Vissuti e comportamenti dei primi cristiani: Una psicologia del cristianesimo delle origini

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Vissuti e comportamenti dei primi cristiani: Una psicologia del cristianesimo delle origini

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Gerd Theissen

VISSUTI E COMPORTAMENTI DEI PRIMI CRISTIANI Una psicologia del cristianesimo delle origini

QUERINIANA

Dedicato alla Facoltà Teologica Protestante dell'Università Mare Bloch di Strasburgo in segno di gratitudine per il titolo di dottore honoris causa conferitomi

Titolo originale: Gerd Theissen, Erleben und Verhalten der ersten Christen. Eine Psychologie des Urchristentums

© 2007 by Giitersloher Verlagshaus, Giitersloh © 2010 by Editrice Queriniana, Brescia

via Ferri, 75-25123 Brescia (ltalia/UE) tel. 030 2306925 fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected] -

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 978-88-399-0449-2 Traduzione dal tedesco di CARLO DANNA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

PREFAZIONE

La storia della religione fa parte dell'autoesplorazione e dell'autoaffer­ mazione dell'uomo in un universo enigmatico. Essa va studiata con tutti i mezzi scientifici con cui gli uomini cercano oggi di comprendere se stessi. E la psicologia occupa un posto importante in tale lavoro. Negli ultimi de­ cenni essa ha ampliato in misura straordinaria la conoscenza dei nostri comportamenti e delle nostre esperienze. Le scienze dello spirito comin­ ciano solo a poco a poco a sfruttare a proprio vantaggio questo prezioso sapere. Il programma di una dilucidazione psicologica della religione ha una tradizione ad Heidelberg. All'inizio del secolo sco�so ( 1904 - 1 909) si riu­ nirono nell'Eranos-Kreis attorno ad Albrecht Dieterich ( 1 866-1908), gran­ de conoscitore dell'antichità, e attorno ad Adolf Deissmann ( 1 866-1937), esegeta del Nuovo Testamento, importanti studiosi che erano interessati a un'analisi scientifica della religione e della storia della religione. Di quel circolo fecero parte, tra gli altri, Max Weber e Ernst Troeltsch. In occa­ sione dell'ultima riunione Eberhard Gothein tenne una conferenza sulle «Possibilità di una psicologia storica». Dopo la prematura morte di Al­ brecht Dieterich il circolo si sciolse. Adolf Deissmann andò a Berlino e re­ se possibile a un giovane esegeta del Nuovo Testamento, Martin Dibelius, il conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza. Questi, visto che le tesi del suo primo lavoro per il conseguimento di tale abilitazione non ave­ vano alcuna possibilità di essere accettate a Berlino, scrisse molto veloce­ mente un secondo lavoro e scelse come tema la vocazione di Paolo sotto l'aspetto storico e psicologico. Il lavoro fu accettato, ma mai pubblicato. Nel 1915 Martin Dibelius fu chiamato ad Heidelberg. Cento anni fa un procedimento per il conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza, irto di ostacoli per l'abbinamento della problematica storica con quella psicologica, poté avere nella nostra facoltà un esito positivo. Nei decenni precedenti si sarebbe invece dovuto sconsigliare di conseguire la qualifi­ cazione con un tema del genere.

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Prefazione

Negli ultimi venticinque anni hanno visto la luce ad Heidelberg alcuni contributi per wta psicologia della religione cristiana delle origini - da Wl lato, il mio lavoro Psychologische Aspekte der paulinischen Theologie [Aspetti psicologici della teologia paolina] (1983) , che sfrutta le cono­ scenze teoretiche sull'apprendimento, le conoscenze psicologiche e le co­ noscenze cognitive della psicologia moderna; dall'altro lato, il primo sag­ gio di una Historische Psychologie des Neuen Te.rtaments di Klaus Berger (1991) [trad. it., Psicologia storica del Nuovo Testamento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994], che rinuncia volutamente alle conoscen­ ze teoretiche della psicologia attuale. Inoltre hanno visto la luce due lavo­ ri di qualificazione sull'interpretazione psicologica di testi del Nuovo Te­ stamento, e cioè la tesi di laurea di Thea Vogt su Angst und ldentitiit im Markusevangelium [Paura ç identità nel vangelo di Marco] (199.3) e quel­ la di Martin Leiner sulla legittimazione di un'esegesi psicologica: Psycho­ logie und Exegese [Psicologia e esegesi] (1995 ). Tutti questi lavori hanno portato avanti in modi diversi l'istanza dell'Eranos-Kreis. La realizzazione del desiderio, da me coltivato per lunghi anni, di poter scrivere una psicologia della religione del cristianesimo delle origini fu re­ sa possibile da un anno di ricerche nella cornice dell' Heidelberger Alter­ tumswissenscha/tlichen Kolleg (Simposio di Heidelberg sull'antichità) svoltosi nel 2005/6 . Ringrazio i promotori di tale simposio, prof. Tonio Holscher e prof. Stefan Maul, per l'aiuto prestatomi, nonché tutti gli altri colleghi partecipanti per la possibilità di scrivere questo libro. La sua na­ scita è awenuta nel corso di un dialogo tra esegesi neotestamentaria e an­ tropologia culturale, con scambi avuti con il prof. Thomas Hauschild (Tu­ binga) e il dr. Christian Strecker (Neuendettelsau). A loro debbo molti suggerimenti, che potrò mettere a frutto solo in altre pubblicazioni. Inol­ tre il libro poté essere arricchito mediante lo studio dell'opera monumen­ tale di Nasir Khusraw (1004-1077 d.C.), un teologo islarnico estremamen­ te interessante, e mediante contatti con l'islamologo prof. Lutz Richter­ Bernburg (Tubinga). Un grazie di cuore anche a lui per la sua partecipa­ zione e per i contributi alla discussione, nonché a tutti i colleghi che, nel­ la cornice del simposio di Heidelberg, hanno discusso con me e hanno trovato il tempo di leggere parti del mio dattiloscritto e di incoraggiarmi con indicazioni e critiche. Ringrazio in modo speciale il prof. Nils G. Holm (Psicologia della religione, Àbo), il prof.Joachim Fwtke (Psicologia generale, Heidelberg), il prof. Hermes Kick (Psichiatria e Etica medica, Mannheim), il prof. Martin Leiner (Teologia sistematica, Jena) e la prof.ssa Petra v. Gemiinden (Teologia biblica, Augusta). Tutti mi hanno inviato delle risposte preziose.

Prefazione

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Il simposio sull'antichit à ha permesso di discutere problemi di una psi­ cologia della religione cristiana delle or igini in seno a un g ruppo di inte­ ressati es egeti del Nu ovo Tes tamento. Per queste s timolanti discussioni ringrazio il prof. Pierre-Yves Brandt (Los anna), il prof. Pieter Craffer t (Pretoria) , i l d r Istvan Czachesz (Groninga) , l a prof. Fetr a v. Gemiinden (Augusta) , il prof. Gudrun Guttenberger O Iannover) , il dr. Davi d G. Horrell (Exeter) , Ank e Inselmann (Augusta) , il dr. Dieter Mitternacht (Lund) , il dr. Christian Strecker (Neuendettelsau) , il dr. Bemhard Mutschler (Heidelberg) , il prof. T akashi Onuki (Tok io) e Kristina Wagner (Heidelberg). I contributi di questo simposio saranno pubblicati sotto forma di un vo­ lume in collaborazi::,ne dall'editrice Giitersloher Verlagshaus . Ringrazio Diedrich Steen della Giitersloher V erlagsh aus , per aver curato la pubbli­ cazione di ques to volume e di quello del simposio. Per la stesura e la r ifinitura del libro mi sono stati di aiuto gli studenti e laureandi I nes Pollmann, Corin a Cloutier, Eric Weidner, nonché la mia segretaria signora Elfriede L ucius . Kristina Wager ha curato lo stile dei miei dattilos cr itti e li ha resi più leggibili. A tutti il mio grazie di cuore! Un ringraziamento potrebbe stare all'inizio e alla f ine: con mia moglie, dr.ssa Christa T heissen, ho avuto molte conversazioni su conos cenze e teorie psi­ cologiche. Ella si è laureata nel campo della psicologia dello sviluppo e la­ vora da molto tempo come psicoter apeuta nella tradizione della terapia del comportamento. A lei devo se il mio interesse per la psicologia non è mai venuto meno. Dedico il libro alla Facoltà protestante dell'Università Mare B loch di Strasburgo, che nel maggio del2006 mi ha conferito il titolo di dottore ho­

norzs causa. Heidelberg, gennaio 2007

Gerd Theissen

INTRODUZIONE PROBLEMATICA E METODICA DI UNA PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI

La nascita del cri�tianesimo è uno dei problem i più affascinanti della s toriografia. Nonos tante nna ricerca intensa, non abbiamo ancor a com­ preso che cosa nel I secolo d.C. divenne l'informazione culturale fonda­ mentale della nostra s toria sotto forma di una nuova r eligione. C iò ha m ol­ te cause. Una di esse sta nel fatto che la psicologia della religione cris tia­ na delle origini non è finora stata parte costitutiva delle scienze bibliche e di una continua tradizione di ricerche. Essa esiste solo in fr ammenti e spunti'. A prima vis ta il suo compito è così plausibile da non aver bisogno di giustificare la propria problematica. Una psicologia della religione cri­ stiana delle origini deve des cr ivere, inquadrare, comprendere e spiegare il comportamento e l'esperienza religiosa dei primi cris tiani. Solo in un se­ condo momento si prende cos cienza delle difficoltà che si oppongono a questa impres a. Accanto alla mancanza di infor mazioni sui primi cr is tiani ci sono delle obiezioni di fondo: le possibilità di un'applicazione della ps i­ cologia alla storia non sono ancora state chiarite, e lo studio psicologico della religione è un campo marginale tr ascurato. La psicologia s tor ica è fi­ no ad oggi più una visione affas cinante che un progetto coronato da suc­ cesso, la psicologia religiosa più un inizio promettente che un programma realizzato'. Nel caso di una psicologia s tor ica del cristianesimo si assom­ mano i problemi della ps icologia s torica e della psicologia religios a, ma si assommano anche le loro promesse e le aspettative spesso inevase r iposte in esse.

Una panoramica della ricerca è reperibile in M. LEINER, Prychologie und Exegese, 1995. Non esi· ancora una continuità della ricerca nonostante il manuale di J.H. ELLENS- W.G. ROLLTNS, Psy· chology and the Bible, 4 voll., 2004. 1

ste

1 Questo vale almeno per la Germania, anche se una volta diversa era la situazione. Cfr. CH. HEN· NING, Die Geschichte der Religionspsychologie im deutschsprachigen Raum, in CH. HENNING- S. MUR· KEN- E. NF.STLER (edd.), Ein/iihrung in die Religionspsychologie, 2003, 9-90.

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Introduzione

Il problema di una psicologia storica La psicologia è la scienza del comportamento e del vissuto dell 'uomo. Una definizione nominale la definirebbe come scienza dell" anima'. Ma da nn po' di tempo essa ha smarrito l'anima. Oggi la psicologia studia pro­ cessi e strutture psichiche, non la stessa psiche. Il suo oggetto originario è diventato sempre più enigmatico. Ma quanto più l'oggetto di nna scienza diventa enigmatico, tanto più essa deve cer care di dimostrare con una me­ todica rigorosa la propria scientificità. Le bas i di una metodica psicologi­ ca rigorosa furono poste da Wilhelm Wundt (1832 -1920 ), figlio di un par­ roco protestante. Egli sostenne un pluralismo metodico. Da un lato di­ venne il fondatore della psicolog ia sperimentale, dall'altro er a convinto che con gli esper imenti si possono cogliere solo processi momentanei del­ la vita psichica. Tutte le manifestazioni superiori della vita psichica, come l' éthos e la religione, er ano per lui oggetto della :perience, Mysticism, Con­

" Le considerazioni teoretiche contenute nella psicologia religiosa empirica di B. SPILKA et al., Psy­ cbo/ogy, sono sempre state molto istruttive per me. In modo simile a come gli empirici trasfonnano concetti teoretici in problemariche empiriche. così un esegeta deve fare di tali concetti delle idee in­ terpretarive per fare luce su testi concreti.

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prima antichità, i vissuti e i comportamenti religiosi si sono differenziati; (2) l'ipotesi di quattro fattori della religiosità, e cioè l'esperienza, il mito, il rito e l'éthos; (3) l'ipotesi di due gradi della realtà religiosa: la religiosità normale e la religiosità limite o estrema; (4) l'ipotesi dell'esistenza di due correnti religiose estreme nel cristianesimo delle origini, cioè il radicali­ smo profetico e la gnosi mistica; (5) l'ipotesi di una integrazione cristolo­ gica delle molte varianti del vissuto e del comportamento religioso nel cri­ stianesimo delle origini. l) L'autospiegazione di uomini: l'invenzione dell'uomo interiore''

L'anima, che il mondo moderno ha smarrito, fu 'inventata' molto tem­ po fa. La riflessione dell'uomo su se stesso avvenne originariamente attra­ verso 'anime esteriori', che in qualità di sosia, forza vitale e spirito dei morti non furono localizzate nell'uomo. Nel loro intimo gli uomini arcai­ ci si sperimentarono direttamente come una molteplicità di forze e orga­ ni. Solo attraverso l'interiorizzazione dell'anima esterna e la concentrazio­ ne delle forze interiori nacque !"anima' come unità interiore. In un primo capitolo studieremo l'invenzione dell'interiorità come di un centro unita­ rio, avvenuta nel cosiddetto 'tempo assiale' nel corso del primo millennio a.C. (soprattutto nel campo biblico), e il rinnovamento dell"uomo inte­ riore' nel cristianesimo delle origini. Mediante la propria autointerpreta­ zione l'uomo costruì un mondo ordinato. Ma quanto più egli riuscì a co­ struire con le sue interpretazioni del mondo e di se stesso un mondo or­ dinato, tanto più sperimentò le irruzioni in tale mondo come delle irrita­ zioni straordinarie. Solo allora queste divennero delle esperienze dirom­ penti. Le esperienze religiose normali all'interno del mondo familiare si differenziano adesso in maniera sempre più chiara da esperienze religiose limite, nelle quali questo mondo presenta delle crepe. Nell'antico giudai­ smo questo è riconoscibile dallo sviluppo di due generi letterari: nella sa­ pienza esperienziale si riflette su ciò che fonda il mondo esperienziale 'normale' e che gli dà un senso. Accanto ad essa si collocano i profeti, do­ tati di esperienze straordinarie. Nella cultura greca, da un lato, la filosofia esige che uno sappia guidare se stesso mediante la conoscenza in un co­ smo ordinato. Accanto ad essa c'è la tragedia, che rappresenta il crollo della capacità di guidare se stessi in situazioni limite. Nelle pagine succes-

" Cfr. J. ASSMANN

et al.

(edd.), Die Er/indung des inneren Menschen, 1993.

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lntrodu7.ione

sive cer cheremo nel cristianesimo delle origini una differenziazione del medesimo tipo di vissuto e di comportamento in varianti r eligiose norma­ li e varianti religiose limite. Quasi ininterrottamente scopriamo qui una continuità fra due poli. Ques ta tensione s piega fors e il dinamismo s torico che nel cristianesimo delle origini portò alla fondazione di una nuova re­ ligione. Perciò la domanda: che cos a avviene quando s i forma una nuova r eligione?

2) Quattro fattori della religione: esperienza, mito, rito e éthos Come abbiamo già visto sopra, non esiste una definizione riconosciuta della religione. Ciò dipende anche dal fatto che attualmente la r eligione sembra dissolversi. Quanto si nasconde dietro la secolar izzazione è tanto difficile da cogliere quanto è difficile stabilire che cosa la religione pro­ priamente è. La secolarizzazione è un'individualizzazione della religione, la cui forza unitiva collettiva è divenuta più debole. Ma più ancor a la se­ colarizzazione è una 'frammentazione' della religione: i suoi divers i fatto­ ri oggi si autonomizzano e si r aggr uppano solo con difficoltà in sistemi coerenti di segni, a cui gli uomini affidano la loro vita. Diamo perciò uno sguardo ai quattro fattori, da cui le r eligioni sono formate e che oggi si r endono autonomi. Essi s ono l'esperienza, il mito, il rito e l' éthos. Nelle analisi empiriche dei fattori della religione attuale essi si sono delineati con chiarezza". Sono presenti in saggi di psicologia dell'evoluzione". So­ prattutto queste quattro funzioni e sfere s opravvivono oggi in maniera re­ lativamente indipendente le une dalle altre anche in forma secolarizzata. Questo è un segno chiaro della loro autonomia. L'esperienza religiosa ricor re in individuali peak esperiences (esperienze estreme) come gratitudine contemplativa o come s tato di trance nella di­ scoteca, nel terrore di fronte alla mor te o nella cer tezza del senso di fron­ te alla morte. Ogni esperienza di un senso incondizionato nella finitezza della vita è un'esperienza religiosa, anche se essa non è etichettata così. Miti e dottrina ricorrono oggi nella forma di alcuni saggi teoretici sul­ l'evoluzione. La teoria dell'evoluzione svolge nella scienti/ic community la funzione di un 'grande r acconto', nel quale è possibile inquadrare tutto. In esso mancano soggetti soprannaturali, ma nella fantasia ess i non sono

" CH. Y. GLOCK - R. STARK, Religion and Sodety in Tension, 196,, distinguono esperienza. mito, dotnina, rito, éthos. La clourina è, a mio giudizio, spiegazione del mito, per cui qui li uniamo assieme. " C. SòLING, Der Gotlesinstinkt, 2002.

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scomparsi, come dimostra la letteratura fantastica dei romanzi d i Harry Potter e dei libri di Tolkien. Il rito e la comunità compaiono in cerimonie private e pubbliche. I rites de passage sopravvivono nelle prolusioni e nelle lezioni di commiato di professori. La lave parade (parata dell'amore) è un rituale di massa, nel quale un popolare !t/e style (stile di vita) celebra se stesso e crea provviso­ riamente una comunità. L' éthos e la prassi assumono un carattere di incondizionatezza anche in contesti secolari. La politica! correctness consiste nel bollare eretici in un mondo di persone per bene. E di continuo vengono proposti dei progetti di vita che - per motivi buoni o cattivi - esortano ad affrontare il martirio. Si pensi solo all'influsso che associazioni terroristiche secolari hanno eser­ citato sui loro membri. I quattro fattori della religione, cioè l'esperienza, il mito, il rito e l'éthos, che oggi ricorrono spesso sotto forma di frammenti, costituiscono nelle re­ ligioni tradizionali un'unità. Nascono nuove religioni quando questi fatto­ ri sono riorganizzati, perché nuove esperienze spazzano via vecchie inter­ pretazioni, riti e forme di vita. Una simile riorganizzazione della religione sulla base di nuove esperienze si verificò anche nel cristianesimo delle ori­ gini". In esso si riflette su tutti e quattro i fattori con l 'aiuto di termini lin­ guistici guida: la nuova esperienza religiosa è riassunta sotto il termine pneuma (spirito). La dottrina interpretante è detta sophia (sapienza) e gno­ sis (conoscenza). La comunità fondata mediante nuovi riti si chiama ek­ klesia (chiesa). Al centro del nuovo étho.r sta, in veste di termine guida, l'agape (amore) . Analizzeremo via via questi termini biblici guida all'inizio dei nostri quattro capitoli sui quattro fattori della religione. Alla base del cristianesimo delle origini c'è ( l ) una nuova esperienza re­ ligiosa. Essa consiste nelle esperienze con Gesù, a proposito delle quali so­ no riconoscibili due varianti: da un lato esperienze di natura quotidiana a contatto con un maestro di sapienza e con un predicatore itinerante, dal­ l'altro le esperienze estreme della passione e della Pasqua, della morte e della nuova vita. In ambedue le varianti ai seguaci di Gesù si dischiuse in maniera nuova il mistero del mondo, della vita e della morte'". I primi cri­ stiani attribuirono queste nuove esperienze religiose all'azione dello pneu-

" L.W. HURTAOO,

Religiour Experience and Religiour lnnovation in the New Tertament, in JR 80

(2000) 183-205. " Sull'esperienza religiosa nel cristianesimo delle origini: L.T. }OHNSON, Relzgiour Experience in Earliert Chrirtianity, 1998.

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Introduzione

ma. Non è un caso se già nel termine pneuma possiamo distinguere due varianti. Il pneuma è, da un lato, una forza costantemente operante in tut­ ti i cristiani, dall'altro una potenza irrompente in maniera irregolare, che pervade carismatici particolari in situazioni straordinarie. Le nuove esperienze furono interpretate (2) attraverso racconti e dottri­ na. La storia di Gesù divenne in due varianti il racconto fondamentale di una nuova comunità, da un lato come la storia terrena di un maestro di sa­ pienza tra Nazaret e Gerusalemme (soprattutto nei vangeli sinottici), dal­ l'altro come irruzione della trascendenza nel tempo tra il tempo iniziale e quello finale (soprattutto in Paolo e nel vangelo di Giovanni). Essa diven­ ne un mito, perché raccontava di un evento nel mezzo della storia, che era tanto importante quanto la creazione all'inizio della storia. Perciò fu ador· nata con i motivi mitici di un nuovo tempo iniziale. In questo modo si ve­ rificò una ri-mitizzazione regressiva dell'immaginazione. La storia della salvezza divenne il dramma tra Dio, suo Figlio, gli angeli e satana, il mo­ noteismo rigoroso fu modificato. Pure qui nella tradizione biblica le due cose sono collegate nel termine sophia (sapienza): la sapienza è da un lato esperienza sapienziale come interpretazione del mondo ordinato, dall'al­ tro sapienza rivelata, che irrompe in questo mondo contro ogni sapienza terrena. Essa abbraccia fenomeni religiosi normali e fenomeni religiosi li­ mite. L'irruzione della trascendenza allora sperimentata fu (3) celebrata in nuovi riti, mediante cui furono formate le nuove comunità: anche qui tro­ viamo, accanto a pasti comunitari quotidiani, i sacramenti, nei quali la cro­ ce e la risurrezione sono presenti in maniera misteriosa. In questo modo si verificò una rottura con la tradizione: i sacrifici cruenti furono, da un la­ to, sostituiti da sacramenti non cruenti, dall'altro furono rinnovati nella fantasia mediante l'idea di un sacrificio umano. Per indicare la nuova co­ munità si impose un nuovo termine guida: ekklesia, chiesa. Esso indica, da un lato, la continuazione dell'antico popolo di Dio con i suoi problemi quotidiani, dall'altro il misterioso «corpo di Cristo», nel quale è presente il Risorto. Di nuovo troviamo nelle due varianti del concetto di chiesa, po­ polo di Dio e corpo di Cristo, la religione normale e la religione limite. Con miti e riti fu infine interiorizzato (4) un nuovo éthos. Nel cristiane­ simo delle origini esso fu organizzato in due comandamenti fondamenta­ li: amore del prossimo e rinuncia allo status. Il racconto del Figlio di Dio che si è umiliato fino a diventare l'uomo crocifisso, fondò la rinuncia allo status; il racconto della sua dedizione piena di amore fondò l'amore del prossimo. Anche qui videro presto la luce due varianti: un éthos quotidia-

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n o per l e comunità domestiche e un éthos radicale per carismatici itine­ ranti. Termine etico guida divenne l'agape (amore). Questo amore ricorre in una variante religiosa normale e in una variante religiosa limite: come sollecitudine reciproca nella vita quotidiana e come dono della vita e amo­ re dei nemici in situazioni estreme.

3) Due gradi della deviazione dalla vita quotidiana: religiosità normale e religiosità limite Il vissuto e il comportamento religioso sono sempre una deviazione dal mondo della vita quotidiana. Già quando abbiamo parlato brevemente di esperienza, mito, rito e éthos è risultato chiaro che, al riguardo, esistono vari gradi di deviazione, una deviazione che rimane vicina alla vita quoti­ diana e una rottura sconvolgente della vita quotidiana. In questa psicolo­ gia del cristianesimo delle origini io ho distinto queste due forme come re­ ligiosità normale e come religiosità limite. Si tratta di varianti all'interno di un continuum con due poli'". Il primo polo è una 'fondazione', il secondo una 'rottura sconvolgente' del mondo della vita quotidiana. Nelle espe­ rienze fondanti il mondo lascia trasparire un fondamento trascendente, nelle esperienze limite si produce in esso una fenditura, attraverso la qua­ le irrompe un altro mondo"'. La psicologia religiosa ha spesso studiato unilateralmente varianti limite e estreme di religione, come esse siano più drammatiche e come nelle fonti si presti loro maggior attenzione. Tali esperienze però sono rare61 •

.

" La psicologia odierna riconosce una continuità degli stati di coscienza. La divisione degli stati di coscienza in polarità dicotomiche è un costruno sociale. Le comunità non possono però far a meno di distinguere con chiarezza tra comportamento 'nonnale' e componamento 'deviante'. Precisamen­ te questi costrutti sociali dominano i nostri testi e sono una realtà psichica. •• Il concetto di (Sa/ 8,2). Ma può anche assumere forme estatiche. Robert Musil ha dedicato la sua vita di scrit· tore a descrivere e ad analizzare l'esperienza eli un 'altro stato' estatico e ha utiliz· za to a questo scopo le 'Confessioni estatiche' (di Martin Buber)", al fine di rive­ stire di parole una «mistica senza Dio»"'. " Cfr. le brevi panoramiche di M. ScHRòTER·KUHNHARDT, Das ]enseits in uns; C. ZALESKI, Naht­ deserlebnisse. " M. BUBER (ed.), Ekstatische Konfessionen, Jena 1909, a cura di P.R Mendes·Fiohr, 1984' [trad. il., Confessioni estatiche, 1987']. " R. MusrL, Der Mann ohne Eigensehaften, 1952 [trad. it., I:uomo senZJJ qualità, Einaudi, Torino 2005].

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Anche nel cristianesimo delle origini è sempre riconoscibile sullo sfon­ do di fenomeni religiosi estremi una 'religiosità normale'. Da esempi in questo senso possono servire: la percezione simbolica dei gigli e degli uc­ celli come allusione alla bontà di Dio e le visioni extranormali della Pa­ squa, nelle quali una divinità irrompe in apparizioni luminose in questo mondo•'; la preghiera del Padre nostro nella lingua normale e la glossola­ lia, nella quale degli uomini comunicano nella lingua degli angeli""; il pa­ sto comunitario quotidiano con la benedizione e l'eucaristia con un can­ nibalismo simbolico. Importante per le ulteriori riflessioni è: fra modi re­ ligiosi normali di comportamento e di vissuto e modi limite esistono dei passaggi fluidi. Essi sono la condizione necessaria affinché la religiosità li­ mite possa diventare feconda per la religiosità normale, come a mio giu­ dizio è awenuto nel cristianesimo delle origini. Al riguardo ci imbattere­ mo in continuazione in un dato di fatto: la mediazione tra modi religiosi normali di comportamento e di vissuto e modi estremi awiene nel cristia­ nesimo delle origini con l'aiuto di modelli interpretativi cristologici: come predicatore galileo itinerante Gesù sta vicino al mondo della vita quoti­ diana, ma come Figlio di Dio, che è crocifisso e risuscitato, trascende que­ sto mondo della vita quotidiana. Se per indicare questo fatto utilizziamo come aiuto interpretativo due espressioni della successiva storia dei dog­ mi, possiamo dire: Gesù congiunge fra di loro, come vere homo (vero uo­ mo) e vere deus (vero Dio), le divergenti possibilità comportamentali ed esperienziali degli uomini. L'idea di una religiosità graduata ha degli antecedenti: nella sua psico­ logia religiosa William James distinse fra la religiosità dei nati una volta e quella dei nati due volte, tra una religione ottimistica di coloro che non fu­ rono mai strappati alla loro vita e una religione dell"anima malata', che è passata attraverso la malinconia ed esperienze limite67• Egli pensava a una tipologia della personalità come a una caratterizzazione di uomini diversi. In realtà ambedue le forme si trovano una accanto all'altra nel medesimo uomo, cosa che anche Williarn James ha visto.

" M. FRENSCHKOWliKI, Vision, f.-N., in TRE 3,, 2003, 1 17 -147; B. HEININGER, Paulus a!J Visioniir, 1996. � CH. WOLFF, Zungenrede l., in TRE 36, 2004, 754-763. " W. }AMES, Die Vie/fa/t religioser Er/ahrung, 61s.63s. [trad. it., u varie /vrme dell'esperienZJJ reli­ giosa, Morcelliana, Bresc ia 1 998, 70s.72s.]. Cfr. al riguardo S. HEINE, Grundlagen, 129-132.

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Introduzione

4) Due tipi fondamentali della realtà religiosa: varianti elevate e varianti profonde Se si accetta come ipotesi guida l'idea di una religiosità graduata per un'analisi psicologica del cristianesimo delle origini, ci si imbatte in un ul­ teriore problema: nel tardo cristianesimo delle origini, nel il secolo, si svi­ luppano una accanto all'altra due varianti limite di religiosità: accanto al­ la religiosità profetico-estatica del primo cristianesimo delle origini si af­ ferma una corrente mistica radicale, la gnosi. La nascita della gnosi è sto­ ricamente un enigma. Solo una cosa è sicura: in essa viene attivata una possibilità relativamente atemporale di religiosità. Le deviazioni dalla co­ scienza della vita quotidiana possono infatti andare in due direzioni: in di­ rezione di una superiore attivazione o in direzione di una più profonda di­ stensione, esse possono avere come scopo un incremento estatico o un'im­ mersione meditativa. Esistono perciò «Varianti elevate e varianti profon­ de» del vissuto e del comportamento religioso e, a seconda dei casi, due forme di religiosità limite. Qui di seguito noi le distinguiamo come reli­ giosità mistica e come religiosità profetica (Nathan Soderblom)"". Oggi es­ se sono talvolta motivate in maniera neuropsicologica: negli stati medita­ rivi viene attivato il sistema nervoso parasimpatico, negli stati estatici quel­ lo simpatico••. Ambedue le forme di religiosità hanno, a mio giudizio, qualcosa a che fare con le due funzioni fondamentali della religione: con l'apprendimento della vita e con la sopportazione della morte, o con un coraggio incondizionato di vivere e di morire. Alla fine dedicheremo alla gnosi, quale tipo mistico di religiosità, un capitolo specifico e cercheremo in esso di dimostrare l'esistenza, in seno a tutti e quattro i fattori della re­ ligione, di queste due correnti del vissuto e del comportamento religioso nel cristianesimo delle origini.

" N. SClDERBLOM, Uppenbarelrreligion. 1903, distingue tra mistica dell'infinità, nella quale l'anima trapassa nel cosmo divino, e una > (epiméleia tes psyches) e la responsabilità biblica davanti a Dio con­ fluirono in due concezioni di una condotta unitaria, che punta sull'auto" G. MATIHEWS, lntemalist Reasoning in Augustine /or Mind-Body Dualism, in J-P WRIGHT - P. 2000, 133-145. m B. GLADIGOW, Bi/anzrerungen des Lehens, 94s. " A. DIHLE, Dre Vorstellung vom Wrllen in der Antike, 1985.

PoiTER (edd.), Psyche and Soma,

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direzione dell'essere umano. L'essere umano si sganciò in ambedue le tra­ dizioni dalle dipendenze di una ctÙtura della vergogna e sviluppò una cul­ tura della colpa, senza che sia mai diventato completamente libero dall'e­ terodirezione da parte del prestigio, della considerazione e dell'onore". L'interiorizzazione dell"anima esterna' non è naturalmente mai com­ pleta. L'essere umano continua a sapersi, oggi come una volta, guidato nel suo intimo da potenze poste al di fuori di lui. La parete divisoria tra in­ terno ed esterno rimane porosa. Ma nell'((invenzione dell'uomo interiore» questa eterodirezione diventa sempre più l'eccezione e l'autodirezione sempre più l'ideale perseguito. Inoltre, attraverso l'incentramento di or­ gani dell'anima e di energie dell'anima, nell'uomo nascono regioni vicine all'io e regioni lontane dall'io. Egli presagisce che neppure nel suo intimo tutto gli è ugualmente accessibile e che non di tutto può disporre alla stes­ sa maniera. Nei primi tempi del cristianesimo si arriva perciò a intravede­ re un confine anche nell'intimo, cosicché anche nell'essere umano si di­ schiude una misteriosa profondità. Soltanto nell'età moderna si impone nella cultura europea, con la distinzione cartesiana fra una res extensa e una res cogitans, la separazione dell'interno dall'esterno, con la conse­ guenza che la scoperta psicanalitica di un inconscio all'interno dell'essere umano - quindi di un 'mondo esterno' nel 'mondo interno' fu una rivo­ luzione dell'autocomprensione umana. Prima però seguiamo lo sviluppo tanto in Israele quanto in Grecia. -

lll . Lo SVILUPPO DELL'IMMAGINE DELL'ESSERE UMANO IN ISRAELE

Israele conosce nella sua 'architettonica' interna un centro nell'essere umano, il cuore (/ebab), anche se tale architettura interiore non vic:nc: mai esposta in maniera sistematica. Diversi organi del corpo e anime organi­ che sono menzionati parallelamente gli uni agli altri, senza che si ricono­ sca una differenza essenziale fra di loro: con queste denominazioni bio­ morfe di anime si intende sempre l'essere umano nella sua totalità sotto vari aspetti":

" E.R Dooos, Die Griechen und das I"atioMie (ingl. 1951), 1970 [uad. it., I Greà e l'imaionale, 2003]. " B. }ANOWSKI, Der Mensch im alten lsrae/, in ZThK 102 (2005) 143-175.

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«Per questo gioisce il mio cuore, ed esulta la mia anima; " anche il mio corpo riposa al sicuro» (Sa/ 16,9). «Quando era amareggiato il mio cuore e i miei reni trafitti dal dolore» (Sa/ 73,2 1 ) .

n cuore ha, nonostante questi organi paralleli, una posizione centrale. Esso è il luogo della conoscenza, della volontà e del sentimento. Gioia, co­ raggio e conoscenza hanno lì la loro origine: «Un cuore lieto dà serenità al volto, ma quando il cuore è triste, Io spirito è depresso. Un cuore intelligente desidera imparare, la bocca dello stolto si pasce della sua ignoranza» (Pr 15,13·14).

Il cuore è perciò sia !'«uomo razionale»" sia l'uomo che ha dei senti­ menti e vuole, il centro cognitivo, emotivo e motivazionale dell'essere umano. n cuore è spesso messo direttamente in relazione con Dio, anche se Dio è superiore al cuore umano: «Il cuore dell'uomo elabora progetti, ma è il Signore che rende saldi i suoi passi» (Pr 16,9). Dio, quando vuole rinnovare l'uomo nel suo centro, gli dà un cuore nuovo (Ez 36,26ss.). An­ che in Dio il cuore ha una posizione centrale: «Il mio cuore si commuo­ ve'• dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo al­ l'ardore della mia ira» (Os 1 1 ,8s.). Il cuore, dal momento che è il centro della persona, è assalito da crisi esistenziali, per cui già nei Salmi si è tro­ vata la descrizione di «nevrosi cardiache»": «Dentro di me si stringe il mio cuore, piombano su di me terrori di morte. Mi invadono timore e tremo­ re e mi ricopre lo sgomento» (Sal 55,5s.). «Ammutolito, in silenzio, tace­ vo, ma a nulla serviva, e più acuta si faceva la mia sofferenza. Mi ardeva il

La traduzione di Lutero rende qui bàsàr con Leib (corpo). � Così H.W. WoLFF, AnthropoloKie des Alten Testaments, 1973, 1994', 68·9� [trad . ir., Antropoft>. gi4 dell'Antico Tt·stamento, Queriniana, Brescia 2002', 73]. Poiché oggi il cuore non è il luogo dell'in· telletro, bisogna smtolineare il suo aspetto cognitivo nell'Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento si percepisce però poi un certo aumento in fatto di 'irrazionalità' nella concezione del cuore, perché esso dispone di un proprio rennine, nfi.r, per pa rlare della ragione. Il cuore si ottenebra (Rm 1,21), è fonte di desideri (Rm 1,24). di macchinazioni se�rete (l Cor 4,5). di dolore psichico (Rm 9,2; 2 Cor 2.4). ma è anche riempito dallo Spirito Santo (Rm 5,5; 2 Cor 1,22) ed è il luogo Jel suo gemito inef. fabile (Rm 8,26s.). " Solo se con la traduzione di Zurigo si parla di una Umkehr (conversione) in Dio, il punto saliente diventa chiaro: la traduzione di Lutero «Meù1 Hen. ist anderes Sinnem (il mio cuore è di altra idea) non è qui chiara. " CH. fREVEL - 0. WISCHMEYER, Menschsein, 2003, 32·34. 1�

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cuore nel petto; al ripensarci è divampato il fuoco» (Sal 3 9,3s.). A Gere­ mia l'amara situazione del popolo «penetra fino al cuore» (Ger 4,18) e gri­ da: «Sono straziato. Mi scoppia il cuore in petto, mi batte forte; non rie­ sco a tacere, perché ho udito il suono del como, il grido di guerra» (Ger 4, 19). Ma nell'Antico Testamento, accanto al cuore, anche altri organi so­ no diventati organi animati. Troviamo dei resti dell'antico pluralismo in­ teriore dell'anima. Ira e collera sono collegate con il naso ('a/l: chi è adirato lo manifesta sbuffando. Un'ira santa s'impossessa dell'uomo, quando lo spirito di JHWH discende sopra di lui ( Gdc 14,19; l Sam 1 1 ,6). Il grembo materno e l'addome (rebem) sono il luogo della compassione (rbm): «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non com­ muoversi per il figlio delle sue viscere?» (!s 49,15; cfr. Ger 3 1 ,20) . Ciò va­ le per ambedue i sessi: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Si­ gnore è tenero verso quelli che lo temono» (Sa/ 103,13). Nel Nuovo Te­ stamento le 'viscere' (spldnchna) indicano la misericordia e la compassio­ ne (Le 1 ,78; Co/ 3 ,12). I reni sono collegati con un dolore pWlgente. Giobbe si lamenta di Dio: «Ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge le reni senza pietà, versa a terra il mio fiele» (Cb 1 6, 12s.). Proprio per que­ sto i reni diventano organi della coscienza e dei rimorsi di coscienza: «An­ che di notte il mio animo mi intruisce» (Sa/ 16,7 - nelle traduzioni il cor­ rispondente termine ebraico è spesso tradotto con 'cuore'). Dio esamina il «cuore e i reni» dell'uomo (Sa/ 7, 10; 26,2; Ger 1 1 ,20; 17,10; cfr. Ap 2,23 ). A questa architettonica orientata a un centro si affianca una dinamica fatta di due forze elementari: anima (ne/e'f) e spirito (ruah). Anche qui fe­ nomeni concreti forniscono immagini di energie psichiche. L'anima (ne­ /d) è originariamente il respiro, lo spirito (ruah) il vento; i due si distin­ guono per il fatto che il respiro proviene dall'interno, mentre il vento pro­ viene dall'esterno. La dinamica vitale indicata come 'anima' è perciò attri· buita all'interno, quella indicata con 'spirito' all'esterno. Quando i due termini e i loro significati si intersecano, allora essi intendono dire che i medesimi fenomeni sono causati sia dall'interno che dall'esterno. L''anima' (ne/ei) rimane in effetti nel corpo e lo abbandona solo al mo­ mento della morte. Originariamente essa è un organo: ne/e! significa gola e fauci (Sa/ 69,2). Poi diventa l'anima di un organo e, come alito e respi· ro, sempre più l'energia vitale generale (Gen 2,7). Può anche indicare una voglia e un desiderio passeggeri, come quelli che si risvegliano continua· mente nell'uomo sotto forma di fame (Dt 23,25) e di sete di vendetta (Es 15,9), ma diventa un'aspirazione generale (Gen 23,8) e un'energia vitale

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generale, che mira intenzionalmente a qualcosa, gioisce e si rattrista e che si salva con la vita e si perde con la morte'8• Essa costituisce perciò Wl qualcosa di continuo durante tutta la vita. Affine è il termine 'respiro', 'ali­ to'. Dio formò l'uomo dalla terra, soffiò dentro di lui il suo respiro ( ne· stimah), e l'uomo divenne così un essere vivente (ne/e'f hayyfm) (Gen 2,7). L'uomo condivide questa forza vitale con gli animali, anch'essi hanno un «alito dello spirito» (Gen 7,22). Inoltre la dinamica vitale umana si manifesta ancora (come in Gen 7 ,22) in una seconda forma: motivazioni ed emozioni sopravvengono in conti­ nuazione come dall'esterno sull'uomo. Tali impulsi motivazionali esterni sono indicati come spirito (ruah). Qui fornitore di immagini non è il re­ spiro proveniente dall'interno, bensì il vento proveniente dall'esterno: quando lo spirito (ruah) - originariamente vento (Es 14,2 1 ) - diventa me­ taforicamente lo spirito che investe l'uomo, rimane da stabilire se esso è lo spirito dell'uomo o lo spirito di Dio: Saul è tormentato da uno spirito cat­ tivo inviato da Dio (l Sam 1 6,14.23 ) ; Israele è traviato da uno spirito di prostituzione (Os 4,12; 5,4); Dio dà all'uomo uno spirito nuovo e saldo !Sal 5 1 , 12. 14). In questo spirito, che sopravviene sull 'uomo, sopravvive l'io dissociativo del tempo arcaico. Caratteristico però è il fatto che tale spirito diventa una cosa sola con l'essere umano. Esso è un dono di Dio e non ha un essere proprio. I due, anima (ne/ef) e spirito (rzlah), sono in alcuni casi sinonimi: l'An­ tico Testamento, quando vuole sottolineare che l'energia vitale di tutti gli esseri viventi proviene da Dio, presenta l'essere umano come creatura ani­ mata dallo spirito (ruah)". Lo spirito è allora identico all'energia vitale, che rimane continuamente in lui fino alla morte. Questa idea la troviamo in testi sapienziali come Sa/ 1 04,29s.: «Togli loro il respiro (ruah), muoio­ no e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito (ruah), sono creati». Essere umano e animale sono sotto questo aspetto, secondo il predicato­ re Salomone, uguali: «Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste, così muoiono quelli; c'è un solo soffio vita­ le (ruah) per tutti. L'uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tut­ to è vanità . . . Chi sa se il soffio vitale (ruah) dell'uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?» (Qo 3 ,19-2 1 ) . Qui lo spi­ rito (il respiro) è l'energia vitale che opera nell'essere umano sotto l'a" C. WESTERMANN, ne/ef!See/e, in E. }ENNI - C. WESTERMANN, Th WAT, 197!11976, 7 1 -95 [trad. il., II, 66-89]. H.W. WOLFF, Anthropologie des A/ten Testaments, 1973, 1994', 25-48 [trad. it., 18-39]. � R. ALBERTZ - C. WESTERMANN, ruah!Geist, in E. }ENNI - C. WESTERMANN, ThWAT, 1971/1976, 726-754 [trad. it., Il, 654-678]; H.W. WOLFF, Anthropologie, 57-67 [trad. it., 48-57].

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spetto di una causa proveniente dall'esterno: tale energia è data e di nuo­ vo ripresa da Dio'". Lo spirito, dal momento che proviene dall'esterno, non è collegato nell'essere umano (diversamente dal ne/ei) con alcun or­ gano". Inoltre ancora vede la luce l'ideale che questo spirito, il quale investe in continuazione l'essere umano, faccia costitutivamente parte di lui e che lo spirito (ruah) di Dio diventi, per così dire, la sua energia vitale: Dio pro­ mette di creare per gli israeliti un cuore nuovo e uno spirito nuovo (Ez 1 8,3 1 ) e che immetterà il suo spirito nel loro intimo, affinché possano de­ bitamente osservare i suoi comandamenti (Ez 36,26s.). Tale promessa si adempie in maniera ideale in un re salvifico: su di lui si poserà lo «spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di co­ noscenza e di timore del Signore» (Is 1 1,2). Il fatto che esso ripmi su di lui implica che esso rimarrà, sebbene altrimenti investa solo provvisoriamen­ te l'essere umano. La dotazione dello spirito del re messianico unisce in sé sapienza e forza di volontà, aspetti cognitivi e motivazionali, con al centro l'attuazione della volontà divina: egli «giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra» (Is 1 1 ,4). La cosa decisi­ va è questa: lo 'spirito' che afferra solo provvisoriamente l'essere umano diventa una dotazione ininterrotta. Ciò viene promesso a tutti gli israeliti, ma è realizzato in loro rappresentanza mediante un re messianico. La for­ za propulsiva dall'esterno deve diventare la motivazione interiore, la com­ mozione provvisoria provocata dall'esterno deve diventare la sorgente ininterrotta di energia nell'intimo. L'intimo dell'essere umano abbraccia nell'Antico Testamento anche una molteplicità di parti e di energie, sebbene il cuore diventi sempre più il centro personale dell'uomo. Tuttavia l'unità dell'essere umano è creata non tanto da un incentramento nell'intimo, quanto piuttosto dall 'orienta­ mento di tutti gli organi e di tutte le energie all'uno e unico Dio, in corri­ spondenza al comandamento fondamentale d'Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore (lebiib), con tutta l'anima (ne/d) e con tutte le forze (meod)» (Dt 6 ,4 ) . Il monoteismo è in Israele il presupposto più importan­ te della nascita di un centro della persona. Tutte le anime organiche e gli organi animati acquisiscono, con l'orientamento a un unico Dio, un 'cen• H.W. WoLFF, A11thropologie, 67 [trad. it., 57]:

«11 fatto che l'uomo sia come r(uah) vivo, che vo­

glia il bene e che agisca con autorità non proviene da lui».

" CHR. FREVEL - O. WISCHMEYER, Menschsein, J2.

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tro estrinseco', a cui corrisponde nell'essere umano, come 'centro intrin­ seco', il cuore". Nella tradizione di Gesù il numero ternario delle facoltà è completato da un'energia cognitiva, l'intelletto o mente (didnoia) (Mc 12,30; Le 10,27). Il vangelo di Matteo riduce le facoltà dell'anima al tradi­ zionale numero di tre, però conserva ugualmente l'intelletto (Mt 22 ,37). Possiamo perciò dire: nella tradizione di Gesù un ruolo particolare viene attribuito, fra tutte le energie, all'intelletto. All'inizio del cristianesimo, in­ fatti, il cuore non è più tanto chiaramente la sede della conoscenza come nell'Antico Testamento, per cui, per comprendere tutto l'essere umano, subentra un organo specifico e autonomo della conoscenza. Questo am­ pliamento delle facoltà dell'anima è nello stesso tempo un riflesso dell'in­ contro del giudaismo con la cultura cognitiva dell'ellenismo". L'unificazione della persona, oltre che dal monotcismo, è promossa an­ che da un secondo fattore: la nascita di una fede in una sopravvivenza al di là della morte nel tardo periodo veterotestamentario e dopo la conclu­ sione dell'Antico Testamento. Nella sua forma canonica definitiva l'Anti­ co Testamento conosce solo un'esistenza umbratile dopo la morte: il cul­ to degli antenati ancora riconoscibile in alcuni relitti è respinto, l'evoca­ zione dei morti e i pasti funebri vengono aboliti (l Sam 28; Dt 18,9-1 1). Tutte le tracce di un'anima esterna e libera sono scomparse. Gesù Sirach sostiene ancora, all'inizio del n secolo a.C., la limitazione alla vita terrena: «Quanto è dalla terra alla terra ritornerà» (Sir 4 1 , 10). I sadducei sosten­ gono questa posizione nel tempo neotestamentario (Mc 12, 18-27), quan­ do già da lungo tempo avevano preso piede nuove concezioni: una fiducia in una sopravvivenza dopo la morte, a proposito della quale possiamo di­ stinguere una fede nella relazione, una fede nella risurrezione e una nel­ l'immortalità. Nella fede nella relazione l'appartenenza a Dio è sperimentata in manie­ ra così intensa da provocare la certezza di un'appartenenza all'eternità, no­ nostante si sappia che gli inferi sono propriamente il luogo dei morti. An­ che qui il cuore è il luogo della relazione con Dio. Il salmista lo sa: «Mi ac-

u n concetto di persona non è dato già automaticamente con il monoteismo. J. Van Ess, in H. KONG -]. VAN Ess, Chn'stentum und We/treligionen. ls/am, 1994, 120, afferma a proposito dell'islam: .Poiché l'agire è in ogni istante diretcamente al cospetto di Dio e non influisce diritto come un frec­ cia sul futuro, non c'è bisogno di alcuna istanza che tenga assieme questi singoli atti: la teologia isla­ mica non conosce praticamente il concetto di persona>). " G. THEISSEN, Das doppelte Liebesgebot in de ]esusiiber/ie/erung, in ]esus als historische Gesta/t, 2003, 57.72.

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coglierai nella gloria. Chi avrò per me nel cielo? Con te non desidero nul­ la sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre>> (Sa/ 73,24-26). In Giobbe si fa stra­ da questa certezza: > (Gb 1 9,25-27). In tali passi l'i­ dea che singoli individui non siano dovuti andare negli inferi, ma siano sta­ ti assunti in cielo (come Enoc e Elia), è estesa ad altri esseri umani. Pure la fede nella risurrezione è estrinsecamente fondata in Dio: Dio può di nuovo creare quel che ha creato, anche se esso è sprofondato nel nulla. Dio può di nuovo creare l'uomo dalla polvere. L'attesa di una ri­ surrezione dei morti è attestata per la prima volta nella seconda metà del II secolo a.C. a proposito di martiri ebrei (Dn 12,2s.; 2 Mac 7 , 1 1 ) . Essa si presenta a volte come fede nella risurrezione dei �iusti (etHen 90-92; Ps­ Sa/ 3 , 12), ma è presto estesa a tutto Israele e diventa la risurrezione di tut­ ti: «Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno!>> (ls 26, 19; verosimilmente del m/n secolo a.C.). I farisei e Gesù condividono, nel I secolo d.C., questa convinzione, che Gesù motiva in maniera rigoro­ samente teocentrica: se Dio si rivela come Dio di Abramo, di lsacco e di Giacobbe, allora egli non è un Dio dei morti (Mc 12,26). I tre patriarchi vivono per mezzo suo e nella relazione con lui (Mt 8,1 1 s.). Infine troviamo l'idea di un'immortalità dell'anima nella Sapienza di Sa­ lomone (I secolo a.C.). Questo scritto la ritrova addirittura nel racconto della creazione: l'essere umano fu creato per l'immortalità ad immagine di Dio (Sap 2 ,23) . Immortali sono però solamente le anime (psychdt) dei giu­ sti, mentre gli ingiusti scompaiono. Una soprawivenza dopo la morte è le­ gata a criteri etici, cosicché anche la fede nell'immortalità è dedotta dalla relazione estrinseca con Dio. L''anima' è così corroborata nella sua auto­ nomia rispetto al corpo (Sap 3,1.13; 4, 14; 8,19-2 1 ). Pure nel Nuovo Testa­ mento troviamo questa idea di un'anima che soprawive al corpo: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uc­ cidere l'anima (psyche); abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l'anima e il corpo>> (Mt 10,28). Nell'Antico Testamento l'incentramento della persona fu operato in tutte e tre le varianti di una fede nell'eternità, la fede nella relazione, nel­ la risurrezione e nell'immortalità, mediante l'orientamento della persona a Dio. Se questo orientamento soprawive al corpo, il centro della persona diventa indipendente dal corpo. Ma dobbiamo tener conto ancora di un terzo fattore, entrato in azione

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solo più tardi, della dinamica di incentramento delle forze dell'anima: nd periodo successivo all'Antico Testamento la comparsa di una demonolo­ gia ha cambiato l'autocomprensione degli uomini. Come la potenza dd bene si concentra nel Dio uno e unico, così anche la potenza del male fu incentrata in satana. L'unificazione di tutte le energie psichiche nell'orien­ tamento a Dio è appoggiata dall'unificazione di tutte le energie nell'allon­ tanamento da satana. Così nei Testamenti dei dodici patriarchi troviamo l'i­ dea dell'anima interiore plurale. Vengono distinti sette buoni spiriti. Essi rappresentano la vita, la vista, l'udito, l'odorato, la parola, il gusto, la for­ za e il seme. Ad essi si aggiunge (secondariamente) un ottavo spirito, lo spirito del sonno con i suoi lati positivi. Contro di essi lavorano sette spi­ riti cattivi: impudicizia, insaziabilità, contesa, compiacenza e adulazione, superbia, menzogna, ingiustizia, cui si aggiunge (secondariamente) il son­ no con i suoi lati negativi, che sono l'inganno e l'immaginazione (TestRu­ ben 2,1-7). Ma questa varietà interiore è incentrata in un'unica unità, quando tutti gli spiriti sono riassunti o come spirito di Belial (satana) o co­ me spirito della verità (Testlss 7,7). L'uomo si trova davanti a un'unica al­ ternativa: «Sappiate, dunque, figlioli miei, che due spiriti seguono l'uomo, quello della verità e quello dell'inganno. E di mezzo c'è quello dell'intelli­ genza dell'animo, che è capace di volgersi dove vuole» (TestGd 20,1s.). Af­ fine a questa esposizione è la dottrina dei due spiriti, di Qumran: Dio «ha creato l'uomo per il dominio sul mondo; e ha disposto per lui due spiriti affinché cammini con essi fino al tempo stabilito della sua visita. Questi sono gli spiriti della verità e dell'ingiustizia» ( l QS 3,17- 19). La decisione fondamentale fra i due promuove l'unità interiore dell'essere umano. La via che porta all'unità della persona è quindi motivata in Israele me­ diante l'orientamento di tutte le energie al Dio uno e unico, orientamento mediante il quale si contrastano le tendenze dissociative presenti nell'uo­ mo. E nel periodo tardo- e post-veterotestamentario esso è approfondito con l'aiuto di altri due fattori: da un lato con la fede in un'esistenza post­ mortale dell'uomo, che rende il centro della persona indipendente dal corpo caduco, dall'altro con il dualismo di satana e Dio, che esige dal­ l'uomo una decisione fondamentale. Quanto più grandi diventano le esigenze poste a una unitarietà della vi­ ta e dell'esperienza, tanto più minaccioso si fa tutto quello che dall'ester­ no penetra nell'uomo e lo priva della capacità di autodeterminarsi. Nel giudaismo la maggior parte dei demoni sono spiriti nocivi, che rendono l'uomo incapace di autogovernarsi e che mediante la loro organizzazione centralistica sotto l'autorità di un satana hanno aumentato il loro potere.

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Così la cattiva volontà - simbolicamente maggiorata nella figura di satana e dei suoi demoni - diventa la grande minaccia. La cacciata dei demoni di­ venta, in questa situazione, da una liberazione occasionale di singoli una vittoria di principio: essa assume un carattere simbolico per la preserva­ zione di una minacciata cultura dell'autodeterminazione. Gesù può dire: «Se invece io scaccio i demoni (daim6nia) con il dito di Dio, allora è giun­ to a voi il regno di Dio» (Le 1 1 ,20). Viceversa l'irruzione di uno spirito buono nell'intimo dell'uomo diventa una contropotenza salvante. I primi cristiani sono dei 'posseduti' dallo Spirito Santo. Attraverso di lui essi so­ no internamente trasformati: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio» (Rm 8,14; Lutero traduce, anticipando Rm 8,17, «Kinder Gottes», bambini di Dio). IV.

Lo SVILUPPO DELL'IMMAGINE DELL'ESSERE UMANO IN GRECIA

Nello stesso tempo in cui il giudaismo formava il suo concetto di per­ sona, in Grecia alcuni filosofi elaborarono wùloquente architettonica dell'anima: in Platone essa riproduce in maniera sociomorfa la stratifica­ zione sociale. Come la società consiste in una gerarchia fatta di padroni, sorveglianti e lavoratori (cioè conradini e artigiani), così l'intimo dell'esse­ re umano consiste in una gerarchia fatta di ragione Uughùtik6n), volontà (thymoeidés) e desiderio (epithymetik6n) (rep. 4,437bss.). Questa architet­ tonica interna è localizzata nella testa, nel petto e nell'addome Ci'im. 69dss.). Il desiderio e la volontà sono svalutati come animaleschi: il desi­ derio è paragonabile a un'idra, il coraggio a un leone. Al di sopra di essi sta lo spirito come un «uomo interiore>> che deve governare tutti (rep. 9,588-589)". Quest'uomo interiore si nutre di sapienza e conoscenza; egli muore senza di esse, cosicché dopo è solo esternamente un uomo, mentre dentro è un animale. Ognnno di questi strati ha una sua propria virtù ca­ ratteristica: sapienza, coraggio, temperanza. La sapienza è la virtù dello strato più alto nell'essere umano, il coraggio la virtù dei guardiani, la tem­ peranza la virtù dei lavoratori. La giustizia consiste nel fatto che queste tre virtù stanno nel giusto rapporto fra di loro (rep. 4,427b-436a). Platone ri­ flette inoltre sulla psicodinamica della vita nella sua dottrina delle quattro virtù cardinali. La motivazione della virtù proviene dall'interno, essa è an-

w TH. K. HECKEL, Der Innere Mensch, 1993, 1 1-26.

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corata nell'intimo. Accanto ad essa egli conosce un'eterodeterminazione esterna come quella che si verifica nell'estasi e nell'ispirazione, che in de­ terminate situazioni sopraffanno l'essere umano. Anche qui egli sistema­ lizza, in quanto distingue tra mania profetica, poetica, rituale e erotica (Fe­ dro 265). Caratteristico per lui come greco è il fatto che, anche nel caso degli impulsi 'irrompenti' dall'esterno, rimane riconoscibile la dominanza della cognizione: il concetto di ispirazione è messo in rapporto con la pre­ cognizione e la poesia. Come ideale Platone propone (nel Politico) l'im­ magine del re filosofo, cioè di un saggio che è nello stesso tempo re e la cui azione politica è basata sulla conoscenza. Questo è !"ideale del messia' della cultura greca, il suo sogno di una unificazione del potere e della sa­ pienza. Ma Platone influì sul concetto di 'io' soprattutto con la sua dottri­ na dell'immortalità dell'anima. Sulla base di conoscenze aprioriche, che sono insite da sempre nell'uomo, egli attribuisce il centro della persona al­ l'eternità. L'anima dell'essere umano ha contemplato nel corso di una preesistenza le idee e torna dopo la morte nel mondo delle idee. Platone però oscillò per quanto riguarda il rapporto tra quest'anima immortale e il corpo: nel Carmide l'anima e il corpo formano un tutt'nno. Nel Gorgia il corpo è una proprietà dell'anima, che essa abbandona nella morte. Nel Fedone i due contendono fra di loro, i desideri del corpo comhattono con­ tro i bisogni dell'anima". Mentre Platone fa esercitare «all'anima un governo» su strati dell'ani­ ma collegati con nna loro propria virtù, Aristotele definisce al di là di que­ sto ogni virtù come una mediatrice tra due estremi e amplia così il campo della responsabilità: non esiste solo il coraggio, bensì anche una responsa­ bilità che impone di trovare il giusto mezzo tra viltà e spavalderia. Occor­ re formare e educare anche gli istinti presenti nell'essere umano. Un passo più avanti ancora si spinge la stoà, quando esige il pieno con­ trollo delle emozioni e degli istinti'6• Le richieste di un'autodeterminazio­ ne dell'essere umano sono formulate in maniera sempre più coerente. L'autodeterminazione mediante la conoscenza è minacciata soltanto da sentimenti provenienti dall'interno, che trascinano l'uomo. Il male consi­ ste nel fatto che l'impeto dei sentimenti e delle passioni travolge la cono­ scenza.

" T.M. ROBINSON, The Defining Featum o/ Mind-Body Dualirm 1n the Writingr of Plato, in JP. 2000, 37-77. lo- A richiamare la mia attenzione su 4uesta progressiva estensione della responsabilità è stato il mio collega Wilfried Hiirle. IX'RJGHT - P. PoiTER (edd.), Pryche and Soma,

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Capitolo primo

In vari schemi la filosofia greca ha ribadito una cosa: l'essere umano può e deve condurre una vita governata dalla conoscenza. Il male e il be­ ne sono spiegati in maniera autodinamica, sono cioè fatti risalire a una causa interna presente nell'uomo". Invece l'interpretazione demonologica sempre più imperante nel giudaismo è eterodinamica. In essa la cattiva vo­ lontà è attribuita a una potenza che sta al di fuori dell'essere umano. V. ESPERIENZE RELIGIOSE MODERATE E ESTREME

Con !'«invenzione dell'uomo interiore» fu tracciato il confine tra inter­ no e esterno, ma tale confine fu sperimentato anche come poroso. Solo se esiste un confine funzionante, i superamenti del confine diventano visibi­ li. Adesso le intrusioni dall'esterno diventano sempre più un evento dram­ matico sotto forma di possessione o di estasi. Esse non sono più il caso normale, ma un evento minaccioso o redimente. Anche il vissuto e il com­ portamento religioso si differenziano così molto più fortemente in eventi religiosi moderati all'interno dei confini dell'io, da un lato, e in eventi re­ ligiosi estremi, dall'altro, nei quali vengono superati questi confini. Lo possiamo osservare nella tradizione greca: la filosofia incarna il lato razionale di questa cultura e formula la richiesta di un'autodeterminazio­ ne mediante la conoscenza. Ma accanto ad essa nasce la tragedia, che rap­ presenta il crollo di questo ideale in situazioni limite: Edipo è spinto da una falsa conoscenza a commettere dei reati verso il padre e la madre, Me­ dea è spinta da sentimenti tempestosi, che confliggono con la sua cono­ scenza, ad uccidere i propri figli. L'uomo reagisce «con lamenti e con rac­ capriccio» alla rappresentazione di tali destini nella tragedia, al fine di li­ berarsi, con l'aiuto dell'immaginazione di questi eventi tragici, da tali sen­ timenti. La teoria della catarsi, esposta nella Poetica di Aristotele, pone le esperienze estreme della compassione al servizio di un rinvigorimento del­ la ragione (Arist., poet. 1449b). Di quando in quando ci si avvicina anche alla concezione di emozioni e sentimenti inconsci. Lucrezio si spiega con l'aiuto di una simile concezione il comportamento contraddittorio di per­ sone che dicono consapevolmente di essere libere da una paura religiosa " Anche nella cultura greca rimase irrisolto, al di fuori della filosofia, il fatto di sapere che cosa è condizionato dall'interno e che cosa dall'esterno. A. CHAN!OT!S, Reinheit des Korpers - Reinhe�l des Sinnes in den griechischen Kultgesetzen, in J. ASSMANN - TH. SuNDERME!ER (edd.), Schuld, Gewissen und Person, 1997. 142-179, spec. 142-144.

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irrazionale (ad esempio da una paura dei castighi dell'aldilà) , ma sono scosse da crisi angoscianti". Anche nel giudaismo antico possiamo osservare la divaricazione di esperienze religiose moderate e di esperienze religiose estreme nello svi­ luppo di due generi letterari: la sapienza esperienziale è piena di espe­ rienze e riflessioni religiose moderate, la profezia piena di irruzioni nel mondo ordinato. Le strutture di questo mondo lasciano trasparire un or­ dine su cui il saggio medita. Anche qui si tratta di vita o di morte, a se­ conda che si rispettino le strutture fondamentali della realtà create da Dio o le si trasgredisca con un comportamento stolto. La storia d'Israele non svolge alcun ruolo. Questa sapienza religiosa moderata è universale e uni­ sce Israele a tutti i popoli. Accanto ad essa ci sono i profeti con le loro esperienze straordinarie di vocazione e di invio, mediante le quali il po­ polo è posto davanti a una decisione in favore della vita o della morte. Al centro sta qui la storia di Dio con il suo popolo quale dramma di fedeltà e infedeltà, di amore e conversione, di catastrofi e salvezza. Attraverso una catena di situazioni estreme Israele si lega sempre più al Dio uno e unico. I sapienti falliscono in queste situazioni estreme. Isaia lancia contro Israe­ le questa minaccia: «Perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l'in­ telligenza dei suoi intelligenti» (Is 29, 14; cfr. l Cor 1 , 19). La profezia reli­ giosa estrema di Geremia li attacca con queste parole: «l saggi restano confusi, sconcertati e presi come in un laccio. Ecco, hanno rigettato la pa­ rola del Signore: quale sapienza possono avere?» (Ger 8,9). Si arriva però anche a un avvicinamento delle due tradizioni: la sapienza esperienziale è collegata da Gesù Sirach con la storia nazionale d'Israele e identificata con la Torah. Nella Sapienza di Salomone essa si trasforma in sapienza rivelata e abbraccia anche la storia di Dio con Israele. Le due cose rimangono però distinguibili: sapienza e profezia, esperienza e rivelazione, cosmo e storia, esperienze religiose moderate e esperienze religiose estreme. Questa di­ stinzione è esistita naturalmente da sempre, ma solo attraverso la scoper­ ta e l'invenzione di uno 'spazio interno' psichico essa balzò chiaramente in luce. Con !'«invenzione dell'uomo interiore» si stabilì perciò nella cultura ebraica e greca un campo che l'uomo può plasmare con la sua volontà e con la sua conoscenza. Il mondo contraddistinto dalla normalità è il mon­ do della Torah e della legge, della sapienza e della filosofia. Nello stesso

" J. }OPE, Lucretius' psychoanalytical insight: bis notron o/ uncomcious motivation, in Phoenix 37 (1983) 224-238.

