Intersoggettività. Origini e primi sviluppi 8860301130, 9788860301130

Quando, e in che modo, i lattanti di pochi mesi iniziano a entrare in contatto con gli stati affettivi degli altri? Il v

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Intersoggettività. Origini e primi sviluppi
 8860301130, 9788860301130

Table of contents :
Indice
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Cap 1. Lo studio dell'intersoggettività
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Cap 2. Un confronto tra le diverse teorie sulle prime forme di intersoggettività
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Cap 3. Il periodo neonatale: indicatori di preadattamento all'interazione sociale
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Cap 4. La transizione-chiave del secondo mese: le origini dell'intersoggettività
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Cap 5. Dai 2 ai 6 mesi: intersoggettività come compartecipazione affettiva nella comunicazione faccia a faccia con l'adult
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Cap 6. Dai 6 ai 9 mesi: intersoggettività come prima condivisione di attenzione ed emozioni nelle azioni di gioco
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Cap 7. Dai 9 ai 12 mesi: una svolta nell'esperienza intersoggettiva: condivisione di attenzione, stati affettivi e intenzioni
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Bibliografia
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MANDELA LAVELLI

INTERSOGGEITIVITÀ ORIGINI E PRIMI SVILUPPI

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www.raffaellocortina.it

ISBN 978-88-6030-113-0 © 2007 Raffaello Cortina Editore

Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2007

Indice

Prefazione (Dario Varin)

XIII

Introduzione

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Parte prima Prospettive teoriche sulle origini e i primi sviluppi dell' intersoggettività

Capitolo 1 Lo studio dell'intersoggettività nell'ambito dell'infant research 1.1 La teoria dell'intersoggettività innata: Colwyn Trevarthen 1.2 L'esperienza dd!' imitazione all'origine dell'intersoggettività: Andrew Meltzoff 1.3 Co-regolazione e processi di cambiamento nella rdazione madre-lattante: Alan Fogel 1.4 Mutua regolazione ed espansione diadica degli stati di coscienza: Edward Tronick 1.5 Il modello dell'equilibrio tra autoregolazione e regolazione interattiva: Beatrice Beebe 1.6 La sintonizzazione degli affetti: Daniel Stern l. 7 La condivisione di significati: Kenneth Kaye

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42

Capitolo2 Un confronto tra le diverse teorie sulle prime forme di intersoggettività

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2 .l Il focus sulle capacità e il vissuto del lattante vs. sul processo dia dico di mutua regolazione 2.2 La natura e le condizioni di comparsa dell'intersoggettività 2.3 Il rapporto tra intersoggettività e sviluppo del Sé

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VII

47

INDICE

Parte seconda I processi di sviluppo dell'esperienza intersoggettiva nel primo anno di vita Capitolo3 Il periodo neonatale: gli indicatori del "preadattamento" all'interazione sociale

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3.l Continuità p re- e post -natale nelle capacità percettive, motorie e di apprendimento 3.2 Il sistema di segnalazione e l'organizzazione temporale del neonato 3.3 L'attenzione selettiva e le risposte preferenziali verso gli stimoli sociali: voce e volto umano 3 .4 Il riconoscimento e la preferenza per la voce, il volto e l'odore della madre Metodi e strumenti l I paradigmi sperimentali per lo studio delle precoci capacità di discriminazione di stimoli 3 .5 L'imitazione neon atale 3.6 Forme rudimentali di differenziazione tra sé e gli altri 3.7 Pattern di interazione differenziati con le persone e con gli oggetti

77 80 83 84

Capitolo4 La transizione-chiave del secondo mese: le origini dell'intersoggettività

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4.1 I cambiamenti nella regolazione degli stati comportamentali e della motricità 4.2 Lo sviluppo delle abilità visuomotorie: nuove opportunità per la comunicazione faccia-a-faccia 4.3 La comparsa del sorriso sociale 4.4 La comparsa del cooing e dei movimenti labiali di "prelinguaggio" 4.5 Gli effetti dei cambiamenti del lattante sul comportamento degli adulti 4.6 Le origini dell'intersoggettività nell'esperienza di comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto Metodi e strumenti 2 Il paradigma osservativo per lo studio della comunicazione faccia-a-faccia madre-lattante

Capitolo5 Dai 2 ai 6 mesi: intersoggettività come compartecipazione affettiva nel contesto della comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto 5 .l Mutua regolazione di attenzione e affetti nella comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto 5.2 Le competenze del lattante nella comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto

VIII

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INDICE

Metodi e strumenti 3 I paradigmi sperimentali per lo studio della comunicazione faccia-a-faccia madre-lattante 5J Il ruolo del rispecchiamento affettivo materno nello sviluppo delle aspettative e del comportamento sociale 5.4 Lo sviluppo di un primo senso di Sé come agente 5.5 Le competenze del lattante nelle situazioni triadiche Metodi e strumenti 4 I paradigmi sperimentali per lo studio delle competenze del lattante nelle situazioni triadiche 5 _6 La prima organizzazione dell'esperienza intersoggettiva e le origini dell'attaccamento nei pattern di interazione con la madre 5.7 La transizione dalla comunicazione faccia-a-faccia alla comunicazione focalizzata sugli oggetti

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Capitolo 6 Dai 6 ai 9 mesi: intersoggettività come prima condivisione di attenzione ed emozioni nelle azioni di gioco 6.1 L'attenzione coordinata nel gioco con gli oggetti Metodi e strumenti 5 Il paradigma sperimentale per lo studio dell'attenzione visiva condivisa 6.2 La comprensione della direzionalità delle azioni 6J La comprensione della direzionalità degli affetti 6.4 L'incremento della capacità di indirizzare e discriminare le espressioni emozionali 6.5 L'esperienza intersoggettiva nei primi "formati" di gioco sociale 6.6 La differenziazione delle risposte sociali

Capitolo 7 Dai 9 ai 12 mesi: una svolta nell'esperienza intersoggettiva, owero, intersoggettività come condivisione di attenzione, stati affettivi e intenzioni

153 155 157 158 161 163 166 169

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7.l Fattori determinanti nello sviluppo dell"'intersoggettività secondaria" 7.2 La condivisione degli stati affettivi in relazione agli oggetti Metodi e strumenti 6 Il paradigma sperimentale per lo studio del riferimento sociale 7J La capacità di seguire la direzione dell'attenzione dell'adulto 7.4 La comprensione delle intenzioni dell'adulto 7.5 Lo sviluppo della comunicazione intenzionale: la capacità di influenzare l'attenzione, gli stati affettivi e le azioni dell'adulto 7.6 I "formati" di attenzione condivisa e i primi sviluppi della comunicazione gestuale e linguistica

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Bibliografia

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IX

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l Lo studio dell'intersoggettività nell'ambito dell'infant research

Nell'ultimo decennio, nell'ambito della psicologia dello sviluppoin particolare dell'infant research -,insieme all'interesse per lo studio d~lfa mente dei neonati e per lo sviluppo delle teorie infantili sul funzionamento della mente degli altri, è esploso anche l'interesse per coil bambino piccolo arriva a condividere la sua esperienza soggettiva (stati affettivi, prospettiva e focus d'attenzione su oggetti del mondo esterno, intenzioni) con quella di un'altra persona. Al riguardo, vi è stata una ripresa del termine "intersoggettività", introdotto a fine annf Settanta da Trevarthen per spiegare quella particolare sincronia tra le espressioni facciali, vocali e gestuali di lattanti di soli 2-3 mesi e le espressioni delle loro madri durante la comunicazione faccia-a-faccia, che la microanalisi dei filmati aveva permesso di scoprire. Nello specifico, Trevarthen aveva definito "intersoggettività" la capacità "di adattare il controllo soggettivo (del proprio comportamento) alla sogge!tività dell'altro, per poter comunicare" (Trevarthen, 1979, p. 322). Bruner è tra i principali promotori dell'incremento di attenzione verso quest'area di studi. Circa 10 anni fa, nel capitolo conclusivo di un suo famoso libro identifica la ricerca sull"'intersoggettività", cioè sul "processo per cui si giunge a sapere cosa hanno in mente gli altri e ci si adatta di conseguenza" (Bruner, 1996a, p. 176), come tema essenziale su cui è necessario che la psicologia si concentri per poter fare dei passi avanti nella comprensione della mente umana e della svolta culturale avvenuta nell'evoluzione umana. Secondo Bruner, lo studio dell'intersoggettività è fondamentale perché è attraverso l'esperienza intersoggettiva che il bambino inizia ad attribuire significati agli eventi del mondo. La "modalità intersoggettiva" costituisce cioè la prima

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PROSPEITIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGEITIVITA

gelle modalità primitive di costruire significati (Bruner, 1996b), che appartengono anche al bambino molto piccolo; una modalità che consiste nel situare espressioni, azioni ed eventi nello "spazio simbolico" condiviso con l'adulto con cui il piccolo interagisce. Allivello più semplice, l'intersoggettività è mediata dalla capacità di riconoscere che è possibile condividere la propria esperienza interna: inizialmente attraverso la reciprocità degli sguardi, dei gesti e altre forme di contatto percettivo tra il lattante e la madre; poco dopo, a un livello più elaborato, attraverso la condivisione dell'attenzione verso un oggetto/evento esterno (Bruner, 1995). Nel capitolo citato, Bruner evidenzia come la ricerca sull'intersoggettività rappresenti un territorio in cui la psicologia biologica e la psicologia culturale - tradizionalmente separate - si possono proficuamente integrare. La psicologia con forti radici biologiche, di orientamento individuale-sperimentale, è infatti essenziale per lo studio della predisposizione biologica del neonato a rispondere alla voce, al volto e ai gesti umani; una predisposizione che favorisce il rapido sviluppo di uno scambio comunicativo reciproco tra la madre e il lattante, nell'ambito del quale il piccolo imparerà presto ad anticipare e a sviluppare aspettative nei confronti del comportamento del partner. La psicologia culturale è invece indispensabile per lo studio dei processi di comunicazione e negoziazione che si sviluppano nel contesto dell'interazione, dove la condivisione di attenzione e azioni tra il piccolo e la madre (o altro adulto significativo) f~yorisce la costruzione di significati condivisi. Nel contesto dell'interazione ~-inizialmente l'adulto che segue e si coinvolge ri~petto al focus di attenzione del bambino; l'attività di sostegno dell'adulto promuove nel piccolo la capacità di seguire, a sua volta, la direzione dell'attenzione dell'adulto, di comprendere che l'altro ha un suo punto di vista sulla realtà esterna, e che le proprie espressioni e azioni hanno un potere di comunicazione che può essere usato per influenzare l'attenzione e il comportamento del partner. In tal senso, Bruner evidenzia come l'incontro con la mente dell'altro non derivi dalla maturazione di t.ma capacità individ4.ale, quanto, piuttosto, dalla natura dell'interazione sociale in cui gli esseri umani sanno coinvolgersi fin dai primi mesi di vita. Questo libro intende esplorare l'emergere dell'intersoggettività nel primo anno di vita. Le teorie presentate di seguito rappresentano posizioni diverse nell'interpretazione delle prime forme di intersoggettività presenti nell'esperienza infantile. 4

LO STUDIO DELL'INTERSOGGETTIVITA NELL'AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

1.1 La teoria dell'intersoggettività innata: Colwyn Trevarthen Secondo Trevarthen, gli esseri umani nascono con una specifita motivazione e una sensibilità innata a entrare in contatto con gli interessi e le emozioni espressi dalle altre persone, e a condividere con gli altri la_propria esperienza soggettiva. Si tratta di un bisogno di comunicazione interpersonale che va oltre ogni bisogno di sostegno fisico, cura e protezione. Senza porre in discussione il fatto che lo sviluppo umano implica apprendimento e che i lattanti dipendono comunque dalle cure degli adulti, la sua "teoria dell'intersoggettività innata" sostiene che "il bambino nasce con le motivazioni e le capacità di comprendere e usare gli intenti delle altre persone in negoziazioni 'conversazionali' di intenzioni, emozioni, esperienze e significato" (Trevarthen, 1998, p. 16). Questa "dotazione", specifica della specie umana, viene spiegata come funzionale alla ricerca di compagnia (companionship) e sostegno nella scoperta di nuove esperienze; inoltre, con lo sviluppo del bambino, come funzionale all'apprendimento culturale, cioè alla preparazione di una vita mentale cooperativa in una società organizzata in base ai significati culturali condivisi (Trevarthen, 2003, 2005).

I dati empirici alla base della teoria Trevarthen sviluppa la sua teoria a partire da dettagliate descrizioni microanalitiche del comportamento di neonati e lattanti di pochi mesi di vita in interazione spontanea con le loro madri, condotte fin dagli anni Settanta. Queste descrizioni evidenziano che, già nel periodo neonatale, nel contesto di un'interazione affettuosa un lattante può rispondere in modo differenziato alle diverse espressioni manifestate nei movimenti materni, mostrando segni di "monitoraggio" o, perlomeno, sensibilità ai cambiamenti d'espressione del partner. Che a 2 mesi, se coinvolto con sensibilità e gentilezza in un'interazione facciaa-faccia con la madre o un altro adulto attento e affettuoso, può rispondere in modo affettivamente e temporalmente contingente alle vocalizzazioni e alle espressioni della faccia e delle mani del partner, e alternarsi nei turni "protoconversazionali" (vedi paragrafo 4.6) con quest'ultimo (Trevarthen, 1979; Trevarthen, Kokkinaki, Fiamenghi, 1999). Inoltre, che verso la fine del primo anno, il bambino diviene capace di percepire le intenzioni del partner in riferimento a un oggetto esterno, e coordinare le proprie azioni e intenzioni con quelle dell'al5

PROSPETIIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E l PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGETIIVITA

tro (Trevarthen, Hubley, 1978). Il fondamento di tutte queste sensibilità del bambino per la mente delle altre persone consiste, secondo Trevarthen, "in un rispecchiamento intuitivo degli intenti e dei vissuti affettivi manifestati nei movimenti del corpo delle altre persone" (2001, p. 101).

Il "rispecchiamento intuitivo" nell'imitazione neonata/e

Il rispecchiamento è "intuitivo" e "immediato", ossia non mediato d~ alcuna elaborazione cognitiva o simbolica. L'imitazione neonatale

(vedi paragrafi 1.2 e 3.5) costituisce, per Trevarthen, la prova più convincente di questa capacità di "rispecchiamento", ossia l'evidenza empirica più impressionante della capacità dei neonati di comunicazione intersoggettiva. A questo riguardo, cita il lavoro di diversi autori (per esempio, Kugiumutzakis, 1998; Maratos, 1982; Meltzoff, Moore, 1977) che hanno mostrato che i neonati, inclusi quelli nati prematuramente, possono imitare attivamente alcune azioni di un adulto che, dopo aver attratto affettuosamente l'attenzione del neonato, produce in modo ripetuto azioni interessanti (per esempio, apertura della bocca, protrusione della lingua) e contingenti con i segni di attenzione del piccolo. Trevarthen sottolinea che le osservazioni di Kugiumutzakis sulle condizioni che favoriscono le risposte imitative, e sui tentativi mostrati dal neonato prima di riprodurre l'azione, confermano l'interpretazione che i neonati imitano in diretta risposta all'intenzione dell' adulto, percepita nelle sue espressioni. In particolare, sottolinea che ancora più rimarchevole è la dimostrazione di Nagy e Molnar (1994) che neonati di poche ore non solo possono imitare la protrusione della lingua e delle labbra, l'apertura della bocca, il sorriso, l'espressione di sorpresa e vari movimenti della testa e delle dita, ma che se l'adulto attende pazientemente guardando il neonato dopo aver stimolato la protrusione della lingua, dopo 2-3 minuti, i piccoli tendono ad allungare deliberatamente la lingua, come volessero "provocare" un'altra risposta dall'adulto attento. Gli autori hanno ulteriormente dimostrato che, mentre le imitazioni sono accompagnate da accelerazione del battito cardiaco dei piccoli, le "provocazioni" da decelerazione, caratteristica di uno stato di anticipazione. Questo prova, secondo Trevarthen, che nel contesto di un'interazione affettuosa con l'adulto i neonati sono capaci di comportamento reciproco non solo relativamente alle azioni, ma anche alle intenzioni, del partner.

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LO STUDIO DELL'INTERSOGGETTIVITANELL'AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

I meccanismi basilari di coordinazione intersoggettiva Per Trevarthen, il processo di "accoppiamento" (matching) di movimenti, o azioni comunicative, che ha luogo durante l'imitazione da parte del neonato rappresenta il più semplice meccanismo di coordinazione intersoggettiva. Secondo Trevarthen questo processo dipende da "un qualche tipo di aggiustamento dell"immagine' del movimento che deve essere prodotto dal neonato rispetto a quella del movimento visto (prodotto dall'adulto), che deve aver luogo nel cervello" (1998, p. 28). L'autore ipotizza quindi la presenza, nel cervello del neonato, di un'immagine neurale- una sorta di "mappa"- del proprio corpo, i~ grado di riflettere anche la forma e l'attività del corpo di un'altra persona. In particolare, afferma che: "Per poter imitare, il neonato deve avere una rappresentazione cerebrale delle persone", una rappresentazione che è sostanzialmente "un'immagine motoria, sensibile sia alla forma del corpo in movimento, sia alle caratteristiche temporali d~I movimento imitato" (1998, p. 29). Nella formulazione di quest'ipotesi Trevarthen appare influenzato dalla teoria dell"' altro virtuale" di Braten (1988, 1998a), a cui lui stesso fa riferimento. Si tratta di una teoria piuttosto astratta, secondo cui la mente del neonato sarebbe fin dalla nascita organizzata in forma dialogica: la percezione del sé corporeo sarebbe operativamente accoppiata a quella di un "altro virtuale"; questa costante complementarietà, nei momenti in cui il piccolo si trova a interagire con un'altra persona reale, lo renderebbe capace di una percezione partecipante dei movimenti dell'altro e, quindi, di coordinazione intersoggettiva. Tuttavia, più recentemente, è la scoperta dei "neuroni specchio" che Trevarthen (2001, 2005) porta a sostegno della sua teoria del "rispecchiamento empatico", in particolare dell'idea di una rappresentazione cerebrale delle espressioni e delle azioni intenzionali dell'altro fondata su un'immagine motoria. Verso la fine degli anni Novanta un gruppo di neurofisiologi che stava studiando il funzionamento della corteccia premotoria nelle scimmie, ha trovato che un tipo di neuroni visuo-motori, che sono attivi quando una scimmia produce un'azione mirata a un .Qbiettivo (quale l'allungamento del braccio per afferrare un oggetto), si attivano anche quando la scimmia semplicemente osserva la stessa azione prodotta da qualcun altro (lo sperimentatore) (Rizzolatti, Arbib, 1998). I ricercatori hanno suggerito che questi "neuroni specchio" -individuati successivamente anche nel cervello umano in un'area omologa (Rizzolatti, Fogassi, Gallese, 2001, 2004;

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PROSPEITIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGEITIVITÀ

per una rassegna, Rizzolatti, Craighero, 2004)- forniscono un meccani_§mo di "riconoscimento dell'azione": le azioni dell'agente sonoriprodotte nelfa corteccia premotoria dell'osservatore. Questo meccanismo, coinvolto anche nei processi di imitazione (Rizzolatti et al., 2004), permetterebbe di "sentire" un aspetto fondamentale, costitutivo dell'esperienza di intersoggettività, cioè la "certezza implicita" (Gallese, 2005) di essere come l'altro, o che l'altro è "come me". In tal senso, il sistema dei neuroni specchio accrescerebbe la capacità dell'osservatore di riconoscere l'esperienza intersoggettiva connessa all'azione dell'altro; in altre parole, di comprendere l'intenzione dell'altro attraverso la comprensione di quella che sarebbe la propria intenzione se stesse facendo ciò che l'altro sta facendo (Pally, 2000, 2005; Wolf, Gales, Shane, Shane, 2001). Sebbene al riguardo non siano state ancora condotte ricerche rilevanti sui lattanti, Trevarthen (2001; Trevarthen, Aitken, 2001) ipotizza la presenza di meccanismi di rispecchiamento sensibili agli intenti del movimento o dell'azione espressiva umana che opererebbero anche a livelli subcorticali e, quindi, permetterebbero di spiegare le abilità imitative e conversazionali di neonati e lattanti di pochi mesi, in cui la corteccia prefrontale è ancora molto immatura. Questi meccanismi includerebbero il riconoscimento sensoriale multimodale, o transmodale, dell'azione del partner, e la riproduzione dell'azione in un'"immagine motoria" che ne specifica le dimensioni di forma e di tempo, cioè quelle dimensioni di base attraverso le quali, secondo Trevarthen, si realizza la coordinazione intersoggettiva.

