TRAME 97831200080

Il presente volume raccoglie idee, spunti, progetti, soggetti, e abbozzi di sceneggiatura per film di lungo, medio e cor

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TRAME
 97831200080

Table of contents :
Il presente volume raccoglie idee, spunti, progetti, soggetti, e abbozzi di sceneggiatura per film di lungo, medio e corto metraggio. In ognuno dei quali è palese e manifesta la passione e l’interesse dell’autore per il rapporto tra sogno e realtà, tra vita cosciente e vita dell’inconscio, tra vita esteriore e vita intrapsichica, tra vita vissuta e vita immaginata. Soprattutto, emerge da questi scritti una concezione della storia come desiderio, memore e pregna della lezione di Mario Vargas Llosa (vd. il meraviglioso libello intitolato ELOGIO DELLA FINZIONE): leggiamo romanzi, guardiamo film, inventiamo storie, scriviamo libri e poesie, solo per poter vivere le molte vite che vorremmo quando non abbiamo a disposizione che la nostra e attuale; per rintracciare, dietro il mare degli eventi e il quotidiano commercio degli incontri, un senso. Una trama, appunto. Una scelta estetica e poetica, insomma, che si traduce immediatamente in presa-di-posizione filosofica.

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MANUEL OMAR TRISCARI Classe 1989, è stato archeologo nell’Università di Catania e nella Missione Archeologia Italiana di Atene; interprete nell’Ambasciata Cipriota in Roma; docente di discipline umanistiche nei licei. Attualmente vive e lavora in Torino. Opere maggiori: i saggi “Politica e propaganda nell’Atene periclea” (Aracne, Roma, 2019), “Dal testo all’immagine” (IperSegno, Pineto, 2020), e “Il tema della morte in Leopardi” (AltroMondo, Vicenza, 2020); le sillogi poetiche “Carnaio” (Robin, Torino, 2019), “Pelle di pantera” (Corpo11, Torino, 2020), “Odi a Muna” (Il Falò, Busto Arsizio, 2020), “Il catalogo delle donne” (Il Falò, Busto Arsizio, 2020), “Carne di donna” (PaperHill, Pineto, 2020), “El rey de la papaya” (Corpo11, Torino, 2020), e “Carnami” (Ensemble, Roma, 2020); le antologie “Congiunti” (Ensemble, Roma, 2020) e “Pioggia e lacrime” (SensoInVerso, Ravenna, 2020); la sceneggiatura “Pulp”.

€ 10.00

isbn 978-88-31200-08-0

Manuel Omar Triscari

Il presente volume raccoglie idee, spunti, progetti, soggetti, e abbozzi di sceneggiatura per film di medio, lungo e corto metraggio. Trame, appunto. In ognuna delle quali è palese e manifesta la passione e l’interesse dell’autore per il rapporto tra sogno e realtà, tra vita cosciente e vita dell’inconscio, tra vita esteriore e vita intrapsichica, tra vita vissuta e vita immaginata. Soprattutto, emerge da questi scritti una concezione di “storia come desiderio” memore e pregna della lezione di Mario Vargas Llosa: leggiamo romanzi, guardiamo film, inventiamo storie, scriviamo libri e poesie, solo per poter vivere le molte vite che vorremmo quando non abbiamo a disposizione che la nostra e attuale; per rintracciare, dietro il mare degli eventi e il quotidiano commercio degli incontri, una trama, un senso. Una scelta estetica e poetica, insomma, che si traduce immediatamente in presa-di-posizione filosofica.

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STORIE

Manuel Omar Triscari

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STORIE

Manuel Omar Triscari

TRAME

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ISBN: 978-88-31200-08-0

©

Corpo11, Torino, 2020 [email protected] +39·329·42·57·212

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INDICE

DEDICA EPIGRAFE PREAMBOLO LEMMOLOGICO LA RABBIA DOPPIOSOGNO SLEEPING BEAUTY PROSTRAZIONE LOOP SUSPENSURA METAMORPHOSEŌN: A BAD TRIP IL VELO D’ISIDE DREAMING BEAUTY POSSIBILE DECLINE OF THE WEST HOLD MY ATTENTION SKYFALL FLUO-DINAMIC CARNAIO THE WALLS WALLS EPISTHÉMES EPISTHÉMES 2 EPISTHÉMES 3 ON THE SUN THE RESERVOIR OF THE 12 FLYING HYENAS IL SOGNO DELLA VITA (LUCID DREAM) UNA STORIA DI VENDETTA (REVENGE FICTION) HYSTERIA COSMICA LA MALA VITA VISUM EPIGRAFE FINALE

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Agli amici Simone Capitini, Alice Fasano, Giovanni Giovinazzo, Salvo Nicosia, Antonio Oggianu, Martino Piano, e Timo Raffa.

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“Ho sempre preferito leggere un libro o guardare un film piuttosto che vivere. Nella vita non c’è trama.” Groucho Marx.

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“La tua forza tutta, ogni tua cura mettila nel creare. E all’opera aggavigna il tuo pensiero, nelle vicende della sorte, o della vita tua sul declino.” Konstantinos Kavafis UN’OMBRA FUGGITIVA DI PIACERE GIOVANI DI

SIDONE.

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PREAMBOLO LEMMOLOGICO LEMMOLOGIA SINÒPICA Applicando la griglia ermeneutica di Hjelmslev e distinguendo dunque tra sostanza e forma dell’espressione, approntiamo il seguente schema sinòpico, in base al quale la sinopia (= sinossi) di un film è così distinta: - Concetto: idea iniziale - Idea: idea cinematografica - Fabula: soggetto - Intreccio: scaletta - Metessia: concetto + idea - Trama: fabula + intreccio - Sinòpia = sinossi: metessia + trama - Sinòpico = sinottico Procedendo nella scrittura di un film, distingueremo dunque due parti, che sono sinòpia (sostanza della mimografia) e mimografia (forma della mimografia). La sinòpia è così composta: 1) Metessia: a) Concetto (= sostanza della metessia) b) Idea (= forma della metessia) 2) Trama a) Fabula (= sostanza della trama) b) Intreccio (= forma della trama). LEMMOLOGIA INERENTE LE - mimo = attore - mìmico, mimesco, mimàrio = attoriale - mimologia = teoria della recitazione - mimare = recitare - mimia = (arte della) recitazione - mimologia = discorso intorno alla recitazione LEMMOLOGIA GRÀFICA - scenografia = sceneggiatura - mimesia = imitazione e rappresentazione, fiction o μίμησις - mimèsico = attinente la mimesia - mimesiografia = sceneggiatura - mimesiologia = studio e teoria della mimesia 13

LEMMOLOGIA FÌLMICA - filme = film - filmico = attinente il filme - filmare = girare un film - filmologia = teoria del cinema - filmografia = atto e risultato del girare un filme

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LA RABBIA * CAPITOLO PRIMO Torino. Giorni nostri. Estate. È notte. E la notte è cupa e ventosa. Gli alberi stormiscono. Un ululato stanco e cupo. Una luna gigantesca e rossa si nasconde tra le foglie. Sotto le foglie un viale alberato e molto ampio, attorniato da eleganti e signorili palazzi settecenteschi. Lungo il viale una folta siepe. Dietro la siepe un uomo incappucciato e vestito in nero. Corporatura snella. Una macchina sfreccia rombando lungo la strada. Un uomo e una donna escono dal palazzo di fronte alla siepe. L’uomo indossa un completo blu con cravatta e soprabito lungo fino al ginocchio. La donna è bionda e porta smaglianti gioielli al collo e agli orecchi ed è anch’ella vestita di blu. L’uomo vestito di nero esce dalla siepe e si dirige verso la coppia con passo svelto e nervoso. La coppia svolta l’angolo. L’uomo con il cappuccio si dirige verso il portone d’ingresso. Entra un attimo prima che questo si chiuda. Poi s’introduce con atteggiamento furtivo nell’androne del palazzo. Una volta dentro chiude silenziosamente la porta e toglie il cappuccio. Dimostra non più di vent’anni e ha tratti somatici arabici. Sulla nuca, sotto l’attaccatura dei capelli, il cappuccio calato lascia intravvedere un tatuaggio con un nome in caratteri arabici: Omar. Omar sale le scale con passo felpato rasentando il muro della tromba delle scale. Viso rivolto verso l’alto. Scruta il vuoto per assicurarsi che nessuno lo veda. Arriva al terzo piano. Si ferma davanti alla porta recante i cognomi Salvemini-Santagati. Estrae dalla tasca dei pantaloni uno strumento da scasso. In pochi secondi è dentro. Richiude velocemente la porta dopo aver gettato un ultima occhiata sul pianerottolo per sincerarsi che nessuno lo abbia seguito o visto. Poi si volta e mira al corridoio. È buio. Omar lo percorre muovendosi con molta sicurezza e 15

schivando gli ostacoli. Si trova infine davanti a una porta socchiusa. Avvicina il volto alla fessura e osserva. Dentro la camera due corpi dormono abbracciati su un letto. Omar sospinge con accortezza e delicatezza la porta e si ritrova dentro la camera. Si avvicina alla parte sinistra del letto. Si china. Osserva il volto della donna che vi è distesa. La donna ha capelli castani chiari ed è molto bella. Omar resta fermo ad osservarla per alcuni secondi. Poi socchiude gli occhi e si alza. Si dirige dall’altra parte del letto. Ora è in piedi davanti all’altro corpo. Estrae una pistola dalla tasca dei pantaloni e si accovaccia sul corpo. Porta la rivoltella vicino al volto dell’uomo ma tergiversa. È indeciso e titubante. Sospira. Suda. Trema. Poi allontana la pistola. Sospira nuovamente. Strizza gli occhi. Avvicina di nuovo l’arma al volto dell’uomo. Fa scattare la sicura. Scarrella. Il rumore desta l’uomo. L’uomo apre gli occhi. Sgrana e digrigna gli occhi. Torce la bocca. Non proferisce parola. Allarmato. Omar impugna la pistola con entrambe le mani. La stringe forte. Suda. Sudore. Madore gli gronda dalla fronte rivolando sul collo e sulle guance glabre. Fa cenno all’uomo di alzarsi dal letto. L’uomo si alza e si ferma in piedi davanti a Omar. Omar gli fa cenno di precederlo. Escono dalla camera. Omar tiene la pistola saldamente puntata alle spalle dell’uomo Giungono in salotto. Omar fa cenno all’uomo di sedersi s’una poltrona. L’uomo siede tenendo gli occhi fissi sulla pistola. Anche lui è madido di sudore e trema. Distende le braccia sui braccioli della poltrona e serra le mani all’estremità di questi. I due si guardano per alcuni secondi. Muti. Senza parlare. Entrambi ansimano. OMAR: ”Sei Taddeo Salvemini?”. L’uomo in poltrona annuisce. OMAR: ”Sai perchè sono qui.”. TADDEO: ”Chi sei?”. OMAR: ”Mi chiamo Omar.”. Taddeo annuisce. Con sguardo di terrore. OMAR: ”Rimembra i tuoi peccati.”.

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Omar spara. Poi stringe e strabuzza gli occhi. Guarda la pistola ancora fumante. Guarda in terra. Il sangue raccogliersi in una pozza. Sul pavimento. Ai piedi dell’uomo. Solleva gli occhi e vede l’uomo privo di vita con un foro in testa. La faccia pencolante e reclinata. Rimane pietrificato davanti la scena. Poi un urlo lo scuote dal torpore. Omar si ridesta e riprende il controllo di sè. Stringe ancora l’arma e la punta verso l’ingresso del salotto. Una donna in piedi guarda con disperazione la scena. Afferrandosi la testa tra le mani e soffocando in gola un urlo di terrore. Omar le intima di fare silenzio. La donna terrorizzata chiude la bocca e serra le labbra. I due si fissano. Poi Omar solleva l’arma e la punta contro di lei. La donna urla “NO” e scappa in corridoio. Omar la insegue e spara nel vuoto buio del corridoio. Un tonfo sordo. Omar accende la luce e guarda in terra il corpo prono e ansimante della donna. Omar si avvicina. La donna si volta. Ha volto di terrore panico. Omar è su di lei. Le punta la pistola alla faccia e le chiede il nome. Lei piange e geme. OMAR: ”Tu non c’entri niente, non è colpa tua. Mi dispiace.”. ILARIA: ”Ti prego: non farlo.”. Omar spara. Di nuovo. E improvvisamente. Le froge spalancate palpitano con affanno. Omar esce dalla casa. Buio fuori. Languono i lampioni. Le strade bagnate e infangate. Omar imbocca un vicolo oscuro. Un uomo di corporatura snella, vestito di nero e con un cappuccio in testa aspetta nascosto dietro una siepe lungo un viale molto ampio, attorniato di eleganti e signorili palazzi settecenteschi. La notte è ventosa e gli alberi stormiscono un ululato stanco e cupo; una luna gigantesca e rossa si nasconde tra le foglie; una macchina sfreccia rombando lungo la strada. Un uomo e una donna di bell’aspetto, sulla quarantina, escono da uno dei palazzi di fronte del viale: l’uomo indossa un completo blu con cravatta e soprabito lungo fino al ginocchio, la donna è bionda e porta smaglianti gioielli al collo e agli orecchi ed è anch’ella vestita di blu. L’uomo vestito di nero esce dalla siepe e si dirige verso la coppia con passo svelto 17

e nervoso. la coppia svolta l’angolo mentre l’uomo con il cappuccio si dirige verso il portone d’ingresso e un attimo prima che questo si chiuda lo blocca e si introduce con atteggiamento furtivo nell’abitato. Una volta entrato chiude silenziosamente la porta e toglie il cappuccio: dimostra 20 anni di età, ha tratti somatici africani arabici e sulla nuca, sotto l’attaccatura dei capelli, il cappuccio calato lascia intravvedere un tatuaggio con caratteri arabi recante un nome: Omar. Omar sale le scale con passo felpato rasentando il muro della tromba delle scale; con il viso rivolto verso l’alto scruta il vuoto per assicurarsi che nessuno possa vederlo. Arrivato al terzo piano, si ferma davanti una porta recante i cognomi Salvemini-Santagati ed estrae dalla tasca dei pantaloni uno strumento da scassinatore. In pochi secondi è dentro e richiude prontamente la porta dopo aver gettato un ultima occhiata sul pianerottolo per sincerarsi che nessuno lo abbia seguito o visto. Si volta e mira al corridoio buio; lo percorre muovendosi con molta sicurezza e schivando gli ostacoli. Si trova infine davanti a una porta socchiusa; avvicina il volto alla fessura e osserva. Dentro la camera due corpi dormono abbracciati su un letto. Omar sospinge con accortezza e delicatezza la porta e si ritrova dentro la camera; si avvicina alla parte sinistra del letto e si china verso il basso a osservare il volto della donna che vi è distesa: ha capelli castani chiari ed è molto bella; Omar la osserva per alcuni secondi; poi socchiude gli occhi e si alza; si dirige dall’altra parte del letto; è in piedi davanti all’altro corpo; estrae una pistola dalla tasca dei pantaloni e si accovaccia sul corpo, che è di un uomo; porta la rivoltella vicino al volto dell’uomo ma tergiversa; ha un fare indeciso e titubante; sospira; allontana la pistola; sospira nuovamente; infine strizza gli occhi, avvicina di nuovo l’arma al volto dell’uomo e fa scattare la sicura. Il rumore dello scatto sveglia l’uomo che aprendo gli occhi vede una pistola a pochi centimetri dagli occhi; è immobile, impietrito, sgrana leggermente gli occhi, torce la bocca, non proferisce parola. Omar impugna la pistola con entrambe le mani e la stringe forte; sudore gli rivola 18

dal collo; fa cenno all’uomo di alzarsi dal letto; l’uomo si alza e si ferma in piedi davanti a Omar; Omar si mette di lato e gli fa cenno di precederlo; escono dalla camera; Omar tiene la pistola saldamente puntata alle spalle dell’uomo; escono dalla camera; alle loro spalle, la donna continua a dormire. Omar fa cenno all’uomo di accomodarsi su una poltrona; l’uomo si siede, tenendo gli occhi fissi sulla pistola; è madido di sudore e trema; distende le braccia sui braccioli della poltrona e serra le mani all’estremità di questi. i due si guardano per alcuni secondi; senza parlare; ansimano; sudano fortemente; poi Omar chiede: ”Sei Taddeo Salvemini?”; l’uomo in poltrona risponde ”Sì” e Omar ribatte dicendo ”Allora sai quello che voglio”; Taddeo chiede: ”chi sei?” e Omar prontamente risponde: ”mi chiamo Omar” e poi domanda: ”sai perchè sono qui?”; Taddeo annuisce con sguardo di terrore; a questo punto Omar spara un colpo, poi stringe e strabuzza gli occhi, poi guarda la pistola ancora fumante, poi guarda in terra e vede una pozza di sangue raccogliersi sul pavimento ai piedi dell’uomo in poltrona, poi solleva gli occhi e vede l’uomo privo di vita con un foro in testa e la faccia pencolante reclinata oltre lo schienale della poltrona; Omar rimane pietrificato davanti la scena, e osserva per diversi secondi il cadavere finchè un urlo non lo scuote dal torpore; allora si ridesta e riprende il controllo di sè, stringe ancora l’arma e la punta verso l’ingresso del salotto dove una donna in piedi guarda con disperazione la scena, afferrandosi la testa tra le mani e soffocando in gola un urlo di terrore e rabbia; subito Omar le intima di fare silenzio e la donna terrorizzata chiude la bocca, serra le labbra; passano un istante a guardarsi, poi Omar solleva l’arma e la punta contro di lei, la donna urla ”NO” e scappa in corridoio; Omar esce dal salotto e spara nel vuoto; si ode un tonfo sordo di un corpo umano che cade; Omar accende la luce e vede in terra, a pochi metri da lui, il corpo prono e ansimante della donna caduta in terra dopo aver urtato un mobile del corridoio; si avvicina; la donna si volta, ha del sangue sul volto che le gronda dalla fronte per la recente caduta; il volto esprime terrore e panico; Omar è su di lei, le punta la 19

pistola e le chiede il nome; lei non riesce a rispondere e inizia a piangere; Omar ripone la domanda; lei geme un ”Ilaria” e Omar risponde: ”tu non c’entri niente, non è colpa tua”; lei: ”ti prego, no” e un primo piano estremo riprende la linea dello sguardo di Ilaria in preda alla ripugnanza per la fine atroce che sta subendo; Omar spara; si sente un secondo tonfo; Omar chiude gli occhi. * CAPITOLO SECONDO Per intere settimane Omar pedina Taddeo al fine di scoprirne movimenti e abitudini. Le scene ritraggono un Omar alquanto povero e un Taddeo benestante sfrecciare su una lussuosa auto nera sicchè il movente dell’omicidio sembra quello della rapina. Taddeo ha infatti una bella vita, è un’esponente di spicco di un noto partito politico, è ricco e ha una bella moglie, Ilaria, conosciuta al liceo e divenuta compagna della vita; la sua condotta morale e coniugale sembra irreprensibile. Omar, invece, fuma e spaccia canapa per sopravvivere, non disdegna l’alcool, ascolta i Public Enemy, legge Bukowski, non ha famiglia e vive solo in uno dei quartieri più sordidi di Torino, e ogni giorno si reca in ospedale a tenere compagnia alla fidanzata, ricoverata con evidenti traumi da percosse. * CAPITOLO TERZO Estate di due anni prima: Omar e Jamila si conoscono e subito intrecciano una strettissima relazione amorosa, resa forte e sicura dalla miseria delle loro difficili esistenze. Jamila, di origine e tratti somatici prettamente camitici, vive una situazione familiare alquanto precaria: il padre non c’è mai stato, la mamma è una già prostituta alcolizzata, il fratello un tossicodipendente sull’orlo del baratro che Omar prova ad aiutare 20

procurandogli lavoretti saltuari che il giovane sistematicamente perde per negligenza, e lei lavora come cameriera in un ristorante. Eppure il loro legame sembra indissolubile: ogni giorno lei attende con trepidante attesa che il fidanzato la passi a prendere alla fine del turno di lavoro; e ogni giorno, puntualmente, alle 17.00, Omar si trova davanti al locale dove lavora Jamila, in attesa che la ragazza esca dal posto di lavoro, per passare insieme il resto della giornata: fanno una passeggiata in motorino, bevono una birra e fumano qualche sigaretta sul ponte Mosca, cenano insieme, fanno l’amore. Omar e Jamila sono felici. * CAPITOLO QUARTO Un giorno, dopo il lavoro, Jamila e Omar fanno una escursione in motorino fino a Superga. Stesi sul prato si confessano parole d’amore. Al ritorno dalla gita comprano pizze e patatine fritte, e ritornano verso casa per cenare e guardare un film insieme. Mentre cenano, Jamila viene raggiunta al telefono da un uomo che (a giudicare dal tono della conversazione) sembra avere una certa confidenza con la ragazza e le propone un appuntamento. Jamila rifiuta con esitazione e indecisione. Omar le chiede la ragione di quella chiamata ma Jamila si mostra palesemente elusiva. Omar va su tutte le furie. Jamila prova a giustificarsi spiegando di non avere potere sulle azioni degli altri. Omar chiede il motivo per cui quell’uomo sia in possesso del numero telefonico di lei. Jamila si arrende e racconta, singhiozzante, di avere conosciuto Marco (l’uomo della telefonata) durante le ore lavorative, di essere stata attratta e traviata dalla cortesia e dalla ostentata ricchezza dell’uomo, che l’aveva fatta oggetto di attenzioni e lusinghe mai ricevute prima, e di aver ceduto alle sue richieste concedendogli il suo numero telefonico. Omar continua a inveirle contro dandole della puttana, e, cieco dalla rabbia, strattona e schiaffeggia la fidanzata la quale

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esce rabbiosa di casa sbattendo con violenza la porta della soffitta di Omar. Uscita da casa, Jamila passeggia per l’equivoche e pericolose viuzze poco illuminate della zona di porta Palazzo. Mentre cammina viene avvicinata da una grossa auto nera che le offre un passaggio: Jamila accetta e sale. In macchina Taddeo, che si mostra gentilissimo e comprensivo e offre alla ragazza un drink. Poi i due risalgono in macchina e Taddeo svolta per una zona isolata, nei pressi del cimitero monumentale. Arrestata la macchina in uno spiazzo buio, stupra Jamila. Dopo la violenza Taddeo scarica Jamila per terra, l’abbandona sull’asfalto del parcheggio, e fugge via. LA ragazza viene soccorsa soltanto l’indomani mattina: un netturbino la ritrova esanime sullo sterro. Quando il fidanzato la raggiunge in ospedale, lei lo abbraccia, si scusa, racconta di essere stata stuprata provocando forti sensi di colpa nel ragazzo, ma mente e non confessa di aver accettato l’invito dello sconosciuto prima di venir dallo stesso violata. * DIDASCALIA FINALE “TU

SEI PER ME LA RABBIA

il tuo volto è la mia luna, il tuo corpo è la mia notte, il tuo sorriso le mie stelle, e tu, tu sei la mia rabbia. Tu sei la mia nostalgia e il mio desiderio, sei la mia libertà di saperti viva, sei la mia sofferenza di saperti tangibile, sei il mio scorno di saperti inaccessibile, nel momento stesso in cui ti afferro, mio giglio in mutande.

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Finchè vivi, e vivo, non esiste pena più grande fuorchè sapere che tu esista, e possa soffrire. Tu sei per me la rabbia.” Manuel Omar Triscari.

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DOPPIOSOGNO * Un uomo guarda l’orologio. L’orologio segna le 18,20 ma è già buio poichè è inverno. L’aria è livida e soffia un vento forte. L’uomo sembra essere in aspettanza, fumando una sigaretta. d’improvviso scorge una donna a circa 50 metri di distanza, guarda di nuovo l’orologio e poi guarda di nuovo la donna, guarda davanti a sè e guarda ancora la donna, la segue per qualche secondo con lo sguardo mentre lei cammina incepiscando leggermente claudicante sul marciapiede della sponda opposta della strada. L’uomo getta il mozzicone, e inizia a seguire la donna: la scruta e sempre tenendosi a debita distanza. Lei è una donna sui 50 ma il volto è molto segnato dalle rughe, piuttosto trasandata, indossa un vecchio pastrano scuro e gualcito che ne l’avvolge completamente. L’uomo le va incontro, il viso e gli occhi di lui assumono una espressione di stupore e impotenza, mentre cammina nella sua direzione, prima lentamente, poi sempre più velocemente, poi correndo. Quando la raggiunge, lei gli sorride in un modo stralunato che pare inumano e divino, lui le sorride altrettanto beatamente e felicemente, l’abbraccia, le tocca il viso e i capelli, le stringe le mani, le dice quanto le sia mancata, l’abbraccia ancora e lei fa lo stesso; ma, mentre i corpi sono stretti e le teste incrociate, l’uomo nota con disappunto e meraviglia, che il cielo non è più nero e cupo come prima, ma ora luminoso e azzurro, e anche l’aria attorno non è più livida e fredda ma vi è un dolce tepore e una soave quiete che muove ogni cosa. Poi, di colpo ripiomba nel nero della realtà, e si avvede di aver solo fantasticato. Quando si ridesta, la donna si è allontanata: lui inizia a camminare per raggiungerla, le va incontro e, mentre copre il tratto che lo separa dalla donna, trema e accende una sigaretta; infine la raggiunge; la donna reca in mano due borse gonfie e stracolme con vivande (una per ciascuna mano). L’uomo è colpito dal particolare della spazzola di una scopa che svetta dalla borsa sinistra e che presenta setole nerissime proprio come i capelli della donna: fissa 25

le setole della scopa e guarda in viso la donna che porta una frangetta fin sugli occhi; poi guarda di nuovo la scopa e infine compone col viso un espressione di disgusto. Le dice: “Che ti sei fatta in testa.”, “E dove?” domanda lei, “In testa.” dice lui “I capelli.” Aggiungendo, “Oh... è solo una frangetta: non credi che mi stia bene?” chiede lei, “Sembri una cretina.” dice lui, “Scusami.” dice lei. Lui continua a guardarla fisso con uno sguardo molto duro e resoluto, prende nelle proprie mani le borse sottraendo il carico alla donna, e le dice con espressione e tono seriosi e gravidi “Non avresti dovuto portare tutto da sola.”. L’uomo si carica le borse e prosegue. La donna lo prende sotto braccio e lo stringe. I due inceodno mentre non smettono di rimirarsi, lei con dolcezza, lui con durezza e impassibilità, durante la micro-eternità di un attimo dilatato e infinito, così rapido e veloce che sembra immobile, mentre il tempo è così pesante e denso e viscoso che quasi non conta nulla. “Una volta era tutta campagna qui.” dice lui in tono quasi arrabbiato. “Non sai quanto ti ho aspettato.” Dice lei. L’uomo si sveglia in spasmi e sudori in un letto, è sconvolto e madido in viso, ansimante in petto, tremante le membra. Accende la luce del comodino, posa gli occhi sul ritratto della donna con cui aveva un attimo prima parlato.

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SLEEPING BEAUTY * METESSIA. la trama si fonda s’un impianto narrativo costituito da due situazioni parallele che in apparenza procedono su binari separati ma che sono in realtà intimamente connesse e sotterraneamente intrecciate, come lo svolgimento della trama nonchè lo scioglimento e la didascalia finali gradualmente disvelano e confermano. Le due situazioni corrispondono ad altrettante azioni sviluppate mediante due piani-sequenza continui che si intersecano tramite montaggio incrociato: il primo è ambientato in interno e insegue dal basso verso l’alto e dai piedi fino al volto le sinuosità di un corpo in quiescenza di donna camitica molto scura; il secondo segue e ritrae l’azione di corsa di un uomo, la cui figura si staglia contro un tramonto dai colori molto accesi e ipersaturati in senso espressionistico. Entrambe le figure sono giovani: la donna è molto giovane, ha tratti camitici fortemente marcati ma molto aggraziati e dimostra 20 anni; l’uomo, bianco adulto, dimostra 30 anni. La descrizione di entrambe le situazioni avviene in maniera progressiva e scalare, dunque non attraverso fotogrammi statici e quadri fissi ma tramite una sequenza diegetica continua e ininterrotta che, nel primo caso, scarrella sui vari segmenti anatomici della donna, mentre nel secondo ritrae il dinamismo dell’azione di corsa della figura maschile in un flusso dinamico e graduale. Tutto il filme è giocato e basato su opposizioni binarie: il bianco e il nero, il sonno e la veglia, la realtà e il sogno. Dalla rappresentazione e dallo svolgimento delle due situazioni nonchè dal loro intersecarsi non emerge una chiave interpretativa chiara e definitiva: anzi, il piano della realtà e quello del sogno sono così compenetrati ed esattamente speculari da risultare inscindibili, in ossequio al motto la vida es sueňo di Calderon de la Barca: la definizione di sogno e realtà e di veglia e sonno, dipende solo dalla parte del discrimine nella quale ci si 27

situa: qualsiasi cosa accade è, nel momento in cui accade, realtà immanente per il soggetto epistemologico che la filtra (come vuole la dottina dell’homo mensura protagoreo) sicchè un film, un sogno, una bugia, un pensiero, un’allucinazione, una menzogna, un viaggio di LSD o altri acidi, qualsiasi cosa venga registrata dall’individuo senziente che è soggetto della gnosia, è reale nel momento della sua percezione. La melodia di sottofondo, caratterizzata da un crescendo tensoriale molto progressive, sottolinea e rimarca il crescendo dinamico delle immagini e delle scene, che trovano il proprio compimento e il proprio senso ultimo solo nel culmine della scena finale. Fonti: per la figura della donna dormiente avevo in mente come modello la donna su altare immortalata nel film IL MISSIONARIO di (minuto 1,10,40). Per la scena dell’uomo che corre pensavo, durante la scrittura, al dinamismo delle figure del video musicale della canzone ABRASIVE dei Ratatat. Per il tramonto, l’atmosfera e il tono generale della scena, al tramonto raffigurato nel film ARIZONA DREAM di Emir Kusturiza (non trovo il minuto esatto e non ho voglia di passarmi in rassegna 144 minuti di film terribilmente pesanti, ma puoi fartene un’idea guardando la foto che fa da sfondo alla locandina del film e al video della canzone IN THE DEATH CAR di Iggy Pop e Goran Bregovic, colonna sonora del filme) e al quadro LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA di Salvador Dalì. TRAMA. 1. Apertura sul quadro in primissimo piano statico delle dita dei piedi della donna, che si muovono leggermente sgranchendosi e stiracchiandosi. Segue breve carrello sulla monta del piede fino alle caviglie mentre l’inquadratura si è intanto progressivamente slargata a comprendere nel proprio campo visivo l’intera forma dei piedi, adagiati su un campo bianco stropicciato (come lenzuola) e ripresi mentre, quasi immobili, s’inarcano e sfregano flebilmente l’uno contro l’altro, nell’impercettibile movenza del risveglio. 2. Stacco e primo piano dei piedi calzati di una figura maschile che avanza correndo sullo sfondo di uno scenario 28

onirico, fortemente saturato e caratterizzato in senso espressionistico. Stacco. 3. Carrellata sugli arti inferiori della nostra Venere Nera: muovendo dalle caviglie, la macchina risale percorrendone le gambe, poi ne tratteggia le ginocchia e infine ne inquadra le cosce giungendo al limitare del pube, coperto da un lembo di lenzuolo. Degli arti inferiori, il sinistro è quasi completamente disteso e coperto dal lenzuolo mentre il destro è leggermente piegato conferendo al corpo una postura inclinata sul fianco e lievemente prona. La macchina è posizionata in primo piano fisso e un po’ più distaccato e ampio rispetto al primissimo piano della scena precedente 1. 4. Stacco sul moto dell’uomo in corsa e carrellata dalle gambe fino al ventre. 5. Stacco sul corpo della donna: la camera incede lentamente sui fianchi della donna, quasi si arresta sull’ombelico, poi accelera e passa velocemente sull’addome quasi glissando e scartando con brusco movimento laterale si dirige verso la spalla destra, all’altezza della quale rallenta di nuovo. L’obbiettivo, che intanto si è gradatamente stretto in un primissimo piano, è ora focalizzato sulla spalla destra e da qui continua la sua carrellata seguendo le morbide volute disegnate dagli arti superiori che si incrociano: dalla spalla destra discende lungo l’omero destro percorrendo il braccio e l’avambraccio, che sono piegati ad angolo retto a coprire il seno, e li insegue fino alla mano destra, intrecciata al braccio sinistro, di cui si vede solo il bicipite poichè l’avambraccio e la mano si perdono sotto il cuscino celandosi così alla vista. 6. Stacco e ripresa della azione di corsa della figura maschile con carrello dal tronco fino al collo. 7. Stacco sul corpo della donna: la ripresa ora traghetta l’occhio e trasporta l’attenzione dello spettatore sul volto, mollemente e placidamente abbandonato nell’atto di dormire, con un’espressione serena e assorta; a questo punto l’obbiettivo si stringe ancora fissandosi sul dettaglio della bocca arcuata in un sorriso appena accennato.

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8. Stacco sulla bocca dell’uomo in corsa: la linea delle labbra prima si increspa in un’espressione dubbia a metà tra il digrignamento per lo sforzo fisico dovuto alla corsa e il ghigno beffardo, e poi si scioglie un sorriso che, inizialmente solo accennato, si trasforma via via in un’espressione sempre più accentuata di gioia. L’inquadratura è smossa dal moto sussultorio conferito alla figura e dunque alla scena dall’azione della corsa. stacco. 9. La macchina si arresta, in primissimo piano, sulle palpebre della donna, che, irrequiete e frementi, sussultano debolmente come quando si sogna. 10. didascalia finale: “we love as we dream - alone: while the dream disappears the life continues painfully.”.

