Carlo Emilio Gadda e La cognizione del dolore

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Carlo Emilio Gadda e La cognizione del dolore

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letture e interpretazioni di testi narrativi collana diretta da Remo Ceserani e Lidia De Federicis

Franca Mariani

CARLO EMILIO GADDA E LA COGNIZIONE DEL DOLORE

0062 MARIANI DOLORE LOESCHER-TORIHO 8001426

il morire vivere, anchora.

LOESCHER

EDITORE

© Copyright Loescher - 1990

Ristampe

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1991

1992

Fotocomposizione: Nuova Tipostampa - Torino Stampa: Officina Grafica P. Scarrone - Torino

1993

Indice IL CONTESTO

1. La cognizione del dolore: una difficile collocazione bibliografica T1 Come descrivere la realtà (C. E. Gadda) Analisi del testo

T2 «La narrazione è certamente uno de’ miei obiettivi» (C. E. Gadda) Analisi del'testo

Proposte di lettura e ricerca. La biografia e la bibliografia di Gadda

2. Descrizione del libro

T3 «Il movente lirico» (C. E. Gadda) Analisi del testo

3. Il «groviglio » della realtà e il «groviglio» psichico T4 «Italiani, appartengo io alla vostra razza? » (C. E. Gadda) Proposte di lettura e ricerca. Gli intellettuali e la prima guerra mondiale

Cui non risere parentes T5 «Questa è per me la famiglia» (C. E. Gadda) T6 «Per la gloria delle campane ci sarà l’obolo e per i figli le lacrime» (C. E. Gadda) T7 «Io e gli altri» (C. E. Gadda) Proposte di lettura e ricerca. Motivi autobiografici

Due ritratti T8a «Era alto, un po’ curvo, maturo

d’epa, colorito nel viso come un Celta» (C. E. Gadda) T8b « Alto il mio interlocutore, poco meno nell’abbigliamento » (G. Contini)

che austero

4. La lingua «spastica»

Le parole non sono querce T9 «Il vocabolo è un prurito dei millenni » (C. E. Gadda) T10 La parola nella società (M. M. Bachtin) La lingua dell’inganno Tila «Naviga o corazzata» (C. E. Gadda) T11b «Parole, parole, parole» (C. E. Gadda) T12 La lingua della scrittura letteraria (C. E. Gadda) Proposte di lettura e ricerca. La lingua e lo stile

5. Nel laboratorio gaddiano Un cantiere narrativo

T13a L’ambientazione (C. E. Gadda) T13b Il disertore (C. E. Gadda) T13c I personaggi e il punto di vista (C. E. Gadda) Analisi del testo Proposte di lettura e ricerca. Le strutture narrative

L’INTERPRETAZIONE 1. Vicende della critica

2. La lingua gaddiana T14a Un’analisi stilistica... (G. Devoto) T14b ... e la replica gaddiana (C. E. Gadda) T15a «Riportare Gadda in Lombardia»

(G. Contini)

Analisi del testo

T15b Lingua letteraria e dialetto (G. Contini) Analisi del testo

T16 La manipolazione del significante (E. Manzotti) T17 Perché non possiamo non dirci gaddiani (M. Lunetta) 3. Lo sguardo psicoanalitico Il sogno di Gonzalo T18 Un rapporto edipico (R. S. Dombroski) T19 «La paura di se stesso» (E. Gioanola)

T20 La difesa della propria nevrosi (P. Citati) Proposte di lettura e ricerca. La psicoanalisi nel romanzo italiano del Novecento

4. Letteratura e filosofia Conoscere è deformare

T21 La ricerca filosofica (G. Roscioni) T22 Nelle pieghe del testo... (A. Mastropasqua) T23 Relazioni, grovigli, gnocchi (C. E. Gadda) Proposte di lettura e ricerca. Gadda e la narrativa europea del Novecento

Cronologia

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1. La cognizione del dolore: una difficile collocazione bibliografica

Se per altri autori è relativamente più facile «leggere» un’opera individuandone gli elementi che la distinguono all’interno di una parabola artistica, nel caso di Carlo Emilio Gadda non è operazione semplice collocare La cognizione del dolore — ma la situazione è analoga anche per molte altre opere — nell’impervio percorso della sua scrittura narrativa. I motivi di questa difficoltà riguardano non solo la struttura dell’opera che comprende parti redatte in tempi diversi, ma anche il contesto letterario nel quale l’opera stessa appare. Come altri testi di Gadda, infatti, La cognizione inizia il suo viaggio nel tempo due volte, una prima volta negli anni 1938-41, quando appare, a puntate, sulla rivista « Letteratura», e una seconda volta nel 1963, quando esce in volume.

Un intervallo, dunque, di un quarto di secolo particolarmente significativo per il nostro paese che ha vissuto momenti drammatici: dalle ultime farneticazioni imperialistiche del regime fascista alla guerra disastrosa, dalla Resistenza alle nuove istituzioni repubblicane e democratiche, dalla faticosa ricostruzione del dopoguerra al «miracolo» economico che impone nuovi modelli culturali. A questi eventi così radicalmente coinvolgenti, la letteratura ha « risposto » interrogandosi sul proprio ruolo, affrontando nuove tematiche, elaborando nuove forme. Nella narrativa, la forma espressiva che domina nel decennio compreso tra il 45 e il ’55 è il «neorealismo »; vi convergono esperienze di provenienza diversa che si coagulano intorno alle tematiche della Resistenza e della denuncia sociale in una concezione fortemente ideologizzata della letteratura. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, venuto meno l’impegno sul sociale, si accende il dibattito (alimentato da nuove riviste come « Officina», « Il menabò», «Il Verri») sulla funzione della letteratura, sui suoi rapporti con l’industria, sulle modalità di scrittura. Inizia la riflessione sul linguaggio, avvertito come automatizzato nelle comunicazioni massificate, con la conseguente esigenza di sperimentare nuovi moduli espressivi. È il momento delle neo-

4

IL CONTESTO

avanguardie! e delle sperimentazioni linguistiche. Specularmente alle « fughe » elitarie e alle più ardite innovazioni si manifesta il fenomeno del consumo « popolare»: sono infatti gli anni dei grandi successi commerciali di romanzi quali Il Gattopardo, Il dottor Zivago, Il giardino dei Finzi-Contini*. Autori come Calvino e Pasolini conoscono già un discreto successo, mentre tematiche come quelle dell’alienazione e dell’incomunicabilità appaiono nei romanzi di Moravia (La noia) e nei film di Michelangelo Antonioni (L'avventura, La notte,

L’eclisse).

{

In questo contesto appare dunque, per la prima volta in volume, La cognizione del dolore. L'edizione del 1963 comprende, oltre ai sette « tratti » già usciti in «Letteratura », la poesia Autunno, pubblicata in «Solaria» nel 1932, una prefazione dal titolo L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore?, una Nota introduttiva non firmata ma di Giancarlo Roscioni e, infine, l’Introduzione alla Cognizione del dolore di Gianfranco Contini. Nell’edizione del 1970 vengono aggiunti due nuovi «tratti». Nonostante il lungo tempo trascorso tra la pubblicazione sulla rivista e l’apparizione in volume e nonostante i continui rinvii che l’autore giustificava con la necessità di una revisione sostanziale, le modifiche apportate sono di scarsissimo rilievo: ortografia di alcuni nomi spagnoli, numerazione dei capitoli, normalizzazioni ortografiche. Le modificazioni profonde che hanno investito il fare letterario dall’epoca della prima stesura non hanno indotto l’autore a intervenire su una scrittura che avvertiva profondamente radicata nella sua esistenza. La sostanziale identità tra l’edizione einaudiana del °63 e la redazione originaria ci rimandano dunque indietro di venticinque anni, quando l’opera fu scritta e pubblicata a puntate sulla rivista « Letteratura».

1 Nella

seconda

metà

degli anni

Cinquanta

scrittori, pittori, musicisti, quasi tutti attivi nell’Italia del Nord, esprimono la loro opposizione

ai linguaggi artistici codificati attraverso forme diverse di sperimentazione. Riuniti in un convegno a Palermo nel 1963, assunsero il nome di «Gruppo 63» autodefinendosi neoavanguardia per sottolineare il legame di continuità con le avanguardie storiche (Futurismo, Surrealismo, ecc.) della prima metà del secolo. Le prime esperienze eversive nei confronti dei linguaggi dell’arte erano comunque già presenti nella rivista di Luciano Anceschi «Il Verri» (1956) sulla quale apparvero le prime raccolte poetiche di Alfredo Giuliani e di Edoardo Sanguineti. È sintomatico che la sperimentazione linguistica delle neoavanguardie abbia trovato proprio in Gadda un precursore e un maestro. ? Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampe-

dusa apparve postumo nel 1958; nel 1957 fu pubblicato in Italia I/ dottor Zivago di Boris Pasternak; nel 1964 apparve // giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani. Tutte e tre le opere conobbero poi il successo di fortunate versioni cinematografiche. 3 La Nota era stata redatta dallo stesso Gadda sin dal 1952, come è documentato in una let-

tera indirizzata a Giulio Einaudi in cui parlava dell’opportunità di premettere al testo un «breve saggio esplicativo » (C. E. Gadda, La cognizione del dolore, edizione critica commentata con un’appendice di frammenti inediti a cura di E. Manzotti, Torino, Einaudi, 1987, p. 478; d’ora in poi CD). 4 I due nuovi «tratti» erano stati redatti nel ’41 ed erano già apparsi nell’edizione inglese di New York del 1969.

pra

UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE

BIBLIOGRAFICA

5

I primi sette «tratti» (il termine è dell’autore) della Cognizione apparvero negli anni dal ’38 al ’41 sui numeri 7, 8, 9, 10, 13, 14, 17 della rivista diretta da Alessandro Bonsanti. La stesura dovette essere particolarmente impegnativa come testimoniano alcune lettere dell’ Autore: «Il dittatore Sandro [...] m°ha pungolato a una tale sgobbatura, da non darmi in questi giorni altro fiato»; « [...] questa benedetta puntata e le minacce di Bonsanti non mi lasciano pace»?. Le «minacce» di Bonsanti, i «rimbrotti» e le «recriminazioni » si rinnovano puntualmente ad ogni scadenza, documentate nelle lettere: «Subito preso dal lavoro della ‘‘ puntata ’’ per ‘‘ Letteratura”, passo giorni angosciosi. Ma risorgerò alla vita». L’angoscia si placa solo quando la consegna è avvenuta: « La tempesta dell’invio a Bonsanti, per ‘‘ Letteratura ”’, di quanto gli dovevo, si è placata soltanto sabato sera: e jeri, domenica, ho dovuto e voluto assentarmi da ogni inchiostro, penna e calamaio». I ritardi sono dunque una costante che accompagna fino all’ultimo la stesura dei sette «tratti» e lo stesso Gadda, in una lettera datata 26.2.1941 (relativa dunque alla consegna dell’ultima parte che apparve sul n. 17 della rivista, datato gennaio-marzo 1941), svela i motivi di questa sofferta scrittura: Collaboro a qualche giornale e rivista: e ho le reprimende e le « scene di gelosia » di Bonsanti per la mia morosità o anzi carenza nel consegnargli il seguito della «Cognizione del dolore» che esce in «Letteratura». La Musa, specie la triste, ha dei fading* insormontabili: zone di silenzio o di notte della volontà inchiostratrice in cui non soltanto la possibilità di composizione (come dicevano i romantici) ma anche la sistemazione, traslitterazione e ricopiatura delle pagine già scritte diventa una ... impossibilità. E le ragioni dell’impossibile lei le può immaginare, anche se talvolta ha deriso (un po’ montalianamente) le mie complicazioni «dé-

modées »?. Perché la Musa della Cognizione è triste? La risposta è perfino troppo facile: La cognizione si costituisce come un processo cognitivo lungo due linee di ricerca che s’intersecano: quella del «groviglio» della società e quella del «groviglio» psichico del personaggio costruito come proiezione autobiografica!°. La scrittura non può essere indolore perché costringe l’autore a un dominio razionale su una materia autobiografica per nulla placata e che, se deve risolversi nella finzione narrativa, è realmente, profondamente radicata nella sua vita psichica. È sintomatico che Gadda si accinga a scrivere La cognizione dopo la morte 5 Rispettivamente del 18 maggio 1938 (C. E. Gadda, Lettere a Gianfranco Contini a cura del

(14 aprile 1939). ? Ibid., p. 100 (24 aprile 1939).

destinatario, Milano, Garzanti,

8 Affievolimenti.

1988, p. 25) e

del 18 agosto 1938 (C. E. Gadda, Lettere a una Gentile Signora, Milano, Adelphi, 1983, p. 81). 6 Lettere

a una

Gentile

Signora

cit., p. 99

—? Lettere a una Gentile Signora cit., pp. 128-29. 1° Gli elementi autobiografici appaiono particolarmente sottolineati.

6

IL CONTESTO

della madre (1936) e la vendita della villa di Longone, due episodi che, a livelli diversi di gravità, sembrano riaprire ferite mal rimarginate: Non si liquida tutto un mondo di scarafaggi senza un certo disgusto. Non si rimane soli nel mondo, senza una irredimibile pena. L'immagine di Chi ci ha lasciato

ritorna, ritorna, per dirci l’infinità della distanza. La morte di Chi viveva in noi è morte di noi stessi. Molte complicazioni nascono anche dal dolore: che per alcuni è semplicità, per altri uno spaventoso groviglio !!. È

Nel 1938 Gadda ha 45 anni e gli inizi del suo rapporto con la scrittura letteraria sono ormai lontani: le prime poesie risalgono al 1915 e agli anni della prigionia risale il primo racconto, La passeggiata autunnale, che sarà pubblicato solo nel ’63. Nella valutazione dell’autore «le prime prove di scrittore» risalgono al 1924: A parte conati giovanili anche poetici (sonetti, ottave ariosteggianti, terzine: rima facile) diari di guerra e prigionia 1915-18 in diverse riprese e note con ritratti di persone e lettere dall’ Argentina e dalla Lorena, si possono collocare nel ’24 estate le

prime prove di scrittore !?. AI ’24 risale anche un Cahier d’études (due quaderni manoscritti che accolgono «idee, materiali, osservazioni, critiche, tentativi»), particolarmente interessante perché testimonia il primo tentativo di romanzo da parte di un autore

le cui prime manifestazioni letterarie erano sul versante lirico e sulla prosa diaristica. La vocazione al romanzo si può dunque far risalire a questo primo ten-

tativo scaturito quasi casualmente! e destinato al fallimento ma che testimonia un’esigenza emersa in Italia dopo gli anni delle esperienze vociane'‘

1l La lettera è del 16 novembre 1936, la madre era morta il 2 aprile dello stesso anno (Lettere a una Gentile Signora cit., p. 60). 12 La citazione è tratta da un breve profilo autobiografico dettato dallo stesso Gadda ad Angelo Guglielmi (A. Guglielmi, Carlo Emilio Gadda, in Letteratura italiana. I contemporanei, II, Milano, Marzorati,

1963, p. 1052).

13 Nel 1924 l’editore Mondadori bandisce un concorso per un romanzo inedito e a Gadda, appena rientrato in Italia dall’ Argentina, sembra un segno del destino: «Il premio Mondadori 1924 mi alletta a tentare; qualche economia fatta nell’ America del Sud mi consente di tentare, vivendo alcuni mesi senza guadagno; gli anni che si spengono inesorabilmente l’uno dopo l’altro

mi comandano di tentare, perché domani non sia troppo tardi [...].

Sebbene le mie presenti condizioni morali e fisiche non siano le più favorevoli alla composizione, devo pur risolvermi. È vero che non sto

bene. Ma quando ho avuto, quando avrò serenità nella vita? Dopo gli anni luminosi dell’infanzia, neri dolori, invincibili mali mi hanno selvaggiamente ferito. Prima che si spenga ogni luce dell’anima, voglio recare a salvamento questi disperati commentarii della tragica, terribile vita» (C. E. Gadda, Racconto italiano di ignoto del novecento (Cahier d’études), Torino, Einaudi, 1983, p. 9).

14 Nell’atmosfera culturale della « Voce», la rivista politico-letteraria fiorentina attiva negli anni 1908-16, la narrativa aveva trovato la dimensione del frammento lirico e della prosa autobiografica più adatti a esprimere la situazione di crisi nei primi decenni del secolo.

UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE

BIBLIOGRAFICA

7

e della prosa d’arte rondista'’ e che diverrà presto programma esplicito negli anni di « Solaria » con l’attenzione alla grande narrativa del Novecento europeo. Il romanzo non realizzato lascia però intravedere un atteggiamento scrittorio che sarà poi dominante nell’opera gaddiana: la consapevole difficoltà di costruire una trama credibile perché già la trama della realtà è un «ingarbugliato intreccio » e, per essere credibile, dovrebbe rispondere « all’istituto delle combinazioni, cioè al profondo e oscuro dissociarsi della realtà in elementi che talora [...] perdono di vista il nesso unitario». L'intreccio, in altre parole, gli appariva, già nel ’24, narrativamente impossibile perché era entrata in crisi la categoria sulla quale questo si basava: quella di causa-effetto. AI ’28 risale la prima stesura della Meccanica, un romanzo nel quale l’esperienza sofferta della guerra, fin allora affidata alla cronaca o al diario, trova una dimensione narrativa!°. Nei primi anni Trenta l’attività di scrittura è essenzialmente costituita da novelle, recensioni, collaborazioni a «L’Ambrosiano», appunti di varia natura; indubbiamente il lavoro professionale, che abbandonerà subito dopo aver iniziato La cognizione, gli impedisce di dedicarsi a tempo pieno all’attività letteraria. Comunque, in tutta la produzione che precede Ìa stesura della Cognizione è possibile trovare tracce di materiali narrativi e di frammenti espressivi che si ritroveranno poi nel romanzo. Sembra quasi di poter individuare il lento cammino che la «tragica autobiografia» ha dovuto intraprendere per risolversi pienamente nella scrittura della Cognizione.

1

Come descrivere la realtà Nel 1950 esce per le edizioni della Rai Inchiesta sul neorealismo, a cura di Carlo Bo. Sono gli anni in cui il cinema e la narrativa affrontano le tematiche legate alla guerra, alla Resistenza, al mondo popolare in un linguaggio che vuole essere « nuovo e democratico », che esprima, prima ancora di un’esigenza letteraria,

15 Nell’ambito

della

rivista

«La Ronda»

(1919-23), soprattutto nelle prose di Emilio Cecchi, Bruno Barilli, Antonio Baldini permane il gusto del frammento e della prosa d’arte che esprimevano le esigenze di stile e di eleganza formale proprie dei rondisti. 16 Il romanzo rimase incompiuto. L’intelligente editore Longanesi si mostrò interessato ma il libro restò inedito forse anche per le preoccupazioni politiche dell’autore il quale, in una lettera a Carocci, esprimeva i suoi dubbi: « Comunque

scrivo oggi stesso a Longanesi: non credo che l’intonazione generale del libro sia molto patriottica nel senso bandierone della parola. [...] Non vorrei che poi Longanesi mi facesse mandare al confino perché, come al solito, non risparmio

i generalazzi, la cui immagine in me non è disgiunta dal ricordo della straziante agonia morale che costarono le loro malefatte in guerra » (C. E. Gadda, Romanzi e racconti [RR], a cura di G. Pinotti, D. Isella, R. Rodondi, II, Milano, Garzanti, 1989, pp. 1176-77).



IL CONTESTO

l’esigenza, allora dominante, di rigore morale e di impegno politico. Questa è l’opinione di Carlo Emilio Gadda. Le mie naturali tendenze, la mia infanzia, i miei sogni, le mie speranze, il mio disinganno sono stati, o sono, quelli di un romantico: di un romantico preso a calci dal destino, e dunque dalla realtà. È ovvio ch’io abbia chiesto e chieda al romanzo, al dramma, e perfino alla cronaca, alla «memoria», quel

tanto di fascinoso mistero o di appassionata pittura dei costumi e delle anime che soli potevano aiutarmi a perseverare nella lettura; una probabilità e una improbabilità bilanciate nella mia ansia di lettore, e finalmente precipiti verso una soluzione, una liberazione impreveduta... E poi, cose, oggetti, eventi, non mi valgono per sé, chiusi nell’involucro di una loro pelle individua, sfericamente contornati nei loro apparenti confini (Spinoza direbbe modi): mi valgono in una aspettazione, in una attesa di ciò che seguirà, o in un richiamo di quanto li ha preceduti e determinati. Mi sembra che aspettazione o mistero non emani dalla catena crudamente obbiettivante della cronaca neorealista. Nella « poetica del neorealismo », quale mi si è rivelata da alcuni esempi, direi che ogni fatto, ogni quadro è (cioè riesce ad essere) nudo nocciolo, è (cioè riesce ad essere) grano di un rosario dove tutti i grani sono giustapposti ed eguali di fronte all’urgenza espressiva. Enumerati in serie, infilati in una filza, questi fatti avvicinati così per « asindeton»” non vengono coordinati in una consecuzione che valga a più profondamente motivarli, a disporli in una architettura, quella che essi realmente ebbero... Direi che la poetica neorealistica riesce a un racconto astrutturale, granulare’.

C’è poi da credere che i temi e le figure più vivamente presenti ai neorealisti sono soltanto una parte dei temi, dei motivi, dei « personaggi» che la realtà ci propone. Le figure, talora, diventano simboli: e io aborro dal personaggiosimbolo, come aborro dal personaggio-araldo. Perfino nella storia storiografata amo che l’araldo si nasconda sotto la ricca e multiforme natura di un uomo. La virtù pura mi irrita... sento tremendamente le ragioni del suo contrario. E il modo con cui i neorealisti trattano i loro temi è, di preferenza, quello di un umore tetro e talora dispettoso come di chi rivendichi qualcosa da qualcheduno e attenda giustizia, di chi si senta offeso, irritato. Tutti ci sentiamo offesi, irritati da alcunché... Allora la polemica aperta, la diatriba, il grido, 1 Spinoza ... modi, nella sua opera principale, intitolata Ethica more geometrico demonstrata (Etica dimostrata secondo il procedimento geometrico), il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-77) definisce « modi» le singole cose del mondo, che hanno una loro finitezza e individualità, ma non hanno in sé la loro ragion d’essere: partecipano infatti tutte della medesima sostanza, necessaria, eterna, infinita, unica e in-

divisibile. 2 «asindeton», letteralmente, dal greco, «senza

legame»: procedimento grammaticale-sintattico che consiste nel coordinare tra loro enunciati o vocaboli senza usare congiunzioni. 3 astrutturale, granulare, privo di struttura e composto da episodi che si susseguono come granuli separati di un rosario.

UNA

DIFFICILE COLLOCAZIONE

BIBLIOGRAFICA

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l’ingiuria sono preferibili ai termini pseudo-narrativi di una supposta obbiettività... Sbaglierò... Altra impressione che io ho ricevuto dai pochi esempi delibati‘ è quella di una tremenda serietà del referto: ne risulta al racconto quel tono asseverativo che non ammette replica, e che sbandisce’ a priori le meravigliose ambiguità di ogni umana cognizione... l'ambiguità, l’incertezza, il «può darsi ch’io sbagli», il «può darsi che da un altro punto di vista le cose stiano altrimenti », a cui pure devono tanta parte del loro incanto le pagine di certi grandi moralisti, di certi grandi romanzieri... Nell’inferno dantesco si incontrano uomini che credevamo in paradiso: e nel purgatorio, avviati al paradiso, uomini che credevamo sicuramente all’inferno. Un lettore di Kant non può credere in una realtà obbiettivata, isolata, sospesa nel vuoto; ma della realtà, o piuttosto del fenomeno, ha il senso come

di una parvenza caleidoscopica dietro cui si nasconda un «quid » più vero, più sottilmente operante, come dietro il quadrante dell’orologio si nasconde il suo segreto macchinismo®. Il dirmi che una scarica di mitra è realtà mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro questi due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto... Il fatto in sé, l’oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia... Scusa tanto. Vorrei, dunque, che la poetica dei neorealisti si integrasse di una dimensione noumenica”, che in alcuni casi da me considerati sembra alquanto difettarle. (C. E. Gadda,

Un’opinione sul neorealismo, in I viaggi la morte [VM], Milano, Garzanti, 1977, pp. 211-12)

Analisi del testo

L’opinione espressa da Gadda sulla narrativa neorealista permette di scorgere in filigrana quale sia la concezione che Gadda scrittore ha della narrativa. L’« architettura» del reale è infatti per lui ben più complessa e misteriosa di quella, semplificata, degli scrittori neorealisti per i quali «cose, oggetti, eventi» si dispongono come grani, tutti uguali, di un rosario, e i personaggi, senza sfumature e senza ambiguità, assurgono a «simboli» e ad «araldi».

4 delibati, assaggiati. 5 sbandisce, elimina. 6 Un lettore ... macchinismo, Gadda, come let-. tore del filosofo Immanuel Kant (1724-1804), riconosce alla realtà un’apparenza esteriore (definita da Kant «fenomenica», dal verbo greco

fainomai= appaio, mi manifesto) e una sostanza nascosta (definita da Kant «noumenica», dal sostantivo greco nous= intelletto) che non cade sotto i sensi e può solo essere pensata. ? dimensione noumenice, aspetto nascosto delle cose: cfr. nota precedente.

10

iL contEsTO Gadda non può accettare l’assenza d’ironia, d’incertezza, di dubbio, rifiuta le verità assolute espresse, per di più, in toni perentori e rinvendicativi di chi è sicuro di stare dalla parte del giusto.

9

«La narrazione

è certamente

uno de’ miei obiettivi»

Sempre nel 1950, durante un’intervista ai microfoni della Rai, viene rivolta a Gadda la seguente domanda: « c’è chi afferma che, di fronte al “vecchio ’’ Gadda (quello, per intenderci, del Castello di Udine e della Madonna dei Filosofi) si stia formando un ‘‘“altro” Gadda, con interessi prevalentemente narrativi (Quer pasticciaccio brutto, ad esempio, e alcuni racconti dell’Adalgisa). Come vede lei, se la vede, questa distinzione? ». Questa è la risposta. La narrazione è certamente uno de’ miei obiettivi. Esso non è l’unico, non è stato l’unico, durante il corso degli anni e il tirocinio continuo della mia fatica o, se volete latinamente chiamarla, del mio ozio!. I primi impulsi verso la scrittura, in me, ebbero un movente lirico e descrittivo, e insieme narrativo: poi venne anche il saggio, la sognata memoria filosofica da leggere all’Istituto di Scienze Lettere e Arti, da inviare ai concorsi accademici, dove si è premiati d’una medaglia di bronzo. Ho, in casa, dei pacchi, anzi nu cuòfeno ’e? « meditazioni filosofiche», non totalmente spregevoli, d’altronde. Sono scritte in ottima prosa. La descrizione, il desiderio di conoscere e di approfondire, si estese per gradi, specie con la guerra (1915-1918), all’indole e ai tipi e al destino degli umani, ai rapporti fra le creature: la vita militare e il servizio in guerra sono una trama continua di rapporti, sull’ordito combinatorio del destino: il sibilo che stende a terra, vicino a me, il mio compagno non può lasciarmi indifferente alla contemplazione della morte, alla mortale probabilità di essere suo commilitone anche nel regno delle ombre. Così la mia scrittura, dapprima nei diari e nelle lettere (che i destinatari hanno sistematicamente distrutte), veniva a investire la vicenda umana, la storia delle anime. Poi ci fu l’immersione dentro il lavoro: fra le tensioni spirituali che gli interessi del lavoro e dell’industria necessariamente vengono a determinare in chi ne è investito. Il forte senso della mia personalità (forte, cioè intenso: non è un merito: è un fatto della psiche) mi traeva a riuscire un lirico, piuttosto, o un satirico:

! ozio, nel significato latino di otium, l’attività

sione dialettale napoletana): Gadda allude al sag-

del sapiente dedito agli studi in contrapposizione

gio Meditazione milanese, scritto nel ’28, ma

ai negotia, le attività pratiche. ? nu cuòfeno ‘e, una grande quantità di (espres-

pubblicato postumo nel 1974.

pr

UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE

BIBLIOGRAFICA

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la volontà di comprendere i miei simili e me stesso mi sospingeva all’indagine e a quella « registrazione di eventi » che forma, in definitiva, il racconto. Capii che dovevo stringere entro più severi limiti la descrizione e l’invettiva, e far posto nelle mie note alla immatricolazione dei « tipi» umani, dei « personaggi », umani o mitici o bestiali, e delle loro impagabili vicende. La materia difettava tuttavia alla mia scarsa esperienza: i gesti e le opinioni degli altri non mi eccitavano all’inchiostro: 0, per più esatto dire, l’esperienza non sempre lieta che avevo fatto degli esseri umani pareva respingere da sé la mia penna. Così un pittore si volge senza speciale vocazione, anzi con certa repugnanza, a un modello particolarmente ignobile, o squallente?, o privo di «segni» della personalità, cioè «insignificante ». (È vero che il puro colore lo chiama, e la pittura è arrivata oggi a penetrare indi a ritrarre voluttuosamente i suoi mostri.) Nella mia vita di «umiliato e offeso» la narrazione mi è apparsa, talvolta, lo strumento che mi avrebbe consentito di ristabilire la « mia» verità, il «mio» modo di vedere, cioè: lo strumento della rivendicazione contro gli oltraggi del destino e de’ suoi umani proietti: lo strumento, in assoluto, del riscatto e della vendetta. Sicché il mio narrare palesa, molte volte, il tono risentito di chi dice rattenendo l’ira, lo sdegno. Di ciò domanderei perdono a Dio, e magari alle creature, se Dio e le creature potessero garentirmi di non ripetere, in avvenire, gli scherzucci del passato. Domanderei e domando comunque perdono, poiché se gravi sono state le offese immeritatamente patite, gravi sono stati anche gli errori dipoi commessi. Molti errori ho commesso: dopo e in conseguenza dei turbamenti che le offese avevano generato in me: tanto da rendere accettabile a mio vantaggio quella sublime osservazione del Manzoni, quando giudica di Don Rodrigo, e di Renzo in furie: «chi fa il male è responsabile non soltanto del male che ha fatto, ma dei turbamenti nei quali induce l’animo degli offesi». La mia scrittura si è dunque volta a narrare, al puro narrare: come la mia anima si avvicina alla serenità e alla obiettività giudiziosa della morte. Il giorno che s’ha le braccia in croce sul petto, siamo tutti molto giudiziosi, siamo tutti angeli. Anch’io sarò un angelo, quel giorno: tutti i miei peccati saranno evaporati fuori dalla mia santa compostezza, dalla immobilità e dalla impossibilità di

peccare. Così non sarò più lo scrittore bizzoso e vendicativo che ero in vita: non sarò più l’inchiostratore maligno e pettegolo che avevo l’obbligo di essere per essere un narratore che si rispetti: non sarò più il maniaco dei tecnicismi, dei motti popolareschi, dei modi eruditi, degli archi a spiombo e delle piramidi sintattiche, dei periodi a cavaturacciolo, che mi vengono così giustamente rimproverati dal buon gusto e dal buon senso delle mie vittime. Ho pronunciato

3 squallente, squallido.

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IL conTESTO

la parola «pettegolo ». Credo realmente che un bravo narratore debba possedere e debba esercitare non soltanto quello spirito di osservazione che, forse, non mi difetta, ma anche quel gusto del conoscere i fatti (i fatti altrui), quella

voracità inquisitiva che mi è le più volte mancata e tuttodì mi manca, checché ne dicano i mordaci miei amici. Temperamento piuttosto incline a solitudine, inetto a cicalare con brio, alieno dalla mondanità, io avvicino e frequento i miei simili con una certa fatica e una certa titubanza, con più titubanza e con

più fatica i più virtuosi di essi. Davanti a chiunque rivivo gli attimi di uno scolaro all'esame. Mi diletto invece di chiare algèbre alle ore di «loisir»*. Che non ti snervano quanto una conversazione di salotto; ove, a me, m’incorre l’obbligo di fingermi spiritoso e intelligente, non avendo né l’una né l’altra qualità. Ecco dunque il mio punto debole, per riuscire narratore: manco di appetito, manco di cupidità di conoscere i fatti altrui, quella che tre grandi « pettegoli » possedettero in misura eminente: Dante, Saint-Simon, Balzac. Spero tuttavia di arrivare a narrare ancora qualche cosa, qualche fatterello un po’ piccante: voi tutti vorrete perdonarmi questa caparbia insistenza: i miei racconti, in definitiva, se non vi garbano, potete tralasciar di leggerli, al contrario di quel che accade per la musica che, quando la suonano, bisogna udirla per forza. E dirò anch’io, nella mia piccolezza, quel che disse nella sua grandezza il mio concittadino: «... che se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta»?. (C. E. Gadda, Intervista al microfono, in VM, pp. 93-95)

Analisi del testo

La «registrazione degli eventi» (siamo negli anni del neorealismo) non sembra costituire un «impulso » alla scrittura e, ironicamente, Gadda se ne giustifica adducendo come scusanti sia la mancanza di interesse («i gesti degli altri non mi eccitavano all’inchiostro ») sia l’esperienza negativa che ha subìto «dagli esseri umani»; gli manca dunque quello che i narratori « pettegoli » possiedono: il desiderio di conoscere i fatti degli altri. Narrare è allora per lui un modo di conoscere e di approfondire ma, soprattutto, di ristabilire la «sua » verità, di vendicarsi del mondo. Una vendetta che, per esprimersi, trova forme linguistiche inusuali, 0ggetto di rimprovero da parte dei benpensanti. Giusti rimproveri, riconosce ironicamente l’autore e ricorre a metafore spaziali per descrivere il suo stile: «archi a spiombo», «piramidi sintattiche», « periodi a cavaturacciolo ».

4 Mi diletto ... «loisir», il mio piacere o svago (/oisir, parola francese che corrisponde al latino otium della nota 1) consiste nel ragionare con il rigore e la lucidità propri dei processi algebrici

(«chiare algebre»). 5 «... che se... apposta», è la frase conclusiva dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni.

+ UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE BIBLIOGRAFICA

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Proposte di lettura e ricerca

La bibliografia e la biografia di Gadda 1. La vicenda degli scritti gaddiani, editi e inediti, è anch’essa un «groviglio», per usare un termine dello stesso Gadda, che curatori pazienti

e sagaci cercano, soprattutto in questi ultimi anni, di dipanare. L’edizione delle Opere di Carlo Emilio Gadda, diretta da Dante Isella e pubblicata da Garzanti, è iniziata con i primi due volumi, che formano la sezione Romanzi e racconti. Il vol. I, a cura di R. Rodondi, G. Lucchini, E. Manzotti (Milano, Garzanti, 1988), comprende la raccolta / sogni e la folgore, La Madonna dei Filosofi, Il castello di Udine, L’Adalgisa (disegni milanesi), e La cognizione del dolore. Il vol. II, a cura di G. Pinotti, D. Isella, R. Rodondi (Milano, Garzanti, 1989) comprende Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (anche nella prima redazione apparsa su « Letteratura»); La meccanica; Accoppiamenti giudiziosi; Racconti dispersi; Racconti incompiuti.

Ma anche quest’edizione (prevista in 4 voll.), una volta conclusa, non comprenderà il «tutto Gadda», come avverte nella Presentazione del piano dell’edizione il direttore Dante Isella (RR, I, p. xvi): «I quattro volumi previsti nei ‘Libri della Spiga’’ non sono ancora, come risulta dal Piano dell’edizione, il ‘‘ Tutto Gadda”’ che vorremmo avere. Offrono però, finalmente, l’intero corpus autentico, cioè l'insieme delle opere approvate dall’autore e da lui pubblicate, direttamente o, lui vivo e con il suo consenso, per iniziativa di amici. Ne restano fuori gli scritti editi dopo la sua scomparsa (1973) e gli inediti che ancora dovessero emergere». I motivi di questa difficoltà risiedono non solo nei difficili e controversi rapporti tra autore ed editori ma anche, e soprattutto, nella pratica scrittoria di Gadda, che abbandona un manoscritto per ripescarne parti a distanza di decenni, che pubblica separatamente e in raccolte diverse lo stesso testo, che scrive più redazioni di uno stesso episodio. Dopo il premio Viareggio (1953) si accendono le mire editoriali e Gadda è sottoposto a sollecitazioni continue che lo inducono a «rivisitazioni», a ripescaggi, a promesse continue non mantenute. Il voluminoso carteggio con gli editori testimonia la tormentata storia di tanti testi, alcuni dei quali hanno visto la luce proprio per l’incalzare di scadenze ineludibili che hanno costretto l’autore a cedere alla stampa opere sulle quali avrebbe desiderato continuare a lavorare. Con queste premesse si comprende perché la prima bibliografia delle opere di Gadda, la più completa rispetto a quelle precedentemente apparse, rechi il titolo: Saggio di una bibliografia gaddiana, proprio a indicare la provvisorietà del lavoro suscettibile di ulteriori aggiornamenti; è collocata in appendice a C. E. Gadda, Le bizze del capitano in congedo e altri racconti, Milano, Adelphi, 1981 (la prima edizione, All’insegna

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IL CONTESTO

del pesce d’oro, Milano, è anch’essa del 1981). Il suo curatore, Dante Isella, ha poi notevolmente arricchito il lavoro in occasione della pubblicazione delle opere di Gadda: pertanto la bibliografia più aggiornata ed esaustiva è oggi quella che si trova in Gadda, RR, I, pp. XXV-LXXIV. Vi sono indicate separatamente le opere di Gadda pubblicate in volume e, in ordine cronologico, articoli e saggi apparsi su quotidiani e riviste. I rimandi, in caso di nuova pubblicazione in volume, facilitano la consultazione. Uno studio recente sui problemi della bibliografia gaddiana si trova nel capitolo intitolato Per un Yiesame della bibliografia degli scritti di Carlo Emilio Gadda in A. Andreini, Studi e testi gaddiani, Palermo, Sellerio, 1988, pp. 153-76.