Il ruolo dell'adulto Il fatto che nel contesto di scambi comunicativi affettuosi con la madre, già nei primi mesi di vita, un lattante tenda a produrre movimenti espressivi delle mani e delle braccia coordinati con il ritmo del linguaggio materno, è spesso portato da Trevarthen come esempio di contatto "simpatetico", tipicamente cross-modale, tra il lattante e l'adulto. La madre (o chi più si prende cura del piccolo) gig_ca comunque un ruolo fondamentale nel favorire il coinvolgimento del lattante nello scambio comunicativo, identificandosi empaticamente con i suoi stati d'animo e le sue "motivazioni", e offrendogli modalità comunicative adattate a una sensibilità percettiva multimodale. Al riguardo, Trevarthen descrive nei dettagli come il comportamento espressivo della madre si manifesti tipicamente attraverso 8

LO STUDIO DEL!:INTERSOGGETTIVITA NEL!: AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

caratteristiche dinamiche individuabili contemporaneamente dalla maggior parte delle modalità sensoriali: il ritmo fondamentale del movimento che si ripete, le brevi esplosioni espressive, la ripetizione di gruppi di movimenti ritmici, le forme d'espressione esagerata, la modulazione dell'intensità dell'espressione in un range da moderata a debole. (1993a, p. 160)

Le emozioni regolatrici del contatto mentale Le variazioni ritmiche e prosodiche costituiscono canali privilegiati di trasmissione delle emozioni, ed è proprio il passaggio di espressioni emotive dalla madre allattante e dal lattante alla madre che instaura e regola quello che Trevarthen definisce "uno stretto contatto ;nentale" tra i partner. Trevarthen evidenzia la valenza essenzialmente intersoggettiva delle emozioni, sottolineando che ogni emozione espressa da uno dei due partner influisce direttamente e immediatamente sulle emozioni e le motivazioni dell'altro: "Le emozioni risuonano tra i soggetti, accoppiando i loro motivi e le loro coscienze e animandoli reciprocamente" (1993b, p. 113). Utilizzando l'analogia con ciò che accade tra due musicisti che improvvisano un unico brano armonizzandolo in modo coerente e piacevole, l'autore spiega come "le emozioni che generano le espressioni nei cervelli separati della madre e del bambino possano giungere a unirsi in una confluenza di affetti che sviluppa un'organizzazione autonoma" (1993b, p. 134), e come un'evidenza empirica di tale confluenza sia !'"agganciarsi" reciproco di movimenti e vocalizzazioni che hanno la stessa frequenza. Al contrario, i disturbi emotivi di uno dei due partner quali, per esempio, la depressione materna, possono indebolire o bloccare la possibilità di successo dell'esperienza intersoggettiva, con possibili conseguenze negative sullo sviluppo cerebrale e la crescita psicologica del bambino (Trevarthen, Aitken, 2001). Anche l'assenza di un regolare sviluppo dell'intersoggettività nelle sue fasi fondamentali può rappresentare un serio ostacolo a uno sviluppo psicologico sano.

Le /asi di sviluppo dell'intersoggettività Trevarthen concettualizza uno sviluppo dell'intersoggettività infantile dalla sua forma primitiva, innata, attraverso diverse fasi - o livelli di complessità diversa- che si susseguono fino al secondo anno di vita. Determinanti delle transizioni tra una fase e l'altra sono essenzial~ente le principali riorganizzazioni del sistema nervoso del bambino 9

PROSPETIIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELI:INTERSOGGETIIVITÀ

e i relativi cambiamenti nel suo rapporto col mondo, sebbene anche il sostegno degli adulti e il modo in cui si sviluppano le.reJ!.l~io.ni__l!_dultobambino possano giocare un ruolo fondamentale. Considerando i tre poli su cui convergono le emozioni e le motivazioni intrinseche di ogni soggetto: il sé, le altre persone e gli oggetti del mondo fisico, il modello teorico di Trevarthen (Trevarthen, Aitken, 2001) evidenzia come diverse coordinazioni di motivi rivolti al sé, all'altro e all'oggetto generano diversi domini di vita soggettiva e intersoggettiva. In particolare, relativamente allo sviluppo dell'intersoggettività, la prima fase, definita come "intersoggettività primaria" (Trevarthen, 1979), si riferisce alla coordinazione tra sé e l'altro attraverso il "rispecchiamento empatico" o accoppiamento di espressioni comunicative in base alla forma e alle caratteristiche temporali delle stesse. Include essenzialmente l'imitazione neonatale e le protoconversazioni faccia-afaccia che si sviluppano dal secondo mese di vita. Verso i 4 mesi, alle protoconversazioni tendono a subentrare giochi interpersonali basati sullo sviluppo di aspettative reciproche in cui il lattante manifesta un significativo progresso nella coordinazione delle azioni intersoggettive. Il lattante sviluppa anche un nuovo interesse per gli oggetti ma, non riuscendo ancora a coordinare l'interesse per l'oggetto con l'interesse per l'altra persona, la coordinazione con l'altro è alternata alla concentrazione sull'oggetto. Successivamente, verso i 7-8 mesi, l'altra persona inizia a essere inclusa nel gioco con gli oggetti (Trevarthen, 2005); inoltre, nel coinvolgimento intersoggettivo del bambino compaiono nuovi comportamenti, quali l'attrarre e il mantenere l' attenzione dell'altro su di sé con piccole esibizioni di gesti appresi (per esempio, battere le mani) e, verso i 9 mesi, il condividere l'attenzione con l'altro (ossia dirigere l'attenzione sull'oggetto di attenzione dell'altro). Un passaggio critico nello sviluppo dell'intersoggettività avviene attorno ai 9-10 mes1 quando il bambino inizia a integrare le motivazioni ad agire sugli qggetti e a comunicare con le persone in una nuova forma di intersoggettività "cooperativa" (Trevarthen, 2005; Trevarthen, Aitken, 2001), riferita cioè alla coordinazione tra sé, l'altro e l'oggetto attraverso lo scambio di gesti comunicativi e l'imitazione dei modi di usare gli oggetti. Questa nuova forma di intersoggettività, definita anche come "intersoggettività secondaria" (Trevarthen, Hubley, 1978), continua il suo sviluppo nel secondo anno di vita, quando la consapevolezza della condivisione di intenzioni rispetto a particolari oggetti si arricchisce progressivamente della consapevolezza della condivisione di significati, che è alla base dell'apprendimento culturale. 10

LO STUDIO DELL:INTERSOGGETTIVITA NEL!.: AMBITO DELL:INFANT RESEARCH

1.2 !:esperienza dell'imitazione all'origine

dell'intersoggettività: Andrew Meltzoff Secondo Meltzoff (2004), i neonati possiedono una predisposizione innata a percepire corrispondenze cross-modali tra le azioni che vedono prodotte dai loro partner e le azioni che loro stessi possono prs>durre e sentire propriocettivamente. Quest'ipotesi è alla base di un modello teorico che l'autore ha sviluppato per spiegare la capacità di imitazione facciale neonatale (vedi anche paragrafo 3.5) messa in luce dai suoi famosi esperimenti e, peraltro, confermata da diversi altri studi. Sostanzialmente, l'imitazione attuata dal neonato è concettualizzata come un processo attivo di" progressivo "accoppiamento" (matching) all'azione dell'altro, reso possibile da un dispositivo neurale che permette al piccolo di porre in corrispondenza - in una rappresentazione sovramodale- ciò che sente propriocettivamente con la propria faccia e ciò che vede, o ha visto, nella faccia dell'altro (Meltzoff, Decety, 2003; Meltzoff, Moore, 1997). Secondo Meltzoff (Meltzoff, Moore, 1998), proprio questo processo- cioè non l'imitazione in quanto tale, ma l'esperienza che il neonato vive nell'imitazione- ha implicazioni profonde per lo sviluppo dell'esperienza intersoggettiva, perché fornisce al neonato un primo senso di connessione tra sé e l'altro; inoltre, è anche funzionale alla differenziazione dell'ampia classe degli "altri" in specifici individui.

I dati empirici sull'imitazione neonata/e Gli esperimenti di Meltzoff e Moore (1977, 1989) hanno mostrato che neonati di pochi giorni e persino di poche ore- il più giovane aveva 42 minuti di vita! -sono in grado di imitare diversi movimenti facci!lli, quali la protrusione della lingua, l'apertura della bocca, la protrusione delle labbra, che un adulto in posizione faccia-a-faccia ripete più volte dopo aver ottenuto la loro attenzione. Dai risultati gli autori concludono che la capacità di imitazione facciale è, almeno apparentemente, innata, e che l'imitazione neonatale è ben lontana dall'essere un semplice riflesso. Infatti, nella loro situazione sperimentale, nella bocca del neonato veniva inizialmente messo un succhiotto, così che non potesse imitare durante la presentazione dello stimolo; solo quando l'adulto finiva la sua dimostrazione e assumeva una faccia neutra, al piccolo veniva tolto il succhiotto. Nei 2 minuti e mezzo successivi, il neonato produceva spontaneamente una serie di risposte 11

PROSPETTIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E l PRIMI SVILUPPI DELI:INTERSOGGETTIVITA

imitative che si avvicinavano progressivamente all'azione mostrata dall'adulto, mentre guardava la faccia neutra di quest'ultimo. In un altro esperimento condotto con lattanti di 6 settimane (Meltzoff, Moore, 1994) l'imitazione veniva prodotta persino a un giorno di distanza dalla presentazione dello stimolo, quando il lattante veniva di nuovo posto di fronte all'adulto, che manteneva però un'espressione neutra. n fatto che i lattanti scegliessero di produrre un'azione facciale che avevano in memoria, piuttosto che nel proprio campo percettivo, è sottolineato dagli autori come evidenza della natura volitiva degli atti imitativi dei piccoli. L'evidenza empirica più forte portata da Meltzoff e. Moore a testimonianza dell'intenzionalità dell'imitazione dei lattanti riguarda però i risultati di uno studio (Meltzoff, Moore, 1997) in cui a soggetti di 6 settimane veniva mostrata l'azione insolita di protendere la lingua lateralmente. La microanalisi dei comportamenti dei piccoli ha mostrato che i loro primi tentativi di imitazione venivano progressivamente corretti fino a raggiungere un accoppiamento più fedele alla particolare azione d eli' adulto. Inoltre, che alcuni lattanti protendevano la lingua e al tempo stesso voltavano la testa lateralmente, creando una nuova versione della lingua laterale. Questo "errore creativo" segnala, secondo gli autori, che "sebbene i movimenti fossero diversi, l'azione dei lattanti era mirata a un obiettivo (cioè a una configurazione finale) simile a quello dell'azione dell'adulto". In tal senso, gli errori creativi, come la progressiva correzione dell'azione imitativa, suggeriscono che "la risposta imitativa non è prefissata e semplicemente rilasciata, ma costruita attivamente dallattante"(Meltzoff, Moore, 1999, p. 20).

Il modello della "mappa tura intermodale attiva" Il modello teorico che Meltzoff e Moore (1997) hanno costruito per spiegare il meccanismo sottostante l'imitazione facciale da parte dei neonati e dei lattanti parte dall'ipotesi che anche l'imitazione prodotta dai neonati sia un "processo di accoppiamento a un target" (cioè a un obiettivo comportamentale rappresentato da una particolare azione facciale del partner). In base all'azione facciale dell'altro, percepita visivamente, il neonato/lattante produce movimenti imitativi che gli forniscono un feedback propriocettivo. Questo feedback gli permette di confrontare le proprie azioni con quella del partner, specificata visivamente, perché - secondo questo modello - sia le azioni percepite che quelle prodotte dal lattante sono codificate entro uno stesso for12

LO STUDIO DELL'INTERSOGGETTIVITA NELL'AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

mato di rappresentazione sovramodale. Il confronto consente al piccolo di correggere i propri errori di imitazione, in un progressivo "accoppiamento" all'azione dell'altro. Secondo questo modello, la percezione di corrispondenze crossmodali permetterebbe al neonato di connettere stimoli sociali (azioni ed espressioni degli altri esseri umani) e stati interni (di attivazione e "consapevolezza" propriocettiva) fin dall'inizio della sua vita.

Il significato intersoggettivo dell'imitazione Nel processo di "accoppiamento" imitativo, in cui il lattante "mappa" attivamente ciò che vede nella faccia dell'altro su ciò che sente nella propria faccia, l'altro diviene accessibile al sé attraverso la percezione di corrispondenze cross-modali. Quest'esperienza crea un senso di connessione tra sé e l'altro; in tal senso, secondo Meltzoff (1990), è collocabile alle origini dell'intersoggettività. In particolare, Meltzoff sostiene che il meccanismo di rappresentazione sovramodale ipotizzato nel suo modello ha implicazioni profonde per la fondazione dell'esperienza intersoggettiva, perché significa che i lattanti possiedono un codice per interpretare che l'altro è "come me" fìn dalla prima fase del loro sviluppo. Sé e altro possono essere connessi perché le azioni del loro corpo possono essere confrontate in termini commensurabili: "Io posso agire come l'altro, e l'altro può agire come me". Un primo esempio di intersoggettività può consistere nello "stato d'essere" che il neonato sperimenta mentre imita intenzionalmente. (Meltzoff, Moore, 1998, p. 58)

Questo "stato", secondo Meltzoff, comprenderebbe un primo senso di sé (la consapevolezza propriocettiva di sé e il tono affettivo provato nello sforzo dell'imitazione), dell'altro (la sensazione/comprensione delle azioni dell'altro attraverso le proprie), e della relazione (la sensazione di essere in connessione con l'altra persona). Tuttavia, secondo Meltzoff e Moore (1998), il ruolo dell'imitazione come fondamento dell'intersoggettività non si esaurisce nell'essere esperienza di connessione con un "altro" indifferenziato. Una seconda funzione dell'imitazione osservata nei lattanti sarebbe quella di differenziare l'ampia classe degli "altri" in specifici individui, poiché, secondo gli autori, i risultati di alcuni loro esperimenti suggeriscono che l'imitazione è utilizzata dai piccoli anche per verificare l'identità degli individui. Considerando che l'intersoggettività richiede non solo co13

PROSPETIJVE TEORICHE SULLE ORIGINI E l PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGETTIVITÀ

m unione, ma anche differenziazione di sé e dell'altro, cioè una relazione con l'altro considerato come specifico individuo, l'imitazione viene interpretata come funzionale al suo sviluppo anche in questo secondo senso. Nello specifico, Meltzoff e Moore (1992) hanno posto lattanti di 6 settimane nella situazione in cui due persone diverse arrivavano di fronte al bambino, interagivano brevemente, e poi se ne andavano: la madre compariva e proponeva un "gioco" (per esempio, l'apertura della bocca) allattante; poi se ne andava, e al suo posto arrivava un estraneo che proponeva un gioco diverso (per esempio, la protrusione della lingua). Quando i lattanti seguivano visivamente tutti questi cambiamenti, cioè l'arrivo e l'allontanamento di ciascuno dei due partner, riuscivano a cambiare gioco secondo il partner, imitando l'apertura della bocca con uno e la protrusione della lingua con l'altro. Quando invece non seguivano tutti i movimenti, di fronte al secondo adulto esitavano perplessi, scrutando la nuova persona, e poi riproponevano l'azione del partner precedente. Secondo Meltzoff e Moore, l'uso dell'imitazione differita potrebbe essere interpretato come una sorta di "test comportamentale" adottato dal lattante per verificare se il nuovo partner fosse la persona precedente o una diversa. In tal senso, i risultati metterebbero in luce che, oltre all'informazione spaziotemporale, i lattanti usano le modalità d'interazione (specifiche azioni del corpo ed espressioni) con cui le persone si propongono, cioè proprietà funzionali che possono essere stimolate attraverso l'interazione, come marcatori di identità dei diversi partner.

Lo sviluppo dell'intersoggettività Secondo Meltzoff, se il primo "incontro con l'altro" è garantito da una predisposizione innata del neonato, si trasforma e si arricchisce però molto presto attraverso l'interazione interpersonale. E ancora i giochi di imitazione reciproca, che si sviluppano nel contesto naturale dell'interazione genitore-lattante, contribuiscono in modo determinante allo sviluppo dell'intersoggettività (Meltzoff, Moore, 1998). Il gioco di imitazione è un'esperienza bidirezionale attraverso cui illattante può esplorare le relazioni tra sé e l'altro in un'atmosfera di "connessione" che ha un forte significato motivazionale: entrambi i partner gioiscono di questi momenti, e i genitori spendono ore e ore con i loro bambini in questo tipo di giochi. In particolare, l'esperienza di essere imitato pare particolarmente apprezzata dal lattante, che già a 6 settimane di vita tende a incrementare le azioni imitate dall'adulto. 14

LO STUDIO DELI:INTERSOGGErTIVITÀ NELL'AMBITO DELI:INFANT RESEARCH

Questo è stato mostrato da uno studio sperimentale (Meltzoff, 1990) in cui lattanti e bambini tra le 6 settimane e i 14 mesi erano posti di fronte a due adulti. Il primo adulto aveva il compito di imitare le azioni del lattante osservato, trasmesse da uno di due monitor collocati dietro il piccolo; il secondo adulto, le azioni del lattante precedente, ritrasmesse dal secondo monitor. Tutti i piccoli, anche i giovanissimi, hanno guardato più a lungo e sorriso maggiormente all'adulto che li stava imitando. Lo stesso studio, analizzando soggetti di così diverse età, ha anche evidenziato come l"' altro", da entità con cui condividere azioni, diventi presto per il bambino una persona con cui condividere obiettivi e intenzioni. A partire dai 9 mesi d'età, nelle risposte dei piccoli all'essere imitati è stato infatti osservato un nuovo comportamento: mentre fissavano l'adulto che li stava imitando, i bambini modulavano le loro azioni con movimenti improvvisi e inattesi, come se volessero verificare se l'adulto avrebbe continuato a imitarli. Questo comportamento, secondo Meltzoff, mette in luce l'intenzione dei piccoli di verificare l'intenzionalità dell'imitazione dell'altro, la loro comprensione del fat~he nel gioco dell'imitazione "le singole azioni non contano, perché l'invaria· ; del gioco è l"accoppiamento' delle azioni"; in altre parol~ che "il gioco dell'imitazionl oltre la superficie dei comportamenti, è un gioco di atti intenzionali" Meltzotf, Moore, 1998, pp. 61-62).