68

Capitolo primo

tempo le «rotture sconvolgenti» in questo mondo diventano più dramma­ tiche. Esse minacciano l'identità e la salvezza degli uomini, ma procurano anche salvezza senza cooperazione umana, quando potenze buone inter­ vengono nella vita. Le esperienze religiose moderate all'interno del mon­ do familiare si distinguono sempre più chiaramente da esperienze religio­ se estreme, nelle quali questo mondo si vede procurare delle fenditure. Questa differenziazione è culturalmente condizionata. Quel che in una cultura rasenta il limite, in Wl'altra è normale.

b. n rinnovamento dell'uomo interiore nel cristianesimo delle origini n cristianesimo delle origini è un movimento religioso estremo di rin­ novamento, che persegue il fine che si era imposto nella 'svolta psicologi­ ca': l'uomo deve essere reso capace di pilotare la propria vita in maniera responsabile. Questo rinnovamento dell"uomo interiore' contro tutte le tendenze dissociative è una risposta a una crisi. Nel periodo post-vetero­ testamentario abbiamo constatato una rimitizzazione dell'intimo. L'essere umano appare come un campo di battaglia di potenze trascendenti. Egli sta fra Dio e satana. Demoni e spiriti operano in lui. Egli aspira ad essere afferrato e trasformato dallo spirito di Dio. Il suo confine verso il mondo esterno è poroso. Egli lotta di nuovo per determinarsi personalmente par­ tendo da Wl suo centro interiore e per delimitarsi di fronte al mondo ester­ no. L''uomo interiore' appare minacciato e va di nuovo formato e conso­ lidato mediante un'approfondita visione dell'essere umano. Questo dramma di un «rinnovamento dell'uomo interiore» lo troviamo in affermazioni riguardanti la storia della redenzione, nelle quali afferma­ zioni mitiche e storiche sono spesso inseparabilmente fuse tra di loro. L'immagine cristiana primitiva dell'uomo interiore rinnovato non è unita­ ria, ma troviamo piuttosto un'immagine dell'essere umano orientata all'e­ tica e una orientata alla redenzione. L'immagine etica dell'uomo si ispira a esperienze del mondo della vita quotidiana, quella soteriologica a espe­ rienze di rotture sconvolgenti, che sovvertono la vita quotidiana. L'imma­ gine etica dell'uomo ha una tendenza autodinamica e vede l'essere umano determinato dalla sua propria volontà; l'immagine soteriologica dell'uomo ha una tendenza eterodinamica e si attende la redenzione dall'azione di Dio. Esemplare per un'immagine etica dell'uomo è il vangelo di Matteo,

Corpo e animo

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per un'immagine soteriologica il vangelo di Giovanni. Paolo propone una 'sintesi' nella forma di una concezione dinamica tras/ormativa dell'essere umano. Attraverso l'azione di Dio l'uomo si trasforma in modo da poter di nuovo dirigere personalmente la propria vita. Egli ha sì perso la propria libera volontà (Rm 7 ,7ss.), ma è tuttavia chiamato alla libenà (Ga/ 5 , 1 . 13). Nello stesso tempo in Paolo si fa strada una visuale dinamica pro/onda dd­ l'uomo: nel suo intimo l'essere umano è determinato da forze, che egli non scruta sino in fondo e che si sottraggono alla sua capacità di disporne; tut­ tavia egli deve integrare anche tali forze nella propria vita. Noi proponia­ mo anzitutto l'immagine etica dell'uomo contenuta nel vangelo di Matteo e quella soteriologica contenuta nel vangelo di Giovanni. Successivamen­ te mostriamo che Paolo conosce entrambe le immagini e che aspira a una loro sintesi nella sua immagine tras/ormativa dell'essere umano'''. Alla fine parleremo della nascita di un'immagine dinamica pro/onda dell'uomo in Paolo e nel Pastore di Erma. l.

AUTODINAMICA NEL VANGELO DI MATTEO: ' L IMMAGINE ETICA DELL' ESSERE UMANO

Al centro di Matteo e di Giovanni non sta la loro immagine dell'uomo, ma la loro immagine di Cristo. Da Cristo promanano diverse immagini dell'uomo. Entrambi, Matteo e Giovanni, propongono una sublimata im­ magine del Messia. Il Messia non è più il re nazionale ebraico, che con la sua potenza soprannaturale conduce Israele a governare il mondo. Egli continua ad essere destinato a diventare il sovrano del mondo, ma in una maniera diversa da quella dell'immagine tradizionale del Messia - e da qui risultano delle differenze anche nell'immagine dell'essere umano. " Perciò troviamo spesso immagini diverse dell'uomo in un unico e medesimo 8Utore. Le immagi­ ni dell'uomo dipendono da contesti pragmatici. Ovunque motiviamo un individuo ad agire etica­ mente, lì ci appelliamo alla sua responsabilità e sosteniamo un'immagine animistica dell'uomo, la qua­ le dice: Ce la puoi fare! Dove motiviamo noi stessi ad andare in soccorso di altri uomini, lì sostenia­ mo spesso un'immagine pessimistica dell'uomo, la quale dice: L'altro non ce la può fare da solo! At­ tiviamo nei suoi confronti un'immagine soteriologica dell'uomo, secondo la quale certi uomini di­ pendono da un 'salvataggio' (si5t&ia = salvataggio e salvezza). Queste non sono tune le immagini del­

l'uomo di cui disponiamo: quando vogliamo istruire qualcuno, seguiamo la premessa la quale dice che

ceni uomini possono essere, sulla base della loro inteUigenza, istruiti. Se facciamo pubblicità per un

prodotto e lo reclamizziamo, puntiamo sul fatto che nelle decisioni svolgono un ruolo desideri irra­ zionali. Le immagini dell'uomo non vengono sostenute e seguite con coerenza. Questo vale anche per

il Nuovo Testamento.

Capitolo primo

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n vangelo di Matteo comincia con una genealogia, che presenta Gesù come legittimo re della stirpe di Davide. La genealogia conduce, dopo ogni gruppo di quattordici generazioni, a punti di svolta nella storia d'I­ sraele: Davide è il suo punto culminante, l'esilio il suo punto più basso, cosicché con la nascita di Gesù ci si attende naturalmente un nuovo pun­ to culminante: Gesù non libererà il popolo dalle mani dei nemici, ma dai suoi peccati (Mt 1 ,2 1 ) . Gesù entra in possesso del suo governo del mon­ do in due tappe: egli compare come figlio di Davide sanante mediante mi­ racoli in maniera così pacifica e non bellicosa che anche gli altri popoli, i pagani, sperano in lui (Mt 12,18-2 1 ls 42, 1 -4). Solo alla fine del vangelo egli proclama come risorto la sua sovranità sul mondo con le parole: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra>> (Mt 28,18). Egli non go­ verna con truppe, ma unicamente mediante il suo insegnamento etico. Tutti i popoli devono diventare seguaci del suo insegnamento e fare quan­ to egli ha comandato. Egli ha infatti portato l'interpretazione giusta e umana della legge. Perciò al centro del vangelo proclama: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me . Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 1 1 ,28-30). n giogo è un'immagine della legge. Le ri­ chieste di Dio sono adempibili nell'interpretazione di Gesù. Ciò presup­ pone un'immagine ottimistica dell'essere umano, secondo la quale le esi­ genze etiche interpretate in modo umano non chieJono troppo all'essere umano. Matteo può infatti far tranquillamente dipendere la salvezza da condizioni etiche minimali non perché vuole far percepire agli uomini la loro dipendenza dalla grazia, ma perché è convinto che essi possano sod­ disfare tutte queste condizioni minimali. Si tratta di elementari prestazio­ ni di soccorso come dar da magiare agli affamati, dar da bere agli asseta­ ti, vestire gli ignudi ecc. (Mt 25,35s.), inoltre della disponibilità a perdo­ nare gli altri, perché tutti hanno bisogno del perdono di Dio (Mt 6,14; 18,23-35). L'immagine dell'uomo è luminosa, come possiamo vedere esaminando la metaforica della luce nel vangelo di Matteo. Gesù dice ai discepoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14) e li esorta così: «Risplenda la vostra lu­ ce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli>> (Mt 5,16). Essi devono essere un mo­ dello per tutti. La chiave per questo è nelle mani di ogni singolo individuo: «La lampada del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è semplice, tut­ to il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo cor­ po sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande =

. .

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sarà la tenebra !» (Mt 6,22). L'occhio è qui concepito come dispensatore attivo di luce. Esso irradia luce e non elabora solo la luce ricevuta dal di fuori. La cosa decisiva sta nel superare l'occhio cattivo (cioè l'invidia) per rendere la vita luminosa e diffondere luce. Nella parabola delle vergini sagge e stolte a quelle stolte viene a mancare la luce, mentre quelle sagge ci hanno pensato per tempo; esse hanno olio sufficiente per le loro lam­ pade (Mt 25 , 1 - 13 ). La previdenza consiste in opere buone, con cui esse ir­ radiano luce nella notte. In maniera simile anche i discepoli devono agire, con la loro predicazione, alla luce: «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate voi annunciatelo dalle terrazze al­ l'orecchio» (Mt 10,27). Possiamo dire: nel vangelo di Matteo la luce delle parole di Gesù e delle buone opere brilla in questo mondo. In questo van­ gelo troviamo un'immagine etica positiva dell'uomo, che è quasi 'autodi­ namica'. Punto culminante di questa autodinamica etica è, nel vangelo di Mat­ teo, il discorso della montagna. Il tema dell'autodeterminazione caratte­ rizza in vari modi le sue tre parti principali: le antitesi (Mt 5,2 1 -48) pro­ clamano una libertà dalla tradizione e dai sentimenti. In esse un io sovra­ no obbliga a superare pulsioni aggressive e sessuali, allorché esse portano a trascendere, ad esempio ad offendere un altro e a desiderare una donna (sposata). Gli uomini devono essere pedetti come perfetto è il loro Padre celeste. L'eterodeterminazione da parte dei sentimenti va sostituita con un'autodeterminazione fondata in Dio. Le successive regole di comporta­ mento religioso (Mt 6,1 - 18) proclamano poi la libertà dal controllo socia­ le: la miglior giustizia va praticata indipendentemente dal fatto che con es­ sa si acquisisca o meno prestigio sociale. Bisogna dare elemosine senza compiacersi delle proprie buone azioni, bisogna pregare nella cameretta silenziosa e digiunare senza darlo a vedere: in una società dello shame-and­ honour (vergogna e onore) questa è una trasgressione delle regole. L'ete­ rodirezione sociale va sostituita con un'autodirezione, che è fondata in Dio, il quale vede nel segreto e rende indipendenti dal riconoscimento al­ trui. La sovranità nei confronti della natura e del controllo sociale è ap­ profondita nella terza parte principale del discorso della montagna, nella parenesi sociale (Mt 6, 19-7 , 1 1 ), e presentata come libertà da condizioni materiali e sociali e, soprattulto, come una libertà interiore dal possesso: l'uomo deve superare il suo occhio invidioso, che offusca la sua vita, anzi, di più ancora: deve tenere sotto controllo anche il proprio sguardo mora­ leggiante, con cui ingigantisce le mancanze altrui e minimizza le proprie. L'autodinamica dell'azione etica si manifesta, nel discorso della monta-

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Capitolo primo

gna, soprattutto nella relazione tra gli uomini. La relazione con Dio è però il fondamento interiore di questa indipendenza. L'autonomia dell'uomo è considerata un dono di Dio. Perciò al centro del discorso della montagna c'è una preghiera (Mt 6,9- 13). Il Padre nostro chiede tre cose, senza le quali nessuno può fare qualcosa di buono: per il presente chiede il cibo, per il passato il perdono, per il futuro la preservazione dalla tentazione. Senza questi presupposti non è possibile alcuna vita autodeterminata se­ condo la volontà di Dio. Questo viene riconosciuto nella preghiera. L'idea della redenzione, secondo la quale l'uomo dipende 'eterodina­ micamente' dall'intervento soccorritore di Dio, non manca perciò neppu­ re nel vangelo di Matteo. Pure questo possiamo comprendere meglio con l'aiuto della metaforica della luce: i saggi provenienti dall'Oriente vedono spuntare una stella, che li conduce a Betlemme. Gesù è fin dall'inizio una speranza per i pagani (Mt 2 , 1 - 12), così come è redenzione per il popolo d'Israele: «Ii popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce; per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4, 16, cfr. Is 9,1). Anche il vangelo di Matteo, eticamente orientato, co­ mincia con un'affermazione sulla redenzione. All'inizio Gesù è un bambi­ no regale perseguitato, che è salvato da Dio da una strage; alla fine è il re crocifisso dei giudei, che Dio risusciterà dai morti. li bambino perseguita­ to e il re crocifisso non sono modelli di un comportamento etico esem­ plare, ma archetipi di una sofferenza subita e della speranza nella reden­ zione per mano di Dio. L'insegnamento di Gesù, che dice che cosa l'uo­ mo deve fare, è inquadrato nel vangelo di Matteo nel destino di Gesù, con l'aiuto del quale l'evangelista proclama quanto Dio fa. L'etica è incorni­ ciata dalla soteriologia, da un racconto che parla di una difficile situazio­ ne e della liberazione da essa.

II. ETERODINAMICA NEL VANGELO DI G IOVANNI: ' ' L IMMAGINE SOTERJOLOGJCA DELL ESSERE UMANO

Il vangelo di Giovanni ha un'immagine di Cristo del tutto diversa da quella del vangelo di Matteo e, in dipendenza da ciò, una diversa immagi­ ne dell'essere umano. Gesù non perviene solo alla fine, mediante i suoi co­ mandamenti etici, a governare il mondo, ma è fin dall'inizio il creatore di tutte le cose, senso e L6gos in tutto quel che esiste e vive. Tutto ha la pro­ pria vita per mezzo di lui (Gv 1 , 1 ss.). Non c'è nulla che non sia da lui per-

Corpo e anima

meato. Egli è presente in maniera nascosta dappertutto. Solo in relazione con lui e per mezzo di lui c'è vita. Perciò il compito principale non consi· ste nel fare quel che egli ha comandato, bensì nel riconoscere che egli era da sempre la vita nascosta e la luce del mondo. La vita 'eterna' consiste nel riconoscere l'unico vero Dio e Gesù come suo inviato (Gv 17,3). Per loro natura gli uomini non sono capaci di entrare in questa relazione con Dio. Per questo dipendono dalla Parola proveniente dall'esterno, proveniente dall'eternità. Solo mediante questa Parola essi troveranno nel loro crede­ re, ascoltare, vedere, riconoscere, cercare, trovare, amare, parlare, sapere e rimanere la vita'". La cosa decisiva è dunque questa: per entrare in questa relazione con Dio l'essere umano deve passare attraverso una trasformazione. Già nel prologo i cristiani sono detti «figli di Dio», «i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» ( Gv 1,13). ll loro nuovo essere non è determinato da una volontà umana, ma da Dio. In tutto il mondo solo essi vedono la luce e solo essi l'accolgono. U dialogo con Nicodemo riprende di nuovo questo tema. Alla sua do­ manda, che chiede chiarimenti a proposito della missione e della dignità di Gesù, viene data questa risposta: «In verità, in verità ti dico: se nno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio» ( Gv 3 ,3 ) . Vedere (cioè Wl atto cognitivo) è qualcosa di più della percezione di una cosa, perché que­ sto vedere è un vedere che trasforma. Perciò le parole appena citate a pro­ posito del regno di Dio sono così modificate: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Ciò è di per sé evi­ dente: prima si vede il regno di Dio, poi si può entrare in esso. Ma per il vangelo di Giovanni le due cose coincidono: si entra nel regno di Dio so­ lo mediante una percezione trasformante. Di essa Gesù parla, quando nel primo discorso di addio promette ai discepoli lo Spirito o il 'Paraclito': es­ si non devono vedere solo il Gesù vivente, bensì pervenire mediante que­ sta stessa 'visione' di nuovo alla vita, quindi essere cambiati: «Voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (Gv 14,19s.). Gesù non richiede quindi solo fede e conoscenza. Di continuo si parla dei suoi comandamenti, dei quali però viene riportato concretamente so­ lo il comandamento dell'amore quale unico comandamento. La moltepli­ cità dei temi etici, che negli altri vangeli svolgono un ruolo, è scomparsa. Solo il comandamento dell'amore concorda con i vangeli sinottici. Tutta-



Secondo CH. URBAN, Dar Menschenbild nach dem ]ohannesevangelium, 2001, 44,-461.

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Capitolo primo

via nei vangeli sinottici non si parla mai dell"amore' di Dio per gli uomi­ ni. L'amore procede, nel doppio comandamento dell'amore dei sinottici, soltanto dall'uomo o come amore per Dio, o come amore per il prossimo (Mt 22,34-40). Invece nel vangelo di Giovanni l'amore è anzitutto l'amo­ re di Dio per gli uomini, mediante il quale egli ha salvato il mondo. In que­ sto senso esso riassume il proprio messaggio con le seguenti parole: >.

Non la legge porta la luce nel mondo, ma il Cristo risorto, con il quale è cominciata una nuova creazione, in cui Dio dice ancora una volta: «Ri-

7'8

Capitolo primo

fulga la luce!». Grazie all'incontro con questo Cristo, Paolo, una volta ne­ mico del vangelo, era diventato missionario del vangelo ed era caduto in contrasto con la legge. Al centro sta perciò in lui non l'etica, ma la reden­ zione dalla legge, dal peccato e dalla morte. La sua immagine dell'uomo è, per quanto riguarda l'uomo vecchio, più pessimistica di quella del vangelo di Matteo. Solo attraverso una profon­ da trasformazione l'uomo è messo nella condizione di adempiere la vo­ lontà di Dio. Nessun essere umano può compiere questa trasformazione con le proprie forze. Per sua natura l'essere umano è, in qualità di 'carne', nemico di Dio. Per quanto riguarda invece l'uomo redento, la sua imma­ gine dell'uomo è più ottimistica di quella del vangelo di Matteo: l'essere umano può essere afferrato e trasformato dallo Spirito di Dio, «perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito» (Rm 8,4). Con il vangelo di Giovanni Paolo condivide l'idea di una redenzione che trasforma l'uomo. Da esso lo separano il significato centrale negativo della legge come accusa al momento della redenzione e il suo rinnovato si­ gnificato positivo come direttiva etica per i redenti. La legge non svolge nel vangelo di Giovanni alcun ruolo decisivo. L'Antico Testamento è irri­ levante per l'etica, l'unico suo scopo è quello di additare Cristo. In Paolo troviamo quindi una sintesi. Ciò si manifesta anche nella sua immagine dell'uomo, che possiamo indirettamente ricavare dai suoi ter­ mini psicologici psyché, pneuma, nus, kardia, synéidesis, soma, sdrx, éso dnthrapos, éx(j dnthropos. Il seguente specchietto mostra degli spunti di due immagini dell'uomo.

Corpo � anima

79

L'IMMAGINE UNITARIA DELL'ESSERE UMANO IN PAOLO Cuore (leardia)

è il centro personale dell'essere umano, luogo di tenebre e di peccato (Rm 1 ,2 1 ; 2,5), ma anche luogo di illuminazione (2 Cor 4,6), amore (Rm 5,5) e fede (Rm 10,9). Ragioru (nus) e coscknVJ (syniidesis)

Anima (psycM

sono il soggetto inteUigente e (moralmente) giudicante (Rm 7 ,23; 12,2).

è l'energia vitale generale e il soggetto vivente (l Cor 15.45, dr. Gen 2,7).

Spirito (pneuma)

Leib (soma)

è antropologicamente lo spirito

è l'essere umano, che è passivo e caduco, negativamente inteso come corpo del peccato e deUa morte (Rm 6,6; 8,13), positivamente inteso come corpo redento: eticamente come corpo che agisce (Rm 12,1) ecclesiologicamente come corpo di Cristo (1 Cor 12,12ss.), escatologicamente come corpo risorto (1 Cor 15,37.44).

deU'essere umano come soggetto autocosciente (l Cor 2 , 1 1 ) .

L'IMMAGINE DUALISTICA (TRASFORMATIVA) DELL'ESSERE UMANO IN PAOLO

(stirx)

Spirito (pnéuma) è teologicamente e transpersonalmente lo Spirito di Dio, che ( l ) è dato come dote pertnanente ( l Cor 12,1ss.) e che (2) afferra come forza situazionale irrazionale ( l Cor 14,1ss.).

è l'essere umano, che è attivo e caduco e che vive (Rm 8,12), perché la 'carne' è nemica attiva di Dio (Rm 8,7). Di rado essa è positivamente un luogo paradossale deUa rivelazione (2 Cor 3,3; 4,1 1).

Immagine deU'uomo celeste

Immagine dell'uomo te"eno

L'uomo interiore

L'uomo esteriore

(éso tinthropos).

(éxo tinthropos).

( l Cor 15,49).

L'uorrw che è dissocislo

Carne

(l Cor 15,49).

dal peccato (Rm 7 ,22s.) e daUa sofferenza e caducità (2 Cor 4,16).

Tab. 3 : I termini

anuopologici in Paolo

80

Capitolo primò

Qui di seguito cercheremo di mostrare come in Paolo coesistano ·due immagini dell'uomo. Tale immagine è sia unitaria, sia anche dualistica e ha simultaneamente una colorazione ottimistica e una pessimistica. Anziché negare simili contraddizioni, bisognerebbe prenderne atto e parlare di due immagini complementari dell'uomo, che nel vangelo di Matteo e nel vangelo di Giovanni troviamo separate, mentre in Paolo esse sono combi­ nate e danno tutto sommato come risultato un'immagine trasformativa dell'uomo. L'immagine unitaria dell'essere umano in Paolo

Paolo prolunga la tradizione biblica, secondo la quale il cuore (kard{a) è il centro personale dell'essere umano. La sua 'architettura interna' psi­ chica ha chiaramente qui il suo centro. Nel cuore si decide se un essere umano è ottenebrato o illuminato (Rm 1 ,2 1 ; 2 Cor 3,15; 2 Cor 4,6), se in­ dulge alle sue passioni, se rifiuta la conversione o se si lascia circoncidere interiormente ed obbedisce a Dio (Rm 1 ,24; 2,5; 2,29; 6,17). ll cuore è il luogo della legge 'naturale' in tutti gli uomini (Rm 2,15 s. ), ma anche dei carismi 'soprannaturali' dei cristiani. Fede, amore e speranza sono tutte localizzate nel cuore (Rm 10,9s.; 5,5; 8,24 in unione a 8,27): il cuore è il luogo riempito dallo Spirito Santo (2 Cor 1,22; Ga/ 4,6). Nel cuore l'es­ sere umano ha il proprio centro sia come uomo vecchio sia come uomo nuovo. Paolo parla propriamente di due o tre strati nell'essere umano, senza che in ciò si possa riconoscere un dualismo: giovani donne vogliono esse­ re a Corinto «Sante nel corpo e anche nello spirito». Paolo desidera che Dio conservi i tessalonicesi intatti e irreprensibili in «spirito, anima e cor­ po» (1 Ts 5,23 ). Un conflitto fra questi strati non è riconoscibile, al con­ trario l'effetto finale in ambedue i passi è la santificazione di tutto l'essere umano. Dell'architettura unitaria di Paolo fanno parte, accanto al cuore, anche altre istanze con una psicodinamica non dualistica: la vita umana è anima­ ta da un'energia unitaria, !"anima' (psychl), ed è guidata dalla ragione (nus) e dalla coscienza (synéidesis). La ragione segue le norme dettate dal giudizio (Rm 7 ,22; 12,2), la coscienza applica poi tali norme (come con­ scientia consequens) all'azione (Rm 2, 15). La coscienza e la ragione diven­ tano successivamente assieme al cuore, nel quale è inscritto il dettame del­ la legge, il concetto a noi familiare di coscienza proprio della tradizione teologica e filosofica, nella quale la coscienza è la voce di Dio e agisce sem-

Corpo e anirtl4

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pre anche come conscientia antécedens. QUesto concetto pieno 'di coscien­ za abbraccia molto di più della 'coscienza' di cui parla Paolo, termine che in lui indica solo una parte di questa coscienza e precisamente ( l ) la per­ cezione del comandamento divino e (2) il giudizio sul comportamento wnano sulla base di tale comandamento. In Paolo la coscienza non è an­ cora la voce di Dio, ma un organo che percepisce tale voce e la mette in pratica criticamente nella vita, nel che può anche sbagliarsi. Uno spumo per la teorizzazione di una conscientia antecedens Io troviamo solo in Rm 13,5. Paolo, quando vuole parlare della coscienza nel senso della successi­ va tradizione filosofica, parla di 'fede' come in Rm 14 ,22s . La fede è qui normativa: >, che viene cro­ cifisso e deve morire (Rm 6,6), affinché possa aver inizio già ora una nuo· va vita come una creazione dai morti (Rm 6, 1 1 .13). Pure il dualismo fra «uomo interiore e uomo esteriore>> è da lui modificato, così come il duali-

" TH. K. HEciCEL, Der lnnere Mensch, 1993.

Capitolo primo

smo fra «immagine originaria e copia», nel senso di un'immagine trasfor­ mativa dell'essere umano. Istruttiva per comprendere pienamente questa immagine trasformativa dell'essere umano è una composizione delle 'parti' antropologiche, che se­ condo Paolo rimangono costanti e subiscono nello stesso tempo una tra­ sformazione. Costante rimane il cuore. Ciò non è una cosa ovvia. La Bib­ bia promette infatti una trasformazione del cuore: «Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne» (Ez 1 1 , 1 9; 36,26). Qui il corpo rimane costante, il cuore viene cambiato. In Paolo succede il con­ trario: il corpo è 'trasformato' da un corpo misero in un corpo glorioso (Fil 3,2 1 ) , mentre una trasformazione del cuore non è necessaria. Il detta­ me della legge è da sempre inscritto in esso (Rm 2 , 15) . Nel cuore avviene però un cambiamento, senza che esso cambi nella sua struttura. È il me­ desimo spazio quello in cui regnano le tenebre o la luce (Rm 1 ,2 1 ; 2,5), in cui mediante l'illuminazione tutto diventa chiaro (2 Cor 4,6), in cui viene infuso l'amore (Rm 5,5) e in cui nasce la fede (Rm 10,9). Il cuore non è l'oggetto del cambiamento, ma il suo luogo. Pertanto il discorso paolino del cuore fa parte dell'immagine paolina trasformativa dell'essere umano. Diverso è il caso del corpo e della carne. La 'carne' va superata e annien­ tata, il 'corpo' va trasformato. Proprio nell'elemento esteriore, nel corpo e nella carne, deve avvenire una profonda trasformazione. Questa visuale trasformativa dell'essere umano si manifesta perciò nei termini seguenti:

r:uomo esteriore va disfacendosi

I:uomo interiore è quotidianamente rinnovato

(2 Cor 4, 16).

(2 Cor 4,16).

La carne passa ed è annientata

(l Cor 5,5; 15,50).

n corpo è trasformato in un

(Rm 8,5-8).

La carne è qui soggetto di un 'modo di pensare' e appare come un cen­ tro ostile di azione. Ciò vale in misura limitata anche per il corpo. Paolo può parlare delle «opere del corpo»'" che uccidono (Rm 8, 13) così come delle «opere della carne» (Gal 5 , 1 9). Egli parla eli soma e di sdrx come di 'soggetti' che possono essere personificati, perché in essi hanno la loro se­ de affetti e desideri: «ll peccato dunque non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12). Qui il corpo è collegato con la morte e la mortalità. Esso subisce passivamente la morte, mentre la carne uccide attivamente. Il suo modo di pensare mira alla mor­ te (Rm 8,6). Altrove Paolo ne parla così come parla del corpo: «Cammi­ nate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il deszderio della carne» (Gal 5 , 16; cfr. 5 ,24). «Non lasciatevi prendere dai desideri della carne» (Rm 13,14 ; una traduzione alternativa potrebbe essere questa: i cri­ stiani «non [devono] assecondare i propositi della carne in modo da ca­ dere vittime dei desideri») . In questi desideri la carne è in ogni caso un soggetto attivo, che si ribella alla volontà di Dio: essa tende ad andare con'0

Lutero traduce sì in maniera giusta quanto al senso con

'corpo'

(rOma).

FleiSch (carne), ma nel testo greco c'è

Corpo e anima

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tro Dio (Rm 8,7). Questa attività ribelle della carne è qualcosa di nuovo rispetto al discorso veterotestamentario della 'carne' e potrebbe essere sta· to influenzato dalla concezione ellenistica dei sentimenti e del loro colle· gamento con la 'carne'". Ma questa rivolta contro Dio non parte solo da un organo subordinato nell'essere umano. La cosa importante è che, ac· canto al soma e alla sdrx, anche il cuore è sede dei desideri: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri (epithymiais) del loro cuo­ re» (Rm 1 ,24). Parallelamente a ciò leggiamo: «Per questo Dio li ha ab­ bandonati a passioni (pdth� infami» (Rm 1 ,26). I sentimenti non sono quindi messi in relazione con organi esterni, bensì con il centro dell'uo­ mo". La sdrx e il soma sono comunque i luoghi preferiti, da cui parte que­ sta eterodeterminazione ad opera dei sentimenti. È perciò una cosa logica che la sdrx e il soma siano crocifissi e destinati a morire, affinché l'uomo raggiunga la salvezza: «Lo sappiamo: l'uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato» (Rm 6,6). Paragonabile è l'affermazione: «Se vivete secondo la carne, morirete» lRm 8,13). I cristiani subiscono in questo senso passivamente il destino di Gesù. Al di là di ciò si spingono affermazioni che parlano di una crocifis­ sione attiva, che gli uomini compiono nei propri riguardi: «Quelli che so­ no di Cristo Gesù hanno croci/isso la carne con le sue passioni e i suoi de­ sideri» (Ga/ 5,24). In modo simile viene detto del corpo: «Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,13; Lutero: «opere della carne»). Qui possiamo osservare una piccola differenza: se si croci­ figgono le passioni e i desideri della carne, si elimina la radice delle opere cattive. Se invece si uccidono le opere del corpo, se ne annienta il prodot­ to, ma non si annienta lo stesso corpo. La carne è in quanto tale esclusa dal regno di Dio; invece deve essere crocifisso solo il corpo di peccato (Rm 6,6), quindi il corpo nella misura in cui pecca. Ciononostante non consta­ tiamo spesso alcuna distinzione di principio, per quanto riguarda l'essere umano irredento, fra sdrx e soma; solo nelle affermazioni relative all'esse­ re umano redento si nota tale distinzione. Paolo non lascia infatti alcun dubbio in merito: il redento ha superato l'essenza carnale (sarchica), è diventato un altro. A proposito del tempo " E. ScHWEIZER, Die he/lenistische Komponente im neuleslamentlichen sarx·Begnff, in ZNW 48 (1957) 237·253. '2 Tuttavia le emozioni e i desideri non sono in linea di principio negativi. Paolo adopera due vol­ te il termine 'desideri' con Cristo (fi/ 1,23)

(epithymia) anche in senso neutrale o positivo: egli 'desidera' morire ed essere

e 'desidera' rivedere i tessalonicesi (l Ts 2,17).

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Capitolo primo

precristiano leggiamo: «Quando infatti eravamo nella debolezza della car­ ne, le passioni (pathémata) peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatena­ vano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte» (Rm 7 ,5). Il superamento è awenuto attraverso !"uccisione' dei sentimenti sarchici, attraverso la crocifissione della carne unitamente alle sue passioni e ai suoi desideri (Gal 5,24). L'idea di un'estinzione delle passioni è familiare al­ l'antichità. Gli stoici aspiravano all'apdtheia, alla assenza di passioni. Pao­ lo è in ciò ad essi affine. Con l'immagine della croce egli stabilisce una stretta relazione con l'e­ vento di Cristo: come Cristo fu crocifisso, così devono essere crocifisse an­ che le passioni. Di conseguenza dobbiamo aggiungere: come Cristo fu ri­ suscitato, cosl anche l'energia crocifissa nell'essere umano deve diventare nuova in forma mutata. All'affettività naturale dell'essen: umano si con­ trappone infatti una superiore affettività, le aspirazioni dello Spirito: «Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddi­ sfare il desiderio della carne; la carne infatti ha desideri (epithymèi) con­ trari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste» (Gal 5,16s.). L'essere umano redento sospinto dallo Spirito è mosso da una pas­ sione 'irrazionale': dal sentimento di segno opposto dello Spirito. Possia­ mo perciò giustamente domandarci: in questo sentimento irrazionale di segno opposto dello Spirito vive forse qualcosa del sentimento naturale ri­ suscitato dell'essere umano? Nella 2 Cor troviamo due affermazioni sorprendentemente positive sul­ la 'carne', che conoscono addirittura la carne (parallelamente al soma e al kardia) come luogo della redenzione; il Redentore può manifestarsi sia nel corpo che nella carne: «Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor 4, 10). Parallelamente a ciò leggiamo: «Sempre infatti, noi che sia­ mo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2 Cor 4,1 1 ). La sdrx è qui (parallelamente al corpo) il luogo dell'epifania del Kfrios. Anche la 'carne' può quindi diventare il luogo in cui Cristo appare! Di fronte all'u­ so altrove fatto in maniera tanto negativa del termine, questa è un'affer­ mazione sorprendentemente positiva: Paolo vuole mostrare in questo te­ sto che possediamo un tesoro in vasi terreni (2 Cor 4,7). Sostituisce con­ sapevolmente il termine 'corpo' con 'carne', per esprimere in maniera iperbolica il contrasto fra vaso e tesoro? Intende dire: la straordinaria po­ tenza di Dio si manifesterà addirittura nella sua carne caduca? In tal caso la sua affermazione più positiva sulla 'carne' sarebbe per me frutto di un

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paradosso consapevole. Oppure affiora qui, in contrasto con altre affer­ mazioni, la convinzione che anche la carne partecipa al processo di tra­ sformazione della redenzione? Essa è sicuramente crocifissa, ma il Risor­ to può apparire in essa per rivelare che anche questa carne mortale è re­ denta mediante la 'crocifissione' e l'annientamento. Nel contesto precedente troviamo un'affermazione ancora più positiva sulla carne, che sembra scostarsi dal linguaggio di Paolo: Paolo ha espres­ so, in veste di suo messaggero, il messaggio di Dio come in una lettera. Ta­ le lettera non è scritta con inchiostro su tavole di pietra, ma è incisa me­ diante lo Spirito del Dio vivo su «tavole di cuori umani» (2 Cor 3 ,3). Qui sdrx ricorre sotto forma di aggettivo (sarkik6s). La carne viva è contrap­ posta alla pietra morta. Come il Signore diventa manifesto nella 'carne' dell'Apostolo, così il vangelo deve diventare leggibile in «cuori di carne», cioè in uomini vivi. Perciò Paolo non ha bisogno di alcuna lettera di rac­ comandazione come i suoi avversari. Le due eccezioni nell'uso di sdrx ri­ corrono in un passo, nel quale Paolo deve confrontarsi con missionari giu­ deo·cristiani a lui ostili. Forse egli contrappone volutamente al loro com­ pletamento del suo messaggio nella 'carne' (cfr. Ga/ 3 , 1 ) quest'idea: anche il mio messaggio si completa nella carne, nell'uomo vivo che il vangelo ha riportato in vita, e nella mia vita di apostolo, nella quale il Crocifisso di­ venta manifesto. In ogni caso queste due affermazioni sorprendenti inten­ dono dire che le energie della carne continuano a sussistere in forma tra­ sformata nell'essere umano redento. Tutto sommato però, nonostante queste due affermazioni positive ri­ guardo alla carne, rimane per Paolo valido il principio di l Cor 15,50, che «la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità». Questa proposizione è proba­ bilmente in lui un patrimonio tradizionale", però corrisponde alla sua convinzione, altrimenti non l'avrebbe recepita in un passo tanto impor­ tante. Egli è convinto di una cosa: la carne va superata, solo per questo può muovere ai corinzi il rimprovero di essere ancora 'carnali', perché tra di essi ci sono tante contese e tanta litigiosità (l Cor 3,3 ) . Su questo pun­ to il termine soma si distingue chiaramente dal termine sdrx. Mentre stirx indica gli istinti e gli impulsi presenti nell'essere umano, che non possono essere presi a servizio da Dio, Paolo indica con soma la dinamica dell'es­ sere umano che può essere messa a disposizione di Dio. Qui egli parla di sentimenti e istinti che possono essere sublimati. Sul corpo egli può per" Forse essa va intesa nel senso di un parallelismo sintetico: carne e sangue indicano tutta la vita biologica. la caducità indica soprattutto la vita umana.

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ciò fare tre specie di affermazioni positive: affermazioni etiche riguardan­ ti il culto corporeo, affermazioni ecclesiologiche circa il corpo di Cristo, affermazioni escatologiche circa il corpo pneumatico. A proposito delle affermazioni etiche sottolineiamo una cosa: le affer­ mazioni prese già sopra in considerazione circa il culto divino mediante il 'corpo' fanno sì appello alla responsabilità dell'essere umano, ma l'assol­ vimento di questo compito di servire Dio con il proprio corpo è un dono, che è diventato possibile per mezzo della redenzione. Quando il corpo serve Dio come 'sacrificio vivo', esso è un corpo rinnovato in maniera mi­ rabile. Secondo Rm 6,6 esso fu crocifisso, come «corpo di peccato», con una morte simbolica nel battesimo. I cristiani devono mettersi a disposi­ zione di Dio come persone «che erano morte e che adesso sono vive» (R. m 6,13). La loro nuova vita è un miracolo come quello della risurrezione dei morti, che soltanto Dio può compiere. Più avanti Paolo può dire che lo Spirito di Dio risusciterà il corpo mortale, ma che questo Spirito abita già adesso nei cristiani (Rm 8, 10s.). La nuova vita etica poggia su un'azione compiuta da Dio mediante il suo Spirito. Di stampo positivo è anche l'idea ecclesiologica del corpo di Cristo. Non l'uomo, ma Dio inserisce mediante il battesimo uomini nel corpo di Cri­ sto (l Cor 12,13) e fonda la «comunione con il corpo di Cristo» nella ce­ na del Signore (1 Cor 10,16). Paolo ha fatto dell'immagine del 'corpo' e delle 'sue membra', diffusa nell'antichità per indicare la vita associata, un'immagine della chiesa ( 1 Cor 12,12ss.; Rm 12,3ss.)". Nell'antichità ta­ le immagine esprimeva spesso pretese di dominio della testa nei confron­ ti del corpo o dello stomaco nei confronti delle altre membra, più rara­ mente la solidarietà delle membra fra di loro. Paolo rafforza il tratto po­ tenzialmente antigerarchico contenuto in questa immagine: la comunità è come tutto corpo di Cristo. Manca una differenziazione tra capo e corpo (diversamente da Co/ e E/). Lo Spirito permea tutto il corpo senza distin­ zione. I due passi con la metaforica del corpo di Cristo hanno un'inten­ zione un po' diversa fra di loro: in l Cor 12, 12ss. Paolo vuole che nel cor­ po di Cristo anche il membro più debole diventi il criterio per il compor­ tamento di tutti. Egli vuole mostrare che tutte le membra hanno un valo­ re paritetico e che perciò la glossolalia non rappresenta un vantaggio. In Rm 12,3ss. egli non parla del «corpo di Cristo», ma di «un solo corpo in Cristo». Tutti coloro che hanno un carisma sono invitati all'autolimitazio­ ne e a non valutarsi «più di quanto è conveniente». La glossolalia non vie" Cfr. M. WALTER, Gemeinde als Leib Christi, 2001.

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ne nemmeno menzionata. Il 'corpo di Cristo' è in ambedue i passi chiara­ mente qualcosa di più di un'immagine. In questo corpo è presente il Ri­ sorto mediante il suo Spirito. L'immagine non è una metafora. Una me­ tafora ha sempre questa struttura semantica: A è B e A non è B. Una me­ tafora non può mai essere presa alla lettera. Qui invece dobbiamo pren­ dere alla lettera il fatto che Cristo è presente nella comunità. Si tratta di una metafora rimitizzata. Nel mito la formula recita A è B, e precisamen­ te in un senso reale: o A si è trasformato in B e (oppure) è in esso real­ mente presente. L'immagine vuole essere presa alla lettera, anche se in questo modo essa sconvolge concezioni quotidiane del mondo. Il Cristo risorto è realmente presente nella comunità mediante il suo Spirito. Que­ sto corpo mitico di Cristo è formato per mezzo dei sacramenti: il battesi­ mo è il battesimo che immette nel corpo di Cristo ( l Cor 12,13), la cena del Signore fa di tutti un solo corpo (l Cor 10,16s.). E anche qui il corpo di Cristo è fondato mediante lo Spirito di Cristo. Come il corpo terreno dell'uomo è permeato da uno spirito, così la comunità è permeata come corpo di Cristo dal suo Spirito, che è ugualmente vicino a tutte le mem­ bra. Infine Paolo conosce a proposito del corpo affermazioni escatologiche, che lo valutano positivamente. Mentre a proposito della sdrx leggiamo che (Gv 20,22). L'allusione è chiara: come Adamo divenne, per mezzo dello Spirito di Dio, W1'anima vivente, allo stesso modo sono di nuovo animati i discepoli. Le lingue di fuoco del miracolo della Pentecoste sono un'altra illustrazione dell'anima esterna dissociativa: essa non è solo la forza che elargisce la capacità della glosso­ lalia xenofona, bensì anche della profezia, delle visioni e dei sogni, come viene detto con l'aiuto di G/ 3 , 1 -5, quindi la capacità di sperimentare fe­ nomeni estatici. Con la riappropriazione dell'io dissociativo assistiamo, nel discorso neotestamentario a proposito dello Spirito, a W1a ambiguità caratteristica. Lo 'spirito' indica anzitutto una dotazione antropologica: ogni uomo ha fin dalla nascita, accanto al corpo e all'anima, W10 'spirito'. Nello stesso tempo, però, lo Spirito indica anche una forza irrazionale divina, che af­ ferra l'essere umano dall'esterno e lo rende capace di esperienze e azioni straordinarie. Questo Spirito concesso all'essere umano dimora in parte (abitualmente) nel cristiano, in parte lo afferra solo (attualmente) in situa­ zioni particolari. Tutti e tre i significati sono uniti in Rm 8,14- 16: «Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridia­ mo: 'Abbà, Padre! '. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio>>. Qui Paolo distingue tra Spirito divino e spirito umano; lo Spirito di Dio dà allo spirito umano, da lui distinto, W1a testimonianza. Egli trasforma gli esseri umani e li mette nella condizione di vivere nello Spirito e di camminare in lui (Ga/ 6,25) . Sarebbe naturalmente inammissibile considerare questa trasformazione solo come un evento antropologico. La partecipazione redentrice all'e­ vento di Cristo è infatti partecipazione a un cambiamento cosmico. Tutto il mondo cambia e il cambiamento dei cristiani è inserito in questa tra­ sformazione. Esso ha, accanto a una dimensione personale, una dimen­ sione transpersonale. Con ciò arriviamo agli aspetti dinamici profondi presenti nell'immagine dell'uomo del cristianesimo delle origini. Dopo che la prima antichità ebbe scoperto !"uomo interiore', il cristianesimo delle origini scoperse in nuce, con il suo rinnovamento, !"inconscio' nel­ l'uomo interiore.

Corpo e anima

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rv. L'INCONSCIO NELL'IMMAGINE DELL'ESSERE UMANO.

DUE FORME DI DINAMICA DEL PROFONDO: RIMOZIONE DEL PECCATO E IO Se il cambiamento dell'essere umano è un cambiamento interiore, allo­ ra il passo è breve per arrivare a riconoscere che l'essere umano non co­ nosce sino in fondo il proprio intimo. Prima della sua trasformazione egli non vedeva ancora la misera condizione in cui si trovava con la stessa chia­ rezza con cui la vede dopo la svolta. Solo il suo cambiamento scopre gli abissi, di cui prima egli non voleva prendere atto. Solo il suo cambiamen­ to gli fa però anche prendere coscienza di possibilità positive, che prima non conosceva. La scoperta di una dinamica del profondo nell'essere umano si serve spesso di un linguaggio mitologico. Quanto è nascosto nel­ l'essere umano è riconosciuto come uno spirito cattivo o come un angelo custode che l'accompagna. Questo equivale a una ricaduta in idee etero­ dinamiche superate e può tuttavia essere un progresso, se il linguaggio mi­ tologico personificante è interpretato mediante un linguaggio oggettivo, se quindi non si parla solo di uno spirito personificato, ma anche di una forza e energia oggettiva. Ci sono due criteri per scoprire una dinamica inconscia del profondo nell'essere umano: le affermazioni devono riferirsi a processi interni, che ( l ) non sono nella piena disponibilità dell'essere umano e (2) non sono del tutto perscrutabili. In Filone troviamo una volta entrambi i criteri appli­ cati al rapporto dell'uomo con la sua anima: anima e corpo non sono una nostra proprietà, ma sono stati dati entrambi da Dio; non sappiamo che cosa eravamo prima della nostra vita e non sappiamo che cosa diventere­ mo dopo la nostra morte. Ma questo limite in fatto di conoscenza e di pos­ sibilità di disporre vale anche per la vita presente: «Ma ora, nel tempo in cui siamo vivi, siamo dominati (dall'anima) piuttosto che dominare, e sia­ mo conosciuti piuttosto che conoscere. L'anima, infatti, conosce noi, ma non è da noi conosciuta, e ci impone degli ordini, ai quali dobbiamo ob­ bedire come servi alla padrona» (cher. 1 15). Dove noi riconosciamo qual­ cosa come una realtà interiore - e di ciò fa parte l'anima -, ma non la do­ miniamo completamente né la perscrutiamo sino in fondo, lì abbiamo pre­ so coscienza di una dinamica del profondo presente nell'intimo dell'esse­ re umano. Filone mostra come tale scoperta si fa strada. Quanto in tale operazione rimanga di volta in volta inconscio può esse­ re valutato in vario modo. Da un lato può trattarsi di ciò di cui non vo­ gliamo prender atto in noi, perché contrasta con le nostre norme: la no­ stra ombra con i suoi impulsi antisociali o, detto in termini fuori moda, il

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Capitolo primo

peccato dell'uomo. Possiamo dimostrare l'esistenza di una simile dinami­ ca della rimozione del peccato in due autori del cristianesimo delle origi­ ni: nel I secolo d.C. in Paolo e nel II secolo d.C. nel Pastore di Erma. Dal­ l'altro lato, però, proprio l'io migliore può rimanere inconscio, quindi il fi­ ne della vita umana, che l'essere umano può dimenticare e rinnegare. Non del peccato, ma della forza per superarlo l'uomo non ha coscienza. Egli non conosce il suo vero io. Possiamo trovare una simile dinamica della co­ scientizzazione nei confronti dell'io perfetto dell'uomo negli gnostici, che nel II secolo reinterpretarono in una maniera molto ardita il cristianesimo. Secondo gli gnostici l'essere umano è una scintilla perduta della luce divi­ na, che ha dimenticato la propria origine e che va di nuovo unita al suo ve­ ro io. E qui possiamo vedere con facilità che l'io dimenticato degli gnosti­ ci è !"anima esterna' dell'essere umano, il suo io dissociativo, che nella tar­ da antichità rivive in una interpretazione del tutto nuova: questo io non è il suo accompagnatore protettivo nella vita, neppure la sua anima escur­ sionista che lo abbandona nel sogno, o l'anima dei morti che sopravvive come la sua ombra. L'anima esteriore, che qui di nuovo ricorre, è piutto­ sto l'io celeste, che l'essere umano ha dimenticato e rimosso, il nucleo del­ la sua esistenza. Probabilmente dobbiamo dire che la sua esistenza terre­ na è l'anima esteriore andata perduta del suo io celeste, piuttosto che di­ re che questo io celeste è l'anima esteriore del suo io terreno empirico. Co­ me la scoperta dell'uomo interiore nell'antichità comincia con l'integra­ zione dell'anima esteriore nell'essere umano, così la storia dell'anima fmi­ sce nell'antichità con la rianimazione dell'anima esteriore nella gnosi: l'es­ sere umano è un pensiero di Dio andato perduto nel mondo, che Dio cer­ ca per riportare nella sua patria celeste. Dinamica del profondo in Paolo: la trascenden:;:a della carne e dello spirito In Paolo troviamo una dimensione inconscia che abbraccia sia impulsi contrari alle norme sia la forza per superarli. Tanto il peccato quanto il ve­ ro io si protendono in profondità e altezze inconsce. I tre termini antro­ pologici più importanti, pneuma, sdrx e soma, hanno in lui, accanto a un aspetto personale, una dimensione transpersonale e dischiudono l'essere umano a qualcosa che rimanda al di là di lui'6• Potenze esterne interven-

" Questo è il punto saliente nel saggio fondamentale di E. ICASEMANN, lur poulinischen Anthro-

Corpo e anima

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gono nel suo intimo, il suo confme nei loro confronti è poroso. Paolo non parla però di regola di questi interventi in termini mitici, come se a inter­ venire fossero demoni o angeli. Egli li considera una dimensione presente nell'essere umano, che sta al di là della sua coscienza e della sua possibi­ lità di disporne e che fa tuttavia parte di lui. Quanto nella sua immagine del mondo avrebbe potuto essere rappresentato anche come una potenza mitica (e a volte viene così rappresentato), egli lo descrive in termini an­ tropologici attribuendo loro una dimensione inconscia profonda. •

I!intimo,

di cui non disponiamo, in Paolo

La dimensione transpersonale dell'immagine paolina dell'uomo può es­ sere illustrata nella maniera più chiara con il termine 'spirito' (pneuma), qualora prestiamo attenzione al suo rapporto con il termine 'carne' e con il termine 'corpo'. La relazione dello spirito con la carne è negativa. Lo 'spirito' è il termine opposto a 'carne'. Essi si escludono a vicenda. Dove agisce lo spirito, lì la carne non può dominare. Invece la relazione con il corpo è positiva: lo spirito può abitare nel corpo, può risuscitarlo (Rm 8,10s.) e permearlo così intensamente da farlo diventare alla fine un cor­ po spirituale, un soma pneumatik6n ( l Cor 15,44). Nel caso dello spirito la dimensione transpersonale del termine è di un'evidenza palmare: lo Spi­ rito di Dio va espressamente distinto dallo spirito dell'essere umano. Solo così Paolo può scrivere: > porta alla morte, mentre il modo di pensare dello Spirito porta alla vita (Rm 8). Lo Spirito è norma della nuo­ va vita, in quanto entra in contrasto con la lettera della legge: in Ga/ 5 , 1 8 Paolo l o oppone alla legge e l o fa diventare norma a l posto della legge: il cristiano adempie spontaneamente quanto la legge comanda: l'amore. La guida da parte dello Spirito e la guida da parte della legge si escludono perciò a vicenda. Lo Spirito agisce spontaneamente. In un confronto fra le «opere della carne», che facciamo, e i «/rutti dello Spirito», che produ­ ciamo spontaneamente, Paolo enumera quel che lo Spirito opera nell'es­ sere umano. I suoi frutti sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé. Una vita caratterizzata dallo Spi­ rito è una vita che ha nello Spirito la sua motivazione e la sua norma: «Per­ ciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25). Possiamo perciò dire: nella lettera ai Galati Paolo è un entusiasta, che confida nel fatto che i cristiani animati dallo Spirito fanno spontanea­ mente ciò che è giusto e non hanno bisogno per questo della legge. Nei suoi scritti successivi egli corregge questo atteggiamento. In 2 Cor 3 ,6ss. distingue nella legge la lettera dallo Spirito: lo Spirito contrasta con la leg­ ge solo nella misura in cui la legge è lettera, non nella misura in cui essa è Spirito. Nella lettera ai Romani la legge è addirittura in sé spirituale (pn eu­ matik6s: Rm 7,14) ed è fortemente rivalutata. Come legge dello Spirito e della vita essa ha una forza redimente e libera dalla legge del peccato e del­ la morte (Rm 8,2). Abilita l'uomo trasformato a compiere la «giustizia del­ la Legge>> (Rm 8,4). In concreto per Paolo ciò significa che i cristiani non seguono spontaneamente lo Spirito, ma devono piuttosto discernere con la loro ragione (nus) rinnovata ciò che è buono (Rm 12,2). Da sostenitore, nella lettera ai Galati, di un'etica entusiastica che confida nello Spirito, egli è passato (per effetto delle sue discussioni con gli entusiasti di Corin­ to?) a un'etica sobria della 'ragione'. Il «culto spirituale» consiste nel fat­ to che i cristiani offrono i loro corpi a Dio come sacrificio vivente. La lo­ ro vita è così paragonata al culto basato sull'uccisione di animali (Rm 12,1). Ancora una volta troviamo spunti di due varianti del comporta­ mento: un'etica religiosa moderata, che si lascia guidare da giudizi della ragione, e un'etica religiosa estrema piena di spontaneità entusiastica, che tende a un autocontrollo e a un'ascesi radicale.

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Capitolo secondo

Riassumendo possiamo dire: nel cristianesimo delle origini lo spirito è un concetto collettivo che indica l'esperienza religiosa. Lo Spirito per­ mette ai cristiani di prendere contatto con Dio, di entrare in comunione fra di loro, li motiva ad agire e opera in due varianti: come forza non drammatica della condotta di tutti i cristiani e come forza irrazionale di al­ cuni pneumatici. Lo 'Spirito' di Dio è in ambedue le forme l'esperienza di Dio nella vita umana. Nella chiesa antica egli fu concepito come parte del­ la stessa divinità: quel che opera nell'essere umano come forza conoscen­ te e motivante di Dio è, secondo il giudizio dei teologi intellettuali che hanno elaborato la dottrina della Trinità, un non sminuito essere divino. Questa idea collega il cristianesimo con le correnti mistiche di tutte le re­ ligioni: è l'idea del «Dio in noi» quella che nella fede nella Trinità si è uni­ ta in una maniera unica con la fede nel «Dio al di fuori di noi>> radical­ mente ultraterreno. La forza che è all'opera negli esseri umani rinnovati è della stessa sostanza (homousios) di questo Dio dell'aldilà, dello stesso rango, della stessa dignità e dello stesso modo di essere. Quel che le mo­ derne teorie della religione affermano, e cioè che Dio è (solo) una forza di persuasione insita nell'essere umano, la forza della sua fede che in lui di­ mora, è qui inserito nel concetto di Dio: Dio è sia una realtà nel soggetto sia anche una realtà al di fuori del soggetto. Dio è spiritualità e universa­ lità. Tra la ricchezza di questa «spiritualità cristiana delle origini>> selezio­ niamo adesso alcuni fenomeni per descrivere la presenza soggettiva di Dio nell'essere umano - creduta nella chiesa antica - come percezione, emo­ zione, esperienza della preghiera e fede.

b. La percezione religiosa: trasparenza e visione

Prima di ricercare varie forme di percezione religiosa nella Bibbia, elen­ chiamo alcune distinzioni elementari: la distinzione fra percezione prima­ ria e percezione secondaria, fra elementi produttivi e elementi ricettivi nel­ la percezione, fra percezioni profane e percezioni religiose e fra le loro va­ rianti religiose normali ed estreme. Le percezioni si presentano sotto forma di processi primari e processi secondari. Primaria è la percezione del mondo esterno, secondaria la per­ cezione di immagini interne o di ricordi auditivi. Noi ci concentriamo su processi visuali, ma vedremo che nella Bibbia le esperienze auditive sono ancora più importanti per un'esperienza religiosa duratura: le parole fan-

Esperienza e vissuto

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n o nascere delle immagini interne. In u n processo primario entrano inin­ terrottamente in noi immagini, che lasciano dietro di sé le loro tracce. Nel corso di processi secondari tali immagini sono di nuovo rianimate. Ciò av­ viene attraverso ricordi, che nel caso di reinscenamenti di un trauma pos­ sono essere così vivi da farci vivere prowisoriamente nel passato senza avere una via di accesso al presente. Ciò awiene inoltre in immaginazioni, oppure nel sogno, quando nel sonno influiscono su di noi meno stimoli esterni e il nostro cervello produce così immagini interne. Ciò avviene in­ fme in forma di vista secondaria in allucinazioni, cioè in forma di perce­ zioni che non sono condivise da altre persone. Esse provengono dal no­ stro intimo, ma sono sperimentate come parte del mondo esterno: colui che ha un'allucinazione considera realtà esterna quel che vede nel suo in­ timo. Inoltre in tutte le forme di percezione dobbiamo distinguere elementi attivi e elementi ricettivi. In tutte le percezioni opera una guida attiva del­ l'attenzione, mediante la quale vengono selezionate le informazioni passi­ vamente ricevute. Nelle percezioni operano inoltre delle interpretazioni, mediante le quali esse sono strutturate. Sotto questo aspetto, secondo la visione moderna, nei processi delle percezioni primarie domina l'elemen­ to ricettivo, nei processi delle percezioni secondarie invece l'elemento at­ tivo e produttivo. Altre culture però valutano proprio certe percezioni se­ condarie, quali i sogni e le visioni, come 'rivelazioni' ricettivamente accol­ te, che provengono da un mondo trascendente. Al contrario anche cultu­ re premoderne hanno potuto interpretare il vedere primario del mondo esterno come illuminazione attiva dell'ambiente circostante. L'antichità concepì, da un lato, il vedere come illuminazione attiva del veduto: l'oc­ chio era considerato una lampada (Mt 6,22); l'occhio irradiante diffonde luce (Empedocle)'•. Dall'altro lato essa architettò il processo della perce­ zione in maniera tale che dalle cose entrano nell'occhio degli efflussi (De­ mocrito)". Epicuro congiunse nella sua teoria della percezione processi ri­ cettivi e processi attivi: le immagini riversantisi in maniera passiva diven­ tano secondo lui immagini di cui, mediante l'intervento attivo dell'intel­ letto, possiamo disporre'". La distinzione fra percezione religiosa e percezione profana non è iden­ tica a quella tra forme primarie e forme secondarie della percezione. An­ che un normale sorgere del sole può essere vissuto religiosamente, qualo"' DIELS·KRANZ, 31 8 84. " DIELS·KRANZ, 68 A 135.

" EPICURO, Lettera a Erodoto, 48-52.

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Capitolo secondo

ra esso sia visto simbolicamente come espressione della bontà di Dio. In questo modo si interpreta fisiognomicamente un fenomeno naturale. Non per nulla diciamo che il sole 'ride'. Secondo la psicologia dell'evoluzione una delle radici della religione è questa percezione antropomorfica fisio­ gnomica del mondo29• Sarebbe mortalmente deleterio prendere una tigre per una pietra, mentre non nuoce scambiare una pietra per una tigre. L'in­ terpretazione antropomorfica del mondo ambiguo ha perciò un alto valo­ re per la sopravvivenza. Con l'aiuto di una percezione fisiognomica spon­ tanea possiamo infatti reagire più velocemente a situazioni pericolose. Qui vale la parola d'ordine: «better sa/e than sorry» [meglio salvo che dispia­ ciuto] . Noi seguiamo una strategia fatta di diffidenza. Ciò vale soprattut­ to quando ci troviamo in un ambiente estraneo. Quando ci troviamo in un ambiente familiare seguiamo un'altra strategia: nell'interesse della nostra sopravvivenza siamo altrettanto sensibili anche per fisionomie benevole. Il volto della madre e del padre sono per il bambino piccolo e inerme deto­ natori di profondi sentimenti di sicurezza. Il suo sorriso ricompensa la sol­ lecitudine dei genitori, senza la quale egli non avrebbe alcuna possibilità di arrivare all'età adulta. Anche il sorriso dei bambini piccoli ha un alto valore per la sopravvivenza. Esso lega i genitori al bambino inerme. In un ambiente familiare non vale perciò la parola d'ordine «better sa/e than sorry>>, bensì quest'altra: come uno tratta gli altri, così anche gli altri trat­ tano lui. La benevolenza suscita benevolenza. Senza questa «strategia del­ la fiducia» percepiremmo troppe intenzioni ostili nel nostro ambiente e non usciremmo mai da uno stato di allarme. Perciò la fiducia che gli 'spi­ riti' buoni sono più potenti degli spiriti cattivi è necessaria per vivere. Sia la percezione fisiognomica di ripulsa che quella di attrazione sono perciò evolutivamente capaci di adattarsi. La nostra strategia di diffidenza e fi­ ducia è solo a prima vista contraddittori. Comune è il seguente elemento: in entrambi i casi l'impegno paga. Rischiamo di più, se in un ambiente estraneo 'confidiamo' con leggerezza anziché diffidare. Perdiamo di più, se in un ambiente familiare diffidiamo anziché legare a noi le persone fa­ miliari. L'equilibrio tra fiducia e diffidenza è uno dei grandi compiti della vita: lo raggiungiamo sviluppando una 'fede' sotto forma di fiducia di fon­ do, che deve in continuazione imporsi contro una (necessaria) diffidenza. Ma la percezione religiosa della realtà ha ancora una seconda fonte: la

" Cfr. ST. E. GIITHRIE, Faces in the Clouds. A New Theory o/Religion, 1993, 1995'; Io., Animai Am­ mism: Evolutionary Roots o/ Religzous Cognitzon, in I. PYsSIÀINEN - V. ANTfONEN (edd.), Cu"ent Ap­ proaches in the Cognitive Science o/ Religion, 2002, 38-67.

Esperienza e vissuto

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capacità dell'essere umano di percepire semioticamente cose e eventi e di conferire loro un valore simbolico che va al di là della loro esistenza im­ mediata. Già gli animali possono reagire, dopo un loro ammaestramento associativo o condizionato, a segni di una cosa come alla cosa stessa: se uno squillo di campanello annuncia regolarmente l'arrivo del ciho, essi reagiscono a tale squillo come al cibo. Gli esseri umani possono interpre­ tare molte cose come segno di qualcos'altro: il fumo indica il fuoco, le nu­ bi la pioggia, le orme una persona, anzi essi possono interpretare in linea di principio tutto come segno di qualcos'altro. Per questo non c'è bisogno di una struttura fisiognomica del segno, basta un collegamento tempora­ le-spaziale e oggettivo tra segno e cosa indicata. Tale collegamento va im­ parato. Ciò è facile, quando il segno è parte della cosa indicata (come nel caso del fumo e del fuoco), o quando il segno e la cosa indicata si somi­ gliano fra di loro (come nel caso dell'orma e della forma del piede). La maggior parte dei segni sono arbitrari e non hanno alcun legame intrinse­ co con la cosa indicata. In nessun caso è necessario che il segno abbia dei tratti fisiognomici. La capacità di percepire il mondo come segno, para­ bola o simbolo non dipende da una sensibilità percettiva specificamente fisiognomica. La percezione fisiognomica è tutt'al più un caso particolare di questa capacità percettiva semiotica generale. Anche qui seguiamo una strategia nella nostra ricerca: vale la pena percepire troppo piuttosto che troppo poco senso nel mondo. Solo se uno si attende delle strutture dota­ te di senso le scopre anche. Il pericolo che, senza questa aspettativa, uno sorvoli su strutture dotate di senso che favoriscono la vita e ne abbia così degli svantaggi, è più grande del pericolo che, con tali aspettative, uno ri­ ponga troppo senso nel mondo. Dipende infatti anche da noi stabilire questo senso là dove esso non è ancora presente. Noi riassumiamo la percezione fisiognomica e quella semiotica sotto il concetto superiore di percezione simbolica. Esse hanno una cosa in comu­ ne: sono entrambe collegate con una theory o/ mind [teoria della mente] . Come ciò che è fisiognomicamente percepito può essere espressione di una persona con delle intenzioni, così ogni segno può essere messaggio di un'intelligenza. Attraverso la percezione semiotica l'essere umano speri­ menta il mondo «dotato di senso» come un 'testo', che gli dice qualcosa. La percezione semiotica interpella soprattutto la sua facoltà cognitiva. L'essere umano aspira al senso e al significato. Invece la percezione fisio­ gnomica suscita soprattutto reazioni emotive e motivazionali: l'uomo fug­ ge di fronte all'ostilità del mondo o cerca sicurezza in una sollecitudine e in una bontà che gli vengono incontro. Con l'attribuzione di un'intenzio-

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nalità la realtà è 'personalizzata' e il rapporto con essa è strutturato inte­ rattivamente mediante l'assunzione e l'accettazione di ruoli. Quando, mediante la percezione simbolica, gli esseri umani danno al mondo sicurezza e senso, ciò è nna fonte inestimabile di felicità e di sta­ bilità emotiva. Sondiamo il mondo con detector della fisiognomica e della semiotica. Essi sono la base di quella proiezione di intenzionalità, che fa diventare alcune esperienze delle esperienze religiose. La percezione fisio­ gnomica può qui sganciarsi dal mondo esterno. Non vediamo infatti solo «volti nelle nubi», bensì in maniera altrettanto intensa volti nello spazio interiore della nostra immaginazione. L'arante si presenta al cospetto di Dio, senza aver per questo bisogno di uno stimolo esteriore operante fi­ siognomicamente in forma di un'immagine di Dio. L'immaginazione inte­ riore è, sulla base di una metafora (vale a dire di nn'espressione verbale), un detonatore sufficiente a suscitare sentimenti di sicurezza e di pace. Me­ diante l'interpretazione semiotica del mondo, dotata di senso, l'orante dà a questi sentimenti una patria nel suo mondo interpretato. Spesso l'origine della religione non viene naturalmente cercata in una simile percezione simbolica primaria (in parte fisiognomica, in parte se­ miotica), bensì in percezioni secondarie: in molte culture sogni e visioni sono considerati il portale della trascendenza. Così anche i sobri epicurei fecero risalire la fede in Dio a 'immagini' che durante il sonno penetrano negli uomini e dalle quali essi trassero la conclusione dell'esistenza di dèi. Il sogno era per essi l'origine dell'esperienza di Dio. Ma non solo per es­ si: nei santuari di Asclepio il dio appariva agli umani nel sogno per gua­ rirli. La sua comparsa era legata al sonno. Proprio per questo sottolineia­ mo: le forme secondarie di percezione come l'immaginazione, il sogno e l'allucinazione non sono di per sé religiose, ma possono spesso avere un contenuto profano. Esse hanno solo indirettamente un legame con la reli­ gione, in quanto possono essere tutte quante sperimentate come segni di un'«altra realtà» che sta al di là del nostro mondo quotidiano. È come quando un turista entra in una chiesa. Egli può cercare in essa l'opera di un architetto defunto o la presenza di Dio. L'immaginazione, i sogni e le allucinazioni sono di per sé neutrali. Essi diventano un'esperienza religio­ sa solo quando degli esseri umani odono in essi un messaggio e attribui­ scono loro un senso determinante per la vita. Percezioni religiose e perce­ zioni non religiose se ne trovano pertanto in forme sia primarie sia anche secondarie di percezione. All'interno delle percezioni religiose dobbiamo ora distinguere ancora una volta fra percezione religiosa normale e percezione religiosa estrema. Questa distinzione non combacia semplicemente con la differenziazione

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fra modo primario e modo secondario di vedere. Una persona può finire, anche attraverso un modo primario di vedere, in situazioni limite in cui il suo mondo crolla. Così accadde al giovane Martin Lutero, quando speri­ mentò il fulmine cadutogli vicino, a Stotternheim, come un deciso inter­ vento di Dio nella sua vita. Viceversa immagini meditative interiori, quin­ di una forma di vedere secondario con gli «occhi del cuore» (E/ 1 , 18), ri­ mangono nel campo religioso normale. Vero però è che sogni e allucina­ zioni religiose sono spesso fenomeni religiosi estremi. Otteniamo così quattro forme di percezione religiosa, qualora nel modo primario e in quello secondario di vedere distinguiamo ogni volta fra una variante reli­ giosa normale e una variante religiosa estrema:

Percezione non religiosa

Percezione religiosa Normale

Estrema

Percezione primaria

Vedere il mondo quotidiano profano

Vedere simbolico: a) fisiognomico, bi semiotico

Sconvolgimenti estremi del mondo della vita quo· ridiana come il fulmine di Stonemheim

Percezione secondaria

Immaginazioni, sogni. allucinazioni profane

Immaginazioni religiose come le immagini inter· ne della meditazione

Sogni e allucinazioni religiose come visioni e audizioni

Tab. 7: Percezione profana e percezione religiosa

Spunti di una distinzione fra percezione religiosa normale e percezione religiosa estrema se ne trovano già nell'antichità. Filone distingue una per­ cezione indiretta di Dio per mezzo del mondo e una visione diretta di Dio mediante la sua autorivelazione. La percezione indiretta avviene nel nor· male stato di coscienza, quella diretta nell'estasi. La percezione indiretta consiste nel vedere il mondo come un'opera d'arte e nel farsi, da tale ope­ ra d'arte, «idea del creatore» (ali. 3,97). Questo modo indiretto di vedere è un modo simbolico. Invece la contemplazione diretta di Dio non «co­ nosce la causa partendo dal creato, quasi a voler conoscere ciò che per­ mane a partire dalla sua ombra, ma, trascendendo il creato, riceve un'im­ magine chiara dell'Increato, cosicché, muovendo da un tale lncreato, co·

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Capitolo seconde

glie sia lo stesso lncreato sia la sua ombra, cioè il L6gos e questo mondo. Questi è Mosè, il quale dice: 'Rivelati a me, perché ti veda chiaramente (Es 33,13). Possa tu rivelarti a me non attraverso il cielo, o la terra, o l'acqua, o l'aria, insomma attraverso qualcosa di creato, affinché possa vedere la tua figura, riflessa in null'altro che in te, che sei Dio'» (al!. 3 , 1 00s.)"'. Que­ sta visione di Dio, procurata da Dio stesso, awiene in uno stato paranor­ male di coscienza: per Mosè, che conobbe il Signore «faccia a faccia» (ber. 262, cfr. Dt 34, 10), vale infatti quel che vale per tutti i profeti: «Al so­ praggiungere dello Spirito divino, l'intelletto che è in noi si ritira, ma quando lo Spirito se ne diparte, l'intelletto ritorna, giacché non è lecito che il mortale conviva con l'immortale. Per questo il 'tramonto' del pen­ siero con la tenebra che ne segue produce il sorgere dell'estasi e della di­ vina mania» (ber. 265). La visione estatica di Dio è un modo trasformati­ vo di vedere, che presuppone un mutato stato di coscienza. Quel che Filone distinse concettualmente in un linguaggio biblico-filo­ sofico lo troviamo nel Nuovo Testamento in una forma molto più sempli­ ce: per gli uomini semplici della Galilea il mondo divenne trasparente nei confronti di Dio mediante immagini e parabole desunte dalla loro vita quotidiana. Le parabole contengono allusioni a un indiretto modo simbo­ lico di vedere Dio nello specchio di questo mondo. A confronto diretto con Dio i discepoli furono invece posti dalle visioni pasquali, che cambia­ rono radicalmente la loro vita. La loro esperienza fu un modo trasforma­ rivo di vedere. Nel Paolo lucano e in quello storico siamo vicini a Filone, in quanto troviamo in essi una sensibilità per la trasparenza del mondo nei confronti di Dio, ad esempio nelle affermazioni del discorso dell'Areopa­ go (At 17 ,22-3 1), e accanto ad essa la contemplazione trasformativa diret­ ta di Dio nella contemplazione del Risorto (2 Cor 4,6). Il vangelo di Gio­ vanni contiene una sintesi di questa trasparenza simbolica del mondo e della visione estatica di Dio. In Gesù diventa visibile anche il Dio ultra­ terreno (Gv 14,8s.). I. LA PERCEZIONE RELIGIOSA DELLA REALTÀ TRASPARENTE

La percezione simbolica del mondo, fondamentale per la religione, si basa su una percezione fisiognomica e su una percezione semiotica. Di ,. Altre affennazioni di Filone a proposito di questa duplice conoscenza di Dio si possono trovare in praem. 41-46.