2. Per una rassegna ragionata della critica su Gadda si vedano: G. Patrizi, La critica e Gadda, Bologna, Cappelli, 1975; e A. Ceccaroni, Leggere Gadda. Antologia della critica gaddiana, Bologna, Zanichelli, 1978. Su La cognizione del dolore si vedano: R. Barilli, Gadda e la fine del naturalismo,

in La barriera del naturalismo,

pp. 107-30; P. Citati, // male invisibile, in

Milano,

Mursia,

1964,

«Il menabò di letteratura»,

6, 1963, pp. 12-41; G. Contini, Introduzione a C. E. Gadda, La cognizione del dolore, Torino, Einaudi,

1963, poi in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), ivi, 1970, pp. 601-19; R. S. Dombroski, La dialettica della follia: per un’interpretazione sociale del dolore gaddiano, in Gadda. Progettualità e scrittura, a cura di M. Carlino, A. Mastropasqua, F. Muzzioli, Roma, Editori Riuniti, 1987, pp. 143-56; E. Gioanola, L’uomo dei topazi. Interpretazione psicoanalitica dell’opera di C. E. Gadda, Milano, Librex, 1987 (in particolare pp. 7-62: La famiglia padreterna, Il fratello, La madre); G. Gorni, Lettura di « Autunno » (Dalla « Cognizione» di Carlo Emilio Gadda), in «Strumenti critici», VII, 1973, 21-22, pp. 291-325; M. A. Grignani, F. Ravazzoli,

Tragitti gaddiani, in « Autografo», I, 1984, 1, pp. 125-44; R. Luperini, Crisi del simbolismo e oltrepassamento dei generi nella « Cognizione », in Gadda. Progettualità e scrittura cit., pp. 101-19; E. Manzotti, Introduzione a Gadda, CD, pp. vu-LI; E. Manzotti, «La cognizione del dolore»: di alcuni problemi testuali, in Gadda. Progettualità e scrittura cit.,

pp. 121-41; G. C. Roscioni, La conclusione della cognizione del dolore», in La disarmonia prestabilita. Studio su Gadda, Torino, Einaudi, 1969,

pp. 161-74; R. Rinaldi, La paralisi e lo spostamento. Lettura della « Cognizione del dolore» di C. E. Gadda, Livorno, Bastogi, 1977. 3. Per la biografia di Gadda si vedano: Guglielmi, Carlo Emilio Gadda cit., pp. 1051-69; P. Gadda Conti, Le confessioni di Carlo Emilio Gadda, Milano, Pan, 1974; G. Cattaneo, // gran lombardo, Milano, Garzanti, 1973; G. Ferretti, Ritratto di Gadda, Roma-Bari, Laterza, 1987.

©

UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE

BIBLIOGRAFICA

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Per un approccio diretto ad alcuni aspetti della complessa personalità di Gadda si consiglia la lettura di questi suoi carteggi: Lettere a Gianfranco Contini a cura del destinatario. 1934-1967, Milano, Garzanti, 1988; Lettere

a una Gentile Signora, a cura di G. Marcenaro, Milano, Adelphi, 1983; Lettere alla sorella. 1920-1924, a cura di G. Colombo, Mi-

lano, Archinto, 1987; e delle sessanta lettere e cartoline incluse in Lettere a Solaria, a cura di G. Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979.

2. Descrizione del libro

L’azione narrativa si svolge in un tempo-spazio definito e circoscritto: il finire dell’estate del 1932 in una villa di Lukones nel distretto (« arrondimiento ») del Serruchon in provincia di Novokomi nel paese sudamericano del Maradagal. Il paese immaginario è trasparente metafora della villa di famiglia a Longone (Lukones) al Segrino nell’alta Brianza dominata dal Resegone (Serruchòn), vicina a Como (Novokomi). La metafora non investe solo l'ambientazione spazio-temporale ma si dissemina lungo tutto il romanzo «reinventando » situazioni italiane in atmosfere, ceti sociali, mentalità spagnolesche trapiantate in un paese latino-americano. Il gioco che ne scaturisce non appare per nulla gratuito, al contrario costringe il lettore a continui corti circuiti tra l’immaginario mondo maradagalese e quello italiano ben più familiare. Anche i personaggi presentano volute e insistite analogie con la realtà biografica dell’autore: la madre vedova, insegnante di francese, il padre munifico e sprovveduto amministratore dell’economia familiare, lo stesso protagonista, l’hidalgo Gonzalo Pirobutirro d’Eltino!, ha quarantacinque anni, l’età di Gadda nel ’38, è reduce ma non fa mai cenno a esperienze di guerra, ha un fratello morto in guerra, è ingegnere, legge i classici. Il romanzo è organizzato in due parti suddivise, rispettivamente, in quattro e cinque capitoli («tratti»). Nel primo capitolo, dopo una breve descrizione della situazione sociopolitica del Maradagal negli anni compresi tra il ’25 e il 733, nella quale appaiono, per essere riprese più tardi, le « associazioni (Nistituos)

! Il nome altisonante si rivela uno dei tanti giochi linguistici e parodici cari a Gadda: Gonzalo sembra ricordare il personaggio manzoniano Don Gonzalo Fernandez, governatore di Milano, Pirobutirro è chiara allusione alle pere bu-

tirro, una qualità di pere tardive acquistate dal padre Francesco (il Francesco Pelegatta di Villa in Brianza), d’Eltino (o del Tino) è ironica allusione alle manie enologiche del padre che si

vantava di bere il vino da lui stesso imbottigliato.

DESCRIZIONE

DEL LIBRO

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provinciali di vigilanza per la notte»?, si dipanano due storie: quella di Pedro Manganones, alias Gaetano Palumbo, e quella di Villa Giuseppina e dei danni provocati da un fulmine che aveva colpito anche le ville limitrofe provocando un lungo strascico giudiziario tra i proprietari. Pedro Manganones, assunto dai Nistituos di vigilanza grazie ai meriti di reduce con pensione di guerra, è in realtà un simulatore che viene smascherato da un commerciante di stoffe; la storia della sua immaginaria sordità, conseguenza di una inventata azione di guerra, diviene oggetto di pettegolezzo per tutto il paese e raggiunge il colonnello medico Di Pascuale che ricorda di avergli negato la pensione di guerra quando, casualmente, riuscì a smascherare la simulazione truffaldina. Il colonnello medico Di Pascuale è il lieve trait d’union che lega le due storie: abita infatti da poco la casetta dependence di Villa Giuseppina, la villa colpita dal fulmine. La storia della finta sordità del Manganones-Palumbo e della pensione negata sarà narrata distesamente durante il colloquio tra il dottor Higueroa e l’hidalgo nel quarto capitolo che conclude la prima parte del romanzo. Gonzalo Pirobutirro d’Eltino, il «figlio» che insieme alla « Signora»? vive nella villa un po’ appartata nell’arrondimiento di Lukones, appare nelle ultime pagine del primo capitolo «costruito» obliquamente attraverso le prospettive diverse, ma tutte ugualmente malevole, del peone José, dei garzoni e delle donne che denunciano, esasperandoli, gli aspetti negativi di un carattere dominato dall’avarizia, dall’indolenza, dalla voracità Ancora più demonizzante è il ritratto che ne fa la Battistina al dottor Higueroa. Dalle parole faticosamente pronunciate dalla gozzuta Battistina, Gonzalo appare un violento collerico che calpesta il ritratto del padre e che guarda con avidità ai brillanti della madre. Il medico, nel suo buon senso un po’ miope, non dà troppo credito a quelli che ritiene pettegolezzi ed esagerazioni delle donnette e pensa che gli strani comportamenti di Gonzalo siano dovuti alle fantasticherie di chi vive senza «le virili preoccupazioni che può dare una famiglia » e, durante la passeggiata verso la villa dove lo attende per una visita 1’« ultimo hidalgo », richiama alla memoria l’antenato illustre del suo cliente: il governatore spagnolo don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino e l’ascendenza germanica per parte di madre. Probabilmente dagli avi germanici Gonzalo aveva ereditato le manie per l’ordine, l’insofferenza per il «tirare a campare» e quel « male invisibile» che lo teneva avvinto.

2 Allusione al Partito Nazionale Fascista che non imponeva l’iscrizione ma che, di fatto, penalizzava i non iscritti. In una intervista lo stesso autore dice di aver voluto indicare nei vigili notturni i fascisti. 3 In un'intervista lo stesso Gadda chiarisce il significato ironico di « Signora»: «[...] fra i con-

tadini, lei veniva chiamata «La Signora», e se ne compiaceva, per quel tanto di tedesco che poteva esserci in lei. La parola invece per me ha un valore dolorosamente ironico. Non ironico verso mia madre, ma ironico verso il destino» (D. Maraini, Carlo Emilio Gadda come uomo, in «Prisma», I, 1968, 5, pp. 18-19).

18.

iL contesto

Alla fine del secondo capitolo Gonzalo appare non più per interposta persona ma direttamente presentato nell’atto di accogliere il dottore nella sua casa con semplice cortesia e garbo. I suoi vestiti modesti, la stanchezza dell’aspetto, la correttezza «un po’ triste» sembrano sconfessare le dicerie malevole. La visita del medico è rapida ma il colloquio con il paziente si protrae lungo i due capitoli con i quali si conclude la prima parte. Il medico, nella sua limitatezza, non può nemmeno intuire le «cose dolorose, lontane» che attanagliano in una sofferenza non placata l’animo del suo cliente. Nel lungo dialogo-

confessione Gonzalo si lascia andare a sfuriate d’ira ogni qualvolta un pensiero, un ricordo o la comparsa di altri personaggi — il ragazzetto che viene dalla madre per le lezioni di francese, il Manganones che vuole concludere l’ab-

bonamento ai Nistituos — gli scatenano rigurgiti violenti contro quell’umanità di straccioni, di disonesti, di stupidi scolari che minaccia e invade il suo bisogno di silenzio, di solitudine. Martellanti ritornano nel discorso i punti fissi dei suoi rancori dolenti: le privazioni imposte a lui bambino («la maglia rattoppata», «i piedi bagnati nelle scarpe», «i sei gradi d’amor paterno») per far fronte ai «doveri dello stato sociale »: la donazione per la costruzione della campana (« Cinquecento pesos! Cinquecento di munificenza pirobutirrica: cinquecento pesos! »). La madre è presente nei discorsi farneticanti di Gonzalo: oggetto d’ira per la tenerezza che, negata a lui bambino, riversa sugli ignobili peones e sui ragazzini indolenti, ma anche oggetto di amore e di preoccupazione per lo stato di salute. Nel racconto doloroso del sogno notturno la madre è descritta « nera, muta, altissima: come rivenuta dal cimitero » e il sogno è rivissuto con un lancinante senso di colpa dal figlio che, nella sua allucinazione, prefigura l’evento luttuoso. Nella seconda parte, articolata in cinque «tratti», è presentata la «Signora», vera mater dolorosa che si aggira nella casa rifugiandosi nel sottoscala impaurita da un violento temporale. Una figura di lutto, simile a quella del sogno, dai vestiti dimessi, dai capelli grigi su una fronte «senza carezze». Ridotta a un grumo di dolore, nel ricordo del figlio che la guerra le ha strappato e nella pena per quell’altro figlio di cui avverte il «male oscuro », è ancora capace di tenerezza e di generosità per tutti quelli che frequentano la sua casa. Nel sesto capitolo, per la prima volta, madre e figlio sono messi a confronto. Di fronte alla magra cena che la vecchia madre con difficoltà ha imbandito, illuminata da «quel lucignolo così stanco e dimesso », Gonzalo prova l’impressione che sia «tutto quello che la madre concedeva... tutto quello che il padre e la madre avevano ritenuto bastevole, dopoché utile, alla vita, al progresso, alla felicità dei figli». A contrasto, in una specie di fantasia delirante, appaiono a Gonzalo le figure della maleodorante e zoccolante plebaglia, dei borghesi «pieni di fiducia», inamidati nei loro smoking, dei bottegai arricchiti, delle immagini pubblicitarie che facevano sognare i garzoni dei barbieri... La cena è disturbata dall’arrivo rumoroso di José che scatena l’ira di Gonzalo. José è licenziato.

Z

DESCRIZIONE DEL LIBRO

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Negli ultimi due «tratti», aggiunti nell’edizione del 1970, Gonzalo dalla terrazza ascolta quello che un contadino e una domestica raccontano alla madre: la villa del Trabatta, il quale aveva rifiutato l’abbonamento al Nistituo, era stata visitata dai ladri forse per vendetta dello stesso Manganones, ma il Trabatta senza farsi intimorire aveva assoldato due guardie private. Alcuni giorni dopo si ripete la stessa situazione ma questa volta la zoccolante plebaglia che la madre teneramente accoglie è più numerosa: « Vi vide la mamma, con gli occhi arrossati dalle lacrime, tener crocchio: all’impiedi e intorno, come una congiura che tenga finalmente la sua vittima, Peppa, Beppina, Poronga, polli, peone, la vecchia emiplegica del venerdì, la moglie nana e ingobbita dell’affossamorti, nera come una blatta, e il gatto e la gatta... E sul piatto il pesce morto, fetente... » Immagina di trovarsi armato di una pistola a mitraglia per «liberare» la casa, per « disinfettarla». Alla madre che, con dolce sorriso, gli propone un caffè, reagisce con uno scoppio d’ira furibonda: «Se ti trovo ancora una volta nel branco dei maiali, scannerò te e loro». La tremenda minaccia si realizzerà per mano altrui nel giro di poche ore. Gonzalo parte; durante la notte — ed è l’ultimo «tratto » — le due guardie private del Trabatta sono messe in allarme da un rumore sospetto; dopo molte titubanze entrano nella villa dei Pirobutirro: la Signora, ferita e agonizzante, giace nel suo letto. Dalla parafrasi risulta evidente l’esiguità degli elementi che costituiscono la fabula: una villa appartata, un figlio e una madre che vivono un difficile rapporto, un reduce millantatore, una vicenda (il fulmine su villa Giuseppina) di beghe paesane, un modesto dottore, un assassinio finale; l’articolarsi di questi elementi in intreccio sembra inoltre rifiutare la lezione tradizionale di uno sviluppo coerente enfatizzando alcune situazioni a scapito di altre, intervenendo con digressioni che sembrano irrilevanti al fine del proseguimento narrativo. In altre parole, sembra che all’autore non stia a cuore lo svolgimento che, partendo da una situazione iniziale, si snoda attraverso un processo verso un epilogo collegando coerentemente fatti e personaggi, ma sembra al contrario chiedere alla scrittura narrativa qualcosa di diverso che accolga sì nel suo seno le forme codificate del giallo, del conte philosophique*, del racconto-bozzetto naturalistico ma che le dissolva in un processo conoscitivo nel quale la narratività diviene un pretesto per penetrare nel « groviglio » psichico dell’io e nel « groviglio» umano e sociale che, se pur storicamente datato (l’Italia del dopoguerra), simbolicamente sembra alludere ad una acronica condizione esistenziale. Nel titolo stesso il termine «cognizione » sembra esprimere il lento avvicinamento alle radici del dolore, del «male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi ». « Cognizione » allora non solo come processo di conoscenza ma anche

4 Racconto

cese.

filosofico, genere narrativo che nasce all’interno della cultura illuministica fran-

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IL CONTESTO

come consapevolezza di uno stato esistenziale di sofferenza che la psicoanalisi («le universe discipline delle gran cattedre») non può estirpare. Il «male oscuro » del protagonista della Cognizione è costruito in un crescendo che ha inizio con le descrizioni malevole dei peones e con le considerazioni sdrammatizzanti del buon dottore per caratterizzarsi negli scoppi d’ira furibonda durante la visita del dottore e definirsi nella consapevolezza sofferta della madre che « aveva lentamente compreso ». Il dramma psichico del protagonista raggiunge il suo culmine narrativo nel sesto capitolo (Seconda parte), quando Gonzalo, seduto al povero desco della cucina male illuminata vede, concretizzati nel suo delirio, gli «oggetti» della sua nevrosi, gli stessi che avevano innescato, durante il colloquio con il dottore, gli incontrollati scoppi di violenza Montati con una tecnica cinematografica si accendono nella lucida follia di Gonzalo sequenze con tipi umani diversi: prevaricatori e arrichiti, bottegai, preti, ladri, ingegneri, tutti accomunati dal denominatore comune della demenza febbrile, adolescenti sciocchi e presuntuosi, borghesi tronfi e impettiti mentre, proprio come in una presenza sfumata nello sfondo di uno schermo, Gonzalo statico di fronte alla scodella di minestra riappare ad intervalli marcando i vari segmenti narrativi della sua presenza che assume dunque un valore dialettico: La ossessione di Gonzalo [...] nasce altrui errori di giudizio e dalle ‘altrui, ciale. Ha per origine, ed elegge quindi «degli altri». Ciò non toglie che egli non chiede lagrimando clemenza*.

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e discende invece « dagli altri», procede dagli singole o collettive, carenze di contegno soa sua cible? polemica, la follia e la cretineria stesso abbia potuto errare: e a’ proprî errori

«Il movente lirico »

Redatta nel 1931 nella villa di Longone (il Lukones della Cognizione), Autunno appare per la prima volta sulla rivista « Solaria». Quando nel 1963 La cognizione appare per la prima volta in volume, Autunno è collocata a conclusione del libro, quasi a costi-

tuirne l’explicit lirico. Nell’edizione del ’70 precede i due ultimi tratti quasi a segnare una pausa tra la parte originaria e l’ultima, appartenente a una stesura più tarda. Nelle edizioni successive ritrova la prima collocazione, quella a conclusione del libro. Attualmente, dopo la pubblicazione dell’opera nella collana degli 5 Bersaglio. 6 Da L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, l'immaginario dialogo che Gadda aveva premesso all’edizione del ?63,

quasi una specie di « saggio esplicativo » al quale già pensava nel ’52 scrivendone all’editore Ei—naudi. Dopo l’edizione del ’70 appare in tutte le ristampe in Appendice (CD, pp. 489-91).

DESCRIZIONE DEL LIBRO

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«Struzzi», la poesia, insieme con la prefazione L’Editore chiede venia del recupero cit., con frammenti non inseriti nel testo e con note relative alla composizione, fa parte di un’Appendice. Tàcite imagini della tristezza Dal plàtano al prato! Quando la bruma si dissolve nel monte E un pensiero carezza s E poi lascia desolato —

la marmorea

fronte;

Quando la torre, e il rattoppato maniero, Non chiede, al vecchio Architetto, più nulla: Allora il feudo intero — fruttìfica una susina Bisestile, alla collina 10 Dolce e brulla. Tace, dal canto, il prato.

Il pianoforte della marchesina Al tocco magico delle sue dita S’è addormentato: 15 E dopo sua dipartita — l’autunno S'è scelto un nuovo alunno: Il passero!, lingua di portinaia Dal gelso all’aia. E cancello e scudo sormonta 20 La nenia del campanile: racconta I ritorni all’aurata foresta: Garibaldeggia per festa Sopra il travaglio gentile Perché alla bella — il congedato piaccia,

attimo percorrere una fronte (quella dell’au-. tore?), che ritorna ben presto alla desolazione irrigidita del marmo. 6-9 Quando la torre ... Bisestile, quando termina la stagione estiva, propizia ai lavori di restauro della vecchia e malconcia villa richiesti dal passare del tempo (il «vecchio Architetto »), il «feudo» offre i suoi frutti: una susina ogni quattro anni. Sulle manie di restauro del padre, e sulle conseguenti spese che la villa di Longone richiedeva, Gadda torna spesso.

(«Quello che lassù canta, quello che lassù pesta») ritornati alla brughiera (« aurata foresta») inonda e sovrasta il vecchio maniero (« cancello e scudo»). La gioventù intona canzoni di guerra («garibaldeggia ») che si diffondono sopra il lavoro dei campi («travaglio gentile» = il lavoro della gente di campagna). In occasione della prima pubblicazione di Autunno (1932), una nota di Gadda così commentava questi versi: «In Lombardia, durante il giorno della festa, si usano concerti di campane sonate a martello dai giovani del paese. Spunto melodico è l’inno di Garibaldi e ‘‘Le campane sentivo a sonar’»

19-25 E cancello ... pesta, il suono delle cam-

(CDAPISONE

3-5 Quando la bruma ... fronte, simile al dissolversi della bruma, un pensiero sembra per un

pane, sonate a martello dai giovani congedati

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IL CONTESTO

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45

50

Quello che lassù canta, quello che lassù pesta. Grigia zàzzera, il-marchese ha inscenato una caccia Con quindici veltri e galoppa Plenipotenziario sconfortato Sul suo nove anni reumatizzato. Della volpe non credute notizie — dileguata la traccia. Reverito, marchese! — il cavallo Stile inglese intoppa \ Nei pugnitopi — e il corno dal naso sfiatato Assorda nella tana il ghiro Che una nocciòla impingua! AI dodicesimo giro La muta s’è messa un palmo di lingua E, mòbile macchia, cicloneggia bianca Nella deserta brughiera Là, verso il passaggio a livello, Dove approda stanca, Ansimando, la vaporiera. Passa il merci e il frenatore — più bello, Lungo fragore! — vana bandiera! Ha incantato la cantoniera. Ecco il diretto decede — verso città lontane. Il cavallo azzoppa — travede Negli sterpi dannati; ripesta I formicai vuoti e le tane. Ma dal campanile — canta l’ora di festa. Canta A la Fabbrica i vani ritorni, Tristezze vane!

Per le brume discorre la caccia Dalla brughiera al prato: 3I Ci voleva chi desse fiato — al corno Dopo cinquant’anni, almeno un giorno! Perché ognuno se n’era smemorato. Ci voleva almeno una traccia

27 veltri, cani agili e veloci adatti a inseguire la selvaggina. 29 nove anni, cavallo di nove anni afflitto da reumatismi e non certo adatto alla caccia. 38 cicloneggia, insegue la preda percorrendo cerchi concentrici.

46 decede, si allontana.

47 travede, vede a fatica in mezzo agli sterpi. S1 A la Fabbrica i vani ritorni, probabile allu-

sione alle speranze di lavoro deluse (motivo autobiografico ricorrente). 53 discorre, corre di qua e di là.

A

DESCRIZIONE DEL LIBRO

Di volpe, dato il rinzaffo — 60

Ma la muta

23

crostoso del maniero...

s’aduna, rassegnata pace,

Fra i piedi dell’ottantenne destriero... Né omai terrorizzano la scrofa vorace Che là grùfola e sgroppa — dov’è di ghianda colmo Sotto la révere dietro l’olmo — 65 Più romito sentiero.

Lieta di pòvere Gioie e vivande La domenicata popolare Gusci d’ovo, carte gorgonzoloidi spande,

70 Ha bell’e imbrattato — il demanio feudale! Il pensoso elettrotecnico assale Audace la scatola di sardine — anteguerra, La saldatura torno torno Arrìcciola — e il forziere disserra 75 Vivo di mattutini Polsi: e il pane addenta — o dimezza Con la ragazza, che lo bacia e carezza Fra la bicicletta e gli spini. Tacite imagini e rimota dolcezza 80 In ogni novo cuore, per chiari mattini. (C. E. Gadda, Autunno, in CD, pp. 499-504)

Analisi del testo

In forma lirica che attraversa i registri della malinconia, della parodia, del bozzetto popolare, Autunno anticipa alcuni temi della Cognizione: un «maniero rattoppato», una «susina bisestile», le «carte gorgonzoloidi». « Realistica» rassegna dei paterni e materni riti borghesi. Le vacanze sono terminate e l’autunno suggerisce immagini di malinconia: la marchesina

è partita e il suo pianoforte tace ma si diffondono i canti e i concerti delle campane per la festa paesana. I congedati hanno fatto ritorno alle

59 il rinzaffo — crostoso, l’intonacatura grossolana. Ironico commento alle spese paterne: dopo tanti sacrifici per conservare il prestigio

71-76 I/ pensoso ... Polsi, il vigore («polsi») mattutino con cui il « pensoso elettrotecnico » (riferimento autobiografico) apre la scatola di

della villa, è necessario anche allestire una cac-

sardine («il forziere disserra»), arrotolando in-

cia alla volpe. 68 domenicata, gita domenicale.

torno all’apriscatole la fettuccia metallica della saldatura.

24

IL CONTESTO

loro case e alle loro ragazze. Parte la caccia dietro una volpe di cui si sono perse le tracce. Un treno merci rallenta e il frenatore conquista la cantoniera. La caccia è terminata e sul demanio feudale rimangono disseminate le tracce della scampagnata popolare: gusci d’uovo, carte unte di gorgonzola. L’elettrotecnico (allusione autobiografica?) apre una scatola di sardine, insieme alla sua ragazza, e tra la bicicletta e gli spini, fa colazione.

3. Il «groviglio» della realtà e il «groviglio » psichico

Nella Cognizione (come pure nel Pasticciaccio) si configura una nuova forma narrativa che può definirsi come « processo cognitivo», come «tensione filosofica alla conoscenza ». Per il problema della conoscenza Carlo Emilio Gadda aveva dimostrato interessi non casuali e, soprattutto nel decennio ’20-30, non sporadici. Al ritorno dall’ Argentina, infatti, aveva sostenuto tutti gli esami del

corso di laurea in filosofia all’ Università di Milano e aveva redatto una tesi di laurea (La Teoria della conoscenza nei « Nuovi saggi » di G. G. Leibniz) che però non fu mai discussa e rimase incompiuta. Nel 1928 lavora a un saggio, la Meditazione milanese in cui oggetto dell’indagine filosofica appaiono proprio le modalità di conoscenza del reale. In questo saggio (edito solo nel 1974), la realtà, per essere conosciuta, deve sottostare ad un principio di organizzazione che il soggetto conoscente si costruisce. Ma è impossibile organizzare un «groviglio » inestricabile in cui le cause e gli effetti non appaiono mai chiaramente identificabili anzi rimandano sempre indietro alla ricerca di cause sempre più remote: L’ipotiposi della catena delle cause va emendata e guarita, se mai, con quella di una maglia a rete: ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti).

Una riflessione, quella citata, non molto diversa dalle riflessioni del protagonista del Pasticciaccio, Ciccio Ingravallo: Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come

1 C. E. Gadda, Meditazione milanese, a cura di G. C. Roscioni, Torino, Einaudi,

1974, p. 79.

26

iL CONTESTO un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo?.

La «filosofia» non ha dunque nel lavoro di Gadda un «luogo» riservato ma emigra nella pagina narrativa secondo una linea di tendenza che caratterizza le espressioni più significative della narrativa europea del

secolo?. Se, infatti, nel Pasticciaccio il processo cognitivo si configura come penetrazione in una realtà disgregata e miserabile nascosta dietro l’apparente compattezza di valori esaltati dal regime fascista (si veda t4), nella Cognizione il processo di avvicinamento alle radici stesse del dolore attraversa il drammatico dopoguerra italiano — parodicamente camuffato da dopoguera maradagalese — e scende impietoso nelle paurose oscurità della psiche del protagonista. Con questa chiave di lettura è possibile accostarsi al romanzo per cogliere, proprio nella mancanza di un’esposizione narrativa tradizionale, la valenza narrativa di alcuni segmenti la cui enfatizzazione si giustifica solo se si considerano come tappe fondamentali, come momenti insostituibili di processo cognitivo. Nell’episodio del Manganones, per esempio, diviene materiale narrativo il doloroso (autobiografico) disinganno del giovane tenente all’indomani della conclusione del conflitto (si veda t6), come nello scolaretto svogliato, oggetto della tenerezza materna, si riaccende il rimpianto doloroso (ancora autobiografico) di una fanciullezza resa triste dalla severità di genitori attenti alle apparenze di un decoro tutto esteriore (si veda t7), avari di sorrisi indulgenti. Nell’episodio, mirabile, di Gonzalo assorto davanti al fumo che si leva dal piatto di minestra, il «groviglio » della società e il «groviglio » psichico si interrelano strettamente mettendo in evidenza le ferite più profonde del personaggio: quelle legate appunto all’infanzia. Simili a grumi di sangue coagulato tornano a sanguinare nell’impatto col quotidiano che viene quindi investito da un furore dissacrante: giustificazione «razionale» dell’impossibilità di Gonzalo a costruire sul suo «male oscuro » rapporti sociali. «Male oscuro», questa espressione gaddiana, divenuta poi titolo di un romanzo di Giuseppe

2? C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, [OP] in RR, II, p. 16. 3 Un atteggiamento filosofico caratteristico del Novecento è la nuova attenzione rivolta al-

l’uomo e alla sua esistenza nel mondo: la ricerca filosofica stabilisce rapporti nuovi con la letteratura, con la musica, con le arti figurative; teatro, romanzi, poesia appaiono «luoghi» al-

trettanto, se non di più, validi per esprimere i

processi della coscienza umana. Autori come Ibsen, Dostoevskij, Kafka, che hanno espresso in forme letterarie i modi dell’esistere umano e i drammi della psiche, sono letti e amati al pari dei filosofi « di professione». Analogamente filosofi come Jean-Paul Sartre (1905-80), Gabriel Marcel (1889-1973), Simone de Beauvoir (1908-86) sono contemporaneamente autori di racconti e di drammi.

IL «GROVIGEIO»

DELLA

REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

27

Berto* appare nella seconda parte della Cognizione all’interno della dolorosa riflessione della «Signora» su quel suo figlio e sul «buio di quell’anima»: Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d’una vita, più greve ogni giorno, immedicato?.

Nel recensire al Terzo programma della Rai il libro di Giuseppe Berto, Gadda dava una definizione generica di « male oscuro » senza far ricorso a strumenti psicoanalitici (« le gran cattedre ») impotenti a spiegare razionalmente un male di cui si può avere solo «cognizione». Il male oscuro è oscuro quanto il dolore che fa strazio di noi allorché ci sentiamo oggetto di reiterate percosse o ferite, di insistite offese. È il logorio a cui ci sommette di giorno in giorno, d’ora in ora, la nostra «Erlebnis», l’esperienza del vivere, la pena o la fatica durata, la «dura necessità».

Eppure La cognizione mette in scena un conflitto di tipica competenza freudiana: il conflitto edipico’; l'ossessione di Gonzalo, la presenza/assenza del padre, la «mater dolorosa», appaiono come personaggi di un dramma il cui autore non ignori le teorie psicoanalitiche freudiane. In effetti, quando Gadda scrive La cognizione conosce, in traduzione francese, alcuni testi freudiani, i fondamentali e, indubbiamente, L’interpretazione dei sogni che Freud aveva pubblicato nel 1900. Un testo quest’ultimo, presente anche in Italo Svevo®. È interessante rilevare che i due narratori italiani più «europei» della prima metà del secolo abbiano « frequentato » le teorie psicoanalitiche assumendole entrambi non nella validità di strumento terapeutico ma nella dimensione «letteraria», per la possibilità, cioè, che offrivano di costruire narrativamente situazioni e comportamenti psichici all’interno di quadri di riferimento di pertinenza scientifica. Svevo ironizza sui suoi rapporti con la psicoanalisi e intende difendere «la sua malattia» da eventuali pretese di guarigione:

4 Giuseppe Berto, // male oscuro, Milano, Riz-

stato psichico che tutti gli uomini hanno pro-

zoli, 1964.

vato:

5 Gadda, CD, pp. 311-12.

volta, un tale Edipo in germe e in fantasia e, da quella realizzazione di un sogno trasferita nella realtà ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione che separa lo stato infantile da quello adulto».

6 Ibid., p. 312, nota.

7 Si tratta della notissima teoria di Freud sui rapporti figli-genitori, definita «edipica» dal dramma di Sofocle Edipo re nel quale Edipo, tragico eroe mitico, uccide il padre Laio e sposa la madre Giocasta. In una lettera del 1897 all’amico Wilhelm Fliess, Freud spiega il successo del dramma nel fatto che in esso si affronta uno

«Ogni membro dell’uditorio è stato, una

8 Italo Svevo (1861-1928) aveva tradotto, insieme con un nipote medico, Uber den Traum (Il Sogno, 1919), una stesura ridotta e semplificata dell’Interpretazione dei sogni di Freud.

28

IL CONTESTO io con la psicoanalisi non c'entro [...] Lessi qualche cosa del Freud con fatica e piena antipatia [...] Però ne ripresi sempre a tratti la lettura continuamente sospesa per vera antipatia [...] Come cura a me non importava [...] Anzi la mia antipatia per lo stile di Freud fu interpretata da un Freudiano cui mi confidai come un colpo di denti dato dall’animale primitivo che c’è anche in me per proteggere la propria

malattia?. Anche per Gadda, come per Svevo, la psicoanalisi è «una scienza che aiuta a comprendere se stessi», « può concorrere allo smontaggio di un’idea-sintesi che noi ci formiamo di noi stessi, come un’officina di riparazioni può smontare un'automobile. Anche un pupazzo può essere smontato dalla psicanalisi»!°. Per lui la letteratura, la grande letteratura, pratica la psicoanalisi almeno da due millenni: Virgilio, Rousseau, Baudelaire hanno saputo, ben prima di Freud, analizzare i recessi più segreti della psiche umana: Gli stati d’animo, gli inconsci o consci appetiti, le crisi dell'infanzia, le manifestazioni della «sensiblerie» o dello spirito profetico o della chiaroveggenza infantile, hanno dato motivo a innumeri scritture, già in era pre-freudiana, hanno recato ai nostri giorni un dubbio: il dubbio che Freud non abbia scoperto nulla di interamente nuovo, ma soltanto ordinato, schematizzato, sistemato, ridotto in termini un materiale probante già noto da secoli !!.

Queste affermazioni risalgono al 1946, quando le teorie psicoanalitiche, pressoché sconosciute in Italia anche a causa dell’ostracismo del regime fascista", cominciano rapidamente a diffondersi in Italia. Le conoscenze gaddiane intorno alla psicoanalisi, l’interesse che, indubbiamente, l’autore dimostrò per le opere freudiane possono ascriversi al più generale interesse per quelle forme della conoscenza in grado di penetrare nel duplice « groviglio », della società e della psiche. Nella Cognizione, in altre parole, la psicoanalisi diviene materiale narrativo, invenzione fantastica: nel sogno angoscioso della figura velata, negli accessi di delirio del protagonista, nell’episodio dell’immagine paterna calpestata la conoscenza degli strumenti psicoanalitici, pur evidente, si inserisce perfettamente nel tessuto narrativo. La psicoanalisi ha dunque offerto all’autore Gadda uno strumento ulteriore per trasformare un autobiografico « male oscuro » in pagine di grande suggestione letteraria. Negli anni compresi tra le due guerre, infatti, gli scritti che precedono La cognizione sembrano in qualche modo prefigurare questa «tra-

? I. Svevo, Soggiorno londinese, in Racconti. Saggi. Pagine sparse, a cura di B. Maier, Milano, dall’Oglio, 1968, pp. 685 e 688. !0 C. E. Gadda, Psicanalisi e letteratura, in

1? Nonostante l’ostracismo, Gadda, Svevo e pochi altri intellettuali italiani, soprattutto attraverso l’apertura europea di alcune riviste, si accostarono in modo non superficiale alla

VM, p. 37.

psicoanalisi.

11 Ibid., p. 41.

I

IL «GROVIGEIO»

DELLA

REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

29

gica autobiografia», nel senso che lasciano scorgere indizi, presentimenti, sfumature che troveranno poi un’organica elaborazione nel romanzo: la mancanza di tenerezza nell’età infantile, le manie speculative e narcisistiche del padre, la villa in Brianza come status borghese, l’incapacità d’inserimento in una società che premia gli arrivisti, i vanesi, i finti reduci. Ritrovare alcuni di questi «materiali» significa individuare un percorso di scrittura che ritorna su se stesso lungo i fili aggrovigliati di una rete che non si dipana.

