non sorprende, subito dopo, λελειμμένον. 11 (281a1) T ha sul margine ὑφῇ, cancellato nel testo. 35 (281b5)

Nel x[oi di pap. ha un sostegno il xoi di Be

di T che W non conserva. Sul rapporto fra il καὶ e I’ ἢ che precede, cfr. Denniston, 305-307.

37 (281b5) Il frammento qui non offre aiuto perché prima

di Ἰξομεν è possibile immaginare λέξομεν di B, di T e di W fra

1 righi o ἕξομεν che W ha nel testo.

38 (281b7) W non conserva il γε di pap., di B e di T. 39-40 (281b7) Fra il τολμήσομεν di 20 (28149) e l’ ἔσται! διωρισμένος di 59-60 (281c8), è preferibile ἀμφισβητήσουσιν del corrector all’ ἀμφισβητοῦσιν della prima mano. L’esitazione della tradizione antica trova conferma nella tradizione medievale. Se |’ ἀμφισβητήσουσιν del corrector è lezione di p e di T, l a@ugıoßn|todcıv della prima mano è lezione di W. Il

Ven. Marc. Gr. 184 ha la medesima situazione di pap.: un no

appare sul τοῦ di ἀμφισβητοῦσιν. Sul Ven. Marc. Gr. 184, sıstematica ‘recensione’ di T per impegno Brockmann, Überlieferung, 125-146. 51 (281c3)

del Bessarione, cfr.

zo [c] pap. X un errore il τὰς della prima mano,

forse in rapporto con τέχνας, 50 (281c3). L’ espunzione del c trova conferma nella tradizione medievale che ha tà, con Epya,

52 (281c3).



302—

POXY

1248

PLT.

II 53 (281c4), 90 (281e4), 99 (281e9)

Di non semplice so-

luzione il problema di συναιϊιτίας o συναιτίους per téyvac. A 53 (281c4) la prima mano conserva ovvaıtiag che ha un sostegno nella tradizione medievale. Ma il corrector offre ovγαιτίους. A 90 (281e4) συναιτίους è in pap. e nella tradizione medievale. Stobeo (IV 18, 9) ribadisce ξυναιτίους. A 99 (28169)

la prima mano conserva ovvartiac: il corrector qui non interviene. Ma la tradizione medievale offre συναιτίους. È plausi-

bile immaginare tre συναιτίους e scegliere la forma del corrector a 53 (281c4) e la forma della tradizione medievale a 99 (281e9). Robinson, con Burnet, ha συναιτίας e due συναιτίους in base alla tradizione medievale. 53-54 (281c4) Pap. conserva π[ροσ]ποιήσασθαι, E il testo della tradizione medievale: προσποιήσεσθαι, accolto da Robinson, risale a Richards.

62-63 (281c9)

L' ὁπόσαι περὶ τὴν ἐρεᾶν | ἐσθῆτα εἰσίν di

pap., al di là del v efelcistico per εἰσίν, trova conferma in W. Robinson, con Burnet, offre invece di εἰσίν l'eic di B e di T, da pensare in rapporto con il τὴν καλλίστην καὶ μεγίστην | πασῶν τιθῶμεν di 63-65 (281d1). Di per sé ὁπόσαι non richiede certo εἰσίν. Ad un tempo l’eig per τιθῶμεν ha più di un sostegno

nella

diairesis

del Politico (259d5, 260e6-7, 276e2-3,

306c8). Ma, nell'ambito di una generale indagine sul valore di W, difende qui eiotv R. HENSEL,

Vindiciae Platonicae, Gót-

tingen-Berlin, Dieterich/Mayer-Müller 1906, 26-27. Isolato da B e da T, certo

W

offre un testo, forse inferiore, che pap. con-

serva nel IIP. Cfr. Pasquali, Storia, 251-255. 63-65 (281d1) La tradizione medievale non & concorde sul mv kaAJAtotnv καὶ μεγίστην | πασῶν τιθῶμεν di pap. Robinson qui tace. Ma Burnet richiama γῆν di B, per tiv di T e di W, e W non offre καὶ μεγίστην. 65-66 (281d1-2) Fra ἢ Aé|yoruev μὲν e ἀληθές, manca |’ àv

ti della tradizione medievale. Ma λέγοιμεν richiede 1° àv e qui, per la diairesis, è credibile prima di ἀληθές un τι con funzione attenuativa. 68 (281d2) Dopo λέγοιμεν. anche περιέλωμεν, 69-70 (2813), richiede I’ ἄν. Ma pap. ha πρὶν αὖ, con B T W. Robinson de-

riva πρὶν ἂν da D. Hermann suggerisce περιέλοιμεν, con πρὶν

αὖ, plausibile dopo l' ἄν di λέγοιμεν. Simile una sequenza nelle Leggi (799d2-3), ἂν ... δρμήσειεν, πρίν... βεβαιώσαιτο. La tra—

303 —

PLATO

60

dizione medievale non conserva l’ ἄν per πρὶν ... ἐπιπέμψῃ nel Fedone (62c7): da qui (àv) di Heindorf, non accolto da Stra-

chan per la nuova edizione Oxford. Cfr. Schwyzer, II, 333336.

78 (281d11)

Prima di γενέσεως W ha un τῆς che trova con-

ferma nel testo di Stobeo (IV 18, 1, 9). Pap. non ha il «fic, con B e con T. 100 (281e9)

tade pap. Di ‚per se τὰς μὲν, 94 (281e7), offre

una ragione per escludere il tà δέ del frammento: la tradizione medievale ha τὰς δέ. ΠῚ 112 (28224)

In base a ravtn di pap. non è possibile

scegliere fra il πᾶν τῇ di B, accolto da Robinson, e πάντῃ che ha T con la forma πάντηι. L’esitazione della tradizione medievale trova conferma nel παντῆι di W.

114-116 (28246) Non è semplice la ricostruzione del testo: Salt 11]ivncrıicn[+ 9]ltavıo, con la diple prima di v, sul margine di 115. Robinson, con Burnet, ha qui ξαντική γε καὶ vnotikn. Ma il testo di B e di

W è ξαντικήν τε καὶ VNOTIKNV,

il testo di T è ξαντικήν γε καὶ νηστικῆν. Robinson risale per

la forma ξαντική o νηστικὴ, dello Stephanus per Burnet, al corrector del Laur. 85, 6, che la suggerisce in rasura. MURPHY, BMCRev 8 (1997), 222, e, sul corrector del 6, Brockmann, Überlieferung, 198- 208. Subito dopo, zione medievale ha xoi πάντα αὖ tà. Ma forse non è

Cfr. D.J. Laur. 85, la tradipossibile

pensare a καὶ πάν]τ᾽ αὖ tà perché la lacuna nel frammento è

più ampia. 121 (28248) ha λεγομένων,

Aeyopev[ “a [Im pap. La tradizione medievale il testo del corrector,

naturale

dopo

τῶν ὑπὸ

πἰάντων, 120 (28228). E forse da iimmaginare qui un λεγομένη della prima mano per influenza di ἣ ταλασι]ουργικῆ, 121- 122

(282a8-9), o prima di pio τίς ἐστι [τέχνη, 119 (282a7-8). 123 (282b1) La prima mano ha δὲ, per il δὴ che offre il corrector e che giunge dalla tradizione medievale. Simile a μήν,

con frequenza δή nel Politico scandisce l'articolazione della diairesis. Una funzione che trova conferma nell’ αὖθις δὴ | πά-

λιν di 149-150 (282c5). Ad un tempo δὴ qui è preferibile a δὲ perché precede

una ripetizione,

τα[λασιουργικῆς

dopo ta-

λασι]ουργική, 121-122 (282a8-9). Cfr. Denniston, 225-227. 133-134 (282b6)

Manca lo spazio in pap. fra tfi[c e vao]l-

— 304—

POXY

1248

PLT.

σιουργίας per te di B e di T. Robinson non segnala l'omissione di W.

135 (282b6)

Robinson con l'integrazione congetturale di

ἅμα, in base all’ ἅμα di 126 (282b2), interviene sul testo di

pap. e della tradizione medievale. Non semplice lo stile della sezione. Cfr. Robinson, Statesman, 41. 151-152 (282c6)

[inc]toAal[covpnac ev αὐτῇ pap. W of-

fre il τῆς della prima mano, il τῆς di ταλα![σι]ουργίας. Ma è un τῆς da escludere perché non ha τῆς 1l συγκριτικῆς che precede, nel frammento συνκριτικῆς, 150 (282c5). Il corrector in-

terviene con l'espunzione: τῆς manca nel testo di B e di T. Robinson non segnala l'accordo di W con la prima mano di pap. 152 (282c6)

Certo αὐτῇ richiede !’ ἐν inserito dal correc-

tor, che trova conferma nella tradizione medievale.

IV 158 (282e8) Pap., con BT W, ha φάθι (nell’ed.pr., ora non pıü leggibile). Robinson risale per φάσι alla ‚prima mano del Par. Gr. 1808 che offre φάθι, ma poi emenda in φάσι. Cfr. D.J. MURPHY,

BMCRev 8

(1997), 222, e, sulla collocazione

stemmatica del Par. Gr. 1808, Brockmann, Überlieferung, 156177.

160-161 (282e9) Pap. non conserva che un 1 e un x per ornnovovnlltliulk[n]v. Grande l'esitazione della tradizione medievale. B, forse con D, ha στημονονητικήν. W offre στημονιστικήν, che poi emenda

i in στημονονηστικήν, forse anche T of-

fre στημονιστικήν, ma poi emenda in στημονητικήν. La forma στημονονητικήν ha un sostegno in Polluce (VII 30 e VII 209).

165-166 (282e12-13)

È un problema la ricostruzione del

testo: τῆς γνάϊψεωϊίς (nell? ed.pr. ora non più leggibile). Robinson deriva τῆς κνάψεως da τῆς γνάψεως di B e di T. Ma W ha τοῦ κναφέως. MT



305—

PLATO

61

61 Plt. 304e12-305c11; 308e10-309c6

PSI 1484 + POslo 9

Sec. IIP

Prov.: Oxyrhynchus? Cons.: PSI 1484: Firenze, Istituto Papirologico 9: Oslo, Universitetsbiblioteket.

‘G. Vitelli’; POslo

Edd.: PSI 1484: M. MANFREDI, Dai papiri della Società Italiana, Firenze, Le Monnier 1966, 9-11; POslo 9: G. RUDBERG, SO 8 (1929), 93-94; S. EITREM - L. AMUNDSEN, POslo II (1931), 6-7.

Comm.: MP? 1398 (= P° 1398) supra, 9-11; M. MANFREDI,

— PSI 1484: MANFREDI, Dai papiri, in Comunicazioni,

Firenze, Istituto

Papirologico ‘G. Vitelli’ 1995, 71-72; A. CARLINI,

RFIC

124

(1996), 372; POslo 9: G. RUDBERG, SO 8 (1929), 92-94; J. REA, POxy XXVII (1962), 138; MANFREDI, Dai papiri, supra, 9-11; J. O'CALLAGHAN, StudPap 14 (1975), 119-120; MANFREDI, in Co-

municazioni, supra, 71-72; NICOLL, Manuscript Tradition [1995], 33; ROBINSON, OCT,

I [1995], 474; CARLINI, supra, 372.

PSI 1484 e POslo 9 sono due frammenti (rispettivamente cm 7,2x13 e 8,5x16,5) provenienti molto verosimilmente da un medesimo rotolo, bianco sul verso, che conteneva il Politico di Platone: cfr. Manfredi 1995, 72. Entrambi presentano i resti di due colonne consecutive di scrittura; POslo 9 mostra an-

che un ampio margine inferiore (cm 5). Le colonne, di 37-38 righi con 12-19 lettere ciascuno, misuravano originariamente cm 4,5x15 ca.; l’intercolunnio è mediamente

di cm

1,6. Con

tale impaginazione tutto il testo del Politico forse occupava 170 colonne o poco più, per uno sviluppo non troppo superiore ai 10 m. I’due frammenti superstiti si collocherebbero a ca. sei colonne di distanza l’uno dall’altro. Dopo POslo 9, alla fine del testo mancherebbero quattro colonne. La scrittura, una informale rotonda dal disegno semplice, è attribuibile al sec. II d.C. —

306—

PSI 1484+POSLO

9 PLT.

Il cambio d'interlocutore è indicato dal doppio punto, accompagnato dalla paragraphos. L'ano stigme suggerisce pause all’interno di una battuta. I non frequenti segni di lettura, quali l'accento acuto (PSI 1484, I 8), i punti diacritici su v e 1 ini-

ziali (PSI 1484, I 6, II 24) sono attribuibili alla prima mano. Lo iota mutum è impiegato regolarmente. In PSI 1484, II 10 un segno marginale di non semplice interpretazione, ma che

forse richiama una variante o un'annotazione marginale inghiottita dalla lacuna: esso manca nello schema di PSI 1488 > 80 142T) e di Diogene Laerzio (III 65-66). In POslo 9, 34

tò è aggiunto nell'intercolunnio all'inizio del rigo, sembra dallo scriba originario.

La ricostruzione ha per base l'edizione di D.B. ROBINSON,

OCT, I (1995), che non considera PSI 1484 e utilizza invece

POslo 9, con la.sigla Π3. Il papiro, nei due frammenti, offre più di un errore proprio (p. es. POslo 9, 24-25), ma nessuna

nuova lezione plausibile. In un caso (POslo 9, 5-6) si accorda in errore con la tradizione medievale: quando questa è divisa,

ora (PSI 1484, I 3-4) trova conferma in B contro T W, per una lezione superiore,

ora (PSI 1484, Il 25-26) in T W contro β,

per una lezione inferiore, come sembra. PSI

1484

Col. I πρόσθεν ἀναγκ]αῖον

ἑπομένοισιν ἑτ]έραν.

ταύἄϊρχίο]υσαν Οὐκοῦν ang αὐτὴ]ν ἀποφα5

10

νούμεθ]α, εἴπερ τοῖς ἔμπροσ]θέν ye ὑποληψόμε])θα ὁμοίως; Φημί 1 Tiv’ οὖν ποτε καὶ ἐΪπιχειρήσο-

μεν οὕτω] δεινῆς

καὶ μεγά]λης τέχνης συμπάσηϊς, τῆς πο-

λεμικῆς,] δεσπότιν —

307—

304e12

952

PLATO

61

drogaivelodar πλήν 15

γε δὴ τὴν ὄϊντως o[öloav

30526

μ[ήτε ὑπό τινῶν δώplov μήτε ὑπὸ φόβων μ[ήτ]ε οἴκτων μή-

305b8

Col. II

5

305c1

te ὑπό tıvols ἄλλης

ἔχθρας μη[δὲ φιλί-

ας ἡττηθεῖσα [παρὰ

τὴν xo[6] voluo@éτου τάξιν ἐθέλειν

10

ἂν τἀλλήλωϊν ἐγ-

κλήματα διαιρεῖν; Οὔκ, ἀλλὰ σχ[εδὸν ὅσον εἴ-

ρηκας ταύτίης ἐστὶ τῆς δυνάμίεως £pyov. Καὶ τὴν [τῶν

15

δικαστῶν [ἄρα ῥώμην ἀϊνευρίσκομεν οὐ βασι[λι]κ [ἣν οὖσαν, ἀλ[λὰ] νόμ[ων φύλακα

20

καὶ ὑπηρέίτιν ἐκεί: νῆς. "Eow[év γε. Τόδε δὴ κ[ατανοητέ-

οἦν ἰδόντι συναπάσας 25

12

τὰς εἰρ[ημένας

10 [E 12

]epav:

5 je

30561)

6 γεῦπο

8 ]tivouv

13-4

ταύτην αὐτῆς T W, ταύτης adınv B

IL 10

nell’intercolunnio a sinistra, un segno a forma

laaco ua wol

24 ]vibo|

4

16 yoviKa

mento, ma forse 26 mc] no Manfredi, nel com —

308 —

PSI

1484+POSLO

9

II 3-4 μήθ᾽ ὑπό τινων δώρων μήθ᾽ ὑπὸ μῆτε οἴκτων μήθ᾽ ὑπό B T 5-6 infra5-6 ΙΝ 5, 107 22-23 τὸ δὲ δὴ B, τόδε δὴ W Denniston, 225-227 24 ἴδοντε B, ἰδόντι τὰς ἐπιστήμας ot εἴρηνται fj, rec. Robinson, ἐπιστήμας Stob. IV 7, 22

PLT.

B T W Stob. IV 5, 107, sed cf. W, μήτ᾽ οἴκτων μήθ᾽ ὑπό Stob. Stob. IV 7, 22, τό ye δὴ T, cf. T W Stob. IV 7,22 25-26 τὰς εἰρημένας ἐπιστήμας T W,

13-4 (305a1) Certo è il ]v che rende possibile scorgere qui l'ordine di B, ἄρχουσαν ταύτης αὐτὴν, con la basilike dynamis, αὐτὴν, che dirige la polemike dynamis, ταύτης. T ha in-

vece, con W, ἄρχουσαν ταύτην αὐτῆς. Ma una polemike dynamis, tadınv,

che dirige la basilike dynamis, αὐτῆς, non è

conciliabile con la prospettiva generale della ricerca. Il 3-4 (305b8) In base a [mele οἴκτωΪν μή] τε ὑπό È τινοίς di II 5- 6 (305c1), da postulare qui μ[ήτε ὑπό τινων δώ ρ[ων μήτε ὑπὸ φόβων. Robinson, con Burnet, ha la forma μήθ᾽ ὑπό della tradızione medievale e che trova conferma nel testo di Stobeo (IV 5, 107). 22-23 (305c10) Da escludere il τό ye δὴ di T. Robinson offre τόδε δὴ, con W e con Stobeo (IV 7, 22). Ma ß conserva τὸ de δῆ. Forse il τό ye δὴ di T deriva dall’ ἔοικέν ye che precede, JI 22 (305c9). 24 (305c10) Non è plausibile ἴδοντε di B, per ἰδόντι, di T W e di Stobeo (IV 7, 22). 25-26 (305c10-11) Il certo &1 forse rende inevitabile pensare al τὰς εἰρημένας ἐπιστήμας di T W. Ma la ricostruzione

di ἐπιστήμας crea qualche difficoltà di lettura al τ. 26, tanto che per Manfredi, che pur suggerisce in apparato ]ric[, non è da escludere

un testo che la tradizione medievale non con-

serva. Tuttavia è forse possibile leggere al r. 26 Jaco[, che consentirebbe una ricostruzione τὰς εἰρ[ημένας ἐπιστήμ]ας ὅτι. Robinson, con Burnet, offre il testo di B, τὰς ἐπιστήμας αἵ εἴρηνται. Stobeo (IV 7, 22) ha un semplice τὰς ἐπιστήμας. POslo

9

15 (30922) ἀπωθούμειϊινα nasce da cattiva interpretazione di una frase dallo stile non semplice. Ma & lezione di B T W e di P che ha in forma di excerptum l'ultima sezione del Politico. Il Par. Gr. 1814 offre ἀποθούμενος. Dopo un δυναμένους —

309—

PLATO

61-62

(309e9) e prima di ἐκβάλλει, I 6-7 (309a2), è indispensabile

ἀπωθουμένους, di Stallbaum.

,

12 (309a5) Pap. conserva te [aJd: è il testo di B e di T. Se W ha te αὖ da ye αὖ della prima mano, P non offre la sequenza, te αὖ o γε αὖ, forse per abbreviare

l’excerptum. Sul

valore di P, cfr. C. BROCKMANN, Gnomon 70 (1998), 658-659. II 24-25 (309b6) Invece di Sallvonnları, la tradızıone medievale ha διανθήματι, un termine di per sé non documentato.

Ma è indispensabile pensare, con il Cornarius, a διανήματι che qui richiama la diairesis per la techne del tessere. Cfr. Nicoll, 33. Forse διανθήματι deriva da διανήματι per un errore di ori-

gine meccanica e il δια Ννοήμ[ατι di pap. deriva da διανθήματι

per un'esigenza di semplice interpretazione o per un errore di origine meccanica. 27 (309b6) Con l’espunzione di un δὲ Robinson interviene sul testo della tradizione antica e della tradizione medievale. MT

62

Protagoras 337b3-357b2 POxy 1624

Sec. III?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Dublin, Trinity College Library, Pap Gr 215 bis. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HuNT, POxy XIII (1919), 199-208. Tavv.: POxy XIII (1919), VI (fr. 25, fr. 28). Pal.: CAVALLO, Mainscola biblica [1967], 47 n. 2; J[. O'CALLAGHAN, StudPap 14 (1975), 120; CRISCI, Maiuscola ogivale [1985], 111-112; J. O'CALLAGHAN, PLitPalauRib (1993), 83.

Comm.: MP? 1413 (= P° 1413.

GRENFELL, Value [1919], 28; ΕΟ.

KENYON, The Library of a Greek of Oxyrhynchus, JEA 8 (1922), 132-133; COPPOLA, Appunti [1924], 225-227; PASQUALI, Storia

[19527], 249; E.G. TURNER, Scribes and Scholars of Oxyrbynchus, M.P.E.R., N.S. 5 (1956), 145 n. 4; DODDs, Plato. Gorgias [1959], —

310—

PSI

1484+POSLO

9

PLT.

- POXY

1624

PRT.

38 n. 5; SIJPESTEIN, Platon-Papyri [1964], 27-31; W.H. WILLIS,

A Census of tbe Literary Papyri from Egypt, GRBS 9 (1968), 211-231; CARLINI, Studi [1972], 72, 217; TURNER, GMAW? [1987], 9 n. 40; M. TULLI, Sul testo del «Protagora» nella tradizione antica. Il corrector di POxy

1624, in Le vie della ricerca [1996],

457-465.

POxy 1624 é costituito da un folto gruppo di frammenti di un volumen,

bianco sul verso, che doveva contenere 1l te-

sto del Protagora. L'ed.pr. trova una collocazione precisa a 32 frammenti (alcuni frutto di ricomposizione di frammenti minori) e ne offre 16 senza collocazione, per un totale di 48 frammenti. Ma, presso la biblioteca del Trinity College di Dublino, sono conservati altri sette o otto pezzettini dello stesso volumen, con resti minimi, di non piü di due lettere, che nell'ed.pr. non sono stati inclusi (comunicazione di B. McGing). Fra i 16 frammenti senza collocazione, per ıl fr. 45, con 5 lettere in due

righi, la collocazione che suggerisce l'ed.pr. è plausibile: sul margine laterale del fr. 8, a integrazione di XIX 31-32 (342e34). Inoltre, per il fr. 33 (di cui l’ed.pr. mette in dubbio, forse

a torto, l'appartenenza allo stesso volumen), un'indagine sul

TLG suggerisce una collocazione fra i frr. 7 e 8, cioè verso la

metà inferiore della col. XVIII (342c4-6). Meno plausibile sembra invece una collocazione verso l'inizio del dialogo (30924b1), perché tutti gli altri frammenti del volumen sono della sezione conclusiva. Forse deriva dalla sezione conclusiva il fr.

35, per il quale un’indagine sul TLG suggerisce una colloca-

zione fra il fr. 20 e il fr. 21, cioè verso la metà inferiore della

col. LVIII (354e8-355a1). Non è semplice invece scegliere per Il fr. 43 fra una collocazione verso la metà inferiore della col. LXV (35723) o al centro della col. LXVI (357b3).

L'esame complessivo dei frammenti lascia ricostruire ap-

prossimativamente le dimensioni delle colonne, cm 5x20,5, e il numero

dei righi che

ciascuna

doveva

contenere, circa 38,

con 10-17 lettere ognuno, circa 13 in media; l'intercolunnio é

di cm 2,3. Il margine superiore è misurabile fino a cm 4,4 (frr.

23 e 29), l'inferiore fino a cm 5,1 (fr. 2). Il testo superstite copre un'estensione di 66 colonne, di cui peró solo 24 sono saltuariamente rappresentate (e nessuna integralmente). Le colonne dovevano essere in origine circa 175 (92 prima e 17 dopo —

3411—

PLATO

62

le 66 colonne parzialmente conservate), per una lunghezza

di

quasi 13 m. La scrittura e una libraria di stile severo, con alternanza di

modulo e contrasto chiaroscurale non esasperato, con una lievissima inclinazione a destra, attribuibile agli inizi del III sec.

d.C. È usato il segno riempitivo in forma di diple. Lo iota mutum è regolarmente apposto. Compaiono i punti diacritici su t e v iniziali. Ricorrono stigmai nelle tre posizioni per le pause di senso e il doppio punto per indicare fine di battuta, anche fine di battuta riportata da un interlocutore. I frammenti si distinguono per la presenza di un corrector.

Per lo più stzgmai e doppi punti risalgono sicuramente al corrector (p. es. LXI 2). Sono visibili quattro paragraphoi, che la mano del corrector ha eliminato con parentesi. Del corrector

sembrano anche uno spirito aspro su a in XVII 15 e un accento circonflesso su ov in XXXV 6. Dopo ἐστι, la prima mano conserva il v efelcistico a II 9 (337d2). Il corrector lo inserisce a XVII

19-20 (342a7), dopo

eolltı. Ma non per un'esigenza di semplice normalizzazione perché il v efelcistico manca, in condizione identica o simile, a I 8-9 (337b6) e a LXI 11 (35547). Per il v efelcistico nella tra-

dizione medievale, cfr. Schanz, Platonis opera, V, pp. XI-XII. In cv[yyeveig della prima mano,

II 3 (337c8), il corrector

sostituisce & a c. Forse qui emerge una preoccupazione atticistica. Cfr. Schwyzer, II, 487-488. Ma non è da escludere un’e-

sigenza di semplice normalizzazione perché la prima mano ha la forma con ξύν a II 8-9 (337d1) e a XXXV

3-4 (34745). Da

postulare la forma con ξύν, del corrector o di per sé testo della prima mano, a I 1 (337b3), XVIII 27-28 (342c4), XVIII 30-31

(342c5). Cfr. Mayser, I.1, 184-185 e Gignac, I, 139-141. Per Kerschensteiner,

Gebrauch,

27-41,

l'oscillazione

della tradi-

zione antica e della tradizione medievale fra σύν e ξύν risale a Platone. Cfr. C. BROCKMANN, Gnomon 70 (1998), 665. Non

deriva certo da una preoccupazione atticistica la presenza di ἑαυτοῖς, XXXV 2 (34745), ἑαυτῶν, XXXV

10 (34747), ἑ[α]υτό, LXV 17 (356e7).

7 (347d6), XXXV

Il papiro, con il testo della prima mano e con il testo del corrector, ha grande valore per la ricostruzione che rende possibile della tradizione antica. Oltre al v efelcistico dopo &o]lktu —

312—

POXY

1624

PRT.

XVII 19-20 (34227), alla forma con ξύν per ov[yyeveic, II 3 (337c8), al non certo [elı da [1] della prima mano, XXXV 3-4

(347d5), il corrector interviene su 24 righi dei 34 frammenti,

su 12 con l’espunzione, su 7 con una lezione alternativa, su 5 con l'integrazione di una o più parole. Un impegno sul testo della prima mano perseguito in forma sistematica. Emerge anche per 3 righi dei 14 frammenti senza collocazione, il 37, il

39, il 42.

Di per sé l’impegno del corrector è un elemento di valore indiscutibile per capire il tipo di fruizione del volumen. Cfr. Sijpesteijn, Platon-Papyri, 31-32. Eppure nella tradizione antica il Protagora non ha una particolare presenza fra le opere di Platone. Mancano elementi per postulare una sistematica interpretazione del testo, un hypomnema. Cfr. Dörrie-Baltes, Platonismus, III, 225-226. Dal sec. IV? il ‘canone’ dei 12 prat-

tomenoi certo non lo suggerisce per le scuole. Cfr. L.G. WESTERINK, Prolégoménes à la philosophie de Platon, Paris, BL 1990, pp. LXVII-LXXIV. Per segno di espunzione il corrector ha una tendenza indiscutibile a scegliere ıl punto sopra le lettere. Ma interviene con 1] tratto sulle lettere per l'espunzione di vc[, IX 1 (33949), τοί, XXIII 4 (343e3), ai, LXIV 1 (356c7), e con le parentesi per

l'espunzione della paragrapbos. Cfr. Turner, GMAW', 15-16. Per l'ed.pr., la sistematica espunzione della paragrapbos deriva dall'esigenza di non confondere la paragraphos con 1l tratto sulle lettere. Forse nell’ espunzione

di oi, LXIV

1 (356c7),è

possibile scorgere un’esigenza simile. Ma la paragraphos in base alle regole sporge sul margine sinistro e il tratto sulle lettere ha di per sé una presenza sporadica. La lezione alternativa è fra 1 righi. Per lo più è fra 1 righi l'integrazione. Ma risale certo al corrector il καὶ alla fine di I 6 (337b5), dopo εὐδοκιμοῖτε. L'espunzione di vc[, IX 1 (339d9), τοί, XXIII 2-5 (343e23), ovo, LIX 35-36 (355b6), deriva nella ricostruzione dell’ed.pr.

dalla presenza di una dittografia, da postulare in lacuna, prima di vc[, dopo tol, prima di ovo. Ad un tempo nasconde una dit-

tografia. nella ricostruzione dell’ed.pr. il problema di LXIV 5-

6 (356c8-d1) e di LXIV 8-9 (35642): qui, con la dittografia, è da postulare in lacuna l'espunzione del corrector. Ma la prima mano di per sé non offre la minima corruzione meccanica e —

313—

PLATO

62

non convince il paragone con il Simposio di POxy V 843 (+ 80 76). E possibile, invece, mostrare che il corrector, anche in

base all'espunzione, suggerisce sempre una costituzione del testo alternativa. Cfr. Tulli, 458-460. L'espunzione di vc[, IX 1 (339d9), forse ha origine da un impegno sul testo che precede, tormentato nella tradizione medievale; scopo dell’espunzione di τοί, XXIII 2-5 (343e2-3), è forse ripristinare l'ordine di un testo dallo stile non semplice; l'espunzione di ovo, LIX 35-36 (355b6), forse ha un rapporto con ıl testo che il corrector subito prima offre. Se il problema di LXIV 5-6 (356c8-d1) trova la soluzione più economica nell’ ἦν della tradizione medievale, a LXIV 8-9 (356d2) non è da escludere una diple riempitiva della prima mano. Certo la frequenza dell'espunzione sorprende. Per l'espunzione. del v di δώσειν, XXXVII 2 (34865), è possibile iimmaginare un impegno congetturale. Nell'espunzione di ἄρα,

LIX 31 (355b5), emerge il problema della collocazione, di per sé non abituale nel sec. IV a.C., e il corrector del Coisl. 155 per un impegno congetturale suggerisce ἅμα, dopo Stallbaum

accolto da Burnet. Ma non & semplice capire l'espunzione di

ot], LXI 5 (35545), ἴσως, LXI 10 (355d7), uev, LXIV 2 (356c8),

che non deriva da un problema nel testo e non trova conferma nella tradizione medievale. Per Grenfell e Hunt, la frequenza

dell'espunzione richiama la condizione del Lachete o del Fedone di PPetrie II 50 (> 80 23) o PPetrie I 5-8 (+ 80 40) del

sec. III a.C., che omettono parole che la conserva. Ma la distanza dalla tradizione ben più grande. Cfr. A. CARLINI, RFIC Anche per μὲν invece di te della prima

tradizione medievale medievale qui appare 124 (1996), 372-373. mano, I 7-8 (33755),

e per ἐλάττους 1 invece di σμικρότεραι, LXIV

4 (3568), o

Pi integrazione di àv, LXV 6-7 (3564), edit ἦν, LXV 12 (35665), è possibile immaginare un impegno congetturale. Forse il μὲν ha origine dal testo di I 13 (337b7) e 1’ ἐλάττους trova con-

ferma nel testo di LXIII 33-34 (356c6). Ad un tempo il testo di LXV 6-7 (356e4) e di LXV

12 (356e5) richiede la presenza

di ἂν e di fiv. Cfr. Coppola, Appunti, 225-227. Ma non è semplice pensare a un impegno congetturale per l’integrazione di καὶ, I 6 (337b5), o subito dopo per ψευδόμενον, I 15 (337b7).

Nei 24 righi, con l’espunzione, con una lezione alternativa, con l’integrazione, il corrector non ha lo scopo di esercitare un semplice gusto per lo stile o di risolvere sul momento un —

314—

POXY

1624

PRT.

problema del testo. Per una ragione quantitativa e per una ra-

gione qualitativa & possibile, invece, postulare un pregevole

impegno di collazione, certo in base a un'edizione di grande valore che precede 1l sec. III d.C. Cfr. Carlini, Studi, 72. Non e utile riflettere, con Grenfell e Hunt, sul problema del rap-

porto con l'edizione accademica o alessandrina. Cfr. Dórrie, Platonismus, II, 334-356. Da considerare, invece, per un simile impegno di collazione, il Fedro di PTurner 7 + POxy XVII 2102 (> 80 49) o il Fedro di POxy VII 1017 (> 80 50). Cfr. Pasqualı, Storia, 255-257. Richiama forma e carattere che la collazione ha per lo pıü nella tradizione antica Turner, GP,

93-94 (= PG, 112-114).

E possibile riassumere in uno schema il rapporto fra il testo della prima mano, il testo del corrector e il testo che la tradizione medievale conserva nei tre codici di valore fondamentale per la costituzione del testo, B T W. Lo schema prescinde qui dai righi da postulare con dittografia per Grenfell e Hunt, IX 1 (339d9), XXIII 2-5 (343e2-3), LIX 35-36

(5586), LXIV 5-6 (356c8-d1), LXIV 8-9 (356d2), e dai righi

di non semplice

ricostruzione,

I 12-13

(337b7) XXXV

5 -4

(347d5), LXIII 30-31 (356c5). Cfr., su B T W per il Protagora, Boter, The Vindobonensis, 147, 153- 154.

Se concorde, la tradizione medievale ha un sostegno nel testo della prima mano e con frequenza simile nel testo del corrector. - Ha un sostegno nel testo della prima mano per ἄρα, LIX

31 (35565), ὅτι, LXI 5 (355d5), ἴσως, LXI 10 (35547), uiv,

LXIV 2 (35608), σμικρότεραι, LXIV 4 (356c8), καὶ, LXV 15 (356e6-7): il corrector interviene con l'espunzione di ἄρα, LIX

31 (355b5), óx]u LXI 5 (355d5), ἴσως, LXI 10 (355d7), μὲν, LXIV 2 (356c8), e offre in alternativa ἐλάττους, LXIV 4 (356c8),

ἢ, LXV 15 (356e6-7).

- Ha un sostegno nel testo del corrector per εὐδοκιμοῖτε καὶ, I 6 (33765), μὲν, I 7-8 (337b5), ai φωναὶ ἴσαι, LXIV 1-2 (356c7), σῴζειν ἂν, LXV 6-7 (356e4), ἡμῖν nv, LXV 12 (35665):

la prima mano

conserva un asindeto dopo εὐδοκιμοῖτε, I 6

(337b5), te, I 7-8 (337b5), αἱ φωναὶ ai ἴϊσαι, LXIV 1-2 (356c7), e non offre P ἂν dopo oól[Gei]v, LXV 6-7 (356e4), I v dopo ἡ[μῖ]ν, LXV 12 (35665).

- Con Ἑλλήνων ἐν Κρήτῃ te καὶ ἐν il testo della tradizione medievale non ha un sostegno nel papiro perché il corrector —

315—

PLATO

62

suggerisce forse un Ἑλλήνων è Ev TE Kpnm καὶ ἐν, da un ‘EX. Anvov calı £v] | KonIx]n xoi ev della prima mano, XVII 22-23

(342a8-b1).

Una divisione all'interno della tradizione medievale per lo più trova conferma in una divisione fra il testo della prima mano e

il testo del corrector.

- Per δώσειν di W e della prima mano e δώσει di B T e del corrector, XXXVII 2 (348b5), non e di per sé da immaginare un'origine antica della divisione fra il testo di W e il testo di B T perché δώσειν forse nasce più volte, nella tradizione antica e nella tradizione medievale, da cattiva interpretazione. Sul problema, una ‘perturbazione’ che rende la tradizione di un testo ingannevole, cfr. S. TIMPANARO, La genesi del metodo del Lachmann, Padova, Liviana 19817, 123-150. Un ἡ[μῖν

della prima mano, che ha un sostegno nella tradizione medie-

vale, per il corrector è da mutare in ὑμῖν, LXVI 4 (35726). Ma | ἡμῖν di W nasconde ὑμῖν, ha un n da v. Forse qui ἡμῖν è preferibile a ὑμῖν, che di per sé la trama del Protagora (352d4-

353b6) suggerisce. Ma un rapporto fra l’esitazione di

We!’

ὑμῖν del corrector è da escludere.

- La prima mano ha ψε)]υδομένων, I 15 (337b7), con B T, zoppo]hképo[u LXVI 9-10 (357b1), con T, ἐγγυτέ!ρῳ, LXVI 10-11 (357b1), con T. Ma W offre yevdopévo, con B πορρωτέρω e con B ἐγγυτέρω. Certo la tradizione medievale non conosce

la soluzione del corrector, ψευδόμενον, 115 (337b7), πορρωτέρου, LXVI 9-10 (357b1), eyyvrepov, LXVI

10-11

(357b1). La divi-

sione fra B Te WofraTe BW è il segno di un guasto. Il papiro ne rende plausibile un’origine antica. - Anche per n, LXI 14 (355d8), la tradizione medievale non conosce la soluzione del corrector, P?'espunzione. Ma n nel testo di B T ha funzione separativa, tj, nel testo di W ha fun-

zione interrogativa, N. Non è possibile capire la funzione che ha nel testo della prima mano. - Forse alla prima mano risale un ἐν ὀρ!θῇ cult αἱρέσει, LXVI 2-3 (35736), con B t W. Ma T ha ἐν ὀρθῇ πῇ αἱρέσει. Con Grenfell - Hunt & plausibile pensare a τῇ ὀρ]θῇ τῆι αἱρέσει o ἃ ἐν τῇ ὀρ]θῇ τῆ[ι αἱρέσει. Anche qui la tradizione

medievale non conosce la soluzione del corrector. Una soluzıone forse non semplice da i immaginare per ἐν ὀρ] θῇ. Ma è

indiscutibile subito dopo l'espunzione di τῆ[ι. —

316—

POXY

1624

PRT.

Con frequenza minima la tradizione medievale ha una divisione che manca nel papiro fra la prima mano e il corrector. - In particolare il papiro ha ἐπαινοῖσθε, I 7 (337b5), con B W, ἑαυτῶν, XXXV

7 (34746), con B, ei] oi, XLV 5 (350e1),

con t W: qui T offre o1 su ἐπαινεῖσθε, il testo di

TW è αὐτῶν,

T ha il non credibile οἵει, B un otet.

- Forse la prima mano ha e[i ἰσχυροὶ, XLV 2 (350d7), con Be ἄνθρ]ωποι, LXV 4 (356e3), con B T. Ma il testo deriva da

una ricostruzione. Con Grenfell e Hunt è plausibile pensare a eli οἱ ἰσχυροὶ di T W e a oi ἄνθρ]ωποι di W. Da non esclu-

dere una soluzione alternativa del corrector. In base alla tradizione medievale Sauppe suggerisce ἅνθρωποι. La prima mano

il corrector non serva ἐν μέρει. Nel testo di ha un sostegno medievale offre

ha ἐν tölı] | μέρει, XXXV 9-10 (347d7), e

interviene. Ma la tradizione medievale conStobeo (III 7, 73), accolto da Burnet, il papiro per γε καὶ, XLVI 3 (351b1). Ma la tradizione te kai. Sul valore di Stobeo per Platone, cfr.

Carlini, Studi, 122-125.

Trova conferma nel testo della prima mano αἱ fra φωναὶ e loa. LXIV 1-2 (356.7), accolto da Burnet su integrazione di Heindorf, oi φωναὶ (at) ἴσαι. Ma il corrector interviene con

l'espunzione di ai e suggerisce il testo della tradizione medievale, ai φωναὶ ἴσαι, accolto da Hermann. Scegliere non è semplice. Anche perché il papiro ha un tratto che copre 1 punti del corrector per espunzione su a e su v. Ma forse il tratto deriva dall'esigenza di non confondere i punti di espunzione con i punti diacritici della prima mano sullo 1 successivo e ribadisce l'espunzione. Il problema della tradizione antica è un problema suscitato dalla critica in base a una tradizione medievale concorde: la funzione del termine ἴσαι dopo φωναὶ, "pares" o, con Hermann, "etsi pares". Certo ai ha un sostegno nel tà di tà [αὐτὰ] | [μεγέθ]η, LXIII 31-32 (356c5), o di τὰ μὲν | ἰμεγάλ]α μήκη, LXIV 7-8 (356d1-2).

Manca, invece, una conferma nel papiro per un’espunzione di Cobet, καὶ χαλάσαι, III 14 (53823), o per un 'espunzione di Deuschle, al prima di φωναὶ ἴσαι, LXIV 1-2 (35607).

Forse identica la situazione per un ‘integrazione di Cobet, πρὸς dopo od, XXIII 2 (343e2), o per un’espunzione di Naber, ἀπὸ, XLVI 4 (351b1). Ma il testo deriva da una ricostru—

37 —

PLATO

zione.

In particolare

62

l'integrazione

di Cobet

precede il pro-

blema di XXIII 2-5 (343e2-3). Da non escludere una soluzione

alternativa del corrector. Nell'edizione che segue viene proposto il testo della prima mano e ad un tempo il testo del corrector (m^). A prescindere dai segni abituali per ogni espunzione o integrazione, la presenza di una lezione alternativa del corrector viene indicata riproducendo le lettere o le parole nell'interlineo. La ricostruzione ha per base l'edizione di J. BURNET, OCT, III. Il testo di W, non registrato in forma sistematica da Burnet, é controllato su microfilm. Col. I (Frr. 1 + 2)

[1)

5

10

fllIui]v ἡ [ovv]ov[o]ia

337b3

yiyvow[o]- ous[t]c te γ]ὰρ ot λέγοντες μάλιστ᾽ ἂν οὕτως ἐν T]μῖν τοῖς ἀκούουci]v εὐδοκιμοῖτε "koi οὐκ] ἐπαινοῖσθε — εὐölo]Kkıneiv TE γὰρ ἔστι παρὰ τ[αῖϊ]ς ψυχαῖς τῶν [ἀκ]ουόντῶν ἄν[ευ] ἀπά-

τίης, ἐπαι]νεῖσθαι 15

35

2

δὲ] ἐν λόγῳ πολλάκι]ς παρὰ δόξαν ψε]υδομένὼν -- fiuelîg τ᾽ αὖ οἱ ἀκούovtelg μάλιστ᾽ &[v οὕτως εὐ]φρα[ϊνοί[μεθα, desunt versus 16 δὲ] τ[ὸν Πρόδικον. ‘Innfiac ὁ σοφὸς eiπεν, [Ὦ ἄνδρες, ἔprima di vpel, una kato stigme



6

318—

tvOoKiuotte:

337c1

33707 και

del

corr.

POXY

nell’intercolunnio a destra M corr. nell interlineo sute nell'interlineo su «v 16

1624

PRT.

7 Jerawvowße8 δοκιμεῖν ΚΊΜΕΙΝ edpr. uev del 9 ταις 94,97. 15 ]uSouevov: ον del corr. αὖ

6 καὶ post εὐδοκιμοῖτε add. m’, εὐδοκιμοῖτε καὶ B suprascr. 01 T, ἐπαινοῖσθε B W 7-8 εὐδοκιμεῖν μὲν cf. de eadem re Pre. 337c2-3 εὐφραίνεσθαι μὲν yàp εὐδοκιμεῖν te yàp ex 12-3 8-9 ἔστιν B T, ἔστι W,

TW 7 ἐπαινεῖσθε yàp m^ B T W recte, ... ἥδεσθαι δὲ, fort. cf. XVII 19-20, XX

2-3, LXI 11

17-8

12-13

ἐπαινεῖσθαι δὲ B T W, sed cf.

15 weuööne-

vov m’, probantibus Grenfell - Hunt, ψευδομένων B T, ψευδομένῳ W

Col. II (Frr.

[58]

5

1+3 +4)

qn, [oi παρόντες, i

337c7

γο[ζῦμαι ἐγὼ ὑμᾶς ὀυ[γγενεῖς τε καὶ οἰκ[ζείους καὶ πο]λίτας ἅπαντας εἶναι -φύσει, o]ó νόμῳ:

337d1

τὸ γὰρ] ὅμοιον τῷ ὁ[μοίῳ] φύσει ξυ[γ-]} γεν [ἐς] ἐστιν, ὁ δὲ

10

νόμ[ος,] τύραννος Qv τῶν ἀνθρώπωϊίν,] πολλὰ παpà τὴ[ν] φύσιν βιά-

Gex[oa -- ἡϊμᾶς οὖν 15

aiox[póv] τὴν μὲν φύ[σιν τ]ῶν πραγμάτων eijöelvlaı, desunt versus 12

30

τούτου] τ[ο]Ὁῦ ἀξ[ιώ-

35

ματος] ἄξιον ἀ[ποφή]ν[ασ]θαι, ἀλλ᾽ [ὥσπερ] τοῦ[ς] φαυλοϊτάτους] τῶν ἀνθρώπων

δια]φέρεσθαίι ἀλ-

λήλο]ις. ἐγὼ μὲν desunt versus 2



319—

337e2

PLATO

3 È del corr. nell'interlineo suo

62

6

νομῶι’

15 paragraphos fra parentesi del corr. per espunzione

.

io.

.

ΜΝ

32

]dar-

17 ]aı.

30-

testo fra i righi

ne del

36

.

Evy ed.pr.

in lacuna sia il margine sinistro sia il margine destro: e.g. la divisio

2 ἡμᾶς Heindorf

D.

8

]ic:

3 ξυγγενεῖς m’, avyyeveisBTW

yeves B T W

36

549 συγ.

Col. III (Fr. 1) desunt versus 10

[86]

τὸ κατὰ βραχὺ λί-

33842

av, [et un ἡδὺ IIpo-

ταγ[όρᾳ, ἀλλ᾽ ἐφεῖν[α]ι κ[αὶ χαλάσαι τὰς ἡ[νίας τοῖς λό-

15

γοις, [ἵνα μεγαλο-

πρε[πέστεροι καὶ εὐσχ[ημονέστείροι

3384

desunt fere 20 versus 14

καὶ χαλάσαι del. Cobet

[desunt coll. IV-VIII] Col. IX (Fr. 5) [114]

[ὕσ] τερον οὐκ ὀρθῶς λέγει. Εἰπὼν οὖν τ]αῦ[τα πολλοῖς —

33949 339d10

—.

1 tratto del corr. per espunzione su vc[ 1 vc[ del. m’, ὕστερον B T W, dittogr. suspic. Grenfell - Hunt ([vofteρον), cf. XXIII 2-5, LIX 35-36, LXIV 5-6, LXIV 8-9, sed paulo ante, Prt. 339d8, ἡγοῖτο B W et in ras. T, ἤτοι τὸ t yp. et fort. ante ras. T recte, note-

pov ἢ

BT W, πρότερον ἢ T? recte

[desunt coll. X-XV] —

320—

POXY

1624

PRT.

desunt fere 36 versus

εἰπεῖν, eli βούλει λα-

[153]

37

^ Beiv- u[ov πεῖραν

341e8 342a1

πειῖν᾽

Col. XVII (Fr. 7) desunt 12 versus

[167]

n&]|v[v, καὶ οἱ ἄλλοι. ᾿Ἐγὼ

34235

t[oivvv, nv δ᾽ ἐγώ,

15

ἃ γέ μίοι δοκεῖ περὶ τοῦ ἄ[ισμαϊτος [τούτου, πειρ[ά]σομίαι

ὑμῖν δι[ε]ξελ[θεῖν. φιλ[οσ]οφία yalp ἐσ20

τι᾿ν΄ παλαιοτάτ[η τε καὶ πλείστη [τῶν Ἑλλήνων [xo[i] ἐν

Κρή[τ]ῃ καὶ &[v Λα-

34201

xedal[i]povi, κ[αὶ σοφισταὶ πλεῖστίοι γῆ]ς ἐκεῖ εἰσιν- ἀ[λλὰ

25

ἐξαρνοῦνται Kalt

σχηματίζοντίαι ἀμαθεῖς [εἶϊναι, t-

30

va un κ[ατάδη-

342b3

λοι ὦσιν [ὅτι σοφίᾳ desunt fere 7 versus 13-14

"-P*

per espunzione paragraphos fra parentesi del corr.

15.



lo spirito è forse del cor.

nell’interlineo dopo τι

18 ὕμιν

14 tolivuv

20 ν del or

22 -punti del corr. per espunzione δὲ d ». pw: αἰλλα un'elisione, pur possibile, non è abituale, cfr. Urner, GMAW? 16.17 29 var:

423

ev[Aoedpr

24 juve —

321—

καί! εάν.

26 MEU.

PLATO 62

15

y ἐμοὶ Bekker, cf. Grenfell - Hunt

19-20

ἐστιν m? B, ἐστι T

W, cf. I 8-9, XX 2-3, LXI 11 22-23 καὶ post 'EAAnvov del. m?, 'EA. λήνων ev Κρήτῃ te καὶ ἐν B T W, post -ın vel dittogr. vel haplogr. Coni.

cere licet, te ante Κρήτῃ fort. add. m^

26-27

ἀλλ᾽ ἐξαρνοῦνται B T y

Col. XVIII (Fr. 33) desunt fere versus 26

[700]

παρ᾽ αἰὑτ[οῖς ovyyeνέσ]θαι σ[οφισταῖς κα]ὶ ἤδη &[x0ovtai] λάθραι ovyyıylvönelvor, ξενηλ]ασίαϊς ποιούμενοι] τ[ῶν te λαϊκωνιζόντων

30

34204

342c6

desunt fere 5 versus 27-33

in lacuna sia il margine sinistro sia il margine destro: e.g. la di-

visione del testo fra 1 righi 27 αὐτοῖς B T W, αὑτοῖς Sauppe, sed cf. Schwyzer, II, 193-194 2930 ἄχθονται T W, ἄχθωνται B recte, cf. Pri. 342c4 ἐπειδὰν βούλωνται 30-31 ξυγγιγνόμενοι W, συγγιγνόμενοι B T

Col. XIX (Frr. 8 + 45) desunt fere 30 versus

[23-740]

35

&xov|no]tn[c, ὥσ]τε [paiveJodafı τὸ]ν a[poo]d{aAeyóue]vov [r]arδὸς μηδ]ὲν βελτί-

34263

Q. τοῦτ᾽ οὖν] αὐτὸ

καὶ τῶν νῦν] εἰσὶν οἱ κατανενο]ήκα-

σι καὶ τῶν π]άλί[αι, ὅ-

342e5

31-32 [τη al r. 31 e Ἰεθαί del τ. 32 sono visibili sul fr. numerato come 45 nell’ed.pr. ed.pr. BeMter

32-33

32 «]ov ed.pr. 33 Aeyo]uevov παι ed.pr. 35 cov]v'ov[v] ed.pr.

προδιαλεγόμενον W, προσδιαλεγόμενον

TW



322—

BT

34

μηδεν

35 τοῦτο οὖν B

POXY

Col. XX

1624

PRT.

(Frr. 9 + 10)

tt τὸ λακ]ωνίζε[ιν πολὺ μᾶϊ]λλ[όν ἐσ-

[231]

τιν φιλοσο]φεί[ϊν ἢ φιλογυμν]ασίτεῖν, εἰδότες ölrı τ[οιϊαῦτα

5

342e5

34267

desunt fere 33 versus 2-3

ἐστι W, ἐστιν B T, cf. I 8-9, XVII 19-20, LXI 11

[desunt coll. XXI-XXII] Col. XXIII (Fr. 11) [269]

t[odrO γε φανείη ἂν [καὶ οὐ Σιμω-

343e2

νί[δου - Ξ 8 [toll : 4 ἀλλ᾽ drep-

5

βα[τὸν δεῖ θεῖναι é]v τ[ῷ ᾷσματι

4

343e3

tratto del corr. per espunzione su τοί

2 πρὸς post od add. Cobet 2-5 τοί del. m’, Σιμωνίδου ἀλλ᾽ ὑπερBatov B T W, dittogr. suspic. Grenfell - Hunt (av [καὶ ov Σιμω]νιίδου

[.......3]I[vo[...] «AX vreplißaltov), cf. IX 1, LIX 35-36, LXIV 5-6, LXIV . . 2 8-9, sed in ea re cur τοί, non iterum scr. pal del. m?

[desunt coll. XXIV-XXX] Col. XXXI [275]

(Fr. 12)

φιλόμωϊμος] - τ[ῶν yàp NA

θίων [ἀπείρων yeνέθλ[α, ὥστ᾽εἴ τις yoipeli ψέγων, ἐμ—

323—

346c7

PLATO

5

62

πλησ[θείη àv ἐϊκείνους —

m

34609

m

1 εἰμι φιλόμωμος fort. verba Sim., cf. B. GENTILI, Maia 16 (1964), 285. 289, 301 ad v. 18, 305 1-3 τῶν γὰρ ἠλιθίων ἀπείρων γενέθλα verba Sim,

cf. Gentili, cit., 296, 301 ad v. 19

[desunt coll. XXXII-XXXIV]

Col. XXXV (Fr. 13) [280]

o]üxe ψαλτρί[ί1ας, &AX[ó

347d4

αὐτοὺς ἑαυτοῖς t-

κανοὺς ὄντας ξυνναι ἄνευ τῶν λήρων τε καὶ παιδιὧν τούτων διὰ

5

τῆς ἑαυτῶν φω-

νῆς, λέγοντάς τε

καὶ ἀκούοντας ἐν τῶ[τ 10

μέρει ἑαυτῶν κο-

σ]μίως, [κ]ὰ[ν] πάνυ

πολ]ὺ[ν οἶνον πίωσιν.

347ε1

desunt fere 26 versus 1 ας:

αλλία

un'elisione, pur possibile, non è abituale in fine rigo,

cfr. XVII 26 e Turner, GMAW', 16-17

2 εαυτοιῖ

4 in origine forse

wat della prima mano con tratto obliquo del corr. per espunzione su 1 iniziale e er aggiunto nell’interlineo su uv: attualmente è possibile scorgere la sezione superiore del tratto obliquo e una sezione dello ı del corr. 6 àv l'accento è forse del corr.

2

αὑτοῖς

ΒῚΤῚΨ

add. m’, συνεῖναι

11

3-4 BT W

]uec[

12

owvo]v ri ed.pr.

litt. ante Jvaı (fort. [1]) del. et ji (fort. [elı) 7

αὑτῶν B, αὐτῶν T W

T W, sed cf. de eadem re Grg. 462a3, 474b1 496b2 tv μέρει

[deest col. XXXVI]



324 —

9-10

ἐν μέρει B

ἐν τῷ μέρει, aliter ac Grg.

POXY 1624 PRT.

Col. XXXVII 518]

(Fr. 14) ποιεῖν, o]ó« ἐθέ-

λῶν εἴτε δ]ώσει[ν] [λό-

348b4

γον εἴτε] μὴ δίια-

σαφεῖν; ἐ]μοὶ [y]à[p

348b5

desunt fere 34 versus 2 punto del corr. per espunzione su v[ 2

δώσει m’ B T recte, δώσειν W

[desunt coll. XXXVIII-XLIV]

Col. XLV (Frr. 15 + 16 + 17) [356]

γὰρ [et] οὕτ[ω μετιὼν

35047

ἔροιό ne eli ἰσχυροὶ δυ]νατί[οἵ εἰσιν, φαί-

350e1

n]v &v[:] Enlerto, 5

εἰ] ot ἐπιστάμ[ενοι π]α[λ]αίειν δυ[να-

τώτ]εροΐ εἰσι τῶν μὴ ἐπισταμ)έν[ων

350e2

desunt fere 30 versus dopoe[+ 2 ve: 6 π]αλαιειν ed.pr.

8lettere

3

S]uvatoreliaedpr.

4 [1 ed.pr.

3.εἰσι W, εἰσιν B T, cf. XLV 7 2 εἰ οἱ ἰσχυροὶ T W, εἰ ἰσχυροὶ Β > οἴει T, εἰ οἱ c W recte, oe. B 7 εἰσιν B T, εἰσι W, cf. XLV 3

Col. XLVI (Frr. 18 + 19)

1394]

ἀπὸ τέ]χνης yliyve-

ται ἀ]νθρώποις καὶ ἀπὸ Ovpo]O γε καὶ ἀπὸ pavia]c, [ὥσπερ



325—

351a7

351b1

PLATO 62

2 ]v8poxow: 3

«e καὶ

BTW, ye xoi Stob. III 7, 73, rec. Burnet, cf. Prr, 351a2.3

ἀπὸ μανίας te καὶ

B T W, ἀπὸ μανίας ye xai t Stob. III 7, 73

4 ἀπὸ

del. Naber, cf. Prt. 351a3 ἀπὸ θυμοῦ B c W, θυμοῦ T Stob. III 7, 73

[desunt coll. XLVII-LVI]

Col. LVII (Fr. 20) [398]

&]|uoi δοκο]ῦσιϊν, E-

qn ὁ] Hpaltayopac. "AXXo] τίι οὖν πάλιν

354d3 354d4

1-3 in lacuna sia il margine sinistro sia il margine destro: e.g. la divisione del testo fra i righi

Col. LVIII (Fr. 35) [711]

ἀποδείξι]ς. ἀ[λλ᾽ ἔτι

354e8

καὶ νῦν ἀνα]θέ[σθαι ἔξἐστιν εἴ πῃ elxelte ἄλλο

35531

tt φάναι εἶναι] τ[ὸ ἀγαθὸν

Col. LIX (Fr. 21) desunt fere 27 versus

[428]

κατάδηλον ἔσται, ἐ&v μ[ὴ πολλοῖς ó-

30

25

νόμαο[σι χρώμεθα [ἄρα], nöeli τε καὶ ἀνιαρῷ [καὶ ἀγαθῷ καὶ κα[κῷ, ἀλλ᾽ ἐπειδὴ [δύο ἐφάνη ταῦτα, "Kai δίυοῖν ὀνό—

326—

25501

POXY

1624

PRT.

[ονοϊμαίσιν προσαγορε[ζύωμεν αὐτά,

πίρῶ]τίον μὲν ἀγαθῷ 31

punti del corr. per espunzione su 0, su p, 58 ἃ

nell'interlineo su «öl

36

355b7 35

καὶ del corr.

punti del corr. per espunzione su o, su v,

suo

31

ἄρα del. m’, ἄρα B T W, rec. Heindorf, sed in extrema proposi-

tione ἄρα vix credibile, cf. Denniston 41-42, ἅμα. corr. Coisl. 155, rec. Burnet 35-36 xoi post ταῦτα add. et ovo del. m’, ταῦτα δυοῖν καὶ ὀνόμασιν B T, ταῦτα δυοῖν ὀνόμασι W, dittogr. susp. Grenfell - Hunt (δίυοιν ovolllovolnelcı), cf. IX 1, XXIII 2-5, LXIV 5-6, LXIV 8-9, sed post δυοῖν et καὶ supplere

licet

36- 37

προσαγορεύομεν B T W, προσαγορεύωμεν

Stephanus, cf. LIX 28-30

Col. LX (Fr. 22) desunt

[444]

5 versus

λέγω]! μεν ὅτι Γιγν]ώσ-

355c1

κῶν ὁ &vOpoen]oc τὰ κακὰ ὅτι κ]α [κά ἐστιν,

355c2

desunt fere 30 versus 6 λέγομεν Β W, λέγωμεν T, cf. Prt. 355c6 λέγομεν B T W, λέγωμεν recentiores, Prt. 355e5 λέγομεν B, λέγωμεν T W, Pri. 355e7 λέγομεν B V, λέγωμεν T

Col. LXI (Fr. 23) [477]

>

ὉΠ{μῖ]ν τῶν ἀγαθῶν τ]ὰ κακά, ἢ délov;”

φ]ήσομεν δῆλον ὅτι] ἀποκρινόμενοι, lör]ı] Οὐκ ἀξίων óvτῶ]ν: οὐ γὰρ ἂν ἐξημά] ρτανεν ὅν φα-

με]ν ἥττω εἶναι τῶ]ν ἡδονῶν. “Ka-

10

τὰ τί] δέ," φήσει [ἴσως], —

327—

355d4

PLATO

62

“ἀνά]ξιά ἐστι τἀγαθὰ τῶ]ν κακῶν ἢ τὰ xa]lxà τῶ[ν ἀ]γαθῶν:] [n] κατ᾽ ἄλλ]ο τι ἢ ὅταν] τὰ [μὲν] μεί-

15

ζω, τὰ δὲ σμικρότ]ε[ρα

3556]

desunt fere 22 versus 1]. 2 xaxa: a&ıwv>: 3. φήῆζομεν ed.pr. 4 tv anokpıvonevon ed.pr. 5 punto del corr. per espunzione su Jı 6 ]v9 ηδονων: 10 icwc e punti del corr. per espunzione sulle lettere 12 xaxov: 14 punto del corr. per espunzione su n

5 ὅτι del. m^, δῆλον ὅτι causa susp. Grenfell

- Hunt, ὅτι B

TW

1

ἴσως del. m^, ἴσως B T W, cf. Prt. 355d3 et Prt. 355e2 φήσει tantum, sed

iuxta verba dicendi saepe ἴσως, cf. Pri. 340c8-d1 et Pri. 353a2 BT, ἐστι W, cf. I 8-9, XVII 19-20, XX 2-3. BT

14

ndel m,

11-12

11 ἐστιν

tà ἀγαθά W, τἀγαθά

BT, sed eiusmodi coniunctio hic parum apta, fj W,

cf. Grenfell - Hunt, sed plerumque ap. Plat. interr. ἦ γάρ, cf. e.g. Pri. 333b23 ἢ γάρ, ὦ Πρωταγόρα, ἔφην ἐγώ, ἢ ἄλλως πως;

Col. LXI (Fr. 24) desunt fere 20 versus [535]

xpólvo]v κ[αὶ ἡδέος καὶ

35626

λίλῳ toli, painv &]v Eyoyle, t nöolvn

35628

A]uxnploo," Μῶν &desunt fere 13 versus

21-24 in lacuna sia il margine sinistro sia il margine destro: e.g. la divisione del testo fra i righi

24 ἡδονὴν W, ἡδονῇ B T Col. LXIII (Frr. 25 + 26) [552]

ἡδέα ἱστῇς,] τὰ μείζω ἀεὶ καὶ] πλείω ληπτέα: ék]v δὲ —

328—

3562

POXY

1624

PRT.

λυπηρὰ πρ]ὸς λυπη5

pà, τὰ ἐλάττ])ω xoi

σμικρότερα]

ἐὰ[ν

desunt fere 22 versus

ἀποϊκρίν]ασθε, en[co. φαίν]εται dult 2 + 4] ὄψει taldra μεγέθ]η ἐγγύθ[εν

30

μὲν μ]είζω, π[όρ-

ρωθεν] δὲ ἐλάτ[τω25

ἢ οὔ; -- Φ]ήσουσι. -- Κ[αὶ τὰ παχ]έα καὶ [τὰ πολλὰ] ὦ" σ΄ αὐτίως;

356c7

1 prima di taper una kato stigme 29-37 in lacuna sia il margine sinistro sia il margine destro: e.g. la divisione del testo fra i righi 30 ὕμί 31 dopo tal lo spazio consente l'integrazione di due o tre lettere al massimo

33

dopo ]ειζω una kato stigme

35

]ncouct

36

xai τία ed.

pr. 37 ]oc'avi[ il c è aggiunto da una mano successiva, che sembra diversa da quella del corr. | 31

30-31 fort. duleltépor] ὄψει Bastianini per litt. τὰ αὐτὰ B TW 35 φήσουσιν B T W

ὑμῖν τῇ ὄψει B T W

Col. LXIV (Fr. 25) [589]

καὶ αἱ φωναὶ [ail i σαι ἐγγύθεν [uev]

356c7

μείζους, πόρρωθεν x ἐλάττους δὲ σμικρότεραι — Φαῖ5

εν ἄν. -- Εἰ οὖν ἐν τούto + 2] "ἡμῖν ἦν΄ τὸ εὖ npar-

356d1

τειν, &]v τῷ τὰ μὲν

μεγάλ]α μήκη [t 3 καὶ πράτΪτειν [καὶ

35642

desunt fere 28 versus 1

καιαιφωναι[αι]}ἕἔο

α e 1 sono stati eliminati entrambi con un punto

sopra; poi un tratto orizzontale ha inglobato 1 due punti, verosimilmente —

329 —

PLATO

62

per ribadire la correzione e evitare una possibile confusione con la dieresi posta dalla prima mano sullo ı successivo 2 [pev] ogni lettera è eliminata con un punto posto sopra 4 εμικροτεραι[:] il doppio punto eli-

minato con uno spesso tratto obliquo su ognuno dei due elementi del gno; sopra cuıkpotepau il corr. ha scritto ἐλάττους 4-5 paragraphos parentesi del corr. per espunzione 5 ἂν: 5-6 paragraphos fra rentesi del corr. per espunzione 6 npewnv del corr. nell'interlineo TOEV 1-2

αἱ post φωναὶ del. m?, αἱ φωναὶ ἴσαι

BT W,

sefra pasu

rec. Hermann, sed

cf. LXIII 31-32, ai ante φωναὶ del. ‚Deuschle, αἱ post φωναὶ iam add, Heindorf, rec. Burnet

2

μὲν del. m’, μὲν B T W, cf. LXIII 32-33, ante pei-

vel dittogr. vel haplogr. conicere licet, cf. Grenfell m’ »σμικρότεραι BTW,

- Hunt

4 ἐλάττους

ἐλάττους καὶ σμικρότεραι R, cf. LXIII 33-34

5.

6 ἡμῖν ἦν ante τὸ add. mi, ei οὖν ἐν τούτῳ ἡμῖν ἦν τὸ BT W, ei ἐν τούτῳ οὖν ἡμῖν ἦν τὸ E, dittogr. susp. Grenfell - Hunt

(ει ovv ev του! [του]τωι]

to), cf. IX 1, XXII 2-5, LIX 35-36, LXIV 8-9, sed ante τὸ et ἦν supplere licet, cf. LXV 12, vix credibile ye 8-9 μήκη xoi πράττειν BTW, dittogr. susp. Grenfell - Hunt (μήκη [ | [xat rpar)tew), cf. IX 1, XXIII 2-5, LIX 35-36, LXIV 5-6, sed post μήκη fort. diple tantum, cf. Turner, GMAW',

4-5

Col. LXV (Frr. 27 + 28 +29 4 30 + 31 + 32) [626]

&ll[xi τῷ ἀ[λ]ηθεῖ Kali

ἔσωσεν [ἂν xó]v Biov; dip’ àv ὁ]μολογοῖ-

ev ἄνθρ]ωποι πρὸς

>

τα]ῦτα ἡ[μ]ᾶς τὴν με]τρητ[ικ]ὴν σῴζει]ν Gv

τέχν[ην] ἢ ἄλ-

Anv; — Tlùlv με]τρητικήΪν, ὡ[μο]λόγει. -—

10

Ti] δ᾽ ei ev [τῇ] τοῦ neρ]ιττοῦ κα[ὶ ἀρ]τίου αἱρέσει ἡ μῖ]ν ' ἦν΄ 5 σω-

τηρία [τοῦ βίο]υ, ὁπότε τὸ πλέον ὀ]ρθῶς

15

ἔδε[ι ἑλέσθαι] καὶ ὁπότ[ε τὸ ἔλατ]τον, ἢ

αὐτὸ πρὸς ἑ[α]υτὸ ἢ — 330 —

356e2

POXY

1624

PRT.

τ[ὸ ἕτερον n[p]óc τὸ ἕτε]ρον, εἴτ᾽ [ἐ]γγὺς

20

εἴτ]ε πόρρω [ei]n; τί

356e8

desunt fere 17 versus 2 toved.pr. lo tota mutum

2-3 possibile anche fi[ovjapaavo]uoAoyot 6 ὦ senza 10 9 ἴλογει: 7 av del corr. nell'interlineo su |t

τίη!) edpr. 12 P’interlineo su αἱ

Inv del corr. nell’interlineo su Jv 19 ]pov: 17 Ἰυτο

15 n del corr. nel-

4 oi ἄνθρωποι W, ἄνθρωποι B T, ἅνθρωποι Sauppe, cf. Pri. 352e3-4 οὐκ ὀρθῶς λέγουσιν or ἄνθρωποι et Pri. 35723-4 ὁμολογοῖεν ... oi ἄνθρω-

ποι

6-7 ἂν post σῴζειν add. m? recte, σῴζειν ἂν B T, cf. LXV 2 et Pre.

356e8 àv ἔσῳζεν, post σῴζειν

(f. 366") macula deturpat W (ἂν omittunt

apogr.), cf. Berti, Lobcoviciano, 101-104 12 ἦν post ἡμῖν add. m? recte, ἡμῖν ἦν B T W, cf. LXIV 5-6 15 ἢ m’, probantibus Grenfell - Hunt, sed plerumque καί, non 1j iuxta £v ... αἱρέσει, cf. LXV 11, LXVI 2, LXVI 6, LXVI 8, LXVI 10, καὶ BTW

Col. LXVI (Fr. 28) 35725

ἐ!π]εἰ δὲ δὴ ἡδονῆς

[663]

te kalt λύπης Ev ópθῇ [tm] αἱρέσει ἐφά-

vn ἡϊμῖν fj σωτη-

5

ρία το[ῦ βίου οὖσα, τοῦ τίε πλέονος καὶ

ἐλάττ[ονος καὶ μεί-

357b1

Covog [καὶ σμικροτέρου [ καὶ πορρωtep@|ı καὶ ἐγγυτέ-

10

pò, Apla πρῶτον 357b2

μὲν o[d μετρητικὴ desunt fere 25 versus

M

3 punti del corr. SU M AM 1 Ἰειδί più plausibile di Jnıö[ 10 τερωίι ov del corr. net ^ v[ del corr. nell’interlineo su nf o[

| ah δὲ BT ic δὲ δὲ Adam κα i P DP ὅδε 11

pov:

ov del corr. nell'interlineo su et

-

ἐπειδὴ δὲ

2-3

τῇ del. m’, cf. Schwyzer, 1I, 26, ἐν 0p*n ^ —

331—

.

vB

357c5

PLATO

62

ἐν ὀρθῇ πῇ αἱρέσει T, ante ὀρθῇ τῇ αἱρέσει (f. 366") macula deturpat W (xoi

ὀρθῇ τῇ αἱρέσει apogr.) cf. Berti, Lobcoviciano, 101-104, τῇ ante ὀρθῇ fort. add. m, cf. LXV

10-12.

4

ὑμῖν ποῦ, ἡμῖν B T et

W ex ὑμῖν, Socr. per-

sonis fictis persuadere studet, cf. Prt. 352d4-353b6 et paulo ante, Prt, 35735, εἶεν, © ἄνθρωποι, sed nunc de investigatione sua monet, cf. Prt. 353c1- 354e2 et e.g. LXIV 6, LXV 5, LXV 12 9-11 πορρωτέρου koi ἐγγυτέρου m’ Bas.l, probantibus Grenfell - Hunt, sed eiusmodi adiectiva Plat. aetate perrara, cf. Lg. 704d9 et Schwyzer, I, 533-534, πορρωτέρῳ καὶ ἐγγυτέρῳ T, πορρωτέρω καὶ ἐγγυτέρω B W fort. recte, cf. e.g. Pri. 356a4-5 μᾶλλον καὶ

ἧττον ‚post adiectiva, roppatépov καὶ ἐγγυτέρω Ald., τοῦ πορρωτέρω καὶ τοῦ ἐγγυτέρω Stephanus

Fr. 33 vd. col. XVIII Fr. 34

[707]

κα!

Jul Ivel lv al Fr. 35 vd. col. LVIII Fr. 36

[715]

1.

t ln Ine Fr. 37

(719]

]o.[

]ew[ Jto{ Yl del corr. nell'interlineo su ]xo[ —

332—

POXY 1624 PRT. Fr. 38

[722]

Fr. 39

[725]

2 al del corr. nell’interlineo su v[ Fr. 40

[728]

Wl

lovf pol Fr. 42

[734]

]τα.

[ζω 2

ἢν del corr. nell’interlineo su ]t



333—

3 MI

PLATO

62-63

Fr. 43

[736]

Tan Ten

2 ]xn Fr. 44

[738]

lef en!

Fr. 45 vd. col. XIX Fr. 46

[742]

In και. 1...

Fr. 47

[744]

]v.[ joe

Fr. 48

[746]

J.o[

Ino.[ —



_——

MT



334 —

POXY

1624

PRT. - POXY

3509

R.

63

Respublica I 330a2-b4

POxy 3509

III ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: ἃ. HOBNER, ZPE 30 (1978), 195-198; Ip., POxy XLIX (1982), 245-246.

Tavv.: ZPE 3 (1978), VI. Comm.

MP?

1417.3

Pal.: HOBNER, ZPE 30 (1978), 195-196. BOTER,

257; SLINGS, Remarks scripts [1991], 340.

Textual Tradition [1989], 252, 254,

[1987], 28-29; HASLAM, Ancient Manu-

Frammento di rotolo papiraceo (cm 9x29) contenente una colonna di 30 righi conservata per tutta l'altezza. La colonna e mutila a sinistra, ma dal r. 8, integro, risultano le dimensioni di cm 7-7,5x16,5. Si tratta di un manoscritto di lusso: la scrit-

tura è estremamente formale, un bell’esemplare della cosiddetta ‘maiuscola biblica’; i margini erano molto ampi - quello superiore è conservato per ca. 6,5 cm, quello inferiore per 6,3 cm, l’intercolunnio almeno 3 cm. Tuttavia non fu oggetto di accurata conservazione per lungo tempo. Qualcuno aveva altro da fare che leggere ı classici o ammirare ı bei libri da esposizione: 1l verso (= POxy 3511) venne utilizzato per un conto

privato datato paleograficamente alla prima metà del sec. IV?, che prosegue sia sul margine superiore che su quello inferiore del testo platonico. Ano e mesai stigmai hanno funzioni distinte. L’elisione è segnalata in modo non coerente, così a r. 18 (330b1), la distinzione tra ποῖ᾽ (F) e noi (AD) non risulta. L'uso di iota mutum non è costante (8 ῥαιδίως, 13 ἑαυτῷ), ed

è fuori posto a 15 ἐγώι. Sia dalla scrittura, sia da come il teSto é trattato s1 ricava una impressione di pretenziosità. In contrasto con la bella scrittura, il copista mostra una —

335—

PLATO

63

certa inaccuratezza. οὔτ᾽ ἂν ἐπιεικὴς

... οὔθ᾽ ὁ μήτε ἐπιεικὴς

per οὔτ᾽ ἂν ὁ ἐπιεικὴς... οὔθ᾽ ὃ μὴ ἐπιεικὴς (7-8, 10-11) è frutto

di distrazione e non viene corretto. Ma a 13 (3306) un originario ἑαυτῷ è stato a quanto pare emendato in ἐν αὐτῷ (piuttosto che ἐν αὑτῷ }): 1] fatto è particolarmente singolare, se si considera che mentre la tradizione diretta ha ἑαυτῷ, Stobeo

dà ἐν αὐτῷ (più precisamente, l'unico manoscritto di Stobeo che contiene il passo dà ἐναυτῶ), come difatti Richards ha indipendentemente congetturato

[CR

7 (1893), 14; cfr. Adam,

Republic, I, 7; Slings, Remarks, 29 e n. 11; Boter, Textual Tradition, 254]. È possibile che la correzione risalga al copista stesso (così Hübner, Slings, Boter), ma sembra più probabile che la variante sia stata tratta da un altro esemplare da un'altra mano; in ogni caso abbiamo qui la prova della coesistenza di entrambe le lezioni nell’antichità, come pure della collazione di manoscritti. Il papiro ha un ulteriore accordo con Stobeo a 8 (33025) offrendo non navu τι ma ravv: una va-

riante indifferente (diverso il giudizio di Boter, Textual Tradition, 257, ma vd. Haslam, Ancient Manuscripts,

340). Non

sorpende il fatto che non ci siano accordi con le aberrazioni di F. ; Collazionato con il testo di E. CHAMBRY, BL, VI (1932), con le correzioni di Boter. A 330b1 Chambry omette ἔφη per

una svista.

ὀνομα σ]τὸς ἐγένετο οὔτ᾽ è-

5

10

κ]εῖνος ᾿Αθηναῖος. κ]αὶ τοῖς δὴ μὴ πλουoí]otc, χαλεπῶς δὲ τὸ] γῆρας φέρουσιν, e]o i ἔχει ὁ αὐτὸς λόγος, ὅτι οὔτ᾽ ἂν ἐπιεἰκὴς πάνυ ῥᾳδίalc γῆρας μετὰ meνίας ἐνέγκοι, οὔθ᾽ ὁ

μ]ήτε ἐπιεικὴς πλουτ]ήσας εὕκολός ποτ᾽ ἂϊν ἐν αὐτῷ γένοι—

336--

33022

POXY 3509

to.

15

R.

IIJóxepo[v] dé, ἦν

δ᾽ éy]ó, ὦ Κέφαλε, ὧν κέκ]τησαι τὰ πλεί-

o πα]ρέλαβες ἢ ἐπεKıno]o; Iloî” ἐπεκτησάμἼ]ην, ἔφη, ὦ Σώ-

20

330b

κρατες; μ]έσος τις γέγονα] χρηματιστὴς το]ῦ τε πάπ-

που καὶ τ]οῦ πατρός. ὁ μὲν yà]p πάππος τε καὶ ὁΪμώνυμος

25

ἐμοὶ σχεδόΪ]ν τι ὅonv ἐγὼ ν]ῦν οὐσίαν κέκτ]ημαι πα-

ραλαβὼ]ν πολλάκις τοσαύ]την ἐποίησεν

30 2

aBnvaroc:

7

γος:

οὐτ

330b4 8.

poii

10

stigme οὐυθ’ 13 £'v'a v forse inserito da m 23 natpoc26 ὁ Hübner, forse ö con i segni di m?

dopo ενεγκοι kato

ἴ5]ωι

18 o:

7-8 ἐπιεικὴς : ὁ ἐπιεικὴς codd., Stob. 8 πάνυ cum Stob. : πάνυ τι codd. (οὐ πάνυ τι F, deficit Ὁ) 9 γῆρας cum A, Stob. (deficit D) : om. F (secundum Boter; add. s.l. secundum Chambry) 11 [μ]ήτε : μὴ codd,, Stob. 13 Ev’ αὐτῷ : ἐναυτῶ (sic) ἢ. e. ἐν αὐτῷ Stob. (cod. S, qui haec solus habet), ξαυτῷ codd. (ut pap.ac ut vid.) 14 πότερον (ut vid.) cum ADF

: πότερον

ἄρα

Fsl (prima manus, ut vid.)

16

nAeilw cum DF :

πλέω A.

MWH



337—

PLATO

64-65

64 R. III 399d10-e3

PSI inv. 1994

Sec. ΠΡ ex.

Prov.: ignota. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico ‘G. Vitelli’. Edd.: A. CARLINI, Un papiro fiorentino inedito della «Repubblica» di Platone, in Scritti in onore di Orsolina Montevecchi, Bologna, CLUEB,

1981, 85-86.

Tavv.: Scritti in onore ..., supra, 87.

Comm.: MP? 1417.4

Pal.: CARLINI, supra, 85.

BOTER, Textual Tradition [1989], 252.

Frammento di rotolo (cm 4x8), bianco sul verso, che conserva l'angolo inferiore destro (mg. cm 4,5) di una colonna di scrittura, scritto in stile severo del tipo diritto, appartenente probabilmente alla seconda metà del II sec. d.C. Colonna stretta di cm 5 ca. Il doppio punto (r. 2) viene apposto per il cambio di interlocutore. Il papiro non presenta nessuna variante rispetto all'edizione di E. CHAMBRY, BL, VI (1932).

Aöyolc h-

uiv σημαί]νει.

399d10

Οὐδέν

γε, ἦν δ᾽ &]yó, καινὸν ποιοῦμεΪν ὦ φίλε Kpt-

5

399e

voviec] τὸν ᾿Απόλλω

καὶ τὰ τοῦ] ᾿Απόλλωνος ὄργανα π]ρὸ Μαρσύ-

οὐ τε καὶ τ]ῶν ἐκείνου 2

3996

]veu

MWH —

338—

PSI INV. 1994 - POXY 455

R.

65 R. ΠῚ 406a5-b5

POxy 455

Sec. III/IV

Prov.: Oxyrhynchus.

Cons.: Cambridge, Mass., Harvard University, Houghton Library SM inv. 3739.

Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy III (1903), 109. Tavv.: POxy HI, VI. Comm.: MP? 1418 (= P? 1418) RITTER, Bericht [1912], 5; ALLINE, Histoire [1915], 144 n.3; GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16; CHAMBRY, BL, VI [1932], p. CKLV; LEISEGANG [1950], 2362; BOTER, Textual Tradition [1989], 252, 254; JOHNSON, Papyrus

Roll [1992], 72, 254, 308.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 6,6x9), riutilizzato per un documento sul verso, che conserva 1 resti di una colonna, mutila da tutti i lati. La scrittura è una rotonda, senza pretese,

un po’ irregolare, bilineare, di modulo medio, appartenente alla metà o alla fine del III sec. (Grenfell e Hunt) o forse all’inizio del IV sec. d.C. (Haslam). Il cambio di interlocutore

è indicato dal doppio punto preceduto e seguito da uno spazio equivalente a una lettera, che erano presumibilmente accompagnati da paragraphos. Nessun altro segno di punteggiatura o di lettura, a parte 1 punti diacritici su ἰατρική a τ. 11 (ma non sulla stessa parola a r. 4). Uso incoerente dello 7ota mutum.

La scriptio plena è sistematica, incluso et ye évvoei[c

ar. 1 (40625), ἔπειτα ἄλλους a τ. 14 (406b1-2). Ortografia: μίξας ar. 10 (40628, cosi anche 1 codd.). Il papiro non condivide gli errori di F (40625 ye νοεῖς per Y ἐννοεῖς, 406b4 μακράν per μακρόν). Il testo, che va da ei ye di 40645 a παρα]κο[λουθῶν di 406b5, è utilizzato da É. CHAMBRY, BL, VI (1932) con la sigla Pap. 1.

Apparato più completo in Boter, Textual Tradition, 254. MWH



339—

PLATO

66

66 R. III 412c13-414d1

POxy

2751

Sec. I/II

Prov.: Oxyrhynchus. ó Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: A.H. SOLIMAN EL-MOSALLAMY, POxy XXXVI Tavv.: POxy XXXVI,

Comm.: MP? 1418.1

(1970), 21-24.

IV.

BOTER, Textual Tradition [1989], 252-257;

S.R. SLINGS, Critical Notes on Plato’s Politeia, III, Mnemosyne 43 (1990), 341-363: 359-360; HASLAM, Ancient Manuscripts [1991], 340; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 60, 75, 156, 159, 256, 276, 284, 292, 300, 304.

Rotolo di papiro, che è stato riutilizzato nel verso per un incantesimo magico (POxy XXXVI

2753) e conserva resti di

quattro colonne. La scrittura, di dimensioni leggermente superiori alla media, è uno stile severo inclinato, tracciato con calamo fine databile al tardo II secolo o all'inizio del III. Le colonne (6,5x18 cm ca.; intercolunnio di ca. cm 2,5) contene-

vano 29 righi di 18 lettere ca. Presente un margine superiore in B di poco più di 1 cm e un margine inferiore in A fino a cm. 3,5. La punteggiatura è costituita da ano stigme e il cambio di interlocutore, come è usuale, è indicato dal doppio punto accompagnato da paragraphos posto da m'. Il fr. A conserva resti di una colonna precedente (= col. I). I frr. B-E conservano tre colonne consecutive (= coll. II-IV):

si puó calcolare che manchino nel mezzo tre colonne. Le correzioni visibili (da μὴ a μὴν a fr. Α 5; da τε a ye a fr. B 4j 1

due punti aggiunti a fr. D II 5) sembrano essere dovute allo stesso scriba. Un'asta obliqua nel margine sinistro di fr. D II 14 segnala forse qualcosa di errato nel testo; in effetti, lo scriba omette 1 due punti nell'indicazione del cambio di interlocu-

tore. Da notarsi la grafia &vv- invece di ovv- nel fr. A 6, 10

— 340—

POXY

2751

R.

(su questo problema cfr. lo studio di Kerschensteiner, Gebrauch). Non

vi sono

novità

testuali; nessuna

congettura moderna

trova supporto [per la discussione relativa a ὅταν (oppure ὅτι) μάλιστα a I 7-8 (415d5) vd. Jowett - Campbell, Republic, III, 154 e Slings, 358-360]. Si riscontra un accordo con F a 414c9 (IV 24-25): questo è un accordo in errore secondo Boter, Tex-

tual Tradition, 257, ma non è manifestamente così (cfr. ed.pr., 24), e ora che la lezione di F non può più essere scartata, quasi fosse soltanto una delle molte sviste di F (non è neppure riportata da Burnet), questo può essere un caso in cui gli editori hanno sbagliato a preferire la lezione di A: cfr. Haslam, 340. Là dove Stobeo diverge dal testo della tradizione diretta, Il papiro, a quanto pare, concorda sempre con quest’ultima, se si eccettua 413d4 (fr. B 4), seppure, come sembra, sia stato scritto inizialmente te: il fatto però che il y supra lineam (che rende il testo conforme alla tradizione manoscritta medievale)

sia stato aggiunto dal copista stesso, fa pensare che te sia un errore indipendente. Un altro caso di accordo con i manoscritti di fronte a una tradizione indiretta divergente (cfr. Boter, Textual Tradition, 312 per un elenco dei passi) si ha a IV 16-17, 214c4 (Boter,

Textual Tradition, 255 attribuisce la le-

zione dei codici anche a Olimpiodoro, ma si tratta di una con-

gettura normalizzante di Westerink, sulla base della tradizione di Platone). Il computo delle righe dimostra che il fr. C, come B ed E, viene dalla parte alta di una colonna (secondo Johnson, Papy-

rus Roll, 60, la linea 1 del fr. C è la prima della colonna). La

distribuzione delle parole integrate nei rr. delle colonne I e III

è solo exempli gratia (l’ed.pr. ha presupposto che ξυμβαίνειν

di col. I 10 fosse ad inizio di rigo, senza preciso motivo).

Il testo è stato collazionato con quello della edizione di E. CHAMBRY, Boter.

BL, VI (1932), tenendo conto dei supplementi di

Col. I fr. A —

τῆΪς πόλεως;

-—

——

["Eot ταῦτα.

— 341—

412c13

PLATO

66

Κή]δοιτο δέ γ᾽ ἄϊν τις μάMola τούτου ὃ [τυγχάνοι Καὶ

᾿Ανάϊγκη.

φ]ιλῶν.

μ]ὴν τοῦτό γ᾽ ἂν μάϊλιστα φιλοῖ], ᾧ ξυμφέρειν [ἡγοῖτο τὰ αἸὐτὰ καὶ ἑαυ[τῷ καὶ ὅ-

5

ταν μάλ]ιστα ἐκείνου μὲν εὖ πράττοντος [οἴοιτο

ξυμβαίνειν κα[ὶ ἑαυτ]ῷ εὖ πράττειν, μ[ὴ δὲ κτλ.

10 I1

πολεως:

4 hàov:

5

nv’

6

41γ4ς

© più probabile dio

11

dopo πραττεῖν spazio bianco 12 Sé y cum codd. (δέ ye F): δ’ Stob. 3 vel τυγχάνει ut F Stob. 5 τοῦ F 6 δ 7 καὶ αἴτ. om. F 7-8 vel ótvcum Stob. ὅταν μάλιστα del. Hermann (prob. Adam,

Burnet, Slings)

Col. II

fr. B

μὲν μνήμονα κα]ὶ δυσεξα-

41341-4

πάτητον ἐγκρι]τέον, τὸ(ν) δὲ μὴ ἀποκριτέ]ον. î yap; Ναί. Kai πόνους] ye [ad καὶ —

112

Jieov-

τὸ

3

To

Jov[}]

yap:

4

Ἰτ εἰ

II 4 τε (ut pap.ac) Stob., γε (ut pap.pc) codd. Col. III fr. C



rr

—-—-

ἑαυτῷ καὶ] πόλει χρησιμ[ώτατος eiln καὶ τὸν ἀεὶ ἔν [te παισὶ κ]αὶ νεανίσκ[οις καὶ ἐν ἀνδ]ράσ[ι) βασαϊίνιζο-

fr.

DI

desunt 6 versus ca. καὶ τῶν ἄλλων μνη]μείω[ν]

— 342—

41305

41900 414

POXY

2751

R.

μέγιστα γέρα] λαγχάνοίν )-

ta: τὸν δὲ μὴ τοιοῦ]τον ἀποκριτέον. τοιαύτ]η τις, ἦν 8° ἐγώ, δοκεῖ μο]ι ὦὦ Γλαύκῶν ἣ ἐκλογὴ εἶναι καὶ

[5

κατάστασις τ]ῶν dpy[6]vτῶν τε καὶ φυλ]άκων, [ὡς ἐν τύπῳ, uln δι᾽ ἀκρι[βείας desunt

4147

3 versus

λεῖν τούτους] μὲν φύλα-

414b

kac παντελε]ϊῖς τῶν τε Èἕωθεν π]ολεμίων τῶν

25

τε ἐϊντὸς φιλίων, [ölnos οἱ μὲ]ν μὴ βουλήσονται, οἱ δὲ μὴ] δυνήσονται κακουρ-

γεῖν, τοὺς δὲ νέους odg ΠῚ 12

4144

Aoyxavo

ΠῚ 2 ἂν εἴη F Stob.(M), spatio minus aptum ἱερὰ Stob.

15-16

tio minus aptum

ὦ Γλαύκων, δοκεῖ got Stob.

26

φίλων Stob.

covtar Fpc Stob.(A)

28

26-27

4 &vom.Stob. 19

12

τύποις Stob., spa-

οἱ μὲν om. Stob.

27 βουλή-

δυνήσωνται F Stob.(A)

Col. IV fr. E

δ[ἢ] vo [v φύλακας ἐκαAoduelv, ἐπικούρους te

114b

κα[ὶ βοηθοὺς τοῖς τῶν ἀρ-

χίόντων δόγμασιν; 10 DI

desunt 5 versus ἐλέγομεν, ] yevvalîov τι Ev ψ[ευδομ]ένους [π Ἰεῖσαι

15

μάλιστα μὲϊν καὶ αὐτοὺς τοὺ[ς ἄρχοϊντας, εἰ δὲ μή, thv ἄλ[λ]ην πόλιν; Ποῖόν

τι; ἔφ[η].

Μηδὲν καινόν,

ἦν δ᾽ [ἐγ]ώ, ἀλλὰ Φοίι vii

— 343—

4b9

c

PLATO

66-68

KÓv τι, πρότερον μὲν ἤδη πολλαχοῦ γεγονός, ὥς φασιν οἱ ποιηταὶ καὶ π[επεί20

κάσιν, ἐφ᾽ Nudlv δὲ οὐ γε-

γονὸς] οὐ[δ᾽ ot]6[a ei γενόμεv[o]v &[v], πεῖσαι δὲ c[vxvfic “πειθοῦς. Ὡς ἔοικας, ἔφη, ὀκνοῦντι λέγειν. Δό25

ἕω γέ σοι, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ μάλ[α

εἰκότως [óx]vei[v, ἐϊπειδὰν

εἴπω. Doo.

Λέγ᾽ ἔϊφ[η] καὶ μὴ φο-

[Λέγ]ω δή. καίτοι οὐκ

4144

IV 14 πολιν: i due punti sono stati aggiunti in seguito 16 Jo:

20

Kacıv[ ]?

23

nel margine a sinistra il segno

cano i due punti dopo reıdbovce 28 Bov[: | 8m IV 1

15 φίη!

24

Aeygw:

δὴ νῦν A Stob. : νῦν δὴ F

25

/

man-

possibile μαλ᾿

11 ἕν vevò. A, évyevó. F : in

pap. spiritus, siqui erat, nunc deperditus : εἶναι ψευδ. Bekker

16-17

φοινικικόν ADF, Phot. : φοινικιόν Olympiodori M^, Ascl. (uno loco): φοινικόν Olympiodori M, Ascl. (altero loco), sch. PI. ad loc. 24 ükvovv tt DF (et fort. Aac) 25 ye F: δέ AD (probb. edd.) 25 μαλ᾽ codd.

MWH*

67 R. IV 422c8-d3

POxy 456

sec. II/IH

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Cambridge, Mass., Harvard University, Houghton Library, SM inv. 3740.

Edd.: P.B. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy III (1903), 110. Comm.: MP? 1419 (= P?1419) RITTER, Bericht [1912], 5; ALLINE, Histoire [1915], 144, n. 3; GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16;

— 344—

POXY

2751

- POXY

456 - POXY

3679

R.

CHAMBRY, BL, VI [1932], p. CXLV; LEISEGANG [1950], 2362; BOTER, Textual Tradition [1989], 253, 255; JOHNSON, Papyrus

Roll (1992], 72, 255.

Frammento di una colonna di rotolo papiraceo, cm 7x5,8, vergato 1n una scrittura decisamente rotonda e diritta di dimensioni medie, decorata con apici e trattini ornamentali, appartenente probabilmente alla fine del II o all'inizio del IIT secolo d.C. La colonna è larga cm 6 ca.; è conservato l’intercolunnio destro per almeno 2 cm. Testo normale; il cambio di interlocutore è segnalato come al solito dai due punti. Lo iota mutum non viene indicato. Ortografia: rr. 3-4 (522c10) συν[[χωρή-

σομ]αι, τ. 8 (522d2) ταληθη (τἀληθῆ). Il testo, collazionato con l’edizione di E. CHAMBRY, BL, VIL1 (1933) in cui figura con la sigla Pap. 2, non presenta alcuna variante rispetto ai manoscritti primari. Appena degna di menzione la lezione di Fac a 422d1 (πολι: Boter, Textual Tra-

dition, 255): una semplice svista dello scriba, da lui stesso corretta; nessun apparente legame col papiro sembra avere la lezione bessarionea a 422d1

(πέμψαντες οἱ ἡμέτεροι πολῖται in

Marc. Gr. 187 [coll. 742], certo di origine congetturale), citata da Boter, Textual Tradition, 255 (vd. ibid., 231-234 per una valutazione delle lezioni bessarıonee). MWH*

68 R. V 472e4-473d6

POxy 3679

Sec. IIIP

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: H.M. CocKLE, POxy LII (1984), 108-109. Comm.: MP? 1419.1 BOTER, Textual Tradition [1989], 253, 255; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 77, 277, 285, 292, 299, 307.

— 345 —

PLATO

68

Rotolo papiraceo. Frammento, di 13,2x7,7, bianco sul verso, mutilo in alto e in basso, che reca parte di due colonne, la prima fino a 16 righi. La colonna è larga ca. cm 7,3, con una media di lettere per rigo di circa 25. L’altezza della colonna può essere calcolata in ca. 21 cm ed era occupata da ca. 45 rıghi. La scrittura di stile severo, di tipo diritto, attribuita al sec. IP. Paragraphoi associate al doppio punto (I 9-11; perduto in lacuna a I 14 e 15) indicano, come di norma, il cambio di in-

terlocutore. Dieresi in II 8. Nessun altro segno di interpunzione è visibile. Viene apposto lo iota mutum (I 16); πη ınvece di πῆι a I 6 riflette presumibilmente discussioni dotte.

Il papiro offre alcune novità testuali, anche se le più sostanziali si possono difficilmente accogliere: vd. I 5, 9, 10. C'è forse più da guadagnare in questioni di ortografia: cfr. Il 8 (aroxAnilcd]o[cıv

in luogo di ἀποκλεισθῶσιν).

Più ba-

nalmente abbiamo οὕτως invece di οὕτω (ADF e Stob.) a 472e8

(I 4) e βασιλεῖς in luogo di βασιλῆς a 473d1 (II 1: diversamente ed.pr.). πολειτ[ικη (et per ı lungo) a 473d3 (II 5). L’u-

nica divergenza dai manoscritti medievali che si registra in relazione all'elisione e alla scriptio plena & priva di significato: δυνατώτατα ἂν con Stobeo a 472e10 (I 7). Il papiro non dà autorità a nessuna delle varie omissioni (472e6 [I 3], 473d1 [II 2), 473d4-5 (II 7]) e variazioni (472e7 [I 5], 47345 [UI 8]) di Stobeo e non si accorda mai col solo F (472e11 [I 9], 473d4

[II 6-7]).

Il testimone è stato collazionato sull'edizione di E. CHAM-

BRY BL, VII.1 (1933). Col. I δυν]ατ[ὸν οὕτω] πόλ[ιν οἰκῆ]σαι ὡς ἐλέγετο;

5

Οὐ δῆ]τα, ἔφ[η. | Τὸ μὲν τοίνυν &ληθές,] ἦν δ᾽ ἐγώ, oco: εἰ δὲ δὴ καὶ τίο]ῦ προθυμηθῆναι δεῖ σὴν χάριν, ἀποδεῖξαι πῆ μάλιστα καὶ κατὰ τί δυνατώτατα ἂν εἴη, πάλιν μοι πρὸς τὴν τοιαύτην ἀπόδει-

— 346 —

472e4

POXY

3679

R.

ἕξιν ταῦτα διωμολόγηται. “ποῖα; "Ap “λέγεται, ἢ ὡς ἧττ]ον. κἂν εἰ] un

10

Τὰ 4734

οἷόν te πραχθῆναι ὡς φύσιν Eyxlelı πρᾶξιν λέξ[εἀ[ληθε]ί [ec] ἐφάπτε[σθαι, τίῳ δοκεῖ; ἀλ]λὰ σὺ n[óte-

ρον ὁμολογε[ϊ Is οὕτως] ἢ οὔ; [Ὅμολο-

15

y]ó,

ἔφ([η.]

Τοῦτο μὲν δὴ μὴ ἀ[νά-

γκαζέ μ]ε, [oi]o τῷ λόγῳ διήίλθοιμεν, Col. II

βασ]ι[λεύσωσιν ἐν ταῖς πόλεσιν ἢ ot Baσ]ιλε[ἴς te v[9v λεγόμενοι καὶ δυνάσται

47342

φιλοσοφήσωϊΐσι γνησίως τε καὶ ἱκανῶς,

καὶ τοῦτο ei[c ταὐτὸν ξυμπέσῃ, δύνα5

pig te πολιτ[ικὴ καὶ φιλοσοφία, τῶν

δὲ νῦν πορευ[ζομένων χωρὶς ἐφ᾽ ἑκάτερον αἱ πολ|[λαὶ φύσεις ἐξ ἀνάγκης ἀποκληϊ[σθ]ῶ[σιν, οὐκ ἔστι κακῶν παῦλ]α, [ὦ] gliAe Γλαύκων, ταῖς πόλεσι,

I1 eAeyeo:

il primo rigo della col. inizia all'altezza del r. 4 della seconda 6

mm

9

διωμολογηται:

10 xou:

14 ov:

13 τὸ μὲν totvvv om. Stob. 4 οὕτω ADF δὴ om. Stob. pro τοῦτο perperam pap. δεῖ: χρὴ Stob. 6 πη pap., πῇ edd.

νατώτατα Stob. : δυνατώτατ᾽ ADF

5 τίο]υ 7 du-

9 ταῦτα (ταὐτὰ vel ταῦτα) pap., τὰ

αὐτὰ ADF Stob. διομολόγησαι AD (-γῆσαι D) : dei ὁμολογῆσαι F τι ante πραχθῆναι om. pap. ὡς : ©* Aac II 5 zoXew[

8

2

10

aroxAni

II 2 λεγόμενοι καὶ δυνάσται om. Stob. IV 56, 26 H. (haber Stob. IV 54,6 H.) 6-7 ἐκατέρων F (teste Chambry: silet Boter) 7 ἐξ ἀνάγκης om.Stob. — I1 8 ἀποκλεισθῶσιν ADF Bess., ἀποκαθιστῶσιν Stob.

I 5 (472e7)

Il papiro non ha tovto (codd. e Stob.) ma a

quanto pare τοῦ; probabilmente un errore dello scriba.

— 347—

PLATO

63-69

9 (472e11) In pap. troviamo ταῦτα διωμολογήται, non il tràdito τὰ αὐτὰ διομολόγησαι (A e Stob.). Il lettore è libero

di intendere ταῦτα come ταὐτὰ piuttosto che ταῦτα, ma διωμολόγηται è una discrepanza sostanziale.

Nel contesto διο-

μολόγησαι è chiaramente preferibile: cfr. Grg. 5003. διομοAoynoaı può essere facilmente letto come infinito, come attestano DeF

(διομολογῆσαι D: δεῖ ὁμολογῆσαι ΕἸ, e la conseguente

incoerenza é senza dubbio ció che dà conto della variante qui trovata: una Verschlimmbesserung. 10 (473a1) Il papiro omette ti davanti a πραχθῆναι: la lezione è chiaramente inferiore e l'errore, si può presumere, è stato commesso inavvertitamente, come facilissima aplografıa.

II 8 (473d5) La tradizione medievale offre ἀποκλεισθῶσιν, che gli editori accettano, accogliendo anche κλήσαντες a 560c9. La tradizione medievale è senza valore in tali questioni. Il trema in amokAni[c8]o[cww di pap., che dà la forma ionica, e

sbagliato, ma la forma -nı- (dittongo) può di per sé essere autentica; in Platone, come ad esempio in Tucidide (dove l'onginale -nı- è indubitabile), esso sarà stato inevitabilmente soggetto ad essere rimpiazzato da -eı-. È possibile pensare ad un restauro dotto di età romana (cfr. L. THREATTE,

The Gram-

mar of Attic Inscriptions. I: Phonology, Berlin - New York, de Gruyter 1980, 370 sgg.), ma è più semplice postulare una trasmissione ininterrotta. Lo stesso Platone può essere stato in-

coerente.

MWH

69 R. VI 485c10-486c3

Sec. III ex.

PMilVogliano 10

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Milano, Università degli Studi, Istituto di Papirologia. Edd.: A. VOGLIANO, PMilVogliano I (1937), 16.

— 348—

POXY

3679 - PMILVOGLIANO

10

R.

BOTER, Textual Tradition [1989],

Comm.: MP? 1420 (= P? 1420) 253, 255.

Porzione superiore di un foglio di codice papiraceo di 6x6 cm. Il testo è vergato in una scrittura informale di stile severo

probabilmente appartenente alla seconda metà del III secolo. E conservato il margine superiore per almeno 3 cm. La larghezza della colonna di scrittura è calcolabile intorno ai 10 cm ed è occupata da ca. 30 lettere; la sua altezza, sulla base del duplice assunto che non sussista alcuna sensibile divergenza testuale tra 485d e 486b e che si trattasse di un codice con una

sola colonna per pagina, è calcolabile intorno ai 22 cm e com-

prende ca. 44 righi. Come di regola, il cambio di interlocutore è indicato dal doppio punto, verosimilmente accompagnato dalla paragraphos; dopo il doppio punto è lasciato uno spazio di 1-2 lettere. Da un testo redatto in questo tipo di scrittura ci si attende un limitato apparato di segni di lettura: compaiono solo 1 punti diacritici in — 6. Non si segnalano varianti testuali. Un errore di copia si rı-

scontra in J 3, ma sembra essere stato corretto.

Il testo è stato collazionato sull’edizione di E. CHAMBRY, BL,VII.1

(1933), coi supplementi

l

di Boter 1989.

. — —

εὕροις;

Kai πῶς; ἢ δ᾽ ὅς. Ἦ οὖν δυνατὸν

485.10

eivalı τὴν αὐτὴν φύσι[ν φιλόσοφόν τε καὶ

3

E

φιλ]οψευδῆ; Οὐδαμῶϊς γε. Τὸν ἄρα τῷ ὄντι] φιλομαθῆ πάσηϊς. ἀληθείας δεῖ εὐθὺς] ἐκ νέου ὅτι μάλιστα ὀρέγεσθαι; Παν]τελῶς [γ]ε. ᾿Α[λλὰ

4854 485d6

Ll lun εὐθὺς νέου ὄντος ἐπι- — 486b10 oxéyn, εἰ ἄρα δικ]αία τε καὶ ἥμερος. ἢ [δυσ-

κοινώνητος καὶ] ἀγρία.

Πάνυ μὲν οὖ[ν.

Οὐ μὴν οὐδὲ τόδ]ε παραλείψεις, ὡς Bio

— 349—

486d

PLATO

5

69-70

μαι. Τὸ roîov;] Εὐμαθὴς ἢ δυσμ[αθής: ἢ προσδοκᾷς ποτ]έ τινά τι ἱκανῶς

L

486c3

non è sicuro il punto di divisione del rigo che è suggerito comun-

que da + 1 dove emi si trova in fine di rigo 1 dopo £Upoic: spazio bianco 3 ]ov ed.pr., ma si legge et, con probabile traccia di o su εἰ: sicuramente non Ào — dopo yevòn: spazio bianco

6 Je: seguito da spazio bianco 13 φιλοψευδῇ codd. 4 φιλομαθῆι D —»1em«

3 dopo aypıa: spazio bianco

divisione ἐϊγὼ [οἶμαι — 4

4-5

possibile anche la

6 ikav[

τόδε] τοῦτο Dac (corr. D'pc)

6

tt om. D.

MWH

70 R. VIII 545c1-54623

POxy 3326

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: M.W. HASLAM, POxy XLVII (1980), 37-41. Comm.: MP? 1420.1 SLINGS, Remarks [1987], 29-34; BOTER, Textual Tradition [1989], 253, 255-257; HASLAM, Ancient Manuscripts [1991], 340; 342-346; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 61, 76, 157, 176, 187, 254, 275, 283, 290, 296, 300, 303.

Rotolo papiraceo; il verso & stato utilizzato in un secondo tempo per un conto spese. Resti di tre colonne consecutive, vergate 1n una scrittura ornata estremamente formale, del II

secolo d.C. Altezza della colonna cm 17, con 26 righi; larghezza cm 5 ca.; intercolunnio cm 2 ca.; margine superiore di cm 4,9, quello inferiore à conservato fino a cm 4,9. Se il ro—

350—

PMILVOGLIANO

10 - POXY

3326

R.

tolo conteneva tutto e solo il libro VIII la lunghezza del testo doveva essere di ca. 7 m (circa 9,4 m, secondo Johnson,

Papyrus Roll, 61). Il cambio di interlocutore & segnalato come al solito per mezzo del doppio punto associato a paragrapbos. 1l doppio punto è utilizzato anche, come in altri mss. platonici dello

stesso periodo, come segno di punteggiatura per indicare una pausa forte; le pause meno forti sono indicate da ano e mese

stigme. È presente lo iota mutum. I segni diacritici sono utilizzati con economia e discernimento nei casi di possibile ambiguità: I 20 θέα, II 1 ἢ e τόδε, 23 ἢ; III 20 f; 22 pevéi. L'e-

listone non è indicata. A III 13 (546a1) una coronide segnala l’inizio di una nuova sezione. Sono usati segni riempitivi angolari per i righi più corti. Un segno critico, la diple, è apposto davanti a due coppie di righi, II 17-18 (545d5- 6) e III 7-8 (545e2) e anche nella nota marginale a I 6. Qui, come in altri papiri platonici (se

ne veda un elenco in ed.pr. 39), è chiaro che la funzione della diple non è coerente con quanto prescritto nel sistema di se-

gni per 1 testi platonici stabilito da Diogene Laerzio III 56 e

da un autore anonimo a lui precedente (cfr. PSI 1488 [ 80 142T]), secondo il quale la diple viene posta in corrispondenza di passi di contenuto

dottrinale platonico (πρὸς τὰ δόγματα

καὶ τὰ ἀρέσκοντα TlAatwvı); è dunque evidente che nella pratica la sfera di applicazione di tale segno doveva essere più . ampia. Una seconda mano ha aggiunto qualcosa nel margine sopra alla col. III, il cui inizio è segnalato dalla coronide al rigo 12. Il caso vuole che la stessa divisione sia rispecchiata da uno degli scholia vetera dei mss. medievali (p. 256 Greene) che presenta a questo punto un titolo, περὶ μεταπτώσεως τῶν κατὰ τὸν ἄδικον, numerato, misteriosamente, 19 (10). La nota nel

papiro sembra essere stata περὶ διαστ[ροφῆς τῶν (o piuttosto τῆς ?) κατὰ) | τὸν ἄδικοϊν.

Il papiro presenta una nuova lezione - o per meglio dire ne permette il recupero congetturale dalla lacuna che presumibilmente la conteneva: [δημοτιϊκόν (1 6) ın luogo di δημοκρα-

τικόν dei codd. a 545c3; il criterio dell’utrum in alterum gioca in favore della lezione del papiro, la cui autorità trova soste-

gno in un'annotazione marginale aggiunta da un'altra mano, —

351—

PLATO

70

οὔ(τως) ἦν, “sic”, che fa pensare a un controllo della lezione,

non sappiamo se sulla base dell'esemplare servito come modello o di un'altra copia. Slings, Remarks, 32-34, e Boter, Tex-

tual Tradition, 257, sono in disaccordo con questa interpretazione della lezione del papiro: 1 due studiosi ritengono che si possa trattare di un errore dello scriba, che poteva essere stato corretto nell'interlineo (in lacuna), ma a questa possibilità si oppone la notazione marginale (cfr. Haslam, Ancient Manuscripts, 344-346, in particolare 345 n. 15). Varianti minori, forse

meglio classificabili come varianti ortografiche, sono: ἢ (ἢ pap.) per due volte laddove il testo tramandato è 1j (II 1; 23); e οὕτω al posto di οὕτως a III 15-16. In tutti i luoghi in cui la tradizione medievale & divisa, il papiro é in disaccordo con F, mai

però nei casi di errore manifesto. Ovviamente non si può essere certi delle lezioni del papiro dove non sopravvivono; cosi γενομένῳ piuttosto che γιγνομένῳ non è assicurato a III 17-18 (54622) né ἅπαντα in luogo di πάντα a III 21-22 (54623). Collazionato con il testo di É. CHAMBRY, BL, VIL2 (1957), coi

supplement dı Boter. Col. I 5450

ὀλιγαρχικόΪν,

αὖθις δὲ] εἰς δημοκρ]ατίαν ἀποβλέψαντες

5

θεασόμε]θα ἄνδρα ὑδημοτιΪκόν, τὸ

> οὕ(τως) N}

δὲ τέταρ]τον εἰς τυρανν]ουμένην πόλιν ἐλ-

10

θόντες κ]αὶ [ἰΚ]δόντες, πάλι]ν εἰς τυραννικὴ]ν ψυχὴν βλέπ]οντες,

πειρασόμ]εθα πε15

ρὶ ὧν πρου]θέμεθα ἱκανοὶ κρι]τα[] —

352—

POXY

yeveohlalıl;

3326

καὶ

Κατὰ

“λόγον γ]έ τοι ἄν, [ἔ:] qn. οὕτ]ω γίγν[οι-

το i τ]ε θέα κα[ὶ

A xpio1c.] Φ[έρ]ε toivuv,] ἦν δ᾽ ἐγώ, πειρώμεθα] λέ-

γειν τίνα τ]ρόπ[ον 25

τιμοκρατία γέvoit! ἂν ἐξ ἀριστίο-

col. II

κρ[ατίας]} ἡ τί Jòe μ[ὲν ἁπλο]ῦν, ὅτι πᾶσα πολιτεί-

α μεταβάλλει ἐξ 5

αὐτοῦ tod £]xovτος τὰς &[px]&c, ὅταν

ἐν αὐτῷ τούτῳ στάσις EVYEVNται ὁμονοοῦντος 10

δέ, κἂν πάνυ ὀλίy]ov 34, ἀδύν[αtov κινηθ[ῆvar; Ἔστι γὰρ οὕτω. Πῶς οὖν δή, e[i-

15

πίον,] © Γλαύκί[ων,

20

» κι[νη]θήσεται, > κα[ὶ] πῇ στασιάσου[σι]ν οἱ ἐπίκουροι καὶ οἱ ἄρχοντες πρὸς ἀλλήλους τε καὶ πρί[ὸς

^ π[ό]λις ἡμῖν

ξα]υτούς; 1ἢ βού25 col. ΠῚ

Ae]

ὥσπερ “Oun-

polc, edy]oueda tlaîg Μο]ύσαις εἰπεῖν [ἡμῖν ὅ—

353—

545d

PLATO

70-71

πως [δὴ πρῶ-

τον στ[άσις ἔμπεσε, καὶ [φῶμεν αὐτὰς [τραγικῶς ὡς r[póg παῖδας > ἡμᾶς π[αίζουσας » καὶ ἐρ[εσχηλούσας, ὡς [δὴ σπου-

5

10

545,

δῇ λε[γούσας, d-

cb

ψηλολο[γουμένας ÀAéy[ew; Πῶς; Ὧδε als. χαλε-

546a

πὸν u[év Kıvnθῆν[αι πόλιν οὕτως σ[υστᾶσαν-

15

ἀ[λλ᾽ ἐπεὶ γενομ[ένῳ παντὶ

φθ[ορά ἐστιν, οὐ20

δ᾽ ἡ τοιαύτη σύ-

στασις τ[ὸν ἅπαντα] μενεῖ [χρόvov,] ἀλλὰ λ[υθήϊσεται 14 lovzec-

15

]vavtec5-6 nell’ intercolunnio a destra o" 17 Jah]: 20 θέα 21 ke

6

-σόμεθα (A) fort. spatio aptius quam -σώμεθα (DF)

τικόν codd., longius spatio

14

-σώμεθα (F)

HI og vel] ἰ. ἐγγέν9. mom

mo a sinistra 21

54643

17



11

13

6 δημοκρα-

-σόμεθα (AD) fort. spatio aptius quam

t[6] visibile solo l'accento suo 2 ]w: 8 13 var: 17,18 diplai nell'intercolun-

θησεται:

I 1 ἡ: ἢ codd. ἄρχον D (corr. Ὁ

]Jcov:

23

Jvrovc:

10 κἂν : καὶ F

23

A:

codd.

11

f AF

20

oiom.F

20%

ss III in marg. sup.: περὶ διαστίροφῆς τῶν (vel potius τῆς ?) κατὰ] | τὸν ἀδικοίν m 4 σε; 7,8 diplai nell'intercolunnio sin. 12-13 coronide nell’intercolunnio sin. 20 n 22 và HI 4

-onF

8.9

ἐρεσχελούσας F

— 354—

16

-t0 codd.

17-18

T"

POXY

γνομένῳ Simpl. 19-20 πάντα Procl. (uno loco)

3326 - PLUGDBAT XXV 3 R.

οὐ δὴ F (secundum Slings; silet Boter) 21-22 22 μενεῖ A, μένει Fac, μὲν ei D (secundum Bo-

ter: μὲν εἰ secundum Slings). MWH

7i

R. VIII 54624-b2; 548b5-c1

PLugdBat XXV 3

Sec. II?

Prov.: ignota. Cons.: Leiden, Rijksuniversiteit, Papyrologisch Instituut inv. 63.

Edd.: R.W. DANIEL, Pap. Lugd. Bat. XXV (1991), 5-6. Tavv.: Pap. Lugd. Bat. XXV, 1. Comm.: MP? 1420.11.

Frammenti di volumen (fr. A cm 5x10, fr. B cm 6x10,5), che recano solo deboli tracce di scrittura sul verso, di cui solo

il fr. B conserva il margine superiore per 3 cm; gli altri sono mutil su tutti 1 lati.

Il fr. A riporta parte di due colonne di scrittura (della seconda solo tracce indecifrabili delle prime lettere di alcuni righi) fino a 17 righi, con un intercolunnio di cm 1-1,5 ca. La

colonna è larga cm 4-4,5 con una media di lettere per rigo di circa 14. Il fr. B conserva parte di una colonna per 14 righi, in alcuni integra nella sua larghezza, e debolissime tracce di alcune lettere di una colonna precedente. Per gli altri frammenti, (C,D,E,F) minuscoli, di difficile lettura, si è seguito la

proposta di collocazione dell’editore di C e D all’interno del fr. B col. Il ai rr. 12-14. Il testo è vergato in una libraria diritta, rotonda, informale, paragonabile a POxy IP,

X 1231 (= GMAW' n° 17) databile al sec.

Sono impiegati segni a scopo riempitivo in fine di rigo. Pre—

355—

PLATO

71

sente una espunzione in A 7. Lo sota mutum sembra venir apposto (B 3).

Non c'é sovrapposizione con la porzione di testo conservata da POxy 1808 (— 80 72). Il papiro, che é stato collazionato sull'edizione di É. CHAMBRY, BL, VII.2 (1957) [1964], tenendo conto di Boter, Textual Tradition, non 81 accorda con

nessuna delle lectiones singulares di F [A 3-4, 7, B 5; impos-

sibile verificare la lezione in A 10 (54627 καὶ Bo. F) e in A 13 (54628 tue. F)] e presenta due nuove lezioni in A 3-4 (= 54625) e A 13-14 (= 546b1).

Il papiro offre in questi passi il plurale in luogo del singolare trasmesso dai manoscritti medievali, ma si tratta con ogni probabilità di un intervento diascheuastico

atto ad ar-

monizzare il soggetto col verbo γίγνονται (54625) Fr. A, col. I pvrolilg Elylyetoic, &]A-

54624

λὰ Kojie ἐν ἐπιγείοις 5

ζῴοις φοραὶ καὶ ἀpöpialı [ψυχῆς te καὶ σωμάϊτων γίγνον-

ται, ὅταΪν περιτροroi, ἑκά]στοις [κλ[.]λων] κύκλων π]εριφ[ορὰς

10

συνάπτωσι,] βραχυ[βί[og μὲν βραχυπό-] ρους, ἐναντίοις δὲ] ἱἐναντίας. γένους] δὲ ὑμετέ]ρου εὖγονιῶν τε κ]αὶ ἀφοριῶν,

15

καίπερ ὄν]τες σοqot, οὺς] ἡγεμόνας

546b

πόλεως] ἐπαιδεύσα [σθε —

——

——

Fr. B, col. II

δὲ ἀλλοτρί[ω]ν [1] —

356—

5485

PLUGDBAT XXV3 g.

ἐπιθυμίαν, καὶ λά-

Opa: τὰς ἡδονὰς καρπούμενοι, ὥσ-

5

περ παῖδες πατέpa τὸν νόμον [ἀπ]οδιδράσίκοντες, o]òy ὑπὸ π[ειθοῦς ἀ]λλ᾽ ὑπὸ [βίας πεπαιδευμέν[|οι διὰ τὸ τ]ῆς ἀληθ[ινῆς Μού-

10

σης τῆς μ[ετὰ |λόϊyov τ|ε κ[αὶ φιλίοσιίο;

“ἭΝ

;

548c

φίας nulelAllnkelvia Fr. C (ex E)

Α 7 [xA[.]Aov] tracce di inchiostro sotto le prime due lettere e un trat-

tino sotto il v rendono probabile l'espunzione della parola scritta male al posto di xvxAov richiesto che sarebbe stato riscritto al rigo successivo 910 la divisione di parola & qui del tutto congetturale: potrebbe essere stata scritta anche Bpavl[Btoig A 3-4 13-14

φορὰ καὶ ἀφορία AD

: φθορὰ xoi ἀφθορία F

7 ἑκάστης F

εὐγονίας τε καὶ ἀφορίας ADF

B 12-14 a questa altezza potrebbero venir collocati, se la trascrizione € corretta, i frustoli C-D dell’ed.pr. B5 C-D

παῖδας Y non ancora collocati



357—

PLATO

71-72

Fr. A

3-4 (54645)

Il plurale (φοραὶ xai ἀφορίαι) offerto da pap.,

contro il singolare dei manoscritti (trascurabile è la lezione di F, indotta da φθορὰin 54622), è coerente con εὐγονιῶν τε καὶ ἀφοριῶν in 546b1 (A 13-14), attestato da pap. in opposizione

al singolare dei codici. Secondo Daniel (ed.pr., ad loc.), la lezione di pap. potrebbe essere quella giusta, sulla base della presenza, anche in questa parte della Repubblica, di coppie di plurali di sostantivi astratti (cfr. R. VIII, 548c6-7 e Kühner -

Gerth, I, 17-18). Piü probabile, tuttavia, & che all’origine della lezione di pap. ci sia il tentativo di armonizzare la sintassi in coerenza con γίγνονται dı 54645: interessante & a questo pro-

posito l'analogo intento armonizzante riscontrabile nella lezione γίγνεται del Marc. Gr. App. Class. IV, 1 (T: f. 241r, col. 1, 1. 43) - lontano apografo del Marc. Gr. 185 (D) da 389d7 in poi -, da qui passata nei suoi apografi citati da Bekker (Comm.

Crit. II, 86: Marc.

Gr.

184, Vat. Gr.

1029, Vat. Gr.

226, per la posizione genealogica dei quali si veda lo stemma proposto da Boter, Textual Tradition, p. XVII), nell'Aldina (vol. II, p. 105), attraverso 1 due codici bessarionei Marc. Gr. 187e 184, e quindi nella *vulgata' Stephaniana. La lezione dei

manoscritti pare dunque difficilior e perciò preferibile. D’altra parte anche la presenza in un passo non lontano (vd. supra) di una simile coppia di plurali di sostantivi astratti induce a sospettare che la lezione del papiro rientri in quella «Egalisierungssucht» degli antichi «Textredaktoren», le cui tracce G. Jachmann coglie sia nella tradizione papiracea sia nel testo tràdito dai manoscritti medievali [Der Platontext, 255, 293306, in partic. 305-306; cfr. anche Carlini, Stadi, 21-22 e ID,,

Sul papiro Flinders Petrie I 5-8 del «Fedone», 1992 (STCPF, 6), 147-159: 154-155]. 13-14:(546b1) Vd. supra A 3-4. MWH



358 —

PLUGDBAT XXV 3 - POXY 1808 R.

72 R. VIII 546b2-547d4

POxy 1808

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: A.S. HUNT, POxy XV (1922), 186-191. Tavv.: POxy XV, IV (coll. I-II).

Comm.: MP? 1421 (= P? 1421) CXLV;

LEISEGANG

CHAMBRY, BL, VI [1932], p.

[1950], 2362; M. DENKINGER, L'énigme du

Nombre de Platon et la lois des dispositives de M. Dies, REG 63 (1955), 38-76: 65 n. 1; SIJPESTEIJN, Platon-Papyri [1964], 32 n. 3; BRUMBAUGH - WELLS, Plato Manuscripts [1968], 4; CARLINI, Studi [1972], 69; BOTER, Textual Tradition [1989], 253, 256-257; S.R. SLINGS,

Critical Notes

on Plato’s Politeia, III, Mnemosyne 43

(1990), 341-363: 343; HASLAM, Ancient Manuscripts [1991], 340 n. 6, 345; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 36-37, 73, 135-136, 154, 176, 253, 281, 300, 304; DÖRRIE - BALTES, Platonismus, III [1993], 202-203

n. 7.

Due frammenti di rotolo papiraceo con resti di cinque colonne (della prima soltanto tracce): la prima colonna copre da 546b2 a b6, la II da 546c3 a c7, la III da 546d5 a 54731, segue

la lacuna di una colonna, la IV da 547b6 a 547c1, la V da 547c8 a 547d4.

La scrittura è un'esperta realizzazione dello stile severo inclinato assegnabile con buona probabilità alla seconda metà del sec. II. Le colonne sono strette (ca. 5 cm) e contengono ca. 12 lettere per rigo; l’altezza si calcola in ca. 19 cm e comprende ca. 16 righi. L’intercolunnio misura ca. 2 cm, il margine superiore almeno 4 cm. La lunghezza del rotolo, se esso conteneva soltanto il libro VIII, è calcolata in 7,5 m da John-

son, Papyrus Roll, 300. Tali dimensioni non debbono risultare strane: il manoscritto

non era stato studiato fin dall’origine —

359 —

PLATO

72

specificamente per le annotazioni che ricevette in un tempo successivo. Il sistema di punteggiatura sembra di due livelli: accanto all’usuale mese stigme ricorre il doppio punto usato non solo in combinazione con la paragraphos per indicare il cambio di interlocutore, ma anche indipendentemente ad evidenziare uno stacco sintattico più forte; tale uso del doppio punto ritorna in altri manoscritti platonici dello stesso periodo. Invece della punteggiatura, posta da m', è talora lasciato un breve spazio bianco. Occasionali i punti diacritici (ἴδιω, ox). Corrente l'elisione mai segnalata. Spirito aspro (del correttore?) su αὑτίης in V 12 (547d3). Jota è ascritto, due volte erroneamente ma cancellato: xÀovoto IV 1 (547b6, accordo con

Aac privo di significato: cfr. Boter, Textual Tradition, 257), ἔφη V 14 (547d3). Alcune particolarità ortografiche: δυεῖν II 9 (546c5, con AD contro il δυοῖν di F, accolto dagli editori: accordo privo di significato [Boter, Textual Tradition, 257)), ξύμπας II 10 (546c6: cfr. Kerschensteiner, Gebrauch), οὕτως V 3 (547c9).

Si tratta del libro di uno studioso. Il testo risulta esser stato sottoposto ad un’opera sistematica di revisione. La maggior parte delle correzioni si limitano a sanare semplici errori di copiatura, ma in uno o due casi si deve pensare alla collazione con un manoscritto diverso dall’esemplare del nostro scriba. La peculiarità più notevole è data dalle numerose annotazioni marginali che si riferiscono al passo sul ‘numero platonico’, 546b-c. In parte sono note tachigrafiche, scritte in una gratia piccola ma chiara nel margine destro e superiore: sulla destra di col. I (546b), in alto e a destra di col. II (546c). Furono pre-

sumibilmente introdotte dal possessore del libro; per la trascrizione, vd. infra. [Sui problemi relativi al ‘numero platonico’ vd. ad es. F. HULTSCH, Die geometrische Zahl, Zeitschrift für Mathematik

und Physik 27 (1882), 41-60; Adam, Republic, II, 264-312; G. KAFKA, Zu Adams Erklarung der platonischen Zahl, Philologus 73 (1914), 109-121; A.G. LAIRD, Plato’s Geometrical Num-

ber and the Commentary of Proclus, Madison Wisconsin, The Collegiate Press 1918; Taylor, Timaeus, 216-219; A. Diès, Le Nombre de Platon, Extrait des Mémoires présentés ... à !’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Paris 1936; R.S. BRUMBAUGH, Plato's Mathematical Imagination, Bloomington —

360—

POXY

1808

R.

Indiana, Indiana Univ. Press 1954; Denkinger, 65 n. 1; F. EHRENFELS, Zur Deutung der platonischen Hochzeitszahl, AGPh 44 (1962), 240-244; C. MUGLER, Platon et la recherche mathé-

matique de son époque, Naarden, Bekhoven 1969, 168-169; G.J. Kaas, Le nombre geometrique de Platon. Essai d'inter-

pretation, BAGB

1972, 431-468; J. AUBONNET, Aristote, Poli-

tique, t. II, pt. II, livres

V-VI, BL

1973, 228-232; K. GAISER,

Die Rede der Musen über der Grund von Ordnung und Unord-

nung: Platon, Politeia VIII, 545d-547e, in Studia Platonica, Festschrift für Hermann Gundert zu seinem 65. Geburtstag,

am 30. 4. 1974, hrsg. von K. Dóring und W. Kullmann, Amsterdam, Grüner 1974, 49-85; Guthrie, Hist., IV, 529 n. 1; J.F.

MATTEI, La généalogique du nombre nuptial chez Platon, EPh

1982, 281-303]. Testo

Tutu gli errori dello scriba risultano sanati: ἀρχὴν (errore indotto dal successivo ἀρχαίαν) corretto in ἀρετὴν (IV 2-3 = 547b6: aplynv, € aggiunto in fine rigo, τ scritto sul y; erroneo

in questo caso l'apparato dell'edizione BL); ἀπόστασιν corretto in κατάστασιν (IV 4 = 547b7: x scritto s./. prima di a, ta scritto sopra t, puntini di espunzione su xo; diversamente Hunt che dà κατα nell'interlineo); κατανειμανοῦς corretto in -μαμενους

(IV 12 = 547b9-c1: μ]ε scritto sopra); οὗτος (0] ἀριθμὸς (It tl =546c6: con punto di espunzione); τουούυτοῦ COrretto in τοιούτου

(II 13 = 546c7: 1 scritto sopra, incerta l’espunzione: su questo errore vd. Denkinger,

65 n. 1); ἀμου]σότερον corretto in -oı

(ΠῚ 8 = 546d7: v attraversato da un leggero segno di cancellatura, 1 scritto sopra). Per quanto è possibile giudicare, tali interventi sembrano dovuti alla mano del correttore. Nessuna delle lezioni precedenti & da prendere in considerazione e quasi tutte sono facilmente spiegabili come sviste. Più interessanti due emendazioni testuali nel brano sul Numero (II 6-7, 10).

A III 8-9 (546d8) 1] papiro offre un ordo verborum diverso

da quello dei codici medievali.

Non si segnalano accordi significativi con nessuno dei manoscritti medievali (vd. II 3; V 1, 6, 15). A III 5-6 una congettura di Madvig

non trova conforto. A 547d1 (col. III 16) —

361—

PLATO

72

la nota dell'apparato BL secondo cui il pap. omette τὰ deriva da un evidente errore di trascrizione dell’ed.pr.; non c’è motivo di credere che τὰ non fosse stato scritto. _ Il testo è stato collazionato con l’edizione di E. CHAMBRY,

BL, VIL2 (1957) in cui il papiro figura con la sigla Pap. 3, con le integrazioni di Boter, Textual Tradition. Il 3 (546c4) Pap. si accorda in lezione esatta (ἑκατόν: erroneo il riferimento di Hunt, 190 e di Brumbaugh - Wells, 4 a 546c3, non conservato dal papiro: vd. Boter, Textual Tradition,

257 n. 1) con ApcD, contro Aac (ἕκαστον) e F (ξκαστόν: sic). 6-8 (546c5)

In pap.ac era stato scritto δεομένων [ἑνὸς &kà-

στῶν, in accordo con la tradizione medievale (ADF), ma so-

pra ὧν di ἑκάστων È stato scritto 0v, cioè ἑκάστου; una nuova lezione, ma difficilmente preferibile al plurale della tradizione: forse una congettura dello studioso cui sı devono le annotazioni? 10 (546c6)

Pap.ac ometteva τριάδος dopo κύβων (κυβωί..

Ἰξυμ- pap., verosimilmente κύβων seguito da uno spazio con valore di punteggiatura) e 1p1]o8og: fu inserito supra lineam, o dal correttore o dal chiosatore (a meno che non si tratti della

stessa persona): l'omissione sorprende, ma il testo non si reggerebbe senza quella parola. II] 5-6 (546d7) Pap. si accorda con la tradizione medievale nella lezione ölebtepov] δὲ τὰ (non come I.N. MADVIG, Adversaria Critica, I, Hauniae, Schultze 1871, 429-430: δεύτερά

te), accolta da Chambry. 8-9 (546d8)

Pap. non riporta γενήσονται ὑμῖν come invece

i codici medievali (ἡμῖν A), ma dà o[uiv γε]ϊνήσονίται. Non

sussistono segni di correzione (erroneo l'apparato BL); l'in-

versione poteva esser stata segnalata da un f e da un a soprascritti, ma non c’è motivo di pensarlo.

V 1-2 (547c9) Pap. offre il giusto μεταβήσεται con A, contro μεταθήσεται di F e μεταβηθήσεται di D (conflatio).

6 (547d1) In pap. si legge tà μέν recte con AD, contro τοῦ μέν di F.

15 (547d5)

Pap. molto probabilmente, per motivi di spa-

zio, dà τῶ]ν con A invece di τὸ FD. —

362—

POXY

1808

R.

Scholia

Benché la scrittura sıa chiara creano difficoltà sia le lacune sia incertezze nella decifrazione della tachigrafia. La trascri-

zione e le brevi note che si forniscono qui di seguito, fortemente dipendenti dall’ed.pr., non pretendono di essere definitive. Il materiale degli scolî, quale che ne sia stata la fonte [ci sono significative coincidenze (vd. infra) con l'interpretazione di Dercillide, riferita da Proclo: su Dercillide si veda Müller, Kurzdialoge, 33. n. 1, Dörrie - Baltes, Platonismus III, 202203, Tarrant, Thrasyllan Platonism, 78-81, Mansfeld, Prolegomena, 64 e n. 111], si colloca accanto al commento di Proclo

come raccolta di interpretazioni antiche sul famoso Numero. Un elenco dei testimonia sul passo della Repubblica si trova in Boter,

Textual tradition, 344-346; cfr. anche, per l'inter-

pretazione di Origene,

riferita da Proclo attraverso Porfirio,

]. DILLON, Jamblichi Chalcidensis in Platonis dialogos commentaria, Leiden, Brill 1975, 287-288. Whittaker (Alcınoos, Enseignement des doctrines de Platon, BL 1990, 131) vede un pro-

babile influsso di R. 546b (oltre che di Ti. 37d e Phd. 113a) anche su Alcın. Did.

178, 36-37 W.

A: Sch. col. I

I 1-3: ad 546b4

θείῳ μὲν γεννητῷ κτλ.

' τῶι] κόσμωι |? ]u(&v ?) αὐ(τὸν 9) επί Ινθὰ ἢ le II 4

Ἡρακλείτ(ου) ἔτη n

III 5-8: ad 546b5 ᾿ «éA(eU(og): ὅτ() (vel ὁ τ(έλειος) ) ἐ(ν) l [αὐτ]ῷ (vel ἐ(ν»[[αὐυτ]ῷ, vel &v) | ©) κα(τὰ) τρ(οπὴν) ὁ θ(εὸὴς ὥρ(ικεν) |’ ὅτι σ(ὐν)πίαντας) πλανητὰς I° [ἀ(πο)κ(αθ)]στησιν IV 9-10

᾿ δυναμέν(ας

?) (τὰς 3) ὑποί' τεινούσας

V 11-12

᾿ (τὰς) ἄλλ(ας) πλευρίάς), | ὀρθὴν (καὶ) βάσιν

VI 13-16 ὃ ὅρο() 7 ἀποστάσεις ἔχουσι π()ον. | ὃ κ(εύγονες

(L κίονες) τὸ |* ὅρι(ον) ἐπιφέρίουσι ?) —

363 —

PLATO

72

B: sch. col. U

Ì 1-5: ad 546c1 ὧν ἐπίτριτος πυθμὴν κτλ. ' Ju (forse i, oppure 1ς1)im [ca. 7: ἰσομη! ἘΠ ? προμήκ]η δὲ oL... 10)

A(ei)necO(o) nolvaöı Ὁ p minima vestigia littera-

rum]. ἔχει τετράγων(ος) ἀριθμὸς [ l' ] & οὗ τὸ σχῆμά (ἐστιν) (ὡς 3) ἐ(ν) (9) τ(ῷ) ) Μένωνι DI [Pò διπλάσιον ἀπὸ δ(ια)μέτ(ρου) γίνεται)

II 6-7 III 8-9

t

| ῥητ(ῶν) (546c5). ἀριθμί(ὸς) ὁ πλευρὰν Éyo(v) ᾿ λείπ(ει) μονάδι (εἰ) πλευρ(ὰ) um

᾿ IV 10-11: ad 546c5-6 οὗ (οὐκ) | εἴσι nAlevpai)

ἀρρήτ(ων

?) (δέ ?) V (appn‘.V pap.),

V 12-13 (τῷ) κζ γίίνονται) ἡμέρί(αι) Zoo, ἀκιολούθως ?) (τῷ) γυν(αικείῳ)

À

_

II "HZ e. μυριὰς à, 10.800 ? Cfr. Cens. 18, 11 dove il

grande anno di Eraclito è calcolato come

30 x 360 = 10.800;

contra Stob. 1, 264 dove risulta 18.000 (la metà di 36.000) [>

57 3T]. III

ὁ τ(έλειος) ἐ(ν)υ αυτ]ῷ ἐ(ν) J ᾧ

Taylor ap. ed.pr. Lo

scolio & probabilmente scritto da m’. IV, V In δυνάμεναί τε καὶ δυναστευόμεναι (54655) Ci saremmo aspettati il nominativo. L'interpretazione & impostata

secondo il triangolo 3:4:5 e il teorema di Pitagora per cui il quadrato sull’ipotenusa equivale alla somma di quelli sui cateti. Che con δυναμένη s’intenda l'ipotenusa e con δυνα-

στευόμεναι gli altri due lati è affermato da Alessandro di Afrodisia In Metapb. A 8, 990323 ed è implicito in Dercyllides ap. Procl. In R. Il 25,16-18 Kr. τῶν μὲν περιεχουσῶν (sc. πλευρῶν 1 due lati più corti), τὸν πρῶτον Ev συμφωνίᾳ λόγον ἐχουσῶν

— 364—

POXY

1808

R.

(i. e. la proporzione ‘epitrita’ 4:3), τῆς δ᾽ ὑποτεινούσηςἢ (voluit sane ἴσον) δυναμένης ἀμφοῖν.

Β I Ci si riferisce ad ἀριθμῶν ἀπὸ διαμέτρων ῥητῶν πεμπά-

δος. La diagonale di un quadrato con lato di 5 (prima figura, essendo 5 l'ipotenusa del primo triangolo di Pitagora) è 50 (Eucl. 1, 47, cfr. IV infra), il cui numero razionale più vicino

è 7= γ49. Si arriva a 48 prendendo 7? (ἀριθμῶν ἀπὸ διαμέτρων) e sottraendo 1 (δεομένων ἑνὸς ἑκάστων, cfr. λείπει μονάδι in

schol. III infra). Sembra esserci qualcosa scritto nel quadrato di 5 dello scoliasta, forse una diagonale? È forse possibile intendere la seconda figura come un quadrato costruito a partire dalla diagonale del quadrato di 5: Ὁ.

Cfr. Meno

85b col commento di Bluck (Meno, 309-310) e

80 101T.

ΠῚ

Cosi com'é non dà senso. A.E. Taylor ap. ed.pr. pro-

poneva Aein(er) μονάδι:

(ei) πλευρ(ὰ) & μη. Cfr. I, supra.

IV Re N50, cfr. I e II, supra. V κζ, 27 = 3°, κύβων τριάδος. Ζφ, 7.500 = (100x48) + (100x27). Questa è la cifra di Der-

cillide per l'ultima delle due armonie, Procl. In R., cit. ὁ μέν ἐστιν ὁμοιότητι φίλος, ὁ p (100, 10°), ὁ δὲ ἀνομοιότητι, ὁ δὲ

(27+48 = 75), καὶ ὁ μὲν [γεννᾷ] τοιοῦτον ἄλλον τὸν μύρια (100x100 = 10.000), ὁ δὲ ἀνόμοιον μετ᾽ ἐκείνου τὸν Zo (100x

75 -- 7.500).

75(00) non è un numero al quadrato, ovvero è ἀνόμοιος e

perciò femminile. Cfr. Cronius ap. Procl. In R. II 23,6-7 Kr. Kpóviog τὰς δύο ἁρμονίας ἀκούει κατὰ μὲν TO ἄρρεν τὸν μύρια, κατὰ δὲ τὸ θῆλυ τὸν Ζφ. Riassumendo: ἑκατὸν μὲν ἀριθμῶν ἀπὸ διαμέτρων ῥητῶν πεμπάδος δεομένων ἑνὸς ἑκάστων (ν.ἰ, ἑκάστου) = 100(49-1); ἀρρήτων δὲ δυεῖν = 50-2.

4800.

ἑκατὸν δὲ κύβων (τριάδος) = 100χ3΄.

4.800 + 2.700 = 7.500



365—

2700.

PLATO

72-74

Sussistono indizi (cfr. A IV-V, B V) per credere che tale

fosse l'interpretazione di Dercillide.

MWH*

73 R. X 607e3-608a1

POxy 24 (= PYale 21)

Sec. II ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Yale, The Beinecke Rare Book and Manuscript Library, inv. 31.

Edd.: B.P. GRENFELL

- A.S. HuNT,

J.F. OATES - A.E. SAMUEL (PYale 21).

POxy

I (1898), 52 (POxy 24);

- C.B. WELLES,

Comm.: MP? 1422 (= P? 1422)

ADAM,

PYale I (1967), 44

Republic [1902], II, 419;

RITTER, Bericht [1912], 4; ALLINE, Histoire

[1915], 144 n. 3;

GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16; CHAMBRY, BL, VI [1932], p CXLV; LEISEGANG [1950], 2362; BOTER, Textnal Tradition [1989], 254, 256; JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 71, 257.

Frammento di una colonna di rotolo papiraceo (cm 8x5,5), mutilo in alto e in basso, scritto in stile severo di dimensioni

medie, appartenente piü probabilmente al II che al III secolo d.C. La colonna è larga cm 6,5. Compaiono ano stigmai (a r. 4 dopo ἐρώτα [606e5] e ἃ r. 5 dopo arexovraı [607e6]). Lo tota mutum

è apposto

(τ. 4 βίαι

[607e5]

non

Bia

come

in

PYale I, p. 44). Un segno riempitivo a forma di diple compare alla fine di r. 5. Il testo & stato collazionato con l'edizione di É. CHAMBRY,

BL, VI (1932), in cui il papiro figura con la sigla Pap. 4, ma si è tenuto conto delle informazioni sulla tradizione manoscritta di Boter, Textual Tradition; non offre nessuna variante

di rilievo (una variante ortografica, οὕτω per οὕτως, si rileva a τ. 6 [607e6];

appena

degno —

di menzione

366—

£vyeyolvöra

per

POXY 1808 - POXY 24 - POXY 3157 R

ἐγγεγοϊνότα a τ. 6 [607e6]). A τ, 6 (607e6) pap. non condivide l'erronea omissione

di 1óv

di Dac. MWH

74 R. X 610c8-613a8

POxy 3157

Sec, IT

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford,

Ashmolean

Museum.

Edd.: M.W. HASLAM, POxy XLIV (1976), 44-46. Tavv.: POxy XLIV, V [lato —]. Comm.: MP? 1422.1 SLINGS, Remarks [1987], 30-31; BOTER, Textual tradition [1989], 66, 204, 206, 254, 256-257; HASLAM, Ancent Manuscripts [1991], 339-340, 342 n. 11, 343-344 e n. 14; J.

VAN HAELST, Les origines du codex, in Les débuts du codex, Turnhout,

Brepols

1989 («Bibliologia», 9), 13-35: 25.

Due frammenti di un foglio di codice papiraceo. La scrittura é di dimensioni piccole, chiara, rotonda, difficilmente da-

tabile oltre il II secolo. L'area di scrittura è calcolabile in ca 10x22 cm ed è occupata da ca. 51 righi di ca. 44 lettere. Il margine superiore misurava probabilmente solo cm 1, conformemente ad un uso economico dello spazio caratteristico dei co-

dici papiracei più antichi. La punteggiatura è indicata da mese stigme, dal doppio punto verosimilmente in combinazione con la paragraphos per segnalare il cambio d’interlocutore. Segni di lettura: spirito aspro, punti diacritici; non compaiono accenti. Correntemente indicata l'elisione. Una correzione testuale sotto il rigo è opera di una mano

rozza

nel Fr. Al

7 (610d4

sotto -ov- di

ἀποθνήσκουσι), ma non si nota un'opera sistematica di correzione. Jota mutum è ascritto regolarmente ma non in tutti ı —

367—

PLATO

74

casi. Da notare, dal punto di vista ortografico, avte per ἐάντε (A> 15, >B 5).

Alcune lezioni nuove date dal papiro sono sviste evidenti e facilmente spiegabili: Al 6 (61043), AL

11 (61062), A5 1

(61163), ma altre sono più interessanti: due differenze nell’ordo verborum [AL 6 (610d3), A> 6 (61223)] e un possibile smascheramento di una interpolazione (Al 12 (610e3)]. Lo strano scambio di ἀποθνήσκουσιν in ἀποθνήσκωσιν a AL 7 (610d4), se cosi si deve intendere, & senz'altro errato.

Si registra un accordo con D e F (A+ 1) in lezione forse esatta (pap. si accorda con D e F anche nell’offrire in Al 7 la scriptio plena contro l'elisione di A). Quando F o Stobeo sono isolati non ricevono mai conforto dal papiro (a parte ıl caso non significativo di Al 10 [cfr. A+

2, 4, 12, 19, B

8]: im-

possibile accertare la lezione di pap. in AJ 1-2, 5-6, 6-7, 12, 12-13, 20 (cfr. Slings, Remarks, 31 e Haslam, Ancient Manascripts, 342 n. 11). Da notare l'accordo 1n lezione esatta tra pap. e un recentior, il Laur. 80, 17 (B), in Al 6 (61043). Il testo è stato collazionato sull'edizione di E. CHAMBRY,

BL, VII.2 (1957), con le informazioni sulla tradizione manoscritta di Boter. Fr. Ad

Javaykalntaı ἀθανάτους τὰς v[v]x[àc ὁμολογεῖν, ἀ-

610ε8

ξιώσο]μέν πίο]υ, εἰ ἀληθῆ λέγει ὁ ταῦτα λέγων, [τ]ὴν ἀδικίαν θανάσιμον] εἶναι τῷ ἔχοντι ὥσπερ νόσον, καὶ ὑπ᾽ αὐτ[οῦ, τοῦ

5

ἀποκτει-ὀ — 610d vövrols τῇ ἑαυτοῦ φύσει, ἀποθνήσκειν τοὺς [Aag Bóvovτὰς adito, τοὺς μὲν μάλιστα θᾶττον, τοὺς δ᾽ ἧττο[ν σχο-

tepov,] ἀλλὰ un{v}

λαίὥσπερ νῦν διὰ τοῦτο da’ ἄλλων δί[κην ἐπιτι-

θέντ]ων ἀποθνήσκουσιν οἱ ἄδικοι. Μὰ Δία, 7] δ᾽ ὅς, [οὐκ ἄρα πάνδεῖνο]ν yavelitlaı fj ἀδικία, εἰ θανάσιμον ἔσται τ[ῷ —

268 ---

POXY

5157

R.

λαμβάνοντι -- ἀϊπαλ[λαγὴ γ]ὰρ ἂν εἴη κακῶν -- ἀλλὰ μᾶλλον

10

oinfaı αὐτὴν φανήσεσθαι πᾶν τ]οὐναντίον τοὺς ἄλλουϊς ἀποκτ]είινῦσαν, εἴπερ οἷόν τε, τὸν δ᾽] ἔχο[ντα] καὶ μᾶλλον [ζωτικὸν] π[αρ]é[ xJovolov, 610e καὶ πρός γ᾽ ἔτι τῷ ζωτικῷ &]yponvov: οὕτω [röplpo που ἐσκήvta τοῦ θανάσιμος εἶναι.) Καλῶς, ἦν δ᾽ ἐγώ, λέγεις.

᾿ ὁπό15

τε γὰρ δὴ μὴ ἱκανὴ ἥ γε οἰϊκεία πονηρία καὶ τὸ [olikeiov ᾿ κακὸν ἀποκτεῖναι καὶ ἀπολέσαι ψυχήν, σχολῇ τό γεί en’ ἄλλου ὀλέθρῳ τεταγμένον κακὸν yu]yhv ἤ τι ἄλλο ἀπ[ολεῖ,

πλὴν ἐφ᾽ © τέτακται. Σχολῇ γ᾽ ἔφη, ὥς γε τὸ εἰϊκός. Οὐund’ ὑφ᾽

κοῦ[ν ὁπότε ἑνὸς ἀπόλλυται κακοῦ, μήτε οἰκείου μήτε &AÀ[otptov, δῆ- 6112

λον ὅτι ἀνάγκη αὐτὸ ἀεὶ ὃν εἶναι: εἰ δ᾽ ἀεὶ ὄν, ἀθά[να20

᾿Ανάγκη, ἔφη.

᾿ τον. Τοῦτο μὲν τοίνυν, ἦν δ᾽ ἐγώ, οὕ]τως ἐχέτ[ὦ᾽ εἰ δ᾽ ἔχει,

ἐννοεῖς ὅτι ἀεὶ ἂν εἶεν αἱ αὐταί. οὔτε γὰ]ρ ἄν που ἐϊλάττοὺς γένοιντο μηδεμιᾶς ἀπολλυμένης, οὔτε αὖ] πλείους" εἰ γὰρ ὁτιοῦν τῶν ἀθανάτων πλέον γίγνοιἠΪτο, [ desunt fere 15 versus

Fr.

BJ

] μὲν ἀϊληθῆ

611c6

] τεθεάμ[εθα τὸν θαλάττι[ον αὐ]τοῦ ἴδοιεν —

369—

PLATO

5

74

tloò σώματίος velrpigdon |

611d3

1...

desunt fere 6 versus A |

la divisione dei righi prima del r. 12 e dopo il τ. 14 non si può

fissare con sicurezza

ón ye:

3

coli)

7 doc 8 αδικια: 15 nv: 17 Ἰκο:

vocov:.

4

9 κακῶν. 19 ον



12 23

5

Bartov

]ypunvov: jo

È

13

kh

6

e

2-3 θανάσιμον] εἶναι pap. : ordine inverso ADF (pro θανάσιμον fort. θανατήριον Phot.) 6 μὴν pap.: un ADF τοῦτο pap. Bpc : τοῦτον

ADF

7

fort. ἀποθνήσκωσιν pap.(m?) : ἀποθνήσκουσιν pap. ADF

δία

pap. DF: è’ A 8 φανεῖται : φαίνεται A?s] 10 ἀποκτειννῦσαν (sic) F: ἀποκτιννῦσαν AD 11 μᾶλλον pap. : μᾶλλα (sic) D: μάλα ΑΕ 12

post που, ὡς ἔοικεν ADF BJ

Fr.

15

σχολῇ pap. AD

: σχολὴ F (Schneider)

dubbia la posizione esatta del frammento

A >

θαν]άτῳ καὶ ἀεὶ ὄντι, καὶ οἵῳ ἂν yevort[o τῷ τοιούτῳ i πᾶ- 61163 σα ἐπ]ισπομένη καὶ ὑπὸ Tadıng τῆς ὁρμῆς ἐκκομι[σθεῖσα ıon Ue tod nóvt]ov Ev à νῦν ἐστί, καὶ περικρουσθεῖσα πέτρας i

5

τε καὶ

ὄστρε]α ἃ νῦν αὐτῇ, ἅτε γῆν ἑστιωμένῃ, γεηρὰ, [καὶ πετρώ612a 6n 10A]Aà καὶ ἄγρια περιπέφυκεν ὑπὸ τῶν εὐδαιμ[όνων λε-

γομέν]ων ἑστιάσεων. καὶ τότ᾽ ἄν τις αὐτῆς ἴδοι th[v ἀληθῆ φύσιν, εἴτε πολυειδὴς εἴτε μονοειδής, εἴτε ὅπῃ [ἔχει καὶ ὄπω]ς- νῦν δὲ τὰ ἐν τῷ ἀνθρωπίνῳ βί[φ] πάθη τε

[καὶ εἴδη, ὡς ἐγ]ῴμαι, ἐπιεικῶς αὐτῆς διελη[λύθα]μεν.

10

[Παντά-

πασι μὲν] o[$v, ἔφη.] Οὐκοῦν, ἦν δ᾽ ἐγώ, τά τε [ἄλλα ἀπελυσάμεθα —

370—

POXY 3157

R.

£v] τ[ῷ] λίόγῳ, κ]αὶ οὐ τοὺς μισθοὺς οὐ[δὲ τὰς δόξας ,

mE

δικαιοσύ-

νης ἐπ[ηνέγκαΪμεν,

ὥσίπερ

612b

'Hotoóóv te xoi “Ὅμηρον

i

ὑμεῖς

ἔφατε, ἀλλὰ

αὐτὸ δικαιοσύνην

αὐτῇ ψυχῇ ἄριστον

ηὕρομεν, καὶ ποιητέον εἶναι αὐτῇ τ[ὰ δίκαια, ἐάντ᾽ ἔχῃ τὸν Γύγου i 15

δακ-

τύλι]ον, ἄντε μή, καὶ π[ρὸς τοιούτῳ δακτυλίῳ τὴν "Arκυν]ῆν;

δος ᾿Αληθέστατα, [ἔφη, λέγεις. ἾΑρ᾽ οὖν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ Γλαύκων,

νῦν] ἤδη ἀνεπίφ[θονόν ἐστιν πρὸς ἐκείνοις καὶ τοὺς μισoc 1]f δικαιοσύνῃ καὶ τῇ ἄλλῃ ἀρετῇ ὁ ἀποδοῦναι, ὅσους τε] καὶ οἵους τῇ ψυχῇ παρέχει παρ᾽ ἀνθρώπων τε 612c

20

καὶ θε]ῶν, ζῶντί[ός te ἔτι τοῦ ἀνθρώπου καὶ ἐπειδὰν τελευτή ] σῇ;

Παντάπασι

μὲν οὖν, ἡ δ᾽ óc.

δώσετέ μοι ἃ ἐδαν[είσασθε ἐν τῷ λόγῳ; μῖν τὸν δίκ]αιον [δοκεῖν desunt fere

"Ap' οὖν

ἀποΤί μάλιστα; "Edoxa ὑ612c7

15 versus

Fr. B 5

1... ] τε ἄρισίτα προτέρ]ας ἁμαρτίας ] ὑποληπτέον γίγνηται ἄϊντ κακῶν, ὡς |

613a

ζῶν]τι ἢ καὶ ἀπί[οθανόντι. ἀμελεῖται δίς



371 —

61348

PLATO

A + 1 ἴδοι

]uv.

74-75

la distribuzione del testo per i rr. 15 sgg. è congetturale

ovt. 2 7 ]v[]

15

Jıcnonevn. μονοειδῆς,

un

16

3 ova. onnl 8

Inv:

1 ὄντι pap. DF : τῷ ὄντι

19

A

ml

4 à 6 ανθρωπινω

20

ων.

ECTIACEMV. — toc 11 τίω]ϊ.͵ 12

21

Jm]

oto pap. : ota ADF

22 ἁ

2 ἐπισπομένη

pap. AD : ἐπισπωμένη F 3 περικρουθεῖσα pap. ADpcF : περικρουθῆσα Dac 4 αὐτῇ pap AD: αὐτὴ F 6 αὐτῆς ἴδοι pap. : ordine inverso ADF 12 éx.[nvéyko]uev (cum AacDF) nisi ἐπ[ηινέγκα]μεν (cum Apc) pap.: onnveykanev Stob. 13 ἀλλὰ pap.: ἀλλ᾽ ADF Stob. 15 ἄντε pap.:&&vte ADF Stob. 16 κυνῆν ADF : κυνεήν Stob. 19 οἵους pap. AD Stob. : ὅσους F B + 6 dopo

]kov kato stigme

5 ἄντ pap.: ἐάντ(ε) ADF

8

dopo tai kato stigme

8 ὃς pap. ADF:

ὡς Stob.

Al 2-3 (610c10)

Pap. offre, con θανάσιμον]

εἶναι, un ordo

verborum avvalorato dalla ricorrenza a 610d6 e 610e4: cfr. Haslam, Ancient Manuscripts, 344 n. 14. 6 (610d3) sta evidente.

In pap. si legge ἀλλὰ μὴν per ἀλλὰ μὴ: una svi-

— (610d3)

In pap. si registra la lezione giusta διὰ τοῦτο

(invece di διὰ τούτου, che era stato difeso da Schneider sulla

base di Aesch. Ag. 447: cfr. però Adam, Republic, IL, 425) in accordo con la correzione del Laur. 80, 19 (B: sul fatto che D

e Bpc vadano considerati insieme, in quanto entrambi legati al modello, vd. Boter, Textual Tradition,

185), che va menzio-

nato al posto del sempre citato Monac. Gr. 237, dal momento che ne è la fonte (cfr. Slings, Remarks, 31 n. 23; per la posizione stemmatica di questi manoscritti vd. Boter, Textual Tradition, 178-190; su B vd. Boter, Textual Tradition, 34-35, 203-

214 e Jonkers, Manuscript Tradition, 53, 212-227). È possibile che διὰ τοῦτο in P sia dovuto a congettura (così Boter), ma

può anche essere frutto di tradizione (vd. Haslam, Ancient Manuscripts, 339, n. 5). 11 (610e2) In pap. si legge μᾶλλον per μάλα subito dopo μᾶλλον (610d7).

12 (610e3) Il papiro omette ὡς ἔοικεν che segue xov nella tradizione medievale: forse una glossa introdotta nel testo? Un caso simile si riscontra in Ly. 208d2, dove tuttavia ὡς ἔοικεν —

372—

POXY

3157

A. - PHIBEH

228

SPH.

è attestato dal papiro (POxy 881 — 80 33) e omesso dai co-

dici medievalı: & stato interpretato come interpolazione diascheuastica da Jachmann,

Der Platontext, 241 n. 3 (cfr. Has-

lam, Ancient Manuscripts, 333-334). A>

1 (611e3) Il papiro concorda con D e F nell’omissione dell'articolo prima di ἀεὶ nell'espressione τῷ te θείῳ καὶ ἀθανάτῳ καὶ (τῷ) ἀεὶ ὄντι; benché nelle edizioni di Burnet e Chambry

si dia l’articolo (Burnet non riporta neppure la lezione di Ε tale accordo sembra da valutarsı in lezione giusta (nonostante Boter, Textual

scripts, 340). — (611e3)

di dativi.

6 (61243)

Tradition,

257:

cfr. Haslam, Ancient Manu-

In pap. si legge οἵωι per οἵα in una successione In pap. si legge αὐτῆς ἴδοι, che è sospetto per-

ché evita lo iato, ma probabilmente preferibile inἢ quanto è la sequenza meno scontata e richiama αὐτοῦ ἴδοιεν di 611d1 (cfr. Haslam, Ancient Manuscripts, 344 n. 14). MWH*

75

Sophistes 223e4-224a2; 224b1-3 PHibeh 228

270-230

Prov.: Ancyronpolis. Cons.: London, British Library, inv. 2993.

Edd.: E.G. TURNER, PHibeh II.1 (1955), 150-151 (con Addendum); ID., A Ptolemaic Scrap of Plato, «Sophistes», RhM n.s. 98 (1955), 97-98 (identificazione e nuova edizione del testo).

Comm.: MP? 1395 (P? 1395)

TURNER, GP [1968] 107-108 (= PG

126-127); CARLINI, Studi [1972], 16, n. 49; IRIGOIN, Rapport, 1973-1974, 295-296 (= Tradition, 83); BLANCHARD, Cartonnages [1993], 28, 33, 34-36; RoBINSON, OCT, I [1995], 384. —

373—

PLATO

75

Due frustoli, che sı congiungono insieme, di un volumen (verso bianco). Vengono

da cartonnage

e restituiscono resti

di due colonne di sctittura (ognuna dell'ampiezza di cm 6,5 ca.), con il margine inferiore di cm 3. Il frammento ricomposto misura cm 10x9. L'altezza del rotolo, ricostruibile dai dati a disposizione, doveva essere di cm 28. I righi contengono da 14 a 18 lettere; ogni colonna aveva da 23 a 26 righi (per il formato dei rotoli della prima età tolemaica, cfr. Turner, Ptolemaic Bookhands,

36-37).

Il rotolo

doveva essere

straordinariamente lungo: m 16,5 (cfr. Blanchard, Cartonnaes, 39).

s Tracce di una paragraphos a col. II, 7-8; mancano invece segni di divisione delle battute all'interno dei rıghi. Correzione di prima mano a col. I, 5 (n s.£). Da segnalare la forma συνίεμεν a col. I, 4. La scrittura, confrontabile con quella di PHibeh I 5 (tav. II, ma più regolare di questa, è una libraria che può essere assegnata a una fascia cronologica tra 270 e 230 a.C. PHibeh 228 ha visto la luce come 'adespoto', ma l’identificazione è stata fatta dallo stesso editore E.G. Turner poco prima dell’uscita di The Hibeh Papyri, Part II.1 nel maggio 1955; all’editio princeps è molto presto seguita la nuova trascrizione critica con commento (RhM 98, 1955). Rispetto alla tradizione manoscritta medievale, pap. presenta due sole varianti, entrambe inferiori (I, 5; I, 6). Ma ciò che resta (27 pa-

role) è troppo poco per stabilire un confronto, come fa Tur-

ner GP, 108 (= PG, 127), con i papiri tolemaici del Fedone (> 80 40) e del Lachete (> 80 23) e concludere che di fronte a

questi ıl papiro del Sofista è meno «wild», meno «capricious». Su questo problema, cfr. CPF L1*, p. XV. PHibeh 228 è stato tenuto presente nella nuova edizione oxoniense di D.B. ROBINSON, OCT, I (1995) (sigla I); se ne

ripropone qui egualmente il testo che nella serie dei PHibeh è trascritto senza riferimento al Sofista di Platone (ma si veda l'addendum). Col. I

[. . . πῶς] το[ῦ]το λέγε[ις;

— 374—

22364

PHIBEH

228

SPH.

Τὸ περὶ] τὴν ψυχὴν ἴσως ἀγνοοῦμεν, ἐπεὶ τό γε ἕτερό]ν που συνίεμεν. Na]t. Μουσικὴν τοίνυν ἅπ]ασαν

2241

λέγωμεν, ἐκ]

π]όλεως ἑκάστί[οτ]ε Col. II

| Οὐκο[ῦν καὶ τὸν μα-]

224}

θήμ[ατα συνωνού-]

μενίον πόλιν τε ἐκ πό-] 5

λεὼς [νομίσματος] ἀμείβοϊντα ταὐτὸν] προσϊερεῖς ὄνομα; Σφό-]}

[δ]ρα γίε. 15 Jıresta solo una traccia di inchiostro, ma sembra da escludere un punto in alto con funzione di divisione di battuta uovcik nv (n s./ della stessa mano) 15 (224a1)

τοίνυν pap., te τοίνυν β

μεν pap., συνάπασαν

λέγωμεν

TW

6 (224a1) ἅπ]ασαν λέγω-

B T, λέγομεν ovvanacav W

Il 1 le tracce sono molto tenui, ma non incompatibili con cAn| 8 tracce di inchiostro: possibile una paragraphos

7-

II 1 (22428) ἀληϊ[θέστατα λέγεις Turner, RhM 1955, dubitanter 45 (224b1-2) πόλιν— νομίσματος pap. cum BT W (spatii ratione), (εἰς) πόλιν - νομίσματος Baumann, πόλιν — νομίσματος (πωλοῦντα) Richards, πόλιν πόλεως Ast (del. νομίσματος). AC



375 —

PLATO

76

76

Symposium 200b6-223d13

POxy 843

Sec. IVIII

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: El Qahira, El Mathaf E! Misry (Cairo, The Egyptian Museum), inv. 41082.

-

Eda.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy V (1908), 243-292. Tavv.: POxy V, VI; SCHUBART, Gr. Pal, 88 (p. 130); SCHUBART, Das Buch (1921? ), 21 (p. 99); A. XITAAAE (SIGALAS), Ἱστορία τῆς ἑλληνικῆς γραφῆς, Θεσσαλονίκη, Κέντρον Βυζαντινῶν Σπουδῶν (1934) 1974", 91 (p. 173); CAVALLO, Maiuscola biblica, 5; Mise

en page ..., cfr. infra, Pal., 11 (p. 38).

Pal.: SCHUBART, Gr.

Pal., 132, 136; B.P. GRENFELL, POxy XIII (1919), 190; SCHUBART, Das Buch, 52, 98; F.G. KENYON, Books and Readers in Ancient Greece and Rome, Oxford, Clarendon (1932) 1951°, 51, 54, 56, 59; Ziranaz, Ἱστορία (cfr. supra, Tavv.), 174; CAVALLO,

Maiuscola biblica, 20-23; REYNOLDS - WILSON, Scribes and Scholars [1974°], 2, 4 (= trad. it., 2, 4); CAVALLO, Scr. Erc., 47; TURNER, GMAW, 56; J. IRIGOIN, in Mise en page et mise en texte du livre manuscrit, sous la direction de H. -J. Martin et J. Vezin, [s.1.], Éditions du Cercle de la Librairie - Promodis 1990, 37; A.

CARLINI, Sul papiro Flinders Petrie I 5-8 del «Fedone», 1992

(STCPE, 6), 150 n. 8.

Comm.: MI? 1399 (= P^ 1399)

U. v. WILAMOWITZ-MOELLEN-

DORFF, ap. K. KRUMBACHER, Zu Traubes "nomina sacra", ByzZ 17 (1908), 672; The Symposium of Plato, Edited with Introduction, Critical Notes and Commentary by R.G. Bury, Cambridge,

Heffer and Sons (1909) 1932? (rist. 1973), pp. LXIX-LXX (LXXIL LXXIV-LXXV); Platons ausgewählte Schriften. Fünfter Teil: Symposion, erklärt von A. HUG; dritte Auflage, besorgt von H.

SCHÖNE, Leipzig u. Berlin, Teubner 1909, pp. III, IV n. 1, 2; U. V. WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Lesefrüchte, Hermes 44 (1909),

445-476: 457-458 (= Kleine Schriften, IV. Lesefrüchte und Verwandtes, Berlin, Akademie Verlag 1962, 224-253: 236); BURNET, OCT II [19107], pp. VI, X; RITTER, Bericht [1912], 44-54; C. WESSELY, —

376—

POXY

843

SMP.

Aus der Welt der Papyri (Mit einem bibliographischen Anhang), Leipzig, Haessel

1914, 103; ALLINE, Histoire [1915], 144 e n. 2;

KÖRTE, Papyrusfunde [1917], 302; CLARK, Descent [1918], 385;

GRENFELL, Value [1919], 27-28; WILAMOWITZ, Platon, Il [1920], 331 n. 1, 340, 345, 352, 356, 361; J. BURNET, Vindiciae Platonicae III, CQ 15 (1921), 1-7: 5-6; OLDFATHER [1923], 52; CorPOLA, Appunti [1924], 221, 228; ROBIN, BL, IV. 2 [1929], p. CXVI; PASQUALI, Storia [1934], 249, 255; Πλάτωνος Συμπόσιον.

Keinevov, μετάφρασις kai ἑρμηνεία ὑπὸ I. EYKOYTPH (SYKUTRIS), ᾿Αθῆναι, ILA. Κολλάρος, 1934 (1949°), 249*, 1; Platone, Il simposio, con introduzione e commento di U. GALLI, Torino, Chiantore 1935 (1944 («Biblioteca di filologia classica»), p. CXXXV; TACHMANN, Der Platontext [1941], 232 n. 1, 236 n. 1, 237 n. 1;

LEISEGANG [1950], col. 2362; ANDRIEU, Dialogue [1954], 292293; Dopps, Plato. Gorgias [1959], 57 n. 1; Maas, Textkritik [1960], 23, 24; IRIGOIN, Rapport, 1971-1972, 203 (= Tradition,

73); CARLINI, Studi [1972], 71-72 n. 105, 81; MCNAMEE, Marginalia [1977], 133 n. 3, 409, 518, 547; Plato, Symposium, Edited

by K. Dover, Cambridge, Cambridge University Press 1980, 1213; K. MCNAMEE,

Greek

Literary Papyri Revised by Two or

gress of Papyrology

(New York, 24-31 July 1980), Chico, CA,

More Hands, in Proceedings of the Sixteenth International ConScholars Press-Ihe American Society of Papyrologists 1981 («American

Studies

in Papyrology»,

23), 89; W.E.H. COCKLE,

Euripides. Hypsipyle. Text and Annotation based on a Re-examination of the Papyri, Roma, Edizioni dell'Ateneo 1987, 22 n. 14; VICAIRE, BL, IV.2 [1989], pp. CXVII-CXVIII; F. MALTOMINI, BaAevc = Ba(ci)Aeóc?, ZPE 80 (1990), 296; BROCKMANN,

Überlieferung (1992), 36, 248-255.

E il piü esteso papiro di Platone, e in assoluto uno dei rotoli ΠΝ greci più ampiamente conservati, frutto, insieme ad altri iimportanti testi (appartenut alla biblioteca di uno studioso?), del ‘primo grande ritrovamento’ ossirinchita di testi letterari [13- m 1.1906; vd. E.G. TURNER, The Graeco-Roman

Branch, 161-178: 169, in Excavating in Egypt. The Egypt Exploration Society 1882-1982. Edited by T.G.H. James, London, British Museum Publications 1982; Cockle (1987), 21 sg.]. Il

volumen, alto cm 31,1, à conservato in lunghezza per m 2,50 ca. Poiché le 31 colonne ricostruibili coprono poco meno della seconda metà del dialogo, si calcola che l'intero Simposio potesse trovar posto in un rotolo di 65/70 colonne, lungo circa —

377—

PLATO

76

7 m [cfr. Schubart, Das Buch, 52; Kenyon 1932, 54; Cavallo, Scr. Erc., 47; Reynolds - Wilson, Scribes and Scholars, 2, 4 (ma

non si tratta affatto di una misura eccezionale)]. Nella parte

conservata, che si presenta divisa in quattordici segmenti, contenenti ciascuno una o due colonne di scrittura, si osservano

undici kolleseis, che individuano kollemata di cm 25 ca. Il testo è scritto sul recto; il verso è bianco.

