Zavattini. Il neo-realismo e il nuovo cinema latino-americano 8881039354, 9788881039357

Nell'investigare e ricostruire con passione e paziente attenzione archivistica le attività Latino-americane di Cesa

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Zavattini. Il neo-realismo e il nuovo cinema latino-americano
 8881039354, 9788881039357

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Biblioteca Panizzi – Archivio Cesare Zavattini – Diabasis Quaderni dell’Archivio Cesare Zavattini n. 5 2019

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Collana diretta da Arturo Zavattini La collana dei Quaderni è un progetto dell’Archivio Cesare Zavattini-Centro Studi e Ricerche – Comune di Reggio Emilia – Biblioteca Panizzi

Coordinamento editoriale Leandro del Giudice Redazione Giovanni Cascavilla Muriel Benassi Anna Bartoli In copertina Elaborazione grafica di David Brancaleone Volume I isbn 978-88-8103-935-7 Volume II isbn 978-88-8103-937-1 © Eredi Zavattini © 2019 Biblioteca Panizzi – Comune di Reggio Emilia © 2019 David Brancaleone Volume I: Testo Volume II: Traduzioni e Diritti di Traduzione © 2019 Diabasis srl – Edizioni Diabasis Str. San Girolamo, 17/b - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: [email protected] www.diabasis.it

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David Brancaleone

Zavattini Il Neo-realismo e il Nuovo Cinema Latino-americano

DIABASIS

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Indice

Gratitudine 11 Prefazione: Zavattini, il primo moderno 13 Introduzione

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Prima Parte: Zavattini a Cuba 1.1   Cuba primo viaggio 31 1.2   Zavattini a Nuestro Tiempo35 1.3   Cultura anti-colonialista 42 1.4   La Conferenza 45 1.5   Lattuada e Zavattini all’Avana 55 1.6   Neo-realismo a Cuba 56 1.7   Neorrealismo y el cine cubano59 1.8   Realidades del cine en Cuba62 1.9   Rifiuto del realismo sovietico 65 1.10   Guevara e Cinema Nuovo69 1.11   Altre iniziative cubane 70 1.12   Da Italia mia a El mégano 73 1.13  Inchieste cubane  79 1.14  Zavattini torna a Cuba 81 1.15   Confisca di El mégano87 1.16  Tiempo muerto, Cuba baila89 1.17   Cuba mía (1955-57)  93 1.18   Da Italia mia a Cuba mía98

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1.19   1.20   1.21   1.22   1.23   1.24  1.25   1.26   1.27   1.28   1.29   1.30   1.31   1.32   1.33   1.34  1.35   1.36  1.37   1.38   1.39  1.40 

Cuba mía ed etnografia 101 Inchieste italiane 102 Il testimonio104 Zavattini e Guevara 1957-58 106 La Rivoluzione cubana 110 Dopo la Rivoluzione 125 Pedinamento nel 1959 135 La sceneggiatura 139 Rapporto per l’icaic, 1960 142 Joven Rebelde, pedinamento144 Relazione per l’icaic, 1960147 Historias de la Revolución148 El pequeño dictador149 Revolución en Cuba e Color contra Color153 Ultimo Seminario Zavattini 154 Zavattini e impegno, 1960 157 Pedagogia dialogica 164 Cuba dopo Cuba 169 Ancora disimpegno, 1961 173 Cuba 1960177 Trasmissione delle idee 181 Zavattini e Cuba: bilancio 184

Seconda parte: Zavattini in Messico 2.1   2.2   2.3  2.4  2.5   2.6   2.7   2.8   2.9   2.10  2.11  2.12  2.13 

Arrivo in Messico 191 Un nuovo cinema messicano 196 Novedades intervista Zavattini 199 Messico nel 1953 202 Raíces e la critica messicana 203 Zavattini e Buñuel207 Dopo il primo viaggio 208 Neorrealismo cinematografico210 Ritorno in Messico (1955) 215 Zavattini e stampa messicana 216 Gamboa si schiera 220 Conferenza messicana 222 Pubblico e partecipazione231

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2.14   Zavattini e cineclub 234 2.15   Viaggio-inchiesta messicana 239 2.16   Petrolio e multinazionali 244 2.17   Pedinamento sul campo 251 2.18   Il Messico di Zavattini 254 2.19   Sopralluoghi e scrittura 256 2.20   Spunti di soggetti messicani 259 2.21   Diamo a tutti un cavallo a dondolo: adattamento 260 2.22   El Petróleo o Año maravilloso266 2.23   Carrera Pan-americana269 2.24   ¡Torero!272 2.25  La critica 274 2.26   México mío: due concezioni 275 2.27   Terzo soggiorno (1957) 278 2.28   México mío, in fieri 281 2.29  México mío, da mio a vostro 283 2.30  El Pétroleo, seconda inchiesta 287 2.31   Il soggetto di El Pétroleo 290 2.32   I México mío inconciliabili 292 2.33   México mío-Barbachano295 2.34   Machismo e Braceros302 2.35   Oscar Lewis, I Figli di Sánchez303 2.36   L’adattamento 305 2.37   Le tracce di Zavattini 308 Terza parte: Zavattini e l’Argentina 3.1  3.2   3.3   3.4   3.5   3.6  3.7   3.8   3.9   3.10   3.11  

Fernando Birri a Roma 313 Birri intervista Zavattini 315 Birri ritorna in Argentina 319 L’industria cinematografica 320 Paladino del Neo-realismo 322 Escuela Documental 328 Da Un paese ai foto-documental331 L’Istituto di Cinematografia  334 Mostre dei fotodocumentari 338 Struttura ed espansione 341 Documentario sociale  346

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3.12   Bilancio di un’esperienza 347 3.13   Un paese: Trasmissione 347 3.14  Tire dié fotodocumental 357 3.15   Lavorazione di Tire dié359 3.16   Tire dié e pubblico argentino 362 3.17   Tiempo de Cine365 3.18   Documentario e mondo 368 3.19   Cinema imperfetto 369 3.20   Cinema come ferro inutile 370 3.21   Riconoscimenti ufficiali  371 3.22   Zavattini in Argentina 372 3.23   Da Inundación a Inundados376 3.24   Los Inundados (1961)  377 3.25   Cinema e sottosviluppo381 3.26   La via dell’esilio 382 3.27   Prassi rivoluzionaria 388 Quarta parte: Storiografia 4.1  4.2   4.3   4.4   4.5   4.6  

Storiografia dei protagonisti 397 Storiografia e Neo-realismo 405 Cinema and Social Change 411 Cuban Cinema413 Cesare Zavattini en México 420 Mestman, Paranaguá, Muñoz 422

Quinta parte: Conclusioni 5.1   5.2   5.3  5.4  5.5  

Nuovi orientamenti Cuba Messico Argentina Lo sguardo di Zavattini

425 427 433 436 437

Bibliografia 443 Indice dei nomi 463

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Gratitudine

Un progetto come questo non si fa senza l’aiuto di tante persone generose. È un grande piacere poter ringraziare di tutto cuore Arturo Zavattini. Ringrazio Arturo non solo per quanto riguarda l’accesso e l’utilizzazione di tutti i documenti conservati nell’Archivio Zavattini che mi sono serviti, ma anche per i tanti suggerimenti su molte questioni e per il suo aiuto straordinario nel corso di questi anni; per l’incoraggiamento paterno e mai paternalistico, e per i doni di volumi introvabili. Ringrazio il Direttore della Panizzi, il dott. Giordano Gasparini, ed il responsabile del Fondo Zavattini e degli altri Fondi panizziani, il dott. Alberto Ferraboschi che hanno fatto tutto il possibile per facilitare la pubblicazione e ci sono riusciti. Voglio anche ringraziare il Comitato Scientifico dell’Archivio Zavattini di Reggio Emilia che ha reputato utile la pubblicazione di questa ricerca nella collana dei Quaderni dell’Archivio Cesare Zavattini. Ringrazio l’archivista zavattiniano dott. Giorgio Boccolari, per i dottissimi consigli, per la corrispondenza su svariate questioni e per la sua disponibilità e sostegno morale senza pari e l’aiuto prezioso nella lettura del manoscritto e delle bozze.. Non so come avrei fatto senza l’aiuto della dott.ssa Roberta Ferri che mi ha offerto sin dall’inizio il suo aiuto, tanto indispensabile quanto generoso, nel rendere possibile ed agevole con una semplicità invidiabile anche la consultazione a lunga distanza di documenti d’archivio, aiuto che ha arricchito, e di molto, le visite in Archivio, nonché la condivisione del suo ufficio quest’anno, del computer di Giorgio e della stampante. Alla Biblioteca Panizzi, desidero ringraziare tutto il personale che lavora negli archivi, ma in particolare, Antonietta Vigliotti, per la scansione digitale di articoli in rivista conservati alla Panizzi, Annalisa De Carina, Monica Leoni, Elisabetta Pini e la guardia giurata Peppe, per la segnalazione e perfino prestito di Emigrantes (1948) di Aldo Fabrizi. Un riconoscimento è doveroso ai primi lettori che hanno partecipato alle fasi iniziali di questo primo grosso progetto zavattiniano, che poggia su di un altro progetto che Lorenzo Pellizzari e Max Le Cain, direttore e redattore della rivista Experimental Conversations, hanno visto nascere nei miei primi articoli su Zavattini a partire dal 2012 e alla Prof. Laura

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Rascaroli, per l’entusiasmo, la disponibilità, i consigli riguardo entrambi i progetti di ricerca, e per avermi fatto notare come i viaggi di Zavattini in America Latina, lungi dal rappresentare una mitologia personale, sfociano nel Tercer Cine. Sono grato a Valentina Fortichiari per la sensibilità, la perizia tecnica, i consigli e lo scambio epistolare riguardo al diario pubblico di Zavattini. Per le interviste concesse e lo scambio di idee, ricordo l’aiuto generoso di Mino Argentieri, di Francesco Maselli, Lorenzo Pellizzari e Fernando Birri. Desidero ricordare anche il preziosissimo aiuto dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio. In particolare, di Paola Scarnati che mi mise in contatto con Arturo Zavattini, Lorenzo Pellizzari e Mino Argentieri, di Claudio, Fabrizio e Aurora, e di Letizia Cortini, la prima persona ad aiutarmi nella consultazione delle carte d’archivio conservate da loro e ad incoraggiarmi ad effettuare ricerche archivistiche all’Archivio Zavattini a Reggio. Ringrazio inoltre la dott.ssa Claudia Brugnoli dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna per il riperimento e la scansione digitale dell’articolo di Ernesto de Martino, «Realismo e folclore nel cinema italiano» Filmcritica n. 19 del dicembre 1952, e alla dott.ssa Marianna Montesano della Biblioteca delle Arti, Sezione Spettacolo «Lino Miccichè», Università di Roma Tre, per articoli tratti da Cine Cubano n. 1, 1960. Ringrazio la dott.sa Laura Pompei, Responsabile Ufficio Acquisizione e Digitalizzazione materiali bibliografici e archivistici, della «Biblioteca Chiarini» nel Centro Sperimentale di Cinema di Roma, per i suoi generosi consigli, incoraggiamento e aiuto con le ricerche bibliografiche e per la trasmissione telematica di certi testi indispensabili. Per la lettura preliminare del manoscritto, sono riconoscente a Valentina Fortichiari, alla redattrice dott.sa. Daniela Cavallo, e a Giorgio Boccolari devo la rilettura finale del testo. Grazie, infine al Limerick Institute of Technology, per il contributo alle spese di diversi viaggi di lavoro in Italia in questi anni e ai colleghi, in particolare Dr. Dara Waldron. Riconosco anche il contributo parziale di una borsa europea dell’Erasmus per docenti universitari che consentì una visita tanto breve, quanto essenziale, alla Panizzi e, dulcis in fundo, davvero, le due A.

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Prefazione Zavattini, il primo moderno

Nell’investigare e ricostruire con passione e paziente attenzione archivistica le attività Latino-americane di Cesare Zavattini dal 1953 ai primi anni settanta – e più precisamente i viaggi, la corrispondenza, gli scritti e le sceneggiature relativi al rapporto di Zavattini con cineasti cubani, messicani e argentini, sviluppatosi nel corso di vent’anni – il lavoro di David Brancaleone dà un duplice, importante contributo alla storia del cinema italiano e internazionale. Da un lato esso riporta alla luce una vicenda pochissimo nota, ricordata e studiata, restituendocela non solo nella vividezza dei suoi dettagli, che s’intrecciano con quelli della Storia in fieri della seconda metà del Novecento, ma anche nella sua importanza per il senso complessivo del contributo del Neo-realismo, e di Zavattini in particolare, all’evoluzione delle cinematografie mondiali nel dopoguerra, e al loro dialogo transnazionale. Dall’altro lato, il libro aggiunge, al quadro già reso noto da altri volumi e studi, elementi importanti per la comprensione del modus operandi di Zavattini, ovvero della straordinaria prassi al centro del suo modo unico di essere artista e intellettuale. Leggendo queste pagine colpisce, innanzitutto, la consapevolezza teorica di Zavattini, la sua lucida analisi della natura e dell’evoluzione del cinema Neo-realista, allora ritenuto già in crisi in Italia (la storia narrata comincia il 5 dicembre 1953, sul finire del celeberrimo convegno di Parma sul Neo-realismo promosso da Zavattini stesso sul tema della crisi del movimento e sulle sue cause), ma all’opposto accolto all’estero come esempio vivo e fulgido di un cinema assolutamente nuovo; un cinema non solo da ammirare, ma anche da adottare come modello da parte di paesi intenti a fondare o rifondare le proprie cinematografie nel bel mezzo di particolari congiunture storiche. Per Zavattini – come si evince dalla lettura dei suoi testi e della loro analisi eseguita dall’autore – il Neo-realismo non è tanto uno stile che s’identifica con una scuola, con un gruppo preciso di registi e di film, e quindi destinato a essere superato (e magari citato) da altri stili e scuole; esso è posizione etica, artistica, politica, e anche scientifica, è disposizione che mette il cinema al centro del rapporto fra persona e società: «Oggi Neo-realismo significa un cinema che affronta il fatto sociale, il rapporto tra l’individuo e la collettività». Ed è proprio l’incontro con i cineasti e i

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pubblici latino-americani che cristallizza tale consapevolezza in Zavattini. Il cinema Neo-realista «oggi», nell’attualità bruciante del momento in cui scrive, parla e opera con infinita energia, è innanzitutto strumento di conoscenza, sia per chi lo fa sia per chi lo vede. È, in altre parole, pratica conoscitiva, forma di esplorazione e apprensione dell’esistente; al contempo, è strumento di concettualizzazione storico-materialista delle condizioni di vita economiche, sociali e culturali di persone reali in situazioni attuali. Per lo spettatore, d’altro canto, vedere un film Neo-realista si trasforma in incontro decisivo con la propria realtà e, idealmente, in presa di coscienza della propria identità e condizione sociali, viste in una prospettiva nazionale (nazional-popolare). In questo senso, il Neo-realismo per Zavattini è cinema rivoluzionario – un cinema della rivoluzione e per la rivoluzione, che accompagna, interpreta e sostiene il radicale cambiamento politico e la liberazione/ creazione di un popolo. Il fatto che sia cinema rivoluzionario, tuttavia, non lo rende suscettibile alla propaganda. All’opposto della propaganda ideologica, esso abbraccia difatti una modalità discorsiva che potremmo definire scientifica, di studio sociale. Al contempo, si tratta di un modo “minore” di fare film; il Neo-realismo per Zavattini è un cinema delle storie quotidiane d’individui comuni che, pur diventando emblematici, rappresentativi di un gruppo sociale, quando non di un intero popolo, restano comunque fortemente individualizzati. Ed è proprio in questo contesto che si evince l’emergere in Zavattini della convinzione dell’esportabilità del Neo-realismo italiano oltre confine, non nel senso di sfruttamento e distribuzione commerciale dei film, ma della possibilità di ripetere, adattandola e “donandola”, l’esperienza Neo-realista in altri tessuti sociopolitici che presentano similarità con il dopoguerra italiano nato dalla Resistenza antifascista. Si tratta, da parte di Zavattini, di una consapevole e appassionante fase progettuale di continuazione, sviluppo e modifica del movimento, visto come precipua esperienza artistica e politica; una fase che è anche espressione di una sua forte visione geopolitica globale, che attraverso il cinema accomuna, nel nome di una condizione umana più giusta, una serie di paesi in movimento e mutamento. Ciò che matura nel corso della lettura del volume è il senso di una vera e propria teorizzazione in fieri da parte di Zavattini della natura del movimento Neo-realista. Quel che il libro mette in luce, in particolare, è la compenetrazione di teoria e prassi, di riflessione sul cinema e di azione nel sociale e nella storia attraverso il cinema, che fanno di Zavattini un autentico intellettuale organico, per usare l’espressione gramsciana.

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Ma questa modalità di cinema che ho chiamato minore – nel senso di una risoluta, testarda dedizione al quotidiano, all’ordinario, al piccolo – è anche il cuore pulsante della modernità del pensiero e del contributo di Cesare Zavattini al cinema e alla cultura del Novecento. Nello svelare e ricostruire le sue attività didattiche, di scrittura e di scambio intellettuale in America Latina, il volume ci restituisce uno Zavattini sempre avanti sui tempi, un vero precursore, incontestabilmente e brillantemente moderno. Alla base della sua concezione di cinema c’è, difatti, un superamento netto dell’epica e del concetto di eccezionalità (dell’eroe, della sua azione); superamento che avevamo già avuto modo di ammirare nelle sue sceneggiature Neo-realiste (si pensi solo ai modernissimi antieroi di Ladri di biciclette e Umberto D., totalmente privi di quei valori di eroismo, lucidità, eloquenza, virilità e moralità, tipicamente incarnati dai protagonisti del cinema dell’epoca), così come nei suoi scritti degli anni precedenti, e che qui vediamo esplicitarsi nel suo insegnamento e nella sua pratica non solo d’autore, ma anche di “stimolatore” di sceneggiature d’altri. L’enfasi si sposta sull’individuo visto come persona comune, e come membro del popolo, la cui eccezionalità, quando c’è, è data dal suo operare in circostanze estreme (la guerra, l’asservimento, la Resistenza, la Rivoluzione). È una trasformazione radicale del punto di vista, che accende i riflettori sul quotidiano e la sua eccezionalità, sulla scorta di una profonda relativizzazione e riscrittura del concetto di eroismo individuale. E anche le forme narrative si adeguano: Zavattini pratica e promuove un’estetica ed etica del frammento, quello che lui chiama il “raccontino”, fatto di notazioni, di spunti – una modalità di scrittura, appunto, minore. È una pratica narrativa che confina con il diarismo, il bozzetto, il taccuino, lo schizzo, caratterizzata da una mancanza di ambizione epica e dalla sua sostituzione con un’attenzione etnografica, unita a una posizione di apertura, rispetto e vicinanza umana ai soggetti filmati, e a una profonda coscienza politica. A Cuba, in Messico e in Argentina, Zavattini non pratica e non ispira un cinema etnografico come studio folclorico di un Altro esotico. La sua è un’etnografia militante, come ben spiega David Brancaleone, coniugata però con le necessità del cinema come spettacolo, che deve comunque parlare al più ampio pubblico possibile. Il che significa cinema narrativo; ma uno in cui, con sorprendente gesto anticipatore di modi e stili futuri (e oggi, finalmente, attualissimi), i confini fra finzione e documentario si assottigliano fino a confondersi, e in cui l’autobiografismo si impone come vera posizione etica. È il film d’inchiesta, come lo chiama Zavattini stesso, basato su lunghe e attente ricerche sul campo in prima persona e in dialogo con la

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gente, una ricerca appunto da etnografo, da documentarista militante, che poi si esprime attraverso forme narrative, e che parte sempre dall’insostituibile centralità dell’Io – tutto questo ben prima del momento topico del cinéma vérité globale. Ed è un cinema di osservazione della vita nei suoi luoghi più quotidiani, che si apre democraticamente a tutti, di nuovo con un atteggiamento di rivoluzionaria modernità: perché il cinema, per Zavattini, “può essere fatto da chiunque abbia qualcosa da dire”. La prominenza del film in prima persona, l’assottigliamento delle barriere fra cinema narrativo e documentario, l’etnografia sperimentale, il giornalismo partecipativo, un’idea di cinema che, per così dire, parte dal basso, di un cinema di tutti – sono questi discorsi della nostra attualità che Zavattini ha anticipato e divulgato con preveggenza e lucidità impressionanti, come esemplifica la sua opera in America Latina. Nemico del didatticismo e fautore della coniugazione di prassi e teoria, sperimentatore d’idee rivoluzionarie, promulgatore di una pratica veramente nuova, che continuerà a ispirare cineasti di tutto il mondo, Cesare Zavattini è stato il primo uomo di cinema veramente moderno. L’«oggi» da cui scrive Zavattini è ancora il nostro; questo volume al contempo lo storicizza, sulla base di una paziente ricerca d’archivio, e ce lo restituisce nella sua vividissima attualità. Prof. Laura Rascaroli University College Cork

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Zavattini Il Neo-realismo e il Nuovo Cinema Latino-americano

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Non si è mai parlato di certi semi che io ho la coscienza di aver messo in Messico, a Cuba, ma seri, molto seri. Io ho fatto là dei discorsi e avrei potuto fare dei libri con questi discorsi. Giunto a Cuba – a parte tutta la mia campagna per l’autobiografismo che entra sempre di più in questa psicologia – ebbene dicevo “rompiamo lo schema del documentarismo”, al limite arriviamo alla ricostruzione in cui si mescolino dentro sia il fatto obiettivo sia la interpretazione del fatto sia la riflessione sul fatto, perché almeno la dimensione documentaristica veniva moltiplicata per tre, arricchita per tre.

Cesare Zavattini1

1. Zavattini, in Giacomo Gambetti, Zavattini mago e tecnico, Roma: Ente dello Spettacolo Editore, 1986, 184.

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Introduzione

Molto è stato scritto su Cesare Zavattini, una figura chiave della cultura italiana nel corso di buona parte del Novecento e noto soprattutto come soggettista e sceneggiatore di alcuni capolavori della storia del cinema, Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D. Questo libro mira alla ricostruzione di una vicenda per lo più sconosciuta, dimenticata, ignorata o passata sotto silenzio: la storia dei rapporti di Cesare Zavattini con l’America Latina. Il libro documenta i suoi contatti diretti col cinema cubano, messicano e argentino, in primo luogo ricostruiti in base ai documenti e in secondo luogo narrati, tradotti (traduzione anche in senso letterale dallo spagnolo in italiano, per buona parte delle carte), in modo da raccoglierli in un solo luogo fisico e concettuale. Il libro si pubblica in due edizioni. Quella integrale, in due volumi, accessibile esclusivamente nell’edizione Diabasis online, contiene non solo la ricostruzione storica, ma anche (nel secondo volume) un’ampia scelta di documenti su cui essa poggia. Già la sola giustapposizione o montaggio delle carte non solo raccoglie i documenti stessi, molti dei quali inediti, ma li mette a confronto l’uno con l’altro. L’edizione a stampa contiene il primo volume. I documenti sono stati recuperati dal loro isolamento in volumi sparsi o in faldoni diversi e messi in relazione, accostando testimonianze di ogni genere, ricche di particolari, dati, fatti, cose, persone, situazioni, dialettica. Su questo lavoro di confronto iniziale si fonda poi l’interpretazione, adottando una forma di racconto che riconduca eventi disparati al nostro presente del ventunesimo secolo. Si è tentato di creare un secondo dialogo interno che nasce dal reticolo straordinario di connessioni e dalla loro dinamica di confronto. Cosa dimostrano le carte, i carteggi inediti, gli articoli, le conferenze inedite di Zavattini? Dimostrano, per esempio, quali fossero i rapporti fra Fernando Birri, considerato il padre del Nuovo Cinema Latino-americano e Zavattini, considerato da Birri non solo il padre del Neo-realismo, ma anche «il mio Maestro». Le carte inedite mettono in evidenza fino a che punto Birri avesse assimilato e trasmesso in Argentina l’idea zavattiniana del nuovo cinema. Un altro esempio concreto, quello cubano, a partire dal 5 dicembre del 1953, quando Zavattini incontrò a Cuba i cineasti cubani e iniziò a comunicare loro un’estetica dell’emergenza per un cinema militante. Trasmise una forma di Neo-realismo in movimento,

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dinamico, relazionale, non più costretto dai confini e dalle tematiche dell’Italia del dopoguerra. Questo approccio spiega lo stile adottato nelle pagine che seguono, scritte nel presente indicativo – come se si trattasse di oggi e non di più di sessanta anni fa – restituendo la stessa urgenza di cui parla Zavattini, perché quell’urgenza rimane attuale. C’è chi dice che il passato in sé è inaccessibile e che tutt’al più possiamo ricostruirlo, rappresentarlo come se fosse un paesaggio, grazie al metodo storico che consente di arricchirlo di nuovi elementi nuovi.2 Ripensiamolo il passato, però non in isolamento, ma alla luce del contesto.3 Sembra importante sforzarsi di capire il punto di vista altrui, quello Latino-americano, piuttosto che partire sempre dalla solita ottica europea che vede questo cinema soprattutto in funzione della Nouvelle Vague, il cinema francese degli anni Sessanta, col rischio inevitabile di forzature storiche e perdite dovute al non voler occuparsi del come, della dinamica interna alla trasmissione del cinema di partenza al cinema di arrivo, fra Neo-realismo italiano e cinema Latino-americano. Un approccio tale limita il cinema in una metodologia che segue la vecchia impostazione di storia dell’arte, attribuzionista, formalista, adoperata dal pioniere Giorgio Vasari e ridotta alla storia degli stili. Ma è da tanto che la storia dell’arte non si pratica più in questo modo. Oggi, grazie all’iconologia di Jacob Burkhardt e di Aby Warburg, dei vari T. J, Clark e Georges Didi-Huberman, la si studia come parte integrante della storia della cultura. Seguiamo allora il loro esempio, facendo filologia del cinema nel senso migliore indicato da Lino Miccichè e non storia formalista del cinema. Partiamo quindi dal presupposto che il cinema non sia solo ciò che si vede sul grande schermo, ma un’attività complessa che non si limita alla fruizione estetica del film. È questa la metodologia adottata dal filosofo Judith Butler che sostiene che: mettere in questione l’inquadratura dell’immagine significa dimostrare che l’inquadratura non contiene mai del tutto la scena che avrebbe dovuto rappresentare, in quanto esisteva già un qualcosa all’esterno, che rendeva possibile, perfino riconoscibile, il senso proprio dell’interiore.4 2. John Lewis Gaddis, The Landscape of History: How Historians Map the Past, Oxford e New York: Oxford University Press, 2002, 5; 103-105 3. Gareth Williams, “Fantasies of Cultural Exchange” in Georg M. Gugelburger (a cura di) The Real Thing. Testimonial Discourse and Latin America, Durham e Londra: Duke University Press, 1996, 249. 4. Judith Butler, Frames of War. When is Life Grievable? Londra e New York: Verso, 2010, 9.

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Partendo da un’analisi gramsciana, possiamo pensare al film all’interno delle dinamiche non solo culturali, ma anche sociali, economiche e politiche.5 Non appena tentiamo di allargare lo sguardo per abbracciare ciò che l’inquadratura (o la pagina) esclude, ecco che affiorano delle contraddizioni che ci portano a rendere espliciti i nostri parametri e fissarne le condizioni di esistenza; scopriamo le esclusioni di ciò che è consentito dire. Non appena tentiamo un’analisi delle trasformazioni delle idee nel corso della loro trasmissione, saltano agli occhi le discontinuità: la storia del cinema arriva a dire che il Neo-realismo va in America Latina. Ma come? Eppure, una trasmissione di idee e immagini c’è stata. Dunque bisognerà chiedersi cosa sia avvenuto nella trasmissione: uno scambio? Ma quale? Come si è modificata l’idea originaria? Quando si tenta di rispondere a queste domande è inevitabile che venga messo in discussione ciò che un altro filosofo ha chiamato «l’archivio», inteso come sistema ideologico, come principio ordinatore della logica del campo discorsivo, piuttosto che nel senso tradizionale di deposito di memoria storica.6 In parole povere, sono tutti d’accordo a dire che una trasmissione culturale è avvenuta, ma si continua ad ignorare cosa l’abbia resa possibile. Cosa è stato tralasciato? Quale quadro d’insieme affiora se tentiamo di situare la figura di Cesare Zavattini all’estero, in America Latina? È possibile documentare i passaggi dei suoi contatti diretti e il tipo di trasmissione di saperi? Che cosa portava con sé Zavattini all’Avana il 5 dicembre 1953? E il 9 dicembre a Città del Messico? Cosa poteva offrire di concreto ai giovani cineasti Latino-americani? Quali le idee esportabili dall’Italia? In Cuba? Messico? Argentina? Una chiave di lettura possibile per affrontare contraddizioni del genere riguardo il modo in cui si veda il rapporto fra Nuovo Cinema Italiano (così veniva chiamato il Neo-realismo prima del 1948) e Nuovo Cinema Latino-americano la si potrebbe cercare nella teoria dell’influenza artistica di Harold Bloom, secondo cui l’erede (o figlio) riscrive il testo del predecessore (o padre) per liberarsi della sua influenza, in una sorta di uccisione edipica dovuta all’ansia.7 Ma il mondo di Bloom è 5. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Quaderno 10, II, §41, in Quaderni del Carcere (a cura di Valentino Gerratana), Torino: Einaudi, 1977, 1291-1301 e Quaderno 7, §21, Quaderni del Carcere, 869-870. 6. Michel Foucault, Archaelogy of Knowledge, (tradotto da A. M. Sheridan Smith), Londra e New York: Routledge 2007,186; 145; 148. 7. Harold Bloom, The Anxiety of Influence: a Theory of Poetry. Oxford: Oxford University Press, 1973.

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popolato da titani gelosi e insicuri. Che si tratti piuttosto di mettere a fuoco il rapporto concreto fra individui e i continenti di cui fanno parte: l’Europa colonialista e il Terzo Mondo colonizzato? Non è possibile dare una risposta meno vaga a queste domande senza passare dal generale al particolare, documenti alla mano e tentare di ricostruire e analizzare la base teorica da cui partiva il Nuovo Cinema Latino-americano. Va messa anche in risalto l’origine e la sopravvivenza di uno strano fenomeno d’un cinema che si potrebbe definire Neo-realismo a posteriori, una pratica di cinema che nel corso degli anni è stato assimilato all’Art Cinema o Global Art Cinema, estendendosi addirittura fino al Duemila e oltre, cinema che però rientrava già nell’idea del Tercer Cine, oggi pensato come Terzo Cinema espanso, resistente, anti-egemonico e politico.8 Tale ricerca quindi – il fondamento di questo libro – richiede allora non solo la ricostruzione dei fatti, ma anche che si scopra il loro contesto e infine che i fatti liberati dagli scartafacci che li custodiscono vengano interpretati e messi in relazione a ciò che si sa già. La ricerca d’archivio consente di mettere a fuoco i contatti di trasmissione diretti fra Neo-realismo italiano e cinema Latino-americano, grazie allo spoglio sistematico e integrale di tutto il materiale conservato all’Archivio Zavattini di Reggio Emilia, riguardo all’attività di Zavattini in Messico e a Cuba, nonché il carteggio di Zavattini e l’argentino Fernando Birri e un’intervista filmata dell’autore con Birri del 2015, in cui il cineasta si rifiutava categoricamente di rispondere a qualsiasi domanda che riguardasse tutti quei documenti che Birri stesso aveva raccolto e pubblicato in La Escuela Documental de Santa Fe (1964), un vero e proprio archivio portatile, utilissimo in vista della sua fuga in Brasile. Verrà spontaneo chiedersi come i cineasti Latino-americani avessero raccontato la trasmissione di saperi. Per quanto riguarda Cuba e i rapporti con Zavattini, il regista cubano Tomás Gutiérrez Alea ha parlato dell’influenza del Neo-realismo sul Nuovo Cinema Cubano, ma solo in termini di una dinamica di superamento da una forma di realismo che si sarebbe limitato al solo rispecchiamento della realtà al passaggio ad un realismo critico che, quasi per definizione sottointesa, andava ben oltre il cinema Neo-realista, in quanto la realtà riusciva ad analizzarla e interpretarla.9 Il regista cubano ha anche detto che: «il modello Neorealista di avvicinarsi alla realtà era molto utile per noi perché in quei 8. Si veda di Mike Wayne, Political Film. The Dialectics of Third Cinema, Londra: Pluto Press, 2001. 9. Tomás Gutiérrez Alea, “Beyond the reflection of reality” in Cinema and Social Change. Conversations with Filmmmakers, Austin: University of Texas, 1986, 115-131.

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primi tempi non avevamo bisogno di altro», aggiungendo che: «quel tipo di cinema era perfettamente valido per un certo momento storico particolare».10 Quel processo [nel contesto della Rivoluzione nel suo farsi, subito dopo la vittoria contro la dittatura] ci costrinse ad adottare un atteggiamento analitico verso il reale che ci circondava. Ci occorreva una maggior disciplina, un’analisi teorica molto più esatta per poter mettere a fuoco e interpretare le esperienze che stavamo attraversando.11

Quindi Neo-realismo descrittivo messo in opposizione ad un cinema di qualità superiore in quanto analitico. Gutiérrez Alea il Neo-realismo lo rappresenta come un metodo «preciso, onesto e costruttivo» per rispecchiare la realtà «trasparente» del dopoguerra italiano.12 Ma tale metodo, secondo lui, ebbe dei grossi limiti; in quanto, primo, non fu in grado di adeguarsi ai cambiamenti; secondo, riusciva a registrare soltanto l’apparenza esterna degli eventi; in ultima analisi, a suo giudizio, il Neo-realismo non possedeva capacità analitiche. È straordinario che nell’intervista citata Gutiérrez Alea evitasse di fare qualsiasi riferimento ai tre incontri personali con Zavattini e che egli presentasse un Neorealismo monolitico, quando monolitico non lo è affatto, come ha fatto notare Lino Miccichè.13 Basterebbe pensare che, fra le varie forme di Neo-realismo, c’è anche il Neo-realismo del dubbio, base fondamentale di attività critica: Ladri di biciclette (1948) di Zavattini e Vittorio De Sica è caratterizzato dalla complessità semantica, come anche Paisà (1946) che oppone ad un racconto ufficiale un’analisi ben più complessa o Germania anno zero (1948) di Roberto Rossellini, il film dell’equilibrio instabile tra allegoria della fine e pessimismo privo di sentimentalismi, la cui visione del dopoguerra tira in ballo nientemeno che la problematica di Theodor Adorno. Secondo Adorno, filosofo marxiano della Scuola di Francoforte, dopo ciò che era accaduto alla civiltà (l’invenzione e uso dei campi di sterminio su scala industriale), non sarebbe stato più possibile 10. Tomás Gutiérrez Alea, intervistato da Julianne Burton, “Individual fulfilment and Collective Achievement, an Interview with T.G. Alea”, Cineaste 8: 1 (1977), citato in Michael Chanan, Cuban Cinema, Minneapolis e Londra: University of Minnesota Press, 2004, 159. 11. Burton, “Individual fulfilment and Collective Achievement”, 159. 12. Gutiérrez Alea, “Beyond the reflection of reality”, 123. 13. Lino Miccichè, “Per una verifica del Neorealismo”, in Il Neorealismo cinematografico italiano. Atti del convegno della X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, a cura di Lino Micchichè, Padova: Marsilio Editori, 1975, 7-30.

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creare opere d’arte.14 Gutiérrez Alea conosceva molto bene il saggio di Zavattini «Alcune idee sul cinema» perché lo aveva tradotto in spagnolo per i cineasti cubani proprio lui, in collaborazione con Julio García Espinosa, dandogli il titolo: «La dimensión moral del neo-realismo».15 E proprio Gutiérrez Alea ebbe a commentare nel 1954 a contatto con Zavattini che: «Il cinema, che è sempre stato un fatto allusivo e schematico, tende ora a volgersi verso l’analisi». («Así el cine, que había siempre un hecho alusivo, esquemático, tiende ahora a marchar hacia del análisis»).16 Trovandosi a confronto col subalterno, nel pensare ad un cinema per un altro continente, Zavattini riesce a non cadere nel solito esotismo dello sguardo europeo sul cosiddetto Terzo Mondo.17 Come mai Zavattini si rifiuta di accettare a priori la versione folkloristica o picara dell’America Latina, visione propria della cultura visiva trasmessa dal cinema hollywoodiano e della cultura visiva ufficiale e dominante in quegli anni? Questo è dovuto al modo in cui egli si rapporta agli altri che si traduce nella pratica del «pedinamento», quel viaggio critico di chi prova curiosità per i luoghi sconosciuti e rispetto nell’incontro a tu per tu con l’Altro da sé e che si articola nel dialogo, uno scambio in cui egli ascolta chi parla del proprio paese e dei fatti privati; modus operandi inconcepibile, al di fuori di «un’osservazione per un verso allargata, un guardare ad angolo piatto senza mediazioni», in cui l’oggetto diventa soggetto, testimone.18 14. Theodor W. Adorno, “Cultural Criticism and Society” (1949), tradotto dal tedesco da Samuel e Shierry Weber, in Prisms, Massachusetts: MIT Press, 1983, 34. Adorno equipara la poesia alla contemplazione, a cui contrappone la necessità del pensiero dialettico a fronte della reificazione della cultura, culminata nelle barbarie dei campi di sterminio. Ma tale catastrofismo adorniano non viene condiviso né dal Neo-realismo storico, né dalla generazione di cineasti cubani di Tomás Gutiérrez Alea, Julio García Espinosa, José Massip e Alfredo Guevara. In Italia, una linea di pensiero («l’omologazione» della società dei consumi, fino ad arrivare a livelli di mutazione antropologica) in consonanza con quella della Scuola di Francoforte di Adorno e Horkheimer, si sarebbe sviluppata con l’opera di Pier Paolo Pasolini, pensiero negativo che è l’elemento che più lo distacca dal pensiero realista ma positivo del Neo-realismo zavattiniano. 15. Cesare Zavattini, “Alcune idee sul cinema” (1952), ora in Zavattini, Neorealismo ecc. (a cura di Mino Argentieri) in Zavattini Cinema, Milano: Bompiani, 2002, 718-736. 16. Zavattini, “La dimensión moral del neo-realismo” in Alfredo Guevara e Cesare Zavattini, Ese diamantino corazón corazón de la verdad, Madrid: Iberautor Promociones Culturales, 2002, 270. 17. Edward Said, Orientalism, New York: Vintage Books, 1987. 18. Giorgio Tinazzi, “Cinema del pedinamento” in Cesare Zavattini. Una vita in mostra (a cura di Paolo Nuzzi). Bologna: Edizioni Bora, 1997, 193-196; 194. Già nel

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Così il mondo Latino-americano visto da lontano cessa di limitarsi ad astrazione, fondale teatrale, tanto pittoresco quanto esotico (nel senso dell’Orientalismo esotico dell’Occidente, teorizzato da Edward Said, concretizzandosi piuttosto in persona, cosa, situazione precisa, problemi fondamentali, bisogni, diario, percezione soggettiva, ma documentata.19 Forse per questo, un contributo importante per i cineasti dell’America Latina, da loro sottaciuto, è il modello di cinema analitico e poco naturalista del film-inchiesta, trasmesso da Zavattini. Il suo presupposto è la modestia di ammettere di non sapere che si abbina alla curiosità di conoscere una realtà altra. Il punto di partenza non sono i film Neorealisti realizzati insieme a Vittorio De Sica, ma Italia mia, film progettato da Zavattini, ma che non si fece. Italia mia confluisce comunque nella sua idea di cinema e la arricchisce in vari soggetti portati sullo schermo. È il documentario in prima persona che interessa Zavattini, perché raccoglie in sé varie dimensioni della sua arte: il viaggio di scoperta che rifiuta la superficialità per cui lo sfondo pittoresco di chi si incontra rimane anonimo, diventando piuttosto primo piano del vissuto; il diario privato che privato non è, l’Altro da sé che tale non rimane mai; il cinema come testo e la scrittura come immagine. È il documentario in prima persona che interessa Zavattini, perché raccoglie in sé varie dimensioni della sua arte: il viaggio di scoperta che rifiuta la superficialità dello sfondo 1933, in una intervista scritta da Zavattini che si fingeva corrispondente da Hollywood, lo stesso Zavattini fa dire al cineasta King Vidor «Abbiamo a portata di mano tutti i sogni e non possiamo realizzarli per colpa del pubblico e, in prima sede, per colpa dei producers. Non possiamo fare ciò che vogliamo, ma ciò che ci lasciano fare. Il mio ideale sarebbe un film che descrivesse la giornata di un uomo, dalla sveglia al momento in cui va a dormire: parlo di un uomo qualunque». Cinema illustrazione, (31 maggio 1933), in Cesare Zavattini, Cronache da Hollywood (a cura di Giovanni Negri), Roma: Lucarini, 1991, 144. Cesare Zavattini, “Cinema italiano domani”, Prefazione di Cinema italiano oggi (a cura di Gian Luigi Rondi e Alessandro Blasetti), Roma: Carlo Bestetti, 1950, in Zavattini, Neorealismo ecc. (a cura di Mino Argentieri) Milano: Bompiani, 1979, 74-76. Il destino del cinema «è stare alle calcagna del tempo». Ma il tempo di cui parla Zavattini è il tempo delle ore dell’orologio da polso che scandisce la cosiddetta vita marginale, dove abitano le creature del corpo 6 (il corpo 6 si riferisce alla misura minima o quasi del corpo tipografico di un testo stampato). Ovvero, Zavattini privilegia la figura dell’antieroe e del subalterno, con un cinema che «si avvicina al giornalismo per venire fuori dai limiti della traduzione». Una pratica di cinema che prende la forma del diario «inteso come atteggiamento, della cronaca dei pensieri odierni, cioè al mezzo più diretto per conoscerci». Prosegue, dicendo che: «si dovrebbe riuscire a vedere sullo schermo una sorta di documemtnario dei fatti privati o dei fatti pubblici con il rigore e la prontezza dello specchio e la qualità analitica propria del cinema». «Il cinema» prosegue, «ha queste possibilità di resa dei conti quotidiana». 19. Edward Said, Orientalism, New York: Vintage Books, 1978.

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pittoresco in cui chi si incontra rimane anonimo, diventando piuttosto primo piano del vissuto; il diario privato che privato non è e l’Altro da sé che tale non rimane mai; il cinema come testo e la scrittura come immagine. Ma anche in senso lato, il Nuovo Cinema italiano trasmesso in America Latina comincia con un rifiuto, frattura o interruzione nel tempo avvenuto in Italia, in parte rottura epistemologica, frattura prodotta dalla guerra e dal crollo della dittatura fascista che aveva scatenato una crisi di valori, di senso, una tabula rasa da cui ripartire, sostituendo le certezze del Ventennio del Fascismo con le incertezze del nuovo, del tempo presente, partendo da una condizione di curiosità e di dubbio rispetto alla versione ufficiale, la percezione del consenso (traducibile nella domanda: ma forse le cose non stanno così come dite voi?), per rimettere tutto in questione; uno sguardo sul reale solo in apparenza innocente che invece è in sintonia con la fenomenologia, un cinema tutto dentro la modernità.20 Rimane da aggiungere che un secondo proposito di questo libro – cioè di mettere in rapporto il Neo-realismo con la sua trasmissione o nachleben – segue una nuova tendenza che si riscontra in ricerche recenti come Italian Neorealism and Global Cinema (2007) e Global Neorealism (2012).21 Questi studi mettono in evidenza un vuoto storico: come sia avvenuta la trasmissione in America Latina e l’assenza di un figura fondamentale: Cesare Zavattini.22 Certo, nessuno ha mai negato che il Neo-realismo abbia influito in qualche modo sul cinema dell’America Latina, ma senza mai entrare nei particolari, riferendosi ad «uno stile Neo-realista adattato alle esigenze e realtà dell’America Latina».23 Ma 20. Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine. Il pensiero di Cesare Zavattini, Milano: Lindau, 2006, 190 e Giorgio De Vincenti, “Modernità”, in Guglielmo Moneti (a cura di), Lessico zavattiniano. Parole e idee su cinema e dintorni, Venezia: Marsilio, 1992, 145. 21. Callisto Cosulich, “I conti con la realtà” in Callisto Cosulich (a cura di), Storia del cinema italiano, Vol. VII,1945/48, Venezia: Marsilio e Edizioni Bianco e Nero, 2003, 10. Si vedano Laura E. Ruberto e Kristi M. Wilson (a cura di), Italian Neorealism and Global Cinema, Detroit: Wayne State University, 2007 e Saverio Giovacchini e Robert Sklar (a cura di), Global Neorealism. The Transnational History of a Film Style, Jackson: University Press of Missisipi, 2012. 22. Quest, per quanto riguarda le ricerche e pubblicazioni in lingua inglese. In italiano, già nel 1967, le notizie dei viaggi a Cuba di Zavattini, con lunghi resoconti dei suoi viaggi vennero pubblicati in Straparole, poi ristampato in Zavattini, Opere 1931-1986, Introduzione di Luigi Malerba (a cura di Silvana Cirillo), Milano: Bompiani, 1991. 23. B. Ruby Rich, “An/Other View of New Latin American Cinema” in New Latin American Cinema a cura di Michael T. Martin, Vol. 1, Detroit: Wayne State University Press, 1997, 273-297; 277. Nell’ambiente anglosassone, Geoffrey Nowell-Smith ha solo

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a quale delle varie forme di Neo-realismo si riferiscono? Secondo gli studi pubblicati in lingua inglese, la trasmissione sarebbe avvenuta solo in virtù del corso di studi al Centro Sperimentale di Cinema di Roma, frequentato dai cubani Julio García Espinosa, Tomás Gutiérrez Alea, dall’argentino Fernando Birri e dal colombiano Gabriel García Márquez. Nell’ambito italiano e Latino-americano, l’anno dopo la morte di Zavattini, Paulo Antonio Paranaguá pubblicò un resoconto dettagliato dei viaggi di Zavattini in America Latina.24 Eppure nel 1997, in ambito anglo-americano, Ana Maria López fece notare che questa problematica non era stata ancora esplorata. Bisogna riconoscere che sono uscite delle pubblicazioni importanti tra il 1999 e il 2007 in italiano e spagnolo: un numero speciale di Bianco e Nero sull’ultimo soggiorno di Zavattini a Cuba, corredato di documenti storici inediti, soggetti e interviste, il libro Ese diamantino corazón de la verdad, scritto dal fondatore dell’Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográficos (icaic) contenente il carteggio (incompleto) di Alfredo Guevara e di Zavattini e altri testi, il carteggio (incompleto) di Zavattini e varie figure importanti fra cineasti messicani, Cartas a México. Correspondencia de Cesare Zavattini 19541988, nonché interviste con i cineasti messicani che lavorarono con Zavattini, raccolte per una tesi del 1985, ristampata in rivista nel 2006: La presencia del Neorrealismo en América Latina: Cesare Zavattini en México.25 Sono stati dei contributi utilissimi che hanno gettato luce su alcuni aspetti isolati della storia che qui, per la prima volta, si tenta non solo di ricostruire, con l’ausilio delle fonti primarie, ma soprattutto di interpretare criticamente nel loro insieme. È questo il terzo proposito di questo libro.26 accennato al fatto che Zavattini fu chiamato a Cuba dopo la rivoluzione per offrire la sua consulenza. Eppure Nowell-Smith afferma l’importanza di Zavattini per i fondatori del Nuovo Cinema argentino, brasiliano e cubano. Geoffrey Nowell-Smith, Making Waves. New Cinemas of the 1960s, New York e Londra: Bloomsbury, 2013, 182. 24. Paulo Antonio Paranaguá, “Le vieux rebelle et l’Amerique Latine: un compromis autour du Neo-realisme”, in Aldo Bernardini e Jean A. Gili (a cura di), Cesare Zavattini, Parigi e Bologna: Centre Georges Pompidou e Regione Emilia-Romagna, 1990, 131-139. 25. Elvia Vera Soriano e Tarcísio Gustavo Chárraga Pineda, Cesare Zavattini en México (Un documento para la historia del cine nacional), Messico: Universidad National Autónoma de México, 1985. 26. Numero speciale a cura di Stefania Parigi, Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999. Cuba mía, in Alfredo Guevara e Cesare Zavattini, Ese diamantin di corazón, Madrid: Iberautor 2007, 285-381. Gabriel Rodríguez Álvarez (a cura di) Cartas a México. Correspondencia de Cesare Zavattini 1954-1988, Città del Messico: Universidad Nacional Autónoma de México, 2007 e Tarisco Chárraga e Elvia Vera Soriano, “La presencia del Neorrealismo en América Latina: Cesare Zavattini en México”, in Quaderni del CSCI.

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Ne L’isola che non c’è. Viaggi nel cinema italiano che non vedremo mai (2015), Gian Piero Brunetta ribalta l’ortodossia di un Antonioni e di tutti quelli che pensano ai soggetti non realizzati come a dei fallimenti. Secondo Brunetta, Antonioni ha torto: «la filmografia parallela, quella delle opere rimaste forzatamente nel cassetto, è ancor più illuminante di quella effettiva».27 Bisognerebbe ringraziare gli autori perché fra l’altro ci consentono di «costruire ponti tra realtà conosciute e terre incognite del cinema italiano [...] realtà parallela, ora indipendente, ora connessa».28 Questo è stato indubbiamente un filo conduttore della ricerca.

Rivista annuale di cinema italiano, Madrid: Istituto Italiano di Cultura di Barcellona 2006, 129-140. 27. Gian Piero Brunetta, L’isola che non c’è. Viaggi nel cinema italiano che non vedremo mai, Bologna: Cineteca di Bologna, 2015, 16. Su Italia mia, nello stesso volume, Brunetta, “La Sicilia di De Santis e Visconti e le mille e una Italia di Zavattini”, 147-161. 28. Brunetta, L’isola che non c’è. 13.

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1 Zavattini a Cuba

1.1 Cuba primo viaggio Il 1953 è un anno importante per il cinema italiano e per quello mondiale. L’Unitalia Films (Unione Nazionale per la Diffusione del Film Italiano all’Estero) organizza una «Settimana del Cinema Italiano», in vari paesi: a Madrid, a Cuba e in Messico, per aprire nuovi mercati al cinema italico in America Latina. L’iniziativa dell’Unitalia consente a Cesare Zavattini di compiere dei viaggi all’estero per diffondere il Nuovo Cinema Italiano nel momento in cui la critica italiana lo considera ormai un capitolo chiuso, si parla infatti ormai apertamente di esaurimento dell’esperienza e del movimento Neo-realista. A dispetto di questa analisi, andando oltralpe, ovvero in spagna, il cineasta italiano constata una visione opposta: Devo parlare di rivelazione perché un conto è leggere ogni tanto su un giornale che il cinema italiano è stimato all’estero, e un altro conto è vedere, udire, toccare con mano, come si dice, questa straordinaria popolarità del cinema italiano che ha la virtù di far nascere insieme a sé o di trascinarsi dietro la popolarità di tanti altri valori italiani. Si sentivano vere e proprie ondate di simpatia che salivano dagli strati sociali più diversi manifestandosi naturalmente per ciascuno di essi in un modo particolare; nella stessa giornata il grande poeta, il grande pittore della città dove Unitalia aveva preparato con minuzioso lavoro la sua «Settimana», e l’anonimo ragazzo iscritto a un circolo del cinema si ritrovavano in un comune caldo omaggio al nostro paese. [...] L’Unitalia dovrebbe significare per tutti il richiamo continuo a una responsabilità crescente nei confronti del mondo che aspetta da noi un cinema, nelle sue molteplici gamme, sempre coraggioso e indiscriminato.1

Gli ospiti d’onore della Semana del Cine Italiano a Madrid sono Zavattini, il suo amico e collega, il regista Alberto Lattuada, e l’attrice Marisa Belli che ha recitato da poco nel film di Lattuada Il cappotto (1953) (film che figura nel programma della rassegna di cinema italiano). Per 1. Zavattini, “Unitalia film”, Gli altri, in Zavattini. Opere 1931-1986, a cura di Silvana Cirillo, Milano: Bompiani, 1991, 1631-1633.

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Zavattini, si tratta di un aspetto meno noto del suo fare cinema in senso esteso, fuori dallo schermo, ma pur sempre dentro il cinema, una prassi che lo vede impegnato in prima persona a trasmettere le idee del Neorealismo all’estero. A Madrid, alla manifestazione culturale della Semana del Cine Italiano che ha avuto un successo strepitoso, presenti Zavattini, il famoso critico francese Georges Sadoul e fra i tanti cineasti spagnoli, il regista Juan Antonio Bardem non ha remore nel dire apertamente a tutti: El cine español actual es: políticamente ineficaz, socialmente falso, intelectualmente ínfimo, estéticamente milo, e industrialmente raquítico.2

Proprio Bardem ricorderà a distanza di tempo: «fu l’evento più decisivo dei miei anni di formazione come cineasta».3 Questa stagione delle proiezioni del cinema Neo-realista italiano è stata definita «un punto di riferimento mitico» per il cinema spagnolo.4 Dopo l’incontro di Zavattini con gli spagnoli fu lanciato Objectivo, rivista di cinema curata da Bardem e altri, rivista che dedicherà ben 18 pagine a Zavattini.5 Seguiva il Primo Congresso Nazionale del Cinema a Salamanca, che partiva dall’esempio e dal modello del Neo-realismo, per creare un cinema alternativo «che affronti problemi sociali in Spagna», nonché il numero speciale di Objectivo dedicato a film Neo-realisti.6 Il 5 dicembre 1953, sta per concludersi all’Avana la Semana del Cine Italiano, iniziata il 30 novembre. Gli italiani si fermeranno appena qualche giorno, perché il 9 dicembre saranno ospiti d’onore al cinema Chapultepec, alla Semana del Cine Italiano organizzata in Città del Messico.7 In seguito, Zavattini si impegnerà in molti altri viaggi (in Francia, Belgio, Spagna, Olanda, Ungheria, Yugoslavia, Cecoslovacchia, Russia, Egitto, Brasile, Argentina e altrove). 2. All’epoca Bardem giudicava il cinema spagnolo così: «Il cinema spagnolo di oggi è: politicamente inutile, socialmente falso, intellettualmente degenerato, esteticamente insignificante e infermo dal punto di vista industriale». Bardem citato in Gubern, Monterde, Pérez Peruchia, Esteve Riambau and Casimiro Torreiro, Historia del Cine Español, 283. 3. Peter Besas, Behind the Spanish Lens: Spanish Cinema under Fascism and Democracy, Denver: Arden Press, 1985, 34. 4. Román Gubern, Monterde, Pérez Peruchia, Esteve Riambau e Casimiro Torreiro, Historia del Cine Español, Madrid: Catedra, 1995, 280. 5. Kinder, Blood Cinema, 26. 6. Nel maggio del 1955, Kinder, Blood Cinema, 3. 7. Cartas a México. Correspondencia de Cesare Zavattini 1954-1988, a cura di Gabriel Rodríguez Álvarez, México: Universidad Nacional Autónom de México, 2007, 16.

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Ora, mentre l’aereo sorvola New York alle 12.45, il finestrino di Zavattini inquadra «la più immensa distesa di casette uguali che abbia mai visto».8 Alle 14 riparte alla volta dell’Avana. Seduto accanto a lui c’è Alberto Lattuada. Il Convegno di Parma dista migliaia di chilometri, eppure Zavattini non riesce a toglierselo di testa. Ha presentato una versione delle sue “Tesi sul Neo-realismo”. È mai possibile che non abbia saputo rispondere ai suoi critici? Che abbia letto così male la sua relazione? L’aveva corretta e ricorretta dalle tre di notte fino al tardo mattino. «Sei un grande attore!» aveva esclamato Giancarlo Vigorelli quando al Convegno Zavattini sembrava affannarsi nella ricerca di un foglio della relazione. «Te la sei cavata!» gli aveva detto Filippo Sacchi.9 Quando atterrano all’Avana, il Convegno di Parma sul Neo-realismo, promosso da Zavattini stesso, non è ancora finito. La sera del loro arrivo all’Avana coincide con il terzo e ultimo giorno.10 Molti dei partecipanti hanno parlato dell’influenza negativa della censura e, in chiusura, i presenti saranno concordi nel richiamare il cinema alle istanze etiche da cui era sorto, interpellando gli intellettuali cineasti per la difesa della libertà di espressione.11 «Questa unanimità e concordia dimostrano come non ci sia oggi istanza culturale e sociale che non trovi nel Neo-realismo le più possibili forme di espressione artistica», afferma il documento redatto a fine Convegno.12 Una descrizione dell’isola compare in un resoconto di Zavattini, scritto dopo l’ultimo viaggio a Cuba. Potrebbe suonare quasi come un testo coloniale, se non fosse per tutte le sue esperienze, incontri a tu per tu, gli scambi culturali che dimostrano il contrario: Cuba ha un clima mite, e la chiamano il paradiso del naturalista, per la varietà della sua flora. Dai duemila metri del Picco Turchino, che è la punta più alta dell’Isola, si vedono nelle belle giornate le montagne 8. Zavattini, “Cuba 1953”, Cinema Nuovo 27, 15 gennaio 1954, ora in Diario cinematografico, a cura di Valentina Fortichiari, Milano: Bompiani, 2002, 186. 9. Zavattini, “Cuba 1953”, 187. 10. Zavattini, citato in Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 39. Al Convegno di Parma parteciparono fra gli altri, Luigi Chiarini, Pietro Germi, Sergio Amidei, Suso Cecchi d’Amico, Marco Ferreri, Francesco Maselli, Virgilio Tosi, Riccardo Ghione, Antonio Marchi, Piero Nelli, Carlo Lizzani, Renzo Renzi, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Gromo, Attilio Bertolucci, Gian Luigi Rondi, Piero Gadda Conti, Ugo Casiraghi, Arturo Lanocita. 11. Luigi Chiarini “Importanza di un convegno”, in Rivista del Cinema italiano, III, N. 3, marzo 1954, 5. 12. Dalla dichiarazione approvata dai presenti al Convegno e citato in parte in Mino Argentieri, in Zavattini. Neorealismo ecc., a cura di Mino Argentieri, Milano: Bompiani, 2002, 768-769.

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azzurre della Giamaica, e non so da dove si vedono le coste Haitiane. Quelle statunitensi distano centottanta chilometri. [...] Dalla palma reale i contadini ricavano ambra, olio, alimento per il porco, scope, ceste, e il materiale per farsi la povera casa, il bohío. Nella iconografia cubana il bohío è uno dei tre o quattro elementi fondamentali, perché esprime secoli di arretratezza, di miseria, l’abitazione mortale di un popolo povero che vive invece in un paese ricco, un paese cui la natura ha dato sopra il suolo e sotto molti beni sfruttati da pochi, e tra questi pochi i forestieri che, per godere i loro guadagni, non hanno neanche bisogno di muoversi dalla loro terra natale, hanno creato la figura del proprietario no residente. Qualche volta il bohío appare nelle fotografie per i turisti con dei bei colori, i bei colori al cromo delle cartoline.13

La prima persona che gli rivolge la parola quando scende dall’aereo è un giovane: «a seimila chilometri da Parma o diecimila quando i congressisti non erano ancora tornati alle loro case, un ragazzo dal colore olivastro in piedi vicino a una negra mi domanda: “che cosa si racconta del Congresso di Parma?”»14 Si chiama José Massip: «Sono io “il giovane dalle pelle olivastra” che, assieme ad altri giovani – bianchi e neri – la ricevettero all’aeroporto dell’Avana».15 C’è anche Bertina Acevedo, una giovane attrice.16 In quel momento, Zavattini cade dalle nuvole. Come mai gli avanesi sono già al corrente di un Congresso che non ha neanche terminato i lavori? Prova «spavento e felicità, la voglia di applaudire e perfino di piangere per la affettuosa e rigorosa piccolezza del mondo».17 Così risponde al giovane, in modo preciso, lapidario, esauriente, nonostante il lungo viaggio intercontinentale: Non so che cosa abbiano deciso a Parma perché sono venuto via per essere qui con voi stasera, ma credo che lo spirito del Congresso sia di trovare il punto d’incontro tra le varie tendenze, non far prevalere una poetica, ma riaffermare innanzi tutto l’esistenza del Neo-realismo ed esaminare le possibilità di sviluppo, non soltanto in Italia. Ogni cinema che mira a 13. Zavattini, “Cuba 1960”, Reportage-intervista raccolto da Gianfranco Corsini, Paese Sera, 18 aprile 1960. Tradotto in spagnolo e pubblicato dalla rivista Bohemia a Cuba nell’ottobre del 1960. Si veda, Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 201. I tagli si riferiscono alla situazione dopo la Rivoluzione in cui Zavattini sfuma la geografia in geo-politica. 14. Zavattini, “Cuba 1953”, 187. 15. Lettera di José Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1. 16. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 50. 17. Zavattini, “Cuba 1953”, 187.

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un rapporto stretto con i gravi problemi dell’uomo moderno fa del Neorealismo, partecipa a questo movimento coi modi propri. Il Neo-realismo è ormai la coscienza del cinema.18

1.2 Zavattini a Nuestro Tiempo Alle 22 circa della sera seguente, il 6 dicembre, arriva Zavattini in sala. Lo aspettano in tanti, inclusi la Belli e Lattuada. Il dibattito sul Neorealismo organizzato dai cubani ha luogo «in un vecchio salone deserto», nella sede del Circolo Culturale Nuestro Tiempo, nell’antica sede della trasmittente radio Mil Diez in Calle de Reina.19 Zavattini non lo sa, ma questa associazione raggruppa il «settore più combattivo degli intellettuali cubani».20 Al Circolo, Zavattini è circondato da giovani che si occupano di teatro, pittura, danza, musica, letteratura e cinema. Si immerge nel mondo di questi intellettuali e artisti cubani e nel loro «centro di cultura permanente». «Da dove saltano fuori tutti questi giovani?» si era chiesto Nicolás Guillén, a proposito dell’afflusso di cubani patiti di vari aspetti della cultura moderna nazionale ed internazionale che sia.21 La Sociedad Cultural Nuestro Tiempo, fondata il 18 febbraio 1951, si batte per la divulgazione della cultura contemporanea cubana e per la difesa dei suoi valori più autentici.22 Questo comunica il Manifesto dell’associazione che proclama l’esigenza urgente di un canale di conoscenza e apprendimento culturale in un’epoca di «inquietudini estetiche e culturali del nostro tempo».23 Non che sia l’unica a Cuba; 18. ibidem, 187. 19. Salvador Bueno, “Hechos y Comentarios”, Revista Cubana, v. 38, gennaio-giugno 1951, 264-267. Nuestro Tiempo, a. 2, n. 8, dicembre 1955, 9 ora in Sociedad Cultural Nuestro Tiempo. Resistencia y acción, a cura di Ricardo Luis Hernández Otero, L’Avana: Letras Cubanas, 2002, 209-212. 20. Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 393. Lettera di Massip a Zavattini, 21 ottobre 1955, ACZ E 2/7, c. 43. 21. Nicolás Guillén, “Semanario Habanero. Noticia sobre Nuestro Tiempo”, El Nacional, l’Avana, 19 febbraio 1951, in Sociedad Cultural Nuestro Tiempo. Resistencia y acción, a cura di Ricardo Luis Hernández Otero, L’Avana: Letras Cubanas, 2002, 205-208. 22. Fornarina Fornaris, Ecu Red, http://www.ecured.cu/index.php/Nuestro _Tiempo_%28Revista%29, consultato il 14 dicembre 2015. Fornarina Fornaris fu una delle fondatrici del Circolo e collaboratrice assidua della rivista Nuestro Tiempo, pubblicata a partire dall’aprile del 1954. http://www.cubaliteraria.com//monografia/sociedad_nuestro_tiempo/revista.html, consultato il 14 dicembre 2015. 23. http://www.cubaliteraria.com/monografia/sociedad_nuestro_tiempo/articulos1. html, consultato il 14 dicembre 2015.

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ci sono anche il Cineclub Lumière e il Cineclub Visión, che si trova in una periferia operaia e che vanta una biblioteca aggiornata di cinema e Cine de Arte, il cineclub dell’Università.24 Nel marzo del 1953 il Circolo è organizzato in Sezioni, tra cui la Sezione di Cine-dibattito, diretto da José Massip che pubblica il Boletín de Cine, sostituito in un secondo momento dai Cuadernos de Cultura Cinematográfica. La Sezione di Cine-dibattito si impegna nella ricerca di una cinematografia nazionale che faccia resistenza all’inondazione sul mercato nazionale dei prodotti mediocri, provenienti dal Nord America, dal Messico e dall’Argentina. Oltre ad organizzare dibattiti e rassegne di cinema straniero, i soci traducono articoli importanti pubblicati dalle riviste straniere reputate dai cubani le più qualificate, cioè Cinema Nuovo e Cahiers du Cinéma. Sono presenti anche il dott. Muratori e dott. Scalera, funzionari dell’Ambasciata italiana all’Avana, il dott. Franco Fanfani dell’Unitalia Films, il dott. Mondello, e i rappresentanti delle pagine cinematografiche, un produttore italiano, Cino De Luca, e il critico cinematografico di El Mundo, José Manuel Valdés Rodríguez, figura importante soprattutto per il suo incarico di Direttore del Dipartimento di Cinema all’Università dell’Avana.25 Merito del Professor Rodríguez è stato quello di fondare il Dipartimento di Cinema negli anni Quaranta, uno dei primi nel mondo, aggiornatissimo, con a disposizione un archivio, una cineteca fornitissima di film (grazie al Museum of Modern Art e alla Cinémathèque francese di Henri Langlois, a partire dal 1941, film che purtroppo è vietato distribuire a Cuba). Nella sala affollatissima ci sono anche gli studenti del Dipartimento di Cinema e i soci e gli amici appassionati del cinema, tra cui i docenti universitari Alfredo Guevara, Professore di Storia della Cultura all’Università dell’Avana e laureato in Regia Teatrale presso la Scuola di Arti Drammatiche, in Scienze Sociali, nonché in Lettere, e José Massip, nominato da poco Professore in Storia del Cinema ed Estetica alla stessa università. Massip, laureato in Lettere e Filosofia all’Università dell’Avana e in Sociologia alla Harvard University, sta preparando il suo dottorato, ma già svolge un’attività di critico cinematografico e teatrale ed è uno dei dirigenti di Nuestro Tiempo. Sono presenti anche Tomás Gutiérrez Alea o “Titón”, (così lo chiamano gli amici) e Julio García Espinosa. I due sono rientrati da poco dall’Italia dove hanno studiato al Centro Sperimentale di Roma come degli altri cubani, Óscar Torres e Néstor Almendros e stranieri, tra cui Gabriel García Márquez 24. Chanan, Cuban cinema, 109. 25. Questi dati provengono da: “Conferencia de Cesare Zavattini e Alberto Lattuada”, ACZ E 3/2, c. 19. Inedito.

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o “Gabo”. Gutiérrez Alea e García Espinosa hanno anche condiviso il clima Neo-realista, lavorando nell’industria cinematografica. Espinosa ha fatto l’assistente alla regia per Anni facili (1953) di Luigi Zampa.26 A proposito del suo tirocinio in Italia, García Espinosa ricorda: Eravamo arrivati in un momento meraviglioso. Avevamo la possibilità di vivere in un ambiente dove si discuteva molto, dove si pensava che la vita si potesse trasformare. Era un’Italia molto vitale, c’erano grandi concentrazioni pubbliche per discutere di politica. Mi ricordo quante volte andammo a piazza del Popolo ad ascoltare Togliatti.27

Ma per Zavattini, sono tutti degli illustri sconosciuti. Mentre Massip ed i suoi amici sanno benissimo chi sia Zavattini, scrittore di cinema assai noto all’estero come l’autore del soggetto e della sceneggiatura di Ladri di Biciclette, Umberto D. e Miracolo a Milano. Durante la Semana del Cine Italiano, hanno appena visto il film-inchiesta Roma, ore 11 a cui Zavattini ha contribuito sia al soggetto che alla sceneggiatura, in collaborazione soprattutto con il giovanissimo cronista dell’Unità Elio Petri e Giuseppe De Santis. Per il film Il cappotto (1953), di Alberto Lattuada, presente in sala assieme a Marisa Belli, Zavattini ha adattato il racconto russo di Gogol, lavorando alla sceneggiatura in collaborazione col regista Lattuada. Insomma, la sua presenza qui è un evento. Incontrando Zavattini, sono entrati in contatto diretto con chi ritiene che il Neo-realismo sia la coscienza del cinema, che «il cinema è utile o non è»; che bisogna «conoscere per provvedere»; che il cinema deve «affrontare l’accadendo e non l’accaduto»; che non si può non «rifiutare una storia del cinema che si sottrae al raffronto con la storia della cultura».28 In Cinema Nuovo hanno letto il suo Diario iniziato sin dal primo numero del dicembre 1952, Diario in cui sono comparse già le sue teorie, invenzioni, soggetti abbozzati, per esempio, il film-lampo «sulla pelle delle cose come il sudore», «i film-inchiesta, la poetica del pedinamento, del buco nel muro e del coinquilino che significa: la tecnica della convivenza», cioè un cinema partecipativo ed etnografico, ma in senso militante.29 Entrando 26. Lettera di Alfredo Guevara a Zavattini, 10 giugno 1954, ACZ Corr. G 583, 2. 27. Tomás Gutierrez Alea, “Intervista con Cecilia Ricciarelli e Diego Malquori, in Cecilia Ricciarelli e Diego Malquori, “Il Neorealismo cubano di Zavattini” in Quaderni del CSCI. Rivista annuale di cinema italiano, 2006, 142. 28. Zavattini, “Nota” in Straparole, in Zavattini, Opere 1931-1986, Introduzione di Luigi Malerba a cura di Silvana Cirillo, Milano: Bompiani, 1991, 401-402. 29. Zavattini, “Nota” in Straparole, 401-402.

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in rapporto con lui si confrontano anche con chi pensa al film diario e ne ha realizzato uno, Siamo donne (1953). Ma vorrebbe che si facessero dei «film con la macchina da presa voltata verso sé come un phon da proiettare su un muro di casa ogni sera prima di andare a letto per cominciare a capirci se vogliamo capire».30 I soci di Nuestro Tiempo si rendono anche conto di trovarsi di fronte ad un promotore di iniziative per cambiare in meglio l’industria cinematografica italiana, proprio perché Cinema Nuovo lo leggono ed è per questo che sono al corrente dei fatti del cinema italiano. Sanno bene che Zavattini è un esponente di una cultura impegnata di Sinistra e antielitaria che prende di mira la classe degli intellettuali tradizionali per il loro immobilismo verso il sociale. Dunque, a parte il fascino di Zavattinipersonaggio, l’incontro significa per loro il contatto a tu per tu con il maggior teorico italiano del Neo-realismo. È stato Guevara a lanciare la sezione cinema del circolo, Guevara che dopo la Rivoluzione diventerà il direttore dell’icaic (Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográficos).31 Ma per ora Guevara è legato all’ambiente di Sinistra dell’Università dell’Avana, dove è stato uno dei capi di Yuventud Socialista.32 Ora, come anche Massip e altri cineasti, è nel partito comunista cubano che si chiama Partido Socialista Popular o psp. È un ambiente in cui si era distinto ai tempi della laurea per il suo lavoro nel Fronte Nazionale Antifascista, nel Comitato contro la Discriminazione Razziale e come dirigente in qualità di Presidente della Facoltà di Scienze Sociali e Segretario del feu (Federación Estudiantes Universitarios).33 Tra gli altri soci, figurano anche l’artista cubano Wifredo Lam di fama internazionale, Alejo Carpentier, uno dei più grandi scrittori dell’America Latina e i giovanissimi Edmundo Desnoes e Guillermo Cabrera Infante. Merito di Carpentier tra gli anni Venti e Quaranta era stato l’aver sviluppato una consapevolezza culturale pan-caraibica

30. ibidem, 401-402. 31. Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990) 39-45; 39. 32. Hugh Thomas, The Cuban Revolution, Londra: Weidenfeld and Nicolson, 1986, 24. 33. “Alcune idee sul cinema”, da poco pubblicato in Italia (Cesare Zavattini, Umberto D. Dal soggetto alla sceneggiatura. Precedono alcune idee sul cinema, Rivista del cinema italiano, Milano e Roma: Fratelli Bocca Editore, 1953) fu pubblicato nel Cuaderno n. 4 della Sezione Cinema di Nuestro Tiempo. Cf. José Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 54.

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con i suoi studi musicali e la sua narrativa.34 Carpentier non solo è un musicologo affermato – suo il libro La música en Cuba (1946) – contributo fondamentale alla storia della musica cubana.35 Sua anche la teoria de «lo real meravilloso», equivalente cubano del “realismo magico” di Massimo Bontempelli, teorizzato nel 1929. Carpentier lo aveva spiegato nel Prologo del suo romanzo El reíno de este mundo (1949), in cui la storia della Rivoluzione haitiana è narrata dal punto di vista di uno schiavo; un libro che rispecchia il rifiorire del movimento del mundonovismo che ha le sue radici nella fine dell’Ottocento.36 Carpentier crea una storia esistente, ma assente, combinando mito e folklore con la storia delle Americhe e sfumando la distinzione fra l’autore di romanzi e lo storico, distinzione da lui considerata dialettica.37 Nella cultura cubana, in un paese subalterno, è suo oltretutto il merito di aver definito la cultura come «un concetto fondamentale che abbraccia tutta la vita di un popolo, dalle sue origini, attraverso il suo sviluppo graduale, fino ad arrivare al suo assetto moderno».38 Dopo la Rivoluzione cubana, Carpentier lancerà una casa editrice cubana che pubblicherà le opere di Alain Robbe-Grillet e di Franz Kafka e Desnoes scriverà Memorias del subdesarollo (1968), sceneggiato da lui e da Alea per il film dal titolo omonimo, mentre Guillermo Cabrera Infante fonderà Lunes de Revolución, supplemento letterario del lunedì del giornale cubano Revolución.39 Questi gli intellettuali cubani, dunque. I soci lo mettono al corrente della situazione attuale. Gli parlano del colpo di stato e di quando, all’alba del 10 marzo 1952, il Generale Fulgencio y Zaldívar Batista prese il potere per la seconda volta – la prima fu nel 1934 – dopo aver scoperto che le previsioni elettorali lo davano per sconfitto.40 Nel suo primo discorso, Batista citava l’eroe 34. Barbara J. Webb, Myths and History in Caribbean Fiction. Alejo Carpentier, Wilson Harris and Edouard Glissant. Amherst: The University of Massachusetts Press, 1992, 149. 35. Webb, Myths and History in Caribbean Fiction, 149. 36. ibidem, 27. 37. ibidem, 5. 38. ibidem, 14. 39. Henry Fernandez, D. I. Grossvogel, Emir Rodriguez Monegal e Isabel C. Gómez, “3/on 2 Desnoes Gutiérrez Alea”, Diacritics, Vol. 4, No. 4 (inverno 1974), 51-64; 51. Luis Aldama, “Casa de las Américas”, in Cordelia Chávez Candelaria, Arturo H. Aldama e Peter J. García (a cura di), Encyclopedia of Latino Popular Culture, Westport e Londra: Greenwood Press, Vol. 1. A-L. 2004, 111-113. 40. Leo Huberman e Paul Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, New York: Monthly Review Press, 1961, 25. “An interview with Santiago Álvarez” in Mark Cousins e Kevin Macdonald, Imagining Reality, Londra: Faber and Faber, 2006, 286-291 [l’intervista uscì nella rivista Cineaste, 1975].

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nazionale cubano Martí e si dichiarava a favore della democrazia e del progresso, per poi eleggere se stesso come Capo dello Stato.41 Da un giorno all’altro Batista sciolse il Congresso, allontanando tutti i partiti politici e abolendo la Costituzione Democratica Cubana del 1940.42 Nel 1953, Zavattini spiega nel suo Diario: «A Cuba chi comanda è Batista il quale dice che ha tre partiti coi quali governare, giallo (esercito)», «blu (polizia)», «bianco», «(marina) e pueblo niente; il popolo è in contatto con gli studenti».43 Insomma, Zavattini arriva in un paese che aveva subìto dieci mesi di dittatura. In realtà, c’erano stati solo dieci anni di democrazia nel corso del secolo e l’unico aspetto positivo del colpo di stato del 1952 è che garantisce all’America del Nord uno sfruttamento più intenso delle risorse dell’isola, mentre quello negativo è lo status quo del paese che rimane in condizioni di sottosviluppo economico, se non culturale, condizioni legate inesorabilmente alla sudditanza economica nei confronti dei vicini americani, dopo la lunga oppressione economica e politica dei conquistadores spagnoli.44 A Zavattini, i soci di Nuestro Tiempo fanno presente la frustrazione del popolo e lui si commuove a sentire il resoconto dell’assalto suicida alla fortezza militare di Moncada del 26 luglio 1952, quando uno studente di Giurisprudenza insieme ad altri 160 giovani attaccarono la caserma di Moncada, di cui la maggioranza morirono sul campo o arrestati e da allora in prigione, come Fidel Castro Ruiz e suo fratello Raúl, i capi dell’insurrezione armata. E in prigione ci rimarranno fino al 15 maggio del 1955, quando verrà promulgata un’amnistia.45 Indubbiamente, l’Assalto al Moncada fu una sconfitta, ma grazie a quell’azione non solo è stato fondato il Movimento del 26 luglio, ma dopo 76 giorni in cella di isolamento, il 21 settembre 1953, l’accusa del regime è stata ribaltata in contro-accusa, lanciata contro il regime da Fidel che si è autodifeso con un’arringa. Questa volta il campo di battaglia è il tribunale di Santiago de Cuba in cui si celebra il processo a Fidel e ai suoi 122 compagni carcerati. Processo a chi, poi? Non a Fidel, ma al regime 41. Richard Gott, Cuba. A New History, New Haven e Londra: Yale University Press, 2004, 146. 42. Wyatt MacGaffey e Clifford R. Barnett, Twentieth Century Cuba, New York: Anchor Books, 1965, 31. 43. Zavattini, “Cuba 1953”, 189. 44. Morris H. Morley, Imperial State and Revolution. The United States and Cuba, 1952-1986, Cambridge; Cambridge University Press, 1987, 49. 45. Huberman e Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, 49. Thomas, The Cuban Revolution, 77.

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di Batista.46 Quando il giudice gli chiede se avesse partecipato all’attacco contro il Moncada, risponde di sì. Alla domanda «perché non ha usato mezzi civili per raggiungere il suo scopo?» risponde: «Per il semplice motivo che non c’è libertà a Cuba, giacché dal 10 marzo a nessuno è consentito parlare».47 Ad un certo punto, durante la lunga analisi tanto dotta quanto fondata su fatti concreti, e non senza richiami alla figura anticoloniale di José Martí, Fidel spiega il programma del Governo Rivoluzionario a venire, trasformando nuovamente la propria autodifesa in programma politico: I problemi che riguardano la terra, il problema dell’industrializzazione, il problema della casa, il problema della disoccupazione, il problema dell’istruzione e il problema della salute del popolo; questi sono i sei problemi che dobbiamo affrontare immediatamente, insieme al ripristino delle libertà civili e la democrazia politica.48

Queste le parole famose di Fidel a chiusura della sua autodifesa: «Condannatemi. Non mi importa. La storia mi assolverà».49 La sconfitta di Moncada si trasforma in vittoria strepitosa. Infatti, il suo discorso viene trascritto, stampato e fatto circolare clandestinamente, per diventare la base teorica del Movimento del 26 luglio. I cineasti di Nuestro Tiempo non si limitano alle discussioni di cinema, dato che fanno parte della resistenza alla dittatura e simpatizzano per il Movimento. Per loro, il Movimento e i suoi protagonisti sono un punto di riferimento per la denuncia delle ingiustizie e della miseria e un mezzo efficace per trasformare la società cubana.50 Essi si oppongono alla «tirannide dominante» e condannano il colonialismo imperialista.51 Nel gruppo ci sono quelli che militano nel Movimento e quelli che sono iscritti al psp, come Alfredo Guevara e Santiago Álvarez (che diventerà documentarista, futuro Vice Presidente dell’icaic e Direttore del cinegiornale Noticiero icaic Latino-americano). Dunque, la polizia segreta di Batista non si sbaglia nel sospettare che il Circolo Nuestro 46. ibidem, 77. 47. ibidem, 30. 48. ibidem, 38. 49. ibidem, 47. 50. Gutiérrez Alea, citato in Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 39. 51. Revista “Nuestro Tiempo”, Selezione di Ricardo Hernández, prologo di Carlos Rafael Rodríguez, L’Avana: Letras Cubanas, 1989, 411, citato da Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 50.

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Tiempo nasconda un lavoro clandestino e che alcuni dei soci vivano sull’orlo della legalità e semi-clandestinità.52 Quando García Espinosa e Gutiérrez Alea vennero a sapere del golpe a Cuba dai giornali italiani, vivevano ancora a Roma: Il nome di Cuba appare alla fine sui giornali quando Batista s’impadronisce del governo con un colpo di stato. Per noi fu una notizia drammatica, una di quelle purtroppo frequenti in America Latina, e che in Italia dette spunto ad un giro di barzellette. Cuba è riapparsa sui giornali per l’assalto alla Caserma Moncada e s’indicò anche il nome di Fidel Castro. [...] Cosa ci facevo io in quel paese, mentre nel mio accadevano avvenimenti così importanti e terribili, che erano motivo di scherzo tra gli italiani?[...] A Cuba non esisteva neppure la possibilità di sviluppare una cinematografia. L’unica cosa che esisteva era una specie di notiziario la cui fonte di finanziamento era costituita dal risultato di ricatti e dalla propaganda politica. Altri intenti di far veramente cinema si limitavano semplicemente ad imitare il peggiore cinema commerciale messicano, che era così povero e limitato che veniva voglia di piangere.53

1.3 Cultura anti-colonialista Cuba, secondo Zavattini, è divisa fra «grande ricchezza e grande miseria, le classi alte sentono il razzismo e non il problema nazionale, l’autonomia di fronte al capitale straniero».54 Oltre al problema di vivere sotto una dittatura e di lanciare un nuovo cinema, in questo paese ci sono dei limiti oggettivi dovuti all’assoggettamento economico e alla condizione coloniale che ne detta lo sfruttamento. E questo vale anche per la situazione che vigeva prima del golpe di Batista. «La storia dei rapporti fra Stati Uniti e Cuba tra il 1898 e il 1952 è la storia della creazione e manutenzione di uno stato collaboratore che serviva gli interessi statunitensi, non solo economici, ma anche politici e strategici», osserva uno storico.55 Dall’indipendenza dalla Spagna in poi, Cuba divenne un protetto52. Carlos Rafael Rodríguez, “Fragmentos del discurso por el xxx aniversario de la Sociedad Cultural Nuestro Tiempo”, L’Avana, 23 marzo 1982, in Sociedad Cultural Nuestro Tiempo. Resistencia y acción, 307-316, a cura di Ricardo Luis Hernández Otero, L’Avana: Letras Cubanas, 2002. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 50. 53. ACZ E 4/1. Tomás Gutierrez Alea, “Non sempre sono stato un cineasta”, in AA.VV, Aspetti del cinema cubano, Sulmona: Sulmona-Cinema ’86, 1986, 96-97. 54. Zavattini “Cuba 1953-31 dicembre1953”, 186. 55. Morris H. Morley, 1987, 31.

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rato nord-americano, in un rapporto neo-coloniale che si interromperà solo con la Rivoluzione del 1959. Lo spiega bene Ernesto Che Guevara: Cos’è il sottosviluppo? Un nano dalla testa enorme è “sottosviluppato” fin a quando le sue gambe deboli non siano in grado di sorreggere il corpo. Noi siamo così: paesi con economie che sono state distorte dall’azione degli imperialisti, nella soggezione ad un unico prodotto ed unico mercato. Questo circolo vizioso produce ciò che è diventato il denominatore comune dei popoli dell’America, dal Rio Grande al Polo Sud. Quel denominatore comune è la fame del popolo che è stanco di essere oppresso e sfruttato al limite.56

Da quando il dominio coloniale spagnolo fu sconfitto, gli Stati Uniti d’America impedirono la lotta per l’indipendenza, occupando Cuba militarmente.57 Gli investimenti usa nell’infrastruttura industriale permisero l’accumulo di capitale, col controllo americano del 70% della produzione dello zucchero e consentirono il dominio economico sull’isola. Detto in cifre: con 85% degli investimenti e 80% dell’importazione, mantenevano in vita il sottosviluppo cubano (come del resto accadeva nel resto dell’America Latina).58 Sin dal primo incontro, i cubani si trovano di fronte all’impatto non solo di Zavattini persona, ma della scelta estetica ben precisa che egli trasmetteva, benché non sia ancora possibile attuarla, come spiega Alfredo Guevara: Per noi fu una rivelazione e una nuova tattica nella lotta contro il dominio assoluto del cinema imperialista, in quanto non si proponeva tanto una formula di linguaggio cinematografico quanto un dovere etico: cercare la verità, lottare per lei, tentare tutte le possibilità, non arrendersi mai.59

E altrove Guevara ricorda che:

56. Ernesto Che Guevara, “Cuba, exceptión histórica o vanguardia en la lucha anticolonialista”, Verde Olivo (Avana, 9 aprile 1961), 22-29. Ernesto Che Guevara, “Cuba, Historical Exception or Vanguard in the Anti-Colonial Struggle?” in Luis. E. Aguilar, Marxism in Latin America, New York: Alfred A Knopf, 1968, 172-179. Qui si cita da questa edizione inglese, tradotta dall’autore. 57. Morley, Imperial State and Revolution, 49. 58. ibidem, 32. 59. Alfredo Guevara, “Discurso pronunciado por el cro. Alfredo Guevara”, ACZ E 3/2, 2.

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Noi giovani che organizzammo l’Associazione Culturale di Nuestro Tiempo e la sua Sezione di Cinema, non lo facemmo per una semplice e disinteressata inquietudine intellettuale. Questa inquietudine nasceva e aveva origine in un contesto ben preciso: la società neo-coloniale; la neocolonializzazione dello spirito che questa volta seguiva a quella del paese. Inoltre, cercavamo un’uscita, una risposta, uno spiraglio “teorico” perché fare cinema non ci era stato possibile.60

L’anno prima del contatto tra Zavattini e i cineasti cubani, era stato pubblicato un testo fondamentale: Peau noire masques blancs di Frantz Fanon.61 Lo precedeva Discours sur le colonialisme di Aimé Césaire, scritto sullo sfondo dell’insurrezione anti-colonialista nel Madagascar del 1947 e della protesta nella Costa d’Avorio del gennaio del 1950.62 Presi insieme, costituiscono un evento storico: infatti, tracciano una linea netta che interrompe il continuum immutabile del consenso politico coloniale, esprimendo a parole la necessità di iniziare da capo, ex nihilo; cosa impossibile senza un incominciamento primordiale. Interrompere significa rompere la concezione circolare del tempo che si ripete e che appartiene al colonialismo, a favore di un tempo rivoluzionario, un tempo anti-coloniale, con la denuncia a chiare lettere del razzismo dell’Occidente e intavolando la logica di una Rivoluzione di liberazione. Scritto poco dopo l’Olocausto nazista, Discours sur le colonialisme è un grido contro il colonialismo equiparato alla reificazione dei subalterni e delle loro nazioni; un grido contro il razzismo che ne è parte integrante. Césaire denuncia la contraddizione Occidentale fra pretendere che si rispettino i diritti dell’uomo bianco e europeo, e l’assenza dei diritti dei subalterni colonizzati; e la contraddizione fra progresso scientifico e culture soppresse, terre confiscate, straordinarie possibilità soppresse.63 Paragona il colonialismo al nazismo, in quanto entrambi avevano evoluto sistemi di espropriazione garantiti da una legislazione introdotta dalle nazioni dominanti.64 Non si limita quindi a un grido appassionato; è anche una critica storicista del colonialismo europeo e del capitalismo, senza che sia accompagnato da un rifiuto culturale dell’Europa. Césaire 60. Guevara, “Evocando a Zavattini” in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 8. 61. Frantz Fanon, Peau noire masques blancs, Parigi, Éditions du Seuil, 1952. 62. Gary Wilder, Freedom Time. Negritude, Decolonization and the Future of the World, Durham e Londra: Duke University Press, 2015, 127. 63. Aimé Césaire, Discours sur le colonialisme, Parigi: Éditions Présence Africaine, 1950, 362. 64. Césaire, Discours sur le colonialisme, 363.

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si appella ai paesi del sottosviluppo, perché trovino un’alternativa al colonialismo europeo e nord-americano.65 Peau noire masques blancs e Discours sur le colonialisme costituiscono un evento – evento da intendersi come un momento preciso della storia nel suo farsi, che ne interrompe il suo divenire – in quanto Fanon e Césaire dànno voce al subalterno e contribuiscono a costituirlo in soggetto. Ma non bisogna confondere l’evento con «l’avvenimento»; difatti, perché sia evento, deve essere riconosciuto come tale, tramite il discernimento.66 Senza sorpresa, spiega un filosofo contemporaneo, Jean-Luc Nancy, e non ci può essere evento, perché se fosse atteso, non sarebbe un evento propriamente detto.67 Questo lo sfondo del rapporto fra Zavattini e i cubani.

1.4 La Conferenza Durante la Semana del Cine Italiano ancora in corso, i cubani dell’artyc (Agrupación de Redactores Teatrales y Cinematográficos) hanno votato i migliori film del 1953, mettendo in alto alla classifica Il cammino della speranza di Pietro Germi, ma conferendo a Roma, ore 11, il più zavattiniano dei film di De Santis, il primo posto. Cino Lo Duca presenta i cineasti con una chiacchierata informale. Segue la conferenza aperta, un cine-dibattito, secondo il formato approntato dalla Sezione Cine di Nuestro Tiempo, in cui i presenti possono fare domande quando vogliono. Il relatore Alfredo Guevara ripete la domanda di Massip: A quali obiettivi e a quali conclusioni è arrivata la Conferenza di Parma; quali le sue risoluzioni e quali le sue caratteristiche? Apre una strada nuova al Neo-realismo, al cinema italiano migliore?68

Guevara osserva come il cineasta italiano sia sul punto di rispondere: Zavattini ascolta, aspetta, si illumina, compiaciuto per la domanda. Abbiamo compreso la sua emozione, in un secondo momento, alle prese 65. Gary Wilder, Freedom Time. Negritude, 129. Per la nozione di interpellazione, si veda Louis Althusser, “Ideology and Ideological State Apparatuses”, in Louis Althusser, On Ideology, Londra e New York: Verso, 2008, 1-60. 66. Stuart Barnett, “Introduction”, in Barnett, Hegel After Derrida, Londra e New York: Routledge, 1998, 30. 67. Jean-Luc Nancy, “The Surprise of the Event”, in Stuart Barnett (a cura di), Hegel After Derrida, 91-104; 93. 68. “Conferencia de Cesare Zavattini e Alberto Lattuada”, ACZ E 3/2.

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col nostro interesse al Cineclub per la Conferenza di Parma. Quindi si prepara a rispondere. L’espressione del volto riflette lo sforzo di trovare le parole adatte, precise, in grado di tradurre fedelmente le sue impressioni razionali, senza tradire quelle affettive. E ognuna delle sue frasi ha raggiunto questo scopo. Si tratta, senza dubbio alcuno, di una personalità eccezionale. Acuto, intelligente, ben documentato, munito di una immaginazione fertile e capacità di osservazione, preoccupato per gli svariati problemi e i loro aspetti diversi e sempre insoddisfatto, infaticabile, capace di dare il massimo; un poeta, creatore, un filosofo.69

«Il tema principale», riassume Guevara, a proposito del Congresso di Parma, «è stata la libertà d’espressione, minacciata e aggredita dalla censura, a volte esplicitamente, a volte implicitamente». Nel clima della nuova dittatura di Batista, il pubblico conosce bene cosa significhi la censura. Quanto all’Italia, sono stati troppi gli interventi pesanti, il più noto quello dell’Onorevole Andreotti che lanciò un attacco contro il cinema dei «panni sporchi», (un attacco mirato proprio a Zavattini e De Sica) nell’articolo “Piaghe sociali e necessità di redenzione” pubblicato in Libertas, il giornale di partito della dc.70 Se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale.71

Naturalmente, l’intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo italiano che, peraltro, tiene sotto controllo l’Ufficio Centrale per la Cinematografia dal 1947 al 1953, non poteva non avere un peso decisivo nelle scelte estetiche riguardo all’immagine dell’Italia nei mass media da parte dei produttori e finanziatori. In realtà, l’Italia dell’epoca (quando si considera tutta la penisola e in particolare il Mezzogiorno e il Sud), come dimostrerà Danilo Dolci non meno cattolico dei citati Don Bosco e Forlanini, è molto, ma molto peggio. Quindi, si tratta di problemi scottanti e attuali con risvolti pratici per chi lavora nell’industria e anche di questo si occupa il Convegno di Parma. È molto improbabile che i cubani abbiano presente il contesto italiano a cui si riferisce Zavattini a Parma: ovverossia, l’ombra proiettata da un 69. ibidem. 70. Giulio Andreotti, “Piaghe sociali e necessità di redenzione”, Libertas, 7, 28 febbraio 1952. 71. ibidem.

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dibattito provocato dalla Sinistra italiana nel 1948, all’inizio della Guerra Fredda che portò a L’inchiesta popolare sulla miseria e lo sfruttamento nel Mezzogiorno, condotta nel 1950 e 1951 e pubblicata in molti volumi a partire dal 1953.72 Eppure, a Cuba la miseria non si nasconde. Qui però è dovuta a cause diverse: al fatto che gli investimenti nell’isola, anche quelli dello stato (cresciuti peraltro dal 14 al 40% dal 1949 al 1957) favoriscano solo la costruzione di porti, strade, ferrovie e strutture a beneficio dell’America del Nord.73 E dal censo del 1953 i cubani vengono a sapere che il 43% della popolazione vive nelle baracche di legno o di latta, bohíos sopraffollate, senza acqua, senza elettricità, senza gabinetto; che il 23.6% della popolazione è analfabeta e che lo stipendio medio è di sei dollari alla settimana, ma che la maggioranza non arriva neanche a quella somma.74 Eppure, sanno bene di cosa parli Zavattini. Riguardo il cinema, i dati delle indagini italiane hanno dimostrato che non era vero che in Italia non servisse più un cinema etico e critico verso il reale. Quanti profughi vivono ancora nelle grotte e nelle baraccopoli! Qualche anno prima, nel 1948, in risposta a Pietro Ingrao del pci che denunciava le condizioni di vita insopportabili nelle borgate di Roma in un articolo su L’Unità, Zavattini aveva pubblicato una lettera aperta, proponendo un «Bollettino della miseria», chiedendo che si rendessero noti i fatti, in un appello agli intellettuali italiani di mobilitarsi finalmente, per combattere la povertà.75 L’obiettivo di Zavattini, in altri termini, quando parla di “verità” – parola oggi tanto desueta – consiste nel portare alla luce il fenomeno della miseria e metterlo agli atti, piuttosto che passarlo sotto silenzio, agendo da «intellettuale organico», unendo teoria e pratica, idee e una traduzione in intervento culturale, in linea con le

72. Lorenzo Piersantelli, “Un’inchiesta sulla miseria in Italia”, https://lpiersantelli. wordpress.com/2013/02/21/uninchiesta-sulla-miseria-in-italia/. Seguì un’inchiesta parlamentare iniziata nel 1951 e portata a termine nel 1954 dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e i mezzi per combatterla (1950-1954). Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare, di inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, Roma, 1953. Ora si veda: Archivio Storico della Camera dei Deputati, http:// archivio.camera.it/patrimonio/archivi_del_periodo_repubblicano_1948_2008/. Fu prodotto un documentario diretto da Giorgio Ferroni e realizzato dall’Istituto Luce. (Istituto Luce_Inchiesta sulla Miseria_Parte1: https://www.youtube.com/watch?v=IkbApjfd9fc. 73. Morley, Imperial State and Revolution, 39; 48. 74. Huberman e Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, 3. 75. Zavattini, “Lettera aperta”, L’Unità, 5 gennaio 1949, in Zavattini, Neorealismo ecc. a cura di Mino Argentieri, Milano: Bompiani, 1979, 369.

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teorie di Antonio Gramsci.76 Il progetto che aveva proposto nel 1949 abbracciava proletariato e sottoproletariato e si basava su osservazioni sul campo e indagini da condurre sia nelle borgate che negli ospedali e nelle carceri dove: «il dolore, l’ingiustizia, sono disseminati dovunque, anche se nascosti, e per trovarli non sarà sempre necessario muoversi dal proprio quartiere».77 Lo scopo dichiarato: «che i fatti testimoniati dagli scrittori avranno una larga eco, non si potranno ignorare, e quei mali non spariranno dal nostro indice se prima non si sarà provveduto a sanarli».78 Tradotto in slogan da Zavattini: conoscere per provvedere. Un progetto tale si oppone in tutto e per tutto al piano della censura democristiana. Zavattini mette in chiaro come funziona la censura in Italia, chi la fa e per quale motivo. Secondo, consiglia di coltivare un pubblico attraverso la diffusione dei circoli del cinema, come in Italia, dove Zavattini è il Presidente della Federazione dei Circoli del Cinema e Lattuada il fondatore della Cineteca di Milano. Terzo, precisa che non bisogna credere che, dal momento che in molti casi il Neo-realismo si è occupato dei diseredati e dei poveri, questa sia la sua unica forma possibile. Quarto, il Neo-realismo non dipende da nessun genere particolare di cinema. Alla vigilia del Convegno di Parma, c’era stato un fatto clamoroso: l’arresto e l’imprigionamento dello sceneggiatore Renzo Renzi e di Guido Aristarco, Direttore della rivista Cinema Nuovo, per offesa all’Esercito Italiano.79 Per questo a Cuba qualcuno chiede agli italiani: «A Parma vi siete occupati del caso Aristarco-Renzi?». Risponde Zavattini: Non come questione a parte, anche se, naturalmente, non si evitò di accennarvi. Si tratta di un caso. Un caso singolare, perfino importante, ma che comunque va compreso in un’ottica generale, alla luce della lotta per la libertà di espressione. Se viene meno la libertà di espressione, se questa muore, viene soppressa, il Neo-realismo muore con lei. Sono interconnessi. È la sua atmosfera, l’aria che respira e che le consente di sopravvivere. Ciò che si può affermare è che il caso in questione era presente nel modo in cui era orientato l’incontro, la riunione.80 76. Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Vol. III, a cura di Valentino Gerratana, Torino: Einaudi, 1977, Quaderno 12, §1, §2, §3; 1513-1551. 77. Zavattini, Lettera aperta, L’Unità, 5 gennaio 1949, 369. 78. ibidem, 370. 79. “Conferencia de Zavattini e Lattuada”, ACZ E 3/2. Inedito. Zavattini precisa che: «Non si trattò a Parma dell’imprigionamento di Aristarco e Renzi», dice Zavattini; «un caso, ma importante alla luce della lotta per la libertà di espressione». 80. ibidem.

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Continua Guevara: «Sia Zavattini che Lattuada sottolineano il punto in questa caratterizzazione del Neo-realismo, da loro condivisa» e cita Zavattini: Non si tratta solo di filmare per strada, con attori dilettanti, in base a storie vere, vissute da quelli che le interpretano, rivivendoli davanti alla macchina da presa. Questo è un aspetto importante, ma non incompatibile con altri elementi e scelte stilistiche: possono essere tanti i percorsi, tanto svariati quanto la vita stessa, e dovrebbero essere volta per volta percorsi migliori e sempre più numerosi. Il problema principale, la chiave stessa del Neorealismo è il contenuto, il suo reperimento, incontro e accerchiamento e la lealtà nei confronti della verità; il suo sentimento umanista e a favore della giustizia.81

Interviene Lattuada: «Questo contatto con la verità, profondo, innamorato, obbliga a sconfiggere le ingiustizie e l’errore», concludendo: «Ne consegue che bisogna mettere la verità in primo piano, approfondirla, esprimerla, lottare per lei: amarla».82 Lattuada parla della lotta dei cineasti italiani collegandola alla guerra e la Resistenza. Oggi ad una nuova resistenza: La guerra che noi stiamo combattendo e soffrendo... ha provocato danni profondi. E non poteva essere altrimenti. Il risultato dell’occupazione nazista, la distruzione delle città e delle zone abitate, le persecuzioni, la fame, la miseria e la morte presente o in agguato, provocò un clima di tensione permanente, duro e, nella misura in cui sia utile per chiarire, gli uomini hanno sentito più che mai la necessità della verità, della presa materiale e spirituale sulla giustizia e del bisogno di comprendere a fondo la loro realtà, dei loro problemi, e soluzioni possibili. Sincerità e verità soprattutto.83

Il pensiero di Zavattini, per cui il Neo-realismo trascende i limiti temporali di un movimento artistico, in virtù delle sue responsabilità etiche e civili, è chiaro: Sarà giusto e necessario approfondire ulteriormente. Qualcosa abbiamo fatto, ma è poco. Sfioriamo la superficie, fino a un certo punto la penetriamo; i problemi li analizziamo e li analizziamo ancora da varie prospettive. Ma non si può non approfondire, non si può non arrivare al cuore dei problemi 81. ibidem. 82. ibidem. 83. ibidem.

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e delle cose, senza un certo malessere. E in questo sforzo per giungere alla verità, in modo sempre più concreto e tenace consiste il futuro del Neorealismo e ‹questo› apre le sue infinite possibilità.84

Un ragazzo chiede: Il Neo-realismo è sempre teso a studiare i problemi sociali dell’umanità e dell’uomo, scegliendo i poveri come suoi personaggi preferiti? È questo il modo di esprimere la sua simpatia nei loro confronti?85

Gli risponde Lattuada: Il Neo-realismo non è né fascista, né nazional-chauvinista, né imperialista (nel senso di esserne a favore), né si pone, né potrebbe porsi, dalla parte degli indifferenti, di coloro che sfruttano il prossimo. Va da sé che lavora per la giustizia, dal momento che si equivale alla verità e al progresso. Portare alla luce la verità, farla valere, efficace, metterla in chiaro, farle strada, significa lottare per la giustizia e il bene.86

E Zavattini aggiunge: Non c’è dubbio che in molte occasioni ci si occupi dei poveri, dei diseredati, conferendo loro un ruolo principale. Non si tratta, comunque, di un dogma o di una legge. Al contrario, ci troviamo di fronte a un problema, a un punto che richiede molta flessibilità.87

Lattuada precisa che: Si può e ci si deve occupare dei ricchi in altre occasioni. E degli indifferenti, della gente fredda, parassita, disumana, di coloro che sfruttano il prossimo. La radice dei problemi che sono stati posti non cambia, né il significato, né le caratteristiche del Neo-realismo. La questione della giustizia e dell’ingiustizia che è stata posta, rimane attuale. Anche gli ingiusti, i colpevoli continuano ad essere gli stessi.88

Per ricondurre il discorso al concreto, Lattuada argomenta che la satira sia un mezzo efficace e un modo raffinato per rivolgersi ai burocrati, 84. ibidem. 85. ibidem. 86. ibidem. 87. ibidem. 88. ibidem.

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ai reazionari, alle false convenzioni sociali e per smascherare il falso nella realtà, come nel caso del suo film Il cappotto tratto dal racconto di Nicolaj Gogol, che il pubblico ha appena visto nel corso della Semana del Cine Italiano. «E, il finale?» chiede Yolanda Pérez Nodarse. Lattuada risponde: È in una certa misura, una concessione. Se ne fecero due. Uno più semplice, lasciando che si suggerisse ciò che l’altro mostra in modo esplicito. Inoltre, non si tratta, di una concessione di principio, comunque svelatrice del film, rigoroso in somma misura fino a questo istante.89

Lattuada cita come esempio ¡Bienvenido Mister Marshall! – film Neorealista di Luis Berlanga uscito l’anno prima – una satira mordente del Piano Marshall che nel dopoguerra forniva aiuti economici ai paesi europei, con il ricatto di negarli ai paesi che votassero a Sinistra e, non a caso, un film censurato nella Spagna fascista del generalissimo Franco. Uno dei presenti paragona il Neo-realismo al cinema sovietico: Il cinema sovietico, passato il suo apice, risulta inferiore, perché rappresenta il punto di vista di una sola classe. Questo lo rende più limitato rispetto alla produzione Neo-realista italiana che offre un cinema dell’uomo, umanista e di più ampio respiro.90

Ribatte Zavattini: il cinema Neo-realista, un cinema fedele alla verità e alieno a formule deformatrici, per forza deve contemplare e occuparsi con coraggio dello scontro fra bene e male, che coglie occupandosi del povero e dello sfruttato. Potrà sorgere un cinema dell’umanità, della verità e della giustizia, solo quando scompariranno le cause: coloro che sfruttano, coloro che causano e aiutano l’ingiustizia. Il cinema Neo-realista, nel tenere presente la verità e la giustizia, ispirandosi a loro, lavora per raggiungere quel momento.91

Una ragazza in verde parla di ideali in astratto. Risponde Guevara: Sono d’accordo con le affermazioni ed i criteri di Zavattini e di Lattuada e lo dico perché credo di aver inteso e capito esattamente cosa intendano dire. E per questo, piuttosto che una risposta, chiedo a Zavattini e a Lattuada 89. ibidem. 90. ibidem. 91. ibidem.