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continuo il cielo divenne oggetto di Wla percezione fisiognomica. Ciò è te­ stimoniato non solo dall'interpretazione delle costellazioni come zodiaco, ma anche dalla rappresentazione antropomorfica del sole: «Là (nei cieli) pose una tenda per il sole

che esce come sposo dalla stanza nu7.iale: esulta come un proJe che percorre la via. Sorge da un estremo del cielo e la sua orbita raggiunge l'altro estremo: nulla si sottrae al suo calore>> (Sa/ 19,6-7).

La percezione fisiognomica poggia presto su manufatti religiosi. Quan­ do nelle religioni si parla di vedere Dio, tale modo di parlare indica il fat­ to di vedere una statua (artificialmente prodotta) di Dio. «Vedere Dio» si­ !!nifica nell'Antico Oriente: guardare la sua immagine cultuale. «Devi guardare costantemente (le statue de) gli dèi», comanda il dio ammonitico Milkom". Com'è noto, nel periodo della formazione della fede biblica il culto di Gerusalemme era privo di immagini. Nei salmi sono tuttavia con­ tenute delle allusioni a un vedere Dio nel santuario, che alludono a una immagine di Dio, adesso però da intendere in maniera traslata: l'orante ha sete del Dio vivente come una cerva che anela all'acqua, e grida: «Quan­ do verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,3 ). Egli cerca Dio nel santuario: «Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò del­ la tua immagine» (5al l7,15; cfr. 5al 63 ,3s.). Il «volto di Dio» è diventato nella Bibbia la metafora della presenza e della bontà di Dio (Sal 13,2; Is 54,8 e passim). Così anche nella benedizione aronitica: «Ti benedica il Si­ gnore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Qui si tratta solo di un 'volto' di Dio interiormente immaginato. Anche Paolo formula ancora la sua speranza escatologica con la metafora del volto: «Adesso noi vediamo in modo confuso come in uno specchio; allora invece vedremo /accia a /accia» ( 1 Cor 13, 12)". In questa metafora del volto di Dio non riecheggia solo il valore adattativo della percezione fisiognomica, ma sotto il profilo sociopsicologico rivivono anche espe­ rienze fatte con potenti. Quando essi distolgono il loro volto, incombe la " Così in una iscrizione ammonitica: B. LANG, Sehen und Schauen, in NBL 3 (2001) 555-561. " !.:espressione di I Cor 13,12 «faccia a faccia» (pr6sopon pròs pr6sopon) ricorre nei LXX in occa­ sione deU'incontro di Dio con Giacobbe presso il torrente Iabbok (Gen 32,3 1 ) e, in forma modifica­ ta, in occasione deU'incontro con Israele al monte Oreb ta per indicare il rapporto privilegiato di Mosè con Dio

(DI 5,4). Una formulazione affine è adopera­ (Es 3 3 , 1 1 : en�pios en6pio).

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sventura. Viceversa si può dire che «se il volto del re è luminoso c'è la vi· ta» (Pr 16,15). Tutte queste esperienze sono trasposte a un volto immagi­ nato nell'intimo per suscitare sentimenti di sicurezza e di gratitudine. Dal momento che nessuno ha mai visto Dio, si capovolge la direzione del ve­ dere e del percepire: non l'uomo vede Dio, ma Dio vede l'uomo e lo chia­ ma. Proprio per questo il 'volto di Dio' rimane d'importanza decisiva, e in tale volto in modo particolare gli occhi e la bocca, perché gli occhi di Dio vedono l'uomo e la bocca gli grida: «In un impeto di collera ti ho nasco­ sto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore» (ls 54,8). L'idea del volto di Dio è qui sganciata dal suo contesto cultuale. Il Deuteroisaia formula la sua pro­ messa in esilio, molto lontano dal tempio. Per lui Dio è il creatore del cie­ lo e della terra, che è presente nell'esilio a Babilonia così come a Gerusa­ lemme. L'essere umano interpreta mediante una percezione fisiognomica tutto l'universo come espressione della volontà divina e compare dapper­ tutto davanti al 'volto' di Dio. Una seconda radice della percezione simbolica del mondo l'avevamo ri­ conosciuta nel modo semiotico di vedere: qualcosa diventa nel mondo il segno di qualcos' altro. Questo modo simbolico semiotico di vedere è mol­ to diffuso nell'Antico Oriente. Mentre la mentalità moderna separa il con­ creto dall'astratto e lavora con oggetti come l'albero, il trono e il monte, oppure con concetti astratti come vita, regalità o abitazione di Dio, le cul­ ture orientali antiche indicano con qualcosa di concreto insieme qualcosa di astratto, che compare nel concreto. L'uno simboleggia l'altrd'. Concreti Astratti

Albero

l Vita

Trono

l Regalità

Monte

l

Simbolizzazione

Dimora di Dio

Le parabole e le immagini nella tradizione di Gesù sono uno sviluppo particolare nella storia della percezione semiotica del mondo. Esse rendo­ no la vita terrena trasparente per Dio e vogliono provocare nei loro ascol­ tatori una ristrutturazione cognitiva" della loro esperienza, che fa loro guardare gli esseri umani e le cose con occhi diversi. Scegliamo quattro esempi. " Questi esempi sono tratti da B. )ANOWSKI, Der Mensch im alten lsrael, in ZThK 102 (2005) 143· 175, qui 1 69 . " La ristrutturazione cognitiva è u n metodo del cambiamento del componamento nella psicotera· pia, cfr. M.R. GOLDFRIED - A.P. GOLDFRIED, Kognitive Methoden der Verhaltensilnderung, in F.H. KANFER - A.P. GoLDSTEIN (edd.),

Moglichkeiten der Verhaliensiinderung, 1997, 103-132.

Esperienu e vissuto

1 39

n primo esempio è !"immagine del sole' del comandamento dell'amore dei nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguita­ no, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti)) (Mt 5,44s.). Questa 'immagine del sole' esprime, nella tradizione sapienziale anteriore a Gesù, nel predicatore Salomone, l'indifferenza di Dio verso i buoni e verso i malvagi. Da tale indifferenza il predicatore Salomone trae questa conclusione: tutto quello che awiene sotto il sole è vano e polvere al vento. Egli parte da una irrazionalità etica del mondo, nella quale non c'è giustizia: «Tornai poi a considerare tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco le lacrime degli oppressi e non c'è chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la violenza, ma non c'è chi li consoli. Allora ho proclamato felici i morti, ormai trapassati, più dei viventi che sono an­ cora in vita; ma più felice degli uni e degli altri chi ancora non esiste, e non ha visto le azioni malvagie che si fanno sotto il sole)) (Qo 4,1-3 ). Questa in­ differenza è interpretata in senso opposto nelle parole di Gesù: coloro a cui egli parla fanno parte degli ingiustamente perseguitati. Il fatto che Dio faccia brillare il suo sole su buoni e cattivi, su persecutori e perseguitati, non deve condurre alla rassegnazione, ma spingere all'imitazione della sua magnanimità: i discepoli di Gesù devono, nella loro qualità di figli di Dio, amare i loro nemici. Devono stare come Dio al di sopra della distinzione fra buoni e cattivi. Ciò che può portare l'uomo alla disperazione, cioè il fatto che Dio sembri premiare con il suo interessamento anche i malvagi, attraverso una ristrutturazione cognitiva diventa una motivazione per un comportamento etico. TI secondo esempio è la parabola degli operai della vigna (Mt 20, 1 - 16). Quattro gruppi di salariati, che hanno lavorato per un tempo diversa­ mente lungo, ricevono alla fine la stessa ricompensa. Quelli che sono sta­ ti ingaggiati per primi ricevono il salario pattuito. Gli altri hanno solo ri­ cevuto la promessa che sarebbero stati ricompensati in modo 'giusto'. Con gli ultimi non viene preso addirittura alcun accordo, e sono semplicemen­ te mandati nella vigna. Tuttavia gli operai che hanno lavorato più a lungo mormorano. In base al principio della produttività dovrebbero ricevere più degli altri, in proporzione al tempo che hanno lavorato. Ma la para­ bola propone un altro modo di vedere le cose: l'uditore deve cercare di in­ terpretare !"ingiusta' ricompensa come espressione della bontà del pa­ drone della vigna. Egli non ricompensa in base alla prestazione, ma se­ condo la sua bontà e in base al bisogno. Egli è libero di dare di più a co­ loro che hanno di meno, senza togliere per questo qualcosa agli altri. Chi non può sopportare una cosa del genere è invidioso e ha un occhio mali-

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gno". n comportamento del padrone della vigna contraddice la logica dei rapporti economici di lavoro, ma non la logica della giustizia distributiva nella famiglia: in essa tutti ottengono parti uguali indipendentemente dal­ la loro prestazione. Il padrone della vigna si comporta come un padre. Il terzo esempio è la parabola del figlio prodigo (Le 15 , 1 1 -32)'". Qui possiamo osservare come, nel racconto, assunzioni e accettazioni diverse di ruoli cambiano la percezione sociale. Il figlio minore è anzitutto uno che discende nella scala sociale, uno che per colpa propria e per una ca­ restia generale cade in miseria. Egli resta ancorato al ruolo del padre, quando dice a se stesso: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in ab­ bondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te» (Le 15, 17s.). Ma nega a se stesso il ruolo di figlio, quando ancora in terra lontana dice al padre, nel­ la sua fantasia: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Tratta­ mi come uno dei tuoi salariati» (Le 15, 19). Quando però il padre, gli cor­ re incontro e lo abbraccia prima ancora che egli abbia confessato la sua colpa, egli ripete solo la confessione della sua colpa, ma non la richiesta di diventare un salariato, come se questa possibilità fosse già esclusa dall'ac­ coglienza riservatagli dal padre. Il padre lo rimette infatti di nuovo nel suo ruolo di figlio con una festa e con tanto di anello, abito e pubblico rico­ noscimento. Il fratello maggiore non sa nulla di tutto ciò. Quando torna a casa è costretto a chiedere informazioni a proposito di quanto è accaduto, e rimprovera al padre di non essersi comportato verso di lui come un pa­ dre. A differenza del fratello non lo apostrofa, infatti, con il titolo di pa­ dre e così non parla del fratello minore come di suo 'fratello', ma di «que­ sto tuo figlio» (Le 15 ,30). Il fratello maggiore ha motivo di lamentarsi: il padre è corso incontro al figlio prodigo quando quello era ancora lonta­ no. Invece il maggiore è tornato a casa senza essere stato invitato alla fe­ sta. Deve temere di non ricevere più tutta l'eredità, se il fratello si vede re­ stituire i segni del suo status. Il padre si comporta senza dubbio in manie­ ra asimmetrica con i due figli. Il maggiore deve imparare una cosa: il pa­ dre non ricompensa lo spendaccione, ma colui che è tornato, non ricom­ pensa il figlio socialmente morto e perduto per la famiglia, ma il figlio ri­ tornato in vita. Il padre, esprimendo la propria gioia con doni materiali, ha agito anche in nome del figlio maggiore, perché tutto quel che appar-

" C. HEZSER, Lohnmetaphonk und Arbeitswelt in Mt 20, 1990. " Maggiori dettagli al riguardo in A. INSELMANN, Af/ektdarstellung und Affektwandel in der Para­ bel vom Vater und seinen beiden Sohnen, apparso in Erkennen und Er/eben, 2007.

Esperiewu "t vissuto

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tiene al padre appartiene anche al figlio maggiore (Le 15,3 1). Per quanto concerne il diritto di successione non cambia nulla . Il figlio maggiore ha già così partecipato con il suo possesso all'allestimento della festa. Non appena egli sarà capace di accettare il figlio minore nel ruolo di fratello ri­ trovato e il padre nel ruolo di un padre che gioisce per il ritorno del figlio, sarà forse in grado di valutare in maniera nuova la situazione, di valutare il ritorno del figlio prodigo come il ritorno di suo fratello e di reagire con gioia. Ma ciò rimane sospeso. Al lettore e all'ascoltatore viene chiesto qua­ le ruolo vuole assumere e quale corrispondente ruolo di Dio vuole, così fa· cendo, accettare. Come quarto esempio riportiamo la parabola del quadruplice campo (Mc 4,3-9). Il seminatore sparge generosamente il seme sul campo, anche là dove esso non ha alcuna possibilità di crescere: sulla strada, su terreno sassoso e in mezzo alle spine. Ci si può stupire delle perdite, lamentare de­ gli insuccessi e criticare il seminatore. Ma più importante è il fatto che il seme si avvicina in misura crescente al successo: si comincia con un seme che non ha alcuna possibilità di crescere: gli uccelli lo beccano subito. Quello successivo mette radici in un terreno sassoso e riesce a spuntare, anche se poi secca per il calore del sole. Il terzo produce addirittura una pianta, ma i rovi e le spine gli impediscono di portare frutto. Anche nel ca­ so delle perdite possiamo perciò osservare come esse si awicinano co­ munque a un successo, fin quando la stragrande parte del seme - si osservi il passaggio dal triplice singolare d/lo al plurale dlla - cade su un terreno fertile e compensa abbondantemente tutte le perdite. Non alle perdite bi­ sogna guardare, ma alla magnanimità di colui che semina". In queste quattro parabole troviamo una medesima tendenza: come Dio sta sovranamente al di sopra dei buoni e dei malvagi, degli «operai im­ piegati a tempo pieno» e di quelli (At 23,1 1 ) e l'apparizione dell'angelo in mezzo alla tempe­ sta sul mare con il messaggio: «Non temere! . ..>> (At 27,23s.) potrebbero essere rivelazioni oniriche; in ambedue i casi viene sottolineato che esse si verificarono «di notte>>. Invece l'incarico di dedicarsi alla missione fra i pagani è una visione estatica di Cristo nel tempio di Gerusalemme (At 22,17-2 1 ) . In questo caso non c'è alcuna allusione a una rivelazione oniri­ ca, ma un accresciuto stato di veglia. Simili sogni di messaggeri, nei quali si annunciano eventi importanti, hanno molti casi paralleli nell'antichità. Serse ha un sogno del genere prima della sua campagna in Grecia (Erod., hist. 7, 12- 19), Alessandro prima della sua campagna in Persia (F. Giusep­ pe, ant. 1 1 ,333-335), Annibale prima della guerra punica (Cic., div. 1 ,49) ecc. Da qui si è tirata la conclusione che si tratterebbe di motivi pura­ mente letterari, che forse lo stesso evangelista Luca avrebbe plasmato". Ma la diffusione di questo motivo nell' antichità corrisponde a una tipica esperienza antica: grandi eventi si annunciano in sogni.

•1

Questi chiari sogni di messaggeri sono un po' deludenti per coloro che nei simboli dei sogni cer­

cano la «dimenticata lingua di Dio» (cfr. H. HARK,

Der Traum als Gottes vergerrene Sprache. 1982), a

meno che non si interpreti tutto il vangelo dell'infanzia allegoricamente come un evento onirico: Ero­

de sarebbe la ragione repressivo da cui il bambino va protetto; Giuseppe sarebbe l'io realistico che oscilla tra paura e senso della realtà ecc. Così ln una awincente interpretazione simbolico-allegorica di E. DREWERMANN, Tù?/enprychologie und Exegese l, 1984, 502-529 [traJ. it., Psicologia delprofondo e esegesi l, Queriniana, Brescia 1996]. " A. WEISER, Die Apostelgeschichte Il, 1985, 406-415.

Esperie"i4 e vissuto

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Di ciò abbiamo testimonianze autentiche, che dobbiamo prendere sul serio sotto il profilo storico. Giuseppe racconta di «sogni notturni nei qua­ li Dio gli aveva predetto le calamità che stavano per abbattersi sui giudei e i cambiamenti che stavano per verificarsi alla testa dell'impero romano» (f. Giuseppe, bel!. 3 ,35 1). Egli si attribuisce l'arte dell'interpretazione dei sogni, perché quale figlio di stirpe sacerdotale conosceva le predizioni del­ le sacre Scritture. Annuncia a Vespasiano che regnerà sul mondo (F. Giu­ seppe, bel!. 3 ,399-408; cfr. Svet., Vesp. 5,6) e traspone così in effetti le pre­ dizioni messianiche a lui familiari al generale romano. Ma anche altrove Flavio Giuseppe riferisce di sogni di messaggeri in situazioni critiche (vi­ ta 208-209). Non c'è motivo di contestare la credibilità di queste afferma­ zioni e meno che mai la sua informazione che questi sogni si collocano nel­ la tradizione della profezia. Flavio Giuseppe non ha certamente interpre­ tato i suoi sogni solo in maniera secondaria sulla base delle sue conoscen­ ze della Scrittura, però essi erano in partenza condizionati da tali sue co­ noscenze. Parimenti non esiste alcun motivo di diffidare di Paolo quando pretende di aver personalmente avuto molte «apparizioni e rivelazioni del Signore» (2 Cor 12, 1 ) . Di esse non faceva parte solo l'invito ad andare a Gerusalemme per il concilio degli apostoli (Ga/ 2,1s.), bensì anche la ri­ velazione del 'mistero' che tutto Israele sarà redento (Rm 1 1 ,25-27 ). Per tali rivelazioni Paolo non si richiama però mai a sogni; sogni e interpreta­ zione dei sogni non fanno parte dei carismi dello Spirito Santo. Essi po­ trebbero far parte delle 'rivelazioni' (apokalypseis) (I Cor 14,6), ma ciò non è sicuro. Del resto Paolo chiarisce che le sue rivelazioni sono dipen­ denti dalla 'Scrittura' (come quelle di Flavio Giuseppe): la redenzione di Israele gli diventa evidente sulla scorta di passi scritturistici del libro di Isaia (ls 59,20s.; 27,9). Il fatto che negli Atti degli apostoli egli sia presen­ tato come visionario non ha alcun punto di appoggio nella sua vita. Le sin­ gole rivelazioni oniriche potrebbero essere stilizzate, il fatto generale del­ le rivelazioni corrisponde «a un'esperienza autentica»". Sogni simbolici seguiti da interpretazioni ricorrono nelle visioni di Er­ ma, che introducono il libro dei suoi mandati e delle sue similitudini. Quattro volte Erma sottolinea d'aver avuto nel sonno, durante la notte o in sogno, le 'visioni' descritte. Nel primo sogno egli vede la sua padrona Rode, che lo pone di fronte al fatto di averla desiderata sessualmente " Contro

M. FRENSCHKOWSKI, Traum, 4 1 , il quale pensa che sia una cosa priva di senso interro­

garsi a proposiro della «genuinità esperienziale>> dci sogni nel Nuovo Testamento. L'espressione lette­ raria e la genuinità dell'esperienza non si escludono a vicenda. l'esperienza della visione.

U racconto di una visione fa parte dd­

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Capitolo secondo

(Herm., vis. 1 , 1,3-9).' Poi gli appare in una visione una donna anziana, che gli rimprovera gli errori fatti nell'educazione dei suoi figli. In un secondo incontro ella chiama lui e tutti i cristiani alla conversione. Di un sogno non si fa parola in questi due incontri. Successivamente un giovane gli rivela in un sogno (2,4,1) che la donna anziana è la chiesa. Il terzo sogno (vis. 3,1-10,2) contiene un ulteriore incontro con la donna anziana. Egli può sedersi in un banco alla sua sinistra e vede una torre in fase di costruzio­ ne con quindici diverse specie di pietre. La torre è interpretata nel senso della chiesa, le diverse specie di pietre nel senso di diversi tipi di cristiani: alcune sono lisce e si lasciano inserire nella costruzione, altre hanno anco­ ra bisogno di essere levigate e altre ancora sono scartate. Successivamen­ te il lettore viene a sapere che in questi tre incontri la 'chiesa' gli era ap­ parsa in una figura dai tratti sempre più ringiovaniti: dapprima come don­ na anziana, poi come donna, infine come giovinetta di «straordinaria bel­ lezza)) (vis. 3 , 10,5). In un quarto breve sogno questa donna gli annuncia che gli sarà rivelato anche il senso delle sue tre forme. Nella medesima notte ricompare il giovane e spiega psicologicamente tali forme come co­ raggio di vivere in tre diverse età della vita (vis. 3 ,7-13,4). La presunta 'donna anziana' gli appare un'ultima volta ornata come una sposa (vis. 4,2,1). L'interpretazione allegorica esplicita di questi sogni è l'invito alla conversione, rivolto a tutti i cristiani, affinché la chiesa ringiovanisca. A ciò si aggiunge implicitamente un ulteriore sottotesto: la padrona sessual­ mente desiderata da Erma (nel primo sogno) è sostituita dalla donna an­ ziana"'. La relazione con questa donna anziana è asessuale. Con il passag­ gio da Rode alla donna anziana il desiderio di Erma è desessualizzato e su­ blimato. Il terzo incontro con lei sul banco all'aria aperta è tuttavia de­ scritto come un rendez.-vous tra amanti. Erma si reca nel luogo convenuto, trova un banco vuoto, sopra di esso un cuscino con su steso un drappo di lino, è preso dalla paura e dal tremore e confessa ancora una volta al Si­ gnore i suoi peccati. Solo dopo arriva la donna che gli aveva dato appun­ tamento (vis. 3 , 1 ,4-6), e a proposito della quale veniamo a sapere solo in un secondo momento che, in questo incontro, ella non gli si è presentata

� M. LEIJTZSCH, Die Wahmehmung sozialer Wirklichkeit im 'Hirten des Hermas', 1989, 174s.: «A Rode succede inizialmente come mediatrice della rivelazione la donna anziana, cui viene poi attribui· to un progressivo ringiovanimento e che alla fine appare ancora una volta come vergine. Ella rappre­ senta quei ruoli che non furono attribuili a Rode ed è quindi complementare alla sua figura: se Rode era oggetto del desiderio maschile, colei che le succede e che va imerpreta!a come ekklesfa appunto non lo è. Ella è sottratta alla presa sessuale del ricettore della rivelazione ovviamente non come esse­ re sovraterreno in sé, ma in ogni caso a motivo della sua anzianità o a motivo della sua verginità».

Erperienia e vfrsuto

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come una donna anziana, ma come una donna attraente. D'ora in poi ella sarà come chiesa la sposa di Erma. La stessa donna gli comandò che d'o­ ra in poi avrebbe dovuto vivere con la propria moglie come con una so­ rella, in maniera asessuale (vis. 2,2,3). Nel Pastore di Erma abbiamo sogni che possiamo senz'altro interpretare come sublimazione, lerterariamente formulata, di desideri sessuali. La mancanza di sogni simbolici simili o di altro genere nel Nuovo Te­ stamento è sorprendente. In compenso troviamo in esso una visione sim­ bolica: Pietro vede animali impuri che deve macellare e mangiare (At 10,10-16). Egli non sa che cosa significhino, fin quando mediante l'incon­ tro con Cornelio arriva a capire il senso di quanto gli è accaduto. Tali al­ lucinazioni visuali, una seconda forma di percezione secondaria accanto al sogno, sono state in effetti più importanti dei sogni per il cristianesimo delle origini. Le visioni del Nuovo Testamento

All'inizio del cristianesimo delle origini ci sono delle visioni. La visione della caduta di Satana (Le 10,18) fu probabilmente per il Gesù storico una specie di esperienza di vocazione". Le esperienze pasquali divennero il fondamento del cristianesimo nascente. Caratteristico è il fatto che esse non siano mai interpretate come apparizioni oniriche, anche se secondo idee antiche, diffuse tanto fra gli ebrei quanto fra i pagani, i morti ap­ paiono nel sogno. Un esempio per ognuno dei due: un figlio di Erode, il defunto primo marito di Glafira, appare alla moglie in sogno e le annun­ cia la morte, perché ha sposato suo fratello, l'etnarca Archelao (F. Giu­ seppe, bel!. 2 , 1 14-1 16). In modo simile, al re spartano Pausania appare una ragazza da lui uccisa, per annunciargli la morte (Piut., Kim. 6,4-6) . Le apparizioni di Gesù ai suoi discepoli non sono visioni oniriche, in cui ap­ pare un defunto, ma possono essere piuttosto paragonate a epifanie di una divinità'6• Le apparizioni pasquali sono ben testimoniate. In l Cor 15,3-8 Paolo ne enumera sei, tra cui tre apparizioni a singoli, due apparizioni a gruppi e " U.B. MOL!.ER, VisiorJ und Botschoft, in ZThK 74 (1977) 416448; S. VOLLENWEIDER, 'Ich soh den Satan wie einen Blit< vom Himmel/allen' (Lk 10, 18), in ZNW79 ( 1988) 1 87-203 = ID., Horiwnte neu­ testamentlicher Christologie, 2002, 7 1 -87. '"' Secondo M. F'RENSCHKOWSKI, TrtJum, 40, esse rappresentano perciò «WW 'esperienza escatologica sui generiS». Cfr. i paralleli antichi in D. ZELLER, Erscheinungen Verstorbener 1m griechisch-romischen Bereich, in Das Neue Testament und seine hellenistische Umwelt, 2006, 26-41 .

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Capitolo secondo

un'apparizione a una massa di cinquecento fratelli. Oltre a ciò ha avuto un'apparizione pasquale Maria Maddalena. ll vangelo di Giovanni le at­ tribuisce addirittura la prima apparizione (Gv 20, l l ss.) , e la conclusione secondaria di Marco conferma questa tradizione (Mc 1 6,9-20). Essa fu for­ se rimossa a favore della prima apparizione a Pietro, una figura di sesso maschile. Oltre a ciò sentiamo parlare di un'apparizione a due discepoli sulla via di Emmaus (Le 24, 13-35) . Le sei apparizioni riferite da Paolo so­ no testimoniate in maniera credibile, perché Paolo mette espressamente in risalto il fatto di citare una tradizione antica, che ha ricevuto (l Cor 15,13 ) . Egli sa che anche gli altri apostoli insegnano esattamente così ( l Cor 15 , 1 1 ) e ha parlato personalmente con molti dei testimoni oculari citati: con Pietro e Giacomo addirittura già molto presto dopo la sua conversio­ ne (Ga/ 1 , 18s.). A proposito dei cinquecento fratelli sa che alcuni nel frat­ tempo sono morti. Sull'autenticità soggettiva di questa tradizione non c'è alcun dubbio. Anche Paolo è un testimone oculare. Sull'esperienza di Da­ masco possediamo testimonianze personali sue, confermate da testimo­ nianze di seconda mano contenute negli Atti degli apostoli. Inoltre le esperienze visionarie erano così diffuse nel cristianesimo delle origini che i primi cristiani videro in esse l'adempimento di G/ 3 , 1 : «l vostri figli e le vostre figlie profeteranno (= diventeranno profeti), i vostri giovani ve­ dranno visioni (hordseis) e i vostri anziani faranno sogni» (At 2,17). Paolo è naturalmente l'unico testimone oculare di una visione pasqua­ le che ci è direttamente accessibile attraverso le sue affermazioni. Egli de­ scrive l'esperienza sulla via di Damasco come un'esperienza di visione, che fu per lui da un lato vocazione ( Ga/ 1 ,15s.), dall'altro conversione (Fi/ 3,21 1 ). In tali descrizioni egli adopera il linguaggio formulare di espressioni precostituite, ma in altri passi è anche capace di parlare in termini perso­ nali. Nelle sue formulazioni riconosciamo così uno sviluppo che va nella direzione di una certa interiorizzazione". La tradizione più antica parla di un'apparizione di Cristo ( l Cor 15,8). Essa utilizza il linguaggio veterotestamentario delle apparizioni di Dio e di angeli: Cristo apparve (ophté). I tentativi di intendere !"apparire' (ophté) come termine generale per rivelazione e di eliminare l'elemento visiona­ rio" non sono convincenti. Oggetto del vedere è Cristo. Il titolo ricorre senza articolo. HEININGER. Paulus als Visioniir, 1996, 300-303. " W. MICHAELIS, hordO, in ThW 5 (1954) 3 15-381 [trad. it., in GLNT Vlll, 886-1034). Nel caso

" B.

dell'apparizione simultanea davanti a cinquecento fratelli possiamo domandarci se qui l"�phleinclu­ da un'esperienza visiva o indichi solo un'autorivelazione di Gesù in un'estasi collettiva. Solo in tal ca­ so questa notizia può essere messa in relazione con l'evento della Pentecoste.

Esperien� e visruto

1,.1

In un altro passo della lettera ai Corinzi Paoloparla di vedere il Kyrios: «Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro?» ( 1 Cor 9 , 1 ) . Pure qui potremmo trovarci d i fronte a un linguaggio veterote­ stamentario: Isaia vede il Signore (kyrios) seduto sul suo alto trono (ls 6,1 ; LXX). I n tale occasione Isaia s i trova sulla terra, ma può gettare uno sguardo nel cielo. Anche Paolo usa in I Cor 9,1 il titolo K)>riw-. Perciò in tale passo egli potrebbe adoperare un linguaggio cristiano antico preco­ stituito, come quello che ricorre anche in Le 24,34: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso (ophte) a Simone». Nella lettera ai Galati Paolo parla della rivelazione del Figlio e scrive che «Dio si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunziassi in mezzo alle genti» (Gal 1 , 15s.). Queste parole richiamano alla mente Le 10,22(Q): «Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Fi­ glio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Fi­ glio vorrà rivelarlo». Anche qui il verbo 'rivelare' è collegato con il titolo 'Figlio'. In ogni caso Paolo segue un linguaggio cristiano delle origini pre­ costituito! Egli potrebbe pensare a un evento interiore. La rivelazione av­ viene «in me» o «a me». Questo diventa ancora più chiaro nell'ultimo pas­ so, che però non viene sempre riferito alla sua esperienza sulla via di Da­ masco. Nella seconda lettera ai Corinzi Paolo parla dell illuminazione per mez­ zo della gloria di Gesù Cristo: «E Dio, che disse: 'Rifulga la luce dalle te­ nebre', rifulse nei nostri cuori, per far risplendere (photism6s) la cono­ scenza della gloria (d6xa) di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). Egli uti­ lizza qui le parole del racconto della creazione. Il medesimo Dio, che al­ l'inizio creò la luce, l'accese anche «nei nostri cuori». Queste parole indi­ cano un evento interiore. Paolo vede la gloria di Dio (la sua d6xa) e la con­ trappone alla gloria di Mosè, la cui caducità gli fu manifestata solo da Cri­ sto. Se in 2 Cor 4,6 egli si riferisce alla sua esperienza sulla via di Dama­ sco, si sarebbe riallacciato pochissimo a un linguaggio cristiano formulare delle origini. Manca un titolo, Gesù Cristo è nome proprio. 2 Cor 4,6 po­ trebbe essere una rielaborazione personale dell'esperienza sulla via di Da­ masco: per lui fu un'apparizione luminosa, che egli sperimentò come un rinnovamento della luce della creazione e nella quale per lui la gloria di Dio passò dal volto di Mosè al volto di Cristo. Un particolare interessante è che i racconti propri di Paolo non parla­ no espressamente di un'audizione, anche se egli conosce audizioni. Egli ha udito la parola del Signore glorificato: «Ti basta la mia grazia; la forza in­ fatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9). Anche il ter­ mine chiave 'chiamare' depone in favore di un'audizione (Ga/ 1 ,15). Tut'

C11pito/o seronàc

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to sommato però Paolo accentua maggiormente l'evento visivo. Due vol­ te parla di un modo oggettivo di vedere, due volte lo descrive con parole che fanno pensare (anche) a un processo interiore. Per lui questa espe­ rienza è comunque indubbiamente un incontro con una figura che sta al di fuori di lui stesso. In Paolo l'esperienza sulla via di Damasco fa parte di una serie di «vi­ sioni e rivelazioni del Signore» (2 Cor 12,1). Come testimonia lui stesso, egli fu una volta rapito fino al terzo cielo, dove udì parole inesprimibili (2 Cor 12 , 1 ss. ) Paolo non si è certo inventatp questa esperienza out-ofbody per corrispondere a determinate aspettative. Sotto il profilo fenomenolo­ gico essa corrisponde a esperienze ben testimoniate anche nel presente e dovrebbe perciò essere autentica dal punto di vista esperienziale. Per il se­ condo viaggio a Gerusalemme egli si richiama a una «rivelazione» (Gal 2 ,2). Secondo gli Atti, da considerare storicamente solo come secondari, egli ha avuto altre esperienze di visioni, come le rivelazioni oniriche di cui abbiamo già parlato (At 16,9; 18,9ss.). Negli Atti alcune cose potrebbero essere leggendarie. Ma la leggenda del Paolo visionario poté nascere per­ ché egli era realmente un visionario. La sua apparizione pasquale non fu, nella sua vita, isolata. Viene perciò spontaneo tentarne una spiegazione psicologica'•. Ricordiamo per punti essenziali le interpretazioni più impor­ tanti finora proposte nella ricerca: .

La teoria razionalistica del temporale, che fu sostenuta, tra gli altri, da Johann Gottfried Eichhom 0752-1827) e da Ernest Renan ( 1 823 -1892) , spiega l'appari­ zione luminosa come un lampo e la voce come un susseguente tuono. Paolo l'a­ vrebbe interpretata, sulla base di un'intima predisposizione a esperienze straordi­ narie, come apparizione di Gesù e come la sua voce. I:ipotesi di una visione soggettiva fu proposta da David Friedrich Strauss ( 1 8081874). Paolo aveva sentito parlare di apparizioni pasquali e aveva solo bisogno di >.

Il giorno dopo sperimentò poi che poteva parlare per la prima volta in lingue. Ella è ora battezzata con lo Spirito. Aina ha, come Pauline, una 'predisposizione' a vissuti straordinari. Il condizionamento culturale delle visioni di Cristo da parte di un contesto cristiano è evidente fino alla de­ scrizione dell'apparizione di Gesù secondo modelli convenzionali" . Il fat­ to che i cattolici abbiano delle apparizioni di Maria, ma i protestanti no, mostra una cosa: tali visioni dipendono da una storia di apprendimento. Per noi l'ampiezza della variazione di queste visioni è importante, perché essa è paragonabile all'ampiezza della variazione dei racconti pasquali. Ci sono qui come là chiare differenze per quanto riguarda la vicinanza dei racconti alla realtà e la loro distanza dalla realtà. Alcune apparizioni sono affini a un'esperienza in trance e si accompagnano a un mutato stato del­ la coscienza (in Wiebe n. 1 -4), altre conducono in un ambiente fisico mu­ tato (n. 5-9), un nutrito gruppo di apparizioni è costituito da esperienze private in un ambiente familiare (n. 1 0-24), in un quarto gruppo le appa­ rizioni conducono addirittura a conseguenze che possono essere verifica­ te nel successivo stato di veglia: alcune di esse sono attestate anche da pa­ recchi visionari (n. 25-28)72• Così Wiebe racconta di una visione, che John Occhipinti ebbe nel 1958 durante un seminario biblico". Egli divideva la stanza con-l'amico Nathan. Quando Nathan si ammalò di un virus, egli pregò per lui.

" In PH. H. WlEBE, Visions, 76, leggiamo ad esempio a proposito di un" altra visione: «Gesù ap· parve in maniera molto simile a come la tradizione lo dipinge, con un vestito lungo, con i capelli che gli cadevano sulle spalle e con una corta barba>>. Si tratta della visione di Cristo avuta da John Oc· chipinti, sopra citata, più avanti nel testo. " PH. H. WIEBE. Degreer o/Holluzinotorinesr ond Christic Visions, in ARPs 26 (2004) 201 -222. C'è ancora un quinto gruppo, nel quale Cristo appare in forma panicolare come bambino o come croci­ fisso. " PH. H. WIEBE, Visions, 76.

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«Una notte, mentre pregava per Nathan, aprl gli occhi per guardare l'amico che se ne stava a leno a circa due metri e mezzo di distanza accanto a lui. John rima­ se scioccato nel vedere uno che stava sopra il letto di Nathan, ma con la faccia e con lo sguardo rivolti verso di lui. Egli identificò immediatamente quella persona come Gesù, in parte per il senso di timore reverenziale che la comparsa di quella persona incuteva. Egli stava per dire all'amico che cosa stava vedendo, quando Gesù distese la mano, la pose sulla fronte di Nathan e scomparve. In quell'istan­ te Nathan saltò fuori dal letto e si mise a correre per i corridoi del dormitorio gri­ dando: 'Sono stato guarito, sono stato guarito'. Nathan disse poi che, pur non avendo visto nessuno, aveva sentito qualcosa toccare la sua testa>>.

Riesce difficile giudicare in maniera responsabile tali visioni. Sono real­ mente autentiche o sono raccontate per corrispondere a attese di gruppi? Dobbiamo interpretarle come un'allusione simbolica alla trascendenza? Oppure qui qualcosa irrompe realmente entro i confini della nostra realtà quotidiana? Sorprendente è il fatto che i ricettori di tali visioni sono così sicuri di aver incontrato Cristo, anche quando hanno avuto solo l'impres­ sione di una presenza o hanno udito solo una voce". Questo si potrebbe naturalmente spiegare, esattamente come l'immagine 'convenzionale' di Gesù nelle apparizioni, in base al contesto cristiano nel quale tali visioni di Cristo avvengono. Una visione analoga, avuta da una giovane prote­ stante tedesca negli anni '80, fu da lei interpretata come l'apparizione di un angelo. Dopo che nel corso di varie notti la giovane donna aveva sen­ tito dei passi nel corridoio, una mattina quei passi si avvicinarono alla sua stanza": «La manina successiva, stessa situazione, ma poi i passi arrivarono fino alla mia camera da letto, per cui pensai: 'Adesso arriva, adesso ti porterà via', o che so io. Allora ho solo gridato a Dio: 'Aiutami!'. E in quel momento ecco una figura bian­ ca stare vicino al mio letto. Sembrava un primario. E poi mi sentii così felice, tut­ ta la minaccia e tutta la situazione era. . . era pace, c'era là una pace che fino ad al­ lora non avevo ancora imparato a conoscere e che non avevo neppure ancora pro­ priamente provato. Con quella figura . . . E poi ho di nuovo pensato all'improvvi­ so: 'Accidenti, che ci fa là quello vicino al tuo letto? Come ha fatto a entrare?'. E poi quello là di fronte, che per me era un angelo, notò che ero di nuovo stata pre­ sa dallo spavento e si awicinò a me. E so ancora che mi porse la mano, e io pen-

" Per PH. H. W!EBE, Visio11s, 219s., questo è un problema irrisolto: «lo considero il problema ge­ nerale dell'identificazione di un'esperienza come eristica - sia essa visiva, acustica, il senso di una pre­ senza, un'esperienza di conversione o altro ancora - come un problema che non si riesce a risolvere in maniera soddisfacente».

;, E. NESTI.ER, Pneuma, 3 17. 'Aw' è l'abbreviazione del nome deUa persona A di sesso femminile (w). U racconto è stato volutamente riportato alla lettera.

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Capitolo secondo

sai, e mi alzai lentamente e gli porgo, gli porsi la mano. E poi pensai, come faccio a porgergli la mano, non lo voglio affatto fare. E la mia mano si mosse, l'ho quin­ di visto io stessa, come gli ho dato la mano, ed egli disse: 'Signora Aw, Signora Aw, è tutto a posto ! ' . E poi sono di nuovo tornata indietro e sono ripiombata nel son­ no, e quando poi mi sono svegliata, era tutto in ordine. Poi ho riflettuto a lungo su di ciò, ho visto, ma che cosa era, ho per caso visto un angelo? Poi mi sono abi­ tuata a pensare che tutto è in ordine, che adesso non dovevo più avere alcuna pau­ ra».

L'interpretazione della figura luminosa nel senso di un angelo, che sem­ bra «un primario», non ha nulla a che fare con l'iconografia religiosa tra­ dizionale. Possiamo perciò domandarci: nel protestantesimo tedesco degli anni '80 l'immagine convenzionale di Cristo era forse già così erosa da aver perso la sua forza plasmante per le profondità dell'inconscio? La gio­ vane donna, se fosse stata una cattolica, avrebbe forse interpretato la vi­ sione come un'apparizione di Maria. In molte di queste visioni possiamo in effetti vedere immagini interiori esteriorizzate, nelle quali un alter ego nella figura di Gesù indica alla vita una via di uscita da una crisi. Immagi­ ni interiori e voci interiori sono attribuite al mondo esterno e sperimenta­ te come una realtà esterna. Se nel caso di una coscienza dissociativa di­ stinguiamo tra una coscienza che si discosta dalla situazione reale e una coscienza 'normale', può succedere che l'una coscienza sperimenti i con­ tenuti dell'altra come parte della realtà esterna. Le immagini sono imma­ gini genuinamente sperimentate. Ma visioni di Cristo con conseguenze re­ gistrabili e esperienze di persone diverse, compatibili fra di loro indipen­ dentemente l'una dall'altra come quella di John Occhipinti, non sarebbe­ ro così spiegabili. Phillip H. Wiebe vede nella multiformità della visioni di illuminazione un aiuto per la comprensione delle apparizioni pasquali. Qui come là esi­ ste una grande variabilità, ma a mio giudizio esistono anche chiare diffe­ renze: nelle apparizioni pasquali incontriamo tre tipi di apparizioni: l'ap­ parizione di conversione di Paolo (At 9, 1 -29; 22,3 -2 1 ; 26,12-20), le appari­ zioni di affidamento di un compito ai discepoli con l'ordine di andare in missione (Mt 28, 16-20; Le 24,36-49; Gv 20, 19-23) e apparizioni di identifi­ cazione, nelle quali i discepoli non sanno in partenza che è loro apparso Gesù: Maria Maddalena prende il Risorto per il custode del giardino ( Gv 20, 1 1 - 18), i discepoli di Emmaus non lo riconoscono (Le 24,13ss. ), in Gv 2 1 , 1 - 14 il discepolo prediletto deve prima identificarlo. Nelle odierne vi­ sioni di Cristo le persone sanno spontaneamente che è apparso loro Cri­ sto. Autentiche visioni di gruppo nel presente non sono testimoniate in

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maniera sufficientemente attendibile'•. Alcune delle odierne visioni di Cri­ sto si sono verificate in uno stato di trance. Nel Nuovo Testamento questo si verifica tutt'al più nel caso della trasfigurazione (Mc 9,2- 10), che è for­ se la rielaborazione di un racconto pasquale. Inoltre, secondo At 22,17, Paolo ebbe nel tempio una visione di Cristo in stato di 'estasi'. Le appari­ zioni pasquali non contengono per il resto nulla che vada in questa dire­ zione. Alcune visioni di Cristo conducono in un ambiente fisicamente mu­ tato. Di questo ci sono delle analogie nei racconti pasquali, allorché il Ri­ sorto arriva passando attraverso porte chiuse o sale in cielo, indubbia· mente una descrizione di un'apparizione secondo il modello di altri rapi· menti e ascensioni in cielo. Di visioni di conversione come quella di Pao· lo non ci sono testimonianze. I ricettori di visioni di Cristo vivono già il più delle volte in un mondo religioso, nel quale hanno contatti con la fe­ de cristiana, anche se l'apparizione ha forti ripercussioni sulla vita. Que­ sta differenza è tuttavia piccola. Anche Paolo si trovava immerso in un confronto intenso con la fede da lui combattuta. Paragonabile è quindi an­ zitutto il fatto di una grande ampiezza di variazione delle apparizioni, inol­ tre il fatto che tutte le apparizioni avvengono spontaneamente e sfuggono al controllo dei ricettori. Affine è inoltre ancora il collegamento di Gesù con un'apparizione luminosa, nonché il fatto che le apparizioni hanno conseguenze per tutta la vita77• In ogni caso dobbiamo riconoscere una cosa: le visioni, che i discepoli ebbero dopo la morte di Gesù, non sono prive di analogie. La loro diver· sità non è un argomento contro l'autenticità della loro esperienza". Non c'è motivo di negare alle apparizioni pasquali un'autenticità soggettiva o di ritenerle dei sintomi patologici: possiamo anche ritenere che da esse sia " Una deUe apparizioni di Cristo, da lui raccolte, esula da questa serie (PII. H. WIEBE, Vùions, 77· 28). Essa dovrebbe essersi verificata davanti a una comunità radunata a Oak.land in California nd 1959 e dovrebbe essere stata addirittura filmata. Ph. H. Wiebe vide il film nel !965, nel l991 poté parlare con quattro testimoni oculari dell'evento del !959, inoltre con partecipanti al raduno del 1965, in occasione del quale il film era stato proiettato. Ma cosa strana: nel 1991 il film era scomparso, e aJ. cuni dei partecipanti al raduno del 1965 non riuscirono a ricordarsi che aDora esso era stato loro mo· strato. Documenti originali scomparsi sono di regola un indizio di falsificazioni, che si vuole sottrar­ re alla verifica. " Per il confronto tra visioni odierne di Cristo e apparizioni pasquali cfr. PII . H. WIEBE, Visions, 144-146. 78 Esiste una continuità che va dalla percezione 'normale' fino a visioni straordinarie (o allucina­ zioni), senza che le aUucinazioni siano patologiche o vadano attribuite a deficit organici. B. SPILKA et al., The Psychology o/ Reltgion, 270, dimostrano che esiste una «nutritissima bibliografia, la quale in­ duce a pensare che le allucinazioni non sono semplicemente deficienze in senso proprio o organiche e che esse non sono necessariamente patologiche>>. 82, n.

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Capitolo secondo

partito l'impulso che ha provocato quei cambiamenti che condussero alla nascita della chiesa. Ricettori di visioni di Cristo cambiarono spesso in modo radicale la loro vita e le impressero una nuova direzione. Nel Nuo­ vo Testamento un simile cambiamento di direzione è documentato nella maniera migliore nel caso di Paolo. •

Esperienze di visione in Paolo

Paolo è l'unica persona, nel Nuovo Testamento, di cui ci possiamo fare un'immagine. Possiamo interpretare la sua visione di vocazione come una visione di vicino-morte? La visione di Damasco potrebbe in effetti essere interpretata, secondo At 9,1-2 1 , come una crisi somatica. Paolo cade a ter­ ra davanti a un'apparizione luminosa solo da lui percepita e rimane per un certo tempo cieco". Egli potrebbe avere sperimentato la sua situazione co­ me vicinanza della morte, qualora il racconto di At 9 fosse attendibile. Ora però l'attendibilità storica degli Atti degli apostoli è controversa, anche se in fondo essi riportano tradizioni storiche. Un peso maggiore hanno le let­ tere autentiche di Paolo. In esse egli interpreta il battesimo in un linguag­ gio religioso misterico, come un morire con Cristo (Rm 6,1ss.). Ciò po­ trebbe essere una tradizione prepaolina, anche se tale interpretazione è documentata per la prima volta in Paolo. Più importante è il fatto che Paolo descrive la propria conversione come una ((conformazione alla mor­ te di Cristo» (Fil 3 , 10). Egli potrebbe perciò aver effettivamente speri­ mentato la propria 'conversione' come una 'morte'. Egli la interpreta in questo senso in Gal 2,19s.: ((Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me». A mio giudizio le esperienze di vicino-mor­ te potrebbero perciò essere utilizzate, nel senso di un'intelligenza analogi­ ca, per interpretare le visioni di Paolo. Se accettiamo la premessa genera­ le che situazioni estremamente difficili provocano prestazioni dissociative, possiamo dire a proposito di Paolo: egli si sperimentava costantemente co­ me vicino a morire. Scrive di essere stato spesso in pericolo di morte: (do Io sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono sta­ to battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto " Negli altri racconti degli Atti la situazione cambia: Paolo ode la voce, gli altri vedono una luce splendente (At 22,9; 26,13). La limitazione dell'apparizione della luce a Paolo in At 9,1-9 ha una sua ragion d'essere in questo racconto: essa deve spiegare la cecità di Paolo, i suoi accompagnatori non devono essere colpiti dalla cecità.

Esperimtll e vis!Uto

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naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde» (2 Cor 1 1 ,23-25). «Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù» (2 Cor 4, 10). Egli si vedeva come un condannato a morte ( l Cor 4,9) e definì tutta la sua esistenza servendosi della vicinanza della morte. Anche la sua esperienza out-of-body di 2 Cor 1 2 l ss. egli la mette in rela­ zione con una malattia fastidiosa. Anch'essa potrebbe essere parte di una esperienza di vicino-morte, che in questo caso fu provocata dalla malattia. Perciò è a mio giudizio ragionevole la seguente ipotesi: se la morte sog­ gettivamente vicina può essere padroneggiata in esperienze (visionarie) dissociative, la cronica vicinanza di Paolo alla morte può essere vista co­ me uno stato che ha condizionato le sue molte visioni e estasi e può esse­ re collegata con esse. Diversamente da quanto pensa un consenso dell'e­ segesi, la sua theologia crucis (quindi l'espressione simbolica della sua cro­ nica vicinanza alla morte) non sarebbe una correzione di esperienze entu­ siastiche, ma il loro presupposto. Paolo ricorderebbe ai Corinzi il nesso esistente tra esperienze estatiche e vicinanza della morte, allorché alla lo­ ro alta valutazione dell'çstasi contrappone la sua debolezza e la sua vici­ nanza alla morte. Viceversa dobbiamo ritenere che l'alta valutazione delle esperienze estatiche a Corinto abbia un retroterra diverso dalle esperien­ ze dissociative di Paolo. A Corinto si tratta probabilmente di stati eufori­ ci, che si manifestano nella glossolalia e in rapimenti estatici simili agli sta­ ti di trance. Il conflitto tra Paolo e gli entusiasti di Corinto sarebbe allora motivato dal fatto che qui entrarono in collisione fra di loro due diversi ti­ pi di religiosità entusiastica. Le esperienze di vicino-morte possono in ogni caso servire a compren­ dere analogicamente visioni cristiane delle origini (e altre visioni), anche se esse non si presentano come fenomeni di gruppo. Esse sono intercul­ turalmente molto diffuse in maniera sorprendente, e la loro diffusione universale potrebbe essere un indizio di una 'vulnerabilità' religiosa an­ tropologicamente condizionata dell'uomo80• Dobbiamo tuttavia sapere che le esperienze di vicino-morte sono una variante 'religiosa estrema' del­ l'esperienza religiosa. La religione non è basata solo su di esse. Né do­ vremmo riprometterci troppo da esse: le esperienze extranormali non so­ no una sicura via di accesso alla trascendenza, ma piuttosto un indizio che nella nostra realtà esiste una terra incognita. Per una migliore compren,

"' n tennine 'vulnerabilità' indica propriamente una predisposizione a malattie. Anche critici del­ la religione potrebbero probabilmente dare il loro assenso a questa caratterizzazione di una predi­ sposizione religiosa. Posso aggiungere che io attribuisco all'uomo anche una 'vulnerabilità' della ra­ gione.

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Capitolo secondo

sione del Nuovo Testamento è sufficiente che la psicologia della religione descriva fenomenologicamente tali esperienze e le accosti come analogie esperienziali genuine ai racconti biblici. Nel fare questo essa può sospen­ dere il giudizio relativo alla realtà e ha il diritto di lasciar sussistere come valide diverse costruzioni della realtà. Oltre a ciò è necessario cercare dei modi per spiegare tali visioni". Le spiegazioni sono soprannaturalistiche, mentalistiche o neurofisiologiche. Le spiegazioni soprannaturalistiche attribuiscono le allucinazioni, in cui viene visto Cristo, allo Spirito Santo, a un angelo o all'azione di Dio, che si serve della predisposizione allucinatoria dell'essere umano per comuni­ carsi a lui. L'ultima spiegazione mediante un'azione generale di Dio non escluderebbe nessuna delle seguenti interpretazioni mentalistiche e neu­ rofisiologiche. Delle spiegazioni mentalistiche (o psicologiche) fa parte la diffusa concezione psicologica popolare, secondo la quale anime senza corpo di defunti appaiono ai sopravvissuti. Nel tempo moderno una cer­ ta plausibilità l'hanno ottenuta interpretazioni della psicologia del profon­ do: la psicanalisi classica vide nelle allucinazioni il soddisfacimento di de­ sideri inappagati, che prorompono dall'inconscio; la psicologia analitica di Cari Gustav Jung le interpretò come irruzioni di possibilità esperienziali archetipiche. Queste interpretazioni della psicologia del profondo spiega­ no forse perché le allucinazioni non sono attribuite all'io (conscio), ma al mondo esterno. L'inconscio in noi presente è percepito come al di fuori di noi. La possibilità di una simile esperienza va oggi ulteriormente chiarita con l'aiuto della ricerca sugli stati dissociativi. Nella capacità dissociativa dell'essere umano potrebbe risiedere la chiave dell'esperienza di immagi­ ni interne vissuta come esperienza di una realtà esterna. Questo riguarda però solo la forma dell'esperienza. Con ciò non abbiamo ancora spiegato perché determinati contenuti sono rimossi ed elaborati in modo da non essere riconosciuti, da chi ha un'allucinazione, come parte del proprio in­ timo. Un po' più avanti ci spingiamo con l'interpretazione di visioni come di allucinazioni opprimenti condizionate dallo stress. La correlazione fra stress e allucinazione è incontestabile, ma neppure essa riesce a spiegare in maniera soddisfacente perché allo stress si reagisca con allucinazioni e non diversamente. Qui dobbiamo forse ricorrere a spiegazioni neuropsi­ cologiche: la perceptional release theory [teoria dell'immissione percettiva] parte dal fatto che la capacità di avere allucinazioni, sogni e immaginazio­ ni interiori è onnipresente, per cui non dobbiamo spiegare perché si veri" Cfr. l'H. H. WIEBE, Vinons, 150-2 1 1 .

Esperienza e virruto

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ficano delle allucinazioni, ma perché esse sono così rare. Di solito esse so­ no represse e inibite, ma in alcune situazioni l'equilibrio tra le forze che producono allucinazioni e altre forze che le inibiscono è alterato a favore delle forze produttive: «Nelle allucinazioni il meccanismo essenziale con­ siste nell"immettere nella coscienza' vari pezzi di informazione, origina­ riamente provenienti dall'esperienza sensoriale, che erano stati immagaz­ zinati e alterati»112• Così si potrebbero in effetti spiegare allucinazioni, nel­ le quali l'eliminazione di meccanismi inibenti l'allucinazione può essere attribuita o a una carenza di stimoli esterni (come nel sogno), o a un ec­ cessivo affaticamento provocato da troppi stimoli esterni (nelle situazioni di stress). Ma pure questa teoria lascia molte cose irrisolte. Nel caso delle 'visioni' tramandate nel Nuovo Testamento e sopra discusse, qualora le si spiegasse in maniera coerente mediante condizioni interne, creerebbero delle difficoltà i seguenti aspetti, senza che essi siano una prova in favore del contenuto oggettivo di esperienze soggettivamente autentiche: ( l ) Come spiegare visioni nelle quali si scorge la figura propria della vi­ sione e, dopo che uno ha distolto momentaneamente lo sguardo, essa con­ tinua ancora ad essere visibile? I fattori allucinogeni interni sono entrati in azione, hanno cessato di operare e sono poi di nuovo entrati in azione, il tutto nel giro di poco tempo? Immagini interiori possono non scompari­ re qualora una persona distolga lo sguardo da esse. Nel Nuovo Testamen­ to, nel caso della visione di Maria Maddalena, si allude al fatto che ella ha brevemente distolto lo sguardo dall 'immagine, perché si volta di nuovo verso di essa (Gv 20,14.16). (2) Come spiegare il fatto che persone differenti, che portavano con sé precondizioni interiori molto diverse, hanno una dopo l'altra una visione della medesima figura, come successe nel caso di Pietro, Giacomo e Pao­ lo: Pietro era stato discepolo di Gesù, Giacomo suo fratello, Paolo suo ne­ mico, Maria Maddalena forse una seguace da lui guarita. La disposizione psichica di questi e di altri ricettori dell'apparizione pasquale non era troppo diversa per produrre lo stesso risultato? (3) Come spiegare visioni che più persone hanno contemporaneamen­ te, senza pensare a una sincronizzazione del tutto inverosimile di stati al­ lucinogeni interni? Oppure possiamo spiegare la loro diffusione sincroni­ ca come suggestione di gruppo: quando un membro influente del gruppo ha una visione, anche gli altri vogliono ottenere un incremento di reputa­ zione mediante il racconto di tali esperienze e si immaginano perciò, in

" PH. W. WIEBE, Viriorr, 202. Qui anche ulteriori differenziazioni

di questa idea fondamentale.

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Capitolo secondo

maniera soggettivamente autentica, di aver avuto esperienze del genere. Ma in tal caso dovremmo piuttosto aspettarci delle visioni successive. (4) Come spiegare visioni che provocano conseguenze che perdurano al di fuori dello stato visionario? Il Nuovo Testamento parla di tali conse· guenze esteriori per motivi apologetici - dice ad esempio che il Risorto as­ sunse del cibo. Tale racconto nacque per fugare il sospetto che il Risorto fosse un fantasma (Le 24,37.42s.). Una guarigione o un cambiamento del comportamento potrebbero essere causati da eventi interiori. Comunque a proposito del cambiamento delle persone, che ebbero una visione pa­ squale non ci può essere complessivamente alcun dubbio. Un'analisi critica urta qui in molti punti contro dei limiti. Bisogna scien· tificamente contentarsi di un'impostazione fenomenologica", la quale constata che tali esperienze sono genuine dal punto di vista esperienziale e multiformi e che, oltre a ciò, esse non possono essere spiegate patologi· camente. Inoltre un'analisi scientifica può rendere comprensibile l'espe· rienza dell'evidenza fatta dai primi cristiani, rendere cioè plausibili i mo· tivi per cui essi erano profondamente convinti della realtà della cosa vi­ sta"'. Fonti di evidenza erano per essi l) un fondamento sensibile nell'e· sperienza visionaria, 2) l'intersoggettività diffusa dell'esperienza, che la sottraeva al sospetto di essere solo un'esperienza idiosincratica, 3 ) la con­ cordanza con le convinzioni giudaiche fondamentali dei discepoli, secon· do le quali Dio ha, come creatore, il potere di dare la vita anche traendo­ la dal nulla della morte, 4) la convalida emotiva, che consistette nel fatto che il fallimento dei discepoli - la loro fuga, il rinnegamento di Pietro e l'aperta ostilità di Paolo - era superato nell'incontro con il Risorto e 5) il riconoscimento sociale della convinzione della risurrezione nelle nascenti comunità cristiane. Nelle nostre convinzioni (sia quotidiane che scientifi­ che) noi attingiamo da queste fonti di evidenza. Infatti pure la sobria scienza poggia appunto su queste cinque fonti di evidenza: percezione sensibile, concordanza intersoggettiva, integrazione in convinzioni cogni· tive riconosciute, convalida emotiva e sociale.

" C&. M. LEINER, Au/erstanden in die Hen:en und Seelen der Glaubigen?. in EvTh 64 (2004) 212· 227. �o� Un'interpretazione cosrrunivistica dell'esperienza pasquale, come evento reale all'interno di una cornice di ipotesi realistiche, è quella proposta da P. LAMPE, Winennoziologische Anniiherung an das Neue Testament. in NTS 43 (1997) 347 · 366; ID., Neutestamentliche Theologie fiir Atheùten '· in EvTh 64 (2004) 301-3 1 1 ; ID., Die Wirklichkeit als Bi/d, 2006, 101-112.

