Aristone di Chio e lo Stoicismo antico

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Aristone di Chio e lo Stoicismo antico

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Per quanto Aristone di Chio costltmsca uno dei riferimenti ricorrenti degli studi sullo Stoicismo antico e sulla tradizione cinica, mancava fino ad oggi una mono­ grafia

organica ohe

ne

inquadrasse

il

pensiero alla luce di una critica filologica e filosofica delle testimonianze disponibi­ li. È probabile che ad aumentare l'incer­ tezza intorno ad Aristone, che pure nel­ l'antichità aveva goduto di grande pre­ stigio, abbia contribuito da un lato la polemica

distruttiva

confronti

da

condotta

nei

Crisippo, dall'altro

suoi

l'omo­

nimia con altri filosofi. Questo libro si propone di collocare il pensiero aristoneo in una corretta prospettiva storico-filoso­ fica,

riesarninando

nello

stesso

tempo

molte questioni controverse intorno alle origini della scuola stoica per gli

specifici

apporti

ad

essa

cogliere

recati

da

Zenone, Aristone, Cleante e Crisippo. Il volume costituisce un contributo nuovo alla conoscenza di Aristone e integra le fonti già collazionate da Arnim con nu­ merose altre testimonianze.

Anna Maria Joppolo è assistente ordi­ nario di Storia della filosofia antica pres­ so la Facoltà di Lettere nell'Università di Roma. Ha scritto, tra l'altro, saggi sul­ la

dottrina della passione in Crisippo,

sulla dottrina stoica dei beni esterni e i suoi rapporti con l'etica aristotelica, e su alcuni aspetti del pensiero di Carneade.

ELENCHOS

Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da

GABRIELE GIANNANTONI I

ANNA MARIA IOPPOLO

ARISTONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

BIBLIOPOLIS

Proprietà letteraria riservata

Copyright © 1980 by « C.N.R., Centro di studio del pensiero antico » diretto da GABRIELE GIANNANTONI

I N D I C E

Introduzione

p.

ARISTONE E LA STOA Cenni biografici, p. 19. L'insegnamento di Aristone, p. 22. L'amicizia con Cleante e Perseo, p. 25. I rapporti con Arcesilao, p. 26. L'inimicizia con Crisippo, p. 33

>>

19

IL CATALOGO DELLE OPERE

»

39

IL CONCETTO DI FILOSOFIA La definizione di filosofia, p . 56. La tripart1z1one della filosofia, p. 59. La dialettica e il rifiuto della cultura enciclopedica, p. 63 . La polemica con Alessino, p. 69 . I paragoni sulla cultura enciclopedica, p. 73 . L'atteggiamento dello Stoicismo « ortodosso », p. 76. Il rifiuto della fisica, p. 78.

»

56

» L 'ETICA Il paragone dell'arciere, p. 9 1 . I l concetto di xalnjxov, p. 96. Le false opinioni, p. 102. L'ideale pedagogico, p. 1 10. Il valore dell'esercizio, p. 1 15 . L'ideale del saggio, p. 1 1 8 . L'Eu cpvta p . 120. L'inutilità dei precetti e delle leggi, p. 123. La controversia sul metodo educativo, p. 130. La divisione dell'etica stoica, p. 133. I 'ltpox6'1t't'O\I't'Eç, p. 137.

9

91

,

LA DOTTRINA DEL FINE La formula di Zenone, p. 142 . Le prime cose secondo na­ tura, p. 146. I 'ltPOTJY!LÉVa, p, 149. La polemica di Aristone, p. 152. La dottrina della oLxdwcnç, p. 154. La risposta di Crisippo, p. 159. La formula del fine di Aristone, p. 162. Il concetto di natura, p. 164. Critiche di Crisippo all'alì ta cpopla, p. 166.

» 142

LA TESTIMONIANZA DI CICERONE

» 171

­

Il concetto di scelta, p . 171. Aristone, Erillo e Pirrone, p. 176. Il principium officii, p. 179. La cptÀ.T}Oovla, p. 183. LA DOTTRINA DELLE CIRCOSTANZE Il paragone dell'attore, p. 188. Il paragone del nocchiero, p. 193 . Il paragone dell'attore nella tradizione stoica « or­ todossa », p. 197. Il valore delle circostanze nello Stoicismo « ortodosso », p. 202 .

»

188

8

INDICE

LA DOTTRINA DELLA VIRTÙ p. 208 Il problema dell'unità e della molteplicità della virtù in Zenone, p. 208 . La posizione di Aristone, p. 212. La posizione di Cleante, p. 216. La virtù come salute, p. 218. Crisippo e la molteplicità della virtù, p. 222. La virtù secondo le categorie, p. 225 . La polemica di Crisippo contro Aristone secondo Galeno, p. 23 1 . Le definizioni delle virtù particolari, p. 238. Difficoltà insite nel concetto di giustizia, p. 24 1 . LA DOTTRINA DELLA PAS SIONE

»

244

LA CRITICA ALLA RELIGIONE

»

249

IL SIGNIFICATO DEL COSMOPOLITISMO

» 253

LA POETICA La poetica di Aristone secondo Filodemo, p. 256. L'inter­ pretazione allegorica, p. 260. La forma e il contenuto, p. 264. Valore educativo del poema, p. 266. L'orecchio esercitato come giudice del poema, p. 272 .

»

LA GRAMMATICA Definizione di ars, p. 279. Definizione di grammatica, p. 282. L'anomalia secondo Crisippo, p . 283 . La nascita della gram­ matica stoica, p. 286.

» 279

I FRAMMENTI DI CONTROVERSA ATTRIBUZIONE Il Cato Maior, p. 292. Gli Ò[lOLW[lll't'll, p. 308. Le biografie di Epicuro e di Eraclito, p. 312. Gli Ò[lOLW[lll't'll di Aristonimo, p. 32 1 .

» 291

256

INDICI Indice aristoneo

» 329

Indice delle fonti

})

Indice dei nomi antichi

» 366

Indice degli autori moderni

» 370

333

INTRODUZIONE

Gli studi recenti sullo Stoicismo antico dedicano, nel migliore dei casi, appena qualche pagina ad Aristone di Chio . La monografia di M. Pohlenz, ad esempio, si sofferma brevemente sulla sua filosofia, dandone una valutazione nega­ tiva : « Aristone ed Erillo che dipende da Aristone, ma ha un'importanza molto minore, influirono sullo svolgimento della Stoa solo in tanto in quanto il pericolo che la scuola si disgre­ gasse costrinse Crisippo a raccogliere in un saldo sistema la filosofia di Zenone, a ripensarla e a garantirla contro tutti gli assalti »1• Il giudizio di Pohlenz esprime ed esemplifica quale è tuttora la posizione della critica nei confronti di Aristone. La filosofia di Aristone ha rappresentato soprattutto una mi· naccia per la scuola stoica, perché ne ha messo in pericolo la esistenza, senza apportare un contributo costruttivo 2• Indub­ biamente questa valutazione spiega anche perché gli studiosi moderni dello Stoicismo non abbiano sentito l 'esigenza di ap­ profondire il pensiero di Aristone, e in alcuni casi non lo ab­ biano considerato neppure uno Stoico, ma ora un Cinico, ora il fondatore di una nuova scuola 3 . l M. PoHLENZ, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, Got­ tingen 19592, trad. it., Firenze 1967, vol. I, p. 327. 2 Cfr. E. BRÉHIER, Chrysippe et l'ancien Stozcisme, Paris 19512, p. 220. 3 Si dr. J.M. RisT, Stoic Philosophy, Cambridge 1969, ].B. GoULn, The Philosophy of Chrysippus, Leiden 1970, A.A. LoNG, Hellenistic Philosophy, London 1974, F.H. SANDBACH, The Stoics, London 1975, e se ne potrebbero citare molti altri. Ignorano, o quasi, la filosofia di Ari-

lO

ARI STONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

Intorno alla fine dell' ' 800 e ai primi del ' 900 c'è stato un interesse maggiore per Aristone, che però non ha condotto ad uno studio complessivo ed esauriente del suo pensiero, ma sol­ tanto a rintracciarne l'influenza su alcuni autori : si è voluto, per esempio, vedere in Aristone la fonte di alcune opere di Plutarco, di Seneca, di Musonio, di Orazio 4• L'unica mono­ grafia complessiva su Aristone è quella di N. Saal, la quale oltre ad essere molto breve ( solo 38 pagine ) , precede la rac­ colta dei frammenti e delle testimonianze di H. von Arnim 5 • Una breve ricostruzione dell'etica di Aristone è stata avan­ zata da J. Moreau, ma il suo tentativo è rimasto isolato 6•

stone anche pregevoli studi miscellanei che affrontano vari aspetti della dottrina stoica, come per es . Problems in Stoicism, ed. by A.A. Long, London 197 1 , che raccoglie i contributi dei maggiori studiosi moderni dello Stoicismo, e cosl il recentissimo The Stoics, ed. by J.M. Rist, Ber­ keley-Los Angeles 1978. Per quanto riguarda la posizione filosofica di Aristone, R. HIRZEL, Untersuchungen zu Ciceros philosophischen Schrif­ ten, Leipzig 1882, vol. II, pp. 44-45, lo considera un Cinico e R. THA· MIN , Un problème moral dans l'antiquité. Le philosophe Ariston, Paris 1884, p. 4 1 , il fondatore di una nuova setta. 4 Cfr. R. HErNZE, Ariston von Chios bei Plutarch und Horaz, « Rheinisches Museum », XLV ( 1890), pp. 497-523, O. HEN s E Ariston bei Plutarch, ibid. , pp. 541-554, A. GIESECKE, De philosophorum ve­ terum quae ad exilium spectant sententiis, Diss ., Lipsiae 189 1 , A. MAYER , Aristonstudien, « Philologus », Suppl. XI ( 1 907-1910), pp. 485-610. Per una discussione sulla bibliografia, cfr. il mio studio Aristone di Chio, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. Giannan­ toni, Bologna 1977, p. 1 1 5 e sgg. s N. S AA L , De Aristone Chio et Herillo Carthaginiensi Stoicis Com­ mentatio, Pars l: De Aristonis Chii vita scriptis et doctrina, Coloniae 1852. 6 Cfr. J. MoREAU, Ariston et le Stolcisme, « Revue des Etudes Anciennes », L ( 1948), pp. 27-48. Recentemente il dibattito sull'etica si­ tuazionale ne ha individuato le origini nel pensiero greco. In partico­ lare G. MARTANO, Senso della « situazione » nell'etica greca, in L'etica della situazione, a cura di P. Piovani, Napoli 1974, pp. 3-35, ha rite­ nuto di riconoscere nelle posizioni di Aristone esigenze affini a quelle della moderna etica della situazione, mentre M. ISNARDI PARENTE, Etica situazionale nell'antica Stoa?, ibid., pp. 40-54, ha sostenuto che il rife,

INTRODUZIONE

11

C'è da chiedersi comunque il perché del disinteresse nei confronti del pensiero di Aristone. Una delle ragioni che han­ no pesato maggiormente è stata la polemica che Crisippo ha condotto, riuscendone vincitore, contro di lui. Dopo Crisippo la storiografia non si è più occupata direttamente del pensiero di Aristone, ma soltanto di quegli aspetti che non poteva tra­ scurare perché erano stati oggetto di polemica. Aristone, scon­ fitto nel dibattito con Crisippo, viene tacciato dalle fonti di « eterodossia ». Né gli immediati seguaci di Crisippo si richia­ meranno mai a lui, né tanto meno lo farà lo Stoicismo di mezzo, per il quale i numerosi tratti cinici presenti nel suo pensiero costituiranno un ostacolo per una rivalutazione. In­ fatti se Posidonio polemizzerà contro Crisippo, tuttavia non si richiamerà mai ad Aristone. E Panezio rifiuta l'autenticità del catalogo delle opere di Aristone, proponendone l'attribu­ zione ad Aristone di Ceo, elemento che peserà non poco sulla ricostruzione della filosofia di Aristone, poiché contribuirà a determinate la confusione tra i due filosofi. Di questo abbandono e disinteresse per il pensiero di Aristone si fa portavoce Cicerone, il quale non si stanca di ripetere che la filosofia di Aristone è astrusa, rigida, lontana dalla natura e che, dopo Crisippo, il quale ne aveva mostrato l'infondatezza, nessuno l'aveva più presa in considerazione. La storiografia moderna non ha fatto altro che proseguire nella direzione delle fonti antiche, senza esaminare criticamente il valore delle testimonianze. Uno studio più attento di esse permette di ridimensio­ nare l'accusa di eterodossia rivolta ad Aristone e di conside­ rare il suo dissenso da Zenone forse meno rilevante di quello di Crisippo. Anche l'abbandono della scuola stoica su cui si fondano gli studiosi a conferma della dissidenza di Aristone non va valutato maggiormente di quello di Crisippo : lo stesso Crisippo « mentre Cleante era ancora in vita abbandonò la rimento alla « situazione », cosl com'è espresso in Aristone, non com­ porta una effettiva teorizzazione dell'etica situazionale.

ARI STONE DI CHIO E LO STOICI SMO ANTICO

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sua scuola ed esercitò un ruolo eminente come filosofo »7 , sen­ za essere per questo considerato eterodosso . Bisogna quindi rifarsi al carattere aperto che aveva la scuola stoica durante lo scolarcato di Zenone e di Cleante per capire il significato e l'importanza dell'abbandono della scuola da parte di Aristone. Inoltre numerose testimonianze insistono sul successo che Aristone riscuoteva con il suo insegnamento. Non si può di­ menticare che Eratostene considerava Aristone, insieme ad Arcesilao, il filosofo più importante di quel periodo e che nu­ merosi aneddoti ci confermano il suo successo, tra cui quello che narra il rifiuto di Crisippo a seguire le lezioni di Aristone, benché fossero seguite da molti 8 • Indubbiamente Aristone è stato lo Stoico più seguito ed ammirato nel periodo che va dalla morte di Zenone allo sco­ larcato di Crisippo 9 • Prima quindi di parlare della « eterodos­ sia » di Aristone, bisogna esaminare qual era l'ortodossia stoica alla morte di Zenone. Nella Vita di Crisippo Diogene Laerzio ci dice che questo ultimo « su moltissimi punti era in dissenso con Zenone ed anche con Cleante »10• Plutarco ci informa che Antipatro aveva scritto un'opera intitolata llepl 't1jç; KÀeav&ouç; xa.l Xpua(1t1tOU o�a.cpop !X ç; 11• E Numenio ci riferisce : « Gli Stoici si sono divisi in fazioni, e queste sono cominciate a nascere fin dal tempo dei loro primi fondatori e non sono finite nep­ pure ai nostri giorni. Essi si redarguiscono tra loro appassio­ natamente con aspre confutazioni, e alcuni di loro sono rima­ sti ancora fedeli allo Stoicismo, altri hanno mutato indirizzo. Pertanto i loro principali esponenti sono simili a signorotti di provincia, essi che, con le loro discordie, hanno avuto la grave 7

DL, VII , 180.

8 Cfr. DL, VII, 182. 9 Naturalmente bisogna tener conto del fatto che, immediatamente dopo la morte di Zenone, Crisippo era troppo giovane e non poteva aver elaborato la sua dottrina. IO DL, VII, 180. Il Cfr. Plut., de stoic. rep., 4, 1034 a.

INTRODUZIONE

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responsabilità di spingere i loro seguaci ad incriminare grave­ mente i loro predecessori e ad incriminarsi reciprocamente tra loro, protestandosi ognora gli uni più Stoici degli altri »12 • È difficile quindi riferirsi alla dottrina stoica prima di Crisippo nei termini di ortodossia, tanto più che non si è, a mio avviso, ancora ricostruita con precisione la dottrina di Zenone, se si eccettuano alcuni studi su aspetti parziali del suo pensiero di notevole interesse. Indubbiamente Zenone non si impose ai suoi discepoli come il maestro da venerare, ma lasciò ampia possibilità di discussione, mentre Crisippo ebbe molto forte il senso di scuola e si assunse il compito di difenderla dagli attacchi che le venivano rivolti dalle scuole rivali. Il ruolo predominante di Crisippo all'interno della Stoa sta a dimostrare la difficoltà di una ricostruzione soprattutto dello Stoicismo « precrisip­ peo ». Si aggiunga il fatto che la nostra conoscenza della dot­ trina stoica si basa su frammenti e testimonianze e che la mag­ gior parte di queste o sono ostili, o sono state influenzate dalla posizione di Crisippo. Si presenta pertanto l'esigenza di risolvere i problemi che sono connessi ad una conoscenza frammentaria e indiretta del­ la dottrina stoica : bisogna esaminare l'attendibilità delle fonti, conoscere i loro orientamenti filosofici e culturali, distinguere la citazione letterale dalle testimonianze di altri, nonché dal testo che si suppone sia stato influenzato da un detc;rminato filosofo, ma che non fa un riferimento esplicito al nome . E se è vero, come sostiene L. Edelstein nell'introduzione all'edi­ zione dei frammenti di Posidonio, che testi che si suppone siano stati influenzati da un certo autore, non devono far parte di una collazione di testimonianze, questa limitazione non può essere mantenuta nella ricostruzione del pensiero di

12

Numenius apud Euseb., praep. evang. XIV, p. 728 a. La tra­ duzione italiana è di A. Russo, cfr. Scettici antichi, a cura di A. Russo, Torino 1978.

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ARI STONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

un determinato filosofo 13• Del resto il criterio di attenersi a quelle testimonianze in cui compare il nome del filosofo in questione non è di per sé valido e sufficiente, poiché la pre­ senza del nome non è sempre garanzia che la testimonianza si riferisca veramente a lui e viceversa, tanto che si rischia di impoverirne, e talvolta anche di non interpretarne corret­ tamente il pensiero 14• Naturalmente questi problemi connessi alla conoscenza in­ diretta e frammentaria dello Stoicismo antico hanno reso dif­ ficile distinguere il contributo dei singoli Stoici, anche se sem­ pre maggiormente la critica si orienta in tal senso. L'interesse si è volto prevalentemente verso la ricostruzione della filosofia di Crisippo, considerato, ora come un sistematizzatore della dottrina, ora come un innovatore. Colui che ha sostenuto con maggior convinzione il ruolo innovatore di Crisippo è stato M. Pohlenz. Indubbiamente Pohlenz aveva ragione, ma pur avendo individuato alcune differenze tra la filosofia di Zenone e quella di Crisippo, gli è, a mio avviso, sfuggito il punto es­ senziale in cui Crisippo ha effettivamente modificato l'etica zenoniana : l'introduzione della dottrina della o�xa!watç. t; 13 Cfr. L. EDELSTEIN-LG. Kmo, Posidonius. The Fragments, Cam­ bridge 1972, p. XVI . 14 Si dr. i rilievi di K. Abel, nella ree. a J.B. GoULD, The Philo­ sophy, cit. , ,

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ARISTONE D I CHIO E LO STOICISMO ANTICO

ciso l'affermazione di Crisippo che « a lui occorreva soltanto l'insegnamento della dottrina, ché le dimostrazioni le avrebbe trovate da solo »18 • Appare anche un'immagine dello Stoicismo « precrisippeo » molto più legata al Socratismo e al Cinismo di quanto si sia finora messo in luce . Nello stesso tempo si delinea con maggiore chiarezza il tentativo compiuto con suc­ cesso da Crisippo, di assimilare la dottrina di Zenone alla sua visione filosofica della realtà 19 • Inoltre la difficoltà della rico­ struzione della filosofia di Aristone, dovuta soprattutto alla polemica di Crisippo, rende evidente l'influenza che quest'ul­ timo ha esercitato sulla storiografia antica, la quale ha operato anche la « distruzione » della filosofia di Aristone, che dovette essere invece la filosofia predominante intorno alla metà del III sec. a.C. Evidentemente le critiche rivolte da Crisippo alla filosofia di Aristone dovettero avere carattere di anatema, se si pensa che gli Stoici romani, sebbene abbiano in comune molti aspetti con il pensiero di Aristone (basti pensare al rifiuto della dottrina dei 1tpOYI"((lÉ V� di Epitteto e all'atteggiamento nei confronti della cultura di Seneca ) , non solo non si richia­ mano apertamente a lui, ma non lo citano neanche, ad ecce­ zione di Seneca. Senza dubbio la paura della « eterodossia » deve aver giuocato un ruolo determinante, se è vero che l'im­ peratore Marco Aurelio leggeva ancora le opere di Aristone 20• L'aspra polemica condotta contro la filosofia di Aristone, ag­ giunta al fatto che Crisippo seppe organizzare effettivamente

18 D.L. VII 179. Nelle fonti si trovano molti altri accenni volti a rivendicare le innovazioni di Crisippo; si cfr., per es., Gal., de H. et Plat. decr. IV, 4 16, p. 391 M. (fr. 481 SVF III), a proposito della defi­ nizione di passione, e Sextus, adv. math. VII, 230, (fr. 58 SVF l), a proposito della definizione di rappresentazione. 19 Si pensi a quanto afferma Posidonio riguardo alla formula del fine di Crisippo in Gal., de H. et Plat. decr. V, 470, p. 450 M. ( fr. 12 SVF III ), su questo passo cfr. infra, p. 168, n. 59. 20 Marcus Aurelius Antoninus, epist. ad Frontonem IV, 13, p . 68 van den Hout; su questo passo cfr. infra, p. 37 n. 50.

INTRODUZIONE

17

in un complesso sistema filosofico la dottrina stoica, tanto da meritare il famoso riconoscimento « se non ci fosse stato Cri­ sippo, non ci sarebbe stata la Stoa », determinò ben presto lo abbandono della filosofia di Aristone. Questo disinteresse per la sua filosofia fu anche causa della confusione con Aristone di Ceo, sorta fin dall'antichità. Naturalmente la confusione tra i due Aristone ha com­ plicato ulteriormente la ricostruzione della dottrina di entrambi i filosofi. Molto spesso le fonti non riportano il luogo di na­ scita dell'Aristone citato, e anche nei casi in cui lo riportano, i manoscritti non sempre sono concordi, data la somiglianza da un punto di vista grafico dei due toponimi, per cui si pone il problema dell'attribuzione. È inutile dire che molto spesso si è voluto risolvere il problema dell'attribuzione all'uno o al­ l'altro senza motivi fondati, ma in base ad un preciso disegno interpretativo . Quando Arnim nel 1 905 collazionò i frammenti di Ari­ stone si trovò dinanzi a testimonianze controverse. Per esem­ pio sulle testimonianze tratte dagli Of.LO�Wf.Let'toc., c'era stata un'ampia discussione che aveva diviso i critici tra i fautori dell'attribuzione ad Aristone di Chio e ad Aristone di Ceo. Arnim la risolse, attribuendoli allo Stoico sulla base di un esame critico e di un confronto con altre testimonianze sicuramente attestate 21• La raccolta di Arnim, dunque, ha il merito di riunire molte delle testimonianze relative allo Stoico, stabilendone l'attribuzione. Tuttavia ne sono rimaste fuori dal­ la raccolta un certo numero che Arnim, o non poteva cono­ scere, perché venute alla luce dopo la pubblicazione degli SVF, o perché gli erano sfuggite 22• Pertanto la raccolta degli SVF va senz'altro completata con numerose testimonianze, ma bisogna riconoscere ad Arnim 21 Anche K. Wachsmuth, nella prima edizione di Stobeo, aveva attribuito gli 6J.LOIWJ.L�-.� ad Aristone di Ceo, ma poi aveva mutato pa­ rere, attribuendoli allo Stoico. 22 Di questi passi si parlerà diffusamente in seguito.

18

ARI STONE DI CHIO E LO S TOICI SMO ANTICO

il merito di essersi posto criticamente e di aver risolto con esattezza il problema della loro paternità 23• Fra l'altro, anche dopo la pubblicazione degli SVF non è cessata la discussione sull'autenticità dei frammenti attribuiti da Arnim ad Aristone di Chio . Mi auguro che questo studio riesca a risolvere, per quanto possibile, l'incertezza dell'attri­ buzione di queste testimonianze e contribuisca a fornire indi­ cazioni per completare la raccolta di Arnim 24• 23 A mio avviso l'unica testimonianza che Arnim ha incluso e che non appartiene allo Stoico è Porphyrius, de animae facultatibus apud Stob. ecl. I, p. 347, 21 W. (fr. 377), su cui peraltro si sono basati tutti gli altri studiosi per spiegare la dottrina estetica di Aristone ; su questo argomento, cfr. infra, p. 272 e sgg. Per alcune altre testimoruanze il problema resta aperto, ma esistono, come vedremo, maggiori possibilità che si riferiscano ad Aristone di Chio. 24 Per Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, ho seguito la traduzione di M. GIGANTE (Bari 1962, 19762 ); per Epitteto, Le diatribe e i fram­ menti, la traduzione di R. LAURENTI (Bari 1960), indicando i casi nei quali me ne sono discostata. Per quanto riguarda i testi stoici conte­ nuti negli SVF I, ho in molti casi tenuto presente la traduzione di N. FESTA, I frammenti degli Stoici antichi, vol. I : Zenone, Bari 1932; vol. I I : Aristone, Apollofane, Brillo, Dionigi d'Eraclea, Perseo, Cleante, Sfera, Bari 1935 ; di tutte le altre fonti antiche le traduzioni sono mit>

CAPITOLO PRIMO

ARISTONE E LA STOA

CENNI BIOGRAFICI

Ben poco sappiamo sulla vita di Aristone di Chio. Anche la sua cronologia è incerta, dal momento che non conosciamo né la data della sua nascita, né quella della sua morte; pos­ siamo ricavare qualche elemento soltanto indirettamente dai rapporti che intrattenne con altri filosofi . Le scarse notizie biografiche sono riportate da Diogene Laerzio nel VII libro delle Vite dei filosofi, dedicato agli Stoici. Aristone di Chio, il Calvo, soprannominato Sirena a causa della sua eloquenza, fu uno dei discepoli di Zenone di Cizio, il fondatore dello Stoicismo 1 • Non rimase però fedele all'insegnamento del mae­ stro e si allontanò dalla scuola. Mentre Zenone era gravemente ammalato, ascoltò le lezioni dell'accademico Polemone, che de­ terminarono in lui un mutamento di pensiero, tanto da fargli abbandonare la scuola stoica 2• Da quel momento tenne le sue l DL, VII, 160 (fr. 333 ) . Ap!a-twv o Xtoç o ciì.av&oç, !7tntaÀou· fL!vo;; l:etp� v . Sono molte le testimonianze che attestano che Aristone è stato discepolo di Zenone: dr. DL, VII, 37 (fr. 38) e Ind. Stoic. Herc. col. X, 2 (fr. 39), che negli SVF sono riportati esclusivamente sotto Zenone; su queste testimonianze, dr. D. COMPARETTI, Papiro Ercolanese Inedito, « Rivista di Filologia e di Istruzione Classica », III ( 1 875), p. 483 e A. TRAVERSA, Index Stoicorum Herculanensis, Genova 1952, p. 17 e sgg. Inoltre si dr. Athen., VI, 251 c (fr. 342), Sen., ep. 94, 2 (fr. 358), Cic., acad. pr. II, 130 (fr. 362), de nat. deor. I, 37 (fr. 378 ) . 2 DL, V I I , 162 (fr. 333 ) : 7tapa�aÀÙJv M IloÀéfLWv t, C'f'YjOL L\toxH)ç •

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lezioni nel Cinosarge ed ebbe propri discepoli, i quali furono denominati « Aristonei » 3• Tutto quello che sappiamo sulla sua morte, è che, essendo calvo, morl a causa di una insola­ zione 4 • Diogene Laerzio riporta anche il catalogo delle sue opere, aggiungendo però che Panezio e Sosicrate non consi­ deravano autentiche queste opere, ma le attribuivano ad Ari­ stone di Ceo peripatetico 5• Da questa breve esposizione della Vita di Aristone, emer­ gono immediatamente due problemi che hanno reso difficile una ricostruzione organica della sua @osofia : il primo è quello della sua posizione filosofica ; il secondo è quello della confu­ sione, prodottasi fin dall'antichità , tra lui e Aristone di Ceo , oltre che per la omonimia anche a causa dell'incertezza del­ l'attribuzione delle sue opere. La risposta da dare al primo problema, quello della sua posizione filosofica, è strettamente collegata alla vicenda dei suoi rapporti con la scuola stoica. Sulla base della notizia riportata da Diogene Laerzio che egli aveva �bbandonato la scuola, mentre Zenone era gravemente ammalato, alcuni studiosi hanno concluso che i rapporti tra Aristone e Zenone fossero ostili 6 • Ma già la notizia della malat­ tia di Zenone non è priva di dubbi e di contraddizioni. Infatti lo stesso Diogene Laerzio , mentre al principio della Vita di Zenone afferma che questi « era di costituzione gracile », più avanti sostiene che « morl a 98 anni senza essere mai caduto o Mcirv'r)�, fLS-cé&e-co , Z'ljvwvo� à.ppwa-c!C'f fLCUtp� ?tepmeo6v-co�. A favore dell'attendibilità di questa notizia, in quanto dipende da Diocle di Ma­ gnesia, si esprime M. PoHLENZ, Grund/ragen der stoischen Philosopbie, Gottingen 1940, p. 25 e n. l. 3 Fr. 333 cit. : ou-cw M cptÀooocplìiv xttt !v Kuvooapret 6tcxÀer6J.Le­ vo� toxuoev cxlpe-c:to-c:Y]� cbtoilocxt. MtÀnci6YJ� ouv xcxt A!cptÀo� 'Apto-cw­ vetot ?tpooYJropeòov-co. 4 lbid. : -coll-c:ov Mro� cpcxÀcxxpòv llv-ctt !rxcxu&j)vcxt !mò f)ì.. t ou xat ùi1!Je nÀeu-c:j)actt. s Ibid. : llctvct!-c:to� l!ls xal. l: wotxpci-cYJ� fL6vct• ct6-c:oil -c:à� !ma-c:oÀa� cpcxot, -cà 1!Jè cl1.ÀÀGt -coi! llep mct't'lj'ttxoil • A p ( o-cwvo� . 6 Cfr. M. PoHLENZ, La Stoa, cit. , vol. I, p. 37; R. HIRZEL, Unter­ suchungen, cit., vol. II, p. 45 n .