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una conferma chiarificatrice delle loro parole dette in precedenza. Chiedo perciò che si dia loro la parola. Il Neo-realismo coglie l’uomo e la società in un senso vivo e concreto, coglie i rapporti concreti; la miseria è cosa materiale e sono concreti il dolore e la lotta degli uomini? Si tratta di una solidarietà concreta, di una verità tangibile, e di una giustizia concreta? Inoltre, non sono concreti, tutto sommato, i motivi che ispirano il Neorealismo e i suoi obiettivi?92

E Zavattini: Risponderò... concretamente. Ci ispira un uomo concreto, profondo, coraggioso, consapevole, oltre che disposto a lottare nella società. È lui che vogliamo formare e a volte lo incontriamo. È una società concreta quella che rappresentiamo e questa verosimilitudine e queste caratteristiche sono i rapporti che da essa provengono e che in essa nascono. Il Neorealismo, aggiungerei, non deve solo vedere, ma anche provvedere. Vedere e provvedere, questo è il problema. L’artista non è solo quello che crea l’opera d’arte, ma crea e vive e vive in una società in cui è obbligato ad una presa di coscienza e azione che ne consegue. Vedere e provvedere non è una questione di retorica o illusione o un proposito vago da rimandare al futuro. Viviamo in tempi di urgenza. È il presente che lo esige da noi. Non serve andare a cercare ispirazione nelle opere di letteratura, nei romanzieri, drammaturghi, saggisti o filosofi. Bisogna andare dove la vita si svolge, dove si produce la vita.93

Quando, incalzato dall’interlocutore Guevara, Zavattini accoglie quel suo termine «concreto» lo fa per precisare che il Neo-realismo non è una forma di idealismo incentrato su dei valori in senso vago. Per presa di coscienza intende un atteggiamento critico di fronte alla realtà, studiata come fenomeno empirico, come insieme di dati di ricerca che si possono interpretare. Marta Santo Tomás ripete la domanda che aveva rivolto a Lo Duca due giorni prima durante la Semana del Cine Italiano. Voleva sapere i metodi e le formule espressive del Neo-realismo. Lo Duca le aveva risposto: «Perché si filma per strada? Perché è lì che si trova la vita». Zavattini e Lattuada sono d’accordo. Risponde Zavattini: In molti casi si assumono attori non professionisti come protagonisti dei film. E nella loro vita, episodi della loro esperienza personale o dei loro rapporti sociali e familiari che essi rappresentano, rivivendoli davanti alle cineprese. L’impatto emotivo, per forza di cose, non può non risultare di 92. ibidem. 93. ibidem.

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naturalezza impari. Ed è per questo che si cerca un realismo di forma e contenuto. Lavorare con attori non professionisti non è facile. È logico che girare le scene richieda più tempo e lavoro, fino ad ottenere risultati soddisfacenti. Rimane il fatto, comunque, che i risultati confermano questa direzione. È fondamentale avvicinarsi alla vita, bere alla sua fonte. Non si può arrivare alla creazione cinematografica già precostituita, fino al pregiudizio, dalle opere di letteratura, del teatro, o il romanzo.94

Zavattini accenna al problema della cultura visiva richiesta dal Nuovo Cinema e al ruolo dei cineclub nell’educare il pubblico, per poi affermare: Le qualità del Neo-realismo, la sua rottura con le “formule fatte”, con le convenzioni, il suo rifiuto a falsificare la vita, e la sua lealtà nei confronti della verità, qualunque siano le sfumature della sua espressione, determinano l’adesione del pubblico che in un primo momento viene colpito da uno “choc”, ma che in un secondo momento si riprende e viene coinvolto da questa forma di cinema. L’ostacolo principale lo determina l’abitudine, dovuto al lungo lasso di tempo in cui Hollywood, col suo stile falso e convenzionale, ha prodotto un pubblico dal gusto mal formato e deformato. Del resto, la sua stessa vacuità lo rende debole e fragile. Per questo motivo, il Neo-realismo, un po’ alla volta, ma con determinazione, va conquistando i suoi mercati e l’adesione del pubblico.95

A Guevara, rimangono impresse queste parole testuali di Zavattini: Il Neo-realismo cerca, trova, si propone di incalzare la verità, rivelarla, svelarla, andare oltre la superficie, arrivare fino in fondo, fino alla materia pura che vi si nasconde dentro, e per farlo dovrà servirsi di forme e metodi, alcuni dei quali nuovi, e che crea, sperimenta, e a volte scarta, in una ricerca incessante.96

Guevara dice che alla scoperta di Zavattini si affianca quella di un’altra dimensione del cinema e di certi valori etici che Zavattini, in modo definitivo e perentorio, mette direttamente in relazione con i valori dell’impegno, impegno con l’uomo in senso preciso, con tanto di nome e

94. ibidem. 95. ibidem. 96. “Discurso pronunciado por el cro. Alfredo Guevara con motivo del inicio de la Semana de Cine Italiano en Cuba el 16 de diciembre 1976. Estreno pelicula Amarcord.”, ACZ E 3/2, 2.

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cognome.97 Quanto a Zavattini, egli rimane incantato da come in poche ore il professor José Manuel Valdés Rodríguez sia riuscito, insieme ai soci di Nuestro Tiempo: a stabilire una confidenza da vecchi amici e l’Avana resta dentro di me caratterizzata da questa caldo vento di amicizia, di umanità, di franchezza che vi ho trovato. [...] A Cuba tutto s’incentra nel mio incontro con voi sul quale potrei scrivere decine e decine di pagine, per quanto mi colpì, anche se ero massacrato dal viaggio e da numerose notti perdute, anche se non riuscivo sempre a realizzare di aver lasciato alle mie spalle degli oceani. Credo che Lattuada abbia provato le mie stesse impressioni.98

Ma si rammarica per non aver dato adeguata risposta alle domande fatte dopo da Guevara: Lei e il suo amico mi faceste alcune domande lungo la strada, ma io vi risposi sempre in un modo insufficiente, sia perché ero stanco, sia perché ciascuna di quelle vostre più che domande richiedeva dei lunghi discorsi. Ero commosso della stima che voi dimostravate per il nostro cinema, dal quale non aspettate i soliti film, ma la continuazione vera e propria di quel discorso utile e coraggioso che voi siete tra quelli che più generosamente hanno capito e incoraggiano.99

Durante il loro soggiorno a Cuba, gli italiani si recano nella sala di proiezione del cineclub Cine de Arte dell’Università dell’Avana. Sul muro Zavattini scorge l’elenco dei nomi più famosi della storia del cinema:100 Mi chiedevo se fosse giusta la graduatoria che avevo visto iscritta sul muro della sala di proiezione dell’Università: Lumière, Edison, Méliès, Porter, Griffith, Wiene, Chaplin, Ejzenštejn, Murnau, Flaherty, Disney, Laurence Olivier. Pensavo che tra questi nomi dovesse comparire anche quello di un regista italiano o che ci fosse almeno la parola Neo-realismo. Non solo per quello che ha fatto, ma per quello che farà.101

97. Guevara, “Del Neo-realismo, del compromiso”, in Guevara e Zavattini, Este diamantino corazón de la verdad, 265. 98. Lettera di Zavattini a Guevara, 5 febbraio 1954, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 182. 99. ibidem, 182. 100. ibidem, 182. 101. Zavattini, citato in Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1, 1990, 39-45; 45.

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1.5 Lattuada e Zavattini all’Avana Dopo la Conferenza al Circolo Nuestro Tiempo, Zavattini, «el máximo apostol del neorrealismo y el primer defensor de sus virtudes», secondo i cineasti dell’isola antillana, visita l’Avana in compagnia di Lattuada e dei cubani.102 È disponibile: Siamo stati circondati da una nube di giovani che non facevano altro che dire: una pregunta e mi venne in mente che se ci fossero stati con noi certi signori di via Veneto, certi letterati, ascoltando gli apprezzamenti che si fanno del nostro cinema fuori dell’Italia, si sarebbero vergognati per il loro scetticismo.

Mentre passeggiano per le strade dell’Avana dove gli alberghi costano la metà del prezzo di Miami, improvvisamente uno studente rivolge loro la parola, recitando un verso per descrivere Cuba: «dulce por fuera y muy amarga por dentro» (dolce al di fuori e molto amara al di dentro).103 Passano vicino a dei cumuli di spazzatura e capanne abitate che si confondono in mezzo a queste. Il 7 dicembre è giorno di lutto: è la ricorrenza della morte di un eroe nazionale, Antonio Maceo, il Titán dei Bronce che si ribellò contro l’oppressore spagnolo. Nelle settimane prima di Natale, a Cuba si suda e si fanno i bagni a mare. «Voglio chiacchierare con quella ragazza, guarda che delicatezza», esclama Lattuada, mentre passeggiano lungo la spiaggia. Gli illustra la perfezione di quel corpo, come un architetto che parla di un edificio. «Ah, il cinema italiano, la realtà, amo molto», esclama la madre della ragazza, una donna sulla quarantina, mentre si asciuga appena uscita dall’acqua. Più tardi, Lattuada scorge due cineasti che conosce, in costume da bagno: Emilio Fernández il regista e attore messicano, noto come El Indio e Gabriel Figueroa. Li presenta a Zavattini. El Indio dice che quando verranno in Messico devono assolutamente visitare Mérida per vedere le rovine Maya. Quale occasione migliore per vederle in compagnia dei due illustri cineasti? Come sempre, osserva Zavattini, Lattuada vorrebbe 102. Zavattini, “Zavattini habla de Cuba”, (traduzione parziale in spagnolo di “Cuba 1953. 31 dicembre 1953”), Cinema Nuovo, n. 27, 15 gennaio, pubblicato nella rivista cubana NuestroTiempo, L’Avana 1954, ACZ E 2/3. Si noti che nella versione spagnola, il resoconto della Conferenza è abbreviato là dove si parla di miseria e censura soprattutto e ampliato invece con una descrizione turistica e pittoresca che manca nella versione italiana. 103. Zavattini, “Zavattini habla de Cuba”.

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mangiare quello che mangia la gente del posto, anche a costo di vincere il disgusto per la mancanza d’igiene. «Lo senti?» gli dice Lattuada, nei pressi di via Neptuno, ricoperta di addobbi natalizi. Dagli altoparlanti nord-americani della rca proviene il suono triste di Tchaikovsky che, secondo Lattuada, Chaplin ha copiato per il suo film Luci della ribalta. Incontrano un’italiana, Clelia Bellocchio che dipinge ritratti di cubani e mette da parte qualche soldo per acquistarsi un alberghetto sull’isola del Giglio in Toscana. Vanno tutti insieme ad ascoltare il jazz ispirato di Chori in un locale avanese. Chori trova il ritmo in tutto: nel tamburo, nelle bottiglie, nel pavimento, percuote tutto con le bacchettine, ma non si rompono. Poi di colpo, il silenzio, mentre il pubblico continua a muoversi al suo ritmo.

1.6 Neo-realismo a Cuba Zavattini rimane molto colpito dall’esperienza cubana. «Vi ricordavo con molto affetto e ammirazione, non potrò mai dimenticare il nostro primo incontro all’aeroporto, la serata al vostro circolo, le vostre preguntas che dimostravano sempre l’altezza e la verità delle vostre inquietudini», scrive a Guevara.104 E aggiunge: Ed è importante per noi, perché sono state poche le occasioni in cui voci veramente autorevoli ci hanno parlato del cinema, arrivando fino al suo midollo. [...] Voglio ringraziare lei e gli altri giovani, sembra inverosimile che dei contatti così concreti e così congeniali come avemmo noi italiani con voi restino senza un seguito, si cancellino come le orme sulla spiaggia. Forse non si cancella niente. Perché un bel giorno le cose buone che abbiamo vissuto ispirano un’idea buona e si sommano alle altre e infine costruiscono la nostra vita.105

Dopo la partenza di Zavattini, i cineasti cubani decidono di assistere assiduamente alle riprese di La Rosa Blanca, un film che il regista Emilio Fernández, l’Indio, e il direttore di fotografia Gabriel Figueroa stanno girando a Cuba sulla vita di José Martí, l’eroe nazionale cubano, poeta, scrittore e rivoluzionario anti-imperialista.106 Fu Martí a ribellarsi contro 104. Lettera di Zavattini a Guevara, 5 febbraio 1954, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 182. 105. In Zavattini, Una, cento, mille lettere, 182. 106. Lettera di Alfredo Guevara a Zavattini, 5 febbraio 1954, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 15-17.

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il colonialismo e a pensare all’indipendenza cubana non solo come tematica letteraria. Guevara e gli altri sperano invano che La Rosa Blanca sarà un film importante. Purtroppo, hanno potuto constatare che il soggetto del film censura il Martí anti-imperialista.107 Comincia un’attività febbrile, a partire dal gennaio del 1954 quando José Massip pubblica “El mejor camino del cine: El realismo”, nel Boletín de Cine Nuestro Tiempo e nel numero successivo compare la relazione non firmata (ma l’autore è Alfredo Guevara, visto che è lui che spedisce la bozza in allegato alla sua lettera a Zavattini e ne rivendica la paternità) col titolo: “Zavattini y Lattuada en Nuestro Tiempo”.108 Guevara fa circolare una traduzione della lettera di Zavattini fra i cineasti del Circolo Nuestro Tiempo e si propone di pubblicarla nel Bollettino del Circolo.109 Nella lettera di risposta scrive: Stiamo cercando di materializzarla [La rosa Blanca, Ndr], lavorando per un cinema cubano che si avvicini alla realtà, che la afferri, la incontri e la penetri, che sia espressione della nostra cultura e parte integrante di essa, che colga, rifletta e esprima i nostri problemi, il nostro carattere, necessità e inquietudini. Il vostro messaggio non è stato comunicato invano: ...“Forse non si cancella niente”.

Una buona idea ha messo radice, ma non in modo artificiale e non in un terreno arido. Si tratta in realtà di una presa di coscienza. Riguardo alla quale il vostro messaggio ed esperienza ci scopre un mondo nuovo, ricco, inesauribile, ma non solo in Italia... a Cuba, a portata di mano, intorno a noi, con la forza e l’urgenza di ciò che sta nella nostra propria carne, in quella del nostro popolo. Il cinema cubano sta nascendo».110Il 6 marzo 1954 Zavattini si impegna a spedire a Guevara tutto quello che si pubblica sul Neo-realismo, incluso un articolo sul Congresso di Parma pubblicato nella Rassegna del Film e il suo Bollettino del Neo-realismo, la cui seconda pagina, come gli spiega Guido Aristarco di Cinema Nuovo, «è tutta dedicata alle iniziative per così dire Neo-realiste in tutto il mondo», invitando il Guevara a collaborare per iniziative più o meno Neo-realistiche a Cuba».111 107. ibidem, 15-17. 108. Massip, “El mejor camino del cine: El realismo”, Boletín de Cine «Nuestro Tiempo» n. 4, gennaio 1954. Alfredo Guevara, “Zavattini y Lattuada en Nuestro Tiempo”, Boletín de Cine «Nuestro Tiempo» n. 5, Avana, febbraio 1954, 6-7; 11. 109. Lettera di Guevara a Zavattini, 10 giugno 1954, ACZ c. 3. Corr. G 583/2. Inedito. 110. ibidem. 111. Lettera di Zavattini a Alfredo Guevara, 6 marzo 1954 in Guevara e Zavattini,

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In una situazione in cui per ora «non esiste né orientamento, né linea, ma neanche una produzione stabile», i cineclub cubani lanciano un progetto: «utilizzare l’esperienza Neo-realista, radicarla nella nostra realtà, fare un cinema cubano nello spirito e nella forma, che comunichi i nostri problemi e carattere, facendo coincidere l’universale col particolare».112 In un primo momento, si impegnano in un confronto e dialogo, con la diffusione interna alla Sezione Cinema di Nuestro Tiempo degli scritti di Zavattini e la trascrizione dell’incontro pubblico e del dibattito, eseguita da Guevara. In un secondo momento, organizzano discussioni pubbliche al Circolo, invitando critici, produttori e tecnici del cinema e della televisione alle conferenze che organizzano. Tra le conferenze organizzate: “Il Neo-realismo e il Cinema cubano” di Julio García Espinosa, che ha generato molta discussione, c’è il 17 giugno, “Realtà del Cinema a Cuba” di Tomás Gutiérrez Alea, che tratterà del cinema cubano. Una stazione radio dedica un programma settimanale al “Neo-realismo e il cinema cubano” e anche le altre stazioni sostengono la lotta per lo sviluppo del cinema cubano. Ad un incontro del Circolo, il gran successo riscosso a Cuba da Miracolo a Milano di De Sica e Zavattini è stato il tema centrale. È stata: una delle migliori e più illuminanti riunioni che abbiamo mai tenuto, giacché sono state messe a confronto e analizzate molte opinioni e si è studiato il Neo-realismo, concentrandoci sulla sua portata, sul grado di penetrazione della realtà, e su come la fantasia e le risorse dell’immaginazione, utilizzate tanto spesso per nascondere, possano contribuire a rivelare, come in questo caso. Il film non fu ritenuto un film da incasso da alcuni impresari e distributori, ma, quando è stato distribuito nelle sale, abbiamo constatato che avevano torto. In generale, Miracolo a Milano ha provocato una reazione favorevole fra i critici, polemiche violente fra il pubblico, e soprattutto entusiasmo. È uno di quei film che inducono a pensare, che commuove e provoca la coscienza, che l’allarma e la mobilita, e già questo è tanto. Ma – al mio modo di vedere – questo non basta a spiegare come mai sia una vera e propria poesia. L’ho visto cinque volte. Conosco a memoria i dialoghi e le situazioni e vi trovo sempre qualcosa in più.113

Ese diamantino corazón de la verdad, 18. Lettera di Guido Aristarco a Guevara, 2 giugno 1954, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 23. 112. Lettera di Guevara a Zavattini, 10 giugno 1954, ACZ c. 3. Corr. G 583/2. Inedito. 113. ibidem.

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1.7 Neorrealismo y el cine cubano Il 13 maggio 1954 Julio García Espinosa presenta presso Nuestro Tiempo “El Neorrealismo y el cine cubano”, pubblicato dal Boletín de Cine di Nuestro Tiempo..114 García Espinosa gestisce la Sezione Cinema insieme a Guevara, e gli dedica la maggior parte del suo tempo.115 Esordisce dicendo: «Intendo parlare del cinema italiano, non solo in funzione culturale». È una precisazione importante: bisogna parlare di Neo-realismo perché riguarda direttamente il Nuovo Cinema Cubano: «cioè non soltanto per comunicare informazioni riguardo ad una corrente cinematografica la cui importanza, nientemeno, arriva al riconoscimento quasi unanime nella critica del settore del maggior contributo artistico ricevuto dal cinema in questi tempi; ma parlare, piuttosto, della sua relazione potenziale col nascente cinema cubano e del suo potenziale contributo al suo sviluppo».116

Non si tratta di una corrente qualsiasi, fra le tante, ma di un fenomeno di proporzioni globali che si è meritato il riconoscimento quasi unanime dalla critica del settore per aver dato il maggior contributo artistico al cinema in questi tempi: Oggi il mondo intero rinnova la sua familiarità con l’esistenza del cinema italiano; riconosciamo tutti che il cinema italiano di oggi si è potuto sviluppare fino al punto di competere con le industrie cinematografiche più sviluppate.117

A García Espinosa colpisce soprattutto il fatto che il Nuovo Cinema Italiano abbia influito su quasi tutta la cinematografia mondiale. Affronta subito le interpretazioni ingenue: che il rifiuto di impiegare gli attori nonprofessionisti sia un elemento fondamentale e dà ragione a Luigi Chiarini secondo cui, se si utilizzano “tipi presi dalla vita”, è solo un rimedio; che invece il Neo-realismo offre maggiori possibilità artistiche all’attore 114. Tomás Gutiérrez Alea, “Realidades del cine en Cuba por Tomás Gutiérrez Alea”, ACZ E 3/1, c. 1-26. Inedito; “El Neorrealismo y el cine cubano por Julio García Espinosa”, c. 27-46. Inedito. 115. Lettera di García Espinosa a Zavattini, 4 agosto 1955, ACZ Corr. E 70/1. Inedito. 116. Julio García Espinosa, “El Neorrealismo y el Cine Cubano” Conferencia celebrada en la Asociación cultural Nuestro Tiempo”, La Habana, Mayo 13 de 1954, ACZ E 3/1, c. 27-46. Inedito. 117. ibidem, c. 27-46.

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professionista; che il Neo-realismo deve necessariamente fondare la sua tematica sulle classi inferiori; che una caratteristica fondamentale sia l’improvvisazione quando invece ogni dettaglio corrisponde a scelte precise del regista; che si possa fare con pochi mezzi, senza strutture notevoli e che non «basta mettersi una cinepresa in spalla, uscire per strada e riprendere il primo che si muova». «Abbiamo detto» dice, rivolgendosi al suo pubblico in un momento chiave della relazione, «che il Neo-realismo, in sostanza, è la tendenza a registrare la vita stessa, attraverso i suoi fatti più caratteristici, più tipici»: Dico però che è il dettaglio o la situazione comune e attuale che ci rivela uno stato generale della società, che ci riflette un’epoca e che questo dettaglio, questa situazione comune e attuale non coincide necessariamente con quello più diffuso nella società.

Poi spiega che è un cinema personale, in quanto dipende dal punto di vista soggettivo di ogni regista, il che spiega le differenze al suo interno. Portando come esempio la disoccupazione e la miseria in Ladri di biciclette, Espinosa esclude che questi temi non siano correnti nell’America Latina, nella convinzione che «la trama di questa pellicola si possa benissimo applicare alla realtà di Cuba, del Perù». Come spiega la sua trasferibilità avvenuta all’estero? Secondo Espinosa è dovuta alla combinazione di due aspetti: primo, la «semplice inversione» effettuata dal Neo-realismo, nella scelta estetica di lavorare con gli elementi della realtà senza travisarli e secondo, che le tematiche fanno parte di «una realtà nazionale in funzione del proprio tempo». In questa ottica le imperfezioni tecniche si perdonano. Avendo tracciato la storia del Neo-realismo a partire dal film Ossessione di Luchino Visconti, Espinosa passa alla seconda parte della sua relazione che risponde alla domanda: quali contatti potrebbe avere col Neo-realismo «il nascente cinema cubano» e «il potenziale sviluppo di un’industria cinematografica nettamente cubana». Cuba si deve accostare a questi problemi; cioè «tentare una direzione che sia, se non proprio identica, almeno vicina a quella del Neo-realismo italiano». E dopo l’esempio del Neo-realismo in Giappone, continua: Le circostanze attuali di Cuba hanno poco a che vedere con quelle del dopoguerra italiano. Indubbiamente, questo non esclude che si possa tentare e sviluppare un tipo di cinema molto vicino a quello Neo-realista, in base alla recente e ancora attuale esperienza italiana, assimilandola, pur tenendo conto del nostro contesto. Aggiungo che questo non lo dico

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soltanto con l’intenzione di poter arrivare a rinnovare artisticamente i nostri film, ma con la convinzione che è l’unica via d’uscita che ci si presenta per sviluppare in modo efficace un’industria nazionale.

Poi Espinosa traccia un quadro della situazione industriale: per costruire un’industria cinematografica cubana, sarà indispensabile contare sul mercato straniero, formato dai paesi Latino-americani. «Ma allora» – domanda al pubblico – «che tipo di pellicola distribuiscono gli Stati Uniti e il Messico e noi quale tipo pretendiamo di distribuire?» Il cinema d’esportazione nord-americano e messicano contiene tematiche cosmopolite, prive di radici nazionali. Quindi, un cinema cubano non dovrà seguire la stessa strada. Inoltre, manca la perfezione tecnica. Al di là dei temi, per sviluppare un’industria cubana, «non si tratta solo di un impegno artistico, ma anche di una realtà economica». Conclude col consiglio che Cuba sfrutti la lezione italiana, ma senza copiare solo la parte esteriore e superficiale del Neo-realismo: Il Neo-realismo ci insegna ad essere originali, a cercare all’interno della nostra propria realtà. Ci insegna a lavorare la realtà; in primo luogo, la realtà nazionale, senza falsificarla. In cosa consista questa realtà nazionale lo determina la regia, la lavorazione, e via dicendo. Ci insegna ad andare a conoscere il personaggio cubano, ma come è in carne ed ossa, come essere umano, simile a qualsiasi altro del pianeta, ma con caratteristiche che non coincidano esattamente con quelle dell’essere umano messicano o quelle dell’essere umano italiano. Ad interessarci alla nostra musica, che viene accolta tanto favorevolmente dallo straniero, non però come feticcio esotico per il turista, ma piuttosto mostrandola in funzione dell’ambiente in cui si sviluppa e si muove. In parole povere, iniziare ad apprezzare la nostra bellezza, la nostra verità. [...] È questa la lezione fondamentale del Neo-realismo. L’Italia ha dimostrato che questo si può fare e fare bene.

Frutto del primo soggiorno e della discussione, studio e assimilazione dell’estetica Neo-realista, la sua relazione dura quasi due ore. Julio García Espinosa entusiasma il suo pubblico. Il Neo-realismo può essere nientemeno che il paradigma cinematografico per un nuovo cinema cubano, non limitandosi ad uno stile ridotto e ad un ricettario che consiste nel filmare per strada, con attori non-professionisti e l’improvvisazione, per fondare un cinema che si rapporti a fatti selezionati dall’artista dal mondo circostante.118 118. Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990) 39-45; 39. Julio García Espinosa, “El Neorrealismo y el cine cubano por Julio

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La sua analisi è sorprendente perché dimostra una comprensione affatto superficiale del Nuovo Cinema Italiano ed offre una mappatura del punto di vista Latino-americano, interrogando il Neo-realismo in termini di trasmissione e fruibilità. Non stupisce quindi che abbia un impatto immediato: una stazione radio cubana vi dedica un programma settimanale: «Neorrealismo y el cine cubano» e, sul cinema cubano nascente, i periodici cubani pubblicano molte interviste e articoli di fondo.

1.8 Realidades del cine en Cuba Il 17 giugno il Circolo si riunisce per ascoltare un’altra relazione pertinente, quella di Tomás Gutiérrez Alea: “Realidades del cine en Cuba”, pubblicato dal Boletín de Cine di Nuestro Tiempo.119 Il cineasta cubano batte su alcuni punti della relazione del collega García Espinosa: «non intendo ripetere tutto quello che si è detto l’altra notte, ma voglio insistere su alcuni punti e renderli ben chiari».120 «Come ha spiegato bene García Espinosa», esordisce, «il Neo-realismo non è uno stile e tantomeno una formula».121 Sviluppa l’accenno al mercato industriale con un intervento in profondità, per definire e pensare un cinema nazionale, cubano, visto come obiettivo comune dei cineasti di Nuestro Tiempo, un cinema radicato nella realtà del popolo cubano, «unica via d’uscita».122 Tomás Gutiérrez Alea imposta il suo discorso intorno all’industria cinematografica, tracciando una mappa del cinema dominante, mettendo in rapporto il nascente Nuovo Cinema Cubano con la dominazione nordamericana e messicana e confermando nella sua conclusione la scelta Neo-realista come scelta di un modo di far cinema tout court: Mentre il cinema americano monopolizzava il nostro mercato, era difficile competere con esso. L’eccellenza tecnica del cinema americano, la sua stravaganza dei mezzi, ha determinato un alto sviluppo dell’industria che García Espinosa”, Conferenza del 13 maggio 1954 presso l’associazione culturale Nuestro Tiempo, ACZ E 3/1, c. 27-46. Tomás Gutiérrez Alea, “Realidades del cine en Cuba por Tomás Gutiérrez Alea” Conferenza del 17 giugno 1954”, Conferenza presso l’associazione culturale Nuestro Tiempo. ACZ E 3/1, c. 1-26. Inedito. 119. Gutiérrez Alea, “Realidades del cine en Cuba por Tomás Gutiérrez Alea”; “El Neorrealismo y el cine cubano por Julio García Espinosa”. 120. Gutiérrez Alea, “Realidades del cine en Cuba por Tomás Gutiérrez Alea”. 121. ibidem. 122. ibidem, 26.

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noi non possiamo possedere in principio, ed è superfluo sottolineare la situazione di inferiorità che abbiamo sempre sofferto. Tenendo presente il cinema italiano, che si fece strada con mezzi limitati e certe carenze tecniche, la cui forza la trasse dalla realtà, la competizione avviene su un altro terreno: dobbiamo solo scoprire il nostro proprio linguaggio, esporre i nostri propri problemi e dare una immagine sincera della nostra propria realtà per esibirci degnamente e competere in condizioni più favorevoli.123

I cubani sostengono insomma che bisogna far tesoro della esperienza italiana che ha saputo sviluppare un proprio linguaggio cinematografico. Difatti, se l’Italia è riuscita ad affermare la propria industria cinematografica e invadere il mercato straniero, lo ha fatto solo nel momento in cui ha smesso di copiare formule creative nordamericane e ha cominciato a rivolgere l’attenzione verso la vita, la realtà, scoprendola nei suoi fenomeni tipici con un atteggiamento sincero e alieno da ogni formula e da ogni artificio, concentrandosi sulle tematiche del popolo e ponendosi di fronte alla realtà cubana, senza inganni o falsità, per sviluppare un cinema di contenuto prettamente nazionale. Questa concezione ci separa tanto dal regionalismo pittoresco e musicale delle maracas, quanto dal negro dipinto e dal cosmopolitismo scolorito a cui siamo abituati dalla gran parte della produzione nord-americana e messicana soprattutto.124

Non è questa la strada che porta ad un’opera di volore universale, capace di interessare tanto ai cubani quanto agli stranieri. Tomás Gutiérrez Alea cita un passo di “Alcune idee sul cinema” di Zavattini, dalla traduzione effettuata dai cineasti cubani, passo che tratta della presunta crisi dei soggetti in Nord America che è una assurdità, giacché «non possiamo essere a corto di soggetti. Nel peggiore dei casi, si può parlare di una crisi di contenuto, perché non siamo a corto di realtà».125 «L’esperienza Neo-realista» aggiunge Gutiérrez Alea, «in questo momento, nelle attuali circostanze, ci apre la porta a un numero infinito di possibilità per lo sviluppo del nostro cinema».126 «Ma finché il cinema nordamericano continua a monopolizzare il nostro mercato ci riuscirà difficile competere».127 L’insegnamento del Nuovo Cinema Italiano 123. ibidem, 8-9. 124. ibidem, 5. 125. ibidem, 7. 126. ibidem, 8. 127. ibidem, 8.

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consiste nell’entrare nello specifico e concreto. Andare in direzione opposta al cosmopolitismo nord-americano, quindi. Lo può fare perfino un film musicale, se riuscisse a mostrare la dinamica spontanea del contatto del popolo con la musica cubana. Un cinema nazionale cubano può attingere alla letteratura, alla musica e alla storia tramite adattamenti che siano di contenuto nazionale, che poggino sulla realtà del popolo e che aiutino a comprenderlo meglio, purché sia la realtà la fonte, non la letteratura. Gutiérrez Alea cita il caso di Il cappotto di Gogol, l’adattamento cinematografico di Lattuada in cui l’Italia contemporanea viene tradotta in cinema. Quanto alla storia, benissimo, purché sia trattata in modo realistico. Non serve il tecnicolor, il kolossal con migliaia di comparse, cammelli, o attori in costume. Il Nuovo Cinema Cubano è realizzabile con persone in carne e ossa che agiscono nelle condizioni sociali della propria epoca. Sarebbe meglio fare un film musicale, dice Tomás Gutiérrez Alea, una commedia con veri cubani in carne e ossa in ambienti reali, allora sì che si potrebbe creare una immagine del popolo. Per esempio, a proposito del cosmopolitismo del cinema, a Cuba Marisa Belli ha visitato molti luoghi dell’Avana. Un gruppo di giovani l’ha accompagnata ad un piccolo cabaret nella spiaggia di Marianao, un luogo che non ha perso il suo carattere cubano e popolare. È stata contenta. Fino a quel momento l’avevano portata alla Tropicana, a Montmartre e a Sans Souci, dove non c’era modo di constatare come fosse il popolo cubano, perché ai cabaret la gente è uguale in qualsiasi parte del mondo.128 Che cosa sia oggi il cinema cubano, secondo Gutiérrez Alea, lo si vede nel film Hotel Tropical, realizzato in co-produzione col Messico, esempio dell’opportunismo e dell’ostinazione ad usare vecchie formule, trattare il cinema come se fosse un fenomeno di passaggio. Il meglio si chiama Casta de Roble, film che pretenderebbe di occuparsi dei problemi tipici cubani, di porsi di fronte alla realtà senza inganni, tentando davvero di distinguersi dalle produzioni precedenti, per sviluppare un linguaggio che corrisponda a quello del popolo cubano. Ma già a partire dal soggetto nascono le contraddizioni, in quanto gli elementi della realtà sono in funzione del melodramma che è arbitrario, presentando situazioni drammatiche poco credibili. Poi c’è il fatto che i distributori sottovalutano il pubblico. Quando, nonostante le perplessità dei distributori, era stato proiettato nelle sale Miracolo a Milano, il film ebbe un grande successo commerciale, a dispetto delle loro riserve. 128. ibidem, 25.

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Come possono migliorare le proprie competenze, dato che a Cuba la maggioranza dei tecnici proviene dal Messico e tecnici cubani non esistono.129 Ci vogliono anche scrittori in grado di sviluppare le competenze specifiche per scrivere per il cinema.130 Ma, Gutiérrez Alea obietta: «Il pessimismo non serve a niente; meglio tracciare un quadro preciso della situazione così come si presenta per poterla trasformare in meglio»,131 e conclude: Siamo in una fase di apprendistato. Siamo agli inizi del problema. Ora bisogna coinvolgere metodicamente registi, produttori, distributori, scrittori e pubblico nel comune obiettivo di creare un cinema nazionale, fondato sulla realtà del nostro popolo, è questa l’unica via d’uscita.132 Per prima cosa, bisogna rendere noti i problemi e le analisi sulla situazione attuale. In questo, la critica ha un ruolo determinante e anche i cineclub che non devono limitarsi ad essere un museo per gli esperti, ma diventare centri di scambio e dialogo.133

1.9 Rifiuto del realismo sovietico Gli scambi, le lettere, e le conferenze dimostrano che, nella loro ricerca per un Nuovo Cinema Cubano, i cubani scartano del tutto il realismo psicologico di Hollywood, il picaresco argentino, messicano e spagnolo che hanno inondato il mercato nazionale. Ma decidono di scartare anche il realismo sovietico – discorso, comunque, che vale anche per il cinema degli altri paesi dell’America Latina. Non che non abbiano modo, nelle proiezioni domenicali di Nuestro Tiempo, di discuterne le caratteristiche, secondo Santiago Álvarez.134 Ma è legittimo chiedersi come mai essi abbiano deciso di scartare l’alternativa di un cinema rivoluzionario, secondo il modello offerto dal cinema sovietico, visto che i cubani sono schierati molto a Sinistra, alcuni addirittura militando in semiclandestinità. Che alternativa poteva esserci? In effetti, dal momento che il loro cinema è inesistente, sono costretti a partire da una tabula rasa, quella del subalterno che si pone il problema politico e culturale, 129. ibidem, 22. 130. ibidem, 23. 131. ibidem, 26. 132. ibidem, 15. 133. ibidem, 26. 134. “An interview with Santiago Álvarez”, in Cousins e Macdonald, Imagining Reality, 286-291.

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nel momento in cui decide di estrarsi da una condizione di soggezione colonialista o neo-colonialista. Si rendono conto che non si tratta di creare generi nuovi da affiancare a quelli esistenti, quanto della ricerca di un’idea di cinema. Ne discutono, come confermano sia Guevara che García Espinosa, e sono concordi nell’affermare che il consiglio di scartare quell’estetica lo ha dato Cesare Zavattini:135 Quando noi giovani organizzammo la Sezione Cinema all’interno della Società Culturale Nuestro Tiempo, a motivarci non fu solamente l’inquietudine culturale disinteressata pura e semplice. Questa inquietudine nasceva in un contesto preciso: la società neo-coloniale; in cui, alla neocolonizzazione dell’anima, seguì quella del paese. E cercavamo una via d’uscita, una risposta, uno spiraglio teorico di speranza, giacché fare cinema non era possibile. Per gli uni, la creazione artistica rivoluzionaria deve conformarsi ad un modello: quello del realismo socialista. Per gli altri, invece, la forma migliore per l’immagine artistica era il realismo critico. E benché il cinema sovietico degli anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre sembrava un modello fondante, quando in realtà non era che un incontro con il linguaggio, a noi non pareva che potesse offrirci in quegli anni Cinquanta le soluzioni teoriche che cercavamo. Lo abbiamo diffuso, lo abbiamo amato, ma continuavamo a cercare. E furono le opere del Neo-realismo italiano che ci colpirono più profondamente per la loro contemporaneità.136

Il realismo socialista di stampo sovietico, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, non rispecchia il materialismo storico marxista, ma una forma distorta di idealismo borghese che crea personaggi da ammirare presentati come tipi ideali, evitando una base documentaria a tutti i costi, mentre il realismo del Nuovo Cinema Italiano punta la cinepresa verso situazioni concrete. In effetti, scartare il realismo sovietico significa rifiutare la prassi artistica scaturita dalla Conferenza degli Scrittori Stalinisti del 1934 (che aveva respinto il modernismo e lo sperimentalismo russo). Il realismo dei sovietici si discosta dal realismo del romanzo francese, del tranche de vie che offre allo sguardo la vita in senso concreto, in un luogo ben definito e limitato ad una situazione ben precisa contraddistinto (almeno in apparenza) dalla rappresentazione 135. Julio García Espinosa, “Recuerdos de Zavattini”, in Zavattini in Memoriam, Avana: Cinemateca de Cuba, 1990, 3-9. 136. Guevara, “Evocando a Zavattini” in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 7-11. Comunque, bisogna chiedersi di quale cinema stesse parlando. Quello di Ejzenštejn, Dovženko, ma non il cinema sovietico posteriore che non è possibile amare.

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quasi fotografica del reale circostante e dalla messa a fuoco sul particolare. Il realismo sovietico preferisce rappresentare una situazione tipica, ideale e non attinente alla realtà empirica, aspirando proprio a quello che Andrei Zdhanov, Segretario del Partito Comunista, chiamò nel suo famoso discorso a quella Conferenza del 1934 «romanticismo rivoluzionario», un nuovo tipo di romanticismo e l’unica estetica che fosse consentita nell’Unione Sovietica.137 Romanticismo dunque, una sorta di idealismo che astrae dal reale secondo schemi ideologici ben definiti, creando una tipologia di eroi positivi in un mondo privo di problemi e quindi «nuovo» o piuttosto irreale. Il romanticismo va inteso però in questo modo volgare, strumentalizzato, come veicolo della rappresentazione artistica della società stalinista, rappresentazione percorsa dalla dimensione epica della grande avventura rivoluzionaria, ottenuta dalla lotta; società raccontata come se fosse priva di problemi; popolata da personaggi idealizzati, privi di ambiguità, lavoratori che sembrano atleti olimpici felici del loro presente ed entusiasti del loro futuro raggiante; una società in cui la storia, contrariamente a quanto pensava per esempio Walter Benjamin in quegli anni, è una progressione continua in avanti.138 Purtroppo, il realismo sovietico funziona «a tesi esplicita», in cui un messaggio ben preciso comunica un discorso politico ed ideologico ben preciso, in pratica, si riduce alla propaganda culturale.139 Nell’ambito del cinema italiano, in questi anni mentre il sovietico Vladimir Kemenov insiste nell’opporre le virtù del realismo sovietico all’arte borghese, mostrando «l’inevitabile trionfo del nuovo e del progresso», secondo la vecchia formula di Stalin, in Italia, Luigi Chiarini il realismo sovietico lo scarta nel suo libro Il film nella battaglia delle idee (1954) appunto perché «didascalico ed edificante» e non «polemico e critico», a differenza del Neo-realismo italiano.140 137. Andrei Zdhanov, “Speech to the Congress of Soviet Writers”, in Art in Theory. 1900-2000 (a cura di) Charles Harrison e Paul Wood, Oxford e Malden MA: Blackwell, 2003, 426-429. 138. Régine Robin, Socialist Realism. An impossible Aesthetic, Stanford: Stanford University Press, 1992, 178. A questo proposito, di Benjamin, si vedano le Tesi sulla filosofia della storia, in cui viene proposta una temporalità storica affatto lineare. Cf. Giorgio Agamben, “Tempo e storia. Critica dell’istante e del continuo”, in Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Torino: Einaudi, 2001 [1978], 93-111. 139. ibidem, 293. 140. Vladimir Kemenov, “Aspects of Two Cultures”, in Art in Theory. 1900-2000 (a cura di) Charles Harrison e Paul Wood, Oxford e Malden MA: Blackwell, 2003, 656-

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Sin dal suo primo contatto coi cubani, Zavattini teorizza tutt’altra forma di realismo che ben poco ha in comune con quello sovietico. Il Neo-realismo italiano, infatti, e Zavattini nei suoi soggetti e sceneggiature, nonché nei suoi scritti teorici, scarta il personaggio ideale a favore dell’anti-eroe del modernismo. Se pensiamo al personaggio Antonio Ricci, il protagonista di Ladri di biciclette o Umberto D. dell’omonimo film, come dimostra Guglielo Moneti, il realismo di queste figure si traduce in dubbio, incertezza e impotenza ad agire.141 Zavattini scarta gli stereotipi sovietici, preferendo personaggi con un fondamento di realtà. Al posto del lieto fine del realismo sovietico o del realismo psicologico nord-americano, i film Neo-realisti canonici non finiscono, rimangono incompiuti e non sono certo film «a tesi». Piuttosto, il lettore o lo spettatore si trovano a dover dare un significato al film sulla base del dialogo e dell’immagine. A confronto con le certezze del realismo sovietico, il lieto fine, l’idealismo romantico, il didatticismo evidente, ne segnalano la modernità l’apertura al mondo concreto dell’esperienza quotidiana e situata nel momento contemporaneo, l’indeterminatezza, il dubbio, la forma aperta, le ellissi nel racconto. Al monologismo del realismo sovietico, si sostituisce un dialogismo che, nei film a cui lavora Zavattini, si riscontra nelle inchieste sul campo, come quella portata avanti da Elio Petri per Roma, ore 11, ma stimolata proprio da Zavattini; film che i cubani, come si è detto, hanno appena visto e apprezzato molto, film-inchiesta risolto in finzione, fatto documentario e storia raccontata. Questo modello dialogico e quindi dialettico è riconducibile alle teorie di Michail Bachtin.142 Infatti, il cinema teorizzato e proposto da Zavattini è il cinema di Italia mia, tra cinema a soggetto e cinema documentario, un cinema di ascolto che si confronta con i fatti e le persone reali. 658. Luigi Chiarini, Il film nella battaglia delle idee, Milano: Fratelli Bocca Editori, 1954, 106-110. 141. Guglielmo Moneti, Neorealismo fra tradizione e rivoluzione, Siena: Nuova immagine editrice, 1999, 93-150. 142. Il termine «dialogico» si referisce all’estetica di Mikhail Mikhailovich Bachtin (1895-1975) che ha portato l’attenzione ad un modello paradigmatico di scrittura e creazione di voci plurime, di polifonia nei testi. Le sue idee furono portate in Occidente da Julia Kristeva che le tradusse con il termine “intertextualità”, e spiegato nel suo saggio: “Word, Dialogue and Novel”. in Toril Moi (a cura di), The Kristeva Reader, Oxford: Basil Blackwell, 1986, 34-61. (L’altro canale di trasmissione per le sue idee in quel periodo, (alla fine degli anni Sessanta), fu Istvan Todorov, il quale, però, lo rappresenta come proto-esistenzialista. Si veda, Graham Pechey, Mikhail Bakhtin. The word in the world, Londra e New York: Routledge, 2007, 13).

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Si può «credere che al di fuori di un cinema sempre più sociale (il che lascia alla fantasia una sconfinata libertà) non ci sia salvezza», scrive Zavattini a Guevara il 6 marzo 1954.143 Zavattini conferma che l’immaginazione, se non sa immedesimarsi nei fatti degli altri, non è fantasia e precisa che prima del concetto astratto viene l’oggetto concreto (la colomba prima del simbolo di pace). Dimostra oltretutto che è possibile accorciare la distanza fra vita e cinema, effettuando una rottura definitiva col cinema nord-americano, senza dover scegliere l’alternativa del realismo socialista.

1.10 Guevara e Cinema Nuovo Nel corso del 1954, Guevara prende l’iniziativa di far tradurre e circolare brani di una lettera di Zavattini tra gli amici del cineclub, con la promessa di pubblicarli nella rivista Nuestro Tiempo. «Il vostro messaggio non fu dato invano. Il cinema cubano sta nascendo», scrive a Zavattini.144 I cineasti cubani organizzano altre discussioni pubbliche nel circolo, fra cui una su Miracolo a Milano che riscuote molto successo. In quella occasione, si chiedono se e in che modo fantasia e immaginazione possano contribuire alla penetrazione della realtà. Alla serata sono presenti critici, produttori e tecnici del cinema e della televisione.145 Intanto, Guido Aristarco invita Guevara a scrivere per Cinema Nuovo. Nel Bollettino del Neo-realismo in Cinema Nuovo, Zavattini pubblica alcuni paragrafi da una lettera di Guevara. Ecco uno stralcio: Il nuovo (neonato) cinema cubano sta vedendo la luce sotto l’insegna del Neo-realismo. Ne fanno fede le discussioni, i dibattiti, le polemiche seguite alla proiezione dei film del Festival Italiano tenutosi in Cuba tra l’ottobre e il novembre scorso.146 143. Lettera di Zavattini a Alfredo Guevara, 6 marzo 1954, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, Silvana Cirillo (a cura di), Milano: Bompiani, 1988, 183. 144. Lettera di Guevara a Zavattini, 10 giugno 1954, ACZ Corr. G 583, 2. 145. ibidem, 2. 146. Ma fu pubblicato con molto ritardo l’anno dopo. Il primo, come allegato al n. 51 di Cinema Nuovo, il secondo e ultimo Bollettino, allegato al numero 57 di Cinema Nuovo. Al Bollettino del Neo-realismo contribuiscono articoli di Jean-Paul Sartre, del regista spagnolo Muñoz Suay, del filosofo Galvano della Volpe, del pittore e militante comunista Renato Guttuso e (come risposte alle domande dei lettori) di registi che, a quanto pare, si consideravano ancora Neo-realisti nel 1955: Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Carlo Lizzani, Alessandro Blasetti, Luigi Zampa, e Antonio Castellani.

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1.11 Altre iniziative cubane Il 21 giugno del 1954 Zavattini si congratula per tutte queste iniziative dei cubani: Sono molto contento che i giovani cubani tornati da Roma abbiano riacceso con un apporto di esperienza diretta, la discussione sul Neo-realismo. In ogni caso, una discussione sul Neo-realismo significherà sempre ricerca di un cinema migliore. Qui si cerca da parte di parecchi di non chiamarlo più Neo-realismo, ma soltanto realismo, il che da un punto di vista strettamente filosofico o da vocabolario può essere giusto, ma svuota il termine della particolare storia di questi anni di cui è imbevuto.147 Ma è chiaro, queste preoccupazioni etimologiche sono di natura molto sospetta.148

Intanto, l’associazione cubana artyc (Asociación de Redactores Teatrales y Cinematográficos), insieme al Circolo Nuestro Tiempo e il Cineclub Lumière hanno scelto Miracolo a Milano come il film più importante del 1954.149 Tutte queste iniziative le promuovono per divulgare il Neo-realismo a Cuba. E dopo le conferenze, i fogli informativi, gli articoli pubblicati, le proiezioni, i cubani fuoriescono dall’ambiente chiuso del cineclub e universitario per organizzare discussioni e serate cinematografiche aperte al pubblico, nelle periferie dell’Avana «dove – racconta Massip – abbiamo messo su una discussione impareggiabile su “il prezzo della vita” con un pubblico provinciale».150 Sono tutti preparativi. Il 17 novembre 1954, Zavattini riceve l’invito ufficiale dal curatore Fernando Gamboa di lavorare a Cuba su soggetti cubani, per conto del produttore Manuel Barbachano Ponce, ma solo in questo periodo le due parti si sono messe d’accordo e Zavattini ha firmato il contratto.151 Ora che i cineasti cubani sono venuti a sapere che scriverà soggetti cinematografici assieme a loro, tutti ne parlano nell’ambiente. Nel 1955, Guevara pubblica la relazione di Zavattini per la Conferenza di Parma sul Neo-realismo, «Il Neo-realismo secondo me», assieme 147. Un’osservazione sintomatica nell’ambito della trasmissione di saperi, di identità culturale in gioco, il che giustifica il corsivo aggiunto dall’autore. 148. Lettera di Zavattini a Guevara, 21 giugno 1954, ACZ Corr. G 583/21. 149. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 aprile 1955, ACZ Corr. G 583/3. 150. Lettera di Massip a Zavattini, “Cuba, La Habana 26 de Abril de 1955”, ACZ Corr. M 369/1. Inedito. 151. Cf. Lettera di Fernando Gamboa a Zavattini, 17 novembre 1954, in Cartas a México, 45. Cuba baila e Nuestro Tiempo.

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ad altri saggi sul Neo-realismo tradotti per la rivista Nuestro Tiempo, nel numero di luglio del 1955.152 La sezione cinema di Nuestro Tiempo pubblica nel suo nuovo Cuadernos de Cultura Cinematografica “Alcune idee sul cinema” col titolo “Algunas ideas sobre el cine. Cesare Zavattini”, ristampato in Cine Cubano dopo la Rivoluzione.153 Lo confermerà Massip: «si pubblicarono ininterrottamente sul Boletín de Cine di Nuestro Tiempo e sulla nostra rivista [Ndr. Cuadernos de Cultura Cinematografica], numerosi articoli e saggi sul Neo-realismo, che scrivevamo noi stessi o che riprendevamo da pubblicazioni italiane specializzate».154 Per quanto riguarda le proiezioni di film Neo-realisti, il 15 maggio 1955 Nuestro Tiempo proietta Il cammino della speranza di Pietro Germi e il 29 maggio Germania anno zero, di Rossellini; il 19 giugno Ladri di biciclette e Sciuscià il 28 giugno.155 Quando finalmente esce il primo Bollettino del Neo-realismo, Guevara scrive: Il Bollettino non mi ha deluso. Mi sembra un validissimo contributo alla conoscenza radicale del Neo-realismo, dell’atteggiamento che implica, delle possibilità che apre, senza che manchi il notiziario puro e semplice.156

«Dopo tutto questo» – afferma Massip il 26 aprile del 1955 – «la nostra meta deve essere un cinema nazionale e prossimo ad un profondo realismo. Sarebbe a dire, un cinema che nasca e viva della nostra storia e del nostro popolo, come l’albero dalla terra».157 La lettera del 4 maggio del 1955 di Guevara conferma quale importanza essi diano al ruolo di Zavattini durante il suo soggiorno cubano venturo: Il cinema cubano necessita di un contributo come quello che lei può dare, aiutando a volgere l’attenzione alla nostra ricca e complessa realtà, quasi vergine dal punto di vista artistico, e che la maggioranza di sceneggiatori e produttori appesantiscono con la loro insensibilità e inettitudine. Visto che altro non è che un problema di orientamento – della mancanza di una 152. “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1, 1990, 39-45; 45. Zavattini, “Il neorealismo secondo me” in Zavattini. Neorealismo ecc., a cura di Mino Argentieri, Milano: Bompiani, 2002, 753-769. Si veda anche il carteggio Guevara-Zavattini in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 2002. 153. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, A. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 53, 57. 154. Massip, “Cronaca cubana”, 51. 155. Si veda il testo pubblicato in Nuestro Tiempo, Anno. 2, n. 6, luglio 1955, 10, qui riportato nella Seconda Parte: Carte. 156. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 aprile 1955, ACZ Corr. G 583/3. 157. Lettera di Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1. Inedito.

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giusto orientamento – ad impedire lo sviluppo del cinema cubano, siamo sicuri che le sue parole e l’esempio della sua opera avranno il significato preciso di un richiamo all’ordine. È ciò di cui abbiamo bisogno.158

Non si fanno illusioni sul contesto sfavorevole dell’industria cinematografica cubana: Dal nostro punto di vista, l’opportunità per il Neo-realismo non potrebbe essere migliore, poiché le “formule” sono mediocri, prive di contenuto, senza attinenza a Cuba, irrelate alla realtà e incapaci di approfondirla. Tutto questo è stato fallimentare nel creare una industria e aprirla al mercato internazionale.159

Intanto, in preparazione della sua visita, il produttore Barbachano ha formato una Commissione Editoriale per Nuestro Tiempo che dovrà raccogliere soggetti e temi che possano servire all’elaborazione della sceneggiatura definitiva. Se non dovessero arrivare a tanto, egli spera che siano perlomeno di aiuto a Zavattini perché acquisti una conoscenza più approfondita del loro paese. Quelli della Commissione vanno a trovare scrittori, gente che lavora per la radio e la televisione, invitandoli a scrivere o ideare soggetti cubani o a suggerire loro delle idee da proporre. Si sono anche costituiti due gruppi che si propongono di raccogliere foto di ambiente cubano, della città e della campagna, per stabilire e fissare luoghi, situazioni, e “tipi” caratteristici. Da tutto il materiale raccolto, verrà fuori una cernita di soggetti e temi da proporre al produttore Barbachano Ponce.160 Il 12 maggio del 1955, Zavattini scrive a Guevara per assicurarlo che nel suo prossimo soggiorno a Cuba (che dovrebbe aver luogo a settembre) si metterà a disposizione dei cubani di Nuestro Tiempo. Aggiunge che l’importanza del suo primo soggiorno a Cuba nel 1953 non consisteva tanto nelle riflessioni sul Neo-realismo, quanto nell’incoraggiarli a realizzare un cinema nazionale.161 Quando scrive queste parole, il suo viaggio è già stato confermato, avendo accettato l’invito in Messico e a Cuba per due mesi di lavoro su cinque soggetti, tre messicani e due cubani, per il produttore messicano Manuel Ponce Barbachano. Riguardo al suo secondo soggiorno di lavoro, Zavattini risponde a Guevara: 158. Lettera di Alfredo Guevara a Zavattini, 4 maggio 1955, ACZ Corr. G 583/4. 159. ibidem. 160. ibidem, 4. 161. Lettera di Zavattini a Guevara, 12 maggio 1955, ACZ Corr. G 583/22.

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Non vengo in un luogo ignoto, ma in un luogo dove ho già dei ricordi, degli amici, e tante cose da dire insieme. [...] Sono ansioso di vedere il documentario sui carboneros e credo che la Comisión Editora sia una di quelle idee che dimostrano molto bene il vostro spirito concreto. Sono incantato dal vostro fervore. Vedrete che la importanza della mia venuta a Cuba sarà non tanto per i pensieri che io vi posso portare quanto perché avrà contribuito a precipitare, diciamo così, i vostri progetti, a moltiplicare il vostro così solidale lavoro, a realizzare, infine, la grande passione che avete di fare del cinema il vostro strumento nazionale più potente.162

L’11 giugno, Zavattini risponde a Massip e a Guevara: Io sono impegnato con lui [Barbachano] per due storie, e so che una di queste deve essere fatta con voi. [...] Quello che state preparando, conferma che siete andati molto avanti sulla strada migliore. E io cercherò di darvi una mano, come posso, per raccontare qualche cosa che sia veramente del vostro paese.163

1.12 Da Italia mia a El mégano Il 31 maggio, Zavattini pubblica in Cinema Nuovo una lettera di Alfredo Guevara in spagnolo, lettera «dove mi parla di una meravigliosa serietà e passione degli sforzi del cinema cubano per un cinema realista: Noi, da parte nostra, stiamo facendo un piccolo sforzo, piccolo, rispetto al potente apparato economico del cinema, ma gigantesco rispetto alle nostre possibilità. Si tratta di un documentario di ventidue minuti e in 16mm che presenta la vita dei carboneros del sud dell’Avana, per mezzo di una storia molto semplice, ma a mio parere, molto valida. Il nostro documentario lo stanno girando Julio García Espinosa e Tomás Gutiérrez Alea, laureati al Centro Sperimentale del Cinema a Roma. Se siamo riusciti a mantenere viva la polemica in difesa del Neo-realismo, il merito è soprattutto loro.164

Infatti, entro il 2 aprile, i cubani si sono recati più volte nel retroterra cubano a sud dell’Avana, visitando villaggi e paludi da cui la gente del posto estrae dal fondale fangoso delle acque stagnanti tronchi d’albero con la sola forza delle braccia, per poi lavorarlo e farne carboncino. 162. ibidem, 22. 163. Lettera di Zavattini a Guevara e a Massip, 11 giugno 1955, ACZ Corr. G 583/23. Inedito. 164. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 maggio 1955, ACZ Corr. G 583/3.

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Ogni domenica vanno fuori città alla ricerca di situazioni interessanti. A Batabanó scoprono un gruppo di minatori del carboncino che vive in baracche isolate in mezzo alla palude e decidono che la loro vita potrebbe diventare il soggetto del loro film. Per questo tornano continuamente in mezzo alla palude, per conoscere la gente, ascoltare le loro storie, e tentare di capire la loro vita.165 Stando insieme a loro e le loro famiglie per molti giorni, entrano in un rapporto ravvicinato, fino al punto di condividere le loro feste, i «guatesques». Nel giro di qualche settimana, percepiscono questi carboneros sia da un punto sociologico (secondo gli studi in sociologia di Guevara e Massip), ma anche politico e umano, come persone alle prese con grandi e piccoli problemi: gente normale preoccupata dalle piogge, dalla siccità, dagli avvenimenti che non si dimenticano mai e che essi ricordano nei loro versi e canzoni, dalla preoccupazione per i bambini, per i figli, per la bellezza, segnati dalla lotta senza tregua per sopravvivere, sentendosi sotto la minaccia costante di diventare schiavi, come Guevara osserva in una lettera a Zavattini.166 I cubani cominciano a girare dopo il 20 aprile. Gutiérrez Alea gli spedisce delle fotografie scattate durante i sopralluoghi per El mégano , avvertendolo che: stiamo lottando per portare il nostro cinema appena nato per il cammino del realismo, ‹ch›e167 lei è stato per noi una specie di guida, che il vostro mantenuto entusiasmo è il nostro migliore stimolo.168

Delle condizioni di vita nelle paludi prima della Rivoluzione, ne hanno parlato donne appartenenti all’fmc (La Federación de Mujeres Cubanas) con la scrittrice Margaret Randall.169 Tranne qualche spagnolo, quasi tutti i proprietari delle fornaci di carboncino appartengono all’oligarchia cubana.170 I carboneros abitano in caserías, catapecchie simili a quelle 165. Tomás Gutiérrez Alea, “Non sempre sono stato un cineasta”, in AAVV, Aspetti del cinema cubano, Sulmona: Sulmona-Cinema ’86, 1986, 98-99. In realtà, il film dura poco più di 25 minuti. 166. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 maggio 1955, ACZ Corr. G 583/3. Inedita, tranne un passo, pubblicato nell’originale in Cinema Nuovo. Qui si è preferito parafrasare alcuni passi. 167. «que». 168. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 20 aprile 1955, ACZ Corr. A 101/1. Scritta a penna in italiano. 169. Margaret Randall, “Women in the Swamps” in Chomsky, Aviv Barry Carr e Pamela Maria Smorkaloff (a cura di) The Cuba Reader. History, Culture, Politics, Durham e Londra: Duke University Press, 2003, 363-369. 170. Margaret Randall, “Women in the Swamps”, 364.

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sulla riva del Po ne Il Grido (1957) di Antonioni, molte costruite su palafitte. Non ci sono né scuole, né sanità, ma tante le infezioni di malaria. I bambini hanno i piedi gonfi e la pelle spaccata per l’acqua e l’umidità perenne e sanguinanti per le crepe, perché non hanno le scarpe e vanno in giro a piedi nudi. I bambini e le donne aiutano gli uomini a estrarre il legname dalla palude e a badare alle fornaci, accese giorno e notte. Nel 1955 vivono nella miseria; le cooperative di pescatori, i nuovi villaggi, le scuole, i centri di assistenza medica, ci saranno un giorno, ma solo dopo la Rivoluzione. Quando iniziano le riprese di El mégano, sono presenti Massip, Guevara, Guttíerez Alea e García Espinosa, il giovane operatore Jorge Hajdú e il «produttore», Moisés Ades. «Ho osato chiamarlo “lavoro di pionieri” scrive Massip.171 È un’attività clandestina filmare i carboneros che vivono nella zona costiera chiamata Ciénagas. L’hanno scelta proprio perché è un luogo remoto dove non corrono il rischio di venire perseguitati dalla polizia di Batista. A poco a poco, il progetto diventa un film che mette in evidenza le durissime condizioni di vita dei minatori che vivono in mezzo alla palude e vengono sottoposti ad un brutale sfruttamento.172 Il copione lo scrivono assieme Guevara, Guttíerez Alea, García Espinosa e Massip, a partire dalla loro esperienza concreta. Ne discutono fra di loro, e ognuno poi scrive il proprio soggetto. Ne scrivono cinque in tutto e li passano in rassegna, scegliendo infine una storia «semplice, con tratti melodrammatici interpretati dagli stessi lavoratori e dalle loro famiglie».173 È il soggetto di García Espinosa che tratta del lavoro pesante dei carboneros e della miseria in cui sono costretti a lavorare.174 Contano di finire la lavorazione prima delle piogge stagionali e prima che arrivi Zavattini. L’unica cornice narrativa è fornita dal testo che compare come intertitolo all’inizio del film: Sotto la palude giacciono tronchi d’alberi che stavano in piedi migliaia di anni fa. In mezzo alla palude vive gente che si occupa di estrarre quei tronchi per convertirli in carboncino. Questo si chiama mégano. Sono anfratti dove la vita ristagna, si indurisce, quaglia nel silenzio eterno e nell’abbandono. Questo film non è che il riflesso di un momento di vita di questo luogo. È stato interpretato dagli stessi lavoratori e ad essi lo dedichiamo. 171. Lettera di Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1. 172. Gutiérrez Alea, “Non sempre sono stato un cineasta”, 98-99. In realtà, il film dura poco più di 25 minuti. 173. ibidem, 98-99. 174. Lettera di Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1.

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Se di documentario si tratta, è un documentario Neo-realista, così diverso dalle prove didattiche della scuola del documentario inglese di John Grierson. Guevara lo considera importante «per la sua chiara comprensione del Neo-realismo, delle esigenze del nostro cinema, e soprattutto per il profondo e sincero interesse che nutre per penetrare la realtà – quella nostra cubana soprattutto».175 C’è appena una traccia di racconto, suggerita dalla sceneggiatura in cui viene narrato per immagini in movimento il lavoro e le condizioni durissime di vita. L’esile trama trasmette l’idea, ma senza alcun didatticismo di marca sovietica o griersoniana; la prima immagine è di un uomo con la sigaretta in bocca e la testa coperta da un cappello a falde larghe e immerso nella palude fino alle ascelle. Poi compare una bimba: è Paulita che gioca col fratello e canta, accompagnata dalla chitarra. A questo suono si aggiunge il vento e lo sciaquío dell’acqua della palude, smossa dai corpi dei minatori. Viene mostrato il ciclo produttivo di estrazione dalle paludi e l’infornamento dei tronchi antichi, ma senza commento fuori campo, elemento tipico invece dello stile anglosassone del documentarista John Grierson. Piuttosto, inscenano nel film tre momenti precisi: il primo, il gioco dei bambini e la musica di un vecchio seduto vicino al bohío dove giocano; il secondo, il lavoro nelle paludi, e il terzo, lo sfruttamento economico, con un intermediario che si prende la maggior parte della loro paga, mentre i carboneros in primo piano volgono lo sguardo alle loro famiglie, per dire che non hanno scelta: per sopravvivere, devono sottomettersi. In questa palude, c’è la guerra alla sopravvivenza, al posto della guerriglia nelle paludi del Delta padano, nell’ultimo agghiacciante episodio di Paisà. Qui la lotta brutale è testimoniata da due coppiette ben vestite, di passaggio su una chiatta, turisti habaneros, e espressa dal contrasto tra sfruttatore e sfruttato, fra lavoro pesante degli adulti e gioco leggiadro dei figli dei carboneros.176 Il sonoro stentato riporta solo qualche battuta di dialogo, è vero, ma se si vuol parlare di documentario, bisognerà parlare di documentario Neo-realista, piuttosto che di documentario di tipo didattico della scuola di Grierson. Si tratta di un film zavattiniano propriamente detto, costruito sulla base della ricerca sul luogo e del pedinamento etnografico.177 C’è la stessa curiosità conoscitiva 175. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 maggio 1955, ACZ Corr. G 583/3. 176. Gutiérrez Alea, “Non sempre sono stato un cineasta”, 98-99. 177. Per i rapporti tra etnografia e documentario, si veda Paul Henley, “Anthropology: The Evolution of Ethnographic Film”, in The Documentary Film Book, a cura di Brian Winston, Londra: British Film Institute e Palgrave Macmillan, 2013, 309-319. Nella relazione “Il neorealismo secondo me” Zavattini collega il Neo-realismo alla sociologia e

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dell’etnografia, vòlta alla conoscenza degli usi e dei costumi, e avversa alle generalizzazioni idealistiche, rispecchiando il progetto zavattiniano Italia mia e il film inteso come inchiesta sul reale che richiede che lo si studi con atteggiamento aperto.178 Non per nulla, Massip considera il risultato «un modesto documentario di chiara ispirazione zavattiniana».179 Questa valutazione riflette l’applicazione del modello di convivenza, ascolto e coabitazione propria di Italia mia alla realtà del subalterno a Cuba. Difatti, Zavattini aveva raccomandato ai cineasti di: scegliere una famiglia vera, di non servirsi tanto dell’esperienza accumulata sino a oggi, quanto della nuova che deve formarsi appunto nel seno di quella famiglia, convivendo con quella famiglia. [...] È attualmente conditio sine qua non questa sintesi, questa scelta, purché sia fatta su una famiglia vera, attraverso una esperienza vera, e poi narrata con coloro stessi che sono stati i protagonisti dell’esperienza. Per adesso parliamo di ricostruzione.180

È anche un film-gesto, film intervento, quindi sarebbe un errore valutarlo solo in base ad un’estetica che non tiene conto del contesto: sia perché è fatto culturale e sociale sia perché il cinema e la sua storia non si limitano alla sua estetica. El mégano inaugura un nuovo inizio; una «prassi» per istituire un’alternativa all’egemonia culturale, alle prese con la realtà specifica di un gruppo subalterno particolare, mettendo in scena il lavoro giornaliero, le condizioni di vita, lo sfruttamento economico e i rapporti di produzione.181 In questo modo, il subalterno porta sul grande schermo la propria condizione sociale di sfruttamento. Altrettanto alla partecipazione, intesa come: “questo paziente convivere con le cose che si vogliono conoscere, questo spirito d’inchiesta”. Zavattini, “Il neorealismo secondo me”, Relazione al convegno sul Neo-realismo (Parma 3, 4, 5 dicembre 1953) in Neorealismo ecc., 765. 178. Charlotte Aull Davies, Reflexive Ethnography, Londra e New York: Routledge, 2008, 77-150. 179. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 51. 180. “4 maggio 1953”, Cinema Nuovo, n. 11, 15 maggio 1954, ora in Diario cinematografico, in Zavattini, Opere. Cinema. Diario cinematografico. Neorealismo ecc., a cura di Valentina Fortichiari e Mino Argentieri, Milano: Bompiani, 2002, 138-143]. 181. Per subalternità e prassi, si veda Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Vol. 2, a cura di Valentino Gerratana, Torino: Einaudi, 1977, Quaderno 11, §12, 1384. Utilissimo anche Andrew Feenberg, The Philosophy of Praxis. Marx, Lukács and the Frankfurt School, Londra e New York: Verso, 2014 per capire che praxis marxista e marxiana non equivale a prassi e comprendere come nel caso di Zavattini, che lo scrittore teorizza facendo, per cui non solo le sue idee sono in continuo movimento, ma vengono arrichite dal confronto diretto sul campo con gli altri.

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potrebbe dirsi del documentario Housing Problems (1935) della scuola di Grierson.182 In Housing Problems, una testimone venne interpellata direttamente e intervistata, ma nel rapporto fra cineasti e testimone non ci fu né coabitazione, né pedinamento, mentre ne El mégano il documentario e il film a soggetto si fondono e gli attori sociali diventano personaggi che recitano se stessi. Ma c’è una differenza fondamentale: il contatto col soggetto subalterno è limitato nel tempo, mentre per i cineasti di Nuestro Tiempo, il contatto diretto e prolungato per sei mesi è davvero una «rivelazione» che si traduce in un solo film, «el tour de force que nos había absorbido por seis meses» che, per quanto problematico dal punto di vista tecnico, è un gesto di indipendenza dal cinema egemone americano, spostando la mira della cinepresa verso la realtà della vita di tutti i giorni dei campesinos.183 È un altro modo di farsi soggetto politico, in dialogo coi registi; farsi voce, punto di vista mai storicizzato, di una minoranza esclusa e negletta, voce isolata, ma diretta tuttavia alla propria decolonizzazione nell’atto di prendere la parola. Se il senso comune consiste nel riconoscere lo status quo come condizione immutabile, secondo Gramsci, il buon senso è l’atto stesso di reagirvi contro.184 Non si tratta solo di un tentativo di fare cinema, ma di una espressione di cinema etnografico e militante in atto. Durante la lavorazione, Massip pensa spesso a Zavattini, immaginandosi che anche a lui sarebbe piaciuto stare in questi posti e conoscere la gente, ascoltare le loro storie, e vedere le cose che hanno visto e soprattutto sentirsi stimato.185 Empatia e partecipazione, certamente. Per Zavattini il film è una prova che dimostra che il Neo-realismo, quello che si basa sui sopralluoghi, l’ascolto e l’attesa, cioè il concetto chiave di pedinamento, si possa trasmettere a Cuba, e per i cubani, è una esperienza che mette in pratica quanto hanno appreso dal cinema Neo-realista.186 Massip riferisce a Zavattini il loro:

182. Edgar Anstey e Arthur Elton, Housing Problems (1935). Interviste ai cineasti si trovano in Mark Cousins e Kevin Macdonald, “Tackling Social Problems”, in Cousins e Macdonald (a cura di), Imagining Reality. The Faber Book of Documentary, Londra: Faber and Faber, 2006, 122-125. 183. Lettera di Massip a Zavattini, 21 ottobre 1955, ACZ E 2/7, 42. 184. Gramsci, Quaderni del Carcere, Vol. 2, Quaderno 11, §12, §13; 1396-1401. 185. ibidem, 42. 186. Nella ricostruzione storica della studiosa del cinema Latino-americano Julianne Burton figurano sia Nuestro Tiempo che El mégano, ma manca il resoconto dei tre viaggi di Zavattini a Cuba. Julianne Burton, “Revolutionary Cuban cinema”, Jump Cut, n. 19, dicembre 1978, 17-20.

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difficile sforzo creativo (che abbiamo intenzione di completare prima del suo ritorno a Cuba), perché così lei saprà che dopo la sua partenza non abbiamo smesso di lottare il più attivamente possibile in generale per il Neo-realismo e in particolare per il nostro proprio cinema Neo-realista. E inoltre, affinché lei sappia che la sua breve presenza a Cuba ci è servita come ispirazione per il nostro lavoro.187

I cubani hanno un secondo obiettivo nel girare El mégano : dimostrare a potenziali produttori cubani che il miglior cinema da ogni punto di vista è il cinema che si avvicini alla realtà, piuttosto che il cinema che se ne serva. Se c’è la volontà di sviluppare l’industria cinematografica cubana, «è ora di finirla» con le pellicole musicali, con le rumberas, coi film comici o con altri temi alieni alla realtà del paese. Sono convinti: solo con un cinema Neo-realista potremo conquistare uno spazio nel mercato internazionale (l’unica forma in cui la nostra industria possa sopravvivere, poiché il mercato nazionale non basta) a competere con successo con Hollywood e altre cinematografie. Nel mostrare questo cortometraggio, anticipiamo che la reazione del nostro pubblico – e dei critici – sarà la nostra maggior alleata per aprire gli occhi ai produttori.188

Sei mesi di contatto e tre di riprese. Ai primi di agosto, stanno completando gli ultimi ritocchi in laboratorio. García Espinosa nel frattempo lavora a «un film commerciale nel cattivo senso della parola».189 Intanto, continua a scrivere un soggetto, ma non riesce a completarlo: Mi ci vorrebbe un giorno fatto di trenta ore, ma lo finirò presto questo soggetto. Già lo dissi a Barbachano che questo soggetto era la mia più grande illusione. Ora lei me lo fa diventare una realtà.190

1.13 Inchieste cubane In attesa dell’arrivo di Zavattini ai primi di settembre 1955, i cineasti del circolo Nuestro Tiempo raccolgono un dossier sul loro paese, come punto di partenza per l’incontro con lo scrittore di cinema, in previsione delle riunioni sui soggetti da realizzare con Zavattini, Cuba baila, la cui 187. Lettera di Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1. 188. ibidem, 1. 189. Lettera di García Espinosa a Zavattini, 4 agosto 1955, ACZ Corr. E 70/1. 190. ibidem, 1.

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idea iniziale, che come ammetterà Julio García Espinosa un giorno, fu scritto «secondo le sue direttive personali», verrà tradotta in soggetto e sceneggiatura da García Espinosa, e Tiempo muerto di José Massip.191 Sullo sfondo di Tiempo muerto, c’è la situazione reale del 25% dei lavoratori occupati nella lavorazione dello zucchero, attività stagionale per ben 475,000 campesinos.192 Non è un caso che alla Teleproducciones di Barbacahano Ponce interessi più Cuba baila, la cui trama è semplice e inoffensiva. Un impiegato si trova alle prese con un problema: come organizzare le nozze della figlia quando non ha i soldi per una grande festa che faccia bella figura, come vorrebbero moglie e sposa? Lo sfondo musicale mette a confronto due culture: quella borghese e quella popolare afro-cubana. Ma dallo sfondo emerge la musica popolare prorompente, tanto che il ballo e il suono della musica conta più della trama. Nel film, lo scontro di classe avviene proprio a questo livello più allegorico e sarà forse per questo motivo che in un contesto politico ben diverso, e cioè dopo la Rivoluzione cubana, questo film verrà prodotto e apparirà sugli schermi, riscuotendo un grande successo di pubblico. García Espinosa scrive a Zavattini che Cuba baila rispecchia il suo insegnamento: «Cosa può contenere di buono questo soggetto, se non un piccolo riflesso del lavoro che lei – soprattutto lei – ci sta insegnando?».193 Cuba baila ruota intorno alla musica afro-cubana, suggerito da un’idea di Zavattini. Il primo abbozzo dell’agosto del 1955, i cubani lo mandano a Zavattini che si trova in Messico a lavorare con un gruppo di cineasti messicani presso il produttore Barbachano Ponce. Ma Espinosa si rende conto che è solo un abbozzo. Aggiunge: «PS. Si sbrighi a venire, per favore. Siamo sicuri che lei sarà in grado di captare e sentire la nostra più grande realtà in pochi giorni».194 Prima del suo arrivo, i cineasti cubani hanno già svolto una ricerca preliminare di materiali da mettere a disposizione di Zavattini perché ne ricavi il soggetto di un film Neo-realista. I tre soggetti si accavallano, ognuno traducendo in pratica un aspetto particolare di Italia mia. Incoraggiati da Barbachano, hanno formato una Commissione editoriale.195 Organizzano un appello al pubblico per raccogliere le 191. Secondo Massip, il secondo soggiorno di Zavattini a Cuba avviene nel 1956, ma la corrispondenza e il viaggio messicano lo fissano con certezza ai primi di settembre 1955. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 52. 192. Louis A. Pérez, Cuba. Between Reform and Revolution, New York: Oxford University Press, 1995, 294. 193. ibidem, 1. 194. ibidem. 195. “...que serían utilizados por Zavattini para compenetrarse con nuestro país y

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loro idee da sviluppare in soggetti. Vanno anche di persona a visitare i migliori scrittori cubani, a cui aggiungono i loro. Selezionano i migliori racconti della loro tradizione letteraria per eventuali adattamenti moderni. Poi ordinano tutto il materiale raccolto. Scattano fotografie dei luoghi e persone da includere nei soggetti. Nel frattempo, gli scrittori più importanti hanno collaborato con la loro Commissione, con temi originali o adattamenti. Musicisti e fotografi professionisti hanno fornito la loro documentazione iconografica dei luoghi e degli abitanti.196 Intendono fare sopralluoghi con Zavattini e Onelio Jorge Cardoso – uno degli scrittori più in vista che farà anche da guida. Vogliono presentare a Zavattini individui disposti a raccontare il loro vissuto. Constatano che le persone più semplici che conoscono, gente che non è mai stata al cinema, potrebbero diventare degli ottimi attori. Intendono portare il cineasta italiano nei posti dove si balla, si canta, si tocca con mano la musica liturgica-folklorica cubana, parte integrante della loro eredità africana e desiderano che Zavattini si sommerga nel loro mondo: che stringa la mano dell’intellettuale e del campesino con la medesima forza. In questo modo, pensiamo, Lei potrà «scoprire» Cuba, scoperta di cui noi abbiamo tanto bisogno. E chissà che non avremo un film che sarà per noi, per il nostro cinema, ciò che ¡Viva México! fu per i messicani.197

1.14 Zavattini torna a Cuba Finalmente, dopo tanti rinvii, dopo due mesi di lavoro nel Messico e quasi due anni di attesa, ai primi di settembre, Zavattini ritorna a Cuba, in compagnia dei messicani Fernando Gamboa e il produttore Manolo Barbachano Ponce con cui egli ha collaborato per settantacinque giorni. A Cuba Zavattini trova un’ambiente lavorativo molto promettente; lo colpisce l’entusiasmo della gente e soprattutto dei cineasti di Nuestro Tiempo. Arriva alla conclusione che questo sia dovuto al fatto che l’insegnamento basilare del cinema italiano consiste nel non essere prettamente «italiano», in quanto etica generale che riguarda il cinema di tutti i paesi. Raccomanda loro di entrare in contatto con il

escribir el argumento y el guión del primer film neo-realista cubano.” Nuestro Tiempo, 2, n. 6 luglio 1955, 10. 196. Nuestro Tiempo, a. 2, n. 6, luglio 1955, 10. 197. Lettera di Massip a Zavattini, 26 aprile 1955, ACZ Corr. M 369/1.

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cuore umano degli avvenimenti che hanno luogo nel proprio paese.198 Già il primo giorno, dopo appena mezz’ora dal suo atterraggio alle 14.30, Zavattini si trova in riunione con José Massip, García Espinosa, Alfredo Guevara e altri entusiasti per una discussione accesa sul tema da concordare e sviluppare in soggetto e trattamento, in conformità col contratto stillato da lui e Manolo Barbachano Ponce, della casa di produzione messicana Teleproducciones sa. In queste giornate intense, Guevara e gli altri hanno modo di conoscere meglio il cineasta italiano. Il giovane habanero Guevara scopre Zavattini e in Zavattini scopre un’altra dimensione del cinema, cinema che il cineasta italiano mette direttamente, definitivamente e perentoriamente in rapporto dialettico coi valori dell’impegno, un cinema etico, insomma. E ha in mente precisamente l’impegno con l’uomo, nel senso specifico di una persona con tanto di nome e cognome.199 Per lui, «Zavattini non è «l’unico rappresentante del Neo-realismo, ma il più caloroso e il più disponibile; caloroso nel senso di rappresentante appassionato e protagonista del Neo-realismo che conosciamo».200 Quando vede il materiale di indagine preparato dai cubani, Zavattini rimane allibito da come essi abbiano applicato la sua prassi del pedinamento etnografico: Qui a Cuba sto vedendo una cosa straordinaria, esemplare: un folto gruppo di giovani hanno raccolto molto materiale sulla vita del loro paese, l’hanno vista da parecchi punti di vista, l’hanno penetrata, indagata: e ho qui sul tavolo i risultati di questo serio amore, e cioè centinaia di fotografie, articoli, cifre, e soprattutto la prova che per raccogliere tanti documenti hanno dovuto vivere insieme con la gente del loro paese in un modo diverso da quello che sarebbe stato senza questa esigenza.201

Osserva altrove che «in questo lavoro, avevano conosciuto meglio il loro paese, avevano scritto i primi capitoli di un libro straordinario»202 e aggiunge:

198. Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 20 settembre 1955, in Cartas a México, 71. 199. Guevara, “Del Neo-realismo, del compromiso”, Este diamantino corazón de la verdad, 265. 200. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, Este diamantino corazón de la verdad, 287-296. 201. Zavattini, “Lettera da Cuba” in Elio Petri, Roma Ore 11, Milano: Edizioni Avanti!, 1956, 13-15. 202. Zavattini, ”La terra e la luna”, Il Contemporaneo, 24 settembre 1955.

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Su questo materiale di indagine abbiamo lavorato insieme e scelto ciò che ci sembrava più utile a esprimere, fra i cento temi e le tante dimensioni delle cose emerse da quell’indagine, il mondo del popolo cubano, il suo lavoro e la sua civiltà. Il soggetto ha un titolo bello e drammatico: Tempo morto, cioè il tempo nel quale non si lavora, quello che va dalla fine della raccolta della canna da zucchero alla successiva raccolta.203

Le riunioni lavorative avvengono solo di pomeriggio e di sera: riprendono il lavoro il giorno dopo, mercoledì 7 settembre dalle 15 alle 16 e all’Hotel di Zavattini dalle 16 alle 20, per vagliare ipotesi di cinema.204 Giovedì 8 settembre, lavorano dalle 10.30 alle 13.30. Trascorrono un’ora (dalle 21 alle 22) all’Università dell’Avana e continuano altrove dalle 22 alle 23.205 Il venerdì 9 settembre, prendono il cocktail alle 19 al Circolo Nuestro Tiempo, poi si recano all’università alle 21 e ci rimangono due ore. «Racconto Cuba baila», annota Zavattini nel suo taccuino.206 Si tratterà di una nuova versione, visto che García Espinosa già ne parlava ad agosto. Quella sera imposta una lunga discussione sul soggetto per Cuba baila, la cui regia sarà affidata a Espinosa. Si confrontano fino alle ore piccole.207 Vanno in periferia dove assistono alle feste della Vergine di Regla.208 Qui Zavattini ha modo di riscontrare fino a che punto l’ortodossia cattolica sia stata penetrata dalle credenze africane, mescolando la messa e la seduta spiritualista della Santería, espressione religiosa sincretica e afro-cubana, quando all’uscita della chiesa di Regla una donna anziana chiede l’elemosina ad Alfredo Guevara che si ricorda: «Quando gliela diedi, mostrò il suo ringraziamento in modo curioso: “Che Changó ti protegga”. Questo avviene tanto spesso che sembra normale».209 In un’altra occasione Gutiérrez Alea e gli altri cineasti lo portano ad una festa religiosa in casa di alcuni neri dove assiste al rito della loro religione sincretica, simile al Voodoo di Haiti.210 203. ibidem. 204. ibidem, 316r-317v. 205. ibidem, 316r-317v; 321v. 206. ibidem, 316r-317v; 309r. 207. ibidem, 316r-317v; 321v. 208. Fernando Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, resoconto del viaggio di Cesare Zavattini e Ferdinando Gamboa in Messico (24 giugno-15 luglio 1955) in ACZ Sog. NR 2/1-5, cartella 4, c. 30. 209. Guevara, “Introducción”, Cuba mía, in Guevara e Zavattini, Este diamantino corazón de la verdad, 297-302. 210. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 27 maggio 1956, ACZ Corr. A 101/2. Inedito.

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Nel corso dei loro incontri, i cineasti cubani si rendono conto che Zavattini va alla ricerca dell’esperienza qualificante del reale che egli chiama «la noce della mandorla», «il seme che forse non si incontra nella materia sensibile, ma potrebbe animarla, in modo ossessivo, lucido e riflessivo».211 Guevara gli chiede dove si trovi. Ma lo scrittore si rifiuta di dare una risposta precisa, perché il problema non si pone in questi termini: «non appena abbiamo toccato la buccia» – replica il cineasta italiano – «bisogna arrivare proprio fino al centro del nocciolo di mandorla» e si riferiva alla realtà».212 A molta distanza di tempo, Guevara lo interpreta in questo modo: il quotidiano, piccolo piccolo, piccolissimo, quasi impercettibile e casuale, non è stato quasi mai al centro dell’attenzione dell’artista, tranne l’attimo in cui si faccia appena appena un’osservazione: una pennellata che contribuisca in qualche modo a tracciare la presenza di un’atmosfera.213

Massip comincia a capire come Zavattini trasmette la sua idea di cinema e come egli si rapporta con loro. «È un metodo profondamente socratico», dirà, tecnica filosofica approntata da Platone nei suoi Dialoghi che consiste nella maieutica, metodo di ascolto e scambio di idee, di logica dialettica in cui ogni proposizione viene posta sotto verifica dal maestro e questa applicata nel contesto cubano al lavoro collettivo di insegnare come sceneggiare.214 Guevara fa presente a Zavattini che bisogna «fare un film utile, che aiuti il cubano ad avere coscienza della sua condizione».215 L’importante è che «si veda l’unicità odierna dei problemi in tutte le nazioni economicamente dipendenti». Interviene Massip: «Il problema centrale non è il razzismo. Il nostro è un paese mulatto: Ortiz – un‹a› grande figura messicana – La mulatez. Come si manifesta la discriminazione?»216 Intanto, Zavattini si segna la traccia: Ne nasce un tema: i bianchi (e gente di colore): i cattivi impieghi sono per i neri. I buoni per i bianchi. Un ricco bianco che sposa una mulatta, 211. ibidem, 287-296. 212. ibidem, 287-296. 213. ibidem, 287-296. 214. Massip, “Cronaca cubana”, 52. 215. Zavattini, “Taccuino 7”, c. 263-325, in Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico, ACZ E6/1, 1955, 316v. 9 settembre [1955]. Inedito. Si noti che l'appunto riguardo a Cuba compare nel taccuino messicano di Zavattini. 216. ibidem, 316v.

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la impone come bianca. Nei collegi, siccome la legge non permette la discriminazione, prendono 3-4 negri, e non più.217

Sono appunti che Zavattini riesce a buttare giù mentre la discussione si sposta al pericolo che i cineasti correrebbero di «esoticizzare» il problema negro: Zavattini esprime il bisogno di unicità, forse nel senso di integrazione razziale. Si spiega meglio: Cioè il negro ci interessa in quanto uomo; noi gli diamo già la qualifica necessaria, ma dobbiamo conquistare la sua uguaglianza a noi. Cito i complessi che sono innati in me, ‹in› mio figlio. Discutiamo dello zucchero; mi domando: ma c’è rimedio? Cioè, il monocultivo è la sola possibilità?218

A questo proposito, l’analisi dei cubani mette in chiaro come i nordamericani si siano impadroniti del paese e dello zucchero attraverso i grossi capitali, aumentando la produzione con l’ausilio di macchinari e rovinando la piccola industria. Ecco come si sono conquistati il territorio. I giorni passati a Cuba comprimono in cinque giorni frenetici tutto il lavoro di un mese, come racconta Zavattini all’amico Felipe Carrera, l’organizzatore di Cineclub Progreso, in Città del Messico.219 Massip testimonia l’importanza della presenza fisica di Zavattini durante queste brevi e intense giornate di lavoro collettivo, in qualità di catalizzatore di idee. Il suo rappresenta per loro un insegnamento inestimabile. Adesso, scrive: non possiamo lavorare come lavoravamo prima. E mi pare di averglielo detto questo ad un certo punto, mentre lei era qui. Ma voglio ripeterglielo. Fra i benefici della sua visita lei deve tener conto del suo contributo alla nostra maturità di cineasti agli inizi. Dopo la sua visita ci sentiamo meno dei principianti.220

In un reportage-intervista del 1955 nella rivista culturale comunista italiana, Il Contemporaneo Zavattini scrive: «anche a Cuba non sono andato a “scoprire” nulla», e continua:

217. ibidem, 316v. 218. ibidem, 317r-317v. 219. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, in Cartas a México, 101. 220. Lettera di Massip a Zavattini, 21 ottobre 1955. ACZ E 2/7, c. 42. Inedito.

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La mia intuizione è stata invece quella di sollecitare il contatto con la realtà da parte di chi in questa realtà è immerso e che essa deve esprimere attraverso il cinema. Anche nel Messico e a Cuba la lotta del cinema è fra coloro che dicono che non c’è bisogno di conoscere e di raccontare niente, poiché tutto va bene, e quelli che comprendono come solo attraverso la indagine appassionata, amorosa, ma sincera si possono trasformare e migliorare i rapporti tra uomo e uomo.221

Ne Il Contemporaneo, Zavattini rivela qualcosa della sostanza del Neorealismo come progetto internazionale che nulla ha a che vedere con esoticismi o orientalismi di sorta: Così, dopo un primo momento fantastico, mitico, estetizzante, si arriva a un secondo momento, quello della precisa individuazione di quel denominatore comune, di quella sostanza unica dell’uomo moderno che rende possibile una politica e una cinematografia di interesse internazionale pur attraverso le peculiari forme locali.222

Gli incontri, le discussioni e la scia di consigli e suggerimenti che Zavattini lascia dietro di sé si concretizzano nell’elaborazione dei tre soggetti già pensati da Zavattini in Messico e portati avanti dalla collaborazione entusiasta dell’équipe cubana: Cuba baila, idea sviluppata da Tomás Gutiérrez Alea, Tiempo muerto di José Massip, e Cuba mía, la cui prima idea risale al viaggio del 1953, ma sviluppato da Alfredo Guevara in collaborazione con Zavattini e gli altri cubani che adotta il modello di Italia mia, la cui elaborazione teorica i cubani conoscevano per intero, grazie agli articoli in La Rassegna del film che Zavattini mandò a Guevara. Guarda caso, tutti e tre i soggetti si fondano sull’idea del viaggio di scoperta del paese e sulla ricerca sul posto, e la messa in evidenza di problematiche ed elementi importanti della realtà cubana.223 Anche per Cuba mía, il gruppo di cineasti cubani va alla ricerca concreta nel territorio di pequeñas historias, contemplando, nella realizzazione del film, episodi firmati da più registi, assicurandosi la più totale autonomia nel modo di concepire le riprese delle immagini di svariati aspetti della realtà cubana. Zavattini imposta sia il soggetto sia Cuba baila che Cuba mía, durante quei giorni trascorsi assieme a loro. Aveva ascoltato Guevara attentamente, tanto da sembrare a Guevara che Zavattini entrasse nella sua pelle, facendo osservazioni, aiutandolo ad esprimere la propria 221. Zavattini, ”La terra e la luna”. 222. ibidem. 223. ibidem, 51.

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poetica, e a completare personaggi e situazioni.224 Zavattini gli dice che Cuba mía sarà «uno dei modi per consentire a un paese di esprimere il suo carattere attuale».225 Quali i suoi consigli? Di piazzarsi in luoghi strategici per alcune ore per osservare in silenzio, prima di prendere nota di tutto quanto accade intorno, alla ricerca di situazioni che significative lo diventano solo nel momento in cui ce ne accorgiamo; di concentrarsi sul dettaglio, sulle frasi espresse dalle persone «senza nome», le cui parole non si sentono in primo piano, persone che però formano lo sfondo dei grandi avvenimenti o delle grandi figure che popolano la storia.226 Il contatto fra Zavattini e i cineasti cubani, mai interrotto dal primo soggiorno in poi, è, sin dall’inizio, ascolto, scambio e dialogo appassionato e appassionante, una forma particolare di insegnamento il suo che mette l’enfasi sull’esperienza diretta. Stando a quanto si intuirà dai solleciti nella corrispondenza dell’epoca, esso non si interromperà con la sua lontananza.

1.15 Confisca di El mégano Durante il secondo soggiorno a Cuba, Zavattini aveva assistito alla proiezione del mediometraggio El mégano.227 Così si ricorda l’evento Gutiérrez Alea: L’unico giorno in cui si è proiettato in pubblico, per puro caso si trovava fra di noi Cesare Zavattini, che senza esagerare, ritengo il padre del Neorealismo. Era di passaggio per il Messico, dove si recava a lavorare per alcuni progetti con Barbachano. Assistette alla proiezione di El mégano e mostrò una grande comprensione. Si avvicinò a noi con simpatia e calore. Purtroppo furono presenti alla proiezione anche alcuni agenti dei servizi segreti di Batista e il giorno dopo sequestrarono la copia, il negativo del film, e i registi vennero arrestati.228 224. Guevara, Cuba mía, 287-296. 225. Lettera di Zavattini a Saúl Yelín, 17 ottobre 1959 Ese diamantino corazón de la verdad, 57-60; 58. 226. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, 287-296. 227. Gutiérrez Alea, citato in Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 43. 228. Gutiérrez Alea, “Non sempre sono stato un cineasta”, 98-99. José Massip, “Así hablava Zavattini”, in Cine Cubano 155, novembre 2002, 52. Dopo questa ricostruzione, l’affermazione che Zavattini si trovasse a Cuba per puro caso non si spiega. Era stato mandato a spese del produttore messicano Barbachano Ponce, con il quale aveva steso un contratto per lavorare a due soggetti coi cineasti cubani, tra cui Gutiérrez Alea il quale

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In realtà, non è «per puro caso» che Zavattini si trovasse in platea, visto che a Cuba ci era andato per motivi di lavoro. E la scena drammatica non si svolge in presenza di Zavattini, come sapeva bene lo stesso Gutiérrez Alea, ma l’anno dopo, nel 1956. In realtà, il film viene proiettato almeno tre volte in pubblico prima di venire confiscato. Zavattini lo vede ai primi di settembre del 1955. Un mese dopo il suo ritorno in Italia, viene presentato il 9 novembre all’artyc nella sala di prove del Dipartimento di cinematografia dell’Università dell’Avana (ottenuta con l’aiuto di Valdés Rodríguez). Perfino ai primi di dicembre, di confisca ancora non se ne parla.229 Ai critici il film piace.230 E, nonostante i suoi limiti evidenti, secondo Guevara, dimostra «ciò che si potrebbe fare con risorse materiali adeguate e con più esperienza». Intanto, Zavattini viene tenuto al corrente del programma di proiezioni del film per tecnici e artisti, seguendo il piano prestabilito dai cineasti cubani di rimanere in contatto con le strutture cubane di cinema, e creare una intesa che li aiuti a realizzare il Nuovo Cinema Cubano: Quelli che hanno fatto riferimento a El mégano sono entusiasti della possibilità che si sviluppi nel nostro paese un cinema di contenuto nazionale, vicino al nostro popolo, un cinema veramente realista. È questa la virtù principale del nostro piccolo film: ha scosso l’ambiente, ha destato un’inquietudine.231

Verso la fine di maggio del 1956, i membri dei servizi segreti interrompono la proiezione del medio metraggio, schedano tutti i cineasti cubani, mettendo alcuni di loro agli arresti per le loro attività «sediziose» e confiscano El mégano, ma non distruggono la pellicola che verrà ritrovata dopo la Rivoluzione.232 Gutiérrez Alea racconta i fatti a Zavattini nel suo italiano particolare: Adesso è nelle mani della polizia. Non solo, ma anche il negativo ce l’hanno strappato. Hanno fatto delle pressione su di noi, ci hanno minacciato. E ogni tanto portano qualcuno a fargli un interrogatorio. Hanno troppa tralascia questo particolare importante, che Zavattini si trovava a Cuba per lavorare con lui e gli altri, quindi, per un rapporto diretto di lavoro. Ma allora, cosa c’entra il caso? 229. Lettera di Guevara a Zavattini, dicembre 1955. ACZ Corr. G 583/5. 230. ibidem. 231. Lettera di Guevara a Zavattini, dicembre 1955. ACZ Corr. G 583/5. 232. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, A. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 53, 57.

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paura e dovunque vedono un fantasma... I nostri critici, quelli stessi che hanno parlato [sic] tante belle cose sul nostro film, anche se non lo meritavamo abbastanza, adesso tacciono. Nessuno, nemmeno uno, è stato capace di denunciare una ingiustizia simile. Queste cose, sembra cadono fuori del suo compito.233

«Mostrare la povertà è sovversivo», si sente rimproverare dagli agenti di sicurezza, Massip.234 Durante l’interrogatorio, rivolgono queste domande a Tomás Gutiérrez Alea: È lei che ha girato questo film? Ma lo sa lei che questo film è un pezzo di merda? Ma lo sa lei che questo film è un esempio di Neo-realismo? Non solo il film è un pezzo di merda, ma anche lei dice stronzate. La smetta di mangiare merda e vada a fare un film su Batista!.235

1.16 Tiempo muerto, Cuba baila Dopo la partenza di Zavattini nel settembre del 1955, il gruppo cubano e Fernando Gamboa e Manolo Barbachano della Teleproducciones lavorano assieme per sviluppare Cuba Baila e Tiempo Muerto, «tenendo conto dei tuoi suggerimenti», come riferisce Gamboa a Zavattini, in una lettera del 14 ottobre.236 Massip e Gutiérrez Alea vanno a visitare più volte Canasí, la regione zuccheriera, dormendo e vivendo sul posto, dove vengono trattati dagli operai come se fossero già dei vecchi amici. Ma non si accontentano e si recano anche in altre regioni zuccheriere. I viaggi consentono loro di raccogliere ancora materiale. Nel 1956, si approfondisce ulteriormente il dialogo dei cubani con Zavattini. Richiedono un approfondimento teorico del Neo-realismo così come lo intende lo sceneggiatore italiano, il cui testo fondamentale “Alcune idee sul cinema” gli fanno sapere, appunto nel 1956, «noi abbiamo tradotto e fatto studiare tra i nostri colleghi»:

233. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 27 maggio 1956, ACZ Corr. 101/2. In italiano. Inedito. 234. Massip, “Cronaca cubana”, in Bianco e Nero, A. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 53, 57. 235. Chanan, Cuban Cinema, 110. 236. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Rodríguez Álvarez, Cartas a México, 78-80.

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Vogliamo sentire la sua parola direttamente. Se è possibile, vorrei che lei ci scrivesse qualcosa per la nostra rivista. Mi permetto di farvi un suggerimento: ricorda lei quelle sue «Idee sul cinema» apparse per prima volta sulla Rivista del Cinema italiano e che noi abbiamo tradotto e fatto studiare tra i nostri colleghi? Quando vi abbiamo fatto vedere la traduzzione [sic] lei ci ha detto: «Ma questa è cosa vecchia... oggi ci sono altre cose da aggiungere, o da rettificare». Forse lei adesso ci potrebbe parlare delle sue idee attuali sul cinema. Sarebbe un bel materiale di studio e discussione. O forse lei vorrebbe parlare meglio delle sue idee su quello che potrebbe essere un giorno il cinema cubano. Non so, è meglio che lei scelga liberamente il tema. Sempre serà [sic] di grande valore per noi.237

Il testo di “Alcune idee sul cinema” risale alle conversazioni con Gandin a Roma nella primavera del 1952. Da allora, c’è stata una svolta etnografica dovuta al progetto di Italia mia, una parte del quale è confluita nel film a episodi Amore in città (1953), un’altra, nel progetto etnografico Un paese, film-libro, e un’altra ancora in Il tetto (1956). I cubani rispondono con l’invito a scrivere un nuovo testo per la rivista Nuestro Tiempo, sulle sue idee attuali sul cinema, da utilizzare come materiale di studio.238 L’insegnamento di Zavattini in questo periodo riguarda l’inchiesta come fondamento del film a soggetto, l’inchiesta, alla base del film Roma, ore 11, tanto ammirato dai cubani nel 1953, da conferire ad esso il primo premio. Quando Petri aveva chiesto a Zavattini di scrivere una Prefazione al libro tratto dalle sue inchieste svolte per il film, in una lettera del 6 luglio 1955, riconosce il ruolo fondamentale di Zavattini: Ho deciso di rivolgermi a lei non soltanto per la sua, pur fondamentale, collaborazione a quella sceneggiatura, ma soprattutto come instauratore e propugnatore attivissimo del metodo delle inchieste (e io penso che se il mio libretto avrà una qualche utilità sarà proprio quella di diffondere quel metodo delle inchieste che le sta tanto a cuore).239

237. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 27 maggio 1956, ACZ Corr. A 101/2. Inedito. 238. ibidem. 239. Si veda Zavattini, Io. Un’autobiografia, a cura di Paolo Nuzzi, Torino: Einaudi, 2002, 172-173. L’inchiesta condotta da Petri viene suggerita da Zavattini dopo aver preso visione dell’abbozzo iniziale, e arricchita da ulteriori interviste suggerite e presiedute da Zavattini, Petri e gli altri. Una buona parte della sceneggiatura è sua, in collaborazione col regista Giuseppe De Santis, Petri e altri. Lettera di Elio Petri a Zavattini, 6 luglio 1955, ACZ Corr P 344/1.

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L’inchiesta costituisce il sine qua non, la base documentaria di un film che non è né documentario né finzione. È questo il modello zavattiniano che prosegue e approfondisce la teoria del «pedinamento», di cui i cubani si servono per elaborare le due storie alla base dei soggetti cinematografici. Egli ha firmato un contratto che richiede da lui due soggetti cubani. Come è sua consuetudine nel lavoro in collaborazione, spesso produce soggetti nella forma del racconto orale, delegando ai presenti la trascrizione. Così lavora a Roma e così anche all’estero. Gamboa assicura Zavattini che i cubani si sono impegnati col produttore ad avere il trattamento di Cuba baila pronto per fine ottobre.240 Un primo malloppo lo spediranno in Messico il 24 ottobre 1955. Questo viene inoltrato a Zavattini a Roma; il secondo pacco arriva la settimana seguente. La prima spedizione abbraccia una decina di storie da utilizzare per determinare il soggetto cinematografico: ci sarà da scegliere fra storie elaborate in cui la vita si manifesta con maggior evidenza e drammaticità, e storie aggiuntive di fatti e personaggi che compaiono sullo sfondo degli avvenimenti importanti. Hanno anche condotto un’inchiesta sul tempo morto e sullo zucchero e sui lavoratori la cui vita dipende dallo zucchero; il tutto, accompagnato dalla documentazione fotografica che illustra le storie, i luoghi e la vita quotidiana.241 Tiempo muerto Massip lo imposta come collaborazione, partecipazione tra cineasti e popolo cubano, per un film e una tematica che non si limita ad essere solo un tema cubano, in quanto è il tema di tutta l’America Latina. Sperano nell’aiuto di Zavattini per realizzare il film.242 Poco dopo la partenza di Zavattini, Massip gli scrive, rammaricandosi che non sia potuto rimanere più a lungo per accompagnarli nei luoghi e non abbia conosciuto la gente che hanno conosciuto, ascoltato le loro storie, visto le cose che hanno visto e, soprattutto constato come essi si siano guadagnati il rispetto del loro popolo e della sua storia. A dicembre, Guevara conferma che Massip e Gutiérrez Alea hanno raccolto e organizzato un repertorio inestimabile di storie e situazioni tanto rappresentative quanto inedite.243 Gamboa aveva fatto un salto all’Avana per alcuni giorni a novembre per seguire il lavoro per entrambi i trattamenti di Cuba baila e Tiempo muerto che, secondo i piani di produzione, sarebbero dovuti essere già completati il 31 ottobre.244 Entro 240. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 80. 241. Lettera di Massip a Zavattini, 21 ottobre 1955, ACZ E 2/7, c. 42. Inedito. 242. ibidem. 243. Lettera di Guevara a Zavattini, 6 dicembre 1955, ACZ Corr. G 583/5. 244. Lettera di Gamboa a Zavattini, 10 novembre 1955, in Cartas a México, 90.

