Cartesio. Vita, pensiero, opere scelte [Vol. 8]

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l GRANDI FILOSOFI Opere scelte da Armando Massarenti

l GRANDI FilOSOFI Opere scelte da Armando Massarenti

8- Cartesio © 200611 Sole 24 ORE S.p.A Edizione speciale per Il Sole 24 ORE 2006 Il Sole 24 ORE Cultura Direttore responsabile: Ferruccio De Bortoli Il Sole 24 ORE S.p.A Via Monterosa, 91 - 20149 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 542 del 08-07-2005 Settimanale- n.3/2007

A cura di: Armando Massarenti Per "La vita". il glossario, le schede di approfondimento,la cronologia Testi di: Paola Pettinotti Per "Il pensiero" e "La storia della critica" Testi di: Giovanni Crapulli, Introduzione a Descartes © 1988 Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Su licenza di Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Per "/testi" Descartes - Discorso sul metodo Tullio Gregory (a cura di) Traduzione di Maria Garin © 1986 Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Su licenza di Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Cartesio - Opere filosofiche Eugenio Garin (a cura di) Traduzioni di Maria Garin © 1986 Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Su licenza di Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Progetto grafico copertine: Marco Pennisi & C.

Opera realizzata da ANIMABIT S.r.l. Coordinamento editoriale: Elena Frau, Paolo Parlavecchia Coordinamento redazione: Lorenzo Doretti, Bruno Facciolo Redazione: Giulio Belzer, Cinzia Emanuelli Progetto grafico: Serena Ghiglino, Marcella Paladino Impaginazione: Serena Ghiglino Ricerca iconografica,fotolito: Alessandro Ravera Richiesta arretrati: i numeri arretrati possono essere richiesti direttamente al proprio edicolante di fiducia al prezzo di copertina

Finito di stampare nel mese di dicembre 2006 presso: Officine Grafiche Calderini S.p.A. Via Tolara di Sotto, 117 (Ponte Rizzoli)

400 64 Ozzano Emilia (80)

Cartesio

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Erro, ergo

su m di Armando Massarenti

«L'uomo consiste di due parti: la mente e il corpo. Ma il corpo

è

quel­

la che si diverte di più». È l'originale interpretazione di Woody Allen del «mind body problem». Originale, ma che pare confermare l'idea di chi tale problema l'ha modernamente impostato, commettendo però -a dar retta al neuroscienziato Antonio Damasio-un clamoroso . 'L'errore di Cartesio' consisterebbe appunto nel voler pensare a una gran­ de divisione tra spirito e materia, laddove più saggiamente Aristotele e Tommaso pensavano che l'uomo, in quanto creatura capace di conoscen­ za, fosse un 'entità incarnata e non fatta di solo spirito, nella quale corpo e mente conoscono, soffrono e se la spassano insieme, e non ognuno per conto proprio. Non un angelo, ma neppure una bestia, in quan­ to appunto capace di conoscenza. Povero Cartesio. Avrebbe dunque fallito proprio sul punto che più lo carat­ terizza, quello della conoscenza. Nessun altro filosofo ha avuto-il meri­ to di prendere di petto in maniera così chiara e decisa questo problema. «È conoscibile la conoscenza? E se non lo è, come facciamo a saper/o?», così scherza ancora Woody Allen. Ma è proprio questo il problema di Car­ tesio./[ quale pose al centro di tutte le sue riflessioni la domanda «Posso conoscere?>> , e non per esempio «Che cosa esiste» o > ( « [ ... 1 me Mechani­ cas ve/ geometriam digerendam suscepturum [ ...1>>) (AT 1 62 1 3 - 1 63 1 5 ) .

Lasciando l ' Olanda, Descartes riprendeva i suoi viaggi all 'estero della durata di circa tre anni, periodo che coincide in parte con la prima fase della guerra dei Trent'anni, cui avrebbe partecipato - secondo gli anti­ chi biografi , nel contesto di una continuità con il servizio militare nelle guarnigioni di Breda30 - arruolandosi nelle truppe di Massirniliano di Baviera. Avrebbe preso parte alle operazioni di guerra, come alla deci­ siva battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1 620), che con la vit­ toria dell'esercito della Lega cattolica su quello boemo al comando di Cri­ stiano di Anhalt segnò la fine dell 'effimero regno dell'elettore palatino Federico V. Più certa e documentata la prosecuzione delle sue ricerche , soggiornando in località nella zona centrale europea tra Baviera e Boe­ mia, in cui non si era ancora dissolta l'atmosfera culturale di matrice rina-

Cartesio Il pensiero

scimentale con la morte di Rodolfo II

( 1 6 1 2)3 1 che ne era stato promo­

tore e con l'ascesa al trono di Boemia del fanatico arciduca Ferdinando di Stiria

( 1 6 1 7).

Inverno 1619-20. Nell'excursus autobiografico Descartes ci riporta all' inverno

1 6 1 9-20, che segnerebbe secondo la sua ricostruzione un

momento decisivo nello sviluppo della ricerca e della riflessione filoso­ fica, per quanto la documentazione dei frammenti . in parte già esamina­ ti, legittimerebbe piuttosto l ' interpretazione di una maggiore connessio­ ne, se non di una continuità senza soluzione , con il periodo immediatamente precedente.

(AT VI IO 26-3 1 ). Siamo all' inizio dell'inverno, dopo i festeggiamenti a Francoforte dell' incoronazione dell ' imperatore Ferdinando II (20 luglio

- 9 settembre 1 6 1 9). Descartes si era fermato in una confortevole abita­ zione del ducato di Neuburg al nord della Baviera «sui bordi del Danu­ bio» , dove raccolto nella solitudine , senza alcuna distrazione o preoccu­

pazione di sorta, «se ne stava tutto il giorno in una stanza ben riscaldata intrattenendosi con i suoi pensieri». Nel

Discours si sofferma a lungo a

svolgere una delle prime riflessioni che aveva attirato la sua attenzione: «spesso non vi è tanta perfezione nelle opere composte di più pezzi e fatte dalla mano di diversi artefici, che in quelle in cui ha lavorato uno solo», riflessione che illustra con diversi esempi: edifici , città, leggi, religioni , «Scienze dei libri>> , con varie disgressioni tematiche. L'ultimo esempio riguarda le «sciences des livres»: «[ ... ] pensavo che le scienze contenute nei libri, almeno quelle i cui argomenti non

sono

che

probabili e che non hanno dimostrazione alcuna, venendo a compor.ii, con

graduale accrescimento, delle opinioni di più persone diverse, non si avvi­ cinano alla verità come i semplici ragionamenti che può fare naturalmen­

te un uomo di buon senso riguardo alle cose che si presentano. Inoltre pensavo che, poiché siamo stati tutti fanciulli prima di essere adulti e abbia­

mo dovuto essere guidati dai nostri istinti e dai nostri insegnanti, spes­

so in contrasto gli uni con gli altri e che forse non sempre ci consiglia-

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vano per il meglio né gli uni né gli altri, è quasi impossibile che i nostri giudizi siano così genuini e così solidi come sarebbero stati , se avessi­ mo avuto l'uso completo della nostra ragione dal momento della nasci­ ta e fossimo stati sempre guidati solo dalla ragione» (AT VI 12 25 - 1 3 1 2). Tuttavia - osservava - non basta un semplice atteggiamento critico e indi­

Ana log i a Dal greco analogos, c i o e " ch e e i n

stintamente da parte di chiunque a legit­ timare l ' iniziativa di demolire e rifon­ dare o innovare una istituzione umana

r e l a z i o n e " . i l termi n e a n a l o g i a e

esistente, come riformare dalle fonda­

stato inizialmente uti lizzato dai greci

menta uno stato, il corpo delle scienze , l'ordine dell'insegnamento istituito nelle scuole.

nel l inguaggio matematico per i n d i· care un ' ug u a g l i a nza tra rapport i; Platone ne ha p o i a l l argato i l signi· ficato fino a comprendere determi ­

Il procedimento per analogia sembra

nati processi cognitivi in cui i l rap ­

allontanare Descartes dali' intento di

porto tra le cose ricalca q u e l l o che

logo" è detto di un term i ne che può

giustificare «la risoluzione di disfarsi di tutte le opinioni ricevute in precedenza» e il discorso rientra nell 'ambito del pri­

essere predicato di più soggetti , ma

vato (dichiarerà esplicitamente: «il mio

si viene a creare tra gli enti matema­ tici . Nei si llogismi di Aristotele, " ana­

il cui contenuto non è perfettamen­ contra p p o s i z i o n e a " un i voco " e d

disegno non si è esteso oltre l ' intento di riformare i miei propri pensieri e di

" equ i voco " . Con i a s c o l a s t i c a , l a

costrui re in un fondo tutto mio» ) .

te uguale tra soggetto e soggetto, in

dottr i n a dell ' ana logia en tis (l o stu ­ d i o d e l l e nozioni che possono esse­ re r i fe r i te a tutte le rea lta , anch e

«Quanto a tutte le opinioni ricevute e accolte fin allora nella mia credenza

se in modo d i fferente) ven ne propo ­

non potevo far di meglio che intrapren­

sta da Alberto Magno e dal tomismo,

dere una buona volta di disfarmene, al

ma negata da Duns e Ockham che

fine di sostituirle con altre migliori o con le stesse, una volta riassunte e ristabili­

preferirono r i fa rsi a l l ' idea d i u n i v o­ cita . A pa rtire dal S ei cento, il conce t­ to d i " a na logi a " perde i r i fe r im en t i

te al livello della ragione. E credetti

onto log 1 c i c h e aveva a vuto a l l ' i n­

fermamente che in questo modo sarei

terno d e i s i s te m i di p e n s i e ro d e i

riuscito a condurre la mia vita molto

secoli preced ent i , p e r d i venta re una sem p l ice figura della log i c a . il cui s i g n i fic ato fin i sce pe r r i calca re l 'a c­ cez i one i n i z i a l e .

meglio che se avessi costruito su vecchie fondamenta e mi fossi basato su princì­ pi di cui mi ero lasciato convincere nella mia giovinezza senza aver mai esami-

Cartesio

Il pensiero

nato se fossero veri»

(AT VI 1 3 25- 1 4 6). Ribadendo il carattere perso­

nale della decisione, Descartes non intendeva porsi come modello, anzi sconsigliava di seguirlo sia coloro che presumevano indebitamente di avere le capacità richieste , sia coloro che pur fomiti di attitudini adatte si rite­ nevano per eccessiva modestia meno capaci . Lui stesso non volle inizia­ re a mettere in atto la revisione critica radicale delle sue opinioni, senza aver prima impiegato molto tempo «a fare il progetto dell 'opera che intra­ prendeva e a cercare il vero metodo per pervenire alla conoscenza di tutte le cose di cui sarebbe stata capace la sua mente>>

(AT 1 7 7- 10). Il pro­

getto , non meglio precisato, in conformità al maturarsi di una propensio­ ne per una vita orientata alla ricerca e alla riflessione , pur nel contesto scarsamente partecipato della vita militare (dall' arruolamento nelle mili­ zie di Maurizio di Nassau a Breda a quello nelle truppe del duca di Baviera) , doveva superare i limiti della matematica e della meccanica, di cui si era fin allora maggiormente , se non esclusivamente , interessa­ to, per estendersi ali' intero campo della filosofia.