4

«Italiani, appartengo io alla vostra razza?»

I passi che seguono sono tratti dal Giornale di guerra e di prigionia, un diario che Gadda redasse durante gli anni della prima guerra mondiale. Siamo nell’estate del 1916 sulla linea del fronte. Il giovane tenente, idealista e patriottico, esprime tutta la sua rabbia contro l’inefficienza dei quadri militari, contro la burocrazia, contro i soldati vigliacchi e disertori.

La sera del 10, trasporto della baraonda alla nuova dislocazione. Completamento delle capponiere'; sonno; il giorno 11 completamento del ricovero pel capitano, noia, crisi d'animo. Grande e intensissimo nostro bombardamento sul Mosciagh, a shrapnels, granate, 305°: colonne di fumo. Qualche fucilata a noi dai tiratori annidati sull’altra sponda dell’ Assa?. Sono sotto un cencio teso fra due rami, pioggia, rabbia, noia. Scesi col capitano fino a una Malga o Casera a Ovest del nostro sito, e in basso, in posizione amenissima: la carta al 100.000 non la segna. Raccolsi il volumetto d’una traduzione tedesca dei Promessi Sposi, eguale a quella che abbiamo in casa: vidi i ricoveri fatti per gli ufficiali austriaci nella detta località, solidi, belli, a spese dei nostri larici. In complesso nulla da fare, uggia. La notte passata dormii nuovamente per terra, nella buca iniziata pel mio ricovero. Stamane Traversa, Luraschi e altri

soldati completarono il mio ricovero, sostenendo la ghiaia di erosione che forma il sottosuolo con pali e graticci, e sacchi a terra: mi allestirono una tavola per scrivere, una branda, con un ramo e sacchi a terra, ecc. Dimensione del locale 1,50 x 1,80 superficie: x 1,30 altezza: dissimulato assai bene nell’erosione tor-

rentizia del rientrante dove ho nosto le mie macchine. Ebbi oggi la cattiva no1! capponiere, fortificazioni militari. 2 shrapnels ... 305, gli shrapnels, dal nome del-

bro, o diametro interno misurato in mm, del cannone.

l’inventore inglese, erano proiettili cavi di artiglieria caricati a pallottole, che esplodevano in prossimità del bersaglio; 305 indica il cali-

3 Assa, affluente del fiume Astico, nasce nell’altipiano di Asiago.

30

iL conTESTO

tizia dello scoppio del nostro cannone da 305 postato a Campiello. Qui il rancio arriva 1 volta sola, a sera: il caffè ante lucem, per ragioni di fuoco. La truppa si lamenta sempre, un po’ a ragione, un po’ a torto. In compenso ai soldati che mi costruirono il ricovero diedi una scatola di sardine e del caffè, le uniche cose di cui dispongo. Avvenimento caratteristico è la continua dipartita, dal nostro reparto, di malati che entrano all’ospedale. Tutti poi piagnucolano artriti, dolori, indigestioni, ecc.: alcuni a ragione, altri schifosamente, per fifa. Questo mi fa venire una rabbia convulsa, e diminuisce in me la stima per i miei soldati, a cui sento che non sono legato da vero affetto, perché i fifoni e gli impostori mi fanno rabbia [...] Un ordine del giorno della 1? Armata reca a voce d’infamia la gesta di alcuni disertori della brigata Salerno e della brigata Venezia: il fatto deve essere stato abbastanza grave, per farne un manifestone simile, distribuito a tutti i reparti e letto a tutta la truppa: conservo il documento. Esso dice, con mia grande gioia, che d’ora in avanti i nomi degli infami saranno pubblicati sulla porta della Caserma ed esposti nell’ Albo Comunale del paese nativo. Is) Se queste mie memorie saranno lette in futuro, chi leggerà sappia che la discordia nelle file del nostro esercito, nella compagine della nostra vita nazionale è novanta volte su cento il frutto di imbecillità e di frivolezze come questa e peggio. La nostra anima stupida, porca, cagna, bastarda, superficiale, asinesca tiene per dignità personale il dire: «io faccio quello che voglio, non ho padroni». Questo si chiama fierezza, libertà, dignità. Quando i superiori ti dicono di tosarti perché i pidocchi non ti popolino testa e corpo, tu, italiano ladro, dici: «io non mi toso, sono un uomo libero». Quando un generale passa in prima linea, come passò Bloise, e si lamenta con ragione delle merde sparse dovunque, tu, italiano escremento, dici che il generale si occupa di merde: (frase da me udita sulle labbra di un ufficiale). Se il generale se ne sta a casa sua, dici che è un imboscato, ecc. Abbasso la libertà, abbasso la fierezza, intese in questo senso. Non conosco nulla di più triviale che questi sentimenti da parrucchiere. ISS] Adesso, o Italiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che avete fatto della patria un inferno per i vostri litigi personali, per le discordie uso La Marmora e Cialdini‘ (che il demonio li copra di sterco: anime schifose), per i veleni, le bizze, le invidie, dall’epoca dei Comuni a questa parte: adesso ditemi: appartengo io alla vostra razza? So vincere la mia ragion personale con la ragione dell’interesse del servizio e della concordia, oppur no?

4 La Marmora e Cialdini, Alfonso Ferrero di La Marmora (1804-78), militare e uomo poli-

denza; Enrico Cialdini (1811-92), generale dell’esercito piemontese. I loro contrasti e le loro

tico piemontese, capo di Stato maggiore nel 1866, all’inizio della terza guerra d’indipen-

gelosie furono determinanti per la sconfitta di Custoza e per l’esito negativo della guerra.

IL «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PsIcHICO

31

ES Tra 1°8° fanteria e il 5° alpini e la Commissione di avanzamento? avranno imbastito tali pasticci, che non è più possibile uscirne. Che porca rabbia, che porchi italiani. Quand'è che i miei luridi compatrioti di tutte le classi, di tutti i ceti, impareranno a tener ordinato il proprio tavolino da lavoro? A non ammonticchiarvi le carte d’ufficio insieme alle lettere della mantenuta,

insieme

al cestino della merenda, insieme al ritratto della propria nipotina, insieme al giornale, insieme all’ultimo romanzo, all’orario delle ferrovie, alle ricevute del calzolaio, alla carta per pulirsi il culo, al cappello sgocciolante, alle forbici delle unghie, al portafogli privato, al calendario fantasia? Quando, quando? Quand’è che questa razza di maiali, di porci, di esseri capaci soltanto di imbruttire il mondo col disordine e con la prolissità dei loro atti sconclusionati, proverrà alle attitudini dell’ideatore e del costruttore, sarà capace di dare al seguito delle proprie azioni un legame logico? Perché farmi perdere tre mesi al Tonale? Se non volete passarmi di complemento, cosa che dovrebbe interessare più a Voi che a me, perché è a Voi, italiani, che difettano uomini che vogliano andare al fronte, mentre per me andare al fronte è solo un piacer mio; se non volete passarmi di complemento, non istituite il corso, non offritemi di andarci, non fatemi perdere 3 mesi. (C. E. Gadda, Giornale di guerra e di prigionia [GGP],

Torino, Einaudi, 1965, pp. 155-57, 170-71, 194, 165-66)

Proposte di lettura e ricerca

Gii intellettuali e la prima guerra mondiale Verso la fine dell’Ottocento la conflittualità sociale aveva cominciato a crescere, e il sistema politico liberale, manifestando forti componenti autoritarie, contribuiva a peggiorare la situazione. La repressione armata compiuta dal generale Bava Beccaris sulla folla inerme di Milano (1898) e l’uccisione di Umberto I (1900) aprono il nuovo secolo in un’atmosfera d’inquietudine e di pessimismo che cancellano gli effimeri atteggiamenti ottimistici della seconda metà dell’Ottocento. La prima guerra mondiale accentua, esasperandoli, i conflitti sociali. Se è vero infatti che la guerra ha investito tutte le classi e i gruppi sociali, è pur vero che atteggiamenti e comportamenti assai discordi evidenziano le contraddizioni di un paese che si cimenta per la prima volta in un’impresa unitaria. Dagli intellettuali, in particolare dai letterati, la guerra viene vissuta come

5 Commissione

di avanzamento,

la domanda

inoltrata da Gadda per la nomina a ufficiale di complemento era andata smarrita: la nomina

tardava ad arrivare nonostante il corso di per-

fezionamento fatto al Tonale.

32.

IL CONTESTO un evento risolutore, catartico, come dovere e impegno eroico, come avventura, come «bagno di sangue», come riscatto dei poveri. Gli atteggiamenti sono diversi, notevolmente diversi, ma sostanzialmente gli intellettuali combattono la loro battaglia interventista in favore di una guerra dove si sentiranno «fratelli»; il «sentirsi insieme» è infatti un tema ricorrente in molti scritti anche se la tragica realtà delle decimazioni, dei tribunali militari e delle condanne a morte per diserzione sconfessa ogni generosa illusione. Anche Gadda condivide gli entusiasihi degli interventisti: «Io ho voluto la guerra, per quel pochissimo che stava in me di volerla. Ho partecipato con sincero animo alle dimostrazioni del ’15, ho urlato Viva D’An-

nunzio, Morte a Giolitti [...] Io ho presentito la guerra come una dolorosa necessità nazionale, se pure, confesso, non la ritenevo così ardua. E in guerra ho passato alcune ore delle migliori di mia vita, di quelle che m’hanno dato oblìo e compiuta immedesimazione del mio essere con la mia idea: questo, anche se trema la terra, si chiama felicità » (C. E. Gadda, Impossibilità di un diario di guerra, in Il castello di Udine, in RR, I,

p. 142). Un testo emblematico di un’intera generazione (quella a cui appartiene Gadda), che ha vissuto l’illusione di risolvere nella guerra l’inquietudine e il disagio di un periodo difficile, è L’esame di coscienza di un letterato, scritto nel 1915 da Renato Serra, un intellettuale disincantato e in-

quieto, pochi mesi prima di partire per il fronte, dove morirà in un’azione di guerra (si può leggere un’edizione con introduzione di C. Bo, Roma, Newton Compton, 1973). Interessante anche il libro di P. Jahier, Con me e con gli alpini (1919), Firenze, Vallecchi, 1957. L’esperienza della guerra è presente anche nelle poesie di G. Ungaretti, Vita di un uomo, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1982. .

Per uno sguardo panoramico sul ruolo e sulle scelte degli intellettuali italiani di fronte alla prima guerra mondiale si può leggere il libro di M. Isnenghi, I! mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza, 1970.

Cui non risere parentes

È sorprendente ritrovare in testi gaddiani che precedono di quaranta, trenta, vent’anni la Cognizione del dolore identici motivi autobiografici. Simili a «immagini trascorrenti» hanno attraversato una vita — e una scrittura — come momenti isolati di un disagio esistenziale, come grumi di dolore che solo nella Cognizione si distendono in pienezza di senso.

IL «GROVIGLIO»

DELLA REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

33

Se nel 1919 il giovane tenente Gadda lamenta l’incomprensione materna ma ne attribuisce in parte le cause a se stesso (t5), molti anni dopo i «difetti» dei figli appaiono tali solo nella follia paterna (t6) e il dolore del vivere ritrova le sue radici in un’infanzia lontana, in un sorriso assente (t7). Su quella assenza si costruisce il male oscuro di Gonzalo.

5

«Questa è per me la famiglia » Ancora dal Giornale di guerra e di prigionia. Siamo ormai alle ultime pagine del diario, l’ultima data è del 31 dicembre 1919; l’amarezza e le delusioni del dopoguerra, il dolore per la morte del fratello, i difficili rapporti familiari, e, soprattutto, la consapevolezza del proprio disagio esistenziale sono i « materiali » autobiografici che costituiranno i temi narrativi della «tragica autobiografia» gaddiana.

Tecchi' mi è buon compagno delle ore di studio; ha un po’ compreso il mio stato, ha penetrato il complicatissimo sistema morale che risponde all’etichetta del mio nome. Non è cosa nuova per me essere mal giudicato nella vita: riconosco in me difetti gravissimi, qualità negative: (ipersensibilità, timidezza, pigrizia, nevrastenia, distrazione fino al ridicolo). Ma troppo severi e troppo superficiali sono i giudizî che fanno di me anche molti che credono di conoscermi a fondo. La mia adorata mamma essa stessa non mi ha sempre compreso; ciò anche perché io sono essenzialmente infelice nel contegno e nell’espressione; l’unica espressione vivida e corretta, di cui posso rispondere, è l’espressione mediante il pensiero scritto. Ricordo che, inginocchiato al letto di mio padre morto, esclamai nel pianto: «Ho appena quindici anni! », intendendo dire: «Solo per questo breve periodo ti sono stato vicino, o babbo». Questa frase fu invece interpretata, e forse ragionevolmente, nel senso egoistico: «O babbo, mi lasci in età nella quale il tuo aiuto m’era necessario ». Bisogna riconoscere che questo era il pensiero rispondente all’espressione, e che l’espressione non rispondeva invece al mio pensiero. È questo un esempio tra mille. Così nella vita mi occorse sovente, lo confesso a me medesimo, di passare per imbecille, o per orgoglioso, o per egoista, o per pazzo: mentro ero distratto, timido, riservato, stanco.

Lil 1! Tecchi, Bonaventura Tecchi (1896-1968), romanziere, saggista e germanista, fu compa-

gno di prigionia di Gadda nel Lager di Celle (Hannover).

34

IL CONTESTO

Arrivato a Milano, seppi che il bagaglio dei prigionieri passati da Lione era giunto a Firenze. Il 23 mattina corsi al 5° Alpini a chiedere un foglio di viaggio per quella città. Il capitano Bertarelli me lo concesse. Partii alle 12,45: anche questo viaggio fu scialbo e tetro. Arrivai a mezzanotte a Firenze. Mi trattenni il 24 e il 25 fino alle 2 del pomeriggio. Trovai tutto il bagaglio e ne fui lieto. Il 25 a mezzanotte ero di nuovo a Milano e il 26 al 5° Alpini, dove mi hanno messo all’Ufficio pacchi. Così è finito il mio sogno di gloria militare. In quest’ufficio non vi è da far nulla; meglio: potrò studiare un pochino. In questi giorni, lavori di assestamento, sia al 5° Alpini, sia nella vita normale. Ho avuto un attendente, che speriamo mi possa servir bene; Politecnico, visite, pratiche burocratiche varie, ecc. Del mio stato morale e intellettuale di questo periodo di atroce crisi e forse di fine, noterò più avanti, se e quando avrò tempo. fax] Non ho tempo né voglia di notare i particolari di questo terribile periodo della mia vita. Mi limiterò ad un riassunto di carattere generale, a delle note e a delle brevi considerazioni che esprimano quale è stato per me il premio del ritorno, come soldato, come cittadino e come uomo. I dolori invece di diminuire crescono di numero e di intensità; la rabbia per molte cose e le preoccupazioni aumentano; le speranze mancano. Così non si vive, non si può vivere. Non c’è nemmeno, a sostenermi, il ricordo di qualche gioia o fierezza passata, perché gioie non vi furono nella mia vita e le fierezze furono solo per meriti potenziali, non attuali, salvo qualche buona cosa in guerra, del resto misconosciuta e ignorata da tutti i patriottoni dell’ultima ora. [2] Mi fermai a Novara”, per cercare al deposito del 24° Fanteria, che ha mobilitato il 249°, se vi fosse la mia medaglia di bronzo, ottenuta col Bollettino Speciale del Ministero di Guerra 20 giugno 1918, Dispensa 40°, p. 3168. Fui fortunato e la trovai infatti a quel Deposito (Caserma Passalacqua), dove non sapevano chi io fossi, né dove fossi. Me la consegnò un caporale, da una piccola cassetta di ferro, dove la teneva: firmai una piccola ricevuta sopra un ritaglio di carta. La intascai e uscii; di fuori le vie della città provinciale erano umide: nebbia alta, umidità invernale, gente che andava e veniva, soldati. Questo è stato tutto il cerimoniale: tralascio i tristi pensieri, l’orribile stato d’animo di questa mia fine di guerra, dopo tanti sogni, dopo tante speranze. fer] Per qualche buona azione in guerra, e infinita passione, e logorìo di trepidazione per il paese, e sacrificî fisici e morali non pochi, non so, ma mi par d’essere morto e sepolto e dimenticato e pensare come pensano i morti nella montagna: Addio mia bella, addio! Se la Vittoria sarà nostra un dì,

? Mi fermai a Novara, la guerra è finita e Gadda è in licenza in attesa del congedo.

IL «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ

E IL

«GROVIGLIO»

PSICHICO

35

Diranno gl’imboscati: «Abbiamo vinto a forza di morir». Gl’imboscati la sigaretta E noi alpini la baionetta... E davvero adesso gl’imboscati fanno da eroi reduci’, e gli eroi sono morti: e io sono così atrocemente solo, perché il mio fratello più forte e bravo ed intelligente di me, il solo che poteva assistermi un po’ nella vita, non è più

con me‘. Noterò dunque qualche cosa alla meglio, raggruppando per argomenti e preponendo volta per volta la data del giorno in cui scriverò. Molte cose non potrò esprimere con l’intensità che vorrei, perché il dolore prostra, vuota, abbrutisce, distrugge, come l’acido solforico versato sull’anima. Non resta più niente, se non la faccia della morte, che vorrei prossima e liberatrice. SA] Tutto ciò’ è per me motivo di rabbie, di dolori terribili, di crisi mute ma spaventose, di maledizioni e bestemmie di cui poi mi vergogno. Tanti motivi di riconoscenza, oltre l’innato amore, ho verso la mamma, tanti tanti! E questi fatti mi avvelenano questo amore, che è ciò che m’è rimasto sulla terra; mi spingono a maledire i miei genitori e il giorno in cui sono nato. Proprio non meritavo, come accoglienza al ritorno in patria, la tragedia di mio fratello e il veder Clara così abbattuta fisicamente e moralmente. Ecco le realtà che mi circondano. La lontananza della mamma è pure motivo di scontento, di dolore, di irritazione: non posso parlarle, spiegarmi con Lei, ottenere una spiegazione sullo strano rifiuto. E m’arrabbio; e bestemmio; i miei nervi malati attraversano questi accessi come una vecchia casa in rovina la lunga onda di certe ventate. Seguono prostrazioni e inebetimento e disperazione. Questa è per me la famiglia. [9] Ho dato oggi, 7 luglio 1919, il mio esame di Geologia e ho preso 90: è il quarto, dopo Chimica, (appena tornato da Livorno), Scienza delle Costruzioni e Teoria delle Macchine. Studio abbastanza, e ho discreta volontà. Si frappongono e ostacolano il lavoro la nevrastenia, ancora grave, tanto da impedirmi di studiare quanto vorrei, il dolore presente sempre d’Enrico, l’orrore della casa sola e deserta, e le preoccupazioni generali.

3 eroi reduci, il personaggio del reduce finto eroe tornerà enfatizzato nel Manganones della Cognizione. 4 il mio fratello ... non è più con me, il fratello Emilio, morto in guerra.

5 Tutto ciò, tensioni familiari determinate dall’opposizione della madre al matrimonio della sorella Clara, le cui condizioni di salute erano motivo di preoccupazione per Gadda.

36

IL CONTESTO

Questo periodo della mia vita è così grave, da superare tutto il passato, salvo forse l’abbrutimento della fame e la depressione psichica dopo Caporetto; certo è ben più terribile dell’ultima parte della prigionia. Esso è caratterizzato da un insieme di avversità feroci e di dolori, di cui elenco i principali: 1° Dolore di Enrico; orrore, aumentato dalla solitudine della casa. Memo-

rie ossessionanti, nella nitidezza dei particolari. Ricordo tutto implacabilmente: rimorsi, tenerezze e pianto. Questo dolore ha, per intensità un andamento a onde; è feroce, atroce per 10-15 giorni, poi una pausa di torpore di 5 o 6: calma che pare anestesia spirituale. La mia vita è stata veramente spezzata: essa mi è indifferente, mi appare inutile. E poi vorrei esprimere meglio e più: senza di Lui non c’è più nulla: né la patria, né il lavoro, né l’amore, né l’avvenire, perché lui non ne ha più. I suoi figli non ci saranno: la luce non si spegnerà per me e per lui negli stessi giorni lontani, dopo il lavoro compiuto. Lui ha finito e riposa per sempre nel buio della terra. Ma è inutile parlare di questo: è stata la fine! 2° Clara è malata; deve andare in montagna, durante l’inverno dovrà, possibilmente, andare in Riviera. Quando il medico mi annunciò che il miglioramento era lento, stetti male tre giorni: stanchezza, mutismo, avvilimento anche

fisico, braccia giù. E poi c’è anche il dolore del suo matrimonio contrastato dalla mamma. E io ancora non guadagno e non posso aiutarla se non con qualche economia. Rimorso di essere stato con lei muto, duro, cattivo (la feci piangere), quando fu a Milano a farsi visitare. Ma il non trovarla meglio mi abbatté e avevo gli esami, avevo fretta, ero nervoso. Partì il 30 giugno: era arrivata il 28. 3° Nevrastenia: essa è sempre grave: le troppe scosse di questi ultimi tempi mi hanno rovinato: ogni dolore mi abbatte fisicamente, lo sento. Sento nei nervi delle braccia e delle gambe andare come un veleno, una stanchezza, il cuore dolere (fisicamente). Ogni giorno porta una sua nuova ferita, oltre la piaga orrenda che c’è già. Faccio una cura ricostituente, ma essa basta appena a riparare il logorio e a impedirgli di aggravarsi. Se si sapesse in quali condizioni fisiche e mentali io studio! in quali condizioni morali! Credo che la mia forza di volontà nel lavoro sarebbe ammirata. Se si sapesse in quali condizioni fisiche ho fatto la guerra! La nevrastenia paralizza e diminuisce ogni attività, rendendo mille volte più arduo il Politecnico già non lieve per uno sano. (23) L’ultimo periodo di studî, dal luglio all’agosto e fino a che feci l’ultimo esame, fu caratterizzato da un terribile nervosismo, da una tremenda irrequietudine, che mi spossò. Incerto avvenire, disgusto per il contegno del popolo italiano, ricchi e poveri e tutti, dolore per Clara, irritazione contro la Mamma che non vuol saperne di vendere la casa di Longone e di liquidare l’appartamento qui, mentre noi versiamo in tali strettezze.

[SS]

IL «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

37

Tornai a Longone® come morto: senza più voglia di nulla. Con la Mamma fui cattivo e prevedo che sarò sempre, perché troppe divergenze abbiamo su tutto: e perché vedo ch’ella non ama Clara, il che, del resto, è cosa vecchia. Anche della famiglia che un tempo adoravo sono stufo: sento che i più cari legami si dissolvono, che il maledetto destino vuol divellermi dalle pure origini della mia anima e privarmi delle mie forze più pure, per fare di me un uomo comune, volgare, tozzo, bestiale, borghese, traditore di se stesso, italiano, «adatto all’ambiente». Tutto ha congiurato contro la mia grandezza, e prima d’ogni cosa il mio animo, debole, docile, facile ad esser preso dalle ragioni altrui; poiché in tutti, anche nei miserabili, v’è un po’ di ragione, o almeno la logica della realtà. Se la realtà avesse avuto minor forza sopra di me, oppure se la realtà fosse di quelle che consentono la grandezza, (Roma, Germania), io sarei un uomo che vale qualcosa. Ma la realtà di questi anni, salvo alcune fiamme

generose e fugaci, è merdosa:

e in essa mi sento immedesimare

ed

annegare. SS | Ho tralasciato ormai le mie note, le quali non potrebbero contenere se non la storia di una inutile, monotona vita.

Dal settembre in poi le cose si sono aggravate. Le agitazioni politiche sono in aumento continuo: per me poco male; ma la compagine del paese ne fu scossa e le trattative di pace volgono al peggio per noi. Questa è una grande amarezza;

sarebbe

un dolore

tremendo,

se fossi ancora

capace

di soffrire

con l’intensità di un tempo: così come son ridotto, il pensiero della patria si confonde con gli altri dolori in un risultamento di oscurità, di miseria, di fine. Le quistioni famigliari non si risolvono; quelle di indole economica

meno che meno. Non c’è mezzo di persuadere la mamma alla vendita coraggiosa di Longone e dell’inutile appartamento di Milano. Con la caparbietà dei maniaci ella non ne vuol sentire; ogni accenno, ogni insistenza finisce in una scenata. SS Vorrei vedere le cose della mia famiglia andar bene: la regola perfetta: le spese inutili evitate: ecc.; e mi logoro stupidamente l’anima perché la Mamma non fa quello che vorrei. (E perché, dico io, vuol più bene ai muri di Longone, alle seggiole di Milano, che a me, che a Clara malata). Mi struggo per le spese, perché quest’inverno si soffrirà la fame, perché il medico ha ordinato per Clara ‘ il soggiorno in Riviera e, facendo così, non si potrà. Ma tanto e tanto è inutile affliggersi: qualche santo soccorrerà. Vada la barca dove vuole, non me ne importa più nulla! Io non sono più un uomo. Litigai con la Mamma anche per le lettere di Enrico, per le sue memorie,

6 Tornai a Longone, Gadda era stato congedo.

a Roma e a Napoli approfittando della licenza prima del

38.

iL conTESTO

che io vorrei elencare, notare, raccogliere in unico luogo: e le chiesi anche le sue; quelle che Enrico scrisse a lei: (quanto mi ama e quanta fiducia ha in me!) Mi disse delle parole senza senso, come il solito, e basta. Enrico è il mio compagno ancora nei momenti di raccoglimento, nell’atroce solitudine, nel vuoto perenne che mi circonda. La tristezza e il dolore feroce mi seguono mentre m’addormento e mi sveglio, mentre penso alla sua tomba deserta e lontana, agli anni lontani, alla vita lontana. Questo tutto che mi circonda è una inutile e stupida sopravvivenza. (Gadda, GGP, pp. 282-83, 362-63, 361, 363-64, 365-66, 369-70, 373-74, 376-77, 375)

6

«Per la gloria delle campane ci sarà l’obolo e per i figli le lacrime »

Questo brano è tratto da una prosa narrativa datata 1933 dall’ironico titolo Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus. // tema conduttore è la «terra felice» della Brianza che la borghesia milanese nei primi anni del secolo disseminò di ville e di villette, ostentazione di benessere e di prestigio sociale. Anche la famiglia Gadda volle avere la sua villa e la costruì a Longone al Segrino (il Lukones della Cognizione). Tra le «otto generazioni di felicità» brianzole che l’autore sarcasticamente enumera, c’è lo scampanio assordante di quelle campane che la munifica offerta paterna (i «cinquecento pesos di munificenza pirobutirrica » della Cognizione) aveva contribuito a costruire. Ma il padre di Gadda, il marchese d’Eltino nell’invenzione letteraria, per permettersi tanta liberalità deve costringere i familiari a drastiche ristrettezze. Uno vizio solo hanno purtuttavia questi cotali preti ch’io dico, ed è che quando li dà il farnetico!, si missono in la mente che le sua campane non suo-

nino bastante per intronare la gloria di Dio nelli orecchî de’ peccatori e delle peccatrici. Ed è in quello farneticante zelo che fatto il consiglio e persuaso della bisogna”, subito imprendono a mutar campane, e sempre le mutano facendole due volte le priori campane; e come l’onda del suono è nel peso, e il peso è nel volumine, e per duo volte la misura il volumine è otto volte?, così d’otto in otto fanno cotali campane che il campanile non l’ha da reggere. E allora

1 quando li dà il farnetico, quando si lasciano prendere da una fissazione che li fa farneticare (vedi subito dopo: «farneticante zelo »). 2 fatto ... bisogna, all’idea segue subito la vo-

lontà di realizzazione. 3 per duo volte ... otto volte, le nuove campane raddoppiano di volume e l’onda del suono è otto volte più potente.

IL «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

39

o rinsaldano il campanile o rifanno quello: che la prima è migliore che la seconda, che se a rifare bisogna primo tu lo levi dal sopra in giù, rinsaldare bisogna tu lo rifacci dal sotto in su. Ma perché l’appetito del doppio suonare non in istia così lungo quanto dura il rifar campane e campanile nella chiesa, ne vengono questi cotali e soavissimi preti con alcuni messeri di Fabbrica, a casa de’ marchesi per l’obolo. Ed è marchesi di duo nature, e cioè quelli che innanzi le ville hanno pan-d’oro da mangiare e quelli che dietro le ville hanno croste da rédere*. E dar dinaio nelle campane, è per li uni una gloria celeste: e per gli altri è una gloria verde’. E quando questi secondi Marchesi hanno figli difettivi® che non si contentano a mangiar l’ugne in sopra il latino, ma vogliono pane dopo il latino, così per la gloria delle campane ci sarà l’obolo e per i figli le lacrime, senza speranza. (C. E. Gadda,

Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus. Alcune battute per il progettato libro, in Le bizze del capitano in congedo e altri racconti, a cura di D. Isella,

Milano, Adelphi, 1981, pp. 22-23)

7

«Io e gli altri»

Il tema del fanciullo rigidamente allevato, triste, impaurito dalla severità dei genitori, è anch’esso tema ricorrente nell’opera gaddiana. Ad esso corrisponde, specularmente, il quadro degli « altri»,

sereni,

spensierati,

amati,

sicuri di sé e del posto

che

occuperanno nel mondo. Questo passo è tratto da un articolo uscito nel 1941 sulla rivista romana « Beltempo ».. Se altri avesse

lasciato

dondolar

la gamba,

bimbo

irrequieto,

o avesse

tentato di stropicciarsi le mani diacce da poter sostenere la sua penna!, di certo non sarebbe incorso nelle ammonizioni «illuminate», poi nelle puni-

4 croste da ròdere, dietro un apparente benessere ci sono solo «croste» per le necessità quotidiane. 5 E dar dinaio ... gloria verde, ironica allusione

alle ristrettezze economiche (il «verde») nascoste dietro l’ostentato benessere delle munifiche elargizioni per il rifacimento delle campane (cfr. CDA)! 6 figli difettivi, le più elementari necessità dei figli sono «difetti» per il padre. 1 le mani diacce ... la sua penna, in un’inter-

vista Gadda ricorda un episodio dell’infanzia: «Io avevo sempre freddo d’inverno. [...] Una volta, durante una lezione, ho fatto il gesto di coprirmi il polso tirando giù la manica, e il maestro mi ha sgridato dicendo che ero distratto e mi ha messo

un’ammonizione.

Ecco,

queste

erano le cose che mi ferivano. Avevo freddo. Non potevo scrivere. Era durante la dettatura. Non

ho conservato

nessun

rancore,

natural-

mente. Ma quella ammonizione poi mi ha valso punizioni domestiche mortificanti» (Maraini, Carlo Emilio Gadda come uomo cit., p. 15).

40

iL conTEsTO

zioni feroci, distruggitrici, nascoste ai lumi e ai lampioni d’ogni umana cognitiva. Facevo del mio meglio a leggere, ad apprendere. Gli altri erano sani ed allegri, portavano in sé una certezza; si affidavano al loro caso. Potevano intrugliare casi e date e numeri in un guazzabuglio pur che fosse, ed erano accolti tuttavia con carezze, baciati, pettinati con amore; e rivestiti di vesti. « Prendi il tuo latte, anima mia». [...] M?ero studiato di ridurre l’ecloga? alla terza rima: oh! l’avevo a memoria. On! il mondo a venire. Ma, in sul chiudere la messianica, Vergilio aveva lacerato il tema, bruscamente: il vaticinio delle pecore pitturate?: «Quello a cui i genitori non hanno saputo sorridere‘, né un dio vorrà degnarlo della sua mensa, né una dea lo degnerà del suo letto. Nec dignata cubili est». »

(C. E. Gadda, Dalle specchiere dei laghi, in Le meraviglie d’Italia. Gli anni, Torino, Einaudi, 1964, pp. 22-23)

Proposte di lettura e ricerca

Motivi autobiografici ‘Se Gadda, come più volte è stato detto, ha scritto nella sua vita un solo

libro — la sua «tragica autobiografia» —, occorrerebbe rimandare all’intera sua opera per «contestualizzare» la Cognizione.

Si possono però individuare nella Cognizione alcuni temi particolarmente significativi per la loro ricorrenza nell’opera gaddiana: la società italiana del dopoguerra, la villa di famiglia, .l’infanzia priva di tenerezza. Simili a tracce di un percorso che ritorna su se stesso, questi « nuclei » tematici si ritrovano lungo l’intero arco dell’attività letteraria di Gadda. Il dopoguerra italiano è sarcasticamente rappresentato in quattro racconti compresi nella I parte del Castello di Udine: Impossibilità di un diario di guerra, Dal Castello di Udine verso i monti, Compagni di prigionia, Imagine di Calvi in RR, I, pp. 134-78; come pure nelle ultime pagine di Giornale di guerra e di prigionia, Torino, Einaudi, 1965.

2 l’ecloga, è la IV ecloga di Virgilio, nella quale si annuncia in tono profetico l’età dell’oro e la nascita di un puer interpretato nel Medioevo come il Cristo. Per questa interpretazione l’ecloga virgiliana è definita, poco dopo, « messianica». 3 il vaticinio delle pecore pitturate, nell’età dell’oro la lana non dovrà più essere tinta perché le pecore stesse saranno colorate. 4 «Quello a cui ... sorridere», sono i versi con-

clusivi della IV ecloga. Gadda accetta la lezione «cui non risere parentes» (quello a cui i genitori non hanno saputo sorridere) anziché quella che è oggi comunemente accettata: «qui non risere parenti» (chi non ha sorriso alla madre). Qualche anno più tardi Gadda ritornerà sul verso virgiliano, modificando ia. traduzione «(quelli) a cui i genitori non hanno potuto sorridere» (Gadda, Psicanalisi e letteratura cit., p. 39).

IL

pr «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ E IL «GROVIGLIO»

PSICHICO

41

La villa odiosamata di Longone appare, nei toni sarcastici del racconto, in Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus - Alcune battute per il progettato libro in Le bizze del capitano in congedo cit., pp. 11-30. Sul rapporto con i genitori e sull’infanzia si possono leggere: Cui non risere parentes, in Appendice a CD, pp. 525-35; Dalle specchiere dei laghi, in Le meraviglie d’Italia cit., pp. 17-23; Psicanalisi e letteratura, in

VM, pp. 35-52.

Due ritratti

Gonzalo Pirobutirro d’Eltino appare presentato direttamente — e non attraverso il punto di vista di altri personaggi — nella conclusione del primo capitolo. In questa descrizione il personaggio, costruito letterariamente come proiezione autobiografica dell’autore, mostra singolari affinità con il breve ritratto che di Gadda ci ha lasciato un testimone d’eccezione, Gianfranco Contini*.

TÀ L 8a

«Era alto, un po’ curvo, maturo d’epa, colorito nel viso come un Celta»

Il figlio, frattanto, venne ad incontrarlo sul piccolo viale dei susini, lungo il muro di cinta. Fra alto, un po’ curvo, di torace rotondo, maturo d’epa, colorito nel viso come un Celta!: ma la pelle alquanto rilasciata e stanco all’aspetto, benché fosse una meravigliosa mattina. Vestito appena decentemente, con delle scarpe accollate di pelle di capretto, nerissime, a stringhe nere: e però poco atte, in campagna, a cattivargli la considerzione dei giocatori di tennis, o la simpatia delle giocatrici. Fu estremamente cortese. La sua persona non era

* Gianfranco Contini (Domodossola, 1912-90) ha insegnato filologia romanza nelle università di Friburgo e Firenze e alla Scuola Normale di Pisa. Filologo e critico fra i maggiori del Novecento, ha spaziato dalla letteratura delle origini a quella contemporanea, privilegiando spesso scrittori espressionisti e « plurilinguisti». Editore e commentatore di testi — i Poeti del Duecento (1960), le Rime di Dante (1939), «// fiore» e il « Detto d’amore» attribuibili a Dante Alighieri

e studi: Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970; A/tri esercizî (1942-1971), ivi, 1972; Esercizî di lettura sopra autori contemporanei con un’appendice su testi non contemporanei, ivi, 1974; Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale, ivi, 1974; Un'idea di Dante. Saggi danteschi,

(1984), il Canzoniere di Petrarca (1964), L’opera in versi di Montale (1980), ecc. — ha raccolto in alcuni volumi la maggior parte dei suoi saggi

1 maturo d’epa ... un Celta, con la pancia prominente e l’incarnato roseo come un Europeo del Nord («Celta»): è un autoritratto.

ivi, 1976.