Erperienu e virmto

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La nostra ricerca ha mostrato: la percezione religiosa della realtà ab­ braccia nel cristianesimo delle origini una vasta gamma di variazioni, da ri­ strutturazioni cognitive nel mezzo della vita fino a esperienze allucinato­ rie ai suoi margini. La semplice percezione simbolica del mondo è spesso interpretata come percezione di Dio, che non sconvolge il mondo, ma fa risplendere il suo fondamento. Accanto ad essa ci sono esperienze dirom­ penti: apparizioni luminose furono a volte interpretate come esperienze di Dio, ma la maggior parte dei racconti collocano (come le apocalissi) una simile visione di Dio nell'aldilà. La tradizione biblica è, nonostante le vi­ sioni pasquali, riservata e a volte anche ostile nei confronti di esperienze visionarie di Dio. Maggiore è la fiducia di poter udire la parola di Dio in esperienze auditive. Anche in 'visioni' domina la sua parola: Isaia la ode nella sua esperienza di Dio nel tempio e motiva con ciò la sua certezza a proposito del proprio compito; Paolo si vede affidare, nella sua esperien­ za sulla via di Damasco, l'incarico di dedicarsi alla missione (come sua chd­ ris, cfr. Ga/ 1,15; 2,9) e sperimenta successivamente la parola di Dio come consolazione: «Ti basta la mia grazia (chdris, cioè questo incarico); la for­ za infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9)! Questo spostamento dell'accento dalle visioni alle audizioni caratterizza nei van­ geli due racconti di un modo extranormale di vedere, che ricorrono nel contesto delle apparizioni del Risorto, ma sono da esse distinti: il raccon­ to della trasfigurazione e dell'apparizione (dell'angelo) al sepolcro. Forse in questi due racconti sono contenuti motivi delle più antiche apparizioni pasquali: l'apparizione a Pietro e a Maria Maddalena. Gesù appare sul monte della trasfigurazione in sembianze divine. Mol­ ti motivi ricordano la teofania del Sinai: il monte, i sette giorni, la nube, la trasformazione, lo splendore irradiante. I tre discepoli più intimi hanno una visione di Gesù e un'audizione della voce di Dio: «Questo è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo ! » (Mc 9,7 ). La parola di Gesù deve, d'ora in poi, essere parola di Dio. ll racconto della trasfigurazione è pertanto espressione di una teologia frutto di riflessione, ma non è privo di punti storici di aggancio. Esso presenta tratti di un'apparizione pasquale ricon­ dotta nella vita di Gesù. Probabilmente in esso è contenuta un'apparizio­ ne a Pietro, che è testimoniata in l Cor 15,3, ma che non è giunta sino a noi in forma di racconto: Pietro vuole costruire tre tende per Mosè, Elia e Gesù e mette perciò Gesù su uno stesso gradino con le altre figure, come se fosse stato assunto fra gli 'antenati'. Da un lato egli sottovaluta così la dignità unica di Gesù, dall'altro la sopraeleva di propria iniziativa, quan­ do vuole venerare cultualmente i tre esseri celesti con delle tende. Egli è corretto sotto ambedue gli aspetti dalla voce celeste: solo Dio può essere

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Capitolo secondo

origine dell'adorazione di suo Figlio. Pietro deve imparare che il 'Figlio di Dio' è incomparabile e che accanto a lui tutte le altre figure celesti scom­ paiono. Dalla sua fondamentale apparizione pasquale il Pietro storico ave­ va in un primo momento tratto solo la conseguenza che Gesù fa pane dei santi giudaici e che aveva assunto una posizione come quella di Mosè e di Elia? La visione di Pietro fu perciò ridotta al rango di una rivela7.ione prowisoria e ricondotta nella vita di Gesù come prcstadio delle autenti­ che esperienze pasquali"? Nel corso di questa operazione furono forse fu­ si fra di loro motivi della visione pasquale e esperienze di discepoli, che già durante la sua vita terrena avevano sperimentato Gesù come immerso in un mutato stato di coscienza86• Per le persone che si trovano in un par­ ticolare stato di coscienza, è oggettivo tutto quello che esse vedono; per gli osservatori dall'esterno esso è solo un mondo soggettivamente cambiato". In un altered state of consciousness la realtà è sperimentata in maniera di­ versa da quanto awiene altrimenti. Ma il racconto della trasfigurazione è istruttivo sotto un altro aspetto ancora: in esso l'accento si sposta dal vis­ suto visivo a quello auditivo, allorché la voce dalle nubi dice: «Questo è il mio Figlio prediletto: ascoltatelo! » (Mc 9,7). Al suono di questa voce le fi­ gure celesti visibili sono scomparse, i discepoli vedono solo Gesù. L'invi­ to ad ascoltarlo allude a Dt 18,15: Mosè è 'udibile' nella sua legge. Così an­ che Gesù deve rimanere permanentemente udibile nel suo insegnamento. L'esperienza uditiva dell'ascolto normale delle sue parole prende il posto deli'esperienza visiva. Resti di un'esperienza pasquale, che non fu tramandata come appari­ zione del Risorto, potrebbero essere contenuti nel racconto delle donne al sepolcro (Mc 16, 1 -8). Le tre donne incontrano un giovane. Il vangelo di Marco non dice ancora espressamente che si tratta di un angelo (diversa­ mente da Mt 28,2.3). Originariamente potrebbe trattarsi dell'apparizione a Maria Maddalena - sia che le donne che l'accompagnavano non abbia­ no condiviso l'apparizione, così come gli accompagnatori di Paolo non vi" NeU'Apocaliue di Pietro (ca. 135 d.C.?), dipendente dai vangeli sinottici, il racconto della trasfi­ gurazione è diventato il racconto di un'ascensione di Pietro in cielo (ApPt 15-17). Questo era più fa­ cilmente possibile, se anche nel cristianesimo delle origini il racconto della trasfigurazione era noto ad alcuni come racconto pasquale, esattamente come era più facilmenre possibile una retrodatazione di un racconto pasquale nella vita di Gesù, se si sapeva di esperienze con Gesù, nelle quali egli era stato sperimentato come trasformato in uno staco extranormale di coscienza. M Cfr. J .J. PILCH, Ereignisse eines veriinderten Bewusstseinszustandes bei den Synoptikern, in W. STEGEMANN - B.J. MALtNA - G. THEIBEN, ]esus in neue11 Kontex/ell, 2003, 33-42. " S. VOLLENWEIDER, AuPergewoh111iche BewuPtsei11szustiinde und die chnstliche Religion, in EvTh 65 (2005) 103-117.

ErperienZJt e vissuto

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dero la visione alle porte di Damasco (At 9,7), sia che le altre donne siano secondariamente sopraggiunte come testimoni. Il vangelo di Giovanni co­ nosce in ogni caso un'apparizione esclusivamente a Maria Maddalena, che la conclusione secondaria di Marco menziona come prima apparizione in assoluto (Mc 16,9). Il racconto del vangelo di Giovanni contiene il motivo che Maria Maddalena in un primo momento non riconobbe Gesù ( Gv 20,14). Perciò poteva sorgere il dubbio se ella avesse visto realmente il Si­ �more o un'altra figura. Forse una genuina esperienza allucinatoria di un'apparizione di Maria Maddalena fu tramandata sia come apparizione di un angelo sia come apparizione di Cristo'". Come nel racconto della tra­ sfigurazione è giunta forse (indirettamente) fino a noi l'apparizione a Pie­ tro, così nel racconto delle donne al sepolcro sarebbe giunta fino a noi questa esperienza dell'apparizione a Maria Maddalena, vale a dire le due apparizioni probabilmente più antiche. Nessuna delle due conteneva an­ cora il messaggio pasquale pieno, per cui nel vangelo di Marco sono con­ siderate solo come precorritrici di un'autorivelazione di Gesù awenuta dopo di esse. La trasfigurazione diventa nel vangelo di Marco, con il co­ mando a tempo determinato di tacere di Mc 9,10, un preludio dell'espe­ rienza pasquale, mentre l'ordine dato dali' angelo di andare in Galilea, per vedere là Gesù, allude alle apparizioni pasquali degli altri discepoli. L'ap­ parizione ai discepoli con il compito della missione è poi diventata la for­ ma normativa dell'esperienza delle apparizioni con un compito di dedi­ carsi alla missione. Ma indipendentemente da ciò nel racconto del sepol­ cro vuoto, così come nel racconto della trasfigurazione, l'accento è chia­ ramente posto sul messaggio mediante la parola: > (Rm 8,14s.)1w. Ma il timore di Dio non è affatto scomparsò come ideale. Nel Nuovo Testamento questa tradizione scompare quasi comple­ tamente, ma il tardo cristianesimo delle origini parla di nuovo del timore di Dio come di un atteggiamento positivo (Did. 4,9; Barn. 10, 1 0; l Clem. 2 1 ,7; Herm., mand. 7 e passim) . Malgrado il passaggio in secondo piano del 'timore (di Dio)' come espressione di un atteggiamento di fondo permanente, il Nuovo Testa­ mento non ignora affatto la paura. Al contrario, in esso compare tanto più in primo piano un timore religioso numinoso estremo di Dio, vale a dire il timore del giudizio escatologico: «Non abbiate paura di quelli che ucci­ dono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò in­ vece di chi dovete avere paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui>> (Le 12,4-5). Paolo evoca il giudizio su tutti gli uomini con parole forti: « . . ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità . . ; tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul giudeo, prima, come sul greco>> (Rm 2,8s.). Il vangelo di Matteo ci ricorda in continuazione il «pianto e stridore di denti>> dei riprovati (Mt 8,12; 1 3 ,42.50; 22,13; 24,5 1 ; 25,30). Sarebbe un anacronismo insopportabile minimizzare in una psicologia storica questa paura religiosa escatologica estrema, così come si fa (per motivi comprensibili) in prediche moderne. La nascita del cristianesimo delle origini comincia sia con una aumentata fiducia che il timore del giu­ dizio di Dio è superato, ma sia anche con una esplosione di paura. Alla fi­ ne ci domanderemo quali relazioni intercorrano fra le due cose. Ma prima dobbiamo comprendere come i primi cristiani abbiano superato l'accre.

.

"' La traduzione di Lutero parla di uno spirito lmechtischen (servile) e di un spirito kindlichen (in· fantile), ma non coglie così la distinzione tra 'schiavitù' non libera e 'figliolanza' libera. Qui però il concrasto fra tlmore e figliolanza è diverso da quello fra rimare e amore in 1 Gv 4,18. La schiavitù con­ siste nel dominio da parte del peccato, della legge e della morte. In Rm B,I4s. continua a far semire il

suo influsso una tradizione sapienziale, che parla degli esseri umani come di figli di Dio (Sir 4, IO; Sap 2,18).

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sciuto timore. Nei testi troviamo due risposte: la paura si vince con la con­ versione o con la vicinanza a Cristo, oppure mediante la fiducia nel fatto che l'essere umano può cambiare con successo il proprio comportamen­ to, o anche con la fiducia nel fatto che nella sofferenza egli conserva il suo valore e la sua speranza, perché è vicino a Cristo. La prima possibilità la incontriamo in Giovanni Battista, che fu l'im­ mediato precursore di Gesù. Certo, il termine chiave 'timore' non ricorre nelle poche sue parole tramandate, ma le sue parole non potevano che su­ scitare timore e paura. Un giudizio di annientamento minaccia tutti gli uo­ mini: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 3 , 1 0) . Ma il Bat­ tista offre una via di uscita: conversione e battesimo. Con ciò egli si collo­ ca in una lunga tradizione. Pure i grandi profeti d'Israele, che parlano di giudizio, hanno combinato le due cose: un'inesorabile predicazione del giudizio e la chiamata alla conversione. Anche Amos, il più inesorabile predicatore del giudizio, che vede il popolo arrivato alla fine della sua sto­ ria (Am 8,2) e intona già il lamento funebre (Am 5, ls.), continua sempre a esortare: «Cercate il bene e non il male, se volete vivere! » (Am 5,14). Dopo Amos non c'era più stato nessun predicatore così categorico del giudizio come Giovanni Battista. Questi predicatori del giudizio stimola­ vano la paura. E questo aveva una funzione psichica: gli esseri viventi dal cervello flessibile reagiscono con un senso di paura a situazioni incontrol­ labili di stress e dissolvono facilitazioni collaudate nel reticolo delle nostre cellule cerebrali per creare la possibilità di nuove facilitazioni e modelli di superamento, a patto che le reazioni collaudate siano esaurite e che si in­ traveda, mediante interpretazioni della situazione e una valutazione della propria competenza, una possibilità per cambiare con successo il com­ portamento10'. Precisamente questa combinazione troviamo nella storia d'Israele: predicatori del giudizio annunciano catastrofi ultimative, ma in­ dicano nello stesso tempo la possibilità di sfuggire ad esse con un cam­ biamento del comportamento. La conversione è possibile. Israele ha am­ pliato il repertorio comportamentale dell'umanità, imprimendo nella no­ stra cultura questa convinzione: di fronte a situazioni insolubili, che ci '"' Cfr. G. Ht:r!HER, Biologie der AngsJ, 1997, 76: «> (Mc 2,12). Qui ricorre il verbo 'essere fuori di sé' e 'essere fuori di senno' (existasthai), che assieme alla lode di Dio sottolinea di più lo stu­ pore positivo. Ma la reazione ai miracoli di Gesù si polarizza sempre più, da un lato, sull'ostilità mortale dei suoi avversari (Mc 3 ,6) e, dall'altro, sul­ la mancanza di comprensione dei suoi seguaci: «Furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: 'Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?'>> (Mc 4,4 1 , cfr. 5,15.20; 6,5 1 ; 7,37). Alla loro domanda risponde Pietro con la confessione messianica: «Tu sei il Cristo>> (Mc 8,29) e risponde il centurione sotto la croce: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio ! >> (Mc 15,39). Dopo la confessione messianica il terrore numinoso diventa, nel vange­ lo di Marco, sempre più un'impressione di orrore di fronte alla passione di Gesù. Dopo la seconda predizione della passione i discepoli hanno pau­ ra di fare delle domande a Gesù in merito (Mc 9,32), prima della terza pre­ dizione l'evangelista sottolinea il fatto che i discepoli erano impauriti: «Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo se­ guivano erano impauriti>> (Mc 10,32). Anche Gesù diventa, nel racconto della passione, il modello della lotta con la paura della morte. Ciò avviene nella maniera più eloquente nella scena del Getsemani: «Prese con sé Pie­ tro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentir paura e angoscia. Disse loro: 'La mia anima è triste fino alla morte! '>> (Mc 14,33s.). Così dicendo egli pronuncia parole del Sa/ 42,6. 12. Tutto il racconto della passione è intes­ suto come qui di citazioni di salmi. La passione di Gesù è descritta in mo­ do particolare con parole del Sa/ 22, da cui deriva il motivo della sparti­ zione delle vesti (Sa/ 22, 19 = Mc 15,24), forse anche quello dei passanti che scuotono il capo (Sa/ 22,8 = Mc 15,29), ma soprattutto l'ultimo grido di disperazione di Gesù, che corrisponde all'inizio del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?>> (Sa/ 22,2 = Mc 15,34). Tali verset­ ti del salmo intessuti nel racconto, che erano familiari ai narratori e agli uditori come testi di preghiera, mostrano che i primi cristiani riconobbe­ ro e vollero riconoscere nella passione di Gesù il loro proprio destino. Mentre essi raccontavano la storia della passione di Gesù e la interioriz­ zavano, combattevano contro le proprie angosce e contro la paura della loro morte.

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Capitolo recondo

Il racconto della passione divenne così uno dei grandi testi per il mana­ gement esistenziale del terrore, che è per ogni essere umano uno dei gran­ di compiti della vita. Secondo Ernest Becker, il fondatore della teoria del management del terrore, il terrore dell'esistenza creaturale ha già la sua base nella corporeità e morralità111". La vita creaturale è una continua pro­ testa contro la morte. La religione assicura all 'essere umano una ininter­ scambiabilità, che la vita come organismo non può dargli. Infatti non la morte in sé suscita angoscia, bensì l'idea che la propria vita si spenga sen­ za alcuna importanza e alcun significato. Questa teoria del management del terrore può essere applicata bene al racconto della passione. Con la morte di Gesù in qualità di Figlio di Dio, alla vita umana viene attribuita una grandezza e un'importanza. Dio stesso soffre nel suo Figlio con ogni essere umano. Anche Gesù è sopraffatto nel Getsemani dall'angoscia. Ma alla fine egli prende l'iniziativa di andare incontro al traditore (Mc 14,42). L'attività è il miglior mezzo per non lasciarsi sommergere dal panico. At­ traverso la morte Gesù va verso una vittoria che nessun essere umano può ottenere. Egli rende così possibile una coscienza della morte non accom­ pagnata da una paura sconvolgente della morte. Possiamo osservare concretamente, con l'aiuto di un esempio, come ciò avvenne. Le sette (a mio giudizio autentiche) lettere di Ignazio di Antio­ chia furono scritte da Ignazio durante il viaggio verso Roma, dove lo at­ tendeva il martirio. Egli supera la paura della morte mediante l'identifica­ zione con Cristo. Per questo deve presupporre che Gesù fu esattamente un uomo come lui. Perciò insiste sul fatto che Cristo si incarnò veramen­ te e soffrì realmente nel suo corpo (nella carne); solo così egli può colle­ gare il destino di Gesù con il suo: «Se infatti è un'apparenza quanto è sta­ to fatto al Signore (la morte di Cristo), anch'io sono incatenato in appa­ renza. Allora perché mi sono offerto alla morte, al fuoco, alla spada, alle belve? Ma vicino alla spada sono vicino a Dio, vicino alle belve sono vici­ no a Dio, solo nel nome di Gesù Cristo. Per patire con lui tutto sopporto, dandomene la forza lui che si è fatto uomo perfetto» (lgnSm. 4,2). La sua reinterpretazione del timore merita attenzione: egli scongiura la comunità romana di non intercedere per lui per evitargli la morte: «Temo però che il vostro amore mi sia nocivo. A voi è facile fare ciò che volete, a me è dif­ ficile raggiungere Dio...» (IgnRom. 1 ,2). Egli teme che potrebbe sfuggire

''" E. 8ECKER, Dynamik des Todes, 1976. ll contributo alla psicologia della retigione di Emest Becker (1924-1974), composto secondo uno stile originale di pensiero, è molto ben riassunto e ana· lizzato da S. HEINE. Religionspsychologie, 230-249.

Esperimza e vissuto

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al martirio. La teologia del martirio di Ignazio di Antiochia è un manage­ ment del terrore per mezzo dell'identificazione con la passione di Gesù. Anche il grande terrore del giudizio universale fu superato così dai pri­ mi cristiani: Cristo era morto per loro. Su di lui si era abbattuto il castigo che sarebbe propriamente toccato loro. E questo castigo non poté fargli alcun male. Egli era risorto. Ciò creò in loro la certezza che, uniti a Cristo, avrebbero superato anche il terrore della morte, della colpa e del giudizio e che Dio vuole che vivano e non la loro morte. La lode dell'amore di Dio di Rm 8,3 1 -39 esprime con parole inniche questo superamento della pau­ ra della morte: coloro che si sperimentano come pecore da macello sanno di essere per sempre uniti, malgrado tutte le persecuzioni e tutti i perico­ li, all'amore di Dio. L'enigma del modo in cui la fiducia di poter vincere la paura è concilia­ bile con l'aumento della paura nel cristianesimo delle origini può essere ri­ solto così: poiché la paura escatologica del giudizio aveva registrato uno straordinario incremento, il suo superamento divenne il ((lieto messaggio». L'esplosione della paura all'inizio del cristianesimo spiega la grandezza del­ la gioia per il suo riuscito superamento. La gioia fu una potente forza con­ traria alla paura. Occupiamoci adesso di questa seconda grande emozione. II.

GIOIA RELIGIOSA MODERATA E GIOIA RELIGIOSA ESTREMA

Nel racconto della passione, in seguito al confronto con il tremendum della morte, il fascinosum è passato in secondo piano. La cosa cambia con il suo esito. Le donne tornano dal sepolcro vuoto e dal loro incontro con l'angelo ((con timore e gioia grande» (Mt 28,8). Nel vangelo di Luca Ge­ sù appare ai discepoli, ed essi non riescono ((per la gioia» a credere che egli vive (Le 24,4 1 ) . E tale vangelo si conclude con l'affermazione che, do­ po l'ascensione di Gesù, i discepoli tornano a Gerusalemme ((con grande gioia» e lodano sempre Dio nel tempio (Le 24,52s.). Nel vangelo di Gio­ vanni essi ((gioiscono» per il rinnovato incontro con lui (Gv 20,20). La lo­ ro paura si è trasformata in gioia. La gioia è la seconda emozione religio­ sa che balza in primo piano nel Nuovo Testamento. I..:A ntico Testamento

Nell'Antico Testamento si gioisce per i beni che rendono bella la vita. La gioia è in primo luogo una generale gioia della vita. Un pasto significa

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Capitolo recando

gioia (Qo 3 , 1 2s.). n vino «allieta gli dèi e gli uomini» (Gdc 9, 13). E parti­ colarmente gioiose sono le feste con musica, canti, timpani e cetre ( Gen 3 1 ,27). li lamento di ls 24,7-9 mostra di riflesso che cosa riempiva di gioia un israelita: «Lugubre è il mosto, la vigna languisce, gemono tutti i cuori festanti. È cessata la gioia dei tamburelli, è finito il chiasso dei gaudenti, è cessata la gioia della cetra. Non si beve più il vino tra i canti, la hevanda inebriante è amara per chi la beve». Sorgente di gioia è inoltre la convi­ venza di coloro che si sono appena sposati: il giovane marito è esonerato per un anno dal servizio militare per «fare lieta la moglie che ha sposato» (Dt 24,5). Gioia è anche un insperato nuovo incontro ( Gdc 19,3 ), una buo­ na notizia (l Sam 1 1 ,9), un buon consiglio (Pr 12,20) ecc. Questa genera­ le gioia della vita diventa nel predicatore Salomone un motivo centrale di una biblica «filosofia della gioia». Per lui «sapienza, scienza e gioia» sono i tre doni più importanti di Dio (Qo 2,26). Quanto la sapienza e la scien­ za dicono alla gioia è riassunto nell'esortazione: «Su, mangia con gioia il tuo pane e bevi il tuo vino con cuore lieto . . . In ogni tempo siano candide le tue vesti e il profumo non manchi sul tuo capo. Godi la vita con la don­ na che ami per tutti i giorni della tua fugace esistenza che Dio ti concede sotto il sole» (Qo 9,7-9). Due affermazioni riassumono l'importanza della gioia: da un lato Dio ha immesso nel cuore dell'essere umano la nozione dell'eternità (Qo 3 , 1 1 ) , dall'altro la gioia (Qo 5 , 19). L'eternità di Dio lo rende consapevole della propria caducità, ma la gioia di Dio gli fa dimen­ ticare la caducità: «Ad ogni uomo, al quale Dio concede ricchezze e beni, egli dà facoltà di mangiarne... e di godere della sua fatica: anche questo è dono di Dio. Egli infatti non penserà troppo ai giorni della sua vita, poi­ ché Dio lo occupa con la gioia del suo cuore» (Qo 5 , 1 8s.). Questa teolo­ gia della gioia è tanto più degna di nota in quanto essa è prospettata sullo sfondo di una visione pessimistica del mondo. La gioia quotidiana della vi­ ta rimane nel campo religioso moderato. Un significato religioso estremo la gioia assume invece sempre più in altre due forme: come gioia cultuale festiva e come gioia profetica della salvezza. Gioia cultuale festiva: La gioia è nell'Antico Testamento in primo luogo gioia cultuale festiva. Le feste sono i «vostri giorni di gioia>> (Nm 10,10). n loro contenuto principale è un pasto sacrificale: «Gioire davanti a Jahvé» e «mangiare davanti a Jahvé» sono la stessa cosa (Dt 12,18; 14,26; 27,7). I sal­ mi testimoniano questa gioia con affermazioni iperboliche: la vita al co­ spetto di Dio è in sé gioia. La gioia si sgancia qui dalla gioia per il godi­ mento di beni materiali e diventa una gioia relazionale. Si esorta program­ maticamente a compiere questo passo: «Servite il Signore nella gioia, pre-

Esperim'Ì.II � vissuti

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sentatevi a lui con esultanza» (Sa/ 100,2). L'orante supplica: «Fammi senti­ re gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguartkJ dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe» (5a/ 5 1 , 10s.). «Chi ci farà ve­ dere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto? Hai messo più gioia nel mio cuore» (Sa/ 4,7s.). «Gioia piena alla tua presenza (Lutero: «vor dir», davanti a te), dolcezza senza fine alla tua destra» (Sa/ 16,1 1 , cfr. Sa/ 2 1 ,7). Dio è addirittura «gioia e giubilo» in se stesso (Sa/ 43,4). L'oran­ te confessa: «Gioisco in te ed esulto>> (Sa/ 9,3; cfr. Sa/ 84,3; 89,17; 104,34; 149,2). Già il semplice contatto con lui è infinitamente più prezioso e per­ mane anche nella situazione estrema del decadimento fisico: «Con te non desidero nulla sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre» (Sa/ 73 ,25s.28). La gioia è diventata qui una pura gioia relazionale in una situazione limite della vi­ ta. Questa gioia cultuale festiva è qua e là presentata come una gioia reli­ giosa estrema del genere, ma essa fu anche inserita nella vita quotidiana co­ me gioia 'religiosa moderata'. Ciò avvenne nella forma del trovar gioia nel­ la legge, nel Salmo 1 1 9. Dottori della legge fanno qui professione di una gioia per la legge e per lo studio della Torah, come fonte di felicità. Essi proclamano felice l'uomo che medita giorno e notte la legge di Dio (Sa/ l). La legge è oggetto della loro gioia (Sa/ 1 19,14.24.47.70.77 . 1 1 1 . 1 1 7 . 1 74). Attraverso il suo studio essi entrano in contatto con Dio. Gioia pro/etica della salvev.a: Alla gioia festiva di tipo più quotidiano, provata nella cornice cultuale e domestica, si aggiunge la gioia profetica per la salvezza futura ad opera di Dio, che viene dipinta con colori esca­ tologici splendenti: quando la tirannia e l'ingiustizia saranno finite, «U­ dranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall'oscurità e dal­ le tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuo­ vo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d'Israele» (ls 29,18s.). Nella più totale desolazione «si udrà ancora il canto della gioia e dell'alle­ gria, il canto dello sposo e il canto della sposa» (Ger 33, 1 1). Tempi di di­ giuno e tempi di penitenza si trasformeranno «in gioia, in giubilo e in gior­ ni di festa» (Zc 8,19). Regnerà una gioia eterna: «l riscattati dal Signore verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno, e fuggiranno tristezza e pianto» (ls 3 5, 1 0; cfr. Is 5 1 ,1 1 ; 6 1 ,7). In un mondo nuovo uomo e Dio saranno uniti nella gioia: «Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il pas­ sato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. lo esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo» (ls

Capitolo secondo

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65,17- 1 9). I rabbini formulano successivamente una dottrina di una gioia imperfetta nel presente e di una gioia perfetta nel futuro: ( l Ts 2,20). La gioia è inoltre gioia dell'incontro, cioè gioia in occasione di con­ tatti e di nuovi incontri. Una gioia è l'incontro di Paolo con le comunità di Corinto, Filippi e Roma: a Corinto essa è la gioia dopo il supermento di un pericolo di morte a Efeso e la gioia di una riconciliazione dopo un ac­ ceso diverbio con i Corinzi (2 Cor 1 ,8- 1 1 ; 2,3), a Filippi è la gioia per una possibile assoluzione in un processo in cui poteva anche essere condanna· to a morte (Fil 1 ,25s.), a Roma è la gioia di un incontro dopo un temuto pericolo di morte a Gerusalemme (Rm 15,32). Naturalmente esiste anche una gioia per incontri in situazioni normali, come la gioia per il contatto con Timoteo, Stefano, Tito e altri ( l Ts 3 ,9; l Cor 16, 17; 2 Cor 7, 13s.). Ma una gioia particolare è la gioia del nuovo incontro tra Epafrodito, grave­ mente malato e di nuovo ristabilito, e la sua comunità natia di Filippi (Fil 2 28s. ). Ancora una volta la gioia è evocata sullo sfondo della morte e del pericolo di morte. La gioia riguarda perciò soprattutto l'incontro con Cri­ sto. Ciò sta dietro alla tematica della gioia dominante nella lettera ai Fi­ lippesi: «Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore. Scrivere a voi le stesse cose a me non pesa e a voi dà sicurezza . . .>> (Fil 3 , 1 ). In Fil 4,4s. egli ripete: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! >>. La gioia è la gioia dell'in­ contro con Cristo al momento della sua parusia. E anche qui la gioia è ap­ profondita dal fatto che essa sarà un incontro con il Cristo giustiziato sul­ la croce. ,

La gioia della conversione negli scritti lucani: In Luca la gioia è collega­ ta con l'inizio della vita cristiana: essa è gioia del ritorno e della conver­ sione. Egli motiva la conversione con la gioia, preferendola a una motiva­ zione mediante la paura. Nel banchetto con Levi il Gesù lucano definisce

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Capitolo secondo

la propria missione come una chiamata alla conversione (5,32) e unifica così la successiva questione del digiuno in un'unica pericope. La conver­ sione e la gioia durante la presenza dello sposo sono così messe stretta­ mente in relazione tra di loro. Adesso regna, con la vicinanza di Gesù, un'atmosfera nuziale, nella quale non è possibile digiunare. La gioia luca­ na della conversione si manifesta in maniera esemplare nel brano centrale della sua duplice opera, le tre parabole delle cose perdute. n cielo gioisce per la conversione dei peccatori e vuole che per questo si gioisca anche sulla terra ( 15 ,7. 10). Nella celebre parabola del figlio prodigo risulta chia­ ro che anche questa gioia è una gioia per un incontro: il figlio prodigo tor­ na a casa. Il padre lo rimette nella sua posizione di figlio e celebra il suo ritorno con una festa: «Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio fi­ glio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E co­ minciarono a far festa» ( 15,23s.). E ripete di fronte al fratello maggiore: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (15,32). La gioia del­ l'incontro compare di nuovo come gioia dopo una separazione, che è in­ dicata come morte. In modo simile anche la gioia per la pecorella smarri­ ta e per la dramma perduta è una gioia del rivedersi dopo la perdita. Ri­ torno e conversione stanno all'inizio della vita cristiana. Essi significano l'ingresso nella comunità e come tali fanno parte della gioia della comu­ nità cristiana delle origini. La gioia del compimento negli scritti giovannei: Il vangelo di Giovanni e le lettere giovannee non collegano la gioia con l'entrata nella comunità cri­ stiana, ma con un compimento della fede e della vita cristiana. Essi parla­ no, con espressioni formulari, di «gioia perfetta» (l Gv 1 ,4; 2 Gv 12) e in­ dicano talvolta con ciò l'adempimento di promesse. Con la venuta di Ge­ sù la gioia del Battista è «compiuta» (Gv 3 ,29). Seminatore e mietitore possono gioire insieme. Attesa e compimento coincidono (Gv 4,36). Una gioia per il compimento è anche la gioia di Abramo per Gesù: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno, lo vide e fu pie­ no di gioia» (Gv 8,56). Ma 'gioia perfetta' indica, nel vangelo di Giovan­ ni, qualcosa di più dell'adempimento di promesse veterotestamentarie. I discepoli infatti, dopo averne già sperimentato l'adempimento (Gv 1 ,4 1 . 45 ) , devono oltre a ciò pervenire a una gioia perfetta: l a gioia perfetta dei discepoli è la gioia per il rinnovato incontro con Gesù dopo la sua morte. Nei discorsi di addio ciò è rappresentato con l'immagine della partorien­ te, che dopo le doglie del parto partorisce il figlio e ne gioisce. La gioia perfetta è una gioia per un incontro che avviene dopo aver superato il

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profondo dolore di una separazione. Anzi, essa è ancora di più, perché è nello stesso tempo una gioia di Gesù per i suoi discepoli. Secondo Gv 15, 1 l l'amore è rivelato affinché «la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Secondo la preghiera sommosacerdotale Gesù va al Padre affin­ ché i discepoli «abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» ( Gv 17,13). La gioia piena di cui qui si parla risiede perciò in una condizione postpasquale, nella quale Gesù è nei suoi e i suoi sono in lui (Gv 14,20). Essa è l'esperienza vissuta della mistica giovannea di Cristo. Tale mistica diventa possibile solo se Gesù non è più in forma terrena, ma è presente nei discepoli nello Spirito. Essa è sperimentata nella preghiera. La 'gioia piena' risiede infatti nell'esaudimento della preghiera fatta nel nome di Gesù (Gv 16,23-24), e tale esaudimento della preghiera non può che rife­ rirsi al rinnovato incontro con Gesù, di cui si parla immediatamente pri­ ma (Gv 16,19-22). Quel che i cristiani vivono nella preghiera ce lo mostra anche la preghiera sommosacerdotale di Gesù, che quanto al contenuto è una preghiera dei cristiani'09• In essa essi sperimentano la loro unità con il Padre e con Gesù: Gesù prega infatti affinché > (p. 1 12). '" l: interpretazione della glossolalia basata sulla teoria dei ruoli deriva da N.G. HoLM, Religiom· psychologie, 4-52; Io., Das Zungenreden bei Anhiingern der Pfingstbewegung im schwedischsprachigen Gebiet Fàtnlands, in ARPs 13 (1978) 225-238.

Esperienza e vissuto

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. moderno. Il ruolo del glossolalo non rispondeva allora ancora ad uno schema di comportamento saldamente fissato in partenza. Tale schema doveva ancora svilupparsi. Tuttavia, per quanto riguarda Corinto, possia­ mo presupporre due modelli viventi, che hanno avviato questo sviluppo: Paolo e Apollo. Paolo guarda con occhio critico alla glossolalia, ma va fie­ ro del fatto di parlare più di tutti gli altri in lingue ( l Cor 14,18). Apollo era entrato in contatto con il cristianesimo paolino a Efeso. Secondo gli Atti degli apostoli la coppia Prisca e Aquila, vicina a Paolo, aveva 'perfe­ zionato' il suo cristianesimo imperfetto. Apollo infatti conosceva solo il battesimo di acqua di Giovanni (At 18,25 ). Quanto gli mancava, così il let­ tore deve completare, era il battesimo di Spirito, visto che dopo di ciò compaiono a Efeso dodici discepoli che conoscevano solo il battesimo di acqua, ma che con l'imposizione delle mani sono battezzati con lo Spirito e parlano in lingue (At 19, 1 -7). Apollo potrebbe aver portato a Corinto il battesimo di Spirito come complemento del battesimo di acqua. Forse es­ so era per lui il cristianesimo perfetto, una iniziazione a un cristianesimo più perfetto. Da At 1 8,24-19,7 possiamo perlomeno concludere che idee del genere erano, in linea generale, possibili nel cristianesimo delle origi­ ni. Il ruolo assunto dai glossolali a Corinto era probabilmente il ruolo di coloro che avevano accesso alla lingua celeste degli angeli ed erano per questo cristiani perfetti. È comprensibile che essi volessero fare della glos­ solalia un distintivo dell'identità di gruppi cristiani primitivi. Paolo com­ batté la sua elevazione al rango di distintivo sociale dell'identità delle pri­ me comunità cristiane, anche se riconosceva che si trattava di un carisma religioso. Per quanto riguarda il ruolo sociale della glossolalia all'interno è importante osservare che non esisteva alcuna differenza tra l'uomo e la donna. Nel Testamento di Giobbe tre donne parlano in maniera glossola­ lica. Anche a Corinto le «donne che pregano», menzionate in l Cor 1 1 ,5, potrebbero aver fatto parte dei glossolali; la loro preghiera affianca la lo­ ro profezia. In l Cor 14 Paolo tratta sempre parallelamente i due fenome­ ni. Invece negli At troviamo testimonianze della glossolalia solo nel caso di uomini (At 2,4ss.; 1 0,44ss.; 19,1ss.). Tuttavia le parole del profeta, cita­ te nel racconto della Pentecoste, sottolineano espressamente che lo Spiri­ to investe in ugual modo uomini e donne (At 2,17). Proprio in ciò consi­ stette probabilmente la forza di attrazione della glossolalia. Qui erano tut­ ti parificati. Ma sotto il profilo psicologico non ci faremmo un'idea giusta della glossolalia se la considerassimo solo un fenomeno sociale. Inoltre dobbiamo ancora menzionare un terzo fattore della glossolalia: la glossolalia è, dal punto di vista linguistico, un comportamento regressi­ vo, un linguaggio senza semantica e senza grammatica, paragonabile ai

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Capitolo secondo

monologhi balbettanti dei bambini piccoli. Non per nulla Paolo obietta ai Corinzi glossolali: «Quand'ero bambino (népios), parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato» (l Cor 13 , 1 1). Egli si rivolge diretta· mente ai glossolali con l'esortazione: «Fratelli, non comportatevi da bam­ bini (paidia) nei giudizi; quanto a malizia siate bambini; ma quanto a giu­ dizi comportatevi da uomini maturi» ( 1 Cor 14,20). Egli ha registrato l'e­ lemento regressivo nella glossolalia. Dovunque la vita abbia assunto una solida struttura, lì la demolizione di tale struttura è il presupposto per un nuovo inizio. La regressione a una lingua, che corrisponde alla propria lin­ gua materna nei suoi fonemi, ma non nella semantica e nella grammatica, è simbolo del ritorno a un tempo anteriore alle regole stabilite dalla so­ cializzazione. Questo ritorno a un comportamento della prima infanzia spiega forse la funzione psicologica interiore della glossolalia: essa ha ef. fetti positivi, distende e rallegra. Sogni di un ritorno del genere al tempo dell'infanzia sono ben testimoniati, a proposito del cristianesimo delle ori­ gini, proprio lì dove si sviluppò una religiosità mistica, ad esempio nel Vangelo di Tommaso: «Gesù disse: 'Un vecchio che nei suoi giorni non esi­ terà a interrogare un piccolo fanciullo di sette giorni a proposito del luo· go della vita, egli vivrà; giacché molti primi saranno ultimi, e diverranno uno solo'�� (EvThom. 4; cfr. 22; 37). Similmente dobbiamo illustrare un quarto distintivo: la rivalutaz.ione della relazione individuale con Dio. Paolo $Ottolinea il fatto che la glosso· !alia è un comportamento che si concentra sulla relazione con Dio. Le al­ tre persone non partecipano a quanto il glossolalo dice. Un gruppo che apprezza la glossolalia attribuisce così alla relazione spirituale un valore in sé. Il contatto con il mondo celeste diventa un valore in se stesso. La glos­ solalia è così il compendio di una preghiera meditativa. Ciò era nuovo. La religione era in genere una funzione della vita sociale. Invece i cristiani fe­ cero della loro vita sociale una funzione della loro religione: fondamento della comunità era la loro convinzione religiosa. Attraverso di essa questa comunità era stata creata. Nella sua cornice erano praticati dei modi di comportamento nei quali delle persone si sottraevano ai loro doveri sociali per coltivare la loro relazione religiosa. Asceti si sottraevano alla vita fa­ miliare per dedicarsi a Dio. La glossolalia si sottraeva alla comunicazione interumana per parlare solo con Dio. Cittadini si sottraevano alla loro città per concentrarsi sulla città celeste. Era facile farsi la nomea di essere degli asociali. Paolo pone perciò l'amore, il compendio delle virtù sociali, al di sopra della glossolalia. Questo è caratteristico del cristianesimo delle ori­ gini. Esso attiva forme religiose estreme di espressione arcaiche come la

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glossolalia per trasformarle in una forza che va a beneficio dei compiti prosociali della vita quotidiana. La glossolalia significava l'assunzione di un ruolo religioso e sociale del portatore dello Spirito. Con questo ruolo all'interno di un gruppo religioso si riconosceva che la relazione del sin­ golo con Dio aveva la preminenza rispetto a tutte le altre relazioni sociali. Bisognerebbe valutare in maniera positiva l'elemento progressista conte­ nuto in questo riconoscimento di una religiosità individuale. Siamo qui sulla via che porta al riconoscimento della relazione di singole persone con Dio come di un valore in sé, indipendentemente da fini programmatici. A ragione si è perciò sociologicamente classificato la glossolalia come un ti­ po comunitario dello spiritualismo o della mistica, che secondo Ernst Troe!tsch è una terza forma di comunità accanto alla chiesa e alla setta129• Nello spiritualismo domina la religiosità individuale di coloro che attri­ buiscano alle loro esperienze interiori un'importanza decisiva. Nella ter­ minologia dell'odierna sociologia della religione parleremmo di un grup­ po cultuale, che si raduna attorno a una o più guide carismatiche. A conclusione ricordiamo che conosciamo almeno una preghiera medi­ tativa in linguaggio comprensibile: la preghiera sommosacerdotale di Ge­ sù (Gv 17). In essa confluiscono insieme gli estremi di una preghiera reli­ giosa moderata comprensibile e di una preghiera religiosa meditativa estrema, che procura la gioia perfetta in mezzo al mondo e nello stesso tempo sottrae già a questo mondo (Gv 17,1 1 . 14.16). Essa è anzitutto un resoconto di Gesù davanti al Padre suo circa il compimento della sua ope­ ra sulla terra. Sotto questo aspetto essa è una preghiera esclusiva di Gesù. Ma poi essa diventa una duplice intercessione, anzitutto in favore dei di­ scepoli di Gesù, poi per coloro che per mezzo di questi discepoli arrive­ ranno alla fede. I discepoli di Gesù sono messi in parallelo con Gesù: «Co­ me tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella ve­ rità» ( Gv 17 , 1 8s.). Già qui questa preghiera assume un carattere inclusivo. I discepoli possono unirsi a tutta la sua recitazione in quanto sono man· dati come Gesù. Questo carattere inclusivo della preghiera emerge poi nella sua terza parte: i cristiani guadagnati dai discepoli devono essere una cosa sola con Gesù e, per mezzo di lui, con il Padre. Qui la preghiera as­ sume un carattere di modello per tutti i cristiani. Tutti i cristiani sono in­ seriti nella preghiera. Essi devono identificarsi con il Gesù orante. E il let­ tore del vangelo di Giovanni sa dai precedenti discorsi di addio che ai di­ scepoli è stato promesso l'esaudimento della preghiera fatta nel nome di "' H.N. MAI.oNY - A.A.

l.oVEKIN, Glosso/4/io, 260·262.

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Capitolo secondo

Gesù (Cv 14,13s.; 15,7). La loro preghiera infonderà in loro una «gioia piena» (Cv 1 6,24). La preghiera di Gesù ha come scopo che essi «abbia­ no in se stessi la pienezza della mia gioia» ( Gv 17,13). Come la gioia di Ge­ sù diventa piena per mezzo della preghiera, così anche la gioia dei cristia­ ni lo diventa per mezzo della loro preghiera. Nella preghiera i cristiani gio­ vannei sperimentano una unione con Gesù e con Dio. La mistica del van­ gelo di Giovanni è una mistica della preghiera. Gesù prega (come fa chiunque dia l'avvio e guidi la preghiera) in modo che tutti possano 'unir­ si' alla sua preghiera e fare di essa la loro propria preghiera. Questa pre­ ghiera meditativa di Gesù ha chiaramente tratti di uno stato deviante dal­ lo stato normale di coscienza. Gesù non è più nel mondo (Cv 17 , 1 1 ), ben­ ché preghi nel mondo. Egli è, nello Spirito, già in cielo presso il Padre suo e rapito da questo mondo. Il cristianesimo delle origini ha desunto le proprie preghiere dal salte­ rio. Il linguaggio di questo era così eloquente che esso non ebbe bisogno di alcuna nuova raccolta di preghiere. Soltanto le preghiere meditative, ca­ ratterizzate da un puro accertamento della vicinanza di Dio e dell'unità con lui, furono qualcosa di nuovo. In merito c'era un bisogno da colmare, che andava al di là dell'Antico Testamento. Non stupisce perciò che l'uni­ ca raccolta di preghiere del cristianesimo delle origini sia una raccolta di preghiere meditative, vale a dire le Odi di Salomone vicine alla gnosi, che in molte variazioni si accertano dell'unità dell'uomo con Dio.

e. Cambiamento religioso: conversione normativa e conversione esistenziale

Accanto alla glossolalia i cristiani introdussero nel mondo antico, assie­ me a filosofi e a ebrei, un nuovo modello di comportamento: la conver­ sione normativa e la conversione esistenziale. Normalmente nell'antichità si continuava a praticare i culti dei padri. Uno nasceva all'interno di una determinata pratica della religione, ma aveva la libertà di partecipare ad altri culti. L'adesione a una religione misterica non significava che uno do­ veva rompere con altri culti. Diversamente da ciò alcuni filosofi pretesero che, se uno aderiva a loro, doveva rinunciare a tutte le altre correnti. Pa­ rimenti anche gli ebrei esigevano dai loro proseliti che, se uno si univa al Dio uno e unico, doveva rompere con tutti gli dèi. I cristiani condivisero questa richiesta: chi partecipa alla mensa del Signore non deve cercare

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niente al tavolo sacrificale di altri dèi (1 Cor 10,2 1 ). Una simile conversio­ ne è qualcosa di più del ritorno che veniva richiesto fin dal tempo dei pro­ feti d'Israele. Noi conosciamo anche oggi ambedue queste forme di cam­ biamento nella vita, anche se spesso le chiamiamo semplicemente tutte e due 'conversione'. In un caso si tratta di una conversione in direzione dei valori e dei modi di comportamento riconosciuti della società: figli e figlie perduti sono accolti in essa. Ma poi esiste anche una conversione come rottura con i valori e con le nonne comportamentali della società: figli e figlie vanno 'perduti'"". Per poter distinguere l'una cosa dall'altra è utile la distinzione fra deci­ sioni o conflitti normativi e decisioni o conflitti esistenziali1". Nel caso di conflitti normativi si tratta dell'applicazione di un sistema esistente di con­ vinzioni a un problema, nel caso di conflitti esistenziali del cambio del si­ stema di convinzioni. Nel primo caso i criteri di ciò che è bene e di ciò che è male rimangono gli stessi, controverso è solo il modo in cui essi vanno attuati. Nel secondo caso si prende una nuova decisione anche a proposi­ to di tali criteri. Di regola cerchiamo di risolvere nuovi problemi insor­ genti con vecchie convinzioni. Tendiamo ad assimilare il nuovo a ciò che ci è familiare. Solo di rado si arriva a un «cambiamento di paradigmi», cioè a cambiare assiomi e ad accomodare i nostri modelli di soluzione dei problemi a una nuova problematica. Presupposto è una crisi di convin­ zioni precedenti. Le conversioni sono dei riorientamenti esistenzialill2. Es­ se sono culturalmente condizionate: in una società pluralistica esse sono più verosimili che non in una società uniforme. Il ritorno e la conversione come possibilità di comportamento e di vissuto sono nati nel corso della storia. La Bibbia ha svolto un ruolo in merito. Tutta la ricerca sulla conIJO Cfr. su questi due tipi di conversione, come «rifonna morale individuale o come una fonnazio· ne controculturale del 'nuovo essere umano'», W.A. MEEKs, The OrigùiS o/Chrùtùm Moralitày, 1993, 1 8- 3 6 , qui 36. "' H. THOMAE, Konf/ikt, Entscheidung, Veranlwortung, 1974. "' B.R. GAVENTA, From Darkness lo Ltght, 1 986, 12. distingue tre tipi di cambiamenti: ( l ) Alter· nation è un cambiamento che scaturisce dal precedente corso de.lla vita: quando pagani timorati di

Dio diventano cristiani, come nel caso di Cornelio o del funzionario etiope, la loro è una jalternation' (o, nella terminologia sopra proposta, una decisione normativa). (2) Conversion è un cambiamento che segna una rottura con il precedente corso della vita: esempi in questo senso sono la conversione di Paolo secondo gli Atti e la rinascita secondo Gv 3,1·13; l P/ 1 ,22-2,3 (qui si tratta, secondo la ter· minologia sopra adoperata, di una decisione esistenziale). (3) Trans/ormation è invece un cambia· menro come queUo descritto da Paolo nelle sue lettere autentiche: sulla base di una nuova conoscen· za complessiva il tempo precedente non viene rinnegato, ma interpretato in maniera nuova. Io consi­ dererei questo terzo tipo come un caso particolare deUa conversione esisrenzia.le: la riappropriazione e la conciliazione con il proprio passato è un compito per ogni convertito. Giusto è il fatto che la con· versione di Paolo è un caso panicolare.

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Capitolo secondo

versione riguarda oggi società nelle quali questi modelli di comportamen­ to influenzati dalla Bibbia sono operanti sotto forma di ruoli preesistenti. Ciò però era solo in fase di formazione nel cristianesimo delle origini. Ad ogni modo l'odierna ricerca sulla conversione offre delle utili informazio­ ni anche per le nostre ricerche'". Nella sua prima fase la ricerca sulla conversione fu incentrata sulla per­ sonalità. Per William James tre erano i punti importanti04: ( l ) Gli indivi­ dui che aspirano a rinascere sono in sé dissociati, perché in essi l'ideale e l'io reale divergono. (2) Nella conversione essi raggiungono la loro inte­ rezza, in quanto finalità religiose si spostano dalla periferia al centro della coscienza ed essi si sentono per questo buoni, superiori e felici. (3) I cam­ biamenti psichici decisivi sono preparati, nel caso di conversioni improv­ vise, nel subconscio, cosicché i loro risultati sono percepiti come cambia­ menti subitanei, anche se essi sono in fondo conversioni progressive. Una seconda fase della ricerca sulla conversione fu incentrata sul grup­ po"': le conversioni avvengono in seno a una interazione con gruppi. Le esperienze e le autointerpretazioni dei convertiti sono influenzate da atte­ se del gruppo, a cui essi si uniscono. L'adesione non avviene però solo a motivo delle convinzioni del nuovo gruppo, ma anche per un interesse per il suo stile di vita e per la sua offerta di ruoli. Mediante la conversione i convertiti assumono in un nuovo gruppo uno status accettato. In una terza fase la ricerca sulla conversione si incentrò sulla comunica­ zione: le conversioni sono autotrasformazioni non concluse, che sono por­ tate avanti in racconti di conversione'". I racconti di conversione sono co­ stitutivi per la conversione. Ogni racconto di conversione si riallaccia a una conversione avvenuta, che viene in esso prolungata in un modo nuo­ vo"'. Nessuna conversione è perciò arrivata alla sua fine con una svolta "' ar. la rassegna in B. SPILKA et al.. Prychology o/ Religion, 341 -374; u. POPP·BAIER, Bekehrung a/s Gegenstand der Re/iglonspsycho/ogie, in CHR. HENNINGS - S. MURI> (jub. 23,26). Mentre di fronte alle catastrofi imminenti i profeti chiamavano alla con­ versione, i libri storici fanno un distintivo dell'autoimmagine di Israele il fatto che Israele abbia trasformato ogni sconfitta in un impulso per un rin­ novamento. Ogni volta che dopo una catastrofe ritornò a Dio, Israele eb­ be ancora una opportunità. Criterio è l'adorazione esclusiva (la monola­ tria) del Dio d'Israele. Samuele esorta in questo senso (deuteronomistico): «Se è proprio di tutto cuore che voi tornate al Signore, eliminate da voi tutti gli dèi stranieri e le Astarti; indirizzate il vostro cuore al Signore e ser­ vite lui, lui solo, ed egli vi libererà dalla mano dei Filistei>> (l Sam 7,3). Una figura ideale è il re Giosia, che centralizzò il culto e obbligò Israele a os­ servare la Torah: «Prima di lui non era esistito un re che come lui si fosse convertito al Signore con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima e con tutta la sua forza, secondo tutta la legge di Mosè; dopo di lui non sorse uno come lui>> (2 Re 23,25).

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Un cambiamento decisivo dell'idea di conversione normativa si verificò con il confronto con la cultura greca. Convertirsi fu qui tradotto con 'cam­ biare mentalità' (metanohn = 'riconoscere dopo') e con 'voltarsi' (epi­ stréphein). Adesso si pensa realmente alla conversione del singolo. Nella tarda letteratura sapienziale questa idea della conversione individuale si presenta come il risultato di un incontro fra le due culture. Un uomo buo­ no concede ai propri figli e alle proprie figlie la possibilità di convertirsi. La stessa cosa vale per la relazione con Dio: «Ritorna al Signore e abban­ dona il peccato, prega davanti a lui e riduci gli ostacoli. Volgiti all'Altissi­ mo e allontanati dall'ingiustizia; egli infatti ti condurrà dalle tenebre alla luce della salvezza» (Sir 17 ,25-26). Tutti gli esseri umani hanno la possibi­ lità di convertirsi: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento (eis metd­ noian = conversione)» (Sap 1 1 ,23 ). L'universalizzazione della conversione abbraccia anche i pagani, che si convertivano alla fede giudaica. In questo modo si era arrivati a una nuova dimensione del cambiamento del com­ portamento: alla conversione esistenziale. Giovanni Battista rinnovò ancora una volta la predicazione profetica della conversione (Mt 3 , 1 - 12). La sua chiamata alla conversione è rivolta a tutti. Egli sostiene l'idea collettiva di conversione, ma critica la certezza collettiva della salvezza che fa leva sul fatto della appartenenza ai figli di Abramo. Inoltre egli abbina la sua chiamata alla conversione a un nuovo rito: il battesimo è amministrato a ogni singolo ed è collegato a una con­ fessione individuale dei peccati. In questo senso il Battista collega l'idea della necessità della conversione collettiva, sostenuta dai profeti, con l'i­ dea della conversione individuale del periodo ellenistico. Nuovo è il con­ trasto tra certezza individuale e certezza collettiva della salvezza. La pre­ dicazione della conversione da parte del Battista è motivata dalla consa­ pevolezza di un imminente giudizio collettivo. Tale giudizio riguarda tut­ ti. Ma ogni singolo ha una possibilità di sfuggire ad esso. Gesù di Nazaret continua la sua predicazione della conversione. Il fat­ to che egli mandi dodici discepoli a predicare la conversione mostra che anch'egli chiede la conversione a tutto Israele (Mc 6,12). Però non abbina la conversione al battesimo, ma la deritualizza. Essa è motivata anche dal­ la paura esistenziale del giudizio: quando a Gerusalemme regna il terrore per un bagno di sangue compiuto da Pilato tra i pellegrini e per il crollo di una torre con conseguenti diciotto vittime, Gesù dice: «Se non vi con­ vertite, perirete tutti allo stesso modo» (Le 1 3 ,3.5). A questo però si ag­ giunge un nuovo accento: la gioia di Dio per la conversione delle persone

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deve indurre alla conversione. Questo è messo in luce soprattutto nel van­ gelo di Luca con le parabole di ciò che è perduto: in cielo vi sarà più gioia per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di convertirsi (Le 15,7. 16). Tale gioia deve esistere in cielo come in terra. Perciò nella parabola del figlio prodigo la questione decisiva è se il figlio maggiore (e quindi il lettore) si lascia invitare a par­ tecipare a questa gioia. Nel Battista e in Gesù la conversione non è ancora una conversione esi­ stenziale. I giudei da essi interpellati devono tornare al Dio dei loro padri. Non devono abbandonare il loro precedente orientamento, ma metterlo in pratica. II.

CONVERSIONE COME RIORIENTAMENTO ESISTENZIALE

La possibilità della conversione radicale, della conversione esistenziale, la dobbiamo al monoteismo esclusivo dell'ebraismo. Tale monoteismo nacque da un legame ad un singolo Dio in tempi di guerra e di crisi, quin­ di da una monolatria passeggera. Così nel tempo dei Giudici sentiamo parlare del fatto che gli israeliti, caduti in grande difficoltà, supplicano: ((Abbiamo peccato ! Fa' di noi ciò che sembra bene ai tuoi occhi; soltanto, liberaci in questo giorno. Eliminarono gli dèi stranieri e servirono il Si­ gnore, il quale non tollerò più la tribolazione d'Israele» (Gdc 10,16). La storia d'Israele divenne nel tempo successivo, sotto la pressione di imperi confinanti, una cronica storia di crisi, e così il legame con l'unico Dio fu cronicizzato. Poiché in tempi di pace si erano adorati anche altri dèi, un movimento nativistico richiese la conversione all'unico Dio, a cui proba­ bilmente all'inizio Israele era stato dedito. Il monoteismo fu proclamato come ritorno alle proprie tradizioni, anche se era qualcosa di nuovo: ((Sot­ to la pressione coloniale di un movimento nativistico, l'ebraismo in via di formazione trasforma queste istituzioni (cioè della conversione e del lega­ me con un unico Dio guerriero) nel corso di un tempo di crisi ininterrot­ ta. Attraverso una gigantesca invenzione in fatto di tradizione la monola­ tria temporanea diventa adesso il monoteismo, e l'atto della conversione religiosa e morale l'atto fondamentale dell'esistenza religiosa. Dio e la con­ versione - o, per dirla in termini moderni, il monoteismo e la morale - di­ ventano le due colonne portanti dell'ebraismo» (Bernhard Lang). A que­ sto ebraismo dobbiamo il modello comportamentale di una conversione esistenziale. Solo dove esiste una netta alternativa fra l'unico Dio e gli dèi,

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la dedizione a Dio è allontanamento da tutti gli altri dèi. Di questo fatto ci sono soltanto delle analogie nella filosofia antica. Anche in essa si trattava dell'alternativa tra la verità e l'errore e di una conversione radicale nella vita, fatta di abbandono dell'errore e di adesione alla verità, come mostra la parabola della caverna di Platone (rep. 7,5 14a-521b). Ma questo rio­ rientamento esistenziale rimase un privilegio di piccoli gruppi. Tutto som­ mato troviamo perciò nell'antichità la conversione esistenziale soltanto in tre gruppi: tra gli ebrei, i cristiani e in alcuni filosofi"0• Una decisione nor­ mativa, il ritorno a Dio, divenne un riorientamento esistenziale quando i pagani aderivano al giudaismo. Essi non si voltavano indietro per riper­ correre a ritroso la via che avevano già percorso, ma imboccavano una nuova via. Rinnegavano gli dèi che fino ad allora avevano adorato. Il mo­ dello comportamentale della conversione dal paganesimo al giudaismo è descritto nel romanzo di Giuseppe e Asenet: Asenet, figlia di un sacerdote egiziano, si innamora di Giuseppe, abbraccia la sua fede, rompe i rappor­ ti con il padre e con la sua 'idolatria' e «si convertì (meten6ei) dagli dèi che venerava» (josAs. 9,2). Un angelo le grida: «Beati tutti quelli che aderi­ scono al Signore nella conversione (metdnoia)» (]osAs. 16,14). Uno degli angeli porta il nome 'Conversione' (metdnoia) (josAs. 15 ,7s). La conver­ sione di Asenet è una nuova creazione. Giuseppe prega per lei: «Signo­ re . . . , che hai dato la vita a ogni cosa, hai chiamato ogni cosa dalle tenebre alla luce, dall'errore alla verità, dalla morte alla vita, tu, Signore, benedici questa vergine, rinnovala con il tuo spirito, riplasmala con la tua mano na­ scosta, falla rivivere della tua vita . . . >> (]osAs. 8,10). Il Nuovo Testamento si colloca in questa tradizione. I giudeo-cristiani poterono ancora considerare la loro conversione come una decisione nor­ mativa, invece i pagano-cristiani presero una decisione esistenziale"'. Con una gran quantità di immagini essi descrissero la conversione dell'uomo come vocazione ( l Cor 1 ,2), illuminazione (Eb 6,4), giustificazione (Rm 3 ,2 1ss.), cambio di potere (Rm 6, 1 3ss.), riscatto (l Cor 6,20) e rinascita

Conversion, 1933. Controverso era nel cristianesimo delle origini se una simile conversione poteva essere effettua­ ta una volta sola. La lettera agli Ebrei non si impose con la sua dottrina dell'unicità e irripetibilità del­ la conversione (Eb 6,4ss.; 10,26ss.). Già il discorso del vangelo di Matteo riguardante la comunità esorta anche i cristiani alla conversione (Mt 18,3.12ss.). I.: Apocalisse di Giovanni chiama alla conver· sione comunità già fondate (Ap 3,5.16.21 e passim). Il Pastore di Erma offre a tutti i cristiani una se· conda possibilità di convertirsi. La disponibi1ità a convertirsi caratterizza tutta la vita dei cristiani e non solo il suo inizio. Con questa conversione ripetuta viene completata, mediante ripetute decisioni normadve, la decisione esistenziale presa una sola volta di cambiare l'orientamento della vita. "" A.D. NOCK, 141

Esperienza e vissuto

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(Gv 3 ,l ss.; 1 Pt 1 ,23) . Così dicendo essi approfondirono la rottura tra vi­ ta vecchia e vita nuova, perché per i pagano-cristiani essa era una svolta radicale, che era tanto incisiva quanto il passaggio dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. La conversione poté essere qui interpretata come un morire con Cristo e un vivere con lui (Rm 6,1ss.). Non è un caso che l'in­ terpretazione del battesimo come di una morte compaia solo con Paolo, l'apostolo dei pagani, che dovette richiedere alle sue comunità pagano-cri­ stiane una separazione radicale dal loro tempo precedente e che era pas­ sato personalmente attraverso una conversione particolarmente radicale. In qualità di giudeo-cristiano egli aveva infatti portato a compimento, con la sua adesione al cristianesimo, il suo precedente orientamento, però pri­ ma della conversione aveva perseguitato la comunità. Con la sua adesione al cristianesimo egli aveva cambiato tutto il suo orientamento in fatto di valori, perché era diventato il missionario di una causa che prima aveva combattuto. La sua conversione divenne perciò il modello della conver­ sione esistenziale. Anche i pagano-cristiani potevano riconoscersi in essa. Il cambiamento di tutti i valori e assiomi era loro comune. La visione di vocazione di Paolo è ben testimoniata dalle sue testimo­ nianze personali e dagli Atti degli apostoli. Quando consideriamo sotto l'aspetto psicologico le affermazioni di Paolo a proposito della sua voca­ zione, dobbiamo tener sempre presente una conoscenza della ricerca sul­ la conversione: i racconti di conversione sono parte del processo di con­ versione, che non è mai concluso. Essi sono influenzati dalle valutazioni della comunità, nella quale si è entrati con la conversione, e mettono a di­ sposizione un linguaggio anche per parlare di ciò che contraddice alle nor­ me di tale comunità, allorché si parla del proprio passato (presumibil­ mente superato). Vale perciò la pena prendere più attentamente in consi­ derazione le affermazioni di Paolo, confrontarle con quelle degli Atti de­ gli apostoli e riassumere subito in uno specchietto le loro principali diffe­ renze:

Capitolo secondo

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At 9,3 ·I 9: il racconto dell'autore descrive una

fil 3,4-6: Paolo stesso parla della sua

conversione di Paolo alle porte di Damasco - mediante una visione soggettiva, che accieca Paolo, - e un'audizione, che anche i suoi accompagnatori odono. A Damasco Anania ha una rivelazione su Paolo, che è da lui guarito e battezzato.

conversione

At 22,3-21: Paolo parla, in un discorso davanti al popolo, della sua convmione - per mezzo di un'audizione soggettiva e - per mezzo di una visione pubblica. Egli è battezzato da Anania e si vede affidare il compito di testimone di Gesù. Successivamente ha un'esperienza di vocazione nel tempio di Gerusalemme.

Gal 1,16 sottolinea l'indipendenza di Paolo: «Non consultai la carne e il sangue»; > (ls 49,6). A Geremia di­ ce: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni>> (Ger 1 ,5). In Ga/ 1 , 1 6s. Paolo presenta quindi l'esperienza da lui vissuta alle porte di Damasco come se egli avesse trovato in essa il ruolo di pro­ feta a lui destinato ! Interessante è constatare come, nonostante la grande rottura nella sua vita, che ha fatto di lui, persecutore della comunità cri­ stiana (Ga/ 1 , 14), il suo missionario, egli veda una continuità nella sua esi­ stenza fin dal seno materno. Egli dice che Dio l'aveva già scelto allora an-

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che per quanto riguarda il tempo della sua accanita persecuzione! Fa ri­ salire la svolta nella sua vita a una 'rivelazione' (apokalypsein) e la attri­ buisce a un atto di Dio. In Fi/ 3 parla della medesima esperienza come di una conversione e sottolinea la discontinuità. Egli ha voltato in maniera ra­ dicale le spalle al suo passato: «Ma queste cose, che per me erano guada­ gni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le con­ sidero spazzatura, per guadagnare Cristo» (Fi/ 3 ,7 -8). Qui Paolo non par­ la dell'azione di Dio nei suoi riguardi (come in Ga/ 1 ,16s.), bensì della sua conoscenza di Gesù Cristo e delle conclusioni che egli ne ha tratto. Egli sottolinea la sua presa di posizione e la sua decisione. Le due stilizzazioni dell'esperienza di Damasco corrispondono alle due situazioni epistolari. In Ga/ 2 Paolo difende il suo ministero di apostolo e sottolinea perciò la sua vocazione a tale ministero. Nella lettera ai Filippesi vuole che i Filip­ pesi voltino le spalle ai suoi avversari così come egli ha voltato le spalle al suo passato giudaico. Qui egli si appella a decisioni umane! Svalutando il suo passato, egli svaluta i suoi avversari nel presente. Ciò corrisponde a una conoscenza della ricerca sulla conversione: i racconti di conversione danno una possibilità di affrontare questioni controverse nel presente. Troviamo questo oscillare tra racconti di conversione e racconti di vo­ cazione anche negli Atti degli apostoli: il primo racconto di visione è un racconto della conversione del persecutore dei cristiani in un cristiano (At 9,3 - 1 9). In esso Paolo vede lo splendore celeste, mentre i suoi accompa­ gnatori odono solo la voce; soltanto Paolo deve essere accecato dallo splendore sovraterreno, altrimenti diventerebbero tutti ciechi. Negli altri due racconti, invece, solo Paolo ode la voce, mentre tutti gli altri vedono lo splendore celeste. Il primo racconto riferisce solo indirettamente anche della vocazione di Paolo ad essere missionario. Anania la viene a conosce­ re attraverso una rivelazione, ma non trasmette questo messaggio a Paolo. Il secondo racconto separa conversione e vocazione (At 22,3-2 1). A Da­ masco Paolo è battezzato, successivamente, nel tempio di Gerusalemme, è chiamato alla missione tra i pagani. Questo corrisponde alla situazione retorica. Paolo si difende, nel suo discorso nel tempio, contro l'accusa di aver introdotto un pagano nel tempio. Egli si giustifica sul piazzale del tempio, davanti a una folla adirata, richiamandosi a una rivelazione rice­ vuta nel tempio, secondo la quale egli è l'apostolo dei pagani. Ciò con­ corda con l'affermazione di Paolo in Rm 15,19, secondo la quale egli co­ minciò la sua missione su scala mondiale a Gerusalemme, qualora egli in Rm 15,19 non si riferisca al concilio degli apostoli come alla carica d'in-

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nesco di tale sua missione. Soltanto nel terzo racconto degli Atti degli apo­ stoli (At 26,2-23) conversione e vocazione coincidono. Gesù stesso invia Paolo alle porte di Damasco ai pagani «per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio» (At 26,18s.). Nei primi due racconti Paolo diventa cieco e la comunità cristia­ na deve aprirgli gli occhi. Qui egli diventa il testimone che deve aprire gli occhi a tutti i popoli. L'esperienza sulla via di Damasco fu pertanto entrambe le cose, voca­ zione e conversione. lnterpretandola come vocazione si pone l'accento sul nuovo ruolo sociale di Paolo nella comunità cristiana, interpretandola co­ me conversione si pone l'accento sul cambiamento personale di Paolo. Entrambe le cose sollevano alcune questioni dal punto di vista psicolo­ gico. Con la sua conversione Paolo, informato dalla sua tradizione giudaica, assunse il ruolo di un profeta. Ma in un punto egli si spinge al di là del ruolo dei profeti tradizionali. Si sa inviato non (solo) a Israele, ma a tutti gli uomini. Egli allude consapevolmente a due passi dei profeti, che par­ lano di un mandato nei confronti di tutti i popoli (Is 49, 1ss.; Ger l ,5 ). Co­ me poté egli dedurre da una visione questa certezza di una vocazione uni­ versale? E perché gli altri cristiani lo accettarono in questo suo ruolo? Probabilmente egli sapeva che tra i cristiani le apparizioni del Risorto era­ no valutate come vocazioni a svolgere il compito del missionario e dell'a­ postolo ! Perciò può esclamare: >, leggiamo in Pao­ lo (Rm 7,8). Esso, «presa l'occasione, mediante il comandamento mi ha se­ dotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte>> (Rm 7,1 1 ) . Il peccato mi procura così, per mezzo del bene, la morte (Rm 7, 13). Detto in termini psicanalitici: le componenti aggressive dell'Es si impossessano del Super­ io e agiscono, sotto la copertura della sua autorità, contro l'Io. Così la leg­ ge diventa la 'forza' del peccato e il «pungiglione della morte>> ( 1 Cor 15,56). Paolo ha qui formulato la profonda conoscenza che ogni morale è alimentata da un'aggressività incanalata verso l'interno, ha formulato l'i...