Sostanzialmente leggibili, salvo guasti più o meno importanti, sono venticinque colonne di scrittura, divise in due blocchi, I-XVII + l’inizio della XVIII (= 201a1 τούτων — 21363 ἀνέδησα) e XXIII-XXXI [= 21762 ψεύδομαι (?) fino alla fine],

separati da un’ampia lacuna, corrispondente appunto a quattro colonne. Minimi resti rimangono delle colonne I (= 200b67) e, probabilmente, XIX (214c1-2), all’inizio della quale sembra potersi collocare uno dei venticinque frammentini non

identificati da Grenfell e Hunt (vd. infra, p. 439). Una collocazione è possibile proporre anche per i frr. (m) (vd. a 346), e (u) (vd. a 543-544).

Il testo è disposto in colonne di cm 8x27,5 ca., separate da intercolunni di cm 2; il margine superiore raggiunge un’ampiezza massima di cm 2,5; quello inferiore di cm 3,7. Il numero normale di righi per colonna sembra essere 47, che alterna dapprima con 48 (coll. VIII, IX, XI, XIII, XV, XVII), e

verso la fine con 45 (coll. XXIII, XXIV, XXV, XXIX, XXX) o 46 (col. XXVIII); l’ultima colonna conta 42 righi. Ciascun

rigo contiene in genere 25-28 lettere. Si tratta di valori tutti vicini a quelli massimi attestati per rotoli letterari [cfr. Kenyon 1932, 59; Johnson, Papyrus Roll (che però non prende in considerazione questo papiro): confrontabili in particolare POxy V 844 (Isocrate), appartenente allo stesso ritrovamento, e POxy

VII 1016 del Fedro (> 80 48)]; il rotolo rientra nel ‘secondo

dei gruppi individuati da Irigoin. Alla fine del testo è perfettamente conservato anche il colophon (πλατωνος | coprociov:) scritto a metà altezza in uno spazio lasciato bianco, largo quasi quanto POxy V, tav. VI).

una colonna (vd.

La scrittura è verticale, angolosa, assai regolare, di aspetto abbastanza ‘neutro’, il modulo

piccolo

(2 mm),

tendenzial-

mente quadrato, il tratto piuttosto pesante con irregolari contrasti di spessore. Il bilinearismo è rotto da v (verso il basso) —

378 —

POXY

843

SMP.

e 9, solo sporadicamente e in misura lieve da 1, p, y; £e6 sono stretti con schiena rettilinea; l’w assai chiuso a bacile o

con appena una lieve ondulazione. Singoli tratteggi (α ad angolo acuto, € stretto, U, È, Tr, @,0), come notava Schubart (Gr.

Pal., 132), presuppongono la ‘bacchilidea’, ma che proprio POxy 843 possa esemplificare la transizione, da lui ipotizzata, fra ‘stile severo’ e ‘maiuscola biblica’, è confutato (insieme alla realtà stessa di una tale evoluzione) da Cavallo (Maiuscola biblica, 20-23). Con questa mano sono state confrontate quelle di POxy XIII 1620 (Tucidide), XX 2256 (Eschilo; cfr. Turner,

GMAW’, n° 25, p. 56), POxy LII 3670 (+ 80 20), M.P.ER.

N.S. III, 49 (frammento di prosa). La datazione intorno al 200°, proposta dai primi editori, è unanimemente accolta. Da notare, ma come forse assoluta eccezione, la ‘legatura’ fra £ e o (necta) a 1182 (col. XXXI, τ. 5, POxy V, tav. VI). Per ot-

tenere l'allineamento a destra, lo scriba ricorre a un moderato restringimento delle lettere, o al consueto segno riempitivo >; per il v a fine rigo può essere impiegato il trattino soprascritto, anche all’interno della parola purché in sillaba chiusa (129, 168, 1013; e vd. infra a 98, 1015), ed è questa l’unica forma di abbreviazione presente nel testo [ma cfr. infra a 498 e 1071, 10771078, e a 391 (scolio)].

Coeva a quella dello scriba può essere ritenuta la grafia del diorthotes, con asse lievemente inclinato a destra (p. es. POxy V, tav. VI, τ. 6 ab imo). Il correttore aggiunge segni diacritici e perfeziona Il testo in molti punti; spesso però, nei casi meno vistosi, è difficile distinguere gli interventi suoi (m nel commento), da quelli effettuati dal copista inter scribendum (m).

Entrambi correggono ripassando e riutilizzandoi caratteri, oppure integrano fra le lettere o, di norma, sopra il rigo o sfruttando |’ intercolunnio; l'espunzione di parole o passi più lunghi ripetuti è indicata mediante sopralineatura (vd. infra a 142; à 195 e 712-713 deve trattarsi dì ravvedimenti dello scriba stesso), quella di singole lettere mediante barratura trasversale o annerimento, e forse, in alcuni casi dubbi, mediante il punto sopra la lettera (vd. infra a 438: cfr. M. TULLI, Sul testo del «Protagora» nella tradizione antica. Il corrector di POxy 1624

in Le vie della ricerca, 457-465: 463 sg. e n. 27). Di mano dello stesso correttore è, a detta di Grenfell e Hunt, anche l’unico piccolo scolio, non del tutto privo di interesse (vd. ad loc.), ın margine a 391 (dev? essere per una svista che Coppola, Appunti, —

379—

PLATO

76

221 parla di «noterelle marginali poco utili che quà e là sono

nel POxy. 843»).

Quanto all'interpunzione, la ano stigme & rara nella sezione dialogica (solo 6 o 7 occorrenze, fino a 719), frequente iinvece nella parte narrativa finale (ca. 40). Il doppio punto è impie-

gato, come d'uso, per indicare (varie volte peraltro manca ogni indicazione) il cambio di personaggio nel dialogo, ma talora si trova anche senza cambio, all’inizio del discorso diretto (p.

es. 402, 779, 924, 1126), in corrispondenza di riprese, con-

traddistinte da ἔφη i o simile [125, 493, 506 (revera), 559 (re-

vera), 578, 1016, 1049(?)], o di un "apostrofe (951, 955), o in-

fine di una semplice pausa (381; cfr. Turner, GMAW^, 9). Alle stigmai si accompagna [con pochissime eccezioni: p. es. 226(?),

392(?), 400, 1117(?)] la paragraphos, che però ricorre anche da sola (a parte i molti casi in cui la stzgme è verosimilmente per-

duta in lacuna), segnatamente quando l’incisione coincide con

la fine rigo [102, 133, 139, 243, 342, 359, 424, 621, 887, 965,

1049, 1110, 1125, 1157, 1174; possano essere indicate anche 346, 891, 924; cfr. anche 80 40 logue, 294], ma anche in una

il che non toglie che le stigmai a fine rigo: 111, 141, 180, 236, (supra,p. 165) e Andrieu, Diaventina di altri casi (perlo più

pausa lieve). Non mancano esempi di stzgma: (125, 357) e so-

prattutto di paragrapho [103(?), 153, 345, 553, 757, 804, 961, 1044(?), 1106, 1113] collocate in modo

i Impreciso o anche in-

comprensibile. I trapassi strutturalmente più importanti, quelli evidenziati spesso anche nei codici medievali e nelle edizioni moderne, sono marcati nel papiro dalla diple obelismene [82 = 201d1 (dopo ἐάσω); 578 = 21025]; o da una paragraphos più grande con coronide (718 = 212c4; 1122 POxy V, tav. VI). Almeno una ventina di stigmai 267, 328, 346(?), 348, 391, 392 (la 701, 718, 736, 769, 779, 808, 833,

= 222c1;

1219 =

fine: vd.

[p. es. 66 (entrambe), 226(?) prima), 402 (la prima), 581, 1169] appaiono aggiunte in

un secondo momento, tra le lettere già scritte, probabilmente a opera del correttore (vd. p. es. a 391). Fra i segni diacritici, la dieresi è posta sistematicamente su v iniziale; meno regolarmente su t iniziale, ma sempre su ἵνα, di preferenza sulle forme di εἶμι e composti [326, 579, 580, 659, 743, 836 (ut vid.), 1154, 1187], su ἰδεῖν e simili (604, 778,

1047, 1100, 1192). In corpo di parola, con funzione ‘organica’, —

380—

POXY

843

SMP.

si incontra a 377 ειλυθυΐα (sic) e 972 περιηΐα (p.c). A 755 e

1079 evidenzia lo 1 deittico lungo e accentato di οὑτωσί e οὑτοσί [reso invece, a 52, 55, 269 (vd. ad loc.), come εἰ; cfr.

Turner, GMAW’, 10). Spiriti e accenti compaiono in una ventina di casi, con funzione distintiva; orientativamente, potrebbero accreditarsi allo scriba quelli di 107 (ἢ ze. N), 215 (φιλοςοφῶν), 352 (n s. L), 431 (οὗ), 438 (ὦ), 609 (επιςτημῶν), 621 (τοιοῦδε), 644 (Ev τω i.e. Ev τῷ) 700 (ειπέρ to), 922 (n); al correttore quelli di 89 (ὃν ze. ov), 107 (n), 232 (ookovv), 267 [ti] (?), 270 (à), 302 (τῷ / ὦ in mg.), 377 (f καλλονῇ), 534 (xvàv). Talora inoltre il diortho-

tes segna accenti e spiriti, non sempre necessari, per chiarire e sottolineare sue correzioni: 108, 203, 254, 829, 867. À 551 su av, il segno di breve chiarisce che non si tratta di ἄν = ἐάν. Segni di elisione (apostrofi), di mano non precisabile, a 159 (παρ᾽ avdpwrwv?), 309 (αλλ᾽ aXXa), 708 (παντ᾽ avöpa), 908 (est’ ev), 982 (τ᾽ αὖ ταις).

Il testo si presenta abbastanza corretto dal punto di vista ortografico. E frequente (ca. 40 volte) εἰ in luogo di t, quasi sempre di 1 lungo [per le eccezioni (dovute a confusione con altre parole, e corrette dalla seconda mano), vd. a 49, 330-331, (761?), 1015], e in particolare dinanzi a nasale e liquida; in

molti casi, più che di errori individuali si tratta di grafie correnti, come dimostra un confronto con gli esempi di Mayser, 1.1, 67-69 [vd. p. es. 549, 601 e 1050 (comparativi in -eıwv, cfr. anche Gignac, II, 152, e p. es. - 80 3, II 7; 52, 55 e 269; 91 e 974; 99, 273 e 280; 183 e 199; 193 e 1181; 415; 474; 976; 1085

e 1139; 1184]. Più raro ı in luogo di eı (una decina di casi; a 743 l'errore è corretto dalla seconda mano); praticamente assenti gli scambi con n (ma vd. a 257, 909) e v (377). Più fre-

quente αἱ pro ε (p. es. nell’aggettivo verbale in -ἔον: 344, 346, 828, poi corretti; e confusioni -o0aV/o0e: 747, 880 ecc., -ταιήτε: 517), che il contrario (1160). Sporadico lo scambio 0/0 [131 (a.c.), 220-221, 1048 (a.c.)]. Altre grafie ‘volgari’ attestate spe-

cificamente nei papiri documentari sono: 158 διαπροθμευίον (per -πορθμ-; cfr. Mayser, I.1, 163; Gignac, I, 314), 243 nero&v (per μεταξύ; cfr. Mayser, I.1, 38; Gignac, I, 287), 584 κατο-

voncat (cfr. ibid. spec. Mayser), 1124 nopncıa (cfr. Mayser, [.1, 188; Gignac, I, 156; > 80 21, 14); almeno per ı fenomeni fonetici trovano riscontro anche: 173 eyAnyopockc]i (per eypn-; —

381—

PLATO

76

cfr. Mayser, 1.1, 161; Gignac, I, 102 sgg.), 1210 (a.c.) xaταθαρθειν (per -Sapdewv; fenomeno tardo: cfr. Gignac, I, 97). Si osservano sporadicamente assimilazioni come 163 ey neco (ma vd. ad loc.; cfr. Mayser, 1.1, 202; Gignac, I, 166), 1195 ey neyadnc (ctr. Mayser, 1.1, 200; Gignac, I, 174), e anche 556 eyyova (per £xy-; cfr. Wilamowitz, Platon, II, 339; Mayser, LI, 202; Gignac, I, 173), 527 exkuumv (per Ses cfr. Gignac, I, 171 sg.). Viceversa si trova in corpo di parola (per lo pià in com-

posti) v non assimilato (cfr. Mayser, 1.1, 206 sgg.; Gignac I, 168 sg.), dinanzi a gutturale (253, 469, 506, 820), a x [461, 1093(? y a @ (536, 1054); vd. anche 382 Gu[v Ἰιπειραται.

Lo iota mutum è segnato tre volte: 209 ενδειαι, 276 epoi (ma non, nella stessa parola, a 266, 267), 1191 a1doviteav.

Confrontato con il testo di Robin - Vicaire, piü di ogni altro basato sui codici (ma si veda l'apparato di Robin per i dettagli), pap. presenta scriptio plena in una ventina di casi in più: 72: τα ayada (non però a 140-141); 83 e 960: ποτε; 113 e 308: oda; 149: ye; 260 (con W), 1078 e 1108: tavta; 330 in mg.: τοῦ ayadov (con B W); 604: tovto (con TW); 666: eri exeıvo; 680: te; 680: unte (con TW); 856: kape (con TW); 924: kai εγὼ; 1024: oyetjo arnıwv; 1028 e 1034: ta apu teta; 1054: ep[oi]ye

(con TW); 1213: -avza exeivovc. Qualche volta invece è pap. a presentare elisioni o crasi in più:

105: καιγω;

121: und; 309,

384, 695 (con TW): αλλ, 325: ovt (con 1); 373 (con BT), 452, 838 (con B), 1105: è; 443: «xavxa (per tà αὐτά); 491: χρηματ;

701: xaxeıvo; 708: navı avòpa; 1008: ποτ (revera); 1130: ovvero (per οὗ ἕνεκα). Ha due volte eav in luogo del contratto ἄν (108, 578), una volta l'opposto (728). Da notare la grafia karyo [per κἀγώ: 105, 134, 476(?)]. Cfr. Schanz, Platonis opera, V.1, p. XII.

Anche nell'uso del -v mobile pap. à nel complesso in sintonia con 1 codici primari. Rispetto al testo Robin si caratterizza per un certo numero di ricorrenze in più dinanzi a consonante: ectiv a 74 (con T), 230 (con T), 239, 245 (con T), 302

(con T), 318, 375, 388 (con BT), 525, 670, xvovciv a 362 (con B), ticiv a 638, yeyovev a 1079 (con T). Per converso -v manca

in pap. dinanzi a vocale e/o dinanzi a pausa a 300, 331, 506, 509 (con TW), 905 (con B), 1016 (con BW). Cfr. Schanz, Novae commentationes, 157-158;.Platonis opera, V.1, pp. XI-XII.

La forma [ουτως si trova Impiegata davanti a consonante

a 1064. Cfr. Schanz, Novae commentationes, —

382—

4-8.

POXY 843

SMP.

Pap. ha sempre la grafia yıyv(opat), non γιν-, salvo a 813 (coveyivol[unv]); a 452, 1n particolare, il copista si corregge inter scribendum (vd. ad loc. ). Le forme aet (12 volte) e quer (9 volte, quasi sistematicamente invece nei testimoni medievali primari) $1 alternano continuamente anche a distanza ravvici-

nata (p. es. 203-207; 346-348-350; 436-444); a 487 (208c6) oue

è contra metrum; cfr. Schanz, Platonis opera, V .1, p. XI. Anche rispetto all’ alternativa ovv- -/Ewv- nei composti pap. oscilla tra le due forme — 14 casi della prima, 15 della seconda

[includendo anche i tre casi non sicuri di 447 (vd. ad loc.), 682 e 831 (vd. ad loc.)] - ma qui (come aveva colto già Ritter, Be- .

richt, 48) in coincidenza quasi perfetta con 1 testimoni primari

medievali (di cui dà conto „pparato di Robin), con l'unica eccezione di 382 (206d6) ξυ[ν]ςπειίραται, contro ovv- dei co-

dici. Un dato interessante, che fa apparire probabilmente illegittimo il livellamento operato da alcuni editori; cfr. Kerschensteiner,

Gebrauch,

28 (29)-45

[e anche E. RISCH, Das

Attische im Rahmen der griechischen Dialekte, MH 21 (1964), 1-14: 7-8]; Schanz, Novae commentationes, 156-157; per il criterio adottato da Robin, vd. la sua edizione del Fedone (BL,

IV.1, 1926), p. LXXXV.

Si rimanda inoltre al commento per: vióc/o0c (vd. a 184); μίγνυμμμείγνυμι (vd. a 170); -ev/-n nella 2° persona singolare

del medio-passivo (vd. a 404-405); l'aumento dei verbi in εὖ(vd. a 190), e di quelli in (F)e- (vd. a 183 e 992); -n/-ew nella

prima persona singolare del piuccheperfetto (vd. a 829 e 966); xM10-/xA1v- nell'aoristo passivo (vd. a 1159); οἴομαιμοῖμαι (vd. a 252); Σωκράτην ecc. (vd. a 1042); τοιοῦτο τοιοῦτον (vd. a 117); τὸ adrö/tadrov (vd. a 466); téAeroc/téAeog (vd. a 255); -ginuev/-eîuev (vd. a 979); eic/ég (vd. a 487); tpaywdoποιός τραγῳδιοποιός (vd. a 1207).

POxy 843 é un testimone di straordinario rilievo per il testo del Simposio. A parte la notevole estensione, il suo valore è accresciuto anche dall’accurata diortbosis cui risulta sottoposto (vd. sopra), che rimuove molti errori [circa 150 inter-

venti; pochi gli errori evidenti che restano non corretti: 248,

498, 684-685, 728, 820(?), 852(?), 1071, 1094, 1196-1197, 12171218], dando forse in qualche misura accesso a un secondo

manoscritto antico. Se infatti K. McNamee

(1981) annovera

POxy 843 fra i papiri per cui non vi sono evidenti «critical —

383—

PLATO

76

additions» (da fonte cioé diversa dall'antigrafo) da parte del correttore, alcuni interventi della seconda mano sembrano peró

proprio implicare una revisione su un esemplare diverso dal modello principale [lezioni o varianti di altra tradizione e/o inferiori: vd. a 59, 224(?), 302, 438, 962, 1110, 1167-1168; vd. anche a 918, 983]. Anche se un certo numero di errori pecu-

liari che il diorthotes non emenda [48, 177(?), 393, 415, 566, 635, 637, 669(?), 1173, 1186] potrebbero indurre a credere il contrario (con Ritter, Bericht, 48 n. 1, 49, che pero non pro-

duce argomenti). In ogni caso, non & lecito dedurre alcunché dal ‘silenzio’ del correttore, che, a parte quanto gli sarà sfuggito, interveniva probabilmente solo sugli errori coinvolgenti il senso, trascurando le discrepanze di minor conto (p. es. quelle di ordo verborum; ma vd. a 1077-1078). L'estensione eccezionale del reperto, d’altro canto, offrendo dati sufficienti per un inserimento fondato del testimone antico nel quadro della tradizione, ne permette anche (o ne potrebbe permettere) un utilizzo metodologicamente più sicuro di quanto solitamente avviene. Concentrando pertanto a questo scopo l’attenzione dapprima sugli errori, si può osservare che pap. ne presenta, come è ovvio, molti propri, estranei ai manoscritti medievali. Gran

parte sono banali, forse individuali, e di norma emendati dalla seconda mano [si notino però alcune varianti più ‘selvagge’: 567-568,

712-713,

961, 963(?),

964];

ma

non

sarà senza sı-

gnificato l occasionale accordo ini lezioni erronee [88, 213(?)],

o comunque peculiari (175-176, 178, 220), fra pap. (prima o seconda mano) e altri testimoni di età imperiale (in partico-

lare, si direbbe, di area egiziana), contro 1 codici (a 1057, viceversa, i codici e Ateneo coincidono

forse in errore contro

Pap.).

Dall'altra parte, pap. si rivela immune da una serie di errori comuni a tutti i codici primari (vd. infra, p. 385). Si colloca quindi a monte di una ‘strozzatura’ da cui si diparte l’intera tradizione bizantina. A conferma di ciò va notato che mancano casi significativi di convergenza in errore fra pap. e singole ‘famiglie’ o comunque parti della tradizione bizantina; le pur numerose coincidenze, registrate nel commento [con testi primari: 179-180, 376, 563, 674, 935, 966(?), 979; con apograft: 59, 71, 349, 438(2), 614, 649- 650, 701, 829, 917, 918, 962,

386, 1042, 1058, 1068, 1211], possono infatti tutte spiegarsi

ἐπι 384 —

POXY

843

SMP.

come casuali (o, meglio, come prodotte dalla stessa tendenza alla banalizzazione).

Al di là di tale contrapposizione, peraltro, un'unitarietà testuale di fondo fra testimone antico e ! codici medievali, ri-

conducibile forse alle fasi prù remote della trasmissione (l' *edizione accademica'?),

sembra

intravedersi dietro alcuni errori

comuni a pap. e alla tradizione bizantina. La cautela & perö d'obbligo: 1 sicuri errori si riducono a due (523-524, 665-669), che del resto potrebbero a rigore anche spiegarsı entrambi come poligeneuci. Altri casi, pur da considerare attentamente, sono tutti suscettibili di valutazioni soggettive diverse (168, 172, 190 (pap. con 1 codici contro Galeno), 472-473, 527, 596598, 600, 611, 839, 923, 1063, 1207, 1214].

E alla luce di questi rapporti storico-tradizionali che va valorizzato (pià forse di quanto finora si sia fatto) l'apporto positivo di pap. al testo platonico. Piuttosto che «unser Vertrauen in den überlieferten Text stark erschüttert» (Wilamowitz, Platon, Il, 362), il papiro ha largamente confermato il testo tràdito, di contro alla diffidenza dei critici. Si puó ad esempio osservare che lo stesso Burnet ha rinunciato, nella seconda edizione, di fronte alla conferma

di pap., a molti interventi (fra cui tutte le espunzioni) non necessati, adottati nella prima [vd. a 94, 168, 266, 276, 349, 472-

473 (ma vd. ad loc.), 611 le espunzioni: 368-369,

(ma vd. ad loc.), 1017, 1100; e, per 436, 462, 539, 600, 637- 638, 754-755,

863-864]. Considerata | esiguitä (e. ıl tipo) dei sicuri errori co-

muni a pap. e codici (vd. sopra), & metodico limitare al massimo il ricorso alla congettura contro il loro accordo. Ciò consiglia ancora più cautela rispetto ad altri interventi non indispensabili [vd. p. es. a 397, 527, 600(?), 1017], e anche nei confronti di lezioni debolmente attestate (vd. a 162, 421, 839).

Detto ció, pap. presenta comunque numerose, ancorché non clamorose, novità testuali rispetto ai codici primari. Non di rado esse vengono a sanare piccoli guasti del testo tràdito, già emendati dai bizantini [92-93, 507, 560, 699, 898, 999, 1006(?),

1006-1007, 1010(?); vd. infra, p. 387], o dai moderni” [112 (correzione non accolta da Burnet e Robin), 368 (non accolta dai più) 471, 517, 529, 585-586, 1008(?), 1142], o almeno già ri-

levati (239, 421, 770, 948-949). Ma più spesso le varianti di pap. si contrappongono a un testo medievale anch'esso ritenuto pienamente accettabile; ed è tipico che in tal caso, mal—

385—

PLATO

76

grado alcune autorevoli segnalazioni (Ritter, Wilamowitz, Maas, Carlini), quasi tutti gli editori le abbiano sistematicamente relegate in apparato. Fra tali varianti ‘adiafore’ di pap., ve ne sono invece alcune quasi certamente autentiche (554, 577, 1180),

altre che, quanto meno, concordano con una o più citazioni antiche (175-176, 178, 220; cfr. supra, p. 384). Tutte, in ogni caso, meritano una valutazione attenta, senza pregiudizi e senza inerzie conservative [69, 71, 79 (vd.), 89-90, 96, 105-106, 126,

135 (vd.), 189, 224, 230 (vd.), 251, 251-252 (vd.), 252, 269, 302,

314, 316, 327, 361 (vd.), 375, 431, 462, 466, 564, 674 (vd.), 681, 721, 749, 840, 893, 961-962 (vd.), 963, 964, 1025 (vd.), 1057

(vd.), 1063, 1069, 1071 (vd.), 1167-1168, 1194-1195, 1196]. An-

cor più dannosa si rivela peraltro la preferenza sistematica per pap. che induce Schöne a scelte testuali spericolate (vd. in particolare a 230, 567-568, 730, 928, 962, 1167-1168,

1187- 1188).

Laddove poi i codici primari divergono, pap. conferma in genere, come & ovvio, la lezione buona di due delle ‘tre famıglie BD T (P)W, isolando l'errore singolare della terza. Ma in

realtà, nel Simposio come in una serie di altrı dialoghi, T e (P)W sono così affini da apparire congiunti [cfr. Boter, The Vindobonensis, 144-155, con bibliografia; Brockmann, Überlieferung, 248-250; sulla questione, da ultimo, cfr. anche Martinelli Tempesta, Liside, 213 sgg.]. Ció accresce l'importanza di pap. che aiuta a dirimere i molti casi in cui nella tradizione medievale si contrappongono due lezioni adiafore. Di nuovo

Burnet, per esempio, ha opportunamente riconsiderato, nella seconda edizione, alcune sue opzioni smentite dal nuovo testimone [pap. con B(D): 141, 147, 352, 867; pap. con T (P)W:

153, 309, 582, 660 (solo T), 966, 1210]. Il che fa apparire in-

cauto, in altri casi analoghi, ossia dinanzi all'alternativa fra due lezioni almeno di pari livello, continuare a preferire T (P)W contro pap. B(D) (167-168, 219, 286, 466, 481, 526, 681, 1093),

o B(D) contro pap. T (P)W [487, 748 (revera), 1082- 1083].

Infatti, come non emerge, in base agli errori, un rapporto diretto fra testimone antico e l'una o l'altra famiglia di codici (vd. supra, p. 384), cosi neppure si dà esempio, nel caso spe-

cifico, di una qualche ‘circolazione di varianti’ fra antichità e medioevo bizantino. Non richiedono infatti tale ipotesi le rare coincidenze in lezione buona fra pap. e un singolo ramo della tradizione

[297, 350 (των),

434-435,

660,

1006-1007],

che si

spiegano bene altrimenti (coincidenza, congettura), né quelle —

386—

POXY 843

SMP.

in lezione buona o possibile fra pap. e uno o più manoscritti

secondari [92-93, 462, 507, 560, 699, 898, 999, 1006(?), 1010(?), 1194-1195, 1196-1197], prodotte, per lo piü, dal lavorio con-

getturale dei bizantini [non a caso, fra 1 codici piü spesso chiamati in causa a questo riguardo sono Vind. Phil. Gr. 21, nato nella cerchia di Planude e Niceforo Moscopulo, Par. Gr. 1810, vergato dal filosofo Giorgio Pachymeres, Par. Coisl, 155 e Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), emendati dal cardinale Bessarione;

cfr. Brockmann,

Überlieferung, rispettivamente, 68 sgg.; 92-

100; 156-160; 133, 144-146; per Vind. Phil. Gr. 21, cfr. ora A.

D'ACUNTO, Su un'edizione platonica di Niceforo Moscopulo e Massimo Planude: il Vindobonensis Phil. Gr. 21 (Y), SCO 45 (1995), 261-279

(tavv. I-IV)].

Il papiro è stato rivisto su fotografia. Rispetto alla trascrizione di Grenfell e Hunt vi sono solo minime precisazioni da fare (nel commento è tacitamente aggiunto qualche ulteriore punto sotto lettera dubbia); l’unica lettura nuova importante sarebbe, se confermata, quella di 1006 (vd. ad loc.), cui si ag-

giunga la variante di 1057, trascritta dagli editori ma rimasta

per lo più inosservata. Si è in più cercato di decifrare - e dove possibile spiegare — anche le lezioni originarie in corrispondenza di alcune correzioni (vd. a 176-177, 265, 268, 402, 436, 452,

516,

551,

584,

829,

877,

1048,

1124,

1167-1168,

1205).

Tutte le correzioni, anche banali, sono registrate cercando di

precisare le modalità tecniche di realizzazione; l'attribuzione alla prima o alla seconda mano è però spesso soggettiva. Le semplici notazioni «corr.» «suppl.» implicano di norma riallineamento di pap. con la lezione dei codici, che può non es-

sere positivamente citata.

Nel commento sono registrate (con esclusione, per lo più,

dei fatti grafici e morfologici di cui dà conto l’introduzione) tutte le discrepanze testuali fra pap. (prima e/o dopo correzione) e uno

o più codici primari [BD T (P)W] o testimoni

indiretti (trascurando solo le più irrilevanti lezioni singolari di questi o di quelli, e di norma 1 casi in cui pap. viene meno causa lacuna). La notazione «codici» («codd.») può riferirsi in senso stretto ai soli BD T (P)W.

Manoscritti secondari sono citati solo quando presentino

lezioni di qualche interesse per il confronto con pap. È regi-

strato positivamente anche l’accordo di pap. con i codici con—

387—

PLATO

76

tro alcune più fortunate congetture moderne (per lo più quelle accolte a testo da Schanz, da Burnet e/o dagli editori più recenti).

Per meglio mettere in luce il ruolo ‘storico’ del papiro nella constitutio textus del Simposio, vengono sistematicamente raffrontate, nel commento, due edizioni precedenti alla pubblicazione di esso, quelle ‘di Schanz (1881) e Burnet!

(1901),e

tutte le principali fra quelle apparse, successivamente (che utilizzano il papiro): Bury (1909', 1932), Schöne (1909: revisione dell'edizione di A. Hug, 1876), Burnet^ (1910), Lamb (Loeb, 1925), Robin (1929), Sykutris (1934), Galli (1935), Dover (1980), Vicaire (1989); per brevità Dover non è di norma ricordato

esplicitamente quando concorda con Burnet‘, Sykutris, Galli e Vicaire quando concordano con Robin. Altri editori precedenti sono occasionalmente ricordati, ma la notazione «edi-

tori» («edd.») si riferisce strettamente solo a quelli qui sopra elencati. Il testo cui si fa riferimento, segnatamente per i numeri di rigo, è quello dell’edizione a cura di P. VICAIRE, BL, IV.2 (1989) con revisione del testo di L. Robin e con la collaborazione di J. Laborderie (il papiro ha la sigla Il).

L'informazione sui codici è ricavata principalmente dalle edizioni di Schanz, Burnet, Robin, tra loro raffrontate; e inol-

tre da quelle di Bekker, per gli apografi, e Vicaire, per D e P. Integrazioni e rettifiche possono inoltre derivare dalla preziosa monografia di Brockmann, o da controlli diretti, eseguiti sugli originali per D, T e P [e le edizioni Aldina e Stefaniana (la notazione «vulgata» include, salvo diversa indicazione, anche l'Aldina)], su riproduzioni per B,

W e Prag. Lobc. VI Fa 1.

Vengono per lo più esplicitamente rettificate, nel commento, le imprecisioni rilevate in ciascun apparato critico. Per le testimonianze

indirette

ricordate

nel commento,

è

precisato il luogo solo qualora tale indicazione manchi nell’edizione di riferimento, ovvero sia da rettificare o aggiornare. Per le congetture meno recenti si rimanda all’apparato di Schanz, provvisto di indicazioni bibliografiche. È mantenuta, per facilitare il riferimento all’unica edizione del papiro, la numerazione continua dei righi adottata da Grenfell e Hunt, segnalando però l’inizio di ciascuna colonna. Le lezioni di pap. sono date in trascrizione semidiplomatica, quelle dei codici sono in genere normalizzate. —

388—

POXY

Col. 1 (1=

1(200b2?)

843

SMP.

1)

La collocazione in questo punto del frammen-

tino (a) (vd. supra, p. 378), suggerita dubitativamente da Gren-

fell e Hunt [p. 292: il fr. & qui erroneamente designato con (i], non trova conferma

nel testo platonico, al di là dell'e-

ventuale do[keî al primo rigo. Cfr. invece nota a col. XIX (infra, p. 439-440). Della I colonna restano in realtà solo due finali di rigo, In corrispondenza dei rr. 6-7 della col. II. L'estensione è stata calcolata, con verisimiglianza, dagli editori in 47 righi (ció comporterebbe una media di 27 lettere per rigo). Col. II (1 = 48) 48 (20121) Pap. ha l'erroneo παρῆν in luogo di παρῇ dei codici. 49 (201a2)

e]neròn pap.ac (cum Vat. Gr. 225, Vat. Gr. 227),

elnfeltön (i.e. ἐπὶ δὴ) corr. m.? — Cfr. infra a 1010. 54 (20125)

δι [εἴρωτος

|

pap.ac, δι [e]potafc] corr. m2).

Inesatto l'apparato di Vicaire. Grenfell e Hunt assegnavano la correzione, altrettanto dubitativamente, al copista stesso. L'espressione corrisponde a "Epwrog ἐγγενομένου del discorso di Agatone (197b5), qui parafrasato da Socrate.

55 (20135)

Con B T, pap. omette giustamente l'articolo

dinanzi a ἔρως (cfr. 197b6); ὁ ἔρως D W. Cfr. infra a 59-60,

389-390; per la coincidenza 1n errore di D e W, cfr. infra a 84. 57 (20127)

Pap. ha γε Xeye[1]c, a conferma della lezione dei

59 (20148)

aAAo τι n’ pap., suppl. m’.

codici, ritenuta ipercriticamente 'ambigua' da Bury, che correggeva in γ᾽ ἔλεγες. Ctr. infra a 251.

La lezione origi-

naria di pap. coincide con quella di BD T W (e cfr. 200e7); l'aggiunta interlineare normalizzante del correttore trova riscontro in recensioni dotte bizantine [ἄλλο τι ἢ Vind. Phil, Gr. 21 (unde Ven. Marc. Gr. 184, coll. 326), Par. Coisì. 155pc].

Ambigui o inesatti gli apparati di Burnet e Vicaire.

59-60 (20129) o | Epwc aveva, come pare, pap.ac, prima cioè

che il probabile o venisse annerito; l'articolo è omesso, giustamente, anche nei codici. Cfr. supra a 55. In errore Vicaire. 60 (20129)

arcypovc pap.ac, atcx[p]ovc corr. m?.

inesatto Vicaire.

62 (201b1)

Ancora

L’indicativo ἔχει, necessario (e già introdotto

in Par. Coisl. 155, Par. Gr. 1810, ecc.) al posto di &xn di BD —

389 —

PLATO

76

T W, è integrato convenzionalmente nell’ed.pr., ma non si può dire spatii ratione che cosa avesse pap. (da correggere pertanto gli apparati Robin, Sykutris, Vicaire). — (201b1) τοῦ epav pap.ac, του [τ]ου΄ epav suppl. m? (τούτου ἐρᾶι W).

64 (2013)

τι de anche pap.; isolato τί δαί di T.

69 (2016-7)

ὦ εὠκρατες xwÓvvevo pap., κινδυνεύω à

σώκρατες codd., edd. — L'ordo verborum di pap. pare più marcato ed enfatico (cfr. ad esempio 194d2, 214b3, 218d8), il che può convenire a questa battuta. Cfr. Men. 7143 (Ὦ ξένε, κινδυvedo ...), Hp.Mi. 365b7, Lg. 811c3 ('Qyabè Κλεινία, xwóv-

vedo ...); ma per contro Euthphr. 11d3, Prt. 340e9; cfr. E FRAENKEL, Noch einmal Kolon und Satz, SBAW 1965, 1-73: 10. 71 (201c1) eınac pap. cum Vat. Gr. 227, εἶπες BD T W,

edd.

Le forme εἶπας e προσεῖπας figurano nel testo Burnet

(non nella nuova oxoniense)

rispettivamente

a Sph. 261e3 e

Sph. 250b10, ma sono, come risulta da controllo autoptico, varianti minoritarie (solo W nel primo caso, solo Tsl nel secondo); προσεῖπας (accolto da Burnet e Carlini) ad Alc. 7 115e11 si legge invece in B e T (-es W). Forme dello stesso tipo comunemente accolte sono εἰπάτω (Phlb. 60d4), εἴπατον (Euthd. 294c7, Prt. 35326),

εἴπατε

(La.

187d1,

Prt.

357c8),

εἴπαιμεν

(Spb. 240d5); cfr. la nota di Bluck a Men. 7145 (εἶπον imperativo). 79 (201c6)

ὦ que di pap., è accolto

a testo da Schöne e

approvato anche da Ritter, Bericht, 50, e Maas, Textkritik, 24 («übersehene Verderbnis»;

cfr. Carlini, Studi, 71 n. 105). à

φιλούμενε dei codici, mantenuto

dagli altri editori, è effetti-

vamente un unicum [Φιλούμενςε è correzione di Meineke (-pevov cod., Kassel - Austin) in Antifane fr. 69, 4 K.-A. (= Athen.

VIII 3584), dove viene inteso come nome proprio, benché ciò non sia scontato], che sarebbe nato casualmente, secondo Schöne

e Ritter, per influsso di où pév subito precedente. Proprio per la sua peculiarità, tuttavia, la lezione dei codici è stata validamente difesa da R. RENEHAN, Greek Textual Criticism. A Reader, Cambridge, 7-8 e Studies in. Plato, Euripides, Vandenhoeck &

Massachusetts, Harvard University Press, 1969, Greek Texts. Critical Observations to Homer, Aristophanes and other Authors, Göttingen, Ruprecht, 1976 («Hypomnemata», 43), 124

sg., che vi avverte parodia della dizione tragica e richiama al—

390—

POXY 843 SMP.

tri vocativi unici in Platone (cfr. anche Hp.Ma.

29025 ὦ te-

τυφωμένε σύ) o nell'intera letteratura greca (vd. anche E. DICKEY, Greek Forms of Address from Herodotus to Lucian, Oxford, Clarendon 1996, 136 sg., 276). $1 nou che il vocativo πεφιλημένε ricorre tre volte in Teocrito (III 3, XI 128, XVIII

316).

84 (201d2)

μαντινικῆς anche pap.; l'inevitabile banalızza-

zione μαντικῆς 51 ritrova, indipendentemente, i in D e W, e fra

gli altri in Par. Gr. 1811 (da cui sarà passata nell'Aldina e nella stefaniana, dove peraltro & già proposta la correzione), non-

ché nella tradizione di Massimo di Tiro che allude al passo CIL 4 e 7 — pp. 153-154 e 158 Trapp; vd. l'apparato Hobein ad pp. 220, 7 e 227, 10). Cfr. infra a 671. $4. 85 (20142) Storinalen (i.e. διότι TO|ON?) pap.ac ut vid.

(vel -&iwo), Storıfajo'c’ |EcIn (i.e. Διοτίμας, ἣ) corr. m’ (o ex-

tra lineam). Inesatto l’apparato di Vicaire. 85 (201d3) εἰναι καὶ pap.ac, ην[αι] καὶ (i.e. ἦν xoi) corr. m.?.

88 (201d4)

[εἰποιήηςεατο di pap. è attestato anche da Cle-

mente Alessandrino e forse presupposto da ἀναβαλέσθαι di Aristide, Or. ΠῚ 44 (1.2, p. 306, 15 Behr; e tuttavia, rispetto ad ἐποίησε (-cev T) dei codici (accolto da tutti gli editori), ap-

pare banalizzante. Se infatti ἀναβολὴν ποιεῖσθαι è l'espressione normale per ‘differire’ (8 volte p. es. in Plutarco), qui però la situazione è particolare, perché il ‘differimento’ interessa, anziché il soggetto stesso, altre persone (᾿Αθηναίοις); sull'aneddoto vd. S. LEVIN, Diotima’s Visit and Service to Atbens, GB 3 (1975), 223- 240, spec. 235. 88 (201d4- 5) vocov pap.ac, 'της΄ vocov suppl. m? (cum codd.,

Clem., Aristid.). In errore McNamee, Marginalia, 518, che attribuisce ai codici la lezione senza articolo. 89-90 (201d5-6)

L’ordo verborum dei codici ὃν οὖν ἐκείνη

ἔλεγε λόγον, preferito da tutti gli editori rispetto al testo di pap. (ὃν ovv | Aoyov exeıvn eAeyev), trova, per quel che può

valere, un preciso parallelo in Phd. 88d2-3 ὃν ὁ Σωκράτης ἔλεγε λόγον (cfr. anche Tt.

92-93 (201d7)

157e5, R. 38028, Lg. 870d5-6).

εἰπ spavtov di pap., contro ἀπ᾿ ἐμαυτοῦ di

BD, T (ἀπ), W (ὑπ᾽ ἐμαυτοῦ Vat. Gr. 225, Vat. Ross. 558), viene a confermare

una congettura bizantina (Par. Cois]. 155pc, Par.

Gr. 1642sl), fatta poi anche da Bast, e ormai acquisita dagli edi—

391 —

PLATO

76

tori (cfr. Alc, I 114b3, citato da Hug - Schóne). Cfr. Carlini, Studi, 71 n. 105. Burnet! erroneamente attribuiva ἐπ᾽ a W.

93-94 (201d8)

der | n pap. cum T W recte, δείλη B, D ut

vid. 94 (201d48)

διη[γης]ω di pap. ha indotto gli editori a ria-

bilitare la lezione tràdita («hai narrato», «hai descritto», riferito al discorso di Agatone), che veniva per lo più corretta: δὴ

ἡγήσω Schanz, Burnet! [cfr. Burnet (1921), 5], ἡγήσω Wila-

mowitz (Platon, II, 360: «hat... den rechten Weg gewiesen»), ἐξηγήσω H. RICHARDS, Notes on Plato, CQ 204, διήρησαι Usener, ecc.

9 (1915), 201-206;

Col. III (1 = 95) 96 (201d9)

Nella frase τίς ἐστιν

ὁ Ἔρως kai ποῖός τις, pap.

si discosta dai codici leggendo onovoc τις, che, con la sua lieve anomalia, puö benissimo essere giusto; cfr. p. es. Phlb. 27d45 tic τέ ἐστι καὶ ὁποίου γένους, Lg. 767c1-2 ὁποῖοί τ᾽ εἰσὶν καὶ

τίνες. Indecidibile, secondo Ritter, Bericht, 49.

— (201d9)

emwa pap.ac, eneita corr. m (?).

98-99 (20162) néelm (i.e. N&ev N?) pap.ac, ndelvn (i.e. ἡ ξένη) corr. m’(?) (v suppl. extra lineam). Cfr. infra a 1015. Al posto dell’a iniziale di avarxpervovca (sic) che segue, lo

scriba aveva cominciato a eseguire un’altra lettera. 99 (201e2) δε di pap. è manifestamente inferiore, dopo l’in-

troduzione Δοκεῖ οὖν κτλ. rispetto al γάρ dei codici, preferito

da tutti gli editori (anche se secondo Ritter, Bericht, 49, è impossibile decidere). 103 (20165)

8m et pap. cum BD T, δέ W

registrata negli apparati. 105-106 (201e7)

codd., edd.

Variante non

πῶς egn(v) | Aeyew pap., πῶς λέγεις, ἔφην

L’ordine dei codici sembra in effetti da preferire:

in tutto il brano la ‘didascalia’ è coerentemente collocata a di-

retto contatto con il vocativo, prima di esso, come qui (202b8, 20427, di, 20528, 206b4, c2, 208b9, c2), oppure dopo (20662, 208b3, 211d1). Viene cosi evitata una duplice interruzione del discorso; cfr. anche Fraenkel, Noch einmal (cit. supra, a 69),

5. Cfr. infra a 126 e 316. Nell’edizione Vicaire, impreciso, oltre all'apparato, anche il testo, in cui & tacıtamente omesso ἔφην (come peraltro nel Vind. Phil. Gr. 21). 106 (201e7) auccxpolv] pap. (sic), corr. m’, αἰσχρὸς codd. 107-108 (201e8)

egnv | ot&t pap.ac, epn ἡ | otex corr. τα Ὁ) —

392—

POXY

(ἔφη. ἢ οἴει).

843

SMP.

— Inesatti sono gli apparati di Robin e Vicaire.

112 (20223) to ορθα δοξαζειν pap., che conferma T, W (τὰ), contro τὸ ὀρθοδοξάζειν di BD, difeso un tempo da Ret-

tig (cfr. Bury ad loc.). — (20223) Pap. conferma l'espunzione di xoi dinanzi ad ἄνευ proposta da Stallbaum, recepita già da Badham e Schanz e, dopo pap., da Bury, Schöne, Sykutris, e Vicaire; mantengono invece il testo dei codici Burnet e Robin. Ma «even without ...» (Dover) non è logicamente pertinente [Venfatizzazione spetterebbe semmai all'altro membro: 'anche avere opinioni corrette, senza poterne dar conto, non è scienza’; cfr. anche S.R. SLINGS (rec. a Dover 1980), Mnemosyne s. IV, 36 (1983), 414-418: 415, mentre «et sans ...» di Robin resta vi-

stosamente in sospeso. kai può essersi introdotto nella tradi-

zione medievale per un’interferenza psicologica (fra ἄνευ τοῦ

ἔχειν e il possibile equivalente καὶ μὴ Exew?). 117 (202a7) La forma to1ovro offerta qui da pap. (τοιοῦτον codd.), come a Phdr. 239d4 da POxy VIII 1017 (> 80 50) e qua e là dai codici primari (anche, come qui, dinanzi a vocale;

cfr. p. es. Smp. 185e1), è praticamente bandita da Burnet (solo a Lg. 933c1); vd. Schanz, Novae commentationes, 2-3; Platonis opera, XIL1, pp. VII-VIII; cfr. anche Vinzent, Phaidros-

Papyri, 81.

125 (202b4)

Pap. ha un doppio punto (accompagnato da

paragraphos) dopo τι, anziché, come sarebbe corretto, al rigo seguente (prima di καὶ μὴν xtà.). Forse solo una ‘faute maté-

rell (Andrieu, Dialogue, 293), ma suggerita, da una parte, dalla possibilità di dividere (AI.) .. . εἶναι. - (EQ. ) ᾿Αλλὰ τί;- (AI.)

Μεταξὺ τούτοιν, ἔφη.- (ΣΩ.) Καὶ μὴν, ἦν δ᾽ ἐγώ,. £ - [ctr. 202d78: (EQ.) ᾿Αλλὰ τί μήν; - (AL) “Ὥσπερ τὰ πρότερα, ἔφη, μεταξὺ θνητοῦ καὶ ἀθανάτου], dall’altra, come ın cası analoghı, dalla

ripresa di ἔφη alla fine della battuta (cfr. supra, p. 380). 126 (202b4)

tovto £qn pap., ἔφη, τούτοιν codd., edd. Cfr.

supra a 105-106, infra a 316. Schöne osserva che l'ordo ver-

borum dei codici mette opportunamente in risalto μεταξύ che

precede; — 80 40 (supra, p. 171). 127 (202b5) γε et pap. cum BD T, μοι W. 129 (202b7) n kat tov et pap. cum BD T, ἢ τῶν W. 131 (20208) opoXoyotto pap.ac, op- corr. m’).

134 (20202)

εἰ (i.e. ei?) pap.ac, evc' (i.e. εἷς) suppl. αὐ. —

393—

PLATO

76

135 (202c3) tov]to Aeyeıc pap. Sykutris, τοῦτο, ἔφην, λέγεις codd., edd. cett. ἔφην è, secondo Wilamowitz 1908, 457 sg,

Platon, II, 341, in effetti da respingere come doppione del precedente einov («Da hätte man nicht auf den Papyrus warten dürfen, die Variante zu entfernen»). Quasi tutti gli editori tuttavia, a ragione, conservano la ridondanza, che si incontra identica a Thg. 129b7, Ep. VII 347b7-c1, e, alla terza persona, almeno altre 8 volte in Platone; cfr. infra a 478. Ritter, Bericht, 49 ritiene l'alternativa indecidibile. Bury propone anche di intendere einov come imperativo (cfr. Men.

71d5), includendolo

nella battuta di Socrate. 139 (202c6) Pap. conferma θεῶν, contro θεὸν di Wsl, Vind.

Phil. Gr. 21, vulgata.

140 (202c7)

Pap. conferma dè δὴ dei codici, tralasciato da

Stobeo, peraltro proprio all'inizio del suo estratto, quindi probabilmente per scelta deliberata. 140-141 (202c7-d1)

tovc ταίγίαθα et pap. cum BD T

Stob.

(ἀγαθὰ Stobaei Par. Gr. 2129), τοὺς ἀγαθοὺς kai τἀγαθὰ W,

Schóne.

141 (e 142) (202d1) Contro καλὰ di T W, di Stobeo e della

vulgata, adottato ancora da Schanz e Burnet', pap. conforta tà καλὰ di BD, recepito nelle edizioni recenti. Col. IV (1 = 142) 142 (202c7-d1)

Le parole οὐ — κεκτημένους, già trascritte

e iterate per errore all'inizio della nuova colonna, sono espunte mediante sopralineatura; ctr. 195, 332, 468, 695-696, 715, 741742, 783-784, 857, 1107, 1131, 1217.

144-145 (202d2-3)

τῶν αγαίθ]ων | και καλῶν et pap. cum

codd., τῶν καλῶν καὶ τῶν ἀγαθῶν Stob.

147 (202d4) πὼς av ovv ha pap. con BD e Stobeo, seguiti da Schanz e quasi tutti gli editori (anche Burnet‘), smentendo πῶς δ᾽ ἂν οὖν di T W e della vulgata, stranamente preferito da Burnet'. Bury esperisce πῶς δἂν οὖν, e Wilamowitz (Platon, II, 341) la possibile alternativa πῶς δ᾽ ἂν (senza οὖν). Cfr. Den-

niston, 460; de Strycker - Slings, Apology, 318 (ad Ap. 28b3). — (202d4) BacD,

γε DV

ye τῶν pap. cum d T W Stob. recte, ye γ᾽ àv

Bpc ut vid.

148 (202d5) apotpoc è a quanto pare riconvertito inter scri-

bendum da ὁμοῖος (già Grenfell

e Hunt segnalavano che a e

rifatto su o).

— 394—

POXY 843

149 (202d5)

SMP,

Pap. ha il corretto wc ye con BD, T (ὥς y),

contro γ᾽ ὡς di W, ὥστ᾽ o ὡς dei testimoni principali di Stobeo (rispettivamente Neap. HI D 15 e Par. Gr. 2129). 151 (202d7)

emo

epwc et pap. cum codd., ὁ ἔρως ein Stob.

Per errore (cfr. qui sotto) l'apparato di Vicaire attribuisce a ap. una variante en, per ἔφην, dinanzi a ein.

153 (202d9) Pap., che ha eor, conferma il testo di T W ὥσπερ tà πρότερα, ἔφη, preferito da Jahn e, dopo pap., da Schöne, Burner’, Robin; gli altri editori, fino a Schanz, Burnet!, Bury,

Lamb

accettavano ὥσπερ τὰ πρότερα ἔφην di BD

e Stobeo. Pap. è peraltro impreciso nella delimitazione della battuta: a 154 manca il doppio punto dopo αθ[α]ναίτου, e la paragraphos è segnata invece, erroneamente, a 153 (come se la fine della parola.coincidesse con la fine del rigo; cfr. supra, p.

380).

156 (202e1-2) te καὶ pap. cum BD T Plot. (III 5, 6, 12), edd., καὶ W Stob. 159 (202e3) Pap. conferma θεοῖς dei codici, contro θεοῖς

te di Stobeo, messo a testo da Sykutris. Fra rap e avüponav

sı vede un segno ricurvo, non trascritto nell’ed.pr., che po-

trebbe essere un apostrofo. 162 (202e5)

Pap. conferma la lezione tràdita ἀμοιβὰς τῶν

θυσιῶν (cosi anche Stobeo, come pare, salvo che Par. Gr. 2129 accentua Bvoiwv; da rettificare gli apparati di Robin e Vicaire), recepita da Burnet, Schöne, Robin. Le parole τῶν θυσιῶν erano espunte da molti editori, fino a Schanz, Bury, Lamb, Sykutris,

sulla scia di Bergk (Pbilologische Thesen, Philologus 30 (1870),

677-682: 678], che ne deduceva l'assenza in parte della tradizione antica dalla nota di Polluce riportata infra a 213. 163 (202e5-6)

Pap. legge euuecw come W (ἐμμέσω), ἐν μέσῳ

BD T e la vulgata. Assimilazioni di questo tipo sono rare in pap. (cfr. supra, p. 382). ἐμμέσῳ è trattato però, a quanto pare, come parola unica in alcuni scrittori tardi (p. es. Didimo Cieco);

e anzi, secondo C.A. LOBECK, Sophoclis Aiax. Commentario perpetuo illustravit..., Berolini, Apud Weidmannos 1866", 303304, che cita anche questo passo, la conglutinazione andrebbe ammessa anche in testi del periodo classico (ove «mundiores libri suadeant»). 163 (202e6) ὧν pap.ac, ov corr. m.?. 166 (202e8) iepewv et pap. cum codd., ἱερῶν Stob. 167-168 (202e8-203a1) Pap. converge con BD e Stobeo, —

395—

PLATO

76

che leggono τὰς θυσίας καὶ τὰς τελετὰς καὶ τὰς ἐπῳδάς, mentre T W omettono il secondo artıcolo, seguiti, anche nella seconda edizione, da Burnet. Il terzo articolo é omesso nell’Esc. y.1.13 (cfr. Brockmann,

Überlieferung,

174).

168 (20321) [u]al[t]erav pap., confermando, sia pur precariamente (cfr. supra, p. 379), τὴν μαντείαν πᾶσαν dei codici

e di Stobeo, [cfr. Plu. /s. et Os. 361c, e forse Porph. Abst. II 38, 3 (citato da Robin), Alcin. Did. XV

171, 26 (p. 35 Whit-

taker)], lezione accolta, dopo pap., da Schöne, Burnet, Robin. Per ovviare alla ripetizione rispetto an μαντικὴ πᾶσα di 202e7, erano state proposte le correzioni: 1) nayyaveiav (cfr. Lg.

933a2-5, Grg. 483e6-484a5, per l'associazione con ἐπῳδαί e γοητεία, e Lg. 908d4 πᾶσαν τὴν μαγγανείαν), Geel, seguito da

Jahn, Schanz, Bury; 2) μαγείαν (solo ad Alc. I 122a1 ma con senso diverso; cfr. però Plt. 280e1-2 τὴν μαγευτικὴν ... σύμπα-

cav) Badham, seguito da Burnet', Sykutris. Una di queste due lezioni (la seconda?) sembra presupposta dalle parafrasi di Apuleio Apol. 43 (p. 50, 4 Helm) «divinationes cunctas et magorum miracula» (segnalato da Schanz), Socr. 6 (133) (p. 16, 12 Moreschini) «magorum varia miracula omnesque praesagiorum

species». A E. Supp. 1110, dove sono attestate proprio le tre lezioni μαντεύμασι,

μαγεύμασι

e μαγγανεύμασι,

gli editori

danno la preferenza alla seconda (dovuta a tradizione indiretta). La possibilità che μαντείαν, malgrado l'univocità della

tradizione, rappresenti una banalizzazione non va in definitiva scartata.

170 (203a2)

Pap. legge μειγνυται, che è la forma prescelta

da Burnet, mentre gli altri editori stampano μίγνυται dei codici. Pap. ha anche cvulneıdac a 1109 (22228), di nuovo adot-

tato dal solo Burnet. A 684 (211e1) legge però apixtov con i codici (ἄμεικτον Burnet). 172 (20323) Pap. conferma il testo dei codici θεοῖς πρὸς ἀνθρώπους, accettato dagli editori recenti [cfr. le note di Schöne,

Sykutris (che cita il curioso parallelo di Lg. 823e1-2), e anche Reinhard, Die Anakoluthe, 108]. Il vistoso anacoluto aveva fatto ipotizzare una lacuna di tutta la tradizione dopo ἀνθρώπους (cfr. Bickel, Geschichte, 148), che F.A. Wolf [come poi H. USENER, Kallone, RhM n.5. 23 (1868), 316-377: 368 n. 154 (= Kleine Schriften, Leipzig-Berlin, Teubner 1913, IV, 80 n. 154)], se-

guito da Schanz e Bury (vd. ad loc.), suppliva (xai πρὸς θεοὺς —

396—

POXY 843

SMP.

ἀνθρώποις) (alii alia). Una pıü semplice correzione... διάλεκtog πρὸς θεοὺς ἀνθρώποις (ἀνθρώποις èè lezione del Par. Gr. 2129 di Stobeo), oppure ἀνθρώποις πρὸς θεούς troverebbe apparentemente supporto in Procl. In Prm. I, p. 663, 31-34 Cousin: διὰ yàp τῶν δαιμόνων πᾶσα ἐστὶν ὁμιλία καὶ N διάλεκτος

τῶν ἀνθρώπων πρὸς θεούς, ὥς φησιν ἢ Διοτίμα, καὶ ἐγρηγορότων

καὶ καθευδόντων, nonché nell'allusione presente in Massimo di Tiro V 8, 189 (p. 45 Trapp), non segnalata dagli editori: ὁμιλίαν Kal διάλεκτον πρὸς τοὺς θεούς. 173 (20344) Vat. Gr. 1029).

eyAnyopoccı pap.ac, -ocfc] corr. m'(?) (-odor

174 (203a5) Pap. aveva originariamente qualcosa di diverso da σοφός, introdotto dal diorthotes, in accordo con in codici.

Il primo 6 è aggiunto supra lineam, e anche 9 e forse il primo o sono frutto di correzione. Possibile che ıl copista avesse scritto otoc, oppure, forse meglio, Beoc (entrambe lezioni senza valore). In Stobeo è tràdito l'impossibile σφοδρός.

175 (20325)

Pap. conferma ὧν dei codici, omesso da Sto-

beo. 175-176 (203a5-6)

Pap. concorda con Stobeo, che attesta

ἢ περὶ τέχνας ἢ περὶ χειρουργίας (n. τ. om. Stobaei Neap. III

D 15), mentre i codici non hanno il secondo περί. Sarebbe giu-

stificato accettare il testo più ampio, come giudica Ritter, Be-

richt, 50, ma, fra gli editori, lo fanno soltanto Bury e Schöne.

176-177 (20326) Non è chiaro cosa avesse pap. in corrispondenza di τινὰς βάναυσος: nel probabile «[u|vo[c Pa è ri-

fatto («by the second hand?» ed.pr.), a quanto pare su 0 {τινος

ante correctionem?); della parola seguente è persa l’iniziale orıginaria sul rigo, tracce (quasi sicure) del ß richiesto si affacciano sopra il rigo [forse entrambi interventi inter scribendum del copista, che poteva essere saltato dapprima da τὶ a voc di δαιμονος (vd. infra a 177) continuando con x di πολλοὶ]; in-

fine, nella parola seguente, il copista aveva scritto -covc, ma l’v è praticamente scomparso, e non si può dire se il correttore avesse provveduto a barrarlo o eraderlo; βαναύσους è qui inaccettabile, ma l'aggettivo βάναυσος riferito direttamente a τέχνῃ si trova in Platone e Aristotele.

177 (20327) Pap. ha apparentemente δαιμονος in luogo del necessario δαίΐμονες. L’ed.pr. peraltro non ne fa cenno. 178 (203a7) τε και pap. cum Stob., καὶ codd. Procl. [In —

397—

PLATO

76

Alc. 72, 14-15 (I, p. 58 Segonds): πολλῶν τοίνυν καὶ navtoδαπῶν ὥσπερ καὶ N Διοτίμα ...]. La coincidenza con Stobeo ob-

bliga a prestare attenzione alla variante, adottata in effetti da Bury, e approvata da Ritter, Bericht, 50. Fra le 15 ricorrenze nel corpus Platonicum del binomio in questione, τε καί è attestato peraltro in un solo caso, a 77. 82e4 (πολύ te καὶ navτοδαπόν). Pap. conserva un te in più rispetto aı codici a 517(?)

(impossibile), e a 1057; un te in meno a 224 e forse a 859-860. Quando la restante tradizione 51 divide, pap. milita più spesso con il ramo che ha il te (156, 265, 862, 913), che con quello

che lo omette (219). 179 (20347) τουτων΄ εςτίι pap., τούτων ἐστὶ codd., edd., τούτων Stob. Secondo Jachmann, Der Platontext, 236-237

n. 1, che annovera questo fra i casi di aggiunta ‘diascheuastica’ della copula, Stobeo conserverebbe qui da solo la lezione originaria contro 1 codici e pap. Il punto in alto di quest'ultimo (originario, non aggiunto) non ha spiegazione. 179-180 (20329) Il testo di pap. ratpoc |... και unt[p]oc τινος ectiv trova corrispondenza in Tac (ἐστι) (unde Par. Coisl.

155). Come giudica Brockmann, Überlieferung, 151 n. 6, deve trattarsı di casuale «Fehler-Koinzidenz», forse prodotta dall’artificiosità dell'ordo verborum autentico (BD Tpc W): πατρὸς .. TIVOG ἐστὶ Kal μητρός;

183 (203b2)

ἵκτιωντο di pap. rappresenta εἱστιῶντο [B? T

Wpe(?) con Exmogene, Origene, Eusebio] piuttosto che ἡστιῶντο [B (n-), D T Wac(?)] adottato da Burnet, Robin. Cfr. infra a 992.

— (203b2) o1 θεοι ot te [aAAolı anche pap., singolare ot te ἄλλοι θεοὶ di Érmogene. 184 (203b3)

Pap. ha doc, qui e a 201 (203c5) (vioc), come

1 codici e 1 testimoni indiretti; Schanz (cfr. Platonis opera, XIL1, pp. VII-IX), Burnet, Sykutris stampano la forma piü genuinamente attica ὑός. —

(203b3)

προσαιτήσουσα

leggono

D

T W,

προσαιτὴς

οὖσα Β con Origene, Eusebio (προσαίτης opp. προσαῖτις; εἶτ.

Carlini, Studi, 139); pap. naturalmente, benché citato (da Bury, Robin, Vicaire) per la prima lezione, è in realtà muto rispetto a una tale alternativa. Subito dopo, anche pap. legge o[io]v (οἷα Eusebio). —

398—

POXY

843

SMP.

Col. V (1 = 189) 189 (203b6)

εξ[ε]λίθων di pap. rappresenta una novità rr-

spetto a εἰσελθὼν tramandato concordemente dai codici e confermato da tre testimoni antichi [oltre a Origene ed Eusebio,

Plotino III 5, 8, 2 (eionAdev)]. Malgrado l'attestazione isolata, la variante di pap., appropriata al contesto (Penia era esclusa ‘all’esterno’) e chiaramente difficilior (visto il precedente εἰς τὸν . Κῆπον), merita attenta considerazione (cfr. anche Galli

ad loc. ); approvata da Ritter, Bericht, 50 e Maas, Texkritik, 24, è stata finora messa a testo dal solo Schöne. 190 (203b7)

Pap., come

la tradizione medievale e come

Origene, Eusebio e Plotino (III 5, 9, 37, passo non citato dagli editori), conosce solo la lezione βεβαρημένος. Ma Galeno,

isolato, attesta la notevole variante κεκαρωμένος In Hp. Prorrb., 1128 [XVI, p. 645, 2 Kühn; p. 77, 11-13 Diels (CMGV, 9, 2) ὅταν οὖν ἐν οἴνου πόσει πλείονι κεκαρωμένον τινὰ λέγωμεν, ὥσπερ ὁ Πλάτων

ἐπὶ τοῦ Πόρου

κατὰ τὸ Συμπόσιον εἶπεν ...],

di cui non sembra restare traccia neanche nella tradizione lessicografica

(p. es. Suidas,

passo di Eunapio).

x 408, 3 per xexapauévog cita un

Segnalata, e ritenuta autentica, da Wila-

mowitz (Platon, II, 329 sg. n. 3; cfr. Carlini, Studi, 59; D. MA-

NETTI - A. ROSELLI, ANRW,

Galeno commentatore di Ippocrate, in

Teil II: Principat, Band 37.2, 1994, 1570 n. 140), la

variante non è stata finora accolta né invero menzionata dagli editori. καρόω (‘stordire’, ‘far perdere i sensi) appare dapprima come termine tecnico nel corpus ippocratico e in quello

aristotelico; in connessione con gli effetti del vino, si trova forse già in Antifonte (87B34DK) e in un frammento di Anaxan-

drides (3, 3 Kassel - Austin), poi in autori più tardi e nei cristiani [per il participio, cfr. spec. (in situazioni narrative analoghe) Aesop. 278, 2 (1.2, p. 93 Hausrath) e Jos., Ant. Jud. VI 306, 3 (II,p. 71, 13 Niese), Jo. Chrys. Hom. in Ps. 75 (PG

LV, p. 595, 56) (Oloferne)]. Se kekapopévog era la lezione ori-

ginaria, è comprensibile che possa aver ceduto il passo a una glossa (cfr. Hsch. Kapwdeic: .. . μεθυσθείς. ἢ βαρηθείς, Suidas, loc. cit. Kapwdeic:

βαρηθεὶς τῇ κεφαλῇ); ma dall’ altra parte

non si può escludere che al termine platonico se ne fosse sostituito uno più espressivo o più ‘tecnico’ in una fonte o nella memoria di Galeno (che stava appunto commentando l’uso di

κᾶρος in Ippocrate e che usa lo stesso participio anche in due

altri luoghi: De motu musc., IV, pp. 440, 7; 441, 8 Kühn). Di —

399 —

PLATO

76

per sé οἴνῳ βεβαρημένος non manca naturalmente di adeguati paralleli, a partire dall'omerico οἴνῳ βεβαρηότες [cfr. p. es. Arist. Pr. 953b12, Ph. De

ebr.

104, 5-6, Ps.Jo.

Chrys. Serm.

76). I (PG LXI, p. 789, 26)]. — (203b7) Pap. ha, con T W, 1 testimoni indiretti e la vul-

gata, la grafia evöev, adottata dal solo Robin (ηὗδεν B e gli altri editori); analogamente, a 965 (219e1) pap. legge εὐποροῦν (con i codici e Robin);

ha però anch’esso

ra@nul[dev]

a 845

(217d8, cosi anche Robin); cfr. Robin (1929), pp. CXIX-CXX.

194 (203c1) 8n καὶ anche pap. con BD T e 1 testimoni; isolato δὴ di W.

195 (203c2)

Saltando a c4, dal primo

al secondo agpo-

δειτῆς (sic), il copista aveva copiato le parole kaAnc - nol[pov,

prima di accorgersi dell'errore; le ha escluse poi mediante sopralineatura. Cfr. supra a 142. 196 (203c2)

Pap. conferma ἀκόλουθος καὶ θεράπων γέγο-

vev dei codici; in Origene è tràdito (a parte correzioni secondarie) ἀκόλουθος θεράπων eidero. 199 (203c4)

Anche W, in realtà, come BD T

e pap., ha xoi

dopo καλόν; inesatto l'apparato di Bury (che inoltre congetturava ὧς). 202 (205c6). relvnc anche pap., isolando l'assurdo reving di B (πένης B^)

203 Ql

der anche pap.; δὴ W.

— (203c7)

ἁπαλος

è corretto da amoAoc, forse dalla se-

conda mano; ma anche il primo a appare di forma inusuale (rifatto su altra lettera?). 208 (203d3) Pap. conferma (ἐν ὁδοῖς) ὑπαίθριος, isolando ὑπαιθρίοις di T. 211 (203d5) Rispetto a τοῖς καλοῖς καὶ τοῖς ἀγαθοῖς di BD T W e Origene (τοῖς à. xoi τοῖς x. l'Aldina e la vulgata, forse

dal Par. Gr. 1811), pap. doveva spatzi ratione omettere non uno (come Temistio che parafrasa τοῦ καλοῦ kai ἀγαθοῦ), ma en-

trambi gli articoli (da rettificare gli apparati critici di Burnet, Bury; Robin, Sykutris e Vicaire). Gli editori, a ragione, mantengono il testo dei codici; cfr. p. es. 178d2 ἐπὶ ... τοῖς καλοῖς φιλοτιμίαν, Phdr. 27428 ἐπιχειροῦντι ... τοῖς καλοῖς, ecc. 213 (203d6) Pap. conferma δεινός (δεινῶς Them., om. Par.

Gr. 1810), e τινας πλέκων (npoonAékov Origene). — (203d6)

μηχα



anoılßoc pap.ac, | a νας |Bac corr. m^ (voc ex

— 400 —

POXY 843

uot factum),

μηχανὰς

SMP.

codd. Origen.

L’assurda lezione di

pap.ac sembra dovuta a influsso di 202e5 (qui 162, nella colonna precedente). Ammettere che l'errore, pur stravagante, figurasse anche nel testo del Simposio letto da Polluce, vissuto

appunto in Egitto nel IIP, offrirebbe una spiegazione alternativa (cfr. supra a 162) per la sua osservazione [VI 187 (II, p. 47, 25-28 Bethe)]: ἀμφίβολος δὲ ἢ ἀμοιβή. τὸ dè... καρὰ Πλάτωνι ἐν Συμποσίῳ

οὐ σαφές.

215 (2037)

φρονιμος pap.ac, rofo]pwoc (sic revera) corr.

m'(?) cum T W, πορισμος B, φορισμὸς D (unde φορτισμὸς Par.

Gr. 1810, Vat. Gr. 229, Par. Gr. 1642).

La lezione di pap.ac

e dovuta forse a eco del vicino φρονήσεως; non c'è comunque

rapporto con le lezioni di D e discendenti. Più notevole è in-

vece che, nella parafrasi di Temistio, φρόνιμος prenda il posto di φρονήσεως ἐπιθυμητὴς καὶ πόριμος. Sul seguente φιλοςοφῶν è segnato in pap. l'accento per evitare l'equivoco in cui incorreranno alcuni codici (φιλοσόφων BD). Inesatto l'apparato di Vicaire. 216 (20348) Yyonc φαρμακεῦς pap., γόης καὶ φαρμακεὺς codd. Origen., edd.

218-219 (203e2)

La lezione tnc | nuepac di pap., di con-

tro a τῆς αὐτῆς ἡμέρας

dei codici e di Origene, à probabil-

mente una banale aplografia (cfr. anche Ritter, Bericht, 46). Tuttavia si osservi che αὐτῆς non è strettamente necessario,

perché il genitivo può essere partitivo rispetto a Tote (ctr. Kühner - Gerth, II.1, 341: πολλάκις τῆς ἡμέρας, ὀψὲ τῆς ἡμέρας...

e p. es. la traduzione di F. FERRARI, Platone. Simposio, Mi

lano, BUR 1985, 181: «in un’ora dello stesso giorno... in altra ..»). Anzi Ὁ ordine delle parole depone per questa interpretazione sintattica (pur con αὐτῆς), più che per il genitivo temporale (cfr. invece Hp. Aph. III 4 ὅταν τῆς αὐτῆς ἡμέρης ὁτὲ μὲν θάλπος, ὁτὲ δὲ ψῦχος γένηται).

219 (203e2) Pap. appoggia θάλλει καὶ ζῇ di BD e Origene (revera), contro T W che hanno te καὶ. La prima lezione era adottata da Schanz che pure non conosceva pap. e, per errore, attribuiva a Origene te καὶ (lo stesso fa Bury). Burnet, Lamb e Robin (con Sy kutris e Vicaire), senza far menzione del testimone indiretto, preferiscono, probabilmente a torto (pace Ritter, Bericht, 46), te koi di

T W. Cfr. supra a 178.

219 (203e2-3) Anche pap. ha le parole ὅταν εὐπορήσῃ dopo

— 401—

PLATO

76

ζῇ come 1 codici (incluso D, che secondo l'apparato Vicaire le ometterebbe) e Origene [e cfr. Max. Tyr. XVIII 9, 259-260 (p. 162 Trapp): θάλλει μὲν "Ἔρως εὐπορῶν. ἀποθνήσκει δὲ ἀπορῶν].

Espunte da Jahn e Hug, esse sono trasposte da Robin (Vicaire, Galli) dopo ἀναβιώσκεται (e3), secondo una proposta di Wilamowitz (Platon, II, 360), che Dover invece ritiene non suffictentemente giustificata (così Burnet 1921, 5). Cfr. anche in-

fra a 220. 220 (203e3) παλιν ᾿παλιν΄ de di pap., con il supplemento interlineare del correttore, offre un inaspettato riscontro alla lezione tràdita in Origene e già liquidata dall’editore Koetschau come banale dittografia e non variante. La convergenza va presa invece sul serio (cfr. Carlini, Studi, 81): non può trattarsi di fatto poligenetico, ma o di un errore diffuso nell’antichità, almeno in Egitto (cfr. supra, p. 384), oppure della lezione originaria, fatalmente soggetta all’aplografia casuale o deliberata [come del resto nel Ven. Marc. Gr. 45 (coll. 367) di

Origene; e cfr. p. es. infra a 281]. Naturalmente si costruirebbe ἀποθνήσκει πάλιν, πάλιν δὲ ἀναβιώσκεται, con figura stilistica per cul si puó rimandare agli esempi raccolti in Denniston, Greek Prose Style, 93 sg. πάλιν con ἀποθνῇσκει non sarebbe fuori luogo: cfr. Plb. I 74, 9 πολλάκις τῆς αὐτῆς ἡμέρας NOTE μὲν ὑποχωρεῖν, NOTE δὲ πά λιν ἐκ μεταβολῆς ἐγχειρεῖν τοῖς πολεμίοις. A parere di Ritter, Bericht, 48 1] correttore ha

introdotto qui un errore «offenbar in der Meinung, es entsprechen sich einerseits tote μὲν — tote de, anderseits παλιν, παλιν de».

— (203e3)

alvaßıockertoı pap.ac (sic), -κεξται- corr. m’.

Il punto in alto, senza distanziamento

delle lettere, può, se-

condo Grenfell e Hunt, essere accidentale (come a 432 e al-

trove). L'intenzione poteva tuttavia essere quella di collegare, in qualche modo, διὰ τὴν τοῦ πατρὸς (Ze. Πόρου) φύσιν col seguente ποριζόμενον (πολιζόμενον W) sottolineando (ancor-

ché in modo erroneo) la figura etimologica 220). 224 (203e6) καὶ pap.ac, ‘av’ καὶ suppl. καὶ T W, Burnet, Bury, Robin, te καὶ BD, gen., Sykutris, δὲ καὶ Sommer, Schanz. La

(cfr. supra a 219m”, Schöne, te αὖ 6(&) αὖ καὶ Oridiffrazione di va-

rianti potrebbe indicare ]’ originarietä di αὖ καί (pap.pc, Schöne):

te, così come δέ di Origene, si sarebbe introdotto (in BD a

— 402 —

POXY 843

SMP.

spese di αὖ) per ovviare all'asindeto (cfr. infra a 526). Tuttavia una particella sembra in effetti necessaria. Tra δέ e te, il

secondo, difficilior (oltre che meglio attestato) va probabilmente preferito (pace Wilamowitz, Platon, II, Carlini, Studi, 81; a favore di te anche Ritter, Quanto all’ınterpunzione, sembrano da evitare di Burnet (te correlativo dei precedenti οὔτε...

169 n. 2; cfr. Bericht, 47). sia la virgola οὔτε ...?), sia

lacompleta cesura (nuovo paragrafo) segnata da Robin (τε cor-

relativo del seguente kai?). te αὖ, in particolare (senza antecedente), si trova talora in Platone, dopo punto o punto in alto, con la funzione di connettere un trattazione (Pit. 280c3, 298b3, Phlb. 32624, R. 391b5, Tr. 5747, Lg. 7408; 229 (20443) εοφοις pap.ac, cOYoILc

nuovo ‘capitolo’ di una 1904, Smp. 22021, Pri. cfr. Denniston, 499). corr. m.?, σοφοὶ codd.

recte. Il dativo è forse dovuto a influsso delle terze persone in -o90t(v) che precedono, fraintese come dativi del partici10?

i 230 (20424) χαλεπη ἀμαθία di pap. appare un’ovvia banalizzazione rispetto a χαλεπὸν ἀμαθία dei codici (χαλεπὸν f

ἀμαθία Ricc. 92, ossia Ficino; cfr. Brockmann, Überlieferung, 218), anche se Ritter, Berichi, 49 giudica le due lezioni equivalenti e Schéne mette addirittura a testo quella di pap. (cfr. Brockmann, Überlieferung, 254 n. 17).

232 (20425) cavia pap., a conferma della lezione αὑτῷ di T W (e B^) preferita dagli editori, contro αὐτὸ BD (αὐτὸν Par. Gr. 1810, Vat. Gr. 229, Par. Gr. 1642, Vat. Ross. 558). Cfr.

infra a 348. Opportunamente 1] correttore (?) ha segnato l'accento su οὔκουν

232 (20426)

(οὐκοῦν Bac Tac).

επιίθυμεῖν pap.ac, -duperEv] corr. m.? Da ret-

tificare l'apparato di Vicaire. Col. VI (1 = 236) 237 (204a8-b1)

B, D (ön-).

[é]nAov èn pap. cum T W, edd., δῆλονότι

L’impossibile lezione di BD, variamente corretta

in passato (δῆλον Hermann, δῆλόν ἐστι Rettig), è dovuta, se-

condo Schanz (Platonis opera, V.1, p. X), ad anticipazione dell’ ὅτι che segue poco oltre. 239 (204b2) «v av eın di pap. fornisce la semplice soluzione (cfr. anche 202d6-7), ora correntemente adottata (Schöne,

Burnet°, Robin), per il difettoso àv àv di BD T W vulgata, che si erano sforzati di emendare i bizantini [ὧν αὖ Vind. Phil.

— 403—

PLATO

76

Gr. 21, Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), Bekker, Burnet', Bury, Lamb], e i moderni (àv δὴ Usener, Schanz, Sy kutris, ὧν Rückert, ὧν εἷς prop. Bury), senza imboccare la strada giusta (cfr. Maas,

Textkritik, 24). Tuttavia ὧν δὴ è ancora preferito da Wilamowitz 1909, 458, Platon, II, 353 e, dubitativamente, Ritter, Bericht, 46, che giudicano ein di pap. interpolato. 248 (20458) Pap. ha wÖnc per φήθης, errore sfuggito al diorthotes

(regolarmente

on|Onc

invece

a 250,

subito

sotto).

Forse si può pensare a influsso dell’ imperfetto, con l’alternanza fra @ounv e ᾧμην (cfr. infra a 960). 251 (204c2) Al posto di λέγεις dei codici, pap. ha eAeyec,

che sembra in effetti più in linea con φήθης e σοι ... ἐφαίνετο circostanti. Tuttavia, mentre nel caso strettamente analogo di 201237 qualche critico voleva introdurre l'imperfetto per congettura (cfr. supra a 57), qui la lezione di pap. ha incontrato favore solo da parte di Schöne. D'altra parte, come dimostra proprio il luogo citato, λέγεις è possibile, ed ἔλεγες può essere un'indebita normalizzazione. Caso indecidibile per Ritter, Bericht, 49. — (204c2) eva epolta pap., Schöne, ἔρωτα εἶναι codd.,

edd. cett.

Secondo Maas, Texkritik, 24, anche qui il papiro

«verbessert den Text» (ma cfr. anche infra a 332-333). L'ordo

verborum dei codici coincide con quello di b8-9 subito sopra. 252 (204c3)

ovto pap.ac, ov to corr: m.?

— (204c3) οἴομαι pap. cum T, Schöne, οἶμαι BD W, edd. cett. La forma lunga é accolta 32 volte nell'edizione Burnet, e in tre casi (Tht. 155b4, Lg. 788d1, 798d4) in una parentetica (come qui), caso in cui, come vogliono alcuni (p. es. LS] s.v.), solo οἶμαι è ammissibile. Cfr. anche infra a 960, dove la forma lunga dell’imperfetto è reintrodotta per correzione. 254 (204c4) to τῷ ovtt anche pap., contro l'espunzione di tò proposta da Badham e approvata da Wilamowitz, Platon, II, 360, e Sykutris (contra Burnet 1921, 5).

254 (204c5) αἀγαίθον pap.ac, allyallß'p’ov corr. m? (ἀβρὸν BD T W). ἀγαθόν deve essere venuto automaticamente alla

penna dello scriba dopo καλόν. La lezione di pap.ac è sicura (inesatti gli apparati di Robin e Vicaire). 255 (204c5) τελειῖον pap. cum Procl., τέλεον BD T W, edd.

La forma senza ı sembra di gran lunga più frequente nella tradizione platonica; Burnet stampa teAeı- 11 volte, contro oltre

— 404—

POXY 843

SMP.

130 τελε-. teAeıa ha anche POxy VII 1017 (> 80 50) a Phdr. 246b7. A 208c1 (480) la parola & parzialmente persa in lacuna.

Cfr. anche infra a 918. Subito dopo, il solo D legge ὁρῶν in luogo di ἐρῶν (Brockmann, Überlieferung, 56); cfr. infra a 276. 257 (204c6) δηλθον pap.ac, δ᾽ ιηλθον suppl. m'(?). Mero errore itacistico; cfr. infra a 909. 262 (204d2) τοιοῦτος "xat ovto Yelyovoc suppl. m". 265 (204d4) In e]poc o cakpotec le lettere coco sono rifatte inter scribendum dal copista (forse dapprima £.0.).

— (204d4)

te xat pap. cum BD, edd., καὶ TW.

Cfr. su-

pra a 178.

266 (204d5)

epa o epw(v) di pap. (malgrado 1] parere ne-

gativo degli stessi Grenfell e Hunt, ha rimesso giustamente in valore pov: ἐρᾷ ὁ ἐρῶν. .. [BD TW (ἐρᾶι bin], rispetto a... σαφέστερον ἐρῶ.

e di Ritter, Bericht, 52 sg.) il testo tràdito.. . σαφέστεtutti), Schöne, Burnet}, Roὁ ἐρῶν... di Vind. Phil. Gr.

21 (ἐρῶι ὁ &. b), lezione entrata nella vulgata e conservata ancora da Schanz, Burnet', Bury, Lamb, cui doveva sembrare ben

sorretta dal confronto con 206c1. Cfr. infra a 276. 267 (204d6) Di ti è perduta in lacuna ogni traccia, salvo un possibile accento sullo v; la forma è però dubbia: una sorta di segno a V, che può richiamare la combinazione n’ di 551 (cfr. supra, p. 381) ma, se così fosse, la funzione non sarebbe chiara.

268 (204d6)

Il copista aveva apparentemente dapprima sal-

tato αὐτῶ, scrivendo dopo yevecdaı, αλλ ext no, per poi cor-

reggersi subito. Il testo post correctionem può forse essere trascritto av[t]o : αλλ (v, ὦ, a, A rifatti su altra lettera) con doppio

punto, piuttosto che av[t]o[.] «AA (ed.pr., e nella nota: «Perhaps αὐτῶι αλλ should be read»).

268 (20447)

ετι nodeı ha pap. con T W e gli editori re-

centi, contro ἐπιποθεῖ di BD, accolto da Schanz (manca nel-

l'apparato di Vicaire); l'alternativa & giudicata irrisolvibile da Ritter, Bericht, 49; ma

l'accordo di pap. con T W ha il suo

peso (cfr. supra, p. 386). Rückert aveva congetturato ἔτι ἐπὶποθεῖ che troverebbe esatto riscontro a Prt. 329d2. 269 (204d7)

δοιανδει (Ze. δ᾽ otav dei?) Pap.ac, Tor- corr.

m'(?), τοιάνδε codd.

La lezione post correctionem rappre-

senta toravöt (cfr. 52, 55 ovtwcen), ed è variante degna di at-

tenzione (mentre solo Bury la cita in apparato). In Platone —

405—

PLATO

76

non si incontrano forme di τοιοσδί (attestato nella commedia,

ma anche in Aristotele), ma a Men. 8341 si legge toonoßi, e altrove p. es. ὡδί è usato per introdurre, come qui, un discorso diretto o una citazione (p. es. Prt. 353c3). 270 (204d8) Pap. ha eav per ἄν, come di frequente nel greco ellenistico e tardo nelle proposizioni relative (vd. LS] s.v.). — (204d8) καϊκα pap.ac, kalAa corr. m'(?). 272 (204d9) In προχειίρως, il x è rifatto (forse su o inter scribendum?) 273 (204d9)

La terminazione di anokpeıvacdaı

(sic) e ri-

fatta, probabilmente dalla prima mano. La lezione originaria poteva forse essere arokpewarto (per influsso di πυνθάνοιτο di e2?).

276 (204e3) £paw o epwv pap., confermando anche qui B (£pa), D T W (cfr. supra a 266) e contribuendo a liberare le edizioni recenti dalla lezione ἐρῶ: ὁ ἐρῶν dell'Aldina, giunta fino a Burnet', Lamb; Schanz (cfr. Platonis opera, V.1, p. X), sulla scia di Bast e del Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326), espungeva ἐρᾷ; Bury adottava la congettura ὅρα" ὁ ἐρῶν (ctr. supra a 255). Ritter, Bericht, 52 sg. continua a dubitare del testo tràdito. 277 (204e3)

Fra epa e γενεςθαι c’è, a quanto pare, un certo

spazio e una traccia di inchiostro, corrispondente o allo iota mutum, come nella stessa parola al rigo precedente,o al doppio punto, relativo al cambio di personaggio (mancherebbe però la paragraphos). L’ed.pr. non ne fa cenno. 280 (204e5) Da rettificare l'apparato di Vicaire: pap. ha anokpeivachaı, non -νεσθαι (ἀποκρίνασθαι codd.). 281 (205a1) Rettificare Vicaire: pap. naturalmente ha ayadwv senza accento (ἀγάθων BD). 281-282

(20522)

evlöc.novec

pap.ac, £vÓ aınovec| ev δαι-

povec suppl. extra lineas m ? (il primo è è rifatto sul segno riempitivo >).

Col. VII (1 = 283) 286 (20525) In pap. si legge, con sicurezza, δ]ε, a conforto

della lezione di BD, generalmente preferita dagli editori. Ciononostante Burnet ha mantenuto anche nella revisione il ön di

T W e Vicaire ha addirittura ritoccato il testo delle Belles Lettres in tal senso. Il caso & simile a quello di 206b1 (vd. infra

a 349), dove però il dé di pap. è in effetti inferiore.

— 406 —

POXY

288 (20526)

843

SMP.

Pap. non conferma né l'ordo verborum di W,

εἶναι οἴει, né (come si desumerebbe dall’apparato Robin) quello di BD T οἴει εἶναι. Il testo è perso in lacuna. 297 (205b4) Pap. conferma γὰρ ἄρα del solo T, mentre W, solidale di norma con T, concorda con BD nell'omissione di

ἄρα. La prima lezione è oggi adottata da tutti gli editori, mentre Schanz preferiva yàp, con l'approvazione di Wilamowitz (Platon, II, 346). Per la legittimità della combinazione γὰρ ἄρα,

che Wilamowitz giudicava «überhaupt bedenklich» [cfr. anche Dodds, Plato. Gorgias, 239 (ad 469d3)], vd. Des Places, Étu-

des, 280 sg. (e cfr. Denniston, 56). L'omissione in BD e W potrebbe facilmente essere ‘meccanica’ e avvenuta in modo indipendente. Cfr. Brockmann, Überlieferung, 252 sg. — (205b4)

[epo]toc et pap. ut vid. cum BD W; ἐρῶντός T.

— (205b4) ‘e'1d0c pap. ut vid.: suppl. m.? Ma, a detta di Grenfell e Hunt, il segno nell'interlineo potrebbe anche appartenere alla dieresi sullo v. Cfr. infra a 609. 302 (205b7)

Pap. ha n yag τῷ (n poco visibile), con ac-

cento circonflesso aggiunto dal correttore, il quale ha anche annotato a margine la variante (priva di senso) n yap à (con spirito e accento). A differenza di ἣ γάρ τι di BD T W, la le-

zione zn textu di pap. è accettabile (per τῷ propendono Schöne, Ritter, Bericht,

50, Sykutris; possibile anche l’indefinito to:

cir. R. 350a7 τις ... ὁστισοῦν), ma gran parte degli editori preferisce la correzione bizantina toi (Vind. Phil. Gr. 21); per tor ‘with a proverb or general reflection’ (quasi: ‘bada bene’), cfr. Denniston, 542 sg. (p. es. 219a2). 307 (205c2) Il diorthotes deve aver cercato di eradere un

doppio punto erroneamente segnato dopo navtec, aggiungendo quello richiesto dopo ποιηται (l'ed.pr. non lo segnala). 308 (205c3)

Al posto di ἤδη dei codici, nelle edizioni fi-

gura giustamente la divisio ἢ δ᾽ ἥ di Bekker. Pap. ha naturalmente l’inespressiva grafia nòn: riportare in apparato (come

fanno Burnet, Bury, Vicaire) la trascrizione spaziata dell'ed.pr. 1 è n (qui e a 206b1, ma non a 20623) può risultare fuorviante.

Cfr. anche infra a 361 e 1158. — (205c3) ov et pap. cum B T, oi D, om. W. 309 (205c4) exovcıv pap., che fa pendere la bilancia a favore di T W, contro ἕξουσιν di BD, preferito da Rettig e Bur-

net'. Sauppe congetturava ἴσχουσιν (cfr. infra a 327). —

407—

PLATO

311 (20565)

76

μοριοίν et pap. cum BD T W°yp, μόνον W.

314 (205c7) ταῦτα povov pap., τοῦτο μόνον BD Τ W, edd. (probante Ritter, Bericht, 47). La ripetizione di τοῦτο τὸ μόριον subito dopo, che altrimenti sarebbe superflua, consielia di non scartare frettolosamente ταῦτα. Il plurale si riferirebbe globalmente a τὴν μουσικὴν καὶ τὰ μέτρα (cfr. 187d1-3 e Lg. 673a3-5 τὰ ... τῆς φωνῆς ... ὠνομάσαμεν

μουσικήν).

Per

ταῦτα μόνον cfr. Alc. I 106d4, Hipparch. 229b5 (μόνα T). 316 (205c8)

codd., edd.

αληθη eon[v] λέγεις pap., ἀληθῆ λέγεις, ἔφην

Questione indecidibile all'interno del testo: cfr.

20524, e dall'altra parte 20228, 205d8,

206a8-9

ecc. Alla luce

di 105-106 (vd. supra), è forse lievemente più probabile che sia pap. ad innovare. La variante è omessa da Burnet.

320-321 (205d2-3)

Il papiro conferma in pieno il testo dei

codici ὁ μέγιστός TE καὶ δολερὸς ἔρως παντί, In passato corretto, espunto o crocifisso (cosi Schanz), e ora da tutti accettato come citazione poetica da fonte ignota (si noti l’allittera-

zione). Secondo P. GORISSEN, in Zetesis. Album

amicorum,

door vrienden en collega's aangeboden aan Prof. Dr. E. de Strycker ..., Antwerpen-Utrecht, De nederlandsche Boekhandel 1973, 342-344:

342

la citazione

includerebbe

anche

τοῦ

εὐδαιμονεῖν. δολερός può comunque non essere del tutto ^irrelevant to the argument’ (Dover): l' ἔρως ‘più grande’ sarebbe

‘ingannevole’ (nell’argomentazione di Diotima) proprio per il fatto di non essere riconosciuto di norma come tale (cfr. Ly. 219d4 ἐξαπατᾷ). 322 (205d4) Pap. conferma ἐπ᾿ αὐτόν dei codici; Schanz reputava necessario correggere in ἐπ᾿ αὐτό, con Vógelin. 323 (205d4) xpnnarıcuo pap.ac, -ἰομοὶ ν΄ corr. m’. 327 (205d7) ecxov pap., Schöne, ἴσχουσιν BD T W, edd. cett. (ἔχουσιν Par. Gr. 1811, Vat. Gr. 1030, vulgata). — Cfr.

supra a 309. Variante non banale (cfr. Ritter, Bericht, 49). Ben attestate sono le espressioni ἔσχε τὸ ὄνομα (Cra. 403e7, Spb. 22735, Pit. 282c3,

Ti. 6206),

ἔσχεν

ἐπωνυμίαν

(Phdr.

23728,

246c6), col valore ‘ha preso (e quindi ha) il nome di’. Ma il confronto con 1 passi dove è usato ἐπωνυμίαν ἴσχειν (Phd. 102b3, Spb. 257c11, Prm. 130e6), sempre con la specifica ac-

cezione di ‘mantenere’ un nome, detto di una parte rispetto a un tutto, mostra che è probabilmente quella dei codici (di per sé difficilior) la lezione giusta.

— 408—

POXY

327-328 (205d7-8)

843

SMP.

La frase ἔρωτα te καὶ ἐρᾶν καὶ ἐρασταί

(ἐρᾶν ἐρασταί T, come informa Brockmann, 151 n. 7) in passato

varlamente

Überlieferung,

corretta o espunta (Schanz,

Lamb), riceve piena conferma da pap. 328 (205d8)

Kıvövvevovcı pap.ac, -ev[ovlerc’ corr. m'(?).

Errore dovuto essenzialmente a scambio o/e.

Col. VIII (1 = 330) 330 (205d9-e1)

[o]

nufelicv ellalurwv

pap. (corr. m.?)

cum codd. (αὐτῶν W). Molti critici avevano ritenuto necessario correggere (τὸ ἑαυτῶν ἥμισυ Schanz, ecc.). La grafia scorretta della prima mano è dovuta forse all’ interferenza dit ἡμεῖς. 332 (205e2) nuleicıoc dell’ed.pr. è naturalmente errore tipografico per nu[erceoc (ἡμίσεος codd.); integrare εἰ per ı, come

a 330, non è richiesto dallo spazio. 332-333 (205e2) εἰναι tov epalta Eivaı corr. m.? Cfr. supra a 251, per la tendenza a innovare l'ordine; la correzione

conferma peró l'ordine dei codici. Cfr. anche infra a 370, su-

pra a 142. 334 (205e3)

eneı et pap. cum B^ T W, ἐπὶ BD.

339 (205e7)

Il solo W, fra i codici primari, ha καλεῖ, le-

Pap. chiamato

a testimone da Vicaire, è muto causa lacuna

zione accettata dagli editori; BD T hanno l'impossibile καλῇ. (κα [λει κ]αι).

Resta

aperta anche

la possibilità dell’ottativo

καλοὶ (la forma a R. 493c4), introdotto per correzione nel Par. Coisl. 155 (Bessarione?); cfr. Grg. 480b9-c1 ei μὴ εἴ τις ὑπολάBor. 341 (206231) av|Op[on]ot pap. (revera), ἄνθρωποι BD T, οἱ ἄνθρωποι W. Da correggere l'apparato Vicaire. Gran parte degli editori (seguendo Bekker) stampa ἅνθρωποι, crasi (non attestata nei manoscritti) introdotta in 7 luoghi da Burnet (4

in Smp., fra cui 220c6), talora in presenza della variante οἱ ἄ.; 8 volte [fra cui 221d2] ἅνθρωπος, in un caso in presenza della

variante ὁ &. Attestati sono τἀνθρώπινα (e sim.), ὥνθρωπε. In ogni caso ἄνθρωποι, senza articolo, nel senso di ‘gli uomini’ si trova almeno in una ventina di altri casi. Cfr. Schanz, Novae commentationes,

98 sg.

342 (206a1) Le parole ἡ σοὶ - (a3) τἀγαθοῦ, omesse dallo scriba causa l’omeoteleuto, erano reintegrate dal correttore nel margine superiore. Segni di rinvio non sono segnalati da Grenfell e Hunt. Nel supplemento marginale: 20623 n[d]n pap. (cfr. —

409 —

PLATO

76

supra a 308); 20623 του ἀγαθου pap. cum B W (revera), edd. plerique, τἀγαθοῦ T, Burnet, Robin. L'integrazione non implica, come vuole Ritter, Bericht, 49, che il diorthotes con-

frontasse la copia con il modello stesso (cfr. invece supra, p.

384).

343 (20624)

Il calcolo dello spazio garantisce per pap. tı

δε], in accordo con B W; per il ti dai di T, non infrequente

almeno nei singoli codici, ma abolito ormai dagli editori, vd. Denniston, 262-264. 344 (20625) προςθεταῖον pap.ac, -t[a.Jeov corr. m? (9). Stesso errore e stessa correzione anche a 346 (a7). Cfr. infra a 828.

345 (206a5-6) 346 (20626) mentino

[a]p ovv et pap. cum BD T, àp' W. Al centro di questo rigo va collocato il fram-

(m) (cfr. supra, p. 378), consistente,

a quanto

pare,

del solo strato superiore del papiro, con cui sı recupera un ulteriore doppio punto aggiunto dal correttore (o comunque a posteriori): xat ae [e]iv[a]i: xevart]o [v]to x[p JocBet[a]eov: 347 (206a8)

Naturalmente

non c’è ragione

per accostare

tovlto di pap. a τοῦ τὸ di B’, T (τοῦ τοῦ),W (così Bury, Sykutris, Vicaire), piuttosto che a τοῦτο di B (tovro), D. 348 (20628) αὐτῶ pap., αὐτῷ T W (αὑτῷ edd.), αὐτὸ BD. Cfr. supra a 232. 349 (206b1) orte δε pap. (cum Par. Gr. 1642), ὅτε δὴ BD T W, edd.

Per questo ὅτε δή transizionale nel dialogo si può

richiamare Prt. 356c4, R. 581e6. Cfr. supra a 286. — (206b1)

Di fronte alla conferma di pap., gli editori re-

centi mantengono τοῦτο dei codici, prima per lo piü corretto in τούτου (Bast, seguito ancora da Schanz, Burnet, Bury, Ritter, Bericht, 53), per ristabilire una logica piü rigorosa. 350 (206b1)

Pap. conferma anche dei (quer cfr. supra, p.

383), dei codici primari,

omesso

dal Vat.

Gr.

225,

espunto,

sulla scia di Hermann, anche da Schanz (vd. Platonis opera, V.1, p. IX); aye Usener; cfr. Bury ad loc. — (206b1)

nòn pap.: cfr. supra a 308.

— (206b1) «ov pap. cum B^ T W° recte, τὸν BD W. Probabilmente errore poligenetico in BD e W. — (206b1) tiva, confermato da pap., è la lezione di tutti e tre 1 testimoni primari medievali; Robin (seguito da Sykutris), per una svista, attribuisce a B T un errore comune tt inesistente (cfr. Boter, The Vindobonensis, 152 n. 12).

— 410—

POXY

351 (206b2)

843

SMP.

αὐτῶ pap.ac, αὑτο corr. m.? cum BD W, αὐτὸν

T vulgata. 352 (206b2) © n crovàn pap. (suppl. m!) recte, ἢ σπουδῇ B (Ὁ), T W. Lo spirito aspro su n era necessario appunto per scongiurare il fraintendimento in cui incorre la tradizione medievale (Ev τινι πράξει ἣ σπουδὴ x1A.). 352 (20603)

La testimonianza di pap. converte anche Bur-

net alla lezione σύντασις di Bd, contrapposta a σύστασις di D T W e della vulgata (nell’apparato Vicaire c’® un'inversione),

da lui preferita nella prima edizione. σύντασις è certamente giusto (cfr. soprattutto Euthd. 288d3 συντεταμένον καὶ σπουδάCovta) e la corruzione in σύστασις naturale; ampia discussione

in Euripides. Hippolytos. Edited with Introduction and Commentary by W.S. BARRETT, Oxford, Clarendon 1964, 347 sg., ad v. 983 (cit. da Brockmann, Überlieferung, 248 n. 3) 357 (206b5-6) Il doppio punto, originario, é posto per errore dopo taulta, anziché dopo paBncopevoc (a corretto, forse

da e); cfr. Andrieu, Dialogue, 293.

361 (206c1) Sn pap., ἤδη codd., ἡ δ᾽ ἥ corr. Bekker, edd. Cfr. supra a 308; ma qui potrebbe anche essere giusto δή di pap-; cfr. Alc. I 139d9 ᾿Εγὼ δή cot γε ἐρῶ, La. 19841 Ἐγὼ δὴ φράσω, Min. 318e6 Ἐγὼ δή σοι ἐρῶ, Lg. 835d1- 4 (... οὐ γάρ πω μανθάνομεν. ) — . ἀλλὰ δὴ πειράσομαι ἐγὼ φράζειν ὑμῖν

ἔτι σαφέστερον. Il δή sottolineerebbe anche la ripetizione rispetto a b6 (cfr. Denniston, 241 sg.). Del resto c’è ἔφη nel pe-

riodo seguente, all'interno della stessa battuta. 363-364 (206c2) Il καί di T W (seguiti da tutti gli editori) dinanzi a κατὰ τὸ σῶμα, di per sé non necessario (ma cfr. anche b7), è omesso da BD, ma confermato da pap. e a quanto pare anche dal Commento Anonimo al Teeteto (> CPF III, 9), che cita (liberamente) il passo: LVII 15-19 xoi μὴν ἐν τῷ Συ[μ]ποσ[{1ῳ φησὶν öltı] κυοῦσι π[άντ]ες &[v]0pono: κ[αὶ κα]τὰ

ψ[υ]χὴν Kali] κ[ατὰ σῶμα]. 364 (206c3)

T.

κατα τὴν ψυχῆν et pap. cum B W, κατὰ ψυχὴν

Cfr. b7.

365 (206c3)

Pap. ha ev τινι nAıkıc, confermando la scelta

di Burnet (poi di quasi tutu gli editori), contro 1 sospetti in precedenza avanzati (£v τῇ ἡλικίᾳ Badham, Schanz, Bury, ἐν

ἡλικίᾳ Naber). Cfr. anche Lg. 77222 ἡλικίας τινός. 366 (206c4) επιθυμει[ν] pap.: corr. m'(?). —

411—

PLATO

368 (20605) μὲν αἰσχρῷ

76

ev de καλῶ di pap., simmetrico rispetto a £v

(cfr. anche d3-5), conferma

una congettura di

Badham, ma è stato preferito solo da Bury, Schöne e Vicaire ἃ ἐν δὲ τῷ καλῷ dei codici (vd. Dover ad loc.). In Plotino (III 5, 1, 29) la tradizione è in realtà di nuovo divisa tra le due

varianti; Henry - Schwyzer, in ogni caso, accettano ἐν καλῷ senza articolo, in base al confronto con 43-44 (e vd. anche 49), poco sotto. Anche Jachmann (Der Platontext, 236 n. 1)

credeva a pap., citando questo caso come esempio di interpolazione dell’ articolo e di conferma inaspettata di una congettura di per sé non necessaria; Ritter, Bericht, 51 rimaneva in dubbio. 368-369 (206c5-6) Molti editori, dopo Ast, e fino a Schanz, Burner‘, Bury (cfr. Jachmann, Der Platontext,

304) espunge-

vano N γὰρ — ἐστίν (e tutta la sezione era tormentata dai critici come ripetitiva e incoerente). Dopo la piena conferma di

pap., il testo viene rispettato. Vi si deve anzi riconoscere, al di là delle apparenze, un andamento di tipo sillogistico, in cul l'affermazione in questione è necessaria; ctr. già Wilamowitz, Platon, II, 171 sg.; anche S. ROSEN, Plato's Symposium, New Haven- London, Yale Univ. Press 19877, 247 n. 125; da ultimo E.E. PENDER, Spiritual Pregnancy in Plato's Symposium, CQ

42 (1992), 72-86: 74 sg. (con bibliografia). 370 (206c6) Rispetto al testo dei codici, τοῦτο θεῖον τὸ πρᾶγμα, in pap. c'è un secondo τοῦτο, poi barrato orizzontalmente dal correttore, dopo θεῖον (cfr. supra a 332-333), e inoltre — cosa non segnalata da Grenfell e Hunt - il seguente to appare rifatto inter scribendum su n (il copista stava saltando τοῦ). Ma l'ordo verborum non facile dei codici è in definitiva

confermato da pap.pc; non si dovrà pensare all’esistenza di varianti, ma piuttosto a fatti casuali. 372 (206c7) 0 di a@avatov è rifatto, quasi certamente in scribendo, su v.

— (206c7)

Pap. ha evectw, lezione del solo B recepita da

tutti gli editori, contro ἐστιν di D T PW vulgata. 373 (206c8) τα è pap. con BD (δὲ), lezione adottata da Schanz e dagli editori successivi; mentre ταῦτα δὲ di d T PW

vulgata si conferma una banalizzazione (analoga situazione a Phd. 8066, > 80 40 H I 1). Per tà dé dimostrativo cfr. Ap. 3847 (τὸ δέ p. es. Smp. 183d3, cfr. Kühner - Gerth, II.1, 584).

— 412—

POXY

843

SMP.

τὰ δέ ha qui una referenza più generale, non ristretta a ἣ κύησις

καὶ ἡ γέννησις; cfr. Dover ad loc. 375 (206d1)

,

απαντι pap., παντὶ codd., edd.

Cfr. Ritter,

Bericht, 49 (indecidibile).

376 (206d1)

θεὼ pap. cum BD t, θείῳ T (οὐ), PW, edd.

Pap. e BD convergono in lezione probabilmente errata, ma facilmente poligenetica (lo stesso errore, stando a Bekker, si ritrova di nuovo nella discendenza di T: Par. Coisl. 155, Rom. Ang. 107sl, Par. Gr. 1812sl, Vat. Gr. 1030sl). Cfr. anche J. VAN

CAMP - P. CANART, Le sens du mot θεῖος chez Platon, Louvain, Bibliothèque de l'Université-Publications Universitaires de Louvain 1956, 78 n. 3.

377 (206d2)

ειλυθυΐα pap., εἰλείθυια T W Procl. (In R.,

II, p. 221, 22 Kroll), εἰλήθυια B vulgata.

Anche la grafia più

insolita di pap. è attestata, sia pur indirettamente (si osservi l’ordine alfabetico), da Esichio, e 916 Latte (cfr. ed. Schmidt, e 922).



(206d2)

n καλλονῆ pap.: spirito e accento sono pro-

babilmente del correttore; codici ed editori accentuano καλAovn. Usener [Kallone (cit. supra a 172), 368 (= 80 sg.)] aveva

immaginato una dea Καλλόνη. L’iniziale maiuscola, ma non l’accentazione

di Usener,

è recepita da Bury, Schöne (Hug),

Lamb, Robin (contra Wilamowitz, Platon, II, 172 n. 1). 377 (206d3) Pap. conferma τῇ γενέσει dei codici, contro ἐν τῇ γενέσει attestato da Proclo (In R., II, p. 221, 22 Kroll).

Col. IX (1 = 378) 378 (206d3) P non ha καλῶς πελάζῃ (Vicaire), ma καλ(ὸν) (προσ)πελάζῃ (già Bekker). Pap. è lacunoso: xa[Aw npoc ]Ixe-

Aon (9).

382 (206d6)

&v[v Jeneılparan pap. συσπειρᾶται T W (se-

guiti dagli editori), συνσπείρεται B (con punto sopra v), συσπείρεται

P (revera),

συστρέφεται

DW’,

Img (non ἐνετρέφεται

come leggeva Robin), Wmg Psl. 383 (206d6)

avl[1A]Aetar (ed.pr.) o forse αν[ι]λεται pap.,

ἀνίλλεται Ambr. D 56 sup. Plot., Schanz, Schöne (Hug), Robin, ἀνείλλεται BD t PW, Burnet, Bury, Lamb, ἀνείλλειται T, ἀνειλλεῖται t Wing Psl vulgata, ἀνείλεται t (punto sopra A), Vat. Gr. 225, Vat. Gr. 1029. daverddopévn è tràdito concorde-

mente (a parte alcuni apografi: vd. Jonkers, Manuscript Tradition, 295) a Criti. 109233; il verbo semplice ricorre tre volte

— 413—

PLATO

76

in Ti.: Burnet legge in due casi εἰλλ- (76c1, 86e7), ma a 40b8, sulla fede di F e della tradizione indiretta (Aristotele, Proclo,

Plutarco), ἰλλομένη; cfr. anche Cra. 409a4. La probabile grafia di pap. non pertanto occasionale errore itacistico; cfr. K. BURDACH, Die Lehre des platonischen Timaios (40 B) von der

kosmischen Stellung der Erde und die Bedeutung von εἴλω,

εἴλλω, εἰλέω und ἴλλω, NJKIA 25 (1922), 254-278. 386 (206d8) πτοιης[κ] pap. cum T PW (Plot. I 6, 4, 14 e 17) recte (coniecerat Abresch, πτόησις Bekker, Sc hanz), ποίησις

BD vulgata. 388 (206e1) anoAvl[eılv pap. cum T PW BD, (ἀποπαύειν Naber). Cfr. infra a 983.

recte, ἀπολαύειν

388 (206e2) Pap. conferma l’ingiustamente sospettato ἔχοντα [ἐρῶντα Vögelin, ἑλόντα Wilamowitz, Platon, II, 172, n. 3]. Il testo tràdito viene ora accettato, e va inteso [cfr. la traduzione

di Lamb, e quella di R. WATERFIELD, Plato. Symposium, Oxtord, Oxford Univ. Press 1994, 49] con τὸν ἔχοντα (sc. τὸ καλόν)

soggetto e non oggetto di ἀπολύειν: l'amato, ‘dotato di bellezza’, ‘libera’ l'amante dallo spasimo del desiderio (cfr. Phdr. 251e2 sgg., in part. 252a7-b1). 389 (206e2)

o elpwc et pap. cum

BD

PW,

ἔρως T (cfr.

Brockmann, Überlieferung, 151 e n. 8) vulgata. Cfr. supra a 55, 59-60.

390-392 (206e3-5) Era originariamente indicato cambio di interlocutore solo dopo οἴει e dopo ἔφη (e5); sono aggiunti a posteriori i doppi punti dopo καλῷ e dopo ἐγώ, mentre è solo virtuale quello integrato in lacuna nell'ed.pr. dopo «t μήν, per il quale manca pure lo spazio. 391 (206e3-4) Nell’intercolunnio a destra di questo rigo, 1 resti dell’unico scolio del papiro, di mano del diorthotes (a

detta di Grenfell e Hunt, 243) che avrà anche aggiunto i doppi punti (cfr. supra) nel testo. Grenfell e Hunt trascrivono &oex[e e]

pacct .[.. ossia ἀν(τὶ tod) οὕ(τως) £y[et . ., riconoscendovi,

con ragione

(in errore quindi McNamee, Marginalia, 547), una spiegazione

di εἶεν, che è la parola più vicina. L'annotazione è però forse meno «futile» di quanto puó apparire, perché eiev, raro come risposta breve, é qui usato con un'intonazione particolare, che merita un commento («a somewhat rare use» Bury ad 208b): —

414—

POXY

843

SMP.

più di dubbio i interrogativo che di assenso («Davvero?», «So?» Ast, «abwartend, was weiter kommt» Wilamowitz, Platon, II, 170), come dimostra la risposta πάνυ μὲν οὖν (che Badham vo-

leva espungere). Interessante il confronto con Euthd. 290c7-9 Biev, "lv δ᾽ ἐγώ, ὦ ... Κλεινία: τοῦτο οὕτως ἔχει; - Πάνυ μὲν οὖν. καὶ. ‚Smp. 208b9- c2 Εἶεν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ ... Διοτίμα ταῦτα ὡς ἀληθῶς οὕτως ἔχει; ... - Εὖ ἴσθι. Per cıö che segue οὕ(τως)

ἔχίει nello scolio verrebbe quindi fatto di suggerire [xot e]lρώτησιν o simile (ma la compatibilità con le tracce & incerta). Bury, in effetti, stampa proprio: Εἶεν; ἦν δ᾽ ἐγώ [anche a Hp. Ma. 28826, per inciso, si dovrebbe dividere: (2. ) Εἶεν - (IIL) Πάνυ μὲν οὖν. - (ΣΩ.) Φέρε δὴ κτλ. (come aveva già visto P. FRIEDLÄN-

DER, Platon, II, Berlin, de Gruyter 1964), 299 n. 5)]. eiev, si noti, é glossato ταῦτα μὲν οὕτως in uno scolio a Gregorio di

Nazianzo edito in PG XXXVI, p. 914D [cfr. G. UHLIG, Noch einmal εἶεν und zum ersten Mal Θεοδωρήτου Περὶ πνευμάτων,

NJKIPh 26 (1880), 789-797: 796]. 392-393

(206e5)

La domanda τί δὴ οὖν τῆς γεννήσεως;è

nei codici (e nella vulgata) attribuita a Socrate, dagli editori, dopo Vógelin, inclusa nella battuta di Diotima (cfr. 209a2-3).

Pap. è ambiguo: ha il doppio punto (di prima mano), senza paragraphos, prima, ma non dopo. Per esempi di battute che ‘continuano’ dopo πάνυ μὲν oov, cfr. Euthd. 290c9 (cfr. supra a 391), Tht. 20326, Phlb. 33b10.

393 (206e5)

Pap. ha l'errore yevecewc (per γεννήσεως), pro-

babilmente indotto da ció che subito segue. Grenfell e Hunt osservano che anche a 373 (c8), il secondo v di yevvnci è macchiato: tentativo di intervento ‘correttivo’? — (206e5) La lezione di pap. ἀεὶ yevecıc è un'ovvia cor-

ruttela rispetto a &evyevég dei codici (aiew. T) e di Plotino (II

s. 1, 42).

394 (20721)

Anche pap. ha wc Ovnzo con 1 codici primarı,

isolando ὡς ἐν θνητῷ di Plotino (III 5, 1. 41); ev θνητῷ Var. Gr. 1029 (da cui Ambr.

397 (207a2-3)

D 56 sup.ac).

τοῦ ayadov di pap. conferma la lezione di

BD T PW, accolta da Schanz, Schöne (Hug), Burnet, Vicaire,

contro la ‘normalizzazione’ τοῦ τἀγαθὸν (cfr. 206a7-8) dovuta probabilmente a Bessarione [Ven. Marc. Gr. 186 (coll. 601)pc,

Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326); τὸ tày. già il Vind. Phil. Gr. 21; cfr. Brockmann, Überlieferung, 143 sg. e n. 62], e recepita,

— 415—

PLATO

76

dopo Bekker, anche da Robin; τοῦ ἀγαθὸν Bury, Lamb. Anche l’altra normalizzazione proposta (ὃ) ἔρως (Bekker, Schanz) è smentita da pap. Forse bisogna intendere, più esattamente:

«se quello del bene è amore (desiderio) di possederlo sempre», 402 (20726) Nel passaggio dalla narrazione al dialogo, il copista aveva posto il doppio punto dopo kai note ἤρετο, il correttore ne ha aggiunto uno prima. — (20726) In τι ote il τ è rifatto, inter scribendum, su un'altra lettera (forse x: stava riscrivendo καὶ note?).

404 (20728) auchalver pap. cum BD T P, edd. plerique, αἰσθάνῃ W (-nı), Burnet. La desinenza principale di 2° persona del medio. -passivo è costantemente -£t in pap., come in prevalenza nei codici: 422 (207c3) διανοει, -nı W; 692 (21222) evBu]per, -ῆι W; 890 (218c6) φαίιν]ει, -ἡ W; 916 (2186) dia-

voet, -ἣι W; 928 (21937) nyeli], -Aı T W; 1035 (22064) μεμψει, τῆι W.

406 (20729)

επειδαν ἐπειδαν pap.: corr. m'(?).

Cfr. infra

a 142.

— (20729) ejndvnwcı pap.ac, -unen corr. m °(?). Errore linguistico, non meccanico: il verbo al plurale con soggetto neutro designante esseri animati (qui πάντα tà θηρία) si trova

del resto talora anche in buon greco; cfr. Kühner - Gerth, II.1, 65; cfr. La. 180e5-7.

412 (207b3)

xoi dinanzi a διαμάχεσθαι, confermato anche

da pap., & omesso da W. 415 (207b5) avo di pap. è manifestamente corrotto (per attrazione del seguente τῷ λειμῷ) rispetto ad αὐτὰ (contrap-

posto ad ἐκεῖνα) dei codici (τῷ è eraso nel Par. Coisl. 155, ed espunto da Badham). — (207b5) παρατινομενὼ pap.ac, -μενα corr. m Ὁ). 421 (207c2)

Dalla lezione dei codici ἂν ἔλεγον (T W), o

&véAeyov (BD) già i bizantini avevano

ricavato αὖ ἔλεγον (b

Vind. Phil. Gr. 21), dove l'avverbio puó rimandare a 206b4-6

(cfr. 207c4-5); gli editori moderni adottano quasi tutti questa soluzione. Visto peró che pap. omette 1l problematico av, non sembra immetodico seguirlo, con Schóne (cfr. 204c7, d6), an-

che se simile, 424 425

l'origine cfr. infra (207c4) (207c4)

del testo medievale resta oscura. Per un caso a 1093. e£vvonc(n] pap.: corr. m.? διατιμα pap.ac, διοτιμα corr. (ut vid.) m.?

— 416—

POXY

843

SMP.

Col. X (1 = 426)

431 (207c8)

pol[A]oyncopev pap.ac, -couev corr. m’(?),

Schöne, ὡμολογήκαμεν

codd., edd. cett.

La lezione di pap.pc

(ma presupposta anche da pap.ac?) ha pari dignità di quella dei

codici (cfr. Ritter, Bericht, 49): alla prima persona plurale l'ao-

risto di ὁμολογέω figura nell’edizione Burnet 45 volte, il peifetto 20; con πολλάκις, come qui, si trova ὡμολογήσαμεν a

Cra. 43922 (-yhkauev T° W), ma ὡμολογήκαμεν ἃ Grg. 515c2, e poi ὡμολόγησας a Grg. 522c8, ὡμολογήθη a Cri. 4937, ma ὡμολόγηται a Grg. 522d3, ὡμολογηκέναι a Grg. 517c8. 434 (207d2) κατα 't[o]’ [S]uvatov pap.: suppl. m.?.

L'ar-

ticolo c'é sempre in Platone, in questa espressione (11 occorrenze).

434-435 (207d2) a&1| te εἰναι καὶ αθανατος è quasi sicuramente la lezione di pap., coincidente (a parte aeı/alel) con quella di T e P, e accolta da tutti gli editori recenti. W condivide con BD l'errore τὸ εἶναι («of little or no account»: Bo-

ter, Tbe Vindobonensis, 45 e 152 n. 12), mentre i soli BD omettono anche καί. Il testo di B(D) αἰεὶ τὸ εἶναι ἀθάνατος era

adottato da Bury, Lamb e preso da Schanz a base per la congettura τὸ ἀεὶ εἶναι (ἀθάνατος) (τὸ εἰναι αἰεὶ dd. Vind. Phil. Gr. 21); cfr. Brockmann,

436 (207d3)

Überlieferung, 253.

La conferma di pap. ha convinto anche Bur-

net (e poi tutti gli editori) a mantenere, fra virgole (con ταύτῃ avverbiale), τῇ γενέσει, espunto invece, sulla scia di Vermeh-

ren, ancora da Schanz e Burnet! [τῇ γεννήσει F.A. Wolf (cfr. supra a 393), con l'approvazione di Wilamowitz, Platon, II, 172 n. 2, Reinhard,

Die Anakolutbe,

166]. Opportunamente

Sykutris ricorda l’ ‘autocitazione’ platonica di Lg. 721c6. L'espunzione è nuovamente difesa, contro pap., da L. DEUBNER,

Zu Platos Symposion 207 f., Philologus 94 (1941), 231 sg. (ma il fatto che manchi un corrispondente di τῇ γενέσει nel passo corrispondente

20847

non

sembra

decisivo, data la diversità

della costruzione). — (207d3) a di agi è corretto inter scribendum, da altra lettera, forse κ (il copista stava omettendo l’avverbio saltando à KOTO-?).

438 (207d4) Pap.ac ha ev © ev (spirito e accento forse della prima mano) come BD T PW (£v à £v). Ma £v à, che deter-

mina un anacoluto, manca (probabilmente eliminato per congettura) in Vind. Phil. Gr. 21, quindi nell'Aldina e nelle edi-

— 417 —

PLATO

76

zioni fino a Bekker incluso (cfr. Brockmann, Überlieferung, 73 e 74 n. 71). A una parziale coincidenza possono far pensare i due punti visibili in pap. sopra il primo ev, che potrebbero anche, a detta di Grenfell e Hunt, essere accidentali, ma non è inverosimile registrino prudentemente un'omissione os-

servata dal correttore nel suo esemplare di collazione, o forse una congettura. Per l’uso del punto sopra la lettera, attestato in modo molto incerto nel papiro, cfr. supra, p. 379, e infra a 670, 689. Subito dopo il solo Dac ha ἕνεκα in luogo di ἕν Éxaστον (Brockmann, Überlieferung, 55). 443 (207d7) ταῦτα pap., τὰ avià:codd., edd. (ταῦτ᾽ Badham). Lo stesso a 451. La crası occorre in pap. a 458 tavrov, di con-

tro a 466 to avxov. Il primo a sembra rifatto su 0; ma l'ed.pr. non ne fa cenno. 447 (207e1)

Non ἃ chiara la genesi della scrittura c[S]vop-

παν in pap. (ξύμπαν BD T PW): il copista non ha cancellato & per correggere in c (così, erroneamente, Ritter, Bericht, 48);

le due grafie concorrenti (cfr. supra, p. 383) erano dapprima giustapposte, e forse, anzi, lo scriba volle correggere inter scribendum da o in È; in tal caso la cancellatura di €, ossia la scelta a favore di ovv-, dovrebbe addebitarsi al diorthotes. Altrimenti

sı puó pensare che la doppia lezione fosse già nel modello di pap. In questo aggettivo Kerschensteiner, Gebrauch, 39 ha osservato una prevalenza assoluta della forma con € nella tradizione platonica (nelle Leggi, 84 casi contro uno; vd. anche Schanz, Novae commentationes, 156); &ouna(v)[tov ha anche pap. a 129.

449 (207e3) 451 (207e4)

1ponoi pap. cum d T PW recte, τόποι BD. tavta pap.: cfr. supra a 443.

452 (207e5)

γιγνεται è corretto inter scribendum da yıve,

come pare (cfr. supra, p. 383). Subito dopo, anche anoAAvraı è corretto (dalla seconda mano?), forse da anoAntaı.

453 (20821)

ετι pap. cum BD, edd., ἐστιν T PW vulgata.

462 (20826)

Pap. (cum Vat. Gr. 229, unde Par. Gr. 1642)

ha μνήμη, che può rappresentare il nominativo o il dativo; μνήμῃ, che era stato in effetti congetturato da Sauppe, è messo a testo da Schöne (e approvato da Ritter, Bericht, 50), mentre μνήμην dei codici, accettato dagli editori recenti, veniva prima

di pap. espunto (fino a Schanz, Burnet!, Bury, Lamb), sulla scia di Baiter, onde ristabilire una coerenza rigorosa del det-

— 418—

POXY

843

SMP.

tato (ἀπιούσης sc. ἐπιστήμης, come, subito prima, ἐξιούσης...

τῆς ἐπιστήμης, ἐπιστήμης ἔξοδος; cr. Bury ad loc., e anche b12). Il testo di pap., sia intendendo μελέτῃ... μνήμη, sia μελέτη

μνήμῃ («by recollection» Dover; l'ordo verborum rende difficile costruirlo con ἐμποιοῦσα: ‘nella memoria"), non soddi-

sfa del tutto, perché il ‘ricordo’ implica piuttosto permanenza o recupero che ‘introduzione di nuova scienza’. μνήμην si può

giustificare, al di là delle apparenze, per la naturale osmosi che c'è qui fra i concetti di ‘scienza’ e ‘memoria’ [accanto a Phlb. 34b10 sgg. (eitato da Rettig), si ricordi la significativa variatio di 33e3 ἔστι yàp λήθη uv ung ἔξοδος (citato da Sykutris). In alternativa

uvnun(g),

ritocco economico

dinanzi a

σῴζει, spiegherebbe forse meglio la diffrazione. W.J. VERDENIUS, Epexegesis in Plato, Mnemosyne s. IV, 33 (1980), 351352 difende μνήμην che costruisce perö, molto forzatamente,

come epesegetico del seguente ἐπιστήμην. 465 (20848) θνητον et pap. cum B’d T PW Stob., ὀνητὸν BD. Scambio 0/0. — (20828) ὄυ tà pap. (sic), οὐ τῶ B^ T PW Stob., οὕτω BP),

D.

I segni diacritici in pap. (di mano non precisabile)

mirano a evitare il fraintendimento attestato appunto da BD. 466 (208a8-b1)

το avtov pap. cum BD, Schanz, ταὐτὸν

Badham, Schöne (Hug), τὸ αὐτὸ T PW Stob., edd. cett. Pap. ha to αὐτο (con i codici) a 440 (20745), tavtov (con 1 codici) a 458 (20824), 588 (210b2); ταὐτόν è presente nell'edizione Burnet (indifferentemente dinanzi a vocale o consonante, e con

valore sostantivato o aggettivale) oltre 400 volte, τὸ αὐτό 80 volte. Sembrerebbe metodico accettare qui, dinanzi a vocale tra l'altro, τὸ αὐτόν

(mai in Burnet) o ταὐτόν (ταὐτόν anche

nel passo parallelo Lg. 721c5, dinanzi a cui va probabilmente integrato οὐ). Cfr. Schanz, Novae commentationes, 1-2; Platonis opera, XII.1, pp. VI-VII, che, sulla base anche di dati imprecisi (207d5 non è ricordato) vorrebbe ristabilire ovunque ταὐτόν. 468 (208b1-2)

Anche pap. ha καὶ παλαιούμενον, omesso

da Stobeo (ed espunto da Jahn). 468-469 (208b2)

Ev|evxataX e' wei pap. (suppl. m’), éyxo-

ταλείπειν codd., καταλείπειν Stob., ἐγκαταλιπεῖν Stephanus, L'aoristo & manifestamente inferiore nel contesto (cfr. anche Lg. 721c5). Per la dittografia, cfr. supra a 142.

— 419—

PLATO

76

471 (208b4) Pap. conferma la necessaria correzione μετέχει,

già dello Stephanus, per μετέχειν dei codici (per salvare il quale Vögelin, aveva proposto, poco oltre, δυνατόν, ἀδύνατον; vd.

infra). 472-473 (20854)

Il tràdito ἀθάνατον δὲ ἄλλῃ, confermato

anche da pap., è oggi accettato dalla maggior parte degli editori e critici (vd. p. es. Ritter, Bericht, 53, P. FRIEDLÄNDER, Platon, III, Berlin, de Gruyter 1975), 434 n. 34; R. HACKFORTH,

Immortality ini Plato’s «Symposium», CR, 64 (1950), 43-45: 43, e Plato’s Phaedo, 21 n. 3; Van Camp

- Canart, Le sens du mot

θεῖος chez Platon, cit. (supra a 376),.80 n. 2]. La frase dà senso soddisfacente, riprendendo, sia pure in modo superfluo e in termini più vaghi, un elemento del periodo subito precedente (208a8-b2, cfr. ὥσπερ τὸ θεῖον). Tuttavia, anche se non può dirsi necessaria, mantiene una notevole attrattiva la congettura

ἀδύνατον δὲ ἄλλῃ di Creuzer, in precedenza generalmente accettata (anche da Schanz e Burnet"), mantenuta poi solo da Bury, Lamb, Galli, ma difesa, fra gli altri, da Maas, Textkritib, 23 («evident»), L. DUEBNER,

Zu Platos Symposion

207 f.,

Philologus 94 (1941), 231 sg., Bickel, Geschichte, 148, G. MÜLLER, Studien zu den platonischen Nomoi, München, Beck 1968^ («Zetemata», 3), 172; essa stabilisce una precisa spondenza con 207d2-3 (κατὰ τὸ δυνατόν... δύναται δὲ μόνον), ossia tra inizio e fine dell'intera dimostrazione,

(1951) corriταύτῃ e sem-

bra presupposta dalla ripresa aristotelica nel De anima (415226 sgg. μετέχωσιν n δύνανται ... κοινωνεῖν ἀδυνατεῖ... συνεχείᾳ... κοινωνεῖτα 01m ; e cfr. anche Sph. 251d7-8 ἀδύνατον μεταλαμβάνειν... . οὕτως, 253e1-2 f| τε κοινωνεῖν ... δύνα-

ται καὶ ὅπῃ μή, R. 466d1- 2, e d8). Un errore cosi facile e nel

contempo insidioso non sarebbe inverosimile che risalisse alle primissime fasi della tradizione, oppure che si fosse, secondo l’ipotesi di Bickel, «auf dem Wege der Überlieferungsmischung [...] allgemein durchgesetzt» (cfr. anche Carlini, CPF I.1*, p. XVIII sg.).

Col. XI (1 = 473) 473 (208b5) Nell'ed.pr., a fine rigo εἰ è incluso per errore nella parentesi quadra, mentre si legge in realtà perfettamente. 474 (208b5) Lo stato lacunoso non permette di dire se pap. leggesse πᾶν come i codici, o ἅπαν con Stobeo.

— 420—

POXY

843

SMP.

475 (208b6) A inizio rigo anche al è, almeno attualmente, del tutto perduto (a@[avaciac ed.pr.). 475-476 (208b6) Benché il testo sia quasi interamente perduto, è chiaro che pap. non aveva la notevole espansione di Stobeo, in cui al posto di χάριν si legge ἅμα καὶ εὐδαιμονίας εἰς τὸν dei χρόνον

476 (208b6)

(cfr. 205d2, 207a1-4, 208c6).

«π[ο]υ[δη ed.pr. a inizio rigo; ma né tracce né

spazio corrispondono bene; forse piuttosto [ςπο]υ[δ]η [, a meno

che la lezione non fosse diversa. Nella lacuna che segue, ugualmente possibili καιίγω (ed.pr., cfr. 105, 134), o καὶ e]yw (cfr.

u

p. es. 100, 257, 267, ecc.).

478 (208b8-9) eıno]v elıev ed.pr., con € in corpo minore, come fosse corretto da altra lettera; ma deve trattarsi di un er-

rore tipografico (solo tracce minime della lettera in pap.). In base allo spazio si puó affermare che qui anche pap., a differenza che a 202c3 (cfr. supra a 135), aveva la ridondanza einov δ᾽ ἐγώ, che insospettiva Wilamowitz (Platon, II, 341). 481 (208c2) [eo]n et pap. cum BD T, om. W. — (208c2) In base allo spazio pap., come BD, doveva avere [ene κ]αι, lezione fatta propria da Schanz, Bury, Schöne (Hug) (e cfr. Wilamowitz 1909, 458), contro ἐπεί ye καὶ di T PW Tv

adottato dagli altri editori. Ma si puó anche pensare a coincidenza in errore di pap. e BD. Questo uso di ye & in ogni caso

bene attestato; cfr. Denniston, 142 sg. Cfr. anche infra a 840. 482 niecerat 483 1 codici.

(208c3) εθελεῖς et pap. cum BD T W, ἐθέλοις P, coStephanus. (208c3) Pap. aveva probabilmente θαυμαίζοις], come Non trova quindi supporto la congettura Bavpatoyi)

σ᾽ di Wilamowitz

(Platon, II, 360), e anche θαυμάζοιμ᾽ è im-

probabile in base allo spazio. 484 (208c4) περι anche pap., a conferma della tradizione medievale, contro l'espunzione di Ast, recepita da Schanz, Bury,

Lamb

(cfr. Wilamowitz,

Platon,

Il, 360; «fort. recte»

Sykutris). La costruzione & peraltro controversa e anomala, sia che si intenda θαυμάζοις ἂν τῆς ἀλογίας πέρι (con Β΄ Vind.

Phil. Gr. 21, Hermann e altri; cfr. 77. 80c1-2), sia che 51 legga cfr. E. Med. 925). Un’ulteriore possibilità è che περὶ à sia retto

da εἴρηκα ‘se non consideri le cose di cui ho parlato’ (cfr. Ast,

Lexicon Platonicum, III, 83); infine Burnet 1921, 5 proponeva

— 421—

PLATO

76

di intendere ἀλογίας περὶ & κτλ. «Tor their [sc. degli uomini]

unaccountable conduct zn the respects I have mentioned above,’ viz. at 207b». Dover stranamente spiega «τῆς ἀλογίας sc. τῆς

σῆς» (come Wilamowitz, che però corr eggeva il testo; cfr. supra a 483); ἀλογία deve essere invece |’ ‘insensatezza’ dell'ambizione umana, di cui Socrate ‘si stupirebbe’. 487 (208c6)

εἰς pap. cum T PW, ἐς BD, Burnet.

La forma

ἐς è accolta una trentina di volte nell'edizione di Burnet, sulla

fede dei codici; quattro o cinque volte in citazioni poetiche, come qui (senza necessità metrica). 490 (208c7) Pap. ha ravtac con BD, πάντες invece T (cfr. Robin; Boter, The Vindobonensis, 155 n. 64; Brockmann, Uber-

lieferung, 152, 248) PW e la vulgata. La seconda lezione potrebbe trovare sostegno

in 20728, bí; ma

la prima

in 207b6;

entrambe in 208d8-9. L’oggetto è normalmente qualificato da un aggettivo nella figura etymologiae; cr. Lg. 814b3-4 πάντας κινδύνους κινδυνεύειν (e anche qui 42 πόνους πονεῖν οὗστινασοῦν). 490 (208c7-d1)

ετι μαλλοί[ν] et pap. cum BD

PW, μᾶλλον

T (revera).

495-496 (208d3-4) W

ἂν — προαποθανεῖν habet et pap., om.

(homoeoteleuton). 498 (208d5) βαλειας di pap., in luogo di βασιλείας, è certo

errore involontario (sfuggito al correttore), ma dovuto forse all’influsso di un uso abbreviativo attestato, e anche fuori dell’ambito cristiano; si veda Maltomini 1990; il caso è ricordato anche da Wilamowitz, Platon, TI, 332 n. 1. Cfr. anche infra a 1071.

507 (208e2) κατα ta couata pap., a conferma della lezione di alcuni apografi (Par. Gr. 1812, Prag. Lobc. VI Fa 1 (unde Vat. Gr. 1029, Ambr. D 56 sup.)], accolta a testo (oltre che da

quelli recenti) già da qualche editore ottocentesco (fra cui Schanz); mentre Burnet', Lamb davano la preferenza a κατὰ σώματα dei testimoni primari (BD T PW) e della vulgata. Cfr. Ritter, Bericht, 50; Carlini, Studi, 72 n. 105. 512 (208e5) xpolvov et pap. cum BD PW, xpóvov Tac. 516 (20932) mp[oc]nv pap.ac, rplochnkı (sic) corr. m°(?), προσήκει codd. La lezione ante correctionem, non segnalata

nell'ed.pr., potrebbe essere dovuta ad aplografia dinanzi al seguente Koi.

— 422—

POXY

517 (209a2)

843

SMP.

xuncaı τε kat texew pap.pc (conca ττ[α]ε è

corretto da κυηςεται, forse a opera della seconda mano), confermando la congettura di Hug [affacciata già da W. TEUFFEL,

Zu Platon’s Symposion, RhM n.s. 29 (1874), 133-148: 147] κυῆσαι καὶ τεκεῖν (τίκτειν già Jahn), accettata da tutti gli. editori, con l'eccezione di Burnet! che si atteneva al tràdito κυῆσαι

καὶ κυεῖν (xvew B T), lezione ancora difesa da E. MAASS, Thalamos und Gamos, RhM

n.s. 77 (1928), 11 (con κύειν: «schwan-

ger zu werden und schwanger zu machen») e da J.S. MORRI-

SON, Four Notes on Plato’s Symposium,

CQ n.s. 14 (1964),

42-55: 53 («to conceive and to create»). Cfr. Jachmann, Der Platontext, 232 n. 1; Carlini, Studi, 72 n. 105. Il τε in più di

pap., presupposto, come pare, anche dalla lezione ante correctionem (cfr. 747, 880, 1160 ecc.), è incompatibile con il doppio καί. Col. XII (1 = 521) 523-524 (209a6-7) Pap. ha n περι tac tov) | xoAgov te καὶ oıxncewv [öltakocunlcıc, vale a dire il medesimo testo corrotto di BD T PW (vulgata); due le soluzioni esperite: 1) f] περὶ τὰς

. διακοσμήσεις: Vind. Phil. Gr. 21 [unde Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326); cfr. Brockmann, Überlieferung, 81], Par. Gr. 1812pc,

Schanz e quasi tutti gli editori; 2) ἢ περὶ τὰ. . διακόσμησις Sommer, Burnet. La prıma appare superiore: cfr. R. 44923 περί πόλεων διοικήσεις, Chrm. 17243-4 ἣ σωφροσύνη... . ἡγουμένη διοικήσεως καὶ οἰκίας καὶ πόλεως, Ep. VII 344b7 φρόνησις περὶ ἕκαστον

(mentre

di διακόσμησις περΐ τι non si trovano

altri esempi). L’errore -oıg per -σεῖς (propiziato anche dal seguente h) può facilmente essere poligenetico, anche se la coincidenza & piuttosto impressionante. 526 (209b1)

av pap. cum BD, Schanz, Bury, Schöne (Hug),

Lamb Sykutris, Galli, δ᾽ αὖ T PW vulgata, Burnet, Robin. L'asindeto, a parte la forza dell' attestazione, è difficilior, e sì spiega bene perché qui il discorso riparte da dove si era interrotto a 208e6 οἱ δὲ κατὰ τὴν ψυχήν, prima del lungo inciso

sulla gravidanza spirituale. 527 (209b2) Malgrado un piccolo dubbio (fra 0 ed e c'è un buco nel papiro, probabilmente preesistente alla copia e saltato dallo scriba), pap. conferma θεῖος dv dei codici, contro i sospetti dei critici [Jahn espungeva; Parmentier (Une correction au texte de «Banquet» de Platon (209B), RPh n.s. 24

— 423 —

PLATO

76

(1900), 198-200, seguito da Burnet e Dover, congetturava ἤθεος ὦν; Heusde mutava τὴν ψυχὴν che precede i in τὴν φύσιν oppure τὴν ψυχήν, τὴν φύσιν]. L’espressione tràdita era parsa in contraddizione specialmente con 206c1-6 (dove anche la fertilità fisica è detta ‘divina’; vd. Dover, 153, ma si ricordi Thr. 151b2 ot àv μοι μὴ δόξωσί πὼς ἐγκύμονες εἶναι: sulla contraddizione si soffermava anche l'anonimo del Commento al

Teeteto; vd. supra a 363-364, e cfr. D. SEDLEY, Plato’s Auctoritas and the Rebirth of the Commentary Tradition, in Philosophia togata II: Plato and Aristotle at Rome, ed. by J. Barnes ma sens che

and M. Griffin, Oxford, Clarendon 1997, 110-129: 128 sg.), può essere comunque difesa [cfr. Van Camp - Canart, Le du mot θεῖος chez Platon, cit. (supra a 376), 82-83], an(forse meglio) intendendola con accezione neutra (‘avendo

doti spirituali eccezionali’; cfr. ibid., 82 n. 2), senza riferimento a 206c; il migliore parallelo (cfr. ibid., 404-406) & Ep. VII 340c2-3 ἐὰν μὲν ὄντως ἡ φιλόσοφος οἰκεῖός τε καὶ ἄξιος τοῦ

πράγματος θεῖος dv [l'accostamento anche in L. BIELER, OEIOZ

ANHP. Das Bild des “gottlichen Menschen" Frühchristentum, Wien, Höfels

in Spátantike und

1936^ (rist. Darmstadt, Wis-

senschaftliche Buchgesellschaft 1967), I, 16 n. 16]. Il congetturale ἤθεος Qv, coordinato, mediante

καί, con fixobong τῆς

ἡλικίας (leggendo a b3 ἐπιθυμεῖ, vd. infra) dovrebbe intendersi, con qualche

forzatura,

«with

positive

connotations»

(«when he ıs an “eligible bachelor”» Dover). Sykutris, che segna le cruces, ipotizzava invece una lacuna: p. es. θεῖος dv xoi (γενναῖος) ἡκούσης ... ἐπιθυμεῖ.

529 (20903) Pap. ha επιθυμη, la lezione congetturata da Stephanus, seguito da Schanz e dalla maggior parte degli editori, per ἐπιθυμεῖ dei codici, mantenuto da Burnet', Sykutris (cfr. supra a 527), Dover. Il congiuntivo (coordinato con fi) dä

una migliore spiegazione sia del kai precedente del δή seguente (in apodosi; cfr. Denniston, 224 tura sarebbe cosi parallela a quella di 206c1-4. edizione, Burnet legge ἐπιθυμῇ, dimenticando

(cfr. supra) che sgg.). La strutNella seconda però, quanto

meno, di correggere la punteggiatura (καί non può più con-

nettere le due participiali). 530 (209b3) δη et pap. cum BD T D, δὲ W. — περιΐων et pap. cum T PW (περιιὼν), περὶ ὧν BD.

A

parere di Wilamowitz (Platon, II, 339), la lezione di B costi-

— 424 —

POXY

843

SMP.

tuirebbe un isolato indizio dell'originaria forma attica περιών. 534 (209b6) Pap. ha su κυῶν l'accento circonflesso del correttore; a parte il possibile equivoco col sostantivo κύων, sulla morfologia (e quindi l'accentuazione) del verbo (xóo/kvéo) 1 codici sono spesso

in dubbio

(qui kvav Bac, κύων Bpc); vd.

Schanz, Platonis opera, V.1, p. VI. 539 (209c1)

περι οι[ον χρη] eıvaı ha pap. con BDTPWe

per lo più gli editori recenti (περὶ τοῦ οἷον χρὴ εἶναι Par. Coisl. 155pc); περὶ era espunto, secondo la proposta dello Stephanus, da Schanz (vd. Platonis opera, V.1, p. IX: «foeda repetitione»), Burnet', Bury. Ma anche questa costruzione ‘irregolare’ è stata

riabilitata dagli editori dopo la conferma del papiro; vd. Brockmann, Überlieferung, 160 e n. 15. Né convincono le i interpretazioni forzate proposte da Bury, Robin, Dover; il senso più probabile, malgrado l’anomalia sintattica, è quello più naturale (cfr. la seconda spiegazione di Dover): «discorsi sulla virtù e su come deve essere l’uomo buono»; cfr. anche 210c1-3. 543-544 (209c4) Le lettere finali di questi righi (e parte del segno riempitivo di 546) sono conservate nel frammentino (u), non collocato nell’ed.pr. (cfr. supra, p. 378). 544 (209c4)

παρ[οντΊων kat ἀπὼν pap. (corr. m.?), παρὼν

καὶ ἀπὼν BD PW, ἀπὼν καὶ παρὼν T vulgata. Cfr. infra a 669. L’ordo verborum della vulgata era rivelato erroneo giä dal seguente μεμνημένος (cfr. Bury ad loc., e la traduzione di Do-

ver: «in his presence and remembering him 1n absence»). 547 (209c6) L’espressione τῆς (sc. κοινωνίας) τῶν παίδων, confermata da pap., era stata sospettata, integrata, crocifissa (Schanz), espunta [Bury ad loc.; Wilamowitz, Platon, II, 360 sg.; Reinhard,

Die Anakoluthe,

Plato Symp. 209c,

Hermes

166; da ultimo M.

KOFFKA,

59 (1924), 478 propone τῆς τῶν

γάμων, paleograficamente vicino, e con un parallelo a Lg. 72124]. La difendono Burnet (1921), 5, e Friedländer, Platon, III, cit. (supra a 472-473), 435 n. 35 (che cita Lg. 772d7).

549 (209c7) καλλίων ὧν B.

καλλειοίνων pap. καλλιόνων B/D T PW, Per la grafia di pap., vd. supra, p. 381.

551 (209c8)

In κεκοινωνήκοτες l’e della desinenza è cor-

retto a quanto pare inter scribendum da a; il copista stava scrivendo ov per influsso delle parole precedenti? 554 (209d2) Rispetto ai manoscritti medievali (incluso P: da correggere Vicaire), che hanno (xai eig Ὅμηρον ...) καὶ —

425—

PLATO

76

Ἡσίοδον, pap. ripete la preposizione: καὶ εἰς netodo(v). L'omissione sarebbe stata molto facile anche per ragioni grafico-

foniche e la lezione più ampia va probabilmente posta a testo, con Bury e Galli. Dello stesso parere Ritter, Bericht, 50, e Maas, Textkritik, 24, che però attribuisce alla innocua variante

forse troppo peso; non pare infatti si debba mettere (con Rückert) Omero ed Esiodo su un piano diverso rispetto a τοὺς ἄλλους ποιητάς (segnando virgola dopo Ἡσίοδον); preferibile l’interpretazione di Bury e Robin (tutti gli accusativi retti da

εἰς, con eventuale virgola prima di ζηλῶν). 555-556 (209d3) Pap. conferma in pieno il testo dei codici, contro varie discrepanze della tradizione indiretta: τοὺς ἀγαθοὺς ποιητάς Procl., ὅσα Procl., ἑαυτῶν om. Procl., xataλελοίπασιν (ante ἔκγονα) Method. 560 (209d6) Pap. (con b Vat Gr. 225) ha κατελίπεῖτο, le-

zione già adottata da gran parte degli editori; κατελείπετο T PW vulgata, κατέλιπεν 10 B(?), κατέλιπε τὸ D (κατέλιπεν τοῖς

Vind. Phil. Gr. 21, κατέλιπεν αὐτοῦ Rettig). 563 (209d8)

Se, come pare, pap. ha πα[ρ] ἡμῖν, si tratta di

una banale coincidenza in errore con BD, contro il giusto παρ᾽ ὑμῖν di T PW.

564 (209d8) Pap. aggiunge, rispetto ai codici, l'articolo dinanzi al nome Σόλων. Solo Schöne e Ritter, Bericht, 50 gli prestano fede; ma la contrapposizione con Λυκοῦργος, senza articolo (d6), non sarebbe priva di ragione (‘quel vostro famoso Solone’; cfr. Kühner - Gerth, II.1, 598 sg.). Peraltro, su una

trentina di ricorrenze nel corpus platonico, il nome di Solone è accompagnato dall’articolo solo 4 volte. 566 (209e1-2)

Rispetto a καὶ ἐν Ἕλλησι kai ἐν βαρβάροις

dei codici, pap. omette il primo év (Clemente Alessandrino il secondo). Probabilmente banale aplografia (ENEAA); cfr. Ritter, Bericht, 46. Nella tradizione di Clemente sono omessi anche ἄλλοι e ἄνδρες. 567-568 (209e2) In luogo di πολλὰ καὶ καλὰ ἀποφηνάμενοι ἔργα, γεννήσαντες,

pap.

ha πολλα

και αλλα

... | ... καὶ

yevvncavtec. Benché adottata da Schöne, la lezione di pap. è certamente inferiore (cfr. anche Mx. 23937, citato da Bury; così giudica anche Brockmann, Überlieferung, 255 n. 18). Ma l'aggiunta di kai è chiaramente coerente con la variante ἄλλα (forse nata per caso; cfr. p. es. R. 327c2-3, 330d4); in Platone

— 426—

POXY

843

SMP.

si incontra πολλὰ μὲν xai ἄλλα... δέ

. e sim. (Prm.

133b4,

Smp. 22102, Eube 303c5-7, Grg. 463b2, R. 595a1-3), e πολλά .. (Pit. 268e9, Lg. 959d7); non però πολλὰ xoi te GÀ Aa .. ἄλλα ... κα

Col. XIII (1 = 568)

571 (209e4)

av@porieove pap.ac, come pare (per interfe-

renza di &vÜpánetoc? — 80 40 H I 12); ανθρωπινοῦυςè ottenuto per correzione (della seconda mano?).

575-578 (210a2-4) L'insidioso errore presente nel papiro, epnv εγὼ in luogo di ἔφη, ἐγὼ (non compare nell'apparato di Burnet), implica l’attribuzione a Socrate di una battuta. Quanto all'interpunzione, va precisato, rispetto all’ed.pr., che: 1) il segno dopo em. (575) appare piuttosto un doppio punto che un punto in alto; 2) fra απολειψῶ e πειρῶ (577) c'è nel papiro un

piccolo guasto in cui, come dimostra lo spazio (e conferma la presenza della paragraphos), è andato perduto un segno di interpunzione, probabilmente un doppio punto. Dopo otoc te nc (578) c’è infine un altro doppio punto accompagnato da diple obelismene fra i righi. Il dato è quindi ambiguo, ma attesta, quanto meno, una sistemazione in cui non erano (ancora) state messe in bocca a Socrate le parole πειρῶ δὲ καὶ σὺ Eneσθαι, ἂν οἷός te ἧς, che in nessun modo potrebbero adattarsi

a lui (cfr. anche infra a 577). Per doppi punti in corrispondenza di un ἔφη, pur senza cambio di personaggio (a4, 578),

cfr. supra, p. 380. 577 (21024)

La lezione più ampia di pap. reıpw de καὶ cv

é giustamente messa a testo da Bury, Schóne, Lamb, Vicaire, e approvata da Maas, Textkritik, 24, Slings, rec. cit. (supra a 112), 415. Ma Burnet (Dover) e Robin si attengono a πειρῶ δὲ dei codici. Utile il confronto con Men. 7723-6 (vd. tutto il contesto) ἀλλ᾽ ἴθι δὴ πειρῶ καὶ σὺ ...; cfr. anche La. 192b5

πειρῶ δὴ καὶ σύ. L’interpolazione sarebbe fra l'altro ancora più improbabile in una tradizione, quella del papiro, che come pare divideva il periodo fra i due interlocutori (vd. supra a 575-578); viceversa è possibile che proprio l’omissione dei co-

dici risalga a un altro momento della storia del testo caratterizzato di nuovo dall'errore ἔφην ἐγώ. 582 (21027) Pap. riporta definitivamente in auge, presso gli editori recenti, αὐτὸν di T PW vulgata, contro αὐτῶν di

BD, che, benché problematico (tanto da provocare varie con-

— 427—

PLATO

getture), Schanz (Platon, 11, 361), correggere in αὖ pap. (584), e che

76

e Burnet' accoglievano a testo. Wilamowitz come già suggerito da Bury, voleva invece ’adröv successivo (a9), pure confermato da Burnet 1921, 5 spiegava: «for himself’, ‘of

his own accord’, as contrasted with ἐὰν è ὀρθῶς ἡγῆται o ἡγούμενος».

583 (21048) Sopra il € di evravßo un altro trattino obliquo, a quanto pare casuale, analogo a quelli segnalati da Grenfell

e Hunt nella nota a 592 (592: sopra il σ di χαλαίςαι, 597:

dopo

il v di av). Altri forse a 645 sopra τ di μετ αὐτοῦ (21152:

μεθ᾽ αὑτοῦ codd.), a 652 sopra o di απο (21155).

584 (210a8)

noAAovc pap.ac ut vid., kakouc

corr. m'(?).

L'errore dello scriba sembra anticipare 210d5 (617) πολλοὺς καὶ καλοὺς λόγους.

584 (21049)

Pap. conferma il pur non necessario δέ dopo

ἔπειτα (in correlazione con μέν), che Jahn e Usener volevano

espungere. Temistio ha kai (ma la sua citazione è piuttosto libera). 585-586 (210a9-b1) to eri... τῷ enı etepo è il testo esatto, conservato da pap., con Temistio (ἐφ᾽ entrambe le volte), e co-

munque già stabilito per combinatio. I codici primari commettono errori diversi: τὸ ... τὸ hanno BD, τῷ ... τῷ W, mentre il secondo ἐπὶ è omesso da T e anche da P (cfr. Brockmann,

Uberlieferung, 154). L’apparato di Burnet è impreciso. 587 (210b2) Malgrado la conferma di pap. (di cui non fa cenno), O. LONGO, Coniectanea, Maia 9 (1957), 282-290: 284287 ritiene ἐπ᾿ εἴδει corruzione (influenzata dal vicino ei δεῖ)

di un originario ἐπὶ Evi, contrapposto al seguente ἐπὶ πᾶσιν τοῖς σώμασι. 590 (210b3) tovto et pap. cum BD PW, τούτῳ T. 596-598 (210b8) Pap., confermando nella sostanza la tra-

dizione medievale, ha ὥςτε καὶ | eav [cum B, ὥστε καὶ ἂν T,

P (ἀν), W vulgata, ὥστε ἐὰν Vind. Phil. Gr. 21] e subito dopo καὶ | eav cuucpov (cum BD T P, xai ἂν σμικρὸν

W Vind. Phil.

Gr. 21). La correzione (o meglio ‘ interpretazione": cfr. supra a 270) di Hermann comunemente adottata κἂν σμικρὸν (Kai σμικρὸν Ast, Schanz, vd. Platonis opera, V.1, p. IX), recupera

una formula ben attestata (‘anche piccolo’, ‘sia pur piccolo’; cfr. Dover ad loc, Kühner - Gerth, II.1, 245, e p. es. 18722, La. 17325), ma non salva la logica (non ha senso infatti; 'an-

che se ... abbia una sia pur piccola bellezza"); e anche staccando

— 428—

POXY

843

SMP.

artificialmente καί dal suo ἐάν (ὥστε καί ? cfr. Denniston, 299; si noti che il dotto Vind. Phil. Gr. 21 omette il καί) si ottiene

comunque un senso, non impossibile (cfr. 209b5-6), ma certo improbabile [‘cosicché, qualora uno, bello spiritualmente, ab-

bia (in positivo) una sia pur piccola bellezza fisica ...’ (utile il confronto con R. 402d1-4,

citato da Rettig)]. Sembra quindi

necessario espungere uno dei due καὶ ἐάν, preferibilmente, con Robin (cfr. p. CXIX n. 3), ıl secondo [la participiale interposta (per cui cfr. Plt. 301b5 κἄν τις ἄρα ἐπιστήμων ὄντως dv εἷς

ἄρχῃ), oltre che la presenza di σμικρόν (cfr. supra) spiegherebbero bene l'interpolazione], ammettendo però con ciò un’altra corruttela assai antica comune a pap. e codici. Non va escluso che la sorta di apostrofo (o diastole; cfr. Turner, GMAW',

11) segnato in pap. dopo eav, anziché essere accidentale (cfr. supra a 583), sia traccia di un tentativo di intendere il difettoso testo, ipotizzando una sintassi del tipo p. es. di Ly. 221c2 (in ogni caso, però, la ripetizione di &v non si dà con il congiuntivo; cfr. Kühner

- Gerth, II.1, 248).

599 (210c1) avtofvi pap.: corr. m’(?) 600 (210c2) καὶ ζητεῖν occupa una posizione strana e sembra guastare la costruzione; era stato espunto come «ineptum glossema» da Ast, seguito ancora da Bury, Dover, Vicaire, e Ritter, Bericht, 53 (Burnet', con Badham e Schanz, espungeva il solo καὶ, facendo dipendere τίκτειν da ζητεῖν). Il testo trà-

dito tuttavia, puntualmente confermato da pap., può essere conservato

[così Schöne

(Hug), Burnet?, Lamb, Robin e du-

bitativamente Sykutris], a patto di costruire ugualmente (malgrado p. es. Men. 9648, Clit. 407c5) τοιούτους ... οἵτινες (vd. Dover ad loc.; e cfr. in particolare Mx. 236e3-4 dei δὴ τοιούτου τινὸς λόγου ὅστις ... ἐπαινέσεται). A parte il pendant ἐρᾶν-κήδεσθαι / tixterv-Gnteîv (cfr. Hug - Schöne ad loc.), per ζητεῖν

come sorta di sinonimo esplicativo rispetto a τίκτειν cfr., in contesto analogo, Tht. 150d8 εὑρόντες te Kal τεκόντες. 601 (210c2) oitwvec et pap. cum BD T P, ei τινες W. 602 (21003) avayxo'c'Ün pap.: suppl. m'(?). 606 (21005)

πίερ]ι ed.pr.: più probabilmente si legga zlelplıl.

609 (210c7)

Pap. ha iva eıön, in luogo di ἵνα ἴδῃ di D T

PW (ἵν᾽ dini B, ἵνα 816p prop. Bury), uno scambio molto

facile per ragioni sia fonico-grafiche che concettuali (cfr. su-

pra a 297, infra a 674); ἴδῃ è però certamente da preferire a

— 429 —

PLATO

76

εἰδῇ (cfr. c3 θεάσασθαι, c4 ἰδεῖν, di βλέπων, d7 κατίδῃ, e3 θεώμενος, e4 κατόψεται, 211b7 καθορᾶν, ecc.).

611 (2101) Dopo la conferma di pap., gli editori accettano per lo più il trädito τὸ παρ᾽ ἑνὶ, con costruzione poco chiara. Lasciando da parte i vari sospetti di interpolazioni, avanzati in passato da molti critici [fra gli altri, Wilamowitz, Platon, 11, 361, e più di recente M.D. REEVE, Eleven Notes, CR n.s. 21 (1971), 324-329: 326], merita invece ancora attenzione l'economico ritocco τῷ παρ᾽ ἑνὶ (retto da δουλεύων), ac-

colto da Schanz, Burnet!, Bury, Lamb, e attribuito a Schleiermacher, ma già reperibile ini Psl (inesatto Vicaire); cfr. anche Burnet 1921, 5: «I am inclined to regret that I lacked courage to retain Schleiermacher's τῷ παρ᾽ ἑνί». L'errore comune a pap. e codici medievali potrebbe, in tale ipotesi, facilmente ritenersi poligenetico. 614 (210d3) τινος pap.ac cum Prag. Lobc. VI Fa 1 (unde Vat. Gr. 1029, Ambr. D 56 sup.ac), [t]evoc corr. m’(?) («perhaps

by the first hand» Grenfell e Hunt). Col. XIV (1 = 616) 618 (210d6) Al posto di τίκτει di BD T PW, gli editori adottano necessariamente la correzione τίκτῃ, già in Par. Coisl. 155pc, Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326)s1. E impossibile dire quale

lezione avesse pap., qui gravemente lacunoso (ti]k[1 ?); sono quindi inesatti gli apparati di Robin e di Vicaire. 622-623 (210e1-2)

Il nuovo appello di Diotima all’ascol-

tatore πειρῶ - μάλιστα è delimitato in pap. dalla punteggiatura: due paragraphoi e probabilmente stigme (in lacuna) a 623 [la prima stigme è tralasciata, come altre volte (cfr. supra, p 380), in corrispondenza della fine del rigo (621)]. Desiderio di marcare un raccordo 'strutturale', o confusione sulla divisione

delle battute, causata dalla ripresa di ἔφη (cfr. supra a 575578)? 631 (210e6-211a1) La paragraphos è a quanto pare segnata per errore un rigo più in basso del dovuto (pausa prima di πρῶτον μὲν KTÀ.). 631-632 (21141-2)

[yıyvolluevoc pap.ac, -μενον corr. m Ὄ)

Non sembra di poter confermare che la stessa correzione sıa stata apportata al seguente

[av]/Savonevov

(cosi dubitativa-

mente l’ed.pr.); almeno lo spazio fra le lettere & quello normale per v.

— 430—

POXY

634 (211a2)

843

SMP.

L'ed.pr. riporta tn μεν kalAJov τη [δ aıcxpov,

in pieno accordo con 1 codici. Ma il secondo τ (sottopuntato)

sembra incompatibile con le tracce. Possibile forse ni [. Inoltre il t a inizio rigo è attraversato da un tratto obliquo (non menzionato nell’ed.pr.), forse una correzione intesa a stabilire

una corrispondenza N μὲν ... 635

(211a3)

— (21123) πρὸς).

dé (peraltro impossibile).

τοδε de pap., τότε δὲ codd. (τοτὲ δὲ edd.). ov 'ovó[se] πρίος pap.: suppl. m^ (οὔ, οὐδὲ

636-637 (21144-5)

Alla fine di entrambi questi due righi

l'ed.pr. trascrıve una lettera [636 x]a]Aov, 637 o(v)] che, al-

meno attualmente, risulta perduta. 637 (211a4) ενθαδε de pap., ἔνθα δὲ codd. recte. Cfr. 182d5, dove i testi primari hanno l’aplografia opposta (ἐνθάδε δὲ Vind. Phil. Gr. 21, edd.; cfr. Brockmann, Überlieferung, 81). 637-638 (211a4-5) Pap. puntualmente conferma il testo dei codici contro le espunzioni in precedenza correnti presso gli editori [οὐδ᾽ ἔνθα ... τισὶ δὲ αἰσχρόν secl. Badham, ὡς τισὶ ...

αἰσχρόν om. Vat. Gr. 225 (homoeotel.), secl. Voegelin, Schanz,

Burnet', Bury; cfr. Jachmann, Der Platontext, 304, 306 sg.]. 639 (211a6) Pap. avalla la scelta degli editori moderni a favore di αὐτῷ τὸ καλὸν di BD T (Aldina), contro αὐτὸ τὸ καλὸν (indebita anticipazione di b2) di PW, stabilitosi nella vulgata (Stephanus). 640-641 (211a7) La (probabile) lezione di pap. ov|8e ev, in

luogo di οὐδὲν ὧν dei codici, non dà senso. La discrepanza

deve però attirare l'attenzione sul fatto che anche οὐδὲν ὧν σῶμα μετέχει è difficile, non potendo significare (come tutti

traducono) ‘niente di ciò che fa parte di un corpo’ (semmai sarebbe l'opposto). Se μετέχει è sano, bisognerebbe forse sottintendere τοῦ καλοῦ ['niente di ciò rispetto a cui un corpo partecipa del bello” (?); eventualmente correggendo: p. es. © σῶμα μετέχει oppure ὧν (£v) σώμαζτι) μετέχει]; se invece è do-

vuto a indebita anticipazione di b3, potrebbe forse coprire περιέχει. 642 (211a8)

, [e]ltep[ov]pap.: corr. m’(?)

644 (211b1)

ἐν to pap., Ev τῳ T W, edd., ἐν τῶι B, D (xà),

ἔν τινι PW". 645 (211b2)

_ μετ αὐτοῦ pap., μεθ᾽ αὑτοῦ codd. recte (del.

— 431—

PLATO

76

Naber). 51 scorge un segno obliquo nell'interlineo sopra il probabile « (cfr. supra a 583). 647 (211b3) Pap. conferma l'ordine τρόπον τινὰ di BD, da sempre messo a testo nelle edizioni platoniche, contro «wa τρόπον di T PW. 648 (211b3) yıyvonevov pap.ac, -uevov corr. m'(?).

rezione non segnalata nell'ed.pr.

Cor-

649 (211b4) Pap. conferma la superiorità di ἐκεῖνο, lezione di BD adottata dagli editori moderni, di contro a ἐκείνῳ (-ὦ)

di T PW vulgata.

649-650 (211b4)

[un]lte πλεον di pap. (scartato da Ritter,

Bericht, 46 sg., come da tutti gli editori), a fronte di μήτε τι πλέον di B T PW (cfr. p. es. Spb. 25845, Smp. 202b3, Lg. 952c1), trova riscontro in Vind. Phil. Gr. 21 e in Par. Gr. 1810 (da cui

Vat. Gr. 229, Par. Gr. 1642), il quale però dipende da D che ha l'errato μήτε τὸ πλέον. 651 (21105) In base allo spazio pap. poteva avere [ön], con

BD, seguiti dagli editori, o a rigore [δε]; non però il δὲ δή di d T PW e della vul gata. 656 (211c1) Tracce di lettere non segnalate nell’ed.pr. verso fine rigo: forse epwrtır[a] ve[vox (epotix[a 1evaı ed.pr.).

660 (211c3)

επαναβαεμοις legge pap. con T e gli editori

recenti, -βαθμοῖς BD PW e la vulgata, Schanz, Burnet', Bury,

Lamb. Stando agli atticisti [Phryn. 295 (p. 91 Fischer), Moer. 97 (p. 90 Pierson - Koch = B 19, p. 88 Hansen), Thom. Mag., p. 8, 4 Ritschl] (ἀνα)βαθμός sarebbe la forma ionica, (ἀνα)βασμός quella attica (cfr. Wilamowitz, Platon, II, 339; Carlini, Studi, 65); ἀναβασμοί ha anche Plotino (VI 7, 36, 8). Anche in un

caso come questo Burnet sembra aver dato peso decisivo alla

testimonianza del papiro.

Col. XV (1 = 663) 665-669 (211c7-9) Per ovviare ai difetti sintattici del testo

tràdito, si era per lo più corretto o il καί (dinanzi ad ἀπό) di c7 [ἔστ᾽ ἂν Vind. Phil. Gr. 21 (ἔστ᾽), vulgata, Robin, iva Sauppe, Schöne, ὡς Schanz, Burnet! (cfr. Wilamowitz, Platon, II, 382), ἕως Hermann, ἕως àv Stallbaum, ecc.] oppure, meno econo-

micamente

[cfr. Slings, rec. cit. (supra a 112), 418], sia te-

λευτήσῃ (£v Wac, unde Vat. Gr. 1029, Ambr. D 56 sup.) di c8 in τελευτῆσαι, sia poi il καί (dinanzi à γνῷ) dı c9 (va Usener, Lamb, Galli, Dover, Vicaire, ἵνα xoi Bury, ecc.). Cfr. —

432—

POXY

843

SMP.

Brockmann, Uberlieferung, 81 sg. Pap. concorda con i codici nel primo (665 καὶ) e nel terzo punto (669 x]ou), e, con ogni probabilità,

anche

nel secondo

(667 teAevtnc[n]); aveva διὰ

esso quindi, quasi certamente, il testo corrotto a noi noto; anche se, a rigore, la congiunzione mancante avrebbe potuto trovarsı più sopra a 660 (c4), in corrispondenza dell'attuale lacuna: p. es. χρώμεν[ον tv(a) ἀπὸ. Si noti che il testo oxoniense

corrente, reso forse frettolosamente ‘compatibile’ con pap., presenta l'impossibile καὶ ... τελευτῆσαι ... καὶ γνῷ [lo notava J. TATE, CR n.s. 6 (1956), 303]. La testimonianza trascurata di Plotino (V 9, 2, 7-9: πάλιν αὖ ἐπαναβαΐνει... ἕως ἐπ᾽ ἔσχατον ἥκῃ τὸ πρῶτον, ὃ παρ᾽ αὐτοῦ καλόν) potrebbe farsi valere

a favore di ἕως (ἂν) ... τελευτήσῃ (cfr. anche 210d7; il congiuntivo senza &v, talora già nei tragici, non si trova peró in Platone). 669 (211c9)

avto τελευτων [xo(v)] pap. [corr. m’(?)], αὐτὸ

τελευτῶν codd. recte. 670 (211c9)

Cfr. supra a 544.

ectıv xaXov pap., ma con un punto sopra il v

di ectıv, che può indicare espunzione; per l'uso del -v mobile nel papiro, cfr. supra, p. 382. 671 (211d1) yavrıvırn pap. cum BD T, μαντικὴ d, W (-κὴ,..), Themist. [XIII 162a (vd. Downey ad I, p. 233, 5)] vulgata. Cfr. supra a 84.

674 (211d3) ποτε iönc pap. ut vid. cum PW, edd., ποτ᾽ εἴδῃς B, note eiöng T (sic). Cfr. supra a 609. — (211d3) Non va trascurata la variante xpvcov di pap.,

in luogo di χρυσίον dei codici, mantenuto da tutti gli editori (e cfr. Ritter, Bericht, 49). Più che la «richesse» (Robin, Vi-

caire) sembra qui in questione la bellezza dell’ ‘oro’ metallo [«gold» Waterfield, cit. (supra a 388)], paradigmatica (cfr. Hp.Ma. 289e2 sgg., Cra. 398a4-5) come quella delle vesti (cfr. Grg. 465b4-5). 675 (211d4) Sopra il x di rordalc, sul limitare di una lacuna, c’è un segno circolare, difficile anche da ricondurre a una lettera; può essere accidentale. 679 (211d6) o[v]toic, a fine rigo,è scritto serrato; 1 si svi-

luppa singolarmente in altezza, ma non sembra aggiunto in un secondo momento, come invece annota l’ed.pr. (grafie simili a 566, 583, 832, 1088, 1094, 1099).

681 (21 1d7-8) μονον θεακαεθαι pap., θεάσασθαι μόνον BD,

— 433—

PLATO

76

θεᾶσθαι μόνον T PW, edd. Alla convergenza fra pap. e BD deve essere riconosciuto un certo peso, anche se lo scambio fra presente e aoristo, in questo infinito, è frequente (cfr. Tht.