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i n malattia dopo una vita perfettamente sana »7 • N é c i pos­ sono essere di aiuto le lettere scambiate tra Zenone e Antigono Gonata, dalle quali sarebbe confermata la malattia di Zenone, poiché la loro autenticità è fortemente dubbia 8• Tuttavia se dalla Vita di Zenone non si può ricavare con certezza la prova della sua malattia, un maggior grado di attendibilità potrebbe avere la notizia che Aristone abbandonò la scuola stoica a cau­ sa dell'insegnamento di Polemone, se possiamo concedere cre­ dito alla testimonianza di Diocle di Magnesia. In questo senso anche la notizia della malattia di Zenone ad essa collegata, ac­ quista carattere di veridicità. Dobbiamo concludere dunque, che Aristone non cominciò ad insegnare per proprio conto pri­ ma della morte di Zenone. Il suo allontanamento dalla scuola stoica è posto da Dio­ gene Laerzio in connessione con l'influenza dell'insegnamento di Polemone, il quale, secondo le fonti antiche, avrebbe eser­ citato anche una grande influenza su Zenone, per un periodo di tempo suo discepolo 9 • È possibile che Aristone sia stato 7 Cfr. DL, VII, l e 28. La stessa contraddizione che si trova in Diogene Laerzio a proposito della malattia di Zenone, si riscontra nelle altre testimonianze. Mentre Suidas, Z"ljvwv , sostiene che per la sua vita morigerata Zenone riuscì a conservare il corpo sempre sano, Ind. Stoic. Herc. , col. III e Musonius, fr. XVIIIa H. (fr. 287 ) confermano la sua ma­ lattia; cfr. a questo proposito F. SusEMIHL, Geschichte der griechiscben Literatur in der Alexandrinerzeit, Leipzig 189 1 , vol. l, p. 53 e n. 1 8 1 . 8 Cfr. DL, VII, 7-9. Riguardo all'autenticità delle lettere s i è molto discusso, fino a che W. CROENERT, Kolotes und Menedemos, Miinchen 1906, p. 28 e sgg ., ha stabilito che sono apocrife. Ma di recente A. GRILLI, Zenone e Antigono II, « Rivista di Filologia e di Istruzione Classica », XCI ( 1963 ) , pp. 287-301 , ne ha rivendicato l'autenticità. Tuttavia sulla autenticità delle lettere restano gravi dubbi, se non altro perché sono legate ad una cronologia falsa della morte di Zenone, quella che pone la sua morte a 98 anni ; cfr. K. VON FRITZ, Zenon, cit. , coli. 84-85. 9 Sul discepolato di Zenone presso Polemone, cfr. Polemon, frr. 85-9 1 Gigante. Suìla dipendenza di Zenone da Polemone si è molto di­ scusso e si discute tuttora . M. PoHLENZ, La Stoa, vol . I, p. 520, scrive: « Mentre nella più antica tradizione concernente Zenone, si accennava appena a Polemone, Antioco fa di questo il maestro di Zenone, si da

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colpito dalla critica che Polemone rivolgeva al concetto di in­ differente-preferibile di Zenone, anche se le conclusioni a cui giungeva Polemone, come vedremo, erano ben diverse da quelle a cui giungerà Aristone. Non possiamo attribuire, pertanto, all'influenza della filosofia di Polemone il merito di aver spinto Aristone su posizioni « eterodosse » rispetto alla dottrina stoi­ ca. Tuttavia una serie di circostanze, assommate insieme, ha contribuito a dipingere Aristone come uno Stoico « etero­ dosso » . L ' INS EGNAMENTO D I ARISTONE

Diogene Laerzio, dopo aver trattato nel libro VII della filosofia stoica in generale, afferma : « Singoli punti di dissenso saranno da me trattati nelle pag1ne seguenti », e dispone la dot­ trina di Aristone, di Erillo e di Dionisio, concludendo : « 'l!.IX.l ou'tot (.1 ÈY o[ Òtt;Yt;X &ÉY'tt;ç » 10 • Non vi è dubbio che Ari­ stone si staccò dalla scuola stoica durante la direzione di Clean­ te, ma egli lo fece, non per fondare una nuova scuola, ma per­ ché riteneva di essere il vero erede dello Stoicismo di Zenone nella sua formulazione primitiva. La testimonianza di Diogene Laerzio, allora, che egli acquistò tanto credito da essere con­ siderato un caposcuola, va intesa nel senso che egli riusd ad imporre e a far trionfare la propria dottrina 1 1 • A questo derompere i legami tra la Stoa e il Cinismo e da trasformare la Stoa in una propaggine dell'Accademia »; cfr. anche Grund/ragen, cit., p. 23 e sgg. Volto a mostrare l'originalità del pensiero di Zenone è anche H. STRACHE, Der Eklektizismus des Antiochus von Askalon, « Philologische Untersu­ chungen », XXVI , Berlin 192 1 , p. 68 e sgg. Mi pare condivisibile, in­ vece, la posizione di K. VON FRITZ, s.v. Polemon, in RE, XXI ( 1953 ), coli. 2528-2529, il quale pur attribuendo a Polemone la genesi di alcuni concetti stoici, non sminuisce l'importanza dell'elaborazione zenoniana di quei concetti. IO Cfr. DL, VII, 160 e 167. 1 1 Incline a ritenere che egli abbia fondato una nuova scuola, è H. VON ARNIM, s.v. Ariston von Chios, RE, II l ( 1895), col. 957 .

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vono aver contribuito le sue capacità persuasive e le sue doti di eloquenza, per le quali si era guadagnato il soprannome di Sirena : « Possedeva l'arte di persuadere ed era fatto apposta per il volgo . Ecco perché Timone, riferendosi a lui, cosl si esprime : ' e qualcuno trae la sua discendenza dal seducente Aristone » 12 . Sapeva trascinare gli animi degli ascoltatori con la forza della parola : esercitava quindi un grande fascino sulla moltitudine ed aveva molti discepoli 13 Diogene Laerzio no­ mina soltanto Milziade e Difilo, i quali certamente furono suoi seguaci, in quanto furono denominati « Aristonei ». Si è sup­ posto che Milziade potrebbe essere stato un figlio di Aristone, dato che era abituale dare al figlio il nome del nonno e il padre di Aristone si chiamava proprio Milziade 1 4 Non c'è comun­ que ragione di mettere in dubbio che Aristone avesse molti discepoli, poiché le fonti antiche sottolineano le sue capacità persuasive e le sue doti di eloquenza. Del resto anche il grande scienziato e grammatico alessandrino Eratostene era stato con'





12 DL, VII, 161 (fr. 333 ) : ��� llé ·n� 7tSLonxò� xctl ?lXÀCJl 7tiS7tOt"rj• p.évo� . o&sv b TC:..L(I)\1 "rjOL 7t1Spl ctÙ"tOU . (fr. 40 D.) Xct( "t t� Ap(o­ "t(l)\10� révv"rj� li7to ctlp.uÀ0\1 Uxwv . L'espressione !5XÀCJl 7t!7tOt"rjJ.LÉVO� non ha un significato dispregiativo, ma rappresenta piuttosto un elo­ gio del saggio, se è vero che gli Stoici davano ai sapienti appellativi come m&:tvò�, ctì�uÀo�, cfr. Stob., ecl. Il, 7, 1 1 m, p. 108, 5 (fr. 630 SVF III) e N. FESTA, I frammenti degli Stoici antichi, vol. Il, Bari 1935, p. 2 e n. l f. Al contrario le sue doti di eloquenza furono poco apprezzate dal suo grande antagonista, Crisippo ; cfr. DL, VII, 182 (fr. 339 ). Questi, « rimproverato da un tale, perché non seguiva le le­ zioni di Aristone come la maggior parte della gente, rispose : ' Se io badassi a quello che fa la moltitudine, non filosoferei '». oovsvé7tvst p.s"t(èt) l 13 Ind. Stoic. Herc. , col. XXXV (fr. 336): "tiilv Mrwv p.évo� l "tt xct(l &o)p.òv, wo7tsp l q>"rjolv b (7t)Ot"rj"t-1" "tij(v) · A­ &7jvélv, wo&' ExctOI"t0\1 Xct&(ci)7tt!p (!v) j p.é&ctt� l [.LIS"tiS7tt . . etc. Cfr. A. TRAVERSA, op. cit. , p. 53 . Altre testimonianze confer­ mano che un vasto pubblico seguiva le lezioni di Aristone, cfr. fr. 339 e fr. 382 . 14 Cfr. DL, VII, 37 ( fr. 38) e Ind. Stoic. Herc. , col. X, 2 (fr. 39). Sulla questione dell'identità del nome tra il padre di Aristone e il discepolo, cfr. N. S AAL , De Aristonis Chii, cit. , p. 8 . •



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quistato dalla filosofia di Aristone, tanto da preferire il suo in­ segnamento a quello dello Stoicismo « ortodosso »15 • Erato­ stene e lo stoico Apollofane, almeno in un primo momento, devono essere considerati suoi discepoli, anche se in seguito non proseguirono il suo insegnamento ; tuttavia gli dedicarono entrambi un'opera. Inoltre gli scarsi frammenti delle opere etiche di Eratostene llap1 riycd}fuv xcd xaxiilv e llapl. 1tÀou­ 'tou xal. 1tav laç; rivelano l'influenza del pensiero di Aristone 16 • Apollofane, che è incluso tra gli Stoici, si occupò parti­ colarmente di problemi fisici, ma la sua dottrina della virtù unica che egli identificava con la -:pp6v7Jcr�ç; risente dell'insegna­ mento di Aristone 17 • 15 Per Eratostene, dr. Strabo, I, 15 (fr. 338), Athen ., VII, 281 c (fr. 341 ), Suidas , 'Epa.'toa&sv'l)ç . Strabone afferma che Eratostene è stato anche discepolo di Zenone, ma la notizia è infondata, se egli nacque nel 276 come ci dice Suidas e Zenone morl nel 262 circa; cfr. a questo proposito F. SusEMIHL, Geschichte, cit. , vol . I, p. 410 e n. 4, M. PoHLENZ, La Stoa, cit. , vol. I, p. 38, n. 2 1 , R. PFEIFFER, Storia della filologia classica. Dalle origini alla fine dell'età ellenistica, Oxford 1968, ed. it. a c. di M. GIGANTE, Napoli 1973, p. 25 1 . Al contrario G. KNAACK, s.v. Eratosthenes, RE, VI ( 1907 ), col. 359, ritiene la notizia esatta. 16 F. SusEMIHL, Geschichte, cit. , vol. l, p. 65, precisa che Erato­ stene ed Apollofane furono « Zuhorern », ma non « Anhangern », dello stesso parere è W.W. TARN, Alexander, Cynics and Stoics, « American Journal of Philology », LX ( 1939), p. 53, mentre G. KNAACK, cit. , col. 360, ritiene che Eratostene abbia preso molto da Aristone ; G. BERN­ HARDY, Eratosthenica, Berlin, 1822, pp. 189-193 , afferma la dipen­ denza di Eratostene da Aristone per quanto riguarda le opere di carat· tere etico. Forse l'influenza di Aristone su Eratostene può essere estesa alle dottrine grammaticali, se è vero che anche Aristone si è occupato di poetica e di grammatica, cfr. più avanti, p. 256 e sgg. Per l'opera di Eratostene intitolata « Aristone », cfr. fr. 341, cit. 17 Cfr. DL, VII, 92 (fr. 406 ); inoltre dr. Athen ., VII, 281 d ( fr. 408), in cui si parla di un'opera di Apollofane, intitolata « Aristone >>. Sia l'opera di Eratostene che questa di Apollofane, dedi­ cate ad Aristone, mettevano in luce la rptÀ'I)�:.v(a. del maestro. Alcuni studiosi hanno voluto vedere in questo la prova che né Apollofane, né Eratostene potevano essere stati suoi discepoli ; cfr. R. HIRZEL, Untersu· chungen, cit. , vol . II, p. 101, n. 2: « Wer aber von der rptÀ'I)�ov(a. Ari-

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L'AMICIZIA CON CLEANTE E PERSEO Ma il fatto che Aristone avesse propri discepoli non si­ gnifica che egli si ponesse in atteggiamento di rottura con la scuola stoica. A questo proposito è particolarmente indicativa la natura dei suoi rapporti con Cleante. Sappiamo che Aristone 8 amava Cleante e aveva in comune con lui i discepoli 1 • Dio­ gene Laerzio riporta un aneddoto che conferma che tra i due doveva esserci una certa familiarità : « Cleante era solito rim­ proverarsi da solo . Ad Aristone che una volta lo senti e gli chiese : ' Chi è che rimproveri ? ', egli ridendo rispose : ' Un vecchio che ha molti capelli bianchi, ma è senza intelletto ' » 19• Inoltre i quattro libri di epistole, inviate a Cleante da Ari­ stone, non erano di carattere polemico, quanto piuttosto erano volti a spiegare le differenze dottrinali, che indubbiamente ci furono, ma che non ebbero come conseguenza la rottura della amicizia. Intrattenne anche buoni rapporti con Perseo di cui ri­ cercò l'amicizia. Infatti l'aneddoto tramandato in Diogene Laer­ zio sulla polemica dottrinale tra i due non può essere inter­ pretato né nel senso di una loro inimicizia, né nel senso di una polemica seria 20 • Lo stesso Timone di Fliunte conferma l'ami­ cizia di Aristone per Perseo, anche se poi aggiunge il commento malevolo che Aristone adulasse Perseo, soltanto perché questi

stons erzahlt batte, kann nur ein abtrlinniger Schliler desselben gewesen sein ». Ma l'atteggiamento di Aristone nei confronti dell' �aoY'lj non è di netto rifiuto, come si vedrà in seguito, per cui le testimonianze di Apollofane e di Eratostene non hanno il significato che vuole Hirzel. 18 Themistius, or. XXI, p. 255 b (fr. 334): ibtrpctYÉ'll't Oç as iv rpiÀOaorp!cy: Xct� i!xÀciJ.LtJictY'tO� 'tOIJ liÀ'I)3-0IJ�, àYctiJ.LW't� ?tciYU� li?tOÀctUOtl• atv o t auÀ).ct�OJ.L!YOI ooçofl ipyou . Il tli 'tOil'to ija?tci�e'to • Ap!a'tWY KÀeciv3-'I)Y Xct� 'tWY bJ.LIÀ'I)'tW'I homilvet. 19 Cfr. DL, VII, 171 (fr. 602 ); cfr. anche N. SAAL, op. cit. , p. 12. 20 Cfr. DL, VII, 162 (fr. 347), su questo frammento cfr. più avanti, p. 29 e sgg.

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godeva di un grande prestigio alla corte di Antigono Gonata del quale era diventato amico 21 • I RAPPORTI CON ARCESILAO Al di fuori della scuola stoica sappiamo che Aristone in­ trattenne rapporti con Arcesilao . Sulla natura di questi rap­ porti ci sono rimasti quattro frammenti, tre dei quali ci infor­ mano di una polemica scientifica, l'altro ci riferisce un aned­ doto scherzoso 22• Da questi frammenti ricaviamo che Aristone polemizzava con Arcesilao probabilmente per quanto riguarda la dialettica. Infatti parodiando il verso omerico che suona : ' leone davanti, dragone nel mezzo, chimera di dietro ', diceva di Arcesilao : ' davanti Platone, dietro Pirrone, in mezzo Dio­ doro ' . Mentre Diogene Laerzio che ci riporta questo giudizio, si limita a dire che « Arcesilao teneva in gran conto la dialet­ tica e abbracciava il metodo della scuola di Eretria », Sesto invece lo riporta a conclusione di una interpretazione tenden­ ziosa : « Se poi si deve prestar fede a ciò che si dice di lui ( Ar21

Athen ., VI, 251 c (fr. 342 ) : TCf1WV o �Àoo6q>oo , on �v ha;tpo� ' Av·ny6voo ,;o!l �a;o�ÀÉw� . Su Perseo, cfr. M. POHLENZ, La Stoa, cit. , vol. I, pp . 3 1-34 e N. SAAL, op. cit. , p. 12. Al contrario R. HrRZEL, Untersuchungen, cit., vol. II, p. 59, n. l, ritiene che i rap­ porti tra Aristone e Perseo non dovevano essere amichevoli, per­ ché avanza l'ipotesi che Athen., XIII, 607 d (fr. 45 1 ), in cui Per­ seo narra del comportamento sconveniente di un filosofo durante un banchetto, sia indirizzato contro Aristone. Ma questo non è dimostra­ bile, tanto più che Ateneo, commentando l'episodio, suppone che il filosofo possa essere lo stesso Perseo. Riguardo all'atteggiamento cri­ tico e sarcastico di Timone verso i filosofi dogmatici, in particolare gli Stoici, cfr. M. DAL PRA , La storiografia filosofica a;ztica, Milano 1950, p. 12.3 e sgg. 22 Cfr. DL, IV, 33 (fr. 343 ), Sextus, hypot. pyrrh. I, 234 ( fr. 344), e Euseb., praep. evang. XIV, 5, 13 (non riportato negli SVF), in cui però non viene fatto il nome di Aristone. ,;w v �(ÀÀwv (fr. 6 D.)

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cesilao ) , è fama che in pubblico si mostrasse un Pirroniano, ma che in realtà fosse un Dommatico ; e che quando col me­ todo aporetico esaminava i seguaci per vedere se fossero capaci di apprendere i dogmi di Platone, sembrasse egli stesso pro­ fessare il dubbio, mentre ai compagni da natura ben disposti impartisse il Platonismo ». Questa interpretazione è tanto più malevola, se si osserva che Sesto non si assume la paternità della notizia, ma la attribuisce ad alcuni imprecisati. Partendo da questo commento di Sesto, alcuni studiosi hanno tratto la conseguenza che Aristone pretendeva di polemizzare contro i filosofi dogmatici, in questo caso Arcesilao, accostandosi in ciò a Bione di Boristene 23 • E poiché Arcesilao, almeno nel suo insegnamento essoterico, non era un dogmatico, in questo giu­ dizio è stata vista una ostilità di Aristone nei suoi confronti 24• 23 Per la polemica di Bione contro Arcesilao, cfr. Diocles ap. Nu­ menium ( fr. 25 Des Places) ap. Euseb ., praep. evang. XIV, 6, 6 (T 23 Kindstrand) . 21 R. HEINZE, Ariston, cit. , p. 5 1 3 , sostiene l a tesi che i frr. 343344 inducono a pensare ad una polemica antidogmatica. Infatti del parere che il giudizio di Aristone sia malevolo sono la maggior parte degli studiosi, tra cui L. RoBIN, Pyrron et le Scepticisme grec, Paris 1944 , p. 68, M. DAL PRA, Lo scetticismo greco, Bari 19752, vol. I, p. 158, H.]. KRAMER, Platonismus und hellenistische Philosophie, Berlin 197 1 , p. 9. Al contrario, N. FE S TA , I frammenti, cit. , vol. II, p. 7, n . 9 a, ritiene che la polemica con Arcesilao si svolga in tono scher­ zoso. A mio giudizio, il tono malevolo non si trova nell'affermazione di Aristone, ma nella interpretazione di Sesto, in quanto le testimonianze di Diogene Laerzio e di Numenio si limitano ad alludere alle tre scuole filosofiche che hanno esercitato un'influenza su Arcesilao, cfr. a questo proposito J. GLUC KE R, Antiochus and the Late Academy, GOttingen 1978 , p. 35. Il verso di Aristone non si riferisce ad un insegnamento esoterico dogmatico e ad uno esoterico scettico di Arcesilao, ma è stato strumentalizzato da Sesto per dimostrare la dipendenza filosofica di Ar­ cesilao da Platone. Non mi sembra condivisibile l'interpretazione di P. ComssiN, L'origine et l'évolution de l' EIIOXH , « Revue des Etudes Grecques », XLII ( 1929 ), p. 377 e n. 2, il quale è propenso a sostenere l'intenzione malevola di Aristone, sulla base del fatto che questi, in quanto stoico dissidente, sarebbe stato vicino alle posizioni di Pirrone e di Timone. L'analogia di Pirrone e Timone con Aristone non è nei

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Ma a mio avviso, nel verso di Aristone non si può scorgere né una polemica antidogmatica, né ostilità nei confronti di Arce­ silao . In effetti il senso del verso è racchiuso nelle parole che lo stesso Sesto fa seguire immediatamente dopo il verso di Aristone : « perché egli si serviva della dialettica di Diodoro, ma era apertamente un platonico », parole che con ogni proba­ bilità Sesto derivava da Aristone 25 • La testimonianza parodi­ stica di Aristone vuole piuttosto significare che Arcesilao, a­ pertamente, civ,;�xpu�, era Platonico, in quanto capo dell'Ac­ cademia, ma in sostanza esprimeva dottrine gnoseologiche ben diverse. Da questo punto di vista la testimonianza di Aristone avrebbe il significato esattamente opposto a quello che vor­ rebbe attribuirle Sesto 26 • Infatti Sesto vuole suggerire l'inter­ pretazione che Arcesilao apparentemente esprimeva dottrine scettiche, mentre nel suo insegnamento esoterico avrebbe pro­ fessato dottrine platoniche e dogmatiche. Aristone invece af­ ferma che Arcesilao non era un dogmatico, ma soltanto di fronte all'opinione comune, poteva essere considerato un pla­ tonico. Questa interpretazione del verso di Aristone trova con­ ferma in un altro passo della Vita di Aristone di Diogene Laerzio : Aristone « era solito polemizzare con Arcesilao : una volta vide un toro mostruoso con l'utero ed esclamò : ' Ahimé ! Ora Arcesilao ha un argomento contro l'evidenza ' . Ed an­ cora : ad un accademico che d iceva di non afferrare nulla con i sensi, domandò : ' Non vedi neppure il vicino che ti siede accanto ? '. L'altro rispose di no, e cosl Aristone recitò il verso : ' Chi t'accecò ? Chi ti tolse la luce degli occhi? ' » . Ad Arcesilao dunque che si pronunciava contro l'evidenza, Aristone risponrapporti con Arcesilao, ma semmai nell'influenza che il Cinismo ha eser­ citato su di loro. Su questo problema, cfr. p. 179. 25 Cfr. L. CREDARO, Lo scetticismo degli Accademici, vol. Il, p. 181, Roma 1893 e J. GLUCKER, Antiochus, cit. , p. 36, n. 83 . 26 Cfr. A. WEISCHE, Cicero und die Neue Akademie. Untersuchun­ gen zur Entstehung und Geschichte des Antiken Skepti:t.ismus, Miinster Westf. 196 1 , pp. 13-14 e R. HIRZEL, Untersuchungen, cit. , vol. III, p. 220, n. l.

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deva in modo scherzoso, riaffermando la validità della rappre­ sentazione catalettica, come dimostra anche lo scambio di bat­ tute con l'accademico 27 • È evidente che in questo passo di Diogene Laerzio Arcesilao è descritto da Aristone come un fi­ losofo antidogmatico. Prende quindi maggior consistenza l'i­ potesi che Aristone non volesse esprimere un giudizio male­ volo nei confronti di Arcesilao, quanto piuttosto volesse carat­ terizzare le componenti filosofiche del suo pensiero : davanti Platone, in quanto Arcesilao era un successore di Platone nel­ la direzione dell'Accademia, di dietro Pirrone, in quanto Arce­ silao era scettico in campo gnoseologico, in mezzo Diodoro, in quanto Arcesilao, come dice Diogene Laerzio, teneva in gran conto la dialettica. Al contrario il filosofo dogmatico è proprio Aristone : infatti sappiamo che egli aderiva soprattutto alla dot­ trina stoica che il saggio è privo di opinioni. A questo propo­ sito Diogene Laerzio riporta uno scherzo fatto da Perseo ad Aristone : « Di due fratelli gemelli mandò l'uno a depositare presso Aristone una certa somma, poi mandò l'altro a ritirar­ la : Aristone cosl rimase perplesso e fu confutato da Perseo » 28 • Non si può negare che in Aristone la dottrina dell'infallibilità del saggio acquista una grande importanza, dato il rilievo che egli attribuisce alla capacità del saggio di giudicare in ogni cir­ costanza con il solo giudizio della ragione, e che quindi Perseo colpiva un punto importante della dottrina. Tuttavia anche questo episodio si inserisce in un clima amichevole, perché Perseo, in quanto stoico, sosteneva la stessa dottrina di Ari­ stone, tanto più se si pensa che l'argomentazione a cui Perseo sarebbe ricorso, era usata dagli Accademici contro gli Stoici, per dimostrare l'impossibilità di distinguere la rappresenta­ zione catalettica da quella non catalettica 29 • 27 DL, VII, 162-163 (fr. 346). 28 DL, VII , 162 (fr. 347 ). 29 Per l'origine megarico-accademica dell'argomentazione, cfr. Sextus,

adv. math. VII, 409. Interpreta male il fr. 347 R. HIRZEL, Untersu· chungen, cit. , vol. II, p. 56, poiché ritiene che secondo Perseo il saggio può avere opinioni ed attribuisce lo stesso punto di vista a Zenone, in

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L'altra testimonianza che ci è rimasta circa i rapporti tra Aristone e Arcesilao riguarda la polemica sulla pederastia. In­ fatti Aristone accusa Arcesilao di essere amante dei giovanetti, corruttore dei giovani e impudente 30• Secondo Mayer, Aristone mostra di schierarsi dalla parte dell'amore eterosessuale, allon­ tanandosi con ciò dagli Stoici antichi ed accostandosi ai Cinici 31 • I sostenitori della tesi che Aristone era a favore dell'a­ more eterosessuale si sono appoggiati anche ad un frammento tratto dall'Amatorius di Plutarco, in cui si dice che « Aristone affermava che un carattere casto e modesto si rivela nella flo­ ridezza e nella grazia delle forme, così come una calzatura ben fatta mostra la bellezza del piede » 32 • Non che questo framcontrapposiziOne ad Aristone, il quale conformemente alla sua etica rigoristica non ammetteva che il saggio potesse avere opinioni. Ma il testo di Diogene Laerzio pone l'accento proprio sul fatto che l'infalli­ bilità del saggio era una dottrina condivisa da tutti gli Stoici. Basti pen­ sare alle conseguenze che derivano dall'opinare, dr. Sextus, adv. matb. VII, 423 (non riportato negli SVF ) : cX7tÀa.vè' yc'tp stxa xp�·njp�ov xa.,;" a.ù,;où, o ao.;po,, xa.ì. xa.tc't 7tcivta. t&ao7to�at,;o ll�c't ,;ò fl-"ÌI llo�ci�a�v, 'I:OU'I:éa,;� cji!ÒIJ!� au yxa.,;a.,;!&ea&a.� , iv !ÌJ ibt!�'I:O fj axpa. xa.xoiJa.�­ fl-OV(a. xa.ì. fj ,;iii v .;pa.tiì.wv ll �ci7t'I:Wa�, . Si dr. anche D. TsEKOURAKIS , Studies in tbe Terminology o f Early Stoic Etbics, « Hermes Einzel­ schriften », Heft 32, Wiesbaden 1974, p. 30, il quale vede nell'episodio un intento serio. 30 DL, IV, 40 (fr. 345 ) : (o • Apxaa!Àa.o,) .;p�ÀO fl-Et�pcix�6' 'ta �v xa.ì. xa.ta..;pep-rj , . o&av o t 7t5pÌ. • Ap!a,;wva. 'I:ÒV Xtov l:,;wrxoì. �7t5Xciì.. o uv a.1l,;ljl , .;p&opéa. ,;ffiv véwv xa.ì. xwa.�lloì.. 6 yov xa.ì. &pa.aùv à7toxa.ì.. o f:lvu, . Del parere che questo passo vada interpretato in senso malevolo, sono N. SAAL, op. cit. , p. 13 e H. KRAMER, Platonismus, cit. , p. 36. 31 Cfr. A. MAYER, Aristonstudien, cit. , p. 563 e sgg. Riguardo alle teorie sull'amore nella Stoa, si possono consultare utilmente D. BABUT, Les Sto"iciens et l'amour, « Revue des Etudes Grecques », LXXVI ( 1963 ), pp. 55-63 , R. FLACELIÈRE, L'amour en Grèce, Paris 1960 . Circa la posi­ zione dei Cinici riguardo alla pederastia, dr. A. GERHARD, Pboinix von Kolopbon. Texte und Untersucbungen, Leipzig und Berlin, 1909, pp. 145-146. 32 Plut., amatorius 21, p. 766 f (fr. 390 ) : ota.v �&o, &yvòv x a. i. ltOOfl-�OV 4v &pq. xa.ì. xcip�,;� fl-OP(J)1)' ll�a..;pa.và, YÉV'IJ'I:CX.�, xa.&ci7t5p llp&�ov (l7t61l'IJfl-CX. lle!xvua� 1toM' e1l.;puta.v, d>' " Ap!a,;wv Eì.. a yav.