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1.3 Co-regolazione e processi di cambiamento nella relazione madre-lattante: Alan Fogel Fogel ha raramente usato il termine "intersoggettività". In un suo scritto sul sé relazionale prelinguistico ha persino preso le distanze dall'uso di questo termine in quanto, a suo avviso, evocatore di "una nozione reificata di separatezza individuale" (Fogel, 1995, p. 117), lontana dall'idea- invece basilare per la sua prospettiva teorica- che le persone esistono e si sviluppano solo in relazione agli altri e ai loro ambienti. Tuttavia, le -sue ricerche empiriche e la sua teoria sullo sviluppo delle relazioni interpersonali rappresentano un importante contributo proprio allo studio dei primi processi di comunicazione imerpersonale e dello sviluppo del sé dalle prime esperienze di intersoggettività.

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PROSPETTIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E l PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGETTIVITÀ

I; esperienza intersoggettiva come processo dinamico co-regolato

Fin dall'inizio della sua attività di ricerca, negli anni Settanta, Fogel concentra il suo interesse sulla dinamica del processo di comunicazione intcrpersonale, a partire dalle prime forme di comunicazione che il lattante è in grado di vivere nel contesto dell'interazione con la madre. L'utilizzo di disegni microgenetici di ricerca (Lavelli, Pantoja, Hsu, Messinger, Fogel, 2005)1 gli permette di mettere a fuoco che fin dai primi mesi di vita, nel contesto della comunicazione madre-lattante, sono presenti due aspetti che Fogel evidenzia come elementi-chiave della dinamica di sviluppo della relazione. Il primo riguarda l'adattamento continuo al comportamento dell'altro non solo da parte della madre, ma anche da parte del lattante. Si tratta di un adattamento fatto di aggiustamenti posturali, modulazioni della direzione dello sguardo, piccole variazioni nei gesti e nelle azioni facciali e vocali che esprimono una regolazione di emozioni e azioni in relazione a quelle del partner. Il secondo aspetto riguarda la "creatività" di questo processo di "co-regolazione" (Fogel, 1993a, 1993b), cioè il fatto che la co-regolazione delle espressioni emozionali e dei comportamenti tende a creare emozioni condivise e sequenze di azioni condivise che possono facilmente ripetersi~ stabilizzarsi come pattern di comunicazione nell'ambito della diade. · In particolare, Fogel documenta che il processo di co-regolazione madre-lattante è osservabile già verso la fine del secondo mese di vita, quando la transizione dal controllo endogeno al controllo esogeno (vedi capitolo 4) e l'acquisizione di un senso di coerenza del sé (Fogel, 2001), cioè di un primitivo senso del sé come entità differenziata dalle altre persone, dischiudono allattante la possibilità di esperienza intersoggettiva. L'esempio seguente, riportato da Fogel, illustra il processo di co-regolazione delle emozioni e delle azioni tra una bambina di soli 2 mesi e una settimana, e sua madre. Susan è sdraiata in posizione supina sul pavimento e guarda la madre. La madre le parla in tono pacato, melodico, mentre scuote delicatamente un sonal. I disegni microgenetici, funzionali a un'analisi dettagliata dei processi di cambiamento che hanno luogo nell'interazione, sono definiti dalle seguenti caratteristiche: (l) gli individui, e le relazioni tra individui, sono osservati nel loro cambiamento; (2) le osservazioni sono condotte prima, durante e dopo (piuttosto che soltanto prima e dopo) un periodo di rapido cambiamen· to in un dominio dello sviluppo; (3) la frequenza delle osservazioni è particolarmente elevata, le osservazioni sono cioè condotte a intervalli di tempo considerevolmente più brevi dell'intervallo temporale in cui il cambiamento ha solitamente luogo; (4) i comportamenti osservati sono analizzati sia quantitativamente che qualitativamente, con l'obiettivo di far luce sui processi associati al cambiamento.

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LO STUDIO DELI:INTERSOGGETTIVITÀ NELL'AMBITO DELI:INFANT RESEARCH

glia sopra di lei. [ ... ] Susan allunga la mano sinistra verso il sonaglio e con la destra si tocca il torace. Guarda la madre e accenna un sorriso. La madre si china per awicinarsi di più a Susan e, sorridendo, le dice: "Mi stai dando un sorriso?". Susan sorride apertamente e allunga un braccio verso la madre, guardandola con un senso di soddisfazione. La madre le fa un solletico affettuoso sul torace e, alzando l'intonazione della sua voce, commenta: "Brava bambina, brava bambina". (Fogel, de Koeyer, Bellagamba, Beli, 2002, pp. 196-197)

La narrazione mostra la reciprocità della "regolazione" e l'espressione, in crescendo, di un senso di connessione affettiva tra la madre e la piccola. L'esperienza di connessione affettiva appare visualizzata, oltre che dalla reciprocità e dal rispecchiamento delle azioni facciali, vocali e gestuali dei partner, anche dal loro progressivo avvicinamento fisico.

La madre come amplificatore dell'esperienza del lattante L'esempio precedente illustra chiaramente anche il ruolo fondamentale della madre, che Fogel (Fogel et al., 2002) individua nell'amplificazione delle emozioni e dell'esperienza vissuta dal lattante: quando Susan guarda la madre con un accenno di espressione positiva, quest'ultima amplifica l'emozione della piccola facendosi più vicina a lei e riflettendone e incoraggiandone l'accenno di sorriso; Susan risponde con un sorriso aperto e l'estensione di un braccio che riduce ulteriormente la distanza fisica dalla madre; quest'emozione di piacere nell'esperienza di connessione affettiva e anche l'espressione fisica di vicinanza alla madre vengono amplificate dalla madre attraverso la modulazione dell'intonazione vocale e il solletico affettuoso sul torace della piccola. Il ruolo di rispecchiamento e amplificazione delle espressioni positive del lattante giocato dalle espressioni materne è anche stato recentemente documentato dai risultati di un'analisi sequenziale delle espressioni del lattante e della madre durante la comunicazione facciaa-faccia nei primi mesi di vita (Lavelli, Fogel, 2005). In particolare, è stato mostrato che nel secondo e nel terzo mese di vita i sorrisi e i movimenti labiali di vocalizzazione del lattante sono legati sequenzialmente ai sorrisi della madre e al suo parlare affettuoso al bambino. I legami sequenziali vanno in entrambe le direzioni, così che i primi accenni di sorriso e di tentativi di vocalizzazione del lattante - a loro volta stimolati dalla presenza di espressioni di affetto positivo della madre- vengono amplificati dai sorrisi e dal linguaggio materno in sequenze circolari di feedback positivo tra le espressioni dei dueinterlocutori. 17

PROSPETTIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGETTIVITÀ

Co-regolazione e "/raming"

L'approccio teorico di Fogel si fonda in buona parte sull'applicazione dei principi della teoria dei sistemi dinamici allo studio dei primi processi di sviluppo umano (Fogel, Thclen, 1987; van Geert, 1994). Nell'ambito di questo /ramework concettuale, la comunicazione madre-lattante è concettualizzata come un processo dinamico di "co-regolazione" che può generare stabilità oppure cambiamento. Fogel sottolinea che la presenza di un continuo adattamento reciproco da parte della madre e del lattante è indipendente dal fatto che nell'interazione siano in gioco emozioni positive o negative (Fogel, 1993b); in altre parole, che la co-regolazione dei comportamenti è osservabile durante le "protoconversazioni" che generano emozioni positive condivise, così come nelle situazioni di conflitto o disaccordo (si pensi, per esempio, agli aggiustamenti reciproci continui quando il lattante, pur coinvolto nella comunicazione faccia-a-faccia con la madre, è tenuto in braccio in una posizione che gli è sgradita). Un concetto-chiave della teoria di Fogel (1993a, 1995; Fogel, Lyra, 1997) è che il processo di co-regolazione diadica crea pattern di azione condivisa che regolano l'interazione e la vicinanza emotiva dei partnt:t., Questi pattern tendono a ricorrere nell'interazione di ogni diade madre-lattante, a divenire cioè relativamente stabili e, in quanto tali, contesti in cui le azioni acquistano un "significato" che è condiviso dai partner. In tal senso, Fogel denomina tali pattern come /rames, cioè cornici di significato dell'esperienza intersoggettiva. 1/rames sono definiti dalla direzione dell'attenzione di ciascuno dei due partner, dal luogo in cui avviene l'interazione e dalla distanza vs. contatto fisico fra i partner, dall'orientamento posturale reciproco, e dal tema dell'attività congiunta (Fogel, 1993a; Kendon, 1985). Esempi di/rames comunemente messi in atto dalla madre e dal lattante durante la comunicazione faccia-a-faccia sono il richiamo dell'attenzione del lattante, il conforto di quest'ultimo, le "protoconversazioni" faccia-a-faccia, il gioco del solletico, quello del "cucù" e altri pattern di gioco condiviso creati nell'ambito dell'esperienza intersoggettiva di ogni singola diade madre-lattante. "Co-regolazione" e/raming sono "processi complementari. Il primo rappresenta l'aspetto dinamico e creativo della comunicazione, che genera novità e significato. Il secondo la stabilizzazione di routine co-regolate" (Fogel, 1995, p. 120). Dopo che un/rame si è stabilizzato, può essere elaborato dai partecipanti in modi diversi. Per esempio, nel gioco del cucù, il bambino che ha sempre assi18

LO STUDIO DELL'INTERSOGGETI1VITÀ NELL'AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

stito al nascondimento e alla ricomparsa improvvisa della faccia della madre può assumere il ruolo attivo di chi nasconde e fa riapparire; la faccia può essere coperta con un panno piuttosto che con le proprie mani; il tempo delle fasi del gioco può essere variato.

Qualità dell'esperienza intersoggettiva e sviluppo della relazione madre-lattante Secondo Fogel (1995), la qualità dell'esperienza intersoggettiva che si sviluppa tra il lattante e la madre è in buona parte rivelata dalla tipologia e dalla capacità dinamica dei /ram es che regolano la comunicazione dia dica. In particolare, la flessibilità dei /ram es ad adattarsi a nuove situazioni, così come la flessibilità del sistema comunicativo madrelattante a spostarsi da un frame all'altro nel corso di un'interazione, è indicativa della qualità dell'esperienza intersoggettiva perché favorisce processi di cambiamento e, quindi, opportunità di sviluppo della relazione madre-lattante. Al contrario, la rigidità deiframes e la scarsa capacità di variare i/rames di comunicazione o, in altre parole, di creare possibilità di sviluppo di nuovi/rames, limitano le opportunità di crescita della relazione e del lattante stesso nell'ambito della relazione. I concetti di flessibilità e rigidità dei/rames possono essere chiaramente compresi nell'ambito della spiegazione dei processi di cambiamento e di stabilizzazione (o stagnazione, nella sua forma deteriore) offerta dalla prospettiva dei sistemi dinamici. Secondo il modello qualitativo dell'informazione sviluppato nell'ambito di questa prospettiva, i microcambiamenti costantemente presenti nei pattern di comunicazione (/rames) creano le condizioni per l'emergenza di nuovi patj:ern. Nello specifico, la transizione a un nuovo /rame ha luogo quando viene generata nuova informazione; cioè, quando la differenza ge!lerata da un microcambiamento nel comportamento di un partner è percepita come significativa, o come "differenza che fa la differenza" (Oyama, 1985), dall'altro partner. Per esempio, se nel contesto del/rame "comunicazione faccia-a-faccia" il lattante distoglie il suo sguardo dalla faccia della madre, rivolgendolo verso un giocattolo, e la madre percepisce questo microcambiamento come un momentaneo distoglimento dell'attenzione, ella può allora provare a riottenere l'attenzione del piccolo usando quelle azioni familiari che hanno precedentemente avuto successo a tal fine, contribuendo al mantenimento del medesimo /rame. Se, invece, la madre percepisce il piccolo cambiamento nello sguardo del lattante come indice di un nuovo interesse (cioè, co19

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me differenza significativa), ella può allora seguire lo sguardo del piccolo per identificare con certezza il nuovo oggetto di attenzione, prendere il giocattolo, e mostrarne le proprietà allattante. In tal modo, questi significativi microcambiamenti danno origine a un nuovo pattern di comunicazione diadica identificato come "gioco guidato con gli oggetti" (Fogel, Garvey, Hsu, West-Stroming, 2006), un/rame che, estendendo l'attenzione dei partner verso nuovi foci di interesse da condividere, contribuisce allo sviluppo della relazione madre-lattante.

Intersoggettività e sviluppo del sé Attraverso le sue ricerche, Fogel dimostra come la qualità dell'esperienza intersoggettiva nel contesto delle prime forme di comunicazione con la madre (o altri adulti significativi) sia fondamentale non solo per lo sviluppo della relazione madre-lattante, ma anche per lo sviluppo del senso di sé che emerge dalla relazione interpersonale. A 2 mesi, la comparsa di un primo senso di sé come sé relazionale (Fogel, 1995) è favorita essenzialmente dal rispecchiamento delle emozioni del lattante da parte della madre, rispecchiamento che - come abbiamo visto - contribuisce in modo determinante a creare un senso di connessione affettiva tra i partner. A 9 mesi, invece, l'esperienza di intersoggettività si caratterizza come senso di differenziazione dall'altro, indispensabile allo sviluppo del sé, e, al tempo stesso, come scoperta di somiglianza con l'altro e possibilità di condividere esperienze soggettive. Questo è ben illustrato nell'esempio seguente di comunicazione tra Susan, all'età di 9 mesi e l settimana, e sua madre, che Fogel riporta come esemplificazione di/rame che crea innovazione e, perciò, opportunità di sviluppo del sé e della relazione interpersonale. Susan è seduta nel seggiolone, di fronte alla madre. Non appena la madre inizia a battere le sue mani sul piano del seggiolone (ripetendo un'azione che la bambina stessa aveva compiuto nelle settimane precedenti), Susan si gira a guardare le mani della madre. La madre le dice: "Fai vedere alla mamma come sai battere!". Susan guarda dritta gli occhi della madre. Quest'ultima ripete la stessa frase in una modalità ritmica, come se stesse battendo. Susan inizia allora a battere sul piano del seggiolone con un accenno di sorriso. La madre esclama: "Sìì!! Che brava bambina!" e inizia a sorridere e a battere anche lei. Susan inizia ad alternare il suo sguardo tra la sua mano che batte e la mano della madre che batte. Inizia poi a colpire il piano sempre più vigorosamente mentre fissa intensamente la propria mano che batte. Di nuovo, alterna lo sguardo tra la mano della madre che batte e la propria mano che batte. Quindi, afferra la mano della madre e la guarda avvicinandola a sé: ne fìs20

LO STUDIO DELI:INTERSOGGETTIVITA NEL!: AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

sa il palmo, la gira, la mette a palmo in giù sul piano e la rigira a palmo in su. Poi la lascia cadere. Distende e alza entrambe le braccia, e le batte con forza sul piano esclamando: "Ah!". La madre sorride mentre ripete con tono sommesso l'" Ah" della bambina. Susan riposa le sue manine e la sua testa sul lato della sedia. (Fogel et al., 2002, p. 198)

La narrazione mostra come Susan riesca a prendere le distanze dalla propria esperienza diretta confrontando la sua esperienza con quella della madre. Alternando lo sguardo tra la sua mano che batte e la mano della madre che compie la stessa azione sembra notare che la sua esperienza soggettiva e quella della madre sono simili ma, al tempo stesso, differenziate. Fogel sottolinea come da questo la piccola possa apprendere di essere diversa da ciò che è l'altro, ma anche simile, e di poter condividere esperienze.

1.4 Mutua regolazione ed espansione diadica degli stati di coscienza: Edward Tronick Secondo Tronick, l'esperienza intersoggettiva infantile coincide essenzialmente con stati di connessione affettiva che il lattante è in grado di sperimentare durante la comunicazione faccia-a-faccia con la madre (o altro adulto significativo) fin dal terzo mese di vita, grazie alle elaborate competenze comunicative di cui dispone. Nello specifico, l'intersoggettività si sviluppa come mutua regolazione degli stati affettivi dei partner coinvolti in un processo di comunicazione; mutua regelazione che, secondo Tronick ( 1998, 2005), può generare- o, al contrario, fallire nel generare- "stati diadici di coscienza" che contribuiscono a espandere a livelli di maggiore complessità l'organizzazione degli stati mentali del lattante. In tal senso, buona parte del lavoro di Tronick si concentra sull'importanza fondamentale dell'esperienza intersoggettiva e sugli effetti drammatici del fallimento dell'intersoggettività sullo sviluppo mentale del bambino.

l requisiti dell'intersoggettività nella comunicazione /accia-a-/accia madre-lattante Fin dall'inizio degli anni Ottanta, Tronick si pone la questione dei requisiti necessari perché la comunicazione faccia-a-faccia che si sviluppa tra l'adulto e il lattante fin dai primi mesi di vita si possa considerare esperienza di intersoggettività. L'autore evidenzia che, data l' as21

PROSPEITIVE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELL'INTERSOGGETTIVITÀ

senza di linguaggio e di contenuti di discorso, i messaggi scambiati nell'ambito della comunicazione tra il lattante e l'adulto sono essenzialmente regolatori, cioè si riferiscono primariamente allo stato dell'interazione in corso. In tal senso, perché la comunicazione sia effettivamente esperienza di intersoggettività- o, in altre parole, un processo regolato congiuntamente -, oltre al requisito del possesso di un sistema espressivo ben organizzato da parte del lattante, è necessario che entrambi i partner condividano il significato dei comportamenti espressivi manifestati, che condividano una sintassi che governa i loro scambi di messaggi e, infine, condividano l'intenzione di coinvolgersi nello scambio reciproco. (Tronick, Als, Brazelton, 1980, p. 262)

Per esaminare la presenza di queste competenze comunicative, Tronick si è concentrato sullo studio microanalitico della comunicazione faccia-a-faccia madre-lattante. La procedura utilizzata prevede la combinazione delle molteplici modalità espressive di ciascuno dei due partner in un numero limitato di stati (dalla Protesta e dall'Evitamento al coinvolgimento attivo nel Gioco) e, quindi, la caratterizzazione dello scambio diadico secondo le tipologie di stati congiunti espressi dalla madre e dal lattante in ogni secondo dell'interazione- stati che possono coincidere (Match), essere relativamente vicini (Conjoint) o, al contrario, lontani (Disjoint)- (Tronick et al., 1980). I risultati hanno mostrato che entro i 3 mesi il lattante è in possesso di modalità espressive ben organizzate in unità comportamentali che, veicolando chiare richieste di interruzione, cambiamento o continuazione dell'attività in corso, sono utilizzate dal piccolo per regolare lo stato dell'interazione. Inoltre, che le transizioni tra diversi tipi di stati congiunti riflettono un elevato grado di organizzazione e coordinazione tra la madre e il lattante: il passaggio tra stati opposti (Match e Disjoint) avviene regolarmente attraverso uno stato intermedio (Conjoint), cioè quasi mai in modo diretto; nessuno dei due partner si muove casualmente tra diversi stati, piuttosto, i cambiamenti nelle espressioni e nei comportamenti dell'uno sono facilmente prevedibili dall'altro; infine,.nelle transizioni di riparazione (Adjust) da uno stato di mancata coordinazione (Disjoint) a uno stato di sintonia (Match) entrambi i partner tendono a cambiare comportamento simultaneamente, testimoniando la condivisione non solo del significato dei comportamenti e di una "sintassi" che guida lo scambio comunicativo, ma anche dell'intenzione di coinvolgersi con l'obiettivo di raggiungere stati di sintonia.