162b7 aor. T, R. 402d4 aor. F, 614d3 aor. Aac ut vid., R. 611c1

pres. F), e sı puö invocare la poligenesi. Nel Platone di Burnet figurano 23 θεάσασθαι contro 7 θεᾶσθαι; in identico contesto, βουλόμενος... θεάσασθαι... τὰ παιδικά si legge a Eutha. 274c2-3, dove pure un presente potrebbe sembrare piü naturale. Quanto all’ordo verborum, quello di pap., con l’antici-

pazione di μόνον, appare forse facilior. 682 (21148)

[εἰ το pap.ac ut vid., [ex τ]ω corr. m *(?).

684 (211e1) katapov pap.ac, καθα- corr. m (>). — (211e1) auiktov pap. cum codd., Schanz, Bury, Lamb, Robin, ἄμεικτον Burnet, Schöne, Sykutris. Cfr. supra a 170. 684 (211e2)

ἰαναἸπλεω pap., ἀνάπλεων codd. Plot. recte.

Nella declinazione‘ attica”, una terminazione

eteroclita -@ si

alterna con la più antica -ov, ma nell’accusativo maschile, non nel neutro (cfr. Kühner - Blass, I.1, 404). Doveva esservi an-

che falsa divisione con la parola seguente (in σαρκῶν, l'a appare rifatto, forse dal copista stesso, su o, anche se l'ed.pr. non lo segnala). 689 (211e4) Anche pap. ha ἔφη, omesso da T e P (ma l'omissione in P, qui come a 21222, rientra fra i normali proce-

dimenti del compilatore degli estratti). — (211e4) Il A di yavAov appare barrato orizzontalmente; secondo l'ed.pr. & corretto da altra lettera. Una sorta di punto in alto prima di questa parola & probabilmente accidentale (a meno che non sia in qualche modo dovuto alla presenza di ἔφη: cfr. supra a 575-578). 690-691 (212a1) Pap., in questa zona assai deteriorato, non

fornisce nessuna indicazione rispetto all'alternativa fra à dei di Ast, basato su BD e adottato da quasi tutti gli editori, e δεῖ di T PW (ἀεὶ Rohde, Schanz, δὴ Schleiermacher).

695-697 (21225) Le parole ἀλλὰ (αλλ, pap.) -- ἐφαπτομένῳ, per saut du méme an méme, erano state scritte due volte dal copista; la prima ricorrenza è espunta mediante sopralineatura. Cfr. supra a 142. 699 (21236) La lezione medievale tràdita è θεοφιλῆ [BD, T («fors. ex em.» Robin, ma a torto), Pac(?) W]; ma pap. conferma la correzione θεοφιλεῖ di Ppc, t (mano recente) e Par.

Gr. 1811 (in linea), codice dal quale dovette passare all' Aldina

— 434—

POXY

e

843

SMP.

quindi a tutte le successive edizioni platoniche; cfr. Carlini,

Studi, 72 n. 105.

701 (212a7-8)

[κ]ακεινὼ pap. cum Par. Coisl. 155, καὶ

ἐκείνῳ codd. cett., edd.

Cfr. supra, p. 382.

701 (212b1) Pap. omette à dinanzi al vocativo, come a 1117, dove l’interiezione è ripristinata dal correttore. In Platone, e in genere negli scrittori attici, il vocativo è accompagnato da ὦ nella grande maggioranza dei casi; cfr. ]J. WACKERNAGEL, Vorlesungen über Syntax, I, Basel-Boston-Stuttgart, Birkhäuser (1926) 1981’, 311. 708 (212b5) n[a]vravöpı pap.ac ut vid., παντ᾽ avópa corr. m'(?), πάντα ἄνδρα codd., edd.

709 (212b6)

Cfr. supra, pp. 381 e 382.

Pap. conferma il testo dei codici e non i so-

spetti dei critici, che integravano una congiunzione [(kai) τὰ ἐρωτικὰ Usener (mox καὶ del.), Schanz, Bury, τὰ (δ᾽) &. Badham], intendendo τιμῶ sc. τὸν Ἔρωτα (del tutto arbitrario e inutile τιμῶ (te) proposto da Sykutris).

Col. XVI (1 = 711) 712 (212b7) Dopo ἐγκωμιάζω si legge in pap. τον epo[to (poi espunto mediante sopralineatura), che non ha riscontro nei codici, e rappresenta un’anticipazione di τὴν δύναμιν καὶ ἀνδρείαν τοῦ Ἔρωτος

[t(Mv) avöpei(av) P]. Errore di origine

psicologica, che Ritter, Bericht, 54 paragona alle "Textvereinfachungen’ così frequenti nel papiro tolemaico del Fedone. 715 (212c1)

er pev

è scritto due volte di seguito (sullo

stesso rigo); la prima occorrenza è espunta mediante sopralineatura. Cfr. supra a 142. 721 (212c5) Tutti gli editori mantengono l’ordo verborum dei codici λέγειν τι ἐπιχειρεῖν, apparentemente più ricercato.

Ma pap., che ha επιχειρί[ε)ιν λέγειν τι, può essere nel giusto: fra le altre 16 ricorrenze della frase in Platone, solo in un caso

(Ti. 22a5-6) λέγειν precede la forma di ἐπιχειρέω.

724 (212c7) Pap. conferma la grafia αὔλειον di t W, già adottata da tutti gli editori (fino dall’Aldina); BD T hanno αὔλιον. — (212c7) Pap. ha xpovopevnv con BD W; isolato κροτου| μένην di T, passato nell’Aldina e nella vulgata. 728

(212d1)

ovkewecde

si legge in pap., in luogo di οὐ

σκέψεσθε dei codici (οὐκ ἐσκέψασθε Vind. Phil. Gr. 21); er-

rore probabilmente ‘meccanico’; ma Grenfell e Hunt suggeri-

— 435—

PLATO

76

scono: «the scribe perhaps took the words for οὐκ (οὐχ) Eweode». 730 (212d2)

ov, dinanzi a πεινομὲν (πίνομεν), sembra ri-

fatto su un'altra lettera difficile da riconoscere (nell’ed.pr. peraltro non se ne fa cenno).

730 (21243)

αλλα παυο [μεθα] pap., evidente aplografia

(anche se Schóne la mette a testo) rispetto ad ἀλλ᾽ ἀναπαυόμεθα dei codici (cfr. Ritter, Bericht, 46). Chr. anche 217d7. 736 (212d6) oyeı'v’ pap.: suppl. πη΄.

740-743 (212e1)

&ctepavopevov

avto(v)

Kit [10]o τε Victegavopevov av [tov κιττου TE TIVI «τεφανὼ

[nevlov Complicata dittografia (e inizio di ‘trittografia’), causata dalla parziale coincidenza fra ἐστεφανωμένον e στεφάνῳ. La sopralineatura (cfr. supra a 142) avrebbe dovuto estendersi anche a uno dei due te e al probabile μενον di 743 (in questo secondo caso, è forse il guasto materiale ad averne fatto sparire ogni traccia). Se si suppone, per spiegare il ripetuto errore, che le due sequenze uguali si trovassero una sotto l’altra nel modello di pap., questo avrebbe avuto righi di ‚ca. 29 lettere. 743 (212e1)

δας εἰι pap.: suppl. m'(?).

743 (212e2)

ταινιας et pap. cum d T W, teviag BD.

747 (212e4) Pap. pc [m (?)] ha la lezione giusta [δε]ξεςθ[ α]ε

con BD, contro δέξασθε di T W. Per l'errore [δε]ξεςθαι di pap.ac (con Vat. Ross. 558), cfr. infra a 880.

748 (212e5)

Contrariamente a quanto risulta dall'apparato

di Burnet, pap. conforta ἐφ᾽ ὅπερ ((ἤλθομεν) di T W vulgata,

probabilmente superiore a ἐφ᾽ ᾧπερ di BD, pur adottato da tutti gli editori moderni: cfr. Tht. 187c1 ἐφ᾽ ὃ ἐρχόμεθα, Prm.

12635, Smp. 179d4 ἐφ᾽ ἣν ἧκεν, Euthd. 274210, Grg. 447b6 (e Th. VII 15, 1 ἐφ᾽ ἃ... ἤλθομεν). 749 (212e5) nABouev et pap. cum bD T W, ἤχθομεν B. — (212e5) elyBec Pap.» χθὲς codd., edd. La forma ἐχθές

figura nell'edizione oxoniense solo a Grg. 470d1, dove è lezione di B T W; ma anche qui Dodds (vd. ad loc.) stampa χθές

con F e Stobeo. ἐχθές (annoverata fra le lezioni possibili proprie di pap. da Ritter, Bericht, 50) è la forma più frequente nei

— 436—

POXY

843

SMP.

papiri documentari fino al tardo III secolo (cfr. Gignac, I, 312). 750 (212e6) o1[oc] τ et pap. ut vid. cum B/D T W, οἷς τ᾿ B. 754-755

(212e8)

La lezione tràdita ἐὰν εἴπω οὑτωσί (W

itera poi κεφαλήν), prima unanimemente ritenuta corrotta, è stata dopo pap. accolta da Schöne, Burnet°, Lamb (con segno di aposiopesi dopo einw), Vicaire, e difesa da C. RITTER, Platon Symposion 212E, CPh 16 (1921), 197-198 (come protasi ri-

spetto a dpa καταγελάσεσθε... 4. così già Stephanus e molti commentatori). Eppure, a differenza di ciò che lasciano credere quasi tutti gli apparati, in pap. si legge solo [ #6 ]} ovrwci, che smentisce sì le proposte trasposizioni (cfr. anche Burnet 1921, 6) ed espunzioni (F.A. Wolf, Schanz, Burnet!'), ma non, per esempio, le congetture ἀνειπὼν οὑτωσί di Winckelmann - Hermann ('cosi proclamando’; cfr. R. 580b8, Lg. 946b5), adottato da Robin e Dover (e cfr. Wilamowitz, Platon, II, 361

sg.), e ἵν(α) εἴπω οὑτωσί di Orelli, Sykutris (per cui cfr. Ep. III 318d7 iva οὕτως εἴπω, e Ax. 370e1-2). 755 (212e9) [καταγελαςεεθε et pap. cum B T, -σεσθαί W,

-σασθε D.

Col. XVII (1 = 758) 760 (213a3)

Sembra si debba leggere eı]|cıevaı piuttosto

che eıcl]leievar (ed.pr.). Per la sillabazione, cfr. 1117 εἰξαnorachaı, e 92-93 ein euavTon. 770 (21362) Socrate sı era fatto da parte (παραχωρῆσαι), stando ai codici, ὡς ἐκεῖνον καθίζειν, ‘cosi da far sedere Al-

cibiade’ (ma secondo Sykutris, soggetto sarebbe un sottinteso τοὺς ἄγοντας). La situazione ha un buon parallelo a Chrm. 153c6-8 (ne καθίζει ... παρὰ Κριτίαν... Παρακαθεζόμενος οὖν ἠσπαζόμην KtÀ.), e uno più specifico a Chrm. 155c1-2 (συγχωρῶν

... ἵνα παρ᾽ αὐτῷ καθέζοιτο, cfr. anche Smp. 22348-9: ὥστε παρ᾽ ἑαυτῷ τουτονὶ κατακεῖσθαι). La frase era peró già sospettata, soprattutto a motivo, da una parte, del cambio di referente di ἐκεῖνον rispetto a b1 [per cui Robin intendeva ‘affinché Agatone facesse sedere Alcibiade’; ma muta in realtà il punto di

vista; cfr. Riddell, Digest, 27 sg.], dall'altra, dell’uso di ὡς pro ὥστε, molto raro in Platone (p. es. Prt. 330e6). I filologi non

avevano peró trovato di meglio dell'esspunzione in blocco (cosi, con Badham,

anche Schanz e Burnet). Pap. offre invece una

novità probabilmente risolutiva: wc ἐκεῖνον κατιδεί, integrato dapprima κατιδεῖν (i.e. κατεῖδε[ν) da Grenfell e Hunt [κατίδεν

— 437—

PLATO

76

(sic) Vicaire (?), κατεῖδεν Bury! (cfr. Ritter, Bericht, 45)], poi

meglio karıdeliy da Wilamowitz 1909, 458, lezıone accolta da Schöne, Burnet’, Lamb, Bury? (p. LXXVIII), Galli, e approvata da Maas, Textkritik, 24 (cfr Carlini, Studi, 72 n. 105). ὡς ὦ temporale con l’ infinito, i in dipendenza da un ’infinitiva, è costruzione neppure essa frequente, ma legittima (cfr. Kühner -

Gerth, II.2, 551, e Smp. 174e5). Socrate si sarebbe staccato da Agatone «appena aveva visto» Alcibiade (212d8) non per fargli posto (solo a 213a3 questi viene invitato a entrare), ma pro-

prio temendo la gelosia che subito esploderà. Si noti comunque che il contesto (a7-8 οὐ κατιδεῖν ... ἀλλὰ καθίζεσθαι)

avrebbe potuto influenzare la corruzione sia in un senso che

nell’altro. 776 (213b7)

ode tpıltoc pap. cum W, edd., ᾧδε τρίτος BD,

τρίτος ὅδε T vulgata. Pap. conferma la scelta cui conduceva comunque il confronto fra le lezioni note. 778 (213b8) opav et pap. cum T W recte, ὁρᾷ BD. 779-780 (213b9) tovltı τι nv pap. cum T W recte, τοῦτ᾽ εἰπεῖν BD Wyp. i 780 (213c1) Il papiro è citato da Burnet, Robin, Vicaire

anche per la lezione ἐλλοχῶν (£vAóyov BD), ma la parola è interamente persa in lacuna. 783-784 (213c1-2)

Le parole κατέκεισο ... ἀναφαίνεσθαι

(ἀναφέρεσθαιD; vd. Brockmann, Übelieferung, 55), iterate per errore, furono poi espunte mediante sopralineatura; in xatexeico l’ultima lettera è, secondo l'ed.pr., corretta da τ (?). La dittografia non si spiega con un saut du méme au méme (come invece nei casi simili di 740-742 e 695-697, che occorrono curiosamente a distanze regolari rispetto a questo). Poteva p. es. essere occorsa, nel modello, all’inizio di una colonna (cfr. supra a 142).

786 (213c3) Anche in corrispondenza del sospetto ὡς οὐ (xoi οὐ Hermann, Schanz, Burnet', Bury, Lamb, Sykutris, πῶς οὐ Hug), per cui è chiamato a testimone da Vicaire, pap. è in

realtà lacunoso. 787 (2134) παρα [opict]opaver pap. cum B W, edd., παρὰ ἀριστοφάνη D T. Di per sé anche l'accusativo è accettabile,

con κατακλίνεσθαι (cfr. 175a4-5 di contro a 203b8-c1); è il dato tradizionale a far propendere per il dativo. — (213c4) ov[ pap., che non può quindi essere citato a

— 438—

POXY

843

SMP.

fianco né (come in Burnet e Sykutris) di B (οὐδὲ) né di

T W

(οὔτε).

789 (213c5)

A fronte di διεμηχανήσω dei codici, pap. leg-

geva a detta di Grenfell e Hunt «almost certainly» th] EHNXAVTICW.

Ma la presunta traversa di t sporgerebbe forse più del male nell'intercolunnio

nor-

(x introdotto dal correttore?) τι, an-

corché manifestamente inferiore, potrebbe essere costruito come

indefinito 0 come

797 (213d2)

interrogativo.

Stando allo spazio, pap. conferma οὑτοσὶ di

BD, W (o supra o), contro οὕτοσι,,, T, οὑτοσί πως Par. Coisl. 155.

798 (213d3) Pap. ha, a quanto pare, θαυ]μαςτία con BD, seguiti dagli editori, θαυμάσια T W ela vulgata. A 22047 (992) anche pap. ha θαυμ[α]εια εἰργαζε [το]. Le due voci sembrano

perfettamente intercambiabili, anche in questa stessa espressione; cfr. R. 474a3, Lg. 686c9 (Tht. 15123). Cfr. anche infra a 986.

800 (213d4)

u]oyw anche pap.; μόλις T? (Asl).

Col. XVIII (1 = 806) 810 (213e2) [avaónco] καὶ leggeva probabilmente pap. con T W, contro ἀναδησώμεθα di BD; dere del tutto [ava|òncopuev] καὶ Hermann). 812 (213e3) Dopo [o]t [ce uev piro viene meno fino a 217b2. Per

anche se non si può esclu(secondo la congettura di aveónco I apporto del paerrore esso viene citato per

qualche altra lezione negli apparati di Burnet (ad 213e8, e11, 21424), Robin (ad 21425) e Vicaire (ad 213e8).

Col. XIX (?) (1-3?) (214b9-c2?) In testa alla prima delle colonne considerate finora interamente perdute poteva collocarsi il frammentino (a) (cfr. supra, p. 378), che conserva tracce di tre ri-

ghi con parte del margine superiore (per la problematica ipotesi alternativa di Grenfell e Hunt, cfr. supra a 1). I vestigi trovano buona corrispondenza a 214b9- C2, a patto di leggere, al primo rigo, anziché Ἰδοί dell’ed.pr., ]öel (come suggeriscono

del resto le tracce). E ricostruendo, per esempio: enıJde[lSınexactovevnepeidoyovne ριερ]οω[τοςειπεινωςδυναιϊιτοκαλ» Arcjto[v

— 439 —

PLATO

76

In questo modo, per la colonna XVIII si dovrebbero calcolare (salvo varianti, dittografie,

ecc.)

1194

lettere, corri-

spondenti in effetti a 46 righi di ca. 26 lettere ciascuno [la media dei primi 7 righi, conservati (806-812), è di 26,5 lettere].

Per curiosità, si noti che un allineamento ancor pià soddisfacente dei tre righi si otterrebbe integrando ὡς (div) δύναιτο con

Sauppe (ctr. 177d3 ὡς àv δύνηται κάλλιστον).

Col. XXIII (1 = 813) 813 (217b2-3). A inizio rigo (e colonna) lo spazio è certamente troppo per (wevdo)||[uon cox]patec dell’ed.pr., adeguato a ἰδομαι cox]parec, o, ancor meglio, a [pat (ὦ) cox]patec con

li integrazione di Schanz; cfr. supra a 701. 815 (217b4) δι] Ἰαλεξαιεθαι pap.ac -S[o]ecO0ot corr. m'(?). Forse rettificato inter scribendum da διαλέξαι.

817 (217b6) ón uoda pap., δ᾽ οὐ μάλα BD T W, edd. (δ᾽ οὖν μάλα Vat. Ross. 558). La particella avversativa che manca in pap. è richiesta dal contesto; οὐ invece non è a rigore necessario; sarebbe plausibile anche δὲ δὴ (o δ᾽ οὖν appunto). 819 (21767)

In base allo spazio pap. non sembra avallare

᾿ espunzione di ἄν (con ᾧχετο) proposta da Hommel, Hirschig [ma Bi in Vat. Gr. 229 (da cui Par. Gr. 1642) e Ambr. D 56

sup.]; altri preferivano correggere in αὖ (Wolf), δὴ (Sauppe, Schanz), o in modo ancora diverso. Cfr. invece Ap. 22b4 (cit. da Sykutris) e Dover ad loc. (valore frequentativo). Per un caso analogo, cfr. infra a 1100. 820 (217c1)

ε]υνγυμναζεςαι pap. (in luogo αἱ συγγυμνά-

ζεσθαι); non si può dire, dato lo stato di conservazione, se vi fosse una correzione interlinare. 821

(217c1)

Pap.

conferma

anche

καὶ συνεγυμναζόμην,

un’altra delle frasi ‘superflue’ che cadevano sotto la scure dei critici (Sauppe, Schanz). 826 (217c5) tavın'nvor[ov pap.: suppl. m ^(?) [ταύτῃ ἤνυτον codd. (ἥν. edd.)].

828 (217c6)

avetaiov pap.ac, -t[a]eov corr. m'(?).

Cfr.

supra a 344. 829 (217c6) La lezione di pap.pc εν]εκεχει pn'xn (con aggiunta interlineare della seconda mano; ]εκειχει- dell'ed.pr. è

evidentemente errore tipografico) é quella accolta dagli editori recenti, tranne Schóne (Hug), Lamb, Robin (Vicaire), che ammettono la forma senza aumento data dai codici (ἐγκεχειρήκη

— 440—

POXY

843

SMP.

BD T, -κει d W, -keıv Vind. Phil. Gr. 21 vulgata); cfr. Schanz,

Platonis opera, XII.1, pp. XII-XIII (che riteneva necessario correggere); Schwyzer,

sotto.

829 (217c7)

I, 652. Per la desinenza si veda subito

In corrispondenza di ἰστέον dei codici, pap.

aveva di prima mano l’enigmatico eıkeivcteo(v), modificato dal

correttore, come pare, in eılxeivjcteoν΄ (va rettificata l'ed.pr.:

aggiunto & solo v a fine rigo, mentre l'originario trattino di compendio su o è trasformato in accento). Non è necessario supporre, con Grenfell e Hunt, che vi fosse «some alteration»

anche all’inizio del rigo successivo (perso in lacuna); nel corpo

estraneo Keıv va infatti riconosciuta una variante per la terminazione del piuccheperfetto che immediatamente precede (vd. supra), penetrata nel testo. Per simili varianti e doppie lezioni

nei

manoscritti

XIL.1, pp. XIII-XIV.

medievali,

vd.

Schanz,

Platonis

opera,

La desinenza -ew per la 1° persona del

piuccheperfetto tende apparentemente a sostituire la forma 4, che precise testimonianze (risalenti a Panezio; cfr. Eust., Comm.

ad Od. 1946, 20-26) indicano come propria dell'uso platonico (oltre che attico in generale); vd. Carlıni, Studi, 32 sg., The

New Phrynichus, with Introductions and Commentary by W.G. RUTHERFORD,

Hildesheim,

Olms

1968 (London

237 (spec. 234-235); cfr. anche infra a 966.

1881), 229-

830 (217c7) Si ha Pimpressione che l’inizio di προκαAov|[uat] sia stato corretto in npov- (cfr. c1 προυκαλούμην).

831 (217c8) In base allo spazio si dovrebbe integrare piuttosto τίο ξ]υνδειπνει(ν) (τ[ο cluv- ed.pr.); cfr. supra, p. 383. 833 (217d1) tovtolv] pap.: corr. m'(?). Il genitivo forse indotto da ὑπακούω. 834 (217d1-2) ov'v' xpovw pap.: suppl. m’. 839 (217d4) la terza persona

In pap. si legge ededeılnv[n]xei, che conferma dei codici (‘dopo

che ebbe finito di cenare”,

forse a sottolineare le contrastanti intenzioni di Socrate e Alcibiade; cfr. anche 42 δειπνήσας ἀπιέναι ἐβούλετο), recepita tuttavia solo da Schöne, Robin (Galli, Vicaire). Gli altri edi-

tori, pur dovendo correggere il tempo, preferiscono la prima plurale (δεδειπνήκειμεν Usener, Schanz, ἐδεδειπνήκεμεν Burnet, Bury, Lamb, Sykutris) con cui la frase è citata in una

glossa [che potrebbe risalire al lessicografo Boethos (II??)] della Συναγωγὴ λέξεων χρησίμων, nella redazione ampliata ricostruibile per mezzo del Par. Coisl. 345 (Anecdota Bekker I, p.

— 441—

PLATO

76

346, 23-24 = Anecdota Bachmann 1, p. 33, 27-28), e del Lessico di Fozio (a 405, I, p. 47 Theodoridis; vd. K. ALPERS, Das attizistische Lexikon des Oros, Berlin-New York, de Gruyter 1981, 69-79; Martinelli Tempesta, Liside, 243-247); entrambe le fonti hanno δεδειπνήκαμεν. Il valore di questa tradizione,

dimostrato, come pare, dalla successiva variante (vd. infra), è però più incerto su questo punto secondario. 839 (217d5) Pap. concorda con i codici (e cfr. Aristaenet. II 3, 3 Mazal) anche nell’omettere ]’ ἀεί (dinanzi a πόρρω), atrestato solo dalla Συναγωγή (cfr. supra), ma accolto da tutti gli editori, tranne Schöne e Robin (ma inclusi Sykutris e Vicaire).

È difficile, questa volta, ignorare la testimonianza del lessicografo, pur isolata, perché dei è proprio il termine peculiare per cui il passo è citato (dovrebbe qui come in qualche altro luogo significare, secondo

un’arbitraria

teoria

atticista, ἕως, μέχρι;

cfr. Theodoridis, ad Phot. Lexicon, loc. cit.). Giudicato «tout à fait superflu» (p. CXIX n. 3) da Robin (che però per tradurre deve interpolare anch'egli un «jusque»), ἀεί migliora iinvece il testo, a patto di legarlo strettamente a πόρρω, intendendo ‘parlavo andando sempre (più) avanti nella notte’. ἀεὶ πόρρω (πρόσω), ‘sempre avanti’, frequente con verbi di movimento

(cfr. LS] s.v. πρόσω,

I; e Grg.

486a6-7 τοὺς πόρρω ἀεὶ

φιλοσοφίας ἐλαύνοντας, Spb. 26156), poteva qui creare difficoltà (si vedano gli sforzi dei lessicografi) sembrando in conflitto con il comune

πόρρω τῶν νυκτῶν,

“a tarda notte’ (cfr.

Prt. 310c8); donde forse la sua caduta in gran parte della tradizione. 840 (21745)

καὶ eneión ye pap., Schöne, καὶ ἐπειδὴ codd.,

edd. cett. Anche questa lezione di pap. non va scartata in partenza (oltre a Schóne, solo Ritter, Bericht, 50 sg. l'ha apprezzata). La funzione della particella sarebbe di sottolineare il ripetersi della situazione (cfr. 43 ἀπιέναι ἐβούλετο); si può

confrontare D. XVIII 261 [cit. da Denniston, 126; cfr. anche Greek Prose Style, 97]. L’aggiunta secondaria di ye è però fenomeno attestato; se ne hanno forse due casi nel POxy VI 881 del Liside (> 80 33). 842 (217d6) μόνον pap.ac, μενε uv corr. m’(?). 844 (217d8) "και pap.: suppl. m°(?). 846 (217e1) In base allo spazio, anche a detta di Grenfell e Hunt, pap. doveva leggere piuttosto [pev ovv dn δεῦρο] con

— 442—

POXY

843

SMP.

BD T^, seguiti dagli editori, che μὲν οὖν δεῦρο (T W); vd. però infra a 847. ön è omesso anche da Arısteneto, I 2, 22-23 Ma-

zal, che attinge tacitamente un flosculo da questo luogo (μέχρι - ὁντιναοῦν).

847 (217e1) Stando allo spazio, pap. doveva probabilmente omettere il necessario &v (cosi l'ed.pr.). È a rigore possibile che esso avesse ov anziché ön a 846 (cfr. supra), e anche che nel testo platonico vi fosse originariamente il doppio &v (come p. es. a Ap. 17d3-4 ὥσπερ οὖν ἂν ... ἄν, Phdr. 257c7, ecc.). 852 (217e5)

Pap. ha [aga]vica ini luogo di ἀφανίσαι. Non

sı può però escludere che lo ı finale fosse stato aggiunto nell'interlineo, dove la superficie è guasta. 857-858

(217e8)

ou[kell| οὐκ εθελεῖν pap.: dittografia in

corrispondenza del cambio di colonna, come a 142. Col. XXIV (1 = 858) 859-860 (218a1) Pap., di cui resta pov[ow +13 ]yv@copevotc, in corrispondenza di μόνοις γνωσομένοις TE καὶ ovyyvoσομένοις dei codici, doveva quanto meno omettere te (così Vi-

calre in apparato; cfr. supra a 178), ma anche così, come notano Grenfell e Hunt, lo spazio appare insufficiente. 862 (218a3) τε ὕπο et pap. cum BD T, P (revera), te kai ὑπὸ W.

Vicaire omette di ricordare D.

863 (21824) — (218a4)

wc av pap.ac, ὧν av corr. m'(?). ónxO0£w pap. cum d T P, W (ex deı- corr.) recte,

δειχθῇ BD. 863-864 (21824) Pap. conferma τὴν καρδίαν yàp ἢ ψυχὴν dıT PW; partendo dalla problematica collocazione di BD τὴν καρδίαν 1ἢ ψυχὴν γὰρ (adottata peraltro da Schóne e Sykutris), si era proposto di espungere ἢ ψυχὴν (Usener, Schanz, Burnet'; cfr. Schol. B: ὅτι τὴν καρδίαν ψυχὴν λέγει), oppure γὰρ

[Bury, come già il dotto Vind. Phil. Gr. 21, da cui Ven. Marc.

Gr. 184 (coll. 326)]. 867 (21826)

ueov pap.ac, νέου corr. m'(?).

867 (218a7)

Alla luce di pap-, che ha, come pare, ψυχηίς

μ]η alplvovlc, anche Burnet si è convertito alla lezione di B

(con D e P), mentre nella prima edizione aveva rispolverato (νέου) ψυχῆς καὶ μὴ ἀφυοῦς di T e della vulgata; cfr. 209b6-7

ψυχῇ ... εὐφυεῖ [e Wackernagel, Vorlesungen über Syntax, cit. (supra a 701), II, 298], e anche R. 491e1-2. La lezione ψυχὴν

— 443—

PLATO

76

μὴ ἀφυοῦς di W non è a rigore esclusa per pap., ancorché meno probabile in base allo spazio. 870 (21848) W (deest P). 874 (218b3)

[αγ]αθίων]ας pap. cum BD T, xoi ἀγάθωνας qiAocogov [φ] αἰνιας pap: corr. m'(?).

876 (218b4-5) Lo spazio, a fine rigo, ammette tow t[e tore] (BD W, edd.), ma non esclude τοις τίοτε (T P vulgata). Nel-

l'apparato di Robin, «te (et Oxy.?)» sta forse per «te (et Oxy.?)». Da rettificare anche gli apparati di Burnet e Schóne. 877 (218b5)

ευλγεγομείνοις pap.ac ut vid., νυν λεγομείνοις

corr. m* (ma forse quella di y in X è correzione inter scribendum). Nell'ed.pr., per errore, à stampato in modulo piccolo (come fosse rifatto su altra lettera) l'e, del quale 51 scorge tutt'al piü una traccia minima. 878 (218b6) τις pap. cum B^ T PW recte, τι B (unde Vat. Gr. 225), D.

880 (218b7)

[επιθ]εεθαι pap.ac (cum Vat. Gr. 227), [enı-

0]ecO[a]e corr. m.? 885 (218c2-3)

Cfr. supra a 747.

καὶ keıvncac ha pap. in luogo di kıvnncag dei

codici. Si tratta probabilmente di una banale reduplicazione, ma costruendo ἔδοξε μοι... εἰπεῖν ... καὶ εἶπον καὶ κινήσας...

51 poteva ottenere un testo leggibile [che ricorda fra l'altro 217c1 συγγυμνάζεσθαι προυκαλούμην ... καὶ συνεγυμναζόμην

(xoi o. del. Sauppe, Schanz)]. 891 (218c7) Pap. ha la lezione giusta [ex]o- (punto in alto della prima mano) con BD, contro ἔχων di T W, passato nella

vulgata. 893 (218c8)

Di nuovo pap. conferma la lezione di BD et

τι, contro l'errore comune di T W ἔτι.

893 (218c9)

xalplıcacdaı

pap.

(x ex x corr.?), Schöne,

χαρίζεσθαι codd., edd. cett. Presente e aoristo di questo verbo si alternano piü volte, p. es., nel discorso di Pausania (da 182a2 a 185b5). L'aoristo, preferito da Ritter, Bericht, 51

e adottato da Schöne, focalizzerebbe, anziché il rapporto continuativo, il ‘concedersi’ o meno all’eἐραστής, o anche la prima

e decisiva volta. Ma I’ aggiunta καὶ ei tt ἄλλο κτλ. e 1 participi di d4-5 fanno propendere piuttosto per il presente. 894 (218d1)

Seoto et pap. cum BD T W’, δέῃ W.

Subito

dopo, Schöne vorrebbe correggere (τῆς) τῶν φίλων, contro pap. e i codici, banalizzando il testo.

— 444—

POXY

843

SMP.

896 (218d2) wc oti pap. cum T W recte (ὅτι vel 6 τι edd.), ὅσῳ τι B (τι ex corr.), Ὁ. Il curioso pleonasmo ricorre solo in altri tre passi, nelle Leggi (743d1, 759c3, 90826); cfr. Kühner - Gerth II.1, 28.

898 (218d3)

Pap. ha, a quanto pare (anche in base allo spa-

zio), uo]t dinanzi a συλλήπτορα, confermando una correzione bizantina (Vind. Phil. Gr. 21 (unde Ven. Marc. Gr. 184, coll.

326), Par. Gr. 1810], passata nella vulgata e mantenuta da tutti gli editori (cfr. Brockmann, Überlieferung, 82, 99; BD T W leggono invece concordemente μου. Cfr. Phd. 82e7 + 80 40 M I 11.

Col. XXV (1 = 903) 905 (218d8) ω [φ]ιλε΄ αλ{[κι]βιαδη pap.: suppl. m’. Probabilmente per una svista l'ed.pr. trascrive φιλὲ come interamente conservato.

909 (21862)

8'V nc pap.: suppl. m'(?).

Cfr. supra a 257.

910 (2183) [t]ot pap., che conferma la lezione di BD T W. A correzione della vulgata, che aveva «e, innovazione risalente a Vind. Phil. Gr. 21, Bekker e altri editori mettevano

a testo τι reperibile in alcuni apografi (fra cui Vat. Gr. 225). Analogo asindeto con tot poco sotto, a 21922 [cfr. Denniston,

Greek Prose Style, 112]; meglio la punteggiatura tradizionale, punto in alto dopo ἀμείνων, punto dopo διαφέρον, rispetto all’inversione di Robin (Vicaire). 913 (218e5) te μοι et pap. cum BD T, μοι W.

917 (218e7) xaXov pap.ac ut vid. [cum Par. Gr. 1810 (unde Vat. Gr. 229, Par. Gr. 1642)], koAllö] [o]v corr. m’(?), del. Badham. La lezione originaria di pap. non è sicura: lo spazio occupato è maggiore di quello che sarebbe normale per o; un pur plausibile καλὴν non soddisfa però pienamente rispetto alle tracce. 918 (219a1) xpucta pap.ac, ypvc'e'1a suppl. m^ [cum Par. Gr. 1810 (unde Vat. Gr. 229, Par. Gr. 1642)], χρύσεα BD T W, edd. χρύσεα χαλκείΐίων è la lezione metricamente obbli-

gata in Omero (Z 236). Il correttore voleva, a quanto pare (data la posizione della lettera aggiunta sopra il rigo), rettificare la grafia in χρύσεια (cfr. a 297, 330, 1015), non introdurre come

lezione o come variante (cfr. a 302, 438, 829, 983?, 1110?) la forma χρύσεα. Cfr. anche supra a 255. 921 (21923) apyetat et pap. ut vid. cum BD T Wpc, ἄρξεταὶ

Wac.

— 445—

PLATO

76

923 (21924) In pap. sembra di poter leggere λήγειν enıxeipn, che confermerebbe pertanto, come Stobeo (-pet), il testo dei

codici. Se quindi, come pare, sono fondate le obiezioni mosse a ἐπιχειρέω ‘iniziare’ (a meno che Platone non scegliesse appositamente un traslato), prima da R. RENEHAN, Plato, «Symposium» 219 a 2-4, CR 19 (1969), 270, poi, indipendentemente,

da Dover, che pone la crux [con l'approvazione di Slings, rec. cit. (supra a 112), 418], siamo di fronte a un altro guasto molto antico. Il rimedio più economico (e che spiega l’ interpolazione) è la semplice espunzione di ἐπιχειρῇ, intendendo ὅταν . λήy&w (sc. ἄρχηται). Renehan [cfr. anche Studies in Greek Texts,

cit. (supra a 79), 125 sg.] correggerebbe ulteriormente ın λήγῃ (cfr. anche R. 498b6-8); Dover suggerisce ἐπιλείπῃ (senza An-

yeıv), proposta che non convince Slings (loc. cit.). 924 (21924) Da rettificare l'osservazione di Andrieu, Dialogue, 292: anche prima di καὶ ἐγὼ ἀκούσας c'era probabil-

mente doppio punto (il punto inferiore in lacuna; cosi già Grenfell e Hunt ad loc.).

925 (21925)

Anche pap., come pare, ha rap ἐμοῦ con d T

W, isolando in errore BD

(παρ᾽ ἐμοὶ).

928 (21947) Il poco che si legge in pap. non si concilia col testo dei codici ὅτι ooí te ἄριστον. Il supplemento dell’ed.pr. cot te] otv a[pictov è plausibile, ma non sicuro, e non è il caso

di accogliere a testo tale strano, presunto ordo verborum, come fanno Schöne e Sykutris (cfr. Brockmann, Uberlieferung, 255 n. 18). L’apparato di Burnet è fuorviante. Si può pensare che ὅτι fosse stato attratto vicino al superlativo, perché erroneamente sentito come suo rafforzativo (cfr. R. 580c4 ἑαυτοῦ τε ὅτι μάλιστα τυραννῇ καὶ τῆς πόλεως, 71. 77d4-5).

933-934 (219b2)

[axov]lcalv]te pap.: corr. m'(?) (ἀκούσας

τε).

935 (219b3) Pap. condivide con T W e la vulgata l'errore βελει, [βέλη BD, cfr. Aristaenet. II 4, 11-12 Mazal, e anche Lg. 962d4-5], che puó essere considerato poligenetico (il dativo puó comunque, a rigore, essere costruito come strumentale rispetto al seguente τετρῶσθαι). Il mero scambio grafico n/er non è frequente nel papiro; cfr. supra a 183. 940 (219b6) Stando all’ampiezza della lacuna, è forse più probabile che il papiro avesse τοῖν rovrovı π]εριβαλοί ν) con

T W (P omette τὸν), lezione accolta da quasi tutti gli editori

— 446—

POXY

843

SMP.

contro τὸν τούτου x. di BD, adottato da Schanz (che ricorda

Men. 8201 τούτῳ B W F, τουτῳί T), Schöne (Hug). 942 (219c2)

κατεκειμη[ν

anche pap.; κατεκεινὴν W.

944 (219c2) In base all’ ampiezza della lacuna pap. poteva avere ταῦτα con T W o anche ταῦτα αὖ come BD (e tutti gli

editori). Grenfell e Hunt integrano tav[t av, che però, alla luce di 260, 1078, 1108 (xavxa con scriptio plena dove 1 codici elidono) & meno probabile. Col. XXVI (1 = 948) 948-949 (219c5-6) La nuova lezione di pap. [xoi] | περι EKEIVO γε, scartata a tutta prima da Grenfell e Hunt, è ormai generalmente accolta dagli editori. Essa dà senso soddisfacente («anscheinend eine Wendung der Umgangssprache» la giudicava Schöne, che perö fraintendeva la costruzione), e spiega la corruttela della tradizione medievale (καΐπερ ἐκεῖνό ye T W, καίπερ xeîvò ye BD), che i filologi avevano notato ma non perfettamente sanato (καὶ 'keivó ye Schanz, καίτοι ’xeîvò ye Burnet, ecc.); cfr. Maas, Textkritik, 24; Bury, già prima del papiro, [Notes on Plato’s «Symposion», PCPhS (1907), 7-9: 9] aveva proposto καὶ περὶ 'keivo (6) ye [cfr. Plato, «Symposium», 219c, CR 22 (1908), 123], mantenuto poi (con ἐκεῖνο) nella sua

edizione e anche da Lamb, con costruzione peró affatto diversa (nepi retto da ὕβρισεν). In tempi più recenti, F. SCHEIDWEILER, Καίπερ, nebst einem Exkurs zum Hebräerbrief, Hermes 83 (1955), 222-223 ha proposto di tornare a καίπερ, di cui questo sarebbe uno dei due o tre (tutti dubbi) esempi di uso col verbo finito (vd. LS] s.v.). La forma κεῖνο, nonché l'aferesi

dopo vocale breve sono giudicate illegittime da Schanz (Platonis opera, 11.2, pp. VI-VII); περὶ κείνων è lezione di B (repıkeivov) e W a Grg. 520a3 (cfr. anche Kühner - Blass, 1.1,

188).

949 950 954 955

(219c6) (219c6) (219d1) (219d3)

av[8pec]» ed.pr.; si legga: av[dpec>]. εἰ εἴτε pap.: suppl. m’(?). m εἰ μετὰ pap. cum BD recte, ἢ μετὰ d T PW. 6]n un τοῦτο pap.ac, ó]n pe τα΄ τοῦτο corr. m. ?

960 (21946) cunv pap.ac cum codd., o ο΄μην suppl. m’(?). La forma lunga dell’imperfetto & accolta solo due volte da Burnet, ın tutto, Platone (Ap. 3624, Tht. 14425), contro 50 occorrenze di @unv. Il papiro stesso ha la forma breve a 935, 949,

968. Cfr. anche supra a 252.

— 447—

PLATO

76

961 (219d6- 7) La lezione di pap. eılc eylixpateiov, a fronte di eig καρτερίαν

dei codici, è ritenuta giusta da Maas,

Text-

kritik, 24, ma accolta, fra eli editori, solo da Schóne e Galli (discussione anche in Ritter, Bericht, 53 sg.). I due termini

sono in certo modo contigui; Arist. EN 1150232 sgg. distingue il ‘dominio di sé’ (ἐγκράτεια) dalla ‘resistenza’ (καρτερία),

il che corrisponde all’uso di Senofonte in Mem. I 2, 1 (ma cfr. II 1, 1), dove più volte (vd. Galli) è attribuita a Socrate quell’ ἐγκράτεια destinata a caratterizzarlo nella tradizione più tarda

[cfr. L. ROSSETTI, Alla ricerca dei logoi Sokratikoi perduti,

RSC 22 (1974), 424-438: 424-428 (‘I. Socrate enkrates’)]. Se-

condo Schöne la descrizione della καρτερία di Socrate (cfr. 21624, 220al, a7, c2) inizierebbe solo dal trapasso 219e6. Ma ἐγκράτεια (che qui costituirebbe comunque una sorta di dop-

pione rispetto a σωφροσύνῃ, cfr. R. 430e6-7) è molto raro in Platone (solo due volte, nella Repubblica), e sempre determinato da un genitivo (lo stesso vale per ἐγκρατής, ‘temperante’’). καρτερία figura invece, usato assolutamente, in serie di ‘virtù’,

come qui, a Alc. 7 122c6- 7, La. 192b sgg. (cfr. anche X. Smp. VIII 8 (cit. da Galli) ἐπιδεικνυμένου | ῥώμην τε καὶ καρτερίαν καὶ ἀνδρείαν καὶ σωφροσύνην]; καρτερῶ è normale in Pla-

tone per ‘resistere’, alle fatiche ma anche alle ‘tentazioni’ (vd. Ast, Lexicon Platonicum, s.v. in fine). Cfr. anche Def. 412b35, c1-2.

962 (219d7) 0]v9 pap.ac cum BD T PW, edd. plerique, o]w[8] corr. m^ cum Par. Gr. 1810 (unde Vat. Gr. ‚229pc, Par. Gr. 1642), Schöne. La combinazione οὐδὲ . οὔτε (d8) sarebbe

estremamente rara (cfr. Denniston, 510). Il passaggio a potrebbe invece essere stato indotto (tanto in1 pap. che nei apografi citati) dal seguente ὅπως oov (per οὐδ᾽ ὁπωσοῦν p. es. Th. VII 49, 2, Isoc. XII2; in Platone frequente οὐδ᾽

οὐδ᾽ tardi cfr. óro-

στιοῦν); espressione peraltro a sua volta sospetta [in Platone ὁπωσοῦν è sempre (11 volte) avverbio ‘in qualunque modo’ (cfr. Dover ad loc., e Denniston, 426)]; malgrado la conferma

del papiro, va quindi presa in seria considerazione la correzione ὅπως ἂν presente in Par. Coisl. 155 [cfr. Euthphr. 15d5,

Smp. 178e5, Alc.I 10647, Prt. 319b1(?), Lg. 962271. —

οριζοιίμὴν pap.ac, opy v ζ- (y ex ı factum) corr. m.?

963 (219d7-8)

La lezione di pap. εἰ κίαι alnoctepndeinv,

di contro a καὶ ἀποστερηθείην dei codici (manca nell’apparato

di Burnet) dà luogo a un testo leggibile, quantunque manife-

— 448—

POXY

843

SMP.

stamente inferiore (nonostante l'opposto parere di Ritter, Bericht, 49): ‘non avevo modo di adirarmi, anche se ero stato privato della συνουσία con Socrate! (che non aveva accettato di essere 1’ ἐραστής di Alcibiade) συνουσία ha in effetti per lo più in $mp. (tolto il prologo) accezione sessuale (191c7, 192c6,

206c6). Vd. anche infra. 964 (219d8) [cv]vndeıoc pap.ac, [co]vov [O]cuac corr. m’(?). La variante di pap.ac, scartata da tutti gli editori, può essere casuale, o forse intesa a rimuovere l'imbarazzante συνουσία (vd. supra). συνήθεια non si trova in Platone col significato di 'rapporto abituale! (ma cfr. Def. 413c1). 965 (219e1)

evropovv pap. cum codd., Robin, ηὐπόρουν

edd. cett. Cfr. supra a 190. 966 (219e1) Pap. ha qui nógw con PW vulgata, contro ἤδη di BD T. Gli editori ristabiliscono di regola la desinenza -n [ma -ew in Burnet a Phlb. 5706 (coni), Criti. 112b4], anche

contro i manoscritti (p. es. Smp. 193e4, 199a3; Phd. 63e6, per cui cfr. Carlini, Studi, 65), fondandosi su precise testimonianze

antiche; cfr. supra a 829. —

(219el)

Quasi tutti gli editori recenti adottano (come

già Jahn, in precedenza) χρήμασί γε di T PW vulgata, confermato da pap., che, rispetto a χρήμασί te di BD (Schanz, Burnet, e ancora Lamb), dà un testo migliore, con il piuccheperfetto διεπεφεύγει coordinato, mediante il singolo te, con ἤδη,

anziché, mediante il doppio te, con ἦν all'interno della dichiarativa (ὅτι). Wilamowitz, Platon, II, 346 si pronuncia per te, ma sulla base di informazioni sbagliate. 969 (21963) aAacetar pap.ac, -£ c Bot corr. m'(?). 970 (219e3)

δη et pap. cum BD T

P, tè (sic) W (δὲ Perus.

F 56; Brockmann, Uberlieferung, 161). 972 (219e5) nepinfelio pap. (corr. m.?), περιήΐϊα T vulgata, περιηια B, περιῆα P, περιῆια W. La grafia Ame -di pap.ac potrebbe chiamare i in causa la forma alternativa fjew [cheè tràdita solo a Clit. 409c3 éravnew (ἐπανήκειν F), ma, come nota

R.S. SLINGS,

A Commentary on tbe Platonic Clitophon, Am-

sterdam, Academische Pers 1981, 355, «lies at the base of the

readings at Ly. 206e1»; cfr. però Martinelli Tempesta, Liside, 16 n. 39]; ma qui si tratterà piuttosto di errore itacistico (o di

analogia con la terza persona -Neı). Interessante la coincidenza perfetta di pap.pc con T, codice che anche in altri luoghi of-

— 449—

PLATO

76

fre da solo la forma fia (peraltro solo epica e ionica); cfr. Schanz, Platonis opera, VII, p. XIII.

974 (219e7) crpatıa pap.ac, crpat'e’ıa suppl. πι

Cfr. in-

fra a 1008. 979 (219e8) [oro]tav avaykacdeınnev legge anche pap. con BD T, contro ὁπότ᾽ avaykaodeinnev di PW (e anche Vat. Gr.

1030, Vat. Gr. 227, Rom. Angel. 107), messo a testo da gran parte degli editori [-einev Schanz, Burnet: le forme ‘lunghe’ dell’ottativo sono eccezionali negli autori attici antichi: cfr. Kihner - Blass, I.2, 71 (che cita proprio questo luogo); Rutherford, The New Phrynichus, cit. (supra a 829), 451-456; nel Platone di Burnet sono accolti 4 -εἴημεν contro 29 -eiuev, 2 -εἴησαν (negli spuria), un solo -eınte]. ἄν con l'ottativo nelle

subordinate è per lo più giudicato corrotto (vd. Kühner - Gerth, 11.2, 452-453; B.L. GILDERSLEEVE, Syntax of Classical Greek, I, New York-Cincinnati-Chicago, American Book Company, 1900-1911,

rist. Groningen,

Bouma's

Boekhuis

testo corrente di Platone ne offre almeno

1980,

tre esempi

180); il

(Phd.

101d4-5, Alc.II 14623, Ti. 56d4-5), sempre in dipendenza perö da ottativo potenziale. ὁπότ᾽ di PW potrebbe essere frutto di casuale aplografia, o di intenzionale correzione [facilitata da ὁπότε avaykaodein subito sotto (220a3)]; ma anche la ditto-

grafia -avav- avrebbe potuto prodursi con facilità (cfr. p. es. supra a 637), e anche più volte indipendentemente. Quanto al duro asindeto, confermato da pap. [ὁπόταν γοῦν Vind. Phil. Gr. 21, unde Aldina, vulgata (cir. Brockmann, Überlieferung, 188), ὁπότε δὲ Sauppe, ὁπότε te Teuffel, ecc.], vi si può forse ovviare interpungendo: ἀλλὰ καὶ τῶν ἄλλων ἁπάντων— ὁπότ(αν) . ἀσιτεῖν -- οὐδὲν ἦσαν οἱ ἄλλοι («ma, anche rispetto a tutti

gli altri... non erano nulla gh altri ...»), con anacoluto simile a quelli di 220d6-7 e 208e6 ... 209b1. 1979 (219610) arol[ +5 Jevrec pap., che non prende quindi posizione fra ἀπολειφθέντες dei codici (forse: ‘essendo a corto” sc. ‘di cibo’; vd. LS], s.v., C), e la congettura di Cornarius

ἀποληφθέντες (‘bloccati’; cfr. Phd. 58b8- c1), adottata ormai da tutti gli editori. 980 (219e10) 983 (22022)

o'v'& pap.: suppl. m?(?). aro4àvew pap.ac, aro4.à a vet

(sic) suppl.

m°(?), ἀπολαύειν codd. Cfr. supra a 388. Il correttore deve aver dimenticato di cancellare il À di troppo (piuttosto che voluto registrare una variante; cfr. supra a 918).

— 450—

POXY 843

SMP.

985 (22023) navrac expater et pap. cum BD T W, πάντ(ων) ἐκράτει P, coni.

Hirschig.

Per la costruzione con l’accusa-

tivo si può citare Phlb. 11e2-3. 986 (22024)

[o] πίαν]των

pap. cum T PW recte, ὁπόταν

BD. — (22024)

θ᾽ αυμαειωτατον pap. [suppl. m’(?)] cum Vind.

Phil. Gr. 21 (cfr. Brockmann, Überlieferung, 84 e n. 103), θαυμαστότατον BD T PW, edd. Cfr. supra a 798. ὃ μὲν πάντων θαυμαστότατον si legge anche a R. 491b7. 987 (22025) eolpla]xev aveva quasi certamente anche pap. (1 alla fine si può escludere) con T, P (revera: -kn secondo Vicaire), W vulgata, contro ἑωράκει di BD (accolto da Bekker, Rettig).

991 (22047)

Rispetto all’ed.pr., si può precisare che la le-

zione di pap.ac era καρ]τερηςαι (καρ]τερης[α]ς corr. m’). 992 (22027) yeuov]oc pap.ac, -ec corr. m’(?) (del. Naber). Eco del rigo precedente. 992 (220b1) Anche pap. ha la forma eıpyalellto, come i codici; Burnet

(che pure più spesso altrove accetta eipy.) ri-

stabilisce qui ἠργάζετο, come prescriveva anche Wilamowitz,

Platon, II, 339. Cfr. supra a 183. 993 (220b1) fülralyov pap.pc (corr. m.?) cum BD, edd., τοῦ πάγου T PW vulgata. Interferenza del verbo ὑπάγω.

Col. XXVII (1 = 995) 995 (220b2)

Pap. conferma ἢ οὐκ di BD P, contro l'erro-

neo οὐκ di d TW.

996 (220b3) suqiecpevov pap.ac, nugi- corr. m.? Dopo di che il copista aveva scritto 6no (l'inizio di δὴ ὅσα), saltando te θαυμαστά; avvistosi dell’errore, ha annerito il è e trasfor-

mato ἢ in τε e o ind. 996-997 (220b3)

èn | oca et pap. cum T PW, ἢ ὅσα BD.

997 (220b4) Il passo & citato due volte da Polluce: a X 50 (II, p. 204, 2 Bethe) con kai (dopo níAovc) come in pap. e nei codici, a VII 172 (II, p. 99, 13 Bethe) con te kat. 999 (220b5) Pap. omette il ö(£) ‘apodotico’ (cfr. Denni-

ston, 177 sgg., in part. 182; Dover ad loc.) presente in BD T PW, soppresso dal dotto recensore del Vind. Phil. Gr. 21, ma conservato dagli editori e difeso (senza peraltro far menzione

del papiro) da Bickel, Geschichte, 154, Reinhard, Die Anako-

luthe, 84 sg. La complessità del periodo, cosi come puó giu-

— 451—

PLATO

76

stificare ]’ ‘irregolarità’, può anche spiegare |’ ‘interpolazione’. Il testimone antico, che rappresenta metà della nostra tradizione e offre un testo irreprensibile, merita probabilmente credito, come giudica Ritter, Bericht, 51. 1000 (220b6) [oto]vInep pap. cum BD, edd., οἷον T PW. 1003 (220b7) aAAov ὕπο- pap.: ac, αλλοι ὕπο. corr. m.? Dinanzi ad ἄλλοι il solo D omette oi (Brockmann, Überliefeg, 55). ^ 1005- 1006 (220b8- -9) Come notano Grenfell e Hunt, lo scriba, dividendo xatappovolv]v [τ] αεἰφίων] (cui seguiva pro-

babilmente ano stigme, anche stando allo spazio), dimostra di non aver riconosciuto la forma σφῶν. 1006 (220c1)

Grenfell e Hunt

trascrivono,

tezze, δη tavia, in accordo con BD T PW.

senza incer-

Ma le tracce della

lettera che segue il secondo « (quasi interamente perduto in lacuna) sono apparentemente meglio compatibili con n. E ταύὕτῃ, lezione che, trovata già, probabilmente per congettura, dai dotti bizantini [Vind. Phil. Gr. 21, unde Ven. Marc. Gr. 184 (coll.

326)], migliorerebbe indubbiamente il testo. La formula transizionale ταῦτα μὲν δὴ ταύτῃ si ritrova identica a Cra. 401d7-

el, e Ep. XIII 360e3-4, con minime variazioni a Ti. 66d1, Lg. 67621, Epin. 991b5, Ep. II 314c7 (luogo citato già da FJ. BAST, Kritischer Versuch über den Text des platonischen Gastmabls, Leipzig, Müller, 1794, 165), e variamente sviluppata iin almeno altri sette luoghi [una variante è ταῦτα μὲν (oov δὴ) οὕτω di R. 360d7 ecc., cfr. anche Tht. 173b2-3]. Laddove ταῦτα ...

ταῦτα non ha sicuri riscontri [a R. 444b9, cit. da Hug - Schöne ad loc., la tradizione è divisa, e Burnet legge αὐτὰ μὲν οὖν ταῦτα con Stobeo (ταὐτὰ μὲν

AD M, ταῦτα μὲν F), né co-

munque 51 tratta di formula transizional e]. 1006-1007 (220c2) Pap. ha otov | è [av] 106, lezione presente, forse per congettura o memoria del testo omerico [dAÀ'oiov τόδ᾽ (ὃ 242), oppure οἷον καὶ τόδ᾽ (è 271); cfr. G. LOHSE,

Untersuchungen über Homerzitate bei Platon (11), Helikon 5 (1965), 248-295: 268 sg.], in PW, di contro a οἷον δ᾽ αὐτὸ di

BD T (la correzione, adottata dallo Stephanus, veniva attribuita al Cornarius; αὖ τὸ Par. Coisl. 155, Par. Gr. 1810, Vat.

Gr. 225 ecc.). Cfr. Brockmann, Überlieferung, 253 (da inte-

grare per quanto ae 1007 (22002)

P).

ερίε]ξε et pap. cum Bac(?), D T W, ἔρρεξε

Bpc P

— 452—

POXY

843

SMP.

1008 (220c3) La lettura dell’ed.pr. (πο]τε eni, con i codici primari) va lievemente rettificata in πο]τ eni (come in Vat. Gr.

229). — (220c3)

In emi ctpatiac di pap. si è vista una conferma

alla correzione ἐπὶ στρατιᾶς di Cobet [Platonica, Mnemosyne n.s. 5 (1877), 1-20: 4], già accolta da Schanz e Burnet; fra gli editori recenti solo Robin (ma non Vicaire), Sykutris e Galli si attengono a ἐπὶ στρατείας dei codici. Ma, come osservavano

Grenfell e Hunt, alla testimonianza di pap. non va dato troppo peso, considerato che già a 974 (vd. supra) il copista aveva scritto, erroneamente, στρατια. Né vi è necessità di differen-

ziare fra questo luogo e 219e10 dove tutti 1 testimoni, incluso pap. (980), hanno ἐπὶ στρατείας. Entrambe le espressioni si trovano del resto, metricamente garantite e con valore identico, nel dramma attico (cfr. Dover ad loc. e LS] s.vv.). In Platone, Burnet accetta sempre ἐπὶ στρατιᾶς, ma la forma -eı- si

trova regolarmente attestata, almeno come variante [Phdr. 260b8 (Par. Gr. 2011), Chrm.

(A F D M), ci (F)]. 1010 (220c4)

156d4 (Stobeo), R. 404b11 (D), 468b3

elıcr[nkelı pap., a quanto pare, con la grafia

più corretta, come Vind. Phil. Gr. 21 [unde Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326)], Par. Gr. 1810 [unde Par. Gr. 1642]; BD T, P

(revera: da correggere Vicaire), W e la vulgata hanno tutti ἑστήκει senza aumento (cfr. supra a 829), ma invece εἷστ- subito sotto a c5 (1012) e d3 (1022). Cfr. Schanz, Platonis opera,

VII, p. XIII.

— (220c4) pra a 49.

1011 (22004)

enılön pap., erroneamente, per ἐπειδὴ. Cfr. su-

npov[xopelı et pap. cum B^ T PW, προχώρει

BD. 1011

(220c5)

(ἀνήει P). 1014 (220c6)

Pap. ha aveın in luogo del corretto ἀνίει θαυμία]ζοντος pap.ac, -vtec corr. m’(?).

1015 (220c7) Dopo Σωκράτης pap. ha un wc assente nei codici, e scartato dagli editori; esso potrebbe, costruito con φροντίζων o col solo ἐξ ἑωθινοῦ (cfr. p. es. R. 32703), sfumare

di soggettività le congetture dei commilitoni stupefatti. Ritter, Bericht, 47 ipotizzava che lo scriba abbia inserito ὡς perché aveva scambiato ewdeı- per εἰώθει (che ricorre poco sopra, a b6; cfr. anche 175b2, c6, 223d10); ma ἐξ complica un po’ la

situazione; cfr. infra.

— 453—

PLATO

— (22007)

76

emBerv) | ov pap.ac, £o0[e]w v'ov corr. m’(?)

(v extra lineam suppl.) (ἑωθινοῦ).

Falsa divisione, che sem-

bra implicare fraintendimento della parola (ewdeıv come una sorta di infinito?), facilitato dalla inesatta ortografia. Cfr. supra a 98-99. 1016 (220c8)

τελευ τ[ων]τες et pap. cum BD T, P

(revera),

καὶ τελευτῶντες W.

1017 (220c8) Ἰώνων [malgrado la difesa di H. USENER, Góttliche Synonime, n.s. RhM 53 (1898), 329-379: 372 n. 1] appariva sospetto per la ‘stranezza’ della precisazione e per supposte ragioni storiche, e veniva per lo più alterato [ἰδόντων L. Schmidt,

Burnet'

e ancora

Robin,

vewv

Mehler

Schanz,

Παιόνων Rettig, ξένων Richards, Notes, cit. (supra a 94), 205].

Dopo la conferma di pap. la lezione è stata per lo più accettata (inclusi Sykutris e Vicaire; cfr. Wilamowitz, Platon, I, 373 n. 1).

1022 (220d3)

&wtn|ket anche pap.; εἱστήκε W [ἑστήκε (sic)

a c8]. Cfr. supra a 1010. 1024 (220d5)

rpocevéaju[ev]oc anche pap.; προσευξόμενος

solo Bpc (da cui Vat. Gr. 225). 1025 (220d6) Pap. ha in più un καί ( anche’) dinanzi a év

ταῖς μάχαις, lezione che ha pieno titolo per figurare a testo (questo raccordo fa seguito a quelli di 219e8, 220a1, a6, c2), anche se nessun editore l'ha finora adottata (questione indecidibile per Ritter, Bericht, 50).

1028 (220d7)

εμοι κίαι anche pap. (spatii ratione); ἐμοὶ P.

1030-1031 (220e1) terpwuevov | [ovx e0]gAov et pap. cum BD PW (οὐκεθέλων. omnes praeter D), οὐκ ἐθέλων τετρωμένον

T vulgata. 1031 (220e2)

Il secondo X di aXXa

è rifatto (inter scri-

bendum) probabilmente su ung. 1035 (220e4) ue['o]wet pap. [corr. m'(?)] cum BD T, edd. plerique, μέμψῃ W (-nı), Burnet. Cfr. supra a 404.

Col. XXVIII (1 = 1042) 1042 (22121) cokpoctnv pap. cum Vind. Phil. Gr. 21, σωκράτη

BD T W.

La stessa variante morfologica 51 incontra qua e là

anche altrove nei codici (p. es. a6 σωκράτην T Vind. Phil. Gr.

21); nel testo oxoniense questo accusativo è accolto due volte (dinanzi a vocale: Phdr. 236c5, Grg. 514d7); nel papiro si trova solo qui e a 1068 (sempre dinanzi a vocale), su 17 occorrenze

— 454—

POXY

843

SMP.

fra cui altre 7 volte in iato); 'Apiotogavnv in una correzione

della seconda mano a 1211 (vd. infra).

1048 (22145) napaksAsevopot pap.ac, -εὐομαι corr. m! inter scribendum (?).

— (221a5) In pap. Bap|p ew è frutto di una correzione, forse della prima mano. L'ed.pr. segnala che solo a è riscritto su €; ma anche 1 due p possono essere secondari; una possibi-

lità è che il copista dapprima avesse scritto avtorv Beyow (pe-

raltro privo di senso). W ha θαρεῖν. 1050 (221a6)

èn kat anche pap.; δὴ P.

1051 (22126) [cJoxparn anche pap.; σωκράτην T Vind. Phil. Gr. 21 (e altri), σωκράτους Vat. Gr. 2218 (vd. infra a 1211).

_

Cfr. supra a 1042. 1052 (22127)

n anche pap. (n B, ἢ D T W), contro la nor-

malizzazione fjv di B^ vulgata.

1057 (221b4)

Pap. ha te xa, in luogo di καὶ dei codici; la

variante, dimenticata nella collazione di Grenfell e Hunt (non

nel testo), & sfuggita a editori e critici, tolti 1 soli Ritter, Be-

richt, 51, che già notava come essa trovi riscontro nel luogo aristofaneo alluso [Nu. 362 βρενθύει τ᾽ ἐν ταῖσιν ὁδοῖς καὶ τὠφθαλμὼ παραβάλλεις (τ᾽ om. Suidas)] e Schöne, che la accoglie a testo. Te peró manca anche in Ateneo (V 216a), testi-

mone

anch'esso sfuggito, a quanto pare, agli editori dı Pla-

tone. Cfr. supra a 178.

— (221b4) [x]o oo θαλμω pap. (suppl. m'(?)], τὼ ὀφθαλμὼ T, τῶ φθαλμῶι BD Athen., τ᾽ ὀφθαλμὼ W, τὠφθαλμὼ d (reL’apparato di Vicaire è ınevera) cum Aristophane, edd. satto. 1058

(221b4)

Pap.

conferma

παρασκοπῶν

dei codici, di

contro alla congettura di Bekker περισκοπῶν, adottata anche da Schanz. 1058 (221b5)

φιίλους di pap. si ritrova, per ovvia coinci-

denza, in singoli manoscritti di tutte e tre le famiglie e nella vulgata (vd. Brockmann, Überlieferung, 159 sg. n. 12, 190);

tutti gli editori (malgrado il parere opposto di Ritter, Bericht,

51) adottano giustamente il difficilior φιλίους di BD T PW. Contrapposto, come qui, a πολέμιοι, si trova φίλιοι a Mx. 243c5-6, e R. 414b2-3 647b6-7,

761d7-8,

(φίλων Stobeo); φίλοι a R. 382c8, Lg.

941a4, Ep.

VIII 352d2-3.

1061 (221b6) αψαῖιτο di pap. trova riscontro solo in una variante apposta da altra mano nel Vat. Gr. 1298 di Aristide

— 455—

PLATO

76

(vd. Behr ad 1.2, p. 232, 21); 1 codici di Platone come pure la restante

tradizione

aristidea

hanno

ἅψεται.

L’ottativo nella

condizionale, rispetto alla principale ἀμυνεῖται, non farebbe difficoltà (cr. Kühner - Gerth, II.2, 554); ma la lezione di pap.

può anche avere origine semicasuale (dinanzi a τούτου). Ritter, Bericht, 50 giudica la questione indecidibile. 1062 (221b7) a]uvvertai et pap. cum T PW Aristid., ἀμύνηται BD.

— (221b7) Pap. ha διο καὶ con i codici, Aristide (che però riprende con queste parole la citazione, dopo un lungo inciso) διὸ δὴ xoi.

1063 (221b8) καὶ αὐτος και o etepoc legge pap. seguito dal solo Schóne, kai οὗτος καὶ ὁ ἕτερος 1 codici (om. D) e Jahn -

Usener, Robin, καὶ οὗτος καὶ ὁ ἑταῖρος Aristide seguito da Schanz, Burnet, Bury, Lamb, Galli (Vicaire non modifica il te-

sto di Robin, ma traduce «son compagnon»). La convergenza di pap. con i codici su ἕτερος può non aver gran peso [lo scambio é frequente, cfr. Schanz, Novae commentationes, 59]; αὐτός

di pap. è isolato, come testimonianza e nel contesto del brano [οὗτος a 220e1, 221a3, b6 (per cui vd. Dover ad loc.)], e puó

essersi prodotto secondariamente proprio per contrapporsi a ὃ ἕτερος (ctr. p. es. Phd. 58d5-6 xai αὐτὸν λέγοντα καὶ ἄλλου

ἀκούοντα). Eppure anche αὐτός — ipotizzato, a suo tempo, da Hartman, De emblematis, 114 sg., e preferito da Ritter, Bericht, 51 — darebbe senso soddisfacente: il contegno deciso di Socrate salva, oltre che [ui stesso, anche il meno saldo Lachete (cfr. b1). 1065 (221b9) Nella citazione di Aristide ἐν τῷ πολέμῳ è

trasposto dopo ἅπτονται. Pap. è solidale con i codici. 1066 (221c1) &1]|oxovct et pap. cum codd., μᾶλλον διώκου-

σιν Aristid. 1068 (221c2) Pap. ha di nuovo la forma cokpotnv con Vind. Phil. Gr. 21 (σωκράτη BD T W, coxpátovg alcuni apo-

grafi e la vulgata: vd. infra a 1211). Cfr. supra a 1042. 1069 (221c3)

A fronte di ἀλλὰ τῶν μὲν ἄλλων dei codici,

pap. aveva probabilmente, stando allo spazio, αἴλλα τῶν αλ͵λων (cosi 'ed.pr.). La variante, che non risulta dall'apparato di Burnet, né da quello di Vicaire (nel quale sono evidentemente cadute due mezze note), non sarebbe propriamente banale. In effetti il δέ (c4) risponde piuttosto al primo μέν che a questo

— 456 —

POXY

843

SMP.

secondo (πολλὰ μὲν... -θαυμάσια.. . τὸ δὲ ... ἄξιον παντὸς θαύματος; mentre τὸ δὲ

. ὅμοιον εἶναι non è un ἐπιτήδευμα), e il

testo medievale pone alcune, ancorché non insormontabili, difficoltà. Innanzitutto lo strano genitivo (col verbum dicendi?) τῶν... ἄλλων ἐπιτηδευμάτων (νά. Dover ad loc.); poi una certa

ambiguità, per cui nella proposizione ἀλλὰ... εἴποι sembrano

incrociarsi 1 due concetti: 1) ‘nei singoli campi della sua attività Socrate è sì lodevole ma paragonabile ad altri” (è l’interpretazione corrente); 2) ‘negli altri campi le lodi che si fanno di uno si possono sempre fare anche di un altro’ (cfr. c6 sgg. οἷος yàp ᾿Αχιλλεὺς ἐγένετο κτλ.). Il testo di pap., senza ıl se-

condo μέν e con punto in alto solo dopo εἴποι, poteva comunque

intendersi:

1) (con ἄλλα anziché ἀλλὰ) ‘molte altre

lodi si potrebbero fare di Socrate e forse altre consimili meraviglie sı potrebbero narrare anche riguardo ad altra delle sue attività (ἐπιτηδευμάτων partitivo rispetto ad ἄλλου); 2) (con

ἀλλὰλ ᾿... lodi straordinarie, ma anche di altri negli altri campi (ciascuno nel suo) si potrebbero dire cose analoghe’. 1071 (221c4) La lezione di pap. to de 6n, di contro a τὸ δὲ dei codici, è accolta solo da Schöne e Sykutris, ma ha l'aria di essere genuina (per Ritter, Bericht, 50 & anche qui impossibile scegliere); δή sottolinea opportunamente la ‘é-clause’ rispetto alla complessità formale e concettuale (cfr. qui sopra) delle premesse: «... invece è proprio il non essere simile.. 1071 (221c5) In luogo di ἀνθρώπων nel papiro si ἊΝ

a]vOpov. «A slip», come affermano gli editori, ma forse ah“

tato da una tendenza abbreviativa, che era destinata ad affer-

marsi in ambito cristiano e sfuggito, si noti, come Baderac di 498, all'attento diorthotes (cfr. supra ad loc., e Maltomini 1990, 296 n. 9). A Grg. 490b2 si contrappongono le varianti: ἀνθρόοι F, ἁθρόοι ἄνθρωποι B T W (ἄνθρ. ddp. P), ἁθρόοι OlA, Burnet, Dodds (che nel commento osserva, non necessariamente a

ragione: «Of the two, ἁθρόοι is the more likely to have been corrupted»). Per la possibile presenza del nomen sacrum avav in un testo filosofico pagano, vd. F. DECLEVA CAIZZI - M.S. FUNGHI, Natura del cielo, astri, anima. Platonismo e aristoteli-

smo in una nuova interpretazione di PGen inv. 203, 1998 (STCPF,

9), 33-110: 36-38; cfr. anche McNamee, Marginalia, 395 sg. 1072 (221c5)

eıv[aı] unte pap. cum B^ T PW recte, εἶναί

ue BD.

— 457—

PLATO

1077-1078 (221d1)

76

Rispetto a kai τοὺς ἄλλους κατὰ ταῦτ᾽

[ταῦτ᾽ BD T, P (ut vid.), τοῦτ᾽ Ν᾽] àv τις dei codici, pap.ac presentava καὶ τους aAAov[c trasposto dopo kta (sic) tavta av t[ıc] (secondo Ritter, Bericht, 49 n. 1 a seguito di un'iniziale

omissione dovuta alla somiglianza delle due frasi). Il correttore, mediante sopralineatura e supplementi negli intercolunni, ha ristabilito l'ordine, necessario per la sintassi (kai è con-

nettivo). L'a mancante di κατά è integrato nell’interlineo forse dalla prima mano (xta è grafia ben attestata come abbreviazione). 1080 (221d2)

In atonıav le lettere ton sono corrette inter

scribendum da v9: lo scriba stava per saltare la parola passando al successivo ἄνθρωπος. 1082-1083 (221d4) £l | pn apa otc pap. cum T, P (ἀρ οἷς), W vulgata, Schöne, ei μὴ ἄρα εἰ οἷς BD, edd. cett. La lezione

condivisa dal papiro e da un ramo della tradizione medievale sarebbe ineccepibile; e la sequenza ei μὴ ἄρα ei non si ritrova altrove in Platone (ei un ἄρα altre 6 volte; cfr. Kühner - Gerth,

II.2, 486 sg.). Ma si può anche obiettare che il testo di BD è difficilior e la poligenesi facilmente ammissibile. 1083 (221d4) [Aey]® (o piuttosto [Ae]yo) ha pap., giustamente, con T PW, contro Aéyov di BD.

1085 (221d5) Pap. ha la grafia cewAnv[ow], a fronte di σιληνοῖς dei codici, come a 1139 σειλήνικον (222d4); ma a 1088, stando allo spazio, c'era più probabilmente toılc chàn-

voi (cel ed.pr.). Col. XXIX (1 = 1088) 1089-1090 (221e1-2) τω(ν) |... Xoyov pap. cum T PW recte,

v..Aöyov BD. 1091 (221e2)

Cfr. infra a 1102. n[a]vv γελοιοί[ι] pap. a conferma della lezione

di T PW, passata nella vulgata e adottata da quasi tutti gli editori. Schanz però si atteneva a γελοῖοι di B (senza accento), D; Bury congetturava rayyeAoıoı. πάνυ γελοῖος anche a Euthd.

291b1 (cit. da Schanz), Tht. 209d6. Cfr. anche infra a 1114. 1092 (221e3) Secondo l'ed.pr., pap. aveva, di prima mano, Tepuaupexovtai, corretto in -αμ[φ]εχονται dalla seconda (πε-

ριαμπέχονται i codici). La lettera prima di 9 è poco leggibile, ed è possibile che fosse in realtà v (cfr. 536 Evvavgotepo(v), 1054 evop[o]v). —

458—

POXY

843

SMP.

1093 (22164) Pap. conferma tiva di BD, accolto da Schanz, Bury, Schöne (Hug), Galli; ma molti editori partono ancora da ἄν τινα di T PW

Baiter, in δή tiva

vulgata, pur dovendolo correggere, con

(Burnet,

Lamb,

Robin, αὖ tiva Rückert,

ecc.). Per un caso simile, cfr. supra a 421. 1094 (221e5) Pap. ha xav@nAivovc (forse indotto dal precedente ὄνους) per κανθηλίους [καθηλείους W (sic revera)].

1097 (221e6)

ταῦτα pap., τὰ αὐτὰ codd. (ταὐτὰ Vat. Gr.

225, Vat. Ross. 558).

1098 (221e7) ανθρωποῦ pap.ac, ovOpono[o]corr. m’. Il genitivo indica un fraintendimento indotto da ἄπειρος (cfr. Hp. Ma. 289e7 ἄπειρος ei Tod ἀνδρός, Lg. 951b1 ἄπειρος ... ἀνθρώπων κακῶν καὶ ἀγαθῶν); Socrate è in effetti designato con &vOpoπος (di norma però con l'articolo) a 219e4, 221d2, 222e5-6. 1099 (22221) διοιγομενοῦς et pap. cum T PW, διοιγουμένους

BD. Il primo ε di καταγείλ]αςειεν à in modulo più piccolo nell’ed.pr. (come fosse frutto di correzione), ma probabilmente per errore (se ne vede solo piccola parte). 1100 (222a1) Pap. conferma sia ἄν τις qui (αὖ τις Bekker, Burnet', Bury, Lamb, δή tig Schanz), sia εὑρήσει ad a3 (1102;

εὑρήσειε Usener). L’esistenza di ἄν + futuro in attico è controversa; vd. da ultimo (con bibliografia) de Strycker - Slings,

Apology, 328 (ad 29c4-5). Questo caso, come nota Dover ad loc., si può facilmente spiegare pensando a una sorta di anacoluto; ma G.J. DE VRIES, Marginal Notes on Plato’s Symposium, Mnemosyne s. IV, 33 (1980), 349-351: 351 insiste sulla piena ammissibilità della costruzione. Per un’analoga conferma,

da parte di pap., di un costrutto dubbio, cfr. supra a 819.

BD.

1102 (22223)

τῶν Aoywv pap. cum T PW recte, τὸν λόγον

1105 (22235)

tıvovrac pap., τείνοντας T PW, edd., teivav-

Cfr. supra 21089.

tag BD.

— (22225)

Pap. ha il richiesto ἐπὶ con T, PW (ἐπι); ἔτι

BD. 1106 (22245) C'é un punto in alto, aggiunto a posteriori, dopo ocov. «Apparently meaningless» (Grenfell e Hunt), & forse connesso con la paragrapbos, erroneamente segnata qui a oltre che al rigo successivo. 1107 (22226)

Altro punto di inchiostro, senza significato,

in alto fra 0 e a di ececdoı. Forse lo scriba stava semplice-

— 459 —

PLATO

76

mente cominciando a scrivere e al posto di a: cfr. supra a 747,

880, 1160.

1107-1108 (22247)

pra a 142.

ταῦτα | tavıa pap.: corr. m.?

Cfr. su-

1108 (222a7) Il copista aveva iniziato a scrivere a anziché p dopo cox di Σωκράτη. 1109 (22228) ευμίμειξας pap., Burnet, συμμίξας codd., edd.

cett.

Cfr. supra a 170. 1110 (22228)

Sopra n di nueilv] (ἡμῖν) c'è un è di mano

del diorthotes, ıl quale o ha dimenticato di cancellare n o ha scelto di registrare ὑμῖν (lezione dei codici e giusta) solo come variante. Cfr. supra a 918, 983. 1113 (222b2) La paragraphos a questo rigo, priva di significato, spettava forse al seguente. 1114 (222b3) 10oAXovc pap., πάνυ πολλοὺς codd., edd. Aplografia; cfr. infra a 1189 (e anche supra a 1091). 1117 (222b4- 5) λεγω | @’ ἀγαθων pap.: suppl. m’.

Cfr. su-

pra a 701 (qui l'omissione è facilitata dall’ aplografia). 1117 (22255) ἐξαπατᾶσθαι pap. cum T W recte, ἐξαπατᾶode BD. 1118 (222b5) 1119 (222b6)

[ὕ]πο 10(v) pap.: corr. m’(?), ἀπὸ τῶν codd. yvovta et pap. cum T PW, γνῶντα BD.

1124 (222c2) L'ed.pr. non rileva che l'o del richiesto ἐδόκει è corretto da m. L'impressione è che pap.ac avesse eócxe [τι] (ἐδόκει ἔτι 1 codici); lo scriba stesso potrebbe aver corretto in eóokeτ΄ [τι], il diorthotes prolungato inferiormente lo 1, e aggiunto l’e nell'interlineo. Del « non resta, a quanto vedo, alcuna traccia. 1127 (222c4)

&qn pap.ac, [elp av ov. corr. m "(v ex N), φά-

ναι codd. (om. Vat. Gr. 225).

Errore non meccanico ma psi-

cologico. 1130 (222c5)

Pap. aveva originariamente ουδεκαταῦτα (in-

teso οὐδὲ κατ᾽ αὐτά}), corretto poi (difficile dire da quale mano) in ovvero ταῦτα, che rappresenta la lezione esatta οὗ ἕνεκα ταῦτα conservata da T W (cfr. Euthphr. 647 dove Burnet accettava οὕνεκα). L'errore di pap.ac richiama quello di BD οὐδ᾽ ἕνεκα (ενεκα B) ταῦτα (da cui οὗ δ᾽ ἕνεκα τ. Vind. Phil. Gr. 21, Par. Gr. 1810, Par. Gr. 1642, οὗ δὴ ἕνεκα τ. Usener),

ma la coincidenza& solo vaga e probabilmente casuale, contrariamente a quanto si ricava dagli apparati di Burnet, Robin, Sykutris e Vicaire (cfr. Brockmann, Uberlieferung, 48 n. 42).

— 460—

POXY

1131-1132 (222c6)

843

SMP.

[Aell[Aey]ov pap. Cfr. supra a 142, ma

qui le lettere sono non sopralineate, bensì barrate orizzontalmente, come

Col. XXX

a 370,

1154-1155.

(1 = 1133)

1142 (222d6)

διαβαλει di pap. conforta la correzione di

Hirschig (cfr. Carlini, Studi, 72 n. 105), già accolta da quasi tutti gli editori, per διαβάλῃ dei codici [con ὅπως; διαβάλλει Vind. Phil. Gr. 21, unde Ven. Marc. Gr. 184 (coll. 326)]; la congettura διαλάβῃ di Rettig & da Dover riferita erroneamente a 62,

dove διαλάβῃ è tràdito; cfr. Slings, rec. cit. (supra a 112), 418.

1148 (222e3) παρελθεν pap.ac, rapa ce’ ελθ[ε]ν corr. m’. (222e3) korojkAnvnconalı] pap.ac, -κλιν- corr. m’(?).

L’ ortografia ‘normale’ in pap. è -κλειν-; cfr. 1150 kaltaxkeıvov, 1181 κατακλεινεςεθαι. 1153 (222e6) mepi|ievat di pap., manifesto errore per nepreivaı dei codici (‘superare ) poteva in qualche modo essere

interpretato alla luce di nepıfja di 219e5. 1154 (222e7)

— (222e7)

τι ᾿αλλο΄ pap.: suppl. m’,

Oavpacv ε΄ ev pap.: suppl. m“. 3

1154-1155 (222e7)

[nelluelco] pap.: corr. m?

Cfr. supra

a 1131-1132.

1156 (222e8) doppio punto

In base allo spazio, si dovrebbe integrare un dopo εθαι (anche la relativa paragraphos può

essere perduta in lacuna). 1157 (222e9)

Pap. conferma yàp ἐμὲ di BD, già adottato

dagli editori moderni, contro γάρ με αἱ T W vulgata.

^ 1158 (222e9) Il necessario αὖ τὸν è stato ristabilito da Bekker a partire da αὐτὸν dei codici (B incluso), mantenutosi nella vulgata; pap. ha αὐτὸν senza segni diacritici. La nota di Burnet «av tov B Oxy.» è pertanto infondata. — (2229) επανει(ν) pap.ac, era v vei(v) suppl. m'(?). Cfr. infra a 1163. 1159 (222e10) ὕπο cor et pap. cum B T? W, ὑπὸ σοῦ T. — (222e10) κατακλιθη pap., κατακλινῇ codd., edd. Il pa-

piro stesso ha, come i codici primari, la forma forte’ a 939 (21966), 1145 (222e1), 1148 (222e3) (a 213c3 il verbo è perso

in lacuna). La variante a suffisso -0n [oltre a ricomparire qua e là negli apografi: p. es. el κατεκλίθη Vat. Gr. 229 (da cui Par. Gr. 1642)] è lezione dei testimoni principali almeno a Phd. 117e5 (κατεκλίθη), Phdr. 229b2 (κατακλιθῆναι), dove viene

— 461—

PLATO

76

normalizzata dagli editori. Invece a Phd. 10935, Burnet e anche Strachan OCT I [1995] conservano κλιθῆναι. Schanz (Pla-

tonis opera, V.2, p. X) giudica ammissibile in Platone solo la forma forte (scettico Ritter, Bericht, 50). 1160 (222610) Snuov pap.ac, ónxov corr. m’.

1160 (222e11) La grafia enevecete è rettificata, da mano non precisabile, in era vvecetaι΄. Il primo 1 supra lineam è collocato in posizione sbagliata nell’ed.pr. (non nel papiro). Cfr. supra a 747, 880. 1163 (22322) erave@nivar pap.ac, ena'ı've- corr. m.? Cfr. supra a 1158 (diverso dall’errore di 1160 causato all’omofonia di ar e £).

1167 (22324) ev@ace di pap.ac è corretto in ev0ade forse dalla prima mano. Si può immaginare un nesso con la variante πάντοσε, per cui vd. infra. — (22324) [π΄ (9)

In luogo di παντὸς μᾶλλον

attesta παντος ε΄ uaA[Àov

dei codici, pap.pc

( (oc ex corr.),

lezione

(non

menzionata da Burnet) con ogni probabilità inferiore (forse circolava come variante: cfr. supra), ma dotata di senso e anche di una sua efficacia: «ma piuttosto mi sposterò (uetavaστήσομαι) ovunque, per essere lodato da Socrate»; mentre Ritter, Bericht, 47 la rigetta con decisione, Schöne e Sykutris la

mettono senz'altro a testo. Per πᾶς (e simili) ... μᾶλλον, cfr. Plt. 296d5, Ly. 208e8-209a1, R. 619c5; e cfr. la frase μετοικεῖν

ἄλλοσε in Cri. 5148 (e Phd. 10935 οὐχ ἕξει μᾶλλον οὐδ᾽ ἧττον οὐδαμόσε κλιθῆναι). πάντοσε, raro in Senofonte e Aristotele,

non si trova in Platone, che ha invece quattro volte πανταχόσε (e peró anche due volte πάντοθεν a fronte del più frequente πανταχόθεν). Difficile dire cosa vi fosse in pap. ente correc-

tionem: navtoca dell'ed.pr. non convince appieno: si scorge piuttosto navım. (πάντων), forse corretto in un primo tempo in navılw]oc, ossia la lezione dei codici. 1173 (22347) europa κίαι] pap., εὐπόρως καὶ codd. recte.

In base alle tracce, non si potrebbe a rigore escludere εὐπορῶνί, che darebbe senso; ma la piccola lacuna seguente non basterebbe per kai (né potrebbe colmarsi altrimenti). 1174 (22328)

Bac(?)], edd.

παρ αὐἰτ]ω pap., παρ᾽ ἑαυτῷ codd. [ἑαυτῶν

Col. XXXI (1 = 1178) 1179 (223b3)

αναιωγμεναις pap.ac, av[o]eoy- corr. m?(?).

— 462—

POXY

1180 (223b4)

843

SMP.

La preziosa lezione conservata solo da pap.,

eco avtikpuc, ‘direttamente dentro’, è stata messa a testo da

Sykutris e giudicata con favore da Ritter, Bericht, 51, Wilamowitz, Platon, II, 362 («Dies hätte Konjektur finden sollen»), Galli (ad loc.) e Maas, Textkritik, 24 (cfr. Carlini, Studi, 72 n. 105). I restanti editori (fra cui Burnet e Dover, che neppure menzionano la variante; Burnet se ne scusa in 1921, 6) restano

fedeli a eig τὸ ἄντικρυς dei codici, interpretato peraltro di norma come equivalente al semplice ἄντικρυς, ‘direttamente’ (cfr. Euthd. 273b2). L'uso con preposizione e articolo non ha però

paralleli né spiegazione («Was soll das überhaupt heißen?» Wilamowitz). Esso è ben attestato invece con (kat)avrırpd, ‘di

fronte’ [solo il composto in Platone; cfr. in particolare Ly. 20723 εἰς τὸ καταντικρύ, Euthd. 274c4; diversi Phd. 72b2-3, R. 51527; εἰς τὸ ἀντικρύ (+ genitivo) solo in Ps.-Gal., Phil. Hist. 78, p. 631, 27 Diels (da confrontare con Plu. Plac. philos. 894e), e Vett. Val. p. 363, 10 Kroll eig τὸ ἄντικρυ (sic ed.) αὐτοῦ εἰσελθών], al cui influsso sarà dovuto l'errore (ἄντικρυ legge Par. Gr. 1812). Intendere peraltro eig tò ἄντικρυς, con alcuni critici ot-

tocenteschi, ‘nella direzione opposta’ (riferito a πορεύεσθαι o a ἐξιόντος; vd. Bury ad loc.), oltre che di dubbia legittimità lessicale [per la questione cfr. LSJ s.vv., e R. TOSI, L'ottavo libro

di Tucidide nella lessicografia, MCr 18 (1983), 161-192: 177 sg.], è assai meno soddisfacente nel contesto.

— (223b4) mopeve ς΄θαι pap.: suppl. m'(?). 1186 (223b8-9) τους aA. Aovc τινας pap., ἄλλους τινὰς codd., edd.

Nell’apparato di Robin & citato Wilamowitz come so-

stenitore dell'impossibile lezione di pap.; & probabile che tale menzione vada riferita a eiow di b4 (vd. supra). 1187-1188 (223b9) elavtov δὲ di pap., adottato dal solo Schöne (αὑτὸν dè coni. Sydenham), ha piuttosto l’aria di una banalizzazione rispetto a 8 dè di BD W (£ tutti, ἕαδε T, da cui la congettura οἴκαδε che si ritrova in qualche apografo [Brock-

mann, Uberlieferung, 175] e nella vulgata); così anche Ritter, Bericht, 50. Cfr. 175c5 è dì BD W (è), τὸν dè Tac ut vid. (***

δὲ Tpc), αὐτὸν dè alii vulgata. Cfr. anche infra a 1214. 1189 (223c1)

ext) corr. m°.

ate noA[v alte pap.ac, 'n ‘avle] noAlv alte

(v

Nel causare l'errore deve aver giocato un ruolo

anche la somiglianza fra IIANY e IIOAY. Cfr. supra a 1114. Subito dopo,

il solo D ha μικρῶν

(Brockmann,

— 463—

Überlieferung,

PLATO

56), anziché

μακρῶν,

1193 (223c3)

che viene

76

confermato

anche

da pap.

xa@v[d]ovtac pap.ac ut vid., ko e'v[ corr.

m?(?). Interferenza di καθίζω (kadilonan)? 1194-1195 (223c4- 5) Rispetto al testo di BD T W, ἀγάθωνα

δὲ καὶ ἀριστοφάνη xai σωκράτη, pap. presenta un ordine differente (e forse superiore), ayadava de καὶ cokparn | καὶ apictopavn, trovando esatto riscontro (a parte le desinenze -tnv ...

-vnv) in Vind. Phil. Gr. 21 [unde Ven. Marc. 326)]. Dodds, Plato.

Gorgias,

Gr. 184 (coll.

56, n. 1 cita questo caso come

‘conferma’ del fatto che Vind. Phil. Gr. 21 puó talora recuperare lezioni antiche. La coincidenza puó peró anche essere ca-

suale (cfr. p. es. infra a 1196). Scegliere fra le due sequenze é difficile: dopo 222e3 sgg. sembra più naturale collocare Agatone e Socrate vicini, ma l'ordine dei codici primari, a rigore, potrebbe conciliarsi meglio con l'indicazione ἐπὶ δεξιά (c6). 1196 (223c5-6) ey neyaanc φιλαίλης (sic) pap., con lo stesso ordo verborum di alcuni apografi (Vat. Gr. 229, unde Par. Gr. 1642), di contro a ἐκ φιάλης μεγάλης di BD T W, cui si at-

tengono gli editori. L'assimilazione di ey puó forse implicare una certa antichità dell'assetto di pap. (cfr. anche Wilamowitz, Platon, II, 339). τὴν μεγάλην φιάλην è anche in X. Smp. II 23. 1202 (223d2) uev «ov pap.: suppl. m'(?). 1205 (223d3-4) In καιτραγωδιαν lo 1 è aggiunto fra le let-

tere, ma sul rigo, forse dalla prima mano (l'ed.pr. non lo segnala). 1206 (223d4)

«payo|8onoiov

legge pap. con W,

contro

-διοποιὸν di BD T, avallando la scelta già fatta da Schanz (vd. Platonis opera, V.1, pp. V-VI), sulla base più di altre testimonianze [in primis 1] lessico atticista di Moeris (240, p. 221 Pierson - Koch = x 63, p. 117 Hensen): κωμῳδοποιοὶ ᾿Αττικοΐ, KOUWSLONOLOL VEAAnvec] che dei codici. 1207 (223d5) Neanche pap- ha dinanzi

a kwuwdornoLov

(-810- BD T, cfr. supra; -διο- è anche variante di OlA a Alc./ 121d1) il καὶ aggiunto dal recensore bizantino del Vind. Phil. Gr. 21, passato nella vulgata, e tuttora accolto da tutti gli editori tranne Schóne (cfr. Brockmann, Überlieferung, 82). Anche se non assolutamente necessario, l'intervento, dato anche

il contesto grafico, (kal) ko-, mantiene un'alta probabilità (ctr. anche Athen. IX 4074 Τιμοκλῆς è τῆς κωμῳδίας ποιητὴς, ἦν δὲ καὶ τραγῳδίας).

--- 464 —

POXY

1210 (223d6)

843

SMP.

Pap. conferma πρότερον di T W e Ateneo

(Burnet", Robin), scartato in precedenza da gran parte degli editori, fino a Schanz, Burnet', Bury, Lamb, a favore di πρῶτον

di BD vulgata. 1210 (223d7)

5 κατα[θ]αρθειν pap.: corr. m'(?).

1211 (223d7) apwogav[ouc] pap.: corr. m? (τῆν anche Vind. Phil. Gr. 21, Prag. Lobc. VI Fa 1, e altri), ἀριστοφάνη BD T

W. Per l'accusativo in -nv del diorthotes cfr. supra a 1042. Lo strano errore dello scriba potrebbe avere origine psicologica (si evoca mentalmente il genitivo, che identifica la ‘declinazione’, per trovare il ‘corretto’ accusativo). A 221c2 (cfr. supra a 1068)

e 222a7

(vd. Bekker,

Comm. crit., I, 360-361

Brockmann, Überlieferung, 182) alcuni apografi hanno σωκράtovc al posto dell'accusativo; in entrambi 1 luoghi il genitivo può però essere costruito; non cosi a 22126, dove è Vat. Gr. 2218 a leggere σωκράτους

Brockmann,

(il suo modello, si noti, aveva -nv:

Überlieferung, 216).

— (223d7) yılyvouevnc et pap. cum BD T W, ἀποφαινούσης Athen. 1213 (223d9) Pap. conferma κατακοιμίσαντ᾽ di BD W

(-savra pap.), contro κατακοιμήσαντ᾽ αἱ T e Ateneo, che Bekker preferiva. Cfr. Lg. 790d5 κατακοιμίζειν. 1214 (223d9) ἀναστάντα, omesso dallo scriba, è supplito nell’interlineo dal correttore. 1214 (223d10)

Pap. conferma xoi ὥσπερ εἰώθει dei codici

primari, ma fra gli editori solo Schóne (citando altri esempi di ‘Subjektswechsel’) rinuncia all’integrazione, economica e apparentemente necessaria, di Hermann καὶ (€) (καὶ αὐτὸς Vind.

Phil. Gr. 21 vulgata; cfr. Brockmann, Überlieferung, 80). Il raro pronome tende costantemente a corrompersi; cfr. supra a 1187-1188, e ancora 17524 (È μὲν Bast, edd., ἐμὲ codd.); e l'er-

rore comune potrebbe essere sia molto antico sia poligenetico. Slings, rec. cit. (supra, a 112), 418 dubita dell'accettabilità di

É come soggetto (in luogo di αὐτόν o ἑαυτόν), ma 175c5 È δὲ οὐκ ἐᾶν la conferma apertamente. 1217-1218 (223d12) καὶ | x[o]t pap. ut vid., kai codd.

Quasi certa dittografia a cavallo della fine del rigo (cfr. supra

a 142), non corretta dal diorthotes (con un piccolo margine di dubbio legato alla lacunosità del papiro in questo punto). EV

— 465—

e

PLATO

77

77

Theaetetus 143c8-e5; 144d7-145a8 PAnt

78

Sec. V/VI

Prov.: Antinoupolis. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: J. W.B. BARNS, PAnt II (1960), 66-67. Tavv.: DArch 7 (1973), 3 (parziale). Pal: G. CAVALLO, Considerazioni di un paleografo per la data e l'origine della «Iliade Ambrosiana», D Arch 7 (1973), 70-85: 78-85; TURNER, Typology, 113, n. 25.

Comm.: MP? 1394 (D? 1394)

CavaLLo, Libri, editori [1975], 90-

91; J. IRIGOIN, Accidents matériels et critique des textes, RHT

(1986), 1-36: 12-14; HICKEN, OCT, I [1995], 278.

16

Due frammenti appartenenti a due distinti fogli di codice pergamenaceo di buona qualità libraria. A misura cm 7,5x10,5; B misura cm 9,5x10,2. Secondo l'editore, ogni pagina avrebbe Ospitato una sola colonna, alta e stretta, di ca. 6 cm, di 22 righi, ognuno con un numero di lettere da 13 a 18 (cosi anche Cavallo 1973, 80); Turner (Typology, 113, n. 25), notando che

la rigatura orizzontale (tracciata sul lato carne) va al di là della linea rettrice verticale, ritiene che due fossero le colonne per pagina, ma Irigoin (13- 14, n. 22), combinando l’analisi codicologica con l’analisi filologica, dimostra che quanto manca di testo tra il fr. A e il fr. B è compatibile solo con l’ipotesi di ricostruzione del primo editore Barns. Anche PAnt 78 è classificabile, secondo Cavallo (1973, 80), come PDuke inv. G 5 (> 80 37) e l'Iliade Ambrosiana (Am-

bros. F 205 inf.), tra gli esemplari di età tardoantica le cui forme grafiche imitano la ‘maiuscola rotonda’, pur con palesi artifici (accentuate variazioni dell’angolo di scrittura, ingrossamenti alle estremità dei tratti). La proposta di datazione di Cavallo alla fine del sec. V o agli inizi del VI appare plausi-

— 466 —

PANT 78

THT.

bile. Turner (Typology, 115) si chiede se il manufatto non possa appartenere al pieno sec. V, anticipando così ancora più sen-

sibilmente la datazione proposta dall’editore (sec. VI). Se, con Cavallo (Libri, editori, 90), si individua in Alessandria il cen-

tro di produzione degli esemplari che riprendono in forme mi-

metiche la ‘maiuscola rotonda’, anche PAnt 78 ben si inquadra nell’«Alessandria accademica [...] pervasa, come Atene, dal

neoplatonismo dell’ultima reazione pagana».

E difficile dire se, oltre al Teeteto, il codice originariamente contenesse altri dialoghi; Cavallo (1973, 81) tende ad esclu-

derlo, ma partendo dalla ricostruzione della pagina a una sola colonna. Irigoin (13-14, n. 22) ha calcolato che il numero dei fogli occorrenti per ospitare il solo Teeteto doveva essere di 140-150 (cioè 14 o 15 quinioni). La presenza dell’intera tetra-

logia III avrebbe fatto del nostro esemplare un tomo indubbiamente molto grosso. Per la divisione delle battute dialogiche sono impiegati, ma non sistematicamente, la paragrapbos e il doppio punto seguito da spazio bianco. 'Falvolta il doppio punto è in inchiostro rosso, forse di un revisore. Ci sono alcune caratteristiche di presentazione esterna del testo che accomunano PAnt 78 e PDuke inv. G 5: 143e3 (A lato pelo, 12) dopo πυθοιίμην che chiude la battuta di Socrate, il rigo di scrittura si interrompe; 144e7 (B lato carne, 1) la battuta di risposta di Tee-

teto & esposta di una lettera, ma in questo caso, apparentemente, il testo continuava senza che fossero lasciati spazi bianchi. Spazi bianchi tra le battute, anche ampi, si vedono o si presumono in due righi successivi di B lato pelo (7 e 8). Invece non c’è alcuna apparente incisione nel punto in cui nel Teeteto (143e8-d1) dal dialogo diretto tra Euclide e Terpsione

si passa al dialogo letto; qui 1 manoscritti medievali danno 1 nomi dei personaggi (Socrate, Teodoro, Teeteto). La presentazione formale del testo & molto accurata; ıl rispetto dell'allineamento verticale alla fine dei righi è ottenuto con la riduzione del modulo delle lettere o con segni riempitivi. Come segni di interpunzione, oltre alle stigmai (ano e kato), è impiegato l’apostrofo per l’elisione (B lato carne, 11) o, secondo un uso che si afferma dal sec. III, per individuare

ovx (B lato carne, 10).

L'unica variante che PAnt 78 presenta rispetto ai codici é

— 467—

PLATO

77-78

δὴ οὖν (A lato pelo, 4: οὖν om. codd.) che l’ed.pr. cautamente difende con richiamo a ei δὴ οὖν che si legge subito sotto (Tit.

143e2).

La testimonianza di PAnt 78 & stata utilizzata da W.F. HICKEN, OCT, I (1995) (sigla II1). Su questa edizione & stata fatta la collazione del testo. A, carne

6 (143d2)

avnpol|[tov pap. I codici medievali sono con-

cordi nella lezione ἀνηρώτων, tranne B (non notato da Hicken) che ha ἂν ἠρώτων.

12 (143d4) Dopo ποιουμ͵ενοι il rigo si interrompe; lo scriba ha voluto in questo modo marcare la pausa di senso nella battuta di Socrate. A, pelo 3 [e 19, 143d8) cuyyıylvlechaı pap. cum B T PBerol inv. 9782, συγγενέσθαι W.

4 (= 20, 143d8)

δη ovv pap., δὴ B T, δὲ W.

6 (= 22, 143e1)

Dopo rinicatovlia

e spazio bianco. 8-9 (= 24-25, 143e2) 12 (= 28, 143e3)

iin pap. punto in alto

Dopo e]lvexa punto in alto in pap. Dopo

πυθοιίμην

il rigo doveva

inter-

rompersi. La battuta di Teodoro inizia al rigo successivo. B, pelo 2 (2 34, 144d7) Dopo Σωκράτη inghiottito dalla lacuna, il copista (o un revisore successivo) ha segnato la fine della bat-

tuta con doppio punto in inchiostro rosso. Come in altri casi a fine di battuta, anche questo rigo è più breve. 9 (2 41, 144e1) Lo scriba aveva scritto in un primo tempo u]evcow; il v è stato poi espunto (due punti in inchiostro rosso sopra la lettera). 10 (= 42, 144e1) Pausa di senso segnata da una mese stigme prima di ἀτὰρ. In fine di rigo segno riempitivo dopo vow. B, carne

1 [s 47, 144e7) La prima lettera della battuta di Teeteto ἀληθῆ è in ekthesis.

— 468 —

PANT

78 - POXY

3680

THT.

5 (= 51, 145a1) Dopo ομοι]οτηϊτος 7 (= 53, 145a1-2) Doppio punto e per dividere la battuta dopo ἢ où. 8 (= 54, 145a3) Dopo μοι spazio 10 (= 56, 14525) La prima lettera in ekthesis. 11 (= 57, 145235)

Dopo

mese stigme. spazio bianco di cm 1 bianco di almeno cm 2. di 00x (in pap. ovy") è

elıllöevaı punto in alto e spazio

bianco di circa cm 1. Segno di elisione dopo p (o.]p" ovàe). 11-12 (= 57-58) La paragrapbos è posta qui, non al rigo

successivo come erroneamente in ed.pr. AC

78 Tht. 190e3-191a4

POxy 3680

Sec. II?

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean

Museum.

Edd.: P.]. PARsONS, POxy LII (1984), 110-111. Comm.: MP’ 1394.1 JOHNSON, Papyrus Roll [1992), 258; HICKEN, OCT, I [1995], 278.

Frammento

di volumen,

di cm 6x16, bianco sul verso, che

reca la parte alta di una colonna con resti di 19 righi di scrittura; variabile il numero delle lettere per rigo (da 15 a 21). La larghezza della colonna & ca. cm 5,5. L'amplissimo margine superiore (misura cm 6,2) dà una buona idea del carattere lussuoso del manufatto, affidato ad uno scriba professionale esperto e attento: il testo é vergato in una maiuscola diritta, dai tratti marcati, rigorosamente bilineare, ad alternanza di modulo, che

trova un preciso parallelo in POxy 1085 (descrizione in Tur-

ner, GMAW’, n° 28). Gli apici ornamentali (trattini obliqui alla base delle aste verticali) sono anche più vistosi rispetto al

— 469—

PLATO

78-79

manufatto citato come confronto. L’esecuzione della copia platonica può essere assegnata alla seconda metà del sec. IIP. Paragraphos e doppio punto appaiono regolarmente impiegati per l’alternanza delle battute dialogiche. All’interno delle battute non mancano segni di interpunzione per le pause di senso (r. 12 mese stigme). Nel margine alto si legge una nota di una diversa mano (la scrittura, informale, con l’asse leggermente inclinato, è di ri-

dotte dimensioni e presenta alcune abbreviature) che non si riesce a riferire a un passo preciso del dialogo: ]επιτ... ειαςαφινπαpaAı"t.| ]. Un tentativo cauto di lettura e interpretazione (già dell’ed.pr.) porta a -teıag ἀφ᾽ ὧν παραλ(ε)ίπί(ει) τὸ [. Sembra

invece da escludere l’alternativa di lettura proposta sempre dall’ed.pr. παραλίε )in(etot) τι. Naturalmente

con τὸ si potrebbe

postulare nel rigo successivo un sostantivo neutro. Il nuovo testimone, che è stato collazionato sull’edizione di W.F. HICKEN, OCT,

I (1995) (sigla I11), non presenta al-

cuna variante rispetto ai manoscritti medievali e dà sostegno anche alla contestata lezione αὐτὰ di 19123. 1 (190e3)

Il doppio punto dopo δόξα chiude la battuta di

Socrate.

2 (190e4) La paragrapbos, in combinazione con il doppio punto dopo eoıke (ἔοικεν codd.), divide la battuta di Teeteto da quella di Socrate. 6 (190e7)

In questo rigo il testo registra una doppia al-

ternanza di battute dialogiche (dopo &tor[a e dopo ποῖα δή): é visibile solo la paragrapbos. 12 (191a1)

Punto in alto dopo λέγω a indicare, corretta-

mente, una pausa di senso. 13 (19141) eAevBeploi scritto su un originario eAevpe0[. 16 (19223) Pap. presenta αὐτὰ con B T W. Questa lezione,

che pap. dimostra di origine antica, ha creato difficoltà ai critici e varie sono le proposte di correzione: αὐτοὶ Ast, αὐτό, αὐτοὶ Heindorf. L'edizione oxoniense di Hicken, che accoglie a testo αὐτὰ, registra in apparato l'omissione di questo termine nel Par. Gr. 1808, un manoscritto che è frutto di una ‘re-

censione’ bizantina (cfr. Dodds, Plato. Gorgias, 47-53). AC



470—

POXY 3680 - POXY 3681

THT.

79 Tht.

198d7-e3

POxy 3681

Sec. I/II

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. | Edd.: P.J. PARSONS, POxy LII (1984), 111.

Comm.: MP^ 1394.2 Frammento

JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 257.

di rotolo (cm 6x8,5), con il verso bianco, che

restituisce 8 righi di scrittura (mutili a sinistra) della parte bassa di una colonna larga circa cm 6,7. Da 18 a 24 le lettere per rigo. Il generoso margine inferiore conservato à di cm 4.

La scrittura è un buon campione della maiuscola inclinata ad alternanza di modulo (‘stile severo’): p e v escono abbon-

dantemente dal rigo di base, giungendo quasi a toccare le lettere sottostanti (l’interlineo è di mm 3); le curve dell'o si ap-

piattiscono alla base. Il manufatto può essere assegnato alla

fine del sec. II o all’inizio del II.

Le battute dialogiche sono divise dal doppio punto; segno sussidario di punteggiatura (per le pause di senso all’interno delle battute) l'ano stigme, tutti di mano dello scriba. Lo zota mutum ἃ ascritto. POxy 3681 non presenta varianti rispetto alla tradizione

manoscritta medievale e forse per questo non è stato nemmeno registrato nella recente edizione oxoniense di W.F. HICKEN, OCT, I (1995). La collazione va fatta in ogni caso su questa edizione, perché quella di A. Diès, BL, VIII.2 (19557), seguita dall’ed.pr., contiene in apparato anche le varianti di Y (Vin-

dob. Phil. Gr. 21) a cui non può essere riconosciuto, neppure per il Teeteto, lo status di fonte indipendente.

— 471 —

PLATO

79-80

τὴν ἐπιστήμην e[k]&os[o]v

198d7

καὶ ἴσχοντα, ἣν ἐκέκτητο μὲν π]άλαι, πρόχειρον δ᾽ οὐκ ei-

χε τῇ δι]ανοίᾳ; 5

1

᾿Αληθῆ.

Τοῦτο δὴ] ἄρτι ἠρώτων, ὅπως χρῇ toic] ὀνόμασι χρώμενον Aé]yeldv περὶ αὐτῶν, ὅταν ἀριθμήσ]ων ἴῃ ὁ ἀριθμητικός

198e

εἰκ]αςτίο]υ è ricostruzione obbligata, ma la prima e l'ultima lettera

sono molto danneggiate 2 Ἰχοντα’ 4 Javoıcı è seguito dal doppio punto che isola la battuta di Teeteto ἀληθῆ, a sua volta seguita dal doppio

punto

6 ovopaciv

7

le prime tre lettere visibili del rigo, pur ridotte

a tracce di inchiostro, non sono incompatibili con ]yew —

avxov: AC

80 Tht. 209a8-c6

POxy 3682

Sec. IIP

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: P.J. PARSONS, POxy LII (1984), 111-112. Comm.: MP’ 1394.3 JOHNSON, Papyrus Roll [1992], 68-69; HICKEN, OCT, I [1995], 278.

Frammento di volumen, di cm 11,2x15, bianco sul verso,

recante la parte superiore di una colonna con 22 righi di scrittura (quasi tutti lacunosi o danneggiati; in particolare1 rr. 27 sono stati investiti da una vistosa macchia nera). Ampio l'1ntercolunnio conservato a sinistra: cm 2,5; anche il lembo di margine superiore conservato è di ca. cm 2,5. La colonna è

— 472 —

POXY 3681 - POXY 5682

THT.

ben impostata e lo scriba ricorre piü volte a riempitivi finali er ottenere l'allineamento verticale. Il testo & vergato 1n una libraria informale con l'asse leggermente inclinato a destra; non tutte le lettere sono tracciate

autonomamente e la tendenza corsiveggiante sı manifesta soprattutto in alcuni legamenti (αι, et). I confronti già proposti dall’ed.pr. con Roberts,

GLH,

15a e Turner, GMAW n? 68 (=

GMAW^) inducono ad assegnare la mano al pieno sec. ΠΡ. L’alternarsı degli interlocutori & indicato dalla paragraphos combinata con il doppio punto (questo segno di divisione manca alla fine del r. 15, probabilmente perché non ritenuto necessario in questa collocazione). La mese stigme, che pare apposta dallo stesso scriba, segnala pausa di senso. Diversa, apparentemente, la mano che al r. 16 ha integrato s.7. l'omesso αλλ᾽ in apertura di battuta. Lo zota mutum è ascritto ai rr. 1, 5, 6, omesso

invece a

r. 9.

POxy 3682 presenta una sola nuova lezione rispetto alla tradizione manoscritta medievale (τ. 18 σιμὸν in luogo di τὸν

σιμὸν) che però non c’è ragione di accogliere; in altro caso

conferma il testo dei codici (14-15 τῶν | λεγομένων). Dove la tradizione manoscritta medievale à divisa (r. 19), POxy si schiera con BT

(μή τι), contro

W (μήτε).

Il testo è stato collazionato sull'edizione di W.F. HICKEN,

OCT, I (1995) (sigla II3) che giustamente sacrifica (a differenza di A. Diès, BL, VIIL2 (19557) la testimonianza di Y (Vindob. Phil. Gr. 21) il cui carattere di apografo non & piü in discusSIOne.

1 (20938) Correggendo l’ed.pr., si può dare a pap. διαvoiat: (cfr. Johnson, Papyrus Roll, 68). " 4 (209b1)

La battuta di Teeteto ἀνάγκη è ben individuata

dal doppio punto (ricostruibile per ragioni di spazio) che la recede e dal doppio punto che la segue. 9 (20965) exn pap., ἔχῃ B T, ἔχει W. Pap. conferma dunue la lezione, necessaria nel contesto, di B T. 10 (209b5) peıva di pap. (/. pîva) è l’unico caso visibile di iotacismo, ma anche al r. 17 (209b10, dove ricorre la stessa

forma), il calcolo dello spazio esige che si ricostruisca pera].

12 (209b6)

correttamente,

Dopo nelAwv ano stigme in pap. a segnalare,

una pausa di senso.

— 473—

PLATO

80-81

14-15 (209b7) xov | Aeyonevov è la lezione di pap. pienamente coincidente con B T W; τὸ λεγόμενον è l'ingegnoso tentativo di correzione di Cornarius. 16 (209b9-10) Dopo «[1 y]ap:, in pap. si legge cav, ma nell'interlineo viene aggiunto 044’, forse da una mano diversa. 18 (209c1) Pap. omette l'articolo τὸν concordemente trasmesso dai codici medievali (τὸν σιμόν).

19 (209c2) untt pap. (senza incertezze di lettura); un τι p T, unte W. La.nota critica di Hicken non fa riferimento a pap.

20-21 (209c4) La battuta di risposta di Teeteto οὐδέν è preceduta e seguita dal doppio punto. AC

81

Theages 126c4-e7 PKöln 307

Sec. II*

Prov.: incerta.

Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde inv. 246 r. Edd.: M. GRONEWALD, Tavv.: PKöln VII, Xb. Comm.: MP? 1426.01.

Frammento

PKoln VII (1991), 53-55.

di volumen (cm 9x8,5; il verso è bianco), mu-

tilo a sinistra, a destra e in basso. Il margine superiore conservato è di ca. cm 1. Dato il non accurato allineamento a destra, l’intercolunnio varia da un minimo di cm 1,5 a un massimo

di cm 2. Le due colonne, parzialmente superstiti nella parte superiore, hanno una diversa ampiezza, come si vede già dal numero di lettere per rigo: da 16 a 19 la col. I, da 19 a 27 la col. II. Si può calcolare, con prudenza, che la colonna avesse 39 righi, il che porterebbe l'altezza.totale del rotolo a ca. cm

26 (margini ipotizzati di complessivi cm 5).

— 474—

POXY 3682

THT. - PKÖLN 307

THG.

La scrittura tolemaica, a forte alternanza modulare, spesso trasgressiva della bilinearità, può essere assegnata al sec. II°, in

base al confronto, già suggerito nell'ed.pr., con Schubart, PGB,

tav. 6c. Tra le lettere si segnalano il v e il X che, come di frequente in questa età (cfr. Norsa, Scritt. lett., tav. 4, p. 9), si proiettano verso la lettera successiva con un trattino orizzon-

tale che quasi ne provoca il congiungimento nella parte superiore, nonché il τ con Pasta orizzontale ora divisa ora continua, ma sempre con la parte sinistra piü lunga e quasi sempre

chiusa ad angolo retto da un trattino discendente. PKóln 307 merita attenzione a diverso titolo: & il primo e (finora) unico testimone diretto antico del Teage il quale, per

quanto inserito stabilmente nel corpas tetralogico, è stato sospettato, con forti argomentazioni, di non genuinità platonica

e di origine recenziore [cfr. da ultimo Tarrant, Thrasyllan Platonism,

58-107:

67, 94; e, in direzione contraria, F. TRABAT-

TONI, Sull'autenticità del platonici, Acme

«Teage» e del «Clitofonte» (pseudo)

51 (1998), 193-210]; ancora, come esemplare

di alta età tolemaica si affianca ai tre papiri del sec. III* del

Fedone (> 80 40), del Lachete (> 80 23), del Sofista (> 80 75), consentendo quindi, pur nella esigua porzione rimasta, un proficuo confronto con la tradizione manoscritta medievale. A parte una variante minore (I 4 δὲ pro te perperam) e la conferma della lezione ὅποι di BT contro ὅπη di W (II 11), PKöln presenta, apparentemente, un diverso assetto del testo a col. I rr. 9-10, omettendo πόλεσι dopo προσομιλοῦντας e la-

sciando pensare a una variante Ἕλλησι (in luogo di Ἑλληνίσι) da raccordare a βαρβάροις. Ma più che di tradizione autentica, sembra che qui si tratti di un rabberciamento del testo che aveva sofferto per la caduta di πόλεσι. È vero che il testo del Teage come trasmesso dai codici in questo punto è stato sospettato dai critici: si è contestata la genuinità di βαρβάροις

e $1 è proposto mento

da parte di Schäfer βαρβαρικαῖς con riferi-

a Critone 53a, ma qui la tradizione non è unanime e

Burnet (Plato’s Euthyphro, Apology of Socrates and Crito, 207), pur accogliendo a testo τῶν βαρβαρικῶν di BW Eus. ha difeso in nota la lezione di T τῶν βαρβάρων (la lezione di T è anche

quella accolta ora a testo da Nicoll, OCT, I, che relega ini ap-

parato βαρβαρικῶν di B è Eus.). Il testo che si può faticosamente ricostruire da PKóln (xai Ἕλλησι προσο]μιλοῦντας καὶ

— 475—

PLATO

81-82

| βαρβάροις) rappresenta una semplificazione e non ha la forza

di imporsi contro quello dei codici, difendibile proprio in base al confronto con il Critone. Il testo & stato collazionato sulla base dell'edizione di J. SOUILHÉ, BL, XIII.2 (1930).

Col. I

à] κόμενος σοφὸς ἔσ]εσθαι ἢ τοὺς πολιτικοὺ οἱ τούτὸ τους, τοὺς αὐτοὺς] ὃ δεινοὺς] ὄντας τὰ πολιτικὰ] καὶ χρω[μ]ένους ἑκάστοΪτε τῇ τε αὖὗτῶν πό]λει καὶ ἄλλαις πολλαῖς], καὶ Ἕλλησι προσοΪμιλοῦντας καὶ βαρβάρο]ις; ἢ δοκ[εῖς ἄλλοις τισ]ὶ[ν

5

10

Col. II μέμ]φοιίτο cot τῷ πατρὶ, ὅτι ovx ἐθέλεις [ἀναλίσκειν εἰς αὐτὸν τούτων αὐτῶν ἕνεκα ἀργύριον, τοὺς δὲ [δημιουργοὺς αὐτοῦ τού5 του, τοὺς ζ[ωὡγράφους, ἀτιμάζοι τίε καὶ μὴ βούλοιτο nap’adτῶν μαν[θάνειν; ἢ τοὺς αὐλητάς, βουλόμενος αὐλητὴς γενέσθαι, ἢ [τοὺς κιθαριστάς; ἔ10 xot ἂν αἰὑτῷ ὅτι χρῷο καὶ ὅποι π[έμποις

| 17

126c4

τὴ

9

126e2

lo scriba prima ha scritto eAAnıcıv, ma poi ha espunto il

primo iota e ha aggiunto s./. ci, mostrando di volere quindi eXAncr

— 476—

10 il

PKÖLN 307 THG. - PSI 1201 TI.

u dato come sicuro nell’ed.pr. non è più visibile certo nell'ed.pr. non è più visibile

— 12 lo ı dato come in-

I 4 δε pap. perperam, te codd. (de origine corruptelae δὲ pro te in papyris saec. III vel saec. II a. Chr. n., disputat Mayser, L1, 146) 9-11 colligere licet librarium hunc locum ita voluisse emendatum: xoi Ἕλλησι | ἱπροσο]μιλοῦντας xoi | [βαρβάρο]ις. In codicibus legitur καὶ "EAAnvicıw προσομιλοῦντας πόλεσιν καὶ βαρβάροις

II 2 Delle tre lettere «Be visibile solo la parte superiore Il 2 eBeAeic pap., codd., ἐθέλοις coni. Richards 3 versus nimis longus (αὐτῶν om. pap.?) 11 ὅποι pap. cum B T, ὅπη W.

AC

82 Timaeus

19c6-20a7

PSI 1201

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum).

Edd.: G.VITELLI, PSI XI (1935), 84-85. Comm.:

MP?

1426 (= P? 1426)

[1989], 323-324.

JONKERS, Manuscript Tradition

Frammento di rotolo papiraceo bianco sul verso (cm 15x23) con resti di tre colonne (della terza solo tracce; fra la prima e la seconda mancano 12 righi). Le colonne misurano cm 6x19

(conservata l'altezza completa di col. II, con 32 rr. di scrittura), l'intercolunnio

& di ca. 1,5 cm. La scrittura à una ro-

tonda ben spaziata, diritta, di dimensioni medie, forse appartenente alla prima metà del sec. IIP. Sono indicate ano e mesa: stigmai; alcuni segni diacritici sono convenientemente inseriti (vd. in particolare I 21; II 7, 13; III 4); tota mutum è ascritto;

si nota scriptio plena 1n II 5, 13. I] testo del papiro é stato evidentemente collazionato con

— 477—

PLATO

82

un altro esemplare: gli interventi testuali supra lineam sono in una scrittura 1nformale, di piccole dimensioni (1 20; II 5, 15).

Il papiro non attesta come antico nessuno degli errori commessi isolatamente da ciascuno dei testimoni primari [cfr. I 3, 11, 21 (ragioni di spazio inducono a ritenere che ὄντων fosse presente in pap.), II 6, 8, 12-13, 20; cfr. anche casi di scarsa

importanza come II 19, 22-23, 28]. Il sostanziale accordo con A, sottolineato da Jonkers, Manuscript Tradition, 323, è in le-

zione esatta e rivela quindi soltanto la buona qualità del testo di pap. Laddove la tradizione s1 mostra divisa, pap. sı accorda una volta (II 31, 2024) con AacFCg, verosimilmente in errore, contro Ape e Proclo, un'altra (I 20, 1944) con FCg e Proclo, ancora in errore, contro A (con cui si riallinea il correttore).

In un caso (I 17, 1943) pap. offre una nuova lezione (ἀλλὰ koi τὴν in luogo di ἀλλὰ τὴν dei manoscritti medievali), che

potrebbe essere giusta. Il correttore, verosimilmente lo stesso che ha aggiunto szpra lineam περὶ a 1944 (I 20), ha inserito un a sopra ε di npartovteg a 19e7 (II 15), introducendo un errore che non ha for-

tunatamente lasciato traccia nella tradizione. Il papiro & stato collazionato con l'edizione di A. RivAUD, Platon. Timée - Critias, BL, X (1925) che non prende in con-

siderazione il papiro; l'apparato è stato aggiornato sulla base dei dati reperibili in Jonkers, Manuscript Tradition. Col. I ἀποδι]δοῦσαν

5

19c6

τῇ παιδείᾳ κ]αὶ τροφῇ κατά τε τὰς Ev] τοῖς ἔργοις πράξεις κ]αὶ κατὰ τὰς ἐν τοῖς λό]γο[ιΪς δι-

ἐρμ]ηνεύσεις] πρὸς &-

κάσ]τας τῶν πόλεων.

τα]ῦτ᾽ οὖν, ὦ Κριτία. 10

κ]αὶ Ἑ ρμόκρατες, ἐμαυτο]ῦ μὲν αὐτὸς κατέ-

γν]ωκα μή ποτ᾽] &[v] δυvaltòc γενέ[σθ]αι τοὺς

--- 478 ---

194

PSI 1201

ΤΙ,

ἄν]δρας xo[i τὴ]ν néAlıv ἱκανῶς] ἐϊγκἼωμι\

15

άσ]αι. οὐδὲν ἀλλ]ὰ δόξ]αν

M

καὶ τ[ὸ] μὲν ἐμὸν θαυμαστόν. καὶ τὴν αὐτὴν εἴληφα καὶ ne-

ρὶ] τῶν πάλαι γεγονό20

τω]ν κ[αὶ] περὶ τῶν [v]ov

ὄντων ποιητῶν, o]óll[cc

desunt

19d5

12 versus

col. II

εὖ μιμεῖσθαι. τὸ δὲ τῶν σοφιστῶν γένος αὖ] πολλῶν μὲν [λό]γων καὶ καλῶν ἄλλων μάλα ἔμπειρον ἥγημαι, φοβοῦμαι δὲ μή πως, ἅτε πλ[α]νητὸν ὃν κατὰ πόλε[ι]ς οἰκήσεις te ἰδ[ί.ζας οὐδαμῇ δι10

19e2

φκηκός, ἄστοχον

ἅμα φιλοσόφων ἀν-

δρῶν N καὶ πολιτικῶν, ὅσα ἂν οἷά τε &lv] πολέμῳ καὶ μάχαις 15

πράττοντες [ἔϊργῳ καὶ λόγῳ npo[co]utλοῦντες ἑκάσίτ]οις

πράττοιεν καὶ [λ]έγοι20

ev. καταλέλειπίτ]αι [δ] τὸ τῆς ὑμετ[έρ]ας [ξξ]εως γένος, [ἅ]μία ἀμ-

φοτ]έρων φύσίει καὶ

τ]ρ[ο]φῇ nerexolv. TC μαιός τε γὰρ ode, £U-

25

νομωτάτης dv n[ö—

479—

20a

PLATO

82

A]eoc füls ἐν Ἰταϊλίᾳ

Λοκρίδος, οὐσίᾳ κ[αὶ ylevaı οὐδενὸς ὕσ[τερος] Qv τῶν ἐκεῖ, [τὰς με]γίστας μὲν ἀρ[χάς τε καὶ] τιμὰς ἐν τῇ πίόλει] με[τακεχ]είριστίαι

30

col. III

2044

desunt 3 versus τ[ίαν δέ nov πάντες o[i τῇδε ἴσμεν οὐδεν[ὸς ἰδιώτην ὄντα ὧϊν λέγομεν. |

5

2046

2047

I 12 tpogni 13

16 τον:

voigom. C

11

20 περι: aggiunto, sembra, dam’ xoig] F

Procl: περὶ τῶν, ut pap.(m°), 711

θαι:

A

21

17

καὶ om. codd.

ὄντων om. F

13 19

«xov. ev

av,oix (diastole) 24 forse paròc

γένος αὖ ACV

nynpar:

15 πράττοντες so24-25 non sembra

di ‘scorgere il segno di paragraphos visto da ed.pr.

26 forse ἴταί

(ἂν Yo): αὖ γένος F Procl.

οἰκήσεις et Fim: οὐκ ἤσει F : οὐκ ἤσεις Fpc it

oJ]ó

τῶν FCg

— 5 eume’ipov e aggiunto nell'interlineo da τ

7 nÀ&vntov 9 id pra € scritto a da m^

11 2-3

20

21

6

12-13

δὲ] ὃ Y

8

πολιτῶν Fo

15

πράττοντες cum codd. : -tag [pap. (m^) ut vid.] novum 19 καταλέλειπται] er ref. in A 20 δὴ] av C 21-22 ἀμφοτέξρων A (cf. Jonkers,

Manuscript Tradition, 139-140)

28

οὐθενὸς

A

31

ἐν AacFCg:

ev Apc Procl.

ΠῚ 4 öl, non i come ed.pr. III 1-4

locum agnovit Haslam.

MWH*

— 480—

τῶν

Finito di stampare nell’ottobre 1999

presso la Tipografia Giuntina, Firenze con impianti di PuntoStampa, Firenze

Comitato scientifico e redazionale FRANCESCO ADORNO (presidente) GUIDO

BASTIANINI

ANTONIO FERNANDA

CARLINI

DECLEVA

CAIZZI

MARIA SERENA FUNGHI (segretaria) DANIELA MANETTI MANFREDO

MANFREDI

FRANCO MONTANARI DAVID SEDLEY

UNIONE ACCADEMIA

ACCADEMICA

NAZIONALE

TOSCANA DI SCIENZE «LA COLOMBARIA»

E

LETTERE

CORPUS DEI PAPIRI FILOSOFICI GRECI E LATINI (CPF) Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina PARTE I: Autorı Vor. (PLATONIS

TESTIMONIA

NOTI

1*** - ZENO

TARSENSIS)

FIRENZE

LEO

S.

OLSCHKI

MCMXCIX

EDITORE

L’opera viene pubblicata sotto gli auspici dell'Union Académique Internationale e dell’Unione Accademica Nazionale.

Il volume è stato stampato con il contributo del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica a seguito di finanziamento di progetto di interesse nazionale (Fondi 40%) amministrato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e del Dipartimento di Scienze dell’Antichita «G. Pasquali» dell’Università degli Studi di Firenze e del C.N.R.

Il patrocinio e l'onere dell'impresa sono stati assunti dall'Accademia To-

scana di Scienze e Lettere «La Colombaria» di Firenze col contributo del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica a seguito di finanziamento di progetto di interesse nazionale (Fondi 40%) amministrato dai Dipartimenti di Filosofia delle Università degli Studi di Firenze e di Milano;

dai Dipartimenti di Filologia Classica dell’Università degli Studi di Pisa e della Scuola Normale Superiore di Pisa; dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità «G. Pasquali» dell’Università degli Studi di Firenze.

.. Ο.-----

ISBN 88 222 4792 2

PLATO

83-84T

ALC. I

83T Alcibiades I

PSILaur inv. 19662, 9, 15, 20 [vd. supra, 3]

84T Alc. I 133a2,

POxy

133c3-6,

1609 r+PPrinc inv. AM

133c21-23

11224C r [III5]

Sec. ΠΡ ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: POxy: Edinburgh University Library; PPrinc: Princeton University Library. Edd.: POxy:

B.P. GRENFELL

96; PPrinc: B.H. KRAUT,

- A.S. HUNT,

POxy

XIII (1919),.94-

Two Papyri from the Princeton Col-

lection. II. P.Princeton inv. AM 11224 C and Plato’s Alcibiades, ZPE 51 (1983), 75-79: 76-79; POxy + PPrinc:F. LASSERRE,

Anonyme. Commentaire de l' “Alcibiade I” de Platon, 1991 (STCPF, 5), 7-23; CPF III, 52-62. Tavv.: ZPE 51 (1983), Ic (PPrinc); STCPF,

Comm.: MP? 1407.2 (= P^2569)

5, 1.

Per la bibliografia, cfr. CPF III,

52-53.

Si tratta di un commento parafrastico all'Alcibiade I, nella cui parte conservata non sono individuabili veri e propri lemmi. R

— 481—

PLATO

85T

ALC. II

85T

Alcibiades II 143b

PTura

III, 225, 4-12

Didymus Caecus, Comm.

Sec. VI/VII

in Eccl. 7, 24b

Prov.: Tura. Cons.: El Qahira, El MathafEl Misry seum), J. 90255.

(Cairo,

The

Egyptian

Edd.: B. KREBBER, PTA 16 (1972), 96. Comm.: ALAND AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND KV

24/25

K. Treu, APF

13

(1976),

Mu-

- ROSENBAUM

256-259;

B. KRAMER,

Didymus in Theologische Realenzyklopädie VIII (1981), 741-746.

[ἐπερ() : οὐ] λέγεις] | ἀναγωγήν: “μὴ δῷς καρδίαν σου; ἠθικὰ μέν ἐστιν. λημ[πτ]έο[ν δ]ὲ ιτ Ἰοῦτο᾽ | δοῦλόν ἐστιν τῆς ψυχῆς τὸ σῶμα. τοῦτο οὖν λέγει: “μὴ δῷς τὴν καρδίαν cov"

ἐπιϊστάνειν τοῖς κινήμασιν τοῖς φαύλοις τοῦ σώματος.

φέρε

εἰπεῖν, εἴ norle]

ἐπα-

| ἐπιστάνει,

ὅτι ἱκανόν

ἐστιν

τὸ σῶμα

ναστῆναι τῇ ψυχῇ δι’ ἐπιθυμι[ῶν], |^ διὰ παθῶν. μὴ δῷς οὖν τοῦτο ὥστε γνῶναι, τί λέγει, τί ἔλεγεν. τὴν | ἀφορμὴν

αὐτοῦ

σκοπητέον. βλάπτει ὁ λόγος οὗτος, κατάρα ἐστίν}. εἰ κατάρ[α ]

| δέ ἐστιν ὁ λόγος, εὐχὴ κακῶν ἐστιν. “ὁ ὑπωπιάζων τὸ σῶμ[α] καὶ δουλα[γω] γῶν" μὴ δίδωσιν αὐτὸ τοῦ γνῶναι τὴν καρδίαν αὐτοῦ κατάσκοπον. 5

cov

et: n pap.

6-7

emi|ctaviv

7

κεινημαειν

10

cronntarov

Piatti

12

dopo xatackonov spazio bianco Omnia suppl. ed.pr.

(Domanda: non) esponi un’interpretazione spirituale per: “non devi dare il tuo cuore”? (Risposta): questo è tema etico. Si deve intendere così: il corpo

— 482—

PLATO

85T

ALC. II

è schiavo dell’anima. Dice allora questo: “non lasciare che il tuo cuore dia attenzione ai cattivi impulsi del corpo”. E noi diciamo: se mai (il cuore) dà attenzione, il corpo è pronto a ribellarsi all'anima

con 1 desideri e le passioni. Non concedere dunque che sappia che cosa (il corpo) dice, che cosa ha detto. Bisogna considerare il punto da cui muove. Questo suo discorso procura danno, è una maledizione. Se è una maledizione, il discorso è una invocazione di mali.

“Chi mortifica il suo corpo e lo tratta come schiavo”, non concede che il cuore si ponga come osservatore per conoscere il corpo.

Didimo nella sua esegesi puntuale del testo è già arrivato al versetto 7, 240 dell’Ecclesiaste, ma la domanda di chiarimento di un allievo [sull’abbreviazione &nep() che ricorre fre-

quentemente al termine di una sezione esegetica, cfr. G. BINDER - L. LIESENBORGHS, PTA 25 (1979), pp. XXII-XXIII e 88 3T] lo riporta a 7, 21. La spiegazione del passo dal punto di vista etico (ἠθικὰ μέν ἐστιν) è questa: come il padrone non bada allo schiavo che lo maledice, così l’uomo non deve ba-

dare al corpo, che è lo schiavo dell’anima, quando le passioni si fanno sentire. Il linguaggio del corpo che si esprime attraverso le passioni è una maledizione (κατάρα), cioè una invocazione di mali (εὐχὴ κακῶν), come la maledizione dello schiavo.

Nel dialogo pseudoplatonico περὶ εὐχῆς, Socrate dimostra ad Alcibiade che è saggio chiedere nella preghiera semplicemente τὰ ἀγαθά rimettendosi totalmente agli dei, perché gli uomini spesso credono beni cose che in realtà sono mali, arrivando quindi al paradosso di invocare per sé tà κάκιστα e trasformando di fatto la preghiera in una imprecazione: τοῦτο μὲν γὰρ ὡς ἀληθῶς

κατάρᾳ τινὶ

ἀλλ᾽ οὐκ εὐχῇ ὅμοιον ἂν ein

(143b5-6 Carlini). Anche per la contrapposizione in Didimo di corpo/schiavo e anima/padrone si può rinviare a Platone (es. Phd. 79e8, Alc. I 130ac), ma questo è un tema che ha avuto molta fortuna. Più preciso è il richiamo all’Alcibiade II: qui come

nel passo

di Didimo

è il corpo

che, tenendo

in scacco

l'anima ed esprimendosi δι’ ἐπιθυμιῶν, διὰ παθῶν, porta.gli

uomini a invocare per sé mali (falsamente creduti beni), quindi a maledire se stessi. AC

— 483 —

PLATO

86-88T

CHRM.;

CRA.; EP. VII

86T Charmides

PSILaur inv. 19662, 8 [vd. supra, 3] 871 Cratylus

PSILaur inv. 19662, 14 [vd. supra, 3]

881

Epistula VII 343b6-c2 Cod. Taur.

F VI 1, col. X 16-23 [III 6]

Commentarium

Sec. V/VI

in Platonis «Parmenidem»

Edd.: B. PEYRON, Notizia d'un antico evangeliario bobbiese che in alcuni fogli palimpsesti contiene frammenti d’un greco trattato di

filosofia, RFIC 1 (1873), 53-71: 67; W. KROLL, Ein neuplatoni-

scher Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, RAM 47 (1892), 599-627: 613; P. HADOT, Porphyre et Victorinus, Paris, Etudes Augustiniennes 1968, II, 96-97 [= Porfirio, Commentario al «Parmenide» di Platone, trad. it., Milano, Vita e Pensiero 1993, 57-118: 82-83]; A. LiNGUITI, CPF III, 63-202: 122-123;

G. BECHTLE, The Anonymous Commentaryon Plato's «Parme-

nidés», Bern-StuttgartWien, Haupt 1999 («Berner Reihe philo-

sophischer Studien», 22), 31. Tavv.: HADOT, supra, 1968, tra p. 104 e 105, 1993, p. 18 (col. XII). Comm.:

LINGUITI, supra,

174-175;

BECHTLE,

— 484 —

supra,

57; 164-165.

PLATO

88-89T

EP. VII; ERX.

καὶ γὰρ ἄλλως, φησίν, | τῆς ψυχῆς οὐ τὸ ποῖόν (τί) ἐστι ζητούσης γνῶϊναι, ἀλλὰ τὸ τί ἐστι, καὶ τῆς φύσεως τῆς | οὔσης τοῦ εἶναι καὶ τῆς οὐσίας αὐτοῦ val” σιν κτήσασθαι, πᾶσαι ai γνωστικαὶ δυνάϊμεις (al) τοῦ ποῖόν τί ἐστιν ἀναγγελτικαὶ οὐχ ὃ ζητοῦμεν κατ᾽ ἔφεσιν, ἀλλ᾽ ὃ μὴ ζητοῦϊμεν ἀναγγέλουσιν. Invano,

dice in effetti (sc. Platone), l’anima cerca di conoscere

non la qualità, bensì il ‘che cos'è’, e di possedere conoscenza della vera natura dell’essere e dell’essenza di lui. Tutte le capacità cognitive, che ci rivelano la qualità, ci annunciano non quello che cerchiamo secondo il (nostro) desiderio, bensì quello che non cerchiamo.

È parafrasato, con riprese quasi letterali, il brano 343b6-c2

della Settima lettera di Platone, che è il soggetto sottinteso del φησίν a τ. 16. AL

89T Eryxias

POxy 2087, col. II 27-30 [> 8 4T] Glossario di parole in a

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: A.S. HUNT, POxy XVII (1927), 110-113. Comm.: MP! 2120 (= P^ 2120) A. KÖRTE,

APF

O. IMMIScH, PhW 48 (1928), 908;

10 (1932), 230-231;

G. GARTMANN,

Der pseu-

doplatonische Dialog Eryxias, Diss. Bonn 1949, 7, 69 n. 3; S. OSWIECIMSKI, Z paradoksöw krytyki filologicznej: kto byl autorem dialogu sokratycznego pt. «Eryksjasz»?, Eos 57 (1967-1968), 44; MÜLLER, Kurzdialoge [1975], 34 n. 3, 35 n. 1.

Αἰσχίνης &(mi) Ilplolöixovx(at) ἀλαζόνα ἡγο(ῦν)ται.

[^ τὸν μ(ὲν) y(àp) cogiot(iv)

— 485—

PLATO

89-90T

ERX.; EUTHD.

Eschine (lo usa) per Prodico: «lo ritengono infatti sofista e 'ciar-

latano’».

Sotto la voce ἀλαζόνας del glossario contenuto in POxy 2087 (su questo testo, in generale, si veda Naoumides,

Lexi-

cography, 182, 190, 195-201) sono allegate due citazioni esemplificative, una da Erodoto (VI 12, 3), l'altra da Eschine so-

cratico. Il secondo in realtà è un passo dell’Erissia (399c2-3), un dialogo che figura nella serie dei νόθοι che Trasillo registrava in appendice al corpus delle nove tetralogie di Platone (D.L. III 62). L’autore del glossario commette molti errori (in

particolare scambi di autori e opere, cfr. 80 108T), ma la reale esistenza di una voce tradizionale che attribuiva l’Erissia a Eschine di Sfettoè attestata da Suida s.v. Αἰσχίνης. Si può dunque ritenere che già nel sec. II? il dialogo circolasse con il nome del più famoso autore attico di dialoghi socratici dopo Platone. Per Müller, 34 e n. 3, questi tentativi di dare una paternità a singoli dialoghi dell "Appendix platonica si giustificano proprio con il loro riconosciuto carattere non platonico. Secondo Gartmann, 75-79, l'Erissia sarebbe stato scritto però pur sempre all'interno dell Accademia, al tempo dello scolarcato di Arcesilao (270-240). Del tutto isolata appare la tesi di Oswie-

cimski favorevole all’autenticitä platonica del dialogo.

Rispetto alla tradizione manoscritta medievale, POxy 2087 presenta nel breve segmento testuale due varianti: dopo τὸν μὲν aggiunge γὰρ, modifica al presente la forma verbale (nyodvro codd AC

90T

Euthydemus PSILaur inv. 19662, 6 [vd. supra, 3]

— 486—

PLATO 91-92T GRG.

91T

Gorgias PSILaur

inv. 19662, 4; 20 [vd. supra, 3]

92T

Grg. 504ab PTura

IV, 58, 30-59,

Didymus

Caecus,

7

Comm.

in Job, 3, 3

Sec. VI/VII

Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum).

Edd.: A. HENRICHS, PTA 1 (1968), 180. Comm.:

KV

ALAND

14

AT

96a;

VAN

HAELST

646; ALAND

- ROSENBAUM

K. TREU, APF 20 (1970), 145-149; L. KOENEN

- L.

DOUTRELEAU, Nouvel Inventaire des Papyrus de Toura, RecSR

55 (1967), Cod. VII, p. 560.

? ὡ]ς γὰρ ἐξ ἀϊταξίας πολλῶν κακώσίει] ὑποπεϊσόντων ὁ φιλόστοργος [ἰ]ατρὸς εἰϊκότως καταράσεται τῇ [ἀτ]αξίᾳ,} οὕτως ὃ μ[αἸκάριος θεραπεύων, ὅτι οὐκ ἀϊκρίτως τ[αὔτ]α γίνεται, ἀλλ᾽

εἱρμοῦ τινος | καὶ ἀκ[ολο]υθίας καλούσης ἵν᾽ ὠϊφεληθ[ὥσι]ν [o]i πεπτωκότες,

kata)’ pata

τὴ[ν ἡμέραν τῆς πτώσεως tà(v) |

ἀνθρώϊπων], κοινοποιῶν τὸν λόϊγον. 33

τῇ.

]Ἰαξιαι

5 τῇ[(ν} ἡ]μέρᾳ(ν}

4-5

καταρατζε" ar

coni. ed.pr. (coll. 55, 18 et 58, 33).

— 487 —

PLATO

92-94T

GRG.; HP.; LA.

Come appunto il medico benevolo con ragione impreca contro

il modo di vita sregolato, perché molti subiscono danno da un disordine di vita, cosi il santo che cura, facendo un discorso generale,

perché questo non avviene in modo arbitrario, ma c'é un concatenamento, c’è un ordine coerente che richiede che siano aiutati quelli che sono caduti, maledice il giorno della caduta degli uomini.

Nell’interpretazione del versetto 3,3 di Giobbe, Didimo dice che l'imprecazione ἀπόλοιτο fj ἡμέρα, ἐν f ἐγεννήθην va

interpretata con riferimento all’intero genere umano. Giobbe propone l’esempio della sua fermezza nelle avversità agli uomini che invece cadono facilmente. Come il medico benevolo ımpreca con ragione contro la vita sregolata (τῇ ἀταξίᾳ) che produce danni, così Giobbe, parlando in generale, maledice il giorno della caduta morale degli uomini. E possibile che, come suggerito dall’ed.pr., nel paragone

con il medico, Didimo abbia presente Gorgia 504ab: Socrate mostra che il politico che voglia produrre giustizia e saggezza dovrà cercare di imporre ordine (τάξιν) alle menti dei cittadini, come il medico che, opponendosi all’ ἀταξία, impone or-

dine al corpo dei suoi pazienti per produrre salute. Didimo ama il paragone con il medico o il chirurgo: cfr. J. KRAMER, PTA

13 (1970), 89-90. AC

93T Hippias (Maior εἰ Minor)

PSILaur inv. 19662, 11 [vd. supra, 3] 94T Laches

PSILaur inv. 19662, 18 [vd. supra, 3]

— 488—

PLATO 95T

LG.

95T Leges V 747d

POxy 2087, col. II 24-26 [> 80 108T]

Sec. ΠΡ

Glossario di parole in a Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: A.S. HUNT, POxy XVII (1927), 110-113.

Comm.: MP? 2120 (= MP? 2120) 908; A. KÒRTE, graphy

APF

O. IMMiscH, PhW 48 (1928),

10 (1932), 230-231; NAOUMIDES,

[1969], 181-202; SCHÓPSDAU,

Nomoi

Lexico-

[1994], 144, n. 116;

MARTINELLI TEMPESTA, Liside [1997], 232; 236-237 e n. 110.

ἀλλόκοτος ἰδιότροπος. τίθεται δ(ὲ) x(ai) {av} |^ r(Epi) τὸ σῶμα τοιοῦτο. Θουκυδί(ίδης) ἐν τῇ ς΄ | Πλάτ(ων) Ev τοῖς Νόμο[ιϊς. 24

dopo αλλοκοτος spazio bianco

spazio bianco 24

θουκυδ

x(aì) omnino

c

δίκαν pap.

25 x/

dopo τοιουτο

πλατ'

necessarium (cf. Phrynichum 23, 21), av delendum

Straordinario: singolare. Questo termine si impiega anche per il corpo. Tucidide nel VI libro, Platone nelle Leggi.

La voce ἀλλόκοτος del glossario contenuto in POxy 2087 (sul quale si veda Naoumides, Lexicography, 181-202, in particolare 182, 190, 195-201) appare ridotta e mutilata; il signi-

ficato complessivo si chiarisce solo grazie al confronto con

Frinico (Praep. Soph. 23,13 De Borries = Bekker, Anecdota I 14, 28): ἀλλόκοτον: σημαίνει μὲν κυρίως τὸ παρηλλαγμένον τῆς καθεστώσης διαίτης καὶ τρόπου. πεποίηται δὲ παρὰ τὸν κότον, ὃ σημαίνει τὴν ὀργὴν καὶ paviav καὶ παραπληγίαν. ὁ

— 489 —

PLATO

95-96T

LG.

οὖν ἄλλοτε ἄλλως (ἢ) ἄλλοτε ἄλλοις κοτῶν ἀλλόκοτος ἂν καλοῖτο. Πλάτων ἐν Νόμοις (747d) “oi μέν γε διὰ πνεύματα: καὶ διειλήσεις ἀλλόκοτοί αὐτῶν. δηλοῖ οἷον οἱ μὲν οὖν οἱ τὸν νοῦν καλοῦνται. ἤδη δὲ

εἰσι καὶ ἐναίσιοι γενόμενοι ἐν αἴσῃ βεβλαμμένοι καὶ καὶ ἐπὶ τῶν τὰ

αὐτῶν᾽". τὸ δὲ €ἐναίσιοι καὶ μοίρᾳ τινί. κυρίως ἔμπληκτοι ἀλλόκοτοι σώματα παρὰ φύσιν

διακειμένων (τίθεται ἣ φωνή). L’integrazione finale di De Borries trova sostegno in POxy 2087. Manca invece in Frinico la

citazione di Tucidide che in POxy 2087 non è data correttamente: πρᾶγμα ἀλλόκοτον (‘missione odiosa’) non ricorre nel

VI libro, ma in III 49, 4. Nel passo delle Leggi cui si riferiscono espressamente Frinico e con ogni probabilità anche l’autore del glossario in POxy 2087 (V 747d) il significato preciso di ἀλλόκοτοι (il soggetto è οἱ τόποι) è ‘avversi’, ‘sfavorevoli.

Il lemma ἀλλόκοτος compare in diversi lessici e lessici etimologici antichi [Timeo, s.v. ἀλλόκοτον, Esichio a 3148, Fozio 01000 Theodoridis (= Lex. Bachm. p. 70, 1), Suida a 1235],

senza però riferimento al passo delle Leggi [Fozio e Suida danno a Platone (si deve intendere Platone comico:

Kassel-

Austin PCG VII fr. 252, p. 536) la forma al superlativo ἀλλοκώτατον e al comparativo ἀλλοκώτερον]. Le spiegazioni proposte oscillano: ‘inusitato’, ‘singolare’ oppure ‘estraneo’, ‘av-

verso’. Si vedano anche gli scholia vetera a Platone, Ly. 216a (p. 121 Greene: ἀλλόκοτον : ἐξηλλαγμένον Kal ἰδιότροπον) e R. 487d (p. 237 Greene: ἀλλοκότους : ἐξηλλαγμένους, ἐναντίους, ξένους, nunedeic, ἀλλοφυεῖς). Sulle specifiche raccolte di

materiale glossografico platonico circolanti pressappoco nell'età di POxy 2087, cfr. A. Dyck, Notes on Platonic Lexicography in Antiquity, HSPh 89 (1985), 75-88; Dörrie-Baltes, Platonismus, Ill, 54-57; 226-235. AC

96T

Lg. VIII 832e-837d PBerol inv. 9766 Compendio di Lg. VIII 832e-837d

— 490—

Sec. III?

PLATO

96T

LG.

Prov.: Theadelphia (?)

Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: H. DiELs - W. SCHUBART, BKT II (1905), 53-54. Tavv.: ΒΚΤ II, II; SEIDER, Pal. gr. Pap., II, 33 (pp. 95-96, cfr. Tav.

XVI).

Pal: CAVALLO - MAEHLER,

Comm.: MP” 1424 (= P^ 1424)

10.

F. BLass, APF 3 (1906), 496; AL-

LINE, Histoire [1915], 144 n. 7; GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16; H. SCHÖNE, Verschiedenes, RhM 73 (1920), 147; H. IDRIS BELL, JEA 7 (1921), 90; POST, Vatican Plato [1934], 47; F. DELLA

CORTE, Otto papiri letterari, RFIC 64 (1936), 385-409: 404-406 (= Opuscula,

I, Genova,

Ist. di Filol. Class.

[1950], 2362; DES

e Medievale

PLACES,

BL, XI

1971,

214-216);

LEISEGANG

[1951],

p. CCXV

n. 4; CARLINI, Studi [1972], 9 n. 23; A. CARLINI, Su

alcuni papiri ‘platonici’, Proceed. XIV Intern. Congr. of Papyrologists, London, Egypt Exploration Society 1975 («Graeco-Roman

Memoirs»,

61), 44-45; JOHNSON,

SCHÖPSDAU, Nomoi

Papyrus

Roll [1992],

152;

[1994], 144 n. 116.

Si tratta di un pezzo abbastanza anomalo. Il testo consiste in un riassunto pasticciato (non è un estratto) di Legg: 833837 condotto in forma indiretta (3 ὅτι, 5 λέγει, 9 ποιεῖ, 12 φησί, 18 βούλεται παραινεῖν, 20 ὅτι). E uno scritto di basso livello,

come se si trattasse degli appunti di una lezione presi da uno scolaro. Al contrario la scrittura è di mano professionale e il prodotto si presenta come un vero e proprio testo letterario. Un'ulteriore

stravaganza

è l'aggiunta

MixpdAog κατεχώρισα

inserita da un’altra mano verticalmente nel margine destro a mo’ di acrostico, una lettera sotto l’altra; questa nota può essere o non essere in relazione col testo principale. Il frammento papiraceo è di cm 9x13,5, con un margine superiore di ca. cm 1,5, un intercolunnio per ca. 1 cma sinistra e, a destra,

dove figura l'acrostico, per ca. cm 1,5. Sussistono tracce appartenenti alla colonna successiva ed almeno una colonna deve aver preceduto la prima conservatasi. Non risulta che qualcosa sia stato scritto sul verso. Il testo è scritto in una grafia agile, anche se non del tutto regolare, di stile severo, assegnabile intorno alla metà del III secolo (la datazione al sec. I a.C., cfr. già Seider, dell’ed.pr. è improponibile).

Della Corte ha identificato la mano del papiro di Berlino

— 491—

PLATO

con quella di POxy 23 (

36T

LG.

80 31) e considera 1 due frammenu

come appartenenti allo stesso rotolo (identificazione accolta, pur con dubbi, da Seider, Pal. gr. Pap., 95 e da Cavallo- Machler, 10: cfr. anche Johnson, Bapyras Roll, 152), fatto che risulterebbe ben strano in quanto POxy 23 fornisce un testo delle Leggi del tutto normale, proprio al contrario di PBerol 9766. In realtà non è necessario collegare 1 due papiri in quanto, anche se aspetto e scrittura dei rotoli sono simili (si tratta di forme correnti), non sembrano opera della stessa mano; vi sono

infatti sensibili differenze nella forma di alcune lettere. Rifiutare tale identificazione non compromette di per sé l’idea di Della Corte che il papiro di Berlino rappresenti un’edizione delle Leggi cronologicamente anteriore al testo tradizionale (associato al nome di Filippo di Opunte: cfr. D.L. III 378, Anon. Proleg. in Plat. 24, 13-19 W., Suidas s.v. φιλόσοφος, φ

418 A.; vd. L. TARÁN, Academica: Philip of Opus and the Pseudo-Platonic Epinomis, Philadelphia, American Philosophical Society 1975, 115-139) o almeno da questo indipendente; tuttavia l'ipotesi non sembra plausibile e non c’è motivo di dubitare che alla base dell'incoerente riassunto dato dal papiro ci fosse il testo della tradizione. E pur vero che il Catalogo delle opere aristoteliche dato da D.L. V 22.comprende tre da bri ἐκ τῶν Νόμων Πλάτωνος

(Moraux, Listes, 40-41; cfr.

GIGON, Aristotelis Opera, III: Librorum deperditorum pj» menta, Berlin-New York, de Gruyter 1987, 350 n? 21) e che il pezzo di Berlino ha l'aspetto di un normale libro di testo; tuttavia ἃ molto poco probabile che un testo come quello che noi leggiamo nel papiro sia attribuibile ad Aristotele. Col. I ἐπιτηδείοις γίνεσθαι

ἐθιστέον δρόμῳ καὶ τάχει καὶ ὅτι οὐ ψιλοὺς δεῖ

τρέχειν ἀλλὰ μεθ᾽ ὅπλων. 5

ἐφίππους δὲ λέγει δρόμους τοὺς διαύλους τρέχοντας τέσσαρας. τὰ

δὲ βαρέα ἀντὶ πάλης ἐν 10

ὅπλοις ποιεῖ Eva πρὸς ἕνα καὶ δύο πρὸς δύο

-- 492—

PLATO

96T

LG.

15

ἕως δέκα καὶ δέκα. καὶ γυναιξὶ δέ φησι μεταδοτέον κόραις, εἶτα ὅτι καὶ ἵπποις ἀγωνιστέον. μετὰ ταῦτα πρὸς CWPPOσύνην ἀσκῆσαι βουλόμενος περὶ τῆς συνουσίας βούλεται παραινεῖν ὅπως μὴ ἥττους ὦσι, καὶ

20

περὶ ἔρωτος ὅτι τριττός

col. II — — — ὦ} [ — — —

ἐστιν ὁ μὲν ψυχῆς καὶ τοῦ καλ[ο]ῦ Kata. . . .

I1 EVO-?

γεινεςεθαι προςδῦυο:

3 11

ψειλους καιδεκα-

I5 voluit sane ἐφιππίους luit fort. ἄρχεται (Schöne).

4 14

8-9

οπλωνayWvicteov -

ἐνόπλοις ed.pr.

7

tTeccapac:

18

10

βούλεται vo-

(dice che) [...] diventare adatti, ci si deve abituare alla corsa e

alla velocità e che non bisogna correre senz’armi, bensì armati. Chiama poi ‘a cavallo’ le corse che percorrono quattro doppi stadi. Quanto inoltre alle gare che richiedono grande sforzo, sostituisce il corpo a corpo con la lotta in armi, uno contro uno e due contro due, fino

a dieci contro dieci. Dice inoltre che bisogna le donne, e poi che bisogna gareggiare anche ste cose, volendo esercitare alla temperanza, sopraffare, e riguardo all’amore (dice) che è

far partecipare anche a cavallo. Dopo queesorta a non lasciarsi triplice, uno proprio

dell’anima e rivolto al bello [...]

1-4

Cfr. Lg. 832e-833a.

5-7 Cfr. Lg. 833a-b.

8-11 Cfr. Lg. 833d-e. 11-14 Cfr. Lg. 833c-834b. 14-19 19-22

Cfr. Lg. 835d-836a. μὴ ἥττους scil. τῶν ἐπιθυμιῶν. Cfr. Lg. 837a-d. MWH

- 493—

PLATO 97-100T

LY.; MNX.; MEN.

97T

Lysis PSILaur inv. 19662, 9 [vd. supra, 3]

98T Menexenus

PSILaur inv. 19662, 10 [vd. supra, 3]

991 Meno

PSILaur inv. 19662, 10 [vd. supra, 3]

100T Men.

84 ss., 87b, 98a

PBerol inv. 9782, coll. XXVIII 43-XXIX 16-23; II 52-III 7; III 21-25 [ III 9] Commentario anonimo al Teeteto

1; LVI 26-31; XV Sec. ΠΡ

Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 11, 20, 37, 4; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 300-301; 338339; 416-417; 266-267; 268-269.

— 494—

PLATO

100T

ΜΕΝ,

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n° 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393) CPF

III, 227-562:

G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY,

499; 518; 541; 484-486.

Col. XXVIII 43-XXIX 1 (Men. 84 sgg.) διό[τ]ι ev τῷ Melvavı ἔδε[ι]ξεν ὅτι Ι" τὸ ἀπὸ lo Ἰῆς διαγωνί!ου τε[τ]ρ [é]yovov διϊπλάσ[ι]ό [v ἐΐστιν τοῦ | ἀπὸ τῆς [πλ]ευρᾶς τετραγώνου.

[...] perché aveva mostrato nel Merone che il quadrato costruito sulla diagonale è il doppio del quadrato costruito sul lato. Col. LVI 26-31

(Men. 87b)

ἐδήλωσεν | δὲ ἐν τῷ Μένωνι | εἰπών : “διαφερέτω | δὲ μηδὲν εἴτε διδα “κτὸν εἴτε ἀναμνηϊστὸν αὐτὸ λέγομεν. Ha mostrato ciò nel Menone dicendo: «non faccia nessuna differenza se lo chiamiamo oggetto di insegnamento o di reminiscenza». Col. XV

16-23 (Men. 98a)

n τ[οίϊνυν | ἁπλῇ προτέρα ἐσ]τὶν | τῆς σύνθετίου. kai] | ταύτην adrölc μ]ὲν [^ ὡρίσατο £v [τῷ] Μέϊνωνι δόξαν [ὀρ]θὴν | δεθ[εἴσ]αν | αἰτίᾳ Aoyıonlol. Quindi la conoscenza semplice è anteriore a quella composta ed è questa che egli stesso definì nel Merone «opinione retta legata dalla causa del ragionamento». Col. II 52-III 7 Ellmei öle ἐπιστήμη ἦν | δόξα ὀρθὴ δεθεῖσα αἰϊτίᾳ λογισμοῦ — τότε yàp | Lo ev τὰ πράγματα ἔστιν ἀλλὰ καὶ | διὰ τί — ...

[ ὅταν

μὴ μόνον

εἰδῶϊμεν ὅτι

Essendo stabilito che la conoscenza è opinione retta legata dalla

— 495—

PLATO

100-101T

MEN.

causa del ragionamento (allora, infatti, noi conosciamo le cose, quando

non solo sappiamo che sono, ma anche perché) [...] Col. III 21-25

εἰ] γ[ὰ!ρ προσλάβοι | τὸν] öle Ἰσμὸν τῆς aitilalc, γίϊνεται

αὐ[τ]ῷ τέϊλειϊο]ς ὁ τῆ[ς] τοιαύτης I? ἐπι[σ]τή[μη]ς λόγος. Perché, se aggiungesse il legame della causa, il suo discorso in-

torno a questo tipo di conoscenza diverrebbe completo. DNS

101T

Men. 85b POxy 1808, col. II, mg. sup., 1-5 Pl. Respublica (cum scholis)

Sec. II? ex.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy XV (1922), 186-191.

Tavv.: POxy XV, IV (coll. I-II).

Comm.: MP’ 1421 (= P^ 1421) (= Pap. 3); MCNAMEE

CHAMBRY, BL [1932], p. CXLV

[1981], p. XV n. 9; BOTER, Textual Tra-

dition [1989], 253 e 256 (= IT’); MCNAMEE, Sigla (1992], 79.

] um [ca. 7] tooun* [-P ? προμήκ]η δὲ, .... z]à ?) λ(εῦπεσθία:) μο[νάδι ? | minima vestigia litterarum]. ἔχει TETPAYOV(06) ἀριθμὸς Lr il ε΄, οὗ τὸ σχῆμά (ἐστιν) (ὡς ?) ἐ(ν) (?) τί τ (©) Μένωνι [Γ΄ τ]ὸ διπλάσιον ἀπὸ δ(ια)μέτίρου) yilveraı) [7 1 jim

2 XmxecÜ

3 τετραγω

4

E \

5. δμεῖγι'

2 προμήκ]η et nolvası ed.pr. |

[...] 48 [...] di uguale lunghezza [...] ma oblungo [...] meno 1 [...]

— 496 —

PLATO

101T

MEN.

il quadrato [...] 5, la cui figura nel Menone è doppia si costruisce sulla diagonale.

POxy

{πε [...] la superficie

1808 è quanto resta di un rotolo, riconducibile alla

fine del sec. IIP, che in strette colonne (4,5-5 cm), conservate

circa per la sola metà superiore, conteneva il libro VIII della Repubblica di Platone (> 80 72). Nelle attuali coll. I e II era

trascritto il passo relativo al cosiddetto ‘numero nuziale’ di R. 546b-c. In corrispondenza di questo complicato e problematico computo matematico, negli intercolunni e nel margine superiore, una mano diversa rispetto a quella del testo (ma l’editore suggerisce che nei marginalia sı può forse riconoscere l’intervento di due mani distinte) ha corredato il testo con una

fitta rete di spiegazioni, che rimangono però oggi in larga misura oscure soprattutto per il frequente impiego di abbreviature e note brachigrafiche di incerta soluzione. Nel caso dello scolio vergato nel margine superiore si aggiunge anche l’impossibilità di determinare l'ampiezza delle perdite sia alla sinistra che alla destra dei resti della scrittura. Lo scolio è relativo a R. 546c4-5 ἀριθμῶν ἀπὸ διαμέτρων ῥητῶν πεμπάδος, δεομένων ἑνὸς ἑκάστων, ἀρρήτων δὲ δυοῖν (= col. II, rr. 4-9: lo scoliasta ha corretto ἑκάστων in ἑκάστου. una variante che non risulta altrimenti attestata; δυοῖν] δυεῖν

pap. [δυεῖν Par. gr. 1807 et Ven. 185 teste I. Bekkero]). Per spiegare il quadrato della diagonale di 5, viene utilizzato il Menone. La testimonianza non è ricordata in Bluck, Plato’s Meno. Il numero

48 risulta verosimilmente

da 7x7-1

(7 è il nu-

mero razionale più vicino alla diagonale del quadrato di lato 5). Compaiono poi delle lettere che rimandano all’armonia del testo della Repubblica che è ἰσομήκης per un lato, e forse si può integrare anche προμήκη dé. Il titolo del Menone viene

espressamente menzionato al r. 4: τῷ Μένωνι, seguito dalla fıgura del quadrato di 5. Si è tentati di intendere: οὗ τὸ σχῆμά

ἐστιν ἐν τῷ Μένωνι, ma lo scioglimento rimane incerto. Il segno V (l'ed.pr. riproduce «erroneamente una lineetta doppia) significa ordinariamente εἶναι invece che l'indicativo (cfr. Mc-

Namee, 1981, 28) e nello scolio a col. I, marg., r. 5, per un segno simile viene proposto dubitativamente uno scioglimento con -oc, in quello a col. I, marg., r. 12, con καὶ; € = £v appare suggerito soltanto dal contesto; il segno per τῷ è meno

— 497—

PLATO

101-102T

MEN.

incerto, perché ricorre due volte, nella forma

©,

a col. II,

marg., 12 e 13).

Nel rigo sottostante, l’espressione τὸ διπλάσιον ἀπὸ δια-

μέτρου γίνεται,

senza essere una citazione

letterale,

rappre-

senta un’evidente ripresa di Men. 85b ἀπὸ τῆς διαμέτρου [...] γίγνοιτ᾽ div τὸ διπλάσιον χωρίον (e la figura che seguiva, rile-

vabile ancora solo parzialmente, doveva essere il quadrato costruito sulla diagonale del quadrato di 5). Per inquadrare la personalità dello scoliasta può forse risultare interessante che l’ultima annotazione (col. II, marg., rr.

12-13) presenti dei significativi punti di contatto con il calcolo di Dercillide della seconda armonia (cfr. Proclo, 7n R. II,

p. 25, 14-26 Kroll) e che in uno degli scoli alla col. I (se si tratta della stessa mano) venga menzionato Eraclito ( 57 31). EB

102T Men. 94c POxy

1611, fr. 1, col. V 112-119 [

Excerpta da un hypomnema?

29 5T; 103 8T]

Sec. III? zn.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Bodleian Library, MS Gr. class. B 17(P). Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HuNT, POxy XIII (1919), 127-148: 134; 139; G. ARRIGHETTI, Il POx XIII 1611: alcuni problemi di eru-

dizione antica, SCO 17 (1968), 76-98: 81; BLUCK, Plato's Meno, 381; ARRIGHETTI, Poeti, eruditi, 210.

Comm.: MP? 2290 (= Ρ 2290) (1922), 97; A. KÖRTE,

APF

K.FR.W. SCHMIDT, GGA 7 (1924), 242; ARRIGHETTI,

184 supra,

(1968), 81-85; L. PiCCIRILLL, Storie dello storico Tucidide, Genova, Il Melangolo 1985, 110; ARRIGHETTI, Poeti, eruditi [1987], 187-188;

204-228: 210-215.

περὶ μὲν οὖν το[ῦ Tod Zre]lpavov πατρὸς κ[αὶ Πλά]ϊτων φησὶν

— 498—

PLATO

102T

MEN.

ἐν τ[ῷ Mé]| "vov: [ο]ὕτως- [ὅτι Oov]Ikvötöng δύο [ὑεῖς Eßpellyev, MeAnotalv καὶ Στέ]φανον : τούτουΪς δ᾽ ἐπαίδευ] σεν. 115-116

diple obelismene come segnale di citazione

112-119 omnia suppl. ed.pr. 118-119 Sedley, per litt, τούτου[ς ἐπαίδευ] σεν ed.pr.

116

obelos

tobtovlg δ᾽ eratdevl][oev D.

Quanto al padre di Stefano, anche Platone dice cosi nel Menone: «Tucidide allevö due figli, Melesia e Stefano; e li educò [...]».

La citazione letterale ricavata dal Menone (ben evidenziata

dalla diple obelismene e dall’obelos) è contenuta in un rotolo papiraceo che restituisce con ogni probabilità excerpta da un hypomnema (forse di Didimo) ad un autore comico (sul carattere di POxy 1611, cfr. soprattutto Arrighetti, Poeti, eru-

diti, 204-228). Il tema trattato nella sezione dell’opera che comprende 1 righi 5-24 della col. V (101-120 dell’ed.pr.) è l’identità

dei diversi personaggi con lo stesso nome di Tucidide: il politico (figlio di Melesia e padre di Stefano), lo storico (figlio di Oloro), il Farsalio (che compare nella Vita di Tucidide di Marcellino, $ 28). La testimonianza platonica è invocata per confermare autorevolmente (la questione era evidentemente dibattuta) che il Tucidide politico, rivale di Pericle, aveva avuto anche un figlio di nome Stefano. La testimonianza testuale del Menone non contiene novità e si caratterizza per due omıssioni (αὖ prima di δύο e καὶ prima di τούτους). Il calcolo dello spazio non consente di decidere se POxy 1611 aveva Θουκυδίδης con B T W oppure ὃ Θουκυδ. con F. Il testimone ha omesso di proposito, perché irrilevante ai suoi fini, il seguito del passo del Merone (94c2-5) nel quale si qualifica l’educazione impartita da Tucidide: ... καὶ τούτους ἐπαίδευσεν τά τε ἄλλα εὖ καὶ ἐπάλαισαν κάλλιστα ᾿Αθηναίων - τὸν μὲν γὰρ Ξανθίᾳ ἔδωκε, τὸν δὲ Εὐδώρῳ:- οὗτοι δέ που ἐδόκουν τῶν τότε κάλλιστα παλαΐίειν -- ἢ οὐ μέμνησαι; AC

— 499 —

PLATO

103-104T

PRM.

103T Parmenides

PSILaur inv. 19662, 7 [vd. supra, 3]

104T Prm.

141a5-d6

Cod. Taur. F VI 1, coll. VII 1-VIII 1 [III 6]

Sec. V/VI

Comm. in Platonis «Parmenidem»

Edd.: B. PEYRON, Notizia d'un antico evangeliario bobbiese che in alcuni fogli palimpsesti contiene frammenti d'un greco trattato di filosofia, RFIC 1 (1873), 53-71: 60-61; W. KROLL, Ein neuplato-

nischer Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, RhM 47 (1892), 599-627: 609-610; P. HADOT,

Porphyre

et Victorinus,

Paris, Etudes Augustiniennes 1968, II, 84-88 [= Porfirio, Commentario al «Parmenide» di Platone, trad. it., Milano, Vita e Pensiero 1993, 57-118: 74-77]; A. LINGUITI,

115; G. BECHTLE,

The Anonymous

CPF

III, 63-202:

Commentary

112-

on Plato’s

«Parmenides», Bern-StuttgartWien, Haupt 1999 («Berner Reihe

philosophischer Studien», 22), 27-29. Tavv.: HADOT, supra, 1968, tra p. 104 e 105, 1993, p. 18 (col. XII). Comm.: LINGUITI, supra, 164-165; BECHTLE, supra, 52-53; 147-153.