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mento, preso di per sé, contribuisca alla soluzione del pro­ blema di come si poneva Aristone nei confronti dell'amore. Ma poiché Plutarco nell'Amatorius si mostra a favore dell'amore eterosessuale, si è voluta vedere in questa lode per questo tipo di amore, l'influenza di Aristone di Chio. Ma non basta cer­ tamente la citazione di un non meglio precisato Aristone a fare attribuire tutta l'ispirazione dell'operetta ad Aristone di Chio e quindi non è significativa ai fini della risoluzione del problema dell'atteggiamento di Aristone di fronte all'amore, la tesi che appoggia Plutarco, con l'ulteriore complicazione che alcuni studiosi hanno pensato che l' Aristone nominato da Plu­ tarco non sia lo Stoico, ma il peripatetico Aristone di Ceo 33 • Il contenuto della citazione di Aristone, però, non è caratte­ rizzato in modo tale da poter essere attribuito con certezza al­ l'uno o all'altro Aristone. A favore del Peripatetico, Wehrli ha fatto valere la reminiscenza platonica contenuta nel para­ gone che un bel corpo ha valore solo se sede di un'anima al­ trettanto bella 34• A questa tesi si può obbiettare che il para­ gone tra la bellezza dell'animo e una calzatura ben fatta, si adatta perfettamente all'asprezza cinica dei paragoni di Ari­ stone. Del resto già Zenone aveva rivolto l'attenzione al pro­ blema dell'aspetto esteriore del sapiente quando aveva affer­ mato che « il sapiente si riconosce intuitivamente dai tratti del volto » , e aveva dato dei suggerimenti circa l'abbigliamento 33 Mentre A. MAYER, Aristonstudien, cit. , p. 562 e sgg., ritiene che la fonte dell'Amatorius sia Aristone di Chio, R. HIRZEL, Der Dialog, Leipzig 1895, vol. II, p. 233, n. l e F. WILHELM, Zu Achilles Tatius, « Rheinisches Museum », LVI I ( 1 902), p. 57, propendono per Aristone di Ceo. 34 Cfr. F. WEHRLI, Die Schule des Aristoteles, vol. VI, Base! 19682, p. 63 , il quale aggiunge anche che il paragone non si adatta all'asprezza cinica dello stile di Aristone di Chio e lo include al fr. 21 della raccolta dei frammenti di Aristone di Ceo. AI contrario L. Edelstein, nella ree. a F. WEHRLI, Die Schule des Aristoteles, voll. IV-VI, « American Journal of Philology », LXXVI ( 1955), p. 416, ritiene che il frammento sia stato incluso a torto tra i frammenti di Aristone di Ceo e debba essere resti­ tuito allo Stoico.

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e l'aspetto esteriore dei giovani 35 • Il paragone può essere quin­ di attribuito ad Aristone di Chio senza timore né che il suo stile contraddica l'asprezza cinica degli 0!-LOLW f.LCX'tcx, né che il suo contenuto sia in contrasto con l'atteggiamento degli altri Stoici. Comunque stia la questione riguardo all'Aristone citato nell'Amatorius di Plutarco, sta di fatto che non si può fare, sulla base dei frammenti pervenutici, una distinzione riguardo al problema dell'amore, tra Aristone come fautore dell'amore eterosessuale da un lato, e gli Stoici antichi come fautori del­ l'amore omosessuale dall'altro. È vero che nella Politeia di Zenone erano raccomandati i rapporti omosessuali, così come nei frammenti di Crisippo si dice che l'amore è uno slancio a stringere amicizia con i giovanetti belli e che Aristone nell'a­ neddoto su Arcesilao sembra preferire l'amore fra i due sessi 36• Tuttavia gli Stoici consideravano l'amore un àòL &.�opov e allo stesso modo consideravano la pederastia, che era una ma­ nifestazione di esso. D'altro canto abbiamo anche altri fram­ menti in cui gli Stoici esortavano il saggio a prendere moglie 37 • Si vede dunque come gli Stoici non avessero una posizione uni­ voca sulla condotta amorosa, per cui non si può concludere che essi erano fautori o avversari della pederastia o dell'amore eterosessuale, perché questa distinzione nell'amore non aveva per loro alcun significato 38• Anche a proposito di questo aned35 Cfr. Aetius, IV, 9, 17, DG p. 398 (fr. 204) e Clem. Alex. , paedag. I I I , 1 1 , 7 4 , p. 2 7 7 S. (fr. 246). 36 Cfr. a proposito di Zenone, DL, VII, 129 (fr. 248 ) e Plut., quaest. conv. III, 6, l p . 653 e ( fr. 252) ; si veda anche H. BALDRY, Zeno's Ideal State, « Journal of Hellenic Studics », LXXIX ( 1959 ), pp. 315. Per Crisippo, cfr. frr. 650-653 e fr. 716 SVF III. 37 Per l'amore come d:�tarpopov , cfr. fr. 717 SVF III, per la pede­ rastia come d: !ltarpopov , cfr. fr. 249 SVF l, per la posizione nei con­ fronti del matrimonio, cfr. fr. 270 SVF I, frr. 616 e 6 1 1 SVF III. 38 D. BABUT, Les Sto'iciens et l'amour, cit. , p . 62 : « On est ainsi amené à conclure que, qu'elle que soit l'époque à laquelle ils ont ap­ partenu les Stoi:ciens ne doivent jamais etre comptés parmi les partisans ou les adversaires de la pédérastie ou de l'amour entre les sexes, parce

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doto s u Arcesilao non può essere dimostrato n é un intento ma­ levolo da parte di Aristone, né una giustificazione filosofica dell'amore eterosessuale. Mi pare infatti che l'episodio rientri in quegli scherzi tra filosofi, di cui abbiamo molti esempi nella storia antica. Del resto anche la testimonianza di Eratostene presso Strabone lascia intendere che i rapporti tra Aristone e Arcesilao non dovevano essere cattivi, se pone l'accento sul fatto che entrambi i filosofi « vissero come mai sotto la stessa cerchia di mura e nella stessa città »39 • L ' INIMICIZIA CON C RIS IPPO

La testimonianza di Eratostene, il quale preferiva l'inse­ gnamento di Aristone a quello di Cleante, dal momento che per motivi cronologici si deve escludere che potesse ascoltare Zenone, conferma che la filosofia di Aristone godeva di un prestigio maggiore di quella di Cleante 40 • Ciò non ci autorizza a concludere, però, che tra Aristone e la scuola stoica si deter­ minasse una rottura, almeno per il periodo della direzione di Zenone e di Cleante. Molteplici elementi depongono a favore di questa tesi : Aristone non abbandonò l'insegnamento di Ze­ none prima della sua malattia, e andò ad insegnare nel Cino­ sarge probabilmente dopo la sua morte. Zenone lo chiamava HÀoç , ma questo giudizio trae origine piuttosto dalla diver­ sità di stile tra il maestro e il discepolo, che da una loro ini­ micizia 41 • Infatti mentre Zenone usava uno stile molto strinque cette distinction n'a jamais eu de signification essentielle dans leur pensée ». 39 Cfr. Strabo, l, 15 (fr. 338). " l!yévono ycip , (j)Y)OW, ro, ob8é7ton, x.cnck 'I:OÙ'I:0\1 'I:Ò\1 x.at�òv bc:p" h:�: 7tap(�oÀov x.at f1(av 7tÒÀW ol x.cn " • Ap(a'I:Cll \l a x.at • Apx.sa(Àaov V ZYj vwvoç, òoyf.Lchwv ò � liÀoyo� 1 3 • Arnim invece le considera due opere distinte. Tuttavia i Dialoghi potevano essere una sezione dell'opera Sulla dottrina di Zenone, così come le Lezioni. Anche i titoli di queste opere trovano riscontro nella produzione degli altri stoici 14 • llepl crocp (a.ç, ò � a.'tp��c.i>v ç' è un titolo che si addice ad Aristone, sia perché la diatriba è notoriamente un genere let­ terario proprio dei Cinici e degli Stoici 15, sia perché opere con questo titolo le ritroviamo in Zenone, Perseo, Cleante e Sfero 16 •

11 Cfr. F. WEHRLI, op. cit. , p. 50. 12 Cfr. fr. 481 : llspt �Yjç [�oli ] ZYjvwvoç tpuaLoÀoy(aç M o . 13 Cfr. N. SAAL, op. cit. , p. 14, seguito d a Krische, Susemihl, Dyroff. Recentemente la critica si è orientata a considerare due opere distinte Sulla dottrina di Zenone e i Dialoghi. Arnim, SVF I, pp. 75-76, avanza l'ipotesi che Dialoghi non sia stata scritta da Aristone, ma probabil­ mente dai suoi discepoli : « Scilicet colloquia fuerunt ab ipso Aristone cum discipulis habita » . 14 Sul significato e l'uso del termine axoÀa( , dr. N. FESTA, I fram­ menti, cit., vol. II, p. 3, n. 2 e. Lezioni scrissero Erillo, dr. fr. 422, Perseo, cfr. fr. 452 e 458, Sfera, cfr. fr. 620. 15 Mentre A. GERCKE, Ariston, « Archiv fiir Geschichte der Philoso­ phie », V ( 1 892), p. 216, sostiene che quest'opera llept ao::p(aç che egli intende diversa da i!\1 'Catç; éllotç; 'lt'Y)Àcp. 7tpÒç; obiJ àv yàp OùiJ' BXSt\10\1 XP'Ij:ILfL0\1 llna xa"Ca�ciÀÀ!L\1 "Cc;ùç; ��ll!çov;;aç;. 1 9 Epict., diss. I , 17, 10 ( fr. 48 ) : 'CÒ: ÀoyLxà [ . . . ) "Ciìiv ciÀÀwv l!o-c i. lltaXpL'CIXÒ: XaL l!7ttOX67t1:LXÒ: x a i. liJç; ci v 'Ctç; St'ltOI fL!'Cp'Yj'CLXÒ: x a i. O'Ca• 'CLXci . "C!ç; Hyst "Cali'Ca ; 1.16voç; Xpòot7t7toç; xai. Z'ljvwv x�i. KÀsciv&'Y);; ; ·A V'CLo&av'rjç; Il' cb HysL ;

IL CONCETTO DI FILOSOFIA

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deve essere la funzione di essa. In ogni caso, anche se non dobbiamo attribuire a Zenone, come invece hanno fatto alcuni studiosi, una scarsa valutazione della dialettica, certamente egli non le attribuiva la stessa importanza della fisica e del­ l'etica 20• Colui che svilupperà a fondo la logica stoica sarà Crisippo, come dimostra il numero delle sue opere logiche. Per Zenone la dialettica ha il compito di rendere inattaccabile il sistema, ma in quanto tale, essa ha una funzione ausiliaria. Infatti egli « raccomandava l'insegnamento della dialettica, come quella che mette in grado di scoprire e di confutare i sofìsmi » 2 1 • Per Aristone invece la dialettica è inu tile, prima di tutto perché non contribuisce al miglioramento etico deHa vita 22 • Inoltre richiede una grande fatica senza dare in cambio nes­ suna utilità. Paragonava infatti i dialettici ai mangiatori di gamberi che per poca polpa si affaticano intorno a molte ossa e le sottigliezze dialettiche alle tele dei ragni, che pur mostrando apparentemente un qualche cosa di artistico in

20 Cfr. A. PEARSON, The Fragments of Zeno and Cleanthes, London 1891, New York 1973 , p. 57 e sgg . ; K.H. RoLKE, Die bildhaften Ver­ gleiche, cit. , p. 166. Si veda anche E. WELLMANN, Die Philosophie des Stoikers Zeno, cit. , p. 445, il quale sostiene che Zenone deve aver con­ siderato la dialettica « mehr als Einleitung und Vorstufe zum System [ . . . ] als wesentlichen Bestandteil ». I l fatto che Zenone si sia occu­ pato poco di dialettica lo conferma Cic., de fin. I V, 9 (fr. 47) : de quibus (scil. de ratione disserendi) etsi a Chrysippo maxime est elabo­ ratum, tamen a Zenone minus multo quam ab antiqttis. Su questo ar­ gomento cfr. E. BRÉHIER, Chrysippe, cit. , p. 60 : « la dialectique stoicien­ ne est, comme l'on sait, une invention de Chrysippe ; non certes qu'on ne puisse lui trouver cles précurseurs ; mais cles deux premiers chefs de l'école, Zénon paralt s't�tre occupé presque uniquement, d'une part, de la question du critère de la vérité, d'autre part, cles questions attenantes à la rhétorique, comme la solution des sophismes » . Cfr. anche F.H. SANDBACH, The Stoics, cit. , p. 22 e A.A. LoNG, Dialectic and the Stoic Sage, in The Stoics, cit. , p. 105 . 21 Cfr. Plut., de stoic. rep. 8, 1034 e-f (frr. 78, 260, 50). 22 Cfr. Stob., ecl. I I , l, 24 (fr. 352 ) : fi. Yi 1tp6' � fLIX' �s -.&: lltctÀax-.tx/ Ilà\1 yà.p 1J i1L\I Écseo&ctt 'ltÀ€0'1, 'X.(oatv Of1o(wç; Àmc:tpoùç; 'ltE'ItOt�'X.Gtat 'X.Gti Àt,'l-(youç;. Seguo l'interpretazione di S . BRoc,

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alla critica all'educazione che si fonda sulla logica e a quella ginnica, altri elementi depongono a favore dell'attribuzione del passo ad Aristone. Per esempio, il paragone tra gli atleti e le statue di Hermes corrisponde allo stile di Aristone che si serviva di paragoni che restassero impressi nella mente del­ l'ascoltatore. In questo senso il paragone è particolarmente efficace, perché accostando un essere vivente alle statue inani­ mate, induce immediatamente l'idea della stupidità. Quest'ac­ costamento è avvalorato anche dall'aggettivo Àtn:a.p6� che si applica sia agli atleti che si ungono di olio prima e dopo ogni competizione e sia alle statue che la ycb wcrt� sul liscio del marmo fa brillare, rendendo legittimo il paragone. Inoltre non bisogna dimenticare che la polemica contro gli atleti è un tema tipico della filosofia cinica, con la quale Aristone aveva indubbi legami 48 • Ed ancora l'uso del paragone tra il dattero e la dialettica non solo si inserisce perfettamente nella colorita serie di O f.LOLWf.LIX'tiX sulla dialettica, che si traman­ dano sotto il suo nome, ma corrisponde altrettanto bene alla concezione dell'educazione che aveva Aristone. Infatti è fre­ quente tra gli Of.LOLWf.LIX'tiX la condanna della dolcezza e della piacevolezza nell'azione educativa , in quanto corruttrici. È necessario essere bruschi, motteggiare e sferzare i giovani, L'Hermès d'Hiéron à Delphes et le nom de l'Hermès en grec, « Revue cles Etudes Grecques », LXXVI ( 1963 ), p. 42 e sgg., il quale propone di tradurre il termine x(onç; con « statues-hermès », anziché con la traduzione più comune di « colonne », perché rende molto più effica­ cemente il paragone. Anche a proposito dell'aggettivo Àl&b•ouç;, c'è da richiamare la risposta di Aristippo in DL, Il, 72 (fr. 15 Mannebach). 48 Per la polemica di Diogene contro la stupidità degli atleti, cfr. DL, VI, 70 e 49 ; inoltre VI, 33, Stob., flor. III, 5, 39, Dio Chrysost. , VIII, 14-15 e passim, IX, 1 1-12 e passim; si cfr. anche Epict., diss. III, 22, 52 e 58; contro la parzialità dell'educazione ginnica, cfr. DL, VI, 30 e 3 1 . È significativo che anche Zenone nella Politeia sostenesse l 'abolizione dei ginnasi, cfr. DL, VII, 33 (fr. 267 ). Una violenta op­ posizione all'educazione ginnica esprime anche Sen., ep. 88, 1 8 : aeque luctatores et totam oleo ac luto constantem scientiam expello ex his studiis liberalibus.

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perché soltanto in questo modo diventeranno uom1m utili 49 . Come per quelli ammalati alla milza le cose dolci sono nocive, mentre giovano quelle amare, cosi con coloro a cui si vuole giovare, bisogna essere, se necessario, crudeli e sferzarli so . Non soltanto nell'azione educativa l'amabilità e la dolcezza sono dannose, ma anche nel giovane è un tratto negativo l'aspetto allegro, faceto e piacevole al volgo : « infatti il vino diviene buono quando da giovane sembra aspro e brusco, non sopporta il tempo quello che piaceva nella botte » 5 1 • Il paragone quindi tra la dialettica e il dattero, giusti­ ficato perché entrambi sono dolci, suggerisce immediatamente il rifiuto di questa disciplina. In questa tematica si colloca anche la critica che Aristone rivolge ai giovani usciti da poco dalle scuole dei filosofi, perché come i cani appena comprati non sanno distinguere tra gli amici e i nemici e abbaiano indi­ stintamente a tutti, cosi anche questi hanno da ridire su tutti a cominciare dai loro genitori 52 • Aristone vuole colpire ancora 49 Stob. , ecl. I I , 3 1 , 83 (fr. 387 ) : ' Ex -,;wv Ap(a-,;rovo� ' O (.Lotro• (.Lci"tW\1. Tò XÒf1LV0\11 q>«.a(1 �et a7t6Lp6tv �Àcx.aq>'Y) J.l.O!l\l"l:a�, oi)-,;w yètp xaÀòv q>usa&cx.t xcx.i -,;où� véou� XP'ÌJ 7tatlls6sw �m a xcim-,;ov-,;a� , o&-,;w j èt p XP 1) 0t (.LO L aaO\I"tÉÀL!1CII: 1 "tèt �à jÀUXÉCII: •





•• 5 1 Sen., ep. 36, 3 ( fr. 388 ) : Ariston aiebat malte (se) adule­

�Àa:�spci

scentem tristem quam hilarem et amabilem turbae. vinum enim bonum fieri, quod recens durum et asperum visum est; non pati aetatem, quod in dolio placuit. Probabilmente tutta l'Epistola 36 è influenzata dal pen­ siero di Aristone di Chio. Infatti Seneca poco prima paragona la feli­ cità all'effetto del vino che si realizza diversamente nei diversi uomini. Questo richiama un altro OJ.l.OLroJ.La: di Aristone in Stob., fior. IV, 31 d, 1 10 ( fr. 397). Su questo argomento, cfr. K.H. Rourn, Die bildhaften Vergleiche, cit. , p. 156. 52 Stob., fior. IV, 25, 44 (fr. 386 ) : ' Ex "tW"' Ap( a-,;rovo� ' O J.Lotro­ J.l.ti:tro"' . Ot lip-,;t i!x q> t Àoao q> La:� , mina:� ! Hrxons� xa:i èt1tò -,;wv jO"'S(l)"' ètpX O J.l. S"' O L . 7tciaxo uat"' cmep xa:l ot "1 6W \I "Ij "t O L XU"'e�, o'i o� J.l.O"'O"' "tOÙ� liÀÀou ; na:x-,;o!lat"', ètÀÀèt xaì. "tOÙ� B"'�0\1 Per l'interpretazione •



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una volta l'educazione impartita 1111elle scuole filosofiche del tempo, la quale fondandosi sulla dialettica, finisce per indurre il giovane ad applicare il suo sapere formale e le argomenta­ zioni capziose a qualunque cosa, privandolo di ogni senso di responsabilità. L'educazione filosofica invece non si deve basare sulle parole, ma sull'applicazione pratica dei principi, che bisogna avere sempre presenti 53 • È questo il motivo per cui Aristone rifiuta l'identificazione del filosofo con il pedagogo dell'uma­ nità : perché la funzione del pedagogo in quel periodo era quella di impartire precetti e suggerimenti, che poi di fatto egli stesso non traduceva nella pratica con il suo esempio. Il pedagogo, la nutrice, la nonna danno continui suggerimenti ai bamb1ni : il maestro in preda all'ira, disserta che non biso­ gna arrabbiarsi. « Se tu entri in una scuola elementare, sa­ prai che questi principi che i :filosofi esprimono con iattanza, si trovano nei modelli che si danno da copiare agli scolaret­ ti » 54 • Inoltre non bisogna dimenticare che la critica a questo tipo di filosofi ciarlatani era ricorrente nella tradizione popo­ lare, a cui Aristone amava ricollegarsi . Nelle Epistole di Se-

di questo passo, cfr. quanto dice K.H. Roure, Die bildhaften Ver­ gleiche, cit., p. 401 . 53 L'antitesi À6yo�:-8pyov è u n tema ricorrente nella tradizione cinica. Si consideri per Antistene DL, VI, 1 1 , (fr. 70 Caizzi) e Aiax l e 7 (fr. 14 Caizzi ) ; per Diogene, Stob., fior. IV, 32 a, 1 1 . Questo tema si ritrova anche negli Stoici antichi, cfr. Cleante in Stob., ecl. I I , 2, 16 ( fr. 608 ) . Anche Zenone, distinguendo i suoi discepoli in q>LÀ6Àoyo L e Àoy6cpLÀoL 1 sosteneva lo stesso principio, cfr. Stob., fior. III, 36, 26 (fr. 300). Si cfr. anche DL, VII, 20 (fr. 327 ) : 'tOÙI: 'ltOÀÀà floÈV ÀI1ÀO!lV'tl11:1 t%Mvl1't11 M , e Musonius, fr. I, p. 7 H. 54 Ep. 94, 9: ista enim qui diligentissime monent, ipsi facere non possunt. haec paedagogus puero, haec avia nepoti praecipit, et irascen­ dum non esse magister iracundissimus disputa!. si ludum litterarium in­ traveris, scies ista, quae ingenti supercilio philosophi iactant in puerili esse praescripto. La frase « supercilia subducere » allude ad un atteg­ giamento tipico di questi pseudofilosofi, come fa notare G. ScARPAT, La lettera 65 di Seneca, Brescia 1965, p. 173, n. 2.

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neca è frequente la descrizione di questi pseudofilosofi che, con atteggiamento severo, dissertano su quello che bisogna fare, senza metterlo in pratica. Epitteto mette in luce l'opera diseducativa della nutrice, la quale, di fronte al bambino che inciampa, picchia il sasso, cosi come .il pedagogo, di fronte all'impazienza del bambino di mangiare, castiga il cuoco 55 • Il valore dell'esempio ha infatti un ruolo determinante nel tra­ durre nella pratica i principi della filosofia, perché attraverso l'esempio si realizza l'unificazione della teoria e della prassi del Myoç e del �!oç . Per questo bisogna combattere chi, con un comportamento discorde, distrugge le basi etiche del­ l'azione. E Aristone vede nella figura del pedagogo tradizio­ nale colui che non sa adempiere al compito di educare l'uomo alla virtù, proprio perché viene meno alla sua principale fun­ zione, che è quella di porsi come modello . !L VALORE DELL 'ESERCIZIO

Ma oltre a questo motivo che si inserisce più in generale nella critica che Aristone rivolge alla cultura e alla educa­ zione dell'epoca, e quindi anche alla figura del pedagogo che non sa tradurre nell'azione i principi, un altro motivo con­ corre nel determinare il rifiuto del punto di vista stoico e cinico che l'umanità abbia bisogno di un pedagogo per rag­ giungere la virtù. Per Aristone chiunque può raggiungere la virtù, purché segua il principio di vivere indifferentemente verso tutto ciò che non sia la virtù o il vizio, perché la virtù si acquista e si realizza attraverso un esercizio costante e la continua meditazione dei principi fondamentali della dottrina. 55 Per Seneca, cfr. ep. 1 13, 26. Si noti anche come Cic., Hortensius, fr. 37 Grilli : praecipiunt haec isti, sed facit nemo, esprima non solo lo stesso concetto dell'ep. 94, ma usi anche le stesse parole. Per Epitteto, cfr. diss. III, 19, 4-5. Non è privo di significato il fatto che Seneca, ep. 88, 2, colleghi le arti liberali con i professores turpissimi ac flagitio­ sissimi.

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Infatti una volta conosciuti i pl'incipi, bisogna continuamente applicarli alla pratica, e questo riguarda tutti, senza che si debba ricorrere al pedagogo 56 • Pertanto l'educazione deve es­ sere sia teoretica che pratica : « la filosofia infatti si divide in queste due parti, la scienza e la disposizione dell'animo. Colui che ha imparato e si è istruito sulle cose da fare e da evitare non è ancora sapiente, se il suo animo non si è tra­ sformato in quelle cose che ha imparato » 57 • Non basta quindi l 'istruzione teorica, ma ci vuole la pratica costante della dot­ trina, la quale presuppone uno sforzo e un impegno personale da parte di ciascuno di noi. Questo non significa, come ab­ biamo visto, che Aristone ritenga che l'educazione non sia necessaria. Anzi egli designa il saggio con il termine m7trx.�­ ÒW(.LÉVoç;, accanto a quelli più comuni nella Stoa di aorp6ç e a1touòcxtoç , e nell' Epistola 94 con i termini eruditus, sciens, che sottolineano l'importanza dell'educazione nell'acquisizione della virtù 58 • Ma come nel caso dell'arciere, l'abilità di col­ pire proviene ex disciplina et exercitatione, cosl la virtù può essere raggiunta da tutti, purché si sottopongano a questa disciplina. Aristone, negando un valore alle cose intermedie tra la virtù e il vizio, e quindi non ammettendo che la na­ tura possa fornire una norma di comportamento, deve am­ mettere la possibilità per chiunque di sapersi regolare secondo il giudizio della ragione in ogni circostanza. Egli quindi do­ vrebbe sostenere, almeno in teoria, la possibilità per tutti gli

56 Il richiamo all'applicazione pratica della dottrina è frequente in Musonio Rufo, dr. fr. III, p. 12, 1 1-15 H., fr. IV, p. 19, 12-14 H. e fr. XI, pp. 60, 18-61, 2 H. 57 Ep. 94, 48. 58 Il termine 7t57tcxtlleufll!vo, è documentato per Aristone in Stob., ecl. II, 3 1 , 95 (fr. 396). Il suo uso è più frequente nel Cinismo che nella Stoa. D. TsEKOURAKIS , Studies in the Terminology, cit. , p. 133, fa rilevare come il termine 7t57tcxtlleuf.Ll!vo, sia raro nella Stoa : « Its rare occurrence, however, is no reason to doubt if it was used by the Stoics to represent the sage, because education, and especially that kind of education which helped moral progress, was of primary im­ portance in the Stoa ».

L 'ETICA

117

uomini d i raggiungere la virtù. È molto probabile infatti che egli ritenesse che un certo numero di uomini fossero saggi. In questo senso può essere interpretato uno degli Ot-LOtW!-LO:.'tet, riportato da Stobeo sotto il nome di Aristone: « molti uomi­ ni, diventati saggi da vecchi, sono attaccati alla vita . E infatti come gli uom1ni che si sono sposati tardi, sono attaccati alla vita per potere allevare i propri figli, così anche quelli, giunti tardi all'acquisto della virtù, desiderano poterla esercitare » 59 • Alcuni critici hanno contestato l'attribuzione di questo passo ad Aristone, sulla base del fatto che la virtù per uno Stoico non può né diminuire, né crescere, e quindi Aristone non po­ teva sostenere che un saggio volesse veder crescere la propria virtù 60• Ma ciò che Aristone vuole mettere in rilievo mediante il paragone tra gli uomini diventati saggi da vecchi e quelli sposati tardi, non è il concetto del progresso della virtù, ma quello dell'esercizio di essa. Del resto questa interpretazione del passo si accorda molto bene con la filosofia di Aristone, nella quale l'esercizio occupa un grande rilievo 61 . Nello stesso 59 Stob., fior. IV, 52 a, 18 (fr. 399) : ' E� 'tiì\v • Apia'twvo, ' O fLot· W fLci.'t(l) \1 , fioÀÀOÌ OOI:pOÌ '('l)pGtLOÌ l:pLÌ,O�WOIJ OL. l\GtÌ j&p c;l llq>s ·pj fLGt\1• u, cpLÀO�WOUOL\1 tv b�pÉq>WaL 't& 'tÉXVct1 �GtÌ OÙ'tOL òq>s &p!'trj' 47t"/j • �oÀoL yev6:1avot icpianctt ctù't'ljv b�pàq>ctL . L'espressione 7toÀÀot aocpo ! fa pensare che Aristone ammettesse un certo numero di uomini saggi. Ne sarebbe una conferma il fatto che egli stesso si riteneva saggio, da quanto si desume da DL, VII, 162 (fr. 347 ) ; dr. a questo proposito l'inter­ pretazione di R. HIRZEL, Untersuchungen, cit. , vol. II, p. 275. 60 Cfr. A. GERCKE, Ariston, cit. , p. 204, le cui motivazioni sono condivise da \YJ. KNoGEL, Der Peripatetiker Ariston, cit. , p. 92, da L. ALFONSI, Su Aristone di Ceo, cit. , p. 366, da K. MRAS, Ariston von Keos, cit., p. 92. Tutti questi studiosi interpretano l'espressione ctfl't'ljv (se. &pniJv) l!��paq>ctt, nel senso di far crescere, far progredire la virtù. Ma come i genitori vecchi vogliono allevare i loro figli, c1oe vogliono educarli, così i saggi vecchi vogliono allevare la virtù, cioè eserci t aria. 61 A favore dell'attribuzione dell' OfLOiWfLGt ad Aristone di Chio, sono A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 201 , n. l , il quale esclude che l' OfLO!WfLGt abbia lo stesso significato del passo di Cic., Cato Maio r , 7, 24 attri­ buito ad Aristone di Ceo : « Das Gleichnis und der Gcdanke an die •

1 18

ARI STONE DI CHIO E LO STOICI SMO ANTICO

tempo la posizione di Aristone è conforme a quella degli altri Stoici riguardo alla realizzazione dell'ideale del saggio. Anche Cleante, per esempio, condivideva l'opinione che l'uomo giunge tardi e verso la fine della vita al possesso della virtù 62 • L ' IDEALE DEL SAGGIO

Gli Stoici, in teoria, sostenevano che tutti potevano rag­ giungere la virtù, ma di fatto ritenevano la saggezza un ideale difficilmente raggiungibile; Jl saggio è più raro dell'araba fenice 63 • Egli si pone al di sopra dell'umanità come modello e come guida : egli deve educare gli uomini 64 • In questo gli Stoici si ricollegavano ai Cinici, i quali vedev:mo nel saggio il 7t�tò�ywyb�-lipxwv . Il saggio è colui che, sapendo lipxet v ��u'tou, è in grado di lipxetv civ{)-pumwv , e quindi ha l'auto­ rità di presentarsi come modello agli uomini e di educarli 65 • spaten Weisen sprechen mehr fiir den Chier als fiir den Koer, a n dessen Tithonos zunachst zu denken ware », e K.H. ROLKE, Die bildhaften Vergleiche, cit. , p. 132, le cui motivazioni non colgono nel segno, quando sostiene che Aristone ha voluto dare una risposta alla domanda se il saggio deve essere attaccato alla vita, legittimando attraverso il parago­ ne il desiderio della vita dei saggi, ma sono più convincenti, quando si sofferma a considerare la costruzione stilistica che è tipica di Aristone di Chio. 62 Cfr. Sextus, adv. matb. IX, 90 (fr. 529). 63 Alexander Aphrod., de fato, 28, p . 199, 7 Bruns (fr. 658 SVF III ) : ,;w v M civ&pÀ1jacot . Per quanto riguarda la pedagogia di Seniade e l'antitesi lloll ì.. o ,·apxwv , cfr. R. HorsTAD, Cynic Hero, cit. , p . 123 e sgg. e p. 176 e sgg., il quale sostiene che l'ironizzazione del tema lloilÀo,.apxwv in Philo, quod omn. prob. lib. sit, 124, p. 36,2 e in Clem. Alex., paedag. III, 3, 16, p. 245 S., che dipendono probabilmente da Bione di Boristene, è indice del fatto che questo tema era trattato nel Cinismo antico. 67 DL, VII, 121 (fr. 355 SVF III); cfr. anche Stob., ecl. II, 7, 11 g, p. 101, 14 (fr. 593 SVF III). . 68 Cfr. Zenone in Cic., de fin. IV, 56 (fr. 232), il quale, pur am­ mettendo che tra Platone e il tiranno Dionisio ci sia molta differenza, nega che Platone fosse saggio. Per Cleante, cfr. Stob., ecl. II, 7, 5 b, p. 65, 7 (fr. 566) e frr. 559 e 529 .