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i primi di dicembre, Gutiérrez Alea consegna il trattamento di Cuba baila al produttore Manolo Barbachano Ponce. Secondo Guevara, «Julio ha dato il meglio di se stesso».245 Nel 1954 i cineasti cubani avevano già messo in chiaro su quale modello intendessero impostare il Nuovo Cinema Cubano. E non hanno cambiato idea a fine anno – a dispetto del fatto che i cubani del Circolo Nuestro Tiempo hanno alle spalle tutta una sfilza di rassegne cinematografiche che abbracciano la storia intera del cinema, dalle origini dei fratelli Lumiérès e di Meliès, all’espressionismo tedesco, al cinema d’avanguardia di Buñuel e Dalí, al realismo francese di Renoir o di Carné, al cinema cecoslovacco, ai frammenti di Viva México di Ejzenštejn, ai cartoni animati di Walt Disney, al cinema messicano di Emilio Fernàndez e Gabriel Figueroa (in preferenza a quello comico e farsesco di Cantinflas), al meglio del cinema di Hollywood dei vari Chaplin, Wilder, Ray e Ford. No. È l’estetica di stampo etico del cinema Neo-realista a cui aspirano ancora, quello di Rossellini, di Paisà e Germania Anno Zero, di Giuseppe De Santis, Antonioni e Germi, ma soprattutto quello di De Sica e Zavattini a cui dedicano un «Ciclo Zavattini». Verso la fine di maggio del 1956, Espinosa sta ancora lavorando alla sceneggiatura di Cuba baila e Massip e Guttiérez Alea hanno appena finito il primo trattamento di Tiempo muerto. Nel frattempo, sono state sospese le garanzie costituzionali che – ironizza Guttiérez Alea – prima non esistevano di fatto, ma adesso non esistono per legge.246 La sua critica amara non si estende all’adesione al Movimento del 26 luglio. Ma non risparmia critiche contro la lotta armata alla dittatura di Batista. Chiama «pseudo-rivoluzionari» chi la conduce.247 Sono armati e ogni tanto scoppia un nuovo tentativo di colpo di stato e amazzano alcuni uomini. Ma, capirete, queste cose non risolvono nulla. Anzi, ci portano alcuni passi indietro, perché allora gli altri hanno in mano le scuse per arrivare a una dittatura dichiarata e sempre più crudele.248

Cuba baila arriverà sul grande schermo solo nel 1961, riscuotendo molto successo di pubblico. Marco Guarnaschelli noterà fino a che punto sia un film zavattiniano, quando lo vede al Festival di Mosca del 1982.249 245. Lettera di Guevara a Zavattini, 6 dicembre 1955, ACZ Corr. G 583/5. 246. ibidem. 247. ibidem. 248. ibidem. 249. Unità, 30 luglio 1981. García Espinosa lo conferma: «Era vero che la nostra realtà era simile per certi versi a quella italiana del dopoguerra. Per questo motivo, non fu

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1.17 Cuba mía (1955-57) E Cuba mía? Già dall’aprile del 1955, Guevara cominciava a pensare alla trasposizione del progetto Italia mia nella realtà cubana: La sezione Italia mia mi sembra la più interessante; quella che ci offre una lezione assai completa. Non solo perché comunica alcuni appunti suoi che già portano ad un «Paese della Calabria» o ad una fabbrica di Bologna, ma per l’intenzione che li sottende. In realtà, abbiamo bisogno in qualsiasi quotidiano o rivista di quaggiù di una sezione Cuba mía che ci consenta di entrare in contatto con le tradizioni, costumi, problemi, inquietudini e aspirazioni della gente del nostro paese. Questo ci aiuterebbe a scoprire molte cose, e in un secondo momento, studiare e selezionare, cercando nella profusione delle cronache e degli aneddoti, il più tipico e rivelatore, ciò che ci farebbe mostrare meglio la realtà artisticamente e con la massima precisione. È chiaro, dunque, che non basterebbero riferimenti particolari. Questi servirebbero solo per richiamare la nostra attenzione. Sarà la realtà stessa, viva e concreta, la fonte principale obbligata. Quale contributo migliore per suggerire e ispirare soggetti? È questa una delle nostre necessità più urgenti: scoprire soggetti, e inoltre, scoprire il sentiero della realtà, fonte inesauribile di tematiche e di forma.250

Un anno dopo, Gutiérrez Alea scrive a Zavattini, il 27 maggio 1956, riferendo fra l’altro che Guevara è impegnato nel progetto Cuba mía, una forzatura che, sotto quella influenza, realizzassimo El Mégano e con il punto di vista personale di Zavattini scrivessimo il soggetto di Cuba baila». Julio García Espinosa, “Recuerdos de Zavattini”, in Zavattini in Memoriam, Avana: Cinemateca de Cuba, 1996, 3-9. 5. «Era verdad que nuestra realidad de entonces tenía alguna similitud con la de la postguerra italiana. Por eso de ninguna manera resultaba forzado que, bajo aquella influencia, hiciéramos El mégano y con la orientaciones personales de él escribiéremos el guión de Cuba baila. Mucho más si el neorrealismo nos demostraba que se podía aspirar a hacer buenas películas a bajo costo y sin grandes esrrellas». Anche García Espinosa, in quell’ultima analisi, riduce la lezione di Zavattini e la trasmissione della sua sintesi personale del Neo-realismo a uno schema impoverito che i documenti non confermano. In uno scambio di lettere a Zavattini, (Lettera di García Espinosa a Zavattini, 14 settembre 1960, ACZ E 2/7, c. 5 e Lettera di García Espinosa a Zavattini, 8 giugno 1961, c. 9-10, García Espinosa spiega a Zavattini che il suo nome è stato incluso nei titoli di testa solo perché ha insistito il produttore Manolo Barbachano Ponce. Di Cuba baila, Zavattini ne parla in una lettera al messicano Gamboa, suo amico e collaboratore a Teleproducciones, dando un elenco di soggetti scritti da lui. Si veda, Lettera di Zavattini a Gamboa, 16 settembre 1955, in Cartas a México, 68-70. Che Zavattini conoscesse il soggetto, lo suggerisce il fatto che ne possedeva una copia che ora si trova nell’Archivio Zavattini di Reggio. ACZ Sog. NR 21/3. 250. Lettera di Guevara a Zavattini, 2 aprile 1955, ACZ Corr. G 583/3.

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al quale «stiamo lavorando tutti noi».251 Non era fra i soggetti previsti dal produttore Barbachano Ponce, ma è ispirato da uno dei progetti più avventurosi di Zavattini, México mío che, come si vedrà, verrà ostacolato e rifiutato, sia da Barbachano che dal regista, il montatore Carlos Velo. Non c’è da stupirsi quindi, che, durante le riunioni a Cuba l’anno precedente, nel settembre del 1955, Zavattini avesse proposto ai cineasti una versione cubana del progetto originale concepito in Italia: Italia mia.252 Seguendo l’impostazione zavattiniana, Guevara rifiuta la banalità e l’esaltazione del folklore cinematografico superficiale: convinto come sono che si traducono in mistificazione falsificante che impoverisce la cultura. La cultura deve essere come la società, dal momento che ne costituisce la memoria storica, ne è la coscienza e anima, corpo vivo, attuale e sempre in processo di crescita e miglioramento. Disprezzo il populismo; rispetto il folklore. Il primo va evitato, sradicato, e sempre rifiutato. Il secondo, il folklore, se conservato, coltivato, e compreso come un istante della storia e fonte di ispirazione, è suscettibile di nuovi sviluppi. Nel piano di Cuba mía desideravo e ho voluto realizzare questo equilibrio.253

Tradotto in termini cinematografici, il metodo di Zavattini si manifesta in frammenti o microstorie, raccontini, o, in spagnolo: pequeñas historias, «questa piccola narrazione del dettaglio, dell’istante, che può essere talmente sottile e alcune volte assai significativo».254 Zavattini – continua Guevara – voleva che volgessi la mia attenzione verso il piccolo dettaglio con riferimento alla gente anonima, priva di alcun rilievo, la cui parola non arriva quasi mai ad essere ascoltata; gente che funge quasi sempre da fondale alle imprese delle grandi figure che in un certo momento occupano la storia. Ed è in questo che possiamo apprezzare il suo amore per il piccolo dettaglio che in realtà si dimostra sotto sotto tanto importante e rivelatore quanto il fenomeno enorme o spettacolare; l’amore per il minuto, lo sforzo di portare l’attenzione all’esistente, tanto nell’arte quanto nella società; la dignità che scaturisce dal semplice atto dell’accorgersi. Naturalmente, questa presa di posizione costringe a riscoprire il mondo e le situazioni con uno sguardo nuovo o da bambino, che non è affatto condizionato dalle forme culturali che lo dovrà 251. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 27 maggio 1956, ACZ Corr. A 101/2. Inedito. 252. Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 43. 253. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, 287-296. 254. ibidem.

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civilizzare, cioè portarlo dallo stato di natura a quello civile, nell’accettare come valido tutto l’esistente; obbliga a continuare a puntare lo sguardo senza riserva alcuna, con gli stessi occhi di prima, occhi alieni, che pur appartenendoci, solo così diventano i nostri.255

Il soggetto offre anche una serie di esempi, momenti estratti dal fluire del tempo, immagini fissate, non con l’obiettivo meccanico, ma con la parola scritta. Microstorie, appunto. In un primo momento, i cubani sono partiti dalla base documentaria delle loro inchieste fotografiche. Poi hanno preparato un inventario delle persone e ambienti per il film, da cui trarre storie, scene e aneddoti. I temi essenziali: il mondo contadino dello zucchero e della coltivazione della terra; il tema dell’integrazione culturale e umana fra radici africane e spagnole; l’espressione del carattere nazionale nella musica, nel canto e nel ballo; il tema della città: le ansie della gioventù alle prese col realizzare la propria vita e la mancanza di orizzonti chiari; ambienti tipici cubani. Il soggetto preliminare tiene anche conto del carattere sincretico della religiosità popolare a Cuba, dove coesistono «nell’ora della fede e della preghiera, la messa, la seduta spiritualista, e la cerimonia della religione della Santería».256 Il soggetto tentenna fra due possibilità: impostare tutto sulla geopolitica e la struttura sociale e economica, oppure trovare l’unità del soggetto nelle forme espressive classiche della musica e del ballo, elementi che gettano luce sul carattere nazionale, quando per esempio, i campesinos: da un momento all’altro, cantano in lode dell’intelligenza con cui nacquero, dei campi che li videro crescere, in onore della capanna che li protegge, della musica guajira che amano. E i loro attimi sono i loro sogni, la loro realtà fatta poesia.257

Una possibilità è quella di un viaggio attraverso tutta l’isola per scoprire l’uomo inserito nell’ambiente del lavoro: il cubano che pianta il riso nelle pianure; la canna da zucchero nelle savane; il caffè negli altipiani; chi lavora i banchi di corallo. I cineasti interessati pensano alla realtà economica cubana, di un paese agricolo, dedito alla coltivazione del singolo prodotto alimentare, il cosiddetto monocultivo. L’aspetto economico non è l’unico, ma è determinante. Questa idea riflette Tiempo 255. ibidem. 256. Guevara, “Introducción”, Cuba mía, 297-302. 257. ibidem.

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muerto, che racconta la vita cubana tra stagione del raccolto e stagione del tempo morto. Anche la vita nelle città è legata allo zucchero e alla economia agricola. «Non c’è forma di vita da noi che non dipenda in qualche modo dallo zucchero», spiega Guevara.258 Ma insiste ancora che, al posto della storia con la esse maiuscola, vanno alla ricerca delle cose piccole: Il piccolo piccolo, piccolissimo, il quasi impercettibile e casuale quotidiano che quasi mai è stato al centro dell’attenzione dell’artista, tranne il secondo in cui si faccia appena appena un’osservazione: pennellata che contribuisca in qualche modo a tracciare la presenza di un’atmosfera.259

Guevara si fa portavoce di «questa piccola narrazione del dettaglio, dell’istante, che può essere talmente sottile e alcune volte assai significativo», «metodo che consiste nell’illuminazione poetica provocata in un dato contesto e questa intrusione che sa di magia, che può provocare l’insperabile, quando la poesia passa per l’anima».260 Fra le microstorie del soggetto, molte sono quelle legate all’ambiente dei carboneros in cui i cubani hanno trascorso molto tempo nei sei mesi della lavorazione di El mégano. Per esempio, in La solidarietà contadina nella costruzione di un bohío, una domenica, un gruppo di carbonai erige una capanna. Questo è il loro regalo per una coppia di sposi novelli dalla gente della regione.261 Si beve il rhum e si lavora. Quando l’hanno finita di costruire, festeggiano con un ballo al ritmo di una chitarra cubana, di un cajón e una fisarmonica. Accendono lanterne solitarie, fra canale e canale, in mezzo alla palude.262 Anche Impulso improvviso è ambientato nella zona delle paludi, a Surgidero de Batabanó, dove figura un camion sgangherato pieno di sacchi di carbone. Il camionista offre un passaggio ad una coppia di innamorati carboneros che scendono in paese per cercare l’albergo del popolo. Intanto, la coppia fa caso alle coppiette in una balera costruita con le foglie di alberi tropicali. Al bar, lei fissa una ragazza elegante venuta dalla capitale e il suo amico, poi fissa lo sguardo sui propri vestiti poveri e le mani ruvide. Il suo ragazzo ci fa caso, la prende per mano e la porta nell’albergo.263 In Scolari, altro raccontino, siamo in un quartiere 258. ibidem. 259. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, 287-296. 260. ibidem. 261. Cuba mía, 322. 262. ibidem. 263. ibidem, 335.

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dell’Avana dove dei bambini giocano per strada, quando ad uno di loro cadono per terra tutti i libri scolastici e i quaderni. Improvvisamente, una folata di vento li sparpaglia ovunque. Ma li ritrova tutti, grazie all’aiuto degli altri, tranne il foglio più importante con la soluzione del problema dell’aritmetica.264 Mentre Il complimento si svolge in un mercato che vende solo prodotti maschili. Passa una bellissima donna dai fianchi assai pronunciati in un vestito attillatissimo che fa voltare tutti quelli che la incrociano. Tutti seguono il dondolìo dei suoi fianchi e uno grida: «Ave Maria Purissima, ma cos’è questo?»265 In Lo spoglio dello stelo di tabacco, una cinquantina di donne confezionano sigari con le foglie di tabacco, mentre un lettore della fabbrica legge le pagine romantiche di un romanzo, proprio come avviene in realtà. Sulla porta, un cartello segnala che non c’è lavoro. Arrivano cinque donne disoccupate. Le sfogliatrici fanno la colletta per loro. «Almeno oggi Pablito mangerà», dice una di loro, mentre dal suo gesto si capisce che parla di suo figlio.266 In Un funerale, quando passa un corteo funebre per le vie di Güira de Melena, si accendono le luci nei portoni, per rispetto, secondo l’uso tradizionale, per dire addio.267 Troppo simile a Tiempo muerto per certi versi, a Cuba baila, per altri, Cuba mía è inequivocabilmente zavattiniano nel modo in cui coglie la realtà minima. Un progetto ambizioso, Cuba mía finisce nel cassetto due volte, scartato per motivi diversi, la prima volta dal produttore messicano Barbachano Ponce, la seconda dalla Rivoluzione.268

264. Cuba mía, 346. 265. Cuba mía, 346. 266. Cuba mía, 330. 267. Cuba mía, 323. 268. Zavattini ricorderà a Saul Yelín, dopo la Rivoluzione l’ideazione di Cuba mía, ma il clima non è più quello di un paese sotto la dittatura di Batista e il film-inchiesta non sarà proponibile in un momento in cui non si vogliono mostrare le contraddizioni della nazione, ma esaltare la Rivoluzione stessa: «lo sviluppo di quel film a episodi su Cuba del quale abbiamo parlato una volta con Alfredo Guevara e altri amici, composto di brevi storie su Cuba, ognuna delle quali con la regia di un giovane regista diverso questo tipo di film fa parte delle mie manie, e lo propongo come uno dei modi per consentire a un paese di esprimere il suo carattere “attuale”». Lettera di Zavattini a Saúl Yelín, 17 ottobre 1959 in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 57-60; 58.

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1.18 Da Italia mia a Cuba mía Eppure Cuba mía è un progetto importante che, come indica il titolo, si modella su Italia mia, ideato da Zavattini in vista della regia di De Sica in un primo momento, e di Rossellini in un secondo, e di altri ancora in seguito. Che fosse possibile adattare un progetto del genere al contesto di un altro paese lo si intende dal titolo della primissima versione di Italia mia: In giro per il mondo. Zavattini aveva previsto tre mesi di ricerca in cui regista e sceneggiatore avrebbero compiuto un viaggio con una cinepresa leggera in 16mm, come nei cinegiornali.269 Sin da In giro per il mondo, il film aveva in mente: Un film senza copione, ma che si crei di volta in volta immediatamente per mezzo dei nostri orecchi e dei nostri occhi a contatto diretto con la realtà (questo è il vero destino del Neo-realismo, secondo me). I fatti ci sono, bisogna andare a sceglierli, a coglierli nel momento in cui succedono. Qualche volta, però, dovremo provocarli, inscenarli, ma sempre nell’ordine del tema da svolgere.270

Italia mia segna una nuova direzione per il Neo-realismo zavattiniano verso il documentario, il film-inchiesta, con un margine ancora più sottile fra film a soggetto e film documentario, cambiamento di rotta che Zavattini segnala in modo lapidario: «Con Umberto D. chiudiamo un genere e con Italia mia ne apriamo un altro».271 Un aspetto della novità e dello sperimentalismo di Italia mia consiste nell’evitare l’esotismo, per cui, quando Zavattini pensava nella prima versione (In giro per il mondo) di filmare l’India e in particolare Bombay, non gli interessava una città ideale o sognata, ma quella storica del ventesimo secolo con le sue contraddizioni e fatti concreti, a partire dalla fame. Pensa ad un film che si concentri sul tempo presente, ma un tempo fatto di momenti precisi, senza escludere del tutto il tempo come episodio di varia lunghezza; per arrivare ad un ritratto unitario. «Più che il film degli episodi, sarà il film dei momenti».272 I cubani non hanno difficoltà a cogliere la struttura fondata sul racconto 269. Lettera di Zavattini a Vittorio De Sica, 24 ottobre 1951, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 387-392; Lettera di Zavattini a Roberto Rossellini, 16 dicembre 1952, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 397-404. 270. Lettera di Zavattini a De Sica, 24 ottobre 1951, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 387-388. 271. ibidem, 392. 272. ibidem, 390.

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frammentario la cui origine remota risale alle pequeñas historias, in cui il dettaglio preso dalla vita di tutti i giorni, l’istante di tempo osservato e raccolto da chi lo osserva, serve da spunto iniziale. Comprendono anche che Cuba mía, come El mégano, rispecchia in modo articolato l’idea zavattiniana del pedinamento, già da loro messo in pratica nei loro sopralluoghi effettuati in tutta l’isola.273 La realizzazione di Cuba mía, secondo la visione di Zavattini, avrebbe consentito ai registi la più totale autonomia nel concepire le riprese delle immagini. Ma è la poetica dei momenti a dar forma alle immagini che si succedono, momenti colti dentro il reale, non i raccontini. Nel 1956, i cubani hanno a portata di mano non solo l’abbozzo iniziale del soggetto di Cuba mía, ma anche tutto lo sviluppo, documentato da Zavattini nella rivista La Rassegna del film. Anche nell’adattamento cubano, ci vorrà l’elemento narrativo che leghi il film, forse un episodio iniziale; poi saranno i momenti particolari, «le loro parole, i loro atti minimi e il mondo che hanno intorno»274 a raccontare i luoghi, i lavoratori, individuati anche in momenti di vita concreta, nel presente, come, per esempio, nel momento del ritorno a casa la sera. Momenti lunghi, fugaci, lirici, drammatici, descrittivi, provocati o carpiti alla realtà, come spiega Zavattini nella rivista e nei carteggi.275 Zavattini non esclude dai momenti possibili e immaginabili, anche il suono, nel caso dei canti popolari. Canti e conversazioni con chi si incontra. Soldati sotto la leva, madri e figli, gente che si confessa in chiesa; un ballo popolare nella strada; muratori che costruiscono una casa; analfabeti che vanno a scuola; una processione; la domenica degli operai; un analfabeta che detta le sue impressioni della città e i suoi sogni futuri in una lettera; le partenze e gli arrivi nelle grandi e piccole stazioni ferroviarie. Nel secondo abbozzo della versione italiana, il film avrebbe dovuto abbracciare la prima metà del Novecento, con un’enfasi epica. Nella terza versione, l’arco di tempo viene ristretto ad un periodo di soli sei anni dalla Seconda Guerra mondiale al dopoguerra e la Guerra Fredda. Ne costituisce lo sfondo il nuovo mondo degli anni Cinquanta, in cui, dopo la sconfitta del Fascismo e del Nazismo, la pace è ora minacciata 273. Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990) 39-45; 43. 274. Zavattini, “Italia mia”, in Uomo, vieni fuori! Soggetti per il cinema editi e inediti, a cura di Orio Caldiron, Roma: Bulzoni, 2006, 155-161. Una versione televisiva del 19731976 in Zavattini, “Italia mia”, in Basta coi soggetti! (a cura di Roberta Mazzoni), Milano: Bompiani, 1979, 173-187. 275. Lettera di Zavattini a De Sica, 24 ottobre 1951, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 390.

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dalla bomba nucleare, la Bomba. Protagonista sarà la classe operaia e il sottoproletariato. Non vengono scartati nel terzo soggetto gli usi e costumi, ma non si taceranno le contraddizioni del paese. Nel suo sviluppo, Italia mia diventa man mano sempre più esplicitamente politico. Per esempio, il problema della casa in Italia in questi anni che portano Zavattini a suggerire a Rossellini un episodio che tratti della costruzione abusiva, spunto iniziale per il Il tetto (1956). L’idea di Italia mia diventa progetto fotografico nel film-libro Un paese (1955) realizzato con Paul Strand, con i testi raccolti da Zavattini e dai suoi collaboratori e da lui montati; la vera novità di questo libro, novità che le fotografie ieratiche mettono in secondo piano. Difatti, esistevano da tempo libri fotografici accompagnati da didascalie, ma in Un paese, i testi sono il frutto di dialogo con i soggetti i quali esprimono la propria voce e storia personale, la storia orale che lo sottende. C’è poi la mediazione letteraria dello scrittore che «traduce» la forma orale in scrittura, come spiega in una lettera a Paul Strand: Naturalmente sarò io il direttore segreto delle cose che verranno fuori dalla bocca di quella gente, ma io ho tale fede nelle cose che tutti gli altri hanno pronte da dire che io sarò alla fine soltanto un coordinatore, uno che sceglie, e mi ripugnerebbe perfino il dover fare degli interventi contaminatori.276

A differenza di altri progetti fotografici, Un paese è da intendersi come primo volume di Italia mia, di cui i cubani sono perfettamente al corrente, avendone letto e discusso e studiato gli articoli pubblicati da Zavattini in La Rassegna del film, come si è detto. La novità di Un paese non è dovuta alla firma di un maestro della fotografia, ma alla sua natura testimoniale che è essenzialmente dialogica, nel senso delle teorie di Michail Bachtin.277 276. Zavattini, riferendosi a quel progetto in una lettera all’editore Giulio Einaudi, spiega come avesse concepito la scrittura: «una cinquantina di dichiarazioni (o confessioni) dei miei compaesani, specie di brevi, brevissime autobiografie, come ti dissi a suo tempo, dall’insieme delle quali dovrà venir fuori il senso non certo folcloristico del paese». Zavattini, Lettera a Giulio Einaudi, 30 ottobre 1953, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 411. Lettera a Paul Strand, 23 gennaio 1953, in Gualtieri, Paul Strand Cesare Zavattini. Lettere e immagini, 64. Nella medesima lettera Zavattini precisa che: «È chiaro che per me Luzzara è sì il mio paese natale, ma lo prendo come un qualsiasi paese del mondo; il fatto di essere io nativo di lì mi consente una più calda e esatta indagine, un tono certamente autentico». Gualtieri, Paul Strand Cesare Zavattini, 65. 277. Julia Kristeva, “Word, Dialogue and Novel” in Toril Moi (a cura di), The Kristeva Reader, Oxford: Basil Blackwell, 1986, 34-61, 47.

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1.19 Cuba mía ed etnografia «Dobbiamo affrontare i nostri problemi, come essi sono, sul piano della realtà. Non so, ma credo queste cose siano molto vicine di quel cinema che noi cerchiamo di fare», scrive (nel suo italiano) Gutiérrez Alea a Zavattini.278 Attenzione: all’epoca, Gutiérrez Alea parla di «affrontare», non di rispecchiare. Questa idea di cinema coinvolgente, che Zavattini trasmette con enorme entusiasmo in America Latina, si fonda sul giornalismo d’inchiesta filtrato dalla scrittura e dall’immaginazione. Zavattini aveva apprezzato l’utilità della ricerca sul campo e la tecnica del raccogliere le interviste da chiunque sia rappresentativo di una situazione o un fatto, prima della guerra, nell’attività di giornalista e di direttore editoriale e l’aveva fatta sua. Da alcuni anni aveva sollecitato la scrittura dai vicini, da conoscenti e estranei, raccogliendola e addiritura pubblicandola nel suo diario in pubblico, come elemento sintomatico a cui bisogna fare attenzione. Prima ancora dei suoi soggiorni in America Latina, il suo Diario cinematografico veniva citato da Ugo Guandalini (fondatore delle edizioni Guanda a Parma) come «l’avvenimento più importante della letteratura italiana del dopoguerra». L’editore voleva che Zavattini lo pubblicasse in volume.279 Si mettono d’accordo per pubblicare un libro diverso dal titolo I diari degli italiani. Ma quali italiani? Un giorno raccontato come diario da persone diverse, uno scrittore, un operaio, una prostituta, un medico, un contadino, uno studente, una massaia, un vecchio, una domestica, un soldato, un prete, un facchino, un cameriere di grande albergo, uno spazzino, un calzolaio.280

L’idea del diario non si limita per Zavattini a quello proprio, ma da anni, a quello degli altri, arrivando al principio etnografico. Per esempio, quando incoraggiò a scrivere dei bambini che abitavano vicino a casa sua, a Roma, «i ragazzi di Via Merici, con cui vorrei fare un film». Ne pubblicò alcuni nel suo Diario cinematografico su Cinema Nuovo, a cui l’Università dell’Avana era abbonata e che i cubani leggevano, creando per i soggetti 278. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 27 maggio 1956, ACZ Corr. A 101/2. Inedito. 279. Ugo Guandalini a Zavattini, lettera del 25 giugno 1953, citato in Valentina Fortichiari, “Lo scrittore allo specchio”, in AA.VV, Una parola moderna: Zavattini scrittore. Atti della Giornata di Studi Reggio Emilia, 25 ottobre 2002, Reggio Emilia: Aliberti editore, 21-27; 24. 280. Zavattini, citato in Fortichiari, “Lo scrittore allo specchio”, in AA.VV, Una parola moderna: Zavattini scrittore. Atti della Giornata di Studi Reggio Emilia, 25 ottobre 2002, Reggio Emilia: Aliberti editore, 24.

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interpellati uno spazio non solo inter-soggettivo, ma civile, dando loro la parola (scritta, per giunta), adottando egli un atteggiamento di ascolto, di partecipazione ed empatia, aspetti fondamentali, questi, della ricerca etnografica.281 Ma l’editore Guanda invece pensava ad un libro in cui si desse la parola solo a scrittori e letterati, in altre parole, voleva fare un ennesimo libro borghese ad uso e consumo della borghesia italiana.

1.20 Inchieste italiane La medesima esigenza del Nuovo Cinema Cubano di documentare e raccontare il reale ha un corrispettivo nella letteratura testimoniale in Italia nel corso degli anni Cinquanta, che si fonda sull’esperienza del quotidiano, della cronaca dei fatti realmente accaduti, raccontati in prima persona dal subalterno che si fa voce metonimica, in quanto si esprime a nome suo e degli altri, infrangendo il silenzio del potere egemone. A collegare le istanze del cinema Neo-realista alla letteratura testimoniale dell’America Latina, il cosiddetto testimonio, è stata una voce solitaria fra critici e storici: quella di Frederic Jameson.282 Questa direzione del Neo-realismo zavattiniano che trova un terreno fertile in primo luogo nell’ambito del giornalismo, e poi della letteratura, conferma quello che il Jameson definisce come: «u‹n› insieme di tecniche e di valori estetici che includono, infine, un pensiero politico al suo interno, o perlomeno un’ideologia del sociale».283 Sin dagli anni Quaranta, questo suo metodo situa Zavattini tra giornalismo e etnografia militante che nell’Italia degli anni Cinquanta, si esplica anche in una serie di libri importanti come: Contadini del Sud di Rocco Scotellaro (1954), Banditi a Partinico (1955) e Inchiesta a Palermo (1956) di Danilo Dolci o Inchiesta su Orgosolo (1955) di Franco Cagnetta. Tutti questi libri si fondano sulla testimonianza diretta che viene riportata in prima persona. Sono anni in cui il cinema italiano, tra 281. “Altra gente in Via Merici”, Bis 8, 4 maggio 1948, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 83-92. 282. Frederic Jameson, “On Literary and Cultural Import-Substitution in the Third World. The Case of the Testimonio” in Georg M. Gugelburger (a cura di) The Real Thing. Testimonial Discourse and Latin America, Durham e Londra: Duke University Press, 1996, 172-191; 179-180. Nella sua analisi, il cinéma vérité è stato un rinnovamento, non un nuovo inizio, «il cui programma ideologico viene sviluppato in un tipo nuovo di estetica politica dai cubani nella loro idea di un ‹cinema imperfetto›». 283. Jameson, “On Literary and Cultural Import-Substitution in the Third World. The Case of the Testimonio”, 179.

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il 1945 e il 1955, produce ben 600 documentari l’anno, arrivando a 1000 nel 1955.284 Si tratta di una tradizione Neo-realista del documentario italiano prettamente etnografica, rivolta soprattutto al mondo rurale (ma non solo) e comunque il mondo del subalterno. Non a caso, molti dei documentaristi appartengono alla sfera di influenza di Zavattini e tutti, in un modo o in un altro, sono riconducibili alla falsariga del film-inchiesta da lui teorizzato: Michele Gandin, Luigi Di Gianni, Gianfranco Mingozzi, Cecilia Mangini, Lino Del Fra, Citto Maselli, Elio Petri e Giuseppe Ferrara che farà I maccari (1962) con la consulenza dell’etnografo Ernesto De Martino.285 In seguito, Zavattini collaborerà direttamente con Mingozzi a un’inchiesta sull’esperienza di Danilo Dolci, La violenza e con Elio Petri (assieme a Luigi Chiarini e Renato Nicolai) al documentario I sette contadini (1957), sull’eccidio dei fratelli Cervi che ruota intorno alla testimonianza del padre superstite, Alcide, sotto forma di una intervista.286 De Martino non era un estraneo rispetto al Nuovo Cinema italiano. I suoi articoli sul Meridione italiano scatenarono un dibattito, innescandosi nella problematica del nazional-popolare e del Sud di Gramsci. In Stendalì (1959), Cecilia Mangini e Lino Del Fra riprenderanno in pieno la problematica etnografica dell’etnografo De Martino spiegata in Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento funebre antico al pianto di Maria (1958).287 Idee e problematica demartiniana che influiscono direttamente su Vittorio De Seta, regista italiano che, a partire dal 1954, girò e produsse da solo con la moglie una serie di film etnografici sulla Sicilia, la Calabria e la Sardegna. A proposito del suo primo documentario, De Seta riconobbe che: «il documentario era convenzionale, ma venne a vederlo Zavattini, e il suo entusiasmo mi incoraggiò».288 In questo tipo di film-inchiesta zavattiniano, non c’è ombra di nostalgia per un passato o «arcaismo» verso il subalterno, tratti caratteristici tanto di un Carlo Levi quanto di un Pier Paolo Pasolini.289 Niente di più alieno al cinema 284. Michele Guerra, Gli ultimi fuochi. Cinema italiano e mondo contadino dal fascismo agli anni Settanta, Roma: Bulzoni Editore, 2010, 195. 285. Guerra, Gli ultimi fuochi, 196. 286. ibidem, 197. Ansano Giannarelli (a cura di), Zavattini sottotraccia, Roma: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e Edizioni Effigi, 2009, 59-60. 287. Guerra, Gli ultimi fuochi, 195. 288. De Seta in Goffredo Fofi, “Conversazione con Vittorio De Seta” in Mario Capello (a cura di), La Fatica delle Mani. Scritti su Vittorio De Seta, Milano: Feltrinelli, 2009, 21. 289. Pietro Clemente, “I paesi di Qualcuno”, in “Diviso in due”: Cesare Zavattini: cinema e cultura popolare, a cura di Pierluigi Ercole, con un saggio di Marzio dall’Acqua, Luzzara: Diabasis, 56-72; 66.

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etnografico di De Seta che lo sguardo cinematografico di Pasolini. Per quanto spesso citi Gramsci a cui dedica anche una raccolta delle sue poesie, Le Ceneri di Gramsci, non vede il mondo pre-industriale in modo gramsciano e non compie un’analisi gramsciana sul folklore, inteso come misto di «senso comune» e «buon senso», come una realtà in cui intervenire. Pasolini dimostra un atteggiamento occidentale, orientalista e nostalgico per un mondo passato o quello del subalterno italiano o nord africano, non colpiti ancora dal neo-capitalismo in cui secondo lui, la società e i rapporti umani si sono omologizzati.290 Piuttosto, la medesima apertura verso il reale, priva di preconcetti culturali e presunta superiorità accomuna De Seta che, secondo uno studioso esperto del cinema del regista palermitano «ha rappresentato uno dei momenti più alti del cinema italiano di matrice Neo-realista» e Zavattini.291 De Seta esprime in modo sofisticato il suo punto di vista Neo-realista mettendo in risalto l’opposizione di valori, tra una società rurale e pre-industriale e l’Italia industrializzata.292 In sintonia con le idee di Zavattini, il suo cinema è basato sulla partecipazione ad un modo di vita diverso, da pari a pari, portando regista e cinema ad abbandonare i propri miti, idee preconcette e false illusioni, a confronto con la fonte della verità.293 Girando «assieme» agli altri, De Seta respingeva concezioni steoreotipiche del Meridione con una ricerca etnografica visiva che consentisse di far affiorare il paese reale, mettendo in pratica le idee di Zavattini, espresse ripetutamente in tante riviste italiane dell’epoca.294

1.21 Il testimonio Le origini del testimonio in America Latina risalgono sia al giornalismo investigativo sia all’etnografia: si parte dal pedinamento, ricercando i testimoni oculari dei fatti realmente accaduti e, con il loro aiuto, si 290. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Milano: Garzanti, 1975, 66. 291. Marco Maria Gazzano, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza”, in AA.VV. Il cinema di Vittorio De Seta, a cura di Alessandro Rais, Catania: Giuseppe Maimone Editore, 1995, 131-144; 131. 292. Michele Guerra, Gli ultimi fuochi. Cinema italiano e mondo contadino dal fascismo agli anni Settanta, Roma: Bulzoni Editore, 2010. 293. Vittorio De Seta, in Marco Maria Gazzano, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” in Mario Capello (a cura di), La Fatica delle Mani. Scritti su Vittorio De Seta, Milano: Feltrinelli, 2009, 99. 294. De Seta, “Un Saluto”, in Marco Bertozzi (a cura di), L’idea documentaria. Altri sguardi dal cinema italiano, Torino: Lindau, 2007, 5.

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ricostruisce la storia. In Messico, come si vedrà nel prossimo capitolo, Zavattini ebbe un ruolo diretto nella trasmissione del metodo testimoniale. In Argentina, Rodolfo Walsh, un giornalista argentino considerato il padre del giornalismo investigativ, si sente in dovere di investigare un eccidio che i mass media, controllati dal governo, passano sotto silenzio. Compie le sue ricerche clandestine e pubblica Operación Masacre (1957). A Cuba, il primo tipo di testimonio come scrittura consapevole di sé, si riscontra nella Biografía de un cimarrón (1966), l’autobiografia di Estebán Montejo (1860-1965), uno schiavo sopravvissuto alla Cuba coloniale intervistato da Miguel Barnet, impiegato all’icaic, cioè nella sfera del cinema cubano. Nel 1963, le interviste sono state ordinate secondo una forma testimoniale di biografia che abbraccia un arco di quasi un secolo di storia, raccontata da un superstite. Come vedremo, Zavattini trascorrerà un periodo lungo a Cuba a cavallo fra il 1959 e il 1960, portando con sé più di dieci anni di esperienza di diario personale che si trasforma in diario in pubblico. Il secondo tipo di testimonio prende la forma del memoriale sulla guerra di liberazione cubana del Che, per esempio, gli Episodios de la guerra revolucionaria cubana.295 Il terzo tipo è il romanzo testimonio, tra diario e fantasia, fatti e fabula, in cui gli eventi raccontati si trasformano in letteratura; la cronaca diventa storia e perfino epica.296 Siamo agli antipodi del romanzo realista, così come lo aveva teorizzato Lukács, in cui l’eroe è o rappresenta una tipologia (idealista) dell’eroe. Il testimonio invece, rispecchia la cultura orale del testimone, comunicata attraverso una scrittura alla portata di tutti, in conformità con le idee gramsciane di cultura nazional-popolare, per cui la frattura fra cultura alta e bassa, fra intellettuali e popolo viene contestata al livello della scrittura oltre che di una metodologia dell’inchiesta giornalistica che si rivolge ai bisogni sociali e alle lotte dei gruppi subalterni, e dando voce 295. Alberto Moreieas, “The Aura of Testimonio”, in Georg M. Gugelburger (a cura di) The Real Thing. Testimonial Discourse and Latin America, Durham e Londra: Duke University Press, 1996, 192-224; 194. 296. John Beverley, “Testimonio, Subalternity, and Narrative Authority”, in Norman K. Denzin e Yvonna S. Lincoln (a cura di), Strategies of Qualitative Inquiry, Los Angeles, Londra, Delhi, Singapore: Sage Publications, 2008, 260. Sarà l’equivalente letterario del «cinema imperfetto» Neo-realista, in cui figura l’anti-eroe, l’equivalente letterario dell’attore non professionalista che recita se stesso, la propria esperienza, nella propria vita quotidiana. In questo modo, la storia si precisa in storia raccontata da testimoni oculari a fatti collettivi, in una forma sia realista che di denuncia sociale e politica. In queste forme c’è l’influenza e l’emergere di vari elementi: della storia orale in base a interviste raccolte nel campo, del giornalismo investigativo, della dimensione personale e diaristica.

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all’Altro che, uscendo dalla sua marginalizzazione, diventa protagonista, con l’obiettivo di mettere la letteratura al servizio dell’impegno politico e rivoluzionario.297 Infatti, un aspetto di questa letteratura, è il ruolo dell’intellettuale come produttore culturale e del suo impegno organico a fini rivoluzionari.298 Un altro aspetto molto significativo, e perfettamente in linea con le idee di Gramsci, è che a diventare intellettuale organico sia anche il subalterno, nel momento in cui racconta e testimonia la sua realtà particolare, benché attraverso la mediazione dello scrittore o scrittrice da cui il racconto orale viene trascritto. Il testimonio esige dall’interlocutore che si schieri dal lato della giustizia, in un atto di solidarietà fra lettore e voce subalterna. Dell’emergente letteratura testimoniale si possono comprendere il modello di narrativa realista dell’anti-eroe già insito nel Neo-realismo e l’aspetto etnografico. Si ritrova la medesima esigenza del Nuovo Cinema che intende portare sul grande schermo la realtà quotidiana della vita del popolo e le sue condizioni di vita. Il punto di contatto lo si ritrova nella forma diaristica, del memoriale, della confessione o reminiscenza, tenendo presente però che se il testimonio partecipa in modi diversi a queste forme, non lo si può identificare con nessuno di essi.299 Se ne discosta perché si libera dall’individualismo che caratterizza la letteratura borghese, rimandando piuttosto ad un orizzonte collettivo; di modo che la voce individuale riporti sotto forma di testimonianza, la voce collettiva.

1.22 Zavattini e Guevara 1957-58 Nel gennaio del 1957, i cineasti cubani, incalzati da Julio García Espinosa, decidono di recarsi in Messico dal produttore Barbachano Ponce con cui Zavattini sta lavorando. Portano con sé tutti i materiali che hanno messo insieme, per averli pronti per quando Zavattini si recherà a Cuba. Il 21 gennaio, l’equipe messicana di scrittori impiegati alla Teleproducciones comincerà a lavorare con Alfredo Guevara e gli 297. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Quaderno 21, §5, §6,Quaderno 16, §21; in David Forgacs, (a cura di), An Antonio Gramsci Reader. Selected Writings, 1916-1935, New York: Schocken Books, 363-378. 298. Pedregal, Alejandro Film and Making Other History. Counterhegemonic narratives for a cinema of the subaltern, 80-81. 299. John Beverley, “The Margin at the Center. On Testimonio (Testimonial Narrative)”, in Georg M. Gugelburger (a cura di) The Real Thing. Testimonial Discourse and Latin America, Durham e Londra: Duke University Press, 1996, 23-41; 34.

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altri cineasti cubani per una settimana circa ai soggetti cubani Cuba baila e Tiempo muerto.300 C’è in programma un terzo soggiorno a Cuba nell’estate del 1957, che però non ha luogo, per motivi di tempo.301 È del 24 febbraio la notizia che «Fidel Castro, il leader ribelle della gioventù cubana, è vivo e combatte con successo sui monti impervi, quasi impenetrabili, della Sierra Maestra, all’estrema punta orientale dell’isola».302 Nonostante la grave sconfitta del fallito sbarco a Cuba del veliero Granma partito dal Messico il 2 dicembre, con a bordo Fidel, Che Guevara e meno di cento rivoluzionari, né Fidel, paladino della libertà e della giustizia e degno erede del mitico José Martí, secondo il reporter, Herbert Matthews, né il suo Ejército Rebelde, sono morti. Fino a quel momento, il mondo non sa nulla e non lo sanno neanche i cineasti cubani dell’Avana. Due settimane prima, Fidel si era incontrato con il reporter americano nella Sierra Maestra. Il resoconto è avvincente: dopo un viaggio notturno di 500 miglia da capo a capo dell’isola, Matthews e la moglie, fingendosi turisti in viaggio di piacere attraversano nella jeep campi di canna e di riso, superando senza alcuna difficoltà i posti di blocco militari batistiani, per arrivare ai piedi della Sierra, dove vengono accolti da cinque Barbudos, rivoluzionari cubani, ma Castro non c’è. Da mezzanotte in poi, acquattati nel fango, aspettano il fischio delle vedette. Finalmente, all’alba arriva Castro in compagnia del compagno Camilo Cienfuegos e degli altri Rebeldes. L’intervista è condotta in sussurri, per evitare di venire catturati dalle truppe governative accampate lì vicino.303 Lo scoop di Matthews non si ferma qui. Nel lunghissimo articolo in tre puntate, quasi un libro, l’opinione pubblica nord-americana riceve la testimonianza diretta di Fidel del Movimento del 26 luglio che narra per filo e per segno tutta la storia della lotta contro il dittatore Fulgencio Batista. «Il Generale Batista non può sperare di sopprimere la rivolta di Castro», scrive Matthews.304 Secondo il cronista americano, l’esercito 300. Lettera di Manuel Barbachano a Zavattini, 18 gennaio 1957 in Cartas a México, 116. 301. Lettera di Manuel Barbachano a Zavattini, 30 maggio 1957 in Cartas a México, 117. 302. Herbert L. Matthews, “Cuban Rebel Is Visited in Hideout: Castro Still Alive and Still Fighting in Mountains”, The New York Times, domenica 24 febbraio 1957. (L’articolo continua il 25 e il 26 febbraio). 303. Herbert L. Matthews, “Cuban Rebel Is Visited in Hideout”, New York Times, 24 febbraio 1957. 304. Herbert L. Matthews, “Cuban Rebel Is Visited in Hideout”, New York Times, 24 febbraio 1957.

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governativo combatte una guerra perdente, nonostante le forniture di bazooka, mitragliatrici, carri armati, aerei, bombe e mortai americani. «Sono nazionalisti, ma non sono comunisti», rassicura i connazionali. L’opinione pubblica americana passa dalla parte dei Rebeldes e il governo americano decide di sospendere le forniture militari al dittatore Batista, almeno in apparenza. Intanto, l’amico di Zavattini Alfredo Guevara, giovane professore di Storia della Cultura, decide di rimanere in Messico a lavorare per la Teleproducciones. Dal suo punto di vista, la vittoria è ancora lontana e ancora incerta. Forse questo spiega il tono della sua cartolina per l’anno nuovo che manda a Zavattini il 28 dicembre del 1957: Col dolore di sapere che il proprio popolo annega nel sangue, che la propria patria è distrutta, che i propri amici vivono nella clandestinità e nella montagna, nonostante i sentimenti tristi di chi s’imbarca in esilio, faccio i miei auguri a chi come lei, aiuta la lotta e a resistere coll’esempio di umanità e coraggio.305

Il 1958 Guevara lo passa in parte lavorando ai documentari della Teleproducciones e alla Enciclopedia Cinematográfica Semanal, un loro cinegiornale, a partire dal 3 gennaio, quando gli viene affidata la regia di un cortometraggio pubblicitario (sulla pesca al gambero). È contento; il suo lavoro ha risvolti zavattiniani. È entrato in contatto con «i pescatori, persone sincere, aperte, semplici, solidali. Ma il vero tema dovrà essere la vita di questa gente, così simpatica, e circondati da una vita così dura».306 E non solo. In Messico lo ingaggia Luis Buñuel come aiuto regista per il film Nazarín (1959), un adattamento del romanzo realista omonimo Nazarín (1895) dello scrittore spagnolo Benito Pérez Galdós, film che vincerà un premio a Cannes.307 Nell’assenza della solita parodia messicana e rifiutando l’immagine superficiale e dominante del paese, è fra i film messicani di Buñuel che più si distaccano dalla matrice del cinema messicano convenzionale, così come lo erano stati gli altri suoi adattamenti da romanzi stranieri, Robinson Crusoe (1953) e Abismos de pasión (1953).308 305. Cartolina di auguri di Natale, scritta con una penna blu. Sul frontespizio: Feliz Navidad y Prospero Año Nuevo e disegno a penna. Cartolina di Guevara a Zavattini, Cartolina di Guevara a Zavattini, 28 dicembre 1957, ACZ Corr. G 583/6. Inedito. 306. Cartolina di Guevara a Zavattini, 3 gennaio 1958, ACZ Corr. G 583/7. Inedito. 307. Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 392. 308. Acevedo-Muñoz, Buñuel and Mexico, 147, 144.

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«Aquí Radio Rebelde transmitiendo desde la Sierra Madre Territorio Libre de Cuba». È questa la voce di Cuba libera, trasmessa il 24 febbraio 1958 per la prima volta alla radio.309 È la voce dei rivoluzionari cubani arroccati nella Sierra Maestra. Da ora in poi, il popolo cubano può sintonizzarsi sulla frequenza di Radio Rebelde. Poco dopo, la radio libera acquisisce più ascoltatori di qualsiasi altra radio a Cuba.310 Sera dopo sera, Fidel attira l’attenzione degli ascoltatori raccontando per filo e per segno tutti i fatti censurati dalla stampa ufficiale e dalla radio ufficiale cubana. Da Radio Rebelde il 10 ottobre, negli ultimi mesi decisivi della guerra, arriva la notizia della nuova legge promulgata dal Governo Rivoluzionario riguarda il latifondismo e la legge agraria. Il primo articolo della Legge n. 3 recita: Si concede la proprietà della terra da loro coltivata ai possessori di terra dello Stato, così come agli affittuari, ai subaffittuari, ai mezzadri, ai coloni, ai sub-coloni, ai precaristas[...] che occupano lotti di cinque o meno caballerias di terra privata [una caballeria è di 135 mila metri quadrati circa]. A costoro sarà consegnato il titolo di proprietà con i requisiti stabiliti in questa legge.311

A fine anno, Alfredo Guevara scrive a Zavattini per una questione gravissima. Ha bisogno del suo aiuto per diffondere la notizia dell’esportazione clandestina di armi a Batista dall’Italia ed autorizzata dal governo italiano.312 Fatto accaduto dopo che Washington aveva finalmente reagito all’opinione pubblica americana, bloccando a marzo la consegna all’esercito batistiano di 1.950 fucili automatici Garand, armi che si trovano in transito al porto di New York. Nessuno sa che la fornitura di carburante è ancora in corso. Gli usa continuano le forniture militari con vari stratagemmi. Per esempio, regalano all’esercito cubano i razzi che fanno parte dell’armamento della base nord-americana di Guantánamo.313 Ecco il comunicato stampa spedito da Alfredo Guevara a Zavattini: Artisti, Scrittori, Studenti Universitari, Cubani combattenti per la libertà ‹sono› costernati per la notizia ‹dell’›United Press, secondo cui le autorità 309. Thomas, The Cuban Revolution, 198. 310. Huberman e Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, 61. 311. Zavattini, “Cuba 1960: 3. La «Reforma» di Fidel”, Paese Sera, sabato 23 aprile 1960. 312. Lettera di Zavattini a Guevara, 2 gennaio 1959, ACZ E 2/4. 313. Thomas, The Cuban Revolution, 203.

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italiane stanno inviando al dittatore Batista un enorme carico di armi, in accordo con la nato, destinate al mitragliamento dei patrioti e alla distruzione delle città indifese. La prego in qualità di rappresentante della coscienza italiana, di protestare contro le disumane misure e di sollecitare dagli intellettuali italiani la stessa protesta.314

Zavattini riceve questo telegramma la notte del 22 dicembre 1958. Non perde un attimo di tempo. Dopo un giro di telefonate a Roma, solo i giornali comunisti L’Unità e Paese Sera sono disposti a pubblicare la notizia. Gli altri quotidiani non l’avrebbero pubblicato mai, spiega ad Alfredo Guevara, perché proviene da Zavattini, noto intellettuale di Sinistra. Il 23 Zavattini si consulta con degli amici comunisti e insieme decidono di pubblicarlo subito, tale e quale, parola per parola. Il 24 esce su Paese Sera e il giorno di Natale su l’Unità. Il telegramma sfonda il silenzio del governo in Parlamento e Zavattini lo fa sapere ad Alfredo Guevara: Pubblicato

Guevara Teleproducio‹n›es. Cordoba 48 Mexico. giorno 24 suo telegramma giornali unità paese

sera con

dichiarazione solidale provando interpellanza parlamento italiano evviva cuba libera segu‹e› lettera.

Zavattini.315

1.23 La Rivoluzione cubana Appena una settimana dopo, nelle prime ore del mattino del 10 gennaio del 1959, alle 2 e 10 per l’esattezza decolla l’aereo di Batista, alla volta della Repubblica di San Domingo, dove il dittatore Rafael Trujillo lo accoglierà. Finalmente l’Avana è avvolta nel silenzio, dopo i boati delle esplosioni dovute agli attentati alle installazioni militari dei mesi scorsi.316 Nelle case succede il contrario, tra squilli di telefono e voci concitate e le radio che riportano la notizia. Si sparge presto la voce che Batista è scappato.317 Di primo acchito, rimangono tutti tappati in casa perché 314. Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 31-37. Si noti che il testo è stato ritradotto dal telegramma e non ripreso dal testo tradotto in Paese Sera. 315. Il telegramma è riprodotto in Alfredo Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 37. 316. Thomas G. Paterson, Contesting Castro. The United States and the Triumph of the Cuban Revolution, New York and Oxford: Oxford University Press 1994, 223. Huberman e Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, 71. 317. Paterson, Contesting Castro, 226.

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la situazione rimane incerta. Meglio aspettare. E la gente aspetta fino a verso mezzogiorno, quando le strade si riempiono di folle esultanti, alcuni in piedi sulle Plymouth e le Chevrolet yankee o arrampicati in cima ai pali telegrafici per vedere dei Rebeldes del Movimento 26 luglio nelle vie della città che si abbracciano dopo la lunga clandestinità. Ma la guerra di liberazione non è finita ancora e la gente ha ragione ad essere cauta. La caduta di Santa Clara per mano di Ernesto Che Guevara e Camilo Cienfuegos nella provincia di Las Villas segna la fine del regime batistiano con la sua quanto mai improbabile, ma decisiva, sconfitta militare (340 guerriglieri contro oltre 4.000 truppe governative e un treno blindato colmo di armi da fuoco).318 Il 2 gennaio Camilo Cienfuegos e il Che intraprendono in jeep i 300 chilometri che li separano dalla capitale, mentre all’alba dello stesso giorno Fidel e i suoi Barbudos iniziano la marcia da Santiago de Cuba, dove hanno accettato la resa delle forze batistiane della caserma Moncada. Ora sì che si può cantare vittoria.319 Il 3 gennaio Cienfuegos è in testa alla colonna trionfante all’Avana. Mentre la marcia vittoriosa di Fidel lo porterà dall’Oriente dell’isola fino all’Avana al Nord, arrivando il 9 gennaio. Camilo occupa la caserma di Colombia, mentre il Che la meno importante, Cabaña.320 Dopo anni di aspra lotta, la dittatura fascista di Batista e il suo esercito di 80.000 uomini è stata sconfitta dai figli della borghesia, studenti e campesinos o guarajaros, in numero molto inferiore e per giunta mal equipaggiati. Zavattini dopo scriverà che «anche sul portone delle case dei quartieri residenziali c’era il cartello con la scritta “Gracias Fidel”, ma appena scoccò la prima legge, quella che dimezzava dalla mattina alla sera gli affitti, quei cartelli sparirono».321 Il 7 febbraio viene ristabilita la Costituzione Democratica Cubana del 1940 e a maggio viene promulgata la Prima Riforma Agraria, cioè la ridistribuzione delle terre (accompagnata dal risarcimento puntuale ai latifondisti cubani e stranieri).322 «Poco dopo l’entrata di Fidel all’Avana» ricorderà Alfredo Guevara: 318. Mike Gonzales, Che Guevara and the Cuban Revolution, Londra: Bookmarks Publications, 2004, 89. 319. Huberman e Sweezy, Cuba. Anatomy of a Revolution, 70. 320. Gonzales, Che Guevara and the Cuban Revolution, 94. 321. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 444. 322. Julio García Luis, Cuban Revolution Reader. A documentary history of Fidel Castro’s Revolution, Melbourne e New York e Londra: Ocean Press, 2008, 3-6; 43. L’espropriazione della terra avvenne a partire dal 1898 e fu messa in atto degli USA e ditte nord-americane. Si veda García Luis, Cuban Revolution Reader, 55.

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mentre il nostro popolo era preso dalla speranza e dall’allegria, quando stavamo appena cominciando a riorganizzare il lavoro e quando il cinema era solo un progetto sulla carta, ricevemmo un telegramma indimenticabile, sempre di Zavattini in cui ci diceva che solo la caduta del fascismo aveva reso possibile il rinascimento del cinema italiano e il progetto Neo-realista. Aggiungeva che era essenziale che il trionfo rivoluzionario facesse altrettanto, perché costituiva un’opportunità eccezionale: nientedimeno che la nascita del cinema cubano.323

Non appena si sparge la notizia in Italia, Zavattini incoraggia i cineasti cubani. Fa notare ad Alfredo Guevara, che non ha ancora nessuna carica ufficiale e si trova ancora rifugiato in Messico, l’enorme potenzialità del cinema come mezzo di comunicazione, concetto che Fidel sicuramente capirebbe, aggiunge Zavattini. Il cinema, secondo Zavattini, non a caso represso dalla dittatura di Fulgencio Batista, è ora da considerarsi il mezzo più idoneo per conoscere e far conoscere i problemi di Cuba. Allo stesso tempo, lo sceneggiatore italiano offre un consiglio decisivo, programmatico: e cioè di scartare il cinema didattico; meglio individuare contenuti attuali e storicamente interessanti, tenendo conto delle esigenze del cinema come spettacolo. In altre parole, pensa all’efficacia del mezzo di comunicazione dal punto di vista del pubblico. Il suo rifiuto del didatticismo non può che significare, da una parte, il rifuto del cinema sovietico nella sua forma idealista zdhanovista (nota anche come realismo socialista), dall’altra, il rifiuto del documentario didattico della scuola di John Grierson. Nei due anni di guerriglia e battaglia aperta, mentre l’Ejército Rebelde ha fondato sia una radio libera, Radio Rebelde che un servizio fotografico, quello della Colonna 8, chiamata Ciro Redondo e capeggiato dal geografo Antonio Nuñez Jiménez, un Cine Rebelde prima della vittoria non esisteva. Per questo, l’intervento di Zavattini è tempestivo nel dare consigli di portata strategica. A suo dire occorre concentrarsi immediatamente sui media, e in particolare, sul documentario, formando una équipe fornita di cineprese a passo 16 millimetri per filmare tutto il paese – ecco come nasce ora Cine Rebelde, di fatto se non di nome – arrivando fino alla capitale, e creando in questo modo un «materiale critico sulla situazione del Paese».324 E non basta: ne precisa anche i quattro temi fondamentali su cui puntare: l’educazione scolastica; la 323. “Discurso pronunciado por el cro. Alfredo Guevara.” 1976, ACZ E 3/2, 3. 324. Lettera di Zavattini a Gaetano Afeltra, 29 dicembre 1959, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 219.

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situazione agricola; la storia contemporanea della rivolta; gli aspetti fondamentali della vita di tutti i giorni. Per Zavattini, la situazione cubana dopo la sconfitta della dittatura di Batista è paragonabile a quella italiana dopo la sconfitta di Mussolini (non sarà il solo a fare paragoni del genere; un anno dopo, lo osserveranno anche Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir). In entrambi i casi, Zavattini fa notare a Guevara, l’obiettivo è il medesimo: liberare il cinema dalle remore industriali per perseguire nuove direzioni e farlo diventare il mezzo di espressione politico – a volte poetico – precisa, per raccontare la grande avventura democratica nel suo farsi.325 Il cineasta traccia un’impostazione strategica che servirà appunto per Cine Rebelde che il suo intervento incoraggia a fondare e che sarà accolto dalla Dirección de Cultura dell’Ejército Rebelde.326 Sarà questa la prima organizzazione del cinema cubano. Intanto, dopo la vittoria della Rivoluzione, nella stampa cubana si scrive che la Legge Agraria ha creato un nuovo concetto economico-sociale, il minimo vital, il salario garantito, cioè il fabbisogno di una famiglia contadina di cinque persone per vivere su due caballerias di terra fertile. Come fa notare Zavattini, «in sostanza la legge proscrive il latifondo, limitando a trenta caballerias la estensione di terra che può possedere una persona naturale o giuridica».327 Non appena Fidel è diventato capo del nuovo governo rivoluzionario, dichiara che il cinema in primo luogo e la televisione in secondo luogo siano i mezzi più importanti di espressione artistica.328 E non a caso, ad occuparsi di cinema, Fidel sceglie proprio il suo migliore amico degli anni dell’università, Alfredo Guevara che Fidel richiama dal Messico entro una settimana dalla vittoria, per affidargli la gestione del cinema. Non solo, lo invita a far parte di un nuovo Consiglio segreto, un gabinetto di governo in parallelo a quello ufficiale, che si chiama Oficina de Planes y Coordinación Revolucionaria.329 Del gruppo molto ristretto del Consiglio, presieduto dal geografo Antonio Nuñez Jiménez, compagno di lotta nella Sierra Maestra, ne fanno parte la guerrigliera Vilma Espin, compagna di Raúl e laureata al Massachusetts Institute of Technology, l’economista comunista Óscar Pinoscar Pino 325. Lettera di Zavattini a Guevara, 2 gennaio 1959, ACZ E 2/4. 326. King, Magical Reels, 147. Julianne Burton, “Revolutionary Cuban cinema”, 17-20. 327. Zavattini, “Cuba 1960: 3. La «Reforma» di Fidel”. 328. Julianne Burton, “Revolutionary Cuban cinema”, 17-20. 329. Tad Szulc, “Fidel Castro’s Years as a Secret Communist”, The New York Times, 19 ottobre, 1989. Simon Reid-Henry, Fidel & Che. A Revolutionary Friendship, Londra: Hodder and Stoughton, 2009, 209.

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Santos, l’anziano giornalista Segundo Ceballos, Fidel ed Ernesto Guevara. Si occupano soprattutto di stendere la Legge Agraria. I loro incontri segreti iniziano a notte tarda e finiscono all’alba, quando arriva Fidel che ribalta tutto. Si incontrano a Tarará, dove si trova in convalescenza Ernesto Guevara.330 La lettera di Zavattini è programmatica perché getta le basi per iniziare a costruire da zero una industria cinematografica cubana. Sin dal 14 gennaio 1959, viene fornita a Guevara una sede nella fortezza della Cabaña all’Avana, affidata al comando di Ernesto Che Guevara, dove Alfredo ha avuto il mandato di creare una scuola culturale militare in cui lavora assieme ai compagni Santiago Álvarez e José Massip, Julio García Espinosa, oltre che con Tomás Gutiérrez Alea.331 Qui, in nome di Cine Rebelde, seguendo le indicazioni di Zavattini del 2 gennaio, García Espinosa viene incaricato di produrre due film per la Dirección de Cultura dell’Ejército Rebelde: La vivienda che illustra la riforma legislativa riguardo alla casa e Esta tierra nuestra, su soggetto di Gutiérrez Alea e diretto da García Espinosa, sulla Riforma Agraria, per spiegare la nuova legislazione che entrerà in vigore nel maggio del 1959 e che chiarisca perché sia necessaria.332 La legge è rivoluzionaria davvero: l’assetto sociale viene rovesciato a favore dei contadini, con riforme che mirano a risolvere i problemi della casa e della terra, il che va comunicato – e subito – col cinema. Così, mentre Gutiérrez Alea gira Esta tierra nuestra García Espinosa gira La vivienda.333 Si riscontra nuovamente la lezione di Zavattini nel modo di raccontare la realtà del documentario Esta tierra nuestra. Non c’è una vaga ascendenza Neo-realista, ma il risultato delle sue analisi e consigli che risalgono a prima della Rivoluzione. Prima ancora della vittoria della Rivoluzione, quando Fidel e Che Guevara si trovavano alla macchia nella Sierra Madre, i due si erano dedicati al problema fondamentale della terra e delle terre incolte appartenenti ai grandi latifondisti, insomma, pensavano a come affrontare la situazione economica e sociale che esisteva sotto la dittatura di Batista e come cambiarla con la Rivoluzione. In particolare, il problema di un’economia che dipendesse esclusivamente dal cosiddetto monocultivo, la coltivazione 330. Alfredo Guevara, intervistato da Szulc, in “Fidel Castro’s Years as a Secret Communist”, New York Times, 19 ottobre, 1989. 331. Chanan, Cuban Cinema, 119. 332. ibidem, 120. 333. Burton, “Revolutionary Cuban cinema”, 17-20. King, Magical Reels, 147. Chanan, Cuban Cinema, 131; 119-120.

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di un solo prodotto agricolo, la canna da zucchero. Il problema della disoccupazione e dell’occupazione stagionale, a fronte di un piano economico che favoriva multinazionali e grandi possidenti, ma che relegava all’indigenza la maggioranza della popolazione. È un film di divulgazione che serve per guadagnare il consenso dei contadini. Già il titolo del film afferma che la terra appartiene ai contadini; è loro. In questo modo diretto spiega le ragioni per cui la riforma ora legalizza l’esproprio delle terre incolte dei grandi latifondisti.334 Mette in tensione dialettica le contraddizioni esistenti fra la situazione nella Cuba prerivoluzionaria e cosa la sta cambiando: la Rivoluzione in atto dopo la vittoria. Se Esta tierra nuestra riesce ad essere un bel film documentario, ci riesce per il modo in cui non sottostà a stilemi del cinema documentario classico. Senza scadere nel sentimentalismo, comunica una spiegazione chiara delle ragioni che hanno reso necessario la Reforma Agraria, ricostruendo la storia economica recente di Cuba. Per un verso, si affida alla voce fuori campo, ma lo fa senza calcare il discorso e lasciando ampio spazio ad inserti, come il primo, esempio concreto con cui apre il film che dura quasi cinque minuti, in cui lo spettatore diventa testimone dell’espropriazione di una famiglia povera di contadini dal loro bohío, la capanna che viene distrutta dai militari del regime, demolizione ricreata e seguita passo passo dalla cinepresa: la famiglia è sfrattata, e il cineocchio la pedina, raccontando in modo traslato una realtà che diventa subito emblematica di una situazione generale. È zavattiniano questo continuo ritornare al dettaglio, al momento, come quando più tardi, dopo varie spiegazioni, la cinepresa inquadra lo sguardo di una bambina e la segue, interrompendo il discorso per lasciar spazio al tempo reale e fenomenologico dei comportamenti innocenti di una bambina cubana che la trasforma in figura allegorica. In questo, non è dissimile a El mégano. Ma qui naturalmente, con maggiori risorse disponibili, viene fuori un documentario a più largo respiro, in cui alla ricostruzione, e al racconto si alterna l’esposizione. In Esta tierra nuestra il racconto si ritrova negli inserti, ma sono essenziali per controbilanciare la comunicazione didattica, pur necessaria in un film del genere. Il 24 marzo, viene affidato ad Alfredo Guevara il compito di fondare l’Instituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográficos (icaic) dove 334. Fidel Castro, “Primo Foro Nazionale della Reforma Agraria”, 12 luglio, 1959 http://www.cuba.cu/gobierno/discursos/1959/esp/f120759e.html, consultato il 14 luglio 2018. Ernesto Che Guevara, Discorso tenuto a El Pedrero, Municipio di Fomento, 8 febbraio, 1959, http://www.enlace.cu/che/Tenemos%20que%20luchar%20todos.html, consultato il 14 luglio 2018.

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verranno montati Esta tierra nuestra e La vivienda.335 Poco dopo la fondazione, Guevara scrive alla prestigiosa rivista di cinema Cinema Nuovo, per informare il Direttore Guido Aristarco e i lettori cineasti della fondazione dell’icaic e del suo programma: «La nuova scuola intende elevare il livello del gusto medio del pubblico, mantenere e sviluppare, attraverso il cinema, la coscienza del nostro popolo dimostrata durante la Rivoluzione».336 Non è sorprendente che la gestione dell’icaic venga affidata al nucleo di cineasti di Nuestro Tiempo. Alfredo Guevara è un amico intimo di Fidel, ed è comunista, come gli altri cineasti, quasi tutti compañeros. Il 29 maggio Fernando Bernal, distintosi nel lavoro per la Riforma Agraria, «asesor economico», cioè consigliere dell’icaic, invia un invito ufficiale e governativo a Zavattini: «Vogliamo ora poter contare sul vostro aiuto, come prima facevamo la lotta armata in giorni duri in montagna».337 Zavattini acconsente l’11 giugno: «Le confermo quanto scritto al signor Bernal: che sono a completa disposizione dell’Istituto Cubano di Cinematografia per tutto quanto io posso esservi utile».338 Il 13 giugno viene varata la legge del nuovo governo rivoluzionario cubano che istituisce l’icaic ufficialmente, nominando Alfredo Guevara come Presidente.339 Quel giorno stesso, Guevara scrive a Zavattini con due obiettivi, il primo chiarire i tre punti fondamentali del programma dell’icaic: primo, organizzare l’industria cinematografica cubana; secondo, far crescere il livello della cultura cinematografica; terzo, mantenere viva e approfondire la coscienza politica dimostrata dai cubani nella lotta rivoluzionaria. Si rivolge a lui per ulteriori consigli e informazioni a livello ufficiale.340 Dal governo, Guevara riesce ad ottenere l’autonomia dell’icaic sin dalla sua fondazione, confermata proprio nel decreto costitutivo, il che gli consentirà di rimanere coerente dopo la Rivoluzione, quando 335. ibidem, 17-20. 336. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960” Straparole; Cinema Nuovo, n. 143; Paese Sera, 21-30 aprile 1960 Roma, 14 aprile 1960, Cinema Nuovo, 144, marzo-aprile 1960, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 444. 337. “Es por eso que quisieramos seguir contando ahora con su ayuda, al igual que en los duros dias de la guerra en las montañas”. Lettera di Fernando Bernal a Zavattini, 29 maggio 1959, ACZ E 2/7, c. 46. 338. Lettera di Zavattini a Guevara, 11 giugno 1959, ACZ E 2/4. 339. Lettera di Guevara a Zavattini, 13 giugno 1959, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 42-43. 340. Lettera di Guevara, 13 giugno 1959, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 42-43.

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difenderà l’autonomia dell’icaic nell’esprimere giudizi critici rispetto al governo e il partito.341 In particolare, Guevara chiede consiglio a Zavattini riguardo al tipo di orientamento da dare all’informazione. Inoltre, può suggerire riviste specializzate di cinema? Vuol anche sapere i vantaggi e svantaggi della legislazione italiana sul cinema; propone l’interscambio con organizzazioni e strutture italiane, ufficiali e informali di cinema; infine, chiede se ci sia in Italia un produttore interessato a fare un film sulla Rivoluzione cubana. Intanto, il nuovo Direttore dell’icaic deve far fronte al mancato riconoscimento dei loro progetti cinematografici dell’icaic da parte degli altri ambienti rivoluzionari e, in una intervista con Fausto Canel, si lamenta di «segni evidenti di mala fede».342 Le accuse sono prevedibili: questi critici trovano le loro attività «estetizzanti», perché concepiscono il cinema come arte. Alla prima accusa Guevara risponde facendo la distinzione fra un’arte che definisce «intellettualoide» e un’arte «intellettuale»; alla seconda, che il cinema non si riduce all’aspetto industriale.343 Ci sono anche quelli che vorrebbero che si occupassero di «fattori personali e ideologici che non hanno nulla a che vedere con il cinema né – dice Guevara – con la nostra posizione attuale».344 In ogni caso, la situazione dell’Istituto è per ora precaria; in parte, ciò è dovuto al fatto che Guevara dirige un’organizzazione in un paese in cui manca una vera tradizione cinematografica.345 Ciononostante, l’icaic ottiene i fondi per costruire un’industria cinematografica cubana e sale di posa all’Avana dell’Est, affidate all’architetto Frank Martínez. Per quanto riguarda le attrezzature, Guevara affida il ruolo di responsabile del dipartimento tecnico a Tomás Gutiérrez Alea e quello di capo dei laboratori cinematografici a Julio Epstein. I due si recheranno in missione in Europa per l’acquisto di attrezzature per poter cominciare la produzione a Cuba appena possibile.346 A settembre Guevara rientra a Cuba dall’Europa, dove si è dato il compito di «stringere rapporti con una serie di figure mondiali che potessero lavorare con noi su pellicole prettamente cubane e di conseguenza collocare il nostro cinema nel mercato internazionale».347 341. Chanan, Cuban Cinema, 3, 7, 36. 342. Fausto Canel, Intervista con Guevara, Revolución, 26 settembre 1959, 1; 18, ACZ E 3/2. 343. ibidem. 344. ibidem. 345. ibidem. 346. ibidem. 347. ibidem.

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Per questo si è recato al Festival di Venezia.348 Il piano del Direttore dell’icaic serve a rompere l’isolamento culturale di Cuba e instaurare un dialogo col miglior cinema mondiale. Forse l’unico a precedere Zavattini a Cuba è l’attore teatrale Gerard Phillipe che arriva subito dopo la Rivoluzione. Spera di ritornare alla fine dell’anno. «Con chi hai parlato a Venezia?», chiede ad Alfredo Guevara Canel, cronista e futuro regista: Ebbene, il mio primo contatto è stato Zavattini. Volevo il contratto firmato per cui egli si impegnava a venire a Cuba agli inizi di novembre con lo scopo di supervisionare e collaborare su tutto il nostro lavoro sui soggetti.349

Quanto a registi e a direttori di fotografia, Guevara conosce Otello Martelli, il direttore di fotografia di Roma, città aperta e Paisà di Rossellini e degli ultimi film di Federico Fellini, Cabiria e La dolce vita. Zavattini gli ha fatto il nome di Michelangelo Antonioni, perché filtra la realtà con un approccio poetico. Guevara spera di poterlo ingaggiare per girare il Romeo e Giulietta creola. Gli raccomanda anche Francesco Maselli che nel 1953 girò “La Storia di Caterina”, un episodio di Amore in città, per la sceneggiatura di Zavattini. Guevara è già al corrente del Nuovo Cinema Francese, la Nouvelle Vague i cui film ha visto a Venezia, ma questo cinema non lo convince: Ti devo confessare che ho ricevuto l’impressione che in gran parte la Nouvelle Vague, cioè la nuova scuola, è un “bluff”. I giovani sono tecnici straordinari e fanno film d’arte magnifici, ma tendono a cadere facilmente, la gran maggioranza di essi, nella novella rosa. I finali dei loro film sono falsi, forzati, per la maggior parte. Ora la grande scuola non è omogenea. C’è una differenza notevole fra Chabr‹o›l e Truff‹a›ut e Vadim e Malle.350

Piuttosto, fra i registi francesi, e non a caso, vorrebbero ingaggiare Alain Resnais che non si può dire faccia parte della Nouvelle Vague. È il regista di Hiroshima, mon amour (1959), un buon esempio, a parere di Zavattini, di come fare un film impegnato che sia a soggetto.351 Guevara vorrebbe invitare anche James Cuenet, cortometraggista e montatore fra i migliori d’Europa e Maria Casares, la prima donna della Comme348. ibidem. 349. ibidem. 350. ibidem. 351. Zavattini, “Per una discussione con i ‘non impegnati’”, testo tradotto da Paolo Tanganelli e Lia Ogno in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 104-114, 109.

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dia Francese, gli scrittori comunisti Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Gli interessano anche dei registi del Nord America, ma solo quelli indipendenti di New York. «Sono gli unici abituati a fare arte senza gonfiare il bilancio. Aldrich ci ha risposto e con Kubrick siamo in trattativa».352 Fra gli spagnoli, vuole invitare Juan Antonio Bardem e il direttore di fotografia Paniagua. A proposito di Cuentos de la Revolución, un film in programma, Guevara afferma: Si è proposto che si faccia come omaggio internazionale alla Rivoluzione, pensando, per esempio, ad una struttura di sette racconti, di cui cinque diretti da noti registi stranieri e due da registi cubani. In particolare, Cesare Zavattini e Gerard Phillipe ci hanno aiutato molto per aprire le porte del mercato europeo al nostro cinema. Il primo verrà da noi nel mese di novembre, per revisionare tutto il lavoro di produzione e vedere se ci sia la possibilità di fare un eventuale film. Da parte sua, Gerard Phillipe, che ha visitato Cuba di recente, lavorerà anche lui per il cinema cubano.353

Il 29 settembre Alfredo Guevara è appena ritornato dalla Ciénaga di Zapata, in compagnia di Fidel e Raúl Castro a cui ha riferito del suo viaggio in Europa. Che il Governo Rivoluzionario intenda promuovere il cinema cubano è palese: ma ora Fidel e Raúl lo comunicano apertamente in televisione, nei loro discorsi e interviste. Grazie a loro, compaiono articoli a grandi titoli nella stampa, e scoppiano le polemiche, mentre cresce l’entusiasmo popolare. Guevara scrive a Zavattini: Non penso sia necessario insistere sull’importanza per noi della sua presenza a Cuba nel preciso istante in cui cominci la produzione, e precisamente tramite un lavoro specifico e intervento diretto. Come le spiegai, ci preme poter contare sulla sua collaborazione creatice nel preparare due o tre film (soggetto e sceneggiatura) e nella supervisione di tutti i nostri piani.354

Aggiunge: Prenda l’aereo e venga da noi senza indugio, sapendo che ora non si tratta di fare una o due pellicole e di valutare criticamente delle altre, ma di fare 352. Canel, Intervista con Guevara, Revolución. 353. Intervista con Guevara, Hoy, 27 settembre 1959. ACZ E 3/2. 354. Lettera di Alfredo Guevara, 29 settembre 1959, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 47. Queste le parole testuali di Guevara: “Estamos interesados en contar con su colaboración creadora en la preparación de uno o dos filmes (argumento y guión) y de la supervisión de todos nuestros planes”.

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un Cinema (hacer un Cine). Su questo contiamo, con l’ausilio della sua arte e straordinaria umanità: il miglior regalo della sua amicizia.355

Insomma, Zavattini continua a giocare un ruolo fondamentale nella storia del cinema cubano. Dopo la vittoria della Rivoluzione, e nei mesi che precedono la fondazione dell’icaic, consiglia e influenza la formazione e l’indirizzo di Cine Rebelde, il precursore dell’icaic. In un secondo momento, fornisce consigli per come strutturare l’Istituto. Nella lettera del 9 ottobre, Zavattini propone a Guevara «uno scambio preliminare»: La prima parte del vostro lavoro dovremo dedicarla all’esame di un piano vero e proprio, non so se annuale o biennale o triennale, della vostra giovane cinematografia; per scegliere poi quei progetti per i quali la mia presenza, la mia diretta partecipazione, si supponga per qualche verso proficua.356

Poi, il 17 ottobre 1959, Zavattini risponde alla lettera di Saúl Yelín dell’icaic, vecchio amico di Alfredo Guevara ai tempi dei cineclub e compagno di studi all’università, «coltissimo e carissimo compagno dell’icaic», dichiarando che è un grande onore che gli fa la Nuova Cinematografia Cubana nell’invitarlo a contribuire allo sviluppo dei piani dell’icaic.357 Nella sua risposta, accenna inoltre al suo bisogno di svolgere inchieste sulla Rivoluzione e i Rebeldes direttamente sul luogo e interpellando i soggetti in una sorta di storia del presente. Si impegnerà con l’icaic a scrivere un soggetto, il cui tema verrà stabilito in base alla consultazione con le esigenze dell’Istituto e un’attività di indagine sul posto che varierà a secondo delle esigenze dell’icaic, con sopralluoghi nel territorio cubano, letture e incontri a tu per tu nei luoghi degli eventi. Zavattini già prevede il pedinamento, i sopralluoghi, le interviste, l’insegnamento, i consigli e la fase della scrittura, tutto quello che dovrà rientrare nel quadro d’insieme del viaggio a Cuba. Entrando nei particolari, l’invito ufficiale richiede un lavoro quotidiano: la revisione dei testi scritti da altri; l’ideazione di soggetti per cortometraggi e lungometraggi che verranno sviluppati in un secondo momento; di testi in fase di preparazione o attuale o futura con l’apporto di Zavattini o visualizzazioni di film in fase di montaggio e lo sviluppo 355. Lettera di Guevara a Zavattini, 29 settembre 1959, Ese diamantino corazón de la verdad, 47. 356. Lettera di Zavattini a Guevara, 9 ottobre 1959, ACZ E 2/4. 357. Lettera di Guevara a Zavattini, 29 settembre 1959, Ese diamantino corazón de la verdad, 57.

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di Cuba mía, il soggetto raccontato da Zavattini a Guevara e agli altri cineasti nel 1955.358 Il soggettista italiano riceve una conferma da Tomás Gutiérrez Alea: i cubani stanno seguendo «il criterio di accumulare la maggior quantità possibile di materiale per permettere una scelta molto rigorosa», impostando il lavoro secondo i suoi suggerimenti. Scrive Zavattini a Gutiérrez Alea poco prima di partire per Cuba: Il programma che avete cominciato a preparare è molto concreto e nasce dai pensieri e dai sentimenti fondamentali della vostra Rivoluzione. È naturale che quello cui voi dovrete tendere – e io per quello che posso dovrò darvi in tal senso una mano – è che lo svolgimento della tematica cubana, rivoluzionaria, sia impiantato in modo che ne vengano fuori i suoi motivi più larghi, diciamo per usare una parola un po’ logora, universali; ma senza dubbio il piano generale della vostra cinematografia comprenderà anche un certo tipo di film di stretto uso interno, di propaganda locale, di consumo immediato, di polemica “entro pochi mesi”.359

Quindi, Zavattini consiglia un orientamento duplice: da una parte, evitare la propaganda politica nei film a soggetto, dall’altra, farne uso per cinegiornali e diffusione interna. È Zavattini a consigliare Alfredo Guevara di affidare la cinematografia di un film a soggetto scritto da lui al direttore di fotografia Otello Martelli, che aveva lavorato ai primissimi film Neo-realisti di Rossellini Roma, città aperta e Paisà e a suo figlio Arturo Zavattini in qualità di operatore. I cubani vogliono anche la sua collaborazione tecnica e insegnamento. Saúl Yelín chiede che Martelli sia disponibile ad insegnare ai giovani cubani, ma questo non avverrà per mancanza di tempo, tranne con chi si trovasse ad assistere sul set.360 «Abbiamo ogni giorno che passa più bisogno di lei», e «siamo ansiosi di cominciare a lavorare con lei», scrive a Zavattini il 14 ottobre Jomí García Ascot, a nome dell’icaic.361 Ascot aveva lavorato a fianco di Zavattini alla sceneggiatura del film a soggetto satirico El Anillo, mai andato in porto nel 1957, durante il secondo soggiorno di Zavattini in Messico, nell’èquipe della Teleproducciones di Manolo Barbachano, di cui faceva parte anche Alfredo Guevara prima del suo ritorno a Cuba. Ascot gli 358. Lettera di Zavattini a Saúl Yelín, 17 ottobre 1959 Ese diamantino corazón de la verdad, 57-60; 58. 359. Lettera di Zavattini a Tomás Gutiérrez, 1 novembre 1959, ACZ E 2/5. Inedito. 360. Lettera di Yelín a Marco Zavattini, 23 ottobre 1959, ACZ E 2/7, c. 13. Riguardo al mancato addestramento tecnico, la fonte è una comunicazione personale di Arturo Zavattini, del 15 agosto 2015. 361. Lettera di Ascot a Zavattini, 14 ottobre 1959, ACZ E 2/5, c. 50-52. Inedito.

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elenca i film a soggetto già abbozzati da lui e dai colleghi dell’Istituto che vuole sottoporre alla sua analisi. L’elenco rivela segni chiari, prima ancora che inizi la sua terza visita a Cuba, di una impostazione zavattiniana del racconto, del frammento significativo, della base documentaria e di filminchiesta, quindi: «fatti reali e situazioni vere» e «frammenti di attualità reali che mostreranno lo sviluppo della lotta nel tempo». L’elenco di Ascot include il film a episodi per Cuentos de la Revolución, Un giorno lavorativo, La madre, Il vigliacco, I fidanzati, Il moribondo e La battaglia di Santa Clara. Elenca anche Cuentos Cubanos, anch’esso strutturato in forma frammentaria a racconti, Le Lycee et l’Atenee, Le bain, Le jour ou Le cirque est parti. Per Cuentos Cubanos sono partiti da fatti realmente accaduti.362 I Cuentos de la Revolución verranno realizzati, tranne l’episodio Un giorno lavorativo, la giornata tipica di un poliziotto durante la dittatura che servirebbe per rivelare la corruzione delle forze dell’ordine, mostrandolo nei vari ambienti in cui riceve la sua taglia, nei giri della prostituzione, dei delatori, delle bische. Questo episodio e il seguente non verranno realizzati perché Zavattini li trova troppo retorici. Per questo, li scarta in quanto propaganda, e quindi controproducenti. La madre tratta di una rivoluzionaria con tre figli che si rifiutano di unirsi all’Ejército Rebelde; nonostante questo, vengono arrestati e torturati, alla fine, riesce a convincere il più piccolo ad andare alla Sierra Madre dai rivoluzionari. Ne Il vigliacco tre amici Rebeldes trovano rifugio presso una coppia. Il marito non ne vuol sapere, pensa solo a se stesso, e va in cerca di una camera d’albergo, ma viene arrestato dalla polizia. La sua delazione provoca l’uccisione della moglie e dei combattenti. Sarà uno degli episodi realizzati. Anche l’episodio I fidanzati verrà realizzato: A Santiago di Cuba una ragazza che studia il pianoforte viene incaricata di una missione dalla resistenza clandestina: dovrà accompagnare un ragazzo che deve recarsi alla Sierra Madre dove si trova una parte dell’Ejército Rebelde. La ragazza deve fingere di essere la fidanzata, per non destare sospetti. Trascorrono un giorno e la notte assieme. Si innamorano, si devono separare, ma si promettono che un giorno si ritroveranno. Anche La Battaglia di Santa Clara e Il moribondo entreranno in lavorazione. La prima ricostruisce la famosa battaglia senza quartiere in città in cui i Rebeldes sono in numero inferiore e mal armati rispetto alle truppe di Batista, mentre Il moribondo tratta di una pattuglia che non abbandona un loro ferito, benché sia moribondo. Controbilancia l’esaltazione dell’eroismo con l’esaltazione di qualità normali che, in 362. ibidem, c. 50-52.

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tempi di guerra, non lo sono. La scelta di rappresentare il quotidiano, il momento che passa, piuttosto che l’azione militare veicola direttamente le idee di Zavattini. Guevara vuol dare la precedenza a Cuba baila da realizzare in coproduzione con Barbachano Ponce. Un film divertente e allegorico che mette in mostra ed esalta l’importanza della musica, aspetto fondamentale della cultura cubana in quanto anche cultura popolare. Non solo commento, ma espressione artistica quasi indipendente dalle immagini, la musica diventa un’ulteriore protagonista, sfuggendo ai limiti soliti della funzione della colonna sonora. Poi, secondo i piani del Guevara, verrebbero El Asalto al Moncada; Los Náufragos de la Calle de la Providencia, su soggetto e regia di Luis Buñuel (anch’esso in coproduzione con Barbachano), il film a episodi sulla Rivoluzione e altri racconti non specificati. Progetta di filmare La Invasión, uno dei fatti più decisivi della lotta rivoluzionaria che include le varie tappe dalla guerriglia fino alla vittoria finale. Un Romeo y Giulietta, reso attuale, sostituendo lo scontro fra le due famiglie dell’opera di Shakespeare con un conflitto razziale. In questo lavoro preparatorio, in attesa della verifica di Zavattini, Guevara e gli altri cineasti e giovani scrittori hanno voluto puntare l’obiettivo sul reale. È chiaro dalle proposte dell’icaic che l’esigenza principale sia raccontare i momenti salienti ed eroici della Rivoluzione, mediando la politica con l’arte, evitando di scadere in propaganda, rifiutando la tipicità di Lukács e Zdanov, in linea con l’impostazione zavattiniana trasmessa già nel 1953. La risposta di Zavattini a queste lettere dimostra come, molto prima di mettere piede a Cuba, egli stia già indirizzando il lavoro di sceneggiatura dei cubani, avendola formata in precedenza, sia a Cuba, che nel lavoro in Messico nel 1957, a fianco di Guevara e di García Ascot, in parte, verso la forma del documentario, in parte, verso il film a soggetto, consigliando di non «debordare nella retorica» (a proposito di due episodi per Cuentos de la Revolución, La madre e I fidanzati).363 Lo ha confermato Massip che il suo soggiorno dopo la Rivoluzione sia stato un proseguimento dei rapporti fra Zavattini e i cubani: «È un evento necessario e inevitabile, ma anche, in qualche modo, una continuazione».364 C’è un traffico continuo di lettere dell’icaic per comunicare con lo sceneggiatore italiano. Oltre ad Alfredo Guevara, il Direttore, gli scrive Saúl Yelín, l’amministratore, nonché due registi e sceneggiatori, Jomí 363. Lettera di Zavattini a a García Ascot, 28 ottobre 1959, ACZ E 2/5, 2 c. 15-16; c. 15. Inedito. 364. Massip, “Cronaca cubana”, 53.

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García Ascot, scrittore cinematografico frustrato, conosciuto da Zavattini in Messico, e Gutiérrez Alea che vuole: «metterci d’accordo prima di tutto sul piano generale di lavoro».365 Gutiérrez Alea descrive nel modo seguente un soggetto di tipo diverso, satirico, El pequeño dictador: Sarebbe una satira sul dittatore Latino-americano. La figura tipica in questo caso è, naturalmente, Trujillo, quello di San Domingo. È lui il più sanguinario, il più «feudale» e anche il più ridicolo. C’è una grande ricchezza di fatti su cui appoggiarsi.366

Zavattini approva la scelta della satira che ritiene una forma di critica concreta e puntuale.367 Per Cuentos de la Revolución, il cineasta italiano suggerisce al responsabile dell’icaic un episodio che tratterebbe in tempo reale un momento della vita di un joven Rebelde dopo la Rivoluzione, unendo ironicamente il tema dell’analfabetismo e la ribellione all’alfabetizzazione: Vedo un giovane soldato che nei primi metri dell’episodio si dimostra pieno di ardimento come lo è stato per l’intero periodo della Rivoluzione; ma, quando lo mettono nella scuola, non ne vuole sapere, e scappa, si adira come uno offeso, umiliato; lo inseguono, egli arriva perfino alla violenza pur di resistere, ma alla fine, dopo una vera e propria colluttazione, uno lo convince e lo porta a scuola in mezzo agli altri commilitoni, dove il maestro ricomincia per lui la prima lezione, e lui, indolenzito dalle botte, ancora un po’ di malavoglia, più per orgoglio che per altro, prende in mano la penna e anche lui comincia a scrivere sul quaderno le prime vocali. Tutto questo deve svolgersi in un modo serrato, quasi con il tempo reale, cioè si può perfino fare a meno di quello che ho accennato prima come la parte eroica: poiché si può far comprendere in cento altre maniere che egli è stato uno dei più eroici soldati. Fra le cose che intravvedo anche spettacolarmente valide in un episodio di questo genere, c’è la scazzottata fra il ribelle all’alfabetizzazione e gli altri, scazzottata durante la quale 365. Lettera di Gutiérres Alea, 14 ottobre 1959, ACZ E 2/5, c. 25-27. A ogni titolo di soggetto si accompagna un resoconto più o meno dettagliato. Inedito. Il suo elenco è simile a quello di Ascot dei soggetti per i quali si richiede la sua collaborazione: Asalto al Moncada, El pequeño dictador, Romeo y Giulieta, Frank País, L’invasión, El Liceo y El Ateneo, El bagno, El circe. Sono spunti iniziali, tracce dattiloscritte, che, con l’eccezione di Tiempo muerto, Zavattini aiuterà a sviluppare nel lavoro di gruppo. 366. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 14 ottobre 1959, ACZ E 2/7, c. 25-27. Inedito. 367. Lettera di Zavattini a Gutiérrez Alea, 1 novembre 1959, ACZ E 2/5, c. 10-11. Inedito.

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cercano di convincerlo, a esporre i motivi per i quali deve cedere, e questo, ripeto, tra un pugno e l’altro e durante l’inseguimento.368

Il carteggio con l’icaic dimostra che, dal punto di vista dei cubani, la priorità è quella di storicizzare, e forse anche trasformare in mito, dei momenti salienti della lotta per la libertà contro la dittatura di Fulgencio Batista, eventi talmente recenti da considerarsi ancora cronaca attuale e colpire l’immaginario popolare, trasformandola in epica, oltrepassando quindi la celebrazione dell’evento storico della Rivoluzione. A questo intento si abbina anche la manifestazione in piazza a ricordo dell’Asalto al Moncada che cade il giorno che diede il nome al Movimento del 26 luglio (del 1953), ora ricordato da una ricostruzione dell’assalto alla caserma di Santiago di Cuba da parte di Fidel Castro e un centinaio di giovani. Si affianca a questo proposito l’altro approccio, più mediato, rappresentato dal soggetto Romeo y Julieta, episodio, del quale s’è già fatto cenno, relativo alla discriminazione razziale a Cuba, incentrato sull’amore tra una bianca e un mulatto, e El Liceo y el Ateneo che tratta anch’esso della discriminazione razziale, uno dei racconti previsti per Cuentos Cubanos, una decina di racconti a proposito della lotta contro la dittatura fino alla vittoria finale. «Lavoriamo molto. Desideriamo compartire con lei questi momenti unici», gli scrive Gutiérrez Alea in italiano: «Speriamo [sic] notizie di lei. E soprattutto, speriamo di rivederla presto».369

1.24 Dopo la Rivoluzione L’11 dicembre 1959, non appena è sceso dall’aereo, Zavattini va alla ricerca dei «fatti famosi appena accaduti e che stanno accadendo».370 L’isola non sembra cambiata, «tutto era normale».371 Zavattini «si guarda subito in giro per trovare un segno dei fatti appena accaduti e che stanno accadendo, ma non è facile».372 Allora c’era Batista al comando, e le auto luccicavano come adesso per le strade, e a pensare “bisogna cambiare tutto”, quando tutto 368. Lettera di Zavattini a Jaime García Ascot, 28 ottobre 1959 ACZ E 2/5, c. 15-16. 369. Lettera di Gutiérrez Alea a Zavattini, 14 ottobre 1959, ACZ E 2/7, c. 25-27. Inedito. 370. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 444. 371. ibidem, 444. 372. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, a. xi, gennaio-febbraio, 1960, 21-35; 21.

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pareva tranquillo e stabile e i giornali annunciavano arrivi e partenze di ambasciatori, ci voleva una forza, una vocazione straordinarie; o meglio, molti lo pensavano ma furono assai pochi a cominciare a fare qualche cosa.373

Gli vengono incontro gli amici cineasti di Nuestro Tiempo, José Massip, Alfredo Guevara, Julio García Espinosa e Tomás Gutiérrez Alea, accompagnati da un ufficiale «con una gran barba». È un Barbudo, un giovane Rebelde di appena vent’anni che lo accoglie come ospite ufficiale del nuovo Governo Rivoluzionario nel primo anno dopo la vittoria di Fidel.374 I vecchi amici lo portano allo stesso Hotel Rosida De Hornedo, numero 615 che lo aveva ospitato durante il suo primo soggiorno nel 1953. L’albergo si trova lungo quel tratto di strada che costeggia il mare, un vialone che si chiama il Malecón – il viale dei monumenti a Maceo, a Martí, ai morti del Maine, agli studenti caduti nel 1871, vittime delle pallottole degli spagnoli – che si estende dalle arcate dell’Avana vecchia alle rovine dell’antico forte La Pianta, fino all’Hotel Riviera.375 «Il primo giorno non è successo niente», scriverà in Cinema Nuovo, ma il suo taccuino dimostra che già l’11 discutono di un soggetto.376 «Il 12 ero già infatuato», scrive. Zavattini è ben informato, avendo già letto libri su Cuba, tre o quattro discorsi di Fidel, uno di Camillo Cienfuegos, uno di Che Guevara, e uno di Muñez Jimenez sulla Reforma Agraria, ma ben diversa l’esperienza sul posto, quello che Zavattini chiama sempre «sopralluogo».377 In quell’albergo ha luogo la prima riunione, con sei o sette persone, inclusi José Hernández e Héctor García Mesa. Cosa vogliono da lui? Che nei soggetti «si sentano i problemi odierni della loro isola».378 Lo vogliono fare partecipe subito. Gli raccontano tutto. Gli dicono che «gli atti di forza non valgono che per poter cominciare, il primo gennaio del 373. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 2135; 21. 374. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 2135; 21. 375. Thomas, The Cuban Revolution, 316. 376. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 2135; 21. 377. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 2135; 21. 378. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 2135; 21.

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59 abbiamo vinto per avere il diritto di parlare, di spiegare da uomo a uomo».379 Viene a sapere da loro che sono morti in ventimila per la Rivoluzione e che 500 sono stati i criminali di guerra fucilati alle cui vedove dànno la pensione. Che si progetta la coltivazione di altri prodotti alimentari, oltre il monocultivo dello zucchero, sugli immensi latifondi abbandonati, dopo averli sfruttati. Che il paese era sotto il monopolio americano, oltre che sotto un dittatore. Che si vogliono ribellare al ricatto usa di sanzioni, nel caso Cuba smettesse di acquistare quattro milioni del suo riso. Che l’Ejército Rebelde studia invece di fare esercitazioni militari ogni giorno. Che nel quartiere Mercedes sta nascendo una città che potrà accogliere ventimila studenti, figli di contadini. 400.000 bambini non avevano scuole. Ma ora in un mese ne costruiranno 10.000, perché tutti imparino a leggere e scrivere.380 Che sorgeranno scuole elementari al posto dei commissariati di polizia famosi per le torture. Che i militari stano costruendo le case per la povera gente. Che si insegnerà l’antirazzismo. Durante la marcia dell’invasione dal Nord al Sud dell’isola, condotta dal Che e da Cienfuegos: «avevano i piedi grossi come quelli degli elefanti e bevevano sangue di cavallo per dissetarsi».381 «In quest’atmosfera», conclude Zavattini, «sono spazzati via i miei dubbi civili».382 Capisce il processo di ridistribuzione della ricchezza di cui gli parlano quelli dell’icaic. Coglie subito: il loro bisogno di chiarezza, nel cominciare a spiegare dal niente, lo stesso impeto e la stessa ingenuità delle lunghe parlate di Fidel Castro, un amore per la loro terra, la coscienza che nessuno sapeva, né lo straniero, né loro stessi; è necessario cominciare.383

Ma a Cuba, Zavattini si accorge prestissimo che nell’ambiente del cinema, non esistono sono solo i comunisti di Nuestro Tiempo che non hanno dubbi sul da farsi. Sin dall’inizio, diventa chiaro che ci sono due correnti: una a favore del cinema come impegno politico, l’altra contraria: La parola Rivoluzione è come il vento che trasporta pollini e tronchi d’albero, la polvere e le nubi. E gli intellettuali spesso desiderano star fuori 379. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 23. 380. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 29. 381. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 444; “Roma 14 aprile 1960”, Diario cinematografico, 462. 382. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 1960, 25. 383. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 23.

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dal vortice; neanche la superbia li salva, loro malgrado, fanno parte del tutto, magari per essere odiati. Subito ho l’impressione che anche a Cuba, con precipitosa finezza d’intenti, ci sia una corrente che preferisce ispirarsi ai maestri del dubbio che alla concretezza degli avvenimenti patrii. Lo intravedo nei discorsi di questi cineasti, che, al contrario di quelli, sono sicuri di trovare la poesia nella collera e nell’approfondimento della loro fede politica. Collera è l’espressione di un critico avanese, e mi piace molto e dà nell’epico come tante cose che sento raccontare». [...] «Tutto si colora di leggenda, anche i fatti più documentati.384

La leggenda, però, Zavattini la controbilancia sia con la documentazione precisa che con la verifica sul posto di una storia nel suo farsi. Comincia subito il «lavoro specifico e l’intervento diretto nella supervisione di tutti i nostri piani» a cui si riferiva il Direttore dell’icaic il 29 settembre.385 Raccontano El premio gordo, un soggetto che si impernia sulle tante lotterie al giorno, lotterie ufficiali e clandestine, di cui il 30% dei proventi andavano al Capo di Polizia del distretto. Fenomeno utilizzato per esercitare un controllo sociale sui cittadini: nel testo, un tale si illude di aver vinto alla lotteria, ma quando scopre che si è sbagliato pensa di suicidarsi. A quel punto interviene un amico Rebelde che lo dissuade.386 Questa traccia inizia con queste parole: «L’immoralità del gioco, come nel caso della religione, consiste nel fatto che la gente pensi di risolvere i problemi con un miracolo».387 Ma l’idea verrà presto scartata, perché è palesemente didattica. Nel corso della prima settimana di collaborazione, nelle riunioni per «la supervisione dei piani» gestita da Zavattini, vengono vagliate tantissime proposte di soggetti: oltre a El premio gordo dell’11 dicembre, Si occuperanno di imprese memorabili dell’Ejército Rebelde: La Invasión (13 e 16 dicembre) e El Asalto al Cuartel Moncada (13 e 17 dicembre), non un tentato colpo di stato, ma il principio della Rivoluzione; 388 Artistas cubanos (13 dicembre), Que suerte tiene el cubano (13 e 17 dicembre), El pequeño dictador (15 dicembre), Habana, Hoy (16 dicembre), Tiempo 384. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 23, 24. 385. Lettera di Guevara, 29 settembre 1959, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 47. Queste le parole testuali di Guevara: “Estamos interesados en contar con su colaboración creadora en la preparación de uno o dos filmes (argumento y guión) y de la supervisión de todos nuestros planes”. 386. Stefania Parigi, “L’officina cubana”, in Bianco e Nero, A. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 68. 387. “El premio gordo”, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 37-38, c. 37. Inedito. 388. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 23.

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muerto (16 dicembre), La prensa amarilla, soggettino noto anche come El Director (17 dicembre), che tratta dei giornali che scrivevano articoli di fondo a favore di Batista, giornali che oggi scrivono contro Fidel.389 Nella seconda metà di dicembre, prendono in considerazione anche i soggetti di Cowley, Asalto a Palacio, Revolución en Cuba, il documentario ideato da Zavattini, poi anche Cándido, William Soler, ¿Quien es?, Romeo y Julieta, sullo schema scespiriano, ma contro il razzismo, di cui s’è detto. Parlano del film satirico su Trujillo il dittatore di San Domingo, amico di Batista. Ma Zavattini propone loro di spostare il tiro; ridicolizzare gli ultimi giorni di Batista che si esercita a preparare la propria fuga, pronto per scappare, come i pompieri. Zavattini lo immagina nel momento in cui salta giù dal letto d’oro, dopo molte prove alla Fregoli, il trasformista italiano. E propone una scena in cui Batista è al telefono con l’amico despota e che cerca di impietosire Trujillo, facendogli sentire la voce della moglie e dei figli.390 Nel valutare le idee che gli vengono sottoposte, Zavattini combina l’analisi critica all’insegnamento, dimostrando come fare per realizzare un soggetto, con un esame attento di ogni idea e vagliando tutta una serie di possibilità per realizzarla. Incoraggia il gruppo a chiedersi: quali le considerazioni più importanti? Quali le linee direttive? Su cosa puntare? Ma non si tratta solo di una questione tecnica: A Cuba si dovrebbe andare ancora più avanti del Neo-realismo, perché la Rivoluzione è posteriore alla caduta del Fascismo, in altre parole perché nella Rivoluzione i cubani attraverso il cinema dovrebbero riuscire a riconoscere i punti critici dello sviluppo dell’uomo moderno, a superare in breve la fase “descrittiva” del fenomeno. [...] L’importanza di Cuba sta nell’aver riproposto modernamente i più vecchi contrasti, debole e potente, ricco e povero, piccola e grande nazione: tutto ciò pareva relegato nel medioevo e invece avviene oggi, e l’arte – si interroga Zavattini – ci ha forse aiutati a sentirne in fondo la gravità? Io dico modestamente di no. Vaghi metri di pellicola, qua e là, sparsi in mezzo secolo di lavoro sporadico, quando invece la miseria, il latifondo, la mortificazione e il male sono lunghi e costanti. Erano qui. Ma ci sono i nemici che come gatti vengono avanti nel buio, tutti gatti democratici. E qualche giovane ha prima di tutto dei problemi di gusto. La parola Rivoluzione gli sa di plebeo, e si dice paladino di una libertà più alta del solito, che solo l’artista rintraccia coi delicati polpastrelli.391 389. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 23. 390. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 24. 391. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 26.