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PROSTRAZIONE * 1. STUPRO. Interno, camera da letto, mattino. un uomo giace disteso sulla banda destra del letto dormendo sdraiato sul fianco destro. si sveglia, si gira sul fianco opposto del corpo e mette la mano sul corpo ancora dormiente della donna che giace accanto a lui sdraiata sul fianco sinistro del corpo e sulla banda sinistra del letto; entrambi i corpi coperti da un leggero lenzuolo. l’uomo inizia a palpeggiare il culo della donna, prima delicatamente poi con sempre maggiore insistenza e morbosità, poi toglie il lenzuolo che li copre entrambi: lui è in mutande e canottiera, lei indossa una sottana. l’uomo scopre il corpo della donna sollevandone la sottoveste, estrae il cazzo dalle mutande, e comincia a darle colpetti sul culo con la punta dell’uccello. la donna si sveglia ma finge di dormire, ha un’espressione atterrita in viso; l’uomo diventa sempre più insistente: le scosta le mutande e cerca di penetrarla; lei si oppone ma lui le monta addosso. inizio a preparare la colazione chiede lei con tono pauroso e deferente e accento marcatamente meridionale, colazione un cazzo: non posso riempirmi se prima non mi svuoto risponde lui con accento marcatamente settentrionale insistendo per penetrarla, no ti prego: mi fa ancora male dice lei, aprile cazzo dice lui, ti prego lei, ti prego un cazzo lurida maledetta troia: ho voglia di scopare quindi apri ‘ste cazzo di gambe troia di merda e fatti scopare lui. Lei inizia a piangere, lui riesce infine a penetrarla e inizia un rapporto sessuale molto violento, brutta puttana ti spacco, ti squarcio, ti ammazzo continua a ripetere lui mentre lei non smette di piangere, ti piace nel culo chiede lui, no nel culo no: ti prego, ma lui non sente ragioni, non ammette obiezioni e non le da scampo: la costringe a un rapporto anale, la penetra, lei urla di dolore e disperazione mentre intanto cerca invano di allontanarlo, lui si inferocisce e la colpisce ripetutamente prima al volto con uno schiaffo poi alla schiena con un pugno e infine alla testa con un altro pugno, lei tramortita 31

abbandona ogni tentativo di resistenza e si abbandona alla ferocia dell’uomo che con sguardo indiavolato e voce feroce le urla sei mia moglie. la donna ha un espressione terrorizzata. oi lui eiacula, le si adagia sopra e dopo pochi secondi rotola via ritornando sul lato destro del letto, ansima, si rilassa e si pulisce con il lenzuolo. la donna rimane distesa immobile in posizione prona sul letto affondando la faccia nel cuscino e piange sommessamente. una macchia rossa sporca il lenzuolo all’altezza dei fianchi di lei. adesso puoi andare a preparare la colazione le dice lui: la donna si alza dal letto, si reca al bagno (attiguo e interno alla camera da letto) e chiude la porta alle proprie spalle mentre l’uomo prende a vestirsi: apre l’armadio ed estrae una camicia azzurra; dietro la porta del bagno risuonano rumori di acqua che scorre e dello scarico del cesso; poco dopo la donna esce dal bagno e dalla camera da letto. 2. COLAZIONE. Interno, cucina, mattino. in cucina, la donna è intenta a preparare la colazione, porta in tavola un piatto e rimane in prossimità del piano di cottura in attesa che esca il caffè. l’uomo intanto entra in cucina, vestito con divisa da poliziotto, e chiede alla donna dov’è il dopobarba, la donna non risponde, lui ripete la domanda, lei tremante confessa con un flebile sibilo di voce di avere dimenticato di comprarlo, lui dice ma come hai fatto a dimenticarlo? stai in casa tutto il giorno a guardare il televisore e parlare al telefono mentre io mi rompo il culo fuori casa per almeno otto ore al giorno, devi solo cucinare, fare la spesa e pulire e non riesci a fare nemmeno questo. non hai proprio voglia di fare un cazzo. d’altronde c’è da aspettarselo quando ci si sposa una terrona del cazzo come te: sei una scansafatiche come tutti i tuoi simili. gente di merda. popolo del cazzo, lei dice scusa, lui dice stai attenta, il caffè sta uscendo! con tono di voce molto alto e aggiunge rischia di buttarsi tutto fuori con tono aggressivo e intimidatorio; scusa ripete lei, spegne il fornello, versa il caffè in due tazzine e ne serve una al marito; scusa scusa scusa: sai dire solo scusa dice lui e aggiunge non sei manco capace a preparare una colazione decente: o ti dimentichi del caffè, o lo fai bruciare o 32

lo fai uscire tutto fuori... guarda: che cazzo è ‘sto pane così bruciato? ti dimentichi di fare la spesa o non compri qualcosa, non sai stirare, fai comunque qualche cazzata. fai sempre qualche cazzata, anzi, sai che ti dico: fai solo cazzate. sarebbe meglio che non facessi nulla. e in più non ti va mai di scopare. io mi faccio un culo così tutto il giorno e tu te ne stai a casa stravaccata comodamente sul divano tutto il giorno a commiserarti per la tua mancanza di spina dorsale e nonostante ciò riesci comunque combinare qualche casino e fare stronzate. pensi sia facile là fuori per me? io devo fare i conti tutti i giorni con ladri, spacciatori, rapinatori, scippatori, marocchini e negri di merda e devo lottare quotidianamente e tu invece stai in poltrona a non fare un emerito cazzo, boiafaus. e passi le giornate a sfogliare quelle tue riviste del cazzo e a parlare al telefono con quella grassona di tua madre o cosa cazzo fai. e in più, come se tutto questo non bastasse, ti rifiuti anche di darmela. siete tutte troie al vostro paese e venite qua a fare le sante. so che non è facile dice lei mentre prende la tazzina del caffè tenendola in mano senza sorbirlo, e allora perchè non vuoi darmela chiede lui con tono minaccio e urlando, lei non risponde, lui continua a sbraitare confusamente dicendo quello che non capisco è perchè non vuoi darmela, manco ce l’avessi d’oro, sei solo una puttana, come tutte, tutte della stessa risma, dove vedete un cazzo sbavate, magari appena me ne vado ti fai scopare da quattro negri insieme, e a sera non hai più la forza di aprire le gambe perchè ti sei già fatta rompere eh?. lei, con le lacrime agli occhi e gli occhi rossi e gonfi di rabbia e disperazione e rassegnazione, dice non dire così, non offendermi, perchè mi offendi?, non è giusto, io non ti ho fatto niente, e cerco di non farti mancare niente, anche se non sono perfetta, ma ti voglio bene, non parlarmi male, non parlarmi così ti prego, non scopo con nessun altro; in quel momento l’uomo, fuori di sè, urla non permetterti nemmeno di pronunciare quella parola se non è riferita a me, non osare, non dire quella parola se non è riferita a me, lurida troia puttana bocchinara e nello stesso momento la colpisce a mano aperta in faccia; la donna barcolla e vacilla, sbatte la 33

testa contro uno sportello della cucina, si piega in avanti ma riesce a rimanere in piedi, mentre la tazzina del caffè che teneva in mano cade e si frantuma in terra; lei subito si reca fuori dalla cucina tornando con della carta asciuga-tutto con cui tampona il bagnato nonchè con una scopa e una paletta con cui raccoglie i pezzi di ceramica sparsi sul pavimento che getta e riversa nel secchio della spazzatura; a questo punto ripone gli utensili nello sgabuzzino e scompare in camera da letto. l’uomo finisce di asciolvere, sugge il caffè, che schifo di caffè: è bruciato: sa di carbone - porcodio - che merda dice imprecando, poi sparecchia ed esce dalla cucina. 3. PESTAGGIO. camera da letto. l’uomo si reca al bagno, chiudendo la porta alle proprie spalle: dalla porta promanano i rumori dell’acqua che scorre, dello spazzolino elettrico che si aziona e dello scarico del cesso. la donna è ora distesa sul letto, coperta fino alla testa dal lenzuolo. l’uomo le si avvicina e la scopre sollevando con violenza e arroganza il lenzuolo; la donna è coricata distesa prona con la faccia sprofondata nel cuscino; se hai un altro ti ammazzo le dice; lei non risponde e non si muove minimamente; hai capito chiede lui; lei annuisce muovendo la testa; devi rispondere. sai parlare, no? allora parla puttana del cazzo; lei non risponde: trema; lui le cinge il collo con entrambe le mani, le solleva la testa e gliela strattona violentemente facendogliela sbattere ripetutamente contro il muro e percuotendogliela poi con schiaffi e pugni, infine lascia la presa, le molla un calcio sulla schiena, le sputa addosso con disprezzo ed esce dalla camera, ti faccio ingoiare la mia merda, brutta zoccola le dice. la donna rimane silente e immobile per alcuni minuti, fissando il vuoto con sguardo catatonico. non reagisce.

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LOOP * 1) un uomo in cappotto entra in un aeroporto e attraversando l’atrio e si reca al bar interno. 1b) si siede a un tavolo, ammicca il cameriere e ordina un drink, lo sorbisce con calma e mentre beve guarda attraverso le grandi vetrate della hall oltre le quali si stende la pista di atterraggio e, con lo sguardo fisso nel vuoto fuori, si perde nella visione ipnotica dell’andirivieni del traffico aereo e nel monotono viavai degli aerei che partono e arrivano, atterrano e decollano, e, assorto come se fosse in uno stato di trance, cade in una sorta di sogno. 2) immagina di trovarsi nel proprio letto nel momento in cui la sua donna lo sveglia dicendogli che la colazione è pronta. 2b) lui si alza, si guarda allo specchio, è una bellissima mattinata d’estate, calda e assolata, l’aria è tiepida e calma, lui si reca in cucina dove la donna che prima lo aveva svegliato lo attende seduta davanti a una finestra fumando una sigaretta e contemplando, con lo sguardo assorto, gli aerei che decollano dal vicino aeroporto che si staglia in lontananza al di là della finestra. 2c) lui si siede accanto a lei, accende una sigaretta, le poggia una mano sulla coscia, lei si volta verso di lui e gli sorride in modo bellissimo e dolce, poi entrambi rivolgono lo sguardo fuori e l’uomo viene completamente assorbito da quella visione magnetica e si perde in una fantasticheria. 3) immagina di entrare nell’atrio di un aeroporto, ha un cappotto addosso, entra nell’aeroporto, attraversa la hall e si ferma davanti al bar dell’aeroporto, si siede a un tavolo, ammicca il cameriere e ordina un drink, lo sorbisce con calma. guarda fuori nel vuoto attraverso le grandi vetrate oltre cui si stende la pista di atterraggio e il suo sguardo si perde in quella visione, assorto come se fosse in uno stato di trance, e, mentre se ne sta così sente il proprio nome aleggiare nell’aria, ha un aria stravolta e stralunata, come un pazzo o un ubriaco, ma la 35

voce diventa sempre più insistente, così capisce che il suo nome è ripetuto dall’altoparlante dell’aeroporto, allora si dirige di corsa verso l’imbarco ma, quando arriva al gate, l’aereo è appena decollato e sta già rollando. uno stewart e una hostess di terra lo raggiungono e lo avvicinano con fare molto cortese. 3b) i due assistenti di terra lo accompagnano verso una zona isolata dell’aeroporto e lo conducono davanti a una porta invitandolo a entrare. 3c) l’uomo in cappotto entra in un ufficio dove una bianca pinguedine tarchiata in colletto bianco e cravattino troppo stretto gli rivolge alcune domande. va bene: partirà col prossimo aereo. ma questa volta stia più attento e faccia in modo di presentarsi puntuale all’imbarco dice il funzionario dell’aeroporto. certo, grazie risponde l’uomo col cappotto. poi si volta ed esce dall’ufficio. 4) ripercorre in direzione opposta la diagonale che attraverso l’atrio dell’aeroporto lo porta al bar e si siede a un tavolino. ordina un drink, e mentre beve guarda fuori dalle grandi vetrate dell’aeroporto e fissa il planare ipnotico degli aerei, lo sguardo assorto in quella visione magnetica, ed entra di nuovo in un sorta di sogno. 5) durante il sogno si ripete la scena 2 e 3a, in sequenza accelerata. 5b) i due assistenti di terra lo accompagnano dentro lo stesso ufficio di prima. 5c) nell’ufficio l’uomo col cappotto incontra nuovamente l’uomo dal colletto bianco, il quale appare visibilmente spazientito. bene, speravo che non ci saremmo mai più rivisti. avrei preferito che non ci fossimo mai più rivisti. questa cosa è molto spiacevole. dice l’uomo dal colletto bianco, già dice l’uomo col cappotto. bene, partirà con il prossimo volo dice l’uomo dal colletto bianco in stato di evidente alterazione. 6) l’uomo col cappotto si volta senza dire niente e ritorna al bar. 6b) al bar si siede e ordina un altro drink, lo beve con calma e ricade nella stessa fantasticheria della scena 2 e 3a.

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6c) a un certo punto sente una voce che gli rimbomba in testa ripetendo il suo nome: ridestandosi ed uscendo dal sogno, capisce che il suo nome non viene pronunciato da una voce immaginaria nella sua testa ma è ripetuto dall’altoparlante dell’aeroporto, allora si dirige di corsa verso l’imbarco ma, quando arriva al gate, l’aereo è appena decollato e sta già rollando. 7) i due assistenti di terra lo raggiungono, seriosi e foschi: l’uomo ha il suo stesso volto, l’hostess ha lo stesso volto della donna della scena 2. 8) didascalia finale: “I sogni ad occhi aperti sono notturni balli in maschera in pieno giorno.” Arthur Schnitzler DOPPIO SOGNO.

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SUSPENSURA * INTRECCIO ESTERNO, CORTILE. 1) quadro statico con primo piano a figura intera di un uomo in cappotto (uguale alla figura di Toni Servillo nel filme 5 È IL NUMERO PERFETTO), in piedi, gambe leggermente divaricate, busto rigido e perfettamente dritto, sguardo truce e atroce e pistola in mano spianata e puntata di fronte a se. 2) quadro statico del mezzobusto di Toniservillo nella stessa positura e nello stesso atteggiamento della scena precedente, con pistola in primo piano e busto in secondo piano distanziato. 3) quadro fisso con primissimo piano della canna della pistola, primo piano della mano che impugna l’arma e secondo piano distanziato del mezzobusto di Torniservillo. 4) panoramica verticale dal basso verso l’alto di Toniservillo: l’inquadratura parte dai piedi e sale slargandosi gradualmente e progressivamente con zoom-in allontanamento per arrestarsi all’altezza della pistola e comprendere nel proprio campo visivo la pistola, in primissimo piano, e il busto o mezzobusto dell’uomo in secondo piano esattamente come nella scena 3. 5) travelling orizzontale: la cinepresa, con movimento circolare e scarto laterale, ruota a destra di 360 gradi, ma sbandando leggermente sul proprio asse, e, ruotando, offre una panoramica della scenografia e sfuma in una soggettiva attenuatissima e realizzata senza tagli che inquadra il punto speculare posto sulla stessa retta su cui è situato il punto osservazione di Toniservillo. 6) di fronte a Toniservillo un altro uomo (lo chiameremo Tortellino), anche lui in completo (nero) e cappotto, abbigliamento tipico da mafioso, postura eretta, rigida e immobile, mani stese lungo i fianchi, senza pistola. sguardo spaventato. 7) primo piano della linea degli occhi di Toniservillo, goccioline di sudore che imperlano il viso. Toniservillo 39

chiude gli occhi e li strizza e in sottofondo si sente il rumore di uno sparo. 8) descrizione analitica, dettagliatissima e iperrealistica di tutte le fasi del meccanismo di esplosione del colpo: pressione del dito sul grilletto e conseguente ritrazione del grilletto; scatto del percussore; accensione dell’innesco; combustione della carica di lancio; espansione dei gassi; proiezione-lancio della pallottola; rinculo con conseguente arretramento del carrello; espulsione del bossolo e fuoriuscita del proiettile dal cannello; soggettiva della traiettoria disegnata dal proiettile nell’aria; impatto con il corpo del secondo uomo. esplosione di luce bianco-gialla. 9) dissolvenza progressiva della luce bianco-gialla della scena precedente nel primo piano della linea degli occhi di Toniservillo che, ancora contratti, si aprono e rimangono sbarrati. 10) stesso travelling di scena 5 con inquadratura del Tortellino ancora immobile e vivo. 11) didascalia finale: a) “Se siamo autorizzati a essere mostri, finiamo poi per avere un unico desiderio: essere davvero mostri.” Paolo Sorrentino THIS MUST BE THE PLACE

oppure b) “Sometimes you’ve got to kill 4 or 5 thousand men before you somehow get to believe that the sparrow is immortal, money is piss and that you have been wasting your time.” Charles Bukowski MAN IN THE SUN.

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METAMORPHOSEŌN A BAD TRIP

* IDEA. il video, ambientato in una dimensione palesemente onirica e ostentatamente psichedelica, è costituito da una sequenza d’immagini analogiche in successione continua e priva di stacchi. le immagini, ordinate secondo un criterio analogico e dunque collegate e tenute insieme da un filo conduttore basato sul principio dell’isotopia e non già s’un principio di coerenza logica benchè il rapporto tra le scene non sia certamente a-logico pur risultando chiaramente non-logico, trafigurano l’una nell’altra senza tagli, illustrate dalle parole di un testo in 4 parti recitato da una voce narrante. immagini e parole sono infine commentate dalle note di una melodia di accompagnamento in sottofondo costante per tutta la durata del video. la melodia, amalgamando e armonizzando le immagini tra loro ed enfatizzandole, riempiendo i silenzi e le pause della voce narrante e inoltre colmando i vuoti lasciati dalle parole, funge da cerniera tra le diverse immagini e tra le immagini e le parole. per quanto riguarda il titolo, tre proposte: 1) METAMORPHOSEŌN che, ispirato ai METAMORPHOSEŌN LIBRI XI di Apuleio (la cui traduzione è GLI UNDICI LIBRI DELLE METAMORFOSI), significa, letteralmente, . 2) diversamente, si potrebbe optare per BAD TRIP e così conferire un’impronta ancora più sociale-politica al prodotto. 3) METAMORPHOSEŌN: A BAD TRIP, soluzione (la mia preferita) che unisce il potere esplicativo del sottotitolo al potere evocativo del titolo: in questo modo se al dominio del titolo spetterebbe il compito di suggerire, alludere ed evocare la dimensione onirica dell’opera, il sottotitolo assumerebbe il ruolo d’indicatore ermeneutico ed assolverebbe così il compito di dichiarare scopi e fini dell’opera e orientare in un senso preciso l’interpretazione.

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INTRECCIO. 1) primo piano dei tentacoli di una medusa. i tentacoli e l’intero corpo della medusa sono di un bianco ceruleo (o blu latteo, se riesci a immaginare un blu latteo o un bianco ceruleo) elettrico e quasi fluo. la medusa fluttua in un mare dal blu molto intenso e profondo, il cui colore tende allo scuro in profondità (cioè sfuma in un blu più chiaro o meno cupo a una estremità del quadro e in un blu più cupo e scuro all’altra estremità del quadro: vd. foto allegata) e a iscurirsi nel tempo (cioè progressivamente nel periodo della rappresentazione). l’atmosfera è paradossalmente molto , accogliente e confortevole. gradualmente l’occhio si avvicina all’esombrella della medusa al cui interno si vede un feto dormiente. 2) il feto apre gli occhi, digrigna la bocca in un urlo sordo e afono e inizia a sciogliersi colando fuori dalla medusa attraverso i tentacoli. la bocca del feto potrebbe essere piena di sangue (nel sangue io vedo una interessante simbologia di nascita e morte insieme) e denti aguzzi, rotti e sporchi di sangue (perché la genesi, di qualsiasi tipo, è una separazione feroce, è qualcosa che viene dilaniato, staccato da qualcos’altro). 3) i tentacoli si trasformano in un grappolo di sanguisughe anguiformi il cui viluppo compone l’immagine di un cervello. 4) la matassa del cervello-sanguisuga si allenta e le sanguisughe si allungano trasformandosi in spermatozoi che iniziano a piovere-precipitare in caduta libera dentro uno spazio vuoto affondando infine in un mare del colore del vino e del sangue dove guizzano impazziti. 5) il mare inizia allora ad agitarsi e turbinare e, turbato da una corrente fortissima, si trasforma in un torrenziale effluvio di liquido che volteggia vorticoso nell’alvo di una placenta. 6) la placenta si buca (o scoppia) e ne fuoriesce un nugolo sciamante di aculei che si librano in un ambiente acromatico, monodimensionale, inconsistente, impalpabile e intangibile, del tutto simile a una indefinita nube lattiginosa screziata solo, di tanto in tanto, d’anodine strisce argentee e nimbata da una diffusa luminosità abbacinante in cui non si distingue nessuna forma.

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7) in questa nube le uniche forme che si distinguono sono quelle di una moltitudine infinita di fiori: gli aculei scendono allora in picchiata e si posano sui fiori scomparendo appena entrano in contatto con questi. la camera inquadra allora i fiori e mostra che non sono semplici fiori ma fiori occhiuti e del tutto simili, nella struttura (e nel funzionamento), a una pianta Dionaea Muscipula: i bulbi oculari sono incastonati dentro palpebre uguali ai ventagli delle foglie della Dionaea Muscipula costituite da due lobi-lembi terminanti in affusolati denti-ariste che costituiscono le ciglia del fiore-occhio, il quale possiede una particolare facoltà manducatoria e precipua che si esplica solo nei confronti delle immagini comprese nel suo campo visivo e non già nei confronti della carne: quando una figura si pone tra il fiore-occhio e la fonte di luce che rende visibile la figura, questo (il fiore-occhio) ne cattura l’immagine e la ingoia facendola scomparire (o, meglio, rendendola invisibile). 8) quando la cinepresa inquadra il fiore-occhio questo la ingoia, la digerisce e l’assimila alla propria linfa: la tele-camera inizia allora a scorrere dentro le venature e le nervature della pianta fluendo fino alle sue radici. 9) le radici non sono semplici radici ma neri bracci di una tentacolare ragnatela-rete trombo-tubolare che avvolge una massa tumorale-cancerosa tumescente. 10) la radice-rete è interessata da un perpetuo processo di riproduzione-moltiplicazione in virtù del quale sempre nuovi bracci-liane si diramano dagli altri segmenti della rete-radice (un po’ come nel video del rifacimento di ENJOY THE SILENCE dei Depeche Mode diretto da Uwe Flade) che imbriglia la massa-tumore e la scompone e divide in caselle-tasselli-scaglie di un mosaico epiteliale. 11) quando l’inquadratura si allarga, si scopre che le scaglie-caselle-tasselli non sono semplici pezzi del mosaico ma sono le finestre, illuminate da una luce abbagliante, di un mostruoso palazzo in stile brutalista che occupa tutto il quadro visivo dando l’impressione di essere infinito. 12) didascalia finale: “text based on A BAD TRIP by Charles Bukowski.”. 43

TESTO. LSD, DMT, STP: it can take a man permanently out of his mind – but so can picking beets, or turning bolts for GM, or washing dishes. the whole social structure – marriage, the war, bus service, slaughterhouses, beekeeping, surgery, anything you can name. anything can drive men mad because society is built on false stilts. but, basically, most bad trips are caused by the individual being trained and poisoned beforehand by society itself. if a man is worried about rent, car payments, time-clocks, college education, girlfriends, the opinion of his neighbor, an LSD tablet will most probably drive him mad because, in a sense, he is already insane and only borne along on social and dull hammers that render him insensible to any individualistic thinking. a trip calls for a man who has not yet been caged, who has not yet been fucked by the big Fear that makes all society go. an LSD trip will show you things which no rules cover. grass only makes the present society more bearable; LSD is another society within itself. if you are socially orientated, you can probably mark lsd off as an ”hallucinogenic drug”, but hallucination, the definition of it, depends upon which pole you are operating from. whatever is happening to you at the time it is happening does become the reality – it can be a movie, a dream. only lies are imposed later: what happens, happens. hallucination is only a dictionary word and a social stilt. ALL the parts fit the whole. whatever a man sees is real. exploration never ends. it is not LSD that causes the bad trip – it was your mother, your President, the little girl next door, it was working in a factory for ten years and getting fired because you were five minutes late. a bad trip? this whole country, this whole world is on a bad trip, friend. but they’ll arrest you for swallowing a tablet. well, I’ve got this old National Geographic and the pages shine like something’s really happening. of course, it’s not. it’s yours.

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IL VELO D’ISIDE * IDEA. la domanda che lo spettatore e il fruitore dell’opera deve porsi, alla fine della visione del filme, è questa: se esista una sola e unica realtà e come possa essere detta e comunicata e rivelata, se la realtà sia necessariamente quella che si vede, se il piano delle intenzioni e della fantasia e quello dei fatti non abbiano pari dignità e diritto di cittadinanza nel regno della realtà che potrebbe (dovrebbe) contenere tutte le parti, sia quelle concrete sia quelle ipotetiche, sia quelle immaginate e immaginarie: in IL VELO D’ISIDE è in questione la possibilità di dire l’esperienza di una vita e il significato di un’esperienza. ¿se il linguaggio e le parole appartengono alla luce della razionalità cosciente e consapevole, come è possibile dire ciò che al linguaggio raziocinante si sottrae e si spinge oltre i confini della ragione: la fantasia, le intenzioni, i desideri, le sconfitte? il significato delle parole non può che essere arbitrario e falso come approssimativo e incerto il confine tra realtà e immaginazione. tutto quello che vediamo è deverso da come lo nominiamo e descriviamo. la realtà è qualcosa che rimane incomprensibile e dunque indicibile. nel momento stesso in cui diciamo una cosa o nominiamo una realtà, noi stiamo eludendone la verità. o, meglio, la verità elude noi, ci aggira e raggira. come può d’altronde la lingua tradurre alla coscienza l’oscurità dell’animo umano? con Conrad, rispondiamo che “è impossibile, impossibile comunicare ad altri quel che proviamo dentro di noi in un momento qualsiasi della nostra vita, ciò che ne costituisce la verità, il significato, la sua sottile e penetrante essenza. Impossibile.” [CUORE DI TENEBRA] sicchè non ci resta che disarticolare realtà e linguaggio e così, scollando parole e cose, scoprire che la verità è solo un mero trucco verbale. solo fessurando, intaccando, destrutturando il rapporto tra linguaggio e realtà, mostrando i buchi e le crepe della parola, gli strappi del suo tessuto, solo andando oltre la verità possiamo rinvenire la cosa, 45

o almeno un barlume di cosa, e vedere ciò che le parole non riescono a dire. e quello che le parole non riescono a dire è un connubio inscindibile di realtà e finzione, un coacervo indistinguibile di sogni e verità, un viluppo indivisibile di fatti e desideri e intenzioni. come in Conrad, “to make darkness visible”: è questo ciò a cui ambisce IL VELO D’ISIDE: vedere non soltanto le cose che sono già visibili in quanto illuminate dalla luce del senso comune, ma anche quelle che, collocandosi fuori dal senso comune, rimangono invisibili. IL VELO D’ISIDE vuole comunicare che il significato (della realtà e della vita) non sta all’interno del guscio come un gheriglio, ma fuori, e avvolge il racconto che lo genera e da cui è generato come un bagliore genera una zona d’ombra intorno a sè, al modo degli aloni nebulosi che rendono talvolta visibile la luminescenza spettrale della luna. alla soglia del conscio e dell’inconscio, la narrazione che contraddistingue IL VELO D’ISIDE si sforza di portare alla luce delle parole l’oscurità di ciò che non è (ancora) parola. “to make darkness visible as darkness”: mostrare la tenebra come tenebra. e questo è possibile solo decostruendo il linguaggio cinematografico, filmico e diegetico per lasciare filtrare in esso il buio che ne sta al di fuori. sbirciando oltre il bordo del linguaggio e oltre la linea d’ombra della realtà, dove verità e fatti e cose e sogno e desiderio si mischiano, noi guarderemo, insieme agli anti-eroi de IL VELO D’ISIDE , nel fondo di un abisso dove non splende mai il sole, rinvenendo quella darkness che è il rimosso della nostra coscienza. un rimosso che solo il silenzio può comunicare. FABULA. 13 Maggio 2020, ore 08,00: il motopeschereccio Antonello Da Messina issa a bordo una boa alla deriva nelle acque di San Vito Lo Capo: il fatto lascia perplesso il capitano Filippo Barberi che, rientrando in porto e interrogandosi sul significato e la provenienza di quella boa, fa il computo delle navi in porto accorgendosi che all’appello manca la Nuova Iside. nessuno l’ha incrociata, nessuno l’ha avvistata, nessuno ne ha notizia: la nave pare scomparsa nel nulla. 46

iniziano le ricerche: a pochi chilometri dalla costa, e a circa 14 miglia a nord di Capo Gallo, nelle acque antistanti l’isola di Ustica, vengono rinvenuti tre corpi: sono i corpi di Matteo Lo Iacono, sui cinquant’anni, Giuseppe Lo Iacono e Vito Lo Iacono, entrambi intorno ai 35, rispettivamente nipote e figlio di Matteo, tutti e tre membri dell’equipaggio della Nuova Iside. l’identificazione avviene sul molo del porto di Terrasini, dove i corpi vengono trasportati dal motopesca Tranquilla. stranamente, il corpo di Matteo viene rinvenuto con una pesante tuta addosso, mentre il cugino Giuseppe completamente nudo. più tardi le motovedette della Guardia costiera recupereranno alcune attrezzature del natante scomparso: un palangaro e un’ancora, ritrovati nelle acque dell’isola delle Femmine. dalla constatazione che nessun SOS da parte della Nuova Iside è stato registrato, partono le indagini. il commissario Montalbano inizia a raccogliere indizi, fatti e testimonianze. dai tabulati telefonici scopre che alle 22,33 del 12 maggio, la moglie di Giuseppe Lo Iacono manda un messaggio

al marito, messaggio correttamente ricevuto e recepito dal dispositivo mobile, come le due spunte blu suggeriscono; che, solo 20 minuti dopo, alle 22,53, il messaggio inviato a Vito Lo Iacono dalla compagna di quest’ultimo non viene ricevuto; che il blue-box, che doveva mandare un segnale satellitare alle 23, non ha inviato il segnale. Tutto ciò lascia pensare che la Nuova Iside sia scomparsa tra le 22,33 e le 23,00 del 12 maggio, e che l’incidente che ha portato all’inabissamento dell’imbarcazione possa ragionevolmente essersi verificato nel lasso di tempo tra le 22,33 e le 22,53. ma che cosa è successo in questo lasso di tempo? l’ipotesi del maltempo sembra essere da escludere, in base agli indizi raccolti: gli ultimi messaggi scambiati con la famiglia e risalenti alle 22,30 non erano messaggi di preoccupazione per il cattivo tempo e fino a quel momento la situazione a bordo era tranquilla; le condizioni meteorologiche sarebbero peggiorate a metà mattinata del giorno successivo, ma i pescatori hanno ritrovato la boa della Nuova Iside alle 8 di mattina; la testimonianza da parte di Titta Caruso, un pescatore 47

collega e conoscente di Matteo Lo Iacono, che riferisce di aver ricevuto una telefonata da Matteo Lo Iacono la mattina del 13 di maggio è smentita dallo stesso Caruso che corregge la prima versione sostituendo la prima deposizione con una seconda in cui asserisce che la telefonata in questione era intercorsa il 12 maggio e non il 13; i corpi che sono stati ritrovati non indossavano i giubbotti di salvataggio, come se la tragedia sia avvenuta in un attimo, circostanza questa inspiegabile se fosse vera l’ipotesi del naufragio; nessun mayday è stato lanciato dalla Nuova Iside, nessun segnale automatico di richiesta di soccorso che in questi casi può essere lanciato mediante un pulsante presente sulla nave che era modernissima e nessuna richiesta di aiuto tramite il canale 16 che, come la gente di mare sa, è la frequenza delle emergenze in mare; inoltre il capitano Matteo Lo Iacono aveva trascorso una vita in mare aperto e, marinaio molto esperto, era soprannominato Tempesta per la capacità che aveva di navigare anche in condizioni meteo non favorevoli, grazie all’esperienza acquisita nei decenni passati a navigare. Tutti elementi che portano il commissario Montalbano ad escludere e liquidare l’ipotesi del naufragio per condizioni metereologiche avverse. le ipotesi più accreditate rimangono un’onda anomala, molto improbabile in quello specchio di mare, o uno scontro con un’altra imbarcazione. l’intuito suggerisce a Montalbano di seguire questa seconda pista e per metterla alla prova inizia ad analizzare i tragitti in mare nella zona di afferenza della Nuova Iside, a dieci miglia nautiche dalla costa di San Vito Lo Capo, tramite Marine Traffic, arrivando ad un’inquietante conclusione: una nave da guerra americana sarebbe passata intorno alle 22,50 del 12 di Maggio proprio dove si trovava la Nuova Iside a quell’ora, lungo la rotta di ritorno per Terrasini, e avrebbe rallentato notevolmente proprio intorno a quell’ora. il mistero si infittisce allorchè i tabulati dedotti da Marine Traffic scompaiono dai registri informatici della compagnia e le indagini del commissario ostacolate con tentativi di manomissione delle prove e insabbiamento che alla fine lo sviano dalla soluzione. la

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verità rimane sommersa e le indagini si perdono nel nulla, troncate da un mistero più grande del commissario. la scena finale vede Montalbano aggirarsi di notte tra le carene, le carcasse e i relitti del porto di S. V. Lo Capo mentre una voce narrante lo accompagna recitando il seguente monologo finale: le storie dei marinai sono di una semplicità assoluta, e il loro significato può stare tutto intero nel guscio di una noce. ma questa non è la solita storia di mare né il solito fatto di costa. to make darkness visible as darkness... se esiste una sola e unica realtà, se la realtà è necessariamente quella che si vede, perchè è così difficile comunicarla e rivelarla? o forse hanno, il piano della fantasia e quello dei fatti, pari dignità e diritto di cittadinanza nel regno della realtà che contiene tutte le parti, quelle veramente concrete, quelle ipotetiche e quelle meramente immaginate, immaginate e immaginarie? ma, se il linguaggio e le parole appartengono alla luce della razionalità cosciente e consapevole, come è possibile dire ciò che al linguaggio raziocinante si sottrae e si spinge oltre i confini della ragione: la fantasia, le intenzioni, i desideri, le sconfitte? il significato delle parole non può che essere arbitrario e falso come approssimativo e incerto il confine tra realtà e immaginazione. tutto quello che vediamo è deverso da come lo nominiamo e descriviamo. la realtà è qualcosa che rimane incomprensibile e dunque indicibile. nel momento stesso in cui diciamo una cosa o nominiamo una realtà, noi stiamo eludendone la verità. o, meglio, la verità elude noi, ci aggira e raggira. come può d’altronde la lingua tradurre alla coscienza l’oscurità dell’animo umano? è impossibile, impossibile comunicare ad altri quel che proviamo dentro di noi in un momento qualsiasi della nostra vita - ciò che ne costituisce la verità, il significato - la sua sottile e penetrante essenza. impossibile. non ci resta che disarticolare realtà e linguaggio e così, scollando parole e cose, scoprire che la verità è solo un mero trucco verbale. to make darkness visible as darkness... solo fessurando, intaccando, destrutturando il rapporto tra linguaggio e realtà, mostrando i buchi e le crepe della parola, gli strappi del suo tessuto, solo andando oltre la verità 49

possiamo rinvenire la cosa, o almeno un barlume di cosa, e vedere ciò che le parole non riescono a dire. e quello che le parole non riescono a dire è un connubio inscindibile di realtà e finzione, un coacervo indistinguibile di sogni e verità, un viluppo indivisibile di fatti e desideri e intenzioni. il significato non sta all’interno del guscio come un gheriglio, ma fuori, e avvolge il racconto che lo genera e da cui è generato come un bagliore genera una zona d’ombra intorno a sè, al modo degli aloni nebulosi che rendono talvolta visibile la luminescenza spettrale della luna. alla soglia del conscio e dell’inconscio, il lavorio della realtà sulla fantasia si sforza di portare alla luce delle parole l’oscurità di ciò che non è (ancora) parola. to make darkness visible as darkness: mostrare la tenebra come tenebra. e questo è possibile solo sbirciando oltre il bordo del linguaggio e oltre la linea d’ombra della realtà, dove verità e fatti e cose e sogno e desiderio si mischiano, nel fondo di un abisso dove non splende mai il sole, rinvenendo il rimosso della nostra coscienza, che solo il silenzio può comunicare. vedere la tenebra per quello che è. to make darkness visible as darkness... i fatti che stanno di fronte a noi - spesso abbaglianti, ben visibili, vividi, chiari - come la schiuma sulle distese marine sono in realtà solo un’increspatura alla superficie di un enigma impenetrabile, di un mistero insondabile. il significato di un episodio non sta all’interno come un gheriglio ma fuori, e avvolge il racconto che lo mette in risalto solo come una luminescenza mette in evidenza una nebbia, non diversamente da uno di quegli aloni brumosi che a volte vengono resi visibili dalla illuminazione spettrale del chiaro di luna. la vita è un enigma più grande di quello che molti di noi pensano. come la natura, anche la verità ama fare le bizze e nascondersi.

