Aristotele. Vita, pensiero, opere scelte [Vol. 3]

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l GRANDI FILOSOFI Opere scelte da Armando Massarenti

l GRANDI FILOSOFI Opere scelte da Armando Massarenti

3 Aristotele -

© 2006 Il Sole 24

ORE S.p.A

Edizione speciale per Il Sole24 ORE

2006 Il Sole24

ORE Cultura

Direttore responsabile: Ferruccio De Bortoli Il Sole24 ORE S.p.A Via Monterosa,

91 -2014 9 Milano

Registrazione Tribunale di Milano n. Settimanale - n 2 . 0/2006

542 del 08-07-2005

A cura di: Armando Massarenti Per

"La

vira", il glossario, le schede di approfondimento

Testi di: Alessandro Ravera Per "Il pensiero" e

"La storia della

critica"

Testi di: Giovanni Reale, Introduzione a Aristotele

© 1974

Gius. Laterza

& Figli Spa, Roma-Bari & Figli Spa, Roma-Bari

Su licenza di Gius. Laterza Per

"l testi"

Aristotele - Etica Nicomachea Carlo Natali (a cura di)

© 1999 Gius.

Laterza

& Figli Spa, Roma-Bari

Su licenza di Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Progetto grafico copertine: Marco Pennisi

& C.

Opera realizzata da ANIMABIT S.r.l. Coordinamento editoriale: Elena Frau, Paolo Parlavecchia Coordinamento redazione: Lorenzo Doretti, Bruno Facciola Redazione: Giulio Belzer, Cinzia Emanuelli Progetto grafico: Serena Ghiglino, Marcella Paladino Impaginazione: Marcella Paladino Ricerca iconografica ,fotolito: Alessandro Ravera Richiesta arretrati: i numeri arretrati possono essere richiesti direttamente al proprio edicolante di fiducia al prezzo di copertina Finito di stampare nel mese di novembre2006 presso: Officine Grafiche Calderini S.p.A. Via Tolara di Sotto, 117 (Ponte Rizzoli) 40064 Ozzano Emilia (BO)

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Il goal di Aristotele di Armando Massarenti

«Ma Nino non aver paura l di sbagliare un calcio di rigore l non è mica da questi particolari l che si giudica un giocatore. l Un giocatore lo vedi dal coraggio, l dall'altruismo e dalla fantasia... )) . Chissà se Francesco De Gregori ha mai letto l'Etica Nicomachea. Sem­ brerebbe di sì,perché quando Aristotele parla delle virtù - e ne parla per lo più in relazione ad attività particolari,professionali,sportive, artisti­ che- sembra proprio che parli di Nino e della Leva calcistica del '68. Poco importa che sbagli un rigore. E ancora meno che lo segni. «Una rondine non fa primavera)) ,scriveva Aristotele prima che questa sua frase divenisse un proverbio di cui si è perso il senso. E il senso era questo: una singola azione riuscita, un singolo successo, ma anche un singolo gesto coraggioso o altruistico o caritatevole o creativo o magnanime o giusto, non ci dice ancora nulla sulle reali qualità di chi lo compie. Si può agire in quel modo per puro caso, così come capita che uno che non ha mai toccato un pallone in vita sua, messo davanti a una porta, tiri e segni.

È la fortuna del principiante, si dice. Il quale,forse,non ha

paura solo perché sa che non è in pericolo la sua reputazione di gioca­ tore,non avendone alcuna. Ma è appunto fortuna, e come tale, al con­ trario della virtù,non è destinata a durare. Che cos'è dunque per Aristotele una virtù? Il coraggio, l'altruismo, per­ sino la fantasia sono attitudini che si coltivano nel tempo. Non sono né naturali né "contro natura", non sono già date né del tutto costruite: sono potenzialità che Nino può sviluppare, se lo vuole, attraverso l'educazione, l'esercizio, la formazione del carattere, fino a farle diventare parte integrante di sé, come una «seconda natura», insieme a tutte quelle altre capacità pratiche che ne faranno un buon giocato-

re. Compreso tirare calci di rigore. Deve trasformar le in disposizioni ad agire in un certo modo,il modo giusto,sapendo che il modo giusto cambierà a seconda delle circostanze. A seconda del portiere che avrà di fronte, per esempio. La vita pratica, l'intera vita morale, l'intera vita umana,non è fatta di regole o di precetti,o perlomeno non solo di quelli, ma soprattutto di que­ sta capacità di cogliere nelle singole circostanze la sintesi giusta tra diver­ si elementi che non si presentano mai nella stessa identica combinazio­ ne. Questa Aristotele la chiama >. Tale virtù è la più vicina a realizzare «il.fine pro­ prio dell'uomo»,di ogni uomo: la razionalità. Che non è quella cosa arida e astratta che ti hanno descritto certi cattivi maestri, Nino, ma è proprio la virtù che ti permette di agire all'occorrenza nel modo più giusto e più saggio,e che ti fa segnare i più bei goal nella vita.

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La vita INTRODUZIONE Il pensiero rinascimentale ha spesso posto Aristotele e Platone nei ter­ mini di un'insanabile dicotomia, esagerando del primo le caratteristiche di scienziato, nel secondo quelle di mistico. Non è impossibile che, all'ori­ gine di tale pregiudizio, vi siano state semplicemente le circostanze che hanno voluto che di Aristote­ le si conservassero soltanto gli appunti destinati alle lezioni (le cosiddette "opere acroama­ tiche") mentre nessuno dei testi destinati alla pubblica­ zione ci è pervenuto integro; in una situazione speculare si trova invece il corpus delle opere platoniche, d i cui si conosce integralmente la pro­ duzione letteraria, mentre delle sue lezioni ali' Accademia (gli

agrapha dogmata, ovvero le

"dottrine non scritte") non è rimasto quasi nulla. Alla luce di queste considerazioni,

è

naturale che, ad uno studio più approfondito , il pensiero d i Platone appare molto "aristo­ telico" qualora si vadano ad esaminare le scarse tracce delle sue lezioni; viceversa , la sua filosofia sembra decisamente "platonica" nei momenti in cui

Platone e Aristotele ritratti nella Scuola di Atene di Raffaello. Il dibattito tra platonismo e aristotelismo, nato già in età classica ed acuitosi tra Medio Evo e Rina­ scimento, ha fatto sì che i sistemi dipensiero elaborati dai due filosofi finissero per apparire inconciliabili.

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Aristotele La vita

approccia le tematiche che possedevano una tradizione di pubblicazio­ ni ormai consolidata. D ' altra parte, le testimonianze di un reciproco rispet­ to sono una tra le poche cose certe nelle biografie dei due filosofi, altri­ menti costituite da dati spesso ipotetici o, molto più spesso, contradditori. Tutto questo ha portato all'elaborazione di una serie di paradigmi erme­ neutici particolari che vanno dalla lettura "genetica" dello Jaeger alla let­ tura critica delle fonti

("Quellenforschung") dei contemporanei, meto­

di che hanno permesso una più chiara valutazione non solo del rapporto tra il fondatore dell'Accademia e il caposcuola del Liceo, ma anche un più preciso collegamento tra iii pensiero di Aristotele e gli avvenimen­ ti del tempo in cui ha vissuto.

STAGIRA Aristotele nasce nel

384/3 a.C. a Stagira , una colonia ionica a poca

distanza da Olinto, nella penisola calcidica. La piccola

polis è costret­

ta a barcamenarsi tra le pressanti ingerenze di Atene, da sempre capo­ fila dei greci di stirpe ionica, e il potente regno di Macedonia, che si estende lungo il basso corso del Vardar. Durante la G uerra del Peloponneso, Stagi­ ra aveva abbandonato l'alleanza con Atene ed era stata perciò assediata da Cleone, senza successo, durante la campagna culminata nella battaglia di Anfipo­ li

(422) .

Ricordata in una riga di

Tucidide a causa di questo episo­ dio, la città non sembra possede­ re altri motivi di rilevanza nella storia greca, ed in effetti cadrà in rovina già prima del

l

sec. d .C.

probabilmente a causa delle scor­

Vaso greco con figure di medico e paziente. Il padre di Aristotele, Nicomaco, esercitava la pro­ fessione di medico e, secondo alcuni commentato­ ri, fu anche autore di diverse opere sulla medicina.

rerie celtiche nella regione, eppu­ re

è proprio in quella zona di con­

fine tra la Macedonia e la Grecia classica che si stanno creando i

Aristotele 1 1 La vita

presupposti per la nascita del mondo ellenistico. In quest'ottica, la vicen­ da familiare di Aristotele costituisce un caso esemplare: amicizie e parentele si ramificano dali' Attica ali' Ellesponto prefigurando l'uni­ versalità della cultura ellenistica dei secoli successivi. Del padre di Aristotele, Nicomaco figlio di Macaone, abbiamo pochis­ sime notizie certe, dal momento che morì quando era ancora in giova­ ne età; la maggior parte delle informazioni provengono dalle biogra­ fie posteriori del filosofo e non possono essere verificate. Pare comunque sicuro che esercitasse l'arte medica e che fosse, in qualche modo, vici­ no alla dinastia regnante di Macedonia; Diogene Laerzio si spinge fino a farne il medico personale del re Aminta III, mentre Ermippo­ uno dei primi biografi dello Stagirita - ne fa uno dei medici più noti del suo tempo e la Suida bizantina gli attribuisce la stesura di sei libri di medicina e uno di fisica. Non abbiamo modo di verificare quante di queste notizie siano veri­ tà storiche e quante siano state create ad arte per nobilitare la fami­ glia del filosofo; sull' attività di medico del padre di Aristotele pos-

Scena di battaglia dal sarcofago detto •di Alessandro•. Fu grazie alla cavalleria e alla falange che l'esercito di Filippo risultò vincitore contro la coalizione greca nata per contrastare le spinte egemoniche della Macedonia.

1 2 Aristotele La vita

siamo tuttavia essere certi , dal momento che l ' indicazione concor­ da con fonti decisamente ostili, quali ad esempio quelle di origine epi­ curea , che accusano lo Stagirita di aver esercitato , per un certo periodo, il mestiere di "farmacista" , probabilmente facendo allu ­ sione alla professione patema. Al contrario, non possiamo essere certi della notizia - riportata da diverse fonti - che vuole il filosofo già in giovanissima età presso la corte del re di Macedon ia, al seguito del padre . Sappiamo che la madre, Festide, era originaria di Calcide nell'Eubea e, forse, anch'essa appartenente ad una famiglia di medici; da Nicanore aveva avuto anche un altro figlio, Arimnesto, mo rto senza discendenti mentre Aristotele era ancora in vi ta . A ttorno al 370, alla morte di Nicomaco, Aristotele viene adottato da Pros ­ seno di Atameo, forse uno zio, che, pochi anni più tardi, lo introduce nel­ l' Accademia platonica.

ATENE NEL IV SECOLO Grazie ai buoni u ffici di P rosseno, forse in rapporto con Platone attraver­ so alcuni discepoli dell'Accademia, Aristotele entra nella scuola plato­ nica tra il 368 e il 367 , quindi attorno ai diciassette anni. L'Atene della prima metà del IV s ecolo è molto diversa da quella del seco­ lo precedente : la città delle ace rrime diatribe politiche tramandataci da Tucidide ha lasciato il posto ad una società più orientata verso il com­ mercio e l 'economia. Chia ro sintomo di questo mutamento è il tenore delle orazioni giudiziarie che ci mostrano un' Atene popolata da mercanti e ban­ chieri , polo commerciale del mondo egeo ben poco scosso - in questo p articola re aspetto - dalla sconfitta militare. Anche la commedia registra puntualmente questo nuovo atteggiamento e dalla commedia antica, che aveva per bersaglio i politici più in vista o i filosofi, si passa alla cosid­ detta "commedia di mezz o", le cui tematiche ci app aiono chi aramente scor­ rendo alcuni titoli tramandatici dai filologi alessandrini: La medichessa, Il dissoluto , L'ereditiera , La rivale in amore . . . Se un tempo la carica più impo rtante era quella di stratega - il ruolo con cui Pericle aveva diretto la politica ateniese - ora la mansione più influente è quella svolta dai magi-

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Demostene. Il retore ateniese awersò la politica di Filippo con una serie di orazioni divenute poi celebri: le cosiddette "Filippiche". strati prepo sti al theorikòn , il te soro cittadino , originariamente nato per ammini strare il denaro raccolto per con sentire a tutti gli atenie si di a ssi­ stere alle rappre senta zioni teatrali (theorikà) . I n effetti , g l i storici hanno sempre sottolineato come l ' i ncredibile e span sione della polis sotto Pericle fo sse avvenuta nono stante la tota­ le incon si sten za delle strutture economiche " statali " aten ie si , incon­ si sten za non tanto in termini quantitivi quanto in quelli di organi zza­ zione . Dopo il 400 a .C . , la re staurata democra zi a atenie se si era adoperata per co stituir si una ba se finan ziaria stabile, anche se una nuova guerra con Sparta aveva - in pa rte - vanificato q ue sto e sperimento ; la co siddetta "Guerra di Corinto" aveva me sso in luce l ' i ncredibile capa­ cità di ripre sa di Atene, che coglie una serie di succe ssi pochi anni dopo un momento di cri si che era appar so come definitivo, ma aveva anco ­ ra rimarcato la dipenden za atenie se dalle reg ioni settentr ionali forni ­ trici di grano. Pochi anni prima dell' arrivo di Ari stote le , nel 374, gli aten ie si avevano commi ssionato allo scultore Cefi sodoto (il padre di Pras sitele) una statua dedicata a Eiréne , la Pace , che , significativamen-

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t e, t en eva in braccio Plutos, la Ricch ezza; la statua era stata er etta n el ­ l ' Agorà e, attrav er so la sua pal ese si mbologia , riproduc eva la sp eran­ za d egli at eni esi v er so una pac eapportatric edi b en esser e, dopo più di un secolo di gu err e pr essoché inint errott e. Si ntomatico è anch eil div er so att eggiam ento d egli at eni esi v er so la cul­ tura e l ' educazion e: m entr e l e g en erazioni pr ec ed enti av evano privi­ l egiato l 'educazion e fi sica d ei giovani in pr evi sion e di un loro futuro di opi i ti - e indicativo, in qu esto sen so , era il nom e di "ginna sio" dato agli edifici d estinati all 'educazio­ n e d egli adol esc enti - gli uomini d el IV secolo sembrano ori entar si maggiorm ent e v er so il v er sant e int ell ettual e eAt en e, grazi e all e su e vari e scuol e di filo sofia o di r etori­ ca, po ssi ed e un indi scu sso primato cultural e ch e, for se, è ancora più evid ent e- p er i gr eci d el t empo - di qu ello d el secolo pa ssato. M entr e l ' i nsegnam ento d ei primi sofi sti non era l egato ad un luogo particolar e ( e la sola id ea , abbozza­ ta n ell e Nuvole di Ari stofan e, dava scandalo) ed era in g en er e co stitui­ to da poch e l ezioni su un d et ermina­ to argom ento , n el IV secolo sorgo­ no i stituzioni ch e pr ev edono una fr equ enza di div er si anni da part e d egli stud enti , programmi più arti­ colati e, n ec essariam ent e, una sed e stabil e dov e t en er e l e l ezioni . Qu ell e at eni esi sono contraddi stin­

Copia della statua raffigurante la Pace, commissionata dagli Ateniesi a Cefiso­ doto. Il bambino in braccio alla Pace � Pluto, dio della ricchezza.

t eda approcci t eor etici ch eo scilla­ no tra la r etorica e la filo sofia; oltr e alla scuol e di I socrat e o di Alcida­ mant e, dov e l ' in segnam ento v ert e

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soprattutto sulla retorica, vi sono anche quelle fondate da due seguaci di Socr ate: il Cinosarge di Antistene e l'Ac­ cademia di Platone. Quest'ul­ tima ha cominciato ad attira­ re discepoli da tutta la Grecia; particolarmente importante è stato l'arrivo del matematico Eudosso di Cnido che, oltre al prestigio legato alla sua figu­ ra, ha portato ad Atene anche i suoi scolari fin dall'Asia minore: l'esame delle fonti non ci permette di dire con certezza se Eudosso abbia effettivamente fatto parte del­ l'Accademia - come sostie­ ne la maggior parte dei filolo-

Filippo Il di Macedonia. Il sovrano macedone si dimo­ strò il più abile diplomatico del suo tempo, destreggian­ dosi tanto tra gli opposti schieramenti delle città greche quanto con il potente vicino persiano.

gi- o se invece abbia fondato una scuola concorrente, è comunque certo che le sue tesi erano abitualmente discusse dai discepoli di Platone ed

è abbastanza sicuro che il matematico abbia tenuto lezioni regolari all'Accademia.

L'INGRESSO NELL'ACCADEMIA All'arrivo di Aristotele all'Accademia, Platone è in Sicilia, impegna­ to nel suo secondo viaggio a Siracusa a seguito della morte di Dioni­ gi il Vecchio; secondo la tradizione, in sua assenza la scuola è diretta da Eudosso, personaggio cui Aristotele tributerà sempre grande ammi­ razione, pur discostandosi molto dalle sue concezioni: le parole con cui più tardi lo ricorderà nell'Etica Nicomachea n specchiano una forma di rispetto che travalica le differenze di opinione:

"l suoi ragionamenti ave­

vano acquistato fede più per la virtù dei suoi costumi che per se stes­ si: poiché appariva di un'insolita temperanza; onde sembra che in tal

1 6 Aristotele Ln

vita

modo ragionasse (identificando il bene col piacere) , non perché aman­ te del pié:cere, ma perché così la cosa stesse veramente". Lo stesso Eudosso, d'altra parte, sembra seguire linee di pensiero abbastanza discordanti da quelle platoniche, restituendoci l'immagine di una scuo­ la sempre aperta alla rimessa in discussione di presupposti anche fon­ damentali: all'identificazione di Eudosso tra bene e piacere, Platone avrebbe replicato con il Filebo ed Aristotele con Sul Piacere. Al ritorno di Platone, il fallimento del progetto siracusano pare diri-

Lezione di astronomia nell'Accademia platonica. Il soggetto di questo mosaico, prove­ niente da una casa di Pompei, può essere ricostruito a partire dalla sfera armillare che il maestro (Platone o Eraclide Pontico) indica con un bastone.

Aristotele

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La vita

gere la scuola verso un indirizzo più scientifico, evidenziando ancora di più le differenze dottrinali tra l'Accademia e le scuole retoriche che, in un certo senso, inseguivano scopi meno "didattici" e più "professionali".

È

proprio in questo

campo che il giovane Aristotele ha modo di mettersi in luce scrivendo il

Grillo o

Sulla retorica, considerata unanimemen­ te la prima opera del filosofo stagirita. Nel

Grillo, Aristotele polemizza contro la retorica isocratea, descritta come una semplice forma di adulazione; è invece possibile una retorica positiva, fondata su basi dialettiche, coerentemente con quan­ to scrive Platone nel

Fedro , probabilmen­

te scritto negli stessi anni. Il

Grillo , oggi andato perduto ad eccezio-

Busto del retore lsouate. lsocrate aveva fondato una scuola per l'apprendimento della retorica i cui presupposti di insegna­ mento erano molto diversi da quelli del­ l'Accademia.

ne di alcuni frammenti, ci mostra un Aristotele pienamente inquadrato negli ideali dell'Accademia platonica: lo scritto è giudicato così efficace che allo Stagirita viene affidato un corso di retorica nell'ambito degli insegnamenti dell'Accademia. Secondo la tradizione. Aristotele lo avrebbe iniziato con una parafra­ si da Euripide "Turpe è tacere e lasciare che Isocrate parli"; d'altra parte lo stesso Isocrate e un suo allievo, Cefisodoro, si erano sentiti in dovere di replicare alle sue accuse dando vita ad una

querelle dottri­

nale, peraltro abbastanza comune tra le scuole ateniesi del tempo. Se, dall'esterno, Aristotele può apparire come il "campione" dell' Ac­ cademia rispetto alle altre scuole, all'interno Aristotele appare come un discepolo

sui generis: al dialogo comunitario di stampo socratico,

ritenuto la base dell'insegnamento di Platone, Aristotele preferisce la lettura e le fonti ci tramandano come il filosofo rimanga a leggere nel suo studio mentre gli altri membri dell'Accademia, docenti e allievi, partecipano alle discussioni. Questo non sminuisce l'opinione che Platone ha di lui; non a caso il fondatore dell'Accademia gli dà il

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Aristotele La l'ila

Alessandro a caccia.

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Già nella giovinezza, la propaganda filomacedone esaltava le doti del giovane Alessandro, dipin­ gendolo come atleta e cacciatore prodigioso.

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Aristotele La vita

sop rannom e di ho nous ("la m ent e") , sottolin eando, in un tono a m età tra il laudativo e lo sch erzo so , la p ref erenza da lui acco rdata alla sp e­ culazion e solita ria ri sp etto alla di scu ssio n e in comun e. Allo Stagi ri­ ta, comunqu e, non dif ettano l e doti r eto rich e: in una sua biog rafia si att ribui sc e a Platon euna battuta : "Manca la m ent e, l ' uditorio è so rdo ", a sottolin ea re l ' int eresse ch e l e l ezioni di A ri stot el e su scitano n egli a scoltato ri . I l rappo rto t ra Platon e eAri stot el e, al di l à d ella maggio re anzianità e d el g rand e p restigio d el p rimo , appa re imp rontato sulla r eciproca stima ; molti rit engono ch e il "giovan eAri stot el e"d esc ritto n el Pa rm e­ nid e adomb ri in realtà il di sc epolo d el l ' Accad emia : "«Chi mi ri spon ­ d erà ?» , domandò Pa rm enid e, , di sseAri stot el e. «Ti rif eri sci a m e, infatti , quando pa rli d el più giovan e. Ma o ra formula l e domand e, cd io ri spondo >>". Il dialogo p ro segu econ una serrata critica da part edi Pa rm enid ed ella dottrina d ell e id ee propo sta da Platon e, dott rina ch e, in seguito, sa rà m essa in di scu ssion e dallo st esso A ri stot el e r esping endo tanto l 'uni­ cità d ell' esser e pa rm enid eo quan to la du a.lità d ell 'id ea platonica ; n el ­ l ' Etica Nicomachea lo Stagi rita d efini rà comunqu e "amico " colui ch e av eva int rodotto la dott rina d ell e id ee, m entr e in un framm ento dell' ele­

gia ad Eudemo d efini rà Platon e com e qu ello ch e "solo, o p er primo,

Busto di Platone. Le opere rimasteci del filosofo ateniese danno modo di ricostruire il tenore delle lezioni all'Accademia solo indirettamente; su questo tema sono invece fondamentali le cita­ zioni contenute nei libri di Aristotele.

Aristotele 2 1 La vita

dimostrò chiaramente ai mortali, con la sua vita e con i suoi dialoghi come si diventa insieme buoni e felici, cosa che nessuno riesce più a fare". Abbastanza diverso sembra invece il rapporto con Speusippo che diventerà il bersaglio di alcuni passi della

Metafi­

sica; sulla base di un'elogio a Grillo scritto dallo stesso Speusippo, alcuni ritengono che fosse proprio il nipote di Platone l'oggetto dissimulato delle cri­ tiche contenute nel viaggio Sulla

retori­

ca . Quando, alla morte di Platone nel 348 , Speusippo diventa scolarca del­ l'Accademia, Aristotele abbandona la scuola, dopo avervi trascorso vent'anni.

Demostene schernito da Eschine (Tela di Joseph Turner, 1838). Il dibattito tra i due oratori, il primo awersario e il secondo sostenitore di Filippo di Macedonia, cataliz­ zò la vita politica ateniese nel/V secolo.

LA FINE DELLA KOINÉ EIRÉNE La polemica del

Grillo era nata sull'onda delle lodi convenzionalmente

retoriche apparse per commemorare la figura di Grillo, figlio dello sto­ rico Senofonte, morto nella battaglia di Mantinea del 362. Questa bat­ taglia aveva segnato un momento importante nella storia greca ed ate­ niese, poiché, per una volta, aveva visto ateniesi e spartani alleati per contrastare l'egemonia della città beotica di Tebe. Infatti, nonostante alla conclusione della Guerra di Corinto fosse stata solennemente proclama­ ta la

Koiné Eiréne, la "pace generale" fra le città greche con il benepla­

cito dell'imperatore persiano, le rivalità tra le diverse

poleis erano sfo­

ciate in una serie di scontri che, tra battaglie e rovesciamenti di alleanze avevano precipitato l'Ellade in una situazione confusa. Lo stesso Seno­ fonte - che a Mantinea aveva appunto perso il figlio- ha modo di sot­ tolineare con amarezza nelle ultime parole delle

Elleniche: "Benché gli

uni e gli altri sostenessero di aver riportato la vittoria( . . . ) dopo la bat­ taglia in Grecia vi fu più caos e disordine di prima. A questo punto io poso la mia penna; il seguito della storia lo racconterà qualcun altro". Da que-

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Aristotele La vita

Copricapo in oro di fattura tracia. La regione della Tracia, che era entrata definitivamente nell'orbita macedone grazie alla diplomazia di Filippo, era famosa per l'abilità con cui i suoi arti­ giani lavoravano i metalli preziosi.

Aristotele 2 3 La vita

sta situazione di incertezza, pare trarre profitto il regno di Macedonia, sul cui trono siede ora Filippo II, capace stratega e abile diplomatico, il cui dominio sembra estendersi inesorabilmente in direzione delle

poleis

della Grecia classica. Benché abitata da una popolazione che parla un dialetto greco (anche se, alle orecchie degli ateniesi, esso suona alla stregua di una lingua barba­ ra) la Macedonia si è sviluppata in una direzione sensibilmente diversa da quella delle poleis del resto della Grecia: molto più esposta agli attac­ chi delle popolazioni illiriche e tracie, la Macedonia è rimasta un regno con una struttura "arcaica", fondata su una classe contadina devota alla nobiltà e su un'aristocrazia guerriera che combatte a cavallo (Filippo signi­ fica letteralmente "amante dei cavalli"), niente, insomma, di paragona­ bile con la democrazia ateniese e nemmeno con l'aristocrazia oplitica spar­ tana. La corte macedone vive in un'atmosfera di fasto "barbarico", dove abbondano oggetti di oreficeria provenienti dalla Scizia o dalla Tessaglia e dove intrighi e assassini sono all'ordine del giorno. Le arti vi sono

Eschine. Awersario di Demostene, Eschine vedeva in Filippo Il di Macedonia l'unica figura in grado di riunificare sotto di sé tutte le genti della Grecia.

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Aristotele La vita

comunque tenute in gran conto, tanto

è vero che Euripide- vecchio e delu­

so dal pubblico ateniese - aveva accettato l'invito del re Archelao a recarsi a Pella, la capitale macedone, dove era morto nel

406.

Inviato come ostaggio presso il tebano Epaminonda, il più capace strate­ ga militare dell'epoca, divenuto poi re a causa di una complicata serie di avvenimenti dinastici, dopo Mantinea Filippo II appare a molti l'unico sovra­ no in grado di unificare i greci così da poter creare un fronte comune con­ tro l'onnipresente minaccia persiana. Per la stessa ragione, molti vedono in lui l 'uomo che ha il potere di distruggere la tradizionale autonomia delle

poleis. considerandolo per questo un

pericolo ancora maggiore di quello

costituito dal Gran Re dei persiani. Molte città si spaccano tra i sostenito­ ri e gli avversari di Filippo; ad Atene si confrontano su questo tema due grandi oratori: il filomacedone Eschine e l'irriducibile Demostene. Lo scontro tra i due caratterizzerà i trent'anni successivi della storia di Atene. Filippo, forse il più abile diplomatico della storia greca, aveva saputo con­ solidare il suo potere sulla Grecia setten­ trionale nonostante i ripetuti tentativi ateniesi di fermarlo; l'occupazione del giacimento aurifero del Tangeo gli aveva consentito una disponibilità economica pressoché illimitata di cui si era servi­ to per comprare la neutralità dei satra­ pi persiani: di seguito, tra il

356 e il

348 aveva allargato la sua sfera di influenza a tutta la penisola calcidica, sottoponendo ad un brutale saccheggio la città di Olinto- dove si erano rifugia­ ti due suoi fratellastri possibili preten­ denti al trono- che aveva invano richie­

Demostene si esercita nella declama­ zione (tela di Jean Lecomte du Nouy, fine XIX secolo). La tradizione vuole che Demostene avesse diversi difetti di dizione dovuti a una lieve balbuzie e che riuscisse a owiare a questo problema esercitandosipazien­ temente nella pronuncia dei discorsi.

sto aiuto ad Atene . Demostene, nelle orazioni

Olintiache composte nell'occa­

sione, aveva descritto il trattamento subito dai prigionieri di O tinto ridotti in schiavitù, rinforzando la posizione del partito antimacedone.

Aristotele

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La vita

Particolare del rilievo del cosiddetto "Sarcofago di Alessandro". Le vittorie macedo­ ni erano dovute non soltanto alle innovazioni tattiche introdotte nello schieramento della falan­ ge, ma anche alla mobilià della sua cavalleria. Una simile situazione tinisce per avere ripercussioni anche sulla vita di Aristotele; nato a Stagira, ai confini con la Macedonia e a pochissima distanza da Olinto (secondo alcune interpretazioni, anche Stagira avreb­

be subito la stessa sorte), verosimilmente legato- anche se forse non diret­ tamente- alla dinastia macedone, con la morte di Platone Aristotele vede probabilmente farsi sempre più pesante la sua condizione di straniero nel­ l' Attica. Nonostante risieda ad Atene da ormai vent'anni, egli è comun­ que un

meteco , autorizzato a vivere nella città ma privo dei diritti di cui

gode un cittadino ateniese e, comunque, sempre costretto a pagare una tassa alla città e a procurarsi un prostates, un patrono legale. Benché, in tutti i suoi scritti, Aristotele non sembra aver mai avuto da lamentarsi di questa posizione, non è da escludere che anche questo genere di consi­ derazioni abbia pesato nella sua scelta di abbandonare definitivamente l'Accademia, per recarsi ad Atarneo, la città del suo tutore Prosseno.

2 6 Aristotele La vita

ARISTOTELE ED ERMIA Lasciata Atene, Aristotele raggiunge Atameo, città sulla costa dell'Asia minore sorta proprio di fronte all'isola di Lesbo e al suo capoluogo Mitilene. Ad Atameo, il filosofo ha modo di legarsi con il tiranno della città, Ennia, figura molto particolare di dignitario "eurasiatico", i cui tratti sem­ brano prefigurare molte caratteristiche delle monarchie ellenistiche. Nominalmente suddito dell'impero persiano, Ennia è in realtà in stret­ to contatto con Filippo di Macedonia, probabilmente attraverso la stes­ sa rete di rapporti che spinge Aristotele a recarsi presso di lui. Di Ermia, un commento alessandrino risalente al I sec. a.C. dice Jetteralmente che "alcuni ricordano il personaggio come uno dei miglio­ ri e altri, al contrario, tra i peggiori". Lo storico Teopompo, contem­ poraneo di Aristotele, lo descrive come eunuco, barbaro ed ex-schiavo, ma ricorda anche che amava discorrere di filosofia con i filosofi della scuola platonica (forse l'aveva l

(1

anche frequentata) e che a tre di essi- Era­ sto, Corisco e lo stesso Aristotele - avrebbe donato un terreno presso la fortezza di Asso, dove fondare una scuola o addirittu­ ra un centro di governo, sul modello delle dottrine di Platone, che sempre ad Ermia aveva inviato la sua

V/ lettera .

L'esperimento di Asso, se mai vi fu, era destinato ad avere vita breve: nel 341 i persiani vengono messi al corrente degli accordi tra Ermia e Filippo per un'eventuale espansio­ ne macedone in Asia minore, e il tiranno viene messo a morte. Anche se non esistono riferimenti

Busto di Aristotele. Il filosofo di Stagira lasciò l'Accademia subito dopo la morte di Platone; per trasferirsi in Asia minore.

diretti nell'opera di Aristotele, il legame tra Ennia e il filosofo è molto stretto: sicuramente vicina ad

Aristotele 2 7 La vita

Rovine del tempio di Atena ad Asso. Al momento del soggiorno di Aristotele, la città era governata da Ermia che, benché segretamente avesse stretto accordi segreti con Filippo di Mace­ donia, era comunque vassallo dell'impero persiano. Ennia è la prima moglie di Aristotele, Pizia, che le documentazioni dicono figlia o nipote del tiranno(le fonti malevole verso il filosofo la descrivono invece come una ex-concubina dello stesso Errnia).

È poi signi­

ficativo che, negli anni successivi, Aristotele avrebbe scritto un inno a lui dedicato, destinato ad essere cantato alla sua tavola:

"Virtù, ricca di affanni per la stirpe dei mortali, la più bella preda della vita per la tua bellezza vergine, anche morire è in Grecia destino ricercato, e soffrire pene atroci, incessanti: tale è il frutto che infondi negli animi, immortale, superiore all'oro ed alla nobiltà di stirpe, ed al sonno che rende tranquilli. Per te, il discendente di Zeus, Eracle e i figli di Leda, penarono molto nelle loro imprese seguendo il tuo potere; per desiderio di te Achille ed Aiace giunsero alla casa dell'Ade;

28

Aris.totele La vita

per la tua amata bellezza il figlio di Atarneo privò gli occhi della luce del sole. Per questo

è degno di canto immortale per le sue imprese, e lo

celebreranno le Muse figlie di Memoria, aumentando la gloria di Zeus protettore degli ospiti e l'onore della salda amicizia"

PRECETIORE DI ALESSANDRO Se non la guida della città di Asso,

è probabile che Ermia abbia conces­

so ai tre discepoli di Platone la disponibilità di una scuola, descritta da diverse fonti come un

peripatos,

ficio con un portico (da

indicazione che fa pensare ad un edi­

"perì", "attorno", e "patos", "percorso"), anche

se è pure probabile che la parola sia stata scelta alla luce della futura fon­ dazione del Liceo, scuola che finirà per essere ricordata proprio con il

Rovine del Philippeion a Olimpia. Dopo la vittoria sull'esercito messo in campo dalle poleis greche a Cheronea, Filippo Il ordinò l'erezione di un tempio di forma circolare all'interno dell'area sacra di Olimpia, così da apparire agli occhi dei greci come un sovrano rispettoso della tradizio­ ne ellenica.