A sua volta la ricerca

metodologica, già impegnata nella riflessione sulle procedure per la soluzione dei problemi di geometria e di algebra, allargava l ' ambito visuale - modellandosi sulle caratteristiche della «logica, dell'analisi dei geometri o degli antichi e dell' algebra dei moderni» - a tutto il conosce­ re, in cui ricorrano, come nelle matematiche, le stesse «lunghe catene di ragioni» che assicurano una conoscenza certa ed evidente. Nel contem­ po la

mathesis universalis

da scienza universale della quantità come

tale che abbraccia tutte le discipline specifiche matematiche tendeva a divenire espressione dell'unico sapere razionale . Secondo

l'excursus alla formulazione dei seguenti quattro precetti si ridu­

cevano i risultati dell' indagine metodologica. «, fu «la meno elaborata di tutta l' opera>> , essendosi deciso ad aggiunger­ la solo all'ultimo, quando l' editore lo sollecitava a porre fine all'opera, come dichiarerà al p. Vatier nella lettera del 22 febbraio 1 638 . Ciò aveva contribuito a renderla «oscura>> , oscurità che gli verrà contestata dalle prime conoscenze del testo manoscritto. Descartes, consapevole della fon­ datezza di queste critiche, nella stessa lettera a Vatier, come in preceden­ ti lettere ad altri corrispondenti (AT I 349-35 1 , 353-354), addurrà come (AT I 560-56 1 ) . Per ovviare all' de li ' esposizione metafisica del Discours Descartes non tardò a rinunziare ai due progetti avanzati nella corrispon­ denza: aggiungere il nella prevista ver­ sione latina della pubblicazione del 1 637 , o apportare dilucidazioni in una

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seconda edizione della medesima. Non si ebbe una seconda edizione del­ l'opera, vivente l' autore, e la versione latina del Discours e dei primi due saggi, la Dioptrique e le Météores, ad opera di Etienne de Courcelles appa­ rirà solo nel 1 64422, senza l ' aggiunta del piccolo trattato del 1 629 . Una esposizione più analitica dell' iter delle riflessioni metafisiche maturate nel corso di un decennio fu la soluzione definitiva con la redazione delle Meditationes de prima philosophia, cui attese dal novembre 1 639 al

marzo dell'anno successivo . I progetti editoriali dell'opera vennero a modificarsi nel tempo, soprat­ tutto in dipendenza dal fatto che Descartes volle sottoporre all 'esame di alcuni studiosi il testo manoscritto e pubblicare unitamente alle sei medi­ tazioni anche le obiezioni avanzate e le sue risposte23 . Le obiezioni e le risposte vennero ordinate e numerate cronologicamente , dalle prime dovute a Jan de Kater (Caterus)24 - composte nell'estate del 1 640 su sol­ lecitazione di due canonici capitolari di Haarlem, amici di Descartes, A. Bloemaert e J .A. Ban (Bannius) - ad altri cinque gruppi di obiezioni pro­ venienti da Parigi per la mediazione di Mersenne . Mersenne stesso, che aveva ricevuto in dicembre il manoscritto delle Meditationes con le I Objectiones et Responsiones e i preliminari (Epistola dedicatoria ai teo­ logi della Sorbona per ottenere l 'approvazione dell'opera, la Epistola ad lectorem e la Synopsis o compendio delle sei meditazioni) e si incarica­ va di seguire le varie fasi di composizione tipografica a Parigi, gli invia­ va nei primi di gennaio 1 64 1 le obiezioni - figureranno come Il Objec­ tiones - da lui «raccolte dalla bocca di diversi teologi e filosofi )) , ma di

cui in seguito nella lettera del 1 2 dicembre 1 642 al teologo calvinista Gisbert Voet riconoscerà di essere stato il vero autore (AT III 602-603) - che Descartes ricevette il 14 gennaio 1 64 1 . Il 22 gennaio gli perveni­ vano, sempre da parte di Mersenne, le obiezioni «fatte da un celebre filo­ sofo inglese)) (Thomas Hobbes)25 - le li/ Objectiones - e poco dopo quel­ le di Antoine Amauld, le IV Objectiones, che Descartes riterrà «le migliori di tutte , non perché incalzino di più, ma perche [il loro autore] si è addentrato più di ogni altro nel senso di ciò che ho scritto, che come avevo ben previsto pochi avrebbero colto, dato che sono pochi coloro che vogliono o possono fermarsi a meditare)) (lettera a Mersenne del 4 marzo 1 64 1 , AT III 3 3 1 )26.

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Come V Objectiones figurano quelle di Gassendi27, spedite da Mersen­ ne il 1 9 maggio, a cui Descartes risponderà tra il 1 6 e il 23 giugno. Arti­ colate, tranne la prima, in paragrafi, sono dirette a ciascuna delle sei Medi­ tazioni. Impostate in una concezione empiristica, anche per il tono ironico e talora sarcastico in cui sono redatte non riuscirono gradite a Descartes. «Voi vedrete - scriverà a Mersenne il 23 giugno - che ho fatto il possibile per trattare il signor Gassendi con rispetto e umanità, ma mi ha dato tante occasioni di disprezzarlo e di dimostrare che egli non ha senso comune e non sa ragionare in alcun modo, che avrei troppo sacrificato del mio diritto se ne avessi detto meno di quanto ho fatto, e vi assicuro che ne avrei potuto dire assai di più» (AT III 388-389). Le VI Objectio­

nes «fatte da vari teologi e filosofi» pervennero a più riprese tra il mag­ gio e il giugno (in effetti constano di tre parti: l . nove «scrupoli» o dif­ ficoltà; 2. un'aggiunta di tre dubbi proposti dal padre oratoriano De la Barde; 3. una lettera di alcuni filosofi e geometri) ; Descartes vi rispon­ derà il mese successivo, dopo averle riordinate28. La I edizione apparve a Parigi presso Miche! Soly nel l 64 1 (achevé d 'im­

primer il 28 agosto) con il titolo Meditationes de prima philosophia in qua Dei existentia et animae immorta/itas demonstratur. La II edizione uscì invece ad Amsterdam presso Lodevijk Elzevier l ' anno successivo verso la metà di maggio, sotto il diretto controllo dell' autore, con il tito­ lo Meditationes de prima philosophia, in quibus Dei existentia et animae

humanae a corpore distinctio demonstrantur. His adjunctae sunt variae objectiones doctorum virorum in istas de deo et anima demonstrationes, cum Responsionibus Authoris . Secunda editio septimis objectionibus antehac non visis aucta29 . In effetti questa edizione emendatior et auc­ tior si arricchiva del brano sul mistero dell' Eucarestia in fondo alle Responsiones ad IV Objectiones, omesso per suggerimento di Mersen­ ne nella I edizione, di un altro gruppo di obiezioni e della Epistola ad

patrem Dinet. Descartes aveva ricevuto nell'ultima settimana di genna­ io 1642 il manoscritto delle nuove obiezioni, del gesuita Pierre Bourdin30. in forma di «dissertatio» ripartita in tre «quaestiones», ciascuna artico­ lata in paragrafi con una «responsio» finale (1: an et quo pacto dubia pro

falsis habenda . - Il: an sit bona methodus philosophandi per abdicatio­ nem dubiorum omnium . - Ili: an possit instaurari methodus), di cui solo

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le prime due erano trattate. Descartes intercalava al testo delle obiezio­ ni le sue risposte in forma di «notae» . Nella lettera al p. Jacques Dinet, provinciale della Compagnia di Gesù a Parigi , esponeva criticamente l'evolversi dei due fronti di opposizione al suo pensiero filosofico, da parte cattol ica nella persona di Bourdin e da parte calvinista per le mene di Gisbert Voet, professore di teologia all'università di Utrecht, ostile al dif­ fondersi della «nova philosophia» in contrapposizione a quella aristote­ lica ad opera dell'attività didattica di Henry de Roy (Regius), professo­ re di medicina e di botanica nella stessa università3 1 . Nella lettera a Mersenne del 24 dicembre 1 640 Descartes esponeva l'or­ dine da lui seguito nelle sue opere, e in particolare nelle Meditationes: «[ ... ] Si deve notare, in tutto ciò che scrivo, che io non seguo l'ordine delle materie ( 'ordre des matières'), ma solo quello delle ragioni (' ordre des raisons ') : vale a dire, io non intraprendo a dire in uno stesso luogo tutto ciò che attiene ad una materia, per la ragione che mi sarebbe impossibi­ le di provarlo a dovere, dato che alcune ragioni devono essere dedotte molto più lontanamente di altre» , ossia dato che le motivazioni di quan­ to si afferma di un determinato argomento si riportano a procedimenti dimostrativi diversi, o le cui premesse nelle serie deduttive sono tra loro dislocate a distanze diverse. «Ragionando invece per ordine dalle cose più facili alle più difficili, deduco ciò che posso ora per una materia ora per un'altra; è questo secondo me il vero cammino per trovare ed espor­ re debitamente la verità. Quanto all'ordine delle materie, esso non è buono che per coloro le cui ragioni sono tutte slegate e che possono parlare di una questione come di un'altra». In conseguenza riteneva che il testo delle

Meditationes doveva essere pubblicato nella sua continuità redazionale, rispondente all' «ordine delle ragioni)) , senza intramezzarlo con le obie­ zioni dei critici e le sue risposte. «Ciò infatti ne interromperebbe la linearità consequenziale (' toute la suite') e nello stesso tempo togliereb­ be la forza delle mie ragioni, che dipendono principalmente da ciò, che si deve distaccare il pensiero dalle cose sensibili, dalle quali la maggior parte delle obiezioni sarebbero tratte)) (AT III 266-267)32. La serie e il nesso delle ragioni, la loro concatenazione dedutti va forma, secondo l'espressione di Gueroult, «un blocco di certezza)) , che assume valore normativo sia nei riguardi delle conoscenze che vi sono inserite

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e ne costituiscono come gli anelli della catena, sia per quelle che ne resta­ no fuori. Ciascuna delle conoscenze che ne fanno parte occupa una posi­ zione ben definita nella serie, che non può cambiare senza perdere la cer­ tezza e la valenza logica che desume da quelle che la precedono e in quanto dipende da esse . Le altre restano prive di consistenza logica finché non rientrano in questa corrente di pensiero . Come si vedrà, il dubbio univer­ sale metterà in mora tutte le opinioni: queste verranno gradualmente recu­ perate nella misura in cui nelle successive tappe dell' iter delle medita­ zioni, a partire dalla prima verità, quella del cogito, ri sulteranno criticamente inseribili, acquisendo lo statuto di conoscenza certa ed evi­ dente. Questo valore normativo del nesso delle ragioni si riflette anche , per quanto negativamente, sulle obiezioni . «Poiché il dubbio rigetta radicalmente tutto ciò che non è stato reintrodotto al suo posto nella cate­ na della verità, ogni obiezione che fa intervenire contro una delle veri­ tà già stabilite un elemento che non figura anteriormente come dimostra­ to in questa catena è per ipotesi nulla. È per il sapere, in questo punto della catena da cui è escluso, uno zero di realtà»33. L'ordine irreversibile delle ragioni è l 'ordine del nostro conoscere razio­ nale, è l'ordine che si stabilisce nella ricerca umana della verità, nelle cono­ scenze che si succedono razionalmente procedendo dal più semplice al più difficile («a simplicioribus ad dijjiciliora» ), ossia da ciò che è imme­ diatamente accessibile nella sua elementarità a ciò che risulta composto per il concorso di più elementi (ordo cognoscendi), non l'ordine che rispec­ chia la realtà delle cose quali sono in se stesse, indipendentemente dalla conoscenza che ne possiamo avere (ordo essendi)34. Tuttavia, anche se l'ordine del nostro conoscere così inteso non rispecchia come tale l'or­ dine delle relazioni di dipendenza del reale , non per questo è svincola­ to dal reale stesso, risolvendosi nella visione di un universo puramente soggettivo, della mente umana. Il procedimento che si svolge seguendo la concatenazione delle ragioni è un iter metafisico, è un disvelamento graduale e parziale dell'essere le cui tappe sono segnate dalle esigenze conseguenziali della natura razionale del soggetto a partire dal primo risul­ tato del superamento del dubbio metodico, dali' affermazione dell' esisten­ za dell' «io», vero e proprio ancoraggio nell'essere, ribadito dal ricorso nella giustificazione del movimento del pensiero alla «luce naturale» della