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FONTI https:..www.inews24.it.2020.06.02.nuova-iside-navescomparsa-palermo. https:..www.lasicilia.it.news.palermo.342176.naufragionuova-iside-due-morti-e-una-tesi-choc-e-statosperonato.html https:..palermo-24h.com.terrasini-ritrovato-palangarodella-nuova-iside-nessuna-traccia-vito-iacono. https:..www.partinicolive.it.2020.05.16.terrasini-corpoavvistato-al-largo-di-ustica-forse-e-un-altro-membrodel-nuova-iside. https:..palermo.repubblica.it.cronaca.2020.06.02.foto.i_ misteri_del_nuova_iside_il_peschereccio_scomparso_a_pale rmo_i_tre_marinai_tutti_della_stessa_famiglia258228049.1.#1 https:..www.teleoccidente.it.wp.2020.06.03.naufragionuova-iside-la-famiglia-lo-iacono-lancia-appello-alpresidente-sergio-mattarella. https:..www.teleoccidente.it.wp.2020.06.03.naufragionuova-iside-la-famiglia-lo-iacono-lancia-appello-alpresidente-sergio-mattarella. https:..www.filodirettomonreale.it.2020.05.17.terrasinila-nuova-iside-speronata-la-famiglia-lo-iacono-noncrede-al-naufragio. https:..www.filodirettomonreale.it.2020.05.17.terrasinila-nuova-iside-speronata-la-famiglia-lo-iacono-noncrede-al-naufragio. https:..www.tp24.it.2020.05.20.cronaca.trovato-ilpalangaro-del-nuova-iside-nessuna-traccia-di-vito-loiacono-il-peschereccio-speronato.149684

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http:..www.rainews.it.dl.rainews.articoli.ritrovatocorpi-marinaio-dispersi-peschereccio-nuova-isided3c9277d-525c-4ae9-add4-42514c8d22a2.html https:..vocedipopolo.it.2020.05.24.il-mistero-del-nuovaiside-il-peschereccio-scomparso-in-mare-tra-ustica-efavignana-e-stato-uno-speronamento. https:..www.primapaginamazara.it.tragedia-motopescanuova-iside-recuperata-altra-vittima-il-capitano-matteolo-iacono. https:..qds.it.peschereccio-disperso-eseguita-lautopsiadomani-il-funerale-del-capitano.?refresh_ce https:..www.lastampa.it.topnews.primopiano.2020.05.20.news.il-peschereccio-scomparso-e-ilcorpo-mai-trovato-ancora-irrisolto-il-mistero-nuovaiside-1.38867080 https:..www.lasiciliaweb.it.tag.nuova-iside. https:..www.direttasicilia.it.2020.05.17.la-nuova-isidee-stata-speronata-ipotesi-al-vaglio-della-procura. https:..newsicilia.it.cronaca.peschereccio-nuova-isideancora-disperso-nessuna-traccia-di-vito-lo-iacono-ilgoverno-faccia-qualcosa.562705 https:..newsicilia.it.cronaca.peschereccio-nuova-isideancora-disperso-nessuna-traccia-di-vito-lo-iacono-ilgoverno-faccia-qualcosa.562705 https:..newsicilia.it.cronaca.peschereccio-nuova-isideancora-disperso-nessuna-traccia-di-vito-lo-iacono-ilgoverno-faccia-qualcosa.562705 https:..www.iltarlopress.it.terrasini-continuano-lericerche-di-vito-lo-iacono-e-del-peschereccio-nuovaiside. 52

https:..www.iltarlopress.it.terrasini-continuano-lericerche-di-vito-lo-iacono-e-del-peschereccio-nuovaiside. https:..www.virgilio.it.italia.trapani.notizielocali.tro vato_il_palangaro_del_nuova_iside_nessuna_traccia_di_vit o_lo_iacono_il_peschereccio_speronato_-62301970.html https:..www.telesudweb.it.2020.05.19.le-ricerche-delnuova-iside-il-mare-restituisce-alcuni-relitti. https:..www.blogsicilia.it.palermo.pescherecciodisperso-di-terrasini-celebrati-i-funerali-delcomandante-matteo-lo-iacono-foto.535538.

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DREAMING BEAUTY * IDEA. la trama di questo filme si fonda s’un impianto narrativo costituito da due situazioni parallele che in apparenza procedono su binari separati ma che sono in realtà intimamente connesse e sotterraneamente intrecciate, come lo svolgimento della trama nonchè lo scioglimento e la didascalia finali gradualmente disvelano e confermano. le due situazioni corrispondono ad altrettante azioni sviluppate mediante due piani-sequenza continui che si intersecano tramite montaggio incrociato: il primo è ambientato in interno e insegue dal basso verso l’alto e dai piedi fino al volto le sinuosità di un corpo in quiescenza di donna camitica molto scura; il secondo segue e ritrae l’azione di corsa di un uomo, la cui figura si staglia contro un tramonto dai colori molto accesi e ipersaturati in senso espressionistico. entrambe le figure sono giovani: la donna è molto giovane, ha tratti camitici fortemente marcati ma molto aggraziati e dimostra 20 anni; l’uomo, bianco adulto, dimostra 30 anni. la descrizione di entrambe le situazioni avviene in maniera progressiva e scalare, dunque non attraverso fotogrammi statici e quadri fissi ma tramite una sequenza diegetica continua e ininterrotta che, nel primo caso, scarrella sui vari segmenti anatomici della donna, nel secondo ritrae il dinamismo dell’azione di corsa della figura maschile in un flusso dinamico e graduale. tutto il discorso è giocato e basato su opposizioni binarie: il bianco e il nero, il sonno e la veglia, la realtà e il sogno. dalla rappresentazione e dallo svolgimento delle due situazioni nonchè dal loro intersecarsi non emerge una chiave interpretativa chiara e definitiva: anzi, il piano della realtà e quello del sogno sono così compenetrati ed esattamente speculari da risultare inscindibili, in ossequio al motto la vida es sueňo di Calderon de la Barca: la definizione di sogno e realtà e di veglia e sonno, dipende solo dalla parte del 55

discrimine nella quale ci si situa: qualsiasi cosa accade è, nel momento in cui accade, realtà immanente per il soggetto epistemologico che la filtra (come vuole la dottina dell’homo mensura protagoreo) sicchè un filme, un sogno, una bugia, un pensiero, un’allucinazione, una menzogna, un viaggio di LSD o altri acidi, qualsiasi cosa venga registrata dall’individuo senziente che è soggetto della gnosi è reale nel momento della sua percezione. la melodia di sottofondo, caratterizzata da un crescendo tensoriale molto progressive, sottolinea e rimarca il crescendo dinamico delle immagini e delle scene, che trovano il proprio compimento e il proprio senso ultimo solo nel culmine della scena finale. fonti: per la figura della donna dormiente avevo in mente come modello la donna su altare immortalata nel film IL MISSIONARIO di (minuto 1,10,40). per la scena dell’uomo che corre pensavo, durante la scrittura, al dinamismo delle figure del video musicale della canzone ABRASIVE dei Ratatat; per il tramonto, l’atmosfera e il tono generale della stessa scena, al tramonto raffigurato nel film ARIZONA DREAM di Emir Kusturiza, e al quadro LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA di Salvador Dalì. TRAMA. 1. apertura sul quadro in primissimo piano statico delle dita dei piedi della donna, che si muovono leggermente sgranchendosi e stiracchiandosi. segue breve carrello sulla monta del piede fino alle caviglie mentre l’inquadratura si è intanto progressivamente slargata a comprendere nel proprio campo visivo l’intera forma dei piedi, adagiati su un campo bianco stropicciato (le lenzuola) e ripresi mentre, quasi immobili, s’inarcano e sfregano flebilmente l’uno contro l’altro, nell’impercettibile movenza del risveglio. 2. stacco e primo piano dei piedi calzati di una figura maschile che avanza correndo sullo sfondo di uno scenario onirico, fortemente saturato e caratterizzato in senso espressionistico. stacco. 3. carrellata sugli arti inferiori della nostra Venere Nera: muovendo dalle caviglie, la macchina risale percorrendone le gambe, poi ne tratteggia le ginocchia e 56

infine ne inquadra le cosce giungendo al limitare del pube, coperto da un lembo di lenzuolo. degli arti inferiori, il sinistro è quasi completamente disteso e coperto dal lenzuolo mentre il destro è leggermente piegato conferendo al corpo una postura inclinata sul fianco e lievemente prona. la macchina è posizionata in primo piano fisso. 4. stacco sul moto dell’uomo in corsa e carrellata dalle gambe fino al ventre. 5. stacco sul corpo della donna: la camera incede lentamente sui fianchi della donna, quasi si arresta sull’ombelico, poi accelera e passa velocemente sull’addome quasi glissando e scartando con brusco movimento laterale si dirige verso la spalla destra, all’altezza della quale rallenta di nuovo. l’obbiettivo, che intanto si è gradatamente stretto in un primissimo piano, è ora focalizzato sulla spalla destra e da qui continua la sua carrellata seguendo le morbide volute disegnate dagli arti superiori che si incrociano: dalla spalla destra discende lungo l’omero destro percorrendo il braccio e l’avambraccio, che sono piegati ad angolo retto a coprire il seno, e li insegue fino alla mano destra, intrecciata al braccio sinistro, di cui si vede solo il bicipite poichè l’avambraccio e la mano si perdono sotto il cuscino celandosi così alla vista. 6. stacco e ripresa della azione di corsa della figura maschile con carrello dal tronco fino al collo. 7. stacco sul corpo della donna: la ripresa ora traghetta l’occhio e trasporta l’attenzione dello spettatore sul volto, mollemente e placidamente abbandonato nell’atto di dormire, con un’espressione serena e assorta; a questo punto l’obbiettivo si stringe ancora fissandosi sul dettaglio della bocca arcuata in un sorriso appena accennato. 8. stacco sulla bocca dell’uomo in corsa: la linea delle labbra prima si increspa in un’espressione dubbia a metà tra il digrignamento per lo sforzo fisico dovuto alla corsa e il ghigno beffardo, e poi si scioglie un sorriso che, inizialmente solo accennato, si trasforma via via in un’espressione sempre più accentuata di gioia. l’inquadratura è smossa dal moto sussultorio conferito 57

alla figura e dunque alla scena dall’azione della corsa. stacco. 9. la macchina si arresta, in primissimo piano, sulle palpebre della donna, che, irrequiete e frementi, sussultano debolmente come quando si sogna. 10. didascalia finale: “we love as we dream - alone: while the dream disappears the life continues painfully.”.

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POSSIBILE * SINÒPIA 1. FABULA.

un uomo cammina nella notte. d’improvviso una fortissima, luminosissima e abbacinante luce appare nel cielo a seguito di una conflagrazione e lo abbaglia. la luce, prima concentrata in un solo punto, s’inizia a muovere avanzando verso l’uomo e, avvicinandosi, diviene sempre più intensa e diffusa, gradualmente spandendosi e perfondendosi ovunque. l’uomo cerca di tendere una mano davanti al viso per ripararsi e difendersi dalla prepotenza del bagliore luminoso che lo investe ma è come immobilizzato e non riesce a muoversi. la luce si approssima all’uomo finendo per avvolgerlo e inglobarlo. l’uomo si trova così immerso in un luminoso vuoto pneumatico che si presenta come uno spazio intangibile e inconsistente, piatto e adimensionale. proiettata al centro di questo vuoto luminoso che lo avvolge e pervade, una figura femminile avvolta in un mantello, incappucciata e girata di spalle. l’uomo sente l’irresistibile impulso di avvicinarsi e, nonostante un incredibile terrore lo assalga rabbrividendolo, muove nella direzione della donna. una volta raggiuntala, tende una mano per scoprirla e così scoprire chi si celi sotto il mantello. quando finalmente la scopre, la paura lo investe, digrigna la bocca, strizza gli occhi, li strabuzza, s’inginocchia e piange. INTRECCIO.

- un uomo cammina nella notte. - d’improvviso nel cielo una conflagrazione partorisce una una fortissima, luminosissima e abbacinante luce che ristà, ferma e immobile davanti a lui abbagliandolo. - la luce, prima concentrata in un solo punto, s’inizia a muovere avanzando verso l’uomo e avvicinandosi diviene sempre più intensa e diffusa spandendosi ovunque intorno a lui. 59

- l’uomo cerca di tendere una mano davanti al viso per ripararsi e difendersi dalla prepotenza del bagliore luminoso ma è paralizzato e immobilizzato come se fosse stato pietrificato. - la luce si avvicina fino ad avvolgerlo e inglobarlo. - l’uomo chiude gli occhi in un atteggiamento di stupore atterrito. - quando riapre gli occhi, si trova immerso in un luminoso vuoto pneumatico che si presenta come uno spazio intangibile e inconsistente, piatto e adimensionale. - proiettata al centro di questo vuoto luminoso che lo avvolge e pervade, l’uomo scorge una figura femminile, avvolta in un mantello, incappucciata, girata di spalle e china sulle ginocchia e accovacciata. - l’uomo cammina nella direzione della donna, nonostante un incredibile terrore lo rabbrividisca. la donna rimane volta di spalle. - una volta raggiunta la donna, l’uomo tende una mano verso la donna (sempre di spalle) digrignando i denti e strizzando gli occhi mentre un’espressione di stupito e assorto timore gli si disegna in viso per la paura dell’ignoto che si cela sotto il mantello. l’espressione di paura-meraviglia viene infine sostituita da un’espressione di orrore: l’uomo strabuzza gli occhi che, sbarrati, si riempiono di lacrime, mentre lui cade in ginocchio e piange. * SINÒPIA 2. FABULA.

un uomo cammina nella notte. d’improvviso una fortissima, luminosissima e abbacinante luce appare nel cielo a seguito di una conflagrazione e lo abbaglia. la luce, prima concentrata in un solo punto, s’inizia a muovere avanzando verso l’uomo e, avvicinandosi, diviene sempre più intensa e diffusa, gradualmente spandendosi e perfondendosi ovunque. l’uomo cerca di tendere una mano davanti al viso per ripararsi e difendersi dalla prepotenza del bagliore luminoso che lo investe ma è come 60

immobilizzato e non riesce a muoversi. la luce si approssima all’uomo finendo per avvolgerlo e inglobarlo. l’uomo si trova così immerso in un luminoso vuoto pneumatico che si presenta come uno spazio intangibile e inconsistente, piatto e adimensionale. l’uomo vede qualcosa davanti a se che lo atterrisce, lo spaura e lo sconvolge: s’inginocchia e piange. INTRECCIO.

- un uomo cammina nella notte. - d’improvviso nel cielo una conflagrazione partorisce una fortissima, luminosissima e abbacinante luce che ristà, ferma e immobile davanti a lui abbagliandolo. - la luce, prima concentrata in un solo punto, s’inizia a muovere avanzando verso l’uomo e avvicinandosi diviene sempre più intensa e diffusa spandendosi ovunque intorno a lui. - l’uomo cerca di tendere una mano davanti al viso per ripararsi e difendersi dalla prepotenza del bagliore luminoso ma è paralizzato e immobilizzato come se fosse stato pietrificato. - la luce si avvicina fino ad avvolgerlo e inglobarlo. - l’uomo chiude gli occhi in un atteggiamento di stupore atterrito. - quando riapre gli occhi, si trova immerso in un luminoso vuoto pneumatico che si presenta come uno spazio intangibile e inconsistente, piatto e adimensionale. - un’espressione di stupore-paura-meraviglia-orrore si disegna sul viso dell’uomo che sbarra gli occhi, li strabuzza e digrigna, digrigna la bocca, cade in ginocchio e piange. * SINÒPIA 3. FABULA.

il video registra sulle dune mosse tra le onde del oscura il cielo

la reptazione di un serpente che scivola dal vento di un deserto come una barca mare mentre una eclisse gradualmente e offusca la vista: nel buio guizzi 61

elettrici come frustate di luce indicano il procedere confuso del serpente finchè l’eclisse svanisce a poco a poco e il sole e la normale luminosità ritornano rivelando la carcassa del serpente con la testa mozzata immobile sulla sabbia mentre gocce di pioggia cadendo disfano il corpo morto dell’animale e lo sciolgono. INTRECCIO.

- un serpente scivola tra le dune mosse dal vento di un deserto. - un eclisse gradualmente oscura il cielo e l’atmosfera: tutto diviene nero. - nel buio solo si vede zigzagare un filamento di luce serpeggiante e incedente con frustate di luce nel buio. - a poco a poco l’eclisse svanisce e il giorno risorge illuminando di nuovo le dune sabbiose del deserto, tra cui si vede, immobile e con la testa mozzata, la carcassa del serpente priva di vita. - il cielo comincia a piovere e le gocce di pioggia cadendo sulla carcassa la disfano. - la carcassa si liquefa disperdendosi tra i granelli di sabbia. * SINÒPIA 4. CONCETTO.

l’amore vince ogni cosa, l’amore vince su ogni altra cosa, ogni cosa rendendo possibile: omnia vicit amor. tutto rende possibile l’amore, l’amore rende possibile tutto. tutto è giustificato dall’amore, tutto lecito. tutto diviene possibile, se c’è di mezzo l’amore; tutto è possibile, se c’è l’amore. l’amore, questo minuto spiritello gran dominatore delle nostre profondissime menti e inesorabile sovrano dei meandri più ascosi dell’almo umano; l’amore, questa minuscola parola dal corpo snello e sinuoso; l’amore, questo mostruoso demone capace di compiere divinissime cose; l’amore rende possibile l’impossibile, riesce a calmare la paura, a eliminare il dolore, a suscitare la gioia, ad aumentare 62

la pietà, ostacoli.

a

infondere

il

coraggio

e

a

superare

gli

IDEA.

per raccontare e rendere questa idea ho optato per una trasposizione del mito di Orfeo ed Euridice in una dimensione atopica, ucronica, acronica e atemporale. il mito vuole che, durante una delle sue passeggiate nelle valli della Tracia, Orfeo, cantore e musicista capace di ammansire anche le belve più feroci con la sua lira donatagli da Apollo e membro della spedizione degli argonauti alla conquista del vello d’oro, si imbattè in Euridice, una bellissima ninfa degli alberi con occhi brillanti e lunghe chiome che, come Orfeo, amava trascorrere le giornate passeggiando nelle valli della Tracia. quando Orfeo la scorse, Euridice, appoggiata a una quercia, si pettinava i lunghi capelli e il suo crine di velluto e i suoi occhi e il suo sorriso fecero innamorare follemente il nostro cantore il quale, non sapendo cosa dire per attirare la sua attenzione, pensò di fare la cosa che gli riusciva meglio e intonò un canto appassionato alla lira: la ninfa Euridice, al primo arpeggio, si voltò verso di lui e, nell’attimo in cui i loro sguardi si incrociarono, l’amore sbocciò. da quel momento, i due innamorati non si lasciarono più: lui suonava per lei e lei danzava per lui. il loro sentimento diventò sempre più forte tanto che in breve Orfeo non poteva più immaginare di vivere senza Euridice. i due giovani si sposarono e divennero la coppia più felice dell’intera Tracia. ma, qualche tempo dopo il loro matrimonio, Euridice fu morsa da un serpente e morì, uccisa dal terribile veleno dell’animale. Orfeo, pazzo di dolore, si figurò che, essendo capace di incantare gli esseri viventi con la mia musica, avrebbe saputo anche convincere Ade, il re dei morti, e Persefone, moglie di Ade, a restituirgli Euridice e, con il cuore colmo di speranza, decise di mettersi in viaggio per l’oltretomba e senza timore iniziò la sua discesa. col suo canto Orfeo ammansì Cerbero che custodiva le porte dell’Ade, penetrò nel regno dei morti, dove affascinava chiunque lo sentisse: le ombre dei morti piangevano, i mostri dell’oltretomba si bloccarono 63

immobili, e allora per la prima e unica volta si videro scoppiare a piangere persino le Erinni. così, superato il fiume Stige, che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, e vinta la resistenza di Caronte, di Cerbero e delle Erinni, giunse finalmente al cospetto dei sovrani dell’oltretomba, e di nuovo superò la resistenza della mortale coppia, che acconsentì al desiderio di Orfeo a condizione ch’egli non rivolgesse mai lo sguardo a Euridice finché non fossero usciti dall’Ade. così Orfeo ripartì per il regno dei vivi seguito da Euridice ma, come tutti sanno, non resistette alla tentazione di voltarsi, forse perché Euridice lo chiamava, forse perché fu preso dall’improvvisa ansia di perderla, e la sposa finì risucchiata per sempre tra i morti: il desiderio di riabbracciarla era stato fortissimo e solo un attimo prima che Euridice riemergesse nel regno dei vivi, Orfeo per sbaglio si voltò e immediatamente, l’ombra di Euridice ricadde precipite negli Inferi. fonti del mito: 1) antiche: Apollodoro, BIBLIOTECA; Ovidio, METAMORFOSI, IV, 53sgg; Jacopo Poliziano, FABULA DI ORFEO. 2) moderne: Ida Basile, SULLA SOGLIA. LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ ATTRAVERSO I MITI GRECI DI NON-PASSAGGIO (Epokè, Novi Ligure-AL, 2018); Federica Bernardo, I MITI GRECI (DeAgostini, Milano, 2017); Anna Ferrari, DIZIONARIO DI MITOLOGIA (Utet, Torino, 2018); Edoardo Mottini, MITOLOGIA GRECA E ROMANA (Mondadori, Milano, 1945); Roberto Mussapi, ORFEO (Corriere della sera, Milano, 2018); Hugo Rahner, MITI GRECI NELL’INTERPRETAZIONE CRISTIANA (Il Mulino, Bologna, 1971); Chiara Rossi Collevati, LEGGENDE E TRAGEDIE DELLA MITOLOGIA GRECA (Gianni Monduzzi Editore, Bologna, 1998); Paul Veyne, I GRECI HANNO CREDUTO AI LORO MITI? (Il Mulino, Bologna, 1984); Pietro Janni, MITI E FALSI MITI (Dedalo, Bari, 2004); Vincent Ward, AL DI LÀ DEI SOGNI (1998). FABULA.

mentre cammina sulla spiaggia, Orfeo incontra Euridice, bellissima donna dai capelli fluenti e rigogliosi e dagli occhi azzurri come due laghi, che procede in direzione opposta. Euridice si accorge che Orfeo la scruta: smette di camminare, si arresta, rivolge lo sguardo all’uomo, abbozza un sorriso, infine sorride apertamente. i due muovono allora l’uno verso l’altro, si avvicinano, 64

ammiccano, si sfiorano, sorridono, le mani s’intrecciano, gli sguardi si fondono e le bocche si uniscono, in un lungo e appassionato bacio, durante il quale Orfeo fissa assorto gli occhi della ragazza che ipnotici e guizzanti lo inibiscono: egli entra allora in una dimensione onirica come una sorta di trance e in questo magico torpore di sogno vede gli occhi della ragazza sfumare, trasfigurare e mutare in una distesa di mare chiara e luminosa e placida su cui egli immagina allora di planare, dopo aver letteralmente spiccato il volo, sorvolando successivamente un bosco, un vulcano e una città, ma, quando riatterra e si risveglia dal sogno, trova Euridice morta in terra e il corpo di lei privo di vita disteso sulla sabbia della spiaggia. incredulo e spaesato, impietrito e immobile, Orfeo mira e rimira inebetito il corpo senza vita della donna che giace riverso al suolo e non riesce a distogliere lo sguardo finchè la terra innanzi a lui non inizia a tremare sfaldando e crepando e una voragine inghiotte Euridice. sconvolto, Orfeo corre allora in direzione di una rupe situata al limite estremo della spiaggia e con l’apparente intento di suicidarsi disperato si getta nel vuoto ma, all’impatto col suolo, la terra cede e si fende e l’uomo vi salta dentro e vi penetra sprofondando fino al regno dei morti dove ritrova la donna che, incatenata nelle membra e disfatta e negletta in volto, sorride e si rasserena allorchè lo rivede, come se lo stesse aspettando in attesa che la salvasse. INTRECCIO.

- soggettiva di una donna che cammina sulla battigia di una spiaggia, si arresta, rivolge lo sguardo in camera e fissa nell’obbiettivo. - soggettiva con zoom rallentato, graduale e progressivo sul volto della donna: l’inquadratura si stringe progressivamente risolvendosi in un primissimo piano degli occhi della donna e, mentre la cinepresa si avvicina, la donna continua a fissare in camera, e intanto abbozza un sorriso, poi sorride apertamente, poi dischiude le labbra, poi ammicca il volto all’obbiettivo, infine protende le labbra come per dare un bacio: a questo punto l’obbiettivo completa il movimento di zoom e, glissando sulla parte 65

inferiore del volto che viene tagliata fuori dall’inquadratura, si stringe sugli occhi della donna che soli rimangono in primo piano. - soggettiva in primissimo piano degli occhi (di un azzurro molto acceso) della donna che sfumano in dissolvenza in un mare chiaro, luminoso e placido. - carrellata in soggettiva dall’alto sulla distesa marina in cui si sono dissolti gli occhi della donna e soggettiva dall’alto di un lago, un bosco, un vulcano, una città esattamente come nel film di Alejandro Amenabar MARE DENTRO (https:..www.youtube.com.watch?v=drRDzxZMYRw). - soggettiva del riatterraggio e soggettiva del corpo della donna, che adesso giace morta in terra, sulla stessa spiaggia dove si è svolta la prima scena. - soggettiva del manto sabbioso su cui è disteso il corpo privo di vita della donna, ripreso nell’atto di tremare e sfaldarsi e creparsi, e una voragine inghiotte la donna. - soggettiva di azione di corsa sulla spiaggia fino alla cima di una rupe con carrellata sul suolo sabbioso; soggettiva di salto nel vuoto dalla rupe e del panorama sottostante durante la caduta libera nel vuoto e della caduta libera al suolo; soggettiva dell’impatto con il suolo: ma la terra cede e si fende e l’obbiettivo vi penetra dentro sprofondando fino al regno dei morti. - soggettiva della donna che riappare in scena prima incatenata, disfatta e negletta nelle membra e disperata in volto, poi sorridente e rasserenata allorchè la telecamera si avvicina e lei pare accorgersi di una presenza accanto a sè. * SINÒPIA 5. IDEA.

l’amore vince ogni cosa, ogni cosa rendendo possibile. omnia vicit amor. tutto rende possibile l’amore, l’amore rende possibile tutto. tutto è giustificato dall’amore, tutto lecito. tutto diviene possibile, se c’è di mezzo l’amore; tutto è possibile, se c’è l’amore. l’amore, questo minuto spiritello gran dominatore delle nostre 66

profondissime menti e inesorabile sovrano dei meandri più ascosi dell’almo umano; l’amore, questa minuscola parola dal corpo snello e sinuoso; l’amore, questo mostruoso demone capace di compiere divinissime cose; l’amore rende possibile l’impossibile, riesce a calmar la paura, a eliminare il dolore, a suscitare la gioia, ad aumentare la pietà, a infondere il coraggio e a superare gli ostacoli. FABULA.

per rendere questa idea, trasporre in immagini la sensazione di vertigine che si prova amando e tradurre in narrazione visiva il senso di tuffo al cuore che si avverte quando si ama, ho descritto le varie fasi dell’innamoramento come un vero e proprio salto nel vuoto: se nella prima scena il video racconta le prime fasi dell’innamoramento (il primo incontro, il colpo di fulmine, l’infatuamento e lo scambio del primo bacio), nella seconda descrive il culmine di questo come un volo in cielo: l’obbiettivo, in soggettiva, si stacca allora da terra e prende letteralmente il volo, prima decollando, poi planando su vari panorami (un lago, una foresta, una città), poi ridiscendendo e infine atterrando. INTRECCIO.

- soggettiva di una donna che cammina sulla battigia di una spiaggia, si arresta, rivolge lo sguardo in camera e fissa nell’obbiettivo. - soggettiva con zoom rallentato, graduale e progressivo sul volto della donna: l’inquadratura si stringe progressivamente risolvendosi in un primissimo piano degli occhi della donna e, mentre la cinepresa si avvicina, la donna continua a fissare in camera, e intanto abbozza un sorriso, poi sorride apertamente, poi dischiude le labbra, poi ammicca il volto all’obbiettivo, infine protende le labbra come per dare un bacio: a questo punto l’obbiettivo completa il movimento di zoom e, glissando sulla parte inferiore del volto che viene tagliata fuori dall’inquadratura, si stringe sugli occhi della donna che soli rimangono in primo piano.

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- soggettiva in primissimo piano degli occhi (di un azzurro molto acceso) della donna che sfumano in dissolvenza in un mare chiaro, luminoso e placido. - carrellata in soggettiva dall’alto sulla distesa marina in cui si sono dissolti gli occhi della donna e soggettiva dall’alto di un lago, un bosco, un vulcano, una città esattamente come nel film di Alejandro Amenabar MARE DENTRO (https:..www.youtube.com.watch?v=drRDzxZMYRw). * SINÒPIA 6. IDEA.

come un trip da droga, l’amore rende tutto possibile, luminoso, scintillante, sfolgorante, abbacinante, abbagliante e allucinante. ma, come la droga, l’amore è capace di creare una forte dipendenza. spesso tossica. nociva. aberrante. FABULA.

descrizione dell’assunzione di una dose di eroina tramite iniezione endovenosa. INTRECCIO.

- primo piano della prima fase di preparazione di una dose di eroina e soluzione dell’eroina in polvere in un cucchiaino d’acqua calda con l’aggiunta di succo di limone. - primo piano della seconda operazione di preparazione della , e filtraggio del liquido per eliminare residui solidi. - primo piano della terza fase e aspirazione del liquido con siringa per insulina. - primo piano dell’iniezione. - primo piano dell’operazione finale di estrazione della siringa e scioglimento del laccio emostatico. *

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SINÒPIA 7. IDEA.

l’amore è una forza potentissima capace di distruggere qualsiasi cosa che intervenga a ostacolarla o che si frapponga tra essa e la sua meta. FABULA.

nel pieno mezzo di un deserto rosso e aridissimo, una grande esplosione di luce intensissima e candescente genera e partorisce una crepa che discende dal fonte originario per abbattersi s’un manichino che viene tagliato in due parti. una volta tagliato il del manichino - la crepa scarica in terra e inizia a correre per il deserto spaccando la terra, fendendo il suolo, secando rocce e dune, tagliando in due tutto quello che incontra sul proprio percorso e proseguendo il proprio cammino fin dentro il mare, dove, al culmine della propria smania distruttiva, provoca una valanga sabbiosa sottomarina. INTRECCIO.

- una grande esplosione di luce intensissima e candescente scaturisce una crepa nel pieno mezzo di un deserto rosso e aridissimo. - la crepa viene immediatamente propagata, trasmessa e tradotta dal fonte originario a un manichino. il manichino viene tagliato in due parti. - la crepa scarica in terra e inizia a correre per il deserto spaccando la terra, fendendo il suolo, secando rocce e dune, tagliando in due tutto quello che incontra sul proprio percorso e proseguendo il proprio cammino fin dentro il mare. - giunta al mare, la crepa si schianta contro un faro configgendosi nello scoglio che lo sostiene, facendolo esplodere e causando così il crodamento del faro e dello scoglio, e una conseguente valanga sabbiosa sotto-marina. *

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SINÒPIA 8. IDEA.

l’amore, con la sua forza dirompente, è capace di esumare l’anima persa, smarrita o semplicemente assopita e intorpidita di una persona e così rinvenire e rinverdire il suo lato umano e sensibile, avvizzito e rattrappito sotto i colpi del fato avverso, e infine farlo rifiorire e rivivere anche nella più sterile, arida, cruda e dura situazione. FABULA.

tempesta di vento che soffia via la sabbia del deserto facendone riaffiorare un volto di manichino. INTRECCIO.

1) - una tempesta di vento si abbatte s’un deserto sabbioso sconvolgendone le dune e soffiandone via la sabbia. - la sabbia si innalza in cielo e crea una gigantesco banco che investe, travolge e infine suravanza l’occhio della tele-camera. - passata la tempesta di vento e superato il banco di sabbia, l’obbiettivo inquadra un volto di manichino affiorante dalle sabbie o incastonato nella sabbia o scolpito nella sabbia. - campo lungo statico di duna mossa dal vento il quale ne soffia la sabbia e ne assottiglia la cresta scoprendo e riportando alla luce un manichino dal volto umano, graffiato dalla sabbia, eroso dal vento e rovinato dal tempo. - terzo piano di duna mossa dal vento in lontananza e chiusura in dissolvenza. - apertura in dissolvenza su secondo piano della cima della duna che si assottiglia per azione del vento che ne soffia via la sabbia; e chiusura in dissolvenza. - apertura in dissolvenza su primo piano di manto sabbioso che, mosso e plasmato dal vento, si sfalda facendo emergere a-poco-a-poco e riconducendo lentamente a galla un volto androgino di manichino portato in primissimo piano da zoom. 70

* SINÒPIA 9. IDEA.

il film vuole rappresentare il senso d’isolamento, solitudine, alienazione, straniamento e oppressione che genera nell’uomo l’amore. l’idea alla base del film è resa visivamente e visualmente rappresentata attraverso trasposizione cinematografica del poema ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS) di Konstantinos Kavafis. palese il richiamo e il basilare riferimento a Konstantinos Kavafis, che tocca anche il titolo, chiara ed evidente citazione del titolo inglese della poesia ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS). FABULA.

un uomo, con sguardo spento e disperato, è intrappolato tra altissime mura costituite dal prospetto interno di un palazzo di architettura e stile brutalisti, squallido, decadente e scalcinato. INTRECCIO.