Aristotele 2 9 La vita

nome di "peripato", poiché secondo la tradizione Aristotele vi teneva alcu­ ne lezioni passeggiando nel porticato. Ad Asso, Aristotele mette a punto la Metafisica e

l'Etica Eudemia, opere

in cui Corisco viene citato con una certa frequenza; nella città fa la conoscenza del giovane Teofrasto, nativo di Ereso sulla vicina isola di Lesbo. Il nome di quest'ultimo è in realtà Tirtamo, ma è Aristotele a soprannominarlo "Teofrasto" (letteralmente "retore celestiale") vista la grazia del suo eloquio. Nel 3 45, Aristotele lascia Asso alla volta di Miti­ lene dove, l'anno successivo, viene raggiunto dalla richiesta di fare da precettore all'erede al trono di Filippo, Alessandro. L'incontro fra le due più grandi personalità del periodo è stato spesso dipin­ to in un'aura mitica, ma va ricordato che, in quel momento, Alessandro e la madre Olimpiade erano piuttosto in disgrazia a corte. La scelta dello Stagirita da parte di Filippo come precettore per il figlio va perciò vista come un'ulteriore testimonianza della rete di contatti tra Aristotele e il mondo greco, che lo pone su un piano sostanzialmente diverso dalla "ateniesità" di Socrate o Platone. Benché molti biografi succes­ sivi abbiano fatto del periodo trascorso in Macedonia il momento più importante della vita del filosofo, è probabile che Aristotele non lo abbia per­ cepito alla stessa maniera: il giovane Alessandro si interes­ sa di filosofia, ma le fonti più antiche lasciano intravedere una certa noia da parte del prin­ cipe di fronte alle sue lezioni. D'altra parte, a differenza di Isocrate (o Eschine) che cal­ deggiano in quel momento l'unificazione della Grecia

Donne greche mentre fanno il bucato. Pare che Erpilli, considerata da alcuni come la seconda moglie di Aristotele, fosse in realtiJ una sua serva.

3O

Aristotele La vita

Il Philippeion di Olimpia dopo i recenti restauri.

Aristotele

31

La vita

Grazie al riposizionamento delle colonne, i ruderi hanno ritrovato l'aspetto della rotonda originaria che si awicinava alle forme tradizionali del tholos, figura che per i greci rivestiva un profondo significato rituale.

32

Aristotele La vita

Medaglione raffigurante il profilo di Alessandro Magno. Sui rapporti intercorsi tra il futu­ ro sovrano e lo Stagirita esistono fonti contrastanti; per alcuni Alessandro si dimostrò riconoscen­ te nei confronti del precettore anche dopo essere salito al trono, per altri espresse diverse volte la sua insofferenza nei confronti delle lezioni di Aristotele.

Aristotele 3 3 Ln

vita

sotto l'egida della Macedonia, Aristotelesoprattutto nella successiva Politica- sem­ bra comunque orientato al mantenimento dell'ordinamento tradizionale delle e, sulla scorta del

poleis

Gorgia di Platone, pare

considerare la corte macedone come un campione di costumi barbarici; a questo proposito Plutarco riferisce un aneddoto secondo cui il filosofo avrebbe consigliato al futuro conquistatore della Persia di trat­ tare gli asiatici da "padrone", ma i greci da "guida": non a caso, ancora nella

Politica,

Aristotele avrebbe annoverato i macedoni tra i popoli non greci, alla stregua di Sciti, Persiani, Traci, Celti, Iberi e Cartaginesi. In realtà, non ci sono segni nelle decisioni poi prese da Alessandro che lascino traspa­ rire una chiara origine aristotelica, né, d'al­ tra parte, esistono chiari riferimenti ad

Aristotele tiene una lezione ad Ales­ sandro (stampa del XIX secolo). L 'in­ contro tra il futuro conquistatore dell'impe­ ro persiano e ilgrande filosofo sarebbe stato utilizzato - in modo non troppo meditato come modello esemplare di didattica.

Alessandro nel corpus delle opere del filo­ sofo, a parte il titolo di un trattato intitolato Alessandro o Sui to perduto o il

coloni anda­

Trattato sul cosmo per Alessandro, la cui autenticità è oggi

oggetto di studio. Nel 340, Filippo viene assassinato in circostanze non chiare - pare che l'omicidio sia frutto di un complotto ordito dalla stessa moglie Olimpia­ de, timorosa della concorrenza di altre concubine- e Alessandro assume la reggenza, interrompendo bruscamente le lezioni aristoteliche. Aristo­ tele si trattiene per qualche tempo in Macedonia per poi recarsi nella natia Stagira; alcuni fonti riportano che la città era stata distrutta da Filippo nel

348 ed il filosofo aveva ottenuto che fosse ricostruita. Alla morte della moglie Pizia, che gli aveva dato una figlia, si lega ad Erpilli(forse una sua serva); al figlio Nicomaco avuto quasi certamente da quest'ultima dedi­ ca

l'Etica Nicomachea. Nel 335 , mentre Alessandro- divenuto re a tutti

gli effetti- intraprende la sua spedizione in Asia, Aristotele parte alla volta di Atene, con l'intenzione di fondarvi una propria scuola.

3 4 Aristotele La vita

IL LICEO Dell'esercito messo in campo da Alessandro per sfidare l'impero persia­ no fanno probabilmente parte due congiunti di Aristotele. Il primo

è sicu­

ro: si tratta del nipote Callistene, storico ufficiale della spedizione; il secon­ do è più dubbio: si tratterebbe del figlio adottivo Nicanore, in realtà figlio del tutore di Aristotele, Prosseno, poi adottato a sua volta dal filosofo. Quest'ultimo dovrebbe essere lo stesso Nicanore di Stagira citato come generale di Alessandro e destinato ad avere una certa importanza nei tur­ bolenti anni che avrebbero seguito la morte del sovrano. Da parte sua, Aristotele ritorna nella città deli'Accademia per aprirvi una scuola indipendente, il Liceo, così chiamata per la vicinanza ad un bosco dedicat ad Apollo Licio, presso un ginnasio dove, secondo il

Convivio

platonico, Socrate era solito passare le giornate. La storiografia successiva ha voluto vedere in questa iniziativa una deci­ sa presa di posizione contro Platone e la sua Accademia, nei confronti della quale il Liceo aristotelico diventava, se non proprio un antagonista, di certo un concorrente. In realtà,

è probabile che le differenze tra platonismo e

aristotelismo- pur se radicali- debbano essere abbastanza stemperate, in primo luogo perché l'apertura della scuola rispondeva più alla volon­ tà di fondare una comunità di pensiero indipendente da parte di Aristo­ tele che all'acrimonia nei confronti dell'Accademia platonica; in secon­ do luogo perché, ancora per molti anni, il Liceo non avrebbe affatto

EDtPAL:l �EMNTJ PE�l0-2 Busto di Teofrasto. Nativo di Lesbo, nelle immediate vicinanze di Asso, Teofrasto conobbe Ari­ stotele mentre quest'ultimo risiedeva in Asia minore.

Aristotele 3 5 La vita

l Filosofi aristotelici. Raffaello ritrae il gruppo dei filosofi aristotelici immediatamente alle spal­ le de/loro maestro.

3 6 Aristotele La

vita

posseduto il prestigio che invece circondava i discepoli di Platone. In effet­ ti, a fronte della straordinaria importanza assunta dal pensiero dello Sta­ girita nel corso dei secoli successivi , la reazione degli ateniesi fu inizial­ mente quella di una certa indifferenza nei confronti dell' ennesimo filosofo proveniente da una piccola polis venuto ad aprire una scuola nel cuore intellettuale dell 'EIIade. In effetti, se si eccettuano alcuni particolari- peraltro secondari - come il favore accordato da Aristotele alla parola scritta rispetto alla discussio­ ne o all' abitudine di tenere le lezioni passeggiando sotto un colonnato, il famoso Peripatos, che andrà poi a denominare l'intera corrente di pen­ siero aristotelica, è difficile che persone non addentro alle discussioni filo­ sofiche potessero rendersi conto delle differenze teoretiche tra Accademia e Liceo; vent' anni prima , solo la polemica sorta attorno al Grillo aveva permesso di mettere in luce le differenze, assai più mar­ cate, tra l' insegnamento platoni­ co e quello isocrateo. Non abbiamo molti dati sicuri su li ' attività dei primi anni del Liceo; certamente , oltre all' inse­ gnamento delle proprie teorie , Aristotele spingeva i propri stu­ denti a lavori che oggi definirem­ mo di "ricerca": per la redazione della Politica , che era uno scrit­ to "acroamatico" e cioè destina­ to ad essere di supporto all'inse­ gnamento , vennero raccolte informazioni sui più disparati

Monumento al corego Lisicrate. Il corego, owero l'organizzatore di una rappresentazione teatrale, era solito celebrare il successo dell'impresa erigendo un monumento. Quello di Lisicrate risale agli anni in cui Ari­ stotele era tornato in città per fondarvi il Liceo.

ordinamenti istituzionali di tutta la Grecia . Sappiamo poi , d a un'iscrizione ritrovata a Delfi, che i reggenti dei giochi pitici commissionarono ad Aristotele

Aristotele

37

La vita

Particolare del fregio del sarcofago detto •di Alessandro'". Negli stessi anni in cui Ari­ stotele iniziava le lezioni al Liceo, Alessandro era impegnato nella spedizione in Asia. e ai suoi studenti la redazione di un catalogo che annoverasse vincitori e organizzatori dei giochi. Altre fonti sostengono che Aristotele abbia svol­ to attività diplomatiche per conto di Atene e che gli ateniesi, per compen­ sarlo abbiano decretato l 'erezione di una colonna in cui veniva concesso al filosofo lo status di "prossenia", una sorta di consolato molto ambito

tra

gli stranieri che vivevano ad Atene. Mentre Alessandro è impegnato in orien­ te, la città- ormai saldamente in mano macedone-

è governata da Anti­

patro, il generale che aveva sbaragliato la residua resistenza delle poleis nel 33 1 . In quell'occasione, Atene non era scesa in campo assieme alle altre città, nonostante la sua potenza militare fosse ancora notevole; persino Demo­

stene si era detto contrario all'intervento. Nel 324, la situazione cambia radi­

calmente: per conto di Alessandro, Nicanore di Stagira proclama ad Olim­

pia un editto che prevede il ritorno di coloro che erano stati mandati in esilio nelle rispettive città. Il provvedimento, che vorrebbe essere pacificatorio, scatena invece rivalità mai sopite , soprattutto nei confronti degli ateniesi.

Le cose precipitano nell' anno successivo, quando, in un'Atene già pron­ ta a prendere nuovamente le armi contro i macedoni , si diffonde la notizia

3 8 Aristotele La vita

Stampa ottocentesca raffigurante i funerali di Alessandro. Alessandro Magno mori a Babilonia nel 323 a.C., all'età di 33 anni. della morte di Alessandro. Gli ateniesi insorgono immediatamente, invi­ tando le altre città greche a seguirli e Antipatro è costretto ad abbandona­ re la città. Aristotele, meteco considerato (probabilmente a ragione) un

per­

sonaggio vicino agli occupanti è invece accusato di empietà, settantasei anni

dopo che la stessa imputazione era stata rivolta a Socrate .

LA FUGA DA ATENE Non sono chiari gli elementi che suffragavano l'accusa; qualcuno ritie­ ne che le parole dell'Inno a Ermia, in cui il tiranno di Atameo veniva para­ gonato agli dei e agli eroi dell'Ellade potessero facilmente essere presi a pretesto per colpire un uomo che, agli occhi di tutti, appariva troppo compromesso con la Macedonia. A differenza di Socrate , tuttavia, Aristotele sceglie la fuga e, prima della celebrazione del processo, si imbarca alla volta di Calcide, la città nata­ le della madre . Secondo la tradizione, lasciando Atene , lo Stagirita dice: "non lascerò che gli ateniesi pecchino due volte contro la filosofia". Giunto a Calcide alla soglia dei sessant'anni , Aristotele muore l' anno sue-

Aristotele 3 9 La vita

La morte di Alessandro in una miniatura medievale. Nel Medio Evo era diffusa la leggen­ do secondo cui Alessandro sarebbe stato fatto awelenare da Aristotele, che voleva vendicare in questo modo l'esecuzione del nipote Callistene.

40 Aristotele La vita

cessivo, 322 a.C., forse per un male allo stomaco. Prima di morire lascia un testamento che colpisce ancora oggi per l 'atmosfera di serena solle­ citudine che traspare dalle parole. Dopo aver nominato Antipatro, come proprio curatore testamentario, il filosofo fa in modo che i suoi beni immo­ bili vengano spartiti, secondo le necessità, tra gli amici più stretti come Teofrasto - e i parenti ancora in vita; dopo essersi preoccupato della sistemazione della figlia Pizia e della "compagna" Erpilli, dispone l'ere­ zione di una serie di statue in memoria del padre , della madre e del fra­ tello Arimnesto per far sì che se ne potesse tramandare la memoria nonostante quest'ultimo fosse morto senza figli. Da ultimo, stabilisce la liberazione di tutti i suoi schiavi.

CONCLU SIONE Il pensiero di Aristotele rimane di capitale importanza per lo sviluppo del pensiero europeo, soprattutto medievale; questa considerazione non deve però far dimenticare il caratte­ re esemplare della sua figura in un' epoca di transizione quale fu il IV secolo a.C.

Meteco in Atene, ma

contemporaneamente dotato di una rete di amicizie estesa sul tutto il Mediterraneo orientale, il filosofo che descrive la polis come la condi­ zione politicamente più avanzata sem­ bra paradossalmente la prova defini­ tiva del suo superamento; infatti tanto la sua vita quanto il suo pensiero sem­ brano preparare il nascente elleni­ smo che avrà il suo apice culturale nella creazione della B iblioteca di

Statua di Aristotele davanti all'Università di Friburgo. Ilpensiero aristotelico avrebbe carat­ terizzato lo sviluppo delle università durante il Medio Evo.

Alessandria, apoteosi della parola scritta e di un sapere enciclopedico e universale .

Aristotele 4 1

I l pe n s i e ro l. L'U OMO, L'OPERA E LA FORMAZIONE DEL PENSIERO FILOSOFICO l . Dalla nascita all 'ingresso nell 'Accademia.

È indispensabile, ai fini di una corretta esposizione ed interpretazio­ ne del pensiero di Aristotele, premettere alcune notizie essenziali con­ cementi la sua vita, le caratteristiche particolari delle sue opere , la gene­ si e la destinazione di queste e i relativi problemi di indole cronologica. La moderna critica, infatti, ha creduto di poter risolvere molti dei problemi che la lettura di Aristotele solleva, rifacendosi al dato bio­ grafico e ha addiritura creduto di poter risolvere interamente la natu­

ra del pensiero aristotelico nella sua genesi. È bensì vero che questo nuovo indirizzo della critica, il quale, come vedremo, è stato inaugu­ rato da Wemer Jaeger nel 1 923 , nel giro di cinquant 'anni è pervenu­ to alle colonne d' Ercole, in quanto è giunto a distruggere le premes­ se da cui era partito e le basi stesse sulle quali aveva lavorato; ma è altrettanto vero che esso ha fatto valere una istanza irreversibile: ha cioè dimostrato quanto assurdo fosse l ' atteggiamento che , per interi secoli , si era tenuto nei confronti di Aristotele , considerando il suo pen­ siero come un blocco monolitico, avulso dalla sua genesi e dalla sua stori a. In particolare , le nuove interpretazioni di Aristotele hanno dimostrato come sia impossibile intendere il pensiero aristotelico se non muovendo dali ' evento essenziale della sua vita, ossia dal venten­ nio trascorso ne li' Accademia, alla scuola di Platone . Infatti è nel corso di questo ventennio, attraverso la costante discussione con Pla­ tone e mediante le connesse polemiche con gli Accademici , che Ari­ stotele acquistò la sua coscienza filosofica e costruì i fondamenti del proprio pensiero. E gran parte dei dogmi aristotelici assume la giusta proporzione e il giusto significato solo se viene riportata a questa matrice accademico-platonica.

42

Aristotele Il pensiero

Esaminiamo dunque con ordine i principali dati della biografia ari­ stotelica . Fonti pienamente attendibili indicano il primo anno della XCIX Olim­ piade , ossia il 384/383 a. C . , come data di nascita del nostro ftlosofo 1 • Il padre si chiamava Nicomaco ed apparteneva alla corporazione degli Asclepiadi , cioè professava l'arte medica. La madre si chiamava Festi­ de e, secondo una tradizione , era essa pure legata agli Asclepiadi . La città che diede i natali ad Aristotele fu Stagira (l' attuale Stavro) , e face­ va parte del regno macedone. La città era stata colonizzata dai Greci già da molto tempo e parlava un dialetto ionico. Dunque, Greci erano i genitori di Aristotele e da tempo grecizzata la città natale. Il padre Nicomaco , che, come abbiamo detto, fu medico, dovette eccel­ lere non poco nella sua arte , se , come ci è attestato, scrisse libri di medi­ cina e perfino un libro di «fisica)) . E tale, anzi, dovette essere il suo pre­ stigio, che il re dei Macedoni , Aminta, lo scelse come medico di corte e

Bambino condotto al Tempio di Esculapio (tela di John William Waterhouse,

1877). Secondo la tradizione, Nicomaco, il padre di Aristotele, apparteneva alla corporazio­ ne degli NAsclepiadin, termine con cui venivano indicati i medici.

Aristotele 4 3 Il pensiero

come amico. E poiché già ali' epoca del re Archelao la dimora dei re mace­ doni fu la città di Pella, è lecito pensare ad un soggiorno di Nicomaco, e quindi anche di Aristotele, nella città di Pella, alla corte macedone . In ogni caso, a Pella Aristotele non poté rimanere a lungo, perché rimase orfano in giovane età. Da Pella forse Aristotele passò ad Atarneo. Sappiamo infatti che, diven­ tato orfano, di lui si prese cura Prosseno, il quale era appunto di Atarneo. Dagli elementi fin qui illustrati si possono trarre già alcune utili conclu­ sioni.

È frutto di fantasia la pretesa di trovare in Aristotele tratti e carat­

teri non greci, perché di sangue greco furono i genitori e da tempo com­ pletamente grecizzata la patria. Lo spiccato amore per le scienze naturali,

che è una caratteristica peculiare di Aristotele, ha radici ben chiare già nella famiglia, sia per via di padre che per via di madre . Anche i futuri

rapporti che Aristotele avrà con Filippo e con Alessandro di Macedonia, e di cui diremo ampiamente sotto , si radicano, almeno in parte , in que­ sto antico legame che già il padre Nicomaco ebbe con la corte macedo­ ne. Infine, al suo soggiorno ad Atarneo nella casa del tutore Prosseno, pos­ sono e s sere in qualche modo collegati gli stretti rapporti c h e , successivamente, Aristotele avrà con Ermia, i l quale diventerà tiranno di Atameo e di Asso, come vedremo più avanti.

2 . /l

ventennio trascorso nell 'Accademia, Le opere giovanili e La forma­

zione della filosofia di Aristotele. Per completare l'educazione del giovane Aristotele, che dovette ben pre­ sto manifestare vocazione speculativa, Prosseno Io mandò ad Atene e lo iscrisse ali ' Accademia. La fama di Platone e de li' Accademia si era ormai sparsa e consolidata in tutto il mondo greco. Questo fatto ci è testi­ moniato in modo preciso e circostanziato. Diogene Laerzio, sulla scor­ ta di Apollodoro , scrive: «Si incontrò

[scii. Aristotele] con Platone all'età

di diciassette anni e si intrattenne alla sua scuola per venti»2. Dunque, è facile calcolare che Aristotele entrò nell' Accademia nel 367/366 a.

C . e che vi restò fino al 347/346 a. C . , cioè esattamente dall' epoca del secondo viaggio di Platone in Sicilia alla morte di Platone . Aristotele, insomma, frequentò l' Accademia proprio durante il ventennio di mag-

44

Ari�totele Il pensiero

gior splendore della scuola, cioè nel periodo in cui fervevano le gran­ di discussioni connesse alla revisione critica cui Platone sottopose il pro­ prio pensiero. Come è noto, Platone aveva fondato l 'Accademia non molto tempo dopo il primo viaggio in Sicilia (388 a. C.) e le aveva dato lo stato giuridico di una comunità religiosa consacrata al culto delle Muse e di Apollo signo­ re delle Muse. Era questa una forma, anzi l 'unica forma, per poter dare veste legale alla sua scuola, la quale costituiva qualcosa di radicalmente nuovo, e, come tale, non previsto dalle leggi dello stato. Le finalità del­ l' Accademia erano di carattere squisitamente politico, o, per meglio dire, di carattere etico-politico-educativo: Platone intendeva preparare i futu­ ri «Veri politici» , cioè gli uomini che avrebbero dovuto essere in grado di rinnovare lo stato alle radici, mediante il sapere e la conoscenza del Bene supremo3 . Ben al di là dell'orizzonte socratico, nell' Accademia fecero ingresso aritmetica, geometria, astronomia e anche la medicina, intese come necessaria preparazione alla dialettica. Nell' Accademia tennero lezioni scienziati illustri come Eudosso, matematico e astronomo. E sappiamo anche della presenza nell'Accademia di medici provenienti dalla Sicilia. E questi personaggi, con il loro insegnamento, dovettero indubbiamente provocare dibattiti fecondi4. Già nell'Accademia, dunque, gli interessi per le scienze, che Aristotele doveva portare seco già dall'ambiente familia­ re da cui proveniva, trovarono agio di svilupparsi in modo adeguato. Anzi, poiché, come dicemmo, nel 367/366 Platone era in Sicilia, dove rima­ se fino agli inizi del 364, la prima incisiva influenza su Aristotele la eser­ citò proprio Eudosso, che era allora il personaggio più in vista della scuo­ la. E infatti Aristotele si richiamerà più di una volta ad Eudosso, in modo preciso. È probabile, come qualcuno ha rilevato, che, oltre che l'esempio di scienziato-filosofo enciclopedico, su Aristotele abbia inciso l' istanza fatta valere da Eudosso di «salvare i fenomeni»5 (era l ' istanza anche del­ l' Accademia, ma Eudosso la portava alle estreme conseguenze), ossia «di trovare un principio che rendesse conto dei fatti, conservando intatto il loro genuino modo di apparire))6. Le idee filosofiche di Eudosso non furono invece accolte da Aristotele: esse discordavano troppo da quelle platoni­ che, e cadevano in aporie assai più gravi di quelle platoniche di cui vole­ vano essere una correzione.

Aristotele Il pensiero

Gli alni personaggi di rilievo, con cui Aristotele dovette subito incontrar­ si ali' Accademia, furono Speusippo, Filippo di Opunte, Erasto e Cori­ sco. l primi due diverranno scolarchi dell' Accademia; Eraclide Pontico

reggerà provvisoriamente l' Accademia allorché Platone si recherà per la

terza volta in Sicilia; Filippo pubblicherà l 'ultima delle opere platoniche, le

Leggi; Erasto e Corisco, come vedremo , legheranno più intimamen­

te il loro nome ad Aristotele. Dei precisi rapporti personali di Aristotele con Platone, che, per le ragio­ ni dette , conobbe fra i diciannove e venti anni, sappiamo poco. Le fonti sembrano chiaramente alludere a rapporti non del tutto pacifici. Plato­ ne considerava Aristotele assai intelligente (se è vero che lo chiamava addi­ rittura con il nomignolo «l ' intelligenza» ) ; ma si scontrava con lui a causa del suo temperamento polemico e delle critiche che il giovane disce­ polo tosto dovette muovere. L'influsso di Platone su Aristotele fu asso­ lutamente determinante, e non solo per una stagione della sua vita, ma per sempre. Come vedremo , il platonismo resta il nucleo attorno a cui si costituisce la speculazione aristotelica.

È verissimo, in effetti, quanto scri­

ve Diogene Laerzio: «Aristotele fu il più genuino dei discepoli di Pla­ tone» 7. Troppo spesso questo è stato mi sconosciuto nel corso dei seco­ li posteriori e troppo spesso, dal Rinascimento in poiB, si amò contrapporre i due filosofi come termini di una irriducibile antitesi; ma vedremo che le ragioni di tale fraintendimento furono di carattere prevalentemente teo­ retico, aprioristico ed antistorico. Ricostruire con precisione l' attività di Aristotele nell' arco del venten­ nio trascorso nell ' Accademia è impossibile, a motivo della mancanza di una precisa documentazione . In via congetturale , tuttavia, e con largo margine di approssimazione, è possibile determinare gli eventi prin­ cipali come segue. Intanto è possibile congetturare che, nel triennio che va dal suo ingres­ so nell' Accademia al ritorno di Platone dalla Sicilia, Aristotele dovette studiare scienze matematiche sotto la guida di Eudosso . Egli , probabil­ mente, già prima del ritorno di Platone iniziò il secondo ciclo di studi , che normalmente andava dai venti ai trent 'anni, giusta il piano genera­ le che leggiamo nella

Repubblica (Aristotele , infatti , come straniero

dovette essere esonerato dal corso di ginnastica e dal relativo tirocinio).

45

46 Aristotele Il pensiero

In questa fase i giovani venivano preparati alla dialettica, approfonden­ do la natura delle discipline già apprese nella fase propedeutica e le reciproche affinità di queste, al fine di vedere come fosse possibile tra­ scendere quelle discipline medesime per giungere all'essere puro delle Idee, cioè per pervenire alla dialettica pura9. Che l ' impostazione della paideia platonica su basi scientifico-dialet­ tiche appagasse il giovane Aristotele è indubbio. Questo si desume abba­ stanza chiaramente da quella che pare essere la sua prima opera, inti­ tolata Grillo e dedicata alla retorica. In essa Aristotele, prendendo spunto

da una serie di scritti retorici composti per celebrare Gri llo, figlio di

Senofonte , morto nel 362 a. C. nella battaglia di Mantinea, polemiz­ zava contro la retorica intesa come irrazionale mozione dei sentimen­ ti , come Gorgia l ' aveva teorizzata e Isocrate e la sua scuola l ' aveva­ no riproposta . Pertanto il Grillo rappresenta la netta presa di posizione di Aristotele a favore della paideia platonica contro la paideia isocra­ tea che si fondava sulla retorica. La tesi che Aristotele sosteneva pare fosse esattamente quella che già molti anni prima Platone aveva soste­ nuto nel Gorgia: la retorica non è una «techne» , ossia non è un' arte né una scienza. Platone, come è noto, rivalutò parzialmente la retori­ ca nel Fedro, dove sostenne la totale negatività e vacuità di una reto­ rica di tipo gorgiano-isocrateo, e mostrò come, per poter reggere , la retorica dovesse fondarsi sulla dialettica . Anche il Fedro, dunque, ribadisce la tesi che la retorica, intesa come mozione dei sentimenti , non è arte . Pertanto non è necessario, come vuole lo Jaeger, porre la composizione del Grillo anteriore alla composizione del Fedro lO. Infatti , se Aristotele si rifaceva prevalentemente alla tesi del Gorgia, sviluppandola e approfondendola, era perché la retorica che egli vole­ va bocciare , cioè quella retorica che stava alla base degli encomi scritti in onore di Grillo, fra i quali pare ve ne fosse uno scritto dallo stesso Isocrate, era esattamente quel tipo di retorica contro il quale aveva polemizzato Platone nel Gorgia e che lsocrate aveva rilanciato. Il Grillo dovette incontrare i più larghi consensi nell' Accademia, tanto che Aristotele venne incaricato di tenere un corso ufficiale di retorica. Ci è anzi tramandato che egli iniziò il suo corso con la frase: «È cosa turpe tacere e lasciar parlare Isocrate», che è la parodia di un verso di Euripi-

Aristotele 4 7 Il pensiero

de. Risulta dunque chiara l ' impostazione data da Aristotele a questo suo corso: egli doveva confutare tutte le pretese della retorica di tipo gor­ giano e isocrateo per difendere la dialettica, e, probabilmente, doveva mostrare, come già Platone aveva fatto nel Fedro, come, per poter acqui­ stare valore , la retorica dovesse fondarsi sulla dialettica. Questo corso di retorica, cosl come il Grillo, dovette avere grande successo, se il disce­ polo di Isocrate Cefisodoro scrisse un'opera in quattro libri Contro Ari­

stotele e se, come qualcuno congettura con un certo fondamento, lo stesso Isocrate rispose agli attacchi di Aristotele nell' Antidosis l l . La cronologia del Grillo e del corso di retorica si può ricostruire abba­ stanza agevolmente . Grillo morì nel 362 a.-C.; subito dopo furono pub­ blicati i vari encomi , e Aristotele scrisse per reagire contro la cattiva reto­ rica di quegli encomi. Si può dunque pensare che il Grillo sia stato scritto fra il 360 e il 358 a. C . e che il corso sia iniziato immediatamen­ te dopo, ossia intorno al venticinquesimo anno di età di Aristotele. Una seconda opera giovanile databile in modo abbastanza sicuro è l ' Eu ­

demo o Sull 'anima. L'opera, che aveva forma di dialogo, era dedicata alla

Fenomeno Con fenomeno si i n tende q u a l cosa c h e s i m a n i festa (dal greco

mai, " a ppa ri re " );

phaino­

per Platone, il feno­

meno è i l modo d i essere caratteri ­

stico d e l l e cose sens i b i l i, visto come m e ra a p pa renza del m o n d o i d e a l e;

A r i s t o t e l e i nt e r p reta i n vece c o m e fenomeno tutto ciò c h e si rivela diret­ tamente a i nostri se nsi , come a d e s e m p i o i l m o t o ce l este, o p p u r e i pareri e le opinioni, recuperando par­ zia lmente, in senso trasl ato, l ' o r i g i na­ ria accezione p l a t o n i c a .

Platone. Per il filosofo ateniese i fenomeni erano solo la mera apparenza delle idee.

48 Aristotele

Il pensiero

memoria di Eudemo di Cipro, condiscepolo e amico di Aristotele, il quale, avendo partecipato ad una spedizione organizzata da Diane contro Dio­ nigi il Giovane, era morto in combattimento presso Siracusa. Ora, le fonti antiche ci permettono di stabilire in modo abbastanza plausibile che la morte di Eudemo avvenne nell' anno 354; è pertanto altamente probabi­ le che Aristotele scrivesse l 'opera in memoria dell ' amico defunto l ' an­ no appresso, cioè nel 353 a. C. Lo scritto aveva un carattere eminentemente consolatorio e riguardava i problemi dell'anima e dei suoi destini ultraterren i. Il modello di cui si servì Aristotele fu , questa volta, il Fedone. Anzi, egli ripropose alcune delle tesi del Fedone e le difese con tale efficacia che, come è noto, i tardi neoplatonici considerarono il capolavoro platonico e lo scritto aristoteli­ co come del tutto equipollenti . Tuttavia, se ciò è indubbiamente vero, come i frammenti pervenuti testimoniano, non è vero che Aristotele si limitas­ se

a ripetere passivamente Platone, né è vero che vi sostenesse quella meta­

fisica delle Idee che più tardi doveva ripudiare e solo in parte vero è che egli vi sostenesse una visione della vita fortemente pessimistica 1 2 . In realtà, a giudicare dai frammenti che ci sono pervenuti , più che un discorso di metafisica, nell'Eudemo Aristotele faceva un discorso di

fede, con puntuale richiamo al mito; inoltre, il tono pessimistico ben si spiega in funzione dello stato d'animo in cui versava Aristotele, a causa della morte dell'amico. Pertanto ci sembra esatto quanto scrive il Berti a questo riguardo: «Già si è notato come l'occasione in cui l' Eudemo fu scritto fosse tale da giu­ stificare ampiamente il rilievo dato in esso alla precarietà della vita ter­ rena, e come d'altra parte l' accento del discorso aristotelico fosse soprat­ tutto sulla felicità della vita futura. Anche senza tener conto di questo, si può ammettere che Aristotele avrebbe comunque sottoscritto la con­ cezione trascendentistica espressa nel dialogo [Fedone] , senza conside­ rarsi perciò impegnato a tenere in piedi la dottrina delle idee separate» 1 3 . Infatti , come vedremo, Aristotele abbandonò tosto la concezione delle Idee trascendenti (confutata già da Eudosso), ma non quella di un Dio trascen­ dente e di una realtà divina trascendente. Anche l 'immortalità dell'anima, del resto, come ci è espressamente tra­ mandato, era da Aristotele dimostrata, nell ' Eudemo , più con argomenti

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fondati sulla verosimiglianza e la persuasione, che non con prove rigo­ rose e scientifiche, cosa del tutto in armonia con la finalità consolatoria del dialogo14. Ci è anche tramandato che l 'immortalità sostenuta da Aristotele era rife­ rita all' intelletto, ossia all'anima razionale 1 5 (e non a tutta l ' anima come certi critici hanno preteso l 6). Aristotele, insomma, circa l ' immortali­ tà dell'anima doveva sostenere la tesi che sosterrà anche nelle tarde opere , e che è espressa in modo paradigmatico nella Metafisica: «Se poi rimanga qualche cosa anche dopo la corruzione della sostanza com­ posta, è problema che resta da esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per l ' anima: non tutta l'anima, ma solo l ' anima intellet­ tiva; tutta sarebbe impossibile» n. Sarà questa, come vedremo, anche la posizione del De anima.

Anche circa la natura de li' anima la posizione teoretica de li' Eudemo doveva essere analoga (sia pure in nuce) a quella che ritroveremo nel De anima. Aristotele concepiva l'anima non come una Idea, come qualcu­

no ha creduto di poter ricavare dai frammenti , bensì come sostanza-forma.

Egli polemizzava, come già Platone, contro la concezione dell'anima come armonia del corpo (concezione che riduceva l' anima a epifenomeno del corpo); per conseguenza, le attribuiva realtà sostanziale . Ma questa anima sostanziale era, insieme, concepita ed espressamente detta «una forma» (ossia una forma sostanziale informante un corpo), che, risolven­ dosi il corpo, non si risolve insieme ad esso. Il Berti , mettendo a profitto tutti i più recenti studi sul primo Aristotele, ha dato dello scritto che abbiamo brevemente analizzato la seguente valutazione: [ . . . ] l ' interpretazione che lo Jaeger ha dato deli ' Eudemo, scor­ gendovi l ' espressione di una posizione dottrinale totalmente fedele al platon ismo , inteso come dottrina delle idee separate e della reminiscenza , affermazione dell ' im mortalità del l ' anima intera e concezione dualistica dei rapporti fra anima e corpo, non regge. Essa ha avuto molto successo, e meritatamente , perché dopo le isolate intuizioni di Zeller e Kai l , ha messo giustamen­ te in luce il platonismo del giovane Aristotele ed ha permesso

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La Koutoubia (Moschea dei librai) a Marrakech, sec. Xli.

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Con la dinastia degli Almohadi, Marrakech divenne un centro di cultura noto in tutto 1'/slam occidentale; nel suq dei librai- che si teneva dinanzi alla moschea - si potevano trovare fadlmentf! copie manoscritte delle opere di Aristotele: grazie a questi testi. Averroè potè saivere i commentari che lo avrebbero poi reso famoso anche nella cristianità.