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mente, che in definitiva significa il riconoscimento della capacità della mente umana di cogliere la realtà delle cose. Alle stesse idee della mente, come si vedrà, per l 'estensione del principio di causalità verrà riconosciu­ ta una incidenza ontologica, su cui si baseranno il superamento del solip­ sismo e la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Se il procedimento dimostrativo delle Meditationes è quello analitico35 , anche per esplicita dichiarazione di Descartes, non sempre è facile coglierlo lungo le fasi successive dell'iter, in cui peraltro a volte inter­ ferisce l'ordine sintetico, interferenza dovuta all 'incidenza metafisica, già rilevata, del procedimento analitico. « [ ... ] La dimostrazione analitica che si pone dal punto di vista della ratio cognoscendi e che consiste a rin­ venire le conoscenze vere in modo tale che queste ci appaiano come neces­ sarie e certe, riesce a porre fuori di me delle realtà che tendono a dispor­ si , dal punto di vista della loro ratio essendi, secondo l 'ordine sintetico della loro dipendenza in sé . Dato che l ' ordine delle condizioni della mia certezza, che non è affatto quello della dipendenza reale delle cose, rinvia a quest'ultimo come la conoscenza rinvia al suo oggetto, nulla è più facile che farli interferire e interrompere la corrente dimostrativa)) , e, aggiungiamo, indurre dei circoli viziosi36. «Meditationes de prima philosophia)) l meditazione: Atteggiamento critico

e dubbio metodico. Più volte Descar­

tes si è soffermato ad analizzare i riflessi negativi della humana condi­ rio nella formazione del conoscere, e in generale del comportamento, a partire dall'infanzia. A questo tema si riportano le considerazioni, tra le prime, che occuparono la sua mente nel periodo del ritiro in Germania ( « [ ... ] poiché siamo stati tutti fanciulli prima di essere adulti e abbiamo dovuto essere guidati per molto tempo dai nostri istinti e dai nostri inse­ gnanti [ ... ] è quasi impossibile che i nostri giudizi siano così genuini e così solidi come sarebbero stati , se avessimo avuto l 'uso della nostra ragio­ ne dal momento della nascita e fossimo sempre stati guidati solo dalla ragione)) )37 , considerazioni che riprenderà e svilupperà nella corrispon­ denza e in altre opere38. Tutta una serie di opinioni si è venuta così for­ mando senza i l controllo della ragione; l' assuefazione e l ' abitudine non

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solo hanno loro assicurato una parvenza di evidenza ma hanno ingene­ rato una persuasione difficile a rimuovere39, al punto che la conclusio­ ne certa ed evidente di una dimostrazione razionale in contrasto con un'opi­ nione radicata può indurre assenso ma non convincere ipso facto, ossia modificare l ' atteggiamento complessivo del soggetto nell ' adesione alla nuova idea. «Non basta che l 'evidenza dissipi i dubbi e provochi l ' assen­ so: è necessario estenuare gradualmente la forza dei ricordi, opporre abi­ tudine ad abitudine, regolare intervalli di riposo, creare la situazione atta alla persuasione»40 . Rispondendo agli autori delle VI Objectiones, Descartes si richiamerà alla sua personale esperienza, al lungo travaglio per sradicare le sue confuse opinioni sulla natura dell' anima e del corpo e della loro unione, nonostante le idee chiare e distinte che veniva for­ mandosi sulla loro distinzione reale (AT Vll 439-44 1 ; cfr. anche lett. all 'ab­ bate De Launay del 22 luglio 1 64 1 , AT III 420 1 3-25)41 . U superamento di queste idee dubbie o solo probabili, che il più delle volte

secondate dall'insegnamento scolastico conferivano nel loro insieme un assetto rassicurante non solo al modo di vivere consuetudinario ma anche all'applicazione dell'apprendimento tradizionale, si effettua gra­ dualmente al confronto delle idee evidenti che emergono nel maturarsi della riflessione critica e segnano le tappe di uno sviluppo non sempre databili. Da questa evoluzione distesa nel tempo viene a distinguersi un momento cruciale, episodio emblematico nell' iter metafisico, insieme rias­ suntivo rispetto all' atteggiamento critico del passato e di svolta radica­ le rispetto al sapere tradizionale: l'instaurazione del dubbio metodico, che adombrato all ' inizio dell'esposizione delle tesi metafisiche nella IV parte del Discours de la méthode (AT VI 3 1 -32), viene sviluppato nelle

Meditationes de prima philosophia (l Meditazione ed inizio della secon­ da, AT VII 1 7-25), in un contesto programmato che richiama quello delle riflessioni, nella solitudine della «stanza riscaldata» di Neuburg42, sulle norme del metodo da seguire nella ricerca della verità e sulla mora­ le provvisoria (AT VI I l 6- 1 1 ) . «Già da tempo mi ero reso conto di aver ammesso per vere, dai miei primi anni, un gran numero di opinioni false e che quanto poi su queste ero venuto edificando non poteva non risul­ tare se non molto dubbio ed incerto. Se quindi volevo stabilire qualco­ sa di solido e durevole nelle scienze, dovevo pur risolvermi una volta nella

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mia vita a demolire a fondo questo edificio e ad incominciare di nuovo dalle prime fondamenta [ ... ] Oggi , con l ' animo sgombro da ogni occu­ pazione e premura e il tempo a mia completa disposizione, attenderò final­ mente con serio e deliberato proposito, nella solitudine in cui mi sono appartato, a questo generale rovesciamento delle mie opinioni» (AT VII 1 7 2 - 1 8 3) .

I l rovesciamento delle opinioni acquisite s i effettua con u n procedimen­ to disposto ad arte, o dubbio metodico, che si basa sulla resistenza al dub­ bio nella ricerca della evidenza autentica, secondo la prima regola del metodo: «non includere nei miei giudizi se non ciò che si presenti nella mia mente con tale chiarezza e distinzione, da non avere motivo alcuno di metter! o in dubbio>> (AT VI 18 19-23 )43. Il dubbio metodico è radica­ le in quanto risale alle radici o fonti del conoscere, ed universale per la sua estensione. Un'altra nota lo contrassegna sin dall'inizio, anche se verrà accentuandosi: l 'essere iperbolico, ossia l 'eccedere nella valutazione delle ragioni del dubitare, nel ritenere che un errore sia sufficiente a scre­ ditare tutto un ordine di conoscenza, ma soprattutto nell'assimilare nel secondo tempo del procedimento dubitativo il dubbio al falso44. Da rile­ vare inoltre un duplice cambiamento lungo il suo decorso. Il problema della verità subisce una modifica d'impostazione: nella fase relativa alle rappresentazioni sensoriali è in questione la loro corrispondenza alla real­ tà esterna, in quella riguardante le conoscenze di ordine intellettivo, come quelle matematiche, è in gioco la loro validità oggettiva, a prescin­ dere da alcun riscontro in natura. Inoltre si passa dalle ragioni di dubbio di ordine naturale, in cui si considerano direttamente le capacità cono­ scitive quali si rivelano nella loro attività, a quelle di ordine metafisico, sull'origine della natura umana e sul suo autore; questo passaggio con­ sente di distinguere due momenti nel procedimento dubitativo conside­ rato nel suo insieme. Le ragioni di dubbio che Descartes adduce nel primo tempo sono desu­ me dai testi classici dello scetticismo, testi che aveva avuto modo di cono­ scere sin dagli anni del collegio di La Flèche (v. Responsiones ad 1/1 Objec­ tiones, AT VII 1 30 1 7-29)45, ma con diversa impostazione e con diversa

finalità, nello spirito del comportamento seguito nel periodo dei suoi viag­ gi all' estero: «riflettendo in ogni argomento su ciò che poteva renderlo

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sospetto ed essere occasione di errore [ . . . ] non che con questo imitassi gli scettici che non dubitano che per dubitare ed ostentano di essere sempre irrisoluti; al contrario, tutto il mio disegno non tendeva che ad essere certo [ . . . ]>>

(AT VI 28 27 - 29 4). Descartes non intende affidarsi

ad una certezza46, senza esigerne i titoli di credito47 . Descartes non prende ad esaminare singolarmente ciascuna opinione «sarebbe un' impresa senza fine)) - ma inizia con l' indagare «i princìpi sui quali si fondano tutte le opinioni ricevute)) , ossia le fonti del cono­ scere: >, ossia la nozione di Dio come causa sui, la libertà divina, la rela­ zione dell'intelletto alla volontà, la creazione delle verità eterne, tesi in cui si evidenzia il netto differenziarsi della teodicea cartesiana da quel­ la scolastica, in particolare dalla teodicea tomistica. Per la filosofia sco­ lastica Dio è l'unico essere che non ha bisogno di alcuna causa per esi­ stere: è ens a se. Questa espressione collima con l 'altra: è causa sui, ma da intendersi in senso negativo, ossia nel senso di essere senza una causa estrinseca che lo ponga in essere. Per Descartes essere per se è essere causa di sé , ma in senso positivo, ossia nel senso di avere in sé la ragione pro­ pria dell' essere . Analogamente, in senso negativo o positivo viene inte­ sa l 'espressione, correlata o identica a causa sui, di ens a se, ente da sé. Le due accezioni riflettono due diverse valutazioni o impieghi del prin­ cipio di causalità nella dimostrazione dell'esistenza di Dio. Per i tomi­ sti il principio di causalità porta ali 'affermazione di una causa che non richiede alcuna causa, quindi la sua applicazione si arresta all ' afferma­ zione di Dio; per Descartes il principio di causalità porta all 'affermazio­ ne di una causa che è causa di se, quindi la sua applicazione è universa­ le: «[ ... ] la luce naturale ci dice che non vi è cosa alcuna di cui non si possa chiedere perché esista, o di cui non si possa ricercare una causa efficien­ te, oppure, se non ne ha, di domandare perché non ne ha bisogno; per cui , se io pensassi che niuna cosa può in qualche modo essere , riguardo a se stessa, ciò che la causa efficiente è riguardo all 'effetto, mi guarderei bene dal concludere che vi è una causa prima, ma, al contrario , cercherei di nuovo la causa di quella stessa che si denominasse prima, e così non per­ verrei mai ad una causa prima. Ma ammetto apertamente che può esse­ re qualcosa in cui vi sia una potenza così grande e così inesauribile, da non aver avuto mai bisogno di alcuna cosa per esistere, né di averne ora per essere conservata, e da essere così, in qualche modo, la causa di sé (sui causa); e tale io concepisco essere Dio>> (Responsiones ad l Objec­ tiones, AT VII 1 08- 1 09). Dio, in quanto viene da noi «inteso>> o «con­

cepito>> , in quanto diviene oggetto del nostro intelletto, non si sottrae al principio di causalità, anche se questo e il concetto di causa assumono una accezione non come quella scolastica che «restringe il significato di

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cause efficienti a quelle cause che sono differenti dai loro effetti o che Ii precedono nel tempo» (ibid.), ma una accezione più lata che consen­ ta un genere di causa analogo a quello di causa efficiente. «[ ... ] Sebbe­ ne non sia necessario dire che egli è causa efficiente di se stesso, perché non si abbia a discutere sulle parole, tuttavia, poiché intendiamo che ciò che fa sì che egli sia da sé, o che non abbia causa diversa da sé, non pro­ cede dal nulla, ma dalla reale e [vera] immensità della sua potenza, pos­ siamo ben pensare che egli fa, in certo modo, riguardo a se stesso quel­ lo che la causa efficiente fa riguardo al suo effetto; e pertanto che egli è da se stesso positivamente» (iv i 1 10- l l l ). La libertà umana o libero arbitrio è la stessa volontà che agisce non deter­ minata da alcuna causa estrinseca, ma unicamente da un principio intrinseco , ossia dalle rappresentazioni dell' intelletto. Per questa deter­ minazione ab intrinseco la libertà umana non è indifferenza; anzi quan­ to più chiaramente e distintamente le viene proposto dall' intelletto l'og­ getto come vero o come bene, ossia quanto meno è indifferente - dalla luce del l 'intelletto deriva nella volontà una propensione verso l 'ogget­ to -, tanto più la volontà è libera. I gradi della determinazione variano; altrettanto , ma in senso inverso, quelli della indifferenza: la completa indifferenza è il grado più basso della libertà umana66. Non così in Dio. Nell' intendere la libertà divina Descartes rovescia lo schema del rapporto: in Dio la libertà è assenza assoluta di determinazione , è l ' in­ differenza stessa della volontà. «La libertà di arbitrio quale è in Dio è ben diversa da quella che è in noi . Ripugna infatti che la volontà di Dio non sia stata indifferente rispetto a tutto ciò che è stato fatto o possa mai farsi [ . . .] La massima indifferenza in Dio è l ' argomento più grande

della sua onnipotenza [ . .. ]» (Responsiones ad VI Objectiones, AT Vll 43 1 -

432, I X 232-233). M a il senso di questa seconda «inversione metafisi­ ca» e della stessa indifferenza, quando dalla conoscenza della res cogi­

tans si passa all'idea di Dio - «ben diversa è l ' indifferenza della libertà umana da quella che si addice alla libertà divina» (ivi VII 433 , IX 233) - dipende dal diverso rapporto dell' intelletto e della volontà nell' uomo e in Dio. Nell' uomo l' intelletto è «esiguo e fmito» come ogni altra facoltà, ad ecce­ zione della volontà che per essere così grande «essa principalmente mi