“ἀρ οὖν οὐδ᾽ ἐν χρόϊνῳ τὸ παράπαν δύναιτ᾽ ἂν εἶναι τὸ Ev, εἰ τοιοῦτον εἴη; (ἢ) οὐκ ἀνάγκη, ἐάν τι ἢ ἐν χρόνῳ, | ἀεὶ (abitò αὑτοῦ πρεσβύτερον γίγνεσθαι; ἀϊνάγκη. οὐκοῦν τό γε πρεσβύτερον ἀεὶ | νεωτέρου πρεσβύτερον; τί μήν; τὸ | πρεσβύτερον ἄρα —

500 —

PLATO

104T

PRM.

ἑαυτοῦ γενόμενον | καὶ νεώτερον ἅμα ἑαυτοῦ γίγνεται, εἴϊπερ μέλλει ἔχειν ὅτου πρεσβύτερόν τι γίγνεται. πῶς λέγεις; ὧδε: διάφορον Erelpov ἑτέρου οὐδὲν δεῖ γίγνεσθαι ἤδη | ὄντος διαφόρου, ἀλλὰ τοῦ μὲν ὄντος ἤδη | εἶναι, τοῦ δὲ γεγονότος γεγονέναι, τοῦ | δὲ μέλλοντος μέλλειν : τοῦ δὲ γιγνομένου ob(ce) γεγονέναι οὔτε μέλλειν οὔτε | εἶναί πω τὸ διάφορον, ἀλλὰ γίγνε-

σθαι καὶ | ἄλλως οὐκ εἶναι.

ἀνάγκη γάρ.

ἀλλὰ μὴν | τό γε

πρεσβύτερον διαφορότη (τος veo|tépov ἐστὶν καὶ οὐδενὸς ἄλ-

Aov.

ἔστι γάρ.

|” τὸ ἄρα πρεσβύτερον

αὑτοῦ γιγνόμενον |

ἀνάγκη καὶ νεώτερον ἅμα ἑαυτοῦ γίγνεσθαι. ἔοικεν. ἀλλὰ μὴν καὶ μήτε πλείω ἑαυτοῦ χρόνον γίγνεσθαι μήτε ἐλάττω, ἀλλὰ τὸν ἴσον χρόνον καὶ γίγνεσθαι |? ἑαυτῷ καὶ εἶναι καὶ γεγονέναι καὶ μέλλειν ἔσεσθαι. ἀνάγκη γὰρ οὖν καὶ ταῦτα. | ἀνάγκη ἄρα ἐστὶν ὡς ἔοικεν ὅσα γε £v xypó|vo ἐστὶν καὶ μετέχει τοῦ τοιούτου, ἕϊκαστον αὐτῶν τὴν αὐτήν τε αὐτὸ αὑτῷ [ ἡλικίαν ἔχειν καὶ πρεσβύτερόν τε αὑτοῦ ἅμα καὶ νεώτερον γίγνεσθαι. κινδυνεύει. ἀλλὰ μὴν τῷ γε ἑνὶ τῶν τοι᾿ϊούτων πραγμάτων οὐδὲν

μετῆν. | οὐ γὰρ μετῆν. ἐστιν ἕν τινι χρόνῳ.

οὐδὲ ἄρα χρόνου αὐτῷ μέτεστιν οὐδέ οὔκουν | δή, ὥς γε ὁ λόγος ἐρεῖ".

Sigla: cf. CPF III, p. 93. VII 2 usque ad VIII 1 in laevo margine signum citationis > singulis lineis appositum Tk 3 (ἢ) edd. (ex Platonis codd.) : om. Τρ 4 post γίγνεσθαι et semper ante singulas responsiones duo puncta Tk 7 yevöuevov Tp Tk?': yevovouevov Tk* (ov! exp.), γιγνόμενον Platonis codd.

ἅμα ἑαυτοῦ Tpk : ἑαυτοῦ ἅμα Platonis codd. Platonis codd., om. Kroll 12 ὄντος ἤδη codd. 15 oü(te) edd. cum Platonis codd. edd. (cum Platonis codd.) : διαφορότητος παθημάτων Platonis codd. VIII ἐρεῖ Tpk

8

9 τι Tpk Hadot : deest in

Tpk : ἤδη ὄντος ἤδη Platonis : ov Tpk 18 ó1a«opótn(xo]c Tpk 33 πραγμάτων Tpk : Hadot (C et cod. Par. 1811, cf.

Moreschini in app.) : αἱρεῖ Kroll (et BD T W)

Commentando il lemma, ai righi VIII 1-14 l'autore riecheggia da vicino espressioni contenute in Prm. 141a1-8. AL



501—

PLATO

105-106T

PHD.

105T

Phaedo

PSILaur inv. 19662, 17 [vd. supra, 3] 106T Phd. PBerol inv. 9782, coll. XLVII 45-XLVIII Commentario anonimo al Teeteto

11 [III 9]

Sec. IIP

Edd.: H. Dıeıs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 32; G. BaSTIANINI - D.N, SEDLEY, CPF III, 227-562: 392-395.

Tavo.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIN-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., Il, XX n° 40.

Comm.: MP? 1393 (= P? 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 536;

DORRIE - BALTES, Platonismus, III, Baustein 78.2; p. 188.

καὶ | τοῦτο ἀκόλοί[υ dov | τῷ δόγματι τῷ τὰς | λεγομένας μαθήσεις | ἀναμνήσεις eli lva{1] κ[αὶ; | πᾶσαν ἀνθρώπου | ψυχὴν τεθεᾶσθαι τὰ | ὄντα καὶ δεῖν αὐτῇ I οὐκ ἐνθέσεως μαθηϊμάτων ἀλλὰ ἀνα μνήσεως. περὶ δὲ | τούτου τοῦ δόγματος | ῥηθήσεται ἐν τοῖς εἰς |^ τὰ περὶ ψυχῆς ὑπομνήμασι. E questo è conseguente alla dottrina che quelli che sono chia-

mati apprendimenti || sono reminiscenze e che ogni anima umana ha contemplato gli enti ed ha bisogno non di immissione di insegnamenti, ma di reminiscenza. Di questa dottrina si parlerà nel commentario all’opera Sull’anima. Per il titolo con cui il Fedone viene citato, cfr. CPF III 9, —

502—

PLATO

106-107T

PHD.

comm. ad I. p. 536. Il passo a cui si allude, che doveva essere oggetto del commento qui citato, è con ogni probabilità Phd. /2e-77e. DNS

107T Phd.

92e-93d;

PHeid G inv. 28 + PGraecMon

106b

II 21 [III 7]

Sec. III°

Prov.: Ancyronpolis? Cons.: PHeid: Heidelberg, Papyrus-Sammlung der Universität; PGraec Mon:

München,

Bayerische

Staatsbibliothek,

Handschriften-

abteilung (Pap. graec. mon. inv. 91). Edd.: PHeid:

Fr. BILABEL, Neue

literarische Funde

in der Heidel-

berger Papyrussamlung, Actes du V* Congrès International de Papyrologie (Oxford 30 Aoät-3 Septembre 1937), Bruxelles, Fondation Egyptologique Reine Elisabeth 1938, 78-79; A. CARLINI, La dottrina dell’anima-apuovia in un papiro di Heidelberg, PP

30 (1975), 373-381: 377; ID., PLettCarlini 29 (1978), 201-209;

PGraecMon: U. WILCKEN, Zu den griechischen Papyri der königlich bayerischen Hof- und Staatsbibliothek zu München, APF 1 (1901), 469-491: 475-479; A. CARLINI, PGraecMon

II (1986),

10-14.

Tavv.: PHeid: PP 30 (1975), p. 376; PLettCarlini, XI (n? 29); PGraec Mon: PGraecMon II, Fig. 3. Comm.: PHeid: MP? 1389.1 (= P^ 2561) A. CALDERINI, Aegyptus 18 (1938), 342; K.FR.W. SCHMIDT, PhW 59 (1939), 607-612: 608; P. COLLART, REG 82 (1939), 243; W. PEREMANS, CE 14 (1939), 406; CARLINI [1975], supra, 373- 381; J. LENAERTS, CE 53 (1978), 365-366; CARLINI [1978] supra, 208, n. 12; É. Des PLACES, BAGB 4 (1979), 433; C. MEILLIER, REG 92 (1979), 249; J.A. STRAUS, AC 49 (1980), 479; DÖRRIE - BALTES, Platonismus ΠῚ

[1993], 185-186

PGraecMon: MP? 1389.1 («p 2560)

WILCKEN

[1901], supra; W. CRÖNERT, APF 2 (1902), 367; S. DE Ricci, REG 15 (1902), 460; A. KÖRTE, NJA 20 (1917), ΟΝ n. 10; SCHUBART, Einführung [1918], 482; COPPOLA, Appunti [1924], 221-

223; A. HARTMANN,

Bericht über die Papyrus-Ausstellung der —

503—

PLATO

107T

PHD.

bayerischen Staatsbibliothek München, Papyrı und Altertumswissenschaft, München 1934 («Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und antiken Rechtsgeschichte»,

19), 465;

CARLINI,

Studi [1972], 8-10; A. CARLINI, Su alcuni papiri ‘platonici’, in Proceedings of the XIV Intern. Congress of Papyrologists ( Oxford, 24-31 July 1974), London, Egypt Exploration Society 1975 («Graeco-Roman Memoirs», 61) 41-46: 41-44; WESTERINK, Greek Comm., I [1976], 8-9; DEL FABBRO, Il commentario [1975], 82

n. 43, 89, 125; VicAIRE, BL IV.1 [1983], pp. LXXXVI, XCIV;

STRACHAN, OCT 1 [1995], 87; D.N. SEDLEY, Plato’s «Phaedo»

in the Third Century B.C., in Le vie della ricerca [1996], 447455; ID., Plato's Auctoritas and tbe Rebirth of the Commentary Tradition, in Philosophia togata, II: Plato and Aristotle at Rome, edd. J. Barnes - M. Griffin, Oxford, Clarendon 1997, 110-129: 114 e n. 12.

Il riconoscimento dell'appartenenza di PHeid G inv. 28 e PGraecMon 21 ad uno stesso rotolo ha consentito di acquisire più sicuri elementi per un giudizio sull’ opera trasmessa da questi due testimoni papiracei. Non c'è più dubbio che nei frammenti rimasti siano presentati e discussi gli argomenti che noi leggiamo a sostegno dell’immortalità dell'anima nel Fedone. PHeid presenta in forma schematica le obiezioni che Socrate muove nel Fedone alla dottrina, affacciata nella discus-

sione da Simmia, dell’anima-àppovia (Phd. 92a-95b), PGraec Mon fa preciso riferimento al passo del Fedone (106b) in cui Socrate intende dimostrare l’indistruttibilità dell'anima, in ri-

sposta all’obiezione di Cebete che vedeva nella morte la distruzione, il dissolvimento dell’anima (91d6-7).

Proprio il carattere schematico dell'esposizione, con una enfatica adesione al punto di vista sostenuto da Socrate (PHeid 4-5: ταῦτα γὰρ | [δὴ ἄτοπα δοκεῖ) ha fatto pensare in un primo

momento, sia pure dubitativamente, a un commentatore impegnato ad illustrare 1 punti più rilevanti del dialogo (CPF III, 211-212); per l’alta età del papiro questo commento avrebbe trovato collocazione nella fase iniziale della lunga tradizione esegetica al dialogo platonico περὶ ψυχῆς (cfr. Westerink, Greek

Comm., 1, 7-32). Diverso & ıl punto di vista ora espresso da Sedley che, senza mettere ovviamente in discussione il rapporto stretto dei frammenti con 1l Fedone, li interpreta come resti di un'opera autonoma di un autore peripatetico che prima

— 504—

PLATO

107-108T

PHD.

espone la dottrina platonica dell'immortalità dell'anima, per poi sottoporla a critica. Sedley (455), con molta cautela, pensa alla possibilità che si tratti di «a contemporary, or near-contemporary, copy of the work by Strato which contained his critique of the Phaedo». Come si è già detto, l’autore condensa e schematizza le argomentazioni platoniche che nel dialogo si articolano in più battute, ma in un punto c’è, se non una citazione letterale, una parafrasi abbastanza fedele, contrassegnata anche dall’inciso φησίν; gli ultimi editori del Fedone, Vicaire e Strachan, hanno messo a frutto questa testimonianza, anche se la collocano, a torto, tra le fonti di tradizione diretta. Ecco il testo (con le

integrazioni congetturali di Sedley, 449-450) che parafrasa Pha. 92e5-93a2: PHeid 11-16 ἔπειτ[α] οὐκ ἂν | δήπου, φησίν, ov[0"] ἁρμονία οὔτ᾽ ἄλλη τίις] σύν]θεσις ἄλλως περ [ἔχο]ι ἢ | Ἰὼ]ς ἐκεῖνα ἔχει ἐξ [v σύγκειται. La variante offerta da PHeid.

registrata negli apparati di Vicaire e Strachan, & (93a1) ἄλλως περ, contro ἄλλως πῶς di tutti gli altri testimoni (B T è Stob).

Sull’uso di οὐκ-οὔτε-οὔτε cfr. Sedley 1996, 451. AC

108T

Phaedo (immo Leges VI 672c) POxy

2087, col. II 22 [> 80 95T]

Sec. IIP

Glossario di parole in a Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: A.S. HUNT, POxy XVII (1927), 110-113.

Comm.: MP? 2120 (= MP? 2120) 908; A. KORTE,

APF

O. IMMISCH, PhW 48 (1928),

10 (1932), 230-231;

S. KURZ,

Die neuen

Fragmente der attischen Alten Komödie, Diss. Tübingen

1947,

193; LS] Suppl. s.v. ἀκταινόω; R. PFEIFFER, Callimachus, II Oxford, Clarendon 1953, 87 (ad epigr. 23); A.S.F. σον - D.L. PAGE, The Greek Anthology: Hellenistic Epigrams, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1965, II, 204-205; NAOUMIDES, Lexico—

505—

PLATO

108T

PHD.

grapby [1969], 181-202; CHR. THEODORIDIS, Photii Lexicon I [1982], 93 (nota ad α 873); PCG VII [1989], 548 (ad fr. 303);1, SPINA, Cleombroto, la fortuna di un suicidio (Callimaco, ep. 23), Vichiana n.s. 18 (1989); 18, n. 18; MARTINELLI TEMPESTA, Liside

[1997], 237, n. 110.

ἀκταινῶσαι: Πλάτί(ων) πί(ερὶ) ψυχ(ῆς) ἐξᾶραι, (υψγῶσαι. 22 22

πλατίπίψυχἰεξαραιώςαι ἐξᾶραι, (ὑψγῶσαι 1.5] Suppl., ἐξαραιωςαι pap.

Sollevare: Platone nel (dialogo) Sull’anima; alzare, levare da terra.

Anche Frinico (Praep. Soph.

39,8 De Borries = Bekker,

Anecdota I 23, 7) correda il lemma ἀκταινῶσαι con la citazione del Fedone (σημαίνει μὲν TO ὑψῶσαι καὶ ἐπᾶραι καὶ μετεωρίσαι ... Πλάτων (δὲν ἐν τῷ Φαίδωνι ὡς ἀπὸ περισπωμένου)

ed & il confronto con Platone che ha consentito la correzione in POxy dell'incomprensibile eSapaıwcaı. Ma una forma del verbo ἀκταινόω in Platone si trova solo in Lg. 672c (καὶ ὅταν

ἀκταινώσῃ ἑαυτὸ τάχιστα) e si deve pensare ad uno scambio tra i due dialoghi. Data la concordanza dei due testimoni, l’er-

‘ rore si dovrà far risalire alla fonte comune. L'ipotesi avanzata

da Meineke che Frinico citasse Platone comico (quindi ἐν τῷ Φάωνι poi corrotto in ἐν τῷ Φαίδωνι) non trova più credito nei critici: cfr. ora Kassel - Austin, PGC VII 548 (ad fr. 303) dove si sottolinea che la confusione Leggi/Fedone è un “error proclivus” dato che si ripresenta in Ps. Did. Περὶ τῶν ἀποpovuevov παρὰ Πλάτωνι λέξεων, ed. Miller, 400 (Lexica graeca minora, 246).

Il glossario di POxy 2087 presenta ben sei errori di vario genere nelle dieci citazioni che contiene; questa trascuratezza non può essere addebitata a copisti distratti, ma deve essere messa sul conto del compilatore stesso (Naoumides, Lexicography, 198 colloca senz’altro il nostro glossario tra quelli meno «trustworthy»). Mancano indizi per poter collegare POxy 2087 con le specifiche raccolte di materiale glossografico platonico variamente

attestate [cfr. A. Dyck, —

506—

Notes

on Platonic

PLATO

108-1097

PHD.; PHDR.

Lexicography in Antiquity, HSPh

89 (1985), 75-88; Dörrie -

Baltes, Platonismus III, 54-57; 226-235]. Il lemma ἀκταινῶσαι si legge nella Zuvayoyn

λέξεων

χρησίμων pubblicata da Bachmann (Anecdota graeca, I, 63, 26) e nel Lessico di Fozio (a 873, p. 93, 13 Theodoridis); ma qui l’autore allegato è Anacreonte (PGM 466 Page). AC

109T Phaedrus

249e

PBerol inv. 9782, coll. XLVII 45-XLVIII Commentario

anonimo

Sec. ΠΡ

al Teeteto

Edd.: H. DieLs

- W. ScHUBART,

STIANINI

SEDLEY,

- D.N.

7 [III 9]

ΒΚΤ

CPF

II (1905), 3-51: 32; G. BA-

III, 227-562:

392-393.

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP’ 1393 (= P^ 1393) 562:

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

536.

καὶ | τοῦτο ἀκόλο[υ ]Qov | τῷ δόγματι] τῷ τὰς | λεγομένας μαθήσεις | ἀναμνήσεις eliJvalı] [ai] Ἰπᾶσαν ἀνθρώπου [ψυχὴν τεθεᾶσθαι tà | ὄντα καὶ δεῖν αὐτῇ | οὐκ ἐνθέσεως μαθημάτων ἀλλὰ ἀναμνήσεως. E questo è conseguente alla dottrina che quelli che sono chiamati apprendimenti || sono reminiscenze e che ogni anima umana ha contemplato gli enti ed ha bisogno non di immissione di insegnamenti, ma di reminiscenza.

Per XLVIII 2-4, cfr. supra, 80 106T. DNS



507—

PLATO

110T

PHDR.; PHLB.

110T (>113T) Phdr. 265c-d; Phlb. 16d-17a PBerol inv. 9809 [ex 8]

Sec. IIP

Sulla logica in Platone Prov.: Theadelphia. Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: H. Dieis - W. SCHUBART, ΒΚΤ

II (1905), 52-53; F. DELLA

CORTE, Otto papiri letterari, RFIC 64 (1936), 385-409: 589-592 (= Opuscula, I, Genova, Ist. di Filol. Class.

195-219: 200).

e Medievale

1971,

Tavv.: ΒΚΤ II, II.

Comm.: MP? 1404 (= P? 1404)

F. BLASS, APF 3 (1906), 499; K.

PRAECHTER, Papyrus Berol. N. 8, Hermes 42 (1907), 150-153; ALLINE, Histoire [1915], 144 e n. 7; GRENFELL, Value [1919], 28 n. 16; DELLA CORTE [1936], supra, 389-392 (= 199-202) VIN-

ZENT, Phaidros-Papyri [1961], 6, 160 n. 2; DE VRIES, Commentary [1969], 4; O. MoNTEVECCHI, La papirologia, Torino, SEI 1973 (Milano, Vita e Pensiero 1988^), 381; MORESCHINI, BL, IV.3 [1985], p. CCXXIV.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 10,5x13) con resti della parte inferiore di due colonne consecutive (intercolunnio cm 2 ca., margine inferiore cm 4 ca.), scritte in una libraria ornata, bilineare, rotonda e diritta, del sec. IIP. Il rigo nella sua

ampiezza, calcolabile intorno a1 5,5 cm, comprendeva ca. 20 lettere; l'altezza, non determinabile, doveva comunque superare 1 9 cm. L’articolazione del testo è indicata da brevi spaziature in luogo di segni di punteggiatura. Viene apposto lo iota mutum (omesso però in II 16). Il verso è riutilizzato per una lettera. Il testo superstite consta principalmente di citazioni platoniche (Phlb. 16d7-17a4 Burnet, Phdr.

265c8-d6

Moreschini)

evidenziate, come di consueto, da paragraphoi e da segni di —

508 —

PLATO

t10T

PHDR.; PHLB.

diple nel margine sinistro. Gli estratti riguardano διαίρεσις e συναγωγή. Una trattazione come quella che si legge in Alcin. Didaskalikos, capp. V e VI mostra come l'esposizione delle tecniche notoriamente platoniche della διαίρεσις e della ovναγωγή potesse inserirsi in un contesto nel quale si mostrava, più in generale, come Platone avesse anticipato la logica aristotelica (cfr. Dillon, Middle Platonists, 49-51, 276-280; P. DoNINI, Ze scuole, l'anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino, Torino, Rosenberg & Sellier 1982, 104-105; J. DILLON, Alcinous, The Handbook of Platonism, Oxford, Clarendon 1993, pp. XXX-XXXI, 72-86). Si veda altrove l’uti-

lizzazione degli stessi passi, in partic. Gal. De plac. Hp. et Plat. (p. 767, 5-13 Müller), Ammon. In APr. (p. 8, 9-14 Wallies), Herm. In Phdr. (p. 235, 30 Couvreur), Procl. I» Ti. II 133, 1 Diehl, David Prol. 9, 32-34 Busse (cfr. anche Procl. In R. 1288, 20-23 e II 304, 2-5 Kroll; Syrian. In Metaph. 3, 30-

32 Kroll): questi luoghi sono citati dal Praechter, 152, cui si deve l'identificazione del passo del Filebo. Ad essi 51 possono aggiungere, in relazione alla διαίρεσις e alla συναγωγή (= ἀνάλυσις: vd. infra comm. a II 10), Alcin. Did. 159, 45-160, 3 W.

(cfr. J. WHITTAKER, Alcinoos, Enseignement des doctrines de Platon, Paris, BL 1990, p. 14 n. 105; Dillon, A/cinous, cit., 85), Alb. Prol. 151, 7-9 (cfr. Nüsser, Albins Prolog, P e Anon.

Proleg. in Plat. 27, 4-6 W. (cfr. Westerink, ibid., p. 78 n. 227). Per l'utilizzazione del passo del Filebo (16c5- 7 parallelo a Soph. 235c 4-6), che introduce il brano di cui in pap. sopravvive la parte finale della citazione, 51 veda anche Anon. Proleg. in Plat. 23, 13-15 e 27, 20-23. È probabile che il frammento provenga da un trattato piuttosto che da un commentario (come commentario al Fedro, o

come trattato sulla dialettica, viene registrato in P^: cfr. anche Montevecchi,

381; de Vries,

Commentary,

4 e Vinzent, Phai-

dros-Papyri, 6). Dato che la citazione del Fedro ricorre non solo in Galeno ma anche in una sezione di Stobeo περὶ δια-

λεκτικῆς (III 16, 14), Della Corte ha suggerito un'opera sulla ‘dialettica’ piuttosto che sulla ‘logica’. La trattazione sarà stata forse uno schizzo della dottrina platonica sul tipo del Dida-

skalikos di Alcinoo. Quale che fosse lo scopo preciso dell’o-

pera, la si può tranquillamente considerare un prodotto del medio platonismo. Il testo delle citazioni, collazionato con l’edizione di Bur—

509 —

PLATO

110T

PHDR.; PHLB.

net per ıl Filebo e con la seconda edizione di Moreschini per ıl Fedro, non si discosta da quello della tradizione diretta tranne che per una banale svista a col. II 17 (menzionata in apparato come varia lectio da Moreschini 1985).

In particolare per la citazione del Filebo (per il quale si attende ancora un’edizione fondata su un’accurata recensio), essendo la colonna in gran parte perduta, è impossibile verificare l'eventuale coincidenza con le lezioni di alcuni recentiores riportate da Bekker (Comm. Crit., I, 406): I 6 (16e2) ἁπάντων per πάντων (Par. Gr. 1812 e Ven. Marc. Gr. 184), I 15 (1742)

ὃν in luogo di ἕν (Ven. Marc. Gr. App. Class. IV. 54). A T6 (16e1) il secondo τοῦ, conservato in pap. in accordo con i manoscritti primari, non offre appoggio all'omissione del Ven. Marc. Gr. 189. A 118 lo spazio richiede la presenza di πάλιν, cancellato in Ven. Marc. Gr. 189 (πάλιν era stato sospettato da P.G. VAN HEUSDE, Specimen Criticum in Platonem, Lugduni Batavorum, Honkoop 1803, 100).

ύννννννν

Col. I

10

πρὸς τὸ πλῆ]θος μὴ rpoloφέρειν πρὶν ἄν τις τὸ]ν ἀριθμὸν αὐτοῦ πάντα κατίδ]ῃ τὸν μεταξὺ τοῦ ἀπείρου te] καὶ τοῦ Eνός, τότε δ’ ἤδη τὸ] ἕν ἕκαστον τῶν πάντων εἰς τὸ ἄ]πειρον μεθέντα χαίρειν ἐᾶν, οἱ] μὲν οὖν θεοἵ, ὅπερ εἶπον, οὕτως] ἡμῖν πα-

Phlb. 1647

16ς

ρέδοσαν σκοπεῖν κ]αὶ μανθάνεῖν καὶ διδάσκειν ἀλλήλους:

οἱ δὲ νῦν τῶν ἀνθρ]ώπων σοφοὶ

17a

ἕν μέν, ὅπως ἂν] τύχωσι, καὶ

ἀπ

15

κά

πολλὰ θᾶττον κα]ὶ βραδύτερον ποιοῦσι τοῦ déov]toc, μετὰ δὲ τὸ ἕν ἄπειρα εὐθύϊς, τὰ δὲ μέσα αὐτοὺς ἐκφεύγει,] οἷς διακεχώρισται τό τε δια]λεκτικῶς πάλιν καὶ τὸ ἐριστ]ικῶς ἡμᾶς —

510—

1744

PLATO

110T

PHDR.; PHLB

Col. II

V

V

V

ψι

V

V

V

EENG pnow- “ἐμο[ὶ μὲν φαίνεται

I4 è zio bianco

νῶν ἐκ τύχης ῥηθέντων [δυοἷν εἰδοῖν, εἰ αὐτοῖν τὴν [δύvanıv τέχνῃ λαβεῖν δύν[αι“τό τις οὐκ ἄχαρι". καὶ τοῦ Φ[αίδρου ἐρωτήσαντος “τίνων δή; 6 Σωκράτης ἀποδίδωσιν] πρῶτον μὲν τῆς συναγωγίῆς “τὴν τέχνην λέγων “εἰς μί[αν τε ἰδέαν συνορῶντα ἄγειν τὰ πολλαχῇ διεσπαρμένα, [ἵνα £καστον ὁριζόμενος δῆλον [ποιθέλῃ. ὥσπερ τὰ νυνδὴ ne[pi

"Epwrog (ὃ) ἔστιν ὁρισθέν [

13 βραδὺ - non βραχὺ - (Della Corte)

I1 vel np[o- (cum B) 5 δὴ dei B Dindorf 13 βραχύτερον Badham 18

II

26542

26543-6

fi περὶ οὗ ἂν ἀεὶ διδάσκειν [ἐ-

V

15

τὰ μὲν ἄλλα τῷ ὄντι πα[ιδι& πεπαῖσθαι: τούτων δέ [τι-

V

VVMM

10

Phdr. 265c8-d1

14

dopo ]toc spa-

12-13 καὶ πολλὰ : τὰ πολλὰ vel ὁριστ])ικῶς (cum B)

Spazio bianco dopo 1 pncıv, 3 πεπαιεθαι, 5 edo, 8 ἐερωτηςαντος,

9 8n, 11 Àeyov

II 2 om. μὲν Galen.

2-3

παιδιᾷ πεπαῖσθαι T W : παιδίᾳ πεπέσθαι

B 3 ῥηθέντοιν Hermias 234, 11 C. 5 εἰδῶν Galen. αὐτοῖν : αὐτήν W Escor. Stob. F 6 τέχνην Stob. 11 eig: τὸ eig Vollgraff 12 τε om. Stob. συνορῶντα : συνείροντα Naber Vollgraff 15 διδάσκων Galen. 16 τὰ : τὸ Schanz

Col. II [...] di seguito dice: (Pbdr. 265c8-d1) e, alla domanda di Fedro

“di quali forme?” (Phdr. 265d2), Socrate espone per prima cosa la tecnica della synagoge, dicendo: (Phdr. 265d3-6).

II 10 Viene qui utilizzato il termine platonico (Phdr. 266b4) —

511—

PLATO

110-111T

PHDR.

che indica il procedimento dialettico ascendente dal molteplice all'unità (συναγωγή); nel Didaskalikos (cap. V, 157, 11-43 W.) 51 trova invece il termine aristotelico ἀνάλυσις [cfr. Whittaker, cit., 88 n. 76 (con bibliografia); Dillon, Alcinous, cit., 72; 7475].

II 17 sgg. Il testo continuava probabilmente con ἔπειτα δὲ τὴν τῆς διαιρέσεως λέγων (Phdr. 265e-266b), vel sim. MWH

111T Phdr. 278e-279a

POxy 3543, 7-12 [1.2] Vita di Isocrate

Sec. II? med.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: M.W. HASLAM, POxy L (1983), 88-93.

Comm.: MP" 2080.1. ἔτι δὲ νέος ὧν ἐδόκει διοίσειν τῶν περὶ Av]lotav, k(ai) τοῦτο μαρτυρεῖ Πλάτων ἐν τῷ Φαίδρῳ Σω] κράτη λέγοντα ποιήσας οὕτω- “νέος ἔτι, ὦ Φαῖδρε,] |" Ἰσοκράτης: ὃ uevrloı μαντεύομαι κατ᾽ αὐτοῦ, λέ] γειν [ἐ]θέλω- δοκεῖ y[&p μοι ἀμείνων ἢ κατὰ τοὺς] | περὶ [Λ]υσίαν εἶναι Aóy[ovc." 8 x

10

ἵεοκρατης

11

]yıv pap.

7-12 omnia supplevit ed.pr. (sed in v. 10 est dubium utrum μαντεύομαι κατ᾽ αὐτοῦ cum codd. Plat. an περὶ αὐτοῦ μαντεύομαι cum Vita Isocr. anon.

suppleas) Già da giovane Isocrate appariva superiore a Lisia, come attesta

Platone nel Fedro, quando fa dire a Socrate: “Isocrate è ancor, giovane, o Fedro, ma voglio dire ciò che presagisco di lui, giacché mi sembra migliore del livello dei discorsi di Lisia”. —

512—

PLATO

111T

PHDR.

POxy 3543 reca, sul verso di un documento oggi illeggibile, dei resti scritti in una grafia minuta e informale di una Vita di Isocrate (non sı puó riconoscere se fosse parte di una

piü ampia collezione biografica) 1 cui materiali dovevano almeno in parte dipendere, attraverso anelli non precisabili, dal Περὶ τοῦ Ἰσοκράτους di Ermippo. POxy 3543, in efferti, puö

essere a tratti fruttuosamente confrontato con le altre Vite di Isocrate che ci sono conservate, e specialmente con quella pervenuta anonima in alcuni manoscritti delle orazioni di Isocrate, che sembra riprodurre sostanzialmente la biografia isocratea di Zosımo d’Ascalona [cfr. H. GARTNER, von Askalon, in RE X.A (1972), col. 793].

s.v. Zosimos

È in una sezione particolare di questa Vita anonima, in cui è manifestamente intervenuto un cambio di fonte da parte del redattore, che viene utilizzato il celebre giudizio di Phdr. 278e279a sul giovane Isocrate, all’interno della medesima sequenza tematica offerta anche da POxy (si trova inserito, dopo l’informazione che Isocrate era nato cinque anni prima dell'inizio della guerra del Peloponneso e ventidue dopo Lisia, tra l'indicazione dei maestri di Isocrate e un elenco di suoi discepoli) e con parole cosi strettamente confrontabili da permettere una confidente integrazione delle lacune del papiro. La relazione col papiro è tale che conviene riportare per esteso il passo corrispondente della Vita anonima: Νέος δ᾽ àv ἐδόκει διοίσειν τῶν περὶ Λυσίαν τὸν ῥήτορα πρὸ αὐτοῦ γενομένων, καὶ τοῦτο μαρτυρεῖ Πλάτων ἐν τῷ Φαίδρῳ Σωκράτην λέγοντα ποιήσας οὕτω:

«Νέος μὲν ἔτι, ᾧ Φαῖδρε, Ἰσοκράτης" ὃ μέντοι περὶ αὐτοῦ μαντεύομαι, εἰπεῖν ἐθέλω δοκεῖ γάρ μοι ἀμείνων ἢ κατὰ τοὺς περὶ Λυσίαν εἶναι λόγους.» (ed. G. MATHIEU, BL, I, PP. XXXIII-

XXXVIII: XXXV

rr. 93-98). Per il significato che 2 possibile

attribuire a κατὰ τοὺς περὶ Λυσίαν . λόγους si veda la nota a Phdr. 279e3-4 di de Vries, Commentary, 263.

E appariscente la circostanza che in POxy 3543 e nella Vita anonima della tradizione manoscritta isocratea la citazione in forma diretta del testo di Platone presenti i medesimi adattamenti

(viene

saltata la domanda

di Fedro

Τὸ ποῖον

δή;

ed e

fatta un'unica battuta delle parole di Socrate, con il conseguente inserimento di γάρ in funzione di raccordo) e sia cir-

coscritta alle sole parole iniziali (del tutto verosimilmente anche in POxy si interrompeva prima di tà τῆς φύσεως— l'eccertore non aveva interesse alle suggestioni filosofiche del testo di Pla—

513—

PLATO

111-113T

PHDR.; PHLB.

tone, ma soltanto ad acquisire una testimonianza biografica). Nel confronto con la tradizione diretta del testo platonico POxy sembra conservare una qualche maggiore vicinanza al dettato originale di Platone che non la Vita anonima (τ. 9 νέος PI. et ut vid. spatii causa POxy : νέος μὲν Vita an.; rr. 10-11

λέγειν Pl. POxy : εἰπεῖν Vita an.). In corrispondenza delle parole leggibili in POxy non si registrano varianti significative nei manoscritti di Platone. Tra le altre Vite di Isocrate conosciute, il giudizio di Platone nel Fedro viene menzionato soltanto in PCairoMasp 67175, con la stessa finalizzazione che in POxy 3543 e nella Vita zosimiana tramandata anonima, ma probabilmente, a giudicare dalle tracce superstiti della scrittura, senza che seguisse la citazione in forma diretta delle parole di Socrate: (rr. 14- 16) νέος [δ᾽ àv καὶ δόξαν ἐφέρετο] | ὡς διοίσων Λυ[σίου τοῦ ῥήτορος, ὡς μαρτυρεῖ &[v τ]ῷ [Φαίδρῳ Πλάτων Ὁ.......... ]. Anche

in PCairoMasp, come in POxy e nella Vita anonima, la monianza.platonica è immediatamente preceduta dalla zione dei maestri di Isocrate: Prodico, Gorgia, Tisia e mene in POxy e in PCairoMasp, soltanto i primi due Vita anonima (dove si può pensare a un’innovazione tualmente involontaria rispetto alla fonte originaria).

testimenTeranella evenEB

112T Philebus

PSILaur inv. 19662, 16; 22 [vd. supra, 3]

113T Phlb.

16d-17a

PBerol 9809, col. I [vd. supra, 80 110T]

— 514 —

PLATO

114-115T

PLT.

114T Politicus

PSILaur inv. 19662, 13 [vd. supra, 3]

115T In Pl. Plt. 300b1-c3

PBerol inv. 11749 [III 8]

Sec. II?

Prov.: Hermupolis Magna. Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: K. TREU, Kleine Klassikerfragmente, in Festschrift zum 150jährigen Bestehen des Berliner Ägyptischen Museums, Berlin, Akademie Verlag

1974, 438-440,

M. TULLI,

CPF

III, 221-226:

224-

225; M. TULLI, Un commento del II sec. d. C. al «Politico»: P. Berol. 11749, APF 41 (1995), 45-55: 48-49; W. LUPPE, Nochmals zum

Politikos-Kommentar P.Berol. 11749, APF 42 (1996), 9-11: 9-10. Tavv.: Festschrift, supra, 70 b. Comm.: MP? 1397.1 J. O'CALLAGHAN, Platón: Politico 273D (PPalau Rib. inv. 186), StudPap 14 (1975), 119-120; TULLI, CPF, supra; L. BRISSON, REG 108 (1995), 238; M. MANFREDI, Comunicazioni, Firenze, Istituto Papirologico “Ὁ. Vitelli’ 1995, 71; TULLI 1995, supra, 45-55; A. CARLINI, RFIC 124 (1996), 368; LUPPE, supra, 9-11.

Sono stati individuati rr. 8-16) παρὰ yàp οἶμαι 4-10) διὰ ταῦτα ... μηδ᾽ conosciuto il commento

1 lemmi seguenti: 300b1-6 (?) (col. I, ... πολλαπλάσιον; 300c1-3 (col. II, rr. ὁτιοῦν. A col. I, rr. 1-7, Luppe ha ria 300a4-6. R —

515—

PLATO

116-171

PRT.; R.

116T

Protagoras PSILaur inv. 19662, 5; 21 [vd. supra, 3]

117T

Respublica III 389b; VI 486a

PBerol inv. 9782, coll. XIII 7-12; LIX 8-12 [III 9]

Sec. IIP

Commentario anonimo al Teeteto

Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 10; 39; G. BaSTIANINI - D.N. SEDLEY,

CPF III, 227-562: 294-295; 424-425.

Tavv.: BKT II I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal Gr. Pap., II, XX n° 40.

Comm.: MP? 1393 (= ΡΖ 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 499;

544.

Col. LIX 8-12 (R. III 389b) ἔτι δὲ x[oi] e[v] | τῇ Πολιτείᾳ ἐδό[θ]η χρῶνται οἱ ἄρχοντες ἐν φαρμάκου εἴδει.

|^ ὅτι τῷ ψεύδει

Inoltre, anche nella Repubblica fu concesso che 1 governanti si servono del falso come di un farmaco. Col. XIII 7-12 (R. VI 4864) ὅθεν κἀν | τῇ Πολι[τ]είᾳ σκοπῶν τοὺς εὐφυεῖς |? κα[ὶ] μή, —

516--

PLATO 117-118T A. φησίν “[ἀ]λ[λ]ὰ μή | σε [λά]θῃ ἀνε[λευ]θεϊριότης npoco[9]oo." Onde anche nella Repubblica, indagando su coloro che sono naturalmente

dotati e coloro

che non lo sono,

dice «ma

che non

ti

sfugga la presenza dell’illiberalità». DNS

118T R. VII 540c PFlor 371 r, 12

Sec. IIP

Catalogo di opere retoriche con incipit Prov.: ignota. Cons.: Firenze,

Biblioteca Medicea

Laurenziana.

Edd.: G. VITELLI, Da papiri greci dell’Egitto, VII, A&R

7 (1904),

178-180: 178; G. VITELLI, PFlor III (1915), 92; F. LASSERRE,

Une

notice bibliographique antique: P. Flor. III 371, Aegyptus 37 (1957), 243-249: 244 [= Nouveaux que

(1947-1986),

258-259: 252].

Genève,

Droz

chapitres de litterature grec1989,

251-258,

Post-scriptum,

Tavv.: LASSERRE (cfr. supra), p. 248/249 (= p. 253).

Comm.: MP? 2090 (P? 2090)

VITELLI [1904], supra; Fr. BLASS,

APF 3 (1906), 492; V. GARDTHAUSEN, Die alexandrinische Bibliothek, ihr Vorbild, Katalog und Betrieb, ZBS 5 (1922), 73-104: 78-79, C. WESSELY, De Callimacho bibliothecario, in Studies pre-

sented to F.L. Griffith, London, Egypt Exploration Society 1932, 38-41; H. GERSTINGER, Ein Bücherverzeichnis aus dem VII.VIII. Jb. n. Chr. im Pap. Graec. Vindob. 26015, WS 50 (1932), 185-192: 186; C. WENDEL, Neues aus alten Bibliotheken, ZBB 54 (1937), 585-589: 587, n. 1; LASSERRE [1957], supra.

ἐὰν] καὶ ἣ Πυθία συναναι[ρῇ 12

ἐὰν] suppl. Wessely

συναναι[ρῇ suppl. Wessely

[...] se] anche la Pizia dà il suo consenso —

517—

PLATO

1181

AR.

Il frammento papiraceo (cm 10x15), acquistato nel 1903, mutilo da tre lati, con un margine superiore di cm 5, contiene, sul recto, 13 righi di scrittura che recano i resti di un pinax, cioè di un catalogo di opere retoriche (di più autori) con il titolo, l'incipit e gli stichoi [cfr. Lasserre, 246 (= 255)]. Wessely (39-40) aveva invece pensato, in modo meno convincente, a un

catalogo di lettere (individuate dal nome del destinatario) di un autore sconosciuto. La scrittura (una maiuscola rotonda di esecuzione molto accurata) è stata attribuita da Vitelli al sec.

III?, ma è più antica. La retrodatazione al sec. 1" proposta da Turner (ap. Lasserre, Post-scriptum, 258) appare eccessiva; si può pensare invece al pieno sec. IIP (d’accordo si sono dichiarati G. Bastianini e C. Gallazzi). Sul fondamento della datazione alta di Turner,

Lasserre

(Post-scriptum,

258-259)

ha

pensato di poter fare il nome di Cecilio di Calatte come autore dei trattati citati nel pinax, ma la proposta non pare plausibile. Nel margine alto si legge l’indirizzo della lettera di Isias ad Agathinos il cui testo è scritto sul verso (la mano è del sec. IV). I singoli trattati erano ben individuati dalle vistose paragraphoi e dagli spazi bianchi (titolo a sé in un rigo). Il quarto e ultimo dei trattati elencati nel catalogo mutilato ha un titolo che Lasserre ha potuto ricostruire congetturalmente in modo convincente (τ. 10: περὶ] κάλλους) e invece un incipit di rico-

struzione molto problematica, anche se, al τ. 12, l’inciso ἐὰν] καὶ ἣ Πυθία συναναι[ρῇ può dirsi recuperato

con sicurezza

dopo l'intervento di Wessely che ha riconosciuto la letterale ripresa di Repubblica 540c1. Le fonti manoscritte primarie di Platone sono variamente corrotte (ξυναιρῇ AM, Evvoipn FD), ma non c’è alcun dub-

bio che la lezione originale, restituita facilmente dagli editori grazie alla citazione letterale di Elio Aristide [Orat. XLV 41 (II p. 12, 22 Dindorf, I p. 156, 21 Behr); cfr. anche XLVI 617 (D., p. 497, 18-19 B.)], è συναναιρῇ

(così anche, per corre-

zione, in due codici platonici: Ven. Marc. Gr. 184 e Arec.). Platone usa più volte un’espressione simile con riferimento alla Pizia (R. 46163, Lg. 947d4-5), ma Aristide non può che riferirsi al libro VII della Repubblica e precisamente

a R. 540c1,

nonostante l’esitazione di Tomaso Magistro che, citando Platone e Aristide sotto la voce ἀνεῖλεν (Ecloga Vocum Attica—

518 —

PLATO

118-120T

R.; SPA.

rum 23, 8 Ritschl), introduce la citazione platonica così: Πλάτων

ἔν τινι τῶν Πολιτειῶν. È sicuro che anche nell'incipit dell’opera retorica del nostro catalogo il richiamo, data la precisa corrispondenza della formulazione, era proprio a R. 540c1, ma l’inciso doveva trovarsi in un contesto diverso da quello platonico: in Platone il consenso della Pizia è posto come condizione perché lo stato a pubbliche spese eriga monumenti e faccia sacrifici ai phylakes che, avendo concluso la loro missione di governo, sono passati a vivere nelle isole dei beati. AC

119T

Sophista PSILaur inv. 19662, 4 [vd. supra, 3]

120T

Sph. PBerol inv. 9782, coll. II 32-39; Commentario

anonimo

[III 9]

Sec. II?

al Teeteto

Edd.: H. DiELs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 3-4; 46-47; G. BASTIANINI

- D.N. SEDLEY,

CPF III, 227-562: 264-267; 456-457.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIXI-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n° 40. Comm.: MP?

1393 (= P? 1393)

BASTIANINI

- SEDLEY, supra, 484.

GAJA odo] φασιν αὐτὸν | περὶ ἐπιστήμης [^ προθέμενον ζητ[εῖν] | ἐν μὲν τῷ Θεαιτήτῳ | περὶ ἃ οὐκ ἔστιν δεικνύναι, ἐν δὲ τῷ Σοφιστῇ περὶ ἃ ἔστιν. —

519—

PLATO

120-122T

SPH.; SMP.

D’altra parte, costoro affermano che egli, essendosi proposto di indagare sulla conoscenza, nel Teeteto mostra intorno a quali og-

getti essa non verta, nel Sofista intorno a quali essa verta. DNS

121T

Symposium

PSILaur inv. 19662, 2 [vd. supra, 3]

122T

Smp. 206c; 207d-208b PBerol inv. 9782, coll. LVII 15-22; LXX 5-12 [III 9]

Sec. II?

Commentario anonimo al Teeteto Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, BKT II (1905), 3-51: 38; 46; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 418-421; 454-457.

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n° 40.

Comm.: MP’ 1393 (2 P? 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 541-543; 554-555; DÖRRIE - BALTES, Platonismus, III, Bau-

stein 79.4; p. 199.

Col. LXX 5-12 (Smp. 207d-208b) τὸν δὲ | [περ]ὶ τοῦ αὐξομένου | [Alöyov ἐκίνησεν | [μ]ὲν πρῶτος Πυθα [γό]ρας, ἐκίνησεν |? [58] καὶ Πλάτων, ὡς £v | [το]ῖς εἰς τὸ Συμπόσιον | [ὑἱπεμνήσαμεν.

L’argomentazione sull’uomo che cresce fu avanzata dapprima da Pitagora, e fu anche avanzata da Platone, come abbiamo notato nel commento al Simposio. —

520—

PLATO

122-123T

SMP.; THT.

Col. LVII 15-22 (Smp. 206c) καὶ μὴν ἐν τῷ Zulullnoo[ilo φησὶν öltı] | κυοῦσι π[άντ]ες ἄϊν]θρωποι κί αἱ xa]tà ψίυ ἸΙχὴν xoti] κ[ατὰ σῶμα:] καὶ elilxög [ἐστι]ν τ[οῦ|το τ[ὸ κ]α[τὰ vv]x[n κυ]ῆσαίι i] | ἀνάμνηίσιν] εἶνα[τ]. Invero nel Simposio afferma: «Tutti gli uomini sono gravidi, sia nell'anima sia nel corpo»; ed è ragionevole che, questo essere gravido nell'anima sia la reminiscenza.

Praechter ha congetturato la menzione del Simposio a col. LXXIV 7, ma il contesto è troppo lacunoso perché la sua ricostruzione — per quanto coerente — possa essere accolta. DNS

123T

Theaetetus PBerol inv. 9782, passım [III 9] Commentario Edd.: H. DieLs NINI

- D.N.

anonimo

al Teeteto

- W. SCHUBART, SEDLEY,

Sec. IIP

CPF

ΒΚΤ

II (1905), 3-51; G. BASTIA-

III, 227-562.

Il commento copre il testo platonico dall'inizio fino a 158a2; i lemmi riportati sono 1 seguenti: 142d1-3 (col. IV 27-31) eine te ... ἔλθοι 143d1-5 143d5-6 143d6-8 143e7-9 14423-6 14426-b1 144b1-3

(col. V 3-14) εἰ μὲν ... φιλῶ (col. VIII 7-11) καὶ μᾶλλον ... ἐπιεικεῖς (col. VIII 17-23) ταῦτα δὴ ... συγγίγνεσθαι (col. VIII 45 - IX 6) νῦν δὲ ... ἔχει (col. IX 25-32) τὸ γὰρ . εὐμαθῆ (col. X 13- 22) ἀλλ᾽ οἵ τε ὀξεῖς... φύονται (col. XI 3-7) οἵ τε αὖ ἐμβριθέστεροι...... γέμοντες



521—

THT.

123T

PLATO

ω λείως ... ῥέοντος 144b3-5 (col. XI 40-47) ὃ δὲ οὕτ διαπράττεσθαι 144b6-7 (col. XII 13-16) ὥστε ... 144b8 (col. XII 21) εὐαγγελεῖς͵ τος ... ὄνομα 144d1 (col. XII 24-26) Θεαίτη

... τὸν ἄνδρα 144d1-5 (col. XII 31-39) τὴν μέντοι οὐσίαν προσήκειν 145210-12 (col. XIII 13-18) ei μὲν ... δεικνύναι 145b1-4 (col. XIII 36-45) τί δ᾽ εἰ ... ἐπι τόνδε 145ς2-3 (col. XIV 18-22) ἀλλὰ μὴ ... α 145c7-8 (col. XIV 42-44) μανθάνεις ... ἄττ

145d4-5 (col. XV 33-37) καὶ γὰρ ... ἐπαΐειν 145d7-e6 14642-5 [4647-8 146d3-4 146d6-e3 146ε4-5 146e7-10

(col. XVI 1-14) àp' οὐ τὸ μανθάνειν ... σοφία (col. XVII 32-42) ὃ δὲ ἁμαρτών ... ἀποκρίνεσθαι (col. XVIII 1-3) καὶ φίλους ... γίγνεσθαι (col. XVIII 7-11) γενναίως ... ἁπλοῦ (col. XIX 20-30) ὅταν ... οὐδὲ τοῦτο (col. XXI 13-16) οὐκοῦν ... δρίζεις (col. XXI 24-34) τὸ δέ γ᾽ ἐρωτηθέν ... ἐστίν

[4742-5 (col. XXI 46 - XXII 7) οἷον è εἶμεν

147b2 (col. XXII 24-27) ἢ οἴει ... τί ἐστιν

147b7 (col. XXIII 12-14) σκυτικὴν ... ἀγνοῇ 147b10-c1 (col. XXIII 26-33) γελοία ... ἐρωτηθείς 147ς3-4 (col. XXIII 44-48) ἔπειτά γέ που ... ὁδόν Irene (col. XXTV 10-16) οἷον ... ἐᾶν χαίρειν -5 (col. XXV

30-37) περὶ δυνάμεών τι ... rodiata

14745-6 (col. XXXIV 9-14) καὶ οὕτως ... ἐνέσχετο

δυνάμε 147d7-e1 (col. XXXVI 36-45) ἡμῖν οὖν 7 e5- (col. XXX VII 30-39) τὸν ἀρι ἀριθθμὸνbv ... προ"n 14769. σείπομεν 147 148

148a4

(col.

XXXVIII

XXXIX

37-

10V

5)

τοίνυν

ἐκαλέσα

εθα (cfr. col.col X XL 41) 148,7 26--7 (col. XL 1-5) ὅσαι i μὲν ...: ὡρισάμ pd

"

(col. XL 42-47) ὅσαι δὲ ... δύνανται

col.

^

ì

i

XLI 17-18

14853 (col. XLIV 11-42) ἄριοτά μήνY. ....παῖδεςδυνό καὶ

148b5-7 (col. XLV 40-46)

148c6-7 (col. XLVI 4- N

EY

a

|

τ δυνάμεως

τὴν ἐπιστήμην... ἄκρων

148d4-7 (col. XLVI 3 P) M

148e5-7 (col. XLVII 715) e$ Me

em

αι οὐ μὲν ; ) ἀρα 14924 (col. . XLVII 24-26) κοα καὶ δὴ... ...ἀκήεἶν

14946-7 (col. XLVIII 12-13) μὴ μέντο

149a8-9 (col. XLVII 20-25) οἱ δέ. .

ἀλλ

ἀπορεῖν,

149b5-6 (col. XLVIII 35-38) οὐδὑδεμία εμία ...... μαιεύεται none 10 149b9-

(col. XLVIII 45-46) 6) ὅτι ὅτι iἄλοχος

149b10-c2 (col. XLIX

10-15) crepi

149c5-6 (col. XLIX 26-30) ot 943 (col. L 149d5-8 (col. 14966-7 (col.

EPLYOIG ... OMELPOG

dKodv ... ὑπὸ τῶν μαιῶν

149c9-d2 (col. XLIX 40

14

... εἴληχεν d

εῖE καὶ; μὴν ; ... ποι OL εὰ καὶ -46) σιν κου L 12-18) εᾶν .. ἀμβλίσ L 34.36) ὅτι καὶ ... τίκτειν

° 4-6)

15029-b3 (col. LI

17

17-28

28)

συγγκομιδῆς i τι aiio σεσ

OU

Ya

P πρό^



... καὶ μή

522—

EV

°

PLATO

123T

THT.

150b9-c3 (col. LII 13-21) μέγιστον ... ἀληθές 150c4 (col. LIII 37) &yovög εἰμι σοφίας 150c4-7 (col. LIV 14-22) καὶ ὅπερ ... ὀνειδίζουσιν 150c7-8 (col. LV 14-18) τὸ δὲ αἴτιον ... ἀπεκώλυσεν 150c8-d1 (col. LV 34-35) εἰμὶ δὴ ... σοφός

150d1-2 (col. LV 45 - LVI 1) οὐδέ τί ... ἔκγονον 150d7-8 (col. LVI 11-13) ἀλλ᾽ αὐτοὶ ... τεκόντες 150d8-e1 (col. LVI 32- 33) τῆς μέντοι ... αἴτιος 151a3-5 (col. LVI 38-41) ἐνίοις. 151a8-b1 (col. LVI 48 - LVII 1) ταύτην ... δύναται 151b2-3 (col. LVII 11-14) ἐνίοις ... εἶναι 151b5-6 (col. LVII 43-48) ὧν ... ἀνδράσι 151c7-d3 (col. LVIII 12-23) καὶ οὐκ ... θέμις 151e1-3 (col. LIX 34-40) δοκεῖ ... αἴσθησις (cfr. col. LXI 4) 151e4-5 (col. LX 45-48) εὖ γε ... λέγειν 151e8-152a4 (col. LXI 46 - LXII 8) κινδυνεύεις ... οὐκ ἔστιν 152a6-8 (col. LXIII 40-47) οὐκοῦν οὕτω ... κἀγώ

152b1-3 (col. LXIV 21-27) ἐπακολουθήσωμεν ... σφόδρα 1520 5-6 (col. LXV 14-18) πότερον " . φήσομεν 152b6-7 (col. LXV 39-43) ἢ πεισόμεθα ... μὴ οὔ

152b9-c2 (col. LXVI 4-11) οὐκοῦν καὶ ... ᾿ποιούτοις 152c2-3 (col. LXVI 43-46) οἷα ... εἶναι 152c5-6 (col. LXVII 12-16) αἴσθησις ... οὖσα 152d2-4 (col. LXVII 34-40) ἐγὼ ... ὁποιονοῦν τι

152d4-5 (col. LXVIII 15-19) ἀλλ᾽ ἐὰν ... κοῦφον 152d5-6 (col. LXVIII 37-40) σύμπαντά τε ... ὁποιονοῦν (cfr. col. LXVIII 47) 152e2-4 (col. LXX 27-32) καὶ περὶ τούτου ... Ἐμπεδοκλῆς 152e4-5 (col. LXXI 7-11) καὶ τῶν ποιητῶν ... Ὅμηρος 15341-2 (col. LXXI 47-49) τίς οὖν ... στρατηγόν 153b2-3 (col. LXXIII 32-34) καὶ μὴν ... φύεται 153b9-10 (col. LXXIII 44-49) n δ᾽ £v τῇ ψυχῇ ... σῴζεται 153c3-4 (col. LXXIV 10-13) τὸ μὲν ἄρα ἀγαθὸν ... τοὐναντίον; 153c8-d1 (col. LXXIV 24-29) καὶ ἐπὶ τούτοις ... λέγει 153d1-2 (col. LXXIV 46-50) καὶ δηλοῖ ... σῴζεται 153d8-e2 (col. LXXV 38-49) ὑπόλαβε ... καὶ μένον

157b8-9 (Fr. A 3-5) δεῖ 8& ... ἁθροισθέντων 157e1-4 (Fr. B 26-35) μὴ τοίνυν ... λέγεται 157e4-158a2 (Fr. C, I 26-34) οἶσθα γάρ xov ... γιγνομένας

Per il testo dei lemmi platonici si veda l’analisi di Bastianini - Sedley, CPF III, pp. 244-246. Le testimonianze dei lemmi del Teeteto sono state tenute presenti nell’edizione di Hicken, OCT I (1995). R



523—

PLATO

124-126T

THG.;

TI.

124T

Theages 127c-128b PBerol inv. 9782, col. LVIII 5-7 [III 9]

Sec. II?

Commentario anonimo al Teeteto Edd.: H. DieLs - W. ScHUBART, STIANINI - D.N. SEDLEY,

ΒΚΤ

II (1905), 3-51: 38; G. BA-

CPF III, 227-562: 422-423.

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393)

— BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 543.

οὕ[τ]ως xoi | τὸν O[e&yn σ]υνέστηϊσεν II[poót]xo. e

Cosi anche mise insieme Teagete con Prodico. DNS

125T Timaeus

PSILaur inv. 19662, 12 [vd. supra, 3] 126T

Ti. POxy 1609 r + PPrinc inv. AM 11224C r, fr. A 4-6 (III 5] Sec. II? ex. —

524—

PLATO

126-127T

ΤΙ.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: POxy: Edinburgh University Library; PPrinc: Princeton University Library. Edd.: POxy:

B.P. GRENFELL

- A.S. HUNT,

96; PPrinc: B.H. KRAUT,

POxy

XIII (1919), 94-

Two Papyri from the Princeton Col-

lection. II. P.Princeton inv. AM 11224 C and Plato’s Alcibiades, ZPE 51 (1983), 75-79: 76-79; POxy + PPrinc: F. LASSERRE, Anonyme. Commentaire de l’ “Alcibiade I” de Platon, 1991

(STCPF, 5), 7-23; CPF III, 52-62. Tavv.: ZPE 51 (1983), Ic (PPrinc); STCPF, 5, 1.

Comm.: MP? 1407.2 (= P^ 2569)

CPF III, 55-56, 59; DÖRRIE -

BALTES, Platonismus, III, Baustein 81.5 e pp. 211-212.

περὶ μὲν οὖν [ τούτων ἐν τοῖς εἰς τὸν Τίμαιον εἴ[ρ]ηται. x

x

5

5

/

3

^

,

x

Y

»

Di queste cose si è detto nel commento al Timeo. R

127T Ti. 30a2-5

PGen inv. 203, A, fr. 1, 12-16 [II.1]

Sec. III/IV

Testo filosofico Edd.: F. LASSERRE, Abrégé inédit du commentaire de Posidonios au Timée

de Platon,

1986,

(STCPF,

2), 71-127:

80; W.

BURKERT,

Xenarcbos statt Poseidonios. Zu Pap. Gen. Inv. 203, ZPE 67 (1987),

51-55: 53; F. LASSERRE, Anonyme. Abrégé d'un Commentaire du Timée de Platon, 1991 (STCPF, 5), 25-47: 30; F. DECLEVA CAIZZI M.S.

FUNGHI,

Natura

del cielo, astri, anima.

Platonismo

e ari-

stotelismo in una nuova interpretazione di PGen inv. 203, 1998 (STCPF, 9), 33-110: 38. Tavv.: STCPF, 2 (1986), fra pp. 96-97.

Comm.: MP? 2569.1

LASSERRE, 1986, supra, 82-83; 89; 93-98;

BURKERT, supra, 51-55; LASSERRE,

1991, supra, 26; 29; 32; 36-37;

F. VENDRUSCOLO, rec. a Varia Papyrologica —

525—

(STCPF, 5), RFIC

PLATO

127T

ΤΙ.

120 (1992), 226-233: 228-229; DECLEVA CAIZZI - FUNGHI, supra, 43; 59-65.

1998,

εἰ δὴ πλημμελῶς καὶ ἀϊτάκ[τως] t[ò τ]ῇδε πῦρ κεινεῖται ἔρη-

μον | ὃν wolxlüls o]ox ἀν[αγ]καῖον κ[α]ὶ τὸ οὐράνιουν) £uyv[xo]v ὃν ἀταξί[α]ι καὶ o.[]. .[]t ovvléxeo [Bou] .. 14

óv

]vxav[

del v solo un punto in basso

ovpavio

15

|^ ılalı

dell’ultima lettera solo una traccia in basso che può appartenere a i o. visibili tracce di una verticale in basso piegata verso sinistra e di un tratto orizzontale in alto che si accordano con y, ma anche con vx

]..[ visibili

tracce delle parti superiori di due lettere: la loro esiguità le rende compatibili con varie lettere; possibili sia ot, sia tp, ecc. 13 [τὸ tjnde Burkert, [τ]ῆδε tantum Lasserre 1991, quod spatio minus convenit 15 &y[v]ot[a]t Caizzi - Funghi, vel ám [eho[to possis (cf. Decleva Caizzi - Funghi, 63-65), &Alolylialı Burkert vestigiis minus aptum 15-16 ἀταξί[α]ι καὶ &A[o]y[te]: συν]έχεσ[θαι) καὶ ταῦτ[α] μετὰ [népo]uc

legit et supplevit Lasserre 1991



Se in verità il fuoco di quaggiü si muove in modo disarmonico e disordinato, in quanto è privo di anima, non è necessario che anche il fuoco celeste, che è animato, sia afflitto dal disordine e da [...]

L’individuazione della citazione dal Timeo (30a πλημμελῶς

καὶ ἀτάκτως) aveva indotto il primo editore, Lasserre 1986 (cfr. anche 1991) a riconoscere nel testo un’epitome del commentario di Posidonio al dialogo platonico. Contestando con validi argomenti quest'ipotesi, e suggerendo che la polemica contro il quinto corpo di Aristotele contenuta nelle prime righe del papiro deve essere fatta risalire al peripatetico del I sec. a.C. Senarco, Burkert, 54, ha sostenuto che l'espressione nAnuμελῶς καὶ ἀτάκτως (da lui caratterizzata come "Timaios-Flo-

skel’) non può essere utilizzata a riprova che il testo contiene un commentario al dialogo. Questo è certamente corretto, ma è anche opportuno rilevare che la coppia di avverbi, talora trasformati nelle corrispondenti forme verbali, ha sempre sullo sfondo il Timeo, anche quando viene usata in contesti molto differenti (cfr. Decleva Caizzi - Funghi, 59 n. 35). In ogni caso, —

526—

PLATO

127-128T

TI.

il riferimento all’anıma come causa del movimento dell’universo che precede la citazione, la contrapposizione fra fuoco celeste animato e fuoco terrestre privo di anima, e in generale la tonalità platonizzante del contesto rendono sicuro il riferimento a Ti. 30a2-5. Per le implicazioni filosofiche dell’attribuzione del movimento 'disarmonico e disordinato’ al fuoco terrestre, si veda Decleva Caizzi - Funghi, 61-63. FDC

128T Ti. 36ab

PBerol inv. 9782, coll. XXXIV Commentario

anonimo

- D.N.

12 [III 9]

Sec. IIP

al Teeteto

Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, STIANINI

49-XXXV

SEDLEY,

ΒΚΤ

II (1905), 3-51: 23; 6. BA-

CPF III, 227-562:

354-357.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 528-529; DÖRRIE - BALTES, Platonismus, III, Baustein 81.9;

p. 214.

ἐπεὶ γὰρ ὁ τόνος Ι| ἐστὶν ἐν ἐπογδόῳ | λόγῳ, ἐὰν διπλασιϊάσῃς τὸν ὀκτὼ καὶ | τὸν ἐννέα, γίνονται ἑκκαίδεκα καὶ | ὀκτωκαίδεκα,

ὧν | péolo ἧς ἐστὶν ὁ ἑπτακαίδεκα εἰς ἄνισα | διαιρῶν τ[ο]ὺς ἄκρους, |" ὡς δέδεικται ἐν | [τοῖ]ς εἰς τὸν Τίμαιον ὑπ]ομνήμασιν. Poiché

il tono

|| consiste nel rapporto

di nove

a otto, se rad-

doppi otto e nove ottieni sedici e diciotto, tra i quali sta 1l diciassette, che divide gli estremi in parti disuguali, come é stato mostrato nel commento al Timeo. DNS



527—

129T Ti. 42e; 73b-84e

PBrLibr inv. 137, coll. XIV 6-XVIII 7T; 63 1T; 79 1T; 100 3T; 1.2]

8 [

24 22T; 37T; 43 Sec. IP

Anonymus Londiniensis, Zatrica Prov.: ignota. Cons.: London, British Library. Edd.: H. DiELs, Anonymi Londinensis ex Aristotelis Iatricis Meno-

niis et aliis medicis eclogae, Suppl. Arist. IIL1, Berlin, Reimer 1893, 20-31; Aristotelis Opera ex rec. I. Bekkeri. Editio altera,

addendis instruxit fragmentorum collectionem retractavit O. GiGON, III, Fragmenta, Berlin-New York, de Gruyter 1987, fr. 355, 517b8-519b45; D. MANETTI, Proposte di collocazione di due frammenti in PBritLibr inv. 137 (Anonimo Londinese): nuove letture,

in ‘Specimina’ per il Corpus dei Papiri Greci di Medicina, Atti dell'incontro di studio, 28-29 marzo 1996, Firenze, Istituto Pa-

pirologico *G. Vitelli’ 1997, 144-145. Tavv.: Specimina ..., supra, IV.

Comm.: MP? 2339 (= P^ 2339)

F.G. KENYON, A Medical Papy-

rus in the British Museum, CR 6 (1892), 238; F. SPÄT, Zur Ge-

schichte der altgriechischen Medizin, Münchener Medizinische Wochenschrift 43 (1896), 59-60; F. SPÄT, Der gegenwärtige Stand der Hippokrates-Frage und das Corpus Hippocraticum vom Standpunkt der menon-aristotelischen

Überlieferung, Janus

1 (1896),

249-250; F.G. KENYON - H. DIELS, Some Additional Fragments of the London Medical Papyrus, SPAW (1901), 1319-1323; K. FREDRICH, Hippokratische Untersuchungen, Berlin, Weidmann 1899 («Philologische Untersuchungen», 15), 40; RIVAUD, [1925], 115 e n. 4; MILNE [1927], n? 165; TAYLOR, Timaeus [1928], 589 sgg.; New Chapters, Il [1929], 184 (E.T. WITHINGTON); K. DEI-

CHGRÄBER, Die Epidemien und das Corpus Hippocraticum, APAW, Phil.-hist. Kl. 1933, Nr. 3, 153; M. POHLENZ, Hippokrates und die Begründung der wissenschaftlichen Medizin, Berlin, de Gruy—

528—

PLATO

129T

TT.

ter 1938, 66; L. EDELSTEIN, AJPh 61 (1940), 223-226 (= Ancient

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PLATO

129T

ΤΙ.

Coll. XIV 6-XVIII 8

10

ἴ[δ]ωμίεν) δὲ kai τ[οὺς ἀπὸ τῆς φύσεϊως τ[(ῶν) σω]μάτ(ων) καὶ δια[θέσεως αἰ]τιολ[ο]γοῦντας τὰς vóo[ovc κα]ὶ τοὺς ἀπὸ τῆς τ(ῶν) στοιχείων συσί[τάσε]ως οἰομένους συνεστ(άν)γαι τὰ ἡμέ[ίτερ]α σώματα καὶ πρῶτον ἀπὸ

Πλάϊτω]νος. [ο]ῦτος Y(dp) φησιν τὰ huéτερα [σώματα συΪνεστάναι ἐκ T(@v)

τεσσά[ρω)ν στοιχείων [κα]τὰ [o]ó[uo0]apoiv ὅτι καὶ τὰ 15

Mu

puo γίίνεται) [ 2/3 Ja. διαφέρειν σύμφθ[αρσιν, μ]ῖξιν, κρᾶσιν. καὶ φθαρσιν μὲν καὶ σύγχυσιν, ὅταν διὰ ἑαυ[τ(ῶν) ὅλω]ν ἥκοντα μίαν

ἐν κόσ-

δὲ ταῦτασύμσώματα ὑπεράνω

ἀποτελέσῃ ποιότητα, ὡς ἐπὶ τῆς τετρα20

φαρμάκου. μῖξις δέ (ἐστιν) ὅταν σώnord τινα ἑαυτοῖς κ(ατὰ) παράθεσιν παρακέ(ηται)

καὶ μὴ δι’ ἑαυτῶν ἥκῃ ὡς σωρὸς πυροῦ, 25

κριθῆς. δ[ιάκ]ρασις δέ (ἐστιν) ὅταν σώματά τινα ἐπὶ τ[αὐ]τ[ὸ σ]υνελθόντα ἀλλήλοις napaxlen]tar, ὡς ἐπὶ τοῦ οἰνομέλιτος βλέπομ[ε]ν. ἀπὸ τ[ο]ιγίάρ)τοι τῆς τοὐτίων) διαφορᾶς φησιν ὁ Πλάϊ[τ]ί(ων) τὰ ἡμέτερα σώματα ἐκ τ(ῶν) τεσσάρων στοιχείων συνεστάναι

XIV 6 ἴδωμεν ed.pr. 12 πλαίτων])ος ed.pr. οὔτος ed.pr. 13 Ivectavarert() queste lettere si leggono in un frammento senza numero della cornice 6, col. I, che trova qui la sua esatta collocazione 14 "[.Jta[.}v[...Japcw” sopra il rigo, si recupera dalla retta collocazione del

frammentino

— [xo]c- ed.pr.

ουνφθί διακραειν ed.pr. u(ev)] ed.pr. 17 εὐνχυειν

pav^

20-21 23

pev

dopo Ja spazio bianco 20

dopo gap-

μιξιξνἼεδε[(ειναῦ)}]} (ecrıv)[oravlorav

dopo κριθῆς spazio bianco

enit [.].[1/2]vveA00vo PAeroyfelv...t[.Jiylap)' to

16

16-17 cuvip@apciv μὲν pap.: covipBapcilv 18 eov[tov ολω]ν n[x]ovxo ed.pr. vre-

traccia di paragraphos, omessa in ed.pr.

uaxov spazio bianco

'pax*

15

25

δίιακρ]αεις ed.pr.

παρακίεηϊται

ed.pr.

pap., βλεπομ[εναπο]τοιγίαρ)" tor

πλατῶν ed.pr.



530—

ed.pr.

21

πα-

24 26 27

PLATO

129T

ΤΙ.

Vediamo poi anche gli autori che fanno derivare le cause delle malattie dalla natura e dalla condizione dei corpi e coloro che ritengono chei nostri corpi si formino dalla composizione degli elementi. E cominciamo da Platone. Questi afferma che 1 nostri corpi si formano dai quattro elementi per distruzione simultanea perché anche gli oggetti nel cosmo si formano [allo stesso modo (?)]. C'é differenza fra queste tre cose: distruzione simultanea, mescolanza, crasi. Distruzione simultanea, cioè (con- )fusione, si ha, quando 1 corpi attraver-

sandosi reciprocamente per intero producano una sola qualità superiore, come nel tetrafarmaco. Mescolanza si ha quando alcuni corpi si affianchino per giustapposizione e non si attraversino reciprocamente, come un mucchio di frumento, di orzo. Crasi si ha quando alcuni corpi convergendo nello stesso luogo si affianchino gli uni agli altri, come vediamo nel vino mielato. È dunque a partire dalla differenza di queste nozioni che Platone afferma che i nostri corpi si formano dai quattro ele-

XIV 6

μετὰ pro καὶ desiderat Diels

7-8

supplevi e.g. : τἰοὺς ἀπὸ

τῶν περισσω]μάτ(ων) καὶ | δια[κρίσεων αἰτιολογ]οῦντας ed.pr.

13 ἰσυἸνεστά-

ναι ἐκ τ(ῶν) legi apud fragmentum parvum, cf. supra : [συνίστασθαι ἐκ τῶν] ed.pr. 14 [κα]τὰ [c]ó[no8]apow s.l. legi et supplevi apud fragmentum parvum, non legit ed.pr. 15 γίίνεται) [2/3]a legi, fortasse yi(veran) [ὅλ]α vel [τἀτ]ά (= ταὐτά) vel [ταῦτ]α (longius?) supplendüm : yi(veran) ἰἀνὰ λό(γον)] ed.pr., τέσσαρα] Kenyon ap. ed.pr. 16-17 συν]φθαρσιΐίν u(èv)]

ed.pr. 18 suppl. ed.pr. 24 ἐπὶ τ[ἀ]τ[ὸ (= ταὐτὸ) σ]υνελθόντα supplevi (cf. Alex. Aphr. Mixt. 3, p. 216, 17- 19 Bruns) : ἐπὶ [£v σ]υν- ed.pr. —

531—

PLATO

30

129T

κατὰ σύμφ[θα]ρί[σ]ιν - ταύτῃ δὲ μὴ φαίνεσθίαι) καθ᾽ (v) ἐν ἡμῖν πΌ[ρ] ἢ ἀέρα ἢ γῆν ἢ ὑγρὸν τῷ κατὰ σύμφθαρσιν αὐτῶν τὰ ζῷα ἀπο[τελεῖσθαι]. ἀλλὰ γὰρ λέγει ἁνὴρ καί τινα τ(ῶν) ἐν ἡμῖν μερ(ῶν)

35

7].

διαφόρου

τε-

τευχέν[αι κράσεως ἐκ τ(ῶν) στοιχείων οὐ γ(ὰρ) ὡσαύ[ίτ]ως κέκραται κεφαλὴ ἢ χείρ, ἀλλὰ [ἄλ]λως uv) κεφαλή, ἄλλως δὲ θώραίξ. ἐϊπεὶ κοινῶς ἕκαστον τ(ῶν) ἡμετέρων μερῶν διαφόρου κράσεω(ς)

τετύχηκεν,

40

γίίνεται) καὶ αὐτὰ διάφορα ἑαυτ(ῶν). ἔτι ye μήν φίησιν) ὡς ὁ μυελὸ(ς) συνέστηκεν [é]x τῶν τεσσάρων στοιχείων καὶ κυ[ρ]ιώτερός (ἐστι) τ(ῶν) ἐν ἡμῖν ἁπάντ(ων), χρώμενος πιθανότητι λόγων τοιαύτῃ ἀνῆφθαι γ(ὰρ) ἐκ τοῦ μυελοῦ

τὴν ψυχὴν τὴν τὸ ὅλον σῶμα διοικ(οῦσαν) XV

desunt2

versus

‚avpul

κυριωτί 5

καιμηντί

και.

vom ναϊανιςτί

στοι]-

χείων αὐτὶ 29 ευνφί..]ρ[.7ιν pap., cuv[pBapcı]v ed.pr. φαινεῦ καθ᾽ aggiunto in mg. 30 τῶι 31 il rigo è in leggera ekthesis, non segnalata ı in ed.pr.

covobaperw

31-32

dopo covpbapcıv

molte correzioni

e can-

cellature solo in parte leggibili: [..yvopevo] avtov «o tor axo" |[...] ... [....]

32 app.

prima di αλλα spazio bianco 35

34

zevxev| pap., θευκεν ed.pr. in

wcavl...]oc pap.: ecav[rexc]ec per errore?

38

[....l'

ue pev

(p corretto) pap.: forse nella lacuna aveva cancellato alcune lettere, p. es. poteva aver scritto [[copa]]tov xpace? bianco γιῤκαιαυταδιαφοραεαυτ() s. μυελ

39 dopo τετυχῆκ.ν spazio 41 [xouov xulphwtepo[vlc

[(ewoo] (ectiv) pap.: xvplioc] evdvc ed.pr. ma vd. app. 44 dio — XV 3 .awvpu[ si decifra in pap., mentre ed.pr. considera mancanti tre righi, invece di due 7 vci ed.pr. 8 xoiavi[ ed.pr. —

532—

PLATO

1291

ΤΙ.

menti per distruzione simultanea: 6 in questo modo non appaiono singolarmente in noi fuoco o aria o terra o acqua, per ıl fatto che gli esseri viventi sono prodotti per distruzione simultanea di questi. Peraltro, egli dice che alcune delle nostre parti hanno una differente composizione degli elementi: infatti la testa non ha la stessa composizione della mano, e la testa e composta in un modo, in un altro è composto il torace. Poiché, in generale, ciascuna delle nostre parti ha una differente composizione, anch'esse nascono diverse l'una dall'altra. Dice poi che il midollo osseo è formato dai quattro elementi ed è la più importante di tutte le nostre parti, servendosi di questi argomenti plausibili: al midollo è connessa l’anima che governa tutto il corpo |} [...] importante [...] degli elementi [...] e ın-

32

ed.pr.

suppl. Kenyon ap. ed.pr.

| XV 7 vorledpr.

39

[ὅθεν] καὶ αὐτὰ διάφορα £avt(Gv)

8 καὶ dvil ed.pr. —

533—

PLATO

10

15

1297

xoi ἅμα ot looyyóXo] δεόντως I πὶ. Ἵντοῖ συν ἀεὶ τὰ Book| Aéy[e]t devl

xel.lv

nil

στοιχείων ἐχί συνέστηκ[ε καὶ λείων Kal

20

25

77.

τούτων]

ἐκκειμέν(ων) διαι[ρεῖ

μέρη τινὰ xal.......] μέρος [δ]ιάφορον σχῆμα ἀπολείπει. τὸ] y(&p) ἐγκεφάλου σχῆμα Aeo[.....]c (εἶναι) καὶ περιφερὲς καὶ κεκυϊκλωμί(έν)ον], τοῦ δὲ λοιποῦ μυελοῦ ονΐ..}1[...]ἐχουσι ὀστέοις κί(ατα)λείπ[εσθ]αι. καὶ [μὴν] αὐτῆς τε

τῆς ψυχῆς [μέρη] (εἶναι) λέγων

30

τὸ p(èv) λογιστικὸν [8/9] τῷ ἐγίκε]φάλῳ ἀπολείπει 8/9]v μέρος] αὐτῆς ἐν [τ|ῷ [λοιπῷ μυ]ελῷ. ov[v]εστάναι δέ φί(ησιν) τὰ [ὀστέα èἐκ γ]ῆς τε καθ[(αρᾶς)] καὶ μυελοῦ evaAl......]ov πυρός

9 xow[. ]vo[ ed.pr. 10 παί vel xv[ aggiunto sopra il rigo, forse da inserirsi prima delle lettere sottostanti cx : καὶ ἅμα [ ed.pr. 11 S[.]vrord ed.pr. 12 [.....Jto[ ed.pr. 13 cuvi si legge nel frammento senza numero della cornice 6, col. II, che ha qui la sua esatta collocazione 14

Bock[ oppure Boei[ come in ed.pr.: tutte le lettere sono visibili ma possono essere interpretate in entrambi i modi 15 λέγει δευΐτερ- ed.pr. 16 prima di yi spazio bianco: Jaı[ ed.pr. 19 possibile anche xorAewwv come in ed.pr. 22 evxega] 23 λειοί oppure Aeyo[ oppure Xeye[ c oppure le 25 v[incerto, anche u[ 26-27 il primo o in octeotc frutto di correzione

cazione errata in pap. re

τῶιεξζ[

29

vd. fr. 5 Kenyon - Diels 26 27 anc{temce}yvynel, dupli-

lacuna di 4 lettere fpaA@

— lacuna di 8/9 lettere

28

lacuna di 8/9 lette30

dopo [t]ar al-

cune lettere (2/3 prima della lacuna) sono state cancellate e altre scritte sopra il rigo, poi forse ancora cancellate, ' v[ letto da Diels è possibile ma molto incerto JeAwı 31 lacuna di circa 8 lettere

— 534—

PLATO

129T

TI.

sieme [rotondi] [...] come si deve [...] dice [...] degli elementi

[...] è formato (opp. sono formati) [...] e lisci [... Cosi] stando le cose divide [il midollo in] alcune parti e assegna per ciascuna parte una differente figura: infatti la figura del cervello [dice che] è liscia (?) e rotonda e circolare, del resto del midollo [la parte spinale] & lasciata nelle ossa [che lo conten-

gono?]. E dal momento che dice che dell'anima stessa ci sono [parti (o specie, tıpı)] assegna la [parte divina (oppure di essa)] razionale al cervello, invece la parte [mortale oppure irrazionale] di essa al [resto del] midollo. Dice che le ossa sono for-

mate dallo scambio di terra pura e midollo e per l'azione del

10

καὶ ἅμα [ ed.pr.

στ[ρογγύλα supplevi e.g. coll. Ti. 73d3

11

ö[.]v τοῖς [ ed.pr. 14 fort. ἀεὶ τὰ βοσκ[ήματα legendum, ἀεὶ tà βόει[α ed.pr., coll. R. 338c 15 λέγει δευίτερ- ed.pr. 19 καὶ λείων legi, cf. Ti. 7306, vel etiam κοιλιῶν (e.g. ἰκοι λείων vel κοιλειων, sc. κοιλιῶν) cum

ed.pr. legi potest

supplevi e.g., cf. VI 31

20

post £xkeinev[ov spa-

tium vacuum suspic. ed.pr. 20-21 διαι[ίρῶν δὲ τὸν μυελὸν εἰς] | μέρη τινὰ κα[τὰ ἕκαστον) μέρος ed.pr. 22 drolAeiner: τὸ] supplevi : ἀπο[δίδωσιν- τὸ] ed.pr., longius 23 Aeyó[u(ev)óv φησιν] (εἰναι) ed.pr., longius, sed λειῶ[δε]ς brevius: fortasse Aéye[1 αὐτὸΪς 24 post κεκυ[κλωμί(έν)ον spatium vacuum suspic. ed.pr. 25 ὁ ν[ωτιαῖος περι]έχουσι ed.pr., longius 26 x(axa)ÀAe(n[2/3]oa. καὶ [...] αὐτῆς τε pap., cf. Kenyon - Diels fr. 5 : xatakein[eraı ozéyew.] αὐτῆς [xe ed.pr. 27 τῆς τε τῆς ψυχῆς [....] pap., cf. Kenyon - Diels fr. 5, supplevi : tnc] τε τῆς [ψυχῆς Y μέρη] ed. pr. 28 [ὡς ὀχυρωτάτωι] ed.pr., longius spatio: [θεῖον ἐν} malım 29 τὸ μίέν)τοι ἄλογο]ν ed.pr., longius: τὸ δὲ θνητὸ]ν malim 30 supplevi e.g.: ἐν τῶι [/////1 ᾿ν[ωτιαίων΄ μυ]ελῶι ed.pr. 31 τὰ [ὀστέα μίξει γ)ῆς τε

καθ(αρᾶς) ed.pr., longius —

535—

PLATO

129T

ΤΙ.

.τε αὐτὰ ἐμπήξει .[. Ἵτήκοτος. τὴν dè σάρκα ovveorälvol: iἔκ TE γῆς καὶ ὕδατος 35 καὶ πυρὸς καὶ ζύμης τινὸς καθ᾽ ὑ_ypomta ἁλμυράν τε καὶ δριμεῖαν. παρεσ-

πάρθαι δ᾽ ἐν τῇ σαρκὶ καὶ ὑγρότητά τινα 40

45

XVI

θερμότητος πεποιημένην. ταύτην δὲ ἐν ταῖς ὑπερβαλλούσαις ἐγκαύσεσι τηκομέ[νην] ἐμψύχειν τὸ σῶμ[α] ταῖς δὲ ὑπερβ[αλ)λούσαις ψύξ[εσιν ἐν]αντιοῦσθαι καὶ θερμὸν παρέχ[εσθαι] τὸ σῶμα. τὰς [δὲ] πλείστας σάρκας (εἶναι) περὶ τὰ ἀψυχ[ότ]ερα τ(ῶν) ὀστῶν - [περὶ] μηροῦ [ς] γὰρ καὶ κνήμ[α]ς καὶ γλουτοῦ[ς πο]λλὰς σάρκας ὑπάρίχειΪν, ἐπειδήπ[ερ αὐτ(ῶν)] τὰ ὀστέα ἀψυχ[ότ]ερά (ἐστιν), repli δὲ τὴν] κεφαλὴν ὀλίγας περι[ίσ]τ [ασθαι, ἐπ]ειδή τοι αὐτῆς ὀστέα ἐμψυχότερά [ἐστιν]: ἀμέλει ἀρἰγεῖν φίασιν) τὰ παχέ]α- λέγεσθαι γίὰρ) γαστὴρ “naxelile C

[λε]π[τὸν] οὐ [τ]ΐίκτει vóo[v"]. τά τε ὀστέα φί(ησὶν) 5 πεπ[ηγέΪναι [ἀϊποστηρί[γμαΐτος χάριν.

ἄρθρα δὲ αὐτοῖς πεποι[ῆ]σθαιπί(ρὸς) τὰς συστο[λ]ὰς καὶ [x Ἰάμψεις. ve[9]po δὲ τούτοις ἔξωθεν ölei] τὴν σκληρότητα τ(ῶν) ὀστ(ῶν) .διὰ τὰς κ(ατὰ) ) πρ[ο]αίρεσιν κιν[ή]σεις. σάρκας

32 nl,yl

εναλί ἫΝ Jov 33 evangeı.| [ l’ultima traccia è verticale, dunque πὶ, prima del τ di ]tnxotoc si scorge una piccola traccia tonda in alto

prima di τὴν spazio bianco 34 yfifc καὶ ὕδα]τος ed.pr. 35-40 fr. 4 Kenyon - Diels 35 alla fine sembra di leggere xaew: forse c'e stata correzione e su Εἰ è stata riscritta una lettera (0)

36

dopo

Sperpetav spa-

zio bianco 37 mı 38 dopo rerompevnv spazio bianco 39 evkavceı 40. anicope[3/4].vyvyew pap.: tn[1]kópe[v]ov ψύχειν ed.pr., troppo corto: la traccia dopo la lacuna sembra n, forse tnicopevnvavyvyew

con duplicazione errata?

43

dopo copa spazio bianco

47

dopo

(ectiv) spazio bianco XVI 1 περι..[τ[Ξ 6Jerönroravenc, περι. 1: γί....ΟἾποι[..]ταιαύυτης ed. pr. 4 [λεπτὸν] ed.pr. prima di ta spazio bianco 5 [rennyelvon ed.pr. 7 dopo ]apyerc spazio bianco



536—

PLATO

129T

ΤΙ.

fuoco [che li ha saldati] per fissazione. La carne è formata da

terra e acqua e fuoco e una specie di lievito in un liquido salato e acido. Ed è diffuso nella carne anche un liquido fatto di calore. Questo nei riscaldamenti eccessivi, fondendo rinfresca il corpo, nei raffreddamenti eccessivi vi si oppone e mantiene il corpo caldo. La maggiore quantità di carne si trova intorno alle ossa meno animate: intorno alle cosce e alle gambe e ai glutei c’è infatti molta carne, dal momento che le loro ossa sono

meno

animate.

Invece intorno

alla testa | ce n'e poca,

perché le ossa della testa sono più animate. È ovvio che si dica che ciò che è grosso è inerte: c’è infatti il detto «ventre grosso non fa mente sottile». E dice che le ossa sono state rese dure per fare da sostegno. Ad esse sono state fatte le articolazioni per permettere contrazione e piegamento. Al loro esterno, 1 nervi [legano?] la rigidità delle ossa per produrre 1 movimenti

32 ἐναλ[λαγῆναι δὲ τ]οῦ ed.pr., longius : ἐναλ[λαγῇ δ᾽ ὑγρ]οῦ vel ἐναλ[λὰξ δ᾽ ὑφ᾽ ὑγρ]οῦ Cornford ap. Jones 33 pro ἐμπήξει velit ἄτηκτα Jones [καὶ τετ]ηκότος ed.pr., longius [τὴν] ed.pr. 34 γῆϊς καὶ ὕδαϊτος ed.pr. 35-40 litteras ın fine versus, post ed.pr., add. Kenyon Diels fr. 4 35. correxi : τιν[ὸς ἐχούσης] ὑ- ed.pr. : τινός, κ(αὶ) peilv] d-

Kenyon - Diels fr.4 pr.

37-38

4

38

36

post δρειμ[εῖαν. spatium vacuum suspic. ed.

ὑγροτέραν τινὰ | θερμότητα ed.pr., corr. Kenyon - Diels fr.

ταύτην

: τ[ὸ ὑγρὸ]ν ed.pr., corr. Kenyon

- Diels fr.4

39

ἐν[καύσεσι] ed.pr., corr. Kenyon - Diels fr.4 40 τὸ càula, wl Kenyon - Diels fr. 4 : [τὴν θερμασίαν, ἐν] ed.pr., sed ἐν erratum, cf. Blomavist 1971 41-47 suppl. ed.pr. ΧΝῚ 1 περὶ [δὲ] γἰλῶσσαν] ποι[εἴϊται αὐτῆς ed.pr. 2 τἀψυχότερα [μεστά. 5ρ.] ed.pr. perperam 3 (now) ed.

pr.

4-5

suppl. ed.pr.

8

supplevi e.g.: [..] ed.pr., διὰ vel δὲ Kenyon

ap. ed.pr.: verbum velut κλᾶν, κάμπτειν desiderat Diels in adn. —

537—

PLATO

10

129T

77.

δὲ διὰ προβολὴν ψύχους τε καὶ θάλπους. τά τε νεῦρα συνεστάναι ἐξ σαρκὸς a pov καὶ ὀστέων κί(ατά) τινα ἰδίαν κρᾶσιν. [ὦ]δὲ καὶ φλέβας: παρα[okevát]ex δύο, τὴν p(èv) εἰς δ[ε)ξιά, τὴν [δὲ] εἰς εὐώνυμα, ὧν τῆς u(èv) δεξιᾶς τὰς ἀποσχίδας κίατα)πλέκε[ι]ν τὰ εὐώνυμα μέρη, τῆς δ᾽ εὐωνύμ[ο]υ τὰ δεξιά. κοιλίας τε δύο ὑπάρχειν, ὧν τ[ὴ]ν u(&v) ἄνω, τὴν δὲ κάτω- καὶ τὴν κάτω ὑποκεῖσθί(αι) πρὸς ὑποδοχὴν τ(ῶν) περιττωμάτ(ων).

15

20

περὶ tadın δὲ γενέσθαι Lax[p]ov τε καὶ εἰλιγμένον ἔντερον ἵνα μὴ λαμβιανομένη) τροφὴ ῥᾳδίως κ(ατα)φέρηται, ἀλ(λὰ) ὑπομένῃ ποσοὺς χρόνους. ὡς γ(ὰρ) T(@v) κατ᾽ εὐθυωρίav κειμέν(ων) ποταμῶν τὰ ῥεύματά (ἐστιν) [o]o[x] ἀνάσχετα, τ(ῶν) δὲ σκολιῶν ἠπιώτερα διὰ τὸ ἐγκόπτεσθαι, ο(ὕτως) εἰ ult £v)] Bpa[x]o ἐγένετο τὸ ἔντερον τὸ π(ρὸς) τῇ κάτω

25

κοιλίᾳ καὶ εὐθύ, κἂν ἐφέρετο ῥᾳδίως [ἢ] τροφή. ἐπεὶ δὲ σκολιόν τέ (ἐστιν) καὶ πο-

30

[λύμ]ηκες, ταύτῃ ἐπιμένει πολλοὺς xpóvo(vg): [κ]αὶ περὶ u(ev) τοῦ σώματος τοσαῦτα.

[λ]έγει δὲ καὶ περὶ τῆς ψυχῆς ὡς τρι35

μερής (ἐστιν) καὶ τὸ δὲ θυμικόν, τὸ κόν- καὶ τὸ μ(ὲν) τ[ο]ὺς κ(ατὰ) τὴν

τὸ u(év) τι αὐτῆς (ἐστιν) λο[γ]ικόν, δὲ ἐπιθυμητιλογικὸν ἀπολείπει περὶ κεφαλὴν τόπους: εὐφυεῖς γ(ὰρ)

ο[ὗ]τοι πίρὸς) παραδοχὴν τοῦ ἡγεμονικί(οῦ).

9 dopo Keiv[nlceıc spazio bianco

dopo Kpacıv spazio bianco μέρη spazio bianco tarn 22 λαμβ

καθ

27

11

dopo πους spazio bianco

dopo φλεβας spazio bianco

ενκοπτεεθαιδ,.͵ 37

dopo

δεευωνυμίου] ed.pr. 18 av® 19 υποκειθ 21 23 ραιδιως 24 dopo xpovovc spazio bianco

28

«mi pap: τὴν ed.pr.

κοιλίαν ed.pr. paròroc pap.: ραδιως ed.pr. bianco 31 bisogna supporre una ekthesis γικόν ed.pr.

17

13

τ[ο]υ᾽ς΄

το πους΄

-

538 ---

29

κοιλιαι pap.

30 dopo tpogn spazio zavını χρον 34 λο-

ευφυης ed.pr.

PLATO

129T

TI.

volontari. Le carni hanno lo scopo di proteggere dal freddo e dal calore. E i nervi sono formati da carne senza lievito e ossa in una composizione peculiare. Cosi anche per le vene: ne presenta due, l'una verso destra, l'altra verso sinistra: di esse le ramificazioni della destra intrecciano le parti sinistre, le ramificazioni della sinistra le parti destre. E ci sono due cavità, di cui l’una in alto, l’altra in basso. La cavità in basso esiste per ricevere ı residui di digestione. In questa sede è nato un intestino lungo e sinuoso, affinché il cibo, quando viene ingerito, non sia portato in basso facilmente ma vi rimanga per un certo tempo. Come infatti le correnti dei fiumi che hanno un corso diritto sono inarrestabili, mentre quelle dei fiumi dal corso curvilineo sono piü miti perché sono ostacolate, cosi se l'1ntestino che si trova nella cavità inferiore fosse breve e diritto,

il cibo sarebbe trasportato facilmente. Poiché invece è tortuoso e molto lungo, il cibo vi si ferma per molto tempo. E per ciò che riguarda il corpo questo è tutto. Dice anche che l’anima è tripartita e che una delle sue parti è razionale, l’altra emotiva, l’altra appetitiva. E assegna la parte razionale ai luoghi della testa: essi sono infatti naturalmente adatti ad accogliere il principio direttivo. La parte emotiva l’ha

14

suppl. ed.pr.

κοιλίαν ed.pr.

31

22

(ὃ) λαμβί(ανομένη) ed.pr.

suppl. ed.pr. —

37 539—

28

εὐφυὴς ed.pr.

τὴν ed.pr.

29

PLATO

129T

TI.

[τὸ] δὲ θυμικὸν ἔταξεν περὶ τὴν kapöllav), [οὐ] πόρρω u(èv) τεταγμένον τοῦ λογικοῦ, [ὑπ]οτεταγμένον δὲ τῷ λογικῷ, [1ν]ὰ δὴ καὶ ὑπήκο(ον) αὐτῷ γίίνηται). τὸ μίέν)τοι [ye] ἐπιθυμ(ητ)ικὸν ἔταξεν μεταξὺ δια[φράΪγματος καὶ ὀμφαλοῦ. ἐπέστησεν [68] τὸ ἧπαρ τῇ ἐπιθυμίᾳ κάτοχον, ἵνα τὰς ἐπιθυμίας ταί .].} τόν τε πνεύμονα πί(ρὸς) τῇ x[apdia N φύσις μαλακὸν τας] f καρδία, φί(ησίν), πυκινοκ[ίνητος οὖσα àA]-

40

45 XVII

5

λομένη un .[

λέγει ἐκμαγεῖοίν ἐπειδήπερ νοσοί αὐτὸς συννο[σεῖ] καὶ [ ὑγιαίνοντι συνυγιαίν[ει εἰς τὸ κατὰ φύσιν καὶ περὶ τῆϊς ψυχῆς]

10

δὲ ταῦτα.

λέγει δὲ yi(veoda1) τὰς νό[σους]

τριχῶς: ἢ παρὰ τὰ στοιχεῖα [rj παρὰ τὴν] γένεσιν τῶν σωμάτων ἢ παρὰ la τούτων] περισσώματα. καὶ παρὰ μὲν τὰ orolıyeia] γίνονται νόσοι ὅταν ἢ πλείονα γένηται ἢ] εἶδος μεταβάλῃ ἢ ἐν ἀνοικείῳ [καθί]on: καὶ y(&p) πλείονα γενόμενα το[ῦ δέοντίος)] τὰ στοιχεῖα νόσους κ(ατα)σκευάζείι διὰ] τὸ πλῆθος. καὶ μὴν καὶ ἐκβάντία τοῦ] οἰκείου εἴδους πάλι ἐἐμποιεῖ τ[ὰς vócov]c. ἀλλὰ y(&p) ὡς ὁμοίως καὶ ἐν ἀνοικ[είοις 1ó]-

15

20

8 {ποῖ pap.: [..τη y10 ed.pr.

41 τωιϊιλογικὼ 42 vankoavıwı bisogna supporre i righi in ekthesis

nyepovit

39

xop?

40

roppo

prima di to spazio bianco 43-44 43 solo επιθυμῖκον pap.: τοεπιθυ-

pucov ed.pr. 44 dopo ομφαλοῦ spazio bianco 45 τηιεπιθυμιαι XVII 2 mı 3 Ain μαλᾶκον corretto 4 πυκινοκεί 5 .[ τ, ἢ, x possibili 6 eyuayno[ 9 il primo v corretto su a cuvuyianver ed.

pr.

11

dopo ταῦτα spazio bianco

15 ‘vocor’

l’ultima lettera è ol piuttosto che al, τα[ῦτα ed.pr. 19 zio bianco un v'xaueyßavil 20 ἐνποιειτί[- 8]c

— 540—

16

avorxerm

17

dopo πληθος spa-

PLATO

disposta nel cuore, in una nale, ma posta al di sotto toposta. Infine ha disposto diaframma e ombelico. Ha

129T

ΤΙ.

sede non di essa, la parte posto il

lontana dalla parte razioappunto perché le sia sotappetitiva nella regione fra: fegato a contenere il desi-

derio affinché || i desideri [...] e il polmone vicino al cuore [...] la natura [...] molle. Il cuore, dice, avendo un frequente [mo-

vımento] saltando non [...] dice ‘spugna’ [...] dal momento che (ammalato) [...] anch’esso(a) si ammala e [...] se è sano(a) anch’esso(a) è sano(a) [...] verso il suo stato naturale. E riguardo all’[anima] basti questo.

Dice che le malattie sorgono in tre modi: o a causa degli elementi o a causa della generazione dei corpi o a causa dei [loro] residui. A causa degli elementi le malattie sorgono quando o essi divengano troppi o cambino forma o si collochino in luoghi inopportuni: se aumentano più del dovuto questi elementi producono malattie per la quantità. E poi anche quando escano dalla propria forma, ancora producono [le malattie]. Peraltro, allo stesso modo anche quando siano disposti in luo-

43 [v] ed.pr. 39-42 suppl. ed.pr. XVII 1 ταπεινοῖ τοῖς suppl. ed.pr.

38 [αὕ]τη yilveraı) ed.pr. 44-45 ἐπιθυμ(ητλικὸν corr. ed.pr. 2

εἰδώλοις,] ed.pr.

ἵνα] ed.pr.

4

xlapdiaı, ἧς ὀξεῖα] ed.pr.

5

suppl. ed.pr.

3

τά[σσει σπόγγον,

[ῥηγνύηται. sp. τὸν δὲ σπλῆνα] ed.

6 eynayletlolv (εἶναι) ἕτοιμον ἀεὶ r(apa)xein(ev)ov,] ΡΤ. 8 καὶ [συναύξεται, vooo[dvrı μὲν τῶι ἥπατι καὶ] ed.pr. 10-14 suppl. 9 συνυγιαίνει, [ἀεὶ ἄγων αὐτὸ] ed. pr. ΡΤ. γένη[ται ἢ] Cornford ap. Jones, Sedley : γένη [τὸ] ed.pr., γένη pr.

17

16 suppl. ed.pr.

in adn. 18-19

suppl. ed.pr.

20 —

7 ed.pr. τῶι δὲ] ed. 15 ed.pr. Jones [ἡ ἢ]

το[ῦ 8éovt(oc)] supplevi, τα[ῦτα] ed.

supplevi : ἐμποιεῖτίαι ἑτέροιΪς ed.pr. 541—

PLATO

129T

TL

ποις ταχθέντα νόσους ἐπιφέρίει δι᾽ αὐτὸ] 10910: τὸ δὴ ἐν ἀνοικείῳ τόπ[ῳ εἶναι νοσῶδες.

καὶ παρὰ μ(ὲν) τὴν τ(ῶν) στοιχείων διά[θεσιν] 25 οὕτως συνίστανται αἱ νόσοι. τὴν γένεσιν

τ(ῶν) σωμάτ(ων)

πα[ρὰ μὴν δ]ὲ γί(νονται)

νόσοι

τρ[όOTO

τοι]ούτῳoiov ἣ σὰρξ λαμβάνει τὴν yeveolıv] ἐξ αἵματος πεπηγότος καὶ συνε[στα]μένου, τὰ δὲ νεῦρα ἀποτελεῖται ἐκ [τῶν] 30

ἰνῶν τοῦ αἵματος. ταύτῃ δὲ ἀναιρίε]-

θεισῶν t(Gv) τοῦ αἵματος ἰνῶν ἄπη[κτον] διαμένει λοιπὸν τὸ αἷμα πλὴν εκ [778]

35

ὅτι f μ(ἐν) σὰρξ ἐξ αἵματος λαμβάνει τὴν γένεσιν, τὰ δὲ νεῦρα ἐκ τ(ῶν) τοῦ αἵματος ἰνῶν. ταύτῃ δὴ συνέχεταί, Qno, καὶ τρέφεται τὰ σώματα tad[ta]

πρὸς τῆς πιμελῆς, τηκομένης 40

αὐτῆς καὶ διὰ τ(ῶν) ἀραιοτήτίων) τ(ῶν) ὀστέων] ἐπιχορηγουμένης καὶ tpegovon[c] τὰ ὀστέα. ὅταν μ(ὲν) οὖν οὕτως γίί(νηται) f| (Gv) [oo]-

μάτ(ων) γένεσις, κ(ατὰ) φύσιν ἔχει τὸ ζῷον, ὅταν δὲ μὴ οὕτως γίί(νηται) ἀλιλ᾽) ἐνηλ(λγαγμέϊίνως] n γένεσις, νόσους ἐπιφέρει. καὶ π[ερὶ τὴν] γένεσιν δὲ τ(ῶν) σωμάτων ο(ὕτως). παρὰ [δὲ]

45

23

τὰ περιττώματα συνίσταϊΐνται τριχῶς] αἱ νόσοι ἢ π[α]ρ[ὰ τὰς] φύσας [1&c ἐκ τ(ῶν) ne]

qor[+10]e°

— 24 rigo in ekthesis in ed.pr.

25

dopo vocor spa-

zio bianco ra[* 6]e pap.: πἰαρὰ δὲ a]ò ed.pr. 26 τρί: 6]ovt? pap.: τινὲς τοιούτω(ν) ed.pr., che utilizza le lettere vecto di un frammentino sparso, non collocabile in questa posizione 30 &wav ταῦυτι 32 mÀnνεκ[778] pap.: ογιθενεκί ed.pr.

35

tavını

37

πειμελῆς

39

enıy

40 oc in octea frutto di correzione in επιχορηγουμένης corretto su otty 44 dopo ὃ spazio 42 ο in otav corretto 41 κατα ed.pr. ουν΄ bianco 46 alla fine, ]ne ed.pr.

— 542—

PLATO

129T

TI.

ghi non appropriati producono malattie proprio per questo motivo: il trovarsi appunto in luogo inappropriato è morbifico. Così si formano le malattie a causa della disposiziorie degli elementi. A causa della genesi dei corpi le malattie sorgono in questo modo: per esempio la carne nasce da sangue solidificato e rappreso, i nervi dalle ‘fibrine’ del sangue. In questo modo se sono tolte le fibrine del sangue il sangue rimane per il resto non rappreso. Ma in definitiva bisogna dire che (oppure non rappreso, eccetto che [...]; poiché) la carne trae la ge-

nesi dal sangue, 1 nervi dalle fibrine del sangue. In questo modo, dice, questi corpi sono tenuti insieme e nutriti dal grasso, quando esso si fonde ed è fornito attraverso le porosità delle ossa e nutre le ossa. Quando dunque la genesi dei corpi sia questa, l’essere vivente è nel suo stato naturale; quando invece la genesi non sia questa, ma al contrario (in modo scambiato), produce malattie. Questo per ciò che riguarda la genesi dei corpi. A causa dei residui le malattie sorgono in tre modi: o a causa dei flussi d’aria | derivanti dai (oppure che accompa-

21

suppl. ed.pr.

22 suppl. Sedley : [πολλὰΪς ed.pr.

τόπ[ωι γι(νόμενον) ) εἶδο]ς ed.pr.

ed.pr.

26

24

suppl. ed.pr.

23 25

supplevi:

r[apà δὲ a]o

in fine versus τινὲς τοιούτω(ν) ed.pr., sed cf. supra

27-31

32 fort. πλὴν ἐκ[ψυχθὲν] vel ev [τεθνεῶτι] vel éxfeivo suppl. ed.pr. 46 [τὰς 36-45 suppl. ed.pr. ῥητί(έον)] : ὃ yi(veran) ἐν éx[eivnu] ed.pr. ἐκ τ(ῶν)] πε- ‘suppl. ed.pr. : [τὰς μετὰ] πε- Edelstein, 1940, 225 n. 12, fortasse recte

— 543—

PLATO

XVII

129T

71.

ριττωμ[άτ(ων) ἢ παρ]ὰ χολὴν. ἢ φλέγμα. διὰ γὰρ ταῦτα τὰ τρί]α καὶ κοινῇ καὶ ἰδίᾳ γί(νονται)

5

νόσοι. κα[ὶ γ(ὰρ) ἕν μόν]ον αὐτ(ῶν) νόσους ἐπιφέρει καὶ δύο σἰυνάμφω] συνελθόντα πάλι νόcovg κ(ατο)σ[κευάζ]ει. ὡς ὁμοίως δὲ καὶ διὰ τὰ τρία σ[υγκατ]οισθέντα αἱ νόσοι ἀποτελοῦνίται. κα]ὶ ἡ μ(ὲν) τοῦ Πλάτωνος

δόξα πε[ρὶ νόσω]ν ἐν τούτοις.

XVIII 3 vooov'c tovtoic spazio bianco x

,

5 prima di ac spazio bianco in ed.pr. .

»

— 544—

.

.

*

s

do

eor

0

PLATO

129T

TI.

gnano 1) residui o a causa della bile o a causa del flegma. Per questi tre motivi sorgono malattie sia in generale sia specificamente. Infatti uno solo di essi produce malattie e due concentrandosi nello stesso luogo ancora producono malattie. Allo stesso modo anche attraverso 1 tre fattori combinati insieme sono prodotte malattie. L’opinione di Platone a proposito delle malattie è contenuta in ciò che ho detto.

XVIII 1-8

suppl. ed.pr.

— 545 —

PLATO

129T

ΤΙ.

Il Timeo è un testo che ha avuto grande influenza ed è stato

molto discusso — a cominciare dalla prima Accademia e da Aristotele stesso (cfr. G.S. CLAGHORN,

Aristotle’s

Criticism of

Plato’s ‘Timaeus’, The Hague, Nijhoff 1954) — in particolare per il problema della generazione o dell’eternitä del cosmo (2808) «e per la grande ricchezza di metafore che spinse già i primi accademici a deciderne un’interpretazione in senso traslato (cfr. Arist. De caelo, A 10, 279b30-280a1). Inoltre è noto

che il testo fu epitomato sia da Aristotele sia da Teofrasto (le fonti in Dérrie - Baltes, Platonismus,

III, 173). Sulla fortuna

del Timeo in generale sono oggi utili M. BALTES, Die Weltentstehung des platonischen Timaios nach den antiken Interpreten, Teil I: Leiden, Brill 1976; Teil II, Proklos: 1978 (per la

parte più antica vol. I, cap. I); D. RUNIA, Philo of Alexandria and the Timaeus of Plato, Leiden, Brill 1986 (in part. parteI,

cap. IV). Lo studio dell’influenza del Timeo, che ἃ stata profonda e varia, deve però essere sviluppato ancora in molte direzioni. Dórrie in Dórrie - Baltes, Platonismus, III, 162-171 e 209-224, tracciano una breve storia dell'esegesi del Timeo, la quale sarebbe nata precocemente ma all'inizio avrebbe riguardato solo alcuni punti particolarmente difficili: tuttavia Crantore, secondo la tradizione il ‘primo commentatore’ (a cui Dörrie Baltes attribuiscono un'esegesi solo selettiva), si sarebbe oc-

cupato anche del proemio, cioè di una parte ‘letteraria’ del te-

sto, il che suggerisce perlomeno che egli abbia affrontato una valutazione globale della scrittura platonica in questo dialogo.

Secondo Dörrie - Baltes, l'esegesi del Timeo avrebbe poi avuto

nuovo impulso dalla Stoa (Panezio e Posidonio) e avrebbe in Eudoro di Alessandria il primo vero commentatore importante (anche Runia 1986, 48, gli attribuisce un ruolo di svolta). Il Timeo sarebbe ritornato di moda nel I sec. a.C. anche a causa dell’influsso pitagorico, secondo H. DÖRRIE, Der Platonismus

in der Kultur- und Geistesgeschichte der frühen Kaiserzeit, in

Platonica minora, Miinchen, Fink 1976 («Studia et testimonia

antiqua», VIII 1976), 166-210: 175-177; cfr. anche Die Erneuerung des Platonismus im ersten Jahrhundert vor Christus,

in Le néoplatonisme. Actes du Colloque International Royaumont, 9-13 juin 1969, Paris, Centre National de la Recherche

Scientifique 1971, 17-28 (= Platonica Minora, 154-165); Von Platon zum Platonismus. Ein Bruch in der Überlieferung und seine Überwindung, Rheinisch-Westfälische Akademie der Wis-

— 546 —

PLATO

129T

TI.

senschaften, Geisteswissenschaften, Vorträge G 211, Opladen, Westdeutscher

Verlag

1976, 32-39.

Gli studi di Dörrie

met-

tono in rilievo discontinuità e rottura nell'utilizzazione del Timeo, il che però non pare confermato da un’analisi approfondita della testimonianza dell’Anonimo, la quale combina e fa interagire stratificazioni esegetiche diverse che su un nucleo antico originariamente peripatetico innestano materiale stoico o anche più tardo. La parafrasi dell'Anonimo è in effetti fra le più antiche testimonianze conservateci di un’utilizzazione esplicita e diretta del Timeo (preceduta solo dalla traduzione di Cicerone): abbiamo infatti termini di confronto con il testo pseudepigrafo di Timeo Locro delII sec. d.C. (Timaeus Locrus, De natura mundi et animae, Uberlief. Testim. Text u. Ubers. von W. MARG, Leiden, Brill 1972), con ciò che resta dell’opera esegetica di Galeno, II sec. d.C. [Galeni In Platonis Timaeum com-

mentarii fragmenta,

coll. disp. expl. H.O.

arab. add. P. KAHLE,

CMG

SCHRÖDER,

app.

Suppl. I, Leipzig-Berlin, Teubner

1934; Galeni Compendium Timaei Platonis aliorumque dialogorum synopsis quae extant fragmenta, edd. P. KRAUS - R. WALZER, Corpus Platonicum Medii Aevi, London 1951 («Plato Arabus», I), reprint Nendeln 1973, cfr. anche ı frammenti pubblicati recentemente da C.J. LARRAIN, Galens Kommentar zu

Platons Timaios, supra], con ıl manuale di Alcinoo, Didaskalikos (172, 20-176, 5), del I-II sec. d.C., e quello di Apuleio, De Platone et eius dogmate (1 13-18), del II sec. d.C. Né la traduzione di Cicerone, né i piü tardi commenti di Calcidio e

di Proclo arrivano a coprire la sezione del testo (da 69b in avanti) parafrasata dall'Anonimo. Anche l'esposizione delle dottrine platoniche in D.L. III 67-80a non contiene niente sulla parte fisiologica del Timeo. La parafrasi del Timeo si trova nella seconda parte della sezione dossografica sulle cause di malattia attribuita ad ‘Aristotele’ (> 24 37T): la prima elenca coloro che riconducono

le cause di malattia ai ‘residui’ o perittomata della digestione, la seconda invece esamina coloro che credono che le malattie siano collegate alla natura e alla disposizione del corpo umano e in sostanza all’equilibrio degli stoicheia (elementi) che lo compongono. La doxa sulla cause di malattia in Platone consiste essenzialmente in una esposizione del contenuto del T:meo, che copre una larga parte del testo a cominciare dalla co-

— 547 —

PLATO

129T

ΤΙ.

struzione dei corpi animati sulla base degli elementi primi (42e43a), continuando con una sintesi della anatomia e fisiologia

umana (73b sgg.), per finire con la vera e propria eziologia patologica (82a sgg.). La doxa platonica ha un rilievo eccezionale all’interno di questa parte della dossografia dell’Anonimo. Platone è infatti il primo autore della serie: καὶ πρῶτον ἀπὸ Πλάϊτω]νος dice chiaramente l'Anonimo a XIV 11 e l'ampiezza della relazione su di lui è superiore a quella su tutti gli altri autori della sezione messi insieme (circa quattro colonne per Platone contro tre per tutti gli altri). Per quanto cronologicamente posteriore a tutti i personaggi della sezione, è citato per primo: il criterio cronologico dell’esposizione non è assoluto ma in generale sembra rispettato in tutto il resto della dossografia (Manetti, ‘Aristotle’ and the Role). Ma, più importante di tutti, la menzione di Platone è anticipata rispetto all’ ordinamento ben ricostruibile per gli autori della sezione: Filolao, che viene appena dopo, pensa che esista un solo stoicbeion, Polibo e quelli che seguono ammettono più stoscheia (quattro, o due più due). L’esposizione, come accade anche nella sezione precedente, è basata su una diairesis fondamentale (nella prima parte una divisione fra perittomata contro natura e secondo natura, qui una divisione fra teorie che si basano su un solo elemento e teorie che ne presuppongono più di uno) e inoltre è costruita come un percorso da sistemi e nozioni più semplici ad altre più complesse: è evidente che il posto originario di Platone nella fonte dossografica ‘aristotelica’ era dopo Filistione, che presenta elementi di affinità con lui, quattro elementi e una tripla serie di cause (cfr. Manetti, ‘Aristotle’ and the Role). Si presenta dunque immediatamente il problema di ricostruire ciò che appartiene al fondo ‘aristotelico’, distinguendolo sia dall'apporto personale dell' Anonimo sia dalle altre stratificazioni, che emergono anche ad una lettura superficiale. L’Anonimo utilizza infatti materiale sicuramente posteriore alla fonte aristotelica e, almeno in un caso, di colorito stoico (cfr. già Jones 1947, 3 n. 1, ripreso poi da tutti, e in particolare Todd

1976, 50 n. 124). Il richiamo alla teoria dei tipi di mescolanza (σύμφθαρσις, μῖξις, κρᾶσις) ἃ ΧΙΝ 12-32 presuppone una clas-

sificazione di origine stoica e la sua applicazione nell’esegesi del Timeo (cfr. infra), ma anche altri termini hanno coloritura

— 548—

PLATO

129T

TT.

‘stoica’, p. es. τὸ nyeuovıröv a XVI 38. Inoltre a XVI 7-9 διὰ

τὰς κατὰ πρ[ο]αίρεσιν κιν[ή]σεῖς rivela un’espressione tecnica

per definire i movimenti volontari che appartiene alla medicina ellenistica dopo Erofilo (vi sono altri casi di terminologia medica più tarda, cfr. p. es. XV 39).

D'altra parte la parafrasi si rivela abbastanza precisa, anche attraverso la ripresa di termini del Timeo stesso: p. es. XV

47 e XVI 2 ἀψυχότερα e ἐμψυχότερα (74e2-3); XVI 10 npoBoAn (74b7-8) XVI 20 drodoyn (7343); XVI 22 εἱλιγμένον (73a3); XVII 6 ἐκμαγεῖον (72c). Ma sono rintracciabili anche

espressioni platoniche che derivano da altri dialoghi (cfr. infra a XIV 44) e interpretazioni basate sull’applicazione a Platone del principio esegetico ‘Homerum ex Homero’, come nel

caso dell’esposizione della dottrina sull’anima (cfr. infra a XVI 32 sgg.). La parafrasi segue l’ordine del testo in modo abbastanza regolare, ma presenta due modificazioni strutturali evidenti nella parte fisiologica: 1) il criterio di esporre nell’ordine prima la krasis materiale (XIV 32-XV 36) e poi la funzione

delle singole parti del corpo (XV 36-XVI 33, con qualche incongruenza), che corrisponde chiaramente ad una divisione secondo le tradizionali domande aristoteliche, ti ἐστι, διὰ τί ἐστι

[cfr. J. MANSFELD, Physikai doxai and Problemata physika from Aristotle to Aétius (and Beyond): in Theophrastus, His Psychological, Doxographical and Scientific Writings, (ed. W.W. Fortenbaugh

- D. Gutas),

New

Brunswick,

Transactions

Pu-

blishers 1992 («Rutgers University Studies ın Classical Humanities», 5), 63-111 (= Physikai doxai et Problemata physika

d’Aristote a Aétius (et au-dela), RMM

97, 1992, 327-263), 92

sgg.]; 2) la netta divisione in due sottosezioni, una dedicata al corpo e l’altra all’anima. Entrambe possono risalire a una lettura peripatetica di tipo dossografico, ma la seconda si ritrova anche in manuali come quello di Alcinoo (cfr. 176, 6 sgg.). Tratti comuni alla tradizione dossografica di ambiente peripatetico sono individuabili nella forte schematizzazione e divisione in sezioni (p. es. nell’ultima parte propriamente eziologica), come anche negli ampliamenti interpretativi, nelle modernizzazioni (con sostituzione di termini peripatetici) o

‘correzioni’ tacite alla luce di passi aristotelici (cfr. infra): il

caso più evidente è la spiegazione del ruolo degli intestini at-

traverso il paragone con il corso dei fiumi (XVI 24 sgg., ctr. infra), in cui la parafrasi sostituisce un’impostazione teleolo-

— 549 —

PLATO

129T

Tj.

gica fisica alle motivazioni d'ordine ‘morale’, di cui è intriso

il passo del Timeo corrispondente.

Il secondo problema è contestualizzare gli elementi della parafrasi riconducibili all’ Anonimo stesso. Ciò è tanto più importante perché sembra ormai dimostrato che il testo conservato in PBrLibr costituisce un esempio di autografia databile nel I sec. d.C. [

24 37T, CPF I.1*, 347; con le correzioni di

Manetti 1994, 47-58]. All'Anonimo in persona, dunque, si deve certamente la scelta di anticipare la relazione su Platone rispetto alla sua fonte e di utilizzare la teoria delle mescolanze per costruire un parallelismo fra cosmo e corpo umano (vd. infra). È evidente infatti, dall’aggiunta interlineare di κατὰ σύμφθαρσιν a XIV 14, che egli ha volutamente enfatizzato la dottrina delle mescolanze,

sulla scia di una tradizione

esege-

tica esistente, di cui è difficile ripercorrere la storia (infra). Sua

è anche la scelta di dare ampio spazio nella dossografia alla descrizione delle tre parti dell’anima, che non è strettamente funzionale all’eziologia patologica poi esposta: ma qual è la sua motivazione e quali sono gli ascendenti culturali della sua spiegazione? L’applicazione del linguaggio della Repubblica alla dottrina dell'anima nel Timeo risale almeno all'epoca di Crisippo ed è poi abbastanza diffusa (cfr. infra). Vi sono alcune affinità occasionali con il Didaskalikos di Alcinoo, con

Filone e con frammenti di Galeno (cfr. infra), che fanno intravvedere una linea dossografica comune, ma la posizione delAnonimo resta indipendente su molti punti. Ciò può essere semplicemente dovuto alla casualità della selezione tradizionale, che ha conservato poche tracce della ricezione della parte ‘medica’ del Timeo (che pure dovette avere larghe influenze). Tuttavia sembra possibile individuare in una generica area ‘medioplatonica' il contesto culturale a cui risalgono gli elementi postaristotelici utilizzati dall’ Anonimo, anche se, più che dall'identificazione di fonti precise, tale ipotesi è suggerita dall’accumulo di una serie di indizi in tutto il testo del papiro. È logico pensare che la scelta di dare tale importanza a Platone, che non è mai criticato, debba avere una connessione, seppur implicita, con le opinioni dell’Anonimo nella parte fisiologica successiva. In essa (XXI 18 sgg.) in effetti egli sostiene una composizione del corpo umano che si sviluppa su lince ari-

stoteliche, le quali tuttavia non sono affatto ‘incompatibili’ con il Timeo, letto attraverso una fonte già peripatetica in partenza —

550—

PLATO

129T

ΤΙ.

(la dossografia ‘aristotelica’). A questo si aggiunge che anche nella prima parte del testo, cioè la sezione sulle definizioni dei concetti generali di affezione, malattia ecc., si rintraccia una connotazione culturale che si potrebbe definire grosso modo ‘accademico-peripatetica’ (Giusta, Doss., II 287 n. 3; Manetti,

‘Aristotle’ and the Role).

XIV 6-8 Come rivela il desiderio, espresso in apparato, di sostituire il primo καὶ con μετὰ (intendendo cioè «Ma vediamo, dopo coloro che sostengono i perittomata come causa di malattia,

coloro

che ...»), Diels si mostra

consapevole

che

la sua ricostruzione presenta difficoltà di senso. L’integrazione qui proposta tenta di offrire un’accettabile frase di passaggio fra la prima e la seconda sezione della dossografia. XIV 12-15 Il confronto suggerito da Diels con Ti. 82a

(τεττάρων γὰρ ὄντων γενῶν, ἐξ ὧν συμπέπηγε τὸ σῶμα, γῆς πυρὸς ὕδατός τε καὶ ἀέρος, τούτων ἣ παρὰ φύσιν πλεονεξία καὶ ἔνδεια καὶ τῆς χώρας μετάστασις ἐξ οἰκείας En’ ἀλλοτρίαν γιγνομένη, πυρός τε αὖ καὶ τῶν ἑτέρων, ἐπειδὴ γένη πλείονα ἑνὸς ὄντα τυγχάνει, τὸ μὴ προσῆκον ἕκαστον ἑαυτῷ προσλαμβάνειν καὶ πάνθ᾽ ὅσα τοιαῦτα στάσεις καὶ νόσους παρέχει)

non coglie un elemento che mette in rapporto cosmici. Perciò sembra nonimo siano piuttosto

specifico della parafrasi dell'Anonimo, la formazione dei corpi e gli elementi che lo sfondo della parafrasi dell’Apassi come 77. 32b9-c4 καὶ διὰ ταῦτα

ἔκ τε δὴ τούτων τοιούτων καὶ τὸν ἀριθμὸν τεττάρων τὸ τοῦ κόσμου σῶμα ἐγεννήθη δι᾽ ἀναλογίας ὁμολογῆσαν, φιλίαν τε ἔσχεν ἐκ τούτων, ὥστεεἰς ταὐτὸν αὑτῷ συνελθὸν ἄλυτον ὑπὸ τοῦ ἄλλου πλὴν ὑπὸ τοῦ συνδήσαντος γενέσθαι. τῶν δὲ δὴ τεττάρων ἕν ὅλον ἕκαστον εἴληφεν ἣ τοῦ κόσμου σύστασις; o anche meglio 426-434 (οἱ παῖδες). [...] μιμούμενοι τὸν σφέτερον δημιουργόν, πυρὸς καὶ γῆς ὕδατός τε καὶ μόρια ὡς δανειζόμενοι ἀέρος ἀπὸ τοῦ κόσμου ἀποδοθησόμενα πάλιν, εἰς ταὐτὸν τὰ λαμβανόμενα συνεκόλλων, οὐ τοῖς ἀλύτοις οἷς αὐτοὶ συνείχοντο δεσμοῖς,

ἀλλὰ διὰ σμικρότητα ἀοράτοις πυκνοῖς γόμφοις συντήκοντες, τὰς ἕν ἐξ ἁπάντων ἀπεργαζόμενοι σῶμα ἕκαστον, τῆς ἀθανάτου ψυχῆς περιόδους ἐνέδουν εἰς éntpputov σῶμα καὶ &nóppvtov, cfr. anche 4807 e Alcin. Did. 172, 20-23. La stessa

prospettiva si trova in Gal. Comp. Timaei, VIIa (p. 53 KrausWalzer):

«Illi autem suae creationis initium et originem ea fe—

551—

PLATO

129T

ΤΙ.

cerunt quae ex igni terra aqua aere deprompserant et e mundi partibus selegerant». Quindi il riferimento dell’Anonimo è ad una parte del dialogo che precede di molto la sezione fisiologica. Questo fa pensare che egli potesse disporre per il Timeo di un materiale ben più ampio di una semplice dossografia nosologica. Egli anticipa (con una correzione interlineare che indica un ripensamento preciso) il tipo di relazione interna agli elementi dei corpi (κατὰ σύμφθαρσιν) che tratterà appena dopo,

evidentemente perché considera il confronto del corpo umano con il cosmo molto importante. XIV

15

Lacuna

breve, di 2/3 lettere,

e la traccia succes-

siva si adatta ad a (la traccia è ciò che resta dopo il salto di una striscia di kollesis): la possibile integrazione ὅλα è suggerita da Ti. Locr. De natura mundi, 13 (207, 16) ἐκ παντελέων δὲ συνέστακε σωμάτων, τάπερ ὅλα ἐν αὐτῷ (sc. κόσμῳ) ἐντί, ὡς μή ποκα μέρος ἀπολειφθῆμεν ἐκτὸς αὐτῶ, cfr. Apul. De Platone, 1 8 (196). Si veda Ti. 32c6-33a6 τῶν δὲ δὴ τεττάρων ἕν ὅλον ἕκαστον εἴληφεν ἢ τοῦ κόσμου σύστασις. ἐκ γὰρ πυρὸς παντὸς ὕδατός τε καὶ ἀέρος καὶ γῆς συνέστησεν αὐτὸν ὁ συνι-

στάς, μέρος οὐδὲν οὐδενὸς οὐδὲ δύναμιν ἔξωθεν ὑπολιπών, τάδε διανοηθείς, πρῶτον μὲν ἵνα ὅλον

ὅτι μάλιστα ζῷον τέλεον ἐκ

τελέων τῶν μερῶν ein κτλ. Ma resta difficile spiegare il senso di ὅλα nella frase dell’Anonimo. Sulla base di D.L. III 70: τραπέσθαι δὲ τὴν οὐσίαν ταύτην εἰς τὰ τέτταρα στοιχεῖα, πῦρ, ὕδωρ, ἀέρα, yfiv: ἐξ ὧν αὐτόν τε τὸν κόσμον καὶ τὰ ἐν αὐτῷ γεννᾶσθαι è forse meglio integrare τἀτά (lege ταὐτά) «allo stesso modo», cioè anche i corpi del cosmo si formano dagli elementi per distruzione simultanea. Sembra un po’ lungo per lo spazio [tadr]a, che darebbe un senso accettabile; meno probabile, nel contesto linguistico dell'Anonimo, τοῖα (paleograficamente possibile), in uso assoluto riferito a ciò che precede. XIV 16 σύμφθαρσις ecc.: per i tipi di mescolanza cfr. Alessandro di Afrodisia, De mixtione, 3, p. 216, 14-28 Bruns = 114-116 Todd (supra): ἔστι δὲ ἣ Χρυσίππου δόξα περὶ κράσεως

ἥδε: ἡνῶσθαι μὲν ὑποτίθεται τὴν σύμπασαν οὐσίαν, TVED ματός τινος διὰ πάσης αὐτῆς διήκοντος, ὑφ᾽ où συνέχεταί τε καὶ συμμένει καὶ συμπαθές ἐστιν αὑτῷ τὸ πᾶν, τῶν δὲ μιγνυμένων ἐν αὐτῇ σωμάτωντὰς

μὲν

παραθέσει

μίξεις

γίνεσθαι

λέγει, δύο τινῶν ἢ καὶ πλειόνων οὐσιῶν εἰς ταὐτὸν συντεθειμένων

καὶ παρατιθεμένων ἀλλήλαις, ὥς φησιν, καθ᾽ ἁρμήν, σωζούσης - 552--

PLATO

(29T

TI.

ἑκάστης αὐτῶν Ev τῇ τοιαύτῃ παραθέσει κατὰ τὴν περιγραφὴν τὴν οικεῖαν οὐσίαν TE καὶ ποιότητα, ὡς ἐπὶ κυάμων φέρε εἰπεῖν καὶ πυρῶν ἕν τῇ παρ᾽ ἀλλήλους θέσει γίνεται, τὰς δέ τινᾶς συγχύσει δι᾿ ὅλων τῶν τε οὐσιῶν αὐτῶν καὶ τῶν ἐν αὐταῖς ποιοτήτων συμφθειρομένων ἀλλήλαις,

ὡς γίνεσθαί φησιν επὶ τῶν ἰατρικῶν φαρμάκων κατὰ σύμφθαρσιν τῶν μιγνυμένων, ἄλλου τινὸς ἐξ αὐτῶν

yevvanevov σώματος. ὅλων τινῶν οὐσιῶν τε τεινομένων ἀλλήλαις ποιότητας σώζειν ἐν τῇ σιν ἰδίως εἶναι λέγει;

τὰς δέ τινας γίνεσθαι μίξεις λέγει δι᾽ καὶ τῶν τούτων ποιοτήτων ἀντιπαρεκμετὰ τοῦ τὰς ἐξ ἀρχῆς οὐσίας τε καὶ μίξει τῇ τοιάδε, ἥντινα τῶν μίξεων κρᾶPh. Conf. 184 (SVF II 472); Stob. I 17,

4 (I 153, 24 Wachsmuth = SVF II 471). È da notare che l’uso di συμφθείρω

di κράσις è in realtà risulta dal nalisi dei

in D.L. VII 151 (= SVF II 479) per il concetto

διόλου, ‘commistione totale’, attribuito a Crisippo, più appropriato alla definizione di σύγχυσις, come confronto con il passo di Alessandro citato (cfr. l’apassi in Todd, 49 sgg. e Long/Sedley, II, 287). La

parola σύμφθαρσις

non è in realtà molto comune

nelle defi-

nizioni di mescolanza di origine stoica: il termine corrente è σύγχυσις, ma il verbo (συμ)φθείρω è spesso usato nella definizione di σύγχυσις, per dire che le qualità dei componenti si

dissolvono nel composto e l’espressione κατὰ σύμφθαρσιν τῶν μιγνυμένων compare solo nella definizione di σύγχυσις in Alex. Aphr. Mixt. 3, p. 216, 24 Bruns. L’Anonimo mostra fra le due

parole un rapporto inverso: la menzione di σύγχυσις appare qui secondaria, quasi come una ‘glossa’, mentre è σύμφθαρσις

ad assumere valore definitorio. E possibile che ciò derivi direttamente dal passo platonico (cfr. 43a συντήκειν), oppure dal fatto che l'Anonimo vuole mettere in evidenza proprio la perdita delle qualità proprie e visibili dei singoli componenti (cfr. infra r. 29), ma può anche indicare l’influenza di una tradizione specificamente medica. Una testimonianza tarda della

parola σύμφθαρσις in Ermogene e negli scolî ad loc. di Siriano

ci fornisce infatti un indizio sul modo in cui la nozione è stata

utilizzata in un contesto fisiologico-medico: Ermogene, in Περὶ ἰδεῶν I 12 (305, 4-10 Rabe), parla della mescolanza delle ideai

e cita lo stile demostenico come l'esempio migliore ὥσπερ ἐκ

συμφθάρσεως «come per fusione (sc. delle idea:)». Siriano (I 66, 1-6 Rabe) spiega l’espressione di Ermogene come una me—

553—

PLATO

129T

71.

tafora dal processo digestivo: τὴν ἀρίστην παρὰ τῷ ῥήτορι τῶν

ἰδεῶν ἕνωσίν τε καὶ σύγκρασιν ἐκάλησε σύμφθαρσιν ἀπὸ μεταφορᾶς τῶν διαφόρων σιτίων, ἅπερ ἐν τῇ γαστρὶ πρότερον ἀλλοιοῦται καὶ τὴν οἰκείαν μεταβάλλει ποιότητα, εἶθ᾽ οὕτως ἕνα τινὰ χυμὸν γεννώντων θρεπτικόν τε καὶ σωτήριον τοῦ σώματος. La parola dunque, e soprattutto la questione del tipo di mescolanza, è stata applicata all’ambito fisiologico della digestione per spiegare il rapporto fra i cibi e il prodotto nutritivo che risulta dal processo digestivo. Non è chiaro come e quando la dottrina stoica delle mescolanze sia stata introdotta nell’esegesi del testo platonico. Sulla questione dell’influenza precoce del Timeo nel dibattito filosofico stoico, cfr. p. es. D.E. HAHM, The Origins of Stoic Cosmology, Columbus, Ohio State University Press 1977, 136 sgg. e G. REYDAMS-SCHILS, Deminrge and Providence. Stoic and Platonist Readings of Plato's "Timaeus", Turnhout, Brepols 1999, che non sono utili su questo punto specifico. Si rintracciano però alcuni indizi da fonti tarde: Proclo, nel commento a 71. 36c (II 253, 26 sgg. Diehl), polemizza con Porfirio che avrebbe fatto riferimento

a miscele

come

μελίκρατον,

οἰνόμελι. La classificazione stoica viene presupposta da Proclo nella confutazione di Porfirio: (μῖξις) ἣ dé ἐστιν οὐ κατὰ

σύγχυσιν. τῶν εἰδῶν οὐδὲ κατὰ

σύμφθαρσ ιν τῶν δυνά-

μεων, ἀλλ᾽ ἐκείνων σῳζομένων καθ᾽ ἕνωσίν τε καὶ τὴν δι᾽ ἀλλήλων χώρησιν. Per σύγχυσις cfr. Procl. In Ti., 1430, 22 Diehl (ad Ti. 30cd); III 210, 12 Diehl (ad 77. 4140). H. DÖRRIE,

Porphyrios’ «Symmikta Zetemata», München, Beck 1959 («Ze-

temata», 20), 12 sgg., ın particolare 24 sgg., riferisce la que-

stione allo zetema di Porfirio sull’unione dell'anima con il corpo: Porfirio accenna alla questione anche in Sent. (33, p. 38, 1 Lamberz = p. 27, 11-12 Mommert). Altre tracce del dibattito sulla teoria della mescolanza applicata al Timeo si trovano in Calcidio, [n Pl. Ti. p. 234, 5 sgg. Waszink, che polemizza con gli stoici. Da questi scarni resti 51 ricava che la teoria delle mescolanze fu ad un certo punto applicata in ambito stoico al Timeo, per spiegare la natura della connessione dell’anima (pneuma) con il corpo, ma è difficile individuare i modi e il momento. Crisippo affrontò, a quanto sembra, il tema della differenza fra mescolanza totale (κρᾶσις διόλου) e giustappo-

sizione superficiale (cfr. D.L. VII 151), ma le testimonianze più tarde riportano la tripartizione esposta, con alcune varianti,

— 554—

PLATO 129T

una

tripartizione

ΤΙ.

a cui il problema

della mescolanza

totale è

certamente connesso anche se è stato oscurato e confuso (cfr. l’analisi di Todd,

21

Certamente

sgg.).

il concetto

di κρᾶσις

διόλου elaborato da Crisippo era uno strumento che si prestava a rısolvere alcuni aspetti del rapporto del corpo con il

pneuma = anima, ma nella tradizione c’è stato uno slittamento verso la nozione di σύγχυσις, che sposta la discussione su un

piano differente. Si può però forse escludere un ruolo di Posidonio nell’applicare il concetto di ‘distruzione simultanea’ al Timeo, per lui ταβολή comm.

perché il concetto di σύγχυσις (che ne è l’equivalente) rientra in una diversa classificazione, quella della uee non della mescolanza, cfr. F 96 Edelstein - Kidd (e ad loc.). Nell’Anonimo non c’è assolutamente traccia

della motivazione originaria. In primo piano è invece l’esigenza di spiegare la natura della mescolanza degli elementi cosmici all’interno del corpo umano: vedi infra a XIV 29-32. XIV 19 τετραφάρμακον: Cels. V 19, 9; Gal. Const. art. med. I 242, 5 K. (= CMG V.1, 3, p. 68, 28 sgg.); In Hp. Nat. bom. 1.1, CMG V.9, 1, pp. 11, 26; 19, 1; De elementis, CMG V.1, 2, pp. 96, 10; 98, 19 (cfr. infra). L'Anonimo coincide con

Filone, Conf. 187, nell'utilizzare l'esempio specifico del tetrafarmaco nella discussione della fusione contemporanea (σύγχυ-

cic), mentre le altre fonti parlano genericamente di ‘farmaci medici’. XIV 22

σωρὸς πυροῦ: Alex. Aphr. Mixt. 3, p. 216, 21 e 13,

p. 228, 32 Bruns (ma nell’esposizione della teoria peripatetica). XIV

23

δ[ιάκ]ρασις:

l'integrazione di Diels resta la più

plausibile, anche se il termine è attestato solo in Stob. Anth.

II 31, 120, 68 (II 232, 16 Wachsmuth = Archytas, De educa-

tione ethica, 43, 18 Thesleff) ἐνεμεσήθη δὲ καὶ ἁ φύσις καὶ τὸ

θεῖον τᾷ τούτων διακράσι (διακράσει Thesleff). L’uso della pa-

rola composta non sembra dare una speciale connotazione dı significato, come si riscontra anche sopra a Il 32 per διαλο-

| γισμός -- λογισμός. XIV 25 L'esempio del vino mielato (mulso) è sfruttato an-

che nella discussione sulla differente composizione delle parti del corpo nello pseudoaristotelico De spiritu 9 (485b25). XIV 26

La posizione di τοιγάρτοι € affatto insolita. L'uso

corrente nella letteratura classica e tarda à in prima posizione nella frase; ma l'Anonimo usa frequentemente la particella in seconda posizione, qualche volta anche in terza. Per l'uso delle —

555—

PLATO

1291

TI.

particelle nell'Anonimo cfr. Blomqvist 1969, 130 e passim; sull’intensificarsi dell'uso di τοιγάρτοι nella prima età imperiale, cfr. anche S. WAHLGREN, Sprachwandel im griechisch der frühen römischen Kaiserzeit, Göteborg, Acta Universitatis Gothoburgensis 1995 («Studia Graeca et Latina Gothoburgensia» LX), 110-111. Da una ricerca nel CD del TLG, risultano tut-

tavia alcuni esempi di τοιγάρτοι in seconda posizione: Ph. Plant. 172 μεθυσθήσεται τοιγάρτοι καὶ ὁ ἀστεῖος μηδὲν τῆς ἀρετῆς ἀποβαλών;

Eus. EcL, PG XXII,

1048, 50 ἁψευδοῦς τοιγάρτοι

τυγχανούσης τῆς θεοπνεύστου γραφῆς; Stob. III 7, 70 (= Pha-

lar. ep., in Epistolographi LXXII 428 Hercher) “τί παθοῦσαι τοιγάρτοι", πάλιν ἐπανερομένου pov, “δίκην ἀποτίσαιτ᾽ ἄν μοι τοῦ μίσους τὴν κατ᾽ ἀξίαν;"; Didym. Trin. III 5 (PG XXXIX 940, 33) ἔφασαν τοιγάρτοι.

XIV 29-32

Cfr. Ti. 56bc (ma il principio è diverso) πάντα

οὖν δὴ ταῦτα δεῖ διανοεῖσθαι σμικρὰ οὕτως, ὡς καθ᾽ ἕν ἕκαστον μὲν τοῦ γένους ἑκάστου διὰ σμικρότητα οὐδὲν ὁρώμενον ὑφ᾽ ἡμῶν, συναθροισθέντων δὲ πολλῶν τοὺς ὄγκους

αὐτῶν ὁρᾶσθαι. Questo passo del Timeo puö essere all’origine della spiegazione data qui dall’Anonimo, che sembra voler prevenire obiezioni alla teoria dei quattro elementi. Un argomento parallelo è attestato in Galeno, De elementis, CMG V.1, 2, p. 96, 7-21 De Lacy: Galeno sta polemizzando contro alcuni commentatori ippocratici che sostengono che, in De natura bominis 1 (VI 32, 4-6 L.), Ippocrate rifiuterebbe la teoria che l'uomo sia composto dagli elementi fuoco, acqua, terra e aria (il problema èél interpretazione della frase οὔτε yàp τὸ πάμπαν

ἠέρα λέγω τὸν ἄνθρωπον εἶναι, οὔτε πῦρ οὔτε ὕδωρ οὔτε γῆν οὔτ᾽ ἄλλο οὐδέν, ὅ τι μὴ φανερόν ἐστιν ἐνεὸν ἐν τῷ ἀνθρώπῳ).

Eglı contesta tale opinione e afferma che Ippocrate non & contro la teoria degli elementi ma solo contro le teorie moniste, facendo osservare che il fatto che nessuno dei quattro elementi sia visibile (διότι μηδὲν τῶν τεττάρων εἰλικρινὲς ἐν τῷ σώματι

φαίνεται) può produrre apistia ma non costituisce in realtà un obiezione alla teoria, come mostra l’esempio del ‘tetrafarmaco’, i cui componenti non sono distinguibili (cfr. anche Galeno De causis contentivis 3, 2-3, CMG Suppl. Or. II, p. 57, 18-24 = 135, 11-16), o anche di altri composti, che sono presentati con linguaggio che richiama la teoria stoica (περὶ τῶν οὕτω δι᾽ ὅλων ἀλλήλοις κραθέντων). —

556 --

PLATO

129T

TI.

XIV 33-34 τετευχέναι è forma ionica (att. τετυχηκέναι) che si diffonde nella κοινή, cfr. Mayser, 1.2, 151-152; Diels ad loc. XIV 34 L'uso del termine κρᾶσις (e del verbo corrispon-

dente) da qui in poi, a rigore, non è perfettamente coerente con la teoria delle mescolanze appena esposta dall’Anonimo, ma rispecchia naturalmente l’uso corrente. Dopo aver dato la definizione generale precisa della sua concezione di mescolanza a partire degli elementi, usando la terminologia tecnica stoica, l'Anonimo

ritorna al linguaggio comune, come ha già

fatto dopo

aver dato

le definizioni

generali

di πάθος,

νόσος,

ἀρρώστημα

nella prima sezione (cfr. IV 21-22 e Manetti ‘Ari-

stotle’ and the Role). Per questo motivo da qui in poi il termine è stato tradotto con «composizione», mentre nelle definizioni si era mantenuto «crasi». XIV 39-41 Cfr. Ti. 73b1-c 2 τούτοις σύμπασιν ἀρχὴ μὲν N τοῦ μυελοῦ γένεσις: ot yàp 109 βίου δεσμοῖ, τῆς ψυχῆς τῷ σώματι συνδουμένης, ἐν τούτῳ διαδούμενοι κατερρίζουν τὸ θνητὸν γένος: αὐτὸς δὲ ὁ μυελὸς γέγονεν ἐξ ἄλλων. τῶν γὰρ τριγώνων ὅσα πρῶτα ἀστραβῆ καὶ λεῖα ὄντα πῦρ τεκαὶ ὕδωρ καὶ ἀέρα καὶ γῆν 6v ἀκριβείας μάλιστα ἦν παρασχεῖν δυνατά, ταῦτα ὁ θεὸς ἀπὸ τῶν ἑαυτῶν ἕκαστα γενῶν χωρὶς ἀποκρίνων, μειγνὺς δὲ ἀλλήλοις σύμμετρα, πανσπερμίαν παντὶ θνητῷ γένει μηχανώμενος, τὸν μυελὸν ἐξ αὐτῶν ἀπηργά-

σατο. XIV 41 sgg. Per κυριώτερος cfr. anche XV 4 e Alcın. Did. 172, 23-25 τῆς καταπεμφθείσης ψυχῆς τὸ κύριον ἐνέδησαν εἰς τὴν κεφαλήν, ὥσπερ ἄρουραν ὑποθέντες τὸν ἐγκέφαλον. Per

l'uso della parola riferita al midollo, vedi 77. 84c3-7 τὸ δ᾽ ἔσχατον πάντων, ὅταν N τοῦ μυελοῦ φύσις AN’ ἐνδείας Tj τινος ὑπερβολῆς νοσήσῃ, τὰ μέγιστα καὶ κυριώτατα πρὸς θάνατον τῶν νοσημάτων ἀποτελεῖ, πάσης ἀνάπαλιν τῆς τοῦ σώματος φύσεως ἐξ ἀνάγκης ῥυείσης. Si ricordi che anche nel resoconto su Ippocrate l’ Anonimo era intervenuto con un commento sull'im-

portanza dello pneuma, usando un linguag gio analogo a questo: col. VI 13 sgg. ταῦτα δὲ ἔφησεν ἁνὴρ κινηθεὶς δόγματι τοιούτῳ. τὸ γὰρ πνεῦμα ἀναγκαιότατον καὶ κυριώτατον [...] (τ. 31) τούτων ἐκκειμένων κτλ. L’ultima formula introduce il ri-

torno al discorso principale dopo l’excursus che ha enucleato i principi sottesi alla dottrina ippocratica delle physai. Possibile dunque che anche in XIV 42 χρώμενος πιθανότητι λόγων —

557—

PLATO

129T

ΤΙ.

τοιαύτῃ - XV 20 ἐκκειμέν(ων), l'Anonimo

abbia inserito una

sua interpretazione del ruolo del midollo spinale; anche l’avv. δεόντως che si legge a XV 11 può rientrare in un livello ‘interpretativo' del discorso dell'Anonimo. Tuttavia anche qui è possibile che l'Anonimo si sia servito di espressioni del 77meo, come risulta dai rr. 10 e 19 (cfr. infra). XIV 42 πιθανότης λόγων: «carattere plausibile, persuasivo degli argomenti», da cui «argomento plausibile». L'espressione (sostantivo più il genitivo di λόγος) è attestata in autori dal I

sec. d.C. in poi e ha la caratteristica di avere quasi sempre la connotazione negativa di ‘argomento plausibile ma fallace, ingannevole’, in opposizione a pragma in un contesto di carattere sofistico o eristico, cfr. Ph. Ebr. 29; Conf. 129; Her. 308 e Agr. 16; Gal. De marcore, VII 671, 11 K.; In Hp. Fract. XVIIIB 586, 1 K.; Simpl. In Cael. p. 512, 28 Heiberg, fino agli scoli di Tzetzes alle Nuvole di Arıstofane, sch. Ar. Nu. 1202a (IV.2, p. 652, 2 Holwerda) ecc.: cfr. anche Alex. Aphr. De fato 26 (p. 196, 19-21 Bruns): ἱκανωτέρα γὰρ m τοῦ πράγματος ἐνέργεια πρὸς συγκατάθεσιν πάσης τῆς διὰ λόγων Kvonpodong

αὐτὸ πιθανότητος (contro Zenone di Elea), «giacché la forza

dei fatti è più produttiva di assenso di qualsiasi persuasività dei ragionamenti con cui si cerca di sopprimerlo (sc. il movimento)». Il richiamo alla formalità delle argomentazioni dia-

lettiche è confermato anche da S.E. P. II 79, in cui l’espressione descrive l’apparente plausibilità di tutte le posizione dogmatiche che, appunto per essere uguale per tutte, conduce all’ ἐποχή. La connotazione negativa è confermata e accentuata negli autori cristiani— p. es. Gr. Naz. Ep. 162, 4; Io. Chr. Eu-

trop. (PG LII 394, 42); Didym. In Job (7.20c-11), 292, 16 che con l’espressione sı riferiscono ai nefandi argomenti dei filosofi pagani e li oppongono spesso esplicitamente alla verità o alla testimonianza diretta. Nel contesto dell'Anonimo però, anche se ıl testo che segue immediatamente è in gran parte perduto in lacuna, non è rintracciabile né qui né altrove un'intenzione critica nei confronti di Platone, che anzi è messo in assoluto rilievo (cfr. supra, p. 548). Dunque probabilmente l'espressione è analoga a quelle che riscontriamo altrove quando egli vuole inserire una serie di argomenti a spiegazione delle teorie che espone (cfr. supra a XIV 41 sgg.): più spesso usa ὑπομιμνήσκω o ὑπόμνησις (cfr. XVIII Th 20; XXXI 6, 34;

XXXV 3, 21 ecc.), che non hanno un significato tecnico filo—

558—

PLATO

129T

TI.

sofico (> 79 IT). In particolare, πιθανότης trova un parallelo in Teofrasto, Sens. 1 (Dox. Gr., 499, 4) τὸ δὲ πιθανὸν ἔλαβον οἱ μὲν ὅτι τῶν ἄλλων τε τὰ πλεῖστα τῇ ὁμοιότητι θεωρεῖται κτλ. (che sı riferisce a coloro che sostengono che la sensazione av-

viene attraverso il simile) e deriva in ultima analisi dai λόγοι πιθανοί di Arist. Top. A 11, 104b14. Nel modo in cui è for-

mulata, l’espressione costituisce una traccia del dibattito sul valore da dare alle parole del Timeo: se sia discorso scientifico oppure no, se vada o no interpretato letteralmente (p. es. l’interpretazione di γέγονεν a Ti. 2808). La discussione si in-

nestava sul testo stesso del Timeo che in più punti presenta il discorso come verosimile (p. es. 2941 τὸν εἰκότα μῦθον; 30b7 κατὰ λόγον τὸν εἰκότα): Alcın. Did. 154, 31 collega esplicitamente il πιθανὸς καὶ δοξαστικὸς λόγος al piano della verosi-

miglianza. Ancora più pertinente il giudizio sullo stile del ΤΊmeo in Gal. Placit. TX 9, 3-7 (CMG

V.A, 1, 2, p. 598), in cui

si trova usata più volte la coppia di aggettivi πιθανὸν kai εἰκός. XIV 43-44 Cfr. Ti. 73b3-5 οἱ γὰρ tod βίου δεσμοί, τῆς ψυχῆς τῷ σώματι συνδουμένης, EV τούτῳ διαδούμενοι xaτερρίζουν τὸ θνητὸν γένος; cfr. 7304 ἐν αὐτῷ κατέδει τὰ τῶν ψυχῶν γένη.

XIV 44

ψυχὴν - διοικοῦσαν: & un riecheggiamento plato-

nico, cfr. Pl. Lg. 896410 ψυχὴν δὴ διοικοῦσαν καὶ ἐνοικοῦσαν ἐν ἅπασιν τοῖς πάντῃ κινουμένοις; cfr. anche Phdr. 246c1-2. L’espressione

ἃ usata

ın Plutarco,

An. procr.

1030e;

Foet. form. IV 697, 4 K. e Placıt. VI 3, 8 (CMG

Galeno,

VA, 1, 2, p.

374, 18), in cui egli parla di Crisippo, mettendolo sulla scia di

Platone; [Gal.] An animal XIX 168, 15 K.; Plotino, II 3, 13 e 16; II 9, 17; IV 2, 2; Clemente Alessandrino, Strom. 5, 14, 92, 6; Teodoreto, Affect. III 103; Eusebio, PE XI 26, 2; XII 51, 19; XIII 13, 8; Proclo, Ir Ti., I 403, 14; III 182, 6 Diehl. In

tutti questi autori si fa riferimento al passo platonico delle Leggi (spesso citato esplicitamente) o comunque a Platone. In modo

più generico, essa è attestata ın Giovanni Crisostomo,

Porfirio

e Giovanni

Filopono.

Per l’immagine,

cfr. anche τὴν

ψυχὴν δεσπόζουσαν in Alcin. Did. 173, 6. XV 10 καὶ ἅμα στ[ρογγύλα]: integrazione solo exempli

gratia, cfr. Ti. 7343 ὃ δ᾽ αὖ τὸ λοιπὸν xat θνητὸν τῆς ψυχῆς

ἔμελλε καθέξειν, ἅμα στρογγύλα καὶ προμήκη διῃρεῖτο σχῇ-

ματα, μυελὸν δὲ πάντα ἐπεφήμισεν κτλ. in cul si parla della —

559—

PLATO

129T

TI.

composizione del midollo spinale. Le lettere παΐ, scritte proprio sopra le ultime tracce del rigo potrebbero significare un'aggiunta da inserirsi prima di «τί (alla luce dello stesso passo platonico, forse πα[ραμήκη)).

XV 14 La lettura più plausibile sembra eva poc κί in cui & forse da riconoscere inizio di parola in poox[, ‘nutrire’ o ‘nutrimento’. La metafora del nutrimento potrebbe forse essere stata utilizzata per il ruolo preponderante del midollo, cfr. Ti. 73c7 καὶ τὴν μὲν τὸ θεῖον σπέρμα οἷον ἄρουραν μέλλου-

σαν ἕξειν ἐν αὑτῇ; cfr. anche l’allusione in Alcin. Did. 172, 23 τῆς καταπεμφθείσης ψυχῆς TO κύριον ἐνέδησαν εἰς τὴν κεφαλήν, ὥσπερ ἄρουραν ὑποθέντες τὸν ἐγκέφαλον, περί τε τὸ πρόσωπον ἔθεσαν τὰ τῶν αἰσθητηρίων ὄργανα. In realtà la metafora è di

tipo diverso (terra da coltivare, il demiurgo ‘pianta’ il ecc.), ma l'Anonimo potrebbe avere innovato. Anche tura Boei di Diels è paleograficamente possibile, ma riesce a spiegare il riferimento ai buoi: il passo di Pl.

midollo la letnon si R. 338c

citato da Diels, parla infatti di τὰ βόεια κρέα, ma non ha niente

a che vedere con il Timeo (li si allude alla dieta carnivora ti-

pica degli atleti, che è buona per gli atleti ma non per gli altri).

XV 19 Se si accetta la lettura καὶ λεΐων, è possibile un raffronto con 77. 7306 τῶν γὰρ τριγώνων ὅσα πρῶτα ἀστραβῆ καὶ λεῖα κτλ. Ma anche letture diverse, -Kkoı (p. es. ὄγ]κοι) λείων,

oppure κοιλείων (sc. κοιλιῶν), sono possibili perché le lettere in legamento αἱ e ot sono tracciate in modo molto simile. XV 19-20 Si ricostruisce un’espressione frequente nell’Anonimo [τούτων] | ἐκκειμένων, che dovrebbe essere l’inizio di

una nuova frase in cui egli ritorna alla parafrasi dettagliata del testo, dopo il pezzo interpretativo precedente. XV 20-30 Cfr. Ti. 73b8-e1 ταῦτα ὁ θεὸς ἀπὸ τῶν ἑαυτῶν ἕκαστα γενῶν χωρὶς ἀποκρίνων, μειγνὺς δὲ ἀλλήλοις σύμμετρα, πανσπερμίαν παντὶ θνητῷ γένει μηχανώμενος, τὸν μυελὸν

ἐξ αὐτῶν ἀπηργάσατο, καὶ μετὰ ταῦτα δὴ φυτεύων ἐν

αὐτῷ

κατέδει τὰ τῶν ψυχῶν γένη, σχημάτων τε ὅσα ἔμελλεν αὖ σχήσειν οἷά τε καθ᾽ ἕκαστα εἴδη, τὸν μυελὸν αὐτὸν τοσαῦτα καὶ τοιαῦτα ö ınpe ito

νομῇ τῇ κατ᾽ ἀρχάς. καὶτὴν pav μέλλουσαν σας ἐπωνόμασεν

εὐθὺς €ἐν τῇ δια-

μὲν τὸ θεῖον σπέρμα οἷον 'ἄρου-

ἕξειν τοῦ

ox ματα

ἐν αὑτῇ περιφερῆ

μυελοῦ —

500—

ταύτην

πανταχῇ πλάτὴν

μοῖραν

PLATO

129T

ΤΙ

ἐγκ ἔφαλον, ὡς ἀποτελεσθέντος ἑκάστου ζῴου τὸ περὶ τοῦτ᾽

αγγξῖον

κεφαλὴν

γενησόμενον.

ὃ δ᾽ αὖ τὸ

λοιπὸν

καὶ

θνητὸν τῆς ψυχῆς ἔμελλε καθέξειν, ἅμα στρογγύλα καὶ προμήκη διῃρεῖτο σχήματα, μυελὸν δὲ πάντα ἐπεφήμισεν, καὶ καθάπερ ἐξ ἀγκυρῶν βαλλόμενος ἐκ τούτων

πάσης ψυχῆς δεσμοὺς περὶ τοῦτο σύμπαν ἤδη τὸ σῶμα ἡμῶν ἀπηργάζετο, στέγασμα μὲν αὐτῷ πρῶτον συμπηγνὺς περὶ ὅλον

ὀστεῖνον. XV 25

Cfr. anche 69c5-e5 per l'opposizione θεῖον θνητόν.

La ricostruzione di Diels, ὁ ν[ωτιαῖος περι]έχουσι

è troppo lunga, bisogna dunque pensare a soluzioni coerenti

con lo spazio: v[wr]i[aîog può adattarsi alle tracce ma intro-

duce un elemento nuovo nella parafrasi, perché nel testo del Timeo non si parla di midollo spinale ma di midollo in generale: è una specificazione rispetto al testo del Timeo, spiegabile in un contesto medico che legge il passo platonico (che parla dell’origine dello sperma) alla luce delle teorie genetiche ippocratiche che descrivono il percorso dello sperma dal cervello lungo il midollo spinale (cfr. p. es. Genit. 1 e 2). La ricostruzione resta tuttavia carente: anche se si legge ou[ prima della lacuna, non si riesce a dare una sintassi soddisfacente alla

frase. Alla fine si può pensare

a Kk(at)]éyxovor oppure

a

π(ροσ)]έχουσι, interpretando «la parte spinale (?) del resto del

midollo è lasciata alle ossa che la tengono ferma?, che vi sono

vicine?». XV 26-27

La diplografia (te | τῆς te τῆς ψυχῆς) segna un

momento di distrazione dell'Anonimo. Qui c'è però un passaggio importante per la concatenazione degli argomenti. Sem-

bra meglio integrare a τ. 26 καὶ [μὴν] αὐτῆς per indicare una

progressione logica (cfr. Denniston, 351), ad indicare che di quella stessa anima direttiva, di cui ha appena parlato, ci sono due tipi, uno mortale l'altro immortale ecc. D'altra parte, il te dopo αὐτῆς è duro: che sia da leggere ye (cfr. Denniston, 120)? XV 26-30 Il testo ricostruito da Diels, αὑτῆς te τῆς [ψυχῆς

γ΄ μέρη] (εἶναι) λέγων τὸ μὲν λογιστικὸν [ὡς ὀχυρωτάτωι] τῶι ἐν[κε]φάλωι ἀπολείπείι, τὸ μ(έν)τοι ἄλογ]ον uépolc] αὐτῆς ἐν

τῶι ν[ωτιαίωι μυ]ελῶι («e poiché dice che l'anima ha tre parti, assegna la parte razionale al cervello come al luogo più forti-

ficato, mentre assegna la parte irrazionale di essa al midollo spinale») è insoddisfacente ın primo luogo dal punto di vista

papirologico:

è necessaria una ricostruzione più attenta agli

spazi. L’Anonımo sta parafrasando Ti. 73b6-d7, in cui Platone —

561—

PLATO

129T

71.

spiega come la parte divina dell’anima sia nel cervello e la sua parte mortale nel midollo: che l'Anonimo si riferisca in modo preciso a questo passo è evidente dalla menzione del midollo ed è assicurato anche dalla sequenza del testo. L’Anonimo tuttavia introduce nella parafrasi il termine λογιστικός equiparando la parte immortale dell’anima a quella razionale, che non è esplicitamente menzionata in questo punto in Platone. Questo giustifica ampiamente Diels che nella ricostruzione suggerisce l'opposizione fra le due parti, razionale e irrazionale, dell’anima (vi mescola anche elementi provenienti da 69de): cfr. J. MANSFELD, Doxography and Dialectic. The Sitz im Leben of the ‘Placita’, ANRW

II 36.4 (1990), 3087 n. 118. Sı tratta

dell’interpretazione bipartita dell’anıma, che costituisce l’esegesi platonica ortodossa corrente, di origine peripatetica ma con una lunga storia che comprende anche influssi e moditicazioni stoiche [cfr. D.A. REES, Bipartition of the Soul in the Early Academy, JHS 77 (1957), 112-118; P.A. VANDER WAERDT,

The Peripatetic Interpretation of Plato’s Tripartite Psychology, GRBS 26 (1985), 283-302; P.A. VANDER

WAERDT,

Peripatetic

Soul-division, Posidonius and Middle Platonic Moral Psycho-

logy, ibid., 373-394; P.A. VANDER WAERDT, Aristotle’s Criticism of Soul division, AJPh 108 (1987), 624-643]. Si trovano

paralleli anche nelle parafrasi del Timeo di Alcinoo e di Timeo Locro: Alcin. Did. 173, 11; Ti. Locr. De natura mundi, 46 (218, 5-11). Tuttavia essa non sembra essere utilizzata in

seguito dall’Anonimo, il quale offre la corretta e più precisa esposizione delle tre parti dell’anima (vd. infra). Poiché in h-

nea di principio si devono cercare integrazioni che si tengano piü vicine possibili al testo platonico e la connotazione prevalente nel passo platonico ἃ piuttosto l'opposizione fra θεῖον e θνητόν (anche se facilmente eguagliabile à quella fra razionale e irrazionale), 51 puö proporre e.g. καὶ [μὴν] αὐτῆς γε τῆς ψυχῆς [μέρη] (εἶναι) λέγων τὸ μὲν λογιστικὸν ἐγκεφάλῳ

ἀπολείπείι, τὸ δὲ θνητὸ]ν

μέρο[ς]

[θεῖον ἐν] τῷ αὐτῆς

ἐν [τ]ῷ

ἰλοιπῷ μυΪελῷ («ε poiché dell’anıma stessa dice che ci sono parti, assegna la parte razionale, divina, al cervello, mentre as-

segna la parte mortale di essa al resto del midollo»). Poiché d’altra parte, se l'integrazione di Diels ὁ v[@tiaîog

a τ. 25 è

corretta, l'Anonimo ha già operato anche altre modificazioni del passo del Timeo e l'impiego qui dell'opposizione fra Ao—

562—

PLATO

129T

ΤΙ.

γιστικόν ἄλογον è compatibile con la presenza della successiva divisione tripartita dell’anima, è possibile anche una ricostru-

zione più vicina a Diels come e.g. τὸ μὲν λογιστικὸν ἱμέρος

(vel αὐτῆς) ἐν] τῷ ἐγ[κε]φάλῳ ἀπολείπει, τὸ 8° ἄλογο]ν μέρος]

αὐτῆς ἐν [τ]ῷ [λοιπῷ μυελῷ.

Poiché le tracce prima della la-

cuna a r. 30 sono troppo confuse per interventi di cancella-

tura, non ἃ affatto necessario integrare con Diels ν[ωτιαίωι che

ribadirebbe la presenza di una specificazione estranea al testo del Timeo, che & già molto incerta nella ricostruzione di r. 25 (cfr. supra). XV 28

λογιστικόν: come in R. 439d5, al posto di λογικόν

che compare in XVI 34. XV 30-33 γῆν

διαττήσας

μυελῷ,

Cfr. Ti. 73e1-5 τὸ δὲ ὀστοῦν καθαρὰν

xai λείαν

καὶ μετὰ τοῦτο εἰς πῦρ

συνίστησιν ὧδε.

Epbpace

καὶ ἔδευσεν

αὐτὸ ἐντίθησιν, μετ᾽ ἐκεῖνο

δὲ εἰς ὕδωρ βάπτει, πάλιν δὲ εἰς πῦρ, αὐθίς τε εἰς ὕδωρ- μεταφέρων δ᾽ οὕτω πολλάκις εἰς ἑκάτερον ὑπ᾽ ἀμφοῖν ἄτηκτον ἀπηργάσατο. XV 32 Entrambe le ipotesi di Cornford, ἐναλ[λαγῇ è vyploo oppure ἐναλ[λὰξ δ᾽ ὑφ᾽ ὑγρ]οῦ, restituiscono un testo

plausibile dal punto di vista del contenuto, ma la costruzione della frase sembra

ancora insoddisfacente.

Il te dopo

πυρός

può sia riferirsi al termine precedente, secondo le ipotesi di Cornford («per scambio di acqua e fuoco» oppure «alternativamente dall’acqua e dal fuoco»), sia forse, con una migliore ricostruzione complessiva della frase, introdurre l’espressione al genitivo assoluto πυρός .[..]tmKotos.

XV 33 ἐμπήξει .[1/2]tnxotog: la struttura della frase risulta ancora incerta. Difficile interpretare ἐμπήξει: il significato corrente della parola è ‘infissione’, ‘impianto’, cfr. Sch. IL IV

214b; Eust. In Il. XI 572 (III 256, 4 van der Valk); Gal. De ossibus, II 738, 1 K. ἣ δὲ γόμφωσις συνάρθρωσίς ἐστι κατ᾽

ἔμπηξιν. E piü utile [Gal.] Ad Gaurum 10, 3 (K. KALBFLEISCH, Die neuplatonische, fälschlich dem Galen zugeschriebene

Schrift πρὸς Γαῦρον κτλ., APAW, philol.-hist. Kl. 1895, 46) n μέντοι διοίκησις κἀν τοῖς φυτοῖς κἀν τῇ μήτρᾳ παραπλησία QUτικῇ, εὐθὺς [A] ἔμπηξιν ἔξωθεν ὑμενώδη (τῆς ἐν)τῷ σπέρματι δυνάμεως περιβαλλούσης, ὥς φησιν Ἱπποκράτης (il riferimento

è a Nat. puer. 12, VII 488, 13 L.), che parla della analogia,

nella formazione di un involucro esterno più solido, del seme vegetale e dello sperma nella sua prima evoluzione: il conte—

563 —

PLATO

129T

Tl.

sto induce a interpretare l'espressione ἔμπηξιν ὑμενώδη come ‘processo di fissazione (solidificazione) membranosa'. E possibile che l'Anonimo si. figuri in modo analogo la manipolazione della terra e del midollo da parte di acqua e fuoco. Inoltre la parola seguente anche se incompleta non puö essere che il genitivo di un participio perfetto: sembra riferirsi al fuoco e ha un complemento oggetto in αὐτά. Le tracce fanno escludere t[e]inxörtog che comunque mal si adatta al contesto, poi-

ché qui il fuoco indurisce e non ‘fonde’ le sostanze e d’altra parte come si potrebbe legare ad ἐμπήξει} Altra possibilità paleograficamente compatibile è n[(poo)eo]tnxótoc (ma il significato non si adatta), ma l’ipotesi migliore èenlt (poc) )np]«nxócoc, nel senso di ‘ attaccare, connettere’.

Insomme

si dovrebbe in-

tendere τοῦ πυρός te αὐτὰ ἐμπήξει n[(poo)np]tnxótog «e per

l’azione del fuoco che li ha saldatı per fissazione (solidificazione?)». Per l’uso del verbo, c’è però un unico esempio in un analogo contesto fisiologico in Gal. De usu part., III 432, 15 K., καὶ μὲν δὴ καὶ τῆς πρὸς ἄλληλα κοινωνίας αὐτῶν εἰς ὅσον προὐνοήσατο (sc. N φύσις), τὰ μὲν ξυμφύουσα, τὰ δὲ m poσαρτῶσα,

τὰ δὲ περιβάλλουσα,

τὰ δὲ ἀμφιεννῦσα

καὶ πᾶν,

εἴ τι τοιοῦτον εἰς ἀσφάλειαν αὐτοῖς διέφερεν, ἐπιτεχνωμένῃη κτλ. XV 33-36 Cfr. Ti. 74c6-d2 ταῦτα ἡμῶν διανοηθεὶς ὁ xnροπλάστης, ὕδατι μὲν καὶ πυρὶ καὶ y fj συμμείξας καὶ συ-

ναρμόσας,

ἐξ ὀξέος

καὶ ἁλμυροῦ

ὑπομείξας αὐτοῖς, σάρκα XV

35

συνθεὶς

ζύμωμα

ἔγχυμον καὶ μαλακὴν συνέστησεν.