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una migliore comprensione della sua formazione spiritu ale , dandoci un' immagine di lui totalmente diversa da quelle tradi­ zionali ed indubbiamente più vicina alla realtà storica. Ma il suo errore è di credere che nell ' anno 3 5 3 Aristotele fosse ancora fedele al platonismo del Fedone, scritto venticinque o trenta anni prima [ . .. ] . In realtà di elementi platonici neli ' Eudemo ve ne sono, e sono molti: la convinzione del l ' immortalità e della preesistenza del l ' anima (limitata però alla sola anima intelligi­ bile), la dottrina della sua sostanzialità cd immortalità, e quel carattere oltremondano che fa ritenere la vita dopo la morte supe­ riore, più naturale e più felice di quella terrena. Alcuni di essi tuttavia sono destinati a rimanere anche nelle opere più matu­ re; mentre altri , in particolare il tono oltremondano , non hanno pretese dottri nali e sono semplicemente dovuti alla circostan­ za occasionale ed all ' intento consol atorio del dialogo . Ciò che deve essere recisamente escluso, è l'adesione alla dottrina delle idee separate e alla dottrina della reminiscenza, e la conce­ zione deli ' anima come idea 1 8 . Noi sottoli neeremo u n altro elemento, che c i sembra essenziale: ali ' epoca della composizione deli' Eudemo, Aristotele mostra di esse­ re ancora sensibile alla componente religiosa e mistica, presente in tutto Platone; è questa componente che, nella successiva evoluzione di Aristotele , andrà perdendo progressivamente spessore e consistenza. Se, dunque, antitesi c'è fra l'Eudemo e le opere tarde è questo: le opere tarde limitano il discorso filosofico alla pura dimensione scientifica e abbandonano ogni tipo di discorso di carattere mitico e religioso, accettato, invece, ne li' Eudemo. Un terzo scritto composto nel periodo di permanenza di Aristotele nel­ l' Accademia pare databile, almeno con un certo margine di approssi­ mazione. Si tratta del Protreptico o Esortazione alla filosofia, il più celebrato , letto e imitato di tutti gli scritti pubblicati di Aristotele. L'opera, di cui possediamo ampi frammenti riprodotti da Giamblico in un suo scritto dallo stesso titolo, era dedicata e diretta a Temisone «re dei Cipri)) (ossia re di una delle nove città, che, a quell'epoca, esi-

Aristotele 5 3 Il pensiero

stevano nel l ' isola) . Ora, fra il 3 5 1 e il 350 a. C . Cipro entrò in guer­ ra contro i Persiani, e nel periodo immediatamente precedente aveva intensificato i suoi rapporti con Atene. Si pensa dunque al 3 5 1 1350 come possibile data di composizione del Protreptico. La congettura risulta tanto più verosimile, in quanto nel Protreptico pare sia contenuta una risposta all'Antidosis di Isocrate , composto nel 352 a. C . I n questo scritto, dunque, Aristotele riprendeva la polemica contro l a scuola di Isocrate e il suo programma educativo: quella polemica che s'era iniziata col Grillo e che era proseguita nel corso di retorica, e in cui era intervenuto, in un primo tempo, l' isocrateo Cefisodoro e, poi , Isocrate medesimo , appunto con l'Antidosis. Questa volta l ' attacco è portato alle estreme conseguenze. Intanto, già la dedica è molto signi­ ficativa. lsocrate aveva indirizzato ai prìncipi di Salamina, in Cipro, tre opere esortative; Aristotele dirige ad un altro principe di Cipro la sua nuova opera, col chiaro intento di portare i l pensiero accademico là dove era penetrato quello della scuola di lsocrate. Ma, quello che più conta, Aristotele vuoi battere Isocrate non più, come nel Grillo, smantellando quella retorica su cui la scuola dell 'avversario si basa­ va, ma, positivamente, mostrando l'eccellenza della filosofia su cui si basava, invece, la paide{a dell'Accademia; e la filosofia era mostra­ ta eccellere in tutti i sensi sia in sé e per sé, sia per gli effetti e per i benefici che procura all'uomo: in particolare, contro l 'Antidosis, la filo­ sofia era additata come la sola, sicura base dell'azione. Dunque, il Pro­ treptico è una difesa integrale della filosofia. Ad un tempo, esso è anche

il documento in cui Aristotele, quasi trentacinquenne, chiarisce defi­ nitivamente a sé e agli altri l ' ideale della «vita teoretica», cioè di quel tipo di vita che pone nella speculazione il proprio fine e la feli­ cità, andando, con questo, perfino al di là delle posizioni proprie del­ l ' Accademia. Aristotele mostra, in primo luogo, l ' i mprescindibilità della filosofia , quindi illustra l a rosa degli attributi che l a coronano e che l a rendono la cosa più eccellente. La filosofia è necessaria , come prova il fatto che anche chi la nega è costretto a filosofare: i nfatti , negare la filosofia significa fare filoso­ fia, in quanto i ragionamenti che pretendono appunto di dimostrare l 'im-

54 Aristotele

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possibilità della filosofia non possono che essere di carattere filoso­ fico. Leggiamo nel fr. 2: Insomma, se si deve filosofare, si deve filosofare , e se non si deve filosofare, si deve ugualmente filosofare; in ogni caso dunque si deve filosofare . Se infatti la filosofia esiste, siamo tenuti in tutti i modi a filosofare , dato appunto che esiste. Se invece non esiste, anche in questo caso siamo tenuti a cercare come mai la filosofia non esista; ma, cercando, filosofiamo , perché il cercare è la causa della filosofial9. La filosofia è sicuramente possibile. Infatti i principi e le cause prime, che sono l 'oggetto specifico della filosofia, sono ciò che, in sé e per sé, per la loro stessa natura, sono più conoscibili, anche se per noi risulta­ no oscuri. È , questa, una tesi che ritorna poi anche nell' Aristotele matu­ ro e che, anzi, costituisce il centro della sua ontologia: ciò che è primo per i sensi è l'ultimo per pienezza di essere , e viceversa20. Inoltre, per esercitare la filosofia, «non c'è bisogno di strumenti né di par­ ticolari luoghi, ma in qualunque luogo della terra uno vi ponga il pen­ siero, allo stesso modo egli attinge sempre la verità, poiché questa è pre­ sente dappertutto))2 1 . Un pensiero, questo, che avrà la più grande fortuna nell'età ellenistico-romana. La filosofia è poi un bene oggettivo e costituisce, anzi , il fine metafisi­ co dell'uomo, ossia ciò in cui e per cui l 'essenza dell 'uomo si realizza pienamente. Infatti l'uomo è corpo e anima; ma il corpo è strumento al servizio dell'anima, e, dunque, è inferiore all ' anima; a sua volta l'anima è distinta in parti, tutte subordinate alla parte razionale. L'uomo, dunque, «è soltanto o soprattutto quella parte)), cioè anima razionale. Ma il com­ pito dell'anima razionale è il raggiungimento della verità e questo com­ pito si attua solamente con la filosofia. La filosofia risulta, pertanto, l'at­ tuazione di ciò che di più alto c'è in noi, dunque la nostra perfezione. La conoscenza è, in conclusione, la virtù suprema: è la cifra, per cosl dire, della vita dell' uomo22. Si comprende, pertanto, il motivo per cui la filosofia sia anche detta il «fine)) dell'uomo. L'aver mostrato come la filosofia realizzi l'essenza del-

Aristotele Il pensiero

l 'uomo implica direttamente questa tesi , giacché l 'essenza di una cosa è anche il suo fine. Aristotele ritiene tuttavia di dover fornire una speci­ fica prova, la quale dimostra come egli fosse già in possesso della sua fondamentale concezione finalistica della realtà e di alcuni concetti basi­ lari della metafisica. Ciò che è «primo» per la generazione è «Ultimo» quanto al valore ontologico, e, viceversa, ciò che è

ultimo per la generazione è primo per valore ontologico. Ora, nell'uomo, prima si sviluppa il corpo e poi l'anima, e nell'anima prima le facoltà irrazionali e poi la facoltà razionale. Risulta così , in base al principio sopra stabilito, che l'anima razionale, che è ultima nella genera­ zione , è prima nell'ordine e nel valore ontologico e che prima, quindi, è anche la conoscenza filo­ sofica, la quale rappresenta la «Virtù)) di questa anima23. La filosofia è anche utile. È soprattut­ to svolgendo questo punto che Aristo­ tele risponde ad Isocrate, il quale nel­ l' Antidosis aveva sostenuto che l'impostazione filosofica della paide{a accademica era del tutto astratta, in quanto la filosofia era inutile. Orbene, Aristotele puntualizza, in primo luogo, il concetto della superiorità del con­ templare sul fare , della teoresi sulla prassi: il contemplare ha valore autono­ mo, il fare ha valore subordinato: infat­ ti , nella vita oltremondana, i beati vivo­ no contemplando e non agendo: «Uno può vedere che la nostra tesi è più vera di ogni altra, se col pensiero ci si porta per esempio nelle isole dei Beati. Là infatti non c'è bisogno di nulla, né si ricava vantaggio da alcuna altra cosa,

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56 Aristotele

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ma rimane soltanto il pensare e lo speculare»24. Tuttavia, pur restando vera la tesi che la filosofia vale in sé e per sé, resta altrettanto vero che la filosofia è anche utile all'azione, in quanto fornisce le norme e i para­ metri deli' azione25. Infine, la filosofia dà la felicità. Infatti, tutti gli uomini amano il vivere, essendo la vita qualcosa di per sé piacevole; ma la vita più alta è il pen­ sare: dunque, nell'attività del pensare (e in particolare nella filosofia, in cui il pensare si realizza in modo perfetto) si attua la suprema felicità. Per­ ciò Aristotele conclude come segue: Nulla dunque di divino o di beato appartiene agli uomini , eccettua­ ta quella sola cosa degna di considerazione, ossia quanto v'è in noi di intelligenza e di sapienza questa sola infatti tra le cose che sono in noi appare e sere immortale e questa sola divina. E per il fatto che possiamo partecipare di questa facoltà, la vita, sebben sia per natu­ ra miserabile e difficile, viene tuttavia amministrata così piacevol­ mente che l' uomo in confronto alle altre cose sembra un Dio. «L' in­ telligenza, infatti , fra ciò che vi è in noi è il dio>> - sia stato Ermotimo o Anassagora a dire questo - e «l 'evo mortale contiene una parte di qualche dio» . Si deve dunque filosofare o andarsene di qui dicendo addio alla vita, poiché le altre cose appaiono essere tutte una gran chiacchiera ed un vaniloquio26 . Nell' ambito della produzione del primo Aristotele la critica ha dato molto rilievo, negli ultimi lustri , ad alcune opere di contenuto metafisi­ ca, sulle quali la classica monografia dello Jaeger non si era pronuncia­ ta. La loro datazione , purtroppo , è possibile solo con un largo margine di approssimazione e per via di congetture. Esse rivestono tuttavia una grande importanza, ai fini della comprensione dello sviluppo del pensie­ ro aristotelico, perché rappresentano una precisa, netta e puntuale presa di posizione da parte di Aristotele nei confronti dell'ontologia platoni­ ca. Pertanto un richiamo al loro contenuto è qui indispensabile. Iniziamo dal trattato Sulle ldee21. La recente critica ha messo bene in rilie­ vo come esso si connetta strettamente al movimento di revisione critica in atto nell'Accademia a partire dal periodo del secondo viaggio di Pia-

Aristotele 5 7 Il pensiero

tone in Sicilia. ll dialogo platonico con cui il trattato Sulle Idee rivela mag­ giore affinità è il Parmenide (segnatamente la prima parte di questo dia­ logo) , composto da Platone e pubblicato appunto dopo il ritorno dal secondo viaggio in Sicilia. La situazione da cui nacque il trattato Sulle Idee può essere abbastan­ za

puntualmente ricostruita. Durante il secondo viaggio di Platone in Sici­

lia l' Accademia fu dominata , come già vedemmo, dalla figura di Eudos­ so, il quale credette di poter risolvere l 'aporia di fondo della dottrina platonica delle Idee, che consiste nella difficoltà di conciliare i due caratteri essenziali delle medesime, vale a dire il loro essere «separate» e il loro essere , ad un tempo , «cause delle cose» . Eudosso si fece soste­ nitore dell'immanenza delle Idee: mescolandosi nelle cose, le Idee sarebbero causa dell'essere delle cose medesime. La tesi di Eudosso, deci­

samente eretica, per risolvere un 'aporia, cadeva in altre ben più gravi e più grossolane aporie, perché trattava le Idee immateriali alla stregua di cose materiali e tradiva, quindi, proprio la concezione di fondo dell'on­ tologia platonica. Tutti i membri de li' Accademia dovettero partecipa­ re con vivaci discussioni e dovettero proporre anche soluzioni alterna­ tive. Aristotele stesso, che giunse nell 'Accademia esattamente in questo momento, dovette non solo prendere parte a queste discussioni passi­ vamente , ma dovette tosto formarsi un suo modo di vedere , dissenten­ do sia da Platone sia da Eudosso. L'Aristotele ventenne che incontrò Pla­ tone di ritorno dalla Sicilia dovette avere già chiarito, nei tre anni trascorsi all' Accademia in sua assenza, alcune delle difficoltà di fondo del platonismo. Le prime discussioni con Platone dovettero essere, verosimilmente, subito assai vivaci. Si noti che, proprio nel Parmenide, compare un giovanissimo Aristotele, che, a nostro avviso (e di ciò qual­ cuno s'è già accorto) , va identificato con l' Aristotele storico. E che Ari­ stotele si fosse subito occupato della teoria delle Idee è confermato dalla risposta di Cefisodoro al Grillo, la quale dimostra come, all'epoca di com­

posizione di quel dialogo, fosse noto anche fuori della cerchia dell' Ac­ cademia che Aristotele si era occupato della dottrina delle Idee . Forse il trattato Sulle Idee segue immediatamente alla composizione del Gril­

lo (che, come vedemmo, va collocato fra i1 360 e il 358 a. C .), se la rispo­

sta di Cefisodoro già lo conosce.

5 8 Ari�totele

Il pensiero

Le tesi di fondo del trattato Sulle Idee pare fossero due: a) non è possi­

bile ammettere Idee separate e b) per tener ferma la dottrina delle Idee , bisognerebbe eliminare la dottrina dei princìpi28. Di questa dottrina dei princìpi diremo sotto parlando del trattato Sul Bene. Qui dobbiamo inve­ ce valutare il significato e la portata di questo rifiuto della dottrina delle Idee . Ciò che Aristotele intende soprattutto colpire non è tanto l 'Idea, ma la sua «separazione». Anche Platone critica tale separazione nella prima parte del Parmenide . Tuttavia, le strade che i due filosofi imboccarono sono molto diverse. Platone riteneva che si potessero mantenere insie­ me l 'aspetto trascendente e quello immanente delle Idee, purché si sa­ pessero intendere in maniera adeguata: per lui, infatti , le difficoltà della «separazione>> colpiscono solamente un deteriore modo di intendere le Idee. Aristotele, invece, ritenne di dover rinunciare del tutto alla trascen­ denza delle Idee, trasformandole in immanenti «cause formali» delle cose. Con questo mutamento della dottrina platonica, peraltro, Aristotele non rinunciò affatto a qualsiasi forma di trascendenza; al posto dell 'intelli­ gibile trascendente egli pose infatti la intelligenza trascendente, cioè Dio, come meglio vedremo parlando del trattato Sulla filosofia e soprat­ tutto esaminando la Metafisica. Ma l'aver trasformato le Idee trascendenti nelle forme immanenti non implicava affatto un allineamento di Aristotele sulle posizioni assunte da Eudosso. Per questo egli espressamente lo criticò, mostrando come la teo­ ria di Eudosso della «mescolanza» delle Idee nelle cose distruggeva la loro immaterialità e le trasformava alla stregua di elementi materiali . In effetti Aristotele,pur immanentizzando le Idee, sostiene tuttavia la loro spiritualità e immaterialità. Ha detto bene il Berti che Aristotele trasfor­

ma le Idee da enti trascendenti a strutture trascendentali; il che, come Io stesso studioso precisa, non implicava affatto il rifiuto dell'intero siste­ ma platonico, ma solo una sua revisione critica > in quell'unico gruppo, che è appun­ to il gruppo delle «categorie>>? La risposta è la seguente: le figure delle

categorie ridanno i significati primi efondamentali dell'essere: sono, cioè, l 'originaria distinzione su cui si appoggia necessariamente la distinzio­ ne degli ulteriori significati. Le categorie rappresentano, dunque, i signi­ ficati in cui originariamente si divide l 'essere, sono le supreme divisio­ ni dell 'essere, o, come anche Aristotele dice, i supremi «generi» dell'essere20. E in tal senso ben si comprende come Aristotele abbia indi­ cato nelle categorie il gruppo dei significati dell'essere «per sé>> , appun­ to perché si tratta dei significati originari .

Aristotele 8 5 Il pensiero

Anche la potenza e l'atto rappresentano due diversi significati dell 'essere (la potenza è addirittura detta non-essere rispetto all ' atto , in quanto è non esse­ re in atto), appunto essendo, l'una, essere potenziale non ancora realizzato e, l'altro, essere attuale e realizzato. Ma, si noti bene, anche singolannente

presi, essi hanno molteplici significati, tanti quante sono le categorie. Infatti

altra è la potenza secondo la sostanza altra la potenza secondo la qualità, altra la potenza secondo la qoontità, e così di seguito. E lo stesso dicasi per l atto '

.

Analogo discorso vale per l'essere come vero e per l'essere accidenta­ le, i cui vari modi , qui, per mancanza di spazio, non è possibile deluci­

dare. Un punto essenziale va però sottolineato. L'essere come vero, che è l 'essere del giudizio che unisce (separa) soggetto e predicato, non può aver luogo se non secondo Le categorie (come meglio vedremo nella lo­ gica). E così l'essere accidentale non è se non l'affezione o l' accadimen­ to puramente fortuito che ha luogo secondo Le variefigure categoriaf{l. I . In conclusione, tutti i significati dell'essere presuppongono l 'essere delle categorie; a sua volta, l'essere delle categorie dipende interamen­ te dall'essere della prima categoria , ossia dalla sostanza. Pertanto, tutti i significati dell'essere suppongono l'essere delle categorie, e se, a sua volta, l 'essere delle categorie suppone l 'essere della prima e su questo interamente si fonda, è evidente che La domanda radicale sul senso del­

l 'essere andrà incentrata sulla sostanza. Perciò ben si comprendono le precise affermazioni di Aristotele: «E in verità, ciò che dai tempi anti­ chi, così come ora e sempre, costituisce l'eterno oggetto di ricerca e l 'eter­ no problema: 'che cos'è l'essere' equivale a questo: 'che cos'è la sostan­ za' [ . ]; perciò anche noi principalmente, fondarnenUlmente e unicamente, .

.

per così dire, dobbiamo esaminare che cos'è l'essere inteso in questo signi­ ficato))22. Il senso ultimo dell'essere è disvelato dal senso della sostan­

za (oùaia) . Che cos'è, allora, la sostanza? 6. La questione della sostanza. Diciamo subito che il problema della sostanza è il più delicato, il più com­

plesso e, in un certo senso, anche il più sconcertante, per chiunque voglia intendere la metafisica aristotelica, rinunciando alle soluzioni sommarie, cui le sistemazioni manualistiche ci hanno abituato.

8 6 Aristotele

Il pensiero

Innanzitutto va chiarito che la questione generale della sostanza invol­ ve due problemi essenziali strettamente connessi , dei quali uno si svol­ ge, ulteriormente , in due differenti direzioni . I predecessori di Aristote­ le avevano dato alla questione della «sostanza» soluzioni del tutto antitetiche: alcuni avevano visto nella materia sensibile l 'unica sostan­ za; Platone aveva, invece, indicato in enti soprasensibili la vera sostan­ za, mentre la comune convinzione sembrava additare nelle cose concre­ te la vera sostanza . Ed ecco che Aristotele affronta la questione strutturandola in maniera esemplare. Dopo aver ridotto il problema onto­ logico generale al suo nucleo centrale, cioè alla questione dell' ousia (nel modo che abbiamo sopra veduto) egli dice, con tutta chiarezza, che il punto di arrivo starà nel determinare quali sostanze esistono: se solamente le

sensibili (come vogliono i naturalisti) o anche le soprasensibili (come vogliono i platonici). Si badi: questo è il problema dei problemi e la quae­

stio ultima, la domanda per eccellenza della metafisica aristotelica (così come di ogni metafisica in generale) 23 . Ma, per poter risolvere questo specifico problema, Aristotele vuole prima risolvere il problema che cos 'è la sostanza. Ecco, quindi, l' altro problema dell ' usiologia aristotelica: che cos 'è la sostanza in generale? È la materia? È la forma? È il composto? Questo problema generale va risolto prima dell' altro, per correttezza metodologica: si potrà, infatti, con precisione assai maggiore, dire se esiste solo il sensibile o anche il soprasensibi­

O u s fa

le , se si sarà, prima, stabilito che cosa sia, in genere, la ousia. Se, per esempio,

Tradotta gene ra l m ente con i l tenn i · ne " sosta nza " o " esse n za " , la pa ro­

l a ousia - us ata da A r i s totele n e l l a

Metafisica

-

deriva dal part i c i p i o d i

eim 1 ( " i o s o n o " ) ed ha q u i n d i a c h e

fare con i l verbo essere. N el l a B i b b i a ,

dove la l i n g ua usata e il g r e c o e l l e ­ n i st i co post er i o re ad Ar i s tote l e, l a

risultasse che ousia è solo la materia o il concreto composto di materia e forma, è chiaro che la questione della sostan­ za soprasensibile resterebbe eo ipso tolta; mentre, se risultasse che ousia è anche altro o addirittura prevalentemen­

pa ro l a h a i l s i g n i f i c at o d i " r i cc h ez­

te altro dalla materia, allora la questio­

za " , " poss e ss o " e fi n i sc e per e sse re

ne del soprasensibile si presenterebbe

i n ve ce l e g at,l

a

cio che un o ha .

sotto tutt' altra luce. E su che cosa si baserà Ari stotele per trattare della

Aristotele 8 7 Il pensiero

sostanza in generale? Ovviamente, su quelle sostanze che nessuno con­ testa: le sostanze sensibili. Scrive espressamente il filosofo: «Tutti ammettono che alcune delle cose sensibili sono sostanze; pertanto dovre­ mo svolgere la nostra indagine partendo da queste. Infatti è di grande uti­ lità procedere a gradi verso ciò che è più conoscibile. ln effetti, tutti acqui­ stano il sapere in questo modo: procedendo attraverso le cose che sono meno conoscibili per natura [ = le cose sensibili] verso quelle che sono più conoscibili per natura [ = le cose intelligibili]»24. 7. La sostanza in generale e le note definitorie del concetto di sostanza. Ed ora domandiamoci: che cos 'è la ousia in generale? Quanto abbiamo premesso, avrà, probabilmente . già orientato il lettore circa la risposta aristotelica al problema posto. Lo Stagirita dice che per «sostanza» (ousia) possono intendersi, a diverso titolo, sia l ) laforma, sia 2) la materia, sia 3) il sino/o o composto di materia e forma. Con ciò Aristotele riconosce a ciascuno dei suoi predecessori una parte di ragio­ ne e indica il loro torto nella unilateralità e nell'escludenza. Vediamo di illustrare brevemente i significati.

a) Sostanza è in un senso la forma (Etl)oç, 1J.Opqn1). «Forma» , secondo Ari­ stotele, è l 'intima natura delle cose, il che cos'è o l 'essenza ('tò ti

i1v dva1)

delle medesime. La forma o essenza dell'uomo, per esempio, è la sua anima, ossia ciò che fa di lui un essere vivente razionale; la forma o essen­ za dell'animale è l'anima sensitiva e quella della pianta l'anima vegetati­ va. Ancora, l'essenza del cerchio è ciò che fa sì che esso sia quella data figura con quelle date qualità; e lo stesso può ripetersi per le diverse altre cose. Quando definiamo le cose, ci riferiamo alla loro forma o essenza: in generale, le cose sono conoscibili solo nella loro essenza25.

b) Tuttavia, se l'anima razionale non informasse un corpo, non avrem­ mo un uomo, e se l'anima sensitiva non informasse una certa materia, non avremmo un animale; e, ancora, se l'anima vegetativa non informasse altra

materia, non avremmo le piante. Così dicasi - e la cosa risulterà anche più evidente - per tutti gli oggetti prodotti dali' attività dell'arte: se non si realizzasse nel legno l'essenza o forma del tavolo , essa non avrebbe alcuna concretezza (e lo stesso deve ripetersi per tutti gli altri casi). In

8 8 Aristotele Il pensiero

questo senso, anche la materia risulta fondamentale per la costituzione delle cose, e, pertanto, essa potrà dirsi - almeno entro questi limiti -

sostanza delle cose. È chiaro, peraltro, che questi limiti sono ben defi­ niti: infatt i , se non ci fosse la forma, la materia sarebbe indeterminata e non basterebbe affatto a costituire le cose26.

c) In base a quanto abbiamo detto, risulta pienamente chiarito anche i l terzo significato: quello di «sinolo» (auvoÀ.ov). Sinolo è la concreta unione di forma e materia. Tutte le cose concrete sono non altro che sino­ li di forma e di materia. Dunque, tutte le cose sensibili, senza distinzione, possono considerarsi nella loro forma, nella loro materia, nel loro insieme; e «sostanza»

(ousia) sono, a diverso titolo (nel senso veduto), e la forma e la materia e il sinolo27 . Lo Stagirita, svolgendo i l problema della sostanza in generale i n una secon­

da direzione, ha anche cercato di determinare quali siano questi uf. Ma che tipi di «universali» possono mai essere questi dell 'arte, questi tipi di universali che (come abbiamo letto nel passo da cui siamo partiti) non disdegnano nomi propri?

d)

Evidentemente , non abbiamo qui a che fare con degli universali

logic i, del tipo di quelli di cui tratta la filosofia teoretica, e in partico­ lare la logica. Infatti , se l' arte non deve riprodurre verità empiriche, non deve riprodurre neppure verità ideali di tipo astratto , verità logiche, appun­ to. L' arte non solo può e deve sganciarsi dalla realtà e presentare fatti e personaggi non come sono, ma come potrebbero e dovrebbero esse­ re, ma, dice espressamente Aristotele , può anche introdurre l ' irraziona­ le e l ' impossibile, e può perfino dire menzogne e far conveniente uso di paralogismi (cioè di ragionamenti fallaci); e può far questo a patto che renda l'impossibile e l ' irrazionale

verosimiti5 . Lo Stagirita arriva per­

fino a dire questo: «[ . . . ] L'impossibile verisimile

è da preferire al

pos­

sibile non credibile»6; e ancora «Riguardo alle esigenze della poesia, biso­ gna tener presente che una cosa impossibile ma credibile

è

sempre da

preferire a una cosa incredibile, anche se possibile» 7. Naturalmente, così stando le cose, J' arte potrà benissimo rappresentare gli Dei in modo fal­ lace, perché così se l i figura il volgo, e come credenza del volgo fanno parte della vita.

e) L'universalità della rappresentazione dell'arte nasce dalla sua capaci­ tà di riprodurre gli eventi «secondo la legge della verosirniglianza e della necessità » , cioè da quella sua capacità di ridare gli eventi in manie­ ra tale che essi risultino legati e connessi in modo perfettamente unita­ rio, quasi come in un organismo in cui ogni parte ha un suo senso in fun­ zione del tutto di cui

è parte.

Il Valgirnigli con terminologia crociana dice che , l ' universale dell'arte

è

«l'universale concreto, anzi nel massimo della sua concretezza.>�s. Si

potrebbe anche dire l' «universale fantastico» , usando moduli più vichia­ ni . Ma

è

ovvio che questa terminologia porta decisamente oltre Aristo­

tele . Ciononostante è chiaro, dalle considerazioni sopra svolte, che nel celebre passo da cui siamo partiti , lo Stagirita ha, sia pure vagamente e

1 64 Aristotele Il pensiero

confusamente, intuito questo: l'arte è più filosofica della storia, ma non è filosofia; l'universale dell' arte non è l' universale logico e, dunque, è qualcosa a sé stante, avente un suo valore, pur non essendo questo né il valore del vero storico né il valore del vero logico . La posizione plato­ nica è, così , nettamente superata. 3 . 11 bello .

L'estetica moderna ci ha abituati a considerare i problemi deli' arte in maniera tale che ci riesce difficile pensare che sia possibile una defini­ zione di essa prescindendo da una adeguata definizione del bello. In real­ tà questo non era altrettanto chiaro agli antichi. Platone collegò il bello con l'erotica più che con l'arte; e Aristotele, che pure lo collegò con l'ar­ te, non Io definì se non incidentalmente nella Poetica. nizione che ne diede:

Ed

ecco la defi­

[ ...] il bello sia esso un essere animato o sia un qualunque altro ogget­

to purché egualmente costituito di parti , non solo deve presentare in codeste parti un certo suo ordine, ma anche deve avere, e dentro deter­ minati limiti, una sua propria grandezza; difatti il bello consta di gran­ dezza e di ordine; né quindi potrebbe esser bello un organismo eccessivamente piccolo, perché in tal caso la vista si confonde attuandosi in un momento di tempo quasi impercettibile; e nemme­ no un organismo eccessivamente grande , come se si trattasse, per esempio, di un essere di diecimila stadi, perché allora l'occhio non può abbracciare tutto l'oggetto nel suo insieme e sfuggono a chi guar­ da l'unità e la sua organica totalità [ ...]9. Lo stesso concetto egli espresse nella Metafisica, dove il bello è colle­ gato con le matematiche: Poiché il bene ed il bello sono diversi (il primo infatti si trova sem­ pre nelle azioni , mentre il secondo si trova anche negli enti immo­ bili), errano coloro i quali affermano che le scienze matematiche non dicono nulla intorno al bello e intorno al bene. In effetti le materna-

Aristotele 1 6 5 Il pensiero

Ricostruzione della Stoà di Attalo nell'agorà di Atene. La presenza di un portico (peri­ patos) nelle vicinanze del Liceo avrebbe finito per identificare l'intera corrente di pensiero che si rifaceva ad Aristotele.

tiche parlano del bene e del bello e li fanno conoscere in sommo grado: infatti , se è vero che non li nominano mai esplicitamente, ne fanno tuttavia conoscere gli effetti e le ragioni , e quindi non si può dire che non ne parlino. Le supreme forme del bello sono: l'ordine e la simmetria e il definito, e le matematiche le fanno conoscere più di tutte le altre scienze IO . Il bello, dunque, per Aristotele , implica ordine, simmetria di parti, deter­ minazione quantitativa; in una parola potremo dire: proporzione. E si capisce quindi come , applicando questi canoni alla tragedia, Aristo­ tele la volesse né troppo lunga né troppo corta, ma capace di essere colta con la mente come in uno sguardo unico dal principio alla fine. E la stes­ sa cosa certamente doveva valere , per lui, per ogni opera d' arte l i . È un modo di concepire il bello, questo di Aristotele, che reca la chia­ ra impronta ellenica del «nulla di troppo» e della ((misura» ed in par­ ticolare la chiara cifra del pensare pitagorico, che nel ((limite» pone­ va la perfezione.

1 66

,Aristotele

Il pensiero

4. La catarsi.

Abbiamo detto che Aristotele tratta fondamentalmente della tragedia e che in relazione alla tragedia svolge la sua teorica dell'arte. Qui non pos­ siamo addentrarci nei dettagli dell'argomento; ma un punto resta da rilevare che, pur presentato in stretta connessione con la definizione della tragedia, vale per l'arte in generale. Scrive lo Stagirita: «Tragedia [ ... ] è mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non nar­ rativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l 'animo da sijfatte passioni» 1 2. Il testo originale dice esattamente che ha per effetto la catarsi delle passio­ ni (KMap> .

40 Rimandiamo, per tutti gli opportuni approfondimenti, al libro Z della Meta­

fisica, passim, che è un libro essenziale per capire l' intero pensiero aristotelico.

La logica (così come ogni altra branca della speculazione aristotelica) non è intelligibile se non sulla base della dottrina della sostanza-forma così come viene calibrata in quel libro. Cfr. La Metafisica, ed. Reale, ci t., l, pp. 562-637.

Aristotele 2 O 7

La sto ri a d e l l a criti ca STORIA DELLA FORTU NA E DELLE INTERPRETAZIONI DI ARISTOTELE l . Storia della scuola peripatetica e degli scritti di Aristotelefino all 'edi­

zione di Andronico di Rodi1 • Nel 322/321 Teofrasto successe ad Aristotele alla direzione del Peripa­ to e resse la scuola fino al 288/284. Fu una figura di prim'ordine, un formidabile ricercatore , di cultura enciclopedica; quanto a vastità di sapere egli gareggiò con lo stesso Aristotele. Teofrasto , che, come sopra abbiamo veduto, aveva seguito da vicino gli sviluppi del pensiero ari­ stotelico fin dai tempi di Asso e di Mitilene, fu tuttavia solo in parte in grado di riprendere e di ripensare i temi aristotelici. Egli piegò infatti l'aristotelismo in direzione naturalistica e gli fece perdere il peculiare vigo­

re speculativo. Nella sua Metafisica egli piegò l' ontologia aristotelica in senso cosmologico, ridusse la portata del finalismo e cominciò a solle­ vare, sia pure timidamente, dubbi sul Motore Immobile. Analoghe ten­ denze rivelò in fisica e in psicologia. In etica mostrò di preferire all' ana­ lisi dei princìpi la fenomenologia descrittiva (famosi sono i suoi Caratten). In logica apportò alcune correzioni ed innovazioni ; la più famosa tra tutte

è la dottrina del sillogismo ipotetico, in cui fu precursore degli Stoici . Analoghe tendenze sono riscontrabili anche in altri discepoli di Aristo­ tele: Eudemo, Dicearco e Aristosseno. Questi ultimi tornarono addirit­ tura a sostenere la dottrina materialistica dell'anima-armonia, che era stata espressamente confutata da Aristotele. Decisamente materialistico fu l 'indirizzo del terzo scolarca del Peripa­ to Stratone di Lampsaco (che resse la scuola dal 288/284 al 274/270), il

2 O 8 Aristotele La storia della critica

quale nella spiegazione della natura e del cosmo eliminò il fine, elimi­ nò la forma, eliminò il Motore Immobile , limitandosi a fare uso dei concetti di materia e di movimento. In chiave sensistica egli intese poi la psicologia, sicché, a ragione, fu denominato «il fisico» . Dal 270 a. C. fino verso la fine dell'era pagana la vita della scuola ari­

stotelica proseguì in un clima di sconfortante mediocrità e grigiore . Licone, che successe a Stratone e tenne lo scolarcato per quasi mezzo seco­ lo, fu più letterato che filosofo; e così anche il suo successore Aristone di Ceo. Un contemporaneo di Licone, Jeronimo di Rodi, accolse eclet­ ticamente dottrine epicuree . Critolao di Faselide, successore di Aristo­ ne, piegò invece verso la Stoa. Tendenze eclettiche sono riscontrabili in Diodoro di Tiro, successore di Critolao .