120

ARI STONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

canto suo riteneva che né egli stesso, né alcuno dei suoi disce­ poli o dei suoi maestri fosse saggio, o che tutt'al più esistevano uno o due saggi . Cionondimeno dichiarava che gli uomini sono attratti soltanto dal bene morale, poiché hanno fin dalla na­ scita una propensione alla virtù 69 • Su questo punto tutti gli Stoici antichi concordavano. Zenone e Cleante sostenevano che la natura ci guida alla virtù , ma non ci dà la virtù fin dalla nascita, né la virtù sopraggiunge naturalmente come alcune parti del corpo. Infatti

se

cosl fosse, non ci sarebbe più motivo né

di biasimo, né di lode : in breve sarebbe eliminata la possibilità

di agire moralmente 70 •

L' Ercpuou,, hL aÈ af>ysvou, ol !lilv 1:tùv h 1:1)' ctlp!aaw, i'lt1jVéX�1/oGtv !re� 1:Ò À.Éyi!LV 'lt6.11'1:Cit OOCf'ÒV '1:0LOU'1:0V !t11GtL 1 ol a• o&. ol !-LÈV yd\p otov'l:GtL of> fLÒvov af>cpuat, yCyno�GtL 'ltpò' &ps1:�11 b cpòoaw,, &ÀÀIX lta.( '1:L11 Gt ' b ltCit'l:CitOlt!U'i),, xa.t 1:Ò !11 1:Gtt' 'ltGtpOLf1(GtL' ÀSYÒf!-!11011 '1:0U'1:0 &1taM�a.v1:o f11!Àh1j xpono�stc' et, cpòcnv lta.�(cna.'l:a.L , 1:6 a · Of10L011 lt a. � 'lt!pt suyeve(ct' u'ltÉÀct�ov, iò o u sucputa.v p.Èv e!va. ltOLVtù' !!�w �x cpòoew, 'Ì) !x Xct'l:a.oxaui)' otxa(Gtv 'ltpò' &ps1:'1jv , 'Ì) S�LV XGt�· YÌV I!ÙGt116.À1j'lt1:0L à.pni), ata( '1:L11!' ' '1:'�11 a • etJyévi!LCit11 !!�w !x yhou, -ì) !!x ltct'l:a.axeui)' otxa(ctv 'ltpò' &pn'lj v . 73 D i questo parere sono A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 202 e D. TsEKOURAKIS, Studies in the Terminology, cit., p. 134. 14 Sappiamo che Cleante aveva scritto un'opera intitolata Ilap� af>cputa.,.

122

ARI STONE DI CHIO E LO STOICI SMO ANTICO

�ÙtJutcx . Gli Stoici ritenevano che fosse una soltanto la �ÙtJutcx dell'anima, ma ritenevano molteplici le virtù . Aristone ribatte che se è una la �ÙtJutcx dell'anima, è anche unica la virtù . In breve

tra gli Stoici e Aristone, proprio riguardo alla

si tratta della polemica sull'unità e molteplicità delle virtù che si è svolta all'interno della Stoa tra Aristone e Crisippo, e di cui abbiamo notizie attraverso Galeno . Soltanto che l 'Ano­

Commento al Teeteto ci presenta il concetto dell'unità

nimo del

della virtù sotto l'aspetto nuovo della connessione della virtù

�ùcputcx dell'anima 75 Poiché sappiamo che Crisippo

con la



ha polemizzato con Aristone riguardo al problema dell'unità e

della molteplicità della virtù, il dibattito ha investito anche

il concetto di �ùcputcx . Si può quindi identificare chi sono quegli Stoici a cui appartiene la definizione di

�ùcputcx, riportata da

Stobeo. Croenert ha proposto l'identificazione con Crisippo, sulla base di un confronto con un frammento di Crisippo,

Papiro 1038 Il� p l 7tpovo!cxç , in cui si trova l'espres­ �ùcxvcx.À1)7t'tWç lx�w 7tp6ç 't� , che ricalca quella �ùcxvci­ À l)7t'to� àp�'t7'jç �la( 't� v �ç nella definizione di �ùcputcx di Stobeo 76 Dal canto suo Dyroff ancora prima l 'aveva attribuita tratto dal

sione



75 Anonymus, comm. in Theaet. col. XI, 12-40 (Papyrus 9782, bear­ beitet von H. Diels und W. Schubart, Berlin 1905, p. 9, non ripor­ tato negli SVF) : xa:,;à. J-IÈY oùv ,;oùç 'lta:Àa:to6ç, i'ltsl 'ltOÀÀa:l a:l à.pna:l x.a:l xa:-.à. [[ ba:a,;a: ] J bcia•lJ" Jl!a: sb; à�Cu.ç XU.L "tÙlV 7tpV XCÙ "t�V 7t€pL cXpS'tÙlV l!v -c'i)ç "ltEpL "ltu.&wv òp&wç � �u.axécjiewç � p tija&u.t ; dr. anche Gal., de H. et Plat. decr. IV, 42 1, p. 396, 15-397, 8 M. (fr. 150 Edelstein-Kidd) . Sulla divisione dell'etica di Posidonio, cfr. M. LAFFRANQUE, Poseidonios d'Apamée. (Essai de mise au point). Thèse d'Etat, Paris 1964, p. 466 e sgg . ; A. DIHLE, Der Kanon der zwei Tugenden, Koln 1968, p. 25 e sgg. •

L 'ETICA

1 35

bilmente la divisione risale a Crisippo

100



Un'analisi gramma­

ticale attenta del passo di Diogene Laerzio aveva permesso

a

Zeller di individuare tre sezioni pricipali dell'etica, sulla base del fatto che le prime tre divisioni erano precedute dal­

'tÒ V (se. 't01tOV ) , e cioè 1tepl 6p f1l) ç, 1tepl &ya:&iì>v xa:l xa:xiì>v, 1tepl 1ta:&iì>v , e sei senza articolo, le quali sareb­ l 'articolo

bero sottospecie delle prime tre . Le prime tre sezioni quindi rappresentano gli

argomenti fondamentali

dell'etica, a cui

possono essere ricondotti tutti gli altri. Probabilmente questi argomenti erano già stati individuati da Zenone e da Cleante

101



Per quanto riguarda le altre sezioni, due cose sono degne di rilievo :

l ) che nella ò� a:!pea�ç; non compaiano i termini 't!X 1tpOl)"( f1ÉVa:, 't !X xa:'t!X t�ua� v , cioè che manchi del tutto la sfera delle cose e delle azioni intermedie. Né si può consi­ derare che il termine

xa:&Yjxov si riferisca alle azioni medie,

perché in questo caso mancherebbe nella divisione dell'etica l 'azione retta ; abbiamo infatti visto come il

xa:&Yjxov com­

prendesse, nell'accezione zenoniana, anche l'azione retta;

2 ) che in questa

ò � a:! pea�ç

manchi una sezione de­

dicata all'etica pratica, dal momento che il

't01t oç 1tpo'tpo1t iì>V

100 Di questo parere sono la maggior parte degli studiosi, tra cui E. ZELLER, Die Philosophie der Griechen, cit. , III, l, pp. 280-281 : « auch in der von Diogenes berichteten Einteilung der Ethik, welche er selbst auf Chrysippus zuri.ickfi.ihrt [ . . . ] »; L. EDELSTEIN, The Philoso­ phical System of Posidonius, « American Journal of Philology », LVII ( 1936), p. 305 : « It is customary only since the time of Chrysippus » ; A. DIHLE, Posidonius System, cit. , p. 5 6 , n. 34. 1 0 1 Cfr. E. ZELLER, Die Philosophie der Griechen, cit. , III, l, p. 210 e n. l. Una conferma che la divisione riportata da Diogene Laer­ zio appartiene allo Stoicismo antico, ci viene dal fatto che i testi dos­ sografici relativi all'etica stoica, e in primo luogo lo stesso Diogene Laerzio, seguano un altro ordinamento, comune a tutti, che è quello della ll �ct!peo�ç di Eudoro, dr. M. GrusTA, I dossografi, cit. , vol. II, p. 540 e sgg. Non è pertanto giustificato il tentativo di A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 4, di operare qualche spostamento nell'ordine, in modo da ricondurre più agevolmente alle tre sezioni principali le al­ tre sei .

ARI STONE D I CHIO E L O STOICI SMO ANTICO

136

x�t &1to'tpo1tli>V non può considerarsi una sezione non dogma­ tica indipendente 102 • Infatti le 1tpo'tpo't�! e le &1to'tp01t�! riguardano la descrizione del comportamento del saggio, ma non si identificano con la precettistica. La differenza consiste nel fatto che mentre i precetti indicano un comportamento preciso da seguire se si vuole essere virtuosi, le esortazioni e le dissuasioni invece descrivono un modello ideale di vita e ripudiano il suo contrario 103 • Inoltre mentre i precetti si rivolgono a singoli aspetti della vita umana, l'esortazione guarda l'uomo nel suo complesso . Questo è il motivo per

cui Aristone accettava l'esortazione alla virtù, e respingeva i precetti . Infatti deve essere inteso in questo senso il passo di Sesto Empirico, il quale ci informa che Aristone sosteneva

&pxet v ÒÈ 1tpò� 'tÒ (-I.�X�p!w� �tli>v�t 'tÒV olxetoOV't� (-I.ÈV 1tpò� &pe'tlj V Myo v, &1t�ÀÀo'tptou v't� òà x�x!�ç, x�'t�'tpÉ­ xov't� ÒÈ 'tWV (-I.E't�çù 't01hwv. Una conferma che Ari­ stone si serviva del 1tpo'tpE1t'tt'X.O� ci viene dall'Epistola 94 di Seneca e da un passo di Plutarco che attribuisce ad Ari­ stone

Àoyot x t V'Yj'ttxot 1tpòç &p e'ti) v 104 •

Del resto anche la tradizione socratico-cinica a cui Ari­ stone si ricollegava, aveva coltivato la protreptica . Senofonte nei

Memorabili ci parla della protreptica di Socrate e ci dice

come egli fosse estremamente capace di condurre gli uommt alla virtù . Zenone nei

Kpif't'Yj'tO� &1to(-I.V'YJ (-I.O V EU (-I.�'t� raccon­ Pro­

tava che Cratete nella bottega del calzolaio leggeva il

treptico di Aristotele; e gli stessi Stoici avevano coltivato con molto interesse questo genere, come ci dimostrano le

102 Cfr. A. DrHLE , Posidonius System, cit. , p. 50, n. 4. 103 Questa distinzione è bene esemplificata da Sen., ep. 95, 66 : haec res eandem vim habet quam praecipere; nam qui praecipit, dicit : « illa facies, si voles temperans esse », qui describit, ait : « temperans est, qui illa faciet, qui illis abstinet ». Quaeris quid intersit? alter praecepta virtutis dat, alter exemplar. 104 Per tutto questo, cfr. quanto è detto alla p . 41 e sgg.

L 'ETICA

137

loro numerose opere protreptiche 105 • Non a caso infatti la descrizione del comportamento del saggio, che faceva parte della n;po'tpon;� , era di sostegno alla trattazione della virtù , perché forniva all'uomo l 'esempio da seguire. La discussione sul problema « se il saggio si ubbriacherà » , a cui aveva preso parte lo stesso Zenone, indica che le n;po'tpomx.r avevano un certo rilievo nella Stoa fin dalle origini Hl6. Se è vero che la descrizione del saggio nella formula « il saggio è » si trasforma ben presto nella formula « il saggio sarà e farà » , tuttavia non si può identificare con la precettistica che Aristone com­ batte nell'Epistola 94. Infatti il saggio non ha bisogno né di sanzioni né di prescrizioni, ma la sua azione, in quanto rappresenta la realizzazione pratica della virtù, costituisce un esempio per gli uomini. l IIPOKOIITONTEl:

Bisogna aggiungere inoltre che una sezione sulla precetti­ stica nella divisione dell'etica non era giustificata, dal mo­ mento che lo Stoicismo antico prendeva in considerazione sol­ tanto due classi di uomini, i saggi e gli stolti 107 • Infatti i 105 Cfr. Xenoph., mem. I , 4, l ; Tel. apud Stob., flor. IV, 32 a, 21 (fr. 273 ). 106 Per Zenone, dr. Sen., ep. 83 , 9 ; Philo, de plantatione Noe 1 7 6, p. 169, 9 (fr. 229 ) ; per Cleante e Crisippo, cfr. DL, VII, 127 (fr. 568 SVF I e fr. 237 SVF III ) ; per Crisippo, cfr. Philo, de plan­ tatione Noe, 142, p. 161, 18 (fr. 712 SVF III ). Su questo argomento, dr. H. voN ARNIM, Quellenstudien zu Philo von Alexandria, « Philo­ logische Untersuchungen », Heft 1 1 , Berlin 1888, p. 101 e sgg. dpsaxet ycip >ljl n 107 Stob., ecl. II, 7, 1 1 g, p. 99, 3 (fr. 216): Zljvwn X!XÌ. -cot' l1t' !X6-cou 1:-cw txot, c:ptÀoa6c:pot' Mo ysv'l) -cwv dv­ &pumwv e!v!Xt, "CO floSV "CWV 01tOUe!XCwv, "CÒ es "CWV c:p!XUÀ W V. E. WELLMANN, Die Philosophie des Stoikers Zeno, cit. , p. 462, ritiene improbabile che Zenone abbia elaborato una dottrina dei progredienti. Si dr. anche A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 198 e sgg. Al contrario M. PoH LENZ, La Stoa, cit. , vol. I, p. 3 1 1 , ritiene che Zenone si fosse occupato della 1tpoxo1tlj . Dello stesso parere è I. Kmn, Stoic Intermediates, cit. , p. 165.

138

ARI STONE D I CHIO E L O STOICISMO ANTICO

7tpoxo7t'tO\I'tEÒa!t �1)v, onep tni xcx't " !Xpnij" �1Jv liyet yàp npll�: 't (I(U't'Y)V 'fj flal: ij cpuat�:. 4 Stob., ecl. II , 7, 6 a , p . 76, 3 (fr. 552 SVF 1). s Anche J.M. RIST, Zeno and Stoic Consistency, « Phronesis » , ,



·

1 44

ARI STONE DI CHIO E LO S TOICISMO ANTICO

quella original'ia, mette in luce che il fine dell'uomo è di non essere in contraddizione con se stesso, e quindi pone l'accordo all'interno dell'uomo stesso, la seconda affermando XXII ( 1 977), p. 170 e sgg., sostiene che non c'è ragione di mettere in dubbio che entrambe le formule attribuite a Zenone da Stobeo e da Diogene Laerzio gli appartengano, ma ne dà un'interpretazione diversa. La prima formulazione del fine 6fLoÀoyoufL8�w, �Yj� significherebbe vi­ vere « non convenzionalmente », con un chiaro riferimento all'opposi­ zione VO fLO,·cpbat,, presente nel Cinismo, dal quale Zenone aveva preso le mosse, ma senza alcun riferimento alla natura, la quale avrebbe im­ plicato da parte del saggio una qualche conoscenza delle leggi della fisica. In un secondo momento Zenone si sarebbe allontanato dal Cini­ smo originario e si sarebbe trovato dinanzi al problema di spiegare in che cosa consistesse la coerenza della ragione, a cui egli avrebbe risposto « consistent with the natura! behaviour to which our first impulses guide us » (p. 170). Pertanto la formula attribuita a Zenone da Dio· gene Laerzio sarebbe legittima a maggior ragione, secondo Rist, il quale ritiene che « to talk of consistency alone is to approach ethics in the way of a formalist: and no ancient theorist is a formalist » (p. 171 ). Tuttavia il problema se l'aggiunta -ç'i'J cpuaet nella formula del fine risalga a Zenone, ha diviso la critica. Del parere che quest'aggiunta si debba a Zenone, sono A.C. PEARSON, The Fragments of Zeno and Cleanthes, cit. , p. 14 e p. 163, il quale ritiene che Diogene Laerzio è più attendi­ bile, perché cita l'opera da cui è tratta la formula del fine ; cosi E. WELL· MANN, Die Philosophie des Stoikers Zeno, cit. , p. 446-448 ; E. BRÉHIER, Chrysippe, cit. , p. 220, il quale trova inconciliabile la formula riportata da Stobeo con Cic., de fin. IV, 14 (fr. 13 SVF III), in cui Cicerone collega direttamente la formula del telos di Zenone con quella di Pole­ mone suo maestro. Del parere che l'aggiunta invece risalga ai successori di Zenone sono R. HI RZE L, Untersuchungen, cit., vol. II, pp . 105-1 12, il quale avanza l'ipotesi che sia stato Crisippo ad aggiungere -ç'i'J cpual!t ritenendo con ciò che la formula di Zenone non veniva distorta, mentre la sua veniva approvata; M. PoHLENZ, Zenon und Chrysipp, « Nachrichten der Gesellschaft der Wissenschaften zu GOttingen », I ( 1938), p. 200 e La Stoa, cit., vol. I, p. 236, n. 14, il quale sostiene che la definizione di àpn7) come a tci.&eat' 6 J.LoÀoyou fLBY'IJ in DL, VII, 89 conferma che l'aggiunta si debba ai successori di Zenone; J.B. GouLD, The Philosophy, cit. , p. 1 63 ; A.A. LoNG, Carneades and the Stoic telos, « Phronesis », XII ( 1 967 ), p. 61 e nn. 7 e 8; K. VON FRITZ, s.v. Zenon, RE, cit., coli. 1 121 13 . A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 29 e sgg., ritiene che già formal­ mente Zenone avesse espresso la formula con l'aggiunta -çfi cpual!t, ma

LA DOTTRINA DEL FINE

145

che quest'accordo deve essere con la natura, lo pone in un fattore esterno all'uomo. Questa differenza di significato tra le due formule emergerà con maggiore evidenza in seguito all'approfondimento del concetto di natura a cui giungeranno i successori di Zenone. Se Aristone quindi poteva condivi· dere la prima formulazione del fine data da Zenone con l' O tJ.OÀoyou tJ.ÉVw� çfj v, in quanto esprimeva la coerenza in­ terna del soggetto con il proprio logos, non poteva condivi­ dere la seconda, poiché non accettava re implicazioni del XIX't!X ':flUO L v çYj v . Per Aristone « naturale » era soltanto la virtù. Infatti Aristone non respingeva il concetto di natura, né quello di vita conforme a natura, fino a che essa si iden­ tificava con la vita secondo ragione e con la vita secondo virtù . Prova ne è che nell'Epistola 94 di Seneca egli sostiene che è felice quella vita che non è condotta secondo il piacere, ma secondo natura, per la quale l'unico bene è la virtù e l'unico male è il vizio, mentre tutte le altre cose, ricchezze, onori, buona salute, forza, potere, sono cose indifferenti che non devono essere considerate né beni, né mali . E se si osserva attentamente, si vede come l'Epistola 94 esprima con altre pa­ role la formula del fine di Aristone, solo che nella formula del fine Aristone evita di introdurre il concetto di natura, perché ormai si era caricato di significati che egli non poteva accettare 6 • Del resto anche Zenone originariamente aveva inteso il fine come coerenza dell'uomo con il proprio logos, mante­ nendosi fedele al principio socratico che ognuno agisce in base ad una propria convinzione di ciò che ritiene bene, e chi conosce il bene non può entrare in contraddizione con se stesso. Già Platone nel Gorgia aveva definito la virtù come ordine e armonia risultante da una giusta proporzione, che essa mutò sostanzialmente di significato nell'interpretazione dei suoi successori. Al contrario E. ZELLER, op. cit., III, l, p. 215, n. l , è indeciso s e l'aggiunta s i debba a Zenone o ai suoi seguaci; così anche H. VON ARNIM s. v. Kleanthes, RE, XI, l ( 192 1 ), col. 570. 6 Sen., ep. 94, 8 (fr. 359) cit.

146

ARISTONE DI CHIO E LO S TOICISMO ANTICO

e nella Repubblica aveva definito la temperanza come accordo e armonia tra Je varie parti dell'anima 7 • Zenone riprende pertanto .U concetto socratico dell'armonia e coerenza interna dell'anima, e la pone nell'accordo tra l 'istinto dell'uomo e il

logos : in quest'accordo consistono la virtù e anche la felicità . E poiché il logos rappresenta la vera natura dell'uomo, l' Ot-Lo­ Àoyou!-Lévwç çfj v poteva anche essere espresso dalla formula 0!-LOÀO'(OU!-LÉVlilç 'tij qlUO"€L çfj v. LE PRIME COS E SECONDO NATURA È possibile che Zenone fosse giunto a questa seconda formulazione del fine in seguito ad un approfondimento del concetto di natura, a cui era stato spinto dalla controversia sulla vita secondo natura, sorta tra lui e Polemone. Non c'è dubbio infatti che la polemica ci fu, dal momento che sia Polemone che Zenone hanno scritto un'opera dal titolo Sulla

vita secondo natura 8• Inoltre la tradizione, mentre ci dice ben poco sulla dottrina di Polemone, ci informa invece della polemica intercorsa tra quest'ultimo e Zenone. La nostra fonte principale è Cicerone il quale dipende da Antioco, le cui posizioni :riguardo ai rapporti tra l'Accademia e la Stoa sono ben note . Da Cicerone sappiamo che Polemone soste­ neva che il fine era vivere moralmente godendo di quelle cose che la natura procura all'uomo fin dalla nascita 9 • Ma 7 Plat., Gorg. 506 e, Resp. IV, 430 e, 432 a. Cfr. M. PoHLENZ, Zenon und Chrysipp, cit. , p. 201 e La Stoa, vol. I, p. 235. 8 Per Polemone, dr. Clero. Alex., strom. VII, VI, 32, 9, p. 25 S. (frr. 97 e 1 12 Gigante) ; per Zenone, dr. DL, VII, 4 (fr. 4 1 SVF l). Sulla controversia, dr. Cic., de fin. IV, 3 (fr. 7 Gigante) : ut non esset causa Zenoni, cum Polemonem audisset, cur et ab eo ipso et a supe­ rioribus dissideret. 9 Cic., acad. II, 131 (fr. 125 Gigante) : honeste autem vivere fruen­ tem rebus iis quas primas homini natura conciliet et vetus Academia censuit, ut indicant scripta Polemonis quem Antiochus probat maxime; dr. anche Cic., de fin. Il, 33 (fr. 127 Gigante).

147

LA DOTTRINA DEL FINE egli riteneva che la virtù bastasse per la felicità :

infatti

poiché la felicità è l'autosufficienza di tutti i beni o dei più, o dei maggiori, e la virtù è il maggiore dei beni, senza virtù la felicità non può assolutamente esistere, mentre senza beni del corpo e beni esterni la virtù è autosufficiente per la feli­ cità 10 • Apparentemente dunque la controversia tra Zenone

e

Polemone doveva riguardare non la virtù, ma la valutazione dei « beni naturali » . Per Zenone l'unico bene era la virtù e l'unico male ,il vizio, mentre tutte le altre cose non erano né beni né mali;

per Polemone accanto alla virtù esistevano

altri beni a cui la natura ci indirizza fìn dalla nascita. Zenone condivideva l'opinione che il fine consistesse nel vivere secondo natura, ma identificava la vita secondo natura nella vita secondo ragione e secondo virtù; per Polemone la vita secondo natura era una vita secondo virtù e con l'aggiunta dei beni natu­ rali. Nel corso di questa disputa probabilmente fu coniata l 'espressione a

'tà. 1tpGYt �X XIX't !X cpu a� v per indicare quei beni

cui la natura ci indirizza fìn dalla 111 ascita 11 . Dalla testi­

monianza ciceroniana si desume che sarebbe stato Polemone ad usare per primo l'espressione

'tà. 1tpiil't�X x�X'tà. cpu a� v

u.

Infatti per Zenone la natura non ci conduce verso questi beni naturaJ.i, ma verso la virtù; quindi

1tpum1 può essere

attributo soltanto della virtù 13 • Tuttavia Zenone, avendo in-

10 Clero. Alex., strom. II, XXII, 133, 4-7, p. 186 S. (fr. 123 Gigante). 1 1 Cfr. R. PHILIPPSON, Das erste Naturgemiisse, « Philologus », LXXVIII ( 1932), pp. 447-450. 12 Cic., de fin. IV, 45 (fr. 198 SVF I; fr. 128 Gigante) : mihi autem aequius videbatur Zenonem cum Polemonem disceptantem, a quo quae essent principia naturae acceperat, a communibus initiis progre­ dientem videre, ubi primum insistere!, et unde causa controversiae na­ sceretur. 13 Cfr. A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 109, n. 2. A mio avviso an­ che la sezione 7tpw•'Yl &;�(a nella divisione dell'etica si riferisce alla virtù. Del parere invece che sia stato per primo Zenone ad usare l'espressione ,&; 7tpw•a x.cn&; cpu a Lv , sono M. PoHLENZ, Grundfragen, cit. , pp. 13-14 ; C.O. BRINK, O!x.s(waLç and o!x.sL6•'Y)ç : Theophrastus and Zeno on Nature and Moral Theory, « Phronesis », I ( 1955), p. 14.