'" Qui di seguito adopero la terminologia > (l Cor 2,8). Indipendentemente dal fatto che questi dominatori siano potenze terrestri o potenze demoniache, la cosa decisiva è che la loro ag­ gressione non sa chi colpisce. Paolo, quando dice: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: 'Maledetto chi è appeso al legno'>> (Gal 3,13 Dt 2 1 ,23 ), riprende probabilmente una convinzione che egli aveva già nel suo passato precristiano: il Crocifisso è un maledetto. Infatti se i cristiani, che si richiamavano al Crocifisso, in quanto trasgressori della legge erano mi­ nacciati ai suoi occhi dalla maledizione della legge, tanto più lo era il loro dottore e maestro. Solo da cristiano egli riconobbe che il Crocifisso era una maledizione, ma una maledizione in rappresentanza di tutti gli uomi­ ni, «perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani» (Ga/ 3 ,14)"". =

'"' L'ipotesi che già il Paolo precristiano abbia riferito Dt 2 1 ,2): «L'appeso è una maledizione di Dio». a Gesù è in certo qual modo avallata dal fatto che l'ebreo Trifone cita in Giustino questo passo della Scrittura contro la messianità di Gesù: «Ma che il Cristo sia stato così ignominiosamente croci­ fisso, di questo proprio non sappiamo risolverei. La legge infatti dice che chi è crocifisso è un male­ deno . . . Che le Scrinure proclamino un Cristo sofferente, questo è chiaro, ma che lo dovesse essere di un supplizio maledetto dalla legge, di questo vogliamo conoscere le prove, se ne hai» (Giustino, Di41. 89,2; cfr. 90,1). Il racconto della sepoltura di Gesù, effettuata lo stesso giorno della crocifiSsione, po­ trebbe dipendere da DI 21,23. In Gv 19,H i 'giudei' dicono che, essendo «il giorno della Parasceve», i corpi non potevano rimanere in croce durante il sabato. Seguaci o awersari di Gesù si richiamare· no a Dt 21,23 per spiegare la sollecita sepoltura di Gesù e provocarono così la domanda se Gesù fos­ se maledetto? Originariamente Dt 21,23 si riferiva alla successiva profanazione Jel cadavere. Ma l lQTempel 64,7-13 mostra che nel tempo successivo lo stesso fatto di essere appeso fu concepito eo· me un'esecuzione capitale. Contro di ciò è staro acutamente obienaro (tra gli altri da CH. M. TucKETI, Deuteronomy 21.23 and Paul's Convt"rsion, in A. VANHOYE [ed.], L'Apotre Pau/, 1986, 345-350) che non ci sarebbero indizi del fatto che gli ottocento farisei crocifissi da Alessandro lanneo siano stati considerati maledetti da Dio (F. Giuseppe, ant. 13,380; beli. 1 ,97) , e meno che mai i giudei crocifissi

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Capitolo secon®

lA presa di coscienza, mediante la relazione con Cristo, del conflitto con Dio

Se presupponiamo che il Crocifisso attirò su di sé, in rappresentanza di Dio, l'aggressione di Paolo, con ciò presupponiamo che il Paolo precri­ stiano non aveva coscienza di questa connessione. Solo attraverso l'incon­ tro pasquale egli si rese conto che non l'ira di Dio gravava sul Crocifisso, bensì la sua propria 'ira', cioè la sua aggressività contro tutto ciò che di­ vergeva dalla severa Torah. Dobbiamo perciò postulare un conflitto in­ conscio. Ma come è possibile arguire da testi un conflitto inconscio? Qui sta il problema metodologico decisivo di ogni interpretazione psicanaliti­ ca. La via psicanalitica classica per penetrare nell'inconscio è sbarrata, quando si tratta di persone del passato. Non conosciamo i sogni di Paolo e non possiamo farglieli associare liberamente. Ma Paolo è, a mio giudi­ zio, non tanto oggetto, quanto piuttosto soggetto dell'analisi. I suoi scrit­ ti mostrano che problemi a lui una volta inconsci gli sono diventati con­ sci. Lui stesso ha rielaborato il suo passato. Non nei suoi confronti, ma in sua compagnia l'analisi può procedere. Dobbiamo semplicemente tradur­ re le sue immagini, i suoi concetti e i suoi termini in un linguaggio psica­ nalitico. Così, ad esempio, Paolo trovò un'immagine eloquente per indi­ care la barriera della coscienza: in 2 Cor 3 ,7-18 egli si riferisce al racconto del Sinai. Mosè, dopo il suo incontro con Jahvé, si sarebbe coperto il ca­ po con un velo per proteggere gli israeliti dalla gloria divina da lui irrag­ giante. Paolo dà a questo racconto un tutt'altro significato: Mosè avrebbe voluto nascondere la caducità della legge, anzi, ancora di più: avrebbe vo­ luto velare il fatto che il ministero della legge è un ministero che conduce alla morte (2 Cor 3,7). Il Dio esigente della legge è per lui un Dio che uc­ cide. Ma il giudeo Paolo, che combatteva con zelo per la legge, non aveva coscienza di ciò, così come non l'avevano gli altri giudei. Per esprimere da Gessio Floro (F. Giuseppe, beli. 2,308) o i martiri giudei di Alessandria (Filone, Flacc. 72,83-85). Naturalmente bisogna tener como di una cosa: le medesime esecuzioni capitali furono interpretate molto diversamente: 4QNah l ,6 tende a pensare che gli avversari crocifissi di Alessandro lanneo fos­ sero maJedettì> Essi sono severamente biasimati da Dio, sono farisei che sono attaccati come «cerca· tori delle comodità)). La voce di coloro, che erano rimasti esterrefatti dalle medesime crocifissioni, la udiamo in F. Giuseppe, beli. 1 ,97: «Allora la sua crudeltà lo spinse, a motivo del suo smisurato furo· re, sino all'empietà: di quei rimasti, infatti, ne crocifisse egli mtocento nel mezzo della città, e sotto i loro occhi fece scannare le mogli e i figli loro, memre bevendo e sdraiato presso le concubine egli mi­ rava tali cose. Taoto però fu lo spavento che si impadronì del popolo che la notte seguente fuggirono dall'intera Giudea onomila rivoltosi . . . ». Erano possibili ambedue le interpretazioni. Tanto più ciò va­ le nel caso di Gesù. In 4uesto caso dobbiamo riflettere su una cosa: con lui fu collegata una rivendi­ cazione salvifica, che doveva necessariamente provocare la sua confutazione. Non così era invece il ca­ so dei farisei giusriziati da Alessandro Ianneo.

Erperien'lll e visruto

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questo fatto il velo di Mosè diventa, da un lato, un velo steso sulla lettura dell'Antico Testamento e, dall'altro, un velo steso sul cuore degli lsraeliti che ascoltano. Esso si sposta dall'autore della legge (Mosè), attraverso la predicazione attuale di tale legge (la sua lettura), agli uditori. Il motivo è interiorizzato. Il velo diventa la barriera interna che impedisce di com­ prendere una situazione minacciosa, il potere mortifero della legge. Ma per Paolo questa barriera fu infranta da Cristo: «Ma quando vi sarà la con­ versione al Signore, il velo sarà tolto. li Signore è lo Spirito e, dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà» (2 Cor 3 , 16s.). L'accesso all'inconscio è una conquista di libertà. Cristo fa venire qui alla luce, attraverso l'elimi­ nazione del velo, qualcosa di inconscio. Esiste anche altrove qualche indizio di una problematica inconscia dd­ la legge nel Paolo precristiano? In Rm 7 egli presenta il suo passato come una sofferenza senza vie di uscita sotto la legge; in Fi/ 3 ,4ss. lo descrive in­ vece come un fariseismo consapevole della legge, che non sa assoluta­ mente nulla di una sofferenza a motivo della legge. Questa non è una con­ traddizione. In Fil 3 Paolo riporta a mio giudizio la sua coscienza precri­ stiana, in Rm 7 analizza invece quello che già allora lo aveva inconscia­ mente assillato, ma di cui ha preso coscienza solo successivamente nell'in­ contro con Cristo. Consideriamo un po' più da vicino questi due testi. In Fi/ 3 egli argomenta contro avversari, che si vantano dell'osservanza della legge e dei privilegi d'Israele. Egli mette in parallelo questo atteggia­ mento con il suo passato precristiano, quando era un israelita fiero della legge. Come allora egli era un nemico della chiesa, così anche gli odierni avversari vanno riconosciuti come «nemici della croce di Cristo» (Fil 3 , 18). L'argomentazione mira a uno scopo ed è polemica. Non possiamo attenderci che egli utilizzi qui tutte le conoscenze di cui dispone a propo­ sito del suo passato. Un Paolo segretamente sofferente sotto la legge non sarebbe un buon argomento in questo contesto. Egli ha bisogno del Sau­ lo fiero della legge. Solo così può combattere la fierezza della legge dei suoi avversari. Perciò presenta il suo passato così come esso doveva pre­ sentarglisi dal punto di vista della sua coscienza precristiana, ma non la­ scia il minimo dubbio circa il fatto che adesso egli lo vede e lo valuta in maniera del tutto diversa. «Di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù Cristo» (fi/ 3 ,8) egli è arrivato a capovolgere totalmente le sue pre­ cedenti valutazioni: quel che era per lui un guadagno, egli lo ha nel frat­ tempo riconosciuto come una perdita. Quel che prima era positivo è ades­ so da lui giudicato in maniera negativa: come un danno e come 'spazzatu­ ra'. Egli parla espressamente di una conoscenza. Come si concilia ora Rm 7 con questa visione del passato paolino? In

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Capitolo secondo

Fi/ 3 Paolo fa delle affermazioni biografiche con un'intenzione polemica, mentre in Rm 7 si tratta di un'apologia generale della legge. Non ha sen­ so andare alla ricerca di esperienze infantili di Paolo, che si nascondereb­ bero dietro questo testo. Però possiamo indubbiamente interpretare le sue affermazioni generali sull'uomo irredento anche come affermazioni sul Paolo precristiano: quel che egli descrive come problematica generale del­ l'uomo sotto la legge potrebbe averlo dolorosamente sperimentato anche lui. Rm 7 è un'ulteriore rielaborazione della sua conversione sotto forma di affermazioni generali. Contro questa interpretazione non si possono, a mio giudizio, addurre i tre clas­ sici argomenti che si adducono contro una spiegazione biografica di Rm 7: ( l ) Paolo non potrebbe mai dire d i sé d'esser vissuto una volta senza l a legge (Rm 7 ,9); (2) Paolo userebbe un 'io' retorico, che non includerebbe necessariamente un'esperienza personale; (3) Paolo escluderebbe, a motivo della contraddizione con Fi! 3,4ss., un'interpretazione biografica di Rm 7. A proposito del primo argomento c'è da dire: Paolo interpreta qui la sua esisten­ za sotto la legge secondo il modello mitico di Adamo, senza riguardo a concor­ danze empiriche. Una moderna analogia al riguardo è l'interpretazione psicanali­ tica dell'infanzia secondo il modello di Edipo, interpretazione che riscosse tanti consensi, anche se non molto depone empiricamente a suo favore. Paolo inter· preta la situazione umana secondo il modello di Adamo senza tener conto del fat­ to che per il giudeo non esiste alcun tempo in cui egli sia vissuto senza la legge, e per il pagano alcun tempo nel quale la legge 'sia arrivata' a lui. Ciononostante tut­ ti gli uomini portano !"immagine' di Adamo (l Cor 15,49). ll destino di Adamo è il destino di ognuno. Il secondo argomento parla di un uso retorico dell'io. Paolo, quando dice 'io', non include in effetti necessariamente se stesso in tale io. Diversamente però avviene in Rm 7. Qui egli respinge l'accusa di insegnare in maniera libertina che si po­ trebbe fare il male, perché tanto alla fine avrebbe la meglio il bene. Secondo Rm 3,8 tale accusa gli è stata rivolta personalmente. Egli la riprende di nuovo in Rm 6, 1 . 15 e 7,7 per confutarla. Owiamente egli si identifica in maniera personale con tutto quello a cui ricorre per questa confutazione'". L'io di Rm 7,7ss. include per· ciò chiaramente anche lui. Del resto lo stesso pensiero, che egli esprime in Rm 7,7 · 21 in forma di io, egli lo ha già prima formulato alla prima persona plurale: «Quando infatti eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, sti­ molate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte>> (Rm 7 ,5 ) . Se in Rm 7,5 egli si include nel noi, ben difficilmente può es­ sersi escluso dall'io di Rm 7 ,7ss. Il fatto che in generale si sia arrivati all'idea di escludere esperienze personali di Paolo da Rm 7 lo si deve in primo luogo, a mio avviso, alla contraddizione ri­ scontrata tra Fil 3 e Rm 7. Ora però abbiamo visto che dietro il consapevole zelo

"' G. THEISSEN, Gesetx und leh, in D. Si\NGER - M. KONRADT (edd.), Das Gesetz im {ruhen ]uden· tum und im Neuen Testament, 2006, 181·198.

Erperienu e vissuto

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per la legge, di Fil 3 , si intravede un conflitto inconscio con la legge. Viceversa in c'è un indizio, cioè i l motivo dell'inganno, il quale ci dice che il conflitto con la legge qui descritto era inconscio: «il peccato infatti, presa l'occasione, med.ian· te il comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte>> (Rm 7 , 1 1 ) . L'inganno presuppone che uno viva con una falsa coscienza, in concreto che Paolo non avesse coscienza della potenza mortifera della legge, mentre era con· temporaneamente dominato da tale potenza.

Rm 7

L'esperienza di essere determinato inconsciamente da una problemati­ ca mortifera divenne per Paolo la chiave per comprendere l'uomo precri­ stiano in generale. Egli vede in ugual modo giudei e pagani immersi in una brutta situazione, anche se essi non ne hanno coscienza o lo negano con decisione. Insieme alla giustizia salvante di Dio viene rivelata la sua ira (Rm 1 ,17s.) . Con la salvezza diventa possibile dare uno sguardo a un abis­ so superato: alla profondità della colpa inconscia. La trasformazione dell'essere umano attraverso nuovi modelli di esperienze e di comportamento

Un terapeuta acquista un'importanza terapeutica soprattutto per il fat­ to che non si comporta come le precedenti persone di riferimento. In que­ sto modo diventano possibili nuove esperienze, si abbandonano vecchi modelli di comportamento e di esperienza e li si sostituisce con dei nuovi. Ciò vale anche per Paolo: Dio reagisce in Cristo contro l'aggressione di Paolo nei confronti della legge in maniera diversa da come ce lo saremmo aspettato. Ci si sarebbe aspettata una reazione punitiva, la quale avviene anche, ma colpisce in rappresentanza Cristo, che da parte sua supera però questa aggressione mortifera con la sua risurrezione. Per Paolo, così come per molti altri cristiani, ciò fu una liberazione. Il Cristo ucciso e risorto era il grande 'modello didattico' sulla cui scorta essi potevano avere la certez­ za che era possibile 'sopravvivere' anche alla giustificata 'aggressione' di Dio contro ogni peccato, e ciò grazie alla stessa volontà di Dio, il quale aveva tirato fuori il Crocifisso dalla morte. Paolo poté identificare con il Crocifisso e Risorto diversi aspetti della sua persona: il Croci/isso, sul qua­ le si era scatenata la maledizione di Dio, rappresentava la sua ribellione contro il Dio della legge, !"Es'. Con il Crocifisso l'Es non fu solamente 'uc­ ciso', ma anche positivamente trasformato. Con lui Paolo entrò in una nuova vita consacrata a Dio. Il «corpo di peccato» (Rm 6,6) fu trasforma­ to in un corpo ((tempio dello Spirito di Dio» (l Cor 6,19). L'energia, che una volta stava al servizio del peccato, fu incanalata verso nuovi fini. Fu

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Ctlpitolo secondo

sublimata in un culto quotidiano di Dio, nel quale Paolo concepì il suo 'corpo' come un sacrificio vivente che egli pose al servizio di Dio. Il Ri­ sorto era il sovrano elevato al di sopra di tutte le potenze e potestà. Egli era il 'Signore', il cui comandamento possedeva una validità incondizio­ nata. Detto in termini psicanalitici: il Glorificato incarna il Super-io con tutta la sua severità. Ma dal momento che Cristo si era insediato in esso, esso aveva perso il suo potere repressivo. lvi infatti Cristo non agiva da ac­ cusatore, ma da 'intercessore', per cui non c'era più alcun accusatore (Rm 8,3 1ss.). Cristo unifica perciò, in qualità di Crocifisso e Risorto, rappre­ sentanze dell'Es e del Super-io e le congiunge nella sua persona. Secondo la teoria psicodinamica, nella terapia si verifica una regressio­ ne a stadi biografici precedenti la cronicizzazione del conflitto e nei quali l'energia necessaria per la sua soluzione era stata 'fissata'. Con la regres­ sione al di là della nascita del conflitto si riattivano nuove risorse. Anche qui abbiamo solo bisogno di far parlare il linguaggio simbolico di Paolo. In esso troviamo immagini di una 'fissazione' e di una regressione che si spinge al di là del tempo di tale fissazione. Guardando retrospettivamente alla vita dell'uomo irredento, egli scrive nella lettera ai Galati: «Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custo­ diti e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede» ( Ga/ 3 ,23 ): queste pa­ role contengono un momento della fissazione. La legge si presenta come potenza che trattiene anche in Rm 7,6: «Ora invece, morti a ciò che ci te­ neva prigionieri, siamo stati liberati dalla legge». Questo stato non era però quello originario. La legge è venuta dopo (Rm 5,20; Ga/ 3 , 1 9). Essa era stata preceduta dalla promessa fatta ad Abramo (Rm 4,10ss.; Gal 3 , 15ss.). La fiducia incondizionata di Abramo in colui che può creare dal nulla è più originaria del comandamento della legge (Rm 4,17). La re­ gressione della fede conduce perciò indietro, in un tempo precedente il conflitto della legge, e attiva una fiducia incondizionata. Paolo lascia trasparire, attraverso questo tempo storico antecedente, il ritorno all'infanzia. Il termine padre è collegato in due passi con 'Abbà' quale appellativo di Dio. Il primo passo è Gal 4,6s.: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: 'Abbà, Padre ! ' . Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio». Qui si pensa all'erede maggio­ renne. Mancano associazioni infantili. In Rm 8,14-16 troviamo lo stesso ragionamento, ma con una istruttiva variante linguistica: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli (hyi6i) di Dio. E voi non avete ricevuto lo spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete rice­ vuto lo spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:

ErperienZIJ e vissuto

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'Abbà, Padre !'. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che sia­ mo figli (tékna) di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo». Il termine infantile 'abbà' è un termine aramaico con cui il bambino chiama il padre, paragonabile al nostro 'papà'. Esso è nel­ lo stesso tempo testimoniato sulle labbra di adulti come appellativo pieno di fiducia rivolto ad autorità. Paolo collega con esso associazioni con l'in­ fanzia. In Rm 8 passa infatti dal termine figlio (hyi6.r) al termine bambino (téknon). Questo passaggio dovrebbe essere stato provocato dall'appella­ tivo Abbà dato a Dio. Con bambino (téknon) egli intende, in altri passi, il bambino piccolo, quando ad esempio in I Tr 2,7 vuole prendersi cura co­ me una nutrice dei propri figli (tékna). Egli si rifà anche altrove a situa­ zioni della prima infanzia e si qualifica nei confronti delle proprie comu­ nità come un padre che ha generato un bambino (l Cor 4,14) e come Wla madre che soffre le doglie del parto per i suoi bambini (Gal 4,19). Il cre­ dente è per lui una nuova creatura, che può cominciare ancora una volta dall'inizio (Gal 6, 15; 2 Cor 5 , 17). Possiamo perciò dire: la fede cristiana delle origini presenta in Paolo dei tratti regressivi. Ma la regressione non è incondizionatamente qualco­ sa di patologico. Il ritorno alla prima infanzia può servire al rinnovamen­ to. Precisamente a questo Paolo annette importanza: se i cristiani possono dire a Dio 'Abbà', allora essi non sono più sotto la verga del paidagog6r e sono liberi dalla schiavitù della legge (Gal 4, 1ss.). La regressione sta qui al servizio della liberazione. E ciò è tanto più degno di nota, in quanto Pao­ lo conosce una regressione riprovevole. Ai glossolali di Corinto egli grida: «Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, sia­ te bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi! » (l Cor 14,20). Egli, quando traspone a Dio aspetti positivi del padre, si riallaccia alla fiducia originaria del bambino piccolo. I credenti si comportano con Dio come dei bambini piccoli che dicono balbettando abbà e che si sen­ tono al sicuro vicino al loro padre. I: appellativo abbà non ricorre però in Paolo come un linguaggio infantile, bensì sotto forma di privilegio di un maggiorenne. Il termine figlio è opposto sia in Rm 8,15 sia anche in Gal 4,6 al termine schiavo. Il figlio è privilegiato come erede. I temi e le im­ magini che interferiscono in Gal 4, Iss., e cioè pervenimento del figlio alla maggiore età, adozione dell'estraneo, riscatto dello schiavo, possono per­ ciò essere facilmente ridotti a un denominatore comune, che è quello del­ la liberazione e del raggiungimento dell'autonomia, anche se tra loro pos­ sono anche non concordare in tutto e per tutto. I:appellativo abbà segna­ la quindi Wl progresso, una crescita in fatto di autonomia e di responsa­ bilità. La persona rinnovata è dotata di 'Pneuma', di una forza divina che

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Capitolo secondo

la trasforma. Perciò il nesso tra figliolanza e conferimento dello Spirito va­ ria. Secondo Gal 4,6 Dio invia il suo Spirito a coloro che sono già figli, mentre secondo Rm 8,14s. rende gli esseri umani figli mediante lo Spirito. Riassumiamo: la fede cristiana delle origini è in Paolo una rielaborazio­ ne e un superamento di un conflitto. Cristo è modello di un superamento costruttivo del conflitto con il Dio esigente. Egli infonde la certezza che si può superare il conflitto con la potenza normativa di Dio e della legge e rende nello stesso tempo possibile un ritorno a stadi della vita anteceden­ ti il conflitto, nei quali non si era ancora minacciati da tale conflitto. ll mondo infantile della fiducia appare qui come una risorsa di libertà dalla paura. L'attivazione di questa risorsa permette di sopportare l'ambivalen­ za della legge e del Dio esigente. Il ritorno alla fiducia originaria infantile serve così alla crescita in fatto di autonomia e responsabilità. La relazione con Cristo rinnova la vita. La relazione soteriologica con Cristo può esse­ re limitatamente rischiarata, sotto questo aspetto, mediante l'analogia del­ la relazione con il terapista. Paolo riesce a vivere con l'ambivalenza della legge: egli è liberato per mezzo di Cristo simultaneamente dalla legge e per la legge. Egli è liberato dalla legge in quanto essa contiene richieste etiche che non possono essere soddisfatte e che accusano soltanto, nonché in quanto contiene doveri rituali adempibili come la circoncisione e le pre­ scrizioni alimentari, che separano da altri esseri umani. Ed è liberato per la legge, in quanto essa promuove un comportamento prosociale e trova il suo compimento nell'amore del prossimo (Ga/ 5,14; Rm 13 ,8-10). Da nessun'altra parte nel cristianesimo delle origini possiamo gettare uno sguardo in profondità in una vita individuale come nel caso di Paolo. La sua conversione e vocazione divennero giustamente il modello di tutte le conversioni. Benché egli fosse un giudeo-cristiano, i pagano-cristiani poterono riconoscersi in questa conversione. Neppure essi infatti torna­ vano ai loro valori originari, ma li abiuravano. Pure ad essi era richiesta non solo una decisione normativa, bensì una decisione esistenziale. Ma la concordanza tra la loro conversione e la conversione di Paolo fu anche il risultato della stilizzazione dello stesso Paolo: come apostolo dei pagani egli rielaborò la sua conversione, nei racconti che ne fa, in modo che i suoi destinatari potevano riconoscersi in essa. Egli elevò esperienze personali ad un livello generale. Con lui è stato raggiunto un punto culminante nella storia della nascita del modello comportamentale ed esperienziale della conversione normati­ va e della conversione esistenziale: tale storia era cominciata con l'esorta­ zione collettiva dei profeti a rivolgersi a Jahvé. Essa divenne poi un'esor­ tazione a ritornare a Jahvé, si individualizzò nel periodo ellenistico nella

Esperienl.IJ e vissuto

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sapienza e nei salmi penitenziali individuali, si universalizzò mediante le decisione tra diversi progetti di vita in seno ai giudei, ai cristiani e ad al­ cuni filosofi. La conversione normativa e quella esistenziale hanno un'im­ portante funzione dal punto di vista della storia dell'evoluzione: una vita preculturale può cambiare in maniera duratura e aumentare la sua fitness soltanto attraverso la variazione e la selezione. Le persone possono lasciar morire i loro progetti di vita e le loro ipotesi, anziché morire loro. Il fatto che Paolo chiami (riallacciandosi a modelli linguistici precedenti) il batte­ simo e la conversione una morte simbolica ha perciò un senso più profon­ do. Cercare la morte simbolica (mediante l'eliminazione di atteggiamenti, modi comportamentali e assiomi) per evitare la morte reale è una cosa che fa parte del programma dell'evoluzione culturale. Questa trasformazione dell'essere umano awiene nel cristianesimo delle origini soprattutto per mezzo della fede, per mezzo di un legame con Dio e con Gesù. Nella re­ lazione con Gesù la distinzione fra una conversione religiosa normativa moderata e una conversione religiosa esistenziale radicale è relativizzata. Il Gesù operante sulla terra promette, mediante il perdono dei peccati, un rinnovamento della relazione con Dio, mentre il Cristo crocifisso e risor­ to promette una trasformazione radicale in un essere diverso. La fede ha per oggetto ambedue le cose. Tale fede è nel cristianesimo delle origini il centro dell'esperienza religiosa.

f. Legame religioso: fede nella parola e fede nel miracolo

L'esperienza religiosa crea dei legami. Quello che da sempre sapevamo in maniera intuitiva, lo sappiamo oggi anche attraverso ricerche scientifi­ che: il legame con la madre e con il padre o con altre persone vicine è im­ portante per tutti gli ulteriori legami. Ciò vale anche per i legami religio­ si: il fatto che nella metaforica religiosa Dio sia chiamato in molte religio­ ni 'padre' e 'madre' non può essere un caso. Il salmista prega Dio così: «lo invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua ma­ dre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia. Israele attenda il Si­ gnore, da ora e per sempre» (Sa/ 13 1 ,2s.). Pure i mediatori umani della fe­ de assumono metaforicamente il ruolo delle prime persone di riferimento: Paolo si dice madre (Ga/ 4, 19) e padre delle sue comunità ( l Cor 4,14). Vuole essere per esse come una nutrice che si prende cura dei suoi bam­ bini (l Ts 2 ,7). A ciò si aggiunge il fatto che nel cristianesimo delle origini

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Capitolo secondo

balza al centro della religione un termine che indica una relazione piena di fiducia: 'fede'. La fede diventa l'atto centrale. Essa salva. Questa fede salvante è, da un lato, la fede che riceve passivamente tutto da colui «che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che non esistono» (Rm 4,17), ed è, dall'altro lato, la fede che può compiere attivamente tutto: «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23 ). Essa si presenta quindi, in una forma religiosa moderata, come fede nella parola (Rm 10,17) e, in una forma re­ ligiosa estrema, come fede in una forza taumaturgica che sposta le monta­ gne (l Cor 1 3 ,2; Mt 17,20). Un punto d'importanza decisiva è nel cristia­ nesimo delle origini il fatto che la fede determina tutta l'esistenza religio­ sa e che non è solamente una professione esteriore di fede. Non basta pro­ fessare la fede con le labbra, ma bisogna credere con il cuore (Rm 10,9s.). Solo questa fede salva e trasforma. ll Nuovo Testamento ha posto al cen­ tro la forza trasformante della fede umana. Possiamo anche dire: esso ha scoperto la forza della religiosità intrinseca rispetto a una religiosità solo estrinseca'", e ciò sia nel caso della fede nella parola che nel caso della fe­ de nel miracolo. La fede nella parola può essere una professione esteriore di fede senza partecipazione del cuore, la fede nel miracolo un interesse per segni e miracoli esterni accreditanti, invece di una fiducia in Gesù con tutta la persona. In ambedue le forme la fede è un tema importante per una psicologia della religione cristiana delle origini. Un comportamento caratterizzato da legami ha delle basi antropologi­ che che risalgono molto indietro nel passato. Lo troviamo già nel mondo animale. Qui insorgono dei legami mediante 'imprinting', cioè mediante la tendenza dell'animale neonato a legarsi al primo oggetto mobile (Konrad Lorenz). Alcuni animali, come ad esempio i cani, sviluppano anche in se­ guito legami intensi con partner umani, legami che sono paragonabili a si­ mili imprinting. Gli animali da branco traspongono all'essere umano l'at­ taccamento a un animale guida. Lo zoologo Alister Hardy, che nella vec­ chiaia si dedicò alla ricerca empirica nel campo della religione, sostenne la tesi che la fede religiosa in Dio sarebbe paragonabile al legarne che un ca-

'" G.W. Al.LPORT, The religious context o/prejudice, in J]SR 5 ( 1966 ) 447457, introdusse neUe sue ricerche a proposito de) nesso tra pregiudizio sociale e religiosità la distinzione fra religiosità intrinse­ ca e religiosità estrinseca (convenzionale) , con il risu1tato che soltanto la religiosità intrinseca, accom­ pagnata da un impegno personale e da un'esperienza personale, ha una scarsa propensione per il pre­ giudizio. Cfr. anche D.M. WULFF. Psychology o/Religù;n, 228-235. SuUa discussione cfr. B. SPILKA ­ R.W. Hooo et al., Psychology o/Religion, 457-462. Pure in altre ricerche si nota la tendenza ad affer· mare che d'importanza decisiva non è la religiosità in sé e per sé, bensì il modo deUa sua realizza· zione.

ErperienZJJ e vinuto

249

ne ha con il suo padrone: ambedue sono caratterizzati da fedeltà, amore e attaccamento"'. Ma per la psicologia della fede possiamo riallacciarci soprattutto a os­ servazioni fatte a proposito dello sviluppo dell'essere umano da lattante a persona adulta. L'essere umano deve sviluppare una relazione adeguata con cose e persone del suo ambiente: un atteggiamento realistico nei con­ fronti di cose e relazioni stabili con persone. Le due cose sono certamen­ te inseparabili, tuttavia è cosa ragionevole distinguere lo sviluppo della re­ lazione io-tu dalla relazione lo-Es. Le relazioni con oggetti e le relazioni con persone hanno nella vita una struttura diversa, anche se nel bambino piccolo possono essere indissolubilmente w1ite. Alla luce di questo dupli­ ce compito la prima infanzia è descritta da psicanalisti in due modi o sot­ to due aspetti, con i quali è possibile mettere in relazione due diversi con­ cetti di fede. Il primo compito del bambino piccolo consiste, dal punto di vista di molti psicanalisti, nello stabilire relazioni con oggetti e nel pervenire da un'esperienza di unità tra io e ambiente a un realismo che riconosce l'au­ tonomia degli oggetti di fronte ai desideri del soggetto. Guardando retro­ spettivamente alla prima infanzia si 'costruisce' spesso qui un'esperienza 'mistica' dell'unità quale polo opposto alla relazione realistica con oggetti e la si descrive con espressioni come narcisismo primario (Heinz Kohut), sentimento oceanico (Sigmund Freud), fantasia magica di onnipotenza (Margaret Mahler), onnipotenza allucinatoria (Donald W. Winnicott) o egocentrismo del bambino (Jean Piaget). Alcuni cercano addirittura nella sicurezza prenatale nel seno della madre l'origine di questa esperienza di unità (Otto Rank). Da questi paradisi di una originaria esperienza di unità il bambino è condotto con delicatezza ad uscire mediante «oggetti di tran­ sizione» (Donald W. Winnicott): l'orsacchiotto stretto al petto è ancora parte del proprio io, ma nello stesso tempo rappresentante della madre e del mondo oggettivo, di cui si riconosce sempre più la resistenza. Gli og­ getti di transizione mostrano per la prima volta la capacità dell'essere umano di costruire un campo intermedio 'soffice' tra la realtà e l'io, come awiene nell'arte, nella religione e nella morale. Questo spazio intermedio è pieno di finzioni, di illusioni e di prodotti della fantasia ed è tuttavia in­ dispensabile per una buona riuscita della vita. Per D.W. Winnicott esso al­ lude addirittura a una realtà oggettiva. Secondo questa tradizione psico-

'" A. HARDY, Der Mensch - das betende Trer, 1975, 134·156. Tale affermazione ricorre in A. Hardy in seno a una visuale complessivamente positiva della religione.

250

Capitolo secondo

logica, nella fede religiosa continua sempre ad esistere qualcosa dell'onni­ potenza della fantasia: «Tutto è possibile per chi crede». Questo vale per­ lomeno per lo spazio intermedio. Se si cerca di conciliare ciò con una con­ cezione realistica della realtà, nella religione si sviluppano delle tendenze mistiche: un ritorno all'unità con il mondo tipico della prima infanzia, in un 'sentimento oceanico' fatto di profonda unione con tutta la realtà. La relazione mistica della fede con una tendenza a un'esperienza apersonale di Dio sarebbe secondo questa concezione la rianirnazione di un'unità ori­ ginaria. Un secondo compito dello sviluppo umano consiste nello stabilire del­ le relazioni con persone. La relazione tra la madre e il bambino è il primo legame dell'essere umano, tuttavia anche qualsiasi persona che si prenda cura del piccolo può prendere il posto della madre e stabilire un legame emotivo stretto e stabile (come attachment) con lui. Per le ulteriori rela­ zioni nel corso della vita è importante che tali legami siano sicuri e non sia­ no minacciati dall'insicurezza. La fiducia fondamentale o originaria in es­ si radicata deve dar prova di sé in una successione di conflitti, a proposi­ to dei quali Erik Erikson ha elaborato la sua teoria divenuta nel frattem­ po classica: la fiducia originaria del neonato entra in conflitto con una dif­ fidenza originaria e bisogna cercare di stabilire un equilibrio fra di loro. Quando il bambino comincia a muoversi autonomamente (a partire da circa un anno e mezzo di età), sente crescere in sé, ad un secondo grado, un sentimento di autonomia, che deve imporsi in continuazione contro il dubbio circa il proprio valore. A partire da circa tre-sei anni egli prende iniziative autonome e deve per questo confrontarsi di continuo con sensi di colpa, perché le sue iniziative collidono con regole e limiti. Il cosiddet­ to conflitto di Edipo (la collisione dei desideri sessuali del bambino, che hanno come oggetto il genitore di sesso opposto, con la relazione coniu­ gale dei genitori fra di loro) sarebbe solo un caso estremo di tale conflit­ to. Su un quarto gradino dello sviluppo, da circa sei anni fino alla pubertà (quindi nei primi anni della scuola, allorché è messo a confronto con esi­ genze e prestazioni oggettive), una crescente coscienza della propria com­ petenza fa a pugni in lui con un sentimento di inferiorità. Successivamen­ te, durante la giovinezza, i giovani lottano per il loro ruolo ininterscam­ biabile in questo mondo e oscillano tra una fiducia nell'identità della pro­ pria persona e i molti ruoli, che sono loro proposti. Lo sviluppo si pre­ senta schematicamente così:

Esperienza e vissuto

25 1

0 - 1,5 anni

Fiducia vs. diffidenza

1,5 - 3 anni

Autonomia vi. dubbi nei propri riguardi

3 - 6 anni

Iniziativa Vi. contro sensi di colpa

da 6 anni fino alla pubertà

Competenza vi. contro sentimenti di inferiorità

Gioventù

Identità vi. diffusione dei ruoli

Prima età adulta

Intimità v.t. isolamento

Età adulta intermedia

Generatività vs. stagnazione

Età adulta avanzata

Integrità dell'io Vi. disperazione

Tab. 14: Le fasi dello sviluppo psicologico secondo Erik Erikson

La dottrina delle fasi dello sviluppo psicosociale proposta da Erik Erik­ son'" e qui sopra brevemente delineata impressionò fortemente, per mo­ tivi comprensibili, i teologi: la fede appare qui come una fiducia fonda­ mentale, che deve in fasi diverse rinnovarsi e imporsi di continuo contro una diffidenza originaria. Le singole fasi e la definizione del loro compito sono certamente formulate in dipendenza dalla cultura. Ma il lavorio per arrivare a un equilibrio tra fede e diffidenza dovrebbe essere universale. Ciò concorda con quanto è stato sopra postulato nell'analisi della perce­ zione fisiognomica: di fronte a intenzioni ostili dell'ambiente noi perse­ guiamo una strategia fatta di diffidenza: en im Neuen Teslomerrl,

!990,

150-183. li> Secondo l'interpretazione politeistica la sapienza era la moglie del dio supremo, come ad esem­ pio Ashera, che era considerata la compagna di Jahvé, seduta accanto a lui sul medesimo trono, ma che in qualità di sapienza fu uasformata in un'ipostasi dell'unico Dio. Secondo l'interpretazione mo­ noteistica la figura della sapienza sorse solo dopo il passaggio al monoteismo e rispecchia la posizio­ ne panicolare della donna (come in Pr J I ,I0- 3 1 ). Le due interpretazioni non si escludono a vicenda.

Cfr. B. LANG, Weisheit (Persom/tkation), in NBL 3 (200 l) l 089- 1 090.

" P. v. GEMONDEN, 'Drow neor lo me, you unlearned' (Siroch 51,23), in A]BI, 29 (2005) 65-106.

Mito e sapienza

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della vita. Anche altri popoli potevano conoscere questa sapienza. Giob­ be, il rappresentante di una sapienza tragica, non era Wl israelita. La sa­ pienza di Salomone fu riconosciuta dalla regina di Saba. La valutazione del culto del tempio come di una grande opera estetica (Sir 50) e l'idea che i profeti siano amici ispirati della sapienza (Sap 7,27) mostrano come si su­ bordinassero le tradizioni ctÙtuali e le tradizioni profetiche alla propria sa­ pienza. Ciò è il segno di una accresciuta autocoscienza di ambienti istrui­ ti". Ben presto, però, subentra dell'inquietudine in tale sapienza. La sa­ pienza in origine universalmente accessibile è sperimentata come nasco­ sta; non tutti la possono trovare (Gb 28; Bar 3 ,9-4,4). Essa diventa acces­ sibile solo grazie a un'autorivelazione di Dio. La sapienza esperienziale di­ venta così sapienza rivelata, che si manifesta solo a gruppi particolari, in primo luogo a tutto Israele nella Torah, poi ad alcWli eletti mediante rive­ lazioni apocalittiche e infine solo a un'unica persona: Gesù. Già in Gesù Sirach 24 (all'inizio del II secolo a.C.) leggiamo che la sa­ pienza preesistente si mise in cammino per trovare sulla terra una patria in uno dei molti popoli. Ma Dio le comandò di insediarsi in Israele. Là es­ sa ha il suo posto fisso nel tempio ed è reperibile nella Torah. Nel libro della Sapienza di Salomone la sapienza accompagna Israele lungo la sua storia (Sap 10-19). La sapienza originariamente universale, che appartie­ ne a tutti i popoli, è qui 'nazionalizzata'. Questa limitazione proseguì. Alcuni ebrei dubitarono del fatto che la sapienza avesse trovato la sua dimora in Israele. Nei discorsi metaforici dell'Enoc etiopico essa si ritira di nuovo in cielo: «La sapienza venne a sta­ re tra i figli degli uomini e non trovò posto. Ritornò alla propria sede e si mise tra gli angeli» (etHen 42, 1 -2). In cielo essa è raggiungibile solo da co­ loro che hanno avuto accesso ad essa attraverso visioni apocalittiche e viaggi celesti, quindi solo da pochi eletti in Israele. Infine si arriva a un'ultima limitazione: neppure nella tradizione sinot­ tica essa ha trovato dove definitivamente fermarsi, e sicuramente non in Gerusalemme. Infatti come Wla chioccia raduna attorno a sé i pulcini, co­ sì essa ha continuamente cercato di conquistare quella città, ma i suoi mes­ saggeri furono uccisi (Le 1 3 ,34s.). Giustamente queste parole di Gesù so­ no interpretate come riferite all'opera di propaganda della sapienza. Ge­ sù è messaggero di questa sapienza senza patria. In lui la sapienza è pre-

" G. THEISSEN, Weisheit ols Mittel sozioler Abgrenzung und Offnung, in A. AsSMANN (ed.), Weis­ heit, Archiiologie der literorischen Kommunikotion III, 1991, 193-204.

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sente in un'unica persona. Egli è il suo megafono, allorché chiama a sé af­ faticati e oppressi e promette loro pace e refrigerio per mezzo del suo in­ segnamento (Mt 1 1 ,28-30)". Il Gesù storico si era concepito come mes­ saggero della sapienza, dopo la Pasqua fu identificato con la sapienza e as­ sunse il suo ruolo nella creazione e nella rivelazione. Egli divenne la ra­ gione di Dio (il suo L6gos), con cui Dio aveva creato il mondo. Un'imma­ gine divenne un mito: il L6gos si fece carne. Questa incarnazione in un unico uomo è molto di più delle reiterate incorporazioni della sapienza in molti sapienti. Nel Nuovo Testamento si verificò una rimitizzazione della sapienza. In tutto questo processo si manifesta di continuo la seguente tendenza: la sapienza deve imporsi dappertutto contro delle resistenze; cosmica­ mente essa urta contro la resistenza delle tenebre (Cv l , l ss.), storicamen­ te fu respinta e crocifissa in Cristo ( l Cor 2,8), eticamente è in conflitto con una sapienza terrena aggressiva (Cc 3 , 13- 18). La fiducia in un ordine esistente sullo sfondo del mondo è sì presente, ma il profondo turbamen­ to di tale ordine si manifesta nel fatto che Dio sceglie la via della stoltezza per imporsi nel mondo: «Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» ( l Cor 1 ,25). Per noi è importante una cosa: l'ampio concetto di 'sapienza' divenne già nella Bibbia il compendio dell'interpretazione e del pensiero religioso. Esso abbraccia sia interpretazioni di tipo quotidiano del mondo, che sono evidenti, sia il paradossale kerygma della croce e risurrezione di Cristo, che è uno scandalo per il mondo, ma rappresenta la superiore sapienza di Dio. Il discorso della sapienza di Dio può perciò indicare sia una coope­ razione della sapienza di Dio con la sapienza dell'essere umano sia anche una superiore sapienza divina che si impone senza la cooperazione uma­ na. Ci troviamo qui di fronte a un'ampiezza di significati, che abbraccia varianti moderate e varianti estreme della conoscenza e del pensiero reli­ gioso. Nella Bibbia chi riflette concettualmente nella maniera più chiara su questa distinzione è Paolo, quando contrappone fra di loro sapienza e kerygma.

" G. THEISSEN, Wer rind die Miihre/tgen und Be/odenen in Mt 1 1,28-30>, in F. CROSEMANN et al. (edd.), Dem Tod nicht glauben, 2004, 49-66.

Milo e sapien;,a

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b. Attribuzione causale del male e aporie del problema della teodicea: l'equilibrio nel triangolo soteriologico 'Dio, uomo e mondo'

Gli uomini sono esseri viventi che spiegano in maniera causale. Quan· do ci troviamo in una situazione poco chiara il nostro primo impulso è quello di domandare: chi o che cosa l'ha provocata? Soltanto questo ren­ de possibile una reazione realistica ad essa. La ricerca spontanea di fatto­ ri causali diede all'homo sapiens un vantaggio in fatto di sopravvivenza. Abbiamo attenuato sofferenze interrogandoci sulle loro cause. Ma anche nd caso di un dolore inevitabile possiamo conservare più facilmente la no­ stra autostima, se lo interpretiamo come qualcosa dotato di senso. La ri­ cerca di un'attribuzione causale è perciò caratterizzata da tre istanze: vo­ gliamo vivere in un mondo dotato di senso, vogliamo conservare il con­ trollo della nostra vita e vogliamo salvaguardare la nostra autostima20• Precisamente quando si tratta della sofferenza, questo programma tan­ to 'coronato da successi' dal punto di vista della psicologia dell'evoluzio­ ne, urta contro dei limiti: gli esseri umani ricercano le cause del male co­ me malum metaphysicum, morale e physicum, cioè le cause dei mali che in qualità di malum metaphysicum sono necessariamente collegati alla fini­ tezza, dei mali di cui, come malum morale, noi dobbiamo rispondere, e dei mali che, in qualità di male physicum, si verificano senza la nostra colla­ borazione21. Con l'avvento del monoteismo il problema del male divenne insolubile. Se esiste un unico Dio, che è responsabile di tutto, allora egli è responsabile sia del bene che del male, sia della salvezza che della perdi­ zione. La sua onnipotenza contraddice la sua bontà, la sua bontà la sua on­ nipotenza. Questo è il problema della teodicea21• Esso è un problema di dissonanza cognitiva e si pone infatti quando non riusciamo più a conci­ liare le nostre esperienze negative con le nostre convinzioni a proposito di Dio. Dio è sperimentato come crudele, anche se nella fede continuiamo a " Su questi tre motivi cfr. B. SPILKA et al., Attribution Theory, 3-5; B. SPILKA - RW Hooo, Ps-y­ chology o/Religion, 15- 19. " Cfr. W. SPARN, Leiden - Er/ahrung und Denken, 1980, 19-41, su G.W. Leibniz, a cui risale la sud­

divisione del male in tre forme. " A. LAATO - ].C. DE MOOR (edd.),

Theodicy in the World o/the Bible, 2003 . Nella loro introdu­ ( l ) Esiste un so· lo Dio. (2) Egli ha il potere di intervenire. (3) Egli è pieno di bontà. (4) La sofferenza è reale. In al­ cune religioni non bibliche mancano il primo e il quarto presupposto: se ad esempio una legge neu­ zione, pp. i·liv. essi mostrano che il problema della teodicea ha quattro presupposti:

crale governa anche gli dèi, viene a mancare l'esistenza di Dio. Se la sofferenza è un'apparenza ingan­ nevole, non c'è bisogno di giustificarla.

Capitolo tmo

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professare la sua giustizia. Le varie soluzioni proposte nel campo della teo­ dicea sono tentativi di ridurre questa dissonanza cognitiva. Esse lavorano il più delle volte con svariate attribuzioni causali del male e si domanda­ no: «Chi o che cosa ne è responsabile?». Le religioni monoteistiche hanno al riguardo tre possibilità: esse attri­ buiscono il male a Dio, all'essere umano o al mondo. L'attribuzione al­ l'essere umano e al mondo è un'indiretta attribuzione a Dio, perché egli ha creato l'uno e l'altro, come bisogna sempre aggiungere, e li ha creati in modo che ambedue possono sviluppare una 'propria dinamica'. Possiamo dunque ritenere che Dio ha un lato oscuro e immorale, che l'essere uma­ no non riesce a comprendere. Dio diventa allora il deus absconditus. Nel­ la sua incomprensibilità si nasconde l'incomprensibilità del dolore. Se si fa risalire il male all'essere umano, allora egli diventa l'homo absconditus, che con il suo comportamento sbagliato precipita il mondo nell'infelicità. Il male viene fatto risalire all'incomprensibilità della malvagità umana. In­ fine possiamo attribuire la responsabilità del male a un terzo fattore, al­ l'ostilità del mondo, che è personificato come «Dio di questo mondo» (2 Cor 4,4). La responsabilità del male è scaricata allora su satana. In questo caso l'incomprensibilità della sofferenza viene nascosta nell'oscurità del mondo. Si possono quindi distinguere tre fattori di perdizione, un fattore divino, un fattore umano e un fattore demoniaco. Essi costituiscono un «triangolo soteriologicm>. Cambiamenti in direzione della redenzione (della soteria) sono possibili, se in una di queste tre istanze cambia qual­ cosa, se quindi il male non viene imputato a fattori stabili, ma a fattori va­ riabili. Ognuna di queste tre istanze è passibile di cambiamento: il Dio presente infligge la sofferenza, il Dio che viene la supera. n vecchio uomo introduce il peccato nel mondo, all'uomo nuovo sono perdonati i peccati. n satana presente governa il mondo, in futuro egli perderà il suo potere. Dio

Deus absconditus -- Deus revelatus

� Satana

Uomo

Uomo vecchio - Uomo nuovo

Sovrano di questo mondo - Caduta di satana

Tra queste tre istanze esiste un'interdipendenza oggettiva, che permet­ te di ipotizzare un equilibrio fra di loro: se un fattore di perdizione è in­ colpato più fortemente di altri, questi altri sono dichiarati innocenti. Se il

Mito e sapienu

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deus absconditus diventa la causa del male, l'essere umano e il mondo so­ no discolpati. Se sul banco degli imputati è portato soprattutto l'essere umano, Dio e il mondo se la cavano meglio. Se il male è attribuito all'o­ stilità del mondo, esso non va attribuito a Dio e all'essere umano. Questa visuale è ancora troppo semplicistica, perché ognuno dei fatto­ ri può essere valutato come mutabile in gradi diversi. Quanto più cam­ biamento è possibile, tanro più la perdizione può trasformarsi in salvezza. Questo significa in ordine a promesse di salvezza: esse possono riguarda­ re ognuno dei tre fattori, una trasformazione di Dio dal Dio irato al Dio amorevole, una trasformazione dell'essere umano da peccatore a giusto o un superamento di satana e dei suoi demoni. Perciò accanto alla nostra re­ gola dell'equilibrio possiamo postulare ancora un'altra regola: quanto maggior cambiamento si attribuisce a uno dei tre fattori, tanto più forte­ mente egli può essere incolpato, perché è in grado di provocare, median­ te un cambiamento, un superamento della perdizione. Dio può essere rap­ presentato in maniera tanto più oscura quanto più forte è la fede che egli si trasforma nel Dio buono. La stessa cosa vale per l'essere umano: la sua immagine può essere tanto più pessimistica quanto più a fondo egli può cambiarsi. In linea di principio ciò vale anche per satana. Ma solo pochi teologi hanno osato pensare con Origene che anche satana e gli angeli ca­ duti possono essere redenti. La minimizzazione di un fattore di perdizio­ ne si ripercuote sempre nel senso che gli altri hanno meno fortemente bi­ sogno di cambiare. Questa ipotesi di un equilibrio" nel triangolo soteriologico va ora veri­ ficata applicandola a diversi schemi teologici, un'operazione da cui risul­ tano diversi tipi di teodicea. I primi due tipi imputano il male all'essere umano. Essi confidano nel fatto che il problema può essere risolto. Un ter­ zo tipo attribuisce al mondo presente perlomeno la causa del fatto che la teodicea in esso fallisce e spera perciò nel superamento di questo mondo. Seguono quindi teodicee rinunciatarie, che si sono rassegnate all'insolubi­ lità del problema e che parlano di un Dio incomprensibile. Infine vengo­ no teodicee comunitarie, che parlano della vicinanza di Dio nella soffe­ renza e che si distinguono perciò radicalmente da tutti i tipi che si preoc­ cupano di sapere a chi vada causalmente attribuita la sofferenza". " Questa teoria dell'equilibrio si ispira a F HEIDER, Psychologie der interperronalen Beziehungm, 1977 (= ingl. 1958): due persone, che si mettono in rapporto con una terza persona o cosa, tendono ad assumere fra di loro lo stesso atteggiamento o a cambiarlo. Anche nel triangolo soteriologico 'Dio - essere umano - satana' abbiamo un rapporto a tre, ma che non può mai trovare un equilibrio: Dio e satana sono per forza di cose sempre nemici fra di loro. " Questa tipologia risale sostanzialmente a A. LAATO -].C. DE MooR, Theodicy, xxix-liv. La 'teo-

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Capitolo teno

Teodicee causai-attributive: La responsabilità dell'essere umano ( l ) La teodicea etica: Dio punisce il male e premia il bene_ L'essere uma­ no ha la libertà di fare l'uno e l'altro ed è responsabile del proprio dolore. Un'altra espressione per indicare questo tipo di teodicea è «teodicea del­ la libera volontà» o «teodicea della retribuzione». Questa teodicea ottimi­ stica è sostenuta, nel libro di Giobbe, dagli amici di Giobbe, ma è respin­ ta da Dio stesso. (2) La teodicea pedagogica: la sofferenza purifica l'essere umano. Egli deve trasformarsi in un uomo nuovo. Soltanto allora è quel che dovrebbe essere. Alcuni parlano anche di una «teodicea terapeutica». Anche se Dio è causa della sofferenza, la responsabilità di svilupparsi ulteriormente at­ traverso tale sofferenza è dell'essere umano.

La responsabilità del mondo (3 ) La teodicea escatologica: nel mondo futuro la giustizia di Dio diven­ terà manifesta. Allora il desiderio di senso e di compensazione di tutta la sofferenza, nutrito dall'essere umano, sarà appagato. Il mondo è in questa concezione responsabile perlomeno del fatto che in esso qualsiasi teodicea è necessariamente condannata al fallimento. (4) La teodicea gnostica: il male ha avuto origine da emanazioni, che uscendo da Dio (egressus) si allontanano dalla loro origine e, tornando al­ la loro origine (regressus) , sfociano di nuovo in lui. Se l'essere umano si unisce di nuovo alla sua fonte, il mondo, che è il compendio del male, im­ plode". La responsabilità di Dio (5) La teodicea del mistero: l'azione di Dio è un mistero per l'essere umano e non può essere compresa. L'essere umano deve (cognitivamente) rassegnarsi. Però può confidare nel fatto che Dio crea un senso anche do­ ve noi non riusciamo a comprenderlo. (6) La teodicea del fatalismo: il destino umano è determinato, per cui l'essere umano può soltanto chinare il capo davanti ad esso. Egli deve (vo­ litivamente) rassegnarsi. Però può confidare nel fatto che la cosa migliore è quella di non ribellarsi contro il proprio destino, anche se esso è incom­ prensibilmente duro.

dicea comunitaria' fu ulteriormmte differenziata t�ttondo D. HUTSEBA!IT, Theodicy mode/s, religious coping strategier. sei/ image and posi criticai belie/. in A RPs 24 (2003) 75-84. " In A. LAATO - ].C. DE MooR, Theodicy, manca questo tipo di teodicea.

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Teodicee comunitarie: Tutte le teodicee causai-attributive pensano a un Dio lontano. Dio sta al di là della sofferenza. Però ci sono delle teodicee che controllano la sof­ ferenza proprio mediante l'idea della vicinanza di Dio. Presupposto di ciò è che la questione della responsabilità della sofferenza passi in secondo piano. Più importante è l'altra questione: chi entra, attraverso la sofferen­ za, in una più profonda comunione reciproca? Noi le chiamiamo perciò concezioni di una teodicea comunitaria: (7) La teodicea dell'empatia di Dio: la certezza del fatto che Dio soffre con l'essere umano aiuta a sopportare la sofferenza. Lo Spirito di Dio ge­ me nella sofferenza della creatura (Rm 8,22s.). (8) La teodicea della sequela: nella sofferenza l'essere umano segue Cri­ sto, il Figlio sofferente di Dio: «Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rin­ neghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34; in modo simile l Pt 2,21ss.). (9) La teodicea della rappresentanza: l'essere umano dà alla sua soffe­ renza il senso di una rappresentanza. Così il 'Paolo' della lettera ai Colos­ sesi scrive di gioire per il fatto di poter completare, con le proprie soffe­ renze per la comunità, quanto ancora manca alla passione di Cristo (Col 1 ,24). ( lO) La teodicea della mistica della sofferenza: la sofferenza conduce a un'unità mistica con il Dio sofferente. Troviamo questa teodicea nelle let­ tere di Ignazio di Antiochia, da lui scritte in attesa del martirio.

I. ATIRIBUZIONE CAUSALE DEL MALE IN SCRITil PROTOGIUDAICI

n problema della teodicea domina il libro di Giobbe (circa III secolo a.C.). Nel prologo satana compare in veste di tentatore. La sua scommes­ sa con Dio precipita Giobbe nell'infelicità. La sofferenza di Giobbe è il te­ ma del dialogo nella parte principale del libro. In essa satana non compa­ re più. Egli non svolge alcuna funzione nella soluzione oggettiva del pro­ blema, ma serve solo a formulare il problema nel prologo narrativo. Gli amici di Giobbe sono convinti di una cosa: se Giobbe soffre, ciò è una conseguenza della sua colpa; solo attraverso il ritorno a Dio egli può mi­ gliorare la propria condizione. Ma Giobbe insiste sulla propria innocenza; per lui solo Dio può essere responsabile della sua sofferenza. Nei suoi di­ scorsi, che somigliano formalmente a salmi di lamento, egli non chiede la fine della sua sofferenza, bensì protesta contro di essa. Né egli si sente sol-

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Capitolo ter7.o

tanto, come nei salmi di lamento, abbandonato da Dio, ma sperimenta Dio come un suo nemico. Dio stesso diventa per lui l'avversario, il 'sata· na''• (Gb 16,9. 14; cfr. 6,4; 7,12; 9,17s.; 1 9,6- 12 e passim). Gli oranti dei sal­ mi di lamento implorano Dio affinché rivolga loro il suo sguardo, mentre invece lui lo supplica così: «Distogli da me il tuo sguardo ! » (Gb 1 0,20; cfr. 7, 16; 1 3 ,2 1 ; 14 ,6. 13). La sua protesta diventa sempre più un'accusa. Mai viene fatto il tentativo di addossare la responsabilità dell'infelicità di Giobbe a satana o a un'altra terza entità posta tra Dio e l'essere umano. L'alternativa è solo e sempre una: o l'essere umano o Dio. Ad essa rispon­ de in maniera definitiva Dio. Lui stesso constata che gli amici non hanno detto di lui «cose rette» (Gb 42,7). Giobbe ha ragione". Però anche il di­ scorso di Giobbe a proposito di Dio era inadeguato. La soluzione comin­ cia col fatto che Giobbe entra in contatto con Dio: «lo ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere» ( Gb 42,5s.). Questa presa di contatto ha una conseguenza: entrambi i discorsi di Dio cominciano con questa esor­ tazione rivolta a Giobbe: «Cingiti i fianchi come un prode!» (Gb 38,3; 40,7). Giobbe è esortato a confrontarsi attivamente con il proprio dolore e supera così la paralisi provocatagli dalla depressione e dalla disperazio­ ne. Anche la descrizione della potenza dispiegata da Dio nella creazione ha lo scopo di incoraggiare a intraprendere questa attività. Giobbe è sal­ vato, perché è pronto a considerare ancora una volta le cose in maniera di­ versa e perché è pronto a diventare attivo in un dialogo con Dio che ri­ prende. Alla fine egli dice: «Ascoltami e io parlerò, io ti interrogherò e tu mi istruirai !>> (Gb 42,4). Tuttavia la sua sofferenza rimane un enigma. Dio rimane nella sua rivelazione un deus absconditus. Non perde il suo lato oscuro. Gli altri due fattori di perdizione, satana e il peccato, non svolgo­ no in ogni caso alcun ruolo. Una diversa attribuzione causale del male troviamo nel «libro dei vigi­ lanti» (etHen. 1 -36; II secolo a.C.) . Il male viene fatto risalire alla caduta degli angeli (secondo Gen 6): i demoni sono scaturiti dagli angeli disob­ bedienti. Gli angeli discesero sulla terra e presero moglie fra gli esseri " H. SPIECKERMANN, Die Satanisierung Gol/es, in). KorrsiEPER - ). VON OoRSHOT (edd.), Wer isl wie du, Herr, un/er den Gotlern?, 1994, 43 1 ·444. Cfr. inoltre K.-). lLLMANN, Theodicy in Job, in A. LAATO - ).C. DE MooR, Theodicy, 304-333. n Quando sì parla deUa soluzione del problema deUa sofferenza di Giobbe, non bisognerebbe di­ menricare una cosa: si tratta di una disputa fra intellettuali orientali antichi. Dio si mette dalla pane di Giobbe. Vedersi dare ragione da un'istanza suprema significa vedere enormemente rafforzata la propria posizione: il piacere della vera conoscenza supera ]a depressione deJia sofferenza. Questa non fu certo la chiave del superamento della sofferenza per Giobbe, però fu un motivo accanto ad altri.

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umani. Le mogli partorirono giganti «e perciò tutta la terra si riempì di sangue e di pravità» (etHen. 9,9). A proposito di Azazel, uno degli angeli caduti, viene espressamente detto: «E tutta la terra si è corrotta per aver appreso le opere di Azazel, ed attribuisci a lui tutto il peccato» (etHen. 10,8). Gli uomini, quando peccano, sono sedotti da «�piriti malvagi» (etHen. 15,8s.). Qui un ((fattore demoniaco di perdizione» diventa la chia­ ve della teodicea. Una spiegazione simile del male troviamo nell'apocalis­ se delle dieci settimane (etHen. 93,3-9; 91,1 1-17). Qui Enoc dice: «lo so­ no stato generato quale settimo nella prima settimana, mentre la giustizia e la legge tardavano (a venire). E vi sarà dopo di me, nella seconda setti­ mana, gran cattiveria, l'astuzia germinerà e, in essa, vi sarà il primo com­ pimento . . . » (etHen. 93 ,3s. ). Il tempo originario è fino ad Enoc (malgrado la caduta di Adamo nel peccato) un tempo della giustizia. Solo dopo Enoc la malvagità entrò nel mondo attraverso gli angeli caduti! Mentre nel libro di Giobbe causa del male è Dio e nel libro dei vigilan­ ti gli angeli caduti, in 4 Esdra causa del male è soprattutto l'essere wna­ no". In questo scritto, che fu composto verso la fine del I secolo d.C., tro­ viamo un'antropologia pessimistica, che quasi ricorda Paolo. Esdra si la­ menta della caduta di Gerusalemme. Egli non riesce ad addossare la re­ sponsabilità della catastrofe solo ai peccati del popolo d'Israele. Anche al­ tri popoli hanno infatti peccato. Perciò fa delle affermazioni quanto mai universali: non solo la storia d'Israele, bensì tutto il mondo è radicalmen­ te pieno di sofferenza. La sofferenza è entrata nel mondo con il peccato di Adamo (4 Esd. 7 , 1 1s.). Adamo portava in sé un cuore cattivo (4 Esd. 3 ,2 1 ) . Israele possedeva l a legge, che conduce alla vita, m a l a legge non poté far sentire i suoi effetti, perché così dice Esdra: (>. Egli ha prima evocato nel corso di tre capitoli l'ira di Dio per il peccato. Tale Dio si trasforma poi in un Dio dell'amore. Ciononostante viene a volte respinta con forza l'idea che qui si tratti di riconciliare un Dio adirato. Dio perdona mediante la croce, con un libero atto della sua grazia, i peccati prima commessi"'. Egli comunica ciò all'uomo con l'aiuto dell'idea storicamente condizionata del­ l'espiazione. La morte di Gesù è perciò espressione dell'amore di Dio, non della sua ira. n vantaggio di questa interpretazione consiste nel fatto che Dio non è legato ad alcuna necessità di fare dell'atto di un'esecuzione la condizione della salvezza. Un'altra interpretazione va esattamente nella di­ rezione opposta•'. Tutti i peccati hanno, a motivo della loro efficace sfera di influenza, conseguenze deleterie. Dio permette, all'interno di questo or­ dine necessario fatto di azione e delle sue conseguenze, che le conseguen­ ze della colpa umana si riversino sul Crocifisso per interrompere il nesso di azione - conseguenza. In sostanza questo significa: Gesù si accolla non la colpa, ma la sua responsabilità. n vantaggio di questa interpretazione sta nel fatto che l'assunzione di responsabilità è, a differenza dell'assunzione della colpa, compatibile con la moderna immagine dell'uomo. Inoltre non l'ira di Dio ucciderebbe il Crocifisso, ma il peccato umano, che si riper­ cuote sul Crocifisso. E questo è compatibile con la nostra immagine di Dio. Ma i motivi umani che stanno dietro queste interpretazioni sono più convincenti dei loro argomenti esegetici. Proprio un'interpretazione psi­ cologica religiosa deve insistere sul fatto di non modernizzare precipitosa­ mente le idee del Nuovo Testamento. Paolo, quando definisce la morte di Gesù un'espiazione mediante il suo sangue, suscita associazioni con il cul­ to sacrificale veterotestamentario, anche se non sappiamo con precisione quali immagini egli voglia evocare. Pensa al coperchio dell'arca dell'al­ leanza, su cui nel giorno dell'espiazione veniva asperso il sangue? Ma al tempo di Paolo l'arca era già scomparsa da lungo tempo"". Cosa più plau-

"W.G. KOMMEL, Die

te da p. 178.