42

IL CONTESTO

adorna di pull-over, né altro indumento di nome. Un lieve prognatismo facciale, quasi un desiderio di bimbo che si fosse poi tramutato nel muso d’una malinconica bestia, veniva conferendo al suo dire, ma non sempre, quel tono sgradevole di perplessità e d’incertezza: e pareva dar ragione di certo distacco dai vivi. Distacco, opinò il dottore, più forse patito che voluto. In qualche momento, qualche tratto del volto riusciva addirittura bamboccesco, e la domanda predestinata ad ogni maniera di ripulse. La gente, si diceva uno al guardarlo, ha interessi e preoccupazioni, che la tengono, e d’ogni minuto: non ha tempo da interloquire coi bamboli. Le sue parole furono esatte e povere, come il vestito: e tutt'altro che impertinenti. Non pensava affatto a se stesso, e tanto meno a giuocare una parte, si sarebbe congetturato osservandolo: p. e. quella dell’ex-combattente. Ebbe per il dottore, che non vedeva da tempo, espressioni cordiali ma brevi: e gli dimostrava la sua stima. Con garbo nativo diede senz’altro per inavvertiti i quattro millimetri di barba color sale che gli riducevano il mento, al dottore, a essere quella brusca” che era: e parve giudicasse più che naturale, da quella spazzola, di doversi lasciar pungere indi a poco la schiena, la regione mammaria, l’epigastro, l’addome. I suoi agnati* d’Eltino, o del Tino, non pesavano nel suo contegno se non come lontane cause, d’un povero effetto; di cui da un pezzo si sono al tutto dimenticate le cause: come, sul suo cognome, i vecchi cippi del camposanto fuori le mura, sparito. E demolite le mura. Così accade, nei vicoli delle città, che d’un paracarro imprevisto ci si chieda la cagione: ed è, tra superstiti muri, un reliquato di smarrite cagioni*. Forse quella correttezza così umana ed inutile, e un po’ triste, era un modo non d’oggi, che veniva di lontano. (Gadda, CD, pp. 136-38)

«Alto il mio interlocutore, 8b

poco meno

che austero nell’abbi-

gliamento »

Conobbi Carlo Emilio Gadda nella prima metà del maggio 1934, direi verso 11. Quest’incontro mi era raccomandato dagli amici di So/aria', estasiati dal raro figurino dell’ingegnere-scrittore (che si realizzava a nostra insaputa anche fuori d’Italia, con Musil, a suo tempo con Robbe-Grillet?). Per autodenuncia,

? brusca, spazzola rigida e dura per strigliare i cavalli.

! Solaria, rivista letteraria fiorentina (1926-36), fondata e diretta da Alberto Carocci. Di grande

3 agnati, antenati in linea paterna.

respiro culturale, ebbe tra i suoi collaboratori, oltre a Gadda, E. Montale, U. Saba, E. Vitto-

4 un reliquato ... cagioni, un resto di qualcosa ormai scomparso, e della cui esistenza s’ignorano i motivi.

rini e molti altri letterati e critici. 2? Musil ... Robbe-Grillet, sono ingegneri-scrit-

IL «GROVIGLIO»

DELLA

REALTÀ

E IL «GROVIGLIO»

PsicHICO

43

io che ero destinato a diventare un acceso partigiano di Gadda, confesserò la mia irritazione alla prima lettura, che fu di Polemiche e pace nel direttissimo sull’Italia Letteraria; e che alla sua causa fui guadagnato da Montale. Accadde così che, passando io da Firenze, Bonsanti* ebbe l’idea di darmi da recensire per Solaria il libro fresco uscito nelle sue edizioni, // castello di Udine. Prose-

guendo per Roma, chiesi a Falqui di propiziare l’incontro: poiché Gadda stava allora per preparare uno studio sulle novità «ingegneresche»‘ ed elettrotecniche introdotte da Pio XI in Vaticano. Ci demmo appuntamento, con giornali in mano per segnale, in un punto di corso d’Italia vicino a porta Salaria [...] Ci riconoscemmo con Gadda a primo sguardo: alto il mio interlocutore, poco meno che austero nell’abbigliamento, una spolverina ripiegata su un braccio. E scendemmo verso il centro, avvolgendomi lui da sinistra, per eccesso di deferenza, ma anche per mutua simpatia lombarda. La sua oltranza di buoneducazione, che già i fiorentini mi avevano detto leggendaria, non gli vietava di sospirare sulle bisogne professionali o allotrie’ che gli davano di che vivere per scrivere, ma gli limavano il tempo dello scrivere: « Che io debba finire biografo di questo fesso papa! », esalava sconsolato®. [...] Epistolografo in quel tempo diligentissimo, quale solo la giovinezza consente di essere, mi affrettai, non appena rincasato (a Domodossola, da cui pendolavo quell’anno con Torino), a scrivere a Gadda, come risulta dalla sua prima lettera. Cominciò così un carteggio che durò finché all’amico rimase vitalità sufficiente, scandito dai frequenti nostri incontri; e che nella parte di Gadda non ha subito, nonostante l’iniquità dei tempi, troppo gravi perdite. Esso è dato per intero così come si è conservato (è stato omesso per buoni rispetti un breve tratto). Credo che le punte, in qualche caso anche la violenza, saranno condonate dall’umore dell’infelicità enorme, intervallata, come è bene che i posteri sappiano, da un’ilarità altrettanto enorme. (Gadda, Lettere a Gianfranco Contini cit., pp. 7-9)

tori anche Robert Musil (1880-1942) e Alain Robbe-Grillet (n. 1922). 3 Bonsanti, Alessandro Bonsanti (1904-84), condirettore di «Solaria» dal 1930 e in seguito direttore di «Letteratura»: in tale veste, è il « dittatore» che sollecita a Gadda la consegna dei «tratti» della Cognizione per la pubblicazione sulla rivista. 4 novità «ingegneresche», nell’agosto del 1934

apparvero sul quotidiano milanese «L’ Ambro-

siano» alcuni articoli sugli impianti termoelettrici della Città del Vaticano, dove Gadda, in

quel periodo, lavorava come ingegnere elettrotecnico. 5 bisogne ... allotrie, incarichi e lavori diversi.

6 «Che io debba finire ... sconsolato, in quel periodo Gadda lavorava come ingegnere all’Ufficio centrale dei servizi tecnici dello Stato della Città del Vaticano.

4. La lingua «spastica »

I dialetti e in genere gl’idiotismi e le strutture sintattiche regionali precedono, un po’ sempre dovunque, le lingue auliche, la lingua unica, solenne, pulita, imparruccata e togata delle persone molto serie, delle persone molto molto per bene: le quali, proprio per il fatto d’appartenere ad una élite, a una casta «scelta» in certo modo privilegiata dalle giansenistiche preferenze della Grazia, si ritrovano in condizione di meglio percepire e giudicare il distacco, a non dire l’abisso, che le separa dalla polvere e dai calcinacci del lavoro, dai fumi nitrici della battaglia, dal sangue e dalle sanie? del martirio, dalla limatura di ferro delle officine, dai residui organici delle cloache civiche, e via via lungo le infinite connotazioni d’un infinito catalogo?.

Il lavoro straordinario che Gadda ha operato su//a e dentro la lingua trova una chiave di lettura proprio nel bersaglio polemico che l’autore stesso ha individuato: «la lingua unica, solenne, pulita, togata e imparruccata», una lingua che, per la sua stessa costruita architettura, appare omologa a un mondo ordinato, definito, prevedibile; proprio quel mondo che Gadda rifiuta come inautentico. Com'è possibile, infatti, che quel tipo di lingua possa esprimere il «groviglio » della realtà dove i fili s'intrecciano e si dipanano nella casualità? Il processo di avvicinamento alle più nascoste radici dell’esistenza conosce le ambiguità scaturenti da una pluralità di visioni del mondo, da punti di 0sservazione diversi che modificano continuamente il reale. Per esprimere questo processo di avvicinamento a un mondo che non si lascia imbrigliare in categorie precostituite, non ci si può affidare a una lingua «unica» ma a una lingua, appunto «spastica» capace, nelle sue deformazioni e nei suoi « spa-

1 Secondo le teorie gianseniste, la Grazia divina, con imperscrutabile giudizio, sceglie e separa nettamente gli eletti dai reprobi. 2 Pus. 3 C. E. Gadda, Processo alla lingua italiana, in Il tempo e le opere. Saggi, note e divagazioni, \

a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1982, pp. 93-94. Si tratta di un’intervista sulla lingua italiana articolata in quattro domande. Le risposte di Gadda, ritrovate in bozze nel fondo di Gian Carlo Roscioni, recano la data 1961. ‘* Una lingua «spastica», secondo Gadda, è

LA LINGUA «SPASTICA»

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smi», di violentare l’involucro appiattente dell’uso per divenire nuova, diversa, veramente e profondamente « comunicativa». In che consiste il lavoro su//la e dentro la lingua? Il pastiche gaddiano non ha nulla di gratuito: i suoi interventi nel corpo stesso del linguaggio non hanno alcuno scopo parodico ma nelle deformazioni lessicali, sintattiche e morfologiche si realizza quel mondo decentrato, quel «groviglio» dove, sotto ordinate apparenze, ghigna l’ambivalenza e domina la casualità. Dialetti, francesismi, spagnolismi, arcaismi, linguaggi settoriali dei mestieri e delle tecniche, coprolalie e glossolalie? s’intersecano a costituire « piani ottici differenziati» per esprimere, dall’interno del caos, le mille rifrazioni di una realtà insofferente di confini determinati. L’effetto principale è di dissonanza’ e di disarmonia, un effetto predeterminato che costringe il lettore ad un impegno di cooperazione*® intelligente e responsabile. Il lavoro sulla e dentro la lingua investe, come abbiamo accennato, livelli

diversi. Qualche esempio: Padre Domenico, la domenica dopo, tuonava alle nove dall’ambone di San Francesco: un par de pormoni! Ce l’aveva co certe donne svergognate, così in genere, e je garantiva l’inferno, giù giù: una sistemazzione propio pe la quale, tritticava qua e là co la testa, e cor pugno alzato, come pe dì un po’ a Marta, un po’ a Maddalena, un po’ a Pietro, un po’ a Paolo (OP, p. 101).

Con quell’irreperibile guaglione d’ ’o pizzicarolo come informatore: mbah, o come palo. Meglio palo, forse, dato che la Menegazzi, chella stupida, non ne aveva la minima idea: cioè in definitiva come complice. E con chella trombetta ’e cartone fessa d’ ’o commendatore dell’Economia, che se faceva portà tartufi a domicilie. «”O cummendatore Angelone! » sospirò con certa enfasi. « A chillu lle piaceno ’e carcioffole. Jammo a vedé. ’O presutto ’e montagna ’e via Panesperna Ile piace. Laggiù al cantone, all’angolo di via dei Serpenti». E la sonata di campanello ai Balducci? Un errore, certo. O un’alternativa? O una precauzione? laureata dal silenzio? Comunque, era chiaro, un ladro. Rapina a mano armata, violazione di domicilio... (OP, pp. 70-71).

Nella prima citazione, un italiano «corretto » precede un periodare in una

una lingua deformata rispetto alla norma, utilizzata in modi sempre diversi: «la parola si può stirare, contrarre e metastare [...] secondo libi-

dine, come la fusse una pasticca tra i denti» (Gadda, VM, p. 83). 5 Rispettivamente: linguaggio scurrile, linguaggio apparentemente senza senso. 6 La definizione è in M. Spinella, La dissonanza di Gadda, in « Alfabeta», V, 1983, 45,

p:.3: 7 Può essere un’analogia suggestiva ricordare

che all’incirca negli stessi anni Sch6nberg rivoluzionava il linguaggio musicale liberandolo dalla «tirannia della tonalità». L’abolizione della nota tonale aboliva di fatto la polifonia, cioè le combinazioni di più voci autonome. La

«dissonanza» di SchOnberg e la lingua «spastica» di Gadda modificano, nei singoli specifici, i codici esistenti.

8 Cfr. U. Eco, Lector in fabula (La cooperazione interpretativa nei testi narrativi), Milano, Bompiani, 1979.

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IL CONTESTO

sintassi franta con espressioni in dialetto romanesco: pormoni, sistemazzione, dì, con un effetto di esilarante caratterizzazione. Nella seconda citazione, al contrario, un italiano giuridico-legale conclude le riflessioni del commissario Ingravallo espresse in forme lessicali e grammaticali in cui il dialetto abruzzese-napoletano si alterna al dialetto romanesco. La lingua « pulita... delle persone molto serie» sembra voler ricondurre sullo stesso piano ottico della valutazione giuridica istituzionalizzata il personalissimo punto di vista del personaggio senza depauperarlo in una codificazione linguistica che potrebbe risultargli estranea 0, comunque, riduttiva.

Altre volte la trascrizione del linguaggio parlato rende più immediato e « naturale» lo sviluppo argomentativo, come in questo caso: «... Sette e mezzo al più tardi... quando il Seegriin è ancora nelle ombre... Vedesse!... E lo potrà constatare anche lei finalmente, se la Pina la sa guidare... sì o no... e in che modo guida!...» (CD, p. 153).

Anche l’enumerazione, come figura retorica di accumulazione, gioca su assemblaggi di elementi linguistici manipolati con interpolazioni terminologiche che ottengono effetti esilaranti, come nel caso degli stili delle ville in Brianza: Era passato l’umberto e il guglielmo e il neoclassico e il neoneoclassico e l’impero e il secondo impero; il liberty, il floreale, il corinzio, il pompeiano, l’angioino, l’egiziosommaruga, e il coppedè-alessio (CD, pp. 45-46).

I nomi propri di re (umberto, guglielmo) espressi con la lettera minuscola sono posti sullo stesso piano degli stili veri e immaginari (come l’inesistente «angioino ») e i nomi di architetti (Sommaruga, Coppedè, Alessi), anch’essi graficamente depauperati della maiuscola, subiscono accostamenti arbitrari ma significativi («egizio-sommaruga», ad esempio, esprime in una sintesi fulminea le scelte architettoniche di un architetto, Giuseppe Sommaruga, appunto, attivo in Lombardia tra le fine dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento). In un altro caso l’enumerazione capricciosa assembla nazionalità e mestieri: Tutti, tutti! Turchi, frittellari, circassi, mendicanti ghitarroni d’ Andalusia, polacchi, armeni, mongoli, santoni arabi in bombetta, labbroni senegalesi dai piedi caprigni, e perfino i Langobardòi di Cormanno, immigrati da Cormanno (Curtis Manni), a battere, anche nel nuovo mondo, il primato della ottusità e della mancanza di fantasia (CD, pp. 330-31).

A volte una stessa immagine ritorna, a distanza di anni, in testi diversi: Freno i primi boati, i primi sussulti, a palazzo, dopo un anno e mezzo di novizzio, del Testa di Morto in stiffeliuus, o in tight: erano già l’occhiatacce, er vommito de li gnocchi: l’epoca de la bombetta, de le ghette color tortora stava se po dì pe con-

clude: co quele braccette corte corte de rospo, e queli dieci detoni che je cascaveno

n

LA LINGUA «SPASsTICA»

47

su li fianchi come du rampazzi de banane, come a un negro co li guanti (OP, pp.

55-56). Pervenne alle ghette color tortora, che portava con la disinvoltura d’un orango, ai pantaloni a righe, al tight, al tubino già detto, ai guanti bianchi del commendatore e dell’agente di cambio uricemico: dell’odiato ma lividamente invidiato borghese. Con que’ du’ grappoloni di banane delle du’ mani, che gli dependevano a’ fianchi, rattenute da du’ braccini corti corti: le quali non ebbono mai conosciuto lavoro e gli stavano attaccate a’ bracci come le fussono morte e di pezza, e senza aver che fare davanti ’l fotografo: i ditoni dieci d’un sudanese inguantato (C. E. Gadda, Eros e Priapo (Da furore a cenere), Milano, Garzanti, 1967, p. 18).

Dei due passi citati, il secondo, pur conservando le immagini dei dieci ditoni, del negro, delle banane, delle braccia corte, raggiunge una più icastica incisività. I «rampazzi» sono diventati, più colloquialmente, «grappoloni», la facile ironia del paragone «come a un negro co li guanti» diviene una proposizione nominale che, collocata dopo i due punti, assume la concretezza del «sudanese inguantato », e quei « ditoni dieci», con la posposizione dell’aggettivo numerale, appaiono messi a fuoco come in un primo piano cinematografico. E non solo gli aspetti lessicali, sintattici, stilistici, ma anche quelli morfologici vengono ad essere investiti dalla vis trasgressiva gaddiana: aggettivi e verbi desostantivati (« Stivalarono tronfi lungo la mietitura e le risaie», « questurinizzata federzonite»), analogie morfematiche (« pazzo, topazzo, topazio, t0paccio, topo»), neologismi contribuiscono a creare un tessuto linguistico originalissimo. Indifferente alle motivazioni ideologico-estetiche che pure avevano motivato in gran parte le scritture di Manzoni e di Verga, Gadda è invece sensibilissimo alla funzione cognitiva che la lingua svolge: solo una lingua «spastica», deformata e dissonante, può esprimere realisticamente una realtà difforme.

Le parole non sono querce

Con lucidità teorica Gadda esprime la sua impossibilità a servirsi di una lingua consumata dall’uso, non più spendibile per significare. Come intervenire sulle parole irrigidite in significati che il tempo ha corroso? Quando le parole non riescono più a svolgere la loro funzione cognitivo-espressiva, è come se fossero paralizzate su un « pianerottolo di sosta». Se vogliono vivere, cioè se vogliono continuare a conoscere e a significare, debbono evadere. Ma come può « evadere» una parola? Deformandosi, divenendo altra, assumendo risonanze nuove. L’intervento di rinnovamento non è immune da pericoli, può an-

9? Dal cognome del gerarca fascista Luigi Federzoni.

48

IL CONTESTO

che risolversi in un’operazione di ricercatezza narcisistica, perché il « fren dell’arte» non sempre è capace di evitare i pericoli. Può essere interessante accostare al passo gaddiano (t9) alcune riflessioni di Michail Bachtin *, con il quale Gadda mostra singolari affinità, emerse soprattutto quando è stato conosciuto il suo Racconto italiano di ignoto del Novecento. Anche per Bachtin, come per Gadda, le parole non sono neutre, innocenti, sono cariche dei significati che l’uso sociale ha loro impresso e l’« 0ggetto » che vorrebbero designare appare come avvolto, annebbiato dalle stesse parole che, nelle diverse stratificazioni sociali, lo indicano. Lo scrittore che vuole descrivere «oggetti» (situazioni, stati d’animo), nel suo sforzo di avvicinamento linguistico, incontra un universo di « definizioni e valutazioni » ideologicamente orientate; entra allora in tensione con questa

« pluridiscorsività sociale » e lavora, all’interno del già detto, per trovare quella sfumatura, quel significato. In altri termini, prima d’incontrare la «cosa», lo scrittore incontra la parola d’altri su quella cosa e la sua nuova parola scaturisce da questo incontro, da questa «intersezione dialogica » che s’intesse nell’universo sociale dove discorsi diversi mettono in scena, per dir così, valutazioni diverse del mondo; un universo, dunque, come dice Bachtin con un’espressione oggi molto usata, pluridiscorsivo.

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«Il vocabolo è un prurito dei millenni»

Da Come lavoro, pubblicato per la prima volta in « Paragone » nel 1950.

Le parole nostre, pazienterete, ma le son parole di tutti, pubblicatissime: che popoli e dottrine ci rimandano. Sono un collutorio comune di che più o meno bravamente ci gargarizziamo, risputandone ognuno in bocca all’altro e finalmente tutti in un guazzo, come in quella scodella di noce cocco del Salgari dove scaracchiavano a circolo i cresputi maggiorenti dei Cèp-Cèp! con anelli d’oro

* Michail Michailoviè Baehtin (Orél, Urss, 1895-1975), critico letterario russo, studioso di linguistica, semiotica, teoria della letteratura.

Molte sue opere furono pubblicate in Urss con pseudonimi a causa dell’ostracismo decretatogli dagli ambienti letterari staliniani. Le sue opere più importanti, che hanno inciso in modo significativo nel campo degli studi letterari, sono state tradotte in Italia a partire dagli anni Sessanta: Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968; Problemi di teoria del

romanzo. Metodologia letteraria e dialettica storica (con G. Lukacs e altri), ivi, 1976; Estetica e romanzo, ivi, 1979; L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, ivi, 1979; Il linguaggio come pratica sociale, Bari, Dedalo, 1980; To/stoj, Bologna, Il Mulino,

1986.

1 i cresputi ... Cèp-Cèp, i capi di una popolazione esotica dai capelli crespi.

FI

LA LINGUA «SPASTICA»

49

in nel naso e cerebottana tra i ginocchi: e, poi, la porgevano bere al missionario, in segno d’onore. Le frasi nostre, le nostre parole, sono dei momenti-pause (dei pianerottoli di sosta) d’una fluenza (o d’una ascensione) conoscitiva-espressiva. Durano quel che durano: un decennio, un cinquantennio, due secoli, otto secoli. Mutano di significato col costume, col variare delle lune, con il iento o con il rapido consumarsi del tempo: e mutano talora di valore, di peso. La loro storia, che è la pazza istoria degli uomini, ci illustra i significati di ognuna: quattro, o dodici, o ventitré: le sfumature, le minime variazioni di valore: in altri termini il loro differenziale semàntico. Buon gusto, impegno o necessità narrativa, ci inducono a rivivere parodisticamente i ventitré?, uno dei ventitré, uno alla volta: o invece a rifuggire dalla parodia conferendo un significato nuovo al vocabolo, per un arbitrio inventivo che resulterà poi, alla pagina, più o meno saggio e felice. Sfocia talora, presso taluno, codesto arbitrio, ad orribili torsioni: a contaminazioni intollerabili. (Procedo però guardingo: sulle parole mi si consuma l’ora e tutta la vigilia, più che labile moccolo*). La frase e il vocabolo, sotto più esperta mano e più sottilmente operante, si spogliano delle tonalità loro parodistiche: venute in carta al cri-cri lieve della penna, si libera, ognuna, a un tono novo, a un timbro perverso. Si demanda loro novo incarico. La nova utilizzazione le strazia: la lor figura si deforma, comparativamente all’usato, come d’un elastico teso. Orazio, nell’epistola « Humano capiti», ha indicato esser pensabile, attuabile un siffatto impiego della parola già nota: lo «spasmo », «l’impiego spastico », può comportare una dissoluzione-rinnovazione del valore. L’impreciso ma, nella stessa imprecisione, ricreante uso del popolo non più e non meno che la preziosità meditata dei barocchi, ha tolto a mano bandiera: fiamme in chiesa, diavolo al convento: s’è sfondato il setaccio’. Non è immanente ai millenni, il vocabolo: non è querce, è una muffa: è un prurito dei millenni. Mi studio di evitare, per altro, ogni slittamento verso innovazioni meramente narcisistiche. Alla qual bisogna può sovvenire l’ironia, l’auto-ironia. Un tono teso di qualità narcisistica l’ho in uggia, se pure vi possa essere incorso nolente, per difetto d’inibizione estetica: o morale. Per inconsideratezza pecchiamo. «Lo fren dell’arte» non ci governa a ogni istante. (C. E. Gadda, Come lavoro, in VM, pp. 18-19)

2 rivivere ... ventitré, usare in chiave parodica

nei quali Orazio indica la possibilità di attribuire

i «ventitrè » (il numero è puramente casuale) significati che una parola può avere assunto nel

significati nuovi a vocaboli noti (« dixeris egregie, notum si callida verbum / reddiderit iunc-

tempo. 3 moccolo, l’ultimo residuo di una candela.

tura novum»). 5 ha tolto ... setaccio, ha sovvertito ogni or-

della Crusca («il

4 «Humano capiti», è l'incipit del De arte poe-

dine: le norme dell’ Accademia

tica di Q. Orazio Flacco, un testo di eccezionale interesse nel campo dell’estetica e del linguaggio. Probabilmente Gadda allude ai vv. 46-48,

setaccio ») devono cedere alle trasformazioni linguistiche.

50

iL contTESTO

110

La parola nella società

Ma ogni parola viva non si contrappone nello stesso modo al proprio 0ggetto: tra la parola e l’oggetto, tra la parola e il parlante c’è il mezzo elastico, spesso difficilmente penetrabile, delle altre parole, delle parole altrui sullo stesso oggetto, sullo stesso tema. E la parola può stilisticamente individualizzarsi e organizzarsi proprio in un processo di vivente interazione con questo specifico mezzo. Ogni parola concreta (enunciazione), infatti, trova il suo oggetto, verso il quale tende, sempre, per così dire, già nominato, discusso, valutato, avvolto in una foschia che lo oscura oppure, al contrario, nella luce delle parole già dette su di esso. Esso è avviluppato e penetrato da pensieri generali, da punti di vista, da valutazioni e accenti altrui. La parola, tendendo verso il proprio oggetto, entra in questo mezzo, dialogicamente agitato e teso, delle parole, delle valutazioni e degli accenti altrui, s’intreccia coi loro complessi rapporti reciproci, si fonde con alcuni, si stacca da altri, s’interseca con altri ancora; e tutto ciò può servire enormemente a organizzare la parola, imprimendosi in tutti i suoi strati semantici, complicandone l’espressione, influendo su tutta la sua fisionomia stilistica. L’enunciazione viva, che nasce coscientemente in un determinato momento storico in un ambiente socialmente determinato, non può non toccare migliaia di fili dialogici vivi, intessuti dalla coscienza ideologico-sociale intorno all’oggetto dell’enunciazione, non può non divenire partecipante attiva del dialogo sociale. Essa nasce da questo dialogo come sua continuazione, come replica, e non si accosta all’oggetto arrivando dal di fuori. dl La parola', avanzando verso il suo senso e la sua espressione attraverso un mezzo di parole altrui e di molteplici accenti, consonando e dissonando coi vari momenti di questo mezzo, può organizzare in questo processo dialogico la propria fisionomia e il proprio tono stilistici. Tale è appunto l’immagine artistico-prosastica e, in particolare, l’immagine della prosa romanzesca. ss] Per l’artista-prosatore... l’oggetto svela prima di tutto proprio questa molteplicità pluridiscorsivo-sociale’ dei suoi nomi, delle sue definizioni e valuta-

! La parola, l’atto di parole, l’atto mediante il quale un parlante sceglie all’interno del suo patrimonio linguistico (langue); cfr. F. De Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1967.

? molteplicità ... sociale, un «oggetto»

è colto

in modi diversi secondo le fasce sociali che esprimono questa diversità in forme linguisticamente differenziate. La « pluridiscorsività», cioè la compresenza, all’interno della stessa lingua, di

forme linguistiche diverse per esprimere uno stesso «oggetto», è dunque un fenomeno so-

LA LINGUA «sPASTICA»

51

zioni. In luogo della vergine pienezza e inesauribilità dell’oggetto al prosatore si svela una molteplicità di cammini, strade e sentieri tracciati in èsso dalla coscienza sociale. Insieme con le contraddizioni interne nell’oggetto al prosatore si svela anche la pluridiscorsività sociale intorno all’oggetto stesso, quella babilonica confusione delle lingue che avviene intorno a ogni oggetto; la dialettica dell’oggetto s’intreccia col dialogo sociale intorno ad esso.

[...]

In tutti i suoi cammini verso l’oggetto, in tutte le direzioni la parola s’incontra con la parola altrui e non può non entrare con essa in una viva interazione piena di tensione. Solo il mitico Adamo, che si accostò con la prima parola al mondo vergine non ancora nominato, solo il solitario Adamo poté effettivamente evitare fino in fondo questo reciproco orientamento dialogico con la parola altrui nell’oggetto. Alla concreta storica parola umana ciò non è dato: essa può prescinderne solo convenzionalmente e solo fino a un certo punto. (M. M. Bachtin, Estetica

e romanzo,

Torino, Einaudi,

1979, pp. 84-87)

La lingua dell’inganno Due articoli redatti in anni diversi, rispettivamente nel 1929 e nel 1936, affrontano un identico bersaglio: la lingua « falsa», quella che anche in civiltà «illuminate» svolge una funzione magica, illude, esalta, induce a comportamenti assurdi. Come nei riti sciamanici delle società illetterate. Le parole cioè possono perdere ogni referente reale, ma, gusci vuoti, conservare una carica seduttiva che le fa sembrare « vere». Le parole tecniche dei bollettini di guerra o delle pratiche militari debbono cedere di fronte alle lusinghe retoriche delle corazzate che navigano nella « dolce stagion » e la preparazione strategica poco serve al generale trascinato dall’ebbrezza della parola «sfondamento». Come difendersi dalle parole che non comunicano più ma che oppongono la loro forza di inerzia? Guardandovi dentro, analizzandone il contenuto, va-

gliandone il rapporto con il mondo reale.

I I9

«Naviga o corazzata»

Negli anni della guerra europea, certa prosa di gusto «letterario » tutti l’abbiamo potuta gustare: impiantata sulla base della debolezza spirituale di chi,

ciale. Un esempio:

parole come

«bandiera»,

«patria», «nazione», per uno scrittore italiano che, negli anni Cinquanta, volesse usarle, erano

orientate

ideologicamente

perché

fortemente

—connotate dall’uso ventennale nella prosa nazio—nalista e imperialista del regime fascista.

52

IL CONTESTO

da tener buona la gente, riteneva si dovesse mentire a tutti i costi: una retorica balorda, sconclusionata, sbagliata era sul dramma eroico il dileggio, e sulle vergogne il cataplasma inutile e sconcio'. Quanto preferibile la prosa tecnica dei rapporti d’ufficio, da reggimento a brigata, da corpo ad armata! Lì il sangue era sangue, e non unguentata perifrasi! Lo spunto estetico che la guerra libica a tutto un popolo offerse divenne un «refrain» da caffè-concerto: «Naviga o corazzata: benigno è il vento e dolce la stagion»?. Cioè facciamo la guerra libica perché la stagione è dell’uva e dei fichi. Capisco anch’io che è difficile mettere in musica da mandolino gli assalti del Cengio e del Podgora?. Sicché quel ritornello ha una sua bellezza scimunita e beota, atta a rapire nel vortice della vita eroica il parrucchiere mandolinofilo che si goda il suo permesso di otto giorni in Beozia, sacrificando all’ottobre e alle

Muse*. [...] Il parrucchiere può sempre cavarsela con l’evadere che: « Naviga o corazzata», è «la sua » poesia, quella ch’ei « sente» e ch’ei predilige sopra ogni poesia, quella proprio che ci vuole per lui. I bollettini ufficiali non li capisce, non gli toccano il cuore. Le perorazioni de’ celebratori e incitatori magniloquenti ancor meno. Ma «dolce è la stagione» lo trascinerebbe addirittura in Libia, volontario di guerra. Né «l’elmo di Scipio » di che la testa in altri anni si cinse la nostra cara e neoclassica e insieme romantica Italia, è del resto meno discutibile di queste corazzate col vento in poppa. esi Il mondo bisogna pur guardarlo, per poterlo rappresentare: e così guardandolo avviene di rilevare che esso, in certa misura, ha già rappresentato se medesimo: e già il soldato, prima del poeta, ha parlato della battaglia, e il marinaio del mare e del suo parto la puerpera. E questi « pratici», vivendo lor vita, le danno pur luce e colore: quel colore che è cosa povera davanti l’eternità, ma tanto cara ai nostri occhi di poveri diavoli: quello di cui forse non ha bisogno il filosofo, ma certamente il poeta. (C. E. Gadda, Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche, in VM, pp. 75-76, 79)

! il cataplasma ... sconcio, il velo ipocrita (il «cataplasma » è un impiastro di sostanze medicamentose che si applica sulle parti malate del corpo) teso inutilmente a coprire episodi, azioni e scelte biasimevoli. ? «Naviga ... la stagion», canzone di guerra molto diffusa nei primi decenni del Novecento. 3 Cengio ... Podgora, il Cengio è un monte dell’Altipiano di Asiago, il Podgora una collina nei pressi del fiume Isonzo, di fronte a Gorizia: località note per i sanguinosi combattimenti del

1916. 4 Sicché ... alle Muse, il parrucchiere, uno dei

bersagli preferiti di Gadda (si veda CD, p. 348), è qui presentato come facile preda di canzoni «beote» (la Beozia era una regione della Grecia antica i cui abitanti venivano considerati dagli altri Greci rozzi e d’intelligenza limitata: il termine « beota» è perciò diventato sinonimo di ottuso, stupido) delle quali si diletta (« sacrificando alle Muse») nelle vacanze autunnali.

LA LINGUA

1 1b

«SPASTICA»

53

«Parole, parole, parole»

Le frasi destituite di senso hanno grande effetto su taluni giovani, i quali chiedono alla vita una sola cosa: fare, con il cervello, la minor fatica possibile. In subordine, avere un po’ di quattrini in tasca. Le femmine gareggiano talora coi ragazzi coi moraleggiatori coi penalisti coi predicatori a stacco fisso nella riproduzione delle più adusate sonorità musicali d’una lingua! o di una stagione linguistica, e in una sorta di felice mìmesi o di ecolalìia (= parlare come sentono parlare in casa dagli altri: è vocabolo degli psichiatri), la qual promuove grandemente il gettito a ripetizione delle frasi inani, ch’esse abbiano ricolto? dalla truculenza dei maschi: e son quelle che più amano.

(5.ì Frasi, frasi, frasi (prive di contenuto), parole, parole, parole entrano così «nella vita delle famiglie», si propagano da una famiglia all’altra, investono i celibi amici; e tutto procede come olio per i suoi vasi e docce, nel tramite della banalità consueta. La pigrizia vestita di superficiale energia, la dabbenaggine addobbata di sopraccigli, la ottusità gocciolante di buoni sentimenti, il desiderio di non faticare con il cervello entrano poi rapidamente nel gioco: ed ecco il contesto delle ragioni false è divenuto patrimonio sacro, intangibile. Frasi, frasi: i maschi le buttano talora in cielo come coriandoli, che il Signore non vegga: e non possa discernere il consumarsi delle fornicazioni. Frasi e parole « scolpite nei cuori». Si fissano come costellazioni nell’eros caparbio di certe femmine e le più rare oche portano in dote una dozzina almeno di cotali ideogrammi. I quali assumono valore di paradigma etico, di canone pratico: e come il nulla genera il nulla, così quelle celesti musiche generano le musiche tragiche, gli atti spropositati, gli atti inutili, e lo sperpero delle fortune e dei destini: piegano talora verso l’ombra il destino dei figli, per una parola! per una parola ch’era bella da dire, da sentir dire! E accumulano la bestialità sopra la bestialità, come uno strato di sterco sopra a quello dei predecessori. 3] Come la magìa e la negromanzia conobbero il valore ossessivo o ricreativo della parola, così questa, anche nella società illuminata, serba il suo contenuto magico. Sta a noi di riscattarla dall’ossessione della frode e di ricreare la magìa della verità. i Dirò, per conchiudere, un ultimo esempio.

1 predicatori ... d’una lingua, come gli altri enumerati prima, certi predicatori scandiscono i loro discorsi («a stacco fisso») con parole vuote di significato, ma capaci di colpire emotivamente

per la loro sonorità. 2 ricolto, abbiano colto; il prefisso iterativo sottolinea una scelta determinata dalla frequenza delle ripetizioni.

54

IL CONTESTO

Il generale, in sua favella, continuava a dire « o sfondare, o spararsi», e questa

sua certezza è titolo primo della sua gloria. Ma si era talmente eccitato con le parole «sfondamento », «sfonderemo », le quali hanno risonanze indubbie nell’inconscio del sesso, che aveva comunicato il suo entusiasmo al vice-capo, suo collega nella strategia. E tutti e due insieme avevano ammassato alcune divisioni di cavalleria, da lasciarle irrompere nella breccia della dimane?, come raffica per un’aperta finestra. Quei due generali avevano avuto una certa nozione del nemico, che combattevano da lunghi mesi: ma le parole poterono più che ogni documentazione di cifre: più che ogni tragica documentazione di fatti: « allez-y»: alcune tabelle, redatte dagli appositi servizi dei loro stati maggiori, assegnavano come tuttavia probabile che le artiglierie nemiche fossero il doppiodi quelle dell’esercito sfondante. E l’esercito sfondrà’ sapeva pure servirsene! Non importa: domani si sfonderebbe. Mossero adunque la macchina della «loro» offensiva: e conquistarono un agro arato, e da che vomere! largo un qualche cosa come sei chilometri e profondo un chilometro e mezzo. Dove alcune decine di migliaia di valorosissimi giovini si erano follemente sospinti, in adempimento degli ordini ricevuti: e, in buon numero,

vi erano anche rimasti.