Dopo Diodoro gli Aristotelici lasciarono pochissime tracce fino ad Andronico di Rodi, che, come subito diremo, gettò le basi di una rina­ scita di Aristotele e salvò il di lui pensiero per la posterità. Ci si chiederà quali siano state le ragioni di una crisi così grave della scuo­ la di Aristotele, cominciata già poco dopo la sua morte e proseguita per ben due secoli e mezzo. Fra le tante cause che si possono addurre una è decisiva. Teofrasto, morendo , lasciò gli editìci e il giardino alla scuola, ma riserbò la biblioteca e quindi tutti gli scritti di scuola di Aristotele a Neleo di Scepsi (Diogene Laerzio, V, 52), figlio di quel Corisco che già conosciamo. Ora sappiamo da Strabone (XIII, I , 54) che Neleo traspor­ tò la biblioteca in Asia Minore e che, morendo, la lasciò ai suoi eredi . Costoro non avevano per quelle opere uno specifico interesse, e pensa­ rono quindi di nascondere i preziosi manoscritti in una cantina, per evi­ tare che cadessero nelle mani dei re Attalidi, che lavoravano alla costru­ zione della biblioteca di Pergamo. In tal modo, questi scritti rimasero nascosti fmo a che un bibliofilo, di nome Apellicone, li acquistò e li ripor­ tò ad Atene. Ma ad Atene essi rimasero per breve tempo; infatti , dopo la morte di Apellicone, furono confiscati e portati a Roma (86 a. C.)da Silla, dove furono affidati per la trascrizione al grammatico Tirannione, il quale, però, non terminò l'opera, che, invece, fu con successo portata a compimento da Andronico, come sotto diremo. Dunque, dalla morte di Teofrasto in poi, il Peripato fu privato dello stru­ mento più importante per una scuola filosofica, cioè della biblioteca. In

Aristotele 2 09 La storia della critica

particolare, venne privato proprio di quella produzione aristotelica con­ sistente nei corsi di lezione, cioè degli esoterici, che contenevano il messaggio di gran lunga più originale e più profondo dello Stagirita. Così restarono a disposizione le opere pubblicate (le essoteriche) , e forse parti o estratti degli esoterici: in ogni caso dovette restare a disposizio­ ne una parte minima rispetto al tutto Aristotele . Andronico di Rodi, come s'è detto, che, come vuole una antica tradizio­ ne, fu I 'undicesimo scolarca del Peripato, venne da Atene a Roma deci­ so a recuperare alla scuola e al mondo filosofico l'Aristotele esoterico. Probabilmente egli entrò in rapporto con Tirannione e beneficiò del lavoro già fatto da lui , e, fra il 40 e il 20 a. C., egli fu in grado di pub­ blicare le opere di scuola dello Stagirita. Andronico procedette alla pub­ blicazione in maniera sistematica, seguendo un preciso disegno, che teneva conto del contenuto delle opere e dell'ordine logico secondo il quale esse andavano lette . Così , per la prima volta, i dotti avevano a disposi­ zione tutto il materiale lasciato dallo Stagirita e organizzato in modo . concettuale. Solo dopo questa edizione di Andronico, e molto lenta­ mente, si cominciò a capire che il vero Aristotele non era in quegli scrit­ ti che egli aveva pubblicato per una larga cerchia di lettori, ma proprio in questi esoterici che egli aveva steso come appunti di corsi per i suoi scolari . E la profondità degli esoterici finì, a poco a poco, per far dimen­ ticare la loro difficoltà e il loro linguaggio da iniziati. Anzi, con l ' anda­ re del tempo, la situazione finì per capovolgersi del tutto: le opere esso­ teriche finirono per essere messe da parte e per cadere nell'oblio; per conseguenza andarono perdute, e a noi giunsero solamente gli esoteri­ ci, proprio nella sistemazione fatta da Andronico. 2. / commentatori greci di Aristotele 2. Dopo l' edizione di Andronico la produzione dei peripatetici cambiò tono e livello. Anche se un radicale ripensamento di Aristotele non ebbe luogo, si può, tuttavia, parlare di «rinascita aristotelica>• , che iniziò come

lavoro di esposizione e di esegesi del pensiero esoterico dello Stagirita e culminò con la creazione dei grandi commentari alle varie opere. Andronico proponeva una lettura di Aristotele che iniziasse dalla logica,

2 1 O �ristotele La storia della critica

sottolineando il valore strumentale di essa; invece il suo discepolo Boeto di Sidone proponeva di iniziare dalla Fisica . Ambedue sembra che pro­ pendessero per un'interpretazione naturalistica del pensiero aristotelico. Nicola di Damasco (a cavaliere fra l'età pagana e l'era cristiana) scris­ se un'opera organica Intorno alla filosofia di Aristotele, che dovette essere una prima sistematica presentazione dell' Aristotele esoterico. Con Aspasio (prima metà del secolo secondo d. C .) incomincia la serie dei commentatori . Di lui ci è pervenuta una parte del commento dell ' Eti­ ca a Nicomaco. Come autori di commentari sono ricordati anche Adra­ sto di A frodi sia ed Ermino, di cui fu discepolo Alessandro di Afrodisia, che fu il maggiore di tutti i commentatori . Di Alessandro (che copri un posto di insegnante di filosofia aristotelica ad Atene fra il 1 98 e il 2 1 1 d. C., ci sono giunti: l ' imponente commen­ tario alla Metafisica (parte di esso è forse in redazione spuria) , il com­ mentario agli Analitici primi, ai Topici e ai Meteorologici. Alessandro, per la verità, ha anche un suo pensiero personale, che si scosta dali 'or­ todossia aristotelica. Egli inclina verso il naturalismo in ontologia e in psicologia, accentuando il carattere immanente della forma, e quindi del­ l'anima, che egli ritiene mortale. L'intelletto agente che Aristotele diceva essere facoltà immanente all'anima, per Alessandro, è la Causa prima tra­ scendente, entità trascendente e insieme comune a tutti gli uomini. Sareb­ be ad opera dell' attività di questo intelletto produttivo trascendente, unico per tutti , su li' intelletto di ciascuno di noi, che avrebbe luogo in noi l'intellezione. Abbiamo, dunque, un contatto diretto con il divino, ma siamo mortali . Alessandro chiude la serie dei commentatori aristotelici di fede aristo­ telica. Dopo Alessandro, Aristotele sarà ancora molto letto e studiato, ma in funzione del neoplatonismo e gli aristotelici puri saranno vere e pro­ prie eccezioni , come ad esempio Temistio, nel secolo IV, autore di para­ frasi ai trattati aristotelici. Nel neoplatonismo l'aristotelismo si fonderà e si incorporerà, e così il Peripato e i peripatetici cesseranno di esistere come scuola e come filosofia autonoma circa tre secoli prima che uffi­ cialmente le scuole pagane venissero chiuse per ordine di Giustiniano. Il commentario ad Aristotele continuerà ad avere ancora molta fortuna fra i

neoplatonici . La tendenza comune a tutti questi commentatori fu quel-

Aristotele 2 1 1 La storia della critica

la di conciliare il più possibile Platone ed Aristotele. Porfirio (discepo­ lo di Plotino), nel secolo III, d .C., fu il primo dei commentatori neopla­ tonici, e commentò le Categorie scrivendo quell'lsagoge, che sarà un punto di riferimento di tutti i pensatori medievali. Dal circolo di Giamblico proviene Dexippo (secolo IV), pure autore di un commento alle Categorie. Fra i neoplatonici delle scuole di Atene e di Alessandria vi furono nume­ rosi commentatori di Aristotele. Siriano (secolo V), che fu il maestro di Proclo, ci ha lasciato un commento alla Metafisica . Ammonio, che fu discepolo di Proclo e fu a capo della scuola di Alessandria, commentò

Categorie, De interpretatione e Analitici primi. Dalla scuola di Ammonio vennero tutti i commentatori del VI secolo: Asclepio, di cui è rimasto un commento parziale alla Metafisica ; Giovan­ ni Filopono , che commentò opere di logica, la Fisica, il De anima, la Meta­

fisica, il De generatione et corruptione, i Meteorologici e il De genera­ tione animalium.

Discepolo di Ammonio fu anche Simplicio, che mediò la corrente del neo­ platonismo alessandrino con quella ateniese. Commentò le Categorie, la

Fisica il De caelo e il De anima . Nel 529 egli dovette abbandonare Atene e migrare in Persia a causa della chiusura delle scuole pagane ordi­ nata da Giustiniano . Fra i più giovani discepoli di Ammonio fu anche Olimpiodoro ( secon­ da metà del secolo VI), il quale, oltre ai dialoghi platonici , commentò le

Categorie. Discepoli di Olimpiodoro furono Elias e Davide, che lascia­ rono commenti alle Categorie e aii 'Isagoge di Pmfrrio (secolo VII)3. Accanto ai commentatori greci vanno menzionati anche i commentato­ ri bizantini , dei quali i più noti sono Michele di Efeso (di cui ci sono giun­ ti commenti ad alcune opere scientifiche e ali' Etica) ed Eustrazio (di cui abbiamo un commento agli Analitici posteriori) che appartengono al

seco­

lo XI e Sofonia, di cui ci è giunto un commento al De anima . (Ricordia­ mo, infine, che dalle file dei neoplatonici proviene quel Tolomeo che scris­ se una Vita di Aristotele la quale divenne fonte di informazione di quasi tutte le successive biografie dello Stagirita4. Forse Tolomeo fu discepo­ lo di Porfirio e di Giamblico, e visse ad Alessandria nella prima metà del IV secolo.).

2 1 2 Aristotele La storia della critica

3. Aristotele nel Medioevo5.

Nel VI secolo Severino Boezio tradusse in lingua latina l'Organon di Ari­ stotele. Circolarono, però, di questa traduzione, solamente le Categorie e il De interpretatione, mentre le traduzioni degli altri trattati rimasero lettera morta. Queste traduzioni tuttavia si conservarono, tanto che nel secolo XII poterono ancora essere utilizzate, come i recenti studi hanno dimostrato. Il mondo latino, dunque, dal VI al XII secolo di fatto conob­ be e studiò, di Aristotele, solamente i due primi trattati dell'Organon . Nel frattempo, però, Aristotele rinasceva nel mondo arabo. Nella prima metà del secolo IX a Bagdad fu fondata una scuola di traduttori dal greco, i quali approntarono versioni arabe di Aristotele e di alcuni dei più noti commentatori : Alessandro , Temistio, Porfirio, Ammonio. Venne inol­ tre tradotta la Theologia Aristotelis, che, come è noto, in realtà è una antologia delle Enneadi di Plotino. Tutto questo spiega bene come l'interpretazione che gli Arabi dettero di Aristotele fosse di impronta neoplatonica. Nella seconda metà del secolo IX , Al-Kindi scrisse una Introduzione allo studio di Aristotele, codificando i canoni dello Stagirita in una interpre­ tazione di stampo decisamente neoplatonico, che analiticamente appli­ cò anche in commentari alle singole opere . Al-Farabi proseguì l 'opera di commento e di ripensamento di Aristotele nel secolo X, e Avicenna, con maggior originalità, agli inizi del secolo XI . Ma il commentatore per eccellenza di Aristotele fu Averroè (che « ' l gran comento feo)) , come dice Dante , lnf., IV, 1 44 ) , nel secolo XII. Averroè in parte reagì contro l ' interpretazione neoplatonica, e, se pure non vi riuscì del tutto, certamente percorse molta strada in direzione oppo­ sta ai suoi predecessori . Egli compose tre serie di commenti: l ) «i pic­ coli commenti)) , che sono parafrasi riassuntive delle tesi e delle conclu­ sioni di Aristotele, senza le mediazioni teoretiche che portano a tali conclusioni , destinati a coloro che non erano in grado di affrontare la let­ tura dei testi dello Stagirita; 2) i «commentari medi)) in cui Averroè espose la dottrina aristotelica con le relative mediazioni dimostrative accompagnate anche da riflessioni personali; 3) i «commenti maggiori)) in cui Averroè presentò i testi aristotelici con la relativa esegesi.

Aristotele 2 1 3 La storia della critica

Attraverso la Spagna, la Sicilia e l'Italia meridionale, l'aristotelismo arabo ebbe notevoli influssi sul pensiero occidentale, che, come dicem­ mo, fino al secolo XII lesse, di Aristotele, direttamente solo i primi due trattati dell' Organo n. Nel secolo XII fra il 1 1 28 e il 1 1 55 Giacomo Veneto esplicò una fervi­ da attività di traduttore , come di recente Minio Paluello ha dimostrato. Egli tradusse: Gli Analitici primi e secondi, i Topici, gli Elenchi, la Fisi­

ca, il De anima, parte dei Parva naturalia, la Metafisica e scolii greci ai Primi analitici e al primo libro della Metaflsica6. Gran parte del Corpus aristotelicum venne pure tradotto , nello stesso secolo, da autori per ora non ancora identificati . Alla fine di questo secolo restavano da tradurre in latino solamente le seguenti opere di Aristotele: De caelo, i primi tre libri delle Meteore, forse la Politica e gli Economici, i trattati sugli ani­ mali, la Retorica e la Poetica. Nella prima metà del secolo XIII Roberto Grossatesta, con alcuni colla­ boratori, tradusse, tra l'altro, il De caelo, l'Etica a Nicomaco con i com­ menti di Eutrazio, Michele di Efeso e Aspasio. Alla corte di Manfredi , Bartolomeo da Messina tradusse numerose opere scientifiche dello Stagirita . Infine, nella seconda metà del secolo XIII , dominò come traduttore Guglielmo di Moerbeke, il quale, in parte utilizzando precedenti tradu­ zioni, in parte ritraducendo ex novo, mise a disposizione del lettore occi­ dentale tutto Aristotele. Così Ezio Franceschini riassume i risultati delle ricerche circa le traduzioni di Guglielmo di Moerbeke: Guglielmo corregge le seguenti versioni a lui precedenti: Sophistici Elen­

chi (di Boezio); Analytica Posteriora, Physica, De Anima, De Memo­

ria, De Longitudine, De luventute, De Respiratione, De Mone (tutte di Giacomo Veneto); De

Generatione, De Sensu, De Somrw, Metaphy­

sica Media, Politica Vetus, De Partibus Animalium (?); anonime:

Liber Ethicorum, De Caelo, Simplicius in De Caelo (Roberto Grossa­ testa). Traduce ex novo le seguenti: Meteora, il commento di Alessan­ dro di Afrodisia alle Meteore ( 1 260); il commento di Giovanni Filo­

pono al I e al m libro del De Anima ( 1 268); il commento di Temistio

al De Anima ( 1 267); il commento di Simplicio ai Predicamenta (con

2 1 4 Aristotele La storia della critica

il testo aristotelico: 1266); il commento di Anonimo al Periermeneias; il libro XI (K) della Metafisica; i libri lli-Vlli della Politica, la Rhe­

torica; l' Epistola ad Alexandrum; la Poetica; il De Historia Anima­

lium, il De Progressu Animalium, il De Motu An., il De Generatione An., il commento di Alessandro di Afrodisia al De Sensu 7. Nei secoli XII e XIII vennero altresì eseguite numerose versioni di Ari­ stotele dall'arabo; nel secolo XIII soprattutto nell'ambito del commen­ to averroistico. Accanto alle traduzioni si ebbero nel secolo XIII, e nel successivo nume­ rosi commentari . Quelli che ora indicheremo sono solo i più noti; molti sono ancora inediti e un catalogo completo di essi non è stato ancora com­ pilato. Commenti agli Analitici secondi e agli Elenchi, nonché un com­ pendio della Fisica scrisse Roberto Grossatesta. Parafrasi di opere ari­ stoteliche (alla logica, alla Fisica alla Metafisica all'Etica e alla Politica) scrisse Alberto Magno. Chiari e puntuali commentari , ancor oggi larga­ mente utilizzabili , scrisse Tommaso d'Aquino: al De interpretatione, alla

Fisica, alla Metafisica, ali' Etica , al De anima, al De sensu et sensato, al De caelo et mundo , ai Meteorologici, alla Politica . Ruggero Bacone scrisse le Quaestiones supra libros octo Physicorum Aristotelis e le

Quaestiones supra libros Primae Philosophiae. Egidio Romano commen­ tò il De generatione, il De anima, la Fisica, la Metafisica e scritti di logi­ ca. A Enrico di Gand sono attribuite le Quaestiones supra Metaphysicam

Aristotelis e un commento alla Fisica. Di Scoto ricorderemo le Quaestio­ nes subtilissimae super libros Metaphysicorum Aristotelis. Di Ockham ricorderemo: Expositio in librum Porphirii, In librum Predicamentorum,

In duos libros Perihermeneias, In duos Libros Elenchorum, Expositio in octo libros Physicorum e Quaestiones in libros Physicorum (inedite) . L' interpretazione che il medioevo diede di Aristotele, come già accen­ nammo, risentì fortemente dell'interpretazione neoplatonico-avicennisti­ ca. Del resto, oltre che l 'influsso dei commentatori arabi , spingeva fatal­ mente a questa interpretazione l' attribuzione ad Aristotele del Liber de

causis, che, come sappiamo, è un estratto dalla Elementatio theologica di Proclo (san Tommaso si accorgerà della dipendenza del Liber de cau­

sis dall' Elementatio) .

Aristotele 2 1 5 La storia della critica

Come è noto, Aristotele non fu subito accolto dai pensatori cristiani. I libri di logica e di etica furono bene accetti , mentre i libri di metafisica, fisi­ ca e cosmologia furono considerati contrari alla dottrina della Rivelazio­ ne, in quanto sostenevano l'eternità del mondo: tanto più che pensatori immanentistici ed ereticheggianti , come Amalrico di Bene e Davide di Dinant, sembravano trovare sostegni nella dottrina di Aristotele. A par­ tire dal 1 2 1 0 le opere fisiche e metafisiche di Aristotele a Parigi furono proibite. Ma le proibizioni furono vane e quelle opere di Aristotele anda­ rono vieppiù affermandosi. Citiamo un fatto altamente significativo: Urbano IV, nel l 263 , ribadiva la proibizione, ma lasciava che, proprio alla

sua corte, Guglielmo di Moerbeke traducesse quelle opere che egli proi­

biva. In realtà, dalla seconda metà del Xill sec. Aristotele era divenuto il filosofo le cui opere costituivano, nelle università, i libri di testo per l ' insegnamento della filosofia nelle facoltà delle arti . La storia dell' interpretazione medièvale di Aristotele coincide con la sto­ ria del pensiero arabo e della scolastica, cioè con la parte più cospicua della filosofia medievale. Il problema principe, sia presso gli Arabi che nel mondo latino, fu quello della conciliazione delle dottrine aristoteli­ che con i testi sacri . Lirnitandoci all'Occidente, che è quello che a noi mag­ giormente interessa, sono rilevabili almeno tre posizioni diverse assun­ te nei confronti di Aristotele: a) un gruppo di pensatori assunse nei confronti dello Stagirita una posizione negativa più o meno sfumata, soste­ nendo la necessità di un ritorno ali' agostinismo (così Guglielmo d' Au­ vergne; Alessandro di Hales; Roberto Grossatesta e il grande Bonaven­ tura); b) altri , come Alberto Magno e soprattutto Tornmaso d'Aquino, tentarono di operare una mediazione integrale fra Aristotele e la dottri­ na rivelata (l' introduzione del teorema della distinzione fra essenza ed esistenza permise a Tornmaso di fondare a livello razionale il principio della creazione e di riformare alle radici l'aristotelismo rendendolo in tal modo conciliabile con la fede); c) Sigieri di Brabante, infme, non pre­

occupandosi di conciliare Aristotele con la fede, diede del pensiero dello Stagirita un' interpretazione di stampo decisamente averroistico. Respin­ se a riforma tornistica e sostenne che per Aristotele il mondo è eterno e senza alcun inizio, e, dunque, necessario, dato che da sempre il Motore Immobile attira e muove l ' universo, che l ' intelletto possibile è una

2 1 6 .Aristotele La storia della critica

sostanza separata unica per tutti gli uomini. Per superare l'opposizione che in tal modo si creava fra il pensiero di Aristotele e i dogmi della fede, Sigieri introdusse la distinzione fra due ordini di verità cioè delle verità di fede e delle verità di ragione. In complesso si deve dire che il medioevo ha tratto da Aristotele le cate­ gorie essenziali per intendere Dio (supremo essere , suprema forma, pensiero di pensiero), il cosmo (struttura ilemorfica degli enti materia­ li, atto e potenza e tutti i concetti a questi connessi; finitudine del mondo e sua struttura) e l'uomo stesso (il concetto di anima come forma sostanziale, i processi della conoscenza, il concetto di virtù) . Per la verità, la Rivelazione doveva trasformare quelle categorie e dare loro valenze inedite. Ma, di questo, i filosofi medievali furono solo in parte consapevol i. Le più recenti interpretazioni della filosofia medie­ vale stanno vieppiù mostrando quanto fosse semplicistico il vecchio sche­ ma che nella scolastica vedeva un mero adattamento di Aristotele alle esigenze della Rivelazione. In ogni caso, resta vero che il fondatore del Peripato stimolò e fecondò il pensiero del medioevo come nessun filo­ sofo fece nelle successive età. L'epiteto che Dante diede ad Aristotele chiamandolo il «maestro di color che sanno» esprime a perfezione il sen­ tire di tutta una epoca. 4. Aristotele nel Rinascimento e nei primi secoli dell 'età moderna8 .

Se Dante diede lo scettro del sapere ad Aristotele, Petrarca, aprendo l'età dell ' Umanesimo, lo diede invece a Platone. In effetti, nella filosofia umanisticorinascimentale fu Platone che stimolò prevalentemente la riflessione filosofica. Tuttavia anche Aristotele, sia pure in subordine, godette di una nuova rinascita. Il volto di Aristotele, nell' età rinascimentale, muta notevolmente rispet­ to all'età medievale: tra l'altro si afferma in questa età il mito dell' op­ posizione radicale fra i due filosofi. In realtà, questa opposizione nasce dal conflitto di due ideali: gli amanti delle lettere e gli spiriti religiosi tro­ veranno in Platone (neoplatonicamente inteso) il loro cibo spirituale, men­ tre gli amanti delle scienze, gli spiriti laici e amanti dell'empiria trove­ ranno il loro cibo in Aristotele. Platone e Aristotele diventeranno, così ,

Aristotele 2 1 7 La storia della critica

due simboli: il primo il simbolo di una visione della realtà trascenden­ tistico-religioso-spiritualistica, l 'altro di una visione della realtà preva­ lentemente naturalistico-empiristica. Il celebre affresco della Scuola di Atene di Raffaello, rappresenta visivamente questa opposizione in manie­ ra mirabile, effigiando Platone col dito puntato verso invisibili metafi­ siche altezze , Aristotele col dito puntato verso i visibili fenomeni dell'esperienza. Primo sostenitore del l ' opposizione fra Aristotele e Platone fu Giorgio Gemisto Pletone, che venne in Italia da Bisanzio , in occasione del con­ cilio di Firenze. Egli intendeva riunificare le religioni sulla base della meta­ fisica del platonismo (neoplatonicamente inteso) , che riteneva senza paragone superiore all' aristotelismo. La sua

Comparazione dellafiloso­

fia di Platone e di Aristotele (composta intorno al 1440) provocò una viva­ cissima reazione fra gli aristotelici e diede origine ad una serie di scrit­ ti polemici. Ricorderemo Giorgio Scholario Gennadio, che scrisse

Sui

dubbi di Pletone intorno ad Aristotele. Contro Pletone scrisse anche

Teodoro Gaza. Famosa fu soprattutto la risposta a Pletone composta da

Giorgio da Trebisonda,

Comparazione dei filosofi Platone e Aristotele

( 1 455), alla quale rispose Basilio Bessarione con lo scritto:

Contro un

calunniatore di Platone ( 1 469). Giorgio Gennadio (morto intorno al 1464), Giorgio Trapeziunzio (morto nel 1 484), Teodoro Gaza ( 1 400- 1 478), Ermolao B arbaro (morto nel 1493) sono da considerare gli iniziatori dell'aristotelismo rinascimenta­ le. Trapeziunzio approntò nuove traduzionidi scritti aristotelici e commen­ tò soprattutto la logica. Anche Teodoro Gaza tradusse opere di Aristote­ le e di Teofrasto. Ermolao Barbaro , oltre a scritti aristotelici, tradusse commentari di Temistio. (B isogna ricordare , proveniente da opposta sponda, l'eccellente traduzione della

Metafisica fatta dal Bessarione.)

L'Aristotele che rinasce, come abbiamo già accennato, è un Aristotele anti­ platonico e anche fortemente antiscolastico: Ermolao considerava Alber­ to e Tommaso (così come Averroè) dei > , che viene pubblicato insieme alla «Revue philosophique de Louvain». Per uno status quaestionis concernente la moderna letteratura aristote­ lica si consulteranno: Gohlke P., Uberblick iiber die Literatur zu Aristoteles bis 1 925, «.Jahre­ sbericht iiber die Fortschritte der classschen Altertumswissenschafi» , CCXVI , 1 927 , pp. 65- 1 00; CCXX, 1 929, pp. 265-328.

Wilpert P., Die Lage der Aristoteles Forschung, «Zeitschrift fiir philo­ sophische Forschung», I , 1 946, pp. 1 23 - 1 40 .

2 3 O .Aristotele La storia della critica

Moraux P.,

L'évolution d'Aristate, in AA.VV., Aristate et saint Thomas

d'Aquin, Louvain 1957 , pp. 9-41 . Long

H. S., A Bibliographical Survey ofRecent Work ofAristotle, «Clas­

sica) World», LI ,

1958, pp. 47-5 1 ; 57-60; 69-76; 96-8; 1 1 7-9; 160-2; 167-

8; 1 93-4; 204-9. Berti E., Id.,

La .filosofia del primo Aristotele, Padova 1962, pp. 9- 1 22 .

Aristotele, in AA.VV., Questioni di storiografia filosofica, a cura di V.

Mathieu , Brescia (imminente), da me potuto vedere in bozze per gentile conces­ sione dell'autore. Per le bibliografie concernenti le singole opere o le singole parti della filosofia di Aristotele si veda il

§ VITI, ali' inizio di ciascun sottoparagrafo.

I l . LE OPERE DI ARISTOTELE Elenco delle opere esoteriche ed essoteriche Elencheremo i titoli delle opere del

Corpus aristotelicum secondo l ' or­

dine in cui sono stampate ne li' edizione del Bekker comprese le opere spu­ rie; indicheremo prima il titolo greco , poi il titolo in lingua latina che soli­

tamente si usa nelle citazioni.

Ka·nnopi.at fiEpÌ Ép)J.11vEiaç 'A vaÀ.U'ttlCà 1tpÒ'tEpa 'A vaÀ.un Kà uatEpa To1ttKéx fiEpÌ aoq>tO'ttlCOOV ÈÀÉY:xroV cl>uatK àKp6aatç fiEpì oùpavou fiEpÌ YEVÉOEroç KaÌ Ql90pàç MEtEropoÀ.oytKéx fiEpì KÒOJ.I.OV xpòç 'AÀ.É!;ac;x6pov fiEpÌ 'lfUXTjç fiEpì aia9iJaEroç Kaì aia9..,trov fiEpÌ J.l.VTJJ.I.11ç KaÌ cXVQ)J.VTJOEroç fiEpì uxvou Kaì ÈYPllYÒpaEroç

Categoriae De interpretatione Analytica priora Analytica posteriora Topica De sophisticis elenchis Physica De caelo De generatione et corruptione Meteorologica De mundo De anima De sensu et sensibili De memoria et reminiscentia De somno

Aristotele 2 3 1 La storia della critica

flEpÌ ÈVU1tVtCOV flEpì J.LavnKTjç tfiç Èv toìç u1tvota flEpÌ J.LaKpO�lO'tTI'tOç KaÌ �paxu�t6t1ltoç flEpì VEO'tll'toç Kaì yflpcoç flEpì çcofjç Kaì 9avatov flEpÌ àva1tvofjç flEpÌ 1tVEUJ.La'tOç flEpÌ tà çéi)a i.atopi.aç flEpÌ çq,cov J.LOpi.cov flEpì çq,cov Ktvf!aEcoç flEpì 1topEiaç çq,cov flEpÌ çcpcov yEVÉOECOç flEpÌ XPCOJ.LcXtrov flEpÌ àKOUO'tWV cl>uawyvcoJ.LOVtKa flEpÌ qiU'troV flEpÌ 9aVJ.LaOtCOV cXKOUOJ.LcX'tCOV M11xavtKa npo�Àf!J.La'ta flEpÌ à'toJ.LCOV ypaJ.LJ.LWV ' AVEJ.LWV 9EOEtç KaÌ 1tp001l'Y0Ptat flEpÌ EEvoq�avouç, 1tEpÌ Zflvcovoç, 1tEpÌ ropyi.ov

De somniis De divinatione per somnum De longitudine et brevitate vitae De juventute et senectute De vita et de morte De respiratione De spiritu Historia animalium De partibus animalium De motu animalium De incessu animalium De generatione animalium De coloribus De audibilibus Physiognomonica De plantis De mirabilibus auscultationibus Mechanica Problemata De lineis insecabilibus Ventorum situs De Xenophane, Zenone, Gorgia [esatta intitolazione è però de

Xenoph., Melisso, Gorgia]

Tà J.LE'tà tà q�uatKa 'H9tKa NtKoJ.LaXEta 'H9tKa Mqa 'H9tKa EMfJJ.LEta flEpÌ àpE'tWV KaÌ KaKtWV floÀt'ttKcX OiKOVOJ.LlKcX TÈKVTI PTI'tOplKTJ

Metaphysica

'PlltOptK'ÌJ 1tpÒç 'AÀÉ!;,av�pov flEpÌ 1t0lTI'ttKTjç

Rhetorica ad AleJCandrum

Ethica Nichomachea Magna moralia Ethica Eudemea De virtutibus et vitiis Politica Oeconomica Rhetorica Poetica

2 3 2 .Aristotele La storia della critica

payJ.l.EV'ta 'A811vairov 1tOÀ.l-rEia Ed

Fragmenta Atheniensium respublica

ecco i titoli delle opere di cui sono state recuperati frammenti, secon­

do l'edizione del Ross, con la traduzione italiana. Dialoghi:

rp uHoç, iì fiEpì t>11-roptKTiç l:UJ.11tOOlOV l:o>, cfr. nota relativa.

1 73 Il libro si divide in due sezioni non connesse tra loro. Nella prima pane si esaminano alcune caratteristiche essenziali dell'azione in generale, sia buona che cattiva: la volontarietà (capp. 1-3 e 7), la scelta (cap. 4), la deliberazione (cap.

51 3

5 1 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea 5), il rapporto tra bene vero e bene apparente (cap. 6). Il cap. 8 è una transizione brevissima alla seconda parte del libro, dedicata all'analisi di due virtù particolari, il coraggio (capp. 9- 1 2) e la temperanza (capp. 1 3- 1 5).

1 74 I termini hekousion e akousion appaiono per la prima volta qui: nei due libri precedenti le condizioni per l'azione buona erano che essa fosse compiuta eidos

e proairoumenos, >; 1 094a 5-6: «appare evidente che vi è una certa differenza tra i fini: alcuni sono attività, altri sono opere che stanno al di là di quelle>>. Come spiegare la differenza tra questi passi? Il bello, come fine delle singole azioni, non è allos rispetto all'azione nel senso di essere para, esterno e al di fuori di esso, ma nel senso di essere un tutto, la felicità, di cui l'azione bella e virtuosa è una parte. Ha torto chi vede in questo passo una contraddizione con il resto de li' Etica Nicomachea. 221 La parte direttiva è la saggezza, che è unione di desiderio e ragione calcolatrice; come abbiamo già visto, la scelta non è una facoltà, come il desiderio e la ragione, né una virtù, come la saggezza, ma un atto mentale.

Aristotele I testi - Etica Nicomachea 222 Cfr. I l 39a 21 -27: «Ciò che nel pensiero è affermazione e negazione, nel desiderio è ricerca e fuga, di modo che, siccome la virtù è uno stato abituale che produce scelte, e la scelta è un desiderio deliberato , proprio per questo, se la scelta è la migliore, il ragionamento deve essere vero e il desiderio corretto, e l 'uno deve affermare, e l'altro perseguire, gli stessi oggetti. Questo è il pensiero pratico, e questa la sua verità». 223 Oppure: «per ciascuno è oggetto di scelta ciò che gli sembra bene».

224 Abbiamo qui un'argomentazione dialettica in piena regola: Aristotele esamina le due posizioni contrapposte, ne deduce le rispettive conseguenze, e trova che entrambe sono assurde, nel senso che portano a contraddizione; scopre quindi una terza via, riformulando i termini della questione.

225 Molti autori di formazione logica hanno denunciato qui il pericolo di un circolo

vizioso: il bene è definito come ciò che è misurato correttamente, e come lo farebbe l 'uomo saggio ( 1 106b 36-1 107a 2), ma l 'uomo saggio è definito a sua volta come colui cui appare evidente il bene. Altri, però, hanno sostenuto che questo circolo non è vizioso, in quanto Aristotele non intende dare qui una fondazione delle nozioni di virtù, di giusto mezzo o di 'uomo eccellente', ma solo una descrizione del suo modello.

226 Questo è evidentemente rivolto contro la dottrina socratica per cui nessuno fa il male spontaneamente; la polemica antisocratica domina tutta la discussione del capitolo.

227 Cfr. 1 1 1 2a 1 -2: «Infatti noi diventiamo persone buone o cattive attraverso

lo scegliere i beni o i mali>>.

228 Si tratta di un proverbio tratto, secondo l'Anonimo, 155, 10- 12, da Epicanno; lo stesso detto appare anche in Ps. Platone, De justo, 374a.

229 aitios, tale termine, in tutto questo capitolo, oscilla tra i due significati di 'causa' e di 'responsabile' .

230 L'obiezione, che non sappiamo se sia stata posta davvero o solo introdot­ ta da Aristotele per chiarire il suo pensiero, tocca in modo molto chiaro il proble­ ma del determinismo: se si ammette che si ha per natura un certo carattere e che si agisce necessariamente in accordo con quello, si cade nel determinismo. Aristotele risponde all' obiezione che il carattere non è frutto di natura, ma di scelte individuali precedenti (Aspasio, 77, 3 1 -33), coerentemente con la dottrina del libro Il.

2 3 ! Cfr. 1 103b 23-25: «Non è quindi una differenza da poco, se fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro, è importantissima, anzi, è tutto>> . Aitioi qui oscilla, nel suo significato, tra 'esser causa' ed ' esser re­ sponsabile'.