- l’obbiettivo apre sul primo piano della linea delle labbra di un uomo piegate come in un sorriso. - carrellata ottica a spirale con zoom a precedere, che slarga a inquadrare 1) l’intero viso dell’uomo, che rivela la sua vera espressione: non sorriso e gioia, ma ticchi nervosi e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli facciali nonchè estrema disperazione e follia; 2) il suo corpo, contorto in posizione fetale e scosso da sussulti e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli degli arti e del tronco; 3) l’intera superficie del pavimento su cui l’uomo giace; 4) la base o crepidine della scenografia che delimita lo spazio scenico entro il quale si muove l’uomo: il cortile interno di un palazzo, in stile brutalista, squallido, decadente e scalcinato.

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- carrellata ottica a precedere, dal basso verso l’alto e a spirale, che scarrella sul prospetto del palazzo e termina con - panoramica finale descrittiva orizzontale a 360° sullo stesso quadro, descritto quasi come un asfittico, opprimente, mefitico girone infernale dantesco.

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DECLINE OF THE WEST * METESSIA. rappresentazione metaforica e consuntiva stilizzazione dell’attuale crisi culturale dell’Occidente (come suggerisce il titolo del video, che cita il titolo del famoso libro di Oswald Spengler IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE) stigmatizzata dall’inabissamento della nave Stellar Banner avvenuto il 13 Giugno del 2020 e ordinato, su richiesta dell’armatore, dalle autorità brasiliane che, recuperate 145,000 tonnellate di carico e preso atto delle difficoltà di recupero dell’imbarcazione e del restante carico, hanno preferito procedere all’affondamento del relitto e delle 130,000 tonnellate di ferro ancora a bordo, nella totale noncuranza degli effetti nocivi e dei danni ambientali connessi alla dispersione e al rilascio in mare del minerale ferroso. la Stellar Banner era una di proprietà della compagnia marittima sud-coreana Polaris ma noleggiata dal colosso minerario brasiliano Vale per il trasporto di minerale di ferro dal Brasile alla Cina ( è la più grande classificazione di navi porta-rinfuse al mondo, con capacità di trasportare fino a 275.000 tonnellate di merce). il 24 febbraio 2020 la nave, registrata nelle isole Marshall, si incagliò a circa 100 km dalla costa di São Luís, in partenza dal terminal marittimo Ponta da Madeira di Vale con oltre 270.000 tonnellate di minerale di ferro diretto in Cina. la società Vale riferì che la nave aveva subito un danno alla prua nel canale di navigazione mentre lasciava il porto e per impedirne l’immediato affondamento era stata fatta incagliare. gli esperti constatarono che lo squarcio della parte colpita dello Stellar Banner era lungo 25 metri vicino alla prua di dritta. l’operazione di recupero e la rimozione di circa 145.000 tonnellate di minerale di ferro, asportate dalle stive, aveva permesso alla nave di riemergere temporaneamente a galla all’inizio di questo mese, ma a causa delle condizioni del relitto, è stata presa la decisione di affondarla in acque più 73

profonde, lasciandole a bordo le residue 130,000 tonnellate di carico e oltre 3.900 metri cubici di olio combustibile. le autorità hanno affermato di non ritenere che il minerale di ferro rimasto rappresenti una minaccia per l’ambiente marino. TRAMA. rielaborazione dei video originali dell’affondamento, reperibili in youtube ai link: https://www.youtube.com/watch?v=eoHD3VfhYxo&t=32s, https://www.youtube.com/watch?v=cDXCp-VFJrI, https://www.youtube.com/watch?v=e7UTHWRAlIs, https://www.youtube.com/watch?v=Fc7yK-d9xwI. MELODIA. NAVIO

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di Salvo Nicosia.

HOLD MY ATTENTION * IDEA. traccia, di larga diffondibilità ma di forte impatto sonoro e di altrettale ricercatezza concettuale, che inneggi alla figura della scrittrice americana Margaret Eleanor Atwood e la celebri tramite (tra gli altri possibili stratagemmi e soluzioni) taglio, campionamento e loop della sua voce pronunciante le parole “hold my attention” registrate nel video trailer (minuto da 01,06 - 01,09) di presentazione della sua masterclass (https: www.youtube.com.watch?v=lb-MPDk7CF6g e https: www.youtube.com.watch?v=6UfjH8EWG54) realizzata all’interno del progetto intitolato MASTERCLASS - LEARN FROM THE BEST. TRAMA. musica e video potrebbero anche accennare ai temi cari all’ecologismo (quali deforestazione, inquinamento, conseguente aumento della mortalità animale e umana e dell’estinzione animale etc. etc.) e fortemente sostenuti dall’Atwood nel corso di tutta la sua carriera di scrittrice e attivista - tramite immagini di scene reali di devastazioni naturali connesse all’azione deleteria e nociva dell’uomo sulla natura.

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SKYFALL * STORYBOARD. https:..www.youtube.com.watch?v=vdR_LhSSUx4 https:..www.youtube.com.watch?v=pnFQrZy-D-A https:..www.youtube.com.watch?v=h4cZhkZylfk https:..www.youtube.com.watch?v=sEaTe38-I4Y https:..www.youtube.com.watch?v=4_sLTe6-7SE

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FLUO-DYNAMIC * IDEA. prodotto contro il razzismo e l’omofobia. FABULA. il video descrive la genetica e la (ri)produzione dei colori tramite loop di un atto di vero e proprio accoppiamento fra i tre colori primari o sottrattivi (magenta, ciano e giallo) e i colori secondari e terziari che, immaginati come corpi fisici dotati di pulsioni e istinti sessuali al pari degli animali, s’incrociano tra loro e, venendo in contatto reciproco e combinandosi l’uno con l’altro, danno vita, in un fluido flusso dinamico di colori in perpetua gemmazione reciproca, a tutti i colori dello spettro cromatico. INTRECCIO. - giallo + magenta = arancione - arancione + ciano = viola - viola + giallo = rosa - rosa + magenta = magenta - magenta + ciano = viola - viola + ciano = ciano - ciano + giallo = verde - verde + blu = giallo - giallo + ciano = verde - verde + marrone = grigio - etc. etc. così via per tutta la durata del pezzo - didascalia finale: “FUCK THE RACISM”. (fonte: https:..www.blia.it.colori.)

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CARNAIO * IDEA. critica del pensiero politico unico postmoderno incarnato nel principio totalitaristico contemporaneo del politically correct che sancisce e legittima la gestione e direzione politica della morale demandando cioè la costruzione di modelli di comportamento, schemi di pensiero e forme di adesione, coesione e convivenza sociale alla politica, la quale da un lato si arroga e avoca a sè il diritto di direzione etica dell’umanità ergendosi a giudice ultimo e supremo del consesso umano e dall’altro impone forzosamente la ratificazione sociale dei valori del dialogo, dell’interculturalità, della con-operazione, della fratellanza e dell’accoglienza, che, forgiati a livello astratto e macro-sistemico, vengono sempre più frequentemente imposti coattivamente a livello sociale e micro-sistemico senza considerazione delle reali differenze e abitudini e costumi che distinguono i popoli. il film, mostrando un dramma che è il pretto frutto dell’intromissione della politica nella vita, negli affetti, negli affari e negli interessi locali di regioni che non conosce se non nominalmente e astrattamente quali punti s’una cartina geografica, vuole attirare l’attenzione sui deleteri effetti collaterali che scaturiscono dalla sanzione istituzionale dei valori etici e morali, dell’etica e della morale ovvero dall’istituzionalizzazione dei suddetti valori che vengono imposti forzosamente dai governi e dalla politica e conculcati con azioni di vero e proprio indottrinamento nella popolazione occidentale tramite scuola e informazione e non costituiscono, come invece dovrebbero, il frutto e la conseguenza della naturale inclinazione dei popoli allo scambio, all’osmosi e al dialogo. il film vuole inoltre attirare l’attenzione sugli effetti deleteri dovuti alle ingerenze politiche centrali sui delicati equilibri regionali e provocati dalle interferenze politiche negli ambiti dell’etica, della morale e dei rapporti sociali.

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per far questo si è scelto di ambientare il film in Sicilia (autentica terra di mezzo, ideale per presentare i problemi connessi ai movimenti migratori e i conflitti tra popoli e culture), precisamente nella Sicilia della fine degli anni novanta, in concomitanza con la crisi del Kosovo e la terza ondata migratoria albanese in Italia. fonte sulla crisi kosovara e sulla migrazione verso l’Italia: Orkida Mehillaj: L’IMMIGRAZIONE ALBANESE IN ITALIA(http:..www.adir.unifi.it.rivista.2010.mehillaj.cap 1.htm), più precisamente nella cittadina di Piana degli Albanesi (Palermo), nel 1999. FABULA. nel piccolo ma florido e ridente paesino siciliano di Piana in provincia di Palermo, la cui popolazione è costituita da due componenti etniche ben distinte (quella albanese e ortodossa da un lato e dall’altro quella siciliana e cattolica), si consuma il dramma di Adamata e Mario, di origini albanesi e ortodosse la prima, siciliano e cattolico il secondo. Adamata e Mario si conoscono sin da bambini: nati entrambi nel 1981, crescono nello stesso quartiere, frequentano le scuole insieme e all’età di 16 anni intraprendono una relazione amorosa che sembra destinata a durare a lungo. ma nel 1999 la politica irrompe a devastare i delicati equilibri tra albanesi e siculi creatisi in secoli di convivenza pacifica; a disgregare i rapporti, le unioni, i legami consolidatisi nel tempo; e a rovinare l’unione e lo speciale rapporto creatosi tra i due ragazzi: in quell’anno, infatti, a seguito della crisi del Kosovo, un fatto interviene a turbare i rapporti pacifici e fraterni tra la componente sociale indigena e quella allogena e tra l’elemento etnico autoctono e quello allotrio (rapporti fino a quel momento caratterizzati d’armonia, pace, tolleranza e interculturalità) e a scipare per sempre l’amore di Adamata e Mario: a seguito dell’esodo della popolazione albanese in conseguenza della crisi in Kosovo del 1999, la giunta municipale di Piana decide di accogliere nel paese un consistente numero di rifugiati: presto il loro numero si rivelerà tuttavia eccessivamente cospicuo. la decisione provoca in breve un diffuso malcontento che, generalizzatosi, dà luogo a 83

incidenti e incomprensioni tra i cittadini di origine albanese e quelli di origine siciliana che si ritrovano ai lati opposti della barricata: tali divergenze sfociano in pure manifestazioni di odio che si concretano in atti di vera e propria violenza da entrambe le parti che finiscono col tradursi in scontri di guerriglia civile e urbana, durante uno dei quali Mario perde la vita. il film si chiude sul pianto disperato di Adamata sul corpo di Mario. INTRECCIO. Adamata e Mario nascono nel 1981 nella cittadina di Piana. da famiglia albanese e ortodossa la prima, da famiglia siciliana e cattolica il secondo. la popolazione di Piana è infatti costituita da due componenti etniche distinte, una albanese e ortodossa e una siciliana e cattolica. i due trascorrono gli anni dell’infanzia in autentica simbiosi e crescono praticamente insieme vivendo nello stesso quartiere e frequentando le stesse scuole. all’età di 16 anni s’innamorano e si scambiano il primo bacio e, con questo, la promessa di vivere per sempre insieme. infine, all’età di 18 anni, ufficializzano la propria unione durante l’ultimo giorno di cerimonia della Pasqua ortodossa e le celebrazioni rituali connesse a questa ricorrenza. è poco dopo questo evento che la politica (e la storia) irrompe a rovinare irrimediabilmente le loro vite, a devastare i delicati equilibri creatisi in secoli di convivenza pacifica tra albanesi e siciliani e a disgregare i rapporti, le unioni, i legami consolidatisi nel tempo: siamo nel 1999 e, mentre nei Balcani infuria la terribile crisi del Kosovo, un fatto interviene a incrinare l’amore di Adamata e Mario, turbando al contempo i rapporti pacifici e fraterni tra la componente sociale indigena e quella allogena e tra l’elemento etnico autoctono e quelli allotrio fino a quel momento caratterizzati da assoluta stima e fiducia, d’assoluta tolleranza, pace e interculturalità: la giunta municipale, decide di prendere posizione sulla questione del Kosovo aprendo ai profughi le proprie porte e decidendo di accogliere nel paese un consistente numero di rifugiati 84

che presto si rivela però eccessivamente cospicuo per le risicate risorse del paese provocando in breve un diffuso malcontento in seno alla comunità siciliana autoctona che non vuole ospitare i rifugiati, che per gli indigeni non sono altro che veri e propri stranieri, nonchè una serie di contrasti e incomprensioni tra questi e i cittadini di origine albanese che si scoprono ora stranieri, estranei, forestieri, extra-comunitari nel senso etimico della parola: i contrasti si traducono in atti di violenza da entrambe le parti che, originariamente isolati, si trasformano e sfociano in un vera e propria guerriglia urbana che culmina nell’uccisione di Mario, il quale perde la vita durante uno di questi scontri. il film si chiude sul primo piano di Adamata che piange disperata sul corpo di Mario.

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ΤΗΕ WALLS * CONCETTO. il film vuole rappresentare il senso d’isolamento, solitudine, alienazione, straniamento e oppressione che l’uomo contemporaneo vive in seno alla società postmoderna. IDEA. l’idea alla base del film è resa visivamente e visualmente rappresentata attraverso trasposizione cinematografica del poema ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS) di Konstantinos Kavafis. le immagini sono accompagnate, commentate e illustrate da un testo recitato da una voce narrante fuori campo, che dice lo stesso poema di Kavafis (nella versione in inglese firmata dal fratello John) seguito dalla recitazione del poema THE UNWRITTEN ( = NON SCRITTO) di Charles Bukowski. il frequente richiamo e il basilare riferimento a Konstantinos Kavafis tocca anche il titolo, chiara ed evidente citazione del titolo inglese della poesia ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS). FABULA. un uomo, con sguardo spento e disperato, è intrappolato tra altissime mura costituite dal prospetto interno di un palazzo di architettura e stile brutalisti squallido, decadente e scalcinato. INTRECCIO IMMAGINI

VOCE NARRANTE

- l’obbiettivo apre sul primo piano della linea delle labbra di un uomo piegate come in un sorriso. carrellata ottica a spirale con zoom a precedere, che slarga a inquadrare 1) l’intero

without reflection, without mercy, without shame - they built strong walls and high, and compassed me about. and now I sit here and consider and despair. my brain is worn with meditating on my fate.

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viso dell’uomo, che rivela la sua vera espressione: non sorriso e gioia, ma ticchi nervosi e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli facciali nonchè estrema disperazione e follia; 2) il suo corpo, contorto in posizione fetale e scosso da sussulti e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli degli arti e del tronco; 3) l’intera superficie del pavimento su cui l’uomo giace; 4) la base o crepidine della scenografia che delimita lo spazio scenico entro il quale si muove l’uomo: il cortile interno di un palazzo, in stile brutalista, squallido, decadente e scalcinato. carrellata ottica a precedere, dal basso verso l’alto e a spirale, che scarrella sul prospetto del palazzo e termina con panoramica finale descrittiva orizzontale a 360° sullo stesso quadro, descritto quasi come un asfittico, opprimente, mefitico girone infernale dantesco.

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I had outside so many things to terminate. oh! why when they were building did I not beware! but never a sound of building, never an echo came. out of the world, insensibly, they shut me out. it's been months now: the most horrible thing I have ever felt. and i might have avoided it. might have. maybe not. but I didn't and in a way couldn't. it occured more quickly than I could respond. I should have been more able, more ready. and for some what was a horror for me might have been trivial to them. but I have never been”them". it's over now. the pain of that should be finished. but it stays with me. and that I did not act in time to prevent it - but that moment is gone. and I truly hate myself for the first time. I will never recover. it comes back to me again and again. and in its aftermath, nothing will ever be quite right again walking down a hill, getting out of bed, common tasks, celebrations, just happenings are reshaped by that occurence. I was gored by my own stupidity. it was an animal. it was an animal, caused by some

human thing? would that it was human. so I could have considered it trivial. didascalia: “text based on Konstantinos Kavafis’ poem WALLS (translated by John Kavafis) and Charles Bukowski’s THE UNWRITTEN.”.

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WALLS * CONCETTO: il film vuole rappresentare il senso d’isolamento, solitudine, alienazione, straniamento e oppressione che genera nell’uomo l’amore. IDEA: l’idea alla base del film è resa visivamente e visualmente rappresentata attraverso trasposizione cinematografica del poema ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS) di Konstantinos Kavafis. il richiamo e il basilare riferimento a Konstantinos Kavafis è evidente anche nel titolo, chiara ed evidente citazione del titolo inglese della poesia ΤΑ ΤΕΙΧΗ (= LE MURA / WALLS). FABULA: un uomo, con sguardo spento e disperato, è intrappolato tra altissime mura costituite dal prospetto interno di un palazzo di architettura e stile brutalisti squallido, decadente e scalcinato. INTRECCIO: (1) l’obbiettivo apre sul primo piano della linea delle labbra di un uomo piegate come in un sorriso. - carrellata ottica a spirale con zoom a precedere, che slarga a inquadrare (a) l’intero viso dell’uomo, che rivela la sua vera espressione: non sorriso e gioia, ma ticchi nervosi e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli facciali nonchè estrema disperazione e follia; (b) il suo corpo, contorto in posizione fetale e scosso da sussulti e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli degli arti e del tronco; (c) l’intera superficie del pavimento su cui l’uomo giace; (d) la base o crepidine della scenografia che delimita lo spazio scenico entro il quale si muove l’uomo: il cortile interno di un palazzo, in stile brutalista, squallido, decadente e scalcinato. (2) carrellata ottica a precedere, dal basso verso l’alto e a spirale, che scarrella sul prospetto del palazzo e termina con (3) panoramica finale descrittiva orizzontale a 360° sullo stesso quadro, descritto quasi come un asfittico, opprimente, mefitico girone infernale dantesco.

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EPISTHÉMES * IDEA. assunto basilare, fondamentale asserto e principio assiomatico di questo film è che la conoscenza è armonia o, meglio, che la conoscenza è UNA armonia, inteso e impiegato il termine nella sua accezione squisitamente etimologica, tutta antica e classica come il senso a cui è teso e piegato, in virtù del quale la parola assurge a indicare e designare un ventaglio multiplo, molto più ampio e vasto, di molteplici significati e plurimi: tenendo infatti presente che deriva all’italiano, tramite il latino, dal greco αρμονία che vuol dire proporzione ed è corradicale del verbo αρμόζω = collegare, connettere, unire, allora ci apparirà chiaro, evidente e lampante come armonia sia composizione del diverso e sintesi dell’antitesi, concerto degli opposti e concento dei contrari, conveniente accordo dei contrasti e conforme consonanza delle dissonanze; come essa inoltre si traduca in canto concorde di più voci discordi, principio di simmetria che media e risolve il diverso nell’omogeneo e l’antitetico nell’uguale e (volendo ancora forzare la metafora e declinarla in senso geometrico) proporzionata disposizione delle parti in un tutto equabile e concorde i cui elementi, diametralmente opposti cioè posti all’estremità degli infiniti diametri che segmentano le infinite rette passanti per un punto, disposti secondo parametri di equità formale e giustapposti in un soave gioco di corrispondenze e rimandi e richiami, compongono e raffigurano un cerchio o circonferenza, figura geometrica in cui ogni punto è equidistante dal centro e pertanto emblema per antonomasia della compiutezza formale, somma rappresentazione della compiuta perfezione nonchè sintesi perfetta e simbolo per eccellenza di conchiusa e sublime armonia, conferita al corpo geometrico dall’omogenea, uniforme ed euritmica distribuzione delle parti in un tutto assolutamente simmetrico e per questo, appunto, armonico e armonioso (tutt’oggi in Grecia il concetto di è reso dalla parola κούκλος, 93

letteralmente ); come infine l’armonia (volendo stavolta usare una metafora musicale) divenga melodia cioè consonanza di voci o di strumenti diversi in una combinazione simultanea ed estremamente piacevole. stanti dunque queste molteplici diramazioni e ramificazioni del lemma , l’espressione vuol dire capacità di comporre contrasti, attriti e conflitti tra elementi diversi del sistema in un’unità superiore d’intenti, scopi e risultati, sintetizzati e racchiusi nel vasto quadro della scienza. infine, se la conoscenza è armonia e se la somma e massima armonia è (secondo la teoria filosofica antica ) quella celestiale prodotta dallo stridere degli astri durante il loro moto di rivoluzione, allora il concetto di può essere raffigurato visivamente attraverso rappresentazione figurativa della dottrina filosofica (anche detta , o ) che, sorta nell’ambito della filosofia pitagorica e poi ripresa e compiutamente formulata da Zenone di Cizio, considera l’universo come un enorme e gigantesco complesso di rapporti e proporzioni numerici che dominerebbero, reggerebbero e governerebbero ogni aspetto del cosmo e persino la disposizione dei corpi celesti, il cui movimento coordinato produrrebbe un suono vero e proprio, una sorta di armonia sublime e soave melopea, un’autentica melodia divina che le orecchie umane sarebbero financo in grado di percepire se intimamente connesso e partecipe l’animo alla mirabile ed eccelsa struttura della realtà (per maggiori info, vedi l’articolo https:..it.wikipedia.org.wiki.Musica_delle_sfere). titolo: 1) EPISTEME, forma italianizzata corretta; 2) EPISTHÉMES, forma d’ispirazione franciosa, assolutamente inesistente e del tutto inventata, ma molto elegante graficamente e altamente suggestiva; 3) ΕΠΙΣΤΗΜΗ, grafia originale in caratteri greci maiuscoli; 4) επιστήμη, forma originale in caratteri greci minuscoli. FABULA. rappresentazione figurativa della dottrina filosofica (anche detta , o ) che, sorta nell’ambito della filosofia pitagorica e poi ripresa e compiutamente formulata da Zenone di Cizio, considera l’universo come un enorme e gigantesco complesso di rapporti e proporzioni numerici che dominerebbero, reggerebbero e governerebbero ogni aspetto del cosmo e persino la disposizione dei corpi celesti, il cui movimento coordinato produrrebbe un suono vero e proprio, una sorta di armonia sublime e soave melopea, un’autentica melodia divina che le orecchie umane sarebbero financo in grado di percepire se intimamente connesso e partecipe l’animo alla mirabile ed eccelsa struttura della realtà (per maggiori info, vedi l’articolo https:..it.wikipedia.org.wiki.Musica_delle_sfere). INTRECCIO. 1) il film apre sul moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno ai due fuochi dell’ellisse orbitale, ciascuno dei quali occupato da una mano. ciascuna delle due mani è bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza) ma reca il dito indice disteso e rivolto l’una verso l’alto e l’altra verso il basso (allusione al celebre affresco di Raffaello Sanzio conosciuto come LA SCUOLA DI ATENE, e in particolare alle figure centrali dell’affresco, Platone e Aristotele, ritratti rispettivamente il primo con l’indice puntato verso l’alto a compendiare il proprio pensiero basato sulla convinzione che la verità risieda solo nel generale del mondo delle Idee, il secondo con il palmo della mano aperto e rivolto verso il basso a indicare che il principio e il fondamento della realtà risiede nel particolare della dimensione mondana). 95

lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano con l’indice rivolto verso il basso si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale) mentre l’altra rimane chiusa a simboleggiare la compiutezza della conoscenza e dell’episteme. didascalia finale: “knowledge is (an) harmony, cosmos is (a) melody” (ulteriore allusione, stavolta alla filosofia esistenziale vitalistica sostanziante l’opera HEART IS A MELODY di Pharoah Sanders). 2) il film apre sul moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno a una mano, bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza). lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale). didascalia finale: “knowledge is (an) harmony, cosmos is (a) melody” (ulteriore allusione, stavolta alla filosofia sostanziante l’opera HEART IS A MELODY di Pharoah Sanders).

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EPISTHÉMES (2) * TITOLO. 1) EPISTHÉMES (mio preferito), forma d’ispirazione franciosa, assolutamente fantasiosa e del tutto inventata, ma molto elegante graficamente e altamente suggestiva; 2) EPISTEME, forma italianizzata corretta; 3) ΕΠΙΣΤΗΜΗ, grafia originale in caratteri greci maiuscoli; 4) επιστήμη, forma originale in caratteri greci minuscoli. * DELL’ARMONIA DELLA CONOSCENZA. IDEA.

assunto basilare, fondamentale asserto e principio assiomatico di questo film è che la conoscenza è armonia o, meglio, che la conoscenza è UNA armonia, inteso e impiegato il termine nella sua accezione squisitamente etimologica, tutta antica e classica come il senso a cui è teso e piegato, in virtù del quale la parola assurge a indicare e designare un ventaglio multiplo, molto più ampio e vasto, di molteplici significati e plurimi: tenendo infatti presente che deriva all’italiano, tramite il latino, dal greco αρμονία che vuol dire proporzione ed è corradicale del verbo αρμόζω = collegare, connettere, unire, allora ci apparirà chiaro, evidente e lampante come armonia sia composizione del diverso e sintesi dell’antitesi, concerto degli opposti e concento dei contrari, conveniente accordo dei contrasti e conforme consonanza delle dissonanze; come essa inoltre si traduca in canto concorde di più voci discordi, principio di simmetria che media e risolve il diverso nell’omogeneo e l’antitetico nell’uguale e (volendo ancora forzare la metafora e declinarla in senso geometrico) proporzionata disposizione delle parti in un tutto equabile e concorde i cui elementi, diametralmente opposti cioè posti all’estremità degli infiniti diametri che segmentano le infinite rette passanti per un punto, disposti secondo 97

parametri di equità formale e giustapposti in un soave gioco di corrispondenze e rimandi e richiami, compongono e raffigurano un cerchio o circonferenza, figura geometrica in cui ogni punto è equidistante dal centro e pertanto emblema per antonomasia della compiutezza formale, somma rappresentazione della compiuta perfezione nonchè sintesi perfetta e simbolo per eccellenza di conchiusa e sublime armonia, conferita al corpo geometrico dall’omogenea, uniforme ed euritmica distribuzione delle parti in un tutto assolutamente simmetrico e per questo, appunto, armonico e armonioso (tutt’oggi in Grecia il concetto di è reso dalla parola κούκλος, letteralmente ); come infine l’armonia (volendo stavolta usare una metafora musicale) divenga melodia cioè consonanza di voci o di strumenti diversi in una combinazione simultanea ed estremamente piacevole. stanti dunque queste molteplici diramazioni e ramificazioni del lemma , l’espressione vuol dire capacità di comporre contrasti, attriti e conflitti tra elementi diversi del sistema in un’unità superiore d’intenti, scopi e risultati, sintetizzati e racchiusi nel vasto quadro della scienza. infine, se la conoscenza è armonia e se la somma e massima armonia è (secondo la teoria filosofica antica ) quella celestiale prodotta dallo stridere degli astri durante il loro moto di rivoluzione, allora il concetto di può essere raffigurato visivamente attraverso rappresentazione figurativa della dottrina filosofica (anche detta , o ) che, sorta nell’ambito della filosofia pitagorica e poi ripresa e compiutamente formulata da Zenone di Cizio, considera l’universo come un enorme e gigantesco complesso di rapporti e proporzioni numerici che dominerebbero, reggerebbero e governerebbero ogni aspetto del cosmo e persino la disposizione dei corpi celesti, il cui movimento coordinato produrrebbe un suono vero e proprio, una sorta di armonia sublime e soave melopea, un’autentica melodia divina che le orecchie umane sarebbero financo in grado di percepire se intimamente connesso e partecipe l’animo alla mirabile ed eccelsa 98

struttura della realtà (per maggiori info, vedi l’articolo https:..it.wikipedia.org.wiki.Musica_delle_sfere). TRAMA MINOR.

- il film apre sul moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno a una mano, bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza). - lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale). eventuale didascalia finale: “knowledge is (an) harmony - cosmos is (a) melody” (ulteriore allusione, stavolta alla filosofia sostanziante l’opera HEART IS A MELODY di Pharoah Sanders). TRAMA MAIOR.

- il film apre sul moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno ai due fuochi dell’ellisse orbitale, ciascuno dei quali occupato da una mano. ciascuna delle due mani è bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a 99

compendiare la dispersività della finta conoscenza) ma reca il dito indice disteso e rivolto l’una verso l’alto e l’altra verso il basso (allusione al celebre affresco di Raffaello Sanzio conosciuto come LA SCUOLA DI ATENE, e in particolare alle figure centrali dell’affresco, Platone e Aristotele, ritratti rispettivamente il primo con l’indice puntato verso l’alto a compendiare il proprio pensiero basato sulla convinzione che la verità risieda solo nel generale del mondo delle Idee, il secondo con il palmo della mano aperto e rivolto verso il basso a indicare che il principio e il fondamento della realtà risiede nel particolare della dimensione mondana). - lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano con l’indice rivolto verso il basso si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale) mentre l’altra rimane chiusa a simboleggiare la compiutezza della conoscenza e dell’episteme. - eventuale didascalia finale: “cosmos is (a) melody knowledge is (an) harmony” (ulteriore allusione, stavolta alla filosofia sostanziante l’opera HEART IS A MELODY di Pharoah Sanders). * DELLA SOLITUDINE DELLA CONOSCENZA. IDEA.

la conoscenza è solitudine: il pensatore che contempla l’infinito si sente e ritrova solo, impotente, piccolo e sconsolato davanti all’immensità delle leggi matematiche che governano il mondo, davanti alla magnificenza dell’universo e davanti alla perfezione della realtà. TRAMA.

- la tele-camera apre sulle spalle di un uomo che, seduto s’uno spuntone di roccia, contempla il vasto infinito che gli si presenta innanzi. le sembianze dell’uomo riprendono pedissequamente le forme e la posa del PENSATORE di Auguste 100

Rodin: in posa china e accovacciata, è seduto s’uno spuntone di roccia, con il corpo nudo e piegato sulle proprie ginocchia; investito, avvolto, stagliato, profilato e nitidamente delineato dal fortissimo e intensissimo lucore quasi candescente di un cielo luminosissimo e chiaro, si presenta come scolpito nel bronzo del proprio corpo ambrato, brunito ed eneo, e appare completamente assorto e rapito dalla visione che gli si para innanzi. - la tele-camera compie un giro attorno all’uomo. - la tele-camera scavalca l’uomo e si slancia e proietta in avanti a inquadrare il vasto panorama che si dischiude ai suoi piedi: un immenso universo fatto di pianeti, stelle, costellazioni e galassie che, immobili, fissi e impassibili come conchiglie e scogli sul fondo immutabile del mare, giacciono inerti in un’atmosfera , assorta e ovattata (vd. opera IL PENSATORE di Rodin). * DEL MISTERO DELLA CONOSCENZA. IDEA.

la conoscenza è dall’un lato voluttà, gusto e brama dell’ignoto e dall’altro mistero: è mistero or poichè approssimazione della verità e approssimazione alla verità tramite l’incognita dell’approssimazione e l’approssimazione dell’incognita, or poichè le cose che cadono sotto il nostro sguardo e gli oggetti della realtà suscettibili di analisi scientifica non hanno un legame logico univoco, or poichè le meccaniche relazioni causali tra causa ed effetto di fatti, eventi e accadimenti non sono sempre facilmente determinabili e possono prestarsi a più interpretazioni spesso reciprocamente cozzanti, e or poichè sempre soggettiva cioè mediata e veicolata dal filtro della mente umana dunque mai esente dal sempre latente incombere dell’errore di calcolo perocchè anche le leggi matematiche e fisiche di validità ormai riconosciuta e universale presentano un’insondabile di mistero e un irriducibile d’irrazionale, un residuo d’inerte e un’inerte d’inspiegabile; è inoltre voluttà, 101

gusto e brama dell’ignoto poichè disobbedienza agli schemi precostituiti, ai dogmi imposti e ai dettami aprioristici, poichè rifiuto delle verità rivelate, dei falsi pregiudizi e dell’opinione e poichè ricerca del non-detto, costruzione dell’intangibile e brama dell’impossibile. TRAMA.