148

ARI STONE DI CHIO E LO STOICI SMO ANTICO

teso la conformità alla natura come conformità alla natura umana , aveva ammesso che pur essendo la virtù l'unico bene, ci fossero cose che rispetto ad altre fossero preferibili : « Come infatti nessuno dice che nella reggia lo stesso re è stato per cosl dire elevato alla dignità (questo è infatti il significato di 1tpO"fl Y !1Évov ) , ma coloro che sono tenuti in qualche onore il cui grado è prossimo al potere regio da essere secondo, cosl nella vita non ciò che è al primo posto, ma ciò che occupa il secondo posto si potrebbe chiamare preferibile, cioè elevato » 14 • Ma come il paragone del re con la virtù, e dei

14 Cic., de fin. III, 52 (fr. 194 ) : ut enim, inquit, nemo dicit in regia regem ipsum quasi productum esse ad dignitatem ( id est enim 1tfiO'r) Y f.Lhov ) , sed eos qui in aliquo honore sunt, quorum ordo proxime accedit, ut secundus sit, ad regium principatum, sic in vita non ea, quae primo loco sunt, sed ea quae secundum locum obtinent, 1tp01J Yf.Léva;, id est producta, nominentur. Cfr. Stob., ecl. II, 7, 7 g, p. 84, 2 1 ( fr. 192 ) : �G\V e • &�LGtV iXOV�(I)V 'tèt f.LSv EXSW 1tOÀÀ'Ì)V &�(GtV1 'tèt es �pct· xatc.tv . Of.LOL(I)ç a/; X.Gt� �wv &1tc.t�(GtV iXOV't(I)V IX. f.LSv exetv 1tOÀÀ'Ì)V èt1tGt• �(c.tv, IX. M �pc.txeta.v . �èt f.LàV ouv 1tOÀÀ'Ì)V exov'tGt èt�(a;v 1tp01JYf.LévGt Àsyea&a;t1 �èt 1'Jè 1tOÀÀ'Ì)v èt1ta;�(ctv &7to1tp01JYil!va;1 Z'ljvwvoç �a;ò'tcxç �ètç 6VOf.LGto(a;ç &ef.LÉVOU 1tpW'tOU 'totç 1tpciyf.LGtOL . 7tfi01JYf.LSVOV a • e!va;t Às• youatv1 8 d1'Jtciq>OpOV ( ov ) ix.ÀSYO f.LS&a; X.Gt�èt 1tf101JYOÒ f.LSVOV À6yov. �ÒV es Of.LOLOV ÀÒyov 41tt �lP èt1t01tp01)Yf.LÉVcp l!tvcxt x.a;t �èt 1tGtpa:ea(y f.LGt�Gt x.a;�èt �i)v dvcxÀoy(a;v �GtU'tci. ob1'JI!v eà �wv dya;&G\v etvcxt 1tp01)Yf.Lévov 1'Jtèt �ò �i)v f.LSYLO'tYjV d�(cxv a;()-cèt EX!LV . �ò eà 1tf101)Yf.LÉVOV, 't'Ì)V eeu­ �apcxv XWfiCI.V x.cxt d�(a;y sxov1 OUVayy(f;5LV 1t(l)ç 'tf} �G\V dycx&wv 'f'ÒOSL . o()1'Jà yètp iv o:bÀf} �WV 1tf101)Y f.LÉVWV e!VGtL 'tÒV �GtOLÀSGt1 Ò:ÀÀèt �oùç f.LS�· Gtb'tÒV U�GtYf.LÉVouç. 1tfi01JYf.LÉVGt Il/; Àsyea&a:t o() �ql 11:pòç eb1'JGtLf.LOVLGtV 'twèt OUf.L�ciÀÀeo&cxt auvepyetv n 11:pòç a;u�'lj v , dÀÀèt �lP dva;yx.a;tov eha:t �oò�wv 't'Ì)V !x.Àoy'l)v 1toteto&a;t 11:cxpèt �èt &7to1tp01JY f.LévCX. Il passo di Cicerone è quello che riferisce più fedelmente il pensiero di Zenone; quello di Stobeo non riporta soltanto la definizione di preferibile di Ze­ none, ma anche definizioni più tarde, che fanno pensare ad Antipatro : 8 &etciq>opov bÀey6 f.Le& -, x.a:'tèt 1tpo1Jrouf.L!Vov Mrov ; cfr. M. GIUSTA, I dossografi, cit. , vol. II, pp. 190-19 1 . Inoltre è improbabile che Zenone attribuisse ai 1tpo1Jr f.L!va; 1tOÀÀ'Ì)V d�(cxv, d!lt momento che già l'aver in­ trodotto la classe dei 1tfi01JYf.LÉVGt rappresentava un allontanamento dalle posizioni ciniche iniziali; piuttosto egli si deve essere limitato a defi­ nire il 1tpOYJYf.LSVOV come �-Jjv 1'Jeunpa;v XWPCXV x.a;t d�(a;v exov1 ouvey.

LA DOTTRINA DEL FINE

1 49

cortigiani con le cose preferibili, sta bene ad indicare, il valore della virtù è incommensurabile rispetto a quello delle cose preferibili. I nPoHrMENA

Zenone nell'attribuire un valore relativo alle cose pre­ feribili era partito dalla costatazione che cose come la salute, la ricchezza, ecc., erano preferite da tutti gli uomini e quin­ di potevano, per così dire, essere innalzate alla dignità di 7tpO'Y)"( (.l.ÉVcx. , ma solo in quanto occupavano un posto subordi­ nato rispetto al bene. In un secondo tempo egli stesso do­ vette chiarire il suo punto di vista, perché questa formula­ zione della dottrina non spiegava in base a quale criterio alcune cose sono preferibili rispetto ad altre . Non può es­ sere la distanza maggiore o minore dalla virtù che rende una cosa preferibile, dal momento che questo significherebbe che le cose preferibili si trovano in una scala gerarchica che conduce fino al bene, e che il valore delle cose preferibili e quello della virtù differiscono solo per quantità. Ma Zenone aveva recisamente negato ciò, quando aveva affermato che il sommo bene consiste nella virtù e che la virtù non può sussistere, se si ammette che tra le altre cose ce ne siano alcune che siano migliori o peggiori delle altre 15 • La controversia sulla vita secondo natura sorta tra Ze­ none e Polemone contribuì ad apportare un chiarimento alla dottrina zenoniana delle cose preferibili. Cicerone ci informa che « Zenone aveva ricevuto da Polemone la nozione dei principi naturali, ma che pur procedendo da inizi comuni, r!�sw 7twç �� �IDv &ya.&IDv çpòcr&L ; dr. anche Cic., de fin. IV, 56 (fr. 232 SVF I) in cui le cose preferibili sono aestimabiles et ad naturam accommodatae. 1 5 Cic., de fin. IV, 54 e IV, 70 : se dicere inter honestum et turpe nimium quantum, nescio quid immensum, inter ceteras nihil omnino interesse.

150

ARI STONE DI CHIO E LO S TOICI SMO ANTICO

era rimasto con coloro che neppure sostenevano l'origine natu­ rale del loro sommo bene

» 16 •

Zenone dunque precisò il suo

concetto di preferibile, intendendo che esso indicava ciò che è appropriato alla natura. Questa evoluzione che ha subito il pensiero di Zenone viene confermata da un passo di Cicerone : «

Il tuo Zenone nella concezione che ha cominciato a mettere

alla base del suo sistema, si è discostato dalla natura, poiché ha posto il sommo bene in una superiorità di carattere, che noi chiamiamo virtù; egli ha detto che non c'è nulla che sia bene all'infuori di ciò che è morale e che la virtù non può sussistere, se si ammette che tra le altre cose ce ne siano alcune che siano migliori o peggiori delle altre [ . ] . In seguito quel .

.

tuo Zenone, uomo pertanto ingegnoso, vedendo che egli non aveva guadagnato causa, perché la natura era contro di lui, cominciò a giocare con le parole. Dapprima concesse che le cose che noi chiamiamo buone si considerassero soltanto come cose aventi un valore e appropriate alla natura e cominciò a confessare che anche per il saggio, cioè per l 'uomo somma­ mente felice, sarebbe tuttavia più vantaggioso possedere quelle cose, che egli non osa chiamare buone, ma ammette che siano appropriate alla natura

».

Il valore relativo dei

npo'Y)y (lÉYa.

è misurato quindi dalla loro conformità alla natura , e la na­ tura è intesa come natura umana, la quale non è soltanto ra­

ò � a.lpEa�ç del­ nEpl O p (l'ijç 17• Se dal punto di vista

gione, ma anche istinto. Non per altro la l'etica comincia con il

del logos secondo natura è soltanto la virtù, dal punto di vista dell'inclinazione sono secondo natura tutte quelle cose

16 Cic., de fin. IV, 45 (fr. 198 cit. ) . Per una evoluzione del pen­ siero di Zenone, cfr. Cic., de fin. IV, 54; 56. 17 L. EoELSTEIN, The Meaning, cit. , p . 35 : « The fìrst part of ethics is the theory of human nature ». Inoltre non bisogna dimenticare che Zenone aveva intitolato un'opera Ilept 6pf1i')ç -lj ?tept d:v&plimoo cpòaswç, cfr. DL, VII, 4 ( fr. 4 1 SVF l); la cosa non cambia, anche se si consi­ dera con M. PoHLENZ, La Stoa, cit. , vol. l, p. 228, n . 7, 11:ept 6pf1i')ç la prima parola dell'opera Ilept d:v&plimoo cpòaewç e non come parte del titolo.

151

LA DOTTRINA DEL FINE che servono alla conservazione dell'essere vivente.

Zenone

però non formulò con chiarezza questa dottrina, né tanto meno in base alle testimonianze timasteci, si può attribuire a lui la dottrina della

o�x�;lwatç . L'unico frammento zeno­

niano in cui si parla di principia naturae, è un passo di Ci­ cerone in cui si dice che Zenone aveva ricevuto da Polemone la dottrina dei principi naturali 18 • La tradizione pertanto ci consente di affermare che Zenone ha introdotto una classe di cose preferibili, coniando anche il termine

1tfìOY/YtJ.ÉVIX per

designare quelle cose che hanno un valore tale da essere pre­ ferite rispetto ad altre, ma non che egli si sia servito del con­ cetto di 'ti% 1tpli>'tiX XIX'ti% �uat v né della dottrina della o� XEL­

watç.

È indubbio che l'aver introdotto una classe di cose

intermedie tra la virtù e il vizio, tali da avere un valore, rappresentava un mutamento della posizione originaria di Zenone. Nei frammenti della Politeia che ci sono pervenuti, non si rinviene traccia della dottrina dei

1tfìOY/YtJ.ÉVIX 19 • Del

resto i tentativi fatti più tardi dagli Stoici per negare l'auten­ ticità di quest'opera, indicano che in essa Zenone doveva sostenere delle teorie rigoristiche che in seguito aveva mutato . Inoltre Cicerone più di una volta insiste nell'attribuire a Ze­ none l'affermazione categorica che solo la virtù è bene e solo il vizio è male, mentre tra le altre cose non c'è nessuna dif­ ferenza

20 •

Evidentemente

Zenone introdusse i

1tfìOY/YtJ.ÉY IX

18 Fr. 198 cit. Già F. DIRLMEIER, Die Oikeiosis-lehre Theophrasts, Philologus », Suppl. XXX l ( 1937 ), p. 48, faceva rilevare come nessun frammento zenoniano si riferisca alla dottrina della o!xE!watç. Di parere contrario è M. PoHLENZ, Grundfragen, cit. , p. 13 e sgg. Per l'intro­ duzione del termine 'ltporm.�osvov , dr. Stob., ecl. II, 7, 7 g, p. 84, 2 1 ( fr. 192, cit. ) ; cfr. anche Cic., d e fin. III, 5 , 15 (fr. 34 SVF I ). 1 9 Cfr. R. HIRZEL, Untersuchungen, cit. , vol. II, p. 34, n. l. 20 Cic., de fin. IV, 70: se dicere inter honestum et turpe nimium quantum, nescio quid immensum, inter ceteras res nihil omnino inte­ resse; cfr. de fin. IV, 54, cit. ; tusc. disp. V, 27 (frr. 185 e 362 SVF I ) : praeclare s i Aristo Chius aut s i Stoicus Zenon diceret, qui nisi quod turpe esset, nihil malum duceret. «

152

ARI STONE DI CHIO E LO S TOICI SMO ANTICO

in un secondo tempo, come concessione alle esigenze del­

l'uomo medio. Infatti, pur mantenendo saldamente il princ1p10 che « in nessuna cosa se non nella virtù e nel vizio vi è la benché minima differenza rispetto al raggiungimento del sommo bene », egli ammise però che « nelle altre cose ci fossero differenze rispetto all'inclinazione » 21 • Queste differenze di valore, per cui una cosa era preferibile all'altra rispetto all'inclinazione, Zenone le concepl come intrinseche alle cose stesse : da questo punto di vista la salute era preferibile rispetto alla malattia e la ricchezza nei confronti della povertà. LA POLEMICA DI A RISTONE

Contro la concezione del �ua€L-1tp01)"(t.J.ÉVov polemizza Aristone. Chiamare la salute o qualunque altra cosa simile in­ differente-preferibile significa essenzialmente ritenerla un bene, e differente dal bene soltanto per il nome. Il 1tp01)"(t.J.ÉVov di Zenone è un concetto estremamente ambiguo, perché da un lato non contribuendo minimamente al raggiungimento del fine, non è un bene, dall'altro però, essendo conforme a natura, ha un valore. « Autori antichi hanno detto che è capitato a Zenone quello che è capitato a chi ha un vino acido e non può venderlo né come vino, né come aceto : il suo preferibile infatti non ha la qualità né di bene né di

21 Cic., de fin. IV, 47 (fr. 189 SVF 1 ) : cum ad beatam vitam nul­ lum momentum cetera haberent, ad appetitionem /amen rerum esse in iis momenta diceret. Seguo con Bremi la lezione cetera, anziché con Arnim eae res, perché è più consona alla terminologia usata da Zenone. Traduco momentum con differenza, perché corrisponde al greco 7t"P"À· Àtty'lj , cfr. Sextus, adv. math. Xl, 64-67 (fr. 361 ). Adler tuttavia non in­ serisce nell'indice degli SVF il termine momentum ; per la proposta di identificare momentum con 7t"P"ÀÀtty'lj , cfr. H.J. HAMBURG, Ciceros Methode bei der Obersetzung griechischer philosophischen Termini, Diss., Hamburg 1970, p . 173 e n . l .

LA DOTTRINA DEL FINE

153

indifferente » 22 • È possibile che anche questa cr1t1ca derivi da Aristone. In questo senso parlano l'intonazione ironica del passo, la scelta del vino come uno dei termini di paragone, il quale si incontra più volte negli OfLOLWfLrx'ta. di Aristone, il fatto che Plutarco attribuisca la critica ad autori antichi ( 't ci> V 7tpecr�u'tÉp(J)v 't t vÉç), e immediatamente dopo riferisca la ri­ sposta di Crisippo a costoro, la quale corrisponde molto bene ad una confutazione del pensiero di Aristone. Per Aristone infatti le cose intermedie tra la virtù e il vizio sono assoluta­ mente indifferenti e non hanno nessuna differenza tra loro, tali che alcune siano preferibili per natura e altre rigettabili . Ma esse devono essere preferite occasionalmente a seconda delle circostanze. Infatti nessuna di queste cose è preferibile o rigettabile in senso assoluto. Facciamo l'esempio della sa­ lute e della malattia che dal punto di vista dell'inclinazione naturale sembra che abbiano un valore ben preciso, tanto che la prima è preferita all'altra: se è necessario che tutti i sani servano il tiranno e per questo muoiano, mentre tutti i ma­ lati, potendosi sottrarre a questo servizio, si salvino, in tale circostanza il saggio preferirà essere malato piuttosto che sano. In questo senso dunque né la salute è preferibile assoluta­ mente, né la malattia rigettabile. E come quando scriviamo i nomi poniamo una lettera prima di un'altra per le diverse circostanze e non perché certe lettere sono preferite per natura alle altre, così negli oggetti intermedi tra la virtù e il vizio la preferenza degli uni rispetto agli altri non è naturale, ma 22

Plut., de stoic. rep. 30, p. 1047 e (non riportato negli SVF ) : "tW\1 7tp!a�u"tapw11 "tL\Ia,, a "t(j) "t Ò \1 ò!;(\l"lj\1 SJ(O\I"tL OU\IÉ�Ili:L\110 p:rj & " Ùl' !l!;o, "7toMa&a:L eu\llll: f.L S\I(Jl J.L"Ij&" Ùl ' o!\I0\11 s::pa:aa:\1 1 "t(j'J Z-rj11W\IL OUJ.L�a:(­ \I!L\11 "tÒ yàp 7tpO"IjYf.LS\IO\I a:b-,;(j) J.L"Ij&" Ùl' &ya:&ò11 J.L"rj&" Ùl' &etci::popov i)(tL\1 etci&eaLv . Plutarco prosegue CÌÀÀ. b Xpòam7to, e riporta l'oh­ biezione di Crisippo di cui parleremo più avanti, dr. p. 160. Si dr. a questo proposito le osservazioni di A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 1 1 5 e n . l . Per quanto riguarda l'uso del vino come termine d i paragone in Aristone dr. Sen., ep. 36, 3 (fr. 388) e Stob., fior. IV, 3 1 d, 1 1 0 (fr. 397 ) .

154

ARISTONE DI CHIO E LO STOICI SMO ANTICO

è piuttosto per le circostanze 23 • In breve Aristone nega che

il valore delle cose intermedie tra .la virtù e il vizio possa

essere determinato dalla loro conformità alla natura : esso è determinato dal giudizio del saggio, il solo capace di attri­ buire un valore, preferendo l'una cosa all'altra a seconda delle circostanze. Queste cose intermedie pertanto, avendo un valore che è strettamente legato ad una circostanza particolare, di fatto non ne hanno nessuno : esse sono assolutamente indif­ ferenti. LA DOTTRINA DELLA

O IKEH!lm:

Anche Zenone sosteneva che questi oggetti intermedi erano assolutamente indifferenti per il raggiungimento del fine, per l' 6t-LoÀoyou t-LEVOÒO!� sdpWY 7tctpd: "t!Ì hepct ypcif!.f!.ct"tct 7tp0X.ptv0f!.ÉYWY1 -cwY llè: x.ct�pwY -co!l-co 7to�etv d:vctyx.ct1;; 6 nwv 1 olhw x.d:v "tOt, f1.5tct'Ù d:pni) , "l!.ctL "I!.CI.X.!ct' 7tpciyf!.ctO�Y OÙ Cf'UO�X."Ij "C�, y!Y!"Cct� sd­ pWY 7tctp ' §npct 7tp6x.p�a�,, x.ct-ccì 7tt!p!o-ccto�Y lls f!.liÀÀOY . Cfr. anche Sex­ tus, hyp. pyrrh. III, 192, dove non è fatto il nome di Aristone, ma l'e­ sempio è lo stesso. 24 Cic., de fin. IV, 47 (fr. 189 cit. ) .

155

LA DOTTRINA DEL FINE

presentassero delle differenze rispetto all'inclinazione. È pro­ prio questo ultimo punto che Aristone contesta. L'inclina­ zione naturale ci spinge a seguire ciò che ci appare bene e a fuggire ciò che ci appare male, poiché la natura ci dà impulsi a seguire il bene e a fuggire il male 25 • Ma essa non ci for­ nisce iJ criterio in base al quale noi possiamo distinguere il vero bene. Infatti l'impulso naturale ci spinge ad identi­ ficare ciò che è piacevole con il bene e ciò che è doloroso con il male. Attenersi nel giudicare le cose al criterio della conformità alla natura, significa seguire solo un bene appa­ rente. È evidente che la posizione di Aristone non presup­ pone la dottrina stoica della

olxeCwcrtr; , la quale verrà for­

mulata in tutta la sua chiarezza da Crisippo. Infatti Aristone non dice che la 6 p (l1) si indirizza verso le cose salutari ed

-c b Cfi �Xt­ ciy�X-ltév , il quale non si identifica con ciò che è vé(levov

utili alla conservazione dell'essere vivente, ma verso

utile alla conservazione dell'essere vivente, ma con ciò che

è piacevole. Pohlenz attribuisce

olxeCwcrtç;

a Zenone la dottrina della

perché ritiene che tale dottrina sia alla base di

tutta l'etica stoica, la quale dedurrebbe il telos dal primo istin­ to della natura umana 26 • Ma i principi dell'etica stoica, e quindi il telos, possono essere posti senza far ricorso alla do t-

25 Gal., de H. et Plat. decr. VII, 595, p. 59 1 M. (fr. 256 SVF III ) : � V d:1tciaa.1, y cit p 7tpci�SOIV a.lpO�fLSVWV "/j!lWV oçÒ cpa.IVÒ !liSVOV d:ya.&6v, cpsuy6nwv Ila oçò cpa.t v6fLsvov xa.x6v , �x6voçwv Ila cpuast oçcit' 6pfLcit' oça.uoça., !cp • hcioçspov [ ] Non mi pare esatta l'interpretazione di A. DY­ ROFF, Die Ethik, cit., p. 1 13 , n. 4, il quale sostiene che secondo Ari­ stone noi abbiamo « von Natur Antriebe zwn scheinbar Guten 7tpo7Jr· fLÉVa. und zum scheinbar Oblen d:7to7tpo7Jrllsva. in gleicher Weise » . Mi pare piuttosto che in questo passo oçò cpa.tv6fLSVov a.ya.&6v sia da identi­ ficare con oçò ij M , e oçò cpa.tv6fLI!Vov xa.x6v con oçò d:vta.p6v, nel senso che la natura ci dà impulsi a seguire ciò che è piacevole e a fuggire ciò che è doloroso, per questo non bisogna seguirla come norma di com· portamento. 26 Cfr. M. POHLENZ, Grundfragen, cit., p. 12 e La Stoa, cit. , vol. I , p. 234. Cfr. anche J.M. RrsT, cit., p. 1 7 2 e sgg. . . •

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trina della oZxE!wcnç; 27 • La dottrina della oZxE!watç; sorge piuttosto come risposta al problema aperto da Zenone del rapporto delle cose secondo natura con la virtù. Se Zenone avesse espresso la dottrina della oZxE!wat� . Aristone avrebbe dovuto manifestare il suo punto di vista in proposito, dichia­ rando apertamente il suo dissenso. In uno studio recente Pembroke ha sostenuto che, malgrado Aristone fosse dissi­ dente riguardo ad altre dottrine della Stoa, condivideva la dottrina della oZxE!watç; : il fatto che Aristone condividesse la dottrina della oZxdwatç; costituirebbe una conferma m­ diretta che questa dottrina risalirebbe a Zenone stesso, nono­ stante la mancanza di testimonianze zenoniane su questo argo­ mento 28 • Tuttavia il passo su cui si basa Pembroke, non con­ sente di attribuire ad Aristone la dottrina della oZxE!watç;. Si tratta di un passo di Sesto Empirico, già più volte ricor­ dato, il quale riferisce la posizione di Aristone nei riguardi dell'etica pratica : « Aristone vietava anche alcune parti del­ l'etica, come le ammonizioni e i suggerimenti ; questi infatti spettano alle balie e ai pedagoghi, mentre è sufficiente per una vita beata quella dottrina che attrae gli uomini verso la virtù e li distoglie dal vizio, e che sorvola invece sulle cose intermedie intomo alle quali si appassiona la maggior parte degli uomini e si rende infelice » 29 • Ciò che fa affermare a Pembroke che Aristone sosteneva la dottrina della oZxdwatç; 27 Cfr. O. BRINK, O tx&(a>at' , cit. , p. 141 . 28 S.G. PEMBROKE, Oikeiosis, in Problems in Stoicism, cit. , p. 139 : « The word oikeiosis cannot be directly attested with chapter and verse of the doubtful remains of Zeno's writings. There is, however, some evidence that the terminology was used by his pupil Ariston, who despite heresy in other fields declared himself content with this part of his teacher's doctrine », e p. 149, n. 129. 29 Sextus, adv. math. VII, 12 (fr. 356 cit.) : liÀÀcì xat 'tofl 'ij&txofl 't07tOO' 'ttvcì' aOJ:l7tSptsypacpav1 xa&ct7t!p "toY n 7tapatY!'ttxòv xat 'tÒY fmo&s·nxòv 't07tOY 'tOU"too, ycìp at, 't("t&a, av xat 7tatl)ayroyoù' 7t(7t· uw, lipxstv 1)6 7tpò' 'tÒ Jlaltap(ro;; � tùivat 'tÒV otxatoflna JlÈV 7tpò' lipi!'tYJV ì.. 6 yov1 li7taÀÀo'tptoflv'ta l)ì xax(a,, xa'ta"tpéxov'ta l)! 'tWY J.l !'ta�ù 'tOU'ta>Y1 7t!pt li ot 7tOÀÀot 7t'tO'l'j&ivn' xaxol)atJ.LOYoflaw. •

LA DOTTRINA DEL FINE

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è l'espressione 'tÒY o�xE�où v't� tJ-ÈY 1tpòç cipE'tlJ Y Àoyov, ci1t�ÀÀo'tp�où v't� òè x�x!�ç . Ma bisogna oss,ervare in primo luogo che il passo di Sesto è di origine dossografica, e che quindi non riferisce direttamente il pensiero di Aristone, e in secondo luogo che l'espressione 'tÒY o�xE�où v't� 1tpòç ci­ p E'tlJ Y Àoyo v designa nei testi dossografici il 1tpo'tpE1t't�x6ç, ed era diventata ormai nell'uso una formula tecnica 30• A maggior ragione nel passo di Sesto, che riguarda proprio il problema dell'etica pratica, quest'espressione sta ad indicare che Aristone, mentre respingeva le ammonizioni e i precetti, sosteneva invece l'utilità dell'esortazione alla filosofia, cioè di quel discorso che esorta l'uomo alla virtù . Inoltre la tra­ dizione insiste sul fatto che per Aristone le prime cose secondo natura, la cui valutazione positiva è alla base della dottrina della o�xE!wcnç, non hanno alcuna importanza, tanto che « tra l 'avere un'ottima salute e lo stare molto male non c'è la mi­ nima differenza » 3 1 . L' ciò��cpop!� infatti per Aristone consi­ steva nel non essere mosso, per quanto riguarda queste cose, né da una parte né dall'altra 32 • Né l'avere assunto questa posi­ zione significava un allontanamento sostanziale dalla posizione di Zenone. Zenone aveva detto semplicemente che gli oggetti intermedi tra la virtù e il vizio avevano un valore rispetto 30 Riguardo all'origine dossografica del passo di Sesto, cfr. p. 83, n. 2 e M. GIUSTA, I dossografi, cit., vol. I , p. 161 : « Se confrontiamo questo passo di Sesto con i termini usati da Eudoro per indicare le prime sezioni del 7tpax·w�t6v, troviamo corrispondenze evidenti : l'espres­ sione oçòv o!xatollv-t:a 7tpòb d:pnY}v À6yov ricorda quella con cui Eudoro indicava la prima parte del 7tpaxoçtx6v e quella con cui Filone indicava la parte positiva del 7tpooçps7toçtx6b ». Inoltre lo stesso PEMBROKE, Oikeio­ sis, cit. , p. 1 16, fa rilevare che « in the Stoa oikeiosis is never used in the active sense of appropriation », e p. 1 4 1 , n. 6: « The stoic construc­ tion o!xswila&at 7tp6b oç t i s not attested earlier » , mentre nel passo di Sesto il verbo è usato in senso attivo e quindi non nella forma in cui gli Stoici esprimevano la dottrina della o!xa(watb. 3 1 Cic., de fin. II, 43 (fr. 364). 32 Cic., acad. II, 130 (fr. 362) : huic summum bonum est, in his rebus neutram in partem moveri, quae à�tatpop!a ab ipso dicitur.

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ARI STONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

alla inclinazione, ma li aveva separati nettamente dalla virtù e dal sommo bene 33 • Se questi oggetti intermedi dunque non contribuiscono minimamente al raggiungimento del fine, negare loro qualunque valore, dal punto di vista di Aristone, non significava porsi in contraddizione con la dottrina di Zenone, ma indicare soltanto una via più breve al raggiungimento della virtù, tanto più che il vizio e la passione derivano dall'errata valutazione di questi oggetti 34• Anzi Aristone, per rafforzare

il concetto dell'assoluta mancanza di valore delle cose interme­ die tra la virtù e il vizio, le chiamò àò tcicpop a . È da prendere dunque in senso stretto quanto dice Diogene Laerzio, cioè che Aristone introdusse l' àò t�cpopC� 35 • Non che il termine àòt ci­

cpopov fosse un termine nuovo, ma fu applicato per la prima volta in senso tecnico da Aristone per indicare i membri della classe delle cose intermedie, che Zenone aveva designato con i termm1

t-LÉa�,

oòòéup�, è:up� . Ed è significativo che

questo termine non si rintracci mai nei frammenti di Zenone, ma che faccia la sua comparsa dopo Aristone 36• La tradizione attribuisce ai Cinici l'uso del termine àò tcicpopov

:

«

Come

Aristone di Chio, i Cinici considerano indifferente tutto ciò che è intermedio tra virtù e vizio » 37 • Ma si deve rilevare

33 M. PoHLENZ, Grundfragen, cit. , p. 13, fa rilevare giustamente che mentre la dottrina della obta(wat� presuppone i )(C:t:tct çpùaw, i )ta."Cct q>ùatv non la presuppongono. Ma egli arriva ad una conclusione diversa, e cioè che la dottrina della Ot)t5(Wat� è stata introdotta da Zenone. 34 DL, VII, 1 2 1 (fr. 17 Apollod. SVF III ) e DL, VI, 104 : o&sv )ta.t "CÒV )tUYLOf!.ÒV 5tplj)ta.at OÙY"CO flOY !1t' cip!"CYJY oaov . )ta.t ol)"i:(J)� i!�((J) )ta.t Zljvwv o K t"': t5Ù� . 35 DL, VII, 37 (fr. 38 SVF I, cit. ). 36 Cfr. R. HrRZEL, Untersuchungen, cit. , vol. II, p . 45, n. l e G. KrLB, Ethische Grundbegriffe der alten Stoa und ihre Obertragung durch Cicero in dritten Buch de finibus bonorum et malorum, Diss., Frei­ burg 1939, p. 65. L'unico passo in cui per Zenone è documentato il termine ci8tciq>opov è Athen., VI, 233 b-e (fr. 239), il cui tramite è Crisippo; dr. A. DYROFF, Die Ethik, cit. , p. 1 19, n. 3 . 3 7 DL, V I , 1 05 (non riportato negli SVF): , ,x as fl5"Cc:t�ù cipat;>j� )(a; t )ta;)t(cx� ciatciq>opa; Àéyouatv Of!.O(w' • ApCa"CWYL "Cuxf),, "Cò à.-ya.'J.òv cpcxvàv ab.'J.ò' b!v'r)aiSv icp" a()"C6 , "Cò :x.cx:x.òv à.cp" ctf>"Coil . oò�é'lton �· à.-ya;{)ooil cpanaa(av i!vcxpr fl à.'ltollo:x.tp.ciaat 4 ux1) , ob p.llì..ì.. o v t) "CÒ Ka(aa;po' v6p.tap.ct.