Theologie des Neuen Tes/4rnents, 1976', 177s. Tutt e le citaz ioni sono de sun·

"U. WILCKENS, Der Brief an die Romer (Rom 1-5), 1978, 233-243. " Contro l'in terpretazione di 'Siihne' come segno espiatorio posto nel Santo dei santi depongono

Capitolo tmb

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sibile è far derivare l'idea dell'espiazione dalla teologia giudaica del marti­ rio. Questa non è un'alternativa rispetto all'interpretazione nel senso di un sacrificio espiatorio. In 4 Mac la morte dei martiri è infatti interpretata con immagini sacrificali cultuali, come mostra la supplica del morente Eleaza­ ro: «Sii benigno con il tuo popolo, accontentandoti della nostra punizione per loro. Fa' che il mio sangue li purifichi e prendi la mia anima come espiazione per loro» (4 Mac 6,28s.). Nello stesso senso va anche la rifles­ sione finale dell'autore a proposito della morte dei martiri: «E attraverso il sangue di quei pii e il sacrificio espiatorio della loro morte la Divina Prov­ videnza ha salvato Israele che prima era afflitto>> (4 Mac 17,22). La cosa im­ portante è che tanto in Paolo quanto in 4 Mac soggetto dell'espiazione è Dio: la sua 'provvidenza' salva Israele. Da lui parte l'iniziativa, così come secondo Rm 3 ,25 Dio ha spontaneamente 'stabilito' che Gesù servisse co­ me strumento di espiazione. Come nel caso dei martiri giudei, così anche nella lettera ai Romani viene superato il peccato e non viene solo comuni­ cato che esso è superato. Come nel caso dei martiri giudei, così anche nel­ la lettera ai Romani viene assunta la colpa e non solo la responsabilità per le sue conseguenze. Nell'uno come nell'altro caso vengono congiunte fra di loro immagini cultuali con affermazioni giuridiche, cosa che porta alla prossima variante dell'interpretazione della morte di Gesù. La metaforica giuridica della redenzione:

la morte di Cristo come rappresentanza

In 4 Mac i martiri chiedono che la loro morte sia accettata come una 'pena' che essi si accollano in rappresentanza del popolo. La rappresen­ tanza va distinta dall'espiazione. Un rappresentante si accolla tutta la pe­ na, l'espiazione mira a evitare la pena con una prestazione sostitutiva (più piccola). Le due cose possono però coincidere: se infatti uno muore in rappresentanza per molti, si accolla la pena in tutta la sua portata, ma la morte di un singolo rimane molto indietro rispetto alla morte di tutti, e in questo senso la sua morte vicaria è un'espiazione (cioè un'azione sostitu­ tiva di una pena molto maggiore)•'. Precisamente questo viene descritto nella lettera ai Romani: secondo Rm 3 ,21 ss. nella morte di Gesù ( nel suo 'sangue') viene rivelata la 'giustizia' di Dio. La morte di Gesù deve essere =

importanti argomenti. Cfr.

E. LOHSE, Der Brie/ an dù? Romer, 2003, 134s. La sua spieg azione alla lu­

ce deUa teologia del martirio è a mio giudizio g iusta.

" A. ScHENKER, Siihne, 724.

Mito e sllfJien%11

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la prova della sua giustizia, in quanto mostra che Dio è giusto come giu­ dice (cfr. Rm 3 ,5s.). Nel tempo precedente egli aveva infatti lasciato im­ puniti i peccati. Per questo nel tempo presente egli vuole dimostrare la sua giustizia con il fatto che punisce il peccato condannando Gesù in rappre­ sentanza di tutti"". Qui non bisogna pensare solo a una responsabilità fat­ ta di assunzione delle conseguenze deleterie dei peccati umani, conse­ guenze automaticamente subentranti. Dio giudica con un atto libero, cosl come secondo Rm 8,3 ha condannato il peccato in Cristo. Possiamo però domandarci se soltanto la pena sopportata in rappresentanza sia il fonda­ mento della salvezza, anche se in Rm 3 ,25 sembra che soltanto la morte di Gesù sia tale fondamento. Ma che ne è della risurrezione di Cristo? In Rm 3 ,21-31 non si parla direttamente della sua risurrezione. In 3,25 Paolo sot­ tolinea tuttavia che l'efficacia espiatoria della morte di Gesù vale solo per la fede. Per spiegare la forza di tale fede egli convalida i suoi pensieri me­ diante una prova scritturistica, nella quale la fede di Abramo diventa il modello per eccellenza della fede. La prova scritturistica non è adatta a di­ mostrare quello che egli vuole dimostrare, perché la fede di Abramo è sol­ tanto una fede nel Dio che chiama dal nulla all'esistenza, che dà la vita do­ ve non c'era più da aspettarsela. Abramo è modello originario della fede nella risurrezione di Cristo, non modello della fede nella potenza espiato­ ria della sua morte. La prova scritturistica non avalla quindi quanto è sta­ to prima detto, bensì aggiunge quanto manca: la fede nella risurrezione. Solamente attraverso questa fede la morte di Gesù diventa un evento sal­ vifico. Solo agli occhi di questa fede diventa infatti evidente che l'ira di Dio per il peccato non è stata l'ultima sua parola, perché egli ha risuscita­ to il Crocifisso. In Rm 3,21ss. parla esplicitamente solo della morte, in Rm 4,1ss. solo della potenza creatrice di Dio che supera la morte, ma in un riassunto dei due ragionamenti, in Rm 4,25, Paolo congiunge la salvezza con entrambi gli atti, la morte e la risurrezione: egli parla della fede in co­ lui che «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è sta­ to risuscitato per la nostra giustificazione». Questo inserimento della ri­ surrezione è il motivo per cui Paolo attiva, in quel che segue, accanto ad immagini cultuali e ad immagini giuridiche, anche un terzo campo me-



La sofferenza so ppo nat a in rappresentanza va chiaramente distinta dalla soddisfazione. La sod­

disfazione è in Anselmo di Canterbury una controprestazione che ha lo scopo di sostituire la pena (e

aut satis/actio aut poena. Le due idee fu­ NOSSEL, Dù, Siihnevorstellung in der kids· sischen Dogmollk und ihre neuzeitliche Problemotisierung, in J. FREY- J. SCHRÒTIR (edd.), Deutungen la sopportazione della pena). Per lui esiste qui un 'alternativa: rono però già fuse fra di loro al tempo della Riforma. Cfr. F.

des Todes ]esu im Neuen Testoment, 2005, 73-94, qui 75-80.

340

Capitolo terzo

taforico per interpretare la morte di Gesù, vale a dire immagini della rela­ zione personale, immagini dell'amore, della pace e della riconciliazione. Egli le introduce solo dopo aver messo in Rm 4 in primo piano la risurre­ zione, cioè solo a partire da Rm 5, lss. La metaforica diplomatica della redenzione:

la morte di Cristo come riconciliazione

Qualsiasi lettore della lettera ai Romani nota che, a partire dal capitolo 5, le immagini della redenzione diventano 'più calde'. Prima si era tratta­ to della giustizia di Dio, cui egli dà corso e che comunica all'uomo. Ades­ so invece si tratta della «pace con Dio» (Rm 5 , 1 ) , della riconciliazione con lui (Rm 5 , 1 1 ; cfr. 5 ,9) e del suo amore, che è riversato nei nostri cuori (Rm 5,5). La pace e la riconciliazione sono immagini desunte dal campo politi­ co e diplomatico, ma indicano qualcosa di più, perché esprimono una re­ lazione personale. La pace e la riconciliazione sono prodotte dal fatto che la morte di Cristo è per noi la dimostrazione dell'amore di Dio (Rm 5 ,8). Nei capitoli precedenti si trattava del ripristino dell'ordinamento giuridi­ co di Dio, della sua 'giustizia'. Questa giustizia è qualcosa di più di una conformità alle norme, è fedeltà alla comunità. Adesso l'aspetto relazio­ nale di questa fedeltà alla comunità è descritto come pace, riconciliazione e amore. Ciò può awenire solo dopo l'estensione dell'evento salvifico fi­ no ad abbracciare la risurrezione. Infatti, se è già difficile riconciliarsi in presenza di un morto, tanto più difficile è riconciliarsi con un morto. Egli deve vivere affinché la riconciliazione sia possibile. Tali immagini della ri­ conciliazione sono indipendenti dal culto69• Alla loro base c'è l'idea di par­ titi conflittuali, tra i quali i diplomatici negoziano la pace (2 Cor 5,20). Non bisogna però contrapporre queste immagini della riconciliazione al­ l'idea dell'espiazione. Anch'esse vogliono esprimere il superamento del peccato per mezzo della morte di Cristo. Paolo dice chiaramente: noi sia­ mo riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, ma più an­ cora siamo salvati per mezzo della sua vita (Rm 5,10). In Rm 5,9-1 0 la sal­ vezza è descritta in proposizioni parallele (e per di più chiasticamente col­ legate) prima come 'giustificazione' e poi come 'riconciliazione', ed è in entrambi i casi espressamente collegata con la morte di Cristo. La ricon­ ciliazione trova il suo compimento quando la morte è superata.

" C. BREYn!NBACH,

Versohnung, 1989.

Mito e sapienza «A maggior ragione ora,

per mezzo di lui

saremo salvati dall'ira, dopo che

per il suo sangue siamo stati giustificati!»

341

x

(5,9)

«Se infatti siamo stati riconciliati con Dio

per mezzo della morte del Ftglio suo, quand'eravamo nemici, molto più ora,

mediante la sua vita

saremo salvati» (5,10).

Le immagini della riconciliazione non sono, a mio giudizio, un'alterna­ tiva all'idea dell'espiazione, bensì un suo approfondimento. Di riconcilia­ zione si parla anche nel caso dei martiri giudei, e anche qui con una com­ binazione di diversi campi metaforici'0• Questo non è un caso: dell'espia­ zione fa parte l'intenzione della riconciliazione. Essa deve essere un'alter­ nativa alla pena in tutta la sua durezza. La morte espiatoria di Gesù e l'ira di Dio

Le immagini cultuali, giuridiche e diplomatiche hanno un comune de­ nominatore: sempre si tratta di una 'eliminazione di ciò che turba' il rap­ porto fra Dio e l'essere umano. Nei primi tre capitoli della lettera ai Ro­ mani Paolo ha mostrato quanto profondamente tale rapporto fosse 'tur­ bato'. Ha evocato l'ira di Dio su tutta l'umanità e ha annunciato la con­ danna a morte per tutti ! Questa condanna a morte fu eseguita, in rappre­ sentanza, su un unico uomo. Dio dimostra così la sua giustizia. Finora in­ fatti egli aveva 'trattenuto' la sua ira per i peccati e li aveva lasciati impu­ niti. Ciò significa: egli non ha voluto solo rivelare che perdona sovrana­ mente i peccati e che li ha effettivamente perdonati, ma ha voluto con­ dannare rappresentativamente il peccato in un uomo. Questo significa an­ che: egli non ha permesso solo che le conseguenze dei peccati si manife­ stassero nella morte di Gesù, ma ha condannato con un atto specifico, in veste di giudice, il peccato. Abbiamo qui l'idea della sopportazione della pena in rappresentanza. Il peccato è punito affinché il peccatore sia rispar­ miato. Viene condannato uno, affinché i molti vivano. L'ira di Dio si ab­ batte sul Crocifisso per non colpire tutti gli esseri umani. Ora avevamo vi­ sto che l'espiazione è sempre un surrogato di una pena. Ciò vale anche qui: il fatto che uno debba morire rimane ampiamente dietro la meritata morte di tutti. Perciò la sopportazione della pena in rappresentanza da " D superamento dell'ira di Dio è detto in 2 M11c 7,), 'riconciliare' (kattJLisreirr).

342

Capitolo tmo

parte di Gesù è insieme un'espiazione. L'idea di una sentenza penale nei confronti del Crocifisso ricorre poi ancora una volta nella lettera ai Ro­ mani: secondo Rm 8,3s. Dio ha inviato «il proprio Figlio in una carne si­ mile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato (Lu­ tero: verdammte, dannò) il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta . . . ». Interessante è la precisazione: la sentenza non colpisce il Figlio, bensì il peccato nella sua carne, non colpisce cioè il suo nucleo, ma qualcosa di lui. La persona di Gesù sopravvive alla sentenza penale, perché Dio lo ha risuscitato dai morti. Con questa risurrezione Dio dimostra che il suo amore è più grande della sua ira. Al Crocifisso col­ pito dalla sua ira viene donata nuova vita al di là della morte. Con ciò vie­ ne rivelato che non l'ira annientante è l'ultima parola di Dio, bensì il suo amore vivificante. La risurrezione rivela ed effettua il cambiamento dall'i­ ra di Dio al suo amore e assicura che l'invio di Gesù fu motivato fin dal­ l'inizio dall'amore. La preminenza dell'amore sull'ira vale infatti per Pao­ lo già da tutta l'eternità. Ma tale priorità dell'amore di Dio viene ricono­ sciuta solo grazie alla risurrezione. Quando parla dell'amore di Dio, che si manifesta nella morte di Gesù, Paolo fa perciò (quasi) sempre un accenno alla risurrezione di Gesù". Ora però si potrebbe obiettare: mai in Rm 3 ,2 1ss. si parla dell'ira di Dio. Questo è vero. Ma l'ira di Dio è già stata eloquentemente evocata in misura sufficiente nei primi tre capitoli della lettera ai Romani e di essa si parla indirettamente anche in Rm 3 ,24-26. Qui ricorrono tre termini, che nel contesto stanno in rapporto con l'ira di Dio: la pazienza di Dio (anocM), la giustizia di Dio (dikaiosjni) e il san­ gue di Cristo (hJima). (l) Paolo parla d i peccati d d passato, che furono commessi nel tempo della pa­ zienza di Dio (della sua anocht Rm 3,26). Questa pazienza di Dio egli l'aveva già collegata in Rm 2,4s. con l'ira di Dio. Qui egli grida al suo lettore: . Ma più probabile ancora è che egli utilizzi volu­ tamente il doppio significato del termine. D'importanza decisiva è che la giustizia è collegata in ambedue i significati con l'ira, anche se in modo diverso: essa inclu­ de come iustitia distributiva l'ira (come in Rm 3,5) ed è come iustitia saluti/era op­ posta all'ira (come in Rm l , l6ss.). Ma l'azione dell'ira di Dio nella morte di Gesù presuppone ancora un terzo termine: il termine sangue. (3) Il termine sangue è collegato, in Rm 5,8-10, con la salvezza dall'ira di Dio. Pao­ lo scrive: «Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre erava­ mo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui>>. Degno di nota è che la salvezza dal futuro giudizio dell'ira awerrà «per mezzo di lui>> , mentre la senten­ za di assoluzione è pronunciata già adesso «per il suo sangue>> . La successiva pro­ posizione parallela spiega perché ciò costituisca una distinzione: la riconciliazione awiene attraverso la morte e la vita di Gesù. Paolo scrive: «Se infatti, quand'era­ vamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita>> (Rm 5, l O). La riconciliazione mediante la morte di Gesù e la salvezza mediante la sua vita sono messe comparativamente in rapporto fra di loro: la sua morte (cioè il suo sangue) rende giusti e riconcilia già adesso. Quanto più la sua vita (come risorto) effettuerà una cosa del genere in futuro. La riconciliazione è salvezza dall'ira di Dio. Importante per noi è: se secondo Rm 3 ,25 la redenzione avviene per mezzo del 'sangue' di Gesù, allora qui è anche inteso (come in Rm 5,9) che l'ira di Dio si è scatenata contro il Crocifisso.

344

Capitolo terzo

I tre termini di Rm 3,21-26 sono esplicitamente collegati, nel contesto della lettera ai Romani, con l'ira: la pazienza di Dio è dilazione della sua ira (Rm 2,4), la giustizia di Dio include la sua ira (Rm 3 ,5), il sangue di Ge­ sù salva dalla sua ira (Rm 5,9). L'ira di Dio sta implicitamente sullo sfon­ do quando vi si parla di pazienza, di giustizia e di sangue di Gesù. L'ac­ cumulata ira di Dio si è scatenata su Gesù come una potenza devastante, ma poi Gesù fu strappato da Dio alla morte, e solo per questo Paolo può interpretare la sua morte come una dedizione piena di amore. Dio conse­ gna per amore Gesù alla morte per salvare così gli uomini dalla propria ira (Rm 5,8-10). Tutto ciò è paradossale. Con la consegna di Gesù alla morte egli si è già deciso in favore dell'amore e ha superato la sua ira. Ira e amo­ re stanno gomito a gomito l'una accanto all'altro. Dio è qui, come nel re­ sto della Bibbia, una rovente energia etica che annienta il peccatore, ma che può trasformarsi nell'ardore dell'amore. Dio non crea salvezza ucci­ dendo, ma con il dono della vita, che supera la morte. In questo modo, mediante la risurrezione, viene infranta la logica del sacrificio. L'animale sacrificale non risorge, mentre il Crocifisso è risuscitato. Il nostro risultato è questo: la morte di Gesù è espiazione in tre varian­ ti: come sacrificio espiatorio, come rappresentanza e come riconciliazione. Sempre l'ira di Dio è superata mediante una morte per i peccati degli uo­ mini e sempre essa fa spazio a un amore di Dio che vivifica. L'idea della morte in favore di altri deriva dal mondo pagano. Nella Bibbia essa ricor­ re solo marginalmente (in Is 53). Solo alla luce della tradizione biblica è però possibile spiegare che, nel caso della morte di Gesù, si tratta di una morte per i peccati di altri. Gli antichi eroi e le antiche eroine morivano in­ fatti per la patria, per le leggi, per amici e per familiari, ma (di regola) non per i loro peccati. Morivano per quello che, di volta in volta, era il loro su­ premo valore. Ma nella Bibbia questo supremo valore è la relazione con Dio non turbata dal peccato e non attualizzata mediante la colpa. Nel­ l'antichità quest'idea di un'espiazione compiuta da Dio mediante la mor­ te di un essere umano non era uno scandalo. L'espiazione era una remis­ sione della pena ed era basata su un libero dare e avere. Di ciò fanno par­ te la conversione (l'ammissione della colpa) così come la libertà del dan­ neggiato di accettare l'espiazione. Nel Nuovo Testamento, invece, questa autopartecipazione dell'uomo all'evento dell'espiazione viene esclusa. Non degfi uomini offrono Gesù come sacrificio espiatorio, ma soltanto Dio lo offre e, rispettivamente, Cristo con il dono di sé. La morte espiato­ ria di Gesù è causalmente attribuita in maniera esclusiva a Dio. L'essere umano può farla propria solo mediante la fede. Perché proprio Paolo sottolinea con tanta forza la morte espiatoria di

Mito e sapienxa

345

Gesù (nelle sue tre varianti)? Nella lettera ai Romani egli motiva con la morte espiatoria l'universalità della salvezza. Se Dio ha vinto i peccati di tutti gli uomini, allora la via della salvezza è aperta a tutti i popoli. Tutli gli esseri umani si sono infatti allontanati da Dio. Tutti hanno peccato. La morte di Cristo allontana questa colpa che grava sul mondo dei popoli. Essa dà a tutti gli uomini la possibilità di trovare la via che conduce al Dio uno e unico. Sulla base della sua interpretazione della morte di Gesù co­ me espiazione (in Rm 3,25) Paolo può predicare l'universalità della sal­ vezza e domandare: «Forse Dio è Dio soltanto dei giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti» (Rm 3 ,29). Non possiamo perciò se­ parare il Paolo progressista di una predicazione universalistica da un Pao­ lo retrogrado, che predicò la morte espiatoria di Gesù. Per lui la morte espiatoria era anche tutt'altro che una tradizione che si portava stanca­ mente dietro. Come il suo abissale pessimismo fonda l'universalità della perdizione, così la sua interpretazione della morte di Gesù nel senso di un'espiazione fonda l'universalità della salvezza. Con ciò egli non suscitò allora alcuno scandalo, perché si trattava di una cosa conforme alla cultu­ ra del tempo. Tentativo di un'interpretazione psicologica della morte espiatoria

Nelle pagine che seguono cerchiamo di rendere comprensibile l'idea della morte espiatoria di Gesù con l'aiuto di tre modelli. Illuminanti po­ tranno essere nel corso di questo lavoro anche differenze fra questi tre modelli e l'idea dell'espiazione del Nuovo Testamento. Si tratta (l) del modello dell'azione espositiva desunto dalla psicoterapia, (2) del modello del capro espiatorio desunto dalla psicologia sociale e dalla psicologia del­ l'aggressione e (3) del modello dell"effetto ondulatorio' desunto dalla psi­ cologia pedagogica. •

Il modello della terapia dell'esposizione: l'effetto terapeutico della situazione di paura consapevolmente aumentata

L'idea fondamentale della terapia dell'esposizione è la seguente: la pau­ ra fobica non è una paura reale, ma un'iperreazione appresa a una situa­ zione angosciosa. Essa può essere superata esponendosi consapevolmente alla situazione che scatena la paura. Se nonostante la paura mortale sog­ gettivamente provata uno sopravvive alla situazione, la reazione fobica di­ venuta abituale diminuisce e può essere sostituita con reazioni più co-

Capitolo terzo

346

struttive. L'esperienza della paura avviene nel modo migliore nella situa­ zione reale (in vivo). Se ciò risulta troppo angosciante, ci si può esporre ad essa indirettamente aumentando progressivamente gli stimoli che scatena­ no la paura. Nel caso di fobie dei cani si tocca prima un cane da compa­ gnia, poi un bassotto, poi ancora un cane pastore e infine un bulldog. Un avvicinamento indiretto alla situazione che scatena la paura può anche av­ venire nella fantasia (in mente), cioè attraverso la forza dell'immaginazio­ ne o attraverso un film. Chi ha paura dei cani può immaginare di avvici­ narsi a un cane che accarezza mentalmente. Inoltre si può nel contempo osservare come delle figure (rappresentative) si avvicinano (in vivo o in mente) alla situazione che scatena la paura. Alla fine però uno deve sem­ pre entrare personalmente nel ruolo del modello rappresentativo. n mo­ dello rappresentativo può sostituire solo temporaneamente il proprio agi­ re (e subire)". Il modello deve essere così fatto che la persona possa rico­ noscersi con il suo problema in esso. Un modello con dei punti deboli, che alla fine controlla la situazione, è migliore di un modello senza insicurez­ ze. Indipendentemente da tutto ciò, due fattori sono importanti: l) Un'attesa cognitivamente creata che la paura diminuirà. Deve essere in partenza chiaro, sulla base di un modello (di una 'teoria'), che uno ha una opportunità di sopravvivere alla paura. 2) Bisogna essere assistiti da un terapeuta competente e avere la fiducia che egli può aiutare e che aiuterà. Pertanto, anche nel caso di una terapia dell'esposizione è opportuna la presenza di un modello nei confronti del quale si ha fiducia. La sapienza psicologica spicciola sa da sempre che si supera la paura e­ sponendosi a situazioni che la scatenano. Goethe, ad esempio, curò le sue sensazioni di vertigine salendo sul duomo di Strasburgo. È possibile spie­ gare così un aspetto dell'idea di espiazione"? Gesù sarebbe un modello rappresentativo che si avvicina alla situazione che scatena l'angoscia e che è annientato da essa: egli affronta la morte per altri. Però sopravvive a ta­ le situazione, perché risorge dai i morti. Mentre in Paolo la sua morte è an­ cora interpretata come frutto di una cooperazione tra azione umana e azio­ ne di Dio, la sua risurrezione è esclusivamente interpretata come azione di

n

Una volta si faceva molto uso della «desensibilizzazione sistematica». Oggi si dà la preferenza al

confronto con la paura aumentata, alla terapia dell'implosione o terapia dell' es posizione . Cfr. PH. G. ZIMBARDO, Psycho/ogze, 666-668.

" Il modello della terapia dell'esposizione potrebbe essere frainteso, perché qui l'esperienza e

il

comportamento religioso sono analogicamente paragonati all'esperienza e al comportamenro nevroti­ co. Perciò sia chiara una cosa: non

il comportamento nevrotico, ma la sua terapia serve da analogia.

Mito e sopien111

347

Dio. Solo Dio può risuscitare i morti. Se ora la risurrezione fonda la so­ pravvivenza all'aggressione mortale di Dio e il superamento della paura, al­ lora è Dio stesso a superare la paura dell'essere umano nei suoi confronti e a trasformare l'aggressione che da lui proviene in un amore positivo. •

Il modello del meccanismo del capro espiatorio: l'effetto catartico del capro espiatorio rappresentativo

n superamento della paura ha bisogno della relazione con un modello, da cui si impara che è possibile sopravvivere alla situazione angosciosa. Se questo modello deve essere il Cristo crocifisso e risorto, allora un model­ lo dapprima respinto (stigmatizzato) diventerebbe in tal caso un modello positivo con cui ci si identifica. Per indicare modelli respinti conosciamo due espressioni: il fantoccio bersaglio e il capro espiatorio. Un fantoccio bersaglio subisce l'aggressione che è diretta propriamente a un altro. n più delle volte il vero destinatario è troppo potente per essere colpito dall'ag­ gressione, per cui questa viene deviata su una figura sostitutiva. I 'fantoc­ ci bersaglio' diventano, oltre a ciò, dei capri espiatori, se vengono accusati di essere essi stessi colpevoli della loro sventura. Le vittime sono trasfor­ mate in malfattori. In questa maniera si mette in moto un meccanismo del capro espiatorio. Il capro espiatorio non deve liberare la comunità solo da aggressioni, ma anche da sensi di colpa. Il fenomeno è incontestabile, ma le sue spiegazioni divergono. LA teoria psicanalitica dell'istinto di morte: Sigmund Freud aveva ipo­ tizzato (sotto l'impressione della prima guerra mondiale) due istinti, un istinto di vita dotato di energia per la crescita e la sopravvivenza, e un op­ posto istinto di morte che tende all'autodistruzione dell'individuo: éros e thdnatos. Ambedue hanno la loro origine nell'essere umano e cercano di sfogarsi, così come l'acqua si raccoglie in un contenitore e prima o poi tra­ bocca. L'istinto di morte può essere deviato verso l'esterno e colpire allo­ ra fantocci bersaglio e capri espiatori. Ma può anche essere trasformato in aggressione contro se stessi, in sensi di colpa. La sua esplosione verso l'e­ sterno è considerata una 'catarsi', una liberazione di energia aggressiva. Sigmund Freud applicò queste sue idee alla religione e pensò che in un'or­ da originaria l'aggressione verso il padre sia stata deviata e trasformata in un'aggressione contro un animale totemico, che poi sarebbe stato tabuiz­ zato, ma che in una specie di coazione a ripetere viene di continuo ritual­ mente mangiato. Nel cristianesimo primitivo il Figlio di Dio sarebbe sta­ to ucciso al posto di Dio e sarebbe di continuo mangiato, mediante un ri-

Capitolo terr.o

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tuale ossessivo, nell'eucaristia". Ci occuperemo ancora più da vicino del­ l'interpretazione del rituale. Qui si tratta solo della concezione dell'ag­ gressione e del suo controllo. Per quanto riguarda Paolo, non c'è dubbio che egli vede l'aggressività dell'essere umano radicata nel suo intimo. L'ag­ gressione fa parte della sua struttura antropologica e istintuale. La sdrx è inimicizia verso Dio ed è causa di contese. La sua ostilità nei confronti di Dio è deviata su Cristo. In Rm 15,3 Cristo è presentato come un bersaglio e gli viene messo sulle labbra il Sa/68,10 (LXX): «Gli insulti di chi ti ( Dio) insulta ricadano su di me». L'aggressione contro il Dio inafferrabile colpisce sostitutivamente il suo Figlio inerme! Ma questa è mai una catar­ si da simili aggressioni? La teoria della frustrazione-aggressione fu ideata come contraltare alla teoria della catarsi di Sigmund Freud: secondo essa l'aggressione non è scatenata da un istinto che si accumula all'interno, ma da una frustrazio­ ne proveniente dall'esterno (J. Dollard/N. Mille r)". In questa teoria del­ l'aggressione svolgono un ruolo anche i capri espiatori: l'aggressione si di­ rige anzitutto contro la fonte della frustrazione, quindi nel caso del bam­ bino piccolo contro il padre che proibisce, ma viene poi scaricata sostitu­ tivamente, a motivo della minaccia del castigo, su un altro bersaglio che non può diventare pericoloso, ad esempio su un fratello o una sorella più giovane o su un animale domestico. Nella psicologia sociale questa teoria è diventata un modello di spiegazione di pregiudizi sociali aggressivi: una frustrazione socialmente condizionata si sfoga aggressivamente su alcune persone che si trovano in una posizione debole, su persone con un com­ portamento e un aspetto deviante. Esse sono i classici bersagli e i classici capri espiatori. Naturalmente si può anche considerare la figura del Cri­ sto crocifisso come un bersaglio e come un capro espiatorio del genere. Ma quale frustrazione porta all'aggressione contro questa persona? In Paolo si tratterebbe della frustrazione provocata dalle richieste esagerate della legge. Nessuno può osservare i comandamenti di Dio (Rm 1,18-3 ,20). L'aumentata coscienza del peccato è un prezzo pagato dal­ l'aumentata sensibilità etica presente nel giudaismo postesilico. Questa acuita coscienza del peccato si è sedimentata anche in immagini del capro espiatorio Gesù? Non lo possiamo escludere in partenza! La teoria della frustrazione-aggressione ha naturalmente un punto debole: le persone =

" Sulla

145-183. " Qr.

psicologia della reli&ione di S. Freud cfr. S. HEINE, Grrmdlagen der Religiomprychologie,

PH. ZIMBARDO, Prycho/ogie, 429s.

Mito e sapienza

349

non reagiscono alla frustrazione necessariamente con l'aggressione. Pos­ sono anche migliorare la loro efficienza o sottrarsi con l'evasione alla fon­ te della frustrazione. Occorre perciò spiegare anche perché si scelgono proprio reazioni aggressive. La teoria sociale dell'apprendimento dell'aggressione fornisce una spie­ gazione al riguardo: l'aggressione è appresa attraverso modelli e attese del­ l'ambiente (Albert Bandura)76• I bambini imitano gli adulti che si com­ portano aggressivamente e che hanno così successo. Ma se persone che danno con successo sfogo alle loro aggressioni fomentano l'aggressione di altri, allora questo fatto contraddice la teoria della catarsi, secondo la qua­ le uno sfogo ridurrebbe l'aggressione. I fenomeni dei fantocci bersaglio e dei capri espiatori si possono spiegare bene nella cornice di questa teoria: gli individui più deboli sono idonei a diventare vittime, perché l'aggres­ sione contro di essi promette successo. L'aggressione coronata da succes­ so è imitata. Per spiegare le immagini cristologiche del Cristo stigmatizza­ to dovremmo allora postulare un ambiente sociale fatto di aumentata ag­ gressione. Anche questo è possibile: Paolo dice di provenire da un am­ biente aggressivo. Egli era uno 'zelante' religioso, un seguace dell"ideale dello zelo', la cui esistenza in seno al giudaismo è dimostrabile e che po­ teva spingere a perseguitare e ad aggredire una minoranza religiosamente deviante. Probabilmente occorre combinare diverse concezioni. Di tutte le teorie dell'aggressione troviamo delle analogie nella nostra vita quotidiana: la manifestazione espressiva di frustrazione e fastidio diminuisce la propen­ sione ad aggredire. Ci sentiamo sollevati se possiamo 'sbuffare'. Se voglia­ mo tenere sotto controllo la nostra aggressione, dobbiamo perlomeno am­ mettere: sono arrabbiato e furioso, ed è utile poterlo far sapere a qualcu­ no, soprattutto se questo qualcuno accetta la mia irritazione, ma rafforza la fiducia in soluzioni non aggressive del problema. Un'esperienza catarti­ ca subentra solo se possiamo di nuovo far rivivere in noi un'esperienza do­ lorosa e diventare nello stesso tempo partecipi e osservatori dei nostri sen­ timenti. La necessaria presa di distanza può essere ottenuta o con un'inte­ razione (terapeutica) personale, o con una messinscena rituale, oppure con una estetica presa di distanza". Anche la teoria psicanalitica della ca­ tarsi potrebbe quindi contenere un particulum veri, una briciola di verità,

" Cfr . PH. ZIMBARDO, Prycbologie, 430s. Cf r. il rinnovamento della teoria della catarsi ad opera di TH. ]. ScHEFF, Explonon der Ge/iihle, 1983. n

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Capitolo ter1.o

se allo sfogo dei sentimenti si accompagnano una presa di distanza e una consapevolezza nei suoi riguardi. Questo significherebbe per la nostra in­ terpretazione: le immagini religiose possono esprimere in maniera utile l'aggressione e la frustrazione. Esse possono essere quel «gemito della creatura» che attraverso l'interpretazione religiosa, il simbolismo rituale e l'inserimento in una comunità rende possibile la presa di distanza e alle­ via la vita. Lo sfogo verbale o effettivo dell'aggressione aumenta invece l'aggressione quanto più esso ha successo o quanto più viene percepito co­ me coronato da successo78• Quanto più un comportamento aggressivo tro­ va un rafforzamento in un clima sociale aggressivo, tanto più si atrofizza­ no le alternative di una soluzione cooperativa del problema. La teoria del­ l'apprendimento sociale è in ogni caso giusta: quanto più si costruisce un ambiente di apprendimento, nel quale il comportamento aggressivo non ha successo, tanto più felicemente si supera l'aggressività. Proprio questo si verificò nel cristianesimo delle origini. Nelle esortazioni dei primi cri­ stiani troviamo una pronunciata disponibilità alla riconciliazione. L'amo­ re reciproco e verso il prossimo è il valore supremo. Occorre perciò di­ stinguere tra l'espressione e lo sfogo effettivo dell'aggressione, tra l'e­ spressione di sentimenti e la loro traduzione in azioni (che comprendono anche offese e ingiurie quali azioni verbali, in cui non si manifesta solo espressivamente l'aggressione, ma le si dà libero sfogo). Dobbiamo ora da ciò concludere che un'espressione di aggressione immaginata in immagini religiose può, in determinate circostanze, ridurre l'aggressione reale? E in modo particolare proprio dove immagini religiose aggressive compaiono in un ambiente sociale di apprendimento che rafforza azioni non aggres­ sive? Là dove immagini aggressive non solo non fomentano l'aggressività, ma rendono possibile una presa di distanza da esse? La critica mossa alle immagini sacrificali di Paolo è perciò forse ingiustificata? Secondo Paolo gli uomini hanno dato libero sfogo alla loro ostilità contro Dio prenden­ dosela con Gesù. Essi le danno di continuo libero sfogo nella loro fanta­ sia ed esprimono così impulsi aggressivi. Non potrebbe succedere anche qui che le immagini aggressive riducano Io sfogo reale dell'aggressione? L'esegesi 'moderna', quando nega la presenza dell'aggressività nelle im­ magini religiose del Nuovo Testamento (ad esempio l'espressione dell'ira di Dio in Rm 1-3 , un'espressione che aumenta la paura, o l'aggressione so­ stitutiva di Dio contro il proprio Figlio) e allontana così l'idea dell'espia" Cosi in 2 Cor W--13 si potrebbe vedere una g uerra verbale, che non è affatto idonea a diminui­ re l'aggre ssione. Cfr. P. LAMPE, Con Words be Violent or Do They Only 5ound Thot Woy?, conferenza tenuta al Cong re sso della SBL 2006.

Mito e ropienu

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zione dai testi, fornisce realmente un contributo alla riduzione dell'ag­ gressione nella realtà? l:aggressione immaginata ed espressivamente arti­ colata contro un altro potrebbe avere un effetto catartico, indipendente­ mente dal fatto che l'aggressione tradotta realmente in atto impedirebbe questo effetto, perché attraverso la sua fWlzione di modello e attraverso l'escalation essa aumenterebbe effettivamente l'aggressione. Contro que­ sta interpretazione di fantasie religiose aggressive, che parla di una dimi­ nuzione dell'aggressione, si potrebbe naturalmente obiettare che in Paolo non si tratta solo dell'aggressione dell'essere umano. Paolo dice: Dio lascia uccidere il proprio Figlio, lo dà per noi e condanna in lui il peccato. Dio non agisce qui come un modello coronato da successo di un comporta­ mento aggressivo? Questo non incita all'imitazione? Se si prende sul serio questa idea di un modo di agire di Dio che funge da modello, allora biso­ gna poi anche pensarla coerentemente sino in fondo: Dio infatti agisce co­ me un modello che rivede e corregge il proprio comportamento aggressi­ vo. Egli è pieno di ira (pieno di aggressività), ma trasforma questa ira in amore! Non potrebbe essere un modello positivo del superamento del­ l'aggressione? Perciò dobbiamo per prima cosa domandarci: esistono mo­ delli del fatto che una simile aggressione di Wl altolocato contro una figu­ ra rappresentativa può essere costruttiva? Il nostro esempio non è banale, bensì vicino alla realtà quotidiana. •

Il modello dell"effetto ondulatorio': l'effetto costruttivo di una sanzione negativa subita in rappresentanza

Qualsiasi insegnante sa che non ha senso sgridare collettivamente una classe, quando si tratta di ristabilire l'ordine. È molto più efficace pren­ dersela con WlO dei turbolenti e rimproverarlo a dovere. Questo modo di agire ha un effetto ondulatorio'•. Da esso si diffonde il silenzio. Gli altri, che non sono stati colpiti dal 'colpo di fulmine' dell'insegnante, non si sentono colpiti, per cui si calmano e sono nello stesso tempo felici del fat­ to che il 'temporale' li abbia risparmiati. I.:alunno rimproverato in rap­ presentanza degli altri esercita quindi in parte Wla rappresentanza 'esclu­ siva': egli è colpito da una cosa che non colpisce gli altri. Nello stesso tem­ po, però, esercita una rappresentanza 'inclusiva': tutti sono in lui compre" M. HoFER - M. ORT - S.O. TERGAN - FE. WEINERT, Padogogirche Prychologie l, 1976,

184: «Ef­

fetto ondulatorio: indica secondo Kounin l'effetto ondulatorio di un biasimo, che è stato rivolto solo

il gruppo a cui il biasimato appartiene>> U.S. KoUNIN. Disciplzne and group ma­ nagement in clarsrooms, 1970). a un singolo, su tutto

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Capitolo terzo

si. Trasposto al nostro problema questo significa: possiamo immaginarci Dio come un insegnante che mette fine al disordine dell'umanità con un violento temporale scatenato contro un singolo? Ciò colpirebbe esclusiva­ mente uno, inclusivamente tutti gli altri: tutti stanno al suo posto. Una co­ sa è sicura: Paolo è convinto che un violento 'temporale' si sarebbe già do­ vuto scatenare da lungo tempo. L'ira di Dio si è ammassata come un tem­ porale su tutta l'umanità. Ciò incute paura. L'uomo come supera questa paura per pervenire alla certezza della salvezza? Come arriva a trasforma­ re la paura del giudizio in certezza della salvezza? Spieghiamolo con l'aiu­ to della lettera ai Romani. Essa ci permette di evidenziare psicologicamen­ te la trasformazione della paura del giudizio in certezza della salvezza. l) L'incremento della paura del giudizio: nei primi tre capitoli Paolo evo­ ca in mente il giudizio di Dio sul comportamento umano sbagliato (egli non lo fa in vivo, perché non può naturalmente tradurre in atto il giudizio universale). Egli mira chiaramente ad aumentare la paura del giudizio fino all'estremo. Cambiamenti del comportamento e del vissuto sono possibili solamente se il vissuto e il comportamento da superare sono 'vivi' e acuti. La paura per una perdizione definitiva può essere elaborata solo se essa è viva. E perciò Paolo la fa diventare viva in maniera smisurata e in Rm 1,18-3,20 stimola volutamente l'angoscia esistenziale. 2) La morte di Gesù in rappresentanza esclusiva: in un secondo passo Paolo mostra come la situazione che scatena la paura, vale a dire l'ira di Dio per il comportamento umano sbagliato, colpisce rappresentativamen­ te una figura: Gesù muore colpito dall'accumulata ira di Dio, che minac­ cia propriamente tutti gli esseri umani. Anche se nella lettera ai Romani Paolo non dice direttamente che l'ira di Dio colpì il Crocifisso, parla tut­ tavia di una «espiazione nel suo sangue» e pensa con ciò, come abbiamo visto, all'ira di Dio: la morte in croce è un effetto dell'ira di Dio, è una con­ danna dell'uno in rappresentanza e al posto dei molti per placare l'ira di Dio. 3 ) La risuscitazione inclusiva di Gesù: un terzo passo consiste nel fatto che il lettore e l'ascoltatore della lettera ai Romani acquisiscono dall'e­ sempio di Gesù anche la certezza che è possibile 'sopravvivere' all'ira di Dio: essi hanno sperimentato come l'ira di Dio si delinea come un grande temporale all'orizzonte. Da esso scoppia un fulmine annientante, che però colpisce solo un singolo uomo. Tutti gli altri sono sopravvissuti. Gesù è in primo luogo un modello che rappresenta in maniera esclusiva: quel che capita a lui non deve capitare agli altri. Egli però non rimane nella morte, ma è risuscitato. Sopravvive all'ira annientante di Dio e dimostra così, me-

Mito e stZfrienu

diante un modello rappresentativo (in mente, cioè nell'immaginazione re­ ligiosa), che il colpito dall'ira di Dio può sopravvivere a questa ira. Non la morte, bensì la risurrezione è allora la svolta decisiva dalla perdizione alla salvezza. Anche questo abbiamo cercato di mostrare: Paolo integra in Rm 4 la risurrezione nell'evento della salvezza. 4) La sostituzione dell'ira con l'amore di Dio: con questo passo c'è ora una differenza decisiva rispetto a una terapia dell'esposizione: la soprav­ vivenza di Gesù mediante la risurrezione è causata soltanto da Dio. Solo Dio può risuscitare i morti. A rigor di termini il morto infatti non soprav­ vive, ma al contrario muore. In un primo momento la paura di fronte al giudizio annientante di Dio risulta essere una paura reale, cioè una paura oggettivamente giustificata. Ma successivamente vediamo come il Dio che uccide per mezzo dell'ira non annienta l 'essere umano, ma annienta la morte. Questa è la sua ultima parola. n che però significa: al posto dell'i­ ra che uccide subentra un'azione creatrice, che non vuole la morte, bensì il suo contrario, la vita. Se la potenza che uccide era l'ira, la forza che vi­ vifica è espressione di 'amore'. Guardando le cose retrospettivamente, la paura di fronte all'ira annientante di Dio dimostra perciò di essere una paura fobica infondata. 5) L'identt/icazione dell'essere umano con Cristo: quel che impariamo dal modello rappresentativo va, in un ultimo passo, fatto direttamente pro­ prio80. I modelli rappresentativi possono superare la paura solo e sempre in un primo passo al posto di un altro. Occorre prendere il posto del mo­ dello, affinché il superamento della paura diventi stabilmente efficace nel­ la vita. Anche questo possiamo dimostrare con l'aiuto della lettera ai Ro­ mani: la rappresentanza esclusiva diventa una rappresentanza inclusiva. Cristo subisce in un primo momento la morte in maniera esclusiva, affin­ ché tutti gli altri non la debbano subire. Ma poi subisce la morte e risorge in maniera inclusiva, di modo che tutti gli altri possono ripetere e rivivere la morte e la vita con lui. Questa crescente identificazione con Cristo mor­ to e risorto come modello si può evidenziare molto bene nella lettera ai Romani. In Rm 6,1ss. il cristiano è completamente inserito nell'evento di Cristo. Nel battesimo egli sperimenta simbolicamente la morte e la risur­ rezione. • Cfr. l'impanante distinzione tra imitazione e identificazione in P. LAMPE, Peter, Identt/ication with Christ. A Psycho/ogica/ View of Pauline Theo/ogy, in P. FORNBERG - D. HELLHOLM (edd.), Texts and Contexts, 1995. 93 1 ·943: l'identificazione fa propria anche la motivazione interiore e presuppone un legame 'libidinoso' con la persona. Con la parola e con il rito viene in tal caso performativamente

creata una nuova realtà, viene effettuata una ristrutturazione dell'io.

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Capitolo tmo

6) La presa di distanza dell'essere umano da impulsi aggressivi: il battesi­ mo reinscena l'aggressione dell'essere umano come aggressione di Dio contro il Figlio di Dio, ma prende anche le distanze da essa, in quanto, da un lato, Dio si lascia alle spalle la propria aggressione con la risurrezione del proprio Figlio e, dall'altro, l'essere umano si lascia alle spalle la pro­ pria aggressività: egli è separato, mediante la morte simbolica nel battesi­ mo, dalla sua vecchia vita aggressiva e piena di ostilità. Spesso il perdono dei peccati e il mito dell'espiazione sono contrappo­ sti l'uno all'altro, ma essi sono solo la variante religiosa moderata e la va­ riante religiosa estrema della medesima intenzione, cioè dell'intenzione di superare il peccato degli esseri umani. Noi le collochiamo sinteticamente l'una accanto all 'altra e completiamo così alcune osservazioni: Perdono dei peccati come superamento religioso moderato della colpa

Mito dell'espiazione come superamento religioso estremo della colpa

Immagine di Dio

Dio è amore, che si rivolge liberamente all'essere umano. Egli lo fa partecipare inclusivamente al proprio cambiamento.

Dio è ira, che si trasfonna in amore. Dio espone Gesù alla propria ira sulla croce e dimostra mediante la risurrezione di Gesù il proprio amore.

Immagine dell'essere umano

Un'immagine etica dell'essere umano pennette una conversione attiva, fenna restando la sua struttura.

Un'immagine soteriologica dell'essere umano ne riserva a Dio la salvezza. Lessere umano è cambiato in profondità. Egli è un salvandus.

I.:essere umano è un corrigendus. Etica

Con il perdono dei peccati Dio obbliga l'essere umano a perdonare i peccati anche al suo prossimo.

Con la giustificazione nessuno è obbligato a giustificare altri. Questo è un privilegio di Dio. Però gli esseri umani devono amarsi a vicenda.

Tab. 19: Perdono dei peccati e mito dell'espiazione

f. Concezione di Cristo come risposta ad aporie religiose

Come abbiamo visto, la questione della teodicea porta a variabili attri­ buzioni causali del male a Dio, a satana e all'essere umano. Sono sempre 'fattori causali' quelli che vengono riempiti con il ruolo di soggetti, che di­ spongono di intenzionalità e di interattività. La chiave per far fronte al problema della teodicea noi l'avevamo trovata nella figura di Cristo, nel-

Mito e sapienZil

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l'offerta centrale di ruoli del cristianesimo delle origini. Essa permette una teodicea comunitaria: dal momento che Dio soffre come Dio incarnato in Cristo, l'essere umano è riconciliato con la sua sofferenza e sta, anche nel­ la sofferenza, in comunione con Dio. Dal momento che Dio in Cristo agi­ sce come un soggetto umano, l'essere umano è rafforzato nella sua re­ sponsabilità e non è oppresso dall'onnipotenza di Dio. Una riflessione teologica successiva ha riassunto questo ruolo di Cristo nella formula: Cri­ sto è vero uomo e vero Dio, vere homo et vere deus. Egli unisce in sé la na­ tura divina e la natura umana «senza confusioni, immutabili, indivise, in­ separabili» (così il concilio di Calcedonia Jel 451 d.C.). Questa interpre­ tazione non è una dogmatizzazione non pertinente del mito cristiano ori­ ginario, bensì esprime in maniera efficace il suo carattere controintuitivo: in Cristo si verificò Wl superamento dei confini tra Dio e l'essere umano. Tale superamento dei confini viola la nostra antologia quotidiana. Ma pro­ prio grazie ad esso il messaggio cristiano divenne attraente e attirò l'at­ tenzione. Se si fosse solo predicato che un profeta ebreo era stato ucciso in Palestina, questo messaggio non avrebbe cambiato il mondo. Ma la convinzione che in Cristo si era incarnato un essere divino e che tale esse­ re era stato crocifisso dagli uomini, era una cosa sconvolgente e scandalo­ sa, che doveva necessariamente richiamare l'attenzione e suscitare un sen­ so di ripulsa. Nello stesso tempo era plausibile il messaggio che, con l'in­ carnazione, tutta la vita umana era stata santificata e rivalutata dalla na­ scita fino al sepolcro. Con l'idea centrale controintuitiva del Dio uomo (in due nature) la fede cristiana ottenne una legittimazione mediante una sua derivazione da un piano superiore della realtà. La potenza che aveva dato alla realtà tutto il suo ordine e la sua struttura fondamentale aveva defini­ to in modo nuovo, nel ruolo di Cristo, la realtà. ll significato psicologico del ruolo di Cristo può essere descritto e ana­ lizzato in maniera più precisa mediante la teoria dei ruoli: il ruolo di Cristo sta al centro dell'offerta di ruoli della religione cristiana delle origini. Gli uomini possono 'assumerlo' e 'accettare' contemporaneamente i corrispon­ denti ruoli di altri partner. In quanto Cristo è 'vero uomo' possono identi· ficarsi con lui, in quanto egli è 'vero Dio' non possono identificarsi con lui. Nel comportamento di Cristo è sempre contenuto qualcosa che è riservato esclusivamente a una divinità e che l'essere umano non può fare suo. Per­ ciò possiamo analizzare il ruolo di Cristo come un ruolo religioso estremo. Di fronte ad esso stanno le molte offerte di ruoli umani della Bibbia: la fi­ gura di Adamo e di Abramo nell'Antico Testamento, quella dei seguaci di Gesù nel Nuovo Testamento: l'apostolo come carismatico secondario, altri seguaci di Gesù come carismatici terziari, infine i ruoli fittizi descritti nelle

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Capitolo tmo

parabole. L'essere umano può identificarsi con tutti questi ruoli umani, sen­ za che in essi rimanga un resto che si sottrae in maniera radicale all'azione e all'esperienza umana. Si tratta di ruoli religiosi moderati. Quanto più strettamente essi sono collegati con Cristo, tanto più essi assumono natu­ ralmente un carattere estremo. In ogni caso essi stanno in relazione con questo ruolo centrale. Di esso dobbiamo perciò anzitutto occuparci. I. LA CRISTOLOGIA COME OFFERTA CONTROINnJITIVA DI RUOLI

Dei ruoli irraggiungibili per l'essere umano, che egli non può assume­ re, ma che può solo accogliere, fa naturalmente parte anche il ruolo di Dio: solo di rado esso diventa nel Nuovo Testamento il modello dell'agire umano. Dio, quando fa sorgere il suo sole su giusti e ingiusti, è modello e esempio originario dell'amore dei nemici (Mt 5,43 -48). Quando perdona una colpa smisurata, è il modello originario del perdono (Mt 18,23 -35). Quando, nello sviluppo interno alla lettera ai Romani, supera la sua ira e la trasforma in amore, è il modello originario dell'autocontrollo in favore del prossimo. Il comportamento esemplare e il vissuto esemplare sono però, nel cristianesimo delle origini, altrimenti concentrati nella figura di Gesù come vera immagine di Dio. Noi esaminiamo soprattutto l'interpre­ tazione della sua morte e della sua risurrezione, della sua umiliazione e della sua elevazione o glorificazione. Interpretazioni dell'umiliazione di Gesù: sensi attribuiti alla sua morte

Possiamo distinguere due gruppi di interpretazioni della morte: inter­ pretazioni al cui centro sta solo la morte, e interpretazioni che includono costitutivamente anche la risurrezione. Perciò la risurrezione non è neces­ sariamente congiunta né con la morte del profeta martire, né con la mor­ te espiatoria. Un animale sacrificato in espiazione non sperimenta alcuna risurrezione. Il profeta martire rende testimonianza sino alla fine alla pro­ pria causa indipendentemente dalla propria soprawivenza. Se però si ab­ bina alla morte la risurrezione, allora l'idea dell'espiazione cambia: allora la riconciliazione non è più riconciliazione a spese di un terzo, bensì ri­ conciliazione con lui. La fede nella risurrezione è sempre, a mio giudizio, implicitamente compresente nel cristianesimo delle origini. La questione decisiva nel caso dell'inserimento della risurrezione è la seguente: Dio re­ dime attraverso l'uccisione o attraverso il superamento della morte?

Mito e sapienza

3.57

Una seconda differenza tra le interpretazioni della croce sta nel fatto che si può interpretare la morte in analogia a un destino umano, oppure come un evento privo di analogie: la morte di Gesù acquista la sua im­ portanza, da un lato, in corrispondenza alla morte di altre persone (dei profeti e dei giusti) ed è allora un modello diretto della sopportazione del­ la sofferenza e della via che porta alla gloria. In questo caso la sua morte è un exemplum. Quel che in essa avviene, avviene anche in altre morti. Dall'altro lato le interpretazioni possono anche mirare a dire che in essa viene sopportato qualcosa di singolare: qualcosa che essa toglie agli uomi­ ni, affinché essi non debbano sopportarlo. In tal caso la morte di Gesù è un sacramentum, un mezzo singolare per la salvezza degli uomini. Infine la redenzione è sempre redenzione dal male. Come abbiamo vi­ sto, nel monoteismo il male può essere fatto risalire a tre fattori, a Dio stes­ so, a potenze ostili e al peccato dell'essere umano. Queste tre attribuzioni causali provocarono delle varianti nell'idea di redenzione: la redenzione deve ( l) o trasformare una fosca immagine di Dio in un'immagine dell'a­ more di Dio, o (2) vincere potenze ostili, o (3 ) liberare gli uomini dal pec­ cato. In maniera corrispondente le immagini adoperate per interpretare il senso della croce mettono di volta in volta al centro uno di questi fattori. ( l ) La redenzione è una trasformazione e un superamento di potenze osti­ li: il profeta martire muore per mano dei nemici di Dio, ma Dio sta dalla sua parte (cfr. n. l nello specchietto seguente). Nello schema di contrasto Gesù è ucciso dagli uomini, ma legittimato da Dio mediante la risurrezio­ ne (n. 6). Il riscatto è una liberazione da potenze demoniache ostili, cui viene pagato un prezzo (n. 7). Gesù diventa il vincitore su di esse e su tut­ te le potenze numinose del cielo e della terra (n. 12). (2) La redenzione è una trasformazione dell'essere umano: la croce, es­ sendo un modello della sopportazione della sofferenza e della disponibi­ lità al martirio, influenza il comportamento umano. In fi/ 2,6-l l la croci­ fissione è, quale umiliazione e glorificazione estrema, un modello di humi­ litas, in l Cor l , 1 8ss. è modello di una rivalutazione dei Corinzi collocati in una posizione socialmente bassa, che nel mondo sono 'niente', ma sono stati eletti da Dio (n. 5). Ancora più importante è la trasformazione degli uomini attraverso il dono di sé fatto con amore dal Figlio di Dio: non l'ira di Dio, bensì !"ira' degli uomini, cioè la loro ostilità verso Dio, è superata da Dio! (n. 9). Essi partecipano alla morte e alla risurrezione e sono così trasformati: se sono morti con Cristo, sono liberi dal peccato (n. 1 1) . (3 ) La redenzione è una trasformazione di Dio: s e l a responsabilità del male viene attribuita a Dio, allora la sua immagine oscura deve trasfor­ marsi in un'immagine positiva: il giusto dubita, nella passio iusti, della vo-

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lontà buona di Dio e grida con il Sa/ 22,2: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (n. 2). Gesù apre, come sofferente e come risorto, la via che porta a Dio (n. 4). Ciò avviene mediante la sua entrata come som­ mo sacerdote nel Santo dei santi, mediante il suo proprio sangue come vit­ tima (n. 10) . Gli esseri umani sono liberati dai peccati per mezzo della morte subita in rappresentanza vicaria, perché Dio per tale morte mette da parte la propria ira e fa entrare in azione la sua giustizia (n. 8). Tutte queste interpretazioni sono collegate fra di loro, sono spesso fuse fra di loro e trapassano spesso l'una nell'altra. Però possiamo concerrual­ mente distinguerle in modo chiaro: Interpretazioni etiche LI morte come exemplum

lnterprelllziooi mteriologiche LI morte come sacramenrum

Interpretazioni della morte, che si concentrano sulla morte La mancanza di redenzione è persecuzio· ne e oppressione da parte di nemici.

La mancanza di redenzione è sofferenza sorto il Dio nascosto e adirato.

La mancanza di redenzione consiste in un errato com· portamento dell'essere umano.

(l) Il pro/eta martire Gesù muore rome profeta per il suo proprio messaggio (Le 13,34; 1 1 ,4951; l Ts 2,14-16; Mc 12,Iss.l. Alla base c'è l'immagine deuteronomica della fine violenta dei profeti: Gesù rende testimonianza di fronte a una ost1lità wnana. Egli è un modello di coraggio umano.

(7) Il risCJJito dJJlle potenze L'essere wnano è riscanato da potenze estranee redemptio ab hortibus iGaO,IJ; 4,5; l Cor 6,19s.; 7 ,23; l Pt i , I 8s.; Mc 10,45; At 20,28). La redenzione è liberazione da una potenza orti/e. Gesù è un modello indirerto: i liberati non devono più cadere nella dipendenza

(2) Lo passio iusri La sofferenza di Gesù è rappresentata nel racconto della passione, mediante citazioni di salmi, come la sofferenza del giusto (Mc 14,34 = Sol 22 ,1; Mc 15,

(8) Vespiazione per i pecCJJti La morte di Gesù è una morte per i peccati (hypèr hemon; Rm 5,6-11; 2 Cor 5,14-21), un dono di sé per altri (Ga1 1,14; 2,20; Rm 8,32; 4,25) e un'espiazione (hilasm6s; Rm 3,25; l Gu 2,2; 4,10). La redenzione è su· peramento dell'ira di Dio. Cristo è indirettamente modello, quando Paolo vuole fare della sua vita un sacrincio lfi/ 2.17).

24.29.34 = Sa122,19; 22,8; 22,2). Nell'io degli aranti i cristiani riconoscono la loro sofferenza e la sofferenza di Gesù. Per il giusto sofferente Dio è inrom· prens1bile, ma tuttavia egli gli rimane fedele. Gesù è il suo modello.

(3) Vesemplarità della sofferenza Gesù è un modello di sopportazione della sofferenza, anzitutto per schiavi (l Pt 2,2 1 -25 ), poi per tutti i cristiani (l Pt 3,17-19), inoltre un modello di libera rinuncia al proprio status !Mc l O, 4145; F1l 2,6- I l ). I.:essere umano è direnamente influenzato dall'esempio di Gesù.

(Ga/ 5,1.13).

(9) Il rkJno delliJ vita Dio dà per amore quanto ha di più prezioso e supera così !"ira' il'ostilità) dell'essere wnano

(Rm 5,8; 8,3 1-39; Cv 3,16; 15,13; l Cv 4, 9s.). La redenzione è trasformazione deU'essere umano. Dio è implicitamente modelLi del superamento dell'ira, allorché si decide in favore dell'amore, anziché in favore dell'ira.

Mito e sapienu

359 Interpretazioni della morte di Gesù, che presuppongono la risurrezione

La mancanza di redenzione consiste nel fano che Dio è inaccessibile.

(4) /;andata verso la gloria I discepoli di Emmaus apprendono che il Messia deve soffrin: per entran: nella sua �oria ILe 24 ,26s.) . D vangelo di Gwvanni conosce questa idea sotto fonna di elevazione (Gv 12,32), �orificazione di Gesù (Gv IJ,3ls.) e andata di Gesù al Padre (Gv !6,7ss.): la vi4 a Dio è è ora aperta. Gesù apre la via ai suoi.

(5) Umili4zione e glori/iCIJxione La mancanza di n:denzione consiste nell'umiliazione e nella dipendenza dell'essere umano.

La mancmza di redenzione consiste nella ostilità di uomini e potenze.

L'umiliazione è voluta da Dio e dallo stesso Gesù, non è imposta dall'esterno (Fi/ 2,6-11; l Cor 1 , 18ss.). L'agire di Cristo diventa così il modello din:no per l'essere umano, che è disposto a rinunciare al suo status. Chi si umilia sarà anche innalzato.

(6) La schema di contrasto I disconi degli Ani interpretano la mone di Gesù dicendo: «Voi l'avete ucciso, ma Dio lo ha risuscitato» (dr. At 2,22ss.; 4,10s.; 10,39ss.; IJ,27ss.). L'azione di Dio nei confronti di Gesù è superamento di una ostilità, anche se i nemici hanno in un primo momento la m�io. Il destino di Gesù è un modello di fiducia per gli uomtm.

(IO) Il culto celeste Gesù entra come sommo sacerdote, ron il sacrificio di sé, attraverso il velo nel Santo dei santi, i cristiani lo seguono. La sua vita ulteriore è cosriruriva (Eb 6, 19s.; 7,1-10,18), come moma la sua intercessione (Rm 8,34; Eb 7 ,25; 9,24; l Gv 2, \). La redenzione è riconciliazione con Dio, perché Dio diventa accessibile. Gesù, pn:cedendoli, è il modello dei cristiani. (III La partecipazione alla morte e alla risurrezione Per il fano che i cristiani «muoiono e vivono con Cristo• viene superato il loro vecchio uomo. Questa idea è tipica del campo della tradizione paolina (Rm 6,1-12; FiO,IOs.; Col 2,12 t 3,1-3; E/ 2,5s.). La redenzione è trasfonnazione dell'essere umano in con/ormitas con Cristo. Questi è indin:namente anche modello dell'essere umano. (12) Gesù vincitore Oesus victor) Gesù libera da potenze estranee non solo con esorcismi, ma anche con la sua morte e la sua risurrezione Ap 1 ,10-20; Eb 2,14s.l . Egli vince così satana IGv 12,27-331. La redenzione è superamento di potenze ostili. Indirertamente Gesù diventa così anche il modello dell'essere umano, che deve resistere a potenze malvagie.

Tab. 20: Interpretazioni della morte di Gesù nel Nuovo Testamento

Anche se alcune di queste interpretazioni sembrano presupporre Gesù solamente come 'uomo', nel Nuovo Testamento esse diventano efficaci so­ lo perché egli è più che un uomo. Così nella fonte dei l6ghia il profeta mar­ tire Gesù non è solo un profeta, ma è il messaggero inviato dalla sapienza alla fine di una lunga serie di profeti, che furono da lei inviati (Le 1 1 ,495 1 ) . Soprattutto, però, egli è il 'Figlio' per eccellenza, che ha accesso alla

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Capitolo terzo

rivelazione di Dio (Le 10,22). TI distintivo comportamentale, consistente nel «rimanere fedeli alla propria convinzione anche di fronte a una mi­ naccia mortale», è un modello comportamentale umano. Sotto questo aspetto Gesù è un modello diretto di comportamento. Il fatto che egli sia una figura unica incaricata da Dio non ha certo alcuna corrispondenza nel comportamento umano, però dà alla sequela wnana una legittimazione, che è tanto profondamente fondata quanto l'ordinamento fondamentale del mondo. Nel vangelo di Marco Gesù è, soprattutto nella sua passione, un mo­ dello di comportamento per ogni persona sofferente, che va titubante e tremante incontro alla morte. I motivi del salmo rafforzano questo effetto identificativo della figura di Cristo. Nel contesto del vangelo di Marco qui non soffre però solo un uomo, bensì il «Figlio di Dio» (Mc 12,6; 15,39). Anche questo si sottrae all'imitazione umana richiesta in tale vangelo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). Ma il sovrumano contenuto in questo ruolo di Cri­ sto è importante per la sequela: esso conferisce al comportamento della se­ quela una dignità infinita nell'unione con Dio. Negli scritti più antichi riguardanti Gesù, la fonte dei l6ghia e il vange­ lo di Marco, Gesù non è perciò solamente 'vero uomo', bensì in qualità di Figlio di Dio 'vera divinità'. Così dicendo non contestiamo il fatto che proprio sotto questo aspetto ci sia stato uno sviluppo che va dal Gesù sto­ rico all'immagine postpasquale di Cristo. Il Gesù storico si attribuì il ruo­ lo decisivo nella storia tra Dio e l'essere umano e si concepì come rappre­ sentante di Dio. Però volle affermare solo il regno di Dio, non il proprio regno. Sulla base della croce e della risurrezione i primi cristiani dissero poi su di lui molto più di quanto egli aveva detto di sé. Questo processo può essere meglio compreso con l'aiuto di concezioni cognitive della psi­ cologia. Le spiegazioni di questo sviluppo procedono però in direzioni opposte: nel caso della nascita di quest'idea un ruolo importante svolge la riduzione cognitiva della dissonanza, nel caso della sua capacità di impor­ si l'aumento della dissonanza mediante idee controintuitive. Riduzione cognitiva della dissonanza e la glorificazione di Gesù

L'esperienza del fallimento di Gesù in croce fu per i discepoli un'espe­ rienza 'dissonante', che confliggeva con le loro aspettative. Gesù aveva su­ scitato aspettative messianiche. TI titulus crucis, che presentava il Giusti­ ziato come «Re dei giudei», conteneva il messaggio che, con il Crocifisso,

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andavano crocifisse tutte le speranze in un liberatore d'Israele. Grazie al­ le apparizioni pasquali del Crocifisso questa esperienza della dissonanza fu superata. Il Crocifisso acquisì un rango e un valore perfino superiori a quelli che gli erano stato attribuiti durante la vita. Egli si era dimostrato più forte dei suoi giudici e carnefici. Ciò divenne possibile grazie a una la­ tente disponibilità, presente nella religione giudaica, a ridurre esperienze dissonanti con il rafforzamento della fede religiosa. Già l'elevazione di Jahvé al rango di Dio uno e unico era stata il frutto del superamento di una crisi. La stessa cosa vale per l'elevazione di Gesù. In ambedue i pro­ cessi fece sentire il suo influsso la stessa 'dinamica monoteistica'. In che cosa essa consisteva? Di fronte alla distruzione di Gerusalemme bisogna­ va riconoscere la vittoria di popoli stranieri e dei loro dèi oppure rimane­ re fedeli alla fede in Jahvé, compensando la catastrofe sulla terra con una vittoria in cielo: gli altri dèi furono dichiarati non esistenti. Quanto più to­ tale la sconfitta di Jahvé e del suo popolo apparve sulla terra, tanto più grande doveva risultare la vittoria 'metafisica' di Jahvé su tutti gli dèi in cielo. Questa dinamica monoteistica si ripete nella dinamica cristologica. Le apparizioni pasquali permettono di trasformare la sconfitta della cro­ cifissione in una vittoria del Glorificato sui suoi giudici e sul mondo. La profonda umiliazione fu compensata con una glorificazione che superava tutto. Con l'elevazione del Crocifisso a uno status divino fu superata la dis­ sonanza della croce. Tale elevazione confermò una convinzione di fede già esistente: Dio può risuscitare a nuova vita. E viceversa: dove dei morti so­ no risuscitati a nuova vita, lì c'è l'azione di Dio. Anche in Paolo possiamo presupporre queste convinzioni fondamentali. Nella sua vita la dissonan­ za cognitiva assunse una forma particolare: con la fede nel Cristo kerig­ matico egli non superò la dissonanza tra le speranze nutrite durante la vi­ ta di Gesù e la sua crocifissione finale, bensì la dissonanza tra la crocifis­ sione e le apparizioni pasquali. Che un crocifisso fosse un Messia era sta­ ta per lui un'idea inconcepibile e uno dei motivi per cui aveva perseguita­ to i cristiani. Aumento della dissonanza cognitiva e la glorificazione di Gesù

Con l'elevazione del Crocifisso a uno status di uguaglianza con Dio (Fil 2,6- 1 1 ) subentra una nuova specie di 'dissonanza cognitiva'. ll Figlio in­ carnato di Dio, che è crocifisso e riceve il nome di Dio, viola le regole del­ l'ontologia quotidiana, che sono profondamente radicare in noi. Gli uo­ mini non esistono prima della loro nascita, e dopo la loro morte non go-

Capitolo ten;o

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vernano il mondo. L'idea della glorificazione di Gesù fa a pugni insieme con convinzioni dei pagani e dei giudei. Per i non giudei era una provo­ cazione il fatto che un dio fosse crocifisso. Gli dèi vivono in un mondo al di là della morte e del dolore. Possono discendere in questo mondo, ma non partecipano alla sofferenza. Quanto questa idea di una reale incarna­ zione di Dio fosse lontana dalla mentalità pagana ce lo mostra un passo di Seneca, nel quale egli dice al giovane imperatore Nerone che non può ri­ nunciare al proprio status e che somiglia in ciò a un dio: «Questa è la più alta servitù del tuo status, di non poter diventare meno importante; tale tua necessità l'hai ad ogni modo in comune con gli dèi. Pure gli dèi sono infatti tenuti legati dal cielo, e come a te, così neppure a loro è dato di ab­ bassarsi senza pericoli; sei 'inchiodato' al tuo statuS>> (Sen., clem. 3,6,3 ). La cristologia di Paolo infrange simili assiomi fondamentali dell'antica reli­ gione pagana, nella quale gli dèi vivono immortali al di là della morte e del dolore. Così però egli infrange anche il monoteismo giudaico. Il nome di Dio è trasposto a un secondo Dio accanto a Dio. La fede in un essere di­ vino accanto a Dio era possibile nel giudaismo, come mostra la fede nella sapienza e nel L6gos quale «secondo Dio» in Filone (Quaest. in Gen. 2,62). Impossibile però era l'adorazione cultuale di una simile figura come quella che viene tributata nell'inno della lettera ai Filippesi: tutti gli esse­ ri si inginocchiano in cielo, sulla terra e negli inferi davanti a questa se­ conda figura divina"'. Nel kerygma cristiano delle origini troviamo quindi un'idea controintuitiva, che viola i confini umani generali tra Dio e l'esse­ re umano e che li viola per di più in una forma che doveva necessaria­ mente suscitare scandalo sia tra i pagani che tra i giudei. Questa contrad­ dizione controintuitiva si spinge al di là della contraddizione tra l'attesa di un Messia e la sua smentita ad opera dell'esecuzione di Gesù. Il Messia è infatti un uomo che in qualità di re salvifico è munito di tratti inverosimi­ li, ma che non è Dio. L'attesa del Messia non sconvolge incondizionata­ mente la nostra antologia quotidiana. Invece la fede nella risurrezione del Messia crocifisso e nella sua' elevazione a uno status uguale a quello di Dio è qualcosa di più di un paradosso all'interno delle nostre categorie espe­ rienziali e contrasta in maniera controintuitiva con tali categorie. Secondo la scienza cognitiva della religione sono appunto tali idee con­ trointuitive la causa della sopravvivenza e della diffusione di idee religio­ se. Ricerche fatte su processi della tradizione orale mostrano in effetti una tendenza a maggiorare eventi paradossali all'interno dell'antologia quoti01

L.W.