- l’obbiettivo apre sul piano-sequenza di un verme che scava una galleria nella polpa di una mela dopo averne percorso ripetutamente la superficie e compiuto per tre volte il giro della circonferenza: allusione alla teoria del ponte di Einstein-Rosen, anche detta dei cunicoli spazio-temporale o o (illustrabile dall’immagine analogica della mela: considerando lo spazio-tempo come la circonferenza di una mela e immaginando che un verme che vi cammini sopra voglia giungere dal punto A al punto opposto B allora esso potrebbe percorrere il tragitto e così giungere dal punto A al punto opposto B in un arco di tempo inferiore rispetto al tempo che impiegherebbe percorrendone la superficie e compiendone la semi-circonferenza cioè la metà della circonferenza che separa i due punti sulla superficie se, invece di percorrere e coprire la mezza circonferenza che separa i due punti opposti, scavasse un cunicolo lungo una linea retta che unisca e connetta i due punti opposti A e B). - allorchè il verme ha completata la galleria, la mela si separa e divide in due semi-circonferenze che, staccandosi, ricevono un contraccolpo tale che le fa successivamente ripiegare su loro stesse e poi espandersi rincontrandosi, riscontrandosi e così nuovamente unendosi (rappresentazione figurativa del percorso di un oggetto all’interno di un ). il processo di separazione e riunione delle due parti della mela ha tuttavia liberato una forza cinetica che imprime un movimento vettoriale inerziale alla mela, la quale viene così scagliata nel vuoto spazio-temporale e proiettata nel futuro, dove, in fine, sfocia arrestandosi e incastonandosi dentro il viso di un uomo in bombetta e abito nero (citazione e trasposizione 3D del famoso quadro IL FIGLIO DELL’UOMO e allusione alla teoria della conoscenza di René 102

Magritte, secondo il quale immagini e oggetti della realtà di cui crediamo di avere capito il senso saranno sempre misteriosi alla nostra mente e inerti a una pura e totale conoscenza poichè le cose che cadono sotto il nostro sguardo non hanno un legame logico univoco o un ruolo ma siamo noi che vogliamo darglielo per non sentirci spaesati: Magritte ci dimostra come in quello che vediamo ci possono essere più interpretazioni e soprattutto sia una fonte di mistero sicchè un oggetto qualsiasi come una mela può diventare un volto e siamo noi, tramite il filtro del linguaggio, ad assegnargli un ruolo, che però si rivela del tutto convenzionale: nessuna associazione di cose rivela mai che cosa possa riunire tali cose diverse: nessuna cosa rivela mai che cosa può farla apparire allo spirito. il minimo comune denominatore di tutte le cose è il mistero). - una mano sinistra di donna, delicatamente chiusa a pugno ma con l’indice disteso e dolcemente puntato verso l’alto, si prostende per cogliere la mela dalla faccia dell’uomo: afferrata la mela, la mano la strappa e l’avvicina a una bocca femminile, che appartiene allo stesso soggetto a cui appartiene la mano che ha raccolto la mela. avvicinata con la mano la mela alla bocca, la donna addenta il frutto con voluttà e bramosia e, nel momento in cui compie l’atto, si trasforma in un serpe (allusione al tema del peccato originale e dunque al concetto della conoscenza quale peccato in quanto brama dell’ignoto e disobbedienza agli schemi precostituiti, ai dogmi imposti e ai dettami aprioristici). - il serpe sguscia e striscia repente nel sottobosco fino a un albero che abbranca e circonda, ghermisce e accerchia, avviluppa e circuisce e circonvolge e circonvolve e circumplette e circoncinge avvolgendolo tra le proprie spire e serpeggiandovi attorno e componendo con il proprio circum-ambulare e circum-vagare attorno alla circonferenza del tronco dell’albero la figura di un uroboro, mitico animale simbolico a forma di serpe che morde e inghiotte la propria coda (allusione alla dottrina pitagorica della metempsicosi cioè della eternità e ciclicità cosmiche e dell’avvicendamento perpetuo della vita e della morte nonchè al principio alchemico della 103

ripetizione del ciclo che raffina le sostanze attraverso il riscaldamento, l’evaporazione, il raffreddamento e la condensazione). - il sottobosco, e con esso l’intero sfondo su cui il serpe si muove, gradualmente si rarefà e stilizza trasformandosi in un piano cartesiano. ugualmente la bestia, non smettendo il circum-vagare su se stessa ma sempre girando attorno a se stessa e sempre mangiando se stessa, si stilizza sempre più e si trasforma nel serpe stilizzato del MOEBIUS STRIP I di Maurits Cornelius Escher: prende cioè la sembianza e la forma di un nastro di Moebius, una superficie non orientabile costituita da un solo lato e un solo bordo (trasposizione e rappresentazione dell’incisione MOEBIUS STRIP I di Maurits Cornelius Escher nonchè allusione alla teoria delle stringhe e raffigurazione visiva di un nastro di Moebius). - il serpe-nastro si piega e avvolge e involve su se stesso a raffigurare il simbolo matematico dell’infinito (∞) stilizzandosi sempre di più fino a trasformarsi in una banda reticolata uguale alla banda raffigurata nell’incisione di Maurits Cornelius Escher intitolata MOEBIUS STRIP II (trasposizione e rappresentazione dell’incisione MOEBIUS STRIP II di Maurits Cornelius Escher nonchè ulteriore allusione alla teoria delle stringhe e raffigurazione visiva di un nastro di Moebius). - da una curvatura nascosta del nastro compaiono nove sproporzionate e gigantesche formiche alate che occupano l’intera superficie della banda (allusione all’incisione di Maurits Cornelius Escher intitolata MOEBIUS STRIP II). - le formiche, sempre in numero di 9, dispiegano le ali e spiccano il volo disponendosi e volando come nell’opera MOEBIUS STRIP III del medesimo Escher. successivamente, il nastro di Moebius si dispiega in cerchio e le 9 formiche iniziano a circolare lungo una traiettoria ellittica trasformandosi lentamente in pianeti lanciati lungo l’orbita di un sistema planetario. - descrizione del moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno ai due fuochi dell’ellisse orbitale, ciascuno dei quali occupato da una mano. ciascuna delle due mani è bianca e scultorea, marmorea e 104

chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza) ma reca il dito indice disteso e rivolto l’una verso l’alto e l’altra verso il basso (allusione al celebre affresco di Raffaello Sanzio conosciuto come LA SCUOLA DI ATENE, e in particolare alle figure centrali dell’affresco, Platone e Aristotele, ritratti rispettivamente il primo con l’indice puntato verso l’alto a compendiare il proprio pensiero basato sulla convinzione che la verità risieda solo nel generale del mondo delle Idee o Iperuranio, il secondo con il palmo della mano aperto e rivolto verso il basso a indicare che il principio e il fondamento della realtà risiede nel particolare della dimensione mondana). - lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano con l’indice rivolto verso il basso si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale) mentre l’altra rimane chiusa a simboleggiare la compiutezza della conoscenza e dell’episteme. - la mela precipita nel vuoto fino a piombare dentro un mare fortemente stilizzato e costituito non di acqua e gurgiti maresi ma da un reticolato geometrico e da onde elettromagnetiche che, all’impatto con la mela, si agitano dando l’aire a una nave (del tutto, in tutto e per tutto simile alla nave di Ulisse raffigurata nel famoso vaso delle sirene conservato nel museo britannico di Londra1)

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http://www.museodelmaredinapoli.it/Viaggio%20in%20Campania/Ulisse%20in%20Campania%203.pdf, https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/24/mar-nero-scoperto-il-relitto-della-nave-di-ulisse-ha-2400-anni-ed-e-la-piu-antica-del-mondoritrovata-finora/4717264/, https://patrimonioculturale.unibo.it/mythos/?q=node/18002.

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che precedentemente si trovava adagiata in quiescenza sulla plaga equorea e che ora, sospinta dalle onde elettromagnetiche scaturite per effetto della caduta della mela, prende l’abbrivo e oscillando comincia a navigare sul mare-reticolato geo-elettromagnetico (allusione alla legge di Coulomb delle forze elettriche) avanzando verso un’isola (allusione all’isola di Itaca e al mito di Ulisse, simbolo per antonomasia della sete di conoscenza e ricerca). - nel mezzo della strada che la separa dall’isola, la nave incappa però in un vorace vorto che l’attrae, risucchia e fagocita in un vorticale buco nero (allusione alla teoria dei buchi neri). - soggettiva della buia galleria, attraversata da lampi di luce blu-giallo-rosso-viola, del buco nero, che termina, sbuca e sfocia alle spalle di un uomo che, seduto s’uno spuntone di roccia, contempla il vasto infinito che gli si presenta innanzi. le sembianze dell’uomo riprendono pedissequamente le forme e la posa del PENSATORE di Auguste Rodin: in posa china e accovacciata, è seduto s’uno spuntone di roccia, con il corpo nudo e piegato sulle proprie ginocchia; investito, avvolto, stagliato, profilato e nitidamente delineato dal fortissimo e intensissimo lucore quasi candescente di un cielo luminosissimo e chiaro, si presenta come scolpito nel bronzo del proprio corpo ambrato, brunito ed eneo e appare completamente assorto e rapito dalla visione che gli si para innanzi. - l’occhio della tele-camera scavalca l’uomo e si slancia e proietta in avanti a inquadrare il vasto panorama che si dischiude ai suoi piedi: un immenso universo fatto di pianeti, stelle, costellazioni e galassie che, immobili, fissi e impassibili come conchiglie e scogli sul fondo immutabile del mare, giacciono inerti e immoti in un’atmosfera < sotto-marina >, assorta e ovattata (vd. foto allegata in NOTE). - didascalia finale (proposte): 1) [formula matematica del paradosso di Russell], Bertrand Russell. 2) “Come possiamo comprendere il mondo nella sua totalità se noi stessi ne siamo parte?” (parafrasi del paradosso di Russell): B. Russell. 106

3) “Si può dire che l’eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità. Il fatto che sia comprensibile è un miracolo”: Albert Einstein. 4) “Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Esistono realtà inquantificabili”: Albert Einstein. 5) “L’universo non è nei numeri: è tutto pervaso dal mistero”: Albert Einstein. 6) “Chi non ammette l’insondabile mistero non può definirsi un vero scienziato”: Albert Einstein. 7) “L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano”: Blaise Pascal. NOTE.

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DEL CALEIDOSCOPIO DELLA CONOSCENZA. IDEA.

l’idea che anima questa sinòpia è che la possibilità ermeneutica dell’interpretazione è legata al numero di interpretazioni possibili e da queste condizionate: ogni interpretazione, e con essa lo sforzo di rendere univoco il senso di un oggetto artistico o scientifico, è solo il risultato di una incomprensione: la scienza e l’ermeneutica postmoderne aderiscono infatti alla metafisica che separa i dati immediati e irriducibili dalle costruzioni teoriche elaborate a partire da quelli: secondo tale metafisica, a fronte di dati che costituiscono gli elementi sui quali sembra esistere un consenso considerato, benchè solo provvisoriamente e temporaneamente o convenzionalmente, univoco e fuori discussione, esiste una messe di interpretazioni e letture possibili e compatibili che non sembrano fare corpo con i dati a cui si applicano: uno stesso procedimento, quale quello di usare una chiave inglese, può essere letto e descritto come l’azione meccanica di stringere un bullone, come l’azione creativa di congegnare un veicolo, come la conseguenza della necessità di procacciarsi di che vivere, o come un contributo politico teso a favorire il flusso delle esportazioni e il sistema economico-finanziario del paese: le possibilità interpretative sembrano insomma inesauribili e non si considera più l’incomprensione e l’errore interpretativo come un accidente evitabile, ma come la condizione stessa della conoscenza e della ricerca. allo stadio attuale della conoscenza e della ricerca, non si può più semplicemente considerare la lettera (interpretazione letterale) come distinta e contrapposta allo spirito (interpretazione metaforica, figurale e allegorica) nell’ottica di sostenere il diritto a interpretare diversamente da come autorizzi la lettera ma si vede nella lettera stessa un miraggio che si dissolve tra le miriadi di possibili interpretazioni. oggi, lo sforzo che compie la conoscenza è quello di elencare e raccogliere il numero potenzialmente infinito di letture teoricamente ammissibili e plausibili, di dare conto del proliferare dei sensi e dei significati. 108

FABULA.

il concetto esposto e dispiegato nel paragrafo precedente (interpretazione quale risultato di una incomprensione) nonchè l’idea della comprensione quale errore o falsamento di prospettiva è reso visivamente tramite e rappresentazione figurativa della fenomenologia della camera giapponese arrangiata e teorizzata da Roland Barthes nel libro L’IMPERO DEI SEGNI (in allegato). INTRECCIO.

- riproduzione, attraverso campo totale fisso orizzontale, dell’interno di una casa giapponese, simile a quella descritta nel libro L’IMPERO DEI SEGNI di Roland Barthes in tutto fuorchè in un particolare: a sinistra è presente una finestra con una grata a cui è appoggiata una sagoma nera di forma oblunga, dai tratti impressionistici e non chiaramente definiti. - rotazione del campo in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale a mostrare l’assoluta specularità dell’architettura e intercambiabilità degli elementi architettonici presenti nell’interno della camera. - nuova e seconda ruotazione del campo in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom-in avanti, a mezza spirale antioraria a stringere sul primo piano della finestra: il dettaglio nero appare ora più nitidamente, e assume i contorni di un gatto che, appoggiato alla grata di ferro della finestra, osserva in camera mentre uno specchio situato dietro l’animale ne riflette la groppa. - nuova e terza ruotazione del primo piano della finestra in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom e primissimo piano sul gatto. - nuova e quarta rotazione del primissimo piano del gatto in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale: la ripresa, giunta a metà del movimento di rotazione, fa sì che il gatto, ora capovolto, non sia più un gatto ma appaia come un vaso mentre lo specchio rimanda ancora l’immagine riflessa del retro-treno del gatto; completata la rotazione, il vaso riacquista le sembianze

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originarie del gatto mentre lo specchio posto dietro l’animale riflette ora un vaso. - travelling composito, composto da: 1) rotazione continua e perpetua in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale del dettaglio nero del gatto-vaso in primo piano che inizialmente si presenta come un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra ma che, durante il movimento di capovolgimento e giunto nel mezzo della rotazione dell’obbiettivo, capovolto prende la sembianza di un vaso appoggiato alla grata di ferro della finestra per poi riprendere nuovamente, al completamento del secondo mezzo giro di rotazione, i connotati di un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra mentre lo specchio riflette un vaso quando l’occhio inquadra un gatto e viceversa + 2) contemporanea carrellata orizzontale, in avanti, a precedere sul dettaglio nero del gattovaso della finestra che viene scavalcato: dopo aver scavalcato il gatto, l’occhio entra nello specchio, dove inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra che offre la groppa alla visione della telecamera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine del garrese: lo spettatore entra in un loop di immagini rifratte dallo specchio e l’occhio, entrando di nuovo nello specchio, inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra che offre il garrese alla visione della tele-camera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine della groppa; ancora, la tele-camera entra nuovamente nello specchio, dove un gatto nero appoggiato alla grata di ferro di una finestra osserva in camera mentre uno specchio posto alle sue spalle ne inquadra il garrese, rimbalzando in loop tra scena reale e scena riflessa nello specchio. come si evince dalla descrizione generale, la scena è complicata dal fatto che il dettaglio nero del vaso-gatto cambia non solo orientamento, essendo inquadrato prima d’avanti poi da dietro, ma anche forma, tramutandosi, appunto, da gatto in vaso e viceversa, sicchè è necessario scomporre la scena in subunità più malleabili e gestibili: considerando che rotazione e carrellata avvengono contemporaneamente, che esse sono sovrapposte nella stessa scena e che la rotazione avviene sempre in senso orario e 110

con angolatura orizzontale mentre la carrellata procede sempre in orizzontale, in avanti e a precedere, allora avremo i seguenti frammenti (ciascuno scandito dal mezzo giro di rotazione preso come unità di misura del tempo scenico): MEZZA ROTAZIONE

CARRELLATA

a) garrese di gatto garrese di gatto b) vaso groppa c) groppa di gatto vaso d) vaso garrese e) garrese di gatto vaso f) vaso groppa g) groppa di gatto vaso h) vaso garrese - didascalia finale: “Lo specchio non capta altro che altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso (che, lo si sa, è la forma).” Roland Barthes L’IMPERO DEI SEGNI

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EPISTHÉMES (3) * TITOLO 1) EPISTHÉMES (mio preferito), forma d’ispirazione franciosa, assolutamente fantasiosa e del tutto inventata, ma molto elegante graficamente e altamente suggestiva; 2) EPISTEME, forma italianizzata corretta; 3) ΕΠΙΣΤΗΜΗ, grafia originale in caratteri greci maiuscoli; 4) επιστήμη, forma originale in caratteri greci minuscoli. * 1: ARMONIA. IDEA.

assunto basilare, fondamentale asserto e principio assiomatico di questo film è che la conoscenza è armonia o, meglio, che la conoscenza è UNA armonia, inteso e impiegato il termine nella sua accezione squisitamente etimologica, tutta antica e classica come il senso a cui è teso e piegato, in virtù del quale la parola assurge a indicare e designare un ventaglio multiplo, molto più ampio e vasto, di molteplici significati e plurimi: tenendo infatti presente che deriva all’italiano, tramite il latino, dal greco αρμονία che vuol dire proporzione ed è corradicale del verbo αρμόζω = collegare, connettere, unire, allora ci apparirà chiaro, evidente e lampante come armonia sia composizione del diverso e sintesi dell’antitesi, concerto degli opposti e concento dei contrari, conveniente accordo dei contrasti e conforme consonanza delle dissonanze; come essa inoltre si traduca in canto concorde di più voci discordi, principio di simmetria che media e risolve il diverso nell’omogeneo e l’antitetico nell’uguale e (volendo ancora forzare la metafora e declinarla in senso geometrico) proporzionata disposizione delle parti in un tutto equabile e concorde i cui elementi, diametralmente opposti cioè posti all’estremità degli infiniti diametri che segmentano le infinite rette passanti per un punto, disposti secondo 113

parametri di equità formale e giustapposti in un soave gioco di corrispondenze e rimandi e richiami, compongono e raffigurano un cerchio o circonferenza, figura geometrica in cui ogni punto è equidistante dal centro e pertanto emblema per antonomasia della compiutezza formale, somma rappresentazione della compiuta perfezione nonchè sintesi perfetta e simbolo per eccellenza di conchiusa e sublime armonia, conferita al corpo geometrico dall’omogenea, uniforme ed euritmica distribuzione delle parti in un tutto assolutamente simmetrico e per questo, appunto, armonico e armonioso (tutt’oggi in Grecia il concetto di è reso dalla parola κούκλος, letteralmente ); come infine l’armonia (volendo stavolta usare una metafora musicale) divenga melodia cioè consonanza di voci o di strumenti diversi in una combinazione simultanea ed estremamente piacevole. stanti dunque queste molteplici diramazioni e ramificazioni del lemma , l’espressione vuol dire capacità di comporre contrasti, attriti e conflitti tra elementi diversi del sistema in un’unità superiore d’intenti, scopi e risultati, sintetizzati e racchiusi nel vasto quadro della scienza. infine, se la conoscenza è armonia e se la somma e massima armonia è (secondo la teoria filosofica antica ) quella celestiale prodotta dallo stridere degli astri durante il loro moto di rivoluzione, allora il concetto di può essere raffigurato visivamente attraverso rappresentazione figurativa della dottrina filosofica (anche detta , o ) che, sorta nell’ambito della filosofia pitagorica e poi ripresa e compiutamente formulata da Zenone di Cizio, considera l’universo come un enorme e gigantesco complesso di rapporti e proporzioni numerici che dominerebbero, reggerebbero e governerebbero ogni aspetto del cosmo e persino la disposizione dei corpi celesti, il cui movimento coordinato produrrebbe un suono vero e proprio, una sorta di armonia sublime e soave melopea, un’autentica melodia divina che le orecchie umane sarebbero financo in grado di percepire se intimamente connesso e partecipe l’animo alla mirabile ed eccelsa 114

struttura della realtà (per maggiori info, vedi l’articolo https:..it.wikipedia.org.wiki.Musica_delle_sfere). TRAMA.

- il film apre sul moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno ai due fuochi dell’ellisse orbitale, ciascuno dei quali occupato da una mano. ciascuna delle due mani è bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza) ma reca il dito indice disteso e rivolto l’una verso l’alto e l’altra verso il basso (allusione al celebre affresco di Raffaello Sanzio conosciuto come LA SCUOLA DI ATENE, e in particolare alle figure centrali dell’affresco, Platone e Aristotele, ritratti rispettivamente il primo con l’indice puntato verso l’alto a compendiare il proprio pensiero basato sulla convinzione che la verità risieda solo nel generale del mondo delle Idee, il secondo con il palmo della mano aperto e rivolto verso il basso a indicare che il principio e il fondamento della realtà risiede nel particolare della dimensione mondana). - lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano con l’indice rivolto verso il basso si apre lasciando cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale) mentre l’altra rimane chiusa a simboleggiare la compiutezza della conoscenza e dell’episteme. - eventuale didascalia finale: “cosmos is (a) melody knowledge is (an) harmony” (ulteriore allusione, stavolta alla filosofia sostanziante l’opera HEART IS A MELODY di Pharoah Sanders). 115

* 2: SOLITUDO. IDEA.

la conoscenza è solitudine: il pensatore che contempla l’infinito si sente e ritrova solo, impotente, piccolo e sconsolato davanti all’immensità delle leggi matematiche che governano il mondo, davanti alla magnificenza dell’universo e davanti alla perfezione della realtà. TRAMA.

- la tele-camera apre sulle spalle di un uomo che, seduto s’uno spuntone di roccia, contempla il vasto infinito che gli si presenta innanzi. le sembianze dell’uomo riprendono pedissequamente le forme e la posa del PENSATORE di Auguste Rodin: in posa china e accovacciata, è seduto s’uno spuntone di roccia, con il corpo nudo e piegato sulle proprie ginocchia; investito, avvolto, stagliato, profilato e nitidamente delineato dal fortissimo e intensissimo lucore quasi candescente di un cielo luminosissimo e chiaro, si presenta come scolpito nel bronzo del proprio corpo ambrato, brunito ed eneo e appare completamente assorto e rapito dalla visione che gli si para innanzi. - la tele-camera compie un giro attorno all’uomo. - la tele-camera scavalca l’uomo e si slancia e proietta in avanti a inquadrare il vasto panorama che si dischiude ai suoi piedi: un immenso universo fatto di pianeti, stelle, costellazioni e galassie che, immobili, fissi e impassibili come conchiglie e scogli sul fondo immutabile del mare, giacciono inerti in un’atmosfera , assorta e ovattata (vd. l’opera il PENSATORE di Rodin). * 3: MISTERO. IDEA.

la conoscenza è dall’un lato voluttà, gusto e brama dell’ignoto e dall’altro mistero: è mistero or poichè 116

approssimazione della verità e approssimazione alla verità tramite l’incognita dell’approssimazione e l’approssimazione dell’incognita, or poichè le cose che cadono sotto il nostro sguardo e gli oggetti della realtà suscettibili di analisi scientifica non hanno un legame logico univoco, or poichè le meccaniche relazioni causali tra causa ed effetto di fatti, eventi e accadimenti non sono sempre facilmente determinabili e possono prestarsi a più interpretazioni spesso reciprocamente cozzanti e or poichè sempre soggettiva cioè mediata e veicolata dal filtro della mente umana dunque mai esente dal sempre latente incombere dell’errore di calcolo perocchè anche le leggi matematiche e fisiche di validità ormai riconosciuta e universale presentano un’insondabile di mistero e un irriducibile d’irrazionale, un residuo d’inerte e un’inerte d’inspiegabile; è inoltre voluttà, gusto e brama dell’ignoto poichè disobbedienza agli schemi precostituiti, ai dogmi imposti e ai dettami aprioristici, poichè rifiuto delle verità rivelate, dei falsi pregiudizi e dell’opinione e poichè ricerca del non-detto, costruzione dell’intangibile e brama dell’impossibile. TRAMA.

- l’obbiettivo apre sul piano-sequenza di un verme che scava una galleria nella polpa di una mela dopo averne percorso ripetutamente la superficie e compiuto per tre volte il giro della circonferenza: allusione alla teoria del ponte di Einstein-Rosen, anche detta dei cunicoli spazio-temporale o o della gallerie gravitazionali (illustrabile dall’immagine analogica della mela: considerando lo spazio-tempo come la circonferenza di una mela e immaginando che un verme che vi cammini sopra voglia giungere dal punto A al punto opposto B allora esso potrebbe percorrere il tragitto e così giungere dal punto A al punto opposto B in un arco di tempo inferiore rispetto al tempo che impiegherebbe percorrendone la superficie e compiendone la semi-circonferenza cioè la metà della circonferenza che separa i due punti sulla superficie se, invece di percorrere e coprire la mezza circonferenza che separa i due punti opposti,

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scavasse un cunicolo lungo una linea retta che unisca e connetta i due punti opposti A e B). - allorchè il verme ha completata la galleria, la mela si separa e divide in due semicirconferenze che, staccandosi, ricevono un contraccolpo tale che le fa successivamente ripiegare su loro stesse e poi espandersi rincontrandosi, riscontrandosi e così nuovamente unendosi (rappresentazione figurativa del percorso di un oggetto all’interno di un ). il processo di separazione e riunione delle due parti della mela ha tuttavia liberato una forza cinetica che imprime un movimento vettoriale inerziale alla mela, la quale viene così scagliata nel vuoto spazio-temporale e proiettata nel futuro, dove, in fine, sfocia arrestandosi e incastonandosi dentro il viso di un uomo in bombetta e abito nero (citazione e trasposizione 3D del famoso quadro IL FIGLIO DELL’UOMO e allusione alla teoria della conoscenza di René Magritte, secondo il quale immagini e oggetti della realtà di cui crediamo di avere capito il senso saranno sempre misteriosi alla nostra mente e inerti a una pura e totale conoscenza poichè le cose che cadono sotto il nostro sguardo non hanno un legame logico univoco o un ruolo ma siamo noi che vogliamo darglielo per non sentirci spaesati: Magritte ci dimostra come in quello che vediamo ci possono essere più interpretazioni e soprattutto sia una fonte di mistero sicchè un oggetto qualsiasi come una mela può diventare un volto e siamo noi, tramite il filtro del linguaggio, ad assegnargli un ruolo, che però si rivela del tutto convenzionale: nessuna associazione di cose rivela mai che cosa possa riunire tali cose diverse: nessuna cosa rivela mai che cosa può farla apparire allo spirito. il minimo comune denominatore di tutte le cose è il mistero). - una mano sinistra di donna, delicatamente chiusa a pugno ma con l’indice disteso e dolcemente puntato verso l’alto, si prostende per cogliere la mela dalla faccia dell’uomo: afferrata la mela, la mano la strappa e l’avvicina a una bocca femminile, che appartiene allo stesso soggetto a cui appartiene la mano che ha raccolto la mela. avvicinata con la mano la mela alla bocca, la donna addenta il frutto con voluttà e bramosia e, nel momento in cui compie l’atto, 118

si trasforma in un serpe (allusione al tema del peccato originale e dunque al concetto della conoscenza come brama dell’ignoto e disobbedienza agli schemi precostituiti, ai dogmi imposti e ai dettami aprioristici). - il serpe sguscia e striscia repente nel sottobosco fino a un albero che abbranca e circonda, ghermisce e accerchia, avviluppa e circuisce e circonvolge e circonvolve e circum-plette e circon-cinge avvolgendolo tra le proprie spire e serpeggiandovi attorno e componendo con il proprio circum-ambulare e circum-vagare attorno alla circonferenza del tronco dell’albero la figura di un uroboro, mitico animale simbolico a forma di serpe che morde e inghiotte la propria coda (allusione alla dottrina pitagorica della metempsicosi cioè della eternità e ciclicità cosmiche e dell’avvicendamento perpetuo della vita e della morte nonchè al principio alchemico della ripetizione del ciclo che raffina le sostanze attraverso il riscaldamento, l’evaporazione, il raffreddamento e la condensazione). - il sottobosco, e con esso l’intero sfondo su cui il serpe si muove, gradualmente si rarefà e stilizza trasformandosi in un piano cartesiano. ugualmente la bestia, non smettendo il circum-vagare su se stessa ma sempre girando attorno a se stessa e sempre mangiando se stessa, si stilizza sempre più e si trasforma nel serpe stilizzato del MOEBIUS STRIP I di Maurits Cornelius Escher: prende cioè la sembianza e la forma di un nastro di Moebius, una superficie non orientabile costituita da un solo lato e un solo bordo (trasposizione e rappresentazione dell’incisione MOEBIUS STRIP I di Maurits Cornelius Escher nonchè allusione alla teoria delle stringhe e raffigurazione visiva di un nastro di Moebius). - il serpe-nastro si piega e avvolge e involve su se stesso a raffigurare il simbolo matematico dell’infinito (∞) intanto stilizzandosi sempre di più fino a trasformarsi in una banda reticolata uguale alla banda raffigurata nell’incisione di Maurits Cornelius Escher intitolata MOEBIUS STRIP II (trasposizione e rappresentazione dell’incisione MOEBIUS STRIP II di Maurits Cornelius Escher

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nonchè ulteriore allusione alla teoria delle stringhe e raffigurazione visiva di un nastro di Moebius). - da una curvatura nascosta del nastro compaiono nove sproporzionate e gigantesche formiche alate che occupano l’intera superficie della banda (allusione all’incisione di Maurits Cornelius Escher intitolata MOEBIUS STRIP II). - le formiche, sempre in numero di 9, dispiegano le ali e spiccano il volo disponendosi e volando come nell’opera MOEBIUS STRIP III del medesimo Escher. successivamente, il nastro di Moebius si dispiega in cerchio e le 9 formiche iniziano a circolare lungo una traiettoria ellittica trasformandosi lentamente in pianeti lanciati lungo l’orbita di un sistema planetario. - descrizione del moto dinamico di un sistema planetario lungo l’orbita astronomica descritta dalla traiettoria dei pianeti che ruotano attorno ai due fuochi dell’ellisse orbitale, ciascuno dei quali occupato da una mano. ciascuna delle due mani è bianca e scultorea, marmorea e chiusa a pugno (allusione al pensiero e alla figura del sopra citato Zenone, che distingueva tra la vera conoscenza o scienza, l’episteme, da lui identificata con la dialettica e simboleggiata dall’immagine del pugno chiuso a riassumere la totale compiutezza e la conchiusa completezza della vera conoscenza, e la falsa conoscenza od opinione, la doxa, identificata con la retorica e raffigurata dal gesto della mano aperta e spiegata a compendiare la dispersività della finta conoscenza) ma reca il dito indice disteso e rivolto l’una verso l’alto e l’altra verso il basso (allusione al celebre affresco di Raffaello Sanzio conosciuto come LA SCUOLA DI ATENE, e in particolare alle figure centrali dell’affresco, Platone e Aristotele, ritratti rispettivamente il primo con l’indice puntato verso l’alto a compendiare il proprio pensiero basato sulla convinzione che la verità risieda solo nel generale del mondo delle Idee, il secondo con il palmo della mano aperto e rivolto verso il basso a indicare che il principio e il fondamento della realtà risiede nel particolare della dimensione mondana). - lentamente, mentre l’obbiettivo ruota attorno all’orbita celeste in senso inverso alla direzione degli astri, la mano con l’indice rivolto verso il basso si apre lasciando 120

cadere una mela che rotola lungo il palmo della mano dischiusa e precipita nella spazio vuoto (allusione alla teoria newtoniana della gravitazione universale) mentre l’altra rimane chiusa a simboleggiare la compiutezza della conoscenza e dell’episteme. - la mela precipita nel vuoto fino a piombare dentro un mare fortemente stilizzato e costituito non di acqua e gurgiti maresi ma da un reticolato geometrico e da onde elettromagnetiche che, all’impatto con la mela, si agitano dando l’aire a una nave (del tutto, in tutto e per tutto simile alla nave di Ulisse raffigurata nel famoso vaso delle sirene conservato nel museo britannico di Londra2) che precedentemente si trovava adagiata in quiescenza sulla plaga equorea e che ora, sospinta dalle onde elettromagnetiche scaturite per effetto della caduta della mela, prende l’abbrivo e oscillando comincia a navigare sul mare-reticolato geo-elettromagnetico (allusione alla legge di Coulomb delle forze elettriche) avanzando verso un’isola (allusione all’isola di Itaca e al mito di Ulisse, simbolo per antonomasia della sete di conoscenza e ricerca). - nel mezzo della strada che la separa dall’isola, la nave incappa però in un vorace vorto che l’attrae, risucchia e fagocita in un vorticale buco nero (allusione alla teoria dei buchi neri). - soggettiva della buia galleria, attraversata da lampi di luce blu-giallo-rosso-viola, del buco nero, che termina, sbuca e sfocia alle spalle di un uomo che, seduto s’uno spuntone di roccia, contempla il vasto infinito che gli si presenta innanzi. le sembianze dell’uomo riprendono pedissequamente le forme e la posa del PENSATORE di Auguste Rodin: in posa china e accovacciata, è seduto s’uno spuntone di roccia, con il corpo nudo e piegato sulle proprie ginocchia; investito, avvolto, stagliato, profilato e nitidamente delineato dal fortissimo e

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http://www.museodelmaredinapoli.it/Viaggio%20in%20Campania/Ulisse%20in%20Campania%203.pdf, https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/24/mar-nero-scoperto-il-relitto-della-nave-di-ulisse-ha-2400-anni-ed-e-la-piu-antica-del-mondoritrovata-finora/4717264/, https://patrimonioculturale.unibo.it/mythos/?q=node/18002.

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intensissimo lucore quasi candescente di un cielo luminosissimo e chiaro, si presenta come scolpito nel bronzo del proprio corpo ambrato, brunito ed eneo e appare completamente assorto e rapito dalla visione che gli si para innanzi. - l’occhio della tele-camera scavalca l’uomo e si slancia e proietta in avanti a inquadrare il vasto panorama che si dischiude ai suoi piedi: un immenso universo fatto di pianeti, stelle, costellazioni e galassie che, immobili, fissi e impassibili come conchiglie e scogli sul fondo immutabile del mare, giacciono inerti e immoti in un’atmosfera , assorta e ovattata (vd. foto allegata in NOTE). - didascalia finale (proposte): 1) [formula matematica del paradosso di Russell], Bertrand Russell. 2) “Come possiamo comprendere il mondo nella sua totalità se noi stessi ne siamo parte?” (parafrasi del paradosso di Russell): B. Russell. 3) “Si può dire che l’eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità. Il fatto che sia comprensibile è un miracolo”: Albert Einstein. 4) “Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Esistono realtà inquantificabili”: Albert Einstein. 5) “L’universo non è nei numeri: è tutto pervaso dal mistero”: Albert Einstein. 6) “Chi non ammette l’insondabile mistero non può definirsi un vero scienziato”: Albert Einstein. 7) “L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano”: Blaise Pascal.

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NOTA.

* 4: CALEIDOSCOPIO. IDEA.

l’idea che anima questa sinòpia è che la possibilità ermeneutica dell’interpretazione è legata al numero di interpretazioni possibili e da queste condizionate: ogni interpretazione, e con essa lo sforzo di rendere univoco il senso di un oggetto artistico o scientifico, è solo il risultato di una incomprensione: la scienza e l’ermeneutica postmoderne aderiscono infatti alla metafisica che separa i dati immediati e irriducibili dalle costruzioni teoriche elaborate a partire da quelli: secondo tale metafisica, a fronte di dati che costituiscono gli elementi sui quali sembra esistere un consenso considerato, benchè solo provvisoriamente e temporaneamente o convenzionalmente, univoco e fuori 123

discussione, esiste una messe di interpretazioni e letture possibili e compatibili che non sembrano fare corpo con i dati a cui si applicano: uno stesso procedimento, quale quello di usare una chiave inglese, può essere letto e descritto come l’azione meccanica di stringere un bullone, come l’azione creativa di congegnare un veicolo, come la conseguenza della necessità di procacciarsi di che vivere o come un contributo politico teso a favorire il flusso delle esportazioni e il sistema economico-finanziario del paese: le possibilità interpretative sembrano insomma inesauribili e non si considera più l’incomprensione e l’errore interpretativo come un accidente evitabile, ma come la condizione stessa della conoscenza e della ricerca. allo stadio attuale della conoscenza e della ricerca, non si può più semplicemente considerare la lettera (interpretazione letterale) come distinta e contrapposta allo spirito (interpretazione metaforica, figurale e allegorica) nell’ottica di sostenere il diritto a interpretare diversamente da come autorizzi la lettera ma si vede nella lettera stessa un miraggio che si dissolve tra le miriadi di possibili interpretazioni. oggi, lo sforzo che compie la conoscenza è quello di elencare e raccogliere il numero potenzialmente infinito di letture teoricamente ammissibili e plausibili, di dare conto del proliferare dei sensi e dei significati. FABULA.

il concetto esposto e dispiegato nel paragrafo precedente (interpretazione quale risultato di una incomprensione) nonchè l’idea della comprensione quale errore o falsamento di prospettiva è reso visivamente tramite e rappresentazione figurativa della fenomenologia della camera giapponese arrangiata e teorizzata da Roland Barthes nel suo libro L’IMPERO DEI SEGNI. INTRECCIO.