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fa conoscere che io reco in me una immagine o somiglianza di Dio» (AT VII 57 , IX 45). Ma tale somiglianza si verifica solo se si considera la volontà formalmente in sé, come facoltà di «fare o non fare, ossia di affer­ mare o negare, seguire o fuggire», non in quanto condizionata da moti­ vazioni ab intrinseco o dall'essere essa stessa creata e quindi finita come potere . Ali ' infuori della considerazione formale il rapporto com­ parativo svanisce. La volontà di Dio è «incomparabilmente» più gran­ de in Dio che in me «sia in ragione della conoscenza e della potenza che le sono unite e la rendono più salda ed efficace, sia in considerazione dell' oggetto, in quanto si estende a più cose» (ibid.). L'unione e l ' implicita distinzione vanno intese nella natura divina in modo che resti salva la sua assoluta semplicità e unità, ossia escluden­ do ogni distinzione reale: non rimane che una distinzione di ragione per svolgere un discorso su Dio , ossia una distinzione secondo la quale la mente considera a parte in un essere ciò che in realtà non è distingui­ bile in esso. Ora, S. Tommaso ricorre alla distinctio rationis ratiocina­ tae , Descartes alla distinctio rationis ratiocinantis. La prima si diver­

sifica dall'altra in quanto ha un fondamento in re , nella realtà, e procede quindi per analogia sulla base della realtà creata: vi è in Dio qualcosa che corrisponde alle operazioni della mente umana, qualcosa che cor­ risponde all' intelletto e qualcosa che corrisponde alla volontà. Dio è immateriale in sommo grado. S. Tommaso ne deduce in primo luogo che a Dio compete il conoscere in sommo grado, che «conoscere (intelli­ gere) è la sua stessa essenza e il suo essere» (S. Th . I q. 14 art. 4 resp .);

in secondo luogo che in Dio vi è una volontà allo stesso titolo che vi è un intelletto, poiché ali 'intelletto segue la volontà. Sull 'analogia con la mente umana la disti nzione delle due facoltà porta con sé la subordi­ nazione della volontà all 'intelletto; desiderare il bene consegue alla sua conoscenza e questo desiderare è la volontà stessa. In Descartes l'ana­ logia viene trascesa in favore della immanenza reciproca delle due facoltà nella semplicità ed unità della natura divina, con esclusione di ogni priorità dell'una sull'altra. Scrive a Mersenne il 27 maggio (o 3 giu­ gno) 1 630: «È in Dio la stessa cosa volere, intendere e creare , senza che l ' uno preceda l ' altro , neppure secondo ragione» , ossia neppure secon­ do la ragione raziocinata summenzionata. E questa affermazione verrà

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ribadita e resa più esplicita in una delle Responsiones ad VI Objectio­

nes, già citata parzialmente e che riprenderemo più oltre. La quarta «inversione metafisica», quella in cui si manifesta più pale­ semente il divario delle due teodicee, è la dottrina cartesiana della creazione delle verità eterne , «la tesi spettacolarmente più antitomisti­ ca di Descartes», come la definisce Gouhier67. Il vero, e in conseguen­ za il bene , ha la sua radice in Dio. Ma nella teodicea tornistica, che in questo si richiama al pensiero agostiniano, la fonte della verità è nel­ l' intelletto divino, nella teodicea cartesiana invece è nella volontà divi­ na, pur sempre distinguendo le due facoltà distinctione rationis ratio­

cinantis. Per S . Tommaso il possibile, sia realizzato o meno, è inscritto nelle idee dell'intelletto divino: la sua razionalità è eterna della stessa eternità dell' intelletto divino, ossia della sostanza intelligibile di Dio. Per Descartes invece il possibile e la sua razionalità dipendono dalla volontà divina: è Dio che crea e quindi determina con la sua volontà il vero e il bene e le verità eterne sono tali, perché la sua volontà è immu­ tabile. «[ . . . ] Non può immaginarsi alcunché di vero, di buono o che si debba credere o fare o omettere, la cui idea sia stata in Dio prima che la sua volontà si fosse determinata a far sì che ciò fosse tale. E non parlo qui di priorità di tempo, ma neppure di priorità di ordine, o di natura, o di ragione raziocinata, come dicono, in modo cioè che questa idea del bene abbia indotto Dio a scegliere una cosa piuttosto che un'altra. Ad es ., non volle creare il mondo nel tempo , perché vide che sarebbe stato meglio così, che se l'avesse creato dali 'eternità; né volle che i tre ango­ li di un triangolo fossero uguali a due retti, perché conobbe che non pote­ va avvenire altrimenti , etc. Ma, al contrario, perché volle creare il mondo nel tempo, per questo è meglio averlo creato così, che se fosse stato creato ab aeterno; e perché volle che i tre angoli di un triangolo fossero necessariamente uguali a due retti , per questo ciò è ora vero e non può avvenire altrimenti [ ... ])) (Responsiones ad VI Objectiones , AT VII 432, IX 233). Queste quattro tesi tipiche della teodicea cartesiana - Dio come causa

sui, la libertà come assoluta indifferenza, intelletto e volontà disanco­ rate da ogni priorità di natura, creazione delle verità eterne - sono tra loro complementari , ma l' espressione più chiara dell'innovazione car-

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tesiana e insieme della loro implicazione è nell' ultima tesi. «La crea­ zione delle verità eterne esprime ed illumina l ' indifferenza che defini­ sce la libertà dell ' onnipotente. La libertà di colui che dona non è quel­ la di colui che riceve. Nell'uomo al quale la verità è data, la più alta libertà coincide con il giudizio in cui la percezione dell' intelletto precede e comanda la determinazione della volontà, senza la minima indifferen­ za. L'indifferenza, esclusa allora dalla nostra volontà dalla chiarezza del vero e del bene, non è in alcun modo l ' indifferenza essenziale alla volontà che crea il vero e il bene. Il suo significato è anzi esattamente contrario: il potere di affermare o di non affermare, di fare o di non fare non è in me segno di potenza; prova semplicemente che non so con cer­ tezza dove è il vero, dove è il bene; l ' alternativa rivela una ignoranza che è, per così dire, una impotenza dell' intelletto; situazione legata alla coesistenza di un intelletto finito con una volontà infinita. Ma in Dio, la somma indifferenza è un altro nome della somma potenza: Et ita summa indifferentia in Deo summum est ejus omnipotentiae argumen­ tum; essa evoca questa immensità di potenza che nessuna ignoranza può limitare, perché essa è il principio di ogni scienza»68 . IV meditazione:

Del vero e del falso . Il dubbio metodico con le acqui­

sizioni delle prime verità fondamentali sull'io pensante e su Dio ha per­ duto gradualmente il suo carattere di universalità, di estendersi a tutte le opinioni . Dio esiste ed io sono creatura di un essere perfetto . Il dub­ bio comunque persiste, anche se non più radicale ed iperbolico nella for­ mulazione imposta dall'ipotesi del genio maligno. Sono solo una «Cosa pensante»? ho anche un corpo? quale valore ha la conoscenza senso­ riale? si danno altre realtà diverse dall 'io e dall'essere perfetto? quale è la loro natura, in particolare quella delle cose materiali? II dubbio per­ siste finché non si risolve il problema della natura e dell'origine dell'er­ rore nella conoscenza con il quale il dubbio è strettamente connesso. La soluzione va cercata ne li 'analisi delle conoscenze certe già conse­ guite ne li 'iter che riguardano l ' io e il suo creatore . «> (ivi 66 5- 1 5). Descartes a questo punto non si nasconde l'obie­ zione che bloccherebbe il procedimento dimostrativo: la legittimità del passaggio dal pensare Dio ali' affermare la sua esistenza in atto. Nella coe­ renza della sua tesi fondamentale della dimensione ontologica, come rite­ niamo di poterla definire, della idea chiara e distinta, più che mai per l 'idea di Dio sente di poter affermare a pieno diritto quanto essa comporta ad un esame accurato: «Dal fatto che non posso pensare Dio se non esisten­ te, segue che la esistenza è inseparabile da Dio, e che pertanto egli real­ mente esiste; non che sia il mio pensiero a farlo esistere, o imponga qual­ che necessità alle cose, ma al contrario perché la necessità della cosa stessa, cioè dell'esistenza di Dio, mi determina a pensare ciò: non sono infatti libero di pensare Dio senza esistenza, cioè un ente sommamente perfet­ to senza la più grande perfezione , come sono libero di immaginare un cavallo con o senza le ali>> (ivi 67 2- 1 1 )74. Per quanto non sia necessario che io mi imbatta in alcun pensiero su Dio, ogniqualvolta mi accade di pensare all'ente sommamente perfetto non posso non pensare che egli realmente esiste. E se non fossi prevenuto da pregiudizi e la mia mente non fosse ingombra delle immagini delle cose sensibili, non conoscerei nulla prima o più facilmente di Dio e della sua esistenza. Nella V meditazione Descartes non si è limitato a proporre una nuova dimostrazione dell'esistenza di Dio, ma si è soffermato a rilevare l ' in­ cidenza fondamentale che la certezza della sua conoscenza ha in tutto l' am­ bito della scienza, ossia della conoscenza chiara e distinta con cui attin­ giamo la realtà: «non solo sono certo di essa come di ogni altra cosa che mi sembra certissima, ma rilevo inoltre che proprio da essa dipende la certezza delle altre cose così [assolutamente] , che senza questa [cono­ scenza] non si può saper nulla perfettamente [ ... ] Vedo chiaramente che

la certezza e la verità di ogni scienza dipende unicamente dalla conoscen­ za del vero Dio, di modo che prima di conoscere Dio, non avrei potuto sapere nulla perfettamente di alcuna cosa. Ora invece [che lo conosco], mi possono essere del tutto note e certe innumerevoli cose sia riguardo a Dio stesso e ad altre cose intellettuali , sia riguardo ad ogni natura cor­ porea che è oggetto della matematica pura>> (69 1 2- 1 5 , 7 1 3-9) . In questo sviluppo di considerazioni si è ravvisato un circolo vizioso: la

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«regola generale» dell'evidenza preordina e legittima le successive illa­ zioni dell' iter metafisico e quindi della dimostrazione dell 'esistenza di Dio, ora nella conoscenza certa dell'esistenza di Dio si riconosce il fon­ damento di ogni altra certezza, circolo vizioso contestatogli dai suoi critici , in particolare da Mersenne, Arnauld e da Gassendi. «Come può

[Descartes] - osservava Amauld nelle IV Objectiones - sfuggire al cir­ colo, quando dice che non siamo certi che le cose da noi percepite chia­ ramente e distintamente sono vere, se non perché Dio esiste? Ma non pos­ siamo essere certi che Dio esiste, se non perché ciò viene da noi percepito chiaramente e distintamente; quindi prima di essere certi che Dio esiste, dobbiamo essere certi che è vero tutto ciò che viene da noi percepito con chiarezza ed evidenza» (ivi 2 1 4 7- 14)15 . Per Descartes il circolo vizioso non sussiste se si tiene conto dell'ordi­ ne analitico da lui seguito nell'iter metafisico. Nel dimostrare nella III meditazione l'esistenza di Dio si è valso del principio dell'evidenza, che si impone per se stesso con il suo potere costrittivo senza richiedere alcun avallo divino. È in virtù di tale principio che siamo certi dell'esistenza di Dio come essere perfetto e quindi anche verace, perché prestiamo atten­ zione alle ragioni che la provano, ossia ci troviamo di fronte ad eviden­ ze in atto che inducono l'adesione della mente. Il ricorso a Dio, una volta dimostrata la sua esistenza, interviene in un secondo momento per garan­ tire le deduzioni o conclusioni la cui evidenza non è più in atto , perché passate nel dominio della memoria. A tale ricorso si sottrae il principio della evidenza e ancora prima il cogito, non solo perché raggiunto prima che risultasse l'esistenza di Dio, ma perché non è conclusione di una dimo­ strazione , ma una intuizione76. L'evidenza della regola generale è l'evidenza attuale, l'evidenza della rap­ presentazione in atto. In un procedimento deduttivo continuo in cui si rea­ lizza l' «ordine delle ragioni», man mano che si procede neli' acquisizio­ ne di nuove certezze, le verità conseguite arretrano nel tempo e si depositano nella memoria: la loro evidenza un tempo attuale diviene anch'essa una evidenza al passato, una evidenza memorizzata. L'eviden­ za, quando non è più attuale ma passa con le rappresentazioni nella memoria, non ha più quel potere costrittivo che provoca l'adesione della mente e induce la certezza. Nelle Regulae ad directionem ingenii si