La soluzione di Kenyon

- Diels fr. 4 (τινός, κ(αὶ)

pei[v] ὑϊγρότητα κτλ.) non convince, la lettura più probabile

delle ultime lettere sul rigo sembra piuttosto καειῦ!: le tracce sono confuse, dunque forse c’è stato un intervento di correzione non chiaro. La correzione καθ᾽ ὑγρότητα permette di offrire una soluzione economica e di senso plausibile. XV 36-43 Cfr. Ti. 74b7-c6 τὴν δὲ σάρκα προβολὴν μὲν καυμάτων, πρόβλημα δὲ χειμώνων, [...]Bepunv δὲ νοτίδα ἐντὸς ἑαυτῆς ἔχουσαν θέρους μὲν ἀνιδίουσαν καὶ νοτιξζομένην ἔξωθεν ψῦχος κατὰ πᾶν τὸ σῶμα παρέξειν οἰκεῖον, διὰ χειμῶνος δὲ πάλιν ad τούτῳ τῷ πυρὶ τὸν προσφερόμενον ἔξωθεν καὶ πε-

ριιστάμενον πάγον ἀμυνεῖσθαι μετρίως. XV 36 παρεσπάρθαι: il verbo al perfetto è frequente in Galeno proprio per indicare la diffusione nel corpo di certi hquidi e umori (oppure, in opposizione ad Erasistrato, del vuoto

— 564—

PLATO

129T

TI.

impercettibile, τὸ κενὸν κατὰ βραχύ), cfr. p. es. I 644, 2; II 99, 12; 194,

12; 212, 17; VII 317, 13 K. ecc.

XV 38 La costruzione dı ποιέω al passivo con il genitivo semplice, nel senso di ‘essere fatto, costituito da’, è attestata

già in epoca classica, cfr. p. es. Th. IV 31, 2. XV

39

ἔγκαυσις: propriamente ‘colpo di calore, di sole’,

è termine tecnico patologico della medicina postellenistica, cfr.

Plu. Tuend. san. 127b10; Gal. I 302, 9 K.; VI 217, 10; 398, 6 ecc., che si sostituisce al platonico καῦμα, di significato più generale.

XV

43-XVI

2

La ricostruzione di Diels non dava senso

soddisfacente perché, collegando la menzione della lingua al rapporto carne-ossa, sulla base di Ti. 75a5-6, ricostruisce una frase in cui l'Anonimo parlerebbe di ‘ossa della lingua’, inesistenti nel testo di Platone come nella realtà. Il passo citato in

effetti riconosce terno del genere La nuova lettura gue da vicino il

solo lo stato eccezionale della lingua all’in‘carne’, perché creata per cogliere sensazioni. conferma che la parafrasi dell’Anonimo setesto di Ti. 74e1-75a3 ὅσα μὲν οὖν £ny v -

τῶν ὀστῶν ἦν, ὀλιγίσταις συνέφραττε σαρξίν, ἃ δ᾽ χότατα ἐντός, πλεΐσταις καὶ πυκνοτάταις, καὶ δὴ κατὰ ἀψυχότατα τὰς συμβολὰς τῶν ὀστῶν, ὅπῃ μήτινα ἀνάγκην ὁ λόγος ἀπέφαινεν δεῖν αὐτὰς εἶναι, βραχεῖαν σάρκα ἔφυσεν, [...] ταῦτα πάντα συμπεπλήρωται σαρξίν ὅσα δὲ ἔμφρονα, ἧττον -- εἰ μή πού τινα αὐτὴν καθ᾽ αὑτὴν αἰσθήσεως ἕνεκα σάρκα οὕτω συνέστησεν,

οἷον τὸ τῆς γλώττης εἶδος -- τὰ δὲ πλεῖστα ἐκείνως. XVI 2 Anche in questo caso, come a XXIII 38 (> 24 22T),

dove l'Anonimo introduce la citazione del De somno di Arıstotele, ἀμέλει è il segnale di una digressione: qui egli si sofferma brevemente a commentare la ‘logica’ della dottrina appena esposta richiamandosi ad un noto proverbio. La congettura per il verbo, cfr. Arist. ἀργεῖν di Diels sembra la più probabile: Pr. 903a21, De somno 455230, dei sensi che sono in riposo. XVI 3-4 Cfr. Paroem. Il 337; Gal. Thras. 37 (Scr. min.,

III 85, 8 Helmreich); Phlp. In de An. (CAG XV 51, 10). XVI 5 ἀποστήριγμα: è parola ippocratica, cfr. Hp. Off. 25 («sostegno») e il commento di Galeno ad loc. (XVIHB 918,

16-18 K.); con significato diverso Flat. 9 («malattie che si fissano»); Prorrb. Yl 34 («malattie che si fissano»). Il senso qui

siè vicino all'uso del trattato chirurgico e s1 collega anche al —

565—

PLATO

129T

ΤΙ.

gnificato del verbo corrispondente, al medio, «appoggiarsı fermamente», cfr. Arıst. Pr. 882b30 τοῖς μηροῖς ἀποστηριζόμενοι

πονοῦμεν αὐτούς, cfr. 933411. Con questa osservazione («le ossa servono come punto di appoggio») diventa evidente la struttura organizzativa della parafrasi dell’Anonimo, che distingue la descrizione materiale delle ossa, di cui aveva già parlato a XV 30-33, dalla spiegazione funzionale. Nella parte successiva si ritorna su altre parti del corpo già menzionate (carni) dal punto di vista funzionale e l’ordine di esposizione si fa un po’ più confuso. Con l’attribuire alle ossa la funzione di essere punto di appoggio del corpo l’Anonimo va inoltre al di là del testo di Platone, perché da Platone si ricava un ruolo di copertura e protezione del midollo (Ti. 73d7 στέγασμα) oppure di protezione dello sperma (7424 τὸ πᾶν δὴ σπέρμα διασῴζων), mentre alle articolazioni è assegnata la capacità di

far piegare e distendere le membra. La parafrasi dell’Anonimo cambia l'impostazione legando strettamente ossa (con funzione

di sostegno) e articolazioni (che permettono di muovere le ossa). Viene alla mente il passo aristotelico di PA in cui si parla delle ossa come sistema di cui fanno parte le articolazioni (e 1 tendini) PA II 9, 65432 sgg., e in particolare, 654b27 sgg. sul ruolo specifico delle ossa: Aristotele infatti paragona le ossa all'armatura solida di sostegno di una statua di argilla e parla esplicitamente di ‘supporto’ ὑπέρεισμα a proposito di animali di grandi dimensioni (655210). XVI 6-7 Cfr. Ti. 7424-7 καὶ τὸ πᾶν δὴ σπέρμα διασῴζων οὕτως λιθοειδεῖ περιβόλῳ συνέφραξεν, ἐμποιῶν ἄρθρα, τῇ θατέρου προσχρώμενος ἐν αὐτοῖς ὡς μέσῃ ἐνισταμένῃ δυνάμει, κινήσεως καὶ κάμψεως ἕνεκα. ΧΥῚ 7-9 νεῦρα [...] διὰ τὰς κατὰ προαίρεσιν κινήσεις: cfr. Ti. 74a7-b7 τὴν δ᾽ αὖ τῆς ὀστεΐνης φύσεως ἕξιν ἡγησάμενος

τοῦ δέοντος κραυροτέραν εἶναι καὶ ἀκαμπτοτέραν, διάπυρόν T αὐ γιγνομένην καὶ πάλιν

ψυχομένην

σφακελίσασαν

ταχὺ

διαφθερεῖν τὸ σπέρμα ἐντὸς αὑτῆς, διὰ ταῦτα οὕτω τὸ τῶν

νεύρων καὶ τὸ τῆς σαρκὸς γένος ἐμηχανᾶτο, ἵνα τῷ μὲν πάντα τὰ μέλη

συνδήσας

ἐπιτεινομένῳ. καὶ ἀνιεμένῳ περὶ τοὺς

στρόφιγγας καμπτόμενον τὸ σῶμα καὶ ἐκτεινόμενον παρέχοι; l'Anonimo presenta una parafrasi ambigua che rende i neuratendini di Platone più simili ai ‘nervi’ con funzione motoria, che sono patrimonio della medicina posterofilea (cfr. frr. 8085 in H. VON STADEN, Herophilus. The Art of Medicine in —

566—

PLATO

129T

TI.

Early Alexandria, Cambridge, Univ. Press 1989). Infatti l’uso

dell'espressione erofilea ἢ κατὰ προαίρεσιν κίνησις (cfr. von Staden, fr. 141) produce un’ambiguitä di significato. Essa si ritrova anche in Gal. In Pl. Ti. 13B, 17-18, p. 110 Larrain (cfr. in generale 109-115): ἐξ ὧν δῆλον ὑπὸ μόνων τῶν νεύρων αἰσθητικὰ γίνεσθαι καὶ κινητικὰ τὰ κατὰ προαίρεσιν τοῦ ζῴου κινούμενα μόρια. Galeno, nel commento al Timeo p. 15, 5-20

Schröder, parla esplicitamente dell’ignoranza di Platone della distinzione fra neura syndetika e proairetika e tendini. La parafrasi in Ti. Locr. De natura mundi 47 (218, 15-16), συνδέσμοις δὲ ποττὰν κίνασιν τοῖς νεύροις συνᾶψε τὰ ἄρθρα, non si com-

promette, cfr. Apul. De Platone I 16 (214). Una parafrasi non attualizzante si trova anche in Alcin. Did. 172, 34-36 περιέθηκαν δὲ μυελῷ μὲν τὸ ὀστοῦν, τοῖς δὲ ὀστοῖς πρὸς σύνδεσιν αὐτῶν νεῦρα: καὶ διὰ νεύρων μὲν κάμψεις ἐγένοντο καὶ ἄρθρων συνδέσεις. Sulla base di questi confronti, l'integrazione δεῖ]

nel senso di «lega, connette», l’unica possibile per lo spazio, anche se insoddisfacente (ci si aspetterebbe un infinito e συνδεῖν sarebbe più appropriato), sembra migliore di διά proposto da Kenyon in app., che creerebbe un doppione ambiguo con il διά successivo, di valore finale. Diels in app. vorrebbe un verbo del tipo di κλᾶν, κάμπτειν, ma le tracce non vi si adeguano. Cfr. Ti. 74b7-c2 τὴν δὲ copra προβολὴν XVI 9-11 μὲν xavudiov, πρόβλημα δὲ xe1uovav, ἔτι δὲ πτωμάτων οἷον τὰ πιλητὰ ἔσεσθαι κτήματα, σώμασιν μαλακῶς καὶ πράως

ὑπείκουσαν.

νεύρων φύσιν ἐξ XVI 11-13 Cfr. Ti. 7442-4 τὴν δὲ τῶν ὀστοῦ καὶ σαρκὸς ἀζύμου κράσεως μίαν ἐξ ἀμφοῖν μέσην δυνάμει συνεκεράσατο, ξανθῷ χρώματι προσχρώμενος.

La parafrasi è collocata qui al punto giusto secondo l’ordine del Timeo, ma l' Anonimo ha già parlato prima della funzione dei nervi (XVI 7-9). XVI 13-17 L’Anonimo si limita in questo caso a dare una descrizione

puramente

fisica del

sistema

circolatorio,

senza

menzionarne la funzione, che in Platone è in realtà piuttosto

confusa: l'insieme dei vasi, infatti, ha anche la funzione di di-

stribuire aria, cibo ecc. D'altra parte l'Anonimo sta per dedi-

care ampio spazio a questi temi nella sezione successiva, la co-

siddetta sezione fisiologica. Cfr. 77. 77c9-d3 καὶ πρῶτον μὲν ὀχετοὺς κρυφαίους ὑπὸ τὴν σύμφυσιν τοῦ δέρματος καὶ τῆς —

567—

PLATO

1291

TI.

σαρκὸς δύο φλέβας ἔτεμον νωτιαίας, δίδυμον ὡς TO σῶμα ἐτύγχανεν δεξιοῖς τε καὶ ἀριστεροῖς ove 77. 77d6-e6 μετὰ δὲ ταῦτα σχίσαντες περὶ τὴν κεφαλὴν τὰς φλέβας καὶ δι᾽ ἀλλήλων ἐναντίας πλέξαντες διεῖσαν,τὰς μὲν ἐκ τῶν δεξιῶν ἐπὶ τἀριστερὰ τοῦ σώματος, τὰς δ᾽ ἐκ τῶν ἀριστερῶν ἐπὶ τὰ δεξιὰ κλίναντες, ὅπως δεσμὸς ἅμα τῇ κεφαλῇ πρὸς τὸ σῶμα εἴη μετὰ τοῦ δέρματος, ἐπειδὴ νεύροις οὐκ ἦν κύκλῳ κατὰ κορυφὴν περιειλημμένη, καὶ δὴ καὶ

τὸ τῶν αἰσθήσεων πάθος ἵν᾽ ἀφ᾽ ἑκατέρων τῶν μερῶν εἰς ἅπαν τὸ σῶμα εἴη διάδηλον.

XVI 18-20 Platone parla di ἄνω e κάτω κοιλία a Ti. 7343 e 85e10, ma non c’è una ripartizione parallela, come quella presentata qui fra le due cavità. Per πρὸς ὑποδοχήν cfr. Ti. 7343 (infra) e Gal. De sanit. tuenda VI 173, 15 K. = CMG V.4, 2, p. 77, 2-3: (degli intestini) χῶραι δ᾽ eig ὑποδοχὴν ἕτοιμοι τοῖς ἐκθλιβομένοις περιττώμασιν. Galeno e l’Anonimo danno la

stessa interpretazione funzionale attualizzante, che si serve del concetto aristotelico di ‘residuo’. Cfr. per il linguaggio anche Arist. Pr. I 40, 863b33 ὑποδοχὴ γάρ ἐστιν f| κύστις τοῦ μὴ πετ-

τομένου ὑγροῦ ἐν τῇ κοιλίᾳ. XVI 21-24 Cfr. Τί, 72e3-73a8: τὴν ἐσομένην ἐν ἡμῖν ποτῶν καὶ ἐδεστῶν ἀκολασίαν ἤδεσαν οἱ συντιθέντες ἡμῶν τὸ γένος, καὶ ὅτι τοῦ μετρίου καὶ (ἀναγκαίου διὰ μα ργότητα πολλῷ χρησοίμεθα πλέονι. ἵν᾽ οὖν μὴ φθορὰ διὰ νόσους ὀξεῖα γίγνοιτο καὶ ἀτελὲς τὸ γένος εὐθὺς τὸ θνητὸν τελευτῷ, ταῦτα προορώμενοι τῇ τοῦ περιγενησομένου πώματος ἐδέσματός τε ἕξει τὴν ὀνομαζομένην κάτω κοιλίαν ὑποδοχὴν ἔθεσαν, εἵλιξ ἄν τε πέριξ τὴν τῶν ἐντέρων γένεoiv, ὅπωςμὴ

ταχὺ

διεκπερῶσα

ἑτέρας δεῖσθαι τὸ σῶμα διὰγαστριμαργίαν τὸ γένος, ἀνυπήκοον Apul. De Platone 115

ἢ τροφὴ ταχὺ πάλιν τροφῆς

ἀναγκάζοι, καὶ παρέχουσα ἀπληστίαν, ἀφιλόσοφον καὶ ἄμουσον πᾶν ἀποτελοῖ τοῦ θειοτάτου τῶν παρ᾽ ἡμῖν. Cfr. (213).

XVI 24-32 Il paragone dei fiumi potrebbe essere stato ispirato anche da Ti. 43a6-b2 αἱ δ᾽ εἰς ποταμὸν ἐνδεθεῖσαι πολὺν οὔτ᾽ ἐκράτουν οὔτ᾽ ἐκρατοῦντο, βίᾳ δὲ ἐφέροντο καὶ ἔφερον, ὥστε τὸ μὲν ὅλον κινεῖσθαι ζῷον, ἀτάκτως μὴν ὅπῃ τύχοι προϊέναι καὶ ἀλόγως, τὰς ἕξ ἁπάσας κινήσεις ἔχον; cfr. b5 πολλοῦ γὰρ ὄντος τοῦ κατακλύζοντος. καὶ ἀπορρέοντος κύματος ὃ τὴν τροφὴν παρεῖχεν. Ma è molto più interessante il confronto con Thphr. —

568—

PLATO

129T

ΤΙ.

CP 11 11, 7 ὡς δὲ Δημόκριτος αἰτιᾶται, τὰ εὐθέα τῶν σκολιῶν

βραχυβιώτερα καὶ πρωϊβλαστότερα διὰ τὰς αὐτὰς ἀνάγκας

εἰναι

= τοῖς μὲν

τροφῆν,

ag

γὰρ

ταχὺ

ἧς ἢ βλάστησις

διαπέμπεσθαι

καὶ οἱ καρποί, τοῖς

τὴν

δὲ

βραδέως, διὰ τὸ μὴ εὔρουν εἶναι τὸ ὑπὲρ γῆς, ἀλλ αὐτὰς τὰς ῥίζας ἀπολαύειν, καὶ γὰρ μακρόρριζα ταῦτα

εἶναι καὶ παχύρριζα -- δόξειεν ἂν οὐ καλῶς λέγειν. Cfr. anche

Arist. PA 675218 sgg. τὸ δὲ τῶν ἰχθύων γένος ἅπαν, διὰ τὸ ἐνδεεστέρως ἔχειν τὰ περὶ τὴν τῆς τροφῆς ἐργασίαν, ἀλλ᾽ ἄπεπτα διαχωρεῖν, λαίμαργον πρὸς τὴν τροφήν ἐστι. καὶ τῶν ἄλλων δὲ πάντων ὅσα εὐθυέντερα.- ταχείας γὰρ γινομένης τῆς διαχωρήσεως, καὶ διὰ ταῦτα βραχείας οὔσης τῆς ἀπολαύσεως, ταχεῖαν ἀναγκαῖον γίνεσθαι πάλιν καὶ τὴν ἐπιθυμίαν. Cfr. anche la menzione degli inte-

stini corti e diritti in Arist. GA 717a23 sgg. (dove c’è una probabile allusione proprio a questo passo del Timeo). Il paragone è stato visto come un intervento dell'Anonimo (Deichgräber 1933, 153) e assimilato al paragone inserito nella dossografia ippocratica (VI 18-29). In realtà è possibile che esso abbia la sua origine nel Timeo stesso, perché l'immagine dei fiumi ricorre appunto nei passi citati. Per stabilire la motivazione profonda del paragone è però più rivelatore il confronto con il passo di Teofrasto citato (CP II 11, 7), in cui è attribuita a

Democrito la spiegazione della minore longevità delle piante diritte rispetto a quelle contorte, proprio per il più veloce o più lento passaggio del nutrimento. L’argomentazione (di Teofrasto più probabilmente che di Democrito) rimanda alla forma

dell’albero come causa ‘necessaria’, cioè materiale; nel passo dell'Anonimo invece si dà una spiegazione funzionale, la forma specifica è creata al fine di regolare il passaggio del cibo, ma comunque rimane salva la fondamentale analogia del ragionamento. I passi di Aristotele confermano che il paragone con i fiumi deve essere nato in ambiente peripatetico, come modo di chiarire e arricchire di argomentazione il passo platonico e

sovrapporre ad esso una impostazione teleologica che fa scomparire del tutto le connotazioni metaforiche etiche del Timeo. Anche

Galeno,

in De usu part. IV 17 (I 240, 21 588. Helm-

reich), legge il passo alla luce di Aristotele. D’altra parte bisogna anche rilevare che il paragone risponde bene alle ten-

denze dimostrative e alle teorie dell’Anonimo stesso, il quale nella sezione filologica sviluppa una ‘fisiologia dei luoghi’ nel —

569 —

PLATO

129T

77.

descrivere il processo digestivo, che risulta complementare alla spiegazione della struttura dell’intestino data in quest’occasione. A XXIV 39-49 l'Anonimo afferma che l'assimilazione a ciò che è proprio (in cui consiste il processo di digestione) avviene perché ii cibo assimila le proprietà dei luoghi che attraversa esattamente come succede (un altro paragone simile) all'acqua che scorre in certi luoghi: cfr. A. DEBRU, Doctrine et tactiques doxographiques dans l'Anonyme de Bruxelles: une comparaison avec l’Anonyme de Londres, in corso di stampa in Ancient Histories of Medicine. Essays in Medical Doxography and Historiography in Classical Antiquity (ed. Ph. van der Eijk), Leiden, Brill. XVI 33 sgg. τριμερῆς: cfr. Arist. Top. 133a30-32, Aét. IV 4, 1 (Dox. Gr., 39023), Alcin. Did. 176, 35 (24, 1); la formulazione coincide con Ph. Leg. [ 70 νοητέον οὖν ὅτι ἐστὶν ἡμῶν

τριμερὴς N ψυχὴ καὶ ἔχει μέρος τὸ μὲν λογικόν, τὸ δὲ θυμικόν, τὸ δὲ ἐπιθυμητικόν. Dei tre termini solo ἐπιθυμητικόν è attestato nel Timeo (7047). L'Anonimo presenta la concezione del-

l’anima (XVI 33 sgg.), applicando al testo del Timeo la formulazione della Repubblica, con un procedimento già noto a Crisippo, che ha riscontro nella parafrasi di Alcinoo (cfr. Did. 176, 6 sgg.), in Galeno (In PL Ti. p. 11, 21 sgg. Schröder) e

in Filone (per Crisippo, cfr. Mansfeld, Doxography, cit., 3171). Runia, Philo of Alexandria, cit., pensa che la fonte comune sia l'epitome delle dottrine platoniche di Ario Didimo (cfr. 48 e n. 71, che rimanda a Dox. Gr., 447, Ario fonte di Alcinoo).

L’Anonimo usa qui un linguaggio più vicino alla formulazione della teoria nella Repubblica, mentre a XV 26-30, se si accetta la ricostruzione di Diels, aveva presentato la divisione delle parti dell'anima con una bipartizione sommaria fra razionale e irrazionale. XVI 38 Per l’uso del termine stoico τὸ ἥγεμονικόν in con-

testi non stoici: cfr. Anon. In PL Tht. XI 28 (CPF III 9, p. 290); Clem. Al. Strom. II 11, 51, 6; cfr. anche Alcin. Did. 173, 5-8 ἐργασάμενοι δὲ οἱ θεοὶ τὸν ᾿ἄνθρωπον

καὶ ἐνδήσαντες τῷ

σώματι αὐτοῦ τὴν ψυχὴν δεσπόσουσαν αὐτοῦ, ταύτης τὸ NYEμονικὸν κατὰ λόγον περὶ τὴν κεφαλὴν καθίδρυσαν; cfr. τ. 10 e 177, 34; 182.30; Procl. In T7., II 107, 14 Diehl; altri esempi: Cic. Nat. deor. II 11 (29) (e Pease ad loc.); Gal. In PI. Ti. 13A, p. 109 Larrain τὸ τῆς ψυχῆς ἡγημονικόν. Anche Ps.Gal. Def. —

570—

PLATO

129T

ΤΙ.

med., XIX 378, 6 K., ἡγεμονικὸν ψυχῆς ἐστι τὸ κατάρχον τῆς ὅλης τοῦ ζῴου διοικήσεως. Il termine τὸ Nyeuovixév è stato in

effetti ereditato dal medioplatonismo, cfr. J. WHITTAKER, Alcinoos. Enseignement des doctrines de Platon, Paris, BL 1990, 122

n. 329.

XVI 39-42 Cfr. Ti 70a2-8 τὸ μετέχον οὖν τῆς ψυχῆς ἀνδρείας καὶ θυμοῦ, φιλόνικον ὄν, κατ ῴκισαν ἐγγυτέρω τῆς κεφ «AR ς μεταξὺ τῶν φρενῶν τε καὶ αὐχένος, ἵνα τοῦ

λόγου

κατήκοον

ὃν κοινῇ ner’ ἐκείνου βίᾳ τὸ τῶν ἐπιθυμιῶν

κατέχοι γένος, ὁπότ᾽ ἐκ λόγῳ μηδαμῇ πείθεσθαι cfr. Ps.Gal. Def. med. ψυχῆς τὸ ὑποτεταγμένον

τῆς ἀκροπόλεως ἑκὸν ἐθέλοι. Per XIX 378, 9 K. καὶ ὑπηρετοῦν τῷ

δὲ ἐν τῷ ἄλλῳ λοιπῷ σώματι.

τῷ τ᾽ ἐπιτάγματι καὶ la forma del discorso ὑπηρετικὸν μέρος τῆς ἡγεμονικῷ, τεταγμένον

ΧΝῚ 42-44 Cfr. Ti. 70d7-e3 Τὸ δὲ δὴ σίτων τε καὶ ποτῶν ἐπιθυμητικὸν τῆς ψυχῆς καὶ ὅσων ἔνδειαν διὰ τὴν τοῦ σώματος ἴσχει φύσιν, τοῦτο εἰς τὸμεταξὺ τῶν τε φρενῶν

καὶ τοῦ πρὸς τὸν ὀμφαλὸν ὅρου κατῴκισαν, οἷον φάτνην ἐν ἅπαντι τούτῳ τῷ τόπῳ τῇ τοῦ σώματος τροφῇ τεκτηνάμενοι. XVI 42 Per ὑπήκοος cfr. κατήκοος in 77. 7045 e ἀνυπήκοος in Ti. 7347 supra. XVI 44-XVII 1 Cfr. Ti. 7143 sgg. εἰδότες δὲ αὐτὸ ὡς λόγου μὲν οὔτε συνήσειν ἔμελλεν, εἴ τέ πῃ καὶ μεταλαμβάνοι τινὸς αὐτῶν αἰσθήσεως, οὐκ ἔμφυτον αὐτῷ τὸ μέλειν τινῶν ἔσοιτο λόγων, ὑπὸ δὲ εἰδώλων καὶ φαντασμάτων νυκτός τε καὶ μεθ᾽ ἡμέραν μάλιστα ψυχαγωγήσοιτο, τούτῳ δὴ θεὸς ἐπιβουλεύσας

αὐτῷ τὴν ἥπατος ἰδέαν συνέστησε καὶ ἔθηκεν εἰς τὴν ἐκείνου κατοίκησιν, κτλ.

XVII 2 sgg. Cfr. Ti. 70c1-d6 τῇ δὲ δὴ πηδήσει τῆς καρδίας ἐν τῇ τῶν δεινῶν προσδοκίᾳ καὶ τῇ τοῦ θυμοῦ ἐγέρσει,

προγιγνώσκοντες ὅτι διὰ πυρὸς ἢ τοιαύτη πᾶσα ἔμελλεν οἴδησις γίγνεσθαι τῶν θυμουμένων, ἐπικουρίαν αὐτῇ μηχανώμενοι τὴν τοῦ πλεύμονος ἰδέαν ἐνεφύτευσαν, πρῶτον μὲν μα-

λα xv

καὶ ἄναιμον, εἶτα σήραγγας ἐντὸς ἔχουσαν οἷον σπόγγου

κατατετρημένας, ἵνα τό τε πνεῦμα καὶ τὸ πῶμα δεχομένη, ψύχουσα, ἀναπνοὴν καὶ ῥᾳστώνην £v τῷ καύματι παρέχοι" διὸ δὴ τῆς ἀρτηρίας ὀχετοὺς ἐπὶ τὸν πλεύμονα ἔτεμον. καὶ περὶ τὴν

καρδίαν αὐτὸν περιέστησαν οἷον μὰ λαγμα, wo θυμὸς ἥνικα

ἐν αὐτῇ ἀκμάζοι, πηδῶσα —

εἰς

571—

ὑπεῖκον

καὶ

ἄνα-

PLATO

129T

T1.

ψυχομένη, πονοῦσα ἧττον, μᾶλλον τῷ λόγῳ μετὰ θυμοῦ δύναιτο ὑπηρετεῖν. XVII 4 πυκινοκ[ίνητος, ricostruzione di Diels, & del tutto

plausibile. Da notare però che il termine è attestato solo in Ippocrate, Art. 14 (IV 124, 15 L.) (la clavicola) ἠνάγκασται γὰρ πυκινοκίνητος εἶναι διὰ τὴν τῆς ἀκρωμίης σύζευξιν e nel com-

mento di Galeno al passo (XVIIIA 414-416 K.). Ma l'Anonimo ha già usato un linguaggio ippocratico a XVI 5. XVII 5-10 Cfr. Ti. 72b6- d3 ^ μὲν οὖν φύσις ἥπατος διὰ ταῦτα τοιαύτη τε καὶ ἐν τόπῳᾧ λέγομεν πέφυκε, χάριν μαντικῆς"

καὶ ἔτι μὲν δὴ ζῶντος ἑκάστου

τὸ τοιοῦτον

σημεῖα

ἐναργέστερα ἔχει, στερηθὲν δὲ τοῦ ζῆν γέγονε τυφλὸν καὶ τὰ μαντεῖα ἀμυδρότερα Èἔσχεν τοῦ τι σαφὲς σημαίνειν. ἣ δ᾽ αὖ τοῦ γείτονος αὐτῷ σύστασις καὶ ἕδρα σπλάγχνου γέγονεν ἐξ ἀρι-

στερᾶς χάριν ἐκείνου, τοῦ παρέχειν αὐτὸ λαμπρὸν ἀεὶ καὶ καθαρόν, οἷον κατόπτρῳ παρεσκευασμένον καὶ ἕτοιμον ἀεὶ παρακεΐμενον ἐκμαγεῖον. διὸ δὴ καὶ ὅταν τινὲς ἀκαθαρσίαι γίγνωνται δτὰ νόσους σώματος περὶ τὸ ἧπαρ, πάντα n σπληνὸς καθαίρουσα αὐτὰ δέχεται μανότης,

ἅτε κοίλου καὶ ἀναίμου ὑφανθέντος: ὅθεν πληρούμενος τῶν ἀποκαθαιρομένων

μέγας καὶ ὕπουλος αὐξάνεται,

ὅταν καθαρθῇ τὸ σῶμα, ταπεινούμενος

εἰς

καὶ πάλιν,

ταὐτὸν

συνίζει. XVII 6

ἐκμαγεῖον: ancora una ripresa letterale; la parola

ricorre anche con diverso valore («impronta») in Ti. 50c. In questo senso il termine è frequentemente ripreso in Alcin. Did. 155, 13; 162, 30, 38; 167, 4.

. XVII 11-23 Cfr. Ti. 82a1-b8 τεττάρων γὰρ ὄντων γενῶν ἐξ ὧν συμπέπηγεν TO σῶμα, γῆς πυρὸς ὕδατός TE καὶ ἀέρος, τούτων 1| παρὰ φύσιν πλεονεξία καὶ ἔνδεια καὶ τῆς χώρας: μετάστασις ἐξ οἰκείας ἐπ ᾿ἀλλοτρίαν γιγνομένη, πυρός τε αὖ καὶ τῶν ἑτέρων ἐπειδὴ γένη πλείονα ἑνὸς ὄντα τυγχάνει, τὸ μὴ προσῆκον ἕκαστον ἑαυτῷ προσλαμβάνειν, καὶ πάνθ᾽ ὅσα τοιαῦτα, στάσεις καὶ νόσους παρέχει: παρὰ φύσιν γὰρ ἑκάστου γιγνομένου καὶ μεθισταμένου θερμαίνεται μὲν ὅσα ἂν πρότερον ψύχηται, ξηρὰ δὲ ὄντα εἰς ὕστερον γίγνεται νοτερά, καὶ κοῦφα δὴ καὶ βαρέα, καὶ πάσας πάντῃ μεταβολὰς δέχεται. μόνως γὰρ δή, φαμέν, ταὐτὸν ταὐτῷ κατὰ ταὐτὸν καὶ ὡσαύτως καὶ ἀνὰ λόγον προσγιγνόμενον καὶ ἀπογιγνόμενον ἐάσει ταὐτὸν ὃν αὑτῷ σῶν καὶ ὑγιὲς μένειν - ὃ δ᾽ ἂν πλημμελήσῃ —

572 ---

PLATO

129T

ΤΙ.

τι τοῦτῶν ἕκτος ἀπιὸν ἢ προσιόν, ἀλλοιότητας παμποικίλας καὶ νοσοῦς φθοράς τε ἀπείρους παρέξεται. Il testo dell’ Anonimo

è fortemente riduttivo. C’è da notare che anche la parafrasi di

Timeo Locro offre semplificazioni e modernizzazioni, cfr. De natura mundi, 67-70 (221, 11-222, 3) λυομένων δὲ τῶν ἁρμῶν

τᾶς σύυστάσιος, αἴ κα μηκέτι δίοδος 7] πνεύματι ἢ τροφὰ διαδιδῶται, θνάσκει τὸ ζῷον. Πολλαὶ δὲ κᾶρες ζωᾶς καὶ θανάτου

αἰτίαι. ἕν δ᾽ ὧν γένος νόσος ὀνυμαίνεται. νόσων δ’ ἀρχαὶ μὲν αἱ τᾶν πρατᾶν δυναμίων ἀσυμμετρίαι, εἴκα πλεονάξζοιεν ἢ ἐλλείποιεν ταὶ ἁπλαῖ δυνάμιες,θερμότας ἢ ψυχρότας ἢ ὑγρότας ἢ ξηρότας. μετὰ δὲ ταύτας αἱ τῶ αἵματος τροπαὶ καὶ ἀλλοιώσιες ἐκ διαφθορᾶς καὶ αἱ τᾶς σαρκὸς τακομένας κακώσιες, αἱ καττὰς μεταβολὰς ἐπὶ τὸ ὀξὺ καὶ ἢ ἁλμυρὸν ἢ δριμὺ τροπαὶ αἵματος ἢ σαρκὸς τακεδόνες γένοιντο. χολᾶς γὰρ αἱ γενέσιες καὶ φλέγματος ἐνθένδε χυμοί τε νοσῴδεες καὶ ὑγρῶν

σάψιες, ἀμαυραὶ μὲν αἱ μὴ ἐν βάθει, χαλεπαὶ δ’ ὧν ἀρχαὶ

γεννῶνται ἐξ ὀστέων, ἀνιαραὶ δὲ ἐκ μυελοῦ ἐξαπτόμεναι. τελευταία δὲ νόσων αἰτία ἐντὶ πνεῦμα, χολά, φλέγμα αὐξόμενα καὶ ῥέοντα ἐς χώρας ἀλλοτρίας ἢ τόπως ἐπικαιρίως. τόκα γὰρ ἀντικαταλαμβάνοντα τὰν τῶν καρρόνων χώραν καὶ ἀπελάσαντα τὰ ouyyevéa ἱδρύεται κακοῦντα τὰ σώματα καὶ ἐς αὕταυτα ἀναλύοντα: Timeo Locro sostituisce

alla prima serie di cause una teorıa delle quattro qualitä elementarı

comune

nella medicina

ellenistica, che ἃ affıne alla

doxa su Filistione (cfr. Timaios Lokros, Uber die Natur des Kosmos

und der Seele, komm.

von M. BALTES,

Leiden, Brill

1972, 192), e semplifica fortemente la seconda serie di cause. Anche nell’Anonimo l’insieme complesso di meccanismi patologici esposti da Platone per il primo gruppo di cause è fortemente

e selezionato secondo

schematizzato

le categorie

di quantità, qualità, luogo. Naturalmente ciò ha comportato

semplificazioni e omissioni, ma ciononostante l'Anonimo è più

fedele al testo platonico di Timeo Locro. La compresenza di forte selettività

e di precise riprese è un elemento

ricorrente

nella doxa platonica dell'Anonimo e ha un precedente in Teofrasto, nella trattazione della teoria platonica delle sensazioni

derivata

dal Timeo

Theophrastus

in De sensibus: cfr. H. BALTUSSEN,

on Theories of Perception. Argument and Pur-

pose in the «De sensibus», Utrecht, Dept. of Philosophy 1993, («Quaestiones infinitac», VI), 97-131. —

573—

PLATO

XVII 20

129T

TI.

La costruzione di Diels πάλι ἐμποιεῖτ[αι ἑτέροι]ς

non è accettabile: non si capisce il senso del medio (mai usato in questo significato) e del dativo: cfr. invece VI 36, XVIII 4 e altri esempi in cui πάλι è seguito da espressioni che significano ‘produrre, causare malattie’: dunque πάλι ἐμποιεῖ τ[ὰς vocov]g. Per l’uso di πάλιν nel significato postclassico accumulativo di ‘ancora, di nuovo": cfr. p. es. W.F. ARNDT - F.W. GINGRICH, A Greek-English Lexicon of the New Testament, Chicago-Cambridge, Univ. Press, 1957, s.v. b2). | XVII 25-44 Cfr. Ti. 82b9-d1 δευτέρων δὴ συστάσεων αὖ κατὰ φύσιν συνεστηκυιῶν, δευτέρα κατανόησις voσημάτων τῷ βουλομένῳ γίγνεται συννοῆσαι. μυελοῦ γὰρ ἐξ ἐκείνων ὀστοῦ τε καὶ σαρκὸς καὶ νεύρου συμπαγέντος, ἔτι τε αἵματος

ἄλλον μὲν τρόπον, ἐκ δὲ τῶν αὐτῶν γεγονότος, τῶν

μὲν ἄλλων τὰ πλεῖστα 1ἧπερ. τὰ πρόσθεν, τὰ δὲ "μέγιστα τῶν νοσημάτων τῇδε χαλεπὰ συμπέπτωκεν- ὅταν ἀνάπαλιν

m γένε-

σις τούτων πορεύηται, τότε ταῦτα διαφθείρεται.

κατὰ φύσιν

γὰρ σάρκες

γίγνεται,

νεῦρον τοῦ

μὲν

καὶ

μὲν ἐξ ἱνῶν 1

παγέντος



νεῦρα

ἐξ

αἵματος

διὰ τὴν συγγένειαν, σάρκες πήγνυται

χωριζόμενον

δὲ ἀπὸ ivov.

È

notevole che l'Anonimo scelga di spiegare con un esempio (οἷον) questa classe di cause e che ometta tutta la seconda parte del discorso, in cui Platone spiega i fenomeni patologici in dettaglio (corruzione della carne, decomposizione ecc.). L’Anonimo rovescia inoltre il discorso di Platone sul ruolo delle fibrine, che, afferma, una volta tolte, impediscono il condensarsi

del sangue, mentre in Platone si dice il contrario. Le fibrine infatti, anche nella sezione sulla terza serie di cause a 77. 85c-

e, sono dette garantire l’equilibrio ‘fluido’ del sangue (impediscono che sia troppo liquido o che si rapprenda). È possibile che il testo di Platone fosse interpretato

in modi

diversi,

poiché la frase di 85d1-5 (καιρὸν δὴ τούτων IVEG τῇ τῆς φύσεως

γενέσει φυλάττουσιν᾽ ἃς ὅταν τις καὶ τεθνεῶτος. αἵματος ἐν ψύξει τε ὄντος πρὸς ἀλλήλας συναγάγῃ, διαχεῖται πᾶν τὸ λοιπὸν

αἷμα, ἐαθεῖσαι δὲ ταχὺ μετὰ τοῦ περιεστῶτος αὐτὸ ψύχους συμπηγνύασιν), a giudizio di Taylor 1929, ad loc., 605, va intesa nel senso che il sangue senza fibrine non si rapprende e dunque contraddirebbe l’altro passo (ma F.M. CORNFORD, Plato’s Cosmology, London, Kegan Paul 1937, 342-343, e R.D.

ARCHER-HIND, The Timaeus of Plato, London, MacMillan 1888, 320, non notano niente). D’altra parte, anche la compo-

— 574—

PLATO

129T

ΤΙ.

sizione di carne e tendini esposta a 82c8 sgg. è diversa da quella esposta in 74c-d e dunque il testo platonico in questo punto appare problematico. È chiaro comunque che nel parafrasare

l'Anonimo segue l'opinione di Aristotele PA 650b14 τὰς δὲ καλουμένας ivaτὸ μὲν ἔχει αἷμα τὸ δ᾽ οὐκ ἔχει, οἷον τὸ τῶν ἐλάφων καὶ προκῶν. διόπερ οὐ πήγνυται τὸ τοιοῦτον αἷμα- τοῦ

γὰρ αἵματος τὸ μὲν ὑδατῶδες μᾶλλόν ἐστι, διὸ καὶ οὐ πῆγνυταῖ, τὸ δὲ γεῶδες πήγνυται συνεξατμίζοντος τοῦ ὑγροῦ: αἱ δ᾽ ἶνες γῆς εἰσιν (cfr. poco dopo 651a5 e HA 515532 e

520625), secondo cui le fibrine del sangue sono responsabili della coagulazione e solo in loro mancanza il sangue diventa ἄπηκτος. La parafrasi corregge dunque tacitamente il testo platonico sulla base delle convinzioni aristoteliche. XVII 26 Diels dice in apparato di aver ricostruito la parte finale del rigo servendosi di un frammento vagante: tale frammentino è oggi accostato ai rr. 5-6 della col. XVII, ma non può assolutamente essere integrato nella parte finale del r. 26 (è troppo corto). Dunque l’integrazione della lacuna prima di Jovt® finale è libera e più probabilmente è τρ[όπῳ τοι]ούτῳ. XVII 31

ἄπηϊκτος di Diels, «incapace di solidificarsi» sem-

bra l’unica integrazione possibile.

È parola aristotelica, cfr.

Arist. Mete. 385220, 385b1, HA 520a8 (differenza fra στέαρ e πιμελή), GA 735b30, 736223; in Ar. Byz., Epit. 2 (483, 1 Lam-

bros: richiama il passo sul sangue dei cervi che non si solıdifica perché non ha fibrine); attestato poi nei commentatori arıstotelici o in testi derivati da Arist. Mete. come Melezio; «non

solido» in Sor. I 47. XVII

32

τὸ αἷμα πλὴν ex[]: la lettura è del tutto proba-

bile: ma come completare? Se πλήν si connette a quanto pre-

cede, forse l'Anonimo, poiché ha appena forzato ıl testo pla-

tonico, vuole esprimere un’eccezione? In tal caso bisogna pensare ad un verbo o ad un sostantivo che diano la condizione particolare in cui il sangue senza fibrine si coagula. Riferendosi a Ti. 85d-e, si può pensare a ἐκ[ψυχθέν] (cfr. Plu. Quaest. conv. VI 8, 6954, ὅτι δὲ τὸ ἐκψύχεσθαι οὐ πηγνυσῖν μόνον ἀλλὰ καὶ τήκει τὰ σώματα δῆλόν ἐστι) oppure a Ev [τεθνεῶτι].

Oppure,

come pare più probabile, la particella in-

troduce una nuova frase e allora si deve mettere pausa dopo

αἷμα e integrare p. es. πλὴν &x[eivo pnt(éov)] «ma in definitiva bisogna dire che», collegandosi a ciò che segue. —

575 —

PLATO

XVII

35-40

129T

Cfr. Ti. 82d1-e3

TI.

τὸ δὲ ἀπὸ τῶν νεύρων

koi

σαρκῶν ἀπιὸν αὖ γλίσχρον καὶ λιπα ρὸν ἅμα μὲν τὴν σάρκα κολλᾷ πρὸς τὴν τῶν ὀστῶν φύσιν αὐτό τε τὸ περὶ τὸν μυελὸν

ὀστοῦν τρέφον αὔξει, τὸ δ᾽ αὐ διὰ τὴν πυκνότητα τῶν ὀστῶν διηθούμενον καθαρώτατον γένος τῶν τριγώνων λειότατόν τε καὶ λιπαρώτατον, λειβόμενον ἀπὸ τῶν ὀστῶν καὶ στάζον, ἄρδει τὸν μυελόν. καὶ κατὰ ταῦτα μὲν γιγνομένων εκάστῶν ὑγίεια συμβαίνει τὰ πολλά- νόσοι δέ, ὅταν ἐναντίως. La

parafrasi mostra ancora una forte manipolazione del testo platonico: infatti nel Timeo la sostanza vischiosa e grassa che si forma da carni e nervi in una prima fase ha una funzione coesiva della carne e delle ossa stesse e una funzione nutritiva dell'osso che protegge il midollo, e solo in seconda istanza la parte più fine dei triangoli nutre direttamente il midollo. Qui invece in primo luogo la sostanza è identificata precisamente con il tipo di grasso definito πιμελή: esso è distinto da στέαρ

in quanto χυτὸν καὶ ἄπηκτον in Arıst. HA 52028, cfr. PA 651220. L'Anonimo parla solo genericamente di funzione coesivaVE e assegna alMOULE grasso una funzione delledo ossa (κολλᾷ ML , nutritiva ; πρὸς τὴν τῶν ὀστῶν φύσιν = συνέχεταί φησιν, καὶ τρέφεται τὰ σώματα ταῦΪτα]). Inoltre ‘regolarizza’ il processo attraverso cui questo avviene, correggendo ancora tacitamente Platone.

Infatti il grasso banalmente si fonde e passa attraverso le porosità delle ossa, con un meccanismo che è più volte presupposto anche nella parte fisiologica dell' Anonimo. Perciò a διὰ τὴν πυκνότητα τῶν ὀστῶν διηδούμενον dı Platone sostituisce διὰ τῶν ἀραιωτήτων τῶν ὀστέων ἐπιχορηγου μένης in modo cor-

rispondente alla propria fisiologia. Tutto ciò che segue nel passo platonico a proposito di umori morbosi che si formano da corruzione delle carni è tagliato via, probabilmente perché la menzione di ‘tipi di bile’, ‘flegma’ ecc. che vi compare sembra all'Anonimo o alla sua fonte più appropriata alla terza serie di cause (cfr. infra), che sono classificate sotto la categoria generale di περιττώματα. XVII 44 sgg.

Cfr. Ti. 84c9 τρίτον δ᾽ αὖ νοσημάτων εἶδος

τριχῇ δεῖ διανοεῖσθαι γιγνόμενον, τὸ μὲν VITO πνεύματος, τὸ δὲ φλέγματος, τὸ δὲ χολῆς. La terza serie di cause è presentata

con alcune significative modifiche (cfr. già Deichgräber 1933, Pohlenz 1938). Il primo livello di deformazione della parafrasi è naturalmente nell’applicazione della categoria generale di perittoma, che èè estranea a Platone, ma che è una caratteristica —

576—

PLATO

129T

Τί.

fondamentale della fonte aristotelica dell'Anonimo (Manetti, ‘Aristotle’ and the Role). L'applicazione estensiva del concetto

di perittoma appartiene del resto a tutta la tradizione dossografica, cfr. p. es. Aét. V 3, 2 (Dox. Gr., 41727), a proposito di Pitagora; Aét. V 26, 4 (Dox. Gr., 43938), su Empedocle. Un'ulteriore deformazione ὃ la resa di πνεῦμα con φῦσαι (XVII

46). Infatti nel passo platonico si parla di aria distribuita al-

l’interno del corpo dal polmone, le cui vie si ostruiscono (84d2

sgg.) e allora l’aria trova vie non naturali all’interno del corpo.

il grado di deformazione trova un parallelo, più volte notato,

nella doxa ippocratica, nella parafrasi del trattato Περὶ φυσῶν a V 35 sgg. (Pohlenz 1938, 66): sia il linguaggio (φῦσαι) sia il modo di deformazione (in Platone e nel testo ippocratico si parla solo di aria ingerita insieme al cibo, che rimane bloccata nel corpo, mentre la dossografia la trasforma in perittoma gassoso del cibo stesso) sono gli Stessi. XVII 46 n[a]p o [à τὰς] φύσας [τὰς ἐκ τ(ῶν) πε][ριττωμ[άτ(ων):

se si accetta l'integrazione di Diels, bisogna ammettere che la fonte aristotelica ha deformato il resoconto platonico sostituendo il concetto di gas residuo di digestione ai disturbi della respirazione del passo platonico, cfr. Ti. 84d2-e2 ὅταν μὲν γὰρ ὃ τῶν πνευμάτων τῷ σώματι ταμίας πλεύμων μὴ καθαρὰς παρέχῃ

τὰς διεξόδους ὑπὸ ῥευμάτων ppaxdeic, ἔνθα μὲν οὐκ ἰόν, ἔνθα δὲ πλεῖον ἢ τὸ προσῆκον πνεῦμα εἰσιὸν τὰ μὲν οὐ τυγχάνοντα ἀναψυχῆς σήπει, τὰ δὲ τῶν φλεβῶν διαβιαζόμενον καὶ συνε-

πιστρέφον αὐτὰ τῆκόν τε τὸ σῶμα εἰς τὸ μέσον αὐτοῦ διάφραγμά t' ἴσχον ἐναπολαμβάνεται, καὶ μυρία δὴ νοσήματα ἐκ τούτων

ἀλγεινὰ μετὰ πλήθους ἱδρῶτος πολλάκις ἀπείργασται. Ma forse 11 dossografo & stato influenzato dal passo seguente 84e2-7,

dove sı parla dı pneuma formatosi in seguito a decomposi-

zione della carne: πολλάκις δ᾽ ἐν τῷ σώματι διακριθείσης σαρκὸς

πνεῦμα ἐγγενόμενον καὶ ἀδυνατοῦν ἔξω πορευθῆναι τὰς αὐτὰς τοῖς ἐπεισεληλυθόσιν ὠδῖνας παρέσχεν, μεγίστας δέ, ὅταν περὶ

τὰ νεῦρα καὶ τὰ ταύτῃ φλέβια περιστὰν καὶ ἀνοιδῆσαν τούς τε ἐπιτόνους καὶ τὰ συνεχῆ νεῦρα οὕτως εἰς τὸ ἐξόπισθεν κατατείνῃ τούτοις (cfr. già Edelstein 1940, 224). D’altra parte è

forse da preferire la soluzione suggerita da Edelstein 1940, 225 n. 12: τὰς] φύσας [τὰς μετὰ πε]ριττωμ[άτ(ων), che fornisce un

testo meno compromettente, più vicino al Timeo. XVIII 1 sgg. L’ultima parte è estremamente sintetica, come —

577 —

PLATO

129T

ΤΙ. - 130T

se i concetti fossero troppo noti per esporli. L'idea che 1’ Anonimo (e la fonte aristotelica prima di lui) ha di bile e flegma è certamente diversa da quella di Platone, ma egli dà per scontata l'interpretazione dei concetti platonici secondo 1 propri criteri e sorvola sui dettagli, limitandosi ad osservare in modo

generico n che non contraddice il passo platonico ma ne va al di là) che 1 fattori possono essere patologici sia singolarmente sia in varia combinazione. Le malattie citate da Platone

(febbri, pleuresie, tetani, epilessia, dissenterie, infiammazioni) sono tutte molto conosciute. nell'ambiente medico e avevano senz’altro un’eziologia umorale ormai standardizzata, troppo nota per essere utile qui (vedi Hp. Int., Aff., Morb. 1). Per una lettura ‘ippocratica’ di questa sezione del Timeo vedi anche Gal. Placit. VIII 2-5 (CMG V.4, 1, 2 p. 492, 30-508, 34). DM

130T

PBerol inv. 9782, coll. VII 14-25; VIII 23-27; XLV 34-39; LIX 2-25 [III 9] Commentario anonimo al Teeteto.

Sec. ΠΡ

Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51:7; 27; 30; 39; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 278-281; 282283; 386-387; 412-413; 424-427.

Tavv.: BKT IL, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393) 562: 494-495; 496-497;

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

534-535;

539-540;

544.

Col. VII 14-25

ὅθεν οὐκ ἀ "πὸ τῆς οἰκειώσεως | εἰσάγει ὁ Πλάτων τὴν δικαιοσύνην, ἀλλὰ ἀπὸ τῆς πρ[ὸ Ἰς τὸν θεϊὸν ὁμοιώϊσεωϊς ὡς Sei}? ‘Eopev. τὴ[ν dé] οἰκείωσιν ταύτην] πολυϊθρύλητον οὐ uó[vo]v [ὁ Σωκράτης εἰσ[άγ]ει | ἀλλὰ καὶ οἱ παρὰ τῷ [^ Πλάτωνι σοφιστίαί.] - 578—

PLATO

130T

Ecco perché. Platone non introduce la giustizia derivandola dall’ ‘appropriazione’, ma dall’assimilazione a dio, come mostreremo. Quanto a questa ‘appropriazione’ di cui tanto si parla, non è solo Socrate che la introduce, ma anche i Sofisti in Platone.

Col. VIII 23-27 ἐν [to]îc | ἐρωτικοῖς λέγεται |? ὅτι τοῦ σπουδαίου ἐϊστὶν τὸ

ylvlavan τὸν | ἀξιέρίασ]τον. Nelle opere sull’amore sı dice che & proprio dell’uomo virtuoso riconoscere la persona degna d’amore. Col. XLV

34-39

Eppeltooav οὖν [? οἱ ὑπὸ ἀγνοίας παλαι[[ἂς ἀ]γωγῆς ἀπειροκα [λίαν] fἢ φιλοτιμίαν [ἢ ἄ]λλο τι τοιοῦτο προσ|[ἀπ]τοντίε Ἰς τῷ ITA dl‘ ἽἼτωϊνι. Vadano dunque ın malora tutte le persone che, per ignoranza della procedura antica di insegnamento, attribuiscono a Platone mancanza di cultura, avidità di fama o altre accuse del genere.

Coll. LIV 38-LV 13: cfr. supra, 7 1T. Col. LIX 2-25 πῶς δὲ | λέγει ὅτι οὔτε ψεῦδος Ι ἂν συγχωρήσειεν] l' καὶ [οὐκ) ἀληθὲϊς ] οὐκ &[v] | ἀφανίσειεν, χρώμεϊνος τούτοις Ev talîc] ζηϊτήσεσιν; ἔτι δὲ κ[αἱ] &[v] | τῇ Πολιτείᾳ ἐδό[θ]η |? ὅτι τῷ ψεύδει χρῶνται οἱ ἄρχοντες ἐν φαρίμάκου εἴδει. λέγω τοίνυν ὅτι [£]v ταῖς ζητήϊσεσι πυνθάνεται καὶ |Poox ἀποφαίνεται, &[o]|te οὔτε ψεῦδος οὔΪτ᾽ ἀληθὲς τίθησι: τοῖς μέντοι ἐμπείροις [τῆς] | μεθόδου λεληθότως] E δεικνύει τὸ ἑαυτῷ [ἀ]ρέσκον. τὸ [δ]ὲ ψεύδ[ε]!σθαι ἁπλῶς μὲν ἀ[πο]!δοκιμάζει, oftJeftaı δὲ] | ὅτι ἐστίν ποῖτε ἀναγ) καῖον. διὰ τ[οῦτ᾽ οὐκ eillmev ἀληθὲς —

579—

PLATO

130-131T

x[pöyaı] | ἢ παρελθεῖν, [ὅτι τὸ] | τοιοῦτόν ἐστίί ποτε] | χρήσιμον, [A] ἀφανίσαι, διὰ τούτου δηϊλῶν τὴν od κατὰ και!ρὸν οὐδὲ ἐν δέοντι | τοῦ ἀληθοῦς ἀπώλειαν. Come può dire che né potrebbe concedere il falso né potrebbe far sparire il vero, posto che si serve di questi metodi nelle sue ricerche? Inoltre, anche nella Repubblica fu concesso che ı governanti si servono del falso come di un farmaco. Affermo, perciò, che nelle ricerche pone domande e non fa asserzioni, così che non pone né il falso né il vero; ma, a coloro che hanno familiarità con il suo

me-

todo, in modo non evidente mostra la propria dottrina. Dire il falso è cosa che respinge in senso assoluto, ma pensa che talora sia necessario. Onde non ha parlato di ‘celare’ o ‘evadere’ il vero, per ché

una cosa di questo genere è talora utile, ma di ‘farlo sparire’, indicando con questo termine la distruzione del vero inopportuna e indebita. DNS

131T

PTura III 22, 20-22

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm. in Eccl. Y, 12 Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf E] Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255. Edd.: G. BINDER - L. LIESENBORGHS, PTA DER, PTA 26 (1983), 86. Comm.: ALAND AT 92a; VAN

KV 13

HAELST

25 (1979), 98; G. BIN-

645; ALAND

- ROSENBAUM

K. Treu, APF 27 (1980), 255; B. KRAMER, Didymus,

in Theologische Realenzyklopädie VIII (1981), 741-746.

? αὕτη γοῦν [i] Πλατωνική ἐστιν δόξα ὅτι ὁ σοφ[ὸς Questa & appunto l’opinione platonica, che il sapıente [...] ^

E possibile che Didimo, nella sua discussione del versetto —

580—

PLATO 131-1327

1, 12 dell’Ecclesiaste (ἐγὼ Ἐκκλησιαστὴς ἐγενόμην βασιλεὺς

ἐπὶ

Ισραηλ ἐν

tera di Platone

Ἰερουσαλήμ), faccia riferimento alla VII Let(326ab:

κακῶν

οὖν οὐ λήξειν τὰ ἀνθρώπινα

γένη, πρὶν ἂν ἢ τὸ τῶν φιλοσοφοῦντων ὀρθῶς γε καὶ ἀληθῶς γενος εἰς ἀρχὰς ἔλθῃ

τὰς πολιτικὰς ἢ τὸ τῶν

δυναστευόντων

ἐν ταῖς πόλεσιν ἔκ τινος μοίρας θείας ὄντως φιλοσοφήσῃ), come dice Binder nelle Erläuterungen (PTA 26, 1983, 86); ma, data l’incertezza nella ricostruzione del contesto gravemente lacunoso, non sı può certo escludere che il commentatore abbia in

mente (anche o in primo luogo) il passo del V libro della Repubblica (473cd: ἐὰν un, ἣν δ᾽ ἐγώ, ἢ οἱ φιλόσοφοι βασιλεύσωσιν ἐν ταῖς πόλεσιν ἢ οἱ βασιλῆς τε νῦν λεγόμενοι καὶ δυνάσται φιλοσοφήσωσι γνησίως τε καὶ ἱκανῶς ... οὐκ ἔστι κακῶν

παῦλα κτλ) che nella tradizione esegetica platonica è ancora più largamente conosciuto (testimonianze raccolte da Boter, Textual

Tradition,

commento Repubblica diazione di Non fa

324-325).

In un altro punto

dello stesso

all’Ecclesiaste (300, 15-18) proprio al passo della Didimo fa riferimento, sia pure attraverso la meFilone, Vita Mosis II 1 (2), p. 200, 9 C. problema che Didimo sostituisca σοφός al plato-

nico φιλόσοφος. Per la contrapposizione, in Didimo, dell’ &v-

θρωπίνη σοφία alla ἀληθὴς σοφία, cfr. la nota di Binder al Comm.

in Eccl. 23, 30-32 (PTA 26, 1983, 90-91).

Anche in altro luogo Didimo discute il problema del ‘vero

re’ con citazione di fonti classiche; commentando Eccl. 8, 4a (καθὼς βασιλεὺς ἐξουσιάζων), fa preciso riferimento alla po-

sizione stoica (235, 10-17): εἴρηκεν τοῦτο- ἀληθῶς dè βασιλεὺς ὁ σοφός ἐστιν. οἱ Στωικοὶ γοῦν λέγουσιν μόνον τὸν σοφὸν βαAc σιλέα εἶναι, μόνον ἱερέα [ 100 6T].

132T

Sec. II? in.

POxy 12, col. I 16-24 Opera cronologica

Prov.: Oxyrhynchus. — 581 —

PLATO

132T

Cons.: Cambridge, University Library Ms. Add. 4029. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy I (1898), 25-26; W. SOLTAU, Ein chronologisches Fragment der Oxyrbynchos-Papyri, Philologus 58 (1899), 558-576; Fr. BILABEL, Die kleineren Histo-

rikerfragmente auf Papyrus, Lietzmanns kleine Texte (1922), n. 12, p. 37; JacoBY,

FGrHist 255 ΕἼ, 3 (p. 1154); L. TARÁN, Speu-

sippus of Athens, Leiden, Brill 1981 («Philosophia antiqua», 39), T6, p. 117. Comm.:

MP? 2205 (P2205)

Papyri,

Oxford

1899

KENYON, The Palaeography of Greek (rist. Chicago,

Argonaut

1970),

CRÖNERT, APF 1 (1901), 118; F. JACOBY, Apollodors

Eine Sammlung der Fragmente, Berlin, Weidmann

133; W.

Chronik.

1902 (rist.

New York, Arno Press 1973) («Philologische Untersuchungen», 16), 310; 313; JACOBY, FGrHist [1923], 255 (Komm.) II B (p. 831); WINTER, LLP [1933], 244 e n. 2; G. KUHHAS, Die Platonvita des Diogenes Laertios, Diss. Graz 1947, 25-33; S.F. JOHAN-

son, “Scholar” at Work: The Compiling of the “Oxyrbynchus Chronicle” (P.Oxy. I 12), in Actes du XV° Congrès International de Papyrologie, III, Bruxelles, Fondation Egyptologique Reine Elisabeth 1979 («Papyrologica Bruxellensia», 18), 78-85.

[Ὀλυ]μπιάδι ὀγδόῃ καὶ ἑκα [το]στῇ ἐνίκα στάδιον Πολυ![κλ]ῆς Κυρηναῖος: ἦρχον δ᾽ ᾿Α[[θή]νησι Θεόφιλος, Θεμιστο Ῥ[ κλ]ῆς, ᾿Αρχίας, Εὔβουλος. ταύ [τη]ς κατὰ τὸ πρῶτον ἔτος | [Πλά]των ὁ φιλόσοφος με[[τήλλ]αξεν καὶ Σπεύσιππος | [τὴ]ν σχολὴν διεδέξατο. 16 varoc®

ογδοητ΄ lo iota mutum aggiunto da m? 2720 εὐυβουλος’

17 _ Jermı

18

κυρη-

16-24 omnia suppl. ed.pr.

Nell'Olimpiade 108a vinse lo stadio Policle di Cirene; erano arconti ad Atene Teofilo, Temistocle, Archia, Eubulo. Nel primo anno di questa Olimpiade morì il filosofo Platone e Speusippo subentrò nella direzione della scuola.

POxy 12 (cm 55,5x21: sei colonne consecutive mutile in alto e in basso di un volumen di papiro; sul verso documento amministrativo con conti) restituisce la parte relativa agli anni —

582—

PLATO

132T

355-315 a.C. di un’opera cronologica che registrava i principali eventi (politici, ma anche letterari e filosofici) della storia greca, romana ed orientale. La datazione degli avvenimenti era data per Olimpiadi e secondo gli arconti Ateniesi (cfr. E.] BICKERMAN, Chronology of the Ancient World, London, Thames and Hudson 1980°, 67-70; 75-76). I termini cronologici entro cui collocare la nostra cronaca sono l’anno 30 a.C. (men-

zione delle Vestali a col.ΠῚ 33-37; cfr. però Jacoby, FGrHist,

255 Komm.,

831) e, ovviamente, la fine del sec. ΠΡ. È proba-

bile che nella forma in cui si presenta a noi sia stata redatta nel corso del sec. ΠΡ, ma non è facile dire se si tratti di un’e-

pitome

di un’opera

più ampia scritta nel secolo precedente,

come ritengono gli editori principi e Jacoby (FGrHist, 255 Komm., 831) o di uno scritto originale ma senza pretese, «created in and for the schoolhouse, a teaching aid», come sugge-

risce Johanson, 78-79. Certo manca un criterio ispiratore nella scelta dei fatti. Molte sono le correzioni e le aggiunte interlineari di altra mano. I righi 16-24 della col. I riportano la notizia della morte di Platone e della successione nello scolarcato dell’Accademia di Speusippo: 1 due eventi sono collocati nello stesso anno, il 348/47, indicato sia con il primo anno dell’Ol. 108, sia con l’arcontato di Teofilo (arconte eponimo), Temistocle, Archia,

Eubulo. Secondo questa parte una doro abbia fatto nell’anno stesso

Johanson (81), il compilatore ha usato per fonte di provenienza accademica. Se Apolloiniziare la serie dei diadochi (con Speusippo) della morte di Platone o nel 347/46 resta indi Jacoby a FGrHist 244 F344 (p.

certo: si veda il commento

806). Anche Diogene Laerzio V 9, che deriva, non però direttamente (cfr. Jacoby, Apollodors Chronik, 318; FGrHist 244

F 3444), da Apollodoro, indica congiuntamente per la morte

di Platone l’anno dell'arconte eponimo Teofilo e l'Ol. 108,1, ma propone un altro sincronismo: la partenza di Aristotele da

Atene alla volta di Atarneo (presso Ermia).



l

Largamente attestata la data della morte di Platone con l’esclusiva indicazione dell’arconte eponimo Teofilo: es. Filocoro

(FGrHist, 328 F 223); Ind. Acad. Hercul. col. II, 33-34, p. 20 Mekler; Dionigi di Alicarnasso, Ad Ammaeum 15 (qui, la de-

rivazione da Apollodoro è diretta;il sincronismo € lo stesso

che troviamo in D.L. V 9: morte di Platone, partenza di Ari-

stotele); Ps. Plutarco, Vitae X oratorum 845de (in questa te—

583—

PLATO

132-134T

stimonianza in realtä sı parla dell’anno successivo all’arcontato di Callimaco); Ateneo V 217b. Altre fonti danno invece

solo l’Olimpiade: p. es. Ermippo citato da Diogene Laerzio III 2 (fr. 41 Wehrli); Suida, s.v. Πλάτων (IV, 141 Adler); Eusebio, Chronica I, 122 Helm [che però dà erroneamente l'OI. 109, 1 (cfr. Jacoby, Apollodors Chronica, 310-311)]. Isolata, ma non contrastante, l'attestazione di Favorino, citato da Dio-

gene Laerzio III 40 (fr. 43 Barigazzı = F13 Mensching), che riferisce la morte di Platone al 13° anno del regno di Filippo (l’inizio di questo si colloca nel 359/58, Ol. 105, 1; cfr. Diod.

XVI 2,1, 95). Alcuni dei testimoni citati (già Apollodoro) specificano l’età di 81 anni raggiunta da Platone al momento della morte; questo numero sarà più tardi (p. es. da Seneca e nell’opuscolo Prolegomena in Platonis philosophiam, 6, 1-8 Westerink) interpretato simbolicamente, quale segno preciso della natura divina del filosofo ateniese (81 = 9x9 = 3‘): cfr. A.S. RIGINOS, Plato-

nica. The Anecdotes concerning the Life and Writings of Plato, Leiden, Brill 1976 («Columbia Studies in the Classical Tradition», 3), 25-27; 194-198; Dörrie, Platonismus II [1990], 60.1-

4 (Kommentar 418-422). AC

133T

POxy 3656, col. II 2-3 [11.1] Vd. supra, 61 1T; 68 1T e 23 1T.

134T

Cod. Taur. F VI 1, coll. II 33-35; XII 6-10; XII 22-23 [III 6] Commentarium in Platonis Parmenidem Sec. V/VI

— 584—

PLATO

134T

Edd.: B. PEYRON, Notizia d'un antico evangeliario bobbiese che in alcuni fogli palimpsesti contiene frammenti d'un greco tratta to di filosofia, RFIC 1 (1873), 53-71: 69; W. KROLL, Ein neupl atoni-

scher Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, RhM 47 (1892), 599-627: 615-616; P. HADOT, Porphyre et Victorinus

Paris, Etudes Augustiniennes 1968, II, 102-105 [= Porfirio Commentario al «Parmenide» di Platone, trad. it., Milano, Vita e Pen-

siero 1993, 57-118: 88-91]; A. LINGUITI, CPF ΠῚ, 63-202: 100101;

126-127;

G. BECHTLE,

The Anonymous

Commentary

on

Plato’s «Parmenides», Bern-Stuttgart-Wien, Haupt 1999 («Ber-

ner Reihe philosophischer Studien», 22), 23; 33-34. Tavv.: HADOT, supra, 1968, tra p. 104 e 105, 1993, p. 18 (col. XII). Comm.: 43;

Col.

LINGUITI, supra, 74-75; 119;

60-61;

145; 182-185; BECHTLE,

supra, 42-

172-173.

II 32-35

o δὲ Πλάτων συμπληρώσας ταῦτα ἐπὶ τοὺς tpolrove ἐπάνεισιν odg ἐξέθετο τῆς γυμνασίας: μεμνήμεθα γὰρ ὅτι παρήγ-

γελλεν ὑπο! "θέμενος εἶναι τὸ προβληθὲν σκοπεῖσθαι. Avendo completato-questa parte, Platone ritorna ai modı dell’esercitazione che aveva esposto. Ricordiamo infatti che annunciava che avrebbe indagato (le conseguenze), supponendo che l’oggetto proposto all’esame esistesse [...]

Il riferimento è alla parte introduttiva alla prima ipotesi del

Parmenide, verosimilmente alla sezione 136a-137b; per il τρόπος τῆς γυμνασίας cfr. Prm. 135d. Col. XII 6-10; 22-23

τὸ δ’ ἐνούσιον εἶναι καὶ οὐσιῶσθαι | μετέχειν οὐσίας el pne οὐσίας εἰπών, Πλάτων. οὐ τὸ dv | ὑποθεὶς καὶ4 τὸ ὄνse γε μετέχειν Xx , , A 1 ^

x

4

^

#







, " | ἀλλὰ τὸ ἕν ὑποθείς, οὐσιωμένον δὲ Ev, nel τέχειν οὐσίας £n.

κτλ. ὅρα δὲ μὴ καὶ αἰνισσομένῳ EOLKEV ὁ | Πλάτων tà

97

[4

+

lizzarsi è ciò che PlaE il fatto di essere essenziale e di essenzia



585—

PLATO

134-136T

tone ha definito “partecipare dell’essenza”. Platone parlò di partecipazione all'essenza non ponendo l’Ente e dicendo che appunto l’Ente partecipa dell’essenza, bensì ponendo l'Uno, un Uno tuttavia essenzializzato. Bada, però, che Platone non stia anche parlando per enigmi [...]

Oggetto di commento è l’uno della seconda ipotesi, cfr. Prm. 142b sgg. AL

135T

PDuke inv. G 178, col. II 2 [vd. supra, 1]

136T

PHaun I 8, p. 195, 3-8

Sec. IIIP

Philo, De ebr. I Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Kebenhavn, Institut for Graeks og Latin Kobenhavns Universitet, inv. 322. Edd.: T. LARSEN, PHaun I (1942), 49-54. Tavv.: PHaun ], 4.

Comm.: P^ 1344; VAN HAELST 696.

Si tratta di un bifolium che appartiene allo stesso codice papiraceo di POxy IX 1173, XI 1356, XVIII 2158 e PSI XI 1207, proveniente dal kóm Ali el Gamman di Ossixinco, che conserva opere di Filone. Poiché alla pagina successiva si trova il numero B e inizia il De ebrietate a noi noto dalla tradizione —

586—

PLATO

136T

medievale, & presumibile, secondo Larsen, che si tratti della

pagina conclusiva del primo libro (che doveva essere nume-

rata qui 195), non tramandato per tradizione manoscritta me-

dievale, della stessa opera [per la struttura dell’intero codice che conservava le opere di Filone, si veda J.R. Rorse, The

Oxyrbynchus Papyrus of Philo, BASP 17 (1980), 155-165, che

stabilisce (161) che il primo libro del De ebrietate doveva oc-

cupare le pp. 143-211]. ‚ La questione non è comunque così piana, perché, sebbene già nell’antichità Eusebio e Gerolamo attestino che Filone scrisse due libri del Περὶ μέθης — e il libro trädito sia designato ora come πρῶτος ora come δεύτερος —, gli studi di Wend-

land [P. WENDLAND,

Philonis Alexandrini opera quae super-

sunt, II, Berlin, Reimer 1897, pp. XXV-XXVIII; cfr. anche Neuentdeckte Fragmente Philos, Berlin, Reimer 1891, 15-28:

16-17] mostrano come l’ultima parte del De plantatione sia an-

data perduta; inoltre il raccordo che viene fatto all’inizio del

libro tràdito del De ebrietate con la trattazione delle opinioni dei sapienti sull’ubriachezza in relazione al libro precedente pone un serio dubbio sul fatto che tra le argomentazioni rimaste da esaminare alla fine del testo conservato e la ripresa con la dichiarazione della loro conclusione ci potesse essere spazio per un intero libro dell’opera. Wendland, sulla base di altri frammenti da florilegi del De ebrietate e per ragioni contenutistiche, affermava dunque che il libro tràdito del De ebrietate era il libro primo. Tuttavia, M. Adler, in un importante saggio (Studien zu Philon von Alexandreia, Breslau, M. & H. Marcus

1929, 53-67), basandosi su indizi contenutistici, fra i

quali la consuetudine di Filone di iniziare un’opera con un versetto della Genesi, di cui il De ebrietate tràdito è privo, e procedendo ad un nuovo esame dei frammenti da florilegi che tramandano come provenienti dal II librole citazioni già note, stabilisce che il libro da noi posseduto è il II. Lo studioso ritiene peraltro che il presunto libro I dato per perduto sia in realtà contenuto nel De plantatione 139-177. Infatti non solo a $ 140 si trova la citazione del versetto della Genesi, ma da

$ 142 si tratta esclusivamente di μέθη e a $ 149 si parla di prodromi di una ricerca, come in genere Filone fa quando inizia un nuovo libro.

i

le.

Forse le due ipotesi non sono inconciliabili se Ipotizziamo,

con Adler, che l’ultima parte del De plantatione costituisca I 1—

587—

PLATO

136T

nizio del libro I del De ebrietate, la cui parte finale era comunque caduta in lacuna: si potrebbe conciliare così anche la testimonianza del papiro. che coprirebbe una parte del testo caduto in lacuna. All’inizio del libro tràdito si dice infatti tà μὲν τοῖς ἄλλοις φιλοσόφοις εἰρημένα περὶ μέθης... . ἐν τῷ πρὸ

ταύτης ὑπεμνήσαμεν βίβλῳ e dunque ci si può chiedere se il nostro testo non possa collocarsi agevolmente dopo De plantatione 177, poiché a 151 vengono citati due filosofi, Aristippo e Diogene, sebbene l’affastellamento dossografico presente qui non appaia congruo con lo stile di Filone. In alternativa, se si ritiene che le δόξαι dei filosofi fossero sviluppate nel libro I del Περὶ μέθης dovremmo

ritenere, come Larsen, 50, di tro-

varci all’interno di una digressione. In ogni caso, il papiro si schiera coi Sacra Parallela che contrassegnavano il libro della tradizione come secondo. Il contesto più preciso non pare qui ricostruibile. Non sono stati trovati paralleli per l’epiteto σοφὸς πατήρ riferito ad un filosofo pagano, come voleva l’ed.pr., né risulta immediatamente comprensibile, a parte le ragioni di spazio, perché l'editio princeps abbia integrato il nome di Pitagora, né se sia effettivamente riferibile a lui l’opinione che è «turpe e empio morire [ubriaco?]». Si può notare la forma del verbo ἐνδυάζω

(più tardo) al

posto di ἐνδοιάζω comunemente usato da Filone, anche nel De plantatione e nel De ebrietate. Per il concetto della morte per ubriachezza cfr., oltre a vari accenni nel Corpus Hippocraticum, Athen. X 64: ὑπὸ μέθης ἀπέθανεν Εὐμένης ὁ Περγαμηνός. IIOnkev δ᾽ οὐκ ᾿Αριστοτέλης, ἀλλ[ὰ (?) + 11 Ἰσοφος | πατὴρ [minima vestigia 12-13 litterarum] ἐρωτηθεὶς γὰρ .[ 6]. |? [minima vestigia fere 15 litterarum] εἰπεῖν πονηρὸν καὶ avöcıl[lov + 9]τα ἀποθανεῖν. ὁ δὲ Πλάτων [. .Jónl|[t 12] ἐνδυάζοντα νέον vil. .1. «ὄνοι[Ὁ 11].[minima vestigia fere 6 litterarum]. . Σόλων δὲ 3 Πυθαγόρας ὁ ] σοφὸς suppl. ed.pr. tasse recte.

6

μεθυσθέν]τα Larsen, for-

R — 588 —

PLATO

137T

137T

POxy 3219, fr. 1, 3-5 [> 24 21T, 75 2T, 111] Trattato su Platone (?)

Sec. ΠΡ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum. Edd.: M.W. HASLAM, Plato, Sophron, and tbe Dramatic Dialogue,

BICS 19 (1972), 17-24; Ip., POxy XLV (1977), 29-39: 30; DOR-

RIE, Platonismus; II, Baustein 37.8, p. 18; NÜSSER, Albins Prolog, 16. Tavv.: BICS 19 (1972), VI.

Comm.: MP’ 2561.1

— HASLAM [1972], supra, 17-22; Ip. [1977], su-

pra, 36; DÖRRIE, Platonismus Il [1990], 243-245; NUSSER, Albins Prolog [1991], 17-23; TARRANT, Thrasyllan Platonism [1993], 104;

M. ERLER, Ideal und Geschichte. Die Rabmengespriche des Timaios und Kritias, in Proceed. of the IV Symposium Platonicum, ed. by T. Calvo - L. Brisson, Granada 1997 Sankt Augustin, Aca-

demia («International Plato Studies», 9), 83-98: 96, n. 29.

ἐν τούτῳ κ[αὶ Z]ogpov[a] μιμησάμενος τὸν μιμογράφον κα(τὰ) τὸ δραμαϊτικὸν τῶν διαλόγων. 4

κα(τὰ) τὸ Haslam, gato pap.

[...] imitando Sofrone il mimografo per ciò che riguarda l’elemento drammatico dei dialoghi.

POxy

3219 restituisce frammenti di un’opera, di incerta

data di composizione, che rientra nella numerosa schiera di scritti introduttivi alla lettura di Platone circolanti nel sec. IP.

Nel fr. 1, che riguarda la forma dialogica e la questione della εὕρεσις del genere dialogico, l'anonimo autore riconosce che i mimi di Sofrone sono stati un modello per Platone nella com—

589 —

PLATO

137-138T

posizione dei dialoghi, nega però recisamente che prima di Platone siano stati scritti dialoghi ‘drammatici’, come affermato tendenziosamente da Aristotele (per il commento ai rr. 5-10, cfr. 24 21T).

Il debito di Platone nei confronti di Sofrone è affermato da molti testimoni antichi (lista in Haslam

1972, 19; Haslam

1977, 36; cfr. anche Dörrie, Platonismus, II, 243) e in particolare da Diogene Laerzio (III 18) per il quale Platone avrebbe tenuto ben presente i mimi di Sofrone nel delineare il carattere di alcuni personaggi, ma il nostro autore con la simultanea confutazione di Aristotele, De poetis, introduce un’importante distinzione: ı dialoghi scritti da Alessameno prima di Platone non erano dialoghi mimetico-drammatici; la componente mimetica, caratteristica dei dialoghi di Platone (e da lui mutuata da Sofrone), era assente in Alessameno che quindi non può essere indicato quale πρῶτος εὑρετής del genere. Dörrie (Platonismus II, 243-245) ritiene che l’autore dello

scritto 1sagogico restituitoci da POxy 3219 abbia presente la pesante polemica sollevata da Erodico, l’alfiere della tradizione antiplatonica, secondo cui l’imitazione scoperta di Sofrone metterebbe Platone, severo critico dei poeti e dell’arte mimetica da loro praticata, in palese contraddizione con se stesso; l'attività letteraria di Platone poi, in quanto dipendente, nella costruzione del dialogo drammatico, da Alessameno, non avrebbe alcuna originalità. È indubbiamente significativo che in Ateneo XI 505c (che è la nostra fonte per la ricostruzione dell’opera perduta di Erodico) Sofrone e Alessameno siano menzionati insieme (in Diogene Laerzio, invece, manca

questo

collegamento), ma bisogna dire che in ciò che resta della trattazione di POxy 3219 non è dato cogliere segnali di una diretta reazione a Erodico. AC

138T

POxy 3659, col. II 30-31 [II.4]

Contro i i filosofi



590 —

Sec. I/II

PLATO

138-139T

Eda.: D. HUGHES - P.J. Parsons, ; POx y L LII (1984), 59-62, Tavv.: POxy LII, II. | Comm.:

MP?

2592.6.

τί de Πλάτων

+ 7].λὰ

In un contesto

polemico

nei confronti delle idee strava-

ganti dei filosofi vengono menzionati in successione Antisten e (18 3T), Aristippo (21 3T) e Platone.

R

139T

PRyl 63 Sec. ΠΡ Dialogo fra Platone e un Egiziano su temi astrologici Prov.: ignota.

Cons.: John Rylands Library, Manchester. Edd.: J. DE MONINS JOHNSON - V. MARTIN - A.S. HUNT, PRyl II

(1915), 2-3.

Comm.: P^ 2049 = MP’ 2049

FR. BoLL - C. BEZOLD - W. GUN-

DEL, Sternglaube und Sterndeutung, Stuttgart, Teubner 1966), 136; W. GuNDEL, Dekane und Dekansternbilder, GlückstadtHamburg, Augustin 1936, 264; W. KROLL, RE XIX.1 (1937), s.v. Peteesis, 1125; W. e H. GUNDEL, RE XX.2 (1950), s.v. Planeten,

2156; O. NEUGEBAUER - H.B. VAN HOESEN, Astrological Papyri and Ostraca: Bibliographical Notes, PAPhS 108 (1964), 57-72: 64 n? 131; W. e H.G. GUNDEL, Astrologumena. Die astrologische Literatur in der Antike und ihre Geschichte, Wiesbaden, Steiner

1966, 31; H. GUNDEL, RE Suppl. X.A (1972), s.v. Zodiakos, 581; G. FOWDEn, The Egyptian Hermes. A historical approach to the late pagan mind, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1986, 30 n. 106; J.F. QUACK, Dekane und Gliedervergottung, JbAC 38 (1995), 97-122:

113.

Frammento di papiro (cm 10,5x33), scritto in una corsiva —

591—

PLATO

139T

fluente sul verso di un registro fondiario (PRyl II 379) che fa riferimento all’anno 168/69 e in cui si menziona la kome Πεμή nel Menfite (cfr. Calderini, Diz. nomi geogr.). Un'effettiva relazione tra il luogo di provenienza del registro e il testo del verso appare difficile da provare, anche se Menfi rientra tra i luoghi egiziani in cui la presenza di Platone viene attestata. Il frammento riporta la fine di un testo che, nella sua parte conclusiva, esponeva una ‘melotesia’ planetaria e zodiacale in forma di dialogo fra Platone e un egiziano, Peteesis. Dietro questo nome, non citato altrove nelle fonti greche letterarie (per il quale si veda Kroll), si è pensato che possa celarsi Petosiris, il sacerdote/astrologo egiziano associato al re Nechepso nella paternità di un celebre trattato astrologico databile al II sec. a.C., e al quale viene attribuita la melotesia zodiacale. Quest’ipo-

tesi, espressa dapprima dubitativamente da Kroll, viene presentata con la stessa cautela dai Gundel in Astrologumena, 31, mentre viene esposta assertivamente negli articoli da loro scritti per la RE. Si deve tuttavia notare che questo nome, nelle sue varie forme e grafie, è attestato in ambito alchimistico (vd. oltre, comm. a r. 3): questo non rende prudente l’assimilazione a Petosiris, a maggior ragione in mancanza di un più ampio contesto. Il tipo di testo conservato dal papiro non trova puntuali riscontri ed è quindi difficile caratterizzarlo in modo preciso nel suo insieme; per quanto riguarda invece 1 suoi contenuti, singolarmente presi, disponiamo di attestazioni parallele. La modalità di esposizione dialogica si inserisce nella letteratura didattica sacra dei templi egiziani e, più da vicino, nei trattati del Corpus ermetico. La presenza di Platone in Egitto è tramandata dalla tradizione biografica. La doppia melotesia, planetaria e zodiacale, qui esposta in forma compendiosa, trova numerosi riscontri. Alla fine del testo 51 presentano 5 righi di scrittura in una posizione che farebbe pensare ad un titolo; a questo rimandano anche i trattini con funzione di paragraphoi posti sopra la prima lettera del primo rigo (= r. 13) e sotto la prima lettera del quarto (= r. 16). Al rigo 17, in corrispondenza della fine della parola σύνοδ[ο]ς (r. 16), dopo

una breve lacuna, si

legge la parola διαλύσεως che conclude la parte scritta. La paragraphos al τ. 16 suggerisce che le parole del r. 17 siano state —

592—

PLATO

139T

separate da σύνοδ[οΪς solo per un vezzo del copista. Subito sotto, a sinistra, attraversata verticalmente per metà circa dalla

linea di frattura, e quindi probabilmente allineata con gli in-

cipit della colonna, è visibile parte di una raffigurazione sti-

lizzata, che l’ed.pr. definisce «a large and elaborate coronis» e ricostruisce nella sua interezza (per la sua riproduzione nell’ed.pr. e gli interrogativi che la figura suscita, si veda infra, p. 608). Sotto di essa uno spazio bianco di ca. 12 cm. La posizione di διαλύσεως è anomala se, come tutto lascia credere, il termine deve essere considerato parte del titolo; ma ciò non stupisce in un testo che sı presenta graficamente e contenutisticamente come ‘paraletterario’. La difficoltà di lettura di questi righi invita alla massima cautela nella ricostruzione (per la quale cfr. infra, comm.), ma sembra possibile riconoscervi un titolo composto di due parti (titolo e sottotitolo?), nella prima delle quali si faceva riferimento all’incontro di Platone filosofo degli Ateniesi, con 1 profeti (e forse gli astrologi) e nella seconda a una riunione a scopo di (?) soluzione. AI di là del significato del titolo, la cui lettura e interpretazione restano comunque aleatorie, la scena che emerge chiaramente rappresenta Platone che, in uno scenario tipico dei trattati ermetici e alchemici, viene iniziato con l’aiuto di un egiziano in una materia che rispecchia iinteressi tipici della cultura egiziana. Può dunque essere appropriato (come fa Fowden, 30 n. 106) accostare il nostro testo a Iamb. Myst. I 1-3, in cui si dice che Pitagora e Platone, durante il loro viaggio in Egitto, lessero i testi di Hermes Trismegistos con l’aiuto dei preti egiziani (τετυχηκέναι διδαχῆς τῆς προσηκούσης ὑπὸ τῶν καθ᾽ ἑαυτοὺς γιγνομένων ἱερογραμμάτων). Sı tratterebbe

in tal caso dı una tradizione di matrice ermetica che potrebbe anche rispecchiare l’ambiente di produzione del testo qui riportato (cfr. Fowden, 166). Ad un ambiente egiziano ellenizzato induce a pensare, oltre all’interesse medico-magico-astrologico che i testi di questo genere esprimono, anche il fatto

che Platone apprenda la scienza, probabilmente coltivata nell'ambito dei templi egizi, con cui si conclude lo scritto. È difficile pronunciarsi sulla collocazione cronologica dell’opera. Le testimonianze sulla presenza di Platone in Egitto si infittiscono fra il I sec. a.C. e 111 d.C.; alla stessa epoca sono

riconducibili le prime attestazioni di melotesia; ad epoca tolemaica appartiene l’attività del Peteesi alchimista; tuttavia non —

593 —

PLATO

139T

sembra che il testo offra elementi decisivi in favore di una cro-

nologia alta, né controindicazioni rispetto ad una sua collocazione nel II/III secolo. [τὸ] v^, Κρόνου τὸ o', ἐξ ὧν ἣ οἰκουμένη

5

10

[+7 αι. Πλάτων- τίς δὲ n αἰτία τούτων [τ]|ῶϊν εἰδώλων; Πετεῆσις ἄκουε: Ἥλιος [ἐστιν δεξιὸς ὀφθαλμός, Σελήνη ὁ ὃ εὐώνυμος, [ Ep]uoo γλῶσσα ὄσφρησις &xon, Διὸς ἰσπλάγ]χνα, "Apeoc πλευρῶν, ᾿Αφροδίτης ἰσπ]λήν, Κρόνου νεφροί, Κριοῦ κεφαλή (ν], [Ko]p[x]tvov τράχηλος, Λέοντος κοιλία,

[Π]Ἰαρ[θ]ένου σιαγὼν ὀσφύες, Ζυγοῦ [yAJov[r]oi, Σκορπείου καθέδρα, Τ[ο]ξότου

[μη]ρ[ο]ί, Αἰγοκέρωτ[ο]ς ὄν [v]vx[ec.] Ὑ δρ[οἸχόφ [γαστρο]κνημία, Ἰχϑύων

ἄκρα. ἐ

᾿Πλάτωνος τοῦ ᾿Αθηναίων

φιλοσ[ό]φου [π]ρὸς τ[ο]ὺς προφήτας 15

ee s]. ]. οἷς [& Ἰπάντησις: ‚sovoölols [2/3] διαλύσεως

2 [γε]γ[ένητ]αι ed.pr. 6 lvo delle lettere sono visibili solo minime tracce compatibili comunque con la ricostruzione, ἰσπλ]άνχνα ed. ΡΥ. agpodernc 11 ]pl della lettera visibile solo una traccia in alto sul rigo compatibile con l’occhiello del p, [...[.]. ed.pr. υχί di x visibile a sinistra solo l’attacco superiore dell’obliqua 12 [γ]α[στ]ροκνημια ed.

pr.

dopo l’ultima lettera si scorge l’inizio di un segno riempitivo che pro-

segue fino alla fine del rigo, axpora ed.pr.

15

«εἰτα.[....]το, [αἸπαντήσις

ed.pr., dopo α traccia di una lettera di andamento” tondeggiante, seguono alcune tracce compatibili con τ, segue una traccia compatibile con l’occhiello di un p; dopo la lacuna possibile oyo oppure to; dopo

o le tracce

sembrerebbero più adatte ad v ma non impossibile t; all'inizio del rigo la lettura è molto incerta, ma non pare impossibile τοῖς mentre è molto difficile leggere τοῦς 17 prima di διαλύσεως una breve lacuna - non registrata nell'ed.pr. — che potrebbe ospitare al massimo tre lettere. 2 Ivelylevnzjaı ed.pr., [oóykew]at malumus 3-4 Ἡλίου. .. Σελήνης dub. emend. in app. ed.pr. 6 πλευρῶν : lege πλευραί vel πλευρόν 11

— 594 —

PLATO

[un]o[o]t supplevimus

legit ed.pr.

15

Ὑδροχόου

139T

emend. in app. ed.pr.

toig ἀστρ[ολ]όγοις possis

17

12

ἀκραῖα

διάλυσις dub. emend.

in app. ed.pr., lacuna neglecta, sed etiam [ὑ(πὲρ] vel [r(epi] διαλύσεως pos515.

[di Zeus?] l'bypsilon, di Cronos l'omega, dai quali è costituita (9) l’ecumene.

Platone: «E qual è la spiegazione di queste immagini (zodiacali)»? Peteesi: «Ascolta: Helios è l’occhio destro, Selene il sinistro, di Hermes gusto, odorato, udito, di Zeus visceri, di Ares torace, di Afrodite milza, di Cronos reni, dell'Ariete testa, del Cancro collo, del Leone ventre, della Vergine mascella e lombi, della Bilancia glutei,

dello Scorpione sedere, del Sagittario cosce, del Capricorno unghie, dell’Acquario polpaccio, dei Pesci le estremità». Incontro di Platone, filosofo degli Ateniesi [con gli astrologi] al cospetto dei profeti: riunione per dirimere la controversia (vel: per la soluzione di un problema) 1-2 La presenza delle ultime due vocali della serie, con ıl riferimento ad un pianeta e all’ecumene, rimanda ad una ri-

partizione della terra abitata in 7 zone, quante sono le vocali e i pianeti. Per l’importanza del numero 7, già presente nel

sec. V a.C. nella concezione dell’ebdomade dei Pitagorici, cfr. W.H. ROSCHER, Zur Bedeutung der Siebenzahl im Kultus und Mythus

der Griechen,

Philologus

60 (1901), 371-373.

Per ıl

rapporto fra le vocali e i pianeti si veda FR. DORNSEIFF, Das

Alphabet in Mystik und Magie, Leipzig-Berlin, Teubner 1922 («ETOIXEIA», VII), 82-83; FR. BOLL, Sphaera, Leipzig, Teubner 1903, 469 sgg.

La concezione che sta alla base del nostro papiro sembra

trovare corrispondenza in Demetr. Eloc. 71: ἐν Αἰγύπτῳ δὲ καὶ τοὺς θεοὺς (7. e. planetas) ὑμνοῦσι διὰ τῶν ἑπτὰ φωνηέντων οἱ ἱερεῖς, ἐφεξῆς ἠχοῦντες αὐτὰ, e Sch. Dion. Thrac. ap. Anecd. Bekker, p. 795, 30 sgg.: τί δή ποτε ὁ τεχνικὸς τῶν φωνηέντων

τὸν ἀριθμὸν μέχρι τοῦ ἑπτὰ ὁρίζεται; καί φαμεν ὅτι ἰσαρίθμως τῶν χορδῶν τῆς λύρας τοῦ ᾿Απόλλωνος ἐποίησεν, ἢ κατὰ μίμησιν τῶν ἑπτὰ ἀστέρων τῶν πλανητῶν τοῦ οὐρανοῦ. πλανῆται δέ εἰσιν ἑπτά: Κρόνος, Ζεύς, Ἑρμῆς, "Apnc, Ἥλιος, ᾿Αφροδίτη, —

595—

PLATO

1291

καὶ Σελήνη. ταῦτα γὰρ τὰ φωνήεντα τοῖς πλανήταις ἀνάκεινta: καὶ τὸ μὲν ἃ φασὶ τῇ Σελήνῃ ἀνακεῖσθαι, τὸ δὲ € τῷ Ἑρμῇ,

τὸ δὲ ἢ τῇ ᾿Αφροδίτῃ, τὸ δὲ τ [τῷ] Ἡλίῳ, τὸ δὲ 0 τῷ "Aper, τὸ δὲ 9 τῷ Au, τὸ δὲ © τῷ Κρόνῳ. Cfr. CH.-E. RUELLE, Le chant des sept voyelles grecques d'aprés Démétrius & les papyrus de Leyde, REG 2 (1889), 38-44. La successione dei pianeti esposta in quest’ultimo testo, che è quella pitagorica, e perlopiù anche egiziana (cfr. Cassio Dione, XXXVII 19), potrebbe essere quella seguita nel papiro (si veda la rassegna completa della successione planetaria in F. BOLL, RE VII.2 (1912) s.v. Hebdomas,

2556-2570: 2567; per le sue

variazioni, cfr. Roscher, cit., 372, n. 22). Quel che papiro rimanda alla ἑπτάζωνος come serie dei pianeti secondo la distanza dalla terra. Sembra (CCAG VIII, 19) che la divisione in sette zone presente in Trasillo

resta nel ordinati 3, p. 100, fosse ri-

presa dal trattato di Petosiride e Nechepso. ἐξ ὧν ἡ οἰκουμένη [ + 7 Jon: al posto del verbo [γε]γ[ένητ]αι,

proposto dall’ed.pr, pare più adatto al contesto un verbo come σύγκειται. La forma relativa ἐξ ὧν sembra introdurre un nesso

causale tra l’elenco di vocali e pianeti e la costituzione dell’ecumene. Di per sé, l'ecumene rinvia alle zone (o κλίματα, il cui numero varia a seconda che la ripartizione abbia carattere geografico, astronomico o astrologico) in cui la terra abitata veniva divisa. Per ıl collegamento con gli astri si veda Bardesane (ap. Eus. PE VI 10, 36): oi dè ἀστρονόμοι φασὶ τὴν γῆν ταύτην μερίζεσθαι εἰς ἑπτὰ κλίματα, καὶ ἄρχειν ἑκάστου κλίματος ἕνα τῶν ἑπτὰ ἀστέρων (e, per l'attribuzione ai Caldei e per

il riferimento specifico all’ecumene, ancora Bardesane, ap. Eus. ibid. 10, 37); una formulazione similare si trova anche in CCAG IV, 126 (exc. ex cod. 18 = cod. Bonon. 3632, da Abu Ma‘Sar) cap. Περὶ τῆς τοῦ παντὸς συστάσεως: .. διῃρέθη fj οἰκουμένη

κατὰ τὸν ἀριθμὸν τῶν ἑπτὰ ἀστέρων εἰς τὰ ἑπτὰ κλίματα, e Cod. Par. gr. 1707, f. 16v διαμεμερίσται δὲ ἣ οἰκουμένη ὑπὸ τῶν παλαιῶν σοφῶν εἰς τὰ ἑπτὰ κλήματα.

2 La presenza di Platone, come si evince dal titolo apposto al termine dell’opera, doveva essere l’oggetto principale dello scritto riportato dal papiro. Per la tradizione che poneva Platone in relazione con la sapienza orientale, e con quella egiziana in particolare, che qui ci interessa, si veda H. DÖRRIE, Platons Reisen zu fernen Völkern. Zur Geschichte eines Mo—

596—

PLATO

139T

tivs der Platon- Legende und zu seiner Neuwendung durch Lactanz, in Romanitas et Christianitas. Studia I.H. Waszink . oblata (W. den Boer et al. edd.), Amsterdam-London,

North

Holland 1973, 99-118 e Dörrie, Platonismus, II, Bausteine 62-

71, con il commento alle pp. 425 sgg. e la bibliografia ivi i ci-

tata; più specificamente su Le voyage de Platon en L. Brisson, L’Egypte de viaggio dei filosofi greci

Platone e l'Egitto, si veda B. MATHIEU, Égypte, ASAE 71 (1987), 153-167 e Platon, EPh 42 (1987), 153-167. Il in Egitto per accrescere la loro sa-

pienza costituisce un vero e proprio topos che si diffonde al-

meno a partire dal I sec. a.C. (cfr. D.S. I 98, 1-4; Str. XVII 1, 29; Cic. Fin. V 50 e 87; Tusc. IV 44 ecc.) e viene utilizzato va-

riamente dalle fonti pagane e cristiane; esso riguarda numerosi personaggi, fra cui Pitagora, Solone, Platone, Eudosso, Democrito. Il viaggio viene associato esplicitamente all'apprendimento della sapienza astronomica nel caso di Democrito (ap. D.S. I 98, 3: ὑπολαμβάνουσι δὲ καὶ Δημόκριτον παρ᾽ αὐτοῖς ἔτη διατρῖψαι πέντε καὶ πολλὰ διδαχθῆναι τῶν κατὰ τὴν ἀστρολογίαν), di Enopide (ibid. συνδιατρίψαντα τοῖς ἱερεῦσι καὶ ἀστρολόγοις) e di Eudosso (ibid. 4). Particolarmente interes-

sante è il capitolo di Strabone (XVII 1, 29) in cui Platone ed Eudosso sono associati in un pluriennale soggiorno ad Eliopoli, dove avrebbero dimorato in un edificio, ancora visibile, che era stato in tempi antichi la sede dei sacerdoti, esperti di filosofia e di cose celesti, φιλοσόφων

ἀνδρῶν

καὶ ἀστρονο-

μικῶν. Strabone osserva tuttavia che al tempo suo non vi era piü traccıa dı questa comunitä sacerdotale di sapienti. La durata del soggiorno a cui egli fa cenno (tredici anni) non può essere considerata plausibile, anche se un più breve soggiorno

di Platone in Egitto non può forse essere escluso in maniera

categorica [cfr. W. SCHUBART, Die Griechen in Agypten, «Der Alte Orient», Beiheft 10, Leipzig, Hinrichs 1927, 7-8 e F.W.

VON BissiNG, Eudoxos von Knidos Aufenthalt in Ägypten und seine Übertragung ägyptischer Tierfabeln, F&F 25 (1949), 225 sgg., secondo il quale Platone ed Eudosso avrebbero trascorso in Egitto un anno e quattro mesi a partire dal 360]. Analızzando

la testimonianza di Strabone, Dörrie, Platonismus, Il,

443-444, scrive che in essa l’autore si fa portavoce della pro

paganda religiosa e culturale nei confronti di Roma dell’ambiente egiziano, che rivendicava a sé le conoscenze scientifiche dei Greci, in particolare quelle matematiche (cfr. TH. —

597—

PLATO

139T

HOPFNER, Orient und Griechische Philosophie, «Der Alte Orient», Beiheft 4, Leipzig, Hinrichs 1925, 46-54) e conclude che «Dieses Zeugnis ist das einzige Beispiel dafür, dass die Platon-Legende durch ägyptische, also ausser- griechische Propaganda mitgestaltet wurde». Quest’ultima affermazione richiede di essere corretta, poiché anche il testo contenuto nel papiro, per quanto possiamo giudicare sulla base del ruolo di discente attribuito al filosofo ateniese, sembra rientrare nello stesso filone di propaganda egiziana. In Dérrie, Platonismus, II, 431 viene offerto un prospetto con il quadro sinottico dei Greci che avrebbero visitato l'Egitto, dei loro maestri, dei luoghi dove avrebbero soggiornato e delle fonti. Oltre ad Eliopoli, un centro più volte nominato è Menfi. A Menfi avrebbero ricevuto istruzione da parte di Chonouphis sia Eudosso (Plu. /s. et Os. 354de) sia Platone (Plu. Gen. Socr. 578f).O

tre a Chonouphis, viene indicato come maestro egizio di Pla tone Sechnouphis di Eliopoli (Clem. Al. Str. 1 69, 1: ἱστορεῖται δὲ Πυθαγόρας μὲν Σώγχιδι τῷ Αἰγυπτίῳ ἀρχιπροφήτῃ μαθητεῦσαι, Πλάτων δὲ Σεχνούφιδι τῷ Ἡλιοπολίτῃ); la lista dovrebbe perö

essere completata con la testimonianza offerta da questo papiro. Per l’attendibilitä dell'onomastica sacerdotale anche in connessione con i luoghi di culto, si veda J. GWYN GRIFFITHS, Plutarch’s De Iside et Osiride, Cardiff, Univ. of Wales Press 1970, 285-287.

L’associazione tra Pitagora, Platone e l'Hermes egizio è presente in lamb. Myst. I 1-3 (citato sopra); in Tertulliano, Anim. 28, 1 si dice che Albino considerava divina la dottrina

della metempsicosi, Mercurii forsitan Aegyptii (cfr. anche 2, 3: ut Mercurium Aegyptium, cui praecipue Plato adsuevit e Arnob. 2, 13).

Per quel che riguarda la specifica menzione dei profeti nella tradizione pagana sui viaggi di Platone, si vedano Apul. Plat. 13, p. 186, 16 sgg. Oudendorp: ad Theodorum Cyrenas, ut geometriam disceret, est profectus et astrologiam adusque Aegyp-

tum ivit petitum, ut inde prophetarum etiam ritus addisceret e D.L. III 6: dopo essersi recato a Cirene da Teodoro e in Italia dai Pitagorici, Platone si recò eig Αἴγυπτον παρὰ τοὺς TPOQNτας (anche Philostr. VA I 2: Πλάτων τε βαδίσας ἐς Αἴγυπτον

καὶ πολλὰ τῶν ἐκεῖ προφητῶν τε καὶ ἱερέων ἐγκαταμίξας τοῖς

ἑαυτοῦ λόγοις κτλ.). Sulla figura del ‘profeta’ cfr. infra, comm.

a rr. 13-17. —

598—

PLATO

Come

139T

mostrano 1 testi raccolti da Dörrie, Platonismus, II

(Baustein 64), il discepolato di Platone in Egitto tende a configurarsi In senso religioso, come apprendimento di arcana: per esempio, la notizia di Cicerone, Fin. V 87 (Plato Aegyp-

tum peragravit, ut a sacerdotibus barbaris numeros et caelestia acciperet) diventa in Quintiliano /nst. I 12, 15 Aegypti quoque sacerdotes adiit atque eorum arcana perdidicit. Né peraltro

deve stupire, nel quadro che la tradizione ci presenta, che si stabilisse un collegamento tra la religione cosmica di Iside (su cui si veda sotto, pp. 600-601)

e l'autore del Timeo.

Tuttavia, nessuna delle testimonianze che pongono in rap-

porto Platone con l'Egitto (o con l'Oriente in genere) & comparabile, quanto al contenuto astrologico specifico, con quella

che ci offre il papiro. All'interno dei testi astrologici la presenza di Platone è alquanto limitata, certamente molto più limitata di quella di filosofi come Pitagora o Democrito, a cui si ascrivono anche opere specifiche. Platone viene citato, comunque,

forse all’interno di una tradizione araba, come

au-

tore di scritti astrologici in almeno due casi: CCAG I 82, 10 (TPOYVMOTIKÒV ἀρώστων συγγραφὲν Ὑποκράτους καὶ TaAnvod

καὶ Πλάτονος τῶν σοφῶν ἰατρῶν); VII 8 (cod. 6, fol. 5: ὁ Πλάτων

βιβλία ζ΄ - ἤγουν περὶ γενεθλίων ε΄, καὶ περὶ ἐρωτήσεων β΄). Si

veda anche comm. ἃ rr. 3 e 13-17, infra.

2-3 εἴδωλον: col significato di costellazione, compare nel lessico astrologico soprattutto in testi poetici come Arato (64, 370, 383; si veda la probabile ripresa di quest’ultima occorrenza in Apollonio Rodio, III 1004 εἴδωλα οὐράνια, costellazioni), e nel carme astrologico di Massimo, 56; 81 trova anche

in PLond 130 (oroscopo, sec. I/II), col. VI, 136-137. Quest'uso trova il suo corrispondente nei termini latini imago, figura, effigies e simulacrum (per le varie occorrenze cfr. A. LE BEUFFLE, Astronomie. Astrologie. Lexique latin, Paris, Picard 1987 e ID., Les noms latins d’astres et de constellations, Paris, Les

Belles Lettres 1977). teofo3 Il nome Peteesi ‘dato da Iside’ come gli analoghi TH.

[cfr. rici Petosiris, Petesuchos, è tipicamente egiziano Orien: HOPFNER, ... Theophore Personennamen ..., Archivum

ndenza con i tale Pragense 15 (1944), 1-64; per la corrispo Arsinoites; sulla greco Ἰσίδωρος si veda p. 32] ed & legato all

grafia del nome

(per una panoramica degli esiti in greco cir. —

599—

PLATO

139T

E. LÜDDECKENS, Demotisches Namenbuch, Wiesbaden, Reichert 1984, I.4, 290), che varia a seconda delle località, si veda

H.C. YOUTIE, Pétaus, fils de Petaus, ou le scribe qui ne savait pas écrire, CE 41 (1966), 128-129. Sulla base dell’onomastica emerge uno stretto legame con il Menfite, ed in particolare con il Serapeo di Menfi, per il quale abbiamo un’ampia documentazione; si pensi, ad es., all'archivio di Petesis figlio di Chonouphis e padre di Chonouphis (lo stesso nome del maestro di Platone in Plu. Gen. Socr. 578f, cit. sopra, comm. a r. 2), sul quale si veda D.J. THOMPSON, Memphis under the Ptolemies, Princeton, Princeton Univ. Press 1988, 186-189.

Mentre in ambito astrologico il nome non sembra menzionato, esso compare nella tradizione alchemica, il cui legame con Menfi è ben attestato (cfr. p. 26 Berthelot: αἱ δὲ χῶραι ἐν

αἷς τελεῖται τὸ θεῖον ἔργον τοῦτο: Αἴγυπτος, Θρᾷκη, ᾿Αλεξανδρεία, Κύπρος, καὶ εἰς τὸ ἱερὸν τῆς Μέμφεως; 51 veda la nota di M. MERTENS in Zosime de Panopolis, Mémoires autbentiques, BL 1995, n. 9, pp. 187-189). Petesis/Petasios rientra tra

gli autori di epoca tolemaica di cui esistevano trattati tecnici (tra cui Δημοκρίτεια ὑπομνήματα) e di cui possediamo qualche citazione (cfr., con i rimandi alle testimonianze e alla bi-

bliografia, M. BERTHELOT, Collection des anciens alchimistes grecs, Paris, Steinheil 1887-1888, rist. London, The Holland Press 1963). L’unica traccia di una connessione tra il perso-

naggio e Platone compare in un trattato alchemico siriaco (libro XI, tratto da Zosimo, f. 81 recto), dove il nome Isdos sembra corrispondere a Petesis: cfr. M. BERTHELOT, La Chimie au Moyen Age, 1893, rist. an. Osnabriick- Amsterdam, Zeller-Philo Press 1967, II, 239 n. 1 e 259: «C’est aussi un homme

excel-

lent, celui qui a confiance dans le maître qui lui enseigne le bien. Celui qui ne comprend pas par lui-méme et qui n'écoute pas ce que les autres lui disent, est un homme perdu. Platon a énoncé d'une autre maniére ces préceptes. Veille à ce que Isdos (Pétésis?) ne bläme pas ta paresse et ta sottise, et aprés lui Platon. Sache que tu seras éprouvé par les choses spirituelles et corporelles, ; jusqu'à ce que tu parviennes à la perfection, en acquérant la patience avec la pureté et l'amour (de l'art); alors tu trouveras (l'objet de ton désir), en délaissant les arts corporels. Ne cesse donc pas de méditer et de travailler, et tu comprendras». Alla luce della documentazione brevemente richiamata so—

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pra, dato anche lo stretto legame tra alchimia e astrologia, in particolare all’interno della tradizione ermetica e nel contesto dell’attività dei templi egiziani, non appare dunque legittimo sostenere senza riserve che usando il nome di Peteesis si intendesse il personaggio a noi noto come Petosiris.

Inoltre, il nome di Peteesi potrebbe indicare anche l'intento

di collegare Platone all’ambito isiaco. Si diceva che nel tempio di Ptah a Menfi fosse iscritta l’aretalogia nella quale il carattere cosmico della religione di Iside veniva utilizzato come strumento propagandistico (cfr. R. HARDER, Karpokrates von Chalkis und die memphitische Isispropaganda, APAW 1943, n° 14, Berlin 1944, 39-52). È appena il caso di ricordare, infine, i ruolo rilevante di Iside all’interno della tradizione er-

metica, magica e alchimistica. 3 sgg. Secondo l'opinione di A. BOUCHE-LECLERCQ, L’astrologie grecque, Paris, Culture et Civilisation 1899, 518-326, 1 due tipi di melotesia esposti nel papiro avevano probabilmente una diversa origine: quella planetaria era di provenienza caldea, mentre quella zodiacale, in particolare quella che si riferiva ai decani, risaliva alla cultura egizia. La melotesia decanica, forse introdotta da Nechepso, consisteva in una riparti-

zione in fasce ternarie di quella zodiacale cosicché 36 decani

potevano sovrintendere ciascuno a 10? dello zodiaco e ad un punto del corpo umano. In ogni caso, la melotesia zodiacale è la più diffusa ed è attestata in versioni differenti. Suo punto di partenza è l’equi-

parazione del corpo umano alla sfera cosmica, come risulta dall’Inno orfico fr. 168 Kern e dal parallelo microcosmo/macrocosmo di cui parla Hermes in Olymp. Alch. 51 (pp. 100, 18- 101, 10 Berthelot): Ἑρμῆς τοίνυν μικρὸν κόσμον ὑποτίθεται

τὸν ἄνθρωπον λέγων ὅτι ὅσα ἔχει ὁ μέγας κόσμος, ἔχει καὶ ὁ ἄνθρωπος

... ἔχει ὁ: μέγας κόσμος ἥλιον καὶ σελήνην ἔχει καὶ

ὁ ἄνθρωπος τοὺς δύο ὀφθαλμούς, καὶ τὸν μὲν δεξιὸν ὀφθαλμὸν τῷ ἡλίῳ ἀνατιθέασι, τὸν δὲ ἀριστερὸν τῇ σελήνῃ ... ἔχει ὁ μέγας κόσμος τὸν οὐρανόν. ἔχει καὶ ὁ ἄνθρωπος τὴν κεφαλήν. ἔχει ὁ

οὐρανὸς τὰ δώδεκα ζῴδια ἀπὸ κριοῦ τὴν κεφαλὴν ἕως ἰχθύων τοὺς πόδας. καὶ τοῦτό ἐστι τὸ φημιζόμενον παρ᾽ αὐτοῖς τὸ κοσμικὸν μίμημα ὃ καὶ ἐν τῇ βίβλῳ τῆς ἀρετῆς μέμνηται ὁ Ζώσι-

μος. Il procedimento consiste nel distendere il corpo umano sul —

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cerchio srotolato dello zodiaco appoggiando la testa in corrispondenza dell’ariete e i piedi in corrispondenza dei pesci: si veda il Libro sacro di Hermes a Asclepio 2-3 (ap. A.J. FESTUGIERE, La révélation d’Hermes Trismégiste, I: L ‘astrologie et les sciences occultes, Paris, Gabalda 1950°, 141 e n. 3): ὁ ζῳδιακὸς οὖν

κύκλος μεμορφωμένος εἰς μέρη

[καὶ μέλη]

καὶ ἁρμοὺς

ἐξέρχεται τοῦ κόσμου καὶ ἔχει κατὰ μέρος οὕτως. ὁ Κριὸς κεAin ἐστι τοῦ κόσμου κτλ. La prima attestazıone letteraria sicuramente databile ci è offerta da Manilio, II 453-465. Per la

melotesia zodiacale e planetaria, si vedano rispettivamente gli articoli nella RE di H. Gundel e di W. e H. Gundel, s.vv. Zodiakos (579-582) e Planeten (2155-2156); cfr. TH. HOPFNER,

Griechisch-ägyptischer Offenbarungszauber, «Studien zur Palaeographie und Papyruskunde» (Leipzig 1921), Amsterdam, Hakkert 1974, I, parr. 619-633; Festugiére, Revelation, cıt., I,

127-131; per un clenco delle fonti con indicazioni bibliografi-

che, si veda W. HÜBNER, Eine unbeachtete zodiakale Melotbesie bei Vettius Valens, RhM 120 (1977), 247-254: 247 n. 1]. L’ed.pr. propone di correggere Helios e Selene, che figurano al nominativo, ponendoli al genitivo, in analogia con il caso degli altri pianeti; tuttavia la costruzione qui potrebbe essere diversa,

se si considera

che ‘i luminari’

sono

detti loro

stessi gli occhi dell’universo e dunque potrebbero venir deliberatamente isolati nella successione. Nella tradizione egiziana il Sole è detto l'occhio destro e la Luna il sinistro, cfr. K.H.

BRUGSCH, Thesaurus inscriptionum aegyptiacarum, rist. an. Graz, Akademische Druck- und Verlagsanstalt 1968 [Leipzig, Hinrichs 1883], II, 436-438, che si accorda con quanto si legge in pap.; si veda anche S.E. M. V 31 dove, dopo aver segnalato che Sole e Luna sono gli astri principali e che gli altri cinque hanno meno potere, 51 dice: rap’ ἣν αἰτίαν οἱ Αἰγύπτιοι βασιλεῖ μὲν καὶ δεξιῷ ὀφθαλμῷ ἀπεικάζουσι τὸν ἥλιον, βασιλείᾳ δὲ καὶ “ἀριστερῷ ὀφθαλμῷ τὴν σελήνην, ῥαβδοφόροις δὲ τοὺς πέντε ἀστέρας, τῷ δὲ λοιπῷ λαῷ τοὺς ἄλλους ἀπλανεῖς. E ancora Jatromath. Hermetis 5 [in LL. IDELER, Physici et Medic Graeci minores, I (1841), rist. Amsterdam, Hakkert 1963, XXVI, p- 387]: ὁ μὲν γὰρ δεξιὸς ὀφθαλμὸς ἀπονενέμησται τῷ ‘Ho,

à δὲ εὐώνυμος τῇ Σελήνῃ. Gundel, Dekane, 264, ritiene che il papiro testimoni il fatto che nella prima fase dell’ astrologia gli astri venivano effettivamente identificati con le membra umane,

mentre in una fase successiva hanno dominio su di esse. —

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139T

5-7 Prosegue la melotesia planetaria secondo una successione che non pare corrispondere a quella delle altre testimonianze pervenuteci; inoltre la costruzione, col semplice genitivo di appartenenza, è molto succinta rispetto alle descrizioni che troviamo in genere, e all’interno delle quali un pianeta presiede a più organi. Cfr. Ptol. Tetr. III 13, 5; si veda anche il capitolo in Vett. Val. Append. II Pingree (CCAG VII, 213224): | epi τῆς τῶν πλανωμένων

ὁἀστέρων φύσεως καὶ δυνάμεως,

καὶ ὧν κυριεύει μελῶν ἕκαστος, καὶ τί σημαίνει; Porph. In Ptol. 45 (= CCAG Ν.4, 217 sgg.): nel papiro solo Mercurio sovrintende a tre organi di senso. Cfr. anche Boll - Bezold Gundel, 138 sg. Essa mescola organi interni ed esterni. An-

toco (CCAG VIII.3, 113, 8-13) distingue in modo esplicito

tra parti del corpo esterne, di pertinenza dello zodiaco, e organi o parti interne di pertinenza dei pianeti, secondo un’impostazione che rispecchia la concezione astronomica del mondo. 7-12

Segue, senza alcun segno divisorio, la serie della me-

lotesia zodiacale. Anche in questo caso ai segni zodiacali viene riferito un solo organo (con l’eccezione della Vergine), mentre nelle serie tramandate ne compaiono più di uno, per influenza della melotesia decanica che ne presuppone tre per se-

gno. L’assenza di Toro e Gemelli potrebbe essere spiegata con

un errore del copista: l’attribuzione tipica del Toro, il collo, viene riferita, in modo del tutto anomalo, al Cancro. Qualora, come in questo papiro, anche nell’originale copiato due segni avessero occupato un intero rigo di scrittura, il copista potrebbe aver commesso un errore visivo, scrivendo Cancro al posto di Toro, risalendo al rigo precedente per l'attribuzione (collo), ridiscendendo quindi al successivo, omettendo del tutto il segno dei Gemelli. L’enumerazione trova molte corrispondenze per quanto riguarda 1 singoli segni, ma si tratta in genere di quelli, come Ariete/testa, Pesci/piedi, per i quali è quasi unanime l’accordo nella letteratura astrologica. Una maggiore

affinità si ha forse con Vettius Valens II 37 (pp. 104-105 Pingree), ma questo potrebbe essere dovuto al fatto che l’autore,

all’interno di un capitolo di iatromatematica, per ogni segno riporta delle corrispondenze plurime, che asserisce essere quelle dell’astrologia corrente. Si può notare infatti che si verifica accordo fra il papiro e il testo di Vettio Valente, spesso non con l’attribuzione che figura come primaria nel testo di Valente, —

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139T

ma con quella che viene posta per seconda o per terza; ad es.: Zvyoc ἰσχία i γλουτοὶ KÓÀov μόριον, ὀπίσθια μέρη. ... Σκορπίος

μόρια ἕδρα ... Ἰχθύες πόδες νεῦρα ἄκρα che trovaa confronto

nel papiro con le coppie Bilancia/glutei (yAovroi), Scorpione/sedere (ἕδρα), Pesci/estremità (ἄκρα).

Se l’attribuzione del collo al Cancro potrebbe essere giustificata con un’omissione di trascrizione, del tutto peculiare del papiro appare invece l’associazione tra il Capricorno e le unghie. Numerosi sono 1 testi paralleli a cui far riferimento che si trovano citati o discussi nella bibliografia fornita sopra, ad 3 sgg. Tralasciando tutti quelli che si trovano all’interno della letteratura astrologica specializzata, basti citare S.E. M. V 2122: ἦσαν δέτινες Χαλδαίων οἱ kai ἕκαστον μέρος τοῦ ἀνθρωπείου σώματος ἑκάστῳ τῶν ζωδίων ἀνατιθέντες ὡς συμπαθοῦν. κριὸν μὲν γὰρ κεφαλὴν ὀνομάζουσι, ταῦρον δὲ τράχηλον, διδύμους δὲ ὦμους, καρκίνον δὲ στέρνον, λέοντα δὲ πλευράς, παρθένον δὲ γλουτούς, ζυγὸν δὲ λαγόνας, σκορπίον αἰδοῖον καὶ μήτραν, τοξότην μηρούς, αἰγόκερων γόνατα, ὑδροχόον κνήμας, ἰχθύας δὲ πόδας.

13-17 Questi righi, che contengono il titolo dell’opera che si concludeva subito sopra, non erano stati tradotti dall’ed.pr., non solo, presumibilmente, per la difficoltà di lettura, ma an-

che per quella legata al succedersi dei termini leggibili (ἀπάντησις, σύνοδος, διαλύσεως) e alla loro relazione reciproca. La

traduzione e le integrazioni proposte sopra partono dalla ricerca di una connessione sintattica del testo che sia plausibile e non richieda di modificarne la struttura. La correzione di διαλύσεως in διάλυσις, suggerita dubbiosamente nell’ed.pr., non sembra di grande aiuto, tanto più che una forma di genitivo semplice con valore finale è giustificabile (cfr. Kühner Gerth II.1, 335-336); è anche possibile che nella breve lacuna

che precede il vocabolo fosse contenuta una preposizione abbreviata (περί, ὑπέρ). In un testo di questo tipo, la presenza di un’abbreviazione nel titolo non solleva difficoltà, tanto più che si tratterebbe di un sottotitolo. In entrambi 1 casi, si ottiene un agevole e normale collegamento con il precedente σύνοδος: incontro, o riunione, per, o avente per oggetto ...; διάλυσις può indicare sia la cessazione di ostilità (un signifi-

— 604—

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cato appropriato data la concomitanza con σύνοδος, un termine che spesso viene usato per le ambascerie), ma anche, in

contesti filosofici, la soluzione di un problema.

A sua volta, ἀπάντησις ha due significati che meritano di

essere presi in considerazione in questo contesto: il primo, consueto nel linguaggio comune, è ‘incontro’, ‘abboccamento?’,

‘conversazione’; ; i secondo, usato soprattutto nei testi filoso-

fici, è ‘replica’, ‘risposta’. Nel caso di questo secondo significato la costruzione πρός + acc. indica l’avversario o la teoria

a cui sì replica. Tuttavia, costruire in questo modo il titolo rende difficile la lettura della parte lacunosa contenuta tra πρὸς τοὺς προφήτας e ἀπάντησις, poiché all’inizio di essa non è pos-

sibile leggere καὶ, e neppure l’articolo acc. τοὺς si adatta alle tracce. Invece, il dativo plurale preceduto da articolo τοῖς ἀστρολύγοις,

51 adatterebbe allo spazio, apparendo compati-

bile sia con le pur esigue tracce, sia col contesto. Poiché si rende necessario farlo dipendere da ἀπάντησις, ne consegue che πρὸς τοὺς προφήτας non potrebbe ριὰ indicare le persone

contro cui avviene la disputa, e dunque ad ἀπάντησις difficilmente potrebbe essere mantenuto il significato di ‘replica’ (per il quale l’uso del dativo non è attestato). Se dunque attribuiamo ad ἀπάντησις il significato di ‘incontro’, ‘abboccamento’, non

mancano, nella koine, esempi di dativo della persona con cui avviene l’incontro (cfr. D.S. XVIII 59, 3; Vetus Testamentum passim; Act.Ap. 28, 15, 2; Ph. Deus imm. 167, 1; J. 4... XIII 101; Orig. Comm.

in Jo. X 128, 9, ecc.) al posto del più con-

sueto genitivo, che nel papiro & usato invece per indicare il

soggetto che ‘incontra’. Resta allora da interpretare πρὸς τοὺς προφήτας, che potrebbe essere tradotto, senza forzature, ‘al cospetto dei profeti’ (usato specialmente di magistrati o testimoni).

Se questa ricostruzione fosse corretta, nella prima parte del titolo, oltre a Platone, si farebbe: riferimento a due gruppi di

persone: i profeti e gli astrologi (per la caratterizzazione di queste figure e il loro rapporto reciproco cfr. infra). La seconda parte del titolo potrebbe allora essere intesa come specificazione del carattere dell'incontro: ‘riunione per risolvere

un problema? (cfr. ad es. Arist. Top. 159332 διαλεκτικαὶ oóvo-

801; in S.E. P.H. II 238 διάλυσις significa ‘confutazione di un

argomento’), oppure, se stesse sullo sfondo l'uso diplomatico/bellico dei due termini a cui già si è accennato, in modo —

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un po’ più forte: ‘riunione per dirimere una controversia’. In entrambi 1 casi, il titolo così ricostruito - ma occorre ribadirne

il carattere congetturale — sembra presentarci uno scenario in cui il sapere del filosofo greco si confronta con quello degli Egizi e in cui l’incontro si conclude con il greco nel ruolo di discente. Se la terminologia allude a una divergenza che viene composta di fronte ad una massima autorità, si potrebbe anche prendere in considerazione l’ipotesi di una scena agonale, sul tipo delle dispute più volte rappresentate sia nell’aneddotica, sia nella letteratura romanzata, fra un filosofo, un saggio, o comunque il protagonista della vicenda e i rappresentanti religiosi o culturali, spesso anche appartenenti a paesi diversi. Si pensi ad es. al Romanzo di Esopo, 119 sgg. (cfr. anche Philostr. VA I 26). Forse & significativo anche l'uso del gen. pl. ᾿Αθηναίων al posto del semplice aggettivo etnico, nella misura in cui potrebbe indicare l'intenzione di sottolineare, a scopo forse propagandistico, la contrapposizione tra gli Ateniesi e gli Egizi in quanto popoli, secondo un topos presente già nel celebre incontro di Solone con gli Egizi (Pl. Ti. 21e sgg.). Per quanto riguarda profeti ed astrologi: sul termine προφήτης si veda R. FASCHER, ΠΡΟΦΗΤΗΣ. Eine sprach- und religionsgeschichtliche Untersuchung, Giessen, Töpelmann 1927, 78100: 87-91; F. CUMONT, L’Egypte des astrologues, Bruxelles, Fond. Egypt. R. Elisabeth 1937, 119 sgg. Il προφήτης apparteneva alla classe più elevata e più colta del clero egiziano; in quanto sommo sacerdote, riuniva in sé conoscenze che appartenevano a rappresentanti di altre classi sacerdotali o a laici che comunque gravitavano nella sfera culturale dei templi (cfr. 5. SAUNERON, Les prétres de l’ancienne Égypte, Paris, Du Seuil 1957 = I preti dell’antico Egitto, trad. it. Verona, «Enciclopedia popolare Mondadori» 1961, 132 sgg.) ed inoltre era «l’interprète par excellence d’une science divine, celui dont la parole est écoutée comme celle d’un dieu» (Cumont, L’Egypte des astrologues, cit., 120). Sulla figura del profeta nel quadro delle ‘scienze occulte’ si veda M. MERTENS, Pourquoi Isis estelle appelée προφῆτιςξ, CE 64 (1989), 260-266, che ne sottolinea anche il ruolo di iniziatore di un discepolo spesso illustre al sapere di cui & detentore. Questo sembrerebbe corrispondere al compito che i profeti sembrano svolgere nell'opera con—

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tenuta nel papıro sulla base dı quanto ἃ stato individuato nel titolo.

Un filone della letteratura greca privilegia la rappresentazione del clero egiziano come seguace di un “modus vivendi ascetico e permeato di nozioni scientifiche e filosofiche. Per il ruolo di filosofi dei sacerdoti egiziani, cfr. Chaerem. fr. 10 van der Horst (ap. Porph. Abst. IV 6-8) tà γοῦν κατὰ τοὺς Αἰγυπτίους ἱερέας Χαιρήμων ὁ Στωϊκὸς ἀφηγούμενος, οὺς καὶ φιλοσόφους

ὑπειλῆφθαί φησι παρ᾽ Αἰγυπτίοις, ἐξηγεῖται ὡς τόπον μὲν ἐξελέξαντο ἐμφιλοσοφῆσαι τὰ ἱερά. ... καὶ τὸ μὲν κατ᾽ ἀλήθειαν

φιλοσοφοῦν

ἔν τε τοῖς προφήταις Av καὶ ἱεροστολισταῖς καὶ

ϊἱερογραμματεῦσιν, ἔτι δὲ ὡρολόγοις e, ad es., Clem. Al. Str. I 15, 71, 4: προέστησαν δ’ αὐτῆς (φιλοσοφίας) Αἰγυπτίων οἱ προφῆται. Lo stesso Clemente (VI 4, 35, 3 sgg.) presenta una

delle esposizioni più dettagliate delle competenze specifiche dell’intero clero; nel passo si abbina l’istruzione delle singole classi alla necessaria conoscenza dei libri sacri, cioè quelli di

Hermes Trismegistos; dopo |’ @d6c, che appartiene al ruolo più basso, ὃ ὡροσκόπος, ὡρολόγιόν TE μετὰ χεῖρα καὶ φοίνικα ἀστρολογίας ἔχων σύμβολα, πρόεισιν. τοῦτον τὰ ἀστρολογούμενα τῶν Ἑρμοῦ βιβλίων τέσσαρα ὄντα τὸν ἀριθμὸν ἀεὶ διὰ στόμα-

τος ἔχειν χρή, ὧν τὸ μέν ἐστι περὶ τοῦ διακόσμου τῶν ἀπλανῶν φαινομένων ἄστρων, (τὸ δὲ περὶ τῆς τάξεως τοῦ ἡλίου καὶ τῆς σελήνης καὶ περὶ τῶν πέντε πλανωμένων,) τὸ δὲ περὶ τῶν συνόδων καὶ φωτισμῶν ἡλίου καὶ σελήνης, τὸ δὲ λοιπὸν περὶ τῶν ἀνατολῶν. Dopo lo ἱερογραμματεύς e lo στολιστής, prosegue il testo (VI 4, 37, 1), ἐπὶ πᾶσι δὲ ὁ προφήτης ἔξεισι, ... προστάτης τοῦ ἱεροῦ, τὰ ἱερατικὰ καλούμενα δέκα βιβλία ἐκμανθάνει (περιέχει

δὲ περί τε νόμων καὶ θεῶν καὶ τῆς ὅλης παιδείας τῶν ἱερέων). ΑἹ di là delle prerogative specifiche della classe a cui apparteneva, il profeta egiziano è spesso rappresentato nella letteratura greca in ruoli che compendiano varie attività, in particolare quelle di indovino, mago, astrologo. Nel Romanzo. di Alessandro (Ps.Callisth. I 4, p. 4, 11 Kroll), ad es., Nectanebo si presenta . nel modo seguente: προφήτης àv Αἰγύπτιος καὶ μάγος εἰμὶ καὶ ἀστρολόγος; significativo anche l'aneddoto ripor-

tato in PGM I (II ed.), pap. IV 2447-2455 dell'incontro fra Adriano e il profeta egiziano che viene premiato proprio per la sua attività di μάντις e μάγος. —

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PLATO

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Quanto agli &otpoAöyoı, essi non costituivano una classe sacerdotale, ma certamente venivano considerati ‘tecnici’ (come

gli ὡροσκόποι o gli ὡρολόγοι menzionati rispettivamente nei passi sopra citati di Clemente Alessandrino e di Cheremone; cfr. Firm. III 12, 16: sacerdotes aut hos, qui in templis consti-

tuti futura praedicant, aut haruspices aut astrologos aut augu-

res aut magos); gli ‘astrologi’ vengono comunque citati insieme

agli ἱερογραμματεῖς nel cosiddetto papiro dell’Ars Endoxi, PPar 1 (= PLouvre 2325), col. III 71. Cfr. Cumont, L’Egypte, cit., 124. Cfr. anche Hipp. Haer. I 13, 1, a proposito di Democrito: πολλοῖς συμβαλὼν γυμνοσοφισταῖς ἐν Ἰνδοῖς καὶ ἱερεῦσιν

ἐν Αἰγύπτῳ καὶ ἀστρολόγοις καὶ ἐν Βαβυλῶνι μάγοις.

L’ed.pr. interpretava la figura che compare sotto il r. 17 (riprodotta, come risulta attualmente visibile, qui sopra a destra) come una grossa ed elaborata coronide (sopra a sinistra). Esistono in effetti degli esempi che, per il tipo di tratteggio, vi si avvicinano: PLitLond 193 (riprodotto in G.M. STEPHEN, The Coronis, Scriptorium 13 (1959), tav. 2, c; il nostro pap. non è citato); POxy 843 e POxy 1011, entrambi riprodotti in G. TANZI-MIRA, Paragraphoi ornate in papiri letterari grecoegizi, Aegyptus 1 (1920), 227. Tuttavia la posizione isolata, al

di sotto del titolo, solleva qualche perplessità. Benché l’incompletezza del disegno renda comunque difficoltosa l’inter-

pretazione, si deve notare che la figura geometrica dell’ed.pr non collima con quanto è visibile: al posto dei lati del rombo sembra di scorgere due linee curve, e anche i tratti orizzontali all’interno hanno andamento lievemente curvilineo.

Tenendo conto che la domanda di Platone ai rr. 2-3 po-

trebbe presupporre il riferimento ad una rappresentazione gra—

603—

PLATO

139-140T

fica, non sembra prudente escludere che sı trattı di una raffıgurazione stilizzata. E se così fosse, sorge spontanea la do-

manda: la figura potrebbe avere a che fare con i sistemi di me-

lotesia citati nel resto? Qualora effettivamente le linee disegnate in orizzontale fos-

sero dodici, e sette quelle verticali, l’ipotesi che il disegno si riferisse a zodiaco e pianeti non può essere scartata. Le poche testimonianze pervenute di rappresentazioni zodiacali non of-

frono tuttavia paralleli a sostegno. Cfr. H.G. GUNDEL, Zo-

diakos, Mainz/Rhein, von Zabern 1992 («Kulturgeschichte des antiken Welt», 54). MSF-FDC

140T

PVatic 11, coll. VII 46-VIII 6 Favorinus, De exilio

Sec. III?

Prov.: Marmarica. Cons.: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana. Edd.: M. NORsA - G. VITELLI, PVatic 11 (1931), 20; A. BARIGAZZI, Favorino di Arelate, Opere, Firenze, Le Monnier 1966, 384. Tavv.: PVauc 11, IV.

Comm.: MP? 455 (P^ 455) ANTONINI, RAL die Verbannung,

A. KÖRTE, APF 10 (1932), 64-67; T.

10 (1934), 174-256; B. HASLER, Favorin Über Diss. Berlin 1935, 65; BARIGAZZI, supra, 438-

440.

περὶ δὲ τῶν τε θνε[ὠ]τω[ν ei] μὲν ὡς οὐκ ὄντων τις dialvoeiltlaı, [ἀκόλου]θον αὐ[τ]ῷ μηδαμοῦ αὐτοὺς | eivalı] νο[μίζει]ν- εἰ δὲ Πλάτωνός τε καὶ [Ὁμή[ρ]ου en rlelldölneνὸς ἀθανάτους | εἶναι τὰς [ψυχὰς] alyelizlo)ali, ἄξιον αὐτῷ καὶ | ἐνταῦθα ᾿Ομ[ήρ]ῳ πι[σ]τεύειν, [ὃς] τῷ Ὀδυσσεῖ κιτ.λ. —

609 —

PLATO

140T

5 a&ıoveaı pap. (primitus), ma il καὶ è dalla stessa mano cancellato oul..|o pap. τω pap. 1-6

omnia supplevit ed.pr.

Chi pensa che i morti non esistono deve, coerentemente, ritenere che non siano in alcun luogo; chi invece, seguendo i discorsi di Platone e di Omero, ritiene che le anime sono immortali, è bene

che anche in questo creda ad Omero, il quale ad Odisseo ecc.

La duplice ipotesi sul destino dell’uomo dopo la morte si trova già nell’ Apologia di Socrate, 40c (cfr. de Strycker - Slings, Apology, 216-232); naturale la sua ripresa, forse anche mediata dal Περὶ πένθους di Crantore, nelle trattazioni dei temi περὶ θανάτου e περὶ ταφῆς che hanno largo spazio negli scritti de

exilio come quello di Favorino conservato nel verso del volumen di papiro (costituito da tre spezzoni di rotoli amministrativi riutilizzati), acquistato nel 1930 da Pio XI per la Bi-

blioteca Apostolica Vaticana. A differenza dei cinici Bione e

Telete che, trattando il tema περὶ ταφῆς, insistevano sul de-

stino del corpo (cfr. Tel., p. 29, 1-32, 2 Hense), Favorino, la cui posizione dottrinale inclinava verso lo scetticismo, SI Occupa esclusivamente del problema della mortalità o immortalità dell'anima, presentando appunto, nei rr. 1-6 della col. VIII, questo «dilemma? escatologico (Barigazzi, 439). AI r. 3, si parla dei λόγοι di Platone; Favorino può pensare a diversi dialoghi in cui è affermata con decisione l'immortalità dell’anima (es. Phdr. 245c-246d; R. 608c-612a; Ti. 42; 44de;

anche Assioco che, pur estraneo al corpus tetralogico, poteva circolare, come vediamo

di altri νόθοι, sotto il nome

di Pla-

tone), ma è chiaro che il primo riferimento è al Fedone. Accanto a Platone, anche

Omero

è nominato

come

autore di

λόγοι: Favorino considera qui il maestro di filosofia morale piü che il poeta (per questo i poemi omerici sono equiparati ai λόγοι filosofici: cfr. Barigazzi, comm. a 3, 40-41, p. 421). In ciò che segue nel testo di Favorino si parla dell’evocazione dei

morti da parte di Odisseo (con riferimento a Hom. A 25, 84 sgg., 152 sgg., 467 sgg., 51 sgg., 543 sgg.). AC



610 —

6

PLATO

141T

141T

POxy

3008, 6-18 [II.1]

Trattato accademico

Sec. III.

anonimo

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.:

Oxford,

Ashmolean

Museum.

Edd.: P.J. Parsons, POxy XLII (1974), 30-31; HÜLSER, FDS, III, 1044-1047 (fr. 8438); LONG/SEDLEY, II, 171 (fr. 28C). Tavv.: POxy XLII, VI. Comm.: MP’ 2561.2 D. SEDLEY, The Stoic Criterion of Identity, Phronesis 27 (1982), 273 nota 26; D. HUGHES - P.J. PARSONS,

POxy LII 3659 (1984), 60 n. 1; LONG/SEDLEY [1987], I, 166-176: A. SCHUBERT, Untersuchungen zur stoischen Bedeutungslehre, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1994 («Hypomnemata»,

103), 211 n. 15.

εἰ γὰρ σῶμα μὲν ἰδίως xoióv οἷον Πλάτων, σῶμα θ᾽ f | οὐσία τοῦ Πλάτωνος, διαφορὰ | δὲ φαινομένη τούτων οὐκ ἔστιν οὔτε σχήματος οὔτε | χρώματος οὔτε μεγέθους οὔ(τε) | μορφῆς, ἀλλὰ καὶ βάρος ἴσον | καὶ τζ[ύ]πος ὁ αὐτὸς ἀμφοτέρων, τίνι διαιροῦντες

ὅρῳ |? κ[αὶ] χαρακτῆρι νῦν μὲν | φήσομεν αὐτοῦ Πλάτωνος | νῦν δὲ τῆς οὐσίας ἀντιλαμβάνεσθαι τῆς Πλάτωνος; 6 ἴδιως

7 ed.pr.

12

icov

15

νῦν pev:

18

πλατωνος:

θ᾽ ἡ legit Sedley : ... Parsons in textu, . in app. cri. —

11

οὔ(τε)

Se la qualità peculiare, ad es. Platone, è corpo, ed è corpo » sostanza di Platone, ma tra di esse non c’è alcuna differenza che sia evidente, né di figura né di colore né di dimensioni né A orma, i

anzi hanno ugual peso e anche 1 medesimi lineamenti, in sca quale definizione e caratteristica potremo operare la distinzione e ire che

ora stiamo percependo Platone, ora la sostanza di Platone: —

611—

PLATO

141T

Nell’ed.pr. si affacciava la possibilità che POxy 3008 (4 CPF II.1) potesse essere ricondotto allo stesso rotolo del quale un frammento

è conservato nell’attuale POxy

3659 (>

80

138T), un’opera di probabile tenore satirico in cui veniva derisa la discordia dei filosofi, ma successivamente

i medesimi

editori hanno negato l’identità della mano. POxy 3008, come ha riconosciuto Sedley (1982), è una testimonianza significativa di una discussione filosofica seria, in quanto riferisce parte di un argomento avanzato da posizioni scettiche contro la dottrina stoica dei generi dell’essere (le cosiddette ‘categorie’ stoiche, come vengono indicate abitualmente negli studi moderni: ὑποκείμενον, ποιόν, πὼς ἔχον, πρός τί πως ἔχον). L’attacco si indirizza propriamente alla distin-

zione dei due primi generi, la sostanza o sostrato materiale considerato senza riferimento alla qualità (οὐσία è equivalente a ὑποκείμενον) e la qualità che lo identifica come un indivi. duo o essere peculiare (1° ἰδίως ποιόν). Il parallelo più vicino,

anche nella stessa espressione verbale, è rappresentato da Plutarco, Comm.

not. 44, 1083c-d (= SVF II 762; Hülser, FDS,

III 8434; Long/Sedley 28A), tanto che si puó forse considerare la possibilità di una fonte comune. Per l'ambiente culturale dell'argomentazione si risale alla polemica dell'Accademia di Carneade nei confronti di Crisippo. Il frammento viene considerato in questa sede soltanto per segnalare l'impiego da parte dell’anonımo autore del nome di Platone in funzione puramente esemplificativa. 51 tratta di un uso che da solo, senza l'accompagnamento di altri nomi, é attestato raramente (Parsons ne ricorda in particolare la ricorrenza in Sesto Empirico). Nell'ambito delle testimonianze correlate alla discussione dell’idiog ποιόν, si possono segnalare ancora 1 seguenti testi, che non sono perö del tutto pertinenti e difficilmente riflettono un 4555 scribendi originario: Phlp. In APr. p. 167, 29 W. λέγομεν ὅτι ὁ οἶκος οὗτος Πλάτωνός ἐστιν οἶκος (Hülser, FDS,

IM 995) (cfr. Alex. Aphr. /n APr. p. 179, 27 W.); Porph. In Cat. p. 129, 8 B. ἀριθμῷ δὲ ἀλλήλων διενήνοχεν (scil. ταῦτα,

i.e. ἕξις καὶ διάθεσις) ὥσπερ Σωκράτης Πλάτωνος e Simp. In Cat. p. 229, 16 K. ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀριθμῷ διαφέρει ἀλλήλων, ὥσπερ

Σωκράτης Πλάτωνος (Hülser, FDS, III, 848; la coppia esemplificativa Socrate-Platone e abbastanza ricorrente sia altrove sia nei commentatori aristotelici, in particolare Alessandro d’Afrodisia). Nelle testimonianze relative a Crisippo si osserva —

612—

PLATO

141-142T

una spiccata preferenza per un diverso nome esemplare: Dione.

Cfr. ın particolare l'enigma di Dione e Teone = Hülser, FDS, UI, 845 (cfr. anche 844, che si riferisce anch'esso alla tematica

dell'iBioc ποιόν), ma anche, ad es., Hülser, FDS, I1, 698, SVF

III 246; Hülser, FDS, III, 874; 994; 995-997. In Diogene Laer-

zio VII 80, perö, probabilmente da Diocle di Magnesia, tra glı esempi dei ragionamenti indimostrati di Crisippo viene αἰ rito anche οὐχὶ τέθνηκε Πλάτων καὶ ζῇ Πλάτων- ἀλλὰ μὴν τέθνηκε Πλάτων. οὐκ ἄρα ζῇ Πλάτων FDS, III, 1036; Long/Sedley 364).

(SVF II 241; Hülser, EB

142T

PSI 1488, 1-3 Fonte di Diogene Laerzio III 65-66

Sec. ΠΡ

Prov.: ignota. Cons.: Firenze, Istituto Papirologico 'G. Vitelli’. Edd.: V. BARTOLETTI, Diogene Laerzio III 65-66 e un papiro raccolta fiorentina, in Mélanges Eugene Tisserant, vol. I, del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1964 («Studi sti», 231), 25-30: 25-27 [= Scritti 1933-1976, 1.2, Pisa, ETS 525-530:

GIGANTE,

525-527]; DÖRRIE, Platonismus,

della Città e Te1992,

II, 49.1, pp. 92-95; M.

Un papiro attribuibile ad Antigono di Caristo? PSI

1488, «Vite dei Filosofi», 1998 (STCPF, 9), 111-114: 112. Tavv.: BARTOLETTI, cfr. supra, 26 [= 526]. Comm.: MP’ 2291.1 — BARTOLETTI, supra, 25-30 [= 525-530]; PFEIFFER, History [1968], 196-197 [= Storia, 310; Geschichte, 242-243]; TURNER, GP [1968 = 184] 192, n. 29 (= PG 132, n. 31); CARLINI, Studi [1972), 18-23; M. GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei filosofi, Bari, Laterza 1976, II, 497, n. 167(= 1998?, 652); SOLMSEN, Editions [1981], 106-108; H.D. JOCELYN, The Annotations

of M. Valerius Probus (II), CQ 35 (1985), 149-161: 149, n. 59; M. GIGANTE, Biografia e dossografia in Diogene Laerzio, Elenchos 7 (1986), 7-102: 13, 67-71; DÖRRIE, Platonismus, II [1990],

347-349; L. BRISSON, Diogene Laörce, ‘Vies et doctrines des philophes illustres?. Livre III: structure et contenu, ANRW —

613—

II 36.5,

PLATO

142T

1992, 3719-3721; Μ.]. LUZZATTO, Itinerari di codici antichi: un'edizione di Tucidide tra il II ed il X secolo, MD 30 (1993), 167. 203: 195-196; TARRANT, Thrasyllan Platonism [1993], 183 e n. 14; MANSFELD,

Prolegomena,

81, n. 35; 198-199;

T. DORANDI,

Prolegomeni per una edizione dei frammenti di Antigono di Caristo. III, ZPE 106 (1995), 61-90: 84-85; A. CARLINI, Da Bisanzio a Firenze. Platone letto, trascritto, commentato e tradotto nei secoli XIV e XV, AATC 62 (1997), 129-143: 141-142; IRIGOIN, Tradition [1997], 87; GIGANTE,

supra,

[1998],

111-114;

RANDI, Antigone de Caryste. Fragments, Paris, BL

T. Do-

1999, pp.

LXXI-LXXIV.

[τὸ μὲν χεῖ λαμβάνεται πρὸς |! τὴν Πλατωνικὴν ovvinberalv: ἡ δὲ διπλῇ > ἱ πρὸς τὰ δόγματ]α λαμβάνεϊται καὶ tà | ἀρέσκοντα Πλ]άτωνι. Omnia supplementa ed.pr. Il chi è assunto per l’uso platonico, la diple è assunta per le dot-

trine e le opinioni di Platone.

Diogene Laerzio (III 65-66) elenca i segni critici presenti in alcune edizioni platoniche correnti al suo tempo. La pubblicazione del frammento fiorentino (cm 3,8x5,7) che non dipende da Diogene (cfr. Dörrie, Platonismus,

IT, 347-348) ha

mostrato il disordine in cui (probabilmente per ragioni connesse con la trasmissione del testo) 1 segni sono presentati nel passo laerziano. Dalla testimonianza papiracea, a sua volta integrata con Diogene per le parti in lacuna, si ricava un sistema coerente di segni che si richiama ai principi della filologia alessandrina, ma tiene conto dei caratteri peculiari del testo filosofico nel segno della tradizione critico-esegetica accademica (Carlini, Studi, 18-23; McNamee, Sigla, 11-12 e n. 17).

Il riferimento al testo platonico è esplicitamente fatto nell'illustrazione dei due segni che aprono la serie. Il carattere ‘secondario’ della testimonianza di Diogene già appare dal fatto

che non colloca la ‚diple immediatamente dopo il chi.

I due segni critici più frequentemente documentati nei papiri platonici sono precisamente il chi (es. POxy 1809, col. Il

— 614 —

PLATO

142T

15 del Fedone; POxy 2102 del Fedro) e la diple [es. POxy 1248, col. III, 13 (= 115) del Politico, POxy 2102 del Fedro, POxy 2468 del Politico]. Ma è tutto il sistema di σημεῖα che fa ve-

dere con quale precisione critico-filologica fosse analizzato il testo di Platone, al fine di mettere in rilievo le interpolazioni da espungere (ößeAög), le ripetizioni e le riprese (avticıyuo), le sentenze scelte e le espressioni eleganti (χῖ περιεστιγμένον), le correzioni dovute a certi autori (διπλῇ περιεστιγμένη),1 pass sospettati a torto da altri critici (ὀβελὸς περιεστιγμένος),le formule ripetute e le trasposizioni di parole (ἀντίσιγμα nepıeστιγμένον), l'indirizzo filosofico (κεραύνιον), la concordanza dei vari punti della dottrina (ἀστηρίσκος). Questa naturale e

logica successione di PSI 1488 (che prevede prima quattro segni semplici, poi le corrispondenti varietà punteggiate, infine il ceraunio e l’asterisco) appare turbata in Diogene Laerzio dove l’antisigma semplice è omesso e l’obelos semplice è relegato all’ultimo posto. In PSI 1488 i σημεῖα sono anche dise-

gnati, mentre in Diogene leggiamo solo le denominazioni. Sulle varianti che presenta la terza fonte relativa ai segni critici nelle edizioni platoniche (Anecdotum Cavense de notis antiquorum)

si veda Dörrie, Platonismus, Il, 349-356. Bartoletti, 30, si mostra scettico sulla possibilità di individuare l’autore del sistema di segni critici, ma recentemente sono stati fatti diversi tentativi per dare ad esso un nome: Gigante 1986, 68-71 pensa ad Antigono di Caristo (osservazioni critiche a questa proposta: Brisson, 3720-3721; Tarrant, Thra-

syllan Platonism, 183, n. 14; Mansfeld, Prolegomena, 198-199), Tarrant,

Tbrasyllan Platonism, 237 stampa D.L. III 66 come

parte dell'introduzione di Trasillo alla sua edizione platonica (122), Gigante 1998, 111-114, giudica priva di fondamento l'attribuzione a Trasillo e ripropone il nome di Antigono di Caristo. Secondo M.J. Luzzatto, nel testo di PSI 1488 va in ogni caso riconosciuta una nota introduttiva a un’edizione dei dialoghi di Platone, confrontabile con quella che doveva corredare un'edizione di Tucidide del sec. IP ricostruibile dal Laur. 69, 2 del sec. X [critica di KLEINLOGEL, Beobachtungen zu den Thukydidesscholien II, Philologus 142 (1998), 11-40: 33]. AC



615—

PLATO

PSCHUBART 39; PNAGHAMMADI

La proposta di integrazione del nome di Platone in PSchubart 39, 14 all’interno della citazione di personaggi esemplari probabilmente sul tema del comportamento di fronte alla ricchezza, sostenuta da L. ALFONSI, Sui papiri Schubart, Aegyptus 33 (1953), 297-314, soprattutto 303-309: 304-305 e da R. MERKELBACH,

Zu Pap. Schubart 17, MH

10 (1953),

127 è da

considerarsi aleatoria: cfr. A. LINGUITI, in CPF 1.1 22 2T (9). Tuttavia nella più recente riedizione del papiro, J. FROSÉN e R. WESTMAN,

1997 (STCPF,

8), 42-48 si sono mostrati meno

scettici verso questa ed altre integrazioni proposte, fra cui quella del nome Socrate, del quale - a differenza del caso di Platone — sarebbe visibile la lettera iniziale. R

Respublica 588b-589b PNagHammadi VI 5

Sec. IVP med.

Versione copta Prov.: Chenoboskion. Cons.: El Qahira E] Mathaf El Qibty (Cairo, Coptic Museum). Edd.: M. Krause - P. LABIB, Gnostische und hermetische Schriften aus Codex II und Codex VI, ADAIK Koptische Reihe, 2, Glück-

stadt, 1971, 166-169; T. ORLANDI, La traduzione copta di Platone, Resp. IX 588b-589b: problemi critici ed esegetici, RAL s. VII, 32 (1977), 45-62; J. BRASHLER, Plato, Republic 588b-589b (VI 5: 48,16-51,23), in The Coptic Gnostic Library, Nag Ham-

madi Codices V, 2-5 and VI with Papyrus Berolinensis 8502 I —

616—

PLATO

PNAGHAMMADI

and 4, ed. D.M. Parrott, Leiden, Brill 1979 («Nag Hammadi Studies», 11), 325-339; L. PAINCHAUD, Fragment de la République de Platon (NH VI, 5), Québec, Les Presses de l’Université La-

val 1983 («Bibliothèque Copte de Nag Hammadi», Section “Textes”, 11), 109-154.

Tavv.: The Facsimile Edition of the Nag Hammadi Codices, Codex VI, Leiden, Brill 1972, 48-51.

Comm.: MP” post 1421 C. COLPE, Heidnische, jüdische und christliche Überlieferung in den Schriften aus Nag Hammadi I, JbAC

15 (1972), 5-18:

14; H.M.

SCHENKE,

Zur Faksimile-Aus-

gabe der Nag-Hammadi-Schriften NHC VI, OLZ 69 (1974), 236241; M. TARDIEU, Trois mytbes gnostiques. Adam, Eros et les ani-

maux d’Egypte dans un écrit de Nag Hammadi (II, 5),

Paris,

Etudes Augustiniennes 1974, 350; J.P. MAHÉ, Hermes en Haute-

Egypte. Les textes bermétiques de Nag Hammadi et leurs paralleles grecs et latins, I-II, Québec, Les Presses de l'Université La-

val 1977-1982 («Bibliothéque Copte de Nag Hammadi», Section “Textes”, 3; 7), (D), 14; (II), 54; 215-216; 460; E.G. MATSAGOURAS, Plato Copticus, Platon 29 (1977), 191-199; BOTER, Textual

Tradition [1989], 279-280; A. BÖHLIG, Die Bedeutung der Funde

von Medinet Madi und Nag Hammadi für die Erforschung des Gnostizismus, in A. BÖHLIG - C. MARKSCHIES, Gnosis und Manıchäismus, Berlin-New York, de Gruyter 1994, 113-242: 155 e 173

n. 210.

Il quinto trattato del Codice VI di Nag Hammadi, che occupa le pagine 48, 16-51, 23, è in realtà la traduzione copta di

un brano del IX libro della Repubblica di Platone (588b1-

589b3 ἐπειδὴ — φύεσθαι): edito la prima volta come scritto au-

tonomo (adespoto) da Krause-Labib, & stato identificato da Schenke [cfr. D.M. SCHOLER, Bibliographia Gnostica, NT Suppl. III, 15 (1973), 343; Schenke, 236].

La diffusione nell'età antica e tardoantica di questa sezione della Repubblica (considerata a buon diritto un compendio dell’antropologia platonica) & testimoniata dalle numerose citazioni letterali, $ 42), Clemente 12 Stahlin-Treu), 19-32, 5 Pistelli),

reminiscenze, riprese: Alessandrino, Strom. Eusebio, PE XII 46, Sinesio, Regn. XI 11a

Plotino, Enn. I 1, 7 (53 VII 16, 3 (GCS 17, III Giamblico, Protr. 5 (31, (13, 6-7 Terzaghi), Sto-

beo III 9, 62. Tra le citazioni letterali, quella di Eusebio (R. 588b6-589b7 νῦν — ἐπαινῶν) corrisponde quasi perfettamente, —

617—

PLATO

PNAGHAMMADI

come confini testuali, al brano tradotto in copto, quella di Stobeo è notevolmente più ampia. È molto probabile che il traduttore copto (attivo ini Egitto, forse ad Alessandria, alla fine del sec. III, cioè qualche decennio prima della trascrizione del codice VI che si assegna alla metà del sec. IV) si sia trovato di fronte al brano della Re-

pubblica già estratto dal contesto dialogico più ampio e inserito nel corpo di una antologia di testi ermetici greci risalente al sec. II o III? (cfr. Painchaud, 123). Nel codice VI Platoneè preceduto da scritti gnostici e seguito da scritti ermetici. La versione rivela errori di lettura del testo greco, poca dimestichezza con il linguaggio platonico, scarsa consapevolezza della

struttura dialogica e quindi dell’alternanza delle battute (Pain-

chaud, 118-122); errori di lettura e fraintendimenti del pensiero platonico possono essere messi, in parte, sul conto del

traduttore che non doveva avere una profonda cultura filosofica, ma bisogna tenere conto anche delle condizioni in cui po-

teva presentarsi |’ excerptum greco, perché si sa che i brani antologici sono i più esposti alla corruzione testuale nella loro

trasmissione. In ogni caso, il testimone copto è scarsamente

utilizzabile per la costituzione del testo di Platone (Boter, Textual Tradition, 335); l'apparato critico della Repubblica potrà essere arricchito da questi dati: 588c4-5 λέγονται — “γενέσθαι AF Stob. Copt., om. 1) Eus.; c7 πλάττε ADF Eus., πράττε Stob.

Copt.; c9 φύειν AD Eus. Stob., φύσιν F et fort. Copt. C'é un altro aspetto da considerare, ed ἃ l’allontanamento consapevole del traduttore in alcuni punti dal testo platonico con conseguente adeguamento alla concezione gnostica. Orlandi, 54, afferma che questi interventi devono essere attribuiti, piuttosto che a un traduttore, a un redattore «che ha preso il brano platonico come puro pretesto per scrivere un vero e proprio brano gnostico»; Tardieu, 350, anziché di tra-

duzione, preferisce parlare di ‘parafrasi’. Va chiarito che l’autore del quinto trattato intende misurarsi dall’inizio alla fine con il brano della Repubblica, ma l’immissione di terminichiave gnostici e alcune modificazioni anche vistose mostrano

la tendenza ad una interpretazione ‘attiva’, o meglio la precisa

volontà di imporre al testo un sigillo gnostico (Painchaud, 121122). Appare riduttivo il giudizio di Schenke (239) e Brashler (326) che mettono l’accento sull’ inadeguatezza del traduttore, negando interventi ‘gnosticizzanti’. —

618—

PLATO

PNAGHAMMADI

Un esempio dı manipolazione cristiana di un brano platonico è dato dall’Alcibiade I 133c che, nelle testimonianze di

Eusebio e Stobeo e probabilmente di Gregorio di Nissa, ha un assetto molto diverso da quello della tradizione manoscritta [cfr., da ultimo, 5. FORTUNA, Per un’origine cristiana di Platone, Alcibiade I 133c8-17, Koinonia 16 (1992), 119-136]. An-

che la Parafrasi anonima del Manuale di Epitteto rappresenta un caso interessante di sistematica revisione, di ‘riscrittura’ di un’opera pagana che viene organicamente adeguata al mondo i pensiero cristiano [cfr. A. CARLINI, Osservazioni sull'epilogo del «Manuale» di Epitteto, SIFC s. YII, 13 (1995), 214-

225].

AC

I seguenti papiri platonici riportano scholia: - PSI 1200 Grg. 46835 et (9) (80 14)

- POxy 1809 Pha. (80 45)

- POxy 229 Phd. 109cd (80 47) - POxy 2102 Phdr., col. I (?) (80 49) - POxy

3326 R. VIII 545e (80 70)

- POxy 1808 R. VIII 546b; 546c (80 72) - POxy 843 Smp. 206e3-4, col. IX 391 (80 76) - POxy

3680

Tbt.

190e3-191a4



(80 78).

619 —

81 PLATONICI

1T

PBerol inv. 9782, col. II, 11-17; fr. D, 14-19 [III 9]

Sec. II?

Commentario anonimo al Teeteto Edd.: H. DIELS - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 3; 51; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 264-265; 474-475.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., 11, XX n° 40.

Comm.: MP’ 1393 (= P^ 1393)

— BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 482; 561-562.

Col. II 11-17

τῶν δὲ Πλαϊτωνικῶ!ν] τινες φήϊθησίαν περ]ὶ κριτηρίου | eilvalı t[ò]v διάλογον, |^ ἐπ[ε]ὶ καὶ πλεονάζει | ἐν τῇ περὶ τούτου σκέψει,

Ma alcuni Platonici hanno pensato che il dialogo (sc. il Teeteto) verta sul criterio, poiché in effetti si sofferma ampiamente sull’indagine intorno ad esso. Fr. D, 14-19

δοκεῖ dé μοι |” eve[py®]g γενόμενα | πρ[ὸς τοὺΪς πλείους | —

620 --

PLATONICI

IT

t&[v Πλ]ατωνικῶϊν, ot] | φία]σιν περὶ xprnpilov]| elilvalı τ]ὸν Θεαίτ[ητον ]

Mi sembra che risultino efficaci contro la maggior parte dei Platonici, i quali affermano che il Teeteto verte sul criterio.

Si veda D.N. SEDLEY, A New Reading in the Anonymus «Theaetetus» Commentary (STCPF, 8), 140.

(PBerol. 9782 Fragment D), 1997 DNS



621—

82 POLEMO

*

ıT

PDuke inv. 178, col. II 4 [vd. supra, 1]



622—

83 PORPHYRIUS

IT Contra

PTura

III, 281,

Didymus

Christianos

16-22

Caecus, Comm.

in Eccl. 9, 10cd

Sec. VI/VII

Prov.: Tura. Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255.

Edd.: G. BINDER, Eine Polemik des Porphyrios gegen die allegorische Auslegung des Alten Testaments durch die Christen, ZPE 3 (1968),

81-95:

92; M. GRONEWALD,

PTA

24 (1979), 38-39.

Comm.: ALAND AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND - ROSENBAUM KV 13 BINDER, supra, 85-95; W.A. BIENERT, “Allegoria” und

“Anagoge” bei Didymos dem Blinden von Alexandria, BerlinNew York, de Gruyter 1972 («Patristische Texte und Studien»,

13), 142-145; R.M. GRANT, The Stromateis of Origen, in Epektasıs. Mélanges patristiques offerts au cardinal Jean Danielou (edd. J. Fontaine - C. Kannengiesser), Parıs, Beauchesne 1972,

285-292: 289 (= Christian Beginnings: Apocalypse to Hıstory, Lon-

don, Variorum 1983, n° XXV); T.D. BARNES, Porphyry, Against

the Christians. Date and the Attribution of Fragments, JThS 24 (1973), 424-442: 428; A. BENOIT, Le «Contra Christianos» de

Porphyre: où en est la collecte des fragments?, in Paganisme, Ir

daisme, Christianisme. Influences et affrontements dans le mon i

antique,

Mélanges

offerts ä Marcel Simon, Paris, De Boccar

1978, 261-275: 268 e n. 1, 271; G. RINALDI, L'Antico Testamento

nella polemica anticristiana di Porfirio di Tiro, Augustinianum —

623—

PORPHYRIUS

IT

22 (1982), 97-111: 102 e n. 21; M. SIMONETTI, Lettera e allego-

ria nell’esegesi veterotestamentaria di Didimo, VetChr 20 (1983), 341-389:

376 e n, 113; K. TREU,

APF

29 (1983),

107-108;

A.

SMITH, Porphyrian Studies Since 1913, ANRW 11 36.2 (1987), 744 e n. 149; PH. SELLEW, Achilles or Christ? Porphyry and Didymus in Debate over Allegorical Interpretation, HThR 82 (1989), 79100; P.F. BEATRICE, Le traité de Porphyre contre les Chrétiens. L'état de la question, Kernos 4 (1991), 119-138: 131 e n. 71; M.D. SANCHEZ, El Comentario al Eclesiastes de Didimo Alejandrino. Exégesis y espiritualidad, Roma 1991 («Studia Theologica-Theresianum», 9), 118-119; T.D. BARNES, Scholarship or propaganda? Porphyry «Against tbe Christians» and its bistorical setting, BICS 39 (1994), 53-65: 63 e n. 48; P.F. BEATRICE, Didyme laveugle et la tradition de l'allégorie, in Origeniana sexta (edd. G. Dorival - A. Le Boulluec), Leuven, Univ. Press-Peeters 1995 («Bibliotheca

Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium», CXVIII), 579-590;

A. CARLINI, La polemica di Porfirio contro l'esegesi ‘tipologica’ dei cristiani, SCO 46.1 (1996), 385-394,

Πορφύριος γοῦν θέλων e....[+ 15]|toıs ἀναπλάττοντες ἀναγωγὰς καὶ ἀλλίη Ἰγίορίας + 18 ἔν]|θα ὁ ᾿Αχιλλεὺς καὶ Ἕκτωρ μνημονεύεται, ἠλληγόρησεν φήσας πρὸς τὸν X(ptotó)v

καὶ τὸν διάβολον - | καὶ ἃ ἐλέγομεν ἡμεῖς περὶ τοῦ διαβόλου, αὐτὸς περὶ τοῦ Ἕκτορος, καὶ ἃ περὶ τοῦ Χ(ριστο)ῦ, αὐτὸς περὶ ᾿Αχιλ! λέως: καὶ συνεχρᾶτο ταῖς τοιαύταις λέξεσιν ὅτι: “πρὸ τῆς ἐπι[κρ]Ιατήσεως τοῦ ᾿Αχιλλέως ἐβρενθύετο κατὰ πάντων ὁ Ἕκτωρ καὶ πάντων δυνατώτερος ἐνομίζετο". ὑπὲρ τοῦ διαβαλεῖν δὲ | τοῦτο ἐποίει. ὧδε οὖν τὰ τῆς ἀναγωγῆς πέπαυται. 19

nuic

22

enoıeı/

16 ἐκγελᾶν prop. Manfredi per litt., fort. eısav| Gronewald

16-18

ἐνκαλ[εῖν ἡμῖν ὅτι πρὸς τοῖς 5n]ltoic ἀναπλάττοντες ἀναγωγὰς καὶ ἀλλ[η]γο[ρίας βιαζόμεθα, τὰ τοῦ Ὁμήρου, [£v |o. Binder, ἐνκαλίεῖν iὅτι ἐναντίας τοῖς ῥη]) τοῖς ἀναπλάττοντες ἀναγωγὰς καὶ ἀλλ[η]γο[ρίας èἁμαρτά-

νομεν, κτλ. Merkelbach apud Binder, 92 adn. 32, ‚(pro ἁμαρτάνομεν mavult βιαζόμεθα Bienert, 144 adn. 275), é[Aéyxew ἡμᾶς πλάττοντες ἀναγωγὰς καὶ ἀλληγ[ορίας, φησὶν ὅτι κτλ. Beatrice 1995 18... ἄλλο]θι αὐτὸς Daley ap. σεν φήσας [?] πρὸς κτλ. Binder 21-22 verba ὑπὲρ Carlini

— 624 —

πρὸς τοῖς ῥη] τοῖς avoὨριγένης τὰ ἔπη Év]jda Sellew, 81 ἠλληγόρη-- ἐποίει tribuit Didymo

PORPHYRIUS

Ora Porfirio, volendo

IT

(muovercı il rimprovero di compiere for-

zature) escogitando interpretazioni spirituali e allegorie, interpretò allegoricamente [...] dove sono menzionati Achille ed Ettore, applicandolo al Cristo e al diavolo. E ciò che noi dicevamo del diavolo,

egli lo dice di Ettore, e ciò che noi dicevamo del Cristo, egli lo dice di Achille. E usava parole di questo genere: «Prima della vittoria di Achille, Ettore andava vantandosi su tutti ed era ritenuto più forte di tutti»; ma faceva questo per calunniare. Qui è dunque cessata l’interpretazione spirituale.

La citazione di Porfirio cade in un contesto (281, 2 sgg.) in cui Didimo giustifica ed incoraggia un'interpretazione che faccia in certo modo ‘violenza’ al testo per quei passi che, come nella sua opinione quello dell'Ecclesiaste qui oggetto di commento (9, 10cd: «Perché negli inferi dove ti affretti non c’è né azione, né pensiero, né conoscenza, né sapienza»), non sì pre-

stano ad un "interpretazione letterale. Nulla di quanto è stato

ispirato dallo Spirito Santo — spiega Didimo (281, 5 sgg.) — è

privo di significato spirituale, e tale significato può essere inteso solo attraverso un’interpretazione di natura altrettanto

spirituale. Va sottolineato che, nella successiva polemica con Porfirio (281, 16 sgg.), la distinzione tra ἀλληγορία ed ἀναγωγή

rinvia a due diversi livelli dell’interpretazione non letterale, vale a dire al tradizionale procedimento retorico e filosofico applicabile a qualsiasi tipo di testo (ἀλληγορία), e al metodo esegetico riservato esclusivamente ai testi ispirati da Dio (ἀναγωγή; per le valenze dei due termini nell’esegesi didimea, cfr. soprattutto Bienert e Simonetti). L’osservazione con cui Didimo conclude la sezione: ὧδε οὖν tà τῆς ἀναγωγῆς πέπαυ-

ται, parrebbe appunto implicare, contro Porfirio, che i poemi omerici sono per loro natura suscettibili di interpretazione allegorica, ma non di interpretazione spirituale (cfr. specialmente Bienert, 145; ma si veda più avanti, per la possibilità di ıntendere in altro modo la frase).