23 2 La giustizia, l'ingiustizia e al tri stati mentali sono cause formali dell'azione,

dato che sono stati abituali, cioè modi costanti di atteggiarsi del desiderio; allo stesso

modo la salute è causa formale dell'agire sano, cfr. l l 29a 15- 17: «a partire dalla

51 9

52 O Aristotele I testi - Etica Nicomachea salute non si compiono azioni contrarie a essa, ma solo azioni tipiche di chi è sano; noi diciamo: 'Camminare in modo sano' , quando qualcuno cammina come lo farebbe chi è in buona salute>>. Ciò non comporta nessun tipo di determinismo, anche se la presenza di una forma determina necessariamente il modo di agire di chi la possiede: essendo il nuotare la forma di spostamento locale tipica dei pesci, necessariamente un pesce per spostarsi nuota, ma ciò non significa che il nuotare sia una causa esterna che lo condiziona necessariamente. 233 Il periodo ipotetico resta in sospeso; il capitolo prende da questo momento in poi la forma di una serie di appunti: alla prima obiezione di tipo deterministico ( l J l4a 3 1 -b l ) segue una risposta ( l l l4b 1 -3), cui fa seguito una nuova obiezione ( 1 1 14b 3-12); la nuova risposta è contenuta nelle linee l l 146 1 2- 16, e ripropone la tesi iniziale: se l' agire male derivasse da una deficienza naturale e l'agire bene da una naturale capacità a vedere il bene, né vizio né virtù sarebbero volontari. Seguiamo qui la scansione del testo data da Bywater e non quella di Susemihi­ Apelt, i quali ritengono che l'obiezione deterministica sia contenuta nelle sole linee 1 1 14a 3 1 -b l , e che tutto il resto costituisca la risposta. 2 34 Tale 'occhio' , che è la saggezza, non è dato dalla natura ma è una virtù che deriva dal tempo e dall'esperienza, cfr. 1 143b 1 1 - 1 4: «si deve dare ascolto ai detti non dimostrati e alle opinioni degli esperti e degli anziani o dei saggi [ ... ], infatti, per il fatto di avere !"occhio' che deriva dall'esperienza, vedono correttamente>>, e 1 144a 29-30: «[La saggezza] non si genera in tale occhio dell'anima senza virtù>>. 235 Cioè quelle che portano al fine, secondo Aspasio, 79, 23. 2 36 Le azioni dipendono da noi perché ne siamo la causa motrice, quindi possiamo smettere di agire quando vogliamo; gli stati abituali dipendono da noi nella loro formazione, ma, una volta acquisiti , non si può perderli quando si vuole. Si può solo cercare di abituarsi ad assumerne altri , e ciò richiede tempo e costanza. 2 37 Gauthier, l, 7 1 : 'le conseguenze concrete' . 23 8 La frase è ambigua perché non è chiaro a cosa s i riferisca chresasthai, 'fame uso'. Ross e altri lo intendono semplicemente come 'agire ' , con valore intransitivo; Rackham, 153, e Irwin, 70, come 'servirei delle nostre capacità'; Tri­ cot, 146, e Gauthier, I, 7 1 , traducono 'usame' senza che sia chiaro a cosa vogliono riferirsi. Il concetto generale comunque è abbastanza chiaro. 239 Si inizia qui una lunga descrizione delle singole virtù, basata sulle opinioni correnti e sullo schema del giusto mezzo. Essa prosegue poi per tutto il libro IV. Le domande elencate (cos'è, qual è il suo oggetto, qual è il suo modo di agire) formano lo schema di base dell'esame di ogni singola virtù, e nei capitoli seguenti per ciascuna si indagheranno la natura, gli oggetti e il modo di agire. 240 In questo capitolo il coraggio è definito in relazione alle passioni dell'animo e come stato abituale cfr. 1 1 05b 25-26: «chiamo stati abituali quelle cose in base alle quali ci atteggiamo bene o male riguardo alle passioni>>.

Aristotele I testi - Etica Nicomachea 24 1 Cfr. 1 107a 33: «Riguardo [ ... ] alle fonne di paura e di ardimento, il coraggio è medietà».

242 Si tratta del coraggio degli schiavi, che non è una virtù (Aspasio, 8 1 , 1 6). 243 Egli infatti non esiste più, e ognuno ha paura del non esistere (Aspasio, 8 1 ,

18): i n questa interpretazione l a posizione d i Aristotele è l'esano opposto di quella di Epicuro, Lettera a Meneceo, 1 25: «> , la nota relativa e X, 4-5. '

Aristotele l testi - Etica Nicomachea 272 Sott.: 'la perdita' (Aspasio, 88, 23-24). 273 La distinzione dei piaceri corporei si basa sulla distinzione dei sensi, perché

ogni senso ha il suo proprio piacere, cfr. 1 174b 20, 26-27. 274 In assoluto, e non solo quando ha farne. 275 Al modo in cui l'uomo gode dell'odore dei fiori (Aspasio, 89, 34-35). 276 Aristotele non vuoi dire che anche gli animali sono intemperanti o temperanti, dato che lo sono solo per metafora; vuoi dire, invece, che gli uomini sono intemperanti verso alcuni piaceri, propri anche degli animali (Aspasio, 90, 3-10). 277 II gusto, quindi, non è fonte di intemperanza nella sua funzione specifica di distinguere i sapori, ma nella misura in cui assomiglia al tatto (Burnet, 1 55). 27 8 L'Etica Eudemia, 1 2 3 1 a 1 7 riporta il nome di costui: Filosseno figlio di Erissia. l commentatori moderni notano che il nome appare spesso nella com­ media antica, come oggetto di scherno. Pare che abbia dato il suo nome a un dolce (Ateneo, l, 5 d) . 279 epithumiai, sono i desideri, o concupiscenze, non legati alla ragione né dipendenti da essa. Qui si distinguono varie specie di piaceri legati al tatto, tipici di differenti generi di persone. 280 La distinzione tra questi due tipi di desideri verrà sviluppata nell'epicureismo in una classificazione dei desideri in tre tipi: naturali (divisi in necessari e non necessari) e non naturali (sempre non necessari), cfr. Massime capitali, 29; l'Anonimo ( 1 7 1 , 23-172, 4) contrappone la di visione epicurea e quella aristote­ lica, identificando però i desideri naturali e necessari di Epicuro con i desideri naturali e comuni di Aristotele. Egli trova che la divisione aristotelica sia più chiara di quella epicurea, e migliore. 2 8 1 Lett.: 'più piacevoli di una cosa qualunque' . Un argomento simile è in 1 1 35a 4-5: «anche il giusto che [ ...] è istituzione umana, non è lo stesso in ogni luogo, dato che nemmeno le costituzioni lo sono, anche se dovunque la migliore è una sola>> . La molteplicità delle opinioni non esclude la superiorità di ciò che è per natura. 28 2 gastrimargoi, 'ventri voraci' . È la seconda allusione al linguaggio della commedia: Aristotele deve trovare un po' comica l'intemperanza. 28 3 Cfr. nota a I 099a 9 sgg. In questo brano pare essere indicata una gradazione di intensità: l'appassionato non è ancora un vizioso, ma quando eccede diviene un intemperante. La parte finale della frase è un po' oscura e il testo è dubbio. 284 Etica Eudemia, 1 230b 14-19 riporta che tali individui sono chiamati da alcuni ' insensibili' (anaisthetoi), da altri in altro modo; Aristotele li paragona agli individui rozzi messi in scena dagli autori di commedie. 2 8 5 Il temperante gode di cose diverse rispetto all' intemperante, e, quando mancano le cose di cui gode legittimamente, non si rattrista (Parafraste, 62, 1-3). 28 6 n testo greco è oscuro; preso alla lettera significa: chi ha tale stato abituale'; qui seguo l' interpretazione del Parafraste, 62, 7 . •

52 3

5 2 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea 287 II testo è ambiguo: Aspasio, 93, 1 3 , e molti moderni intendono che è facile abituan;i alla moderazione rispetto ai piaceri; l'Anonimo, 1 85, 22, Ross e Dirlmeier, 68, invece, in modo più coerente con il testo greco intendono che è facile abituan;i ai piaceri. 288 Questo brano è solo una raccolta di opinioni , ed è dubbio se la posizione di Aristotele corrisponda a quanto è detto qui. 289 Lett. significa 'essere impuniti': in Etica Eudemia, 1 230a 37-b 8, si dice che il fanciullo è fatto per diventare temperante, ma non lo è ancora, ed è intemperante in questo senso, ma non nel senso di chi è vizioso e inguaribile. 290 La frase è ambigua: può voler dire che il nome di akolasia si applica propriamente a chi è cronologicamente primo, cioè al fanciullo, e per traslato all'uomo vizioso, oppure principalmente all 'uomo vizioso, che è intemperante in senso assoluto e pienamente, e solo secondariamente e per traslato al fanciullo (Aspasio, 93, 28-32). 29 1 Il soggetto è sottinteso: Aspasio, 9, 5, intende 'il fanciullo' ; il Parafraste, 63, 7 , intende 'il desiderio' , e molti dei moderni preferiscono questa interpretazione; lrwin, 85, 1e cita entrambe: 'se il fanciullo, o la parte desiderante.. .'; Gauthier, l , 89, traduce i n forma impersonale: 'se non s i diviene ubbidienti .. .' . 292 Qui il rapporto tra ragione e desiderio è simile a quello descritto in I, 1 3 la ragione dà ordini alla parte desiderante , che ascolta e obbedisce a essa, come il fanciullo al padre ( l l 02b 30-32); solo a prezzo di molte acrobazie concettuali si potrebbe attribuire questo ruolo a una norma astratta e tradurre logos con 'regola' . 293 Il libro continua la discussione delle virtù singole iniziata nel libro III. Sono esaminate dapprima le virtù che riguardano l'uso del denaro (capp. 1 -7), poi quelle relative all'onore (8- 10 e 15), all'ira ( I l ), al piacere ( 1 2 e 14), alla sincerità ( 1 3). I capp. 1 3- 1 5 sono posti in serie, anche se trattano di virtù relative a oggetti diversi, perché esaminano quei rapporti sociali che nel Rinascimento saranno chiamati la 'civile conversazione' . 294 Sulla traduzione di eleutheriotes, cfr. nota a 1 107b 9. 295 La ricerca comincia, secondo le indicazioni date in l l l 5a 5 (cfr. nota relativa), con la determinazione dell'oggetto della virtù (peri poia). Il termine ta chremata indica le ricchezze, i beni economici, e a volte il denaro (cfr. 1 160a 5); quest'ultimo però più spesso è indicato con i termini nomisma e argurion . I l vocabolario economico in Aristotele è in formazione e non ancora ben stabilizzato. 296 Ognuno dei due vizi, prodigalità e avarizia, è insieme eccesso e difetto: eccesso di dare e difetto di prendere, la prodigalità; eccesso di prendere e difetto di dare , l 'avarizia (Aspasio, 96, 6-9). 297 asotos (len.: ' non salvato') nella lingua corrente al tempo di Aristotele era, in senso generale, il dissoluto e, in senso particolare, lo spendaccione (Dirlmeier, 359). Aristotele vuole precisare l'uso, per arri vare a una definizione chiara e univoca di asotia .

Aristotele l testi - Etica Nicomachea 298 Molti commentatori vedono in questo passo un gioco di parole, basato sull'etimologia di asotos: 'chi si distrugge da sé non ha salvezza' . 299 chreia, 'bene utile', ha una connessione etimologica con chremata, 'ricchezze ' , che in italiano si perde. 300 In questo passo arete indica la perfezione dell'agire in senso generale e non in senso etico, cfr. l 098a 14-15: si serve bene della cetra il virtuoso di cetra; nelle

righe che seguono invece arete è usata in senso etico. La distinzione tra le sfere del bene morale e del bene non morale non è rigida in Aristotele, come lo sarà dagli Stoici in poi. 30 1 Vengono opposti qui 'uso' e 'acquisto' delle ricchezze; in Politica, l, 8, le due attività sono poste a oggetto di due arti diverse, rispettivamente }"economica' e la 'crematistica' . 302 Sott.: 'quello che loro spetta' . 303 Dopo avere definito l'oggetto, ora si indicano le caratteristiche del modo di agire (pos) di un virtuoso, sempre secondo lo schema di 1 1 1 5a 4-5. 304 La polemica pare essere contro Socrate, che nell'Economico di Senofonte dice: «io so bene [ ... ] che al bisogno vi è chi mi soccorrerebbe» (TI, 8). 305 Burnet, 167, e Gauthier, 255-256, contrappongono tale modo di agire al «trarre un guadagno dalle attività pubbliche>> (apo ton koinon) , di cui si parla in 1 1 63 b 8. Non è chiaro se qui si indichi in generale lo spendere le proprie rendite (Gauthier) o più in particolare il prendere denaro dal proprio patrimonio per darlo ad altri. 306 Si indaga ora quanto donare, cfr. 1 1 20a 25 (hosa). 307 Essendo la generosità una virtù, non si può averla in grado maggiore o minore: qui Aristotele usa il comparativo ('più generoso') per dire che chi dà una piccola somma può essere pienamente generoso, se la prende da un piccolo patrimonio, mentre un altro, che pure dà di più, in proporzione al suo patrimonio non risulta pienamente generoso (Aspasio, 99, 3 1 - 100, 4). 308 Cfr. Platone, Repubblica, 330 c. 309 Questa parte è un riassunto di quanto precede: tutto il capitolo è piuttosto ripetitivo. - 3 1 0 Nella Retorica Simonide è descritto come un poeta avido, che avrebbe preferito essere ricco piuttosto che sapiente, e che si rifiutava di comporre poe­ mi se non dietro adeguato pagamento ( 1 3 9 l a 8-14; 1405b 23-28). L' Anonimo ci­ ta due opere di Teofrasto, Sui costumi e Sulla ricchezza, in cui Simonide è descritto allo stesso modo (fr. 5 1 6 FSG&H), e la stessa accusa si trova anche in altri autori antichi: doveva essere un luogo comune. 3 1 1 Questo capitolo è dedicato ali' illustrazione dei vizi opposti alla generosità. 3 1 2 Il campo dell'avarizia è costituito da piccole quantità di beni (Aspasio, 101 , 12- 1 6; Anonimo, 1 80 , 28-3 1 , e quasi tutti i moderni); invece Ross, Tricot, 1 76 , e pochi altri intendono: «l'avarizia eccede nel prendere, tranne nel caso si trani di

52 5

5 2 6 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

piccole cose (sci/. in cui non eccede)>> . Quindi l'avarizia eccederebbe solo nel prendere grandi cose; ma questa interpretazione pare contraddire quello che si dice in 1 1 22a 2-7: chi eccede nel prendere grandi cose non è avaro, ma ingiusto. 3 1 3 Bumet, 1 70- 1 7 1 , identifica con questo tipo di prodigo il 'giovane sventato' della commedia, e con l'avaro di cui si parla più avanti, il personaggio comico del 'vecchio testardo' . Vedi anche Retorica, II, 1 3- 1 4 , sui caratteri tipici del giovane e del vecchio: tra questi ultimi vi è l'avarizia. 3 1 4 Nell 'italiano arcaico 'avarizia' era usato sia per lo spendere troppo poco, che per il prendere troppo, come il termine greco aneleutheria che Aristotele usa qui; invece oggi si dice 'avaro' solo chi difetta nello spendere, e chi eccede nel prendere lo si chiama piuttosto 'avido'. Useremo quindi 'avido' e 'avidità' per tradurre, in questi casi, aneleutheros e aneleutheria . 3 1 5 Cfr. nota precedente. 3 1 6 kuminopristes, queste parole composte sono tipiche della commedia: in Aristofane, Vespe, 1 357, troviamo kuminopristokardamogluphon, cioè un per­ sonaggio 'tanto-tirchio-da-tagliare-in-due-il-seme-di-cumino-e-raschiare-la-fo­ glia-di-crescione' . 3 1 7 I commentatori si sono posti i l problema d i quali siano esattamente i rap­ porti tra generosità e magnificenza e, sia pure con qualche dubbio, tendono ad affermare che la magnificenza è una parte o una specie della generosità (Aspa­ sio, 1 83 , 13- 14; Anonimo, 103, 3-28); noi diremmo piuttosto che la generosità è condizione necessaria della magnificenza, cfr. 1 1 22a 29-30: «il magnifico è un generoso, ma il generoso non è, come tale, un magnifico>>. 3 1 8 Aristotele pensa alle 'liturgie' , per cui cfr. nota a 1 1 6 l a 12; mentre la generosità ha per campo soprattutto la sfera privata, la magnificenza si rivolge innanzitutto alla sfera pubblica. 3 1 9 mikroprepeia, il termine pare essere una coniazione di Aristotele (Bur­ net, 173). 320 Cfr. 1 1 23a 19-20: «chi eccede ed è volgare esagera nel pagare più del do­ vuto>>. 321 L'affermazione non si trova come tale in IV, l ; ma è nel libro II, cfr. 1 103b 21 -23: «in una parola, gli stati abituali derivano da attività dello stesso tipo>> . 3 22 Qui si studia l'oggetto della virtù (hon estin): esso è composto da due realtà: un atto, cioè il comportamento virtuoso consistente nello spendere grandi cifre in modo appropriato, e un ente, cioè la realizzazione concreta cui tale spesa dà vita, come una gara sportiva, una processione, etc. Nella concezione aristotelica della virtù il successo nella realizzazione è parte integrante della nozione di 'agire bene ' : l' atto generoso non basta, ma deve dare origine a una bella realizzazione. 32 3 erga, lett.: 'opere': si tratta del risultato dell' intrapresa. 324 Oppure: 'cercherà di avere il risultato'.

Aristotele l testi - Etica Nicomachea 32 5 La magnificenza è grandezza della generosità che ha per oggetto le spese pubbliche, e non della generosità che ha per oggetto la sfera privata, discussa nei

capp. l e 2. Il passo è, comunque, molto oscuro e dubbio dal punto di vista testuale. 32 6 L'espressione è stata interpretata in modi diversi: 'di quanto si spende­ rebbe per un oggetto d'oro' (Aspasio, 106, 1-6; Anonimo, 1 85, 1 1 - 1 9); 'di quan­ to spenderebbe un generoso' (Grani, 69; Gauthier, 267); 'di quanto spenderebbe uno qualunque' (Williams, 92); 'di quanto spenderebbe un gretto o un volgare' (Burnet, 175; Rackham, 206). 327 Si accenna al valore (axia) commerciale, quello che «si misura col denaro» ( 1 1 1 9b 26-27). 32 8 arete, qui inteso in senso non morale; cfr. nota a 1 1 20a 6. 329 In questo capitolo il discorso prosegue ininterrotto rispetto al precedente, e la separazione dei due capitoli è inappropriata. 330 Cfr. 1 1 22a 24-26: «Il conveniente quindi è da misurarsi in relazione a chi spende, all'occasione e all'oggetto della spesa>>. 33 1 Cioè nelle spese pubbliche, 'prestazioni benevole' o leitourgiai, per cui vedi nota a 1 16 l a 1 2. 332 I commentatori moderni concordano nel dire che le spese private qui sono prese in esame solo se possono essere considerate per qualche verso di interesse pubblico (Dirlmeier, 368; Gauthier. 270). Ciò è probabile ma non del tutto evidente. 333 Perché somigliano alle offerte fatte a Zeus protettore degli ospiti, secondo Aspasio, 107, 6-7; perché sono fatte per il bene comune, secondo Gauthier, 270 e altri . 334 lekuthos, è una bottiglietta contenente l'olio per ungersi , che i giovani atletici portavano alla cintura, specie in palestra. 335 Cfr. supra, 1 122a 3 1 -33: «l'eccesso [è detto] 'volgarità' , 'cattivo gusto' e cose simili; essi non eccedono in grandezza in relazione all'oggetto, ma fanno sfoggio nelle occasioni in cui non si deve e come non si deve». 336 Lett.: 'agli eranistai', cfr. nota a 1 1 60a 20. 337 L'Anonimo, 1 86, 8-20, spiega che i Megaresi, nonostante avessero in­ ventato la commedia (cfr. Poetica , 3), mettevano in scena rappresentazioni grossolane e poco raffmate; lo mostra il fatto che usavano vestire gli attori di porpo­ ra, stoffa adatta al culto divino, e non ai costumi dei buffoni. 338 megalopsuchia è spesso tradotto in italiano con 'magnanimità' , ma tale termine oggi è poco usato, e solo in connessione con l'idea di generosità e altruismo, in frasi come 'un re generoso e magnanimo'. La megalopsuchia di Aristotele ha piuttosto un significato vicino ai termini italiani 'dignità' (nel senso di 'rispetto di sé e del proprio valore morale e comportamento adeguato verso gli altri' : cfr. Devoto-Oli, s .v.) e 'fierezza' (nel senso di 'consapevolezza risoluta e limpida della

527

5 2 8 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

propria superiorità nel pensare e nell'agire', i vi, s.v.). Burnet, 1 78, seguito da Ross, suggerisce di tradurlo con pride; Dirlmeier, 79, con Hochsinnigkeit. Useremo quindi 'fierezza'. In Analitici secondi, 97b 1 7-26 sono definiti megalopsuchoi, in un senso, Alcibiade, Achille e Aiace, perché non tollerarono gli insulti, in un altro senso, Socrate e Lisandro, perché furono indifferenti alla buona e cattiva sorte. 339 me kat'axian auto poioun, lett.: 'chi fa ciò, non secondo il suo valore'. Aspasio, 168, 7-8, intende ; in questo modo però lo sciocco viene a essere identificato con il fanfarone citato più avanti . A noi pare, invece, che Aristotele qui intenda riferirsi a tutti coloro che non si stimano tanto quanto valgono, sia troppo, sia troppo poco. 340 Si elencano i casi in cui non si ha la virtù della fierezza: alcuni sono vizi, altri sono stati abituali virtuosi, ma secondo altre virtù e non secondo la fierezza. 34 1 Qui 'temperante' è usato in senso generico: noi potremmo tradurlo con 'dotato di naturale buon senso' (Aspasio, 108, 9; 109, 26-27) o con ' modesto' (Stewart, 337). 342 Come può esserlo, se si stima poco? Lo è in potenza, perché è di nobile famiglia, o perché ha qualità naturali rimaste non sviluppate (Aspasio, l IO, 1 1 15; Anonimo, 1 86, 3 1 - 1 87, 1 ) . 343 I n 1095b 25 Aristotele aveva detto che chi identifica la felicità con l'onore si pone in stato di dipendenza da chi conferisce l'onore stesso, il che non pare adatto a un uomo virtuoso; più avanti però egli spiega che l'uomo fiero non tende agli onori dati dalla massa, che è volubile, ma a quelli dati dagli spoudaioi, le persone eccellenti , onori che sono stabili e vengono attribuiti giustamente (Aspasio, 108, 3 1 - 1 09, IO). Tutto il capitolo mostra una forte influenza dell'etica nobiliare. 344 Infatti onori superiori a quelli di cui è degno l'uomo dotato di fierezza, che è ( 1 1 23b 1 3- 14), non si possono nemmeno concepire (Aspasio, I I I , 1 2- 1 3; Anonimo, 1 87 , 1 6). 345 'Nulla ha grandezza': non si fa cenno né al disprezzo dei beni terreni, né a un atteggiamento blasé, ma al fatto che colui che possiede già il bene esterno più grande, l'onore, non trova alcuna grandezza nei beni esterni (Anonimo, 187, 2830; Dirlmeier, 377). 346 Il fondamento del possesso delle altre virtù non è il possesso della fierezza, ma, caso mai, della saggezza (cfr. 1 145a 1 -2). La fierezza è solo un ornamento che si aggiunge alle altre virtù, 'la corona delle virtù' (Grant, 74). Alcuni interpreti moderni, da Stewart, 335-336, in poi, hanno sovradeterrninato il valore etico della megalopsuchia, insistendo eccessivamente sulla perfezione morale deli 'uomo dotato di tale virtù: egli viene impropriamente identificato con la legge morale incarnata (Stewart), o con il filosofo stesso (Gauthier, 272-273 e 283-284). 347 kalokagathia è un termine che ha implicazioni sia sociali sia etiche: il ka­ lokagathos è il 'gentleman' (Grant, 75); la Grande Etica adopera questo termine per indicare la virtù completa e caratterizzare l 'uomo che sa fare buon uso di tutti

Aristotele I testi - Etica Nicomachea i beni esterni, ricchezza potere eccetera, perché virtuoso (Il, 9). Intendiamo la seconda frase del periodo come un'attenuazione della prima: chi è dotato di fie­ rezza ha virtù completa, tuttavia (men oun) la sua caratteristica specifica è l'at­ tenzione agli onori. 348 La caratterizzazione pare lievemente ironica, come poco prima (a 1 123b 3 1 ) l'espressione 'fuggire a gambe levate' era volutamente ridicola (Bumet, 1 8 1 ) . 349 Questo capitolo è una raccolta di endo:xa sulla fierezza; molti critici ritengono che si tratti solo di un elenco di opinioni popolari che Aristotele non condivide; altri, invece, ritengono che egli concordi con tali posizioni, almeno in qualche misura. Assegno al cap. 7 le parole dio ... einai che Susemihi-Apelt pongono come inizio del cap. 8. 350 Sottintendo do:xazousi, con Aspasio, 1 12, 26: hoi polloi non sono i falsi megalopsuchoi, ma la massa che li stima: l'uomo fiero si giudica tale a buon diritto, la massa giudica 'fiero' chi capita. 35 1 Questo endoxon descrive l'uomo fiero come un perfetto ingrato: la critica, molto antica, è citata già da Aspasio, 1 1 3, 9-12; invece, poche righe prima, si è detto che il megalopsuchos ricambia in abbondanza i favori. Lo stesso Aspasio chiarisce l'apparente contraddizione: l'uomo fiero è uno che non racconta volentieri di essere stato beneficato e non ama che gli si ricordino i benefici fatti, dopo che li ha restituiti. 352 Teti svelò a Zeus un complotto che tutti gli alni dèi, coalizzati , avevano ordito

contro di lui (Iliade, l , 393-407). 353 L'Anonimo, 1 89, 12- 1 8 , cita un brano dal libro I delle Storie di Callistene, nipote di Aristotele (F.G.H., Il B, 642): a proposito di una ambasceria spartana del 369 a.C. circa, si narra che gli inviati spartani ricordarono all'assemblea ateniese solo i benefici ricevuti e non quelli che loro avevano fatto. Senofonte, Elleniche. VI, 5, 33, racconta l'episodio in modo diverso. 354 L'uomo fiero si comporta in modo opposto a quegli uomini politici che si impicciano di tutto, citati a l l42a 2. Una certa tendenza a lodare il distacco dalle faccende politiche di tutti i giorni si trova talvolta nelle opere etiche del periodo, cfr. l'opinione corrente citata a l l42a 1-2: , e Senofonte, Economico, I l . 355 Il testo qui è molto incerto, ma il senso rimane più o meno lo stesso. L'ei­ roneia è descritta come un vizio opposto alla sincerità: è reticenza e dissimula­ zione, cfr. l l08a 22 e IV, 14; Burnet, 1 85, interpreta il passo nel senso dell'at­ teggiamento ironico che la persona di rango oppone agli importuni; Gautbier, 293, invece trova che questa descrizione si adatti in modo particolare alla figura di Socrate come filosofo. Tutti i commentatori antichi intendono questa frase come una ripetizione, in forma parzialmente differente, di quanto detto prima, a l l 24b

1 8-20: «[è tipico] mostrare la propria grandezza con le persone altoloc:are e fortunate, ma avere un atteggiamento misurato con le persone di media oondizione,. ,

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5 3 O Aristotele l testi - Etica Nicomachea quindi l'uomo fiero avrebbe un atteggiamento ironico perché di fronte alla massa dissimula la sua superiorità. 356 «Di che parlano allora le persone fiere, quando si trovano tra loro?>> si chiede giustamente Aspasio, 1 1 4, 1 2-19, e attribuisce loro discorsi teologici e filosofici, con l'approvazione entusiastica di Gauthier, 296. Ma la cosa non è credibile. 357 La maggior parte degli interpreti moderni intende: 'quando decide di insolentire gli altri '; Aspasio, 1 14, 32-33 intende: 'quando subisce insolenze' ; l'Anonimo, 190, 14 e altri: 'quando s'infuria' . 358 Cioè da tutte le cose che l'uomo fiero disprezza. 359 Come non Io erano, prima, il gretto e il volgare, descritti nel cap. 6. 360 Sott.: 'agli occhi della massa' . 36 1 Cfr. I l 09a 16-17: . 362 1 1 07b 24-27: . 363 È abbastanza difficile dire che cosa Aristotele intenda esattamente con que­ sta virtù, che pare essere citata solo per una questione di simmetria con la genero­ sità. I commentatori antichi non sanno addurre nessun esempio; tra i moderni quelli che vogliono fare della megalopsuchia una superiorità morale assoluta intendono questa come la comune 'ambizione' relativa agli onori dati dalla massa; quelli che invece identificano la megalopsuchia con la fierezza intendono questa virtù come 'il ritenersi degni solo di piccoli onori , essendolo' (es. un meteco, che non si sente in grado di comandare, ma solo di essere un buon soldato, cfr. Erica Eudemia, 1 233a 29). 3 64 Il passo è stato spiegato in vari modi: è uno che rinuncia a fare delle belle azioni perché non gli interessa l'onore che ne deriva (Aspasio, 1 16, 2 1 ); è uno che compie belle azioni ma è indifferente all'onore che ne deriva (Ross; Tricot, 195 e altri). 365 1 107b 33- I IOSa l : >. 368 Cfr. I l OSa 4-6: > . 394 Cfr. VII, 1 - 10. 395 Il libro ha una struttura piuttosto confusa, specie nella seconda parte. Si inizia

con la determinazione dell'oggetto della ricerca, del metodo da seguire e della multivocità dei termini 'giusto' e 'ingiusto' (capp. 1 -2); seguono: l'esame del giusto

in generale (cap. 3), del giusto particolare nelle sue due forme, distributiva e correttiva, delle formule matematiche che lo esprimono (capp. 4-7) e l 'esame del contraccambio (capp. 8-9). Dal cap. IO al 15 il libro prende la forma di una serie di annotazioni sparse; per maggiori dettagli si vedano le note ai singoli capitoli. I principali temi trattati nella seconda parte sono: giustizia e azione giusta (due

volte); il giusto politico e quello domestico; il giusto naturale e quello legale; il volontario e l'involontario (due volte); i diversi tipi di errore; aporie varie sulla giustizia distributiva; l'equo; se si può fare ingiustizia a se stessi. 396 Nella traduzione italiana si crea un gioco di parole assente nell'originale, in cui

to dikaion e to meson non hanno legami etimologici. Per Aristotele il termine 'giustizia'

indica uno stato abituale dell'anima 'irrazionale ma capace di intendere la ragione', cioè una qualità del soggetto agente; il termine 'giusto' invece indica una detenninaziooe

etica oggettiva dell'atto come ente nel mondo. lnfra, a 1 1 35a 9 sgg., si introduce un

terzo termine: !"azione giusta', che è l'attuazione della virtù ed è cosa div� dal 'giusto'. D triplo esame che troviamo in queste pagine si fonda sulla distinzione di tre

enti diversi, che noi oggi tendiamo a confondere. Cfr. nota a 1 107b 4. 397 methodos, in l 094a l il termine designava l' indagine in generale; qui indica invece il modo di procedere nell'indagine, la via ac ratio i"'luirendi (Bonitz, 449b 43), e quindi si avvicina al nostro concetto di 'metodo'; tuttavia non va inteso in senso strettamente formale, come nell'espressione moderna 'il metodo scientifico' . I critici si sono domandati a quale metodo Aristotele faccia qui cenno: Jackson, 62, e altri pensano al cosiddetto 'metodo degli endoxa', basato su una

rassegna

delle opinioni notevoli (vedi lnfra, 1 145b 3-7), ma in questo capitolo non si trova una vera rassegna di opinioni. È probabile che Aristotele rinvii alle parole che aprooo

la lista delle virtù particolari in 1 1 1 5a 4-5: «Riprendendo la questione, diciamo di ogni singola virtù quale essa sia, su cosa verta e in che modo. Allo stesso tempo risulterà chiaro quante esse sono». 398 dunmnis, cfr. Metafisica, IX, 2; Aristotele si riferisce alle 'potenze raziooali' , le capacità più tipiche dell'uomo.

533

5 3 4 Aristotele l testi - Etica NicomDChea 399 La salute e la giustizia, come stati abituali del corpo e deli' anima, sono causa

formale, rispettivamente, dell'agire in modo sano e dell'agire in modo giusto. 400 Come nel caso del giusto mezzo rispetto agli estremi, cfr. l 106a 26-b 7. 40 1 Si tratta di due procedimenti definiti nei Topici, 147a 12 e 2 1 : «qualora la definizione riguardi uno stato abituale, si deve esaminare chi lo possiede [ ...] si deve indagare in tutti questi casi [ ... ] servendosi degli elementi che si traggono a partire dall'esame dei contrari e delle cose che stanno nella stessa connes­ sione». 402 Questo termine, ta euektika, è ambiguo, in quanto può designare sia ciò cui inerisce la salute (linea 19), sia ciò che la produce (linea 23): tale ambiguità è analizzata da Aristotele in un passo famoso della Metafisica, 1003a 34-b 4, a proposito del sinonimo hugieinon. 403 Per mantenere la simmetria Aristotele avrebbe dovuto dire «se ciò vale per il giusto e la giustizia, varrà anche per l'ingiusto e per l' ingiustizia», ma egli non sempre si cura di una precisione assoluta nei paragoni . Le regole logiche dettate in questo paragrafo derivano dai Topici: cfr. 147a 1 5- 1 8 (chi definisce una cosa definisce anche il suo contrario), l 06a 9- 1 1 (per vedere se un termine si dice in molti modi si osserva se ciò vale per il suo contrario). Nel cap. 2 troveremo l'applicazione pratica di questa seconda regola. Termina qui l' introduzione al li­ bro: ma un altro brano di tipo introduttivo, evidentemente fuori posto, si trova nel cap. 13, 1 1 37a 5-25. 404 È l'osso che noi chiamiamo clavicola (lett. dal latino: 'piccola chiave'). 405 Nella Metafisica il contrario positivo, che è primo per sé, spiega quello negativo (1046b 8-9), mentre nell'Etica Nicomachea il vizio, che è primo per noi, è usato come punto di partenza per cogliere la natura del contrario positivo, cfr. 1 106b 31 -34. 406 ho paranomos è colui che non rispetta le norme di vita sociale, scritte e non scritte; ho nomimos è colui che lo fa. Qui 'legge' è da intendere in senso ampio, quasi come la nostra espressione 'legge morale' , cfr. nota a 1 1 29b 14. To pa­ ranomon, 1 1 29b l , invece, indica il comportamento che non rispetta le norme di vita sociale: lo tradurremo con 'l'illecito' ('ciò che non è consentito dalle norme morali o dalle leggi' , Devoto-Oli, s.v.). 407 ho pleonektes kai anisos, è chi non rispetta l'equità e vuole più di quanto gli spetti; ho isos è colui che fa il contrario. Più avanti il neutro, to ison, è usato , nel senso matematico di 'l'uguale', per spiegare la qualità tipica dell'individuo che è isos. È difficile rendere con un termine italiano le due valenze della parola greca isos, ma d'altra parte, se si usano due termini distinti, si oscura la connessione logica dell' argomentazione aristotelica. Laurenti traduce con : ' chi sta nell'uguaglianza', espressione corretta, ma un po' pesante. Per indicare il senso morale di ho isos e ho anisos (al maschile, la persona) e to ison e to anison (al neutro, l'atto) uso la coppia 'onesto/disonesto' , nel senso dell'equità, come lo si usa in

Aristotele l testi - Etica Nicomachea frasi del tipo: 'Un accordo onesto, un commerciante disonesto'; più avanti, invece, per indicare il senso matematico di to ison (al neutro) , uso la coppia 'uguale/disuguale' , avvertendo però che le due nozioni, 'onesto' e 'uguale', vanno connesse tra loro. Tale connessione tra aspetto morale e aspetto matematico si osserva anche in altri contesti, come quando to ison è usato per qualifx:are la nozione di meson: «uguale è ciò che è una sorta di giusto mezzo (meson ti) tra eccesso e difetto» ( l i 06a 28-29). Cfr. anche nota a 1 1 3 1 a l O. 40 8 In quanto omonimi, i significati di 'giusto' e 'ingiusto' dovrebbero essere designati dallo stesso termine, ma avere definizione ed essenza differente, come nell'esempio di 'chiave'; ma in questo caso le cose stanno diversamente, e le due forme di 'giusto' e ' ingiusto' condividono almeno in parte la loro defmizione (cfr. l l 29a 12, l l30a 33 e nota relativa). Come vedremo poi, essi non sono propriamente omonimi. 409 Cfr. 1094b 1 8-19: «è già accaduto che qualcuno sia andato in rovina a

causa della ricchezza>> . 4 10 Cfr. l l 3 lb 22: . Il senso generale tuttavia non cambia. 4 1 8 Due passi del libro I danno la misura e il limite dell'altruismo aristoteli­ co: è più nobile procurare la felicità per la città che per il singolo ( 1094b IO); ma tra il prossimo da beneficare non si deve includere tutto il genere umano, l'altruismo arriva solo fino al punto di procurare il bene degli amici e dei concittadini (1097b 1 1 - 1 3). 4 1 9 Quindi sono identiche solo da un certo punto di vista, come la salita, che coincide con la discesa, anche se la loro definizione è diversa, cfr. Fisica, 202a 20-2 1 . 420 La maggior parte dei commentatori intende 'particolare' come 'relativa a un campo particolare' (Stewart, 403; Burnet, 2 10). 421 L'Anonimo, 2 1 2 , 15-17, e Michele di Efeso, IO, 35, osservano che ciò contrasta con l'affermazione che vi sia un rapporto di omonimia tra le due accezioni del termine 'giustizia' , come si era detto a 1 129a 27: esse sembrerebbero essere piuttosto distinte come genere e specie. Più avanti Aristotele le definisce sunonima, cfr. nota a 1 1 30a 33. 422 Di cosa? Dell 'essere ingiusto (Anonimo, 2 1 2 , 35), o dell'essere detto ingiusto (Bumet, 2 10). 423 sunonima si dice delle realtà che hanno lo stesso nome e la stessa definizione; infatti Aristotele indica subito dopo sia l'aspetto comune, sia la differenza. Ma in 1 1 29a 27 le due forme di ingiustizia erano state dette homonuma, e in 1 1 30a 2223 aveva detto che l'una è parte dell'altra; i commentatori si sono chiesti come queste qualifiche opposte possano stare insieme . L'Anonimo, 2 1 3 , 8-17, Burnet,

Aristotele l testi - Etica NicoTTUlchea 21 1 , e molti altri hanno pensato che nel passo precedente homonuma non fosse stato usato in senso tecnico (cfr. Bonitz, 5 14a 47), e che la vera relazione tta le due forme di giustizia sia la sinonimia: infatti una è specie dell'altra e genere e specie sono sinonimi (Topici, 123a 28); Michele di Efeso, 12, 5-6, pensa invece che le due forme di giustizia abbiano una relazione di tipo pros hen, come le fonne di amicizia; Stewart, 404, ritiene che le due forme di ingiustizia siano da un certo punto di vista legate da una relazione pros hen e da un altto sinonime.