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A Zavattini piace La Invasión: «È un gran tema: contiene motivi popolari, la lotta, i sacrifici, la vittoria finale. C’è tutto», scrive nella sua valutazione. Propone di farne un film-diario: Film su Castro, senz’altro di portata internazionale. Importante che si senta la presenza di Fidel, anche se non lo vediamo sullo schermo. Esposizione chiara dei fatti, resi accessibili a un pubblico che li ignora. Sarà importante ottenere la documentazione dei fatti.392

Ma si trova sotto pressione costante. Fa sapere all’amico italiano Gaetano Afeltra: «Io devo parlare, inventare, vedere, udire per 8 ore tutti i giorni, ho l’obbligo di essere sempre a cazzo ritto».393 In questa prima fase intensa, con un ritmo di riunioni quotidiane, i cubani presentano e difendono i loro spunti per ben diciassette soggetti, alcuni già noti a lui come traccia iniziale.394 Quando si occupano di Tiempo muerto, il soggetto che risale, insieme a Cuba baila, al 1955, piuttosto che consigliare che si mostrino solo gli effetti nei film, lo scrittore italiano enfatizza la ricerca delle cause: È un tema interessante, utile, che potrebbe essere compreso e distribuito all’estero e a Cuba a favore del movimento rivoluzionario. T‹iempo› m‹uerto› dimostrerà la situazione del lavoratore durante la dittatura che era pessima. Ci sarebbe poi da fare la domanda: e oggi? E vedremo come questo stato di cose sia stato trasformato, cambiato. Con ciò, abbiamo in 392. “La invasión”, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/6, c. 26-28. Inedito. 393. “A Gaetano Afeltra, 29 dicembre 1959”, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 219. 394. Atentado a Cowley (L’attentato dal governatore di Holguìn). Prensa Amarilla (storia scritta da Manuel Octavio Gómez sulla campagna di stampa anti-rivoluzionaria e la presa di coscienza di un giornalista). La invasión (La guerriglia capeggiata da Fidel, Che Guevara e Camilo Cienfuegos nel 1958). El asalto al cuartel Moncada (L’attentato coraggioso del 1953 che diede luogo al nome del «Movimento 26 luglio»). Asalto a Palacio (guerriglieri assaltano il palazzo del dittatore). Habana, hoy (L’Avana contemporanea in un film-inchiesta zavattiniano). Romeo y Julieta (razzismo a Cuba). Que suerte tiene el cubano (vicenda di una coppia ambientato a Cuba sotto la dittatura di Batista). El pequeño dictador (Satira su base di fatti realmente accaduti su Batista e la sua fuga). Cándido (campagna di alfabetizzazione in un paese a maggioranza analfabeta). Artistas cubanos (sulla commedia dell’arte cubana in tre attori e maschere tipiche). William Soler (Processo ad un assassino di Soler, un quattordicenne). El premio gordo (gioco d’azzardo sotto Batista). Color contra color (Pittore figurativo e uno astratto discutono di arte e sociale durante il periodo di clandestinità). ¿Quien es? (razzismo nel caso della scoperta d’un morto). Tiempo muerto (la vita di tutti i giorni tra raccolto e raccolto stagionale). Revolución en Cuba (film-inchiesta zavattiniano. Il soggetto percorre le tappe principali della rivoluzione nei fatti). Parigi, “L’Officina cubana”, 63-72.

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mano il cinquanta per cento del proposito di questo film potenziale; in altre parole, mostrare la situazione negativa imperante durante l’era di Batista e quale cambio radicale e favorevole (al lavoratore) ci sia oggi. Il soggetto è buono, ma non è il migliore di tutti, perché non può tradurre in immagine il cambiamento. È giusto fare un film che mostri gli aspetti negativi del paese, a patto che si faccia con il proposito che questi siano superati o in via di superamento. Qualsiasi film che contribuisca a capire quali siano le cause che vadano sradicate è rivoluzionario.395

Oltre a José Massip che ha il ruolo di coordinatore delle riunioni e di persona responsabile per la documentazione delle sedute, tramite registrazioni al magnetofono, e della traduzione in spagnolo e trascrizione, parteciperanno al Seminario Zavattini il critico Guillermo Cabrera Infante, lo scrittore Jaime Saruski, Manuel Pérez e Fausto Canel, che esordiranno come registi, Humberto Arenal, Mercedes Cortázar, Amaro Gómez, José Hernández, Óscar Torres, Manuel Octavio Gómez, René Jordán, Néstor Almendros, mentre il Direttore dell’icaic, Alfredo Guevara, viene tenuto al corrente da Zavattini che lo incontra spesso in questi mesi, Eduardo Manet, futuro critico cinematografico e anche lui, come Massip, socio fondatore di Nuestro Tiempo come Álvarez, il quale però si occupa di tutt’altro all’icaic, e cioè del cinegiornale di propaganda. Per questo motivo, non partecipa alle riunioni sui film a soggetto o documentari.396 Il materiale si divide grosso modo in due: da una parte le idee legate alle operazioni militari quali L’Assalto del Moncada, L’Assalto del Palazzo (eseguito dal Directorio Revolucionario, l’organizzazione clandestina studentesca), i Due anni nella Sierra, Lo Sbarco del «Granma», La Battaglia di Guisa, L’Attentato a Cowley, La Morte di Frank País e La Fuga di Batista, episodi qualificanti della guerriglia, che dimostrano le qualità dell’Ejército Rebelde, dall’altra, soggetti di carattere sociale, come La prensa amarilla, la storia della presa di coscienza di un giornalista, in cui l’argomento politico viene affrontato di sbieco; Habana, Hoy, filminchiesta sulla capitale, e infine tanti soggetti sui problemi razziali di una cultura divisa in due fra etnie diverse, problemi che il nuovo governo rivoluzionario vuol affrontare da subito, varando una legge contro la segregazione dei neri.397 Artistas cubanos, sul teatro tradizionale cubano, 395. 16 dicembre 1959, Tiempo muerto, in Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 58. 396. Guevara descrive Zavattini in queste riunioni in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 287-296. Si veda la citazione più oltre. 397. Zavattini, “Martí è il simbolo della Rivoluzione. Cuba 1960”, Paese Sera, venerdì 22 aprile 1960.

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il teatro buffo, costituito da tre personaggi: el negrito, el gallego, e la mulata, che rappresentano la composizione etnica della popolazione; Romeo y Julieta e ¿Quien es? (a quale gruppo etnico appartiene il morto ammazzato trovato in fondo ad un precipizio?). Soggetti sul come il capitalismo entri nelle case tramite la televisione, incoraggiando una visione reificata del mondo in cui tutto si riduce a prodotto, inclusi i rapporti umani e le persone stesse, ¡Que suerte tiene el cubano!, oltre a un soggetto sul problema dell’alfabetizzazione: Cándido. Di Cuba baila non se ne parla. Andrà presto in lavorazione, mentre finiranno per scartare Tiempo muerto, il film, come s’è detto, sulla vita durante i lunghi mesi di disoccupazione fra raccolto e raccolto del monocultivo, lo zucchero prodotto base dell’economia cubana. In questi primi venti giorni, l’orientamento, «l’ambientazione storica», come la chiama lui, si accompagna alla disamina dei soggetti e ad un confronto dialettico e didattico.398 Sono giornate dedicate allo scambio, alla discussione di nuove formule per fare documentari, notiziari, lungometraggi che possano far comprendere al mondo la realtà di una Cuba piena di attese, durante una dinamica di cambiamento, di analisi di progetti che riassumano problemi storici, politici, sociali, nonché artistici.399 Alla cernita si accompagnano gli scambi faccia a faccia fra Zavattini e i cubani dell’icaic, per affrontare il problema di come raccontare la storia recente del loro paese. Il suo primo consiglio lo ha già dato: evitare la retorica. Anche il secondo: evitare di generalizzare, badando al concreto. Compito di Zavattini è quello di stabilire dei criteri di scelta e di metodo nell’affrontare la storia contemporanea e soprattutto evitare la retorica, coerentemente con la linea originale del Neo-realismo storico che in questo si distingueva nettamente dal realismo idealista stalinista o sovietico: Non potevo certo meravigliarmi, una volta arrivato a Cuba, del contenuto politico dei soggetti che l’icaic aveva scelto di produrre. Visto che, bene o male, si tratta di cinema, vale a dire, di un mezzo la cui funzione più urgente è comunicare con le grandi masse.400

398. Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990), 39-45; 44. 399. Zavattini, citato da Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990) 39-45; 44. 400. Zavattini, “Un’intervista con Zavattini, a cura di Héctor García Mesa e Eduardo Manet”, Cine Cubano n. 1, 1960.

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Ogni idea riceve la stessa attenzione e lo scambio di pareri fra sceneggiatore e scrittori alle prime armi.401 Ma con quale criterio? Che fare? scartare i temi? No. Chiedersi piuttosto come trasformarli in racconto. Altrimenti, si finirebbe per realizzare una mera ripetizione imitativa, priva di analisi, propaganda insomma: Saremmo stati testimoni, allora, di una serie di racconti nati spontaneamente dal bisogno di ripetere a se stessi che quegli avvenimenti erano tanto importanti quanto la vita stessa, che erano degni del nostro tempo; che qualcosa di nuovo stava accadendo dentro di noi.402

Al Seminario Zavattini, José Hernández, riflette sulla propria: crisi di crescita iniziata nei due mesi che ho lavorato con lei, il José Hernández che lei ha conosciuto – quello della propaganda evidente, dei cliché, gli estremismi unilaterali e altri peggiori difetti – lo sta assassinando spietatamente un José Hernández che cerca come un disperato la totalità del suo essere per esprimerlo senza paura.403

La proposta di Zavattini e il suo insegnamento consiste piuttosto nell’evitare la propaganda, invitando i presenti a creare una forma narrativa diversa. Il principio è semplice: i fatti bisogna «raccontarli in maniera che appaiano il più lontano possibile. Questo è il compito dell’artista».404 In altre parole, raccomanda di arrivare al fatto di sbieco: Non parlarmi direttamente della Caserma Moncada, ma parlami della profondità di questa nuova realtà, delle cose che hanno portato a questo cambiamento. I sentimenti che oggi hanno provocato la Rivoluzione a Cuba, che ieri avevano provocato la Resistenza in Italia, che determinano la situazione in Algeria.405

Sin dall’inizio, il Nuovo Cinema Cubano si prospetta, grazie a Zavattini, come cinema analitico, molto radicato nel documentario, ma inteso in modo nuovo, di modo che l’immaginazione crei dei meccanismi per dare 401. Massip, “Cronaca cubana”, 53. Le sessioni, precisa Massip, furono registrate. Si tratta dei cosiddetti Soggettini cubani che si trovano nell’Archivio Zavattini: ACZ Sog. NR 27/6-7. 402. Zavattini, “Un’intervista con Zavattini”, Cine Cubano n. 1, 1960. 403. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedito. 404. Zavattini, “Un’intervista con Zavattini”, Cine Cubano n. 1, 1960. 405. Zavattini, “Un’intervista con Zavattini”, Cine Cubano n. 1, 1960.

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un senso e un punto di vista ai fatti raccontati, per creare un distacco che consenta l’analisi. Per questo Zavattini rifiuta La prensa amarilla di cui gli parlano i cineasti dell’icaic, nella sua camera d’albergo numero 615: ribollenti di collera contro i giornali stranieri e qualcuno cubano che colmi e tenaci, come sono i cattivi, diffamavano la Rivoluzione. Parrebbe dai loro sfacciati articoli che ci sia ancora nel palazzo presidenziale Batista a proteggerli col sorriso cinico che su Life si mostra cordiale approfittando della volenterosa ospitalità offertagli dal più grande settimanale del mondo. Sgobbammo quattro o cinque giorni intorno a La prensa amarilla ma il dubbio di cadere nella tesi, nella cruda propaganda, a un tratto ci scoraggiò.406

Zavattini racconta il soggetto ¿Quien es? Ho lavorato coi giovani dell’Istituto del Cinema Cubano, per qualche giorno, intorno all’idea di un corpo scoperto per caso in un tombino nel mezzo di una piazza a la Habana, un mese prima che arrivasse l’Ejército Rebelde. Si intravedeva in fondo allo stretto buco solo che era un corpo. Di un cino, di un mulatto, di un bianco, di un negro? Prima ancora che si riuscisse a tirarlo sù, si veniva a sapere che qualcuno, passando davanti al quartel della polizia, quella notte aveva gridato “merda”, poi era scappato, ma lo avevano raggiunto e ficcato nel tombino con molte pallottole in corpo. Le guardie fingevano di ignorare tutto aggirandosi fra i commenti ora timidi ora arditi che davano un quadro degli stati d’animo e degli interessi in quella vigilia. Alla fine, dopo che il corpo era parso negro, bianco, giovane, vecchio, e si erano avvicendate le disperazioni ‹–› di chi credeva di ravvisare in quel corpo un familiare o un amico ‹–› e le speranze, si vedeva che era un negro. Ma non ricordo perché abbandonammo un argomento così suggestivo per il contenuto e la forma; lo avremmo svolto con il tempo reale, e si era già scelto il luogo, un incrocio di vie vicino al porto dove risuona di continuo la voce di un altoparlante che chiama al lavoro gli scaricatori con il loro nome e cognome. [...] È la vita durante il clandestinaje che si sarebbe voluto vedere, il faticoso germogliare di un sentimento di solidarietà, di unità.407

406. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 444; “Roma 14 aprile 1960”, Diario cinematografico, 462. 407. ibidem, 444.

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1.25 Pedinamento nel 1959 Ma la scrittura non avviene tutta in camera chiusa, ma anche per strada, dove Zavattini parla con tutti quelli che incontra. A proposito del pedinamento zavattiniano, osserva Manuel Octavio Gómez, l’autore del soggettino La prensa amarilla, che «camminare da qualsiasi parte con Cesare Zavattini si converte in un’esperienza sorprendente. Il quotidiano acquista nuovi valori; i fatti minimi, visti da lui, assumono proporzioni tali da riempire tutto un film».408 Per un riscontro, basta seguire i movimenti di Zavattini durante i suoi primi venti giorni a Cuba. Sabato 13 dicembre si reca al carcere militare, la fortezza di La Cabaña nella capitale, per incontrare i condannati a morte. Sono 17 in camerata. Ne incontra uno, l’aviatore che portò in salvo Batista il 31 dicembre del 1958. Chi accompagna Zavattini lo invita a fargli delle domande. Lo guarda, ma non se la sente. Chiede ad un capitano se ha famiglia: «moglie e due figlie».409 Viene a sapere che l’uomo aveva partecipato anche al golpe a San Domingo nel Trinidad. Entra nella cella di tortura ai tempi del regime di Batista e finalmente esce all’aria aperta dove i carcerati in cortile bevono la Coca Cola. Gli si para davanti El Paredón, il vecchio muro della fucilazione dei condannati nel passato.410 Si avvicina a guardarlo attentamente, come in un primo piano, e fa caso ad un dettaglio trascurabile: I segni delle pallottole si confondono con le screpolature fatte dalla natura fra le quali spuntano minuscole pianticelle così tenere che una mi si sfece tra le dita come una farfalla.411

Poi, alle quattro del pomeriggio, va in un cinema al Campo Libertad per ascoltare Fidel testimoniare in uno dei più importanti processi del 1959, contro circa quaranta ufficiali militari. Rimarrà fino alla fine, alle quattro del mattino, immergendosi nell’atmosfera, e osservando tutto, volti, comportamenti. Quando arriva Fidel per testimoniare contro l’imputato Herbert Matos, che aveva detto che il Comunismo si stava infiltrando nella Rivoluzione cubana, e che era subito trasformato in vittima dalla 408. Manuel Octavio Gómez, “Jovenes cineastas opinan sobre Zavattini”, Cine Cubano, n. 1, (1960), 43. 409. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 444. 410. “Zavattini “Varios”, in Note di lavorazione, 3 gennaio 1960, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 63-68, 68. Inedito. 411. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 450.

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stampa reazionaria, e nota la reazione del pubblico e si ricorda le donne che porgevano i figli a Mussolini in mezzo alla folla nelle grandi adunate.412 Approfitta del fatto che abita lontano dal centro per parlare con gli autisti durante il viaggio, coi barbieri e lustrascarpe, col personale del suo albergo dove «una guardarobiera mi ha riassunto la nuova situazione del suo paese nel modo meno retorico: “Prima non c’era più nessuna speranza, e ora si può almeno sperare”».413 In ogni situazione, interagisce, chiede, e riflette, descrive, annota i momenti significativi, tutto per la documentazione. In Centro, si imbattono per caso nel figlio, Arturo Zavattini e il direttore della fotografia Otello Martelli e tutti insieme decidono di andare a mangiare, alle 4.30 di notte. Parlando con tutti e chiunque, scopre che a Cuba adesso, non solo tutti si interessano di politica, ma «con la precisione di chi comincia a prendere gusto al proprio processo di emancipazione, alla propria storia».414 Il giorno dopo, lunedì 15 dicembre, riprendono il lavoro. Hanno completato l’esame delle idee iniziali e ora Zavattini racconta le sue impressioni al processo di Herbert Matos del giorno prima. È una dimostrazione di come iniziare a scrivere a partire dalla realtà che si incontra, avendo già in mente solo una vaga idea di soggetto. Il 16 dicembre torna in Centro, e visita un locale da ballo, ma come sempre, non si ferma alle prime impressioni. Entra in contatto con la gente con le sue proguntas. Coglie la differenza fra cultura e sottocultura, cultura segregata dei neri, delle due religioni, quella cristiana e la Santería, parlano del razzismo e riflette su come la Rivoluzione potrebbe affrontare il problema. Legge, legge, legge. La stampa locale, libri prestati, saggi su Cuba. Ma vuole un contatto personale, a tu per tu. Il 20 dicembre un aereo lo porta a Santiago de Cuba all’estremo orientale dell’isola, dove si erge la Sierra Maestra. Visita la strada in cui i poliziotti di Batista ammazzarono Frank País il 30 giugno del 1957.415 A Santiago riesce a incontrare un testimone oculare: una signora che gli racconta questi fatti con «una voce calma e sincera» mentre la gente che fa capannello intorno a loro aggiunge chi un dettaglio, chi un altro. «Uno indicava il muro, un altro recitava la parte di Frank País che scende lungo la strada».416 La testimone oculare: 412. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 27. 413. Zavattini, “Martí è il simbolo della Rivoluzione. Cuba 1960”, Paese Sera, venerdì 22 aprile 1960. 414. ibidem. 415. Zavattini, “Addio Avana. Cuba 1960”, Paese Sera, sabato 30 aprile 1960. 416. ibidem.

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racconta stando dietro i ferri della finestra. Dice che veniva giù da quella strada: “La polizia gli girava intorno da ore, uscì da una casa trenta metri più in su, guardi, sbucò di colpo una camionetta, c’era sopra il capo della polizia, Cañizares: “È lui”, gridò Cañizares. Si è udito subito il mitra. Frank País corse da quella parte, lo colpirono subito, trascinarono il corpo davanti a quel muro, gli misero una rivoltella in mano, lo lasciarono. Andammo nella Plazita, una piazzetta con le panchine e i rumori delle piazzette intime, qualche ragazzo che gioca, due fidanzati che ridono. Frank País e altri giovani si riunivano qui. Nel ’56 tentarono un sollevamento, quando Fidel stava sbarcando dal Granma, andò male. In questa piazzetta, sotto una lapide piena di giovani assassinati da Batista, ho pensato a un film Revolución en Cuba.417

Alla storia orale raccolta da Zavattini in loco, segue una riflessione sul come filmare un argomento del genere.418 Il problema è quello di metodo: come inquadrare un evento storico, anche se di storia contemporanea si tratta, sul limite estremo tra storia e cronaca? Zavattini pensa ad un filminchiesta: «raccontare la Rivoluzione percorrendone le tappe principali, ricostruendo, come è avvenuto con quella signora poco fa».419 Quindi un lungometraggio documentario, ma girato dal punto di vista di uno straniero, il suo, durante un viaggio attraverso l’isola, partendo dalla capitale, per andare a Santiago, al Quartel Moncada, e ricorrendo le tappe della Rivoluzione «con l’aiuto della gente»;420 un film partecipato, scritto a più mani, tanto dai testimoni cubani quanto dal cineasta italiano.421 Vicino alla Mercedes, l’accampamento ai piedi della Sierra Maestra, vede coi suoi occhi i soldati e gli ufficiali dell’Ejército Rebelde costruire scuole per combattere l’analfabetismo e una città dove prima c’erano solo caserme. La gestiscono dei giovani dai venti anni in su. Incontra le ragazze Rebeldes, che ora lavorano al censimento. Ma ora si preparano per una festa. Si vestiranno in borghese, dopo otto mesi in divisa grigioverde e scarponi. Zavattini diventa partecipe dei loro preparativi e osserva, ascolta, annota:

417. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 457-458. Zavattini scrive Revolución a Cuba, rispettando l’accento spagnolo, ma sostituendo la preposizione spagnola con quella italiana. 418. ibidem, 458. 419. ibidem, 448. 420. ibidem, 444. 421. ibidem, 444.

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Si preferiscono ai civili, e non è amore per la divisa, non c’è più il mito dell’esercito, è un’altra cosa, si sentono come gli altri, ma la gioia di aver vinto è ancora fresca, hanno il diritto di essere così felici. [...] Hanno combattuto, sparato, seppellito morti, faticato tanto, e ora si sposeranno, due sono fidanzate.422

A Revolución en Cuba, questo soggetto non realizzato, uno dei più belli, gli si addice il tema del viaggio, metafora della conoscenza, ma radicato nella storia orale, idea che risale a Italia mia, sviluppato in un secondo momento in Cuba mía e soprattutto México mío:423 Un film inchiesta di uno straniero, come io sono – scriveva Zavattini – che viene a Cuba, e parte dalla capitale poi va a Santiago, al Quartel Moncada, e, da là, comincia il suo viaggio, ricostruisce con l’aiuto della gente. Quali tappe? Ora non so. Lo saprò fra un mese.424

«Vorrei far sentire i commenti della gente, che indica, che spiega, che fa rinascere quei fatti».425 È questo il pedinamento, in sostanza. Entrare nei fatti, e farli parlare, filmare il fatto vissuto, raccontato dal coro, dai testimoni, e riscontrato nella ricostruzione orale in cui un secondo testimone, il cineasta, ascolta con pazienza e senza protagonismi. Filminchiesta moderno, diverso, in quanto la distanza fra spazio reale di vissuto e spazio virtuale dello schermo si infrange o si complica, nel momento in cui si ponga in primo piano l’esperienza individuale, tentando una forma diversa di oggettività che nulla ha a che vedere con l’eredità del cinema documentario oggettivo griersoniano (con tanto di voce di Dio super partes e fuori campo). Zavattini vuole conoscere i ragazzi di persona, guerriglieri giovanissimi, per raccogliere le loro testimonianze.426 Si fa condurre alla Caserma La Cabaña dove chiacchiera con un joven Rebelde di diciasette anni, per poi visitare la fortezza El Morro, vecchia prigione dell’era coloniale sotto la dominazione spagnola, dove fu incarcerato Martí. Nell’Avana Est, cammina fra i nuovi appartamenti per operai costruiti dall’inav. Alla 422. Zavattini, “Castro stringe i freni per il rhum e il casinò. Cuba 1960”, Paese Sera, mercoledì 27 aprile 1960. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 35. 423. ibidem, 444. 424. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, 33. 425. La frase e il passo seguente non si trovano nella versione di “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 2002, ma in Parigi, “L’officina cubana”, 69-70. 426. Zavattini, “La “Reforma” di Fidel. Cuba 1960”, Paese Sera, sabato 23 aprile 1960.

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Calle Cristina c’è il Mercadeo Unico e lì Zavattini si ferma a parlare con un venditore nero che gli dice: «se Fidel sposasse una negra, la questione razziale farebbe un passo avanti di mezzo secolo».427 Per sposarsi una bianca lui ha dovuto abbandonare l’Atenas, il suo club, e lei il suo per bianchi. Visita il Central Toledo, una fabbrica per la lavorazione dello zucchero a mezz’ora dall’Avana e proprietà della famiglia Aspuru, una delle tre famiglie più grandi a capo dell’industria, dopo Julio Lobo e le multinazionali americane.428 Entra in casa della famiglia di un macchinista nella lavorazione della canna da zucchero, morto da un anno e mezzo. Una ragazza che ha collaborato al documentario sulle cooperative, una maestra, gli dice che lei fa parte del gruppo Pro-Reforma Agraria del Comitato Centrale, costituito dall’inra, l’istituto che gestisce la Riforma Agraria. Si mette a parlare con un tale che ripara le carrozze della ferrovia. Alla Dirección de Cultura del Ejército Rebelde, c’è un ragazzino che legge un libro sulla storia di Cuba. Zavattini lo ascolta mentre gli racconta della sua esperienza nella guerriglia e come aveva ottenuto la sua arma da fuoco.429 Incontra Fidel varie volte. Al cenone di Capodanno, Zavattini, Alfredo Guevara e molti altri cenano insieme a lui. Assiste all’inaugurazione del Carnevale cubano lungo il viale del Prado alle nove di sera e ci rimane fino alle quattro del mattino. Ci sono anche Fidel e il Presidente della Repubblica, Dorticós.430 Per strada, incontra il poeta Nicolás Guillén.431

1.26 La sceneggiatura Durante questa prima fase del lavoro collettivo lo scrittore italiano ha vagliato insieme al gruppo del Seminario Zavattini tutti i soggetti sottoposti al suo giudizio preparati dai cubani. Il criterio di scelta riguarda i fatti di cronaca che, per quanto importanti in sé, nel pensarli come cinema, richiedono comunque una resa artistica. Ma le discussioni sui soggetti possibili viene interrotto. Zavattini farà un intervento preciso 427. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 454. 428. Zavattini, “Martí è il simbolo della Rivoluzione. Cuba 1960”, Paese Sera, venerdì 22 aprile 1960. 429. ibidem. 430. Zavattini, “Castro stringe i freni per il rhum e il casinò. Cuba 1960”, Paese Sera, mercoledì 27 aprile 1960. 431. Zavattini, “Martí è il simbolo della Rivoluzione. Cuba 1960”, Paese Sera, venerdì 22 aprile 1960.

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sulla sceneggiatura.432 «È la cosa più facile al mondo». Un esordio ad effetto che stupisce tutti, incluso il coordinatore fra la struttura dell’icaic José Massip e Zavattini. E come se non bastasse, aggiunge: «la tecnica non esiste». In poche settimane, ne è convinto, tutti sapranno come creare dei copioni. Rincara la dose: Quando me ne andrò da Cuba, voi saprete tutto quello che so io. Davvero, vi dico che tecnicamente non so nulla. E non capisco perché alcuni giovani abbiano paura della tecnica di sceneggiatura.433

Come avrà fatto Massip a non pensare alle tante ore trascorse insieme ai cineasti di Tiempo Nuestro a ricercare, dibattere, scrivere soggetti, durante la sua visita precedente a Cuba? Ma Zavattini smitizza l’aspetto tecnico, proprio per dar peso ad un altro fattore più importante: l’impegno dell’artista in un momento storico molto particolare, eccezionale, e paragonabile, ma solo in piccola misura, alla Resistenza in Italia: il primo e il migliore corso tecnico che si può fare è quello di una Rivoluzione come la vostra. Da qui possono scaturire i migliore elementi, le migliori condizioni per scrivere magnifici copioni. Il modo di farlo, la parte tecnica si acquisiscono in poche settimane. Ma senza il corso rivoluzionario la sceneggiatura buona e interessante non verrà mai fuori, per quante tecniche si studino.434

L’anno a venire, arriveranno altri cineasti comunisti a Cuba, tra cui Joris Ivens, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e il critico francese Georges Sadoul.435 Ivens, invitato ufficiale del governo cubano, come Zavattini, dirà loro la stessa cosa. La Rivoluzione vi farà da guida: Se mi consentite di dare un consiglio ai giovani cineasti cubani, direi che questa è la miglior lezione di cinematografia per voi. Dimenticatevi i problemi tecnici o di stile. Questi verranno col tempo. La cosa importante è di permettere alla vita di entrare nei vostri studi, di modo che non diventiate burocrati della cinepresa.436 432. Zavattini, “Come si scrive una sceneggiatura” in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 102-103. 433. ibidem, 102. 434. ibidem, 102. 435. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedito. 436. Joris Ivens, “Joris Ivens en Cuba”, in Cine Cubano n. 3, novembre 1960, 22.

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Per Zavattini e, in un secondo momento, per Ivens, l’esperienza di non trovarsi all’esterno, ma proprio dentro una situazione del tutto eccezionale, un evento, non può che costituire l’insegnamento migliore ed insostituibile. Louis Althusser direbbe che l’artista viene interpellato dalla Rivoluzione.437 Per evento, si intende uno dei momenti della storia nel suo farsi, che ne interrompe il suo divenire e ne costituisce la sostanza. È stato Hegel ad aprire il pensiero all’evento nella Scienza della logica, laddove, per evento s’intende proprio quell’isolare dal flusso del tempo uno di quei momenti qualificanti.438 Non bisogna confondere un evento con un «avvenimento». L’evento, estrapolato dagli avvenimenti episodici, è l’elemento portante. Senza sorpresa, non ci può essere evento, perché se fosse atteso, non sarebbe un evento propriamente detto.439 Più pertinente, il modo in cui Walter Benjamin intende la rivoluzione; un avvenimento straordinario, che potrebbe condurre all’emancipazione, ma non è detto, un evento che interrompe il flusso uguale della concezione del tempo lineare occidentale o circolare dell’antichità greca, lo stacco dello zetztzeist, il tempo di ora, del momento presente, spiegato da Walter Benjamin nelle Tesi sulla filosofia della storia.440 Tale è la Rivoluzione e da tutto quello che Zavattini dice e scrive, si intende che egli la Rivoluzione la intenda come evento, «il cuore dei fatti», di cui scrive all’editore Bompiani, fatti contraddistinti da «questa tensione, questa incandescenza»: Sono nel cuore di fatti che rispecchiano i miei sentimenti più vecchi e buoni, la lotta del piccolo contro il grande, la terra ai contadini, le espropriazioni di quelli arrichitisi malamente sotto Batista, una città per 20,000 figli di contadini, forse te l’ho già detto, che scenderanno dalla Sierra e studieranno. Là stanno pubblicando e i soldati, gli ufficiali stessi, lavorano come muratori.441 437. Gary Wilder, Freedom Time. Negritude, Decolonization and the Future of the World, Durham e Londra: Duke University Press, 2015, 129. Per la nozione di interpellazione, si veda Louis Althusser, “Ideology and Ideological State Apparatuses”, in Louis Althusser, On Ideology, Londra e New York: Verso, 2008, 1-60. 438. Jean-Luc Nancy, “The Surprise of the Event”, in Stuart Barnett (a cura di), Hegel After Derrida, Londra e New York: Routledge, 1998, 91-104; 93. 439. Nancy, “The Surprise of the Event”, 93. 440. Walter Benjamin, “Theses on The Philosophy of History” in Illuminations, edited by Hannah Arendt, translated by Harry Zohn, London: Fontana Press 1992 [1940], 245-255. Per la storia del tempo e il contributo di Benjamin, si veda Giorgio Agamben, “Tempo e storia”, in Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Torino: Einaudi, 2001 [1978], 95-111 e Michael Löwy, Fire Alarm. A Reading of Walter Benjamin’s ‘Theses “On the Concept of History” ’, Londra e New York: Verso, 2016. 441. Lettera di Valentino Bompiani a Zavattini, [Cuba], 29 gennaio 1960, Cinquant’an-

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In “Come si scrive una sceneggiatura” ancora Zavattini spiega al suo Seminario che se il cinema è cambiato, lo si deve alla partecipazione degli artisti e quindi, in quel contesto, spetta agli artisti adoperarsi per un Nuovo Cinema Cubano e, sempre agli artisti di decidere di giocare un ruolo nella trasformazione del paese dopo la Rivoluzione. Ma Zavattini si schiera contro l’esaltazione idolatra di stampo francese degli autori o della scrittura: infatti dice che il cinema «può essere fatto da chiunque abbia qualcosa da dire».442 Dopo la provocazione, l’ammissione: «la tecnica è un problema di tempo, di esperienza, di lavoro».443 Il nucleo del discorso è che i cubani si trovano in una situazione molto particolare per cineasti: infatti, ora, nel nuovo contesto del paese, possono fare un’arte informata dalla realtà politica e sociale del paese, senza doversi preoccupare della censura ufficiale che non c’è più.444 Quindi, conclude che non devono lasciarsi sfuggire questa occasione in cui si possono esprimere liberamente, e mantenendo, oltretutto, la propria autonomia critica. Ne ha parlato diverse volte, sin dal primo giorno. Ha ribadito più volte la necessità di creare nei copioni una certa distanza dai fatti, adottando un cinema di poesia, ma un cinema che si fondi sull’analisi, sulla ricerca sul posto e senza mai abbandonare l’autonomia critica.

1.27 Rapporto per l’icaic, 1960 Il 3 gennaio, il coordinatore del Seminario Zavattini Massip consegna al Direttore dell’icaic, Alfredo Guevara, un Rapporto ufficiale sui risultati del loro lavoro, dall’11 dicembre fino al 2 gennaio. È una «revisione panoramica della situazione». 445 Riferisce che entro il 2 gennaio, il gruppo ha terminato il vaglio delle idee cubane per eventuali soggetti, oltre a discutere nuove formule per documentari, notiziari, lungometraggi, eseguendo una cernita di progetti per identificare quelli più indicati per far comprendere al mondo lo stato attuale; un paese nel bel mezzo di una dinamica di cambiamento; la realtà di una Cuba piena di attese. L’elenco di storie per soggetti si suddivide in due liste. La prima comprende tre idee per documentari. Sono soggetti originali di Zavattini ni e più... Lettere 1933-1989, 315-323. 442. Zavattini, “Come si scrive una sceneggiatura”, 103. 443. ibidem, 103. 444. ibidem, 102-103. 445. Zavattini e Massip, “Rapporto, 3 gennaio 1960”, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 64-65. Inedito. Il testo completo tradotto in italiano si trova nella Seconda Parte.

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che scartano la ricostruzione dettagliata degli eventi raccontata in modo lineare, linea proposta da García Ascot, da Guevara e Gutiérrez Alea, proponendo piuttosto un racconto soggettivo e personale, diaristico, e molto moderno, di cui si ritroveranno le tracce nel famoso Memorias de subdesarrollo (1968) di Tomás Gutiérrez Alea. Las Muchachas Rebeldes e ¿Quien es? nascono dagli incontri e pedinamenti di Zavattini a Cuba. E anche il terzo, Revolución en Cuba concepito come documentario filminchiesta, presuppone il punto di vista dello straniero.446 Seguono temi suggeriti dai cubani prima del suo arrivo: la satira El pequeño dictador, il documentario Habana, Hoy (Un día en la Habana). Il secondo elenco comprende: ¡Que suerte tiene el cubano!, El premio gordo, El Asalto a Palacio, Tiempo muerto e La Invasión. All’ultimissimo posto, La prensa amarilla, che tratta della stampa borghese. Il gruppo ha tentato invano di seguire due strategie: da una parte, farne un soggetto satirico, dall’altra, scrivere un’alternativa in chiave drammatica. La prensa amarilla, secondo Zavattini, meriterebbe di venire realizzato, ma solo se e quando riuscissero a trovar una logica ordinatrice. Il Rapporto riferisce che Zavattini ha presentato anche il progetto di un libro che dovrebbe contenere immagini e didascalie, come Un paese (1955), libro da lui realizzato, e frutto della collaborazione di Zavattini e del fotografo americano Paul Strand. Anche in questo caso è disposto a scrivere il testo che sarebbe un commento sui luoghi storici della Rivoluzione, scritto in modo da rievocare la storia. L’idea traduce in fotolibro Revolución en Cuba e Habana Hoy, due documentari in cantiere che sperano di realizzare. Come in quei progetti, anche nel libro come lo immagina lui, a differenza di Un paese, si susseguono una serie di campi e controcampi fotografici, mettendo a confronto vita in città e vita in campagna, i luoghi della storia rivoluzionaria e quelli della storia prerivoluzionaria. È la curiosità il motivo conduttore.447 Il nuovo programma, spiega Massip, sarà fondato sul metodo zavattiniano.448 Da ora fino alla fine di febbraio, il gruppo lavorerà al soggetto originale di Zavattini El Joven héroe, con l’intenzione di realizzare la sceneggiatura completa.449 Il soggetto si fa veicolo del 446. Nessuno dei tre figura negli elenchi che risalgono a prima del soggiorno di Zavattini. 447. “Zavattini “Varios: Libro presentado por Cesare Zavattini, ilustado con fotos y breves textos explicativos sobre Cuba y su revolución,” in Note di lavorazione, 3 gennaio 1960, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 63-68, 66. 448. Massip, “Cronaca cubana”, 54. 449. Zavattini e Massip, “Rapporto, 3 gennaio 1960”, Soggettini cubani, ACZ Sog. NR 27/7, c. 64-65. Inedito. Il testo completo tradotto in italiano si trova nella Seconda Parte.

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racconto della guerra di liberazione, della situazione reale del paese in quel periodo tramite la figura centrale di un ragazzo, evitando il film di propaganda, preoccupazione costante del cineasta italiano e contributo importante al taglio del Nuovo Cinema di questi anni.450 Massip trova convincente l’approccio di Zavattini che ha consigliato ai cubani di mantenere un equilibro fra arte e la necessità di storicizzare il presente, facendo un cinema impegnato, senza cadere nella propaganda, grazie alla mediazione della «poesia», intesa come dispositivo di distacco dagli eventi e optando per film a soggetto, in cui i contenuti si possono esprimere indirettamente. Stamani, e d’accordo con il programma stabilito, è stato definitivamente concluso il ciclo di studio dei vari progetti. Fra tutti questi, quello che sembra più valido da un punto di vista poetico è il tema di El Joven Rebelde, perché permette di mostrare come fu la guerra di liberazione e anche la situazione del paese in quel momento, ricorrendo a un personaggio che possiede una naturale forza comunicativa in quanto partecipa alla guerra con l’ingenuità, la freschezza e la fantasia proprie dell’adolescenza. Questo consentirebbe di girare un film che evita la propaganda.451

Intanto, Massip fa sapere ad Alfredo Guevara che il trattamento di El Joven Rebelde lo hanno affidato a José Hernández che ha scritto un centinaio di pagine. Verrà poi sviluppato in sceneggiatura da Massip assieme a Zavattini, lavorando di notte, e completato entro il 10 febbraio.452

1.28 Joven Rebelde, pedinamento La serie di colloqui con due gruppi di ragazzi nel corso del pedinamento, giovanissimi rivoluzionari combattenti, fra i 14 e i 18 anni, condotte il 30 e 31 dicembre, ha suggerito anche l’idea per un soggetto sui ragazzi che hanno imbracciato le armi per la patria.453 Per la base documentaria del soggetto, hanno sotto mano un’inchiesta fra le truppe dell’Ejército Rebelde da cui potrebbero trarre il materiale aneddotico per il film, come 450. Zavattini, “Informe” [Rapporto], ACZ Sog. NR 27/7, in Soggettini cubani, c. 64-68. 451. ibidem, 54. Si è preferito lasciare la frase in spagnolo in quanto ribelle in italiano non comunica la connotazione politica e militare dello spagnolo. 452. ibidem, 56. 453. Massip, “Cronaca cubana”, 54.

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aveva suggerito Zavattini a Guevara all’inizio del 1959.454 Un ragazzino unitosi ai Barbudos racconta il seppellimento in battaglia a Mina del Frío di cinque Rebeldes uccisi da una sola raffica di mitra e come lui, che non aspettava altro che il momento in cui gli avrebbero affidato un’arma, dovette fare la guardia ai cadaveri e scacciare le mosche.455 (L’episodio raccontato confluirà in uno dei racconti di Historias de la Revolución). Un altro giovane guerrigliero confessa che la prima volta che sparò il fucile il rinculo fu talmente forte da sospingerlo indietro di parecchi metri a furia di contraccolpi sulla spalla.456 Viene a sapere da un ragazzino dell’Ejército Rebelde che quando arrivò finalmente a Mina del Frío, a 2000 metri di altezza, per unirsi ai guerriglieri e disse loro: «sono qui, pronto a sparare», racconta Zavattini che «gli misero una scopa in mano e per di più lo mandarono anche a imparare a leggere e a scrivere perché era analfabeta».457 Questo episodio farà parte del film El Joven Rebelde, perché dimostra che una vera rivoluzione è disposta ad affrontare il problema dell’analfabetismo. Cinque o sei guerriglieri tra i sedici e i vent’anni, della caserma della Cabaña nell’Avana, raccontano come era stato distrutto nella Battaglia di Santa Clara il treno blindato di Batista e sopraffatti i cinquecento soldati a bordo.458 Zavattini si fa spiegare per filo e per segno dal Vice Comandante della caserma della Cabaña di appena diciannove anni come si era svolta la Battaglia di Trinidad.459 Secondo Massip, tutte queste interviste consentiranno di concretizzare il soggetto della Rivoluzione cubana, creando un personaggio composito che è il risultato di sopralluoghi e interviste con giovanissimi guerriglieri per El Joven Rebelde, la cui sceneggiatura sarà elaborata poi in collaborazione.460 Zavattini spiega loro che: «si tratta di un ragazzo di 14 o 15 anni che parte per la Sierra. È un soggetto incredibile».461 Dice ai presenti: «il protagonista di questa storia è un bambino, uno dei tanti bambini che un giorno scappa di casa e s’incammina verso la Sierra Maestra per unirsi all’Ejército Rebelde, di cui ha sentito parlare come di una favola».462 454. Intervista con Guevara, Hoy, 27 settembre 1959. ACZ E 3/2. 455. Zavattini, “Cuba 1960. 11 gennaio 1960”, Diario cinematografico, 453. 456. Zavattini, “La “Reforma” di Fidel. Cuba 1960”, Paese Sera, sabato 23 aprile 1960. 457. ibidem. 458. Zavattini, “Castro stringe i freni per il rhum e il casinò. Cuba 1960”, Paese Sera, mercoledì 27 aprile 1960. 459. ibidem. 460. Massip, “Cronaca cubana”, 54. 461. Jesús Vega, “Cesare Zavattini: Alma del Neorrealismo” in Cine Cubano, 129, No. 1 (1990) 39-45; 44. 462. Massip, “Cronaca cubana”, 54.

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Zavattini considera il bambino protagonista di El Joven Rebelde come una tabula rasa. Esclude che possa in partenza possedere una benché minima cultura politica. Ma Massip non è d’accordo. È: «un personaggio che non odia né ama nessuno. È in una situazione di amore: ama la sua indipendenza, la sua individualità, il suo libero arbitrio; ama la guerra nel suo aspetto meraviglioso di avventura».463 Massip non accetta che il ragazzino possa essere «come un cervo selvaggio che l’esperienza della guerra cambia». «A mio parere», comunica Masssip ad Alfredo Guevara nel Rapporto: «un contadino adolescente non poteva a Cuba, nel 1958, nelle provincie orientali, essere del tutto sprovvisto di un piccolo seme di coscienza politica».464 Zavattini difenderà l’ignoranza del giovanissimo protagonista, ragionando che la sua presa di coscienza politica è frutto dell’esperienza della vita: C’è un momento in cui la Rivoluzione prende questi ragazzi così indifesi, così istintivi, e così animaleschi nei propri impulsi e li trasforma, li fa diventare uomini, li fa diventare cubani, li fa diventare membri di un’organizzazione di uomini pienamente coscienti.465

El Joven Rebelde segue la trasformazione del ragazzino in guerrigliero e uomo. Come gli altri progetti ideati da Zavattini, il film rifiuta la propaganda per presentare piuttosto una figura che non poteva non raccogliere il consenso del pubblico, soffermandosi più sui tempi morti della vita quotidiana che non sugli scontri col nemico. Il protagonista ribelle lo è in due sensi. Ribelle in quanto guerrigliero che si ribella contro l’educazione impartita dai Barbudos ai ragazzi analfabeti arruolati. Al posto dell’azione – in una delle poche sequenze d’azione, avendo lasciato casa e famiglia, il ragazzo rischia la vita per rubare un fucile Garand – il film presenta delle situazioni del quotidiano in clandestinità che durano tanto da coinvolgere gli spettatori in modo diverso dai film d’azione, assorbendone l’attenzione, senza però che ci si immedesimi. Al posto della propaganda per convincere, ricorrono delicati accenni al contesto e alle conseguenze che affiancano la storia lineare della maturazione di El Joven Rebelde.

463. Massip, “Cronaca cubana”, 56. 464. ibidem, 56. 465. ibidem, 56.

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1.29 Relazione per l’icaic, 1960 Il 15 gennaio, Zavattini viene intervistato alla televisione. Esordisce richiamandosi al poeta nazionale cubano Martí, per ricordare come il patriota nazionale cubano concepisse l’arte non come entità autonoma, ma in rapporto alla società del suo tempo. È la prima avvisaglia di uno scontro in corso fra gli artisti dell’icaic, di cui già si sono avvertite delle tracce nel Seminario Zavattini: Ho una fede assoluta nei giovani che intervengono nel cinema cubano e che lo rappresentano. Prendo atto del fatto che il loro lavoro, ciò che hanno già fatto e che stanno facendo è la continuazione effettiva del discorso che cominciammo a fare qualche anno fa, l’ultima volta che ero a Cuba. Ho fede perché questi giovani sono incoraggiati da ciò che di nuovo offre il mezzo di comunicazione: non avrei mai immaginato che fatti tanto straordinari, profondi e nuovi come tutto ciò che è accaduto nella vita cubana non abbiano il loro impatto sul cinema. D’altra parte, di cos’altro potrebbe occuparsi il cinema, quando tutto è stato trasformato e rinnovato?466

All’intervista in televisione, segue una riunione, presieduta dalle due figure più importanti che sono il Direttore Alfredo Guevara e il Presidente dell’artyc, il Prof. José Manuel Valdés-Rodríguez, docente di cinema all’Università dell’Avana, uno dei fondatori dell’Associazione Nuestro Tiempo che Zavattini già conosce e rispetta. Zavattini esordisce citando un verso del poeta nazionale Martí per definire «un’estetica riguardo al rapporto fra politica e arte».467 Pensando al cinema in rapporto alla Rivoluzione, questa «estetica martiana», continua, «deve essere l’estetica di Cuba, della sua cinematografia»; una concezione estetica che è al contempo etica. Nota la continuità del suo rapporto di lavoro coi giovani cineasti cubani, già indirizzati secondo i suoi consigli offerti durante le sue visite precedenti a Cuba. Osserva che l’esperienza del cinema italiano che ha collegato il cinema alla realtà è un precedente incoraggiante in una situazione rivoluzionaria come quella cubana. Nonostante le polemiche dell’arte per l’arte o dell’autonomia dell'artista, a Cuba oggi il cinema deve occuparsi della Rivoluzione. Ribadisce che bisogna farlo, ma senza cadere nella propaganda politica. 466. La risposta di Zavattini alla domanda in televisione la ripete citando l’intervista nel suo discorso ufficiale dello stesso giorno all’icaic. ACZ E 3/2, c. 2-8. 467. ibidem, 2-8.

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Sostiene, come del resto ha sempre fatto, che la realtà quotidiana offre ampie opportunità per l’espressione artistica e, nel qui e ora, la realtà attuale cubana è la Rivoluzione. Questo diventa possibile se e nel momento in cui si trovi la dimensione umana, la storia personale in qualsiasi fatto nuovo, perfino nella Riforma Agraria, la cui prospettata ripartizione delle terre fa nascere dissensi tra la popolazione. In un altro contesto, dirà che lo dimostra la cultura popolare che ha saputo reagire al nuovo, inventando delle canzoni sulla Riforma Agraria, come quella di Carlos Puebla «Pero la Reforma Agraria va, de todas las maneras va».468 Zavattini riconosce l’importanza della Riforma Agraria, che considera un intervento fondamentale della Rivoluzione, al punto da sostenere, come farà anche Ernesto Che Guevara, che la Rivoluzione ci sarà solo quando la Riforma Agraria sarà un fatto compiuto, quando la missione storica del Movimento del 26 luglio sarà finita, e lo stesso Movimento avrà esaurito la sua ragione di esistere, cioè, dice Zavattini, quando: «non ci sarà un campesino senza terra, né una terra non lavorata».469 Quindi, il Nuovo Cinema Cubano se ne deve occupare: del resto, che si possa raccontare tutto, lo aveva già insegnato ai cubani. Ma «che diremmo oggi che abbiamo già la inquadratura?» chiede ai presenti. L’inquadratura è la Rivoluzione.

1.30 Historias de la Revolución E la Rivoluzione figura in Historias de la Revolución (1961), film a episodi, le cui idee iniziali, tranne quello per il primo episodio di Ascot, sono di Tomás Gutiérrez Alea.470 Ascot gli aveva scritto: «Siamo partiti da fatti realmente accaduti e situazioni vere, tenendo conto tuttavia, dell’esigenza di una struttura drammatica per ogni episodio».471 Benché il suo nome non compaia nei titoli, Zavattini vi presta un contributo importante. Il film era già in programma prima del suo arrivo a Cuba, ma il coinvolgimento di Zavattini comprende sia i soggetti che la sceneggiatura, scritta in collaborazione con Tomás Gutiérrez Alea, nonché la supervisione alla regia.472 Il tipo di historias o eventi 468. Zavattini, “Cuba 1960”, Paese Sera, 18 aprile 1960. 469. Zavattini, “Cuba 1960”, Paese Sera, sabato 23 aprile 1960. 470. Comunicazione mail di Arturo Zavattini all’autore, 9 agosto 2015. 471. Lettera del 14 ottobre 1959 di Ascot a Zavattini, ACZ E 2/5, c. 50-52. Inedito. 472. Gambetti, Zavattini mago e tecnico, 368.

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che ricorrono in Historias de la Revolución dimostra fino a che punto il film sia molto indebitato a Zavattini, sia per la sua impostazione frammentaria, sia per la scelta e il taglio degli episodi. Per esempio, un episodio potenzialmente eroico e d’azione, che narra un fatto realmente accaduto nel combattimento nella Sierra Madre, è invece sia antidrammatico che anti-eroico, mostrando un momento particolare, in cui sembra che poco accada, le ore di attesa accanto ad un ferito che non viene abbandonato alla sua sorte, in tempo reale. È anche un tipico filminchiesta di impostazione Neo-realista e zavattiniana, sospeso fra base documentaria e racconto che compie un’analisi di casi umani particolari, che sono sintomatici e concreti, ma non tipici, nel senso del tipo del realismo sovietico o stalinista.

1.31 El pequeño dictador Lo spunto iniziale di El pequeño dictador risale a prima del viaggio a Cuba di Zavattini. Se ne parlò una sera di dicembre, poco dopo il suo arrivo. A partire dal 10 febbraio i cineasti cubani adottano l’idea di Zavattini per rappresentare, non Trujillo, ma Batista, durante gli ultimi giorni della sua dittatura. Si dice che il dittatore possedeva un letto d’oro, un vaso da notte d’argento, e una villa decorata di busti di grandi uomini. Il titolo El pequeño dictador si burla del presunto eroe della patria, uomo forte, superuomo, che si dimostra, alla prova dei fatti, di non essere un grande statista, ma un codardo, un pequeño dictador. Ora, fra le tante risate, e con l’aiuto di Zavattini, stendono il trattamento.473 Nel giro di una settimana scrivono trentacinque pagine dattiloscritte.474 Il titolo fa un riferimento intertestuale a Il Grande Dittatore (1940) di Charlie Chaplin, in cui Chaplin recita Adolf Hitler e prende di mira lui e il Nazismo, usando un registro quasi da favola che mette in risalto la follia dell’ideologia fascista. Ma El pequeño dictador non è una parodia del Grande Dittatore. È, piuttosto, il suo doppio; un punto di riferimento per il grande pubblico in cui, al posto del Nazismo tedesco, viene preso di mira il populismo fascista dell’America Latina. Il trattamento però si basa su fatti realmente accaduti a Cuba durante la guerra di Liberazione, narrati dal punto di vista del dittatore e Capo del Governo, Generale Fulgencio Batista. Difatti, la satira coglie gli 473. Zavattini, “Perugia”, ACZ E 2/3, 26 [1961]. Discorso sull’esperienza cubana tenuto dopo il ritorno in Italia. Inedito. 474. Massip, “Cronaca cubana”, 56.

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eventi fondamentali della storia della guerra di liberazione nell’ultimo anno, raccontandoli per bocca dei mass media cubani della dittatura: la discesa della colonna dell’Ejército Rebelde dalla Sierra Maestra al Llano, gli attentati del Directorio Revolucionario, la repressione, la tortura, la Battaglia di Santa Clara e la fuga del dittatore, a seguito della vittoria del Movimento del 26 luglio. Il generale Fulgencio Batista è veramente fuggito all’alba in aereo a San Domingo e l’Ejército Rebelde ha davvero deragliato il treno blindato di 400 militari batistiani nella Battaglia di Santa Clara in provincia di Las Villas. Fanno ridere i retroscena della rappresentazione autorizzata dal potere. Zavattini combina e comprime elementi di vari soggetti che tracciano momenti salienti della guerra di Liberazione, tratti dal soggetto La prensa amarilla che avrebbe mostrato i retroscena della censura del regime, da La battaglia di Santa Clara, che racconta la vittoria ad armi impari, trasformando il racconto lineare in sfondo. La satira offre un’analisi che riconosce la separazione tra borghesia e popolo ed è anche documentata l’incipiente ingerenza usa. La Rivoluzione non è la rivoluzione di tutti, perché la borghesia cubana non condivide col resto del popolo l’esperienza negativa della dittatura. La borghesia godeva dei suoi privilegi e non a caso ha già scelto la via dell’esilio a Miami. Quanto ai tesori trafugati, a cui accenna il trattamento, cioè l’appropriazione indebita di beni dello Stato, prima e dopo la vittoria della Rivoluzione, c’è una base di verità. Questo mondo satirico è abitato da figure simboliche, caricature di persone realmente esistite e soprattutto che ricoprono una funzione ideologica ben precisa. I personaggi non sono simbolici, ma rappresentano persone che svolgono le loro funzioni pubbliche, dal Capo di Governo (capo indiscusso che non tollera il dissenso), al Capo dell’Esercito (potere esecutivo militare), dal Capo della Polizia (potere esecutivo poliziesco), al Giornalista (potere esecutivo per fabbricare il consenso tramite i mass media), allo scontro violento con chi li ostacola: lo Studente che si rifiuta di fare silenzio (che rappresenta sia il Directorio revolucionario che i Rebeldes (l’Ejército Rebelde che combatte in silenzio). Zavattini e i suoi collaboratori inventano una scena in cui due carri funebri che dovrebbero servire per la fuga del dittatore, per sbaglio scambiano le casse da morto che trasportano. Inventano il fischio dello Studente al cinema che esprime il suo dissenso in contrasto con il consenso inventato dai mass media. È un’invenzione poetica che riporta ai raccontini di Zavattini, nel modo in cui sfrutta l’ambiguità delle connotazioni. Perché mentre il fischiare è un’attività innocente e libera, in certi casi può esprimere anche dissenso o addirittura essere un segno

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di pubblica derisione e umiliazione. Altre trovate: le prove generali per cronometrare la fuga di Batista e garantire che sia tanto veloce quanto efficace (per esempio, la gag di un dispositivo che consente di scivolare automaticamente nei pantaloni, per vestirsi in pochi secondi). Viene messo in rilievo il ruolo ufficiale delle figure che producono il consenso e quelli che detengono il potere. Questo è segnalato dal nome generico, come nei «raccontini» di Zavattini, che provoca una stilizzazione in cui risalta in questo caso, il ruolo, non la persona, di modo che i personaggi formano la mappa dei nuclei di potere dentro il regime e lo strapotere internazionale del potere estero Nordamericano. Quindi, il «Capo dello Stato» (corrisponde alla verità che sia una persona eccezionale? Chi sono gli eroi? Chi si esalta come tale? Il despota, superuomo dalle doti straordinarie). Dietro le quinte c’è la «Grande Potenza» (gli usa, le risorse economiche e la corruzione estera). Mentre è sempre in primo piano il «Grande Giornalista» che al momento della fuga in aereo, el pequeño dictador non fa salire con un piccolo espediente: gli ordina di raccattare la palla che gli getta lontano come se fosse un animale domestico e il giornalista dimostra l’ubbidienza di un cane nell’andarlo a raccogliere (i mezzi di comunicazione asserviti al regime). Il «Grande Giornalista» sempre disposto a proporre che si sfruttino le tragedie, per ricavarne un pezzo per il giornale di Stato. La «Moglie del Capo di Governo» che svolge un ruolo consolatorio e servile. Il «Capo della Polizia» col suo sorriso fisso (l’ubbidienza cieca dei poteri esecutivi dello Stato), i figli dei latifondistas che parlano un linguaggio incomprensibile e si vestono all’europea (esponenti dell’èlite borghese, unica beneficiaria del regime, eccezion fatta per il nucleo famigliare del dittatore e le strutture repressive). La satira prende di mira anche la televisione, i cinegiornali e la stampa del regime che, presi nel loro insieme, rappresentano la propaganda ufficiale, ma sono anche i mezzi di produzione del consenso e la proprietà di chi detiene il potere. Subentra la conoscenza approfondita di Zavattini dei meccanismi dei mass media, televisione, stampa e cinegiornali, maturata negli anni Trenta. Una lunga sequenza prevista per El pequeño dictador è dedicata ai filmati di un cinegiornale inventato, in cui figura il despota che vuole convincere i cittadini col sistema del vox populi, facendo girare le opinioni trasmesse dai cronisti in base ai suoi comunicati e direttive. È un attacco sferrato contro le tecniche dei mezzi di comunicazione di massa che comunicano una rappresentazione mediatica falsa della dittatura; rappresentazione che la satira smitizza e scompone, mettendo

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a nudo anche il modo in cui i cinegiornali producono propaganda o evasione, come nel mondo inventato dalle riprese delle gambe delle soubrette, di personaggi in vista, di eventi sportivi, di tribù esotiche, nel caso dei cinegiornali italiani della Settimana Incom o dei cinegiornali impostati durante il Ventennio Fascista dall’Istituto Luce. Nel mondo alla rovescia della satira, figura il punto di vista di chi detiene le leve del potere (governo e poteri esecutivi e mezzi di comunicazione di massa) che fanno finta che non esista il subalterno, inscenando la doppia verità dei mass media: la verità dell’immagine fotografica e cinematografica: è vero perché lo dico io. Se è vero, lo è perché il cinegiornale lo dimostra. Questa satira dei cinegiornali di regime, satira interna alla satira, dimostra come possa funzionare in pratica il distacco poetico consigliato da Zavattini, metodo che consente di tradurre in cinema la contemporaneità, senza perdere la distanza necessaria dai fatti storici, ma distillando il reale, trasformandolo. La satira produce quello stesso distacco che Brecht chiamava effetto di straniamento o verfremdungseffekt.475 Nel suo teatro epico, consentiva di trasformare la materia prima della realtà, per quanto scottante, in racconto, testo, o film. La satira, a differenza della tragedia o del dramma o melodramma psicologico e sentimentale, non si serve dell’identificazione dello spettatore col personaggio. Esprime piuttosto un giudizio critico ed etico, ma in forma comica. Si ride perché il bersaglio è miserabile, merita il nostro disprezzo. Ma provoca il riso anche perché rompe le nostre aspettative, il nostro orizzonte d’attesa. Ecco il mondo alla rovescia di El pequeño dictador, in cui i ribelli sono dei morti di fame da disprezzare; disprezzabili in quanto poveri, come i guajaros, i braccianti; e disprezzabili perché il loro comportamento non si conforma al consenso dell’ordine costituito. La satira è ad personam, ma si estende inevitabilmente a tutto un’ambiente politico batistiano e alla sua prassi corrotta. Infine, degno di risate l’errore (semiotico) del segno rovesciato nel suo contrario: il presunto eroe che dimostra nel suo comportamento di essere diverso da come si fa rappresentare, per cui il segno della cosa non corrisponde più alla cosa. Il trattamento è convincente, la satira efficace ed elegante. 475. Si è tanto scritto del distacco nell’opera di Brecht, riscoperto dai cineasti francesi a partire dal 1960 quando la rivista Cahiers du cinema gli dedicava una monografia. Ma nell’ambito critico italiano, era noto il distacco nella commedia pirandelliana in cui funziona nell’ambiguità fra personaggio e persona reale, nel sospetto generato nello spettatore che chi recita è ciò che recita e via dicendo. Umberto Eco, “Pirandello ridens” in Sugli specchi e altri saggi, Milano: Bompiani, 2015, 352-365.

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Sono tutti convinti, Óscar Torres, Mercedes Cortázar, Manuel Octavio Gómez, Héctor García Hernández e José Hernández, tutti partecipanti in questa fase del Seminario Zavattini. Eppure, questa satira geniale non va in porto, nonostante l’idea di sfruttare la popolarità in tutta l’America Latina del comico Cantinflas, in una deriva, un dirottamento del significante dal suo contesto originale, trasformando il disimpegno spettacolare all’impegno politico e ribaltando la funzione di commedia d’evasione in cinema politico efficace.476 Ma come mai questo film, in cui l’arma potente della satira si aggiunge al ventaglio di proposte per un cinema politico, critico e popolare, così ben strutturato nel trattamento mordace e geniale, non verrà realizzato?

1.32 Revolución en Cuba e Color contra Color Zavattini, seppure a malincuore, deve ormai rientrare in Italia. Rimane appena il tempo di consegnare il soggetto di Guevara Revolución en Cuba, il documentario che hanno tracciato per sommi capi e trascritto come soggetto completo. Revolución en Cuba prende la forma del filmdiario zavattiniano, e si affianca alle sue altre proposte, al film-inchiesta, al film personale, alle proposte che derivano da Cuba mía, Tiempo muerto, Cuba baila, l’anti-spettacolo di El Joven Rebelde o l’epica anti-retorica e minimalista di Cuentos de la Revolución. Rimane un solo giorno per lavorare su Color contra Color, soggetto ispirato dall’incontro di Zavattini con un pittore a favore della Rivoluzione, ma che si chiede perché l’arte astratta non venga apprezzata.477 È 476. Per il concetto di deriva o détournement, Guy Debord, La società dello spettacolo, a cura di Pasquale Stanziale, Bolsena: Massari Editore, 2002e La teoria della deriva in “Théorie de la dérive” in Internationale Situationiste, n. 2, 1958 ora in Debord, Raoul Vaneigem e altri, Situazionismo. Materiali per un’economia politica dell’immaginario. Bolsena: Massari Editore, 2004, 56-63, tenendo presente che all’inizio rappresentava un modo di comportarsi nella vita di città, con esperimenti vòlti a mettere in crisi l’abitudine alienata e ripetitiva, evitando il percorso preordinato nei percorsi. In anni successivi, si estendeva alla sostituzione nei fumetti del testo americano con un messaggio rivoluzionario o dei dialoghi con voce fuori campo, nel film di Debord, La società dello spettacolo (1973). In quanto testo alla deriva, anche la satira può disalienare, sia nel caso della società dello spettacolo capitalista di rapporti e cose mercificate teorizzato da Debord e i Situazionisti che nel caso della proposta zavattiniana di cinema politico. Anche la deriva di Debord (nel caso dei testi d’evasione o pubbicitari sostituiti da testi rivoluzionari) funziona tramite la sostituzione o l’errore semiotico, sarà disalienante in teoria, ma può non essere divertente. 477. Zavattini, “Perugia”, ACZ E 2/3, 26 [1961].

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questo lo spunto che lo scrittore italiano raccoglierà il 24 febbraio, due giorni prima della fine del suo soggiorno. Color contra Color è il contrario di El pequeño dictator perché mette in scena il dubbio operativo, dubbio come dispositivo dialettico e costruttivo. Color contra Color traduce in termini artistici il dibattito interno scatenato da Zavattini all’icaic, inscenando il dubbio e la dialettica all’interno del Seminario Zavattini: I protagonisti, pittori specialmente, di varie tendenze, mentre partecipano alla lotta contro Batista, discutono disperatamente fra loro per cercare di capire che rapporti ci sono fra la vita politica e la vita dell’arte, tra la libertà e la libertà dell’artista, tra un certo colore e un certo segno e la Reforma Agraria. Non si tratterebbe di trovare la verità, ma di far vedere questo appassionato e perfino feroce contestare che mi pare, anche in sede puramente espressiva, ricco di stimoli: un film quasi completamente grigio con i colori sulle tele che diventano dei veri e propri banchi di prova, drammatici. È una gatta da pelare, tradurre in termini narrativi un problema così intellettuale, in termini popolari, cioè in quegli interessi concreti che sempre vi sono sotto le manifestazioni dell’animo anche più ineffabili.478

1.33 Ultimo Seminario Zavattini Il 24 febbraio 1960, due giorni prima della partenza per l’Italia, si terrà l’ultima riunione del Seminario Zavattini. In quest’ultima riunione, fa un «esperimento», tutt’altro che spontaneo, dato che ne aveva accennato a Guevara a cui l’idea è piaciuta, per far scatenare una discussione nel Seminario Zavattini fra le due fazioni distinte: da una parte gli zavattiniani, dall’altra «quelli della Nouvelle Vague», come li descrive José Hernández, uno dei presenti.479 Zavattini ribadirà la sua posizione rispetto alla teoria dell’arte per l’arte, affrontando pubblicamente la ribellione interna al suo gruppo, mediante una difesa a spada tratta dell’arte impegnata, in una situazione rivoluzionaria come quella cubana. Per questo, farà appello al nesso arte-società, citando il Neo-realismo, inteso non più come movimento storico del dopoguerra, ma piuttosto come concetto dinamico di un cinema etico, sfumando la distinzione tra film a soggetto e film documentario e politico.480 Ci riesce: diventa man mano sempre 478. ibidem, 223. 479. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedit0. 480. Data post quem: il soggetto Color contra Color è datato 24 febbraio 1960 e consta

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più violenta la discussione. Alcuni dei partecipanti obiettano che l’arte impegnata finisce per cadere nella propaganda «e non tentano di vedere quali sono i valori spirituali di una rivoluzione, il nuovo, fermandosi cioè alla prima dimensione dei fatti».481 Nel calore della polemica, Zavattini è felicissimo di essere «intemperante», di gridare anche lui, durante due o tre ore «confuse e sincere, impostando Color contra Color: Durissimo, difficilissimo, ma possibile e utile, e nuovo, libero, senza pregiudizi, con il solo a priori di credere il tema degno di ricerca, di fatica, di pietà, direi – non è clima di una “Rivoluzione” questo, e tutt’altro che nel meschino ambito della propaganda?482

Ad un certo punto, Néstor Almendros si lamenta che questo tipo di cinema rischia di confondersi col Comunismo. Zavattini ribatte che «quelli della Nouvelle Vague» (riferendosi proprio a Néstor Almendros e Guillermo Infante Cabrera) per paura del Comunismo, non apprezzano ciò che sta succedendo a Cuba». Sono loro i «conservatori». Con tutto quello che succede sotto i loro occhi, è possibile che non siano capaci di sacrificare la propria fantasia? Non sarebbe più generoso, anche in sede artistica, avvicinarsi ai fatti, provare empatia? «Quelli della Nouvelle Vague» obiettano: «ma che cosa faremo fra due anni col cinema, se ora ci buttiamo sulla tematica della Rivoluzione?»483 Zavattini risponde: Sono i conti dell’avaro, o dell’uomo troppo cauto. Invece il problema, lo sforzo, sta, sia pure con una vampata, nel rendere il momento con la tensione più assoluta, con il linguaggio più assoluto – insomma, stando dentro al nuovo ordine e non mettendosi da parte, che significa, a lungo andare, andare con gli altri. Si può avere torto. Ma che felice colpa, caro Almendros avere torto sul 1959, e sul 1960, all’Avana, su un piano estetico, mentre il cielo è sorvolato dalle avionette che arrivano da Miami e saltano in aria le navi e la Riforma Agraria, vale a dire un pensiero che finalmente di 13 cartelle dattiloscritte. Zavattini prende l’aereo di ritorno il 26, quindi la relazione all’icaic ha luogo il 25 febbraio. Per la data del soggetto, si veda Stefania Parigi, “L’Officina cubana”, 68. Il testo verrà tagliato per un’intervista a Zavattini pubblicata in Cine Cubano 1, 1960. In questo modo, l’intervento di Zavattini verrà disseminato nell’America Latina. 481. Lettera di Zavattini a Valentino Bompiani, Cinquant’anni e più... Lettere 19331989, 315-323. 482. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedito. 483. Lettera di Zavattini a Valentino Bompiani, Cinquant’anni e più... Lettere 19331989, 315-323.

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diventa azione, un atto di coscienza santo come una poesia ben riuscita, come il pericolo di non potersi compiere.484

E aggiunge: Fra due anni, ci sarà dell’altro. Proprio la Rivoluzione preparerà dell’altro qualora sia davvero rivoluzione. La verità è – lo esprimo come posso – che continua l’idea che l’arte è un’altra cosa, non si crede che una diversa sistemazione sociale muti a poco a poco l’arte stessa.485

In un secondo momento, cercherà, di placare Almendros che si è offeso per l’accusa di essere un conservatore, con queste riflessioni: Ci vuole fede, però, un mese di fede; pensi che io ho fede perfino nell’arte astratta, l’ho dichiarato, se chi dipinge ha coscienza che può esservi un nesso tra il suo stato d’animo e quello di un cosciente Barbudo. La ricerca di questo nesso non è affascinante? Proviamo. Dico solo: proviamo.486

Tutto sommato, l’esperimento ha successo, perché dimostra che il Seminario Zavattini riflette lo stesso livello di conflitto potenziale del soggetto in questione, Color contra Color. La dinamica che si è innescata nella loro ultima seduta lo convince a: «non abbandonare il progetto, benché non sarà facile tradurre il conflitto che per ora può sembrare solo di natura intellettuale, in termini realistici, drammatici», e di questo informa Guevara in una missiva scritta subito la sera dopo.487 In questa lettera, tradotta in spagnolo, dice, fra l’altro, che spera di incontrare Guevara al Lyceum alle 9, ma nel frattempo gli consegna El Joven Rebelde, elaborato assieme a Massip, Hernández e Héctor, il primo trattamento del soggetto satirico El pequeño dictador, il soggetto di Revolución en Cuba, «la forma e il contenuto di quello che dovrà essere un film inchiesta», e il soggetto tracciato il giorno prima, Color contra Color.488 484. Lettera di Zavattini a Néstor Almendros, 1 marzo 1960, ACZ E 2/7 c. 40. Inedito. 485. Lettera di Zavattini a Valentino Bompiani, Cinquant’anni e più... Lettere 19331989, 315-323. 486. Lettera di Zavattini a Néstor Almendros, 1 marzo 1960, ACZ E 2/7 c. 40. Inedito. Zavattini allude al soggetto Color contra Color, che fu discusso in ultimo da Zavattini e il suo collettivo di studenti apprendisti sceneggiatori. 487. Lettera di Zavattini a Guevara, 25 febbraio 1960, ACZ E 2/4, c. 51. Dattiloscritto in spagnolo. Inedito. 488. «film inquiesta»: Il traduttore tenta di conservare l’espressione italiana e quasi ci riesce.

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1.34 Zavattini e impegno, 1960 La Relazione “Per una discussione con i non-impegnati” costituisce l’intervento definitivo di Zavattini nel dibattito sull’autonomia artistica che in questi giorni era diventata esplicita all’interno dell’icaic e del Seminario Zavattini. Si rivolge a chi non la pensa come lui, «quelli della Nouvelle vague», li chiama, capeggiati da Guillermo Infante Cabrera e Néstor Almendros; li descrive come «i non-impegnati», cioè coloro che rivendicano l’autonomia artistica per il cinema e quindi rifiutano l’idea stessa dell’arte impegnata politicamente. La Relazione gli dà l’opportunità di portare alla luce ed esporre ad un confronto in pubblico, e in un contesto ufficiale, quello dell’icaic, la spaccatura all’interno del Seminario Zavattini, per difendere il taglio della sua direzione artistica, in un momento decisivo e definitivo del suo contributo teorico al Nuovo Cinema Cubano. Il suo intervento si inserisce nell’annosa polemica sul rapporto fra arte e impegno politico, annosa, in quanto sollevata da Elio Vittorini in Italia e da Jean-Paul Sartre in Francia negli anni Quaranta e che proprio a Cuba «ridiventa attuale».489 Zavattini esordisce con la constatazione che la Rivoluzione è ancora in atto, e quindi non c’è da meravigliarsi che il piano iniziale dell’icaic rispecchi la volontà di raccontare gli eventi accaduti, utilizzando i film a soggetto proposti. Constata che le idee iniziali, proposte in autunno dall’icaic, si orientavano verso una ricostruzione storica della realtà – che rispecchiava l’esigenza di storicizzare la Rivoluzione, fissandola in immagine sul grande schermo – ricostruzione che, precisa Zavattini, aveva un grave difetto: non prevedeva che la realtà fosse mediata dall’intervento artistico e quindi rischiava di diventare propaganda. L’arte cinematografica può essere impegnata senza scadere in propaganda? È questo il problema di fondo che Zavattini vuole affrontare. Propone quindi, una strada diversa, argomentando che se si seguisse la linea della ricostruzione (esclusivamente naturalistica), il risultato sarebbe la sola ripetizione dei fatti. Questa considerazione è rivoluzionaria in quanto, appunto, si oppone all’idea del tempo storico come mero progresso lineare, per riconoscere la portata di un cambiamento radicale. Di contro, la sua proposta non vieterebbe che si facciano anche altri tipi di soggetti pensati dall’icaic, soggetti che contengano un’analisi della società cubana, ora che, la fine della dittatura ha segnato anche la fine della 489. Zavattini, “Per una discussione con i ‘non impegnati’”, 106.

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censura del governo di Fulgencio Batista. Quindi, film del genere ora si potrebbero fare (l’accenno riguarda in primo luogo Tiempo muerto, Cuba mía e Cuba baila, che risalgono ai rapporti diretti preesistenti fra Zavattini e i cineasti cubani di Nuestro Tiempo a partire dal 1953, sia altri soggetti). Zavattini sottolinea il rapporto fra cinema cubano e Rivoluzione: «La Rivoluzione prende il potere. Si occupa di cinema. Che significa questo?», Cioè pone la domanda riguardo alle problematiche che il nuovo ordine sociale solleva. Insomma, si chiede quali siano le priorità per chi si occupa di cinema all’icaic? Tutto il suo discorso dipende da questi interrogativi.490 Secondo lui, le tematiche da sviluppare nei soggetti riguardano, per esempio, l’alfabetizzazione, e come trovare il modo di riscattare la dignità nazionale, ma anche quella individuale. Osserva che l’evento della Rivoluzione ha una portata che va oltre confine, per assumere un significato internazionale o, più precisamente, continentale, nel puntare all’emancipazione di tutta l’America Latina. Ma allora, «se la Rivoluzione significa qualcosa di nuovo, di diverso, di importante non solo socialmente ma pure psicologicamente, allora io devo fare dei film che esprimano queste nuove realtà».491 Secondo Zavattini, bisogna affermare questa novità facendo «un cinema che vada a portare questo messaggio dappertutto, che comunichi questa realtà, questa speranza, ad altri popoli.492 Se si esce dalla problematica del binomio arte-propaganda, si intende che Zavattini accenna a come, per dirla col filosofo Alain Badiou, l’individuo possa diventare soggetto, nel momento in cui è costretto dall’evento a «decidere una nuova maniera di essere» e se e quando si verifica la fedeltà all’evento (nel lessico zavattiniano, equivale alla «fede» di cui parla Zavattini nella lettera ad Almendros), si verifica anche una rottura nell’esistente (la situazione oggettiva), giungendo all’evento compiuto, in cui il pensiero (e l’azione) vengono messi in movimento.493 Badiou, l’ultimo dei nouveaux philosophes francesi, chiarisce l’enormità dell’incontro fra individuo ed evento, la presa di coscienza e la scelta etica e politica che ne consegue, la fedeltà all’evento, cose a cui allude più volte nel Seminario Zavattini e che, sempre attento al particolare, astrae dalla situazione concreta, per cogliere il suo significato generale, a cui ritorna qui per teorizzarlo in questa sua Relazione del febbraio 1960. 490. ibidem, 106. 491. ibidem, 106. 492. ibidem, 109. 493. Alain Badiou, L’Etica. Saggio sulla coscienza del Male, tradotto da Claudia Pozzana, Napoli: Cronopio, 2006, 47-62; 49, 50, 51.

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Fin dai primi contatti coi cubani, all’inizio degli anni Cinquanta, i film del Nuovo Cinema Italiano e Zavattini in persona li hanno dissuasi dal seguire la linea del realismo sovietico e zdhanoviano, a favore del realismo critico, fondato sulla ricerca, sull’inchiesta sul posto, sul dialogo diretto con la realtà empirica, per costruire un cinema alternativo a quello egemonico. Ora chiede loro per l’ennesima volta se sia possibile occuparsi di politica nel cinema, senza finire nella propaganda. Secondo lui, lo è, a patto che il primo passo sia la riflessione, l’analisi, il capire, e il documentarsi sulla questione. Rivolge loro la domanda: come rappresentarla? Come tradurla in linguaggio filmico? Non certo con una pura rappresentazione dei fatti, tramite un naturalismo oggettivo che solo in apparenza passa comunemente per Neo-realismo, ma partendo piuttosto dal proprio punto di vista soggettivo: «i fatti rivoluzionari cubani “raccontati” così come li ho visti», afferma. Ecco che, ribadisce, va scartata ciò che definisce la »pura» rappresentazione, perché costituirebbe una «ripetizione», una mimēsis che aspira alla replica fedele dei fatti, perché «l’artista non è un ripetitore dei fatti», sostiene.494 A scanso di equivoci, spiega meglio: Non si tratta di accettare la notizia come un tipografo che trascrive con distacco sui suoi manifesti ciò che il cliente esige, ma di penetrare, per quanto è possibile, fino al fondo della questione, fino ai valori di questi eventi.495

Questo richiede però un taglio personale, i fatti sperimentati in prima persona «come io li ho visti».496 L’artista, nel confronto col reale, non riporta i fatti direttamente, rispecchiandoli. Non si tratta di creare una copia della realtà, ma arrivare alla sua interpretazione, si tratta di: «penetrare, per quanto è possibile, fino al fondo della questione per scoprirne i valori».497 Un evento tale non può non influire sull’arte cinematografica. Il che non richiede che sia necessario illustrare gli eventi rivoluzionari, ma porsi in una posizione critica.498 Ora Zavattini accenna ai cambiamenti sociali, senza far ricorso a statistiche o ad esempi concreti. Ma se lo avesse voluto fare, avrebbe 494. Zavattini, “Per una discussione con i ‘non impegnati’”, 104. 495. ibidem, 105. 496. Sul cinema in prima persona, soggettivo, si veda di Laura Rascaroli, The Personal Camera. Subjective Cinema and the Essay Film, Londra e New York: Wallflower Press, 2009, 111-113, in cui si riconosce l’importanza di Zavattini come antesignano. 497. ibidem, 105. 498. ibidem, 106.

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potuto far presente l’aumento enorme dello stipendio medio (fino al 40% nei primi tre anni).499 Avrebbe potuto precisare quello che il suo pubblico sa già, cioè che le condizioni di vita della popolazione stanno migliorando; che i problemi annosi della casa e del nutrimento il nuovo governo rivoluzionario non solo li sta affrontando, ma anche risolvendo, in quanto è in atto un programma di costruzione edilizia nel settore pubblico che assicura la casa e la piena occupazione, oltre a garantire l’assistenza sanitaria gratuita, il programma di alfabetizzazione e un piano di accesso all’istruzione esteso a tutta la popolazione, perfino quella universitaria. E anche il problema scottante dell’eguaglianza razziale, in un paese in cui il 75% della popolazione è meticcia o nera lo stanno affrontando. Non si tratta di un programma di riforme, ma un autentico tentativo di cambiamento ed emancipazione (le donne otterranno gli stessi diritti degli uomini e il machismo verrà combattuto).500 Quindi, se l’autonomia e l’anomia sono legittimi nell’ambito della società borghese europea o nord-americana, laddove invece è in atto un cambiamento rivoluzionario, situazione nuova che provoca un taglio netto col passato, un tale stato di cose non può non richiedere una risposta diversa da parte degli intellettuali e degli artisti.501 Ora il cineasta italiano prende di mira il dibattito all’interno del Seminario Zavattini che mette in discussione l’idea stessa di cinema impegnato: Questo ieri molti lo hanno accettato senza reclamare la “libertà” che invece iniziano a esigere oggi, perché hanno l’impressione che il “gioco” sia già durato abbastanza e desiderano ritirarsi sui pendii delle loro solitarie colline.502

Ma i temi che riguardano la Rivoluzione vengono rifiutati o messi in dubbio dai «non-impegnati».503 A costoro che obiettano che «no, questi temi sono molto brutti, non sono artisticamente validi; al mondo c’è gente come Kerouac... come Ionesco». Zavattini risponde: È vero, c’è gente come Ionesco ... come Kerouac... Ci sono tante cose al mondo! Però, qui c’è una cosa che è altrettanto vitale, reale, sincera, e questa cosa è la Rivoluzione. Essa aspetta che gli artisti traggano da lei 499. Williamson, The Penguin History of Latin America, 452. 500. Williamson, The Penguin History of Latin America, 452. 501. Zavattini, “Per una discussione con i ‘non impegnati’”, 105. 502. ibidem, 105. 503. ibidem, 105.

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un’ispirazione liberatrice e non un’ispirazione castrante. La situazione di Ionesco è di Kerouac; non è immanente, è una situazione dialettica della storia. [...] Ad esempio, io credo che Ionesco svolga una funzione utile, perché mostra la disintegrazione di una società: per questo non ha bisogno della trasformazione, della scoperta di nuove realtà: l’anti-mito è un mito buono, utile. A Cuba, però, il momento della Rivoluzione non può essere un momento di dubbio, ma di affermazione. Se tu trasferisci lo spirito di Kerouac, di Ionesco alla nostra realtà, trasferisci lo spirito di censura alla Rivoluzione; ciò vuol dire che non credi che la Rivoluzione possa offrire il modo di costruire un mito cui l’uomo (non eterno) possa affidarsi.504

In altre parole, se è vero che è rivoluzionario lo sperimentalismo dei contenuti di un Eugène Ionesco o di uno scrittore anti-conformista come Jack Kerouac di On the Road (1957) – appena tradotto in Italia nel 1958, e famoso soprattutto perché inaugura la Beat Generation – allora, per essere «rivoluzionari», basterebbe sperimentare, al di fuori dell’attualità politica, contribuendo con una nuova forma artistica che sia all’avanguardia (come avrebbe fatto in Italia l’elitario Gruppo ’63).505 Ma attenzione: Zavattini non dice che Ionesco e la Rivoluzione siano agli antipodi. Chiede solo che si tenga conto del contesto sociale di un paese – Cuba – in cui la dimensione quotidiana è diventata eccezionale, trovandosi tutti faccia a faccia con lo specifico della Rivoluzione. Fa una distinzione molto moderna tra negazione e affermazione. Nell’ambito europeo e nord-americano, certo, celebrare la diversità di una sottocultura o denunciare, o per lo meno rappresentare, la disgregazione sociale, ciò che Èmile Durkheim chiamava anomia, ha la sua validità sociale in quanto forma di negazione di un ordine sociale contraddittorio.506 Alla denuncia della dissoluzione della società borghese, società capitalista, Sistema che a modo suo Eugène Ionesco smitizza, Zavattini oppone l’affermazione della Rivoluzione (tramite la mediazione della poesia, benintesi), in quanto in essa: «gli uomini fanno coincidere parole e azioni».507 Non che Kerouac o Ionesco, ognuno nel proprio ambito, non rappresentino i valori opposti dell’American Dream o della Francia di Charles De Gaulle. Sarebbe un errore non prendere atto della situazione eccezionale a Cuba dopo la vittoria della Rivoluzione, contesto in cui non si può pensare 504. ibidem, 105. 505. Fernanda Pivano, Beat Hippie Yippie. Dall’underground alla controcultura, Arcana Editrice, 1972, 125. 506. John King Magical Reels. A History of Cinema in Latin America, Londra e New York: Verso, 2000, 150. 507. Zavattini, “Per una discussione con i ‘non impegnati’”, 107.

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in termini di distruzione (di un sistema di valori, di una disgregazione sociale rappresentata dagli artisti, romanzieri o drammaturghi), ma piuttosto in termini di affermazione di una nuova realtà. Zavattini, da scrittore comunista eterodosso, non allineato, riformula il problema. Nel frangente rivoluzionario, il compito dell’artista consiste nel penetrare i fatti, analizzando l’evento fino in fondo, cosa che il Seminario Zavattini ha cercato di fare: Ogni giorno la parola “rivoluzione”, il fatto “rivoluzione”, il significato della Rivoluzione si approfondiva di più. Conoscendo gli avvenimenti che si intendeva descrivere, parlandone e riparlandone, non si restringeva affatto il loro significato, ma anzi si dilatava sempre più.508

E quindi, tenendo conto della nuova realtà rivoluzionaria e del ruolo dell’intellettuale, cosa comunicare al pubblico con questo mezzo così potente? In primo luogo, compito dell’artista e intellettuale è penetrare i fatti, analizzando l’evento fino in fondo. Poi trovare il modo per raccontarli in una forma distaccata dagli eventi stessi: «raccontarli in maniera che appaiano il più lontano possibile».509 Come? Attraverso il filtro dell’arte «ma inventa tu il modo, il linguaggio».510 Secondo lui, il rischio che corre il Nuovo Cinema Cubano è di non essere abbastanza rivoluzionario. Si tratta di rifiutare l’arte per l’arte, perché è una posizione individualista; perché rispecchia una mancanza di coraggio di fronte alla realtà. Mentre la storicità del momento non si può ignorare, giacché il cineasta si situa in un tempo e in uno spazio da cui non si può prescindere. La poesia non contraddice la realtà. Il dubbio, l’incertezza dell’artista di fronte al reale, lo si può concepire, ma confrontarvisi comporta un piano etico di risonanza collettiva, che non escluda la poesia.511 Zavattini chiede se sia possibile fare cinema con la massima libertà espressiva e tecnica, senza però tradire gli eventi e se stessi. Secondo lui, lo è, solo se si opta per un discorso indiretto. Ma si può anche fare un film sui dubbi, perché non c’è limite di soggetto o di genere, satira o commedia; anche l’allegoria può servire per «dar voce a questo fatto grande che riguarda sei milioni di persone e che interessa a molti altri

508. ibidem, 106. 509. ibidem, 106. 510. ibidem, 106, 109. 511. ibidem, 106.

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milioni».512 «La nostra ambizione», continua, «è quella di fare un cinema che vada a portare questo messaggio dappertutto».513 L’insegnamento del Neo-realismo consiste in un cinema coerente con la realtà, un cinema che sia mezzo sociale. E a Cuba oggi c’è una situazione Neo-realista, in quanto il rapporto tra l’individuo e la società viene condotto a svariati estremi, e a fondo».514 Oggi Neo-realismo significa un cinema che affronti il fatto sociale, che venga alle prese col rapporto tra individuo e collettività. Il Neo-realismo «ha pensato di far luce sui fatti intorno a sé».515 Si parte dalle esigenze immediate del momento storico, così come il Neo-realismo in Italia si situava nel periodo dopo la Resistenza, il cinema cubano si situa nel luogo e nel tempo della Rivoluzione e dovrà fare appello a quel che succede intorno per «commuovere l’uomo».516 Zavattini conclude con l’esempio di un soggetto elaborato il giorno prima coi cineasti dell’icaic, Color contra Color, in cui due artisti, uno astratto uno figurativo, difendono, in un confronto drammatico perché etico, le loro scelte rivoluzionarie nella tecnica artistica sullo sfondo della Rivoluzione in atto intorno a loro. In realtà è una tematica che Zavattini porta con sé dall’Italia, una tematica ed una contraddizione che ogni artista si trova a dover affrontare. Rifiuta l’autonomia artistica che l’amico Bompiani gli consiglia e che considera il vero destino dell’artista. Questo problema è tanto personale quanto condivisibile.517 Le obiezioni di Zavattini a «quelli della Nouvelle Vague» uno dei partecipanti al Seminario Zavattini, Hosé Hernández, le sentirà ripetute da Jean-Paul Sartre, durante la sua visita a Cuba a marzo: Sartre ha tirato loro le orecchie quando stava qui, ricordando loro le loro responsabilità rispetto alla Rivoluzione, ma quelli continuano imperterriti con le chiacchiere stupide come sempre. [...] Ora, con la casa editrice che ha creato la Rivoluzione – grazie alle officine de La Marina e di El Pais – il «gruppetto» ha pubblicato i suoi «libretti». Speriamo che questo darà loro un maggior senso di responsabilità e che inizino a lavorare sul serio.518 512. ibidem, 112. 513. ibidem, 109. 514. ibidem, 109. 515. ibidem, 111. 516. ibidem, 112. 517. “A Valentino Bompiani, 7 marzo 1960”, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 221-225. 518. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedito.

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La posizione indicata da Zavattini e adottata dall’icaic, rispetto al problema dell’autonomia artistica nel cinema, verrà riproposta qualche anno dopo, in termini retorici diversi, ma secondo gli stessi principi della linea ufficiale della necessità dell’impegno artistico. A riproporlo, sarà Julio García Espinosa, uno dei pionieri di Nuestro Tiempo, nel suo Manifesto “Il cinema imperfetto” in cui argomenta che il cinema che si deve fare in America Latina è imperfetto in quanto, in un mondo ideale, il cinema dovrebbe essere disinteressato o autonomo, rispetto alla società (secondo l’estetica di Kant che distingue fra arte meccanica e arte estetica, la prima funzionale ad uno scopo pratico, la seconda che serve solo a generare piacere o bellezza, entrambi disinteressati).519 Ma, García Espinosa spiega, purtroppo vari problemi pressanti costringono i cineasti ad occuparsi della società nel loro lavoro, e quindi il Nuovo Cinema non può che essere imperfetto.520 Un Nuovo Cinema “imperfetto”, un cinema impegnato, ma anche, secondo le direttive di Zavattini, un cinema che non scada nella propaganda.

1.35 Pedagogia dialogica La sera del 25 febbraio, Héctor García Mesa e Eduardo Manet, due dei partecipanti del Seminario Zavattini, vanno a trovare lo scrittore italiano nel suo albergo, alla vigilia della sua partenza per intervistarlo per il primo numero della nuova rivista di cinema dell’icaic, Cine Cubano.521 Così riassumono la sua presenza a Cuba: Zavattini arriva a Cuba… Arriva. Si guarda in giro. Si appassiona. Si mette in cammino. Ritorna. Torna per incontrarsi con una Cuba nuova: la Cuba rivoluzionaria. Questo fatto – la Rivoluzione – doveva appassionare un uomo come Zavattini. E così è stato. Un giorno, Zavattini partì per pedinare l’isola. Salì in montagna, scese in pianura. Parlò con i Barbudos. Si mise a indagare in ogni luogo. Si interessò di tutto quello che contemplava. E riempì questo dipartimento speciale che ha in testa con cento (talvolta mille) soggetti da convertire in cento (mila) film.522 Ma dal momento che la realtà impone un limite a tutto; poiché di fronte alla realtà bisogna 519. Immanuel Kant, Critica del giudizio, trad. A Gargiulo, Bari: Laterza, 1984, 163164. 520. Julio García Espinosa, “Imperfect cinema”, in Martin, 197. 521. Cine Cubano n. 1 1960, a cura di Héctor García Mesa e Eduardo Manet. 522. Héctor García Mesa e Eduardo Manet, [Introduzione] “Intervista a Zavattini”, Cine Cubano n. 1 1960.

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scegliere: Zavattini decise un bel giorno di chiudersi con un gruppo di giovani aiuti e, da quel momento, ogni giorno dalle 14 alle 21 (a volte fino alle 23), si studiava, si criticava, si passava alla disamina di decine di idee con il fine di trovare un soggetto da sviluppare. Si inauguravano i Seminari Zavattini.523

Il ritorno a Cuba è stato un incontro con una Cuba nuova: la Cuba della Rivoluzione. Dal punto di vista pedagogico, García Mesa e Manet fanno notare ai lettori la sua tecnica socratica, basata sulla maieutica delle domande che portano all’analisi e ad altre domande, ma soprattutto, la sua demistificazione del lavoro creativo: Quelli fra di noi che ebbero la buona fortuna di collaborare alle riunioni di Zavattini capirono che scrivere un soggetto non equivale a buttarsi su una poltrona in attesa della visita della Musa, ma piuttosto triturare le idee, fare a pezzi i dettagli, polemizzare con le situazioni e i personaggi. Se ci avesse lasciato solo un insegnamento, questo esempio già sarebbe sufficiente perché Zavattini potesse contare sulla nostra gratitudine. Ma ci ha lasciato anche un soggetto, un trattamento, e svariate idee per soggetti. In altre parole, ci ha lasciato un lavoro concreto su cui possiamo fare affidamento nel futuro.524

E questo è il giudizio di José Massip: È possibile che l’arrivo di Zavattini a Cuba abbia avviato una delle tappe più brillanti della nostra cultura: la fioritura del nostro cinema. Zavattini ha dato la sua opera ma anche il suo contributo alla formazione di scrittori di cinema.525

C’è poi chi, come Humberto Arenal, sottolinea «il rinnovamento dei concetti» e chi, come Fausto Canel, constata il fatto che «abbiamo potuto realizzare una maggior compenetrazione con la realtà», opinione condivisa da Manuel Octavio Gómez che ritiene che se questo metodo si concretizza in soggetti, è perché: «il quotidiano acquista nuovi valori; i fatti minimi, visti da lui, assumono proporzioni tali da riempire tutto un film».526 Mentre René Jordán commenta sul suo metodo di lavoro, osservando come: «da una parola, da un suggerimento, Zavattini è 523. García Mesa e Manet, Cine Cubano, no. 1, 1960. 524. ibidem. 525. “Giovani cineasti esprimono il loro parere su Zavattini”, Cine Cubano 1, 1960. 526. “Giovani cineasti esprimono il loro parere su Zavattini”, Cine Cubano 1, 1960.

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capace di estrarre in cinque minuti la struttura di una sceneggiatura della durata di novanta minuti». Per quanto riguarda l’insegnamento, José Hernández nota l’umiltà nel mettersi alla pari coi principianti: Colui che è riconosciuto come uno dei grandi creatori del cinema – e il nome di Zavattini si legge sempre in compagnia di Chaplin e di Ejzenštejn – ci ha insegnato la lezione dell’umiltà creativa, nella quale valgono solo le idee e i contributi costruttivi al lavoro.527

L’osservazione di Manet e García Mesa, secondo cui la dinamica di ascolto innescata da Zavattini nel suo Seminario di sceneggiatura costituisce un insegnamento di stile socratico, cioè mette in pratica la tecnica didattica della maieutica di Socrate, raccontata o meglio inscenata più che applicata da Platone nei suoi Dialoghi, viene confermata da Alfredo Guevara. A onor del vero, il più delle volte, nei Dialoghi, all’interlocutore è consentito solo interloquire con un: «sì, sono d’accordo». La dialettica c’è, ma non consiste tanto nello scambio tra personaggi, in una botta e risposta di tipo filosofico, quanto nella paziente analisi dialettica-logica di un assunto, condotta da un personaggio principale che predomina, appunto come figura del docente. A questa fase, segue il lavoro certosino di smantellamento dell’assioma, alla ricerca di un fondamento di pensiero più convincente, per esempio, nel Sofista di Platone. È pur vero che Platone racconta come Socrate avesse praticato la maieutica, in una mimēsis narrativa, in cui veicola la riflessione filosofica attraverso un dialogo di finzione; spesso più monologo che dialogo. Di conseguenza, bisogna andare a cercare altrove un modello attinente alla pedagogia di Zavattini, il quale rifiuta recisamente il metodo dell’insegnamento universitario autoritario, ex-cathedra. Piuttosto, nel non trattare gli studenti cubani come un contenitore da riempire di sapere dall’alto, la sua prassi assomiglia a quella del pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, influenzato da una parte dal pensiero di Antonio Gramsci e dall’altra da quello fenomenologico di Karl Jaspers. Freire nel suo Pedagogia do oprimido (1968) che riassume le tecniche utilizzate da lui negli anni Cinquanta e Sessanta per un programma di alfabetizzazione in Brasile, raccomanda, appunto, il dialogo, lo scambio di idee, il lavoro di gruppo, mirando ad un processo di conscientização, ovvero di «conscientizzazione»; in altre parole, una presa di coscienza degli studenti in una dinamica che trasforma l’apprendimento alienato in apprendimento che incorpora la consapevolezza delle propria 527. “Giovani cineasti esprimono il loro parere su Zavattini”, Cine Cubano 1, 1960.

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potenzialità come agenti attivi nel cambiare se stessi e la società circostante.528 In questo modo, Freire rivoluziona l’apprendimento, scambiando la forma nozionistica tradizionale con una forma aperta e dialogica. «Il dialogo», scrive Freire, «è l’incontro fra uomini, mediato dal mondo, in modo da nominare il mondo», e nominandolo, comincia la ricerca delle categorie per capirlo; comincia una dinamica trasformativa per cambiarlo e cambiarsi al contempo. Ne consegue che chi nega la parola (tramite l’insegnamento autoritario classico e normativo), nega che gli altri abbiano il diritto di esprimersi, per trasformare se stessi e il mondo.529 Facile a dirsi. Un vero dialogo però richiede l’umiltà, aggiunge, non l’arroganza. Solo in questo modo si può verificare il dialogo, l’incontro dell’imparare assieme; incontro in cui non ci sono né saggi né ignoranti, «solo persone che tentano di imparare assieme più di quanto sanno adesso».530 La pedagogia di Freire non è aliena alla teoria dell’emancipazione intellettiva del marxista Jacques Rancière, autore de The Ignorant Schoolmaster (1991), in cui l’insegnamento non si basa sulle competenze tecniche, ma sulla creazione di uno spazio liberatorio in cui si possa crescere, sentire e fare nuovi collegamenti.531 Solo dal dialogo, infine, può nascere il pensiero critico, dialettico; senza, non ci può essere comunicazione, ma senza comunicazione non c’è insegnamento. Di contro, in una lezione ex cathedra l’apprendimento consiste solo nell’ascoltare e apprendere un determinato orientamento di idee, certi criteri, ma non esiste lo spazio per un vero scambio di idee col docente. Zavattini preferisce un veicolo più efficace e molto insolito nella pedagogia dell’epoca: la tavola rotonda, la discussione di gruppo, dialogo costruito intorno ad un modo collegiale e orale di affrontare i problemi, istituendo una prassi lavorativa con lo scopo dichiarato di produrre dei soggetti, elaborare delle idee e insegnare sceneggiatura concretamente, nell’applicazione pratica delle idee a temi presi in discussione dal gruppo e discussi a fondo, partendo dall’esperienza in comune, l’esperienza concreta e personale dei presenti e fondata sulla ricerca sul campo. Una forma quindi di «apprendistato», secondo Héctor García Mesa, 528. Paulo Freire, Pedagogy of The Oppressed, tradotto da Myra Bergman Ramos, Londra: Penguin Books, 1996. 529. ibidem, 52-67; 69. 530. ibidem, 52-67; 73. 531. Jacques Rancière, The Ignorant Schoolmaster. Five Lessons in Intellectual Development. Tradotto e introdotto da Kristin Ross, Stanford: Stanford University Press, 1991.

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che consente di imparare facendo; apprendere in contatto diretto col docente che insegna, sia tramite dimostrazioni pratiche che tramite l’empatia, la generosità. Un sistema che è agli antipodi dell’imparare a memoria concetti per rigurgitarli all’esame. Piuttosto che insegnare l’elaborazione di un soggetto cinematografico in termini teorici, delineandone i concetti principali, Zavattini imposta il suo insegnamento intorno al dialogo su eventuali temi per soggetti cinematografici, messi in discussione tramite la critica dialettica dei temi e l’elaborazione delle idee, volta per volta prese in considerazione, adottate o scartate dal gruppo. I temi per i soggetti corrispondono ai «temi generatori» del dialogo di Freire – in quanto facenti parte dell’esperienza già acquisita – e sottoposti ad un’analisi dialettica di gruppo. In entrambi i casi, i temi riguardano sempre la realtà sociale di fatti e persone, situazioni ed eventi. Insomma, anche in questo, la sua tecnica è affine all’educazione «problematizzante» di Freire, modello alternativo, molto in anticipo rispetto a Rancière; forma pedagogica che si oppone a quella tradizionale che Freire definisce «bancaria» (che presuppone che il docente sia onnisciente e lo studente ignorante, che pretende che il docente parli e il discente ascolti in silenzio; in cui è implicito che il docente è soggetto attivo, mentre lo studente oggetto passivo.532 Più ci si adatta allo status quo, più si accetta un ruolo passivo e meno si sviluppa una coscienza critica, la presa di coscienza etica e politica di cui parla Zavattini o conscientização nella terminologia di Paulo Freire. Come fanno notare i suoi studenti, Zavattini integra il Seminario all’icaic col lavoro sul campo, visite a persone e alla ricerca di situazioni che collimino con l’approccio etnografico che andava seguendo già a partire dal 1952 e che si era materializzato nel libro fotografico Un paese e per i cubani della prima generazione – Massip, Espinosa, Alea, Guevara – nella ricerca di stampo e ispirazione zavattiniana sul campo per El mégano, Cuba mía e Tiempo muerto. Manuel Octavio Gómez, nel cogliere il valore dello sguardo di Zavattini rivolto al quotidiano e di come dei fatti minimi possano diventare film, comprende la metodologia e il contributo del suo maestro; metodo che include il «pedinamento» del reale, inteso però in senso etnografico, in cui l’incontro con l’Altro si rivela incontro col Medesimo, un pedinare la realtà, piuttosto che pedinare nel senso voyeuristico del nord-americano Alun Funt nel programma televisivo Candid Camera o dei film folkloristici dell’epoca.533 532. Freire, Pedagogy of The Oppressed, 52-67; 54. 533. Il programma televisivo di Funt andò in onda a partire dai primi anni Cinquanta

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La medesima esigenza del Nuovo Cinema si incontra nella letteratura testimoniale o testimonio a venire nei prossimi anni della Rivoluzione che si fonderà sull’esperienza del quotidiano, della cronaca dei fatti realmente accaduti, raccontati in prima persona dal subalterno che si fa voce metonimica, in quanto si esprime a nome suo e degli altri, infrangendo il silenzio del potere egemone.534 Certo è che l’autore di Operación Masacre, lo scrittore e giornalista argentino Rodolfo Walsh, considerato il padre del testimonio in America Latina, dopo la vittoria della Rivoluzione, si trasferisce a Cuba, dove lavora per l’icaic in questo stesso periodo nel 1959 e 1960, per fondare, su suggerimento di Che Guevara, l’agenzia stampa Prensa latina.535 Zavattini partecipa alla nascita del Nuovo Cinema Cubano in tre fasi: propagazione, assorbimento e applicazione di un’idea del cinema scaturita dal Neo-realismo, soprattutto nella sintesi zavattiniana, e per trasmissione diretta. Interviene come sceneggiatore, docente, consigliere, in qualità di dirigente culturale, con alle spalle un’attività di pioniere nei mass media, e istigatore di numerose iniziative promosse in Italia, a partire dagli anni Quaranta. Compie tre interventi all’icaic di natura diversa: l’insegnamento professionale della tecnica di sceneggiatura, l’apporto creativo, un contributo teorico; integrati nel lavoro concreto d’équipe, nel Seminario Zavattini, ricostruzione del laboratorio di scrittura di stampo Neo-realista, oltre al confronto dialettico che i suoi interventi provocano e con essi il ruolo non indifferente nel suscitare dibattiti sull’estetica e l’impegno politico ed etico nella creazione del Nuovo Cinema Cubano.536

1.36 Cuba dopo Cuba Il 25 febbraio, Saúl Yelín dell’icaic ringrazia Zavattini a nome di tutti in una lettera consegnata di persona: “Quanta satisfaccion no produjo e fu imitato in Canada, Regno Unito e anche in Italia. 534. Georg M. Gugelburger “Introduction: Institutionalization of Transgression. Testimonial Discourse and Beyond” in Gugelburger (a cura di) The Real Thing. Testimonial Discourse and Latin America, Durham e Londra: Duke University Press, 1996, 2-19; 5. 535. Alejandro Pedregal, Film and Making Other History. Counterhegemonic narratives for a cinema of the subaltern, Helsinki: Aalto University, 2015, 79-118. 536. Orio Caldiron in Zavattini, Uomo, vieni fuori! Soggetti per il cinema editi e inediti, a cura di Orio Caldiron, Roma: Bulzoni, 2006, 389-390, ma non affiora l’importanza dei due viaggi precedenti.