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prendeva in considerazione un espediente di natura psicologica per, direi , vitalizzare l'evidenza memorizzata con il ripetere il processo deduttivo nella sua interezza e continuità al punto di consentire alla mente di cogliere come in un'unica intuizione, passando rapidamente dalla prima all'ultima proposizione, tutta la catena degli anelli «quasi senza lasciar parte alla memoria» (AT X 387 1 7 - 388 9, C 22 1 3 - 23 2). Nella V meditazione non si fa riferimento ad alcun espediente metodologico, ma rimane l'esigenza del recupero della evidenza che emergeva nel movimento ininterrotto del pensiero, ora non più attuale. La soluzione è di natura metafisica. «Sebbene [ ... ] io sia di tale natura, che finché per­ cepisco qualcosa molto chiaramente e distintamente, non posso fare a meno di crederla vera, nondimeno, poiché sono anche di tale natura che non posso avere la mente sempre rivolta ad una medesima cosa per per­ cepirla chiaramente e sovente ho solo il ricordo di aver giudicato che una cosa è vera, quando cesso di considerare le ragioni che mi hanno indot­ to a giudicarla tale, può accadere durante questo tempo che altre ragio­ ni mi si presentino, le quali mi farebbero facilmente cambiare opinione, se ignorassi che vi è un Dio; e così non avrei mai una scienza vera e certa di alcuna cosa, ma solo opinioni vaghe e incostanti [ ...] Dopo aver per­ cepito che Dio esiste, poiché nello stesso tempo son venuto a conosce­ re che tutte le altre cose dipendono da lui ed egli non è un impostore e ne ho dedotto che tutte le cose che percepisco chiaramente e distintamen­ te sono necessariamente vere , anche se non penso più alle ragioni per cui ho giudicato che ciò è vero, purché mi ricordi di averne avuto una per­ cezione chiara e distinta non si può addurre alcuna ragione contraria che mi induca a dubitarne, ma ne ho una scienza vera e certa» (AT VII 69 1 626, 70 1 0- 1 8) . Dio s i rende garante non del retto funzionamento del conoscere , i n quan­ to legato alla responsabilità ed accortezza dell'io nell' uso delle norme metodologiche , ma della evidenza che anche se memorizzata conserva la sua connotazione ontologica. Questa garanzia divina viene intesa da Bréhier nel senso che Dio, creatore delle verità eterne, nella immutabi­ lità della sua volontà assicura la permanenza delle essenze e quindi che le rappresentazioni già evidenti continuano ad essere vere , anche quan­ do la loro evidenza non è più in atto. Gouhier invece, attenendosi più fede!-

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mente al testo cartesiano collega la garanzia divina ad un'altra perfezio­ ne, alla veracità: Dio che ha creato e conformato la mente umana non può deluderla o ingannarla, se la mente ha seguito le norme del metodo , che rispecchiano sia la struttura dell 'essere sia la natura stessa della mente umana. VI

meditazione: Della esistenza delle cose materiali e della distinzione

reale della mente dal corpo . La dimostrazione della esistenza delle cose materiali procede per gradi. In primo luogo non vi è alcun dubbio circa la loro possibile esistenza in quanto oggetti della matematica pura: la loro percezione chiara e distinta come evidenziata nella precedente medita­ zione non implica alcuna contraddizione e «Dio è capace di fare tutto ciò che io sono capace di percepire chiaramente e distintamente». Inoltre da un attento esame della immaginazione risulta probabile la loro esisten­ za. L'immaginazione (imaginatio, vis imaginandi) è una facoltà conosci­ tiva nettamente distinta dalla intellezione (intellectio, vis intelligendi): posso immaginare una figura piana semplice, ad es. un triangolo , chia­ ramente e distintamente come posso intenderla, ma una figura piana complessa, ad es. un chiliagono, la immagino solo molto confusamente senza distinguerla da un miriagono, mentre intendo chiaramente questi poligoni e li distinguo l' uno dall'altro. L' immaginazione nell'applicar­ si ali' immagine implica «una particolare tensione della mente», caratte­ ristica che mostra più chiaramente il suo differenziarsi dali ' intellezione. Ora, questa immaginazione, a differenza della intellezione, non mi si rive­ la essenziale al mio essere: potrei non averla senza per questo perdere la mia essenza di «res cogitans»; da cui sembra dedursi che essa dipen­ da da qualcosa di diverso da me: «[ ... ] facilmente intendo che, se esiste un corpo con cui la mente sia così congiunta da potersi applicare per osser­ varlo quando voglia, può darsi che proprio per questo io immagini le cose corporee, sì che questo modo di pensare differisce dalla pura intellezio­ ne solamente in ciò, che la mente quando intende si volga in certo modo , per così dire, verso se stessa e consideri qualcuna delle idee che ha in sé; quando invece immagina si volga verso il corpo e intuisca in esso qualcosa di conforme all'idea intesa o percepita con il senso» (AT VII 73 14-20).

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N eli 'ultima fase del procedimento dimostrativo si consegue la certezza dell'esistenza delle cose corporee. Si riesaminano le motivazioni che indu­ cevano spontaneamente, come per istinto naturale, a ritenere l ' esisten­ za di oggetti esterni che agivano sulle facoltà sensoriali provocando sensazioni e stati emotivi, indipendentemente dal concorso della volon­ tà, se non in contrasto con essa, e nel contempo le ragioni di dubbio sulla validità di tali motivazioni . Una ripresa del procedimento dubitativo della l meditazione, ma in senso inverso - non di rovesciamento o riget­ to, ma di recupero - al fine di valutame la consistenza in questa tappa finale dell ' iter metafisico, dopo l ' acquisizione di verità certe ed eviden­ ti fondamentali: «ora che comincio a conoscere meglio me stesso e l ' au­ tore della mia origine, penso che se non deve amrnettersi sconsiderata­ mente tutto ciò che mi sembra ricevere dai sensi, neppure deve revocarsi in dubbio ogni cosa» . ln primo luogo cose che io possa intendere chia­ ramente e distintamente l ' una senza dell ' altra, possono essere poste in essere da Dio separatamente l'una dall' altra. Ne consegue che, se io ho un' idea chiara e distinta di me stesso come di· una cosa solamente pen­ sante, non estesa, e insieme l ' idea chiara e distinta di corpo come di cosa soltanto estesa e non pensante, è certo che io sono effettivamente distin­ to dal mio corpo - se sono unito a un corpo - e posso esistere senza di esso. In secondo luogo trovo in me alcune facoltà, come il cambiar luogo, assumere atteggiamenti diversi e simili, che includono nel loro con­ cetto chiaro e distinto qualche estensione e nessuna intellezione , e inol­ tre una facoltà passiva di sentire, ossia di ricevere e conoscere le idee delle

cose sensibi li: essendo tutte modi di essere postulano una sostanza cui inerire. Le prime se

è vero che esistono devono

inerire in una sostanza

corporea o estesa. Da parte sua la facoltà passiva di sentire postula una facoltà di produrre o formare le idee sensibili, «facoltà che non può essere in me in quanto sono soltanto una cosa pensante, dal momento che non pre suppone alcuna intellezione e queste idee si producono senza il mio concorso, spesso anzi contro la mia volontà» . Deve quindi trovarsi in sostanze distinte realmente da me e queste sostanze non possono non esistere: vi

è

in me «una grande propensione a credere che queste idee

vengano emesse da tali sostanze» e Dio, autore della mia natura, mi ingan­ nerebbe , se queste sostanze non esistessero. «Tuttavia forse non sono tutte

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propriamente così come le percepisco con il senso, poiché codesta per­ cezione dei sensi (sensuum comprehensio) in molte cose è molto oscu­ ra e confusa; ma almeno è in esse tutto quello che intendo chiaramente e distintamente, cioè tutto ciò che, considerato in generale, è compreso nell' oggetto della matematica pura» (ivi 80 4- 1 0). Per la stessa ragione che Dio, autore della mia natura, non può ingannarmi, posso consegui­ re qualche verità anche nelle percezioni confuse e dubbie quando sia la mia natura ad istruirmi: «per natura, considerata in generale, non inten­ do altro che Dio stesso o la coordinazione che Dio ha stabilito nelle cose create, né altro intendo per mia natura in particolare che il complesso o l 'insieme di tutte le cose che Dio mi ha date» . La natura m' insegna che ho un corpo, che a seconda delle sue disposi­ zioni avverto diverse sensazioni (di dolore , di fame, di sete , etc.), che queste sensazioni provengono dalla unione della mente con il corpo e che io «Sono così strettissimamente unito, e direi mescolato, al corpo da comporre con esso una sola cosa» . Mi insegna inoltre che intorno al mio corpo ve ne sono altri da cui procedono diverse percezioni senso­ riali (colori , suoni , odori , calore, sapori . . . ) e da cui , a seconda che que­ ste percezioni siano piacevoli o spiacevoli, posso ricevere vantaggi o danni . Questo tema de li' «insegnamento della natura» , strettamente legato alla veracità di Dio, sottende tutta la dimostrazione della esistenza certa delle cose corporee , ma è problematico distinguerlo dalle disposizioni e abi­ tudini acquisite acriticamente (ad es.: «che sia vuoto ogni spazio in cui non si presenti assolutamente nulla che muova i miei sensi, che in un corpo caldo vi sia qualcosa del tutto simile ali ' idea di calore che è in me, in un corpo bianco o verde vi sia lo stesso bianco o verde che vedo

[ . .]»), abitudini che portano «ad alterare e confondere l'ordine della natu­ .

ra» . La soluzione è nell' avvalersi di tutte le facoltà conoscitive, che rien­ trano nello stesso concetto enunziato di natura, per cui non sarà possi­ bile incorrere nell' errore, avendo a disposizione qualche facoltà per correggerle, soprattutto la ragione , se me ne servo debitamente . La natura mi ha dotato della possibilità di avere percezioni sensoriali non perché mi siano come «regole certe per conoscere immediatamente quale sia l'essenza dei corpi posti fuori di noi, di cui tuttavia nulla signi-

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ficano se non molto oscuramente e confusamente», ma per significare alla mente quali cose sono utili e quali dannose al composto umano. Le considerazioni conclusive della VI meditazione, suggerite dal proble­ ma dell'idropisia, malattia che rende discutibile il tema dell'insegnamen­ to della natura (l' aridità della gola che normalmente come segno della sete , attivando una serie di processi fisiologici, induce a bere, nell'idro­ pico provocando gli stessi meccanismi non estingue la sete ma riesce dan­ noso all' organismo), ripropongono sotto altra angolazione il problema dell'origine dell 'errore già analizzato nella IV meditazione e si bilancia­ no tra un ulteriore rilievo della potenza e bontà divina che impedisce che la natura dell' uomo come tale sia ingannevole e i limiti connaturali della conoscenza umana, come attribuzione di un essere finito . La mente e il corpo si distinguono nettamente tra loro, in quanto il corpo per sua natu­ ra è sempre divisibile, mentre la mente è del tutto indi visibile, «né le facol­ tà di volere, di sentire, di intendere, etc . possono dirsi sue parti, poiché è l ' unica e medesima mente a volere, a sentire, a intendere» . Inoltre la mente non viene impressa immediatamente da tutte le parti del corpo, ma unicamente dal cervello o da una sua esigua parte. Data la struttura uni­ taria e continua del sistema nervoso l'effetto di una stimo! azione è ugua­ le, quale che sia il punto, estremo o intermedio, in cui il nervo afferen­ te al cervello viene stimolato, e sarà la sensazione - in base ali'ordinamento naturale - che più efficacemente e più frequentemente porti alla conser­ vazione della salute. Ma, nonostante «l' immensa bontà di Dio, la natu­ ra dell'uomo, in quanto composta di mente e di corpo, non può non esse­ re ingannevole [ . . .] e se l ' aridità della gola insorga non, come al solito, per il fatto che bere giovi alla salute del corpo, ma da un'altra causa con­ traria, come avviene nell' idropico, è molto meglio che essa inganni allo­ ra, che se invece ingannasse sempre , quando il corpo si trova in buono stato» (ivi 89 2-7). Come si è già rilevato è il ricorso alle facoltà cono­ scitive che consente non solo di riconoscere gli errori cui è soggetta la mia natura umana ma anche di correggerli e di evitarli , e di superare inol­ tre ((i dubbi iperbolici dei giorni scorsi come ridicoli , soprattutto quello più generale relativo al sonno che non distinguevo dalla veglia»; ora noto che vi è una grandissima differenza tra loro: i sogni non vengono mai col­ legati dalla memoria con tutte le altre azioni della vita, come invece si