424 La prima parte del cap. 5 è una ripetizione, con argomentazioni diverse, di

tesi già dette nel cap. 4.

425 Sostanzialmente qui si ripete, con argomenti diversi, la tesi del cap. 4: che il disonesto sia, in un certo senso, una parte dell'illecito, è stato già detto a l l 30a

23. Ma il testo qui è molto incerto: abbiamo tradotto la ricostruzione data da Susemihi-Apelt e Bywater, mentre il testo di Bekker è completamente diverso: «siccome il disuguale e il più (to anison kai to pleon) non sono la stessa cosa, ma sono diversi, e stanno come la parte al tutto (infatti ogni forma di più è disuguale, ma non ogni forma di disuguale è più [to men gar pleon apan anison, to d' anison

hou pan pleon] ) , etc.». 426 Intendiamo: l'ingiustizia e l'ingiusto di cui si parla ora sono diversi da quelli, intesi in senso generale, descritti al cap. 3 (Michele di Efeso, 1 3 , 27-38, e quasi tutti i moderni); a essi fa riferimento anche la riga IO: «di cui abbiamo parlalo prima>>; si potrebbe intendere hekeinon come riferito all'illecito (paranomon, riga 8, cosi Dirlmeier, 99), e il senso non cambia. In alternativa si potrebbe intendere che i due tipi di ingiustizia (disonesto e illecito) 'sono diversi tra loro' (Laurenti, 87); ciò rende la dimostrazione più coerente, ma comporta l'eliminaziooe di hekeinon alla riga 14, come suggerisce Hutchinson.

427 I commentatori si sono chiesti perché qui non si dica «tutte le azioni secondo legge>>: Michele di Efeso, 14, 8-9, e Joachim, 1 35, pensano che si distinguano dalle

azioni prescritte perché virtuose in sé, quelle prescritte perché educano alla virtù. Irwin, 333, pensa ai nomoi delle città con costituzione cattiva.

428 ta nomima sono le azioni prescritte dal costume, dalle norme sociali e dalle leggi scritte: Aristotele scrisse una raccolta di nomima barbari/ca,

usanze

dei

barbari.

429 D primo problema è discusso in X, IO, con una sfumatura diversa (Aristotele fa questione di potere e costrizione, e non di arte), e il secondo in Politica, m. 4 e 7. 430 Di solito questa forma è definita ' giustizia distributiva' . Essa può implicare

semplicemente un rapporto corretto tra due parti che si dividono proporzionalmcnte

un bene, oppure implicare anche la presenza di un giudice che assegna il bene alle parti in concorrenza. Cfr. su questo il cap. 12.

43 I Di solito questa forma è defmita 'giustizia correttiva'; secondo Burnet, 2 1 3 , il termine diorthoun indica lo stabilire la correttezza in generale, sia prima, sia dopo la transazione. Michele di Efeso, 17, 12- 1 5; Ross (a), 296, e molti altri,

53 7

5 3 8 Aristotele l testi - Etica Nicom�Jchea pensano invece che diorthoun, come epanorthoun della linea l l 32a 1 8 , indichi il ristabilire la correttezza quando essa è stata violata.

432 L'Anonimo, 2 1 5 , 27, nota che qui Aristotele distingue l 'involontario secondo i due criteri usati nel libro III, cioè ignoranza e violenza; tali relazioni paiono comprendere solo casi di ingiustizia. Michele di Efeso 17, 1 9, si chiede in che senso tra vittima e ladro o assassino si stabilisca una relazione di obbligazione sociale; alcuni moderni cercano di spiegarlo, adducendo una serie di considerazioni giuridico-legali derivate dal diritto romano, come la distinzione tra obligationes ex contractu e obligationes ex delictu, la cui rilevanza nel caso presente è dubbia. Più giusta è l 'osservazione di Gauthier, 350, per cui sunallagma qui indica una 'relazione' in generale e non un obbligo giuridico in senso stretto . In questi casi il perpetratore agisce volontariamente, e la vittima subisce involontariamente, ma Aristotele chiama tali relazioni involontarie, perché considera, a quanto pare, volontarie solo le relazioni sociali in cui entrambe le parti in causa entrano per loro scelta.

433 La divisione totale delle forme di giustizia e ingiustizia fin qui analizzate è quindi la seguente:

434 anison, che prima avevamo tradotto con ' disonesto ' ; cfr. nota a l l 29a 34. Qui Aristotele applica i princìpi generali sul rapporto tra estrerni e giusto mezzo stabiliti in Il, 8, cfr. nota a l l 08b I l . Tutta la discussione sulle varie forme di proporzione matematica, che giunge fino a l l 33b 28 , riguarda l'ano giusto in sé, che è matematicamente determinabile, e non la giustizia nelle sue varieforme, che

è una qualità dell ' anima irrazionale, e come tale non è matematicamente determinabile, cfr. nota a l l 29a 4.

435 In questo capitolo appare meson nei due significati, collegati , di 'giusto mezzo'

assiologicamente qualificato, e di 'medietà' o ' intermedio' assiologicamente neutrale: nella traduzione è difficile rendere le due valenze con un solo termine, ma Aristotele mescola abilmente i due registri in tutto il discorso.

436 Cfr. Politica, l 282b 1 8-20: «tutti ritengono che il giusto sia un certo tipo di uguale, e fino a questo punto concordano con le opere filosofiche, in cui si sono discusse le questioni di etica>> .

437 Il testo è difficile: giustamente Michele di Efeso, 19, 25-26, osserva che Aristotele indica con hois le persone, con en hois le cose, il che comporta l'omissione di ta en hois alla linea 2 1 . Altrimenti si farebbero dipendere le persone dalle cose, in maniera - ci pare - non corretta: «infatti come stanno tra loro le une, cioè le cose rispetto a cui si ha un giusto rapporto (fa en hois), cosi stanno tra loro le altre (= le persone)>> (testo di Susemihl-Apelt e Bywater).

438 axia, indica sia il valore morale sia il valore economico, due aspetti di regola connessi nel pensiero filosofico greco .

439 Oppure: «gli oligarchici la ricchezza, altri la stirpe>>, ma cfr. Politica, l 290b 1 9: «si ha oligarchia quando siano padroni delle cariche politiche i ricchi o i ben

Aristotele / testi - Etica Nicomachea nati»; con il termine 'aristocrazia' , che segue subito dopo, Aristotele probabilmente non designa il governo della nobiltà di stirpe, ma il governo dell'aristocrazia nel senso di 'superiorità spirituale, artistica, intellettuale' e 'signorilità, raft-.natezz.a ' (Devoto-Oli, s.v.).

440 Lett. 'non è propria solo del numero che deriva da unità indi visibili, ma del

numero in generale' , che è ciò che misura le cose concrete.

44 1 logos, inteso qui come rapporto tra due quantità. 442 Si tratta delle due proporzioni, A : 8 = C : D, e A : 8 = 8 : C, come è detto subito dopo.

443 Si tratta della proporzione (A + C) : (8 + D) = A : 8 , in cui A "' B. Quindi

un uomo che ha un valore doppio di un altro, dovrà avere il doppio di beni e onori, in modo da mantenere la stessa proporzione prima e dopo la distribuzione. 444 La divisione dei capitoli in questo punto è particolarmente inappropriata: qui

è evidente che il discorso prosegue ininterrotto dal cap. precedente; vi è anche incertezza su dove Susemihl e Apelt pongano la distinzione dei due capitoli.

445 Il testo è dubbio; in questa lettura, se si intende para nel senso di 'rispetto a' , il passo costituisce la risposta, per questo tipo di giusto, al problema posto a 1 1 29a 5: bisogna indagare «rispetto a quali cose il giusto sia intermedio» . 446 Sott.: 'quindi il giusto è intermedio tra estremi cattiv i, cioè è un giusto rnezm' .

447 Cfr. 1 1 3 l a 15-16: «è necessario che il giusto sia un giusto mezzo e sia uguale in relazione a certe cose e per qualcuno>>.

44 8 ergon può riferirsi sia alle azioni compiute dai viziosi (Parafraste, 92, 4-5),

sia alla realtà dei fatti in generale (quasi tutti i moderni) , sia ai giudizi morali con

cui noi diciamo che qualcuno è giusto o ingiusto, citati nella frase successiva (Michele di Efeso, 24, 15-16).

449 Cfr. 1 1 29b 8: «sembra che il male minore sia in qualche modo un bene». 450 Cfr. l l 30b 3 1 - 1 1 3 1 a l : come abbiamo già detto, si tratta delle due forme di giustizia comunemente dette 'distributiva' e 'correttiva' .

45 1 La 'proporzione' matematica per Aristotele si ha quando l a differenza tra il

primo termine e il secondo è uguale alla differenza tra il terzo e il quarto: A-8 = C-D. Oggi non chiamiamo 'proporzione' questo rapporto. Esso si può avere anche fra tre termini come 10, 6 e 2, citati a l l06a 32-36: «se dieci sono molti e due sono pochi, sei viene preso come giusto mezzo rispetto alla

cosa,

infatti

supera ed è superato dalla stessa misura: questo è il giusto mezzo sulla base della proporzione matematica» (cioè 6-2 = 10-6). Essa è diversa dalla proporziooe continua, citata a l l 3 l a 33-b 3 (cioè A : 8 = 8 : D), che si avrebbe, semmai, tra 12, 6 e 3,e non tra 10, 6 e 2 (cioè 3 : 6 = 6 : 12). È da notare cbe nel libro D Aristotele

aveva sostenuto che la virtù è il giusto mezzo relativo a noi, mentre qui definisce

il giusto correttivo come «l'intermedio relativo alla eosa». Quindi la definizione

generale di virtù dala in l l06b 36-l l07a 2 («la virtù è liDO stato abituale che produce

scelte, consistente in una medietà rispeno a noi, determinato razionalmente , e oome

539

5 4 Q Aristotele l testi - Etica Nicomachea

verrebbe a determinarlo l 'uomo saggio>> ) non vale per ' il giusto' in questa specie di giustizia, mentre continua a valere per la giustizia come qualità dell'agente.

452 Qui la coppia epieikes/phaulos deve essere presa in senso sociale e non in senso etico: l 'aristocratico e il plebeo.

453 Lett.: 'togliendo dal guadagno ' , cfr. Jackson, 83, e altri moderni. L'Anonimo,

2 1 9, 25-27, Michele di Efeso, 26, 3 1 -32, e molti moderni intendono : «il giudice si sforza di pareggiare (questa disuguaglianza) per mezzo della pena, togliendo a chi ha guadagnato>> . In entrambe le interpretazioni si deve considerare sottinteso qualcosa, e, nella seconda, si deve anche intendere zemia in senso diverso da come

è inteso in tutto il resto del brano. 454 meson, lett.: 'intermedio (tra le parti in disaccordo) ' . 455 Cfr. Politica, I 306a 28: a Larissa e ad Abido i gruppi d i oligarchi contrapposti affidarono il potere a un archon mesididos, governante imparziale, che però si impadronì della città.

456 Aristotele ripete tre volte, in questa sezione, lo stesso concetto ( 1 1 32a 2432; 29-b 2; b 2-9). Anche infra, nel cap. 8 ( l l 33a 1 9-b 28), si trova una triplice ripetizione. Dato un segmento AA' , che ha B come punto centrale, se esso risulta diviso in AC e CA' , ove AC>CA' , il giudice toglie ad AC il segmento BC e lo attribuisce a CA' , ottenendo due segmenti uguali AB e BA' : A �7A B

B

A' .

C

A

____. __

C

D.

45 8 D brano riappare i n modo quasi identico poc o dopo ( 1 1 33a 14- 16). Gli antichi e Dirlmeier, 410-4 1 1 , ritengono interpolata, e non commentano affatto, la seconda occorrenza; quasi tutti i moderni ritengono interpolata questa occorrenza, e autentica la seconda.

459 Questa sezione è parallela a 1 1 32a 10- 1 5, ma il contenuto è parzialmente

diverso.

460 Il brano è molto oscuro (Anonimo, 22 1 , 30-222, 4): se, come pare, ton para to hekousion è riferito a ' rapporti' (sottinteso) si torna a parlare dei casi come il colpire e l ' essere colpito, in cui la vittima subisce involontariamente un danno (Parafraste, 94, 25 , e molti dei moderni); se invece ton para to hekousion viene riferito a kerdous ... kai zemias, si fa riferimento a perdite e guadagni involontari , e si deve tradurre: «il giusto è intermedio tra un certo tipo di guadagno e di perdita che violano il volontario, e consiste nell'avere l' uguale sia prima che dopo il rapporto>> (Michele di Efeso, 3 1 , 8- 1 1 ). Alcuni moderni pensano che qui Aristotele faccia riferimento alla perdita, che, dal punto di vista della parte soccombente, è sempre involontari a , anche in un rapporto iniziato volontariamente (Jackson , 86; Ross) e traducono «il giusto è intermedio tra un certo tipo di guadagno e di perdita nei casi involontari»; lrwin, 1 28 , omette le

Aristotele l testi - Etica Nicomachea parole ton para to hekousion nella sua traduzione.

46 1 Fr. 58 8 4 D.-K. Molti dubitano della testimonianza di Aristotele, ma in vari

passi egli dice che i Pitagorici identificarono le virtù con numeri, cfr. Metafisica, 1078b 2 1 .

462 Sott.: 'la stessa cosa che gli abbiamo fatto noi ' . 463 koinoniai, di solito indica 'comunità' ; q u i individua, sia, i n generale, le reazioni di reciprocità che costituiscono il rapporto sociale, sia, in senso più ristretto, il rapporto temporaneo che si ha nello scambio di beni. La compravendita è il caso paradigmatico di questi rapporti, cfr. Politica, 1 26 1 a 22-3 1 : può far riferimento al prestigio sociale delle parti in quanto cittadini, e quindi del loro lavoro (come vorrebbero Grant, 1 1 8, e altri), oppure al valore economico della loro poiesis in quanto produttori (il Parafraste 96, 1 5 , e alcuni dei moderni). Joachim, 1 50, invece pensa che sia da valutare quanto bisogno l 'uno può avere dell' altro, e che la stima debba avvenire prima dello scambio. Infine Finley, 1 3 , e altri confessano di non capire il significato dell'espressione 'come un architetto sta a un calzolaio' ; i n ogni caso Finley è sicuro che qui Aristotele non stia elaborando una teoria dei prezzi di mercato.

47 2 chreia può significare sia 'bisogno' sia 'uso ' , ma l'espressione hupallagfTUl tes chreias (linea 1 1 33a 29) si può tradurre solo con ' sostituto del bisogno ' . Il riferimento deve essere alla catena dei bisogni che tiene insieme la comunità politica,

cfr. Politica, 1 257a 14-17: «la capacità di scambiare si rivolge a tutto: è nata, ai suoi inizi, dal fatto naturale che la gente ha a volte più del necessario e a volte meno>>. Alla linea b 20, invece, l'espressione pros ten chreian ha il significato di: 'nell'uso corrente'. Aristotele qui sfrutta l'ambiguità del termine.

473 Alcuni ritengono che Aristotele si riferisca solo all'oggeno dello scambio: è il caso in cui un individuo X abbia bisogno di un oggetto M, mentre l' individuo

Z non abbia da vendere M, ma venda un oggetto W di cui X non ha bisogno; da questa situazione l 'uso della moneta (Michele di Efeso, 36, 1 4- 1 6 , e altri) . Altri invece pensano che egli faccia riferimento anche alla quantità dello scambio: è il caso in cui, se X ha più bisogno di ciò che vende Y, di quanto Y ha bisogno di ciò che vende.X, Ia quantità delle merci scambiate varierà, e X avrà da Y meno

di quanto desidera. In quest'ultima interpretazione il bisogno soggettivo è, in senso

Aristotele l testi - Etica Nicomachea stretto, misura dello scambio (Bumet, 227-228, e altri). 474 Se un cosb1Jttore dà una casa per un paio di scarpe e solo dopo si pongono in proporzione le cose scambiate, il calwlaio avrà doppio vantaggio. Cfr.

uno

schema simile in I I 63a 9-2 1 , e in IX, l . 475 Può essere sottinteso, o 'lo scambio e i suoi partecipanti' (Anonimo, 1:76, 13), o 'la città' (Michele di Efeso, 38, 6-10; Parafraste, 97, 21), ma sunechei può

essere anche inteso in assoluto: 'realizza la connessione' . 476 II brano è incomprensibile: l a prima parte pare avere a c he fare

con

uno

scambio tra concittadini, mentre la seconda fa riferimento al commercio internazionale. Una spiegazione semplice è quella di Michele di Efeso, 38, 10-12: se è permesso esportare grano, e X possiede del vino, di cui ha bisogno per sé, e

non ha grano, non esporta nulla. Ma Aristotele può aver detto una simile banalità? 477 Lett.: 'a chi la porta'. 478 Sott.: 'di ciò di cui ha bisogno' . Il periodo successivo ha un brusco salto, ed è possibile che sia caduto qualcosa nel testo, forse relativo al variare dei

rapporti di scambio delle merci (Lotito, 53). 479 In genere si traduce ex hupotheseos con «per convenzione,.; ma l'espressione

può essere presa alla lettera. 480 axia, termine usato per indicare sia il valore etico e sociale che quello

economico in senso moderno. Cfr. 1 122b 1 5 e nota. 48 1 Se A = 1/2 B e C = 1/10 B, allora A = 5C. 482 Dopo aver determinato il giusto in sé, i risultati dell'indagine sono ap­

plicati allo stato abituale virtuoso, e all'agire giustamente, che ne è l'attuazione.

Sulla distinzione cfr. infra,l l 35a 9-12: «Vi è differenza tra 'azione ingiusta' e 'ingiusto', come pure tra 'azione giusta' e 'giusto'; infatti l'ingiusto è per natura

o per una disposizione, e, quando viene messo in pratica, è un'azione ingiusta, mentre prima di essere messo in pratica non lo è ancora, ma è solo ingiusto,. . 48 3 Le altre virtù consistono in una medietà nelle passioni e nelle azioni ( 1 106b 14-18); la giustizia invece consiste in una medietà relal:iva al giusto in quanto uguale ( 1 1 3 l a 1 3), che Aristotele ha descritto da 1 1 3 1 a 14 a 1 133b 28: essa quindi è la tendenza a non desiderare più di quanto è uguale/onesto (ison, cfr. 1 1 29a 34). 484 Questa descrizione è relativa alla giustizia particolare, descritta dal cap. 5

in poi: tutte le sue forme sono descritte come un'assegnazione di beni che avviene

o tra due persone nei loro rapporti reciproci, o da parte di un distributore rispetto a due o più riceventi . Si conclude qui la prima parte del libro V. 48 5 Inizia qui la seconda parte del libro V. II cap. IO consiste in una serie di

osservazioni staccate; in generale tutta la seconda parte è organizzata molto male,

dal punto di vista dell'esposizione. L'Anonimo, 229, 1 6- 1 7, osserva cbe il testo

è oscuro e somigliante 'a una serie di appunti sparsi'; Bumet, 231 , ritiene cbe questo stile frammentario sia tipico delle lezioni orali. 486 Nel libro m l'arche dell'agire è identificata con il desiderio, o con ia scel-

5 43

5 4 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea ta, mentre qui si dice che l 'arche dell'agire dipende dalla scelta, o dalla passione, e quindi si presuppone che le due realtà siano distinte. Però tutti i commentatori considerano le due formulazioni equivalenti.

487 Il brano propone un'aporia relativa al giusto in generale (cap. 3); la soluzione

di Aristotele consiste nel distinguere tra l'azione in sé e l 'intenzionalità dell'azione, cfr. 1 1 36a 1 -9: «se uno ha danneggiato per scelta [ ... ] basta agire ingiustamente secondo questo tipo di azione ingiusta per essere ingiusto>> . D'altra parte chi agisce male perché vinto dalla passione, e non per scelta, non è ingiusto, è solo uno che non sa controllarsi (libro VII) . La discussione riprende nella parte finale del capitolo; si tratta molto probabilmente di frammenti isolati , collocati nel cap. lO da un editore antico. Sono stati fatti dei tentativi per trovare un'altra collocazione a questo brano (dopo l l 35b 24, Jackson; dopo l l 36a 9, Gauthier), che però non hanno migliorato di molto le cose.

488 Questo brano pare riconnettersi direttamente al cap. 8 . 489 I l testo pubblicato dagli editori moderni implica che il giusto i n generale e

il giusto relativo alla sfera politica siano due cose diverse; tuttavia il testo corrente non è quello dei migliori manoscritti (vedi apparato dell'ed. Jackson), i quali omettono il secondo kai. Il testo diviene quindi: >.

510 Si tratta di coloro che sono incapaci di dominarsi in relazione all'impetuosità (cfr. l l 47b 35; 1 1486 1 3 e VII, 7).

5 1 1 Cfr. 1 149a 32-33: «Il ragionamento o l'immaginazione rendono chiaro che vi è stata insolenza o disprezzo, e l 'impetuosità, come giungendo alla conclusione che: 'Si deve combattere una cosa simile', s'infuria subito>>; tuttavia solo per metafora si può dire che l'arche dell'azione è in chi ha insolentito, infatti insolentire e agire per impetuosità sono due azioni distinte. Nel brano qui citato l' inizio del sillogismo pratico dell' impetuoso è in lui, ed è un giudizio di fatto: sono stato ingiuriato. Si può dire che l'arche è in chi oltraggia solo se si vedono le cose da un punto di vista giuridico.

5 1 2 La frase, pur ripetendo due volte lo stesso concetto, è molto oscura: Aristotele vuoi dire che oggetto della disputa è se il danno che l 'impetuoso ha inflitto a un altro (presumibilmente a colui che lo ha fatto arrabbiare) è giusto o no. Nel caso dell'impetuoso non si dubita che egli abbia colpito chi lo ha ingiuriato. Per contrasto è citato il caso delle dispute commerciali, in cui si discute se il danno c'è stato, e in cui non vi è dubbio che, se il danno c'è stato, chi ha danneggiato è un disonesto: qui invece il fatto è certo , non è certa la colpa dell'impetuoso. L'oscurità è tutta nelle ultime linee («in questo caso ... e l 'altro no>>), in cui si di­ stinguono un tizio (A) che ritiene di aver subìto ingiustizia, un altro (B) che ne­ ga ciò, e un terzo (C) che ha agito con premeditazione: con quali di questi tre per­ sonaggi si devono identificare il provocatore e l'impetuoso? Gli antichi e Dirlmeier, 426-427, pensano al momento del processo, e identificano con A il provocatore e con 8 l' impetuoso. Molti moderni pensano al momento dell'azione: quindi A risulta essere l'impetuoso e 8 il provocatore (Tricot, 256; Gauthier, 404). Per alcuni 8 , il provocatore, è identico a C (Bumet, 238), altri invece non ammettono che C sia i l provocatore, ma pensano che sia uno che commette ingiustizia volontariamente (Tricot), o sia il disonesto dei contratti (Ross), che viene contrapposto all'impetuoso solo perché agisce di proposito. Quindi sarebbe da tradurre «e un altro, no>>. Non mancano ipotesi anche più fantasiose.

513 Qui pare di trovare la risposta al problema posto a 1 134a 17- 1 8: .

5 1 4 Cfr. l l l Ob 24-27: > . A noi pare che la questione a questo punto sia ancora aperta. Molti commentatori invece ritengono che la soluzione sia già data in queste linee: dato che il 'subire ingiustizia' è a volte volontario e a volte no, allora anche il 'ricevere giustizia' lo è.

5 1 7 Lett.: 'se in entrambi i casi sia possibile avere a che fare in modo accidentale col giusto ' .

5 1 8 Se uno può compiere cose ingiuste solo per accidente, senza agire con­ sapevolmente e per scelta propria, e quindi senza agire ingiustamente, allora l'al­ tro potrebbe subire cose ingiuste solo accidentalmente e non in senso proprio. Ciò è un primo passo verso la soluzione del problema generale.

5 1 9 Cfr. 1 1 36b 16 e nota relativa. 520 diorismos qui equivale a horismos, 'definizione' , e si riferisce a quanto detto alle linee 1 136a 3 1 -32: «'commettere ingiustizia in assoluto' significa 'danneggiare [ ...) qualcuno [ ...) sapendo chi subisce, e con quale strumento e come'».

52 1 Si distinguono il 'subire cose ingiuste' (adika paschein) e il 'subire ingiustizia' (adikezsthai): chi non si sa dominare subisce cose ingiuste volontariamente, per esempio una perdita di denaro giocando al casinò, ma non per questo subisce ingiustizia volontariamente: egli infatti non vuole farsi ingiustizia, anche se di fatto si danneggia, cfr. Etica Eudemia, D, 7 . 5 22 In c-onclusione non è possibile subire volontariamente ingiustizia, mentre il ricevere giustizia può essere sia volontario che involontario ( l 1 36 a 22-23); perciò i due casi non sono paralleli.

523 Vedi note a 1130b 31 e 1 1 3 la 1: qui si considerano due casi, quello del giudice che distribuisce un bene ai cittadini e quello di cittadini che si spartiscono un bene

tra loro. Traduciamo qui a:cian con 'merito' , mentre di solito lo rendiamo con 'valore ' .

524 A questo problema si è fatto già cenno i n 1 1 34b 12, e po i in 1 1 36b l ; ma sarà risolto solo nel cap. l S .

525 epieikes, qui non significa né 'equo', né 'dabbene' o 'virtuoso', ma ha il senso

più limitato di 'disinteressato', e qualifica la persona che non insiste su un rigoroso

rispetto di tutti i suoi diritti. Si trana di un uso tipico cieli' Accademia, cfr. Ps . Platooe , Definizioni, 412b: 'epieikeia è la disposizione a non tenere conto di tutti i propri

547

5 4 8 Aristotele l testi - Etica Nicomachea diritti e interessi ' , ripetuto da Aristotele in Topici, 1 4 l a 1 6 .

526 Cfr. I 1 36a 3 1 -32 e b 3-4: > . 562 Cfr. l l03b 3 1 -32: «che si debba agire in conformità alla retta ragione è ammesso da tutti , e lo si dia per stabilito» e nota relativa; onhos logos indica la facoltà razionale pratica, o il suo atto, il ' ragionamento corretto' ; a l l47b 3 1 -32, parlando degli intemperanti, si dice che si oppongono «al ragionamento corretto che è in loro>> , cfr. nota relativa. Useremo quindi, in questo libro, di volta in volta, le due espressioni italiane 'retta ragione' e ' ragionamento corretto' per tradurre l'espressione orthos logos. 563 Il riferimento può essere ad altri stati abituali, diversi dalla virtù, nei quali

551

5 5 2 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

si dà un giusto mezzo, cfr.: «anche nel caso del vigore fisico e in quello della salute>> ( I l 04a 14 ), oppure ad altre forme di attività della psiche umana, come le arti e le scienze (così intende Eustrazio, 262, 1 9).

564 horos, Iett.: 'limite'. Qui indica il criterio delle medietà (cfr. linea 34), e indica lo stesso oggetto designato con skopos, 'obiettivo' , alla linea b 22; Irwin, 1 48, intende però horos ton mesoteton come 'a definition of the means' . Infatti più avanti ( 1 1 42a 26; b 24; 1 143a 35; b2) horos è usato per indicare la definizione, o i termini del sillogismo. Il termine horos deve quindi essere tradotto in modi diversi, cfr. anche nota a b 34. Il giusto mezzo è definito come causa finale dell' azione, e la retta ragione come ciò che determina questa causa finale; siccome abbiamo già detto che > . 569 Si tratta di una divisione dell'anima di origine platonica, cfr. Platone, Politico, 258e: «Quindi dividi in questo modo l'intero complesso delle scienze, ponendo una parte come pratica, e una parte come solo conoscitiva>> . Anche il principio che il simile conosce il simile è di impronta platonica. Aristotele qui intreccia due differenze: eterno/contingente, sapere pratico/sapere teoretico, e passa sotto silenzio la possibilità di un sapere teoretico del contingente. Siccome, poi, è impensabile che vi sia un sapere pratico dell'eterno, restano solo due possibilità: un sapere teoretico dell'eterno e un sapere pratico del contingente. Quest'ultimo è quello che interessa all'etica, e che determina il giusto mezzo, come vedremo.

570 Cfr. Etica Eudemia, 1 222a 1 8-20: «inoltre solo l ' uomo, tra gli animali, è principio di un certo tipo di azioni: di nessun altro animale noi diremmo: 'agisce'>>. Quindi la sensazione contribuisce a determinare l'azione ma non le dà inizio da sola.

57 1 Cfr. 1 106b 36: «la virtù è uno stato abituale che produce scelte>> (defi­

nizione della virtù morale), e 1 1 1 3a l 0- 1 1 : >. Questo capitolo, come si vede, raccoglie le fila di quanto si è detto nei libri II e III .

57 2 La virtù intellettuale teorica è stata definita secondo genere (stato abituale)

e specie (veritiero); ora, per definire la virtù intellettuale pratica, si deve individuare un senso particolare di 'verità', la verità pratica. Eustrazio, 280, 36-28 1 , 8, e molti

Aristotele l testi - Etica Nicomachea moderni pensano che la verità pratica sia un accordo tra ragione e desiderio, per cui la ragione riconosce correttamente il bene, e il desiderio si accorda con tale giudizio; Bumet, 255, ritiene che la verità pratica consista nel fondare una regola di condotta universale; Joachim, 172, invece ritiene che l'ambito della ragione si limiti alla scelta dei mezzi per il fine; Heidegger, 1 87, sulla base della nozione di 'essere come vero' sostiene che la verità pratica è una determinazione caratterizzante dell'essere dell'uomo e non un semplice carattere contingente del suo ragionamento. 573 La scelta è la causa motrice ('ciò a partire da cui '); l'agire con successo (citalo alla linea 1 1 39b 3) è la causa finale ('ciò in vista di cui'). Il desiderio e il ragionamento in vista di qualcosa costituiscono la connessione tra motore e fine, mentre causa formale dell'agire virtuoso è lo stato abituale del carattere, e la causa materiale è l'insieme dei movimenti fisici del corpo. 574 Il pensiero è pratico in quanto orienta il desiderio, cfr. De anima, 433a 1 820: «la parte desiderante (to orektilwn) infatti è ciò che muove, e il pensiero muove per questo, cioè perché principio del pensiero è il desiderabile>> . 575 Quindi il fine cui tende il desiderio, e che è determinato dal ragionamento pratico, è il dare vita a un'azione singola corretta, in una circostanza particolare, non lo stabilire una regola generale, valida per ogni caso, cfr. 1 15 la 16: «nelle azioni il fine è principio>> e 1 8-19: «è la virtù [ .. ] che ci insegna corrette opinioni sul principio>>. 576 Il procedimento ricorda quello del libro I (cfr. 1097a 14-15: «torniamo di nuovo a indagare.. .>>) e mostra che qui Aristotele imposta la sua esposizione in forma di una ricerca della virtù intellettuale che ha per opera propria la verità pratica. 577 Al tema si accenna già in Analitici secondi, 89b 7-9: «Come bisogna dividere le altre caratteristiche tra pensiero, intellezione, scienza, arte e saggezza, sarà oggetto in parte della fisica in parte dell'etica». Eustrazio, 289, 9- 1 2 , e molti altri commentatori sottolineano che questi sono i cinque stati abituali dell' anima intellettuale, tali che chi li possiede non può cadere in errore; quasi tutti i moderni però aggiungono che, tra loro, solo saggezza e sapienza sono le virtù della parte intellettuale dell'anima. La tesi contraria è stata sostenuta da Zeller, 60: li considera virtù perché sono stati abituali veritieri. 57 8 Eustrazio, 29 1 , 16-22, ritiene che qui si faccia allusione alla differenza tra la scienza e le tecniche; più giusta ci pare l'opinione di Stewart, 35, secondo cui in questo passo Aristotele contrappone il senso rigoroso di episteme. che è quello qui definito, all'uso più generico del termine, per cui possono essere dette epistemai anche la politica, l'etica e altre forme di sapere. Tale uso si ritrova, ad es., in 1094a 7: «Vi sono molte specie di azioni, di arti e di scienze». 579 Aristotele cita l'inizio di Analitici secondi, 7 l a 1-2: «Ogni insegnamento e ogni apprendimento intellettuale si basa su una conoscenza preesistente». 580 Qui sullogismos ha il significato generale di deduzione; al contrario in 1 144a 3 1 si usa il termine in senso ristretto, corrispondente a ciò che oggi .

553

5 5 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea intendiamo con 'sillogismo aristotelico' .