HURTAOO, One God, One Lord, 1988; In., Lord Jesus Christ, 2003.

Mito e ri1pie11Z4

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diana sino a farne delle rotture controintuive82• Occorre perciò doman­ darsi: L'accentuazione della stoltezza della croce fu una strategia missio­ naria? Rese attraente il messaggio di Cristo e richiamò l'attenzione su tale messaggio? Che interesse avrebbe potuto avere per un romano a Filippi, per un macedone a Tessalonica o per un greco a Corinto il fatto che un Messia ebreo era stato crocifisso dai romani? Essi avrebbero invece teso l'orecchio, se fossero stati messi di fronte a questo messaggio: il Figlio del Dio uno e unico è stato giustiziato dagli uomini ed è stato elevato dopo la sua morte alla sfera della divinità al di sopra di tutte le potenze! Il fatto di prestare attenzione a un'idea è qualcosa di diverso dal farla propria in maniera duratura, la ricezione temporanea di un'informazione è qualcosa di diverso dal suo immagazzinamento nella memoria culturale a lungo termine. Nella parabola del quadruplice campo si distingue giu­ stamente tra l'accoglienza del messaggio, il suo radicamento e la sua effi­ cacia a lungo termine (Mc 4,3ss.). Possiamo distinguere tra il valore o la capacità di un'idea di riscuotere attenzione e il suo valore o la sua 'capa­ cità di imporsi'. Le idee controintuitive si impongono perché hanno una funzione fon­ dante. Esse dicono qualcosa sulla struttura fondamentale della vita e del mondo. Solo divinità che stanno al di sopra delle regole della nostra an­ tologia quotidiana hanno il potere di rivedere tali regole e di dichiarare le­ gittime nuove regole. Il fatto che esse sconvolgano spesso in maniera biz­ zarra l'esperienza ci dice che esse possono stabilire le condizioni della pos­ sibilità della nostra esperienza. Se Dio diventa uomo e un uomo Dio, al­ lora l'elevazione e l'abbassamento fanno parte della struttura fondamen­ tale di tutto l'essere, sono semplicemente un assioma della vita e non una irregolarità. Il mito controintuitivo ha una funzione poetica trascendentale capace di gettare le basi di una forma di vita. Da qui deriva, quale seconda ragione dell'evidenza del kerygma di Cri­ sto, la sua funzione socio-poetica. Il kerygma di Cristo fondò un'identità sociale. Esso delimitò i cristiani da due lati, nei confronti dei greci e nei confronti dei giudei. Per i greci il messaggio della croce era una stoltezza, per i giudei uno scandalo. Infatti i pagani non potevano ammettere la pie­ na incarnazione di una divinità, mentre i giudei non potevano accettare l'adorazione di un uomo sulla base del suo status divino. Grazie a questa a Cfr. l. CZACHFSZ, Kontraintuitive Idem im urchrirtlichen Denkm, in Beitrige zur Prychologie der urchrirtlichen Religion (in corso di stampa). Qui il rimando a J.L. BARRETI - M.A. NYHO!', Spreading Non-natura/ Concepir: The Role o/lntuitive Conceptual 5tructures in Memory and Transmtssion o/Cul­ tura/ Matenals, in fournal o/Cognition and Culture l (2001) 69-100.

364

Capitolo terzo

delimitazione da due lati il messaggio acquisl Wla base sociale plausibile: esso divenne il segno dell'identità dei cristiani nei confronti dell'una e del­ l' altra parte. Nessuno però può vivere esclusivamente di delimitazioni. La parola della croce si accompagna in Paolo a nuovi valori condivisi da tutti i cri­ stiani, che facevano parte del common sense dei primi cristiani e che essi introdussero nel loro ambiente pagano: l'amore e la rinuncia allo status. Le idee controintuitive del kerygma di Cristo furono perciò ancorate in maniera permanente nei cuori dei cristiani, perché esse fondavano questi due valori. Esse fornivano loro una base su un altro piano dell'esistenza, perché facevano parte della fondazione di un mondo nuovo. I due valori pretendono di essere validi anche al di là dei gruppi cristiani. n kerygma di Cristo ha qui una funzione poetica morale per la fondazione di valori co­ muni, come possiamo facilmente riconoscere. Paolo ha riassunto due volte in inni il suo kerygma di Cristo. Egli fon­ da con esso i due valori fondamentali dell'amore e della rinuncia allo sta­ tus. Il kerygma di Cristo relativo all'amore ricorre in Rm 8,3 1 -39 ed è col­ legato con la «morte per noi»: l'amore di Dio si manifesta nel fatto che Cristo è morto per noi, quando noi eravamo ancora peccatori (Rm 5,8). Invece il kerygma di Cristo relativo alla rinuncia allo status egli lo espone nell'inno della lettera ai Filippesi (fi/ 2,6- 1 1). Qui manca l'interpretazio­ ne della morte per noi. La morte è un'umiliazione estrema, che è supera­ ta dalla glorificazione. In questo inno il Cristo kerigmatico è il modello originario della rinuncia allo status. Le due interpretazioni della morte di Gesù corrispondono ai due valori" che il cristianesimo delle origini immi­ se, da tradizioni giudaiche, nel mondo pagano antico: il valore di un amo­ re che si spinge fino a soffrire e di un'umiltà che è disposta a rinunciare al­ lo status e al prestigio". La morte di Gesù come espiazione dei peccati te­ stimonia per Paolo l'amore di Dio, che ha dato il proprio unico Figlio, co­ sa per cui niente può separare dal suo amore. L'amore di Dio assorbe per così dire la sua ira e la vince. Invece la morte di Gesù come scandalo te­ stimonia una rinuncia di Dio allo status, testimonia un Dio che appare nel mondo come povero, disprezzato e stolto, benché proprio in ciò consista­ no la sua ricchezza, il suo onore e la sua sapienza. Il kerygma controintui­ tivo di Cristo fonda questi valori fondamentali controintuitivi e solo per " Su questi due valori fondameotali cfr. G. THEISSEN, Die Religion der ersten Christen, 200J', 101122 [trad. it., 95· 1 16]. 84 Ad essi corrispondono due inte rpre cazioni deUa morte di Gesù in Paolo, e precisamente come espiazione e come scandalo. Cf r. G. THEISSEN, Der Tod Jesu ols Suhne und Argemzs, 2006, 427-455.

Mito ti sllfJien'l.Q

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questo tale kerygma poté entrare nel cuore di molte persone ed entrare a far parte delle convinzioni fondamentale di una sempre più numerosa co­ munità. Nel mondo moderno esiste una tendenza comprensibile a riconoscere i valori contenuti nel kerygma di Cristo, ma a respingere il loro inquadra­ mento mitico come un inquadramento storicamente condizionato. Sotto­ lineiamolo perciò ancora una volta: questa cornice mitica ha una funzione importante: essa fa risalire valori fondamentali e strutture fondamentali della vita a una potenza che non è soggetta a queste regole. Soltanto una potenza del genere ha Wla funzione fondante e legittimante. Essa può sta­ bilire regole unicamente se sta al di sopra delle regole, perché le può crea­ re"'. Perciò lo sconvolgimento della nostra antologia quotidiana nel keryg­ ma di Cristo ha un senso più profondo. Il kerygma di Cristo predica il messaggio che una vita contraddistinta da amore e da rinuncia allo status corrisponde a una realtà ultima e valida in maniera definitiva. Esso confe­ risce a questa forma di vita una legittimazione poetica trascendentale, la consolida con la sua funzione socio-poetica sino a farne la base dell'iden­ tità cristiana in distinzione da altri gruppi ed esercita simultaneamente una funzione poetica morale per fondare valori validi per tutti gli esseri uma­ ni. Paolo incrementa i tratti controintuitivi. Egli ha riconosciuto che la ca­ pacità di attrazione del kerygma cristiano primitivo e la sua capacità di im­ porsi risiedono in un corpus mixtum di mito controintuitivo e di éthos evi­ dente. II. RUOLI SECONDARI COME OFFERTA RELIGIOSA MODERATA DI RUOLI

L'essere umano sta di fronte a Cristo come a un soggetto divino che tra­ scende ogni funzione di modello, mentre può identificarsi direttamente con i ruoli umani della Bibbia. Possiamo esaminare solo a grandi linee la ricchezza di questa offerta di ruoli, che riassumiamo in gruppi: alcuni ruo­ li sono già presenti nell'Antico Testamento, altri sono costituiti dai disce" Anche le spiegazioni della vita e dei suoi programmi intrinseci, date dalle scienze naturali - ad esempio per mezzo della biolo�ia e della psicologia deJI'evoluzione -, sono 'controinruitive' e supera­ no i confini della nostra omologia quotidiana, in quanto fanno risalire 'riduzionisticamente' la vita a una realtà inanimata e i valori a una selezione. Proprio le spiegazioni riduzionisriche hanno per noi un grande valore esplicativo. Le fondazioni controintuitive delle religioni non sono riduzionistiche, ma 1deduzionistiche', tanto per usare un termine analogo, con cui si potrebbe indicare la derivazione dd­ Ja vita da un campo entitativo �superiore'.

Capitolo terzo

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poli, un terzo gruppo è costituito dai molti che entrano in contatto con Gesù"'. Di volta in volta possiamo distinguere tra tutto il gruppo come modello collettivo e i singoli modelli individuali: Israele, i discepoli e la folla diventano, anche come gruppo, tipi di un componamento e di un vissuto attuale. Qui di seguito non possiamo presentare tutti i modi com­ portamentali e tutte le forme di vissuto, che sono incarnati da questi ruo­ li e modelli, e ci accontentiamo di volta in volta di alcuni esempi c distin­ tivi principali esemplari del comportamento descritto. Ruoli veterotestamentari TI Nuovo Testamento seleziona e riprende un piccolo numero di ruoli veterotestamentari e ne fa tipologicamente dei modelli dell'esperienza e del comportamento cristiano. Qua e là addirittura tutto Israele può di­ ventare il tipo della chiesa: in l Cor 10,1 - 13 la generazione dell'esodo di­ venta l'esempio ammonitore per la comunità presente. Essa fu salvata, ma nel deserto cadde nell'idolatria. Allo stesso modo anche la presente co­ munità cristiana deve tentare l'esodo da questo mondo e non vanificarlo partecipando a culti pagani e mangiando carne sacrificata agli idoli in una cornice cultuale. In Eb 1 1 ,1ss. viene presentata una grande nube di testi­ moni della fede dell'Antico Testamento per descrivere la fede come per­ severanza nel corso del pellegrinaggio attraverso il deseno del mondo. Qui però vengono menzionati singoli individui. Il singolo può più facil­ mente identificarsi con essi. Tra i singoli modelli veterotestamentari ricor­ diamo Adamo, Abramo, Mosè, Elia, Giona e Davide. Adamo è il modello delpeccatore, che trasgredì il comandamento di Dio (Rm 5,12-2 1 ) . Ogni essere umano può perciò identificarsi con lui. Ciascu­ no è infatti senza distinzione, secondo la convinzione di Paolo, un pecca­ tore. Adamo funge da modello anche dietro !"io' di Rm 7,7ss.". Solo l'av­ vento del comandamento lo strappò all'innocenza paradisiaca e moltiplicò in lui il peccato. Tale comandamento lo sedusse con la promessa della vi­ ta, ma con tale promessa lo ingannò. A mio giudizio Paolo proietta qui in· negabilmente nella figura di Adamo la propria esperienza: spinto dalla legge egli divenne trasgressore della legge e perseguitò con uno 'zelo' ac­ cecato i cristiani. " A questi si potrebbero teoreticamente aggiungere eome quarto gruppo le figure fittizie delle pa­ rabole. " G . THEISSEN,

Prycho/ogische Aspekte, 204-21J.

Mito e sapien'Ul

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Abramo è il modello della fede. Per descrivere la fede il cristianesimo delle origini ricorre spesso all'azione esemplare di Abramo, quando per ubbidienza al comandamento di Dio era disposto a sacrificare Isacco, con­ fidando però nello stesso tempo nel fatto che Dio avrebbe comunque mantenuto la sua promessa (Gc 2,20-26; Eb 1 1 ,17-19). Nella tradizione giudaica questo è l'atto esemplare di fede di Abramo. Paolo però pone l'accento sulla fede nella promessa del figlio nonostante lo stato decrepito dei corpi di Sara e Abramo (Rm 4,1ss.). La fede è fede nella vita. Impor­ tante per lui è il fatto che questa fede fu, secondo Gen 15,6, accreditata ad Abramo come giustizia e che quindi essa è una fede che si fonda uni­ camente sull'azione di Dio capace di vincere la morte e non su opere u­ mane. Mosè è presentato come modello dell'obbedienza alla legge, che per mez­ zo di Cristo è portata a compimento o sostituita con qualcosa di nuovo. L'idea del compimento si trova nel vangelo di Matteo: Gesù è un nuovo Mosè, che da bambino fu perseguitato come il primo Mosè dai potenti (Mt 1-2) e che poi sul monte spiega con autorità la legge (Mt 5-7) . Paolo invece sottolinea l'antitesi fra Mosè e Cristo. Il ministero della legge eser­ citato da Mosè fu pieno di gloria, ma tale gloria impallidisce a confronto con la straordinaria gloria di Cristo (2 Cor 3 ,4-18). Mosè diventa il mo­ dello della conversione: ogni volta che egli si rivolgeva al Signore, si to­ glieva il velo dal capo. Ciò è interpretato tipologicamente: «Quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto» (2 Cor 3 ,16), cioè il velo di una carente comprensione della nuova rivelazione'". Elia è il modello del pro/eta perseguitato. Per questo i vangeli sinottici vedono in Giovanni Battista l'Elia redivivo. Elia criticò il re Acab e fu da lui perseguitato. Giovanni Battista criticò Erode Antipa e fu da lui addi­ rittura ucciso. Paolo si era forse riferito come giudeo pieno di zelo, nel suo periodo precristiano, a Elia. In Rm l l , lss. egli si pone in relazione con lui, ma lascia cadere tutti i tratti dello zelo. In lui Elia è solamente il profeta perseguitato, che teme per la propria vita e che riceve in tale occasione la rivelazione che un resto rimarrà fedele a Dio, così come anche a Paolo fu rivelato il mistero molto più grande che tutto Israele sarà salvato89• Giona è il modello del predicatore della conversione, che non può legit­ timarsi per aver annunciato il giudizio e a cui tuttavia i niniviti obbediro­ no (Mt 12,39-41 par.). Forse Gesù, rifacendosi a Giona, cercò di dare una " G. 'THEISSEN, Psychologische Aspekte, 121-161. Nella traduzione di Lutero questa conversione viene riferita, senza alcun punco di sosteg:no nel testo, a Israele: > (E/4,26). Diversamente dall'antica filosofia, il Nuovo Testamento po­ ne in modo particolare l'accento sul fatto che la passione non va vinta tan­ to per amore dell'autocontrollo dell'uomo, quanto piuttosto perché essa distrugge la comunità. Non leggiamo: «Avete udito che fu detto agli anti­ chi: 'Non uccidere'. Ma io vi dico: 'Non ti adirare ! >>, bensì leggiamo: «Chi si adira con il proprio fratello sarà sottoposto al giudizio>> (cfr. Mt 5,2 1 s.). La maggior parte dei manoscritti corregge questo passo nel senso della dottrina antica dell'ira giusta. Essi vietano di «adirarsi senza motivo>>, ag­ giungono cioè un eike (senza motivo). Questa lezione si impose nella mag­ gioranza dei testi. Nella redazione originaria di Mt 5,2 l s. non l'ira giusta deve aver caratterizzato l'éthos, bensì il superamento dell'ira. L'idea dell'i­ ra giusta caratterizza invece chiaramente la fede nel giudizio finale. Con questo, però, arriviamo al nostro secondo punto: all'aggressività immagi­ nata.

" W.V. HARR!s, Restraining Rage, 2001; cfr. la sintesi alle pp. 402-408. " Essa sta anche alla base di 4 Maccabei, un tra([ato sul controllo delle passioni con l'aiuto della legge. E ricorre anche nell'Enoch slavo. sebbene le sue affermazioni sull'ira siano spesso valutate co· me un esempio di un rifiuto assoluto dell'ira (s/Hen. 44,3). Cfr. P V. GEMONDEN. La gestion de la co­ lère et de l'agression dtJns l'antiquité et dtJns

le Sermon sur la montagne, in Henoch 25 (2003) 19-45.

'Sthos e prassi

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Il. AUMENTO DELL'AGGRESSIVITÀ NEL MITO

Il centro delle idee della fede cristiana delle origini non è caratterizzato da immagini aggressive. Al contrario: l'idea dell'ira di Dio è presente, ma l'amore di Dio vince la sua ira. La rivelazione della sua ira (Rm l ,18ss.) la­ scia il posto alla rivelazione della sua giustizia salvante (Rm 3 ,2 lss.). Il Ge­ sù storico non parla certo mai dell'amore di Dio per l'essere umano (cosa di cui molti cristiani non hanno coscienza), perché egli conosce solo l'a­ more dell'essere umano per Dio e per il prossimo. Ma già Paolo parla del­ l'amore di Dio per l'uomo. Negli scritti giovannei poi Dio viene addirit­ tura direttamente definito come amore (l Gv 4,16) . Ma il problema è che accanto all'idea dell'amore sta l'idea del Dio aggressivo, che castiga e giu­ dica. Il fatto che egli ha il diritto di annientare l'essere umano per sempre sta, come terrore del mysterium tremendum, sullo sfondo del mysterium fascinosum della grazia di Dio, che dona immeritatamente all'uomo per­ duto salvezza e vita eterna. L'idea di un Dio aggressivo si presenta in due varianti: Dio viene presentato come un potente guerriero che si impone contro i suoi nemici, oppure come un giudice giusto che nel giudizio uni­ versale giudica tutti gli uomini. L'aggressività delle immagini è maggiore nelle immagini bellicose che non nelle immagini forensi, perché un pro· cedimento giudiziario presuppone già un contenimento e un disciplina­ mento dell'aggressione. Tuttavia in ambedue le serie di immagini si tratta di un'aggressività che viene messa in moto per amore della giustizia. Si tratta sempre della «giusta ira» di Dio contro il peccato e contro il pecca­ tore. La mentalità della lotta domina dove Dio deve imporsi contro po­ tenze spirituali estranee, contro satana e i suoi demoni. Già Gesù condu­ ce contro di esse una «guerra santa»26• Altri uomini sono colpiti da tale guerra, allorché essi sono demonizzati. Così nell'Apocalisse di Giovanni troviamo una demonizzazione dello stato e dell'imperatore romano. Dio e le sue potenze conducono una guerra santa contro i loro awersari. Basti citare una delle molte immagini sature di aggressività dell'Apocalisse: «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chia· mava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia . . . È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è il Verbo di Dio . . . Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa di Dio, l'onnipotente>> (Ap 19,1 1-1:5).

" O. BETZ, ]esu fleiliger Krieg, in NT 2 (1958) 1 16-1}7.

Capitolo quinto

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Qui si tratta senza dubbio di un evento bellico. Le azioni aggressive so­ no giustificate dicendo che esse sono compiute per amore della giustizia. Con un secondo tipo di immagini questa giusta ira è descritta in scene del giudizio universale. L'esecuzione della sentenza non è spesso effettua­ ta direttamente da Dio. Il suo giudizio è giusto e defmitivo. I castighi so­ no terribili per i peccatori. Questa attività giudicante e castigante di Dio deve aver svolto un grande ruolo nell'economia spirituale dei primi cri­ stiani. Da alcuni passi risulta che la convinzione del giudizio (cioè del­ l'immaginata punizione di Dio) dispensa dall'aggressione umana. Paolo esorta in Rm 12,9 a una «carità senza finzioni». Egli pensa anzitutto a re­ lazioni fra i cristiani nella comunità, ma poi estende (a partire da Rm 12,14. 17-2 1 ) le sue esortazioni fino ad abbracciare non cristiani dell'am­ biente circostante. E qui risuona l'éthos decisamente non aggressivo dei cristiani, che ricorda il discorso della montagna: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite . . . Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: 'Spetta a me fare giustizia, io darò a ciasctu1o il suo, dice il Signore'. Al contrario, 'se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo'. Non lasciarti vin­ cere dal male, ma vinci il male con il bene>> (Rm 12,14.17-21).

Dal momento che Dio si assume il compito di punire il malvagio, pos­ siamo rinunciare a fare del male al nemico. Viene addirittura comandato di praticare l'amore dei nemici anche di fronte al malfattore, anche se si discute se i carboni ardenti, che si ammassano sul suo capo, sono parte del fuoco dell'inferno, nel quale l'avversario un giorno finirà, o se rappresen­ tano un invito alla conversione". In maniera ancora più tangibile tali fan­ tasie vendicative sono reperibili nella fonte dei l6ghia. In essa i messagge­ ri di Gesù sono esortati a portare il messaggio gesuano del regno di Dio in tutti i villaggi e in tutte le città. Essi devono entrare nelle case con il salu­ to di pace. Ma se sono respinti, devono scuotere la polvere dai piedi e pas­ sare oltre (QLc 10, 1 0-12). La cacciata di mendicanti vagabondi fu in tutti i tempi collegata alla paura che essi incendiassero per vendetta la casa. Le cose non cambiano neppure nel caso dei carismatici cristiani itineranti dei primi tempi, solo che il compito di appiccare l'incendio è lasciato a Dio.

"W

KussEN, C011ls o/ Fire, in NTS 9 (1%2/63) 337-,0.

Éthos e prassi

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Lo scuotimento della polvere è un rito di maledizione: «In quel giorno, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città» (Le 10,12). I luoghi che si rifiutano di accogliere i carismatici itineranti periranno in mezzo al­ le fiamme. Si era ben coscienti della problematica troppo umana di simili fantasie di vendetta. Quando Gesù in cammino verso Gerusalemme non viene accolto in un villaggio samaritano, i suoi discepoli gli dicono: «'Si­ gnore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?'. (Ge­ sù) Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villag­ gio» (Le 9,54-56). Piene di aggressività sono inoltre affermazioni sull'espiazione e sulla rappresentanza. Nella lettera ai Romani l'ira di Dio aleggia all'inizio come una minacciosa nube temporalesca sugli uomini. La svolta awiene per il fatto che il fulmine, in cui la tensione del temporale si scarica, colpisce il Crocifisso. In lui Dio condanna il peccato (Rm 8,3 ) , per dimostrare per mezzo di lui che il peccatore ha, nonostante la sua condanna, una possi­ bilità di vita. Il Crocifisso riceve infatti, per la potenza di Dio, una nuova vita al di là della morte. Nella lettera ai Romani il Dio dell'ira si trasforma così in un Dio dell'essere umano. Come nella lettera ai Romani Dio subi­ sce una trasformazione, così anche l'uomo. Egli diventa, da un essere aso­ ciale esposto in balia delle sue passioni, un essere cooperativo28• Tale tra­ sformazione awiene con una scarica di aggressività nel mondo immagini­ fico della fede: una potenza che castiga e uccide colpisce in rappresen­ tanza il Crocifisso. Certe immagini dell'espiazione e della rappresentanza sono oggi spesso considerate come espressione di una religiosità violen­ ta. Ma in Paolo gli esseri umani devono essere trasformati con il loro aiuto da esseri aggressivi in esseri pieni di amore. La violenza religiosa­ mente immaginata ha lo scopo di aiutare a superare la violenza dell'esse­ re umano. Possiamo inquadrare le idee di Paolo nella riflessione antica sulle pas­ sioni. Tutte le correnti filosofiche concordavano nel dire che bisogna con­ trollare le passioni. Quando Paolo dice che «quelli che sono di Cristo Ge­ sù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5,24), queste parole suonano come l'invito stoico a superare le passioni. Il fine è lo stesso. Ma la via per raggiungerlo è diversa. La maggior parte del­ le scuole filosofiche diceva: la giusta conoscenza conduce al controllo del­ le passioni. Chi cede a una passione ha una falsa conoscenza. In Paolo in" Questo parallelismo nd cambiamento dell'immlll!ine di Dio e dell'immagine dell'uomo nella let· tera ai Romani è storo evidenziato da P. v. GF.MONDEN, Image de Dieu - image de l'ètre humairt dam I'Epr)re aux Romaim, in RIJPhR 77 (1997) 3 1 -49.

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vece non la conoscenza, bensì una trasformazione della persona rende possibile il superamento della passione. Tale trasformazione avviene attra­ verso una morte con Cristo e una nuova vita con lui: attraverso la ripeti­ zione della croce e della risurrezione. Ma come può l'essere umano di­ ventare, mediante l'immaginazione interiore di un evento salvifico pre­ sentato come aggressivo, libero da passioni aggressive? Già nell'antichità furono proposte teorie interessanti sull'effetto prodotto da una rappre­ sentazione fittizia di passioni. Platone, nel suo stato ideale, voleva con­ trollare la poesia, perché temeva una diretta trasposizione di passioni ne­ gative dagli eroi della poesia alla gente nella realtà29• Egli pensava che la poesia servisse da modello per il comportamento reale. Contro la sua teo­ ria del modello si schierò (senza polemizzare direttamente contro di lui) Aristotele'0: la stimolazione di passioni, della disperazione (éleos) e del ter­ rore (ph6bos), nella tragedia conduce, secondo lui, a una liberazione (kdtharsis) da tali passioni. Anche nel Nuovo Testamento si verifica, nella passione di Cristo, una specie di 'tragedia', anche se la peripezia decisiva della trama non è la caduta dell'eroe, bensì la sua risurrezione dai morti. In analogia alla celebre teoria aristotelica della passione possiamo quindi dire: L'idea dell'ucciso Figlio di Dio stimolerebbe aggressioni nascoste e libererebbe nello stesso tempo da esse? Gesù è l'agnello che 'toglie' i pec­ cati del mondo anche in questo senso? La riduzione dell'aggressione nel­ l'éthos e l'aumento dell'aggressività nella fede sarebbero allora fra loro complementari. n credente, rivivendo la croce e la risurrezione, stimole­ rebbe, come nel caso della rappresentazione di una tragedia antica, l'ag­ gressività nel mondo dell'immaginazione e si libererebbe così da essa, con la conseguenza che essa si tradurrebbe meno verosimilmente in azioni. Una cosa decisiva è questa: deve trattarsi di un evento che è stato rivissu­ to intensamente e dal quale è, nello stesso tempo, possibile prendere le di­ stanze. Dove però si giunge a una simile intensa esperienza successiva, al­ l'identificazione con l'evento salvifico della croce e della risurrezione, " Platone, rep. IO. l:ane della poesia è per lui di dubbio valore. Essa stimola l'istinto sessuale e l'i· ra, il piacere e la svogliatezza. «Li fomenta e li nutre, mentre bisognerebbe disseccarli. Affida loro il governo delle nostre persone, mentre dovrebbero essi venire governati affinché potessimo diventare migliori e più felici anziché peggiori e più disgraziati» (rep. IO, 606d). 10 Aristotele, poet. 6: «La tragedia è mimesi di un'azione elevata e compiuta in se stessa, dotata di grandezza, con un linguaggio che dà piacere. . . la quale, tramite pietà e terrore, porta a compimento la purificazione delle passioi1i proprie di questo genere di azionh>. Aristotele promette quindi solo una purificazione emotiva, non promette qui direttamence un superamento delle azioni caratterizzate da ta· li passioni. Tale superamento è però senza dubbio implicito. Nella Politica (poi. 8,7) egli riflette sull'in­ flusso educativo della musica mediante una catarsi della pietà e della compassione e di altre passioni.

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nonché alla presa di distanza da tali eventi? Ciò avviene soprattutto nel ri­ to! I rituali fanno rivivere sentimenti e passioni e creano nello stesso tem­ po, mediante la ritualizzazione, una distanza da essi". E così arriviamo al­ l'ultimo punto, che riassumo solo brevemente, perché ci siamo già occu­ pati in maniera diffusa del rito. Il rito dei primi cristiani abbina una riduzione della violenza con un in­ cremento della violenza: i due riti centrali cristiani delle origini furono strettamente collegati, nel corso della loro nascita, con la morte di Gesù. Il battesimo di acqua di Giovanni diventa il battesimo misterioso nella morte di Gesù, i pasti conviviali del Gesù storico diventano la celehrazio­ ne in memoria della sua morte. Nello stesso tempo però i riti dei primi cri­ stiani prendono il posto dei sacrifici cruenti e si svolgono senza alcuna vio­ lenza omicida. Lo svolgimento pratico dei riti cristiani antichi è non vio­ lento. Un'abluzione diventa il battesimo, l'atto del mangiare la cena del Si­ gnore. Questi sono atti quotidiani innocui. Ma nell'immaginazione rituale viene rianimato un sacrificio da lungo tempo superato: il sacrificio uma­ no, in quanto il battesimo è celebrato come battesimo nella morte di Cri­ sto e la cena del Signore come memoria della sua morte. Soprattutto la ce­ na del Signore dei primi cristiani è un intreccio fra riduzione praticata del­ l'aggressione e un aumento immaginato di aggressività. L'aumento imma­ ginato di aggressività non ricorre solo retrospettivamente all'idea del sa­ crificio umano, bensì a un'idea del tutto immorale, di fronte alla quale il sangue di uomini civilizzati si raggela allora come oggi: la cena del Signo­ re è, anche se questo viene negato, un'antropofagia simbolicamente insce­ nata. In questo modo nello spazio ritualmente protetto viene trasgredito uno dei più grandi tabù dell'umanità. Tali trasgressioni di tabù sono tipi­ che dei riti e precisamente dei riti che devono operare una trasformazio­ ne dell'essere umano. Le passioni arcaiche rianimate, spesso non confes­ sate, sono infatti 'oggettivate' dal rito. La persona si distanzia da esse in­ serendole in una comunità e dando loro, mediante interpretazioni, una nuova cornice: il desiderio di vivere la propria vita a spese di altri è così trasformato nella volontà di spendere la propria vita per altri. I rituali li­ berano così forze capaci di trasformare. Sotto questo aspetto nella cena del Signore si esprime una forma eccessiva di aggressione, una forma tan­ to penosa e scostante che la teologia non ha il coraggio di ammetterlo. Ma il senso della cena del Signore è, a mio giudizio, chiaramente positivo: es­ seri umani, che si rivelano dei 'cannibali' potenziali, diventano persone " TH. ]. SCHEFF, Exploston

der Ge/iih/e, 1983.

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cooperative, che suddividono tutti i mezzi di sussistenza in maniera cor­ retta e uguale. Nella misura in cui i riti inscenano in maniera condensata l'essenza di una religione, ci awiciniamo qui al nucleo del cristianesimo delle origini. Riassumiamo le nostre riflessioni: il contrasto fra riduzione dell'aggres­ sione nell'éthos e aumento dell'aggressività nelle immagini della fede è espresso apertamente nei riti del cristianesimo delle origini. La vita comu­ nitaria dei primi cristiani era contraddistinta da un éthos della solidarietà e dell'amore. Ma le loro fantasie religiose erano piene di aggressività. Al riguardo è visibile una tendenza a limitare tale aggressività anche nella fan­ tasia: essa deve servire alla giustizia. L'ira di Dio è sempre Wl'ira giusta. Ma neppure questa giustizia penale è sufficiente. In essa è sempre nasco­ sta troppa aggressività, per cui viene ulteriormente compensata con l'idea dell'amore di Dio, che abbraccia anche colui che ha giustamente meritato l'ira. La nostra ipotesi è che le fantasie sature di aggressione del Nuovo Te­ stamento abbiano contribuito a rendere vivibile un éthos che riduceva l'aggressione. Non possiamo perciò lodare l'umano comandamento del­ l'amore e respingere le fantasie aggressive dei primi cristiani. Le due cose sono strettamente unite fra di loro. Per l'aggressività espressiva delle im­ magini (e solo per esse) vale la teoria della catarsi formulata da Aristotele a proposito di testi fittizi. Le immagini interiori aggressive possono essere una valvola di sfogo, un gemito della creatura che allenta la pressione in­ teriore. L'aggressione strumentale tradotta in atto (anche in maniera ver­ bale)" non produce alcuna catarsi, ma favorisce attraverso il modello e l'i­ mitazione un comportamento aggressivo. Per il comportamento reale non vale la teoria della catarsi dalle passioni, ma la teoria dell'apprendimento del comportamento sociale. Il comportamento praticato con successo vie­ ne imitato. Ma in Aristotele la teoria della catarsi non era stata progettata per il comportamento reale, bensì per l'esperienza della tragedia, cioè per l'esperienza della poesia, che traeva il suo materiale dal mito e dalla storia dei greci. Da qui segue che non esiste alcun nesso necessario tra una ca­ tarsi mediante l'aggressività presente in immagini interne e un comporta" Per il Nuovo Testamento cfr. la ricerca retorica sulla «lettera delle lacrime» 2 Cor 1�13. vista come guerra verbale, effettuata da P. LAMPE, Can Words be Violent or Do They Only Sound That Way?, conferenza tenuta al Congresso della SBL del 2006. I sarcasmi di Paolo e la sua demonizzazione de· gli avversari sono violenti come un esorcismo che cerca di scacciare gli avver.;ari dalla comunità. An­ che se la sua è una violenza verbale reattiva, nondimeno Paolo stesso segnala di essersi spinto troppo avami.

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mento che riduce l'aggressione nella realtà esternan. Presumibilmente ci vogliono almeno tre condizioni aggiuntive, affinché le fantasie aggressive possano svolgere una funzione catartica. La prima condizione è un contesto sociale umano nell'ambiente circo· stante. Nella società civile dell'Atene classica la tragedia poteva produrre una stimolazione e una catarsi delle passioni della disperazione e dell'or­ rore. I.;éthos vissuto degli ateniesi insegnava agli uomini l'empatia, la com­ passione e l'orrore per la sventura di altri uomini. Nel cristianesimo delle origini le immagini aggressive del giudizio e della redenzione poterono operare un superamento di questa aggressività. Nella vita dei gruppi cri­ stiani antichi l'aggressione fu respinta. Nel caso però di una brutalizzazio­ ne della realtà della vita le medesime immagini possono avere Wl tutt'al­ tro effetto. D'importanza decisiva sono i valori dominanti nell'éthos vissu­ to del mondo circostante. La seconda condizione è un ottimale equilibrio tra emozionalizzazione e presa di distanza nell'esperienza catartica vissuta. Thomas J. Scheff distin­ gue tra un contesto psicoterapeutico, un contesto rituale e un contesto estetico dell'esperienza catartica. In tutti e tre questi contesti, nella psico­ terapia, nel rito e nell'arte ci troviamo in uno spazio particolare lontano dalla realtà quotidiana. Le esperienze catartiche sono ottimali quando ren­ dono possibile un equilibrio fra la stimolazione del sentimento e la presa di distanza da esso, in modo che l'essere umano diventa nello stesso tem­ po partecipe e osservatore dei propri sentimenti. I riti possono, ad esem­ pio, servire a stimolare i sentimenti e trascurare la presa di distanza da es­ si, oppure possono distanziare da essi, ma non rianimare prima in misura sufficiente i sentimenti e le passioni da rielaborare. " l'H. ZIMBARDO, Psychowgie, 43ls.433: «La leon'a dell'apprendimmto soci4le è confermata da ri­ cerche, che evidenziano un aumento dell'aggressione dopo aver osseroa/o modelli aggressivi. 01tre a ciò è stato mostrato che l'occasione di poter esprimere sentimenti aAAressivi in Wl ambiente permissi­ vo mantiene questi sentimenti al loro livello originario, anziché attenuarli». Colloqui nei quali indivi­ dui 'si sfogano' non conducono perciò auromaticamente a una diminuzione dell'aggressione. Essi per­ mangono nello staco di una eccitazione psicologica. «Possiamo risolvere questa contraddizione se di­ stinguiamo tra l'espreJSione d1 sentimenti, da un lato, e il modo aggreJSIVO di agire o I'osseroaziune di un modo aggressivo di agire, dall'altro: - n fano di espn'mere i nostn' sentimenti (piangere. ridere. parlare con altri) può far sì che ci sen­ tiamo meglio o che aTtenuiamo la nostril paura. - La traduzione in allo dell'aggressione contro i nostri avversari� in maniera verbale o con chillre azio­

ridurrà probabilmente le nostre inclinazioni all'aggressione. Possiamo tuttavia ahbassare il bisogno dell'aggressione fisica contro altri, se impariamo come trat­ tare verbalmente in caso di conflitto». TH. J. SCHEFF, Expwsion der Ge/Uhle, 198}, ha studiato le con­ dizioni in cui i rituali operano catarticamente. ni. non

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La terza· condizione è una preminenza di valori umani nel mondo inte­ riore. La fantasia poetica fu educata nella tragedia secondo determinate regole del genere letterario. I personaggi tragici testimoniano fallendo va­ lori umani nei confronti dei quali appunto falliscono. Nelle fantasie dei primi cristiani il comportamento aggressivo è guidato dalla giustizia, come mostrano le immagini del giudizio universale. L'ira giusta fu accettata nel­ l'antichità dagli aristotelici realisti. Ma neppure il contenimento dell'ira mediante la giustizia è sufficiente a mio awiso per elaborare l'aggressione. Nel cristianesimo delle origini fantasie di una giustizia penale di Dio sono arginate da un valore ancora superiore, dall'idea dell'amore. Dio si rivela come amore anche nei confronti del peccatore, che ha meritato la pena. Il nostro risultato è pertanto il seguente: non tutte le fantasie prive di amore servono alla catarsi dalla mancanza di amore. Se però si è convinti che l'aggressività e l'aggressione fanno parte della vita umana, non si po­ trà criticare l'esistenza di fantasie sature di aggressività in sé, ma solo il modo in cui gli esseri umani si comportano con esse.

c. Sessualità e ascesi: controllo delle pulsioni nel cristianesimo delle origini"

Non l'aggressione, ma l'amore sta al centro del Nuovo Testamento. Ciò ha suscitato l'idea che questo amore sia una sublimazione della sessualità. È innegabile che il linguaggio del sacro è il linguaggio dell'amore". La Bibbia contiene una stupenda lirica amorosa: il Cantico dei cantici di Sa­ lomone, che poté conservarsi nel canone perché il suo linguaggio sessuale fu interpretato come metaforica religiosa'", così come il rapporto di Dio con il suo popolo fu descritto in alcuni profeti come un amore appassio­ nato (Os 2; Ger 2; Ez. 16.23 ). Al centro del Cantico dei cantici c'è l'invito: " NeUe pagine che seguono sviluppo ulteriormente idee già esposte in G. THEISSEN, Eros im Ur· christentum, in H.G. PoTI (ed.), Liebe und Gesellscha/t, 1997, 9-30. " Di fondamentale importanza per il nostro tema è R. ZIMMERMANN, Geschlechtermetaphorik und Gottesverhiiltnis, 2001. j (,

Si discute se la canonizzazione presupponga l'interpretazione allegorica, o se la canonizzazione

abbia avuto come conseguenza una successiva allegorizzazione, perché questa lirica amorosa acquisl, mediante l'inserimento in un grande testo, un nuovo significato: (Ct 5,1). Molti lettori pote­ rono riferire per molti secoli tali parole all'amore di Dio. L'ebbrezza di questo santo amore era un 'altro stato', lo stato conosciuto dagli innamo­ rati. Ma questi canti 'profani' di amore non assunsero una simile dimen­ sione religiosa soltanto secondariamente. Fin dall'inizio il giardino dell'a­ more erotico del Cantico dei cantici (Ct 4,12-16) deve aver richiamato al­ la mente il giardino del paradiso terrestre (Gen 2). Non solo nei tempi mo­ derni gli esseri umani sognano di poter trovare qualcosa del paradiso per­ duto nell'amore erotico. E anche in seguito, nel tempo dell'interpretazio­ ne allegorica di questi testi nel senso dell'anima e del suo Dio, si continuò ad avere coscienza della loro qualità erotico-sensuale: solo per questo il Cantico dei cantici poté essere, nella letteratura europea, una fonte di lin­ guaggio erotico, dal Tristano e Isotta di Goffredo di Strasburgo alla Salomé di Oscar Wilde. Alla trasformazione metaforica ben docwnentata della sessualità in religione non dovrebbe aver corrisposto un processo psichi­ co? Un simile corrispettivo sarebbe nella realtà psichica la sublimazione di un'energia sessuale in energia religiosa. Ma esiste una cosa del genere, una 'sublimazione' di energia sessuale? Il termine deriva dalla psicanalisi e si è imposto nella nostra cultura, ma non nella psicologia, come mostra uno sguardo fugace ai mljnuali. Del resto già la psicanalisi propose due inter­ pretazioni del fenomeno: un modello fisico di energia e un modello rela­ zionale sociale. Alla base della sublimazione c'è un modello che parla di energia: essa è un meccanismo di difesa dell'io per trasformare un'energia psico-sessuale culturalmente respinta in una motivazione per fini sociali culturalmente accettati. L'energia pulsionale si crea, come in una caldaia a vapore, una uscita dove può trovarla, cioè in un regime energetico psichi­ co ordinato 'verso l'alto' piuttosto che 'verso il basso'. La sublimazione può così accompagnarsi alla rimozione, per cui la provenienza dell'ener­ gia rimane inconscia. Una simile rimozione può venir meno nella metafo­ rizzazione religiosa della sessualità nel Cantico dei cantici. Questo contie­ ne immagini sessuali così chiare che esse rimangono riconoscibili anche nella sua interpretazione più sottile. Se qui si verificò una sublimazione, essa si verificò in maniera consapevole. Ma la psicanalisi ci offre ancora Wl secondo modello teoretico per comprendere questo processo: quando es­ sa parla di tran.ifert, alla base della sua terminologia c'è un modello rela­ zionale sociale: contenuti esperienziali nel ruolo di bambino sono riattiva­ ti nella relazione con altre persone, che subentrano nel ruolo dei genitori. Mentre l'energia sublimata può essere investita anche in cose, il transfert si riferisce sempre a persone. Anch'esso può essere inconscio. Le sue com­ ponenti aggressive e sessuali sono volentieri rimosse. Tuttavia c'è anche

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chi inserisce consapevolmente le proprie esperienze in nuove relazioni. In­ fine potremmo interpretare anche nel linguaggio della teoria dell'appren­ dimento la sublimazione come 'trans/ert': 'stimoli' neutrali diventano, at­ traverso un apprendimento collegante, stimoli che mettono in moto ener­ gie ed esperienze che originariamente non erano con essi collegaten. Po­ trebbe essere che noi colleghiamo dimensioni originariamente neutrali della realtà con impulsi reattivi sessuali e abbiamo così disaccoppiato tali reazioni dai loro originari meccanismi di scatto? Dovremmo ammetterlo: non possediamo alcuna teoria soddisfacente per spiegare il fenomeno del­ la sublimazione. Non per questo, però, dovremmo contestarlo. Nelle pa­ gine che seguono non ci occuperemo tanto della questione di sapere se tutta la religione è sublimazione dell'eros e della sessualità, quanto piutto­ sto di questa questione limitata: Nel comportamento sessuale si manifesta una tendenza alla sublimazione della pulsione sessuale? È possibile, in particolare, spiegare l'ascesi così? Come mai delle persone sperimentano come liberante la rinuncia alla sessualità? Proprio perché è difficile far comprendere una cosa del genere agli uomini del nostro tempo moderno, siamo qui di fronte a una sfida per una psicologia (storica) della religione. Noi distinguiamo di nuovo tra manifestazioni religiose moderate della ses­ sualità nell'éthos familiare del cristianesimo delle origini e forme radicali di ascesi. E in particolare ci interessiamo della loro cooperazione. Come mai un carismatico ascetico come Paolo fonda comunità nelle quali fiorì un éthos familiare piuttosto conservatore? Perciò tratteremo già nel primo punto, dedicato all'éthos familiare, dell'importanza dell'ascesi per la sua strutturazione interna, e tratteremo nel secondo punto, dedicato all'asce­ si, del suo collegamento funzionale con un éthos familiare 'moderato'. I. IL MATRIMONIO COME ÉTHOS SESSUALE MODERATO

Troviamo la differenziazione fra etica moderata della famiglia e radica­ lismo ascetico itinerante già in Gesù. I suoi seguaci, che andavano in giro con lui per la Palestina, furono da lui obbligati a rompere i rapporti con la famiglia: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la mo­ glie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Le 14,26). Non bisogna preoccuparsi neppure di seppellire il proprio padre morto (Le 9,59s.) ! Invece egli obbligò i suoi simpatizzanti " Cfr. DoRSCH, Psycholagisches Worterbuch, vedi voci Trans/er, Sublimation, Obertragung.

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sede�tari, che accettarono il suo insegnamento, a praticare un éthos fami­ liare: esortò a non trascurare i genitori vecchi (Mc 7,6- 1 3 ), a prendersi cu­ ra dei bambini (Mc 10, 1 3 -16) e a rispettare il matrimonio (Mc 1 0, 1 - 12). La tensione tra queste due tendenze è spiegabile solo con la struttura socio­ logica del primitivo movimento di Gesù: esso era costituito da giovani che con la sequela avevano abbandonato la propria famiglia. La rottura con la famiglia faceva parte della base della loro esistenza. Essa non era però W1a rottura di principio, ma una risposta a una esigenza speciale. A noi inte­ ressa in primo luogo il lato 'conservatore' della predicazione di Gesù. Gesù sostenne l'indissolubilità del matrimonio (Mc 10,1 -9). Per questo si richiamò a due citazioni scritturistiche: secondo Gen 1 ,27 Dio creò al­ l 'inizio l'essere umano come maschio e femmina, come una coppia arche­ tipica, che doveva fW1gere da modello a tutte le coppie. Secondo Gen 2 ,24 l'uomo «lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due sa­ ranno un'unica carne». Da qui segue che l'uomo maschio ( ! ) non deve di­ videre quel che Dio ha unito. Questo ricorda l'argomentazione contro la poligamia (successiva?) proposta a Qumran, contro la quale sono citati tre passi della Scrittura: « .. .'maschio e femmina li creò' (Gen 1 ,27). E coloro che entrarono nell'arca 'entrarono a due a due nell'arca' (Gen 7,9. 15). Sul principe sta scritto (Dt 17,17): 'Non dovrà moltiplicare le sue donne'» (CD 4,2 1-5,2). ll confronto tra le citazioni scritturistiche adoperate a Qumran e da Gesù mostra: solo Gesù fonda il matrimonio con l'unio ses­ suale tra l'uomo e la donna. La forza di attrazione sessuale e sociale mo­ stra per lui che due creature umane sono state unite da Dio. La concezio­ ne del matrimonio è pronunciatamente sessuale e non formulata in base ai figli o al valore sociale del matrimonio, bensì in base alla relazione dei co­ niugi. Il matrimonio è considerato indissolubile. In fondo non è possibile parvi fine finché dura la vita del coniuge. Perciò una nuova relazione du­ rante la sua vita è un adulterio. Ma la seconda tradizione di Gesù presen­ ta una singolare tensione tra questa morale sessuale rigorosa e una ten­ denza sessuale tollerante. Le esortazioni sessuali rigorose sono rivolte chiaramente a uomini maschi: «Chiunque guarda una donna per deside­ rarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5 ,28). Il det­ to sugli eunuchi di Mt 1 9,12 è indirizzato unicamente a uomini. I raccon­ ti sessuali tolleranti della grande peccatrice (Le 7,36-50) e dell'adultera (Gv 8,1 - 1 1 ) cercano invece di proteggere le donne. Anche il detto provo­ cante: «l pubblicani e le prostitute vi (cioè ai sommi sacerdoti e agli seri­ bi) passano avanti nel regno di Dio» (Mt 2 1 ,3 1 ) parla in maniera sorpren­ dentemente positiva di donne prostitute. Possiamo perciò constatare W1a chiara asimmetria: gli uomini sono esortati ad avere un elevato controllo

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sessuale, mentre le donne sono protette quarido sbagliano sessualmente. Questo va contro tendenze comportamentali che sono fondate nella psi­ cologia dell'evoluzione. A motivo dell'abbondanza del loro sperma gli uo­ mini possono guadagnare, atrraverso l'unione con molte donne, in fatto di possibilità di procreazione, mentre le donne hanno bisogno, per i loro ovuli che giungono a maturazione più raramente, della protezione di un partner fedele. L'abituale doppia morale va incontro a queste diverse si­ tuazioni genetiche in fatto di interessi, Gesù si oppone ad essa. Il cristianesimo delle origini prolungò queste tendenze fatte di sostegno alla famiglia presenti nel messaggio di Gesù, si concepì come un movi­ mento culturale opposto al paganesimo e volle distinguersi da esso pro­ prio per il suo comportamento sessuale". Caratteristico è il modo in cui, in una lettera indirizzata a una comunità fondata di recente, Paolo fa pro­ prio di questo il distintivo che la rende diversa dall'ambiente circostante: «Questa è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall'im­ purità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e ri­ spetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non co­ noscono Dio» (l Ts 4,3-5). Sotto il profilo storico formale questa diffe­ renziazione dall'ambiente circostante si è sedimentata in una caratteristi­ ca poco appariscente del catalogo cristiano antico dei vizi: nel Paolo mis­ sionario e fondatore di comunità i modi comportamentali sessuali stanno in cima ai vizi (Rm 1 ,24ss.; 1 Cor 5,9- 1 1 ; 6,9s.; Ga/ 5,19ss.). Ma nel corri­ spondente 'catalogo delle virtù' non sta in maniera speculare al primo po­ sto la strutturazione etica della sessualità; al contrario, in Gal 5,22ss. la continenza sessuale è menzionata solo all'ultimo posto. La stessa cosa va­ le per le successive Lettere pastorali, che presuppongono comunità cri­ stiane ormai esistenti da tempo: il comportamento sessuale è qui solo un problema di terza categoria (cfr. l Tm 1 ,9s.; 6,4s.; 2 Tm 3 ,2ss.; Tt 3,3). Possiamo spiegare questo fatto così: al momento della fondazione di co­ munità e dell'ingresso nella vita della comunità bisognava operare dei cambiamenti nella vita sessuale. Ma dopo la fondazione delle comunità il problema principale non era il comportamento sessuale, ma il supera­ mento della litigiosità e dell'aggressione in seno alla comunità. Nonostan­ te questa autocoscienza delle comunità cristiane primitive di distinguersi per il proprio éthos sessuale dall'ambiente circostanze, oggi noi sappiamo naturalmente una cosa: il cristianesimo delle origini prolunga tradizioni ad esso precedenti in una misura molto più grande di quello che corrispon" Cfr. W. Sc!!RAGE,

Ethik des Neuen Testaments,

1989', 97-105.229-238.

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controculturale. n suo éthos concorda con tendenze presenti nell'antichità pagana. Solo su questo sfondo è pos­ sibile definire la novità contenuta nel suo modo di comportarsi con la ses­ sualità. L'importante è che ci liberiamo da una trasfigurazione acritica dell'at­ teggiamento dell'antichità pagana verso la sessualità... Essa vedeva nella sessualità qualcosa di naturale, ma era molto lontana da una sua approva­ zione disinvolta. La sessualità era una forza che sfuggiva fin troppo velo­ cemente di mano all'uomo, era un luogo di pericoli. Il primo pericolo era fondato nel comportamento dell'essere umano verso se stesso: la sessua­ lità ha una tendenza a sfuggire all'autocontrollo dell'uomo (più precisa­ mente del maschio)40• Essa può diventare eccessiva. E allora il maschio perde la sua forza (in maniera visibilmente sperimentabile nella perdita dello sperma). Il controllo delle passioni, la terapia del desiderio e della concupiscenza mediante la ragione è il grande tema dell'etica antica" . La sessualità diventa infatti fin troppo velocemente una malattia o una schia­ vitù interiore. Il secondo pericolo riguarda il comportamento verso altri. A causa della sessualità si poteva perdere la propria libertà. Essa rende di­ pendenti da altri. E questo era per il maschio libero qualcosa di vergo­ gnoso. In una misura per noi incomprensibile l'antichità concepiva infat­ ti la sessualità come un rapporto di potere. Esiste sempre un partner do­ minante e uno sottomesso". Nel ruolo di partner sottomessi si potevano immaginare donne, schiavi e forse efebi, ma per un maschio libero questo era una cosa indegna. Per dirla con una formula: la sessualità era in sé buona, ma costituiva una minaccia per il dominio dell'uomo su di sé e su altri. Perciò troviamo, da un lato, una grande tolleranza verso la sessualità non matrimoniale: nei confronti di relazioni collaterali con etère, schiave e giovani partner omosessuali. Nello stesso tempo, però, troviamo una crideva alla sua autocomp'rensione

" Occorre studiare la storia della morale sessuale senza fare open di moralizzazione. IJn

p4thor M. Fou CAULT, Der Wi/le xum Wirren, 1 983 [trad. it., La volontà di sapere, 2001']; Io., Der Gebrauch dr:r Lii­ ste, 1986 [trad. it., L'uso dei piacen·, 2002']; Io., Die Sorge um sich selbJJ, 1989 [trad. it., La cura di ré, 200 1'] ; A.K. SIEMS (ed.), Sexualzliit und Erotik zn der llntzke, 1988; P. BROWN, Die Keuschhtit der En­ gel, 1991. "' Cfr. M. FoUCAULT, Gebrauch der Liiste, 22ss. [trad. it., 19ss.]; P. BROWN, Keuschheit der Engel, moraleggio.nte conservatore o emancipatorio è inidoneo. Esemplari sono i seguenti lavnri:

30ss.

" Cfr. M.C. NussBAUM. The Therapy ofDesire, 1994. " M. FOUCAULT, Sorge, !Oss. [t rad. it., lOss.) lo mostra neUa sua analioi del libro dei sogni di Ar­ temidoro, dove giunge a questo risultato: A"emidoro «Vede l'ano sessuale innanzi tutto come un �io­ co di su periorità e d'inferiorità: la penetrazione mette i due partner in un rapporto di dominio e di sottomissione . . . » [p. 4 ) ; t rad. it., )5].

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Capitolo quinto

tica nei confronti di tutte queste forme di sessualità, qualora esse diventi­ no eccessive (cioè qualora esse mettano in discussione la padronanza di sé) o qualora facciano cadere in ruoli dipendenti (cioè qualora mettano in di­ scussione il dominio su altri). Ad esempio l'omosessualità era tollerata". Però era malfamata se era sperimentata come espressione di un istinto ses­ suale eccessivo o se un maschio finiva nel ruolo del partner non domi­ nante, nel ruolo della donna. Egli diventava allora, come e//eminatus, og­ getto di disprezzo. A cavallo della svolta dei tempi si verificò qui un cambiamento tanto nella filosofia" quanto nel cristianesimo delle origini. In ambedue trovia­ mo tendenze a sganciare le relazioni sessuali nel matrimonio dall'etica del dominio pur sempre in vigore e a definirla in modo nuovo come un'etica di comunione tra i coniugi. Filosofi e cristiani suddivisero i doveri sim­ metricamente: entrambe le parti sono tenute alla fedeltà. Anche le rela­ zioni collaterali del marito con altri partner sessuali sono un adulterio, co­ sa che non era affatto ovvia". I coniugi devono essere uniti da un comune vincolo di amore e di reciproca attrazione. Ad entrambe le parti viene nel­ lo stesso tempo richiesto un alto controllo della sessualità. La sessualità fa parte della 'cura di se stessi'. Il filosofo romano Musonio si spinse, nella concezione simmetrica del matrimonio, più avanti di tutti. La sua conce­ zione umana del matrimonio è ben documentata dal testo seguente: «Egli disse una volta che la vita in comune e la comune procreazione dei figli è la vera essenza del matrimonio. Colui che si accinge a sposarsi e lo sposato devono infatti unirsi allo scopo di vivere assieme e di procreare assieme figli, devono ave­ re tutte le cose in comune e non avere nulla solo per sé, neppure il proprio corpo. Qualcosa di grande è infatti la procreazione di un essere umano, che questa cop· pia realizza. Questo però non basta ancora per un vero matrimonio, perché si po­ trebbe infatti procreare anche senza matrimonio, con un accoppiamento per altra via, come fanno anche gli animali. Invece nel matrimonio ci deve essere una stret. " Cfr. K.]. DoVER, HomosexWJiitiit in der griechischen Antike. 1983; P. VEYNE, Homosexualitiit im ontikm Rom, in PH. AiuEs - A. BÉGIN - M. FoucAULT et al., Dre Mosken des Begehrens und die Me· tomorphose der Sinnlichkeit, 1984, 40-50.

� Qui vanno menzionati gli stoici Anripatro di Tarso (ca. 140 a.C.) e Ierode (metà del Il secolo d.C.), nonché il platonico Plutarco (ca. 30-120 d.C.). Ad essi si aggiunge lo PsEUDO-AluSTOTELE, Oku­ menik, ed. A. Wartelle. Paris l %8. Sulla nuova concezione del matrimonio dr. M. FoucAULT, Sorge, 193ss. [trad. it., 156ss.]. " Cfr. la faticosa motivazione in Musonio, 12 (= RAINER NICKEL (ed.), Epiktet. Te/es. Musonius: Ausgewahlte Schrr/ten, 1994, 478ss.); chi ha rapporti sessuali con una schiava, una prostituta o una donna non sposata non commeue alcuna ingiustizia nei confronti del prossimo, però pecca conrro se stesso. Egli non tiene sotto controllo i propri desideri. Poiché richiede da parte di sua moglie la fe­ deltà sessuale, ammetterebbe per di più di essere a lei inferiore sotto questo aspeno.

Éthor e prarri ·

481

ta c:Onvivenza sorto ogni aspetto e una reciproca sollecitudine fra marito e moglie, sia quando essi sono sani sia quando sono malati e in qualunque altra situazione della vita; questo essi vogliono, così come in fat ti concludono il matrimonio anche con il desiderio di avere figli. Dovunque questo reciproco rappono di fedeltà sia perfetto e ambedue lo realizzino perfettamente con la loro reciproca convivenza e fanno a gara a superarsi nell'amore, lì tale matrimonio è quel che deve essere ed è un modello per altri. Perché veramente bella è una simile comunione»...

Musonio Rufo voleva permettere l'unio sessuale solo allo scopo della procreazione di figli". Egli è pertanto molto più severo di Paolo, che scon­ siglia dal rimanere troppo a lungo senza rapporti sessuali nel matrimonio ( l Cor 7 ,5) ed è poco interessato alla procreazione di figli. Tanto fra i filo­ sofi quanto tra i cristiani la nuova concezione simmetrica del matrimonio è però sostenuta solo in maniera incoerente. Così anche Plutarco (1/11 se­ colo d.C.), che è considerato un rappresentante del nuovo éthos matri­ moniale, scrive tranquillamente nei suoi Coniugalia praecepta a proposito delle donne: «Quando esse si sottomettono ai mariti sono lodate, ma quando vogliono domi­ nare disonorano più se stesse che non coloro su cui dominano. TI marito non de· ve però dominare la donna nel modo in cui un proprietario dispone della propria proprietà, bensì come l'anima domina il corpo sentendo con esso e crescendo in maniera benevola assieme ad esso. Come è possibile aver cura del corpo senza ce­ dere ai suoi piaceri e desideri, così {è anche possibile) domina re una donna e nel­ lo stesso tempo renderla felice ed essere cordiale verso di lei» {Piutarco, Coniuga­

lia praecepta 33

=

mor.

2,142E).

Come si vede, la nuova concezione simmetrica del matrimonio era qui ancora molto asimmetrica. L'amore era interpretato con categorie che par­ lano di dominio, anche se si raccomanda un dominio illwninato e bene­ volo, accompagnato da empatia e rispetto. Se filosofi stoici e cristiani partecipano allo stesso sviluppo, in che cosa essi si distinguono? Che cosa cambiò con il cristianesimo? La novità non consistette tanto in norme sostanzialmente nuove, ma in un nuovo carat­ tere vincolante delle norme e nel loro Sitz im Leben. Quanto era stato ela­ borato come ideale da alcuni filosofi della classe superiore per la classe su­ periore era appunto un ideale. Rimanere indietro rispetto ad esso era sconveniente, ma era tollerato. I primi cristiani cercarono di fare di que­ sto ideale una norma vincolante, e questo non solo per una ristretta clas" Musonio IJA = R NICKEL (ed.), Epiktet. Te/es Musonius, 482-485. 0 Musonio 12 = R NtCKEL (ed.l, Epiktet. Te/es. Mumnius, 478s.

CapitokJ quinto

482

se superiore, ma per il numeroso popolino delle loro comunità. Di questo acuito carattere vincolante cadde vittima quanto fino ad allora era stato tollerato come sconveniente, ma non era considerato come ideale: la rela­ zione collaterale con la schiava, che per il padrone era un diritto ovvio, l'a­ dozione di relazioni omosessuali con un partner più giovane e con uno schiavo e il diritto del marito di separarsi dalla moglie". Con questo inasprito carattere vincolante di ciò che anche l'ambiente circostante tendenzialmente approvava, la sessualità fu vista in una nuova luce: l'ideale formulato come norma chiedeva troppo all'individuo medio. Egli non poteva che sperimentarsi moralmente insufficiente rispetto ad es­ so. Quel che fino ad allora era stata una questione di stile di vita, divenne adesso il peccato. Accadde così che la sessualità non fu certo rifiutata, ma fu considerata come espressione della 'carne', i cui moti al di fuori della regolazione e della strutturazione etica erano peccato. Sarebbe però scor­ retto attribuire a Paolo una radicale svalutazione del corpo. Infatti, come abbiamo visto, egli conosce due termini per indicare il lato corporeo del­ l'essere umano: carne e corpo (sdrx e soma). La carne è in lui connotata il più delle volte in maniera negativa. Essa indica quell'aspetto della natura­ lità umana da tenere in scacco. Invece il corpo è connotato positivamen­ te: esso può essere considerato come tempio di Dio, da mantenere santo e degno. Il corpo è posto come sacrificio vivente al servizio di Dio. In bre­ ve: la carne è ciò che viene represso, rimosso e combattuto; il corpo inve­ ce è ciò che può essere eticamente formato e sublimato, e essere costrut­ tivamente utilizzato. Il corpo ha un valore elevato. Tutto quanto avviene sessualmente con esso riguarda l'identità della persona. Perciò Paolo può applicare all'unio sessuale con la prostituta la citazione biblica di Gen 2,24: «l due diventeranno una sola carne» ( l Cor 6, 16). La relazione ses­ suale con una prostituta crea un legame stretto come quello creato dall'u­ nione con la moglie. E in lui un matrimonio senza unio sessuale è incon­ cepibile, per cui mette in guardia i coniugi dall'essere sessualmente trop­ po poco attivi (l Cor 7,5). Attorno alla svolta dei tempi notiamo in ogni caso, nell'antichità, in molti ambienti un cambiamento della tematica dell'amore: si scopre il va.a!j

Una tendenza a consolidare secondariamente il costume con il diritto è constatabile anche nella

legislazione di Augusto: nella «Lex ]ulia de moritandis ordinibur>� ( 18 a.C.) e nella (l/ libro dei morti, cap.