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su estancia”, scrive.537 Mentre Zavattini già pensa alla prossima fase di lavoro, chiedendo ad Alfredo Guevara il suo parere sul soggetto El Joven Rebelde e suggerimenti per eventuali correzioni.538 Alle nove del mattino del 26 febbraio prende il volo di una compagnia americana che fa scalo a New York. Da lì l’Alitalia lo riporterà a Roma. Dopo ventidue ore di viaggio, arriva a Ciampino alle 14.30 del 27 febbraio.539 Non appena è arrivato, viene intervistato dal cronista Gianfranco Corsini del quotidiano comunista Paese Sera a cui dice: «voglio parlare di Cuba per sei ore consecutive». E lo farà, lo farà.540 Intanto il suo reportage, un testo tanto letterario quanto cinematografico, sarà tradotto in spagnolo e pubblicato a Cuba in Bohemia, rivista a larghissima diffusione nell’ottobre del 1960 e, in versione molto ridotta, e senza gli occhielli di Paese Sera, nel suo Diario che esce in Cinema Nuovo.541 Nel frattempo, Nikita Kruschov verrà a Cuba su invito del dott. Antonio Núñez Jiménez. Nonostante le pressioni esercitate dagli usa sui governi soggiogati dall’America, va in porto la Conferenza dei Paesi Sottosviluppati. Intanto, la Riforma Agraria ha finito di redistribuire Cuba ai cubani, con l’espropriazione dei latifondi di canna da zucchero che ora sono diventate cooperative.542 Il 17 marzo 1960, un memorandum “A Program of Covert Action Against the Castro regime” della cia viene firmato dal Presidente nord-americano Dwight Eisenhower che approva l’embargo di merci, embargo economico dannosissimo che durerà oltre mezzo secolo.543 Da quel momento in poi, si sentirà nell’aria la minaccia di un’invasione imminente. A giugno, José Hernández sta lavorando al soggetto di Prensa amarilla.544 Mentre Jomí García Ascot inizia a girare Giulietta e Romeo e Julio García Espinosa prepara il soggetto di Bertillón, una novella premiata sulla clandestinità a Santiago di Cuba. Ci sono anche i giovani cortometraggisti che hanno fatto dei nuovi documentari: uno a colori molto bello di Faustino Canel e Joe Masot, a colori, sul carnevale dell’Avana. José Massip è attivissimo; infatti oltre al resto, è impegnato a portare 537. Lettera di Saúl Yelín a Zavattini, 25 febbraio 1960, ACZ E 2/7, c. 18. 538. Lettera di Zavattini ad Alfredo Guevara, 25 febbraio 1960, ACZ E 2/4. 539. Zavattini, “Addio Avana. Cuba 1960”, Paese Sera, mercoledì 30 aprile 1960. 540. Zavattini, “Cuba 1960”, Paese Sera, 18 aprile 1960. 541. Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 201. Zavattini, “Il vecchio e il nuovo nella Cuba di Fidel Castro”, Cinema Nuovo, a. xi, gennaio-febbraio, 1960, 21-35. 542. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. Inedito. 543. Tad Szulc, Fidel. A Critical Portrait, Londra: Hodder and Staughton, 1989, 569. 544. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32.

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a termine la scrittura di El Joven Rebelde e ha finito I tempi di Martí. Lavora anche a Por qué nació el Ejército Rebelde, film documentario a episodi che utilizza attori non professionisti.545 Eduardo Manet sta scrivendo il soggetto de L’Attentato a Cowley, mentre Héctor García Mesa organizza la nuova Cinemateca dell’icaic. José Hernández si incontra tutti i martedì con gli scrittori René Jordán, José Massip e altri giovani – Jorge Fraga, Octavio Gómez, Fernando Villaverde, Mercedes Cortazár insieme a «quelli della Nouvelle Vague», «gruppetto» che nel frattempo ha pubblicato degli opuscoli presso la casa editrice creato dalla Rivoluzione.546 Il 14 settembre del 1960, Julio García Espinosa gli scrive per metterlo al corrente della lavorazione di Cuba baila, film ideato da Zavattini, e per chiedergli un ulteriore contributo per El Joven Rebelde.547 Intanto, José Hernández gli racconta come è andata la lavorazione dell’ultimo episodio di Historias de la Revolución (Un Cuento Maldito). Ne racconta tutti i problemi e le meraviglie del sonoro che hanno ottenuto «es absolutamente natural».548 Ancora il 17 dicembre García Espinosa continua il carteggio per mettere a punto vari elementi della sceneggiatura di El Joven Rebelde.549 E sempre a dicembre gli scrive Massip che ha coordinato il Seminario Zavattini, ringraziandolo in una lettera che mette in evidenza quanto abbia significato l’intervento di Zavattini a Cuba.550 Ma non finisce qui il rapporto di Zavattini con l’icaic. Infatti, dopo il suo ritorno in patria, concretizza il suo impegno in diversi modi: attraverso il lavoro rimasto in sospeso a Cuba sui soggetti e sceneggiature; tramite il dettagliatissimo reportage che si presenta ai lettori come intervista, ma in realtà è un testo curatissimo di Zavattini, pubblicato in sette puntate, dal 18 aprile al 1 maggio 1960, in Paese Sera, quotidiano comunista di rilievo nazionale. Gioca un ruolo principale nella costituzione e avviamento dell’Associazione Italia-Cuba, risposta concreta all’appello dei cubani per solidarietà contro le sanzioni o blocco economico degli USA.551 Era 545. Chanan, Cuban Cinema, 131. 546. Lettera di Hosé Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. 547. Lettera di García Espinosa a Zavattini, 17 dicembre 1960, ACZ E 2/7, c. 44. Finalmente, il 28 febbraio 1961, García Espinosa traccia i cambianti al copione e annuncia che il lavoro è completo. Lettera di García Espinosa a Zavattini 28 febbraio 1961, ACZ E 2/7, c. 7-8. 548. Lettera di José Hernández a Zavattini, 4 giugno 1960, ACZ E 2/7, c. 28-32. 549. 550. Lettera di Massip a Zavattini, 17 dicembre 1960, ACZ E 2/7, c. 44. 551. Cinque Echi della stampa, del dicembre del 1963, lo dimostrano, ACZ E 4/1.

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stato Héctor García Mesa, ora Direttore della Cinemateca all’Avana, a pregarlo, il 17 aprile del 1961, di fare tutto il possibile per generare una solidarietà europea, in una campagna di stampa, per difendere la Rivoluzione dai tanti attentati clandestini e azioni militari usa lanciate contro Cuba.552 A distanza di pochissimi anni, si perde la memoria storica dell’intervento cubano di Zavattini. Sono pochi a riconoscerlo: in Italia, solo Franco Calderoni e Ugo Casiraghi fanno presente l’influenza diretta su Cuentos de la Revolución. All’estero nessuno.553 Eppure, le linee fondamentali del Nuovo Cinema Cubano Zavattini le ha tracciate. Dopo la sua partenza, l’icaic aprirà le frontiere cubane al cinema europeo, invitando molti cineasti stranieri: il regista documentarista Joris Ivens prima di novembre, Chris Marker l’anno dopo, Alain Resnais, Agnès Varda, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir per tutto il mese di marzo del 1960, occasione in cui Sartre entra in discussione con i giovani scrittori che avevano lavorato con Zavattini, assumendo lo stesso atteggiamento critico verso di loro.554 Sartre e de Bouvoir paragonano la Rivoluzione Cubana alla Liberazione della Francia nel 1944, e i Rebeldes ai maquis della Resistenza francese.555 «Cuba sí, Yanqui no!», lo slogan che si sente durante il mese di maggio per le strade delle città.556 Verranno a Cuba anche il documentarista americano Richard Leacock, proponitore del Direct cinema americano e l’autore di ¡Yanki No! (1960) che presenta un’immagine negativa della Rivoluzione.557 Lo contraddice ¡Cuba Si! di Chris Marker, girato nel gennaio del 1961.558 Ivens arriva a Cuba nel novembre del 1960.559 Per Carnet de Viaje, il suo primo film girato a Cuba, visita diverse regioni dell’isola, assistito da Jorge Fraga e José Massip.560 Ivens tornerà nel 1961, su invito ufficiale dell’icaic, lavorando per due mesi a Cuba allo scopo di fondare una scuola di cinema documentario.561 552. Lettera di Héctor García Mesa a Zavattini, 17 aprile 1961, ACZ E 2/7, c. 37-38. 553. Eco del Festival di Mosca, dopo la presentazione al Festival di Mosca di “Racconti della rivoluzione cubana”, ACZ E 4/1. ACZ E 4/1. 554. Zavattini, “Cuba 1960”, Paese Sera, venerdì 22 aprile 1960. 555. Gott, Cuba. A New History, 176. 556. Thomas, The Cuban Revolution, 501. 557. Bruno Torri, “Cinema e rivoluzione”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 45-49; 46. 558. Chanan, Cuban Cinema, 193; 197. 559. ibidem, 196. 560. ibidem, 196. 561. ibidem, 192.

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Ma prima ancora dell’arrivo degli altri cineasti europei, Zavattini aveva impostato una prassi integrata, che sfuma idee politiche e sociali con creatività, ricerca sul campo e pedagogia, istaurando una relazione e dialogo con l’icaic, che sviluppava la sua collaborazione, insegnamento e orientamento dei soggiorni precedenti a Cuba. Poco dopo la sua partenza, Zavattini ne riparla in una lettera a Héctor García Mesa in cui il soggetto Color contra Color viene messo in relazione diretta col gruppo dissenziente della Nouvelle Vague: Avete pensato a Color contra Color? Certo che molti anche a Cuba hanno una etica che va da Sinistra e un’etica che va a Destra. Comunque, senza impancarmi a critico che non lo sono e non ho che qualche rara e contraddit‹t›oria intuizione, vorrei dire a questi giovani: fate quello che volete, quello che sentite, ma dateci nel modo che potete, con la libertà più estrema, questo momento, il momento che state vivendo a Cuba, un momento irrepetibile.562

1.37 Ancora disimpegno, 1961 E lo faranno. Infatti, nel giro di un anno, lo scontro reso esplicito da «l’esperimento» di Zavattini nella sua relazione ufficiale all’icaic si acuisce negli ambienti culturali cubani, culminando con un cortometraggio Pasado Meridiano o p.m. che ritrae una serata nei locali del lungomare avanese nel gennaio del 1961, messo in onda alla tv nell’ora riservata ai programmi culturali di Lunes de Revolución, gestito da Guillermo Cabrera Infante.563 Secondo Alfredo Guevara, Pasado Meridiano (p.m.), girato senza commento o dialogo, ritrae lo stesso tipo di mondo ai margini della società civile che si vede in On The Bowery (1956), documentario di Lionel Rogosin in cui figura la vita dissoluta degli ubriachi e vagabondi di una strada malfamata dei bassi newyorkesi. p.m. mostrerebbe, secondo Guevara, lo spettacolo poco edificante di disoccupati habaneros, soprattutto neri e mulatti, peraltro, in condizioni di inferiorità.564 Ma il film non mostra questo: pertanto il giudizio di Guevara è impreciso, in quanto l’unico elemento in comune a On The Bowery e p.m. è l’ambiente 562. Robert E. Quirk, Fidel Castro, New York e Londra: W.W. Norton and Company, 1993, 381. 563. Robert E. Quirk, Fidel Castro, New York e Londra: W.W. Norton and Company, 1993, 381. 564. Chanan, Cuban Cinema, 133-143.

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dei bar. In p.m., al posto della disperazione dei bassi americani, colpisce l’atmosfera allegra, dovuta alla musica afro-cubana e alle dinamiche sociali fra cubani – la stessa atmosfera di Cuba baila o, nell’ambito anglosassone del Free Cinema, Momma don’t Allow (1956) di Karel Reisz e Tony Richardson, senza dialogo né commento fuori campo. Che i presenti siano disoccupati, non lo si direbbe dai vestiti impeccabili. Sembrano piuttosto lavoratori e tra il pubblico dei bar ci sono anche dei soldati riconoscibili dalle divise. La cinepresa di Sabá e Leal vaga incuriosita in mezzo ai rapporti misteriosi fra estranei e amici, alle teste che annuiscono e ai corpi che ondeggiano al ritmo della stessa musica del famoso Rumba Chori che Zavattini aveva ascoltato estasiato nel 1953. Esagera Néstor Almendros, diventato critico cinematografico di Bohemia, quando scrive che il cortometraggio è «enormemente poetico» e «vero gioiello di cinema sperimentale».565 Bisogna riconoscere che è un tipo di documentario di osservazione, in cui, al posto degli attori di professione, figurano «attori sociali», la gente del posto che si diverte, in una Cuba che ha tutti gli occhi della stampa internazionale puntati addosso in un periodo di tensione pesantissima, appena tre settimane dopo l’invasione fallita degli usa alla Baia dei Porci.566 L’elemento fondamentale non è né la sperimentazione, né l’estetica del film, ma piuttosto il contesto sociale di una Cuba assediata dal potente vicino. In ogni caso, il film di Sabá Cabrera Infante (sorella del romanziere Guillermo) e Orlando Jímenez Leal non riceve il visto dall’icaic di Alfredo Guevara e quindi non potrà essere distribuito nelle sale. Almendros si schiera subito dalla parte dei cineasti, il che significa, nel contesto politico e sociale cubano, opporsi inevitabilmente alla ragion di stato, cioè ai valori della Rivoluzione. Viene organizzata una riunione alla prestigiosa Casa de las Américas, presenti Fidel, il Presidente Osvaldo Dorticós, e la Direttrice, Haydée Santamaria, leggendaria eroina superstite dell’Assalto al Moncada nel 1953.567 Néstor Almendros rifiuta la posizione di Guevara che rappresenta l’icaic, così come, assieme a Guillermo Cabrera Infante, si era opposto a Zavattini. In entrambi i casi, si trattava di applicare il «buon senso» gramsciano, cioè valutare la situazione nel suo contesto, proprio come aveva teorizzato Zavattini, facendo la distinzione fra un Kerouac o un Ionesco nel contesto nordamericano e francese, rispetto al contesto cubano. Già allora, i nemici della Rivoluzione compivano azioni 565. Thomas, The Cuban Revolution, 564. 566. Bill Nichols, Representing Reality, Bloomington: Indiana University Press, 1991, 38-44. 567. Quirk, Fidel Castro, 1993, 382.

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di sabotaggio e terrorismo. Ma ora Cuba si trovava in stato d’emergenza nazionale, sotto la minaccia imminente di una guerra, in pieno clima psicologico di ansia e paura, subito dopo la fallita invasione. Stessa questione e stessa divisione fra le medesime linee di tendenza: quella dell’autonomia dell’arte e quella dell’impegno politico, dell’arte utile e urgente a servizio della Rivoluzione. Di nuovo è in ballo la difesa dell’autonomia, messa in causa dai Cabrera Infante, Almendros, e Lunes de Revolución. Una questione tanto seria da richiedere addirittura oltre l’intervento di Alfredo Guevara, quella di Fidel che sarà presente a tutte e tre le riunioni del 16, 23 e 30 giugno 1961.568 Alla seconda riunione, Alfredo Guevara accusa Lunes di seminare confusione ideologica, provocata da una propensione per un’arte ispirata dall’esistenzialismo borghese.569 Guevara si riferisce alla moda dell’esistenzialismo di JeanPaul Sartre prima maniera, che risale alla filosofia di Être e la néant (1943) e ai suoi romanzi, a partire da La Nausée (1938), idee filosofiche riprese soprattutto da Albert Camus, idee che godono ancora di una grande diffusione nella cultura, nonostante il fatto che proprio nel 1960, Sartre pubblica la Critique del la Raison dialectique (1960), che riprende il suo articolo, Questions de méthode (1959), in cui tenta di riformulare la sua versione dell’esistenzialismo per riconciliarlo col Marxismo. Secondo Alfredo Guevara, alla base della «negazione» degli artisti cubani della Nouvelle Vague c’è l’esistenzialismo.570 Bisogna chiedersi quale aspetto in particolare potesse provocare una «confusione ideologica». Il problema insormontabile è che questa corrente filosofica nega l’azione politica, l’agire, il cambiamento. L’ostacolo insormontabile all’azione nel sociale sarebbe l’incomunicabilità: l’uomo è alienato e questa condizione è immutabile. Quindi, si tratta di una filosofia prettamente anti-rivoluzionaria, perché parte dal presupposto di una incompatibilità proprio di fondo, ontologica, non ammettendo neanche lontanamente la possibilità dell’aggregazione sociale e quindi dell’organizzazione politica che consenta di infrangere l’isolamento fra individuo e individuo e di rendere possibile un mondo di relazioni sociali, uscendo dalla condizione individuale e passando all’azione collettiva. 568. ibidem, 382. 569. ibidem, 383. 570. Al progetto abbandonato della Critique (esiste solo il primo volume dell’opera), avrebbe dovuto far seguito un secondo sulla storia, che conciliasse l’esistenzialismo col Marxismo, nel tentativo di offrire un’alternativa allo stalinismo del pcf. Pietro Chiodi, Sartre and Marxism, tradotto da Kate Soper, Hassocks, Sussex: The Harvester Press, 1978, 90-148.

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Questo perché, alla base dell’alienazione, sinonimo di reificazione o oggettivazione, c’è il rapporto fra uomo e mondo, che un rapporto alienato, in quanto non ci può essere dialettica fra i due termini. La filosofia dell’esistenzialismo finisce quindi per giustificare il nonimpegno: non concependo la rottura dell’isolamento individuale ed esistenziale, non ammette che si possa passare all’azione e prospetta invece solo un destino tragico, rimanendo nella condizione permanente di un’alienazione inalienabile. Per Marx, a partire dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, è vero il contrario: l’alienazione esiste, ma è una conseguenza del capitalismo e quindi, per realizzare una nuova società, l'alienazione può e deve essere trasformata nel suo opposto, per mezzo dell’attività associativa e politica. L’impegno è un impegno collettivo che produce soggettività e disalienazione.571 Il cortometraggio p.m. riaccende una polemica e dissenso interno tra orientamenti opposti nei confronti del sociale. Il dibattito a Cuba si chiude col discorso di Fidel: “Palabras a los Intelectuales” in cui pone il problema in questi termini e chiarisce la posizione ufficiale del Governo Rivoluzionario: La Rivoluzione deve comprendere la situazione reale e quindi agire in maniera tale che tutto il gruppo di artisti e intellettuali che non sono veramente rivoluzionari possano trovare lo spazio per lavorare all’interno della Rivoluzione, un luogo dove il loro spirito creativo, anche se non sono scrittori e artisti rivoluzionari, abbia l’opportunità e la libertà in cui esprimersi. Questo significa: all’interno della Rivoluzione tutto, contro la Rivoluzione, niente.572

Dunque Fidel, come Zavattini l’anno prima, non esclude la libertà di espressione, ma controbilanciata dalla responsabilità per la Rivoluzione. Julio García Espinosa è d’accordo con la decisione dell’icaic e pone la questione in questi termini: «Tra gli artisti progressisti e gli intellettuali, chi in quel momento rappresenta la corrente più avanzata? Il cnc,

571. Karl Marx, I manoscritti economico-filosofici del’44 in Marx, Scritti giovanili a cura di Sergio Moravia, Fabbri Editori, 2004. István Mészáros, Marx’s Theory of Alienation, Londra: Merlin, 1978 dimostra che tutto il pensiero di Marx esprime la possibilità e la necessità di trascendere (aufhebung) l’alienzione politica, economica e sociale nell’azione politica. 572. Fidel Castro, “Palabras a los intelectuales” in Política cultural de la revolución cubana: documentos, Editorial de Cinecias, Avana, 1977, 74-75, tradotto in inglese da Lee Baxandal (a cura di), Radical Perspectives in the Arts, Harmondsworth: Penguin, 276 e citato in John King, Magical Reels, 151.

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l’icaic o Lunes de Revolución?».573 García Espinosa assume il punto di vista rivoluzionario, ragionando come chi, dopo una presa di coscienza politica, è convinto, come il suo maestro Zavattini, del ruolo sociale e anche politico dell’arte, soprattutto nel contesto della Rivoluzione in atto che, come spiegava Zavattini all’icaic, non può non coinvolgere gli artisti, perché non si può ignorare il contesto. Come scrive Zavattini nella serie di articoli per Paese Sera: Che, in un primo momento, un cinema il quale nasce quando per le strade ci sono ancora quasi feriti da raccogliere, quando dal cielo piovono ogni tanto bombe al fosforo, quando vi sono pressioni internazionali che minacciano di soffocare l’indipendenza ottenuta, che questo cinema si orienti verso soggetti densi di significati storici, mi pare comprensibile, logico, e inevitabile. È chiaro che una Rivoluzione non può esprimere da sé una cinematografia svincolata da una coscienza civile quando la Rivoluzione è al diapason.574

Nel 1961, è questo il contesto scottante della discussione dell’arte per l’arte. Nel 1963, García Espinosa riprende la questione dell’impegno politico rispetto alla Rivoluzione da parte degli artisti, questione impostata tre anni prima da Zavattini all’icaic, scrivendo in Cine Cubano, l’organo ufficiale dell’icaic, che è indispensabile che i cineasti mettano al primo posto il dovere di trovare un rapporto più diretto con la realtà.575

1.38 Cuba 1960 In quello che sarà nel giro di pochi anni il testimonio, romanzo testimoniale Latino-americano, i fatti raccontati si trasformano in letteratura; la cronaca diventa storia e perfino epica, ma in tono minore, partendo dall’esperienza individuale vissuta in prima persona dal testimone oculare.576 Sarà l’equivalente letterario del «cinema imperfetto» Neo-realista, in cui figura l’anti-eroe, l’equivalente letterario 573. Castro, “Palabras a los intelectuales”, 74-75. 574. Zavattini, “Le caserme diventano scuole. Cuba 1960”, Paese Sera, giovedì 28 aprile 1960. 575. García Espinosa, “En Cuba el cine busca al público”, Cine Cubano n. 13, agosto-settembre 1963, 13-20. 576. John Beverley, “Testimonio, Subalternity, and Narrative Authority”, in Norman K. Denzin e Yvonna S. Lincoln (a cura di), Strategies of Qualitative Inquiry, Los Angeles, Londra, Nuova Delhi, Singapore: Sage Publications, 2008, 260.

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dell’attore non professionista che recita se stesso e la propria esperienza e vita quotidiana. In questo modo, la storia si precisa in storia raccontata da individui testimoni di fatti collettivi, in una forma sia realista che di denuncia sociale e politica. Nulla a che vedere col realismo russo di Lukács imposto da Zdhanov, il testimonio rispecchia la cultura orale che ricorda un’esperienza vissuta, comunicata attraverso una scrittura alla portata di tutti, in conformità con le idee gramsciane di cultura nazional-popolare, per cui la frattura fra cultura alta e bassa, fra intellettuali e popolo viene contestata al livello della scrittura, oltre che di una metodologia dell’inchiesta giornalistica che si rivolge ai bisogni sociali e alle lotte dei gruppi subalterni, dando voce all’Altro che, uscendo dalla sua marginalizzazione, diventa protagonista, con l’obiettivo di mettere la letteratura al servizio dell’impegno politico e rivoluzionario, nel passaggio da intellettuale tradizionale a intellettuale organico gramsciano.577 La presenza di Zavattini a Cuba si concretizza anche nella scrittura di una forma di testimonio-diario tutto zavattiniano: il già citato Cuba 1960, quasi una sceneggiatura per un film, pubblicato in sette puntate sul quotidiano comunista Paese Sera nel 1960. È un reportage certamente, una testimonianza consapevole, basata sulla ricerca etnografica sul campo, sulle moltissime interviste da lui condotte con i cubani della strada, dei paesi, coi giovani e giovanissimi veterani dell’Ejército Rebelde. Come nel caso del suo film-libro Un paese, la sua scrittura personalissima, il suo cine-occhio, offre uno sguardo istruito anche da una ricerca di stampo investigativo e da un approccio etnografico. Il suo intervento nel quotidiano italiano viene trasmesso direttamente alla cultura cubana, quando questo diario-testimonio, reportage frutto dello sguardo zavattiniano informato e corretto dagli eventi e dagli incontri, è tradotto in spagnolo e pubblicato dalla prestigiosa rivista cubana Bohemia nell’ottobre del 1960.578 Così vengono trasmesse a Cuba tradotte in spagnolo anche le considerazioni finali di Zavattini sul rapporto fra arte e società, arte e impegno, soprattutto in un’era rivoluzionaria come quella cubana. Scrive in Paese Sera nell’aprile 1960: Gli artisti stanno con la Rivoluzione anche se vi sono artisti che in sede etica sono progressisti e in sede estetica sono dei conservatori. Succede, 577. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Quaderno 21, §5, §6, Quaderno 16, §21; in David Forgacs, (a cura di), An Antonio Gramsci Reader. Selected Writings, 1916-1935, New York: Schocken Books, 363-378. 578. Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 201.

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del resto, anche qui da noi. Le polemiche sull’arte, impegnata e non impegnata, sono all’ordine del giorno, e la morte di Camus, per dirne una, le ha riaccese. Il tema della libertà intellettuale può forse parere a qualcuno piuttosto intempestivo in mezzo a dei fatti così incandescenti che dovrebbero far coincidere in una unica fiamma la istanza morale e quella politica. Il problema degli artisti cubani, che pareva nel primo anno della Rivoluzione quasi inesistente, nel senso che la gioia per la fine della dittatura era stata spontanea e generale, oggi dovrà manifestarsi in quanto il procedere inflessibile della Rivoluzione costringerà l’artista a uscire da uno stato d’animo puramente patriottico per diventare sempre più impegnato nella concretezza sociale del paese.579

In Cuba 1960, Zavattini riflette ancora sulla questione dell’autonomia artistica. Di nuovo, accoglie l’obiezione che l’arte può anche essere rivoluzionaria nella sola forma artistica ed è anche d’accordo. Capisce che ad alcuni la Rivoluzione non ispira. Ma arriva alla conclusione che in ogni caso «ciascuno debba tendere a stabilire dei contatti razionali tra la composizione del suo mondo poetico e il mondo della Rivoluzione». Il «mondo della Rivoluzione» non lo considera né un mondo chiuso e neanche schematico (cioè non è un’astrazione del realismo sovietico a cui egli si è sempre opposto). Di conseguenza, consiglia di tracciare una linea netta fra mediazione poetica del fatto e atteggiamento didattico o esaltazione. Almeno nei film a soggetto. No, la Rivoluzione viene fuori da un fatto storico ben preciso che ha portato alla «cessazione di una dittatura, morale e fisica, di un modo di vivere insomma minorato».580 E quindi bisogna almeno porsi il problema di come entrare in relazione al fatto, all’evento e chiedersi come la sua dinamica tocchi chi ne è partecipe o un testimone oculare degli eventi. Insomma, diversamente da qualsiasi schematismo stalinista, arriva ad affermare che il dubbio, lo scetticismo, è una posizione valida, perché indica che si è entrati in rapporto con questa realtà. Chiede che almeno non sia trattata come una problematica da scartare a priori dai “non-impegnati” giacché: «nell’atto stesso di credere a questa correlazione strettissima»: si apre come un fiore un campo d’intuizioni, di rivelazioni addirittura, che dovrebbero allettare qualunque artista, anche se dovesse considerare puramente sperimentale questo periodo. Una Rivoluzione come la cubana non si verifica tutti i giorni, cioè una Rivoluzione che s’inserisca nella 579. Zavattini, “Le caserme diventano scuole. Cuba 1960”, Paese Sera, giovedì 28 aprile 1960. 580. ibidem.

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dialettica attuale, portandoci dentro come un gran vento fattori classici e romantici che cercano una loro originale sistemazione anche sotto un profilo filosofico. Ma, dissi io, non si deve aver paura – il pudore del letterato – di scomporre, per esempio, la Riforma Agraria, per vedere se ce n’è uno che si adatti alla nostra voce, e magari alla nostra malinconia.581

Per quanto riguarda la Rivoluzione e il Nuovo Cinema, Zavattini distingue fra un primo momento ancora attuale, di realtà immanente, di presente pressante nel suo farsi e un secondo momento. Nel primo, «una Rivoluzione non può esprimere da sé una cinematografia svincolata da una coscienza civile quando la Rivoluzione è al diapason».582 Mentre nel secondo momento a venire, la seconda ondata o New Wave – e in questo Zavattini si rivela assolutamente in sintonia coi tempi – bisognerà tracciare una linea netta fra mediazione poetica del fatto e atteggiamento didattico o esaltazione. Ci deve essere mediazione, un cinema più personale, almeno nei film a soggetto: Però già fin da questo istante si profila quella che potremmo chiamare la seconda ondata, che consisterebbe, pur conservando assolutamente lo spirito della Rivoluzione (le sue spinte più alte e importanti che sono sempre di carattere universale), nel cercare di raccontare, attraverso anche i cunicoli segreti dell’anima umana, gli episodi più privati, gli scorci più inaspettati, camminando di pari passo forma e contenuto, sviluppando il linguaggio.583

Appartiene già a quella Seconda Ondata a cui si riferisce lo scrittore in Cuba 1960 il soggetto di Color contra Color, da lui tracciato il 24 febbraio in tredici pagine, in cui il rapporto fra artista e l’evento storico di massima portata genera una crisi o dubbio sulla propria poetica. È attuale e legittimo il lavoro dell’artista astratto che non figura la storia contemporanea tanto presente? Il soggetto rientra in un secondo ordine di risposta alla problematica sollevata dagli artisti cubani. Non si capisce come sia riuscito a trovare ritagli di tempo durante il soggiorno a Cuba per scrivere una novella epistolare: Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito in cui la Rivoluzione c’entra solo come sottofondo, di un personaggio che si arrovella come quello del suo Ipocrita 1943. Quel personaggio si trovava al centro di una disfatta, quella del mondo del Fascismo, questo è un individuo che si rifugia nel ricordo ossessivo di una storia d’amore finita ambientata a Cuba, 581. ibidem. 582. ibidem. 583. ibidem.

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ma i luoghi che ricorrono sono lontani e solo rievocati.584 Non che il personaggio si dimostri del tutto indifferente alla Rivoluzione, ma non vi è partecipe. Il quotidiano straordinario non lo mette mai in rapporto diretto con la realtà oppressiva della sua memoria. Sembra piuttosto che sia la memoria e la malinconia il vero protagonista introverso e nascosto fra i ricordi di luoghi remoti e di una persona lontana.

1.39 Trasmissione delle idee All’icaic, Jomí García Ascot, che aveva lavorato a fianco di Zavattini in Messico, realizza due mediometraggi, Un Día de Trabajo e Los Novios, in seguito episodi di Cuba 58, assieme ad Año Nuevo, di Jorge Fraga. Ascot e Zavattini ne avevano parlato per lettera e di persona a Cuba. Gli episodi di Ascot mettono in pratica l’approccio zavattiniano verso un cinema non solo impegnato ma anche rivoluzionario, in quanto non demagogico o zdhanovista, optando invece per la mimēsis neo-realista. In Giorno di lavoro, si narra la giornata qualsiasi di un poliziotto sotto la dittatura di Batista, che diventa tanto più mostruoso quanto più normale, in un certo qual modo come l’Adolf Eichmann del ritratto di Hannah Arendt. La giornata diventa l’arco di tempo cinematico e sintomatico e serve per uno dei tanti soggetti discussi con Zavattini prima e durante il suo ultimo soggiorno a Cuba, in cui sfuma il confine rigido fra documentario e film a soggetto, quando, ancora una volta si trovava ad essere in contatto diretto con Ascot. Anche l’altro mediometraggio, Los novios (I fidanzati), era fra i soggetti presi in considerazione da Zavattini nel 1959, in cui la Rivoluzione serve da sfondo per quello che sembra una storia d’amore. Un rivoluzionario riesce a mettesi in salvo fingendo di essere il fidanzato di una ragazza che milita nella lotta armata. Come aveva consigliato Zavattini, la storia e gli eventi non devono mai soffocare il cinema, altrimenti si passa dal cinema politico a quello demagogico. In Los novios, come altri film cubani dell’epoca, questa falsariga zavattiniana viene seguita. Ecco la lezione del racconto minimo, minimalista, denso e poetico al contempo. Il particolare che non diventa tipico astratto, ma tipico concreto, in un gioco di rimandi fra storia personale e storia civile. Il ritorno in Messico di Ascot segnò il ritorno all’indifferenza dell’industria cinematografica messicana, inclusa quella di Teleproducciones, con cui si era scontrato Zavattini. 584. Zavattini, Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito in Zavattini, Opere, a cura di Silvano Cirillo, 1991, 753-774.

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Occupando una posizione privilegiata nella formazione e nello sviluppo del Nuovo Cinema Cubano, non a caso Zavattini figura nel primissimo numero della rivista specializzata Cine Cubano portavoce del cinema per tutta l’America Latina, in un’intervista sui quasi tre mesi di lavoro come docente di sceneggiatura, sceneggiatore e teorico del cinema, trascorsi a Cuba. E vi compare quasi tutto il suo discorso del 25 febbraio. Sin dall’inizio, Alfredo Guevara e i suoi collaboratori e dirigenti dell’icaic avevano messo in pratica i consigli di Zavattini, a partire dalla formazione di Cine Rebelde, unità attiva dopo il 1 gennaio fino al 24 marzo 1959, periodo in cui l’icaic non esisteva ancora come organismo ufficiale. Allo scrittore italiano in quei primi mesi venivano richiesti consigli in base alle sue competenze di organizzatore culturale ed exdirettore aziendale dei mezzi di comunicazione di massa, acquisite sia in campo editoriale, come direttore editoriale nell’anteguerra che come Presidente dei Circoli del Cinema e promotore e ideatore di conferenze, come, ad esempio, la Conferenza di Parma o quella Economica del Cinema Italiano che si era tenuta nel 1958. Un altro aspetto del suo contributo riguarda l’icaic e la sua struttura. Julio García Espinosa scriverà che il cinema documentario cubano è diviso in tre: tra divulgazione scientifica, cinegiornali, cartoni animati. Ma un cernita del cinema cubano dimostra che una suddivisione più dettagliata rispecchia meglio la prassi, in primo luogo a Cuba, ma anche altrove nell’America Latina.585 Eccola: cine celebrativo; cine de combate; cine de denuncia; cine encuesta; cine ensayo; cine reportaje; cine rescate e cine testimonio.586 Già a partire dai primi contatti nel 1953, Zavattini, nel trasmettere la sua versione del Neo-realismo nel passaggio dal movimento storico a un’idea di cinema in continua elaborazione, trasmette una prassi di ricerca, documentazione, reportage, documentario inteso come film-inchiesta, film a soggetto o documentario inteso come film-diario, o film-personale, prassi che si era esplicata in Italia nella teorizzazione di Italia mia, in Amore in città, in Roma, ore 11, in Messico in México mío e !Torero!, e a Cuba, in Cuba mía, El mégano, Tiempo muerto e Cuba baila. Nel lavoro pedagogico dopo la Rivoluzione, come si è potuto constatare, ebbe un ruolo centrale nel mostrare i tanti modi in cui si poteva fare un cinema rivoluzionario. Il cine rescate mette a fuoco elementi di cultura passati sotto silenzio 585. Chanan, “Rediscovering documentary. Cultural context and intentionality” in Michael T. Martin New Latin American Cinema. Vol. 1. Theory, Practices and Transcontinental Articulations, Detroit: Wayne State University 1997, 201-217, 205. 586. Chanan, “Rediscovering documentary”, 205.

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dal cinema egemonico in quanto pertinenti al paese reale, piuttosto che a stereotipi esterofili o esoticizzanti. Queste distinzioni in categorie distinte aiutano solo fino ad un certo punto, in quanto, se si prendono in considerazione i progetti ispirati alla visione di Zavattini e al suo insegnamento, si può constatare che categorie diverse in realtà si sovrappongono. Per fare solo un esempio, Cuba mía o El mégano che ne fa parte, abbracciano sia la ricerca etnografica sul campo, il pedinamento in profondità, arrivando a conoscere bene il soggetto, entrando in rapporto di continuità, sia che il film-inchiesta, in cui vengono a galla problemi ignorati o addirittura invisibili. Nel caso messicano, México mío o El petróleo, film mai realizzati, rispondevano all’esigenza di raccontare il paese reale, in modo documentario, ricostruendo e inventando incontri, ma sulla base della ricerca e degl’incontri effettivi con i soggetti da filmare. Questo in un ambito in cui sfumano i limiti fra film a soggetto e film documentario, poggiando comunque su una base documentaria (e senza arrivare al cinema romantico per cui il modello sarebbe Robert Flaherty). Nel 1963 Zavattini trasmette le sue prime idee per una nuova forma di cinegiornale (il Cinegiornale della pace). Prima del maggio del 1968, trasmette a Cuba un altro suo intervento per un cinema nuovo, tramite il Bollettino dei Cinegiornali liberi, e i Cinegiornali liberi stessi, progetto documentario di un cinema di tutti per tutti in cui l’autore viene sostituito dal lavoro di gruppo. Quest’ultimo avrebbe dovuto costituire la spina dorsale per un movimento culturale di “cinema di guerriglia” in Italia, tuttora poco studiato. Ricordando il soggiorno del 1959, scrive a Guevara: Il pensiero che devo tornare a Cuba è uno di quelli che mi sorreggono. Ho letto questa notte il libro di Carlos Franqui Il libro dei dodici di Castro. Non è stato senza emozione ripiombare nel cuore di quei fatti che tu e gli altri amici dell’icaic per primi mi avevate raccontato. In quei due mesi capii veramente la storia di Cuba, passata e presente, e non l’ho mai più dimenticata. Nel libro di Franqui ho trovato anche lo spunto di quel film Colore contro Colore che vi proposi gli ultimissimi giorni e che credo sempre sia tra le piu felici suggestioni della mia collaborazione con voi.587

Se l’icaic avesse voluto un cinema di guerriglia, come si delineavano i Cinegiornali liberi, nuovo cinema che aveva raccolto adesioni da individui e organizzazioni (soprattutto l’arci), e cineclub da ogni parte 587. Lettera di Zavattini a Guevara, 4 aprile 1968, ACZ Corr. G 583/31.

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d’Italia, lo avrebbe adottato. Ma questo nuovo progetto di cinema si basa su una concezione capillare, dal basso in alto, ovvero promuove un cinema praticato da tutti che proprio per definizione nega il cinema autoriale, in quanto vive di collaborazione orizzontale, di confronto e partecipazione diretta dei soggetti e del lavoro d’équipe. Un cinema del genere avrebbe messo in questione, e forse anche in crisi, il centralismo burocratico dell’industria cinematografica cubana che tale rimane negli anni e il cinema d’autore che viene subito riaffermato a Cuba nei film a soggetto dopo i primi anni.

1.40 Zavattini e Cuba: bilancio A distanza di anni, cioè nel 1977, in occasione di una Rassegna del Cinema Cubano tenuta in Italia e organizzata dal critico Lino Miccichè, sembra che sia già all’opera la smemoria, chiamiamola così; quel passare sotto silenzio quanto Zavattini aveva fatto per il Nuovo Cinema Cubano.588 Il cineasta emiliano scrive a Miccichè, rammaricandosi del fatto che del suo ruolo storico, formativo e creativo, nella nascita e formazione del Nuovo Cinema Cubano il critico cinematografico e fondatore del Festival del Cinema Libero di Pesaro ha deciso di non parlare. E gli fa notare:589 Per quanto mi riguarda, mi pare che tu abbia lasciato nella penna tutto quel poco di bene potevasi dire del mio sodalizio cominciato proprio col film sui carbonai che li mandò poi in carcere.590

Miccichè ha passato sotto silenzio non solo le molte pagine dedicate ai soggiorni a Cuba nel Diario cinematografico e Lettera da Cuba ad una donna che lo ha tradito, testi pubblicati in Straparole (1967), e il reportageinchiesta “Cuba 1960”, pubblicato a Cuba nella rivista a larga tiratura Bohemia e in Italia nel quotidiano comunista di grande diffusione Paese Sera, e anche la sceneggiatura di El Joven Rebelde, ma soprattutto tutto il lavoro pedagogico nel suo Seminario Zavattini passato: 588. È una definizione che mette in risalto la cancellazione voluta di certi eventi dalla storia, piuttosto che un dimenticare, col risultato che si crea un resoconto monco, le cui omissioni consapevoli non possono che influire profondamente sull’ interpretazione che di volta in volta ne viene data. 589. Zavattini si riferisce a Lino Miccichè, “Introduzione al cinema cubano”, ACZ E 4/1. 590. Lettera di Zavattini a Miccichè, 2 novembre 1977, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 329-330.

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a discutere organicamente e secondo le tesi che allora particolarmente mi appassionavano e convincevano, sai quali, molte ore del giorno e della notte sempre circondato da coloro i quali rappresentavano e ancora oggi rappresentano il cinema cubano; tesi note e condivise al punto da essere chiamato a Cuba per sostenerle, delucidarle, attraverso appunto dialoghi incessanti, aperti.

Ricorda anche i molti soggetti, incluso il soggetto originale e il trattamento di El pequeño dictador, per il film satirico sulla fuga di Batista e Revolución en Cuba «che li assommava tutti». Il film-diario Revolución en Cuba «avrebbe potuto e dovuto essere per il contenuto e per la forma la fusione ideale Neo-realistica della esperienza italiana con la esperienza cubana».591 La sua è una lettera personale, rivolta al giovane con cui aveva collaborato nei primi anni Sessanta, ma certamente e decisamente a Miccichè in quanto storico del cinema, una lettera forse anche diretta ai posteri, dato che Zavattini sin da giovane aveva l’abitudine di conservare tutte la sua corrispondenza e tutto il materiale del suo lavoro cinematografico in un ordine di idee già archivistico nella conservazione permanente dell’effimero. Quella di Miccichè è un’omissione grave che avviene nel momento stesso in cui si storicizzava il Nuovo Cinema Cubano. È in ballo la documentazione della trasmissione di saperi e dell’influenza del Neo-realismo nel suo sviluppo zavattiniano che passa per il film-libro, il film-inchiesta e il film-diario. Non, quindi un’influenza generica come hanno scritto gli storici anglosassoni, ma un continuo dialogo, una trasmissione di saperi che nasce all’epoca del Convegno di Parma e abbraccia gli anni Sessanta. Tra il 1999 e il 2002, José Massip, Julio García Espinosa e Alfredo Guevara, tutti protagonisti del Nuovo Cinema Cubano, dànno ragione a Zavattini. Nel 1999, Bianco e Nero, rivista italiana autorevole di storia e teoria del cinema, pubblica un numero speciale su Zavattini e Cuba che contiene la traduzione di alcuni documenti importanti, tra cui il trattamento scritto a Cuba de El pequeño dictador che indubbiamente arrichisce la serie di testi a stampa dell’opera cinematografica di Cesare Zavattini, e pubblica inoltre, una delle conferenze cubane di Zavattini, stampata per la prima volta nel primo numero di Cine Cubano (1960) e infine, articoli nuovi di José Massip e Julio García Espinosa, entrambi alla fine delle loro carriere nel cinema. L’articolo di Massip è una notevole testimonianza che si basa su trascrizioni di interventi di Zavattini a 591. ibidem, 329-330.

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riunioni dell’epoca, che documentano soprattutto il metodo di insegnamento zavattiniano. In chiusura, Massip offre questa riflessione: Raffaello Sanzio creava i suoi capolavori con l’ausilio di un piccolo gruppo di discepoli. Il nostro lavoro con Zavattini mi ricorda, per più di un motivo, quella celebre collaborazione. Quando Raffaello arrivò a Roma, agli inizi del xvi secolo, cominciò uno dei periodi più brillanti del Rinascimento. È possibile che con l’arrivo di Zavattini a Cuba sia cominciato uno dei periodi più brillanti della nostra cultura: la nascita e la fioritura del nostro Nuovo Cinema.592

In questo numero di Bianco e Nero é molto interessante anche il contributo di García Espinosa, il quale svolge una riflessione profonda sulla trasmissione del Neo-realismo e in particolare dell’idea di cinema di Zavattini ai cineasti cubani dell’icaic.593 «Come ho potuto volgere le spalle al Neo-realismo e all’uomo che meglio l’aveva rappresentato?», si chiede. La sua domanda, a cui non darà mai una risposta, è però funzionale: serve infatti ad impostare il suo contributo. Bisogna chiedersi in primo luogo, cosa segnala una domanda simile? Un rifiuto? Un taglio netto? E in secondo luogo, non si contraddice in un secondo momento García Espinosa, nella sua spiegazione così approfondita di cosa Zavattini avesse trasmesso a Cuba e all’America Latina, e quindi ai cineasti cubani? E come mai questo regista cubano che vuol testimoniare un’epoca lontana, non fa riferimento al dicembre del 1953 e ai due anni successivi, quando entra in contatto col cineasta italiano e successivamente consolida il rapporto nella sua corrispondenza? È un’omissione grave, perché passa sotto silenzio tutta l’opera di divulgazione del 1954 e 1955 a opera sua (cioè di García Espinosa), di Gutiérrez Alea, di Massip e di Alfredo Guevara. Comunque sia, non sono solo queste le domande a far riflettere, ma la sostanza dell’articolo in sé, come verifica e testimonianza della qualità o profondità della trasmissione avvenuta e della riflessione retrospettiva che l’accompagna a distanza di quarant’anni.594 Nel frattempo, a fine millennio, in un un’epoca così remota dagli anni Cinquanta e primi anni Sessanta, anche il Nuovo Cinema Cubano è diventato un fenomeno del passato, materia d’insegnamento in alcune 592. Massip, “Cronaca cubana”, 57. 593. Julio García Espinosa, “Memorie e ritorni”, in Bianco e Nero, a. LX, n. 6, novembre-dicembre 1999, 58-62. 594. García Espinosa, “Memorie e ritorni”, 58.

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scuole di cinema, ma, salvo gli studenti e storici del cinema e qualche persona appassionata di film culture, fenomeno che è stato dimenticato, come la figura di Zavattini in Milagro en Roma, quando, alla domanda di “Gabo” ovvero Gabriel García Márquez, il giornalista, scrittore di cinema e autore di Cent’anni di solitudine, un passante risponde: «Zavattini? E chi lo conosce?».595 In cosa è consistita questa trasmissione di cultura cinematografica Neo-realista a cui García Espinosa ha «volto le spalle»? In generale, come aveva fatto Zavattini a suo tempo, García Espinosa riconosce che l’Italia del dopoguerra aveva molto in comune con la realtà cubana e dell’America Latina; che «il Neo-realismo e Zavattini fecondarono come nessun altro movimento culturale, la nascita del Cinema Cubano e, in generale, di tutto il Nuovo Cinema Latino-americano»; che il Neo-realismo è un cinema di rottura che infrange «gli schemi di arte, vita, e pure della politica».596 Affermazione perentoria. Come dire, quello che Thomas Kuhn chiama una rottura epistemologica.597 I film cubani Lucía e Memorias del subdesarollo non verrebbero dopo il taglio netto di cui García Espinosa vorrebbe convincerci. Ma non c’è dubbio che in entrambi, viene ridotta «la distanza fra vita e arte», anche se nel primo è Visconti, non Zavattini, ad affascinare Humberto Solás. Non finisce qui. García Espinosa fa notare un uso nuovo della facoltà dell’immaginazione nel cinema, non per fantasticare, ma per generare una maggiore empatia con l’Altro: «un riuscire a mettersi nei panni dell’altro».598 E, legato a questo, l’insegnamento di Zavattini di partire dalla realtà materiale e non da simboli nel concepire un film, un’inversione, quindi, rispetto al realismo stalinista, come dimostra anche l’ammissione che il Neo-realismo costituisce un rifiuto sia del cinema nord-americano che del realismo sovietico, che Zavattini aveva consigliato nel 1953 e nel 1954, consiglio fondamentale per la direzione di un cinema che volesse opporsi a Hollywood, avendo in sostanza due modelli alternativi fra cui scegliere. In particolare, spostando al 1956 il primo incontro con Zavattini, García Espinosa taglia fuori dal suo discorso tutta l’attività di divulgazione del Neo-realismo a opera sua, di Massip e di Alfredo Guevara, iniziativa 595. Citato in García Espinosa, “Memorie e ritorni”, 61. 596. ibidem, 59. 597. Per «rottura epistemologica» si veda: Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago: Chicago University Press, 1962. Questo nonostante la Conferenza di Pesaro 1974 che sottolineava invece la continuità con il passato, per via del gruppo di cineasti della redazione della rivista Cinema e le tendenze documentarie che risalgono al cinema italiano dell’era fascista. 598. García Espinosa, “Memorie e ritorni”, 61.

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che comprendeva il suo lunghissimo saggio “El Neorrealismo y el cine cubano” (1954), scritto mesi dopo il primo soggiorno di Zavattini nel dicembre del 1953, prima ancora che la Conferenza di Parma sul Neorealismo fosse terminata. Gutiérrez Alea riconosce che Zavattini rifiuta la tradizione picaresca (che risale a Lazarillo de Tormes (1554) e Historia dela vida del buscór (1626) di Francisco Queredo), tradizione che per il cubano comprende il folklore stereotipato); afferma che El mégano fu fatto «sotto la sua influenza» (cioè quella di Zavattini), senza però arrivare a spiegarne l’impostazione etnografica, né dicendo che era legato a gli altri soggetti da lui ideati, Tiempo muerto e Cuba mía.599 Ammette che Cuba baila fu scritto «secondo le sue direttive personali», quelle di Zavattini, a cui García Espinosa scriveva: «Cosa può contenere di buono questo soggetto, se non un piccolo riflesso del lavoro che lei – soprattutto lei – ci sta insegnando?»600 Quindi, nel realizzare Cuba baila nel 1960, García Espinosa non volgeva certo le spalle a Zavattini, autore dell’idea e del soggetto iniziale. Dopo aver realizzato El Joven Rebelde su soggetto e sceneggiatura di Zavattini, in base alla sua ricerca etnografica sul campo e alla collaborazione con Massip e Pepe Hernández, García Espinosa sostiene che Aventuras de Juan Quin Quin, realizzato subito dopo, segue la stessa tematica di El Joven Rebelde e perfino lo stesso intreccio che Zavattini aveva costruito, ma questa volta in base alla ricerca sul campo di García Espinosa. Nell’ultima parte del suo articolo, i conti in sospeso: García Espinosa ora riconosce che già nel 1959-1960 Zavattini (e in questo egli lo accomuna a Roberto Rossellini) stesse portando avanti ricerche riguardo al cinema che rispecchiano un’idea diversa di cinema, un cinema per tutti o «per non-specialisti», un cinema che rifiuta l’autore come figura privilegiata (e quindi diverso dal cinema di Godard e della Nouvelle Vague), un cinema che ha una nuova concezione del personaggio, che rifiuta la sceneggiatura, la messa in scena, perfino il racconto, la drammaturgia tradizionale, e la concezione del cinema come spettacolo, sostituito da una concezione etica, caratterizzata dall’impegno a non dissimulare e al rendere evidente la rappresentazione. Per García Espinosa, questi aspetti culminano nei Cinegiornali liberi che non vengono trascurati da García Espinosa il cui Reina y Rey (1995), come ricorda lui stesso, è dedicato proprio a Zavattini. 601 Il film è un omaggio a Umberto D., a cui deve non solo l’intreccio firmato da Zavattini, ma proprio lo sguardo del cine-occhio 599. ibidem, 59. 600. Lettera di García Espinosa a Zavattini, 4 agosto 1955, ACZ Corr. E 70/1. 601. Citato in García Espinosa, “Memorie e ritorni”, 61.

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zavattiniano sullo spazio urbano e sul particolare, film in cui la figura del pensionato maschile è stata sostituita con quella di una pensionata che non riesce a dar da mangiare al proprio cane, Rey e non Flack. Infine, nel 2002, il primo Direttore dell’icaic, Alfredo Guevara pubblica buona parte del suo carteggio con Zavattini dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, fino ad allora inedito, oltre a Cuba mía, soggetto ideato da Zavattini e sviluppato dal Guevara insieme agli altri cineasti di Nuestro Tiempo, e ripubblica la loro traduzione spagnola di “Alcune idee sul cinema” (1952), uscita la prima volta nella rivista di Nuestro Tiempo negli anni Cinquanta e la seconda volta nella rivista cubana Bohemia nel 1960, nonché la Conferenza inedita di Zavattini all’icaic (1960). Questi testi sono accompagnati dai ricordi dei suoi rapporti con Zavattini a Cuba e in Messico e da un’interpretazione tanto appassionata quanto accurata dell’idea di cinema di Zavattini e del suo ruolo catalizzatore. Preso nel suo insieme, non ci possono essere dubbi che Ese diamantino corazón de la verdad (2002) pubblicato a nome suo e di Zavattini, per quanto tardivo, fosse un passo decisivo nel puntualizzare tutto quello che Lino Miccichè in Italia e molti studiosi all’estero non hanno preso in considerazione.

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2 Zavattini in Messico

2.1 Arrivo in Messico Il primo viaggio di Zavattini in Messico coincide con il suo primo a Cuba nel dicembre del 1953. Quando la mostra della Semana del Cine italiano si trasferisce dall’Avana al cinema Chapultepec in Città del Messico dal 10 al 17 dicembre, è presente Zavattini, accompagnato dal regista Alberto Lattuada e dall’attrice Marisa Belli. Si proietta Miracolo a Milano.1 Alla sera mi buttarono sul palcoscenico del Chatapultepech e davanti a duemilacinquecento spettatori dico: I Neo­-realisti pensano dei loro film quello che Diego Rivera pensa dei suoi affreschi, lui spera che il suo popolo, a vedersi raccontato sui muri, prenda più coscienza di sé.2

La Semana del Cine italiano viene inaugurata dall’Ambasciatore d’Italia, il dott. De Astis.3 In Città del Messico, Zavattini alloggia all’Hotel del Prado.4 A Miracolo a Milano seguiranno in programma Due soldi di speranza, Il cappotto, Altri tempi, Anna, Processo alla città, I sette dell’Orsa Maggiore, Guardie e ladri, Puccini e Magia verde.5 Questa è l’ultima delle manifestazioni organizzate dall’unitalia (Unione Nazionale per la Diffusione del Film Italiano all’Estero) «nelle principali metropoli

1. Lettera di Pío Caro Baroja a Zavattini, 13 febbraio 1954, in Cartas a México, 39. 2. Zavattini, “Messico. 13 dicembre 1956”, Straparole; Cinema Nuovo, n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; n. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 332. 3. Intervista con Cesare Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 4. Zavattini, “Cuba 1953. 31 dicembre 1953” Straparole; Cinema Nuovo, n. 27, 15 gennaio 1954, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 190. 5. Guardie e ladri, regia di Steno e Mario Monicelli, Puccini, regia di Carmine Gallone, Anna, regia di Alberto Lattuada, Il cappotto, regia di Alberto Lattuada, I sette dell’Orsa Maggiore, regia di Duilio Coletti, Magia verde, regia di Giorgio M. Napolitano, Gelosia, protagonista Marisa Belli, Processo alla città, regia di Luigi Zampa. Altri tempi, regia di Alesssandro Blasetti.

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dell’America Latina», incluso il Venezuela, e a New York, sempre in associazione con le ambasciate italiane.6 In realtà, Zavattini intende trasmettere ai messicani certi suoi principi fondamentali, sia direttamente nei contatti presi di persona durante il viaggio che in forma scritta. Infatti, il giorno dopo il suo arrivo, consente alla pubblicazione di “Alcune idee sul cinema” nella rivista Cine Mundial a cui rilascia una intervista.7 Ad Amadeo Recanati che gli chiede il motivo della sua visita in Messico, Zavattini risponde in primo luogo che non solo vuol far conoscere le proprie idee personali sul cinema, ma anche quanto di positivo abbia fatto e stia facendo tuttora il cinema italiano.8 Ma ben presto allarga il discorso: Ritengo che il Neo-realismo sia la coscienza del cinema mondiale. È il cinema, come forma d’espressione, messo di fronte a se stesso e al suo destino. Sono convinto che, senza il Neo-realismo, il cinema potrebbe molto facilmente morire. Sono morte intere civiltà, per cui è assurdo pensare che il cinema debba essere immortale per se medesimo. Il Neorealismo è la nuova linfa vitale che salverà il cinema dalla morte. E per essere una forma di espressione moderna, la più adatta perché l’idea Neo-realista si manifesti, perdurerà senza estinguersi, come inestinguibile è l’osservazione della vita, momento per momento. Il Neo-realismo, per essere una espressione di ciò che è attuale nel momento in cui si vede e si riferisce, possiederà sempre questa ‘attualità’ nel passare dei secoli. Noi, per esempio, non disegnamo le pellicole di carattere storico, perché anche attraverso fatti storici possono interpretarsi problemi di carattere permanente, di tipo umano e sociale. Però riteniamo che prima di tutto vi sia da tener conto dei problemi del momento, di questo momento, del momento che passa.9

A Cine Mundial spiega che fu la guerra a provocare un cambiamento radicale in lui: La realtà, la contemplazione dei fatti che accadevano davanti a me ogni minuto diventavano più interessanti di qualsiasi soggetto che mi passava per la testa. Inoltre – e questo era ciò che più mi tormentava – mi resi conto che i fatti e la gente reale potevano dare ai miei temi un valore

6. Foto didascalia per Zavattini, “Cesare Zavattini racconta: è sempre valida la lezione Neo-realista”, Momento, 24 dicembre 1953. 7. Intervista con Cesare Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 8. Lettera di Amadeo Recanati a Zavattini, 9 gennaio 1954, in Cartas a México, 35. 9. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953.

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umano e sociale molto più profondo di qualsiasi eco o personaggio che potevo inventare.10

Ai redattori che vogliono sapere quale sia il rapporto fra valori sociali e Neo-realismo, risponde: «Il Neo-realismo consiste in constatazione diretta e immediata – e chiedo di sottolineare queste due parole – della vita medesima e per conseguenza dei suoi problemi umani e sociali».11 Ma il nuovo cinema non offre anche delle soluzioni ai problemi? La sola esposizione dei problemi suggerisce la loro soluzione, posto tuttavia che lascino da risolvere problemi ben evidenti, ben urgenti e angosciosi. Dopo di che, la soluzione di problemi di questa natura non spetta all’artista bensì al politico, al governante, che è colui che possiede i mezzi che potrebbero risolverli.12

Cita il grande muralista Diego Rivera che ha appena conosciuto di persona al bar Montego. Rivera lo tratta da vecchio amico spiega a Zavattini cosa pensa del cinema. «Rivera dice che nel Messico il cinema è in crisi, perché non spiega le ragioni d’essere del Messico odierno, ritroverà la via giusta se elabora fantasticamente i nostri problemi più urgenti».13 Lusingato, Zavattini gli risponde che vorrebbe che il cinema in Messico si muovesse finalmente nella stessa direzione della pittura messicana.14 Secondo Rivera, l’arte dovrebbe essere veicolo di cultura per il popolo, perché acquisti coscienza dei suoi problemi. Zavattini commenta: Questo è ciò che propone il cinema Neo-realista italiano, il quale è tuttavia molto lontano dall’aver raggiunto il suo acme. Non siamo che al principio, e a parte ciò, cercando i nostri temi nella vita reale, la fonte della nostra ispirazione diventa inesauribile, e c’è ugualmente posto per lo svolgimento di nuove idee. È chiaro che tutte queste dovranno rimanere nel seno dell’idea originale, basilare, che è quella di ispirarsi alla vita e non all’immaginazione; però c’è spazio, in essa, per infinite correnti.15 10. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 11. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 12. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 13. Zavattini, “Messico. 13 dicembre 1956”, Straparole; Cinema Nuovo, n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; n. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 332. 14. Lettera di Zavattini a Diego Rivera, 16 gennaio 1954, in Cartas a México, 37. 15. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953.

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Insomma, sin dal primo incontro, Zavattini trasmette il suo Neorealismo, un cinema impegnato, un cinema politico, un cinema etico, perché i tempi lo richiedono e non solo in Italia. Un Neo-realismo esportabile, condivisibile, non costretto da frontiere nazionali e tantomeno europee e nemmeno dalla guerra e i suoi temi. Il Convegno di Parma è ancora attuale quando Zavattini afferma in Messico l’11 dicembre del 1953 che «il Neo-realismo... è il cinema, come forma d’espressione, messo di fronte a se stesso e al suo destino».16 Neo-realismo è constatare nel “qui e ora” la vita medesima. E quindi constatare o riconoscere i problemi umani e sociali del momento contemporaneo, qualunque e dovunque. Offre ad Amadeo Recanati, il capo redattore di Cine Mundial, «Alcune idee sul cinema» da pubblicare in spagnolo. Alla Semana del Cine italiano, rivede l’amico Fernando Gamboa che Zavattini aveva conosciuto nel 1949, in occasione della Venticinquesima Biennale di Venezia e del concomitante Festival del Cinema nel padiglione messicano, in cui Gamboa aveva allestito, su invito della Biennale, una mostra dei maggiori esponenti del muralismo messicano: José Clemente Orozco, Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e Rufino Tamayo.17 Da allora, Gamboa e Zavattini si sono rivisti altre volte, nel 1951, quando Gamboa curava una mostra itinerante sull’arte messicana antica e moderna che fa il giro dell’Europa.18 Figura chiave della cultura messicana, sia per quello che aveva fatto nel ruolo di Direttore del Museo Nacional de Artes Plásticas, sia come curatore di mostre internazionali sull’arte contemporanea messicana dei muralisti, Gamboa è stato licenziato da poco dal suo incarico di Direttore di museo ed ora quando Zavattini lo rivede, si occupa di cinema, in qualità di Direttore Artistico di una casa di produzione di documentari e cinegiornali.19 Ha già avuto un ruolo determinante nel cinema messicano, avendo collaborato alla lavorazione del primo esempio di cinema Neo-realista in Messico, Raíces. Gamboa considera Zavattini «praticamente il padre del Neo-realismo», movimento che Gamboa apprezza per la forma diretta della narrativa e un 16. Zavattini, Cine Mundial, n. 295, 11 dicembre 1953. 17. Fernando Gamboa, intervistato in: Tarvisio Chárraga e Elvia Vera Soriano, Cesare Zavattini en México (Un documento para la historia del cine nacional), Città del Messico: Universidad Nacional Autonoma de México (Tesi di laurea), 1985, 109. La tesi comprende non solo una sceneggiatura di México mío, ma anche questa e altre interviste col regista Carlos Velo e col produttore Manuel Barbachano Ponce. Sono state pubblicate, con tagli, nel succitato: Chárraga e Soriano, “La presencia del Neorrealismo en América Latina: Cesare Zavattini en México”, 129-140. 18. Gamboa, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 109-110. 19. Cartas a México, 223.

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misto di poesia e realismo che traduce una tematica in un problema per lo spettatore, evitando di offrire soluzioni ai fatti presentati.20 Gamboa presenta Zavattini subito ai suoi amici muralisti messicani e Zavattini promette di interpellare Callisto Cosulich della Federazione Italiana dei Circoli del Cinema per la diffusione in Italia del documentario Pintura Mural Mexicana, film scritto e realizzato da Gamboa.21 In Messico Zavattini è una celebrità: viene invitato in televisione al programma “Mesa de Celebridades”, condotto da Agustín Barrios Gómez.22 Viene intervistato da molti giornalisti del settore, tra cui Héctor García Cobo, fondatore – assieme a Miguel Ángel Mendoza e l’italiano Amadeo Recanti – delle riviste di cinema Cine Mundial, Excélsior e Novedades.23 Zavattini inviterà Gamboa a scrivere per il Bollettino del Neo-realismo che uscirà su Cinema Nuovo, piattaforma per tutti quelli che si battono per un nuovo cinema, sia in Italia che all’estero.24 Conosce anche José de Colina che vuole invitarlo a recensire Raíces per il Bollettino.25 A Novedades lo intervista Francisco Pina che lo presenta al suo amico Pío Caro Baroja del giornale della domenica Claridades. I due lo accompagnano nelle visite per Città del Messico e nei viaggi a Teotihuacan e Xochimilico.26 Secondo il giornalista Octavio Alba, all’inaugurazione al Chatapultepech: «il pubblico in piedi gli diede una delle più grandi ovazioni che abbia potuto ricevere un cineasta in qualunque tempo».27 Al Variety gli viene presentata la famosa attrice Dolores del Río che aveva fatto carriera a Hollywood prima della guerra. Parlano di cinema naturalmente: in due parole Zavattini liquida il film di Roberto Gavaldón in cui lei ha recitato: è artificioso, agli antipodi dell’anti-commedia per cui Zavattini si batte.28 Lei rimane sorpresa del suo giudizio negativo, eppure vanno a trovare l’artista Rufino Tamayo.29 Un produttore messicano gli offre un contratto, Zavattini accetta, ma poi ci ripensa.30 20. Gamboa, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 109-110. 21. Lettera di Gamboa a Zavattini, 22 aprile 1955, in Cartas a México, 59-61. 22. Cartas a México, 17. 23. Lettera di Amadeo Recanati a Zavattini, 9 gennaio 1954, in Cartas a México, 35. 24. ibidem, 35. 25. Lettera di Zavattini a Benito Alazraki, 25 maggio 1954, Cartas a México, 40. 26. Cartas a México, 16. 27. Octavio Alba, “Hoy llega a México el famoso Zavattini quien realizarà dos películas con Alazraki y Velo”, Cine mundial, Città del Messico, 24 giugno 1955, 9. 28. Si tratterà di Deseada (1951), in cui recitò Dolores del Río. 29. Lettera di Zavattini a Dolores del Río, 8 gennaio 1954, in Cartas a México, 34. 30. Lettera di Zavattini ad Amadeo Recanati, 9 gennaio 1954, in Cartas a México, 36.

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2.2 Un nuovo cinema messicano A caldo, poco dopo l’esperienza del cinema Chapultepec, in un clima in cui la stampa italiana sta conducendo un continuo boicottaggio per nascondere dall’opinione pubblica l’impatto del cinema italiano all’estero, Zavattini coglie l’occasione per far notare ai lettori del giornale italiano Momento che «gli stranieri ci capiscono e ci ammirano là dove siamo stati leali, arditi e nazionali, cioè narratori veramente sinceri dei fatti popolari, piccoli e grandi»:31 [Da] una camera d’albergo di Città del Messico, le scrivo currenti calamo, molte migliaia di chilometri lontano dalla patria, e da quando mi trovo qui non sento che parlare della nostra patria. La Settimana del Cinema Italiano è l’avvenimento più importante di questo periodo e la gente fa la coda davanti al cinema Chapultepec, la radio, la televisione, i critici, i giornalisti, gli artisti ed i fotografi si occupano continuamente di noi e dichiarano a 27 milioni di messicani che il cinema italiano è il migliore del mondo, e sono le persone più qualificate che lo dichiarano.32

Zavattini parla volentieri con chiunque gli rivolga la parola, ma sa ascoltare e non perde mai un’occasione per incontrare messicani di ogni classe sociale. Sin dai primissimi giorni, sono in tanti a fargli sapere che: l’influenza dei nostri sentimenti su popolazioni separate da noi addirittura dall’oceano, è più forte dell’influenza di qualsiasi altra nazione per potente che essa sia di armi, di danaro o di altri numeri; ci dicono che trovano nel nostro cinema tanti conforti, e indicazioni di coraggio, di speranza, di denuncia, di realtà.33

Dal suo punto di vista, le Settimane del Cinema Italiano fanno parte della battaglia condotta a partire dal 1945 anche nel cinema, «per partecipare alla costruzione di un mondo migliore», tramite un cinema che non elude i problemi sociali, ma li affronta, utilizzando la fantasia, alleata – il più possibile – all’esperienza diretta. Zavattini scopre che gli stranieri non associano il Neo-realismo all’Italia della guerra. Invece, lo collegano a «qualsiasi prova d’arte che tenda a uscire dalle torri d’avorio

31. “Cesare Zavattini racconta: è sempre valida la lezione Neo-realista”, Momento, 24 dicembre 1953. 32. Zavattini, “Cesare Zavattini racconta”. 33. ibidem.

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e ad affrontare la situazione moderna senza troppe metafore».34 Cioè un cinema attualissimo e impegnato. Conosce Leopoldo Méndez e altri incisori o grabadores del Tailler de Gráfica Popular, «cioè di una delle più tipiche e stupende espressioni dello spirito realistico del Messico dove lo svolgimento dei suoi ‘creatori’ prova sempre luminosamente che quando si possiede la coscienza della finalità sociale del proprio lavoro, lo stile per raccontare nasce di sicuro, e nasce con la naturalezza dei fiori».35 «All’uscita del cinema Chapultepec», scrive Zavattini nella sua rubrica del Diario in Cinema Nuovo «conobbi Siqueiros». Siqueiros è entusiasta, gli dice: «Il mezzo di noi pittori è antico e farlo diventare di oggi è difficile, mentre il cinema è già di oggi. I contenuti non bastano, ci vuole una nuova tecnica, una nuova materia».36 Zavattini continua: «Sono trent’anni che dipinge sui muri perché li veda più gente possibile; anche il Neo-realismo italiano è contro il cinema da cavalletto».37 Chi è David Alfaro Siqueiros? Uno dei muralisti messicani, noti come «los tres grandes» il quale nel 1924, insieme a Rivera, José Clemente Orozco e altri, aveva firmato il “Manifesto del nuovo Sindacato dei lavoratori tecnici, pittori e scultori”, sindacato del quale Siqueiros era il Segretario Generale. I muralisti avevano proposto un’estetica rivoluzionaria che rifiutava l’arte per l’arte, esaltando il popolo e il quotidiano, valorizzando le etnie messicane, per dar voce ad un’emergente avanguardia dell’America Latina che si costituiva in soggetto culturale e politico, prendendo le distanze dalle forme dominanti ed elitarie dell’arte europea, creando arte accessibile a tutti. Come avevano dichiarato essi stessi, volevano «uscire dalla piacevole oscurità dell’atelier e della scuola di Montparnasse per comunicare alla luce palese delle realtà sociali e umane delle fabbriche e delle strade, quartieri operai, e campagne».38 34. ibidem. 35. Lettera di Zavattini ai redattori di Novedades, 31 luglio 1957, ACZ E/72, c. 53-54. c. 53 scritta di mano di Zavattini in italiano, c. 54 dattiloscritta e tradotta in spagnolo. 36. Zavattini, “Messico. 13 dicembre 1956”, Straparole; Cinema Nuovo, n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; n. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 332. 37. Zavattini, “Messico. 13 dicembre 1956”, Straparole; Cinema Nuovo, n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; n. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, ora in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 332. 38. David Alfaro Siqueiros et al., “Manifesto of the Union of technical workers, painters and sculptors”, El Machete, giugno 1924, in Anreus, Alejandro, Leonard Folgarait e Robin Adèle Greeley (2012) Mexican Muralism. A Critical History, Berkeley, Los Angeles e Londra: University of California, 319-321.

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Siqueiros aveva pubblicato da poco Siqueiros, por la vía de una pintura neorrealista o realista social en México (1951) in cui propone addirittura l’equazione fra Neo-realismo italiano e muralismo messicano, equazione che non poteva che favorire l’accoglimento di una parte dell’ambiente culturale messicano dell’epoca.39 Poteva essere, almeno in teoria, un’alleanza importante. Zavattini riconosce che i pittori muralisti messicani «hanno saputo tradurre in termini plastici i valori popolari, unitari, eroici, esemplari per un mondo che voglia essere libero, della vostra rivoluzione».40 Anche Siqueiros rilascia un’intervista in cui esprime il suo entusiasmo per l’arrivo dello sceneggiatore italiano nel Messico e per l’influenza del Neo-realismo, proprio perché spera che sia possibile orientare il cinema messicano verso quello stesso realismo che informa l’arte messicana.41 A giudicare dal clima culturale messicano di grande attesa, si direbbe che davvero nel cinema messicano si farà quello che erano riusciti a fare los tres grandes dopo la Rivoluzione, cioè ripensare le idee dell’avanguardia europea in funzione delle condizioni sociali messicane. Zavattini riflette sull’incontro: Cosa è stato questo incontro cordiale, naturale, se non il dato di fatto della nostra affinità ideologica e comunione di sentimenti, nonostante che ci esprimessimo in lingue diverse? Noi abbiamo parlato di Neo-realismo, sempre del Neo-realismo, e quando mancavano le parole ricorrevamo ai gesti; però ci siamo intesi. Neo-realismo vuol dire qualcosa di molto popolare – ecco perché ci siamo capiti – qualcosa che già esiste nella coscienza di molti, qualcosa che si può riassumere semplicemente in una norma per chi crede che il proprio impegno deve esistere al livello dell’ambiente esterno, sempre a disposizione della storia coraggiosa degli uomini: non dimenticando mai che l’intolleranza, principio di ogni male, affonda le sue radici nell’ignoranza; per questo il Neo-realismo ha come missione fondamentale – utilizzando le libere forme dell’arte – quella di approfondire gli interessi reali, scoprire gli autentici contrasti della società contemporanea; e siccome per scoprirli e presentarli è necessario averli visti e vissuti, l’uomo del cinema deve necessariamente stare in prima linea, sempre nel cuore stesso della lotta.42 39. David Alfaro Siqueiros, Siqueiros, por la vía de una pintura neorrealista o realista social en México, Città del Messico: Instituto Nacional de Bellas Artes, 1951. 40. Lettera di Zavattini a Novedades, 31 luglio 1957, ACZ E/72, c. 53-54, c. 53 scritta di mano di Zavattini in italiano, c. 54 dattiloscritta e tradotta in spagnolo. 41. Siqueiros, in Maria Luisa Mendoza, “¡El peligro in Hollywood!”, Cine mundial, Città del Messico, 22 agosto 1955, 5. 42. Zavattini, “Epilogo”, in Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 274.

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2.3 Novedades intervista Zavattini Pío Caro e il suo amico e collaboratore Francisco Pina, critici molto attivi fra i giovani cineasti messicani, gli dicono che la battaglia del Neorealismo è anche la loro.43 Pina parla a lungo con Zavattini durante tre interviste.44 Ne risulta un articolo sostanzioso, pubblicato poco dopo in Novedades: «Cesare Zavattini, precursor del Neorrealismo», in cui viene riassunta la sua carriera, con la precisazione che all’estero la sua fama è dovuta in primo luogo alla traduzione in varie lingue del suo libro Parliamo tanto di me (1931).45 Sin dal loro primo incontro, a Pina colpisce il fatto che «dopo pochi minuti a parlare con lui, scompare completamente questa barriera che tende ad isolarci dalle persone sconosciute e si ha la forte sensazione di chiacchierare con un amico».46 A proposito di Miracolo a Milano, Pina non ritiene che «si apprezzi a sufficienza la collaborazione di Zavattini» a cui si deve: l’invenzione, il suo potere creativo; Miracolo a Milano è un’opera “immaginata” da Zavattini e “realizzata” da Vittorio de Sica. I suoi valori più essenziali e duraturi risiedono nel soggetto, nei personaggi e le situazioni che si dànno, nelle reazioni emotive che vengono provocate e le idee che suscita. Tutto lavoro di Zavattini.47

Pina attribuisce a Zavattini il maggior merito creativo nella collaborazione. E l’incontro a tu per tu glielo conferma: Vedendolo agire e ascoltandolo parlare, osservando da vicino la sua semplicità impressionante, la sua cordialità torrenziale, la sua sincerità incorruttibile, la sua buona fede commovente, compresi chiaramente che mi trovavo davanti al precursore genuino, al vero autore di queste opere cinematografiche che hanno commosso il mondo per la loro tenerezza e umanità, per il loro realismo poetico e per la forza e bellezza senza precedenti, tranne quello del “mondo” chapliniano.48

43. Lettera di Zavattini a Caro del 13 febbraio 1954, in Cartas a México, 39. 44. Francisco Pina, “Cesare Zavattini, precursor del Neorrealismo”, in México en la Cultura, in Novedades, Città del Messico, febbraio 1954, 4-8; 5. 45. Pina, “Cesare Zavattini, precursor del Neorrealismo”, 4. 46. Pina, “Cesare Zavattini, precursor del Neorrealismo”, 4. 47. ibidem, 4. 48. ibidem, 5.

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Lo distingue nettamente il metodo che rivela nell’intervista concessa a Pina. All’esclusione dei personaggi costruiti, in conformità con i dettami del Neo-realismo, compensa con l’includere frasi, parole, discussioni vere, ascoltate per la strada. In questo, lo soccorrono la memoria e gli appunti, consentendogli di trarre la massima parte della materia prima dalla vita di tutti i giorni. In un secondo momento, soccorre l’arte nel creare ritmi e far risaltare l’essenziale. Lungi dal credere nel mito della realtà che si darebbe nella sua completezza, Zavattini spiega a Pina che in questa seconda fase creativa: Mi interessa il dramma delle cose che avvengono, non quella delle cose pensate a priori. È necessario che la realtà la si trasformi in poesia, esercitando le doti poetiche sul posto, abbandonando la stanza e camminando proprio fisicamente in mezzo agli altri per osservarli e comprenderli.49

Su questo si sofferma Pina. «C’è una frase in questi paragrafi che conviene sottolineare: “è essenziale fare della realtà poesia”. E vale la pena sottolinearla, perché non ci si confonda con chi ritiene che il Neorealismo sia una copia servile della realtà e anche che debba a questo il suo successo. Nulla di più lontano dalla verità».50 E aggiunge: «la scoperta importante del cinema Neo-realista italiano non è stata tanto la realtà, quanto ciò che le sta dietro». Seguendo le orme del pensiero di Zavattini che gli racconta del Congresso di Parma sul Neo-realismo, Pina riprende un’analogia dal discorso di Zavattini (in cui spiegava che le immagini della realtà, in tante foto allineate, pure se prese nel loro insieme, non significheranno mai il Neo-realismo, il cinema: ci vuole l’intervento dell’immaginazione nel contatto dell’oggetto con la fantasia.51 A Pina non sfugge, quindi, la differenza fra una mimēsis parziale e ingenua di stampo ottocentesco che pretende di cogliere la realtà oggettiva e la mimēsis dello scrittore italiano che invece la vuol interpretare. È chiaro che Pina, nel porre l’accento su queste idee, considera Zavattini non solo come sceneggiatore, ma come vero e proprio teorico, la cui teoria nasce dal fare cinema e che riflette sull’alternativa possibile da preferire ad un cinema colonizzato. Infatti, il contesto messicano è quello di un cinema d’evasione che ricalca quello nordamericano, un cinema in cui nel 1953, in Messico vengono importati 222 film americani e dei soli 87 film prodotti in Messico, 30 sono commedie musicali dette 49. ibidem, 5. 50. ibidem, 5. 51. ibidem, 5.

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comedias rancheras con al centro il nuovo ballo, il cha-cha e il resto melodrammi.52 Zavattini gli dice che è convinto che il Neo-realismo debba essere inteso come profondamente di Sinistra: «Per me, se non è di Sinistra, non è Neo-realismo».53 Atteggiamento che spiega l’ostilità degli ambienti governativi messicani verso un cinema percepito da Pina come «rivoluzionario».54 A scanso di equivoci, Pina lo cita là dove si discosta dal messaggio religioso nell’affermare che: Se non temessi di peccare d’irriverenza, direi che Cristo, con una cinepresa in mano, non filmerebbe parabole, per quanto meravigliose esse siano, ma farebbe vedere chi sono i buoni e chi i cattivi oggi come oggi, e metterebbe in rilievo e in primo piano quelli che rendono molto amaro il pane al prossimo e quelli che sono le vittime. Questo farebbe Cristo, sempre, naturalmente, che la censura lo permettesse.55

Pina non ha dubbi: Ho la convinzione più assoluta che egli sia la colonna più robusta del Neorealismo, questa nobile aspirazione, questa tendenza valida e generosa sorta fortunatamente nel panorama del cinema contemporaneo, in cui, tranne alcune magnifiche eccezioni, tutto sembra desolato e infecondo.56

In Novedades, Pina riprenderà il discorso sul Neo-realismo, distinguendo fra realismo nero, di aperta denuncia, insomma, e Neorealismo: Il realismo nero, in effetti, va a scavare con fare esperto le cloache umane e su questo si concentra la sua maestria tecnica e anche i valori più profondi della sua arte. È un cinema scettico, implacabile, a volte repellente, sempre negativo, romantico in sostanza, che fa spettacolo di una satira corrosiva e che come è naturale, manca del tutto di senso del’umorismo.57

A confronto, il Neo-realismo è il contrario, «soprattutto», aggiunge, «nella sua massima espressione, raggiunta nelle realizzazioni di Zavattini 52. Carl T. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, Jefferson N.C.: McFarland and Company, 2005, 53; 103. 53. Zavattini, in Pina, “Cesare Zavattini, precursor del Neorrealismo”, 5. 54. ibidem, 5. 55. ibidem, 5. 56. ibidem, 5. 57. Pina, “Un libro sobre el Neorrealismo” in México en la Cultura, in Novedades, Città del Messico, aprile 1955, 3.

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e De Sica».58 Coglie in Miracolo a Milano «una delle cinque o sei pellicole in cui il Neo-realismo raggiunge il suo zenith»; è una satira, sì, ma in combinazione con l’umorismo che diluisce la satira.59 Pina rifiuta l’obiezione che il cinema del Neo-realismo non offra soluzioni ai problemi della società che espone, affermando che: «non è questa la sua missione».60

2.4 Messico nel 1953 Nonostante la brevità del suo primo soggiorno in Messico, si ripete, ma su scala maggiore, quello che era avvenuto a Cuba, dove Zavattini aveva incontrato le figure più significative della cultura cubana, tra etnografi, musicologi, scrittori e cineasti dei cineclub cubani che si rivelarono in possesso di una cultura cinematografica, non solo molto notevole rispetto all’entità trascurabile dell’industria cinematografica locale, ma perfettamente al corrente delle vicende attuali del cinema italiano, come Zavattini stesso aveva avuto modo di notare in Cinema Nuovo. Scrive Zavattini nel suo Diario cinematografico: Si toccano sempre meno le promesse dei partiti. Il popolo non ha più in mano, da circa tre lustri, non dico la rivoluzione vera e propria, ma neanche la parola. Se ne è impadronita la borghesia, per non farne nulla.61

Anche in Messico, lo accompagna il regista Alberto Lattuada, ma di lui si perdono le tracce. Sappiamo solo che i due si trovano al locale Tenampa dove fanno suonare all’orchestra Siete leguas che tratta della Rivoluzione e di Pancho Villa, cantata dall’autrice e proprietaria di un postribolo.62 E che Lattuada è con lui a Ciocimilco, quando Zavattini e i fratelli Tiben noleggiano una barchetta fiorita, glissando in mezzo alla musica di altre barche e presente agli incontri con i venditori di Cocacola, tappeti, o tortillas, come racconta Zavattini nel Diario. Mentre a Cuba Zavattini si era ritrovato in un paese afflitto da una dittatura e dalla realtà di un’industria cinematografica praticamente inesistente, limitata come era a cinegiornali e pornografia, in un paese 58. ibidem, 3. 59. ibidem, 3. 60. ibidem, 3. 61. ibidem, 321. 62. Zavattini, “Messico. 13 dicembre 1956”, in Zavattini cinema, 2002, 333; 334.

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che vantava una cultura molto raffinata, una realtà sfasata, insomma, in Messico la dittatura non c’era, ma dopo le speranze degli anni della Rivoluzione messicana, nel paese era avvenuta un’involuzione politica paragonabile a quella cubana di tutta la prima metà del Novecento. Anche in Messico, dopo la Rivoluzione, vince la borghesia, come del resto, era avvenuto in Europa nell’Ottocento. È vero che, a differenza dei cubani, in Messico non c’è la dittatura, ma le due nazioni hanno in comune la miseria della stragrande maggioranza a fronte della ricchezza della borghesia. Vero è che in Messico c’è stata una nuova cultura visiva nelle opere dei muralisti messicani: Siqueiros, Rivera, e Orozco, in cui, secondo Zavattini, si esprimeva «l’attualità, nel senso più alto, dei vostri famosi pittori».63 Lungi dall’esprimere un «buonismo» umanista che lo distinguerebbe secondo alcuni, Zavattini afferma in un’altra intervista con Pina che «il nuovo cinema messicano ha un compito concreto da realizzare»: Deve cercare di infondere fede nel messicano nella sua missione politica, lo deve irrobustire nella coscienza di partecipazione nella vita pubblica attiva, aiutare, infine, a spronarlo verso la sua Rivoluzione, così piena di esigenze attuali.64

2.5 Raíces e la critica messicana Lo stato del cinema messicano viene descritto così da Cineclub: Il cinema messicano, controllato strettamente dai monopoli, non riflette la realtà che vive attualmente il nostro popolo». I temi sono limitati, la produzione ridotta a commedie musicali, a drammi. Il cinema messicano è un cinema d’evasione, in una fabbrica di suoni, nello stile hollywoodiano.65

Pío Caro Baroja, un critico spagnolo che lavora in Messico in questi anni, è disposto ad ammettere che ci sono dei film, come quelli di Buñuel, Los Olvidados, o di Emilio Fernandez noto come El Indio, Espaldas mojadas, Maria candelaria, Rio escondido, Maclovia), che sembrano usci63. Lettera di Zavattini alla rivista messicana Novedades, 31 luglio 1957, ACZ E/72, c. 53-54, 53 scritta di mano di Zavattini in italiano, c. 54 dattiloscritta e tradotta in spagnolo. 64. Francisco Pina, “Zavattini habla de Roma”, nella rubrica “México en la Cultura”, Novedades, Città del Messico, 13 novembre 1956, 6. 65. Anon., “Raíces y el cine realista mexicano” in Cineclub, n. 3, Città del Messico, giugno 1955.

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re da questi stereotipi.66 Vero, la realtà messicana degli emigranti stagionali, i Braceros, viene mostrata in Espaldas mojadas, ma manca l’analisi del contesto sociale, l’attenzione etnografica sulla realtà del popolo messicano e dell’ambiente. Ciò è dovuto al fatto che: «questa realtà è stata prostituita a favore di una storia artificiale o sacrificandola in nome della coerenza interna al film».67 Bisogna guardare altrove per trovare nuovi fermenti: e precisamente nel documentario messicano. Caro Baroja segnala il lavoro del direttore della fotografia Walter Reuter il cui primo film messicano Tierra de chicle (1952), è venuto alle prese con la vita di tutti i giorni e lo sfruttamento dei lavoratori che estraggono il cauciù dagli alberi di Las Chiapas. Un film sui bambini perseguitati dalla polizia perché vendono il pesce a basso prezzo a Veracruz, El botas (1952) e un film su una guaritrice girato in Sierra de Oaxaca nella tribù dei Mazatecas, La brecha (1952).68 Il documentario sociale di Reuter non cerca soluzioni a effetto, ma l’empatia del pubblico, seguendo il paradigma Neo-realista, nel rifiutare di trasformare il quotidiano in spettacolare.69 Per quanto riguarda i film messicani a soggetto invece, un solo film si discosta da tutta la produzione cinematografica: Raíces, prodotto al di fuori del giro del monopolio industriale dei film a soggetto, e finanziato da una casa di produzione indipendente, Teleproducciones. Non a caso, c’è di mezzo il documentarista Walter Reuter, direttore della fotografia per tre dei quattro episodi.70 Il Direttore di Teleproducciones, Manuel Barbachano Ponce, si occupa quasi esclusivamente di documentari, cinegiornali e pubblicità. Nonostante i suoi difetti, Raíces è significativo del fermento documentario verso un nuovo cinema messicano. La trama è un adattamento di quattro racconti di Francisco Rojas raccolti nel suo libro El Diosero (1952) che rientrano nell’ambito dell’antropologia sociale messicana. Il film pone le premesse per un’alternativa al cinema egemonico messicano che purtroppo non avverrà. 66. Pío Caro Baroja, “El documentalismo social mejicano”, in Objectivo, no. 9, September-October 1955,12. 67. Pío Caro Baroja, “El documentalismo social mejicano”, in Objectivo, no. 9, September-October 1955, 13. 68. Pío Caro Baroja, “El documentalismo social mejicano”, in Objectivo, no. 9, September-October 1955, 13. 69. Pío Caro Baroja, “El documentalismo social mejicano”, in Objectivo, no. 9, September-October 1955, 15. 70. Di Ramón Muñoz il Prologo, di Walter Reuter, Las vacas, El tuerto e La potranca e di Hans Beimler Nuestra señora. Películas del cine mexicano, cinemexicano.mty.itesm.mx/ peliculas/raices.html, consultato il 6 giugno 2018.

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Nel 1953, Zavattini vede tre dei quattro episodi di Raíces. Ne riscontra la lezione del Neo-realismo,71 ma non tutto il film gli piace. L’episodio sul fanatismo religioso lo lascia perplesso, e altre cose; tutto sommato, c’è bisogno di una maggiore concisione che forse il montaggio potrà realizzare.72 Eppure ne parla agli organizzatori del Festival di Locarno, per convincerli di includerlo nella loro selezione.73 Quando lo rivede nella sua forma definitiva a Roma, dopo le revisioni suggerite da Gamboa e da lui stesso, dirà: «È una pellicola utile, una pellicola piena di suggerimenti per un nuovo cinema messicano».74 Nel quadro del cinema messicano dell’epoca, Barbachano rappresenta una figura indipendente, la cui autonomia deriva dal fatto che specializza in documentari in tre società: Telerevista, Desfile de estrellas e Cine Verdad, tutte facenti parte di Teleproducciones, da lui fondata nel 1950. Nel 1953 Retrato de un pintor, El botas, e Tierra de chicle attirano l’attenzione della critica internazionale a Parigi, al iv Congresso Internazionale di Film Educativi, Documentari e Cortometraggi; inoltre, quello stesso anno, La pintura mural mexicana viene nominata al Festival di Cannes.75 Il regista Benito Alazraki Algranti insegnava filosofia all’Università Autonoma del Messico, ma fondò Panamerica Films nel 1944 per poi, intorno al 1950, venire assunto da Barbachano per realizzare documentari e cortometraggi per le sue compagnie Tele Revista e Cine Verdad. Raíces suscita speranze di cambiamento fra i critici messicani, nell’ambito di un cinema messicano contemporaneo che, a dirla con Pío Caro Baroja, si concentra su «falsi valori e l’ansia di guadagnare quattrini».76 Raíces, secondo questo critico è: «el primer paso hacia un nuevo realismo mexicano, il primo intento serio del Neo-realismo all’estero ‹che› si presenta in Messico, dove un gruppo di messicani inquieti realizza quello che potrebbe chiamarsi una mostra Neo-realista americana».77 È apprezzabile che il film utilizzi attori presi dalla strada, le cui vite erano legate ai posti ripresi nel film ed è girato negli ambienti, fra la gente 71. Cartas a México, 20. Scrisse assieme a Jomi García Ascot El Anillo mágico, collaborò con Fernando Benítez nella scrittura del soggetto El Petróleo, e con Carlos Velo per Carretera Panamericana e con Fernando Gamboa e Carlos Velo per México mío. Nessuno dei soggetti fu realizzato. Si veda, Cartas a México, 21. 72. Lettera di Zavattini a Benito Alazraki, 25 maggio 1954, Cartas a México, 40. 73. ibidem, 40. 74. Zavattini, citato in Caro, “Raíces in El Neorrealismo cinematografico italiano, 163. 75. Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 33. 76. ibidem, 162-163. 77. Caro, “Raíces in El Neorrealismo cinematografico italiano, 160.

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ed i paesaggi, ma è deludente il calligrafismo che lo accomuna al primo Lattuada, pur accogliendo gli insegnamenti del cinema del dopoguerra italiano; lo delude anche la letterarietà e l’intellettualismo; l’abuso del primo piano, secondo lo stile del cinema sovietico, il montaggio che sostituisce la durata, nelle parole del Caro: «el análisis del tiempo», proprio della nuova scuola italiana e la rassegnazione che si sostituisce alla denuncia Neo-realista. Ma per proseguire per questa strada, secondo Caro, sarà necessario sostituire aneddoti e stoicismo amaro con una denuncia delle condizioni sociali che si concretizzi nello scontro drammatico dei personaggi. Cita ancora Zavattini: In questo momento, fuori dell’Italia, non solo è stata appresa la lezione Neo-realista, ma bisogna svilupparla in modo agguerrito. Qui c’è pericolo di indebolimento, cioè di non reagire abbastanza alle manovre lecite o illecite di coloro che pretendono cancellare le tracce di dieci lunghi anni di lavoro a cui hanno partecipato tanti italiani.78

Alla realizzazione di Raíces avevano collaborato il montatore Carlos Velo e il giovanissimo Jomí García Ascot, entrambi dipendenti di Barbachano e futuri collaboratori di Zavattini. Ma, regista a parte, il film deve molto soprattutto al Direttore Artistico di Teleproducciones, Gamboa, il cui sguardo è influenzato sia dalla sua formazione antropologica che dalla sua conoscenza diretta del cinema italiano e dall’amicizia con Zavattini. Il ruolo di Gamboa è determinante nella lavorazione. Quando il film non era ancora un lungometraggio, ma quattro corti separati, per suo consiglio, tutto il girato fu montato in un lungometraggio. Il titolo è di Gamboa e Gamboa suggerisce l’ordine definitivo dei racconti e imposta la struttura con un Prologo, oltre a suggerire altre modifiche.79 Ma in Messico incontra le stesse obiezioni mosse contro i film Neorealisti italiani: perché lavare i panni sporchi in pubblico? Nelle sale di proiezione, la gente reagisce dicendo: «Orribile! In questa cosa non si vedono altro che indios, senza nessun attore noto, nessun regista conosciuto. Che orrore!»80 Non è la vista degli indios ad offendere il recensore anonimo che pubblica «Raíces y el cine realista mexicano».81 Gli crea problemi il 78. Zavattini, citato in Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 163-164. 79. Gamboa, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 113. 80. Barbachano, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 126. 81. Anon., “Raíces y el cine realista mexicano” in Cineclub, n. 3, Città del Messico, giugno 1955.

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modo in cui vengono rappresentati. Come Pío Caro, anche il reconsore anonimo osserva che, tutto sommato, Raíces è simile a certi altri film messicani, da La Perla, a Deseada e a La Red, in cui il problema degli indios viene trattato col medesimo «formalismo turistico» di Raíces, in cui il critico rileva un certo disprezzo per gli indigeni e un’attenzione concentrata più sugli aspetti scenografici che non rivolta alle persone, da cui deriva il trattamento dei personaggi, riduttivo in quanto limitato all’esotismo. Il problema è di fondo: l’oppressione non si limita all’aspetto economico, ma rispecchia una politica culturale ben precisa, giacché in Messico i gruppi indigeni sono sottomessi alla borghesia messicana e all’imperialismo yankee. Nel presentare il problema indigeno come forma esotica, il film lo separa dalle cause di fondo. Ne viene fuori un Messico falso, il cui popolo è presentato con superficialità, tradendo lo spirito oggettivo dei racconti di Rojas Gonzáles, una rappresentazione in cui la miseria viene attribuita solo a cause naturali.82 È palese la critica diretta alla cultura ufficiale messicana e la sua rappresentazione post-rivoluzionaria e ideale del Messico. Finisce male con la morte di Pedro, fine tragica, come quella del lustrascarpe Giuseppe in Sciuscià (1946), in entrambi i casi, ogni possibilità di trascendenza è negata. E come nei film Neo-realisti italiani, non c’è ombra di Surrealismo in Los Olvidados che insegue piuttosto la fedeltà ai dettagli, in una ricostruzione ambientale delle condizioni di vita nelle borgate della metropoli che aveva richiesto al regista e allo sceneggiatore Luis Alcoriza ben sei mesi di ricerca sul campo.83

2.6 Zavattini e Buñuel In Messico, Zavattini incontra il pioniere surrealista Luis Buñuel che vi si era stabilito da Hollywood nel 1946 per lavorare per il produttore Oscar Dancigers. E in Messico, dal 1947 in poi Buñuel realizzerà una serie di film a soggetto, tra cui En el viejo Tampico (1947) e El gran calavera (1949), una commedia e melodramma che avevano riscosso un 82. Anon., “Raíces y el cine realista mexicano” in Cineclub, n. 3, Città del Messico, giugno 1955. 83. Nonostante il fatto che realizza in tutto ventuno film in Messico, la sua influenza sul cinema messicano, per quanto apprezzata, per esempio, il memorabile Simón del desierto (1954) secondo il Mora sarebbe trascurabile, ma Ernesto R. Acevedo-Muñoz non è d’accordo. (Cfr. Ernesto R. Acevedo-Muñoz, Buñuel and Mexico. The Crisis of National Cinema, Berkeley, Los Angeles e Londra: University of California Press, 2003, 144. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 95).

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gran successo commerciale.84 Quando si incontrano, Buñuel gli dice: «Viva il Neo-realismo! Ma se ho bisogno di riferire agli altri l’istinto, lo riferisco, perché è altrettanto reale un brutto pensiero, magari osceno, che mi viene, di un uomo che lavora».85 Eppure, li accomuna uno dei suoi film messicani, Los Olvidados (1950), in cui non si può ignorare l’influenza Neo-realista di Ladri di biciclette, con la differenza sostanziale che i protagonisti messicani, i bambini dei quartieri poveri, sono personaggi spietati.86 Los Olvidados si distingue dagli altri film messicani di Buñuel e da tutta la produzione commerciale contemporanea, sia perché mostra la realtà fisica dei bassi della Città del Messico, sia perché il protagonista, il ragazzo Pedro, ne ricalca l’odissea esistenziale per la grande città in una serie di episodi e incontri che lo portano ad attraversare tutta una serie di situazioni di sofferenza, miseria, squallore, e sovraffollamento, in una dura condanna di una società che si dimostra incapace di solidarietà verso il debole.

2.7 Dopo il primo viaggio «Tu sai che impressione profonda mi fece il mio primo contatto con il Messico», Zavattini scrive al suo ritorno in Italia, il 25 febbraio 1954 a Gamboa, aggiungendo: ma fu come un sipario sollevato soltanto per un minuto. C’è ricchezza, forza di sentimenti, contrasti violenti, ma tutto, anche il nazionalismo, come disse Buñuel, è come un fiore, ha cioè un suo incanto naturale ai margini sempre della fantasia come quel cavallo bianco di Pancho Villa che appariva nella canzone della padrona del postribolo cantata da lei, lì nel suo postribolo di Mexico City.87

La presenza di uno dei maggiori scrittori di cinema dell’epoca certo non poteva non far risaltare il fatto che in Messico, non ci sono scrittori di cinema professionisti, perché i soggetti li improvvisano.88 Carlos Velo, il montatore che lavora per Teleproducciones e vi dirige Cine Veridad, lo fa notare a Manuel Barbachano Ponce. Glielo fa presente anche Fernando Gamboa che se davvero si vuole fare un nuovo cinema 84. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 75. 85. Zavattini, “Messico, 13 dicembre 1956”. 86. ibidem, 95. 87. Lettera di Zavattini a Gamboa, 25 febbraio 1955, ACZ E/72, c. 1. 88. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 139.

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messicano, bisognerà cercare altrove scrittori di cinema all’altezza.89 E gli propone Zavattini: «Perché non invitiamo un grande soggettista chiamato Cesare Zavattini che sicuramente sarebbe molto interessato nel Messico e verrebbe volentieri?»90 Entrano in trattativa. Zavattini, in base ai suoi principi di pedinamento etnografico, propone un lungo periodo di ricerca sul campo, di cui due mesi e mezzo in Messico e uno e mezzo a Cuba. Zavattini avvisa i messicani che ci vorrà il coraggio di non cedere ai compromessi e «un impegno non comune»: Sarebbe una sconfitta piuttosto significativa se dal mio viaggio, dal mio contatto con gli elementi migliori della cinematografia messicana, non nascesse qualche cosa di buono. Noi dobbiamo cercare insieme di fare dei film che dimostrino come, da una radice schiettamente Neo-realista, si possa trarre dello spettacolo efficace e di interesse internazionale. Non è facile, ma l’esperienza mi insegna che sarà facile se avremo del coraggio, in quanto tutte le volte che c’è stato coraggio, che non si è avuto paura di rompere gli schemi, i risultati sono stati di primissimo ordine; è quando si comincia col compromesso che si fallisce, sia rispetto all’arte, sia rispetto allo spettacolo.91

Zavattini promette di spedire il Bollettino del Neo-realismo che uscirà su Cinema Nuovo al giornalista Amadeo Recanati che lo aveva intervistato in Messico. «Il Bollettino sarà mensile e cercherà di essere la registrazione obiettiva di tutti i fatti del cinema Neo-realista in Italia e fuori d’Italia, un organo di raccolta di tutti quelli che credono nel Neo-realismo».92 Ci tiene a chiarire che non è vero che il Neo-realismo si lavi le mani dei problemi politici; piuttosto, li affronta tramite la poesia. Infatti: «Più il modo di affrontare certi problemi attuali è neorealisticamente coraggiosa, più la soluzione, la indicazione di una soluzione vi è connaturata».93 Francisco Pina, un altro giornalista che lo aveva intervistato, a cui Zavattini ha espresso il desiderio di fare un film sul Messico in autunno, gli scrive: Sono assolutamente convinto che è lei il vero artefice del Neo-realismo; lo spirito che la anima e l’intelligenza che la nutre con la sua feconda

89. Gamboa, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 113. 90. ibidem, 114. 91. Lettera di Zavattini a Gamboa, 25 febbraio 1955, ACZ E/72, c. 1. 92. Lettera di Zavattini a Recanati, 9 gennaio 1954, ACZ Corr. R113/2. Inedito. 93. ibidem.

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saggezza. E sono disposto a proclarmare la mia convinzione in tutte le occasioni che mi si presenteranno.94

Zavattini gli risponde che ha in mente di «fare una storia per un’attrice messicana».95 Probabilmente pensa a Dolores Del Río che ha conosciuto di persona. Comunque sia, l’idea per questo progetto «riguarda il suffragio universale concesso alla donna messicana recentemente, mi pare che sia un problema di enorme interesse per il Messico».96 Già pensa ad un mese di pedinamento del Messico e dei suoi abitanti.97 Intanto, Giuseppe De Santis, regista italiano che ha lavorato già con Zavattini, si reca in Messico e qualche mese dopo, Gamboa gli propone di collaborare con Zavattini che ne parla con De Santis.98 Gamboa risponderà con la promessa di un accordo che, nonostante la presenza fisica di De Santis in Messico, purtroppo non si verificherà. È la prima iniziativa a non andare in porto. Però Gamboa manda a Zavattini l’invito ufficiale del suo produttore, Barbachano Ponce. A questo punto, si parla di scrivere due soggetti messicani.99 Scrive Gamboa che vuole: sottolineare la soddisfazione che proviamo per la solidarietà appassionata che in questo momento abbiamo ricevuto da te. Ma anche per ripetere il nostro invito che oggi ti faccio a livello ufficiale con questa lettera, a nome di Manuel Barbachano, produttore di Teleproducciones. Barbachano ed io speriamo che verrai in Messico, secondo i tuoi piani, nel mese di gennaio prossimo. Teleproducciones desidera stipulare con te due soggetti che potrai scrivere qui nel territorio, una volta che ti sei ambientato nell’ambiente messicano.100

2.8 Neorrealismo cinematografico Intanto, il critico cinematografico Pío Caro Baroja che scrive per la rivista domenicale Claridades, pubblica El Neorrealismo cinematografico 94. Lettera di Francisco Pina a Zavattini, 12 febbraio 1954, ACZ Corr. P424/1. Inedito. 95. Lettera di Zavattini a Pina, 6 marzo 1954, ACZ Corr. P424/4. Inedito. 96. Lettera di Zavattini a Pina, 6 marzo 1954, ACZ Corr. P424/4. 97. ibidem. 98. Lettera di Gamboa a Zavattini, 17 novembre 1954, in Rodríguez Álvarez, Cartas a México, 44. ACZ Corr. G 111/1. Su carta intestata Tele Producciones s.a. Lettera di Gamboa a Zavattini, 10 gennaio 1955, in Rodríguez Álvarez, Cartas a México, 48. 99. ibidem. 100. ibidem.