58 1 Si ripropone la situazione degli Analitici secondi, Il , 1 9: Aristotele sostiene

che fonte della conoscenza dei principi primi sono sia l 'induzione sia l' intuizione intellettuale (cfr. cap. 6). Il rapporto tra le due realtà della mente qui non è precisato, ma l 'induzione non è uno stato abituale, è un' attività e, come dicono Eustrazio, 296, l 4- l 5 , e Bumet, 259, ha il compito di procurare al nous il materiale da cui derivano i principi primi, quindi tra loro non vi è conflitto.

58 2 Cfr. l l 02a 26-27: «opere rivolte a un pubblico vasto» e nota relativa; sulla

differenza tra azione e produzione cfr. anche l 094a 3-5: «Vi è una certa differenza tra i fini: alcuni sono attività, altri sono opere che stanno al di là di quelle>> e l l 39b 1-3: .

58 3 L'espressione meta logou, che ricorre nei capp. 4 e 5 è difficile da

tradurre in modo coerente in italiano. Aristotele vuole indicare che gli stati abituali pratici e produttivi operano sulla base di un ragionamento vero; per l'arte e la saggezza l'uso della particella meta indica che il ragionamento è parte componente dello stato abituale, insieme al desiderio. Ciò che è meta logou rientra in ciò che è logon echon ( l l 39a 4) , che a sua volta è una delle due parti dell ' anima; può anche essere , come l 'episteme, hexis meta logou monon ( l l40b 28), uno stato abituale che si compone solo di logos, ma in questo caso l ' uso di meta è un po' forzato; l ' espressione tuttavia si trova anche in Analitici

secondi, l OOa l O. Per quanto riguarda la saggezza, lo stato abituale che dà origine ad azioni, logos si potrebbe tradurre bene con 'raziocinio' , ma questo termine non si applica alla tecnica, lo stato abituale che dà origine a produzioni (non si produce un oggetto con raziocinio), né ammette la distinzione di vero/falso che incontriamo alle linee l l40a IO e 2 1 -23 (il raziocinio non può essere falso). Traduciamo quindi con 'unito a ragione' , allo scopo di far risaltare la connessione del discorso con quanto detto in Il, 5-6, senza nasconderei che la traduzione è lungi dall'essere perfetta. Cfr. anche la nota a I l 38b 20.

5 84 Vi deve essere convertibilità completa tra il nome 'arte' e la sua definizione, cfr. Topici, l 54a 37 sgg.: «La definizione deve predicarsi di tutto ciò di cui si predica il nome e convertirsi con esso>> .

585 phronesis nella lingua del IV sec. a.C. indica sia il puro conoscere (es. Isocrate,

Pwtaico, 61), sia la saggezza pratica (Senofonte, Memorabili, l, 2, 10). In Platone

è usato per indicare la conoscenza delle Idee, che non è solo teoretica, ma governa anche l ' azione umana. Però già Senoerate distinse tra > e «la saggezza (phronesis), che egli ritiene duplice, l'una pratica e l'altra teoretica, e che quindi è una sapienza umana>> (fr. 6 Heinze); Aristotele distinse anche più decisamente la saggezza dalla sapienza.

Aristotele I testi - Etica Nicomachea 58 6 Cfr. 1 129a 1 8-1 9: «spesso gli stati abituali si riconoscono [ . . ] a partire da .

ciò in cui si trovano», e nota relativa. 58 7 kalos bouleuesthai indica il saper scegliere mezzi adatti per un fme buono;

la nozione di 'mezzo' non è da intendersi riferita solo ai mezzi esterni al fme, ma

più in generale come ogni tipo di concretizzazione particolare del fine rispetto a una situazione data (lrwin, 34 1). 588 cfr. m. s. 5 89 Cfr. 1 1 39b 19-21 : «tutti noi riteniamo che ciò di cui abbiamo scienza noo possa essere diversamente da come è». 590 Lett.: 'diverso è il genere di azione e di produzione'. Aristotele restringe il senso di techne (arte o tecnica) al solo ambito della produziooe, e per questo la distingue nettamente dal sapere pratico; gli Stoici invece, che ebbero una concezione più ampia di techne, come 'raccolta sistematica di cognizioni unificate dalla pratica e tendenti a qualche fine utile a ciò che riguarda la vita' (Oiimpiodoro, Commento al Gorgia di Platone, 12, l I 73 Amim 42A Long-Sedley), =

=

definirono techne anche il sapere che noi chiameremmo morale: 'arte che riguarda la vita nella sua totalità' (Stobeo, ll, 66, 20-67 ,l). 591 Aristotele procede per eliminazione: delle tre he:uis descritte solo la sag­ gezza può riguardare la deliberazione. Essa ha quindi per genere l'essere un abi­ to razionale pratico, e per differenza specifica il saper deliberare sul bene uma­ no. Qui la differenza è data dalla nozione di deliberazione, che è l'attività della saggezza, e dalla nozione di prassi, che è il risultato della saggezza. 592 L'indicazione di Pericle come esempio di saggezza costituisce una chiara polemica contro Platone, Gorgia 5 1 5e-5 16d: «Pericle non fu un buon politico». La saggezza del politico è distinta dalla sapienza dei ftlosofi, inutile per la prassi, cfr. gli esempi che si trovano a 1 14lb 4: Anassagora, Talete e simili. 593 Usiamo il termine italiano 'apprensione' nel suo significato colto: 'ogni atto con il quale il soggetto apprende' (cfr. Devoto-Oli, s.v.). Cfr. 1 142b 33: «ciò che è utile per il fine, cosa di cui la saggezza è un'apprensione vera». L'etimologia cui fa cenno Aristotele deriva dal Crati/o di Platone (4 l le). 594 Cfr. l l l4b l: «come ciascuno è, tale appare a lui anche il fine». 595 Cfr. Grande Etica, 1 1 97a 1 8-20: «inoltre vi è un livello eccellente (�) per ogni tipo di sapere, ma non per la saggezza, che, a quanto pare, è un tipo di

virtù (arete)». È difficile qui tradurre arete con un solo termine italiano, useremo quindi, secondo i casi, 'eccellenza' o 'virtù'; forse si potrebbe usare 'virtuo­ sismo' invece di 'eccellenza', per conservare la connessione con 'virtù' , ma l'espediente non è molto elegante. Anche più avanti, a 1 14la 12, si dovlà tradum: arete con ' livello eccellente' . 596 Secondo il Parafraste , 120, 30, 1a facoltà di opinare e quella di deh"beran: sono identificate, e la saggezza è considerata la virtù della parte opinativ� ma nel cap. IO Aristotele esamina la relazione tra la buona delibenziooe, che è l'attività

5 55

5 5 6 Aristotele l testi - Etica Nicomachea tipica della phronesis, e l'opinione, e afferma: ( l l42b 7). Secondo Eustrazio, 3 14, 1 8-

2 1 , Gauthier, 478, e altri, tra le due affermazioni non vi è contrasto dato che è la stessa pane razionale dell'anima a produrre entrambe le attività, opinare e delibernre, ma l'atto è diverso. In I l 39a 12 questa stessa parte dell'anima razionale è chiamata logistikon . Il collegamento tra saggezza e doxa ha un intento antiplatonico. 597 Cfr. Analitici secondi, I OOb 5- 1 1 : «Dato che tra gli stati intellettuali con cui noi cogliamo la verità alcuni sono sempre veri e altri anunettono il falso [ ... ] scienza e intelletto sono sempre veri, e nessun'altra specie di sapere è più certa (akribestera) della scienza, tranne l' intelletto, e i principi delle dimostrazioni sono massimamente noti [ ...] l'intelletto verrà ad avere i principi come oggetto>> . Anche la sapienza conosce i principi, ma l'intelletto ha i principi come oggetto esclusivo, mentre la sapienza no, come si dice a 1 14 l b l -3. I principi sono oggetto anche di induzione, cfr. 1 1 39b 31 e nota relativa. Essi sono definizioni, cfr. l l42a 25-26: «[l'intelletto] ha per oggetto la definizione, di cui non si dà dimostrazione>> . 598 L'argomentazione di questo capitolo si basa sul concetto di akribeia, definita come la caratteristica principale della sophia. La citazione delle opinioni correnti, che apre il capitolo, serve appunto ad accreditare la tesi che la sapienza sia la forma di sapere più akribes. Per il Parafraste, 1 2 1 , 28, akribeia in questo passo equivale a 'eccellenza, perfezione' (arete); Eustrazio, 3 19 , 1 6-33, invece, intende akribeia come 'abilità, precisione' . Molti moderni , quando traducono akribes in modo coerente, intendono: 'più perfetta' ; Williams e Defradas invece concordano con Eustrazio: 'più esatta' . Greenwood traduce ' perfect' , ma in nota spiega che intende 'exact, complete, stable' . In italiano è difficile trovare un termine che si adatti insieme alle arti plastiche e alla sapienza suprema: in ogni caso crediamo che Eustrazio abbia ragione, akribeia qui ha il significato etimologico di una 'aderenza completa all'oggetto'. 599 L'interpretazione di lithourgos e andriantopoios è di Dirlmeier, 128. 600 ta timiotata indica le realtà più alte: «la scienza più eccellente deve avere per oggetto le realtà più eccellenti>> (Metafisica, J026a 2 1 ); esse sono le più immutabili, e perciò permettono una conoscenza esatta, salda e precisa. La sapien­ za non ha per oggetto il mondo dell'azione umana, perché esso è variabile e le nozioni a esso relative sono valide solo per lo più, cfr. 1094b 1 1 -14: «avremo parlato a sufficienza se avremo fatto luce per quanto lo permette la materia trattata, infatti non si deve ricercare la precisione (to ... akribes) nella stessa misura in tutti i discorsi, proprio come avviene anche nelle produzioni degli artigiani>>. 601 In senso stretto basta la variabilità delle cose umane descritta in I, l per escludere che la sapienza abbia per oggetto il mondo politico-morale. Aristotele qui sembra anunettere che vi siano più forme di saggezza, ciascuna propria di una specie animale; ma in realtà gli animali non scelgono ( l l l lb 9), non agiscono

Aristotele l testi - Etica Nicomachea moralmente (Etica Eudemia, 1222b 20), non sono temperanti ( 1 149b 3 1 sgg.). Essi seguono solo le rappresentazioni (De anima, 433a 1 2), quindi si può parlare di saggcUJl per essi solo in senso analogico, o comunque depotenziato rispetto al senso proprio del tennine (cfr. ad es. Historia animalium, 588a 16-b 3: «negli animali ci sono tracce degli stati d'animo umani [ ... ) alcuni differiscono di grado [ . .] altri per analogia»). Questo argomento quindi non ha molta forza. 602 La traduzione di phanerotata è di Ruggiu, 170; lcosmos qui equivale a 'cielo', cfr. De caelo, 285b 12, 287b 1 5 . L'argomento è: la sapienza, che ha per oggetto le cose più eccellenti, non può avere per oggetto il bene umano, perché l'uomo non è la cosa più eccellente. 603 Talete e Anassagora rappresentano il tipo del sapiente staccato dalle cose del mondo già in Platone, cfr. lppia maggiore, 28Ie. Aristotele non vuole svalutare in assoluto le loro idee morali, che infatti utilizza al bisogno (cfr. 1 179a 13 : > .

610 Qui abbiamo una distinzione di generi e specie, alcune delle quali hanno lo stesso nome del genere sovraordinato: così 'saggezza' è il genere sommo di cui sono specie la 'politica' e la 'saggezza' (relativa al singolo); inoltre il nome 'poli­ tica' indica sia il genere di tutte le forme di sapere pratico relativo alla città, sia quella specie particolare di esso che si occupa dei casi e dei decreti particolari .

61 1 Ciò pare un'obiezione a quanto detto nel cap. precedente, cioè che la politica è una delle specie della saggezza: infatti in questo passo la politica dei faccendieri è distinta dalla saggezza, e quindi dalla politica vera e propria. 6 1 2 Questa è una seconda obiezione che sembra contraddire la precedente: la cura egoistica del proprio interesse è saggezza, perché i politici volgari si occupano solo di esso. La soluzione è duplice: la saggezza individuale non è possibile senza la politica, e vera politica è quella che persegue il bene dell' uomo in generale e della città, non quello individuale del singolo uomo politico. La frase conclusiva è polemica, e l' indagine cui si fa cenno non si trova nel resto dell'Etica Nicomachea .

61 3 Cfr. 1 1 4 l b 14: > .

61 4 Cfr. 1095a 2-4: > (Retorica, 1 394a 21-25). Qui è evidentemente indicata con gnome non la massima, ma la facoltà che produce massime del genere. Uso 'considerazione' nel senso in cui tale termine equivale a 'prudenza' , come nella frase «Agire senza considerazione» (Devoto­ Oli, s.v.). 635 Per evitare la ripetizione, denunciata da quasi tutti i commentatori, con ciò che è detto alla linea 20, consideriamo, con lrwin, 165, genitivo soggettivo la prima occorrenza di tou epieikou e genitivo oggettivo la seconda. Altri considerano entrambe le occorrenze, o genitivo oggettivo (Greenwood , 1 1 5; Ross; Dirlmeier, 135, etc.), o genitivo soggettivo (Williams, 167). 636 Questo cap. riprende e sviluppa quanto detto in breve al cap. 8: «La saggezza non riguarda solo gli universali, ma deve conoscere anche i casi particolari , infatti

è pratica, e la prassi riguarda i casi particolari>> ( 1 141b 14- 16) . 637 Per questo il campo delle azioni non è oggetto d i scienza, cfr.: «la saggezza non è scienza, infatti riguarda, come si è detto, l'estremo>> ( 1 1 42a 28-29). 638 Qui nous è inteso in senso ambiguo: da una parte è la capacità di cogliere i principi primi della scienza in modo immediato, di cui si è parlato nei capp. 6 e 9 (cfr. nota a l l42a 30), dall'altra è una facoltà pratica, analoga a considerazione, senno e saggezza, come si dice all'inizio di questo capitolo. In entrambi i casi la sua caratteristica è cogliere immediatamente il suo oggetto: le definizioni, oppure i principi scientifici e i casi particolari pratici (Eustrazio, 378, 6-9; Parafraste, 129, 17-23). Alcuni hanno cercato di dimostrare che vi è un terzo tipo di nous, che ha per oggetto il bene e il principio pratico universale (da ultimo Kenny, 170), ma la cosa non è credibile: il nous pratico è quello che vede il particolare alla luce del fine. 639 en tais praktikais, lett.: 'nelle ? pratiche' ; qui vi è un termine sottinteso, ma

è difficile stabilire quale; è stato supplito in modo diverso: exesi, 'stati abituali' (Eustrazio, 378, 8); protasesi, 'premesse' (Bumet, 280; Irwin, 166); ' inferenze' (Rackham, 361 ); apodeixeis, 'dimostrazioni' (Greenwood, 1 15 ; Gauthier, 538); logismois, inteso come 'ragionamenti' (Ross; Tricot, 305). Forse la cosa migliore

è tenersi sul generico, come fanno Dirlmeier, 466 , e Mazzarelli , 283: 'nell'ambito della prassi' . 640 Cioè quella che vede i l particolare, l'azione da compiere alla luce de l fine: ,

561

5 6 2 Aristotele l testi - Etica Nicomachea non 'chi digerisce bene è sano' , ma 'chi passeggia digerisce bene' .

64 1 Aristotele accenna qui a u n processo, simile all'induzione, che nel libro I è chiamato ethismos: ( 1 098b 3-4), e che viene descritto in dettaglio in II, 1 -3: compiendo azioni di un certo tipo ci si abitua a ten­ dere sempre a un certo tipo di fini.

642 Cfr. 1 142a 27-29: > .

647 La conoscenza dei segni che derivano dallo stato di salute, o di forma fisica,

e che servono quindi a identificarli, non produce salute o forma fisica; infatti chi è sano agisce sanamente anche senza sapere teoricamente quali sono i segni della salute. Allo stesso modo, si potrebbe dire, chi è virtuoso agisce virtuosamente anche senza sapere in teoria cosa sono le azioni virtuose (Eustrazio , 385 , 9-36).

648 Qui sono presentati gli argomenti in favore dell' aporia: si può agire bene o

per una virtù innata, noi diremmo 'istintiva' , cioè non basata su un sapere razionale, oppure anche solo conformandosi alle leggi e ai costumi esistenti; in entrambi i casi non c'è bisogno di quella particolare forma di sapere che è la sag­ gezza. Molti commentatori dividono questa aporia in due (la saggezza serve ad agire bene o a divenire virtuoso?), ma si tratta di due aspetti della stessa domanda:

Aristotele l testi - Etica Nicomachea a cosa serve la saggezza? Le argomentazioni in favore dell'aporia non sembrano riprese da nessun altro filosofo, ma devono essere state escogitate dallo stesso Aristotele, che sta discutendo con se stesso . 649 Questa tesi pare essere di origine platonica: se la saggezza produce la sa­ pienza, ne è padrona (Gauthier, 542). 650 Le risposte che seguono vanno al di là delle aporie proposte, e chiariscono altri punti dubbi. 65 1 Prima risposta. Questa tesi tende a dimostrare, sulla linea di I, 5, che, anche se non producessero nulla, saggezza e sapienza sarebbero desiderabili come perfezioni di due parti diverse dell'anima; ciò ha solo un rapporto indiretto con l'aporia esposta a 1 143b 18: «uno potrebbe domandarsi a COIIll esse servano». Infatti è come dire 'anche se non servono, hanno ugualmente valore in sé'. 65 2 II passo è difficile da interpretare; i problemi maggiori sono i seguenti: l ) Che cosa è prodotto dalla salute? Eustrazio, 388, 23-24, e altri intendono 'la felicità'; il Parafraste, 1 3 1 , 2 1 , e altri intendono 'la salute' . 2) Cosa significa il paragone tra la sapienza e la salute? Nella prima delle interpretazioni sopra citate, se la salute produce la felicità, anche la sapienza Io fa, e quindi 'salute' , 'sapienza' e 'saggezza' sono considerate come parti componenti della felicità, intesa come ' attività dell'anima secondo virtù' . Nella seconda interpretazione, se la salute produce la salute, lo farà in quanto ne è la causa formale, allora anche la sapienza sarà causa formale della felicità (Bumet, 283, e altri); in questo caso 'produrre' non è inteso in senso proprio. 3) La frase l l44a 5-6: «essendo parte della virtù intera, rende felici, sia con il fatto di essere posseduta sia con il suo agire>>, si riferisce solo alla sapienza (Joachim, 217; Gauthier, 544) o a sapienza e saggezza insieme (Eustrazio, 388, 32-389, 2; Parafraste, 1 3 1 , 23-25, e gran parte dei moderni)? A noi pare che, per coerenza con il senso di morion della linea I l44a 2, qui Aristotele, dicendo «parte della virtù intera>>, accenni al fatto che la sapienza è parte delle virtù intellettuali, e ricordi implicitamente, quindi, che l'altra parte della virtù intellettuale è la saggezza. Come virtù intellettuali esse sono preferibili a tutto il resto, sia perché sono un valore in sé (nell"essere possedute'), sia perché sono parti della felicità completa (nell"agire'). L'idea espressa in questo passo è identica a quella che troviamo in 1097b 2-4: mentre scegliamo ogni virtù anche a causa di se stessa, la scegliamo anche in vista della felicità. 653 Terza risposta. Oltre a essere un valore in sé e una parte componente della felicità, caratteristiche che condivide con la sapienza, la saggezza è indispensabile per l'agire virtuoso. Il resto della discussione, fino a l l44b 32, serve a dimostrare questo punto.

Ciò viene fano in tre momenti: prima di tutto si dice che l'azione per essere virtuosa deve essere frutto di una scelta (a 1 1 -22), poi Aristotele ci mostra cosa sarebbe la saggezza senza virtù del carattere (a 22-b l), e cosa sarebbe la virtù del carattere senza saggezza (b l-17). Questa parte del discorso si chiude con una precisazione su quale sia esattamente il rapporto tra virtù del carattere e saggezza (b 17-33).

56 3

5 6 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea 654 Questo passo interrompe il fluire del discorso, e forse è una nota aggiunta solo in un secondo momento da Aristotele.

655 Alla saggezza (Stewart, 101); all'abilità (lrwin, 348); a una facoltà imprecisata, che viene chiarita nelle righe seguenti (Parafraste, 132, 23, e altri).

656 Quindi la deinotes è condizione necessaria della saggezza. 657 Traduco sullogismoi con 'sillogisrni', perché questo è uno dei passi più chiari in cui appare la celebre teoria aristotelica del sillogismo pratico.

65 8 nous qui è usato in senso generico, come 'ragione' in generale, cfr. infra, 1 145a 3 . Sul concetto qui espresso, cfr. l iOOa 1 -3: .

659 Cfr. 1 1 38b 25, 34: per l 'identificazione con la phronesis, che segue tra poche righe, è necessario qui tradurre logos con 'ragione' (cfr. 1 103b 32 etc.; fanno eccezione 1 1 44b 29: 'forme di ragionamento' e 32: 'argomento'). 660 Cfr. Grande Erica, 1098a 1 6-22: si può agire bene per un impulso irrazionale

(hormei tini alogoi), che per caso coincide con quello che prescrive la retta ragione, oppure agire per un impulso unito strettamente alla retta ragione. Qui con

kata è espresso un legame accidentale e con meta un legame essenziale; l'argomento ripete sostanzialmente quanto detto alle righe 1 144a 1 1 -22, cfr. nota a 1 140a 4.

66 1 Questo passo riassume i risultati principali della discussione della prima aporia,

prima di passare alla seconda. Sulla traduzione di nous con 'intelletto' in senso generico, cfr. nota a 1 144b 9.

662 Cfr. 1 143a 8: >. Le distinzioni tra kata e meta, e tra il genitivo hekeines e il dativo hekeinei preludono all'uso ellenistico di distinguere i vari tipi di relazioni causali attraverso l 'uso dei casi grammaticali e delle particelle.

663 ll libro è composto da due sezioni indipendenti. Nella prima si discutono alcuni stati abituali cattivi: debolezza del volere e bestialità. Il cap. l pone il problema, nei capp. 2-3 si trova una rassegna delle opinioni correnti più importanti e una prima confutazione di alcune di loro; dal cap. 4 si inizia un'indagine più approfondita: se la debolezza del volere è un tipo di ignoranza, come voleva Socrate, che tipo di ignoranza è? La discussione, condotta sulla base della nozione di sillogismo pratico, si conclude al cap. 5. Il cap. 6 distingue tra mancanza di autocontrollo in assoluto e mancanza di autocontrollo in senso particolare, poi tratta brevemente della bestialità. Il cap . 7 tratta della mancanza di autocontrollo relativa all' impetuosità, i capp. 8 e IO discutono di una serie di questioni marginali, i capp. 9 e I l contrappongono mancanza di autocontrollo e intemperanza. Dal cap. 12 inizia una discussione sul piacere , con la rassegna delle opinioni notevoli, cui segue la loro critica (cap. 1 3); nel cap. 14 si definisce il piacere, e nel cap. 1 5 si spiega come

Aristotele / testi - Etica Nicomachea

possono essere nate delle opinioni sbagliate su di esso. 664 akrasia è tradotto abitualmente con 'incontinenza' (nel senso filosofico di ' vizioso o peccaminoso asservimento a motivi ciecamente materiali ed egoi­ stici ' , cfr. Devoto-Oli, s.v.). Tale senso non è del tutto identico a quello che ak­

rasia ha qui, e soprattutto ci pare ormai fuor dell'uso, preferiamo quindi servirei di una parafrasi.

665 Ciò spiega perché la virtù opposta alla bestialità è heroike tis kai theia, «in un certo senso eroica e divina>>, e non si parla di virtù divina e bestialità in senso assoluto.

666 L'espressione, seios aner, è in dialetto laconico. È detta per metafora, in opposizione al caso descritto in 1 1 45a 23-24: >.

680 L'argomento è: chi non si domina non è temperante, perché i due tipi di individui hanno desideri diversi. Infatti chi si domina ha desideri forti e perversi (ciò è dimostrato, per esclusione, alle linee 1 3 - 1 6: non è possibile che abbia desideri forti e sani , o deboli e sani, o deboli e perversi). Invece chi è temperan­ te ha desideri non forti , e sani (linee 1 1 - 12).

68 1 A proposito della tesi sostenuta a 1 145b l O- I l : .

683 L'argomento è: nel caso dello stolt� la mancanza di autocontrollo risulta essere un bene, perché costui, essendo stolto, giudica che il male è bene, e poi non riesce a tenere salde le sue decisioni - e quindi fa il bene e non il male.

68 4 Il secondo è chi non si domina, e il convincimento è nozione di dover fare il bene (Dirlmeier, 479). Gli altri editori e traduttori moderni hanno corretto il testo in vari modi, non necessari. È vero, peraltro, che l 'idea che il vizio sia migliore della mancanza di autocontrollo è paradossale; ma è avanzata solo dialetticamente, come un'aporia da risolvere.

68 5 Vi è il problema a cosa si riferisca touton: se è riferito ad aporiai, come apparirebbe naturale e come intende Mazzarell i , 300, ne risulterebbe che alcune aporie sono da conservare. Può riferirsi invece agli endoxa citati nel cap. 2, come ritengono Rackham, 385 , e lrwin, 177, alcune opinioni notevoli sarebbero quindi da salvare, altre no; oppure può riferirsi ad aporiai ed endoxa insieme, come suggeriscono Bumet, 297, Ross e Gauthier, 599-600 , e allora significa: le aporiai sono da eliminare, e gli endoxa da conservare.

686 Cfr. 1 1 45b 2 1 -22: «Qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile che uno, pur giudicando correttamente, non si domini».

687 Cfr. 1 145b 19-20 «si dice che alcuni non si dominano riguardo all'im­

petuosità, riguardo all'onore, riguardo al guadagno>> .

688 Cfr. 1 145b 8: «Pare [ ... ] che l'autocontrollo e la sopportazione paziente siano cose eccellenti e lodevoli>>.

689 La frase interrompe lo sviluppo della discussione senza aggiungere nulla, e a molti pare interpolata.

690 Cfr. 1 146b 4-5: «nessuno è affetto da mancanza di autocontrollo in tutti i

campi, eppure noi diciamo che alcuni non si controllano in assoluto>>.

69 1 Quindi chi non si domina è tale per il fatto di atteggiarsi in un particolare

modo rispetto a un tipo particolare di oggetti del desiderio.

692 Contro la tesi enunciata a 1 145b 34-35: «affermano che chi non si domina cade sotto l 'impero del piacere non quando ha scienza, ma quando ha solo

Aristotele I testi - Etica Nicomachea

un'opinione».

693 Infatti, nel caso di un'opinione salda, essa non viene vinta per la sua debolezul:

dal punto di vista della forza del convincimento scienza e opinione salda stanno sullo stesso piano. Cfr. Bumet, 299.

694 Aristotele pare far riferimento alla sicurezza con cui Eraclito affennava le sue teorie, cfr. Grande Etica, l 20 l b 8-9: «Eraclito di Efeso era in possesso di un'opinione di questa specie» , cioè le sue opinioni erano molto salde.

695 Cfr. l098b 33- 1099a l : «è possibile che lo stato abituale sia presente senza che si realizzi nulla>>, e Fisica, 255b 2-4: «chi possiede la scienza ma non contempla è in qualche modo in potenza, ma non come lo era prima di imparare».

696 n modo di esprimersi è molto sintetico. Aristotele vuoi dire che è strano che

uno agisca contro il sapere che possiede ed è in ano, mentre non è strano che uno agisca contro il sapere che possiede ma non è in ano.

697 Cfr. l l43a 32-33: «Fa parte dei casi particolari e degli estremi tutto il

campo delle azioni».

698 Qui Aristotele dapprima accenna a un sillogismo del tipo: A ogni a gio­ va b l lo sono un a l A me giova b. Qui la seconda premessa non può essere ignorata, cfr. De motu animalium, 70 l a 25, in cui si dice che «io sono un uomo» è premessa evidente. Poi accenna a un sillogismo del tipo: I cibi della specie

x sono secchi l n cibo presente è della specie x l n cibo presente è secco. Qui , invece, la premessa minore può essere ignorata, o non essere in atto. La frase «O non è posseduta, o non è in atto» deve essere intesa nel senso che l a premessa minore è conosciuta, m a non i n modo praticamente rilevante, come mostra il confronto con l l47b IO, ove appare un 'espressione simile. Abbiamo qui un caso molto particolare del principio generale stabilito in Analitici primi, 67a 33-b 3, in cui si dice che non si conosce la conclusione «se non si hanno presenti in atto insieme entrambe le premesse», e che questo 'non avere presente in ano' equivale a non sapere. n testo della seconda premessa, lwti autos anthropos, «che 'è un uomo'>> deriva da una congettura di Rassow seguita dagli editori più recenti, quindi non è sicuro.

699 È strano essere incapaci di controllarsi quando si possiede la premessa particolare, non è strano essere incapaci di controllarsi quando si possiede solo la premessa generale.

700 L'espressione: «è possibile, in un certo modo, possedere e non possedere la scienza>> specifica l'espressione: «O non è posseduta, o non è in atto» ( l l47a 7), cfr. l l47b IO- I l «O non la possiede, o la possiede in un modo tale che il possedere non è, come abbiamo detto prima, un sapere, ma è un esprimere a parole». Aristotele accenna sempre a una conoscenza non attiva praticamente. Cfr. anche l l42a 1 9-20: «alcune cose i giovani le dicono a parole, senza esserne convinti». Qui però abbiamo un tipo particolare di 'possedere senza usare' (cfr. l l 46b 32), che non è un pieno 'possedere senza usare ' , ma è solo un possedere a metà, sempre

56 7

5 6 8 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

senza usare. Ad es.: sapere che fumare fa male e fumare, rispetto a sapere l 'inglese e non parlarlo in questo momento.

70 1 phusikos, lett.: 'dal punto di vista fisico ' , dato che la psicologia è una parte della fisica, cfr. Metafisica, 1026a 5: «alla fisica spetta indagare una parte dell'anima>>. L'analisi abbandona il piano degli endoxa per affrontare il livello dei

pragmata, le facoltà dell'animo considerate in sé. 702 Lett.: 'in questo caso qui ' . 703 protaseis è i l soggetto sottinteso della frase, cfr. De motu animalium, 70 l a 23 (Bumet, 302).

704 In opposizione alle conoscenze ricordate prima, a 1 146 b 33-34: «chi possiede la conoscenza di ciò che non deve fare, ma non la tiene presente in at­ to». Sottintendo qui doxa ('opinione'), con Eustrazio, 421 , 25 .

705 Anche qui, come in 1 1 47a 5-6 si considerano insieme più cose: l ) la pre­

messa universale 'non gustare nulla di dolce', 2) l'opinione non pratica 'ogni co­ sa dolce è piacevole' , 3) la seconda premessa 'questo qui è dolce'. Quest'ultima, essendo pratica e in atto, in qualche modo determina l'azione: solo che essa, a parole, porterebbe ali 'azione di evitare di gustare, perché dovrebbe essere sussunta sotto la premessa ( l ) ma nei fatti non lo fa, poiché il desiderio, percepito che 'questo qui è dolce ' , blocca il ragionamento e spinge a gustare.

706 Cfr. Del sonno e della veglia, 3: quando l 'organo sensoriale primario, cioè il cuore, è investito dalle esalazioni dovute al cibo, provenienti dallo stomaco e raffreddate nel cervello, si ha il sonno e l'incapacità di avere corrette percezioni; quando la digestione è terminata, l ' animale si sveglia e torna la percezione corretta. Un discorso analogo vale per la fisiologia dell'ubriachezza e della man­ canza di autocontrollo.

707 Equivale alla seconda premessa (Bonitz, 65 1 b 26). 708 Cioè nell'incapacità di dominarsi, cfr. 1 145b 30-3 1 : > pongo i tiasoti e gli eranisti, e considero la parte fra parentesi quadre come una parentesi, con Dirlmeier, 526. Ross e altri , invece, considerano una glossa aggiunta tutta la frase che parte da «Alcune comunità» e va fino a . Quanto al senso, Dirlmeier ritiene che qui si parli del piacevole, altri invece pensano che si tomi a parlare di ciò che è utile alla vita buona (Bumet, 383).

88 3 Da timema, censo, livello di ricchezza di un cittadino. 884 Il termine politeia è usato per indicare la forma costituzionale in generale, e una costituzione particolare, cfr. Politica, 1 279a 32: «quando la massa governa avendo in vista il bene comune si usa il termine comune, politeia . Alcuni usano >>

tradurre politeia in questo secondo senso con 'politia' , ma il termine non esiste nella nostra lingua.

88 5 L'allusione è a quei magistrati, come l'arconte re, che sono scelti a sorte nelle città per svolgere funzioni prevalentemente di culto, ma non hanno potere politico.

886 Sott.: 'rispetto alla monarchia' (Ross e altri); oppure: 'rispetto alla timocrazia' (Stewart, 307, e altri); oppure, in senso superlativo, si può intendere: 'è evidentissimo, riguardo alla tirannide, che è la costituzione peggiore' (Van Straaten, 2 16).

88 7 Nel senso antico di governo dei poveri sui ricchi nell ' interesse dei poveri . Una specie di dittatura del proletariato.

888 Sott.: 'rispetto alla timocrazia' . 88 9 Che vi sia un'analogia di forme di potere tra i vari rapporti familiari e i vari tipi di costituzione è idea tipica delle Etiche (cfr. Etica Eudemia, 1 24 1 b 27 sgg.); nella Politica questa idea è quasi del tutto assente (solo in Politica , I, 5, si paragona il re al padre), dato che in quell'opera Aristotele cerca di differenziare al massimo la comunità politica da quella familiare.

890 Questo è il principio generale che regge tutta la discussione dei rapporti interni alla comunità familiare.

89 1 Aristotele e Senofonte, Economico, VII , lasciano alla moglie una limitata

indipendenza nella gestione degli affari interni della casa, contro tendenze diffuse

Aristotele l testi - Etica Nicomachea

nel sec. IV a.C. ad affidare al marito il controllo di tutti i beni, interni ed esterni alla casa. 8 92 epikleros, è detto di una figlia che eredita in mancanza di discendenti maschi. 893 euergesia, viene tradotto anche con un termine tecnico, 'evergetismo' e indica il fatto che nelle città antiche, non esistendo un sistema di tassazione stabile, toccava ai cittadini ricchi contribuire con il proprio denaro alle spese pubbliche (dal restauro delle mura al pagare la partecipazione ai giochi panellenici, al costruire ginnasi e teatri, e cosl via); corrisponde in parte all'idea di 'mecenatismo' , ma non

è limitato alla sfera artistica. 8 94 Qui il 'governo' deve essere inteso in senso figurato: un antenato, defunto, non può governare i discendenti. Stewart, 3 1 4, crede che si parli di una monarchia ereditaria, in cui il re, che rappresenta i suoi antenati, governa i sudditi secondo la tradizione. Laurenti(b), 143, pensa alle famiglie aristocratiche, in cui si ritiene che la virtù dei discendenti derivi da quella degli antenati. 895 Secondo Aspasio, 1 82, 32- 1 83 , l , in questo caso i cittadini, anche se non propriamente virtuosi, sono stati educati in modo adatto e tendono alla moderazione. mentre questa caratteristica manca nelle democrazie. 8 96 II tiranno non è amico dei sudditi, e cerca di impedire i rapporti sociali amichevoli tra loro, cfr. Politica, 1 3 1 3b 1 -6 . 897 Questa affermazione modera in parte la posizione di Aristotele in Politica, I, 5-7, sulla naturalità della schiavitù. 898 In 1 1 59b 3 1 -32. 8 99 Qui si escludono queste forme di amicizia perché si intende con koinonia, in senso ristretto, un'associazione basata sull'accordo e la convenzione (Aspasio, 1 84, 1 -2).