- riproduzione, attraverso campo totale fisso orizzontale, dell’interno di una casa giapponese, simile a quella descritta nel libro L’IMPERO DEI SEGNI di Roland Barthes in tutto fuorchè in un particolare: a sinistra è presente una finestra con una grata a cui è appoggiata una sagoma nera 124

di forma oblunga, dai tratti impressionistici e non definiti chiaramente. - rotazione del campo in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale a mostrare l’assoluta specularità dell’architettura e intercambiabilità degli elementi architettonici presenti nell’interno della camera. - nuova e seconda ruotazione del campo in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom-in avanti, a mezza spirale antioraria a stringere sul primo piano della finestra: il dettaglio nero appare ora più nitidamente, e assume i contorni di un gatto che, appoggiato alla grata di ferro della finestra, osserva in camera mentre uno specchio situato dietro l’animale ne riflette la groppa. - nuova e terza ruotazione del primo piano della finestra in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom e primissimo piano sul gatto. - nuova e quarta rotazione del primissimo piano del gatto in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale: la ripresa, giunta a metà del movimento di rotazione, fa sì che il gatto, ora capovolto, non sia più un gatto ma appaia come un vaso mentre lo specchio rimanda ancora l’immagine riflessa del retrotreno del gatto; completata la rotazione, il vaso riacquista le sembianze originarie del gatto mentre lo specchio posto dietro l’animale riflette ora un vaso. - travelling composito, composto da: 1) rotazione continua e perpetua in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale del dettaglio nero del gatto-vaso in primo piano che inizialmente si presenta come un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra ma che, durante il movimento di capovolgimento e giunto nel mezzo della rotazione dell’obbiettivo, capovolto prende la sembianza di un vaso appoggiato alla grata di ferro della finestra per poi riprendere nuovamente, al completamento del secondo mezzo giro di rotazione, i connotati di un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra mentre lo specchio riflette un vaso quando l’occhio inquadra un gatto e viceversa + 2) contemporanea carrellata orizzontale, in avanti, a precedere sul dettaglio nero del gatto125

vaso della finestra che viene scavalcato: dopo aver scavalcato il gatto, l’occhio entra nello specchio, dove inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra offre la groppa alla visione della tele-camera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine del garrese: lo spettatore entra in un loop di immagini rifratte dallo specchio e l’occhio, entrando di nuovo nello specchio, inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra che offre il garrese alla visione della tele-camera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine della groppa; ancora, la tele-camera entra nuovamente nello specchio, dove un gatto nero appoggiato alla grata di ferro di una finestra osserva in camera mentre uno specchio posto alle sue spalle ne inquadra il garrese, rimbalzando in loop tra scena reale e scena riflessa nello specchio. come si evince dalla descrizione generale, la scena è complicata dal fatto che il dettaglio nero del vaso-gatto cambia non solo orientamento, essendo inquadrato prima d’avanti poi da dietro, ma anche forma, tramutandosi, appunto, da gatto in vaso e viceversa, sicchè è necessario scomporre la scena in subunità più malleabili e gestibili: considerando che rotazione e carrellata avvengono contemporaneamente, che esse sono sovrapposte nella stessa scena e che la rotazione avviene sempre in senso orario e con angolatura orizzontale mentre la carrellata procede sempre in orizzontale, in avanti e a precedere, allora avremo i seguenti frammenti (ciascuno scandito dal mezzo giro di rotazione preso come unità di misura del tempo scenico): MEZZA ROTAZIONE carrellata a) garrese di gatto garrese di gatto b) vaso groppa c) groppa di gatto vaso d) vaso garrese e) garrese di gatto vaso f) vaso groppa g) groppa di gatto vaso h) vaso garrese

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- didascalia finale: “lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso (che, lo si sa, è la forma).” Roland Barthes L’IMPERO DEI SEGNI

* 5: CASUS-CAOS-CAUSA. IDEA.

- PERCHÈ: l’idea è quella di “rendere testimonianza del fatto che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza regole come a volte può sembrare” [Maurits Cornelius Escher in Marco Bussagli: ESCHER (Giunti, Firenze-Milano, 2004): 46]. - COME: tramite riproduzione animata dell’opera PLANETOIDE TETRAEDRICO di Maurits Cornelius Escher (1954) dove il solido geometrico escheriano (composto da un piccolo universo urbano a due facce fluttuante nel vuoto cosmico) viene fatto ruotare su se stesso mostrando la meraviglia della propria perfezione matematica-geometrica. FABULA.

- rappresentazione della teoria . - riproduzione animata dell’opera PLANETOIDE TETRAEDRICO di Maurits Cornelius Escher (1954). INTRECCIO.

- raffigurazione dell’universo ancora in nuce sotto forma di

cosmico di dimensioni minuscole e infinitesimali. - esplosione dell’uovo cosmico che riempie tutto lo spazio con un primordiale caos magmatico e ribollente che da questo momento inizia ad espandersi. - propagazione delle prime onde gravitazionali. - stato gassoso: vengono create le prime particelle: l’universo è un gasso composto da quark, leptoni, antiquark, antileptoni, e bosoni X e Y. 127

- stato liquido: creazione di nuove particelle dotate di carica magnetica e iperespansione dell’universo (inflazione) che rende l’universo liquido e e isotropo e causalmente connesso mentre il plasma si addensa progressivamente fino a giungere allo stato solido. - stato solido: è il momento della formazione degli atomi: gli elettroni si uniscono ai protoni formando atomi di idrogeno, i nuclei di elio con gli elettroni formano atomi di elio. - formazione delle galassie: si formano galassie e ammassi di galassie e poi le prime stelle, si formano nubi di materia e per effetto gravitazionale le protogalassie dentro le quali si formano poi le protostelle. - si forma la nube dalla quale per contrazione gravitazionale nascono il sole e i suoi pianeti fra i quali la terra. - zoom-in avanti sulla terra mutante nel piccolo universo urbano a due facce e fluttuante nel vuoto cosmico raffigurato nel PLANETOIDE TETRAEDRICO di Escher che gira su se stesso cioè intorno al proprio asse mostrando l’intera superficie della propria circonferenza dotata di costruzioni matematicamente simmetriche e simmetricamente geometriche.

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ON THE SUN * IDEA. il concetto che fonda, anima e giustifica questo film è che solo un gesto impavido di estremo e orgoglioso coraggio può, in certe condizioni liminali e in certe situazioni limitali e in certi casi limitanei, rendere una vita degna di essere stata vissuta e rendere dignità a un’esistenza: a volte, un solo momento di estasi può riscattare l’insulsaggine del quotidiano e l’inerte della vita, quando la vita è (o diviene) sciatta, banale, bigia, monocroma, monotona e inerte. nel film, e nel nostro caso, il gesto di coraggio si traduce in un atto di rinuncia, e rinuncia alla vita, rinuncia alla vita in totale dispregio della morte: un suicidio; e il riscatto dalla misera condizione della vita giunge dal cosmo, da un folle volo s’una navicella lanciata ai confini del sistema solare, dove un gruppo di astronauti, perduta la rotta e perduti nell’infinito silenzio degli spazi interstiziali della dimensione stellare, vagano senza nessun approdo possibile finchè decidono di orientare l’astronave verso il sole e così disintegrarsi preferendo una morte dignitosa e onorevole a una sopravvivenza sciatta e banale nella bigia monocromia degli abissi spaziali pervasi dal buio, dal silenzio e dalla fissità. spesso, infatti, nella vita ci si perde in quello che si cerca finendo col perdere proprio ciò che si ricerca: in questi casi, solo il coraggio di una svolta decisiva e definitiva e di un cambiamento radicale (che prende i connotati dell’abbandono, della rinuncia e della perdita) è in grado di riscattare le miserie della vita e vincere la banalità e l’inerte del quotidiano: poichè vivere significa perdere e la vita è una continua frattura e una serie infinita di rotture che separano amici e amanti, è la morte che allontana i cari, è il furto degli oggetti scomparsi e il latrocinio degli oggetti smarriti, allora chi vuole imparare a vivere deve forse allenarsi a rompere, a rinunciare con gioiosa curiosità alla perdita. 129

titolo: ON THE SUN, allusione e parodia del titolo della canzone ON THE RUN dei Pink Floyd dall’album THE DARK SIE OF THE MOON (titolo che ha senso solo se si decide d’impiegare la canzone dei Pink Floyd come colonna sonora del video); 2) SPACE PROBE, citazione del titolo di un componimento di Sun Ra contenuto nell’omonima raccolta; 3) THE OTHER SIDE OF THE SUN, citazione del titolo di un album di Sun Ra e allusione all’aspetto mortifero, tratteggiato nel film, del sole, il quale è normalmente associato ai valori della vita; 4) LOST IN THE DARK/DARKNESS, traduzione e citazione del titolo del film muto SPERDUTI NEL BUIO, diretto da Nino Martoglio nel 1914; 5) AT AGONY WAY (citazione del titolo dell’omonima silloge poetica bukowskiana); 6) ALBE DI NAUFRAGIO. TRAMA. - un’astronave si stacca da terra e comincia un viaggio astrale verso Plutone. al momento della partenza, gli astronauti sono insieme spaventati e eccitati: hanno una nebbia negli occhi, nel cuore e nella mente; avvertono una sensazione di strappo quando la nave rompe l’atmosfera; i pensieri si frantumano e tutto si mostra a loro con distacco. - dopo un giorno di viaggio, gli astronauti, ormai proiettati nello spazio aperto, vedono fuori dagli oblò tutto un pullulare di stelle scintillanti immerse in un totale e assordante buio, e la Luna all’orizzonte. delle stelle, le più vicine ruotano per ellissi, le più lontane risplendono immobili riempiendo il cielo della propria fissità. - dopo alcuni giorni di viaggio, l’astronave giunge in prossimità della Luna, che appare come un grandissimo e immenso piano di proporzioni gigantesche che l’occhio non riesce a comprendere per intero, simile a uno specchio parabolico che per la folle corsa della nave sembra inclinarsi su se stesso conflagrando in un bagliore spaventoso come il biancore di un interminato e infinito candido lenzuolo. gli uomini dell’equipaggio osservano con soddisfazione e speranza curiose lavagne triangolari vergate da una scrittura minuta e fitta (si potrebbero usare i caratteri greci).

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- superata la Luna, accade però che l’astronave incrocia una supernova non prevista in fase di calcolo della rotta: al momento dell’incrocio della navicella con la supernova, vera muraglia magnetica, le forti radiazioni emanate da questa interferiscono con l’impianto elettrico della nave provocando un grave corto-circuito che danneggia irreparabilmente le apparecchiature elettroniche che smettono pericolosamente di funzionare: le luci si spengono; l’astronave perde la rotta e inizia a vagare senza meta e senza alcun approdo, sperduta nel buio dell’infinito silenzio stellare, allontanandosi inesorabilmente e irrimediabilmente dalla terra e dalla rotta; gli astronauti si ritrovano all’improvviso sprofondati in un’immensità buia e atterrente, silenziosa e oscura e priva di luce, solo rischiarata, di tanto in tanto, dai fasci di luce che a sprazzi intermittenti piovono dalle stelle tutt’intorno sul velivolo ma inerti come polvere; lo spazio si dilata progressivamente in abissi di buio e solitudine e silenzio incombenti, vasti e infiniti come un mare senza principio e senza fine; l’intero impianto elettrico dell’astronave è irrimediabilmente compromesso e gli astronauti non hanno più contezza del luogo in cui si trovano né della direzione in cui procedono: è il buio: mentre la nave spaziale si allontana dalla rotta e dalla terra, fuori dagli oblò cresce il buio, e con la tenebra anche l’oblio: l’abisso di oscurità che monta fuori dai vetri è come un pozzo profondissimo di disperazione alternato a procelle di astri ronzanti subito seguite da un silenzio tombale, accresciuto dalle correnti elettromagnetiche che corrono nello spazio, come una notte perenne e indomita, nera immensa e spaventosa come un lago nero; l’unico rumore che si sente è quello delle ventare rombanti dei motori e della corsa dell’astronave per l’attrazione gravitazionale. - dopo un lungo periodo di tempo trascorso a zonzo nello spazio interstellare navigando sulle onde dell’oscurità, finite ormai le provviste alimentari, l’equipaggio, reso pallido e diafano dall’inedia protratta, decide di puntare la navicella verso il sole per uccidersi e così sottrarsi alla dolorosa agonia, fisica e spirituale, di una morte lenta e graduale. 131

- giunti in prossimità del sole, gli astronauti rivedono la luce toccare la propria pelle dopo mesi e mesi di buio. la luce che perviene loro si presenta come un polverio candido e inerte che piovendo sull’astronave si diffonde su tutto l’orizzonte visibile come il riverbero di un incendio lontanissimo che rischiara, per la prima volta dopo molto tempo, i corpi e i visi degli astronauti. tutto sembra imbiancato come di fiori di mandorlo e magnolia. - il lume come di milioni di lampadine accese del sole si fa sempre più forte ardendo come un biancore sui caschi e le tute degli uomini dell’equipaggio siderale: è la fine: l’universo che si vede fuori dai finestrini è ora come una tela larghissima di fiamme bianche che sempre più si allargano in un improvviso lampeggiare terrificante, in un sussultorio salto indietro-avanti nel tempo. - tra i componenti dell’equipaggio, c’è chi terrorizzato mette la testa fra le ginocchia e piange rannicchiato contro la parete della nave in posizione fetale; chi disperato mette la testa tra le mani e si accascia aspettando che il sonno ancestrale lo colga, mentre dagli oblò si vede il sole avvicinarsi sempre più e ingrandirsi e rotondeggiare come una montagna dai contorni incerti e indefiniti, un deserto glaciale bianchissimo o un oceano lattescente e lattiginoso di cui non di vede l’orizzonte; chi cade in un torpore d’ipnosi cosmica come trascinato da un vortice irresistibile che toglie le forze; e chi guarda fuori dall’oblò e con espressione di stupore frammisto a paura osserva il sole avvicinarsi aspettando l’esplosione finale, che giunge e avviene con il lucore abbagliante e abbacinante e l’allucinante deflagrazione di mille incendi ed esplosioni. - la luce solare, avvicinandosi, rende ancora più pallidi e diafani i visi dei viaggiatori spaziali che, ormai magrissimi e quasi trasparenti (gli si può vedere il cuore battere nella pelle e nelle tempie), presentano una certa iridescenza lattea nelle membra che li rende simili a foglie trasparenti. la luminescenza solare penetra nell’abitacolo della nave spaziale aleggiando come pagliuzze d’oro galleggianti in una fosforescenza iridata che si diffonde uguale dappertutto. la luce-calore del sole trafigge i corpi degli astronauti che, lentamente, 132

si disfano trasformandosi in un immateriale fluvio pulviscolare che, come una polvere lattescente, si alza in piccoli vortici che fluiscono in rivoli di albedine che si perdono e svaniscono nella chiaria candida della luce solare mentre dal profondo del silenzio-tenebra sale un rombo come di fiume. infine, la luce, abbagliante e diffusa, invade e candisce interamente lo schermo. - didascalia finale: “Temptation is not destruction, but uneasiness. And, there will perhaps be restlessness, even in death itself.”.

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THE RESERVOIR OF THE 12 FLYING HYENAS * METESSIA. il film vuole rappresentare e descrivere la follia demiurgica che opera dietro la creazione artistica. TRAMA. - un uomo, seduto di sera davanti a una scrivania, è intento a comporre un testo nel computatore quando sente strani rumori provenienti dal giardino salire attraverso la finestra e giungergli all’orecchio: scatta in piedi e lentamente e silenziosamente si reca fuori: guardandosi intorno intravvede e scorge una figura che, china e accovacciata su se stessa, rovista tra i cespugli a destra della veranda e subito dopo sente rumore di urina che scorre: “ou, stai pisciando nel mio giardino” urla, ma non ottiene risposta; così si avvicina e quando è nel punto da cui sente provenire i rumori di minzione si tuffa e si lancia sul cespuglio per acchiappare e punire il maleducato intruso ma il corpo su cui atterra con un ringhio e un ululato si libera dalla presa, scappa correndo a quattro zampe, e infine si dilegua spiccando il volo. lo scrittore ritorna dentro spaventato e chiude la porta a chiave. - l’indomani mattina, uno sconcertato, preoccupato e costernato annunciatore televisivo annunzia l’avvistamento di un gruppo di 12 iene volanti e il successivo abbattimento di 10 di queste, che avevano sorvolato il palazzo del governo centrale e defecato sui membri del potere, ministri e sottosegretari, mancando di pochissimo il presidente, e invita e consiglia i cittadini a non abbandonare le proprie abitazioni ed evitare gli spostamenti esterni non indispensabili, almeno fino al ritrovamento e alla cattura delle altre due iene volanti ancora in libertà. - nel notiziario del mattino successivo, a 24 ore dal primo avvistamento, lo stesso annunciatore informa che anche le ultime 2 iene volanti sono state abbattute e la cittadinanza è finalmente libera da questa pericolosa e 135

grave minaccia per l’incolumità, la salute e l’igiene di tutti. - uno sbirro, attraversando di notte il parco per il solito giro di ricognizione, scopre gli ultimi due esemplari superstiti avvinghiati in un atto sessuale e, avvicinatosi alla chimera, prima spara contro il maschio che fa un ghigno ebete e demente da iena e poi muore sul colpo; successivamente rivolge l’arma contro la fema ma questa prontamente si libra in volo e scappa. lo sbirro non demorde: prende la mira e spara, colpendo in cielo l’ultima iena, che cade in terra, ferita ma non ancora morta: lo sbirro si guarda in giro, estrae il pene e cerca di violentare la iena che ulula e si dimena. l’uomo, rimessosi in piedi, estrae nuovamente la pistola, la punta al cervello dell’animale alato e lo finisce. - è sera all’interno della casa dello scrittore della prima scena: l’uomo, sdraiato sul divano, dorme della grossa; sul tavolo 12 bottiglie di birra svuotate.

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IL SOGNO DELLA VITA (LUCID DREAM) * 1635: Basilio re di Polonia, avvertito dagli astrologhi di corte che suo figlio Sigismondo gli avrebbe strappato il trono e lo scettro e sarebbe diventato un tiranno, lo rinchiude fin dalla nascita in una torre carceraria, affidandolo alle cure del precettore Clotaldo. Sigismondo impreca contro il mondo e il destino che lo hanno inspiegabilmente e ingiustificatamente privato della libertà senza ragione. dopo venticinque anni di sensi di colpa Basilio teme d’essersi ingannato nell’interpretare i segni del cielo e così decide di fare una prova: prima di abdicare in favore dei nipoti Astolfo e Stella - decide di tentare il destino e riporta Sigismondo addormentato nel palazzo reale affinché svegliandosi re sia libero di comportarsi secondo come gli detta il cuore; ma la prova sembra dar ragione agli astri: Sigismondo sfoga selvaggiamente il risentimento per l’ingiustizia subita e assetato di vendetta libera i propri istinti in modo indiscriminato giungendo a gettare dalla finestra un servo che lo aveva contraddetto: Basilio vede in ciò la prova della veridicità del pronostico e non il risultato dell’errato mezzo d’educazione adottato e decide di riportare il figlio addormentato nella torre. la prima reazione di Sigismondo al risvegliarsi nel carcere è di scetticismo sulla veridicità dei suoi sensi ma poi, istruito dal disinganno e fatto savio dell’irrimediabile miseria della vita, conclude pessimisticamente che tutta la vita non è altro che un sogno e che i sogni si terminano solo con il risveglio nel sonno della morte.

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UNA STORIA DI VENDETTA (REVENGE FICTION) * TITOLI ALTERNATIVI. -

LA TENEBRA NEL CUORE IL BUIO NEL CUORE BESTIA DENTRO CUORI NELLA TENEBRA

(HEARTS

IN THE DARKNESS)

HOMBRE DE SOMBRA.

* CORTEMILIA (CN) AI GIORNI NOSTRI. Mario è uno scrittore quarantenne di origine siciliana ma trapiantato da molti anni in Piemonte: vive con il padre Enzo (già sommozzatore, or in pensione) in un modesto ma dignitoso trilocale (composto da due camere da letto e uno studiolo) nella piccola cittadina di Cortemilia dove conduce una vita tranquilla e mediamente agiata, scandita da lunghe passeggiate in bicicletta lungo i sentieri collinari delle Langhe durante il giorno alternate a intense sessioni di scrittura durante la sera e la notte; ama la musica jazz che tiene ad alto volume durante le lunghe notti e intense di scrittura; non ha una donna e fissa; fuma troppo; e ogni tanto si concede una birra. una sera uguale a molte altre sere tre negri fanno irruzione in casa di Mario, immobilizzano e uccidendo il padre Enzo mentre Mario (seduto al computatore nel proprio studio e intento a scrivere) non si accorge di nulla per via della musica alta: scopre il misfatto più tardi, allorchè si alza dalla scrivania per recarsi in cucina e prendere una tazza con caffè e lì rinviene il cadavere del padre senza vita: è l’inizio di una guerra senza esclusione di colpi che conduce il protagonista lungo una strada irta di pericoli e rischi che sfocerà in una spietata vendetta. IN

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TORINO, UN ANNO PRIMA. Mario riceve dall’ambiguo Guy (traffichino cinquantenne di nazionalità camerunense gestore di un locale che Mario è solito frequentare denominato The Terminal e sito in corso Vercelli) un’allettante proposta: il losco e subdolo figuro gli propone di offrirsi come per un affare illecito: far transitare (in cambio di una commissione pari al 20% della cifra mossa) sul suo c/c un’ingente quantità di denaro fraudolentemente sottratto a terzi dal braccio informatico di una potente organizzazione mafiosa nigeriana attiva nella città e capeggiata da un certo Desmond; Mario accetta poichè da sempre attanagliato da problemi pecuniari e di sopravvivenza dovuti alla bassissima remuneratività del proprio lavoro ma al momento di restituire i soldi trattiene l’intera cifra pari a ben 83,000 euro fuggendo con il padre in una località poco nota (Cortemilia, appunto): da quel momento Desmond mette in atto una vera e propria una caccia all’uomo che si concluderà esattamente un anno dopo allorchè uno sgherro di Desmond riceve una soffiata che permette a quest’ultimo di rintracciare il rifugio di Mario: scovata l’abitazione dello scrittore, Desmond assolda 3 cagnotti per uccidere Enzo e così inviare un chiaro e inequivocabile segnale di avvertimento a Mario. CORTEMILIA AI GIORNI NOSTRI. pochi giorni dopo l’omicidio del padre - Mario riceve una telefonata da parte di una voce oscura e misteriosa che gl’intima di restituire i soldi qualora non voglia fare la stessa fine del padre. ma lo scrittore avendo perduto l’ultimo e unico legame con il proprio passato è intenzionato a tenere per se tutti i soldi e vendicare la morte del padre. TORINO AI GIORNI NOSTRI. per far questo coinvolge Gigi, un caro amico poliziotto il quale infiltra nella ganga di Desmond un già spacciatore di droga senegalese ora collaboratore di giustizia di nome Charlie, il quale partecipa per più di un anno all’attività criminale della banda di Desmond che 140

gestisce traffici illeciti di ogni sorta: droga - armi truffe informatiche falsificazione di soldi e sfruttamento della prostituzione. ma Charlie s’innamora di Charity, una ragazza nigeriana ventiduenne ridotta in schiavitù e costretta dalla banda di Desmond a prostituirsi e risolve di abbandonare l’operazione e fuggire con la ragazza: la ragazza prima titubante infine accetta e si prepara alla fuga, che Charlie fissa nel giorno di un grosso scambio di droga che dovrebbe condurre alla cattura e all’arresto dell’intera associazione: durante l’operazione - fidando sull’assenza dei cagnotti di Desmond Charlie entra furtivamente nel deposito dove sono tenute prigioniere le donne destinate alla strada - colpisce uccidendolo il guardiano che sorveglia le donne ma viene scoperto e inseguito da un altro accolito che rimasto casualmente e fortuitamente nel magazzino carpisce la trama ordita ai danni dell’organizzazione e uccide Charlie e anche Gigi il quale improvvidamente venuto allo scoperto allorchè il contatto radio con Charlie viene meno è raggiunto da un proiettile e muore sul colpo. a Mario non resta che portare avanti il proprio piano di vendetta da solo: studiati minuziosamente abitudini e orari di Desmond e dei suoi affiliati - si intrufola una notte nel quartier generale della banda e piazza dovunque ordigni esplosivi che fa esplodere nel momento in cui tutti i componenti saranno all’interno: rimarrà vivo solo Desmond che Mario cattura e incatena e sottopone a tremende torture fisiche che provocheranno la morte del criminale per dissanguamento.

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HYSTERIA COSMICA * FABULA. Una figura antropomorfa, un manichino con sembianze umane e sguardo spento e disperato, è intrappolata tra le altissime mura del prospetto interno di un palazzo squallido decadente e scalcinato in architettura di stile brutalista. Successivamente vediamo il manichino giacere sprofondato e adagiato su campo nero fissando in camera con occhi assolutamente immobili immoti vacui quasi privi di vita ed esanimi. Lentamente le sue labbra si dischiudono in un ghigno sardonico e mefistofelico che in fine esplode d’improvviso in una risata folle e demoniaca che inghiotte la tele-camera e con essa lo spettatore. Lo spettatore si ritrova a precipitare sprofondando nel vuoto di un pozzo senza fondo insieme con il manichino terminando la propria caduta in un oscuro e immoto specchio-stagno fangoso-olioso come sabbie mobili da cui il manichino cerca con tutte le forze di trarsi fuori senza però riuscirvi. Al fondo del pozzo, massimamente profondo e buio e cupo e tetro, uno scheletro stante s’un pavimento di ossa umane è affrontato a uno specchio che rimanda e riflette l’immagine del manichino iniziale. Segue una serie d’immagini analogiche. * INTRECCIO. Campo lunghissimo con angolatura verticale a piombo del cortile interno di un palazzo di architettura brutalista squallido decadente e scalcinato. Spirale3 realizzata tramite combinazione di rotazione circolare di 360° + carrellata verticale in avanti

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Chiamo , qui e altrove, il movimento composito costituito da combinazione simultanea di rotazione circolare di 360° + carrellata + carrellata ottica.

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dall’alto verso il basso con angolatura a piombo + carrellata ottica in avanti (zoom-in) a stringere dal campo lunghissimo dell’inquadratura precedente al primo piano a figura intera del manichino. Il corpo del manichino è contorto in posizione fetale, e scosso da sussulti e tremori incontrollati dovuti a spasmi muscolari dei muscoli degli arti e del tronco. Rotazione circolare a 360° sulla figura intera del manichino + carrellata ottica in avanti a stringere sul volto del manichino. Il volto è percorso e percosso e stravolto da ticchi nervosi e tremori incontrollati dovuti a spasmi dei muscoli facciali. Primissimo piano della linia degli occhi del manichino. Gli occhi digringanti e strabuzzanti e sbarrati. (In qualche maniera, la postura del corpo e l’espressione del volto e la figura dello sguardo, devono comunicare un senso di profondissimi disagio e inquietudine e disperazione e follia: penso al dettaglio dell’uomo seduto sulla nuvola nel GIUDIZIO UNIVERSALE di Michelangelo Buonarroti: vd. Figura alla fine). Assolvenza in nero. Apertura su vuoto nero attraversato da sotterranei sprazzi intermittenti di luce lampeggiante. Dissolvenza di apertura da nero sul primo piano del volto del manichino che guarda in camera con occhi assolutamente immobili immoti vacui e fissi quasi privi di vita ed esanimi. Carrellata o panoramica verticali dagli occhi alla bocca. Fermo immagine sul primo piano della bocca distorta in un deformante ghigno demonico. Carrellata ottica in avanti sul primissimo piano della bocca che d’improvviso esplode in una risata demoniaca. Carrellata ottica in avanti dell’occhio della tele-camera che entra nel vuoto nero della bocca spalancata. Piano-sequenza composito composto da: 1) campo lunghissimo di sagoma antropomorfa che staglia sul fondo del quadro precipitando nel vuoto; 2) carrellata prospettica in avanti + carrellata ottica in avanti a raggiungere la sagoma

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antropomorfa che si riconosce essere il manichino; 3) primo piano a figura intera dell’intero manichino; 4) carrellata circolare intorno al manichino sprofondante in caduta libera in un vuoto nero e senza fine come un pozzo infinitivo (la inquadratura crea un palese ed evidente paradosso logico poichè il manichino che precipita è lo stesso nella bocca del quale la tele-camera è in precedenza entrata: la bocca-galleria nella quale il manichino precipita appartiene cioè allo stesso manichino che vi precipita dentro). La caduta termina in un oscuro piatto e immoto specchiostagno fangoso-olioso fatto di sabbie mobili. Il manichino cerca con tutte le forze di trarsi fuori dal pantano (fonte d’ispirazione: scena da 02,20 a 02,35 del filme reperibile al link https:..www.youtube.com.watch?v=KwKPa0SFYhA) ma non riesce e rimane intrappolato nello specchio-stagno. Primo piano frontale a figura intera di specchio ruotato leggermente di 45° in senso orario verso sinistra e riflettente l’immagine del manichino. Carrellata frontale in retro con rotazione laterale in senso orario di 90° associata a zoom-out in retro a comprendere nel quadro la figura di uno scheletro che, affrontato allo specchio, in questo si riflette. Carrellata frontale in retro con rotazione verticale di 90° seguita da carrellata verticale dal basso verso l’alto in retro con angolatura prona combinata con carrellata ottica in retro (zoom-out) a slargare sulla scenografia costituita da pavimento in ossa umane e pareti circolari in roccia e pietra. Proseguimento della carrellata e ulteriore zoom-out a inquadrare l’intera scenografia che si rivela essere il fondo di un pozzo profondissimo con pareti in roccia e pietra e pavimento di ossa umane. Dal pavimento scaturiscono ed erompono arbusti terminanti con boccioli di fiore ancora chiusi. I boccioli delle piante lentamente si dischiudono sbocciando in fiori. I petali del fiore distaccano mutando in albatri che spiccano in volo librando in alto. 145

Salendo e volitando gli albatri restano presi con le ali nella rete di un’aragna. Un ragno gigantesco famelico e mostruoso vicita e ammicca uno degli albatri. Cavalli corrono sfrenati lungo le orbite ceneree di spenti mondi freddi e bui. Sottili raggi di luna cadono trafiggendo i cavalli i quali esplodono in miriadi di frammenti galleggianti nell’etere. I frammenti si trasformano in eteree parti di luce che iniziano un moto vorticoso di molecole disegnanti veloci cerchi nell’aria. didascalia finale: “INSONNIA al limitare del giorno allorché la notte fa senza pudore del tuo corpo un fiore discosto io in assurdi spazi cosmici trasvolo e sudo dove resto solo solo confuso e smarrito nei tuoi grandi occhi neri che mi fissano dal soffitto e mi guardano non vivere appeso alla ragnatela dei miei pensieri intrappolato nella rete dei miei piaceri soffocando nell’aria che non posso respirare sterile figlio della notte infeconda il rimorso vaga nei labirinti della mia insonnia appeso ai filamenti di latte coagulato del ricordo teso come una spada-di-damocle sul mio sonno è un albatro che canta le sue orribili nenie contro le calde spire della notte isterica le sue grandi ali mi conducono a sperduti liti dove t’incontro di nuovo - perduto amore e la tua stellata fronte rivedo e i tuoi occhi scolorati bacio” Manuel Omar Triscari 146

* IMMAGINE DI REFERENZA

0 * COLONNA SONORA ORIGINALE ISTERIA

COSMICA

di Tino Raffa.