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verifica con quanto accade quando sono sveglio. Tuttavia, poiché per le necessità della vita pratica non sempre posso avvalermi del tempo utile ad un attento esame delle situazioni , «si deve ammettere che la vita umana è spesso soggetta ad errori quanto alle cose particolari e si deve riconoscere la debolezza della nostra natura)) (ivi 90 1 2- 1 6). Descartes riprese la esposizione dei temi principali del suo pensiero metafisico nella I parte dei Principia philosophiae, per intendere la quale - come già rilevato - riteneva conveni «ì nte una preliminare lettu­ ra delle Meditationes. A prescindere da alcune modifiche, come l'ordi­ ne di successione delle dimostrazioni dell 'esistenza di Dio77 , in effetti, tenuto conto dell' intento redazionale dell'autore di offrire un manuale per uso didattico, l' intera opera è strutturata in parti e articoli e presenta ana­ lisi concettuali che integrano punti nevralgici dell 'itinerario metafisico della precedente opera. Tra questi in particolare una ripresa chiarifica­ trice del concetto di cogitatio78, dell'idea chiara e distinta79 , l'analisi dei concetti di sostanza, di qualità o attributi e di maniere o modi di sostan­ za. La definizione di sostanza («Una cosa che esiste in modo tale da non aver bisogno che di se stessa per esistere))) che propriamente non com­ pete che a Dio, conviene anche, in accezione riduttiva, alle cose create che per esistere non hanno bisogno che del concorso ordinario di Dio (art.

5 1 ). L'attributo è espressione dell 'essenza di una sostanza, di cui le modificazioni si denominano maniere o modi . Il contesto di queste pre­ cisazioni concettuali e soprattutto la considerazione che non tutto ciò che pensiamo delle cose è inerente alle cose stesse (come in generale riguar­ do alle idee che nella scolastica si denominano universali e si classifica­ no in generi , specie, differenze , proprietà e accidenti) portano a chiari­ re la stessa categoria della distinzione nei suoi tre tipi: reale, modale e di ragione. «La distinzione reale si trova propriamente tra due o più sostan­ ze. Possiamo infatti concludere che due sostanze sono realmente distin­ te l ' una dall'altra, dal solo fatto che possiamo concepire chiaramente e distintamente l' una senza pensare all' altra; poiché, secondo quanto cono­ sciamo di Dio, siamo certi che egli può fare tutto ciò di cui abbiamo un ' idea chiara e distinta)) (art. 60)80. La distinzione modale, ossia la distin­ zione in cui almeno un termine è un modo, è duplice: tra il modo e la sostanza (ad es., tra la figura o il movimento e la sostanza corporea) o

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l pezze nti d e l pen n e l l o Quando, nel 1 629, Cartesio decide di stabilirsi definitivamente nella repubblica delle Province Unite, la regione sta attraversando un paradossale periodo di prosperità, nono­ stante l'interminabile conflitto - sarà poi definito la "Guerra degli Ottanta anni" - che la vede opposta all' Impero degli Asburgo. Al momento dello scoppio della sollevazione antiasburgica ( 1 576), la zona pianeggian-

l sindaci della gilda degli orafi (tela di Thomas de Keyser, 1 627). In pochi anni,

i mercanti di Amsterdam controllarono gran parte dei traffici transoceanici dipietre e metalli preziosi.

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Paesaggio invernale (tela di Jacob van Ruisdael, XVII secolo). l dipinti dei paesaggisti olandesi costituirono uno dei generi più ricercati dai collezionisti di tutto il Seicento.

te che circonda le bocche del Reno stava godendo, di riflesso, del benessere raggiunto dalle vicine Fiandre: defilata rispetto alle aree geopoliticamente nevralgiche del conti­ nente europeo, l'area aveva già conosciuto un primo momento di prosperità in età caro­ lingia ed un secondo durante l'apogeo dello stato borgognone sotto Filippo il Buono (XV secolo), ma la sua importanza non era mai stata neppure lontanamente parago­ nabile a quella della regione fiamminga. Anche per questo, la corte vicereale asburgi­ ca aveva inizialmente sottovalutato la portata della rivolta; · Cosa vogliono questi pez­ zenti (guex) ? " pare abbia detto uno dei dignitari; al di là della veridicità dell'aneddoto, " Pezzenti, a me ! " era poi divenuto il motto dei ribelli. La lontananza rispetto ai domini diretti degli Asburgo segnò la fortuna della rivolta; nel 1 609, gli imperiali furono costretti a firmare una tregua di dodici anni che, di fatto, sanciva l'indipendenza delle sette province. Mentre tutto il continente si aspettava il riaprirsi delle ostilità allo scadere dei termini del trattato, il susseguirsi di altre crisi pre­ cipita la regione tedesca nel baratro della Guerra dei Trent'Anni, lasciando ai margini

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Stamperia olandese (incisione di Abraham Bosse, XVII secolo). Grazie alla tolleranza della società olandese, Amsterdam divenne una delle capitali europee del­ l'editoria.

le province ribelli, che hanno così modo di diventare una delle maggiori potenze eco­ nomiche del tempo. Al momento dell'arrivo di Cartesio, i commerci olandesi si estendono dal Nordameri­ ca all'Asia meridionale, mentre i "pezzenti del mare" - come vengono chiamati i cor­ sari delle sette province - hanno preso il posto degli inglesi nel depredare le rotte spa­ gnole e la borsa di Amsterdam diventa il cuore finanziario delle transazioni di tutta Europa; circondata da monarchie in espansione, la repubblica delle Province Unite costituisce un esempio quasi unico di autogoverno locale espresso da un'élite borghese e citta­ dina, nettamente contrapposto ai clan nobiliari della corte asburgica: la società olan­ dese è costretta a trovare un punto di equilibrio tra il rigore calvinista e la libertà di pen­ siero e - a differenza di quanto accade nelle regioni tanto della Riforma quanto della Controriforma - stabilisce norme di tolleranza che non hanno eguali in Europa: " Per amore del commercio tolleriamo tutti; e questo è il motivo per cui la maggior parte delle nazioni portano da noi i loro tesori: puoi essere tutto ciò che il diavolo voglia, purché tu sia pacifico" . L'Olanda diventa così, per tutta Europa, i l simbolo della libera circolazione delle idee e,

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nonostante le Province Un ite non siano immuni dal clima di conflitto religioso e intri­ go politico che caratterizza il Seicento, la generale atmosfera di tolleranza diventa un'ulteriore volano per la crescita economica e sociale. L'alto livello di benessere raggiunto dalla borghesia mercantile è alla base della nasci­ ta di una committenza particolare, piuttosto diversa da quella del resto d'Europa: in Spa-

Interno della Nieuwe Kerk (tela di Pieter Jansz Saenredam. XVII secolo). La

chiarezza della filosofia cartesiana si ritrova nelle caratteristiche composizioni di Pieter Saenredam.

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gna, Francia e Germania le famiglie nobiliari cattoliche e protestanti richiedono agli artisti opere che celebrino la loro tradizione terrena una tradizione che, neces­ sariamente, deve essere rein­ ventata generazione dopo generazione - o che, devo­ tame nte, suggeriscano la loro gloria celeste; al con­ trario, i mercanti calvinisti di Haarlem o Amsterdam desi­ derano qualcosa che sug­ gelli il raggiungimento della felicità mondana che vada a rispecchiare la sicurezza di Il panettiere (tela di Job Adriaenszoon Berckheyde, 1 681). Ritratti molto caratterizzati come

un paradiso futuro piutto­ sto che un'inesistente nobil­

quello di questo panettiere erano tipici della produzione

tà passata. La pittura che ne

pittorica olandese del Seicento.

scaturisce sembra contrad­ dire punto per punto gli sti­

lemi del barocco: realismo invece di fantasia, sobrietà al posto di invenzione. La cultura figurativa nordeuropea parrebbe perciò destinata a muoversi con criteri affatto indipen­ denti da quelli meridionali. In realtà, l'universalismo della cultura barocca finisce per attenuare queste differenze: ai nostri occhi, la dicotomia tra Vélazquez e Rembrandt appare più sfumata di quella tra Hans Memling e Piero della Francesca, mentre la figura nodale di Caravaggio viene a rap­ presentare un ideale punto di confluenza e, insieme, di diramazione, di tutte queste diver­ se esperienze. Il barocco olandese ci ha quindi lasciato una grande quantità di tele - la produzione pit­ torica raggiunge quantità vertiginose per l'epoca, mentre i pittori si organizzano in gilde la cui struttura è ricalcata da quelle dei mercanti - caratterizzate da una minuta atten­ zione verso i dettagli e da una spiccata tendenza a rappresentare episodi e situazioni quo­ tidiane: i centri maggiori - come Utrecht, Leida, Amsterdam o Delft - si specializzano in

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Ritratto di Cartesio (tela di Frans Hals, 1 649 ca.). Capofila della scuola di Haarlem,

nei suoi ritratti Hals cercava di far emergere la complessità psicologica dei personaggi, senza

mai seguire passivamente le iconografie tradizionali.

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senso quasi protoindustriale dando vita ad altrettante scuole il cui stile è quasi un mar­ chio di fabbrica. Nonostante tali condizioni di produzione per così dire "seria le", la pit­ tura olandese del Seicento sprigiona un tale grado di qualità e di inventiva da far pas­ sare in secondo piano la ripetitività nei temi e nei soggetti di quella che sarà definita "pittura di genere " . Con Frans Hals, Jacob va n Ruisdael, Pieter Claesz e Pieter Saenredam, l a scuola di Haar­ lem si conquista una certa notorietà anche a causa di una precoce "sistematizzazione" dei diversi generi: ritratto, natura morta, paesaggio, veduta di interni . . . Grazie ad Hals, la ritrattistica olandese abbandona in modo definitivo la ieraticità magniloquente del seco­ lo precedente in favore di uno stile più veloce e spontaneo - fermo restando che pro­ prio questa apparente spontaneità nasce da una precisa meditazione sul significato del soggetto da ritrarre nonché sulle sue aspettative di committente. Il capovolgimento

Natura morta con tavola imbandita (tela di Pieter Claesz, 1654). Le nature morte componevano in modo apparentemente casuale oggetti dotati di profonda valenza simbolica.