900 Sott.: 'di quanto i figli non amino le madri', o 'più del padre' (Laurenti[b]. 47), o

'più di ogni altro' (Williams, 247). 90 1 Cfr., ad es., Eschilo, Eumenidi, 89; Euripide, /one, 1 576, etc. 902 Il primo è un proverbio tradizionale, del secondo non sappiamo nulla. 903 La precedenza è nel senso della condizione necessaria, e non nel senso del

fine e della perfezione: se non vi è la famiglia non può nascere la città (Aspasio, 1 84, 30-32). Nel senso della perfezione la città precede la famiglia in

quanto è più

perfetta. Non vi è contrasto tra questa posizione e quella della Politica ; cfr. I, 2, in particolare 1 252a 1 9 sgg ., 26 sgg. 904 Vedi nota a 1 1 6 1 a l . 905 Cfr. cap. 3 . Questa sezione è dedicata a una serie di regole pratiche derivate

dall'analisi teorica (Bumet, 393). Un parallelo si trova nel libro D , 8-9. 906 Quindi, tra chi è uguale, la quantità di affetto deve essere uguale, ma chi è

superiore deve essere amato di più, proporzionalmente al tipo della sua superiorità (Aspasio, 1 85 , 1 1 - 1 2) .

58 5

5 8 6 Aristotele l testi - Etica Nicomachea 907 In sostanza: in una gara in cui ciascuno dei due cerca di fare all'altro più benefici di quanto non ne riceva, non possono sorgere liti, perché chi vince non può lagnarsi di dare più di quanto non riceva - questo infatti era stato l'oggetto dei suoi sforzi - e chi perde non può certo lagnarsi di aver ricevuto troppi benefici (Stewart, 326). 908 Aristotele estende qui il termine philia anche a rapporti di tipo commerciale, che noi non consideriamo facenti parte dell'amicizia, ma solo, in generale, delle relazioni umane pacifiche. 909 Sott.: 'l'esecuzione dell'accordo' . 9 10 Una legge di questo genere è attribuita da Teofrasto a Caronda (Sui contratti,

fr. 650 FSG&H): «il pagamento deve essere fatto subito, e se uno dà fiducia, non vi sarà possibilità di adire in giudizio, dato che è lui la causa dell'ingiustizia>>. Stessa norma in Platone, Leggi, 849 e; 9 1 5 d-e. 9 1 1 Aspasio, 1 85, 26-27, intende: uno che abbia prestato come un amico, ma desideri avere un guadagno dal suo prestito, protesterà se ottiene indietro solo quello che ha dato, e non di più. Bumet, 395, e altri invece pensano al caso di chi, trovandosi alla fine del rapporto ad avere meno di quanto ha dato, protesti . 9 1 2 Da questo punto in poi Aristotele si pone dal punto di vista di chi deve ricambiare un beneficio e così assolvere l'obbligo, e indica le maniere corrette di farlo. 9 1 3 Questo passo è ambiguo e molto discusso. La soluzione più probabile è che si trani di una prescrizione valida solo nel caso dell'amicizia utilitaristica 'morale' , in cui, se l'amico non può restituire, si rimette il debito. Altre ipotesi: il Parafraste, 1 84, 1 6- 1 8 , connette strettamente questa sezione alla frase che segue, e pensa al caso in cui uno non possa immediatamente ricambiare l'obbligazione, come si fa nei contratti, e quindi si accorda a restituire quando e se potrà; Stewart, 329-330, ritiene che, se il donatore fosse stato sicuro di non poter avere il contraccambio, non avrebbe dato nulla; Gauthier, 714, trova dell'ironia in tutto il passo - ironia che noi non percepiamo. 9 14 La soluzione è analoga a quella proposta nel libro V al problema di come misurare il valore delle merci scambiate sul mercato ( 1 1 33a 27 e b 1-2): lì misura del valore della merce era il bisogno dell'acquirente prima che avvenga lo scambio, qui è l' utile di chi ottiene il beneficio. Cfr. anche IX, l . 9 1 5 Cfr. Esiodo, Opere e giorni, 349-350: «misura bene quanto prendi dal vi­ cino [ ... ] e restituisci con la stessa misura, e anche più, se ti è possibile>>, per avere altri prestiti in caso di bisogno. 9 16 proairesis, di solito tradotto con 'scelta' . 9 1 7 leitourgia, termine con cui erano indicati nell 'antica Grecia i contributi e i servizi obbligatori che i cittadini ricchi dovevano sostenere nell'interesse della città.

Senofonte, Economico, D, 6, ne fa una lista: mantenere cavalli , organizzare e pagare le rappresentazioni nel teatro, le gare ginniche, pagare le spese delle alte cariche,

Aristotele I testi - Etica Nicomachea annare navi da guerra, contribuire alle spese di guerra straordinarie etc. 9 1 8 krematon koinonil.li, tradotto da Stewart, 337, con 'joint-st.ock business ' . Er.mo

società di capitali in cui gruppi di concittadini investivano tutti insieme in un qualcbe affare. 9 1 9 Cfr. 1 1 3 l b 29-3 1 : «se si devono distribuire dei beni comuni, Io si farà se­ condo lo stesso rapporto che hanno tra loro i contributi dati», Politica, m, 9, l 280a 25-3 1 : in una società che vale cento mine, non è giusto che chi ha contribuito con

una sola mina abbia lo stesso peso e gli stessi interessi di chi ha dato tutto il resto. 920 Ad esempio cariche pubbliche e simili (Tricot, 428). 92 1 In 1 1 32a 34 sgg.

922 L'espressione è un po' oscura: si può intendere •chi è messo sulla via

della virtù da altri» (Aspasio, 1 86, 22), oppure «chi riceve un aiuto morale» (Laurenti[b] , 6 1 ) . 923 Qui: del beneficio ricevuto. 924 Il libro non ha una sua autonomia, ma prosegue la discussione del libro precedente. Nel cap. l si conclude l 'esame delle cause delle liti; segue una serie di questioni pratiche (capp. 2-3). Poi si pone il problema del rapporto tra l'affetto verso gli altri e quello verso se stessi (cap. 4), si studiano la benevolenza (cap. 5), la concordia (cap. 6), il perché i benefattori amino più i beneficati di quanto questi non amino quelli (cap. 7), se si deve amare di più se stessi o gli altri (cap. 8), se l'uomo felice ha bisogno di amici (cap. 9), quanti amici è opportuno avere (cap. 10), se l'amicizia è più utile nella buona o nella cattiva sorte, con una serie di consigli pratici (cap. I l); il libro si conclude con un breve studio del vivere insieme (cap. 12). Molte delle tesi qui sviluppate riprendono affermazioni già fatte nel libro Vlll . 925 Cfr. l l58b 23-24: «In tutte le amicizie che si basano sulla superiorità deve essere proporzionale anche l 'affetto». 926 philia che qui non è possibile intendere con 'amicizia' . 927 1 156b 1 1 - 1 2, in cui però la caratteristica è limitata a quelli che hanno un carattere virtuoso: «tale amicizia [= quella tra i buoni] permane salda fmché essi rimangono buoni, e la virtù è cosa stabile». 928 Alcuni credono che si trani di un episodio realmente avvenuto alla corte di Alessandro Magno, per altri è un aneddoto romanzesco. Aristotele lo ripete aocbe in Etica Eudemia, l 243b 24 sgg. 929 Lett.: 'ciò che caratterizzava il loro rapporto' , cioè lo scambio. 930 Son.: 'che possiede' (Michele di Efeso[a], 465 , IO; Parafnlste , 1 88, 7, e molti altri), oppure: 'che dà' (Williarns , 258, e altri). 93 1 Lett.: 'a chi dà per primo o a chi per primo riceve?' . In un rapporto di scambio

reciproco di servigi, come quello che descrive Aristotele, vi è un tizio A cbe inizia

con il fare un servigio e un tizio 8 che inizia con il riceverlo; poi, nel OOIIInlccambio , le parti si invertono. 93 2 Platone, Protagora, 328tK:: al termine dell'insegnamento, dice Protagon,

587

5 8 8 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

il discepolo, se vuole, mi paga quanto chiedo, sennò, dopo essere entrato in un tempio, giura quanto ritiene valgano i miei insegnamenti (axia einai ta rnathernata) e paga quell'importo.

933 « ... sia sufficiente per lui>>, verso forse spurio. 934 Aristotele ripete due volte lo stesso concetto con termini quasi identici . 935 1 1 62b 6-9: «coloro che sono amici per virtù si propongono di agire bene reciprocamente, il che è tipico della virtù e dell' amicizia. Non sorgono biasimi o liti tra coloro che gareggiano nella virtù>> .

936 Si ripete quanto detto a 1 1 63a 16-1 7: «il criterio di misura [ ...] sarà [ ... ] il vantaggio di chi riceve>> .

93 7 Si intenda: chi per primo fa un beneficio o dà qualcosa a qualcuno, gli fa, in un certo senso, credito; nello stesso spirito - dicono tali leggi - si deve trovare un accordo in caso di dissidi, senza ricorrere al giudice. Aristotele ripete quanto detto a 1 162b 30-3 1 : «si ritiene che coloro che hanno fatto un accordo sulla fiducia debbano far buon viso a cattivo gioco>> , cfr. nota relativa.

93 8 Qui toi kaloi è opposto a anankaioi e la piccolezza alla grandezza. 93 9 Sott.: 'a un altro ' , e non in contraccambio, ma come dono. 940 Il caso è identico al precedente: se A che è malvagio fa un favore a B che è buono, B deve poi contraccambiare, pur sapendo che la catena di favori reciproci si interromperà a suo danno?

94 1 Il plurale, oiontai, che si trova nel testo greco, si riferisce a coloro che sono

nella condizione della persona dabbene , non alla persona dabbene e al malvagio insieme. Il Parafraste, 1 90, 20-28, nota che vi è una gradazione di correttezza nel comportamento della persona dabbene: nel primo caso egli si comporta ragionevolmente, nel secondo si allontana poco dal giusto.

942 Cfr. 1094b 19 sgg.; 1098a 26 sgg.; 1 103b 34 sgg., etc. 943 L'idea che esistano oggetti vaghi è tipica di Platone e Aristotele, e oggi molti

solleverebbero obiezioni: il senso più semplice che si può dare a questa idea è che l'imprecisione consiste nel non potere essere oggetto di regole universali fisse che valgano per tutto l'insieme di realtà dello stesso tipo.

944 Lett.: 'azioni' (praxeis). 945 Williams, 263: ' secondo l ' intimità' (chresis). 946 Il Parafraste spiega: quando uno che fa finta di amare l ' amico per il suo carattere, ma lo ama per l'utile o il piacere, lo abbandona perché non ottiene più da lui quello che cerca, può essere a giusta ragione biasimato dall'amico abban­ donato, perché lo aveva ingannato sulla forma dell'amicizia che li legava.

947 Il riferimento deve essere in generale al cap. l , specie 1 164a 3 sgg., 1 3 sgg. 948 Cioè non agisce affatto come chi ama qualcuno per la sua personalità. 949 Michele di Efeso( a), il Parafraste e altri intendono 'o ne abbia fama': nel caso che si abbia un amico che era malvagio in modo celato, e ora il suo essere malvagio diviene noto a tutti.

Aristotele l testi - Etica Nicomachea 950 1 1 55a 34: «Da ciò nascono i detti: 'Il simile va al simile' (Odisseo, XVU, 28), etc.». 95 1 Cfr. 1 1 57b 17-19: «Quelli che accettano l'amicizia reciproca ma non vivono insieme sembrano essere 'benevoli' piuttosto che amici, dato che nulla è tipico dell'amicizia come il vivere assieme», e 22-23: «Non è possibile che stiano assieme tra loro quelli che non sono piacevoli reciprocamente e non godono delle stesse cose». 95 2 Cfr. 1 1 1 1b 1 5- 16: «il desiderio si oppone alla scelta, ma non si oppongono desiderio e desiderio>> - tranne, forse, nel caso della mancanza di autocontrollo. 953 Cfr. l l 55b 34-35: «molti sono benevoli verso persone che non hanno mai visto>> . 954 Si tratta di una specie di tirannide elettiva, cfr. Politica, 1285a 25-26: «terzo tipo (di regno) è l"esimnetia' , che è una specie di tirannia elettiva». 955 Si tratta della lotta di Eteocle e Polinice per il trono di Tebe, narrata da Euripide nelle Fenicie. 95 6 Michele di Efeso( a), 490, 32, interpreta così en toi autoi; il Parafraste, 1 97, 4, e molti altri intendono: 'che ciascuno ottenga ciò che vuole' . 95 7 L'espressione epi ton auton è poco chiara: chi sottintende gnomon (= 'essere delle stesse opinioni' , Bumet, 4 1 8), chi ankuron (= 'essere ancorati agli stessi ormeggi', Grant, 294), chi pensa che il riferimento sia a un modo di dire che non ci è noto (Dirlmeier, 549). Tutto questo brano fa riferimento a modi di dire correnti . 958 Intendono così Gauthier, l, 260, e altri; oppure: 'in grado minimo' (Ross).

959 leitourgia, cfr. nota a 11 63a 29. 960 In questo capitolo la concordia, homonoia, è vista soprattutto come una

'amicizia politica' , e si fa solo cenno a una coerenza interiore nel caso delle per­ sone dabbene (b 5); successivamente gli Stoici porranno al centro della discus­ sione etica il vivere coerentemente con se stessi, con la propria natura, e con la natura del tutto, e ne faranno il fine della vita umana (cfr. Stobeo, D, 7, 6 a; Diogene Laerzio, VII, 87-89). 961 phusikoteron ... aition, cfr. 1 147a 24 e nota relativa. Questo tipo di spiegazione è

quella che Aristotele preferisce. 962 Il brano è particolarmente difficile da intendere, noi lo traduciamo alla

lettera; altre possibili traduzioni sono: «l'opera è in qualche modo il produttore in atto>> (Bumet, 420) , oppure: «in virtù dell'attività il produttore dell'opera esiste in un certo modo>> (Gauthier, 742, e altri); il senso generale è comunque

chiaro, il produttore ama la sua opera perché è un aspetto della sua vita, e chiunque ama vivere. 963 Qui si applica il topos secondo cui «ciò che è più durevole o più stabile è preferibile rispetto a ciò che lo è meno>> Topici, l l6a 1 3 (Bumet, 420). 964 Sott.: 'di quanto i figli amino le madri' , cfr. l l 59a 28; l l61a 26. 965 philautous, lett.: 'amanti di se stessi' , usualmente in senso negativo.

5 89

5 9 0 Aristotele l testi - Etica Nicomachea 966 Qui Aristotele oppone alle doxai esplicite, le opinioni professate dalla gente,

le doxai implicite, i valori che risultano nella prassi umana, e che rispecchiano le loro vere opinioni.

967 Cfr. 1 1 55b 3 1 : «si dice che si deve volere il bene dell'amico per lui stesso>>. 968 Cfr. I I66a 1-2: «[ rapporti di amicizia che si hanno con gli amici, e cioè quelli attraverso i quali le amicizie vengono defmite, paiono derivare da quelli che si hanno verso se stessi>>. Questa concezione troverà grande sviluppo nell'etica stoica, in cui il sentimento di autoconservazione e affetto (oikeiosis) si ha prima verso se stessi, poi verso la prole e poi verso il resto dell'umanità (Diogene Laerzio, VII, 85-86 e Cicerone, Definibus, III, 62-68).

969 Sott.: 'amici sono coloro che hanno .. .' (Michele di Efeso[a] , 502, 3 1 ) , oppure 'gli amici più affezionati hanno . . . ' (Parafraste, 200, 1 1- 1 2).

970 Cfr. I l 59b 3 1 : «Il proverbio 'le cose degli amici sono comuni' è corretto:

l ' amicizia consiste nella comunità>> .

97 1 Cfr. 1 1 57b 36: «infatti si dice 'amicizia è uguaglianza'>>, e nota relativa. 972 Secondo Gauthier, 746, si intende 'più vicino a noi' , e perciò deve essere

preferito. La spiegazione ci appare alquanto strana. Non molto migliore è la spiegazione di Michele di Efeso(a), 502, 32-33, dato che il ginocchio ha una relazione più stretta di ogni altra cosa con lo stinco, è la cosa più amica di quello.

973 Aristotele formula la questione come un problema dialettico, cfr. Topici, 104b 1 2- 1 4: «sono problemi dialettici anche quelli su cui vi sono delle argomentazioni razionali (sullogismoi) opposte (infatti si è in dubbio se le cose stiano in un certo modo, o no, dato che entrambi i ragionamenti hanno una loro credibilità)>> .

974 Qui Aristotele si inventa un senso buono di 'egoista' che non pare attestato fuori di questo capitolo de li'Etica Nicomachea. Cfr. nota a 1 1 68a 30. Comunque l 'aporia è risolta con la tecnica dialettica della distinzione dei significati del termine 'egoista' (cfr. Topici, l IOa 23).

975 Quindi l'uomo beato, che non ha bisogno di nulla, non ha bisogno di amici che lo aiutino.

976 È la celebre definizione di Politica, 1 253a 7: >.

978 Cfr. l 098a 16: >.

980 L'essere azioni eccellenti e l'essere proprie del soggetto: infatti l ' amico è un altro se stesso (Tricot, 463). Questa interpretazione, tuttavia, rende l'argo­ mentazione un po' ridondante. 981 Questa è la conclusione deUa lunga serie di protasi che va da l l 69b 25 a l l70b 7.

Aristotele l testi - Etica Nicomachea 982 proaireitai, qui non in senso tecnico , ma in senso letterale, come ' scegliere alcune cose invece di altre ' , cfr. nota a 1 1 1 2a 1 7 .

98 3 Cfr. infra, alla fine del cap. 1 2 , 1 1 72a 1 4 . 984 phusikoteron, cfr. nota a 1 147a 24. Finora s i è fatta un' indagine basata endoxa, ora si va più nel profondo. 985 Cfr. VITI, 3-4. 986 La promessa non è esaudita nel testo a noi pervenuto. 987 Questa è la conclusione dell'enorme serie di protasi, che inizia con «Se il

sugli

vivere è in sé buono e piacevole . . . >> . L'argomento può essere riassunto, con qualche semplificazione, come segue:

I ) Ciò che è buono per natura è buono per il virtuoso. 2) Vivere è sentire e pensare . 3) Vivere è bene e piacevole per natura. 4) Vivere è bene e piacevole per il virtuoso (da 1 +3). 5) Tutti desiderano vivere, e soprattutto il virtuoso (da 4) . 6) Percepire di vivere e agire è piacevole in sé (da 2+3). 7) E quindi soprattutto per il virtuoso (da 4+2). 8) II virtuoso si comporta con l'amico come nei confronti di se stesso. 9) Per il virtuoso è desiderabile e piacevole sia il suo vivere , che quello dell' amico (da 4+8). 9') Perché percepisce il suo proprio essere buono , e quindi anche quello dell 'amico (da 7+8). 10) Ma l' uomo beato ha tutto ciò che è piacevole e desiderabile. Quindi: 1 1 ) L'uomo beato non sarà privo di amici. (Ricostruzioni diverse si trovano in Bumet, 428-430; Joachim, 259-260; Ross; e Tricot, 464-465).

988 Il che contraddice la definizione: «L'uomo beato non abbisogna di nulla». 989 Cfr. Politica, Vll, 4: la città non deve essere né troppo piccola né troppo grande, ma nella misura adatta a essere autosufficiente.

La nozione di giusto

mezzo è connessa alla nozione di finalità.

990 Il giusto mezzo è una misura variabile, cfr. 1 1 09b 1 8-23. 99 1 Cfr. 1 1 56b 4-6: «[i giovani] vogliono stare insieme e insieme vivere: è co­ sì che raggiungono lo scopo tipico della loro amicizia>> .

992 Per Aristotele il comportamento pratico ha un valore di endoxon più forte delle opinioni professate a voce. Quanto all ' hetairike philia qui ricordata, cfr. 1 1 57b 23 e nota relativa.

993 Cfr. 1 1 26b 1 2- 14: sono detti 'compiacenti' quelli che assentono a tutto e non fanno mai resistenza, stimando che non devono mai rendersi sgradevoli ai loro amici; vedi anche la nota relativa.

994 Qui Aristotele afferma che l' hoti (ciò che avviene) è più importante del dioti

5 91

5 9 2 Aristotele l testi - Etica Nicomachea (la ragione di ciò che avviene), cfr. l095b 6-7: «principio, difatti, è il che: e se in questi oggetti apparirà sufficientemente chiaro, non vi sarà bisogno del perché».

995 Sottintendo hedone, con il Parafraste, 206, 3 1 ; Stewart, 398, e altri; Michele di Efeso (a), 524, 24, e altri intendono: «La presenza degli amici è qualcosa di complesso>>. 996 Da questo punto in poi Aristotele fa seguire alla discussione teorica dei consigli

di buon comportamento pratico. 991 cfr. supra, 1 1 7 l a 23-24.

998 Cfr. 1 159b 3 1 -32: «l 'amicizia consiste nella comunità>> . 999 n libro si compone di tre sezioni ben distinte. Nella prima si studia di

nuovo la questione del piacere: viene posto il problema (cap. 1 ) , sono esaminate e sottoposte a critica le opinioni dei predecessori (cap. 2), poi il piacere è studiato dal punto di vista ontologico (cap. 3) e psicologico (cap. 4); la trattazione si chiude con l'esame dei vari tipi di piaceri (cap. 5). La seconda sezione si occupa della felicità perfetta: si stabilisce che essa è attività secondo virtù (cap. 6), che l'attività migliore è la contemplazione (cap. 7), che le attività politiche ed etiche sono buone, ma inferiori alla contemplazione (cap. 8), e si studia il rapporto tra contemplazione e beni materiali (cap. 9). La terza sezione (cap. lO) conclude l'intera

Etica Nicomachea: Aristotele discute come realizzare in pratica le sue dottrine e come educare i giovani; da ciò si passa alla questione delle buone leggi e di chi sia il vero legislatore. n libro si chiude con un brano che connette l'Etica

Nicomachea alla Politica. 1 000 La maggior parte dei critici è propensa a considerare le formule che chiu­

dono e aprono i singoli logoi dell'Etica Nicomachea, opera dei redattori (Bumet, 440; Gauthier, 816, e altri), alcuni giudicano la doppia redazione di questa formula

di passaggio una svista redazionale (Susemihl) e sopprimono la seconda frase (Rodier, 69); altri attribuiscono al libro IX la frase «Bene ... piacere>>, come con­ clusione, e al X la frase «Probabilmente ... piacere>> come introduzione; in tal ca­ so la ripetizione della formula di passaggio può essere considerata tipica dello stile orale, e i due brani essere giudicati entrambi autentici (Dirlmeier, 565).

1 00 1 Abbiamo già trovato lo stesso argomento in I l 04b 8- 1 3 : la virtù morale è

legata al campo del piacere e del dolore, e per questo fin da piccoli i bambini devono essere abituati a provare piacere e dolore nei casi appropriati . Cfr. anche l l05a 1-3: «fin dall' infanzia il piacere si genera e sviluppa insieme a noi tutti: per questo è difficile disfarci di questa passione, che è strettamente mescolata con la vita>> . Se il provare piacere non fosse un bene, tutta la prassi educativa del libro II risulterebbe sbagliata.

1 002 Qui, come nel libro VII , Aristotele riassume le posizioni tenute dagli

interlocutori in un dibattito accademico cui parteciparono Platone stesso (Filebo), Eudosso, Speusippo e altri. Ma la distinzione delle opinioni in questo libro è diversa da quella che abbiamo trovato nel libro VII, l l 52b 8- 1 2 , che era: l ) nessun

Aristotele l testi - Etica Nicomachea piacere

è un bene; 2) solo alcuni piaceri lo sono; 3) anche se tutti i piaceri sono

un bene, non sono il bene sommo.

1003 La prima è la posizione di Eudosso (per cui vedi cap. 2); la seconda è

attribuita a Speusippo (cfr. 1 1 52b 8- IO), ma una tesi simile

fu sostenuta anche da

Antistene. Secondo alcuni la divisione seguente ricalca la precedente (Michele di Efeso[a] , 53 1 , 19), secondo altri si riferisce solo a quelli che pensano che il piacere sia un male, e li divide in due gruppi: chi lo pensa sinceramente, e chi lo afferma a scopo pedagogico (Parafraste, 209 , 14). In questo secondo caso f� Aristotele non fa riferimento a tesi che furono esplicitamente professate, ma solo a posizioni teoricamente sostenibili (Zanatta, I078).

1 004 Questa idea è già presente in l I09b 1-7: «Si deve indagare quali sono le

cose verso cui noi siamo inclini [ ... ] infatti allontanandoci molto dall'errore perverremo al giusto mezzo, come fanno coloro che raddrizzano i legni storti».

100 5 Dottrina già incontrata in I098b I 0- 1 2 : «Tutti i fatti concordano con ciò

che è vero , ma vengono ben presto in conflitto con il fal so>> . Cfr.

infra, 1 1 73 a 1-

2: «Affermiamo che ciò che pare vero a tutti , Jo è, e chi distrugge questa fiducia non dirà affatto cose più degne di fede>> .

È la condotta morale della gente ciò da

cui si deve partire per cogliere i primi principi etici (Rodier, 72).

1006 Aristotele spesso richiede che la vita di un filosofo sia coerente con la sua

dottrina, cfr.

Metafisica, IO IOb 3- l l : gli Scettici sostengono che non si può

distinguere tra veglia e sogno, ma il loro comportamento pratico ne smentisce le affermazioni. Vedi anche 1 1 79a 20-22: «la verità nelle questioni pratiche si giu­ dica dai fatti [ ... ] e quindi si devono esaminare le cose che abbiamo detto mettendole a confronto con i fatti e con le scelte di vita» .

1 007 Il termine elloga (razionale) appare solo in questo passo nelle opere di

Aristotele; deve essere tipico del linguaggio di Eudosso. Ma il concetto fondamentale è ripreso da Aristotele nelle parole che aprono l' Etica Nicomachea: «e per questo il bene è stato definito, in modo appropriato, come ciò cui tutto ten­ 'de>> ( I 094a 2-3). Aristotele in genere si mostra molto benevolo nei confronti di Eudosso.

1008 to epieikes, lett.: 'ciò che è appropriato, corretto' (in questo senso è usata, ad es., a I I 20b 32); il termine ha un'ampia serie di accezioni: ho

epieikes è

l' uomo dabbene opposto al plebeo ( 1 1 32a 2) o alla gente comune ( l I02b IO, 1 167b 1 ) , mentre

l'epieikeia è !"equità' (V, 14: in questo ambito to epieikes era stato

tradotto con ' l'equo'). I 009

menuein è un termine frequente nelle argomentazioni di Eudosso, cfr.

l iO l b 28-30.

I O I O L'argomento delle linee 9- 1 5 può essere ricostruito in vari modi, a secon­ da del testo scelto;

è molto simile, anche nella terminologia, a quello che Aristore­

le usa alle righe I094a 1 8-22, e, come quello, ci pare essere un'argomentazione continua: 'ogni essere tende al piacere (infatti si tende a ciò che giova, e si tende

593

5 9 4 Aristotele l testi - Etica Nicomachea

al massimo a ciò che giova al massimo); l tutti tendono a ciò che per loro è la cosa

migliore (infatti ognuno tende al proprio bene); l quindi il piacere è la cosa

migliore ' . L'argomento non è molto stringente, infatti è possibile che un essere abbia due scopi distinti: se ogni essere tende necessariamente x c

v sono

a x

e ogni essere tende a y. non

identici; analogo difetto ha l'argomento di l 094a 1 8-

22. già citato. 1 0 1 1 Si noti ancora quale peso Aristotele dia alle questioni sulla coerenza tra la vita personale del filosofo e la sua dottrina del piacere: è la seconda volta che l 'argomento riappare in poche righe. 1 0 12 Cfr. nota a 1 097b 1 5 . 11 termine phronesis qui viene usato in senso platonico (riflessione), cfr. VII . 1 1 52b 16: «i piaceri sono di impedimento alla riflessione>> . 1 0 1 3 Aristotele ha analizzato la struttura logica di questi argomenti nei Topici. 1 1 7b 5-7: 1 1 6a 29-3 1 : l i Sa 26-29: 1 1 7a 23-24. e se ne e servito in alcuni passi

dell ' Etica Nicomachea . vedi 1 097a 33-34: 1 097b 1 7-20: 1 1 53b 1 -4. L'ultimo argomento è confutato dallo stesso Aristotele con una critica analoga a quella plato­

nica. qui citata in l l 72b 28-32. Sia Eudosso. sia Aristotele. rendono ampiamen­

te giustizia al sentire comune nelle loro argomentazioni. 1 0 1 4 Il passo ad alcuni pare fuori luogo. perché interrompe la discussione sul piacerr ponendo il problema del sommo bene (Richards. 37): per altri è una

critica a Platone . appena citato (Rodier. 76). I O l :i Aristotele esamina ora le posizioni degli antiedonisti .

e :

loro cinque ar­

gomenti: di questi 1 primi due criticano la posizione di Eudosso. e seguono lo stesso ordine de1 suo1 argomenti. A ognuna di queste critiche Aristotele fa seguire una sua confutazione, che ha il significato di una difesa di Eudosso. Gli altri tre argomenti non hanno più riferimento a Eudosso. IO i b Il termine usato non è più thagaton. "il bene· . ma agathon , ·un bene ' . IO 1 7 La dottrina seeondo cui nelle opinioni diffuse e degne d i nota vi è sempre

un nocciolo di verità. qui viene ampliata. e diviene una teoria sul buon ordinamento

della natura in generale. L'espressione en tois phaulois ( «negli esseri inferiori>>) si riferisce molto probabilmente agli animali. come indica il Parafraste, 2 1 1 . 33 . seguito dalla maggior parte dei commentatori ( i l passo parallelo. 1 1 53b 3 1 -32. si riferisce invece agli uomini malvagi opposti ai buoni). L'istinto cui fa cenno qui Aristotele deve essere quello per la conservazione della specie; più tardi gli Stoici svilupperanno la dottrina dell'oikeiosis. per cui il primo impulso di ogm essere vivente c quello dell ' autoconservazione (Diogene Laerzio. VII. 85). I O I K In 1 1 53b 4-b tale argomento e attribuito a Speusippo. Ma come va in­

terpretato·• O si intende che >; però quanto segue conferma l ' inter­ pretazione di Susemihl e Bywater. 1024 Se i piaceri si possono distinguere in semplici e misti (Platone, Fil.ebo, 52 c), allora alcuni piaceri risultano essere indeterminati e, quindi , cattivi. Perché questo? La ragione di ciò può essere forse che i piaceri misti ammettono il più e il meno, e ciò che ammette il più e il meno è indeterminato. Comunque non tutti i piaceri sono indeterminati (Stewart, 4 1 3) e solo i piaceri misti sono cattivi (Tricot, 484; Laurenti[a], 1 57). L'argomento è talmente sintetico

da

risultare

5 95

5 9 6 Aristotele l testi - Etica Nicomachea molto difficile da comprendere.

102 5 Se la salute, pur essendo determinata, ha gradi, non è vero che tutto ciò che

ha gradi è indeterminato (Rodier, 80-81 ): cfr. 1 1 70b 32: «la giusta quantità non è, probabilmente, una sola, ma un numero qualunque tra estremi determinati». La stessa tesi era stata esposta precedentemente , in 1 109b 1 8-20: una minima deviazione dal giusto mezzo non è ancora vizio: «non è biasimato chi si allontana solo un poco dal bene, né se devia verso l 'eccesso, né se devia verso il difetto>> , e ciò vale anche per la salute del corpo. Riferisco solo alla salute le parole: (cfr. il Parafraste , 2 1 2, 25), che altri riferiscono al piacere (Stewart, 414) o a salute e piacere insieme (Michele di Efeso[a] , 540 , 32). In ogni caso il paragone è sottinteso. Che la salute sia proporzione di elementi è dottrina medica, derivante da Alcmeone da Crotone (fr. 4 0.-K.).

1026 E di conseguenza è imperfetto. 1027 Un movimento può diventare più rapido o più lento in sé quando accelera o rallenta. Il movimento del cielo delle stelle fisse non ha accelerazione o decelerazione, quindi in sé non è né rapido né lento; è detto veloce solo rispetto al movimento delle sfere dei pianeti (Michele di Efeso[a] , 54 1 , 30-3 1 : rinvia a De

cae/o, II, 6) . 1028 Aristotele ripete due volte la stessa formulazione, in modo un po' ri­ dondante: per alcuni egli passa da una formulazione più generica a una più pre­ cisa; per il Parafraste invece la seconda frase fa riferimento a quanto si dice nel linguaggio comune. L'argomento in generale è: ogni movimento è rapido o len­ to, il piacere non ammette di essere rapido o lento, il piacere non è un movimento.

1 029 La domanda è retorica e presuppone una risposta negativa. La tesi che il

piacere sia un processo di generazione e il dolore un processo di dissoluzione è ripresa da Filebo, 3 1 e-32a. L'obiezione di Aristotele si basa sulla sua dottrina per cui tutte le cose si risolvono in ciò da cui derivano (Fisica, 204b 33-34), da intendersi nel senso che è una e la stessa la materia che, nella generazione, acquista una forma, e poi, nella corruzione, la perde. Ma non esiste, per Aristotele, una materia la cui generazione sia il piacere e la cui corruzione sia il dolore (Michele di Efeso[a] , 546, 6).

1030 Cfr. Filebo, 42c-d. Questo argomento è solo una precisazione del precedente:

la ricostituzione è un tipo di generazione. Aristotele obietta che ciò vale solo per i piaceri del corpo.

10 3 1 Il piacere è connesso alla ricostituzione dello stato naturale, ma non si

identifica con essa: quando il corpo si risana, qualcos'altro, diverso dal corpo, prova piacere, cfr. 1 1 52b 35-36. Infatti per Aristotele il piacere è attività dell'anima, e non del corpo, cfr. 1099a 8: >.

1 077 Anche questo criterio è parzialmente difforme da quanto detto in 1 1 39b 3-

4: , a meno che non si intenda il termine eupraxia, 'agire bene, con successo' , come relativo al successo dell'azione (to kalon, il bello),

Aristotele l testi - Etica Nicomachea in quanto distinto dall'agire stesso. Ma Etica Nicomachea, VI non autorizza tale lettura, mentre Etica Nicomachea, X, e Politica, VII, 3, sembrano richiederla. 1078 schole, corrispondente al latino otium, che è qualcosa di più del banale 'tempo libero' dal lavoro, e corrisponde piuttosto alla nozione di un'attività libera e disinteressata, contrapposta alla nozione di un'attività condizionata e costretta (ascholia). l 079 miaiphonos, attributo costante di Ares neli' Iliade, cfr. V, 3 1 , etc. Le frasi e