Sui rr. 281, 16 sgg. vi sono numerosi contributi scientifici,

non sempre concordi nei risultati; è pertanto utile rendere

conto del dibattito critico, cercando di individuare i punti 58] quali possono sussistere ragionevoli certezze. Va confermata, innanzitutto, per questo e per le due successive testimonianze su Porfirio (83 2T e 3T), l'attribuzione al Contra Christianos

— 625 —

PORPHYRIUS

IT

proposta da editori e interpreti; non pare infatti riscuotere consensi la tesi di Pier Franco Beatrice, secondo il quale Porfirio

non avrebbe mai concepito un’opera autonoma così intitolata, per la ragione che tutti i suoi scritti anti-cristiani sarebbero parti integranti del De philosophia ex oraculis haurienda [cfr. soprattutto P.F. BEATRICE, Quosdam Platonicorum libros, VChr 43 (1989), 248-281; 1991, 119-138; 1995, 580 n. 9 con l’elenco

completo dei contributi dell' Autore sull’ argomento. Pertinenti rilievi critici di A. Guida in Teodoro di Mopsuestia, Replica a Giuliano imperatore, a cura di A. G., Firenze, Nardini («Biblioteca Patristica», 24), 106 n. 8].

1994

Dello stesso Beatrice (1995) deve essere inoltre respinta la proposta di integrare all’interno della lacuna del r. 281, 17 il nome di Origene, e attribuire quindi a lui la successiva interpretazione allegorica di Achille e di Ettore. Come rileva Carlini (393-394), dovremmo in tale caso intendere al r. 19 αὐτός = Ὠριγένης e concludere che Didimo sta differenziando la sua

posizione da quella del suo ammirato predecessore cristiano, quando è invece evidente che egli (insieme con altri esegeti cristiani — τ. 19: ἡμεῖς —, Origene presumibilmente

incluso) sta

polemizzando con Porfirio, l'avversario pagano per eccellenza, nominato poco sopra. Non possono infine sussistere molti dubbi sul fatto che Porfirio abbia proposto l'associazione di Achille con Cristo e di Ettore con il diavolo al fine di screditare, mediante un’ese-

gesi grottesca ed ‘irriverente’, il metodo con cui i cristiani interpretavano 1 testi sacri, sebbene tale intento polemico e caricaturale risulti notevolmente ridimensionato nella ricostruzione di Sellew (cfr. soprattutto p. 99), per il quale Porfirio voleva piuttosto indicare nei monumenti letterari della tradizione el-

lenica gli oggetti più appropriati per l’interpretazione allegorica, anche allo scopo di ricondurre figure eminenti della cultura religiosa cristiana a personaggi omerici provvisti di valore simbolico universale. Vi è poi la discussione sui brani iliadici (il riferimento all'Odissea di Sanchez, 119 è evidentemente un lapsus) da cui Porfirio può avere tratto lo spunto per la parodistica allegoresi. Si è pensato soprattutto (cfr. Binder, 93 e Sellew, 83-84) alla parte finale del XII libro, dove Ettore guida un rovinoso attacco contro i Greci e dove gli vengono attribuiti caratteri —

626—

PORPHYRIUS IT di luminosità e di splendore (cfr. vv. 462-466: ὃ è’ ἄρ᾽ ἔσθορε φαίδιμος Ἕκτωρ νυκτὶ θοῇ ἀτάλαντος ὑπώπια- λάμπε δὲ χαλκῷ σμερδαλέῳ

... πυρὶ δ’ ὄσσε δεδήει) che possono avere agevo-

lato, se non direttamente suggerito, la sua identificazione con Lucifero- diavolo; oppure alla descrizione della furia guerriera

di Ettore.che Odisseo fa ad Achille (IX 236 sgg.) per indurlo a tornare a combattere, od anche alle imprese e alle esorta-

zioni di Ettore durante la battaglia presso le navi (XIII 136

sgg.). Beatrice (1995, 583 n. 24) ha giustamente osservato che l’esegesi allegorica può riguardare tutti i passi in cui si menzionano Achille, Ettore e i loro duelli, e Carlini ha energicamente richiamato l’attenzione sul duello finale tra Achille ed Ettore del canto XXII, quale ‘tipo’ del confronto tra Cristo e

il diavolo: «Porfirio ha presente e sfrutta polemicamente il

tema molto

diffuso nella letteratura cristiana antica, nella li-

turgia e nella tradizione iconografica, del descensus ad inferos di Cristo che, dopo la morte in croce, scende nel limbo (scheo/),

ingaggia un duello finale con Satana, il principe delle tenebre, il signore della morte, lo abbatte e libera i giusti dell'Antico Testamento»

(Carlini, 390). Le vanterie di Ettore prima della

vittoria di Achille potrebbero allora corrispondere, nelle intenzioni di Porfirio, all’autocelebrazione di Satana prima del trionfo finale di Cristo, che leggiamo ad esempio negli Acta

Thomae (32, p. 148, 18 sgg. Bonnet; cfr. Carlini, 391). La controversia decisiva riguarda tuttavia la frase ὑπὲρ τοῦ διαβαλεῖν δὲ τοῦτο ἐποίει (rr. 21-22), in genere considerata ın-

terna alla citazione porfiriana, ma da Carlini recentemente giudicata come commento ostile di Didimo. La lettura tradizionale, quella cioè che attribuisce a Porfirio le parole ὑπὲρ tod διαβαλεῖν

δὲ τοῦτο ἐποίει, ha verosimilmente trovato soste-

gno anche nella presenza, dopo ἐποίει, di un’asta obliqua, che segnala in genere la fine (od anche l’inizio) di un lemma, di citazioni o di una domanda; d’altra parte, sempre in Comm. in Eccl. 3, 14cd, p. 88, 13, troviamo lo stesso segno usato in

funzione diversa: dapprima sono riportate le parole dei Manichei, segue poi la confutazione ed infine il tratto obliquo, che dunque non è posto alla fine della citazione bensì alla fine della replica di Didimo. Se i due casi sono analoghi, si potrebbero allora attribuire le parole in questione a Didimo, immaginare che con esse si esaurisca la sua replica, e che la frase finale ὧδε —

627—

PORPHYRIUS

IT

οὖν τὰ τῆς ἀναγωγῆς πέπαυται non abbia necessariamente in-

tenti polemici, ma indichi semplicemente la conclusione dell’interpretazione spirituale del passo biblico che Didimo ha sviluppato nell’intera sezione giunta ora a termine. Come che sia, per Binder (92), Bienert (144 n. 276,

145) e quanti

sono

venuti dopo di loro, il fulcro dell’esegesi porfiriana riferita da Didimo è appunto il nesso verbale διαβαλεῖν-διάβολος, con cui verrebbe rafforzata l’equiparazione di Ettore con il diavolo. Per Carlini, del quale qui si accoglie l’interpretazione, è invece possibile chiudere con ἐνομίζετο la citazione porfiriana, godendo il tema del descensus ad inferos di una diffusione sufficientemente ampia per rendere facilmente identificabile 1] riferimento parodistico di Porfirio. Attribuire la battuta ὑπὲρ τοῦ διαβαλεῖν δὲ τοῦτο ἐποΐει a Didimo è in effetti più naturale, prima di tutto per ragioni linguistiche, poiché in questo modo si ottengono due distinti soggetti per il passivo ἐνομίζετο e per l’attivo ἐποίει, ed è inoltre possibile intendere διαβάλAew nel significato corrente di «calunniare, screditare», invece

del meno consueto, e nel contesto non del tutto soddisfacente,

«creare confusione, discordia» suggerito da Binder («um zu verwirren») e da Bienert («um Verwirrung zu stiften»); ma an-

che per ragioni logiche, poiché è difficile pensare che Didimo si astenga da qualsiasi replica, come invece fa per es. nella testimonianza 83 3T, con la sferzante chiosa: ὅθεν ἐμάνη Πορφύριος

καὶ ἐν τούτῳ. Che infine διάβολος sia qui Porfirio piuttosto che Ettore, sembra confermato dalla frequenza con cui i cristiani riservano al filosofo pagano la qualifica di *calunniatore' (Carlini rimanda a Eusebio, HE VI 19, 2-3, p. 558 Schwarz;

Girolamo, In Danielem Prologus = Porph. Contra Christianos, fr. 43A Harnack), e l’unica perplessità che la ricostruzione di Carlini può forse suscitare è che in essa, rispetto all’interpretazione alternativa, risultano meno significative le parole di Porfirio e quindi meno stringente la necessità di una loro citazione letterale da parte di Didimo. In generale, ı lineamenti della polemica di Porfirio contro l’interpretazione allegorica dei testi sacri attuata dai cristiani sono ricostruibili, con Binder, sulla base dei frr. 39, 43, 45, 54,

69 e 72 del Contra Christianos editi dallo Harnack [Porphyrius, «Gegen die Christen» 15 Bücher. Zeugnisse, Fragmente und Referate, hrsg. von A. VON HARNACK, APAW, phil.-hist. KI. 1 (1916); Neue Fragmente des Werks des Porphyrius gegen —

628 —

PORPHYRIUS

1-2T

die Christen. Die Pseudo-Polycarpiana und die Schrift des Rhetors Pacatus gegen Porphyrius, SPAW 1921, 266-284, 834-835]. Occorre, tuttavia, segnalare che sulla genuinità del fr. 45 (= Gerolamo, In Os. 1, 2, 8 sg.) sussistono dubbi [cfr. S. PEZZELLA, Il problema del Κατὰ Χριστιανῶν di Porfirio, Eos 52

(1962), 104 n. 87; A. MEREDITH, Porphyry and Julian Against the Christians, ANRW

II 23.2 (1980), 1128] e che tre degli al-

tri frammenti chiamati in causa provengono dall’Apocritico di Macario di Magnesia (54 = Macario di Magnesia, IV 8; 69 = III 15; 72 = II 15), un testo il cui valore come fonte per la ricostruzione dello scritto di Porfirio è controverso: negato da

Barnes (1973, 424-442), seguito da Meredith (Porphyry, cit., 1119-1149:

1125-1137)

e da Beatrice (1991, 134-136); ricono-

sciuto invece, con buoni argomenti, da R. Goulet, secondo il quale il materiale utilizzato da Macario è genuinamente por-

firiano, nonostante su di esso siano stati operati rimaneggia-

menti e rielaborazioni di vario genere [cfr. R. GOULET, Maka-

rios Magnès (Apocriticus), introd. gén., éd., trad. et comm. du

livre IV ainsi que des fragments des livres IV et V. Thèse de Doctorat de troisième cycle, Université de Paris I, 1974, spec. le pp. 361-365; e le osservazioni di Guida, in Teodoro di Mo-

psuestia, Replica, cit., 164 n. 121]. AL

2T Contra

Christianos

PTura VII, 280, 22-28 | Didymus Caecus, Comm. in Job 10, 13

Sec. VI/VII

Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum). Edd.: U. HAGEDORN

- D. HAGEDORN - L. KOENEN, PTA 3 (1968),

150-151.

Comm.: ALAND AT 96a; VAN KV 14 D. HAGEDORN



HAELST 646; ALAND - ROSENBAUM - R. MERKELBACH, Ein neues Frag-

629 —

PORPHYRIUS

2T

ment aus Porphyrios «Gegen die Christen», VChr 20 (1966), 8690; G. BINDER, Eine Polemik des Porphyrios gegen die allegorische Auslegung des Alten

Testaments durch

die Christen, ZPE 3

(1968), 81-95: 84 e n. 16: U. HAGEDORN - D. HAGEDORN

-L,

KOENEN, supra, 263- 264 n. 111; W.A. BIENERT, “Allegoria” und “Anagoge” bei Didymos dem Blinden von Alexandria, BerlinNew York, de Gruyter 1972 («Patristische Texte und Studien», 13), 141; T.D. BARNES, Porphyry, Against the Christians. Date

and the Attribution of Fragments, JThS 24 (1973), 424-442: 427; A. BENOIT, Le «Contra Christianos» de Porphyre: ou en est la collecte des fragments?, in Paganisme, Judaisme,

Christianisme.

Influences et affrontements dans le monde antique, Mélanges offerts ἃ Marcel Simon, Paris, De Boccard 1978, 261-275: 268 e n. 1, 271; F. ADORNO, Protagora nel IV secolo d.C. Da Platone a Didimo Cieco, 1986 (STCPF, 2), 59 n. 57.

σοφίζονται γάρ τινες, ὧν ἐστι καὶ Πορφύριος καὶ ὅ!μοιοι,

ὅτι εἰ πάντα δυνατὰ τῷ |? θ(ε)ῷ, καὶ τὸ ψεύσασθαι, καὶ εἰ πάντα δυνατὰ τῷ πιστῷ, δύναται ἄνθρωϊπον ποιῆσαι. 24

poor

25

| καὶ κλίνην

ποιῆσαι καὶ

ψευεαεθαι’

E infattı alcuni, tra i quali vi & Porfirio e gente simile, usano argomenti sofistici affermando: «se al Dio tutto ἃ possibile, allora lo è anche il mentire, e se al fedele tutto è possibile, allora egli può sia fabbricare un letto sia fabbricare un uomo».

Come è stato sostenuto (cfr. D. Hagedorn - R. Merkelbach e U. Hagedorn - D. Hagedorn - L. Koenen, 263-264), la citazione, che compare all’interno dell’esegesi di Job 10, 13: οἶδα ὅτι πάντα δύνασαι' ἀδυνατεῖ δέ σοι οὐδέν, costituisce verosimilmente un nuovo frammento, benché forse non letterale (Barnes), del Contra Christianos (vd. supra, comm. a 83 1T), in cui Porfirio polemizza contro due tipici assunti cristiani: che Dio sia onnipotente (oltre a Job 10, 13 cfr. soprattutto Gen. 18, 14; Zach. 8, 6; Mt. 19, 26; Lc. 1, 37) e che la fede possa tutto,

anche smuovere le montagne (cfr. Mt. 17, 20; Mc. 11, 23; 1 Cor. 13, 2). Ne conseguirebbe, per assurdo, che Dio potrebbe —

630 —

PORPHYRIUS 2-3T

mentire e che qualsiasi fedele, se può fabbricare un letto, po-

trebbe persino realizzare qualcosa, come creare un uomo, che trascende totalmente le capacità umane. Sulla potenza della fede Porfirio ironizza nei frr. 3 (= Gerolamo, /n Mattb. 21, 21) e 95 (= Macario di Magnesia III 17; vd. supra, comm. a 83 1T) del Contra Christianos. La dottrina dell'onnipotenza di Dio viene invece criticata nel fr. 94 (= Macarıo di Magnesia IV 24), nel quale, tra le altre cose, si le ge

appunto: ἀλλ᾽ οὐδὲ κακὸς ὁ θεός, εἰ καὶ θέλει, δύναται γενέσθαι ποτέ, ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀγαθὸς ὧν τὴν φύσιν ἁμαρτῆσαι δύναιτ᾽ ἄν.

L’obiezione di Didimo è che Dio può fare solo quello che si addice alla sua natura divina, così come il fedele può fare solo ciò che gli si addice in quanto fedele (cfr. 281, 1-3: (à)

ἁρμόζει θεῷ θεῷ δυνατά, καὶ (ἃ) ἁρμόζει πιστῷ δύναται πιστός).

Cosi facendo, Didimo si riallaccia non soltanto alla posizione di Origene [cfr. p. es. ıl brano Cels. V 23, segnalato in PTA 3 (1968), 264 n. 111], ma anche (ctr. Hagedorn - Merkelbach, 89) alla concezione pagana di un Dio che non puó andare contro la propria natura 'buona', presente nel citato fr. 94 del Contra Christianos. AL

JT Contra

Christianos

PTura V, 308, 11-14

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm. in Ps. 43, 2 Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum). Edd.: M. GRONEWALD, Porphyrios Kritik an den Gleichnissen des Evangeliums, ZPE 3 (1968), 96; M. GRONEWALD, PTA 12 (1970), 104-105.

Pal: A. KEHL, Der Psalmenkommentar von Tura. Quaternio IX (Pap. Colon. Theol. 1), Pap. Colon. 1, 17-29. Comm.: ALAND AT 57; VAN HAELST 644; ALAND - ROSENBAUM KV —

631—

PORPHYRIUS

12

A. COLONNA, RFIC

3T

100 (1972), 348; W.A. BIENERT,

“Al-

legoria” und “Anagoge” bei Didymos dem Blinden von Alexandria, Berlin-New York, de Gruyter 1972 («Patrisusche Texte und Studien», 13), 142 e n. 262; T.D. BARNES, Porphyry, Against the

Christians. Date and the Attribution of Fragments, JThS 24 (1973), 424-442: 428; A. BENOIT, Le «Contra Christianos» de Porphyre: où en est la collecte des fragments?, in Paganisme, Judaisme, Christianisme. Influences et affrontements dans le monde antique, Mélanges offerts ä Marcel Simon, Paris, De Boccard 1978, 261-275: 268 e n. 1, 271; F. ADORNO, Protagora nel IV secolo d.C. Da Platone a Didimo Cieco, 1986 (STCPF, 2), 59 n. 57.

o9 π[αντὸΪς γὰρ ἔστιν τοῦτο εἰπεῖν, ἀλλὰ τοῦ προσθήκην

ὠτὸς λαβόντος | [θ]ε[ό]θεν. ταῦτα ἐν [và ὁ ὁ σω]τὴρ

ἐ ἔχων [ἔλε-

yev]- “ὁ ἔχων ὦτα ἀκούειν ἀκουέτω". οὐ πάντες δὲ εἶχον τὰ ἀκούοντα | τῶν Ἰησοῦ ἐπικε[καλυμμ]ένων λόγωϊν, τῶν] ἐν παραβολαῖς ἀπαγγελλομένων λόγων. ὅθεν ἐμάνη Πορφύριος | καὶ ἐν τούτῳ. 11 οὐ πίαντὸ]ς Gronewald 1970, οὐ παντὸς ed.pr. 12 [νῷ ὁ σω]τὴρ Gronewald 1970, ταῦτα τὰ ὦτα ὁ σωΪτὴρ ed.pr.

ταῦτα ἐν [ἔλεγεν]

ed.pr.

ἐπικείκα-

13

τῶν Ἰησοῦ Gronewald 1970, τῶν Ἰησοῦ ed.pr.

λυμμ]ένων λόγωϊν, τῶν] ed.pr.

Non chiunque, infatti, può dire questo, ma solo chi da Dio ha

ricevuto in aggiunta un orecchio. Avendo questo in mente tore ha detto: «Chi ha orecchie per intendere, intenda». Ma avevano le orecchie per intendere le parole velate di Gesù, annunciate nelle parabole. Anche in ciò, pertanto, Porfirio un’opinione folle.

il Salvanon tutti le parole sostenne

All’interno dell’esegesi di Ps. 43, 2: ὁ θεός, ἐν τοῖς ὠσὶν ἡμῶν ἠκούσαμεν, Didimo, appoggiandosi ad un noto motto evangelico (Mt. 11, 15), spiega che le parole di Dio non sono indirizzate a chiunque, ma solo a chi, per dono divino (θεόθεν), ha avuto un orecchio ‘supplementare’. Una dottrina dell’ “orecchio dell’anıma’, dunque, invece del platonico ‘occhio dell’anima’, che Didimo può avere ricavato, oltre che dalle Scritture (si vedano gli stessi passi /s. 50, 4-5 e 2 Cor. 12, 4 che egli uti—

632—

PORPHYRIUS 3T

lizza poco prima, a 308, 4-8 e 308, 11), dal platonismo giudaico-cristiano della scuola di Alessandria in cui si è formato, espressione di una tradizione culturale che annovera tra 1 suoi maggiori esponenti Filone (del quale si veda p. es. il passo De virtutibus 147: τοῖς ὦτα ἔχουσιν Ev ψυχῇ), Clemente (cfr. p. es. Strom. V 1, 2, p. 326, 21 Stählin: πίστις ὦτα ψυχῆς) e On-

gene (cfr. p. es. Cels. VII 34, p. 185, 6-8 Koetschau: θειοτέρων .. @twv; or. XIII 4, p. 328, 13-14: doi πνευματικοῖς). Come osserva Gronewald (1968, 96), nel Contra Christia-

nos Porfirio si scaglia contro l’insensatezza o la banalità di espressioni e similitudini scritturali, rivolte a ‘stolti’ e a ‘bambini' (cfr. specialmente 1 frr. 52 e 54 Harnack, estratti entrambi dall’Apocritico — IV 9 e IV 8 — di Macario di Magnesia, per il quale vd. supra, comm. a 83 1T); ed è verosimilmente da accuse di questo genere che qui si difende Didimo. AL



633—

84 POSIDONIUS



11 De persuasione

PMilVogliano I 11, 17 [vd. supra, 6]

2T De

ıra

PRossGeorg I 22, col. I 8 [vd. supra, 2]

L’iniziale individuazione di PGen inv. 203 come epitome del Commento al Timeo di Platone di Posidonio da parte di F. Lasserre 1986 (STCPF, 2), 71-127 non ha trovato séguito

presso gli studiosi; si veda da ultima la riedizione del testo di F. DECLEVA CAIZZI - M.S. FUNGHI, 1998 (STCPF, 9), 33-110.

R — 634—

POSIDONIUS

L’attribuzione di POxy 1609 a Posidonio fu proposta da H. DIELS ap. 31B109a DK, p. 352 n. 1 perché l’autore del testo cita un proprio

commento

al Timeo.

In seguito alla sco-

perta di un altro frammento dello stesso rotolo (PPrinc inv. AM

11224 C) che ha consentito

commento

di riconoscere nel testo un

all’Alcibiade I, e all’analisi complessiva compiuta

da F. LASSERRE, 1991 (STCPF, 5), 7-23, tale attribuzione risulta non plausibile. Cfr. la riedizione del testo in CPF III 5, pp. 532-562.

2



635—

85 POTAMO

(ALEXANDRINUS

Ὁ)

11

Sec. II?

PSI 1476, fr. Ὁ 7-9 [11.2] Florilegio gnomologico Prov.: ignota.

Cons.: Firenze, Istituto Papirologico ‘G. Vitelli’. Edd.: V. BARTOLETTI, Frammenti di un florilegio gnomologico in un papiro fiorentino, Atti dell’XI Congresso Internazionale di Papirologia, Milano, 2-8 Settembre 1965, Milano, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 1966, 1-14 = V. BARTOLETTI, 1933-1976, 1.2, Pisa, ETS Editrice 1993, 535-548.

Scritti

Comm.: MP’ 1583.3 F. UEBEL, APF 21 (1971), 183-184, n° 1161; P. CARRARA, On the Nature of P.Petrie I iii 1: Gnomologium or Work about Plagiarism?, ZPE 68 (1987), 14-18: 14 n. 1, 16 n. 15;

R.M. PICCIONE, Sulle fonti e le metodologie compilative di Stobeo, Eikasmos 5 (1994), 281-317: 292, 296-298.

Ποτάμωνος- | Ἐπίτρεπε σὺ καὶ τῇ τύχῃ μετὰ τοῦ Ölıa]jßovλεύεσθαι. 8 emttpeneco dopo επιτρεπε si vedono due tratti verticali, il primo dei quali & piü breve ed esile, e fra loro, in alto, ci sono due elementi ad andamento orizzontale, non allineati, il secondo dei quali è legato ad occhiello col secondo tratto verticale (si tratta forse di un sigma piuttosto stretto seguito da un hypsilon), ἐπιτρέπει ed.pr.: ma al momento dell’ed.pr. non era stata ancora collocata in posizione una sottile striscia di fibre, su cui ora si —

636—

POTAMO

IT

vedono il primo tratto verticale e i due elementi non allineati nella parte alta del rigo. 8

ἐπίτρεπε σὺ possis, ἐπίτρεπε{ι) ed.pr.

Di Potamone: Tu, nel prendere una decisione, affidati anche alla fortuna.

Si tratta di un rotolo frammentario (PSI inv. CNR 72-77), il cui recto era stato utilizzato per dei conti di carattere amministrativo, databili al I sec. d.C.; sul verso, nel II sec. d.C.,

piuttosto verso la seconda metà (IV/III ed.pr.), è stata copiata un'antologia di brani di vari autori (oltre a Esiodo, 51 tratta per lo più di tragici, come Eschilo, Sofocie, Euripide e Moschione, o di comici, come Antifane, Apollodoro?, Menandro e Filemone). Molti di questi brani, dove si sia data l’opportunità, sono già stati ripresi o, comunque, considerati in raccolte generali successive: per Eschilo, cfr. TrGF III n° 331a, p. 407; per Sofocle, cfr. TrGF III p. 584 (add. a IV p. 541, n° 795a); per Euripide, cfr. C. AUSTIN, Nova fragmenta Euripidea in papyris reperta, Berlin, de Gruyter 1968, n' 152-156, pp. 8587; per Antifane, cfr. PCG II p. 460, n° 257; per Apollodoro(?), cfr. PCG

II p. 514, n° 16; per Menandro,

cfr. PCG

VI 2 n°

67, p. 77; n° 89, p. 87; n° 126, p. 105; per Filemone, cfr. PCG VII p. 255, n° 56; p. 277, n° 94.

Nel papiro, i brani risultano raggruppati in sezioni tematiche (cfr. fr. B, 9: περὶ ἀρετῆς); all’interno di ogni sezione, 1 singoli brani si succedono, a quanto sembra, secondo un ordine antilogico, come in BKT V.2 XX A-B (Pack? 1568, 1573) e forse in PHarris II 170: cfr. J. BARNS, CQ 45 (1951), 1-19: 3 sgg.

La sezione in cui figura la frase di Potamone sembra incentrata sul tema della fortuna (περὶ τύχης). Una citazione di Potamone potrebbe ricorrere anche nel fr. A, col. II 15 (Ποτ[άμωvog?), in una sezione incentrata forse sul tema della ricchezza (περὶ πλούτου).

Riguardo ἃ Potamone, che sembra l’unico autore in prosa citato nei frammenti superstiti, sı può essere incerti se si tratti effettivamente del filosofo alessandrino, vissuto al tempo di Augusto, che fondò una scuola eclettica e fu autore di un com—

637—

POTAMO

1T

mento alla Repubblica di Platone e di una Στοιχείωσις di tono stoicheggiante (cfr. H.J. METTE, RE XXII.1 1023.28-43), oppure se non sia piuttosto identificabile con l'omonimo retore di Mitilene, vissuto nell'età di Tiberio (cfr. W. STEGEMANN, RE

XXIL1

1023.44-1027.60; Jacoby, FGrHist

147).

R



638—

86 PRAXIPHANES

*

ıT

PDuke

inv. 178, 11 21 [vd. supra, 1]

2T

POxy 1086 col. I 11-18 Commentario a Hom. Il II

Sec. I°

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library, inv. 2055 r. Edd.: A.S. HUNT, POxy VIII (1911), 77-99: 80-83; K.O. BRINK, Callimachus and Aristotle: An Inquiry into Callimachus! Πρὸς IIpa&ıpavnv, CQ

40 (1946), 11-26: 21 (F 3); W. ALY, Praxipha-

nes, RE XXII.2 (1954), 1779; WEHRLI, Praxiphanes, 1969" (Schule,

IX), fr. 20; ERBSE, Scholia Iliad., I, 164-174: 165.

Tavv.: ERBSE, supra (completo); TURNER, GMAW, 58 (col. II), pp.

Comm.: A MP’ 01912),

=

K.FR.W. FR.W.

P? 1173

633.652 dd e

n. ; A. KORTE,

IDT, GGA S SCHMIDT,

APF

174

6 (1913), 252-253:

252; C. HARDER, Bericht über die bomerische Textkritik, 1907-

HOWALD, Zu den Tliassc ο1912, JAW 166 (1914), 3-68: 10; E. 419; J. VAN LERNEN, 1 A

lien, RhM 72 (1917/1918), 403-425:

Od. Tr ] 79 sea, Lugduni Batavorum, Sijthoff 1917, 301n. ad S.E. BASSETT, Ὕστερον πρότερον Ὁμηρικῶς (Cicero, Att. 1, 16, —

639 —

PRAXIPHANES

2T

1), HSPh 31 (1920), 39-62: 47-48, 55; W. v. CHRIST - W. SCHMID O. STÄHLIN, Geschichte der griechischen Litteratur, 11.1, Mün-

chen, Beck 19205, 80 e n. 3, 267 e n. 5; A. GUDEMAN, RE ILI (1921), s.v. Scholien, 625-705:

628, 638; S.E. BASSETT,

The Se-

cond Necyia Again, AJPh 44 (1923), 44-52: 45-46 e n. 7; MILNE [1927], n° 176; S.E. BAssETT, The Poetry of Homer, Berkeley, University of California Press 1938 («Sather Classical Lectures»,

15), 120-121 e n. 10, 124-125 e n. 17, 127; BRINK, supra [1946],

21, 23, 25; ALY, supra [1954], 1771, 1779; A.J. PODLECKI, The Peripatetics as Literary Critics, Phoenix 23 (1969), 114-137: 125; WEHRLI, supra [1969], 113; A. LAMEDICA NARDI, Commenti a

Omero Iliade, SCO 26 (1977), 133-155: passim; N.J. RICHARDSON, Literary Criticism in the Exegetical Scholia to the Iliad: A Sketch, CQ 30 (1980), 265-287: 282 e nn. 58 e 59; K. McNAMEE, Aristarchus and ‘Everyman’s’ Homer, GRBS 22 (1981), 247-255: 249; F. MONTANARI, 7] grammatico Tolomeo Pindarione, i poemi

omerici e la scrittura, in Ricerche di filologia classica I, Pisa, Giardini 1981 («Biblioteca di Studi Antichi», 34), 97-114: 103 n. 6 [=

Studi di filologia omerica antica II, Pisa, Giardini

1995 («Bi-

blioteca di Studi Antichi», 50), 41-58: 47 n. 6]; H. VAN THIEL,

Die Lemmata der Iliasscholien: Zur Systematik und Geschichte, ZPE 79 (1989), 9-26: 14 n. 4; H. van THIEL, Zenodot, Aristarch

und andere, ZPE 90 (1992), 1-32: 26; J. LUNDON,

Σχόλια: una

questione non marginale, in Discentibus obvius, Como, Edizioni New Press 1997, 73-86: 84 n. 41; M. SCHMIDT, Variae Lectiones oder Parallelstellen: Was notierten Zenodot und Aristarch zu Homer?, ZPE 115 (1997), 1-12: 11; M.W. HasLam, POxy LXV

(1998), 61-66: 63.

Il papiro è costituito da tre frammenti provenienti da un rotolo che riportava un commentario al libro II dell'Iliade. Un frustolo, verosimilmente facente parte del primo rotolo dello stesso commentario, è apparso nel volume LXV degli Oxyrbynchus Papyri con il numero di serie 4451. Dei tre frammenti uno è di ragguardevoli dimensioni, gli altri due (i frr. 1 e 2 dell’ed.pr.) sono dei miseri resti recanti tracce di poche lettere che finora non si è riusciti a collocare in modo convincente e che possono perciò essere trascurati in questa sede. Il testo è tracciato sul recto lungo le fibre, mentre sul verso si trovano le “ricette mediche” pubblicate come POxy VIII 1088. Il frammento maggiore, che misura cm 41x23,2, conserva tre ampie colonne di testo, di cui quelle esterne sono gravemente mu-

— 640—

PRAXIPHANES 2T

tile. Le colonne, separate da un intercolunnio stretto di cm 0,5/1, sono alte cm 20,7/21,0 e larghe cm 15,8. Le prime due

contengono 40 righi di scrittura e la terza 41, e ciascun rigo

conta una media di 61 lettere. I margini superiore e inferiore sono conservati per un’estensione massima rispettivamente di cm

1,3 e 1,6, ma

non dovevano

essere in origine molto più

ampi. Si intravedono tre kolleseis. Il testo del commentario, come avviene spesso in altri prodotti appartenenti allo stesso genere ipomnematico, è stato redatto in una scrittura informale che si colloca a metà strada fra libraria e corsiva, di modulo piuttosto ridotto ad eccezione

che nelle lettere iniziali di parola, di rigo o di sezioni testuali,

le quali si presentano sensibilmente ingrandite, come in genere succede nella prassi documentaria. Ad essa si richiamano anche la larghezza delle colonne e il ricorso a un sistema sviluppato di abbreviazioni e di segni convenzionali per alcune parole ed espressioni di uso comune,

La scrittura è stata datata su basi paleografiche al I sec.

a.C., e a favore di questa datazione depone la presenza di tutta

una serie di caratteristiche proprie delle (tarde) scritture tolemaiche, tali da far propendere per una collocazione cronolo-

gica nella prima piuttosto che nella seconda metà del I sec. a.C.

Notevole, infine, l’elevato numero degli spazi bianchi di ampiezza variabile, dovuti alcuni alle condizioni originarie del

materiale scrittorio, altri alle caratteristiche della grafia e altri

ancora (e questa è la classe più importante) al genere di testo. Questi ultimi infatti riflettono un vero sistema, servendo non solo ad articolare gli elementi costitutivi del testo, quali i commenti, i lemmi e le singole spiegazioni (gli spazi in genere più ampi), ma anche, con funzione di punteggiatura, a scandire le unità logico-sintattiche del pensiero, segnando divisioni fra 1 singoli periodi, proposizioni ed espressioni che vanno a comporre il discorso (gli spazi minori). [» “ἵπποι p(èv) μέγ᾽ ἄρισται" (B 763): τὸ σημεῖον ὅτ]ν πρ(ὸς) τὸ δεύτερον πρότερον ἀπήντησεν. τὴν δ᾽ ἀϊπολογίαν τοῦ ποιητοῦ

ἐντεῦθεν ὁ ᾿Αρ]ίσταρχος πεποίηται πρ(ὸς) Πραξιφάνην ἐκεῖνος Ι [γὰρ θαυμάζει τὸν Ὀδυσσέα ἐπὶ τῷ] παρηγορικῶς ὡμιληκότα —

641—

PRAXIPHANES

2T

τῇ μητρὶ κα [τὰ τὴν τελευτὴν περὶ Τηλεμάχου κ(α}} | Πηνελόπης

ἐρωτῆσαι, ἐπειδήπερ ὡς ἔνι μάλιστα |^ [t 23 ἐν τῇ d]rovoig. ἢ dé, φησίν, ἡ ᾿Αντίκλεια συνετωτάτη | [οὖσα + 22 Ἰγίνεται (cf. À 163-203). δι᾽ ἣν αἰτίαν ὁ ᾿Αρίσταρχος δεικνὺς ο[[Ξ 26]e: ἡ ᾿Αντίκλεια. σημειοῦται δὲ ὅτι διὰ παντὸς | [ὃ ποιητὴς οὕτως πρί(ὸς) τὸ δεύτερον πρ]ότερον ἀπαντᾷ κατὰ ἰδίαν συνήθειαν. I 11 Jı manca la parte inferiore della lettera bianco

dopo

axnvtncev

spazio bianco

12 Jıctapxo«

dopo

h spazio

si intravede l’e-

stremità superiore di uno ı dopo rerointai spazio bianco dopo m spazio bianco dopo πραξιφανην spazio bianco ξἕκεῖινος il v e l'o sono molto compressi e tracciati con ductus corsivo

13 Jrapnyopıkac

della lettera

iniziale resta un punto in alto, che si adatta all’estremità destra della barra

di un x; dopo !’n si scorgono tre tracce, di cui la terza, piuttosto consistente, è compatibile con un p, mentre delle altre due è incerto se appartengano a una o due lettere

dopo ]rapnyopix@c spazio bianco

ὠμειλήκοτα

τῆι dopo untpi spazio bianco 14 nnveAonnc visibile la parte destra del x con il tratto di prolungamento della barra orizzontale; dell’o è conservata solo la parte sinistra dopo zpwrncaı spazio bianco 15 ]πουεῖαι non è sicuro se prima del x sussista una traccia; dell’a restano le tre estremità e dello 1 la parte superiore dopo l.novcıaı spazio bianco dopo yrcıv spazio bianco dopo avtıxAeıa spazio bianco 16 Iyıveran si vede a metà altezza il tratto orizzontale di un y; fra il t e lo 1 finale si trova un trattino

in alto, che si adatta alla cuspide di un « dopo ]yıveraı spazio bianco dopo aitiav spazio bianco dopo apictapyoc spazio bianco 17 di Jeı si vede con certezza un tratto verticale discendente leggermente ricurvo verso sinistra e che nell’estremità superiore si lega con un tratto orizzontale proveniente da sinistra: il poco che ne resta non consente di decidere fra la parte destra di un n (ed.pr.) oppure il nesso er (Erbse), di cui rimarrebbe tutto lo 1 e il punto di tangenza con il tratto mediano dell’e dopo je spazio bianco 18 Jotepov visibili la parte sinistra e l’estremità superiore destra del secondo o (malgrado Erbse in app., va escluso c); della let-

tera successiva resta sul rigo di base l’incontro di due tratti: l’obliquo e il verticale di destra di un v (malgrado ed.pr. ed Erbse, va escluso c) anavıa tracce consistenti disposte triangolarmente, che corrispondono perfettamente a un o: (malgrado Erbse in app., va escluso assolutamente n) dopo ἅπαντα spazio bianco dopo ıdıav spazio bianco dopo cuvnBerav spazio bianco I 11 suppl. Wilamowitz ap. ed.pr. (diplen ante ἵπποι addidi, quamquam spatium ad eam excipiendam deficere videtur) 11-12 suppl. Wilamowitz ap. ed.pr. 13 suppl. Erbse in app. ([yüp X 24] in textu) post Wilamowitz ap. ed.pr. (διὰ τὸ) 13-14 suppl. Wilamowitz ap. ed.pr., xal[tà + 12 περὶ Τηλεμάχου x(ai) Erbse

15 [ἀκοῦσαι θέλει τὰ συμβάντα Ev τῇ &]novoto

Wilamowitz ap. ed.pr., [ἀκοῦσαι θέλει (vel καραδοκεῖ) τὴν τούτων τύχην ἐν

— 642—

PRAXIPHANES 2T

τῆι ἀἸπουσίαι Erbse in app. ([£ 31 &]xovoto in textu) 16 [οὖσα ebθὺς περὶ αὐτὰ ταῦτα κατα͵]γίνεται Wilamowitz ap. ed.pr., [+ 3i]yiveran Erbse

δείκνυσ(ι) Schmidt, probante Hunt ut vid., quippe qui descripserit consilium in extrema exemplaris sui pagina (cf. etiam Aly et Erbse in app. ad 17), sed oportuit deikvuo(iv) propter ol 16-17 öllnep δεῖ ἀποφαίνει ὅτι ὀρθῶς λέγ]ει Erbse in app. (ol[* 26]ει in textu), ubi prop. etiam öllrep δεῖ δηλοῖ ὅτι ᾿Ομηρικῶς λέγ]ει vel ὅ!μοια σχήματα δηλοῖ ὅὅτι ὀρθῶς λέγ]ει, ὅ{{τι t 25]n ed.pr., Olltı εὐνουστάτη ἐστὶ τῇ Πηνελόπ]ῃ ἣ ᾿Αντίκλεια Aly coll. sch. A 177 18 supplevi post Erbse in app. ([* 26 πρ]ότερος in textu), qui tamen legit πρ]ότερος (Jotepog vel Jotepoc in app.) pro πρ]ότερον, [o ποιητὴς οὕτως εἰς τὰ ὕστερα πρ]ότερος Wilamowitz ap. ed.pr., [ὃ ποιητῆς οὕτως eig τὰ δεύτερα πρ]ότερος Aly, [ὁ ποιητὴς οὕτως εἰς τὸ δεύτερον πρ]ότερος Wehrli

[«Le cavalle di gran lunga migliori» (B 763): Il segno, perché] (il poeta) ha dato risposta prima alla seconda domanda. [Su questa base] Aristarco ha difeso [il poeta] contro le critiche di Prassifane. Questi, [infatti, si meraviglia che Odisseo,] dopo aver conversato con la

madre per darle conforto, le chieda, [verso la fine della loro conversazione, di Telemaco e] di Penelope, perché [...], più di ogni altra cosa [...] durante la sua assenza. Ma ella, Anticlea, dice lui, es-

sendo di intelligenza pronta, [...], (cfr. A 163- -203) e per questo motivo Aristarco,

mostrando

[...] Anticlea [...]. E c’è il segno perché [il

poeta], seguendo l’uso suo proprio, [in questo modo risponde] sempre prima [alla seconda domanda].

Occorre sottolineare subito che lo sforzo di comprendere a pieno la testimonianza prassifanea contenuta in questo commento va incontro ad alcuni gravi ostacoli. In primo luogo lo

stato estremamente frammentario del testo oppone notevoli difficoltà. Degli otto righi che lo compongono, infatti, ciascuno manca di circa la prima metà. Ne consegue che l’analisi, fondandosi su un oggetto in larga misura ricostruito, è de-

stinata a restare ipotetica, pur se a molte delle integrazioni, più o meno

agevolmente desumibili dal contesto sopravvis-

suto, si può attribuire un discreto grado di probabilità. Un altro problema non trascurabile è costituito dalla natura stessa del discorso. Si tratta infatti di un resoconto, redatto dall’autore del commentario

e innestato su un altro commento, in-

torno a una presa di posizione di Aristarco nei confronti di un’opinione di Prassifane. Ciò significa in pratica che, oltre a essere staccate dal loro contesto originario e ridotte, le idee e —

643—

PRAXIPHANES

2T

le parole di quest'ultimo ci giungono almeno di terza mano (mediate prima da Aristarco e poi dall'autore del commentario).

Appena portato a conclusione 1] “Catalogo delle navi’ (759760), il poeta, per la terza volta nel poema, invoca l’aiuto della Musa rivolgendole una duplice domanda: chi fra i capi e quale fra ı cavalli fu il migliore (τίς τ᾽ ἂρ τῶν ὄχ᾽ ἄριστος ENV, σύ

μοι ἔννεπε Μοῦσα, / αὐτῶν ἠδ᾽ ἵππων; 761-762). Le risposte arrivano subito, ma, rispetto alle domande, i in ordine inverso: infatti, il poeta prima accenna alle cavalle di Eumelo, dedicandovi ben cinque versi (763-767), poi (più brevemente)

ad

Aiace, figlio di Telamone, cui spetta, in assenza di Achille, il primato fra gli uomini (768-769). La disposizione incrociata

dei termini delle domande e delle risposte in questo passo fu rilevata da Aristarco, come emerge chiaramente dal commento (al verso 763) che si legge nel papiro e dallo scolio (A, di Aristonico) ad loc. La lunga annotazione, infatti, si apre con un riferimento al σημεῖον, verosimilmente premesso al lemma ora in lacuna, la cui presenza viene motivata con una formula, che riassume sinteticamente lo schema osservato: πρὸς τὸ δεύτερον πρότερον ἀπήντησεν. La stessa formula 51 trova disseminata

negli scolî medievali attribuiti ad Aristonico numerose altre volte ed evidentemente rispecchia un Erklärungsmuster aristarcheo (cfr. Schmidt 1997). Anche al termine del commento

si fa di nuovo riferimento al σημεῖον e si riprende la formula, ma questa volta, alla luce della discussione precedente, la motivazione si arricchisce di nuovi

elementi

guadagnando una

prospettiva più ampia: non è più il caso singolo preso a sé che interessa, ma il caso singolo in rapporto a un fenonemo generalizzato (si notino le espressioni διὰ παντός,

κατὰ ἰδίαν

συνήθειαν e l’uso del presente ἀπαντᾷ al posto dell’aoristo ἀπήντησεν).

Alla spiegazione iniziale del segno critico (una διπλῇ, in-

dicata con il termine generico onpetov), che riguarda diretta-

mente il passo commentato, si aggiunge, per mezzo del Verknápfungs-8€, il resoconto del problema enucleato da Prassifane (quasi sicuramente da identificare con il filosofo peripatetico omonimo) in merito a un passo dell’Odissea e della soluzione data a esso da Aristarco, ora nominato esplicitamente, il quale, in conformità con il suo modo di procedere filologico, volto a individuare l’omerico, adduceva come parallelo lo stesso passo

— 644 —

PRAXIPHANES

2T

commentato. Si tratta del noto dialogo fra Odisseo e Anticlea raccontato nella Νέκυια, dove la madre affrontandoli a uno a uno risponde nell’ ordine esattamente contrario alla serie di

quesiti indirizzatile dal figlio. L'esposizione dell’opinione di Prassifane, introdotta dall’integrato γάρ, si estende dal pro nome ἐκεῖνος (riferito appunto a Prassifane) nel r. 12 a Ἰγίνεται

nel r. 16, occupando la parte centrale del commento. Dapprincipio le parole del filosofo sono paratrasate/riassunte, ma poi a partire da f| dé nel r. 15, come indicherebbe il φησίν parentetico, 51 passa alla citazione diretta. Nonostante la frammentarietà del testo, pare abbastanza certo che Prassifane si fosse chiesto per quale ragione Odisseo rimanda alla fine del suo discorso la domanda che, standogli più a cuore, avrebbe dovuto fare per prima. Il problema sollevato da Prassifane, dunque, un problema esegetico di matrice aristotelico-peripatetica (senza implicazioni per l’assetto testuale) facente leva sulla categoria dell’ ἄλογον o dell’ ἀπίθανον (cfr. il θαυμάζει integrato nel r. 13) interessa l’ordine delle domande di Odis-

seo e non (o solo in misura minore) quello delle risposte di Anticlea, su cui invece si impernia la soluzione di Aristarco. Se poi Prassifane abbia mai escogitato una λύσις per il suo πρόβλημα non risulta dal testo del commento. Lo scolio (QT)

ad Od. XI 177 motiva in termini psicologici il comportamento dell’eroe e di sua madre (εἰδὼς ὁ Ὀδυσσεὺς τὰς ἑκυρὰς ἐχθρωδῶς περὶ τὰς νυοὺς διακειμένας. περὶ Πηνελόπης ὑστάτης ἠρώτησεν. | δὲ εὐφραίνουσα τὸν υἱὸν περὶ πρώτης αὑτῆς ἀπεκρίνατο),

spiegando così un fenomeno che Aristarco, attraverso il confronto con un locus similis, riconduceva a considerazioni sti-

listiche, all'usus omerico, ma i punti di contatto sembrano troppo vaghi perché si possa ipotizzare una relazione di discendenza. Le testimonianze e i frammenti di Prassifane documentano ampiamente 1 suoi sviluppati interessi critico-letterari: a. giudicare dai resti della sua produzione erudita, egli.merita a buon diritto ıl titolo di πρῶτος γραμματικός assegnatogli ini alcune

fonti. Di un lavoro specifico sull'Odissea, peró, non sı ha notizia, né esistono motivi particolari per ricondurre la discussione conservata nel commento del papiro ad alcuno dei | pochi titoli delle sue opere tramandati (per es. Περὶ ποιητῶν o

Περὶ ποιημάτων), senza poter naturalmente escludere del tutto la possibilità. Puó darsi che Prassifane si sia occupato del passo

— 645—

PRAXIPHANES 2-3T

della Νέκυια in un commentario, come sembra pensare Wehrli, ma ne avrebbe potuto discutere in molti altri contesti ancora. Per quanto riguarda Aristarco, invece, essendo ben attestati i suoi ὑπομνήματα a entrambi i poemi omerici, è probabile che proprio nel commentare il passo dell’Odissea egli abbia avuto occasione di rispondere a Prassifane, dando la sua soluzione

al problema da questi formulato. Che |’ espressione πρὸς

Πραξιφάνην sia piuttosto da intendere come il titolo di una

monografia (si sa di un lavoro di Callimaco con questo titolo) non convince: mancano infatti |’ ἐν τῷ o |’ ἐν τοῖς, che sono le formule normali per introdurre 1 titoli di libri nel linguaggio della letteratura erudita (e senza i quali il πρὸς Πραξιφάνην non potrebbe essere così interpretato in questo contesto) e, per di più, di quest'opera di Aristarco non si possiede la sia pur minima attestazione.

JL

3T

POxy 4457 fr. 2, 5-6 Appunti sulla filologia

Sec. IIIP

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Edd.: M.W. HASLAM, POxy LXV (1998), 61-66: 63. Tavv.: POxy LXV, ΧΙ.

Comm.: MI? 2144.11. ]va[].00 ἐν τῷ πί(ερὶ) τῆς nol ... 1... ]. «0 Πραξιφί(άν-) ἔφαcav αὐτὸν δια .[ ... 5 Διον)υσι[ὀ]δω(ρος) prop. ed.pr.

πο[λιτείας, prop. ed.pr. vendum sit haeret ed.pr.

πο[ιήσεως vel πο[ζιητικῆς, nisi fort.

6 compendium x() utrum k(aì) an x(atà) sol-

Il nome di Prassifane compare al rigo 6 del fr. 2 di un pa-

— 646—

PRAXIPHANES

3-4T

piro che riporta notizie sulla filologia. Esso è subito preceduto da un’abbreviazione, che, per danni avvenuti al supporto,

può essere sciolta o come κ(αὶ) (possibilità preferita dall’ed.pr.) oppure come x(otà). Nel primo caso si avrà un nominativo Πραξιφί (άνης)

coordinato

tramite

la congiunzione

Kol

a

Διον]υσι[ό Ἰδωί(ρος) (τ. 5) come soggetto del verbo ἔφασαν (τ. 6); nel secondo, invece, si otterrà un genitivo Πραξιφ(άνους) retto dalla preposizione κατά, e si potrà forse riconoscere in

questa espressione (preceduta dalla formula ἐν 1?) il titolo di un’opera polemica nei confronti di Prassifane. JL

4T

PSI 1219, fr. 1, 7-9

Sec. I/II

Commentario agli Aitia di Callimaco Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: El Qahira, El Mathaf EI Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 68909.

Edd.: M. NORsA - G. VITELLI, Da papiri della Società Italiana, BSAA 28 (1933), 123-132; G. CoPPoLa, Callimaco. Frammenti scelti per esercitazioni filologiche, Bologna, Zanichelli 1933, 10-11; M. Norsa

- G.

VITELLI,

PSI

XI

(1935),

139-149:

143;

146; K.O.

BRINK, Callimachus and Aristotle: an Inquiry into Callimachus’ Πρὸς Πραξιφάνην, CQ 40 (1946), 20: Τό; R. PFEIFFER, Callimachus, I, Oxford, Clarendon 1949, 3 (sch. ad fr. 1); WEHRLI, Praxiphanes, 1969* (Schule, IX), 97-98, fr. 15; G. MASSIMILLA, Callimaco. Aitia. Libri primo e secondo, Pisa, Giardini 1996, 6263; M. VAN ROSSUM-STEENBEEK, Greek Readers’ Digests? Stu-

dies on a selection of subliterary papyri, Leiden-New York-Köln,

Brill 1998, 273 (n° 44).

Tavv.: BSAA 28 (1933), 142 f.t. (frr. 1-2). Comm.: MP’ 196 (= P? 196) G. COPPOLA, Poeti e Telchini, SIFC 10 (1932), 327-338: 333-334; C. GALLAVOTTI, II prologo e l'epilogo degli «Aitia», STFC n.s. 10 (1932), 231-246: 232-233; G.

COPPOLA, Il prologo degli Aitia e il commento di Epaphroditos, RAIB,

ser. III 7 (1932-1933),

3-28; M. POHLENZ,

— 647—

Kallımachos’

PRAXIPHANES

4T

Aitia, Hermes 68 (1933), 313-327: 319; A. ROSTAGNI,

7 nuovi

frammenti di commento agli Aitia e la polemica letteraria di Callimaco, RFIC 61 (1933), 189-210 (= Scritti Minori II.1, Torino, Bottega d'Erasmo

1956, 311-331);

Ὁ.

CATAUDELLA,

Sui nuovi

frammenti di scolii agli Aitia di Callimaco, RFIC 62 (1934), 55-

56; P. MAAS, Gnomon 10 (1934), 162-165; A. ROSTAGNI, Postilla su poeti e Telchini, RFIC 62 (1934), 117-119 (= Scritti Minori, cit., 337-339); E. CAHEN, L’@uvre de Callimaque, documents nouveaux, REG 48 (1935), 279-321: 286; G. COPPOLA, Cirene e

il nuovo Callimaco, Bologna, Zanichelli 1935, 125 sgg: 126; 131; A. KÓnTE, APF 11 (1935), 229-230; E. DiEHL, Hypomnema.

De

Callimachi librorum fatis capita selecta, Riga 1937 («Acta Universitatis Latuensis», IV.2), 418-421; H. HERTER, JAW 255 (1937), 97-123: 108-109, 111; P. Maas, Die litterarische Form der Die-

geseis und der "Scholia Florentina’, in PMilVogliano

I (1937),

155-160: 159; E. DELAGE, La polémique littéraire dans les nou-

veaux fragments de Callimaque, in Mélanges d'études anciennes offerts

à G. Radet, REA

42 (1940), 93-101: 95; R. GOOSSENS,

Notes sur quelques papyrus littéraires. IV, CE 17 (1943), 134137; BRINK, supra, 12-16; A. ROSTAGNI

(rec. a Pfeiffer,

Calli-

machus, supra), RFIC 78 (1950), 72-73; W. ALY, Praxiphanes, RE XXII.2 (1954), 1782-1783; G. CAPOVILLA, Callimaco, I, Roma, Bretschneider 1967, 108; PFEIFFER, History [1968], 136 (= Storia, 226; Geschichte, 172); WEHRLI, supra, 111; P.M. FRASER, Ptolemaic Alexandria, Y, Oxford, Clarendon 1972, 748-749; II, 10531054; M.R. LEFKOWITZ, The Lives of the Greek Poets, London, Duckworth 1981, 118-119; 124-127; J. FAIRWEATHER, Traditio-

nal Narrative, Inference and Truth in tbe Lives of Greek Poets, Papers of the Liverpool Latin Seminar 4 (1984), 345-346; G.O. Hutchinson, Hellenistic Poetry, Oxford, Clarendon 1988, 82 n. 110; A. CAMERON, Callimachus and bis Critics, Princeton, Princeton Univ. Press 1995, 229-232; 376; G. BASTIANINI, κατὰ λεπτὸν

in Callimaco (fr. 1.11 Pfeiffer), in Le vie della ricerca, 69-77: 70, 72; MASSIMILLA, supra, 199-200; M. AsPER, Struktur und Funk-

tion poetologischer Metaphern bei Kallimachos, Stuttgart, Steiner 1997 («Hermes Einzelschr.», 75), 212 n. 21.

]Bo (ai) Πραξιφάνῃ τῷ Μιτυϊληναίῳ, τοῖς pe]lupou(ev)o[1]c αὐτοῦ τὸ κάτισ[χνον τῶν ποιηϊμάτ(ων) κ(αὶ) ὅτι οὐχὶ μῆκος

npal 7 ]Box πραξιφανητωμιτυ

8 ]ugop'ol.]: nella lacuna, molto piccola,

— 648—

PRAXIPHANES 4T

è molto più probabile 1 che non v come suggerito da Rostagni del verso due lineette oblique di riempimento 9 ]nark’

alla fine

7 Aéu]Bo e.g. Pfeiffer 8 τοῖς μεΪμφομ(έν)ο[ι]ς vel καταμε]μφομ(έν)ο[ι]ς (cf. PMilVogliano I 18, IX 33) Pfeiffer in app.: μεϊμφομ(έν)ο[υ]ς Rostagni 1933 9 npo[: ἤρατο Gallavotti, Rostagni, ᾿Ηρα[κλείδης Coppola 19321933, ἠγάπα vel ny&loato Pohlenz

[...] e a Prassifane di Mitilene, quelli che gli rimproverano il carattere (lo stile?) esile (sobrio?) delle composizioni poetiche [...] e il

fatto che egli non [apprezzi] la lunghezza [...]

Prassifane compare a conclusione di un elenco di nomi (Asclepiade, Posidippo, «i due Dionisii», alcuni nomi non ricostruibili) che fa seguito al lemma, con la citazione del primo verso del primo Aztzon, ]i μοι Τελχῖνες ἐπιτρύζουσιν ἀοιδῇ (fr. 1, 1 Pfeiffer). Il commento è strutturato con la menzione del primo verso di ogni carme seguito dal sommario del contenuto, con l’aggiunta di alcuni elementi eruditi non desumibili dal testo poetico, come questo elenco di nomi. Esso è stato considerato dal Vitelli un excerptum di un commentario più vasto (124), mentre Coppola,

1932-1933, lo ha attribuito di-

rettamente a Epaphroditos, scolaro di Teone. Anche Came-

ron, 119-127, scarta l’ipotesi dell’excerptum e fa notare la stretta affinità di questo materiale esegetico con quello delle Diege-

seis e di POxy 2263, classificandolo nel genere dei «plot-sum-

maries». Pohlenz e Kórte iinvece, senza reale fondamento, ne facevano un esempio di “Iepi- Literatur”. La pubblicazione degli scolî fiorentini agli Aitia ha provocato sin dal primo momento interpretazioni opposte. Mentre, da una parte, Vitelli - Norsa, seguiti da Brink e Pfeiffer, rıtengono che i nomi della lista siano gli avversari effettivi di Callimaco, da lui adombrati sotto il nome di Telchini, dall’al-

tra Rostagni 1933 [cfr. anche RFIC 84 (1956), 289], Gallavotti e Pohlenz, pensano che l’elenco rappresenti piuttosto le fonti che l’erudito commentatore considerava importanti per spie-

gare il contenuto dottrinale della polemica contro i Telchini,

il cui reale destinatario sarebbe invece Apollonio Rodio (alcuni studiosi hanno tentato di introdurne la presenza nelle dubbie tracce del lacunoso r. 11, cfr. Herter, Rostagni 1933). Oggi è prevalente l’ipotesi che i personaggi nominati non siano

— 649—

PRAXIPHANES

4T

stati protagonisti di una polemica letteraria specifica con Callimaco a proposito degli Astia, ma abbiano comunque rap-

presentato posizioni contrarie a Callimaco nel corso della sua carriera (p. es. a proposito della Lyde di Antimaco). La soluzione del problema è collegata alla datazione del prologo de-

gli Aitia. Se si ritiene, con Pfeiffer e Fraser, che esso risalga al 245 a.C., è poco probabile che Prassifane o Asclepiade fossero ancora vivi (per la datazione di Prassifane, cfr. Brink, 23) e dunque la loro presenza nella lista indurrebbe a leggerla più come una ricostruzione erudita a posteriori. Se invece la datazione viene alzata fino al 270 ca. (Cameron), allora tutti gli autori menzionati nella lista potrebbero aver partecipato direttamente a una polemica letteraria contro Callimaco. In particolare Prassifane potrebbe essere stato già attivo a Rodi, un centro strettamente connesso con Alessandria.

L’interpretazione degli scolî fiorentini è naturalmente condizionata anche dal fatto che si consideri la poetica di Callimaco come allineabile con la tradizione aristotelica (come in Rostagni o, con diverse motivazioni, Cameron, 346) o come

irreconciliabile con essa [cfr. Brink e soprattutto Pfeiffer, History, 95; 135 sgg. = Storia, 168; 225 sgg. = Geschichte 123; 171

sgg., e recentemente T. FÜHRER, He/lenistische Dichtung und Geschichtsschreibung, MH 53 (1996), 116-122: 118-119]. Da

questo passo dipende inoltre l’interpretazione dell’opera di Callimaco Πρὸς Πραξιφάνην (fr. 460 Pfeiffer) come opera polemica diretta contro un avversario e non come opera dedicata

ad un autore affine [Coppola 1932-1933; Rostagni, RFIC 56

(1928), 21, e 1950; Pohlenz).

Nonostante il tentativo di Cameron, la datazione del proe-

mio al 270 resta dubbia (Callimaco si dice vecchio, cfr. fr. 1,

6 e 33 sgg.): dunque pare più prudente interpretare il com-

mento come una ricostruzione erudita, probabilmente basata su fonti antiche, perché certamente alcuni dei critici menzio-

nati non erano ipotizzabili facilmente. Non sembra giustificato lo scetticismo di Hutchinson e Lefkowitz, che considerano la lista tarda e puramente autoschediastica. Massimilla,

199-200, pensa che potrebbe essere esistita una polemica let-

teraria, ma ampliata in seguito dagli eruditi antichi sulla base di notizie desunte dagli scritti sia di Callimaco sia di questi autori. Il contenuto della critica rivolta a Callimaco dai suoi cri—

650—

PRAXIPHANES

4T

οἱ è spiegato dalle parole che seguono il participio με]μgop(év)o[1]g. Maas, 1937, 167 n. 5, fece notare la somiglianza di questa espressione con le critiche menzionate nel commento

al giambo 13 nel papiro delle Diegeseis. Il tentativo di Rostagni : (1933, 201) di staccare 1] participio da ció che precede per fare iniziare da esso una nuova frase e distinguere cosi 1 per-

sonaggi della lista dai veri antagonisti di Callimaco, è inaccettabile e infattı non ha avuto alcun seguito. L'espressione si deve dunque riferire all'insieme degli autori nominati prima.

Il passo offre un quadro sintetico delle opinioni di Prassifane e degli altri a proposito della poesia di tipo ‘callimacheo’. Non si tratta solo del problema della dimensione lunga o breve dei poemi (cfr. fr. 57 Pfeiffer), ma 1n primo luogo di considera-

zioni di stile. Cameron, 376, ha quindi ragione di osservare che i! passo degli scoli fiorentini non sufficiente per individuare l'idolo polemico del Contro Prassifane nella sola polemica sul poema epico, come pensano Brink, 25, e Wehrli, 111. L'uso

del termine κάτισχνος

rıchiama non solo la tradızıone

retorica della ἰσχνότης τῆς φράσεως, (cfr. [Demetr.] Eloc. 36, 190, come osserva Pfeiffer in app. ad loc.), ma risale a temi di

critica letteraria già presenti nelle Rane di Aristofane (cfr. Delage, 96 n. 1; Goossens), che designano uno stile opposto all'enfasi sia dell’ epica sia della tragedia. Osservazioni sullo stile di Platone e di Omero (Brink, 21-22, F3 e F6) sono in effetti testimoniate per Prassifane, che secondo una certa tradizione grammaticale fu chiamato per primo grammatikos (Brink, 20,

T8) e rappresenta uno degli iniziatori della grammatica, nel senso ampio di una disciplina che si occupa della lingua della tradizione letteraria, n περὶ τὸν ἑλληνισμόν (Brink, 20, T9). Le critiche contro Callimaco attribuite a Prassifane sono in definitiva plausibili e coerenti con ciò che si sa della sua attività

grammaticale: la testimonianza del papiro indica in Callimaco

un oggetto della sua critica, anche se può rimanere il dubbio

che si tratti di una deduzione dal Contro Prassifane, piuttosto che una polemica diretta di Prassifane contro Callimaco. Se in r. 8 a με]μφομίεν)ο[.]ς,

dove la lacuna è molto pic-

cola, fosse possibile una lettura alternativa ne]upön(ev)og, come suggerisce Aly, bisognerebbe pensare che il commento attri-

buisca al solo Prassifane una polemica diretta con Callimaco

(cfr. Brink, 16). DM-FM —

651—

87 PRODICUS

*

ıT

PCairoMasp 67175, col. 11 10-13 [1.2] Vita di Isocrate

Sec. VIP

Prov.: Aphroditopolis. Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), JE 40905. Edd.: 7. MaspERO, PCairoMasp II (1913), 146-148. Tavv.: PCairoMasp

II, XVIII; CAVALLO

- MAEHLER,

33b.

Comm.: MP? 2080 (= P^ 2080).

1 γέγονε δ᾽ ἐπὶ Λυσιμάχου, ἤκου] σε δὲ Πρ[οδ]ίκου τε [κ]αὶ Topyto[v τε καὶ Τισίου] | καὶ Θηραμένουϊς, ὃν οἱ λ΄ δημοτικὸν εἶναι ἐ]δοκίμουν. 10-12 dopo l’ed.pr. lungo i bordi di frattura, sulla destra, sono andate perdute alcune lettere 10 δ᾽επι pap. ΔΛυσιμίαχου ed.pr. 11 ]aropvito! pap., ΠΙρο]δικου te {xa} opyitolv] Tlıcıov τε] ed.pr.

12

©npa-

μενους ed.pr. 11

Γοργίου ex corrupta lectione opyibolv restituit ed.pr. aliarum Iso-

cratis Vitarum auctoritate

12

οἱ X om. ed.pr., id quod - spatio con-

gruente — addidimus ex Dionysio xai Θηραμένους τοῦ ῥήτορος ὃν οἱ X ἀπέκτειναν δημοτικὸν εἶναι δοκοῦντα

Nacque

(sc. Isocrate) sotto Lisimaco,



652—

ascoltö

Prodico,

Gorgia,

PRODICUS

IT

Tisia e Teramene [che i Trenta] ritenevano [stesse dalla parte del popolo].

PCairoMasp II 67175 è, verosimilmente, un foglio isolato di papiro che conserva, sul recto, resti di due colonne in una bella grafia caratterizzata da una marcata inclinazione a destra, databile alla metà (o forse anche alla seconda metà) del secolo

VI d.C. Sul verso rimangono resti di 8 righe di scrittura tracciate dalla stessa mano, in senso contrario alle fibre e capo-

volte rispetto al recto. Per ciò che riguarda il contenuto, nei resti della col. I si troverebbero indicazioni relative alla suddivisione e alle caratteristiche dell’opera di Isocrate, mentre con la col. II aveva inizio la vita dell’oratore che, molto probabilmente, continuava

sul retro del foglio. Il testo, pur nella sua brevità, può essere utilmente confrontato con le altre vite di Isocrate finora co-

nosciute: quella di Dionigi d’Alicarnasso, quella dello PseudoPlutarco nelle Vzte dei dieci oratori (passata anche in Fozio, cod. 260), la cosiddetta Vita anonima che si legge in diversi codici isocratei (N, O, II) e che sembra risalire a Zosimo di Ascalona e la voce del lessico Suida (raccolte in ΒΙΟΓΡΑΦΟΙ͂. Vitarum Scriptores Graeci Minores, edidit A. Westermann, Braunschweig,

Tauchnitz

1845, rist. an. Amsterdam, Hakkert

1964, 245-259). Fra i frammenti papiracei un brano di una Vita dell’oratore ci è conservato anche da POxy L 3543 (87 2T).

Escludendo, con l’ed.pr., l'eventualità che il frammento fa-

cesse parte di una edizione di Isocrate e accogliendo l’ipotesi

di una sua utilizzazione in ambiente scolastico, in PCairoMasp 67175 potremmo vedere una sorta di ‘scheda biografica in cul sia il maestro che i discepoli potevano reperire, in forma succinta, informazioni, dati e notizie relative alla vita e alle opere di questo personaggio. Non è da trascurare neppure la possibilità che la ‘scheda’ facesse parte degli appunti personali e

privati di un qualche studioso. Come nelle altre Vite, anche in PCairoMasp 67175 sono ricordati i maestri di Isocrate: Prodico, Gorgia (il cui nome, proprio sulla scorta dei corrispondenti passi, viene riconosciuto

dall’ed.pr. nell’errato e inspiegabile οργιζοί del r. 11), Tisia (che sicuramente era menzionato nella parte finale del r. 11, ora perduta) e Teramene. Di Prodico, Gorgia e Tisia viene in—

653—

PRODICUS

1-2T

dicato solo il nome e non l'etnico (presente invece in Dionigi d’Alicarnasso, nello Pseudo-Plutarco e nella Vita anonima, che però nomina solo i primi due); l’unico particolare a cui si dà spazio sembra essere quello relativo a Teramene, giudicato δη-

μοτικός dai Trenta: questa notizia si trova anche ın Dionigi. In Suida oltre a Gorgia, Tisia, Prodico

e Teramene

viene

menzionato anche un Ergino nel quale Ruhnken (Mist. crit. or., p. 42) propose di vedere Archino (per questo oratore e uomo politico cfr. RE II.1, 540 s.v. Archinos 2). Nel testo conservato da POxy 3543 (infra, 2T), nonostante le lacune, possiamo ancora riconoscere 1 nomi di Prodico

e di

Tisia seguiti dal loro etnico, mentre il nome di Gorgia è perduto completamente-e quello di Teramene può essere integrato con sicurezza in base al superstite appellativo ῥήτωρ che di norma lo accompagna. GMS-PP

2T

POxy 3543, 4-7 [1.2]

Sec. ΠΡ

Vita di Isocrate

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Ashmolean Museum.

Eda.: M.W. HASLAM, POxy L (1983), 88-93,

Comm.: MP’ 2080.1.

ἤκουσε δὲ Προ] ᾿δίκ[ου] te τοῦ Κείου [K(ai) Γοργίου τοῦ Λεοντίνου] | κ(αὶ) Τι[σ]ίου τοῦ Συρακ[ουσίου κ(αὶ) Θηραμένους

τοῦ Pf]Itopo[c]. 6,7

x' pap.

| ia rum 4-7 auctoromn itate.

supplevit et textum restitui t ed.pr. ali larum [Isocratisis Vita P Vita-

— 654—

PRODICUS 2T

Ascoltò (sc. Isocrate) Prodico di Ceo, [Gorgia di Lentini], Tisia

di Siracusa [e Teramene] il retore.

POxy L 3543 è un papiro, alquanto danneggiato, che conserva, sul recto, poche tracce di un testo documentario non più identificabile, mentre il verso contiene una colonna frammentaria di una Vita di Isocrate. La scrittura, minuta e informale, è stata datata alla metà del II secolo d.C. dall’editore,

che la pone a confronto, in particolare, con POxy VI 853, tav. VI (riprodotta anche in Roberts, GLH, 17a) contenente un commentario a Tucidide. La riutilizzazione di un papiro già scritto indica che il testo relativo a Isocrate, sia che facesse

parte di una raccolta di altre biografie analoghe, sia che costituisse una trattazione isolata, magari di corredo a una co-

pia di opere dell’oratore, apparteneva a una edizione non di

lusso, forse di uso privato o da utilizzarsi a fini scolastici. Il

frammento reca, all’inizio, i riferimenti relativi alla data di na-

scita di Isocrate e prosegue con l'indicazione dei suoi maestri;

a queste informazioni fa seguito il noto giudizio espresso da Socrate nel Fedro (278e-279a) a proposito della presagibile superiorità del giovane Isocrate su Lisia e un elenco di suoi di-

scepoli (> 80 111T). Il testo dei primi 17 righi del frammento è stato agevolmente ricostruito dall’ed.pr. sulla base delle al-

tre Vite già note per tradizione medievale: quella di Dionigi d’Alicarnasso, quella dello Pseudo-Plutarco nelle Vite dei dieci oratori (fonte di Fozio, cod. 260), la cosiddetta Vita anonima che si trova in molti codici isocratei (N, O, II) e che sembra risalire a Zosimo di Ascalona, la voce della Suida (riunite nella raccolta BIOTPA®OI. Vitarum Scriptores Graeci Minores, ed. A. Westermann, Braunschweig, Tauchnitz 1845, rist. Amsterdam, Hakkert 1964, 245-259). A partire dal r. 18 sembra piü

difficile suggerire integrazioni da mettere in stretto parallelo

con quelle fonti. Fra i papiri già PCairoMasp 67175 aveva fatto conoscere una Vita di Isocrate (cfr. 87 1T). Nei rr. 4-7 della colonna si leggono 1 nomi dei maestri di Isocrate, accompagnati dal loro etnico (nel caso di Teramene dalla qualifica di ῥήτωρ, che si ritrova anche nelle altre Vite); essi sono elencati nello stésso ordine di PCairoMasp 67175, di Dionigi

e dello Pseudo-Plutarco,

mentre nella Vita anonima

sono ricordati solo Prodico di Ceo e Gorgia di Lenuni, e in

— 655 —

PRODICUS 2-3T

Suida si citano nell’ordine Gorgia, Tisia, Ergino, Prodico e Teramene. PCairoMasp 67175 riporta semplicemente i nomi di Prodico, Gorgia, Tisia senza ulteriori precisazioni, mentre per

Teramene aggiunge, presumibilmente, il particolare delle sue tendenze politiche. GMS-PP

3T (?) PTura III, 16, 9-18

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm. in Eccl. I &b Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255.

Eda.: G. BINDER - L. LIESENBORGHS, Eine Zuweisung der Sentenz οὐκ ἔστιν ἀντιλέγειν an Prodikos von Keos, MH

23 (1966), 37-

43: 37-38, rist. con modifiche in Sophistik (ed. C.J. Classen), Darmstadt, Wiss. Buchgesellschaft 1976 («Wege der Forschung», 187), 452-462: 453-454; G. BINDER - L. LIESENBORGHS, PTA 25 (1979), 74-77.

Comm.: ALAND AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND - ROSENBAUM KV 13 BINDER - LIESENBORGHS, 1966, supra, 37-43 (= 452462); F. DECLEVA CAIZZI, Antisthenis Fragmenta, Milano, Cisalpino 1966, 103-104; M. UNTERSTEINER, 7 sofisti, Milano, Lam-

pugnani Nigri 1967‘, I, 147-148 n. 41 (= Milano, Bruno Mondadori 1996, 135 n. 41); H. KEULEN, Untersuchungen zu Platons «Eutby-

dem», Wiesbaden, Harrassowitz 1971 («Klassisch-Philologische Studien», 37), 82, nn. 96 e 97; 84, n. 109; G. BINDER, Heidni-

sche Autoritäten im Ecclesiastes-Kommentar des Didymos

von

Alexandrien, RBPh 57 (1979), 53-54; G.B. KERFERD, The Sophi-

stic Movement, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1981, 89-90 (trad. it. 7 Sofisti, Bologna, Il Mulino 1988, 116); J. MANSFELD,

Protagoras on Epistemological Obstacles and Persons, in The Sophists and their Legacy (ed. G.B. Kerferd), Wiesbaden, Steiner 1981 («Hermes Einzelschr.», 44), 38-53: 48 n. 31; L. RosSEITI, La certitude subjective inebranlable, in Positions de la sophistigue. Colloque de Cerisy, éd. B. Cassin, Paris, Vrin 1986, 195-209: 206-207; A. BRANCACCI, Oikeios Logos. La filosofia del —

656—

PRODICUS 3T (?)

linguaggio di Antistene, Napoli, Bibliopolis 1990, 128 n. 18; 253-

254 n. 50; R. ROMAN ALCALA, El escepticismo antiguo: posibilidad del conocimiento y busqueda de la felicidad, Córdoba, Ser-

vicio de publicaciones Universidad de Córdoba 1994, 164 e n. 168.

“οὐ δυνήσεται ἀνὴρ Tod λαλεῖν᾽". οἰὐχ] ὡς δεῖ αὐτοὺς λέγει.

τοῦτο δὲ κυρίως ἐστὶν “λαλεῖν᾽" [τὸ τὰ π]ράγμ[ατα] |? ἀπαγγέλλειν. αὐτίκα [γοῦν] tolils μὴ λέγουσινàὡς δεῖ τὰ πράγματα λέγουσιν “οὐδὲν [εἴρηκ]ας" κ[αίπερ!| | μυρία εἰρηκόσιν. παρ[άδοξ]ός τις γνώμη φέρεται Προδίκου ὅτι “οὐκ ἔστιν [ἀν]τιλέγειν᾽". [πῶς] | λέγει τοῦτο; παρὰ τὴν γν]ώμην καὶ τὴν δόξαν τῶν πάντων &otiv: πάντες yàp δι[αλέ]γονται ἀντιλέγουσι[ν κ]αὶ ἐν τοῖς βιωτικοῖς καὶ ἐν τοῖς φρονουμένοις. | δογματικῶς [λέγει] | ἐκεῖνος ὅτι “οὐκ ἔστιν ἀ[ντι]λέγειν᾽. εἰ γὰρ ἀντιλέγουσιν, ἀμφότεροι λέγουσιν ἀδύνατον [δέ] |” ἐστιν ἀμφοτέρους ἰλέγει]ν εἰς τὸ αὐτὸ πρᾶγμα. λέγει γὰρ ὅτι μόνος ὁ ἀληθεύων καὶ ὡς ἔχ[ει τὰ] | πράγματα ἀγγέλλων αὐτὰ οὗτος λέγει. ὁ δὲ ἐνα[ν]τιούμενος αὐτῷ οὐ λέγει τὸ πρᾶγμα οὐκ AE L?]I ἱπαρά]δοξί[ος] [? ] λέγεται n γνώμη, ἐπεὶ παρὰ τὴν τῶν πάντων δόξαν ἐστιν- πάντες ἀντιί. .JI{. . . .J.{. . . .} ἀντιλογίας. 11

prima e dopo Προδικου spazio bianco

16

an ἀληθεύων

?

17

[{παράΪδοξ[ος] dub. ed.pr.

17-18

fortasse

«L’uomo non sarà in grado di parlare». Non li (sc. i discorsi) dice in modo appropriato. ‘Parlare’ significa, in senso proprio, comunicare le cose. Onde invero a coloro che non dicono le cose in modo appropriato si dice ‘non hai detto nulla’, anche se hanno parlato moltissimo. Circola una sentenza paradossale di Prodico secondo cui ‘non è possibile contraddire’. Che cosa vuol dire con questa affermazione? Essa va contro il pensiero e l’opinione generale. Tutti, infatti, discutono con persone che li contraddicono, sia in pratica sia in teoria. Egli sostiene la tesi che ‘non è possibile contraddire’. Se infatti due si contraddicono,

entrambi

dicono; ma è impossibile che en-

trambi dicano la stessa cosa. Egli afferma che dice solo colui il quale —

657 —

PRODICUS

3T (?)

dice il vero e comunica le cose come stanno. Colui che gli si oppone non dice la cosa [in quanto non dice il vero]. Questa sentenza è detta paradossale perché va contro l’opinione generale; tutti [si oppongono gli uni agli altri contraddicendo].

Didimo sta commentando

Eccl. I 8 πάντες οἱ λόγοι ἔγκο-

ποι} οὐ δυνήσεται ἀνὴρ τοῦ λαλεῖν, / καὶ οὐκ ἐμπλησθήσεται

ὀφθαλμὸς τοῦ δρᾶν, / καὶ οὐ πληρωθήσεται οὖς ἀπὸ ἀκροάσεως («Tutti discorsi sono logori; l’uomo non sarà in grado di parlare; e l'occhio non sarà sazio di vedere, e l'orecchio non sarà

sazio di ascoltare»). In precedenza, commentando 8a, Didimo aveva individuato tra 1 discorsi ἔγκοποι da luı ınteso nel senso

di ‘difficili’ *stancanti', quelli grazie ai quali i sapienti destano le anime, quelli pronunciati in modo enigmatico o proverbiale, o a guisa di parabola. Tali sono ı discorsi dei Greci e anche quelli delle ‘Scritture’. Ogni cosa buona e bella sı conquista

con fatica e sudore. Anche altri discorsi, quelli che richiedono capacità tecniche, sono ἔγκοποι. Non potrà dunque parlare chi non si sia affaticato su di essi; e con il termine ‘parlare’, precisa Didimo, si intende, sensu eminentissimo [cfr. K.. VON FRITZ,

Hermes 62 (1927), 457, a proposito di PI. Cra. 429de], ‘ıl discorso vero’. Spesso, infatti, per coloro che dicono sciocchezze

si usa l’espressione ‘non dici nulla’, ‘parli di nulla’ (οὐδὲν

λέγεις, οὐδὲν λαλεῖς). Segue 11 passo riportato sopra, nel quale

sl ribadisce che ‘non potrà parlare’ va inteso nel senso veritativo del termine; Gregorio di Nissa esordirà, commentando lo stesso passo, con l’osservazione che, apparentemente, nulla è

meno faticoso del ‘parlare’ dal punto di vista fisico, e dunque

l’espressione richiede di essere spiegata, ma la sua esegesi pro-

cederà poi in tutt'altra direzione: 1 discorsi, quelli che sono veramente tali, cioè che giovano all’anima, sono pieni di sudore e fatiche e per diventare tali richiedono molto κόπος, perché chi li pronuncia deve aver realizzato in sé ciò che insegna (Hom.

in Eccl. I, V, p. 291, 15 sgg. Jaeger). Didimo

invece

sembra ora interessato a mostrare che l’impossibilità di par‚ lare riguarda ‘il discorso vero’, quello che dice le cose come si deve; e adduce a conferma di questo significato non solo l’uso linguistico comune (‘non dici nulla’ = ‘non dici il vero”),

ma anche il paradosso ‘non si può contraddire’, nel quale opera appunto l’alternativa ‘dire il vero’/ ‘non dire nulla’. —

658—

PRODICUS

Nel

corso

del commento

3T (?)

a 8a, aveva

contesto purtroppo lacunoso, ardua identificazione cfr. CPF bito dopo venga citato Prodico avanzare l’ipotesi che Didimo

menzionato,

in un

un certo Leucippo (per la cui I.1**, p. 467); il fatto che suha indotto Binder 1979, 52, ad si serva qui di un compendio

filosofico «mit markanten Zitaten»; poiché l’attribuzione a Pro-

dico della frase «non è possibile contraddire» non è attestata da nessuna delle fonti pervenute sino a noi, sarebbe molto importante poter stabilire con precisione da chi Didimo dipenda.

L’ipotesi [Brancacci, 253 n. 50, cfr. anche P. WOODRUFF, Didy-

mus on Protagoras and the Protagoreans, JHPh 23 (1985), 484], che si tratti di una fonte scettica, forse la stessa da cui sarebbe

tratta la testimonianza su Protagora (Didym. Comm. in Pss.,

PTura V, p. 222, 24, = PTA

8, p. 380 Gronewald

>

88 3T),

poggia sulla presenza del termine δογματικῶς a τ. 13; si deve tuttavia ricordare che Didimo si serve altrove dell’avverbio e

delle forme del verbo δογματίζω per indicare, semplicemente,

una dottrina professata (per i dubbi che il passo su Protagora

suscita su questo punto, cfr. infra, p. 672). La paternità della frase, come esempio di θέσις, cioè di una ὑπόληψις παράδοξος τῶν γνωρίμων τινὸς κατὰ φιλοσοφίαν, viene attribuita ad Antistene da Aristotele, Top. 104b20 (fr.

47C Caizzi = Giannantoni, SSR V A 153) - senza che questo

implichi, peraltro, che egli sia stato il primo a sostenerla - e, sulla scia dello Stagirita, dai commentatori e da altri autori tardi. Nella Vita di Protagora (D.L. IX 53 = fr. 48 Caizzi = Giannantoni, SSR V A 154), sulla base di Pl. Euthd. 286bc, si fa rientrare fra gli εὑρήματα del sofista di Abdera (per Favorino

come possibile fonte di questo materiale si veda F. DECLEVA CAIZZI, Il libro IX delle «Vite dei filosofi» di Diogene Laerzio, ANRW

II 36.6, 4218-4240: 4236-4240) anche la tesi che

Aristotele attribuisce ad Antistene. Nell’Eutidemo Socrate dice

che se ne

servirono

οἱ ἀμφὶ

Πρωταγόραν

... καὶ οἱ ἔτι πα-

λαιότεροι e giustamente Binder e Liesenborghs commentano

il passo osservando che il modo in cui Platone si esprime non

fa pensare ad una dottrina tipica di un solo filosofo, quanto

piuttosto a materiale concettuale utilizzato dalla cerchia di Protagora e da filosofi a lui precedenti. L'attribuzione a Protagora non & concettualmente incompatibile con altre teorie at-

tribuite al sofista, in particolare con quella secondo cui su ogni —

659—

PRODICUS

3T (?)

cosa vi sono due discorsi opposti [cfr. F. DECLEVA CAIZZI, Il frammento 1 D.-K. di Protagora. Nota critica, Acme 31 (1978), 11-35: 31-32; EAD., Platone.

Eutidemo,

Milano, Bruno

Mon-

dadori 1996, 146-152]. La testimonianza di Platone non può essere liquidata facilmente né è opportuno ritenere, secondo canoni interpretativi che hanno goduto di un certo favore, ma di fragili prove a sostegno, che il vero obiettivo del dialogo sia Antistene, che si celerebbe dietro le maschere degli eristi. Per giustificare l'inconsueta presenza del nome di Prodico nel passo di Didimo, Binder e Liesenborghs (1976, 458 sgg.) ri-

cordano i rapporti fra Protagora e Prodico, e tra Prodico e Antistene. Ma nel passo del Protagora (317c) in cui si dice che Prodico e Ippia erano accorsi a sentire Protagora in quanto

suoi ἐρασταί, il termine significa soltanto ‘ammiratori’, né a decidere la questione sembra prudente utilizzare la tarda notizia (forse da Esichio) che Prodico sarebbe stato allievo di Protagora e di Gorgia (Suidas s.v. Πρόδικος; Sch. Pl. R. 600c, p. 273 Greene). Quanto ai rapporti con Antistene, anch'essi

sono attestati — come del resto quelli tra ma occorre prudenza nella ricostruzione scarsezza delle informazioni che ci sono L’argomentazione con cui la sentenza Didimo ricorda sia il sofisma che precede

Prodico e Socrate -, del dettaglio, data la pervenute. viene giustificata in la menzione di Pro-

tagora nell’Eutidemo (285e9-286b6), sia la versione del paradosso antistenico offerta da Proclo (/n Cra. 37 = fr. 49 Caizzi),

che è differente da quella aristotelica e che con ogni probabi-

lità non risale ad Antistene (per la questione, si veda Brancacci, 227 sgg.). E vero che in età imperiale Prodico è ancora

ben conosciuto, anche indipendentemente da ciò che dicono di lui Platone e Senofonte: tuttavia, per quanto riguarda le questioni di ordine logico-linguistico, lo è esclusivamente per la διαίρεσις τῶν ὀνομάτων, l’arte di distinguere correttamente 1

significati dei termini. E non si può trascurare il fatto che ad essa allude anche Platone, all'inizio dell’Eutidemo (2776), come

ad uno strumento capace di mettere a nudo i procedimenti con 1 quali i due eristi sconfiggono o confondono 1 loro interlocutori. Prodico è di nuovo citato alla fine del dialogo (305c), ancora per una questione di terminologia, e sembra difficile credere che, se avesse sostenuto una tesi così cruciale, le cui

implicazioni e i cui presupposti occupano la parte centrale del’Eutidemo,

Platone non ne avrebbe fatto cenno, —

660—

limitandosi

PRODICUS 3T (Ὁ

a menzionare il sofista come persona capace di aiutare a sot-

trarsi alla logica eristica. Alla base delle distinzioni di Prodico

sta l’idea di un linguaggio capace di rispecchiare in modo appropriato la varietà del reale e ıl rifiuto della polisemia dei nomi, ma nessuna testimonianza associa la sua tesi ad una discussione sul vero e sul falso, né offre appigli per un collega mento con problematiche di stampo eleatico. Non si può dunque condividere senza riserve la sicurezza con la quale gli editori, seguiti da Kerferd, 89-90 e Mansteld 48 n. 31, accolgono l’attribuzione a Prodico. Piuttosto, il fatto che il nome di Protagora compaia in un contesto autorevole come un dialogo platonico, rende inevitabile chiedersi se la presenza di Prodico in questo passo di Didimo non sia frutto di un errore [cfr. Protagora/Anassagora in PTura V 222, 27 Comm.

in Ps. 34, 17 > CPF 10 4T e 88

3T]. Esso potrebbe essere spiegato in due modi: (1) il nome di Prodico avrebbe potuto scivolare nel testo (al posto di Protagora o, eventualmente, di Antistene) perché Didimo (o la sua fonte) aveva in mente la favola di Eracle al bivio che Senofonte

attribuisce a Prodico. Si veda in particolare il parallelo, op-

portunamente segnalato da Binder e Liesenborghs 1976, 462, tra Mem.

II 1, 28 (τῶν γὰρ ὄντων ἀγαθῶν καὶ καλῶν οὐδὲν

ἄνευ πόνου ἐθιστέον

καὶ ἐπιμελείας οἱ θεοὶ διδόασιν ἀνθρώποις, ...

τὸ σῶμα

καὶ γυμναστέον

σὺν πόνοις καὶ ἱδρῶτι), e

Didym. p. 16, 2 (πᾶν τὸ ἀγαθὸν καὶ καλὸν σὺν πόνῳ κτᾶται καὶ ἱδρῶτι); l'ipotesi alternativa, che Didimo (o la sua fonte) conoscesse l’opera originale di Prodico e che essa contenesse la frase ‘non si può contraddire’, e che Antistene dipendesse su questo punto

da Prodico, non può essere esclusa ma non

trova elementi di conferma nelle informazioni in nostro possesso. (2) Lo scambio potrebbe essere frutto di un’abbreviazione. Errori dettati da erronea interpretazione di un nome troncato non sono rari; se però è vero che nei testi letterari sı evitava di abbreviare i nomi propri, gli scambi di questo tipo andrebbero ricondotti ad excerpta o appunti di uso personale: cfr. ]. MEJER, Diogenes Laertius and his Hellenistic Background, Wiesbaden, Steiner 1978 («Hermes Einzelschr.», 40), 25 sgg.; F. Bossi, MCr 15/17 (1980-1982), 200; M. DI MARCO; Sapienza

italica. Studi su Senofane, Empedocle, Ippone, Roma, Studium 1998, 73 e n. 9. Gli editori (1976, 454) segnalano che un breve spazio che precede e segue il nome di Prodico indica «daß der —

661—

PRODICUS

3T (?)

Schreiber des Papyrus den Namen nach erneutem Betrachten der Vorlage eingetragen hat oder daß er eine für ca. 7 Buchstaben bemessene Lücke offengelassen hat, welche — wie auch sonst — von seinem Revisor gewissenhaft ausgefüllt wurde». Poiché, come essi affermano, lo spazio non si adatta 1n ogni caso al nome che ci si aspetterebbe, cio& ᾿Αντισθένους, esso dovrebbe essere troppo ristretto anche per Πρωταγόρου. FDC

xx x

La menzione di Prodico in PBerol inv. 9782 (= BKT II 3-

51) col. LVIII 5-7 è tratta da Pl. 75g. 127e sgg.; cfr. supra, 80 124T.

x

*

o

In POxy 1176, Satiro, Vita di Euripide, fr. 38, coll. II e ΠῚ

si tratta dell'etica di Euripide e in particolare del disprezzo della ricchezza e dell’esaltazione del növog. A questo proposito viene introdotto il personaggio di Eracle. Basandosi su] confronto parallelo del γένος, che elencava i maestri di Euripide, nell'ordine Anassagora (> 10 2T), Prodico (ivi, pp. 166168) e Protagora, Arrighetti [Satiro. Vita di Euripide, SCO 13

(1964), 111] ritiene probabile, in queste colonne, il riferimento a Prodico, seguito subito dopo (cfr. 38 IV439 I) da quello esplicito a Socrate (> 95 4T). MSF

*

ok x

Per la menzione di Prodico in POxy 2087, 29, vd. supra, 8 4T e 80 89T.



662—

88 PROTAGORAS

*

1T De

PBerol

LXH

inv. 9782,

8-LXIII

Commentario

veritate

coll. II 1-8; LX

1; LXV 39-LXVI 3 anonimo

19-38; LXIV

[III 9]

44-LXV

13;

Sec. ΠΡ

al Teeteto

Edd.: H. DiELs - W. ScHUBART, BKT II (1905), 3-51: 3; 40; 43; 4142; 43-44; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 262-

265; 428-431; 434-437; 442-445.

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., Il, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393)

562: 480-481; 545; 547-548.

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

Col. II 1-8 ἅμα δὲ καὶ Θεϊόδω]!ρος μὲν ἑταῖρος ἦν | τῷ Πρωταγόρᾳ, ὁ δὲ] Θεαίτητος ἐνετύγ᾽᾽ χᾶανεν τῷ συγγράμίματι τῷ Πρωταγό ρου

Ι τῷ Περὶ ἀληθείας, ἐν ᾧ | περὶ ἐπιστήμης λέγει. Nello stesso tempo anche Teodoro era amico di Protagora, mentre Teeteto aveva familiarità con il trattato di Protagora Sulla verità in cui parla della conoscenza.



663—

PROTAGORAS IT Col. LX 26-38

Ipwta]yöperog |[+ 9]ενου &[t 8 ἐΪπιστη[μ + 8]ς oic]. . £onové]éxe| yàp πεϊρὶ v[à ἐϊκείνου | [συγγράμ]μ[α]τα

ὃ Θε[[αίτητος] συμβαλὼν

[" [Θεοδώρ]ῳ τῷ ἐκεί![νου φίλ]ῳ-

δ[η)λοῖ. δὲ | [koi ἐπ]ειδὰ[ν Ἰπυθομένο]υ Σωκράτους | [ei ἐν]έτυχεν

τῷ Mel Ἰρὶ dJAnde[ta]< συγγράμ]ματι, A[£] m ὃ | [Θεαίτ]ητίος] ὅτι evrelltöynklelv] πολλάκις. [...] perché Teeteto si era interessato agli scritti di Protagora, essendosi associato a Teodoro che ne era amico. Mostra questo anche quando, ponendogli Socrate la domanda se avesse familiarità con il libro Sulla verità, Teeteto dice di avere molta familiarità con esso.

Coll. LXIV 44-LXV 13 ἀλλά, gel” ρξ, πνέοντος βορέου | καὶ ἐν τῷ αὐτῷ ὄντων τόπῳ καὶ κατὰ Ϊ τὴ]ν αὐτὴν ὥραν (θήσει γὰρ καὶ ταῦτα ὁ Πρω!-

ταγόρας, ἐπεὶ καὶ TO | [ἀνάστ]ημα καὶ ἣ ὥρα | [τοῦ Er]ovg καθ᾽ ἣν πνεῖ | [ποϊΪλὺ δύναται εἰς τὸ | ἰἀν]ομοίως διαθεῖναι) | [kai] ἁπάντων γε τῶν | [ἄλλ]ων èὁμοίων ὄν των, ὁ] μὲν ῥιγοῖ o | [δὲ οὔ, κ]αὶ τῶν ῥιγούν᾽τωϊν ὁ] μὲν σφόδρα | ῥ[ιγοῖ ὁ] δὲ ἠρέμα. Invece, per esempio, allorché soffia la tramontana ed essi sono nello stesso luogo ed è || la stessa stagione — Protagora infatti porrà anche queste condizioni, dal momento che l’altezza e la stagione dell’anno in cui soffia influiscono molto sulla differenza delle disposizioni - anche se tutte le altre cose sono uguali, uno ha freddo e l'altro no, uno ha molto freddo e l’altro poco.

Coll. LXII 8-LXIII 1 ka [i] αἰὐ]]τὸς ἠπίστατο] ὅτι dia Τ φέρει f ΠΙρ]ωταγόροίυ ] | δόξα τῆς Θἰ[ε]αιτή[του] | περὶ ἐπ[ι]στί[ή ]unig]. διὰ τοῦτο [εἶπ]ε [“ κιν]!δυνεύε[ις λόγον od] |" padAl[olv [εἰρηκέναι], | τρόπον δ]έ τίινα ἄλλο]ν | elipnke τὰ] αὐϊτὰ τ]αῦτα᾽. | e [5 δι οὗ κρ[ίνεται. olnolilv | γὰρ εἶνίαι σκοτίηϊν | γνώμί[ην, ταύτ]ης δὲ | τὸ μὲ[ν ἦν ἔμ]φ[α]σις, P" ἀντὶ τῆ[ς αἰσ]θήσεως | ta. cooóp [évn, ]

— 664—

PROTAGORAS

IT

τὸ δὲ νόϊμος avtli τῆς] δόξης. | πάντ[α δ᾽ εἶναι] Tadel] I? πρόϊς τι ἔλεγ]ε sio. | τ[ὸ] peilv, ὥστε) λαμβάϊνεσθ[αι πᾶν τὸ φαι]νόϊμενον [πρὸς τὸ] κρῖνον - τοῦτο δ᾽ ἐ]στὶ τὸ |" ἐν τῇ ν[εύσει ei]c ἕτερον καὶ ν[οο]ύμεϊνον καὶ Mevóue]vov | koi ὑφεστός] als)

δεξιὸς ἀριστεροῦ δεξίι Ἰός, ||? ὡς τὸ ὅμοιον ὁμοίῳ | ὅμοιον, ὡς t[ò] μέγα || πρὸς τὸ μικρόν. (Socrate) stesso sapeva che l’opinione dı Protagora sulla conoscenza differiva da quella di Teeteto. Per questo ha detto «può darsi che tu abbia dato una definizione non banale [...] in modo un po’ differente egli ha detto queste stesse cose» (Tht. 152a) [...] [...] attraverso il quale viene giudicato. Dice infatti che c’è una ‘conoscenza oscura’. E di questa un aspetto è ‘impressione’, che sta per ‘percezione’, l’altro è ‘convenzione’ che sta per ‘opinione’. Disse che per questa tutte le cose sono relative, dal momento che scorrono, così che tutto ciò che appare viene colto relativamente al soggetto giudicante. Questo è ciò che è sia concepito, sia detto, sia 651stente nel rapporto con un’altra cosa, come chiè a destra è a destra di chi è a sinistra, come ciò che è simile è simile a ciò che è simile, come il grande || è relativo al piccolo.

Coll. LXV

39-LXVI 3

“ἢ πεισόμεθα τῷ Πρωταγόρᾳ, ὅτι τῷ μὲν pryodviti ψυχρόν, τῷ δὲ μὴ | οὔ". ἢ πεισθησόμεϊθα αὐτῷ ὅτι ὁ αὐτὸς I^ ἄνεμος ψυχρὸς {μέν ἐστιν τῷ ῥι[γοῦντι, οὐ ψυχρὸς | δὲ τῷ μὴ ῥιγοῦνιτι; εἰ γὰρ ἦν ψυχρός, 1° ἐ[ρ]ΐγου ἂν καὶ οὗτος. ἢ γίνεται οὕ[τως καὶ] | ὁ δεξιὸς [ἄλλῳ μ)ὲν | δεξιός, ἄ[AA δ]ὲ οὔ. (Tht. 152b6-7) oppure ci lasceremo persuadere da Protagora che per colui che ha freddo è freddo, per colui che non ha freddo non lo é? O saremo persuasi da lui che lo stesso vento è freddo per colui

che ha freddo, non freddo per colui che non ha freddo? Se fosse

freddo, infatti, anche costui avrebbe freddo. | Analogamente, anche chi è a destra lo è rispetto ad uno, rispetto ad un altro no. DNS



665—

PROTAGORAS 2T

2T

POxy 221, col. XII 19-25 [> 24 13T; 30T; 43 8T; 66 1T; 107 2T; 1.2] Sec. IIP

Scholia ad Hom. Il. XXI (Ammonio?) Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Edd.: B.P. GRENFELL DK; UNTERSTEINER, tonica, Firenze, La Iliad., V, 101.

Library, inv. 1184. A.S. HUNT, POxy II (1899), 68, 82; 80A30 Sofisti, 1, 70; G. LANATA, Poetica pre-plaNuova Italia 1963, 186-188; ERBSE, Scholia

Tavv.: POxy II, VI (col. X).

Comm.: MP’ 1205 (= MP? 1205) LENDORFF,

GGA

U. von WILAMOWITZ-MOEL-

162 (1900), 40; W. CRÖNERT,

534-536; A. LUDWICH,

APF

1 (1901),

Über die Papyrus-Commentare

zu den

Homerischen Gedichten, Ind. Lect. I, Kön. Albertus-Universität

zu Königsberg, Königsberg, Hartung 1902, 8-20: 18; E. HOWALD, Die Anfänge der literarischen Kritik bei den Griechen, Diss. Zürich 5.4, (ma 1910), 28 n. 3; O. MÜLLER, Über den Papyruskommentar zum ® der Ilias (Ox. -Pap. II 56 ff), Diss. München 1913; W. SCHMID - O. STÄHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, 1.3, München, Beck 1940, 24; LANATA, supra,

187-189;

K. NICKAU, Epeisodion und Episode. Zu einem Begriff der aristoneliscben Poetik, MH

23 (1966), 159, 167; PFEIFFER, History,

33 (= Storia, 85; Geschichte 53); A. BRANCACCI, Protagora e la critica letteraria, in Le vie della ricerca, 109-119: 118.

«δεινὸν δ᾽ ἀ[μ]φ᾽ “Axdl’’Mia κυκ[ώμενον] ἵστατο (o 240). Ipoltayöpas anoliv npölg τὸ διαλαβεῖν τὴν τό ἐϊπεισό]διον γεγονέναι τὸ ἑξῆς τῆς Ξάϊνθου καὶ μάχης iv’ | εἰς τὴν ϑεομίαχία!ν μεταβῇ, τάχα δὲ [^ ἵνα [᾿Αχιλ]λέ[α] αὐξήσῃ... 19-20 diple obelismene

20 —

icxoto —— ]a666—

20-21

κῦ[μ]α | μάχην θνητοῦ καὶ τὸν

paragraphos

PROTAGORAS

2T

23 Eng της Erbse, il quale ritiene anche possibile leggere v al posto di & e, dopo il τ, ot oppure ὦ al posto di nc :...t..Éal pap. 24 peraBn 25 ἵνα

αὐυξηεή

“terribile intorno 240). Protagora dice Xanto e un mortale poeta potesse passare esaltare Achille [...]

ad Achille si levò un flutto ribollente" (/ XXI che l’episodio seguente della battaglia tra lo serviva a suddividere la battaglia, affinché il alla battaglia tra gli dèi, ma forse anche per

Che Protagora si occupasse di poesia, di critica letteraria e grammaticale risulta anche da Platone e da Aristotele, oltre

che dalle Nuvole di Aristofane [cfr. Pfeiffer, History, 33 sgg. = Storia, 85 sgg. = Geschichte, 53 sgg.; S. LEVIN, The origin of grammar in Sophistry, General Linguistics 23 (1983), 41-47]. In particolare l’interesse di Protagora per Omero è testimoniato da varie fonti. Giudizi di Protagora su Omero sono riferiti da Aristotele (Poetica 1456b15 = 80A29 DK) e da Ari-

stocle (in Eus. PE XIV 20 = 70A24 DK), e quale giudice di

poemi epici è rappresentato nell'aneddoto 468 dello gnomologio vaticano edito da L. Sternbach [= 80A25 DK; cfr. WS 11

(1889), 212].

Per quanto riguarda gli studi grammaticali, attribuiti a Pro-

tagora nel Cratilo (391b-c = 80A26 DK), ne troviamo ad essi nel già menzionato (Γ 5, 1407b6 = 80A27 DK) sgg. = 80A28 DK).

= 80A24 DK) e nel Fedro (266d sgg. conferma in Aristotele, che accenna passo della Poetica, nella Retorica e negli Elenchi Sofistici (14, 173b17

Il passo testimonia un tipo di analisi della struttura narrativa del poema epico, che non ha riscontro in altri frammenti

di Protagora (Howald, 28 n. 10, dubitava perfino dell’autenticità dello scolio). Secondo tale interpretazione l'episodio della battaglia fra un dio (Xanto) e un mortale (Achille) farebbe

parte di una catena narrativa consapevolmente costruita da Omero.

Non

compaiono

elementi di interpretazione allego-

rica: l'analisi appare coerente con le caratteristiche generali

della critica letteraria protagorea, basata sui criteri di orthoe-

peia qui applicati al livello della strutturazione degli episodi del poema

(Lanata,

189, Brancacci, 118-119). L'opinione di

Protagora ἃ tuttavia filtrata attraverso un linguaggio tipica—

667—

PROTAGORAS

2-3T

mente aristotelico, sia per la nozione di ἐπεισόδιον sia per l’uso del verbo διαλαμβάνειν, che ha provocato molte discussioni interpretative (cfr. Nickau). Probabilmente il materiale protagoreo termina a r. 24: da τάχα dé in poi si ha a che fare con un’aggiunta risalente al commentatore di età imperiale che of-

fre una diversa interpretazione secondo cui l’episodio avrebbe lo scopo di esaltare Achille. FM

3T

PTura V 222, 18-29

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm. in Ps. 34, 17 Prov.: Tura.

Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde, Papyrussammlung, Pap. Theol. 58. | Edd.: M. GRONEWALD, Ein neues Protagoras-Fragment, ZPE 2 (1968), 1-2; M. GRONEWALD, PTA 8 (1969), 380-383. Comm.: ALAND AT 57; van HAELST 644; ALAND - ROSENBAUM 12

GRONEWALD,

1968, supra,

1-2; G.B.

KERFERD,

KV

Gnomon

42 (1970), 303; J. MEJER, The Alleged New Fragment of Protagoras, Hermes 100 (1972), 175-178, rist. in Sophistik (ed. C.j. Classen), Darmstadt, Wiss. Buchgesellschaft 1976, 306-311; F.

DECLEVA CAIZZI, La tradizione protagorea ed un frammento di Diogene di Enoanda, RFIC

frammento

1 D.-K.

104 (1976), 435-442: 441; EAD., Il

di Protagora. Nota critica, Acme

31 (1978),

11-35: 28; J. MANSFELD, Protagoras on Epistemological Obstacles and Persons, in The Sophists and their Legacy (ed. G.B. Kerferd), Wiesbaden,

Steiner 1981

(«Hermes

Einzelschriften»,

44),

38-53: 51-52; P. WOODRUFF, Protagoras on the unseen; the evidence

of Didymus,

in The Sophistic Movement,

Athena,

Athe-

nian Library of Philosophy 1984, 80-87; P. WOODRUFF,

Didy-

mos on Protagoras and the Protagoreans, JHPh 23 (1985), 483-497;

F. ADORNO, Protagora nel IV secolo d.C. Da Platone a Didimo Cieco, 1986 (STCPF, 2), 9-60; L. ROSSETTI, La certitude subjec-

tive inébranlable, in Positions de la sophistigue. Colloque de Cerisy (ed. B. Cassin), Paris, Vrin 1986, 195-209: 201; C. FARRAR,

The Origins of Democratic Thinking. —

668—

The Invention of Politics

PROTAGORAS

3T

in Classical Atbens, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1988,

52-53; Early Greek Political Though: from Homer to the Sophists, (edd.

M.

Gagarın

- P. Woodruff),

Cambridge, Cambridge

Univ. Press 1995, 187.

éngp( ): πῶς λέγεις ὅτι οὐ νενόηκα; οὐ δίδωμι αὐτὸν | δίκαιον. — ἐὰν δὲ ἄλλος νοήσῃ ὡς εἴρηται καὶ δῷ αὐτὸν δίκαιον, ὁ αὐτὸς καὶ δίκαιος καὶ ἄδικός ἐστιν. ἄκουε δέ, διὰ τί εἶπον |” εἰς δόξαν ἑτέραν ot Πρωταγόρου

- σοφιστὴς δὲ ἦν ὁ Πρωταγόρας:

λέγει

ὅτι τὸ εἶναι τοῖς οὖσιν ἐν τῷ φαίνεσθαι 1 ἔστιν. ] ἰλ]έγει èOti “φαίνομαι σοὶ τῷ παρόντι καθήμενος: τῷ δὲ ἀπόντι οὐ φαίνομαι καθήμενος, ἄδηλον εἰ κάθημαι | fj οὐ κάθημαι". καὶ λέγουσιν ὅτι πάντα τὰ ὄντα ἐν τῷ φαίνεσθαι ἔστιν: οἷον ὁρῶ τὴν σελήνην, ἄλλος δὲ οὐχ ὁρᾷ. ἄδηϊλον εἰ ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν. ἐμοὶ τῷ ὑγιαίνοντι ἀντίλημψις γίνεται τοῦ μέλιτος ὅτι γλυκύ, ἄλλῳ

δὲ ὅτι πικρόν, ἐὰν | πυρέττῃ- ἄδηλον οὖν εἰ πικρὸν ἢ γλυκύ ἐστιν. καὶ οὕτω τὴν ἀκαταλημψίαν θέλουσιν δογματίζειν. ἐὰν οὖν καὶ ἡμεῖς |^ λέγωμεν ὅτι: “ἐπεὶ οὐ φ[αίν]εταί μοι ποίῳ λογισμῷ εἴρηκεν, ἄδικον καὶ ἀσεβῆ(ν) αὐτὸν ἡγοῦμαι". ἐὰν ἄλλῳ | φαίνηται οἵῳ λογισίμῷ] εἴρηκεν, δίκαιος καὶ εὐσεβὴς ἐκείνῳ φαίνεται. καὶ ἄλλος πάλιν οὐδὲ ἐπιστάνει τοῖς | εἰρημένοις ὑπ᾽ αὐτοῦ" οὐδὲ εὐσεβὴς οὐδὲ ἀσεβής ἐστιν, καὶ εἰς τὴν (Πρωτ)α-

γόρειαν ἐμπίπτομεν δόξαν. | ἴδωμεν οὖν: δεῖ πρῶτον νοεῖν τὰ πράγματα καὶ οὕτως ἢ κρίνεσθαι ἢ μὴ κρίνεσθαι. ὁ μὴ λέγειν

αὐτὸν ὀρθῶς | μηδὲ ὑγιαίνειν εἰρηκώς, ποίαν λέγει διάνοιαν τῶν λέξεων; 25

20 πρωταγορο[α]ῦυν΄ : il secondo o corretto dar "env 26 evnıntouev 27 αναξαγοριᾶν pap. 27

22

οντα τοις ovcw'

ava&ayöpıav pap., (Πρωτ)αγόρειαν em. ed.pr.

(Domanda) In che senso dici che non ho compreso? Io non lo considero giusto. Qualora un altro comprenda bene ciö & stato detto, e lo consideri , giusto, egli sarà sia giusto sia ingiusto. Ma ascolta in base a quali ragionamenti i seguaci di Protagora esposero un’opinione differente (Protagora era un sofista); egli afferma che per le cose che sono l’essere è nell'apparire. Dice: «a te che sei presente 10 appaio seduto; a colui che è assente non appaio seduto, è oscuro se —

669—

PROTAGORAS

3T

sono o non sono seduto». E dicono che tutte le cose sono nell’apparire; per esempio, vedo la luna, un altro non la vede, è oscuro se ci sia o non ci sia. In me che sono sano si produce l’apprensione del miele come dolce, in un altro come amaro, qualora sia malato; è oscuro dunque se sia amaro o dolce. È in questo modo intendono sostenere la dottrina dell’inapprensibilità. Qualora dunque anche noi diciamo: «dal momento che non mi appare in base a quale ragionamento ha parlato, lo ritengo ingiusto ed empio»; qualora ad un altro appaia con quale ragionamento ha parlato, a lui apparirà giusto € pio; e di nuovo un altro non bada neppure alle sue parole, (e dunque per lui) non è né pio né empio; così noi cadremo nella tesi di Protagora. Facciamo dunque attenzione: bisogna prima di tutto comprendere le cose e su questa base giudicare o non giudicare. Colui che ha affermato che egli non parla correttamente e che non è sano quale interpretazione dà delle sue parole?

Il contesto è costituito dall’interpretazione di Ps. 34, 17 ἀποκατάστησον τὴν ψυχήν μου ἀπὸ τῆς κακουργίας αὐτῶν, ἀπὸ λεόντων τὴν μονογενῆ uoo («metti al riparo la mia anima dalla

loro cattiveria e dai leoni la mia unigenita»): la difficoltà del versetto suscita numerose domande negli ascoltatori di Didimo. Per l'abbreviazione enep e per le varie interpretazioni che ne sono state date, si veda in ultimo ALAND - ROSENBAUM, KV 12, pp. 95-96 e n. 19; cfr. soprattutto L. KOENEN, Ein

theologischer Papyrus der Kölner Sammlung: Kommentar Didymos’ des Blinden zu Zach. 9, 11 u. 16, APF 17 (1960), 61-105: 82, n. 2, che suggerisce dubitativamente Er’ ἐρ(ώτησιν), seguito

da A. KEHL, Der Psalmenkommentar von Tura Quaternio IX

(Pap. Colon. Theol. 1), Opladen, Westdeutscher Verlag 1964

(«Papyrologica Coloniensia», 1), 25-28; L. DOUTRELEAU, Que savons-nous aujourd'bui des papyrus de Toura?, RecSR 43 (1955), 161-176: 166 scioglierebbe piuttosto con ἐπερήσει ‘tu

domanderai’; A. GESCHÉ, La christologie du "Commentaire sur les Psaumes" découvert

à Toura, Gembloux, Duculot 1962, 20

sg. suggerisce, fra varie possibilità, semplicemente ἐπερώτη-

σις, che pare preferibile. Sulla tipologia degli interventi dell'uditorio nel commentario ai Salmi, che sono una spia della modalità di insegnamento di Didimo, si veda anche E. PRINZIVALLI, Didimo il Cieco e | "interpretazione dei «Salmi», L’Aquila - Roma, Japadre 1988 («Quaderni di SMSR», n.s. 2), 105 sgg. con bibliografia. —

670—

PROTAGORAS

3T

Nel commento al Salmo 34 molte delle domande vertono sul concetto di nponäßeta, sviluppato con dovizia da Didimo per distinguere il turbamento dell’anima del giusto e di Cristo (cfr. Mt. 26, 37; Mc. 14, 33), che viene subito frenato dalla ragione, da uno stato, sia pur iniziale, di peccato. In questo

quadro più generale viene menzionato Giobbe. In particolare, può colui che pronuncia le parole: «perisca il giorno in cui io nacqui» (Job 3, 3) essere considerato giusto?

La domanda immediatamente precedente riguarda la differenza tra sostanza e qualità (222, 14-18): Didimo risponde che parlare di morte del giusto non significa sostenere che l’uomo giusto è perito, ma che l’uomo ha cessato di essere giusto, ag-

giungendo che spesso, per ignoranza, accogliamo le opinioni false degli empi e così facendo distruggiamo la verità. Segue il passo che ci interessa, che contiene una domanda la quale differisce dalle altre contenute nel commentario, in quanto esprime un’opinione personale: l’allievo non considera giusto Giobbe, ribadisce la propria opinione e chiede al maestro di chiarirgli

il perché egli la ritenga infondata («non hai compreso», sc. quale sia l’interpretazione corretta delle parole di Giobbe). La risposta di Didimo ha come obiettivo principale quello di rendere meno salda l’opinione dell’interrogante, mostrandogli le conseguenze di un giudizio ‘non fondato’; per ottenere lo scopo, egli osserva che, se un altro abbia compreso la spiegazione e ritenga Giobbe giusto, Giobbe sarà ingiusto e giusto. Di fronte a questi opposti giudizi, 1i Protagorei, che riducono l’essere all’apparire (φαίνεσθαι), concludono che se ad

uno appare qualcosa, ad un altro no, è oscuro se una cosa sia o non sia tale, esista o non esista; così, secondo la dottrina dei

seguaci di Protagora, nel caso di Giobbe, ad una persona che non abbia compreso il senso del ragionamento che sta dietro le sue parole egli appare ingiusto ed empio; ad un’altra, che invece lo ha compreso, appare giusto e pio; per un altro ancora, che neppure si sofferma sulle sue parole, Giobbe non è né pio né empio. Secondo questo ragionamento, tutte le pre-

dicazioni sono possibili, e tutte sono equivalenti, rendendo impossibile conoscere la vera natura dell’oggetto. Ma per evitare tale esito scettico occorre, dice Didimo, preliminarmente

comprendere le cose (in questo caso il pensiero che sta dietro le parole) e su questa base esprimere i giudizi. Chi pensa che —

671 —

PROTAGORAS

3T

Giobbe non fosse giusto né ‘sano’ (per ὑγιαίνειν cfr. PTura, Comm. in Pss. p. 202, 1-3, dove Didimo i interpreta Ps. 33, 19: " GUVTETPILUEVOVG” δὲ ὧδε

“ τὴν

καρδίαν"

λέγει

οὐ τοὺς

βλαβέντας τὴν καρδίαν; σημαίνει δέ ποτε τὸ τῆς συντριβῆς (ὄνομα) τοιοῦτό τι τὸ μὴ ὑγιεινοὺς ἔχειν λογισμοὺς, τὸ μὴ τὰς νοήσεις ἀδιαστρόφους ἔχειν). Da questa risposta nasce in modo

naturale la domanda successiva, che riguarda appunto

il si-

gnificato delle parole di Giobbe. Sulla base di questa ricostruzione del significato e della fun-

zione del passo, appare chiaro che è propriamente la versione scettica della tesi protagorea quella che interessa a Didimo e

giustifica l'esposizione, abbastanza dettagliata, dell'argomento. Da questo punto di vista non c'è dubbio che la formulazione del ragionamento sia importante, e che in particolare lo sia il ripetuto uso di ἄδηλον. Didimo non aveva particolare interesse a distinguere tra le diverse valenze del concetto di ‘oscu-

rità’, anche se la modifica della punteggiatura (virgola, al posto del punto in alto dell’ed.pr.) dopo il secondo καθήμενος al r. 21 proposta da Mansfeld appare persuasiva (vd. infra). Didimo potrebbe aver attinto sia da una fonte scettica, che

assimilava Protagora agli scettici, sia da una fonte dogmatica, che la riportava invece a scopo polemico. Che una fonte scettica sia da postulare risulta da due indizi: il primo è la formulazione delle tre possibilità che si danno rispetto a Giobbe: ‘è’ (giusto), ‘non è’, ‘né è né non è; il secondo è

la frase (r.

24) καὶ οὕτω τὴν ἀκαταλημψίαν θέλουσιν δογματίζειν. Al di

là della presenza inequivocabile del termine ἀκαταληψία, il sıgnificato della conclusione non è tuttavia ovvio. Se essa è dettata dall’intento di mettere in evidenza il cosiddetto dogmatismo negativo di coloro che sostengono la tesi precedentemente descritta, difficilmente può esprimere un commento personale di Didimo, perché questo tipo di critica non sembra diretta-

mente funzionale al contenuto della sua risposta; essa potrebbe invece indicare che il passo è tratto da una fonte scettica pirroniana (sul tipo di Sesto, P. I), 0, più probabilmente, da una

fonte dogmatica di natura polemica (sul tipo di Aristocle, ap. Eus. PE XIV). Tuttavia, non è affatto sicuro che sia questa l’interpretazione più corretta della frase, sulla base di due con-

siderazioni: la prima riguarda il fatto, trascurato da coloro che si sono occupati di questo passo, che, salvo eccezioni (Sesto, —

672 —

PROTAGORAS

3T

Galeno, Diogene Laerzio e pochissimi altrı), ıl verbo δογματίζω è comunemente attestato, a partire dalla letteratura vetero e neotestamentaria, negli autori cristiani nel significato ‘sostenere una dottrina’ (basti citare Origene, Cels. III 72, 16; VII 37, 6, ecc., e lo stesso Didimo, Comm. in Zach. II 175, 2; Comm. in Eccl. 84, 11). Poiché Didimo, come abbiamo visto,

ha interesse a sottolineare l’esito scettico e pernicioso delle teorie che si ispirano a Protagora, il commento potrebbe essere suo personale,

sulla base, beninteso, della sua fonte. La

seconda considerazione contro la tesi che la frase indichi polemica contro il ‘dogmatismo negativo’ è suggerita dalla pre-

senza del verbo θέλουσιν, che rende naturale un significato più neutro, forse lo stesso che deve essere attribuito a un passo

di Suidas, 5.0. ἐφεκτικοί' φιλόσοφοί τινες. παρὰ τὸ ἐπέχειν περὶ

τῶν πραγμάτων καὶ δογματίζειν αὐτὰ ἀκατάληπτα (si veda anche Plu. Col. 1122a τὰ περὶ τῆς ἐποχῆς δόγματα xoi τῆς ἀκαταληψίας). Se questo è corretto, la frase ha soltanto lo scopo

di sottolineare che le argomentazioni riportate in precedenza vengono utilizzate dai Protagorei a sostegno di una posizione scettica, quella che deve essere evitata, a parere di Didimo, gra-

zie alla retta comprensione delle cose.

Un interessante parallelo che aiuta a comprendere meglio

il senso e lo scopo del passo che ci interessa, è offerto dal commento ad Eccl. 8, 7, PTura 240, 1 sgg., dove Didimo si sofferma sulla distinzione tra μέλλειν ed ἔσεσθαι, il primo applicato ad eventi futuri nell’ambito del sensibile, oggetto dell’ apprensione sensibile (αἰσθητικὴ ἀντίλημψις), il secondo

ad eventi necessari oggetto della conoscenza intellettuale (ἐπιστημονικὴ

θεωρία).

Dopo

aver illustrato ı due tipi di cono-

scenza, egli sı richiama ad un’argomentazione che definisce ‘non dialettica ma sofistica”: il sole durante il giorno si manifesta nel suo movimento, ma, allorché dopo il tramonto Paria

si oscura, non sappiamo εἰ ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν. ‘è’, si tratterà solo di un'ipotesi. Se esso non appare, non sappiamo se è o non è (ei δὲ οὐ ἴσμεν ei ὑπάρχει ἢ οὐχ ὑπάρχει). Per spiegare

Se diremo che si manifesta o φαίνεται, οὐκ in che senso si

tratti di un’argomentazione sofistica, Didimo precisa ulteriormente: costoro considerano le cose in relazione alle loro definizioni; ıl sole è stato definito da alcuni un astro che appare

di giorno (ἡμεροφανές), e questa proprietà è la sua ‘differenza’; poiché le ‘differenze’ devono appartenere sempre all'oggetto

PROTAGORAS

3T

definito, qualora non sia giorno il sole non possiede tale 'differenza', «onde ἃ oscuro, se sia o non sia» (ἐὰν μὴ ἢ ἡμέρα, [o]dx ἔχει τὴν διαφορὰν τὴν ἐν τῷ ὁρισμῷ. ὅθεν ἄδηλον εἰ ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν). Qui il carattere ‘sofistico’ dell'argomentazione è dato dall’uso scorretto della proprietà ἡμεροφανές, ma la con-

clusione scettica è autorizzata dal fatto che di notte il sole ‘non si manifesta’, analogamente a quanto accade nel passo su Protagora e i Protagorei (personaggi non identificabili, ma avvicinabili agli autori del ragionamento ‘sofistico’ riportato nel commentario all’Ecclestaste), dove peraltro è predominante l’accento posto sull’esito scettico di questo tipo di sofismi. Alla luce di questo parallelo, sembrerebbe opportuno distinguere tra quello che Didimo espressamente mette in bocca a Protagora, usando il verbo al singolare (rr. 20-22: λέγει tὅτι

τὸ εἶναι τοῖς οὖσιν ἐν τῷ φαίνεσθαι ἔἔστιν. | [A Ἰέγει ὅτι “paivoμαι σοὶ τῷ παρόντι καθήμενος: τῷ δὲ ἀπόντι οὐ φαίνομαι καθήμενος, ἄδηλον εἰ κάθημαι Ι ἢ οὐ κάθημαι"), e la ripresa sofi-

stico/scettica di spunti protagorei, introdotta dal verbo al plurale (rr. 22-24: καὶ λέγουσιν

| ὅτι πάντα τὰ ὄντα

ἐν τῷ φαίνεσθαι

ἔστιν: οἷον ὁρῶ τὴν σελήνην, ἄλλος δὲ οὐχ ὁρᾷ: ἄδηλον ei ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν. ἐμοὶ τῷ ὑγιαίνοντι ἀντίλημψις γίνεται τοῦ μέλιτος ὅὅτι γλυκύ, ἄλλῳ δὲ ὅτι πικρόν, | ἐὰν πυρέττῃ- ἄδηλον

οὖν εἰ πικρὸν ἢ γλυκύ ἐστιν). Nella stessa direzione vanno il plurale διὰ τί einov (τ. 19) e θέλουσι (τ. 24), facendo supporre

che la fonte di cui Didimo si serve permettesse di distinguere fra ciò che veniva attribuito a Protagora e le conclusioni ulteriori che se ne traevano. Tuttavia non si può neppure esclu-

dere, in linea di principio, che la ripresa a poca distanza dello stesso concetto (λέγει (ὅτι τὸ εἶναι τοῖς οὖσιν ἐν τῷ φαίνεσθαι

ἔστιν, τ. 20, ε καὶ λέγουσιν ὅτι πάντα τὰ ὄντα ἐν τῷ φαίνεσθαι ἔστιν, r. 22) sia indizio del fatto che Didimo stesso riprende il concetto protagoreo a scopo didattico, aggiungendovi ulte-

riori esempi. In ogni caso, come hanno osservato Mansfeld e Woodruff, è possibile ricondurre al genuino pensiero di Protagora il contenuto dei rr. 20-22 (benché non sia il caso di parlare di veri e propri ‘frammenti’, cfr. Adorno, 52 sgg.): se, come pare altamente probabile (Mansfeld; Wocdruff, 1985. 488 sg.), sı deve

intendere la frase nel senso che un giudizio del tipo ‘Tizio è seduto’ può essere dato solo da chi percepisce Tizio seduto, e

— 674 —

PROTAGORAS

3T

che chi non si trovi in tale condizione ‘non sa’ (= ‘è oscuro per lui” che non è presente e dunque non percepisce) se Tizio sia o non sia seduto, l'esempio chiarisce in modo semplice la relazione fra apparire ed essere (τὸ εἶναι τοῖς οὖσιν ἐν τῷ poive-

σθαι ἔστιν) individuata da Protagora e che Socrate, col pieno consenso di Teeteto, che conosce bene lo scritto di Protagora,

pone in strettissima relazione con la teoria dell’ bomo-mensura:

οἷα μὲν ἕκαστα ἐμοὶ φαίνεται, τοιαῦτα μὲν ἔστιν ἐμοί, οἷα δὲ

cot, τοιαῦτα δὲ αὖ oot (Pl. Tht. 152a; Cra. 385ε6-38642, ecc.).

Introdotti da una frase che costituisce una mera variante di quella attribuita a Protagora (πάντα τὰ ὄντα ἐν τῷ galve-

σθαι ἔστιν) seguono due esempi attribuiti ai Protagorei: il primo, riguardante la luna, si presenta come una variante del precedente, qualora si intenda ἄδηλον EL ἔστιν ἢ οὐκ ἔστιν in

modo analogo (è oscuro per ἐμ); tuttavia l'esempio del sole

del commento

all’Ecclesiaste sopra menzionato non consente

di escludere recisamente che dietro quello della luna possa celarsi un sofisma di qualche genere, su cui Didimo non si sof-

ferma, perché non gli interessa ora il farlo. Il terzo esempio, invece, è caro agli Scettici. Il lontano precedente del modo in cui il contrasto percettivo viene utilizzato si trova già in Platone, Tht. 152b, dove Socrate, presentando l'esempio protagoreo del vento, freddo per qualcuno, per qualcun altro no, pone la cruciale domanda che introduce la prospettiva onto-

logica nella critica al sofista: «il vento in sé e per sé, come lo

diremo, freddo o non freddo?» Protagora avrebbe risposto - se questa domanda gli fosse stata posta, cosa peraltro molto improbabile prima di Platone - che ? freddo per chi lo sente

freddo, non dirà invece determinate Dunque,

freddo per chi non lo sente freddo: uno scettico che & oscuro (in assoluto, non per un soggetto in circostanze) come il vento sia per natura. rispondendo alla domanda dell'interlocutore an-

cora convinto che Giobbe non possa dirsi ‘“giusto”, Didimo mostra che, se si accoglie il principio che ‘ciò che appare anche è’, ne sortirà la conseguenza che opposte percezioni o opinioni (φαίνεσθαι conserva entrambii significati: |’ oggetto ‘ap-

pare’ al senziente, al soggetto ‘pare’ che l’oggettoè tale, ctr. Decleva Caizzi 1978) avranno uguale valore e non sarà più possibile distinguere giusto da ingiusto, buono da cattivo. Questa era l’opinione dei Protagorei, dice Didimo, ma essa differisce dalla nostra e dobbiamo evitare di cadervici (sul fatto che —

675—

PROTAGORAS

3-4T

questo rischio era facile, cfr. ad es. Alex. Aphr.

In. Metapb.,

p. 571, 31 e 36). Agli uomini sono stati dati gli strumenti per

comprendere le cose ed emettere giudizi fondati e corretti. Alle spalle di Didimo si intravedono chiaramente le tracce della cri-

tica al protagorismo che ha la sua prima origine in Platone ed una storia che si snoda nei secoli (su cui si veda Adorno, passim). FDC

4T (?) POxy 3219, fr. 2, 12-3 [vd. supra 75 3T]

In PBerol inv. 9782 (= BKT 11 3-51), coll. I 1, 5, 11, 19; LXVII 19-20 la lacunosità del contesto in cui il nome di Protagora compare non consente di stabilire se 51 tratta di una testimonianza o di un riferimento al personaggio del dialogo. DNS



676—

89 PYRRHO

IT

PBerol inv. 9782, coll. LX 48-LXI 45 [III 9] Commentario anonimo al Teeteto

Sec. ΠΡ

Edd.: H. DiELs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 40-41; G. BaSTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 430-433.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393)

F. DECLEVA CAIZZI, Pirrone. Te-

stimonianze, Napoli, Bibliopolis 1981, T 80, pp. 73; 121-122; 278279; BASTIANINI

- SEDLEY, supra, 227-562: 545-547; F. DECLEVA

CAIZZI,

Pirroniani, Pirronismo, in Fragmentsammlun-

Pirrone,

gen philosophischer Texte der Antike, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht

1998 («Aporemata», 3), 347.

ἐπεὶ ὁὃ |I Θεαίτητος, ἐπερωτηϊθεὶς περὶ ἐπιστήμης | τί ἐστιν, εἶπεν “καὶ! ὥς γε νυνὶ φαίνεται᾽", |} ἀποδέχεται Σωκράτης tὅτι οὐκ ὀκνεῖ λέ!γε[υν ὃ φαίνεται αὐϊτῷ καὶ νομίζει εἶϊναι τὴν ἐπιστήμην.

|

οὐ γὰρ

ἐκεῖνό φησιν

| τὸ Πυρρώνειον, ὅτι | οὐδὲν

καθοριστικῶς | ἄν τις δογματίζοι, | ἀλλά φησιν φαίνεσί᾽ θαι αὐτῷ. κατὰ γὰρ τὸν | ἄνδρα οὔτε ὁ λόγος | κριτήριον, οὔτε ἀληθὴς φαντασία, οὔτε | πιθανή, οὔτε κατα "ληπτική, οὔτε ἄλλο | τι τοιοῦτον, ἀλλ᾽ ὅτι | νῦν αὐτῷ φαίνείτ]αι. | εἰ δὲ τοιοῦτόν ἐστιν | ἢ οὔκ ἐστιν οὐκ ἀπο

φαίνεται διὰ τὸ οἴεσθαι

ἰσοκρατεῖς εἶναι τοὺς εἰς τὰ ἐναντία λόγους, καὶ ἐξομαϊλίζειν τὰς φαντασίας, καὶ μηδεμίαν Ev αὐταῖς ἀπολείπειν | διαφορὰν --- 677 ---

PYRRHO

IT

κατὰ τὸ ἀληθὲς ἢ ψεῦδος, πιιθανὸν ἢ ἀπίθανον, |” ἐναργὲς ἢ ἀμυδρόν, | καταληπτὸν ἢ ἀκατάληπτον, ἀλλὰ πάϊσας εἶναι ὁμοίας, οὐϊδὲ τοῦτο δογματί[ Covcoc, ὡς ἕπεται | τὸ διεξάγειν κατὰ | tiv ἀεὶ προσπίπτουϊσαν φαντασίαν, οὐχ ὡς ἀληθῆ, ἀλλ᾽

ὅτι [? νῦν αὐτῷ φαίνείται. τ

4

^

>

^

,

Dal momento che || interrogato su che cosa 514 la conoscenza Teeteto aveva risposto: «... e almeno per quanto appare ora ...», Socrate apprezza il fatto che non esita a dire ciò che gli appare. e che pensa sia la conoscenza. Non usa l’espressione nel senso pirroniano, che non si deve asserire nulla in modo determinato, ma dice che a lui appare. Secondo Pirrone infatti né la ragione è criterio, né la rappresentazione vera, né quella persuasiva né quella apprensiva, né alcunché di questo tipo, ma ciò che ora gli appare. Se una cosa sia tale o non sia tale non lo asserisce, in quanto pensa che siano equipollenti gli argomenti pro e contro, uniforma le rappresentazioni e non ammette tra di esse alcuna differenza rispetto a vero o falso, persuasivo o non persuasivo, evidente o oscuro, apprensibile o inapprensibile; egli crede che siano tutte uguali. E neppure asserisce come dottrina ciò che ne consegue: il vivere in accordo con qualunque rappresentazione di volta in volta lo colpisca, non in quanto vera, ma in quanto ora gli appare. DNS



678 —

90 ΡΥΚΆΠΟΝΕΙ

IT PBerol inv. 9782, col. LXIUI 1-40 [III 9] Commentario anonimo al Teeteto

Sec. ΠΡ

Edd.: H. DieLs - W. ScHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 42; G. BaSTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 436-439. Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393) 562:

547-550;

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

F. DECLEVA

CAIZZI,

Pirrone,

Pirroniani, Pirroni-

smo, in Fragmentsammlungen philosophischer Texte der Antike, Góttingen,

Vandenhoeck

& Ruprecht

1998 («Aporemata»,

3),

347.

ἄλιλως δὲ πάντα πρός | τί φασι oi Πυρρώνει οι, καθὸ οὐδὲν καθ᾽ αὑτό ἐστιν, πάντα dè | πρὸς ἄλλα θεωρεῖται. οὔτε γὰρ χρῶμα

οὔτε σχῆμα

οὔτε φωνὰς οὔτε γευστά, οὐκ ὀσφραν[τά,

οὐχ ἁπτά, οὐκ ἄλλο τι αἰσθητὸν Èἔχειν | ἰδιότητα: οὐκ ἂν γὰρ | τὰ αὐτά γε ὄντα διαϊφόρως èἐκίνει παρὰ | τὰ διαστήματα, παρὰ |^ «à συνθεωρού μενα | αὐτοῖς, ὡς ἀπὸ τῆς | θαλάττης διαφόρως | τυπούμεθα, παρὰ τὰς | τοῦ ἀέρος Kota tá]. "gets. ἀλλὰ οὐδὲ τὰ αἰϊσθητήριαἐ ἔχειν ἰδίαν ὑπόστασιν. οὐκ ἂν | γὰρ ἀπὸ τῶν αὐτῶν | ἄλλως ἐκινεῖτο τὰ [^ ζῷα, ὡς τῇ μὲν θα]λίᾳ ἥδονται αἶγες, | τῷ δὲ βορβόρῳ ὕες, ἑκατέρῳ δὲ τούτων προσκόπτουσιν |° "ἄνθρωποι. ἀπὸ δὲ

τῶν αἰσθητῶν μεϊταβαίνουσιν καὶ ἐπὶ

τὸν λόγον, ὡς καὶ | τούτου πρός tt ὄντος᾽ [^ ἄλλους γὰρ ἄλλως —

679—

PYRRHONEIIT

| συ[γϊκατατίθεσθαι | καὶ τοὺς αὐτούς γε | μετατίθεσθαι καὶ | μὴ ἐμμένειν αὐ" τῷ.

I Pirroniani dicono che tutte le cose sono relative in un modo diverso, nella misura in cui nulla è per sé e tutte le cose sono considerate in relazione ad altre. Dicono che né colore, né forma,



suoni, né sapori, né odori, né oggetti del tatto, né qualunque altro sensibile, hanno un loro carattere intrinseco; altrimenti, almeno fin-

ché rimangono gli stessi, non ci stimolerebbero diversamente a seconda delle distanze, delle cose viste insieme ad essi - come ad esem-

pio riceviamo impressioni differenti dal mare -. delle condizioni atmosferiche. Ma neppure gli organi di senso hanno una loro natura peculiare; altrimenti gli animali non riceverebbero stimoli differenti dalla stessa cosa, così come ad esempio le capre amano il fogliame, i porci il fango, gli uomini provano repulsione per entrambi. Dai sensi passano anche alla ragione, sostenendo che anche questa è relativa: persone differenti danno l’assenso in modo differente, e le stesse persone mutano e non mantengono il loro assenso, DNS



680 —

91 PYTHAGORAS

*

1T

PBerol inv. 9782, col. LXX Commentario

anonimo

5-9

- W. SCHUBART,

STIANINI

SEDLEY,

Tavv.: ΒΚΤ

Sec. II?

al Teeteto

Edd.: H. DigLs

- D.N.

[III 9]

ΒΚΤ

II (1905), 3-51: 46; G. Ba-

CPF III, 227-562: 454-455,

II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX

n? 40.

Comm.:

MP’ 1393 (= P^ 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 554-555.

τὸν δὲ | [περ]ὶ τοῦ αὐξομένου

| [A]óyov ἐκίνησεν | [μ]ὲν

πρῶτος Πυθαϊγόϊρας ... L’argomentazione sull’uomo che cresce fu avanzata dapprima da Pitagora [...] DNS

2T

Sec. IVP

PBrLibr Add Ms 37516, 1 Esercizio scolastico —

681—

PYTHAGORAS

2T

Prov.: ignota. Cons.: London, British Library. Edd.: F.G. KENYON, Two Greek School-Tablets, JHS 29 (1909), 2930; D.N. SEDLEY, Pythagoras the Grammar Teacher (PBrLibr

Add Ms 37516, 1), 1998 (STCPF, 9), 167-181: 168-169; D.N. SEDLEY, Pythagoras the Grammar Teacher and Didymon the Adulterer, Hyperboreus 4 (1998), 122-138.

Tavv.: JHS 29 (1909), V; CRIBIORE, infra, LXI.

Comm.: MP? 2711 (= P^ 2711)

W. BRASHEAR - F.A.J. Hoo-

GENDIJK, Corpus Tabularum Ligneaum Ceratarumque Aegyptiarum, Enchoria 17 (1990), 40 e n. 96 [con la bibliografia precedente]; J. DEBUT, Les documents scolaires, ZPE 63 (1986), 268 n° 336; R.F. Hock - E.N. O’NEILL, The Chreia in Ancient Rhetoric, I, Atlanta, Scholars Press 1986, 335-336; R. CRIBIORE, Wri-

ting, Teachers and Students in Graeco-Roman

Egypt, Atlanta,

Scholars Press 1996, 46 n. 88; 264-265 n° 364; SEDLEY, STCPF, supra, 167-181; SEDLEY, Hyperboreus, supra; D.H. FOWLER, The

Mathematics of Plato’s Academy, Oxford, Clarendon 1999”, 358.

ὁ Πυθαγόρας φιλόσοφος ἀποβὰς καὶ γράμματα

διδάσκων

συνεβούλευεν τοῖς ἑαυτοῦ μαθηταῖς ἐναιμόνων ἀπέχεσθαι. Il filosofo Pitagora andato via e facendo il maestro consigliava ai propri discepoli di astenersi da animali sanguigni.

La tavoletta (descritta in Sedley, 167-168) è inclusa nelle

varie rassegne dei papiri scolastici; sul lato convenzionalmente

definito recto («side 2» in Cribiore) contiene infatti un esercizio grammaticale consistente nella trasformazione della sentenza iniziale ottenuta declinando, per tutti i numeri e 1 casi,

il nome di Pitagora e modificando di conseguenza le forme verbali (per il testo completo sı veda in ultimo Sedley). Nell’interpretazione di almeno tre elementi della sentenza, vale a dire le espressioni ὃ Πυθαγόρας φιλόσοφος ἀποβὰς, poi γράμματα διδάσκων, ed infine ἐναιμόνων ἀπέχεσθαι, sussi-

stono dubbi ο divergenze. L’esordio presenta una collocazione anomala dell’articolo: οἱ 51 aspetterebbe Πυθαγόρας ὃ φιλόσοφος,

a meno che non sı voglia considerare la possibilitä di una interpretazione del tipo: «Pitagora, dopo che risultò essere (un) —

682—

PYTHAGORAS

2T

filosofo...». Come però spiega Sedley (173), la struttura tipica delle chreiai impone i di intendere, nel modo più naturale, «il filosofo Pitagora», tanto più che l’articolo è stato aggiunto nel margine sinistro dallo scolaro solo in un secondo momento e che quindi è lecito presumere un ordine originario regolare. Il participio ἀποβάς è stato tradotto da Hock

e O'Neill

«once he had disembarked», con la spiegazione che «ἀποβάς is clearly intended to refer to Pythagoras’ arrival in Italy. First, Italy is the place with which he is most closely associated. Secondly, althouglı he had “disembarked” in many other places before reaching Italy and Crotona, it had been as one who was acquiring knowledge, not imparting it. He began to teach only after his arrival in Italy». E tuttavia preferibile tradurre, con Sedley, «when he had gone away», dato che «If ἀποβάς meant ‘having disembarked’, it could be so understood only in a context where Pythagoras 1s already known to be on shipboard. In a continuous narrative that would be fine. But chreiai are not mere decontextualised quotations; they are, above all else, selt-contained» (175). Analogamente (cfr. sempre ivi, 175),

non convince la tesi di Hock e O'Neill per cui i γράμματα ορgetto dell’insegnamento di Pitagora sarebbero i suoi stessi scritti, poiché in questo caso ci saremmo dovuti attendere piuttosto il termine συγγράμματα: qui γράμματα διδάσκειν ha 1]

significato corrente di ‘insegnare la grammatica’, ‘fare il maestro’, con evidente allusione scherzosa alla propria attività da parte del maestro che ha proposto l'esercizio. Veniamo infine all’espressione ἐναιμόνων ἀπέχεσθαι, che probabilmente consente due livelli di lettura. Il riferimento immediato è al tipico motivo dell’astensione da cibi sanguigni;

del resto la formulazione sintetica ed efficace di molti precetti pitagorici (per i cosiddetti symbola, cfr. soprattutto Iamb. Protr. 133, 7 sgg.) poteva prestarsi facilmente ad un’utilizzazione scolastica. Ma, oltre a questo, può celarsı nella sentenza un gioco linguistico, secondo la brillante intuizione di Sedley, di cui si darà conto tra breve. Va per prima cosa notato che nel vario e multiforme insieme dei divieti alimentari della setta pitagorica (si vedano i passi raccolti e discussi in Zeller-Mondolfo, 1.2, 407-408 n. 6; BURKERT, Weisheit und Wissenschaft, i0i, 167-169, 192-193, 195 = Lore and Science, 139, 172-173, 177. 178, 180-185, 199; Guthrie, Hist., I, 187 sgg.; M. DETIENNE, Les Jardins d’Adonis, Paris, Gallimard 1972, cap. II, 71-114: —

683—

PYTHAGORAS

2T

77 n. 2 « I Giardini di Adone, Torino, Einaudi

1975, 47-80:

72 n. 23; B.L. VAN DER WAERDEN, Die Pythagoreer. Religiöse Bruderschaft und Schule der Wissenschaft, Zürich-München, Artemis 1979, 17-19, 30-32, 82, 166, 168-170) non compare né il rarissimo termine ἐναίμων né il più comune

ἔναιμος;e lo

stesso vale anche per le norme relative allo spargimento di sangue o agli altari insanguinati (cfr. p. es. D.L. VIII 22, Plu.

Num., 65c; lamb. VP 54 e 108). 1] testo ripreso nella sentenza

della tavoletta implicava forse una distinzione tra gli animali

provvisti di sangue (tà ἔναιμα, cfr. LS] s.v. [I] 2, con rinvio ad Aristotele, HA

I 4, 489a 30, PA

IV 10, 690b

11) ed altri

cibi considerati tabù dai pitagorici, come alcuni pesci o le fave (cfr., per es., D.L. VIII 19); ma più verosimilmente ἐναίμων

equivale qui ad ἐμψύχος, È vocabolo ricorrente nelle prescrizioni pitagoriche (per l’espressione ἐμψύχων ἀπέχεσθαι, cfr. soprattutto lamb. VP 108; Protr. 135, 5; 151, 4; Str. XV

716 = DK

4 [A] 9; Anonymus Photii, Phot. cod. 249, 438b-441b = THESLEFF, Pythagorean Texts, 237, 12). L'associazione tra l’anima e i sangue sı trova in D.L. VIII 30 (τρέφεσθαί τε τὴν ψυχὴν ἀπὸ τοῦ αἵματος); ma è probabile che qui l'equivalenza ἔναι-

μον - ἔμψυχον sia riflesso di ambiente culturale giudaico- -cristiano, in considerazione del passo Lev. 17, 11: ἢ γὰρ ψυχὴ

πάσης σαρκὸς αἷμα αὐτοῦ ἐστιν (5: veda Filone, De vita con-

templ. 73: τράπεζα καθαρὰ τῶν ἐναίμων, e 1] commento ad loc.

di F. Daumas, in (Euvres, publ. sous la dir. de L. Arnaldez, C. Mondésert, J. Pouilloux, Paris, Ed. du Cerf

p. 135 n. 4).

1964, XXIX,

Di natura diversa è l’interpretazione fornita da Sedley. Osservando che ἐναίμων compare solo nell’ippocratico De ossium natura (x 194, 22-23 Littré, dove 51 parla di vene 'por-

tatrici di sangue’, non di creature ‘provviste di sangue"), che le particolarità linguistiche — hapax legomena inclusi— dei trat-

tati ippocratici erano oggetto di molta attenzione da parte dei

lessicografi, e che le sentenze giocate sullo scambio di uso e menzione non erano rare tra grammatici, retori e filosofi, Sed-

ley conclude che la sentenza su Pitagora è sorta in ambiente lessicografico e che raccomanda, spiritosamente, di astenersi non da cibi di natura particolare bensì dall’inconsueto vocabolo Evainovec. IA/AL

— 684 —

PYTHAGORAS

L’integrazione del nome di Pitagora è stata proposta in PHaun I 8 (p. 195, 3) in un contesto estremamente lacunoso, vd. supra, 80 136T.

Un ὀνειραιτητὸν Πυθαγόρου καὶ Δημοκρίτου ὀνειρόμαντις μαθηματικός, ovviamente spurio, compare in PLond 121 v, coll. XXIII

17-XXIV

27 (= PGM

VII, 795-845)[> 43a 1T].

Cfr. DK II, p. 221 apparato r. 18; TH. HOPFNER, Griechischägyptischer Offenbarungszauber, II, Leipzig, Haessel 1922

(veránderter Nachdruck, Amsterdam, Hakkert 1983, «Studien

zur Palaeographie und Papyruskunde», 23), Π.1, $ 203 sg. Per il testo della sezione cfr. anche W.M. BRASHEAR, The Greek Magical Papyri: an Introduction and Survey; Annotated Bi-

bliography (1928-1994), ANRW II 18.5 (1995), 3533 sgg. FMA

— 685 —

92 PYTHAGOREI 11

PBerol inv. 9782, col. LXXI 12-18 [III 9] Commentario anonimo al Teeteto

Sec. II?

Edd.: H. DiELs - W. ScHUBART, BKT II (1905), 3-51: 47; G. BaSTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF ITI, 227-562: 458-459, Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P^ 1393)

SEIDER, Pal.

Gr. Pap., 11, XX

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 556.

Ἐπίχαρμος ὁ[μιλή]σας τοῖς Hudalyopeioig, 1| ἄλλα τ[ἐ] τινα εὖ [ἐδίδασ] "xev δίράϊματία, καὶ τὸ] | [περὶ τ]οῦ αὐξομ[ένου, 8] I A[óyo] ἐφοδ[ικῷ καὶ rulo)t[ö ejnepalıve.

Epicarmo, avendo frequentato 1 Pitagorici, rappresentö bene varie scene drammatiche, e in particolare quella sull’uomo che cresce,

che trattava con un’argomentazione metodica e affidabile. DNS

2T

PTura III, 79, 26-80, 1 Didymus Caecus, Comm.

Sec. VI/VII in Eccl. 3, 7b —

686—

PYTHAGOREI

21

Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira,

El Mathaf

seum), [. 90255. Edd.: M. GRONEWALD,

PTA

El Misry

(Cairo, The

Egyptian Mu-

22 (1977), 76-77.

Comm.: ALAND AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND KV 13 K. Treu, APF 27 (1980), 255.

- ROSENBAUM

ἀμέλει γοῦν καὶ οἱ Πυθαγόρειοι ταύτῃ τῇ γνώμῃ oullen]üacıhv, οἱ μὲν πέντε ἕτη, οἱ δὲ τρία, καὶ οὕτω παιδευθέντες περὶ τὸ διδάσκειν | ἔρχονται. 26 apedt παιδευθενταῖς

πυθαγοριοι διδαζςκιν

26-27 ςει[ὠπ]ωειν

27 πέντε: 8

τρία :ὉΚ7

Anche i Pitagorici, ad esempio, osservano il silenzio per questa convinzione,

alcuni per cinque

vanno ad insegnare.

anni, altri per tre, e, così istruiti,

Oggetto del commento è la celebre sentenza dell'Ecclesiaste «tempus tacendi et tempus loquendi». L'importanza del tacere e del parlare à dapprima illustrata attraverso esempi biblici (cfr. Comm. in Eccl. 79, 13-24); vi ἃ poi la menzione dei Pitagorici, in cui è sottolineata la valenza educativa della lunga disciplina del silenzio imposta ai seguaci della setta. Nel commento al medesimo passo Gerolamo riteneva che i Pitagorici avessero tratto dall'Ecclesiaste la norma del silenzio quinquennale «Pythagoricos reor, quorum disciplina est tacere per quinquennium

et postea

eruditos

(cfr. παιδευθέντες)

loqui,

hinc originem sui traxisse decreti», Hier. In Eccles. III 7b (p. 276, 116-118 Adriaen). Sulla nota prescrizione dell'osservanza del silenzio si vedano i passi raccolu e discussi in Zeller-Mondolfo, 1.2, 404-405 n. 4; BURKERT, Weisbeit und Wissenschaft, 162-163 (= Lore and Science, 178-179), nonché i rinvii nell'apparato di L. DEUBNER, Iamblichi de vita Pythagorica li-

ber, BT 1937, 19757, 38, c di M. MARCOVICH, Hippolytus. Re-

futatio omnium baeresium, Berlin-New York, de Gruyter 1986 («Patristische Texte und Studien», 25), 61 (ad. I 2, 16). Nel tı-

rocinio pitagorico possono ricorrere prescrizioni relative al—

687—

PYTHAGOREI

2T

l'osservanza di norme che hanno tempi diversi; per esempio, di una fase di tre anni in cui il discepolo, prima di affrontare il silenzio quinquennale, è ‘abbandonato’ a se stesso, parla Giamblico, VP 72. Il riferimento preciso all'osservanza di tre anni di silenzio è dato soltanto da Ippolito, Haer. I 2, 16 (σιωπῶν ὁτὲ μὲν ἔτη τρία, ὁτὲ δὲ πέντε, ed. Marcovich, p. 61, 75-76), cioè da un autore, come Didimo, cristiano. Quando

invece le altre fonti specificano la durata del silenzio, indicano un periodo di cinque anni, con l'eccezione di Aulo Gellio, I 9, 4 («sed non minus quisquam tacuit quam biennium»). IA/AL

PTura III, 216, 23-217, 1 Didymus Caecus, Comm. in Eccl. 7, 17a

Sec. VI/VII

Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255.

Edd.: jJ. KRAMER, PTA 16 (1972), 64-65. Comm.: ALAND AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND - ROSENBAUM KV 13 K. TREU, APF 24/25 (1976), 256-259; 1. KRAMER, PTA

16 (1972), 162.

. οἱ

περὶ ἀριθμῶν πραγματευσάμενοι

λέγουσιν

τὸν me-

ριττὸν ἰσχυρότερον εἶναι [^ -- δραστήριος γάρ ἐστιν --, ὁ δὲ ἄρτιος ὑλικώτερος -- ὕλῃ γὰρ ἀνάκειται. N δὲ ὕλη διαιρετή | £otw: πρώτη γὰρ διαίρεσις ἐν ἀρτίῳ γίνεται: διὰ τοῦτο καὶ δυάδα

λέγουσιν εἶναι | τὴν ὕλην. 25

ανακῖιται

[...] coloro che si sono occupati dei numeri dicono che il dispari è più potente - dato che è attivo -, mentre il pari è più materiale - dato che è attribuito alla materia. E la materia è divisibile; la prima divisione avviene infatti nel pari. Per questo dicono anche che la materia è diade. —

688—

PYTHAGOREI

2T

Didimo, nel suo commento (216, 6 sgg.) ad Ecclesiaste 7, 17a: «guardati dalla molta empietà e non divenire stolto», ammonisce ἃ non occuparsı della scienza divina inaccessibile agli uomini. Indagini molto complesse, ma di natura profana, non sono moralmente dannose, come quando, per es., ci interroghiamo sul numero pari o dispari delle stelle. Applicando il metodo dell’in utramque partem (cfr. 216, 11-12: ἐπιχειρητέον εἰς ἑκάτερα, ed anche 217, 6-7), Didimo svolge sull’argomento suggerito due ragionamenti che conducono a conclusioni che si escludono a vicenda: A) il cielo è formato da due semisfere

uguali, che come tali devono contenere lo stesso numero di stelle; la loro somma è pertanto un numero pari. B) come sostengono i pitagorici, il dispari, per la sua natura attiva, è superiore al pari, materiale e passivo; poiché le stelle sono superiori rispetto a tutte le altre cose visibili, esse devono essere in numero dispari.

Il metodo dell’in utramque partem, come è noto, ha origine nell’antilogia sofistica, è proposto nella seconda parte del Parmenide platonico come utile ‘esercizio’ (per le forme di γυμνασία — cfr. anche qui 216, 23: γυμνασίας ἕνεκα N ἐπιχείρησις γέγονεν — e di γυμνάζω, si vedano soprattutto Pl. Prm. 135c8, 135d4, 135d7, 13622, 136c5; e p. es. Arist. Top. 12, 101a

27-28), ed è codificato da Aristotele (cfr. p. es. Metaph. YII 1, 995b2-4 e Top. VIII 14).

Tradizionale & anche la discussione sul numero dispari o pari delle stelle: argomento di ἄδηλον

è indicato quale tipico esempio

da Sesto Empirico, P. II 90, 11 97 (= Hülser, FDS

1026) e M. VIII 147 [sulle fonti utilizzate da Sesto in queste sezioni e le origini delle dottrine ivi esposte, cfr. TH. EBERT, Dialektiker und frühe Stoiker bei Sextus Empiricus. Untersuchungen zur Entstehung der Aussagenlogik, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1991 («Hypomnemata», 95), passim, spec. 29-53]. La testimonianza in esame può essere senz'altro ascritta alla

tradizione pitagorica, benché contenga una dottrina originariamente non pitagorica. L'uso del termine δυάς, unitamente all’identificazione della diade con la materia, rinvia infatti a

Platone e agli accademici suoi discepoli: si consideri soprattutto il passo aristotelico Metaph. I 6, 987a 29-988a 17, dove, ai rr. 987b25-27, è giudicata innovazione dovuta a Platone la —

689—

PYTHAGOREI

2T

sostituzione dell’ ἄπειρον pitagorico con la diade indeterminata; mentre per l'identificazione platonica di quest'ultima con la materia, si vedano Simp. /» Ph. 151, 6-19, insieme ad Arist. Ph. IV 2, 209b11-17; 209b33-21022; e, per tutti, il commento

di Ross a Metaph. I 6, 987b26: «δυάδα. Aristotle uses this

word freely in speaking of Plato's material principle, and we may safely suppose that Plato used it himself. It 1s not clear that he used the phrase ἀόριστος δυάς,

for a discussion

of

which see M. 1081a 14n.» [Aristotle's Metaphysics. A revised Text with Introduction and Commentary by W.D. Ross, I, Oxford, Clarendon 1924 (rist. 1997), 172]. Per la δυάς come ὕλη nella speculazione arıtmologica, cfr. invece, ad es., [Cal-

licrat.] p. 103, 11-15 Thesleff; Anon. Alex. ap. D.L. VIII 25; Iamb. Theol. Arithm. p. 5, 12-16; 7, 3-4; 8, 16; 12,

9 De Falco.

D’altronde, già in Teofrasto (cfr. Metaph. 11a-b) e in dos-

sografi posteriori come Aezio (Plac. I 3, 8 = Dox. Gr. 281a6-

8, b4-6; I 7, 18 = Dox. Gr. 302a6-10, b17-21) e gli anonimi di

Alessandro (D.L. VIII 25 = p. 234, 18-24 Thesleff) e Fozio

(Bibl. cod. 249, 438b = p. 237, 17-21 Thesleff), la dottrina del-

l'uno e della diade indeterminata è attribuita a Pitagora o ai pitagorici; e l’origine dell’attribuzione va probabilmente ri-

cercata nel primi accademici [cfr. Speusippo fr. 48 Tarän = 62

Isnardi; BURKERT, Weisheit und Wissenschaft, 26-73: 55-58 (= Lore and Science, 28-83: 62-65) e B. CENTRONE, Introduzione ai pitagoricı, Roma- Bari, Laterza 1996, 109-111].

Per quanto concerne l'antitesi pari-dispari, essa & ampia-

mente attestata anche per l'antico pitagorismo: (cfr. DK 23B 2 = Epicarmo; DK 44B5= Filolao; DK 47A21 = Archita; DK 58B5 = Arist. Metaph. Y 5, 986215 sgg.) e di Plutarco di Cheronea il catalogo di Lampria ricorda, al n? 74 (nell'edizione BL 1987), un trattato dal titolo: Πότερον ὁ περισσὸς ἀριθμὸς ἢ ὁ ἄρτιος ἀμείνων. Sulla divisibilità del pari (cfr. 216, 26 -

con allusione al numero due — e poco prima i rr. 14-15: πᾶν

δὲ πλῆθος ἢ περιττὸν ἢ ἄρτιόν ἐστιν. καὶ τὸ μὲν ἄρτιον εἰς δύο διαιρεῖται, τὸ δὲ περιττὸν ἔχει πλεονάζον τὸ ἕτερον μέρος ἑνί)

nel pitagorismo cfr. Simp. In Ph. 455, 20 sgg. = DK 58B28; e Stobeo I, p. 22, 19 sgg. = Ps. -Plutarco (ulteriori notizie sulle

speculazioni aritmologiche di Didimo in Kramer, 162). Alcuni passi di Filone alessandrino offrono evidenti punti di contatto con la testimonianza in esame, e inducono a pen-

sare a lui quale fonte primaria di Didimo. —

690—

Leggiamo

infatti

PYTHAGOREI

2-3T

nelle Quaestiones in Genesim II 38a Peut, che il sei è ἀρτιοπέριττος, μετέχων καὶ τῆς δραστικῆς οὐσίας κατὰ τὸν περιττὸν καὶ τῆς ὑλικῆς κατὰ τὸν ἄρτιον (si veda insieme il passo parallelo contenuto ibid. 49a+b, in cui il riferimento ai pita-

gorici è esplicito); notevole anche il fr. 61 della medesima opera (tratto, come

quelli

menzionati

in precedenza,

da Giovanni

Lido, ed equivalente al fr. 106 Staehle di un’altra opera di Filone, il Περὶ ἀριθμῶν): ὃ γὰρ τῶν δεκατριῶν ἀριθμὸς συνέστηκεν ἐκ τῶν πρώτων δυοῖν τετραγώνων, τοῦ τέσσαρα καὶ τοῦ ἐννέα - ἀρτίου τε καὶ περιττοῦ -- πλευρὰς ἐχόντων τοῦ μὲν ἀρτίου τὸ ὑλικὸν εἰδος δυάδα, τοῦ δὲ περιττοῦ τὴν δραστήριον ἰδέαν τριάδα. ΑΙ,

3T

I nomi delle pitagoriche Melissa, Clearete, Theano, Eubule figurano in un frammento di una raccolta di lettere pseudopitagoriche riportate da PHaun II 13 o, vd. infra, 92a 1.



691—

92a [PYTHAGOREI]

1

Epistulae 3 e 5 Städele (= 11 e 4 Hercher) PHaun

Sec. [ΠΡ

II 13 v

Prov.: ignota. Cons.: Kebenhavn, Institut for Graesk og Latin, Kobenhavns Universitet, inv. 155.

Edd.: A. BULOW-JACOBSEN, PHaun II (1981), 1-10. Tavv.: PHaun II, I.

Comm.: MP? 1437.1

L. AMUNDSEN, Papyri and Papyrology in

the Scandinavian Countries, CE 13-14 (1932), 325.

Frammento di rotolo papiraceo (cm 12x21,5) che conserva sul verso (sul recto un documento ufficiale del sec. II/III) parte del margine superiore (cm 1,5) e 48 righi di scrittura disposti su di una colonna. Mutilo in alto nella parte destra, e in basso

nella parte sinistra. Il margine sinistro è conservato lungo tutta la colonna, fino a cm 0,8; a destra l’intercolunnio è conservato

fino a cm 1 circa. Scrittura letteraria con presenza di alcune lettere corsive, databile alla metà del IIIP. Segni di punteggiatura (rr. 26; 34; 40; 44), un accento (r. 42); a r. 38 il tratto

orizzontale superiore del sigma finale viene allungato alla fine del rigo (così doveva avvenire anche per le lettere finali dei rr. 22 e 25). Lo iota mutum non viene apposto. Una diple obelismene segna l'inizio della nuova epistola (r. 43); un piccolo —

692—

(PYTHAGORE!)

I

spazio bianco separa il prescritto e l’inizio delle due epistole (rr. 2, 43). Nei primi quattro righi la scrittura occupa la sola metà sinistra della colonna. Il papiro, che conserva due epistole di donne pitagoriche, l'epistola di Melissa a Clearete e le prime righe dell'epistola di Teano a Eubule (la prima delle epistole di Teano trädite nel corpus delle epistole pitagoriche nella tradizione medievale), offre una sequenza non perfettamente convergente con quella della tradizione medievale. Dei 20 mss. della famiglia B che conservano 1l corpzs delle epistole delle donne pitagoriche [per l'elenco e le sigle cfr. A. STÄDELE, Die Briefe des Pythagoras und der Pythagoreer, Meisenheim am Glan, Hain 1980 («Beitr. zur. kl. Philologie», 115), 32-36 e 148-151] 17 inseriscono tra

l'epistola di Melissa e la prima delle epistole di Teano un'epistola di Miia (gli altri 3 mss., Vat. Gr. 1461, Vat. Gr. 1467 e Harl. 5635, hanno l'ordine Teano, Melissa, Miia anche con in-

serimenti di altri autori tra Teano e Melissa). L'epistola di Mia, a giudizio di Städele, cit., 352-353, che ancora non di-

sponeva della testimonianza del papiro, è più tarda di quella di Melissa, che la precede, e delle lettere 5-7 di Teano, che la

seguono. L’ordine di successione nei manoscritti è alfabetico secondo l’alfabeto latino, ma Städele, cit., 68, osserva che nel-

l’ordinamento intervengono anche criteri formali - le lettere di Liside (una sola epistola che in 12 mss. precede quelle delle donne pitagoriche) Melissa e Miia sono tutte redatte in dorico — e contenutistici. Se la lettera di Melissa è la prima che è stata trascritta su questo rotolo avremmo qui la testimonianza di un corpuscolo formato dalle sole epistole delle donne pitagoriche. Per questo aspetto si osserva un'analogia con la

tradizione papiracea delle Epistole ippocratiche: nessuno dei tre papiri noti testimonia le prime due epistole di quel corpus e tutti omettono (o aggiungono) alcune lettere rispetto al corpus della tradizione medievale (e tuttavia la sequenza dei pa-

piri ha qualche punto di contatto con la tradizione medievale). Come

nel caso dei papiri delle epistole ippocratiche il testo

delle epistole pitagoriche & vergato sul verso di un documento. Il tratto peculiare di questo testo è costituito dalla forma linguistica della prima epistola, in koine, che sembra secondaria rispetto alla redazione in dorico della tradizione medievale (cfr. Bülow-Jacobsen, passim).

Una doppia redazione è stata sospettata per altri resti pseu—

693—

[PYTHAGOREI] 1

dopitagorici, come nel caso del Περὶ γυναικὸς ἁρμονίας di Pe-

rictione che è redatto in ionico ma presenta alcuni dorismi (vd. Hense ap. Stob. IV 27, 19, p. 688, 9; H. THESLEFF, An Introduction to Pythagorean Writings of the Hellenistic Period, Äbo, Äbo Akademi 1961, 111), o addirittura per Alcmeone di Crotone, il cui fr. 1 contiene una forma dorica. In questo caso la ‘traduzione’ , oltre ad abolire i tratti dialettali, accompagna i cambiamenti nella fonetica e nella morfologia con un allentamento del ‘tono’ stilistico. Il pubblico a cui è destinato questo testo non sembra di livello particolarmente alto. La presente redazione dell’epistola di Melissa non fornisce

una semplice trascrizione in koıne ma propone una nuova formulazione caratterizzata dall’insistenza su forme amplificate in endiadi che hanno il fine di rendere il testo più chiaro, ma

non più solenne. La coppia σώφρονα καὶ ἐλευθέραν ἀι τ. 9 è ripetuta a r. 20 (con sola inversione dei termini; nel secondo

caso i codd. hanno solo ἐλευθέραν); a τ. 13 ai cinque aggettivi che qualificano le vesti si aggiungono ἁπλῆν ἀλλὰ μὴ ποικίλην; 4 τ. 24 ἃ φύκου 51 aggiunge καὶ ψιμιθίου; ἃ τ. 27 la πολυτέλεια, oltre che alla veste, & attribuita al corpo (καὶ τοῦ σ[ζώ]ματος); ai rr. 28-29 troviamo οἰκονομίαν τε καὶ σωτηρίαν (i codd. hanno solo οἰκονομίαν); ar. 30 si pretende σωφροσύνη anche dal marito; al rr. 39-40 al soggetto τὰ μὲν si aggiungono χρήματα καὶ τὰ σώματα e all'invidia e alla malattia 51 aggiungono, come fattori di devastazione, tempo (χρόνος) e fortuna (τύχη); e subito dopo ar. 41 al generico τὰ δὲ sı sostituisce il chiarissimo ἢ δὲ τῆς ψυχῆς εὐκοσμία. Analogamente, ἃ r. 45,

nell’epistola di Teano, la madre è qualificata da due aggettivi, come mostra lo spazio in lacuna, mentre nella tradizione medievale è solo ἀγαθῆς; 11 che mostra che questa tendenza al-

l'amplificazione coinvolge anche un 'epistola che conosciamo

solo nella redazione in koine e non & una caratteristica della ‘traduzione’. Parole o costrutti rari sono sostituiti da costrutti piü banali (r. 19 ἐστιν ὁ τρόϊπος invece dı ὃ τρόπος πέλει; τ. 28 τὴ[ν] σώ[φ]ροίν]α al posto di τὰν γλιχομέναν τᾶς σωφροσύνας;

rr. 30-31 ἐπιϊτελοῦσαν al posto di ἐπιτελέας ποιεῦσαν; sostituzioni di plurali con singolari, ai rr.:20 e 31-32). La tradizione medievale risale ad un esemplare che I. DÜ-

RING (Chion of Heraclea. tergren & Kerber

A Novel in Letters, Göteborg, Wet-

1951, 31), seguito

da Städele,

cit., 67;

103

sgg., data al XIII sec.; i papiro pur presentando evidenti ba-

— 694—

[PYTHAGOREI] I

nalizzazioni ed errori propri, dovuti a cattiva interpretazione del testo dorico (tutti già segnalati da Bülow-Jacobsen), presenta tuttavia in più punti lezioni che permettono di risalire ad un testo più soddisfacente di quello della tradizione medievale. In almeno tre casi l’articolazione stessa della frase è fortemente divergente. Dal confronto tra le due tradizioni si intravvedono in ciascuna delle due redazioni le tracce di un fraintendimento nella lettura del modello (antico e medievale).

Α τ. 22 ἔχοις ἄν della tradizione medievale, che apre in asindeto un nuovo periodo (nell'edizione aldina l'anomalia era stata sanata inserendo un δ᾽), risulta essere un errore di divi-

sione di parola nella tradizione medievale: il papiro attraverso ἔχουσαν rinvia all’originario Éyotcav; e ancora il papiro mostra a r. 14 che il dativo αὐτῇ del pronome dimostrativo restituito da Hercher è la lezione giusta invece dell'accusativo αὐτάν della tradizione medievale. Viceversa a τ. 23 ἐρύθαμα μὲν σαμεῖον dell’ originale ἃè diventato ἐρύθημα €ἄμεινον nella

trascrizione in koine; il μέν caduto per aplografia & stato anticipato dopo il participio ἔχουσαν del r. 22. Più complesso il giudizio sulle parole ἀλλὰ μὴ πολυτερδῶς ἦμεν dé che, nella

tradizione medievale, stanno tra κεκαλλωπισμένην e τῇ ἐσθῆτι (rr. 10-11); Städele, dopo che gli editori precedenti avevano variamente tentato di correggere il πολυτερδῶς, ha espunto l'espressione ἀλλὰ μὴ πολυτερδῶς considerandola un’interpola-

zione; ora il papiro sembra dargli ragione; resta comunque il problema di ricostruire la (o le) parole corrotte che costituivano la presunta glossa. D'altra parte il papiro, omettendo ἦμεν de offre una lezione probabilmente inferiore. Ai rr. 2-3 [α]ὐτοφ[υ]

ὧς è superiore ad αὐτομάτως della tra-

dizione medievale. Ai rr. 31 e 32 βοὐλησις)βουλήσεις del papiro e BeAnoıs/deinoeıg

della tradizione medievale sono in-

vece equivalenti. In altri casi è difficile stabilire se la divergenza tra le due redazioni sia dovuta a cattiva lettura (o cattiva Interpretazione) del modello o se si tratti di cambiamenti volontari nel senso banalizzante che abbiamo indicato: a r. 8 πολιοῦσθαι κατ’ ἀρετάν (giungere alla vecchiaia nella virtù) è certo difficilior rispetto a τελειοῦσθαι κατ᾽ alpernv come vuole Bülow-Jacobsen (3), ma mentre il concetto che i due verbi esprimono

è sensibilmente diverso, le due forme sono pericolosamente simili (è probabile un errore di lettura nella tradizione medie—

695—

[PYTHAGOREI]

I

vale); al rr. 32-33 a νόμ]ος ὀφείλει ἐγγραφῆναι

corrisponde

νόμος ὀφείλει ἄγραφος ἦμεν della tradizione medievale: il riferimento alla legge non scritta (ἄγραφος) appare giustamente

a Städele (cit., 265) un ‘Floskel’ che non ha molte ragioni di essere in questo testo che è solenne ma non lezioso, cfr. an-

che 254-255: «ein tragender Begriff griechischen Rechtsemp-

findens zu einer inhaltsleeren Worthülse erstarrt ist»; 1 confronti addotti da Stadele, incentrati sulla volontà del marito

che per la moglie deve avere valore di legge, non contengono elementi che sostengano il riferimento alla legge non scritta: cfr. Sext. Sent. 514 Chadwick: γυνὴ τὸν ἑαυτῆς ἄνδρα νόμον

ἡγείσθω τοῦ βίου; e nello scritto di Perictione pitagorica, περὶ γυναικὸς ἁρμονίας (ap. Stob. IV 28, 19, p- 691,

14), che per

molti aspetti è vicino al nostro testo, πρὸς δὲ τὸν ἄνδρα τὸν ἑαυτῆς ζώειν ὧδε δεῖ νομίμως καὶ κρηγύως.