(C. E. Gadda, Meditazione breve circa il dire e il fare, in VM, pp. 29, 30, 33)

I9

La lingua della scrittura letteraria Questa riflessione sui rapporti tra la lingua dell’uso quotidiano e la lingua letteraria richiama alla memoria, per la vicinanza delle date, la scrittura della Cognizione. Si tratta infatti di un articolo, apparso sulla rivista « La Ruota » nel marzo-aprile 1942, quando l’ultimo « tratto » della prima stesura della Cosuzione: era apparso su « Letteratura» l’anno precedente. È pertanto interessante vedere con quanta enfasi, appena mitigata da una forma di autoironia, lo scrittore, appena uscito dalla fatica del romanzo, rivendichi per sé una totale libertà di assorbire « il troppo e il vano » del patrimonio linguistico. Come « bracconiere di frodo » non riconosce confini, non rispetta le proprietà: doppioni, triploni, quadruploni, la lingua del passato e del pre-

3 nella breccia della dimane, all’alba del giorno successivo (« dimane») che si schiude come un’apertura forzata («breccia»). 4 «allez-y», andateci.

5 E l’esercito sfondrà, l’esercito nemico che doveva essere «sfondato» (« sfondrà » è voce dialettale).

LA LINGUA «SPASTICA»

55

sente, la lingua dei gerghi e dei dialetti, delle arti e dei mestieri, la lingua manipolata e «spastica», ogni lingua è sua, gli appartiene. La lingua, specchio del totale essere, e del totale pensiero, viene da una cospirazione di forze, intellettive o spontanee, razionali o istintive, che promanano da tutta la universa vita della società, e dai generali e talora urgenti e angosciosi moti e interessi della società. Può darsi che il monello di porta a Pisa l’abbi più pronta la botta in cima della lingua: non per questo dovremo

tappar la bocca ad Antonio Rosmini". È più facile notare un descensus? dalla lingua colta all’uso, che non il processo inverso. I doppioni li voglio, tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni, e i quadruploni, sebbene il Re Cattolico? non li abbia ancora monetati: e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente, o d’uso raro rarissimo. Sicché dò palla nera alla proposta del sommo e venerato Alessandro, che vorrebbe nientedimeno potare, ecc. ecc.: per unificare e codificare: « d’entro le leggi, trassi il troppo e °l vano». Non esistono il troppo né il vano, per una lingua. Le variazioni lessicali (sinonimi) e le varianti ortoepiche? (riescire e riuscire; adacquare e dacquare, in aferesi’) mi vengono buone secondo collocazione per varare al meglio o per varare all’ottimo la clausola prosodica”. Fra l’altro.

Così al vetturino e al cavallante* vengon buoni i dimolti? fagotti e baligie!° di vario formato, onde riesce a inzeppare lo spazio del bagagliaio, a colmare i suoi vuoti. L’Omero è pieno di zeppe monosillabiche, se non esclusivamente ascritte a ragioni di misura!!. E in lingua nostra, che la parola si può stirare,

! Può darsi ... Rosmini, il monello di Porta a Pisa (una zona popolare di Firenze) può avere la battuta pronta ed espressiva («la botta in cima della lingua»), ma ciò non esclude che possa essere altrettanto espressiva la lingua di un filosofo, come ad esempio Antonio Rosmini

(1797-1855). 2 descensus, discesa. 3 Re Cattolico, «cattolico » è il titolo di cui si

gnifica pronuncia corretta delle parole di una lingua). 6 aferesi, caduta di un suono, o gruppo di suoni, all’inizio di una parola.

? clausola prosodica, la conclusione di un periodo («clausola») è avvertita dalla retorica come parte importante del discorso, e spesso è costruita secondo leggi metriche (« prosodica »). 8 cavallante, conducente di veicoli trainati da cavalli.

fregiavano i re di Spagna. 4 «d’entro ... ’l vano», sono parole che Dante fa dire all’imperatore Giustiniano (482-565) nel sesto canto del Paradiso per esaltare la sua opera di codificazione legislativa: dal corpo delle leggi romane eliminai le norme superflue («il troppo») e inutili («e ’1 vano»).

senso costituite di una sola sillaba e inserite nel verso per esigenze metriche («a ragioni di

5 varianti ortoepiche,

misura»).

cambiamenti

nella pro-

nuncia delle parole («ortoepia», dal greco, si-

9 dimolti, molti (toscanismo). 10 baligie, valige; lo scambio tra d e v in inizio

di parola è frequente in molti dialetti.

11 zeppe ... a ragioni di misura, parole prive di

+

56

iL CONTESTO

contrarre e metastatare! (palude, padule: femminile e maschile) secondo libidine, come la fusse una pasticca tra i denti, ecco qua: si potrebb’essere Omero senza le zeppe. Dò palla bianca a una collazione e a un uso ragionevole di tutte le varianti ortoepiche: non voglio mollare né palude né padule, né il femminile né il maschile: e mi riserbo di usare d’entrambe le forme (lessicali). Che lingua letteraria e lingua d’uso si scostino di qualche poco, e talora d’una pertica buona, poco mi ci struggo: ma davvero: e non sarà la fin del mondo. Anche le gonne d’una marchesa diversificano a chiare note da quelle della Marianna, pur essendo catalogabili entro i termini dell’idea «gonne» le une e le altre. [al i Talora il vocabolo è caduto in desuetudine in questa soltanto, o in quell’altra parte del bel paese: che Appennino parte, ohimè, e non mai così duramente lo parte come in fatto di partiture lessicali. O presso una categoria di persone, non presso un’altra. Certo è che l’ultima delle sguattere d’una trattoria pistoiese parla un meglio italiano che non la prima delle marchese di porta Ticinese. fsi Devo rimandare ad altra sede alcuni appunti sulle questioni laterali: 1) Vita storica del vocabolo e del modo espressivo. Impossibilità di astrarre da un riferimento storico della lingua parlata e scritta. 2) I dialetti. I} diritto di alcuni modi più ricchi, o più vigorosi, de’ dialetti stessi... a entrare nell’elenco dei padri e coscritti. DÒ palla bianca ai meteci! e inserisco in una mia prosa il ligure galuppare (per sciroppare, francese bouffer) e il romanesco gargarozzo. Giungo persino a fare qualche scandalosa concessione alle due grandi lingue sorelle, francese e spagnola. 3) La lingua scritta (il Devoto giustamente vi insi-

ste) dà tempo e modo per architettarla e forbirla (polirla, direbbe Gabriele 4): non così quattro battute spicce licenziate in qualche modo davanti il treno che parte. 4) L’uso specioso! che talora si fa della lingua e della sua sintassi in poesia, l’accezione «spastica» della parola, suggerita da Orazio nell’arte poetica! e praticata da tutte le scuole un po’, fino ai dì nostri. 5) Il vario stato culturale e l’indole e la disposizione de’ parlanti comporta varie gradazioni di colore, toni specifici, toni preferenziali nella scelta istintiva del vocabolo, nella pratica del linguaggio.

[ic] 12 metastare, collocare altrove. 13 padri e coscritti ... meteci, il rapporto gerarchico tra lingua e dialetti è qui ironizzato con la metafora dei «padri e coscritti» (i senatori romani), che godono pieni diritti, e i « meteci» (originariamente gli stranieri presenti ad Atene, in seguito tutti gli stranieri ma in accezione spregiativa), i cui diritti sono limitati. Fuor di me-

tafora: alcune espressioni dialettali hanno tutti i diritti di entrare nella lingua.

14 il Devoto ... Gabriele, Giacomo Devoto (1897-1974), glottologo italiano; « polirla » è un vocabolo ricercato ed elegante, caro a D’Annun-

zio («Gabriele»).

15 specioso, giusto solo in apparenza. 16 Orazio ... poetica, si veda sopra, t9, nota 4.

nd

LA LINGUA «SPASTICA»

57

Per mia parte, bracconiere di frodo, voglio libera la bandita in tutte quante le zone'”, secondo opportunità. Circa gli apporti espressivi delle tecniche ebbi

a scrivere molt’anni fa in «Solaria» !*, e dirò in altra sede. Avvezzano lo scri-

vente a una particolare disciplina della notazione (giure!’, scienze fisiche, scienze mediche, storiografia, ecc.) e immettono nel gran fiume della lingua da un lato il frasario gergale de’ pratici, che a poco a poco si deposita in una

moda normativa, di largo uso”°: dall’altro il frasario di lontana o rinnovata discendenza illustre, che coglie l’etimo alla sua viva (per quanto illustre) ed antica radice: italiana classica, latina, greca e neo-greca scientifica. E allora vocabolari speciali, trattatistica, repertori delle arti.

[...]

I filosofi, i giuristi, hanno

definito concetti e creato vocaboli, usando a

volta”! in particolare accezione i vocaboli del comune discorso”. Noi non possiamo ripudiare il suggerimento e il soccorso de’ maggiori, i doni e gli apporti.

EA |

La lingua dell’uso piccolo-borghese, puntuale, miseramente apodittica”, stenta, scolorata, tetra, eguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie, va bene, concedo, è lei pure una lingua: un «modo» dell’essere. Ma non può doventare la legge, l’unica legge. Ripudio un tale obbligo e una siffatta legge, quando è dettata dall’ortodossia degli inesperti o dei malati di pauperismo. (C. E. Gadda, Lingua letteraria e lingua dell’uso, in VM, pp. 83-86)

Proposte di lettura e ricerca

La lingua e lo stile Sugli aspetti linguistici dell’opera letteraria Gadda è intervenuto più volte, sia con riflessioni di carattere generale sia, più specificamente, per rispondere alle osservazioni altrui sulla propria scrittura. Si vedano, in particolare: in VM: Come lavoro (pp. 9-23); Meditazione breve circa

17 bracconiere ... le zone, come un cacciatore di frodo, Gadda vuole attingere a tutte le aree

linguistiche possibili.

stici, se diventano di moda, entrano nella lin-

gua e s’impongono all’uso. 21 a volta, talvolta.

riferi-

22 i vocaboli ... discorso, basti l'esempio di Ga-

mento all’articolo Le belle lettere e i contributi

lileo, che conferì rigore scientifico a parole dell’uso quotidiano.

18 Circa gli apporti ... in «Solaria»,

espressivi delle tecniche, pubblicato da Gadda

nella rivista «Solaria» (IV, 5, maggio 1929), e riportato parzialmente sopra (tlla). 19 giure, diritto, latinismo da ius.

20 jl frasario ... di largo uso, i termini speciali-

23 La lingua ... apodittica, che pretende di coprire tutti i possibili significati in modo penosamente perentorio.

58

IL CONTESTO

il dire e il fare (pp. 24-34); Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche (pp. 67-80); Lingua letteraria e lingua d’uso (pp. 81-86); Intervista al microfono (pp. 93-96); Un’opinione sul neorealismo (pp. 211-12). In Z/ tempo e le opere. Saggi, note e divagazioni, a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1982: // latino nel sangue (pp. 47-60); La battaglia dei topi e delle rane (pp. 61-80); Processo alla lingua italiana (pp. 93-100); Postille a una analisi stilistica (pp. 101-12). Infine, in Appendice a CD: L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore (pp. 477-93). Più specificamente, sullo stile, si veda Racconto italiano di ignoto del novecento cit., pp. 87, 101. Dopo la pubblicazione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, l’interesse per la lingua di Gadda è documentato dai numerosissimi interventi su riviste, da dibattiti, convegni e conferenze che si svolsero in molte

città italiane. Tra i letterati italiani che guardarono a Gadda come mae-

stro Pier Paolo Pasolini dichiara esplicitamente di essersi messo «sulla linea di Verga, di Joyce e di Gadda », quando, con Ragazzi di vita (1955)

e Una vita violenta (1959), si è impegnato nel «rifare, mimare il ‘‘linguaggio interiore ’’ di una persona » (P. P. Pasolini, Le belle bandiere, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 87). Facendo propria l’interpretazione di Gianfranco Contini, Pasolini colloca l’esperienza linguistica gaddiana sulla linea lunga del plurilinguismo letterario italiano insistendo sul particolare «realismo» di una scrittura barocca che «mima» la realtà. Una lingua che voleva porsi come «mimetica» non aveva molte scelte: il suo percorso quasi obbligato, dopo la grande esperienza verghiana, non poteva essere che l’uso del dialetto non solo nel dialogo che permette una trascrizione fedele ma anche nelle descrizioni nelle quali i termini dialettali interrompono la lingua della tradizione letteraria. È infatti questa la tecnica di Pasolini ma non è quella di Gadda il quale, lo abbiamo visto, rifugge da ogni procedimento mimetico.

La sostanziale differenza tra i due scrittori, oggi neanche messa in discussione, era già apparsa chiara nel 1959 a Italo Calvino il quale, a proposito dell’uso del dialetto da parte di Pasolini parla di interesse da «filologo » e da «sociologo linguistico » che è, nello stesso tempo, «raffinato e colto poeta », mentre, a proposito di Gadda, parla di «Babele, o meglio stratificazione di tutti i linguaggi: dialetti [...], linguaggio dell’antica tradizione letteraria, formule burocratiche, con mille modulazioni e inflessioni che paiono i virtuosismi d’un grande musicista o gli scatti d’insofferenza d’un nevrastenico » (I. Calvino, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, pp. 54-55). Pasolini abbandonerà ben presto la scrittura narrativa iniziando nei primissimi anni Sessanta una intensa attività cinematografica: «il sentire

pe LA LINGUA

«SPASTICA»

59

di non poter più scrivere usando la tecnica del romanzo si è trasformato subito in me, per una specie di autoterapia inconscia, nella voglia di usare un’altra tecnica, ossia quella del cinema [...] L’ho presa come un cambiamento di tecnica. Ma era vero? Non si trattava piuttosto dell’abbandono di una lingua per un’altra lingua?» (P. P. Pasolini, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, p. 134). Pasolini, oltre che sperimentare nella scrittura narrativa le possibilità della lingua, alimentò un dibattito sulla lingua italiana al quale parteciparono, tra gli altri, Franco Fortini, Italo Calvino, Elio Vittorini, Vittorio Sereni. Negli anni ’64 e ?65 — oltre al settimanale « Rinascita», che dedicò un numero del supplemento mensile «Il contemporaneo » alla questione della lingua — settimanali e periodici accolgono con sempre maggiore frequenza interventi nei quali appare sempre più dicotomizzata la separazione tra lingua della comunicazione, ormai appiattita nell’uso dei mass media, e la lingua che vuole «significare». Gli interventi di Gadda raccolti in // tempo e le opere, e sopra proposti, appartengono a questo periodo. Per una visione complessiva dei temi del dibattito si consiglia O. Parlangeli (a cura di), La nuova questione della lingua, Brescia, Paideia, 1971. Gli interventi di Pasolini sulla lingua relativi agli anni 1964-65 sono raccolti in Empirismo eretico cit. Sempre all’interno del dibattito si collocano gli interventi di Calvino: L’;taliano una lingua tra le altre lingue e L’antilingua, in Una pietra sopra cit., rispettivamente alle pp. 116-21 e 122-26. Nello stesso libro si segnala inoltre: Tre correnti del romanzo italiano d’oggi. Un po’ defilato rispetto alla questione della lingua, ma di grande interesse per ampliare i termini del dibattito, appare il saggio di Elemire Zolla, L’eclissi dell’intellettuale, Milano, Bompiani,

1959; in particolare il ca-

pitolo Antropologia negativa, che comprende le pagine sul linguaggio dell’«uomo-massa» (pp. 101-4).

5. Nel laboratorio gaddiano

Quando nel 1983 Dante Isella pubblica il quaderno manoscritto che Gadda aveva redatto nel lontano 1928 e che aveva designato con il titolo Cahier d’études, si rivela all’interesse della critica un aspetto ancora poco conosciuto se non addirittura ignorato del «gran lombardo»: la riflessione sui problemi che il narrare suscita proprio nel suo organizzarsi in racconto. Sembrò che si fosse sollevato il sipario sul laboratorio segreto di uno scrittore che, con sempre maggiore chiarezza, si veniva rivelando come una delle presenze più significative del Novecento letterario. Il Racconto italiano di ignoto del novecento è, nello stesso tempo, il romanzo che l’autore sta scrivendo e le riflessioni sui problemi specifici dei personaggi, dello stile, del « punto di vista»; una specie di discorso metanarrativo di una straordinaria modernità in quanto vi appaiono affrontati, quasi in anteprima, problemi che saranno al centro del dibattito narratologico negli anni Sessanta. Proprio su questo aspetto e, in particolare, sulla analogie con Bachtin (si veda t10) che, all’incirca negli stessi anni veniva elaborando le sue categorie interpretative, interviene Cesare Segre sottolineando le riflessioni sul punto di vista e sulla «condotta stilistica » che si differenzia se la narrazione è condotta «ab interiore» e «ab exteriore »'; il plurilinguismo gaddiano deve dunque essere ripensato in rapporto ai giochi prospettici che Gadda dimostra di avere così chiari già nel 1928; il plurilinguismo, in altre parole, non si riduce ad una, sia pur sapiente, increspatura della superficie linguistica ma è strutturalmente funzionale all’impianto narrativo: Non possiamo più fermarci agli effetti dello scontro e dell’interferenza di materiali linguistici eterogenei sulla pagina di Gadda, non possiamo misurare bene le continue mutazioni dello stile di Gadda, senza tener presente la prospettiva, le prospettive,

! Per gioco «ab interiore» Gadda intende una rappresentazione condotta attraverso il punto di vista dei perosonaggi; « ab exteriore » è invece

la rappresentazione condotta attraverso il punto di vista del narratore.

mo ag

NEL LABORATORIO GADDIANO

61

secondo cui i fatti vengono affrontati nella narrazione romanzesca o novellistica. Perché l’impiego del plurilinguismo è uno dei procedimenti usati da Gadda per impiantare i rapporti tra la prospettiva dello scrittore e quella dei personaggi, tra l’esposizione e il giudizio, la scrittura e la referenza?.

Un cantiere narrativo

Riportiamo alcuni passi dal Racconto italiano di ignoto del novecento, dove appaiono « materiali» narrativi e riflessioni metanarrative che ritroviamo, realizzati, nella Cognizione.

13 9

L’ambientazione

Milano, 24 marzo 1924. - Ore 16. Carlo Emilio Gadda «Racconto italiano del novecento». Cahier d’études.

Nota Co 1°. —

(24 marzo

1924 —

ore 16). —

Dal caos dello sfondo devono coagulare e formarsi alcune figure a cui sarà affidata la gestione della favola, del dramma, altre figure, (forse le stesse persone raddoppiate) a cui sarà affidata la coscienza del dramma e il suo commento filosofico: (riallacciamento con l’universale, coro): potrò forse riserbarmi io questo commento-coscienza: (autore, coro). Carattere ed epoca del romanzo: Contemporaneità: (non sarebbe possibile fare ora degli studî storici) — Materiale mio personale, materiale vissuto o quasi vissuto. Topograficamente, da svolgersi in | Italia e Sud America”, eventualmente e parzialmente Francia. Il caos del romanzo

deve essere una emanazione della società italiana del

2 C. Segre, Novità su Gadda, in « Alfabeta»,

teorico, e «note critiche», che riguardavano più

propriamente riflessioni sui personaggi, sull’in-

IVI B959S9

treccio, ecc. Ma la distinzione non sarà poi ri-

spettata. 2 Italia e Sud America, la distinzione tra Italia

1 Nota Co 1, la sigla allude alla distinzione che

e America del Sud si dissolverà nell’immagina-

Gadda aveva inizialmente operato sul Cahier: «note compositive», di carattere progettuale

e

rio Maradagal della Cognizione.

62

IL CONTESTO

dopoguerra (non immediato) con richiami lirico-drammatici alla guerra (nostra generazione) e forse al preguerra (infanzia, adolescenza). Emanazione italiana: a. — Trascegliere dall’italianesimo‘: o aspetti e cose di carattere generale, comuni ad altri popoli; o aspetti e cose fondamentalmente caratteristici e che possano differenziarci

5

otentemente. Due:

Universalità in specie italiae’. ; Dash SIT. Da species italiae®

Questa emanazione italiana subisce il contatto con altri popoli, altro ambiente. ‘ [3] Nota Co —

3. —

25 marzo

1924 —

Ore 12. —

Uno dei miei vecchî concetti (le due patrie) è l’insufficienza etnico-storicoeconomica dell’ ambiente italiano allo sviluppo di certe anime e intelligenze che di troppo lo superano. Mio annegamento nella palude brianza. Aneliti dell’adolescenza verso una vita migliore. — | Militarismo serio, etc. — Si può dire che è una continuazione e dilatazione del concetto morale Manzoniano: «uomini e autorità che vengon meno all’officio e sono causa del male della società, fondamentalmente buona ». Così A. Manzoni. Io dico estendendo: « Non solo autorità, ma anche plebe « iutto il popolo che vien meno alle ispirazioni interiori della vita, alle leggi intime e sacre e si perverte. — (C. E. Gadda, Racconto italiano di ignoto del novecento (Cahier d’études) [RI], a cura di D. Isella, Torino, Einaudi, 1983, pp. 13-15)

1b

Il disertore

Riferendomi all’esempio del disertore di pag. 20': Io inserisco me combattente, le mie pene, i miei sacrificî, le mie speranze, ecc. il mio coraggio nell’idea universale di simpatia umana e, quando il lettore è preso, riferisco a questa mia storicità e umanità l’idea-disertore e con questa mia creata persona umana

3 Il caos ... (non immediato), proprio la dimensione spazio-temporale della Cognizione. 4 Trascegliere dall’italianesimo, operare alcune scelte all’interno della società italiana. 5 Universalità ... italiae, caratteristiche italiane («in specie italiae») che possono essere estese ad altri popoli.

6 Differenziazione ... italiae, caratteristiche italiane specifiche, peculiari del popolo italiano. 1 Riferendomi ... pag. 20, il personaggio del di—sertore a cui Gadda rinvia citando la pagina del Cahier in cui compare, e la sua «ironia» o «ira», richiamano il finto reduce Manganones.

rd

NEL LABORATORIO GADDIANO

63

contrappunto? quella. — Allora il mio commento o la mia ironia o la mia ira o il mio giudizio in genere hanno un sapore, hanno un senso, hanno una giustificazione. — Non è necessaria la « storicità » dell’autore nel gioco indiretto d’autore, con cui egli, prima di commentare, inserisce sé nell’universale. Non è necessario

che io sia un Combattente. Basta che soffra io come io e comunichi la mia umanità al lettore. Basta che gli dica prima: «bada che anch’io sono un uomo, e valgo la tua considerazione: per la comune natura». — Il gioco indiretto d’autore | è naturalmente tanto più degno, quanto più degna e mirabile è la personalità storica e morale dell’autore. La poesia patriottica di un imboscato ripugnerebbe. — L’ironia che un autore storicamente disonesto fosse per fare circa un personaggio disonesto, ricadrebbe su di lui o non avrebbe valore. (Gadda, RI, pp. 108-9)

I30

I personaggi e il punto di vista

Nota Co 33. Longone, domenica 7 Settembre Ore 9-10 di mattina

1924.

Nota sistemativa. Bisogna vedere un po’ di avviare e legare la materia del romanzo.— Legare i personaggi: | per ora è questa per me la maggiore difficoltà: «l’intreccio» dei vecchi romanzi, che i nuovi spesso disprezzano. Ma in realtà la vita è un «intreccio » e quale ingarbugliato intreccio!! Vedi anche mie note autobiografiche e critiche di Celle?! La trama complessa della realtà. Un romanzo non può isolare i suoi personaggi. È questa spesso un’astrazione esiziale alla espressione. Certo bisogna ponderare: a) Che l’intreccio non sia di casi stiracchiati, ma risponda all’«istinto delle combinazioni» cioè al profondo ed oscuro dissociarsi della realtà in elementi, che talora (etica) perdono di vista il nesso unitario. — Idea anche etica! notare. La « dissoluzione» anche morale e anche teoretica è una perdita di vista del nesso di organicità. La parola dissoluzione deriva forse da « solutus legibus» — che si è sciolto, allontanato dalle leggi — o solutus more, dal buon costume. Ma dal | punto

? contrappunto, il verbo «contrappuntare» è neologismo gaddiano, derivato dal termine musicale «contrappunto» (punctus contra punctum= nota contro nota), che significa l’arte di combinare più melodie contemporaneamente in un discorso musicale unitario e armonioso.

«groviglio» della realtà è tema ricorrente sia nella riflessione filosofica (cfr. Meditazione milanese) sia nella scrittura narrativa (cfr. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana cit., pp. 6-7). 2 Celle, località della Germania, vicino ad Hannover, dove Gadda, fatto prigioniero dopo Caporetto, rimase fino alla fine della

1!ingarbugliato

guerra.

intreccio,

il «garbuglio»

o

64

iL CONTESTO

di vista organistico (anzi che parenetico *) — si potrebbe dire che vi è dissoluzione in un organismo quando una sua parte agisce di per sé, per il proprio (creduto) vantaggio o piacere e non in armonia al tutto. Così fisiologicamente*. eil b) bisogna ponderare altresì se il romanzo deve essere condotto «ab interiore» o «ab exteriore»?. Nel primo caso vi è un lirismo della rappresentazione attraverso i personaggi. Nel secondo caso vi può essere un lirismo attraverso «l’autore». Comunque le due condotte si possono confondere. Certo è difficile per me ora vedere quale deve essere il punto di vista | «organizzatore» della rappresentazione complessa. Questo è importantissimo a sapersi anche per la condotta stilistica del lavoro, poiché evidentemente la espressione deve commisurarsi ad esso punto di vista. Ho buttato giù alla svelta, nella nota sulla «Tonalità generale» Cr 2, del 24 marzo, l’idea dei cinque «stili», chiamiamoli così. — Ma ciascuno di essi non è che una conseguenza della intuizione, certamente. Dico ciò non per ripetere imparaticci, ma perché realmente ho provato nel comporre (anche negli ultimi studî) che lo stile mi è imposto dalla passione (intuizione) del momento e che lo scrivere con uno stile pre-voluto è uno sforzo bestiale, se questo non è lo stile corrispondente al «mio momento conoscitivo ». E poi questo sforzo è sterile e dà dei frutti secchi, che non hanno nessuna possibilità di sviluppo. E allora? Se io scrivessi ogni intuizione col suo stile, sarei accusato di variabilità, eterogeneità, mancanza di fusione, mancanza di armonia, et similia. — Le accuse altrui mi importerebbero poco se banali, ma temo ancora che possano essere giuste. Il Manzoni è tra i più omogenei. I P.S.° si direbbero un’intuizione unica, continuata, fatta con un solo metallo anche formalmente. — Dante è più variabile. Lo Shakespeare (se bene ho presente) mi pare pure abbastanza variabile. Però egli drammatizza e allora la cosa gli va meglio perché ha il personaggio bianco e il nero, e il bianco parla da bianco e il nero da nero. Io posso fare altrettanto finché si tratta di singole personalità. Ma quello

che più mi preoccupa è: «la discontinuità mia propria, soglgettiva, inerente

al mio proprio lirismo». Cerchiamo di riordinare le idee e di distinguere i concetti. Forse da una classificazione, sia pure affrettata, mi può venire qualche lume. (Gadda, RI, pp. 86-87)

3 parenetico, esortatorio.

teriore»).

4 Così fisiologicamente, si veda Gadda, Meditazione milanese cit., p. 79. 5 «ab interiore ... exteriore», situazioni ed eventi narrativi possono essere affrontati dal punto di vista dei personaggi («ab interiore») oppure dal punto di vista dell’autore («ab ex-

6 I P.S., I Promessi sposi. ? «la discontinuità

... lirismo», l’autore non

resta impassibile, si può lasciare coinvolgere emotivamente, e pertanto apparire non coerente, discontinuo, soggetto ai mutamenti dell’io

(«lirismo»).

a

NEL LABORATORIO GAappIANO

65

Analisi del testo

È questo il passo su cui Cesare Segre richiama l’attenzione. La distinzione tra «ab interiore » e « ab exteriore » e la possibilità di una loro confusione è correlata direttamente alla «condotta stilistica»; ma i problemi incalzano: se lo stile è imposto dalla «passione (intuizione) del momento », come si può modificare senza incorrere nella «mancanza di fusione»? Il modello narrativo dei Promessi Sposi non risolve la preoccupazione di una discontinuità che Gadda avverte come costitutiva del suo proprio «lirismo». Da un punto di vista terminologico non può non suscitare meraviglia quel « punto di vista » che l’autore sottolinea (nell’edizione a stampa appare in corsivo). Le riflessioni sul « punto di vista» saranno particolarmente dibattute in Italia, in Francia, negli Stati Uniti alcuni decenni più tardi, in seguito alla tardiva scoperta degli studi dell’Opojaz, la Società per lo studio del linguaggio poetico fondata a Pietroburgo nel 1916, le cui pubblicazioni, non di rado in polemica con altre metodologie critiche, rivendicano il diritto di studiare l’opera d’arte in se stessa, nella sua «letterarietà ».

Proposte di lettura e ricerca Le strutture narrative Gli studi sul romanzo che Bachtin elaborò tra la fine degli anni Venti ei primi anni Trenta presentano, come abbiamo accennato, singolari affinità con alcune intuizioni di Gadda sul punto di vista, sulle « voci » dei personaggi, sulla «condotta stilistica ». Le analogie non debbono suscitare grandi sorprese perché i modelli narrativi sui quali il critico e teorico russo e l’aspirante romanziere italiano si misurano sono gli stessi: Balzac, Dostoevskij e, per Gadda, l’amatissimo Manzoni. Con una grande differenza: per Bachtin si tratta di testi conclusi sui quali intervenire con categorie interpretative, per Gadda sono testi « aperti » nel senso cioè che funzionano come modelli di scrittura con i quali confrontarsi. Un confronto che diviene drammatico nel momento dell’invenzione e dell’organizzazione del materiale. Gadda, in altre parole, proprio attraverso la riflessione sulle strutture narrative dell'Ottocento, conosce lo scacco di un romanzo che non si realizza, che non può più realizzarsi, ma è proprio su quel fallimento che nasce la scrittura della Cognizione. Per una conoscenza delle teorie di Bachtin sul romanzo: M. M. Bachtin, Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1968; M. M. Bachtin, Estetica e romanzo, ivi, 1975 (in particolare il saggio La parola nel romanzo, pp. 67-230). Il Racconto italiano di ignoto del novecento è qualcosa d’insolito nel

66

il conTESTO nostro panorama letterario, perché si tratta di entrare in un singolare laboratorio, normalmente segreto, di un narratore che analizza le potenzialità e i possibili esiti di una scrittura narrativa nel suo farsi. Si può accostare ad un altro famoso «laboratorio », quello delle Prefazioni di Henry James, anche se la differenza è notevole: James ricostruisce il suo processo creativo, «ricattura », a un livello diverso, i personaggi, le idee, la nascita di un intreccio, mentre Gadda contemporaneamente scrive un romanzo e riflette sulla sua stessa scrittura (H. James, Le pre-

fazioni, Roma, Editori Riuniti, 1986).

L’INTERPRETAZIONE

1. Vicende della critica

La singolare vicenda editoriale che caratterizza la Cognizione (ma, come abbiamo accennato, si ripete per quasi tutte le altre opere gaddiane) non poteva non riflettersi nella ricezione sia critica che di pubblico. È infatti veramente singolare vicenda, e pressoché unica nel panorama italiano di questo secolo, che di un autore si scopra e si saluti come capolavoro un testo quale La cognizione del dolore a venticinque anni dalla sua redazione. Una «scoperta», per altro avvenuta sull’onda della fortuna arrisa a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana pubblicato nel giugno del 1957 e premiato, nel dicembre dello stesso anno, con il « Premio Editori». Con il Pasticciaccio Gadda era passato dalla stima che molti critici avevano riservato ai suoi scritti apparsi su riviste o pubblicati in volume! alle recensioni su quotidiani nazionali, alle interviste radiofoniche, alle migliaia di copie vendute. A distanza di sei anni da questo primo, tardivo, successo, a livello nazionale appare la prima edizione einaudiana della Cognizione che gli varrà il « Grand Prix international de littérature». Ma le sorprese che il «gran lombardo» tiene in serbo per i suoi estimatori non sono finite: manoscritti inediti, testi disseminati nell’arco di decenni in quotidiani e riviste vengono riproposti con ritmo sempre più frequente negli anni Settanta e Ottanta a un pubblico sempre più attento e stimolano la riflessione critica a ridisegnare continuamente le coordinate interpretative di un’opera letteraria che si è ormai imposta come una delle espressioni più significative del secolo. Per questi motivi una rassegna cronologica di letture critiche che spaziano su un arco di tempo di sessant’anni registra le tappe successive della conoscenza di opere inedite e, contemporaneamente, i mutamenti prospettici e valutativi avvenuti nel contesto letterario e politico italiano.

! Gadda aveva già ricevuto dei premi: il «Premio Bagutta» (1935) per // castello di Udine, il. «Premio Taranto» (1950) per Prima divisione

nella notte e il «Premio di Viareggio» per Novelle del Ducato in fiamme.

70

L'INTERPRETAZIONE

Negli anni Trenta gli scritti di Gadda sono apparsi su riviste letterarie quali «Solaria » e la « Fiera letteraria », su quotidiani (« L’ Ambrosiano », la « Gazzetta del Popolo») o pubblicati presso piccoli editori. All’interno di un pubblico ristretto, e per di più costituito di letterati, non mancano letture critiche positive anche se nella dimensione di una «accoglienza appena rispettosa». Con un’eccezione: quella di un critico particolarmente raffinato come Gianfranco Contini che, nel breve saggio Lo strano ingegner Gadda, che apre l’edizione critica di tutte le opere di Gadda, si inscrive, giustamente, tra i pochi estimatori di mezzo secolo prima: Fu allora? che noi vecchi fanatici di Gadda, noi «venticinque (ma forse molto meno) lettori» fans del Gadda milanese, dell’Ada/gisa prima che fosse Adalgisa?, persuasi di coltivare una passione per happy few, comprendemmo che la dirompente gloria del nostro amico era dovuta meno, oggettivamente, all’uscita del Pasticciaccio in volume che, soggettivamente, al subentrare di una nuova generazione, al mutamento nel pubblico.

Negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta, in pieno clima neorealistico, Gadda non può incontrare accoglienze favorevoli; la sua concezione dell’esistenza così tormentata, così problematica e frammentata non risponde alle esigenze di quanti chiedono alla letteratura una visione della realtà che non dia adito a incertezze e dilemmi ma che denunci le ingiustizie e suggerisca gli interventi, che appaghi i sogni di una palingenesi sociale dopo il dramma della

guerra. Ma la «realtà» a cui Gadda fa riferimento è ben diversa: Un lettore di Kant non può credere in una realtà obbiettivata, isolata, sospesa nel vuoto; ma della realtà, o piuttosto del fenomeno, ha il senso di una parvenza caleidoscopica dietro cui si nasconda un «quid» più vero, più sottilmente operante, come dietro il quadrante dell’orologio si nasconde il suo segreto macchinismo*.

Nei tardi anni Cinquanta, con l’esaurirsi dell’impegno politico e con l’emergere delle « neoavanguardie », Gadda è «riscoperto » e riconosciuto come maestro da quei letterati che nella sperimentazione linguistica intendevano esprimere il loro dissenso nei riguardi dei codici linguistico-letterari del tempo e che ritenevano appunto il linguaggio come il luogo privilegiato dove sperimentare nuovi modi espressivi. I « nipotini dell’ingegnere », nella fortunata definizione di Al-

2 A. Guglielmi, La riscoperta di C. E. Gadda

pubblico.

negli anni sessanta, in AA.VV., Gadda. Progettualità e scrittura, Roma, Editori Riuniti, 1987, pp. 19-30.

5 Alcuni racconti della raccolta L’Adalgisa -

3 Allude alla mostra su Gadda allestita a Mi-

poi confluiti nella Cognizione - apparvero nel 1938 e nel 1940. La prima edizione in volume della raccolta risale al 1944 (Firenze, Le

lano nel 1983 nella casa di Manzoni.

Monnier).