125; rit. da W. BEYERLIN, Religionigeschichtliches Textbuch zum Al· 1975, 92; cfr. BORIS nr. RAOIEWILTZ, l/ libro dei morti degli antichi egizi. Il papiro di 'lo­ rino, Edizioni Mediterranee, 1958, 103). Altri testi in V. HEI{]{MANN, Anmerkungcn zum Vcrstiindnis einiger Paralleltexte zu Mt 25, 3 1/f aus der altiigypti.> (Mt 1 1 ,28-30)". La sua interpretazione della legge permette quindi all'effetto di alleggerimen­ to di un sistema normativa di entrare pienamente in azione. Regola d'oro

Il collegamento tra severità e bontà si ritrova anche nell'immagine di Dio: Dio è giusto e misericordioso, ma esige giustizia e misericordia pure dall'essere umano. Come incita adesso Matteo a praticare questo éthos, che abbina una straordinaria severità a una stupefacente bontà? Alcune brevi osservazioni a proposito della 'regola d'oro' possono servire da pun­ to di partenza per la nostra ricerca della forza motivazionale dell'éthos nel vangelo di Matteo: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, an­ che voi'" fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7, 12)". Con queste parole Matteo fa riferimento all'introduzione programmatica del discorso della montagna: Gesù non vuole abolire la legge e i profeti, ma portarli a compimento. Egli riporta la regola d'oro nella sua formulazione positiva. Nella tradizione ebraica essa ricorre il più delle volte in forma ne­ gativa: «Non fare a nessuno ciò che non piace a te» (Tb 4,15 )80• «Abbi per il prossimo la stessa amicizia che hai per te stesso, e rifletti su tutto quello che hai in odio>> (Sir 3 1 ,15; testo ebraico). Ciò che sorprende nei numero­ si testi dell'antichità paralleli alla regola d'oro è che, nella loro forma nen G. THEISSEN, W er sind die Muhseligen und Belodenen in Mt 1 1,28-30?, 2004, 49-66: il loghion del Gesù storico si riferiva a uomini che erano gravati dal lavoro, da tributi e da preoccupazioni ma­ teriali. Nel vangelo di Matteo esso è trasposto anche a persone che sono svantaggiate dall'interpreta­ zione farisaica della legge, come mostrano le due successive pericopi riguardanti conflitti del sabato. " La traduzione di Lutero, (Is 9,1 Mt 4,16). Questa luce è Gesù, il Messia d'Israele. Per mezzo di lui anche i suoi discepoli devono diventare «luce del mondo>>. La ri­ percussione universale di questa luce è illustrata con immagini delle due istituzioni fondamentali dell'antichità, la città e la casa: la città ricorre nel­ la metafora della città posta sul monte: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte>> (Mt 5 , 14). La casa (oikos) ricorre nella metafora del candelabro: «Non si accende una lam­ pada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tut­ ti quelli che sono nella casa>> (Mt 5 , 15). Tutti gli uomini devono lodare Dio a motivo delle opere buone dei discepoli. Qui i cristiani pretendono di portare nel mondo un éthos capace di riscuotere il consenso di tutti ! L'e=

=

" H. WINDtSOf, Friedensbringer- Gottessohne, in ZNW 24 (1925) 240-260.

Éthos e prassi

·

tica spiegata da Gesù nella sua veste di vero interprete della Torah deve es­ sere diffusa e praticata universalmente82• Il concetto centrale del vangelo di Matteo, 'giustizia' , ricorre inoltre all'inizio delle antitesi (Mt 5,20) e del­ le regole degli esercizi di pietà (Mt 6,1). Questi passi, che hanno il tenore di un titolo, mostrano una cosa: 'giustizia' è un concetto collettivo che in­ dica il modo di agire eticamente comandato. Le antitesi spiegano quella che per Matteo è la giustizia migliore. Essa si spinge al di là della Torah veterotestamentaria: le prime tre inasprisco­ no i divieti veterotestamentari relativi all'uccisione, all'adulterio e al di­ vorzio, le ultime tre contraddicono comandamenti veterotestamentari re­ lativi al giuramento, allo ius talionis e all'odio dei nemici, anche se yue­ st'ultimo non è insegnato nell'Antico Testamento. Alla fine delle antitesi c'è l'esortazione ad amare i nemici, un'esortazione che si riallaccia a idea­ li antichi del sovrano. Essa traspone frammenti di un ideale umano di so­ vrano a persone semplici, ideale secondo il quale il sovrano umano deve comportarsi con magnanimità verso i suoi nemici. Qui questa 'democra­ tizzazione' di un ideale di sovrano serve in primo luogo all'autocontrollo nella elaborazione dell'aggressione, ma in ultima analisi tale autocontrollo deve essere esercitato per amore. La giustizia più grande non è, diversamente da quanto avviene in Pao­ lo, un dono di Dio, bensì un fare. Caratteristica è l'introduzione alle rego­ le degli esercizi di pietà in Mt 6,1: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro»". Soltanto in due passi la giustizia potrebbe essere un bene salvifico oggettivo, che uno desidera come dono da Dio: l'evangelista Matteo parla di «avere fame e sete della giustizia» (Mt 5,6), ma intende senza dubbio lo sforzo intenso necessario per agire in maniera giusta. Egli parla inoltre della ricerca del regno di Dio e della sua (= di Dio) giustizia (Mt 6,33), ma intende la giu­ stizia come condizione di ammissione nel regno di Dio. Però i discepoli, una volta che viene loro data la giustizia come sovranità del regno di Dio, non hanno più bisogno di preoccuparsi del mangiare, del bere e del vesti­ re. I re (come il già menzionato re Salomone) non hanno senza dubbio più bisogno di preoccuparsi di simili cose.

81 Questa esortazione a diventare pubblicamente noti con Je buone opere che si compiono contra­ ' sta un po con le regole degli esercizi di pietà, le quali obbligano a fare elemosine, pregare e digiuna­ re con discrezione, senza pubblicità! M La traduzione luterana di dtkaiorjne con Frommigkeit (EvThom. 1 3 ) . Quanto al contenuto il Vangelo di Tommaso dice già nel terzo detto quello in cui questa conoscenza consiste: non è possibile cercare il regno di Dio né in cielo, né nel mare, ma è piuttosto vero questo: «Il regno di Dio è dentro di voi e fuori di voi. Quando vi consocerete, allora sarete conosciuti e sa-

Mirtica e gnori

563

prete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma se voi non vi conoscerete, allora sarete nella povertà, e voi sarete la poverta» (EvThom. 3 )28• Mistica gnostica della conoscenza come unione e conoscenza nella luce

Nella Lettera a Regina sulla risurrezione l'unione con Dio è presentata come unione dei raggi e della luce: «Di lui noi siamo raggi. E mentre sia­ mo da lui avvolti sino al nostro tramonto - cioè fino alla nostra morte in questa vita -, siamo da lui attirati in cielo come raggi dal sole, senza che possiamo essere trattenuti da qualcos'altro. Questa è la risurrezione spiri­ tuale; essa ingoia quella psichica e anche quella carnale» (EpRheg. 45s.). Sullo sfondo c'è l'idea che Dio sia luce. Gli esseri umani sono raggi di que­ sta luce e ritornano, al tramonto del sole, alla luce. Neli'Apomfo di Gio­ vanni la conoscenza gnostica è presentata come autoconoscenza di Dio nella sua luce. A proposito di Dio viene detto: «Egli è luce» (A] 23,14). «Egli, che aspira a se stesso nella pienezza della luce, conosce la luce pu­ ra. La grandezza illimitata, l'eterno, il dispensatore di eternità. La luce, il dispensatore di luce, la vita, il dispensatore di vita, il beato, il dispensato­ re di beatitudine, la conoscenza, il dispensatore di conoscenza, il sempre buono che dispensa cose buone, che compie il bene» (A] 25,9-19) . Lo gnostico partecipa a questa autoconoscenza di Dio, che Dio, in veste di di­ spensatore di conoscenza, gli rende possibile, anche se essa sarà una co­ noscenza imperfetta: «Che ti devo dire su di lui, l'incomprensibile? Egli è l'immagine della luce. Come riuscirò a conoscerlo - chi infatti lo cono­ scerà mai? -, allo stesso modo potrò parlarne con te [te lo dirò]» (A] 26, 16). «Poiché è lui che volge lo sguardo in se stesso, nella luce che lo cir­ conda, la quale è la sorgente dell'acqua di vita, e produce tutti gli eoni, di ogni tipo. Egli conosce la propria immagine vedendola nella sorgente del­ lo spirito; egli la vede nella sua acqua luminosa, cioè nella sorgente della pura acqua luminosa che lo circonda» (A] 26,15-27,1)29•

" Forse si trattava di due detti separati. In tal caso il regno di Dio non sarebbe stato interpretato direttamente come conoscenza di sé, ma i] regno di Dio in noi sarebbe stato interpretato come cono­ scenza di sé a motivo della vicinanza dci due detti. n Traduzione di W. FOERSTER, Gnosis l, 1969, 143s. [cfr. T esti gnostià I, a cura di Luigi Moraldi, UTET, Torino, 1982, 129s.).

564

Capitolo sesto

Mistica gnostica della conoscenza come unione

Nelle Odi di Salomone troviamo l'immagine di un'unio sessuale: «lo ar­ do per l'amato, la mia anima lo ama, e dove è il suo giaciglio, lì sono an­ ch'io. Non sarò un estraneo, perché presso il Signore, l'altissimo e il pie­ no di amore, non c'è alcuno sfavore. Sono sposato, perché l'amante ha tro­ vato l'amato, perché dovetti amare il Figlio, per poter essere anch'io fi­ glio» (OdSal. 3 ,5-7)10• Quale secondo esempio di questa metaforica ses­ suale citiamo un passo dall'Esegesi dell'anima: al momento della caduta dell'anima, la sua parte maschile e la sua pane femminile si separarono. L'anima va persa nel mondo a causa della prostituzione. Ma Dio le invia dal cielo il suo panner maschile, ed essa si unisce a lui in uno sposalizio spirituale: «Poiché ora scese - secondo la volontà del Padre - lo sposo ver­ so di lei nella preparata camera nuziale. Ed egli adornò la sala delle noz­ ze. Quello sposalizio non è infatti come lo sposalizio carnale, (dove) colo­ ro che si accingono a unirsi si sentono sazi dopo ogni unione, come un pe­ so si lasciano alle spalle l'irrequietezza del desiderio e [si voltano] dall'al­ tra parte. [Non così] è questo sposalizio; bensì, una volta che essi sono [riusciti] a unirsi [fra di loro] , diventano un'unica vita» (ExAn. 132). Mistica gnostica della conoscenza come theologia negativa

Tutti i testi finora citati appartengono alla mistica 'estroversa'. Sempre si tratta del fatto che una dualità si fonde in un'unità. Ma esistono anche dei testi che alludono a una 'mistica introversa', nella quale la coscienza si svuo­ ta di tutte le forme esteriori, come se le barriere dello spazio e del tempo fossero eliminate? A poter essere interpretati così sono soprattutto alcuni testi gnostici contenenti una theologia negativa. Un esempio molto elo­ quente lo troviamo in un sistema che viene attribuito allo gnostico Basilide. n testo parla dell'inizio primordiale precedente la creazione e lo presenta come un 'nirvana' senza contenuto: «Una volta . . . non c'era nulla, non c'e­ ra neppure il nulla, in maniera semplice, chiara e senza sofisticherie non c'e­ ra proprio nulla. Quando dico . . . 'c'era', non lo dico per esprimere un es­ sere, ma per indicare quel che voglio esporre . . . , e cioè che non c'era pro­ prio nulla. Quello non è infatti . . . semplicemente un ineffabile, che viene menzionato (denominato) ; noi lo diciamo ineffabile, ma non è neppure " Traduzione di W BAUER, Die Oden Sa/omos, in E. HENNECKE - W SCHNEEMEI.CHER, Neutesto· mentliche Apokryphen Il, 1964', 576-625, qui 579.

Mistica e gnosi

ineffabile. Perché quello che è inesprirnibile non viene 'neppure' detto 'ine­ sprimibile', ma è elevato al di sopra di ogni nome che possa essere menzio­ nato . . . Quando dunque non c'era nulla, nessuna materia, nessuna sostan­ za, nessuna cosa priva di sostanza, niente di semplice, niente di composto, niente di non composto, niente di non sensibile (di non oggettivo), nessun uomo, nessun angelo, nessun Dio, proprio nulla che si possa menzionare o percepire con una percezione sensibile, niente delle cose spirituali e così (neppure di tutto quello che) può essere descritto semplicemente in ma­ niera ancora più sottile, allora il Dio non-esistente volle creare . . . - non in maniera spirituale, non in maniera sensibile, senza volontà, senza decisione, senza un moto dell'animo, senza un desiderio - un cosmo» (lppolito, haer. 7,20,2-2 1 , 1)". ll Dio non esistente è qui un'ultima realtà, che non può più essere descritta e nella quale non esiste alcuna distinzione. Qui la demarca­ zione dell'io non è solo infranta, ma abolita. Testi con una simile theologia negativa si trovano in abbondanza nella gnosi". Naturalmente bisogna domandarsi se dietro tali testi ci sia sempre un'e­ sperienza viva. Non potrebbe trattarsi di una 'mistica da tavolino'? Di co­ strutti puramente intellettuali? Anche i mistici non cadono in estasi se­ condo modelli? Oppure si tratta, come nel caso di molti 'mistici' odierni, più di un desiderio di mistica che di esperienza autentica? Una cosa è cer­ ta: si tratta di pensieri. Ma non si possono contrapporre tra loro pensieri ed esperienze, e meno che mai nel caso di un movimento nel quale la 'co­ noscenza' è l'accesso alla salvezza. Per gli gnostici l'irruzione della cono­ scenza era una grande esperienza vissuta ! Nel Pimandro, uno scritto gno­ stico pagano, il veggente chiede di imparare a conoscere ciò che esiste, la natura di ciò che esiste e Dio. Dopo che il rivelatore gli ha promesso que­ sta conoscenza, leggiamo: ((Appena ebbe detto ciò, tutte le cose assunse­ ro per me un'altra forma e tutto mi fu in un momento rivelato. Ebbi quin­ di uno spettacolo prodigioso: tutte quante le cose si convertirono in una luce soave e gioconda, la cui visione meravigliosamente mi dilettava» (CorpHerm. 1 ,4)ll. Non bisognerebbe partire dal fatto che la gnosi intuiti­ va era un'esperienza accompagnata da una partecipazione emotiva degli interessati? " Traduzione di W. FoERSn:R, Gnosis I, 86s. " In Tractatus Triparlltus (NHC 1,.5,.5 1,3ss.), Apocrifo dr Giovanni (NHC 11,1 ,2,28ss.), Allogenes (NHC Xl,3,6lss.), l.ettera a Eugno.rto (NHC IIIJ,70,6ss.). " Traduzione di W. FoEKTSn:R, Gnosis I, 420 [cfr. Il Pimandro, Sea R Edizioni, Barzano (RE), 1993, 26].

�66

·

Capitolo sesto

Esp�ienza neotestamentart"a ed esperienza gnostica

La mistica gnostica della conoscenza si distingue in ogni caso in modo radicale dal vissuto di una religione profetica. L'intcnsiiica:lione del vissu­ to fino a sfociare in un'approvazione incondizionata della vita è un > o risuscita morti.

Concezione di Dio

Monoteismo etico: il mondo come creazione e il compito etico dell'uomo.

Monoteismo escatologia!: il mito dd regno di Dio e la trasformazione radicale dd mondo.

Concezione dd mondo

Il mondo orpitale:

Il mondo ostile e satana come

come espressione della sapienza;

principe di questo mondo;

Concezione dell'essere umano

Certew del perdono per l'essere umano che si converte;

Certeua della redenzione attraverso il mito dell'espiazione;

Concezione di Cristo

I ruoli umani secondari:

Il ruolo controintuitivo di Cristo: Cristo come vero uomo e vero Dio incarnato.

Milo t Sllpitn1JI

Cristo in relazione con gli esseri umani.

Sintesi e ronsiderazione conclusivo

619

Rito t comunillì lniziazione

Battesimo per la conversione nonnativa: battesimo come fu)e della coazione rituale a ripetere;

Battesimo per la rinasciiiJ: il battesimo come battesimo nella morte e rituale trasformarivo della conversione esistenziale;

Communio

Pasto sacro: il pasto santificato con preghiere senza trasgressione di tabù;

Pasto sacramentale: l'eucaristia come communio con trasgressione simbolica di tabù:

Autorità

Uf/zeio come cosilìcazione dd carisma mediante la dottrina;

Carisma e il suo rinnovamento con l'autostigmatizzazione;

Comunità

Chiesa: strutture ecclesiali pluralistiche.

Setto: purezza settaria nel cristianesimo delle origini.

Aggresis one

Diminuzione dell'aggressione nell' éthos;

Aumento dell'aggressione nel mito;

Sessualirà

Matrimonio come étbos sessuale moderato;

Ascesi come étbos sessuale radicale;

Legge

Legge come via sa/v,fica: la legge giustamente interpretata come norma umana;

Legge come perdivone: la messa in discussione della legge in Paolo;

Giudizio morale

CoscienXJI: la coscienza come autogiudizio umano.

il giudizio come giudizio

Éthos

t prassi

Giudizio universale:

divino.

Tab. 3 1 : Vissuto e comportamento nel cristianesimo delle origini in sintesi

620

Capitolo settimo

. Se prendiamo in considerazione tutti i fenomeni religiosi estremi, ve­ diamo che molti poggiano su uno stato di coscienza deviante dalla co­ scienza normale, stato che può spingersi fino alla dissociazione. Nella no­ stra società moderna gli stati dissociativi sono spesso considerati solo co­ me turbe dissociative, anche se conosciamo molto bene certi stati devian­ ti di coscienza che non vanno affatto valutati in maniera negativa: ogni es­ sere umano sprofonda nel sonno in un altro mondo, ogni essere umano agisce a volte in trance. Una forte concentrazione su una cosa - in occa­ sione di una prestazione sportiva, di un lavoro intellettuale o di un'attività artistica - può condurre a farci perdere momentaneamente il contatto con il mondo della vita quotidiana e a librarci 'in aria'. Per tacere dell'estasi degli innamorati, che 'vedono' il cielo 'aperto' o dell'immergersi di alcuni individui nella meditazione e nella contemplazione. Accanto a disturbi dissociativi fastidiosi esistono numerose forme creative. Anche in esse stacchiamo la spina dall'ambiente. Altre culture hanno 'coltivato' più di noi simili stati di coscienza. Pure nel caso del cristianesimo delle origini possiamo constatare una comparsa più intensa di fenomeni dissociativi produttivi. Le esperienze religiose dissociative estreme hanno in esso in­ fluenzato anche lo sviluppo del mito, del rito e dell'éthos. Chi nella sua co­ scienza fa delle esperienze in cui attraverso altri stati di coscienza gli si di­ schiudono altri mondi, delinea miti, riti e norme etiche che si discostano più fortemente dalla coscienza quotidiana. L'importanza di tali altered sta­ /es o/ consciousness è una delle scoperte dell'esegesi antropologica cultu­ rale Gohn Pilch/Pieter Craffert) . Il loro ulteriore studio potrebbe forse renderei più familiare il cristianesimo delle origini anche nei suoi tratti estranei. Non possiamo negare in partenza a simili stati devianti di coscienza uri contatto con la realtà. Anche nel caso di disturbi dissociativi patologici partiamo spesso dal fatto che in essi si sedimentano situazioni reali, ad esempio eventi traumatizzanti, che hanno fatto una volta irruzione nella vita in maniera molto 'reale'. Viceversa esistono anche stati devianti posi­ tivi e creativi di coscienza, che possono andare fino alla dissociazione: chi lavora con concentrazione a qualche cosa e nel farlo dimentica il mondo, è a contatto molto stretto con un pezzo di realtà, che lo affascina e non lo molla più. A volte egli si muove realmente come se vivesse in un mondo diverso da quello della realtà quotidiana. Quando perciò esperienze e mo­ di di comportamento religiosi estremi rappresentano uno stato deviante di coscienza, non possiamo per questo negare loro qualsiasi contatto con la realtà. Potrebbe essere che noi non stiamo solo in un metabolismo mate­ riale con il nostro ambiente, ma anche in uno scambio spirituale, nel qua-

Sintesi e cvnsiderazione conclusiva

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le possiaino entrare soltanto in occasione di un atteggiamento soggettivo cambiato e nel quale entriamo in contatto con una dimensione profonda della realtà, che è estremamente reale. Il grado di realtà che riconosciamo alle esperienze fatte in uno stato de­ viante di coscienza, dipende dalla misura in cui possiamo conciliarle con la nostra coscienza quotidiana. Se esse trovano conferma anche nella vita quotidiana, hanno il diritto di essere prese sul serio. Se si ripercuotono in maniera produttiva sulla vita quotidiana, allora continuano a far sentire il loro influsso. Se nel cristianesimo delle origini stati dissociativi positivi di coscienza poterono essere integrati nella vita quotidiana lo si deve, tra l'al· tro, a Paolo: a suo giudizio la fede non cerca di perfezionare la vita solo in fenomeni dissociativi, però trae la sua forza da quelle esperienze straordi­ narie e le rende feconde per la vita quotidiana. Attraverso una trasforma­ zione, che avviene in virtù della forza soprannaturale dello Spirito, l'esse­ re umano deve diventare capace di dirigere se stesso in una maniera a cui non è potuto arrivare in base al suo orientamento alla legge (a un modo religioso normale di vivere). Le deviazioni dalla coscienza quotidiana possono avvenire in due dire­ zioni, in direzione dell'immersione meditativa o in direzione del rapimen­ to estatico. Esistono «varianti alte e varianti profonde>> del vissuto e del comportamento religioso e, pertanto, due forme di religiosità limite in for­ ma di esperienza profetica e in forma di esperienza mistica. Il cristianesi· mo delle origini aveva inizialmente sviluppato forme di una religiosità estrema profetica. Poi nel suo seno si verificò un cambiamento di para­ digmi: una nuova forma di religiosità estrema, la gnosi, superò il compor· tamento e il vissuto religioso normale dei cristiani delle comunità in una maniera fmo ad allora sconosciuta. Noi abbiamo cercato di spiegare stori­ camente la nascita della gnosi. Una psicologia della religione riconosce in essa una religiosità mistica atemporale. Ma questo non basta a spiegare la sua nascita nel n secolo e la sua forte diffusione nel campo del cristianesi­ mo. Dobbiamo cercare fattori storici particolari. I primi maestri gnostici a noi noti, Valentino e Basilide, sostenevano un platonismo biblico. Ambe­ due riforrnularono la fede cristiana antica nella cornice di un'immagine cognitiva greca dell'uomo: la conoscenza (gnosi) è in essi la forza redi­ mente decisiva. Sotto questo aspetto la gnosi è un'ellenizzazione acuta del cristianesimo delle origini (Adolf v. Harnack). Ma questo non spiega tut· to'. La neointerpretazione della religione cristiana delle origini nella gno· ' La gnosi è un modo di affrontare il pluralismo religioso. Nel periodo eUenistico si erano sempli· cememe identificati diversi dèi. Le persone che stavano neUa tradizione biblico-giudaica furono co·

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Capitolo settimo

si combinava infatti una radicale rivalutazione dell'io con una radicale sva­ lutazione del mondo e del corpo. Questa struttura dualistica non fa di per sé parte né della religiosità mistica, né dell'immagine cognitiva dell'uomo della tradizione greca. Qui viene a galla una profonda sofferenza nei con­ fronti del mondo. Noi abbiamo spiegato psico-storicamente la nascita e la diffusione della gnosi dualistica con una combinazione di esperienze in­ trinseche della dissonanza e di esperienze estrinsecamente condizionate di deprivazione nel cristianesimo delle origini: l) Con il successo del cristianesimo delle origini, contraddizioni cogni­ tive in esso insite tra Dio e il mondo, la tradizione e l'assimilazione, il plu­ ralismo e la pretesa di verità si ingrandirono. Il messaggio dell'amore di Dio rendeva insopportabile la durezza del mondo. n mondo non era di­ ventato in sé peggiore, ma molti cristiani reagirono alla sua durezza in ma­ niera più sensibile con idee di una redenzione radicale. La tradizione cri­ stiana dovette essere simultaneamente adattata a nuovi sviluppi, in parti­ colare con una nuova interpretazione della tradizionale escatologia della vicinanza prossima, e in linea generale c'era il bisogno di approfondire la fede in maniera sistematica per rispondere a esigenze elevate in fatto di ve­ rità. Nel confronto con un pluralismo di rivendicazioni in fatto di verità e di rivelazioni le si relativizzò tutte quante (anche le forme più semplici del­ la fede cristiana), per contrapporle alla rivelazione del Dio radicalmente ultraterreno. 2) La vita era effettivamente diventata più difficile per alcuni gruppi. L'esperienza sociale di una deprivazione relativa colpì duramente le ex éli­ te. n ritorno del potere dall'Occidente all'Oriente, sperato in Oriente du­ rante la prima guerra giudaica, non si era verificato. Questa frustrazione fu condivisa da ambienti orientali con tutti i giudei. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. i giudei furono discriminati con una tassa particolare. A loro volta i cristiani furono sistematicamente svan­ taggiati, visto che il semplice fatto di essere cristiani era considerato un crimine grave passibile di condanna, anche se poi si poteva rimediare abiurando il cristianesimo. n rescritto inviato da Traiano a Plinio a pro­ posito della questione cristiana dice naturalmente anche questo: i cristia­ ni possono vivere indisturbati se non danno nell'occhio. La gnosi fu una forma di religione che tendeva a chiudersi nel privato. Molti gnostici si strette a porre in maniera più netta il problema della verità. Nella tradizione biblica la cosa più logi­ ca era quella di svalutare tutti gli dèi a favore della rivelazione di un unico Dio fino ad allora scono­ sciuto. Quanto più l'idea della rivelazione divenne forte, tanto più questa risposta al pluralismo do­ vette risulrare plausibile.

SinteSi e considerazione conclusiva

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senti�ono autorizzati a tenere nascosta la loro identità. Non è perciò un ca­ so se la gnosi fiorì nel cristianesimo dopo il rescritto di Traiano (ca. 1 10 d.C.). La gnosi corrispose alla situazione storica del cristianesimo nel II seco­ lo. Tuttavia le sue idee furono respinte come eretiche, e precisamente sul­ la base di un consenso ottenuto senza costrizione. In quei primi tempi non esistevano infatti istituzioni che avrebbero potuto imporre decisioni vin­ colanti, non esisteva il papa, non esistevano sinodi e meno che mai un im­ peratore, che fosse interessato all'unità del cristianesimo. La gnosi fu re­ spinta perché contestava due convinzioni fondamentali del cristianesimo delle origini: l'unità di Dio e la realtà dell'incarnazione. Essa riconosceva accanto al vero Dio un demiurgo pasticcione, che era responsabile di que­ sto mondo cattivo, e non poteva accettare che il redentore fosse diventa­ to realmente uomo. La divinità trascendente poteva Wlirsi solo superfi­ cialmente alla corporeità e alla morte. Date queste tesi, non ci fu bisogno di reprimere gli gnostici. Essi non avevano alcuna possibilità di imporsi, perché segnalavano agli altri cristiani che essi erano, in qualità di simpli­ ces, stolti e limitati come il Dio che adoravano. Non si può parlare di re­ pressione di scritti, se a respingerli sono gruppi che sono fortemente in es­ si svalutati. Tuttavia gli gnostici lasciarono delle tracce profonde, anzitutto nella rie­ laborazione intellettuale delle tradizioni della fede. Essi furono infatti i primi teologi sistematici, che approfondirono con concetti filosofici la fe­ de per trovare in essa Wla verità atemporale. La gnosi spinse a dare Wla nuova interpretazione del cristianesimo (in Clemenre Alessandrino e in Origene) . Senza l'assimilazione gnostico-mistica della tradizione la reli­ giosità profetica non sarebbe stata capace di sopravvivere, perché il suo radicalismo etico era minacciato dal fallimento a motivo dell'insufficienza umana e la sua attesa avventistica di un mondo nuovo era minacciata dal­ la dilazione della parusia. La sperata trasformazione dell'uomo e del mon­ do non era arrivata. Possiamo presumere che la «scintilla degli illuminati interiormente da una gnosi» abbia fatto sì che la «possessione degli ani­ mati dallo Spirito Santo» sia diventata a lungo andare vivibile. Soprattutto però gli gnostici fecero spazio nel cristianesimo all'espe­ rienza mistica. La mistica sotto forma di conoscenza accompagna da allo­ ra, come corrente sotterranea, la storia del cristianesimo accanto alla reli­ giosità profetica, al cui centro sta la fede. Il cristianesimo dovette con­ frontarsi in continuazione con forme più radicali di religiosità: con la ra­ dicalità profetica, da Wl lato, e con la mistica spiritualistica, dall'altro. La tensione tra queste diverse varianti di religiosità immise nella storia del cri-

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stianesimo un'intrinseca inquietudine e un grande potenziale di cambia­ mento. Le due forme di religiosità estrema hanno verosimilmente qualco­ sa a che fare con le due funzioni fondamentali della religione: con l'ap­ prendimento della vita e con la sopportazione della morte, o con un co­ raggio incondizionato di vivere e di morire. Nella storia della religione, quando troviamo delle gradazioni di reli­ giosità, troviamo sempre anche una tendenza a interpretare una forma di religiosità come preludio della religiosità perfetta e a metterle in relazione con gruppi diversi, con persone 'normali' e con perfetti, con laici e mona­ ci, con simplices e per/ecti. Nel cristianesimo delle origini troviamo due gradazioni sociali, fin dall'inizio una coesistenza fra comunità domestica e carismatici itineranti, inoltre a partire dal II secolo d.C. una coesistenza fra pistici e gnostici. E troviamo comprensibilmente anche una tendenza a porre la forma estrema al di sopra della forma normale. I carismatici iti­ neranti e gli 'illuminati' dalla scintilla gnostica incarnano quello a cui in fondo anche gli altri aspiravano. Non erano predestinati a rappresentare il gradino perfetto del cristianesimo? Caratteristico del cristianesimo delle origini fu però il fatto che si impo­ se un diverso tipo di rapporto tra i due tipi di religiosità. Le forme religio­ se moderate non furono svalutate come preludi di una religiosità superio­ re, ma al contrario l'esperienza limite estrema fu sfruttata per strutturare la vita quotidiana, la religiosità dei virtuosi utilizzata per la comunità'. n cristianesimo delle origini attivò le possibilità alternative ed estreme di vis­ suto e di comportamento di persone, ma seppe conciliarle con il mondo della vita quotidiana. Solo perché questo equilibrio riuscì, esso poté svi­ luppare forme stabili di vita secondo il motto: «Non è possibile essere so­ lo e sempre ossessionati e eccitati; prima o poi bisogna di nuovo funziona­ re e lavorare» (Thomas Hauschild)'. Secondo l'ordinamento carismatico della comunità, che troviamo in Paolo, tutti hanno un carisma, un dono ir­ razionale. Proprio coloro che sono dotati di un carisma irrazionale devo­ no servire alla comunità. La religiosità estrema conserva il suo carattere esemplare, ma si manifesta nel fatto che serve ad affrontare la vita quoti­ diana: lo sguardo rivolto al martirio (religioso estremo) di Cristo serve, ad esempio, nella prima lettera di Pietro a sopportare la discriminazione quo, Ciò corrisponde a risultati di una storia sociale del cristianesimo delle origini: il cristianesimo del­ le origini era una religione tanto per 'dissidenti' quanto per 'consenzienti'. Come consenzienti i cri· stiani si superavano fra di loro nel consentire a norme in vigore, come dissidenti erano disposti a la­ sciarsi disprezzare nel martirio come criminali. ' TH. HAUSCHILD, Magie und Macht in ltalien, Gilkendorf 2003', 22.

Sbltesi e considerazione conclusiva

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tidiana degli schiavi nella casa di un padrone disumano. Soprattutto le let· tere di Paolo mostrano come esperienze dirompenti dello Spirito furono sfruttate per risolvere problemi della convivenza quotidiana. Per questa trasposizione nella vita quotidiana importanti sono le molte forme intermedie fra religiosità normale e religiosità estrema. Nel vissuto e nel comportamento cristiano delle origini abbiamo distinto in continua­ zione fra varianti normali e varianti estreme, per cui sottolineiamo ancora una volta questo aspetto: ci furono molte forme che operarono da media­ trici fra di esse. La mediazione tra le due possibilità, tra loro contrappo­ ste, di comportamento e di vissuto fu svolta quasi sempre dalla cristologia. Nel Nuovo Testamento la percezione religiosa di Dio non awiene solo per il fatto che il mondo diventa una parabola, ma anche per il fatto che Dio diventa visibile nella figura di Cristo. Ad accendere i sentimenti religiosi non sono solo la bellezza del creato o l'irruzione del numinoso, bensì an­ che il cammino alla sequela di Cristo lungo le vie di questo mondo. La preghiera quotidiana di domanda e l'esperienza dello Spirito nella glosso­ lalia sono tra loro congiunte nella mistica della preghiera cristologicamen­ te fondata del vangelo di Giovanni. Gli esseri umani, quando vengono strappati al loro mondo e alla loro vita, hanno nella sequela di Gesù sia un modello per abbandonare il mondo familiare della vita quotidiana, sia an­ che un modello per agire in questo mondo. Tra la fiducia religiosa nonnale di fondo e il potere taumaturgico estremo c'è la cenezza che anche la fe­ de è un miracolo: una creazione dal nulla. Essa è la vera forza nelle guari­ gioni e nella salvezza. L'interpretazione del mondo come creazione che si verifica nel presente e come mondo caduco è superata da Cristo, perché egli rappresenta in questo mondo la nuova creazione. Egli prende il posto di tutti gli altri esseri intermedi fra Dio e l'essere umano, perché diventa il mediatore fra di essi. La cristologia è un'entità in sé molto complessa. Esi­ stono molte sue varianti. Ma proprio la sua complessità la rese idonea a di­ ventare un punto unitario di riferimento della religione cristiana delle ori­ gini. D'irnponanza decisiva fu il fatto che il rapporto con Cristo fu defini­ to come 'fede', quindi come una forza unitiva trascendente, che abbiamo riconosciuto come unità in tutti i campi della religione cristiana delle ori­ gini, nell'esperienza, nel mito, nel rito e nell'éthos. La forza della cristolo­ gia fondante l'unità unò contro i suoi limiti solo quando alcuni gruppi cri­ stiani non definirono più il legame, creato per mezzo di Cristo, come 'fe­ de', ma come 'conoscenza', e affennarono che la loro 'gnosi' (= cono­ scenza) era radicalmente superiore alla fede. E tuttavia questi gnostici esercitarono un grande influsso, perché gettarono le basi di tutti i tentati­ vi di una fede che cerca di conoscere. Anche una psicologia della religio-

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Capitolo settimo

ne cristiana delle origini si colloca nella loro tradizione di una conoscenza della fede, anche se non di una conoscenza con mezzi filosofici, ma con mezzi psicologici. La religione è, da parte dell'essere umano, una esplorazione di sé in un universo enigmatico, per scoprire quali possibilità e compiti egli ha in es­ so. Le religioni andrebbero studiate con tutti i mezzi scientifici, con cui gli uomini portano oggi avanti la loro autoesplorazione. La preoccupazione che la religione perda la sua forza vitale, qualora diventi scientificamente più perscrutabile, è comprensibile: esiste il fenomeno di «una tendenza demitizzante e naturalizzante inerente alla psicologia della religione» (Ja­ cob A. v. Belzen)'. lo presumo però che la religione cambierà, ma non si dissolverà affatto, se si impegna in una coerente autoesplorazione scienti­ fica. Le riserve teologiche nei confronti della psicologia della religione vanno però rispettate. La ricerca psicologica del vissuto, del pensiero e del comportamento cristiano primitivo è inusuale per molti teologi e il più delle volte addirittura inaccettabile per la teologia dialettica (con la sua coerente teologia della rivelazione). Per la teologia dialettica qualsiasi ap­ proccio psicologico alla religione all'interno della teologia è paganesimo mascherato. Qui la psicologia della religione come legittima disciplina al­ l'interno della teologia continua ad essere aborrita oggi come una volta. Tanto più occorre perciò sottolineare una cosa: da parte di una psicologia della religione non c'è alcun motivo di aborrire a sua volta la teologia dia­ lettica, al contrario: il modo della teologia dialettica di partire dalla rivela­ zione è una forma di esperienza religiosa estrema, che in un tempo di cri­ si è comprensibile e necessaria. In queste esperienze il nostro mondo e la nostra vita quotidiana si lacerano. Ma tali esperienze estreme vanno colle­ gate con esperienze religiose moderate nella vita quotidiana, nelle quali la vita quotidiana non si lacera, ma lascia trasparire il suo fondamento. Non c'è motivo di demonizzare questo collegamento come teologia naturale. Le religioni hanno effetti duraturi se influiscono sulla vita quotidiana. Hanno forza, se sono caratterizzate da esperienze e riti religiosi estremi. Ma sono convincenti solo se combinano le due cose. Ciò avviene nel Nuo­ vo Testamento attraverso la figura di Cristo, che da un lato è un predica­ tore itinerante galileo, dall'altro un inviato divino che irrompe nel mondo. Egli è nello stesso tempo vere homo et vere deus. Il cristocentrismo estre­ mo della teologia dialettica è comprensibile dal punto di vista della psico'J.A. V. BELZEN, Re/igionrpsycho/ogie, in ARPr 24 (2003) 19.

Sintesi e considerazione conclusiva

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logià religiosa: i sentimenti religfosi sono 'seii"tlinenti interpretati. I modi comportamentali religiosi sono comportamento interpretato. Nella fede cristiana essi sono interpretati mediante la relazione con la figura di Gesù. Modelli decisivi di interpretazione della gioia e del timore, del rito e del­ l' éthos guardano cristologicamente alla croce e alla risurrezione. Forse nel caso di esperienze religiose e di modi comportamentali religiosi moderati è possibile cavarsela con una teologia naturale della creazione, ma in si­ tuazioni estreme, in cui ne va della morte o della vita, la con/ormitaJ con Cristo è una via per acquisire, attraverso una corrispondenza a un'ultima realtà, di fronte alla morte e alla colpa, all'ingiustizia e al fallimento, la 'vita' e per arrivare così, malgrado tutto, a un incremento paradossale di vita.

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7,18 7,22 7 ;22s. 7;23 7;24 8 8,1 8,2 8,3 8,3s. 8,4 8,5s. 8,5 8 8,6 8,6ss. 8,7 8,10s. 8,12 8,13 8,14 8,14s. 8,14-16 8,15 8,16 8,17 8,19 8,21 8,22s. 8,23 8,24 8,26 8,26s. 8;27 8,28 8,3 1 8,3 1ss. 8,3 1-39 8,32 8,33 8,34 9,1 9,1-11 ,36 9,2 9,5 9,l ls. 9;24-26

103, 326 80, 85 79 79, 486 90 127, 129 296, 537 129 233, 339, 469 342 78, 83, 129 488, 608 1!7, 90 90, 238s. 238 79, 91, 103, 233, 238, 326 94 79, 83 79, 83, 90s. 64, 126, 541 184, 246 98, 125s., 244 127, 208, 233 , 245 101 64 106 106 291 126 80 2 12, 541 57, 106, 127 80 539 539, 612 244, 537 189, 342, 358, 364 233, 358 381, 537 342, 359, 537 528, 531 538, 6 1 1 57 81 538, 6 1 1 381

Elenco dei passi biblici 9,25 9,30-10,4 9,33 10,2 10,2s. 10,6-8 10,9 10,9s. 10, 1 1 10,16 10,17 11 1 1,1ss. 1 1 ,25ss. 1 1 ,25-27 1 1 ,27 1 1 ,28 1 1 ,36 12,1 12,1-13,14 12,2 12,3 12,3ss. 12,4ss. 12,6 12,6-8 12,9 12,14 12,15 12, 17-21 13, 1-7 1 3 ,5 13 ,6 1 3 ,8-10 13,12 13,14 14-15 14,1-15,13 14,17 14,22s. 14,23 15,lss. 15,3 15,10 15,13 15,19 15,3 1

667

234, 381, 538 259 254 514 515 271 79, 86, 255 80, 248 254 255 248, 255 370, 508 367, 5 14 522 147 522 538 27 1 79, 83, 129 532, 610 79s., 129 86 94, 381s. 128 255, 420 128 468 468 195 468 529 8 1 , 529 533 246, 450 84 84, 90 610 532 194 8 1 , 533 255 533 238, 348 195 194, 256 228s. 195

15,32 16,16 l Corinzi

1,2 1,3 1,17 1,18 1 , 1 8ss. 1,19 1,20 1 ,2 1 1 ,22 1 ,25 2,1 2,6ss. 2,7 2,8 2,9 2,9-11 2,9 12 2,11 3,3 3,6 3,9 4,1-5 4,3-5 4,5 4,9 4,14 5,1-13 5,5 5,7 5,9- 1 1 6,9s. 6,12ss. 6,15 6,16 6,16s. 6,19 6,!9s. 6,20 7 7,1 7,4 7,5 7,7

195 494 226 232 427 143 259, 283 , 357, 359 67 258 283 258 286 105 239 105 239, 286 106, 283 127 143 79, 101 93 83 83 530s., 610 105 57 167 245, 247 482 86 418 478 478 103 489 83, 102, 482, 488 608 83, 88, 243 358 226 496, 579 579 485 103, 481s., 486 484

Elenco dei passi biblici

668 7,9 7,14 7,19 7,23 7,29 7,32s. 7 ,32ss. 7,33s. 7,34 7,36-38 7,37 7,39s. 8-10 8,1 8,6 8,7 8,10 8,12 9,1 9,5 9,6 9, 1 1 10, lss. 10, 1 · 13 10,10 10, 14ss. 10,14-17 10,16 10,16s. 10,16ss. 10,17 10,20 10,21 1 1 ,3 1 1 ,3 -16 1 1 ,5 1 1 , l ls. 1 1 ,17ss. 1 1 ,23 1 1 ,24s. 1 1 ,27 1 1 ,27-29 12-14 12, 1s. 12,lss 12,3 12,4

484, 579 488, 608 82 358 495 489, 608 486 579 89, 579 49 1 , 609 484, 497 495 525, 530, 610 457, 53 1 27 1 530 530 530 151, 230 578 578 83 381 366 322 434 375 94 95 382 382 328 219 485 490 2 15 485 406, 434, 603 411 400, 4 1 0 409 406 126, 488 127 79, 127 128 128, 212, 420

12,7s. 12,8-10 12, 12s. 12, 12ss. 12,13 12,28 13 13,1 13,lss. 13,1·3 13,2 13,3 13,11 13,12 13,13 14 14,1ss. 14,3 14,6 14,12 14,13s. 14,14 14,18 14,18s. 14,19 14,20 14,20ss. 14,23 14,25 14,26-28 14 ,27 14,28 14,32 15 15,1·3 15,3 15,3-8 15,8 15,9 15,9s. 15,10 15, 1 1 15,24 15 ,24-26 15 ,26 15,28 15 ,29

128 128 89 79, 94, 102, 381s. 94s., 382 128 487 213 450 487 248 259 216 137 612s. 215 79 2 12 147 2 12 2 12 2 12s. 21 5, 231 211 211 2 1 6, 245 390 2 12 212 212 2 1 1 , 213 2 12 97, 212 156 150 171 149 150, 522 521 522 23 1 , 277 150 233 296 103 271 577

Elenco dei passi biblici 15,35ss. 15,37 15,37s. 15,38 15,39 15,40 15,44 15,45 15,45-49 15,49 15,50 15,5 1 15,56 16,1 16,17 16,20 2 Corinzi 1,2 1,3 1 ,8 - 1 1 1 , 12 1,17 1,22 2,3 2,4 2,13 3 3,3 3,4-18 3,6 3 ,6ss. 3,7 3,7-18 3 , 12-18 3,15 3,16 3 , 16s. 3 , 1 7s. 3,18 4,4 4,6 4,7 4,10 4,11 4,16

669 95 79 81 89, 102 8 1 , 89, 102 82, 89 79, 86, 101 79 85 79, 86, 242 86, 89s., 93, 95 95 235 381 1 95 494

232 232s. 195 528, 531 83 57, 80, 126 1 95 57 81 524 79, 93, 103 367 524 129 240 240 106 80 367 241 87 560 3 12 77, 79s., 86, 136, 151 92 92, 167 79, 92, 103 79, 85s.

5,5 5,6 5 , 10 5,11 5 , 14 5,14-21 5,15 5,16 5,17 5 ,20 7,5 7 , 13s. 8,7ss. 10-13 1 0,2s. 10,3 1 1,18 li,22s. 1 1 ,23-25 1 1 ,3 1 12,1 12,1ss. 12,7 12,9

126 81 53 1 53 1 342 358 342 83 245 340 81 195 457 350 83 81s. 83 23 1 167 232 147, 152 25, 152, 167 103 1 5 1 , 1 7 1 , 206

Galati 1,1 1 ,1s. 1,3 1,4 1,8 1,9 1 ,1 4 1 , 15 1 , 15s. 1 ,15ss. 1,16 l , 16s. 1 , 17 1 ,18s. 2 2,1s. 2 , 1 - 10 2,2 2,3 2,4 2,5

233 233 232 233 238 238 228, 23 1 , 358, 5 1 4 15 1 , 1 7 1 , 522 150s., 228 522 89, 228 228s. 228 150 229 147 369 152 238 435 23 1

Elenco dei passi biblici

670 2,9 2,1 1-14 2,14 2,16 2,18s. 2,19s. 2,20 3,1 3 ,3 3,11 3,13 3,14 3 ,15ss. 3,19 3,19s. 3 ,23 3,24 3 ,25 3 ,27s. 3,28 3,28s. 4,1 4,lss. 4,1-7 4,2 4,4 4,5 4,4-6 4,6 4,6s 4,18 4,19 4,26 5,1 5,13 5,13-18 5,14 5,14s. 5,15 5,16 5,16s. 5,17 5,18 5, 19 5,19ss. 5,22

171 23 1 238 102 235 166 81, 233, 342, 358 93, 143 390 254 233, 239, 358 239 244 244, 523 233 244, 255 233 255 394 381, 408, 484 390 524 245 234 233 233 358 126 80, 127, 208, 233, 245s. 244 5 14 245, 241 382 69, 358, 540 69, 358, 540s. 104 246, 524 408 102 90 92 129, 488, 608 129 90 478 194, 487

5,25 6,8 6,10 6,14 6,15 6,15s. 6,25

478 90-92, 443, 469, 607 129 83 456 396 82, 245 381 98

Efesini 1 ,4s. 1,10 1,18 1 ,20s. 2,1-3 2,3 2,4 2,4-6 2,5 2,5s. 2,12 2,19 4,26 5,14 5,21 5,21-33 5,25 5,25ss. 5,28 5,33 6,8 6,9 6,10-20

300 535 135 300 300 300 300 300 392 359 382 382 466, 607 392 485, 489 489 485 579 485 485 300 300 300

5,22ss. 5,24

Filippesi 1,1 1,2 1 ,3-6 1 ,22 1-,23 1 ,25 1 ,25s. 2,6- 1 1 2,11

429 232 195 81 91 256 195 296, 357-359, 361, 364 233

Elenco dei porsi biblici

671

2,12 2,17 2,17s. 2,28s. 3 3,1 3 ,2-1 1 3,4 3,4ss. 3 ,4-6 3 ,5s. 3,6 3,7-8 3,8 3,10 3, 10s. 3,18 3,20 3 ,2 1 4,1 4,4s. 4,20

195 358, 404 1 95 1 95 229, 24 1 -243 , 523 1 95 150 236 241s. 228, 236 521 514 229 241 166, 522 359 238, 24 1 3 82 86, 95 1 95 1 95 233

Colossesi 1 , 15-20 1 , 1 9s. 1 ,24 2,3 2,12 2,18 3 , 1 -3 3,11 3,12 3 ,22

535 535 291, 597 281 359 391 359 381 58 183

l Tessolonicesi 1,1 2,7 2,14 2,14-16 2,15 2,17 2,20 3,9 3,11 3,12 4,3-5

232 245, 247 239 358 238s. 91 195 195 232 456 478

4,14 5 ,23

255 80

l Timoteo 1 ,9s. 1,10 2,4 2,12 3,1-13 3 ,2 3,5 4,3 4,6 4 , 1 1 - 16 4,14 5,1-23 5,3- 16 5 , 14 5 ,23-25 6,1s. 6,4s. 6,13 6,16 6,20

478 428, 604 535, 550 428, 485, 604 427 428, 604 429 428s. 429 428 428 428 495 485, 492 428 428 478 429 550 428, 604

2 Timoteo 1 ,6 1 ,9-10 1 , 12 1 , 14 2,14-3,9 2,18 3 ,2ss. 4,3 4,6s.

428 428 428, 604 428, 604 429 429 478 428 429

Tito 1,9 2,1 2,4s. 3 ,3 3 ,5

428 428 579 478 428

Filemone 7 16

195 457

E/eneo dei passi biblici

672 Ebrei 1 ,3 2,14s. 2,17 3,7ss. 3 ,7-4,13 3 ,12s. 4,9 4 , 12s. 5,1 5,3 6,4 6,4ss. 6,19s. 7,1-10, 1 8 7,16 7,25 8,1 8,12 9,14 9,24 9,26 9,26ss. 9,28 10,17 10,26ss. 10.30 10,3 1 l l ,lss. 1 1 , 1 -40 1 1 ,17-19 12,5s. 12,22 12,29 1 3 ,2

•.

299 299, 359 299 381 383 299 383 299 299 299 226 226, 299, 393 359 359 299 359 299 299 299 359 299 299 299 299 226, 393 299 299 366 383 253, 367 299 299, 3 82 299 508

Giacomo 1,1 1 , 13-15 1,17 2;20-26 2;21 3 , 1 - 12 3,13-18 4,7s 5,12 5,14s.

381 326 549 367 253 210 286 326 210 577

l Pietro 1 ,6 1,6-9 1,18 1 , 18s. 1 ,22-2,3 1 ,23 2,6 2,9s. 2,10 2,12 2,21ss. 2,21 -25 3,17-19 4,13 4,14

198 198 3 94 358 219 227 254 381 381 383 291 358 358 198 198

2 Pietro 3,4

550

l Giovanni 1 ,4 1 ,5 1 ,7 2,1 2;2 2,10 3,8 4,9s. 4,10 4,16 4,18

196 297, 549 297 359 358 456 322 358 358 297, 450, 467, 549, 561 183s.

2 Giovanni 12

196

3 Giovanni 3 9

438 430

Apocalisse di Giovanni 1 , 19-20 1,10-20 2,5 2,16 2;21s.

158 359 393 393 393

Elenco dei passi biblici 2,23 3,5 3,16 3 ,2 1 4 5 , 1ss. 9, 1 1 12,9 12-13 1 3 ,2

673 58 226 226 226 3 10 3 10 328 320 320 324

13,8 13,15 19, 1 1 - 15 16,13-16 1 9, 1 1 -2 1 20,1-6 20,2 20,7s. 2 1 ,3-4 2 1 ,4

324 324 467 322 322 322 320 322 3 10 534

INDICE GENERALE

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5

Introduzione: PROBLEMATICA E METODICA

DI

UNA PSICOLOGIA

..................... n problema di una psicologia storica Il problema di una psicologia religiosa Limiti e possibilità metodiche di una psicologia del cristianesimo delle origini: come procede una psicologia religiosa storica? . . . . . . . . . . . . l) La carenza di fonti 2) Il sospetto di ingenuità nell'analisi scientifica dei testi 3) Il sospetto di anacronismo 4) L'obiezione di riduzionismo 5) Il sospetto di banalità Il ricco oggetto di una psicologia del cristianesimo delle origini: che cosa ricerca una psicologia religiosa storica . . . . . . . . . . . l ) L'autospiegazione di uomini: l'invenzione dell'uomo interiore 2) Quattro fattori della religione: esperienza, mito, rito e éthos 3 ) Due gracli della deviazione dalla vita quotidiana: religiosità normale e religiosità limite 4) Due tipi fondamentali della realtà religiosa: varianti elevate e varianti profonde 5) Il timbro cristologico del vissuto e del comportamento: l'integrazione della religiosità divergente La ricerca di una teoria psicologica religiosa . . . . . . . . . . . . . . .

DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI

l.

II.

III .

9 10 13 15

16 19 21 26 27 28 29 30 33

36 37 37

Indice generale

676 l. CORPO E ANIMA. L'INVENZIONE DELL'UOMO INTERIORE NELL'ANTICHITÀ

E IL SUO RINNOVAMENTO NEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI .

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. . . 47

a. I.:invenzione dell'uomo interiore nell'antichità . . . . . . . . . . . . . . 50 L La localizzazione interna dell'anima esterna 51 54 Il. L'incentramento dell'anima interiore m.Lo sviluppo dell'immagine dell'essere umano in Israele 56 IV. Lo sviluppo dell'immagine dell'essere umano in Grecia 64 V. Esperienze religiose moderate e estreme 66 b. Il rinnovamento dell'uomo interiore nel cristianesimo delle origini . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 I. Autodinamica nel vangelo di Matteo: l'immagine etica dell'essere umano 69 II. Eterodinamica nel vangelo di Giovanni: l'immagine soteriologica dell'essere umano 72 m. Dinamica della trasformazione in Paolo: l'immagine trasformativa dell'essere umano 76 L'immagine unitaria dell'essere umano in Paolo 80 L'immagine dualistica dell'essere umano in Paolo 84 L'architettura dell'essere umano con tratti dualistici 85 Dinamica della trasformazione nell'immagine dell'essere umano 87 rv.L'inconscio nell'immagine dell'essere umano. Due forme di dinamica del profondo: rimozione del peccato e io 99 Dinamica del profondo in Paolo: la trascendenza della carne e dello spirito 100 L'intimo, di cui non disponiamo, in Paolo 101 L'intimo, non perscrutato sino in fondo, in Paolo 104 Dinamica del profondo nel Pastore di Erma: il peccato rimosso 107 La dinamica del profondo nella gnosi: il dimenticato vero io 109 .

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II. ESPERIENZA E VISSUTO. LA DIMENSIONE SPIRITUALE DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI

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a. Pneuma come concetto collettivo di esperienze religiose nel cristianesimo delle origini . . Lo Spirito come presa di contatto con Dio .

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1 16

. . 125 126 .

Indice generale

6n

Lo Spirito come capacità di insegnare 127 Lo Spirito come forza della comunità 128 Lo Spirito come motivazione della vita etica 129 b. La percezione religiosa: trasparenza e visione . . . . . . . . . . . . 130 I. La percezione religiosa della realtà trasparente 136 II. Sogni e visioni come esperienza dirompente 144 I sogni del Nuovo Testamento 144 Le visioni del Nuovo Testamento 149 155 Visioni di lutto Visioni della morte vicina 159 Visioni di illuminazione 160 Esperienze di visione in Paolo 166 c. Emozioni religiose: timore e gioia . . . . . ........ . 175 I. Timore religioso moderato e timore religioso estremo 181 II. Gioia religiosa moderata e gioia religiosa estrema 189 189 L'Antico Testamento 194 Il Nuovo Testamento d. Linguaggio religioso: preghiera e glossolalia . . . . 202 I. Preghiera e linguaggio verbale quotidiano 206 II. Linguaggio religioso estremo: la glossolalia 210 e. Cambiamento religioso: conversione normativa e conversione esistenziale . . . . . . . . . . . 2 18 221 I. Conversione e penitenza come decisioni nonnative II. Conversione come riorientamento esistenziale 225 Il conflitto ambivalente nell'immagine di Dio di Paolo 232 L'attivazione del conflitto nella relazione con i suoi avversari e con Cristo 23 7 La presa di coscienza, mediante la relazione con Cristo, del conflitto con Dio 240 La trasformazione dell'essere umano attraverso 243 nuovi modelli di esperienze e di comportamento f. Legame religioso: fede nella parola e fede nel miracolo . . . . . 247 I. Fede come fiducia: la fede nella parola 252 259 II. Fede come acquisto di potere: la fede nel miracolo Esorcismi 261 267 Terapie .

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Indice generale

678

III. MITO E SAPIENZA. LA DIMENSIONE COGNITIVA

DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI 272 Introduzione: Riflessioni teoretiche a proposito di mito e sapienza 272 a. 'Sapienza' e 'kerygma' quali concetti guida di interpretazioni religiose cognitive . 283 b. Attribuzione causale del male e aporie del problema della teodicea: l'equilibrio nel triangolo soteriologico 'Dio, uomo e mondo' 287 I. Attribuzione causale del male in scritti protogiudaici 291 II. Attribuzione causale del male in Gesù e in Paolo 294 294 Gesù 295 Paolo m. Attribuzione causale del male in teologie tardo-neotestamentarie 297 Gli scritti giovannei 297 La lettera agli Ebrei 299 300 La lettera agli Efesini c. Concezione di Dio come interpretazione di aporie religiose 302 I. Fede in Dio come assioma fondamentale: 303 il monoteismo etico II. Il mito del regno di Dio: il monoteismo escatologico 307 d. Concezione del mondo come interpretazione di aporie religiose 311 I. Fede nella creazione come assioma sapienziale: il mondo ospitale 3 14 La funzione sociale della sapienza 3 14 La funzione personale della sapienza 3 15 La funzione spirituale della sapienza 3 15 II. Il mito di satana: il mondo ostile 3 17 La funzione sociale del simbolismo di satana 323 La funzione personale del simbolismo di satana 325 La funzione spirituale del simbolismo di satana 327 e. Concezione dell'uomo come interpretazione di aporie religiose . . . . . 332 r. Fede nel perdono come assioma: 332 l'essere umano che si converte 335 II. Il mito dell'espiazione: l'essere umano redento La metaforica cultuale della redenzione: 337 la morte di Cristo come sacrificio di espiazione . . . • . . . . . . . .

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Indice generale

679

La metaforica giuridica della redenzione: 338 la morte di Cristo come rappresentanza w La metaforica diplomatica della redenzione: 340 la morte di Cristo come riconciliazione La morte espiatoria di Gesù e l'ira di Dio 341 Tentativo di un'interpretazione psicologica della morte espiatoria 345 Il modello della terapia dell'esposizione: l'effetto terapeutico della situazione di paura consapevolmente aumentata 345 Il modello del meccanismo del capro espiatorio: l'effetto catartico del capro espiatorio rappresentativo 347 Il modello dell"effetto ondulatorio': l'effetto costruttivo di una sanzione negativa subita in rappresentanza 351 f. Concezione di Cristo come risposta a d aporie religiose . . . . . . . 354 I. · La cristologia come offerta controintuitiva di ruoli 356 Interpretazioni dell'wniliazione di Gesù: sensi attribuiti alla sua morte 356 Riduzione cognitiva della dissonanza e la glorificazione di Gesù 360 Aumento della dissonanza cognitiva e la glorificazione di Gesù 361 365 II. Ruoli secondari come offerta religiosa moderata di ruoli Ruoli veterotestamentari 366 Ruoli dei discepoli 368 370 Ruoli di contatto .

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lV RITO E COMUNITÀ. LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI . . . . . . . . . . . . Introduzione: Riflessioni teoretiche su rito e comunità . . . . a. 'Chiesa' quale concetto guida della /orma comunitaria dei cristiani . . . . . . . . . . . . . . . b. Ingresso nella comunità: il battesimo di conversione e di rinascita . . . . . . . . . . . I. Il battesimo come rituale terapeutico di una conversione normativa .

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. . . . . . 373 . . . . . . 373 .

. . . . . 380

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. . . . 383 .

386

Indice generale

680 Il battesimo come rituale trasformativo di una conversione esistenziale c. Vita nella comunità: pasto sacro e pasto sacramentale I. Cena del Signore come pasto sacramentale con trasgressione di tabù Trasgressioni rituali di tabù nella cena del Signore Trasgressioni etiche di tabù nella cena del Signore Simbolismo antropofago nella concezione della cena del Signore di Ignazio di Antiochia Simbolismo antropofago nella concezione della cena del Signore del vangelo di Giovanni Simbolismo antropofago nella concezione della cena del Signore di Paolo Tentativo di un'interpretazione psicologica deila cena del Signore II. Cena del Signore come pasto sacro senza trasgressione di tabù Il pasto sacro della Didaché e il pasto sacramentale del vangelo di Matteo Il pasto sacro della lavanda dei piedi e il pasto sacramentale del vangelo di Giovanni La frazione sacra del pane e la cena sacramentale del Signore nella doppia opera lucana d. Dominare nella comunità: carisma e ufficio I. La oggettivazione del carisma mediante il rituale n. La oggettivazione del carisma mediante la dottrina e. Vita nella comunità: chiesa e sette . . . l . Strutture ecclesiali nel cristianesimo delle origini II. Gruppi settari nel cristianesimo delle origini II.

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V.

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391 398 399 399 402 404 405 406 407 410 412 414

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416 . 420 423 426 43 1 434 437

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ÉTHOS E PRASSI. LA DIMENSIONE PRATICA DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI

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Introduzione: Riflessioni teoretiche sull'importanza dell'éthos Etica greca ed etica giudaica come etica della conoscenza e del comandamento Etica greca ed etica giudaica come etica dell'autonomia e del prossimo

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441 441 445 447

Indice generale

681

a. 'Amore' come concetto guida dell'éthos biblico . . 450 454 l. Ampliamenti etici radicali dell'amore II. Limitazioni etiche moderate dell'amore 456 b. Aggressione e superamento dell'aggressione: controllo delle pulsioni nel cristianesimo delle origini . . . . . . . 459 462 I. Diminuzione dell'aggressione nell' éthos 467 IL Aumento dell'aggressività nel mito c. Sessualità e ascesi: 474 controllo delle pulsioni nel cristianesimo delle origini 476 I. Il matrimonio come éthos sessuale moderato Il. L'ascesi come éthos sessuale radicale 490 d. Legge e parenesi: orientamento normativa nel cristianesimo delle origini . . . . . . . . . 499 501 I. La legge come via salvifica: il compimento della legge 502 Regola d'oro Giustizia 503 Misericordia 506 507 Giudizio universale 509 La Torah come etica universale II. La legge come perdizione: la problematizzazione della legge 5 12 Lo zelo per la legge nel giudaismo e nel Paolo precristiano 514 Rimozione della critica della legge nel giudaismo? 5 17 520 Zelo per la legge e critica della legge in Paolo e. Coscienza e giudizio: orientamento normativa nel cristianesimo delle origini . . . . . . .. 525 528 I. La coscienza come autogiudizio umano Il. n giudizio come giudizio divino 533 .

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VI. MISTICA E GNOSI.

LA TRASFORMAZIONE DELLA RELIGIONE CRISTIANA DELLE ORIGINI NELLA GNOSI

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Riflessioni teoretiche su due forme fondamentali di religiosità e sulle condizioni storiche della nascita della gnosi a. Esperienza e vissuto . . . . . . . . . . Mistica neotestamentaria della trasformazione come trasformazione nell'immagine di Cristo Mistica neotestamentaria dell'unione come reciproco in-essere .

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�42 542 559 559 560

Indice generale

682

Mistica gnostica della conoscenza come risveglio da un incubo Mistica gnostica dell'unione come risveglio da uno stato di ebbrezza Mistica gnostica della conoscenza come unione e conoscenza nella luce Mistica gnostica della conoscenza come unione Mistica gnostica della conoscenza come theologia negativa Esperienza neotestamentaria ed esperienza gnostica b. Mito e dottrina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Attribuzione causale all'essere umano del suo stato di irredenzione Attribuzione causale dello stato di irredenzione al demiurgo Attribuzione causale al mondo antidivino Interpretazione neotestamentaria e interpretazione gnostica del mondo c. Rito e comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Battesimo e sigillazione Eucaristia e camera nuziale I rituali nella religiosità gnostica e nella religiosità neotestamentaria d. Éthos e prassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'ascesi normale dei carismatici itineranti e dei cristiani delle comunità L'ascesi radicale degli encratiti e degli gnostici .

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. .................. a. Anima e corpo. I.:invenzione dell'uomo interiore nell'antichità e il suo rinnovamento nel cristianesimo delle origini . . . . . . . . . b. Esperienza e vissuto. La dimensione spirituale della religione cristiana delle origini . . c. Mito e sapienza. La dimensione cognitiva della religione cristiana delle origini . . . . . . ... d. Rito e comunità. . ,. .. La dimensione sociale della religione cristiana delle origini . . . . e. Éthos e prassi. l'· , La dimensione pratica della religione cristiana delle origini . . . .

Vll. SINTESI E CONSIDERAZIONE CONCLUSIVA

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561 562 563 564

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564 566 567

567 569 57 1 572 . 573 574 575 576 . 577 578 580 . 585 . 588 . 590 . 595 . 601 . 605

683

Indice generale

Differenziazione e unità della religione cristiana delle origini nell'esperienza, nel mito, nel rito e nell'éthos 613 Differenziazione e unità della religione cristiana delle origini nella religiosità normale e nella religiosità estrema 617 Bibliografia

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Elenco dei passi biblici

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