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LO STUDIO DELI:INTERSOGGETTIVITÀ NELI:AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

Un'ulteriore conferma di quest'ultimo dato è fornita dal fatto che, quando questo obiettivo condiviso è perturbato sperimentalmente, come nel caso del paradigma della Still-Face (Tronick, Als, Adamson, Wise, Brazelton, 1978; vedi capitolo 5, Metodi e strumenti 3), il lattante tenta ripetutamente di ristabilire l'obiettivo condiviso.

Intersoggettività come mutua regolazione Secondo Tronick, il processo intersoggettivo osservabile nell'ambito della comunicazione faccia-a-faccia tra il lattante e l'adulto a partire, a suo avviso, dal terzo mese di vita è concettualizzabile come processo di mutua regolazione degli stati affettivi (Gianino, Tronick, 1988; Tronick, 1998; Tronick, Weinberg, 1997). Nello specifico, il concetto di "mutua regolazione" considera lattante e caregiver come parte di un sistema di comunicazione affettiva in cui le reazioni emotive e l' esperienza affettiva del lattante sono determinate dall'espressione affettiva del caregiver e dalla comprensione implicita di tale espressione da parte del lattante, e viceversa, l'esperienza emotiva e il comportamento del caregiver sono determinati dalla comunicazione affettiva del lattante. Per illustrare questo processo regolatorio diadico, Tronick riporta la seguente sequenza interattiva di mancata coordinazione e conseguente riparazione: Un lattante di 6 mesi e sua madre stanno giocando e la madre si china per strofinare la sua faccia contro quella del piccolo. Il lattante afferra i capelli della madre e quando lei cerca di liberarsi dalla presa non la lascia andare. Per il dolore, la madre risponde con un'espressione facciale e una vocalizzazione di rabbia. Il lattante immediatamente si arresta, si fa serio e porta la mano alla faccia, in un movimento difensivo. La madre si ritrae, attende un attimo e poi, lentamente, si rivolge di nuovo allattante. Quest'ultimo scopre allora la faccia e riprende lo scambio con la madre. (Tronick, 1998, p. 293) La sequenza mostra come il lattante comprenda l'espressione negativa della madre reagendo in modo appropriato al significato implicito dell'espressione, e come sappia comunicare alla madre la sua valutazione dello stato dell'interazione come stato di minaccia attraverso una configurazione espressiva di gesto, pastura, sguardo, espressione facciale (Weinberg, Tronick, 1994) che ben esprime una reazione di difesa. La madre, a sua volta, risponde alla comunicazione affettiva del lattante modificando il proprio comportamento per riparare l' errore interattivo, e il piccolo sostiene l'azione materna riprendendo a

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t'KU,t't !TI VE TEORICHE SULLE ORIGINI E I PRIMI SVILUPPI DELI:INTERSOGGETTIVITA

guardare la madre, così che entrambi riescono a raggiungere l'obiettivo condiviso di un nuovo stato di connessione o, usando un' espressione di Tronick più recente, di un nuovo "stato diadico di coscienza".

Il modello degli "stati diadici di coscienza" Secondo Tronick (1998, 2003a, 2005), il processo di mutua regolazione e il raggiungimento di stati di connessione affettiva che si realizzano nell'ambito della comunicazione madre-lattante rivestono un'importanza fondamentale nello sviluppo del bambino, perché possiedono il potenziale per espandere ciò che egli chiama "stati di coscienza" del soggetto a un livello di maggiore complessità. Questa concettualizzazione è ben illustrata nel modello degli "stati diadici di coscienza" che Tronick (2005) ha recentemente proposto facendo esplicito riferimento alle teorie dei sistemi complessi, a Bruner, sulla costruzione di significato, e ad altri autori (tra cui Freeman, Brazelton, Hofer, Trevarthen, Fogel), e al suo lavoro con Sander (vedi paragrafo 1.5) e il Gruppo di Boston sul Processo di Cambiamento nell'azione terapeutica. 2 Il modello assume che gli esseri umani, come sistemi psicobiologici aperti e complessi, devono incorporare energia (informazioni significative) dall'ambiente per mantenere e incrementare il loro livello di organizzazione e complessità, in altre parole, per ridurre la loro entropia. Al vertice della gerarchia dei sottosistemi psicobiologici che esprimono l'organizzazione degli esseri umani vi sono gli "stati di coscienza", il cui contenuto coincide con il senso implicito o esplicito del mondo che un individuo può possedere in base alla sua età e alla sua relazione col mondo. Per esempio, gli stati di coscienza dei neonati e dei lattanti sono integrazioni psicobiologiche di affetti, azioni ed esperienza (comunque dipendente dai livelli di sviluppo fisiologico e neurologico dei piccoli). In particolare, lo stato di coscienza di un neonato in stato di veglia vigile potrebbe essere qualcosa come "ci sono co2. Il gruppo di ricercatori e psicoterapeuti denominato "Process of Change Study Group", di cui fanno parte anche Stern, Sander, Lyons-Ruth, condividendo il riferimento al modello sistemico di Sander, ritiene che lo studio dei processi di mutua regolazione che si realizzano nel sistema di comunicazione madre-bambino fin dai primi mesi di vita possa far luce anche sui processi di regolazione affettiva che si sviluppano a un livello implicito, di comunicazione non verbale, nella relazione terapeuta-paziente e sulle dinamiche che, in particolare, possono provocare un cambiamento terapeutico. Per maggiori informazioni sugli assunti e il lavoro Jd Gruppo si consigliano Stern, Sander, Nahum, Harrison, Lyons-Ruth, Morgan, Bruschweiler-Stern, Tronick, 1998, e il numero monografico della rivista Infant Menta! Health Journal, vol. 19(3 ), 1998, curato da Tronick.

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LO STUDIO DELJ.:INTERSOGGETTIVITA NELJ.:AMBITO DELL'INFANT RESEARCH

se da guardare", cioè un'integrazione dei ritmi circadiani degli stati di sonno e di veglia, del processo cerebrale di elaborazione dell'input visivo e dell'attività percettiva di esplorazione visiva del mondo, che permette di incorporare informazioni significative. Tuttavia, la possibilità di mantenere questo stato in base alle capacità di auto-organizzazione del neonato è particolarmente limitata (data, per esempio, l'assenza di controllo motorio) e tende facilmente a "slittare" in uno stato di tensione da affaticamento o di pianto. In tal senso, Tronick (2005) afferma che, sebbene gli stati di coscienza siano "negli individui" e gli individui possiedano capacità di auto-organi~zazione che permettono loro di creare significato, queste capacità sono limitate rispetto a quelle che emergono da processi regolati diadicamente. Negli esseri umani, allora, diversamente da quanto avviene negli altri sistemi biologici, gli stati di coscienza sono creati da un sistema regolatorio diadico che permette di creare significato sia negli individui che tra gli individui. Quando la regolazione ha successo conduce all'emergenza di stati di signifìq1to prodotti mutualmente, in altre parole, di stati diadici di coscienza. [. .. ] Come conseguenza, la coerenza e la complessità del senso del mondo di ogni individuo si accresce, avviene cioè un'espansione diadica degli stati di coscienza. (Tronick, 2005, p. 294)

Nel caso di un lattante in interazione con la madre, il lattante, come ogni sistema capace di auto-organizzazione, in base alle informazioni che incorpora - input percettivi, output motori, intenzioni d'azione, informazioni di ritorno rispetto ai suoi obiettivi - è in grado di organizzarsi uno stato affettivo coerente e di manifestare questo stato attraverso una configurazione espressiva che include azioni facciali, vocali, sguardo e movimenti del corpo. I limiti del suo sviluppo neurologico (per esempio, velocità di elaborazione delle informazioni, capacità di controllo motorio ecc.) pongono un vincolo alla complessità dello stato che il lattante può generare a livello endogeno. Tuttavia, questa complessità può essere espansa da input regolatori di sostegno affettivo forniti dalla madre che, leggendo l'espressione affettiva del lattante, adatta il proprio comportamento cercando di facilitare il raggiungimento .dell'obiettivo del piccolo. Come, per esempio, nel caso in cui avvicina in posizione raggiungibile dal lattante un oggetto che quest'ultimo tentava di afferrare senza riuscirei, manifestandorabbiaecomportamenti autoconsolatori; oppure, nello stesso ca~, fqrnisce i;in supporto alla pastura del piccolo, così che questi possa_ allungare liberaine.nte le brac-

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_ ---·~~.., .............. " ".vL:.,L.Ll1"11ll!K~Uposte di disgusto ed evitamento da parte di neonati di madri non consumatrici di tale sapore (Schaal, Marlier, Soussignan, 2000). L'abilità di apprendimento prenatale potrebbe allora essere letta come funzionale ali' adattamento post -natale del neonato attraverso l'orientamento selettivo verso gli odori, i sapori e i suoni dell'ambiente sociale di riferimento.

3.2 Il sistema di segnalazione e l'organizzazione temporale del neonato La predisposizione del neonato all'interazione sociale precoce si manifesta in primo luogo attraverso un elaborato sistema di segnalazione dei suoi stati interni, a partire da quel potente strumento di richiamo dell'attenzione dell'adulto che è il pianto. Già nell'immediato periodo dopo la nascita il neonato manifesta diversi tipi di pianto associati a diversi tipi di disagio (fame, stanchezza, dolore), distinguibili in base alle caratteristiche acustiche e alla lunghezza delle singole fasi che compongono qualsiasi pattern di pianto, ossia la fase espiratoria (in cui viene prodotto il tipico suono di pianto), seguita da una fase di riposo, una fase inspiratoria, e un'altra fase di riposo. Il pianto n~onatale di dolore, per esempio, è contraddistinto da una fase espiratoria particolarmente lunga, così come il pianto di irritazione suscitato dall'interruzione improwisa della suzione ma, a differenza di quesfultimo tipo di pianto, anche da una conseguente fase di riposo talmente prolungata da dare spesso a chi ascolta la sensazione che il neo_nato abbia cessato di respirare (Fogel, 2001). Inoltre, l'intensità del dolore cambia anche le espressioni del corpo del neonato che accompagnano tipicamente il pianto (Lock, 2001): l'espressione facciale di sconforto, i movimenti degli arti, l'alterazione del tono muscolare e del colorito cutaneo. Dagli studi sugli effetti del pianto dei neonati sugli adulti sappiamo che le donne adulte, indipendentemente dal fatto che siano madri o no, possono percepire le differenze tra i pianti di dolore e gli altri tipi di pianto (Gustafson, Harris, 1990), e proprio questa capacità di discriminazione acustica potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell'accudimento dei piccoli in situazioni di disagio; è stato infatti trovato che, dalle sole espressioni facciali dei neonati, stati marcatamente

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li'KUCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETIIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

negativi quali la fame e il dolore tendono a essere facilmente confusi anche da adulti che sono madri e padri (Lavelli, Galati, Cascina, 2004; Lavelli, Montaspro, 2002). Verso la fine del primo mese di vita, ai diversi tipi di pianto che segnalano bisogni di tipo fisiologico o sensoriale si aggiunge un pianto con caratteristiche acustiche e di durata di fasi ancora differenti, che esprime un bisogno di attenzione (Barr, 1990), cioè un nuovo stato interno, di tipo relazionale, del piccolo. Oltre alle vocalizzazioni di pianto, per gli adulti assume un potente valore di segnalazione degli stati interni del neonato anche il ricco repertorio di espressioni facciali mostrate fin dalle prime settimane di vita; un repertorio che include espressioni che accompagnano stati di attenzione vigile e modulazioni di espressioni di affetto positivo e negativo che svolgono importanti funzioni adattive. In particolare, fin dalle prime ore di vita sono state osservate risposte facciali differenziate alla somministrazione di sapori amari, acidi e salati, così come alla somministrazione di sapori dolci e non dolci (Rosenstein, Oster, 1988): azioni quali l'arricciamento del naso e il sollevamento del labbro superiore- caratteristiche dell'espressione di disgusto negli adulti- in risposta a tutte le soluzioni non dolci, accompagnate da protrusione delle labbra in risposta alla soluzione acida, e apertura della bocca in risposta a quella amara. Sempre nell'ambito delle espressioni di affetto negativo, oltre alla tipica faccia di pianto caratterizzata dallo spalancamento della bocca in forma quasi quadrata (Darwin, 1872), viene frequentemente osservata l'espressione di broncio (sollevamento del mento che spinge all'infuori il labbro inferiore), soprattutto nelle pause di emissione delle vocalizzazioni di pianto che precedono la fine del pianto stesso, come segnalasse uno sforzo- non necessariamente consapevole - di arrestare il flusso del pianto una volta che è iniziato (Oster, 2005). ' Un'espressione che è invece univocamente interpretata come segnalazione di uno stato di benessere del neonato è il sorriso end2.St!.no, identificato dal sollevamento obliquo degli angoli della bocca a fabbra chiuse o solo parzialmente aperte, che compare tipicamente durante il sonno attivo o lo stato di transizione dalla veglia al sonno .dopo il pasto (Wolff, 1987). Infine, per quanto riguarda le espressioni che tendono a essere percepite come edonicamente neutre (Oster, 2005), il neonato mostra una varietà di azioni facciali associate all'attenzione vigile durante lo stato di veglia tranquilla- in particolare, all'attenzione al volto e alla voce 70

IL PERIODO NEONATALE: GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALL'INTERAZIONE SOCIALE

d~ll'adulto durante un'interazione sociale- quali il sollevamento e il corrugamento delle sopracciglia, l'apertura pronunciata degli occhi, la parziale apertura della bocca e il rilassamento complessivo del volto che esprimono concentrazione dell'attenzione (La velli, Fogel, 2005) e sforzo di esplorazione dello stimolo (Dondi, 1999; Oster, 1978). Queste specifiche azioni facciali, unite all'orientamento dello sguardo e della posizione del neonato verso l'interlocutore e alla relativa immobilità del suo corpo, agiscono come segnali di disponibilità e interesse all'interazione con l'adulto che gli è vicino. Complessivamente, la letteratura documenta che le risposte emozionali del neonato non costituiscono semplici reazioni a determinati stimoli quanto, piuttosto, espressioni adattate al suo stato motivazionale e al contesto in cui si trova. Ciò significa che il neonato può anche reagire negativamente a una stimolazione che non è intrinsecamente negativa, secondo il suo stato motivazionale: per esempio, esprimere azioni facciali di disgusto all'odore del latte quando è in uno stato di sazietà dopo il pasto (Soussignan, Schaal, Marlier, 1999), così come secondo il contesto: per esempio, mostrare espressioni di affetto negativo alla discrepanza tra un'informazione familiare e uno stimolo quando una musica vocale che era stato abituato a produrre attraverso la suzione non nutritiva compare in modo non contingente (DeCasper, Carstens, 1981).

I:organizzazione temporale che facilita l'instaurarsi di pattern di interazione con l'adulto La predisposizione del neonato a interagire con gli altri esseri umani appare anche dalle regolarità temporali che ne caratterizzano gli stati e l'attività: si pensi, per esempio, ai cicli sonno-veglia e all'alterhanza suzione-pausa durante l'allattamento. Tali regolarità, rendendo prevedibile il comportamento del neonato, facilitano l'instaurarsi di pattern di interazione con l'adulto. A questo proposito, una famosa ricerca di Kaye (1977) sull'interazione madre-neonato durante l'allattamento ha mostrato che le madri tendono a stimolare il neonato alla suzione oppure a parlargli quando il piccolo è in pausa tra una sequenza di succhiate e la successiva, e che la stimolazione materna- catturando l'attenzione del neonato- tende a prolungare le pause; quando, tuttavia, la stimolazione materna si arresta rapidamente, il neonato riprende a succhiare in più breve tempo che senza stimolazione o con stimolazione prolungata. È stato allora osservato che lo schema com71

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

portamentale che si sviluppa tra il neonato e la madre - suzione-pausa, stimolazione-arresto, suzione-pausa, stimolazione-arresto, e così via- assomiglia a una sorta di dialogo caratterizzato da un'alternanza di turni: neonato, madre, neonato, madre ... , che costituisce il precursore di forme successive di conversazione. Naturalmente, a questo livello l'alternanza dei turni dipende unicamente dalla capacità della madre di inserirsi con discrezione negli spazi di pausa lasciati dal neonato, ma è ugualmente importante per l'esperienza del piccolo che presto, già durante o verso la fine del secondo mese (ma sempre secondo le esperienze d'interazione vissute), sarà in grado di coinvolgersi più attivamente in altre forme di "conversazione" faccia-a-faccia. L'importanza fondamentale del ruolo materno e l'influenza reciproca esercitata dal neonato e dalla madre nell'organizzazione dei pattern di interazione durante l'allattamento sono state ulteriormente sottolineate dai risultati di un recente studio (Hernandez-Reif, Field, Diego, 2004) che ha mostrato che i neonati di madri depresse tendono a succhiare il doppio di quelli di madri non depresse, suggerendo una mancata regolazione dello stato di attivazione dei neonati in presenza di alterazione del tono dell'umore materno. Inoltre, è stato dimostrato che come la stimolazione alla suzione tende a prolungare le pause di suzione, così anche la faccia animata della madre, o altro caregiver, che parla e sorride al neonato tende a prolungare i periodi di veglia tranquilla in cui il piccolo si mostra interessato all'interazione con l'ambiente sociale circostante (Wolff, 1987).