4 Il riferimento, scherzoso, è ai «venticinque lettori» che Manzoni riconosceva come suo

6 C. E. Gadda,

in VM, p. 252. \

Un’opinione sul neorealismo,

va

VICENDE

DELLA

CRITICA

71

berto Arbasino, esaltano i testi gaddiani (soprattutto il Pasticciaccio) proprio negli aspetti trasgressivi di un linguaggio che stravolge l'italiano «medio » accogliendo e plasmando voci dialettali, registri diversi, arcaismi ecc. Privilegiando la superficie linguistica i letterati della neo-avanguardia riconducevano Gadda all’interno delle loro coordinate estetiche come modello precursore delle loro scritture sperimentali. Ma nonostante gli interessi letterari fossero particolarmente concentrati sui rapporti tra lingua letteraria e dialetti, e quindi la scrittura gaddiana venisse ricondotta all’interno di un dibattito che poco la riguardava, tuttavia già nei tardi anni Cinquanta cominciano ad affermarsi opinioni critiche che sembrano anticipare il più pieno e consapevole riconoscimento di anni più recenti. Nel 1959, per esempio, Italo Calvino, chiamando in causa Gadda come il maestro riconosciuto di Pasolini, formula una domanda che suona come un presentimento: « Sarà in questo bizzarro e solitario e ipersensibile stilista la voce italiana che più risponde allo spirito del nostro tempo? »?. Lo stesso Calvino sedici anni più tardi inizierà la quinta delle sue sei lezioni americane con una lunga citazione dell’incipit del Pasticciaccio e riconoscerà nella scrittura gaddiana una forte tensione cognitiva, uno strumento di conoscenza che accomuna l’esperienza gaddiana ad altre grandi esperienze narra-

tive europee”. Sempre sul piano linguistico la critica degli anni Cinquanta ricostruisce gli antenati gaddiani negli Scapigliati e in particolare in Carlo Dossi che già Gianfranco Contini aveva chiamato in causa in un lontano saggio del 1939 sul Ca-

stello di Udine?. Gli anni Sessanta sono quelli che segnano l’affermazione di Gadda, al quale si riconosce una delle voci più significative del secolo. Recensioni, saggi, articoli appaiono sempre più frequentemente anche se è pur sempre l’aspetto linguistico quello sul quale si concentra l’attenzione critica. Con il saggio di Gian Carlo Roscioni La disarmonia prestabilita (1969) si apre una nuova dimensione nelle letture critiche gaddiane, più attente e sollecite a rinvenire la ricchezza prospettica degli interessi e delle riflessioni di un autore del quale si inizia a conoscere lo spessore della ricerca filosofica. Nel 1981 Angelo Guglielmi, nella prefazione a una raccolta di prosatori ita-

? I. Calvino, Tre correnti del romanzo italiano d’oggi in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, p. 55. 8 Cfr. I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millenio, Milano, Garzanti, 1988, pp. 101-2. Italo Calvino fu invitato a tenere sei lezioni all’Università di Harvard (Cambridge, Massachussets) nell’anno 1985-1986. La morte, in seguito ad un ictus cerebrale, lo rag-

giunse prima di adempiere l’incarico ma cinque lezioni erano già state scritte e furono pubblicate postume. 9 Cfr. G. Contini, Primo approccio al « Castello di Udine», in Esercizi di lettura sopra autori contemporanei, con un appendice su testi non contemporanei, Torino, Einaudi, 1974,

pp. 151-57.

72

L’INTERPRETAZIONE

liani, sottolineava come l’interesse di Gadda per i problemi del linguaggio non significasse affatto disinteresse per la realtà: In letteratura non si tratta di fare valere certi valori contro altri: il problema è piuttosto di sciogliere i grumi che bloccano le articolazioni della realtà, restituendole libertà di movimento e di espressione [...]. È un caso che i romanzi che riescono a dare meglio conto del fascismo, di cui offrono l’immagine più completa siano proprio quelli di Gadda? Cioè dello scrittore italiano più convinto dell’inutilità della letteratura, della sua autonomia, della sua natura ludica? Confrontateli con i romanzi

antifascisti di Bernari e di Silone e non avrete fatica ad accorgervi che dove qui il fascismo, pur dipinto a tinte scure, è una realtà di carta, lì, nei romanzi di Gadda,

abitati da una scrittura «improbabile», è un cancro mortale!°. Ma siamo ormai negli anni Ottanta e la conoscenza dell’opera e del pensiero di Gadda si è straordinariamente arricchita per la pubblicazione di testi inediti, o parzialmente editi. Fondamentale in particolare per valutare lo spessore filosofico della scrittura gaddiana è stata la pubblicazione di Meditazione milanese (1974) (anche se alcune parti erano già apparse nel saggio di Gian Carlo Roscioni). Altro inedito gaddiano apparso nel 1983, il Racconto italiano di ignoto del Novecento (anch’esso risalente al 1924) ha messo in evidenza la straordinaria modernità di un Gadda che riflette sulle strutture narrative in singolare sintonia con gli studi che, negli stessi anni, conducevano i formalisti russi!! e che saranno conosciuti in Europa solo negli anni Sessanta.

10 A. Guglielmi, Prefazione a Il piacere della letteratura, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 16-17.

!! I formalisti russi, in particolare B. Ejchen-

baum e V. Sklovskij, studiarono in modo originale le strutture narrative. I loro saggi, quasi tutti pubblicati negli anni tra il 1915 e il 1930 rimasero ignorati, soprattutto per l’ostracismo

decretato negli ambienti staliniani, fino agli anni Sessanta. Anche il saggio di V. Propp, Morfologia della fiaba, fondamentale per gli studi di narratologia, fu pubblicato in traduzione italiana nel 1968, quarant’anni dopo la sua apparizione in russo.

2. La lingua gaddiana

Gadda non è un autore « facile» come non sono «facili» Dante, Shakespeare, Cervantes, Musil.

Leggere Gadda è una conquista e tutte le conquiste costano fatica ma in questo caso la preda non delude, non può deludere almeno chi considera una conquista esser capace di rifiutare l’ovvio, il banale, i buoni sentimenti facili da mettere in scena e altrettanto facili da riporre per altre occasioni. Gadda è appunto il contrario dell’ovvio, del banale, dei buoni sentimenti, ingredienti facili da digerire, da praticare, da spendere, mentre la moneta gaddiana è fuori uso, è un valore fuori commercio ma, paradossalmente, è un valore. La prima difficoltà di lettura è nella lingua che, lo abbiamo visto, è quanto di meno ovvio, di meno banale, di meno « buoni sentimenti » si possa immaginare. Ed è proprio con la eccezionalità di questa lingua personalissima che molta critica, sin dalle prime prove gaddiane, si è misurata. Anche sotto questo aspetto la tormentata storia bibliografica ha condizionato le letture critiche che, nell’arco di mezzo secolo, esprimono atteggiamenti e valutazioni diversamente orientati. Proponiamo alcuni passi da saggi assai diversi tra loro sia per la formazione culturale degli autori sia per la loro collocazione cronologica, con lo scopo di mettere in evidenza la gamma di interventi che la scrittura di Gadda sollecita.

149

Un’analisi stilistica...

Nel 1936 Giacomo Devoto*, allora professore di Linguistica all’Università di Firenze, dedicò un’analisi stilistica a un capitolo del Castello di Udine edito due anni prima presso le edizioni di

* Giacomo Devoto (Genova, 1897 - Firenze, 1974) insegnò glottologia nelle Università di Ca-

gliari, Padova e Firenze. Fu presidente dell’ Accademia della Crusca e condirettore delle riviste

74.

L’INTERPRETAZIONE

« Solaria» ma di cui alcune parti erano già state pubblicate, nei due anni precedenti, sul quotidiano «L’Ambrosiano »**. L’analisi minuziosa e sofisticata, distingue i « fatti stilistici» che riguardano «il periodo e la frase », « il rapporto fra parola e cosa », i« rapporti fra le parole», insistendo su alcuni aspetti dell’organizzazione linguistica: le associazioni, i tecnicismi, le parole preziose e gli arcaismi, l’ironia, il grottesco ecc. Riportiamo due brevi passi: l’uno relativo alla struttura del periodo, l’altro all’uso di termini preziosi. : Ma furono celeri vampe, come sussulti repressi: vampate di sangue al cervello. Roba di nessuna importanza. La struttura spezzata del periodo mette in rilievo, invece di una, diverse imagini, le quali devono essere fra loro -in un rapporto reciproco che giustifichi la disposizione allineata. Questo risalto dato a ciascun elemento è già in contraddizione con la conclusione finale «roba di nessuna importanza »: e la contraddizione si accentua quando si pensi: che le vampe dette « celeri» dovrebbero compiere un lungo percorso in poco tempo e quindi sono cose «importanti »; che i « sussulti repressi» appunto perché «repressi» rappresentano dispersioni «importanti» di energia; che le «vampate di sangue al cervello » rappresentano in ogni caso una violenza. Tutti questi inconvenienti sarebbero stati ridotti con una struttura del periodo meno rigida. Preziosità ed arcaismi. Il contrasto fra forme usuali e meno usuali, fra parole letterarie e popolari comprende in sé esempi non inefficaci di parole assolutamente isolate (preziosità) o disusate (arcaismi). Ma la singolarità o l’arcaicità compaiono a volte fuori di qualsiasi apparente contrasto e, abbandonate a se stesse, vanno giudicate a parte. Si tratta soprattutto in questo testo di fatti ortografici, che non hanno una ragione espressiva evidente e quindi portano tutto il peso della forma, quando ad essa non corrisponde un contenuto: /’umile fante, che per dispitto non ne voleva sapere*; onnubilati?, parola tecnica che comu-

«Archivio glottologico italiano » e « Lingua nostra». Coltivò alcuni filoni di studio: la storia linguistica dell’Italia arcaica (Gli antichi italici, Firenze, Vallecchi, 1931; Storia della lingua di Roma, Bologna, Zanichelli, 1939; Profilo di storia linguistica italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1953; Origini indoeuropee, Firenze, Sansoni,

1962; Il linguaggio d’Italia, Milano, Rizzoli, 1974), la linguistica generale (/ntroduzione alla grammatica, Firenze, La Nuova Italia, 1941), l’analisi dei testi letterari (Studi di stilistica, Firenze, Le Monnier, 1950; Nuovi studi di stili-

stica, ivi, 1961). Compilò, insieme con Gian Carlo Oli, il Dizionario della lingua italiana, ivi,

1971. ** Nel 1955 // castello di Udine è apparso in una raccolta dal titolo / sogni e la folgore (Torino, Einaudi), che comprendeva anche La Madonna dei filosofi (1931) e L’Adalgisa (1944).

1 Ma... importanza, C. E. Gadda, JI castello di Udine, in RR, I, p. 148.

2 l’umile ... sapere, ibid., p. 150. 3 onnubilati, ibid.

LA LINGUA GADDIANA

nemente si scrive

75

«obnubilati», viene qui «preziosamente» inserita nella lin-

gua letteraria; /a solennità con cui si serve un ponteficale*. AI di fuori dell’ortografia l’uso di una parola come «esalare» in senso intransitivo rientra per me nella preziosità anche se è storicamente giustificabile: /a nebbia esalava dalle fauci vuote dell’abisso*; l’odor marcio del sasso esalava, dopo lo spàsimo d’ogni rovina. [...] Appare qui evidente la contraddizione fra «singolarità» di una forma e «ripetizione» di una forma singolare. Se l’esalare isolato può evocare impressioni altrettanto singolari quanto singolare è la parola, la sua ripetizione acquista l’apparenza di «formula» e quindi annulla la capacità evocatrice non solo degli esempi ripetuti ma anche del primo. (G. Devoto, Da/ « Castello di Udine» di €. E. Gadda in Studi di stilistica,

Firenze, Le Monnier,

I4h

1950, pp. 65-69)

... e la replica gaddiana All’analisi di Devoto, abbastanza ricca di osservazioni forse un po’ troppo professorali, Gadda rispose con un intervento sulla rivista « Letteratura » (1937). È interessante notare come lo scrittore, molto garbatamente, rivendichi la libertà di usare espressioni forse poco ortodosse ma che provengono da «impulsi ineluttabili». Riproduciamo, oltre la parte iniziale, i passi corrispondenti ai commenti del Devoto da noi scelti.

Giacomo Devoto... ha sottoposto a particolare esame un capitolo del mio libro // castello di Udine, nell’intento di penetrare le modalità stilistiche e, di-

rei, sorprendere i fatti germinali di quella prosa. « Analisi stilistica» egli denomina appunto una siffatta ricerca, di cui richiama i precedenti sistematici per chi operi al tempo attuale. Essa lo conduce a stabilire il valore (o il disvalore) della espressione, in rapporto ai generali fini rappresentativi di una scrittura: nel fatto, la mia. La ricognizione a cui il prof. Devoto ha creduto di dover procedere nei confronti del mio elaborato è di sommo interesse per me. L’acutezza e la diligenza della sua indagine possono attingere a conclusioni normative! che non vorrò trascurare quinavanti: se pure, lavorando, mi sia avveduto subito che i modi della espressione (in un dato sistema di tempo, luogo, affetti, ambiente, cogni-

4 la solennità ... ponteficale, Gadda, Il castello di Udine cit., p. 152.

* conclusioni normative, conclusioni con il valore di norma, che lo scrittore è tenuto a ri-

5 la nebbia ... abisso, ibid., p. 150. 6 l’odor ... rovina, ibid., p. 151.

spettare.

76

L’INTERPRETAZIONE

tiva, studio: e stato fisico e morale dello scrivente) procedono da impulsi pressoché ineluttabili a una fattispecie che direi preordinata e fatale. Anche le correzioni e le riprese, e furono brevi e nitide per tutti i manoscritti del libro citato, si configurano in parvenze co-necessarie; come avvistare le isole sopravvenenti, chi abbia dato di prora nella punta d’un arcipelago”. Il discorso vero dell’anima tende a venire a galla. Il libero arbitrio non vi ha governo, o poco: e non è pace fino alla pace raggiunta. In una gran parte dei luoghi esaminati, il giudizio dello studioso (consentaneo all’opera e talora lusinghiero per me) s’è identificato con il mio intendimento espressivo, lo ha colto nella sua ipsità?. Credo poi che le note da me opposte alla narrativa, in piè pagina, permeassero già, secondo certa misura, il terreno della stilistica: e mi par di scorgere che in aicun punto più malamente oscuro o allusivo abbiano agevolato di fatto la lettura di un lettore come Giacomo Devoto; se anche hanno attediato il comune*. Qui solo mi propongo alcuni luoghi disputati, a titolo di semplice ristabilimento dei fatti, e per dissipare ogni velo d’incertezza. (Bel gioco dura poco, dirà taluno: oh, non ti basta il commento dello pseudo

Averrois°?). Beh? [a Prosodicamente® vampata, trisillabo, tende di fatto a smorzare la troppa rapidità e severità di vampa, bisillabo. Lessicalmente vampa e vampata si equivalgono: e, se mai, vampa è anche iterativo” e può valere in prolungamento: la vampa del caminetto rallegrava il salotto: ma, il caminetto diede una vampata. «Roba di nessuna importanza» è ironico. Quel mio giudizio negativo era una sofferenza latente, continua: nei richiami del cosciente veniva a galla, come rabbia e dolore: dei più motivati.

E] L’uso di esalare in accezione di predicato neutro non costituisce preziosità, ma è generalmente ammesso e praticato a tutt'oggi. « Dalla pozzanghera esala un fetore da morire», anche se la carogna del cane disteso gambe all’aria nella pozzanghera, esala essa transitivamente un fetore da morire. Senza di che le esalazioni non sarebbero esalazioni. Preziosità può riuscire in me, lo riconosco, la qualità dei soggetti esalanti: «la nebbia... dalle fauci vuote dell’abisso; la tosse... da quella povera gola»: 2 le correzioni ... arcipelago, gli interventi («correzioni e riprese») si impongono allo scrittore come un insieme coerente (« si configurano in parvenze co-necessarie»), così come le isole di un arcipelago si profilano all’orizzonte, davanti alla nave che vi è diretta. 3 ipsità, intima essenza (dal latino ipse= stesso).

comune.

4 hanno ... comune, hanno annoiato il lettore

l’azione.

5 pseudo Averrois, Averroè è il nome con cui è conosciuto nell’Occidente latino il filosofo arabo Muhammad Ibn Rushd (1126-98), autore di un monumentale commento alle opere di Aristotele. 6 Prosodicamente, ritmicamente. 7 è... iterativo, indica cioè, una continuità nel-

LA LINGUA GADDIANA

77

che son più rari e difficili delle consuete esalazioni di gas per cui uno lo trovano poi nella bagnarola i parenti, privo di fiato: e il «Corriere» ci fa il capocronaca, in sua prosa distesa. Per l’etimo latino, ex-halare (donde halitus) mi richiamo a Lexicon totius latinitatis di I. Facciolati, Aeg. Forcellini et I. Furlanetti... curante doct. Francisco Corradini, Patavii, 1864.

halare: a) active*: secondo indicato dal prof. Devoto: b) neutrorum more’, costruito tuttavia col soggetto esalante e con l’ablativo modale della cosa o dell’odore esalati: il che si accosta all’uso (a) transitivo.

«ubi cernimus alta — ex halare vapore altaria »!° Lucrezio

«ture calent arae — sertisque recentibus halant »!! Vergilio L’uso italiano comporta a pari frequenza il transitivo e il neutro.

Vocabolario degli Accademici della Crusca. Esalare = disunirsi... le invisibili particelle de’ corpi, disperdendosi intorno nell’aria: e prop. dicesi di odori, di qualsivoglia vapore, e simili. «L’odore o sia il puzzo, che esala dalle concie e fabbriche di corami». A. L. Muratori, Trattato del governo della peste. L’uso neutro è registrato e dichiarato con esempi nelle prime sei accezioni.

1° «... ed esala... fiato grave e puzzolente dalla lor bocca... ». 3? «... l’anima... che dal corpo esalata esser parea...». Ariosto, Fur., 7, 76.

= consumarsi svaporando: «... che ogni calor del letame sia esalato, cioè sfumato ». Piero de’ Crescenzi, Trattato dell’Agricoltura, Volgarizzamento. E detto di vapori, fuoco, fiamma e simili, per uscire, aver l’uscita, spargendosi nell’aria. E detto anche di sangue o siero per trasudare, trapelare. E nel Vocabolario del Tommaseo



Bellini:

Esalare = uscir fuori salendo in alto e disperdendosi nell’aria. È l’emanare che fa da’ corpi la parte più sottile (sic): è generico ad ogni effluvio. (C. E. Gadda, Postille a una analisi stilistica, in Il tempo e le opere cit., pp. 101-7)

8 active, attivamente.

9 neutrorum more, secondo l’uso dei sostantivi neutri. 10 «ubi ... altaria», quando vediamo alte are

esalare vapore (De rerum natura, III, vv.431-32).

!! «ture... halant», le are fumano d’incenso ed esalano odore di fresche ghirlande (Virgilio, Eneide, I, v. 417).

78.

L’INTERPRETAZIONE

1S9

«Riportare Gadda in Lombardia» Gianfranco Contini, come abbiamo accennato, è stato tra i primi

estimatori di Gadda. I brani che riportiamo appartengono a due saggi redatti a distanza di più di vent’anni l’uno dall’altro, il primo riguarda Il castello di Udine, i/ secondo è stato redatto in occasione della pubblicazione della Cognizione e ne costituisce la prefazione. È evidente, sia nel primo che nel secondo dei passi riportati, la personale lettura del grande filologo per il quale la scrittura gaddiana si colloca su una linea « espressionista» ben presente nella letteratura italiana, una linea che risale alla Scapigliatura come antecedente più vicino ma che affonda le sue radici ben oltre, alle origini stesse di una letteratura, quale quella italiana, costitutivamente costruita anche sulla produzione dialettale.

Il caso Carlo Gadda è di quelli che posseggono, più che tutto, una grande importanza teorica. Ama e ha diritto di passare per calligrafo'; e intanto serve a chiarire, proprio in linea di principio, quanto di risentimento, di passione e di nevrastenia covi dietro al fatto del «pastiche»?; per che immane sfogo pratico un autore si decida a scritture così mescidate?, scandalose. Fare il nome del Dossi‘, a proposito della Madonna dei Filosofi e, più, del Castello di Udine, è risorsa che tiene, già nascendo appena, del luogo comune; e tanto vale rilevare come il Dossi, nonostante la relativa urgenza empirica, mettiamo, della misoginia che gli dettava la Desinenza in A, si mettesse all'impresa con un cautissimo dosaggio; apparisse ormai gelido, cristallizzato, dedito a quel suo stile come a uno sperimento autonomo e a una recisa professione. Less] Dovendo a questo punto riportare Gadda in Lombardia (e ancora rimaniamo nel campo di generali esigenze poste dalla sua scrittura, non già d’«influssi» positivamente subiti), ricorreremmo alla seconda Scapigliatura’; quella che ha

la progenitura dal Lucini; e penseremmo a Linati”, o piuttosto alla contami1 calligrafo, scrittore particolarmente attento allo stile, al bello scrivere. 2 «pastiche», scrittura che porta alla mescolanza linguistica e stilistica.

3 mescidate, composite. 4 Dossi, Carlo Alberto Pisani Dossi (18491910), scrittore lombardo appartenente alla Scapigliatura. Il suo stile, singolarissimo, faceva leva su dialettismi, espressioni gergali, giochi linguistici, 5 seconda Scapigliatura, la seconda generazio-

ne degli Scapigliati, più propensa a tematiche sociali;

tra

i suoi

esponenti,

Paolo

Valera

(1850-1926). 6 Lucini,

Gian

Pietro

Lucini

(1867-1914),

amico e curatore delle opere di Carlo Dossi, teorizzò il «verso libero», rinnovando profondamente il linguaggio poetico, in cui accolse vocaboli del parlato e dell’italiano medio, forestierismi e neologismi. 7 Linati, Carlo Linati (1878-1949), scrittore di prose d’arte e di romanzi, collaborò nelle rivi-

le

LA LINGUA GADDIANA

79

nazione espressiva tipica di Linati (benché non separabile dall’espressionismo inerente all’impressionismo vociano*, riscattatore dei linguaggi provinciali), che consiste nell’innestare su un primo purismo un suo privato dialetto fatto ‘ di larghissima onomatopea?’, d’imitazione della natura. «Il rabido rinculo degli affusti, il pronto ricupero, le vampe laceranti la notte, la subita impennata di qualche mulo nevrastenico nello schianto e nel lividore improvviso, i gargarismi lontani e immortali delle autocolonne, fino all’alba! Su su per le spire infinite delle rotabili, dalla tenebra verso i crinali! Spiando l’ambiguità de’ cul-

mini puntuati di fredde stelle »"°. (Contini, Primo approccio al « Castello di Udine» cit., pp. 151-52)

Analisi del testo

Già nel 1939, quando ancora non si conoscevano di Gadda le opere che avrebbero messo in evidenza lo spessore psicologico della sua scrittura, Gianfranco Contini individua nel pastiche linguistico una personalità sofferta, rancorosa: una lingua così mescidata scaturisce da una « provocazione» delle cose: Gadda è continuamente provocato e testimonia il suo disagio forzando lo strumento espressivo sia quando il coinvolgimento è ancora bruciante («è nella ganga dei fatti») sia quando il distacco dalle cose che narra è avvenuto; in questo caso il processo di scrittura continua «quasi per inerzia» accogliendo elaborazioni sedimentate nella memoria creativa.

[i150

Lingua letteraria e dialetto

Meno evitabile sembra invece che sia descrivere sommariamente le coordinate in cui si situa l’apparizione di Gadda!; al che stimola con qualche urgenza la trasformazione dello scrittore d’anteguerra, sapientissima vivanda per

ste

«La Voce» e

«La Ronda»; tradusse Law-

Udine cit., pp. 150-51.

rence, Yeats, Joyce.

8 impressionismo vociano, gli scrittori che facevano capo alla « Voce» predilessero il frammento come forma letteraria in cui cesellare impressioni raffinate, affidate a una lingua sapiente. 9 onomatopea, parole e sintagmi che imitano il suono di ciò che si vuole descrivere.

10 «Il rabido ... stelle», Gadda, Il castello di

1 Meno evitabile ... Gadda, Contini ha prece-

dentemente analizzato le scelte linguistiche di Gadda (lessico milanese, fiorentino, romanesco). Ritenendo di non dover insistere oltre nell’analisi, passa a trattare un nuovo argomento che ritiene importante («meno evitabile»), quello appunto della collocazione storico-geografica di Gadda.

80

L’INTERPRETAZIONE

una numerata cerchia di appassionati colleghi”, in personaggio letterario non solo popolare ma rappresentativo; e il fatto che come tale, come cioè non solo eminente ma italianamente rappresentativo, lo interpreti una folla sempre più larga di giudici forestieri. L’impressione degli stranieri è ben fondata. Già Rabelais? è incomprensibile senza il nostrano, ma sùbito europeo, Folengo*. Facendo tuttavia mente locale sull’entre-deux-guerres°, manipolazioni espressivistiche, e s’intenda proprio lessicali, dello strumento linguistico (prescindendo dunque dalle innovazioni grafico-sintattiche, dal Coup de dés e dalle Calligrammes® al futurismo e a Dadà’ e prescindendo da quelle, postsimbolistiche e surrealistiche, spettanti alla composizione delle immagini*) sono un fatto ecumenico assai conclamato. [...] Rispetto a tutta codesta agitazione’, Gadda si distingue tuttavia per qualcosa di ben caratterizzato, il copioso, se pur mobile, ricorso alle riserve dialettali. La differenza non resta affatto all’estrinseco: Joyce!°, per segnare il caso estremo, mescola sulla sua tavolozza i dati d’una ricchissima esperienza plurilinguistica, ma ciò è al servizio d’un’inaudita introversione (tradotta appunto nel famoso monologo interiore) per cui non vige più la nor-

malità d’uno stato di lingua euclideo!!; pur sorgendo dal buio, dove non immora"; ma se ne svincola, quello di Gadda è un mondo robustamente esterno, nel quale l’autore crede. Il suo, considerato da quest’angolo,

è un

espressionismo naturalistico!*e semmai di qui torna a presentarsi una qual-

tradizionale, ideografie, impostazione grafica. ? Dadà, movimento artistico d’avanguardia fondato a Zurigo nel 1916 e attivo fino ai primi anni Venti; l’esponente più rappresentativo è Tristan Tzara (1896-1963). 8 postsimbolistiche ... immagini, le poetiche del simbolismo e del surrealismo sperimentarono nella scrittura nuove forme di immagine.

2 sapientissima ... colleghi, gli estimatori delle prime opere di Gadda erano molto pochi. 3 Rabelais, Francois Rabelais (1494-1553), autore di libri dedicati alle imprese fantastiche del gigante Gargantua e di suo figlio Pantagruel. La lingua è di una ricchezza inventiva senza pari; linguaggi tecnici, termini classici, dialetti, deformazione del corpo della parola fanno della sua opera una delle creazioni più originali del Cin-

tassi

quecento. 4 Folengo, Teofilo Folengo (1491-1544), noto

9 tutta ... agitazione, i fermenti letterari e arti-

soprattutto per le Maccheronee. 5 entre-deux-guerres, il periodo compreso tra la

fine della prima guerra mondiale (1918) e l’inizio della seconda (1939). 6 Coup de dés ... Calligrammes, Un coup de dés jamais n’abolira le hasard (Un colpo di dadi non abolirà mai il caso, 1897) e Calligrammes (Calligrammi, 1918), sono opere, rispettivamente, di Stephane Mallarmé (1842-98) e di Guillaume Apollinaire (1880-1918), qui considerate insieme per la straordinaria novità degli aspetti formali: rottura della sin-

stici tra le due guerre. 10 Joyce, James Joyce (1882-1941), scrittore irlandese, autore del romanzo Ulysses (1922): un’opera che presenta una gamma ricchissima di scelte linguistiche e un periodare che rifiuta spesso i collegamenti logici e procede per frasi brevi, dense di implicazioni e riferimenti.

11 euclideo, che non ammette deroghe o infrazioni, come la geometria euclidea. 12 non immora, non indugia. 13 espressionismo naturalistico, una particolare

forma di espressionismo, che si misura con gli oggetti della realtà.

LA LINGUA GADDIANA

81

che connessione al naturalismo linguisticamente regionale che sopra si è scartato. Ciò non è dunque senza rapporto col fatto elementare che l’italiana è sostanzialmente l’unica grande letteratura nazionale la cui produzione dialettale faccia visceralmente, inscindibilmente corpo col restante patrimonio. Svincolata dalla soggezione accademica fiorentina (per la quale ad esempio la cronachistica trecentesca contò in esclusiva Compagni, i Villani, magari Velluti,

ignorato il capolavoro romanesco della cosiddetta Vita di Cola!*), ma anche esente dalla deferenza a qualsiasi giacobinismo linguistico! la storiografia degli ultimi decenni è venuta acquisendo in parità di livello al canone dei valori senza restrizione italiani, Porta, Belli, e via via retrocedendo, Maggi, Basile,

Ruzzante'° (per lasciar stare il caso pacifico ma speciale di Goldoni), contornati da robusti arcipelaghi di minori. pei La rappresentatività di Gadda non si esaurisce però nel suo aderire con trasporto a uno dei poli della tradizione italiana!” c’è una sua rappresentatività riferita al mondo linguistico del secondo dopoguerra, così largamente connotato da sollecitazioni della norma, da violenza di escursioni fuori della media. Non è dubbio che ciò che è stato generalmente interpretato come indizio sensibile di crisi, come corrispettivo d’una situazione di rottura: una crisi, a ogni modo, offerta come tale e nel fatto, senza che si proponga manzonianamente un ideale stilistico che la superi. L’espressività è l'equivalente d’una realtà non pacifica, al metafisico e al sociale.

[...] E così si avverta il singolare sfasamento cronologico per il quale lo strenuo stilista di una o due generazioni avanti è scelto per patrono e delegato della

più giovane avanguardia letteraria". (Contini, Introduzione cit., pp. 261-67)

14 soggezione ... Cola, l Accademia della Cru-

sca ha accolto della produzione cronachistica italiana del Trecento solo le cronache redatte da autori fiorentini (Dino Compagni, Matteo e Giovanni Villani, Donato Velluti), rifiutando, per

nesco. Carlo Maria Maggi (1630-99) fu commediografo: ci restano cinque lavori teatrali in dialetto milanese. Giambattista Basile (1575-1607) raccolse in Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de’ peccerille (Il racconto dei racconti

esempio, la Vita di Cola di Rienzo, una cronaca

ovvero l’intrattenimento dei piccoli, uscito po-

anonima in dialetto romanesco.

stumo, 1634-36) 50 favole popolari, rielaborandole ampiamente e scrivendole in dialetto napoletano. Angelo Beolco detto il Ruzzante

15 giacobinismo linguistico, atteggiamento che propende ad accogliere qualsiasi opera, indipendentemente dal suo valore, purché si presenti come rivoluzionaria rispetto ai canoni Ìnguistici tradizionali. 16 Porta ... Ruzzante, tutti autori dialettali: Carlo Porta (1755-1821) scrisse famosi componimenti poetici in dialetto milanese, come / desgrazi de Giovannin Bongee (Le disgrazie di Giovannino Bongee, 1812). Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) compose 2279 sonetti in roma-

(1496 ca-1542) è autore di numerose commedie in dialetto padovano, tra cui la Bertìa (1524 o

1525). 17 a uno ... italiana, il polo del bilinguismo lingua-dialetti, che Contini fa risalire fino alle

origini della letteratura italiana. 18 della più ... letteraria, dagli autori che negli anni Sessanta si dedicavano a sperimentazioni linguistiche, considerando Gadda loro maestro.

82

L’INTERPRETAZIONE Analisi del testo

Gianfranco Contini risale indietro nei secoli della letteratura italiana a rinvenire una tradizione « espressionistica» che dalle origini attraversa e si accompagna alla produzione in lingua «normale». Se Benedetto Croce nei Saggi sulla letteratura italiana del Seicento ha individuato proprio in quel secolo l’insorgere di una letteratura dialettale, in realtà si può risalire assai più indietro: a Folengo, a Beolco, ai modesti petrarchisti Francesco di Vannozzo e Niccolò de’ Rossi, a Cielo d’Alcamo, al «padre della lingua italiana» Dante Alighieri. Secondo Contini dunque la mescolanza di lingua letteraria e dialetti appare all’origine stessa della letteratura italiana, ne è fenomeno « costitutivo ». Risalendo a tempi più recenti, l’operazione linguistica manzoniana sembra, in un certo qual modo, autorizzare forme di trasgressione quali si manifestano nelle esperienze degli Scapigliati. Gadda va dunque inserito in questo filone anche se occorre tener presente il particolare clima estetizzante dannunziano nel quale lo scrittore lombardo si trova a operare. Ma l’estetismo si limita a contemplare gli oggetti mentre gli Scapigliati e Gadda li riportano alla propria « funzione vitale». In Gadda vi è poi la componente storica del clima particolare del dopoguerra, un clima di crisi che trova la sua possibilità di manifestazione nelle trasgressioni linguistiche agli ideali manzoniani ma senza velleitari scopi di superamento e di imposizione di nuovi codici: l'espressività linguistica è segno manifesto di disagio sociale e di rifiuto di norme, sia pure limitate al linguaggio. Gadda, maturato stilisticamente nel clima letterario degli anni Trenta ha trovato udienza quando la sua espressività corrosiva ha affrontato il mondo romano del Pasticciaccio; con la conseguenza che la neoavanguardia si è riconosciuta in lui scavalcando i decenni che la separano dal mondo culturale gaddiano.

[116

La manipolazione del significante Un procedimento tipicamente gaddiano è quello di « giocare » sul significante intervenendo a livelli diversi (desinenze, assonanze, assemblaggi di lingue diverse e di dialetti). Le manipolazioni investono soprattutto i nomi propri di luoghi e di persone con ef-

fetti di compresenza di significati e di allusioni veramente notevoli. Qualche esempio: il patronimico del protagonista, Pirobutirro d’Eltino, allude alle manie (o giudicate tali dal figlio) del padre dell’autore per la villa di Longone Segrino: le pere « butirro » e

LA LINGUA GADDIANA

83

il vino che si vantava di imbottigliare (tino); il nome proprio Serruchon, trasparente ed anche esplicitato « doppio » del Resegone, è costruito su « serrucho », la traduzione spagnola di «sega» e il suffisso accrescitivo «on» presente anche nel nome italiano: «banzavòis» è nome costruito per assonanza con il mais nella sua parte finale ma anche con l’espressione dialettale meneghina «panz voj», pance vuote con allusione agli scarsi prodotti alimentari della regione. Riportiamo l’analisi critica che del nome Lukones ha svolto Emilio Manzotti*. La opacizzazione del discorso, nel senso di una autonomìa ed opposizione rispetto alla funzionalità narrativa, ha una ulteriore manifestazione sulla quale è utile spendere alcune parole, dato che essa è la meno facilmente ricostruibile da parte del lettore. Si intende parlare, esattamente, della concentrazione semantica e della polivalenza della singola parola, del suo caricarsi di tutta una storia e di tutta una esperienza individuale. Questa caratteristica è particolarmente evidente nel caso della onomastica e della toponomastica, come mostrerà il rapido esame di un esempio, il nome della località in cui, con rigorosa unità spaziale, è ambientato il romanzo: Lukones [...]. Dietro la invenzione onomastica sta in primo luogo una ovvia realtà geografica, quella di Longone al Segrino, tra Como e Lecco, dove i Gadda possedevano una cospicua villa (la Cognizione ne rispetta millimetricamente la planimetria). Alla ispanizzazione (Longone > Lukones) sembra inoltre presiedere un ricordo onomastico degli anni del soggiorno argentino dell’autore (1922-24): il nome del poeta, e pubblicista, e uomo politico, Leopoldo Lugones (1874-1938), senza dubbio in Argentina una delle figure più note e rappresentative dei primi decenni del Novecento (numerosi i suoi interventi pubblici, in particolare, tra il 22 e il ’24, sulla « Naciòn»; una sua caricatura comparve nello stesso periodo nella rivista satirica argentina — un «Guerin Meschino » sudamericano — «Fray Mocho », due volte citata nella Cognizione). Ma la ispanizzazione retta da ricordi dell’autore tradisce ad una più attenta analisi fenomeni decisamente più interessanti. Si consideri il fatto minimo della caduta della -n (Longone + Lukones) e l’altro della immotivata (rispetto alla toponomastica spagnola) desonorizza-

* Emilio Manzotti (Canonica d’ Adda, Bergamo, 1947) è ordinario di linguistica italiana all’Università di Ginevra. Si occupa principalmente di descrizione semantica dell’italiano, di didattica della lingua e di problemi di linguistica testuale. Ha curato l’edizione critica della Cognizione del dolore di Gadda (CD). Insieme con M. Corti e F. Ravazzoli ha pubblicato Una lingua di tutti. Pratica, storia e grammatica della lingua ita-

liana, Firenze, Le Monnier, 1979, destinata alle scuole medie inferiori. Collabora alla Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di

L. Renzi, Bologna, Il Mulino, in via di pubblicazione. Tra gli altri suoi scritti: L'architettura di un testo, in «Nuova secondaria», VI, 1989,

6; Forme della scrittura nella scuola: una tipologia ragionata, ivi, VII, 1990, 8.