Che

la legge de

marito sia scolpita nell’animo della donna onesta è molto incisivo. Se è così il papiro rivela un errore nella tradizione

medievale (falsa divisione di parola e ulteriore corruzione a partire da ἐγγραφῆμεν). A r. 42 a un banale, ma ineccepibile, ταῖς κεκτημέναις SI contrappone un più difficile ἐκτεταμένα

che ha creato qualche difficoltà agli editori. A r. 10 se la lezione dei mss. ἁσυχίᾳ è corrotta, come vorrebbe Städele che

corregge in αἰσχύνᾳ, l'errore è anteriore al papiro.

Per la redazione dell'apparato critico si sono adottate le si-

gle dell'edizione di Stádele (cit., 148-151); l'accordo tra i manoscritti medievali (ß nell’apparato di Städele) è indicato con codd.

Μέλισσα Κλεαρ[έτῃ χαίρειν. [αἸὐτοφίυGc μοι φαίνῃ [πλεί-

ova τῶν καλῶϊν ἔ5

yew: τὸ γὰ[ρ] ἐσ[ἰπουδασμένως ἐθέλειν σε ἀκοῦσαι nepli γυναικὸς εὐκοσμίας καλὴν ἐλπ[ί]δα δ[ίδωσι ὅτι μέλλεις

τελειοῦσθαι κατ᾽ ἀ[ρετήν. χρὴ οὖν τὴν σώφρονα καὶ ἐλευ[θέραν τῷ κατὰ νόμον 10

ἀν[δ]ρὶ προσίναι ἡσ[υχίᾳ κεκαλλωπισμέvnv, τῇ ἐσθῆτι λευ[κοείμονα καὶ κα-

θάρειον ἀφελῆ ἀλλ[ὰ μὴ πολυτελῆ, —

696—

[PYTHAGOREI]J

!

ἁπλῆν ἀλλὰ μὴ ποικίλην | παραιτητέον γὰρ αὐτῇ ταί καὶ διαπόρφυρα ἢ χρυσόπαϊστα τῶν ἐνδυμάτων. ταῖς γὰρ ἑταίραις τάδ[ε χρήσ[ιμα] πρὸς τὴν τῶν πλειόν[ων θήραν τῆς δὲ πρὸς ἕνα τὸν ἴδιον [εὐαρεστούσης γυναικὸς κόσμος ἐστὶν ὁ τρόΐπος καὶ οὐχ ἣ στολή. εὔμορφον δὲ τὴν ἐλευ[θέραν καὶ σώφρονα ἰδέσθαι χρὴ τῷ ἑαυτῆς [ἀνδρί, ἀλλ᾽οὐ τῷ πλησίον, ἔχουσαν μὲν [ἐπὶ τῆς ὄψεως αἰδοῦς ἐρύθημα ἄμειν[ον φύκου καὶ ψιμιθίου, kaAokayaO[t]av δ[ὲ καὶ κοσμιότητα καὶ σωφροσύνην ἀ[ν-᾿

15

20

25

τὶ χρυσοῦ

καὶ σμαράγδου. οὐ γὰρ elils τὴν [τ]ῆς

ἐσθῆτος καὶ τοῦ σζώ]ματος πολυτέλει[αν φιλοκαλεῖν δεῖ τῇ[ν] σώ[φ]ρο[ν]α, ἀλλ᾽ [ei] B οἰκονομίαν τε καὶ σωτηρίαν 30

[tod οἴ]κου, ἀρέσκειν

τε σωφρονοῦντι τῷ [ξαυτ]ῆς ἀνδρὶἐἐπιτελοῦσαν τὰς ἐκε[ίνου BolvAnoeıc- ἣ γὰρ τοῦ ἀνδρὸς βούλησις νόμ]ος ὀφείλει ἐνγραφῆναι κοσμίᾳ γ[υναικί, πρὸ]ς ὃν χρὴ βιοῦν αὐτήν: νομίζειν δὲ [προ]ῖκα εἰσενη-

35

νοχέναι ἅμ᾽ α[ὑτ]ῇ καλλίστην καὶ peyiστην τὴν εὐτα[ξί]αν. πιστεύειν δὲ χρὴ τῷ

40

45

τῆς ψυχῆς κάλλει τε καὶ πλούτῳ μᾶλλον ἢ τῷ τῶν χρημάτων καὶ τῆς ὄψεως. τὰ μὲν γὰρ χρήμα({σ)τα καὶ τὰ σώματα χρόνος, φθόνος, vócoc, τύχη παραιρεῖται: ἣ δὲ τῆς ψυχῆς εὐκοσμία μέχρι θανά, 100 πάρεστι ταῖς κεκτημέναις. “Θεανὼ Εὐβούλῃ χαίρειν. ἀκούω σε [τὰ παιδία τρυφερῶ]ς τρέφειν - ἔστι δὲ [ἀγαθῆς καὶ σώφρονος] μητρὸς οὐχ ἣ πρὸς [ἡδονὴν ἐπιμέλεια τ]ῶν n[ató]ov ἀλλ᾽ f

[πρὸς τὸ σῶφρον ἀγωγή. βλέπε οὖ]ν μὴ

[

1. —

697—

[PYTHAGOREI]

2

spazio dopo xaıpeıv

προεῖναι cv

Yaivnl

14 dopo αὐτῇ spazio

dopo rAncıov spazio

ραϊρειται: 43

3

42

?

παρὲςτι

1

5

18

26

dopo

xeıv

ἴδιον

cuapaydov-

21 34

spazio

10

ἵδεςθαι

22

avinv:

40

πα-

dopo κεκτήμεναις spazio fino alla fine del rigo

spazio dopo xoipew

44

tpegeiv-

48

alla fine del rigo traccia di

una lettera finale, probabilmente o 1 KAeaplétn ed.pr.: Κλεαρέτᾳ codd. 2 xaipeıv secl. Städele [eJöroglvlläs Bülow- Jacobsen et Sedley, [αἸὐτομ[άτ]!ως ed.pr., codd. 3 μοι pap. : ἐμὶν a Stádele : ἐμῖν τ: ἡμῖν 4454 x: ἐμοὶ ald.

nAeillova ed.pr.,

cf. v. 17: πλέονα codd. 4-5 £]|yew pap. : ἔχεν codd. ἐθέλειν ed.pr. : ἐθέλεν codd. 6 σε pap.: τὺ a Stádele : τὶ 132 179 ald : tor cer. 7 καλὴν pap.: καλὰν codd. 8 τελειοῦ[σ]θαι ed.pr. : πολιοῦσθαι codd. á[ρετὴν ed.pr. : ἀρετὰν codd.

οὖν τὴν ed.pr. : ὧν τὰν codd.

10

προσίναι

pap. : ποτῆμεν codd. noluxia : nol ed.pr., ἁσυχία codd. (tuetur Heitsch), ἁσυχᾶᾷ Hercher, αἰσχύνᾳ Stádele 10-11 xexoAAonicpé]|vnv : κεκαλλω-

πισμέναν codd.

11

τῇ ἐσθῆτι : τᾷ ἐσθᾶτι codd.

ante τῷ ἐσθᾶτι add.

ἀλλὰ μὴ πολυτερδῶς ἦμεν δὲ codd., ἀλλὰ μὴ πολυτερδῶς secl. Städele 1112 κα]Ἰθάρειον pap. : καθάριον codd. 12 ante ἀφελῆ add. καὶ codd.

13 ἁπλῆν ἀλλὰ μὴ ποικίλην om. codd. post ποικίλην add. καὶ περισσήν ed.pr. cum codd. 14 αὕτη pap. : αὐτὰν codd. : αὐτᾷ corr. Hercher ταί pap. : τὰν ὁλομιγῆ

(ὁμολογῆ A 1) codd.

rec. in marg. ms. 132 pap. : καὶ τὰ codd.

15 16

Städele ex corr. man.

διαπόρφυρα pap. : διαπόρφυρον codd. γὰρ ἑταίραις pap. : ἑταίραις γὰρ codd.

πρὸς τὴν pap. : ποττὰν codd. pap. : τᾶς codd.

: ἁλουργῆ

πλειόν[ων pap. : πλεόνων codd.

πρὸς pap. : ποθ’ codd.

εὐαρεστούσης

ἢ 17

18 τῆς ed.pr.

: -σας

codd. 19 ἐστὶν ὁ 1pó[z0c pap. : ὁ τρόπος πέλει codd. 20 ἢ στολή pap. : αἱ στολαί codd. δὲ pap. : γὰρ codd. τὴν pap. : τὰν codd. 21 καὶ σώφρονα om. codd. χρὴ om. codd. ἑαυτῆς pap. : ξαυτᾶς codd. 22 τῷ πλησίον pap. : τοῖς πλασίον codd. ἔχουσαν μὲν pap. : ἔχοις ἂν codd. (ex EXOICAN) 23 τῆς ὄψεως pap. : τᾶς ὄψιος È codd. αἰδοῦς ἐρύθημα ἄμειν[ον] pap. : ἐρύθαμα μὲν σαμεῖον αἰδοῦς ἀντὶ codd. 24 φύκου pap. (cf. Mayser 1.2, p. 36 s.) : φύκιος codd., an φύκου(ς) vel pux(i)ov scriben-

dum? codd.

καὶ ψιμιθίου om. codd. 25 κοσμιότητα pap. : κοσμιότατα σωφροσύνην pap. : σωφροσύναν codd. 26 χρυσοῦ pap. : χρυσῶ

codd.

σμαράγδου pap. : σμαράγδω codd.

26-27

eli] τὴν [τ]|ῆς ἐσθῆτος

pap. : ἐς τὰν τᾶς ἐσθᾶτος codd. 27 καὶ τοῦ σ[ώ]ματος om. codd. 28 τὴ[ν] σώ[φ]ροί[ν]α pap. : τὰν γλιχομέναν τᾶς σωφροσύνας codd. [et] ed.pr. : ἐς codd. ante οἰκον οἰμίαν add. τὰν codd. 29 τε καὶ σωτηρίαν om.

codd.

οἴκου pap. : οἴκω codd.

ἀρέσκειν pap.: ἀρέσκεν codd.

σωφρονοῦντι pap. : δὲ αὐτὰν codd.

31

30 τε

[ξαυτ]ῆς pap. : αὑτᾶς codd.

ἐπιϊτελοῦσαν pap. : ἐπιτελέας ποιεῦσαν codd.

31

λΠ0-

ἐκείίνου ed.pr. :

ἐκείνω codd. Bo] υλήσεις pap. : θελήσιας codd. 31-32 n... βούλησιϊίς ΡΆΡ. : αἱ. . θελήσεις codd. 32 τοῦ pap.: tò codd. 32-33 ἐνγραφῆναι pap- : ἄγραφος ἦμεν codd. 33 πρὸΪς pap. : ποθ᾽ codd. 34 βιοῦν

pap.: Bıöv codd. ald. Städele

αὐτήν pap. : αὐτάν codd.

34-35

νομίζειν pap. codd. : νομίζεν

εἰσενηνοχέναι pap. : ποτενηνέχθαι codd. —

698—

35 αἰὑτ]ῇ

[PYTHAGOREI]

pap. : αὑτᾷ codd.

35-36

ı

καλλίστην καὶ peyilornv pap. : καλλίσταν καὶ

μεγίσταν codd. 36 τῆν pap. : τὰν codd. πιστεύειν pap. : πιστεύεν codd. δὲ pap. : γὰρ codd. 37 τῆς ψυχῆς pap. : τᾶς ψυχᾶς codd. 38 τῶν χρημάτων καὶ τῆς ὄψεως pap. : τᾶς ὄψιος καὶ τῶν χρημάτων codd. 3940 χρήμαίσ]τα καὶ τὰ σώματα χρόϊνος om. codd. 40 νόσος pap. : καὶ νοῦσος codd. τύχη om. codd. παραιρεῖται pap. : παραιρέεται codd. 41 ἡ δὲ τῆς ψυχῆς εὐκοσμία pap. : τὰ δὲ codd. 41-42 θανόϊτου pap. : θανάτω

codd.

42

πάρεστι pap. : πάρεντι codd.

ταῖς κεκτημέναις pap.: ἐκτε-

ταμένα codd. (ἐντεταγμένα a) 43 ἐπιστολαὶ θεανοῦς περὶ τέκνων ἀνατροφῆς add. codd. χαίρειν secl. Städele 44 τρέφειν pap. : ἄγειν codd. 45 [ἀγαθῆς καὶ σώφρονος] μητρὸς pap. (suppl. Thesleff ap. Bülow-Jacobsen) : ἀγαθῆς μητρὸς codd. 46-47 suppl. ed.pr.

Melissa a Clearete, salute.

Per tua natura mi sembra che tu abbondi di buone qualità. E in-

fatti, il fatto che tu con premura voglia essere istruita sul buon comportamento della donna dà buona speranza che raggiungerai la perfezione nella virtù. Bisogna dunque che la donna onesta e libera si accosti al suo legittimo sposo ornata di [tranquillità]; quanto al vestito, indossi una veste bianca e pulita, modesta e non sontuosa, sem-

plice e non lussuosa [...]. Ella deve rifiutare le vesti [...] ornate di

porpora e d’oro; queste infatti servono alle etere per dare la caccia a molti uomini; della donna che vuol piacere ad uno solo, il proprio marito, ornamento

è 1] carattere non l’abito. La donna libera e one-

sta deve essere bella a vedersi per suo marito, ma non per il vicino, e deve avere sul volto il rossore del pudore, che è migliore del rossetto e della biacca, la virtù, la riservatezza e l’onestà invece dell’oro

e dello smeraldo. La donna onesta infatti non deve aspirare alla ricchezza della veste e del corpo ma al governo e alla conservazione della casa; e deve piacere al marito onesto, compiendo i suoi voleri. Infatti il volere del marito deve essere scritto come legge per la donna che si comporta bene, ed ella deve vivere attenendosi ad esso. Deve ritenere di aver portato con sé, come bellissima e grandissima dote, la sua buona condotta. E deve affidarsi alla bellezza e alla ricchezza dell'anima più che a quelle dei (suoi) beni e del (suo) volto. I beni

e i corpi, infatti, il tempo, l’invidia, la malattia e la sorte h portano via, ma la bellezza dell'anima resta fino alla morte in quelle che la possiedono. Teano ad Eubule, salute.

Sento che allevi [i figli mollemente]. Ma è proprio dı una [buona e saggia] madre non [prendersi cura dei figli guardando al (loro) piacere] ma [educarli alla temperanza. Vedi dunque di] non [...] —

699 —

[PYTHAGOREI]

1

2-8 αὐτοφυῶς — κατ’ ἀρετήν: la lettera è formulata come una risposta alla richiesta di Clearete di essere istruita sui suoi

doveri di moglie e ricorda la relazione tra maestro e discepolo che è più volte ripetuta nelle epistole di Seneca a Lucilio (cfr. I 2, 1 ex his quae mibi scribis, et ex his quae

audio,

bonam

spem de te concipio; II 19, 1 exulto, quotiens epistulas tuas accipio: implent enim me bona spe et iam non promittunt de te, sed spondent). Anche il riferimento allo zelo dell'allieva e alla *bella speranza' che esso suscita nella sua maestra si inquadra nella logica di una formazione morale (e filosofica) che promette di avere il suo compimento (τελειοῦσθαι). La lezione αὐτοφυῶς recuperata da Bülow-Jacobsen e Sedley & certamente superiore ad αὐτομάτως della tradizione medievale. E vero che αὐτόματος e αὐτοφυήῆς, e 1 relativi avverbi, compaiono talora

insieme, cfr. sch. in Theoc. VII 5/9 o, p. 81, 26 Wendel (ἐξ αὐτομάτου Kal αὐτοφυῶς) e Phlp. In

GC, CAG XIV.2, p. 283,

29 (αὐτοφυῶς καὶ αὐτομάτως), e che nella tradizione lessicografica vengono dati per sinonimi, cfr. Hsch. a 8440, 1 αὐτόμαtov: αὐτοφυές, ma αὐτοφυῶς è semanticamente

più adeguato

al contesto per il riferimento ad una naturale buona disposizione, cfr. Gal. Protr. 10 (CMG

V.1, 1, p. 136, 22 Barigazzi)

detto di Frine la cui bellezza non era frutto di belletto (ἀγχούσῃ τε καὶ ψιμιθίῳ. καὶ φύκει κεκαλλωπισμένας) ma (ibid., p. 136, 27) μόνη γὰρ ἦν ἀκαλλώπιστός τε Kal αὐτοφυῶς καλή; Alex. Aphr. In Metaph., CAG ], p. 1, 8 αὐτοφυῶς ἐρῶσι τῆς γνώσεως ὡς ταύτης τελειότητος οὔσης αὐτῶν e tra 1 pitagorici, Ecfanto ap. Stob. IV 7, 65, p. 278, 8 (= fr. 3, p. 83, 7 Thesleff) ὅσα è αὐτοφυῶς τῷ καλῷ χρῆται.

6 περὶ γυναικὸς εὐκοσμίας: è ıl tema della lettera, confrontabile con il περὶ γυναικὸς ἁρμονίας attribuito a Perictione (= Stob. IV 28, 19, p. 688, 9) e ıl περὶ γυναικὸς σωφροσῦνας

di Phintys (= Stob. IV 23, 61, p. 588, 17) tutt’e due, come Melissa, poco note (vedi Thesleff, 142-146 e 151- 154); l'insieme di questi testi costituisce un piccolo corpo di letteratura pita-

gorica di donne per le donne. 8 τελειοῦσθαι Kar’ ἀρετήν: anche gli altri due testi di donne

pitagoriche che abbiamo menzionato fanno riferimento alla virtù nella parte iniziale: κάρτα γὰρ ψυχὴν πεπνῦσθαι δεῖ εἰς ἀρετήν (Perictione) e ἀγαθὰν δεῖ ἦμεν καὶ κοσμίαν᾽ ἄνευ γὰρ

ἀρετᾶς κτλ. (Phintys). Probabilmente la variante del papiro è — 700—

[PYTHAGOREI]]

I

superiore a πολιοῦσθαι «incanutire», proprio per il riferimento al conseguimento della perfezione. Il nesso τελειοῦσθαι κατ’ ἀρετήν si trova solo più tardi in autori cristiani, ma in contesti molto vicini al nostro, cfr. le parole iniziali di Gr. Nyss. Perf. VIII.1, p. 173, 2 Jaeger πρέπουσα τῇ προαιρέσει cov n σπουδὴ ἣ περὶ τοῦ γνῶναι πῶς ἄν τις διὰ τοῦ κατ᾽ ἀρετὴν βίου

τελειωθείη, ὥστε διὰ πάντων κατορθωθῆναί σου τῇ ζωῇ τὸ ἀμώμητον. Νά. anche Gr. Nyss. Pss. titt. V, p. 151, 16 Mc Donough τοῖς κατὰ προκοπὴν δι᾽ ἀρετῆς τελειουμένοις; Ath. Exp. Ps, PG XXVII, 284, 30 τοὺς τελειωθέντας κατ᾽ ἀρετήν.

8-13 Le prime regole per la donna onesta riguardano la bellezza e le vesti, ıl tutto destinato al legittimo sposo. 9 σώφρονα καὶ ἐλευθέραν: la coppia di aggettivi ritorna a r. 20-21,ma

non

nella

tradizione

medievale

che

ha solo

ἐλευθέραν; la prima attestazione dei due aggettivi riferiti ad una donna si ha in D. De falsa leg. 196, 7 in un interessante nesso con εὐπρεπῆ; Demostene celebra una donna di Olinto,

bella e pur tuttavia ‘libera e onesta’, oltraggiata da Eschine durante un banchetto; si veda poi Plutarco, An seni resp. 785d7 dove si confronta una cattiva azione politica al privare una donna ‘libera e onesta’ delle sue vesti per mandarla a servire In una

taverna;

poi

quattro

attestazioni

in Giovanni

Criso-

stomo (Ad viduam juniorem, 99 Ettlinger-Grillet e Anna, PG LIV, 633, 47 e 52, dove è contrapposta alla πόρνη; e Hom. in

Rom., PG LX, 521, 28 dove è contrapposta ad una serva barbara).

10 La forma verbale προσίναι del papiro può essere intesa come προσεῖναι, coerentemente con la tradizione medievale (ποτῆμεν), ma anche come una forma usata, ma condannata da

Frinico, di προσιέναι. Cfr. Phryn. 7 (p. 61 Fischer): ἀπίναι, Tpocivat, κατίναι, ἐξίναι’ πάντα ἀδόκιμα ἄνευ TOD e AEYOLEVA χρὴ γὰρ σὺν τῷ ε ἀπιέναι, ἐξιέναι λέγειν καὶ τὰ λοιπὰ ὁμοίως. Nessuna delle due espressioni ἀνδρὶ προσιέναι e ἀνδρὶ προσεῖναι sono idiomatiche, mentre lo è γυναικὶ προσιέναι. Cfr. anche D.S. X 9, 6 Πυθαγόρας παρήγγελλε πρὸς τοὺς θεοὺς προσιέναι τοὺς θύοντας μὴ πολυτελεῖς ἀλλὰ λαμπρὰς καὶ καθαρὰς ἔχον-

τας ἐσθῆτας. E probabilmente anche qui si deve intendere in questo secondo modo. La lacuna non aiuta a risolvere il dubbio sulla parola che precede κεκαλλωπισμένην; nella tradizione medievale si legge —

701—

(PYTHAGOREJ]

1

ἀσυχίᾳ, Hercher ha corretto in ἁσυχᾶ (paullulum)

e Städele

in αἰσχύνᾳ; quest'ultima soluzione non viene confermata dal papiro e per accoglierla si deve pensare ad una corruttela anteriore al III sec.; la correzione di Hercher pare indebolire il senso e dunque si ? indotti a conservare ἁσυχίᾳ (e a integrare Nolvyia), come del resto già proposto da Heitsch (citato da Städele in app.). Le prescrizioni sulle vesti sarebbero precedute da una norma che riguarda un comportamento di moderazione. Sull’esistenza di leggi pita oriche — a Siracusa — contro il lusso nel vestire e sui gioielli ch. Ath.«XII 20 e D.S. XII 21, 1 già

citati da F. WILHELM, Die Oeconomica der Neupythagoreer

Bryson, Kallikratidas, Periktione, Phintys, RhM 70 (1915), 218. 11 Prescrizioni sulle vesti in Perictione, ap. Stob. IV 28, 19, p. 690, 6 (= fr. 1, p. 143, 17 Thesleff): le vesti, così come cibo e bevande,

non devono

essere πολυτελέα

né ποικίλα;

Phintys, ap. Stob. IV 23, 61, p. 591, 16 (= fr. 2, p. 153, 16 Thesleff) δεῖ λευχείμονα εἶναι καὶ ἁπλοικὰν καὶ ἀπερίσσευτον; Musonio fr. 19 (p. 105 sgg. Hense); vd. anche l’epistola a Pancratida (Epistolographi, p. 401 Hercher = p. 138 Hense): ἐσθῆτι δὲ ἀπράγμονι καὶ μὴ ἐψευσμένῃ,

ἀλλὰ

καθαρᾷ.

Ε ın

Iamb. VP 56, p. 31, 6 Deubner si ricorda come le donne, poiché 1 pitagorici lodavano la εὐτέλεια, dedicarono nel tempio di Era le loro vesti eleganti (tà πολυτελῆ τῶν ἱματίων) che non

volevano più indossare. 17 La metafora della caccia ad altri uomini è un altro to-

pos riferito alle etere; per confronti si veda Städele, cit., 261;

cfr. anche Bas. /s., PG XXX, 3174: n δὲ πολλοὺς ἀγρεῦσαι τῇ παγίδι τοῦ κάλλους προαιρουμένῃ κτλ. dove si insiste sui molti

uomini che devono essere conquistati.

19 πέλει è usato anche nell’epistola di Miia.

22 ἔχουσαν per ἔχοισαν: le forme participiali ini -0100 sono

pseudodoriche, e attestate in Archita (De princ., De vir. bon.), Damippo, Callicratide, Metopo, Timeo di Locri, occasional-

mente altrove, cfr. Thesleff, Introduction, cit., 89. 23

Il rossore della pudicizia è un altro topos caro agli autori cristiani, cfr. in particolare Bas. Ep. XLVI 2, 29 Courtonne che assembla tutti i motivi delle vesti e del comportamento: ποῦ μέν σοι τὸ σεμνὸν ἐκεῖνο σχῆμα, ποῦ δὲ τὸ κόσμιον ἦθος καὶ ἐσθὴς λιτὴ καὶ παρθένῳ πρέπουσα καὶ καλὸν μὲν τὸ

ἐξ αἰδοῦς ἐρύθημα; ma non manca nella letteratura profana, cfr. Hld. X 24, 2. — 702 —.

[PYTHAGORE!]

|

24 La coppia di termini ‘biacca e rossetto” compare con grande frequenza, sempre in contesti negativi, cfr. Luc. Hist. Conscr. 8, 31; Ind. 23, 24; Pisc. 12, 15; Gal. Protr. 10 (CMG V.1, 1, p. 136, 23 Barigazzi); AP XI 408; Gr. Naz. Carm.

PG XXXVII,

29,

891, 11. È possibile accogliere φύκου (con Bü-

low Jacobsen) o correggere in φύκουζ(ς) o φυκζῦου. Il riferimento alla καλοκαγαθία come virtü femminile ha

un confronto in 26 Anche il pietre preziose) da Plutarco (cfr. VP 187 (p. 104,

Iamb. VP 57 (cit. sotto, comm. a r. 29). riferimento ai gioielli (e in particolare oro e trova confronti nella letteratura sulle donne infra a τ. 36) a Perictione e Phintys, a Iamb. 11 Deubner)

καὶ τὸ χρυσὸν ἐλευθέραν μη-

δεμίαν φορεῖν, μόνας δὲ τὰς ἑταίρας; si aggiunga la risposta della moglie di Filone in Stob. IV 23, 54, p. 587, 3: essa sola non porta gioielli perché suo ornamento

(κόσμος) è la virtù

del marito. 27 Se lo spazio lo consentisse sarebbe da preferirsi oxnματος, che compare

28-29

anche nei testi paralleli.

οἰκονομίαν TE καὶ σωτηρίαν: unico riferimento ad

un altro tema di grande importanza nella letteratura sul matrimonio e sulla donna, qui appena accennato. 29 ἀρέσκειν: Melissa raccomanda a Clearete un precetto che in Stob. IV 23, 55, p. 587, 9 è attribuito a Teano: Θεανὼ ἐρωτηθεῖσα ti πρέπον ein γυναικί, “τὸ τῷ ἰδίῳ" ἔφη “ἀρέσκειν

ἀνδρί". La non meglio nota Melissa saccheggia materiali dı Teano;

abbiamo

a che fare con un guasto della tradizione o

più semplicemente questa è una massima di ogni donna pitagorica? Qui, diversamente dalla tradizione medievale, e forse erroneamente, il papiro attribuisce anche al marito la sophrosyne; il concetto

tuttavia non è del tutto astruso, cfr. Iamb.

VP 48 (p. 26, 23 Deubner) |ὅπως αὐτοί TE μόνας ἐκείνας εἰδήσῶσιν, αἵ τε γυναῖκες. „ € ancora VP 57 (p. 31, 10 sgg. Deub-

ner) λέγεται ... ὅτι περὶ τὴν χώραν τῶν Κροτωνιατῶν ἀνδρὸς μὲν ἀρετὴν πρὸς γυναῖκα διαβεβόηται ... ὑπολείποιτο δὲ ταῖς γυναιξὶν εἰς τοὺς ἄνδρας ἀποδείξασθαι τὴν καλοκαγαθίαν, ὅπως εἰς ἴσον καταστήσωσι τὴν εὐλογίαν.

36

εὐταξίαν: cfr. Plu. Coniug. praec. 141e: non l'oro e lo

smeraldo n& 1] κόκκος rendono una donna κοσμιωτέραν, ma ciò che ne rivela la σεμνότης, l’edtabia e ᾿᾽ αἰδώς. 39-40 χρόνος: non è nella tradizione medievale; la coppia —

703—

[PYTHAGOREJ I

χρόνος φθόνος èè invece ben attestata, cfr. Trag. Adesp. fr. 547,

4 Nauck’, dove però si tratterebbe di interpolazione, App. BC

II 140, 583 e ancora Gr. Naz. Ep. 178, 10, dove compare in-

sieme a τύχη che nel papiro è un’aggiunta rispetto alla tradizione medievale. 41 Il papiro ripete la parola chiave della lettera (εὐκοσμία)

in modo da fornire un’esplicita ripresa del suo argomento; in questo caso non pare che la variante del papiro sia da intendersi nel senso del solito ampliamento;

piuttosto

è il tà δὲ

della tradizione medievale che appare frutto di una redazione

ridotta e secondaria. 42 Städele, p. 362, classifica ἐκτεταμένα come un'espressione poetica, ma potrebbe trattarsi solo di una variante ınferiore. AR



704—

93 SECUNDUS

ıT

PRossGeorg I 17 Vita Secundi philosophi

Sec. III? in.

Prov.: ignota. Cons.: Sankt-Petersburg, Hermitage Mus. Edd.: AE.FR.C. TISCHENDORF, Notitia editionis codicis bibliorum Si-

naitici auspiciis imperatoris Alexandri II susceptae. Accedit catalogus codicum nuper ex Oriente Petropolin perlatorum, Leipzig, Brockhaus 1860, 69-73; H. SAUPPE, Mittheilungen aus Handschriften. 1. Griechische Papyrus, Philologus, 17 (1861), 149-154 (= Ausgewählte Schriften, Berlin, Weidmann 1896, 307-312); G.

ZERETELI, PRossGeorg I (1925), 105-114; I GALLO, Un papiro della «Vita del filosofo Secondo» e la tradizione medioevale del bios, Salerno, Università di Salerno 1979 («Quaderni dell’Istituto di Filologia Classica», 1), 29-33; GALLO, II, 415-419. Tavv.:

GALLO,

II, XVI.

Comm.: MP? 2083 (= P^ 2083) TH. BIRT, Das antike Buchwesen in seinem Verhältnis zur Literatur, Berlin, Hertz 1882 [Aalen, Scientia 1959], 279; C. HAEBERLIN, Griechische Papyri, ZBB 14 (1897), 94; F. UEBERWEG - K. PRAECHTER, Grundriss der Geschichte der Philosophie, I, Berlin, Mittler u. S. 1926", 581; L.

CASTIGLIONI, Papiri greci letterari conservati in Russia e in Georgia, Aegyptus, 7 (1926), 227-228; L.W. DaLv, The «Altercatio Hadriani Augusti et Epicteti philosophi» and the Question-and-

Answer Dialogue, Urbana, Univ. of Illinois 1939 («Illinois Stud.

in Lang. and Lit.», 24) 47 sg.; G. ZALATEO, Papiri scolastici, Aegyptus, 41 (1961), 193, n° 267; B.E. PERRY, The Origin of the —

705—

SECUNDUS

IT

Book of Sindbad, Berlin, de Gruyter 1960, 85; B.E. PERRY, Secundus the Silent Philosopher. The Greek Life of Secundus, Ithaca, American Philol. Assoc. 1964 («Am. Philol. Ass. Monographs», XXII); GALLO, 1979 (cfr. supra, Edd.), 3-28; 34-43; GALLO, II (1980), 393-413; 421-429; I. GALLO, Biografie di consumo in Gre-

cia: il «Romanzo di Alessandro» e la «Vita del filosofo Secondo», in La letteratura di consumo nel mondo greco-latino. Atti del convegno internazionale (Cassino 14-17 settembre 1994), a c. O. Pecere - A. Stramaglia, Cassino, Università degli Studi di Cas-

sino 1996, 235-249: 244-247 [= Studi sulla biografia greca, Napoli, D’Auria 1997, 185-200].

Frammento di cm 52x17 di un volumen, mutilo di circa cm

8 nella parte inferiore, assai consunto e mal restaurato nel secolo scorso, prima della discutibile pubblicazione

del Ti-

schendorf del 1860. Risulta custodito nel Museo dell’Hermi-

tage di San Pietroburgo e conserva tre colonne di scrittura sul lato perfibrale, per complessivi 38 righi, e nulla forse sul lato opposto. Le colonne sono di diversa larghezza (cm 20-21 la prima, cm 18 la seconda, cm 14 la terza), con tendenza dei ri-

ghi ad allargarsi verso il basso. Rimane qualche traccia di lettere di una colonna precedente e un primo intercolunnio di cm 3 circa; l’intercolunnio è praticamente inesistente tra la prima e la seconda colonna e varia da cm 2 a cm 4 tra la seconda e la terza. La prima colonna contiene 15 righi di scrit-

tura dei 20 originari, la seconda 16 e tracce del diciassettesimo,

dei probabili 21 originari, la terza solo 9, seguiti da spazio non

utilizzato. Il margine superiore è di cm 1, il laterale destro di cm 1,5. Il numero di lettere per rigo oscilla da 21 a 27 nelle prime due colonne, da 17 a 22 nella terza. La scrittura è una

libraria informale piuttosto rozza e imprecisa, sicuramente non

opera di uno scriba di professione, assegnabile probabilmente al principio del IIIP, anche in base al confronto con PBerol

19110 (cfr. Schubart, Gr. Pal., tav. 90), anche se non è da esclu-

dere una datazione non molto più tarda. Il testo, sulla base del contenuto, non può essere anteriore alla seconda metà del ΠΡ. Nell'intercolunnio tra seconda e terza colonna, all'altezza

dei rr. 1-2, compare un segno formato da un y e da due linee oblique, sulla sinistra, probabile richiamo per un passo di particolare interesse nella terza colonna. —

706 —

SECUNDUS

IT

Il papiro presenta, oltre a non pochi errori (segnalati in apparato) numerose singolarità ortografiche: si tratta per lo più di fenomeni di origine fonetica assai comuni nei papiri non letterari ma eccezionali in testi letterari (cfr. Gignac, I, 190 sgg.): € per αἵ (rr. 1, 5, 31); € per m (r. 35); 1 per εἰ (rr. 1, 2, 5, 7, 11, 18, 27, 32, 33); ει per ı (τ. 3); o per o (rr. 2, 3, 18, 29, 36); ὦ per o (rr. 3, 10, 16, 17, 20, 21, 30, 31); ov per ὦ (r. 6);

ot per v (τ. 12); v per ot (τ. 38). In due casi x è stato confuso con χ (τ. 9 vxavoc per ἱκανός, r. 22 cteyovAaxop per σπεκου-

λάτωρ). Infine 1 muto non è mai indicato.

Circa la destinazione del manufatto, à molto probabile, in considerazione del carattere popolare e di larga diffusione dell'opera, che ci troviamo in presenza non tanto di uno scritto scolastico, come ἃ stato supposto, ma piuttosto della trascrizione per proprio uso di un privato di modesto livello culturale, abituato a scrivere le parole come le sentiva pronunciare, con conseguente confusione di vocali e gruppi vocalici caratteristici della lingua parlata, soprattutto in epoca tarda, e frequentemente attestata nei papiri documentari, talora anche nei letterari.

Pur essendo il βίος Σεκούνδου già noto dalla tradizione medioevale, si è ritenuto opportuno riportare il testo del papiro, messo sistematicamente a confronto con la parte corrispondente del testo di età bizantina, nell’assai probabile, se non proprio sicura ipotesi, che il papiro presenti una redazione del bios diversa per molti aspetti da quella che risale alla recensione designata come II dal Perry e a noi giunta attraverso 1l codice R e alcuni suoi tardi apografi (su ciò vd. infra il commento). In apparato vengono usate le seguenti sigle e abbreviazioni: R: Vat. Reginensis Gr. 10, saec. XI G: Gudianus 79, saec. XVII

W: versio Latina Willelmi Medici Ti.: Ae.Fr.C. TISCHENDORF, Notitia editionis codicis bibl. Sin.,

Lipsiae 1860, 71-73 (ed.pr.) Sa.: H. SAUPPE, Philologus 17 (1861), 150-152 Ze.: PRossGeorg

I (1925), 109-110

Pe.: B.E. PERRY, Secundus the Silent Philosopher, Ithaca 1964, 72-74,



707 —

SECUNDUS

IT

Col. I κατέβαι(νλον εἰς Πειραιᾶ- ἦν γὰρ ὃ τόπος

ἐκεῖνος τῶν κολαζομένων. ἀπάγοντες αὐτὸν ἔλεγον᾽ “ἵνα τί, ὦ Σεκοῦνδε, σιωπῶν ἀποθ(ε)νήσκει(ς); λάλησον καὶ ζήσῃ: χάρισαι

5

σεαυτῷ τὸ ζῆν διὰ τοῦ λόγου. xa[i] γὰρ ὃ κῦκνος ἄδει πρὸς τὸ τέρ-

μα] τοῦ βίου. καὶ τέλος μετανόησον] ἤδη, διότι! ἱκανὸς ὃ προσγενόμενός σοι χρόνος". πολ-

10

Xoîlc μὲν οὖν Kai πλείοσ(ι) λόγοις πα]ραμυθεῖται καὶ ἐδε(λέα)ζε τ]ὸν φιλόσοφον. 0 δὲ καὶ τοῦ

θα]νάτου καταφρονήσας ἐξεδέχϊετο τὴν τοῦ Bio[v τελ]ευτ[ὴν

15

5 fere versus perierunt 1 xareBeov EIVOTIO

4-5

9 xavoc

11

nıpea

Wwronoc

αποθενης|κι

πλιοῖς

12

5

2 exıvoc Incaı

xopue

Ἰραμοιθ..ταῖ

xodatopevov 6

«εασυτου

3

avtov 7

αδι

fra 8 e τ potrebbero trovar po-

sto due lettére larghe o tre normali. Lo spazio per εἰ € comunque eccessivo

εδεξε

1-15 R (xai ὁ μὲν σπεκουλάτωρ) κατέβαινεν ἔχων αὐτὸν εἰς τὴν πεῖραν (τὸν Πειραιᾶ ex pap. corr. Pe.): ἦν γὰρ o καὶ ἔλεγεν αὐτῷ’ “ὦ Σεκοῦνδε, τί σιωπῶν χάρισαι σεαυτῷ (ἑαυτῷ G) ζωὴν διὰ τοῦ γὰρ ὁ κύκνος ((ᾷδει) ex pap. inseruit Pe.)

τόπος ἐκεῖνος τῶν κολαζομένων. ἀποθνήσκεις; λάλησον καὶ ζήσῃ, λόγου (δι᾽ αὐτοῦ λόγου 6). καὶ πρὸς τὸ τέρμα τοῦ βίου, καὶ ὅσα

δὲ ἀλλα πετεινὰ τῇ δεδομένῃ αὐτοῖς φωνῇ κελαδεῖ (κελαδῆ R et apogr.) καὶ οὐδέν ἐστιν ἄφωνον ἐν τῷ βίῳ. μετανόησον οὖν - ἱκανὸς γὰρ πρός σε σιωπῆς γενόμενος χρόνος" (ἱκανὸν ... γενόμενον χρόνον R et apogr., corr. Mullach; ἱκανὸς γὰρ ὁ προσγενόμενός σοι σιωπῆς χρόνος corr. Pe. ex pap.). καὶ ἄλλοις δὲ πλείοσι λόγοις παρεμυθεῖτο καὶ ἐδελέαζε τὸν Σεκοῦνδον. ὁ δὲ

Σεκοῦνδος καὶ τὸ ζῆν (τὸ ζεῖν R, τοῦ ζῆν Mullach) καταφρονήσας σιωπῶν τὸν θάνατον ἐξεδέχετο, τοῖς λόγοις μὴ ἐπιστραφείς. ὁ δὲ σπεκουλάτωρ, ἀπαγαγὼν τὸν ἄνδρα ἐπὶ τὸν συνήθη τόπον, φησί: “Σεκοῦνδε, πρότεινόν σου τὸν αὐχένα καὶ δέξαι δι᾽ αὐτοῦ τὸ ξίφος (τοῖς λόγοις ... ξίφος desunt in pap.

propter lacunam) 1 KAT[EBEN]ON Ti. corr. Ze. Πειραιᾷ : τὴν πεῖραν R, πήραν apogr., ad piram W 2 EKI(NOZ Ti, ἐκείνῃ Sa. 2-3 AIIAJTON[TE]E Ti. 4 ZE[KO]YNAE Ti. 4-5 corr. Sa. 5 KI[E AAJAHZON Ti. ζήσ(ῃ) cor-



708 —

SECUNDUS

rexi ex R, ZHZON cort Sa., acc. Ze.

IT

Tı., ζῆσον Sa., ζῆσ(ο)ν Ze. 7

KIAI]TAP

Ti.

8

6 X[EA]YT..... Ti., σεαυτῷ BIOY Ti.

9

HZONHAHOTI

Ti, qui ov non certum in adn. scribit et σιγῆς dub. proponit

ὅτι Sa.,

pl. Ze. dub. ΠΡΟ Ti. Sa, corr. Ze. 10 TENOMJENOX Ti. 10-11 ΠΟΛΙΛΟΙ͂Σ Τι., roAj[Aoic] Ze., correxi ex pap. 11 nAeioolı) corr. Ze., AAΛΟΙ͂Σ dub. Ti, ἄλλοις Sa. 12 TIA]PAMOI[OEIJTAI Ti. ἐδεζλέαλ)ζε corr.

Sa., ἔδηξε Ze. in adn., ἔθελγε Castiglioni Ti., ἐξεδέχετο t[òv θάνατον Sa., restituit Ze.

14-15

EZEI[AEXE]TOT........

Col. II τὸν αὐχένα διὰ τῆς σιγῆς τῷ Bio ἀπετάξατο. γυμνὸν δὲ τὸ ξίφος ἐνδεικνύμενός φησιν: “ὦ Σεκοῦνδε, ἀγόρασον τῇ φωνῇ τὸν θάνατον᾽.

20

ὁ δὲ Σεκοῦνδος οὐκ εἶπε ..ρα. παραλαβὼν δὲ αὐτὸν ἦλθεν ὃ σπεκουλάτωρ πρὸς ᾿Αδριανόν. φησίν: “δέσποτα

βασιλε[ ε}ῦ, Σεκοῦν-

δον οἷόν μοι παραδέδωκας τοιοῦ-

25

to(v) ἐγκομίζω, μέχρι θανάτου σιωπήσαντα᾽". ᾿Αδριανὸς δέ, θαυμάσας τὴν τοῦ φι(λογσόφου ἐγκράτειαν, ἀναστὰς ἔφησε- “Σεκοῦνδε, τὴν σιωπὴν ἐτήρησας ὥσπερ νόμον tw&(o] σεαυτῷ νείμας:

30

ἐγὼ δὲ [οὐ δύνα]μαι τὸν νόμοίν ..

quattuor fere versus perierunt 16 in. τῶν

τωβιὼ

17

απεταξατω

derw

18 ενδικνυμενος

0

pap. 19 τηφονη 20 wòe due o tre lettere, di cui la primav, m, 1 e l'ultima τ, € 21 avıov 22 «πεχουλατὼρ 23 PacıAeou oppure DaciAeev pap. 23-24 cexovvide pap. 27 gicog@v εγκρατίαν 29

octep 16-31

30

nwvrıvac

forse νῆμα

R ὁ δὲ Σεκοῦνδος

lege νείμαίῖς

31

June

vonwl

τείνας τὸν αὐχένα διὰ τῆς σιωπῆς (δι᾽ αὐτῆς

σιωπῆς 6) τοῦ βίου ἀπετάσσετο (τῷ βίῳ ἀπετάξατο corr. Pe. ex pap.). γυμνὸν δὲ τὸ ξίφος ἐνδεικνύμενος ὁ σπεκουλάτωρ φησί: “ὦ Σεκοῦνδε, ἀγόρασον φωνῇ σου τὸν θάνατον᾽. ὁ δὲ Σεκοῦνδος οὐκ ἐλάλησεν. παραλαβὼν δὲ ὁ σπεκουλάτωρ αὐτὸν ἦλθε πρὸς ᾿Αδριανὸν καί φησι: “δέσποτα Καῖσαρ, τὸν Σεκοῦνδον ὁποῖόν μοι παρέδωκας τοιοῦτόν σοι αὐτὸν ἤγαγον, μέχρι θανά-

του σιωπήσαντα".

᾿Αδριανὸς δὲ θαυμάσας τὴν τοῦ φιλοσόφου ἐγκράτειαν, —

709—

SECUNDUS1T

ἀναστὰς ἔφη “Σεκοῦνδε, τὴν σιωπὴν ἀσκήσας (ἐτήρησας ex pap. corr. Pe.) ὥσπερ τινὰ νόμον σεαυτῷ προσθείς, ((ἐγὼ δὲ) ex pap. ins. Pe.) τὸν νόμον σου παραλῦσαι οὐκ ἠδυνήθην. λαβὼν τοΐνυν ταύτην τὴν δέλτον γράψον καὶ ὀμίλησόν μοι διὰ τῶν χειρῶν σου". δεξάμενος δὲ ὁ Σεκοῦνδος ἔγραψε τάδε' “ἐγὼ μέν, ὦ ᾿Αδριανέ, οὐ φοβηθήσομαί (παραλῦσαι ... φοβηθήσοϊμαι desunt

in pap. propter lacunam) 16 CEITHC perperam Ti.

17 δὲ τὸ restituit Ze. ex δετω, ΑΥ̓ΤΩ Ti.,

αὐτῷ Sa. 20 ἐπε[σ]τρά(φη) Ze., ENE..... Ti., ἐπε[στράφη Sa. 22 (καὶ) post ᾿Αδριανὸν inseruit Ze. 23-24 Lexodvlölov) corr. Sa. 24-25 TOIOY[TON]IZOI Ti., rest. Ze. 25 ENKOMIZQ recte Tı., ἐνκόμισα Giangrande, ἐγὼ κομίζω Sa., Ev(e)Köuıca Ze., ἐίν) κόμισα Castiglioni [M]EXPI Ti. 30 τινὰ corr. Sa. [EIIIJOEIZ Ti., ex pap. corr. Ze. 31 [οὐ δύνα]μαι dub. Ti. in adn. [oeBo?]uar Ze. σου παραλῦσαι Sa. ex G

Col. III [“od φοβοῦ) }μαί σε ἕνεκα τοῦ ἀποθανεῖν - τὸ γάρ με ἀποκτείνειν μόνον ἐν σοί ἐστιν ἄρχων γὰρ

35

τούτου ἡρέ(σ]θης. τῆς yàp ἐμῆς φωνῆς καὶ τοῦ ἐντ[ὸς

(προ)φ(θ)ορικοῦ λόγου οὐδεμία ἔν σοί ἐστιν ἐξουσία. vacat

32 sg. segno di richiamo epecOnc

36

φονῆς

38

32 pece

anodavıv

33

aroxtviv

35

cv

32-38 R σε ἕνεκεν τοῦ ἀποθανεῖν: ἄρχων γὰρ τοῦ καιροῦ εὑρέθης, τὸ yàp ἀποκτεῖναϊΐ με ἐν 001 ἐστι (τὸ γάρ με ἀποκτείνειν (μόνον) ἐν σοΐ ἐστιν:

ἄρχων γὰρ τοῦ καιροῦ τοὔτου εὑρέθης ex pap. transposuit et emendavit Pe.), τῆς δ᾽ ἐμῆς φωνῆς καὶ τοῦ ἐμοῦ προφορητικοῦ λόγου οὐδεμία σοί ἐστιν ἐξουσία" 32 [οὐ φοβοῦ]μαί σε Ti. in adn. 33 MONON Ti. 35 EPEOHZ Ti. 37 [προ]φορικοῦ Sa.

Scendevano al Pireo: era quello il luogo delle esecuzioni dei condannati. Mentre lo conducevano, gli dicevano: «A quale scopo, o Secondo, muori per il tuo silenzio? Parla e vivrai; fa’ grazia a te stesso della vita con la tua parola. Anche il cigno canta al termine della sua vita. E finalmente muta proposito ormai, perché & sufficiente il tempo che ti è ancora assegnato». Con molte dunque e più parole inco—

710



SECUNDUS

1T

raggiava e cercava di adescare (?) il filosofo. Ma questi, spregiando la morte, aspettava la fine della vita [...] (offrendo) il collo in silenzio diede addio alla vita. E (il boia),

mostrandogli nuda la spada dice: «o Secondo, riscatta con la voce la morte». Ma Secondo non parlò affatto. Il boia lo prese e andò da Adriano. «Signore mio re, — dice - Secondo, quale me l'hai consegnato tale te lo riconduco, silenzioso fino alla morte». Adriano, ammirando il dominio di sé del filosofo, si alzò e disse: «Secondo, hai

osservato il silenzio, essendotelo imposto come una legge; ed io non posso (forzare) questa legge [...]» «(Non ho paura) di te a causa della morte: solo l’uccidermi è in tuo potere; perché signore di questo sei stato prescelto; sulla mia voce e sulle parole che mi tocca proferire tu non hai alcun potere».

Per l’inquadramento del brano nel contesto del bios di Secondo, nonché per le varie questioni connesse a questo singolare bios filosofico-romanzesco e per una puntuale analisi del testo papiraceo si veda Gallo, II, 393-413 e 421-429, particolare per quanto riguarda la pretesa origine orientale del. l’opera, smentita oltretutto dal nostro papiro, l’identità storica di Secondo, molto probabilmente il sofista maestro di Erode Attico noto da Filostrato e Suida (come ha sostenuto

G.W. BOWERSOCK, Greek Sophists in the Roman Empire, Oxford, Clarendon 1969, 118 sg.), la chiara impronta retorica del bios e delle definizioni che l’ accompagnano, e infine la presenza di questo bios in gran parte della letteratura orientale e occidentale successiva. Qui basterà accennare al problema fondamentale che la comparsa del papiro ha sollevato, sia pure in tempi molto recenti, ad oltre un secolo dalla sua pubblicazione, quello del

rapporto tra il testo papiraceo e il testo di tradizione medioevale, a noi giunto non salo in redazione greca, ma anche

in varie traduzioni (latina, siriaca, armena, arabica, etiopica),

tutte condotte con una certa libertà oltre che con aggiunte e dilatazioni o con riduzioni ed epitomi. Va anzitutto precisato che il testo medioevale, sia quello greco che le traduzioni (e quasi certamente anche il testo originario del bios composto

in età postadrianea), contiene, di seguito alla biografia vera e propria e strettamente legata ad essa, una serie di definizioni del ben noto tipo delle erotapocriseis diffuse in età tardoantica e bizantina. Il papiro invece 81 arresta, con uno spazio non —

711—

SECUNDUS

IT

scritto, prima che tali definizioni vengano introdotte e poi riportate nel bios. Ciò tuttavia non prova, come pure è stato so-

stenuto fino a Daly, 47 sg. e Perry (1964, 13), che le defini-

zioni siano state aggiunte al bios posteriormente alla redazione attestata dal papiro, dovendosi probabilmente ritenere che esse

facessero parte fin dall'inizio dell'opera dedicata a Secondo.

Quest'opera, al pari di varie altre pure anonime di tipo 'popolare’, per lo più di età imperiale (bios di Esopo, Romanzo

di Alessandro, Fisiologo, ecc.) non va considerata, dal punto di vista testuale, alla normale stregua delle opere letterarie, la cui

tradizione puó presentare diversità di recensioni ma non di redazioni. Nel nostro caso il testo anonimo, sottratto probabilmente al controllo dei consueti centri della filologia e cultura antica, può aver subìto fluttuazioni più o meno sensibili, concretatesi addirittura in redazioni tra loro diverse. Questo sembra possibile ricavarlo dal confronto tra il testo del papiro e quello della recensione II, l’unica che ci abbia tramandato il bios vero e proprio, mentre della recensione ß restano solo le

definizioni, assenti, come si è visto, nel papiro. Di conseguenza il criterio usato dal Perry, che per primo nella sua edizione del bios ha utilizzato 1] papiro modificando sulla base di esso il te-

sto del cod. medioevale, va respinto come arbitrario, e va riconosciuta autonoma € distinta legittimità ad entrambii testi. È superfluo forse aggiungere che, se il valore strettamente filosofico della Vita di Secondo è sostanzialmente nullo, la sua

importanza culturale dall" epoca tardoantica a tutto il Medioevo

sia orientale che occidentale & notevole e che la sua divulgazione nelle varie redazioni e traduzioni merita di essere ancora approfondita, per l'influenza esercitata da un lato sulla letteratura novellistica e romanzesca, dall'altro sulla cultura fi-

losofica e pseudofilosofica del Medioevo.

IG



712—

94 SIMON SOCRATICUS

(?)

1T

PRoss Georg I 22, I 17 [vd. supra, 2]

L’iscrizione ZIMONOS trovata in un fondo di kylıx (inv. P 22998; cfr. M.L. LANG, The Athenian Agora, XXI. Graffiti and Dipinti, Princeton 1976, 36 n? F 86, tav. 14, e ID., Socrates in the Agora, Picture Book 17, Princeton 1978, fig. 13) del se-

condo quarto del V sec. a.C., vicino ad una bottega di calzo-

laio in prossimità dell’agora di Atene ha fatto pensare che ci si trovasse di fronte ad una traccia di Simone socratico, il cia-

battino [vd. H. THOMPSON,

Hesperia 23 (1954), 54-55; D.B.

THoMPSON, The House of Simon the Shoemaker, Archaeology 13 (1960), 234-240], ma la testimonianza è troppo aleatoria per essere ascritta al filosofo [vd. anche C.H. KAHN, Plato and the Socratic Dialogue, Cambridge, Cambrigde Univ. Press 1996),

101.

R



713 —

95 SOCRATES

*

IT

PBerol inv. 9782, coll. VII 20-25; XLVII 27-XLVIII 11 (cfr. LIII 38-LIV 38; LVIII 7-12); LVI 42-47; LVII 48-LIX 34 [III 9]

Sec. IP?

Commentario anonimo al Teeteto Edd.: H. DiELs - W. ScHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 7; 31-32; 3536; 37; 38-39; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 278-281; 392-395; 408-413; 422-423; 418-419;

420-427.

Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP’ 1393 (= P^ 1393)

BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 495; 536; 538-539; 543; 541; 543-544. Col. VII 20-25

τὴν δὲ] οἰκείωσιν ταύ [τὴν] πολυθρύλητον οὐ nölvolv | ὁ Σωκράτης εἰσ[άγ]ει | ἀλλὰ καὶ οἱ παρὰ τῷ |^ Πλάτωνι σοφιστ[αί].᾿ Quanto a questa ‘appropriazione’ di cui tanto si parla, non è solo Socrate che la introduce, ma anchei Sofisti in Platone.

Coll. XLVII 27-XLVIII 11

ἀρ’ οὖν ἤσθου ὅτι Kai | αὐτὸς τὴν αὐτὴν τέϊχνην ἔχω τῇ

— 714—

SOCRATES

IT

μη} Ἰτρί, ὅτι μα]ιεύομαι; | [£6 ἐκείν]ης ἔλεγεν | ea[vrö]v HOLEDTIKOV, | ὅτι n] διδασκαίλήία αὐϊτ[οῦ τοιαύτη (c) ἦν. ἢ ἰὼ [ἄλλ]ως ule]v γὰρ ἀπεφαίν)ετο [κ]αὶ εἶχεν | ἰδόγ]ματα, ἐν δὲ τῷ |[διδά]σκειν αὐτοὺς | ἱπαρ]εσκεύαζεν |" [τοὺς] μανθάνοντας | [λέγει]ν περὶ τῶν | r[poy]pdroy, ἀναϊπτύ[σ]σων αὐτῶν | τὰς φυσικὰς Évvot]" ας καὶ διαρθρῶν. καὶ | τοῦτο ἀκόλου]θον τῷ δόγματι τῷ τὰς! λεγομένας μαϑήσεις | ἀναμνήσεις e[ivali] κ[αὶ] | πᾶσαν ᾿ἀνθρώπου | ψυχὴν τεθεᾶσθαι τὰ | ὄντα καὶ δεῖν αὐτῇ P οὐκ ἐνθέσεως μαθηϊμάτων ἀλλὰ ἀναϊμνήσεως. περὶ de | τούτου τοῦ δόγματος | ῥηθήσεται ἐν τοῖς εἰς | τὰ Περὶ ψυχῆς

ὑπομνήμασι. «Ti sei reso conto che anch'io possiedo la stessa arte di mia madre, cioè l’ostetricia?» Dall’attività di lei, si diceva ostetrico perché il suo insegnamento era di questo tipo. In altri modi, infatti, esprimeva asserzioni ed aveva dottrine, ma nell’insegnamento faceva in

modo che i discepoli stessi parlassero delle cose, facendo dispiegare e articolare le loro concezioni naturali. E questo è conseguente alla dottrina che quelli che sono chiamati apprendimenti || sono remini-

scenze e che ogni anima umana ha contemplato gli enti ed ha bisogno non di immissione di insegnamenti, ma di reminiscenza. Di que-

sta dottrina si parlerà nel commentario all’opera Sull’anima. Coll. LIII 38-LIV 38 ("&yovólc] eilm σ]οφίας᾽" ) οὐχ ari alc: φ]ήσει | γοῦν προελθὼν |" ὅτι ἐστὶν μὲν σοφός, | οὐ πάνυ δέ. ἀλλ᾽ ἄγοϊνός εἰμι τῆς ἐν SA

σοφίας. οὐ γὰρ | αὐτὸς διδάσκει, &A[PÀ& τὰς τῶν νέων |

ἐννοίας διαρθροῖ,

ὡς

καὶ

αἱ μαῖαι τὰ || τῶν

ἄλλων

haneblov-

ται. καὶ ὥσπερ ἐϊκεῖναι πάλαι τίκτουσαι, ὅταν μαιεύων᾽ ται οὐκέτι τίκτουσιν, οὕτως καὶ ὁ Σωκράτης καθ᾽ αὑτὸν | μὲν καὶ

ἐκύει καὶ ἔτικτεν, porevoue "vog δὲ τὰς δόξας | τῶν νέων ὡς πρὸς | ἐκείνους ἄγονος | ἦν. | “καὶ ὅπερ ἤδη πολλοί |” μοι ὠνείδισαν, ὡς | τοὺς μὲν ἄλλους ἐϊρωτῶ, αὐτὸς δὲ οὐδὲν ἀποφαίνομαι | περὶ οὐδενὸς διὰ |? τὸ μηδὲν ἔχειν oo|e[ó]v, ἀληθὲς iveditovomw”. | ὅταν ἐρωτῶ τινας, | οὐδὲν ἀποφαίνο!ἢ μαι, ἀλλ᾽ αὐτῶν ἐϊκείνων ἀκούω: γίνεται δὲ τοῦτο διόϊτι οὐδὲν ἔχω

σοφὸν ὡς πρὸς τοιαύτην διδασκαλίαν. ἢ εἰ ἁπλῶς ἀκουστέον —

715—

SOCRATES x

x

D

L



IT

D



x

τὸ μηδὲν ἔϊχειν σοφόν, οὐκ ἔϊσται ταύτην τὴν |

35

H

σοφιᾶν

x

σοφὸς

ἣν | ἀνατίθησιν θεῷ, ἢ ἣν οἱ ἄλλοι τοῖς | σοφισταῖς. (150c4: Sono incapace di generare luto. In ogni caso, procedendo, dirà di pletamente. Piuttosto, «sono incapace altro». Egli stesso infatti non insegna,

sapienza) Non ın senso assoessere sapiente, ma non comdi generare la sapienza in un ma articola le concezioni dei

giovani, cosi come anche le levatrici || fanno nascere 1 prodotti al-

trui. E come queste, che hanno partorito molto tempo fa, quando

esercitano l'arte non partoriscono piü, cosi anche Socrate era solito concepire e partorire in prima persona, ma facendo nascere le opinioni dei giovani era incapace di generare nei suoi rapporti con loro. (150c4-7) E quello che molti già mi banno rimproverato, che interrogo gli altri, ma io stesso non asserisco nulla a proposito di alcunché perché non possiedo sapienza, è un rimprovero fondato. «Quando interrogo delle persone non asserisco nulla, ma ascolto quello che dicono loro. Ciò avviene perché non possiedo sapienza relativamente a questo genere di insegnamento». O, se «non possiedo sapienza» va inteso in senso assoluto, non sarà sapiente di quella sapienza che attribuisce a dio, o di quella che gli altri attri-

buiscono ai sofisti.

Col. LVI 42-47 τὸ ἐξ, ἀντὶ τοῦ οὐκ ἐϊνναντιοῦται, ἐπεὶ οὐκέϊτι ἂν ἦν τὸ Σωκράτους |" δαιμόνιον ἀποτρε πτικὸν αἰεί, ἐπιτρέϊπον ποτὲ συνεῖναι. [151a5] ‘Consente’ significa ‘non si oppone”, poiché il segno divino di Socrate non sarebbe più stato dissuasivo sempre, se talora lo avesse persuaso ad associarsi. Coll. LVII 48-LIX 34 ὁ γὰρ φιλόσοφος | συγκάθηται μὲν | τ[οῖς] ἀξίοις, τοὺς δὲ | μ[ἡ τοιο] ὑ[το]υς κατὰ | τὸ [φιλ]άν[θ]ρωπον | &[ εὐξ]ει τ[ο]ῖς Kara] "More. οὕίτ]ως καὶ [τὸν Ole&m oluv&otnloev ΠΙ[ροδί]κφ. εἰπὼν | δὲ το[ὺς σοΪφιστὰς θεσίπεσίο[υς κα]ὶ σοφοὺς B ἐδίήλ]ωσεν

ὅτι τῆς] το] ταύτ]ης σοφίας &yolivóc ἐστιν.)

“kai οὐκ οἴονται

εὐν]οίᾳ τοῦτο [ποι]ε[ν, π]όρρω ὄντες |^ [τοῦ] εἰ[δ]έ[ναι) ὅτι οὐ[[δε]ὶς θεὸς δ[υ Jovovg | [ἀν]θρώπίο]ις, οὐδ᾽ ἐγὼ | [δυσ]νοίᾳ —

716 —

SOCRATES

IT

οὐδὲν τοι[οὔτο] δρῶ, ἀλλά μοι j^ [we ]ó[ó]c τε συγχωρῆσαι καὶ] ἀληθὲς ἀφαι[νίσαι] οὐδαμῶς θέμις". oli ἐν ταῖς ζητήϊσεσι εἸὐθυνόμενοι |^ [ὑπὸ ἐϊμοῦ ἀγνοοῦσι ὅτι | [διὰ] τὸ εὐνοεῖν αὐτο] ῖς ἀφαιρῶ αὐτῶν | weudodoßtav: οὔτε [δ]ὲ θεὸς οὐδεὶς ἢ ° δύσν[ο loc ἀνθρώιϊποις, οὐδ' ἐγὼ ὑπὸ | δυσίν]οίας οὐδὲν ] τοί! ]οῦτο δρῶ, ἀλλὰ | ὠφελῶ ἀφαιρῶν | αὐτῶν ψευδοδοϊξίαν. οὐ γὰρ ἐφεῖταί | μοι οἰὔ]τε ψεῦδος cvylxep[n looi οὔτε ἀλη!θ[ἑΐς ἀϊφ]ανίσαι. ὁρᾷς |” li ] λέγει περὶ ἑαυϊτοῦ, ὅν φασι εἰρωϊνεύεσθαι; ὅτι εἰκάϊζει ἑαυτὸν θεῷ | κατὰ τὸ εὐνοεῖν τοῖς |” ἀνθρώποις, καὶ, τὸ | τούτου οὐχ ἧττον, | ὅτι οὔτε ψεῦδος συγίχω[ρ ]eti οὔτε ἀληθὲς | ἀφανίζει. ἐν © τό τε |” τῆς [ἐπιστήμης ᾿δη]λοῦτ]αι καὶτὸ τῆς xpnlotörntog, καθ᾽ ἣν Il προνοεῖ τῶν συ[μ]βαλιλόντων. πῶς δὲ] λέγει iὅτι οὔτε ψεῦδος Ι ἂν συγχωρήσειεν] P xoi (οὐκ) ἀληθὲς ] οὐκ à[v] | ἀφανίσειεν, χρώμενος τούτοις ἐν va fic] ζητήσεσιν; ἔτι δὲ κ[αὶ] ἐἐνv] | τῇ Πολιτείᾳ ἐδό[θ]η I° ὅτι τῷ ψεύδει χρῶνται οἱ ἄρχοντες ἐν φαρμάκου εἴδει. λέγω τοίϊνυν ὅτι [ἐ]ν ταῖς ζητήϊσεσι πυνθάνεται καὶ |^ οὐκ ἀποφαίνεται, o[o]ite οὔτε ψεῦδος οὔτ᾽ ἀληθὲς τίθησι- τοῖς | μέντοι ἐμπείροις

[τῆς] | μεθόδου λεληθότ[ως] |? δεικνύει τὸ ἑαυτῷ [ἀ]!ρέσκον. τὸ [δ]ὲ vevöle]loden ἁπλῶς μὲν ἀ[πο]]δοκιμάζει, olt Ἴε[ται δὲ] | ὅτι ἐστίν ποτε ἀναγ] καῖον. διὰ τοῦτ᾽ οὐκ ei]]nev ἀληθὲς κ[ρύψαι] | ἢ παρελθεῖν, [ὅτι τὸ] | τοιοῦτόν ἐστίί ποτε] | χρήσιμον, ἀ[λ]λ᾽ apa” νίσαι, διὰ τούτου δηϊλῶν τὴν od κατὰ καιρὸν

οὐδὲ ἐν δέοντι | τοῦ ἀληθοῦς ἀπώλειαν. Il filosofo infatti siede || con coloro che siano degni, mentre co-

loro che non siano tali, data la sua benevolenza verso gli uomini, li congiungerà con quelli adatti a loro. Così anche mise insieme Teagete con Prodico.

Chiamando i sofisti divini e sapienti ha mostrato che è questo tipo di sapienza che egli è incapace di generare. (151c7-d3) E non pensano che io faccia questo per benevolenza, poiché sono ben lontani dal sapere che nessun dio è malevolo verso gli uomini, e che neppure io faccio nulla di simile per malevolenza, ma non mi è affatto lecito concedere il falso e far sparire il vero. «Coloro che sono da me sottoposti ad inchiesta nelle ricerche ignorano che per benevolenza nei loro confronti tolgo via la loro falsa opinione. Né alcun dio è malevolente verso gli uomini, né io faccio nulla di simile per malevolenza, ma porto loro aiuto togliendo via la loro falsa opinione. Non mi è infatti consentito né di conce—

717—

SOCRATES

1-2T

dere ıl falso, ne di far sparire ıl vero». Vedi che cosa dice su se stesso, lui che affermano essere ironico? Cioè che paragona se stesso ad un dio quanto alla benevolenza verso gli uomini e, cosa non meno importante, che né concede il falso né fa sparire il vero. In questo si manifesta la misura della sua scienza e della sua bontà, in base alla

quale || provvede a coloro che si uniscono a lui. Come può dire che né potrebbe concedere il falso né potrebbe far sparire il vero, posto che si serve di questi metodi nelle sue ricerche? Inoltre, anche nella Repubblica fu concesso che i governanti si servono del falso come di un farmaco. Affermo, perciò, che nelle ricerche pone domande e non fa asserzioni, così che non pone né il falso né il vero; ma, a coloro che hanno familiarità con il suo me-

todo, in modo non evidente mostra la propria dottrina. Dire il falso è cosa che respinge in senso assoluto, ma pensa che talora sia necessario. Onde non ha parlato di ‘celare’ o ‘evadere’ il vero, perché una cosa di questo genere è talora utile, ma di ‘farlo sparire’, indicando con questo termine la distruzione del vero inopportuna e indebita. DNS

2T

PFlor 113, II 17-26 [II.1]

Sec. II?

Diatriba de suadendo Edd.: D. COMPARETTI, PFlor II (1908), 19-26: 20, 22; GALLO, 229. Tavv.: PFlor II, ΠῚ; GALLO, II, X.

Comm.: MP? 2584 (= MP? 2584) 1201; 1. VAN LEEUWEN,

II,

W. CRONERT, LZB 37 (1908),

Mnemosyne

37 (1909),

70; A. KÖRTE,

APF 6 (1913), 239; New Chapters, II, 93-94 (W.M. EDWARDS); GALLO, II, 227-232.

λέγεις σὺ ὅτι αὐτοὶ μεθόϊδῳ πείθειν μάλιστα Sbvavitar, καὶ

οὐκ ἀπὸ τρόπου δέ μοι [^ δοκεῖ ὁ Σωκράτης εἰπεῖν πρὸς | τὸν λέγοντα ὅτι “᾿Αλκιβιάδην, [ ὦ Σώκρατες, οὐ δύνασαι βελτίω —

718—

SOCRATES

2T

ποιῆσαι τοσοῦτον χρόνον συνσχολάζοντα᾽", “ἃ yàp &[v], ἔφη,

τὴν |? ἡμέραν διδάξ[ω], ἕτεροι τὴν νύϊκτα ἀναλύουσιν᾽". 17

μεθοδ΄όέ

22

βελτειω

19 δέ μοι Gallo, è’ ἐμοὶ Comparetti 21 λέγοντα ὅτι legit Gallo (iam Wilamowitz, vd. Gallo, 235 n. 5), Aeyovt'aptt Comparetti, A&yovıaτί van Leeuwen 25 διδαξεαι Comparetti, διδάξω Wilamowitz (vd. Gallo, 235 n. 5), διδάξωι Crönert, corr. Körte

Tu dici che quelli sono maggiormente in grado di persuadere'con arte, e non mi pare fuor di luogo quel che rispose Socrate a chi gli diceva: «Alcibiade, o Socrate, non lo puoi render migliore per quanto

tempo frequenti la tua scuola»; «perché» replicò «quel che posso in-

segnargli di giorno gli altri lo disfanno di notte».

La chria è riportata all’interno di una diatriba che pare avere come oggetto l'efficacia dell’arte persuasiva (cfr., anche in questo passo, μεθόδῳ πείθειν). L'esistenza di un dibattito sui pregi e sui limiti dell’insegnamento socratico è testimoniata da Senofonte (Mem. I 4), il quale si propone esplicitamente di difendere Socrate dall’accusa di essere molto abile

nell’esortare gli uomini alla virtù, ma non altrettanto nel condurli fino ad essa; analogo rimprovero compare nel Clitofonte (si veda spec. 410b). Più specificamente, tuttavia, la chria evoca il delicato problema del rapporto fra Socrate e alcuni personaggi della sua cerchia. Sappiamo che la Κατηγορία Σωκράτους

composta da Policrate pochi anni dopo la condanna del filosofo usava come argomento per difendere Anito e giustificare l'esito del processo il fatto che egli ebbe come discepoli Alcıbiade e Crizia, personaggi estremamente dannosi alla città di Atene (cfr. Isoc. Bus. 5-6); 1 Socratici si impegnarono in vari

modi a difendere il maestro, e a questo tema è riconducibile la vasta letteratura che aveva come oggetto la figura di Alcibiade, e che, purtroppo, a parte le opere di Platone e alcuni capitoli dei Memorabili di Senofonte (in particolare I 2, 12 sgg.), ci è nota in forma molto frammentaria (su di essa si vedano le note di G. Giannantoni, SSR IV, spec. pp. 299 sgg.; 347 sgg.; 586 sgg. e 1 riferimenti bibliografici ivi citati). Il dibattito uscì dalla stretta cerchia socratica, se anche Lisia scrisse

contro Policrate su questo tema. Appare molto probabile che —

719—

SOCRATES

2-3T

la chria riportata dal papiro, non attestata altrımenti ın questa forma, dipenda in ultima analisi da una di queste opere. L'immagine della tela di Penelope qui riecheggiata — Od. II 105; XIX

149-150; XXIV

139-140 — viene utilizzata nel Fe-

done (84a) a proposito dell'azione della filosofia nei confronti

dell'anima: la filosofia cerca di liberare l'anima dai legami del corpo, e quest'ultima, se & veramente filosofica, non dovrebbe cedere alle passioni facendosi nuovamente incatenare, cosi da compiere — in certo modo all’inverso — l'opera senza fine di Penelope. Destinata a divenire proverbiale nel senso di inanis

opera, l'immagine ha qui un significato piü profondo e pre-

gnante (W.D. GEDDES,

The Phaedo

of Plato,

London, Wil-

liams & Norgate 1863, 77). Come spiega Valgimigli (Platone. Il Fedone, introd. e note di M. V., Firenze, Sandron 1937] «l'anima [...], nella notte dei sensi, ritesserebbe continuamente

quella tela di passioni che la filosofia, alla luce del pensiero,

si adopera continuamente di disfare». La stessa idea, in forma più aderente all'originale, sta alla base delle parole di Socrate, che commentano il difficile rapporto col suo discepolo Alcibiade sottolineando il potere corruttivo delle cattive compagnie (cfr. anche Plu. Alc. 6). Di analogo contenuto è l’aneddoto che si legge subito dopo nel testo relativamente ad Antistene (> 18 2T). MSF/FDC

3T

PHibeh 182

Sec. III° med.

Trattazione concernente Socrate

Prov.: Ancyronpolis. Edd.: E.G. TURNER, PHibeh II (1955), 26-40; GALLO, II, 185-199.

Cons.: London, British Library inv. 2955.

Tavv.: GALLO, II: IV, V, VI, VII, VIII. Comm.: MP’ 2084 (= P? 2084) I. KIDD, Socrates, in The Encyclopedia of Philosophy, New York, Macmillan 1967, VII, 480485 (rist. in Plato's Meno in Focus, ed. J.M. Day, London, Rout—

720 —

SOCRATES

3T

ledge 1994, 74); A. PICKARD-CAMBRIDGE, The Dramatic Festivals of Athens, Oxford, Clarendon 1968°, 265; I. GALLO, L’origine e lo sviluppo della biografia greca, QUCC 18 (1974), 182 sg.; A. ALONI, PMilVogliano VI (1977), 10; 7. MEJER, Diogenes

Laertius and bis Hellenistic Background, Hermes Einzelschr. 40 (1978), 90; M.R. LEFKOWITZ, ‘The Euripides Vita’, GRBS 20 (1979), 206 n. 87; GALLO, II, 177-218.

Si tratta di 28 frammenti di varia estensione (alcuni risul-

tanti dalla riunione di frammenti minori), recuperati da un cartonnage di mummia rinvenuto da Grenfell e Hunt nella località di El Hibeh nel 1902. Di essi neanche una decina sono in qualche misura produttivi e molti risultano affatto inutilizzabili. Appartenevano tutti ad un volumen di lunghezza imprecisabile, alto almeno 30 cm circa, con una trentina di righi per colonna e una media di 18 lettere per rigo. Purtroppo la corretta successione dei frammenti è stata compromessa nel momento in cul la superficie esterna dipinta del cartone fu raschiata per portare alla luce il testo, che oltre a risultare in condizioni di estrema frammentarietà, presenta spesso la scrittura molto sbiadita se non evanida. Il testo che ci interessa è scritto sul recto. Anche il verso risulta essere stato utilizzato, ma ora è quasi illeggibile, soprattutto perché ricoperto da uno strato di gesso la cui rimozione è rischiosa; 11 due testi non sembrano avere nessuna con-

nessione reciproca, anche se le loro scritture sono senz'altro coeve. Il testo del recto appare redatto da uno scriba veloce ed esperto, in una scrittura senza pretese di eleganza, realizzata con un calamo a punta grossa, che Turner ha assegnato alla prima metà del sec. III°; ma sembra probabile che la datazione debba collocarsi piuttosto verso la metà del secolo: si vedano certe realizzazioni grafiche veloci, presenti in vari documenti dell’archivio di Zenon, per es. PSI VI 577, del 248*.

I documenti più recenti ritrovati nello stesso cartonnage non vanno oltre ıl 243 a.C. (PHibeh 37 e 73).

In ciò che rimane, Turner è riuscito ad individuare una quindicina di colonne, per lo più assai mal ridotte, e le ha disposte in una successione tutt'altro che sicura. Il testo è per lo più privo di errori, anche se appare scritto senza nessuna pretesa di eleganza, come dimostrano varie let—

721 —

SOCRATES

3T

tere singole o parole o gruppi di parole inserite dalla stessa mano nell’interlineo e nell’intercolunnio. La frequenza di queste aggiunte interlineari e marginali potrebbe far pensare che si tratti di una copia di lavoro. E regolarmente apposto lo tota mutum; non sempre viene effettuata l'assimilazione della nasale in corpo di parola (II 4 ovvxI[p]icao0a1). Come scansione

testuale, ricorre spesso la paragraphos, alla quale di solito si accompagna uno spazio bianco nel rigo precedente, per indi-

care pausa di senso. Sono di Turner 1 supplement versa indicazione in apparato.

accolti nel testo, salvo di-

Fr. A Col. I l..

lv Col. II

[. .ra....ul ᾿Αθήνας, λέγεται τὴν 5

εἰς]

Ξαν[θ]ίππην εἰπεῖν τῷ Σωκράτῃ ovyxlplnoaodaı στρώματα καὶ πίοτ]ήρια, [un καμ]ῶσιν οἱ Sfé]vo:. “οὐ δ[υσθυϊμεῖν [e]ri ovdev(ì]

dei, Elpn,] ὦ Ξανθίππη, σὺ δ[ὲ) 10

15

. ἀκήϊδε]ι τούτων. εἰ μὲν yalp,] ἔφη, εἰσὶ yap[iev]teg, οὐθὲν αὐτοῖς διοίσει μετέχε[ιν] τῶν παρόντων. εἰ δὲ un εἰσι χαρίεντες, ἐμοὶ αὐτῶν οὐθὲν μελήσει." n δὲ Ξανθίππη BovAoule-] vn εἰς Διονύσια ἐξ—

722—

SOCRATES

3T

[e]ABeiv [...... ]..... [. .] [. ]v[ 9 ]. .[ I i due righi cadono all'altezza dei rr. 2-3 della col. II II 2 dopo νας spazio bianco 3 Tau 4 coxparnı cuvyl..]nca-

ca τί ed.pr.

6 ]«w pap. Jovcw ed.pr.

6-7 paragrapbos ed.pr. ma la

superficie è erasa 7 ov.[possibile δ ].1 traccia che arriva a toccare lo ı 9 il rigo ἃ in ekthesis: οἱ iniziale aggiunto in un secondo tempo? prima

di er spazio bianco 12 prima di εἰ spazio bianco — l'e di er appare corretto su altra lettera non ben leggibile, forse x 16-17 εξείλθειν ed.pr. II 1-14

cf. D.L.

II 34; Exc. e ms. Flor. Ioann. Damasc. II 30, 9 =

[Maxim. Conf.] Loc. comm. XIII 24 (PG 91, 805) lo

4

συγχ[ρ]ήσασθαι

Sedley

per

1 εἰς suppl. Gal-

litt., συγχίωρ]ήσασα

legit et

coyy[op]oocao(v) corr. Turner in adn. — 6 μὴ 'καμ]ῶσιν Sedley per litt., ἤδη ἥκ]ουσιν Turner 7 οὐ δ[υσθυ)μεῖν [£]ni Sedley per litt., οὐ c[vyxop]eiv [no]ı Turner ot0zv[i] Sedley per litt., οὐθὲν Turner 15 ss. cf. Aelian. VH. VII 10

16-17

&&elAdeiv Turner

[...] (Avendo Socrate invitato a pranzo dei forestieri venuti ad)

Atene, si racconta che Santippe abbia detto a Socrate di prendere a prestito cuscini e coppe, perché gli ospiti non fossero a disagio. «Non c'è bisogno — rispose — di preoccuparsi di nulla, Santippe; tu non

curarti di queste cose. Infatti, se sono persone dabbene - disse — accetteranno senza problemi di condividere quello che c’&; se invece non sono persone dabbene, a me non importerà nulla di loro». Santippe, volendo uscire per assistere alle Dionisie [...] Fr. B

Nell'ed.pr. e in Gallo viene collocato a questo punto un frammento isolato contenente la parte finale di alcuni righi (col. IIT) e i resti delle lettere iniziali dei rr. 1-3 della colonna successiva. Poiché non sembra che questa

collocazione sia in alcun modo affidabile, il frammento viene qui descritto separatamente (fr. EE). Di conseguenza, venendo a mancare quella che finora era contata come col. III, tutta la numerazione delle colonne da qui

in avanti risulta diminuita di un'unità rispetto alle precedenti edizioni. Col. III

[19-31]

[. .]ex Σωκράτει ἀπὸ ταύτης xpnnalte] [λαμβάνοντι ἐξῆν ἐλεύ[θερ]ον ζῆν καὶ μὴ ἐπι—

723—

SOCRATES 3T

[πόν]ως διαιτ[ᾶσθαι . . .] 5

[.

..] πλοῦτον .[. .] ....

[. .] εἰς τὰ ἐκ τ[ῆς] τύχης [ἀκλ]ηρήματα ..... ν

[ἐπιϊκούρους, [ὡσ]αύτως δὲ [εἰς] τὰς νόσους [| ]. [... .] καὶ εἰς τὴν τοῦ γή-

10

[poc] ἀσθένειαν. εἴ τις οὖν [... ἐπιθυμεῖ μέν τινα ἀγα[θὰ .]..... α τοῦ συν-

vestigia 2 vv. III 2 sgg.

nell'interlineo, dopo Ἰμβανοντι si legge amotavine e, a pro-

seguire nell'intercolunnio, xpnuajta λαμίβανονίτι; il risultato finale è dunque l’inserzione di ἀπὸ ταύτης prima di χρήματα λαμβάνοντι 3 Bfep]o[c]Gnv

ed.pr.: lettura molto incerta, ma le tracce corrispondenti ad ὦ letto da Turner presentano un elemento inequivocabilmente verticale: Jov oppure Joi 4 διαιτί...1α[ ed.pr.: Siaril...Ja[.Ju[.]v{ Gallo 5 in fine di rigo forse τᾶῖς nell’interlineo ]uovnv[ ]--[ 7 sopra npn tracce di inchiostro; nell'interlineo ]....[..].. .evertetov 8 dopo ρους spazio bianco 9

dopo vocovc il rigo sembra abraso 11 dopo τᾶν spazio bianco aggiunta interlineare sopra le prime lettere conservate del rigo ]αγαθί

13

III 1-11 cf. X. Mem. 16,3 1 ἐπ]εὶ Caizzi per litt, ἔτ[ι] ei Turner qui in extrema antecedente columna ἤρετο coni. 2-3 ἐλευ!θίέἐρ]ω ς] Τυτner 4 fin. εἶπεν vel ἀπεκρίνατο Turner 4-5 u[ó]v[ov | y&p] Gallo 5-6 τὸν] πλοῦτον κ[αὶ] χρήμίαϊτα) Turner 7 fin. ὑπάρχειν Gallo e.g.

in adn.

10

[εἶναι] Gallo in adn.

12

ἔφη, ἐϊπιθυμεῖ Turner

13

]..v.ca τοῦ συν- Turner

(dal momento

che) a Socrate, ricavando

denaro

da questa, era

possibile vivere da uomo libero e non condurre un’esistenza stentata; [...] ricchezza [...] soccorsi

[...] di fronte alle avversità della

sorte, e così pure di fronte alle malattie [...] e all’infermità della vecchiaia. Se qualcuno dunque [...] desidera dei beni [...] Col. IV

p452

— .[]..f

[Kl —

724—

SOCRATES 3T

κατί

ἔφη αἱ 4bis

ὦ μειρ[άκιον

5

.9eopl[

καὶ πί

ψυχὴ .[ nic ox

αἰ.]

᾿σχρῶϊν 10

Σωκράίτης ἔφη αὐ[τ

εἶναι [

ἀκ

οὐκ o.[ εἰ ἐκτί

15

Tocıul οὔσης [ σεως [

| IV 2 aAXo[ed.pr. forse .gn[

@neip| inserzione interlineare

4 e diegn frutto di correzione

12

ewor.[ ed.pr.

4bis

14 alla fine nl op-

pure γί

11 IV 2 ἀλλὰ [ Turner “to Σιμ[μίας e.g. Turner in adn.

Frr.

ablto Turner

C4 D

Col. V [53-75]

5

]. ].

Ἰειας Jravra,

].ov καὶ π]λουσι-

Jay ] δεξιὸν

16 -tog inlarıonög vel

SOCRATES 3T

Ἰοις μόνοις

ko νομίζειν

10

Inv χρὴ ἀλ]. . .ov Vi... Ji... .. Ἰτιστη ἥτις

15

] τὸ δίκαιον Ἰσοφίας τοίνυν μ]ετὰ δικαίων .. λαΪμβάνειν. ἀλλ᾽ εἰ

].[.lvow τὰ χρήμα-

20

Ἰαντα τον α...

[ta

] ὠφελεῖσθαι, 11 Ἰωνχρημα ed.pr. V7 Ἰυμιαν ed.pr. 18 alla fine del rigo o. 0 forse κα due righi 22 we “λειςθαι 21 tovyevo ed.pr. V7

13-14

20

tracce minime dei

Jouciv ed.pr.

‘to’

ἐπιθ]υμίαν Turner 8 ] δεξιὸν Gallo, ].e&iov Turner 9. oogloic 15 κρα]τίστη 11-12 τ]ῶν xpnhälltwv Turner vel sim., ] ἀρίστη Turner 20 νομίζ]ουσιν suppl. 16 περιέχει Turner Gallo 21-22 τὸν yevöllnevov] Turner

suppl. Gallo in adn.

Col. VI

[76-99 [ἕϊκαστία ὅταν Σωκράτί

ἐπιστήμης |

5

εἰ πλούτωι ματα μὲν .[ θάπερ καὶ .{

ka-]

τὰ δὲ χρημί 10

τ᾽ ἐπιβουλί νος ἐστι τ

i



726 —

SOCRATES

3T

[1.. E]. . τοσοῦτοί 15

ἐπὶ δὲ τὰ .[

ἀπο-

φθεγμάτω[ν

20

περὶ ἑκάσί μεν λεγί Karo τὴν al ποτε... ||

τακιν.

Gov x..[ ta ὄντα .[

σχύνθηϊ VI Nel commento

all’ed.pr., Turner colloca sopra questa colonna un

frammentino isolato (fr. S) con resti di 8 righi, l’ultimo dei quali costitui-

rebbe il proseguimento del primo rigo della seconda colonna del frammento maggiore, sottostante. In realtà, quantunque non sia del tutto impossibile che il fr. S di Turner provenga da questo settore del rotolo, certo però non si congiunge così direttamente come Turner vorrebbe; in questa edizione dunque il fr. viene pubblicato a parte 6 un segno obliquo sotto la prima lettera del rigo, paragraphos in ed.pr. 7 ilrigoèinekthesis 8-9 sopra la parte sinistra del v iniziale di r. 9 un breve tratto obliquo discendente a sinistra (paragraphos in ed.pr.); a sinistra di questo tratto parte un segno sinuoso discendente fino al r. 11 che ha probabilmente la funzione

di separare i rr. 9-11 da quelli della colonna precedente nn φρί ed.pr.:

11 ta ‘dè ἐκ΄.

x sembra frutto di correzione; dopo τα. aggiunta interli-

neare Seexi[ 12 povipovi ed.pr. 13 [{πιβ[.]1υλί ed.pr. 16-19 nell'intercolunnio a sinistra si vedono le tracce di un segno sinuoso, che non

è una coronide, ma ha forse funzione analoga a quello dei righi 9-11

18

dopo uev spazio bianco

21

Aax.v.| ed.pr.

22

19

your ed.pr.

x[..Jamvl[ ed.pr.

23

20

Aaulßedpr

gl ed.pr.

VI 4-5 χρήϊματα Turner 7 χίρ]ήμίατα Turner 11-12 φ])ρονιμωνί Turner 13 [E] Bo] oM Turner 15-19 ἐπὶ δὲ τὰ E[tepa τῶν ἀπο] φθεγμάτωίν Σωκράτους] | περὶ ἑκάσίτου νῦν τραπῶϊμεν. λέγ[εται ἀναγ-] suppl. Turner e.g. in adn. 23- 24 hlloxövon [ Turner

Fr. E

Col. VII

[100-106]

1.

SOCRATES 3T

].

]uv καὶ 7.αι ς

Σόλων ].v

φησὶν

χρημα [

lv

VII 4 Nell’intercolunnio a destra dei rr. 4 e sgg. st legge un'aggiunta marginale in scrittura più piccola: Turner la mette nel testo ma in app. esprime il sospetto che queste parole «may be marginal corrections or notes»

Col. VIII

[110-117]

{

_Epn αὐϊτ 5

ὡσαύτως οἱ ἀπο.Ϊ δείαν [

-ἔσχατί ort..[

(ἐπι VIII 4 dopo ano resti di un’asta verticale sul bordo di frattura 5 teıav| ed.pr.: la prima lettera è frutto di correzione 8 sotto questo rigo

l'ed.pr. legge ancora minime tracce di lettere attualmente non più visibili Ma 4-5 οἱ ἀποροῦντες npayhallteiov [ Turner, vel οἷα ποι[οῦντες u

in adn.

Fr. F

Col. IX

[119-145]

ΝΣ

Ln ei]reîv [.] ].... ἔφη



728—

SOCRATES 3T

Is τοιου 5

] τοιαύτης ]τε με φυἸασομαι

10

[

[|

15

20

25

]eivoı κατοχὴν [τῶν]

]

[μοχθ]ηρῶν ἐπιθυμιῶν [....]... ἔχοντες μο[x0np]àc ἐπιθυμίας. [--..]. der δὴ ἀφρον.Ϊ. [. . ὃ Σ]ωκράτης ἕν φησιν [. .. αἸὑτοῦ φύσιν δυνα[..... ] μοχθηρὰς [.]..010

[O

L.LL.. «Lew

[#11 ]..Lliv.e [ ]1.... [- «οὖ ]...4 [.... o]óv διὰ τοῦ λόγου [αἱ μοχθ]ηραὶ ἐπιθυμίαι [. .]xpivoviat, πῶς ὁ Xo-

ἰκρ]άτης σοφῶν μοχθηρὰς

[. . .]oev ἐπιθυμίας; 30

[. .]. . διὰ τοῦ λόγου μὲν [.. κωλ]ύμη γίνεται, διὰ δὲ [τῶ]ν ἐθισμῶν fortasse col. finis

IX 3

le prime lettere, di lettura assai incerta, sembrano frutto di cor-

rezione; il modulo delle lettere e l’ampiezza degli interlinei non autorizzano a supporre che si tratti di un’aggiunta interlineare, come intende l’ed. pr. 7 minime tracce d’inchiostro (forse solo sbavature o macchie speculari) nell’interlineo e nell’intercolunnio a destra 8 yevedpr. 11 17-21 le lettere finali perdita di almeno un rigo, non rilevata nell’ed.pr. di questi righi si leggono in un frammento che nell’ed.pr. risulta accostato un rigo più in alto 17 aggiunta interlineare non leggibile di circa cinque lettere sopra φησιν 20-21 in ed.pr. uniti come parti di un solo ri—

729—

SOCRATES

3T

go 28 dopo ἐπιθυμίας il rigo è lasciato bianco 29 prima di ὃ forse e cfr. ed.pr. 31 una sottile striscia orizzontale è rovesciata, cosicché

veßicn si legge sul retro a rovescio; dopo ἐθισμῶν il rigo è lasciato bianco IX 3 iv,

égn è

Àv.p9.... Turner

Turner

12 τῶν

7

πειρ]άσομαι

Turner,

suppl. Gallo, ὑπὸ Turner

nell’interlineo

16-20

[ὅπω]ς

δ᾽ εἰδῇ ἀφεῖναίι, φ]ησὶν | [ὁ Σ]ωκράτης, ἐπιθυμιϊ[ὧν τὴν αἰὑτοῦ φύσιν, [ὁ]μοίωϊ!ς.. ..] μοχθηρὰς [.].ew ([ἔϊχειν suppl. Gallo dub. in adn.) | ...]..[..]... τὸν δὲ Turner 23 Jewolg]... . Turner, post tivo[c [Epouevov] dub. Gallo

in adn.; an aliquot lineae antecesserint incertum

24

[ἐπεὶ o]óv Sedley

per litt. : [εἰ οἱὖν Turner 26 [ἐκ]κρίνονται Sedley per litt., [un] xptvovται Turner 28 [εἴα]σεν Sedley per litt., [Éo]oev Carlini per litt., [ἔπαυ]σεν

Turner longius

29-31

cf. X. Mem. 12, 24-25

29

[ὃ δ]ὲ Turner

30

[od κωλ]ύμη possis, [Epn, οὐ κωλ]ύμη Turner longius

[...] che si verifichi una ritenzione dei cattivi desideri [...] avendo cattivi desideri [...] (dal momento che) i cattivi desideri sono respinti (?) per mezzo della ragione, come mai Socrate [...] cattivi desideri dei saggi? [...] attraverso la ragione [non] (?) viene un freno,

ma attraverso le buone abitudini [...] Col. X

[146-17]

5

_.[ yeıv δὲ τὰς [ _Epov &&[ ἀλλὰ μὴν π[ᾶσα μοχθηρὰ ἐπιθυμί[α βλαβερά

ἐστιν, βλα[βερὰν δὲ ἐπιθυμίαν οὐ [χρὴ ἔχειν τοὺς

᾿φρονίμουΐς. δὲ λέγετί[αι

10

τῶν ἐπι[θυμιῶν ἀναγκαι[ ..). ἐπί

εἶν[αι

15

_nov| [

]

οὐκ ailoxp

ἐπι-] —

730—

SOCRATES 3T

θυμίας ol

ne-]

ριεχοντί

᾿ἀναγκαιί δρίζουσίι

20

νὰς ovx [ det ταί

25

σπα ρκαν..[

30

-xoi ἀφί fortasse col. finis

X 3 πολεμον ed.pr. possibile; dopo pov rigo bianco secondo ed.pr. dopo ectiv minimo spazio bianco lettere

12-13

6

8 nell'intercolunnio sinistro tracce di

Turner costruisce un tio scrivendo elv[alı ἐπ[εὶ sulla base

di tracce conservate in due frammenti non contigui 14 μον Turner 21 nell'interlineo sopra voc tracce d’inchiostro 27 aggiunta interlineare sopra nol (ελθί ed.pr.)

32 la traccia orizzontale visibile sotto a è forse

quella di una paragraphos, invece Turner vede traccia di un altro rigo: .[ X 1sg. ἐπά]γειν e.g. Turner 2-3 τὰς [μάχας καὶ τὸν] | πόλεμον suppl. Turner, cf. Pl. Phd. 66c6-7 8 ἐνίας] Turner 11 ἀναγκαίας Turner 12-13 (= 12 ed.pr.) εἶν[α]ι enlei ed.pr., vel ein[e]v en| Turner in adn. 23 de ποιεῖ Turner 25 σπασατί Turner

[...] Ma in realtà ogni cattivo desiderio è (dannoso), e non (con-

viene che abbiano) desideri dannosi le persone assennate. Si dice che (alcuni) dei desideri [...] necessar[-...] desideri {...] determinano [...]

Fr. G

Col. XI Minima

litterarum vestigia in extremis lineis —

731—

SOCRATES

3T

Col. XII [178-188]

[.. ] ἀπιστ[οῦντες μὴ] οὐ τύχωσι πλ[ησμονῆς, ]

ὑπερπίμπλανϊται, ὥστε βι-]

5

άζεσθαι τὴν [φύσιν πα-] ρὰ τὸ προσῆκον. eli γὰρ] ὑπεργεμίζοντίαι, τὴν

[αἸὑτῶν φύσιν βιαζόμενοι]

10

XII 4 φί ed.pr.

[κ]αὶ ὑπὸ τῶν τ᾽ eva [. Ἰαςοχαριος οὐκί [ O υ ἰδὲ τοῦτον ἔχε[ιν LL... Σ]ωκραίτ

È

5 dopo xov breve spazio bianco

7

Bra't[

8

‘t'eval XII 2 πλίησμονῆς Webster ap. Turner ᾿Ασοχάριος Turner

5

[ei γὰρ Turner

9

[...] credendo di non poter raggiungere la sazietà, si riempiono eccessivamente sì da far violenza alla natura contro il conveniente. (Se infatti) si sovraccaricano forzando la loro natura e dai [...]

Fr. H

Col. XIII [189-195]

5

ἀνήϊλωκεν τὸν ].vL]e ἐν αὐτῷ ]yeipov

]. ὄψιν ].*nc

]uov lv

XIII 1 ἀνήϊλωκεν suppl. Gal lo —

732—

|

SOCRATES 3T

Col. XIV [196-200]

οὔθ᾽ οὕτως ἀλ[λὰ διὰ τὸ ἔχειν μοχθηρὰς ἐπιθυ-

μίας. ἔτι δὲ [ εἰκός ἐστιν [ 5

o. ]νοντί

XIV 3 prima di £t spazio bianco 4 le di eıkoc corretto da altra lettera non identificabile 5 sotto questo rigo è conservata per circa 2 cm la superficie scrittoria ma non si vedono piü tracce di inchiostro

[...] né cosi, ma per il fatto di avere cattivi desideri. Inoltre è naturale (...] Fr. 1

[201-206]

)vo[ let δε.Ϊ

Σωκρ͵]άτης ı.l 5

lav γνῶ.

lv... .[

IRI Fr. ] [207-215]

5

]-.f ko. .[ l.eta.{

Inept. . . ὦ

Ἶτα x .[ Ju καθημερί Jevor....{ ] Σωκράτηί

] ἔθηκεν! fort. finis col. —

733 —

SOCRATES

3T

Fr. ] 1 forse }èe[ solo due tracce, che sembrano piü distanti solo perché il lembo estremo del papiro è staccato, anche se tenuto insieme dal gesso sottostante 4 ]mepiey..{ ed pr 5 Ἶτὰ κα .[ ed.pr. 6 sopra ]ux inserzione interlineare Ἱεαν 7 Ἶενῶι πτυΐ ed.pr.

Fr. Καὶ [216-223]

LA.

Ἰειδης oul τ]ῶν npaynar|ov Jeoc Seoul

1. «nv.

I

] rap aste

Jconnl vi Fr. K 5 al bordo sinistro visibile una lettera nell’interlineo nultima traccia forse @

5 Σωκ]ράτην

Turner

Fr. L [224-231]

.. [JH Z]oxpamil

Ἰζαντα ερί ]v θαυμας[ ] εἰσόψετίαι

5

lxÀnp[ Ins κατί lere..[ —

Fr.

L2 Σ]ωκράτης



——

Turner

Fr. M [232-240]

7.ται

— 734—

la pe-

SOCRATES

3T

κατ]ασχεῖν

].c μὴ

Fr. 4

M 8. nell'interlineo sopra la lettera precedente c, un a αἸὐτῶν

suppl. Gallo

8

ὀν]ομ᾽ α΄ αστὴν suppl. Turner

Fr. N

[241-242]

ei]nev τί 1. tep.[

Fr. N 2

Jectep.[ ed.pr.

Fr. O

[243-245]

]v«t. ...

]Aoxf.].1 lvi Fr. O 2-4

il frammento

contenente questi righi, che sì riproduce se-

condo l'ed.pr., è andato perduto: sembra plausibile peró che il fr. che comPare nel vetro 6, all’estrema destra, ne costituisca la parte sinistra Fr. P

Col. I ——

246-252] —

(m

] ἀπὸ

235—

——

3T

SOCRATES

Jot ἐς ].co

Col. II [253-257]

si

φησί!

oval öl ewl

5 Fr. P,

I2 aggiunta interlineare di quattro lettere non leggibili

Fr. Q

[258-261]

1. .[

1... 2 suppl. Gallo

Frr. R+tU+V

[262-269]

Je. m

Ἰτουΐ

5 (2815266)

(282+267+285)

]. ede .[ E]. τοῖς .[ p..[..].. cext .[

ὃ ἄνθίρωπ]ος . . . —

736 --

cdl

SOCRATES 3T

(28342684286) (284+269+287) 1-8

. t[... ‚uleva [öJvönara [ calli. l. . .e. t. [

risultano dall’unione dei frr. R (rr. 262-269); U (rr. 281-284); V

(rr. 285-287) effettuata da Barns ap. ed.pr.

ed.pr.

4

2

Ἰτοτί ed.pr.

3

JeAevl

all'altezza di questo rigo sì vedono sulla sinistra i resti delle

lettere finali di un rigo della colonna precedente ragraphos in ed.pr. — 5 poc .[.]Jovcexto[ ed.pr. 1-8 omnia valde dubia 3 ἐλευίθερ Turner 6 ἐν r..eide| Turner, ἐν toig εἴδε[σι Gallo.

δὲ ed.pr.

5-6 pa-

6 cevt....erde[ ed.pr. 4 ] δὲ τοῖς [ Turner

Fr. 5

[270-276]

1 αἰὐτοῖς [

5

o]àv . .[ ]wel

Jewel Non sembra sufficientemente sicura la collocazione di questo frammento sopra la colonna VI, proposta da Turner 5 sopra le ultime due lettere aggiunta interlineare ες ed.pr. 7 nell'interlineo θαι 4 suppl. Gallo (an το]ύτοις ?) Fr. T [277-280]

u M

Jun nel Jov.[ Jov| Fr. W

[290]

le&on. e . . —

m

— —

SOCRATES

3T

Nel frammento sembra conservato il margine superiore (cm 2,8); all'estrema destra lungo la linea di frattura, un po’ più in alto rispetto a questo rigo, sembra di vedere tracce di inchiostro, forse l’inizio della colonna successiva; sopra le ultime lettere del rigo un’aggiunta nel margine superiore; Turner invece vede tracce di due righi sopra questo

Fr. X [291-295]

Ta

].epol

1.devec!

5 1 Aloyl Turner

M 2 Jrepw Turner

Fr. Y

[296-301]

]uev

]gw

]po:

[

[

. ες Fr. Y (il r. 7 è stato aggiunto nella presente edizione) terlineo tracce di inchiostro

Fr. Z [302-304]

» 5

nell

in-

Fr. AA

[305-309]

Aa ].coG[

ven. .[ lex. .[

5

1.1

Fr. BB

[310-313]

del και.

tag xoA[ ven! ἢ Fr. CC

[314-316]

LIO

ἰατί Je. Fr. DD

[317-319]

hl

u

lapel[

Lal Fr. EE

Il frammento sembra contenere le lettere finali di alcuni righi di una col. e le lettere iniziali di tre righi della col. successiva. Nell’intercolunnio,

sembra di vedere i resti di un’aggiunta marginale. Il frammento era stato collocato nell’ed.pr. sulla sinistra del fr. B Mancano otto minimi frustuli non pubblicati da Turner perché inutilizzabili. —

739 —

SOCRATES

La letteratura su diffusa nell’antichità Per quanto riguarda nere che abbia avuto

3T

Socrate è stata particolarmente ampia e greca, a partire dalla fine del V secolo. la gnomologia socratica, possiamo riteinizio poco dopo la morte del filosofo e

che abbia esercitato una decisiva influenza su forme e aspetti della biografia greca, anche se non è accettabile la tesi del Dihle che «comincia con Socrate la storia della biografia» (A. DIHLE,

Studien zur griechischen Biographie, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1956, 20). Quella relativa a Socrate, prescindendo da Platone, Senofonte e dalle scuole socratiche minori, di nes-

suna delle quali conosciamo veri e propri bio: di Socrate, pur se in tutte l’elemento biografico relativo al maestro dovette avere un notevole ruolo, trova la prima attestazione sicura nel peripatetico Aristosseno, della seconda metà del IV secolo. Anche altri peripatetici si occuparono delle vicende biografiche di Socrate, ma di nessun altro si può dire con certezza che

scrisse biografie del filosofo: né Dicearco, né Demetrio Fale-

reo, autore di un Socrate e di una Apologia di Socrate (forse un’unica opera), né Fainia di Ereso, che scrisse un Περὶ τῶν

Σωκρατικῶν. Accanto ai peripatetici e nello stesso periodo ope-

rarono 1 cinici, anch'essi particolarmente interessati alla vita e alla dossografia socratica, e altri come l’epicureo Idomeneo, autore anch’egli di un Περὶ τῶν Σωκρατικῶν,

probabilmente

polemico, Ieronimo di Rodi, Duride di Samo, ı quali tutti si occuparono di Socrate ma non ne furono biografi nel senso pieno della parola. Solo nel III e II secolo, con Satiro, Ermippo, Sozione, Eraclide Lembo e altri, abbiamo la certezza

che furono scritte biografie di Socrate.

La datazione alta fissata dal Turner per questo manufatto, tra fine IV e inizio III sec., a non molta distanza da Aristosseno, primo biografo di Socrate, viene spostata in avanti, come

sopra si è detto, di circa un cinquantennio, alla metà del III sec. Se, come emerge dalla descrizione papirologica, si trattasse di un testo autografo, ci troveremmo

di fronte ad una

produzione collocabile nel pieno dell’età ellenistica, verso la fine del regno di Tolemeo II Filadelfo (283-246 a.C.), un se-

colo e mezzo dopo la scomparsa di Socrate, un secolo o poco meno dopo la scomparsa dei suoi discepoli immediati (Pla-

tone, Senofonte, Antistene, Eschine di Sfetto, che hanno scritto su di lui). Ci sono pochi dubbi che il testo, nel suo complesso, tratti

— 740—

SOCRATES 3T

di Socrate, ma è assai difficile se non impossibile determinare, nelle condizioni in cui si presenta ıl papiro, la struttura e il

genere dell’opera. Per motivi di cautela sı è perciò preferito intitolarlo Trattazione concernente Socrate, anziché, come ha fatto Turner, Vita e detti di Socrate. Come prima considerazione, sembra che si possano distinguere nel nostro testo due elementi che non risultano fusi,

o quanto meno non sempre né chiaramente appaiono fusi in un'unica struttura: da un lato la chreia, nella sua forma più nota, che in un giro relativamente breve si conclude con una battuta di Socrate; dall'altro, forse, una discussione filosofica,

in forma narrativa (come brevi dialoghi riportati?), su argomenti etici quali il valore e la funzione del denaro, la con-

danna dei cattivi desideri, ecc., sempre con intervento di Socrate. Di chreiai se ne trovano con sicurezza due nel fr. A, col.

II, una conservata quasi interamente, la seconda in grandissima parte perduta. Presentano, accanto a Socrate, Santippe, connotata non negativamente, e costituiscono entrambe un’esem-

plificazione dell’ideale socratico di parsimonia e semplicità. Sotto il profilo formale, danno l’impressione di un’elaborazione letteraria già stilizzata che sconsiglia, come nota Turner

(p. 27), di attribuire l’opera a un diretto discepolo di Socrate. Nel resto del papiro, là dove lo stato di conservazione consente una qualche ricostruzione, non pare che si intravedano altre chreiai, se non un probabile accenno (col. VI, rr. 15 sgg.) ad una seconda serie di apoftegmi, seguito, secondo la ricostruzione di Turner, da un incipit narrativo tipico, purtroppo lacunoso: «Si dice che [...] una volta [...]». Questo lascia presumere altri detti famosi nella sezione successiva. Tutto 1] re-

stante discorso ricorda da vicino il procedimento dei Memorabili di Senofonte, nella parte in cui vengono riferite in forma

diretta le conversazioni tenute da Socrate su determinati fatti

o problemi. Così convenienza, per zione del denaro; cora la ricchezza, fr. F comincia una rie colonne,

nel fr. B la discussione sembra vertere sulla Socrate, di accettare compensi e sulla funnei frr. congiunti C D l’argomento pare anvista in stretto rapporto con la giustizia; nel discussione, che forse si prolungava per va-

sulle μοχθηραὶ ἐπιθυμίαι, sull’atteggiamento di

Socrate di fronte ad esse, sulla prevalenza degli ἐθισμοί ri-

— 741—

SOCRATES

3T

spetto al λόγος per tenerle a freno; ıl fr.

G sembra vertere sul-

l’insaziabilità, che fa violenza alla natura. Per il resto sarebbe

imprudente fare congetture. Come

si vede, il testo rivela in

qualche modo una combinazione di elementi apoftegmatici e dossografici (Turner, p. 28, parla, meno appropriatamente nel nostro caso, di «a mixture of biography and striking sayings»), tenuti con probabilità insieme i da una qualche intelaiatura più specificamente biografica, di cui peró nulla appare

evidente

nella parte conservata. Tuttavia, poiché dai resti risulta chiaro che non si tratta di una semplice raccolta di chreiai né, per converso, di una trattazione etica di tipo diatribico, una possibile spiegazione della compresenza dei due diversi ma non opposti elementi & data dall'ipotesi biografica. Un bios filosofico, come parecchi di quelli laerziani, poteva ben mescolare la parte aneddotica con quella dossografica.

Come esempi di questa forma letteraria che presenterebbero analogie con il nostro testo Turner (28) indica il PVindob Gr. 29946, [48 8T] contenente aneddoti su Diogene cinico, il PHibeh I 17, che reca apoftegmi di Simonide, e i PHerc 558+495, che conterrebbero resti di una vita di Socrate. Dei

tre casi forse solo il papiro simonideo offre punti di contatto

con quello socratico, anche se la brevità del testo, una sola co-

lonna, impedisce una sicura definizione dell’opera. D'altra parte, nessuna analogia presentano i nostri frammenti con la di non molto anteriore Vita di Socrate di Aristosseno,

opera

pettegola e malevola verso il filosofo, di cui è possibile farsi un’idea dai resti non cospicui ma abbastanza significativi (frr. 51-60 Wehrli). Non si tratta soltanto di atteggiamento e d’interpretazione diversa, ma anche di struttura letteraria di ben

altro tipo. L’accostamento più plausibile del nostro testo sembra essere alla letteratura dei λόγοι Σωκρατικοί del IV secolo, o me-

glio ad un particolare filone di essa, quello cinico. L’intonazione cinicheggiante del papiro è stata notata dal Turner, il quale a conferma ne segnala alcuni passi. Pur con ogni riserva, dovuta allo stato troppo frammentario del papiro, si cerca qui di seguito di sottolineare e approfondire gli spunti cinici, a volte abbastanza evidenti, a volte solo probabili. Tali spunti in apparenza parrebbero scritto

di Antistene,

l’unico

socratico

orientare verso uno — scrive

Turner

— da

prendere in considerazione nel nostro caso. Ma, giustamente,

— 742—

SOCRATES 3T

lo stesso Turner esclude una diretta attribuzione del testo ad Antistene, adducendo vari elementi, non tutti di egual peso ma nell'insieme abbastanza convincenti: l’uso di λέγεται per in-

trodurre un aneddoto

e la presentazione di Santippe nell’a-

neddoto stesso quale figura letterariamente elaborata; il lessico e gli argomenti della controversia che sembrano del tardo IV sec. e del III piuttosto che del V; infine l’allusione agli

apoftegmi, che il testo conteneva. In effetti, la presenza stessa di chreiai nel papiro e il pos-

sibile accenno (col. VI 22 sgg.) ad altre che poi seguivano nella parte perduta non depongono per un vero e proprio dialogo socratico, del tipo di quelli che conosciamo da Platone e Senofonte e dai frammenti papiracei di Eschine di Sfetto. La com-

binazione dei due elementi che abbiamo prima notato fa ritenere più plausibile l'ipotesi di un'opera che si riallacciava forse a qualcuno degli scritti socratici del IV secolo, magari di An-

tistene, ne riprendeva motivi ed anche elementi formali, ma risentiva nel contempo di un clima culturale diverso, quello del

secolo successivo, quando la carica provocatrice della lettera-

tura socratica si era da tempo affievolita, anche se faceva sen-

tire ancora i suoi effetti, entro e fuori del campo della filosofia. Si potrebbe pensare, come Turner, ad un’opera appartenente

allo stadio successivo della letteratura socratica, alla gran massa

di dialoghi che Panezio un secolo dopo considerava spuri (D.L. Il 64). Ma

non abbiamo

alcun elemento che consenta di an-

dare oltre una ragionevole supposizione. Questo (relativamente) tardo prodotto socratico, di natura verosimilmente biografica, messo su quando la biografia era

in pieno sviluppo e si era ormai istituzionalizzata come ‘ge-

nere’, più che essere opera di un cinico (oltretutto, non ab-

biamo attestazioni di un vero e proprio bios cinico, né in que-

sto periodo né dopo), potrebbe essere stato influenzato dalla

produzione cinica precedente e coeva, Fr. A col. II

La parte superstite di questa colonna con-

tiene una chreia socratica quasi intera e l’inizio di una seconda.

È da ritenere che ciascuna di esse, come di solito si riscontra,

fosse in sé compiuta e autonoma, senza riferimenti reciproci. Si potrebbe tuttavia ipotizzare una sorta di raggruppamento tematico, dato che entrambe, oltre ad avere Santippe come in-

— 743 —

SOCRATES 3T

terlocutrice di Socrate, sembrano riferirsi a due aspetti di uno ‘stesso motivo, l'eoótéAeia.

La prima chreia era già nota, in redazione però diversa e

condensata, da D.L. II 34, che a sua volta si trova ripreso, con alterazioni, nei cosiddetti excerpta Florentina attribuiti a Giovanni Damasceno (II 30, 9 = Giannantoni, SSR I C 352) e nel

florilegio di Massimo Confessore, in forma quasi identica a quella del codice laurenziano

(PG

91, 805). Vale la pena di

soffermarsi brevemente su questo aneddoto, perché se ne possono trarre deduzioni di un certo interesse. Una prima considerazione riguarda il ruolo di Santippe, che nell’apoftegmatica socratica viene di solito rappresentata come bisbetica e fastidiosa (cliché già presente in Senofonte, Smp. 2, 10), ma nel nostro aneddoto sembra lontana da tale connotazione. Inoltre qui Santippe ha una parte secondaria e

funzionale, ancor più di quanto di solito avviene: serve per of-

frire lo spunto a Socrate, attraverso un caso esemplare, di esprimere il suo ideale di vita semplice e frugale. Manca la contrapposizione tra ı due caratteri (insopportabile quello della

moglie, paziente quello del marito), che si affaccia nello stesso

episodio presso Diogene Laerzio, dove Santippe prova disagio e vergogna per la brutta figura che si profila, ed è chiara nell’excerptum laurenziano e in Massimo, dove Santippe rampogna Socrate di non accogliere adeguatamente gli amici. Nel papiro non c’è senso di disagio e tanto meno aria di rimbrotto: Santippe appare premurosa di apparecchiare il pranzo, ed evi-

dentemente è in grado di farlo, ma Socrate la dissuade da qualsiasi preparativo e chiarisce il suo atteggiamento con la distinzione tra χαρίεντες (per il cui significato Turner richiama opportunamente Arıst. EN 1095a18, dove οἱ χαρίεντες è con-

trapposto a οἱ πολλοί dispregiativo) e un χαρίεντες, divenuti in Diogene Laerzio rispettivamente e banalmente μέτριοι e

φαῦλοι, mentre nel florilegio laurenziano e in Massimo risul-

tano alterati e travisati in ἡμέτεροι e ἀλλότριοι. Secondo la ri-

sposta contenuta nel papiro, se gli ospiti hanno le qualità intellettuali e morali proprie dei veri uomini, non avranno alcun

interesse per il tipo di imbandigione e per quel che verrà loro servito; in caso contrario, sarà lui, Socrate, a non avere alcun interesse per loro. Non possiamo dire con certezza se già in questa impostazione del discorso si possa ravvisare, come pur pare probabile,

— 744—

SOCRATES 3T

quello spunto cinicheggiante che apparirà più evidente nel seguito del nostro testo. Così è pure impossibile affermare con

sicurezza che la chreia del papiro sia, come ritiene Turner, la fonte di quella solo apparentemente analoga iin Diogene Laerzio, a cui probabilmente è giunta per altri tramiti e già modificata non solo nella forma ma nello spirito originario. Non si può escludere che questa del papiro sia la prima formula-

zione letteraria dell’aneddoto. In ogni caso l’uso di λέγεται a r. 2 e la presentazione di Santippe non impediscono di per sé,

come vorrebbe Turner (27), che l’autore possa essere un so-

cratico: l’uso di λέγεται per introdurre un episodio contenente

una battuta di Socrate è già in Senofonte (Mem. I 2, 30 e 40) ed una elaborazione letteraria di Santippe è già in Platone e nello stesso Senofonte. 15 seg. La seconda chreia, di cui rimane solo il principio, si può forse riportare al seguente aneddoto di Eliano (VH VII

10 = Giannantoni, SSR I C 62): «Poiché Santippe non voleva

indossare il mantello di lui e andare così in giro per vedere la processione, Socrate le disse: “Vedi che vai in giro non per

guardare, ma piuttosto per essere guardata?”». L’incompleta

testimonianza del papiro è stata utilizzata

marginalmente da Pickard-Cambridge, 265, tra quelle che lasciano supporre la presenza, in Atene, delle donne in teatro.

Va detto peró che l'accenno alle Dionisie potrebbe non riguardare gli spettacoli teatrali, che pure ne costituivano l'a-

spetto più rilevante, ma, ad es., la processione del secondo giorno, che richiamava una grande folla per le strade: se il nostro testo corrispondeva alla chreia che si legge in Eliano, quella della πομπή è l'ipotesi più probabile. In tal caso lo spirito dell'aneddoto concerneva ancora una volta l’ideale socratico-ci-

nico dell'estrema semplicità (uno stesso mantello buono per l'uomo e la donna). Fr. B, col. III. E conservata parte di un episodio, del quale

non ἃ affatto chiara né certa la ricostruzione complessiva. Quello che sembra potersi dedurre con sufficiente sicurezza & che in questa colonna e nelle successive era contenuta una trattazione su valore e funzione della ricchezza. Si tratta di un

tema assaı dibattuto nell’etica greca, a partire appunto da So-

crate (ma si potrebbe risalire ancora piü indietro, a Solone, citato nel nostro papiro, a fr. E, col. VII, e alla sua Elegia alle

— 745—

‘SOCRATES

3T

Muse, se non addirittura ad Esiodo, Op. 320 sgg.): il motivo,

caro al socratici, al cinici In particolare, è presente in Aristotele, negli stoici, negli epicurei, ecc. Nel IV secolo si registrano molte discussioni sull’argomento, che continuano

in età elle-

nistica, per la quale sono attestate varie trattazioni περὶ πλούτου. Da diverse fonti, Platone e Senofonte in primo luogo, conosciamo il probabile pensiero di Socrate circa la ricchezza, da lui considerata non indispensabile alla felicità, come ogni altro bene esteriore: l'autodominio (enkrateia, strettamente connessa all’autarkeia) ci deve consentire di non essere schiavi del danaro e di nessun altro dei possessi e dei cosiddetti beni

del corpo. Tuttavia la ricchezza non è da Socrate rifiutata,

come sarà invece proclamato e praticato dai cinici, che, radi-

calizzando la concezione socratica, sosterranno che la felicità

consiste nel non aver bisogno di nulla. Per Socrate la ricchezza non é di per sé né un bene né un male (tutto dipende dall'uso che ne facciamo), né ha quindi rapporto con la felicità.

Vediamo ora come si inserisce in questa posizione socra-

tica, non sicurissima ma ragionevolmente attendibile, la nuova testimonianza del papiro. Secondo l'interpretazione che risulta

dal testo integrato e tradotto da Turner alla domanda se sarebbe stato possibile a Socrate vivere decorosamente e non di stenti, accettando compensi dalla sua attività, il filosofo risponde (a II 4 sg. sarebbe richiesto, e.g., [ὃ dè eiltev] o qual-

cosa del genere: Turner propone solo il verbo einev o ἀπεκρίνατο) che 1] danaro serve a proteggere daı rovesci della fortuna, dalle

malattie, dagli inconvenienti della vecchiaia. In base a questa

risposta, che proseguiva in forma diretta nel periodo successivo, per la maggior parte perduto, Socrate riconoscerebbe il

valore strumentale del danaro, il che potrebbe accordarsi, almeno fino ad un certo punto, con quanto si è detto prima circa il suo atteggiamento in proposito. Tuttavia il periodo che ne risulta lascia perplessi, principalmente perché la risposta di Socrate non appare del tutto pertinente alla domanda, che è specifica e prospetta il caso che Socrate accetti compensi (cosa che, come sappiamo, nella realtà non avveniva). Una possibile

soluzione sarebbe quella di supporre che tale risposta si rife-

risca ad un’altra precedente domanda, magari di carattere ge-

nerale, e che nella seconda parte, perduta, della colonna se-

guisse la risposta al caso particolare di Socrate. Però neppure

questa spiegazione può considerarsi soddisfacente: una frase

— 746—

SOCRATES 3T

così scontata e banale (il danaro difende dai cambiamenti della

sorte, dalle malattie, dalla vecchiaia) era proprio pronunziata, nel nostro testo, da Socrate? C'é da dubitarne molto, anche perché in tal modo

Socrate veniva sostanzialmente a dar ra-

gione e a concordare con il suo interlocutore (e forse contraddittore, com’è normale nella letteratuta socratica) sul principio che è bene farsi pagare. Sembrerebbe più plausibile che

Socrate si pronunciasse negativamente in proposito: si potrebbe

supporre, in tal caso, a r. 4 sg. [οὐκ eilmev] πλοῦτον κτλ. e, per l’inizio del periodo, un genitivo assoluto come ἐρωτῶντός τινος (o piuttosto il nome dell’ interlocutore) ı in luogo di ἤρετο proposto da Turner. Ma forse può apparire preferibile l’ipotesi che i rr. 5 sgg. appartengano anch'essi al periodo che pre-

cede, facciano cioè ancora parte del discorso dell’ignoto interlocutore, il quale sotto la forma di un’infinitiva esplicativa chiarirebbe il suo pensiero, favorevole alla tesi che a Socrate

convenga accettare compensi: «(solo infatti) la ricchezza e il denaro proteggono contro le disgrazie fortuite, le malattie, la

debilitante vecchiaia». In tal caso la risposta di Socrate comincerebbe da III 11; è da supporre che non contenesse una giustificazione del danaro, poco plausibile in bocca a Socrate in un contesto in cui si discuteva dei suoi compensi (volutamente rifiutati), e che, di conseguenza, non venisse meno la coerenza con il colorito cinico complessivo del nostro testo.

In Senofonte Mem. I 2, 5-7 il non accettare compensi è la condizione per non divenire schiavi (tema dell’éAevdépag ζῆν). Nella risposta Socrate potrebbe proprio aver sottolineato il

vero significato ας} ἐλευθερία. Col. III, 1 sgg.

xpnualto | λαϊμβάνοντι: sappiamo da Pla-

tone (la testimonianza più esplicita è in Ap. 31bc) e da Senofonte (Mem.

I 2, 5 sg.; I 6, 3 e passim) che Socrate non chie-

deva né accettava alcun compenso; nell'Apologia, Lc., egli adduce come testimone sicuro di questo la sua πενία. D’altra parte è

pure da presumere che anche dalla συνουσία con gli ἑταῖροι e dalle loro offerte in natura Socrate traesse i mezzi della sua modesta esistenza [cfr. L. ROSSETTI, 1 momento conviviale

nell’eteria socratica e il suo significato pedagogico, Anc. Soc. 7 (1976), 34 sgg.].

Nell'interlineo tra r. 1 e r. 2 e nell'intercolunnio corrispondente, a destra, ὃ scritta una chiosa, che a χρήματα λαμβάνοντι

— 747 —

SOCRATES

3T

ripetuto premette ἀπὸ ταύτης: secondo Turner (37) si riferirebbe all’ ἐργασία socratica di scalpellino o alla sua τέχνη di sofista. In base a X. Mem. I 6, 2 è probabile che ταύτης possa riferirsi alla φιλοσοφία (evidentemente menzionata prima), per

il cui insegnamento Socrate non esigeva quei compensi che, secondo il sofista Antifonte, gli avrebbero consentito di vivere ἐλευθεριώτερόν te καὶ ἥδιον (questi due termini corrispon-

dono ad ἐλεύθερον e μὴ ἐπιπόνως del papiro). 3-4

ἐπιπόνως:

Turner richiama il concetto

di πόνος di

Antistene (D.L. VI 2 e Stob. III 29, 65). È evidente che l’in-

terlocutore di Socrate non apprezza il πόνος, che forse poi Socrate difendeva nella sua risposta. Col. IV Dei righi di questa colonna sono conservate solo le lettere iniziali. Dal fatto che vi ricorre due volte ἔφη, preceduto ar. 10 da Σωκράϊτης, si deduce che viene riportato uno

scambio di battute tra il filosofo e un interlocutore; a quest’ultimo è sicuramente rivolto il vocativo ὦ ueip[&xvov ag-

giunto nell'interlineo a IV 4, segno che l'interlocutore è un giovanetto. —

Frr. C+D La congiunzione di questi frammenti può considerarsi abbastanza sicura, mentre il pezzo complessivo che ne risultaè dubbio se vada lasciato in questa sede o piuttosto collocato dopoil fr.E Il fr. C contiene le lettere finali di una diecina di righi della

col. V e le lettere iniziali di oltre venti righi della col. VI; sotto di esso si colloca il fr. D, che conserva le parti inferiori e finali delle stesse coll. V e VI, in misura più ampia per la prima. Il fr. 5, pubblicato in un primo tempo da Turner molto più avanti, ai rr. 270-277 della numerazione

progressiva,

è stato

poi dallo stesso studioso (p. 38) sistemato in testa alla col. VI: si tratta di un frustulo che purtroppo. nulla aggiunge alle già scarse possibilità di ricostrutre qualche periodo e che si è preferito rinviare al suo posto originario nell’ed. di Turner piuttosto che unirlo ai frr. C+D.

Quanto al senso complessivo delle due colonne, un sia pur

minimo risultato si può raggiungere esaminando alcune delle

parole ricorrenti nei due spezzoni maggiori: χρήματα, ripetuto quattro volte, e πλοῦτος, nAovo[ confermano che il tema generale, almeno fino a VI 15, doveva essere lo stesso delle due

— 748—

SOCRATES

3T

colonne precedenti, la ricchezza; compaiono τὸ δίκαιον (V 16), poi σοφίας (V 17), μετὰ δικαίων (V 18): il concetto è forse che

la saggezza non va disgiunta dalla giustizia; troviamo inoltre ἐπιστήμης (VI 3), parola non estranea al linguaggio socratico, un dubbio φρονίμων (VI 12), termine di largo impiego, insieme a φρόνησις, non solo tra i socratici, ma entro e fuori di

tutte le varie scuole filosofiche, dal IV sec. in poi; sembra infine che si accenni

(VI 8) ad una ἐπιβουλ[ή (è incerto se al

sing. o al plur.), forse le insidie cui sono soggetti 1 ricchi e le ricchezze. Se in queste linee si parlava della giustizia come metro di accettazione della ricchezza, non può non tornare alla mente Solone, fr. 1 Diehl, in cui il saggio chiede agli dèi la ricchezza, da acquistarsi però con giustizia e non con la ὕβρις, senza che siamo in grado di stabilire i termini della connessione tra il pensiero di Solone e quello che veniva attribuito a Socrate su tale argomento.

Ma il dato più notevole sembra esser fornito dalla col. VI, 15 sgg., dove, se è giusta l'integrazione del Turner riportata

in apparato, troviamo l’indicazione del passaggio ad un altro gruppo di apoftegmi socratici. Per essa la ricostruzione di Turner sembra plausibile almeno come senso complessivo, anche se non sicura nei dettagli. Se il supplemento ἕΐτερα di VI 15 è esatto, dobbiamo supporre che nel nostro testo ricorrevano due gruppi distinti di apoftegmi e che da questo punto l’autore passa a riferire quelli della seconda serie. Dopo uno spazio bianco (cui si associa anche la paragraphos), la nuova seiie è introdotta da Aéy[etor. Qualora -nev di VI 18 fosse la

finale di un verbo in prima pers. plur., l’intrusione dell’autore con la frase di passaggio costituirebbe un altro sia pur debole indizio che forse siamo in presenza di un dios di Socrate che recava inseriti dei suoi detti, come di solito avviene nella bio-

grafia filosofica. Va notato infine che non sono molte le attestazioni del termine ἀπόφθεγμα prima del nostro papiro: la più antica, come ricorda Turner, è in X. Hell. II 3, 56, con riferi-

mento alle ultime parole di Teramene. Fr. E, col. VII Si tratta delle lettere finali di alcuni righi, scritte in caratteri notevolmente più piccoli del solito, tanto da rendere plausibile l’ipotesi di Turner che non appartenessero alla colonna, ma ad aggiunte marginali, quali correzioni

— 749—

SOCRATES

3T

o chiose. In tal caso & probabile che ıl riferimento a Solone di VII 3 sgg. sia stato scritto in margine ad un testo che trattava

della ricchezza e presentava qualche connessione con il noto atteggiamento di Solone in proposito. Doveva trattarsi in ogni

caso di un accostamento tra la posizione di Socrate e quella di Solone, che non sarebbe il solo nelle testimonianze socratiche antiche, dove Solone non manca di comparire. Fr. F Questo pezzo, il più esteso tra quelli superstiti, non si è conservato intero ma è il risultato della congiunzione di

vari frammenti eseguita da Turner sulla base della scrittura sul verso e dell'individuazione di un xöAAnua

(dal controllo au-

toptico l’unione dei vari frustuli risulta sicuramente mal disposta, come provano le oscillazioni dell’intercolunnio). La ricomposizione ha consentito di recuperare due colonne, una assai lacunosa nella prima parte, l'altra ridotta purtroppo alle lettere iniziali (6-8 circa) di ogni rigo. Il discorso in entrambe sembra concernere le ἐπιθυμίαι, in particolare le μοχθηραὶ ἐπιθυμίαι, da cui il saggio deve tenersi

lontano. Col. IX

La discussione procede a più interlocutori, come

risulta dall’uso della prima persona (ue ar. 6, πειρ]άσομαι a r.7)e di ὁ Σ]ωκράτης i £v φησὶν a τ. 17).

Dei primi undici righi non è possibile recuperare niente. Dal r. 12 si profila con relativa chiarezza il discorso sui desideri, che non sembrano condannati in blocco, come facevano

1 cinici (il cui ideale era la totale liberazione dagli appetiti), ma considerati in base ad un criterio di giudizio e di selezione

ispirato dalla φύσις e non dal λόγος (punto questo che ci riporta in àmbito cinico). A r. 12 sembra probabile intendere

κατοχή nel senso suggerito da Decleva Caizzi di «ritenzione», che si accorderebbe con ἐκ]κρίνονται («sono respinti, espulsi») proposto da Sedley al successivo r. 26. Naturalmente ın entrambi i casi non v’è nessuna certezza. Il senso complessivo sembra essere che non bisogna lasciarsi dominare dai cattivi desideri, per conoscere ed evitare

i quali non soccorre la ragione, ma valgono le abitudini: sarebbero quindi per Socrate gli ἐθισμοί e non il λόγος a costi-

tuire un freno morale. Turner ha cercato di additare paralleli e analogie, anche va—

750 —

SOCRATES

3T

ghe, con 1] nostro testo, in primo luogo Pl. R. IX 571a7-b5, dove Socrate, riportando il discorso sulla non prima chiarita distinzione delle ἐπιθυμίαι (οἷαί τε καὶ ὅσαι εἰσίν), afferma:

τῶν μὴ ἀναγκαίων Ndov@v τε καὶ ἐπιθυμιῶν δοκοῦσί τινές μοι εἶναι παράνομοι. Turner ritiene che la caratterizzazione data

dal papiro non sia incompatibile con quella platonica, salvo il fatto che Platone tratta tali desideri come attributo del τυραννικὸς ἀνήρ, mentre nel nostro fr. essi riguardano 1 σοφοί.

In realtà non solo per questo la prospettiva è diversa: secondo Platone 1 desideri non necessari e non legittimi possono nascere in ognuno, ma, repressi dalle leggi e dai desideri più nobili, con l’aiuto della ragione, lasciano liberi di sé, in varia mi-

sura, una parte degli uomini, mentre vigoreggiano in altri; nel papiro non solo al λόγος sono sostituiti gli ἐθισμοί, ma la stessa distinzione sembra diversamente orientata e il concetto, forse

non soltanto a causa delle lacune, appare tutt'altro che coerente e perspicuo. Meno indicativo risulta il richiamo a X. Mem. 1 2, 24 (τῶν un καλῶν ἐπιθυμιῶν κρατεῖν) e I 2, 64 (τοὺς

πονηρὰς ἐπιθυμίας ἔχοντας ... παύων).

Assai interessante appare la controversia, chiaramente delineata nel papiro, tra λόγος ed ἐθισμοί come mezzi alternativi per controllare e reprimere le μοχθηραὶ ἐπιθυμίαι e, in genere, per regolare il nostro comportamento. L’antitesi, come scrive Turner (38), comincia ad essere documentata nel tardo IV sec., contemporaneamente alle prime attestazioni di ἐθισμός. Questo termine manca in Tucidide, Senofonte, Platone, Isocrate, compare due volte in Aristotele (EN 1098b4 e Pol. 1332 b6-7), è usato spesso da Epicuro, Polibio, Filodemo, Posi-

dippo, ecc. Nel passo della Politica, riportato da Turner, Arıstotele sottolinea che, a differenza degli altri animali che seguono la naturale disposizione e le abitudini, solo l'uomo può agire secondo i dettami della ragione, anche παρὰ τοὺς &σμοὺς kai τὴν φύσιν.

«L’antitesi

di ragione e consuetudine

- osserva Turner, 39 — e la superiorità della seconda, così dif-

ferente dall’atteggiamento del Socrate platonico (cfr. Pha. 82b. R. 619c), rappresenta una dicotomia di interesse perdurante in tardi scrittori». Egli segnala il titolo di Musonio V, πότερον ἔθος ἢ λόγος ἰσχυρότερον, ed Arriano, Epict. IV 7, 6 e I 27, 6.

Possiamo aggiungere che la posizione affermata da Socrate nel papiro, contrastante sia con Platone che con Aristotele, si —

751 —

SOCRATES

3T

avvicina, nella svalutazione del λόγος e nell’accentuare ciò che

più accomuna l’uomo agli altri animali, all’atteggiamento dei cinici.

Col. X Prosegue la trattazione delle μοχθηραὶ ἐπιθυμίαι, fonte di ogni danno, anche di guerre (al τ. 3, possibile πόλεμον). Non siamo in grado di delimitare le parti dell’ esposizione, malgrado la presenza di numerose paragraphoi. È probabile che

almeno la prima parte della col. (rr. 1-5) contenga parole di Socrate. Fr G

Turner vi ha distinto due colonne,

XI

e XII. Ma

della prima non rimane nulla se non minutissime tracce finali di un paio di righi; della seconda si leggono una diecina di ri-

ghi incompleti: Lo studioso ha escluso che il fr. possa essere materialmente congiunto al fr. B, con il quale egli nota evi-

dentemente attinenza di argomento (tuttaltro che sicura), ma

nel contempo ha forti dubbi che sia giusta la sua collocazione in questo posto.

Col. XII Sembra abbastanza chiaro che qui sono condannate le persone insaziabili, che innaturalmente perseguono desideri non necessari. L'insistenza, in questo brano, sulla violenza che cosi vien fatta alla natura garantisce sufficientemente circa la generica patina cinica. 6

ὑπεργεμίζοντ[Ἕαι:

a differenza del precedente

ὑπερπίμ-

πλανίται, di r. 3, più volte attestato sia in prosa che in poesia e di probabile origine medica (ricorre in Hp. Int. 10), drep-

γεμίζω risultava, prima del papiro, hapax in X. Vect. IV 39, riferito alle miniere: ὃ δὲ tἴσως φοβερώτατον δοκεῖ πᾶσιν εἶναι μή, εἰ ἄγαν πολλὰ κτήσαιτο ἢ πόλις ἀνδράποδα, ὑπεργεμισθείη

(ὑπεργεμισθῆ codd., corr. J.G. Schneider) ἂν τὰ ἔργα (scrive τὰ μέταλλα Turner, che inoltre considera ancora ı Πόροι non

senofontei). A differenza dı quanto pensa Turner, che traduce «overload their nature», sembra più probabile che ὑπεργεμίζον-

ται, come ὑπερπίμπλανται precedente, sia usato con valore riflessivo («si riempiono oltre misura») e che τὴν

. φύσιν

sia

retto da βιαζ[όμενοι seguente (cfr. anche X. Mem. I 2, 4). 9 ᾿Ασοχαριος: cosi trascrive Turner queste lettere, sulla cul divisione e interpretazione si rinvia alla sua ampia nota di p. 39. ᾿Ασοχάριος e Σοχάριος non sono nomi —

752—

attestati, mentre ri-

SOCRATES

3-4T

sultano Σώχαρις e Σωχάρης (per quest’ultimo cfr. Cratin. Jun. fr. 2 Kock = 2 Kassel - Austin), che compare, tra l'altro, quale

filosofo cinico in due epigrammi di Leonida (AP VI 293 e 298 = 54 e 55 Gow - Page: Turner indica solo il primo). Non offre una soluzione accettabile l’ipotesi di un nome proprio terminante in ας (-tag o -£ag seguito da ὃ Χάριος che, quale et-

nico, dovrebbe essere Κάριος).

Di tutti gli altri frammenti poco o nulla di sicuro è possibile ricavare. Nel complesso si conferma l’atteggiamento di prudente cautela che ha consigliato un’intitolazione anodina del nostro testo e non ha consentito di andare al di là di ipotesı più o meno probabili nel corso del commento. R/IG

41

POxy 1176, fr. 38, IV+39, I-II (et 39 XIII?)

Sec. ΠΡ

Satyrus, Vita Euripidis Eda.: A.S. HUNT, POxy IX (1912), 124-182: 143-145, 157, 174, 178;

H. von ARNIM, Supplementum Euripideum, 1913 (Lietzmanns kleine Texte, 112), 3-9: 4, 7; C.F. KUMANIECKI, De Satyro peripatetico, Kraków, Polska Akademja Umiejetnosci 1929 («Archiwum filologiczne, 8»), 47; 50; G. ARRIGHETTI, Satiro. Vita di Euripide, SCO

13 (1964), 52-54; 67-68.

Cons.: London, British Library, inv. 2070. Comm.: F. LEO, Satyros BIOZ EYPIIIIAOY, NGG

(1912) [= Aus-

gewählte kleine Schriften, Roma, Ediz. di Storia e Letteratura 1960, II, 365-383:

372, 376] 273-290: 279-280, 283-284; H. Rı-

CHARDS, Satyrus’ «Life of Euripides», CR 27 (1913), 47-48; K.F.W. SCHMIDT,

GGA

176 (1914), 609-610; M.L. DE COURTEN, Satiro

il biografo di Euripide, A&R GERSTINGER,

Satyros’

BIOZ

18 (1915), 127-137: 129, 132; H. EYPIITIAOY,

WS

38 (1916),

54-71:

59-62; H. FREY, Der βίος Εὐριπίδου des Satyros und seine lite-

raturgeschichtliche Bedeutung, Diss. Zürich 1920, 45; KUMANIECKI, supra, 57; M. DELCOURT, Les biographies anciennes d’Exripide, AC2 (1933), 271-290: 280-281; PAGE, Sel. Pap., III, Loeb —

753—

SOCRATES

4T

(1941) 1962, 132-133; A. DIHLE, Studien zur griechischen Bio-

graphie, Abh. Akad. Wiss. Göttingen Philol.-hist. Klasse s. III, 37 (1956),

107; ARRIGHETTI,

supra, 86; 112-116;

132; A.]. Pop-

LECKI, The Peripatetics as Literary Critics, Phoenix 23 (1969), 114-137: 129; M.R. LEFKOWITZ, The Euripides «Vita», GRBS 20 (1979), 187-210: 192 n. 18; H. Yunıs, The Debate on Undetec-

ted Crime and an Undetected Fragment from Euripides! Sisyphus, ZPE

75 (1988),

39-46;

GIANNANTONI,

SSR

I C

23;

6. ARRI-

GHETTI, Socrate, Euripide e la tragedia. Aristoph., Ranae 1491-

1499, in Storia poesia e pensiero nel mondo antico. Studi in onore di M. Gigante, Napoli, Bibliopolis 1994, 35-44: 38-39; ID., Rıflessione sulla letteratura e biografia presso i Greci, in La philologie grecque à l'époque bellénistique et romaine, VandoeuvresGenève, Fondation Hardt 1994 («Entretiens sur l'antiquité classique», XL), 211-249: 233; N. PECHSTEIN, Euripides Satyrographos, Stuttgart-Leipzig, Teubner 1998 («Beiträge zur Altertumskunde», 115), 305; 308.

Fr. 38, IV439, I-II

τὸ] | μὲν yàp α.[- 3} τὸ δελογιί. .]v- | μετῆλθεν δ]ὲ | πρὸς τί] aiolx[plov π[αρὰ τῷ] | ὄχλῳ τ[ῷ] ὶ θαυμάϊίζειν] | τὸν Σω[κρά τη πολὺ [μάλιστ]α ὥστ᾽ anlolpa]ıvönevolg] | Ὁ [ἐν]ττῇ Δανάῃ | [π]ερὶ πλεονε[ξί]ας μόνον | [αὐ]τὸν SN ἐποιή[oaJı” ἐξαίρετον | [€ 7]. . .[ 19 a.[ traccia di una verticale, possibile 1 20 v: 20-21 paragraphos 22-24 un frustulo minimo è attaccato all'altezza di questi righi, ma l'accostamento pare aleatorio: se comunque il fr. qui collocato costituisce la parte finale della colonna,

i residui

di lettere, non

perspicui,

dovrebbero corrispondere alle lettere puntate del r. 22 24 oyAwı del successivo 1 solo l'attacco sinistro con 1 29 .[ possibili sia o (Arrighetti), sia a (ed.pr.): quest'ultimo pare preferibile per lo spazio, ma non perilsenso

19

30

τηιδαναηί

ai[cxpóv] ed.pr., &[Aoyov] Radermacher

ap. von Arnim, Arrighetti

20 λογι[κό]ν von Arnim, Arrighetti, ἐλ(λγόγι[μο]ν ed.pr. et Wilamowitz

23

suppl. ed.pr., φιλ]ο[σοϊφεῖ]ν von Arnim, τί[ωθα]σ!μόν Schmidt vestigiis

haud congruenter 28 pap.

22-

23-25 ed.pr.

26 suppl. Wilamowitz ap. ed.pr.

27-

von Arnim, πολυ[ζηλί]ᾳ Schmidt, sed deest iota mutum contra usum in 28-29

ὡς τἀπ[οϊφα]ινόμενα Hunt, ὥστ᾽ arfolpa]wopevo[c] von Ar-

nim, Schmidt, Arrighetti

36

[ἀνθρώπ]ωϊν Schmidt

— 754—

SOCRATES 4T

[...] incorse nella riprovazione della gente per la sua grandissima ammirazione per Socrate, tanto che nella Danae pronunciandosi sulla cupidigia fra tutti eccettuó soltanto lui [...] Fr. 39 II [desunt 4 versus] | [+ 3]v[. . . .]&vol[* 3]o..[. . .]. .ov | [t]övöle τ]ὸν | [1]póno[v - *X]&0po | δὲ τούτων δρω “μένων τίνας | eof; ". “τοὺς | μείζονα BA[E]Irovras ἀ[ν]) θρώπων Ocoóc". |^ εἴη ἂν ἡ τοιαύτη ὑπόνοια | repli] θεῶν [Σω]]κρατική τῷ | γὰρ ὄντι τὰ θνη “τοῖς ἀόρατα | τοῖς ἀθανάτοις | εὐκάτοπτα. | 6

8-9

pro-

babile traccia di paragraphos 11 goßnı: tovc vripassato da m' dopo Beovc kato stigme 14-15 paragraphos 18 κρατικη" tw ofavatore' 22-23 paragraphos

14 2]

5-6

].ov probabile τιον (eventualmente ]nov)

8 Jaßpaı

διὰ | [τὸ δ]α[ιμόν]ιον Gerstinger, vestigiis non aptum

7 Wila-

mowitz ap. ed.pr. 8-14 = fr. 1007c Nauck - Snell 15 ein (δ᾽) em. ed.pr. 15-22 personae B dedit Gerstinger, probavit Arrighetti

[(A) ...] così: “quando queste cose vengono fatte di nascosto chi temi?" “coloro che più degli uomini vedono, gli dèi”». (B) «Una tale supposizione riguardo agli dèi sarebbe socratica: invero le cose invisibili agli uomini sono ben visibili agli dèi».

In questa parte frammentaria, che si colloca più genericamente all’interno dell'esposizione dell’ethos di Euripide, 51 parla dell’ammirazione del poeta per la figura di Socrate e per le sue dottrine, un’ammirazione che gli fruttò anche l'antipatia del volgo (per 1 rapporti di Euripide con Socrate e l’analisi delle fonti, cfr. Arrighetti 1964, 113-115). Il primo aspetto riguarda la superiorità di Socrate rispetto alle ricchezze, che lo rendeva scevro dal difetto di cupidigia. Il motivo richiama la contrapposizione tratteggiata da Senofonte nei Memorabili fra Socrate e Antifonte, e Pose prende spunto,

come suggerì von Arnim, proprio dal fr. 325 N° dalla Da-

nae, che avrebbe potuto venir qui citato nella lacuna della

col. I (κρείσσων γὰρ οὔτις χρημάτων πέφυκ᾽ ἀνήρ / πλὴν εἴ

τις: ὅστις δ᾽ οὑτός ἐστιν οὐκ ἐρῶ). —

755 —

SOCRATES 4T

Nella seconda colonna del fr. 39 in base alla presenza delle paragraphoi ai rr. 14-15 e 22-23 e del generale andamento dialogico, Gerstinger individuò uno scambio di battute tra 1 due interlocutori che figurano nel bios, Satiro stesso, probabilmente, e Diodora. Viene qui riportato un passo (1007c) in cui si ricalca il tema

espresso

nel fram-

mento che tramanda la rhesıs del Sisifo 43F19 TrGF, attribuito ora a Euripide ora a Crizia, sulla remora a operare il male poiché gli dei vedono tutto ciò che accade. Il tema dell’onniscienza degli dei ricorre a più riprese nelle testimonianze socratiche. Già Gerstinger (60 n. 1) rimandava a X.

Mem. 11,19 e I 4, 18-19, che costituiscono il parallelo più vicino. La concezione e si socratica, ma nella dossografia filosofica viene ricondotta anche a Talete (D.L. I 36; Val. Max. VII 2 ext. 8, cfr. O. GIGON,

Kommentar

zum

ersten

Buch von Xenopbons Memorabilien, Basel, Reinhardt 1953, ad 1 1, 19). Come giustamente mette in evidenza Yunis, 40, in questo passo si intende attribuire a Socrate ıl concetto che il crimine non resta celato alla divinità e quindi non deve mai venir praticato. Una dottrina che si contrappone nettamente a quella di stampo naturalistico 'antifonteo', secondo la quale sono le leggi e le convenzioni che operano da deterrente, mentre secondo natura si sarebbe portati a compiere azioni contrarie alla legalità qualora esse restassero occulte. Yunis (41-45 sgg.) ha probabilmente ragione nell’individuare lo stesso contesto per il famoso frammento del Sisifo e per questo citato dal papiro, che lo studioso colloca subito al di sopra (o poco sopra) del fr. in questione. Si apre a questo punto il problema della paternità dell'attribuzione, visto che Satiro cita da un’opera che riteneva senz'altro euripidea. Non si scordi oltretutto che Satiro riconosce come euripideo anche il fr. 593 N° dal Piritoo, anch’esso attribuito dubitativamente a Crizia (43F4 TrGF) [per la pater-

nità del Sisifo, si veda A. DIHLE, Das Satyrspiel «Sisypbos»,

Hermes 105 (1977), 28-42].

La tradizione del rapporto di Euripide con figure, fra cui Socrate stesso, che mostravano un atteggiamento perlomeno ‘problematico’ nei confronti della religione tradizio-

nale, può offrire, come sottolinea Dihle, cit., 34, uno sfondo —

756 —

SOCRATES

4T

idoneo al contesto globale del frammento, che fa in certo modo da pendant alla contrapposizione nomos/physis del Ciclope. Euripide figura nei cataloghi degli atei, talora anche insieme a Crizia [per |’ ‘ateismo’ di Euripide, cfr. M. WINIARCZYK, Wer galt im Altertum als Atheist?, Philologus 128 (1984), 157-183: 171-172]: all’interno di questa prospettiva, dunque, può anche essergli attribuito 1] testo nel suo complesso, a prescindere dagli ulteriori argomenti addotti da Dihle, cit., e difesi da Yunis; tuttavia si può notare che il tema sembra « qui trattato solo marginalmente. Se siamo autorizzati a stabilire un legame con quanto precede e con uanto segue, il passo doveva riguardare le implicazioni etiche dell’influenza socratica, e non soltanto quelle religiose. Segue infatti un periodo piuttosto lacunoso che presenta anche qualche difficoltà di lettura; esso è stato grosso modo integrato e ricostr ulto come segue: καὶ μὴν καὶ to | [μισο]-

τυραννεῖν |? [καὶ τὰ πλή]θη καὶ | [τὰς δυναστ]είας | [τῶν óAtylov (Hunt - Wilamowitz, Arrighetti) [un | προσδέχεσθαι (Leo) Εὐριπίδης ὁμολογεῖ τῷ Σωκράτει (Gerstinger)].

È comunque chiaro che l’autore è ora passato a descrivere un comportamento politico che sembra più appropriato all'atteggiamento euripideo che a quello socratico. Nel fr. 39, XIII 23 sgg., Hunt ravvisava una menzione

di Socrate. Si tratta di un passo in cui il testo del papiro - che peraltro Arrighetti accoglie — offre una lettura certa, ma che crea difficoltà di ricostruzione: Ni γελοίως γε, | τί γὰρ ἄν τις εὐ] "Aoyánepo[v] | διὰ τὴν φθία JIpeîcav ψέγοι | τὰς yuvattka]c | ἢ διὰ τὸν ‚gBeil” ραντα τοὺς ἄνδρας; ἐπεὶ

τ[άς] | γε κακίας ocamacen[.].[]

καὶ | τὰς ἀρετὰς καθ]άπερ ἔλεγον |^

τὰς αὐτὰς [ἐν] ἀμφοῖν colt] | εὑρεῖν.

Ai rr. 34-35, dietro suggerimento di Wilamowitz, Hunt

emendava:

ἔλεγζ(ῶν

| 6 Σω(κρ)άτη(ς),

e in questo

viene. se-

guito da alcuni editori, come il Kumaniecki, che lo trasferisce a testo addirittura senza alcuna segnalazione critica,o da alcuni studiosi come Gerstinger, 61; 68. Più prudente Arrighetti che solo nel commento (132) afferma che questa emendazione «pare l’unico rimedio». Il contesto verte qui sull’adulterio commesso dalla mo—

757—

SOCRATES 4-5T

glie di Euripide e sul conseguente noto atteggiamento misogino del poeta. Sta parlando il secondo interlocutore, cioè Diodora, che introdurrebbe con un ‘come ho detto’ il con-

cetto ‘socratico’ di stampo femminista che le donne hanno le stesse capacità degli uomini, nel bene e nel male. Il con-

cetto che la φύσις delle donne non è inferiore, per quanto riguarda ' ἀρετή morale, a quella degli uomini, come richiama Arrighetti (132), compare in riferimento a Socrate in X. Smp. 2, 9 e in Antistene, fr. 72 Decleva Caizzi, ap. D.L. VI 12 (cfr. anche PI. R. 4554). Si veda anche J. VOGT, Von der Gleichwertigkeit der Geschlechter in der biirgerlichen Gesellschaft der Griechen, AAWM 1960.2, 229. MSF

5T

POxy 1087, col. I 29-30 [> 107 1T] Scholia in Iliadem VII

Sec. ΓΜ

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: El Qahira, El Mathaf EI Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 47433. Edd.: A.S. HUNT, POxy VIII (1911), 103; ERBSE, Scholia Iliad., U, 223 (pap. VI). Tavv.: POxy VIII, IV Pal.: SCHUBART, Gr. Pal., 78, p. 119 (col.

Il). Comm.: MP? 1186 (= P^ 1186) XXXVIII sg.

ERBSE, Scholia Iliad., I, pp-

τὸ “Μέλητοτ᾽ — οὕ(τως) δ᾽ EAtyer(o) ὁ Ze" [xpótovc] κατηγορήσας 29 οὐ

ελεγετοίζω ed.pr. : εἐλεγετέεω oppure eAeyev’ca Erbse

Il nome “Μέλητος — così infatti era chiamato l’accusatore di Socrate.



758—

SOCRATES

5-6T

Nel commento a H 76 μάρτυρος viene addotta una serie di esempi, costituiti da nomi derivati (rap@vvpa), che formano

il nominativo dal genitivo di un nome prototipo (del tipo appunto

μάρτυρος

-ou da μάρτυς -poc). Tali esempi risalgono

probabilmente a trattati sui nomi derivati che sono testimoniati p. es. per Trifone e Apollonio Discolo. La menzione del nome

“Μέλητος᾽,

a differenza di altri della lista, non ha ri-

scontro nelle fonti erudite. Essa però offre l’occasione al commentatore per una breve annotazione parentetica, che richiama

un ben noto elemento della biografia socratica. FM

6T PSchubart 38, col. II 5-9

Sec. ΠΡ

Discussione sulla vecchiaia Edd.: W. SCHUBART, PSchubart (1950), 72-75; J. FRÖSEN - R. WESTMAN, Quattro papiri Schubart, 1997 (STCPF, 8), 30-41: 33.

Tavv.: STCPF, supra, fig. 4. Comm.: MP? 2696 (= P^ 2596)

J.G.F. POWELL (ed.), Cicero, Cato

Maior de Senectute, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1988, 29-30; 149; FRÖSEN

ἐν]θυμούμενο[ν ἔλαβεν ἐν] | γήρᾳ.

- WESTMAN,

supra, 36-37.

μὲν περὶ] | Σωκράτους oo[ouc &][paot&c

7 πεῖ margine sinistro un chi 5-6

ἐν)θυμούμενοίν μὲν ed.pr., περὶ suppl. Frösen

[...] considerando, riguardo a Socrate, quanti amanti egli abbia avuto in vecchiaia [...]

Sul significato da attribuire alla frase, inserita in un contesto di valorizzazione della vecchiaia, cfr. Frösen - Westman, 37.

R



759 —

SOCRATES

7T

7T

PTura II, 37, 7-14

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm. in Eccl. 2, 5b Prov.: Tura.

Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255.

Edd.: G. BINDER - L. LIESENBORGHS, PTA 25 (1979), 174-175. Comm.:

ALAND

KV 13

AT

92a; VAN

HAELST

645;

ALAND

- ROSENBAUM

G. BINDER, Didymos der Blinde. Kommentar zum

Ecclesiastes (Tura-Papyrus),

1.2, (1983),

140-141;

G.

BINDER,

Heidnische Autoritäten im Ecclesiastes-Kommentar des Didymos von Alexandrien, RBPh 57 (1979), 56.

ἐπερ() ὡς ἐξ ἄλλου προσώπου λέγει ταῦτα;

εἴποίμεν ὅτι] λέγει f ποῖϊός ἐστιν: οὐκ αὐτῷ μόνῳ ἐπιγράφεται, ἀλλὰ παντὶ τῷ τὴν αὐτ[ὴν ἔχο]ντι ποιόϊτητα. τὰ λεγόμενα ὑπὸ “ἀν(θρώπ)ου"οὐ μόνον παρ᾽ ἐκείνου τοῦ ῥητοῦ προσώϊ[π]ου

λέγεται, |^ [ἀλλὰ] παντὸς “[ἀν](θρώπ) ο]υ" ἀνθρωπίνως kr νουμένου. καὶ φύσει οὕτως: ὡς ἐπὶ τῶν

παρα [δειγμάτων

καὶ

τὰ πρόσωπα λαμβάνομεν: οἷον ἐλέγομεν ὅτι ὁ παρ᾽ Ἕλλησιν σοφὸς | o[dx ἔστ]ιν χαμαίζηλος, οὐκ ἔστιν χαΐρων ἡδοναῖς, οὐ πλούτῳ, οἷον Σωκράτης | [γέγον]εν. λέγω οἷον Σ[ω]κράτης- μόνον αὐτὸν λέγω, ἀλλ᾽ ἐπεὶ γνώριμος ἐγένε [το πολ͵]λοῖς ἐξ αὐτοῦ

δείκνυμι πάντα τὸν κατ᾽ αὐτ[ὸν] οὕτω [π]ε[ποιωμ]έ[νον]. 12

χαμεζηλος

14

δικνυμι

14

πολ]λοῖς vel ἄλ]λοις ed.pr.

[π]εἰποιωμ]έϊνον

vel [y]e[yevnu]évov

ed.pr.

Domanda: Dice queste cose come (se fosse detto) da un’altra persona?

Noi abbiamo detto che parla in quanto è di un certo genere; il —

760—

SOCRATES

?T

testo s1 adatta non a lui solo, ma a chiunque sia dello stesso genere. Ciò che è detto sub specie bominis non viene detto solo da quella certa persona menzionata, ma da ogni ‘uomo’ che si comporti da uomo. Ed è naturale che sia cosi: come per fare degli esempi pren-

diamo anche delle persone; dicevamo, per esempio, che per 1 Greci il saggio non è volgare d’animo, non si compiace dei piaceri o della ricchezza, così come fu Socrate. Dico ‘come fu Socrate’; nomino solo lui, ma, dal momento che fu noto a molti, tramite lui indico

chiunque 514 del suo stesso genere.

La domanda [per lo scioglimento della sigla érep() cfr. supra, 88 3T], nella risposta alla quale viene citato Socrate, è posta alla fine del commento a Eccl. 2, 5b: καὶ ἐφύτευσα Ev αὐτοῖς

ξύλον πᾶν καρποῦ, ma il suo contenuto ha carattere generale e riprende un aspetto importante dell’esegesi, che ha tra i suoi

compiti anche quello di chiarire in quale veste o a che titolo il parlante intervenga e a chi si adattino le parole pronunciate (cfr. Binder,

I.2, 140-141, che rinvia ai passi di Didimo dove

il principio viene enunciato o applicato). Nel Commentario all’Ecclesiaste l’argomento era stato affrontato sin dall’inizio («parole dell’Ecclesiaste»), con la domanda che si legge a 7, 913: ἐκ προσώπου τοῦ συγγραφέως; e la relativa risposta di Didimo: autore in senso proprio è lo Spirito, che si serve come strumento di un σοφός.

È possibile che la scelta di Socrate come personaggio paradigmatico sia dovuta non solo alla sua fama, ma anche più specificamente alle parole di commento all’oracolo di Delfi che Platone gli fa pronunciare nell’ Apologia (23a7-b4): kai φαίνεται τοῦτον λέγειν τὸν Σωκράτη, προσκεχρῆσθαι δὲ τῷ ἐμῷ ὀνόματι, ἐμὲ παράδειγμα ποιούμενος, ὥσπερ ἂν (ei) εἴποι ὅτιοὗτος ὑμῶν, ὦ ἄνθρωποι, σοφώτατός ἐστιν, ὅστις ὥσπερ Σωκράτης

ἔγνωκεν

ὅτι οὐδενὸς ἄξιός ἐστι τῇ ἀληθείᾳ πρὸς

σοφίαν.

In tal modo il sapiente greco non solo costituisce un modello affine a quello cristiano dal punto di vista morale, ma anticipa anche il metodo esegetico adottato dall'interprete dei testi cristiani. R



761 —

SOCRATES

PTura III, 86, 10-14 Didymus Caecus, Comm.

7T

Sec. VI/VII in Eccl. 3, 13

Prov.: Tura. Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), J. 90255. Edd.: M. GRONEWALD, PTA 22 (1977), 104-107. Comm.: ALAND KV 13

AT 92a; VAN HAELST 645; ALAND - ROSENBAUM G. BINDER, Heidnische Autoritäten im Ecclesia-

stes-Kommentar des Didymos von Alexandrien, RBPh 57 (1979), 56; K. TREU, APF 27 (1980), 255.

ἐάν, φέρε, διεξέρχηται περὶ ἔρωτος o καλούμεϊνος Λεῦκιππος ὃ τὰ ἐρωτικὰ γράψας, ἐπεὶ καὶ Σωκράτης ἔγραψεν, μή, ἐπεὶ

τὸ αὐτὸ ὄνομα [ λέγουσιν, καὶ τὸ αὐτὸ σημαινόμενον σκοποῦμεν. περὶ ἔρωτος λέγει ὃ Σωκράτης, καθ᾽ ὃν | ἐρᾷ τις τῶν οὐρανίων πραγμάτων, τοῦ θεοῦ καὶ τῆς νοητῆς οὐσίας. περὶ ἔρωτος | δὲ λέγει ἀκολάστου ὁ Λεύκιππος. μή, ὅτι τὸ αὐτὸ ὄνομα κεῖται, δεῖ ἡμᾶς ἕν σημαινόμενον | λαβεῖν. 10 επι

13 λεγι

κιται

δι

Bada: se discetta d’amore il cosiddetto Leucippo, l’autore di scritti erotici, dal momento che anche Socrate ne scrisse, pur usando lo stesso nome, non indaghiamo la stessa cosa significata. Socrate parla d’amore, di quello per il quale si amano le cose celesti, dio e la realtà

intelligibile. Invece Leucippo parla dell'amore intemperante. Non

bisogna, per il fatto che il nome è lo stesso, pensare che 1l significato sia unico.

Commentando Eccl. 3, 13: καί γε πᾶς ὁ ἄνθρωπος, ὃς φάγεται καὶ πίεται καὶ ἴδῃ ἀγαθὸν ἐν παντὶ μόχθῳ αὐτοῦ, δόμα θεοῦ ἐστιν, Didimo dice che dono di Dio è il ricevere questi

beni, ma non come beni principali, bensì come ‘parti di un patto”: mangiare e vestirsi sarà dato a coloro che cercano il regno e la giustizia. E come al corpo segue l’ombra, ma colui che ha dato il corpo non lo ha dato perché abbia l'ombra, che ne è un accessorio, così questi beni sono dono di Dio, ma ac—

762 —

SOCRATES

7-8T

cessori. Didimo si sofferma quindi a lungo sulla necessità di distinguere tra lo scopo principale (προηγούμενα, προηγουμένως) e gli scopi accessori o secondari (ἐπακολούθημο), per es., nel

caso di un abito, tra la funzione di coprire e proteggere e quella ornamentale; dopo la precisazione che rispetto alla prima funzione 1 beni non sono soggetti a biasimo, mentre rispetto alla

seconda spesso l’uso cattivo porta con sé il biasimo, viene posta a Didimo una domanda che riguarda 12a: ἔγνων ὅτι οὐκ ἔστιν ἐν αὐτοῖς ἀγαθόν. Didimo ribadisce che mangiare e bere

sono funzioni proprie delle persone sane, e in questo senso

sono doni di Dio, ma mangiare e bere in un certo modo non è bene. Coloro che mangiano come se facessero del ventre un

dio sono empi non più al servizio di Gesù, e violano il precetto evangelico di astenersi da tutto ciò che è superfluo. Come esempio di un termine che significa due cose che vanno tenute distinte (e di opposto valore), la risposta menziona l’erotica: ben diversa da quella di Socrate è quella di cui scrive Leucippo. Quest'ultimo parla dell'amore lascivo, Socrate di quello per le cose divine. Il riferimento a Socrate (qui interscambiabile con Platone) riguarda certamente il tema del Simposio, nel quale Socrate esordisce (177d7-8) affermando di non «conoscere altro che le cose d'amore». Il Leucippo autore

di Erotica che qui gli viene contrapposto non è altrimenti noto. Il nome Leucippo compare anche nel commento a Eccl. 1, 8a, PTura III, 15, 27 [= PTA 25 (1979), 71 sg.], ma non siamo in

grado di dire se si tratti della stessa persona, cfr. I.1**, p. 467. R

8T PVatic

11, coll. II 12-25; XXI

30-31; XXII 28-37

Sec. III?

Favorinus, De exilio Edd.: G. VITELLI - M. NORSA, PVatic 11 (1931), 3; 17; 13; 29-30; A. BARIGAZZI, Favorino. Opere, Firenze, Le Monnier 1966, 377; 401; 403.

Tavv.: PVatic

11, I, XI, XII. —

763—

SOCRATES

Comm.: MP! 455 (= P^ 455)

8T

A. BARIGAZZI, Per la costituzione del

testo del περὶ φυγῆς di Favorino, SIFC 24 (1950), 187-229: 191192; BARIGAZZI, supra, 413-415; 500-502; A. BARIGAZZI, Per il testo del «De exilio» di Favorino, Prometheus 13 (1987), 204208: 206.

Col. II, 12-25

ἐκεῖνα δὲ θαυμάζε]τίν κα]ὶ παραμυθίαν οἴεσθαι & | Σωκράτης [...... loc eli ]név ποτε καὶ ἔδρα! csv ἐν τ[ῷ δεσμωτ]ηρίῳ. ἐξὸν μὲν αὐτῷ διὰ [τῶν] φίλίων + 5]α[1], τοῖς δὲ καταψηφισαϊμ[ένοις

μέμψασθαι, οἰόμενος τὸν θεὸν &plx[ew

τῆς πόλεως, μηδὲν

δ᾽ εἶναι] ἄδικον ὃ τῷ θεῷ |[φίλον, οὐδὲν μὲν ἐκείνοις ἀπεμέμψατο, ὁ ἐδήγ“λω[σε + 23 ἀπ]οθνήσκωίν ..]lQu[ ]lcvowi[E 14] ἐνόμιè ζεν τοὺς u&[v] | τῶν τραγῳδιῶν ὑποκρι]τὰς πείθεσθαι τῷ | ποιη[τῇ διαπεμπομένους ?] ὅποι ἂν ἐκείνῳ φίλον ἢ. 15

Ἰηῆριῶὼϊ

αὐτῶ

18

τωιθεῶὼυ

20

]oOvncko[

23

τῶ

24

εκεῖνῶι 14 [ἐκεῖν]ος prop. Norsa - Vitelli, κατάδικ]ος Barigazzi 1966 in app., [θανάσιμ]ος Barigazzi 1987

15 post μέν. γὰρ add. ed.pr.

16 σωθῆν]αίι

ed.pr., non rec. Barigazzi 1966, ἐξιέν]α[ι Immisch 19-21 ἐδήϊλωϊσε dè τῷ θεῷ πειθόμενος καὶ ἀπ]οθνήσκωϊν εὐ]θύ[μως ed. pr. 19-22 ἐδήϊλωσίε δὲ οὐκ ἀποφυγών, ἀλλ᾽ ἀπ]οθνήσκωϊν εὐ]θύμίως ὅτι τῷ θεῷ πειστέον. ὁ δ᾽ αὐτὸ)ς Σωκ[ρ]άτ[ης] | αἰεὶ p[t 14] ἐνόμιζεν Barigazzi 1966 22 aiti μ[(ε)ιμούμενος βίον 2] ἐνόμιζεν Barigazzi 1950 23-24 suppl. ed.pr.