3.3 l'attenzione selettiva e le risposte preferenziali

verso gli stimoli sociali: voce e volto umano La predisposizione dei neonati a interagire con gli altri esseri umani si manifesta anche e soprattutto nel fatto che i neonati appaiono dotati di un apparato percettivo adatto a rispondere selettivamente- attraverso l'orientamento del capo e/o dello sguardo- ai diversi tipi di stimoli provenienti da esseri umani: voci, volti, odori. Questa considerazione è oggi supportata da numerosi studi che hanno rilevato risposte preferenziali per stimoli umani, rispetto a stimoli non-umani, già poco dopo la nascita. Tali capacità di discriminazione e preferenze percettive sono evidenti nelle diverse modalità sensoriali: il suono della voce umana è preferito ai suoni non-umani che presentano tono e intensità simili (Eisenberg, 1975; Kuhl, 1993 ); i volti animati delle per72

IL PERIODO NEONATALEo GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALL'INTERAZIONE SOCIALE

sane sono preferiti a oggetti inanimati Gohnson, Dziurawiec, Ellis, Morton, 1991), così come le rappresentazioni schematiche del volto sono preferite a rappresentazioni che contengono gli stessi elementi .:... occhi, naso, bocca, sopracciglia- disposti in modo innaturale (Goren, Sarty, Wu, 1975; Johnson et al., 1991); l'odore del latte di qualsiasi donna-madre è preferito ad altri tipi di odori, perlomeno dai neonati allattati al seno (Porter, Makin, Davis, Christensen, 1992). Per quanto riguarda le capacità di discriminazione acustica relative alla voce umana, attraverso l'utilizzo del paradigma dell'abituazione e della tecnica della suzione non nutritiva (vedi Metodi e strumenti 1) è stato dimostrato che i neonati di soli 2-4 giorni riescono a discriminare lingue diverse (aumentano la frequenza di suzione di una tettarella collegata a un amplificatore ogniqualvolta viene fatta loro sentire una nuova lingua) purché le frasi-stimolo non siano riprodotte all'indietro (Ramus, Hauser, Miller, Morris, Mehler, 2000), e a preferire la propria lingua ad altre lingue straniere (Mehler et al., 1988; Moon, Cooper, Fifer, 1993 ); riescono inoltre a discriminare parole plurisillabiche differentemente accentate (Sansavini, Bertoncini, Giovanelli, 1997) e a categorizzare e preferire i suoni vocalici entro una sequenza di stimoli sonori (Aldridge, Stillman, Bower, 2001). L'insieme di queste abilità suggerisce l'interazione di una speciale sensibilità per il ritmo, l'intonazione e le componenti fonetiche della lingua parlata, presumibilmente innata, con l'esperienza fetale di esposizione alla lingua materna. Se la percezione del linguaggio costituisce una base fondamentale dell'interazione sociale, tuttavia l'individuazione del parlante, in particolare l'individuazione del volto di chi sta parlando e la possibilità di leggerne l'espressione, risulta decisiva per comprendere la comunicazione dell'altro. Il volto umano rappresenta lo stimolo più complesso e attraente che il neonato incontra nella sua esperienza: è uno stimolo tridimensionale, possiede contorni marcati e nitidi (per esempio, il confine tra la fronte e i capelli) ed elementi interni di contrasto (gli occhi e la bocca in particolare), si muove (oltre ai movimenti interni degli occhi e della bocca cambia posizione e orientamento nello spazio), ed è simmetrico; possiede, cioè, tutte le caratteristiche che gli studi sperimentali sulla percezione visiva del neonato hanno evidenziato come non solo discriminabili, ma anche preferite da quest'ulti(Slater, Butterworth, 1997). Al riguardo, è stata formulata l'ipotesi che la preferenza del neonato per il volto umano dipenda semplicemente dal fatto che le proprietà psicofisiche del volto - in particolare }"'energia" dello stimolo, cioè il prodotto dell'interazione tra il con-

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l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL l'RIMO ANNO DJ VITA

trasto e la frequenza spaziale presenti nello stimolo - coincidono con quelle a cui i canali sensoriali del neonato sono particolarmente sensibili (Kleiner, 1987). Un'ipotesi alternativa a quella sensoriale è stata sviluppata daJohnson e Morton (1991) soprattutto dopo la replica, a opera degli stessi autori, di un famoso esperimento (Goren et al., 1975) in cui è stato mostrato che soltanto 9 minuti dopo la nascita i neonati orientano la testa e gli occhi significativamente più a lungo per seguire uno stimolo bidimensionale con le caratteristiche schematiche di un volto, piuttosto che uno stimolo contenente le medesime caratteristiche (occhi, bocca, naso, sopracciglia) disposte in modo innaturale. Secondo Johnson e Morton questi risultati dimostrerebbero che il volto rappresenta uno stimolo speciale per i neonati, perché questi ultimi possiederebbero un dispositivo innato di discriminazione del volto (/ace-detection) funzionante a livello subcorticale e contenente le informazioni relative alla disposizione spaziale degli elementi che costituiscono lo schema del volto dei conspecifici (disposizione a triangolo di occhi e bocca), che ne orienta l'attenzione verso i volti. Le strutture sottocorticali coinvolte sarebbero le stesse che negli adulti modulano le risposte di certe aree corticali ai volti e ad altri stimoli sociali Uohnson, 2005). Nel corso dell'ultimo decennio diversi esperimenti hanno mostrato il ruolo fondamentale delle caratteristiche strutturali di uno stimolo visivo simile a un volto nel produrre una risposta preferenziale da parte dei neonati (per esempio, Mondloch, Lewis, Budreau, Maurer, Dannemiller, Stephens, Kleiner-Gathercoal, 1999; Valenza, Simion, Macchi Cassia, Umiltà, 1996), sebbene i risultati di alcuni esperimenti abbiano suggerito che nel determinare la preferenza dei neonati pel' i volti sembra cruciale non tanto la struttura specifica del volto (cioè la relazione spaziale tra i suoi elementi interni) quanto, piuttosto, una proprietà strutturale che i volti condividono con altri stimoli visivi, quale l'asimmetria tra la parte superiore e inferiore, cioè la presenza di un maggior numero di elementi nella parte superiore dello stimolo (Turati, Simion, Milani, Umiltà, 2002). In tal senso, è stato ipotizzato che i volti possano essere preferiti già alla nascita semplicemente perché possiedono proprietà strutturali generali capaci di indurre risposte preferenziali nei neonati (Simion, Macchi Cassia, Turati, Valenza, 2003). Infine, recentemente è stato fatto un ulteriore passo avanti nella scoperta di indicatori del preadattamento all'interazione sociale. Nello specifico, è stato trovato che i neonati guardano più a lungo e più

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IL PERIODO NEONATALE, GLI INDICATORl DEL "PREADATTAMENTO" ALL'INTERAZIONE SOCIALE

volte la fotografia di un volto con gli occhi aperti piuttosto che quella di un volto con gli occhi chiusi (Batki, Baron-Cohen, Wheelwright, Connellan, Ahluwalia, 2000), così come la fotografia di un volto che sembra guardarli direttamente piuttosto che quella di un volto che sembra guardare altrove (Farroni, Csibra, Simion, Johnson, 2002), purché il volto non sia capovolto e la testa sia dritta (Farroni, Menon, Johnson, 2006). Questi risultati suggeriscono che i neonati appaiono pronti a cercare non solo volti umani ma, in particolare, volti di persone che comunichino con loro.

3.4 Il riconoscimento e la preferenza per la voce, il volto e l'odore della madre La prontezza del neonato a orientarsi selettivamente verso la voce e il volto umano, e a ricercare attivamente tali stimoli, si rivela particolarmente con la madre, cioè l'adulto di cui ha avuto maggiore esperienza nel periodo prenatale e anche dopo la nascita. Nell'introduzione a questo capitolo e, soprattutto, nel paragrafo 3 .l ·abbiamo visto come il neonato di anche soli 2 giorni mostra di discriminare e preferire la voce materna a quella di un'altra donna sconosciuta. Al riguardo, l'ipotesi di un apprendimento prenatale formulata dagli autori considerando che la voce materna è l'unico stimolo sonoro che giunge al feto attraverso un canale interno al corpo della madre, oltre che esterno, è stata supportata da diverse dimostrazioni che i neonati preferiscono voci femminili e il battito del cuore della madre avoci maschili, mentre non sembrano preferire la voce paterna a quella di altri uomini. Inoltre, non sembrano esprimere alcuna prefe,enza per la voce materna quando è udita in modo differente da come veniva sentita in utero (Spence, Freeman, 1996, vedi paragrafo 3.1). Una precoce capacità di riconoscimento è stata comunque documentata anche in relazione al volto materno. In particolare, Field e colleghi (Field, Cohen, Garcia, Greenberg, 1984) hanno riportato una rapida capacità di discriminazione e una preferenza significativa per il volto materno, rispetto a quello di un'altra donna sconosciuta, da parte di neonati con una media di 45 ore di vita. Il risultato è stato replicato da Bushnell, Sai e Mullin (1989; Bushnell, 2001), che hanno avuto cura di accoppiare le madri e le donne estranee per colore e forma dei capelli, e aspetto complessivo. Inoltre, Walton, Bower e Bower (1992), utilizzando la tecnica della suzione non nutritiva, hanno rile75

l PRCX:ESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETTIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

vato che in neonati fra le 12 e le 36 ore di vita il tempo di suzione è significativamente più lungo quando è finalizzato a vedere l'immagine videoregistrata del volto della propria madre, piuttosto che quello di una donna sconosciuta. Tuttavia, la preferenza per il volto materno sembra scomparire quando i volti vengono presentati con una lieve angolazione verso la posizione di profilo (Sai, 1990) e quando la linea dell'attaccatura dei capelli e il contorno esterno della testa della madre sono coperti da un foulard (Pascalis, de Schonen, Morton, Deruelle, Fabre-Grenet, 1995). Complessivamente, questi risultati sembrano su p portare l'ipotesi dell'apprendimento di caratteristiche specifiche del volto della madre entro un limitato numero di ore dalla nascita. Infatti, anche gli esperimenti che non hanno mostrato alcuna preferenza appaiono interpretabili considerando la possibilità che nei primissimi giorni di vita i piccoli non siano esposti sufficientemente alla posizione quasi di profilo del volto materno, né alla vista della madre con i capelli completamente coperti. L'ipotesi di un precoce apprendimento appare inoltre supportata dai risultati di uno studio (Bushnell, 2003) che ha trovato un'associazione tra l'incremento dell' opportunità di vedere il volto della madre e l'incremento della preferenza visiva del neonato per tale volto. L'apprendimento di caratteristiche del volto materno e, quindi, il riconoscimento di tale volto a poche ore dalla nascita sembra particolarmente favorito dall'esperienza del neonato di vedere il volto della madre accoppiato alla voce di quest'ultima, come evidenziato da una serie di esperimenti condotti recentemente (Sai, 2005). Nello specifico, utilizzando il paradigma della preferenza visiva (vedi Metodi e strumenti 1) è stato dimostrato che neonati di sole 3 ore di vita si orièntano significativamente di più verso il volto della madre che verso quello di un'altra donna sconosciuta, mostrando di preferire il volto materno, ma solo nel caso in cui dalla nascita a 5-15 minuti prima del test abbiano avuto l'esperienza dell'esposizione alla combinazione vocevolto della madre. Ciò suggerisce che la precoce preferenza per il volto materno è probabilmente determinata dalla capacità di percezione intermodale caratteristica dei neonati, e connessa all'apprendimento prenatale della voce materna. Oltre che alla voce e al volto, il neonato appare particolarmente sensibile agli odori della madre. Attraverso il paradigma della preferenza - in questo caso, olfattiva - è stato infatti mostrato che i neonati allattati al seno riconoscono e preferiscono l'odore ascell~r~_lJla~r­ no (Cernoch, Porter, 1985), così come il profumo della propria madre 76

IL PERIODO NEONATALE: GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALl:INTERAZIONE SOCIALE

(Porter et al., 1992) a quello di altre donne sconosciute. Le differenze evidenziate da questi studi tra le capacità di riconoscimento olfattivo dei piccoli allattati al seno e quelle dei piccoli allattati artificialmente sembrano probabilmente dovute al fatto che i primi trascorrono periodi più lunghi a diretto contatto con la pelle della madre. Tuttavia, più recentemente è stato rilevato che anche i neonati allattati artificialmente mostrano capacità di riconoscimento degli odori della madre, orientandosi preferenzialmente verso l'odore del liquido amniotico materno, piuttosto che verso quello del liquido amniotico di altre donne (Marlier, Schaal, Soussignan, 1998b). Sembra comunque che nella diade madre-neonato la particolare sensibilità agli stimoli sensoriali provenienti dal partner sia reciproca: le madri- indipendentemente dall'aver avuto un parto spontaneo o cesareo - appaiono in grado di riconoscere il loro neonato dall'odore (Porter, Cernoch, Perry, 1983) e dal contatto tattile (Kaitz, Meirov, Landman, 1993). In particolare, nello studio di Kaitz e colleghi, in cui le madri venivano bendate e guidate a toccare le mani e il volto di tre neonati, tra cui il proprio, due terzi delle madri sono riuscite a identificare il figlio dalle mani, e la metà di esse dal volto. Complessivamente, gli studi citati mostrano che i neonati e le loro madri possiedono molteplici canali di comunicazione, alternativi e complementari, che assicurano gli inizi della formazione di un legame affettivo e una precoce possibilità di entrare in contatto con l'esperienza dell'altro. METODI E STRUMENTI 1

l paradigmi sperimentali per lo studio delle precoci capacità di discriminazione di stimoli

Il paradigma dell'abituazione Il paradigma dell'abituazione si basa sull'osservazione che la presentazioneçl_i uno stimolo percettivo (per esempio, acustico, oppure visivo, olfattivo) non familiare tende a produrre una risposta psicofisiologica (per • esempio, la decelerazione del battito cardiaco) e/o comportamentale (per esempio, la variazione della frequenza di suzione di un ciuccio, l'orientamento dello sguardo o del capo, la fissazione visiva) nel neonato, ma che con la presentazione ripetuta dello stesso stimolo l'iniziale rispo- . sta diminuisce progressivamente, testimoniando un processo di abituazione allo stimolo. Tale processo viene considerato come evidenza della capacità del neonato di formarsi una progressiva rappresentazione men. tale dello stimolo ripetutamente presentato: a ogni ripresentazione dello

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l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA !NTERSOGGETT!VA NEL PRIMO ANNO DI VITA

stimolo la rappresentazione interna dello stimolo e lo stimolo esterno verrebbero progressivamente a coincidere e questa crescente somiglianza (fino a una completa sovrapposizione) di stimoli provocherebbe un i decremento della risposta (Bornstein, 1985a; Cohen, 1973). L:evidenza empirica che il decremento della risposta del neonato non sia determinato dalla sua stanchezza ma, piuttosto, da un processo di elaboraziooe dell l'informazione dello stimolo è costituita dalla reazione del neonato alla presentazione di uno stimolo nuovo: in tale situazione il piccolo tende infatti a mostrare un significativo incremento della risposta. l . La procedura prevista dal paradigma dell'abituazione è quindi camposta da due fasi: la fase dell'abituazione e la fase test. Nella prima fase, dopo aver misurato il livello di risposta del neonato in assenza di stimolazione (per esempio, la frequenza di suzione di una tettarella collegata a un trasduttore di pressione e a un computer), uno stesso stimolo (per esempio, uno stimolo acustico) viene presentato ripetutamente al neonato; la presentazione dello stimolo awiene solitamente quando la risposta comportamentale d'interesse (per esempio, la suzione non nutritiva) è già in atto, in modo che sia il piccolo a controllare la durata della presentazione attraverso il suo comportamento (infant-contro/ procedure). Quando, dopo ripetute presentazioni, la diminuzione della risposta del piccolo raggiunge un criterio prefissato (per esempio, la frequenza di suzione non nutritiva che all'iniziale presentazione dello stimolo era aumentata, diminuisce del 20% rispetto al minuto precedente, Sansavini, 1995) si consi· dera conclusa la fase di abituazione e si passa alla fase test. Ciò significa che al gruppo sperimentale di neonati viene presentato uno stimolo che contiene proprietà nuove rispetto allo stimolo di abituazione, mentre al gruppo di controllo viene presentato di nuovo lo stimolo precedente. Se i neonati del gruppo di controllo continuano a mostrare la risposta di abituazione mentre, al contrario, quelli del gruppo sperimentale manifestano un significativo incremento della risposta (per esempio, un significativo aumento della suzione) rispetto a quella rilevata al termine della fase di abituazione, si assume che questi neonati siano riusciti a discriminare i due stimoli. Solitamente, gli studi sulla capacità di discriminazione del feto utilizzano la misurazione di una risposta di tipo psicofisiologico, quale la frequenza del battito cardiaco. Gli studi sulle capacità neonatali tendono invece a misurare risposte comportamentali (che possono comunque essere affiancate da misure psicofisiologiche); in particolare, la suzione non nutritiva viene comunemente usata nelle ricerche sulla discriminazione uditiva, l'orientamento dello sguardo e la durata di fissazione visiva dello stimolo nelle ricerche sulla discriminazione visiva.

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Il paradigma della preferenza

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Il paradigma della preferenza si basa sull'assunto che, a parità di condizioni di presentazione di due stimoli diversi, se il neonato orienta maggiormente lo sguardo o il capo verso uno dei due stimoli e fissa tale stimolo !

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IL PERIODO NEONATALE: GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALL'INTERAZIONE SOCIALE

per un tempo maggiore che per l'altro (oppure prolunga l'attività di suzio-~ ne non nutritiva quando, in corrispondenza di tale attività, viene presentato uno stimolo, piuttosto che l'altro), si può presumere che il piccolo abbia discriminato i due stimoli e, spontaneamente, ne abbia preferito uno. La procedura tende a variare secondo l'area di discriminazione percettiva oggetto d'indagine. Lo studio della preferenza visiva prevede solitamente la presentazione simultanea di due stimoli, posti nel campo visivo del neonato, rispettivamente a destra e a sinistra di un punto centrale di lissazione; per controllare la possibile tendenza del neonato a orientarsi in una direzione più che nell'altra indipendentemente dalla preferenza per lo stimolo, la presentazione degli stimoli viene ripetuta almeno due o più volte invertendo la posizione degli stimoli a ogni presentazione. La rilevazione si focalizza sui due processi evidenziati da Cohen ( 1972) come costitutivi dell'attenzione selettiva, ossia l'orientamento dello sguardo, misurato come numero di orientamenti visivi verso ciascuno dei due stimoli, e il mantenimento dell'attenzione, misurato come durata della fissazione visiva di ciascuno stimolo. Un limite della presentazione simultanea dei due stimoli consiste però nel fatto che, quando il neonato si limita a guardare soltanto uno dei due stimoli, non è di fatto possibile inferire nessuna discriminazione né preferenza. Lo studio della preferenza uditiva prevede invece che i due stimoli vengano presentati in successione alternata, solitamente - come per il . paradigma dell'abituazione - quando il neonato manifesta il comporta- · mento che si è scelto di rilevare; quest'ultimo può consistere nella suzione non nutritiva, ma anche nella rotazione della testa o, ancora, nella durata della fissazione visiva della fonte sonora. La rilevazione si prefigge di misurare rispetto a quale dei due stimoli il neonato manifesta più a lun- 1 go, o per un maggior numero di volte, il comportamento prescelto. Tuttavia, il caso in cui il neonato non esprima alcuna preferenza per uno dei due stimoli, non permette di inferire che il piccolo non è stato in grado di discriminare tra di essi; in tal senso, rappresenta il principale limite di questo paradigma di ricerca. Recentemente, questi paradigmi sperimentali fondati sull'osservazione del comportamento sono stati affiancati dall'utilizzo di tecniche che permettono di visualizzare l'attività cerebrale di un soggetto durante una determinata situazione quale, per esempio, la presentazione di stimoli. Queste tecniche, sviluppate nell'ambito delle neuroscienze, sono state prevalentemente utilizzate con soggetti adulti, ma iniziano a essere utilizzate anche per lo studio dei correlati neurali delle capacità percettive e cognitive neonatali perché, pur necessitando di laboratori appositamente attrezzati, non presentano problemi di invasività che ne escluderebbero l'uso con bambini nei primi periodi di vita. La più utilizzata è la tecnica dei potenziali evocati connessi all'evento, conosciuta come ERP (event-related potentials), che per mezzo dell'applicazione di elettrodi alla testa del bambino permette di rilevare l'attività elettrica di un'area del cervello in ri-

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I PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETIIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

sposta alla presentazione di un determinato stimolo e, quindi, di confrontare l'attivazione cerebrale in presenza di stimoli diversi. Per una spiegazione più dettagliata delle applicazioni di questa tecnica e di un'altra tecnica (quella della risonanza magnetico funzionalé, o fMRI) si consiglia l'articolo di de Haan e Thomas (2002) in un numero monografico di Developmental Science sull'argomento.