84

L’INTERPRETAZIONE

zione della velare (/g/ + /K/). In essi è suggestivo vedere operante l’associazione col dialettale (milanese e lombardo in genere) /6kk (di Gadda la grafia; locch ad esempio nei dizionari milanesi del Cherubini e dell’ Arrighi 1) glossato eruditamente (ma ricalcando il Cherubini) in una nota dell’ Ada/gisa (A, 46, n. 8): «‘... LOkk”’ (dial. milanese): balordo, stordito, avventato: poi anche bravaccio: e oggi teppista e, più, malvivente. ‘‘Inlokki, trà 16kk”° = inlocchire, tirar locco= assordare, stordire, frastornare, anche sbalordire. Probabile derivazione dallo spagnolo ’’ loco’’ = pazzo, e anche sventato ». Se così è, il toponimo Lukones veicola un duplice giudizio del narratore (rafforzato per di più dal suffisso accrescitivo: /6KK + /6kòn) sulla «buona gente» che popola il reale Longone e la sua replica letteraria (entrambi, si noti /0ék ‘luogo’ per eccellenza, nella autobiografia e nella finzione, e /oék ‘rustico luogo”, ‘campo ’’): questa «buona gente» è di «balordi, storditi, avventati», di « calibani gutturaloidi»? insomma, ma anche di bravacci e di malviventi, di potenziali aggressori contro cui la proprietà e la persona vanno aggressivamente difese. La parola, dunque, invece di assolvere una sua anodina funzione denotativa‘, si carica di significati ed in particolare di giudizi, diventa un microcosmo che riflette il mondo della finzione narrativa dal punto di vista del personaggio principale e del narratore. (Manzotti, Introduzione cit., pp. XXXI-XXXI)

ITI

Perché non possiamo non dirci gaddiani L’«espressionismo », dopo la conoscenza dello spessore filosofico della scrittura gaddiana, appare correlato intrinsecamente alla riflessione sulle contraddizioni del reale. E la tesi sostenuta da Mario Lunetta*.

! Cherubini ... Arrighi, autori di vocabolari del dialetto milanese; è noto soprattutto quello di

Cherubini, edito a Milano nel 1814.

scita»). Oltre a libri di versi (La presa di Palermo. Poesie 1972-1977, Manduria, Lacaita,1979; In abisso, Roma, Il Ventaglio, 1988),

? ‘luogo’ ... ‘campo’, cfr. Gadda, CD, p. 30.

ha pubblicato cinque romanzi, tra cui: / ratti

3 «calibani gutturaloidi», ibid., p. 302.

d’Europa, Roma, Editori Riuniti, 1977; Guerrieri chevennes, Lecce, Manni, 1986; Puzzle d’autunno, Milano, Camunia, 1989. Numerosi

4 anodina ... denotativa, funzione puramente

indicativa, senza spessore di significato («anodina»).

* Mario Lunetta (Roma, 1934) è scrittore e critico letterario. Collabora a quotidiani («1’Unità», «Il Messaggero») e periodici (« Rina-

i saggi: Invito alla lettura di Svevo, Milano, Mursia, 1972; La scrittura precaria, Foggia, Bastogi, 1973; Sintassi dell’altrove. Conversazioni e interviste letterarie, Poggibonsi, Lalli, 1977;

L’aringa nel salotto. Ricognizioni su 33 narratori italiani, ivi, 1984.

=

LA LINGUA GADDIANA

85

Il Gadda «filosofo» funziona solo in quanto «letterato»: e viceversa. La sua letteratura è, alla fine, il suo modo di porsi filosofico, la forma inevitabile in cui il suo pensiero si incarna. Il fatto è che a Gadda [...] interessa darsi un metodo, che risulti al tempo stesso massimamente rigoroso e massimamente aperto (il «sistema» e le «infinite indicazioni subordinate»). Se c’è un rapporto tra « filosofia» e «letteratura » in Gadda, è un rapporto fondato sull’îrnpossibilità. La letteratura agisce nel punto di impossibilità di un sistema filosofico, nei suoi luoghi di vuoto: e li riempie del suo corpo asistematico, brutale e intrattabile. La letteratura secondo Gadda è una bestia non addome-

sticabile, ma l’autore-domatore è comunque chiamato a imporsi (a imporle)

un codice severo e rischioso, che dia ordine al caos. Per realizzare un’operazione siffatta non è sufficiente la /angue! educata del bello scrivere monolinguistico; occorre piuttosto una lingua «spastica» (come la definisce lo stesso Gadda) [...]. Ecco affiorare, a questo punto, la questione del particolarissimo realismo gaddiano, che Contini ha involontariamente ridotto nel momento in cui ha parlato, a proposito dell’autore del Pasticciaccio, di espressionismo naturalistico. La scrittura gaddiana è in effetti carica di pillole esplosive che brillano con sarcastica violenza dentro il corpo di un reale capace solo di produrre dolore. La realtà generata da questa scrittura è obbligata a una violenza almeno pari a quella che promana dal mondo, e si pone come «verità» estrema, energia autogenetica” di contro a un universo riconosciuto come nemico. Il nihilismo di Gadda non è mai sfiorato dalla tentazione di un rifugio mistico, dai fumi di un o/tre pacificatoric e metafisico: è un nihilismo furente e in perpetuo stato di belligeranza. Nessuna forma di mimesi, quindi, in questo suo «realismo creaturale» (Angelo Guglielmi*), in questo suo realismo autologico e disperatamente dialettico, in questo suo realismo asistematico che sfida senza tregua se stesso in una catena di interrogativi paradossali (se non di sberleffi tremendi); nessuna forma di naturalismo. È piuttosto, semmai, una fortissima piegatura di specie espressionistica, che dà luogo a una lingua che è più che altro un idioma privato, un gesto personalissimo di appropriazione iperbolica di tutto il cosmo e di tutte le cosmologie in uno spirito di rigetto terroristico, tanto che giustamente Cases ha potuto scrivere, auspicando la massima diffusione di Gadda nelle scuole, sulle valenze «pedagogiche» del Gran Lombardo*! Leggendo

1 Ja langue, nella teoria linguistica del ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913) la langue indica la lingua come patrimonio preesistente all’attività linguistica del singolo parlante (definita parole). 2 energia autogenetica, energia che trova in se stessa la sua origine. 3 realismo ... Guglielmi, secondo l’accezione usata dal critico Angelo Guglielmi, il «realismo

—creaturale» gaddiano è un realismo che non affida la sua ragion d°essere a un referente esterno ma la trova in se stesso, nella sua « disperata» ricerca di significati. 4 Cases ... Lombardo, il germanista Cesare Cases ha dedicato a Gadda il saggio Un ingegnere de letteratura (1958), poi pubblicato in Patrie /ettere, Torino, Einaudi, 1987.

86

L’INTERPRETAZIONE

Gadda, gli studenti «si potrebbero convincere di ciò di cui sono già per metà convinti: che la lingua italiana non esiste, che ci sono soltanto il latino e il gaddesco per le classi colte e il dialetto per il popolo». Una lingua «morta», quella gaddiana. Il gaddesco come idioma grandemente artificiale. Ma non è tipico in particolare di ogni scrittura che definiamo « espressionistica» un principio di esclusione nei confronti della koinè, e una scelta «settaria», disperatamente individualistica, da «lingua speciale»? La polifonicità della scrittura gaddiana che gioca tutta se stessa sulla distonia’ e sul principio di contraddizione, è il massimo esempio di questa lingua speciale offerto dal.nostro Novecento. Un esempio inimitabile, naturalmente: e qui risiede, paradossalmente, la sua «utilità». Oggi che la partita si gioca tra sputtanamento iperbolico e sontuosamente distruttivo della parola (Gadda, appunto) e aspirazione all’afasia e al silenzio (Beckett), chi non opta per una scrittura stupidamente celebrativa, davvero non può non dirsi gaddiano, come scrivevo in un saggio di qualche anno fa’ (e mi si perdoni l’autocitazione). Anni fa, certo, non potevamo non dirci gaddiani; oggi, la pronuncia non può che essere diversa. Gadda fa parte ormai ineliminabilmente della nostra coscienza critica e della nostra coscienza della lingua e della letteratura, né è più utilizzabile secondo strategie tramontate — e a corpo caldo — contro la volgarità del consumo e della semplificazione. Gadda fa parte (in una splendida centralità) della nostra aspirazione alla complessità: e in questo senso credo che per la sua grande geografia si siano aggirati autori di diverse generazioni e di diversa originalità, ciascuno traendone frutti di differente sostanza e sapore. Se si vogliono alcuni nomi, i primi che vengono alla penna sono quelli di Arbasino, Malerba, Giuliani, Sanguineti, Manganelli, Porta, Gramigna, Leonetti, Sanavio, Toti, Spinella, Frassineti, Pizzuto, Meneghello, Vassalli, Lombardi, Milanese, Vasio, Volponi, Burdin, Serrao (Achille), Cavallo, Piemontese,

Ottonierii e — ultimo — chi scrive. Per paradosso, ma non tanto: Pasolini, che per Gadda ha sempre protestato sconfinata ammirazione,

ha fruito meno

in AA.VV.,

5 distonia, alterazione di elementi linguistici. 6 Beckett, lo scrittore irlandese Samuel Beckett

(1906-89), autore di testi teatrali in cui la parola è ridotta all’essenziale. Tra le sue opere, scritte in francese a partire dal 1945, sono celebri En attendant Godot (Aspettando Godot, 1952), Fin de partie (Finale di partita, 1957), OA les beaux

jours (Giorni Felici, 1961). 7 in un saggio ... fa, si riferisce a M. Lunetta,

di tutti della sua lezione.

(M. Lunetta, Gadda e il desiderio filosofico, Gadda. Progettualità e scrittura cit., pp. 82-84)

L'alternativa letteraria del Novecento: Gadda, in AA.VV., Perché non possiamo non dirci gaddiani, Roma, Savelli, 1975, pp. 35-39. 8 Arbasino ... Ottonieri, scrittori che, negli ul-

timi decenni, hanno prodotto testi significativi. Ricordiamo almeno Libera nos a malo (1963) di Luigi Meneghello, Fratelli d’Italia (1969) di Alberto Arbasino, // pianeta azzurro (1986) di Luigi Malerba.

3. Lo sguardo psicoanalitico

La critica psicoanalitica fonda i suoi presupposti teorici sui rapporti tra psicoanalisi e opera d’arte, rapporti che il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud' ha analizzato sin dai primissimi anni del secolo. Secondo Freud un’opera d’arte attiva processi emotivi sia in chi la produce sia in chi la fruisce e il meccanismo alla base di questi processi è, per l’artista, la possibilità di entrare in rapporto con il proprio inconscio, dando voce alle tensioni psichiche normalmente rimosse nei comportamenti quotidiani. Analogamente, il fruitore, attraverso un processo di identificazione, rimuove i controlli razionali liberando i desideri repressi nell’inconscio. Nell’opera d’arte, in altre parole, la finzione permette di vivere come realtà i propri desideri, inconfessati e inconfessabili in una vita sottoposta al controllo razionale. Su queste premesse teoriche la lettura psicoanalitica delle opere d’arte si è interessata, in un primo momento, ai «contenuti» con l’intento di analizzare l’inconscio dell’autore o dei personaggi, trascurando in questo modo l’aspetto specifico nel quale l’opera si presenta: la sua « forma». La critica psicoanalitica più recente ha assunto invece come oggetto di inda-

! Sigmund Freud (1856-1936) aveva iniziato come medico specializzato in psichiatria e nel trattamento dell’isteria. Attraverso le analisi dei sogni dei suoi pazienti prese coscienza dei processi inconsci della psiche (L ‘interpretazione dei sogni, 1900) che interpreta come una struttura dinamica articolata in Es, Jo e Super-Io. Nell’Es (pronome neutro tedesco), «la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità», si agitano in perenne conflitto gli istinti opposti dell’ Eros, l’istinto della vita che abbraccia le pulsioni sessuali e tutti gli istinti di autoconservazione, e di Tanatos, la morte che comprende tutti gli istinti di distruzione e di autodistruzione; 1’ /o esplica

funzioni di controllo e di censura sul ribollire degli istinti e media tra l’ Es e il Super-/o, che esplica la funzione di formazione dei valori morali. L’/o ha dunque rapporti sia con la parte istintuale che con quella coercitiva e normativa nonché con il mondo esterno in un processo dinamico che non conosce soste; ha dunque «tre padroni severi». In altre parole 1’ /o sublima gli istinti distruttivi indirizzandoli verso altri «oggetti»: l’arte, la religione, la patria. La società civile è dunque possibile proprio in virtù delle funzioni di controllo e repressione attuate dall’Yo e organizzate in valori morali dal Super-Io.

88

L’INTERPRETAZIONE

gine proprio la «forma» nella quale l’opera d’arte si manifesta, il suo «linguaggio ». Nel linguaggio infatti, nelle sue metafore, nelle figure retoriche, nelle omissioni e nelle ridondanze si manifestano i contenuti rimossi e presenti nell’inconscio: [...] il testo non si presenta mai come una superficie levigata e compatta. Ci troviamo spesso in presenza di fratture, reticenze, ridondanze, sviamenti del senso del discorso: la polisemicità [i molti significati] della scrittura letteraria. Ed è proprio questa strutturazione retorica che rivela talvolta la presenza di una logica «altra», non completamente dominata dallo stesso autore. Affiora sulla pagina scritta una rappresentazione che sembra provenire da altri livelli di coscienza, da altri statuti simbolici, da altri comparti culturali. Ciò significa che quel che il testo esplicitamente non dice vi si trova comunque «detto» in maniera latente”.

La cognizione del dolore è un testo che si presta particolarmente a letture critiche di impianto psicoanalitico sia per la conoscenza che l’autore aveva della psicoanalisi, sia, soprattutto, perché si serve di strumenti psicoanalitici per costruire una situazione narrativa incentrata sui drammatici rapporti tra un figlio e una madre, rapporti che costituiscono un terreno privilegiato per gli studi psicoanalitici.

Il sogno di Gonzalo Presentiamo due testi nei quali è analizzato il «sogno spaventoso » che Gonzalo racconta al medico. Nel primo testo il tema del matricidio! è letto nella compresenza contraddittoria e conflittuale di desiderio proibito e di rimorso atroce; il sogno appare allora come « materializzazione del rimorso ». Da esso scaturiscono gli altri elementi del delirio ossessivo del personaggio: il muro « pirobutirrico » che non protegge, il ladro assassino, la senilità materna, elementi tutti che anticipano la conclusione tragica della « fabula »: un omicidio che altro non è che un matricidio, terrificante «rimosso» di Gonzalo. Nel secondo testo il sogno viene analizzato nella sua strutturazione lessicale e sintattica con particolare attenzione agli oggetti-simboli che vi compaiono. In conclusione del saggio, il critico tenta una storicizzazione dei contenuti freudiani presenti nel romanzo: la Cognizione, cioè, può essere letta come «rispo-

2 P. Gorgoni, La psicoanalisi e il romanzo italiano del Novecento in AA.VV., Guida al roRiuniti, 1989, p. 120.

1928, abbozzato e mai portato a termine: Dejanira Classis (Novella 2°, in RR, II, pp. 1027-69. Nella « Nota compositiva » scritta da Gadda per il racconto si fa allusione a un fatto

! È un tema già presente in un racconto del

reale: il processo di Assise a un tale Renzo Pettine, reo di matricidio (cfr. RR, II, pp. 1314 e Sg£.).

manzo italiano del Novecento, Roma, Editori



LO SGUARDO

PSICOANALITICO

89

sta» dell’autore alla esaltazione retorica di quei valori (istituzione della famiglia, società, patria) che la cultura del fascismo vedeva messi in crisi dalla psicoanalisi. Una tale ipotesi, pur nei suoi limiti di arbitrarietà, può trovare sostegno nell’ironia sprezzante con la quale lo stesso Gadda, nel 1946, spiegherà i motivi del rifiuto italiano alla psicoanalisi negli anni del fascismo: Consumandosi il ventennio della magnanima accademia, la psicanalisi fu duramente repudiata, e press’a poco come un ritrovato arbitrario, denigrante l’umana gentilezza, nonché beninteso il decoro latino e la stabilità del meridiano di Monte Mario. Di questo decoro il figlio del fabbro schiccherone?, e padre di non m’importa chi, s'era autopromosso zelatore perpetuo: e indefesso, indefessissimo3 tutore. Certa minuta fattispecie del nostro vivere eterno recava ombra ai cavalieri della patria, della purezza, della famiglia, della sapienza latina e maltònica*: la logorrea ufficiale dell’epoca recalcitrava a ogni accenno psicanalitico: come un cavallo ombroso a una foglia spersa, e travolta nel vento. [...] Per tal modo «l’itala gente da le molte vite», guidata dal suo psicopompo’, fu condotta psicopompieristicamente® all’inferno (...). Il flauto dello psicagogo, o per meglio dire il piffero*, spifferava le ragioni della incolumità della patria, della stirpe, della famiglia, dei balilla”, delle giovani italiane!°: e chi più,ne sa, più ne dica. Le giovani italiane un bel giorno si trovarono i marocchini tra i piedi!!. Quelli non è stato Freud a regalarceli.

I9

Un rapporto epidico Nel decimo anniversario della morte di Gadda la facoltà di Lettere dell’Università « La Sapienza» di Roma ha organizzato un convegno dal titolo Gadda. Progettualità e scrittura. // testo qui in parte riprodotto appartiene alla relazione presentata nell’occasione del convegno da Robert S. Dombroski*.

2 Benito

Mussolini

(«schiccherone»

era figlio di un

fabbro

7 Dal greco: è sinonimo di-psicopompo. 8 «Piffero» ha valore riduttivo rispetto a «flau-

significa beone).

3 Superlativo di invenzione gaddiana che gioca sull’inclusione dell’aggettivo « fesso » nella sua forma superlativa. 4 Dal cognome della madre di Mussolini, Rosa Maltoni. 5 Dal greco: colui che conduce le anime dei morti.

to», accentuato dal derivato verbale usato su-

bito dopo: «spifferare». 9 L’Opera nazionale Balilla organizzava in formazioni paramilitari gli scolari italiani dai 6 ai 14 anni. 10 Altra organizzazione giovanile fascista.

Il Si riferisce ai tragici episodi di stupro e di

piere», evocando un’immagine di discesa all’in-

violenza a cui si abbandonarono le truppe marocchine sbarcate ad Anzio al seguito delle truppe inglesi e americane nel 1944.

ferno accompagnata pennacchi.

* Robert S. Dombroski insegna letteratura ita-

6 Parola di invenzione gaddiana, che assembla

«psicopompo » al suffisso avverbiale di « pom-

da strombazzamenti

e

90

L’INTERPRETAZIONE

Nel terzo «tratto» della prima parte della Cognizione del dolore, durante il colloquio col dottor Higueroa, in un momento di tormentata ansietà, Gonzalo dice di aver avuto «un sogno spaventoso ». Ciò avviene in un punto critico nello scambio di parole tra lui e il dottore, precisamente quando l’ultimo Hidalgo confessa il suo bisogno frustrato di affetto e di cura materna: «Sono stato un bimbo anch'io... Forse valevo un pensiero buono... una carezza no; era troppo condiscendere... era troppo! ». Queste frasi, pronunciate con grande emotività, si legano al contesto delle numerose razionalizzazioni da cui dipende il discorso del protagonista. Poiché sua madre tratta gli altri con bontà, ella dev'essere per forza diventata senile, perché secondo Gonzalo è stata lei ad ostacolargli l'affermazione della sua personalità. Inoltre, il romanzo ci ha fornito altri esempi di intrappolamento di Gonzalo nella vita di sua madre, la dinamica del quale ora aspettiamo di vedere raffigurata nel sogno. La nostra curiosità viene, per di più, accresciuta dal conflitto ironico tra i pareri di Gonzalo e del dottore sul potenziale significato del sogno. In un altro tentativo di alleviare l’angoscia del suo paziente, il buon medico prova a diminuire l’importanza dell’evento, chiamandolo uno «smarrimento dell’anima », «il fantasma di un momento »; mentre Gonzalo, al contrario, riguarda la sua visione filosoficamente, come mezzo per districarsi dalla schiavitù della ragione, per rompere i legami di potere della « dialettica». Sognare, egli dichiara, è «rifiutare le sclerotiche figurazioni della dialettica, le cose vedute secondo forza».

Si Che il sogno riguardi la madre pare evidente dall’azione che lo precede. Il nucleo del racconto consiste in un rapporto edipico notevolmente problematico tra madre e figlio. Ma il modo in cui la riguarda non è del tutto chiaro. Gadda introduce il sogno nel contesto dei pensieri frammentati di Gonzalo intorno all’età e alla cattiva salute della madre: « La mamma è spaventosamente invecchiata... è malata». Segue poi lo spostamento della sua sclerosi alle « figurazioni della dialettica», le quali, secondo Gonzalo, il sogno è capace di «rifiutare». Qui, proprio come avviene nel sogno, i confini della logica sono stati violati. Tale operazione figurativa, che dimostra l’arbitrarietà del segno, può essere considerata generalmente come ancora un’altra manifestazione gaddiana della «baroccaggine del mondo »'. Ma in rapporto più stretto colla tematica edipica, l'equazione madre-dialettica, generata dallo spostamento verbale, ri-

liana all’Università del Connecticut. Tra i suoi studi scritti in lingua italiana ricordiamo: La totalità dell’artificio. Ideologia e forma nel romanzo di Pirandello, Padova, Liviana, 1979; L'esistenza ubbidiente: letteratura e fascismo, Napoli, Guida, 1983; L’apologia del vero. Let-

tura e interpretazione dei Promessi sposi, Padova, Liviana,

1984.

! «baroccaggine del mondo», il riferimento è a una nota di Gadda, in cui egli risponde alle critiche rivolte alla sua scrittura attribuendo alla realtà il grottesco e il barocco che egli si limita a rielaborare: «barocco è il mondo, e il G. ne

ha percepito e ritratto la baroccaggine» (C. E. Gadda, L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, in CD, p. 482).

LO SGUARDO PsIcoaNALITICO

91

specchia il desiderio del soggetto nevrotico di trovare una sua propria posizione nell’ordine sociale. Nel racconto del sogno, Gadda presenta, invece di una narrazione coerente,

una serie di immagini ripetute che rivelano la dinamica mentale che le ha generate. Le immagini sono messe in rapporto l’una all’altra, per mezzo di punti esclamativi ed ellissi, allo scopo di riprodurre l'angoscia sottostante al processo del dire e del nascondere simultaneo. Esaminiamo innanzitutto le associazioni che la narrazione mette in rilievo tramite la ripetizione coercitiva. L’esperienza rivissuta nel sogno di Gonzalo ci viene comunicata per via di immagini di desolazione e di disperazione, ad esempio: « Gli anni erano finiti... Ogni finalità, ogni possibilità, si era impietrata nel buio... Il tempo era stato consumato... Ogni mora aveva raggiunto il tempo, il tempo dissolto ». Ciò starebbe ad indicare che, per Gonzalo, tutto è già avvenuto, non c’è futuro, non c’è più nessuna possibilità. Il passato e il futuro sono impietrati. La casa è vuota e prevale il buio da cui emerge la figura nera o l’ombra di una donna. L’associazione principale è tra la tenebra e il vuoto del mondo esterno e la figura immobile e velata che si presume sia la madre del protagonista. Notiamo però che il rapporto tra lei e il sognatore si dissolve nell’ossimoro dell’« oscura certezza ». È la madre di Gonzalo? È tornata dalla morte? È «la forza orribile e sopraumana [che] le usasse impedimento ad ogni segno d’amore» la stessa che la schiaccia? Il fatto che Gonzalo è allo stesso tempo il sognatore e l’interprete rende impossibile una immagine chiara della sua visione, che non sia super-codificata da recriminazioni provenienti dalla sua coscienza. Ciò che abbiamo sono frammenti di un sogno; il frammentare serve ad allontanarci, mentre le metafore della «tenebra», del « silenzio », dell’ombra e della petrificazione sono tutte tentativi di allontanare il terrore della visione. Il narratore, infatti, fornirà ancora un’altra distrazione,

rompendo l’unità del sogno-racconto col suggerimento al lettore che forse non è altro che letteratura tragica: «Sotto il cielo di tenebra... Veturia, forse, la madre immobile di Coriolano, velata...» Da un punto di vista psicoanalitico, la fitta rete di immagini ed allusioni manifestata nel testo del sogno riproduce gli impulsi e le profonde emozioni che caratterizzano il rapporto amore-odio di Gonzalo colla madre. Mediante gli

oggetti-simboli della terrazza e della casa abbandonata, Gadda esprime innanzitutto il senso di esclusione provata da Gonzalo, poi i suoi pensieri più complessi di privazione e di abbandono. La morte del padre e del fratello, i suoi rivali per l’affetto materno, contro cui ormai era impossibile combattere direttamente, gli fa desiderare ancora di più quella «madre» che loro hanno avuto ed egli no. D’altra parte, tal sentimento è controbilanciato dalla colpa e dal rimorso che derivano dal volere inconsciamente la loro morte, desiderio que-

sto generato o semplicemente dalla voglia di possederla o dalla consapevolezza di non essere ancora nel suo grembo, la quale lo rende triste ed apprensivo. Non c’è dubbio che la casa vuota simboleggia l’assenza dell’affetto materno,

92

L’INTERPRETAZIONE

ma forse ancora in modo più importante è un segno di desolazione e solitudine esistenziali: il vuoto interno di Gonzalo, la morte che egli sente a causa della mancanza di un’identità autonoma, cioè della sua incapacità di dissociarsi dalla vita di sua madre. In altre parole, la madre nella vita di Gonzalo svolge le funzioni dell’oggetto e dell’altro, cioè è portatrice del piacere e di quella parte mancante dell’io che egli desidera recuperare. La morte reale di lei segnerebbe allora la fine di tale dipendenza. Ma in Gonzalo l’« oggetto » e l’« altro» sono diventati inestricabilmente radicati come due aspetti di una medesima entità. Ciò potrebbe spiegare il profondo senso che Gonzalo ha di una morte che abbraccia tutto e della «possibilità... impietrata nel buio». Mentre egli vuole la sua morte per poter liberarsi di lei, da questa morte egli non può districarsi, cioè da lei, sua madre. L’immagine con cui finisce il sogno mostra che la morte cadente su di lei ha origine in lui e da lui viene generata: «Questa forza nera, ineluttabile... più greve di coperchio di tomba... cadeva su di lei! come cade l’oltraggio che non ha ricostruzione nelle cose... ed era sorta in me, da me! ». La metafora combina i desideri contrastanti del possesso, comunicati mediante la sfumatura sessuale di «cadere su» e di «coprire», e l’annichilamento della minaccia al suo proprio io che la madre rappresenta. Per riempire il vuoto interno a sé, deve distruggere l’altro, ma non può distruggerlo senza distruggere se stesso. Infatti alla fine del sogno l’impulso di uccidere la madre equivale alla sua propria morte esistenziale: «E io rimanevo solo». Questo ritorno all’isolamento conferma da parte di Gonzalo l’accettazione del non essere, la conservazione della dipendenza edipica nella memoria del dolore (cioè i segni del dominio edipico): «gli atti... le scritture di ombra... le ricevute». Qui vince il vuoto, e il ricordo del sogno finisce ellitticamente per indicare l’« assenza», la quale dovrebbe essere anche vista come «omissione» o «cancellatura ».

[2%] Avendo proposto alcune interpretazioni del contenuto psicoanalitico della Cognizione del dolore, ci troviamo di fronte ad un importante problema di metodo, cioè quello di aver cercato di ridurre il testo a qualcosa di esterno ad esso, per di più ad una sorta di patologia. Può la patologia spiegare il romanzo? E che cosa dobbiamo fare del materiale clinico lì presente? Da una parte, il lampeggiare nell’intera opera di significanti freudiani incoraggia una lettura psicoanalitica del testo. Dall’altra, questa stessa trasparenza di contenuto psicoanalitico (a volte portato al limite della parodia) modifica i termini del problema, perché ora non stiamo dicendo che al di sotto del senso letterale del racconto ci sia un contenuto psicoanalitico latente e che il testo ne sta come prova, piuttosto che il significato letterale e il contenuto psicoanalitico siano

equivalenti. Il fatto che il testo richieda dal lettore una risposta psicoanalitica complica ancora di più la questione metodologica, perché proprio nel momento in cui il narratore documenta il « dolore » di Gonzalo, egli ci offre una giustificazione della sua sintomatologia che serve come «significato ». In altre parole,

>

la narrazione rilievo del

LO SGUARDO

possiede un carattere distintamente «male oscuro»,

PSICOANALITICO

freudiano.

La messa

93

in

dovuta alla riscrittura psicoanalitica che Gadda

fa del «dolore» di Gonzalo, ha una importantissima funzione storica. È la risposta che Gadda dà al generale rifiuto italiano, intensificato durante il fascismo, delle idee freudiane: rifiuto questo sia dal punto di vista filosofico col neo-idealismo crociano e gentiliano (la base materialistica della cultura gaddiana è notevole in tutta la sua opera) che dal punto di vista culturale, col mito popolare, rinforzato dal fascismo, « della purezza, della eleganza, del decoro dell’anima e della mente latina». In questo senso, non esiste altra

opera letteraria italiana degli anni trenta che sia più sovversiva della Cognizione del dolore, perché il rifiuto gaddiano della base della società istituzionalizzata (maternità, famiglia e-comunità) colpisce nel cuore il grandioso progetto fascista del ritorno all'ordine e all’ubbidienza come valori sociali fondamentali. (Dombroski, La dialettica della follia: per un’interpretazione sociale del dolore gaddiano cit., pp. 143-55)

I9

La paura di se stesso

Riproduciamo la parte relativa all’episodio del sogno estrapolandola da un lungo saggio che Elio Gioanola* ha dedicato all’opera di Gadda. Gadda non è uno scrittore di sogni, come Svevo!: la situazione ossessiva è avarissima di sogni perché all’insegna di una censura molto vigilante, anche onirica e di un sistema di pensiero rigorosamente intellettualistico che non concede tregua ai « sottoprodotti» della fantasticheria. Ciò che lo scrittore chiama «sogni»sono le immaginazioni ad occhi aperti di mondi razionalizzati e idealizzati, luminosi, che nulla hanno a che vedere coi regni tenebrosi dei sogni notturni (ecco allora la serie innumerevole di certe immagini fisse: «cubi», « diedri», «torri», «eremi», « mattini», « monti», «popolo d’alberi», «nuvole», tutti in direzione sublimata e costruttiva’). In compenso i pochi sogni veri e

* Elio Gioanola (San Salvatore Monferrato, 1934), insegna storia della letteratura italiana all’Università di Genova. Si occupa di poesia e narrativa italiana del Novecento. Trai suoi studi ricordiamo: Un killer dolcissimo. Indagine psicanalitica sull’opera di Italo Svevo, Genova, Il Melangolo, 1979; Storia letteraria del Novecento in Italia, Torino, Sei, 1980; Pirandello la fol-

lia, Genova, Il Melangolo, 1983; L'uomo dei topazi cit.

! Gadda ... Svevo, La coscienza di Zeno di Italo Svevo presenta numerosi sogni: nove per l’esattezza, compreso quello inventato per in—gannare il medico. 2 in direzione ... costruttiva, le immagini, quasi

94

L’INTERPRETAZIONE

propri fatti oggetto di racconto, come questo e il sogno-topazio del Pestalozzi nel Pasticciaccio?, assumono rilevante importanza. Qui la condizione onirica, splendidamente resa attraverso l’incalzare delle iterazioni, la dislocazione efficacemente temporale‘, restituisce gli effetti emotivi, le ripercussioni angosciose più che la sceneggiatura, del matricidio. In fondo le figure del sogno sono soltanto due: il fascio delle ricevute e l’ombra altissima, dentro la cornice ambientale della villa; tutto il resto tende a rendere il senso di un’atmosfera insieme esterna (la notte, il buio) ed interiore, all’insegna del rimorso. Ecco, il sogno è una vera e propria materializzazione del rimorso: il figlio ha ucciso nel desiderio la madre, si è impadronito della casa e di tutta l’eredità, l’ombra della madre uccisa sorge dal «catalogo buio dell’eternità» a denunciare mutamente la consapevolezza del fatto al figlio paralizzato dal terrore e dall’ineluttabilità dell’accaduto («ogni possibilità si era impietrata nel buio »). Sì, è vero che è stata una « forza orribile e sopraumana», una « forza nera, ineluttabile.... più greve di coperchio di tomba» che si è abbattuta sopra di lei, ma questa forza, racconta il figlio nel suo spavento, «era sorta in me, da me! ». «Che fa un sogno », dice il buon dottore di fronte all’agitazione di Gonzalo, «è il fantasma di un momento»: ma il figlio non può illudersi circa l’innocuità della visione notturna; il nero serpe strisciante nel suo cuore «nella disperata notte» (e si sarà notata l’ossessiva insistenza sulla metafora del buio) è quello della tentazione suprema: la strada del possesso di sé, dell’emancipazione affettiva, significata nel sogno dalle «ricevute», passa attraverso il matricidio, ma è la strada del rimorso perpetuo, che invece di condurre alla libertà porta ad una solitudine senza più rimedi e conforti («E io rimanevo solo. Con gli atti...»). Nella realtà del colloquio col dottore, l’idea della madre che non torna dal cimitero non può non associarsi alla notturna figura «nera, muta, altissima; come rivenuta dal cimitero»: c’è sotto la stessa paura e lo stesso rimorso. Per questo, subito dopo il racconto del sogno, il figlio aggiunge: « ...Non so cosa m’è venuto in mente... non so più cosa fare... perché non torna ora?... è spaventosamente invecchiata. La sua faccia, le sue labbra, si direbbe che nascondano un pensiero non suo... che tacciano parole indicibili... ma la lontananza è già in lei... La mia mamma... È alcune settimane che non la vedevo; come aiutarla ora?... le mani sono scheletrite...». È un affollarsi di segni mortuari, di allusioni ad una fine prossima, mentre un nodo di disperato amore e di sordo rancore stringe le parole di Gonzalo: egli ha letto nella madre la volontà di morire, per evitare l’orrore che le « parole indicibili» tengono suggellato nel

archetipi sedimentati nella memoria della specie, appaiono liberate dal loro significato letterale e assumono un valore conoscitivo. 3 il sogno-topazio ... Pasticciaccio, nel corso delle indagini per il delitto di via Merulana, il brigadiere Pestalozzi fa uno strano sogno in cui

il gioco sul significante (topo, topazzo, topazio, pazzo) si manifesta in immagini di non facile interpretazione (cfr. Gadda, OP, pp. 235-39). */la dislocazione ... temporale, le immagini sono disposte in sequenze che non rispettano la successione temporale.

-

LO SGUARDO

PsIcoANALITICO

95

cuore. Il figlio morto in guerra non difende più la vecchia Signora: «nel buio un letamaio si spalanca». «Tutto quello che si può dar via, dare agli altri... ai cari altri», i ladri sono quelli che possono fare violenza alla mamma. Il furto è essenzialmente il furto dei gioielli e quindi si colora sempre di connotazioni sadiche: nell’immaginazione dello scrittore il ladro è anche assassino e come tale viene qualificato, nel più clamoroso degli episodi narrativi su questo tema, il furfante del Pasticciaccio che ha rubato i gioielli della Menegazzi (e il furto non è che l’anticipazione del truce assassinio, immediatamente successivo, della Liliana Balducci). Nell’immaginazione delirante del figlio l’idea di qualche notturna incursione ladresca si accompagna alla rabbia per la mancanza di difese della villa, con la tipica serie di invettive contro il muro di cinta, incapace di offrire qualsiasi riparo, «muro pirobutirrico; senza schegge di bottiglia, né frantumi di piatto » alto non più di una persona e con comodi paracarri appoggiati dalla parte della strada, «simbolo più che munizione del privato possesso » da potersi «da un ragazzo agile ingroppare e scavalcar facilmente, con poca spellatura di ginocchi». Cosicché «l’assassino che scavalcherà il muro, o il cancello...[...] è un ladro»: è per quella strada che il temuto ladro-assassino passerà. Ma chi è, in definitiva, il fantomatico ladrone «che sorge nella notte a strozzare le persone» se non il fantasma creato dalle personali ossessioni matricide? La paura di Gonzalo è paura di se stesso, della parte di sé che non conosce e non con-

trolla, così come il muro troppo basso rappresenta la proiezione del timore di non poter offrire alle inconfessabili tentazioni le sufficienti difese. (Gioanola, L’uomo dei topazi cit., pp. 55-57)

20

La difesa della propria nevrosi

La nevrosi come potenziale riserva di ricchezza creativa: è questo l’assunto del saggio di cui riportiamo qualche passo. Gadda si difende dunque da ogni possibile « guarigione», come l’altro grande « nevrotico » del Novecento letterario italiano: Italo Svevo. Svevo prende « coscienza » della propria diversità, Gadda, come sostiene Pietro Citati* nel passo che riportiamo, « cognizione» del suo dolore.