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italiano, Prólogo y notas de Cesare Zavattini (1955) in cui cita molte parti del saggio “Alcune idee sul cinema”, oltre a brani tratti da altri testi di Zavattini.101 Come mai? L’iniziativa di Pío Caro fa sèguito al suo contatto con Zavattini durante la Semana del Cine Italiano, nel dicembre del 1953 e alla loro corrispondenza.102 Il 22 dicembre del 1954, Zavattini aveva scritto a Francisco Pina per autorizzare Pío Caro Baroja ad includere una Prefazione firmata da Zavattini, consentendogli di pubblicare un montaggio di testi tratti dai suoi scritti sul Neo-realismo103 Gli consiglia: «Può bastare una pagina, anche mezza pagina, scelta come ho detto prima, per dimostrare la mia solidarietà e la mia stima verso Baroja e il movimento Neo-realistico messicano».104 Anche l’Epilogo sarà firmato da Zavattini, nella forma di una lettera in cui Zavattini osserva: «potrà svilupparsi un cinema di presenza contro un cinema d’assenza, un cinema Neo-realista contro un cinema conformista».105 Conclude affermando, a fronte della censura, che: «il movimento Neo-realista non sarà mai ucciso, fin tanto che a noi non manchi il coraggio e la memoria».106 101. “Alcune idee sul cinema” fu tradotto e pubblicato in Cine Cubano, secondo Alfredo Guevara e prima ancora circolato fra gli amici di Nuestro Tiempo come dattiloscritto. La versione spagnola si trova in Zavattini, “La dimensión moral del neorealismo” in Guevara e Zavattini, Ese Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón corazón de la verdad, 267-284. Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 188-190; 193-195; 199-201; 243-244; 247. 102. Nel libro, Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 251, il Caro riferisce una notizia poco nota e cioé il fatto che Zavattini avesse posto un annuncio nel giornale per il film Roma, ore 11, non per trovare un’attrice non professionista, ma per «arrichire con la viva realtà il suo soggetto». Solo nel 1956 fu pubblicata la sceneggiatura di Roma, ore 11 che presenta una versione abbreviata dell’inchiesta condotta da Elio Petri, allora cronista del giornale comunista L’Unità, testo che servì da base per la sceneggiatura vera e propria del film. L’inchiesta fu suggerita da Zavattini che al libro contribuì con informazioni nella Premessa che convalidano questa affermazione, Zavattini, “Lettera da Cuba” in Elio Petri, Roma ore 11, Milano: Edizioni Avanti!, 1956, 13-15. Zavattini collaborò insieme a Petri, De Santis e altri, alla sceneggiatura, oltre che al soggetto. L’annuncio serviva per invitare le ragazze coinvolte nel crollo dell’edificio ad un incontro con il regista, Zavattini e altri, per una ricostruzione, oggi si direbbe forse uno psicodramma, in cui si ricreasse l’atmosfera delle loro interviste per poi arricchire il copione con osservazioni tratte dal vero. 103. Lettera di Zavattini a Pina, 22 dicembre 1954, ACZ Corr. P424/5. 104. ibidem. 105. Zavattini, “Epilogo” in Pío Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 273275. Tradotto dallo spagnolo. Inedito in italiano. Il testo italiano non si trova fra le carte di Zavattini conservate nell’Archivio di Reggio Emilia. 106. ibidem, 273-275. Caro pubblica una lettera di Zavattini come Prologo e un’altra come Epilogo. Nonostante il titolo, tutte le note non potevano essere di Zavattini. In veri-

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Vale la pena di soffermarsi su questo testo proprio perché costituisce una prova significativa dell’assimilazione delle idee di Zavattini alla cui versione del Neo-realismo, infatti, buona parte del libro è dedicata. Si tratta di una storia del Neo-realismo italiano da un punto di vista messicano, scritta da un critico cinematografico che aveva conosciuto Zavattini di persona durante quel primo suo viaggio in Messico del dicembre 1953, come dimostra la dedica autografa firmata dall’autore alla sua copia del libro che fa riferimento proprio a quel suo primo viaggio in Messico e all’incontro dello stesso Caro con Zavattini.107 Oltre a presentare i film degli epigoni del Neo-realismo, Caro ne ricostruisce, con l’aiuto di Zavattini, la base concettuale, e adottando soprattutto la posizione teorica del soggettista italiano, documentata con passi tratti dalla traduzione messicana di un suo articolo famoso. È significativo che il Caro voglia indicarne la paternità zavattiniana e che le teorie elaborate da Zavattini figurino in più della metà del libro. Caro oppone al realismo rosselliniano quello zavattiniano, come aveva fatto anche Francisco Pina nei suoi articoli.108 Per Caro, il film Sciuscià di De Sica-Zavattini «segna l’inizio della nuova epoca, quella prettamente Neo-realista», in cui viene rifiutato «il fatto sensazionalista» dallo sguardo poetico, «el mirar con estos “ojos de poeta”», «il Neo-realismo ha un modo nuovo di guardare».109 «Il principio di un nuovo sentiero che cuminerà con le grandi opere del cinema italiano».110 Rispetto all’umanesimo di Chaplin di Luci del varietà, che la realtà la presenta stilizzata tramite simboli, il Neo-realismo ne mostra i particolari concreti, sempre diversi, e il popolo lo presenta nella sua vita sensibile, di tutti i giorni, «tal como vive», senza moralismi, «nel modo in cui reagisce di fronte al piccolo problema quotidiano che è quello che davvero segna la sua vita e le nostre vite».111 In teoria, sostiene il Caro, si è sempre partiti dalla realtà tà, Zavattini aveva letto il progetto per il libro, ma non il dattiloscritto completo, giacché nell’Epilogo scrive: «ho appena letto il programma per il suo libro sul Neo-realismo». Zavattini, Epilogo in Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 273. 107. La dedica autografa di Pio Caro sul frontespizio della copia di Zavattini conservata nell’Archivio Zavattini presso la Bibioteca Panizzi. ACZ Coll ZA C 104: «Per Cesare Zavattini, come dimostrazione di ammirazione e testimonianza di quelle poche parole, ma sincere, che ci siamo scambiati in Messico. Con un abbraccio forte, Pio Caro B[aroja] 15 marzo 1955». Nella copia del libro appartenuta a Zavattini compare anche una foto di Zavattini sul set di Umberto D., con dedica a penna a Caro. 108. Caro, El Neorrealismo cinematografico italiano, 205. 109. ibidem, 58. 110. ibidem, 53-54. 111. ibidem, 56-57.

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sensibile nel cinema, ma senza mai raggiungere una correlazione o un sistema di relazioni soddisfacente. Se il Neo-realismo riesce a mostrare la vita nel suo complesso, lo fa senza cadere nell’astrazione, ancorandola ad un riferimento concreto, ad esempi precisi e personali, ma arrivando al contempo ad esprimere una voce generica.112 Un esempio: «tipico del movimento Neo-realista» è il già citato Roma, ore 11 che «sa dare perfetta espressione al dramma quotidiano».113 Caro dichiara che «il vero artefice di questo sentire del nuovo cinema in cui si sono concretizzati tutti gli insegnamenti e da cui ne è scaturito il genio è Zavattini».114 Il puro Neo-realismo in quanto a scrittura, lo esprime Zavattini, in quanto a regia, De Sica e De Santis.115 La scena della domestica di Umberto D., è, secondo Caro, «la cúspide artística» o espressione massima, secondo lui, del Neo-realismo,116 film al cui proposito Caro parla di «detallismo», secondo lui, l’espressione di uno stato d’animo, dettagli che significano, o, diremmo oggi, diventano significanti, di una situazione difficile.117 Ma c’è chi scambia il «detallismo» per «trivialismo italiano».118 Il libro di Caro si estende anche al Neo-realismo all’estero, citando i casi in Francia, Spagna e lo stesso Messico, dove identifica in alcuni film di Buñuel l’influenza della «escuela italiana»: Subida al cielo si rifarebbe a Quattro passi fra le nuvole, di De Sica e Zavattini. In La ilusión viaja en tranvía e Robinson, la tecnica del dettaglio sarebbe riconducibile a Umberto D. e anche Los Olvidados. Menziona film di altri registi, La Red, Los Orgullosos e Espaldas mojadas, documentario sui Braceros messicani, che già era scomparso dalle sale.119 Ma il primo tentativo serio in Messico lo considera Raíces del regista Benito Alazraki a cui dedica un capitolo intero.120 In tutto il libro, compreso i capitoli in cui vengono analizzati film particolari (inclusi tutte le opere maggiori di De Sica e Zavattini), il Caro si sfroza di comunicare il significato del Nuovo Cinema Italiano, spiegando che: «il Neo-realismo è diverso, che sia o meno una scuola, esso esiste e ha valori propri, valori autentici».121 Oltre a mostrare la vita qual’è lo distingue anche la capacità di far vedere: «lo spirito di lotta che 112. ibidem, 205; 207. 113. ibidem, 128. 114. ibidem, 63. 115. ibidem, 64. 116. ibidem, 122. 117. ibidem, 120-121. 118. Caro nomina Azorín, critico cinematografico spagnolo. ibidem, 191. 119. ibidem, 158. 120. ibidem, 160-164. 121. ibidem, 73.

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in essa si manifesta», la negazione del preesistente e la creatività positiva di una critica».122 Caro non solo fa riferimento al recentissimo Convegno di Parma, ma ne riporta le conclusioni, riguardo al valore positivo del Neo-realismo come punto d’arrivo del cinema italiano; la necessità di proteggerlo a fronte del cinema dominante; la necessità di un’azione critica di studio e diffusione dei valori insiti nel Neo-realismo; e le raccomandazioni finali rivolte al governo, con una critica velata alla censura e alle leggi restrittive che bloccano lo sviluppo del nuovo cinema.123 E cita perfino il discorso di Zavattini a quel Congresso: il Neo-realismo nasce da un atteggiamento nuovo di fronte alla realtà; questo atteggiamento, di natura etica e immanente parte da una prospettiva fondamentale di scoperta dell’uomo, della miseria e di tutte le altre sofferenze della condizione umana contemporanea.124

Tutto il libro è permeato di teoria, ma l’analisi del movimento e l’attribuzione della sua paternità proprio a Zavattini si trova nel capitolo intitolato “La teoria del cinema Neo-realista”, in cui l’autore osserva che il ruolo centrale di Zavattini è dovuto alla prassi di teorizzare cinema facendolo, con la sua scrittura di soggetti e, in un secondo tempo, di articoli. Arriva a dire che «è lui che ha creato questa scuola e che in ultima analisi, ha conferito a questa tendenza un’unità totale».125 È qui, non nel capitolo conclusivo, che Caro tenta di mediare il Neo-realismo zavattiniano per il lettore messicano, creando una distinzione fra sette aspetti fondamentali che definisce «etici» e quattro «tecnici»: Affrontare la realtà, analizzandola; condurre l’analisi fin nei suoi minimi dettagli; evitare sia il racconto che inganna, che la favola didattica; narrare la vita in modo diretto, fino al punto di valorizzare i fatti che all’apparenza appaiono i più insignificanti; nutrire fiducia, empatia e un atteggiamento benevolo verso l’umanità e la conoscenza del popolo; affrontare i problemi umani non risolti dalla società e lottare contro la mistificazione; cercare di educare il popolo, offrendo un orizzonte sociale e presentando la vita di tutti i giorni, i suoi avversari e le soluzioni relative; evitando di scegliere l’attore professionista e cambiando in questo modo il significato della 122. ibidem, 73. 123. ibidem, 75. 124. ibidem, 75. 125. Caro, “La teoria del cine Neorrealista”, in El Neorrealismo cinematografico italiano, 177.

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rappresentazione che è esistita finora; scegliere temi semplici; realizzare il film, per quanto possibile, in esterni e nel proprio ambiente; semplificare al massimo le scene e i movimenti di cinepresa.126

2.9 Ritorno in Messico (1955) «Oggi arriva Zavattini che realizzerà due pellicole con Alazraki e Velo», annuncia il giorno stesso Cine Mundial in un doppio paginone illustrato.127 Il produttore di cinegiornali e pubblicità Manule Barbachano Ponce, secondo Octavio Alba, il giornalista di Cine Mundial, formerà a questo fine una nuova impresa: Producciones Barbachano. Cine Mundial attribuisce a Zavattini il titolo di «creatore del Neo-realismo filmico italiano».128 L’autore aggiunge che «sarà la realtà messicana su due piedi a suggerire il tema». Lo presenta come collaboratore delle pagine letterarie delle più importanti pubblicazioni europee e come autore del libro Parliamo tanto di me, tradotto in quasi tutte le lingue. Continua: Le acque stagnanti del cinema messicano sono state ravvivate con dei sassi lanciati da El Indio, Fernández e da Luis Buñuel, e da alcuni sassolini tirati da Alejandro Galindo, Bustillo Oro, e Bracho. Queste acque stagnanti le potrà disturbare fino in fondo un talento privilegiato come quello di Zavattini e un cuore generoso, un idealista, che vede nel cinema uno strumento non per la fantasia, ma per “fissare gente e fatti reali che sono più ricchi della fantasia”, per citare le parole di Zavattini stesso.129

Il secondo soggiorno dura settantacinque giorni.130 Zavattini scrive nel suo taccuino i primi paragrafi sul Messico per Cinema Nuovo proprio mentre sorvola l’Atlantico. Ha fatto appena in tempo a liberarsi dell’ennesima revisione della sceneggiatura di Il tetto che De Sica comincerà a girare il 26 settembre.131 Ha un contratto firmato per tre soggetti, due riguardano il Messico, il terzo Cuba. Un tema si sa già, lo ha suggerito lui stesso, gli altri argomenti Gamboa li ha abbozzati 126. ibidem, 177-178. 127. Octavio Alba, “Hoy llega de México el famoso Zavattini, quien realizará dos películas con Alazraki y Velo”, Cine Mundial, 24 giugno 1955, Città del Messico, 8-9. 128. ibidem, 8-9. 129. Alba, “Hoy llega de México el famoso Zavattini”, 8-9. 130. Zavattini, ”La terra e la luna”, 1. 131. Lettere di Zavattini a Gamboa, 31 maggio 1955, 65 e 16 settembre 1955, in Cartas a México, 69.

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appena. Nel frattempo, si sono rivisti a Roma, e a Gamboa era piaciuta molto l’idea di adattare Italia mia col titolo México mío, un nuovo tipo di documentario, con un taglio drammatico e critico. Per l’altro soggetto messicano Gamboa ha indicato varie possibilità, ma qualsiasi tema si scelga, il film riguarderà «problemas nuestros»: il latifondismo, la salute, la siccità, El Ejido (cioè tutta la problematica intorno all’usufrutto collettivo della terra, la distribuzione di terre coltivabili ai messicani e l’obbligo di proteggerne quelle comuni, prevista dall’articolo 27 della Costituzione messicana, varata nel 1917). Quanto al soggetto cubano, Gamboa, a nome di Teleproducciones, propone che si svolga in un ambiente urbano, L’Avana, e che tratti del conflitto razziale, dell’assimilazione dei neri, del complesso d’inferiorità dei mulatti, e tutto questo non senza un tocco di esotismo.132 «Oggi», è venerdì 24 giugno 1955. Alle sei di sera, Fernando Gamboa va incontro a Zavattini all’aeroporto dove è in arrivo in compagnia del produttore di Teleproducciones, Manuel Barbachano Ponce che rientra da Parigi. C’è anche Benito Alazraki, il regista di Raíces, che aveva incontrato Zavattini da poco a Roma in un viaggio di lavoro che lo avrebbe portato anche a Trieste.133 Lo conducono all’Hotel Bamer. Fa colazione con Alazraki e la moglie.134 E durante quei primi giorni in Messico, faranno colazione assieme più volte. Intanto, come sempre, Zavattini scrive tutto nel suo taccuino e quest’aforisma finirà nel Diario cinematografico: «Benito mi racconta: Il mio paese e come il cactus: bello ma punge».135

2.10 Zavattini e stampa messicana Il 27 giugno Zavattini si reca a Teleproducciones per la prima volta. Un articolo nel giornale Aqui firmato dal cronista Efraín Huerta, annuncia la collaborazione fra Zavattini e Barbachano Ponce, il produttore di Raíces, il primo film Neo-realista messicano appena premiato col Gran Premio della Critica Internazionale a Cannes, realizzato dal regista Alazraki con l’aiuto di Carlos Velo, Fernando Gamboa, García Ascot e Fernando

132. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 marzo 1955, in Cartas a México, 55-56. 133. Lettera di Marco Zavattini a Gamboa, 20 maggio 1955, in Cartas a México, 63. 134. Zavattini, Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico, “Primo taccuino. Dalla mia partenza da Roma al 4/7/55, ACZ E 6/1, c. 32r. 135. ibidem, c. 43v.

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Marcos.136 La stampa mette subito in risalto l’importanza del soggiorno di Zavattini. Huerta scrive: Bisogna parlare sul serio del significato della presenza di Zavattini in Messico e soprattutto a fianco del produttore di Raíces, film che, tra l’altro, sta ottenendo al botteghino incassi magnifici. [...] Manuel Barbachano, Alazraki, Carlos Velo, Fernando Gamboa, García Ascot, Fernando Marcos, hanno compreso che la presenza in Messico di un uomo come Zavattini sarà assai positiva per noi.137

«Per il cinema messicano», scrive Octavio Alba della rivista Cine Mundial, «l’acquisizione di Zavattini è un enorme trionfo. Qui in poco tempo potrebbe diventare il formatore dei giovani scrittori di cinema, di registi alle prime armi».138 Per Cine Mundial, l’arrivo di Zavattini coincide con il momento in cui il cinema messicano più ne ha bisogno. «Lo sa lei chi è Cesare Zavattini?».139 La domanda è di Raquel Tibol che scrive per Novedades. La rivolge a gente di varie classi sociali. Ma la maggioranza non lo sa. Eppure anche per Tibol «il Messico e la sua cinematografia hanno bisogno del suo contributo»; infatti, «è tanto importante da meritare una campagna pubblicitaria di ampiezza popolare».140 Tibol fa notare che sarebbe un errore pensare che Zavattini si rivolga solo agli iniziati di un èlite, perché in realtà egli propone un cinema popolare. Ma guai se l’ambiente cinematografico messicano ripetesse l’errore fatto ai tempi del regista sovietico Sergei Ejzenštejn. Si riferisce al viaggio del 1930 e al film ¡Que viva el México!, mai portato a termine; al regista sovietico interessava la gente e la terra che riprese per tredici mesi per un ammontare di 80,000 metri di celluloide, tutta pellicola mai montata.141 Zavattini è «questo ambasciatore di realtà dinamiche» che esprime nell’intervista con Tibol l’aspetto politico del Neo-realismo: Sono stato invitato dal gran desiderio che c’è in Messico per fare un cinema libero e siccome sono appassionato del cinema libero, ne viene 136. Efraín Huerta, “Manuel Barbachano Ponce y Cesare Zavattini”, Aqui, Città del Messico, 25 giugno 1955. 137. ibidem. 138. Alba, Cine mundial, 24 giugno 1955, 8-9. 139. Raquel Tibol, “Zavattini está mirando a México, “Suplemento Dominical México en la cultura”, Diario Novedades, Città del Messico, 21 agosto 1955, 6. 140. ibidem, 6. 141. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 37.

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fuori un’occasione per i messicani. E io non sarò che uno dei tanti contribuenti.142

Che ci sia la percezione di trovarsi ad un bivio, in un momento importante per il cinema messicano, lo conferma Luis Dam di Mañana: Definitivamente la cosa più importante che sia successa al cinema messicano da molto tempo: l’arrivo di Cesare Zavattini in Messico può segnare, senza dubbio, l’adeguamento della nostra industria cinematografica al realismo vigoroso del grande cinema, così come è stato realizzato dai grandi cineasti di tutti i tempi e in tutto il mondo.143

Dam si lamenta apertamente dello stato dell’industria messicana che produce un cinema commerciale e provinciale.144 Secondo lui, «Zavattini rappresenta la continuazione del grande cinema che si è sempre fatto per dire qualcosa, creare qualcosa e non solo per fare film di cassetta».145 Ma l’industria cinematografica messicana la pensa diversamente. A molti giornali non garba l’arrivo di questo straniero nel cinema messicano. Zavattini viene insultato, tanto che uno storico interpreta questo atteggiamento come strategia per formare un vuoto in cui i suoi soggetti e le idee zavattiniane si sarebbero potute ignorare del tutto o perlomeno si poteva rendere improbabile qualsiasi dialogo con lo scrittore di cinema italiano. All’atto pratico, né i soggettisti, né gli attori, né i registi, incluso Fernándes (El Indio) e tantomeno i rappresentanti dei lavoratori dell’industria del cinema, ricevono Zavattini nella propria sede, «una cosa davvero scandalosa, indignante e vergognosa», secondo Emilio García Riera.146 Rimane un fatto che Barbachano non è l’unico a lamentarsi che nel cinema messicano ci sia una carenza di autentici scrittori in grado di creare dei buoni testi. Lo aveva fatto notare ad aprile Mateo Santos, ragionando che l’industria cinematografica messicana doveva convincersi che senza buoni scrittori, non si potevano fare buoni film.147 142. Tibol, “Zavattini está mirando a México”, 6. 143. Luis Dam, “Close up semanal, 7 dias de cine”, Rubrica “Cine” Mañana, Città del Messico, 2 luglio 1955, 60. 144. ibidem, 60. 145. ibidem, 60. 146. Emilio García Riera, Historia documental del cine mexicano, Città del Messico: Era, 1974, 19, citato in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 37. 147. Mateo Santos, rubrica “Cine”, Revista de revistas, Città del Messico, 3 aprile 1955, 54. Vedi il succitato Anon., “Raíces y el cine realista mexicano” in Cineclub, n. 3, Città

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Il soggiorno messicano di Zavattini è una risposta a questa situazione che si traduce presto in un invito formale a riformare il cinema messicano. Ad un cronista di Cine Mundial, Barbachano spiega che: «Zavattini viene a internacionalizar más el cine mexicano», per poi attenuare la portata dell’affermazione, aggiungendo che: «sarà forse pertinente chiarire che non farà altro che adattare e mettere a disposizione la sua esperienza e visione affinché due temi/soggetti di autori messicani siano di levatura internazionale».148 Eppure riconosce che Zavattini è «probabilmente il miglior soggettista del mondo, uno dei creatori del Neo-realismo».149 Zavattini risponde che il Neo-realismo già si fa in Messico. Ecco l’aggancio a Raíces, il primo esperimento messicano, per giustificare la propria presenza e attività, e affermare che ora il terreno sia fertile per un rinnovamento del cinema: «la ruota è in movimento», afferma. Alla creazione di un nuovo cinema messicano: «le hanno data una spinta gli stessi ‹messicani›, un gruppo di persone che crede e fa il Neo-realismo; sono venuto per partecipare alla loro opera».150 Ma rifiuta l’etichetta di padre del Neo-realismo: «No soy el padre del Neorrealismo»,151 Intanto, Zavattini e il suo produttore messicano vengono intervistati dal programma radio “Ases y Estrellas” il 28 giugno.152 Il giorno dopo si tiene sul secondo canale della televisione messicana, alle 22.45 la tavola rotonda sul Neo-realismo e un’altra sulla rinascita del cinema messicano sul programma el Prince. Oltre a Zavattini, ci sono Benito Alazraki, Gamboa, e Pío Caro, l’autore di El Neorrealismo italiano.153 Scrive Lautaro Gonzáles Porcel: Perché di questo si tratta, di andare verso la nascita nell’arte, un arte più vicina al popolo, all’uomo, in cui il tema centrale sia quella voglia irrefrenabile di strappare un sorriso di bontà alla gente umile e di pari passo, provocare un minuto di serietà in chi tiene in mano le sorti del popolo. del Messico, giugno 1955. 148. Barbachano Ponce intervistato da Gabriel H. Steck, “Zavattini, se está impregnando de México para escribir dos películas” in Diario Cine Mundial, 10 luglio 1955, 3 in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 92. 149. Barbachano, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 127. 150. Zavattini, intervistato da Tibol, “Zavattini está mirando a México, 6. 151. Zavattini, Cine mundial, Città del Messico, 26 agosto 1955. 152. Rosario Vazquez Mota, “Notas Cortas”, La Afición en El Cine, La Afición, Città del Messico, 28 giugno 1955, 2. 153. Lautaro Gonzáles Porcel, “Pero espere hasta mañana”, Ultimas noticias, Città del Messico, 29 giugno 1955.

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Rispecchia l’atteggiamento dei produttori messicani, l’articolo del 6 luglio di Adolfo Fernandez Bustamante in Hoy nel quale si dice che i messicani il dolore lo conoscono bene, ma vogliono divertirsi.154 L’ambiente dell’industria cinematografica messicana e i suoi produttori, attori e sceneggiatori lo snobbano. Secondo loro, al pubblico non interessano argomenti seri e di impatto sociale.155 Lo conferma il fatto che, alla Conferenza tenuta da Zavattini al Palacio de las Bellas Artes non è presente in sala neanche un produttore.156

2.11 Gamboa si schiera Non cambieranno idea quando l’autorevole Fernando Gamboa, all’inizio del secondo soggiorno di Zavattini, pubblica un saggiomanifesto a favore di un Neo-realismo messicano e a difesa di un nuovo cinema messicano.157 Questo saggio-manifesto esce proprio in coincidenza con l’arrivo di Zavattini in Messico, eppure Zavattini non viene mai nominato. Il testo tratta esclusivamente di tipologie, non di personaggi o di film particolari.158 Anche Fernando Gamboa, come aveva fatto Julio García Espinosa l’anno precedente nella sua relazione all’Associazione Culturale Nuestro Tiempo, “El Neorrealismo y el cine cubano”, compie un’analisi che mappa tre forme di realismo esistenti nel cinema contemporaneo, per argomentare quale fosse la più adatta al Messico. Così come aveva fatto Espinosa, anche Gamboa scarta il cinema nordamericano, perché il suo realismo mostra soltanto l’apparenza del reale applicata a situazioni irreali e false. È un realismo strumentale, perché serve a convincere il pubblico che viviamo nel migliore dei mondi. Meglio allora il realismo francese che dimostra una straordinaria acutezza, verismo e spesso alta 154. Adolfo Fernandez Bustamante, rubrica “Punto y Raya”, Hoy, Città del Messico, 6 luglio 1955, 31-32. 155. Vicente Vila, “Zavattini y el público”, Cambio de rollo, Diario Cine Mundial, 29 agosto 1955, 6. 156. ibidem, 6. 157. Si trova in un’intervista di Raquel Tibol, uno dei giovani critici che scrivevano per Novedades, ma in effetti, a parte il paragrafo introduttivo, il testo che segue è tutto scritto da Gamboa. Raquel Tibol, “De los muros a las pantallas o Fernando Gamboa frente al cine y dentro del el” in “México en la cultura”, Novedades, Città del Messico, 26 giugno, 4 1955. 158. Vi è una sola eccezione.

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poesia, nel modo in cui tratta il dramma psicologico dell’individuo. Ma questo cinema, per quanto intelligente, si preoccupa solo dei rapporti fra individui e della loro realtà interiore, per cui la realtà sociale si riduce a sfondo scenico. Caratterizzato da un umorismo sardonico, cinico, e a volte crudele, è un cinema nazionalista nel senso peggiore del termine, per come ignora l’esistenza del mondo al di fuori delle sue frontiere. Chi, come André Cayatte, regista di Nous sommes tous des assassins (1952), tenta un’altra strada, viene accusato di aver fatto un cinema a tesi. Il Neo-realismo italiano invece non si accontenta di un trattamento limitato ai soli aspetti esteriori della realtà, né come fondale ai conflitti passionali o romantici, né come ambientazione pittoresca per un intreccio che non riesce mai a lievitare. La realtà i cineasti italiani l’hanno voluta sminuzzare nelle sue infinite sfaccettature, per tentare di capire meglio l’essere umano. In questo cinema, si trovano analisi e emozione, documento e poesia, e una singolare forza drammatica, tanto aliena al razionalismo cartesiano francese quanto al convenzionalismo nord-americano. C’è una corrente anti-Neo-realista che equivale ai Churros messicani o drammoni; essa include film di un realismo rosa, i film sentimentali e film storici che combinano la pornografia con scenari fastosi e una gran dose di melodramma. Infine, i detrattori accusano il Neo-realismo di essere un cinema negativo, ma sbagliano, secondo Gamboa, in quanto questo cinema rivela indignazione per le ingiustizie commesse contro l’uomo, soprusi a cui non si rassegna. E il Messico? La menzogna più pericolosa dell’arte, soprattutto nel cinema, è il cinema d’evasione che deve farci dimenticare i problemi della vita quotidiana, mentre una delle funzioni dell’arte e soprattutto quella cinematografica consiste nel rendere la realtà più comprensibile. Il Messico è un paese caratterizzato da uno sviluppo diseguale con contraddizioni violente, costanti e irreconciliabili, che si evidenzia nel modo in cui il tempo della cultura millenaria e precolombiana coesiste col tempo moderno. Una nazione in cui esiste una coscienza collettiva frutto della Rivoluzione che convive con l’individualismo. Il Messico potrebbe creare un cinema realista di alta qualità, se si facesse cinema di questa realtà complessa messicana, con tutte quelle capacità che si trovano nella cultura messicana – l’arte, l’immaginazione, il dramma, la poesia. Gamboa sostiene che ci sia bisogno di un cinema messicano che non si limiti a fare reportage, ma che allo stesso tempo analizzi e interpreti la realtà, passando in esame le sue caratteristiche di fondo. Un cinema interessato soprattutto ai rapporti fra uomo e società. Un cinema del ge-

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nere si occuperebbe pertanto di problemi reali, scevri da luoghi comuni, ma senza l’obbligo di trovare soluzioni. Eppoi, non è un fatto che le grandi opere d’arte sono quelle opere che appartengono a tutti proprio quando nascono direttamente da una realtà e da un luogo determinato? Questo cinema si deve distinguere per la solidarietà sentita con l’uomo, con chi soffre, con coloro che aspirano a cose migliori. Si deve identificare col messicano, in tutti gli aspetti della sua vita. Dal momento che l’umorismo messicano, tra il macabro e l’amaro, è anch’esso un riflesso della realtà, il cinema messicano, secondo Gamboa, deve esplorare anche la vena comica popolare. Conclude dicendo che se si parte dalla premessa di un nuovo orientamento realista e nazionale del cinema messicano, ne consegue che il soggetto non sia più semplicemente un chiodo nella parete a cui appendere idee disparate, senza altra funzione che commentare il film. In questa nuova prospettiva, la figura dello scrittore cinematografico diventa indispensabile per creare un lavoro d’équipe di regista e soggettista.

2.12 Conferenza messicana Il 4 agosto, si tiene un ricevimento in onore di Zavattini all’Ambasciata d’Italia, in presenza del Consigliere politico Carlo De Franchi, in occasione della presentazione ufficiale dello scrittore e sceneggiatore italiano. Partecipano produttori, distributori, intellettuali la stampa messicana, e delle stelle della cinematografia nazionale.159 Segue il 24 agosto una Conferenza nel Palacio de las Bellas Artes e il 30 agosto un dibattito al Cine Club Progreso. Nonostante l’indifferenza dell’industria cinematografica messicana, Zavattini osserva, ascolta, prende appunti in continuazione, ma sfrutta anche ogni possibile occasione per svolgere la sua attività di trasmissione e didattica. Presenta il Neo-realismo, e non se stesso, come fonte di rinnovamento del cinema messicano, caldeggiando la funzione sociale del cinema in una dialettica fra cinema e cinema etico, e la tendenza Neo-realista italiana come esempio esportabile all’estero. Questa attività di disseminazione la svolge nei contatti personali, come aveva fatto nella brevissima visita del dicembre 1953. Ma anche nelle interviste e nelle conferenze formali.

159. Anon., Rubrica “Lugares” in Esto, Città del Messico, 26 luglio 1955.

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Mercoledì 24 agosto, alle sette di sera affluisce il pubblico alla Conferenza al Palacio de las Belles Artes, il cui formato solito ex cathedra viene ribaltato in intervista, come era già avvenuto del resto, al Circolo Culturale di Nuestro Tiempo dell’Avana nel dicembre del 1953. Secondo un testimone oculare, Carlos Velo, Zavattini: è tanto gentile, affabile, cordiale, che stabilisce un rapporto, una comunicazione diretta con la gente, con chicchessia; Zavattini dà una conferenza, abbandona il tavolo e si mette a parlare con tutti. Sa chiedere, sa ascoltare, e raccontare tante cose.160

In questo caso, è stato un cronista di Novedades, Jorge Piñó Sandovál a convincere Alvaro Beltrani, Primo Segretario all’Ambasciata d’Italia a Città del Messico e l’organizzatore della serata al Palacio de las Bellas Artes, a trasformare la conferenza di Zavattini sul Neo-realismo in «Cabildo abierto», come lo chiamano i redattori di Novedades, in parole povere, una «Riunione Straordinaria», riprendendo una frase antica che evocava le guerre di indipendenza Latino-americane dalla Spagna e le riunioni popolari che si tenevano in casi estremi durante l’era coloniale. Beltrani aveva scritto a Novedades: Accettiamo la sua idea di fare una cosa originale, diversa dalle solite conferenze e, seguendo il suggerimento di “Siga la Flecha”, abbiamo deciso che si inizi questo Cabildo Abierto con l’interpellazione diretta da parte di un cronista del signor Zavattini, a cui gli astanti potranno fare le domande che vogliono più tardi. Seguendo questo formato, si farà, forse per la prima volta, un’intervista giornalistica in diretta, in piena vista del pubblico. Per fare una cosa del genere, abbiamo bisogno di un giornalista che possibilmente conosca il cinema dal di dentro, non in qualità di cronista cinematografico, ma di regista. Un giornalista del genere sarebbe la persona più adatta per intervistare in pubblico il creatore del Neorealismo cinematografico Cesare Zavattini.161

A questo scopo, Beltrani nomina Juan Miguel De Mora.162 Costui è un collaboratore di Novedades e il regista di due film, Naskará realizzato 160. Carlos Velo, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 134-135. 161. Alvaro Beltrani, “No lo extrañe a Zavattini qe lo espere un mitotini”, “Flecha Neorrealista”, Novedades, 21 agosto 1955. 162. Si veda il testo completo, corredato di domande fra i documenti qui pubblicati (Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 16 settembre 1955, ACZ E/72, c. 18). Inedito. Fu Sandoval l’autore delle domande molto acute preparate in anticipo.

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in Guatemala e presentato a Cannes nel 1953, e Festín para la muerte, realizzato a Maracaibo in Venezuela l’anno dopo.163 A fare la presentazione ufficiale al pubblico è Arrigo Cohen Anitúa.164 Pur considerandole necessarie, Zavattini non ama occasioni del genere. «Sono il meno adatto», scrive in un suo taccuino inedito, e poi: «folate di pensieri; lotta contro me stesso che parlerei per or‹e› dell’acqua, dei colori. Ammiro ironicamente quelli degli articoli di fondo che, calmi ogni mattina, dipanano il mondo».165 Eppure il modo di improvvisare lo trova: Avevo preso il giornale Novedades del giorno 24 agosto, che era sul mio tavolo, e polemizzando con coloro che accusano il Neo-realismo di monotonia («sempre miseria») cominciai a sfogliarlo e si vide che ogni pagina proponeva un argomento per un film, argomenti tutti relativi a una società, come nelle altre parti del mondo, ancora da esaminare in tutta la sua struttura individuale e collettiva, nei suoi mille aspetti sconosciuti.166

«In pochi minuti», commenta Jorge Piño Sandovál di Novedades, «Cesare Zavattini ha dimostrato la notte di mercoledì che non mancano soggetti per il cinema. E sfogliando un giornale che aveva in mano, commentava ogni notizia riportata, per affermare che ciascuna di esse costituisce un magnifico tema per una pellicola. Questa era la spiegazione migliore di cosa sia il “Neo-realismo cinematografico”.167 Quando inizia l’intervista vera e propria, Zavattini fatica a capire le domande, perché ha una conoscenza limitata della lingua e il pubblico riesce a malapena ad intendere le sue risposte in italiano. Interviene allora Arrigo Cohen Anitúa che gli fa da interprete. Un compromesso che ha i suoi svantaggi però, in quanto le risposte di Zavattini sono lunghe, per cui Cohen Anitúa le accorcia, e come se non bastasse, il pubblico deve pazientare, per l’inevitabile ritardo tra domanda e risposta in italiano che poi viene tradotta dall’interprete.168

163. Anon., “Entrevista publica con Zavattini en la Sala Manuel M Ponce”, Novedades, Città del Messico, 22 agosto 1955. 164. Jorge Piño Sandovál, “Flecha en Zavattini” in “Siga la flecha”, Novedades, Città del Messico, 27 agosto 1955, 15. 165. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ 6/3, c. 2-53; c. 20, 1955. Inedito. 166. Zavattini, ”La terra e la luna”. 167. Sandovál, Novedades, Città del Messico, 27 agosto 1955, 15. 168. ibidem, 15.

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Per quanto riguarda invece il contenuto, lo scrittore italiano riesce a sfuggire la gabbia concettuale del tipo di domande imperniate sul Neorealismo limitato come fenomeno storico al periodo del dopoguerra e nazionale – e quindi superato – per allargare il discorso sul Neo-realismo cinematografico in generale, corredato da esempi. Rifiuta l’etichetta di “padre del Neo-realismo” e definisce in apertura il Neo-realismo semplicemente come sentimento, impulso. Il che gli consente di profilare un cinema in movimento, un cinema che può emigrare: aggiunge subito infatti che non è un fenomeno solo italiano, pur avendo trovato nell’Italia del secondo dopoguerra «le condizioni storiche per concretarsi, sistemarsi, un po’ prima che altrove».169 Poi, se è vero che il Neo-realismo in Italia ha incontrato difficoltà, questo è dovuto anche al fatto «che in tutto il mondo chi comanda non ama la critica». La censura garantisce che: «pochi pesci scappano dalle reti governative», quando «ci vorrebbe questa bella alleanza tra cinema e vita nazionale». Ma in Italia questo non è stato possibile, in quanto: «si è dirottata la possibilità di un movimento nazionale, che cioè il Neo-realismo fosse un cinema di governo». In un governo in cui il Ministro degli Interni è Mario Scelba questo non può avvenire. Ci vorrebbe una direzione progressista. Solo in un contesto del genere ci potrebbe essere un cinema libero, cioè Neo-realista. Senza rifiutare le origini storiche, Zavattini ne fa un fenomeno universale, alla cui base c’è: «il bisogno di coerenza, finalmente, tra le parole e gli atti». Un fenomeno che richiede il coraggio di affrontare i temi odierni. «Per me anticristi siamo noi, tutte le volte che rinunciamo all’azione; che ci tappiamo le orecchie per non udire le chiamate in causa di correo che ci vengono dagli avvenimenti odierni». Chi fa cinema di questo tipo: «non vuole più vivere ai margini della storia, ma raccontarla continuamente, far sentire, insomma, la continuità della storia – e qui dico una parola che abbiamo usata centinaia di volte noi Neo-realisti – la sua quotidianità». È un fatto etico con un unico orientamento, al di là degli stili individuali, che concerne il modo in cui il cineasta si pone rispetto al presente o alla storia nel suo farsi. Ma secondo lo scrittore italiano, non è convincente neanche la lezione del maestro Ejzenštejn che pure aveva lavorato in Messico: Dice Ejzenštejn: la cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte – di tutta la screma [sic]170. 169. Zavattini, “Appunti per la conversazione del 24/8 Mexico d.f.”, ACZ E 7/1, c. 1-12. A c. 12: “Projecto de cuestionario”, compaiono su un foglio dattiloscritto. 170. «screma» la parte più ricca.

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Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione è come morto e i suoi occhi sono chiusi... È vero – questa frase è stata citata contro il Neo-realismo – come se il N‹eo-realismo› non fosse proprio la volontà di svelare quei misteri che attardano il cammino dell’uomo, dell’uomo privato che va verso l’uomo sociale. Ma questo non è di un arte, è di tutte le arti, di tutta la nuova vita, la nuova cultura. Si vuole uscire da una vaga spiritualità, impegnarsi.

Quindi, dal momento che il Neo-realismo costituisce per Zavattini in Messico un modo di porsi di fronte al reale, un punto di vista, non è un fenomeno limitato nel tempo e nello spazio: un tempo storico, quello in cui nasce, il dopoguerra italiano o una geografia nazionale, l’Italia. In Messico: «c’è una situazione, Neo-realista, che aspetta di essere raccontata». Due pellicole messicane, Espaldas mojadas (1955) e Raíces (1953) per quanto diverse, condividono questo orientamento unico, dimostrando che il Neo-realismo non è un fenomeno limitato all’Italia: «poiché entrambe miravano a occuparsi dei messicani nei loro problemi più urgenti e commoventi. In questo senso, queste due pellicole appartengono al Neo-realismo». L’opportunità offerta dal Messico non è limitata alla scrittura di qualche soggetto, compreso Italia mia, in una forma adattata, ma si estende ad un cinema utile. Infatti, Zavattini afferma che per «cercare di dar fiducia al messicano nella sua missione politica» il nuovo cinema che prospetta: deve corroborare in lui il senso della partecipazione alla vita pubblica attiva, aiutarlo a mandare avanti la sua rivoluzione così ricca di esigenze attuali. [...] Un cinema che non deve venir meno ai criteri spettacolari, ma che li deve tutti intendere come svolgimento di una dialettica di carattere sociale.171

Nella sala del Palacio de las Bellas Artes Zavattini presenta ai messicani un’alternativa concreta al cinema d’evasione, già collaudata all’estero, anche se non a sufficienza, sarebbe a dire, un cinema inteso invece come impegno politico in un processo che, secondo lui, allarga la dimensione privata dello spettatore ad una sociale di cittadino. Il cronista Juan Miguel de Mora gli chiede: Lei ha dichiarato in un suo viaggio precedente in Messico che il Neorealismo è “solamente una constatazione diretta e immediata della vita 171. Zavattini, “La terra e la luna”.

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stessa e pertanto dei suoi problemi umani e sociali”. Potranno considerarsi Neo-realiste pellicole che fanno sorgere problemi umani fra miliardari alieni al problema sociale, fermo restando la constatazione diretta e immediata delle loro vite?

Zavattini risponde facendo notare quanto sia contraddittoria la realtà messicana; un grande albergo convive con la miseria di una bidonville nel quartiere della cosìdetta Ciudad Perduda, entro Tacubaya: La costante non è l’oggetto, ma il nostro modo di affrontare l’oggetto, sia che il tema riguardi un giorno di vita all’Hotel ‹Del› Prado, o un giorno di vita nel Piano di Tacubaya, il punto di vista sarà quello che conta, il punto di vista Neo-realistico che vuole ridurre le cose a un comune denominatore umano, cioè a una responsabilità nostra, razionale, di intervento.

Quando gli viene chiesto se nel cinema messicano avesse visto una pellicola che si avvicinasse al Neo-realismo, risponde che perfino un famoso attore e regista messicano dell’epoca, Emilio Fernández, El Indio, ha sentito l’esigenza di un cambiamento: Soprattutto ho visto, conosciuto, gente Neo-realista – profondamente attenta ai problemi del paese. C’è una situazione Neo-realista, che aspetta di essere raccontata. Del resto, Emilio Fernández in Mañana di due mesi fa, esponeva un programma perché il cinema messicano si sviluppi.172 E io lo sottoscrivo in pieno. (Mañana del 11/6) Il suo invito a mobilitare tutti i talenti messicani per il cinema dimostra che ha capito il bisogno del cinema di servirsi del meglio, perché può fare tanto bene e tanto male – «Solo un cine verdad può essere universale»,173 dice – Evviva! – nazionale non inteso come ristretto, ma come ricerca, attraverso gli specifici fatti e interessi nazionali, di quell’uomo medio di cui parlavo prima.

L’appello dell’Indio coincide con l’arrivo di Zavattini in Messico, in un momento preciso nella storia del cinema messicano, nel quale si prospetta la possibilità di produrre un cinema di levatura e contenuto mondiale che possa colmare finalmente la vacuità dei film messicani. Che il messaggero di questo grande cinema sia italiano non ne sminuisce il messaggio, in quanto, per Fernández, si tratta di far valere un cinema 172. Si tratta di una rivista Mañana, citata da Zavattini con tanto di numero e data. Emilio Fernández (1904-1986), noto come “El Indio”, a cui Zavattini aveva fatto riferimento in un appunto precedente, cassato. 173. «cinverdad» sottolineato con enfasi in matita rossa.

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internazionale, sia nella regia che nella recitazione e nella scrittura, seguendo la strada del cinema verità.174 In una visione a largo respiro, la pellicola non si limita ad essere solo un prodotto industriale, bensì un’espressione di quella «nuova cultura» di cui scrisse Elio Vittorini, rifacendosi a Gramsci, nel primo numero de Il Politecnico nel settembre del 1945, segnando un momento importante nella cultura italiana di crisi e attesa per la creazione di una nuova società. Il nuovo cinema è tutt’uno col concetto di nuova cultura, espressione di Vittorini ripresa da Zavattini nel «cabildo abierto» del 24 giugno, e in molte altre occasioni. Un concetto materialista, carico di significato rivoluzionario, non umanista nel senso di “buonista” che spesso gli si attribuisce.175 A scanso di equivoci, Zavattini mette in tensione dialettica la spiritualità misericordiosa cristiana con l’impegno politico e civile laico. La prima non basta. Ci vuole l’impegno. A costo di escludere la fantasia, gli viene chiesto? No, La fantasia deve essere nutrita dalla realtà: dallo spirito d’inchiesta – quando si parla di documentarietà non si dice riproduzione passiva, ma scelta, nell’immenso panorama, di quello che la nostra posizione di cittadini crede necessario investigare. Per fare questo, bisogna stabilire un rapporto che ho chiamato di convivenza, con quello che succede, una cosa facile a dire e difficile a eseguire.

Lungi dal venir considerato come una corrente fra tante, per Zavattini che funge da tramite culturale nel Messico dei primi anni Cinquanta «il Neo-realismo è il cinema, come forma di espressione, posto di fronte a se stesso e al suo destino».176 Un nuovo cinema il cui potenziale non è stato 174. Luis Dam, “Close up semanal, 7 dias de cine”, Rubrica “Cine” Mañana, Città del Messico, 2 luglio 1955, 60. 175. Goffredo Fofi, Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società, Milano: Elèuthera, 2015, 93. Basterebbe ricordare il ruolo di Zavattini nel proporre, ancora prima del Sessantotto italiano, un cinema libero nella forma dei cinegiornali liberi, che dicevano di no al cinema di stato tramite una delle forze insite nel cinema, quella di documentare i fatti, portando alla luce con l’immagine in movimento e le testimonianze i problemi che il cinema del sì aveva evitato. Si guardi il cinegiornale libero lungometraggio Apollon, una fabbrica occupata (1969) per la regia di Ugo Gregoretti o il cinema riflessivo di Battipaglia, analisi di una rivolta (1970) per la regia di Luigi Perelli e Giorgio Rambaldi. Questi e gli altri cinegiornali liberi sono visionabili presso l’aamod (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico). Tutto il nuovo cinema concepito e trasmesso da Zavattini all’estero, e direttamente in Spagna e America Latina, è un cinema del no, materialista, ma poetico. 176. “Projecto de cuestionario para entrevista publica al Sr. Cesare Zavattini”, ACZ

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realizzato: «il Neo-realismo è stato molto lontano dall’aver raggiunto il suo punto più alto», dice, e se il nuovo cinema lo si intende così, non c’è motivo per cui il Neo-realismo che è «solamente una constatazione diretta e immediata della vita stessa e pertanto, dei suoi problemi umani e sociali», non si possa esportare.177 Tutto il suo intervento spiazza una concezione del Neo-realismo storico, fenomeno nazionale, ristretto all’Italia. Quando il suo interlocutore gli chiede «Quali temi ritiene appropriati per il cinema messicano?», l’attenzione del pubblico aumenta, perché Zavattini rivolta la domanda, trasformandosi in intervistatore.178 Il cineasta italiano si giustifica, facendo notare che ha già risposto a molte domande e ora preferisce essere lui a fare domande al pubblico. In un primo momento, questo sconcerta i presenti che non sono abituati al dialogo. Ma presto, alla timidezza del pubblico, si sostituisce un grande entusiasmo. «Tale era l’animazione» osserva Sandovál «che gli astanti fecero piovere temi per pellicole».179 Zavattini chiede ai presenti «quali argomenti, secondo la sua esperienza, coscienza e cultura, pensa che il cinema messicano debba affrontare. E subito è venuto fuori come un fuoco d’artificio di idee e progetti».180 Permettetemi di rovesciare la cosa – Lo domando a voi – ‹per›181 farlo Neo-realistico. Mi piacerebbe che da questa nostra riunione uscissero dei temi cari ai giovani – che i giovani autori messicani – i quali ho udito con le mie orecchie esprimere tanti bei programmi – avessero il conforto di un così autorevole consesso – e che non fossero più accusati di mancanza di temi.182

Secondo Vicente Vila di Cine Mundial, uno dei presenti e cronista, in questa storica occasione, «le proposte arrivano come erba nuova con la buona pioggia».183 Scrive che il pubblico ha fatto una ventina di proposte. A giudicare dai resoconti di giornale e dagli appunti di Zavattini,184 ce E 7/1, c. 12. 177. ibidem, c. 12. 178. Sandovál, Novedades, Città del Messico, 27 agosto 1955, 15. 179. ibidem, 21. 180. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 181. «perché». La causale produrrebbe un non sequitur. 182. Cassato: «guardate il giornale di oggi». 183. Vicente Vila, “Zavattini y el público”, Cambio de rollo, Diario Cine Mundial, 29 agosto 1955, 6. 184. Catay, Cine mundial, 27 agosto 1955. “No soy “el Padre” del neorrealismo”, dice

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ne sono state nove di sicuro:185 qualcuno chiede che ci si occupi della delinquenza giovanile nel Messico; un signore con la barba seduto in ultima fila vorrebbe che si facesse un nuovo film sui Braceros che spieghi perché vanno a fare i Braceros.186 Perché si fa un cinema così? Un’altra persona propone un film che racconti come mai il pueblo degli Otomí oggi vive ancora come secoli fa. Una signora suggerisce un film sulla donna messicana nella politica, tema divertente, commenta il cronista un po’ misogeno Sandovál; ma tema attuale, dato che il 1955 è l’anno in cui alle donne è consentito votare nelle elezioni. Altri suggeriscono il problema dell’acqua, la mortalità infantile in Messico, il Terzo Sesso. A questo proposito, Sandovál nota che l’uomo che lo propone «voleva che si parlasse del “suo” terzo sesso – libro scritto da lui con questo titolo».187 C’è chi vuole un film sul problema della casa. Uno parla così a lungo che finisce per ripetere più volte la sua idea, e come se non bastasse, le labbra le muove appena appena, a voce tanto bassa che non lo sente nessuno. L’argomento? Il complesso di inferiorità dei messicani. Meno male che chi gli sta seduto accanto decide di intervenire, ripetendo la proposta ad alta voce.188 Il resoconto di Novedades si chiude con un’immagine e l’ultima parola di Zavattini. Prende nota rapidamente dei temi suggeriti nel suo taccuino, ma gli organizzatori gli dicono che bisogna abbandonare la sala prenotata, perché c’è un altro avvenimento culturale in programma fra pochi minuti. Allora Zavattini fa vedere al pubblico gli appunti con l’elenco di soggetti, osservando: «E dicono che il messicano ha il complesso d’inferiorità. Qui voi dimostrate il contrario».189 Riflettendo sul suo contatto col pubblico al Palacio de la Bellas Artes, Zavattini rimane colpito dal successo della cosìdetta «Cabildo abierto». È un’altra conferma e dimostrazione pratica che non c’è davvero carenza di soggetti, quando si è disposti a cercarli. Il concetto è ribadito nel dialoel cineasta Italo C. Zavattini”, Excelsior, Città del Messico, 26 agosto 1955. A confronto con gli appunti di Zavattini nel suo taccuino, sembrerebbe che il cronista abbia attenuato i temi. «Perché si fa un cinema così nel Messico» diventa: «Come si fa cinema in Messico». 185. Zavattini, Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico.“Taccuino 7”, ACZ E 6/1, c. 263-325; c. 303r. Manoscritto inedito. “Temi suggeriti dal pubblico il 24/8 alla Belles Artes.” La mortalità infantile. Perché si fa un cinema così in Messico. Il terzo sesso. Disorientamento della gioventà. L’abitazione [la casa], la donna messicana nella politica. Il complesso di inferiorità. Pueblo otomí”. c. 303v. 186. Sandovál, Novedades, Città del Messico, 27 agosto 1955, 21. 187. ibidem, 21. 188. ibidem, 21. 189. ibidem, 21.

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go finale dalla «vastità di suggerimenti che dimostravano lo straordinario grado di inerenza, vorrei dire, che il messicano ha con le cose del suo paese». Aggiunge che: «sono stati i messicani ad individuare da soli la reale tematica della loro vita, della loro storia. Ciò mi ha fatto capire anche la loro coscienza, il loro modo di guardare e criticare questa realtà».190

2.13 Pubblico e partecipazione Questa esperienza preziosa di interpellare il pubblico per instaurare una collaborazione artistica servirà a lanciare qualche giorno dopo, un’inchiesta nazionale che Teleproducciones condurrà dopo la sua partenza: Per far notare di più quei fatti che non dovrebbero mancare, secondo i messicani, in un film di cinema-verità, per usare una frase espressa di recente da Emilio Fernández. Faremo in questo modo una pellicola in cui il popolo messicano non sarà soltanto un oggetto, ma piuttosto un collaboratore nella narrazione della propria storia contemporanea.191

L’esperimento zavattiniano costituisce una preziosa dimostrazione di metodo: il nuovo cinema è concepito anche come partecipazione attiva del pubblico nelle scelte dei temi. La domanda rivolta al pubblico l’aveva rivolta sin dal suo arrivo in Messico, «ad artisti, uomini politici, a uomini della strada: quale film vorrebbero che fosse girato nel loro paese se essi avessero la facoltà di imporlo». Tutti gli suggeriscono una tematica politica che risponde ad interessi comuni: Le condizioni dell’infanzia, degli analfabeti, le condizioni dell’agricoltura, ossia la riforma agraria, la fuga dai campi verso la città del contadino, il voto alle donne, la storia del petrolio, il processo alla burocrazia, il superamento di una psicologia individualistica, piena di vecchi complessi che ritardano il formarsi di una vera e propria definitiva figura di cittadino, la storia del petrolio come affermazione delle possibilità straordinarie appunto del nuovo cittadino, il meraviglioso artigianato sfruttato ancora turisticamente sia dagli stranieri che da certi messicani stessi, il distaccarsi sempre più pericoloso della borghesia dal popolo, l’isolamento ancora preoccupante dell’indio, le drammatiche peripezie interne ed esterne dei braceros, e infine l’ansia non sempre espressa, ma visibile in cento manifestazioni 190. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 191. “Tres peliculas de Zavattini en Mexico”, ACZ E 7/4, c. 1-2. Dattiloscritto.

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di attualizzare il proprio pensiero e il proprio sentimento, di creare una cultura che nei murales ha il suo più evidente indirizzo, cioè una cultura che si inserisca nei grandi fatti progressivi moderni, lasciando per sempre alle proprie spalle le sottigliezze introverse di un passato molto remoto.192

Per Zavattini, il tenore delle risposte rivela «una prova molto concreta dello spirito di partecipazione di questo paese, nel senso più civile della parola»: È bastato un soffio, un’occasione, perché dalla leggenda di un pubblico messicano un po’ assente dai problemi più concreti del suo paese uscisse un fuoco molto vivo e prima fra tutte le prove, la prova di una coscienza molto precisa circa la funzione costruttiva del cinema, la funzione nazionale del cinema. [...] Non si trattava di una generica esaltazione patriottica, bensì di una rigorosa, quasi scientifica, identificazione di quei fatti che nella loro apparente modestia esprimono le necessità fondamentali, sul piano sociale, del messicano.193

Come spesso avviene, Zavattini riflette e amplia queste esperienze singolari, generalizzandole, trovando lo spunto per eventuali piani per il futuro, un futuro in cui il pubblico può effettivamente diventare partecipe e addirittura co-autore, benché non siano realizzabili né in Messico, né in Italia. Qualcuno propose di continuare quelle conversazioni, cioè quella ricerca di temi utili alla vita nazionale del Messico, la loro discussione. Certo che sarebbe una cosa splendida e senza precedenti. Sarebbe un flusso e riflusso di idee frequente, continuo, crescente in proporzione geometrica, con l’intervento di registi, di scrittori, di giornalisti, di attori, del pubblico infine. Il che formerebbe a poco a poco una coscienza cinematografica nazionale su larga base, aiuterebbe la nascita di quello spettatore nuovo che è la condizione essenziale di un cinema nuovo, di un cinema vòlto, se non sempre, almeno spesso, a affrontare e a volgarizzare le questioni di fondo del proprio paese.194

Da questo nasce l’idea: Vorrei che questo metodo di rivolgersi al pubblico fosse continuato, perfezionato, esteso non solo a tutto il Messico, ma a tutti i paesi del 192. Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 20 ottobre 1955, ACZ E/72, c. 19-20. 193. ibidem, c. 19-20. 194. ibidem, c. 19-20.

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mondo. Bisognerebbe creare l’abitudine a riunioni come quella, e che i giornali tenessero aperta una rubrica di “proposte per il cinema”, di tutte le specie, provenienti da tutte le parti e legate alla realtà da cento cordoni ombelicali.195

A questo proposito, per uno dei soggetti in cantiere, La Carrera Panamericana, Zavattini propone a Teleproducciones di mettere in pratica proprio questo suo metodo per interpellare direttamente il pubblico, affinché trovi nuovi soggetti pertinenti alla vita sociale del proprio paese. Il film-inchiesta si allarga così a macchia d’olio: Questo film sarà fatto sulla base di un concorso nazionale. Tutti quelli che hanno da dire qualche cosa sul loro paese saranno invitati a collaborarvi, perché dicano quali fatti e storie si debbano indagare e scoprire lungo questa Carrera della realtà e del lavoro messicano. Tutti così parteciperanno al film, in modo che il popolo messicano non sia soltanto l’oggetto dell’opera, ma ne diventi parte attiva, soggetto.196

A macchia d’olio oltre i confini del Messico: «Anche in Italia sto cercando di iniziare una cosa del genere», scrive al Primo Segretario all’Ambasciata d’Italia Beltrani e aggiunge: che cioè qualche giornale sistematicamente raccolga i suggerimenti del pubblico relativamente ai temi che deve trattare il cinema, e questo contatto continuo tra la base e i vertici mi sembra possa dare dei frutti molto buoni su una linea di profonda democrazia, che oggi significa di ampliamento, di arricchimento di idee reali.197

Se l’industria messicana, come quella italiana dopotutto, si dimostra ostile al nuovo cinema, (si pensi che anche un film coraggioso sui braceros che voglia discostarsi dal canone d’evasione come Espaldas mojadas (1953) di Alejandro Galindo, film oltretutto che Zavattini stesso cita alla Conferenza di Città del Messico, e che aveva incontrato forti resistenze e difficoltà nella distribuzione, sia in Messico che all’estero), in base alle sue inchieste, Zavattini scopre che le tante persone, centinaia, addirittura, di vari ceti sociali con cui entra in contatto, e che costituiscono anch’esse una parte del pubblico, sono in fondo favorevoli a film del genere.198 195. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 196. ibidem, 1. 197. Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 16 settembre 1955, ACZ E/72, c. 18. 198. Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 31-32.

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Oltretutto, rivolgersi al pubblico comporta anche una condivisione e un allargamento della responsabilità rispetto a quale tipo di cinema per coinvolgere produttori, distributori, esercenti e pubblico, portando prima o poi ad una crescita della sua cultura cinematografica.

2.14 Zavattini e cineclub Il medesimo formato dialettico viene adottato anche la settimana dopo, martedì 30 agosto 1955, al Cineclub Progreso, ambiente frequentato da studenti messicani e venezuelani il cui organizzatore è Felipe Carrera. Sono presenti alla Conferenza anche «gli amici, specialmente quelli che durante la felice sera del 24 agosto nel Palazzo Bellas Artes intervennero durante la mia conferenza con tanta spontaneità e intelligenza».199 Sono gli appassionati dei cineclub e i loro organizzatori. È il proseguimento naturale del confronto pubblico con chi si interessa di cinema, tenendo conto del fatto che lo statuto del Cineclub Progreso si batte per «lo sviluppo di un autentico cinema messicano».200 Autentico nel senso di cinema in cui non ci sia quel «distacco del cinema dalla vita reale del paese» che lo scrittore di cinema italiano aveva già notato su Cinema Nuovo a proposito dell’Italia, osservazione che ripeterà in una lettera a Carrera.201 Come si è svolta la serata? Certo si sarà parlato di nuovo cinema messicano, del modello italiano, forse nel dibattito saranno stati fatti dei paragoni simili a quelli del saggio-manifesto di Gamboa. Molto probabilmente Zavattini avrà detto qualcosa di simile alle sue parole rivolte al presidente del Cinceclub Progreso, Carrera, perché nota l’entusiasmo che però si disperde: L’impressione che ebbi nei due mesi della mia permanenza nel Messico fu che c’erano molte energie profondamente coscienti dei compiti del cinema e delle serie, autentiche possibilità del cinema messicano in funzione realistica; ma erano energie sparse che cercavano tutte un punto di riferimento comune, anche fisico, geografico.202

199. Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 20 ottobre 1955. 200. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, ACZ E/72, c. 52. La traduzione spagnolo pubblicata in Cartas a México, 221; 222. Carrera era un rifugiato del Venezuela che conobbe Zavattini durante il dibattito sul Neo-realismo. 201. Zavattini, “Diario di cinema e di vita”, Cinema Nuovo, n. 44, 10 ottobre 1954, 206. 202. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, ACZ E/72, c. 52.

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Zavattini si trova perfettamente a suo agio. Dopotutto, in Italia, come Presidente dei circoli di cinema è al corrente dei loro problemi. Nel rivolgersi quella sera al Cineclub Progreso parla a ragion veduta, in quanto Zavattini si era dimostrato più volte fra gli uomini di cinema più impegnati per un nuovo cinema e un cinema libero. Chi parla con gli appassionati del Cineclub Progreso ha alle spalle più di un decennio di attività organizzativa nell’associazionismo cinematografico, a partire dal 1944, quando Zavattini che fu uno dei fondatori, fa il discorso inaugurale dell’acci (Associazione Culturale Cinematografica Italiana), in qualità di consigliere e anche Presidente del Circolo Romano del Cinema.203 Nel dicembre del 1952, era anche stato eletto nel Consiglio direttivo della ficc (Federazione Italiana dei Circoli del Cinema) e nominato Presidente, carica non onoraria, ma effettiva, impegno che avrebbe mantenuto fino al 1965.204 Durante l’incontro, incoraggia gli organizzatori, l’autore Pío Caro e Francisco Pina, affinché venga fondata la Federación Mexicana de Cine Clubs. Consiglio che metteranno subito in pratica a settembre.205 «È un evento importantissimo», scriverà loro. A Zavattini non sarà sfuggita la mancata correlazione fra mondo dei cineclub e quello del cinema industriale.206 Quella sera però raccomanda loro di fondare un cineclub professionale con sede a Città del Messico.207 «Un cineclub professionale, pur sempre legato alla Federazione, che raccolga tutti i cineasti messicani, attori, scrittori, registi».208 «Non vorrei sembrare ai miei amici», scrive209 quello che dà consigli, ‹lo straniero che dà consigli›,210 proprio io che ho 203. Tosi, Quando il cinema era un circolo, 20. 204. Virgilio Tosi, Quando il cinema era un circolo. La stagione d’oro dei cineclub (19451956), Venezia: Marsilio, 1999, 170. 205. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 104. Si noti che Mora non attribuisce l’iniziativa a Zavattini o ad altri. Dato che Mora nota che i cineclub diedero un contributo fondamentale al dialogo degli anni Sessanta, si intende, alla luce dei fatti qui ricostruiti, che bisogna riconoscere finalmente il ruolo in questo proprio di Zavattini che aveva messo a disposizione tutta la sua esperienza di organizzatore come presidente dell’associazione italiana di cineclub. 206. Il dato della fondazione in Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 104. 207. Lettera di Zavattini a Francisco Pina e Pío Caro Baroja, 27 dicembre 1955, in Cartas a México, 97. 208. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, ACZ E/72, c. 52. 209. Correzione a mano: cassato qui e a fine periodo: amici «messicani», anche in Rodríguez Álvarez, Cartas a México, 86. 210. Frase in parentesi acute cassata nella redazione del 10 novembre che si ritrova nella prima versione del 20 ottobre.

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imparato tante cose dai messicani [...]. È che spesso non basta del talento, specialmente nel cinema insidiato nel suo cammino dalle più pericolose sirene del mondo. Per questo, auguro ai miei amici che creino al più presto un sodalizio degno del loro valore e dei loro ampi progetti.211

Di che cosa si tratta? Un circolo del cinema di addetti ai lavori, come quello romano, frequentato da registi, sceneggiatori, e altre figure professionali dell’industria, per consentire ai messicani di: moltiplicare le occasioni di incontro tra quelli che sono gli artefici del cinema messicano, su un piano dichiarato di cultura, o potremmo dire più semplicemente, di responsabilità del proprio mestiere. Non si tratta di un sodalizio di natura sindacale, ma di natura umana, artistica e qualificata.212

Un circolo tale consentirebbe di far pressione sull’industria cinematografica ostile al nuovo cinema, favorendo lo scambio di informazioni e la collaborazione interna dei suoi soci. Zavattini scrive parole appassionate a Beltrani: Ho visto con stupore che, malgrado tanta ricchezza di idee nei registi, negli scrittori, negli attori, nei giornalisti e nel pubblico stesso, manca un sodalizio, un circolo del cinema, insomma, che raccogliendo anche fisicamente tutta questa gente sotto uno stesso tetto offra continui pretesti a quello scambio di idee che dicevamo, a poco a poco, attraverso la naturale frequente collaborazione, determini il formarsi di un clima comune. Ora ho l’impressione che ciascuno viva un po’ per conto suo, individualmente, e che soltanto rari incontri in un salotto o in un caffè favoriscano la suddetta collaborazione. Così molte idee e molti progetti restano allo stato di progetto quando una più lunga manipolazione, diciamo così, li farebbe diventare necessari, urgenti per tutti. Guardi il caso di Raíces: è stato come una scossa salutare per i messicani. Ma se essi avessero un più frequente, un più sistematico scambio di idee fra di loro – ecco la provvidenziale funzione di un Circolo del cinema – Raíces non sarebbe più un caso, ma la espressione, la conseguenza di quel dato clima. Ho visto come si sono svolte le cose in Italia. C’è un circolo del cinema, come Lei sa, al quale sono iscritti quasi tutti gli uomini del cinema. Non lo voglio citare come qualche cosa di esemplare, ma insomma se non ci fosse questo circolo non ci vedremmo mai fra di noi, noi uomini del 211. Aggiunta a mano: «e dei loro ampi progetti», in Cartas a México, 86, anche in questo caso, il curatore non riporta l’aggiunta di Zavattini. 212. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, ACZ E/72, c. 52.

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cinema. Invece così ci sono quelle 10 o 15 manifestazioni annuali che tutte insieme finiscono col fissare dei punti di riferimento di natur‹a›213 tali da costituire sempre un suggerimento, un incitamento, una specie di coscienza collettiva. Per tacere dell’arricchimento che a tutti deriva – quasi incalcolabile – dallo scambio di idee. Non direi che in Italia c’è una straordinaria predisposizione alla vita associativa, Lei lo sa. È stata una grande fatica sia far nascere il circolo del cinema 10 anni fa, sia tenerlo in vita durante questi 10 anni. Ma è nato, è vissuto e crediamo fermamente che abbia assolto questa funzione connettiva. Ma non vorrei sembrare ai miei amici messicani quello che dà consigli, proprio io che ho imparato tante cose dai messicani, a cominciare dalla lezione Neo-realistica dei loro pittori per finire alla lezione democratica della noreelección (c’è perfino una via intitolata Noreelección a Obregón).214 È che spesso non basta il talento, ci vuole anche la organizzazione del talento, specialmente nel cinema che è insidiato nel suo cammino da tutte le più pericolose sirene del mondo le quali cercano di farci dimenticare quello che dobbiamo fare.215

Zavattini ritiene che la Federazione dei cineclub sia un grande passo avanti per un nuovo cinema messicano, «un evento importantissimo». Ma non basta: bisognerà fondare anche un cineclub professionale. Ne elenca cinque benefici: 1. incoraggerebbe la formazione di cineclub e di una cultura cinematografica più estesa nel territorio, promuovendo di conseguenza un buon cinema. 2. contribuirebbe a creare un clima nel quale, piuttosto che sembrare utopistico, il nuovo cinema sarebbe percepito come naturale e doveroso. 3. servirebbe come centro di potenziamento, un’entità che dà fiducia, raccogliendo e ordinando tutte le idee e l’entusiasmo per un nuovo cinema. 4. avrebbe un valore di raccordo decisivo della vita culturale messicana. 5. Segnerebbe un cambiamento di rotta, quando il cinema in tutto il mondo rappresenta sempre meno la realtà del proprio tempo.216 213. Errore del dattilografo: in quanto segue: «naturale» non è ripetuto per enfasi, ma «natura». 214. Lo slogan o lema completo che compariva stampato su documenti ufficiali messicani recitava: «Sufragio Efectivo, No Reelección». « Suffragio effettivo, non ri-elezione», risaliva alla Rivoluzione messicana del 1910 contro il dittatore Porfirio Díaz, che riuscì a rimanere al potere, tramite una serie di elezioni manipolate. 215. Lettera di Zavattini ad Alvaro Beltrani, 20 ottobre 1955, ACZ E/72, c. 19-20. 216. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, ACZ E/72, c. 52. Lettera di Zavattini a Francisco Pina e Pío Caro Baroja, 27 dicembre 1955, in Cartas a México, 97.

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Tutte le iniziative di Zavattini sono collegate; la scrittura cinematografica, per quanto rappresenti una mole enorme di lavoro, non costituisce che una parte delle sue attività. Egli si era reso conto che pensare un cinema diverso significava pensare anche ad un pubblico diverso e che tale pubblico potenziale andava acculturato. L’utopia irrealizzabile va immaginata, in prima istanza, per poi fare il possibile per realizzarla. Nella fattispecie, questa visione di cinema passa per un nuovo pubblico di massa, in possesso di una cultura cinematografica. Nel dicembre del 1954 in L’Illustrazione italiana Zavattini aveva pubblicato un articolo in cui raccomandava che si formasse in Italia una «coscienza cinematografica nazionale», una film culture, direbbero i critici oggi.217 In quel periodo in Italia c’erano duecento cineclub, ma secondo Zavattini ce ne vorrebbero duemila, non per imporre una cultura particolare, dice, «ma la cultura nella sua regola più elementare, cioè il bisogno di conoscenza e di discussione».218 Zavattini raccomandava anche che si scrivesse «uno statuto comune a tutte le associazioni, garantito da un organismo che dia il suo timbro [...] un seme buttato là, il principio Neo-realistico di partecipazione».219 Era questa la linea di pensiero accompagnata dall’esperienza organizzativa concreta che informava i suoi consigli a Carrera. Propone ai messicani in primo luogo, una rete capillare di cineclub sul territorio nazionale, in secondo luogo, un circolo di cineasti e addetti ai lavori, in terzo luogo, un organismo coordinatore (la struttura che gestisce la federazione) per evitare i contrasti e le spaccature a cui aveva assistito in Italia. Zavattini si rallegra con gli organizzatori, l’autore Pío Caro e Francisco Pina verso la fine di dicembre del 1955, per la nascita della Federazione dei cineclub messicani che egli aveva tanto raccomandato. Benché la nuova Federazione non duri, due cineasti che vi avevano aderito, Adolfo Garnica e Luis Magos Guzán, nel 1956 realizzano un cortometraggio che adotta il modello Neo-realista di cui si faceva portavoce Zavattini, También ellos tienen ilusiones, un cortometraggio premiato a Cannes che viene girato per la strada con attori che non erano attori e un tema intorno al «quotidiano» messo nel suo contesto sociale.220

217. Zavattini “Brano di una lettera un po’ ingenua, vecchissima e no”, L’Illustrazione Italiana, 25 dicembre 1954, ora in Neorealismo ecc. a cura di Mino Argentieri, Milano: Bompiani, 1979, 371. 218. Zavattini “Brano di una lettera un po’ ingenua, vecchissima e no”, 371. 219. ibidem, 371. 220. Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 36.

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2.15 Viaggio-inchiesta messicana Prima ancora del suo secondo viaggio, Zavattini aveva convinto Fernando Gamboa, il Direttore artistico della Teleproducciones, e Manuel Barbachano Ponce, il produttore titolare, che prima di sviluppare qualsiasi soggetto, sarebbe stato necessario compiere un viaggio attraverso il Messico, accompagnato da Gamboa. Aveva detto a Barbachano che «prima di parlare – e si parla di varie tematiche e progetti – prima di poterne sviluppare uno, devo conoscere il paese».221 La Teleproducciones si occupa di pianificare questo viaggio, coordinando voli, tratti sulla ferrovia, automobile e corriera, partendo dalla Città del Messico, dove nei primi giorni, Gamboa lo porta a vedere monumenti antichi, ma queste visite vengono spesso interrotte da esperienze non previste dal programma che Gamboa ha in mente. Quest’ultimo si rende ben conto che a Zavattini interessano soprattutto certi aspetti del paese, ma non quelli che lui gli va mostrando e di cui è giustamente fiero. Zavattini si annoia quando Gamboa lo porta a vedere le belle chiese, i palazzi antichi e la cattedrale di Zócalo, l’arte precolombiana nel museo di antropologia, e le processioni religiose, come quella a Tlaxcala. Quando vanno al mercato La Merced, Zavattini interrompe l’itinerario, per fermarsi a parlare coi venditori e i contadini di Texmelucan. Il 28 giugno vuol parlare con i bambini di seconda e terza elementare alla Escuela Primaria de Peralvillo e Zavattini e Gamboa visitano anche un quartiere industriale. Il 30 giugno vanno in giro per i quartieri alti e i quartieri della piccola e media borghesia. Il 10 luglio Gamboa lo porta a Madero e San Juan de Latrán, per ammirare i grattacieli.222 Ma a Zavattini preme soprattutto entrare in contatto col popolo. A Peravillo parla con le donne del bordello e visita i dormitori della Croce Bianca per i bambini senza tetto.223 Quando vede i cittadini che votano alle elezioni, operai e borghesi e anche le donne, gli sembra che l’urna per il voto assomigli all’acquasantiera.224 Osservazione poetica indubbiamente, eppure ancorata al reale, in quanto la similitudine collega l’atteggiamento della preghiera con quello civile del voto, nell’occasione del suffragio universale, entrato in vigore proprio nel 1955. Finalmente

221. Zavattini, citato da Barbachano, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 129. 222. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 2. 223. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 2. 224. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 2-6.

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anche le donne hanno il voto.225 Il 7 luglio viaggiano in auto da Laredo a Pachuca.226 Vede la Valle del Mezquital. L’8 luglio visitano Querétaro, poi si trovano a Guanajuato durante l’alluvione. Trovano riparo nella casa del signor Chávez Morado, un pittore e la moglie.227 Zavattini scrive nel suo taccuino: Siamo nella bassa di Guanacuato. Sulla caretera panamericana. L’acqua. Il tergicristalli pulisce gli occhi, camions con fumaiolo e luci accese di giorno; a sinistra cielo povero, uniforme, a destra cielo chiaro zona luminosa quasi sole; entriamo di colpo nel grigio e poi ne usciamo bagnati; l’azzurro deciso delle montagne, tanti uomini con impermeabile vegetale.228

Visitano la miniera d’oro e argento di Bustos, assistendo a tutto il processo di lavorazione. Visitano miniere abbandonate. Diluvio. Inondazione. 10 luglio ripartono da Guanajuato e vanno a Iraputato, dove Zavattini parla con dei contadini del luogo che gli spiegano il problema agrario in Messico e il fenomeno del Bracerismo.229 Certo è che basta pedinare per rendersi conto dell’entità della povertà nel Messico. In cifre, la migrazione annuale dei lavoratori agricoli stagionali dal Messico in usa si misura in centinaia di migliaia; secondo il censo del 1955, dal 1942 al 1955, ammontano a un milione e mezzo di Braceros.230 Oltretutto, questo tema non nasce a tavolino, ma nel momento in cui Zavattini si trova faccia a faccia con i braccianti stagionali nei luoghi di reclutamento. A Guayamas, Sonora, vengono scambiati per padroni giunti per reclutare mano d’opera. Trecento operai circondano la loro auto, e per poco non la cappottano: sono disperati.231 Zavattini racconta: Stavano accampati a migliaia nello stadio cittadino in attesa dell’ordine di partenza per questa o quella zona. [...] Quando arrivai io ci fu un gran fluttuare perché mi avevano scambiato per uno che ingaggiava gente; erano stanchi, irritati, aspettavano il via da parecchi giorni e imprecavano contro 225. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ E 63, c. 1-53. 226. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 3. 227. Zavattini, “La hospidalidad mexicana”, Teleguia, Città del Messico, 18 agosto 1955. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. Per il testo completo si veda ivi, la Seconda Parte di questo libro, alla voce Messico. 228. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ E 63, c. 1-53. Inedito. 229. Fernando Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 4. 230. Oscar Lewis, “Introduction”, The Children of Sanchez. Autobiography of a Mexican Family, New York: Vintage Books, 1961, xxix. 231. Zavattini, “Messico, 13 dicembre 1956”.

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il capataz che continuava a informarmi che tutto andava bene, credeva fossi, siccome avevo un taccuino in mano e ogni tanto scrivevo, qualche autorità. Ci furono grida e sghignazzate intorno a noi, gridavano che con cinque pesos al giorno – tanti ne dànno nel periodo che uno aspetta di cominciare il lavoro – non si mangia, scherzavano e facevano sul serio, non lo sapevano neanche loro; a un tratto ci fu una gran spinta verso l’interno dello stadio, per poco non fummo travolti, e mi sfiorò la faccia una manata di fango tiratami da qualcuno.232

La visione ideologica di Zavattini è prettamente marxista secondo Carlo Velo della Teleproducciones. Zavattini gli chiede: Che cosa è importante in una società? Cosa produce i suoi beni, i suoi valori? Sono i lavoratori intellettuali e manuali. E chi se ne approfitta di questo? La classe dirigente che non lavora, non produce, ma vive di questi prodotti e accumula capitale.233

La teoria che sottende questo modo particolare, molto preciso, di porsi di fronte al reale è il materialismo storico.234 In risposta all’idealismo della sua epoca, Marx e Engels si discostano da ideali astratti (la libertà, la nazione, la religione) come principi fondamentali, per fondare piuttosto un’interpretazione della società del presente o del passato, partendo dalla constatazione che la società è divisa da interessi e bisogni materiali, sostituendo l’idealismo filosofico (ma anche politico) con un materialismo filosofico, il cui punto di partenza è la realtà concreta o empirica, conoscibile dai cinque sensi. In base al fatto che il lavoro è l’attività principale e qualificante della società, chi ha in mano i mezzi di produzione, le macchine, detiene il potere per stabilire la natura dei rapporti di lavoro fra individuo e datore di lavoro, e stabilire il prezzo e le condizioni di lavoro. Nella Prefazione al Contributo alla Critica dell’Economia politica (1859), Marx spiega come, nel pensare al lavoro come produzione, bisogna differenziare fra forze di produzione e i mezzi di produzione (gli impianti, gli attrezzi, le materie prime) e che l’insieme 232. ibidem. 233. Velo, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 138. 234. Fu teorizzato da Karl Marx e Fredrick Engels. Engels spiegò in una lettera che né lui né Marx avessero mai pensato che l’elemento economico (la struttura) fosse l’unico, e che altri aspetti (la sovrastruttura) potevano in certi casi essere trainanti e addirittura decisivi nella lotta per cambiare la società. Frederick Engels, “Engels to Joseph Bloch”, 21 September 1890, in Karl Marx e Frederick Engels, Selected Works, Londra: Lawrence and Wishart, 1991, 658.

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dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società. Il tipo di produzione che detta le condizioni della vita, non solo sociali, ma anche politiche e intellettuali; le condiziona; infine, l’analisi marxiana si estende al conflitto che caratterizza la società, dovuto appunto allo scontro di interessi divergenti: delle forze e dei mezzi di produzione, tra lavoratori e capitale.235 Ecco perché, in realtà, in base ai suoi taccuini scritti durante il viaggio e tenendo conto delle sue tante iniziative, a Zavattini interessano, marxianamente, mezzi e rapporti di produzione, in una visione fenomenologica in cui la realtà la si cerca per strada, nelle case, nei campi e nei luoghi di ritrovo della gente comune. A lui non interessa il latifondista, ma il subalterno messicano. Il suo è un punto di vista politico interessato quindi alla dimensione sociale, ai suoi sintomi capaci di mettere in luce i diversi aspetti e le diverse dimensioni che coesistono in un dato paese. C’è un Messico idealizzato e c’è il paese reale. Zavattini questo lo aveva teorizzato nell’elaborazione di Italia mia. La logica del pedinamento, della convivenza, dell’inchiesta, lo porta in contatto col paese reale che non è un’astrazione, ma rappresentato da testimoni che lo possono raccontare. Si crea un divario fra due sguardi, sin dall’inizio dei viaggi nell’interno del paese, la visione folkloristica e turistica del Messico di Gamboa, e la visione di Zavattini, che man mano si va concretizzando, di una nazione indipendente, dietro le apparenze, nazione in cui c’era stata una rivoluzione senza che fosse cambiata la ripartizione della richezza. Quest’ultima si rispecchia nella realtà dei fatti: la distribuzione della ricchezza non era cambiata, anzi, dopo il 1940, il problema della casa era peggiorato. Solo il 60% di 5,2 milioni di case del censo del 1950 hanno una sola camera, il 25% due camere, il 70% sono capanne di legno e solo il 18% di mattoni. E solo il 17% sono provviste di acqua corrente. Adesso, nel 1955, l’89% di famiglie messicane guadagna meno di 600 pesos al mese o $69. Fra un anno, si saprà che il 60% della popolazione è malnutrita e ha il problema dell’alloggio; che il 40% sono analfabeti e il 46% non va a scuola.236 Il 13 luglio, si riuniscono col produttore Barbachano e la sua équipe e tra gli altri spunti per trovare un soggetto. Zavattini racconta al gruppo l’aneddoto di Laura Alazraki sul machismo messicano. Piace. Vanno

235. Karl Marx, “Preface to a Contribution to the Critique of Political Economy”, in Karl Marx e Frederick Engels, Selected Works, Londra: Lawrence e Wishart, 1991, 172176; 173. 236. Lewis, “Introduction”, The Children of Sanchez, xxix-xxx.

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a Telares Erongaricuaro.237 «Ma come fai ad ideare un soggetto?», gli chiede Gamboa: «Guarda, è molto facile», risponde il cineasta italiano: Semplicemente osserva i fatti intorno a te per dieci minuti e ti posso assicurare che riveleranno sempre un tema molto interessante e attraente da cui ricavare un soggetto. Devi avere con te un bloc notes e una matita – se sai stenografare, meglio ancora.238

Nel pensare a possibili soggetti messicani, scrivere un soggetto sulla situazione dei Braceros, tanto attuale, quanto significativa e promettente, avrebbe il merito di mettere in evidenza la causa dell’emigrazione stagionale. Ma Zavattini si rende anche conto che per molti messicani con cui entra in contatto, lo spettro della Rivoluzione messicana del 1910 non è un lontano ricordo; il ricordo si è sedimentato in memoria storica del popolo. L’11 luglio 1955, in mezzo agli appunti impressionistici, ci sono osservazioni che rivelano un’analisi politica molto acuta: La Rivoluzione come possibilità unitaria; dei popoli americani con civiltà pre-colombiana. Il Messico ha fatto una rivoluzione e gli altri no, ma è una rivoluzione interrotta. La parola esiste ancora e la usa oramai ufficialmente la borghesia che se ne è impadronita, ma la svuota delle sue possibilità pratiche, così frena il popolo, dicendosi lei rivoluzionaria; la borghesia è come il ladro che grida “al ladro” per non essere riconosciuto.239

Zavattini si rende conto che la situazione dei braceros non mette in evidenza la realtà del paese: ovvero che la Rivoluzione del 1910 fu interrotta, ma nessuno lo dice. Il 15 luglio si recano a Vano, a Mitla, e a Tlacolula. A Oaxaca un vecchio contadino accompagnato dalla figlia col bimbo in braccio spiega a Zavattini la situazione economica nel Messico. Ripartono il 16 luglio. Vanno al mercato di Oaxaca, poi si dirigono a Tehuantepec. Si ritrovano circondati da un paesaggio di montagne immense, di fiumi e precipizi Visitano un tehuano ottantenne sdraiato sull’amaca. Ogni volta che tornano a Città del Messico, come dal 18 al 20 luglio, si riuniscono con Carlos Velo, Ascot, Barbachano, e altri ancora a casa di Barbachano per lavorare sulle idee di Zavattini.240 Zavattini racconta a Barbachano e agli altri la storia de La coppia giovane ad una riunione 237. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, 1953, ACZ E 63, 1-53; c. 5. 238. Gamboa, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 120. 239. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, 1955, ACZ E 63, c. 2-53; c. 19. 240. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”.

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a Teleproducciones, che, assieme alla Storia del petrolio, vengono ben accolti dal produttore, almeno per ora.241 Il 19 luglio sono invitati a casa dell’attrice famosa Dolores del Río.242 La rivista Zocalo annuncia il 23 luglio che Zavattini e Gamboa sono rientrati a Città del Messico e che ora inizierà la sua collaborazione col regista Benito Alazraki. Ma la stampa non è al corrente dei fatti. Non sa che Alazraki, proprio il regista che avrebbe potuto e saputo come trasformare in immagine in movimento le tante idee tratte dai viaggi di Zavattini, è stato licenziato.243 Lo sostituiscono Carlos Velo e Ascot. Ma intanto, il viaggio continua e Zavattini e Gamboa ripartono quel giorno stesso sull’aereo della compagnia Aeronaves, alla volta di Guadalajara.244 A Culiacán visitano l’azienda agricola maggiore della regione e i campi coltivati. Il 24 incontrano i piloti d’aerei fumigadores, quelli che spargono dall’alto prodotti chimici sui campi coltivati.

2.16 Petrolio e multinazionali Strada facendo, fra i tanti aspetti del Messico che va scoprendo, e che attraggono la sua attenzione, lo colpisce particolarmente la vicenda dell’espropriazione del petrolio in Messico, ascoltata nei tanti racconti orali e ricostruita da lui come inchiesta preliminare, in quanto momento storico qualificante, perfino rivoluzionario dal suo punto di vista. In base alle interviste che conduce – alcune pagine dei suoi appunti mostrano le tracce febbrili di interviste condotte sul posto con operai a proposito – considera la vicenda dell’espropriazione del petrolio, fondamentale per un film sul Messico. È stato un momento qualificante della storia messicana, episodio in cui si rifiutarono i rapporti di produzione e la divisione del lavoro, partendo dalla lotta per il salario e arrivando all’espropriazione dei lotti appartenenti al capitale straniero, nordamericano, in maniera preponderante, e all’appropriazione dei mezzi di produzione e dei pozzi petroliferi.

241. Zavattini, “Quinto Taccuino dal 3/8 al 16/8” ACZ E 6/1, c. 152-218; c. 213r. Inedito. 242. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 10. Inedito. 243. Raúl Segura Procelle, “Cesare Zavattini el extraordinario argumentista”, rubrica “Radar” in Zocalo, Città del Messico, 23 luglio 1955. 244. Gamboa, “Viajes de Cesare Zavattini y Fernando Gamboa en Mexico”, c. 10.

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Zavattini si convince che non è necessario risalire alla storia remota per capire cosa significhi essere messicano. Basta riandare al tempo delle compagnie straniere che avevano in mano il petrolio [...] venticinque anni fa; non secoli fa. E un giorno che ci fu un incendio nei pozzi di Tampico, gli operai messicani accorsero, ma gli inglesi dissero: “non abbiamo bisogno di voi”; era il rifiuto di un’ombra di gratitudine, di una vita insieme.245

Prima dei sopralluoghi nei campi petroliferi, Zavattini visita una raffineria di oro e argento a Sanborns che appartiene alla Compagnia Minerale Peñoles. L’ambiente è ayankado, secondo Gamboa.246 Non a caso, sarà un nord-americano a mostrare e spiegare l’intero ciclo produttivo della lavorazione dell’oro che giorni prima avevano visto minare nelle miniere “primitive” di Guanajuato.247 La vera e propria inchiesta sull’estrazione del petrolio si avvia il 30 luglio e dura fino al 15 agosto. Partono dalla documentazione orale, con la raccolta di aneddoti e fatti veramente accaduti sull’epica espropriazione dei campi petroliferi delle multinazionali inglesi, olandesi e nordamericane. Il 31 luglio attraversano la Sierra Madre Orientale e il Tropico del Cancro.248 La storia del petrolio si materializza un passo alla volta durante l’inchiesta di Zavattini, distillata nelle pagine del suo taccuino e ampliata in un secondo momento nel Diario. Utilizzando i frammenti di storia orale raccolti in forma di aneddoti nelle conversazioni sul campo, piano piano Zavattini riesce a ricostruire la storia soppressa che, pur essendo il capitolo più luminoso, non figurava nel cinema messicano, di soprusi e di violenza e la vittoria del proletariato. La storia che emerge dalla memoria collettiva dimostra la solidarietà e la forza compatta degli operai e come, partendo dall’analisi dei bisogni, «cominciarono a fare un elenco delle loro necessità fondamentali, per cui domandarono un aumento complessivo di salari, intorno ai ventotto milioni di pesos» e la storia della fase successiva nei tribunali che decisero a favore degli operai; il 245. Zavattini, “13 dicembre 1956”, in Diario cinematografico, a cura di Valentina Fortichiari, Milano: Bompiani, 2002, 316-334. Una parte del testo era già comparso ne Il Corriere d’Informazione del 14 dicembre 1955: “Non ho mai visto nel mondo tanto amore scoperto, stradale”. Una parte del medesimo testo era servito per una serie di conferenze sul Messico, di cui una all’A.C.I., come informa lo stesso giornale. 246. ibidem, c. 14. 247. ibidem, c. 13. 248. ibidem, c. 15.

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successivo rifiuto delle compagnie petrolifere di aumentare gli stipendi; la reazione della Confederazione dei lavoratori che alzò il tiro, chiedendo solidarietà a tutto il mondo operaio messicano e perfino agli studenti e artisti; la transizione dopo l’espropriazione decisa dal presidente Lázaro Cárdenas: Si spaccava un tubo e vi correvano in cento volontari quando ne bastavano dieci; lungo tutta la fascia d’oro dei giacimenti vero il Pacifico, meticci indi e criollas si aiutavano e non saltava niente: i messicani avevano guardato durante quegli anni con la coda dell’occhio carpendone i segreti.

A Zavattini è bastato scorgere un’insegna stradale per rendersi conto quanto sia presente la ribellione nazionale avvenuta negli anni Trenta, molto tempo dopo la Rivoluzione: «Petroleos Mexicano al Servicio de la Patria». Evoca «la cacciata delle compagnie petrolifere multinazionali dal Messico».249 Per Zavattini osservatore europeo, il passato, lo spettro della Rivoluzione, diventa presente: «Tutto ciò, la coscienza di tutto ciò, è la coscienza di ciò che si è ottenuto, è il frutto della Rivoluzione che, dico io, deve continuare».250 La storia del Messico non gli interessa in sé e per sé, ma per quanto possa illuminare il presente: Penso: c’è un’equazione tra gli spagnoli che comandavano e dicevano: voi dovete tacere, voi siete nati per obbedire e tacere, agli indigeni, ai meticci, ai creoli, oggi: e gli indigeni devono tacere, cioè il popolo in genere.251

Il 10 agosto Zavattini e Gamboa chiedono, e viene loro concesso, il permesso di visitare la raffineria di petrolio di Tampico, dove si trova il porto maggiore per l’imbarco e l’esportazione all’estero del minerale. Nella raffineria, Zavattini si fa spiegare come funzionasse la produzione intensiva seguita dalle compagnie straniere nel periodo di massima estrazione, nell’epoca in cui i petrolieri stranieri estraevano 200.000 barili al giorno e vuole sapere quale fosse l’impatto della espropriazione delle compagnie petrolifere multinazionali dal Messico nel 1938.252 L’ingegnere Corcuera racconta loro che tutti i messicani senza eccezione di classe si adoperarono per il recupero della ricchezza petrolifera messicana. Spiega che le compagnie petrolifere straniere, inglesi, olandesi e 249. “3° Taccuino dal 14 al 18”, c. 85-132; c. 95r. in Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico, E 6/1, 1955. Manoscritto inedito. 250. Zavattini, “3° Taccuino dal 14 al 18” (c. 85-132); c. 120rv. c. 120r. 251. ibidem, c. 99r. 252. ibidem, c. 17.

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nord-americane non reputavano i messicani in grado di sfruttare l’industria. Invece, al momento dell’espropriazione, c’erano operai messicani abbastanza esperti da dirigere i lavori, di modo che, nel giro di poche settimane, la produzione poteva riprendere ritmi normali. La guida li porta a visitare le case degli impiegati, le scuole e i giardini, dove la guardia racconta loro come tutti i tampiceni chiamavano il periodo del 1938 come l’epoca d’oro. Gamboa scrive: «ascoltammo molti aneddoti del caso e portano Zavattini a definire l’episodio come L’Anno Meraviglioso».253 E infatti Zavattini si ricorderà la frase quando cercherà un nome per il soggetto sull’espropriazione dal Messico delle multinazionali petrolifere. A partire dal 3 agosto, Zavattini segue la tecnica già messa a punto in Italia per vari film, raccogliendo le sue riflessioni e i commenti degli interpellati che concentra in appunti sparsi.254 Ogni tanto si legge una sua intuizione o una cosa detta da qualcuno che lo colpisce: Messico è: «Tierra de umedad (virgada). Tierra de temporada». La solidarietà, la comunanza: «il principio amparo è di natura rivoluzionaria». I messicani mi hanno aiutato a capire il loro paese: gli autisti ecc. i giornali».255 Si imbattono in tre ragazzi, Isaac S. Arriaga, Sergio Ortiz Hernan e Juan F. Crenier, a cui Zavattini chiede quale tipo di cinema vorrebbero si facesse in Messico. Le loro risposte gli confermano la reazione del pubblico alla Conferenza tenuta a Città del Messico: «Vengono fuori i soliti temi, campesinos e petrolio, ecc. Noto la voglia, la intelligenza della cosa pubblica nel messicano».256 E Zavattini dice la sua: Sopratutto focalizzo il dover uscire dal non votare, dal non credere di poter influenzare la vita politica messicana. Noto la voglia, la intelligenza della cosa pubblica nel messicano.257

Il giorno dopo Don Antonio Bermúdez, Direttore dei Petroli, amico del produttore Barbachano, concede loro un’intervista. Racconta la storia dell’espropriazione, dei progressi e del futuro dell’industria. Parlano anche con Ramirez Vázquez, ex-Segretario del Lavoro che racconta loro molti aneddoti politici. Gamboa si rivolge a Don Antonio: «Vogliamo 253. ibidem, c. 18. 254. Zavattini, “5° taccuino dal 3/8 al 16/8”, Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico, ACZ E 6/1, c. 152-218. 255. ibidem, c. 197r. 256. Zavattini, “Quinto Taccuino dal 3/8 al 16/8” ACZ E 6/1, c. 152-218, c. 211r. 257. Zavattini, “Quinto Taccuino dal 3/8 al 16/8” ACZ E 6/1, c. 152-218, c. 211r.

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visitare le zone petrolifere». Non c’è problema. Luis Morán, un ingegnere, e un certo signor Portilla, mettono a loro disposizione un aereo, El petrolero. Il 9 agosto, Zavattini trova il tempo di far mente locale. Quali idee da tradurre in progetti? Nel taccuino compila un elenco di quelli che ha in mente: «L’Anello (sì) L’uranio. La coppia giovane? Storia del petrolio (tempo) Conquista del Messico (tempo). «Uranio, scioperi, televisione, i giovani».258 L’Anello si riferisce ad un adattamento di un soggetto che risale a prima della guerra: Diamo a tutti un cavallo a dondolo. La coppia giovane, sul machismo, riprende lo spunto raccontato da Laura Alazraki poco dopo il suo arrivo in Messico.259 Cosa indica la parola «tempo»? È un’abbreviazione che si riferisce alla memoria storica del Messico che interessa Zavattini tanto quanto il presente fenomenologico del qui e ora. Qui non si tratta di ricostruire una storia morta e sepolta. È riuscito a parlare coi testimoni, a fare sopralluoghi, e si è reso conto che quella storia sopravvive nel presente e del presente ne fa parte. Ma non basta. 10 agosto arrivano a Poza Rica, a sud di Veracruz, dove incontrano i geologi. Qui raccolgono la testimonianza di un operaio che smorzò un incendio, avvolgendo il corpo nell’asbestos per tappare la bocca del petrolio infiammato. Il Direttore dei Petroli, Bermúdez gli offrì un compenso, ma l’operaio lo rifiutò, chiedendo invece che si costruisse una scuola per i bambini del suo quartiere. Procedono per il campo petrolifero di La Venta, a Tamaulipas, dove assistono all’installazione di un pozzo e ne visitano altri, oltre ad un impianto di distillazione. Per visitare uno dei campi petroliferi più ricchi, Miguel Hidalgo, devono salire nelle montagne tra Poza Rica e Tecolutla, a Santa Agueda. Lì incontrano Casimiro Pérez, capo della perforazione che all’epoca dell’espropriazione si trovava al campo El Plan, a sud di Veracruz, in qualità di Segretario Generale del Sindacato. Pérez fa notare che: «senza l’esistenza dei sindacati liberi formati nel 1932, la lotta contro i petrolieri sarebbe stata impossibile». Mentre osservano i lavori di perforazione di un pozzo, passano la giornata intera a parlare coi tecnici, con gli operai, con un geologo, un chimico, un capo di perforazioni, macchinisti ed elettricisti. Qui scoprono che alcuni perforatori erano stati contadini all’epoca 258. Zavattini, “Quinto Taccuino dal 3/8 al 16/8” ACZ E 6/1, c. 152-218, c. 211r. 259. Corrisponde al titolo del soggetto che ricompare in una lettera a Barbachano del 16 marzo 1958. Lettera di Zavattini a Manuel Barbachano Ponce, 16 marzo 1958, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 416-420. La curatrice Silvano Cirillo la pubblica fra le lettere “programmatiche”. Ma non si tratta di México mío.

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dell’espropriazione. Un operaio racconta che non era potuto passare di ruolo, perché era analfabeta. Poi ripartono alla volta di Papantla. Tornano a Città del Messico, per riferire al gruppo di Teleproducciones, ma non si dànno tregua, Zavattini vuole ripartire quasi subito, il 12 agosto. Scrive tra il 17 e il 21 agosto: «Ma che significa Messico? Secondo me, un significato può trovarsi solo nei fatti comuni di ordine progressivo attuale».260 Ora lo accompagna un cronista, Fernando Benítez, del giornale Novedades. Nel taccuino si segna un appunto per non dimenticare: «Mi parla di metodi indiretti per trovare i giacimenti sismologici (terremotini provocati). Parla di milioni di anni ecc». In questi giorni Zavattini riflette su ciò che accomuna gli uomini e l’indio messicano di cui gli ha parlato Emilio Fernández il regista, noto come El Indio.261 Si chiede: Che cosa è il problema dell’indio? Venerarlo e sostituirlo all’europeo come fa Fernández? No. Bisogna prendere dall’indio quello che ha di buono, cercare il punto medio dell’uomo moderno, l’interesse moderno comune [sottolineato 5 volte], quello è reale. Il petrolio è reale. Il petrolio è tutto: è il mezzo del M[essico] di togliersi dal complesso d’inferiorità generale, modernizzarlo, ma i mezzi bisogna usarli non per una borghesia che non sente questi problemi. [...] Una storia alla Fernández resta là (ecco i difetti di certe mie storie – perché bisogna problematizzare nel senso dell’oggi (anche in Umberto D. si sente poco il 1955 – bisogna rendere assoluti i problemi 1955 – è questione di relazionarli cioè farli sentire nella loro relatività.262

In queste note, Zavattini riflette sul tipo di film fare nel 1955 nel Messico. Il tema del petrolio lo considera attuale, perché rappresenta una vittoria del paese contro la dominazione economica delle multinazionali. Non ritiene utile fare un film etnografico del tipo che veneri ciecamente, in una sorta di patriottismo nazionalista, le etnie messicane che vivono al di fuori delle grandi città (atteggiamento acritico incoraggiato dai muralisti messicani dopo la Rivoluzione). E tantomeno crede che un film come Umberto D. possa servire da modello, a fronte dei problemi messicani da affrontare. Cerca un film che colleghi il particolare all’universale lo trova nella storia della nazionalizzazione del petrolio negli anni Trenta, significativa perché memorializzazione epica di indipen260. Zavattini, “Sesto taccuino dal 17 al 21 agosto”, in Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico 1955, ACZ E 6/1, c. 219r. 261. ibidem, c. 238r-240v. 262. ibidem, c. 237v-238v.

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denza e reazione contro lo sfruttamento di stampo coloniale da parte delle multinazionali. Vanno alla ricerca delle tracce di questo episodio di storia messicana, e dovunque tutti quelli che interpellano li accolgono volentieri. A Minatitlán, il capo degli ingegneri petroliferi della zona, l’ingegnere Antonio Romo, mostra loro i cantieri in costruzione e il campo petrolifero più antico del Messico, El Plan. Da Romo vengono a sapere che non fu questo il pozzo dove avvennero le prime lotte, ma El Aguila, proprietà di una compagnia inglese. La fortuna li assiste. Hanno la fortuna di conoscere uno dei capi della lotta operaia a El Aguila, che era stato incarcerato dall’impresa per le sue idee sindacali. Visitano servizi che ai tempi dell’espropriazione non c’erano: l’ospedale e la scuola moderna fondata da Petróleos Mexicano. Zavattini incanta tutti a El Plan il giorno dopo, quando gli ingegneri lo invitano a parlare delle sue idee sul cinema. Per tutta risposta, Zavattini improvvisa una conferenza sul Neo-realismo, commenta Gamboa nel suo pro memoria inedito. Ad Agua dulce, un altro campo petrolifero, Gamboa si ricorda di come gli inglesi voltavano le spalle agli operai messicani. Una brigata di scienziati viene intervistata da Zavattini, durante una visita al giacimento di Ostoacán nel Chiapas, il 14 agosto. Come inizia la ricerca del pozzo? Un geologo glielo spiega. Tornano a Coatzacoalcos, per poi prendere l’aereo da Minatitlán che li riporterà a Città del Messico. Il giorno dopo, visitano la raffineria di Atzcapozalco in compagnia del signor Portilla. Questa è l’ultima tappa dell’inchiesta petrolifera. La sera, accompagnati da Barbachano, vanno a trovare il suo amico, Don Antonio Bermúdez, Direttore dei Petroli, e si scambiano punti di vista dopo la lunga inchiesta sul campo. Verso la fine di agosto, Zavattini si reca a Mérida e a Chichen-Itzá dove si terranno le ultime riunioni del gruppo Teleproducciones, prima del suo rientro in Italia.263 El Petróleo è già diventato un soggetto che Zavattini drammatizza a voce. Durante queste sedute, e quelle a Città del Messico, discutono anche degli altri due soggetti che Zavattini racconta a viva voce: El Anillo e Carrera Pan-americana.264

263. Lettera di Velo a Zavattini, 7 novembre 1955, in Cartas a México, 88. 264. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 78.

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2.17 Pedinamento sul campo Durante il secondo viaggio in Messico, Zavattini mette in pratica la sua teoria del pedinamento, secondo cui, per realizzare la sua idea di cinema, non basta un soggetto scritto a tavolino, bisogna conoscere non solo i luoghi, ma anche entrare in contatto con gli altri. L’inchiesta è il suo modus operandi, metodo già messo a punto in Italia per diversi progetti. «Il mio metodo», dice, «è stato di far parlare i messicani».265 Per questo motivo incontra «centinaia e centinaia di persone di tutti i ceti».266 Sembra un cronista che sta preparando un reportage – che potrà contenere la storia di un generale disertore o di un indio tarahumara.267 Nei suoi taccuini inediti raccoglie tutto e già distilla anche le arguzie, per esempio: «L’indio simula di lavorare perché lo spagnolo simula di pagarlo» o «Troppo lontani da Dio e troppo vicini all’America».268 Il viaggio di scoperta gli consente una libertà inaudita: «Essi mi dissero: “guarda, osserva e scrivi sinceramente quello che vuoi scrivere”».269 Inizia a guardarsi in giro, vivendo in prima persona una versione messicana di Italia mia, per un’idea ancora vaga, un México mío, ancora tutto da definire: Mi parevano davvero confinati per sempre in una statuaria ma muta bellezza. Ma bastava avvicinarsi, parlare, che le statue si animavano e si dimostravano piene di umanità, di relazioni tanto simili alle nostre. Insomma ho vinto a poco a poco tutti i pregiudizi turistici, e mi sono avvicinato – mi sembra – alla essenza di quella gente, sul filo del mio sempre più costante per cercare quello che uguaglia le persone, e non quello che le differenzia.270

Un resoconto del viaggio lo scrive il suo compagno di viaggio Fernando Gamboa che documenta con precisione i loro spostamenti. E quello che non viene riportato nei taccuini di Zavattini o nel Rapporto di Gamboa, compare nel Diario pubblicato in Cinema Nuovo, testo a tratti fortemente etnografico, ma in senso moderno, per come accomuna le osservazioni su quello che ha visto e le sue esperienze in prima persona con il contesto, 265. Zavattini, ”La terra e la luna”, 1. 266. Zavattini, ”La terra e la luna”, 1. 267. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 268. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ E 63, c. 1-53, 1955. Inedito. 269. Zavattini, intervistato da Tibol, “Zavattini está mirando a México, 6. 270. Zavattini, ”La terra e la luna”, 1.