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LA MALA VITA * BORDERLINE (prima stagione) * PRESENTAZIONE. sono storie sporche, storie di vita di strada, storie luride di uomini logori (parafrasando un titolo di Max Beerbohm) e rottami umani, storie di passione e di destino, storie di vite sperequate e dissipate, storie di esistenze sprecate e sciupate nell’inconsapevolezza dell’essere, storie brutali e crudeli di uomini dissoluti e abbrutiti nel tristo commercio della morte e della distruzione, storie di (dove sta, secondo l’uso ant. lett. e dial., per opposto di ), storie di miseria e malvagità, storie di feroce opportunismo, disumana depravazione e disperazione senza scampo che, tratte e/o ispirate da fatti realmente accaduti, compongono un quadro di degradazione sociale e culturale che costituisce la vera cifra stilistica nonchè l’intima sostanza del contenuto (sostanza primordiale soggiacente alla fabula su cui si fonda l’intreccio che ne scaturisce) e il vero filo conduttore dell’opera, il quale, attraversando i quadri e i bozzetti tratteggiati dai singoli episodi, li riconduce nell’alvo della medesima cornice storico-drammatica e li trasporta e raccoglie, oltre l’apparentemente frammentario e sussultorio procedere dell’intreccio, in un’unità di trama, ambientazione e collocazione cronologico-temporale in cui le dramatis personae condividono lo stesso tempo, lo stesso luogo e lo stesso retroterra sociale e culturale. il luogo è la città di Torino, una depressa Torino postindustriale e postmoderna preda dell’attuale crisi economica mondiale, e un quartiere in particolare, il famigerato e malfamato quartiere Borgo Dora, che, costellato di puttane e spacciatori e ladri e tossicomani a ogni angolo, si dipana e snoda per una miriade di anfratti, cunicoli e vicoli che costituiscono il cuore pulsante del quartiere e 149

partecipano, silenti testimoni e spettatori impotenti ma onniscenti, delle peripezie, delle gesta ineroiche e temerarie, della strenua battaglia quotidiana per barcamenarsi tra le mille difficoltà (e miserie) dell’esistenza nel difficile tentativo di sbarcare il lunario nonchè della vita di un composito e strampalato gruppo di persone ruotante attorno a un bar, il Portobello, luogo di ritrovo per questa multiforme e variegata umanità vittima dell’attuale e complessa epoca storica che viviamo, epoca fatta d’incertezza e contraddizioni, periodo massimamente convulso, era cangiante e proteiforme di perpetuo, incessante e inesorabile mutuamento. LA MALA VITA è un j’accuse nei confronti del modello neoliberista che depreda corpi e luoghi, vite ed esistenze, desideri e sogni; un vero atto di accusa nei confronti dello scellerato attuale sistema che caratterizza l’epoca postmoderna e il mondo postindustriale; una critica cruda e lucida nei confronti della situazione di crisi e incertezza che, dominando ogni sfera d’interesse dell’uomo, dall’economia alla politica, dalla famiglia ai rapporti interpersonali ecc. ecc., investe, stravolge e spesso distrugge le vite, i sogni e i progetti dei protagonisti de LA MALA VITA, uomini e donne che vivono sul filo del rasoio e sull’orlo del baratro, perennemente ai margini della società, costantemente sulla soglia dell’indigenza e della povertà, della catastrofe e della disfatta, sempre in bilico tra lealtà e cattiveria, legalità e illegalità, bene e male, bellezza e terrore. ogni episodio racconta in flashback, una storia o aneddoto intercorso e accaduto a uno dei personaggi nella dura lotta quotidiana con l’esistenza per riuscire a rimanere a galla: ritrovandosi casualmente intorno a uno dei tavoli del bar, i contro-eroi della serie si raccontano vicendevolmente, in monologhi che sono quasi confessioni, i loro piccoli peccati, le proprie miserie quotidiane, le proprie nefandezze e i propri sogni. la serie è caratterizzata da progressione narrativa frammentaria, discontinua e spezzettata, nonchè d’andamento diegetico marcatamente rapsodico ed estremamente episodico: priva della serialità e della 150

reiterazione e ripetizione di situazioni e personaggi tipica della scansione seriale, LA MALA VITA è distinta da una narrazione bozzettistica in cui la scansione temporale degli episodi non è direttamente derivante e scaturiente da una sotterranea trama sottostante e soggiacente all’intera rappresentazione. tale narrazione bozzettistica-rapsodica prevede da un lato personaggi non fissi e presenti in ogni episodio ma solo figure frequentemente ricorrenti e dall’altro lato episodi e scene e situazioni tenuti insieme e connessi e collegati unicamente da un filo conduttore che riporta e incastona ogni quadro all’interno della cornice offerta dal luogo di ritrovo. e il sapore di ciancia e pettegolezzo raccolti nell’ozio della vita è spiccatissimo in tutta la cornice e gli di queste storie. esse sono storie ascoltate, non vissute. e raccontate in un gioco d’interlocutori e narratori che rifrange i fatti per molte bocche e sensibilità di testimoni sicchè a un certo punto appare chiaro che il loro interesse risiede soprattutto, più che nell’evento di per sé, nel timbro con cui esso è raccontato. il mondo ardente, ingenuo, romantico e misterioso della strada e dell’avventura passa per bocca e bocca, si rifrange in ordinarie psicologie e diviene saggezza e commento, ripiegandosi in se stesso ironizzato, immalinconito e truccato. ciascuno degli episodi è come un sogno d’adolescente che, timido di sé e del vasto mondo, si occulta e si salva dietro i ticchi banali della conversazione e dell’andirivieni e del via-vai quotidiani. non d’altra radice scaturiscono i protagonisti che popolano questa serie e tutta la selva metropolitana de LA MALA VITA. il gusto del cianciare, dell’introdurre e svolgere il fatto come nell’amabile e divagante eloquenza del vecchio vissuto dai molti ricordi, che soprattutto ama soffermarsi sui tipi più singolari e macchiettistici che ha avuto la ventura di conoscere e ciò fa non per impressionismo ma perchè della grande passione e del sogno assurdo che non si realizzò egli non osa dichiararsi compartecipe e, fra massime e sentenze e autoironie, amaramente gioca intorno all’evento narrato, ebbene, questo gusto s’impone in definitiva come il vero tema della serie, attutito nel gioco di piani e allusioni e 151

testimonianze tenacemente, tortuosamente e disperatamente (ri)evocate, mentre un sogno, un’angoscia, un rimorso, forse un rimpianto, stringono il cuore e sfaldano il ricordo nel molteplice, multiforme e svogliato chiacchiericcio indifferente intorno ai meri incidenti di superficie. i titoli di coda di ogni episodio sono infatti anticipati dalla seguente didascalia: E se non puoi la vita che desideri cerca questo almeno per quanto sta in te: non sciuparla nel troppo commercio con la gente con troppe parole e in un viavai frenetico. Non sciuparla portandola in giro in balìa del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti fino a farne una stucchevole estranea. Kostantinos Cavafis * 1) LO SCAMBIO. uscito di prigione dopo 4 anni e mezzo di carcere e senza un soldo, Mario cerca di acquistare a gancio mezzo chilo di coca per ripartire: per questo si rivolge a due vecchie conoscenze, Andrea e Fabio, narcotrafficanti di mezza età da sempre dediti al traffico di droga e armi. i due accettano alla condizione che la somma di denaro corrispondente alla quantità di coca richiesta da Mario venga loro restituita con un interesse del 15%. la vicenda assume una brutta piega. INTERNO, CASA DI MARIO, GIORNO.

Mario è girato di spalle. la cine-presa compie mezzo giro al rallentatore fino a inquadrarne il volto. 152

Mario: (fuori campo) per quelli di voi che s’interessano di pazzia, ecco, posso raccontarvi un po’ della mia. all’epoca bazzicavo il giro delle bische e dei bordelli clandestini e tiravo su un bel po’ di grana con lo spaccio. fuma, erba, coca, LSD, MD, MDMA, acidi, funghi allucinogeni: qualsiasi cosa di cui ci si potesse fare; qualsiasi cosa che si potesse sniffare, pippare, tirare, iniettare, fumare, inalare; qualsiasi cosa che si potesse spacciare io la spacciavo. e mi andava alla grande. se in quel periodo ti facevi di qualcosa, se in quel quartiere compravi qualcosa, compravi da me. in poco più di un anno ero arrivato a sviluppare un volume d’affari da capogiro. in un mese io guadagnavo più di quanto guadagnasse un impiegato in un anno di lavoro. e avevo tutto quello che si può desiderare: figa, macchine, soldi. e potere. potere. io potevo picchiare, violentare, rubare a chiunque volessi. quando entravo nei locali del quartiere la gente si alzava in piedi per salutarmi, al mio tavolo arrivavano bottiglie di vino in omaggio, pacche sulla spalla. un giorno, mio padre è rimasto in panne con la macchina e alcuni ragazzi del quartiere gli hanno prestato la loro di macchina. e sapete perchè? in segno di rispetto. ripetizione del movimento precedente. Mario: (fuori campo) ero uno dei vecchi rimasti del quartiere. io ERO il vecchio Baloon, o almeno quel poco che ne rimaneva. ma tutte le cose belle finiscono. nel corso del tempo ho accumulato reati su reati, molestie sessuali, truffa informatica, violenza privata, percosse, furto, rapina, spaccio. infine, sono stato arrestato per estorsione e condannato a due anni e tre mesi. durante la carcerazione sono arrivati altri definitivi: in totale quattro anni e mezzo di galera, in gabbia come un topo, uno scarafaggio. ho perso tutto. quando sono uscito non avevo più nulla. ho cercato di riprendere qualche vecchio contatto per rientrare nel business ma è un errore ripercorrere a ritroso una strada che ti ha già portato al fondo dell’abisso: quando vieni fregato una volta, resti fregato per sempre. il progetto era di ricostruirmi un piccolo giro e tirare su la grana sufficiente per cambiare aria. magari mi sarei trasferito in sudamerica, a Panama, e lì avrei aperto un piccolo chiosco sul mare. 153

o avrei potuto comprarmi una barca a Baracoa e vivere di sole e pesca. una cosa piccola, insomma, una cosa così. e mi rivolsi agli strozzini. dovetti farlo. mi serviva un appiglio a cui aggrapparmi, un bandolo per sbrogliare la matassa, un’increspatura in superficie che mi permettesse di risolvere l’enigma insondabile celato nel profondo. mi rivolsi agli strozzini. 15% d’interessi. era l’inizio della fine. e lo sapevo. ma non avevo altra scelta. il mondo mi stava crollando addosso e io stavo sprofondando. ho sempre vissuto così: sul ciglio del baratro. sempre sul filo del rasoio. sempre sull’orlo della follia. ma non potevo mollare. mio padre stava morendo di cancro e io dovevo rimanere sufficientemente lucido per prendermi cura di lui. mio padre. ah, mio padre. un uomo invecchiato anzitempo per i guai e i casini di un figlio degenere, ansia, continua apprensione, paura, logorano, tutto logora, è rivoltante. è stolido. è stupido. è rivoltante. - ripetizione dell’inquadratura precedente mentre la voce fuori campo recita il seguente monologo: ho fallito con tutto. ho fallito con mio padre, con mia madre, con la vita. con tutto. ho anche fallito con le donne. due mogli, tre convivenze, tutti anni ed energie dati al vento, tutto buttato nel cesso. tutto in frantumi per piccoli screzi, nulla che fosse andato davvero rovinosamente male. litigavamo per niente. ci incazzavamo per tutto e per niente. giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. era opprimente e asfissiante. invece di darci una mano e aiutarci a vicenda, ci affossavamo, ci distruggevamo reciprocamente rimproverandoci per questo e per quello. punzecchiature, infinite freddure e cattiverie. una sfida meschina. cazzo, si dovrebbe imparare a convivere con le proprie nevrosi, le proprie pazzie e i propri demoni: a volte sono l’unica cosa che ci permette di tirare avanti. cercavo solo di sopravvivere. di fare andare le cose per il verso migliore. sopravvivere nell’attesa della morte. intanto facendo cose pericolose. ho sempre amato la guerra, la lotta, la sfida. non mi sono ritratto mai. e se tu ti senti disposto a essere conciliante mi chiedo se a renderti così indulgente sia, in realtà, una cattiva

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memoria o l’interesse o la codardia. se morissi in questo istante, quanti verserebbero una lacrima? primo piano del volto di Mario che discute con Andrea e Fabio (fuori campo). Andrea: dunque vorresti mezzo chilo a gancio. Mario: devo rimettermi in sesto. ne ho bisogno. devo rimettermi in carreggiata. Fabio: mezzo chilo è una bella quantità. Mario: lo so ma ne ho bisogno. Andrea: ma non hai i soldi per pagare... Mario: no, non li ho. Fabio: è grave. Andrea: ti serve un prestasoldi. Mario: uno strozzino eh? Fabio: non hai altra soluzione. Mario: così pare. Andrea: così è. Mario: ok, trovatemi lo strozzino. Fabio: (con un ghigno) ce l’hai qui davanti. Mario: (incredulo) tu??? Andrea: proprio lui. Mario: non perdete una battuta voi due eh? Fabio: che vuoi dire? Mario: nulla. Andrea: non fare lo spiritoso e concentrati. Fabio: se c’è qualcosa che riceverà una battuta qua, è solo il tuo culo. Andrea: o quello della tua donna... Mario: che signori... continuate, prego. Fabio: dunque, non ci sarà un vero e proprio scambio di soldi: il denaro ce lo teniamo direttamente, così non dovrai nemmeno darti la briga di restituircelo. quello che devi fare è pagarci, entro un mese, il 15% d’interessi per il disturbo che ci prendiamo e per il rischio che ci assumiamo. Mario: già... Andrea: già... Fabio: già... Mario: dunque, vediamo se ho capito bene. voi mi date la coca, e per questo mi prestate le teste, che io non vedrò

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mai e per questo dovrò pagare il 15% d’interessi, cioè 1900 euri. giusto? Andrea: corretto. Fabio: esatto. Mario: non potreste semplicemente darmi la coca a gancio, sulla fiducia, e aspettare il tempo che riesca a venderla per rifondervi del prestito? in fondo ci conosciamo da molto tempo. Andrea: questo non è possibile. Fabio: questo non è possibile. Andrea: hai perduto i tuoi privilegi qui a Torino. Fabio: già. Mario: non mi resta altra scelta, allora. Andrea: esatto. Fabio: esatto. Mario: affare fatto. Andrea: hai fatto un affare! Fabio: sicuro! Mario: e come no!? Andrea: ci vediamo domani alle 16. ESTERNO, CASA DI MARIO, GIORNO.

la cinepresa segue da dietro Fabio e Andrea, vestiti in completo nero, che minacciosi salgono le scale di una palazzina del quartiere Borgo Dora fino al secondo piano. giunti alla porta bussano. due colpi secchi e decisi. dall’altra parte della porta una voce dice è aperto. i due aprono la porta ed entrano all’interno di un appartamento buio. INTERNO, CASA DI

MARIO, GIORNO. seduto s’un divano Mario fuma una sigaretta e dice: vi stavo aspettando. perchè ci avete messo così tanto? c’era un traffico della madonna risponde Andrea. Fabio e Andrea si siedono su due sedie affrontate a Mario ed estraggono un pacco. Fabio: qua c’è il mezzo chilo. fa 12,500 più 1900 d’interessi per il favore che ti stiamo facendo. ricorda: 15% d’interesse. 1900 euri. ci rivediamo tra un mese. Mario: va bene. Andrea: hai capito bene? hai capito tutto? 156

Mario: ho capito. Fabio: e che cosa hai capito? Mario: che sono fottuto. Andrea: e qui ti sbagli: ti SEI fottuto. da solo. con le tue stesse mani. Mario: anche questo l’avevo capito alla perfezione. ma che succede se non riesco a pagare? non ho nessuna garanzia. Fabio: oh sì che ce l’hai: la vita. Mario (sardonico): tutto qui? i due non rispondono e con un ghigno se ne vanno sbattendo la porta. Mario rimane solo. la camera è buia: sullo sfondo la veduta di un paesaggio metropolitano assolato che si scorge al di fuori di una finestra contrasta con il buio dell’interno. la camera inquadra il volto di Mario. Mario: (in camera) non sapete come passino in fretta 30 giorni quando non vuoi che lo facciano. non ho molto tempo: vi racconto che cosa è successo. Andrea e Fabio volevano fregarmi dal primo momento: subito dopo avermi consegnato la roba ed essersene andati, mi hanno mandato un loro scagnozzo che mi ha puntato addosso una pistola e mi ha rubato il pacco di coca. e sapete come l’ho scoperto? pochi giorni fa ho rivisto quello stesso ragazzo passarmi davanti sulla macchina di Andrea. stessa marca, stesso modello, stesso colore, stessa ammaccatura sul fianco destro. non potevo crederci: poi ho controllato la targa. non ho avuto il tempo di rimediare né di fuggire. avevano ragione: mi sono fottuto con le mie stesse mani. incredibile come in un momento la tua vita possa cambiare: un solo fortuito caso, un errore, e la tua vita può rivoltarsi e andare giù a capofitto. incredibile. è rivoltante. è stupido. è folle. è idiota. e adesso che cosa succede? la cinepresa inizia lentamente a slargarsi mentre due voci fuori campo parlano: sono le voci di Andrea e Fabio. Fabio: noi riscuotiamo sempre. Andrea: eh già... Mario: mi avete fregato. voce fuoricampo di Andrea: ti sei fregato. voce fuoricampo di Fabio: con le tue stesse mani. Mario: siete crudeli. siete spietati. ma come fate? come fate a rimanere così freddi, così distaccati? è terribile 157

Andrea: semplice: siamo nati così. Fabio: si tratta di profitto. e basta. nulla di personale. si sente un colpo di pistola, gli occhi di Mario si fanno vitrei, la camera si è intanto slargata a comprendere l’intera figura di Mario: un rivolo di sangue ne sgorga da un foro nel petto. la cinepresa chiude sullo sguardo ormai completamente svuotato di Mario e privo di espressione. * 2) LO STUPRO. Jamila è una puttana, e questo è il solo lunario che riesca a sbarcare. e poi sembra matta, folle, folle allo stato puro, folle senza contaminazioni: arrestata varie volte per prostituzione e spaccio, completamente esente dal calcolo e dal senso pratico, dotata di un corpo oscenamente bello e sinuoso e assurdamente ammaliante come il nome che porta. ma non è matta: solo colpa delle troppe botte da parte del padre che le aveva sfigurato il volto, un taglio le segna il volto dall’orecchio alla bocca. ha solo 22 anni e già la sua vita non vale un soldo, e pochi il suo corpo. ha anche cercato un lavoro ma non c‘è lavoro per una negra ignorante e ambigua e sospetta come lei, e poi quella cicatrice sul volto... no grazie: siamo al completo... e poi quella brutta cicatrice sul volto... farebbe scappare i clienti... non ci serve un’altra cameriera... prova a ripassare alla fine dell’estate. così, Jamila passa tutto il pomeriggio davanti al portone di casa, con lo sguardo fisso davanti a sé, ma non vede nulla, sempre con sé un pacco di sigarette, e fumava in attesa del prossimo cliente, incapace di trovare un altro modo per raggranellare qualche soldo. inoltre dimagrisce a vista d‘occhio, mangia poco, non pettina mai i capelli, non lima le unghie, e piange, e prova pena per se stessa, odio e disperazione, e piange, a volte vorrebbe farla finita, e tutti i pomeriggi e soprattutto durante le lunghe notti insonni pensa a come farlo, se meglio con le pasticche o dandosi fuoco o impiccandosi ma le manca il coraggio e ha paura, ha paura, tutti abbiamo paura di 158

morire, anche se la vita è una merda, ma sa che era questione di tempo, che prima o poi troverà il coraggio, prima o poi, prima o poi, prima o poi, eppure è lì, sulla soglia di casa, in attesa del prossimo cliente, sulla soglia dello squallido tugurio dove abita, e un incanto la sospinge e le colora gli occhi, l’incanto della gioventù, che avvolge i suoi stracci la sua miseria la sua solitudine, la disperante desolazione della sua futile esistenza serbandola incolume e bravamente viva e vitale. un giorno Jamila esce per l’equivoche e pericolose viuzze poco illuminate di Porta Palazzo e cammina finché, scantonando, viene avvicinata da una grossa auto nera che le offre un passaggio. Jamila accetta e sale. quanto le chiede l’uomo in macchina, 50 bocca-figa risponde lei, okkei, andiamo dice lui. l’uomo arresta la macchina in uno spiazzo buio, spenge i fari, si slaccia la cintura, le molla uno schiaffone in faccia e le dice: dai puttana, apri la bocca e lavora, Jamila ha un sussulto, si spaventa, si ritrae e dice fammi scendere ma l’uomo l’afferra e la blocca per un braccio, per poco non glielo spezza, le strappa la camicetta e le molla un altro ceffone e le dice dai puttana, succhia, guadagnati il pane, puttana. Jamila è terrorizzata, talmente spaventata che non riesce a reagire né a spiccicare parola, l’uomo le afferra la testa per i capelli, e la spinge verso il basso, lei oppone resistenza ma lui le da un pugno in testa che la tramortisce un po’ e le fa aprire la bocca: lui ne approfitta e le ficca il cazzo in bocca con violenza, lei chiude la bocca di scatto ma lui le molla un altro sganassone e le dice dai puttana, apri la bocca e succhia, la resistenza di Jamila lo eccita: caschi male: mi diventa ancora più duro quando non obbedite, mi diventa ancora più duro quando fate così dice, così la tormenta fino a quando lei non apre la bocca, e allora glielo ficca dentro, fino in gola, quasi la soffoca. poi lo estrae e la picchia ancora in viso, lo devi ingoiare fino alle palle, puttana, le tira i capelli e la spinge di nuovo in basso, il cazzo gli diventa sempre più duro, glielo spinge fino in fondo, finché la faccia non gli affonda tra le palle, Jamila ha un rigurgito e vomita, gli sporca i pantaloni e il sedile della macchina e lui le dice guarda che cosa hai fatto, 159

troia, adesso pulisci, e le spinge il muso sul vomito costringendola a leccarlo come si fa con i cani, poi asciuga il resto con i capelli di lei, quasicchè la sua testa sia uno straccio. Jamila è tutta sporca e puzza di vomito, schifosa lurida puttana, scendi dalla mia macchina, sei una merda umana le dice lui, lei ha un fremito di gioia, crede che l’incubo sia finito, si affretta a scendere dalla macchina, ma sente dietro di sè un rumore di passi: anche l’uomo è sceso dalla macchina e la spinge verso una zona buia del parco, tra gli alberi, Jamila piange e ha paura, una paura matta, cammina lurida negra... troia... puttana, le ruggisce rabbioso lui da dietro con disprezzo e superbia, Jamila cammina tra le sterpaglie, la camicia strappata, il vomito che le cola dai capelli e le riga il viso confondendosi con le lacrime, stupida puttana, bocca di merda, inginocchiati, lei è impietrita, non riesce a muoversi, lui le da un calcio sulla schiena e la piega in due, e così è costretta ad inginocchiarsi, spera che si accontenti di sbatterglielo ancora in bocca, che venga in fretta e finisca il tormento, ma lui la colpisce con un pugno che le rompe il naso, gli occhi di lui fissano gli occhi di lei per un impercettibile attimo micro-eterno e per lei è come vedere all’inferno, non ha mai visto tanta malvagità e rabbia represse, il sangue si mischia al vomito e alle lacrime, sporcando il suo dolce volto di pesca, poi la obbliga ad alzarsi, mettiti a pecorina, puttana, e tirandola per i capelli la spinge contro un albero famelico e selvaggiamente impazzito, sembra il ragno che bacia la mosca, non passa nessuno, nessuno che possa salvarla, le si mette di dietro e la penetra con violenza, le duole la vagina, così spaventata che crede che le si fermerà il cuore, ma purtroppo non è così, deve vivere quell’orrore, trema di paura e dolore, la vagina le duole come le se stessero conficcando dentro una mazza a martellate e si accorge che l’uomo le ha infilato la mano dentro la vagina, ora stringe il pugno e le colpisce le ovaie, Jamila si piega dal dolore, comincia a perdere sangue, le ha lacerato la vagina, l’uomo continua a colpirla dentro e a divertirsi allo spettacolo del sangue, lei si contorce dal dolore, il sangue le riga le gambe, 160

in terra si forma una pozza di sangue, Jamila ne perde molto dalla vagina che le rivola per le gambe e le bagna i sandali di tela, le trema il cuore in gola, le tremano le ginocchia, le trema tutto il corpo, ma ormai non prova più dolore, è anestetizzata dal terrore, sente solo uno strano languore pervaderle il petto, come svenire, sente il cervello fluttuare in un liquido denso grigio e melmoso, poi l’uomo prende a picchiarla selvaggiamente, Jamila perde i sensi, l’uomo smette di colpirle la faccia, e la guarda tramortita in terra, crede che sia morta, poi si accorge che respira ancora e allora, si prende in mano il cazzo e inizia a masturbarsi, sei così lurida che non riesco nemmeno a sborrarti le dice, e il suo cazzo orribile violaceo e putido, come quella follia venuta allo scoperto dal nulla, emette il suo fiotto tiepido e viscoso che si riversa sul suo viso, sui capelli, mischiandosi al vomito al sangue e alla paura, e prima di rimettere dentro lo stolido pene le piscia addosso, poi si ricompone lasciandola in terra svenuta, ricoperta di sangue vomito piscio sperma sudore e dolore, l’abbandona, sola, al freddo. Jamila continua a dissanguare, c’è un silenzio di tomba e la notte stende la sua coperta di stelle su di lei, e le stelle sono così tante che non si possono contare, entra in coma. la ritrova l’indomani all’alba uno spazzino, chiama un’ambulanza, Jamila viene portata d’urgenza in ospedale, ha un’emorragia interna, e molte fratture, rimane in coma per tre giorni. quando si risveglia è ancora sola, Jamila è triste, chiude gli occhi e piange in silenzio, senza una speranza, senza un motivo di felicità, senza un amore, disperata come lei in quel momento nessuno al mondo. * 3) LE RELAZIONI PERICOLOSE. Omar, seduto a un tavolino del Portobello insieme con altri amici, si apre e racconta la sua vita, il suo passato alquanto burrascoso, le sue picaresche avventure e i suoi rapporti con la malavita. 161

andato via di casa a 17 anni, allaccia rapporti con la mala del quartiere San Berillo di Catania che lo impiega come nel bordello clandestino del caporione don Ciro Maina. a 21 anni conosce una donna greca più grande di lui di alcuni anni e si trasferisce in Grecia: lì si barcamena come contrabbandiere sui pescherecci d’altura che fanno la spola tra le coste greche e quelle egiziane importando sigarette e canapa. rientrato in Sicilia, si laurea in lettere ed è assunto nelle graduatorie dei docenti della provincia di Torino, dove si trasferisce stabilmente. mentre presta servizio in qualità di docente di geografia nell’istituto Albe Steiner di Torino, si invaghisce ricambiato di una studentessa, Ambra, di 16 anni con cui allaccia e intraprende una pericolosa relazione intima. la focosa e appassionata relazione sessuale che i due conducono si conclude quando i genitori della ragazza vengono a conoscenza della tresca: Omar viene accusato di molestie sessuali, licenziato dalla scuola ed esonerato dall’insegnamento. privo di alternative, riallaccia i rapporti interrotti con il mondo del crimine e si avvicina al clan dei siciliani di Barriera. ridiventa caruso ma, dopo un anno, viene arrestato e condannato per estorsione: in cella giungono altri definitivi per i reati di spaccio, rissa, lesioni personali, truffa informatica e molestie sessuali e così, dopo aver scontato la pena cumulativa di 7 mesi, decide di abbandonare definitivamente i ponti con l’ambiente della criminalità. intraprende la carriera di scrittore. un giorno conosce Amina, se ne innamora e sembra aver messo la testa apposto. * 4) UN COLPO DI FORTUNA. ma un giorno, intorno alle 19, rientrando in casa, Omar trova la compagna Amina intenta a festeggiare con le amiche Ania, Alice ed Egle l’assunzione di quest’ultima a receptionist di un famoso e lussuoso albergo del centro. la casa, composta di camera da letto + cucina + soggiorno + studio dove Omar abitualmente lavora e legge e scrive, 162

è dovunque sparsa di bottiglie di vino che si mescolano all’allegria e all’entusiasmo per la fortunata notizia. i 5 iniziano a bere e festeggiare. la festa si protrae per tutta la restante parte del pomeriggio e la sera. a notte inoltrata le ragazze, esauste, crollano, Amina in camera da letto, Alice sul divano della cucina, Ania sul divano del soggiorno ed Egle sul divano dello studio di Omar, mentre questi rimane ancora in cucina a sbevazzare e fumare pensando a un racconto, ancora incompleto, sul viaggio interstellare di una astronave che, smarrita la rotta, si perde nello spazio tra le stelle. dopo aver fumato diverse sigarette ed essersi scolato diversi bicchieri, ancora incerto e dubitoso sullo sviluppo e lo scioglimento della storia, decide di andare a dormire e così si alza per dirigersi in camera da letto e mettersi finalmente a dormire. per andare in camera da letto deve però attraversare il soggiorno dove Ania dorme distesa sul fianco con il suo enorme culo in bella mostra. la ragazza, stesa sul fianco, dorme della grossa, mezza nuda e provocante. Omar si distende accanto a lei e la cinge con un braccio, strizzandole i seni e strusciandole il cazzo contro il culo, poi le scosta le mutande e la penetra. lei si sveglia ma, completamente sbronza, oppone solo una debole resistenza, più nominale che reale, e, troppo stanca per resistere a quell’accesso erotico di Omar, lo lascia fare. lui la scopa e quando finisce, lei gli chiede di ripulirle il culo. lui esegue, strofinandole i glutei con un asciugamano, le strofina il culo con dovizia per eliminare le tracce di sborra, le da un bacio in fronte, poi si alza, si reca in cucina e si accende un’altra sigaretta, sedendo al buio e in silenzio per non svegliare Alice che dorme sul divano della cucina. mentre fuma, riprende a pensare al suo racconto: l’equipaggio potrebbe prendere la dura ma saggia decisione di schiantarsi contro il sole per evitare una lenta e atroce morte per inedia oppure un membro dell’equipaggio potrebbe risolversi di uccidere un compagno per avere il nutrimento necessario per resistere nella tenua e flebile speranza e così guadagnare giorni preziosi nella disperata attesa di un modo per uscire da quella brutta situazione e tornare a casa: è una buona idea, ma chi uccidere?. 163

mentre fuma e pensa ai possibili sviluppi della storia, Omar percorre intanto con gli occhi le tenui forme invitanti di Alice che russa leggermente arrapandolo forte: estrae il membro dai pantaloni e, avvicinandolo alla faccia di lei, inizia a menarselo lentamente. poi striscia sul divano e si accoccola tra le gambe della donna la quale si sveglia ma non lo respinge, nonostante sia la migliore amica di Amina e nonostante questa avrebbe potuto sorprenderli in flagrante: Omar le scosta allora le mutande: lei non protesta ma dischiude le gambe e apre le cosce attirandolo a sé. dopo un primo orgasmo orale, Omar la monta e inizia a scoparla: quando raggiunge l’orgasmo, Alice si è già riaddormentata e sta dormendo profondamente: lui le viene addosso e, non curandosi di ripulirla, si alza, e si risiede al buio. accende una sigaretta e, fumando, prende a ripensare al racconto sullo spazio che aveva interrotto a metà e non sapeva come proseguire: decide di accantonare l’idea del cannibalismo in quanto troppo scontata e di dirigere la navicella contro il sole. ottimo. ancora qualche giorno e il racconto sarà pronto. mentre è preso da questi pensieri, compare Egle, arruffata e scarmigliata, in cerca di un po’ di acqua per alleviare la sete e contrastare la disidratazione dovuta all’alcole: Omar le versa un bicchiere di acqua e la invita a spostarsi insieme sul terrazzino per non svegliare Alice, lei accetta e i due si siedono attorno a un tavolino presente sul terrazzo: si accendono una sigaretta e iniziano a chiacchierare: lui le espone l’idea per la conclusione del racconto, lei ascolta e dice che le piace molto, mentre gli poggia un piede tra le cosce: Omar ha subito una erezione, lei lo sente, si alza in piedi, s’inginocchia davanti a lui, gli estrae il cazzo, e lo mette in bocca come una caramella, succhiando e leccando, poi si alza, solleva soltanto la gonna e lo cavalca di spalle mentre in strada un tossico si buca dietro un muretto. Egle raggiunge il piacere con un gridolino soffocato. Omar viene ancora. i due si accommiatano e Omar decide di andare finalmente a dormire. quando si distende, il peso del suo corpo smuove il letto e il sobbalzare del materasso desta Amina che, in un impeto di furia sessuale, gli afferra il cazzo e gli intima di 164

scoparla: Omar dice le dice che è stata una giornata impegnativa e che non ha le energie sufficienti per scoparla, lei insiste iniziando a menargli il pene, lui declina, lei si incazza, lo insulta dandogli del coglione, si volta dall’altra parte e si addormenta. l’indomani mattina, Omar viene svegliato dalla bocca di Amina che lavora su suo cazzo facendo su e giù lungo l’asta. OMAR: che stai facendo? AMINA: (staccandosi) un tentativo: se avessi fatto cilecca anche stavolta, sarei uscita per andarmene a cercare uno vivo. OMAR: smettila di dire stronzate e continua a lavorare. AMINA: porco e dopo qualche secondo certo che Egle ha avuto una gran fortuna a trovare quel cazzo di lavoro OMAR: quella ragazza ha il culo sfondato. AMINA: che vuoi dire? OMAR: che ha avuto proprio un gran bel colpo... di fortuna... ad essere assunta in quel ruolo. Amina, intenta a succhiare, non risponde. Rumori si risucchio si spandono ovunque nella stanza e nell’aria. Omar reclina la testa. * 5) L’ALLEGRA BRIGATA. un giorno Omar viene invitato da un conoscente di nome Silvio, direttore di uno studio di architettura sito all’interno del cortile del Maglio nel quartiere Borgo Dora, a trascorrere un fine di settimana nella propria casa di montagna di Ulzio insieme alla propria famiglia e alcuni amici: Omar accetta e venerdì sera parte in treno alla volta di Ulzio. la sera trascorre in tranquillità e armonia. l’indomani mattina, alle prime luci dell’alba, giunge nella casa anche la figlia di Silvo, una avvenente ragazza diciottenne bionda alta e snella, accompagnata da due amiche della stessa età. anche il giorno e il pomeriggio del sabato trascorrono in armonia e spensieratezza tra passeggiate all’aperto e grigliate nel cortile della casa. nel tardo pomeriggio interviene un incidente: la moglie di Silvo cade dalle scale e viene portata in ospedale: 165