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Veduta di Amsterdam (tela di Gerrit Adrianszoon Berckheyde, 1 675 ca.). Il successo economico della città olandese tra ilXVI e il XVII secolo fu tale da scalzare piazze mercantili consolidate come Anversa o Venezia.

degli stilemi in voga fino a quel momento è evidente nei due ritratti che Hals fa a Car­ tesio: abbandonati tutti i segni iconografici che, fino a quel momento, contraddistingue­ vano le figure di pensatori, Hals si concentra sugli occhi del filosofo, tanto da far parla­ re in seguito di "sguardo di civetta " (l'animale sacro alla dea della saggezza), lasciando lo sfondo della tela in un vuoto metafisica. Lo stesso Cartesio, d'altra parte, in una lettera ad Elisabetta del Palati nato aveva deli­ neato una sorta di programma estetico che sembra coniugarsi perfettamente con i det­ tami della pittura di genere: bisogna " imitare coloro che, contemplando il verde di un bosco, i colori di un fiore, il volo di un uccello e le cose che non richiedono attenzione credono di non pensare a nulla; ciò che non è perdere tempo, ma impiegarlo bene: ci si può infat­ ti convincere, con l'esperienza, che in questo modo si recupererà una perfetta salute, fon­ damento di tutti gli altri beni che si possono avere in questa vita" . Questo elogio - quasi borghese - del buon senso, contrapposto a l furor delle pas­ sioni artistiche, è puntualmente espl icitato nel prosieguo della lettera: · non vi è alcun bene al mondo che si possa considerare assolutamente un bene tranne il buon

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senso " ; proprio questo "buon senso" spira dalle due tele di Hals, in un caso (nel dipin­ to apparentemente più "svelto " ) appena venato da un senso di divertita meraviglia, e identifica la personalità del filosofo al di là dei diversi brani iconografici sedimen­ tatisi nella tradizione. Possiamo paragonare questi due ritratti alle fattezze quasi caricaturali dei Democrito ed

Ritratto di Cartesio (tela di Frans Hals, 1649 ca.). Il pennello di Hals rivoluzionò la ritrattistica introducendo un 'attenzione particolare alla naturalezza e alla spontaneità del personaggio raffigurato.

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Eraclito di

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Rubens (1 603 ca.) oppure al resto della produzione pittorica di Hals, per meglio

valutare come, a metà del XVII secolo, si affermi una nuova immagine ·razionale· della filosofia: il dubbio cartesiano finisce per essere inteso inteso come fonte di certezze e non di speculazioni, e il dominio delle " passioni" che agitavano i maestri antichi, diventa uno dei segni distintivi della modernità.

Ritratto di Frans Post (tela di Frans Hals. 1 655 ca.). Il successo di Hals come ritrattista

avrebbe influito su tutta l'arte olandese coeva; i suoi soggetti erano non solo i ricchi borghesi

delle città o gli alti prelati, ma anche musici e locandiere.

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tra due diversi modi di una stessa sostanza (ad es ., tra la figura e il movimento di una sostanza corporea). «La distinzione che si fa con il pen­ siero consiste nel distinguere talora una sostanza da qualche suo attribu­ to senza il quale tuttavia non ci è possibile averne una conoscenza distin­ ta, ovvero nel cercare di separare da una stessa sostanza due tali attributi, pensando all ' uno senza pensare all' altro)); ad es . nel distinguere l 'esten­ sione dal corpo e l 'estensione dalla divisibilità in parti . Nel penultimo articolo (art. 75) riassume l 'esposizione di questa I parte dei Principia in forma programmatica, «di tutto ciò che si deve osserva­ re per ben filosofare)). VI. LE CONT ROVE RSIE CON l T EOLOGI DI UT RECHT E LEIDA

L'opposizione a Descartes all'università di Utrecht da parte del teologo calvinista Gisbert Voetl prese avvio quando Henri de Roy (Regius), professore di medicina teorica e di botanica, orientò il suo insegnamen­ to secondo le innovazioni della filosofia cartesiana in contrasto con il pen­ siero tradizionale2 . Il 10 giugno dello stesso anno faceva sostenere sotto la sua presidenza dali 'allievo Joannes Haymannus una Disputatio medi­ co-physiologica pro sanguinis circulatione, dopo aver sottoposto e fatto

correggere il testo delle I l tesi da Descartes. Già nella prima si esclude­ va il ricorso alle forme sostanziali nello spiegare il processo digestivo degli alimenti: la loro preparazione per restaurare la sostanza corporea, «che volgarmente è detta digestione (coctio) , non consiste nella generazione o corruzione di qualche forma sostanziale, ma solo in un processo di adat­ tamento delle particelle non percepibili di cui constano gli alimenti , per­ ché acquistino una conformazione adatta al corpo umano)) (AT III 727728) . Nelle tesi successive si descrivevano la struttura del cuore e la rete dei vasi sanguigni, si rendeva ragione della circolazione del sangue meccanicisticarnente con il ricorso al calore del muscolo sanguigno e non alla vis pulsifica , tenendo presente la V parte del Discours de la métho­ de e si difendevano le posizioni cartesiane dalle obiezioni avanzate a suo

tempo da Plempius, avvalendosi delle stesse risposte indirizzate da Descartes al suo avversario di Lovanio. Voet fu contrariato dal successo della disputa, che dispiacque ovviamen-

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te anche ai medici seguaci della dottrina tradizionale . Tra questi Jacobus Primirosius si adoperò a confutare le innovazioni, pubblicando le Ani­

madversiones adversus Theses, cui ne li' agosto rispondeva Regius ricam­ biando ingiurie e sarcasmi con Spongia qua eluuntur sordes Animadver­

sionum . Da parte sua Voet volle coinvolgere nel tentativo di contenere la crescente influenza del pensiero cartesiano anche Mersenne, con cui aveva scambiato qualche lettera dal giugno 1638 (cfr. CM IX 72 482-485). Nella seconda metà di ottobre gli si rivolgeva con espressioni di scoper­ ta adulazione («la verità da te finora professata ed esposta nel concilia­ re teologia e fisica e metafisica con la matematica ti reclama difensore [ ... ]» ), invitandolo a scrivere contro Descartes che «si adoperava a dar vita a una nuova setta, mai fin'allora vista o udita al mondo»; vi erano di quelli che «lo ammiravano e lo adoravano come un nuovo Dio cadu­ to dal cielo», mentre era piuttosto da paragonarsi a Vanini (AT Vill-2 205207). Mersenne gli rispondeva con due lettere, una tramite Rivet, l' altra tramite Descartes (che avrebbe potuto leggerla e rispedirla al destinata­ rio, se lo avesse ritenuto opportuno, come se provenisse direttamente da Parigi), entrambe probabilmente lo stesso giorno, il 3 novembre. Le let­ tere non ci sono pervenute, ma se ne può ricostruire il contenuto dalla cor­ rispondenza successiva. Mersenne dichiarava la sua disponibilità, invi­ tava a sua volta Voet a indicargli i passi contestabili negli scritti di Descartes e probabilmente lo informava della sua intenzione di esami­ nare criticamente la recente opera che il filosofo voleva pubblicare a Pari­ gi, le Meditationes de prima philosophia, il cui manoscritto stava per rice­ vere da parte dell' autore (lo riceverà in effetti circa un mese dopo , non prima del 1 3 dicembre). Alla richiesta di Mersenne Voet non rispose, accontentandosi forse delle intenzioni dichiarate dal religioso parigino, che come si vedrà più oltre non mancherà di farglielo rilevare quando si aggraverà la sua opposizione a Descartes. ll 16 marzo 1 64 1 , anniversa­ rio della fondazione dell' università, Voet veniva eletto rettore (per la dura­ ta di un anno secondo lo statuto). A partire dal 1 7 aprile Regius riprendeva a far sostenere dispute con gene­ rico riferimento all ' ambito didattico della medicina, ma la cui tematica sconfinava nella filosofia e nella teologia (ad es. tesi come «de quinque decantatis novae philosophiae principiis: quantitate scilicet, quiete, motu,

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si tu et figura» - «de mundo indefinitO>> - «de homine, quod sit ens per accidens , ac conflatus ex anima, mente et corpore>> - «de terra quod sit pianeta, quippe quae duplici motu circumgyretur, diurno et annuo>> - «de Christi persona, quod non magis sit unum per se quam homo>>: AT m 368). Ebbe comunque l'accortezza di sottopome previamente i testi al rettore in carica per deferenza e forse anche per prevenime o ridume l 'opposi­ zione, e, con le note che questi vi apponeva, anche a Descartes. Non sem­ pre comunque le posizioni di Regius collimavano con il pensiero di Descartes, e già questo dissenso su alcuni punti non secondari della pro­ blematica filosofica, specie sulla natura dell'anima umana e sulla sua unio­ ne con il corpo, sfata la tesi, avvalorata poi dallo stesso Descartes al tempo della completa rottura con l ' «infedele discepolo>> , di un periodo di com­ pleta adesione al suo pensiero. Nel leggere e correggere le tesi di Regius, Descartes non nascondeva un certo disagio in cui veniva a trovarsi: «Mi si impone un nuovo onere - gli scriveva nel mese di maggio -: si potreb­ be essere indotti a credere che le mie opinioni non dissentano dalle vostre e che quindi in seguito io non debba esimermi dal difendere stre­ nuamente quanto avrete asserito; in conseguenza devo tanto più atten­ tamente esaminare ciò che mi avete mandato da leggere, perché in esso non mi sfugga qualcosa che io non possa sostenere>> (AT III 37 1 ). La controversia all' università di Utrecht si protrasse a lungo tra discus­ sioni di tesi in contrasto pro e contro la «nuova filosofia>> , più o meno esplicitamente dichiarata, tra ingiunzioni del senato accademico a soste­ gno della filosofia tradizionale e interventi dell'autorità civile a conte­ nere la situazione conflittuale non solo tra docenti , ma anche nella popo­ lazione studentesca che partecipava animosamente al dibattito, a volte superando i limiti della tolleranza. Nella Epistola ad patrem Dinet appar­ sa nella II ed . delle Meditationes de prima philosophia del l 642 Descar­ tes a sua difesa dava un resoconto delle ingiustificate opposizioni subi­ te, che peraltro dovevano aggravarsi . Voet volle coinvolgere nella lotta contro Descartes oltre a suo figlio Paolo, già straordinario di metafisica all'età di ventidue anni, anche un suo ex allievo, Martin Schook, ora pro­ fessore di filosofia ali 'università di Groninga, nella lotta contro Descar­ tes intervenuto recentemente in difesa di un ministro di Bois-le-Duc, Samuel Desmarets, cui si rimproverava di non aver interdetto ai prote-

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stanti di entrare nella confraternita cattolica del Rosario. In collaborazio­ ne con Schook componeva due scritti polemici contro Descartes, che usci­ vano nei primi mesi del 1 643 , De confraternita mariana e Admiraruia methodus novae philosophiae Renati Des Cartes. La risposta di Descar­

tes non si fece attendere. Verso il maggio dello stesso anno usciva la sua Epistola ad celeberrimum virum D. Gisbertum Voetium. La situazione si

aggravava. Una ingiunzione di presentarsi dinanzi ad una commissione di magistrati e di professori veniva sospesa per l ' intervento di persona­ lità autorevoli, l 'ambasciatore di Francia e lo stesso principe d'Orange. Voet non si arrendeva. Riusciva ad ottenere in virtù del suo prestigio un divieto di qualsiasi scritto pro o contro Descartes , che a sua volta volle dar prova della sua resistenza, indirizzando ai magistrati di Utrecht il 1 6 giugno 1 645 una lunga lettera in sua difesa in latino, la Querela apolo­ getica (AT VIII-2 20 1 -3 1 7). È in questo stesso anno che Descartes rompeva definitivamente i rappor­ ti con Regius (causa iniziale del lungo dissidio con i teologi calvinisti di Utrecht) in occasione della stesura da parte di quest'ultimo dei Furuia­ menta physices, in cui soprattutto riguardo al tema della distinzione ed

unione dell' anima e del corpo si acuiva il contrasto con il pensiero car­ tesiano delle Meditationes e dei Principia philosophiae: per Regius, negando l ' unione sostanziale, l 'uomo in definitiva non era che un ens per accidens e l ' anima non una sostanza ma un modo del corpo. Alle seve­

re critiche di Descartes , che non mancava di sottolineare la sua incom­ petenza in metafisica, Regius replicava con risentimento il 23 luglio, con­ testando la pretesa chiarezza ed evidenza del suo pensiero fi losofico (AT IV 254-256). L'opera usciva nel 1 646. L'anno successivo nella Lettre-pré­ face alla traduzione francese dei Principia philosophiae sconfessava

l'ex allievo, che pur plagiando i suoi scritti , anche inediti, non ne era stato fedele interprete e per giunta aveva negato verità metafisiche su cui deve basarsi tutta la fisica; pregava infine i lettori «di non attribuirmi mai alcuna opinione se non la trovano espressamente nei miei scritti e di non accoglierne alcuna come vera, né nei miei scritti né altrove, se non la vedo­

no molto chiaramente essere dedotta dai veri princìpi

»

(AT IX-2 1 9 26

- 20 5). Sulla fine dello stesso anno, 1 647 , Regius, ribadendo le sue tesi in netto contrasto con Descartes, pubblicava anonima una Explicatio men-