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le sue riflessioni sulla cultura popolare che man mano si è rivelata nei racconti orali. La testimonianza degli intervistati incontrati ovunque forma una memoria storica del Messico.271 L’analisi che trapela dal Messico raccontato nel Diario dimostra che, a differenza di altri europei dell’epoca, Zavattini sappia distinguere tra realtà messicana e il Messico in superficie, apparente, mondo così diverso dall’Europa, che, come spiega Edward Said, è stato quasi sempre tradotto in una rappresentazione dell’Esotico – Said questo fenomeno lo chiama «Orientalismo» – una rappresentazione e relativo discorso trasmesso dall’arte e dalla letteratura europea e dai mezzi di comunicazione di massa, in cui l’Altro viene reificato, mitizzato, quando non addirittura demonizzato, con alla radice o alle spalle gli interessi economici e commerciali dell’imperialismo, e del cosiddetto postcolonialismo.272 Zavattini si spinge oltre tali rappresentazioni, come si intende anche dai suoi interventi, dai soggetti, da questo stesso diario in pubblico, dalla corrispondenza privata, e dal tipo di attività costante di disseminazione e trasmissione di idee: Così, dopo un primo momento fantastico, mitico, estetizzante, si arriva a un secondo momento, quello della precisa individuazione di quel denominatore comune, di quella sostanza unica dell’uomo moderno che rende possibile una politica e una cinematografia di interesse internazionale, pur attraverso le peculiari forme locali.273

Parlare dell’uomo moderno e di un cinema nuovo che se ne occupi, non è un’astrazione per Zavattini; significa interessarsi agli altri, a come vivono, a chi sono, cosa pensano e cosa fanno. Se non si conoscono i loro modi, la loro lingua e cultura, le differenze fra le classi e vita sociale, bisognerà fare in modo di conoscerli. E per questo il secondo soggiorno in Messico è dominato dai viaggi all’interno del paese. Il suo progetto non si limita alla ricerca della miseria: Anche nel Messico e a Cuba la lotta del cinema è fra coloro che dicono che non c’è bisogno di conoscere e di raccontare niente, poiché tutto va bene, e quelli che comprendono come solo attraverso la indagine

271. Zavattini, “Messico, 13 dicembre 1956”, Cinema Nuovo n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; N. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 316-334. 272. Edward Said, Orientalism, New York: Vintage Books, 1978. 273. Zavattini, ”La terra e la luna”, 1.

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appassionata, amorosa, ma sincera si possono trasformare e migliorare i rapporti tra uomo e uomo.274

Rifiutandosi di rappresentare il Messico e i messicani secondo idee preconcette europee, Zavattini rischia di alienare il produttore Barbachano Ponce e Teleproducciones che si rapportano al loro paese da borghesi orientalizzati. Zavattini invece parte dalla propria ignoranza come condizione iniziale che egli sfida, nel momento in cui compie il tentativo di capire il Messico come insieme di individui concreti, ognuno diverso dall’altro e tutti diversi da lui. L’Altro è anche chi è diverso da me, con cui, per quanto infine inconoscibile, come vorrebbe il filosofo francese Emmanuel Lévinas, Zavattini tenta continuamente di porsi in rapporto, incontrandolo di persona e nel suo contesto abituale e ascoltandolo attentamente.275 Per l’autore di Totalità e Infinito (1961), rispetto all’assimilazione (imperialista) dell’Altro, in un discorso generico che ne nasconde o nega le proprie qualità uniche, Lévinas ne accetta la diversità, ne teorizza il rispetto, nella consapevolezza del limite di ciò che ci divide e ci differenzia.276 È il pensiero di Lévinas che indica che non basta il rispetto per l’Altro, non basta il dialogo; è l’incontro a tu per tu in cui il Logos diventa viso, in cui interessa il dire, non il detto, cioè la realtà nel suo farsi, dispiegarsi nell’istante, nell’immediato, in cui l’Altro ci insegna, attraverso un’interpellazione.277 Il Diario di Zavattini caratterizza due fasi nei suoi incontri: ll messicano è pronto come nessun altro a inarcarsi quando, nella mirada del blanco, la guardata [sguardo] del bianco, avverte il remoto lampo del padrone, ma appena sente che l’altro lo considera alla pari, si espande, come un pesce che da un secchio sia messo in un lago, e tutte le cose che io so, le ho infatti apprese dalla bocca di decine di persone fermate per la strada con l’aiuto di Gamboa, Fernando Gamboa, che mi ha guidato nel viaggio.278

274. ibidem, 1. 275. Emmanuel Lévinas, Totality and Infinity. An Essay on Exteriority, tradotto da Alphonso Lingis, Pittsburgh: Duquesne University Press, 1998, ediz. italiana: Lévinas, Totalità e Infinito, tradotto da Adriano Dell’Asta, Milano: Jaca Book, 2006. 276. Lévinas, Totality and Infinity. An Essay on Exteriority, 46-47. 277. ibidem, 68; 53. 278. Zavattini, “Messico, 13 dicembre 1956”, Cinema Nuovo n. 97, 31 dicembre 1956; n. 98, 15 gennaio 1957; n. 99, 1 febbraio 1957; n. 100, 15 febbraio 1957, in Diario cinematografico, in Zavattini cinema, 2002, 316-334.

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Nel pensiero di Zavattini, il rispetto e la considerazione dell’Altro come vicino o co-inquilino, non è un tutto subito, ma viene conquistato in tre stadi, passando dalla consapevolezza della diversità, all’avvicinamento in cui già si esprime il rispetto e nella dialettica del conoscersi e parlarsi. Il tutto partendo da un imperativo etico che collima con quello levinasiano.279 Infatti, Zavattini concepisce il rispetto per l’Altro da cui deriva secondo lui la conoscenza reciproca che porta alla: precisa individuazione di quel denominatore comune, di quella sostanza unica dell’uomo moderno che rende possibile una politica e una cinematografia di interesse internazionale, pur attraverso le peculiari forme locali.280

Zavattini compie uno sforzo non comune nel tentativo di capire l’Altro, nelle sue riflessioni sincopate dei taccuini messicani, per esempio: «Come le domande degli stranieri, sulle facce, sulle cose, sul passato, aiutano a rivedere le proprie cognizioni sul proprio paese».281 Oppure: «il fatto di parlare, di veder parlare, basta per farci scendere dal mito: il movimento delle labbra, l’occhio [...] non c’è niente di più umano della voce».282 Per Zavattini, l’Altro non è alieno e misconosciuto, rappresentato secondo un’ideologia coloniale e neo-coloniale europea, come lo è stato nell’arte e letteratura europea criticata dal Said. Per Zavattini, si pone proprio come rapporto etico, discorso etico fino in fondo, conversazione e insegnamento, ma rapporto alla pari, in cui l’Io apprende e riceve dall’Altro che si dà nel linguaggio, nel faccia a faccia, nel rapporto intersoggettivo, nel confronto diretto, espressione etica, ma mai un conoscersi del tutto, perché l’Altro è distinto da me e tale rimane: «L’Autre en tant qu’autre Autrui», per dirla con Lévinas.283

2.18 Il Messico di Zavattini Zavattini trova il modo di unire lirica e reale nel suo Diario pubblicato in Cinema Nuovo. La scrittura diaristica prende svariate forme alle prese col reale, come trapela dalle contrapposizioni nette che compaiono sulla 279. Cf. Levinas, Totality and Infinity, 305. 280. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 281. Zavattini, “Taccuino n. 2, dal 5/7 al 13/7, Primo viaggio”, ACZ E 6/1, c. 48r-84r, c. 64v. 282. ibidem, c. 67v. 283. Lévinas, Totality and Infinity. An Essay on Exteriority, 71.

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pagina: le farfalle (folate di maripose) e le vacche solitarie; facce che spariscono nei cocomeri; l’ironia di un indio che sta in piedi e così facendo occupa il suolo che era il suo, in attesa della restituzione dei conquistadores. Potrebbe essere una immagine tratta da un suo raccontino degli anni Trenta, ma non lo è. Vi si trovano sorprendenti similitudini: «Gli autobus che passano come un secolo dentro un altro, così compressi, si vedono solo le teste».284 La battuta ripresa dal racconto e scambio orale che, trascritto sulla pagina, combina in due parole un’osservazione ironica recepita da lui sulle razze e la religione: «Messicano uno e trino: indios meticcio creolo».285 Oppure: «Popolazione messicana: cinque bianchi dodici indigeni tredici meticci».286 La pura visibilità della descrizione attenta: «Alla Merced raggere di banane; fiori; polli polli polli».287 Nel suo contatto con il mondo nuovo, spesso Zavattini prova meraviglia a fronte di una realtà magica, a volte, l’autore dei raccontini ritrova nel quotidiano messicano, l’aspetto surreale, nel senso dell’assurdo che aveva caratterizzato alcuni, non tutti, i raccontini, quando, per esempio, legge in un giornale: «Più di mezzo milione di anime riunite oggi per la Vergine Morena, Santa Maria di Guadalupe», o in un altro: «Sanguinosa giornata della fede, muertos 4, graves 6, leves 682».288 Chi aveva posto uno sguardo divertito all’Italia degli anni Trenta e Quaranta, ritrova la stessa capacità di astrarre col linguaggio un colore si fa consolazione: «Era domenica dunque, e tutto si reggeva sul colore, i messicani hanno bisogno di colore per arrivare al giorno dopo».289 Tagliare una frase come questa dal contesto è una violenza, tanto la sintassi stringe le parole come un corpo in un vestito attillato. Questo stesso periodo abbraccia la domenica, il colore, il rosso sangue, la battaglia garibaldina di Solferino, lo stemma dell’aquila nella bandiera messicana, gli aztechi, le palafitte e la capitale a 2.400 metri di altezza. Risalendo a monte del testo pubblicato, esistono i suoi taccuini inediti che restituiscono l’immediatezza delle prime impressioni in un testo che non è stato dettato a voce o comunque rivisto più volte, montato e rimontato, tagliato qui e scartato lì, ma è scritto a caldo sul posto. Sono le sue osservazioni soggettive, legate ai cinque sensi, a ciò che vede e che sente lì per lì, alla realtà complessa e stratificata che lo circonda e lo 284. ibidem. 285. ibidem. 286. ibidem. Al margine, tre punti esclamativi in matita rossa. 287. ibidem. 288. ibidem. 289.ibidem.

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assale durante il viaggio di conoscenza; notazioni etnografiche, appunti sui riti popolari, sulle processioni e quant’altro. Emerge un Messico non caricaturale, ma sentito, personale. Si avverte la compressione magistrale del tempo in una iterazione di sostantivi: «Il temporale: le varie fughe, il nero, la luce spenta, i lampi dritti, la pioggia rapida». «Il continuo suono delle sirene; croce rossa, pompieri». Il lamento dei clacson quando c’è l’ingorgo».290 Una scrittura frammentaria che si alterna con un periodare che evoca quasi un flusso di coscienza, in cui il confronto col reale inebria di momento in momento, diventa spettacolo. Ma più che al Surrealismo, in questa scrittura, che trascende l’inchiesta, pur contenendola, viene in mente il realismo magico dei raccontini di Zavattini degli anni Trenta, ripreso nella prosa letteraria di Gabo ovvero il Gabriel García Marquez di Cent’anni di solitudine (1967), il quale annoverava tra i suoi maestri proprio lo Zavattini di Miracolo a Milano e attribuiva a lui l’origine del suo realismo particolare.

2.19 Sopralluoghi e scrittura Durante questo secondo soggiorno messicano, il regista di Raíces, Benito Alazraki, che era stato fra gli invitati alla tavola rotonda in tv, accanto a Barbachano, Velo, Ascot e Zavattini, viene escluso dalla collaborazione con lo scrittore italiano di cinema. Dopo le prime interviste, in cui si parla di piani vaghi sulla possibilità futura di film diretti da lui su soggetto di Zavattini, Alazraki non figura più tra quelli che lavorano alla Teleproducciones di Barbachano Ponce. Come mai proprio il regista che era riuscito, seppure con l’aiuto di Gamboa e di Velo, a realizzare il primo film Neo-realista messicano viene escluso dalla collaborazione con Zavattini che pure lo stimava e aveva fiducia in lui? L’allontanamento di Alazraki, regista di un film che Gamboa aveva lodato nel suo saggio-manifesto, è molto significativo, in quanto indica un’ambiguità di fondo nelle scelte di Barbachano che per un verso decide di ingaggiare Zavattini, ma per un altro gli impedisce di lavorare prima con il regista italiano con cui Zavattini aveva già collaborato, Giuseppe De Santis, con cui i messicani avevano preso qualche accordo preliminare, e poi con l’unico regista che avesse dimostrato di saper portare sullo schermo un film come Raíces, ritenuto il primo caso di Neo-realismo messicano e che aveva per giunta vinto un premio a Cannes. 290. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ E 63, c. 1-53.

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Sarà Alazraki a presentare un altro produttore a Zavattini, Pedro Calderón, di Producciones Calderón.291 Una bozza di contratto della “Producciones Victoria de C[arlos]. V[elo].” – per un film intitolato Lo schiaffo, stipula che sarà Zavattini a scriverne la sceneggiatura, in seguito ad una intesa verbale con le Produciones Victoria. Si stipula che la regia sarà di Benito Alzaraki. Lo scrivente cede a Carlos Velo tutti i diritti cinematografici del soggetto e della sceneggiatura, per tutto il mondo. L’autore anonimo del testo (scritto in un italiano legale corretto e preciso) sembrerebbe coincidere con chi dovrebbe recitare la parte del protagonista del film ed è «protagonista assoluto del film», ma si direbbe che risiede in Italia, perché menziona le spese di viaggio sue e di Zavattini dall’Italia.292 Contiene anche la dichiarazione di Turi Vasile di Film Costellazione che trasferisce i diritti «a Voi». Stipula che la sceneggiatura deve essere ultimata entro il 20 ottobre 1956 e la lavorazione del film realizzata a partire dal 1 novembre 1956. La regia sarà di Benito Alazraki.293 L’attore o attrice si rende disponibile per girare le riprese dal 1 al 10 novembre 1956. Velo richiede che sia disposto del tempo per prove di trucco e costumi. Si dice che il Foro di Roma è quello competente per qualsiasi controversia, quindi, sembrerebbe a maggior ragione trattarsi di un attore o un’attrice italiana. Ne parlano solo a voce. La lettera dice che il soggetto originale è stato consegnato a Carlos Velo e da lui accettato, ma il contratto non viene firmato. Si specifica che il film sarà girato a Città del Messico, ad Acapulco e altri luoghi non specificati. Zavattini si impegna a trasferirsi in Messico per 15 giorni, per discuterne col regista Alazraki. Intanto, la Producciones Victoria è tenuta a versare la stessa somma di 20.000 dollari (il costo dell’acquisto dei diritti d’autore). Dato che il 1 settembre 1955 Novedades pubblica un articolo “Cesare Zavattini regresa hoy a Italia” in cui si afferma che dopo che Zavattini avrà finito i progetti con Barbachano, si è messo d’accordo con Calderón per fare un soggetto interpretato da Ninon Sevilla, si può pensare che si tratti de Lo Schiaffo. Comunque sia, non se ne fa nulla. Intanto, il giorno prima della partenza di Zavattini per Cuba per il suo secondo soggiorno sull’isola, Barbachano gli consegna un’aggiunta al contratto, in cui si impegna a pagare allo sceneggiatore un milione di lire 291. Zavattini, Taccuino, in “Appunti e materiale vario raccolto durante il soggiorno messicano, 1955-1957”, ACZ 6/2, c. 10. 292. Bozza di contratto (in italiano), in “Appunti e materiale vario raccolto durante il soggiorno messicano, 1955-1957”, ACZ E 6/2, c. 58. 293. “Appunti e materiale vario”, 1955-1957”, ACZ E 6/2, c. 56-58.

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per il soggetto di Diamo a tutti un cavallo a dondolo, e altrettanto quando l’adattamento e la sceneggiatura saranno completate e approvate.294 Lo stesso giorno, dichiara in un’intervista pubblicata su Prensa che «la tv deve dire qualcosa alla gente e non farle perdere tempo».295 Barbachano si mostra innovativo in pubblico, ma l’attacco contro la televisione messicana è solo una provocazione. Non esprime certo un rifiuto del nascente mezzo di comunicazione di massa, rifiuto che in Italia caratterizza, Zavattini escluso, praticamente tutti gli intellettuali italiani di Sinistra prima della pubblicazione di Apocalittici e integrati (1964) di Umberto Eco in cui Eco respinge la reazione spregiativa ed elitaria degli ambienti accademici della cultura italiana verso la cultura di massa, televisione inclusa; libro che esprime la stessa curiosità per la cultura visiva e di massa di Mitologie (1957) di Roland Barthes, pur senza condividerne l’approccio decostruttivo.296 Mentre Zavattini attende il volo per Cuba, insieme a Gamboa e Barbachano, a salutarlo all’aeroporto c’è Felipe Carrera, l’organizzatore di Cineclub Progreso con cui rimarrà in contatto al suo ritorno.297 Poco prima del decollo, concede un’intervista sul lavoro compiuto finora in cui dichiara: «Sono stati giorni intensi in cui, con l’aiuto di tanti amici che ho incontrato qui, ho cercato di farmi un’idea più concreta possibile del popolo messicano».298 Zavattini, il critico più severo nei propri confronti, si pentirà di non aver trascorso almeno una settimana in casa di contadini, per osservare e condividere la loro vita quotidiana.299 Per ora, si trova di fronte alle accuse di una parte della stampa messicana di non aver scritto nulla. È vero, perlomeno in senso stretto. Eppure, diversi soggetti li ha raccontati a voce alle riunioni di Teleproducciones. Questo è sempre il primo stadio della sua scrittura. In Messico, dettava i suoi soggetti, mentre Gamboa prendeva appunti, come accadrà anche a Cuba. Tanto è vero che in un secondo tempo dovrà richiedere a Gamboa di mandargli tutti gli appunti che egli aveva preso durante le riunioni sui tre soggetti.300 294. Lettera di Manuel Barbachano a Zavattini, 31 agosto 1955, in Cartas a México, 66-67. 295. Anon., “La tv debe decir algo a la gente y no hacerla perder el tiempo”, Prensa, 8 settembre 1955. 296. Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Milano: Bompiani, 1964. Roland Barthes, Mythologies, Parigi: Éditions du Seuil, 1957. 297. Lettera di Zavattini a Felipe Carrera, 29 gennaio 1956, in Cartas a México, 101. 298. “Tres peliculas de Zavattini en Mexico”, ACZ E 7/4, c. 1-2. 299. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 28 novembre 1955, in Cartas a México, 94. 300. Lettera di Zavattini a Gamboa, 16 settembre 1955, in Cartas a México, 68.

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2.20 Spunti di soggetti messicani A fine viaggio, spiega al giornalista messicano che uno dei tre soggetti in cantiere «è chiaramente comico». Si tratta di un adattamento messicano del suo soggetto Diamo a tutti un cavallo a dondolo: Tenta di rappresentare i contrasti sociali della grande Città del Messico. Mi è stato di grande aiuto per questo soggetto il contatto frequente con la popolazione dei quartieri popolari, pieno di spirito satirico, simile a quello che si vede nel circo e in certe opere di Posada, per non citare altri artisti.301

Aggiunge che hanno già pensato a chi affidare i ruoli nel film: Dopo che abbiamo fatto una selezione giudiziosa di interpreti possibili fra i nuovi attori, penso che il Yucateco Humberto Cauich potrebbe essere per le sue doti di fiducia in sé, meraviglia e azione, il protagonista di una storia di questo genere.302

Il secondo soggetto, El Petróleo, riguarda «un problema chiave della vita del Messico, un argomento di tema agricolo-industriale», una descrizione molto vaga e inoffensiva che non rispecchia affatto la ricerca sul campo, come se già dovesse autocensurarsi. Il terzo soggetto non si chiama ancora México mío, ma la sua descrizione coincide con una versione messicana di Italia mia. Per ora, si chiama La Carrera Panamericana che: Si propone come panorama nazionale del lavoro del popolo lungo una falsariga documentaria e umana, molto vicina alla realtà, in fondo, dal contadino al minatore, chiclero, operaio di olio grezzo, dagli stradini ai ferrovieri, camionisti, dagli elettricisti ai fonditori, senza tralasciare i portieri. Tutti loro visti nelle loro azioni, emozioni e stati d’animo quotidiani.303

L’idea di un adattamento messicano di Italia mia risale ad un incontro fra Gamboa e Zavattini a Roma avvenuto il l0 marzo del 1955, molto prima del secondo viaggio in Messico. Erano arrivati alla conclusione che non si poteva scrivere un soggetto sul Messico senza una esperienza di301. Zavattini, “Tres peliculas de Zavattini en Mexico”, ACZ E 7/4, c. 1-2. Dattiloscritto. 302. ibidem. 303. ibidem.

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retta del territorio.304 Fu quella decisione a determinare i viaggi, i pedinamenti e le inchieste sul posto. Alfredo Guevara rammenta che Zavattini: In México mío, di cui non conservo dei ricordi molto distinti, riprendeva o riproduceva, come in Cuba mía (progetto di cui abbiamo parlato nei nostri primi incontri), la sua ossessione principale, Italia mia. In realtà riportava in territorio americano quel sogno, al quale non rinunciò mai.305

2.21 Diamo a tutti un cavallo a dondolo: adattamento Dopo il suo ritorno in Italia nel settembre del 1955, Amadeo Recanati, il fondatore di Cine Mundial, capo redattore e traduttore, quando occorre, fa sapere a Zavattini che il suo soggiorno è stato molto più fruttuoso di quanto egli non si aspettasse, tant’è vero che, non solo i giornali gli hanno dedicato pagine intere, ma in televisione su Canal 4 hanno fatto vedere un film sperimentale e Neo-realistico a 16mm, realizzato da un gruppo di cineasti messicani, secondo l’orientamento di Zavattini, e ancora in fase di progetto appena un mese prima.306 Il primo lavoro cinematografico a cui si dedicano Zavattini e i messicani è l’adattamento messicano di Diamo a tutti un cavallo a dondolo. Zavattini vuol trasformare la storia comica con sottofondo satirico del soggetto originale, tutto intriso dell’umorismo dei raccontini degli anni Trenta, in un soggetto «che racconta il grande contrasto fra gli estremi sociali che ho notato a Città del Messico», come informa i lettori della rivista culturale del pci, Il Contemporaneo.307 Entra nei dettagli: Non c’è bisogno di citare un certo Orozco, o Posada, gli stessi Rivera e Siqueiros, e venendo alla carpe, i vari Palillo o Clavillazo, per capire che nel cuore del messicano c’è una forte qualità satirica cui ho cercato di ispirarmi.308

304. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 marzo 1955, in Cartas a México, 55-57. 305. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 287-296. 306. Lettera di Amadeo Recanati a Zavattini, 21 novembre 1955, in Cartas a México, 91. Lettera di Amadeo Recanati a Zavattini, 14 ottobre 1955, ACZ Corr. Recanati R113/1. Lettera inedita in italiano, su carta intestata e firma autografa a penna. Inedito. 307. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 308. ibidem.

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Diamo a tutti un cavallo a dondolo risale al 1938. Tanto era piaciuto a Vittorio De Sica che lo acquistò l’anno successivo. Nel 1940, Zavattini ed Ivo Perilli ne fecero un trattamento. Ma la Direzione Generale della Cinematografia fascista accusò lo scrittore di incitare la lotta di classe, costringendo Zavattini a cambiare il finale, con la pacificazione dei due antagonisti il padrone Bot e l’operaio Gec. Il film finì nel cassetto lo stesso: e lì rimase anche dopo la fine della dittatura.309 Vero è che il soggetto contiene degli spunti utilizzati per Totò il Buono, poi ampliato nel film Miracolo a Milano.310 Hanno in comune un registro favolistico e la stessa matrice dei «raccontini», in cui prevale un umorismo assurdo, tra nonsense di stampo inglese con origini nei paradossi e stravaganze di un Laurence Sterne, non senza l’elemento fantastico delle favole per bambini e una certa sensibilità futurista, trasmessagli dall’ambiente fiorentino che Zavattini aveva frequentato da giovane, ma con un fondo di realtà sociale che li rende ancora più divertenti. In Miracolo a Milano, trapelano i grandi contrasti dell’ingiustizia sociale, tra favola e mondo concreto, un mondo vicino alla scrittura di Parliamo tanto di me e I poveri sono matti, con temi rielaborati proprio in Diamo a tutti un cavallo a dondolo.311 È divertente questo soggetto che i messicani, che apprezzano soprattutto l’umorismo di Zavattini, vorrebbero realizzare:312 Si incontrano assurdità che riprendono elementi dei suoi raccontini, come quando il protagonista, l’operaio Gec, sente litigare, suona un fischietto e invita i litiganti a fischiare. E si nasconde per la vergogna dietro la maschera di carnevale, quando bussano a casa i creditori. Gec tenta di convincere il padrone della fabbrica di palloncini, Bot, di regalarne alla gente. In questa fabbrica immaginaria, se un operaio sbaglia, i palloncini lo portano via per sempre. Nella fabbrica c’è una stanza che serve per lo sfogo degli operai (urlando insulti e improperi), contro il padrone. Nella storia le coincidenze vengono confuse con la magia: Gec viene licenziato a calci, quando il padrone scopre che il suo anellino, che tutti pensano sia magico e di cui lui si è impossessato, magico non è. Il 14 ottobre 1955 Fernando Gamboa di Teleproducciones gli manda i 309. Zavattini, Basta coi soggetti! (a cura di Roberta Mazzoni), Milano: Bompiani, 1979, 307. 310. Gambetti, Zavattini mago e tecnico, 127. 311. Gualtiero De Santi, Ritratto di Zavattini scrittore, Reggio Emilia: Imprimitur, 2014 e Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine. Il pensiero di Cesare Zavattini, Milano: Lindau, 2006, 167. 312. Velo, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 137.

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suoi appunti di El Anillo, scritti durante le ultime riunioni in Messico in cui Zavattini aveva raccontato anche questo soggetto, assieme alle note successive, scritti durante le discussioni in risposta al suo racconto.313 Quel giorno stesso, Ascot gli manda la «prima continuità», cioè un’elaborazione del suo soggetto in trattamento.314 Ascot gli fa sapere che Barbachano vuole cambiare i personaggi: la moglie del personaggio recitato dall’attore Humberto Cahuich diventerà la sorella di Humberto, e il figlio diventerà il nipote.315 Zavattini però non si sente di compromettere la struttura dell’intreccio e quindi suggerisce che Don Humberto sia uno scapolo, di modo che si possa sviluppare una storia d’amore, in quanto Humberto è allegro, buono, ma anche capace di innamorarsi, come chiunque.316 Il 5 dicembre Ascot non ha ancora finito il trattamento rivisto da Zavattini che lo spedisce il 14 dicembre.317 Già il 20 gennaio, Ascot gli manda una seconda versione o «seconda continuità provvisoria», assieme alle osservazioni del «comitato di lettura», sarebbe a dire, soprattutto quelle di Barbachano e di Gamboa.318 Il 18 febbraio sono pronte le ultime osservazioni di Zavattini. Ma non vede perché i messicani intanto non inizino a sceneggiare. Ascot è stato una buona scelta.319 Intorno al 16 giugno 1956 Barbachano e Carlos Velo vengono a Roma per incontrare Zavattini e hanno con sé la versione più recente de El Anillo, ovvero l’addattamento di Diamo a tutti un cavallo a dondolo. Al loro rientro a Città del Messico, comunicano le osservazioni di Zavattini ad Ascot e iniziano ad elaborare «una versione quasi definitiva» della sceneggiatura che aspetta solo l’approvazione di Zavattini.320 Viene spedita il 24 luglio, realizzata in gran parte dallo scrittore Emilio Carballido che appartiene alla cosiddetta Generación de los 50, di cui fanno parte anche altri scrittori messicani importanti: Sergio Galindo, Jorge Ibargüengoitia, e Luisa Josefina Hernández. Carabilldo era già in vista per l’opera teatrale Rosalba y los llaveros (1950), adattata per il cinema nel 1954, e in questo periodo scrive Felicidad (1956).321 Ma che cosa avrà 313. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 78. 314. Lettera di Zavattini a Ascot, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 77. 315. ibidem. 316. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 28 novembre 1955, in Cartas a México, 93. 317. Lettera di Ascot a Zavattini, 5 dicembre 1955, in Cartas a México, 96. 318. Lettera di Ascot a Zavattini, 20 gennaio 1956, in Cartas a México, 100. 319. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 18 febbraio 1956, in Cartas a México, 103. 320. Lettera di Ascot a Zavattini, 16 giugno 1956, in Cartas a México, 111. 321. https://educacion.elpensante.com/biografia-de-emilio-carballido/, consultato 13

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capito Carabilldo della satira zavattiniana, scritta durante la dittatura fascista? Non si sa che cosa gli sia stato chiesto di aggiungere o togliere. Il fatto che Barbachano, il fratello del produttore, Miguel, e Ascot ora vogliono sapere il parere di Zavattini e se l’adattamento «è fedele allo spirito zavattiniano originale» indica certe perplessità o peggio, che non ne siano proprio convinti del risultato.322 Infatti, Barbachano e Velo ammettono ad Ascot che non si sentono in grado di rendere lo spirito zavattiniano che lo scrittore italiano aveva comunicato loro e per questo vogliono che Ascot si rechi a Roma per una settimana prima o dopo Natale, dato che il soggetto dovrà essere riscritto di sana pianta e tradotto in italiano entro il 17 dicembre.323 Il 15 gennaio 1957, Teleproducciones invia la seconda versione della sceneggiatura completa di dialoghi.324 E tre giorni dopo, Barbachano fa il punto della situazione riguardo ai soggetti in lavorazione per Teleproducciones. Adesso dicono che sono pienamente soddisfatti della sceneggiatura de El Anillo, dopo due mesi di lavoro intenso. Zavattini si tranquillizzi; hanno addirittura finito i provini per selezionare gli attori. Ma ora, «manca il tocco finale del maestro».325 In realtà, a giudicare dai testi schematici, si tratterebbe di riscriverla di sana pianta. Difatti, da questo momento in poi, del progetto non c’è più traccia nei carteggi messicani. Fernando Gamboa, nel suo manifesto-saggio per un nuovo cinema messicano che coincide con la scelta del modello del Neo-realismo aveva raccomandato l’uso strumentale dell’umorismo nel nuovo cinema messicano. Il 14 dicembre 1955, Zavattini risponde al testo elaborato da Ascot, in base al soggetto da lui raccontato in Messico. Ora Zavattini si sforza di sviluppare le scene che nel testo messicano sono piatte, schematiche, inerti, tentando di vivacizzarle con note sulla colonna sonora, le inquadrature, e perfino il dialogo meccanico. Quando il protagonista arriva nella capitale, Zavattini visualizza un panorama fantastico e la reazione di meraviglia di Humberto (l’equivalente di Gec). Aggiunge elementi per rendere più umano il rapporto fra il protagonista Humberto e la sorella, l’osservazione che quando la vede triste, per sollevarla le racconta un ciste, una barzelletta o altrimenti suggerisce la mimica. Consiglia di scartare i prestiti delle trovate tratte da Miracolo a Milano ed entra nei particolari dove questi mancano nel testo. giugno 2018. 322. Lettera di Ascot a Zavattini, 24 luglio 1956, in Cartas a México, 110. 323. Lettera di Ascot a Zavattini, 11 dicembre 1956, in Cartas a México, 111. 324. Lettera di Teleproducciones a Zavattini, 15 gennaio 1957, in Cartas a México, 114. 325. Lettera di Barbachano a Zavattini, 18 gennaio 1957, in Cartas a México, 115.

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In tutte le elaborazioni del soggetto fino alla sceneggiatura di un Ascot alle prime armi manca il suo tocco leggero, l’attenzione al dettaglio e la sottile ironia che permea i raccontini. L’umorismo è ridotto a delle trovate. Lui che era stato ingaggiato per una versione messicana del suo soggetto e per rimaneggiare la sceneggiatura messicana, tenta di animare alcune delle scene per controbilanciare la schematicità di Ascot e degli altri eventuali collaboratori di Teleproducciones, come quando, per esempio aggiunge: Un operaio che viene portato di colpo in alto da un gruppo di palloncini troppo grosso: vedo la scena così: è Humberto che ode improvvisamente delle grida e noi vediamo con lui un po’ in campo lungo un operaio alzarsi trascinato da un grappolo di palloncini e sparire a poco a poco nel cielo e tutti si levano il cappello, come quando c’è un morto e accorre anche il padrone, il quale fa un breve discorso a questa che lui chiama una vittima del dovere.326

Visualizza anche delle inquadrature e pensa a come rendere con le immagini l’equilibrio sottile fra gli «elementi eccezionali» e un contesto reale. Ma, in fin dei conti, Zavattini non può supplire alle manchevolezze che si trova di fronte, senza completamente riscrivere la sceneggiatura dall’inizio alla fine. Oltretutto, mentre El Anillo l’aveva concepito come storia comica con sottofondo satirico «che racconta il grande contrasto fra gli estremi sociali che ho notato a Città del Messico», all’atto pratico, leggendo la sceneggiatura che era stata tradotta il 6 luglio 1956, di questo progetto ambizioso ai messicani interessa solo cogliere una storia comica con delle gag, fuori del tempo, il cui unico nesso col Messico lo si trova nei nomi messicani dei personaggi, dei luoghi e di alcune cose.327 Ma questo vogliono: infatti, Barbachano scrive a Zavattini il 18 gennaio 1957: Dopo due mesi di lavoro intenso, molte conferenze, incontri, accordi e via dicendo, lo abbiamo portato a una conclusione soddisfacente, e già lo abbiamo inviato a Roma. Riteniamo che gli manca il tocco maestro, il suo tocco geniale, che ne farà l’opera che tanto vogliamo che sia. García Ascot ha terminato i provini agli attori e sembra un toro coraggioso, pronto a saltare nell’arena subito.328 326. Zavattini, “Appunti del 14 dicembre 1955 sull’Anellino”, in Diamo a tutti un cavallo a dondolo (El Anillo). Versione scritta per il regista García Ascot, Note di lavorazione”, ACZ Sog. NR 8/5 c. 267-280; c. 269. 327. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 328. Lettera di Barbachano a Zavattini, 18 gennaio 1957, in Rodríguez Álvarez, Cartas

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Invece non salterà mai nell’arena. Nell’adattamento messicano risultano pochi i cambiamenti, a parte i nomi, la città e qualche trovata. Come mai? Visto che tutta la produzione di Barbachano verteva sul documentario, si può pensare che un soggetto che in Italia si sarebbe tradotto in Miracolo a Milano non si sarebbe potuto fare o che egli non avesse i mezzi per farlo. La regia era stata affidata ad Ascot che aveva lavorato solo nel genere documentario a Teleproducciones. Ascot non è De Sica, pur essendo un giovane regista che aveva assistito Gamboa e Alazraki nella scrittura della sceneggiatura di Raíces, non aveva diretto nessun lungometraggio o corto, sospeso tra favola e reale. Questo tipo di scrittura nel caso di Miracolo a Milano si trasforma in immagine in movimento, grazie al sodalizio Zavattini-De Sica. Il contratto stipula che dell’adattamento se ne sarebbero occupati i messicani. Esigono un maggior realismo, sbilanciando l’equilibrio creato da Zavattini fra fantasia e reale. Il che rivela il divario fra Zavattini e Teleproducciones. Un’osservazione dell’équipe messicana evidenzia questa tensione: La scena di quello che è trascinato via dai palloni – anche se è molto buona – a tutti sembra eccessiva. Si contraddice con quello che abbiamo segnalato più volte: la pellicola deve essere satirica, ma reale.329

Ecco il punto. Di satira neanche l’ombra, e si propone invece un tipo di film che appartiene agli anni Trenta. Invece l’umorismo e la sottile ironia che pare «eccessiva», appartiene alla sostanza del film che, in modo germinale, già esprime il registro della favola del soggetto Totò il Buono e del film che De Sica ne fece. Nel rifiutare questo, si rifiuta anche il soggetto. Bisogna anche chiedersi: fino a che punto i messicani erano disposti a far entrare la realtà messicana nella favola satirica? La satira come la si esprime ne Il Giudizio Universale di Zavattini per la regia di De Sica, si nutre della realtà napoletana, e nonostante il cast di grandi attori, riesce a mediare satira, favola e reale. Ma la sceneggiatura elaborata dai messicani non racconta il grande contrasto fra gli estremi sociali che Zavattini aveva notato a Città del Messico e neanche se ne deduce «il contatto frequente con la popolazione dei quartieri popolari, pieno di spirito satirico» che tanto lo aveva colpito. Zavattini si era mostrato a México, 115. Jomi García Ascot, El Anillo (Diamo a tutti un cavallo a dondolo), Sceneggiatura in italiano, 6 luglio 1956, ACZ Sog. NR 8/5, c. 127-184. 329. Ascot, “L’Anello. Seconda continuità» provvisionale (sic). Osservazioni”, ACZ Sog. NR 8/5, c. 38-c. 39; c. 38.

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disponibile fino al punto di accettare l’accantonamento della critica sociale. Ma il progetto viene accantonato per l’incapacità degli scrittori messicani di tradurre in sceneggiatura il realismo magico zavattiniano.

2.22 El Petróleo o Año maravilloso Per El Petróleo, detto anche El Año maravilloso, Zavattini spiega il perché del soggetto dell’espropriazione delle multinazionali petrolifere: Mi è sembrato che la storia del petrolio messicano nazionalizzato sia la più positiva ed esemplare della vita collettiva del Messico in questi ultimi anni. Sulle strade si vedono i distributori di benzina con su scritto «Petrolio messicano – al servizio della Patria». La storia del petrolio messicano, sia nei giorni della nazionalizzazione che nelle vicende di questi ultimi vent’anni, ha tenuto conto e ha dato ragione a un orgoglio nazionale che è a sfondo democratico e popolare. Il popolo messicano ha vinto molte delle sue vecchie inibizioni proprio sulla questione della indipendenza petrolifera: la lotta per il petrolio ha costituito un grande atto di fiducia del popolo in se stesso e un momento di straordinario progresso di tutta la psicologia nazionale.330

Gamboa promette di mandargli i suoi appunti su El Petróleo, presi mentre Zavattini lo raccontava durante quelle ultime riunioni in Messico.331 Così a novembre arriva una sinossi, in base al soggetto dettato da Zavattini a Chichen–Itzá. Se ne è servito per scrivere un trattamento. Gamboa ha poi aggiunto dei dati precisi, in base ai suoi appunti presi nei viaggi ai pozzi, con aggiunte sui fatti politici, storici e consigli e idee per alcune sequenze.332 Per Zavattini la difficoltà del soggetto consiste nel come svolgere il tema nel periodo dopo l’espropriazione e la cacciata delle compagnie petrolifere. Che cosa avviene tra il 28 novembre 1955, quando Zavattini riceve la trascrizione del suo soggetto con aggiunte storiche, e il 18 gennaio 1957, quando Barbachano e i suoi collaboratori gli fanno sapere che «non sono soddisfatti del contenuto del soggetto»?333 A quanto pare, 330. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 331. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 78. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 28 novembre 1955, in Cartas a México, 94. 332. Lettera di Velo a Zavattini, 7 novembre 1955, in Cartas a México, 88. 333. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 28 novembre 1955, in Cartas a México, 94. Lettera di Barbachano a Zavattini, 18 gennaio 1957, in Cartas a México, 115.

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il problema sarebbe che mancano ulteriori dati precisi, dal momento che Barbachano ingaggia il giornalista Fernando Benítez, direttore del Supplemento culturale di Novedades e Don Antonio Bermúdez l’esperto, per compiere una seconda inchiesta nella zona dei giacimenti petroliferi. Benítez raccoglierà i materiali durante il mese di gennaio e di febbraio 1957, ed entro il 10 marzo consegna i risultati dell’inchiesta.334 Zavattini a Barbachano: «Riscattiamo questo simbolo del popolo messicano e facciamo un gran film. E quale tema migliore del petrolio?».335 Con questa domanda, alla sua poetica dell’evento (del «momento» in flagrante, estratto dallo scorrere del tempo o del «fatto» avvenuto altrove) che per lui avviene nel presente e si coglie in base al fatto trasmesso o nel momento vissuto in prima persona, aggiunge la memoria storica, il passato ricordato nel presente. Nel presente, i messicani gli hanno parlato del loro passato, la loro storia orale di un episodio di cui vanno fieri e che appartiene alla storia di ognuno di loro e del loro paese. Il che spinge Zavattini a recuperarne la memoria: «Tutto ciò, la coscienza di tutto ciò, è la coscienza di ciò che si è ottenuto, è il frutto della Rivoluzione che, dico io, deve continuare”.336 Qui la poetica dell’evento riguarda un fatto divenuto evento ormai considerato epico o mitico, che Zavattini considera rivoluzionario: la natura di questo film promette un tema epico, ma vissuto in primo piano, la ribellione del paese subalterno al colonialismo economico esercitato tramite lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi dalle multinazionali americane ed europee. Infatti, nei suoi tanti incontri durante i viaggi messicani, molto spesso si è parlato dei giorni della ribellione alle multinazionali e l’espropriazione dei loro giacimenti petroliferi come esempio concreto della dimensione collettiva del Messico. La lotta per il petrolio fu «un momento di straordinario progresso di tutta la psicologia nazionale».337 Ma come mai l’espropriazione dei pozzi e terreni delle multinazionali petrolifere, avvenuta nel lontano 1938, non era stata oggetto di un film messicano? Proprio questa gli sembra la tematica che contiene gli elementi drammatici per un soggetto, trattandosi di sfruttamento economico alle spese di un paese in via di sviluppo, in una situazione fra padrone e operaio. Durante l’inchiesta sul territorio, aveva scoperto che ai messicani veniva negato 334. ibidem. 335. Zavattini, citato da Barbachano, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 132. 336. Zavattini, “Terzo Taccuino dal 14 al 18” ACZ E 6/1, c. 85-132, c. 120r-120v. Inedito. 337. Zavattini, “La terra e la luna”, 1.

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l’apprendimento delle tecniche, e che i saperi (i mezzi di produzione, appunto) erano un segreto. Nel suo Diario, Zavattini ne ricostruisce la storia, in base a tutte le interviste, racconti, analisi, e aneddoti di testimoni oculari che ha incontrati nei viaggi del 1955, compiendo, in effetti, della storia orale ante litteram: Infatti avevano solo bisogno del loro petrolio, ne portavano via più che potevano rovinando anche le fonti, se lo sarebbero asciugato tutto fino all’ultima goccia con una sorsata per risparmiare quello del loro paese, e fare, in vista della guerra, immensi bacini di scorta. L’espropriazione avvenne il 18 marzo 1938 e non si comprende come non l’abbiano ancora raccontata in un film. Fino a quel giorno i messicani erano usati per i servizi più bassi, si nascondeva a loro perfino la vista del tubi e degli ordigni perché non imparassero nulla. Tanto era lo strapotere delle Compagnie che se volevano comperare un terreno petrolifero e il suo proprietario non glielo voleva vendere non era poi cosa che preoccupasse troppo le Compagnie, e voi capite la frase: il terreno glielo avrebbe ceduto poi la vedova. Un giorno gli operai, sentendosi deboli a causa dei troppi sindacati in cui erano divisi, fecero finalmente un sindacato solo, e cominciarono a fare un elenco delle loro necessità fondamentali, per cui domandarono un aumento complessivo di salari, intorno ai ventotto milioni di pesos. Ci fu un lodo che le Compagnie non accettarono, erano sicure di vincere, i loro governi avrebbero puntato i piedi come sempre e il Presidente Cárdenas sarebbe fuggito lasciando soli i contendenti. Non fu così. La Suprema Corte di Giustizia emise una sentenza che dura cinque ore e alla fine dice alle Compagnie: «dovrete rispettare il lodo, pagare». Viene dato un termine, le Compagnie continuano a pensare che non essere vero e non pagano. Allora la Confederazione dei lavoratori domandò l’appoggio di tutto il mondo operaio, anche degli studenti, degli artisti. Le Compagnie cercavano di spaventare i messicani avvertendoli di stare attenti, che non toccassero neanche una leva, altrimenti sarebbero saltati tutti; – «voi non sapete, voi non conoscete», dicevano, «salterete tutti»; per questo i padroni avevano tenuto lontano dalla tecnica i servi. Quando Cárdenas decise la espropriazione, tutti davano l’oro per pagare il debito con le Compagnie, per fare buona figura di fronte al mondo, uno vendette la casa e le vacche per aiutare i compañeros a resistere, si spaccava un tubo e vi correvano in cento volontari quando ne bastavano dieci; lungo tutta la fascia d’oro dei giacimenti verso il Pacifico, meticci indi e criollas si aiutavano e non saltava niente: i messicani avevano guardato durante quegli anni con la coda dell’occhio carpendone i segreti.338 338. Zavattini, “13 dicembre 1956”, in Diario cinematografico, a cura di Valentina For-

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2.23 Carrera Pan-americana Un soggetto che si potrebbe confondere con México mío è Carrera Pan-americana. Non si tratta di un altro soggetto impostato in base al viaggio. È la prima versione di México mío. Questa corsa automobistica che fa parlare del Messico tutto il mondo. Ma come? Come se il Messico fosse solo una grande strada costruita per far correre quei bolidi che passano fischiando, trascinandosi dietro migliaia di interessi. Ma è invece una strada che corre dal fondo del paese sino alle frontiere con gli Stati Uniti, con milioni di persone ai suoi bordi, paesi, gente che non sta lì solo per veder passare le auto da corsa. In un paese lungo la strada della Carrera ho mangiato delle cocomere. Il venditore aveva accanto il figlio e io gli ho chiesto se andava a scuola. “Macché scuola” – ha risposto – “Dobbiamo mandare i figli a lavorare a sette anni”. Mi viene in mente la lapidaria frase con la quale il Presidente Ruiz Cortinez ha definito numericamente, nel suo ultimo informes, l’analfabetismo nel Messico: Uno sì e uno no. Questa strada ci fa vedere tutto il Messico, la sua fatica, i contrasti, il lavoro, il suo romanzo quotidiano.339

Voltando le spalle ai bolidi, la cinepresa immaginata da Zavattini cerca il Messico in cinquanta «momenti» di varia lunghezza. Tra elementi di folklore, di colore, spettacolo puro, danza, canzone, elementi analitici del quotidiano e della vita popolare, tra braceros che partono in migliaia, lavoro dei minatori a Guanatico, calenda a Oaczaca, aeroplani che seminano gli insetticidi sopra i campi di conote. Il tessuto connettivo è costituito dall’unità di tempo dei «momenti», piuttosto che dall’intreccio del documentario o del film a soggetto tradizionali: Ognuno di questi momenti non ha sempre una storia nel senso di un protagonista, di un aneddoto vero e proprio; ci sono delle immagini che si esauriscono in se stesse come una folata di farfalle in una strada del Sud o un corteo funebre bello nella sua plastica, coi suoi rumori; ma altri episodi hanno invece un loro centro narrativo; per es‹empio›, il cicle, il minatore, el petrolero, el bracero, l’agodonero, possono essere tutti personaggi còlti in

tichiari, Milano: Bompiani, 2002, 316-334. Una parte del testo era già comparso ne Il Corriere d’Informazione del 14 dicembre 1955: “Non ho mai visto nel mondo tanto amore scoperto, stradale”. Una parte del medesimo testo era servito per una serie di conferenze sul Messico, di cui una all’aci, come informa lo stesso giornale. 339. Zavattini, “La terra e la luna”, 1.

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un momento tipico della loro fatica, della loro attività, naturalmente in un momento drammatico che ci emozioni.340

Quale struttura unificatrice migliore per mostrare i messicani «visti nelle loro azioni, emozioni e stati d’animo quotidiani» che la Carrera Panamericana, la nuova strada nazionale messicana che attraversa il paese da una parte all’altra? La strada incorpora la metafora del viaggio e dell’incontro con l’analfabetismo, il lavoro, i dissensi, l’ineguaglianza, lo sfruttamento. La corsa automobilistica di oltre tremila chilometri durava ben sette giorni e si era svolta in quattro occasioni (1950-1954) passando per località messicane che Zavattini aveva visto coi suoi occhi: Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, Ciudad Juárez e Chihuaha. Progetta di interpellare il pubblico messicano, con l’aiuto di Teleproducciones «per stabilire quali fatti e storie si debbano indagare e scoprire lungo questa Carrera della realtà e del lavoro messicano».341 Per questa prima versione, Zavattini riprende le tematiche e l’approccio di Italia mia, sviluppando la sua idea di nuovo cinema, con origini nel Neo-realismo; egli continua a chiamare Neo-realismo, inteso però come pratica che richiede la partecipazione attiva dei soggetti filmati, non limitata alla recitazione di non professionisti, ma anche la partecipazione nel senso di una collaborazione del pubblico all’ideazione del soggetto e perfino alla sceneggiatura. Per questo, chiede alla Teleproducciones di lanciare un concorso nazionale, aperto alla collaborazione di tutti, per individuare in modo specifico fatti e temi attorno a cui ruotano, partendo dal particolare, per arrivare al generale. Dichiara infatti: Questo film sarà fatto sulla base di un concorso nazionale. Tutti quelli che hanno da dire qualche cosa sul loro paese saranno invitati a collaborarvi, perché dicano quali fatti e storie si debbano indagare e scoprire lungo questa Carrera della realtà e del lavoro messicano. Tutti così parteciperanno al film, in modo che il popolo messicano non sia soltanto l’oggetto dell’opera, ma ne diventi parte attiva, soggetto.342

Nel settembre del 1955, parla di Neo-realismo in termini di «funzione provvidenziale del cinema per lo sviluppo unitario di un popolo». Neorealismo nel concreto ora vuol dire occuparsi del cittadino e della persona 340. Zavattini, “Nota relativa a una prima stesura per la necessità del deposito presso la Società Autori di México mío”, in México mío, Note di lavorazione, ACZ Sog NR 20/3, c. 252-255. 341. Zavattini, “La terra e la luna”, 1. 342. ibidem.

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nei suoi rapporti col prossimo. Esprime l’interpretazione zavattiniana del Neo-realismo che implica una rinuncia dell’autonomia dell’arte a fronte de «l’urgenza, ‹de›l bisogno immediato, storico, di penetrare la situazione odierna».343 In una variante di El Petróleo, raccontata nelle riunioni di Città del Messico e di Mérida, Zavattini propone che figuri il comico famoso Mario Moreno, noto col nome del suo personaggio, Cantinflas, personaggio picaresco amato dal pubblico messicano e che impersona l’uomo della strada che non teme di dire la sua e criticare il potere costituito nelle sue varie forme.344 Secondo Zavattini, le sue qualità di mimo sono sprecate nel cinema commerciale e si potranno sfruttare per questa versione di El Pétroleo, che si chiamerebbe: L’arco della storia. La variante traccia la situazione del Messico prima e dopo la nazionalizzazione del petrolio. Intanto, Gamboa e altri alla Teleproducciones assicurano il cineasta italiano che si occuperanno di organizzare il concorso per Carrera Panamericana. Appena possibile.345 Ma a fine novembre, non hanno neanche iniziato. Nel frattempo, una casa di produzione messicana, Alianza Cinematográfica annuncia una co-produzione messicana e italiana, per un film tipicamente folkloristico sul Messico che non farà concorrenza a un film come il loro, in cui il meraviglioso carnevale e il famoso Giorno dei Morti di Pátzcuaro si combinano con la realtà di tutti i giorni.346 Entro il novembre del 1955, i messicani lo assicurano che hanno iniziato l’inchiesta per México mío.347 E a dicembre Zavattini spedisce il soggetto di Italia mia, adattato al Messico, intitolandolo La Carretera panamericana.348 Ma questa versione iniziale di México mío, viene abbandonata quando vengono a sapere che la corsa automobilistica è stata accantonata: L’idea della caretera [sic] panamericana si è dimostrata fragile perché la Caretera stessa, essendo stata soppressa, non ha più gli elementi di popolarità e spettacolarità che le affidavamo.349

343. ibidem. 344. Mora, Mexican Cinema: Reflections of a Society, 101. 345. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 78. 346. Lettera di Zavattini a Gamboa e Teleproducciones, 28 novembre 1955, in Cartas a México, 94. 347. Lettera di Velo a Zavattini, 7 novembre 1955, in Cartas a México, 88. 348. Zavattini, “México mío dicembre 1955”, ACZ Sog. NR 20/3, c.17– c. 22. 349. Zavattini, México mío, in “Note di lavorazione”, 22 settembre 1956, ACZ Sog. NR 20/3, c. 238-251; c. 238. Inedito.

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Come è solito fare, Zavattini ne riprende comunque certi aspetti, nella prima stesura sostanziale di México mío. Adatta l’idea geografica della strada che va da Tuxcla a Yota come elemento strutturale di base; ne costituisce una linea direttrice, un punto di partenza e di arrivo, da frontiera a frontiera: Riprendo il concetto base, che cioè mentre il popolo messicano si affol‹l›a lungo i margini della strada per chilometri e chilometri a vedere passare questi bolidi moderni di tutto il mondo noi facciamo il contro campo, ci occupiamo cioè di tutta ‹q›uesta gente che guarda, dei loro usi e costumi, dei loro bisogni e dei lo‹r›o aspetti più umani.350

2.24 ¡Torero! Come sempre avviene nella vita lavorativa di Zavattini, lo sceneggiatore viene coinvolto in molti progetti simultaneamente. Il 10 ottobre 1955 Zavattini spedisce il soggetto di Italia mia a Carlos Velo.351 Ma in questo periodo Carlos Velo pensa ad altro. Ha sospeso México mío per occuparsi a tempo pieno di ¡Torero!, un film che verrà prodotto dalla Teleproducciones dopo il soggiorno di Zavattini. La lavorazione di ¡Torero! sarà influenzato in tutto e per tutto dallo sguardo dello sceneggiatore italiano. Secondo José Massip suo è il soggetto, benché il suo nome non appaia nei titoli.352 È la storia della vita di Luis Procuna, un torero messicano molto famoso. Il cineasta cubano José Massip riconosce che il soggetto è di Zavattini che ammetterà in seguito di aver svolto il ruolo di consulente e coordinatore.353 È documentato infatti e per iscritto il ringraziamento privato del regista Carlos Velo per aver suggerito di ridurre al minimo «la voce di Dio» fuori campo, dando spazio alle immagini e al suono diegetico che li accompagna e di raccontare la storia in prima persona, in un’epoca in cui prevale ancora il modello didattico del documentario impostato negli anni Trenta da

350. Zavattini, “Nota relativa a una prima stesura per la necessità del deposito presso la Società Autori di México mío”, in México mío, “Note di lavorazione”, ACZ Sog NR 20/3, c. 252-255. Inedito. 351. Lettera di Zavattini a Gamboa, 10 ottobre 1955, in Cartas a México, 74-76. 352. Massip, “Cronaca cubana”, 51. Nei contratti ¡Torero! non compare, ma dato il modo in cui lavorava Zavattini e la sua generosità nel dispensare consigli e aiuti, non è sorprendente. 353. Massip, “Cronaca cubana”, 51. Gambetti, Zavattini mago e tecnico, 267.

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John Grierson e la sua scuola britannica.354 Ma oltre ad essere ridotto al minimo, il registro del commento che appartiene al torero Procuna, vera o fittizia che sia, è squisitamente diaristico, particolare non trascurabile che riconduce alla lezione zavattiniana. L’idea documentaria tradizionale si traduce in racconto personale che sposta l’azione dietro le quinte. Al posto dell’eroe coraggioso, risalta l’anti-eroe, il torero che confessa le proprie paure, in preda all’ansia dopo un periodo di malattia e che il ritorno in arena lo teme e che assume un tono quasi confessionale nel rivolgersi al pubblico. Lo sguardo di Zavattini si nota in molti aspetti del film, a partire proprio dalla struttura. L’impronta di Zavattini si evidenzia nel taglio del soggetto di ¡Torero! che si distingue dai documentari prodotti da Manolo Barbachano Ponce, impronta che vale come firma. Al racconto biografico e fuoricampo, secondo i principi che Zavattini va diffondendo, si alterna il racconto comunicato dalle situazioni ricostruite, con ricchezza di particolari, riconducibili alla tecnica degli episodi minimi nei «cuentecitos», squisitamente zavattiniani. Tutta l’impostazione del soggettista italiano vengono messi in pratica dal regista. L’azione drammatica avviene nell’arco di una giornata in cui, dopo la morte di un altro torero e dopo la propria guarigione, il protagonista dovrà tornare in campo ad affrontare la lotta contro il toro, la vittoria o la sconfitta e la morte, con ritorni al passato rievocato dalla narrazione. Il torero spesso entra nei particolari minuti della vita quotidiana in tutta la sua semplicità anti-spettacolare. La cinepresa segue lo sguardo di Zavattini quando investiga da vicino la realtà quotidiana del torero, mettendo a nudo le sue vulnerabilità proprio là dove la cultura ispanica è più radicata nel machismo della figura eroica. Non può non sorprendere l’assenza dell’idealismo e schematismo stereotipato da aspettarsi in un film sulla corrida. Al suo posto, il sermo humilis, un taglio più intimo, più autentico, personale, modernissimo, consentendo agli spettatori di sentirsi più vicini alla figura biografica del torero che viene presentata e si presenta lui stesso, al di fuori della tipologia dell’eroe popolare, come una persona normale, più vicino ai membri del pubblico che alle figure romanzate del grande schermo.

354. Lettera di Gamboa a Zavattini, 14 ottobre 1955, in Cartas a México, 78.

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2.25 La critica Salta all’occhio fino a che punto questo documentario si distingua da tutti i documentari precedenti di Carlos Velo. A conferma di quanto sostenuto da Massip, lo nota subito un critico spagnolo, che rimane colpito dalla netta differenza. Nonostante il fatto che i titoli non includono il nome del cineasta italiano, Atienza lo dice chiaro e tondo che ci sono troppe coincidenze. Non ha dubbi. l’intervento diretto di Zavattini è innegabile. Lo sceneggiatore e teorico del cinema italiano ha comunicato a Velo la propria forma personalissima di Neo-realismo, definita da Atienza nel suo articolo come neorrealismo integral anche nel titolo. ¡Torero! dipende da Noi donne, che cita, un film in cui le stelle del cinema italiano si aprono e raccontano se stesse al pubblico, come se si trattasse di una confessione privata (idea che Zavattini riprende per Le italiane si confessano). Secondo Atienza, ¡Torero! non ha nulla a che spartire con i documentari precedenti perché vi si ritrovano il principio del pedinamento zavattiniano, quel seguire da vicino le vicende del quotidiano del protagonista, un matador, e un vissuto raccontato da Procuna stesso in chiave anti-eroica.355 Il parere di Atienza è particolarmente autorevole, perché conosce bene l’idea del cinema che Zavattini trasmette all’estero, in quanto fa parte del gruppo di redattori riuniti intorno a Cinema Universitario, erede della rivista zavattiniana Objectivo. È fra i cineasti e i critici spagnoli di avanguardia che avevano conosciuto Zavattini di persona nel 1953 e nel 1954, quando si era recato in Spagna e avevano seguito e maturato il suo modello di cinema. Questo gruppo di cineasti e critici spagnoli erano tutti al corrente del secondo viaggio e permanenza di Zavattini nel Messico, perché Zavattini e Ricardo Muñoz Suay, redattore di Objectivo stavano lavorando ad una versione spagnola di Italia mia, insieme al regista Luis Berlanga e si scrivevano. Atienza entra nei particolari: che cosa ha fatto Velo? Seguendo i consigli di Zavattini, ha còlto un evento in apparenza banale e lo ha analizzato, concentrandosi sulle paure e le speranze che potrebbe avere un uomo qualsiasi, nonostante il fatto che Luis Procuna non è affatto un uomo qualsiasi agli occhi del pubblico messicano. E quest’uomo lo mette a nudo, mostrandone i limiti, rappresentando non la stella famosa del firmamento dei toreri, ma l’uomo vulnerabile che la stella nasconde agli occhi degli spettatori. Se ¡Torero! spicca rispetto al solito documentario, 355. Juan García Atienza, “En busca del neorrealismo integral. Carlos Velo y ¡Torero!”, Cinema Universitario, n. 4, dicembre 1956, 20-22.

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lo deve alla visione zavattiniana del quotidiano. A tal punto che ¡Torero! secondo Atienza, è uno dei più bei documentari contemporanei, in quanto Velo riesce a farsi forte della visione «integrale» o «totale» del Neo-realismo, soffermandosi sul vissuto e cogliendone l’aspetto drammatico e spettacolare, là dove, secondo la norma, l’esperienza del quotidiano di ognuno di noi viene percepita e giudicata insignificante. Ogni evento o fatto, insegna Zavattini e ricorda Atienza a proposito di ¡Torero!, in una lezione accolta da Velo, ha la sua causa, e nella misura in cui la ricerchiamo e la mettiamo a nudo, la possiamo restituire in una ricostruzione autentica dell’evento.356 Neo-realismo critico in azione.

2.26 México mío: due concezioni Date le esigue strutture produttive della Teleproducciones, la lavorazione di ¡Torero! blocca a lungo México mío. Solo nel settembre del 1956, lo sceneggiatore italiano viene a sapere che la sceneggiatura di Velo non mette in pratica le idee di Italia mia, espressamente adattata al Messico, cosa quanto mai inspiegabile, data la loro collaborazione senza riserve per ¡Torero!. Il trattamento di Velo si affida pesantemente alla voce di Dio, fuori campo, soluzione scartata per ¡Torero!, che costituisce uno degli «elementi quasi scolastici, eccessivamente informativi», come gli fa notare Zavattini.357 Sembra assurdo che la visione zavattiniana che Velo accoglie nell’impostazione definitiva del ¡Torero!, montando il girato come diario privato di un uomo, il regista non riesca ad applicarla, o non voglia, nell’impostare México mío. Peggio ancora, l’idea base, la struttura della giornata che consente di pedinare varie attività e collegarle all’ora del giorno, è stata ignorata, e sostituita col fine settimana. Scelta coerente, ma che non appartiene all’idea del film proposto dallo sceneggiatore italiano.358 La nuova impostazione ha il difetto di suggerire il tempo libero secondo lo stile europeo, e di togliere l’enfasi sul lavoro (e lo sfruttamento). Si perde anche l’idea di raccontare: «La vita del paese seguendola nel suo svolgersi durante una giornata e che si passa liberamente da un punto all’altro del paese, seguendo quei fatti

356. Atienza, “En busca del neorrealismo integral. Carlos Velo y ¡Torero!”, 22-23. 357. Zavattini, “Prime reazioni”, ACZ Sog. NR 20/3, c. 262. Inedito. 358. ibidem, c. 256.

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che riescono a rappresentare la vita tipica del paese in quelle ore di quella qualsiasi giornata che abbiamo scelto».359

Ma a chi appartiene il possessivo «mio» di México mío? Al punto di vista soggettivo di uno straniero che si rifiuta di fare dell’Orientalismo turistico e culturale? O ai messicani della classe borghese, per i quali il Messico è motivo di orgoglio patriottico? Chi è il soggetto che parla? O meglio, a quale soggetto è consentito di parlare? Alla sola figura autoritaria del narratore, figura messa in discussione più volte da Zavattini, perché figura astratta? A giudicare dal confronto fra soggetto e trattamento, si contendono due modi di accostarsi al paese, uno borghese, poco rappresentativo della gente, celebrativo in quanto si vanta dei pregi, dell’arte, folklore e fenomeni naturali, l’altro analitico e Neo-realista che individua il messicano non come figura ideale, ma concreta, individuale, una figura composita, formata da tanti ritratti còlti in situazioni concrete, in momenti precisi, nel tempo presente. Zavattini stesso se lo chiede: quanti paesaggi e spettacoli, per quanto immagini «belle e grandiose», si possono mostrare?360 Si intende che tante di queste sequenze, per quanto possano essere bellissime, sono prive di racconto.361 Per racconto, egli intende una situazione che si svolge con uno scambio personale, un dialogo. Invece, nei pochi casi in cui si sente la voce della gente, sono consentite solo battute simboliche, al posto di un vero dialogo.362 La critica di Zavattini si precisa in base ad esempi concreti: una sequenza che dovrebbe rappresentare l’immagine dell’ingresso di studenti nella scuola o impiegati negli uffici, Velo non riesce ad «animarla», ovverosia trasformarla in situazione.363 Alla stessa stregua, Zavattini fa notare a Velo come l’emigrazione dalla campagna alla città sia stata ridotta a brevi e rapide immagini: «corriamo il pericolo anche qui di dare solo la informazione senza un suo approfondimento o lampo umano e poetico».364 Zavattini gli fa presente che manca un criterio che informi la scelta delle sequenze, è la ripetizione: fino a che punto è consigliabile ripetersi? 359. ibidem, c. 258. 360. ibidem, c. 262. 361. ibidem, c. 262. 362. ibidem, c. 263. 363. ibidem, c. 259. 364. ibidem, c. 262.

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Come se non bastasse, il materiale è troppo fitto, ma superficiale. Nell’evitare l’approfondimento, si rischia il nozionismo, quando un film come questo richiede che si dia «risonanza poetica e veramente umana alle immagini».365 Preferendo regredire verso il documentario didattico, Velo crea altri problemi: «Queste notizie della storia mancano di emozione, di racconto».366 Zavattini cerca di spiegargli ancora cosa manca: Quando dico tipico, dico soprattutto umano, nel senso che se vedo le barche a motore che pescano, prima del loro paesaggio pittoresco, devo cercare di cogliere il loro valore umano: anche se vi è una parte puramente spettacolare in questa scene delle barche a motore, come il mare con questo rumore lontano delle barche a motore, al quale ci avviciniamo a poco a poco e diventa enorme, ossessivo, sinché siamo nel cuore delle barche a motore, e ci fermiamo su una, e su un uomo o su alcuni uomini, mentre fanno una cosa che rileva la loro fatica, il loro carattere.367

È disposto perfino ad offrire indicazioni di regia per alleviare l’enorme quantità di immagini di luoghi, molti dei quali superflui, o perché ripetizioni (e qui Zavattini entra nei particolari, consigliando di evitare di accumulare sequenze di tanti mercati come flash, e concentrarsi su un mercato solo, come punto di partenza e ambiente per una mini-storia) o superflue per la logica interna del racconto di un Messico animato da primi piani, da volti e individui che ci vivono oggi, non una serie di cartoline postali. Il risultato è la serie di descrizioni, la catalogazione meccanica, l’eccesso di inquadrature, di sequenze che «non hanno una direzione precisa, umana, funzionale al film»,368 e ancora: «sequenze gremite, piene di cose che, senza una spiegazione, risultano poco vibranti».369 Zavattini trova ovunque esempi che dimostrano come Carlos Velo non conosca altra prospettiva che quella panoramica e, soprattutto, cosa gravissima, come abbia scartato l’idea base del soggetto. Il regista ha rinunciato al lavoro necessario di sintesi che qualsiasi sceneggiatura richiede. Gli fa notare che: «la qualità del film non consiste naturalmente 365. ibidem, c. 260. 366. Zavattini, “Considerazioni su “México mío dopo aver letto le prime 31 pagine del trattamento che giungono fino alle ore 10 di sabato, e dopo aver letto i titoli delle sequenza dalle ore 10 di sabato fino alle ore 13 della domenica”, ACZ Sog. NR 20/3, c. 267. Inedito. 367. Zavattini, “Prime reazioni”, ACZ Sog. NR 20/3, c. 258-259. 368. ibidem, c. 263. 369. ibidem, c. 268.

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in una pura quantità di elementi, ma nella qualità rappresentativa di questi elementi».370 Tutto questo spiega anche l’uso meccanico della voce fuori campo, elemento griersoniano dell’epoca che serve per supplire alla mancanza di criterio messo in evidenza da Zavattini, la mancanza di forma, cioè il senso complessivo da dare alle immagini, al primo piano, alla situazione raccontata, alla curiosità che accompagna il soggetto. Le osservazioni sono ricorrenti: il problema del commento dello speaker, didattico e nozionistico, come è concepito da Velo, non può produrre: «una enorme quantità di cose che succedono, d’accordo, ma che non hanno una essenzialità perentoria».371 Ma se dovessimo togliere questo commento sarebbe ancora più palese l’assenza del racconto. Infine, conclude: Si tratta di scegliere. Come sempre. E di avere il coraggio di abbandonare, di buttare via una enorme quantità di cose che succedono, d’accordo, ma che non hanno una essenzialità perentoria.372

Aggrava questi problemi di regia scadente soprattutto l’interruzione vera e propria dei rapporti fra soggettista e regista o meglio fra produttore e scrittore. Il 1 gennaio 1957 Zavattini si lamenta che da cinque mesi non riceve notizie, senza che nessuna spiegazione venga data per lo stallo.373 Qualche settimana dopo, come in occasioni precedenti, viene a sapere che un gruppo di giovani sotto la supervisione di Velo sta raccogliendo fatti e dati, per formare «il grande affresco murale» da cui Zavattini potrà effettuare una selezione per il film.374 Questa descrizione promette male. Si sarebbe portati a pensare che i suoi consigli siano stati ignorati. Ci vorrà il suo coinvolgimento diretto sul posto per almeno tentare di salvare il progetto di México mío.

2.27 Terzo soggiorno (1957) Ai primi di luglio del 1957 Zavattini torna in Messico. Il suo ufficio sarà «la camera umida dell’Escargot» dove, secondo Jomí García Ascot, «noi abbiamo avuto l’occasione rara di vedere il cielo e le pianure 370. ibidem, c. 268. 371. ibidem, c. 268. 372. ibidem, c. 268. 373. Lettera di Zavattini a Velo, 1 gennaio 1957, in Cartas a México, 120. 374. Lettera di Barbachano a Zavattini, 18 gennaio 1957, in Cartas a México, 116.

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messicane».375 Tutti i fine settimana si reca a casa di Manolo Barbachano Ponce per lavorare sui suoi soggetti con quelli della Teleproducciones e con dei giovani scrittori o aspiranti scrittori di cinema.376 Sono giorni in cui, a detta di Zavattini, si impegnano: «tutte le gasoline Miguel, Manolo, Velo, Ascot, Guevara».377 Ma ci sono anche i giovani scrittori che in seguito si sarebbero affermati nella letteratura messicana a cui Zavattini fa scuola di cinema e di scrittura, a modo suo, trasmettendo tecniche e idee sul nuovo cinema del reale. A parte Fernando Benítez, collaborano Carlos Fuentes, Elena Poniatowska, Juan de la Cabada, Gastón García Cantú, Pepe Revueltas, il fratello di Manolo, Miguel Barbachano, il fratello di Carlos Velo, Jorge, amministratore di Teleproducciones, Elena Urrutía ed Elena Del Río.378 Quanto a Fernando Gamboa, si occupa soprattutto dei notiziari di Cine Verdad. Questo significa che ai progetti vengono meno le due figure professionali più competenti e promettenti, Gamboa, che grazie all’esperienza condivisa con Zavattini, aveva pedinato e conosciuto un Messico per lui inedito e Benito Alazraki, l’unico in Messico veramente in grado di tradurre in immagini idee del genere, in un equilibrio precario tra film a soggetto e cinema del reale. Alazraki è stato allontanato da Manolo Barbachano. C’è anche Alfredo Guevara, arrivato in Città del Messico il 21 gennaio 1957, insieme a Julio García Espinosa e Tomás Gutiérrez Alea, per sfuggire alla persecuzione del dittatore Batista e lavorare alle sceneggiature cubane di Cuba baila e Tiempo muerto, su commissione di Producciones Barbachano.379 Quando arriva lo sceneggiatore italiano, Guevara già lavora in coppia con García Ascot per produrre soggetti per i cinegiornali e la pubblicità prodotta da Teleproducciones Barbachano Ponce: Cine-Verdad, Cine Revista e altri prodotti in serie, i documentari e spot pubblicitari. Chi veramente capisce la «fabbrica affascinante di soggetti» di Zavattini è Guevara.380 Noi entravamo in un salone e si discuteva un tema, fornendo tutte le 375. Lettera di García Ascot a Zavattini, 14 ottobre 1959, ACZ E 2/7, c. 50-52. In francese, inedito. 376. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 139. 377. Zavattini, Taccuino, in “Appunti e materiale vario raccolto durante il soggiorno messicano, 1955-1957”, ACZ E 6/2, c. 36v. Inedito. 378. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 156. 379. Lettera di Manuel Barbachano Ponce a Zavattini del 18 gennaio 1957 in Cartas a México, 116. 380. ibidem.

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informazioni possibili o nessuna, e arrivava il momento in cui un segnale o un gesto richiedeva il silenzio assoluto. Poteva durare solo un minuto o un periodo protratto. Poi c’era l’eruzione del vulcano. Zavattini cominciava a descrivere scene e a camminare in una direzione o nell’altra o, più spesso che no, in modo strabiliante, a rappresentare scene complete che o venivano fuori del tutto elaborate, o si modificavano momento per momento, incessantemente, in un modo o l’altro, mentre creava dialoghi approssimativi con tanto di variazioni, fino ad approdare ad un piano completo che comunque avrebbe modificato nel giro di qualche ora se non il giorno seguente. Rimane il fatto che ci trovavamo di fronte ad un caso di pura ispirazione o provocata entro un clima tutto particolare o una forma di trance che si spiega secondo una psicologia e personalità tutta particolare.381

Nelle riunioni con i collaboratori è questa la forma di invenzione drammatica che si ripete settimana dopo settimana, secondo Guevara, ferme restando le varie sequenze elaborate intorno a determinate situazioni, Zavattini non chiude le sceneggiature in una struttura definitiva, ma le lascia aperte: Quel metodo zavattiniano di creazione drammaturgica, pregno di poesia e teatralità, in un’atmosfera in parte costruita, in parte anticipata, che risultava esplosiva mi ricordava su un altro piano il momento liturgico in cui un posseduto entra in trance. Ma non ci troviamo di fronte un personaggio di Santería o Voodoo, bensì al cospetto di uno dei creatori più autentici della cultura occidentale, situato da alcuni critici nell’ambito degli scrittori (e non solo cineasti) più interessanti del dopoguerra italiano. A volte mi fa pensare a capitoli e descrizioni del mondo interiore di Adrian Leverkühn, di Thomas Mann, e a questa indagine dell’istante creativo che esplora Alain Resnais, nel suo film Providence, che ha qualcosa di sovrannaturale, diabolico, in quelle uscite prorompenti.382

Zavattini rilascia un’intervista a Alfredo Guevara per Esto, il 10 luglio.383 Ne concede altre a Francisco Pina e Elena Poniatowska nel «Supplemento Letterario» di Novedades della terza settimana di luglio 1957.384 Poniatowska lo intervista anche per la Revista de la Universidad 381. ibidem. 382. ibidem. 383. Guevara, “Il produttore, nemico naturale del soggettista”, intervista di Alfredo Guevara, Esto, 10 luglio 1957, 4-5. 384. Lettera di Zavattini alla rivista messicana Novedades, 31 luglio 1957, ACZ E/72, c. 53-54. c. 53 scritta di mano di Zavattini in italiano, c. 54 dattiloscritta e tradotta in spagnolo.

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de México in cui Zavattini menziona anche la scrittura cinematografica Neo-realista, spiegando che c’è chi si serve del copione alla lettera e chi, come Rossellini, se ne allontana e improvvisa sul set. I giornalisti vogliono sapere se è in atto la decadenza del Neo-realismo. Obietta che non c’è decadenza del Neo-realismo, ma decadenza nell’intensità con cui se ne parla. E aggiunge: «non parlo del Neo-realismo, lo vivo».385 Poniatowska gli chiede perché ama tanto i dettagli: Sono un po’ la chiave. Che non si tratta di cose piccole o grandi. Presto attenzione alle cose che per me non sono piccole, e quindi non sono dettagli. [...] Credo che è nato un po’ come reazione al cinema con pretese di grandezza.386

Quando Guevara gli chiede se può dare un consiglio ai soggettisti messicani, la sua risposta potrebbe riguardare anche il loro produttore Barbachano e comunque tocca un tasto delicato, che, tradotto in termini marxiani, concerne la struttura economica e precisamente i rapporti di produzione, non la sovrastruttura prettamente culturale: Si potrebbe dire loro che non perdano coraggio o la volontà. Il nemico principale degli sceneggiatori è il produttore, ma se fanno uno sforzo di gruppo, non dovranno venire umiliati, come invece accade in tutto il mondo, per le forche caudine dei padroni del denaro.387

2.28 México mío, in fieri «Sta lavorando alla prossima pellicola a cui darà il suo contributo che s’intitola México mío», racconta il 10 luglio ai lettori di Esto Alfredo Guevara che rivolge a Zavattini questa domanda: «Non considera molto

audace fare un film con questo titolo senza che lei sia stato nel nostro paese più di tre volte, e tutte molto brevi?»388

Zavattini gli risponde: Esatto. Io non posso scrivere sul Messico. In realtà, per scrivere a proposito di un luogo bisogna starci molto tempo. Sono in grado di fare una storia 385. Poniatowska, “Cesare Zavattini”, Revista de la Universidad de México, 20-23. 386. ibidem, 22. 387. Zavattini in, Guevara, “Il produttore, nemico naturale del soggettista”, 4-5. 388. Guevara, “Il produttore, nemico naturale del soggettista”, 4-5.

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sull’Italia, è la mia patria, ma su un’altra nazione, no. Quello che posso fare in questo caso è raccogliere il lavoro dei miei collaboratori messicani che sono quelli che hanno scritto gli episodi e dare loro un trattamento cinematografico, in linea con il mio modo di vedere le cose.389

Durante una riunione in cui sono presenti lo sceneggiatore italiano e il gruppo di Teleproducciones, Jomí García Ascot, Fernando Gamboa, Miguel Barbachano Ponce e Gastón García Cantú, Zavattini avverte: «Manca una cosa, una cosa sola. Ma è molto importante. La linea generale».390 Nel suo taccuino privato e inedito, Zavattini scrive: «Seduta bella per México mío – gran materiale raccolto con me, sistema – ora ci vuole la sintesi».391 Ma sarà proprio questo il problema. Arrivare ad una sintesi in base al soggetto elaborato assieme a Carlos Velo è compito di Velo, non il suo. Finalmente, sembra possibile realizzare assieme a questi collaboratori e col finanziamento necessario, non tanto una versione messicana di Italia mia, quanto lo sviluppo organico di quel progetto, sottoponendo le idee di massima ad un confronto concreto con la realtà messicana. In quella stessa riunione, Zavattini parla di fare un cinema nuovo in cui propone di «incontrare i fatti e filmarli» e mostrare il Messico attraverso otto o nove storie, operando una sintesi sul materiale: «Scegliendo cio che più ci interessa».392 Il materiale che ha di fronte è il prodotto degli scambi iniziali con Barbachano, Gamboa e del lavoro meticoloso di Carlos Velo. Ma il divario fra il progetto pensato e proposto da Zavattini e il progetto come se lo immaginano i messicani è preoccupante. Quando Zavattini riporta il progetto allo schema diviso in «momenti» e «episodi», soprattutto attuali (ma non esclude una ricostruzione di due episodi storici avvenuti durante la Rivoluzione messicana) creando delle storie, «come una cronaca poetica del paese», Velo ribatte che l’inclusione degli episodi «creerà confusione». Ma fino a che punto è disposto Velo a cambiare il formato e il taglio della sceneggiatura? Per ora si affida completamente alla Voce di Dio fuori campo per comunicare il significato delle immagini, che sono state trattate come mera illustrazione didattica. 389. Guevara, “Il produttore, nemico naturale del soggettista”, 4-5. 390. Zavattini, Riunione a Teleproducciones, in México mío, “Note di lavorazione”, Città del Messico, luglio 1957, ACZ Sog NR 20/3, c. 226. 391. “Appunti e materiale vario raccolto durante il soggiorno messicano, 1955-1957, ACZ E 6/2, c. 38. Nei taccuini a volte Zavattini adotta uno stile di scrittura veloce, privato, non sempre chiaro. In questo caso, esprime la sua soddisfazione per l'intesa raggiunta riguardo al metodo o sistema da seguire nel raccogliere il materiale. 392. ibidem. c. 226.

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A Velo che si è cimentato come montatore di fiducia di Barbachano e regista dei cinegiornali messicani, ora si richiede di compiere un salto verso un’altra sponda dell’idea documentaria, del tutto inesplorata in Messico. Zavattini non si arrende. Come aveva già fatto per ¡Torero!, propone immagini in grado di raccontare, senza che ci sia bisogno dell’accompagnamento della voce didascalica e della colonna sonora. Lo sceneggiatore italiano raccomanda che il fatto ricostruito nei suoi tratti essenziali sia intercalato all’espressione poetica del mondo messicano, seguendo la falsariga di Italia mia, che conoscono.393 Propone un raccontare sintetico: «Non devo costruire la scena come in teatro, con i dialoghi, molti dettagli, in modo esauriente. Devo cogliere il meraviglioso, il più significativo».394 Ma se questa apertura verso un documentario sperimentale, forma aperta e flessibile spaventa i messicani, altre proposte fatte durante il soggiorno del 1955 e oggi ribadite, incontrano il muro di gomma del loro rifiuto.

2.29 México mío, da mio a vostro L’altra proposta di Zavattini riguarda la partecipazione, elevata a collaborazione, del pubblico. Vuole lo stesso genere di scambio dinamico di idee con chiunque volesse contribuire, che aveva provocato alla Conferenza nella sala Barbachano nel Palacio de Las Bellas Artes due anni prima. Oggi la ripropone, ripetendo l’invito a lanciare un Concorso Nazionale con due obiettivi: primo, coinvolgere il pubblico per far pubblicità al film a livello nazionale.395 Secondo, nel coinvolgere i messicani, non escludendo la gente del popolo, il “mio” di México mío diventa il “nostro”, un Messico soggettivo e personale in grado di sostituirsi ad un Messico schematico a priori che nasconde il proprio punto di vista dietro una presunta oggettività. Argomenta che interpellare i messicani a questo modo, equivale a coinvolgerli perché vadano a scoprire e conoscere il loro paese.396 «Che tipo di domanda fare alla gente nel Concorso? Lei cosa vorrebbe raccontare sul Messico, che cosa avviene nella sua regione che noi rischiamo di dimenticare?»397 Cose che non dovrebbero mancare in 393. ibidem, c. 228. 394. ibidem, c. 227. 395. ibidem, c. 228. 396. ibidem, c. 228. 397. ibidem, c. 228.

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un film del genere. In questo modo, dalle risposte raccolte nel Concorso Nazionale, México mío può cogliere anche le loro idee rappresentative e includerle nel film. In altre parole, grazie alla collaborazione, il film eviterà di essere esclusivo, interpellando i messicani. «Questo lo dicono i messicani».398 A questo scopo, propone due inchieste: una interna a Teleproducciones, l’altra a livello nazionale che accenderà l’interesse del popolo. Si rende conto di quanto sia sperimentale il progetto che propone: «Non si è mai fatto un film come questo nel mondo».399 Pensa ad un lancio in televisione, presentato da Barbachano per impostare l’inchiesta pubblica. Propone un’intervista a Velo, da riportare in tutte le riviste di cinema. Una compagnia di viaggi potrà offrire dieci viaggi in tutto Messico, come premio in palio. «Conosca il suo paese!». Ecco come fare per dare al film una dimensione nazionale. Gastón García Cantú a mo’ di giustificazione del poco progresso raggiunto da Teleproducciones, fa sapere che, per avviare l’iniziativa dell’inchiesta, sono state condotte delle interviste al Taller de Gráfica Popular, agli elettricisti e ad altre persone.400 Zavattini risponde che le due iniziative possono viaggiare in parallelo, non si escludono a vicenda, si completano piuttosto. Non ci vorrà molto tempo. Basteranno cinque giorni appena, per non perdere l’entusiasmo una volta che prenda piede. Le sue non sono idee campate in aria, dato che Zavattini parla in qualità di ex-direttore editoriale che di concorsi, lanci, e nuove iniziative di successo ne aveva realizzate molte (di qualche anno prima, il successo della rubrica “L’Italia domanda” per Epoca concepita da lui, che produsse un forte aumento della tiratura). Prevede che anche in questa occasione, arriveranno tante lettere, e loro dovranno selezionare il materiale, pubblicare i nomi dei vincitori che pedinano il Messico, mentre i giornalisti raccolgono le loro impressioni attraverso le interviste.401 L’idea è molto avanzata. Non possono sbagliare: Finora si sono raccolte le impressioni degli stranieri che vengono a conoscere il Messico. Questa volta, sono i messicani quelli che vanno a conoscere il proprio paese. [...] Il film si potrà annunciare quindi anche a livello internazionale come “un film fatto col contributo del popolo messicano”. Il che potrà essere importante nei festival.402 398. ibidem, c. 229. 399. ibidem, c. 228. 400. ibidem, c. 229. 401. ibidem, c. 230. 402. ibidem, c. 230.

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Ma sin dalla prima riunione organizzativa, trapelano le stesse tensioni e le ansie intorno a México mío che si ritrovano nei carteggi messicani.403 Velo e Miguel Barbachano formano uno schieramento, Zavattini l’altro. Quando Zavattini parla di poesia del reale, Velo il reale lo limita a fatto scientifico concreto. Quando Zavattini, pensando come se fosse un regista, visualizza le inquadrature, Velo si limita a fare l’elenco descrittivo dei luoghi da filmare. Velo vuol sapere quale sia il criterio di selezione dell’ampio materiale raccolto. Quali episodi raccontare? Quali scartare? In che direzione dovrà andare il film?404 Zavattini ribadisce che la struttura del film prevede la durata di un giorno, imperniato sul Messico di oggi. A Velo piace l’idea del viaggio lungo la strada (nata con la Carrera PanAmericana). Ma suggerisce in alternativa, il punto di vista mobile, regione per regione, rappresentato in ogni caso da uomini particolari di varia età. Sostiene che gli elementi che colpiscono «lo spettatore universale» sono l’elemento spettacolare e il meraviglioso.405 La sua visione del film è un Messico impressionante e maestoso. Velo, e quindi Barbachano e Teleproducciones, montano una difesa patriottica del paese, a fronte del modo in cui viene falsamente rappresentato all’estero. Quindi, un Messico che progredisce, che abbraccia il progresso, positivo. In risposta, Zavattini è conciliante, ma solo in apparenza. Mostrare la bellezza naturale del paese va benissimo, ma non basta; ci vuole dell’altro: «Un Messico che avanza, che vuole essere moderno, pur conservando le sue caratteristiche, un Messico che cresce di coscienza».406 Ritiene necessario assumere un atteggiamento etico che non può e non deve ignorare i problemi del paese: «Saremmo disonesti se presentassimo un Messico in cui tutto va bene, in cui il mondo va d’accordo».407 Ecco i due poli. E non è difficile indovinare con chi si schieri tacitamente Alfredo Guevara, comunista come Zavattini che parla di presa di coscienza, civica e politica, naturalmente. La riunione mette in luce le tensioni fra queste due tendenze; soprattutto quella del regista (e tacitamente, del produttore) e quella di Zavattini che si trova costretto a dichiarare apertamente il suo orientamento:408 il film è una critica, pur mettendo in primo piano il carattere del paese. Mostrare 403. ibidem, c. 228. 404. ibidem, c. 234. 405. ibidem, c. 233. 406. ibidem, c. 232. 407. ibidem, c. 234. 408. ibidem, c. 234.

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in una giornata il sapore di un paese consente una grande libertà, per esempio, nel raccontare come si fanno le tortillas pediniamo le tortilleras. Per tanti, non si dorme la notte, si lavora, per esempio, nei mercati. Bisogna andarci e filmarli. Girare riprese che mettano in risalto la vita e la morte, la nascita di un bambino, il funerale di un vecchio. Riflettere poeticamente sulla crescita della popolazione.409 Interviene a difesa del punto di vista di Carlos Velo Miguel Barbachano, fratello di Manolo, che si occupa principalmente dei cinegiornali di Teleproducciones. Miguel dice che l’approccio di Zavattini rischia di ignorare la rappresentazione delle feste tipiche messicane, per lui fondamentali. Rincalza: «Messico 17 febbraio sarà Neo-realismo perfetto, ma eccessivo, pericoloso».410 Come dire che il Neo-realismo va bene in Italia, ma in Messico è «eccessivo», peggio ancora: «pericoloso». Il fratello del produttore la dice tutta: la Teleproducciones vuole che «il film sia una difesa dei valori culturali nazionali».411 Quel «pericoloso» la dice tutta sul vero approccio dei messicani con cui Zavattini si scontra. In realtà, rifiutano il film Neo-realista, impegnato e politico che propone il cineasta italiano. La casa di produzione messicana non ha nessuna intenzione di allargare la visuale, di mettere in rapporto l’indipendenza culturale messicana col colonialismo nord-americano. Finché si tratta di fare un film su un matador messicano, il punto di vista del soggetto va bene. Ma questa concretezza va respinta nel caso di un film sulla nazione messicana. Alla Teleproducciones non interessa il tema del lavoro. Non vogliono interpellare nessuno per far sapere come lo si vive il lavoro in Messico? Nessuno nega le differenze di classe all’interno del paese, ma mostrarle apertamente in un film sul Messico? Meglio di no. Ecco cos’è pericoloso. «Cosa si vuol rappresentare?» obietta Zavattini: «che tutto va bene? Che tutto deve continuare così come è? Che va bene che i ricchi siano ricchi e i poveri vivano nell’estrema povertà?».412 Incalza. Fu per la medesima contraddizione che Italia mia non si fece Si impunta. Se non sono d’accordo sull’orientamento politico ed etico del film, non è possibile procedere. In ogni caso, la tesi del film non è scientifica, ma poetica. Per esempio, se un film sul Messico lo facesse un cattolico, verrebbe fuori un film solo positivo che tratta della religione, evitando il fanatismo. Insiste, quindi, che prima di inoltrarsi nella 409. ibidem, c. 236. 410. ibidem, c. 237. 411. ibidem, c. 232. 412. ibidem, c. 232.

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progettazione, è indispensabile mettersi d’accordo sulla linea generale. Propone che «il film veda con coraggio la realtà del Messico e veda ciò che non è stato fatto e quello che è in programma di fare».413 I verbali di questa riunione non promettono bene.

2.30 El Pétroleo, seconda inchiesta Per quanto riguarda il film sulla rivolta messicana contro le multinazionali, prima dell’arrivo di Zavattini, il giornalista Fernando Benítez riesce a completare una seconda inchiesta sul posto. Il suo rapporto è un insieme di brevissimi aneddoti, fatti, notizie, testimonianze. Nel complesso, fissa su carta una preziosa storia orale dell’espropriazione dei giacimenti petroliferi in mano alle multinazionali straniere.414 A parte la spiegazione tecnica dei metodi di esplorazione geologica, la parte più interessante dell’inchiesta da un punto di vista cinematografico contiene frammenti di storia orale ricordata dagli intervistati con tanto di nome e cognome, sia operai che tecnici di Minatitlan, ingegneri e geologi o José Rodríguez, ex-funzionario della Sinclair, funzionari e operai della raffineria Madero, i quali secondo l’ingegnere Oscar Vazquez Ramirez, parteciparono alla espropriazione.415 Questi resoconti, quasi tutti brevissimi, spesso di qualche riga appena, desunti dalle interviste, narrano dei fatti precisi. Un operaio della Cerro Azul ricorda che un lavoratore messicano tentò di innaffiare due funzionari nord-americani, ma fu bloccato sull’istante.416 Benítez scopre che 80% degli operai erano tehuanos.417 Gli raccontano le pessime condizioni di vita nei campi di raffineria.418 Secondo la testimonianza del geologo José Domingo Lavin: «i morti li prendevano per le braccia e piedi e li trascinavano al ciglio della strada dove era inevitabile che sprofondassero».419 Il geologo gli racconta i mezzi violenti e repressivi della compagnia Un Agete.420 Ma ci sono anche ricordi del circo, osservazioni umane, aneddoti, racconti come il seguente: 413. ibidem, c. 232. 414. Fernando Benítez, “Historias Incidentales (Relato)”, Inchiesta sul petrolio, El año maravilloso (Appendice) “Note di lavorazione”, ACZ Sog. N R 2/5, c. 51. Inedito. 415. Benítez, “Historias Incidentales”, ACZ Sog. N R 2/5, c. 7; c.20. Inedito. 416. ibidem, c. 23. 417. ibidem, c. 32. 418. ibidem, c. 43. 419. ibidem, c. 56. 420. ibidem, c. 15.

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Zacamixtle non era altro che un insieme di taverne, bordelli, e case da gioco. Non lasciarono una strada, una scuola, un ospedale. Si estraevano quantità favolose di gas e le fiammate illuminavano il bosco in modo fantastico.421

In tutto questo tempo intercorso dopo la ricerca sul campo con Gamboa nel 1955, i messicani sono riusciti a condurre solo una seconda ricerca che poco aggiunge, tutto sommato, alla prima di Zavattini. I risultati non li hanno saputi o voluti analizzare e far confluire in una traccia utile ai fini del film. Ora alla riunione dell’8 luglio 1957, Zavattini dice la sua dopo aver letto i due volumi della relazione di Benítez. Zavattini, pur riconoscendone il valore straordinario, constata che il materiale funziona solo dal punto di vista informativo, ma non offre l’ombra di un soggetto. Mancano personaggi centrali e quelli periferici non bastano.422 Riconosce che la ricerca riesce a comunicare lo sforzo collettivo dei lavoratori messicani, per esempio, documentando il fatto che ognuno contribuisce di tasca sua, secondo le proprie condizioni economiche. Mette in evidenza il fatto che è in ballo l’indipendenza messicana. Ma fa notare al gruppo che il testo elaborato da Benítez tratta del periodo seguente alla nazionalizzazione; che è molto frammentario. Si spiega meglio: Benítez ha raccolto tanti dati, alcuni molto interessanti dal punto di vista umano, ma non ha tentato di passare ad uno stadio successivo, organizzandoli in un insieme organico. Riconosce che i messicani hanno anche lavorato ad un episodio particolare dell’epopea dell’espropriazione, dal titolo “La breccia”. Ma anche qui, manca qualsiasi tentativo di mettere a fuoco le persone. Il racconto è debole e Zavattini riscontra non pochi elementi che gli ricordano Il sale della terra (1953) di Herbert J. Biberman. Ma Zavattini non si arrende mai. Propone al gruppo, un soggetto, su due piedi. Inizia dalla struttura di base: l’arco di tempo va precisato. Quale il momento più qualificante? Scarta il dopo per puntare la cinepresa sul durante. Il periodo cruciale va dagli anni precedenti all’espropriazione fino alla dichiarazione di Cárdenas. Ma allora bisogna limitarsi al periodo che va dal 1934 al 1938, l’anno dell’espropriazione e della cacciata delle multinazionali petrolifere dal suolo messicano.423 Bisognerà 421. ibidem, c. 56. 422. Guevara, “El Año maravilloso, Conferencia con Zavattini, 8 luglio 1957”, in “El año maravilloso, Note di lavorazione”, ACZ Sog. NR 2/4, c. 31-35. Inedito. 423. Guevara, “El Año maravilloso, Conferencia con Zavattini, 8 luglio 1957”, in “El año maravilloso, Note di lavorazione”, ACZ Sog. NR 2/4, c. 31-35. Inedito.

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pensare ad una struttura di tre atti. Nel primo, di trenta minuti, gli americani, inglesi, olandesi sono i signori e i messicani gli umiliati e divisi fra di loro. Sarà fondamentale stabilire un punto di vista, inserire un maestro e una maestra messicani come punti di riferimento e uno scolaro: un bambino condannato ad una triste sorte che appartiene ad una famiglia umiliata. Lo ritroviamo in aula nel 1936, in un tempo e un luogo preciso. L’episodio riguarda una maestra e i figli delle famiglie operaie che fa capire come fossero trattati nel contesto del gioco dei grandi interessi. Nel secondo atto, di trenta minuti, dopo aver preso coscienza politica, i messicani prendono l’iniziativa, si organizzano. Si deve vedere la lotta sociale, contro le compagnie petrolifere straniere. La lotta comprende i più poveri, gli indios per esempio, compaiono all’inizio, seguiti man mano da altre razze messicane. Nel terzo atto, più breve, Cárdenas appare come una voce che risuona in tutto il paese. La lotta sociale e sindacale si trasforma in fatto messicano o patriottico. Quali possibilità poteva offrire al personaggio del bambino l’espropriazione? Ecco che il punto di vista di una famiglia apre il film ad un grande pubblico. Al centro, la famiglia come personaggio collettivo, in cui spicca soprattutto la madre. Il figlio ha l’emotività e l’impulsività tipica dei ragazzi. I cambiamenti nella madre non avvengono senza dolore. Nel 1938, quando ascoltano, alla radio, si suppone, la notizia nelle parole del Presidente dell’epoca Lázaro Cárdenas, in carica dal 1934 al 1940, sono emozionati. Alla fine del film ci dovrebbe essere una coincidenza tra ciò che viene realizzato a livello nazionale e a livello personale, fra dimensione pubblica e quella privata. Zavattini sottolinea come attraverso la lotta comunitaria, risulti una coscienza politica messicana, sentita come tale ovunque nel paese, compresi indios e creoli, e questo va espresso. Vengono sconfitte l’ingiustizia e le condizioni sfavorevoli, il che si deve capire dai casi particolari. Per comunicare come si vinca la diversità razziale interna al Messico nella solidarietà della lotta comune, vanno inclusi gli indigeni nei dialoghi. Va sottolineato il maltrattamento degli operai e anche la discriminazione a cui erano soggetti, dato che le imprese non consentivano ai messicani di apprendere le tecniche, come nel caso del perforatore. Bisogna esprimere come si soffrisse, quale fosse la situazione regnante in precedenza, le umiliazioni, la lotta, il lavoro, la fatica, lo sforzo per rimettere in marcia l’industria, arrivando al culmine: il discorso di Cárdenas, il gran finale.

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2.31 Il soggetto di El Pétroleo Il 3 ottobre del 1957, Zavattini tira le somme del lavoro svolto in un’intervista per Arte del Cinema, concessa al documentarista Piero Nelli. In due mesi e mezzo è riuscito a condensare otto mesi di lavoro, impostando, scrivendo e rielaborando sceneggiature per tre film che i collaboratori messicani dovrebbero ultimare. Nelli rimane sorpreso da come abbia saputo trasferire «la tematica Neo-realista in una realtà così diversa da quella italiana, facendola, al tempo stesso, aderire ai caratteri della società messicana».424 Zavattini ha saputo evitare di conformare ad un medesimo stereotipo indiscriminatamente tutte le situazioni e realtà. E questo, a suo parere, dimostra la vitalità e universalità del Neorealismo. Nel concetto di México mío c’è la vita di un popolo nell’arco di un giorno e una notte, in cento posti diversi, in situazioni diverse, personaggi diversi, si scopre, nei modi di un impressionismo realistico. «Sento già i paragoni con il film di Ejzenštejn – chissà cosa mi diranno?» Aggiunge: Ma io non ho pensato a Que Viva México per México mío – e modestamente, non potevo pensarci: Ejzenštejn ha creato il poema storico di un popolo, io voglio raccontare la sua quotidianità.425

Nelli non conosce il Messico e forse questo spiega la sua ingenuità. Come mai trova tanto strano che non sia venuto ad un cineasta messicano l’idea di fare un film su un grande fatto come la cacciata delle multinazionali e l’espropriazione dei loro giacimenti petroliferi? Niente di meno che un’epopea nazionale? Zavattini gli espone la versione Cantinflas, che contempla una grande epica popolare, il cui personaggio centrale è: straccione e sguaiato, perfino comico, che con la serie delle sue mirabolanti avventure di “povero diavolo” d[ia] a tutta la narrazione quel piglio picaresco delle novelle del Cervantes e di certi romanzi inglesi del Settecento, così appropriato ad una società misera, disordinata, e subalterna, eppure ancora così viva d’aver la forza di conquistare da sola la sua indipendenza.426 424. Zavattini, in Piero Nelli, Intervista per Arte del Cinema, in Scritti relativi al Messico, ACZ E 7/4, 3 ottobre 1957, c. 3-12; c. 5. 425. Zavattini, in Piero Nelli, Intervista per Arte del Cinema, in Scritti relativi al Messico, ACZ E 7/4, 3 ottobre 1957, c. 3-12; c. 5. 426. Nelli, Intervista per Arte del Cinema, 3 ottobre 1957, ACZ E 7/4, c. 5.

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Andrà in porto questa versione comica, con Mario Moreno, nel suo personaggio Cantinflas? Guevara ha ragione. Nelle mani di Zavattini il personaggio può «farsi carico di ben altra dimensione etica».427 A maggior ragione quando Zavattini reinventa il personaggio di Cantinflas, sovvertendo i suoi manierismi – la sua parlata che burla, sospetta, si nasconde, esprime riserva, che senza dubbio servivano a sfuggire al potere grazie all’umorismo – seguendo in questo la lezione di Roberto Rossellini che aveva scelto il comico Aldo Fabrizi nel ruolo tragico di don Pietro, in Roma, città aperta. Geniale. «Zavattini non si deve fraintendere; conosceva benissimo sia il rischio del populismo, sia ciò che può provocare l’esagerazione oppressiva folkloristica», scrive Alfredo Guevara, a proposito delle tensioni fra vedute diverse nei rapporti con Manolo Barbachano e i suoi collaboratori più vicini, Carlos Velo e Fernando Gamboa.428 La sorte di El Pétroleo non è un caso. Il Neo-realismo viene capito in Messico, fin troppo bene: perfino dal punto di vista di una casa di produzione indipendente, è un cinema esagerato e pericoloso. Ecco l’analisi dello straniero Alfredo Guevara: I prigionieri di questa cristallizzazione concettuale resero impossibile lo sviluppo del progetto che poteva scaturire dal personaggio di Cantinflas, già di per sé un simbolo importante che nasceva dal divertimento popolare e dal folklore, per assumere proporzioni di epopea messicana, con quei tratti validi e di successo, pur essendo un canto di affermazione dell’identità e superamento dell’esterofilia. Fu per questo che si scartò il soggetto di Zavattini e il sogno lucido di Barbachano Ponce, ovvero la volontà di creare una Chanson de geste che si meritava la nazionalizzazione cardenista del petrolio, affermando la sovranità messicana e la dignità del messicano. Si trattava di un’opera cinematografica non lineare, che conteneva in sé in profondità i significati sociali e psicologici di quell’azione, senza ignorare il contesto storico e riflettendo la profondità e complessità della coscienza e dignità dell’esistenza.429

Nel suo taccuino privato, Zavattini non si fa illusioni. Il rifiuto di El Petróleo è il rifiuto di una provocazione oltre i limiti del pensabile, ed è per questo che non se ne fa nulla.430 Anche l’intervista concessa a Piero 427. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, 287-296. 428. ibidem. 429. ibidem. 430. Zavattini, Taccuino, in “Appunti e materiale vario raccolto durante il soggiorno

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Nelli riconosce che quella versione comica del soggetto è stata scartata dai messicani, sia dai giovani «perplessi» che dai «retorici custodi delle glorie nazionali». Qualsiasi versione verrà respinta, persino quella drammatica.431 Certo, Zavattini se ne guarda bene di fare analisi del genere nei carteggi con Gamboa, Ascot, Velo o Barbachano, ma lo stesso tipo di contraddizioni e le frizioni che risultano dal voler esportare il Neo-realismo in Messico si avvertono sia nella vicenda complessa di El Petróleo che in quella di México mío, la cui fortuna prende la stessa piega.