* Pietro Citati (Firenze, 1930) è scrittore e critico letterario. Collabora al quotidiano «la Re-. pubblica». Ha pubblicato numerose opere, tra cui alcune biografie: Goethe, Milano, Monda-

dori, 1970 (n. ed. Milano, Adelphi, 1990); Manzoni, ivi, 1980, Vita breve di Katherine Mansfie/d, Milano, Rizzoli, 1980; To/stoj, Milano, Longanesi, 1983; Kafka, Milano, Rizzoli, 1987.

96

L’INTERPRETAZIONE

Libri come La cognizione del dolore trasformano l’esistenza di chi li scrive, così come non si esce indenni da un trattamento psicanalitico. Uno scopre la propria natura: capisce le ragioni dei sentimenti e dei gesti che credeva casuali; e potrà rimanere ancora la persona di un tempo? Dopo la Cognizione Gadda avrebbe dovuto allontanare definitivamente da sé la sua triste configura!, come un’ombra ormai inutile, che gli impediva di vivere e muoversi a suo agio. Avrebbe dovuto rinunciare per sempre alla propria nevrosi. Ma cos’era il mondo senza di lei? Improvvisamente sarebbe divenuto meschino. La monotona rissa di ogni giorno avrebbe perso il fascino dei suoi contrastanti colori e delle sue tragedie fantastiche. Senza i paesaggi immaginati dalla nevrastenia, la sua esperienza non era ricca: della realtà aveva intravisto a fatica una piccola parte: troppi libri erano rimasti intonsi nella biblioteca; e i suoi sentimenti assomigliavano volentieri a quelli dei suoi onesti concittadini lombardi, devoti al risparmio e alle istituzioni. Così l’esistenza di Gadda obbedisce ad un paradosso. Sebbene conosca la propria nevrosi, continua a ripeterne i movimenti coatti, ne utilizza gli angosciosi ripari. Sebbene abbia compreso le sorgenti infantili del suo male, vuole conservare, inspiegate, tutte le immaginarie o reali sofferenze della sua infanzia. Intende assomigliare per sempre a Gonzalo Pirobutirro d’Eltino. Quel volto è il suo: quei sentimenti, quei gesti devono rimanere suoi, in eterno... La sua anima si abbarbica testardamente ai propri inesauribili mali; vede in loro l’unica ricchezza della sua vita, quella che può sostituire le altre ricchezze che non ha mai posseduto. Con il loro soccorso, si aggira in un mondo coperto dalla sua ombra: strappa gli avvenimenti e le sensazioni dal loro ordine abituale, li assorbe e li immette in quella grande cassa di risonanza che è la sua anima. Lì, ogni sentimento viene distorto, complicato a forza, dilatato, fino a quando riveli la sua nascosta dimensione tragica. Una dimenticanza si trasforma in un peccato capitale: nel minimo caso si scopre la traccia maligna di un destino nemico. La nevrastenia gli promette una singolare liberazione. Le sue furie nascono da pretesti lievissimi, ognuno dei quali diventa il centro di un turbine vorticoso, risuscita dall’ombra, dove stavano acquattate, le cause permanenti del suo male. Così la verità dolorosa si mescola ad ogni passo con la futilità più inane. Il furore cresce su se stesso: tra disumani scoppi di collera, tra ghigni e turpitudini, la fantasia si stordisce di metafore; e la creatura umiliata assume i gesti di un terribile Giudice dell’universo. Sotto i tuoni di questa orchestra parossistica, le parole sussultano, stridono, travolte dal tremito dell’isteria.

Suoi saggi e articoli sono raccolti in parecchi volumi. Ricordiamo: // té del Cappellaio matto, Milano, Mondadori, 1972; I migliore dei mondi impossibili, Milano, Rizzoli, 1982; I/ sogno della camera rossa, ivi, 1986. Di recente ha scritto un romanzo dal titolo Storia prima felice, poi do-

/entissima e funesta, ivi, 1989. * la sua ... configura, nel senso di alter ego, l’altro se stesso proiettato nel personaggio di — Gonzalo.

LO SGUARDO

PSICOANALITICO

97

-”

TTT

Senonché le rabbie di Gadda dimenticano presto l’eccitazione che le ha causate; e trasformano la propria forza dinamica in un arco astratto d’energia. Sembravano incontrollate; ed ora si concedono delle pause, si smorzano, salgono improvvisamente di tono, si dispongono in un naturale crescendo sinfonico, guidate dalla mano paziente di un grande virtuoso. Le matte bestemmie, le folli disperazioni ricamano un arazzo finissimo. L’oscuro soprassalto biologico viene incastonato come una gemma?. [...]. Inconfessabile, inespiabile, questo «male oscuro» mon ha cause o ha tutte le cause: sfugge a qualsiasi esame; e si annida, con il disperato singhiozzo del chiù*, nella natura. Forse, il male di Gonzalo era nato insieme al «rancore profondo, lontanissimo » che

egli nutriva per la madre. Ma l’ultima ragione dei suoi « sette peccati capitali » risale assai più lontano che nelle profondità del complesso edipico: si perde nell’indistinta, ineffabile fascia di tenebra, uscita da Gonzalo a ricoprire tutte le cose. Gli strumenti psicanalitici rinunciano ad analizzarla: le loro conclusioni sono rimaste incerte e provvisorie. L’intelligenza si arresta davanti alla «cognizione del dolore». (Citati, // male invisibile cit., pp. 21-22)

Proposte di lettura e ricerca

La psicoanalisi nel romanzo 1.

italiano del Novecento

«Alla psicoanalisi mi sono avvicinato e ne ho largamente attinto idee

e moventi conoscitivi con una intenzione e in una consapevolezza nettamente scientifico-positivistica, cioè per estrarre da precise conoscenze dottrinali e sperimentali un sovrappiù moderno della vecchia etica, della vecchia psicologia, e della cultura che potremo chiamare parruccona e polverosa di certo tardo illuminismo lombardo. Col comprendere la fenomenologia dell’inconscio mi è sembrato di fare un passo avanti nella mia struttura di apprenti sorcier! ». Così Gadda intervistato da Alberto Arbasino («Il Giorno», 24 aprile 1963), paga il suo tributo alla psicoanalisi. Non altrettanto riconoscente si dimostra Italo Svevo, che pure aveva intessuto con la psicoanalisi rapporti privilegiati e, come Gadda, decisamente insoliti nella cultura letteraria italiana della prima metà del secolo. Se per Gadda e per Svevo è possibile riflettere sui rapporti che sono intercorsi tra la psicoanalisi e

2? L’oscuro ... gemma, anche i momenti narrativi in cui le forze dell’istinto sembrano incontrollate («L’oscuro soprassalto biologico») rientrano in un disegno finissimo dove ciascuno di essi ha la sua collocazione (è «incastonato

come una gemma»). 3 chiù, assiolo, piccolo uccello rapace notturno dal verso lancinante.

! apprendista stregone.

98

L’INTERPRETAZIONE

la loro scrittura narrativa, questa riflessione è totalmente assente in altri

scrittori della prima metà del secolo quando la psicoanalisi era ignorata dalla cultura ufficiale. Eppure in alcuni scrittori del periodo (soprattutto in quelli nei quali maggiormente sembra esprimersi l’inquietudine e lo smarrimento che seguono la perdita delle certezze) comportamenti, situazioni, riflessioni dimostrano particolari assonanze con le teorie psicoanalitiche freudiane. 2. Se è vero che, come dice Gadda, la « delusione edipica » non ha aspettato Freud per manifestarsi, ma è ben presente, ad esempio, in Leopardi,

Baudelaire, Saba (Gadda, Psicanalisi e letteratura cit., pp. 48 e sgg.), è pur vero che «l’immagine inquietante del soggetto a cui approda la psicoanalisi — un soggetto privo della padronanza di sé e del mondo circostante — trova nel romanzo del Novecento il luogo privilegiato per la sua espressione » (Gorgoni, La psicoanalisi e il romanzo italiano del Novecento, cit., p. 125). Consigliamo la lettura di un romanzo poco conosciuto di Piero Jahier, Resu/tanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1915), Firenze, Vallecchi, 1966. In questo romanzo il tema

dell’impiegato (abbastanza sfruttato nella narrativa e nel teatro veristi) si carica di una dimensione metaforica, e oggetti dell’uso quotidiano —

come la scrivania — divengono allusivi assumendo valori simbolici: « Ussa non moriva Applicato semplice. Gli Applicati semplici hanno un tavolo; Ussa aveva una scrivania da superiore. Gli mancava è vero la promozione, ma gli sarebbe mancato di più se, avendo quella, gli fosse invece mancata la scrivania» (ibid, p. 119). Alla stessa atmosfera vociana appartiene // mio Carso (1912) di Scipio Slataper, Milano, Il Saggiatore, 1965. È un romanzo di iniziazione: dal mondo dell’infanzia e della natura alla maturità consapevole, dal Carso a Trieste. Il carso (con la c minuscola) è la roccia calcarea nella descrizione della quale sembra di cogliere la metafora latente dell’io dilaniato: «Il carso è un paese di calcari e di ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni, grigi di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi [...). Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato» (ibid., p. 101). Anche nei romanzi di Federigo Tozzi fatti banali e personaggi classici

della narrativa ottocentesca assumono una dimensione esistenziale e simbolica, divengono ambigui e inquietanti: «Quando rialzo la testa, perché mi pare che la mia angoscia se ne sia andata, mi accorgo di non essere solo: c’è tutta la stanza che mi guarda. Io non posso muovermi senza essere veduto! E, quando me ne vado, girando la chiave dell’uscio, credo

di chiudere là dentro una vita più vasta della mia» (F. Tozzi, // podere, in / romanzi, Firenze, Vallecchi, 1971, II, p. 214). La figura del padre e delle sue simboliche espressioni: il podere, il negozio, la «roba» sono

*

LO SGUARDO PSICOANALITICO

99

i nuovi «mostri» di un inconscio che si manifesta sulla pagina inventando meccanismi narrativi nuovi. Il tema dell’identità, uno dei temi fondamentali nella riflessione psicoa-

nalitica, attraversa tutta l’opera di Pirandello, sia narrativa che teatrale. Si suggerisce, per restare nell’ambito tematico del personaggio antieroe, problematico e «inetto » la lettura di // fu Mattia Pascal e di Uno, nessuno, centomila (sono continuamente ristampati anche in edizioni economiche). Sempre sul tema dell’identità merita una lettura non superficiale il romanzo di Giuseppe Antonio Borgese Rubè (1921), Milano, Mondadori, 1983.

Con gli anni Sessanta la psicoanalisi entra nella narrativa italiana sia come strumento terapeutico verificato all’interno di un’analisi personale (è il caso di Giuseppe Berto, // male oscuro, Milano, Rizzoli, 1964, di Ferdinando Camon, La malattia chiamata uomo, Milano, Garzanti, 1981, di Luca Canali, Autobiografia di un baro, Milano, Bompiani, 1983) sia «dall’esterno» come oggetto di narrazione da parte di psicoanalisti (è il caso di Cesare Musatti, Curar nevrotici con la propria autoanalisi, Milano, Mondadori, 1987, di Lella Ravasi Bellocchio, Di madre in figlia. Storia di un’analisi, Milano, Cortina, 1987). Anche molte analisi cliniche di Freud sono state «riscoperte» nella loro godibilità narrativa.

4. Letteratura e filosofia

«L’opposizione letteratura-filosofia non esige d’esser risolta; al contrario, solo se considerata permanente e sempre nuova ci dà la garanzia che la sclerosi delle parole non si chiude sopra di noi come una calotta di ghiaccio »'. Non si potrebbe chiarire in modo più penetrante il rapporto profondo che intercorre tra riflessione filosofica e produzione letteraria in Gadda: la parole di Calvino ci sono infatti sembrate le più adatte per introdurre alcune letture critiche che assumono questo rapporto come oggetto di indagine anche se nel saggio in cui appaiono non si riferiscono a Gadda. L’interesse per gli aspetti « filosofici» di Gadda si accende nella critica dopo la pubblicazione di Meditazione milanese anche se, come abbiamo accennato, la pubblicazione del saggio di Giancarlo Roscioni nel 1969 aveva dato inizio ad una nuova fase, più attenta e analitica, delle letture critiche.

Conoscere

è deformare

Nelle prime pagine di Meditazione milanese leggiamo: [...] noi desideriamo appunto misurare il divario variabile che intercede ad ogni attimo fra il nostro dato! e l’inconosciuto che è oggetto di ricerca e d’amore. [...] a mano a mano che il processo conoscitivo si attua, vengono deformandosi sia le parvenze psicologiche e storiche sia l’oscuro e indistinto sistema esterno?.

Questa « deformazione» che l’atto conoscitivo, ogni atto conoscitivo, com-

! I. Calvino, Filosofia e letteratura, in Una pietra sopra cit., p. 151. 1 Per «dato»

Gadda

intende

«il complesso

delle nozioni» che riguardano sia il campo psicologico che quello storico. 2 Il «sistema esterno » è «l’ignoto intravisto o supposto o imprecisamente asserito ».

»

LETTERATURA E FILosoFiA

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porta non rimane un astratto assunto filosofico, ma si risolve, in Gadda, in scelte narrative: [...] ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descri-

zioni e divagazioni diventano infinite. Da qualsiasi punto di partenza il discorso s’allargaacomprendere orizzonti sempre più vasti, e se potesse continuare a svilupparsi in ogni direzione arriverebbe ad abbracciare l’intero universo”.

L’intervento cognitivo deformante si risolve in una rappresentazione letteraria del mondo e di se stesso innervata su una tensione dialettica tra precisione e divagazione: « quanto più il mondo si deforma sotto i suoi occhi, tanto più il self dell’autore viene coinvolto in questo processo, deformato, sconvolto

esso stesso ‘».

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La ricerca filosofica

Nel passo che segue Gian Carlo Roscioni*, al quale si deve l’edizione critica di Meditazione milanese, sottolinea l’impossibilità di distinguere, nella produzione gaddiana, il momento filosofico dal momento letterario. La Meditazione milanese non costituisce un unicum nella produzione di Gadda. Essa era stata preceduta (e sarà, in misura assai minore, seguita) da altre brevi « meditazioni », da « abbozzi», da appunti che documentano la lenta e coerente elaborazione del suo pensiero e del suo metodo. I frutti di questa stagione filosofica egli non li rinnegherà mai, e vi farà anzi più d’una volta riferimento, anche a distanza di decennî, in termini che suonano conferma della certezza, espressa nella già ricordata conclusione della Meditazione milanese, di essere approdato con la sua « facile e popolaresca»! discussione a risultati

3 I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Gar-

zanti, 1988, p. 105. 4 Ibid., p. 106. * Gian Carlo Roscioni (Roma, 1927), uno dei massimi studiosi e conoscitori di Gadda, ha studiato a Roma e a Oxford. Ha insegnato all’Università di Napoli ed è attualmente ordinario di storia della lingua francese all’Università di Roma. Per molti anni ha collaborato al Terzo programma della Rai ed è stato redattore e con-

sulente della casa editrice Einaudi. Collabora alle pagine culturali del quotidiano «la Repubblica». Oltre a La disarmonia prestabilita cit., ha pubblicato Beat Ludwig von Muralt e la ricerca dell'umano, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961; L’arbitrio letterario. Uno studio su Raymond Roussel, Torino, Einaudi,

1985. 1 «facile e popolaresca», così Gadda definisce la scelta dello stile di scrittura per la Meditazione

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L’INTERPRETAZIONE

forse limitati e provvisorî ma non irrilevanti : ... «sembravano banalità, non erano banalità», dirà nel Pasticciaccio delle «teoretiche idee» del commissario Ingravallo. Affermare che Gadda ha riversato nei romanzi e nei racconti gli esiti della sua riflessione, o ha demandato ai personaaggi di gestire testi o concetti è formulare un giudizio sommario e parziale; anche se non c’è dubbio alcuno che egli abbia inteso servirsi della narrazione, e più specialmente degli intreccî (« Che l’intreccio non sia di casi stiracchiati, ma risponda all’istinto delle combinazioni»*...), per tradurre in finzioni e in immagini la sua concezione logicocombinatoria della realtà. «Io voglio esprimere artisticamente questa verità filosofica», dice in una nota del Racconto italiano del Novecento, accennando al rapporto dialettico, di opposizione « polare », tra normalità e anormalità, che è uno dei temi del romanzo. Dichiarazioni di questa specie, nelle note costruttive dei suoi testi narrativi, sono tutt’altro che rare. Ma capita di osservare che le verità filosofiche da trasporre nell’opera letteraria siano, a loro volta, elaborazioni logiche di esperienze e di intuizioni già registrate in testi letterarî precedenti, soprattutto in poesia. [...] Questa nativa e prepotente disposizione all’analisi, questo alternarsi e intersecarsi di osservazione e di riflessione, di intuizione e di teorizzazione

nella mente di Gadda, rendono futile qualsiasi discorso sulla priorità della «filosofia» rispetto alla «letteratura» o viceversa. Per chi in Gadda studi la «letteratura», la presenza accanto ad essa della «filosofia» non indica un prima o un al di là della «letteratura» quanto piuttosto l’estrema consapevolezza dei problemi conoscitivi sottesi alla « deformazione» espressiva, allo scrivere. [...] Ma il suo «raziocinio » non lo prenderemo neppure sottogamba, come troppo spesso è avvenuto fino a oggi. Gadda è forse l’unico scrittore italiano di questo secolo, le cui opere, i cui sistemi di motivi, di rapporti, di temi debbano il proprio statuto teorico a una ricerca fondamentalmente autonoma. Dopo il 1930, quando egli cesserà di occuparsi attivamente di filosofia (salvo che per redigere qualche nota, qualche recensione), altre preoccupazioni e nuovi, determinanti influssi si affiancheranno al nucleo di idee e di problemi che aveva trovato espressione nei quaderni della Meditazione milanese. Ma di quelle idee e di quei problemi tutto il suo lavoro successivo reca la traccia indelebile. Alterati, sviluppati, stravolti da cento altre esperienze, essi rimarranno stabile patrimonio della sua coscienza e fonte inesauribile di spunti e di suggestioni per i libri a venire. Mentre la più parte dei contemporanei cedeva all’eco frastornante di sempre nuove retoriche e ideologie, Gadda restava tenacemente fe-

milanese, in contrasto con l’argomento filosofico che tradizionalmente richiede un registro diverso.

2 «sembravano ... idee», Gadda, OP, p. 6. 3 «Che ... combinazioni», Gadda, RI, p. 86. 4 «Io voglio ... filosofica», ibid., p. 25.

De

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dele al mondo di concetti e postulati, di « fissazioni » e di ipotesi che negli anni della giovinezza studiosa e inappagata egli aveva metodicamente costruito, « nel silenzio, per gli stipendi di nessuno »?. (G. Roscioni, Introduzione

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a Gadda, Meditazione milanese cit., pp. XXXVI-LX)

Nelle pieghe del testo ... Riportiamo un passo di Aldo Mastropasqua*.

[...] il problema sembra appunto essere quello di esaminare in modo più ravvicinato il rapporto indubbiamente esistente, in Gadda, tra riflessione teoretica e sua proiezione letteraria, rapporto tanto stretto da far dubitare che si possa analizzarle autonomamente [...] L’immagine della rete smagliata e sfilacciata insieme a quella del tessuto dalla trama più o meno fitta è una delle metafore predilette da Gadda, usata assai spesso nella Meditazione milanese, anche con le sue varianti topografiche e geometrico-proiettive, per visualizzare il suo sistema di sistemi, eroico tentativo di «organare»! di schematizzare razionalmente il « monstruoso groviglio della totalità»?. La rete, il tessuto, infinita trama di relazioni, è appunto, etimologicamente, testo. E sia il testo filosofico che quello letterario hanno appunto in Gadda una struttura costruita sull’entrelacement, sul continuo e calcolato ritorno di pensieri, di immagini esemplari, di parole, di nomi e di interi sintagmi in un complesso gioco di intarsio di citazioni e di autocitazioni. È noto che la struttura ad entre/acement è stata privilegiata soprattutto dal romanzo cavalleresco medievale per essere poi ripresa da Boiardo e soprattutto da Ariosto, con grave imbarazzo dei teorici aristotelici, preoccupati di salvaguardare l’unità d’azione. Entrelacement è parola intraducibile in italiano, i dizionari ne suggeriscono equivalenza con l’orrendo vocabolo «intrecciamento», al quale appare allora preferibile «concatenazione». Ma indubbiamente un nesso etimologico deve esistere tra entrelacement e «intrallazzo »,

5 «nel ... nessuno»,

Gadda,

GD, p. 108.

cui è stato tra i fondatori nel 1973, «L’ombra d’Argo», «Es. Materiali per il Novecento», «Allegoria».

* Aldo Mastropasqua (Bari, 1948) è ricercatore

presso il dipartimento di italianistica dell’Uni-

! «organare», organizzare.

versità «La Sapienza » di Roma. Si occupa principalmente di letteratura italiana contemporanea. Suoi saggi ed edizioni di testi sono usciti su numerose riviste: «Quaderni di critica», di

2 «monstruoso ... totalità», Gadda, Meditazione milanese cit., p. 289; la realtà nel suo insieme si manifesta come un inestricabile, mostruoso groviglio di elementi.

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L’INTERPRETAZIONE

intrallazzamento », con uno slittamento semantico in senso forse peggiorativo e volgare, in direzione di intrigo ingarbugliato, imbroglio, appunto, pasticcio. E la stessa fondamentale osservazione di Roscioni, che Gadda «restituendo alla voce italiana pasticcio il significato che aveva due o tre secoli or sono nel linguaggio di pittori e musicisti» voleva «alludere a una promiscuità e ad un disordine più generali, quasi istituzionalmente legati al meccanismo», può essere ulteriormente avvalorata dal rilevare che il suo equivalente nel dialetto molisano di Ingravallo «o’ gluommero», il gomitolo aggrovigliato, corrisponde a una forma poetica dialettale napoletana e meridionale, il « gliommero», strettamente imparentata alla frottola antica giullaresca‘, definita da alcuni manuali «agglomeramento {...] di bizzarie senza nesso e non di rado senza senso». (A. Mastropasqua, // progetto e lo scacco, in. AA.VV., Gadda. Progettualità e scrittura cit., pp. 52-57)

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Relazioni, grovigli, gnocchi Per concludere l’aspetto « filosofico », può interessare una lettura diretta del saggio gaddiano. Proponiamo alcuni passi relativi alla confutazione del'‘rapporto di causa-effetto.

Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, ad altro, infinitamente ad altro. [...] Devo aggiungere che per lo più si è parlato di catena delle cause e questa imagine insufficiente e l’irrigidimento prodotto dalla parola causa usata sempre al singolare anche per questo rispetto ha gravato d’un peso morto l’indagine. ‘Ogni effetto ha la sua causa’ è un’asserzione che non comprendo assolutamente. Io dico ‘ogni effetto (grumo di relazioni) ha le sue cause’. L’‘effetto’, come l’‘individuo’ sono mezzi espressivi del nostro spirito (si badi non dico modi del linguaggio) il quale in prima istanza se ne è servito, come il dormente, accecato dalla luce improvvisa, apre un quarto di occhio. L’effetto non è che una mutata relazione, una intervenuta deformazione in un sistema: che poi ci riconduce al sistema totale; [...] Si dirà: ma è in nostro

Roscioni, La

mente altri quadri, in modo da configurarsi né

disarmonia prestabilita cit., p. 81; nel Settecento si definiva « pasticcio» una composizione musicale che accoglieva brani appartenenti a opere e autori diversi, o un quadro che citava ampia-

3 «restituendo ... meccanismo»,

come opera originale né come copia. ‘4 frottola ... giullaresca, canzone popolare cantata dai giullari; era composta in metri diversi, scherzosa e priva, spesso, di senso logico.

LETTERATURA E FILOSOFIA

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potere determinare i limiti di un sistema? Allora che cosa è sistema, in sé? Rispondo: i limiti del sistema sono determinabili in base al grado di approssimazione dell’analisi che ci interessa di istituire, così come negli usi pratici di calcolo ci si ferma al secondo o terzo termine di una serie convergente, contenti di questa approssimazione; così come nell’indagine visiva procediamo a occhio nudo — oppure con lente — oppure con microscopio: e questo a più o meno ingrandimenti secondo il grado di dettaglio che vogliamo raggiungere. Se noi diciamo gli studî di Pieruccio, ‘intendiamo in prima istanza ‘ due grammatichette, un libro di lettura, una penna (sistema considerato in prima istanza). Ma un altro vorrebbe comprendervi anche certi suoi stati mentali e allora occorre studiarne l’animo, la sensibilità, ecc. Un altro vuol comprendere anche gli influssi sulla sua salute. E allora dovrà affinare ed estender l’analisi. E così via. Se noi diciamo ‘malattia’, in prima istanza è il sistema immediato d’una certa indigestione. Ma il paziente soffriva già ... pativa già ... aveva mille preoccupazioni: e allora eziologia! profonda, storia del male, ricerche agnatizie”, indagine morale e storica: ambiente, influsso della suocera, ecc. L’effetto, dicevo, è una deformazione intervenuta in un sistema.

Ma è pensabile un fattore deformante da solo? Una causa da sola? No: ciò è un non senso. Un atto deformante non è un individuo ma una sinfonia di relazioni intervenenti [...], non è concepibile una mutazione d’un elemento, da solo [...] perché nel mondo delle relazioni non esistono monete tesaurizzate nell’arca? e dimenticate dalla pulsazione vitale, ma tutte si muovono e rappresentano soltanto rapporti. Se dei chicchi di riso compongono una figura [...] e io sposto un chicco, deformo il sistema: e così se guasto un chicco, pur lasciandolo dov'è. li Ciò vale a dimostrare che non solo le cause sono sempre da pensarsi al plurale, in quanto l’atto deformante non è un individuo ma una somma di relazioni intervenenti (non voglio indagare qui come o da chi procurate: di ciò altrove), ma anche gli effetti. Non esiste l’effetto, ma gli effetti: l’effetto non esiste e non è individuo: esistono degli effetti cioè relazioni nuove. Esempio: l’individuo umano p.e. Carlo, già limitatamente alla sua persona, non è un effetto ma un insieme di effetti ed è stolto il pensarlo come una unità: esso è un’insieme di relazioni non perennemente unite: (p.e. il suo amore per una certa ragazza dura in lui tre mesi e la sua ira contro un debitore otto giorni). Ma poi è assolutamente impossibile pensare Carlo come persona, come uno,

1 eziologia, ricerca delle cause. 2 ricerche agnatizie, ricerche (agnati) malati.

su

antenati

3 nel mondo ... arca, le relazioni umane entrano in un circuito sociale come le monete, ma

al contrario di queste, non possono essere accumulate e messe da parte come un patrimonio stabile e durevole; vivono infatti di estrema mutevolezza.

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L’INTERPRETAZIONE

come un pacco postale di materia vivente e pensante. Ciò vien praticato su larga scala: eppure è cosa grottesca, puerile, degna di mentalità pleistoceniche*. Il suo apparire nel mondo ha dato luogo a rapporti sociali, economici, psicologici, ecc.: le galline della fattoria ‘si sono accorte di lui’ sparnazzando° spaventate ai suoi primi strilli, il testamento d’uno zio è stato mutato a suo favore, la levatrice, il prete, la balia, il medico, il sindaco, l’ufficio anagrafe e l’ufficio leva hanno dovuto scomodarsi per lui, accorgersi della sua presenza. Poi volle mangiare, bere, giocare, lavorare. Sono intervenuti nel mondo, dal fatto Carlo, milioni di miliardi di nuovi rapporti. La realtà totale ha in lui un nucleo deformante e introducente in essa una infinità di rapporti. — Così dicasi della morte dei cosiddetti individui, che muta e perverte miliardi di trilioni di rapporti. Essa non avviene in un attimo: e ciò è stato largamente avvertito,

e ripetutamente cantato fino dai più insulsi menestrelli. La perenne deformazione che si chiama essere vita, giunge talora ad apparenze così difformi dalle consuete che noi ne facciamo nome speciale e diciamo morte. (Gadda, Meditazione milanese cit., pp. 73-79)

Proposte di lettura e ricerca

Gadda e la narrativa europea del Novecento Si è parlato per la Cognizione di « tensione filosofica alla conoscenza», di «processo cognitivo », che collocano questo romanzo all’interno della grande narrativa europea. I nomi di Kafka, di Mann, di Musil e di Joyce ricorrono ogni qual volta si vuole mettere in evidenza la dimensione europea di Gadda. Pur se può apparire scontato sottolinearlo, è indubbio che una lettura limitata alla narrativa italiana è riduttiva e, in qualche misura, fuorviante. Leggere le grandi opere narrative del Novecento europeo è indubbiamente impegnativo, ma è pur vero che l’ignorarle preclude una conoscenza non superficiale del secolo che sta per concludersi. Proponiamo le opere degli autori sopracitati nelle edizioni di più facile reperimento, perché più volte ristampate: F. Kafka, La metamorfosi e altri racconti, Milano, Garzanti, 1966; T. Mann, La montagna incantata, Milano, Dall’Oglio, 1965, 2 voll.; R. Musil,

L’uomo senza qualità,

Torino, Einaudi, 1972, 2 vol.; J. Joyce, Ulisse, Milano, Mondadori, 1960.

4 mentalità pleistoceniche, mentalità arcaica, rozza (il Pleistocene è un periodo geologico).

5 sparnazzando, agitandosi freneticamente ed emettendo gridi.

cronoLogia

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LATTE

|

Cronologia

1893-1912

Carlo Emilio Gadda nasce a Milano il 14 novembre. Il padre, di ottima famiglia borghese (suo nonno era stato ministro dei Lavori pubblici), aveva sposato in seconde nozze Adele Lehr, insegnante di francese della figlia di primo letto. La famiglia Lehr aveva origini ungheresi. Dal matrimonio nacquero, oltre Carlo Emilio, Emilio che morirà in guerra e Clara. Quando Carlo Emilio ha sei anni, il padre inizia la costruzione della villa di Longone Segrino in Brianza (la villa della Cognizione). Le spese della costruzione, oltre al tentativo fallito di impiantare la coltivazione del baco da seta, procurano notevoli disagi economici alla famiglia. Con la morte del padre (1909) la madre, con il suodavoro di insegnante e a costo di grandi sacrifici, riesce a far continuare gli studi ai tre figli e a conservare la villa della Brianza. Gli studi di Gadda si svolsero tutti, dalle elementari all’università, a Milano. Al Liceo Parini ebbe insegnanti di un certo prestigio, collaboratori di riviste e autori di saggi. Conseguì la licenza liceale nel 1912 con dieci in italiano. Gli anni del liceo furono rallegrati da feste nelle case della buona borghesia milanese e da gite in montagna.

1912-20

Si iscrive a ingegneria più per soddisfare le ambizioni materne che per scelta personale. Nel 1915 è richiamato alle armi. Dopo la sconfitta di Caporetto è fatto prigioniero e ha come compagni di baracca Bonaventura Tecchi e Ugo Betti. Scrive un diario, il Giornale di guerra e di prigionia che sarà pubblicato solo nel 1955 ed anche il suo primo racconto, La passeggiata autunnale, che apparirà sulla rivista «Letteratura» solo nel 1963. Il ritorno alla vita civile è traumatico: la morte del fratello, la malattia della sorella, i dissapori con la madre, i problemi economici lo incalzano. Vorrebbe studiare filosofia ma la necessità di iniziare un lavoro redditizio lo

spinge a laurearsi in ingegneria (1920).

1920-40

Inizia l’attività lavorativa nel settore degli impianti elettrici e di riscaldamento: lavora in Sardegna e in Argentina (1922-23). Il desiderio di riprendere gli studi di filosofia lo porta ad abbandonare il lavoro di ingegnere e a dedicarsi allo studio e alla scrittura: supera infatti tutti gli esami di filosofia e scrive la sua tesi di laurea (che non sarà mai discussa), scrive il Racconto italiano di ignoto del novecento con l’intenzione di partecipare al concorso bandito da Mondadori per un romanzo inedito. Il romanzo rimane incompiuto e verrà pubblicato come tale nel 1983. Scrive nel 1928 un saggio filosofico: Meditazione milanese (edito nel 1974) e racconti, saggi, testi vari che appaiono soprattutto sulla rivista «Solaria» e sul quotidiano «L’Ambrosiano ». Sempre al 1928 risale la stesura del romanzo La meccanica (edito per la prima volta nel 1970). L’insofferenza per il lavoro che gli impedisce di dedicarsi a quella che ormai sente come vocazione, la letteratura, diviene sempre più acuta, anche a causa delle condizioni di salute. È assunto dalla Città del Vaticano all'Ufficio centrale dei servizi tecnici;

os cocan-

— TINATNINRNNININAI

la sua insofferenza è documentata dalle lettere che scrive agli amici e ai congiunti; nel 1934 si dimette per motivi di salute. Intanto nel 1931 era stata pubblicata la raccolta di racconti La Madonna dei filosofi e nel 1934 Il Castello di Udine. Critici illustri gli dedicano recensioni‘importanti; il premio Bagutta comincia a farlo conoscere a un pubblico più vasto di quello degli specialisti. Il 1936 è una data importante nella vita di Gadda: la morte della madre e la vendita della villa in Brianza aprono una nuova fase, quella dedicata interamente alla produzione letteraria. Inizia la stesura della Cognizione che apparirà negli anni 1938-41 in « Letteratura»: abbandona definitivamente l’ingegneria e si trasferisce a Firenze dove frequenta gli ambienti letterari e collabora a settimanali e riviste, come «Il Mondo» di Bonsanti.

1940-73

A Firenze pubblica Gli anni (1943) e l’Adalgisa (1944). Collabora intensamente a riviste e quotidiani («Il Mondo», «La Nazione», «Letteratura»). Su «Letteratura» appaiono i primi capitoli di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Traferitosi a Roma, lavora dal 1950 al 1955 alla Rai, che lascerà su invito dell’editore Garzanti con l’impegno di completare il Pasticciaccio, che uscirà infatti nel 1957. Del Pasticciaccio Gadda aveva inoltre redatto un «trattamento» cinematografico che non si realizzò in un film e che sarà poi pubblicato nel 1983 con il titolo // palazzo degli ori. Nel 1952 appare // primo libro delle favole e, l’anno seguente, Le novelle del Ducato in fiamme. Ormai Gadda è un autore « perseguitato » da editori prestigiosi. Non sempre, anzi quasi mai, rispetta le date di consegna, come nel caso della Cognizione che, sollecitata da Einaudi sin dai primi anni Cinquanta, vede la luce solo nel 1963 e priva degli ultimi due tratti che appariranno nell’edizione del 1970. La Cognizione gli frutta il «Grand prix international de littérature». La nevrosi sempre più pervasiva suscita in Gadda timori assurdi quali quelli espressi a Contini sulla necessità di espungere dalla sua introduzione alcuni riferimenti scabrosi (cfr. Gadda, Lettere a Gianfranco Contini cit., pp. 102-4). Nel 1967 escono // guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, un «dialogo a tre voci» e Eros e Priapo, una satira sulla società del periodo fascista. Gli ultimi anni della vita sono funestati dall’aggravarsi delle condizioni di salute e dalla nevrastenia sempre più acuta. Chiuso nell’appartamento di via Blumesthil (nella periferia nord di Roma) riceve solo pochi amici dai quali si fa rileggere pagine dei Promessi sposi. Muore il 21 maggio 1973. Dalla data della morte continuano le pubblicazioni di inediti o le ristampe di opere pubblicate in anni lontani e non più reperibili.

IL PASSO DEL CAVALLO una metafora della narrazione & S

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C’è nel Decameron di Boccaccio una novella dedicata all’arte di raccontare

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... disse uno de’ cavalieri della brigata: «Madonna Oretta, quando voi vogliate, io vi porterò, gran parte della via che a andare abbiamo, a cavallo con una delle belle novelle del mondo». AI quale la donna rispuose: «Messere, anzi ve ne priego io molto, e sarammi carissimo». Messer lo cavaliere, al quale forse non stava meglio la spada allato che ’1 novellar nella lingua, udito questo, cominciò una sua novella, la quale nel vero da sé era bellissima, ma egli or tre e quattro e sei volte replicando una medesima parola e ora indietro tornando e talvolta dicendo: «Io non dissi bene» e spesso ne’ nomi errando, un per un altro ponendone, fieramente la guastava: senza che egli pessimamente, secondo le qualità delle persone e gli atti che accadevano, profereva. Di che a madonna Oretta, udendolo, spesse volte veniva un sudore e uno sfinimento di cuore, come se inferma fosse stata per terminare; la qual cosa poi che più sofferir non poté, conoscendo che il cavaliere era entrato nel pecoreccio né era per riuscirne, piacevolmente disse: «Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè».

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