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tis humanae sive animae rationalis, ubi explicatur quid sit et quid esse possit, su cui il filosofo redigeva delle Notae in programma quoddam ,

che appariranno l ' anno successivo (AT VIII-2 335-370). Anche nell' ambiente teologico di Leida Descartes ebbe a subire attac­ chi non meno violenti con minacce di condanne per incriminazioni che potevano desumersi dalla sua opera maggiore. Nei mesi di febbraio e marzo 1 647 Jacques de Reves (Revius), reggente del Collegium theolo­ gicum et philosophicum3, in una serie di quattro dispute «de cognitione

Dei et de Deo ut est ens a se» fece impugnare alcuni passi delle Medi­ tationes, in particolare quello relativo alle proprietà della volontà umana

(IV meditazione) con caratteristiche valide ad accusare Descartes di pelagianismo. Sempre contro le Meditationes fu diretta il 6 aprile alla Facoltà di teologia dal primo teologo Jacobus Triglandius una disputa sul dubbio metodico, in cui si ipotizza un Dio impostore e ingannatore: Descartes veniva accusato di blasfemia. Sia nell'uno che nell'altro epi­ sodio Heereboord prese le difese del filosofo, mettendo in evidenza in base ai testi che non potevano giustificarsi le accuse che gli venivano mosse. Descartes tenuto al corrente da Heereboord il 4 maggio indiriz­ zava una lettera di protesta ai Curatori dell' università contro le calunnie dei due teologi. Quanto all' accusa di pelagianismo da parte di Revius si richiamava direttamente al brano in questione della IV meditazione: «è solo la volontà o libero arbitrio che sperimento in me così grande da non conoscere l'idea di alcuna più grande» (sola est voluntas sive arbitri} liber­ tas, quam tantam in me experior ut nullius majoris ideam apprehendam,

AT VII 57 1 1 - 1 3 ): Revius indebitamente, come gli veniva contestato dall' «opponens» nella disputa, sottintendeva a «nullius majoris» non «facultatis vel libertatis» ma «rei». Nel contesto di questa interpretazio­ ne errata era breve il passo all'accusa di pelagianismo: «se non appren­ do l'idea di alcuna cosa più grande, ne consegue che neppure l ' idea di Dio sarà più grande della mia libertà e quindi il mio libero arbitrio sarà più grande di Dio» (AT V 4 8- l l ). Non meno facile era ribattere l'accusa di empietà di Triglandius, che peral­ tro comportava - e ciò maggiormente preoccupava il filosofo - l'essere deferito al tribunale inquisitorio del «theologus primarius» della Facol-

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tà . Descartes ripeteva ed integrava le argomentazioni addotte in suo favore durante la disputa: l ) nella supposizione della prima meditazio­ ne aveva distinto tra «Dio ottimo, fonte di verità» e «genio maligno», e solo questo aveva propriamente supposto «ingannatore»; 2) nel suppor­ re il genio maligno «sommamente potente» non intendeva né poteva attri­ buirgli una perfezione divina per l'inconciliabilità di impostura con la per­ fezione della bontà; 3) la supposizione stessa di cui si era servito non andava valutata sommariamente in base alla massima: «non è lecito fare il male per conseguire il bene»; tale supposizione si conseguono e come vengono rese familiari ed accessibili. L'anima la si conosce unicamente con l'intelletto puro; «il corpo, ossia l 'estensione, le figure e i movimenti si possono anche conoscere con il solo intelletto, ma molto meglio con l'intelletto aiutato dall'immaginazione; e in fme le cose che appartengono all'unione dell'anima e del corpo non si conoscono che oscuramente con il solo intelletto, o con l' intelletto aiutato dall' imma­ ginazione , ma si conoscono molto chiaramente con i sensi», per cui chi non filosofa e non si serve se non dei propri sensi non dubita minima­ mente dell' azione reciproca tra anima e corpo e della loro unione. Da cui traeva indicazioni normative sulle applicazioni delle facoltà conosciti­ ve sia nella speculazione che nell'attività pratica: «la principale regola che ho sempre osservata nei miei studi e che credo mi abbia più giova­ to per conseguire qualche conoscenza è stata il non aver mai impiega­ to se non pochissime ore al giorno ai pensieri che occupano l' immagi­ nazione [le matematiche] e pochissime ore all' anno a quelli che occupano l 'intelletto solo [la metafisica] , e l'aver destinato tutto il resto del mio tempo al dispiegarsi dell' attività sensoriale (relasche des sens) e al ripo­ so dello spirito» . E ritornando all' argomento in discussione, se «i pen­ sieri metafisici» de li' intelletto puro fanno conoscere la netta distinzio­ ne dell' anima dal corpo, «ciascuno prova sempre in se stesso senza filosofare la nozione dell' unione, ossia che è una sola persona, che ha insieme un corpo e un pensiero, i quali sono di tale natura che questo pen­ siero può muovere il corpo e sentire gli accidenti cui va soggetta» (AT

III 69 1 -694, passim). Prima di procedere oltre, qualche considerazione sull' influenza subita da Descartes dalla morale stoica, largamente diffusa dai primi decenni del

XVI sec. Lo stoicismo conosciuto in quest'epoca è quello moralizzante

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dei primi due secoli d.C., di Seneca, Epitteto e Mare' Aurelio. È princi­ palmente attraverso le numerose edizioni in latino e in volgare di Sene­ ca che si era andato delineando uno stoicismo cristiano, differenziando­ si in più orientamenti e versioni, nel tentativo di superare l' antinomia di fondo delle due concezioni: «chi dice stoicismo dice esaltazione dell 'uo­ mo fino al di sopra della divinità stessa e chi dice cristianesimo dice abbas­ samento dell' uomo peccatore davanti alla trascendenza del Dio Reden­ tore». J. Eymard d' Angers ha distinto nel corso del XVII sec ., partendo dall' influenza esercitata soprattutto dalle opere di Juste Lipse, Guillau­ me du Vair e Pierre Charron, uno stoicismo cristianizzante, un cristiane­ simo stoicizzante, un umanesimo cristiano, un umanesimo cartesiano e una duplice attitudine dei libertini. Quanto ali' atteggiamento di Descar­ tes vi riscontra delle analogie con quello degli umanisti cristiani (tra cui l'oratoriano Senault, il gesuita Julien Hayneuve, il cappuccino Yves de

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Paris), ma con differenziazioni che legittimano il riconoscimento di un «nuovo umanesimo» . ((Anche in Descartes confutazione e utilizzazio­ ne dello stoicismo si bilanciano a far da contrappeso tra di loro; Descar­ tes desume dal Portico la sua famosa distinzione tra ciò che dipende da noi e ciò che non ne dipende; rimprovera al Portico la sua mostruosa apa­ tia e la sua dottrina del sommo bene. Ma il clima non è lo stesso». L'apatia è respinta non in nome dell'ilemorfismo aristotelico, ma per una diversa concezione dell'unione tra substantia cogitans e substantia

extensa. Per gli umanisti cristiani la volontà agisce direttamente sulle pas­ sioni per moderarle, per Descartes indirettamente tramite l'immagina­ zione. I primi > dovuta aU' ((ostinarsi della sorte a perseguitare la sua famiglia». Non vi era altro rimedio - le suggeriva nella lettera del l 8 maggio 1 645 , anticipando un tema che svilupperà nella corrispondenza successiva - che ((con la forza della virtù rendere l'anima contenta nonostante le avver­ sità della sorte». Vi è una notevole differenza tra le anime grandi e le vol­ gari ; queste sono in balia della sorte, si lasciano dominare dalle passio­ ni e sono felici o infelici a seconda che si trovino in situazioni piacevoli o meno, le anime grandi invece seguono la ragione: ((hanno ragionamen­ ti così solidi e così potenti, che per quanto abbiano anche passioni, e per giunta spesso passioni più violente di quelle che si provano ordinariamen­ te, la loro ragione rimane sempre la padrona e fa che persino le afflizio­ ni riescano loro utili e contribuiscano alla perfetta felicità di cui godo-

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no già in questa vita [ . . .] Avvertendo il dolore nei loro corpi - mortali e fragili -, si esercitano a sopportarlo pazientemente e questa constatazio­ ne della loro forza arreca loro piacere [ ... ] Come le prosperità più gran­ di della fortuna non le ubriaca e non le rende più insolenti, così le avver­ sità più gravi non le possono abbattere o renderle tristi al punto che il corpo cui sono unite si ammali)) (AT IV 20 1 -203 passim). Sul tema delle avversità e dei dispiaceri Descartes ritornava in lettere suc­ cessive tra maggio e giugno, con suggerimenti di natura psicologica: disto­ gliere per quanto possibile l' immaginazione, non impiegandola che «a considerare oggetti che possano apportare soddisfazione e gioia)); inol­ tre per rendere efficace l 'uso delle prescrizioni mediche (nel caso, le acque di Spa) non solo liberare l'animo da ogni specie di pensieri tristi, ma anche non affaticarlo con lo studio di discipline impegnative: doveva piuttosto «imitare coloro che, contemplando il verde di un bosco, i colori di un fiore, il volo di un uccello e le cose che non richiedono alcuna attenzione, cre­ dono di non pensare a nulla; ciò che non è perdere tempo, ma impiegar­ lo bene: ci si può infatti convincere con l 'esperienza, che in questo modo si ricupererà una perfetta salute, fondamento di tutti gli altri beni che si possono avere in questa vita)) (ivi 220 1 1 - 1 9)12. È certo quasi impos­ sibile resistere ai primi turbamenti provocati dalle nuove avversità, ma quando col tempo - magari l' indomani, dopo un salutare riposo - si calma l'emozione del sangue, l'animo si riprende, riacquista la tranquillità: que­ sta esperienza aiuta a valutare meglio ogni evento che per quanto fune­ sto non può non essere considerato sotto qualche aspetto favorevole: «come non vi è alcun bene al mondo, tranne il buon senso, che si possa considerare assolutamente bene, così non vi è alcun male da cui non si possa trarre qualche vantaggio, avendo il buon senso)) (ivi 237 2 1 -24). Per Elisabetta la corrispondenza con il filosofo riusciva di conforto e anche di evasione dal suo stato persistente di «melanconia>> cui si vedeva con­ dannata dal dover seguire gli eventi sfavorevoli alla sua famiglia: avreb­ be desiderato fargli visita, ma «la maledizione del mio sesso - come si era espressa nella lettera del 23 giugno - mi impedisce la soddisfazione che mi darebbe un viaggio a Egmond)) (i vi 234 20-2 1 ) . Con la lettera che Descartes le scriveva il 2 l luglio la trattazione degli argomenti di mora­ le assumeva un aspetto più sistematico: «[ ...] in questo deserto in cui non

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apprendo alcuna notizia di ciò che accade nel resto del mondo [ . .] non .

trovo altro argomento su cui intrattenervi che parlarvi dei mezzi che la filosofia ci insegna per conseguire questa felicità suprema, che le anime volgari attendono invano dalla fortuna e che noi non potremmo posse­ dere che da noi stessi» (ivi 252 9- 1 9). E le proponeva di leggere e com­ mentare nello scambio epistolare il De vita beata di Seneca, ritenendo più che utile esaminare il pensiero degli antichi, senza peraltro assume­ re un atteggiamento di pura acquiescenza 1 3 . I l primo argomento è suggerito dalla frase iniziale del libro: «vivere

omnes beate volunt, sed adpervidendum quid sit quod beatam vitam effi­ ciat caligant>> (tutti vogliono vivere beatamente, ma quando esaminano più attentamente cosa è che rende la vita beata, brancolano nelle tenebre). In che consiste il 'vivere beate ', più propriamente cosa intendere per

'beate '? Si sarebbe portati a tradurre senz'altro 'beate ' con «felicemen­ te» ( «heureusement») . Ma per Descartes occorre distinguere tra «beati­ tudine» («béatitude») e «felicità» ( > , 1984, 3, BC XIII pp. 25-3 1 .

Frammenti . Altri scritti minori 4.4 . 1 1 Physico-mathematica (AT X 67-78) F. Trevisaoi , / 'Physico-mathematica ' di Canesio, «Quaderni tuto Galvaoo della Volpe», 1978, l , pp. 257-89.

dell'Isti­

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