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ARI STONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

moralità consiste nella rettitudine del logos e non nella scelta e nel rifiuto delle cose secondo natura . In questo senso Crisippo non poteva rivolgere ad Aristone una ct1t1ca che si applicava anche alla sua propria dottrina. La critica che l ' GÌÒttX.qlop!tX. costringe il saggio all'inattività proviene dallo stesso Cicerone, che accomuna la dottrina di Aristone a quella di Pirrone e di Erillo. ARISTONE, ERILLO E PIRRONE Probabilmente Cicerone, data la frequenza e la costanza con cui espone insieme le dottrine di Aristone, di Pirrone e di Erillo, le doveva trovare associate nella sua fonte, la quale certamente non era un'opera di Crisippo 13 • Pirrone e Aristone sostengono entrambi che il bene morale non solo è il sommo bene, ma è anche l'unico bene 14 • Per questo essi ritengono che le prime cose secondo natura non con­ tano assolutamente nulla, tanto che « tra l'avere un'ottima salute e lo stare molto male non c'è la minima differenza » 1 5 • Questi dunque non hanno diritto di discutere sul dovere, poiché non hanno lasciato nessun criterio di scelta tra le cose 16 • Anche Erillo, avendo posto la scienza come fine, la considera l'unico bene e non ritiene che tra le altre cose ce ne siano alcune che debbano essere preferite alle altre 17 • 13 Si dr., a questo proposito, M. GIUSTA, I dossografi, cit. , vol. I , p. 226 e sgg., che analizza l e varie ipotesi degli studiosi circa l a fonte di Cicerone su questo argomento. Per i luoghi in cui Cicerone accomuna Aristone ad Erillo e Pirrone, cfr. acad. II, 130 (fr. 362 ) ; de fin., II, 35; V, 23 ; tusc. disp. V, 85 ; de officiis I , 6 (fr. 363 ) ; de fin. II, 43 ; III, 1 1-12 (fr. 364); de fin. III, 31 (fr. 415); de fin. IV, 43 (fr. 369 ) ; d e fin. IV, 4 0 (fr. 4 1 2 ) ; d e fin. IV, 48-49 non negli SVF). 1 4 Cfr. Cic., de fin. III, 1 1-12; IV, 48-49. 15 Cfr. Cic., de fin. II, 43 (fr. 364 ). 16 Cfr. Cic., de off. I, 6 (fr. 363). 1 7 Cic., de fin. V , 23 ( f r . 417) : et Erillus, si ita sensit, nihil esse bonum praeter scientiam, omnem consilii capiendi causam inventionem­ que of}icii sustulit. Si cfr. anche i frr. 418 e 414.

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LA TESTIMONIANZA DI CICERONE

Secondo Tsekourakis la testimonianza di Cicerone piutto­ sto ohe accomunare, distingue la dottrina di Aristone da quella di Erillo 18 • Infatti in de fin. III, 3 1 ( fr . 4 1 5 ), Cice­ rone chiarisce ohe la dottrina di Aristone è legata alla &ò�oc.qJoploc. , mentre quella di Erillo è legata alla è m a't� ll ll · A torto quindi alcuni studiosi, come Dyroff e Hirzel, le hanno considerate affini. Erillo non sarebbe uno stoico etero­ dosso, perché riguardo alle cose indifferenti sosterrebbe la stessa dottrina della Stoa. Questo si ricava, se si interpreta correttamente la testimonianza di Diogene Laerzio, in cui si dice che Erillo riteneva indifferenti le cose intermedie tra la virtù e il vizio 19 • A mio parere invece le dottrine di Aristone e di Erillo sono molto simili. Se Cicerone in de fin. III, 3 1 distingue il sommo bene di Aristone da quello di Erillo, in de off. I, 6 accomuna le loro dottrine, poiché non hanno lasciato rerum aliquem dilectum. Questa afferma­ zione di Cicerone non sarebbe possibile se Erillo non aves­ se sostenuto che 'tvup.o, devono essere riferiti ad Arista­ ne di Chio, come vedremo in seguito. •





LA DOTTRINA DELLE CIRCOSTANZE

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IL PARAGONE DEL NOCCHIERO

Il paragone del saggio con il bravo nocchiero è parti­ colarmente caro ad Aristone, perché corrisponde alla sua con­ cezione filosofica, che esclude ogni conoscenza, per cosl dire Àor �af11j). Crisippo in Plut., de stoic rep. 23, 1045 c (fr. 973 SVF Il) sostiene che l'assenza di causalità e il rischio non esi­ stono : tò jcXp CÌ\Ia(t�0\1 oÀw� IÌ\IÒ'ltapxto\1 et11a� xcd tò aùt6 f1ato\l . 20 Cfr. DL, VI, 38; Stob., ecl. II, 8, 2 1 ; flor. IV, 44, 7 1 . ]. F. KrNDSTRAND, op. cit. , p. 267, differenzia su questo punto l'atteggiamento di Bione da quello di Diogene. Anche Epicuro combatte il concetto di 'l: Ò X'I) , dr. ep. ad Men. 134 e M. I s NA RDI PARENTE, Epicuro e il carattere pratico della filosofia dell'Ellenismo, « Rivista Critica di Storia della Fi­ losofia », :lO..'XIII ( 1978), p. 9 e sgg.

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mente nel determinare il suo comportamento retto. Per Bione il saggio deve recitare qualunque parte gli assegni la sorte: « naufragato egli deve vivere la sua situazione con coraggio, ridotto all'indigenza dalla ricchezza, deve recitare la povertà con grandezza d'animo », perché se cercasse di trasformare le cose ne ricaverebbe soltanto sofferenza e turbamento 21 • Quindi per Bione come per Aristone la causa del turba­ mento sta nella falsa opinione e non nella natura delle cose 22 . Ma in Bione il principio che l'individuo deve essere indi­ pendente dalle circostanze esterne e quindi capace di adat­ tarvisi, non è né sorretto da un fondamento filosofico, né inquadrato in una dottrina etica sistematica. L'intento di Bione è quello di aiutare gli uomini del suo tempo ad essere felici e va al di là di qualunque preoccupazione strettamente filosofica 23 • Ad Aristone invece interessa confermare attra­ verso il paragone dell'attore la dottrina espressa nella for­ mula del telos : il saggio vive in armonia con il proprio logos, soltanto quando si comporta indifferentemente verso tutte le cose, eccettuati la virtù e il vizio. In questo senso non sol­ tanto le cose intermedie sono liò tciq>optJ., ma anche le azioni quotidiane non possono essere che o buone o cattive. E poiché ciò ohe caratterizza l'azione retta è la disposizione retta di colui che la compie, il saggio può recitare indiffe­ rentemente sia la parte di Agamennone che quella di Ter21 Tcl., p. 52, 2-5 H. 22 Tel., p. 9, 2-8 H. (fr. 21 Kindstrand) : [ . . . ] ormo �at �wv 7tpay· (.LcX�W'\1 1 Cjl"YjOL 7tctpcX �Yjv fl7tÒÀ"Yjcj>LY ij �MV"Yj y (YS�GtL �Gtt i!cXV (.L È'II olj�w' fl7toÀcX �!]' 7t!pt ab�wv, w' 6 l: w�pcX�"Yj,, ob� �8uv"lja!} , icXv 8à w, hépw,, d:YtcX0!] 1 OÒ� fl7tò �WY 1tpGt"( (.L cX�WY d:ÀÀ • fl1tò �W'\1 t8(wv �pÒ7tWY �at �Yj' cj>au8oll, 86�"'1'· Cfr. Aristone in Sen ., ep. 94, 6 (fr. 359 ) : [ . ] nisi opiniones falsas, quibus laboramus, expuleris; ibid. , 13 : duo runt propter quae delinquimus: aut inest animo pravis opinionibus ma­ litia contracta [ . ] ; 1 7 : inter insaniam publicam et hanc quae medicis tra­ ditur, nihil interest, nisi quod haec morbo laborat, illa opinionibus falsis. 23 J. F. KlNDSTRAND, op. cit., p . 76: « Bion wants to help his fel­ lowmen to be happy, without necessarily becoming professional philo­ sophers, which explains the very basic character of his teaching » . .

.

.

.

LA DOTTRINA DELLE CIRCOSTANZE

197

site 24 • Infatti egli non mira ad un preciso modo di vita, dal momento che il possesso della virtù gli consente di rag­ giungere il fine in ogni circostanza 25 • I L PARAGONE DELL 'ATTORE NELLA TRADIZIONE STOICA « OR­ TODO S S A »

Il paragone dell'attore verrà ripreso ampiamente nella letteratura posteriore, ed è interessante rilevare come esso verrà usato per esemplificare due dottrine diverse : l'una che deriva da Aristone, che il saggio non stabilisce nessun genere di comportamento preciso ; l 'altra, che deriva dalla tradizione stoica ortodossa, che il saggio deve indirizzare la sua vita secondo un comportamento determinato, che gli è prescritto dall' 6 1-LoÀoyCpoaÒV"fjV �':K.CUOOÒV"fjV 1 dJ� à.XWPLO'tOU� J.1SV o!iaet�, hspet' �è xett �'etg:>epoòaet� à.ÀÀ'ljÀwv. 7tliÀtv �s 6p,�op.evo� =

ARISTONE DI CHIO E LO S TOICISMO ANTICO

210

mette di ricostruire con esattezza le definizioni delle quattro Yirtù cardinali di Zenone. Infatti Plutarco, dopo aver affer­ mato che Zenone definiva ciascuna delle quattro virtù, rife­ risce le definizioni di due soltanto, dell' àvopda. e della crw­ cppocru vY}. Inoltre l' àvopda. non iè mai definita né da Zenone, né dai suoi discepoli come saggezza nelle cose da fare, bensì

a:!l,;ùiv btcia-.1)\11 ,;'ljv f'È\1 ch�pe(a:v cprJa� cpp6V1JOW eha:t èv (fl1tOf'S\I!• 't:ÉOtç;" ,;Yjv 8È [ ) cpp6V1)0t\1 è v) i!\lepyrJ,;Éott; ,;Yjv 81; 8tX.CxtOOU\11)\I cpp6VY/Ot\l èv cX1tO\ISf-LYI'É0t p.6vov �È 6 Z�vwv 7tapt 'l:otil'l:�t cpottve'l:or.� or.b1:lji p.otxo p.avo� (unane sit virtus an complures), cXÀÀci x.or.t Xp6am7to�, • Apta1:wv� p.àv i!yx.or.Àwv1 01:� p.�ii� d:pet1)� axliae�� SÀBj€ 'l:tX� dHot� e!vot�, Z�VWVL � à �ÀÀE"çGtt, obx on fl'lj8Ep.LGtV Q:psoç'Ìjv bol'ljas Mv�:tp.tv [ ]. 37 Cfr. R. HIRZEL, Untersuchungen, cit., vol. II, p. 97 ; A. DIHLE, Posidonius System, cit., p. 52, sostiene che l'identificazione dell' byletGt oçjjç; cJioxjj ç; con l' Q:psoç'Ìj Q:&scilp'ljoçoç; possa risalire a Diogene di Ba­ bilonia. 38 A torto F. KunLIEN, cit., ritiene che la posizione di Aristone riguardo all a salute dell'anima sia molto diversa da quella di Crisippo, perché non tiene conto di Plut., de virt. mor. 2, p. 440 f in cui Ari­ stone identifica la virtù con la salute dell'anima. . • .

LA DOTTRINA DELLA VIRTÙ

223

aveva introdotto molteplici virtù . La stessa divergenza tra Plutarco e Diogene Laerzio si riscontra anche per la dot­ trina di Cleante . Per chiarire meglio le posizioni dei singoli Stoici su questo problema, è utile analizzare la polemica di Crisippo contro Aristone per vedere in che senso debba essere intesa, e fino a che punto sia fondata la tesi che attri­ buisce a Zenone e anche a Cleante l 'introduzione di una mol­ teplicità di virtù . Crisippo ha dedicato a confutare la dottrina di Aristone un'intera opera intitolata, IlE p l 'tou 7totàç; El voc.t ò:pE'taç;, ed ha esposto le sue proprie tesi in un'altra opera in quattro libri intitolata [JEpl 'ti'jç; ot oc.cpopaç; 'tWV Ò:pE'tWV 39, Galeno che ci riporta la polemica intercorsa tra Aristone e Crisippo, costituisce una preziosa fonte di informazione, perché si serve delle argomentazioni di Aristone per confutare la dottrina di Crisippo, che egli vuole combattere ad ogni costo . Aristone, considerando unica la OUVOC.(ltç; dell'anima con cui ragioniamo, considera unica la virtù dell'anima, e cioè la scienza del bene e del male, la quale è sapienza e scienza, ma assume nomi diversi quando è rivolta alle attività della vita 40 • Anche Cri­ sippo sostiene che la potenza dell'anima è una : « infatti se quando conosciamo bene tutte le cose ed agiamo bene, la vita si svolge secondo scienza, e quando conosciamo ed agiamo male e in maniera errata, la vita si svolge secondo ignoranza, come lo stesso Crisippo vuole, anche per questo una sola è la virtù, la scienza, allo stesso modo uno solo è il vizio, chiamato ora ignoranza ora imperizia » 41 • La conclusione a cui Galeno conduce il ragionamento era condivisa da Ari­ stone, ma non da Crisippo. Infatti Crisippo sosteneva che, pur essendo unica la potenza dell'anima, molteplici sono le scienze e le virtù 42 • Le virtù per Crisippo sono qualità, come

39 Cfr. frr. 256

e

259 SVF III.

40 Cfr. fr. 256 cit.

4 1 Ibid. 42 Gal., de H. et Plat. decr. V, 468,

p. 447 M. (fr. 257 SVF

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ARISTONE DI CHIO E LO STOICISMO ANTICO

indica il titolo della sua opera. « Crisippo, pensando che la virtù di ordine qualitativo fosse costituita da una qualità propria, non si accorse di svegliare, secondo Platone, uno sciame di virtù im:solito e sconosciuto » 43• Le virtù pertanto sono molteplici . Dal canto suo Aristone riteneva che la virtù fosse una « ma fosse chiamata con più nomi a secondo della disposizione in relazione alle cose » 44• Crisippo riteneva che ad ognuno di questi suoni indicanti le virtù, corrispondessero veramente virtù diverse 45 • « Infatti come nell'uomo corag­ gioso vi è il coraggio, nel dolce la dolcezza, nel giusto la giu­ stizia, allo stesso modo, ponendo come virtù qualità di grazia nel grazioso, di bontà nel buono, di grandezza nel grande, di bellezza nel bello e cosl di seguito destrezza, gentilezza, piacevolezza, ha riempito la :filosofia che non ne aveva bisogno di molti e strani nomi » 46 • La differenza tra la posizione di Aristone e quella di Crisippo sta nel fatto che quest'ultimo riteneva che « la molteplicità delle virtù e dei vizi non con­ siste nella disposizione relativa a qualcosa » , come pensava Aristone, « ma nelle sostanze proprie modificate dalla qurt­ lità » 47•

III): 7tOÀÀIX� i!ma,;�p.cx� u xcxt àps,;ck� etvcxL rp�acx� p.Ccxv arp'r)asv etvcxL � UVCXfiLV 1:1)� tale e uomo » 55 • In un certo senso anche Aristone è nominalista, perché sostiene che la virtù è una, chiamata con molti narni. Tuttavia egli, diversamente da Menedemo, ammette una differenza tra le singole virtù, perché ad ogni nome diverso corrisponde un rapporto diverso con le cose St . Questo s i ricava sia dal paragone della virtù con l a vista, sia dal paragone della virtù con la moneta : « La virtù è unica secondo la potenza, ma le capita quando prende vita in SI

Cfr. O. RIETH, Grundbegriffe, cit., p. 85 e sgg. Cfr. Sen ., ep. 1 1 3, l e sgg. (fr. 307) e Stob., ecl. II, 7, 5 h, p. 64, 18 (fr. 305 SVF III). s3 Cfr. fr. 259 SVF III. 54 Fr. 375 cit. ss Plut., de virt. mor. 2, 440 f; cfr. DL, II, 129. 56 È significativo il fatto che sia Plutarco (fr. 375 ) che Galeno (fr. 374) usino il verbo x«Àitv per riferire le definizioni di virtù di Aristone, anziché il verbo bp,�ea&at , cfr. A. GIESECKE, De pbiloso­ pborum veterum, cit., p. 104 e sgg. Ma la differenza tra la posizione di Aristone e quella megarica è posta in luce da DL, VII, 160 (fr. 351 ) . 52

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LA DOTTRINA DELLA VIRTÙ

alcuni oggetti di essere chiamata saggezza, in altri tempe­ ranza, in altri ancora coraggio o giustizia [ . . . ] . È cosi che noi diciamo che una e medesima dracma si chiama, se è data al barcaiolo passaggio, se è data al gabelliere gabella, se ad un albergatore affitto, se al maestro di scuola onorario, se ad un venditore caparra » 57 • Aristone esemplifica molto bene la dottrina che la virtù è una, ma molteplice nei suoi rapporti con le cose attraverso i paragoni della virtù con la vista e con la moneta. Infatti entrambi i paragoni hanno la funzione di imprimere in ma1niera indelebile nella mente del­ l'ascoltatore la dottrina di Aristone, anche se raggiungono questo risultato mediante caratteristiche diverse : infatti il primo paragone non si fonda sulla realtà, il secondo invece è profondamente radicato nella vita quotidia�na. In partico­ lare il paragone della virtù con la vista, riportato da Plu­ tarco, deriva con molta probabilità direttamente da Aristone, in quanto i termini Àeuxo&É�X e p.eÀ�Xv&É�X sembrano essere degli hapax 58• Pertanto Aristone si serve delle analogie della virtù con la vista e con la moneta come modelli dimostrativi della dottrina delle circostanze applicata alla virtù : in breve la virtù prende nomi diversi a seconda del variare delle circo­ stanze. « La virtù quando esamina ciò che bisogna fare o 57 Clem . Alex., strom. I, XIX, 97, 3, p. 62 S. (fr. 376) : m yoùv axo­ 'ltOtJl!V 1 JlLGt "ltct'tèt �ÒVGtJlLV �O'ttv fJ d:pn"rj . 'tctU't"I)V Il è: aU Jl�! �Yj"lt!V 'tOU'tOt' JlÈV 'tOL' 'ltpGt"(JlO:OtV i"("(!VOJl!V"I)V À!"(!O�ctt tppÒV"I)OtV �V 'tOÒ'tOtb e it OW­ cppOOUV"I)V • i!V 'tOU'tOt' �à d:vapz(GY.V ij �t"ltcttOOÒV"YjV . [ J 'tOÙ'tOV tf>O:JlÈV 'tÒV 'tpÒ'ltOV Jltà.' XGY.� 't"ÌJ' a:ù'tij ' apa:XJliì' "t ep JlÈV \ICI:tJXÀ"rjpcp ao�ELO"Yj' À!"(!O�a:t va:ÙÀ0\1 • 'tep �è: UÀW\1"!} 'tÈÀO' • xa:� �\IOLXtOV JlÈV 'tep O'tCI:�JlOÒXCJl " JltO�Ò\1 aà 'tep �t�CI:OXOCÀCJl " XCI:� 'tep 'ltt 'lt pOCOXO\I'tt d:�pa:�W\Ict. 58 D. BABUT, Plutarque, de la vertu éthique, cit., p. 132, n. 9 : « !es termes À!uxo�éa: e t Jl!Àa:v�!a: (Jl!Àa:v o&éct dans u n manuscrit) semblent etre des hapax ». K. H. RotKE, Die bildhaften Vergleiche, cit. , p. 126 : « das Bild vom Blick auf etwas Weisses und Schwarzes ist eindeutig Bestandteil des Referates, denn der Irrealis, in dem dieses unrealistiche Bild wiedergegeben wird, steht hier im obliquen Optativ. Plutarch selbst macht also deutlich, dass er ein Bild des Ariston von Chios wiedergibt ». •







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non fare, è chiamata qJpévYjc:nç , quando controlla il deside­ rio e definisce la giusta misura e l'opportunità nei piaceri awppoau VYj » 59 . Se viene meno la circostanza di porre un limite ai piaceri la a(J)rppoauv'YI non esiste, ma esiste soltanto la virtù; lo stesso di-scorso vale per la rppéVYjO"Lç e per la &. v­ òpda.. Il nominalismo e la dottrina delle circostanze sono strettamente legati fra loro : « Ciascuna virtù, pur essendo chiamata in modo sinonimico, è causa soltanto di ciò che corrisponde alla sua natura ; la vita felice si realizza per com­ mistione di queste virtù ; infatti noi non siamo felici in rela­ zione ai nomi, quando chiamiamo la vita retta felicità e felice colui che ha ornato la sua anima di virtù » 60 • Le virtù infatti, considerate come axéae:t ç della virtù unica, sono processi esterni che non incidono nell'intimo dell'uomo, ma sono nomi che riguardano semplicemente le diverse circo­ stanze esterne. Da questo punto di vista la dottrina di Ari­ stone minacciava di fornire un'interpretazicme della dottrina di Zenone in senso nominalista e rigidamente monistico . Blutarco attribuisce a Zenone Ja tesi che la virtù è una, ma sembra differire nelle relazioni verso gli oggetti nell'agire 61 • La posizione di Zenone sarebbe quindi h stessa di quella di Aristone? La polemica di Crisippo cerca di separare netta­ mente la posizione di Zenone da quella di Aristone, per poter presentare la propria dottrina come la vera interpretazione di quella del maestro. La controversia, in effetti, non era tooto sul problema dell'unità o della molteplicità della virtù, quanto !:ul fatto che Aristone negava che le differenti virtù corri­ spondessero ad un mutamento interno dell'egemonico . Biso­ gnava spiegare che quando Zenone affermava che la virtù ·

59 Fr. 375, cit.

.E"�.a'l:'lj es - c!:pe't:� - OU\IWVÒJ.LW' "O:ÀOUJ.LSV'Ij J.L6VO\I 1:06 "o:& • !O:U't:YJ\1 cl:7tO't:I!ÀiaJ.L0:1:6b ila"t:L\1 cx!"t:(O: ' "O: 't:� aÒYXP'IjOL \1 Ili 't:OÒ't:W\1 y Cyvna.L 't:Ò !Ma.LJ.L6VWb �f) v ' fJoYJ y�p IJYj eùlla.LJ.LOVWJ.LI!V 7tpÒb 1:� ÒV6J.La.'l:a.1 01:0:\1 'l:Ò\1 òp&òv �(0\1 !bllO:LJ.LOV(a.v ÀSYWJ.LI!V "a.t aùiJo:C J.LOVa. 1:òv "I!"OOJ.L'I) J.LÉvov 1:7jv clmx7Jv !va.phw,. 6 1 Cfr. fr. 200 cit.

60 Fr. 376, cit . :

LA DOTTRINA DELLA VIRTÙ unica sembra differire

229

'tott� òè 7tpÒç 'tÒC. 7tpay!lot'tOC. crxécrea�

xoc.'tòc. 'tÒC.ç è v epye(oc.ç, indicava

nn mutamento effettivo nel­ l'anima, e non soltanto in relazione agli oggetti esterni. Solo se fosse stata chiarita la differenza tra la dottrina di Zenone e quella di Aristone, era possibile polemizzare contro la con­ cezione della virtù di Aristone. Ma qual era effettivamente la dottrina di Zenone? Accanto alla testimonianza di Plutarco nel De Stoicorum repugnantiis e nel De virtute morali, c'è quella di Diogene Laerzio nella Vita di Aristone. Diogene Laerzio, però, espone la posizione dei singoli Stoici riguardo alla molteplicità della virtù nella sezione dossografica del VII libro delle Vite dei filosofi: « Panezio ammette due virtù, teoretica e pratica ; altri ne ammettono tre : logica, fisica ed etica. Quattro ne ammettono Posidonio e i suoi seguaci, ancora di più Cleante, Crisippo e Antipatro e i loro seguaci. Apol­ lofane ne ammette una sola, la cpp6v1Ja�ç » 62 • Evidentemente Diogene Laerzio vuole esporre il punto di vista di alcuni del principali maestri stoici riguardo al problema della unità e della molteplicità della virtù, escludendo gli Stoici eterodossi Aristone ed Erillo. Proprio per questo motivo meraviglia che egli, in tutta la sezione dedicata alla virtù, non faccia alcun cenno alla posizione di Zenone, ma riferisca invece la posi­ zione di Apollofane, personalità di scarsa rilevanza filosofica. Il fatto che quest'ultimo avesse identificato la virtù unica con la cp p6V1JO'�� , sta ad indicare che all'interno della Stoa questa posizione era stata assunta e discussa . Probabilmente Apollofme la aveva adottata perché lo stesso Zenone la aveva sostenuta, secondo quanto ci informa Plutarco. Il si­ lenzio di Diogene Laerzio pertanto riguardo a Zenone po­ trebbe essere interpretato nel senso che la posizione di que­ st'ultimo non era affatto chiara . Ma nella Vita di Aristone Diogene Laerzio afferma che « Aristone non introdusse mohe virtù, carne Zenone, né una sola virtù chiamata con molti

62

DL, VII, 92.

230

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nomi come i Megarici, ma secondo la disposizione relativa » 63 • Questa notizia desta perplessità non perché attribuisce a Zenone l'introduzione di lipa'tciç, ma perché aggiunge 1toÀÀciç. Poiché da Plutarco sappiamo che Zenone considerava sol­ tanto quattro virtù, le virtù cardinali di Platone, la testi­ monianza di Diogene Laerzio è inesatta . Inoltre appare evi­ dente che Diogene Laerzio riporta la dottrina di Zenone con l'intento di differenziarla da quella di Aristone. Probabilmente Diogene Laerzio nella sua fonte trovava esposto il punto di vista di Zenone sulla virtù in relazione a quello di Aristone . Questa 1potesi potrebbe essere confermata dal fatto che le notizie che abbiamo sulla filosofia di Aristone ci sono giunte attraverso la polemica e la mediazione di Crisippo, il quale aveva tutto l'interesse a dimostrare che Zenone aveva intro­ dotto molteplici virtù, per legittimare e sostenere la sua pro­ pria tesi su questo problema. Per questo motivo allora Dio­ gene Laerzio riferirebbe la dottrina di Zenone non dove sa­ rebbe stata la sua sede naturale, e cioè nella sezione dosso­ grafica sulla virtù, ma nella Vita di Aristone, le cui notizie biografiche gli erano giunte attraverso la polemica di Crisippo. Ma da Plutarco e da Galeno siamo informati che anche Ari­ stone ammetteva le quattro virtù cardinali, pur ritenendole cr x ÉcraLç della virtù unica. La posizione di Zenone quindi è molto vicina a quella di Aristone. È possibile comunque che lo stesso Zenone non avesse chiaro il problema e che quindi non abbia applicato consapevolmente le categorie alla dottrina della virtù, se è vero che la dottrina dei quattro modi del­ l 'essere non è attestata prima di Crisippo 64 • Zenone potrebbe 63 DL, VII, 1 60 (fr. 351 ) : lipe'tciç 'tS GU'tS 1tOÀÀciç e\ofiyev, wç o Z'lvwv, OU'tS fL(Gt'l 1tOÀÀotç l>v6fLGtOt XGtÀOOfLÉ'I"I)'I, w;; ot Meya:ptxo (, IÌÀÀ� XGt't� 'tÒ 7tpÒç 't( moç BXSt'l , 64 Questo è i l parere d i M. PoHLENZ, La Stoa, vol. I, p . 132, ma sul problema dell'introduzione della dottrina delle categorie nello Stoici­ smo, i critici non sono concordi. M. REESOR, The Stoic Concept of Quality, « American Journal of Philology », LXXV ( 1954), p. 4 1 , avanza l'ipotesi che Zenone abbia considerato le virtù come qualità . Incerto anche se incline al parere della Reesor, si mostra A. GRAESER, cit.,

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23 1

aver considerato le virtù cardi111 ali come crxécrr;�ç della virtù unica, ma nello stesso tempo non dipendenti esclusivamente dagli oggetti e dalle circostanze esterne. Le sill1 gole virtù cor­ rispondono ad un effettivo mutamento interno all'egemonico, in relazione al prodursi di circostanze esterne. Aristone po­ trebbe aver interpretato la dottrina di Zenone, radicalizza:l­ dola alla luce del postulato fondamentale della sua etica : esiste un unico bene, la virtù, e un unico male, il vizio . Da questo punto di vista non si può parlare che di una sola virtù, mentre le virtù non sono altro che nomi correlati esclu­ sivamente agli oggetti e alle situazioni esterne. LA POLEMICA DI CRISIPPO CONTRO ARISTONE SECONDO GA­ LENO A questa interpretazione della dottrina di Zenone rea­ gisce Crisippo . Crisippo, « come coloro che sono inesperti di ragionamenti, presta attenzione alla differenza dei suoni e non alle cose da essi significate, ritenendo che sia indicato qualcosa di diverso secondo ognuna di queste voci, da sce­ gliere, da fare, da osare, bene » 65 • Galeno che ci riferisce que­ sta dottrina di Crisippo, afferma che sebbene Crisippo di­ scordi a parole, in realtà sostiene la stessa tesi di Aristone : « anche secondo Crisippo con tutte queste parole indica bene e male se è vero che solo il bene è di per sé da scegliere, da fare, da osare » 66 • « Infatti non si indicano cose diverse, ma sempre una stessa cosa con tutte queste parole, come si ricava p. 144. Tuttavia la stessa M. Reesor, The Stoic Categories, « American Journal of Philology », LXXVIII ( 1957 ), p. 63, ammette che « very little evidence related to the four categories is to be found in the fragments of Zeno's philosophy » . 65 Fr. 256 SVF III : Xpòam'lto� lls obx o!ll� omo�, wa'ltep ol tlltiil'l:�L ì..6 y (l)Y1 ,;fj llt�q>op� ,;wv q>(l)YWY 1 ob 'tot� ,;u yxcivouatv a.b,;cxt� 'ltpciyp.a.aL 'ltpoaéxst 'tÒY vo\lv1 hep6v 'tt vop.(!;(l)Y ll'flÀou a&a.t xcx& ' bcia,;'ll y ,;wvlle 1:WY utcx. dell'anima, molte­ plici fossero le virtù . Aristone replica che se è una l' eùq>utcx. dell'anima, come gli Stoici ammettono, è una anche la virtù . Il ragionamento che l'Anonimo attribuisce ad Aristone è lo stesso che ci riferisce Galeno, soltanto che mentre l'Anonimo parla di eùq>utcx. , Galeno parla di ou vcx.p.�ç dell'anima : « Ari­ stone, considerando che è unica la ou vcx.p.�ç; dell'anima con cui ragioniamo, considerò unica anche la virtù dell'anima » 74 • Abbiamo visto che l' eù �utcx. è per gli Stoici ooa el; � ç o per natura o per educazione conforme a virtù, oppure una ltl; �ç i n conformità della quale alcuni sono capaci di accogliere la virtù 75• L' aùq>utcx. quindi non è altro che l'egemonico fa­ cile a plasmarsi e ad accogliere la virtù, dal momento che la plasticità e la capacità di accogliere le rappresentazioni è l a

72 Lo stesso D. TsEKOURAKIS , op. cit. , p. 104, afferma: « In none of extant fragments which are attributed by name to the first three Stoic philosophers Zeno, Cleanthes and Chrysippus, does the explicit contrast between the verbal adjectives in 't6ç and 'tsoç occur » . 73 Anonymus, comm. in Theaet. col. XI, 1 2-40 (Papyrus 9782, bearbeitet von H. Diels und W. Schubart, Berlin 1905, p . 9). Per il testo cfr. p. 122, n. 75. 74 Fr. 256, cit. 75 Cfr. fr. 366 SVF III, cit , cfr. p. 96 e sgg. .