3.5 L'imitazione neonatale La prova più impressionante della predisposizione del neonato a interagire con gli altri esseri umani è il fatto che, quando la sua attenzione viene sollecitata da un adulto che, pastosi faccia-a-faccia rispetto al piccolo, produce in modo ripetuto particolari azioni facciali (o anche vocalizzazioni o movimenti delle mani e delle dita), il neonato tende a imitare attivamente tali azioni. Alle prime ricerche che hanno scoperto la capacità neonatale di imitare non solo azioni visibili, quali movimenti delle dita, ma anche difficilmente visibili all'atto della riproduzione, quali la protrusione della lingua (Maratos, 1973 ), sono segl,!.iti studi attentamente controllati sull'imitazione dell'apertura della bocca e della protrusione della lingua e delle labbra. Questi studi hanno mostrato la presenza di tale capacità in neonati di pochi giorni e persino poche ore di vita (Meltzoff, Moore, 1977). Nel corso degli ultimi vent'anni questi risultati hanno avuto diverse repliche e conferme (per esempio, Kugiumutzakis, 1999; Meltzoff, Moore, 1989; Reissland, 1988; Vinter, 1986). Inoltre, è stato trovato che a meno di 2 giorni di vita i neonati appaiono in grado di imitare espressioni facciali di emozioni quali la sorpresa (spalancando gli occhi e la bocca), la tristezza (corrugando le sopracciglia e protendendo le labbra) e la gioia (";ìllargando le labbra, Field, Woodson, Greenberg, Cohen, 1982); così come di imitare vocalizzazioni (limitatamente alla vocale /a/, Kugiumutzakis, 1993) e movimenti della bocca necessari all'emissione delle vocali e delle consonanti prodotte dal modello (Chen, Striano, Rakoczy, 2004). Più in particolare, quest'ultimo studio di Chen e colleghe ha dimostrato che dopo l'esposizione all'emissione ripetuta del suono /a/ da parte dell'adulto sperimentatore i neonati tendono a produrremovimenti di apertura della bocca in numero significativamente maggiore che dopo l'esposizione al suono /m/; al contrario, dopo l'esposizione al suono Imi tendono a stringere le labbra un numero di volte significativamente maggiore che dopo l'esposizione al suono /a/, mo80

IL PERIODO NEONATALEo GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALL'INTERAZIONE SOCIALE

strando di saper accoppiare ai suoni uditi (dato che alcuni piccoli avevano gli occhi chiusi!) i movimenti della bocca necessari per produrre tali suoni. Complessivamente, l'insieme di questi dati costituisce una prova particolarmente consistente della capacità dei neonati di adattarsi agli altri esseri umani, e rimanda alla questione, tuttora aperta, relativa ai meccanismi sottostanti questa capacità. A tale propo~ito, è interessante osservare che il tentativo di spiegare l'imitazione neonatale come comportamento riflesso sollecitato da alcuni aspetti critici dello stimolo è stato posto in seria discussione dall'evidenza dei dati empirici ottenuti. Innanzitutto, il risultato di uno studio di Legerstee (1991a) ha rivelato che i neonati imitano le azioni delle persone, ma non quelle prodotte da oggetti che simulano gli stessi gesti. Ciò suggerisce che l'imitazione neonatale, ben lontana dall'essere una risposta riflessa, rappresenta piuttosto un comportamento sociale che offre un canale privilegiato per le primissime forme di comunicazione con l'altro e di apprendimento relativo alle persone (Legerstee, 2005). Inoltre, diversi studi (Kugiumutzakis, 1993, 1999; Meltzoff, 1994; Meltzoff, Moore, 1977) hanno documentato che il neonato impiega spesso un certo tempo prima di produrre la risposta imitativa, tempo in cui pare "cercare" i movimenti necessari per la risposta, e tende a riprodurreTazione mostrata dall'adulto- soprattutto nei casi in cui si tratta della protrusione della lingua e dell'apertura della bocca- più volte, in successione, incrementando progressivamente la corrispondenza tra la propria azione e il modello. Questi dati, indicativi della presenza di un certo sforzo del neonato nell'atto imitativo (Kugiumutzakis, 1993; Meltzoff, 1994), appaiono congruenti con il modello teorico formulato da Meltzoff e Moore (1997, vedi paragrafo 1.2), che concettualizza l'imitazione neonatale come un processo attivo di progressivo "accoppiamento" all'azione dell'altro, reso possibile da un dispositivo innato di rappresentazione sovramodale che connette ciò che il piccolo vede, o sente, con ciò che sente propriocettivamente. Lo sforzo comunicativo prodotto dal neonato appare coerente con un altro interessante risultato, relativo al fatto che l'imitazione neonatale sembra emergere con facilità in situazioni in cui l'adulto che svolge il ruolo di modello sollecita delicatamente e affettuosamente l'attenzione del piccolo, ma non altrettanto facilmente in condizioni rigidamente controllate nelle quali il "modello" adulto offre sequenze ripetitive di espressioni programmate, senza supportare l'interesse del piccolo con un'interazione affettiva (Kugiumutzakis, 1993 ). In altre 81

I PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

·parole, all'infuori di un'interazione comunicativa regolata affettivamente appare molto più difficile stimolare l'imitazione da parte di un neonato. Questo dato sembra supportare l'ipotesi (Kugiumutzakis, 1993; Legerstee, 2005; Trevarthen, 1998) che alla base dell'imitazione neonatale ci sia un bisogno profondamente radicato di comunicare con gli altri esseri umani, e che l'imitazione precoce sia espressione di una predisposizione a entrare in contatto con gli altri e a percepire similarità tra le azioni degli altri e le proprie. In particolare, è stato ipotizzato che durante le procedure che si rivelano efficaci nel provocare l'imitazione neonatale il neonato legga il comportamento dell'adulto come un invito a partecipare a uno scambio comunicativo (Kugiumutzakis, 1999) e, conseguentemente, tenda ad attendersi che anche l'adulto sia responsivo, cioè risponda a sua volta all'imitazione, e l'interazione prosegua. Al riguardo, è stato recentemente mostrato che, dopo essere stati attentamente sollecitati dalla ripetizione del movimento di protrusione della lingua, neonati di meno di 2 giorni non solo riescono a imitare lo stesso movimento entro 2 minuti dalla dimostrazione, e a partecipare a un ciclo di imitazione reciproca con lo sperimentatore, ma tendono a ripetere lo stesso gesto anche successivamente, quando lo sperimentatore interrompe l'interazione limitandosi a guardare il neonato, come se si attendessero - e cercassero attivamente una risposta da parte dell'adulto che ha "iniziato il gioco" (Nagy, Molnar, 2004). Nel medesimo esperimento, la misurazione del battito cardiaco dei neonati ha permesso di rilevare che le risposte imitative dei neonati sono precedute e accompagnate da un'accelerazione della frequenza cardiaca mentre, al contrario, la successiv~ ripetizione degli stessi movimenti di fronte al volto non responsivo dell'adulto è anticipata da una decelerazione, considerata indice di attenzione e aspettative rispetto a uno stimolo. Questi risultati hanno condotto gli autori a interpretare la ripetizione degli atti imitativi dopo l'interruzione dell'interazione come "provocazione" o invito rivolto all'adulto a proseguire l'interazione, piuttosto che come atti di imitazione differita, e l'imitazione neonatale come comportamento fortemente motivato. Indipendentemente, comunque, dalle diverse interpretazioni, numerosi autori convergono nel ritenere che l'imitazione precoce, come esperienza di percezione e produzione di corrispondenze tra le proprie azioni e quelle di un'altra persona, permette al neonato di sperimentare un primo senso di connessione con l'altro che può essere considerato precursore dell'esperienza intersoggettiva. Un ulteriore su p-

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IL PERIODO NEON ATALE: GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALL'!NTERAZ!ONE SOCIALE

porto empirico a favore di quest'jdea è costituito dai risultati di uno studio che ha evidenziato che i neonati che imitano maggiormente nell'immediato periodo dopo la nascita sono anche quelli che a 3 mesi, durante l'interazione con la madre, distolgono significativamente m_eno lo sguardo da quest'ultima, suggerendo che l'imitazione neonatale riflette una capacità di ricettività sociale (Heimann, 1989).

3.6 Forme rudimentali di differenziazione tra sé e gli altri Il fenomeno dell'imitazione neonatale suggerisce che i neonati possono in qualche modo distinguere i movimenti del proprio corpo dai movimenti di un'altra persona, e grazie alle sensazioni propriocettive percepite durante le proprie azioni sviluppare un primitivo senso del proprio corpo come entità differenziata da altre entità nell'ambiente (Rochat, 2004 ); in altre parole, sviluppare una sorta di consapevolezza propriocettiva di sé. Inoltre, se si considera il principio formulato da Gibson (1979) secondo cui la percezione dell'ambiente è sempre anche percezione di sé in relazione all'ambiente, non è difficile comprendere come il neonato possa iniziare ad acquisire informazioni su di sé attraverso il riconoscimento dei movimenti del proprio corpo anche in relazione all'ambiente fisico, così come attraverso le prime azioni orientate a obiettivi funzionali (quali, per esempio, succhiare per ricevere nutrimento, ruotare la testa per seguire uno stimolo) e le conseguenze percettive di tali azioni (Rochat, Striano, 2000). La percezione transmodale (Meltzoff, 1990; vedi paragrafo 1.2) rappresenta 1a fonte primaria dello sviluppo del rudimentale senso di sé percepito propriocettivamente. Così, per esempio, la semplice esperienza di muovere un braccio davanti a sé, nel proprio campo visivo, evidenzia il braccio come differenziato dagli altri oggetti dell'ambiente esterno, e permette al lattante di percepirlo come parte di sé perché il piccolo lo vede muoversi, ma al tempo stesso sente propriocettivamente il movimento prodotto, e attraverso la ripetizione vs. interruzione del movimento sperimenta l'effetto della propria azione. In particolare, uno studio di Rochat e Hespos (1997) ha mostrato che già nel loro primo giorno di vita i neonati riescono a discriminare la stimolazione tattile autoprodotta dalla stimolazione tattile prodotta da una fonte esterna. Confrontando le risposte di rotazione del capo manifestate da neonati a seguito della stimolazione tattile della pelle vi83

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

cino alla bocca prodotta sia dal dito dello sperimentatore (fonte esterna) che dalla mano del neonato stesso (autostimolazione), gli autori hanno osservato che i piccoli tendono a ruotare la testa e a orientarsi significativamente più verso il dito dello sperimentatore che verso la propria manina. Secondo gli autori, queste risposte differenziate suggeriscono una capacità di discriminare le informazioni percettive che specificano il proprio corpo da quelle che specificano entità esterne. Un altro studio, condotto da Dondi, Simion e Caltran (1999), ha mostrato che quando neonati di 1-3 giorni di vita sono esposti al pianto registrato di un altro neonato manifestano espressioni facciali di distress significativamente più frequenti e prolungate di quando sono invece esposti al proprio pianto registrato; inoltre, solo all'udire il pianto di un altro neonato rallentano significativamente il ritmo di suzione non-nutritiva, dimostrando di saper discriminare il proprio pianto da quello di un altro neonato. A questo riguardo, l'ipotesi più plausibile è che le reazioni differenziate dipendano dalla discriminazione di uno stimolo familiare (il proprio pianto, già udito più volte) da uno stimolo nuovo (il pianto di un altro neonato) che, in quanto tale, provoca un significativo cambiamento del ritmo di suzione. Anche in questo caso, comunque, viene evidenziata una precoce familiarità con caratteristiche che specificano parti di sé (in questo caso, le caratteristiche acustiche delle proprie vocalizzazioni di pianto). E proprio quest'esperienza di familiarità, unita ai feedback propriocettivi generati dalle espressioni facciali e dai movimenti del proprio corpo, contribuisce a sviluppare quell'esperienza di sé o, in altre parole, quella rudimentale differenziazione tra sé e gli altri che costituisce un precursore necessario all'emergere delle prime forrhe di intersoggettività.

3. 7 Pattern di interazione differenziati con le persone e con gli oggetti , Un altro tipo di differenziazione che costituisce un requisito indispensabile all'esperienza intersoggettiva è quella tra persone e oggetti, che già nelle primissime settimane di vita il neonato mostra di "conascere " . Un primo, famoso, studio in cui Brazelton, Koslowski e Main (1974) hanno confrontato il comportamento del neonato di fronte alla madre e a un oggetto inanimato (una scimmia giocattolo), ha mostrato che già dalle 2-3 settimane di vita i piccoli manifestano due differenti pattern 84

IL PERIODO NEONATALE: GLI INDICATORI DEL "PREADATTAMENTO" ALI:INTERAZJONE SOCIALE

di attenzione- caratterizzati da un diverso grado di intensità e durata, così come da un diverso ritmo di distoglimento dello sguardo- in risposta alla madre e all'oggetto. Di fronte all'oggetto lo sguardo tende a essere fisso, statico, accompagnato soltanto da minime contrazioni dei muscoli facciali e, entro le 6 settimane, da occasionali irruzioni di vocalizzazioni verso l'oggetto; il corpo immobile, teso. Di fronte alla madre, invece, l'attenzione del neonato appare regolata da uno specifico ritmo d'interazione che alterna momenti di "attenzione affettiva" (Brazelton et al., 1974) alla faccia della madre, accompagnati da un progressivo incremento dello stato di attivazione: luminosità dello sguardo, lievi movimenti delle mani e degli arti, accenni di sorriso, smorfie e vocalizzazioni, a momenti di apparente distoglimento dell'attenzione in cui l'attività del neonato si riduce sensibilmente. Per esplorare l'ipotesi che le reazioni differenziate del neonato alle persone e agli oggetti possano essere dovute alle caratteristiche di animazione e movimento degli esseri umani rispetto agli oggetti inanimati, diversi studi successivi hanno confrontato il comportamento del neonato in interazione con persone e oggetti animati, smentendo l'ipotesi formulata. In particolare, in uno studio di Ronnqvist e von Hofsten (1994) numerosi neonati sono stati sottoposti a una situazione sociale (una persona di fronte a essi), una situazione non sociale con oggetto animato (una palla che si muoveva lentamente di fronte a essi) e una situazione di controllo. I risultati hanno evidenziato una frequenza di movimenti di flessione delle dita e delle mani significativamente più elevata nella situazione sociale che nelle altre due condizioni, e una maggiore estensione delle dita delle mani e delle braccia (come ad anticipare un movimento di reaching) nella situazione con l'oggetto, suggerendo che i neonati possiedono pattern motori già adattati a particolari tipi di situazioni sociali e non sociali. In uno studio di Legerstee e colleghi (Legerstee, Pomerlau, Malcuit, Feider, 1987) alcuni lattanti - a partire dalle 5 settimane di vita sono stati osservati nell'interazione con la madre, con una donna non familiare e con una bambola; ciascuno dei tre interlocutori era, alternatamente, attivo e immobile. I risultati hanno mostrato che già per i piccoli di 5 settimane la percentuale di tempo speso a guardare l'interlocutore, sorridergli, vocalizzare e muovere le braccia era significativamente superiore nell'interazione con le persone, piuttosto che con la bambola, anche nella condizione in cui quest'ultima si muoveva. Inoltre, che i piccoli manifestavano segni di agitazione quando le persone ·85

I PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERJENZA INTERSOGGETTIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

- ma non la bambola - restavano immobili, come si attendessero che le persone agissero reciprocamente. In un altro studio di Legerstee (1991a), lattanti di 5 settimane sottoposti all'interazione con una persona che presentava movimenti di protrusione della lingua e apertura della bocca oppure, in alternativa, all'interazione con oggetti che simulavano gli stessi movimenti, hanno imitato queste azioni quando a proporle era una persona, ma non hanno reagito nello stesso modo di fronte agli oggetti simulatori; in quest'ultima condizione, si sono piuttosto limitati a produrre gesti incongruenti. L'insieme di questi studi mostra che già poche settimane dopo la nascita i neonati reagiscono diversamente alle persone e agli oggetti, suggerendo la presenza di una predisposizione non solo a interagire selettivamente con gli altri esseri umani, ma anche a riconoscere, come sottolinea Legerstee (2005), una somiglianza tra sé e gli altri esseri umani. Questo appare particolarmente importante per lo sviluppo della capacità di coinvolgersi nella comunicazione affettiva con l'altro e sperimentare le prime forme di intersoggettività in una primitiva condivisione di affetti, come vedremo nei prossimi capitoli.

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4 La transizione-chiave del secondo mese: le origini dell'intersoggettività

Nel capitolo precedente abbiamo visto numerosi elementi che testimoniano una sostanziale continuità tra lo sviluppo pre- e post-natale fino all'inizio del secondo mese. ~tro le 6-8 settimane, però, nel comportamento del lattante appaiono alcune radicàJì trasformazioni che rappresentano un cambiamento psicobiologico complessivo (Emde, Buchsbaum, 1989; Prechtl, 1986), cioè un cambiamento che si verifica in diversi domini dello sviluppo (neurologico, fisico, motorio, affettivo, cognitivo-sociale) e porta il lattante verso un nuovo livello di organizzazione comportamentale. Si_l!ssi~te infatti a una.. progressiva diminuzione dei ritmi endogeni che caratterizzavano il periodo neonatale a favore dell'acquisizione di controllo esogeno, cioè di un'organizzazione regolata dall'interazione con l'ambiente esterno. Il tempo trascorso in stato di sonno cala significativamente, la veglia aumenta e viene utilizzata in modo più attivo, compaiono nuove espressioni affettive (prima fra tutte il sorriso come risposta alla stimolazione sociale) che comportano un mutamento significativo nella vita sociale del lattante. I genitori riportano con emozione la scoperta "di una persona" nel loro piccolo (Emde, Gaensbauer, Harmon, 1976): i loro resoconti sottolineano che il lattante sembra rispondere più prontamente a ogni stimolazione che provenga da persone, sorride ai volti umani, che guarda con una nuova vivacità, e comunica in modo più simile agli adulti. Questa transizione si spiega considerando l'interazione tra i cambiamenti che awengono nello sviluppo neurologico nel secondo mese, in particolare la progressiva organizzazione corticale che sostituisce i meccanismi sottocorticali dominanti fino al primo mese di vita (Giovanelli, 1997; Johnson, Morton, 1991), e le stimolazioni ambientali di cui 87

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETTIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

dispone il lattante. I soli cambiamenti neurologici non sembrana..sufficienti per spiegare questo cambiamento evolutivo: occorre cons_U;krare anche i fattori relativi allo specifico bambino (caratteristiche individUali dello sviluppo fisico e motorio) e al contesto sociale (quantità e qualità delle interazioni con i genitori o altri adulti significativi) e -fisico (caratteristiche dell'ambiente) in cui il piccolo cresce. Tra questi fattori, la disponibilità di contesti d'interazione faccia-a-faccia si rivela particolarmente nevralgica. QuestQ perché se le predisposizioni inpate del lattante (quali la preferenza per le facce e l'abilità di discriminazione linguistica) assicurano che le strutture corticali siano preferenzialmente esposte a stimoli socialmente rilevanti quali il volto umano e il linguaggio, è però solo l'effettiva, prolungata esposizione a tali stimoli che permette lo sviluppo della capacità di elaborarli. Come vedremo, i cambiamenti connessi alla transizione del secondo mese costituiscono i requisiti perché il lattante possa coinvolgersi attivamente nell'esperienza di comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto; in tal senso, aprono allattante la possibilità di vivere una prima esperienza di "incontro" e scambio affettivo con l'altro-da-sé, o "intersoggettività primaria" (Trevarthen, 1979), che coincide anche con l'emergenza di un primo senso di sé come agente (Rochat, 2004). L'analisi dei principali cambiamenti che appaiono nell'organizzazione comportamentale del lattante verso i 2 mesi ci permetterà di capire l'effetto che tali trasformazioni provocano sul comportamento dell'adulto e, quindi, l'esperienza di comunicazione faccia-a-faccia madre (o adulto significativo)-lattante come prima esperienza di intersoggettività.