2.32 I México mío inconciliabili Il 18 giugno 1958 Zavattini fa notare a Gamboa che siccome, a detta del produttore Barbachano, è iniziata la lavorazione di México mío, ora serve un nuovo contratto che gli consenta di assistere al montaggio in Messico, ma non riceve nessuna risposta, né da Gamboa né da Barbachano.432 È questa la piega degli eventi: il silenzio sostituisce il dialogo, tant’è vero che sollecita nuovamente Gamboa il 4 agosto, insistendo che egli sia tenuto al corrente del lavoro, avendo ricevuto solo una cartolina da Cannes di Barbachano con la notizia che stava per iniziare «il Festival México mío».433 Passano ancora dei mesi. Finalmente, nell’ottobre del 1958, scopre che la lavorazione si è limitata in effetti, a solo 300 metri di girato (del mercato di Oaxaca).434 Eppure a Roma Zavattini ha trascorso tre lunghe serate con Barbachano a parlare del film e il produttore sembrava ancora entusiasta e convinto che bastasse un lavoro intensivo e concreto per completare l’opera.435 Ma a Zavattini non convince il nuovo materiale dei messicani. Reagisce con delle dure critiche espresse a voce a Barbachano. Zavattini assicura Velo che Barbachano è d’accordo con lui. Ecco il problema di fondo: non solo o non tanto la disponibilità limitata del regista o del produttore, ma la questione strutturale. Infatti, per quanto le ricerche dei collaboratori Bermúdez e Fernández siano «molto buone», ora si tratta di unire il materiale con uno stile cinemamessicano, 1955-1957” ACZ E 6/2, c. 36v. Inedito. 431. Nelli, Intervista per Arte del Cinema, 3 ottobre 1957, ACZ E 7/4, c. 5. 432. Lettera di Zavattini a Gamboa, 18 giugno 1958, in Cartas a México, 126. 433. Lettera di Zavattini a Gamboa, 4 agosto 1958, in Cartas a México, 132. 434. Lettera di Zavattini a Velo, 2 ottobre 1958, in Cartas a México, 132-133. 435. ibidem, 132.

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tografico adeguato; lavoro a cui Zavattini è disposto a contribuire.436 Intanto, manda a Barbachano una scaletta. Ripete ciò che aveva detto nelle riunioni messicane: occorre trasformare del materiale contestuale, dati, fatti e persone in una forma coerente. Lungi dall’essere arrivati ad uno stadio avanzato, si è solo all’inizio del progetto. Si tratta di drammatizzare il tema.437 Ma per drammatizzare il tema, bisogna viverlo o riviverlo in prima persona, come aveva fatto Zavattini. Per come vanno le cose, l’esperienza del pedinamento di Zavattini e Gamboa non si riversa nel trattamento triviale dei messicani, ridotto a raccontini isolati e decine e decine di brevi inquadrature di feste, monumenti e panorami maestosi. Il 5 ottobre 1958, Zavattini aspetta Velo a Roma per lavorare ancora sul progetto e propone di fare «un montaggio preventivo» per dare una forma, un ordine a questo materiale smisurato. Tenendo conto della sceneggiatura di Velo, un cumulo di notizie generali sul Messico, fa notare che si rischia di annullare le qualità spettacolari del film, qualità che renderebbe il film più umano e originale. Il progetto continua ad affossarsi negli stereotipi esotici di film di viaggio convenzionali. Per evitare questo pericolo, Zavattini insiste che alla base del film ci debba essere una visione generale e che tutti i particolari, tutti i momenti, gli eventi, per quanto piccoli che siano, sono in funzione di questa visione generale. Per questo, Zavattini insiste a dare al film una struttura portante imperniata sull’arco di tempo di una giornata, in cui la vita dell’uomo e della terra si fondano, con nascite, morti, lotta per il cibo, salute, per la casa. Si rende conto delle difficoltà di carattere politico-commerciale che un film del genere potrebbe incontrare, ma bisogna evitare di presentare un Messico che abbia solo lati celebrativi, riducendo il film a un dépliant turistico o di propaganda.438 Gli ricorda che l’assunto iniziale e fondamentale a tutto il progetto era quello di evitare stereotipi, idee preconcette, personaggi idealizzati che poco avessero in comune con gli abitanti del paese. Il 29 ottobre Velo manda ben 70 sequenze: confessa la sua difficoltà nel collegare lavoro e mercati folkloristici, forse perché insiste a limitare la narrazione a dei raccontini isolati, piuttosto che articolare le immagini, mantenendo un filo narrativo più o meno continuo che animi le sequenze di cartoline turistiche, fin troppo numerose, come Velo stesso è disposto ad ammettere. Intanto nelle sale messicane viene proiettato La muraglia 436. ibidem, 132. 437. Lettera di Zavattini a Barbachano, 5 ottobre 1958, in Cartas a México, 133. 438. Lettera di Zavattini a Velo, 5 ottobre 1958, in Cartas a México, 134.

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cinese (1958) di Carlo Lizzani che Velo considera importante solo nella misura in cui segue la falsariga zavattiniana di Italia mia.439 Il documentario sulla Cina, almeno in apparenza assomiglia al progetto México mío: «il soggetto è una cosa relativa», scrive Lizzani nel suo diario che cerca di difendere il destino del suo documentario; «non si tratta di un soggetto, ma di un impasto di idee».440 Zavattini è d’accordo con Velo nel non voler fare un México mío come La muraglia cinese che segue una linea troppo folkloristica e priva di un fondamento etico e sociale, in quanto, secondo Zavattini, le contraddizioni del paese sono state ignorate.441 Lizzani si è scontrato con lo stesso problema ideologico: quello di mettere al primo posto un’immagine ideale. Infatti, allo Studio Centrale Documentari Pechino premeva soprattutto: «dare all’Occidente una buona immagine della Cina».442 Velo e Zavattini sono d’accordo, ma il loro assenso non si estende al film messicano. Il 5 novembre Zavattini invita Velo a un incontro faccia a faccia per sbloccare il film, ma non se ne fa nulla.443 Il 27 novembre Velo gli invia altre 55 sequenze. Insieme a Barbachano, hanno tentato di rimediare alla perdita di forma, l’eccesso di montaggi, e la poca chiarezza. In chiusura, il tono di Velo è difensivo: ci sono troppe sequenze perché Barbachano aveva suggerito all’inizio un film di tre ore.444 Ciononostante, rimane il fatto che Carlos Velo e la Teleproducciones di Barbachano Ponce che lo impiega, non sanno rinunciare ad una visione enciclopedica, piuttosto che critica del Messico. Il 13 dicembre 1958, nel suo Diario, compare l’ultimo barlume di speranza sul soggetto México mío. «Pare che fra due mesi Carlos Velo comincerà a girare questo lungo film».445 Per l’ultima volta, Zavattini riassume il concetto fondamentale del film, ispirato da una teoria di cinema che anticipa il vessillo del cinéma vérité, impugnato dall’antropologo Jean Rouch e Edgar Morin per il loro film Chronique d’un eté (1960). Zavattini annuncia: 439. Lettera di Velo a Zavattini, 29 ottobre 1958, in Cartas a México, 137-139. 440. Carlo Lizzani, Attraverso il Novecento, Roma: Edizioni Bianco e Nero, 1998, 77; 73. 441. Lettera di Zavattini a Barbachano e Velo, 23 febbraio 1959, in Cartas a México, 144. Bisogna comunque tenere conto delle resistenze censorie del governo cinese, rappresentato dallo Studio Centrale Documentari Pechino che trapelano dal diario di Lizzani succitato. 442. Carlo Lizzani, Attraverso il Novecento, Roma: Edizioni Bianco e Nero, 1998, 83. 443. Lettera di Zavattini a Velo, 5 novembre 1958, in Cartas a México, 140. 444. Lettera di Velo a Zavattini, 27 novembre 1958, in Cartas a México, 141-142. 445. Zavattini, “13 dicembre 1958”, in Diario cinematografico, a cura di Valentina Fortichiari, Milano: Bompiani, 2002, 411-412.

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A Barbachano, a Carlos Velo, ai loro collaboratori, che con lume e pazienza stanno annotando minuto per minuto, veramente minuto per minuto, la vita dei loro connazionali nel corso di una giornata a Tehuantepec, come a Ciudad Juarez o a Oaxaca, a loro e a me premerebbe dare notizia del Messico in modo che si senta che vi si incrociano tanti essenziali problemi moderni. Si potrà dire che questo avviene ormai in parecchie parti del mondo, ma il Messico ha la pelle molto scoperta, un orgoglio, in apparenza soltanto spagnolesco, ma in realtà profondo e spiritualmente inquietissimo col quale balza dal passato al presente e viceversa cercando una unità dove finiscono quei medioevi di cui i latini conservano vistose tracce. Là si vedono in mezzo a una fiera natura il tipico buono e il tipico cattivo, il tipico ricco e il tipico povero, il tipico ingiusto e il tipico giusto, e tale assolutezza ha le sue immagini; la storia, insomma, è diventata faccia, albero, linea, gesto.446

In quel Messico che «balza dal passato al presente e viceversa cercando una unità», ecco lo jetztzeist, tentato da Zavattini nella prassi cinematografica, unione di teoria e pratica, e teorizzato da Walter Benjamin nelle sue Tesi sulla filosofia della storia, il tempo di ora, la storia, il momento passato rifatto presente, riconosciuto e non ignorato, possibile chiave per la redenzione intesa come emancipazione. Infine, quando, il 10 giugno del 1959, Zavattini propone di nuovo Giuseppe De Santis in qualità di regista per i progetti cubani e messicani, prende atto dell’incapacità, in ultima analisi, di Carlos Velo.447 Ma il fatto che egli non riceva nessuna risposta, è una risposta eloquente. Qualcuno ha deciso che il progetto non si farà, ma nessuno è disposto ad ammetterlo pubblicamente.

2.33 México mío-Barbachano «Quando si interruppe il lavoro», osserva Alfredo Guevara nel 2002, «pensammo che era un’interruzione solo temporanea». Secondo lui, la mancata realizzazione dei soggetti di Zavattini si deve al fatto che Barbachano si proponeva di «rinnovare solo in apparenza il cinema messicano, evitando qualsiasi rottura delle formule sclerotizzate. Raccolse intorno a sé figure di primo piano dell’ambiente culturale messicano, inclusi repubblicani spagnoli in esilio».448 Intervistato negli 446. Zavattini, “13 dicembre 1958”, in Diario cinematografico, a cura di Valentina Fortichiari, Milano: Bompiani, 2002, 411-412. 447. Lettera di Zavattini a Barbachano, 1 giugno 1959, in Cartas a México, 148. 448. La citazione è tradotta da Alfredo Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón

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anni Ottanta, il produttore, di contro, affermava di non capire per quale ragione México mío non si fece: Io lo farei oggi México mío; continuo a credere che sia una gran pellicola, basterebbe realizzarla. Nonostante tutto, rimane valida l’idea di abbracciare questo spettro.449

Ma a quale versione di México mío si riferiva il produttore? Non certo quello proposto da Zavattini. In un primo momento, si direbbe che la difficoltà che il progetto presenta ad un regista come Velo sia soprattutto la sua natura sperimentale, cosa che Zavattini aveva fatto notare a De Sica nel 1951 quando acquistò il soggetto di Italia mia: L’esperimento di un cinema che abbia riguardo delle cose di cui viviamo e nelle quali viviamo ed evada da una immaginazione che è sempre un poco “torre d’avorio”. In altre parole, dando affidamento alle cose, facendole cioè divenire soggetto, è possibile udire il “grido della realtà”.450

Dal carteggio fra Carlos Velo e Zavattini, e in base al materiale di lavorazione, a parte le pressioni esterne del produttore e le differenze di veduta di carattere prettamente ideologico, Velo ha difficoltà a gestire un progetto che resiste l’iter del copione. Questa sua caratteristica risale a Italia mia, definito come «un film radicalmente senza soggetto».451 Il sogno consiste nel creare un film senza soggetto che sappia ridurre «al minimo lo spazio fra la vita e lo spettacolo, perché credo che la vita ha già, in sé, un suo poetico moto e una sua meravigliosa energia»; «raccontare ciò che sta accadendo».452 Una proposta del genere sarebbe forse realizzabile solo nel ventunesimo secolo. Zavattini aveva conosciuto il Messico più dell’Italia che non aveva mai attraversato in lungo e in largo. La macchina da presa è fatta per guardare davanti a sé [...] Il tempo è maturo per buttare via i copioni e per pedinare gli uomini con la macchina da presa.453 de la verdad. 449. Manuel Barbachano, in: Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 130. 450. Zavattini intervistato da Pasquale Festa Camanile, “Il cinema, Zavattini e la realtà”, La Fiera Letteraria, 9 dicembre 1951, ora in Zavattini, Cinema, 702-705. 451. Stesura di Italia mia del 15 aprile 1952, citato in Uomo, vieni fuori!, 158. 452. Zavattini intervistato da Pasquale Festa Campanile, “Il cinema, Zavattini e la realtà”, La Fiera Letteraria, 9 dicembre 1951, ora in Zavattini, Cinema, 702-705. 453. ibidem.

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Cosa dicono i messicani di México mío, oggetto di tante riunioni, e di almeno tre soggetti, progetto mai ultimato? Il produttore della Teleproducciones, Barbachano Ponce ammette, da parte sua, che, piuttosto che portare a termine México mío, preferì concentrare le risorse e gli stabilimenti di Teleproducciones sulla lavorazione di un altro documentario, ¡Torero! che era ad uno stato più avanzato. In ogni caso, i suoi stabilimenti e strutture non consentivano di realizzare due lungometraggi allo stesso tempo, oltre ai cortometraggi in programma che costituivano la maggior fonte di guadagno.454 Ammesso e concesso che siano andate così le cose, Barbachano non spiega però, come, anche dopo l’ultimazione di ¡Torero!, Barbachano decise di produrre un film di Buñuel, Nazarín (1959), rimandando per l’ennesima volta México mío. Benché Barbachano non lo dica a chiare lettere, una scelta precisa la compie nel momento in cui decise di dedicare tutto il tempo che non veniva assorbito dal lavoro meno sperimentale dei documentari nelle mani dello specialista Velo, al regista Buñuel, già affermato in Messico nel suo cinema d’arte, e una carta sicura, dato che aveva riscosso successo coi suoi film messicani indipendentemente da Barbachano Teleproducciones. Barbachano addita invece le strutture insufficienti. In ultima analisi, finisce per scartare del tutto il film, sciogliendo il contratto e cedendo al regista Velo i diritti, ma anche i rischi commerciali per un film sperimentale che non aveva voluto addossarsi. «È tuo, Carlos Velo; se un giorno vuoi fare México mío, lo puoi fare», gli disse.455 Fernando Gamboa non si sbilancia: «per cause diverse», dirà. In questo, Velo si distingue, tentando due spiegazioni diverse e due risposte: se effettivamente il progetto non divenne mai un film, una ragione potrebbe essere la struttura: infatti, secondo lui, ci sarebbero volute cinque ore come minimo per rappresentare il Messico a tutto tondo. Nell’intervista concessa negli anni Ottanta, a differenza di quanto esprimeva nel carteggio con Zavattini, Carlos Velo dimostra di aver apprezzato e valorizzato l’approccio di Zavattini, rispetto alla televisione messicana dell’epoca, che, secondo lui, se fece qualcosa in questo senso (intervistare testimoni della storia della cacciata delle multinazionali petrolifere), lo fece «in modo disordinato, un po’ caotico e senza articolazione».456 Il giudizio di Velo è una testimonianza precisa che si basa sul loro lavoro in collaborazione. Al regista non sfugge che è soprattutto la tematica del lavoro che interessa a Zavattini e che il resto è solo «il rove454. Barbachano, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 133. 455. ibidem, 156. 456. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 150.

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scio della medaglia». Comprende anche come Zavattini abbia visto ciò che univa molti aspetti di vita messicana: «le cose sempre insieme alle altre cose». Non gli sfugge, a scanso di equivoci, che non si tratta di un film folkloristico imperniato sulla «meraviglia». L’accusa di sentimentalismo, secondo Velo, è infondata. Lavorandoci a fianco, il regista messicano arrivò alla conclusione che la sua empatia per gli altri non andava interpretata come un sentimento di natura religiosa.457 Velo dimostra una grande sensibilità critica per come distingue tra carattere (particolare) e visione d’insieme (generale), fra sentimentalismo e atteggiamento di ascolto, di curiosità, di apertura verso gli altri. Il suo atteggiamento di ascolto Velo lo notava appunto osservando come lavorasse, conducendo inchieste sul come e dove lavorasse la gente, annotando tutto quello che riteneva interessante nel taccuino, perfino quando gli si parlava, appunti brevi, sintetici, che poi, in un secondo momento, venivano elaborati in una visione d’insieme.458 Velo si rende conto che alla base della scrittura di Zavattini in Messico c’è il «cuentecito», il raccontino, «una piccola narrazione fugace, condensata che dica molto in poche parole».459 E cita a memoria Zavattini che gli diceva: «un raccontino si fa con un’inchiesta quasi etnografica: cosa dice la gente? Di cosa parla? Quali sono le sue preoccupazioni?» Tornando a come Velo si proponeva di strutturare México mío, si direbbe che Velo aveva incasellato i raccontini a parte, non facenti parte di una visione d’insieme, ma dividendo il copione in immaginicartolina, voce fuori campo e raccontini. Senza dubbio, all’atto pratico influiva la differenza di priorità ideologiche che contribuivano a creare una tensione inconciliabile fra visione esotica e esaltazione della nazione e visione critica ed etnografica, su base documentaria. Comunque, il valore del raccontino come unità di racconto minimo, lo coglie Alfredo Guevara, altro testimone oculare, che aveva lavorato a fianco di Zavattini a Cuba nel 1955 e nel Messico nel 1957 e che lavorerà con lui per quasi tre mesi dopo la Rivoluzione cubana. Guevara ravvisa nel raccontino quello stesso gusto per la miniatura che induceva Zavattini a mettere insieme una raccolta di quadri «minimi» (la sua famosa collezione di 8x10): Tradotto in termini cinematografici, questo gusto per l’arte visiva lo informava e ciò aiuta a capire meglio l’affetto e l’attrattiva dei raccontini, 457. ibidem, 134-135. 458. ibidem, 142. 459. ibidem, 150.

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questa piccola narrazione del dettaglio, dell’istante, che può essere talmente sottile e alcune volte assai significativo.460

Velo si è forse dimenticato la propria riluttanza a sintetizzare e il fatto che c’erano due lunghezze prospettate: un’ora e mezzo e tre ore e che egli, pur di non tagliare la quantità ingente di materiale, aveva consigliato di optare per le tre ore. Velo aveva rifiutato l’approccio opposto, quello selettivo, tentando di coglierne solo gli aspetti considerati come i più sintomatici, perché questo comportava semplificazioni in un film di durata normale di novanta minuti che avrebbero tradito la complessità della vita quotidiana, della cultura e storia del paese. C’era inoltre, secondo Velo, il problema di articolare la struttura dei raccontini in film. In altre parole, trovare un raccordo fra il frammento, l’osservazione, l’aneddoto e l’insieme della pellicola; collegare il «cuentecito» al fatto storico, l’elemento documentario, o la storia orale raccontata dai messicani incontrati. Barbachano aveva consigliato di far scrivere i raccontini a scrittori messicani, creando così un’ulteriore spaccatura fra fatto e racconto che Zavattini aveva voluto evitare in ogni modo, spaccatura che proprio gli schemi di Velo avevano creato. Ma i problemi di ideologie contrastanti si accavallano a quelli strutturali di cui parla Velo. Infatti, il metodo zavattiniano del «cuentecito» Carlos Velo lo aveva saputo applicare molto bene nel caso di ¡Torero! Quindi, bisogna pensare che non si tratta tanto di un problema tecnico, ma di conflitto polarizzato fra due scelte opposte nell’impostazione generale: o film celebrativo, patriottico e spettacolare che riaffermasse il mito e le mitologie del Messico, o film concreto, in cui il controcampo del paesaggio spettacolare è la popolazione fatta di individui con tanto di nome e cognome e situazioni reali. O per un motivo o per un altro, oppure per una combinazione di problemi ideologici e strutturali, il progetto è un progetto impossibile: un México mío che Velo, oltretutto, non si sentiva in grado di realizzare, essendo a sua detta, più montatore che regista, e avendo una maggiore dimestichezza nel montare le immagini dei film documentari di montaggio che non visualizzare, da regista, il testo di uno scrittore di cinema: cioè articolare le immagini in racconto minimo, fatto di momenti zavattiniani o brevi episodi. Ha l’umiltà di chiedersi se il progetto superasse le sue competenze, sia nel visualizzare un testo, sia nello scrivere una sceneggiatura adeguata.461 460. Guevara, “Ese poeta que andaba por el mundo”, in Guevara e Zavattini, Ese diamantino corazón de la verdad, 287-296. 461. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 154.

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In ogni caso, questo nuovo documentario che prende spunto dal Neo-realismo storico, non è realizzabile senza la presenza del soggetto che osserva, riflette, interagisce col paese, che sia il Messico, l’Italia o Cuba non fa differenza. Ecco quindi un’altra difficoltà, contenuta in questa domanda: per Italia mia si intende l’Italia di Zavattini, ma a quale sguardo apparterrebbe il Messico di México mío? Quello di Zavattini? Di Velo e Barbachano? Di Gamboa? È una insanabile contraddizione tra rappresentazione ideale e generale in base a degli stereotipi della borghesia messicana e rappresentazione soggettiva da un punto di vista comunista e internazionalista, di un paese diviso economicamente e socialmente, visione che in Zavattini si fonda sulla ricerca di stampo etnografico, rispetto ad una visione borghese e subalterna. In quinto luogo, un’ulteriore difficoltà consiste nel fatto che il film sia personale, diaristico come viene indicato già da quel “mio” del titolo, elemento accolto dal film sul torero messicano, ma assolutamente scartato per México mío. Nell’adattamento messicano della sceneggiatura di Carlos Velo, si perde quel senso personale e diaristico del soggetto originale e delle seguenti redazioni. Nella sua esperienza tangibile del Messico, fenomenologica in quanto tutta calata nella realtà empirica vissuta in prima persona, Zavattini rivive quell’Italia mia che aveva descritto come: «un film senza copione, ma che si crei di volta in volta immediatamente per mezzo dei nostri orecchi e dei nostri occhi a contatto diretto con la realtà».462 La sua esperienza fisica, sensuale, di tatto, di vista, sensazioni, oltre a idee, storia e conversazioni, egli la sa tradurre in testo letterario, personale e pubblico al contempo, pubblicato in Cinema Nuovo. Ed è da quel testo, forse che Velo sarebbe dovuto partire, per coglierne l’elemento personale. Sin dal 1951, molto prima del 1955, dunque, quando inizia il percorso messicano di México mío, nel suo confrontarsi prima con De Sica, poi con Rossellini, Zavattini aveva elaborato la natura del progetto che già in partenza era caratterizzato da una spiccata dimensione personale: «È un film che trova la sua realizzazione in loco, in base alla capacità di chi vi pone mano». In altre parole, per un progetto del genere, la scelta del regista è fondamentale, data la natura sperimentale del progetto, e delle sue altre peculiarità.463 Un’altra difficoltà riguarda la scelta del regista che sappia interpretare idee del genere, che lavori sul filo del documentario in modo del tutto sperimentale, il che non coincide col profilo professionale di Carlos Velo. Ci sarebbe riuscito Ermanno Olmi che in questi anni trae ispirazione dal 462. Lettera a De Sica, 10 ottobre 1951, citata in Uomo, vieni fuori!, 157. 463. Stesura di Italia mia del 15 aprile 1952, citato in Uomo, vieni fuori!, 159.

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filone zavattiniano dei film Neo-realisti per realizzare i film per la Edison Volta o un Vittorio De Seta che proprio in questi anni riesce a cogliere l’afflato della vita del paese nei suoi momenti passeggeri, la caccia al pesce spada, il giorno di festa e che dimostra di avere una certa affinità con la confabulazione diaristica di Zavattini, in bilico fra il personale e l’universale, il momento presente e il momento che si perde nel tempo. Ci sarebbe riuscito, forse, Giuseppe De Santis o Benito Alazraki. Ci sarebbe riuscito il regista di Matra Bhumi (1958), Roberto Rossellini che proprio in questi anni lavora ad un film simile sull’India, combinando documentario con improvvisazione e racconto che sicuramente qualcosa deve ad Italia mia. Parafrasando la seconda stesura del soggetto, il regista che prenderà in mano questo progetto, dovrà essere in grado di scoprire un paese non preconcetto, ma constatato, dovrà sapere vivere veramente a contatto con la gente, per ottenerne un motivo, un gesto; sintetizzare una quantità enorme di materiale raccolto; cucirlo insieme solo nel momento cruciale del montaggio. Ma è un fatto che Carlos Velo non accompagnò Zavattini nei viaggi messicani. Non aveva condiviso le esperienze di Zavattini, quindi Velo non sapeva che cosa volesse dire pedinare. Ma nella teoria zavattiniana invece, anche il regista deve conoscere in profondità il paese di cui vuole realizzare un ritratto che non sia solo idealizzato, ma autentico. Nel caso il progetto fosse andato in porto con De Sica o Rossellini, Zavattini avrebbe pedinato l’Italia insieme al regista. Ma Velo si aspetta un copione ben definito, nonostante il fatto che il contratto non lo specifichi. Non ha tempo di pedinare il Messico. Si aspetta di realizzare con le immagini un progetto completo, chiarito in ogni dettaglio. Si aspetta che le ricerche dei collaboratori, dei giovani scrittori messicani che vanno raccogliendo materiale sul Messico si possa tradurre in sequenze cinematografiche. Ma neanche loro pensano di pedinare il paese. Lo cercano piuttosto nei libri. Eppure Zavattini era partito dall’idea che bisognava inoltrarsi nei luoghi, nelle persone e conoscere a tu per tu gli interessi della gente. Scriverà in una lettera: Solo dopo aver visto e aver udito si ‹sarebbe potuto›464 con diritto far nascere dei racconti. Anzi il vedere e l’udire era forse il nuovo racconto che si profilava all’orizzonte. L’andare da un punto all’altro era già il grande dono offerto da una tipica necessità del cinema.465 464. Correzione del testo potessero 465. Lettera di Zavattini a Giorgio N. Fenin, 26 marzo 1958, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 255-258.

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Un ultimo riferimento di Zavattini a México mío lo si trova in una comunicazione privata rivolta ad un regista indipendente statunitense, in cui lo sceneggiatore ricorda a distanza di molti anni «lo straordinario, esaltante episodio del 1938 che fu la liberazione del petrolio dalle compagnie straniere. Il progetto andò a monte purtroppo per la esasperata suscettibilità nazionalistica che coinvolge tutti, di ogni colore».466 Non furono i problemi tecnici ad impedire il progetto ma l’autocensura della casa di produzione.

2.34 Machismo e Braceros Ancora una volta occorre riconoscere che Zavattini non si arrende mai. Nel marzo del 1958, manda a Teleproducciones un ulteriore soggetto messicano che tratta del machismo, tipico fenomeno messicano e, per questo, tasto delicatissimo.467 I protagonisti sono due novelli sposi. Piuttosto che passare la prima notte con la moglie, il marito esce con gli amici e torna la mattina del giorno dopo per trovare la sposa che si è suicidata. «Con una storia così si può fare anche un film», secondo Zavattini.468 Ma se ne ricaverà al massimo un episodio di 700-900 metri, equivalenti a mezz’ora circa.469 Lo spunto iniziale glielo ha dato la moglie di Alazraki, Laura Alazraki. Scrive nel taccuino: «Laura mi racconta di quel messicano che la prima notte di nozze è uscito con gli amici per dimostrare alla donna dal primo giorno che lui porta i calzoni. (Mi pare un film contro il machismo)».470 Non dà un titolo a questo soggetto, ma potrebbe essere Breve storia d’amore, giacché Zavattini scrive: «Ho pensato alla breve storia d’amore di cui lei avrebbe bisogno e mi sembra che quella a cui 466. ibidem. 467. Il curatore Orio Caldiron confonde questo soggetto con México mío, sulla scia di Silvano Cirillo che lo include fra le cosiddette «Lettere programmatiche». Zavattini, “Mexico mio”, in Uomo, vieni fuori! Soggetti per il cinema editi e inediti, a cura di Orio Caldiron, Roma: Bulzoni, 2006, 357-361. Cirillo, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, a cura di Silvana Cirillo, 416-420 e tradotta dall’italiano in spagnolo in Cartas a México, 122-125. 468. Lettera di Zavattini a Manuel Barbachano, 16 marzo 1958, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 420. 469. ibidem. 470. Zavattini, Taccuini di appunti relativi al viaggio in Messico, “Primo taccuino. Dalla mia partenza da Roma al 4/7/55”, ACZ E 6/1, c. 32r. Zavattini, “Appunti per la conferenza sul Messico”, ACZ E 63, c. 1-53.

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ho accennato sia buona e oggi gliela racconto di nuovo con un finale che la mette ancora più a fuoco»).471 L’altro soggetto riguarda i Braceros, i tanti operai messicani costretti ad emigrare in Nord America per trovare lavoro, che Zavattini aveva visto di persona e che aveva incluso nei soggetti e trattamenti messicani. Guillerma, la protagonista, compie migliaia di chilometri per riunirsi col marito Juan che nel frattempo si è sposato con Mary. Questa tragica storia d’amore racchiude drammaticamente la vicenda dei Braceros ed è stata scambiata per México mío, ma il soggetto non corrisponde al vasto progetto così nominato, il cui soggetto si pubblica nella Seconda Parte e di cui abbiamo esposto tutta l’evoluzione creativa.

2.35 Oscar Lewis, I Figli di Sánchez Nonostante anni di lavoro, discussioni, e le molte proposte brillanti, il lavoro di Zavattini in Messico non arriva mai sullo schermo, eccezion fatta per ¡Torero!, film tipicamente zavattinano secondo Atienza. Come si è visto, México mío diventa il campo di battaglia di una guerra di posizione che si conclude nel silenzio. Il 22 novembre del 1960 Zavattini non se la sente di rivolgersi direttamente a Barbachano per avere notizie dell’eventuale lavorazione, ma prega Alfredo Guevara di fare da intermediario: Se vai al Messico, salutami Barbachano, e digli che sarei stato felice di sapere da lui e d‹a›ll’amico Velo qualche cosa sui vecchi progetti anche se sotterrati per sempre.472

La Rivoluzione cubana segna una cesura nei rapporti con Teleproducciones e la fine di tutti i progetti in cantiere. Eppure, Zavattini realizzerà un film nel Messico. Ci ritorna nel 1971 per eseguire un sopralluogo per la sceneggiatura di un libro fondamentale della letteratura testimoniale, che girerà Hall Bartlett, regista indipendente nord-americano, che aveva girato Navajo, Unchained, All the Young Men e The Caretakers. A Bartlett interessava The Children of Sánchez, Autobiography of a Mexican Family (1961) di Oscar Lewis (1914-1970), un antropologo americano che aveva studiato a lungo la vita del subalterno in Messico e pubblicato lo studio pionieristico Life in a Mexican Village 471. Lettera di Zavattini a Manuel Barbachano, 16 marzo 1958, in Zavattini, Una, cento, mille lettere, 416-417. 472. Lettera di Zavattini a Guevara, 22 novembre 1960, ACZ E 2/4, c. 24-25.

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(1951). Pioniere della cosiddetta community anthropology americana, da dieci anni Lewis passava tutte le estati a Città del Messico, per ascoltare e registrare le voci della gente, cogliendo di prima mano atteggiamenti, costumi e credenze delle comunità messicane. I figli di Sánchez è esemplare per il modo in cui presenta i fatti della miseria in un’accusa tanto esplicita quanto pacata, rivolta ai tanti governi messicani, governi che cambiano solo presidente in un sistema a partito unico – il pri (Partido Revolucionario Institucional) – sin dai tempi della Rivoluzione, sistema che rimarrà tale fino al 2000. Il libro contiene la testimonianza corale di una famiglia intera studiata dall’antropologo nel corso di un decennio. Entrato in confidenza con i membri della famiglia, Lewis si fa raccontare le loro storie, i loro rapporti, la loro miseria nonché i loro tentativi per uscirne. Il libro si divide in due parti in cui ricordi e testimonianze di ogni membro della famiglia si succedono. Parlano della loro infanzia nella prima parte e della loro vita di adulti nella seconda.473 Un noto risultato della ricerca di Lewis fu la teoria della «cultura della povertà» o della sottocultura, secondo cui, nell’ambito familiare e sociale del subalterno, si ripete la stessa condizione sociale in generazioni successive, fenomeno che, secondo l’antropologo, dipende da motivi culturali di assoggettamento non solo economico, ma anche psicologico.474 Negli ambienti scientifici, il concetto di «cultura della povertà» è stato criticato e a lungo frainteso, perché ha tutta l’apparenza di costituire un argomento a favore dell’idea che la miseria sia inevitabile (quando in realtà anticipa la teoria dell’habitus di Pierre Bourdieu).475 Per quanto riguarda Zavattini, l’aspetto più interessante e originale del lavoro di Lewis è la trasformazione delle interviste in testo letterario, un nuovo tipo di romanzo raccontato direttamente dai soggetti interpellati, in cui l’intervento dell’autore è ridotto al minimo. Una novità assoluta all’epoca. Questa forma del romanzo è sia storico che diaristico: consiste in una serie di racconti individuali in prima persona, mai interrotto dalla voce di Lewis. Ognuno dei membri della famiglia racconta la propria vita all’autore che si limita ad organizzare cronologicamente le testimonianze dei famigliari e decidere l’ordine dei loro ricordi. Quindi tutto quello 473. Argentina Brunetti, “Con Cesare Zavattini. Ricognizione in Messico per I figli di Sanchez”, Il Progresso Italo-americano, domenica 9 gennaio 1972. 474. Oscar Lewis, “Culture of Poverty”, in Moynihan, Daniel P., On Understanding Poverty: Perspectives from the Social Sciences, New York: Basic Books 1969, 187–220. 475. L’ambiente di formazione culturale secondo Bourdieu ha un peso determinante per apprendimento e inserimento sociale dell’individuo. Pierre Bourdieu, Outline of a Theory of Practice, tradotto da R. Nice, Cambridge: Cambridge University Press, 1977.

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che è discorso diretto proviene dalle interviste. Non che Zavattini non conoscesse simili esperimenti. In Italia, negli anni Cinquanta, i libri dell’etnografo Danilo Dolci sono anch’essi testi letterari su base documentaria. Zavattini conosceva bene sia Dolci che i suoi testi derivati dalle interviste. “Borgo di Dio”, uno dei fotodocumentari di Cinema Nuovo pubblicato nel 1955 riportava testimonianze della comunità di Dolci, a Trappeto, in Sicilia.476

2.36 L’adattamento Il 18 settembre 1971 Zavattini risponde all’invito di Bartlett. Scriverà volentieri la sceneggiatura, in base alla traduzione italiana di The Children of Sánchez che secondo lui ha appiattito o reso omogenee le singole confessioni.477 Zavattini non conosce l’inglese, ma ha ragione e si capisce il motivo: anche The Children of Sánchez è tradotto dallo spagnolo e la traduzione rende in un inglese omogeneo medio borghese lo spagnolo. La versione italiana in realtà corrisponde a quella inglese traduzione anch’essa e versione già appiattita. Eppure, la ricerca sul campo di Lewis è congeniale al pensiero di Zavattini, giacché rispecchia molti aspetti della sua prassi letteraria e cinematografica: dal pedinamento etnografico alla poetica del quotidiano; dalla forma diaristica della microstoria individuale alla condivisione ed empatia col soggetto interpellato: non può non attrarlo un libro che assomiglia ad un diario, che raccoglie i diversi punti di vista all’interno della famiglia Sánchez e che si fonda sullo stesso principio etnografico dell’inchiesta che Zavattini aveva teorizzato e praticato sin dagli anni Quaranta, raffinato durante il suo secondo soggiorno messicano. Ecco le sue impressioni: Ci si trova in un vero e proprio girone infernale, che risuona senza tregua di urla, pianti, invocazioni, vagiti, lamenti funebri, maledizioni, preghiere, insomma di tutto il campionario più fitto e assillante, contraddittorio e anche misterioso, della condizione umana che, nel Messico, ha una sua particolare figurazione, però dovrebbe provocare negli spettatori di qualsiasi razza tremendi processi di identificazione. In altre parole, è una chiamata in causa di correo, caro avvocato.478 476. Michele Gandin, “Borgo di Dio”, in I fotodocumentari di Cinema Nuovo, Milano: Cinema Nuovo, 1955, 458-464. 477. Lettera di Zavattini a Massimo Ferrara, 18 settembre 1971, ACZ Corr. 69/3, c. 1-2. 478. ibidem.

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Nel rivolgersi a Zavattini, Bartlett sceglie uno sceneggiatore che conosce bene il paese, che vi ha condotto inchieste e ha avuto contatti con moltissimi messicani, provenienti da ogni ceto sociale. I figli di Sánchez riapre un capitolo della sua vita che sembrava chiuso, dopo le tante ambiguità nei confronti dei molti progetti proposti al produttore della Teleproducciones. In fondo, il Messico del 1971 non è poi così cambiato rispetto al paese del romanzo pubblicato nel 1961. Tutto sommato, la Rivoluzione messicana è stata appropriata dalla borghesia, mentre le contraddizioni all’interno del paese rimangono; la miseria è tanto attuale ora come allora. «Alla prima lettura mi sono trovato in un labirinto; la mole della materia, così capillarmente espresso dalle cinque autobiografie, faceva pensare a un film a puntate, di lunghezza abnorme».479 Ma in un secondo momento, Zavattini immagina un racconto che abbraccia solo gli ultimi anni della vita dei Sánchez, quando le tensioni diventano «incandescenti».480 A dieci anni dalla pubblicazione del libro di Lewis, Zavattini vuole accertarsi che la miseria a Città del Messico è rimasta tale. Poco prima di Natale del 1971, Zavattini, in compagnia del regista Hall Bartlett, dell’attore Anthony Quinn, che aveva interpretato Zampanò ne La strada di Fellini, e dell’interprete Argentina Brunetti, si reca in Messico per incontrare la vera famiglia Sánchez. «Nulla è cambiato da allora!» osserva Brunetti. «Come se il tempo si fosse rimasto fermo!».481 Quando entrano nella stanza di uno squallido appartamento, lasciano alle loro spalle le decorazioni sgargianti e l’euforia natalizia della metropoli, per conoscere in carne ed ossa la famiglia messicana. Sembrano personaggi irreali, ma in realtà solo il cognome Sánchez è fittizio. Dietro l’anonimato, si trovano di fronte gli stessi individui che hanno vissuto tutti i fatti raccontati a Oscar Lewis in questo monolocale. Parlano a lungo col padre, i due uomini e le due donne, figli ormai trentenni. «Non c’è lavoro per la gente della nostra classe» dicono. Il padre lavora ancora nello stesso ristorante da trent’anni. Una figlia racconta «Io ho due bambini, e il più delle volte non ho pane per sfamarli e sono tisica!». Zavattini conosce Consuelo, la figlia di Sánchez. Hanno trascorso due serate parlando, con Massimo Ferrara che funge da interprete.482 Per interpretare la parte 479. ibidem. 480. ibidem. 481. “Con Cesare Zavattini. Ricognizione in Messico per I figli di Sanchez”, Il Progresso Italo-americano, Domenica 9 gennaio 1972. 482. Lettera di Zavattini a Bartlett, 29 giugno 1977, ACZ Corr. Bartlett 611, c. 6a. 29 giugno 1977.

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di Consuelo pensano a Sophia Loren.483 Ad interpretare Jesús Sánchez, il capo famiglia, ad Anthony Quinn. I visitatori fanno una colletta e dànno $50 a ciascuno di loro. Una delle figlie vive in un altro quartiere diroccato assieme al marito quarantenne e disoccupato e otto figli. Entro il 27 marzo del 1972, si parla della post-sceneggiatura da farsi a Los Angeles.484 Il 14 aprile del 1972 arriva a Los Angeles alle 20.20 per lavorare a fianco del regista.485 Trascorrono cinquanta giorni a lavorare dieci ore al giorno al copione con Argentina che traduce dall’italiano in inglese e viceversa, per lo sceneggiatore ed il regista.486 Ma Bartlett deve ottenere i finanziamenti necessari per procedere alla lavorazione, il che significa un ritardo di quattro anni.487 Nel settembre del 1976, Bartlett lo invita a lavorare per tre settimane in Città del Messico, con l’aiuto dell’interprete e produttrice Argentina Brunetti per tre ore al giorno.488 «L’intera permanenza in Messico, durante questo periodo, sarà centrata su di te», gli scrive. Bartlett ha seguito l’insegnamento di Zavattini durante gli incontri con la famiglia Sánchez. L’estate precedente vi ha trascorso sette settimane, iniziando a capire la psicologia della gente. Ora vuole che il film sia ambientato nel Messico di oggi, piuttosto che in quello degli anni Cinquanta. La sceneggiatura è troppo lunga; devono tagliare, Bartlett gli scrive. E continua: avrebbe bisogno di 12-15 inimitabili tocchi alla Zavattini. Io non conosco un altro scrittore che sappia creare dei momenti umoristici come fai tu, in situazioni penose, tragiche, disperate, come quella dei Sánchez e dei loro amici. Tu hai un cuore così pieno di compassione e un umorismo così vivido che riesci a creare l’impossibile.489

Bartlett raggiunge un accordo di produzione con la conacine, la casa di produzione messicana dello Stato. Le riprese inizieranno il 24 gennaio 1977 con esterni girati tutti nel Messico e interni negli Studios Churubuseo.490 Sarà l’umorismo di Zavattini che farà accettare al pubblico «la tremenda tragedia dei personaggi e la desolazione dell’am483. Lettera di Zavattini a Bartlett, 27 ottobre 1978, ACZ Corr. Bartlett 611, c. 13. 484. Lettera di Zavattini ad Argentina Brunetti, 27 marzo 1972, ACZ Corr. 69/3, c. 5. 485. Lettera di Zavattini ad Argentina Brunetti, 5 maggio 1972, ACZ Corr. 69/3, c. 6. 486. Lettera di Zavattini a Bartlett, 4 settembre 1979, ACZ Corr. Bartlett 611/14a. 487. Lettera di Hall Bartlett a Zavattini, 25 settembre 1976, ACZ Corr. 69/3, c. 7-8. 488. ibidem, c. 7-8. 489. ibidem, c. 7. 490. “Sceneggiatura di Cesare Zavattini per il film The Children of Sanchez”, Gazzetta di Mantova, martedì 28 dicembre 1976, 11.

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biente», come spera Bartlett? Purtroppo, al pubblico messicano viene negato questo film, censurato per molti anni. Il Messico non è ancora in grado di accettare nel 1977 che si mostri apertamente la divisione netta fra i ceti nel Messico, l’entità della miseria.

2.37 Le tracce di Zavattini Nell’intervista degli anni Ottanta, Carlos Velo riconosce l’influenza di Zavattini sulla cultura messicana, ma senza il minimo accenno alla scrittura del soggetto e la loro collaborazione per ¡Torero!491 Velo è disposto ad ammettere però che lo scrittore italiano avesse contribuito alla formazione di diversi scrittori messicani nella sua bottega messicana: Carlos Fuentes, Elena Poniatowska, Gastón García Cantú, Juan de la Cabada, Pepe Revueltas, che avevano partecipato alle riunioni di fine settimana a casa di Manolo Barbachano Ponce. Il contatto consentì a Zavattini di trasmettere la sua versione del Neo-realismo.492 Certamente, la bottega zavattiniana di impronta Neo-realista incise sulla scrittura di Carlos Fuentes, la cui La región más transparente (1958), esprimeva per la prima volta nella letteratura messicana la denuncia del Messico e altrettanto in La muerte de Artemio Cruz (1962).493 Velo riscontra l’influenza letteraria di Zavattini nella vena dei «raccontini» e anche nella scrittura a frammenti di Cristina Pacheco, i cui romanzi e racconti sono composti di dialoghi condensati che trasmettono il punto di vista delle mogli del popolo, delle domestiche. Per quanto riguarda la Poniatowska, considerata «la scrittrice più significativa della narrativa documentaria», Velo riconosce che in seguito adotta la medesima struttura dei raccontini zavattiniani.494 A ben vedere, effettivamente, da un punto di vista formale, Elena Poniatowska sviluppa uno stile letterario in cui l’estetica del fatto documentario trasposto in testo cinematografico viene applicato al racconto, realizzando un dialogo fra fatto e prosa letteraria, mettendo in pratica anche l’idea del racconto condensato o raccontino zavattiniano. Ma anche da un punto di vista del contenuto, i suoi racconti abbracciano individuo e sociale, fatto particolare 491. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 156. 492. ibidem,140. 493. Gerald Martin, “Latin American Narrative since c. 1920” in The Cambridge History of Latin America, 129-222. 494. Gerald Martin, “Latin American Narrative since c. 1920” in The Cambridge History of Latin America, 129-222. Velo, in Chárraga e Soriano, Cesare Zavattini en México, 157.

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e contesto generale, prendendo di mira l’impatto degli eventi esterni sulla vita della gente. All’inizio della carriera, nel periodo in cui entrava in contatto con Zavattini, Poniatowska scriveva per i giornali messicani El Excelsior e Novedades. Ma il tipo di articolo che pubblicava riguardava soprattutto le celebrità in vista nella società mondana. L’incontro con Zavattini le trasmette la sua estetica dell’urgenza e dell’impegno sociale. Non a caso, da allora in poi, cessò di intervistare personalità di spicco nella cultura messicana, per dedicarsi invece all’aspetto testimoniale di una etnografia militante. Poco più di dieci anni dopo, nel suo libro Hasta no verte, Jesús mío (1969) Jesusa, una lavandaia nata in campagna e vissuta in Città del Messico per oltre quarant’anni, racconta nel linguaggio parlato della classe operaia della Città del Messico, la sua vita e l’esperienza diretta della Rivoluzione, in un arco di tempo che va dalla Rivoluzione messicana allo sviluppo industriale del dopoguerra, abbracciando un’epoca chiave nella storia del Messico.495 Siamo agli antipodi della tipologia nella narrativa lukacsiana del realismo sovietico, nello stesso ordine piuttosto dell’estetica del Neo-realismo letterario e cinematografico. Poggia sul realismo del Neo-realismo, piuttosto che sul realismo sovietico anche La noche de Tlatlolco (1971) che raccoglie le voci della gente per una ricostruzione dettagliata del massacro degli studenti universitari, tragedia avvenuta a Tlatlolco nel 1968, in cui furono uccisi centinaia di studenti dai soldati, tra cui anche il fratello di Elena Poniatowska, Jan. In particolare, la scrittrice messicana toglie la parola e il controllo all’autore, per darla ai testimoni, in una sorta di presa diretta letteraria. C’è chi attribuisce lo spostamento dal giornalismo celebrativo, per così dire, a quello investigativo che si traduce in narrativa testimoniale o testimonio alla conoscenza dell’antropologo statunitense Oscar Lewis nei suoi ultimi anni di vita. Ma questi rapporti diretti con lo sceneggiatore italiano e la sua teoria e prassi di reportage e pedinamento di natura etnografica indica anche l’esperienza formativa della collaborazione con Zavattini ai copioni per Producciones Barbachano. Benché Velo, in quell’intervista, non parlò del contributo dello sceneggiatore italiano a ¡Torero! è evidente nel film, come si è visto, come anche il critico spagnolo di Objectivo e Cinema Universitario, Juan García Atienza, aveva notato all’epoca, e Massip in anni recenti, come si 495. ibidem, 202; Robert M. Buffington, “Poniatowska, Elena” in Mexico. An Encyclopedia of Contemporary Literature and History, Oxford Santa Barbara e Denver: abc Clio, 2004, 399-400.

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è detto. Ne consegue l’impatto diretto, mai riconosciuto pubblicamente, delle idee del cineasta italiano sulla storia del documentario messicano. Due anni prima della morte, Velo concesse un’altra intervista, al suo seguace José Rovirosa, in cui parla della sua carriera nel cinema messicano, rispetto alla storia del documentario messicano.496 Vale la pena di notare che neanche in questo caso, non in una dichiarazione rilasciata in privato a due laureandi per la loro tesi di laurea, ma in un articolo per la stampa, Velo non fece nessun riferimento a Zavattini, né alla bottega di scrittori messicana né a ¡Torero!, il cui soggetto e perfino la revisione della sceneggiatura sono opera di Zavattini. Eppure, non si può negare che il cineasta, scrittore e teorico italiano sia stato un catalizzatore all’interno dell’ambiente dei cineclub messicani. Fu lui a proporre un’organizzazione centralizzata dei cineclub messicani, tramite una Federazione come centro di potenziamento. E se quella prima Federazione dei cineclub messicani si fece, fu perché Zavattini riuscì a trasferire in essi i saperi e le competenze utilizzate in Italia nella gestione dei circoli del cinema di cui egli era il Presidente. Fu l’opera di trasmissione di Zavattini nel corso degli anni Cinquanta e non del Grupo de Nuevo Cine messicano a teorizzare in questi ambienti dei cineclub la nascita dello spettatore nuovo come condizione essenziale di un Cinema Nuovo. E come non pensare che queste sue idee non informarono le attività e l’impostazione teorica di uno degli scrittori con cui Zavattini lavorò intensamente negli anni Cinquanta, Jomí García Ascot, tra i fondatori del Grupo del Nuevo Cine messicano, che lanciarono la rivista Nuevo Cine nel gennaio del 1961?497 Ascot, che a Cuba aveva scritto tre degli episodi del film Historias del la Revolución, realizzò En el balcón vació, quasi un film manifesto zavattiniano, fra documentario mediato dalla poesia e film a soggetto, che vinse i premi della critica al Festival di Locarno (1962) e al Festival del Cinema Latino-americano a Sestri Levante (1963). Girato in 16 mil496. Velo, “Diàlogo sobre Cine Documental” (1986) in Paulo Antonio Paranaguá, (a cura di) Cine Documental en América Latina, Málaga: Signo y Imagen, 2003, 477-490. 497. Acevedo-Muñoz, Buñuel and Mexico, 149. Asier Aranzubia, “Nuevo Cine (19611962) y el nacimiento de la cultura cinematografica mexicana moderna”, en Dimension Antropologica, vol. 52, maggio-agosto 2011, 101-121. www.dimensionantropologica.inah. gob.mx/?p=6893. I firmatari del Manifesto pubblicato nel primo numero di Nuevo Cine del gennaio 1961 furono: José de la Colina, Rafael Corkidi, Salvador Elizondo, J. M. García Ascot, Emilio García Riera, J. L. González de León, Heriberto Lafranchi, Carlos Monsiváis, Julio Pliego, Gabriel Ramírez, José María Sbert, Luis Vicens. Nel suo articolo, Aranzubia non nomina Zavattini e non sembra essere al corrente del movimento cineclubistico messicano degli anni Cinquanta.

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limetri da Ascot e i suoi amici nei ritagli di tempo la domenica, il film non ebbe alcun aiuto del produttore Barbachano Ponce che pure era stato per anni il datore di lavoro di Ascot e in teoria a favore del nuovo cinema. Gli attori non sono attori e la storia quella realmente vissuta dell’infanzia della moglie di Ascot, Maria Luisa Elio. È un film soggettivo, film-diario, ricostruzione delle esperienze ddi una bambina di sette anni, Maria Luisa, durante la Guerra Civile Spagnola e il suo esilio in Messico. L’antecedente messicano del film è ¡Torero!, a cui collaborò anche Ascot che aveva fatto parte dell’èquipe che scrisse l’adattamento di Raíces. A differenza di quest’ultimo, En el balcón vació e ¡Torero! sono la realizzazione messicana della visione del cinema elaborata da Zavattini in seguito all’esperienza del Neo-realismo storico, il filmdiario, film personale che collega particolare e universale, storia del vissuto individuale e storia o mito collettivo (la corrida e i suoi eroi o la Guerra Civile spagnola.498 Il ritorno in Messico di Ascot segnò il ritorno all’indifferenza all’interno dell’industria cinematografica messicana, inclusa quella di Teleproducciones, con cui si era scontrato Zavattini. L’unico modo di fare un cinema alternativo autentico era di autofinanziarlo, girare con l’aiuto di amici (il film fu girato nel corso di quaranta domeniche nel tempo libero dei partecipanti) e con mezzi di fortuna, inclusa la cinepresa a 16mm acquistata da Ascot, rassegnarsi al fatto che i distributori messicani lo avrebbero boicottato e sperare nel riconoscimento dei festival (il che avvenne). Neanche Ascot che viveva da anni in Messico e vi era integrato ormai, lavorando ai margini dell’industria cinematografica messicana, riuscì a far passare il nuovo cinema dall’ambiente dei cineclub all’industria egemonica messicana.

498. Javier Lluch Pratts (a cura di), En el balcón vació, Madrid: aemic, 2012.

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3 Zavattini e l’Argentina

3.1 Fernando Birri a Roma Nel 1951, Fernando Birri, uno studente argentino di cinema, si reca in Italia per frequentare il famoso Centro Sperimentale di Cinematografia a Cinecittà. Prima di venire in Italia, si era laureato in Giurisprudenza all’Università del Litoral di Santa Fe (frequentato in precedenza anche da suo padre che vi si era laureato in Scienze Politiche). Birri racconta che tentò inutilmente di entrare nel cinema in Argentina, «per la porta di servizio», presentandosi alla Sonofilm Studios per un posto da usciere, «ma una sorta di mafia» glielo impedì.1 Per questo, decide di recarsi all’estero. Prima di arrivare a Roma, viaggia in Francia, Svizzera, Yugoslavia e Germania, dove fa delle conferenze. Per inserirsi in un ambiente cinematografico, tenta un’altra strada: trovare una scuola di cinema. Limita la scelta alle due più rinomate. l’idhec (l’Istituto di Studi Superiori di Cinema di Parigi), e il Centro Sperimentale di Roma. La scelta è facile, visto che al Centro Sperimentale lavorano i registi del nuovo cinema Neo-realista italiano che «stava conquistando le sale di proiezione di tutto il mondo».2 Studiare al Centro Sperimentale gli consente di inserirsi al centro di questo movimento importante che creava opere dello stesso livello artistico di un’opera drammatica, di un romanzo o di una poesia.3 Studia la regia in teoria e la mette in pratica in una serie di documentari: Selinunte: los templos dormidos, Alfabeto nocturno, Imágenes populares sicilianas sagradas e Imágenes populares 1. Birri, in Burton, “Fernando Birri The Roots of Documentary Realism”, 3. 2. Birri in Julianne Burton (a cura di), “Fernando Birri, The Roots of Documentary Realism” in Cinema and Social Change in Latin America. Conversations with Filmmakers, Austin: University of Texas, 1986, 4. L’intervista fu tradotta in italiano in Julianne Burton, “Fernando Birri: Pioniere e Pellegrino” in Fernando Birri e La Escuela Documental, xvii Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro, Italia, (giugno 1981) a cura di Lino Miccichè. La versione inglese esclude la parte in cui Birri parla di Los Inundados. La mia intervista del 2015 è inedita, ma vi si accenna in un cortometraggio sull’Archivio Cesare Zavattini (Biblioteca Panizzi) di Reggio Emilia e il carteggio Birri-Zavattini del 2016 visionabile sulla rete. 3. Birri in Burton, “Fernando Birri. The Roots of Documentary Realism”, 4.

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sicilianas profanas, premiati a Mannheim, Edinburgo e New York. In realtà, nei documentari siciliani, assiste Mario Verdone.4 Al Centro Sperimentale entra in contatto coi registi italiani e col nuovo cinema del Neo-realismo che egli collega alla Commedia dell’Arte: Ieri il palco lo si inventava con tavolini ambulanti, oggi il cinema italiano è uscito fuori per la strada con le sue troupe, per filmare scene di vita italiana dentro i quartieri e nelle strade. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a due espressioni artistiche collegate, in quanto entrambe figlie dell’improvvisazione immediata, fatta di presenza fisica.5

Sin dal primo anno di corso, Birri, assieme ai suoi compagni, tra cui Lorenza Mazzetti, una dei tre firmatari del Manifesto inglese del Free Cinema (1956), si cimenta nell’esercitazione giornaliera in cui la didattica del Centro Sperimentale risolve la contraddizione fra teoria e pratica e Birri apprezza che si insegna «più a lavorare che a teorizzare».6 Nel corso figura il professor Renato May sceneggiatore e montatore di professione, che insegna agli allievi la pratica del montaggio tecnico e dell’inquadratura, dei movimenti di macchina e movimenti di scena, e dell’illuminazione, il controcampo, le angolazioni oggettive e soggettive, come girare gli inserti, la sovrimpressione, il montaggio nascosto e il montaggio narrativo.7 May dopo appena un mese, sostituisce l’aula col set: «mettendoci tutti dietro un’autentica cinepresa. Finimmo per seguire la maggior parte delle lezioni fra scenografie incompiute, gru e riflettori». E continua: Anche lì abbiamo assistito di tanto in tanto alle lezioni dei grandi registi italiani (lì abbiamo visto Alessandro Blasetti far dire in dieci modi distinti a una giovane attrice «O, Dio! O, Dio!» de La morsa di Pirandello, gridato, balbettato, appena sospirato, fino ad arrivare al tono giusto. Anche là Luchino Visconti fece ammutolire uno degli alunni attori quando gli chiese di che colore erano le calze che indossava un personaggio inventato da lui; e lo stesso Visconti gli fece notare che erano «verdi» e gli spiegò 4. Birri, “Italia, Oggi. Quattro domande”, 1955. ACZ 901/1. Inedito. 5. Birri, “Como se estudia en el Centro Sperimentale de Roma” in Punto y Aparte, 5. Santa Fe, settembre 1957, poi in Birri, “Organogramma 60” in La Escuela Documental, 101-103. 6. ibidem, 101-103. 7. Renato May (1909-1969), nato in Croazia, montatore, sceneggiatore, per esempio, Margherita e i suoi tre zii (1942), Nennella (1948), docente e autore di diversi libri sul cinema e televisione, a partire dal manuale Il linguaggio del film, Milano: Poligono Società Editrice, 1947, da cui si desumono le materie del corso.

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il perché, in sintonia con la psicologia del personaggio, la situazione che stava vivendo e la moda del luogo in quel periodo).8

Nella sala di proiezione, nel sottosuolo del Centro Sperimentale, il professore Fausto Montesanti spiega agli allievi la storia del cinema, accompagnando le lezioni con le proiezioni. Del corpo docente fanno parte Mario Verdone che insegna Critica e Nino Ghelli, docente di Estetica Cinematografica.9 Tra le sette e le sette e mezzo di mattina gli allievi – che provengono sia dall’Italia che dall’Argentina, dal Brasile, dalla Spagna, dalla Scozia, dall’India, dalla Grecia e dal Nord America – si ritrovano alla Stazione Termini, da dove prendono il trenino diretti al Centro Sperimentale di fronte a Cinecittà e le sue sale di posa, che all’epoca si trovava ancora in piena campagna romana. All’una pranzano alla mensa, «serviti dal tondeggiante Schiavi».10 A fine giornata, il trenino si riempie di studenti, di comparse, di contadini, di cestini, galline, e muratori. Nel buio del ritorno brillano Frascati, Castel Gandolfo, Rocca di Papa, Nemi, Albano, Genzano, «come gioielli incastonati nei colli di Roma». Si discute di cinema: divorando la parola come se fosse una nuova vitamina, tonificante, che tutti potevano digerire, condividere e assolutamente prodigiosa. [...] Era questa la seconda grande lezione del Centro Sperimentale, e del cinema italiano contemporaneo: che il cinema fosse un’arte fatto da molti per molti; un’arte dialogica, di discussione, comunicazione, da realizzare in gruppi, in èquipe, in una collaborazione sincera, fervida, persistente.11

3.2 Birri intervista Zavattini L’anno dopo aver completato il corso di cinema, Birri presenterà un libro di poesie al Teatro dell’Eliseo di Roma nel 1954, dal titolo: Nuevo cantar de los cantares. Si impegna anche in attività giornalistiche, pubblicando articoli in quotidiani e riviste europee e Latino-americane. Nel 1955 recita ne Gli sbandati, il primo lungometraggio del giovanissimo regista Citto Maselli, film-tabù sulla borghesia italiana fascista, a cui 8. Birri, “Como se estudia en el Centro Sperimentale de Roma” in Punto y Aparte, 5. Santa Fe, settembre 1957, poi in Birri, “Organogramma 60” in La Escuela Documental, 101-103. 9. ibidem, 101-103. 10. ibidem, 101-103. 11. ibidem, 101-103.

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Zavattini aveva contribuito non poco ed è molto probabile che sia stato Zavattini a farlo.12 In questo periodo lo scrittore di cinema è impegnato a scrivere la sceneggiatura de Il tetto, Birri gli telefona a casa più volte. Lo va a trovare, gli scrive. Vorrebbe che De Sica lo facesse lavorare come aiuto e chiede a Zavattini di convincere il regista ad ingaggiarlo. Intanto a Via Sant’Angela Merici, gli chiede notizie del copione e commenta, dicendo la sua.13 Si mettono d’accordo che Zavattini gli concederà un’intervista per un periodico argentino: “Italia oggi. Quattro domande”. Gli farà appunto «quattro domande», per «cogliere in fragrante il suo pensiero». Lo accompagna l’amico e fotografo Adelqui Camusso, che lavora come operatore al Centro Sperimentale e Dario Puccini, un critico letterario e spagnolista. Anche Camusso è «attratto, come Birri, dalla forza semplice e commovente del pathos nella fotografia del cinema Neo-realista».14 Camusso vuole evitare il calligrafismo fotografico che si manifesta nei «giochi solitari di composizione e di chiaroscuro», per concentrarsi piuttosto sulla «verità del personaggio intervistato, al momento opportuno, quando gli brillano gli occhi o la mano trema impercettibilmente».15 Birri è molto preparato rispetto ad altri giornalisti che intervistano lo scrittore italiano. Conosce bene le altre attività di Zavattini. Ha letto i suoi raccontini degli anni Trenta e Quaranta, le sue «brevissime storie e favole vere».16 Lo descrive ai suoi lettori Latino-americani come: l’entusiasta, il generoso, l’incontrollato, il contraddittorio, il rivoluzionario, il curioso, il vendicatore, l’inventore, l’istrione, il viaggiatore, lo stregone, il giullare, il profeta, il mendicante, il tifoso di football, l’elettricista, il cortocircuito, la scintilla.17

Si rende conto che è una fonte inesauribile di idee, i cui soggetti di cinema «non sono quaranta, ma quattrocento e forse quattromila».18 Zavattini «parla con gli uomini e scrive per loro durante tutta la giornata, in cui concepisce mille progetti in vista di un’esistenza migliore e possibile».19 Comprende anche la latitudine del suo cinema, dal cinema 12. Birri in Burton, “Fernando Birri. The Roots of Documentary Realism”, 3. 13. Lettera di Zavattini a Birri, 10 maggio 1957, ACZ 901/25. Inedito. 14. Birri, “Italia, Oggi. Quattro domande”, 1955. ACZ 901/1. Inedito. 15. ibidem. 16. ibidem. 17. ibidem. 18. ibidem. 19. ibidem.

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popolare (Cinque poveri in automobile) al cinema intellettuale: cita Amore in città come «il film più avanzato dell’attuale scuola cinematografica Neo-realista italiana» e lo considera «il maggior esponente e caposcuola della rivoluzione artistica».20 Birri gli chiede se sia vero, come si sente spesso ripetere, che l’Europa è «in decadenza».21 Zavattini mette in questione il concetto di decadenza, dandogli un contesto storico. Se nel 1938, non sembrava all’opinione pubblica europea che ci fosse decadenza, quando invece era in preda all’imperialismo nazista, e quindi ad una forma elevata di decadenza, oggi la decadenza la si trova in Nord America. Oltrettutto, se si vuol parlare di decadenza oggi, bisognerebbe additare l’europeismo, un movimento progressista solo all’apparenza, che cela invece «una forma di nazionalismo ingigantito».22 Birri poi gli chiede come giudica il contributo della cultura italiana contemporanea.23 Ancora una volta, Zavattini smitizza l’idea dominante: in Italia passa per cultura la cultura salottiera a cui egli oppone «il concetto di una cultura attiva, partecipante».24 Zavattini pensa alla partecipazione attiva dell’intellettuale alla sfera sociale, tramite un coinvolgimento con i problemi odierni, quali la Guerra Fredda che negli anni Cinquanta la Sinistra italiana traduce in “lotta per la pace”. Non pensa certo alla figura dell’intellettuale incarnata da Croce: «Croce incarna la vecchia cultura. È d’accordo con lei nel paragonare gli artisti alle foglie del bosco che sono le prime a scuotersi al vento della Storia. Ma noi, oggi, dobbiamo essere il vento...».25 Pensa invece ad una cultura utile, che non sia autonoma o distaccata rispetto alla società. E pensa soprattutto alla funzione del cinema, in quanto il più popolare e contemporaneo dei mezzi a disposizione, come lo era a suo tempo la stampa.26 Quale la sua preoccupazione dominante nel lavoro attuale?27 Per tutta risposta, Zavattini cita la propria proposta rivoluzionaria nell’ambito stantio della cultura italiana: in questo periodo sta progettando i Diari degli umili per la casa editrice Guanda.28 Zavattini non sa ancora che 20. ibidem. 21. ibidem. 22. ibidem. 23. ibidem. 24. ibidem. 25. ibidem. 26. ibidem. 27. ibidem. 28. Lettera di Ugo Guandalini a Zavattini, 25 giugno 1953, citato in Valentina Fortichiari, “Lo scrittore allo specchio”, in AA.VV, Una parola moderna: Zavattini

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l’editore, Guandalini, rimarrà legato a vecchie idee riguardo alla scelta del materiale, in un ambito intellettuale salottiero a cui Guanda purtroppo non sfugge. Diari del genere, per come li concepisce Zavattini, fanno parte di una cultura testimoniale che gli sta a cuore e che troverà proprio nell’America Latina un suo sbocco creativo, soprattutto a Cuba e in Argentina. L’esigenza e l’urgenza percepita da Zavattini, anche sociale e politica, oltre che culturale, è la medesima del fenomeno particolare della cultura latino-americana, ovverossia, la letteratura testimoniale (detta testimonio) al cui epicentro c’è il diario basato sull’esperienza quotidiana appunto, una cronaca dei fatti realmente accaduti, raccontati in prima persona dal subalterno che si fa voce metonimica, in quanto si esprime a nome suo e degli altri, infrangendo il silenzio del potere egemone. Proprio in Argentina, emergerà il giornalismo investigativo di Operación Masacre (1957) del giornalista argentino Rodolfo Walsh. L’aspetto che interessa Zavattini sin dagli anni Quaranta, è l’enfasi sulla vicenda umana particolare e raccontata in prima persona, che può diventare universale: la cronaca che si fa storia, persino nel dettaglio, apparentemente insignificante. I diari, per come li concepisce Zavattini nell’intervista, obbligano il lettore «a convivere con gli autori i loro atti minimi della vita reale»; fanno cultura autentica, contribuendo ad uscire dall’isolamento intellettuale che Zavattini ravvisa negli ambienti culturali italiani. Non si tratta di diari letterari, ma di «diari autentici di soldati di leva, prostitute, bambini, operai», diari del popolo insomma che «rispondono concretamente», aggiunge, «alla formulazione di quel nuovo linguaggio del quale parlavamo poco fa, a proposito di una cultura veramente attuale». Pensa addirittura a edizioni di fogli volanti da vendere in edicola. «Qualsiasi soluzione deve cominciare da qui: per una conoscenza... Conoscere, conoscere bene gli uni e gli altri, conoscersi tutti».29 Birri gli chiede infine quale considerazione meriti il cinema Neorealista, forse temendo una reazione negativa dallo scrittore di cinema. Zavattini risponde negando la propria presunta paternità, affermando piuttosto che «il Neo-realismo non proviene da una teoria, ma è figlio del sentimento popolare. Il padre legittimo del Neo-realismo è il popolo».30 Verso la fine di settembre del 1955, inizia la lavorazione del film Il tetto, su soggetto e sceneggiatura di Zavattini, per la regia di Vittorio de scrittore. Atti della Giornata di Studi Reggio Emilia, 25 ottobre 2002, Reggio Emilia: Aliberti editore, 21-27, 24. 29. Birri, “Italia, Oggi. Quattro domande”, 1955. ACZ 901/1. Inedito. 30. ibidem.

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Sica. Tra gli aiuti registi c’è Birri che aveva offerto la sua collaborazione il giorno in cui aveva incontrato Vittorio De Sica alla Titanus, dove erano in corso gli ultimi provini. Il tetto è l’ultimo film a cui Birri collabora come aiuto regista, prima del suo rimpatrio. Secondo lui, l’esperienza è: di gran lunga, la più utile, la più chiara, la più dimostrativa di tutto ciò che noi crediamo deva [sic] dire il cinema. Su questo esempio, seguendo i vostri insegnamenti, inizierò in Argentina la mia vita professionale.31

3.3 Birri ritorna in Argentina Il 6 aprile 1956, Birri torna in patria. Due giorni prima della sua partenza per l’Argentina, scrive a Vittorio De Sica per chiedergli di includere il suo nome nei titoli: «dando così conferma della mia umile ma devota assistenza», e aggiunge:32 Vado incontro a una lotta dura, tenace, difficile per difendere là gli stessi principi di onestà di ricerca, di coraggio di espressione, che vicino a tutti voi – gente del Neo-realismo italiano – ho imparato a amare e maturato lungo questi sette anni d’Italia mia.33

Basterebbe l’inserzione del suo nome nelle sole copie per il mercato argentino «futuro campo di battaglia per un nuovo fronte del Neorealismo».34 Ma De Sica afferma di non voler offendere la suscettibilità degli altri collaboratori. In Argentina, la situazione politica sembra migliorata e sarà stato questo a indurre Birri a tornare in patria. Nel frattempo, il Presidente, Generale Juan Perón, aveva dato uno smacco alla Chiesa cattolica nel 1954, legalizzando il divorzio e autorizzando la distruzione di alcune cattedrali di Buenos Aires.35 La Chiesa rispose con la scomunica di tutto il governo argentino e anche dell’alleanza dei militari che presero il potere con un colpo di stato non violento il 16 settembre del 1955, quando Perón, sotto la minaccia di una guerra civile, aveva dato le dimissioni. Al suo posto misero il Generale a riposo Eduardo Lonardi, capo del movimento 31. Lettera di Birri a Zavattini, 4 aprile 1956, ACZ 901/3. Inedito. 32. ibidem. 33. Lettera di Birri a Zavattini, 19 maggio 1956, ACZ 901/4. Inedito. 34. ibidem. 35. Thomas E. Skidmore e Peter H. Smith, Modern Latin America, Oxford e New York: Oxford University Press, 1997, 91.

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anti-peronista chiamato Revolución Libertadora.36 Ma appena due mesi dopo, Lonardi viene sostituito dal Generale Pedro Eugenio Aramburu che rimarrà al timone del paese fino all’aprile del 1958. La nazione è divisa in due, fra. Da una parte, i nemici del peronismo che sta al governo e include la Chiesa cattolica, la Marina e l’élite dell’Esercito e dall’altra il peronismo della classe operaia. È questo il nuovo contesto politico in cui Birri decide di rientrare in patria e stabilirsi a Buenos Aires.37

3.4 L’industria cinematografica Al suo ritorno in Argentina, Birri ritrova un movimento cineclubistico ancora in mano a pochi. Ma la situazione sta migliorando, tanto che i cineclub si stanno consolidando a livello confederativo grazie alla pressione dei nuovi cineclub dell’entroterra. Esistono centri di insegnamento ufficiali e privati, ma l’industria cinematografica nazionale obbedisce ad un tale empirismo da rasentare l’improvvisazione, e soprattutto, a differenza dell’Europa che vanta il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma e l’idhec a Parigi, in Argentina non esiste una Scuola Nazionale di Cinema. Rispecchia questo stato di cose il fatto che la pubblicistica del settore cinematografico non dispone di riviste, raccolte, case editrici, per la diffusione di massa e la formazione di una cultura cinematografica. Scopre che nelle colonne delle riviste non specializzate, vengono presi di mira la superficialità e i luoghi comuni del cinema argentino.38 Nel luglio del 1956, il governo è sul punto di approvare una nuova legge per la cinematografia.39 Secondo Birri, nel primo semestre sono apparsi sugli schermi di Buenos Aires circa 400 film stranieri, più della metà nord-americani e solo 20 italiani. Sui muri si affollano i manifesti di film russi, giapponesi, svedesi, jugoslavi, bulgari, spagnoli, messicani, cubani. Dice che non si è neanche asciugata la colla di un manifesto che già l’attacchino arriva per coprirlo con un altro.40 Riguardo al cinema e il peronismo, il suo bilancio è negativo: durante l’era peronista la legge: 36. Skidmore e Smith, Modern Latin America, 92. 37. Birri in Burton, “Fernando Birri The Roots of Documentary Realism”, 4. 38. Birri, “Bilancio di una esperienza (1962)”, La Escuela Documental, 27-30. 39. Lettera di Birri a Zavattini, 24 luglio 1956, ACZ 901/5. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inediti. 40. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Inedito.

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[Era] fatta a‹p›posta per far mangiare i pesci grossi dell’industria i quali, oltre essere disonesti, furono in genere quasi tutti mediocri: c’è stata per fino della gente che ha prodotto dei films soltanto per farsi dare l’anticipo della Banca del Credito senza che l’importasse poi se quei brutti metri di delusione che avevano girato venivano messi in distribuzione o meno.41

I suoi falliti tentativi di inserirsi nell’ambiente cinematografico argentino furono la colpa dello stesso corporativismo che accomuna l’Italia fascista e l’Argentina peronista. Difatti, l’industria cinematografica argentina, sotto il governo di Perón, era vittima di un «rigido protezionismo» a favore della «merce di Hollywood, giacché lì costa di meno e lì rende di più».42 A onor del vero, sotto Perón il cinema subiva la censura del Sottosegretariato per l’Informazione e la Stampa, sarebbe a dire il Ministro della Propaganda, il quale controllava da vicino stampa, radio e cinema. Ma fu Perón il primo a fornire un aiuto economico per il cinema argentino, stabilendo quote di produzione e di distribuzione, prestiti bancari e restrizioni sull’esportazione dall’Argentina di capitali generati dal cinema straniero.43 Le sue misure furono però ignorate. Un anno dopo la caduta di Perón, Birri scopre che la situazione non è migliorata. Da una parte, si ignora il cinema per dare priorità a problemi più pressanti, dall’altra, continua l’intervento diretto o indiretto del mercato nord-americano, impegnato a mantenere il dominio economico sugli spettatori argentini, servendosi, sempre secondo l’analisi di Birri, della connivenza dei distributori e proprietari di sale cinematografiche, per ostacolare il nuovo cinema, creando interferenze a livello legislativo, in modo da «proiettare le merce di Hollywood, giacché lì costa di meno e lì rende di più».44 Come diversi registi italiani avevano fatto nell’Italia degli anni Trenta e Quaranta, Birri riesce almeno a svolgere un’attività giornalistica. Appena un mese dopo il suo rimpatrio, già lavora per Lyra, rivista culturale che si occupa di teatro, musica, cinema e arte visiva.45 Ne ha assunto addirittura 41. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Su carta intestata: «Universidad Nacional del Litoral. Instituto Social. Instituto de Cinematografia». In italiano. Inedito. 42. Lettera di Birri a Zavattini, 24 luglio 1956, ACZ 901/5. Inedito. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 43. John King, “Latin American Cinema” in The Cambridge History of Latin America, vol. x. Latin America since 1930: Ideas, Culture and Society, a cura di Leslie Bethell, Cambridge: Cambridge University Press, 1995, 455-518; 478-479. 44. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 45. Lettera di Birri a Zavattini, 19 maggio 1956, ACZ 901/4. Inedito.

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la direzione artistica e letteraria. Il che si spiega perché a Roma, aveva mantenuto legami con la cultura argentina; tant’è vero che prima ancora del suo ritorno, aveva invitato Zavattini a scrivere il «Prologo» per il primo numero curato da lui della rivista argentina, in linea con la falsariga discussa a casa di Zavattini, e cioè un discorso sul Neo-realismo come mezzo di diffusione e comprensione internazionale, proponendo il nuovo cinema italiano come progetto internazionale ovvero world cinema. Il primo numero di Lyra, curato e diretto da Birri, sarà un numero speciale dedicato ad una rassegna del cinema internazionale, con un capitolo speciale sul Neo-realismo italiano – la parte più importante, dice – e un’inchiesta sul cinema argentino oggi.

3.5 Paladino del Neo-realismo A Buenos Aires, Birri diventa il portavoce del Neo-realismo in Argentina, lottando per un nuovo cinema, in base a «tutto questo nuovo modo di capire e di fare il cinema».46 Naturalmente lo entusiasma la proposta di Zavattini di scrivere in qualità di rappresentante di Cinema Nuovo in Argentina e come collaboratore al Bollettino del Neo-realismo. Birri progetta di scrivere un articolo sulla scissione tra i registi del vecchio e del nuovo regime. Tutti gli chiedono: ma come è stato possibile fare il Neo-realismo? Otto mesi dopo, non ha avuto più notizie riguardo alla redazione di Buenos Aires per Cinema Nuovo. Intanto, Zavattini lo mette al corrente della Conferenza Economica del Cinema che sta organizzando, non senza amarezza: «Come formiche, stiamo costruendo il comune denominatore, poi viene uno e con una pisciata rovina tutto».47 Nel marzo del 1957, a Buenos Aires vengono proiettati in sala ben tre film sceneggiati da Zavattini: Bellissima, in un cinema del centro, Teresa venerdì, in un cinema di periferia, mentre Miracolo a Milano lo dànno dappertutto: al cinema Montegrande, al Caballito, al Flores, al Castelar, al Tortugas, e in tanti altri paesini nei dintorni di Buenos Aires. Per quanto riguarda l’ultimo film, Il tetto, Birri ne ha parlato sia alla radio che nei giornali:

46. Lettera di Birri a Zavattini, 30 marzo 1957, ACZ 901/7. Su carta intestata: «Universidad Nacional del Litoral. Instituto Social. Instituto de Cinematografia». In italiano. Inedito. 47. Lettera di Zavattini a Birri, 16 novembre 1956, ACZ 901/23. Inedito.

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Ho risposto a tutto e a tutti come ho potuto, ho parlato tanto, caro Zavattini, credo che ho parlato più di quanto ho potuto fare [sic], ma anche questo era un modo di fare, un modo di agire, per adesso.48

La società Lococo s.a. che gestisce molti cinema, tra cui l’Opera, il Premier, il Metropolitan e Normandie, vorrebbe acquistare Il tetto. La Dirección de Prensa y Difusión Argentina ha incaricato Birri di invitare Zavattini ad una Conferenza come ospite d’onore. La sua carica di Direttore artistico della rivista Lyra gli consente di mettersi in contatto con artisti e intellettuali argentini. Ma continua a pensare alla regia: vorrebbe realizzare un documentario su Buenos Aires e un film a soggetto, un lungo metraggio, l’adattamento di una novella di uno scrittore di Santa Fe, sua città natale. Ha scritto un copione che segue una «lunghissima inchiesta» secondo il modello zavattiniano, sulla storia sentimentale di una ragazza incinta in un mattatoio in cui vengono ammazzati quaranta bestie al minuto, dove lavorano migliaia di uomini e donne, per un film che non si farà per la mancanza di una nuova legge sul cinema argentino.49 Per Birri, Zavattini è il suo «amico e maestro», fonte di «insegnamenti non soltanto poetici, non soltanto cinematografici, ma soprattutto morali (quel suo inesauribile entusiasmo concreto)».50 «Abbastan‹z›a credo ci siamo compresi e uniti nella nostra ricerca in questi anni per me formativi vicino a lei, al suo cinema, a tutte le preoccupazioni che l‹e› stanno a cuore», gli scrive Birri.51 In un’altra lettera ancora, si firma: «Suo, discepolo ed amico, di tutto cuore».52 In qualità di ambasciatore zavattiniano per un Neo-realismo argentino, nel giro di qualche mese, Birri non solo è riuscito a pubblicare ben sei articoli sulla preparazione e lavorazione del film Il tetto «nella rivista più diffusa dell’Argentina», ma, a suo giudizio, a causa dell’interesse provocato, ha costruito anche le premesse per la «possibilità del Neorealismo».53 In un’altra lettera, scritta come le altre, in un italiano a volte stentato, illustra il clima della trasmissione di idee in cui egli si fa tramite di un qualcosa che ha sperimentato in prima persona:

48. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 49. ibidem. 50. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 51. Lettera di Birri a Zavattini, 30 marzo 1957, ACZ 901/7. Inedito. 52. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Su carta intestata: «Universidad Nacional del Litoral. Instituto Social. Instituto de Cinematografia». In italiano. Inedito. 53. Lettera di Birri a Zavattini, 24 luglio 1956, ACZ 901/5. In italiano. Inedito.

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Da quando sono arrivato fino ad oggi dal canto mio ho ‹tentato›54 di fare il meglio possibile; ho ‹tentato› soprattutto di raccontare, di communicare [sic] al nostro ambiente cinematografico quale è il clima vivace e polemico, combattivo e solidale (malgrado tutte le oppo‹s›izioni)55 nel quale si lavora nel Neo-realismo italiano, nel vostro cinema; ho ‹tentato› infine di diffondere o meglio ancora, di contagiare nella misura delle mie forze quell’aria di sincerità, quella necessità urgente di dire certe cose, quell’obbligo di guardarci intorno a noi che è alla base della vostra etica contemporanea, vitale e cinematograficamente parlando. E così loro che erano così meravigliati per il vostro cinema degli ultimi anni e andavano alla ricerca della formula del vostro ‹s›tile56 hanno dovuto capire che non era solo una bella ricetta quella che bastava ma bensì un nuovo sentimento nelle radici del cuore. E per Baco! [sic] Certo che i più giovani l’hanno capito bene, quasi como [sic] se lo intuissero da vicino, quasi se loro non aspettassero altro che questa conferma di un testimone ‹oculare›57 per buttarsi già nella mischia, per lottare dai loro cineclubes [sic], dai loro cine-sperimentali, dalle loro società di cinema indipendente e di corto-metraggio, per questi nuovi principi, che, ‹piuttosto›,58 nel caos attuale della nostra industria, forse potranno farsi strada almeno in parte, forse potranno vincere la loro piccola ma cosc‹i›ente battaglia.59

Purtroppo, Zavattini non fa in tempo a spedire l’articolo sul Neorealismo che aveva promesso per Lyra. Birri raccoglie comunque le sue dichiarazioni fatte durante un’intervista a Via Merici 40 e riesce a confezionare l’articolo, pubblicandolo con la firma e l’approvazione di Zavattini.60 Gli articoli firmati da Birri su Il tetto si basano sulla sua esperienza diretta, giacché non è ancora uscito il libro sul film che sarà pubblicato dall’editore Cappelli solo a dicembre.61 Questo film crea molto interesse nell’ambiente cinematografico argentino. Secondo Birri, l’attenzione per Il tetto riguarda: «non soltanto gli specialisti, anche l’uomo della strada, 54. Calco: «tratar», cercare di. Qui e altrove, dove Birri confonde lo spagnolo con l’italiano, questo lo si segnala in nota e si corregge il calco. 55. «oppossizioni». 56. «estile». 57. Calco: «presenziale» «testigo presencial», testimone oculare. 58. Calco: «d’alcun modo» «de manera algo o demanera algo», piuttosto, invece. 59. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Su carta intestata: «Universidad Nacional del Litoral. Instituto Social. Instituto de Cinematografia». In italiano. Inedito. 60. Lettera di Birri a Zavattini, 24 luglio 1956, ACZ 901/5. Inedito. 61. Lettera di Zavattini a Birri, 16 novembre 1956, ACZ 901/23. Inedito.

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l’uomo che legge il giornale dopo cena, la donna che ascolta la radio».62 L’interesse è tale che Birri è portato a definire un’altra idea di cinema, sul modello de Il tetto. Ai mass media argentini, Birri interessa per la sua testimonianza diretta, in quanto testimone oculare e aiuto regista: Hanno voluto farci raccontare tutto alla radio, nei giornali, come si lavorava, come non si lavorava, come era venuta fuori la sceneggiatura, se gli attori erano dei veri popolani, come era possibile realizzare un film con una storia così semplice, qual era il segreto per communicare [sic] quel sentimento con degli episodi così lineari, con della gente così inesperta: gli rispondevo che segreto non c’era, che c’era invece della convinzione, dello sforzo, della fatica, del voler rendersi conto.63

Birri afferma che Il tetto sarà «un seme in terra fertile».64 In Italia vince un premio, e da una prospettiva di cinema mondiale e di cultura subalterna dell’America Latina in cui ora si ritrova Birri, il film assume anche uno scopo pedagogico e ideologico: «servirà a guidarci, a rinforzare per la vista e l’orecchio certi concetti, certi discorsi».65 Tra il 10 e il 12 aprile 1957 verrà distribuito nelle sale di Buenos Aires, senza il riconoscimento di Birri in qualità di aiuto regista nei titoli. L’anteprima organizzata dai cineclub sarà tenuta sia in un cinema importante che all’Ambasciata italiana. Per Birri è stato predisposto un ruolo di primo piano. Presenterà il film e leggerà brani della sceneggiatura; «avrei raccontato il modo di lavoro della troupe quotidianamente», spiega a Zavattini.66 Ma ora: Dopo che ho tanto detto e tanto scritto su Il tetto, la sua lavorazione, i suoi scopi, parlando di tutto questo come testimone presente e partecipe, questi qua si son trovati con la sorpre‹s›a che il mio nome non figura proprio per niente nel film.67

Per questo lo hanno accusato di truffa, delegittimando la sua autorità di portavoce del Neo-realismo italiano «che conosceva il metodo del cinema Neo-realista italiano ‹i›l quale loro ama‹n›o tanto» e catalizzatore per un nuovo cinema argentino, frutto di una nuova responsabilità 62. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 63. ibidem. 64. ibidem. 65. ibidem. 66. Lettera di Birri a Zavattini, 30 marzo 1957, ACZ 901/7. Inedito. 67. ibidem.

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nazionale della cinematografia. Chi lo scredita rappresenta «gli interessi reazionari del nostro cinema nazionale». Quindi, il loro stroncamento servirà: per bersagliare degli obiettivi per loro molto più importanti (gli stessi obiettivi che ío [sic] difendevo contro loro, e più concretamente cioè: un atteggiamento morale e crítico [sic] del cinema di fronte alla realtà nazionale; metodi, ricerche, che ingrandiscano gli orizzonti geografici ed umani del Neo-realismo cinematografico; il risorgimento di un vero e proprio cinema nazionale argentino).68

Per questi motivi, Birri vorrebbe ottenere almeno una lettera firmata da Zavattini e da De Sica che confermi il suo ruolo di aiuto regista nel film.69 Da Zavattini il 10 maggio 1957, riceve una lettera ufficiale che convalida la sua esperienza come aiuto regista a Il tetto. «È vero che non c’è nei titoli di testa de Il tetto il suo nome» – scrive Zavattini – «ma è altrettanto vero che lei ha seguito la realizzazione del film con tenacia e intelligenza». Birri «aveva dimostrato di capire gli orientamenti del cinema italiano attraverso quelle quindici o venti persone che più coscientemente lo facevano».70 Ricordo ancora quando lei mi scriveva mi telefonava o veniva a trovarmi esprimendomi questo suo grande desiderio, pregandomi che io la aiutassi a esprimerlo a De Sica. Stavo lavorando al copione e lei si interessava spesso con acutezza degli sviluppi del copione, e io ero contento di esporglieli in quanto lei sapeva sempre dire qualche cosa di buono.71

A scanso di equivoci, Zavattini scrive: Insomma, lei l’avventura – chiamiamola così – del film Neo-realista italiano l’ha veramente vissuta, e non è il caso di andare a cercare nel vocabolario quale qualifica le aspetti. Io so in coscienza che lei può parlare di questa avventura, perché i suoi occhi e le sue orecchie la sua mente sono sempre stati umilmente e alacremente sempre [sic] tesi a vedere a udire a partecipare. E sono sicuro che lei si è portato in Argentina qualche cosa che le sarà utile su un piano tecnico e poetico.72 68. ibidem. 69. ibidem. 70. ibidem. 71. Lettera di Zavattini a Birri, 10 maggio 1957, ACZ 901/25. Inedito. 72. ibidem.

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Qualche tempo dopo, Birri manda alla rivista El Hogar la lettera di De Sica e una parte di quella di Zavattini, tradotte e accompagnate addirittura da copie fotografiche degli originali «col proposito di mettere in chiaro definitivamente gli equivoci crescenti suscitati dall’omissione del mio nome nei titoli di Il tetto».73 Quando arrivano le lettere di conferma di Zavattini e Vittorio De Sica, Birri risponde: Una volta ancora mi arriva, quindi, da lontano, la vostra lezione esemplare: la linea di condotta Neo-realista, chiamiamola così, trascende ancora una volta lo specifico filmico per divenire moralità sincera, azione positiva. Questo è per me il vero valore recondito della sua lettera e di quella del maestro De Sica.74

Inoltre, nella sua lettera di ringraziamento, si trova la prima formulazione del cinema come lo intenderà Birri nel suoi manifesti degli anni Sessanta: Per quanto riguarda l’amoroso rispetto con il quale sono intervenuto ne Il tetto seguendo giorno dopo giorno il loro lavoro, nessuno potrà negarlo più, dopo le loro lettere, quelli che ancora – disturbati per la campagna in pro di un cinema sanamente nazionale, realista e critico che stiamo portando avanti – tentino di farlo, si troveranno scornati.75 Quelli altri invece che com‹e›76 le dicevo si sono a‹g›gruppati attorno all’idea che assieme di‹f›endiamo,77 questi qua, promo‹tor›i78 giovani di una nuova cinematografia argentina, hanno proprio respirato ‹a› lungo, perché anche essi hanno potuto constatare, questa volta di persona, che tutte quelle cose che io andavo dicendo in giro per la radio, nei giornali, nei cafè, sul vostro conto e sul conto del Neo-realismo italiano e sulla viva, vivificante lezione dell’Italia contemporanea, era tutto vero.79

73. Birri, “Fernando Birri y ‘El Techo’ de De Sica”, El Hogar, n. 2491, Buenos Aires, 30 agosto 1957, 85. 74. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Inedito. 75. Corsivo aggiunto. 76. «como»: come. 77. «diffendiamo». 78. errore: «promozioni» sp. «promotor». 79. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Inedito.

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3.6 Escuela Documental Oltre all’attività giornalistica per diffondere il Neo-realismo in Argentina, e farsene promotore, già nel 1956, Birri si indirizza verso l’insegnamento, grazie all’invito della dottoressa Ángela Romera Vera dell’Istituto Sociale dell’Università del Litoral ad organizzare un corso sul cinema a Santa Fe. È tanto entusiasta la Direttrice da incoraggiarlo a creare addirittura una Accademia di Arti e Scienze Cinematografiche di Santa Fe, il che avrebbe fornito dei vantaggi per l’Istituto Sociale, mettendo a disposizione un’unità documentaria al suo interno che avrebbe consentito di arricchire la documentazione della ricerca antropologica sul campo.80 Ma Birri le fa una contro-proposta: un modesto corso serale di cinematografia, «amichevole e casereccio», con tanto di lezioni pratiche.81 Questo seminario di cinema durerà appena quattro giorni. La prima sera, si presentano centotrentacinque ragazzi e ragazze. Ci sono soprattutto studenti medi e universitari, maestri e assistenti sociali. Ma non mancano gli artisti: giovani scrittori, scultori, musicisti, cineasti (soci dei cineclub) e attori (membri dei teatri indipendenti). Incoraggiato dal successo strepitoso, Birri organizza dei corsi pratici nelle aule della Facoltà di Diritto, e corsi teorici sul modello del programma sviluppato da Luigi Chiarini al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, utilizzando come libro di testo una traduzione di un libro di Chiarini, El cine en el problema del arte, appena pubblicato a Buenos Aires (1956), pubblicato da Chiarini nel 1949.82 Il secondo passo consisterà nella realizzazione di film documentari di corto metraggio a passo 16 e 35 millimetri, seguito dalla fondazione dell’Accademia di Cinema. Ma lo scopo dell’Istituto non si limita ad una formazione tecnica. Birri vuole anche: intervenire concretamente col cinema: tramite un’azione formativa rispetto ai ragazzi, perché possano apprendere a fare cinema e un’azione di modifica, per quella parte di questo cinema fatto dai ragazzi nei confronti della realtà che filmano, al fine di riformarla e migliorarla per il bene comune.

80. Il resoconto di Birri pubblicato in un articolo del 1956, conferma quello che scrive a Zavattini. 81. Birri, “Fotodocumentales” (1956), La Escuela Documental, 33-38. 82. Luigi Chiarini, El cine en el problema del arte, ‹Traducción de Elsa Martina, Ediciones› Losange, Buenos Aires, 1956 e Chiarini, Il film nei problemi dell’arte, Roma: Edizioni Ateneo, 1949.

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I suoi studenti sono: scontenti soprattutto per quello che ancora non si è fatto. Siamo vicini tra di noi, dialoghiamo, trattiamo di capire la realtà nazionale, i nostri problemi interdipendenti con i problemi altrui, studiamo, siamo anche disposti a mettere i nostri poemi, i nostri saggi filosofici, la nostra letteratura, la nostra pittura, il nostro cinema, al servizio di una azione efficace, di comprensione reciproca, di miglioramento economico spirituale della collettività.83

Da quando è rimpatriato, Birri ha tentato senza successo di fare un film a soggetto e ora, nel nuovo contesto della Escuela Documental de Santa Fe, cambia rotta: per legittimare la nuova scelta, si appella ai valori del cinema documentario di John Grierson, naturalmente e al maestro Zavattini. Quanto a Grierson, Birri cita i suoi fondamentali “First Principles of Documentary” degli anni Trenta, in cui Grierson afferma il valore estetico ed etico del cinema documentario, e difende la scelta estetica di filmare per la strada, piuttosto che in sala di posa, oltre ad optare per filmare eventi autentici della vita «vera» e dei suoi veri attori non professionisti.84 Quanto a Zavattini, Birri lo riconosce pubblicamente in quanto «rinnovatore delle formule classiche del film a intreccio, applicando i metodi del documentario alla scrittura dei suoi soggetti Neo-realisti», arrivando a citare parola per parola la Prefazione di Zavattini al libro di Elio Petri, Roma, ore 11, appena pubblicato in Italia, senza però indicarne la fonte. Il libro di Petri raccoglie una parte della sua inchiesta documentaria (fatta, peraltro, su suggerimento dello stesso Zavattini) inchiesta che servì come base documentaria per la sceneggiatura del film Neo-realista Roma, ore 11, a cui fece seguito una seconda inchiesta durante la lavorazione del film, in cui collaborò Zavattini che l’aveva anche suggerita. Individuando la fonte, è possibile mettere a confronto il testo di Zavattini e la traduzione di Birri che rivela che, nel citare Zavattini, Birri compie tagli e delle piccole aggiunte: il 83. Lettera di Birri a Zavattini, 9 marzo 1957, ACZ 901/6. Inedito. 84. Il testo riportato da Birri, a parte diversi tagli da lui effettuati, coincide con il manifesto di John Grierson pubblicato con il titolo “First Principles of Documentary” nella rivista Cinema Quarterly in tre parti tra il 1932 e il 1934. Fu raccolto e ripubblicato in volume: John Grierson, Grierson on Documentary, a cura di Forsyth Hardy, Londra: Faber and Faber, 1946, antologizzato da Mark Cousins e Kevin Macdonald, Imagining Reality, 97-102. Il testo riproduce la versione che Birri avrebbe sicuramente letto nella sua traduzione italiana nel libro di Luigi Chiarini Il film nella battaglia delle idee (1954), Roma: Fratelli Bocca Editore, 1954, 64-65 che lo dà per intero.

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«cambiare» di Zavattini Birri lo traduce nel più riformista «modificare», eliminando il paragone importante con la scienza che recita: «Mentre si accetta che la scienza possa rivoluzionare il pensiero, si rifiuta di concepire un metodo cinematografico diverso, capace di “alimentare la propria esperienza”». Ecco la traduzione in italiano della versione spagnola di Birri: Io all’inchiesta come esigenza morale ci sono arrivato molto tardi, verso la cinquantina, quasi da vecchio; perché la mia generazione stabiliva questi contatti, sentendo che in fondo ci poteva trovare il bisogno di mutare tante cose, forse tutto. La mia generazione aveva paura che questi dati, queste cifre, questo stenografare, dattilografare, pedinare, domandare, rispondere, potesse tarpare le ali della fantasia; invece, giustamente queste indagini, che obbligano a distribuire diversamente le ore della giornata, che cambiano le proprie abitudini, che spiazzano la prospettiva pratica e spirituale della nostra vita, trasportano la nostra fantasia in direzioni diverse e già non la si chiama più fantasia, che cosa importa? né la si chiama neanche arte. Viviamo in quest’altro modo e molto presto troveremo il nome per indicare le cose che nasceranno. Sì, va bene, ci dicono, ma si finisce col cambiare la morale. Poi è chiaro che nelle nostre intenzioni c’è un desiderio, più o meno chiarito dialetticamente, di modificare molte cose che nel loro insieme si chiamano la morale.85

Assieme agli allievi, Birri fonda un comitato organizzativo dell’Istituto di Cinematografia che prepara una serie di mostre itineranti, di Quaderni di foto-documentari santafesini.86 Con i suoi giovani colleghi dell’Instituto de Cinematografia, Birri porta la battaglia per un nuovo cinema argentino dentro l’ateneo, creando un clima propizio ad un nuovo cinema. Nel frattempo, i ragazzi continuano a preparare dei fotodocumentari. Se il preventivo finanziario dell’Università lo consentirà, gireranno un foto-documentario a sedici millimetri.87 Birri è motivato dall’urgenza di cambiare: a trentacinque millimetri, a sedici, a otto, come sia, ma qua bisogna fare le cose urgentemente, dare almeno una prova che della gente ben 85. Birri, “Fotodocumentales” (1956), poi in La Escuela Documental, 33-39; 37. Birri cita parola per parola la Prefazione di Zavattini al libro di Elio Petri, Roma, ore 11, Roma: Edizioni Avanti!, 1956, 13-15, dal titolo «Lettera da Cuba». 86. AA.VV., Fotodocumentales, Santa Fe: Instituto de Cinematografia de La unlInstituto Social, 1956. 87. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Inedito.

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intenzionata benché con dei mezzi francescani può dare un contributo utile al cinema del nostro paese.88

Spiega l’efficacia del foto-documentario: La sua efficacia si fonda nell’essere una sorta di taccuino di appunti (appunti di testo, di soggetti e appunti fotografici, volti e ambienti) per film da girare, documentari o film a intreccio che siano. E perfino nel caso in cui la pellicola non si fa, il foto-documentario ha comunque un suo valore autonomo per convincere, persuadere, in virtù della sua forza di testimonianza diretta – letteraria, visiva – di una realtà incontestabile.89

Hanno attratto l’attenzione di altri gruppi progressisti. Un gruppo dell’Università di Buenos Aires lo ha invitato a creare un Istituto di Cinematografia proprio a Buenos Aires. Ma non basta. Oltre a disaminare le nuove idee, si devono mettere in pratica.90 In questo, Birri si rivela un abilissimo organizzatore e animatore di dibattiti e nuove iniziative. Entra in contatto con i cineclub. Ora Birri si reca a La Plata per parlare del Neorealismo, prima della proiezione in un cineclub di Sotto il sole di Roma (1948), per la regia di Renato Castellani.91 Ha presente sia l’intervento circoscritto che la visione d’insieme: Ci sarebbe tanto da dirci su questa necessità dei giovani di prendere contatto, critica e solidariamente [sic] nello stesso tempo, con la realtà nazionale che non si finirebbe mai: c’è di buono qualcosa di nuovo nell’aria di questa Argentina; domenica prossima ci sono elezioni per riformare la Carta Magna; si [sic] riusciamo ad avere un po’ di stabilità politica nei prossimi anni, forse potremmo fare qualche cosa.92

3.7 Da Un paese a foto-documental Il breve corso di cinematografia gestita da Birri è un corso serale aperto a tutti. Per la parte pratica, Birri riproduce le pagine del libro di Zavattini e Paul Strand Un paese, sostituendo il testo a fronte in italiano con le sue traduzioni in spagnolo e le proietta sul muro. Nel buio i 135 88. ibidem. 89. Birri, “Fotodocumentales” poi in in La Escuela Documental, 33-38. 90. Lettera di Birri a Zavattini, 27 luglio 1957, ACZ 901/9. Inedito. 91. ibidem. 92. ibidem.

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allievi vedono apparire i fantasmi dell’Italia contemporanea in bianco e nero nel fotoservizio “I bambini di Napoli” di Chiara Samugheo e Domenico Rea.93 Questo foto servizio appartiene alla fotografia Neorealista pubblicata in Cinema Nuovo a partire dal 1954, in una serie di foto-documentari che seguono la falsariga zavattiniana dell’inchiesta etnografica accompagnata da immagini documentarie: ne fanno parte anche “Gli allegri arcangeli”, di Rea, “Il mio film ideale”, di Michele Prisco, e “Roma proibita”, di Roberto Manetti (testo) e Marisa Mastellini (foto).94 La serie di foto-reportage è ideata da Zavattini insieme a Guido Aristarco, redattore capo della rivista Cinema Nuovo. È questa l’atmosfera e la reazione del pubblico argentino di studenti, durante la serata in cui Birri proietta il libro di Zavattini e Strand Un paese e il foto-servizio documentario I bambini di Napoli: La prima notte dedicata ad esercitazioni pratiche, ho trasportato un lanterna magica sgangherata nella Facoltà di Chimica e ho proiettato contro la parete dell’Aula Alberti due foto-documentari completi, pescati in mezzo alle carte che mi ero portato dall’Italia: Un paese, con testi di Zavattini e fotografie di Paul Strand e I bambini di Napoli, testi di Domenico Rea e fotografie di Chiara Samugheo. L’auditorio si ammutolì subito e alla fine abbiamo parlato, commentato e polemizzato. L’ultimo gruppetto si è sciolto con alle spalle via Primo Maggio e via Suipacha, quasi alle quattro del mattino.95

Seguono le tante domande. Birri ci tiene a precisare che non si tratta di ripetere meccanicamente l’esperienza Neo-realista, ma di assimilarla, come confermerà Zavattini: Non si tratta di imitare, certo no. Il Neo-realismo non è una scuola di imitazioni. Ciascuno nel proprio paese deve trovare i temi e il linguaggio proprio del suo momento storico: in comune i Neo-realisti hanno la stessa essenza di sincerità, di critica, la stessa fede nel mezzo cinematografico come il più valido per profonde riforme della vita nazionale.96 93. Chiara Samugheo (fotografie) e Domenico Rea (testo), “I bambini di Napoli”, in Cinema Nuovo, iv, n. 63. (25 luglio 1955), 57-64. 94. Domenico Rea, “Gli allegri arcangeli”, in Cinema Nuovo, iv, n. 63. (25 luglio 1955), 65-68. Michele Prisco, “Il mio film ideale”, in Cinema Nuovo, iv, n. 63. (25 luglio 1955), 6970. Chiara Samugheo (fotografie) e Domenico Rea (testo), “I bambini di Napoli”, in Cinema Nuovo, iv, n. 63. (25 luglio 1955), 57-64. Roberto Manetti (testo) e Marisa Mastellini (foto), “Roma proibita”, in Cinema Nuovo, iv, n. 70. (10 novembre 1955), 337-344. 95. Samugheo e Rea, “I bambini di Napoli”, in Cinema Nuovo, (25 luglio 1955), 57-64. 96. Lettera di Zavattini a Birri, 10 maggio 1957, ACZ 901/25. Inedita.

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Dopo la proiezione di Un paese e I bambini di Napoli, Birri racconta tutto a Zavattini per filo e per segno nel suo italiano stentato: Abbiamo fatto una seduta notturna dove, munito da una lanterna magica, ho mostrato a questa giovane gente, ragazzi e ragazze – studenti, assistenti sociali e maestre – lamine