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caratteristica dell'egemonico 76 • Ma l'egemonico ha soltanto una aùcputa. e soltanto una 2h) Va.[.Lt ç , E poiché la virtù è 11 compimento della natura di ciascuno, e la perfezione è una per ogni essere, la virtù non può essere che una 77 • Aristone rivolgeva questo ragionamento contro più di uno Stoico, dal momento che il testo dell'Anonimo parla di npòç; ouç o Ào­ yoç , riferendosi con molta probabilità a Cleante e sicuramente a Crisippo 78 • Inoltre la collocazione dell' aùcput 7tciV'tGt� ";(mou�, ";Ò �aÀoti� u �CJ.t a!axpòu� 1'JexoJ.Lhq>. 7 7 Cfr. Galeno nel fr. 257, cit. 78 Si consideri che Cleante aveva scritto un llept !Ùq>utav . Non mi sembra che si possa provare che Aristone intendesse riferirsi anche a Zenone, come ritiene O. LusCHNAT, cit., p. 200. Infatti il plurale 7tpò� oli� può essere giustificato dal riferimento a Cleante e a Crisippo, e non a Zenone del quale anche Aristone vuole mostrarsi il vero in­ terprete. Si pensi anche a Index Stoicorum Herculanensis X, 2 (fr. 39 cit. ). 79 Cfr. O. LuscHNAT, cit. , p . 187 e frr. 127, 135, 137 SV F III. Per le differenze tra i saggi, cfr. Stob., ecl. II, 7 , 11, p . 1 13, 24 (fr. 529 SVF III). 80 A respingere la proposta di DEIKE, op. cit., p. 79, n. 2 di so­ stituire nel De virtute morali di Plutarco (fr. 375) by !etav con eùcputav va aggiunto il passo dell'Anonimo che Deike non mostra di conoscere,

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Il passo dell'Anonimo pertanto ci conferma che Aristone si era servito degli argomenti che Galeno gli attribuisce e che usa a sua volta contro Crisippo. Tuttavia Crisippo, pur ritenendo che ogni virtù è qua­ litativamente differente dalle altre, sosteneva che esse si im­ plicano reciprocam:!nte 81 • Infatti esse interagiscono tanto che colui che ne possiede una, possiede anche le altre 82 • Questa civto:xoÀou&!o: si fonda sul fatto che le virtù hanno &Ewp�­ (lO:"to: comuni e il tÉÀoç 1n comune, anche se ognuna con­ duce per proprie vie ad esso, poiché presiede ad un campo che le è proprio 83 • Le virtù sono simili alle pietre della volta di un arco, le quali non si possono separare, perché sono causa le une delle altre per rimanere in piedi 84 • Esse quindi sono le proprietà dell'egemonico che si compenetrano reciprocamente : « Non infatti sono una sola, ma nel corag­ gio vi sono tutte coraggiosamente, altrove saggiamente » 85 • La virtù infatti come un tutto non è altro che l'egemonico nel suo stato di salute, e cioè À o yoç O(lOÀoyou(lEYoç xo:t �É­ �o:toç xo:t CÌ(lE"tchttwtoç 86 • In questo senso anche Crisippo sottolineava l'unitarietà e l'invariabilità della virtù che si presenta come solo ed ooico bene 87 • Il disaccordo con Ari­ stone sorgeva perché quest'ultimo sosteneva che le circo­ stanze esterne erano soltanto l'occasione della diversa denoil quale sottolinea che l' !bcpotGt è condizione della virtù, ma non si identifica con essa. 81 Cfr. Olyrnpiodorus, in Plat. Aie. pr. p. 214 ( fr. 302 SVF III) e Stob ., ecl. Il, 7, 5 b, p . 64, 1 8 (fr. 305 SVF III). Cfr. S . SAMBURSKY, Physics of Stoics, cit., p. 8 1 . 82 Cfr. Plut., de stoic. rep. 2 7 , p. 1046 e (fr. 299 SVF III). 83 Cfr. DL, VII, 125 (fr. 295 SVF III). 84 Cfr. Clern. Alex., strom. VIII, IX, 3 1 , l, p. 100 S . (fr. 349 SVF Il). 85 Fr. 302 cit. 86 Plut., de virt. mor. 3, p. 441 c (fr. 459 SVF III). 87 Cfr. H. K. KRAEMER, Platonismus, cit. , p. 222 : « In dieser ' Antakolouthie ' der clpna( kornrnt die substantielle Einzigkeit der Arete zurn Ausdruck » (SVF l, 199 e sgg.; III, 295 e sgg.).

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minazione della virtù, la quale è sostanzialmente una : la vista è sempre la stessa sia quando percepisce il bianco sia quando percepisce il nero e « il coltello è uno sia quando divide una cosa sia qua:ndo divide un'altra, e il fuoco si esercita su ma­ terie differenti, benché la sua natura sia unica » 88 • La tesi di Aristone ancora una volta sviluppava coerentemente le pre­ messe da cui era partita : l'annullamento di qualunque dif­ ferenza all'interno delle cose ad esclusione della virtù e dd vizio, e la negazione della fisica e di qualunque precettistica . Infatti negando qualunque valore agli oggetti esterni, egli ri­ poneva tutti i valori nel logos umano. Gli oggetti rivestono soltanto un valore di circostanza, per cui la diversità delle virtù non è altro che una diversità di nomi, i quali in realtà corrispondono ad un'unica attività e ad un'unica virtù. Cri­ sippo non poteva da parte sua accettare che le virtù parti­ colari cessassero di esistere, se veniva meno la circostanza esterna alla quale erano correlate : le virtù esistono realmente, sono esseri animati e sono qualitativamente distinte 89 • Le virtù sono sostanzialmente diverse le une dalle altre, perché sono modi:fìcazioni dell'egemonico. In questo modo Crisiwo 88 Fr. 375, cit. K. H. RoLKE, Die bildhaften Vergleiche, cit. , p. 175 e sgg., ritiene ahe questi due ultimi paragoni abbiano un significato diverso da quello della vista, perché, mentre nel caso della vista viene posto in evidenza che la virtù è unica in quanto all ' olio! a: , ma mol­ teplice nei suoi rapporti con le cose, nell'esempio del coltello e del fuoco viene meno l'aspetto della molteplicità nei confronti delle cose e della loro conseguente diversa denominazione. Questi paragoni non cor­ risponderebbero dunque a quello riportato sopra della vista, per cui si può supporre che siano stati introdotti da un autore secondario. Non mi sembra tuttavia necessario ricorrere a questa ipotesi, dal momento che il problema che stava maggiormente a cuore ad Aristone era quello di dimostrare la unicità della virtù, che viene mantenuta ferma in tutti e tre i paragoni. Per quanto riguarda l'esempio del coltello, O. GIGON, Kommentar zum zweiten Buch, cit. , p. 185, n. 1 13, pone in rilievo che Aristotele lo aveva usato per dimostrare che il coltello è un pro­ dotto imperfetto perché serve a molti usi (Pol. 1252 h l e sgg.), tesi che Aristone capovolge. 89 Cfr. fr. 305 SVF III.

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evitava di rendere estranea la moralità alle scienze e alle tecniche e nello stesso tempo ribadiva la legittimità delle dif­ ferenziazioni del reale 90 • LE DEFINIZIONI DELLE VIRTÙ PARTICOLARI Per quanto riguarda le definizioni di virtù, Aristone non si discosta dagli altri Stoici . La � p6v7Jcrtç è la scienza «quan­ do esamina ciò che bisogna fare o non fare » o anche «quan­ do considera che bisogna fare il bene e non fare il male » 91 • Anche Crisippo definisce la ':f!POY7Jcrtç come « scienza d i quali cose bisogna fare e di quali non bisogna ». Il coraggio è la scienza «quando affronta alcune cose e fugge le altre » 92 • La stessa definizione è attribuita ad Aristone e a Crisippo da Galeno : «coraggio è la scienza delle cose che bisogna af­ frontare o non affrontare » 93• La giustizia è la scienza « quan­ do assegna a ciascuno secondo il valore » o « quando si ap­ plica alle relazioni sociali e ai contratti con gli altri » . La prima definizione viene attribuita dalle fonti anche agli Stoici 90 Cfr. E. BRÉHIER, Chrysippe, cit., p. 244 : « Sans doute, ni la sagesse n'est une somme de techniques, ni l'apprentissage de ces techni­ ques n'est la condition de la sagesse, ainsi que l'avaient cru les so­ phistes; mais la sagesse n'a de signification que comme fondement idéal et commun de toutes ces techniques particulières » . 91 Cfr. frr. 375 e 374. L a definizione d i Crisippo è riportata da Pseudo-Andronicus, 7tapt 7ta:&wv x.a:-c:� Xpòam7tov p. 259, 74 Glibert­ Thirry (fr. 268 SVF III). 92 Cfr. fr. 374. La definizione di coraggio manca in Plutarco ( fr. 375 ), ma questa omissione non è significativa. Per l'importanza del co­ raggio nella filosofia di Aristone, dr. Sen., ep. 94, 7 (fr. 359) e Ga­ leno nel fr. 256 SVF III . 93 Cfr. fr. 256 : ima-c:"lj fL"'IJY iìlv XPÌl &a:ppetv t) fLÌl & rxf; Pet v . Gli Stoici davano più di una definizione della stessa virtù, anche se tutte molto simili, come sostiene Cic., tusc. disp. IV, 53 (fr. 285 ..WF III), il quale riporta anche la definizione di coraggio di Crisippo come scien­ tia rerum per/erendarum vel adfectio animi in patiendo ac perferendo summae legi parens sine timore.

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in generale senza ulteriori specidicazioni, poiché era largamente condivisa 94• Anche la seconda definizione rientra perfettamente nella concezione stoica e crisippea della giustizia . Infatti per gli Stoici la giustizia è una virtù che si riferisce esclusiva­ mente ai rapporti con gli altri. Crisippo in polemica con Platone sosteneva che « è assurdo dire che uno è ingiusto verso se stesso : infatti l'ingiustizia è nei confronti di un altro, non di se stesso » 95 • Per quanto riguarda la temperanza ci sono tramandate due definizioni diverse di Aristone . La tem­ peranza è la scienza « quando bisogna scegliere i beni e fug­ gire i mali » o « quando controlla il desiderio e definisce la giusta misura e l'opportunità nei piaceri » 96 • Mentre la prima definizione è comunemente condivisa dagli Stoici, la seconda invece la ritroviamo soltanto nei frammenti di Aristone. È signifìcativo il fatto che Aristone parli di « giusta misura e opportunità nei piaceri », lascia:ndo intendere che il piacere non va estirpato, ma va moderato. Senza dubbio questo di­ mostra una maggiore indulgenza verso l' f}òovr1 rispetto agli altri Stoici. Infatti gli Stoici consideravano l' f}òov� ora un ao�a:po pov ora un 1ta&o� , il quale in questo caso doveva assolutamente essere estirpato . Del resto anche la definizione stoica di lyxpa"tE� IX come « disposizione che non ci per­ mette di oltrepassare ciò che è secondo ragione, o uno stato che non si lascia vincere dai piaceri », sta ad indicare che il piacere ha soltanto una connotazione moralmente nega­ tiva 97 • Inoltre il concetto di EÒit1X� p ! 1X che compare nella

94 Cfr . Philo, leg. alleg. I, 63, p. 77, 12 (fr. 263 .WF III ) ; simile anche quella di Clcante 1) !oxù� xat ,;ò xpcho� émtv "ltEpt ,;à� &�!a� tnsv"l)"ta t , cfr. Plut., de stoic. rep. 7, 1034 d (fr. 563 ) . 95 Cfr. Plut., d e stoic. rep. 1 6 , p. 1041 b (fr. 288 SVF III). Plutarco che ci riporta la polemica di Crisippo contro la concezione platonica della giustizia nel cp. 16, la fraintende volutamente. Su questo argo­ mento e sui problemi testuali del cp. 16, cfr. M. PoHLENZ, Plutarchs Schriften, cit., p. 14. 96 Cfr. frr. 374 e 375 . 97 Cfr. DL, VII, 92 (fr. 265 SVF III), Sextus, adv. math. IX, 153 (fr. 274 SVF III).

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definizione di crwqJpocruV'Yj pone in rilievo la capacità di co­ gliere il momento opportuno per agire in ogni circostanza che caratterizza in particolar modo il saggio di Aristone. In­ fatti Aristone privilegia l'azione rispetto ad ogni teoria, per­ ché il fine consiste non solo nel raggiungere Ul!la disposizione costante e coerente, ma piuttosto nel vivere coerentemente al proprio logos scegliendo in ogni circostanza il momento giu­ sto per agire. Pertanto l' EÙxrx� p l rx è strettamente congiUI!lta alla EÒ'trx!,;Crx 98 • In questo senso la definizione di crwqJpocruV'Yj di Aristone è particolarmente vicina a quella di Cratete, il quale definiva l' €Ò'trxçCrx come fj òà tJ.É'tpo�ç; wp�crtJ.ÉVo�ç; x�'téxoucrrx 1:�ç; fjòov�Xç; 99 • Infatti nel Cinismo è documen­ tato l'atteggiamento di una moderata accettazione del pia­ cere . Basti pensare a Diogene che affermava che l' fjòovij &ÀYj&� v � consiste è v �Àrxp6't'fj't� xrxl fjcruxCq. m .

98 Cfr. D. TsEKOURAKIS, op. cit., p. 56 e sgg.

99 Cratete in Stob., flor. III, 5, 47 ; cfr. K. ]oEL, Der echte und der Xenophontische Sokrates, Berlin 190 1 , vol. Il, 2, p. 628. Del resto il concetto di J.Johpov è socratico : si pensi alla scienza metretica del Protagora e al bene come misura del Gorgia. L' sb"tae(a come virtù subordinata alla o(l)rppooòvl') si incontra anche in DL, VII, 125 ( fr. 295 JVF III), che riporta probabilmente il pensiero di Ecatone; cfr. M. PoHLENZ, La Stoa, cit. , vol. I , p. 257, n. 8. 1 00 Cfr. flor. monac. 179 = flor. leid. 168 = gnom. vat. 743 , n . 181. A proposito di questo passo già segnalato da E . WEBER, De Dione Chrysostomo, cit., p. 260, cfr. quanto dice A. BRANCACCI , Le orazioni diogeniane di Diane Crisostomo, in Scuole socratiche, cit. , p. 153 : « na­ turalmente non si allude qui ad un piacere generico, contraddicente gli ideali di aù,;IXpxsta propri del saggio cinico, ma tutt'al contrario a un particolare tipo di piacere, che è poi l'unico a potersi razionalmente definire come tale ( ij �ov'Tj d:Àl')&tv'lj ) , consistente in un stato di tÀa· p6'tl'J\: xa t ij ouxta , cioè in un atteggiamento psichico che da un lato ci riporta alle tesi già esaminate nel frammento di Stobeo, dall'altro sug­ gerisce una concezione del piacere per cui esso si configura come la stessa risultante di una già avvenuta conquista dell' d:pe't'lj ».

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LA DOTTRINA DELLA VIRTÙ DIFFICOLTÀ INSITE NEL CONCETTO DI GIUSTIZIA

Tuttavia parlare di virtù particolari per Aristone era pos­ sibile soltanto in teoria, perché nella pratica sorgeva il pro­ blema di come la virtù potesse realizzarsi concretamente. Infatti dopo aver teorizzato che l'unico bene è la virtù e l'unico male è il vizio, mentre tutte le altre cose sono indif­ ferenti, Aristone si trovava dinanzi alla difficoltà che la virtù non può avere come oggetto nessun bene al di fuori di se stessa . Ora, poiché è impossibile dare o togliere la virtù a qualcuno, dal momento che la virtù consiste esclusivamente nel logos concorde dell'individuo, l'oggetto della virtù deve essere ricercato altrove. Questa difficoltà sembra insormon­ tabile per qua:nto riguarda la definizione della giustizia. Se infatti la giustizia consiste nell'assegnare a ciascuno secondo il valore, poiché le cose esterne per Aristone sono indifferenti ed uguali, viene meno il criterio in base al quale distinguerle, e quindi assegnarle o toglierle. È questa la critica che viene rivolta contro un certo Aristonimo, che indubbiamente per la dottrina che sostiene deve essere identificato con Aristone di Chio, dall'Anonimo commentatore dell'Etica Nicomachea di Aristotele. L'Anonimo afferma che non può esistere né giustizia distributiva, né correttiva per coloro i quali dicono che non esistono ricchezze, fama, coma:ndo, né alcuno di su­ fatti beni . Infatti la giustizia distributiva o correttiva con­ siste nell'uguagliare il prevaricatore e il prevaricato: « ma il prevaricatore non è colui che assegna a se stesso qualcosa di più a caso, ma colui che si assegna qualche bene. Perciò vi sono anche quelli che dicono che tali cose sono indiffe­ renti per gli uomini e che per di più non attribuiscono loro alcun valore, ma che dicono che esse sono tutte uguali a quelle opposte, tra i quali vi era prima Aristonimo [ . ] . Anche costoro dimostrano che la giustizia è del tutto inu­ tile » 101 • Aristone pertanto considerando tutte le cose al di .

101 Anonym. in Arist. Eth. Nic. V, 13,

p. 1 137

a

.

26-30 ( Comm.

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fuori della virtù e del vizio, indifferenti, si è precluso la possibilità di essere giusto, dal momento che la giustizia consiste nell'assegnare a ciascuno qualche bene. La critica ai concetto di giustizia di Aristone non è altro che una ripropo­ sizione dell'abbiezione volta all' &.òtcx.rpop(cx. da Cicerone, con­ siderata questa volta dal punto di vista sociale, anziché da quello soggettivo. Infatti mentre Cicerone incentra la sua critica sul fatto che l' ciòtcx.rpop(cx. , eliminando la possibilità di scelta tra le cose, distrugge il concetto stesso di virtù, l'Anonimo, riportando il caso concreto dell'applicazione della giustizia, la quale consiste nell'assegnare a ciascuno secondo il valore, o nell'occuparsi delle relazioni sociali e dei contratti con gli altri, raggiunge lo stesso risultato. Infatti per asse­ gnare a ciascuno secondo il merito, la giustizia si deve occu­ pare di beni naturali che per Aristone sono &.òt�rp opcx. e che quindi rendono impossibile l'esercizio della stessa virtù. La stessa critica può essere estesa alle altre virtù, come fa del resto Cicerone per la virtù in generale. Infatti la rpp6vlj crtlj; che consiste nel fare il bene e nel non fare il male si esplica sempre tra cose che per Aristone sono indifferenti, e che quindi rendono impossibile una valutazione dei beni e dei in Arist. graeca XX, p. 248, 17 e sgg.) : et�: y&:p oun 1tÀc!ho�: oun llò!;r.t OUU cXpX'iJ OUU -.t -.iliv -.otO(l'"COV i!a"t�V ciyr.t�WV 1 lì. XGt� p.Òptr.t bciÀeae, -.oò"tot�: obllè lltxonòv -.c l!an VSJJ-'1j'"tltòv 'i) i!1tr.tvop�w-.txòv • iv y&:p ciyr.t&ofl -.wc�: 'il w . �011 �m&o J.L(a:y ,

Arnim ha riportato negli SVF il passo di Clemente, privo dei versi, ritenendo che questi non appartenessero ad Aristone. Ma il gusto della citazione poetica era molto vivo in Aristone, per cui alcuni critici hanno pensato che i versi completassero il suo pensiero; cfr. U. VON WrLA­ MOWITZ MoELLENDORFF, De Tragicorum graecorum fragmenta, Gottin­ gen 1893, p. 22, ora in Kleine Schriften, Berlin 1935, vol. I, p. 196. L. RADEMACHER, Analecta, « Philologus » , XIII ( 1900) pp. 161-162, A. GERHARD, Phoinix, cit. , p. 240 . È interessante notare come Aristone usi, per indicare le quattro passioni, l'espressione ' tetracordo ', tratta dalla teoria musicale, che sta a sottolineare la sua sensibilità per il fatto fonico e musicale, come è documentato dalla sua dottrina estetica . 15 Cfr. Gal., de H. et Plat. decr. IV, 417, p. 392 M. (fr. 482 SVF III).

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più importante per evitare la passione è prevenirla, ma una volta che essa si è determinata, Crisippo elenca un� serie di precetti per estirparla. Sulla terapia della passione Aristone e Crisippo divergono. Per Aristone la passione si può estir­ pare soltanto attraverso (-LrXX'Yj e ciax'Yjatç . Questo comporta la inutilità dei consigli pratici, tanto più nel senso indicato da Cri­ sippo, il quale, entrando nella casistica, aveva ammesso che si potessero curare le passioni, anche con quelle dottrine che egli non approvava : « infatti anche se tre fossero i generi del bene, anche così bisogna curare le passioni » 16 • Mentre Crisippo riteneva che ognuno dovesse essere cu­ rato in base alla dottrina filosofica che seguiva, Aristone rite­ neva che il modo di eliminare la causa della passione fosse uno solo : l'esercizio costante dell'anima e l'applicazione pratica dei principi fondamentali della dottrina, i quali soltanto potevano condurre l'anima alla virtù 1 7 • Aristone e Crisippo quindi con­ cordavano circa la definizione e la causa della passione e dis­ sentivano riguardo alla sua terapia. Ma il disaccordo su questo problema deve essere ricondotto al differente modo che en­ trambi avevano di intendere l'insegnamento, dal momento che la cura della passione è un fatto esclusivamente educativo.

16 Cfr. Origenes, contra C elsum VIII, 5 1 , vol. II, p. 256, 18 K . (fr. 474 SV F III). 1' La filosofia infatti consiste nella scientia e nell'habitus animi.

CAPITOLO DECIMO LA CRITICA ALLA RELIGIONE

Riguardo al problema teologico, ci restano soltanto due frammenti isolati, segno che l'argomento era stato affrontato da Aristone, ma che non era stato oggetto di polemica, tale da essere riportato dalle fonti. Cicerone nel De natura deorum sintetizza la posizione di Aristone nei confronti della divinità: « Non è meno errata la dottrina di Aristone, discepolo di Ze­ none, che ritiene che non si possa comprendere la forma della divinità, che nega la sensibilità negli dei, e che in generale dubita se Dio sia animato oppure no » 1 • Anche la testimonianza di Minucio Felice conferma che Aristone riteneva che fosse assolutamente impossibile comprendere la forma di Dio2 • In­ dubbiamente l'atteggiamento di Aristone nei confronti della di­ vinità si differenzia da quello degli altri Stoici. Tuttavia alcuni elementi presenti nella dottrina di Aristone sono comuni anche

1 Cic., de nat. deor. I, 37 (fr. 378 ) : cuius (scil. Zenonis) discipuli Aristonis non minus magno in errore sententia est, qui neque formam dei intellegi posse censeat neque in deis sensum esse dicat dubitetque omnino, deus animans necne sit. 2 Cfr. Minucius Felix, Octavius XIX, 13 (non riportato negli SVF) . L a testimonianza d i Minucio Felice potrebbe derivare dal D e natura dea­ rum di Cicerone, da cui dipendono in larga misura i cpp. 5, 17, 18, 19; dr. su questo argomento Minucius Felix, Octavius, a cura di J. Beaujeu, Paris 1964, p . XXXII. Tuttavia è interessante il collegamento che Minucio Felice istituisce tra Senofonte e Aristone ; su questo pro­ blema, dr. quanto è detto alle p. 89 e sgg.

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alla concezione stoica della divinità, per esempio la critica alla tradizione popolare che pretendeva che Dio avesse forma u­ mana. Crisippo sosteneva che « è infantile chiamare, dipin­ gere, forgiare gli dei sotto l'aspetto umano, allo stesso modo delle città, dei fiumi, dei luoghi, delle passioni » 3 • Infatti nella concezione stoica della religione sono presenti elementi di cri­ tica della religione tradizionale : Zenone riteneva che i san­ tuari e le statue, essendo opera di lavoratori manuali, fossero indegni delle divinità 4 • Ma gli Stoici non arrivarono mai ad ad una rottura con la religione tradizionale, anzi essi cercarono di moralizzarla dall'interno, accettandola in apparenza. Per e­ sempio essi cercarono di conciliare il monoteismo con il poli­ teismo della religione tradizionale, e cosi facendo, integrarono nella loro concezione religiosa molte credenze popolari 5 • Ma queste credenze popolari vennero svuotate completamente del loro significato e adattate alla filosofia stoica, mediante l'inter­ pretazione allegorica e il metodo del miglioramento dei testi poetici ( basti pensare all'Inno a Zeus di Cleante, in cui Zeus, pur essendo ornato degli epiteti dello Zeus omerico, assume un significato del tutto nuovo ) 6 • Infatti nello Stoicismo la reli­ gione viene completamente assorbita dalla fisica, tanto che, come ha osservato Babut, « on peut considérer que la philo­ sophie est totalement religieuse ou la religion totalement phi­ losophique » 7 • Questo duplice atteggiamento nei confronti della religione, di critica severa, da un lato, di recupero delle forme più conservatrici della religiosità popolare, dall'altro, giusti­ fica anche in parte l'atteggiamento di Aristone . Mentre gli Stoi­ ci erano costretti a spiegare, facendo ricorso al metodo allecoli. V, 28-VI , l 3 Philod., de pietate, col . XI, p. 77 Go. Henrichs (fr. 1076 SVF I l ) ; cfr. inoltre dal fr. 1057 al 1060 SVF I I . 4 Cfr. Plut., d e stoic. rep. 6 , 1034 b (fr. 264 SVF l) e l e testi­ monianze contenute nei frr. 264 e 265 . 1974, 5 Cfr. D. BABUT, La religion des philosophes grecs, Paris p. 192. 6 Cfr. E. R. Donns, I Greci e l'irrazionale, cit., p. 285. 7 D . BABUT, La religion, cit., p . 201 . =

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RELIGIONE

gorico, le favole empie che narravano i poeti, i quali descri­ vevano gli dei con tutti gli attributi umani, Aristone invece, che non applicava il metodo allegorico, spingeva la critica alla religione tradizionale fino alle estreme conseguenze, non solo perché negava a Dio qualunque forma e la sensibilità, ma an­ che perché dubitava perfino che Dio fosse animato . Gli Stoici, al contrario, ritenevano Dio un vivente perfetto dotato di in­ telligenza . Questo atteggiamento agnostico di Aristone nei confronti della divinità è comprensibile se si pensa che la teo­ logia nello Stoicismo faceva parte della fisica e che Aristone respingeva lo studio della fisica, in quanto essa è u1tEp f) p.aç;• Coerentemente alle premesse, Aristone quindi non poteva esprimere un giudizio sulla divinità. La sua posizione è chia­ rita da un passo della Praeparatio evangelica di Eusebio, già precedentemente ricordato 8 • Aristone prendeva come portavoce del proprio rifiuto della fisica lo stesso Socrate, facendo suoi i motivi con cui Socrate la respingeva. Le opinioni sulla divi­ nità sono molto diverse, tanto che c'è chi afferma che « gli dei non esistono affatto, chi li identifica con l'infinito, con l 'ente, o con l'uno, chi con ogni altra cosa piuttosto che con gli dei riconosciuti » . Questa discordia fra le opinioni è un'ulteriore conferma che è impossibile esprimere un qualunque giudiziò sulla divinità . Del resto anche il Cinismo a cui Aristone amava ricolle­ garsi, aveva sferrato la critica contro la religione tradizionale in nome della superiorità della -:pucrtç; che riconosceva un unico dio, sul v 6 p.oç; che ammetteva una molteplicità di dei. Questa era la dottrina che aveva sostenuto Antistene nell'opera u ­ crtx6ç; ; sempre Antistene aveva dichiarato che Dio non so­ miglia a nessuno, né è possibile coglierlo attraverso un'im­ magine 9 • Diogene si scagliava contro le forme che assumeva la pietà popolare, affermando che « non trovava affa tto strano rubare qualcosa da un tempio », e ironizzava contro le offerte 8 Cfr. Eusebius, praep. evang. XV, 62, 7 (fr. 353 ) .