4. l l cambiamenti nella regolazione degli stati comportamentali e della motricità Entro le 6-8 settimane il lattante mostra un cambiamento nella regolazione degli stati, con un incremento significativo nella quantità di tempo trascorso in stato di veglia vigile, che arriva a occupare il 5060% delle 24 ore giornaliere e tende a concentrarsi nelle ore diurne (Emde, Buchsbaum, 1989; Wolff, 1984). Tuttavia, Wolff (1987) si è accorto che lo schema descrittivo degli stati comportamentali neonatali (Prechtl, 1974) era insufficiente per descrivere un nuovo stato di veglia, che ha definito come "allerta attiva", che entro il terzo mese di vita sembra caratterizzare 1'80% delle ore di veglia dei lattanti, men88

LA TRANSIZIONE-CHIAVE DEL SECONDO MESE LE ORIGINI DELL'INTERSOCGETTIVITÀ

tre lo stato di veglia tranquilla decresce considerevolmente. Questo nuovo stato appare contraddistinto dal fatto che il lattante si mostra capace di coordinare movimenti diretti a uno scopo producendo anche due pattern motori contemporaneamente (per esempio, muovere ritmicamente le braccia e sorridere a una persona), di selezionare attivamente gli eventi nell'ambiente circostante, e di iniziare nuove azioni, oltre che reagire ad azioni che gli sono rivolte. Per sottolineare il cambiamento qualitativo nell'organizzazione dello stato di veglia, Wolff (1987) ha paragonato questo stato di veglia a una veglia "di scelta" per indicare una condizione di veglia non legata a bisogni fisiologici o a stati di disagio; una veglia che dipende, piuttosto, dalla maturazione della corteccia cerebrale e dal parallelo sviluppo dei processi sensomotori e mentali che permettono allattante di prendere parte attiva nell'ambiente fisico e, soprattutto, sociale che lo circonda. In tal senso, secondo Wolff, il graduale incremento nella durata e nella stabilità dell"'allerta attiva", che aumenta comunque in presenza di stimolazioni ambientali, può essere associato allo sviluppo del controllo posturale e motorio (vedi sotto) e all'acquisizione di nuovi pattern motori, potenzialmente interattivi. Durante questo periodo si verificano marcati cambiamenti anche negli stati del sonno (Salzarulo, 2003 ). Il sonno attivo si riduce a favore del sonno calmo, durante il quale scompare l'attività "ritmica" del cervello che lo caratterizzava prima del secondo mese, compaiono nuove frequenze di attività cerebrale importanti per i processi di regolazione del sonno, e si accentuano le differenze nella frequenza cardiaca - più bassa _:rispetto al sonno attivo. Nella fase di sonno attivo si osservano inoltre una diminuzione dell'attività motoria e un miglioramento nell'organizzazione dei rapidi movimenti oculari (rapid eye movements, da cui "sonno REM"), con salve di durata e intensità simili a quelle dell'adulto (Salzarulo, Fagioli, 1992). A questo proposito, se prima delle 6-8 settimane gli stati REM potevano verificarsi anche durante la suzione legata all'allattamento, l'agitazione o il sopore, ora è insolito che ciò avvenga (Emde, Buchsbaum, 1989). Sebbene la durata complessiva del sonno diminuisca, la capacità del lattante di dormire per lunghi periodi aumenta: il sonno tende a concentrarsi nelle ore della notte e il sonno notturno, dopo i 2 mesi, tende frequentemente ad assumere una forma bifasica con un periodo centrale di veglia di una certa durata (> 64 minuti) (Fagioli, Ficca, Salzarulo, 2002). Complessivamente, "la ristrutturazione del modo di funzionare del sistema nervoso che avviene durante il sonno fa apparire il secondo mese co89

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

me uno dei momenti di svolta del primo anno di vita, forse il più importante" (Salzarulo, 2003, p. 30). Infine, è interessante osservare che verso le 6 settimane si verifica un picco marcato nella durata del pianto (Barr, 1990; Hopkins, 2000; St. James-Roberts, Halil, 1991). Questo picco costituisce un altro indice di cambiamento nella regolazione degli stati comportamentali, e sembra indicare una trasformazione nella funzione comunicativa del pianto, che ora diviene più strumentale, modulato da fattori ambientali e sociali. Nonostante l'elevata variabilità interindividuale, il picco di pianto entro le 6 settimane post-natali, l'accresciuto stato di veglia vigile e la concomitante comparsa del sorriso in risposta allo stimolo sociale (vedi paragrafo 4.3) si ritrovano in modo significativo in culture anche molto diverse tra loro (Barr, Konner, Bakeman, Adamson, 1991).

Lo sviluppo del controllo pastura/e e motorio Verso la fine del secondo mese, anche i significativi cambiamenti che si realizzano nello sviluppo del controllo della pastura e della motricità permettono allattant(o} di vivere un rapporto più attivo con l' ambiente circostante. In particolare, in uno studio sullo sviluppo del controllo posturale della testa, che rappresenta una condizione nevralgica per il coinvolgimento del lattante nella comunicazione faccia-a-faccia con l'adulto, il raggiungimento di tale controllo è stato osservato in tutti i soggetti del campione entro le 9 settimane di vita, sebbene in alcuni lattanti fosse presente fin dalle 6 settimane, con ampia variabilità individuale (v an Wulfften Palthe, Hopkins, 1993). Questo risultato appare coerente con la documentazione della comparsa del controllo posturale attivo, orientato spazialmente, verso la fine del secondo mese (Prechtl, 1989). Lo studio di van Wulfften Palthe e Hopkins: in cui i lattanti sono stati osservati nel contesto dell'interazione faccia-a-faccia spontanea con la madre (seduti di fronte a essa) dal primo al quinto mese di vita, ha anche mostrato che nella maggior parte dei lattanti considerati il raggiungimento del controllo posturale ha preceduto il picco della durata dell'attenzione alla faccia della madre. Verso la fine del secondo mese iniziano ad apparire anche movimenti degli arti più controllati (Giovanelli, 1997; Hopkins, Prechtl, 1984). In questi cambiamenti sembra giocare un ruolo fondamentale lo sviluppo di alcune aree cerebrali che si verifica in questo stesso periodo. L'utilizzo della tomografia a emissione di positroni (PET) -una tecnologia che permette di misurare il livello di metabolizzazione del 90

LA TRANSIZIONE-CHIAVE DEL SECONDO MESE, LE ORIGINI DELL'INTERSOGGE11'IVITA

glucosio nelle diverse aree cerebrali come indicatore di sviluppo delle stesse- ha infatti evidenziato che mentre nel periodo neonatale l'attiV;!,Zione del metabolismo del glucosio è prevalente nella corteccia senso-motoria, verso i 2 mesi inizia ad aumentare nella corteccia parieta1~, nella corteccia visiva primaria e negli emisferi del cervelletto: in al!re,parole, come evidenzia Giovanelli (1997), proprio in quelle strutture che sono importanti per l'integrazione visuo-spaziale e senso-motoria, sebbene rimanga ancora ridotta nelle aree associative visive. Strettamente connesso all'aumento dell'influenza corticale appare anche il significativo calo di frequenza delle risposte riflesse che erano invece prevalenti nel primo mese di vita (per esempio, il riflesso di Moro, il riflesso di rotazione del capo, il riflesso palmare di prensione ecc.) e che scompariranno gradualmente nel corso del terzo-quarto mese. Nella considerazione dei fattori associati allo sviluppo del controllo motorio non va tuttavia dimenticato che la maturazione corticale agisce in interazione con numerose altre variabili quali, per esempio, i cambiamenti nella struttura dei tessuti, lo sviluppo della forza muscolare che permette di contrastare la gravità, le stimolazioni ambientali e i cambiamenti dell'ambiente esterno che richiedono ai processi sensodali e motori capacità di anticipazione e adattamento funzionali all'interazione.

4.2 Lo sviluppo delle abilità visuomotorie:

nuove opportunità per la comunicazione faccia-a-faccia L'incremento della durata della veglia attiva nel corso del secondo mese non segna semplicemente un cambiamento nella regolazione degli stati comportamentali, ma anche un cambiamento cognitivo. I lattanti mostrano più attenzione al mondo sociale che li circonda e, soprattutto, mostrano un'attenzione visibilmente diversa (Rochat, Striano, 1999). Questo appare anche dovuto allo sviluppo di nuove abilità visuomotorie che numerosi studi sperimentali documentano emergere entro i 2 mesi e, complessivamente, ci mostrano che il lattante di quest'età, così come ha sviluppato un certo controllo posturale e matorio, ha sviluppato anche un parziale controllo visivo che gli/le permette la modulazione dello sguardo nell'interazione sociale. Le nuove abilità, che differenziano significativamente il comportamento visivo di un lattante di 2 mesi da quello di un neonato, si possono essenzialmente ricondurre a: 91

I PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETTIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

l. la capacità di mantenere l'attenzione visiva per un certo periodo di tempo, rispetto alla quale studi sperimentali basati sul paradigma dell'abituazione (Colombo, Mitchell, 1990; Hood, Murray, King, Hooper, 1996; Slater, Morison, 1991) e studi longitudinali basati sull'osservazione delle prime forme di comunicazione faccia-a-faccia madre-lattante (Berger, Cunningham, 1981; Lavelli, Fogel, 2002) convergono nell'evidenziare un significativo incremento nella durata della fissazione visiva dalle 4 alle 8 settimane, con picco attorno ai 2 mesi; inoltre, una primitiva capacità di focalizzazione di entrambi gli occhi su un oggetto a media distanza (Aslin, 1987); 2.1a capacità di seguire uno stimolo in movimento in modo fluido, ossia attraverso movimenti oculari relativamente armonici, continui (Aslin, 1987; Nelson, Horowitz, 1987), molto diversi dai movimenti saccadici del neonato (Johnson, 1997); 3. l'accresciuta sensibilità agli stimoli collocati nel campo visivo nasale (cioè nella parte centrale del campo visivo), contrapposta all'orientamento preferenziale del neonato verso gli stimoli presenti nel campo visivo temporale (Johnson, 1997) e strettamente connessa allo sviluppo dell'abilità di esplorare sistematicamente le caratteristiche interne del volto umano (Acerra, de Schonen, Burnod, 1999; Haith, Bergman, Moore, 1977; Maurer, Salapatek, 1976). Questo sostanziale cambiamento è stato messo in luce da un famoso studio in cui Maurer e Salapatek (1976), utilizzando una specifica tecnica di registrazione dei movimenti oculari, hanno confrontato le modalità con cui i neonati e i lattanti di 2 mesi ispezionano visivamente una rappresentazione schematica bidimensionale di una faccia. Ciò che è stato trovato è che mentre i neonati ispezionano principalmente i contorni della faccia, i lattanti di 2 mesi ne esplorano con una certa cura gli elementi interni, sofferm~ndosi in modo rilevante sugli occhi. In particolare, Haith e colleghi (1977), utilizzando come stimolo il volto vivo di un adulto mentre è fermo, si muove, oppure parla, hanno documentato che dalla settima settimana compare una sistematica attività di esplorazione visiva della regione attorno agli occhi, e che tale esplorazione è intensificata quando "il volto" sta parlando.

Anche per i cambiamenti nell'abilità di seguire uno stimolo e di esplorarne le caratteristiche interne, soprattutto, i dati emersi dalle ricerche condotte nell'ambito delle neuroscienze evidenziano una stretta connessione con lo sviluppo delle strutture corticali che, verso i 2 mesi, iniziano a regolare quelle sottocorticali. In particolare, per quan92

LA TRANSIZIONE-CHIAVE DEL SECONDO MESE: LE ORIGINI DELL'INTERSCX;GETTIVIT À

to riguarda l'organizzazione dell'orientamento visivo, Johnson (1997, 200 l) ha ipotizzato una sequenza di sviluppo delle vie corticali che sottostanno al controllo oculo-motorio che, attorno ai 2 mesi di vita, vede l'attivazione della via magnocellulare (struttura corticale medio temporale) che permette di regolare l'attività del colli colo superiore. Per'quanto riguarda invece l'elaborazione delle informazioni provenienti dal volto umano, uno studio condotto da de Schonen e Mancini (1995, cit. inJohnson, 1997) con l'utilizzo della PET (vedi paragrafo 4.1) ha mostrato che verso i 2 mesi, nonostante un basso livello del funzionamento di base dell'attività metabolica nei lobi frontali, alla fissazione della fotografia di un volto di donna corrisponde un significativo incremento nell'attività della corteccia orbita-frontale sinistra e dell'area di Broca, indicativo di una connessione tra l'esplorazione delle caratteristiche interne del volto e lo sviluppo corticale. Tuttavia, relativamente al comportamento visivo del lattante di fronte al volto umano i risultati delle ormai numerose ricerche condotte appaiono piuttosto controversi. È stato infatti mostrato che già lJ 4 settimane di vita i lattanti tendono a fissare gli occhi (dunque un elemento interno alla faccia) se la faccia che hanno di fronte è quella di un adulto reale (Blass, 1997, 1999; Haith et al., 1977). Per esempio, gli studi sperimentali condotti da Blass e colleghi mostrano che, diversamente dal periodo neonatale, a 4 settimane l'assunzione di glucosio non è sufficiente a calmare lattanti in stato di agitazione e pianto se lo sguardo dello sperimentatore non è fisso sui loro occhi; in particolare, i ricercatori documentano come i piccoli tendano a ricercare il contatto oculare e come la possibilità di stabilire tale contatto sia l'elementochiave non solo per la tranquillizzazione, ma anche per brevi esplorazioni del volto umano. Il contatto oculare servirebbe cioè come base per incursioni nell'area circostante gli occhi e poi anche più all'esterno, verso il contorno del volto. Questi dati sull'orientamento preferenziale verso gli occhi e la presenza di contatto oculare a sole 4 settimane di vita appaiono coerenti con i risultati di alcuni studi condotti in contesto naturalistico e focalizzati sull'osservazione delle prime forme d'interazione adulto-neonato. In particolare, gli studi pionieristici di Wolff ( 1963, 1987) riportano che attorno alle 4 settimane si osserva un radicale cambiamento nell'attenzione dei neonati ai volti, in particolare nella loro nuova focalizzazione sugli occhi dell'interlocutore, che dà a quest'ultimo la sensazione di un "vero contatto oculare". Questo cambiamento è evidenziato anche da uno studio longitudinale condotto da Lavelli e Poli 93

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA JNTERSOGGElTJVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

(1998) per confrontare le modalità d'interazione durante l'allattamento al seno e artificiale nel corso del primo trimestre di vita; fra i risultati è infatti emerso un significativo incremento di contatto visivo madre-neonato, indipendentemente dalla modalità di allattamento, a l mese d'età. Infine, i resoconti microdescrittivi di Trevarthen (1979) riportano il fatto che neonati di 3-4 settimane reagiscono ali' approccio di un adulto orientando la testa con lo sguardo fisso sugli occhi o la bocca dell'interlocutore, espressioni di interesse o tiepida sorpresa, e sorriso, come esempio della presenza di meccanismi che regolano la comunicazione interpersonale presenti fin dal primo mese di vita. Secondo questo autore, l'emergere della capacità di mantenere il contatto oculare si verificherebbe però attorno alle 6 settimane, insieme alla comparsa di altri indicatori della transizione dal controllo endogeno a quello esogeno, quali un sorriso (come vedremo nel prossimo paragrafo) più "pronto" e aperto. Indipendentemente dalle parziali discrepanze dei risultati, spesso dovute alla diversità di metodi e disegni di ricerca adottati, ciò che complessivamente si evidenzia dagli studi considerati è che nel corso, o perlomeno verso la fine, del secondo mese di vita lo sviluppo di nuove abilità visuomotorie fornisce al lattante nuove opportunità di comunicazione con l'adulto. Il lattante di 6-8 settimane può infatti guardare direttamente gli occhi del partner e mantenere il contatto visivo che, se già in sé rappresenta un potentissimo organizzatore di comunicazione non verbale fra gli umani, riferito a un lattante di poche settimane acquista un potere speciale: oltre il contatto tattile, rappresenta infatti la prima forma di "incontro" e comunicazione con l'altro-dasé. Inoltre, il seppur primitivo controllo del proprio sguardo permette al lattante di quest'età di modularne la direzione così da guardare direttamente la faccia del partner, ma anche distoglierne lo sguardo a 90°, o monitorare il comportamento dell'interlocutore attraverso la visione periferica; in altre parole, così da poter instaurare, mantenere o interrompere la comunicazione faccia-a-faccia con un adulto. E ancora, la crescente capacità di focalizzazione a media distanza gli/le consente di coinvolgersi in scambi comunicativi che avvengono anche a una distanza conversazionale. Infine, in relazione alla percezione del volto, il nuovo focus di attenzione agli elementi interni (occhi, sopracciglia, bocca) e, soprattutto, ai movimenti di queste zone facciali, permette al lattante di raccogliere importanti indizi percettivi relativi agli altri esseri umani e alle loro espressioni e, quindi, di iniziare a poco a poco a riconoscerne le 94

LA TRANSIZIONE-CHIAVE DEL SECONDO MESE, LE ORIGINI DELL'INTERSOGGETTIVITA

emozioni e_gli stati affettivi. In tal senso, lo spostamento dell' attenzione del lattante sulle caratteristiche interne del volto umano è stata ipotizzata da Rochat e Striano (1999) come la variabile che controlla la comparsa e lo sviluppo dell'intersoggettività primaria, o di quel senso di esperienza condivisa che si sviluppa nel contesto diadico.