(non bisogna imitare Coriolano che tramarono sofferenze) ma ammirare [...] allora disse e fece in

personaggi come Alcibiade, Temistocle e contro la patria che aveva provocato loro e ritenere di esortazione quel che Socrate carcere. Pur essendogli possibile [fuggire?]

grazie agli amici e muovere rimproveri a coloro che lo avevano con-

dannato, ritenendo che il dio fosse il signore della città e che nulla

sia ingiusto di ciò che è gradito al dio, non mosse loro nessun rim-

provero, ma mostrò [...] morendo [...] (Socrate?) pensava che gli attori tragici ubbidiscono all’autore [lasciandosi destinare?] dove a lui sia gradito.

E possibile che la metafora della vita come dramma in cui

— 764 —

SOCRATES 8T

gli uomini devono sapersi adattare ai risalisse a Socrate. Cfr. Epict. Ench. 17 ei δράματος) e fr. XI Schenkl ap. Stob. dipendere dall’Archelao di Antistene

ruoli assegnati dal dio (μέμνησο ὅτι ὑποκριτὴς IV 33, 28, che potrebbe (si veda F. DECLEVA

CAIZZI, La tradizione antistenico-cinica in Epitteto, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a c. G. Giannantoni, Bologna, Il Mulino Col. XXI

1977, 93-113: 98 e n. 29).

30-31

9 cic δὲ οὐκ ἂν ἀποθανεῖν (μᾶλλον) εὔξαιτο ὡς

Σωκράτης

ἢ ζῆν ὡς "Avvrog καὶ Μέλητος; 30

εὐξ[ἘΠτὸ

Chi non si augurerebbe di morire come Socrate piuttosto che vivere come Anito e Meleto? Col. XXII 28-37

οὔτε γὰρ Σωκράτην oi dikaoltal πονηρὸν [t 6]v τῇ αὑτῶν

ψήφῳ napso|"keóacav, ἀλλὰ Σω[κρ]άτης ἐκείνους ἀδ[ί)κους καὶ [παρανόμους οὔτε αὖ ᾿Αριστείδην πάντες ᾿Αθηναῖοι, ἀλλά τοίι καὶ οἱ] φυγαδεύοντες [α[.]ε] δίκαιον | ἀπεκάλουν - [ὃ δ]ὲ ᾿Απόλίλων] Λαμπο..[..]. τὸν Μεγαρέα φυγάδ[α ὄΪντα οὕτως προ-

σηγόρευ[σε]ν: |? “κλε[ι]νὸς ἀνὴρ [...]t γενεὰν ἔδραν τε ulaltedov”, Σωκράτην μ[ὴν] καὶ μὴ παρόντα “πάν[τ]ων σοφώϊτα-

τον" εἶναι ἀπεφήνατο. 29

τὴ

yngo

35

Jılnlyeveav

37

dopo aregnvato spazio bianco

29

[πολίτη]ν ed.pr., [κἄδικο]ν Barigazzi 1966

33

Λαμπον.[.]. Bari-

gazzi in textu, Λάμπον u[é]v in app., Λάμπωνα [pé]v ed.pr. in app (sed lon-

gius)

35

[ἥκ]ει Barigazzi in textu, [ἥκ]ει vel [ὧδ] prop. ed.pr. in app.

Ne i giudici infatti resero Socrate malvagio [...] con il loro voto, bensì Socrate rese loro ingiusti ed empi; e neppure tutti gli Atemesì Aristide, ma invero anche coloro che lo esiliarono lo chiamavano —

765—

SOCRATES

8-9T

‘giusto’. Apollo così salutò Lampo (?) di Megara che era esule: “uomo illustre [...] che cerca casa e casato”, e Socrate, anche se non era pre-

sente, proclamò essere “di tutti il più sapiente”.

R

9T (?) PBerol inv. 12311, 4-8

Sec. III° ex.

Esercizio scolastico

Prov.: Philadelphia (Arsinoites). Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: P. ViEREK, Drei Ostraka des Berliner Museums, di scritti in onore di Giacomo

Lumbroso,

ın Raccolta

Milano, R. Università

(Scuola Papirologica) 1925 (Pubblicazioni di «Aegyptus» - Serie

Scientifica: Vol. IIT), 255-257: 255, rist. an. Milano, CisalpinoLa Goliardica 1976; Gallo, II, 219-225: 221.

Tavv.: GALLO, Comm.:

MP?

II, IX. 1575

(= P? 1575)

VIEREK,

supra,

256;

P. VIEREK

F. ZUCKER, BGU VII (1926), 14 n. 1; P. COLLART, Les papyrus scolaires, ın Mélanges offerts à A.-M. Desrousseaux, Paris, Hachette 1937, 75 n° 97 (Dictées, copies, narrations); G. ZALATEO,

Papiri scolastici, Aegyptus 41 (1961), 181 n° 127 (sez. 3: Test, antologie, copie o dettati per lettura di autori); P. MERTENS, Les ostraca littéraires grecs, in Miscellanea in honorem Josephi Vergote, Leuven, Departement Oriéntalistiek 1975-1976 («Orientalia Lovaniensia Periodica», 6/7), 397 n° 2; GALLO, II, 219; 223225; 1. DEBUT, Les documents scolaires, ZPE 63 (1986), 262 n°

207 (sect. I: L’acquisition des rudiments, 6: Des listes de mots aux textes, b: Anthologies gnomiques); R. CRIBIORE, Writing,

teachers and students in Graeco-Roman Egypt, Diss. Columbia University 1993, 345-346 n° 180 (Longer Passages: Copies or Dictations); R. CRIBIORE, Writing, teachers and students in Graeco-

Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996 («American Studies

in Papyrology», 36), 228 n? 236 (Long passages: Copies or Dictations).

καὶ yàp ὁρᾷς, ἔφη, ἄν τις μὴ ὥσπερ oi x0AJAoi ζῶσιν ἕνεκεν —

766—

-

SOCRATES 9T ()

τοῦ ἐσθίειν, ἀλλ᾽ ἐσθίῃ | καὶ πίνῃ ἕνεκεν τοῦ ζῆν, οὐ χαλεπὸν τά γε τοιαῦτα πορίζεσθαι τῷ τυχόντι P μὴ ὅτι νοῦν ἔχοντι. «E infatti vedi», disse (Socrate?), «che, se qualcuno non fa come i più, che vivono per mangiare, ma mangia e beve per vivere, pro-

curarsi almeno tali cose non è difficile per chicchessia, purché abbia senno».

L’ostracon PBerol 12311, recuperato con molti altri il 30 gennaio 1909 nella cantina di una casa nel corso della campa-

gna di scavo condotta da P. Vierek e F. Zucker a Philadelphia (cfr. Vierek, 253; Preisendanz, Papyrusfunde, 183-185), risulta scritto da una mano abbastanza abile ed elegante, riconoscibile anche in altri quattro ostraca dello stesso ritrovamento, che contengono tutti testi letterari e sembrano essere prodotti in ambiente scolastico, come esercizio di calligrafia: oltre a PBerol

12311, si tratta di PBerol 12309 (Pack° 1771), 12310

(Pack 1498 e 1697), 12318 (Pack 2603) e 12319 (Pack? 1567), per i quali > IL2; si noti che, in quest'ultimo ostracon, i righi iniziali sono tre versi epicarmei (23B44a DK). Sulla base della scrittura, questi cinque ostraca risultano assegnabili agli ultimi decenni del III secolo a.C. e sono quindi, in ambito greco, fra 1 più antichi esempi conosciuti di questa categoria di reperti, che abbiano contenuto letterario. Su PBerol 12311 sono trascritti tre brani diversi: 1) rr. 1-3: un passo dell’ Egeo di Euripide, già parzialmente noto da Stobeo (fr. 11 Nauck°), cfr.R. CRIBIORE, School Exercises, ZPE 116 (1997), 56;

Literary

2) rr. 4-8: la frase (di Socrate) sopra riportata; 3) rr. 9-10: due versi, forse di commedia, di autore ignoto

(Austin, CGFP, n° *318 = Kassel-Austin, PCG, VIII, *1050), cfr. Cribiore, cit., 54.

Si può senz’altro concordare con Gallo, 224-225, che il secondo brano non sia la parafrasi di una sentenza di Socrate (né tanto meno una chreia nel senso tecnico del termine), bensì

propriamente un passo tratto da un /ogos Sokratikos del IV a.C., di autore non identificabile. Da questo passo deriva forse (cfr. Gallo, 223) l’analogo apoftegma, che ricompare per la prima volta nel I sec. a.C. senza indicazione di autore (Rbet.

Her. IV 39), risultando poi attribuito appunto a Socrate nella —

767—

SOCRATES 9T (?)

piü prossima tradizione successiva [cfr. Plu. And. poet. 4 (Mor. I, p. 42, 21-23 Gärtner), D.L. II 34], e risulta ampiamente ri-

preso soprattutto in ambito gnomologico (cfr. Gnom. Vat. 743

n° 479 Sternbach [WS 11 (1889), 215-216; repr. cur. O. Luschnat, Berlin, de Gruyter 1963, 177-178] con il relativo apparato, e le notazioni di Gallo, 223, note 3 e 4. Anche negli

gnomologi il detto, quando non è riportato anonimo, è rife-

rito per lo più a Socrate, ma anche a Platone (Georgid. Gno-

mol., I, p. 37, 17-18 Boissonade; Vat. Gr. 790f. 190 r), a Diogene cinico (Stob. III 6, 41 = ΠῚ, p. 295, 7-8 Hense) e a Zenone stoico ([Max.] Loc. comm. 26, 34 [PG 91, 872B] = Arsen. Violetum, p. 265, 23-25 Walz). GB

Il nome di Socrate compare in PKöln V 205, col. III 13 (sec. III a.C.) come interlocutore di un dialogo socratico non altrimenti attestato [II.1].

In PPrag inv. Gr. III 524, edito da M.S. FUNGHI, Un Socrate da identificare (PPrag inv. Gr III 524), in Le vie della ricerca [1996], 11-19, compare il nome proprio Σωκράτης in

un contesto e in forme grafiche che potrebbero convenire ad un’opera letteraria, ad un dialogo o, più verosimilmente, data

la presenza dell’ apostrofe φίλτατε, forse legata ad un nome

proprio, iniziante con ‘Hpax[, ad una lettera. Il possibile riferimento ad un fratello di questo personaggio ha indotto Fun-

ghi a indagare nelle fonti letterarie relative alla cerchia socratico-platonica per rintracciare personaggi che potessero convenire al contesto. Tuttavia sia l’esiguità del frammento, sia la precarietà dei nessi sintattici, rendono incerta ogni ipotesi — tanto

più che non viene del tutto esclusa neppure la possibilità che

ci si trovi di fronte ad un testo documentario.

R —

768—

SOCRATES

*

x

o

Per la presenza del nome di Socrate in PSchubart 39, cfr. supra,

P-

616.

*

È

*

0X

plausibile il riferimento a Socrate in PBerol inv. 21213

r, cfr. infra, 96 2T, p. 773.



769 —

96 SOCRATICI

ıT

PBerol inv. 9782, coll. III 50-IV 3; IV 17-27 [III 9] Commentario anonimo al Teeteto

Sec. ΠΡ

Edd.: H. DIELS - W. SCHUBART, BKT II (1905), 3-51: 4; 5; G. BaSTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 268-269; 270-271. Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n° 40.

Comm.: MP’ 1393 (= P? 1393)

— BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

562: 487. 487-489.

Coll. III 50-IV 3

ὁ [δ Εὐκλείδης τῶν ἐλ]λ[ο]γίμων Av Σωκραϊτικῶν καὶ ἦρξέν γε | τῆς ὀνομασθείσης || Μεγαρικῆς αἱ[ρ]έσεως, ἥϊτις ὕστερον

ἐγένετο | δοφιστικωτέρα. Euclide era uno dei Socratici eminenti

e fondò

la cosiddetta ||

scuola megarica, che in seguito divenne più sofistica. Col. IV 17-27 περιέχει δὲ τὸ rpooiuuov τῶν προσηκόντων καὶ πρακτῶν diroypagnv, ἃ οἱ Zrfolikoi | καθήκοντα ὀνομάζουσιν. τὰ δὲ -

770 ---

SOCRATICI

1-2T

tota [9co] | σαφέστατα xeîtali ra] pa τοῖς Zoxpatix[o]îg | καὶ οὐ δεῖτα[ι] ἐξηγήσεως.

Il proemio contiene un abbozzo di comportamenti corretti, che gli Stoici chiamano ‘azioni appropriate’. Ma le cose di questo genere nei Socratici sono chiarissime e non richiedono esegesi. DNS

2T

PBerol inv. 21213

r

Sec. III?

Prov.: Hermupolis. Cons.: Berlin, Staatliche Museen, Papyrussammlung. Edd.: G. YoANNIDOU, Tavv.: BKT IX, 53. Comm.: MP? 2604.01.

ΒΚΤ

IX [1996] n? 117, p. 151.

Il frammento (cm 9,7x12) è scritto su entrambe le facce. Il recto mostra una colonna di scrittura mutila su tutti ı lati; solo

dal r. 7 in poi le finali dei righi sono conservate e si vede a destra un margine non scritto (verosimilmente un intercolun-

nio), ampio almeno cm 1,5. Sul verso, rimangono scarsi resti di sei righi di un testo documentario, con un ampio spazio

bianco in basso. La scrittura del recto è una libraria veloce ma abbastanza elegante, lievemente inclinata a destra, che può rientrare nell'ambito delle scritture a contrasto modulare agli inizi del III secolo d.C. Data la scarsità dei resti, nulla si evince sull'argomento dei primi tre righi. Fra il r. 3 e il r. 4 si nota un interlineo maggiore: ciò fa pensare che col r. 4 cominci una nuova sezione del testo, il cui contenuto, più pienamente ricostruibile, sembra riguardare le scuole socratiche. In ogni caso, la ricostruzione dei rr. 12-14 nel suo complesso, per quanto compatibile

con le tracce, viene qui proposta con ogni cautela. —

771—

SOCRATICI

2T

]..f lóo[

]. ολοί

Ἰ. οἱ

lornoo|

αἱ de Z]oxpa[ti]cai

5.

10

[ai] καινα[ὶ δοκοῦσι σχολαὶ]΄ ἐκστήσίασθαι μὲν ἐπί] ποσον τῆς φυσικῆς, πασῶν οὔσης] πρώτης, ᾿σ᾿υστήσασθα[ι δὲ τὴν ἠθική]ν, fic ἐφήνατο πολυφων[ία μείGov ὅσηΪς προεπέφαζν)το. ὧν ἕκαστος ἀπὸ τῶν ἰδίᾳ ἐπ]ικεχειρημένων προέστη. ὥστε συνέβη τὰς αἱρέσεις κτισθῆναι Ἠλιακὴν] Κυνικὴν Μεγαρικὴν Ἔρετρικήν. ὁ δὲ EAJelılnev οὐδὲν [. .]ónve . Τ. «λον κ[α]ταλογάδη[ν ) τοῦ οὐ

].. νοι 15

|t. πολὺ γὰρ

]u ἐβού[λε)το αὐτοῦ τὰ ἀπο

]...l

|...

]...f

]tovi

l..|

Ἰ. xwn l... ]..

20

4 lo spazio che separa il r. 4 dal r. 3 è maggiore degli altri, e suggerisce un cambio di argomento. In questo spazio ἃ visibile, scritto in caratteri più piccoli, |kaıval; queste lettere devono essere considerate come ap-

partenenti ad una aggiunta interlineare e non un rigo indipendente, come avviene nell'ed.pr. (che, di conseguenza, numera i rr. 4-20 come 5-21 4 Σ]ωκραίτικα ed.pr.

καινὰ dubitanter ed.pr.

8 προεπεφᾶτο pap.,

προεπέφαντο prop. Manfredi per litt. 9. ἰδίᾳ: vel abiò? ed.pr. 12 xnv ed.pr. [cetera ipsi restituimus]

10

συ]νέβη

Sembra che le nuove scuole socratiche lasciassero un po' da parte la fisica, che era stata la prima di tutte (le discipline), e trattassero sistematicamente l'etica, nel cui ambito divenne evidente una diver-

genza di voci maggiore di quella che si era manifestata prima. Ognuno si pose a capo di esse sulla base di argomentazioni personali, e cosi accadde che sorgessero la setta Eliaca, Cinica, Megarica, Eretriaca. —

772—

SOCRATICI

2T

Per parte sua, egli non lasciò nulla [...] in prosa [...]. Infatti molto [...] volle che le sue [...]

Sulla base della ricostruzione, i rr. 4-12 hanno per oggetto il sorgere delle scuole socratiche nel IV sec. a. C., con un'enfasi particolare sulla divergenza d'opinioni che le caratterizzò. 7-12 Cfr. Aristocles ap. Eus. PE XI 3, 4: ot μέντοι Σωκράτην διαδεξάμενοι καὶ πάνυ τινὲς ἐγένοντο παντοῖοι καὶ ὑπεναντίοι

τὰς γνώμας; Aug., CD VIII 2: ... quod cuique placuit inde sumpserunt et ubi cuique visum est constituerunt finem boni [...]. sic autem diversas inter se Socratici de isto fine sententias habuerunt ut (quod vix credibile est unius magistri potuisse facere sectatores) quidam summum bonum esse diceret voluptatem, sicut Aristippus, quidam virtutem, sicut Antisthenes, sic alii atque alii aliud atque aliud opinati sunt, quos commemorare longum est.

11-12 Si tratta di un elenco standard, ma incompleto, delle scuole socratiche (cfr. Giannantoni, SSR 1 H 4-16). L’assenza

più notevole è quella della scuola cirenaica; lo spazio non sembra sufficiente per integrare Kupnvoiknv né al posto di 'Hλιακήν (partendo dal presupposto che sia corretta la ricostru-

zione della colonna per quanto riguarda il margine sinistro) né al r. 13 dopo Epetpikfiv. L'omissione degli Accademici (anche ᾿Ακαδημαϊκὴν è troppo lungo) è invece molto frequente.

Dal momento che l'autore sente la necessità di soffermarsi a spiegare che nella prima fase dell’indagine filosofica l’interesse si era concentrato sulla fisica, appare poco probabile che il frammento provenga da una storia della filosofia di carattere generale. È d’altra parte possibile che lo scritto vertesse o su Socrate

stesso, o su uno

dei Socratici. Nei rr. 12-20, im-

possibili da ricostruire, la discussione riguardava almeno due persone specifiche, dal momento che al r. 15 αὐτοῦ τὰ ... (a differenza di tà ἑαυτοῦ ...) dovrebbe riferirsi a qualcuno di diverso dal soggetto del verbo ἐβού[λεἾτο. Forse αὐτοῦ si riferisce a Socrate, che potrebbe essere la stessa persona di cui, sulla base di una possibile costruzione sintattica, 1 rr. 12-13 dicono che ‘non lasció nulla [...] in prosa' (per la versifica-

zione di Esopo come unica composizione letteraria di Socrate, e per il προοίμιον ad Apollo, cfr. Pl. Phd. 60c-61b). GB/DNS —

773—

SOCRATICI

3T

3T

Socraticorum Epistulae PRossGeorg I 22, col. I 1-2 [vd. supra, 2]



774 —

97 SOPHISTAE

IT

PBerol inv. 9782, coll. VII 20-25; LIV 31-38; LVIII 7-12

(III 9]

Sec. ΠΡ

Commentario

anonimo

al Teeteto

Edd.: H. DiELs - W. SCHUBART, BKT II (1905), 3-51: 7; 36; 38; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 278-281; 412-413; 422-423.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P? 1393) 562:

— BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-

538-539.

Per col. VII 20-25, cfr. supra, 80 130T. Col. LIV 31-38 ἢ εἰ ἁπλῶς

ἀκουϊστέον τὸ μηδὲν ἔϊχειν σοφόν, οὐκ ἔϊσται

ταύτην τὴν [^ σοφίαν σοφὸς ἣν | ἀνατίθησιν θεῷ, | ἢ ἣν οἱ ἄλλοι τοῖς | σοφισταῖς. O, se «non possiedo sapienza» va inteso in senso assoluto, non sarà sapiente di quella sapienza che attribuisce a dio, o di quella che gli altri attribuiscono ai sofisti. —

775—

SOPHISTAE

IT

Col. LVIII 7-12

εἰπὼν | δὲ το[ὺς σοϊφιστὰς θεσπεσίοίυς κα]ὶ σοφοὺς |" ἐδ[ήλ]ωσεν ὅτι τῆς | το[ιαύτ]ης σοφίας &yol[vóc ἐστιν.] Chiamando i sofisti divini e sapienti ha mostrato che è questo il tipo di sapienza che egli è incapace di generare. DNS

Il I/II) POxy ni da

termine σοφισίτάς fu integrato in POxy 2606, τ. 1 (sec. in un testo che, come suggeriva anche J.W.B. BARNS, XXXI (1966), 177, conteneva una antologia di citazioopere in prosa. Il passo in questione rappresenta proba-

bilmente un residuo della intitolatura che distingueva il con-

tenuto della sezione relativa ai sofisti (Πρὸς τ]οὺς Xoqto[1&c? ed.pr.) [11.4]. TD

In PTebt 269, edito da B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, PTebt II (1907), 19, un frammento di rotolo di lusso in uno splendido esempio di maiuscola rotonda canonica della metà del sec. II d.C., ai rr. 4-7 si legge (?) thva | καταλήψεϊσθαι τῶν

σοϊφιστῶν. Un riferimento del genere può ricorrere tanto nella prosa filosofica quanto in quella oratoria o storica [11.4]. GM



776—

98 SPEUSIPPUS * IT

Cod. Taur. F VI 1, col. 117-24 [III 6] Comm. in Platonis «Parmenidem» Edd.: B. PEYRON,

Sec. V/VI

Notizia d'un antico evangeliario bobbiese che in

alcuni fogli palimpsesti contiene frammenti d'un greco trattato di

filosofia, RFIC

1 (1873), 53-71: 64; W. KROLL, Ein neuplatoni-

scher Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, RhM 47 (1892), 599-627: 602; P. HADOT, Porphyre et Victorinus, Paris, Etudes

Augustiniennes

1968,

II, 66-67

[= Porfirio,

Com-

mentario al «Parmenide» di Platone, trad. it., Milano, Vita e Pensiero 1993, Frammenti

57-118: 58-59]; M. ISNARDI PARENTE, Speusippo. (ed., trad., comm. a c. di M. I. P.), Napoli, Biblio-

polis 1980 («La scuola di Platone», 1), fr. 61; L. TARÁN, Spen-

sippus of Athens. A Critical Study with a Collection of the Related Texts and Commentary by L.T., Leiden, Brill 1981 («Philosophia Antiqua», XXXIX), fr. 49b; A. LINGUITI, CPF III, 63-202:

94-97;

G. BECHTLE,

The Anonymous

Commentary

on

Plato's «Parmenides», Bern-StuttgartWien, Haupt 1999 («Berner Reihe philosophischer Studien», 22), 21. Tavv.: HADOT, supra, 1968, tra p. 104 e 105, 1993, p. 18 (col. XII). Comm.: ISNARDI PARENTE, supra, 280-282; TARAN, supra, 356-358; LINGUITI, supra, 138-139; BECHTLE, supra, 40; 120-122.

οἰκεία

οὖν

αὕτη

raloòv

τῶν ἄλλων

npoonyopiàv

τῷ ἐπὶ

πᾶσι θεῷ καὶ τ... περὶ αὐτοῦ [5/6] σὐμ[ἤφυλος, εἰ μή tuc) διὰ σμικρότητα ὥσπερ Σπεύσιππος καὶ T τιμαλιῖος avovt..av..oc διὰ —

777 —

98 SPEUSIPPUS

1-4T

τὸ πάνυ σμικρὸν καὶ μὴ ó[ioiperóv

eilvaı | καταφέροιτο

ἐπὶ

πρᾶγμα ἀλλοτριώτατον τοῦ | θεοῦ ἀκούσας τὸ Elv]. Questo, pertanto, tra tutti gli altri appellativi, è adatto al Dio che è al di sopra di tutto e appropriato a [...] intorno a lui, a meno che qualcuno, in considerazione della piccolezza, come Speusippo e [...] per il fatto che quello è assai piccolo e non divisibile, sia condotto in direzione di una cosa massimamente estranea al Dio intendendo il termine “uno”.

Per l’attribuzione a Speusippo della dottrine dell’Uno come ἐλάχιστον, cfr. anche Damascio, Pr. I 3, 9-10 C.-W. = fr.

36 Lang = 60 Isnardi Parente = 49 Tarän e 1 commenti ad loc. È probabile, ma non sicuro, che dopo

quello di Speusippo

comparisse il nome di un altro filosofo, forse un neoplatonico che aveva ripreso la sua teoria (cfr. Kroll, 619 e Hadot, 67 n. 2). AL

2T

PDuke inv. 178, col. II 20 [vd. supra, 1]

3T

POxy 12 [vd. supra, 80 132T]

4T

POxy 3656, 5-4 [vd. supra, 68 1T] —

778—

98bis

SPHAERUS * 11

POxy

1082, fr. 6a Livrea [vd. infra, 100 47]



779—

99 STILPON

*

ıT

PDuke inv. 178, col. II 20 [vd. supra, 1]

2T

POxy 3655, 1-15 [11.1]

Sec. II/III

Aneddoto filosofico

Edd.: D.N. SEDLEY, POxy LII (1984), 44-46. Tavv. POxy LII, IV Comm.: MP! 2592.2 _GIANNANTONI, SSR IV, 98-99 n. 27,

τοὺς ὑπολειπομένους τῶν old | Στ]ίλπωνος μαθητῶν, ἐν οἷς κ[αὶ | ὁ ῥή]τωρ᾽᾿ Ἄλκιμος ἦν ἤδη παρὰ ΙΣτίλιπωϊνι διατρίβων. “τοῦ [τον] [ti” ἔϊφη] “ὦ ἀναίσθητοι τὸν [παῖδα τιμᾶ]τε ὡς ὄντα τινά" ; κα[ὶ ὁ Στίλιπω]ν * ἐμοί" ἔφη “ὦ ᾿Μητρόϊκλεις ἀρκεῖ)

παιδεύειν ἄνθρωπίον᾽ ὃ δέ’ “τί βού]λῃ; rS epa ἰπα]ῖδας ἐγγρά!' voi] eic. τοὺς μαθητάς, ἢ [ἄνδρας;" “πα]ῖδα ἔγωγε" è ἔφη. “ἀρ᾽ οὐ[ν οἷδε τὰ | ἀγ]αθὰ καὶ τὰ MCN ἢ [ο]ῦ; φή[σαντος δὲ [αὐ]τοῦ ‘ Ka “τί οὖν κακόν ἐσίτι, veajvi]a διαίρίει" καὶ ὁ "AAkınoc .[ def... .] καὶ τὸ μοιχ[εύειν.. —

780 ---

STILPON

5 παῖδα Parsons

bicht

2T

8-9 ὁ δὲ τί βούλῃ Parsons

9-10 elyypüyaı Ha-

cetera suppl. ed.pr.

(Visitò) i restanti allievi di Stilpone, fra cui c’era anche il retore

Alcimo, che già frequentava la scuola di Stilpone: “Voi sciocchi”, disse “perché portate rispetto a questo fanciullo come se fosse realmente qualcuno”. “Per me”, rispose Stilpone, “è sufficiente, o Metrocle, educare un essere umano”. “Cosa vuoi iscrivere alla tua scuola, fanciulli o uomini?” “Per quanto mi riguarda, un fanciullo”, disse.

“Ma allora conosce il bene e il male o no?” “Di sicuro”, disse. “Allora spiega cos’e male, ragazzo”. (Rispose) Alcimo [...] commettere adulterio [...] Benché

le integrazioni

siano in certa misura congetturali,

non vi è dubbio che il frammento contenga un aneddoto che riguarda Stilpone, capo della scuola megarica sul finire del IV secolo a.C., e il suo giovane allievo, Alcimo, che sarebbe divenuto un retore famoso (D.L. II 114). È probabile che l’interlocutore principale vada identificato con Metrocle, che nella tradizione aneddotica svolge il ruolo di avversario di Stilpone: cfr. specialmente Plu. Trang. an. 467e-468a = Giannantoni, SSR II O 17, dove compare un dialogo tra Stilpone e Metrocle di lunghezza paragonabile a quello del nostro frammento. Una fonte possibile, diretta o indiretta, è 1] dialogo di Stilpone intitolato Metrocle (D.L. 11 120).

Metrocle si rivolge ad un gruppo di allievi di Stilpone, met-

tendo in discussione la loro ammirazione per il giovane e promettente Alcimo (1-6). Qualcuno, forse lo stesso Stilpone (ma

l'integrazione del suo nome a 6-7 è del tutto congetturale), lo contesta, sostenendo che da qualunque essere umano può provenire un discepolo soddisfacente (6-8) — questo rispecchia, forse, la dimostrazione, che si racconta fosse offerta da Stilpone servendosi come esempio del proprio caso, del fatto che persino una persona naturalmente viziosa può diventare virtuosa tramite l’educazione (Cic. Fat. 10 = Giannantoni, SSR

II O 19). Metrocle stabilisce allora che Stilpone preferisce educare ragazzi piuttosto che adulti (9-12) e passa a mettere alla prova il sapere morale del giovane Alcimo (12 sgg.). Alla domanda su che cosa sia il male, Alcimo sembra rispondere elencandone due o tre esempi (14- 15). Quando il testo si inter—

781—

STILPON

2T

rompe, a 16-17, Metrocle ha ripreso ad interrogare Stilpone a

proposito del suo insegnamento.

La conclusione del dialogo è oggetto di mera speculazione. È possibile che il suo intento fosse morale, ma si potrebbe an-

che, in alternativa, pensare che Stilpone venisse criticato per non aver insegnato al ragazzo una definizione universale, cosicché al suo posto egli ha offerto solo una lista di esempi (errore, questo, più volte criticato da Socrate nei dialoghi di Pla-

tone). Era noto che Stilpone soleva difendere, con argomentazioni eristiche, la sua controversa negazione degli universali (D.L. II 119 = Giannantoni, SSR II O 27), e il rifiuto della defini-

zione da parte sua poteva rientrare nel quadro. DNS



782 —

100 STOICI *

1T Cod. Taur. F VI 1, col. X 11-16 [III 6] Comm.

Sec. V/VI

in Platonis «Parmenidem»

Edd.: B. PEYRON, Notizia d’un antico evangeliario bobbiese che in alcuni fogli palimpsesti contiene frammenti d’un greco trattato di filosofia, RFIC

1 (1873), 53-71: 67; W. KROLL, Ein neuplatoni-

scher Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, RhM 47 (1892), 599-627: 613; P. HADOT, Porphyre et Victorinus, Paris, Etudes Augustiniennes 1968, II, 96-97 [= Porfirio, Commentario al «Parmenide» di Platone, trad. it., Milano, Vita e Pensiero 1993, 57-118: 82-83]; A. LINGUITI, CPF TL, 63-202: 120-123;

G. BECHTLE, The Anonymous Commentary on Plato’s «Parmenides», Bern-Stuttgart-Wien, Haupt 1999 («Berner Reihe philosophischer Studien», 22), 31. Tavv.: HADOT, supra, 1968, tra p. 104 e 105, 1993, p. 18 (col. XII). Comm.:

LINGUITI, supra,

174; BECHTLE, supra, 56-57; 163-164.

oi μὲν | οὖν ἀπὸ τῆς Στοᾶς οὐκ ἀπογιγνώσκουσιν | ἐκ λόγου γενέσθαι ἄν τινος κατάληψιν | πραγμάτων, τὸν ἐπὶ πᾶσι δὲ θεὸν

ἀμήχανον εἶναι καταλαβεῖν οὐχ ὅτι ἐκ λόγου &A[A οὐδὲ διὰ νοήσεως. Gli Stoici non respingono la tesi che la comprensione di una qualche cosa avviene tramite il ragionamento, ma (respingono la tesi) che il Dio al di sopra di tutto è impossibile a concepirsi, tanto per

il ragionamento che per il pensiero intuitivo. —

783 —

STOICI

1-2T

Cfr. D.L. VII 52 = Long/Sedley 40P dove si legge che per gli Stoici è possibile la conoscenza per via dimostrativa dell’esistenza degli dei e della loro provvidenza. AL

21

PBerol inv. 9782, coll. IV 17-23; VI 29-41; XI 12-40; LXX 526 [III 9] Sec. IIP Commentario

anonimo

al Teeteto

Edd.: H. Dieis - W. ScHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 5; 6; 9; 46; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 270-271; 276279; 288-291;

454-457.

Tavv.: ΒΚΤ II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n? 40.

Comm.: MP? 1393 (= P? 129) M. SCHOFIELD, Ariston of Chios and the unity of virtue, AncPhil 4 (1984), 83-96: 91; HULSER, FDS, 843C; BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227-562: 487-489; 494; 498; 553-555; D.N. SEDLEY, The Stoic-Platonist debate on

kathekonta, in Topics in Stoic Philosophy (ed. K. Ierodiakonou), Oxford, Oxford Univ. Press 1999, 128-152:

134.

Col. IV 17-23

xg|piéyei δὲ τὸ προοίμιϊον τῶν npoonkóv| tov καὶ πρακτῶν ὑϊπογραφήν, ἃ οἱ Στ[ω]ϊκοὶ | καθήκοντα ὀ[νομά]ζουσιν. Il proemio contiene uno schizzo di comportamenti corretti, che gli Stoici chiamano ‘azioni appropriate’. Col. VI 29-41 ὅθεν[°° καὶ ὌΝΤΩΝ οἱ ἐξ ᾿Αἰκαδημε[ία]ς οὕτως" ein’ ἴσης] οὐ lol exo] κα [τὰ τ[οὺ]ς Enwo[v]p[e Ἰίους | ἢ δικαιοσύνη καὶ κα "τὰ τοὺς Στωϊκούς:- AA

μὴν κατὰ τοὺς ᾿ΕἘπι[κουρείους

— 784 —

STOICI 2T

οὐ σώζεϊται f| δικαιοσύνη, ὡς | ὁμολογοῦσι πρὸς odg | ^ è λόγος: οὐδὲ κατὰ τοὺς | Στωϊκοὺς ἄρα. Onde gli Accademici argomentano anche in questo modo: ugualmente la giustizia non è salvaguardata né dal punto di vista epicureo né dal punto di vista stoico; ma la giustizia non è salvaguardata dal punto di vista epicureo, come convengono coloro contro cui è rivolta l’argomentazione; perciò dunque non è salvaguardata neppure dal punto di vista stoico. Col. XI

12-40

κατὰ μὲν οὖν τοὺς παϊ]λαιούς, ἐπεὶ πολλαὶ ai [ἀρεταὶ καὶ κατὰ |” ἑκάστην μία εὐφυΐα, | ζητηθήσεται εἰ ἀνιτακολουθοῦσι ἀλλήϊλαις αἱ εὐφυΐαι' κία li διμολογεῖται τὸ μὴ x[&v]I" τως. οὐ μέντοι ddvv[a]|tov τὸν μίαν ἔχοντα | καὶ τὰς ἄλλας ἔχειν. ἔ κατὰ δὲ τοὺς Στωϊκοὺς | οὐδὲ ζητεῖται τοῦτο, |^ μίαν γε ὑποβάλλοντας εὐφυίαν πάσ[αι)ς | ταῖς ἀρεταῖς]. εἰκάζί[ο Ἰυ]σι γ[ὰ]ρ τὸ nyeln]o ν[υκὸν | κηρῷ εὐπλίά lo τῳ] nel” φυκότι [ἅπ]αν[τα δ]έιχεσθαι σ[χήματ]α. ὅϊθεν. οὐ δ[ιάκενα] iἃ | ἐρωτᾷ 'Ap[toxov] ὃ Xiloc: ei μία ἔστιν εἰύφυ! ia, μία ἔστ[]ν καῇ] ἀρετή: ἀλλὰ] μὴν μία ἔσ|τιν εὐφυΐα, ὡς ὁμολογοῦσι πρὸς odg ὃ Aó|yoc: μία ἄρα ἔστιν ἀρε "ci. 15 et passim evquera pap.

33-34

xeioc

Secondo gli antichi, poiché le virtù sono molte e per ciascuna vi è un’unica dote naturale, sorgerà il problema se le doti naturali si implichino reciprocamente. E si ammette che ciò non avviene del tutto. In verità non è impossibile che colui che ne ha una non abbia anche le altre. Dal punto di vista degli Stoici il problema non sorge neppure, dal momento che sottendono un'unica dote naturale a fondamento di tutte le virtù. Paragonano infatti |’ egemonico a cera plasmabile di natura tale da ricevere tutte le forme. Onde non è privo di senso ciò che Aristone di Chio argomenta: se c 'é un'unica dote naturale, vi é anche un'unica virtü; ma c'é un'unica dote naturale

- come convengono coloro contro cui è rivolta l'argomentazione; c'è dunque un'unica virtù. Vd. supra, 22 1T. —

785—

STOICI 2-37 Col. LXX

5-26

τὸν δὲ | [repli τοῦ αὐξομένου | [AJoyov ἐκίνησεν | [μ]ὲν πρῶτος Πυθαϊ[γόϊρας, ἐκίνησεν |'? [δὲ] καὶ Πλάτων, ὡς £v | [το]ῖς εἰς τὸ Συμπόσιον | [ὑἹπεμνήσαμεν᾽ ἐπι[χει]ροῦσι δὲ εἰς αὐτὸ [καὶ] οἱ ἐξ ᾿Ακαδημείας, |^ μία Ἰρτυρόμενοι μὲν | ὅτι ἀρέσκονto t | εἶναι αὐξήσεις, διὰ δὲ | τὸ s Στωϊκοὺς κατασκευάζειν τοῦτο, |? οὐ δεόμενον ἀποδείξεως], διδάσκοντες | ὅτι ἐάν τις

τὰ ἐναργῆ | θέλῃ ἀποδεικνύναι, ἕτερος εἰς τὸ évav|" tov πιθανωτέρων | εὐπορήσει λόγων. L’argomentazione sull’uomo che cresce fu avanzata dapprima da Pitagora, e fu anche avanzata da Platone, come abbiamo notato nel

commento al Simposio. Argomentano in favore di ciò anche gli Accademici, insistendo sul fatto che accettano

che vi siano

accresci-

menti; ma poiché gli Stoici cercano di stabilire ciò, che non ha bisogno di dimostrazione, spiegano che, se qualcuno è pronto a dimostrare cose che sono evidenti, qualcun altro disporrà di una messe di argomenti più persuasivi in senso contrario.

Vd. supra, 80 122T. DNS

3T

PBrLibr inv. 137, coll. II 18-III 7; XIV 15-32; XXX 19-20 [> 24 22T; 37T; 43 7T; 63 1T; 79 1T; 80 129T; 1.2]

Sec. I"

Anonymus Londiniensis, Jatrica Prov.: ignota. Cons.: London, The British Library. Edd.: H. DIELS, Anonymi Londinensis ex Aristotelis Iatricis Menonüs et aliis medicis eclogae, Suppl. Arist. IIl.1, Berlin, Reimer 1893, 3-4, 21-22, 56; Aristotelis Opera, ex rec. I. Bekkeri. Editio

altera, addendis instruxit fragmentorum collectionem retractavit O. GIGON, III, Fragmenta, Berlin-New York, de Gruyter 1987,

fr. 355, 517 (XIV 15-32).



786—

STOICI 3T

Tavv.: Suppl. Arist. III.1, coll. IV-V.

Comm.: MP’ 2339 (= P^ 2339)

F.G. KENYON, A Medical Papy-

rus in the British Museum, CR 6 (1892), 238; W.H.S. JONES, The

Medical Writings of Anonymus Londinensis, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1947, 26-29, 58-61, 116-117; GIUSTA, Doss. I,

254; II, 242, 287; B. INWOOD, Ethics and Human Action in Early Stoicism, Oxford, Clarendon 1985, 156 n. 126; R. SORABJI, Aspasius on Emotion, in Aspasius: tbe earliest extant Commentary on Aristotle's Etbics (ed. A. Alberti, R.W. Sharples), Berlin-New York, de Gruyter 1999 («Peripatoi», 17), 96-106: 96; D. MA-

NETTI, “Aristotle’ and the Role of Doxography in the Anonymus Londiniensis (PBrLibr inv. 137), in corso di stampa in Ancient

Histories of Medicine. Essays in Medical Doxography and Historiography in Classical Antiquity (ed. Ph. van der Eijk), Leiden, Brill 1999,

Coll. II 18-III 7

αὕτη [μ]ὲν N τε[χ]νολογία [t(öv)] ἀρχαίων (ἐστὶν) | οἷς καὶ ἡμεῖς ἑπόμεθα- κί (ατα)λεί]πουσιν γί (&p) [2 καὶ με[τ]ριοπαθείας περὶ τ[ὸ]ν σοφὸν καί φίασιν) | τὰς μ[ε]τριοπαθείας νεῦ[ρ]α (εἶναι) τῶν πράϊξεων, [o]t δὲ νεώτεροι, τ[οῦτ᾽ (ἔστιν) οἱ Στωιxot, | κατὰ φύσ[ιϊν πάθος οὐδὲν κ[(ατα)λείϊπουσιν | ψυχῆς.

[π]άν[τ]ως ylap) φίασιν) ) ἐμφ[αίν]εσθαι τὸ |? παρὰ φύ[σι]ν ἐκ τῆς πάθοϊυς φ]ωνῆς fit καὶ τὸ π[ά]θος ἀ[π]έδοσαν᾽ t[ò π]άθος (ἐστὶν) | ὁρμὴ πλ[εο]νάζουσα, τῆς ὁρμῆς αὐτοῖς. | ἐξακουο Jnevng οὐχὶ ἀντὶ τῆς ὑπερ|τάσεωϊίς], ἀλ(λὰ) ἀντὶ τοῦ americ (εἶναι) τῶι ailpodvrı [λ]όγωι- ἀλ(λὰ) το[ὕτο]ις kv) μελήσει, | ἡμῖν δὲ [λ]εκτέον κ(ατὰ) φύσιν πάθη περὶ | τὴν ψυχ[η]ν μνήμην, διαλογισμόν, | τὰ ὅμοι[α]. παρ[ὰ] φύσιν δὲ ἀμνημοσύνην, ἀλοίγισ]τίαν, τὰ ἐοικότ[α!. τ(ῶν) τε |? παθῶν τ(ῶν) περὶ [τ]ὴν ψυχὴν [δ]ύο (ἐστὶν) τὰ | γενικώϊτ]ατα κ(ατὰ) τοὺς &py[ato]vc: ἡδονή te y(&p) [κ]αὶ ὄχλησις, τὰ dle] μεταξὺ κίk(ax)' ἐπίμιξ[ι]ν γί(νεται) τ(ῶν) εἰρ[ηἹμένων. | κατὰ δὲ τοὺς Στω[ι]κοὺς τέϊσσ]αρά (ἐστιν) τὰ |? γενικώτατα [τῆ]ς ψυχῆς [πά]θη: ἡδονὴγί(ὰρ) καὶ ἐπιθυϊμί]α, φόβος [τε] καὶ λύπη. | καὶ ἡδονὴ u(&v) κ[αὶ ἐϊπιθυμί[α] κίαθ᾽) ὡς àv | ἀϊγ]αθοῦ φανταίσίαν] γἱ(νονται), ὧν [n hv) ἡδ]ονὴ | [.].(eıvon) ὡς ἂν &[yo009] παρουσίαν e [5 [...] οἷόν τε —

787—

STOICI 3T

nee

— lI L...] xoou

] EE]

«(9 ὡς [

] | «deest

1 versus» || τἀγαθόν ul τε λύπη καὶ φόβος x(o0") ) ὡς ἂν | κακοῦ φαντασίαν γί(νεται)- ὧν ὁ p(èv) φόβος (κ(αθ᾽)) ὡς | ἂν κακοῦ

προσδοκίαν γί(νεται)-: φοβούμεθα | yàp προσδοκῶντες τὸ κακόν. ἢ δὲ Ab nn, κίαθ᾽) ὡς ἂν κακοῦ παρουσίαν - λυπούμεθα y(àp) ἐπὶ τοῖς παροῦσι κακοῖς. καὶ ταῦτα p(èv) οὕτως. 19 quc Jola prima lettera è incerta, ma n è possibile παθιας 21 μ[ε]τριοπαθιας 23 rigo in ektbesis 24 [.Jav[.]ox

27

rigo in ektbesis

V = v(e@téporg) ed.pr.

graphos

34

in ekthesis 38 spazio bianco

29

om@ec 33

30-31 paragraphos

20 μείτ]ριοevol.. Jec&o

30

dopo opoil[.] spazio bianco

aàol.(.)]tetav

dopo eorkotla] spazio bianco

visibile μ΄: 34-35

para-

35

rigo

επιμειξ[ι]ν 39 rigo in ekthesis III 1 dopo tayaBov 2 [παρου] φαντασιαν 4 dopo κακόν spazio bianco

7 dopo ovtac spazio bianco 19 xk(ata)[Aei]rovow suppl. ed.pr. in adn. 21

veloplo suppl. ed.pr.

22-23 suppl. ed.pr. 24 [π]άνίτ]ως Sedley per litt. : [ταύτηι] ed.pr. ἐμφ[αίν]εσθαι Striker per litt.: ἐνφ[έρ]εσθαι ed.pr. 30 rolvrolıg ut videtur pap., fort. to[ù(to) το]ῖς intelligendum : to[d]to ltolig ed.pr., longius

spatio

31-43

suppl. ed.pr.

34 “ἀλο[γ]ίαν brevius ed.pr. in textu, sed

ἀλο(γιστ)ίαν in adn. 35 [τ(ῶν)} ed.pr. 44-48 yltiveron) κ](αθ᾽) ὡς ἂν ἀγαθοῦ] παρουσίαν, ἐφ’ ὧι] οἷόν τε ἥδίεσθαι: εἴδη δὲ αὐτῆς teplwig,] x&pi[c, τὰ παραπλήσια" fj δὲ ἐπιθυ]μία] x (αθ᾽) ὡς [ἂν ἀγαθοῦ γίίνεται) προ-

oSoxiav: | ἐπιθυμοῦμεν ylüp) πάντες προσδοκῶντες] ed.pr. suppl. ed.pr.

III 2

καθ᾽

Questa è la classificazione degli antichi di cui anche noi siamo seguaci. Essi infatti lasciano sussistere le affezioni (passioni) medie nel saggio e affermano che le affezioni (passioni) medie costituiscono 11 ‘nerbo’ delle azioni. Gli autori recenti invece — cioè gli Stoici non ammettono nessuna passione dell'anima secondo natura. Infatti dicono che la innaturalità è totalmente indicata dalla formula con cui hanno dato la definizione della passione, «la passione è un impulso eccessivo»: impulso è inteso da loro non nel senso di una tensione eccessiva, ma nel senso che non risponde alla ragione che sceglie. Ma ciò riguarda loro; da parte nostra dobbiamo dire che sono affezioni dell’anima secondo natura il ricordo, il ragionamento e cose

simili. Contro natura la dimenticanza, l'incapacità di ragionamento

e cose del genere. Vi sono due generi fondamentali di affezioni dell’anima secondo gli antichi: piacere e dolore; le affezioni intermedie si formano per la mescolanza di quelle citate. Secondo gli Stoici invece, sono quattro i generi fondamentali di affezioni (passioni) dell’anima: piacere e desiderio, paura e dolore. Piacere e desiderio si —

788—

STOICI 3T

formano per la rappresentazione di un bene: di essi il piacere [...] di un bene [...] é possibile [...] Il il bene. Dolore e paura si formano per

la rappresentazione di un male: la paura sı forma per l'aspettativa di un male, infatti abbiamo paura quando ci aspettiamo il male. Il dolore si forma per la presenza di un male, infatti proviamo dolore per ı mali presenti; ma di questo basta.

Il passo é contenuto nella prima parte del testo dell'Anonimo Londinese, in cui egli presenta le definizione dei concetti-base della sua opera: cominciando da quella di διάθεσις (I 1-7), 'Anonimo passa a definire che cosa è affezione (πάθος, I 7 sgg., con una doppia redazione d'autore, cfr. Manetti, ‘Aristotle’ and the Role), poi descrive le affezioni dell'anima (Il 12 sgg.) e infine quelle del corpo (III 7 sgg.). Questa parte è seguita dalla dossografia sulle cause di malattia derivata da ‘Aristotele’ (> 24 37T; 63 1T; 79 1T; 80 129T). La definizione e classificazione dei πάθη si basa sulla com-

pilazione dei manuali di etica. Cfr. Stob. II 7 (pp. 57, 13-116,

18) ecc. La dottrina dei πάθη approvata dall'Anonimo ha un’im-

postazione ‘peripatetica’, così come si è formata nella tradizione di scuola: cir. Asp. In EN II 2, p. 42, 28 sgg. Heylbut, ἔνιοι μὲν yàp ἡγήσαντο γενικώτατα εἶναι δύο ταῦτα πάθη κατὰ τὸν ᾿Αριστοτέλην, οὕτως δὲ γενικὰ ὥστε διαιρεῖσθαι τὸ μὲν πάθος εἰς δύο πάθη, ἡδονὴν καὶ λύπην, τὰ δ᾽ ἄλλα πάντα πάθη εἰς ἡδονὴν ἀνάγεσθαι καὶ λύπην, con p. 44, 20 τῶν δὲ ἐκ τοῦ Περιπάτου τῶν μὲν παλαιῶν παρ᾽ οὐδενὶ εὑρίσκομεν ὁρισμὸν τοῦ πάθους" τῶν δὲ ὕστερον ᾿Ανδρόνικος μὲν κτλ. e Sorabji 96-

97. πάθος è per l'Anonimo una disposizione che può essere naturale o contro natura, sia dell'anima che del corpo; vi sono

due generi fondamentali di affezione dell’anima, piacere e do-

lore, e tutti gli altri si compongono di questi (cfr. infra). Si tratta di una tradizione accademico-peripatetica — Aspasio, nel commento all’Etica Nicomachea, presenta la bipartizione delle affezioni dell’anima in piacere e dolore facendola risalire in sostanza a Platone Lg. 6364 (cfr. p. 46, 6 sgg. Heylbur, ctr. Alcin. Did. 186, 1) - che ha avuto contaminazioni stoiche, cfr. Giusta, Doss., II 283 sgg. Degne di nota sono le convergenze

precise fra I Anonimo e il Didaskalikos di Alcinoo, cfr. Giu-

sta, Doss., II 287 e infra. Tuttavia l’Anonimo presenta tratti

peculiari, 'che vanno al di là della tradizione dossografica ri—

789—

STOICI 3T

salente all'epitome di Ario Didimo, nel presentare come ‘af-

fezioni secondo natura’ attività come memoria e ragionamento (cfr. infra): un elemento che sembra sfasato rispetto al resto dell'esposizione della dottrina peripatetica dei pathe e che deriva probabilmente da altra fonte.

La teoria stoica secondo cui non sono possibili affezioni

‘naturali’ è introdotta nel contesto della contrapposizione fra

la posizione degli ‘antichi’ (cioè ‘peripatetica’) e quella degli autori ‘recenti’, cioè gli Stoici. L’Anonimo ‘antichi’, così come

aveva fatto all’inizio

si schiera con gli nel dare

la defini-

zione di διάθεσις (I 1-5). La contrapposizione ‘cronologica’ fra le due tradizioni corrisponde a quella testimoniata in molti filosofi dal I sec. a.C. al II sec. d.C., Cicerone, Aspasio stesso (supra) e Alessandro di Afrodisia, cfr. Giusta, Doss., I, 254255, e J. BARNES, Homonymy in Aristotle and Speusippus, CQ

n.s. 21 (1971), 70 n. 4.

La teoria stoica viene comunque esposta in modo abba-

stanza dettagliato, dando anche alcune precisazioni su punti

controversi (infra). Ma per iniziare, si cita come elemento simbolico della contrapposizione con gli ‘antichi’ la ‘moderazione

nelle emozioni’, permessa al saggio dagli antichi e negata in nome della ἀπάθεια dagli Stoici, un tema che doveva essere molto diffuso nel I sec. d.C. (S.R. C. LILLA, Clement of Alexandria: A Study in Christian Platonism and Gnosticism, Oxtord 1971, 99-106), anche ad un livello ‘divulgativo’, come dimo-

stra la testimonianza di Plutarco, Cons. ad Apoll. Il tema della metriopatheia & spesso utilizzato in funzione antistoica, cfr. P.L. DONINI,

Tre studi sull’aristotelismo del II sec., Torino,

Paravia 1974, 80 sgg.; Giusta, Doss., II, 294-315. Nella pratica le due posizioni avevano trovato punti di compromesso, per esempio nella posizione espressa da Ph. Alleg. 129 (I, p. 141,

21-23 Cohn) che attribuisce la ἀπάθεια al saggio, ma la peτριοπάθεια al προκόπτων, oppure nella stessa interpretazione corrente della dottrina stoica delle εὐπάθειαι: cfr. J.M. Dir-

LON, Metriopatheia and Apatheia. Some Reflections on a Controversy in Later Greek Ethics, in Essays in Ancient Greek Philosophy, II, ed. by. J.P. Anton and A. Preus, Albany, State Univ. of New York Press 1983, 508-517.

II 20-21

μετριοπάθεια: cfr. Ario Didimo ap. Stob. II,p

139, 11-16 W.; Alcin. Did. 184, 20-28; Plu. Virt. mor. 443cd: —

790—

STOICI 3T

Cons. ad Apoll. 102d; 113b. Diogene Laerzio, V 31, contrappone stoici e peripatetici e attribuisce la metriopatheia ad Arıstotele: ἔφη δὲ τὸν σοφὸν ἀπαθῆ μὲν μὴ εἶναι, μετριοπαθῆ δέ.

Sulla dottrina della metriopatheia, cfr. anche Cic. Ac. I 38-392;

Lucull. 135; Tusc. 111 28, 70-71; IV 22; Alex. Aphr. In Top., p. 239, 4-6; Porph. Sent. 32 ecc. Il 21-22 νεῦρα τῶν πράξεων: metafora già antica, con il senso di “forza, vigore”, cfr. Ar. Ra. 862 tà νεῦρα τῆς τραγῳδίας, Aeschin. III 166 ὑποτέτμηται τὰ νεῦρα τῶν πραγμάτων (è ci-

tazione di Demostene), ma che applicata alla metriopatheia è attestata solo nell’ Anonimo. Per suggerire il percorso dell’ap-

plicazione della parola al contesto etico, è utile il passo di S.E. M.

XI

53, che riflette una

tradizione ‘accademica.

Crantore,

nella discussione su cosa sia il primo bene, immagina che ciascuno dei beni parli all’assemblea panellenica per ottenere il primo premio e che la ‘ricchezza’ 81 presenti cosi: ἐν μὲν εἰρήνῃ παρέχω. τὰ τερπνά, ἐν δὲ πολέμοις νεῦρα τῶν πράξεων γίνομαι,

Ma l’origine della metafora qui usata è probabilmente nel passo di Platone Lg. 644d9 οὐ γὰρ δὴ τοῦτό γε γιγνώσκομεν, τόδε δὲ

ἴσμεν, ὅτι ταῦτα τὰ πάθη ἐν ἡμῖν οἷον νεῦρα ἢ σμήρινθοί τινες ἐνοῦσαι σπῶσ ἵν τε ἡμᾶς καὶ ἀλλήλαις ἀνθέλκουσιν ἐἐναντίαι οὖσαι ἐπ᾿ ἐναντίας πράξεις, οὗ δὴ διωρισμένη àἀρετὴ καὶ κακία

κεῖται. Cfr. un’applicazione diversa della metafora in Plu. Virt.

mor. 449f διὸ καὶ νεῦρα τῆς ψυχῆς τὸν θυμὸν ὁ Πλάτων προσεἶπεν ὡς ἐπιτεινόμενόν τε πικρίᾳ καὶ πραότητι χαλώμενον (che allude a Pl. R. 411b); Arr. Epict. II 8, 29 νεῦρα φιλοσόφου ποῖα νεῦρα; κτλ., II 17, 21 ἔκπτωσις ψυχῆς μεγάλα νεῦρα

ἐχούσης. Sulla tematica, cfr. M. VEGETTI, I nervi dell'anima, in Il vivente e l'anima, BioLogica 4 (1990), 11-28 (28 n. 22). La metafora é attestata anche in autori cristiani, cfr. Io. Chrys. Coemet. 1 (PG XLIX, 394, 31) μάθε ποῦ ἄγεις: εἰς κοιμητήpiov: καὶ πότε ἄγεις: μετὰ τὸν τοῦ Χριστοῦ θάνατον ὅτε τὰ νεῦρα ἐξεκόπη τοῦ θανάτου. L’espressione, nell’Anonimo, &

probabilmente connotata e arricchita anche dal significato tecnico assunto dalla parola neuron in epoca ellenistica (da ‘tendine’ passa a significare 'nervo?), cfr. p. es. il passo di Rufo, Onom. 150, 2 Daremberg-Ruelle τὰ δὲ ἀπὸ τοῦ ἐγκεφάλου βλα. στήματα, νεῦρα αἰσθητικά, καὶ προαιρετικά, διὰ ὧν αἴσθησις καὶ προαιρετικὴ κίνησις, καὶ πᾶσα σώματος πρᾶξις συντελεῖται. II 24-25

La congettura di Diels, ἐμφέρεσθαι, ‘essere con-

tenuto’, deve essere rifiutata perché il verbo di solito è co—

791—

STOICI 3T

struito con ἐν e il dativo e non con £x e ıl genitivo. Inoltre la proposta di Gisela Striker ἐμφαίνεσθαι, “essere indicato (o im-

plicato)”, soddisfa meglio il senso: per il significato tecnico del verbo cfr. p. es. Gal. M.M. X, p. 126, 10 sgg.; per la costruzione con ἐκ cfr. p. es. Gal. In Hp. Prog., CMG V 9, 2, p. 281, 1 sgg.; De san. tuenda, CMG V 4, 2, p. 113, 24 sgg. Il 26-30 Cfr. Ps. Andronic. Rhod. περὶ παθῶν (p. 223 Glibert-Thirry) πάθος ἐστὶν ἄλογος ψυχῆς κίνησις [δι᾽ ὑπόληψιν κακοῦ ἢ ἀγαθοῦ] καὶ παρὰ φύσιν ἢ ὁρμὴ πλεονάζουσα, cfr.

D.L. VII 110 (Zenone). Stobeo, 7, 10, II, p. 88, 8-9 W., offre una versione più dettagliata: πάθος δ᾽ εἶναί φασιν ὁρμὴν πλεονά. Covoav καὶ ἀπειθῆ τῷ αἱροῦντι λόγῳ ἢ κίνησιν ψυχῆς (ἄλογον) παρὰ φύσιν; e a p. 89, 4-5 (II 7, 10a) fornisce una precisazione: τὸ δὲ ἄλογον καὶ τὸ παρὰ φύσιν οὐ κοινῶς, ἀλλὰ τὸ μὲν ἄλογον ἴσον τῷ ἀπειθὲς τῷ λόγῳ. Aspasio fa capire che all’interno

della scuola stoica si erano sviluppate discussioni che avevano prodotto interpretazioni della formula che accentuavano ora

l'aspetto dell’eccesso ora quello dell'irrazionalità, cfr. In EN

112, Ρ. 44, 12 Heylbut οἱ μὲν οὖν ἐκ τῆς Στοᾶς φήθησαν πάθος εἶναι ὁρμὴν σφοδρὰν ἢ ὁρμὴν

ἄλογον, λαμβάνοντες

τὸ ὑπε-

ναντίον τῷ λόγῳ οὐκ ed. Anche Clemente Alessandrino, Strom. II 13, 59, 6, offre le due interpretazioni in alternativa: πάθος δὲ πλεονάζουσα ὁρμὴ ἢ ὑπερτείνουσα τὰ κατὰ τὸν λόγον μέτρα, ἢ δρμὴ ἐκφερομένη καὶ ἀπειθὴς λόγῳ, cfr. Ph. De spec. leg. IV

79 (p. 227, 5 Cohn). Tali interpretazioni non fanno che svi-

luppare elementi presenti entrambi nelle due definizioni di Crisippo, riportate da Galeno, Placit. IV 2, 8-18, CMG V 4,1, p. 240, 18-242, 11 (= SVF III 462) e probabilmente sono ori-

ginate dalla difficoltà di spiegare in che termini l’irrazionale e l’eccesso si identificano (per la discussione moderna, cfr. Inwood, 155 sgg., 165- 173). Di queste interpretazioni l'Anonimo si mo-

stra ben cosciente e fra di esse opta in favore di un’interpretazione in senso qualitativo (irrazionale) e non di eccesso: cfr. Giusta, Doss., II, 242. Già Cicerone, in Tusc. IV 21, 47, tra-

duce la definizione stoica di passione, influenzato dalla interpretazione ‘eccesso’; «perturbatio est aversa a ratione contra naturam animi commotio, vel brevius, perturbatio est appeti“tus vehementior (δρμὴ πλεονάζουσο)». L’Anonimo fa una scelta

esegetica precisa, che si oppone a Plu. Virt. mor. 441c A&yeσθαι δ᾽ ἄλογον, ὅταν τῷ πλεονάζοντι τῆς δρμῆς ἰσχυρῷ ye- 792 —

STOICI 3T

νομένῳ καὶ κρατήσαντι πρός τι τῶν ἀτόπων παρὰ τὸν αἱροῦντα λόγον ἐκφέρηται.

II 28-29 ὑπέρτασις: riprende i termini della formula testimoniata da Clemente Alessandrino (brepteivovoo, cfr. supra), ma il sostantivo è attestato solo qui e in Marco Aurelio X 8:

τὸ ὑπέρφρων, τὴν ὑπέρτασιν τοῦ φρονοῦντος μορίου ὑπὲρ λείας ἢ τραχείας κινήσεις τῆς σαρκὸς καὶ τὸ δοξάριον καὶ τὸν θάνατον καὶ ὅσα τοιαῦτα. Il sostantivo, peraltro, sembra avere in Marco

Aurelio un significato, non di ‘eccesso’, ma di 'ele-

vazione al di sopra’.

II 31-34 Per la classificazione dei πάθη per natura e contro natura, cfr. Alcin. Did. 186, 15 sgg.; Apuleio, Plat. II 16, 242-243;

1132

SVF

III 155.

διαλογισμός: normalmente ‘calcolo, esercizio di conto’

ma anche ‘considerazione’ e ‘dibattito, discussione’, qui è solo un sinonimo per λογισμός, allo stesso modo con cui, in un altro passo, l'Anon. usa indifferentemente κρᾶσις e διάκρασις

(cfr. 80 1291, XIV 16 e 23). Per il significato della parola, cfr. Galeno Placit. III 2, 5 (SVF II, 890, 18 von Arnim = 891, 6) εὐθὺς γοῦν ἐν τοῖς ἐφεξῆς οὕτω “γράφει: “τῆς μὲν ὀργῆς γιγνομένης ἐνταῦθα εὔλογον καὶ τὰς λοιπὰς ἐπιθυμίας ἐνταῦθ᾽

εἶναι καὶ νὴ Δία καὶ τὰ λοιπὰ πάθη καὶ τοὺς διαλογισμοὺς καὶ ὅσον τούτοις ἐστὶ παραπλήσιον." οὐδὲν γὰρ ἀναγκαῖον ἔνθα τὰ πάθη

καὶ τοὺς διαλογισμοὺς ἐνταῦθ᾽ ὑπάρχειν, ὡς, εἴ γε

τοῦτ᾽ ἐκ προχείρου τις ἀξιώσειε λαμβάνειν, αὐτὸ τὸ ζητούμενον λήψεται. Qui la parola significa ‘attività deliberativa’ 'esercizio della facoltà di ragionamento’. Cfr. anche l'uso della parola in Plu.

Quaest.

conv. VIII 10, 2, 735b, dove Favorino

espone una teoria dei sogni secondo Democrito: gli eidola provengono dagli oggetti del mondo circostante καὶ προσπίπτοντα μετὰ τούτων ὥσπερ ἔμψυχα φράζειν καὶ διαγγέλλειν τοῖς ὑποδεχομένοις τὰς τῶν μεθιέντων αὐτὰ δόξας καὶ διαλογισμοὺς καὶ ὁρμάς, ὅταν ἐνάρθρους καὶ ἀσυγχύτους φυλάττοντα προσμίξῃ

τὰς εἰκόνας «e quando con tutto questo bagaglio vengono a colpire qualcuno, gli parlano, come degli esseri animati, e comunicano a quelli che li ricevono le opinioni, i ragionamenti e gli impulsi di coloro che li hanno emessi, quando, al momento di entrare in contatto, conservino le immagini chiare e distinte».

II 32

Per la definizione di memoria e ragionamento come

‘affezioni’ naturali dell'anima, cfr. Arist. Mem. 449b5, 25; GC —

793—

STOICI 31

334a13

ai γὰρ ἀλλοιώσεις αἱ τῆς ψυχῆς πῶς

ἔσονται,

οἷον τὸ

μουσικὸν εἶναι καὶ πάλιν ἐἄμουσον, ἢ μνήμη n λήθη; δῆλον γὰρ

ὅτι εἰ μὲν πὺρ n ψυχή, τὰ πάθη ὑπάρξει αὐτῇ ὅσα πυρὶ T nop: εἰ δὲ μικτόν, τὰ σωματικά: τούτων δ᾽ οὐδὲν σωματικόν. ἀλλὰ

περὶ μὲν τούτων ἑτέρας ἔργον ἐστὶ θεωρίας. Cfr. infatti Arist. De an. 409b15 οὐ γὰρ μόνον ὁρισμὸν ψυχῆς ἀδύνατον τοιοῦτον

εἶναι, ἀλλὰ καὶ συμβεβηκός. δῆλον δ᾽ εἴ τις ἐπιχειρήσειεν ἐκ τοῦ λόγου τοὔτου τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα τῆς ψυχῆς ἀποδιδόναι, οἷον λογισμούς, αἰσθήσεις, ἡδονάς, λύπας, ὅσα ἄλλα τοιαῦτα ὥσπερ γὰρ εἴπομεν πρότερον, οὐδὲ μαντεύσασθαι ῥάδιον ἐξ

αὐτῶν, cfr. C. ROSSITTO, 1 πάθη τῆς ψυχῆς nel De anima di Aristotele, Elenchos 16 (1995), 155-178. L’uso neutro di pathos

applicabile alle attività intellettuali dell’anıma risale in effetti a Platone, si veda p. es. Tht. 166b2-3 (memoria/pathos); R 511d7-8 (noesis, dianoia, pistis, eikasia, le quattro modalità della conoscenza sono παθήματα ἐν τῇ ψυχῇ γιγνόμενα; Lg.

664d (il λογισμός rientra fra i πάθη): cfr. B. CENTRONE, Πάθος

e οὐσία nei primi dialoghi di Platone, Elenchos 16 (1995), 131152: 132 nn. 3, 4.

Nella tradizione dossografica più tarda non compare mai

un uso neutro di πάθος che possa permettere di applicarlo al λογισμός: essi sono sempre opposti (cfr. Plu. Virt. mor. 447b sgg.). In genere pathos è il danneggiamento di attività (energeiai) come memoria e ragionamento: molto materiale si trova in Galeno, cfr. Placit. V, pp. 505-513 K. (= CMG V 4, 1,2 pp.

360-362); Sympt. diff. VII, pp. 42-47; 52 K.; Loc. aff. VII, ΡΡ. 31-32 K. In M.M. II 3 (X, p . 89, 5 sgg. K.). Galeno distingue

esplicitamente l'uso antico (platonico) di pathos come alterazione naturale dall’uso dei moderni. Solo nell’esegesi del De anima ricompare un uso neutro di pathos, cfr. Phlp. In de An. 174, 24 τὰ γὰρ πάθη τῆς ψυχῆς εἰσι λογισμοΐ,

λῦπαι, ἡδοναΐ,

φόβοι καὶ τὰ τοιαῦτα.

Il 34 ἀλογιστία, correzione proposta da Diels in apparato, è in realtà la lettura giusta: per l’uso del termine, cfr. Plu. Trang.

an. 466c3-6

... οὐκ ἐξαιροῦσι τῆς ψυχῆς

τὰ λυποῦντα

καὶ ταράττοντα᾽ ταῦτα δ᾽ ἐστὶν ἀπειρία πραγμάτων, ἀλογιστία,

τὸ μὴ δύνασθαι μηδ᾽ ἐπίστασθαι χρῆσθαι τοῖς παροῦσιν ὀρθῶς,

cfr. anche Arıst. Divis. 57 (p. 61, 22 Mutschmann) καὶ πάλιν

EV μὲν ψυχῇ ἀφροσύνη ἀρρωστία τίς ἐστι καὶ ἀλογιστία ψυχῆς. II 36-37 ἡδονὴ καὶ ὄχλησις: cfr. Alcın. Did. 185, 42 ἔστι

— 794—

STOICI 3T

δὲ πάθη ἁπλᾷ καὶ στοιχειώδη δύο, ἡδονή τε καὶ λύπη, τάλλα ἐκ τούτων πέπλασται. οὐ γὰρ συναριθμητέον τούτοις φόβον καὶ ἐπιθυμίαν ὡς ἀρχικὰ ὑπάρχοντα καὶ ἁπλᾶ; per 1 piaceri misti cfr. 186, 8-12. La coppia ἡδονὴ καὶ ὄχλησις ritorna in Phld.

Mus. IV, I B 31-32 (A.J. NEUBECKER, Philodemus. Über die Musik IV. Buch, Napoli, Bibliopolis 1986); Phlp. In APr. p. 276, 25-26.

Nella tradizione stoica ὄχλησις è una forma di

λύπη, cfr. Ps. Andronic. Rhod. περὶ παθῶν, p. 227, 41 GlibertThirry: l'opposizione più ‚zequente è fra ἡδονή e λύπη. Per γενικώτατος cfr. infra e Alcin. Did. 174, 11; Asp. In EN

112, p. 42, 27 sgg. ἄξιον δὲ τοῦτο ζητῆσαι, πῶς λέγεται

παντὶ πάθει ἕπεσθαι ἡδονὴν ἢ λύπην. ἔνιοι μὲν γὰρ ἡγήσαντο γενικώτατα εἶναι δύο ταῦτα πάθη κατὰ τὸν ᾿Αριστοτέλην, οὕτως δὲ γενικὰ ὥστε διαιρεῖσθαι τὸ μὲν πάθος εἰς δύο πάθη, ἡδονὴν καὶ λύπην, τὰ δ᾽ ἄλλα πάντα πάθη εἰς ἡδονὴν ἀνάγεσθαι καὶ λύπην, anche p. 45, 16; Stob. II 7, 10 (p. 88, 14 W.) πρῶτα τῷ γένει ecc.

1139-41

Ps. Andronic. Rhod. I 1 (p. 223, 11 Glibert-Thirry)

τὰ δὲ γενικώτατα πάθη τέσσαρα: λύπη, φόβος, ἐπιθυμία, ἡδονή;

D.L. VII 110; Stob. II 7, 10 p. 88, 14; Asp. IT 42 sgg. Da notare che, rispetto alle l'Anonimo, insieme ad Aspasio (In EN II distingue in modo preciso fra il livello più affezione

corrisponde

una φαντασία

In EN p. 45, 16. versioni parallele, 2, p. 45, 18 sgg.), astratto - ad ogni

(ὑπόληψις in Aspasio)

‘rappresentazione’ di un bene o di un male, secondo l'impostazione intellettualistica stoica - e 1 due livelli più specifici, προσδοκία e παρουσία di un bene o di un male, che distinguono desiderio e paura da piacere e dolore. Il linguaggio è più tecnico e preciso rispetto ad altre fonti, cfr. p. es. Ph. De praem. et poen. 71 (V, p. 352, 2 Cohn) τεττάρων ὄντων ἐν τῇ ψυχῇ παθῶν, δυοῖν μὲν περὶ τὸ ἀγαθὸν ἐνεστὸς è ἢ μέλλον, ἡδονῆς καὶ ἐπιθυμίας, δυοῖν δὲ περὶ τὸ κακὸν παρὸν ἢ προσδοκώμενον, λύπης καὶ φόβου, Cic. Twsc. ΠῚ 11, 24-25: «perturbatio-

num, quae sunt genere quattuor, partibus plures [...] isque motus aut boni aut mali opinione citetur bifariam, quattuor perturbationes aequaliter distributae sunt. Nam duae sunt ex opinione boni, quarum, altera voluptas gestiens [...] altera, cupiditas, quae recte vel libido dici potest [...] ut duo reliqua, metus et aegritudo, malorum»; Serv. Aen. VI 733: «Varro et omnes philosophi dicunt quattuor esse passiones, duas a bonis opinatis et duas a malis opinatis rebus: nam dolere et ti—

795—

STOICI 3T

mere duae opiniones malae sunt, una presentis, alia futuri; item

gaudere et cupere opiniones bonae sunt, una praesentis, alia futuri». Per una rassegna completa dei luoghi paralleli, vedi A. GLIBERT-THIRRY, Pseudo-Andronicus de Rhodes «περὶ παθῶν», éd. crit. du texte grec et de la trad. latine médiévale, Leiden,

Brill 1977 («Corpus latinum commentariorum in Aristotelem graecorum», Suppl. 2), 273-279.

II 43 sgg.

Cfr. p. es. Asp. In EN p. 45, 20 πάλιν δὲ ἐπὶ

toig ἱμέλλουσι] προσδοκωμένοις ἀγαθοῖς ἐπιθυμία ovußaiveı, ὄρεξις οὖσα ὡς φαινομένου ἀγαθοῦ. III 1 sgg. Cfr. Gal. Placit. IV 2, 1 (CMG V 4,1, 2, p. 238, 27) τὴν λύπην ὀριζόμενος δόξαν πρόσφατον κακοῦ παρουσίας, τὸν δὲ φόβον προσδοκίαν κακοῦ; [Plu.] Lib. et aegr. 7 (p. 46, 2 Ziegler - Pohlenz) κρίσις γὰρ ἢ λύπη κακοῦ τινος αὐτῷ

παρόντος ... ὃ φόβος κακοῦ μέλλοντος, D.L. VII 112 ecc. Col. XIV

15-32

Come introduzione al sommario del Timeo di Platone, al-

l'interno della dossografia peripatetica sulle cause di malattia, che costituisce la parte centrale del testo dell’Anonimo Londinese, viene esposta una teoria delle mescolanze, che è di ori-

gine stoica e deriva anch'essa dalla tradizione dossografica, cfr. Giusta, Doss., II, 287 e n. 3. Per un commento dettagliato, cfr.

la testimonianza su Platone (80 129T). Col. XXX

15-24

[ἀλλ᾽ éxei]|vo ῥητέον ὅτι ἐπὶ τοῦ πρώτίου ἐκκει!μένου yivovται οἱ πλείου[ς τ(ῶν) ἀρχαίων | Kai εἰς τοῦτο ὑποδείΐγματι χρῶν[ται τῇ θαϊλάσσῃ καὶ τῷ ἡλίῳ" οὗτος [y(ap) τῷ ἄναμ Ina

νοερὸν ἐκ θαλάσ[σης εἶναι ἀπὸ] Ι τοῦ νοστίμου τοῦ κ(ατὰ) τὴν θ[άλασσαν] | τρέ[φ]εται, ἀναλαμβάνων μ[ὲν τὸ λεπτόν, τὸ δὲ] | ἀργότερον καὶ παχύτερον κ[αὶ ἁλμυρὸν (καταλ)λεί]πων ἐν τῇ

θαλάσσῃ 18

τοῦτο υ ποδιγματι

19

dopo twınkımı spazio bianco

24 dopo mıdadaccnı spazio bianco —

796 —

21

x

STOICI 3T

15 [π(ρὸς) δὲ ἐκεῖ-} ed.pr. 16-17 suppl. ed.pr. 17 τ(ῶν) ἀρχαίω]ν suppl. ed.pr. 19-23 suppl. ed. pr.: possis etiam οὗτος [γ(ὰρ) (ἐστι) ἄναμ]μα νοερὸν ἐκ θαλάσί[σης καὶ ἐκ] τοῦ νοστίμου κτλ,

Ma bisogna dire che sulla prima posizione si trovano la maggior parte degli antichi e utilizzano per questo l’esempio del mare e del sole: questo infatti, che è un ‘oggetto intelligente che si accende dal mare’, si nutre della parte buona che si trova nel mare, assumendo ciò che è leggero, e lasciando invece nel mare ciò che è inutile e pesante e salato.

Nell’ambito

dell’esposizione di una dossografia sulla na-

tura dell'urina, che è motivata dal fatto che c’è divisione n]apà τοῖς ἀρχαίοις τ(ῶν) φιλοσόφων (XXIX 52), l'Anonimo intro-

duce questo richiamo all'opinione dei ‘filosofi’ (l’integrazione t(@v) ἀρχαίων

di Diels a τ. 17 sembra preferibile a τ(ῶν) φι-

Aocöplwv per ragioni di spazio e riproduce una definizione stoica, che sembra avere qui perso un'identità precisa: essa è infatti esposta anonimamente, riferita a una generalità di antichi. Perciò l'Anonimo sembra iignorarne la matrice stoica, dal momento che di solito oppone gli Stoici agli antichi, cfr. supra. 15-16 [ἀλλ᾽ £xet]|vo ῥητέον: non è necessario qui intendere,

come Diels, che l'Anonimo contrapponga l'esempio del sole al discorso precedente («contro questo discorso si deve dire che ecc.»). Sembra piü corretto integrare con una formula di passaggio meno forte, anche perché alla fine l'Anonimo non

prende una posizione precisa nei confronti della dossografia, cfr. r. 31 οὐκ ἔχομεν παγίως εἰπεῖν κτλ.

19-20 (ἥλιος) ἄναμ)μα νοερὸν ἐκ θαλάσσίης: il testo, con

una congettura di Diels del tutto sicura, riprende la definizione del sole attribuita generalmente agli stoici, anche se ci sono

diverse

attribuzioni.

Nella tradizione dossografica, i in-

fatti, Aet. II 20, 16 (Dox. Gr., p. 351= Stob. I 25, 1) attribuisce la definizione a Eraclito ed Ecateo (Ἡράκλειτος καὶ Ἑκαταῖος

èἄναμμα νοερὸν τὸ ἐκ θαλάττης εἶναι τὸν ἥλιον); agli

Stoici è attribuita in D.L. VII 145 (= Posidon. fr. 262 Theiler); da Aét. II 20, 4 (Dox. Gr., p. 349: Plutarco, ma Stobeo la

attribuisce a Cleante = SVF I 501; II 665); Porph. Antr. 11. DM



797 —

STOICI 4T

4T POxy 1082, coll. XII 4-10; XIII 5-14 Sec. IIP Cercıdas, Meliambi, VI (frr. 6a, 6b Livrea, = frr. 4, 5 Hunt) Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library, ınv. 2054.

Edd.: A.S. HUNT, POxy VIII (1911), 20-59: 23, 26, 38-41, 57-58; P. MAAS, Cercidae cynici meliambi nuper inventi x@Aouetpia instructi, BPhW 31 (1911), 1011-1016: 1015; J.U. POWELL, Collectanea Alexandrina, Oxford, Oxford Univ. Press 1925, 210-212; E. DIEHL, Anthologia Lyrica Graeca, BT 1936, 1952", IMI, 147; 150-151; A.D. KNOX, Herodes, Cercidas, and the Greek Choliambic Poets, Loeb 1929 (1946?), 214-217; E. LIVREA, Studi Cercidei (P.Oxy. 1082), PTA 37 (1986), 142-146; L. LOMIENTO, Cercidas, Roma, G.E.I. 1993 («Lyricorum

graecorum

quae exstant»,

10), 100-102; J.L. LOPEZ CRUCES, Les méliambes de Cercidas de Mégalopolis, Amsterdam, Hakkert 1995, 259.

Tavv.: POxy VIII, II.

Comm.: MP? 237 (= P? 237) P. Maas, BPhW 31 (1911), 12151217; A. MAYER, Zu Kerkidas Fr. 5, BPhW 31 (1911.45), 14221423; H. VON

ARNIM,

Zu den Gedichten

WILAMOWITZ

MOELLENDORFF,

des Kerkidas, WS 34

(1912), 1-27: 6; 23-25; A. KÖRTE, APF 5 (1913), 554-555; U. VON ‘Kerkidas’,

SPAW

1918,

1138-

1164: 1140, 1151-152 (= Kleine Schriften, Berlin, Akademie Verlag 1941, II 128-159: 131, 143-145); G. PASQUALI, Orazio lirico. Studi, Firenze, Le Monnier 1920, 210-213; New Chapters, 1, 212: 9 (E.A. BARBER); A.D. Knox, The Kerkidas Papyrus. II, CR

39 (1925), 53-55; MILNE, n° 59; D.R. DUDLEY, PCPhS

166/168

(1938), 4; A. PENNACINI, Cercida e il secondo cinismo, AAT 90 (1955-1956), 274-275; T.W. AFRICA, Phylarchus and the Spartan

Revolution, Berkeley-Los Angeles, Univ. of California Press 1961, 20; T.B.L. WEBSTER, Hellenistic Poetry and Art, London, Methuen

1964, 232; D.R. DUDLEY, A History of Cynicism, Hildesheim, Olms 1967, 93; G. Marasco, Commento alle biografie plutar-

chee di Agide e di Cleomene, Roma, Ateneo 1981 («Bibliotheca Athena», n.s. 1), II, 363; LIVREA, supra, 140-141; 158; LOMIENTO,

supra,

163-164;

268-271;

275-279;

147-151, 154285-293;

E.

LivREA, Un frammento di Cleante ed i meliambi di P.Oxy. 1082, —

798—

STOICI 41

ZPE 67 (1987), 37-41: 40; L. LOMIENTO, Note testuali a Cercida, QUCC 43 (1993), 69-77: 77, LOPEZ CRUCES, supra, 258; 92, 131132, 180-181, 233.

Col. XII 4-10 (= fr. 6a)

τοῦτο γάρ ἐστ᾽ ἀγαθῶ, τοῦτ᾽ εὐθυδίκω | [δελ]εαστᾶ, / Στωικὲ Καλλιμέδων - | [+ 8]. [ἐστι πονηρά / καὶ | [+ 10]ueva Σφαίρῳ γὰρ | [αἴ κεν / ἀΐθεον] προβάλῃς ἢ καὶ «u[8nvfic / "Αγΐχιτον εἰς ἀρετάν, |... . ταραχῶ]δες ἰχνεύεις/ 5 Jeaota 6 ].*[.].[.]ctxovnpa pap.: la prima traccia visibile viene riconosciuta come dicolon nel testo da Livrea ma, dalla revisione del-

l'originale pare assai difficile pronunciarsi; la seconda lettera incerta & probabilmente o: la ricostruzione di Livrea è congrua con la lacuna e le tracce 7

]uevacgapo 4

8

rpoßaAnc

Εὐθυδίκω nomen proprium Maas, Powell, Diehl, Mayer, εὐθυδίκω

Wilamowitz, edd. plerique

5 [δελ]εαστᾶ suppl. Knox 1925

Στίωικε:

Jowxe legit ed.pr., Jwıxe rest. Maas metri causa, Στωιϊικὲ coni. Mayer, legit

Knox 1925

Καλλιμέδων nomen proprium agnovit Hunt, coll. Athen.

104cd 6 [οὐ Σκύλλα μόνα] ’στι ‘hetaerae’ nomen restituit Mayer — [à ö’aipelolilg Livrea, [ἅδ᾽ atpalrlög ἐστι Knox 1925, [τᾷδ᾽ ἀτρακτός ἐΐστι Κηοχ 7 [κακοῖς πεφυρ]μένα Livrea, [κακοῖς τετριμ]μένα Knox 1925

Σφαίρῷ: nomen proprium philosophi agnovit Wilamowitz ap. Hunt, coll. D.L. VII 6, Plu. Cleom. 11 8 [αἴ xev / ἀΐθεον] suppl. Livrea, αἴ τι / Knox; / ἄθλον ἐὰν) Mayer, Diehl, / «àv ἰδίων] prop. Knox 8-9 τι[θηνῇς suppl. Maas ap. Mayer, accep. Diehl, Livrea, καί τι [ Hunt mavult Lomien-

to

9 "Ay]xwov nomen proprium suppl. Maas (cf. Livrea, 150) coll. He-

rod. GG, 3, 1, p. 220, 23 Lentz et Emp. fr. 1, 1 et edd. plerique, οὐ]χὶ τόν

Knox 1925

ταραχῶ]δες suppl. Mayer, coll. Rhian. AP XII 146, 1 et prob.

Livrea, coll. fr. 2, 29, ὁδαγόν, avarlöes Knox

1925, τἀταραχῶ]δες Knox

1929

Questo si è proprio del bravo e perfetto seduttore, o stoico Callimedonte; ma è una cattiva [...]: se metti accanto a Sfero [un giovinetto] e [se allevi] Anchito per la virtù ... sei sulle peste [di un

elemento perturbante].

Col. XIII 5-14 (= fr. 6b) τᾶς δὴ το[ι] αὐτὰς / —

799 --

STOICI 4T

σκεπτοσύνας xev[ò] | un σπουδὰν ποιεΐσθαίι / 10 1T; 56 2T; 1.2] Manuale di tecnica stilistica Sec. III? Prov.: Oxyrhynchus. — 853 —

THEOPHRASTUS

6T

Cons.: Toledo (U.S.A.), The Toledo Museum

of Art.

Eda.: A.S. Hunt, POxy VII (1910), 82-103: Treatise on Literary Composition: 89; F.J. FROST, Themistokles. Literary, Epigraphi-

cal and Archaeological Testimonia. Ed. by A. Bauer. Second Edition, Augmented and revised by F.J. Frost, Chicago, Argonaut 1967, 126-127; L. PICCIRILLI, Temistocle εὐεργέτης dei Corciresi,

ASNP s. III, 3.2 (1973), 317-355: 318; L. PICCIRILLI, Gl arbıtrati interstatali greci, Introd., ediz. critica, trad., comm. e indici a cura di L. P., Pisa, Marlin 1973, I, 61-62; F.J. FROST, Plutarch’s

Themistocles. A Historical Commentary, Princeton N.J., Princeton Univ. Press 1980, 202; FHSG [1992], n° 611, II, 460-461. Tavv.: POxy VII, IV (frr. 1-3, coll. I-IID; ASNP s. III, 3.2 (1973), XXXIII (fr. 9, coll. I1-III).

Comm.: MP’ 2289 (= P? 2289) 893; A. KÖRTE,

APF 6

(1913),

K. FuHR, BPhW 31 (1911), 892257-258;

O.

REGENBOGEN,

RE

Suppl. VII (1940), 1517; PICCIRILLI, Temistocle, supra, 323-326, 339-340; G. FANAN, Il lessico del P.Oxy. 1012, SCO 26 (1977), 201, 220, 221, 224, 233, 235; FROST,

1980, supra, 201-202; L. Pıc-

CIRILLI, Plutarco, Le vite di Temistocle e di Camillo, (a cura di C. Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli), s.l., Fondazione Lorenzo Valla - A. Mondadori 1983, 270.

πράγματα δὲ ὡς Θουκυδίδης" εἰπὼν γὰρ ὅτ[ι] Θεμιστοκλῆς ἧκεν |? εἰς Κέρκυ[ρ]αν φεύγων ὅτι ἦ]ν αὐϊτῶ[ν] εὐ[εργέϊτης, τὴν εὐεργεσίαν | [οὐκ eine ταύ]την΄ Θεόφραστος Ι [δὲ ἐν τοῖς

περ]ὶ καιρῶν pnoli) Sial[popàv ἔχειϊν τοὺς Κερκυραί[ο]υς |? ἱΚορινθίοις] καὶ διαιτητὴν γε[[νόμεν]ον κρῖναι καὶ ἀποδοῦ!νίαι ΚἸ]ερκυρ[α]ίοις τὸν Κορινθίων δῆμον εἴκοσι τάλαντα [καὶ] |

κ[οινῇ Λευϊκ[άδα νεμηθ] ἢ[vor + 3] 31 kpewat καὶ é omesso dall’ed.pr. e da tutti gli altri editori 33 la traccia all’inizio del r. corrisponde con ragionevole sicurezza ad un ὦ come ha letto Fuhr, e non ad un o come presso l’ed.pr. 23-33

suppl. (usque ad τάλαντα r. 33) ed.pr., monente Wilamowitz

33-34 καὶ - νεμηθῆναι supplevi : [Λευϊκ[άδα δὲ κοινῇ νέμειν᾽ Fuhr [Λευκ[άδα καὶ κο]ι[νῇ νέμειν] &[uood]" ἔρων ἄποικον} e.g. Piccirilli

(talvolta un autore omette) circostanze storiche, come Tucidide,

poiché dicendo che Temistocle in fuga si recó a Corcira, in quanto era un loro benefattore, non disse di quale beneficio si trattava; Teo-

— 854—

:

THEOPHRASTUS

6T

frasto nel Περὶ καιρῶν dice che i Corciresi avevano una controversia con 1 Corinti e che (Temistocle), divenuto arbitro, giudicò sia

che il popolo dei Corinti pagasse venti talenti ai Corciresi, sia che Leucade fosse colonia in comune.

Segnalata da una paragraphos fra il r. 22 e il v. 23, inizia la sezione (rr. 23-56) relativa alla mancata esposizione di circostanze storiche (r. 23: rpayuata) presso Tucidide (che fa se-

guito alla sezione relativa alla mancata indicazione di nomi

personali presso Eschine). In questo primo caso il riferimento è a quanto lo storico afferma a proposito dell’esilio corcirese di Temistocle (I 136): ὃ δὲ Θεμιστοκλῆς προαισθόμενος φεύγει ἐκ Πελοποννήσου ἐς Κέρκυραν, àv αὐτῶν εὐεργέτης indicazione correttamente parafrasata ai rr. 23-26, e conclusa (rr. 26-

7) dalla rilevazione della mancata indicazione del beneficio di cui i Corciresi avevano goduto.

L'illustrazione della circostanza taciuta, e presupposta, da

Tucidide è effettuata per mezzo della citazione teofrastea, palesemente non letterale e rielaborata redazionalmente, in modo

non diverso dall’immediatamente precedente trattamento della frase tucididea. Il resoconto dovuto a Teofrasto si ritrova sostanzialmente

identico presso Plutarco (Them. 24, 1 già richiamato presso

l’ed.pr., con individuazione dovuta a Wilamowitz): γενόμενος γὰρ αὐτῶν (sc. τῶν Κορκυραίων) κριτὴς πρὸς Κορινθίους ἐχόντων

διαφοράν, ἔλυσε τὴν ἔχθραν εἴκοσι τάλαντα κρίνας τοὺς Κορινθίους καταβαλεῖν καὶ Λευκάδα κοινῇ νέμειν ἀμφοτέρων ἄποικον, con espressioni notevolmente simili, che sono state appunto utilizzate per le — sicure- integrazioni del papiro proposte presso l'ed.pr. Probabilmente a causa della mancata tra-

scrizione del καὶ del τ. 31 (che per altro sorprende non poco,

e che è stata passivamente recepita da tutti gli altri editori), l’ed.pr. ha limitato l’integrazione al primo aspetto dell’arbitrato di Temistocle,

ovvero il risarcimento di venti talenti a

carico dei Corinti, senza tentare di reintegrare il secondo aspetto, ovvero la decisione relativa al condominio di Leucade. Tale decisione doveva figurare alla fine del r. 33 (ove mancano 3 lettere) e nel r. seguente (pressoché totalmente perduto, salvo un x iniziale, praticamente sicuro, e un altro paio di tracce) laddove alla fine del r. 34 e nel successivo r. 35 doveva ini—

855—

THEOPHRASTUS

6T

ziare la trattazione del secondo caso di mancata esposizione di circostanze storiche presso Tucidide, che appare già svolto al τ. 36. L'individuazione della necessità della presenza del secondo aspetto dell’arbitrato si deve a Fuhr, 892-893, che, sulla base di Plutarco, propone dubitativamente, ai rr. 33-34, [Aev]κ[άδα δὲ κοινῇ νέμειν. Senz’altro corretta nella sostanza, l’in-

tegrazione è però insoddisfacente nei particolari, non solo per quanto consegue la mancata trascrizione del kai del r. 31 (che rende impossibile la presenza di un δέ),ma anche per l’improbabilità di una costruzione che vedesse soggetto di νέμειν solo il Κορινθίων δῆμον, senza alcuna menzione dei Corciresi. Più recentemente Piccirilli, Temistocle, 318 e Arbitrati, 61-62,

propone invece, exempli gratia, aì rr. 33-35: [Λευκάδα καὶ κο]ι[νῇ νέμειν] ἀ[μφοτέρων &ἄποικον ? --]. Il καί - che risponde

a quello del r. 31, non riportato da Piccirilli — deve però es-

sere in prima posizione (alla fine del r. 33, ove mancano appunto tre lettere), e la sicura traccia di un x all’inizio del r. 34 consiglia di continuare l'i integrazione con k[owfi Aevik[ada (la

seconda traccia esistente si presta anch’essa benissimo ad un K). Per quanto poi riguarda la conclusione dell’integrazione, la proposta del Piccirilli ricalca totalmente l’espressione plu-

tarchea: vi sono però due difficoltà. Anzitutto si verrebbe così ad impegnare parte del r. 35, che deve essere invece riservato tutto alla trattazione del secondo caso di omissione tucididea,

che al r. 36 appare già piuttosto avanzata. In secondo luogo

l’espressione di Plutarco utilizzata è alquanto ampia e diffusa, contro l’usus del papiro, asciutto e conciso, per cui, exempli

gratia, si propone di concludere con un semplice νεμηθ]ῆ [vai (la traccia esistente si presta benissimo ad un n).

L’estrema vicinanza comunque, contenutistica e lessicale, della citazione teofrastea (ancorché non letterale) e del passo

plutarcheo impone all’attenzione la questione di un sicuro collegamento dei due autori, ovvero di una dipendenza di Plu-

tarco da Teofrasto, o di entrambi da una fonte comune. Frost 1967, 121 e n. 76 sostiene la diretta dipendenza di Plutarco da Teofrasto, adducendo a conferma la sicura conoscenza da parte dello storico dell’opera teofrastea in questione (vd. oltre), oggetto di uno studio di cui il Catalogo di Lampria (n° 53) ci conserva il titolo: Περὶ Θεοφράστου πολιτικῶν πρὸς τοὺς καιροῦς

(cfr. anche Frost 1980, 201). L’opinione di Frost ἃ accettata da Piccirilli, Temistocle, 317, 339-340, —

856—

cha avanza

altresì l'i-

THEOPHRASTUS

6T

potesi che la fonte di Teofrasto fosse un’Atthis «di tradizione antitemistoclea

e antitucididea»,

«forse quella di Clidemo»,

«del resto non [...] ignoto a Teofrasto, che ci ha conservato

alcuni frammenti dell’attidografo» (cfr. 340, n. 3). Ancorché poi successivamente Piccirilli, Arbitrati, 63 e 1983, 270, sia più cauto, non escludendo la possibilità di una dipendenza plutarchea solo indiretta, la sicura conoscenza approfondita da

parte di Plutarco dell’opera teofrastea segnalata dalla testimonianza costituisce ragionevole garanzia di una dipendenza diretta. L’arbitrato di Temistocle di cui si tratta deve aver avuto luogo non molto prima del 483/82 a.C., e comunque sicura-

mente prima della battaglia di Salamina, per porre termine appunto alla controversia fra Corciresi e Corinti circa il possesso della comune colonia Leucade, e si concluse dunque con la conferma del condominio insidiato dai Corinti, condannati al-

tresì al pagamento di una multa di venti talenti a favore dei Corciresi,

verisimilmente

a risarcimento

di danni subiti nel

corso della controversia (cfr. rr. 31-32 ἀποδοῦναι), e quindi a netto vantaggio dei Corciresi, che probabilmente con pubblico decreto dichiararono Temistocle loro εὐεργέτης. Quando poi, nel 471/70, fu accusato di tradimento e ricercato per il processo, lo statista fuggì da Argo e si recò anzitutto a Corcira,

sicuro di una buona accoglienza che però non durò a lungo.

Su tutta la ricostruzione dei fatti si veda Frost 1980, 40-41 e Piccirilli, Temistocle, soprattutto 317-327, Arbitrati, 62-66 e 1983, 270, con le indicazioni delle altre fonti antiche e le am-

pie bibliografie citate. Va però segnalato Hude) riporta un’altra ficio di Temistocle a avrebbe impedito che

che lo scolio a Tucidide I 136 (p. 99 motivazione del non specificato benefavore dei Corciresi, ovvero che egli gli alleati greci impartissero una dura

punizione ai Corciresi per non aver preso parte alla seconda

guerra persiana. La notizia appare autoschediastica, sulla base

del comportamento di Temistocle a favore di altre popolazioni greche ‘neutrali’ (cfr. Plu. Them. 20, 3-4), ed è comunque smen-

tita non solo da quanto affermato da Teofrasto, seguito da Plutarco, ma anche, ovviamente,

dalla persuasiva datazione del-

l'arbitrato (cfr. soprattutto Piccirilli, opp. citt., locc. citt.). Si deve infine affrontare la questione della mancata specificazione presso Tucidide della natura del beneficio ricevuto —

857—

THEOPHRASTUS

6T

dai Corciresi, che ci riporta alle intenzioni dell’anonimo

au-

tore del Manuale di tecnica stilistica che tramanda la testimonianza teofrastea. Dall'esame infatti dell'immediatamente successivo caso di omissione tucididea segnalato dal papiro (rr. 35-56) — ovvero del mancato riferimento, nel discorso dei Corinti che enumeravano 1 propri benefici nei riguardi degli Ateniesi (cfr. Th. I 41), del beneficio pià importante, il sostegno contro il tiranno Ippia - Piccirilli, Temistocle, 339 sgg., individua una linea interpretativa di un Tucidide anticorintio (e filotemistocleo), per cui le omissioni segnalate sarebbero viste come intenzionali, e quindi l'autore del Manuale attingerebbe a fonti antitucididee (e antitemistoclee). Tale eventualitä non

può certo essere esclusa, e potrà forse anche essere probabile, ma non si può non segnalare che una siffatta valutazione delle omissioni tucididee appare alquanto forzata, giacché nel secondo caso Tucidide non sottace certo come a buon dirittoi Corinti potessero ritenersi benefattori degli Ateniesi, e nel

primo caso attualmente in esame, se non viene esplicitata la notizia dell’arbitrato, è proprio Tucidide a sottolineare - senza alcuna necessità nel contesto -- che Temistocle era εὐεργέτης dei Corciresi, circostanza che avrebbe senz’altro omesso se

avesse voluto operare un’intenzionale ‘censura’. Se dunque si può concordare con Piccirilli, Temistocle, 325, che l'omissione

sia voluta, perché lo storico «non poteva ignorare o non indagare per quale motivo o in quale circostanza Temistocle divenne εὐεργέτης dei Corciresi», sarà da accogliere la prima al-

ternativa che propone, e cioè «che egli non ritenesse importante tale chiarimento nell’economia del primo libro delle sue Storie», laddove la seconda alternativa, «che, apparendogli l’arbitrato un vero e proprio favoritismo e intrigo politico che poteva mettere Temistocle in cattiva luce, l'abbia passato sotto silenzio per non screditare un personaggio, che egli cerca di

rivalutare al massimo e di difendere, e verso il quale egli nutre una profonda simpatia», andrà senz'altro scartata, giacché in tal caso avrebbe omesso dv αὐτῶν εὐεργέτης, specificazione

di cui non v’era alcuna necessità, e che avrebbe senz’altro prodotto una controproducente curiosità. La testimonianza teofrastea è qui attribuita ad un’opera denominata Περὶ καιρῶν, titolo noto anche dal catalogo di Diogene Laerzio delle opere di Teofrasto (V 50, 25 Long: Περὶ —

858—

THEOPHRASTUS 6-7T

καιρῶν α΄ β΄), da Suida (Σ 2804 s.v. Κυψελιδῶν ἀνάθημα ἐν

᾿Ολυμπίᾳ) e dal Lessico di Fozio, che ne citano il II libro (vd. FHSG, n° 589, 5). Accanto al titolo Περὶ καιρῶν è tramandato però anche un titolo Kaıpoi (Suida, A 4101 [s.v. ἀρχὴ Σκυρία]: Θεόφραστος ἐν τοῖς πρώτοις καιροῖς, vd. FHSG, n° 589, 6). Ma, soprattutto, è abbastanza copiosamente attestato un titolo Πολιτικῶν πρὸς τοὺς καιροὺς α΄ β΄ γ᾽ δ΄, riportato dal medesımo catalogo dı Diogene Laerzio (V 45, 3 Long), e noto an-

che da Arpocrazione (E 113, p. 107 sg. Keaney, s.v. ἐπίσκοroc, che ne cita il primo libro), da Partenio (18 {citazione del I libro] e 9 [citazione del IV libro], in entrambi ı casi omet-

tendo πολιτικῶν), e, come si è visto, dal catalogo di Lampria

delle opere plutarchee (n° 53, anche qui con omissione di πολιτικῶν, reintegratovi però da Ziegler): si veda FHSG, n° 589, 4ab. Nonostante la duplicazione del titolo presso Diogene Laerzio, le differenze formali del titolo stesso e la diversità nel numero dei libri, è ormai opinione comune che si tratti, in tutti e tre 1 casi, della medesima opera: si veda Regenbogen, 1517 (che cita a sostegno anche questo papiro) e Piccirilli, Te-

mistocle, 323 n. 3. Recentemente peró Fortenbaugh - Huby Sharples - Gutas, n° 589, 6, propongono, senza alcuna motivazione, di identificare solo l’ opera intitolata Kaıpoi con l'una o l'altra delle restanti, valutando dunque Πολιτικὰ πρὸς τοὺς καιροὺς e Περὶ καιρῶν titoli di due opere distinte. Conside-

rando tuttavia le consimili oscillazioni e duplicazioni nella tra-

dizione dei titoli teofrastei, e la palese (e talvolta obiettiva-

mente esasperata) cautela documentaria dei recenti editori, si dovrà ritenere che l’identificazione di un’unica opera possa darsi come ormai acquisita. EM

77 De prudentia PRossGeorg

122, col. 110 [vd. supra, 2]



859—

THEOPHRASTUS

ST

8T De regno

POxy

II

1611, fr. 1, coll. II 38-III 54 [> 29 5T; 80 1027]

Excerpta da hypomnema?

Sec. III? in.

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Bodleian Library, MS Gr. class. b 17 (P). Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy XIII (1919), 127-148: 133;

P. Maas, Akusilaos über Kaineus, Sok n.s. 7 (1919), 191 (= Kleine Schriften, München, Beck 1973, 65-64); L. DEUBNER, Bemerkungen

zu einigen literarischen Papyri aus Oxyrbynchos, SHAW 17 (1919), 3 (con proposte di F. BOLL); K.Fr.W. SCHMIDT, GGA 184 (1922), 96-97; H. DieLs in 9B40a DK, I 59-60; FGrHist 2 F 22, IA 53;

G. ARRIGHETTI, Il POx XIII 1611: alcuni problemi di erudizione antica, SCO

17 (1968), 77-78; ARRIGHETTI,

FHSG [1992], n° 600, II, 452-455. Comm.: MP’ 2290 (= P^ 2290)

Poeti,

eruditi, 206;

MAAS, supra, 191-193; DEUBNER,

supra, 3-8; SCHMIDT, supra, 96-97; FGrHist

2 F 22, I a 379; AR-

RIGHETTI, 1968, supra, 76-81; ID., Fra erudizione e biografia, SCO 26 (1977), 64-65; ARRIGHETTI, Poeti, eruditi, 204-210; F.

MONTANARI, The Mythographus Homericus, in Greek Literary Theory after Aristotle (ed. 7.6.1. Abbenes, S.R. Slings, I. Sluiter), Amsterdam, VU Univ. Press 1995, 157-158.

ὅτι τὸ παρὰ Θεοφράστῳ | λε[γό]μενον £v τῷ δευ]} τέρῳ περὶ βασιλείας | περὶ τοῦ Καινέως δόρατος τοῦτο᾽ “καὶ οὗτός | ἐστιν

ὡς ἀληθῶς ὁ τῷ | σκήπτρῳ βασιλεύων, |^ ὁ τῷ δόρατι καθάπερ Ι ὃ Καινεύς. ἄξιον yàp | ἱκρα]τεῖν ὃ Καινεὺς τῷ | [δόρ]ατι, ἀλ-

λ᾽ ᾿οὐχὶ τῷ oxfill[n]tpq καθάπίερ οἱ πο]λ [Ao] βασιλεῖς, [ἡγεῖτο] οὐ! [γὰρ] ἐδύνατο. μ[ετὰ] τῆς] [ὑπ᾽ ᾿Αἰκουσιλάου [τοῦ] 'Aplyetov καταλίεγομένης] | ἱστορίας ἀπολῦσαίι δεῖ. 38 il rigo comincia in ekthesis di due lettere [oltı ed.pr. θεοφραςτωι (anche successivamente lo iota mutum è apposto costantemente e regolar—

860—

THEOPHRASTUS

mente)

49-53 o

52 costituivano, bordi sembrano vetro il frustolo in xoJAl[Xo]t di alto: le tracce si εδυνατο si vede rispondere solo

8T

alla fine del r. 49, ov del τ. 50, τῆς del τ. 51 e ap del r.

secondo l'ed.pr., un frustolo separato: dalla fotografiai combaciare perfettamente, anche se nella sistemazione sotto é scivolato verso il basso di poco piü di 3 mm 49-50 A rimane solo un punto in basso, e di ı solo un punto in presterebbero dunque a molteplici restituzioni 51 dopo solo un punto in basso, e l'ed.pr., segnalando che può cora un x, ad un u o ad un v, propende dubitativamente per

un x[póc, essendoci

necessità di una preposizione: p[età sarebbe insoddi-

sfacente. La residua traccia & peró talmente accostata alla parola precedente che non si può pensare ad un tratto verticale come in x, v o x, bensì ad un tratto obliquo

soddisfacente 53

come

in p, e s'impone dunque μ[ετὰ, che non è affatto in-

τῆς ed.pr., ma nella fotografia del τ non rimane più nulla

xoroAleyonevnc] ed.pr., ma il τ, di cui rimane l’intero tratto verticale,

è sicuro 38-54 suppl. ed.pr., praeter ea quae ultra inveniuntur Maas : o(0) corr. ed.pr., edd. pl. 46. ἀξιῶν corr. ed.pr., 50 oi x]ol[AXo]i ed.pr., edd. pl. : οἱ npJölftepo]i Maas : ot ev oi £[vepo]t Schmidt 50 [ἡγεῖτο] Boll, edd. pl. : [ἐσφάλη ?] Schmidt 51 [γὰρ] ed.pr., [μὴν] Boll, edd. pl. longius

supplevi : πρὸς ὃ ed.pr., edd. pl.

45 ὃ pap., Schmidt 49θρ]όΐνω]ι Diels: ed.pr. : [ἐπνίγη] spatio μ[ετὰ

54 δεῖ suppl. Boll, edd. pl.

Ció che Teofrasto afferma nel secondo libro del Περὶ βασιλείας

a proposito della lancia di Ceneo è quanto segue: “E questi è veramente colui che regna con lo scettro, lui che regna con la lancia come Ceneo. Infatti Ceneo riteneva opportuno dominare con la lan-

cia, ma non con lo scettro come la maggior parte dei re: dal momento che non poteva”. Si deve sciogliere la difficoltà per mezzo della storia esposta da Acusilao di Argo.

Sul carattere dell’opera conservata in POxy 1611 cfr. soprattutto Arrighetti, opp. citt., con la bibliografia. Segnalata da una diple obelismene fra il r. 37 e il 38, inizia una sezione dedicata a Ceneo, che si conclude al r. 100 (si noti

una diple obelismene fra il r. 100 e il 101: la sezione che inizia al r. 101 è parimenti introdotta da ὅτι). La sezione su Ceneo inizia con la citazione dal secondo libro del Περὶ βασιλείας di Teofrasto, sulla precisa delimita-

zione della quale i vari editori non sono in accordo (per quanto riguarda, ovviamente, la fine, ché sull’inizio con καὶ οὗτός ἐστιν del r. 42 non possono esservi dubbi). L’ed.pr., 141 individua quattro possibili delimitazioni della citazione teofra—

861—

THEOPHRASTUS

stea: con

8T

Καινεύς del r. 46; con ànoA9co[t

del r. 54; con

ἀποθνήσκει del τ. 83 o con Καινέα del τ. 85, preferendo perö la prima possibilitä (anche in sede di traduzione, 139). Negli ultimi due casi però la citazione di Teofrasto ingloberebbe al suo interno anche la la citazione di Acusilao che” va da Kaıvnı

del τ. 56 fino ad ἀποθνήσκει

del τ. 83 (= fr. 9B40a

DK

=

FGrHist 2 F 22), e anche senza valutare l’altissima improba-

bilità di una così ampia citazione letterale di Acusilao da parte di Teofrasto, sarebbero in tal modo

da considerare come ap-

partenenti all’originario testo teofrasteo anche sequenze di natura palesemente redazionale, che non possono in alcun modo essere attribuite all’Eresio. In entrambi 1 casi si tratterebbe della frase (rr. 51-54) μ[ετὰ] τῆς | fon’ ᾿ΑἸκουσιλάου [tod] ’Aplyeiov καταλ{εγομένης] | ἱστορίας ἀπολῦσαι δεῖ, che tra-

disce palesemente un intento letterario (cfr. Arrighetti 1968, 79-80 e Poeti, eruditi, 207-208), sicuramente estraneo all’opera

politica teofrastea. Nell’ultimo caso si aggiungerebbe

poi la

frase conclusiva (rr. 83-85) τοῦτ᾽ e[o]tiv | γὰρ ἴσως τὸ (corr.

ed.pr. ex τι) τῷ δόρατι ἄρχειν τὸν Καινέα, ove l'ignoto autore stesso riconosce di non essere ben sicuro del senso da attri-

buire all’espressione utilizzata da Teofrasto! (si veda comun-

que oltre). Nel caso infine della seconda possibile delimita-

zione proposta dall’ed.pr. (non accolta da alcuno studioso successivo, al pari delle due che si sono viste) si riproporrebbe

l'obiezione relativa al segmento redazionale dei rr. 51-54, e si

aggiungerebbe la difficoltà di un riferimento ad Acusilao cui

non seguirebbe una citazione, prensibile.

e dunque francamente incom-

La delimitazione della citazione con Καινεύς del r. 46, ol-

tre ad essere preferita, come si è visto, dall’ed.pr., è stata accolta anche da Maas e da Schmidt, ma presenta una difficoltà che è stata invece ovviata da un'ulteriore delimitazione, con

ἐδύνατο del r. 51, individuata anzitutto da Boll, presso Deub-

ner, 6, e successivamente accolta da Diels in DK; FGrHist; Ar-

righetti, 1968 e Poeti, eruditi; FHSG. La sezione (rr. 46-51, da ἄξιον a ἐδύνατο) che seguirebbe immediatamente la citazione teofrastea ove si accogliesse la sua delimitazione piü ristretta,

e che ne costuisce una spiegazione, andrebbe infatti attribuita all'ignoto autore dell'opera conservata nel pap. Si & peró visto come questi, per illustrare il contenuto della citazione da Teofrasto, ricorra alla lunga citazione da Acusilao, e concluda —

862—

THEOPHRASTUS

(r. 83-85) riconoscendo

ST

come anch’essa non sia forse suffi-

ciente a spiegare l’espressione βασιλεύειν τῷ δόρατι da cui era partito. Non è dunque accettabile che nei rr. 46-51 l’ignoto autore proceda ad una prima spiegazione che in realtà si limiterebbe a riproporre, senza alcun progresso esegetico, proprio l’espressione che dovrebbe essere illustrata. La sezione dei rr. 46-51 deve invece essere ricompresa nella citazione teofrastea, che si concluderà con ἐδύνατο, dopo di che inizia la

parte redazionale che tenta di spiegarla. L’esegesi immediata del frammento del Περὶ βασιλείας è

strettamente connessa all’integrazione delle sue lacune ed alla discussione sulla correttezza di alcuni suoi punti, per i quali sono state proposte emendazioni congetturali. La prima parte (rr. 42-46, fino a Καινεύς) è offerta dal pap. senza la minima lacuna e l’unica questione testuale riguarda, al r. 45, il tràdito

o, corretto congetturalmente

in o(è) nel-

l'ed.pr. e presso tutti gli altri editori, ad esclusione del solo Maas, che mantiene il testo del pap. (leggendo, ovviamente, ὁ). Accettando la correzione, Teofrasto presenterebbe dunque un personaggio non altrimenti identificabile (ma sicuramente un re) che «veramente regna con lo scettro, e non con la lancia, come Ceneo». Per l'espressione βασιλεύειν τῷ σκήπτρῳ 500corre Arist. Pol. T14, 128509 sgg.: κύροι δ᾽ ἦσαν (ες. οἱ βα-

σιλεῖς) τῆς τε κατὰ πόλεμον ἡγεμονίας καὶ τῶν θυσιῶν, ὅσαι μὴ

ἱερατικαίΐί, καὶ πρὸς τούὕτοις τὰς δίκας ἔκρινον. τοῦτο δ᾽

ἐποίουν οἱ μὲν οὐκ ὀμνύοντες οἱ δ’ ὀμνύοντες- ὁ δ᾽ ὅρκος ἦν τοῦ σκήπτρου ἐπανάτασις. L’espressione βασιλεύειν τῷ δόρατι

sembra invece collegata solo al mito di Ceneo, e verrà appunto spiegata dal pap. (rr. 51-54) ricorrendo alla lunga citazione da Acusilao (rr. 56-83). Per quanto qui interessa vi sı narra (rr. 72-74) che Ceneo, divenuto re dei Lapiti, στήσας ἀκόνίτιον Ev

ἀγορᾷ θεὸν ἐκέλευεν ἀριθμεῖν ....]. L'integrazione (di Boll presso

Deubner, 6, migliorativa rispetto a quella dell’ed.pr., ed accolta dagli editori successivi) è senz’altro assai estesa, ma è ragionevolmente sicura sulla base di Sch. Hom. [AD] in A 264: πήξας ἀκόντιον Ev τῷ μεσαιτάτῳ τῆς ἀγορᾷ θεὸν τοῦτο προσ-

ἔταξεν ἀριθμεῖν (cfr. anche Eust. in A 264), in quanto anche nelle altre notizie relative a Ceneo lo scolio sembra aver avuto direttamente presente Acusilao. Leggermente diversa - ma sostanzialmente equivalente - è la versione di Sch. in A.R. 1, 57—

863 —

THEOPHRASTUS

8T

64a [12, 12 Wendel]: καὶ ἐκέλευε (sc. Καινεύς) τοὺς παριόντας ὀμνύναι εἰς τὸ δόρυ αὐτοῦ" ἔνθεν N παροιμία “τὸ Καινέως

dopu”. Se dunque è ben spiegata «la lancia di Ceneo», rimane però non affatto chiarito che cosa si debba intendere con «regnare con la lancia» (e come possa opporsi a «regnare con lo scettro», ed anzi escluderlo). La seconda parte (rr. 46-51, fino a ἐδύνατο)

suscita forse

minori problemi generali, ma assai maggiore è l’incidenza delle integrazioni e degli eventuali interventi congetturali. Una prima questione, che non tocca molto la sostanza, riguarda l’integrazione ai rr. 49-50 fra καθάπίερ e βασιλεῖς. L’ ed.pr. (segna-

lando l'impossibilità di un oi ἄλλοι) propone οἱ π]ο [λλο]ὶ (integrazione accolta da Boll presso Deubner, 6, da FGrHist e da FHSG). Maas, 191, propone invece οἱ πρ]ό[τεροΊι, Diels ın DK οἱ ἐν θρ]ό[νω]ι, Schmidt, 96 οἱ E[tepolı e infine Arrighetti 1968, 77, n. 6 e Poeti, eruditi, 206, n. 116, rinuncia a qualsiasi inte-

grazione. La fantasiosa proposta di Diels, giustamente riprovata da Arrighetti, locc. citt., è gratuita e francamente inaccettabile. La proposta di Maas presuppone un’opposizione cronologica per cui non esiste la minima conferma, e quella di Schmidt va contro la testimonianza della Politica di Aristotele che si è vista, secondo cui non tutti i re giuravano con lo scettro. Pienamente in accordo con l'affermazione aristotelica è invece l’integrazione dell’ed.pr., che andrà quindi accolta (e

fornirà inoltre la notizia aggiuntiva che fra le due categorie di re illustrate da Aristotele era quantitativamente prevalente

quella che giurava con lo scettro). Assai più delicata è la questione dell’i integrazione della parola interamente caduta al r.

50 fra βασιλεῖς e οὐ, che comporta anche ripercussioni sul-

l'integrazione della prima parola del r. 51, nonché sul mantenimento di ἄξιον del τ. 46. L’ed.pr. propone infatti, ancorché dubitativamente, di integrare ἐσφάλη al τ. 50, il che comporta un γὰρ al r. 51 e soprattutto di correggere ἀξιῶν al r. 46: la pericope verrebbe dunque a dire che Ceneo, volendo domi-

nare con la lancia, e non con lo scettro, non ci riusci, perché non era possibile. Maas mantiene poi ἄξιον valutando non ancora chiarito l'emendamento ἀξιῶν dell’ed.pr., e rinuncia, nei due punti successivi, a qualsivoglia integrazione; Schmidt se-

gue Invece sostanzialmente l’interpretazione dell’ed.pr., accettando ἀξιῶν e proponendo ἐπνίγη in luogo di ἐσφάλη. Infine

— 864—

THEOPHRASTUS

8T

Boll, presso Deubner, 6, propone di mantenere ἄξιον e di integrare nyeito al r. 50 e unvalr. 51, e tali proposte sono state accolte da tutti gli editori successivi. In tal modo si viene ad

affermare che lo stesso Ceneo riteneva opportuno dominare

con la lancia, e non con lo scettro come la maggior parte dei

re, e che non poteva certo fare altrimenti. Procedendo infine ad un’esegesi complessiva del frammento,

si possono individuare due difficoltà generali. Della prima si è già accennato, che cioè, mentre è ben chiaro, grazie ad Aristotele, che cosa significhi βασιλεύειν τῷ σκήπτρῳ, non è af-

fatto immediato il senso di βασιλεύειν τῷ δόρατι, nonostante l'illustrazione del mito dovuta ad Acusilao (e l'autore del trat-

tato conservato nel pap. ne era ben conscio, cfr. rr. 83-85, e qui sopra). Infatti la versione di Acusilao (e quelle dello scolio omerico, e di Eustazio, che verisimilmente ne dipendono:

la versione dello scolio ad Apollonio Rodio comunque la conferma) si limita a riferire di una sorta di venerazione della propria lancia che Ceneo imponeva, ma non dice che tale vene-

razione costituisse, o tanto meno sostituisse, l'atto formale dell'assunzione del potere reale (ché anzi Acusilao riferisce l'eisodio come successivo al momento in cui Ceneo divenne re: cfr. r. 72, ἔπειτα). Inoltre né Acusilao né alcun'altra fonte consentono di illustrare, o comunque di confermare, quanto si

dice nella seconda parte del frammento teofrasteo, ovvero che

Ceneo intenzionalmente «regnava con la lancia e non con lo

scettro», e ció in quanto non gli sarebbe stato possibile «regnare con lo scettro». Pare dunque inevitabile da un lato concludere che Teofrasto disponeva di una più ampia fonte mi-

tografica (non conosciuta, o comunque non utilizzata, da Acusilao), dall’altro tentare di ricostruire, di tale fonte, il tratto

saliente ai fini del preciso aspetto ora in esame. Sembra infatti che Ceneo sia presentato come un re privo di legittimità e che, ben conscio di tale condizione, non tenti nemmeno di seguire i] rituale tradizionale, che non avrebbe avuto alcun senso. Individuando invece nella sua forza la vera base del suo domi-

nio, avrebbe imposto sprezzantemente la venerazione del simbolo del suo potere ‘di fatto”, la sua lancia. Per quanto riguarda

la coerenza simbolica del mito, si potrebbe notare l’analogia fra lo scettro e la lancia (in entrambii casi un’asta che. si impugna), come pure potrebbe essere additata un’analogia op-

positiva rispetto alla versione del mito presso lo scolio ad Apol—

865 —

THEOPHRASTUS

ST

lonıo Rodio: laddove ı re giuravano con lo scettro, Ceneo co-

stringeva gli altri a giurare sulla sua lancia. Ma soprattutto si

potrebbe invocare la conferma di un non trascurabile indizio: quasi tutte le fonti antiche (tranne appunto Acusilao, lo scolio omerico seguito da Eustazio, e, ovviamente, Teofrasto in

questo frammento) non presentano Ceneo come re. Se dun-

que tale omissione non va imputata alla cursorietà delle altre citazioni, si potrà pensare ad una consapevolezza mitografica

dell’illegittimità del suo regno. Se questa ricostruzione è corretta, si dovrà necessariamente

concludere

che Teofrasto

at-

tinga a fonti di cui più non si dispone, giacché la versione nota del mito non dà il minimo appiglio ad un’interpretazione au-

toschediastica di siffatta portata. Una tale ricostruzione consente poi di ovviare la seconda difficoltà generale cui si è già accennato. Nella prima parte del

frammento sfugge infatti l'applicabilità del termine medio che consente il raffronto fra l’ignoto sovrano «che per davvero regna con lo scettro» e Ceneo, termine che non può essere altro che «regnare con la lancia». Se infatti questo re sconosciuto non avesse qualcosa a che fare con la lancia, in connessione

con la sovranità, tutto il paragone non avrebbe senso: perché infatti si sentirebbe la necessità di dire che «questi che regna con lo scettro» non è come Ceneo, e difatti non regna con la

lancia, bensì con lo scettro, laddove Ceneo regnava con la lancia e non con lo scettro? Con ciò non si può però voler dire

che l’ignoto sovrano non imponeva la venerazione della sua lancia, sempre per mancanza di un termine medio: la consi-

derazione potrebbe infatti applicarsi a qualsiasi re, dal momento che di nessun altroè ricordata una così aberrante empietà. Tutto acquisterebbe un senso se invece Teofrasto si riferisse ad un personaggio che, in una situazione di illegittimità, si è conquistato 1] potere con la sua forza, ‘con la sua

lancia’, ma che, evitando la tracotante esibizione della propria illegittimità che aveva ostentato Ceneo,

ha saputo invece le-

gittimarsi, diventando «uno che veramente regna con lo scet-

tro» (e allora anche ἀληθῶς del τ. 43 avrebbe un preciso valore, e non sarebbe solo un riempitivo di dubbia efficacia). E non solo in tal modo si ovvierebbero le aporie generali, ma si potrebbe, ed anzi si dovrebbe, mantenere — con non tenue vantaggio — il testo tràdito del pap. al τ. 45, ὁ τῷ δόρατι (come —

866—

THEOPHRASTUS

8-9T

propone il solo Maas), laddove con la correzione o(b) si avrebbe una pseudodiortosi, che risolve un ‘apparente. difficoltà in un ristrettissimo orizzonte per produrre un’aporia ben più grave nel più ampio contesto. Non 81 può certo sottovalutare che 1] testo tràdito presenti un’indubbia durezza (si dovrebbe, per la struttura della frase, sottintendere a ὁ τῷ δόρατι un βασιλεύων,

ma occorrerebbe il valore di un βασιλείαν κεκτηκώς), ma da

un lato la durezza poteva essere attenuata dall’originario contesto, dall’altro non si può non considerare che la correzione del testo tràdito produce difficoltà maggiori di quelle che vorrebbe ovviare. Su Ceneo e sul suo mito, nonché sulle sue fonti antiche e sull'ampia bibliografia, oltre ai commenti dell’ed.pr., 142, di Maas e di FGrHist, si veda W.H. ROSCHER, Ausfübrliches

Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, Leipzig, Teubner

1890-1897 (rist. Hildesheim, Olms

1965), s.v. Kai-

neus, II 894-898 e RE, X.2 (1919), s.v. Katneus, 1504-1505.

La citazione teofrastea è qui attribuita al II libro del Περὶ βασιλείας, titolo noto anche dal catalogo di Diogene Laerzio delle opere di Teofrasto (V 49, 22 Long: Περὶ βασιλείας α΄ β΄), da Dionigi di Alicarnasso (V 73, 3) e da Plutarco (Them. 25, 1), in entrambi 1 casi senza indicazione di libro, ma con

riferimento ad un’ opera in più libri (vd. FHSG, n° 589, 10). Il medesimo catalogo di Diogene Laerzio riporta però separatamente anche un Περὶ βασιλείας α΄ (V 42, 1 Long), e un

Περὶ βασιλείας senza indicazione di pluralità di libri è citato anche

dallo Scolio alla Repubblica

di Platone VIII 553c, dal

Lessico di Fozio e da Suida (= FHSG n° 602). Ragionevolmente però ı recenti editori dei frammenti teofrastei propongono (n° 589, 11) che possa trattarsi della stessa opera che precedentemente

si è visto constare di due libri. EM

IT

PEES,

col. III 25-28

Sec. II

Gnomologio —

867—

THEOPHRASTUS

9-11T

Prov.: Arsınoe. Edd.: J. BARNS, A new gnomologium ..., CQ 44 (1950), 126-132: 129.

Comm.: MP? 1574 (= P? 1574) 18; A. PERETTI,

j. BARNS, CQ n.s. 1 (1951), 1-19:

Teognide nella tradizione gnomologica,

(1953), 143-145; FHSG 487, II, pp. 316-317.

SCO

4

Θεοφράστου ἢ ᾿Αναξιμένους᾽ | τὸ γὰρ δυσλόγιστον τοῦ βίου τοῖς ἀνθ[ρώποις | τ]ύχην προσαγορεύειν εἰώθαμεν- εἰ γὰ[ρ ταῖς γνώϊμαις (πάντα) κ]ατωρθοῦμεν, ὄνομ[α x]ox[nc] οὐκ ἂ[ν ἦν]. 28

κ]ατορθοῦμεν pap. StobFP, corr. Meineke, πάντα (κατ.) Stob. om-

nino necessarium „in ımo mg. columnae τὸ γὰ]ρ εὐλόγιστον ad hanc sententiam pertinere videtur

Teofrasto o Anassimene: «quello che nella vita è per l’uomo difficile da calcolare, siamo abituati a chiamarlo fortuna. Se i

nostri ragionamenti fossero corretti non esisterebbe

il termine ‘fortuna’».

La massima, che riecheggia un ambito di pensiero stoico, viene riportata anche da Stob. II 8, 17 (II, p. 156, 12-15 W.) nella sezione περὶ τῶν ἐφ᾽ ἡμῖν dove però figura con l’attri-

buzione ad Anassimene soltanto. Il nostro testo, che per altri versi si inserisce nella stessa tradizione gnomologica seguita da Stobeo (cfr. Peretti), evidentemente attingeva anche ad una fonte diversa, data la presenza di due nomi dati in alternativa

[> 11.2].

MSF

101 PDuke inv. 178, col. II 19 [vd. supra, 1]

11T PRossGeorg I 22, col. II 10 [vd. supra, 2] —

868 —

THEOPHRASTUS

L’integrazione del nome di Teofrasto proposta da Gaiser in PBerol inv. 9870 «, col. V 54, Didymus, De Demosthene,

non ha retto alla revisione fotografica, vd. supra, 24 59T (CPF I.1*, pp. 383-385). R

Per il PHamb 128 era stata proposta dall'ed.pr. (B. SNELL) un'attribuzione a Teofrasto (al I hbro del Περὶ λέξεως), pre-

sentata come assai probabile, e come frammento teofrasteo lo segnala Pack! [n° 1502: Teophrastus (?) = MP? 2289.1]. Cautela assai maggiore presso FHSG [1992], dove il papiro è relegato in appendice, n? 9 (pp. 612-617). Nulla puó fare palesemente escludere una paternità teofrastea, ma nulla la conferma,

o tanto meno l'impone, a parte l'antichità del papiro (intorno al 200 a.C.) ed evidenti reminiscenze aristoteliche. Recente-

mente D.M. SCHENKEVELD (Pap.Hamburg. 128: A Hellenistic Ars Poetica, ZPE, 97, 1993, pp. 67-80) ha persuasivamente impugnato l’attribuzione [> II.1]. EM

Per i| PHibeh 183 era stata prospettata dall'ed.pr. (E.G. TURNER) una possibile attribuzione a Teofrasto, accanto ad un'alternativa attribuzione ad Eraclide Pontico, giudicata meno probabile. Pack? (n° 2296 = MP' 2296) annovera il papiro fra glı adespoti, segnalando «(Theophrastus?)». Pari cautela presso —

869—

THEOPHRASTUS

FHSG [1992], dove il papiro è relegato in appendice, n° 8 (pp.

608-611). Nulla può far escludere una paternità teofrastea, ma

nulla la conferma, o tanto meno l’impone, a parte l’antichità del papiro (almeno intorno alla metà del ITI secolo a.C.) e un certo sapore peripatetico [> [1.1]. EM

POxy 3320 edito da C. PHILIPS, POxy XLVII (1980), 1921 come “Anonymous, Analytica” viene pubblicato in FHSG

I, App. 1, pp. 460-461. Nella nota di J. Barns ap. ed.pr. si pro-

spetta l’ipotesi che il frammento derivi da Analytica Priora di Eudemo o Teofrasto. Da quanto è conservato, anche se l’aderenza al testo aristotelico è notevole, non è possibile determinare con plausibilità una qualsivoglia attribuzione [+ II.1]. R

L’attribuzione di PPetrie 49E (P?2593 = MP’), un papiro della fine del III sec. a.C., al De pietate di Teofrasto è stata argomentata da C. GORTEMAN, CE 33 (1958), 79-101, ma viene

messa in forte dubbio nella riedizione del testo curata da M.S. FUNGHI - A. ROSELLI, 1997 (STCPF, 8), 49-69. Il testo è stato

pubblicato anche in FHSG, II, App. 5, pp. 600-603 [> II.1]. R

PSI 1095, edito da A. VogLIANO, —

870—

PSI IX (1929), 164-168

THEOPHRASTUS

(P

2567)

come

cato in FHSG,

frammento

di logica sui topoi, vi pot, viene

pubbli-|

I, App. 2, pp. 460-463, ma non ci sono motivi

sufficienti per ritenerlo teofrasteo [+ II.1],

R

Il nome di Teofrasto compare in un papiro, appartenente allo Hancock Museum di Newcastle, che conserva uno scritto

anonimo sulla retorica e la cui pubblicazione è prevista prossimamente. R

— 871-

104 THRASYALCES

11

Sec. II/III

POxy 3659, 4-8 [II.1]

Contro i filosofi

Edd.: D. HUGHES Tavv.: POxy

- P.J. Parsons, POxy LII (1984), 59-62.

LII, II.

Comm.: MP? 2592.6. ἀλλὰ καὶ τὸν ἄργυρον — καΐτοι τί γένοιτ᾽ ἂν ἀρ᾽γύρου λευκότερον; -- ἀλλ᾽ ὅϊμως τοῦτον ὁ Θρασυάλκης | φησὶν εἶναι μέλανα. Invero anche l'argento — eppure che potrebbe esserci di più chiaro?- purtuttavia Trasialce dice che esso è nero. Questa testimonianza si aggiunge alle due registrate in 35 DK. R

2T (?) Il nome

Θρασυκλ

compare —

in POxy

872—

LXV

4458

(MP

THRASYALCES 27 (?)

2274.01), col. II, τ. 23, un trattato di geografia del sec. III d.C. Benché lacunoso, il contesto sembra corrispondere a Str. XVII 1-5 (35A1 DK), un passo dipendente da Posidonio (F222 Kidd),

nel quale si afferma che, per la teoria che le piogge estive sia-

no causa delle piene del Nilo, Callistene dipendeva da Ari-

stotele, Aristotele a sua volta da Trasialce di Taso (τῶν ἀρχαίων δὲ φυσικῶν εἷς οὗτος), questi da un altro (non specificato) che

si riallacciava ad Omero (Od. IV 477). La presenza nel papiro di Aristotele (r. 22), Θρασυκλί (a r. 23) e x]àv πάλαι σοφῶν

(r. 24) ha indotto l’editore, D. Hughes, ad avanzare la plausıbile ipotesi che il personaggio citato debba essere identificato con Trasialce. R

— 875—

105 XENARCHUS

*

La proposta di attribuzione di PGen inv. 203 a Senarco, il

peripatetico del I sec. a.C. che aveva scritto un’opera Contro i| quinto corpo, era stata formulata da W. BURKERT, Xenarchos statt Poseidonios. Zu Pap.Gen. Inv. 203, ZPE 67 (1987), 51-55,

che ravvisava giustamente nella pagina A del papiro una polemica contro la teoria aristotelica dell’etere. Nella riedizione del testo, M.S. FUNGHI e F. DECLEVA

CAIZZI (1998, STCPF 9,

33-110) adducono argomenti che rendono questa ipotesi poco plausibile. R

— 874—

106 XENOCRATES

1T

PDuke inv. 178, col. II 3 (vd. supra, 1]

— 875 —

*

107

XENOPHANES

*

1T

POxy 1087, col. II 40-41 ( Scholia in Iliadem

Sec. I

95 5T]

VII

Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: El Qahira, El Mathaf El Misry (Cairo, The Egyptian Museum), JE 47433. Edd.: A.S. HUNT,

POxy

VIII (1911),

100-110:

103; 21B21a

DK;

M.

UNTERSTEINER, Senofane. Testimonianze e frammenti. Introduzione, traduzione e commento, Firenze, La Nuova Italia 1956 («Biblioteca di Studi Superiori», 33), 134; A. FARINA, Senofane

di Colofone. Ione di Chio. Introduzione, testo critico, commento, Napoli, Libreria Scientifica 1961 («Collana di studi greci», 34), 31 (n° 26); 55; ERBSE, Scholia Iliad., II, 224; J.H. LESHER,

Xenophanes of Colophon. Fragments.

A Text and Translation,

Toronto-Buffalo-London, Univ. of Toronto Press 1992 («Phoe-

nix Supplement», XXX) 28-29. Tavv.: POxy

VIII, IV; ScHUBART,

Gr. Pal,

119 tav. 78 (col. II)

ERBSE, Scholia Iliad., II, pap. VI. Comm.: MP’ 1186 = (T? 1186) A. KÖRTE, APF 6 (1920), 253; GGL I (1929), 310 n. 4; O. GIGON, Der Ursprung der griechischen Philosophie von Hesiod bis Parmenides, Basel, Schwabe 1945 (1968°), 156; M. UNTERSTEINER, Senofane.

Testimonianze €

frammenti. Introduzione, traduzione e commento, Firenze, La Nuova Italia 1956 («Biblioteca di Studi Superiori», 33), PPCCXXXIX-CCXLI; A.A. Long, Timon of Phlius: Pyrrhonist and Satirist, PCPhS n.s. 24 (1978), 68-91: 77 e n. 84; R. PRATE51, Timone Luciano e Menippo: rapporti nell’ambito di un gene—

876—

XENOPHANES

IT

re letterario, Prometheus 11 (1985), 40-68: 43-44 e n. 12; M. DI Marco,

Timone di Fliunte. Silli, Introduzione, edizione critica,

traduzione e commento, Roma, Edizioni dell’Ateneo 1989 («Testi

e commenti»,

10), 18 n. 17; 269.

ὁ Ἔρυϊκος παρὰ Sevlolpaveı ἐν ε΄ Σίλλων. 41

].cw meglio di Ἰφανει Erbse



cıAAov-

Il nome Ἔρυκος (che compare) in Senofane nel quinto libro dei Sili.

Ἔρυκος è forma non nota di ' Ἔρυξ, inserita in una lista di

nomi derivati, che formano il nominativo dal genitivo di un nome prototipo ( 95 5T): questa à la ragione, puramente formale, per cui ıl riferimento a Senofaneè inserito nel commento a IL VII 76 μάρτυρος. Secondo Gigon, 156, il frammento proverebbe che Senofane sarebbe arrivato in Sicilia fino alle vicinanze

di Palermo,

ma non esiste nessun fondato motivo per

ritenere che la menzione di questo nome nei Si/li avesse qualche riferimento biografico. Se si esclude il frammento dubbio B42 DK, cfr. Hdn., Gr. Gr., 111.2, 912, 4-5, questa è l’unica citazione che suggerisce qualcosa sull’ ampiezza dell’opera di Senofane, perché menziona un libro specifico dei Silli. Sul con-

tenuto dell’opera si sa molto poco: Diels le attribuisce undici frammenti (frr. 10-21a). Oltre a quella di POxy 1087 (la più antica, se l'ambigua citazione dei Silli in PHerc 327 di Filodemo si riferisce a Timone e non a Senofane: cfr. Di Marco, 269), non resta che un’altra citazione con il titolo, molto più

tarda, in Sch. Ar. Eq. 408 (= 21B17 DK). Diverse fonti indicano Senofane come autore di Sılli (A20, A21, A23; B17; B22;

B41 DK), ma l’autenticità del titolo è stata messa in dubbio e si è ritenuto che esso fosse stato attribuito a Senofane sulla base del titolo dell’opera di Timone (si ricordi la notizia in Sesto Empirico, PH I 223 = 21A35 DK, secondo cui Timone

avrebbe dedicato a Senofanei suoi Sil): cfr. G. VOGHERA, Se-

nofane e i cinici autori di Silloi?, SIFC 11 (1903), 1-16; Untersteiner, p. CCXLI.

Al contrario, Long, 77, Pratesi, 43-44, —

877—

XENOPHANES

1-2T

e Di Marco, 269, sostengono che la spiegazione più probabile del ruolo privilegiato di Senofane nell’opera di Timone stia nell'ipotesi che nel III secolo a.C. l’opera di Senofane

fosse

già nota con questo titolo. À favore di essa può essere citata anche la tradizione erudita testimoniata da Sch. bT ad Il. II

212b (Erbse, Scholia Iliad., 1, 228 = 21A23 DK), che fa di Omero il primo autore di Silli, contro l'opinione che fosse Senofane (cfr. GGL,

310 n. 4).

DM-FM

2T (?)

Sec. ΠΡ

POxy 221, col. IX 1-3 Commentario a Omero Il. XXI (Ammonio?) Prov.: Oxyrhynchus.

Cons.: London, British Library, inv. 1184. Edd.: B.P. GRENFELL - A.S. HUNT, POxy II (1899), 63; J. U. POWELL,

Collectanea Alexandrina, Oxford, Clarendon 1925, 79 (Epica Adespota 5); 7. METTE, Sphairopoiia. Untersuchungen zur Kosmologie des Krates von Pergamon, ERBSE, Scholia Iliad., V, 93.

Tavv.: POxy II, VI (col. X). Comm.: MP’ 1205 (= P^ 1205)

München,

Beck

1936, 226;

T.W. ALLEN, CR 14 (1900), 17.

cavea... C) ka [.. noc [2/3]. ν΄ κατέλεξα | 'AyeAo[tov] &pγυροδ[ίΊνεω, / ἐξ oo πᾶσα | θάλασσα.

Il passo commenta Il. XXI 194-197 e precede immediatamente una citazione dell'opera $4 Omero di Megaclide (> 66 IT), che definisce l’Acheloo come origine di tutti i fiumi. Ta-

le interpretazione è collegata a un problema testuale, cioè all'espunzione da parte di Zenodoto del verso XXI 195 (con la menzione di Oceano), che modifica il testo omerico così da

far risultare all’origine dei fiumi l'Acheloo e non l'Oceano.

Per il commento a Il. XXI 194-197, cfr. F. Montanari, CPF I. 1**, 469-470. —

878 —

XENOPHANES

2T (?)

In questo passo viene citato un testo poetico anonimo. Powell lo inserisce nella sua raccolta e lo considera resto di un elenco di fiumi, ma fraintende il senso della menzione di

Acheloo, che egli equipara a Oceano («Oceanum flumen significat»). Allen ha ipotizzato che il testo poetico citato appartenesse a Senofane, perché questi viene citato (21B30 DK: πηγὴ δ᾽ ἐστὶ θάλασσ᾽ ὕδατος, πηγὴ δ᾽ ἀνέμοιο / κτλ.) in uno

scolio esegetico (sch. ex. del ms. Ge) allo stesso passo (I. XXI 196-197, in Erbse, Scholia Iliad., V, 169-170). Ma i versi di Senofane sembrano sostenere la tesi secondo cui 1’ Oceano (v. 5 μέγας πόντος) sia l'origine dei fiumi, mentre la posizione del-

la citazione nel commento omerico (appena prima di quella di Megaclide) pare suggerire, benché il contesto sia lacunoso, che il verso fosse citato in appoggio della posizione di Zenodoto (e di Megaclide), cioè che lo sia l’Acheloo. Su queste basi, sembra dunque difficile attribuire il verso qui citato a Senofane. Per l’aggettivo ἀργυροδίνης, cfr. qualche riga dopo nel papiro stesso (col. IX 9-10) la menzione di Seleuco, grammatico del I sec. d.C., a cui viene attribuita l’espressione "AlxleAlokov

apyvlpollöive.

U. voN WILAMOWITZ,

GGA

162 (1900), 42,

pensa a una confusione del commentatore fra una sua fonte erudita (il grammatico) e un poeta citato dalla fonte: e attribuisce il frammento a Paniassi (fr. 31 Bernabé = 28 Matthews). Invece M. West (CPh 71, 1976, 173) ritiene che la confusione

sia improbabile e che il Seleuco citato non sia da identificarsi con il grammatico, bensì probabilmente con un ignoto poeta ellenistico. Per altre attestazioni di Acheloo &pyvpodivng cfr.

Hes. Th. 340; Call. Hymn. Cer. 13 (cfr. Dionys. perieg. 433). DM-FM

— 879 —

108 ZENO

CITIEUS

*

1T

PBerol inv. 9782, col. XV 26-30 [III 9] Commentario

anonimo

Sec. IIP

al Teeteto

Edd.: H. DieLs - W. SCHUBART, ΒΚΤ II (1905), 3-51: 12; G. BASTIANINI - D.N. SEDLEY, CPF III, 227-562: 300-301. Tavv.: BKT II, I (coll. XLIII-XLIV); SEIDER, Pal. Gr. Pap., II, XX n° 40, Comm.: MP? 1393 (= P? 1393) BASTIANINI - SEDLEY, supra, 227562: 499-500.

Col. XV 26-30

z[nlvlolv | dè ἕξι[ν ἐν n]po[o]8éjS[e]t φζαντασι]ῶ[ν] ἀϊμε[τάπτωτ]ον ὑ[π]ὸ λό yo[v ΕΝ Zenone (definisce la conoscenza semplice) «stato non mutabile dal ragionamento nell’accoglimento delle impressioni». DNS

2T

PDuke inv. 178, col. II 24 [vd. supra, 1] —

880—

ZENO CITIEUS 3-5T (3)

3T (?) PVars 5, 10 [vd. supra, 4]

4T (?) PVindob G 29329+26008b, fr. 3 [vd. supra, 43 6T]

5T (?) POxy

1082,

fr. 6 (col. XIII e fr. b) Livrea [vd. supra, 100 4T]



881—

109 ZENO

ELEATICUS

*

IT (?) PTura V 217, 33-218, 2

Sec. VI/VII

Didymus Caecus, Comm.

in Ps. 34,15

Prov.: Tura. Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde, Pap. Theol. 58. Edd.: M. GRONEWALD, PTA 8 (1969), 354. Comm.: ALAND AT 57; VAN HAELST 644; ALAND - ROSENBAUM 12 Μ. GRONEWALD, PTA 8 (1969), 355.

KV

εἷς τῶν ἀρχαίων φιλοσόφων λέγεται ὅτι ἐμαστίζετο, ἵνα κατείπῃ τῆς πόλεως ἑαυτοῦ, ἵνα κατηγορήσῃ || τῶν συμπολιτῶν. εὐλαβούμενος μὴ κἂν ἄκων ἐκλαλήσῃ τι, ἔδακεν τὴν γλῶσσαν

ἑαυτοῦ καὶ ἔτεμεν καὶ ἔριψεν | τῷ βιαζομένῳ. Si dice che uno degli antichi filosofi veniva frustato perché denunciasse la sua città, perché accusasse i suoi concittadini. Per evitare di rivelare alcunché, anche non volendo, si morse la lingua, la

recise e la gettò al torturatore.

Didimo si riferisce qui al comportamento coraggioso e sprezzante di un antico sapiente che, dopo il fallimento di una congiura contro il tiranno, si tagliò la lingua per non tradire gli amici. Varie fonti permettono di identificare questo sapiente —

882 —

ZENO

ELEATICUS

IT (?)

con Zenone di Elea: cfr. Ph. De prov. II 10, p. 222 Hadas Lebel: «Zeno autem Eleates ... maluıt linguam manducare propriam ne forte invitus rem panderet, complicemque suppliciis subjicert, atque ita decisam ante tyrannum abjecit»; Plu. Col. 1126de Ζήνων τοίνυν 6 Παρμενίδου γνώριμος ... τὴν γὰρ γλῶτταν αὑτοῦ διατραγὼν τῷ τυράννῳ προσέπτυσεν; Garr. 5054 Ζήνων ... ἵνα μηδ᾽ ἄκοντος αὑτοῦ προήταί τι τῶν ἀπορρήτων ἐκβιαζόμενον τὸ σῶμα ταῖς ἀνάγκαις, διαφαγὼν τὴν γλῶτταν, προσέπτυσε τῷ τυράννῳ (= A7 DK); Clem. Al. Strom. IV 8, 56 Ζήνων ὁ ᾿Ελεάτης ἀναγκαζόμενος κατειπεῖν τι τῶν ἀπορρήτων ἀντέσχεν

πρὸς τὰς βασάνους οὐδὲν ἐξομολογούμενος, ὃς γε καὶ τελευτῶν τὴν γλῶσσαν ἐκτραγὼν προσέπτυσε τῷ τυράννῳ (= A8 DK). Talora le fonti associano Zenone ad Anassarco a cui viene

attribuito un gesto analogo (secondo D.L. IX 59 e Val. Max. III 3 extr. 4, Anassarco, condannato al taglio della lingua per avere, sotto tortura, risposto con uirrisione al tiranno, si sa-

rebbe reciso la lingua coi denti e gliela avrebbe sputata in faccia); la menzione dei due filosofi nello stesso contesto è in Ph.

Quod omnis probus 106, ma la mutilazione della lingua è men-

zionata solo per Zenone, ibid. 108: ὁ μὲν (sc. Ζήνων) Kpeudμενος καὶ κατατεινόμενος ὑπὲρ TOD τι τῶν ἀπορρήτων ἐκλαλῆσαι . ἀποτραγὼν τοῖς ὀδοῦσι τὴν γλῶτταν εἰς τὸν βασανιστὴν ἠκόντισεν, ἵνα μηδ᾽ ἄκων ἃ καλὸν ἡσυχάζειν φθέγξηται βια-

σθείς; e Quod deterius 176 dove Filone parla genericamente

di alcuni sapienti: φασὶ γοῦν ἤδη τινὰς τῶν σοφῶν τροχιζομένους ὑπὲρ τοῦ τὰ ἄρρητα μηνῦσαι γλῶτταν ἀποτραγόντας τὴν ἑαυτῶν

ἀργαλεωτέραν κατὰ τῶν βασανιστῶν ἀντιτεχνήσασθαι βάσαvov, οὐ δυνηθέντων ἃ ἐπόθουν ἐπιγνῶναι; Cic. Tusc. II 22, 52;

Val. Max. III 3, extr. 2-4 (in Valerio Massimo l’amputazione

della lingua è attribuita al solo Anassarco); Clem. Al. Strom. IV 8, 56, 1-4; Thdt. Affect. VIII 57. Poiché il riferimento alla

congiura antitirannica è attestato solo per Zenone è pressoché

certo che Didimo faccia qui riferimento a Zenone e non ad Anassarco. Per una rassegna più ampia delle fonti che tramandano notizie sul gestodi Zenone e di Anassarco si veda T. DORANDI, De Zénon d’Elee à Anaxarque. Fortune d’un topos littéraire, in In honorem Jean Paul Dumont. Ainsi parlaient les anciens (ed. L. Jerphagnon, J. Lagrée, D. Delattre), Lille, Presses Universitaires de Lille 1994, 27-37.

In modo più generico alludono alle torture inflitte a Zenone, come ad altri sapienti Plutarco, Stoic. rep. 1051c (che —

883—

ZENO

ELEATICUS

IT (?)

elenca la condanna di Socrate, l’incendio dei Ciloniani contro

Pitagora, le torture inflitte a Zenone da Damilo e ad Antifonte da Dionisio) e Boezio,

Cons.

I 3, 9 (che menziona l'esilio di

Anassagora, il veleno somministrato a Socrate, la tortura di Zenone, e le condanne a morte di Giulio Cano, Seneca e Barea Sorano).

Apoftegmi di Zenone che non cede alla tortura e risponde sprezzantemente al tiranno sono tramandati anche da D.S. X 18; Tertulliano Apo/ 50; Filone Quod omnis probus 97 (ma forse si tratta di Zenone stoico, cfr. SVF I, 53 fr. 218) e Stobeo III 7, 37 Hense.

La formulazione di Didimo sembra particolarmente vicina a Filone Quod omnis probus 108, per la ricorrenza del verbo ἐκλαλεῖν, dell'espressione und’ ἄκων e per l’identificazione del

tiranno con il torturatore stesso (τῷ βιαζομένῳμείς τὸν βασανιστήν) e De prov. II 10 per la presenza di tre verbi (manducare, decisam, abjecit); Gronewald, 355 per lo stesso motivo, rimanda a Boeth. Cozs. II 6, 8: «cum liberum quendam virum suppliciis se tyrannus adacturum putaret ut adversum se factae coniurationis conscios proderet, linguam ille momordit atque abscidit et in os tyranni saevientis abiecit». AR



884—

110 ZENO (TARSENSIS ?) *

11

PVars 5, 9 [vd. supra, 4]



885—

INDICE

Avvertenza

ANALITICO

M

Criteri editoriali

V

MV

vil

Nota sulla tradizione manoscritta delle tetralogie platoniche Nota sulla tradizione manoscritta del «Fedro»

. . . . . ..

XIII XVIII

Conspectus codicum platonicorum

XIX

Abbreviazioni bibliografiche

XXIV

| LL... ΞΞΞΞΞΞΕΕΞΞΕ

ΕΞ

ΗΕ

Riviste

oor

Lit

4 4 oo on t n

LXI

—. . .

Sigle papirologiche Abbreviazioni

|— . . . .

Segni

.

2

LXIII

on

Collaboratori del presente volume LL Revisori dei papiri . Ringraziamenti.

ΧΙΝ

LXIV LXV

L02002

1.1 Indice degli autori

LXVIII

Lxx

FILOSOFI (N - Z) 73

| NICOLAUS DAMASCENUS PMilVogliano 46

74

cent

NIGRINUS 1T

75

. ..

4

PRosGeorgI22,115

..ττὐ

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PARMENIDES ıT 2T

3T

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5

PBerol inv. 9782, LXX 33-43. - c 7 € ' ᾿ ' PDuke inv. G. 178, 17... ^"

POxy 3219, fr.2,13-9 —

0000

887—

6 6

76

PERIPATETICI

IT 77

78

PERSEUS

PDuke inv. G. 178, I1 17 CITIENSIS

1T?

PVars

PuiLo

vel PHILIO

IT

PDuke inv. G. 178, I1 9

78bis PHILODEMUS

1T 79

LARISAEUS 11

GADARENSIS

POxy 3724, fr. 1, IT- VIH

PHILOLAUS 1T

80

5 v, 10

PBrLibr inv. 137, XVIII 8-XIX 1; XX

16-24

16

PLATO PHarris

2

POxy

3

POxy 3667: Alc. II 142b6-143c1

4 5

PSI inv. 12: Amat. 135b8-c2; 135d7-e2 PBerol inv. 21210413291: ^p 25b7-c3; 28b; 40b6-41c8 ren

3666:

Alc.

1 113b6-9;

132a3-c1

6

POxy 2663: Cra. 405c3- di

7

PAnt 79: Iust. 372a2-9

8 9

PVindob G 39846: Demod. 38031 4: Erx. 405e1- 6 PHawara 26: Virt. 376b4-c5

10

POxy 3668: Ep. 11 310e5-311a2

11

PVindob

12 13

POxy 881 r: Euthd. 30169-30224; 302b7-c6 PSI 1392: Euthphr. 2a1-c4 .

14

PSI 1200: 501c2-5

15

PLaur

G.

39846:

405e1-6

0.

66 4544PSI

119: Grg.

471d4- ‘47208

522b5-526a6

.

70

POxy 3156+3669: Grg. 491a5-b6; 4942. 49566; .

.

.

78

PVindob G 39880+PVindob G 26001: Greg. 502b4503a7; 504b9-50529

18 19 20 21

.

.

IV 134+POxy

508d4-e2

17

Erx.

46 50 52 54 57 60 61 62 64

447b3-c2; 467e7- 468b1; 468d3- 6;

Grg.

507b8-508d6;

16

33 37 40 43

12: Alc. 7 107c11-108b6

1

80.4

PFouad2: Grg. 522c8-e1 POxy 3683: Halc. 8 s POxy 3670: Hp.Ma. 291d11- eo POxy 3671: La. 179b3-c2 —

888—

84 88 90 92 94

22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63

PLitLond

144: La. 181a8-182a4

0.2.

PPetrie II 50: La. 189d2-e2; 19031-19238 POxy

228: La.

19721-19831

005

PKöln 306: Lg. 71628-c3 POxy

3,3,

3672: Lg. 751a6-c2

.

POxy 3673: Lg. 77182-d1 PHarris

42: Lg.

797a2-b2

*

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25

2

85

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5.

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PBerol inv. 21118: Lg. 8094-6... 2... POxy 3674: Lg. 85406-d4 LL...)

POxy 23: Lg. 86263-863222 2 ..{{ς

POxy 3675: Lg. 865a3-77 . . . . . . . PEN POxy 881 9: Ly. 208c2-d3.

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......

POxy 2662: Men. 9208-93c]

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PAnt

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181: Min.

3414d16-317b8

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.

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PVindob G 3088: Prm. 1480c7-14%7 . . . .. PDuke inv. G 5: Prm. 152b2-d2 . . . 2... PSI inv. 1056: Pbd. 60de . . . . 2 2 2. PLeiden inv. 22: Phd. 65a8-c3; 65e3-66b3 . . . PPetrie I 5-8: Phd. 67b7; 67e-69a; 79bc; 80d-81d; 841-34} 25 .. .. .......2-.2-.2^....

POxy 2181: Phd. 75a6-1047dl

PSI

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1393a: Phd. 96d7-97a31

POxy

1809: Pd.

.

..

1022-1004.

......

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POxy 3676: Phd. 107d4-100a1

2 222...

POxy 229: Phd. 109c1-d7 . . . . . e « POxy 1016: Phdr. 22731-23004... . . >. PTurner 7+POxy 2102: Pbdr. 233e3-234b1;

PAnt 77: Phar. 257d3-e1

. . es .

PCol VIII 203: Phdr. 266b1-3

PMilVogliano 9: Phdr. 267b3-2687

.

....!Ψ

. . . . -

ro POxy 3677: Phar. 2672-8... . . ...τ0τ Ὁ POxy 3678: Phlb. 1869-195 PKöln 135: Phlb. 6106-68... . . 7 POxy 2468: Plt. 257b4-26209. PSI

1483:

.

Plt. 258e10-25902

PLitPalauRib12: P/r. 273d5-el POxy 1248: Ple. 28063-282e13 PSI 1484+POslo POxy

.

.

c

-

. . » - ro © . . 9

9: Pit. 304e12-305c11; 308e10-309c6

1624: Prt. 337b3-357b2

POxy 3509: R. 33022-b4 —

.

.

. . . .’

889—

«s c

EM

96 100 [13 118 120 122 124 125 127 129 132 135 139 142 146 151 154 155 159 193 209 211 212 222 225 229 231 245 254 274 275 277 282 285 286 289 293 298 299 306 3t0 335

64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83T 84T 85T 86T 87T 88T 89T 90T

PSI inv. 1994: R. 339d10-e3

91T 92T 93T

PSILaur inv. 19662, 4; 20: Grg. PTura IV, 58, 30-59, 7: Grg. . PSILaur inv. 19662, 11: Hp.Ma.; Hp. Mi,

94T

PSILaur inv. 19662, 18: La.

95T 961 97T 98T

POxy 2087, II 24-26: Lg. PBerol inv. 9766: Epit. Lg.

99T 100T 1011 1021 103T 104T 105T 106T

338 339 340 344 345 348 350 355 359 366 367 373 376 466 469 471 472 474 477 481 481 482 484 484 484 485 486 487 487 488 488 489 490 494 494 494

POxy 455: R. 406a5-b5 POxy

2751: R. 412c13- 414d1

POxy 456: R. 422c8-d3 POxy 3679: R. 472e4-473d6 PMilVogliano 10: R. 485c10-486c3 POxy 3326: R. 545c1-54623

.

PLugdBat XXV 3: R. 546a4-b2; 548b5- c

POxy 1808: R. 546b2-547d4 POxy 24: R. 607e3-608a1 POxy 3157: R. 610c8-613a8 PHibeh

228: Spb.

.

223c4-224a2;

POxy 843: $mp. 200b6-223d13

224b1 3

PAnt 78: Tht. 143c8-e5; 144d7-145a8

POxy POxy POxy PKöln

3680: 3681: 3682: 307:

Tbt. The. Tht. 75g.

190e3-19124 198d7-e3 209a8-c6 126c4-e7

PSI 1201: 77. 19c6-20a7

PSILaur inv. 19662: POxy 1609+PPrinc PTura III 225, 4-12: PSILaur inv. 19662,

Alc. 1 inv. AM 11224C: Alc I Alc. I7 8: Chrm.

PSILaur inv. 19662, 14: Cra.

Cod. Taur. F VI 1, X 16-23: Ep. VII POxy 2087, II 27-30: Erx. PSILaur inv. 19662, 6: Euthd.

.

PSILaur inv. 19662, 9: Ly.

PSILaur inv. 19662, 10: Mnx. PSILaur inv. 19662, 10: Men. PBerol inv. 9782, XXVIII 43- XXIX :1; LVI XV 16-23; II 52-III 7; III 21-25: Men.

26- 31;

POxy 1808, II mg. sup. 1-5: Men. POxy 1611, fr. I, V 112-119: Men. PSILaur inv. 19662,

7: Prm.

e.

Cod. Taur. F VI 1, VII 1-VIII 1: Prm. PSILaur inv. 19662, 17: Phd. PBerol inv. 9782, XLVII 45- .XLVITI 11: Phd.



890—

494 496 498 500 500 502 502

1071

108T

PHeid

G inv. 28*PGraecMo n II 21:

POxy 2087, II 22: Phd.

109T 110T 1111

Pha.

De

Br

503 505 507 508 512 514 514 515 515 516 516 517 519 519 520 520 521 524 524 524 525 527 528



112T [151 1141 [1571

1161 1171

PBerol

inv. 9808, I: Phlb.

PSILaur inv. 19662, 13: Pit.

PBerol inv. 11749:

m Pl.

PSILaur inv. 19662, 5; 21: Pr.

. .

TO

PBerol inv. 9782, XIII 7-12; LIX 8-12: R.

118T 119T 120T

PFlor 371 n 12: R. oo oo PSILaur inv. 19662, 4: Sph. . . 2 2 222. PBerol inv. 9782, Il 32-39: Spb.

121T

PSILaur inv. 19662, 2: Smp.

122T

PBerol inv. 9782, LVII 15-22; LXX 5-12: Smp... . ...... PBerol inv. 9782, passim: Th.

123T 124T 125T 126T 127T 128T

129T 130T 131T 132T 133T 134T 135T 136T 137T 138T 139T 140T 141T

142T

. 2.222 . . ....

PBerol inv. 9782, LVII 5-7: The. PSILaur

.

inv. 19662, 12: Ti...

.

2

2

2

2...

POxy 1609+PPrinc inv. AM 11224C: Ti. ...... PGen inv. 203, A, fr. 1,12-16: T. PBerol inv. 9782, XXXIV 49-XXXV 12: TL .... PBrLibr inv. 137, XIV 6-XVII 8: Τὸ

PBerol inv. 9782, VII 14-25; VIII 23-27; XLV 34-39;

oo t tm tr 4 . .... LIX2-285 t n s PTura III 22, 20-22 . . 4

...Ὁn τ Ὁ} . e

POxy 12,1 16-24 POxy 3656, 123

XII 22-23 Cod. Taur. F VI 1, 1133-35; XII 6-10; τ ...τὉτ 2. PDuke inv. G 178, PHaun 18, 9.195,38. n tm n t t ooo POxy 3219, fr. 1, 3-5 nn tto ... 4t POxy 3659, 13031 ttt tt PRyl 63

PVatic 11, VII 46-Ν 1 6 nn LL LZ MEE POxy 3008, 6-18

(PSchubart 39)

TT

cn

PS11488,1-39. .

.

.

*

.

,

.

a

.

.

5

.

a

P

.

578 580 581 584 584 586 586 589 590 591 609 611 613 616 616

(PNagHammadi VI 5)

81

PLATONICI

1T

9 11-17; fr. D, 14-1 I , 82 97 v. in PBerol



891—

620

82

POLEMO

1T 83

PORPHYRIUS

1T 2T 3T 84

PTura III, 281, 16-22: C. Chr. PTura VII, 280, 22-28: C. Chr. PTura V, 308, 11-14: C. Chr.

PMilVogliano I 11, 17: De persuasione PRossGeorg I 22, I 8: De ıra

(PGen inv. 203) (POxy 1609) POTAMO 1T

86

634 635

.

(ALEXANDRINUS?) 636

PSI 1476, fr. D, 7-9

639 639 646 647

PDuke inv. 178, II 21 POxy 1086, 111-18,

3T — POxy 4457, fr. 2, 5-6 4T — PSI 1219, fr. 1, 7-9

88

PRODICUS

ıT

PCairoMasp 67175, II 10-13

2T 3T? (PBerol (POxy (POxy

POxy 3543, 4-7 Plura III, 16, 9-18 inv. 9782) 1176) 2087)

652 654 656 662 662 662

PROTAGORAS

1T 2T

PBerol inv. 9782, II 1-8; LX 19-38; LXIV 44-LXV 13; LXII 8-LXIII 1; LXV 39-LXVI 3: De veritate POxy 221, XII 19-25

3T

PTura V 222,

18-29.

4T? POxy 3219, fr. 2, 12-3 (PBerol inv. 9782) 89

634 634

PRAXIPHANES

1T 2T

87

623 629 631

POSIDONIUS

ıT 2T

85

622

PDuke inv. 178, I1 4

663 666 668 676 676

PYRRHO

IT

PBerol inv. 9782, LX 48-LXI 45



892—

677

90

PYRRHONEI

ıT 91

PBerol inv. 9782, LXIII 1-40

679

PYTHAGORAS

ıT PBerol inv. 9782, LXX 5-9 2T PBrLibr Add Ms 37516, 1 (PHaun I 8) (PLond 121 v) 92

92a

PYTHAGOREI

ÍT

PBerol inv. 9782, LXX112-8

2T

PTura

3T

PHaun

11 13 v

n

PHaun II 13 v: Epistulae 3; 5

692

PRossGeorg I 17

705

SIMON SOCRATICUS (?)

IT 95

686 686 691

III, 79, 26-80,1; III, 216, 23-217, 1

SECUNDUS ıT

94

. . ...

[PYTHAGOREI]

| 93

681 681 685 685

PRossGeorg I 22, I 17

713

SOCRATES IT

PBerol inv. 9782, VII 20-25; XLVII 27-XLVIII 11; LVI 42-47; LVII 48-LIX 34. . . . . ....

2T

PFlor

113, I17-26

oo

oo

on

3T 4T

PHibeh 182... ..... POxy 1176, fr.38, IV+39, -IH.

6T

PSchubart 38,

7T 8Τ

PTura III, 37, 7-14; ΠῚ, 86, 10-14 . ., 2.2... PVatic 11, II 12-25; XXI 30-31; XXII 28-37 .

s.n .......

ST = POxy 1087, 1290-30 22 or 15-9...

2.

or

rn.

9T? PBerol inv. 12311, 4-8 . . . 2: 2 2 2 2 2. (PKöln V205) . . . on nn (PPrag inv. Gr. 111524) . . 2.222 cles. (PSchubart 39) LL

(PBerol inv. 21213 #) 96

. .............

714 718 720 753 758 759 760 763 766 768 768 769 769

SOCRATICI 1T

PBerol inv. 9782, IJI 50-IV 3; IV 17-27

2Τ 3T

PBerol inv. 212137.» ls. PRossGeorg 122, I 1-2: Socraticorum epistulae —

893—

.

770 771 774

97

SOPHISTAE PBerol inv. 9782,

1T

LVIII

31-38;

7-12

ΞΕ

.

2

(POxy 2606)

LIV

VII 20-25;

776

(PTebt 269) 98

775 776

SPEUSIPPUS 11 2T

Cod. Taur. F VI 1, 1 17-24 PDuke inv. 178, II 20

3T

POxy 12

4T

POxy 3656, 5-4

777 778 778 778

98bis SPHAERUS

POxy 1082, fr. 6a

779

1T

PDuke inv. 178, II 20

2T

POxy 3655, 1-15

780 780

1T 99

100

STILPON

STOICI Cod. Taur.

2T

PBerol inv. 9782,

3T

. . LXX 5-26 PBrLibr inv. 137, II 18- ΠῚ 7; XIV 15- 32; XXX

4T

ST

17-23;

IV

POxy

VI 29-41;

1082, XII 4-10; XII

12- 40;

5. 14

6T

P'Tura III, 210, 4-12; 226, 7; 235,

7T

PTura IV, 137, 12-18; 185, 14-21

8T

PTura

9T 10T 11T

PDuke inv. 178, II 23 PLitLond 161 PBerol inv. 16545

V, 53, 22-25;

4-6;

159,

PMilVogliano inv. 1241

(PFlor 120 ») (PSchubart 38)

261,

15- 16

. 14-17

784 786 798 801 803 806 808 812 812 812 813 814 814

STRATO 1T

PDuke inv. 178, I 20

.

(PHeid. G inv. 28+PGraecMon 21) 102

ΧΙ

.

19-20

= POxy 3657, II 13-16

12T

101

783

.

X 11-16

F VI 1,

IT

815 815

THALES

1T

PMilVogliano 118, VI 10-19 —

894—

817

2T

POxy

1011, f.3 vo, 119-138

3T — POxy 3710, 1136-43. . 4T — PDukeinv. 18,12 ,.

5T?

103

PSI1003,32

3

POxy

4 5T 6T

PHibeh 16: Deaquis() ...... PMilVogliano 17, 1153-58: De aquis... POxy 1012, fr. 9, 1123-34: Περὶ καιρῶν

7T 8T

PRossGeorg I 22, 110: De prudentia. . . . . . POxy 1611, fr. 1, II 38-III 54: De regno

9T

PEES, 1125-28

10T

PDuke inv. 178, 1119

POxy 699: Epit. Char. 3,6202 3721: Ven. da

11T

PRossGeorg

(PBerol

inv. 9870 v)

. 2.0.

n t n t n n

o

t t t t ng

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o

tts

m t n t t n

o oom

ΝΞ

THRASYALCES

1T 2T?

. 455000007

POxy 458,122.

XENARCHUS

874

ΝΕ t t n

τ

τ

.

872 872



....ττ0

POxy 3659,4-8

(PGeninv.203) XENOCRATES

1T

875

3 PDuke inv. 178, Il

XENOPHANES

1T 2T? 108

. .

sss

. ..

.

2...

(PPetrie 49E) (PSI 1095)

|

lees

122,110

..

UO

s...

. ..

(POxy 3320)

107

828 832 836 844 852 853 859 860 867 868 868 869 869 869 870 870 870

PHamb 143: Char. 7, 6-8,

(PHibeh 183)...

106

3... .

TT

1

(PHamb 128)

105

818 826 827 827

THEOPHRASTUS

2

104

MENS τ᾿

ZENO

ıT

POxy

POxy

1087,

876 878

II 40-41

221, IX 1-3

«

4

,

.

"

è

.

D

.

.

Ù

.

880

CITIEUS

82, XV 26-30 PBerol inv. 97



895—

2T 31? 31?

PDuke inv. 178, II 24 PVars 5,10 ... PVindob G 29329+26008b, fr. 3

4T? — POxy 1082, fr. 6

109

ZENO

1T? 110

880 881 881 881

ELEATICUS

PTura V 217, 33-218, 2

882

ZENO TARSENSIS (?) 1T

PVars 5,9

885

.



896 —

Finito di stampare nell'ottobre 1999 presso la Tipografia Giuntina, Firenze

con impianti di PuntoStampa, Firenze