9 Cfr. Antisthenes, frr. 39 a-d Caizzi

e

frr. 4 0 a-d Caizzi.

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votive e contro la superstizione 10 • Lo stesso atteggiamento con­ tro la superstizione popolare si incontra nei frammenti eli Bione di Boristene 1 1 • Inoltre anche Bione, come Aristone, non aveva una credenza positiva circa la divinità, ma ancora più signifi­ cativo è il fatto che proprio come Aristone, Bione si scagliava contro la tesi che gli dei avessero aspetto umano 12 • Pertanto la posizione eli Aristone riguardo al problema teologico por­ tava, da un lato, alle estreme conseguenze la critica contro la religiosità popolare, che partendo da Eraclito, Senofane, i So­ fisti e i Cinici, era giunta fino a Zenone stesso, dall'altro svi­ luppava le premesse della sua filosofia, che negando qualunque legittimità all'indagine fisica , gli impediva di fare un discorso positivo sulla divinità.

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Cfr. DL, VI, 73, 59, 37 e 48. Cfr. Plut., de superst. 7, 168 d (fr. 30 Kindstrand), DL, II, 1 17 (fr. 25 Kindstrand). 1 2 Cfr. Demetrius Lacon, PHerc. 1055, col. XVIII, 1-13, p . 75; De Falco, p. 31, Cronert (fr. 26 A Kindstrand) e ibid. col. XXII, 1-12, pp . 78-79 De Falco, p. 3 1 Cronert (fr. 26 A Kindstrand) . 11

CAPITOLO UNDICES IMO IL SIGNIFICATO DEL COSMOPOLITISMO

Un passo tratto dal De exilio di Plutarco, ci informa che le concezioni politiche di Aristone erano molto vicine al Ci­ nismo e alle posizioni di Zenone della Politeia. « Come è ora per te l'allontanarti da quella che ritieni la patria; infatti non esiste una patria per natura, come neppure una casa, né un campo, né un'officina, né un'abitazione del medico, come di­ ceva Aristone, ma lo diventa e piuttosto si denomina e si chia­ ma ciascuna di queste cose sempre in relazione a chi le abita e a chi se ne serve » 1 • Anche se il tema ' la mia patria è do­ vunque io mi trovo bene ' diventerà un topos letterario fra le scuole filosofiche, nel contesto in cui è espresso, reca incon­ fondibile traccia della dottrina di Aristone per la presenza di elementi tipici della sua dottrina : il rifiuto del concetto di con­ formità alla natura, la dottrina delle circostanze, il nominali­ smo 2 • Pur aderendo alla concezione di un Diogene cinico o di l Plut., de exilio 5, p. 600 e (fr. 37 1 ) : ot6v l!cmv ij vtlv aoL 'ltv non erano di nessuna utilità al piacere e alla bellezza dello stile a cui deve tendere la 4 • Crisippo infatti teorizzava che nei discorsi non bisognava evitare lo iato, né vergognarsi di commettere sole­ cismi, mostrando chiaramente quanto in scarsa considerazione tenesse i problemi di carattere formale 5 • Né Zenone, né Clean­ te, né Crisippo quindi elaborarono mai una dottrina estetica, anche se questo non significa che essi non mostrarono inte­ resse per i poeti e la poesia 6 • Bisogna arrivare a Posidonio per trovare espresse con chiarezza le definizioni di 1to C 1J (l il. e di 7tOL1J O"�ç; e la loro distinzione : « Una composizione poetica è, come dice Posidonio nell In troduzio ne sullo stile, forma me­ trica o ritmica stilisticamente non volgare, che si eleva sulla forma prosastica. Espressione ritmica è per esempio questa : ' Gea grandissima e etere di Zeus '. Poesia è una poetica com­ posizione semantica o significante, che abbraccia l'imitazione delle cose divine e umane » 7 • Gli Stoici pertanto dividevano la poetica in queste due parti: lo studio di un poema come forma di linguaggio e lo studio del poema come espressione di un significato 8 • Tuttavia le uniche trattazioni stoiche di teoria letteraria che ci sono pervenute sono quelle di Aristone di

auv&ea�ç;

'

4 Dionysius Halicarn., de compos. verb. 4, 3 1 , p. 22,3-23,2 Us. R. (fr. 206 a SVF Il). 5 Cfr. Plut., de stoic. rep. 28, 1074 b (fr. 298 SVF II). 6 Basta consultare i cataloghi delle opere dei tre capiscuola dello Stocismo per accorgersi che molti titoli sono dedicati ai poeti e alla poesia. Tuttavia non si può parlare di una « poetica » stoica; cfr. su questo argomento PH. DE LACY, Stoic Views of Poetry, « American Journal of P.hilology », LXIX ( 1948), p. 24 1 . 7 DL, VII, 6 0 (fr. 4 4 Edelstein Kidd). M. GIGANTE, l: H111 ANTI K O N IT O I H M A . Contributo alla storia dell'estetica antica, « La Parola del Pas· sato », LXXVI ( 1961 ), p. 40, rileva: « A me pare che un'analisi del passo possa concretamente additare il contributo della speculazione stoica alla storia dei concetti estetici, senza che si addivenga a ricostruzioni si­ stematiche, che lasciano adito a dubbi per l'arbitrio e forse l'entusiasmo con cui sono state tentate ». 8 Cfr. PH. DE LACY, Stoic Views, cit. , p. 244.

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Chio e di Cratete, tramandateci da Filodemo nel V libro del IIEpl 'ltOt'Yj (-Lii't(J)Y . Infatti Dionigi di Alicarnasso afferma che, mentre filosofi e studiosi dell'arte poetica si erano occupati in modo approfondito dell' hÀoyY) 'tii>Y ÒYO (-Lii't(J)Y, pochi autori di retorica avevano trattato la cruv&ecrt� 'tii>Y ÒYO(-Lii't(J)Y , senza però averne fatta una trattazione esauriente 9 • Probabilmente questi ò À !yot a cui fa riferimento Dionigi, secondo la testimo­ nianza del Ilepl 'ltOt'Yj (-L&'t(J)Y di Filodemo, sono Aristone di Chio e Cratete. Sia Aristone di Chio che Cratete privilegiavano nei poe­ mi l'aspetto linguistico rispetto al significato e al contenuto, mostrandosi vidni ai x.pt'ttx.o1 , una corrente di critici lette­ rari dell'età ellenistica che studiava il linguaggio e il giudizio sui poemi, ponendo il criterio di un buon poema nell'orec­ chio esercitato 10 • Filodemo introduce il pensiero di Aristone di Chio nel V libro del Ilepl. 'ltOt'Yj (-Lii't(J)Y alla col . XIII, 28 . Il testo del papiro a questo punto è molto corrotto, ma Jen­ sen che ne ha curato l'edizione, ha ritenuto opportuno resti­ tuire il nome 'Ap!cr't(J)Y sulle lettere superstiti (l) V , perché Filodemo dichiara di esporre le dottrine di un filosofo che si at­ tiene alla scuola stoica e che classificava i poemi in 'ltOt� (-L �'t� cr'ltouo�t�, cp �u À �, (-L�'tE cr'ltouo�t� (-L�'tE cp�OÀ� 1 1 • Entrambe queste caratteristiche si addicono bene ad Aristone di Chio . Infatti come nell'etica egli sosteneva l'assoluta indifferenza di 9 Cfr. Dionysius Halicarn. , de compos. verb. 2, 10, p. 8, 4 Us.-R ., I, 6, p. 5, lO Us.-R. 10 Per le testimonianze relative ai xpt-c:txo ! , cfr. D. M. ScHENKE­ VELD, OI KPITIKOI in Philodemus, « Mnemosyne » , XXI ( 1968 ), pp. 176-214. 1 1 L'integrazione del nome • Ap!a-c:(l)\1 proposta da Jensen è stata accettata dalla maggior parte degli studiosi ad eccezione di R. Philipp­ son, nella ree. a CHR. }ENSEN, Philodemos, cit. , « Philologische Wochen­ schrift », XLIV ( 1924), p. 420, il quale mette in dubbio che Filodemo parli di Aristone essenzialmente per due ragioni: Aristone, negando l'utilità morale di ogni tipo di esortazioni, doveva respingere anche le esortazioni fatte dai poeti ; inoltre egli affermava che l'arte è indiffe­ rente e quindi anche il bel suono doveva essere tale per lui .

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tutte le cose al di là della virtù e del vizio, così tra i poemi egli distingueva accanto a quelli buoni e a quelli cattivi, anche poemi né buoni né cattivi ( col. XIII, 28-33 ) . Filodemo si dimostra subito avversario delle dottrine poetiche di Aristone, che controbatte punto per punto e che spesso anche stravolge. Se Aristone ha dichiarato a ragione che la t-J.E'tp�o1tcx.{Hcx. è inu­ tile, nelle dottrine poetiche si è dimostrato m[p me['t-Yj]ç xcx.l 1t(p6Jxe� poç xcx.l a1t(�]a'toç x[cx.l c}]woo Àoyoç 12 • Egli af­ ferma che sono poesie buone quelle che hanno sia una buona composizione che un buon contenuto, cia'tetcx. 'ttX xcx.l 'tYJ V

auv({}eaj� v tiautcx.v �xoncx. (x]cx.l 'tYJ V o � civo�cx.v (a1touocx.Ccx.v (col. XIV, 1 1 - 1 4 ), e ritiene che il buon contenuto si trovi in quelle poesie che rappresentano pensieri a scopo edu­ cativo ( col. XIV, 1 5-20 ) . Aristone dunque distingueva in un poema la auv{}ea� ç , la composizione, cioè la disposizione delle parole, e la o�civo�cx., il contenuto, cioè il pensiero . Egli rin­ veniva un contenuto educativo nelle poesie di Antimaco le quali potevano essere chiamate buone in senso proprio, xup!wç. Quelle di Omero e di Archiloco invece potevano essere chia­ mate buone t-J.E'ttX auyy VWt-J.Yjç e xcx.'tcx.xp(Yj a]'t�'X!Ì.lç , perché le parole non dovevano essere assunte nel loro proprio significato, ma interpretate in senso traslato ( col. XIV, 24-XV, 7 ) . Inol­ tre egli classificava un poema in base al contenuto e alla com­ posizione buona o cattiva, o né buona né cattiva, ma aggiun­ geva che il contenuto non fosse « insolito », 'tYJ V OÈ a�ci vo� ]ex. v tXÀÀO'XO'tOV 'XCX.L 1tcx.(p€'X�€�Yj'XULCX.V 'tÒV 'XOL VÒV VOUV ( col. XV, 1 9-22 ) . Un poema che abbia una buona composizione, ma un contenuto insolito e non corrispondente alla compren­ sione comune, è inutile, come per esempio il verso « pose dap­ prima gli schinieri intorno alle gambe » ( col . XV, 1 7-25 ) . Questa affermazione suscita le obbiezioni di Filodemo il quale rileva che finora Aristone aveva parlato di un contenuto buo­ no e di uno cattivo, ma non di uno insolito. È evidente che 1 2 Cfr. R. PHILIPPSON, ibid. , p. 418, ritiene che alla col. XIV, 4 si debba leggere !X.1t (scr-.o�: anziché lima'tOI: con Jensen .

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Aristone con l'attributo « insolito » voleva caratterizzare il contenuto privo di un valore educativo. Infatti il buon conte­ nuto per Aristone prima di tutto doveva avere un interesse pedagogico. Da questo punto di vista la poesia di Omero e di Archiloco è buona soltanto in un senso traslato e improprio, perché accanto ad una forma buona il contenuto non esponeva pensieri educativi. L'atteggiamento di Aristone dunque nei riguardi di Ome­ ro differiva da quello degli altri Stoici. Mentre Zenone, Clean­ te e Crisippo avevano considerato Omero come il maestro di tutte le arti e di tutte le scienze, Aristone considera i poemi omerici buoni soltanto xa:t�XP'Y/O'ttxìilV , voleva identificare gli dei popolari con gli elementi stoici e che nel secondo libro voleva spiegare i miti di Orfeo, Museo, Esiodo ed Omero secondo questa dot­ trina 16 • Aristone invece nell'interpretare Omero seguiva piut­ tosto il metodo di Antistene e dei Cinici, e cioè accettava dei poemi omerici quella parte di verità che corrispondeva alla sua visione etica, e respingeva quella parte in contrasto che né vo-

l5 Un esempio di come Crisippo si servisse dell'etimologia in mo­ do scientifico sta nell'argomento con cui collocava la sede dell'egemonico nel cuore anziché nel cervello, cfr. Gal ., de H. et Plat. decr. III, 328, p. 295 M. (fr. 896 SVF I I ) ; II, 2 1 , p. 172 M. (fr. 895 SVF II); cfr. a questo proposito H. DAHLMANN, Varro und die hellenistische Sprachtheorie, Berlin 1932, p. 8 e sgg. 16 Cfr. Cic., de nat. deor. I, 41 (fr. 1077 SVF II) e Philod., de pietate, col. VI N ( = col. III 0), p. 17 sgg. Go. (fr. 1078 SVF II ; fr. 539 SVF I ), cfr. anche la nuova edizione di Philod., de pietate, col. I-XV di A. HENRICHS, Die Kritik der stoischen Theologie im PHerc. 1 428, « Cronache Ercolanesi », IV ( 1 974) , pp. 5-32.

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leva, né poteva spiegare con l'allegoria 17 • Da questo punto di vista per Aristone i poemi di Omero non potevano essere de­ finiti buoni in senso proprio. Tuttavia rimaneva la difficoltà di esprimere un giudizio non totalmente positivo sul poeta più apprezzato dalla sua scuola. In assenza di una lettura in chiave allegorica, Aristone era costretto a definire la poesia di Omero e di Archiloco buona soltanto in senso traslato e improprio , perché accanto ad una forma buona il contenuto non esponeva pensieri educativi. Aristone pertanto quando parlava di un poema buono in senso proprio, si riferiva ad una valutazione etica, quando parlava di un poema buono in senso improprio si riferiva ad una valutazione estetica, creando una indubbia confusione tra i due ambiti 1 8 • Poiché egli ammirava i poemi 1 7 Si veaa quanto afferma F. CAIZZI, Antistene, « Studi Urbina­ ti », I-II ( 1964), p. 59, riguardo all'allegoria antistenica: « In realtà, malgrado tutto, nessuno dei frammenti rimastici reca traccia di una vera e propria interpretazione allegorica, dell'ammissione cioè di un duplice piano nel racconto omerico : l'uno quello che noi leggiamo, l'altro che ci si nasconde alle spalle e che nulla ha in comune con il primo [ . . ] . In Omero vi è una parte che ha valore di verità perenne, ed un'altra parte contingente, legata all'epoca in cui egli scriveva ed agli uomini per cui scriveva; dalla coesistenza nel poema di queste due parti nascono dei contrasti, l'esegesi ha il compito di distinguerle, e non tanto di trasfigurare la seconda in senso allegorico, quanto piut­ tosto di giustificarla nel suo determinato contesto ». 1 8 Cfr. CHR. ]ENSEN, Philodemos, cit., p. 135: « Seine ganze Polemik ist nur insofern berechtigt, als Ariston seine Ausdriicke fiir gut und schlecht bald im ethisahen, bald im listhetischen Sinne anwandte und trotz der durch ltupcoo, und ""'"XPY) Cmltw' eingefiihrten Differenzierung die Gebiete der Ethik und Asthetik nicht klar von einander schied ». Questa oscillazione tra una valutazione morale ed una estetica dell'arte dimo­ stra quanto Aristone fosse legato a Zenone e alla scuola stoica, per la quale « la verità e l'azione morale costituiscono i criteri di valuta­ zione dell'arte »; dr. W. TATARKIEWICZ, Storia dell'estetica, vol. I : L'estetica antica, trad. it., Torino 1979, p . 232, il quale distingue all 'interno della Stoa una corrente di filosofi moralisti e intellettualisti che da Zenone e Crisippo si conclude con Seneca e Marco Aurelio, e un'altra che con Aristone di Chio e Diogene di Babilonia accentua i valori sensibili della bellezza e dell'arte. .

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di Omero e di Archiloco dal punto di vista estetico, doveva basare la sua valutazione sulla tecnica poetica. Egli distin­ gueva nella tecnica poetica il contenuto, ò�avo�Ot, e la com­ posizione, cruV&Ecr�ç; : « un poema che non ha una tecnica né buona né cattiva non è buono assolutamente, ma né buono né cattivo, e buono soltanto sotto un certo rispetto e cioè sol­ tanto riguardo alla composizione » ( col. XVI , 7-15 ) . La buo­ na composizione, secondo Aristone, è un allettamento tecnico, l'tE]xv �xà 1tOtpOt!lu]&� Ot. Ma egli sosteneva anche che « la tec­ nica dei poemi conservati non è né buona né cattiva ». Ari­ stone faceva eccezione per la tecnica dei poemi di Antimaco, i quali non solo contenevano pensieri educativi, ma descrive­ vano città e luoghi in bella armonia con l'ordine naturale 19• È evidente che Aristone lodava Antimaco per la tendenza mo­ rale e pedagogica delle sue poesie e per la forma poetica ela­ borata, piena di omerismi. Sappiamo che anche Platone am­ mirava Antimaco, la cui importanza storico-letteraria è rive­ lata dalle polemiche e dalle discussioni sorte sulla sua poesia tra i contemporanei 20 • Tuttavia per Aristone tutte quelle ope­ re che « non hanno né una buona composizione, né un buon contenuto non sono né buone né cattive » ( col. XVII, 23-27 ) . Soltanto se un poema ha un buon contenuto, ma una cattiva composizione è interamente cattivo : « una cattiva composi­ zione basta per giustificare il giudizio ' cattivo ' » ( col. XVIII, 1 -7 ) . Invece per meritare il giudizio ' buono ' non è suffi­ ciente che la composizione sia buona, ma « è necessario il bel suono, EÙ(jìti)VLOt, il contenuto e sono richieste molte altre cose » ( col. XVIII, 7-12) . Infatti anche alcuni dei poemi an­ tichi, i quali sotto certi aspetti sono buoni, e soprattutto ri­ guardo alla composizione, sono nella totalità cattivi, poiché sono richiesti altri requisiti oltre la buona composizione, per­ ché un poema sia giudicato buono 2 1 • 19 Cfr. col. XIV, 28-32 e col. XVII, 10-23 .

20 Per l'apprezzamento di Platone, dr. Proclus, in Platonis Ti­

maeum 28 c ( Heraclid. Pont. fr. 6 Wehrli). 21 Filodemo trova sconsiderato che Aristone affermi che alcuni poe=

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LA FORMA E IL CONTENUTO Filodemo conclude pertanto che Aristone ha introdotto come criterio di un giudizio di un poema l' EÒCfiWVtcx., imitando le inesistenti melodiosità dei xpmxoC, 'tcx.'tç; ciye[ v Yj]'totç E ÒCfi W V t cx.t ç; 'tWV x[pt]'ttxii>v ( col. XVIII, 1 3 - 1 7 ) . I Y.pmxol infatti basavano il giudizio di un poema sull ' eÒ(j)WV tcx. che può essere percepita e valutata soltanto da un orecchio esercitato. Il contenuto e i pensieri non hanno una grande importanza in un poema, ma rappresentano qualcosa di estrinseco, per­ ché esulano dall'arte 22 • Tuttavia Aristone, pur ponendo l'accento in un poema sull'elemento fonico e facendo in particolare affidamento sul­ l'organo dell'udito, dava importanza anche al contenuto . Per quanto riguarda il contenuto dei poemi, Aristone affermava che quando non possiamo dire se alla base di un poema c'è un contenuto, allora non possiamo neanche dire se è un poe· ma oppure no. Ed ancora se pur riconoscendo che alla base c'è un contenuto, non sappiamo se corrisponde al comune mo­ do di pensare o no, dobbiamo anche astenerci dal giudizio sul buono e sul cattivo ( col . XIX, 1 3·33 ) . In altri termini Aristone nega che si possa esprimere un giudizio su un poema sia nel caso che non si riconosca il contenuto, sia nel caso che non si comprenda. Un esempio di ciò che è espresso in ma­ niera in generale non comprensibile è ciò che ha un contenuto mi, i quali sotto alcuni aspetti sono buoni, siano poi giudicati nella loro totalità cattivi, perché isola la frase dal contesto, dr. CHR. }ENSEN, cit., p. 137. 2 2 Cfr. col. XXIV, 7·1 1 . D. M. ScHENKEVELD, OI KPITIKOI, cit., p. 189 : « it will be observed that the xpL1:Lx6� does not hold that the poet's materia! is worthless, but only that it may not play a role in the action of judging ». Per le teorie dei xpL'l:LXo( oltre l'articolo già citato di Schenkeveld, si possono consultare CHR. }ENSEN, Philo­ demos, cit. , p. 137 e sgg. e p. 160 e sgg., H. GoMOLL, Heracleodoros und die xpmxo( bei Philodem, « Philologus », XCI ( 1936), pp. 373· 384, G. M. RISPOLI, Filodemo sulla musica, « Cronache Ercolanesi », IV ( 1 974 ), p. 79 e sgg.

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insolito, come il verso « pose gli schinieri intorno alle gambe ». Infatti per poter valutare un poema è necessario che il suo contenuto sia comprensibile. Per questo motivo Aristone so­ steneva che soltanto le persone intelligenti potevano valutare il buon contenuto, mentre quelle ignoranti avevano bisogno di una poesia composta in senso tecnico ( col. XIX, 3 3-XX, 6 ) . Questa affermazione giustifica anche la grande importanza che egli attribuiva ai canoni tecnici. Infatti un poema composto secondo i canoni tecnici ha la possibilità di impressionare an­ che l'ascoltatore ignorante che non è in grado di comprendere un contenuto educativo, ma che si lascia attrarre dalla musi­ calità della forma. Aristone pertanto sosteneva che tutto ciò che contrav­ viene alla tecnica, anche se è composto in maniera buona, è cattivo . « Non bisogna giudicare ciò che è buono e saggio ed utile dalle opere migliori in contrasto con la sola e propria­ mente detta tecnica che le riguarda, ma bisogna giudicare ciò che è ben fatto ora in relazione con questa, ora con quell'al­ tra tecnica, secondo ogni tecnica particolare » ( col. XVIII, 3 1 -XIX, 6 ) . Evidentemente Aristone distingueva tra le varie specie di arte poetica , ma poiché giudicava i poemi alla luce del suo sistema etico, non poteva attribuire ai poemi di Omero l'aggettivo buono a causa del loro contenuto . La soluzione a cui ricorre Aristone è una soluzione di compromesso : « noi diciamo perfettamente buoni quei poemi molto buoni sotto certi aspetti tra quelli considerati e non volgari alla presenza di una buona composizione, ma se non sono buoni neppure sotto certi aspetti, neppure l'insieme si potrebbe dire buono » . ( col. XIX, 6- i 3 ) . In questo modo evitava di attribuire ai poemi omerici il giudizio né buono né cattivo. Come logica conseguenza dell'affermazione che il criterio più valido per giudicare il poema era l' EÒrpwvCcx., Aristone so­ steneva che « la buona composizione non può essere valutata dall'intelletto, ma dall'esercizio dell'udito », xcx.l 't'Ìj V cr7tou­ òcx.tcx.v cr[ u] v {}EcrL v oòx E! v ex. L Myw[ L J xcx.'tcx.À 'Yj1t't1} v , cXÀÀ' È x 'tlj c;; [xcx.]'tà 't'Ìj V lixoij v 'tpL�fi [c;; ( col. XX, 23-26 ) . Dunque

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soltanto l'orecchio può giudicare il bel suono che compare nel­ la combinazione delle parole, 'tYJ Y] èm (cp](U YO!lÉY'Y) Y 't* auv{Mcm 'tfuv ÀÉI;; E wv EÙ(j)WYLV ÒVO t-L chwv che Aristone riteneva una delle caratteristiche essenziali di un poema, consiste nel disporre le parole in modo tale che la loro combinazione produca un bel suono : attraverso il suono armonioso anche il pensiero che vi era espresso penetrava nell'animo dell'ascoltatore cd era recepito. In tal modo la funzione della poesia diventava quella di risvegliare la disposizione virtuosa e quindi di se­ dare le passioni 3 1 • Egli pertanto respingeva un poema con un contenuto buono e una forma cattiva, proprio perché una forma elegante e rispettosa dei canoni tecnici permetteva di far comprendere a tutti il contenuto del poema. Questa gran­ de attenzione per il fatto fonico, questa cura dell'elabora­ zione formale pone Aristone su un piano diverso da Cri­ sippo. Sappiamo che Crisippo aveva polemizzato contro i xpt'ttxoC, scrivendo un'opera contro di loro ; molte fonti ri­ feriscono del suo disinteresse per i problemi formali ; Dio­ nigi di Alicarnasso testimonia che Crisippo era nel numero di quei filosofi li&Àtot 1tE(JL 't'Ìj V auv&Ecrt v 'tii>V Ò V O t-L chwv 3 2 • Certamente molteplici motivi spingevano Crisippo a pole­ mizzare con i xpt'ttxoC. Innanzi tutto egli non poteva con­ dividere che il criterio di un giudizio di un poema fosse posto nel bel suono e che non si desse alcuna importanza al contenuto. Se si accettava questo criterio di giudizio, si arrivava ad affermare che chi loda la forma, non comprende il contenuto, così come Filodemo pretende di far dire ad

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Cfr. PH. DE LACY, Stoic Views, cit., p. 255. Cfr. DL, VII, 200 (fr. 16 SVF II) per l'opera di Crisippo Ilpò' �où' xpL�ULOÙ' 'ltpò' 4L66wpo-.. et ' . Per il giudizio di Dionigi di Alicarnasso, cfr. de compos. verb. 4, 30 e sgg., p. 21 Us.·R. (fr. 28 SVF II) ; 31 e sgg., p. 22 Us.-R. (fr. 206 a SVF II). 32

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Aristone, fraintendendone volutamente il pensiero 33• Ancora meno accettabile era per Crisippo l'altra affermazione stretta­ mente connessa alla precedente, e cioè che la buona compo­ sizione non può essere compresa dalla ragione, bensl mediante l'esercizio dell'orecchio, perché non poteva ammettere che giudice di un poema fosse l'orecchio, contrapposto aLla ra­ gione. Ma anche Aristone, sostenitore della auv&ea� ç; 'tiii V ÀÉ I;ewv e della eò � wv ( et , si preoccupava che il poema avesse un contenuto educativo. Non a caso aveva definito la poesia di Omero buona soltanto xet'tetXP'YJO"'t�xiii ç; , ed aveva ammi­ rato la poesia di Antimaco. L'esigenza che la poesia abbia uno scopo educativo viene confermata anche da un paragone attribuito ad Aristone da Plutarco : « Aristone dice che non è utile né il bagno se non lava, né il discorso se non puri­ fica » 34 • Qui Aristone non si riferisce alla poesia in parti­ colare, ma al logos in generale, e quindi al discorso e alle discussioni, le quali sono utili soltanto se hanno un effetto puri:ficatore. Aristone pertanto 111o n solo si inserisce nella tradizione stoica, ma si collega alla concezione pedagogica della tragedia di Diogene e di Cratete. Del resto anche per la dot­ trina della eò � wv (et Aristone non si pone al di fuori della Stoa, ma sviluppa alcune premesse che erano già presenti sia nello studio dell'etimologia stoica, sia nell'interesse per la forma poetica manifestato da Cleante. L'etimologia infatti si fondava anche sulla concezione che esista una corrispondenza tra il suono delle parole e le cose da esse significate. In questo senso nella scuola stoica era già presente un interesse per l'analisi dei suoni 35 • Proprio Cleante infatti con l'Inno 33 ll sp i. 'ltO�'IJ flocX't!ll \1 col. XX, 1 3 ; si cfr. il commento di CHR. ]EN­ SEN, Philodemos, p. 141, n. 2, relativo a questo passo. 34 Plut., de recta ratione audiendi 8, 42 b (fr. 385 ) : olhs r�Xp �a.Àa.vs!oo, cp'l)ai.v 6 'Ap!a'twv, olln Àoroo f1TJ x.a.&a.!pov'to' llcpsÀ6' Aa'ttv . 35 Cfr. CHR, ]ENSEN, Philodemos, cit., p. 138, n. 2 e ]. MANSFELD, Zeno, cit. p. 144.

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Zeus aveva simbolizzato l'allegoria della funzione mimetica

del linguaggio che riflette la razionalità dell'universo 36 • Egli afferma che gli stretti vincoli della poesia hanno la capacità di rendere più aperto e più efficace il nostro pensiero 37• In particolare riteneva che la poesia con i metri, le armonie e i ritmi fosse più adatta della prosa ad esprimere la verità della contemplazione delle cose divine 38 • Ed aveva messo in pratica questa sua convinzione scrivendo l'Inno a Zeus ed esprimendo molte dottrine in forma poetica 39 • Può essere che nel far ciò Cleante fosse anche mosso dall'idea che la forma poetica rende più piacevole il contenuto ed aiuta a ricordarlo 40 • Sta di fatto comunque che Cleante non elaborò mai una dottrina poetica. Il primo nella scuola stoica ad intraprendere una trattazione suHa poesia fu Aristone, il quale però sviluppò coerentemente alcun esigenze presenti all'interno della scuola. Egli infatti ripone prima di tutto il valore di una poesia nell'azione educativa che essa è in grado di esercitare . Una conferma di ciò sta nella classifica­ zione da lui fatta dei poem1 m