4.3 La comparsa del sorriso sociale La comparsa del sorriso sociale, cioè del sorriso suscitato da uno stimolo sociale quale il volto umano, entro la fine del secondo mese (Spitz, 1965; Wolff, 1963, 1987) rappresenta l'indicatore più chiaro e al tempo stesso più emozionante del passaggio dalla dominanza dei meccanismi adattivi endogeni a quella del controllo esogeno. Tuttavia, questa comparsa non è improwisa, non nasce da una completa assenza di sorriso esogeno (cioè di sorriso che emerge in risposta a una stimolazione esterna) contrapposta, come si potrebbe intuitivamente pensare, alla presenza del sorriso endogeno (vedi 3.2) che caratterizza particolarmente il periodo neonatale. Gli accurati studi sull'ontogenesi del sorriso condotti negli anni Cinquanta-Sessanta da Spitz, Wolff, e in seguito Emde, hanno minuziosamente documentato come fin dalla prima o dalla seconda settimana di vita, oltre al sorriso endogeno che emerge primariamente durante le fasi di sonno REM e di transizione dalla veglia al sonno, si possano manifestare forme precoci di sorriso esogeno. Queste forme di sorriso stimolato, chiamato anche "sorriso sociale precoce", compaiono in modo irregolare, in risposta a particolari stimolazioni di tipo tattile, uditivo, e visivo (specialmente in combinazione con stimolazione uditiva), con frequenza sempre maggiore nel corso delle prime 6-7 settimane di vita. In particolare, i primissimi sorrisi esogeni sembra possano essere suscitati da leggere stimolazioni tattili e cinestesiche (soffio sulla pelle, lieve dondolio del neonato) (Sroufe, 1995), mentre forme più frequenti di sorrisi stimolati compaiono entro la terza settimana di vita in risposta a stimoli uditivi sociali e non-sociali, ma specialmente alla voce umana che nella quarta settimana diviene la variabile critica per suscitare tali sorrisi, con un decremento della latenza fra l'anse! della stimolazione e il sorriso di risposta (Wolff, 1987). Entro le 5 settimane, però, non più la sola voce umana, ma la combinazione di voce e faccia (soprattutto se in semplice movimento, quale quello dell'annuire) appare lo stimolo più efficace per suscitare il sorriso nei piccoli. Sembrerebbe 95

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGEITIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

dunque che via via che il sorriso endogeno, che è innato e organizzato biologicamente, viene inibito, questa seconda forma di sorriso irregolare e ancora aspecifico emerga come risposta biologica alla stimolazione (Emde, 1991 ). Sebbene i dettagliati resoconti di Wolff si fermino alla quinta settimana, lo stesso Wolff (1987) indica che a partire dalla sesta settimana di vita i sorrisi esogeni sembrano trasformarsi da semplici risposte a complessi comportamenti che sottendono una nuova capacità cognitiva. Così, per esempio, all'udire una voce umana senza vedere una faccia il lattante di 6-8 settimane orienta il capo e lo sguardo per cercare la fonte del suono e sorride soltanto dopo aver stabilito un contatto visivo con una faccia. Non è necessario che la voce e la faccia appartengano alla medesima persona (per esempio, la madre può parlare al piccolo dall'altro lato della stanza e il lattante stabilire un contatto visivo con la faccia di un'altra persona familiare che gli/le è più vicina): è il semplice contatto visivo con il volto umano a suscitare il sorriso. Questo è un esempio di sorriso sociale, definito come risposta specifica alla "gestalt complessiva" del volto umano, che tuttavia emerge più comunemente nel contesto delle interazioni faccia-a-faccia con la madre o altri adulti significativi. Infatti, la combinazione dell'esposizione al volto umano con una voce familiare può facilitare la comparsa del sorriso sociale, anche se attorno ai 2 mesi il semplice contatto visivo con un volto che, a sua volta, guarda quello del lattante può elicitare, da solo, tale sorriso. È interessante osservare che nel periodo immediatamente precedente la comparsa del sorriso sociale le manifestazioni di sorriso esogeno precoce, che peraltro divengono più frequenti dopo il primo mese di vita, si incrementano considerevolmente e acquisiscono una connessione sempre più stretta con gli stati di attivazione del lattante. Durante le prime 6-8 settimane di vita, ossia fino alla comparsa del sorriso sociale, il sorriso esogeno sembrerebbe dunque caratterizzato da una "spinta maturazionale" (Emde, 1991) che mette in luce il ruolo dei processi biologici nel determinare il periodo di comparsa e la forma di base del sorriso sociale. L'evidenza più forte della base innata del sorriso sociale, che mostra come il sorriso sociale non possa essere una risposta imitativa al sorriso dell'altro essere umano, viene dall'osservazione del comportamento dei lattanti ciechi congeniti, che a 2 mesi sorridono alla voce umana e alla stimolazione tattile (Fraiberg, 1971); circa a quest'età i bambini ciechi iniziano anche a sorridere selettivamente al suono della voce materna, così come gli altri bambini

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LA TRANSIZIONE-CHIAVE DEL SECONDO MESE: LE ORJGINI DELL'INTERSOGGETTIVITÀ

diverranno selettivi nei loro sorrisi (dapprima rivolti indifferenziatamente verso qualsiasi faccia, poi selettivamente indirizzati ai volti familiari). Un'altra evidenza del carattere innato del sorriso sociale si osserva nel fatto che i bambini prematuri mostrano questo tipo di sorriso anche sensibilmente più tardi dei coetanei (calcolando I' età dalla nastita) nati a termine, perché necessitano dello stesso tempo di maturazione (circa 45-47 settimane dopo il concepimento) di questi ultimi (Adamson, 1995). La componente innata del sorriso sociale non basta, tuttavia, a spiegame l'effettiva comparsa, che necessita di una sostanziale disponibilità di stimoli sociali rivolti allattante, in particolare, di un contesto interattivo che favorisca l'instaurarsi del contatto visivo col volto umano (Lavelli, Fogel, 2005; Messinger, Fogel, 2007); né basta a spiegare come questo sorriso, che è inizialmente poco caratterizzato e non legato a uno specifico setting, possa rapidamente diventare una potente espressione comunicativa che nell'interazione faccia-a-faccia con l'adulto favorisce lo sviluppo e la condivisione di un'esperienza affettiva positiva. È dunque la possibilità di interazione con l'adulto e, specificamente, il ruolo di rispecchiamento e amplificazione svolto dall'adulto (Lavelli, Barachetti, Fogel, 2006; Lavelli, Fogel, 2002) che ci permette di capire questa importante trasformazione. Come vedremo anche più avanti (vedi paragrafo 4.5), avviene infatti frequentemente che quando il lattante emette i suoi primi sorrisi sociali, anche se questi sono ancora poco definiti e non chiaramente rivolti all'adulto, quest'ultimo tende ad accoglierli con grande entusiasmo; in particolare, a percepire ciascuno di questi sorrisi come atto significativo e ad agire in modo da riflettere questo significato allattante che a sua volta, attraverso l'interazione, inizia a sperimentare l'effettività dei suoi comportamenti. Dal momento della loro comparsa i sorrisi sociali del lattante diventano gradualmente più chiari e più specifici, e in numerose diadi madre-lattante (le differenze interdiadiche sono però notevoli) divengono presto parte integrante delle sequenze di scambio affettivo e di gioco nel contesto della comunicazione faccia-a-faccia. Soprattutto in questo particolare contesto, entro la fine del secondo mese, oltre al sorriso sociale il lattante appare in grado di produrre una ricca varietà di espressioni facciali e vocali (Lavelli, Fogel, 2005). Tra queste espressioni sono state particolarmente studiate le vocalizzazioni di affetto positivo, tra cui una specifica forma di suono simile al gorgheggio (il cooing, vedi 4.4 ), e i movimenti labiali di "prelinguaggio" (Trevarthen, 1979, 1993b). 97

l PR< :I'SSI DI SVILUPPO DEL!: ESPERIENZA INTERSOGGETIIVA NEL PRIMO ANNO DI VITA

mesi può usare il gesto di indicare non solo per chiedere o per condividere attenzione e interesse, ma anche per fornire all'altro un'informazione di cui ha bisogno. Questo suggerisce che già a un anno di vita il bambino può comprendere un'intenzione dell'altro in uno stato di bisogno- in questo caso, il fatto che all'altro manca un'informazione specifica per raggiungere il suo obiettivo - ed essere motivato ad aiutarlo. Complessivamente, l'uso dei gesti dichiarativi testimonia come, verso la fine del primo anno, il bambino sia motivato a condividere con l'altro attenzione e interesse in relazione a eventi del mondo esterno, e ricerchi attivamente l'esperienza intersoggettiva di confrontarsi con le emozioni e la prospettiva dell'altro verso tali eventi. Inoltre, testimonia come il bambino sia anche orientato a cooperare con l'altro in situazioni di piccole difficoltà.

7.6 !"formati" di attenzione condivisa e i primi sviluppi della comunicazione gestuale e linguistica Nel corso di questo capitolo abbiamo visto come verso la fine del primo anno l'esperienza intersoggettiva del bambino si realizzi principalmente nella condivisione dell'attenzione e della comunicazione con l'adulto su oggetti/eventi del mondo esterno. In questo periodo, la forte motivazione del bambino a condividere le sue esperienze di scoperta e di interesse per ciò che osserva e vive in rapporto all'ambiente circostante moltiplica le possibilità di attenzione condivisa non solo nell'ambito del gioco con gli oggetti e del gioco sociale strutturato (paragrafo 6.5), ma anche in quello delle routine giornaliere (come, per esempio, quella del pasto) e di diversi altri momenti di vita quotidiana. Inoltre, lo sviluppo della comunicazione intenzionale, in particolare dei gesti comunicativi, e della capacità di seguire lo sguardo e i gesti dell'altro arricchisce i "formati" (Bruner, 1983) di attenzione condivisa di nuove possibilità. Per esempio, nel contesto del gioco con gli oggetti, la comparsa del gesto di mostrare un oggetto all'adulto tenendolo con la mano rialzata, vocalizzando e guardando l'adulto negli occhi, stimola quest'ultimo a produrre un breve commento sull'oggetto o a dirne il nome; la comparsa dei gesti di offrire e dare facilita lo sviluppo del gioco del "dare e prendere" in cui, tipicamente, quando il bambino dà all'adulto un oggetto quest'ultimo scandisce la parola "Grazie", fa un'eventuale os206

DAI 9 AI 12 MESI: UNA SVOLTA NELI:ESPERIENZA INTERS(x;(;EHIVA ...

servazione che contiene il nome dell'oggetto e poi lo ridà al piccolo, che ripete l'atto nuovamente, in attesa della risposta ritualizzata e del commento dell'adulto, per un numero di turni che rivela un'instancabile motivazione a coinvolgersi in questo tipo di scambio. Infine, la comparsa del gesto di indicare rende effettiva la realizzazione del gioco del "Dov'è?", nel quale l'adulto chiede con una particolare enfasi espressiva "Dov'è ... ?" una persona o un animale/oggetto (per esempio, il papà, il micio) e il bambino deve indicare nella direzione corretta, oppure domanda "Dov'è ... ?" (seguito dal nome di uno dei familiari presenti) e il piccolo deve di volta in volta indicare o guardare la persona nominata. Questi nuovi "formati" di attenzione condivisa in cui la ritualizzazione e la ripetizione degli atti facilita l'espressione e la comprensione delle intenzioni comunicative rappresentano tutti anche preziose occasioni di apprendimento linguistico per il bambino. Complessivamente, il processo intersoggettivo di attenzione condivisa gioca un ruolo fondamentale per l'iniziale comprensione- e anche produzione- di atti di referenza linguistica (Baldwin, 1995; Bruner, 1983, 1999), perché il mantenimento di un focus di attenzione comune o, comunque, la possibilità del bambino di percepire prontamente qual è il focus di attenzione dell'adulto facilita sensibilmente la sua comprensione della referenza, cioè l'individuazione dell'oggetto al quale si riferisce la parola usata dall'adulto. Questo legame tra le interazioni focalizzate sull'attenzione condivisa tra bambino e adulto e lo sviluppo del linguaggio del bambino è stato dimostrato empiricamente da alcuni studi. In particolare, è stato mostrato che una consistente presenza di attenzione condivisa già nell'interazione spontanea con la madre a 6 e a 8 mesi tende ad associarsi a un più elevato livello di sviluppo linguistico del bambino a 24 mesi (Saxon, Colombo, Robinson, Frick, 2000); che la capacità del bambino di seguire la direzione dell'attenzione della madre o di un altro interlocutore nella seconda metà del primo anno può predire la sua comprensione di parole a 12 mesi (Silvén, 2001) e il successivo sviluppo del linguaggio a 18 mesi (Brooks, Meltzoff, 2005); che la quantità di tempo trascorsa in "formati" di attenzione condivisa con la madre tra gli 11 e i 13 mesi tende a correlarsi positivamente alla comprensione di parole tra gli 11 e i 15 mesi (Carpenter et al., 1998), così come il tempo di attenzione condivisa nel periodo tra i 12 e i 18 mesi a correlarsi con la dimensione del vocabolario del bambino a 18 mesi (Tomasello, Todd, 1983 ). Naturalmente, nel processo di sviluppo della comunicazione referenziale appare fondamentale il modo in cui l'adulto introduce nuove 207

l PROCESSI DI SVILUPPO DELL'ESPERIENZA INTERSOGGETT!VA NEL l'RIMO ANNO DI VITA

parole o nuovi segmenti di linguaggio nei "formati" di attenzione condivisa, perché può renderne effettivamente più facile, o più difficile, l'acquisizione da parte del bambino. Nello specifico, è stato trovato che la sensibilità- contrapposta all'intrusività- verbale della madre (Baumwell, Tamis-LeMonda, Bornstein, 1997), la capacità di offrire commenti contingenti al comportamento del piccolo (Rollins, 2003) anche quando quest'ultimo non mostra consapevolezza della partecipazione dell'adulto al suo focus di attenzione (Trautman, Rollins, 2006), e la capacità di sintonizzarsi con gli stati affettivi del bambino (Nicely, Tamis-LeMonda, Bornstein, 1999) nell'interazione con quest'ultimo a 9 mesi possono predirne la comprensione del linguaggio nel corso del secondo anno. In particolare, la capacità della madre di commentare verbalmente il focus di attenzione del bambino nell'ambito dei "formati" di attenzione condivisa che si sviluppano tra i 9 e i 12 mesi è stata evidenziata come elemento fondamentale per la comprensione del linguaggio a partire dagli ultimi mesi del primo anno (Carpenter et al., 1998), la produzione linguistica nei mesi successivi (Carpenter et al., 1998) e l'ampiezza del vocabolario a 18 mesi (Tornasello, Todd, 1983). Questa capacità di responsività verbale sugli oggetti che costituiscono il focus di attenzione del bambino - in altre parole, la capacità di parlare al piccolo di ciò che in quel momento gli interessa- rappresenta un elemento di qualità che segna le differenze individuali nel modo in cui le diadi madre-bambino instaurano e mantengono le in terazioni focalizzate sulla condivisione dell'attenzione (per esempio, le madri depresse tendono a coinvolgersi meno delle madri non depresse su un focus d'attenzione del bambino, Goldsmith, Rogoff, 1997; Raver, Leadbeater, 1995). Per il bambino è infatti particolarmente importante che l'adulto partecipi affettivamente, anche con commenti verbali, alle sue nuove esperienze di scoperta di oggetti/eventi dell' ambiente circostante. Abbiamo visto che nell'esperienza intersoggettiva che si sviluppa verso la fine del primo anno il bambino ricerca attivamente, attraverso l'uso dei gesti comunicativi, il punto di vista dell' altro sugli oggetti/eventi che attraggono la sua attenzione, e mostra grande soddisfazione quando l'adulto condivide la sua esperienza traducendo in parole ciò che egli vede e vive in relazione al mondo esterno. La sintonizzazione affettiva dell'adulto e la sua vcrbalizzazione dell'esperienza del bambino comunicano a quest'ultimo che l'adulto ha compreso ciò che sta provando, e vi partecipa con affetto; inoltre, consentono di commentare un evento che il piccolo non è in grado di 208

DAl 9 Al 12 MESL UNA SVOLTA NELL:ESPERIENZA INTERSOGGETTIVA ...

commentare da solo, e condividere significati che sono anche alla base dell'apprendimento linguistico del bambino (quest'ultimo può, per esempio, apprendere la parola che identifica l'oggetto d'interesse o l'azione vissuta). La condivisione di significati diviene spesso co-costruzione di significati nelle routine quotidiane e nei "formati" di gioco sociale che vedono protagonisti bambino e adulto (vedi paragrafo 6.5). Un bell'esempio di co-costruzione di significato nell'evoluzione del gioco del cucù ci è offerto dalle osservazioni di Bruner (1983) relative agli sviluppi del gioco della scomparsa-ricomparsa del clown di stoffa (vedi paragrafo 6.5) in una delle diadi madre-bambino da lui seguite. Bruner documenta che verso la fine del nono mese emerse una variante del gioco: la madre nascondeva dietro di sé un animale giocattolo e poi, durante l'interazione con il bambino, lo sorprendeva con un'improvvisa comparsa del giocattolo, segnata da un "Bu! ", a cui il piccolo rispondeva per la prima volta con un enunciato proprio, che manteneva costante nel significato di esprimere sorpresa eccitata per la comparsa. Dopo un altro mese, la madre iniziava a nascondere se stessa dietro una sedia, continuando a "marcare" le fasi della comparsa e della ricomparsa, rispettivamente, con un "Andato via!" e un "Bu! "; il bambino stava ad attendere divertito la sua ricomparsa, che salutava con il suo enunciato e gridolini di eccitazione, prima di distogliere lo sguardo. Dopo gli 11 mesi il bambino iniziò ad assumere il ruolo dell'agente nascondendo se stesso dietro la sedia, e a marcare la sua ricomparsa con un enunciato (un "Uuh!") molto simile al modello materno. Infine, prima di compiere i 12 mesi, quando uno dei ricercatori presenti si unì al gioco e poi scomparve, il piccolo gridò "Gone!" (''Andato via!"), testimoniando di aver imparato a condividere il significato dell'evento nella sua forma linguistica convenzionale. Questo esempio illustra come negli ultimi mesi del primo anno, nell'ambito di un "formato" di attenzione e azione condivisa, il bambino possa apprendere non solo un linguaggio deittico, ma anche forme linguistiche che divengono parte integrante del suo primo lessico, e modi convenzionali di procedere in un gioco, cioè convenzioni proprie della cultura di riferimento. Nello stesso periodo, una prima acquisizione di comportamenti culturali emerge con chiarezza anche dall'esperienza intersoggettiva che si sviluppa nelle routine giornaliere, quali quella del pasto, in cui il bambino condivide con l'adulto attenzione e intenzioni rispetto a oggetti e azioni proprie della cultura di riferimento, e impara a usare tali 209

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oggetti imitando le azioni del partner. Per esempio, un bambino di 12 mesi, dopo esser stato imboccato durante i pasti per alcune settimane, è in grado di usare il cucchiaio correttamente per prendere il cibo in autonomia. Al riguardo, è però interessante osservare che, quando la madre permette al bambino di tenere il cucchiaio con la sua manina, quest'ultimo tende a ricambiare il gesto materno dell'imboccare allungando il cucchiaio con il cibo verso la bocca della madre e aprendo la sua bocca proprio come la madre, inconsapevolmente, tende ad aprire la propria bocca quando allunga il cucchiaio con il cibo al bambino. Questo fenomeno di reciprocità, evidenziato da uno studio microanalitico di Bniten (1998b), suggerisce che anche l'apprendimento dell'uso degli oggetti si realizza nell'ambito di un processo circolare in cui la percezione partecipatoria (Bn1ten, 1998b) all'azione dell'altro invita a contraccambiare l'azione; in altre parole, nell'ambito della dinamica intersoggettiva di partecipazione all'esperienza dell'altro. In conclusione, negli ultimi mesi del primo anno di vita lo sviluppo cognitivo e la motivazione del bambino a partecipare all'esperienza dell' altro e a ricercare attivamente l'attenzione, le emozioni e i commenti dell'altro per condividere e arricchire la scoperta di oggetti/eventi del mondo esterno favoriscono l'affermarsi di una svolta "triadica" nello sviluppo dell'intersoggettività; una svolta, cioè, che include la prospettiva dell'altro nella relazione del bambino con l'ambiente circostante. E proprio quest'inclusione apre la possibilità di cooperare con l'altro nella creazione di un mondo di significati condivisi che è alla base dell' apprendimento culturale e linguistico del bambino.

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