Silvo decide allora di rientrare in Torino per stare accanto alla moglie ma, non volendo interrompere la vacanza e il divertimento degli altri membri della brigata, li invita a proseguire la loro permanenza nella villa come se nulla fosse. in casa rimangono dunque Omar, la figlia di Salvo, Eugenia, le amiche di questa Camilla e Beatrice, nonchè Marcello e Beniamino, amici di lungo corso di Silvo. l’indomani mattina questi ultimi escono prima dell’alba per un’escursione tra i monti. intorno alle 7 Omar, che dorme in una stanza adibita ad accogliere gli ospiti, viene svegliato da Eugenia che si sdraia accanto a lui e gli chiede di abbracciarla per riscaldarla: in casa fa molto freddo e i termosifoni sembrano non funzionare. lui le poggia una mano sul seno e, senza fare complimenti, la scopa sdraiata s’un fianco. quando finiscono lei si alza e va in bagno per ripulirsi. mentre Eugenia è in bagno entra nella stanza Camilla che si infila sotto le coperte di Omar e gli chiede di riscaldarla: i due iniziano a baciarsi ma vengono interrotti da Eugenia che ritorna dal bagno: Omar dice a Camilla di nascondersi sotto le coperte tra le sue gambe mentre Eugenia si avvicina a Omar e, sedendosi sul bordo del letto, da un lungo lento e appassionato bacio a Omar e scompare. riemerge Camilla e il gioco tra questa e Omar può riprendere: i due scopano, gemono, godono e poi si alzano per la colazione. i 4 passano la mattina in casa, poi pranzano e si mettono a giocare a carte nel soggiorno: Omar distribuisce le carte e proprio in quel momento Beatrice mette una mano sulla patta dei pantaloni di Omar che sussulta ma sta al gioco. * 6) VECCHIO MATTO. un giorno dentro il bar compare Marco e si mette a raccontare delle sue prodezze erotiche: Marco ha 43 anni, ma si sente molto bene. come se ne avesse 30. ed è un gran dongiovanni e un casanova con molta energia, e vive senza pensare a quello che fa, frenetico e ansioso, incosciente e temerario. racconta che alcuni giorni prima aveva 166

incontrata una mulatta, forse venticinque anni, bella, con un corpo che era uno spettacolo e un viso che faceva rabbrividire persino gli dei, ad eccezione di una cicatrice sul volto, lungo la guancia. la mulatta, di nome Jamila, fa la segretaria in un ufficio di disbrigo pratiche. Marco c’era già andato due volte a richiedere certi documenti. lei non riceve il pubblico ma è quella che compila le carte, e le carte sono in terribile ritardo: non sono pronti, abbiamo un po' di arretrati, torni tra tre o quattro giorni. la terza volta si sente rispondere alla stessa maniera così prova a insistere dicendo di avere molta fretta, lei lo guarda dolcemente, prende un foglio e una biro e dice: lo tiro fuori io il suo documento. mi dia i suoi dati e scrive il nome di Marco. JAMILA: venga domani e venga da me. MARCO: come ti chiami? JAMILA: Jamila. MARCO: bene, grazie, Jamila. JAMILA: a domani. il giorno dopo Marco si reca all’ufficio in un’ora non sospetta, verso mezzogiorno. quando Jamila lo vede, si alza dalla sedia, col suo dolce sorriso, e gli porge le carte. già firmate e asseverate. JAMILA: controlli bene. ci fosse qualche errore... MARCO: ti posso offrire qualcosa? JAMILA: (sorpresa) offrire cosa? MARCO: una birra, non so. quello che vuoi. JAMILA: ma io non bevo. MARCO: va bene, una bottiglietta d'acqua, ah ah. JAMILA: no, no. MARCO: magari ci divertiamo. chiacchieriamo un po'. a che ora stacchi? JAMILA: alle cinque. MARCO: ti vengo a prendere alle cinque? JAMILA: non qui. MARCO: dove allora? Jamila resiste ancora un po’ ma finisce per accettare e gli da appuntamento per le 17,00 in un bar lì vicino. quando si ritrovano, alle 17,00 del giorno successivo, lei prende un gelato e racconta qualcosa della sua vita. in quel primo incontro Jamila è per Marco una vera e propria 167

oasi di pace. dolce, remissiva, femminile, educata. l’ideale perfetto. Marco ha ora il tempo di squadrarla bene, dalla testa ai piedi: fisicamente perfetta, dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. dopo un’ora si accomiatano e Marco la invita a un incontro più intimo. lei si comporta come quella che si fa pregare ma, dopo un po’ di manfrine e moine, accetta. si rivedono l’indomani e cominciano con reciprochi giochi di mano e di bocca, poi la penetrazione vaginale con molteplici orgasmi, Marco sta per venire ma deve trattenersi, e prolungare quell'impresa, tra l’affanno e i sospiri di lei che comincia a gemere e sussurrare e strillare. JAMILA: ah, vecchio matto, vecchio matto! ah, vecchio matto, dio mio, cos’è questa? vecchio mattooooo! MARCO: smettila di dirmi vecchio matto! JAMILA: ah, papi, ma tu sei un vecchio matto, un vecchio matto, mi hai sconvolto! Marco si offende di brutto, si alza e se ne va tra le grida di lei che lo ricopre d’insulti e lo schernisce. * 7) LA PICCOLA MORTE. Manuel inizia la fidanzata Sanaa, di origini marocchine, all’uso dell’eroina mostrandole le diverse fasi e i vari passaggi della preparazione della dose e dell’assunzione tramite iniezione endovenosa. voce narrante fuori campo su sfondo nero. MANUEL: (fuori campo, schermo nero) hai tutto? cucchiaino, siringa da insulina, acqua? hai una sigaretta? serve per il filtro. ok. vieni qui che ti spiego: intanto bisogna diluire la roba. fammi vedere. ma è brown, non è bianca. allora vai in cucina a prendere un limone. ecco: intanto mettiamo la roba nel cucchiaino. stai attenta a non esagerare, o avrai la migliore delle buone morti. per adesso, se è un buon ‘cavallo’, ti bastano 50 o al massimo 60 milligrammi e sarà un ‘flash’ memorabile. non serve il bilancino. col tempo imparerai a calcolarlo a occhio, come me... ma comunque sta’ attenta, se non conosci la roba che 168

ti danno. potrebbe essere troppo buona e dunque la prima pera con roba nuova falla sempre più blanda, capito? ogni tossico ha un bilancino di precisione nelle pupille, ma non ‘il piccolo chimico’. assolvenza da nero: Manuel e Sanaa sono distesi s’un divano preparando la dose: ripresa della prima fase di preparazione di una dose di eroina, cioè la soluzione dell’eroina in polvere, che viene fatta sciogliere in un cucchiaino d’acqua calda con l’aggiunta di succo di limone. MANUEL: (fuori campo) apri la fialetta dell’acqua distillata, aspirala nella siringa. qualsiasi acqua va bene, quella del rubinetto, o di una fontana, io conosco gente che si è fatta usando la pioggia accumulata sui tergicristalli delle auto, quella delle pozzanghere, o l’acqua di mare e poi è stata male, ma proprio male: tu non farlo mai. ma tieni presente, amore mio, che quando la roba ti avrà catturato, quando il suo cappio sarà ben stretto al tuo collo, allora anche l’acqua, solo l’acqua, sarà un sollievo per te. ciò che conterà sarà bucarsi, bucarsi comunque, per iniettarsi qualcosa, qualsiasi cosa. e quel buco d’acqua ti farà passare la smania. solo per poco certo, ma, mentre inietterai, la scimmia sembrerà passare e, attraverso quel piccolo dolore che ti infliggerai, troverai una briciola del piacere che ti manca. è il buco, amore mio, la vera droga, in un certo senso, ma questo è ancora troppo presto perché tu possa capirlo, questa è una parte del gioco che si scopre solo quando il gioco ormai è finito e la partita è chiusa. ecco, ora che hai messo l’acqua, aggiungi due gocce di limone. vedi come si scioglie adesso? dunque sta’ attenta: se sbagli, non ci sarà la possibilità di ritentare. sarà una buona morte, e basta. e l’eroina non serve a questo, a morire, a morire davvero, intendo, una volta per tutte, ma piuttosto a ripetere la tua morte, a ripeterla, senza saziartene mai, come fosse un orgasmo. a ripeterla per allontanarla, o, per lo meno, per illuderti che sarai tu a fissare il momento di quell’appuntamento. non crederci quando dicono che qualcuno è morto per overdose: l’overdose non esiste, esiste il suicidio, o la roba troppo buona, chiaro? siamo tossici, non deficienti, lo 169

sappiamo bene quanta roba mettiamo nel cucchiaino, lo sappiamo al milligrammo, ma se la roba è troppo buona (o la vita è troppo merdosa) allora è un’altra storia. la roba cattiva, generalmente, al massimo ti fa cagare per qualche giorno, o ti fa gonfiare il braccio come un pallone e ti avvelena il fegato. ma la roba troppo buona ti ammazza. lascia perdere quello che dicono in tv, l’eroina è una cosa seria, come la vita, la morte, il sesso, il desiderio, la fame, o la sete... dove eravamo rimasti? ripresa della seconda operazione di preparazione della (aspirazione del liquido con la siringa e filtraggio del liquido per eliminare residui solidi). MANUEL: (fuori campo) ora il filtro: metti nel cucchiaino un pezzetto del filtro della sigaretta. brava, così. usa l’ago per mescolare, prendi il filtrino con la punta dell’ago e mescola. mentre mescoli, io continuo a riscaldare con l’accendino per tenerla calda. vieni, metti il cucchiaino sulla fiamma. così, brava. attenta a non farla bollire, però, o ti ustionerai le vene. bene, ora tira su nella siringa, poi, con l’ago puntato in alto, battila con la punta delle dita. esatto, così, in modo che il liquido vada tutto sul fondo. poi fai uscire tutta l’aria dalla siringa, spingi lo stantuffo sino a che non esce una piccola goccia dalla punta. in vena è meglio che non ti entri aria, o ti partirà un embolo. esatto così. leccala. leccala quella goccia che cola lungo l’ago, cazzo! impara a sentire con la lingua il sapore della roba che ti spari in vena. senti com’è amara? questo è il sapore del paradiso, piccola mio. non dimenticarlo più. è come il sapore che hai sentito la prima volta che hai succhiato un cazzo. non dimenticarlo più: è il sapore del desiderio e del piacere. ripresa dell’iniezione, dell’operazione finale di estrazione della siringa e dello scioglimento del laccio emostatico. MANUEL: (fuori campo) ora infilala piano, sai come fare, è proprio come prendere un cazzo: se la spingerai dentro di colpo perderai tutto il piacere. il piacere doloroso che viene prima del piacere vero e proprio, quello di sentire l’ago che ti apre la pelle, che la squarcia con un piccolo taglio netto, che scava nella tua carne alla ricerca della 170

vena. imparerai a sentirla la vena, a percepire con chiarezza quando l’ago la raggiunge, come quando il cazzo ti penetra, e allora il piacere si raddoppierà mentre la bucherai e, subito dopo, quando con lo stantuffo aspirerai un po’ di sangue per sincerarti di averla davvero presa, sentirai un dolore fresco che ti invade il braccio, immediatamente prima del calore bollente che te lo invaderà, quando infine la inietterai. godilo tutto questo buco, tu che puoi, le mie vene ormai sono ridotte a corde secche, sono collassate; vedi le croste sul mio braccio? io mi buco qui, sulla crosta. si chiamano valvole; infilare l’ago lì, dove l’hai già infilato decine di volte, fino a tumefare il braccio, è l’unico modo per continuare a usare certe vene. altrimenti, terminate quelle delle braccia, puoi passare a quelle delle gambe e io conosco persone che hanno usato vene dappertutto, sulle mani, sulle tempie, sulla gola, sotto la lingua, persino sul cazzo. ma tu adesso non pensarci, stringi la tua cinta al braccio, usala come laccio emostatico: scegli la vena adesso, la più grande, quella, sì, quella. prendi la siringa, mettila quasi parallela al braccio, non devi trapassarlo, devi insinuarti, come fai quando infili la lingua, devi aprire la pelle piano, ma con decisione come faresti con la fessura del glande. brava così, spingi, ora, spingi, eccola! l’hai presa, tira su, perfetto, lo vedi il sangue nella siringa che colora la roba? vuol dire che sei dentro, che hai bucato la vena. che il piccolo cazzo duro dell’ago ha sfondato la grande, materna, accogliente figa della vena, dove col sangue scorre la tua vita. brucia, vero? ora inietta, ma pian piano, impara a sentire che puoi sentire anche con le tue vene, che il tuo corpo sente anche ‘dentro’, non solo fuori, sulla pelle. brava, tutta, iniettala tutta, prendila tutta, ma no, no, non togliere subito la siringa dal braccio, aspira di nuovo altro sangue nella siringa, e ora iniettalo ancora: si chiamano risciacqui, più ne farai, più sarai certo che neanche una molecola di roba andrà persa.. lo senti come al dolore del buco si sostituisce il piacere caldo della roba? è per questo, amore mio, che l’eroina non è semplicemente una droga, è una filosofia. ma tu non puoi capire, è troppo presto, anche se presto sarà già tardi, 171

per te come per me. e ora togli la siringa e succhiati via dal braccio la goccia di sangue che ti sta colando verso il gomito. impara che sapore ha il tuo sangue e goditi la tua piccola morte, che è l’unica cosa per cui vale la pena di vivere questa piccola vita. hai voglia di fumare vero? proprio come dopo una scopata, come dopo un orgasmo. tieni: fuma una sigaretta. ne accendo una anch’io. ora sei vuoto nel vuoto. nulla nel nulla. ora non esistono temperature, né odori, né luce, né ombra, né fame, né sete, né fatica, né dolore, né colpa, né pentimento. tutto è vuoto. ora. sei una casella vuota. come un desiderio, un attimo prima di essere desiderato. ah, sei dentro l’epicentro dell’irrazionale, nel cuore dell’inesprimibile. una scarica elettrica che ti divide in due. mi manca mia madre. in questi momenti, ogni volta che mi faccio, ogni volta che mi buco, ogni volta che mi faccio una spada, una pera, un’iniezione, non so perchè mai mi tornano in mente le parole di una poesia. ti va di leggermela? Sanaa prende il libro e legge la poesia. la poesia è PICCOLA POESIA di Charles Bukowski. SANAA: (fuori campo) piccolo sole piccola luna piccolo cane e poco da mangiare e poco da amare e poco per cui vivere. in una piccola stanza piena di piccoli topi che rosicchiano e ballano e corrono mentre dormo aspettando una piccola morte nel bel mezzo di una piccola mattina. in un piccola città in un piccolo stato la mia piccola madre morta il mio piccolo padre morto in un piccolo cimitero da qualche parte. mi resta solo il piccolo spazio di tempo per dirti questo: stai attento alla piccola morte quando arriva correndo. ma come tutti gli altri miliardi di piccole morti 172

alla fine significherà tutto e niente: tutte le tue piccole lacrime bruciano come la colomba, invano. * 8) BUON VIAGGIO. IDEA E FABULA.

l’episodio è interamente occupato da un video 3D che, ambientato in una dimensione palesemente onirica e ostentatamente psichedelica, è costituito da una sequenza d’immagini in successione continua e priva di stacchi. le immagini, ordinate secondo un criterio analogico e dunque collegate e tenute insieme da un filo conduttore basato sul principio dell’isotopia e non già s’un principio di coerenza logica benchè il rapporto tra le scene non sia certamente alogico pur risultando chiaramente non-logico, trasfigurano l’una nell’altra senza tagli, ognuna accompagnata dalle parole di un testo recitato da una voce narrante. immagini e parole sono infine commentate dalle note di una melodia di accompagnamento in sottofondo costante per tutta la durata del video. la melodia, amalgamando e armonizzando le immagini tra loro ed enfatizzandole, riempiendo i silenzi e le pause della voce narrante e inoltre colmando i vuoti lasciati dalle parole, funge da cerniera tra le diverse immagini e tra le immagini e le parole. INTRECCIO E SCENEGGIATURA.

1) campo nero e voce fuori campo narrante: l’LSD può far impazzire anche te. ti assicuro, un acido del cazzo, come una puttana del cazzo, può stenderti al tappeto. l’LSD fa impazzire soprattutto chi è stato ingabbiato. dalla società, dal senso del dovere, dal senso di colpa, dall’etica del lavoro, dalla deontologia. l’anima libera è rara, ma la riconosci quando la vedi. essenzialmente perchè ti senti bene, molto bene, quando sei vicino a lei o insieme a lei. 1b) primo piano dei tentacoli di una medusa. i tentacoli e l’intero corpo della medusa sono di un bianco ceruleo 173

(o blu latteo, se riesci a immaginare un blu latteo o un bianco ceruleo) elettrico e quasi fluo. la medusa fluttua in un mare dal blu molto intenso e profondo, il cui colore tende allo scuro in profondità (cioè sfuma in un blu più chiaro o meno cupo a una estremità del quadro e in un blu più cupo e scuro all’altra estremità del quadro: vd. foto allegata) e a iscurirsi nel tempo (cioè progressivamente nel periodo della rappresentazione). l’atmosfera è paradossalmente molto , accogliente e confortevole. gradualmente l’occhio si avvicina all’esombrella della medusa al cui interno si vede un feto dormiente. voce narrante: LSD, DMT, STP possono mandare un uomo fuori di testa per sempre. ma si può impazzire anche raccogliendo barbabietole, o girando bulloni per la Fiat, o lavando piatti a 3 euro l’ora. se proibissero tutto ciò che fa impazzire un uomo (matrimonio, guerra, trasporto pubblico, mattatoi, apicoltura, chirurgia, qualsiasi cosa ti venga in mente) l’intera struttura sociale crollerebbe. 2) il feto apre gli occhi, digrigna la bocca in un urlo sordo e afono e inizia a sciogliersi colando fuori dalla medusa attraverso i tentacoli. voce narrante: qualsiasi cosa può fare impazzire gli uomini perchè la società poggia su basi false. finchè non sbattiamo giù le fondamenta e non ricostruiamo, i manicomi non verranno mai presi in considerazione. e i tagli dei fondi ai manicomi mi sembrano un’ammissione indiretta del fatto che quelli fatti impazzire dalla società non sono idonei a essere aiutati, curati e riabilitati dalla società. 3) i tentacoli si trasformano in un grappolo di sanguisughe anguiformi il cui viluppo compone l’immagine di un cervello. voce narrante: ma, essenzialmente, quasi tutti i brutti viaggi allucinogeni sono causati dall’individuo che è stato formato e avvelenato prematuramente dalla stessa società che lo ha cresciuto. se un uomo è preoccupato per l’affitto; le rate della macchina; timbrare il cartellino; mandare il figlio all’università; una cena da cinquanta euro per la sua ragazza; il giudizio del vicino, il rispetto per la bandiera e l’amor patrio; la politica, le

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leggi e il governo, allora una pasticca di LSD probabilmente lo farà impazzire. 4) la matassa del cervello-sanguisuga si allenta e le sanguisughe si allungano trasformandosi in spermatozoi che iniziano a piovere-precipitare in caduta libera dentro uno spazio vuoto affondando infine in un mare del colore del vino e del sangue dove guizzano impazziti. voce narrante: perchè, vedi, lui, in un certo senso, è già pazzo, forzato com’è a sopportare le costrizioni sociali e tutti quei noiosi martellamenti che lo rendono insensibile a qualsiasi pensiero individualistico. un viaggio allucinogeno è adatto all’uomo che non è ancora stato ingabbiato, che non è ancora stato fottuto dalla grande Paura che fa tirare avanti la società. 5) il mare inizia allora ad agitarsi e turbinare e, turbato da una corrente fortissima, si trasforma in un torrenziale effluvio di liquido rosso che volteggia vorticoso nell’alvo di una placenta. voce narrante: e un viaggio di LSD ti mostrerà cose fuori da qualsiasi regola. ti mostrerà cose che non trovi su nessun libro di testo e cose che non puoi contestare a nessun consigliere comunale in municipio. l’erba rende la società corrente più sopportabile; l’LSD è un’altra società a sé. 6) la placenta si buca (o scoppia) e ne fuoriesce un nugolo sciamante di aculei che si librano in un ambiente acromatico, monodimensionale, inconsistente, impalpabile e intangibile, del tutto simile a una indefinita nube lattiginosa screziata solo, di tanto in tanto, d’anodine strisce argentee e nimbata da una diffusa luminosità abbacinante in cui non si distingue nessuna forma. voce narrante: se sei stato ammaestrato dalla società, allora potresti etichettare l’LSD come droga allucinogena, che è un modo comodo di lavarsene le mani e di scordarsi di tutto quanto. ma il termine allucinogeno, la sua definizione, dipende da quale parte della barricata ti trovi. 7) in questa nube le uniche forme che si distinguono sono quelle di una moltitudine infinita di fiori: gli aculei scendono allora in picchiata e si posano sui fiori scomparendo appena entrano in contatto con questi. la 175

camera inquadra allora i fiori e mostra che non sono semplici fiori, ma fiori occhiuti e del tutto simili, nella struttura (e nel funzionamento), a una pianta Dionaea Muscipula: i bulbi oculari sono incastonati dentro palpebre uguali ai ventagli delle foglie della Dionaea Muscipula costituite da due lobi-lembi terminanti in affusolati denti-ariste che costituiscono le ciglia del fiore-occhio, il quale possiede una particolare facoltà manducatoria e precipua che si esplica solo nei confronti delle immagini comprese nel suo campo visivo e non già nei confronti della carne: quando una figura si pone tra il fiore-occhio e la fonte di luce che rende visibile la figura, questo (il fiore-occhio) ne cattura l’immagine e la ingoia facendola scomparire. voce narrante: qualsiasi cosa ti accada nel momento in cui accade diventa la realtà. può trattarsi di un film, un sogno, un rapporto sessuale, un assassinio, venire assassinato o mangiare un gelato. le bugie ti vengono imposte in un secondo momento; quello che succede, succede. allucinazione è solo un termine nel dizionario e un’appendice sociale. 8) quando la cinepresa inquadra il fiore-occhio questo la ingoia, la digerisce e l’assimila alla propria linfa: la macchina inizia a scorrere dentro le venature e le nervature della pianta fluendo fino alle sue radici. voce narrante: TUTTE le parti compongono il tutto. qualsiasi cosa un uomo veda è reale. non è stata portata lì da una forza estranea, era già lì prima che quell’uomo nascesse. non incolparlo perchè la vede in questo momento. beh, io ho questa copia del NATIONAL GEOGRAPHIC e le pagine scintillano come se si trattasse della realtà. naturalmente non è così. 9) le radici non sono semplici radici ma neri bracci di una tentacolare ragnatela-rete trombo-tubolare che avvolge una massa tumorale-cancerosa tumescente. voce narrante: dunque non incolpare l’uomo se impazzisce perchè l’educazione e le forze spirituali della società non sono state abbastanza sagge per dirgli che la ricerca non finisce mai, e che dobbiamo essere tutte piccole merde inscatolate con il nostro a-b-c e nient’altro.

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10) la radice-rete è interessata da un perpetuo processo di riproduzione-moltiplicazione in virtù del quale sempre nuovi bracci-liane si diramano dagli altri segmenti della reteradice che imbriglia la massa-tumore e la scompone e divide in caselle-tasselli-scaglie di un mosaico epiteliale. voce narrante: non è l’LSD che causa il brutto viaggio allucinogeno, è colpa di tua madre, del tuo presidente, della ragazzina della porta accanto, di un corso di algebra o spagnolo imposto controvoglia, è stato lavorare nelle fabbriche per dieci anni e venire licenziato perchè arrivato con cinque minuti di ritardo. 11) quando l’inquadratura si allarga, si scopre che le scaglie-caselle-tasselli non sono semplici pezzi del mosaico ma sono le finestre, illuminate da una luce abbagliante, di un mostruoso palazzo in stile brutalista che occupa tutto il quadro visivo dando l’impressione di essere infinito. voce narrante: un cattivo ? un brutto viaggio? l’intera nazione, l’intero mondo sta facendo questo brutto viaggio, amico mio. però ti arrestano se inghiotti una pasticca. 12) didascalia finale: tratto da UN VIAGGIO ALLUCINANTE di Charles Bukowski (tit. or. A BAD TRIP). * 9) PROBLEMI DI CUORE. Omar e Simone sono seduti sul divano di casa del primo a chiacchierare e bere birra. Simone si lamenta con Omar del fatto che non riesce a combinare niente con una ragazza che lo interessa molto, una certa Asia, fidanzata e convivente di un poeta di una certa fama e conoscente di Omar (i due sono pubblicati dalla stessa casa editrice, la Together), Danilo Carlino: ogni giorno i due si vedono alla fine del turno di lavoro di lei e pomiciano un po’ nella macchina di lui ma, quando Simone cerca di spingersi oltre, Asia non riesce mai a decidersi e si ritrae. Omar gli dice di non preoccuparsi: provvederà lui stesso a sistemare la faccenda. i due prendono allora la macchina e si dirigono a casa di Danilo e Asia (in una zona 177

residenziale molto tranquilla di Torino quale potrebbe essere il quartiere Crocetta) dove si sta svolgendo una festa. Omar e Simone vengono ben accolti da Danilo, entusiasta di avere in casa un altro appassionato di poesia e letteratura con cui scambiare idee e opinioni. le cose filano lisce per un’ora ma poi la ingente quantità di alcole circolata nel frattempo fa degenerare la situazione: Omar inizia a toccare il culo di Asia e prova anche a baciarla davanti gli occhi esterefatti di Danilo, lei rifiuta e lui finisce con l’insultarla e vomitarle addosso insulti e invettive, urlandole che è troppo magra per chiunque, non è nemmeno possibile scoparla a pecorina una così: con quei glutei ossuti ti farebbe male. e in ogni caso non me la scoperei mai sapendo che si fa mettere le mani addosso da quel poetucolo, con quelle manine viscide e sudate e mollicce da segaiolo pervertito. Asia, preda del panico e della vergogna per quei due amici tanto scalmanati e indisciplinati, prende in disparte Simone e lo conduce nella cucina dell’appartamento supplicandolo di portare fuori di qua quel mostro, ti prego ma era solo l’inizio: quando i due ritornano nella sala principale, trovano Omar con i pantaloni abbassati intento a ricevere sesso orale da un’invitata che, a pecorina s’una poltrona e con la gonna alzata, si fa a sua volta leccare il culo dal cane di Danilo mentre quest’ultimo insegue Omar dappertutto tampinandolo e vessandolo per strappare un autografo al collega scrittore che, esausto, cede alla richiesta e, preso in mano il libro e apertolo a metà, lo richiude sul proprio membro menandolo fino a eiacularvi dentro per poi riconsegnarlo al proprietario dicendogli autografo e dedica insieme: tutto in uno: prendi due e paghi uno. Asia cerca allora, in un disperato tentativo di contenere la situazione e salvare il salvabile, di far rinsavire Omar e lo accompagna in cucina dove gli sciacqua la faccia con acqua fresca e gli versa un bicchiere di coca-cola. quando i due tornano nella sala principale, Simone sembra scomparso: lo ritrovano poco dopo in bagno, dove incita un’altra invitata a elargire una ”pioggia dorata” addosso a Danilo che, in evidente stato confusionale per assunzione di droga, giace sul pavimento mezzo svenuto. i due vengono infine invitati fuori: prima di 178

andarsene, Omar rivolge parole ingiuriose nei confronti di Asia dandole della troia. infine, piscia, urina e minge nel vaso da fiori dell’ingresso, davanti agli occhi increduli dei partecipanti alla festa. una volta in macchina, Omar chiede se sono riuscito a sistemare le cose tra te e quella zoccoletta all’amico Simone il quale risponde oh, altrochè: le hai sistemate definitivamente e per sempre. l’auto parte sgommando. * 10) THREESOME (con Simone Capitini). alcuni giorni dopo la festa in casa di Danilo, Omar e Simone, seduti al Portobello a bere e chiacchierare in una calda sera di Luglio, incontrano Asia: dopo l’iniziale imbarazzo e le scuse di rito, i tre siedono assieme e trascorrono la prima parte della sera parlando, ridendo e scherzando, poi si bevono la seconda parte e infine, completamente ubriachi e su di giri, decidono di completarla in casa di Asia e così si trasferiscono nell’appartamento dove condiscono il resto della sera con una bella botta di coca. completamente su di giri, di alcole, di pasticche e di tutto, e ormai fuori controllo, iniziano a confessarsi: Omar, in particolare, scoppia in un pianto a dirotto che manifesta tutto il dolore provocato in lui dalla recente rottura con Amina, ragazza amata e immortalata in molte sue opere; Asia conclude che è proprio uno strazio vederlo ridotto così e subito si mette d’impegno per fargli cambiare umore: accovacciata sulle proprie ginocchia e tra le gambe di Omar, gli sbottona i pantaloni, gli estrae il cazzo dalle mutande, glielo prende in mano e inizia a lavorarglielo, prima di mano e poi di bocca mentre Simone si abbassa i pantaloni e spinge Asia a pensare anche a lui: lei, senza farsi pregare, si occupa anche di Simone alternando il lavoro di bocca su Omar al lavoro di mano su Simone e viceversa. in breve, i tre si ritrovano sdraiati a letto dove ha inizio una vera e propria orgia: Asia, si accovaccia nuovamente tra le gambe di Omar e, china, inizia a lavorare di bocca mentre Simone la penetra da dietro a pecorina; 179

poi i ruoli s’invertono ed è Simone a stare davanti e Omar che, dietro, con un solo colpo secco, le sfonda il culo: lei caccia un urlo, gli occhi le si ribaltano indietro e sviene: i due, presi dal panico, non sanno che fare: provano a farla rinvenire in tutti i modi ma nulla. intanto qualcuno bussa alla porta, Omar e Simone non rispondono ma i colpi si fanno più insistenti: alla fine la porta si spalanca: ne entra un furente Danilo, fidanzato di Asia, che si lancia fulmineo sul corpo esanime di Asia, chiedendo che fosse successo: Omar e Simone, spaventati dalla situazione e in evidente stato confusionale per via delle droghe, non riescono a fornire una spiegazione valida e soddisfacente dell’accaduto; Danilo va su tutte le furie e inizia a colpire i due: ne nasce una colluttazione che s’interrompe quando Asia rinviene e, inconsapevole della presenza del fidanzato, dice dai, adesso mettetemelo in bocca insieme. poi ne voglio uno nel culo e uno nella figa, dai, profanatemi, voglio essere sfondata come una puttana. le parole fanno infuriare Danilo che si fionda fuori dall’abitazione ritornando poco dopo con una pistola che punta dentro la stanza: fortunatamente i due goliardi sono già andati via e Danilo rimane solo con Asia: preso dall’eccitazione, abbandona rabbia, pistola, e vestiti, e la scopa. * 11) TACCHI A SPILLO (di Alice Fasano). Due amiche si ritrovano a cena dopo molto tempo. parlando della mancanza e scarsità di lavoro, Asia confessa all’altra di aver accettato una prestazione particolare: calpestare un tizio per soldi. L’indomani il tizio si reca a casa della ragazza (la quale per tirarsi un po’ su ed affrontare meglio l’incontro ha sniffato cocaina), e i due definiscono i dettagli prima di cominciare. A quel punto la ragazza si cambia le scarpe, e calza dei tacchi a stiletto neri altissimi, mette sul giradischi un album di musica rock, alza il volume, sale sul petto nudo di lui e inizia a pestare, saltare e ballare. 180

Alla fine della traccia guarda il ragazzo che sembra stranamente tranquillo e gli chiede se vada tutto bene, ma il tizio non risponde. Lei sospetta sia svenuto. così, controlla con due dita sulla carotide se c’è battito, ma non sente nulla. In preda al panico, ancor più nervosa e sudata per via della coca, chiama la sua amica che le dice che si recherà da lei appena finito il turno di lavoro al bar. Nel frattempo la ragazza fruga nelle tasche del morto, prende portafogli, cellulare e chiavi della macchina, poi pensa di liberarsi della droga che ha in casa. Arriva l’amica e, capito il casino, suggerisce di chiamare suo padre, comandante di Polizia in pensione. Asia si oppone e le due discutono sul da farsi, ma con un cadavere in casa e una possibile accusa di omicidio incombente, la protagonista decide di disfarsi del corpo approfittando del primo favore delle tenebre. In piena notte, mentre Asia fa il palo, Marta si carica il cadavere in spalla, lo porta giù per le scale e le due ragazze insieme lo caricano nel bagagliaio della sua stessa auto. Nessuno sembra accorgersi di nulla. Asia mette in moto e pensa a dove abbandonare l’auto con dentro il corpo, fingendo un incidente o un malore, che avrebbe potuto causare la morte del ragazzo. Raggiunto un punto del parco della Colletta nascosto e non frequentato, se non da spacciatori tossici e marchettari, le balena l’idea di fingere un’overdose da eroina. Le due ragazze si procurano il necessario e inscenano la morte, dopodiché abbandonano l’auto e scappano a piedi. * 12) IL TRAMPOLINO UMANO (con Alice Fasano). FABULA.

Asia e Marta, intime amiche di vecchia data, si ritrovano a cena dopo un lungo periodo di lontananza forzosa dovuta all’isolamento da confinamento necessitato dall’emergenza da contagio di COVID-19: durante la conversazione, le due si ragguagliano vicendevolmente circa la reciproca attuale situazione, sentimentale e lavorativa: Marta comunica tra 181

l’altro ad Asia di essere stata assunta come barista in un pub e Asia confessa a Marta di aver accettato un’offerta di lavoro molto particolare e molto ben retribuita: una performance BDSM consistente in una sessione di trampling estremo comprendente una fase preliminare di preparazione mediante mummificazione con nastro adesivo isolante nero del corpo dello slave (allo scopo di ottenere una totale e completa condizione d’immobilizzazione e costrizione fisica) seguita dalle pratiche estreme dello o (calpestamento con salti sul corpo del calpestato), del (schiacciamento del pene e dei testicoli) e dell’ (calpestamento energico e gravoso del tramite salti e scalpicciamento della schiena, del torace e dell’addome) con scarpe dotate di tacchi a spillo in metallo acquistate e procurate dallo schiavo stesso, che le mostra compiaciuto ad Asia, ancora alquanto timorosa e titubante, ritrosa e paurosa. l’indomani l’uomo si reca in casa della ragazza la quale, dopo aver abbondantemente sniffato cocaina e bevuto alcole per riuscire ad affrontare al meglio la serata, lo accoglie dubitosa e leggermente spaventata, sull’uscio di casa, confessando di non aver mai condotto un simile gioco erotico. prima di cominciare, i due definiscono, riepilogano ed espletano le questioni economiche, tecniche e organizzative della prestazione facendo un riepilogo del costo e delle pratiche comprese nella performance (il trattamento costa allo schiavo 350 euro e prevede, come detto, le pratiche appartenenti al trampling estremo di mummificazione, , e ) e infine convengono sulla safeword da utilizzare per interrompere il gioco erotico in caso d’incidenti. a questo punto Asia entra nel ruolo della dominatrice e, vestiti i panni di trampler, inizia i preparativi: indossa i vertiginosi tacchi a spillo procuratile dall’uomo, mette sul giradischi un album di musica rock, mummifica l’uomo, poi alza al massimo il volume della musica, sale sul petto nudo di lui e inizia a pestare, saltare e ballare. alla fine della seconda traccia, stanca ed esausta, scende dal corpo dello schiavo e, guardandolo, le appare stranamente 182

tranquillo: si china così a chiedergli se vada tutto bene, ma l’uomo non risponde: sospettando uno svenimento, controlla il battito del cuore ponendo due dita sulla carotide e lo sente debolissimo: subito dopo inizia a notare i fori lasciati, sulla superficie di nastro adesivo che riveste e fodera il tronco e il petto dell’uomo, dai tacchi a spillo che, configgendosi nelle membra del carpet, lo hanno trafitto fino a procurargli lacerazioni nelle carni, ferite profonde e varie emorragie superficiali di sangue che, a un’ispezione più accurata, si vede flebilmente zampillare e rivolare oltre i fori sul nastro adesivo. in preda al panico, nervosa e sudata per la coca, Asia chiama la sua amica Marta e, nell’attesa, fruga nelle tasche dell’uomo, prende portafogli, cellulare e chiavi della macchina, poi pensa di liberarsi della droga che ha in casa: all’arrivo di Marta, le due discutono convengono nel disfarsi immediatamente del corpo: approfittando del primo favore delle tenebre, decidono di simulare un incidente stradale e abbandonare il corpo sull’autostrada. INTRECCIO.

- due camionisti chiamano il 113 comunicando il ritrovamento di un veicolo schiantato contro la barriera contenitiva situata all’altezza del km 35° dell’autostrada del Frejus in direzione di Bardonecchia. - rapidamente interrogati dalla polizia sulla dinamica del ritrovamento, entrambi dichiarano di aver scorto in lontananza, al momento del ritrovamento, due donne che, abbandonata l’auto e attraversata l’autostrada, correvano tra i campi perdendosi nel buio; e, successivamente, dopo aver avvisato le forze dell’ordine e essersi avvicinati al luogo dell’incidente, di aver rinvenuto il corpo gravemente ferito e nudo dell’uomo che ora viene caricato sull’ambulanza e, ancora vivo e cosciente, riesce a pronunciare le parole tacchi a spillo. - una sera, durante una cena, Asia, confessa a Marta di trovarsi in un periodo di gravi difficoltà economiche e di avere per questo motivo accettato da un certo Giacomo, impiegatucolo di banca quarantenne e scapolo, un’offerta di lavoro alquanto particolare, stravagante e alquanto sui generis: calpestarlo per soldi: la performance consiste 183

in una sessione di trampling estremo comprendente una fase preliminare di preparazione mediante mummificazione con nastro adesivo isolante nero del corpo dello slave (allo scopo di ottenere una totale e completa condizione d’immobilizzazione e costrizione fisica) seguita dalle pratiche estreme dello o (calpestamento con salti sul corpo del calpestato), del (schiacciamento del pene e dei testicoli) e dell’ (calpestamento energico e gravoso del carpet tramite salti e scalpicciamento della schiena, del torace e dell’addome) con scarpe dotate di tacchi a spillo in metallo acquistate e procurate dallo schiavo stesso, che le mostra compiaciuto ad Asia, ancora alquanto timorosa e titubante, ritrosa e paurosa. - l’indomani troviamo Asia che, seduta in soggiorno, sniffa cocaina e beve rhum a più-non-posso. a un certo orario suona il citofono: è Giacomo, che sorridente e sicuro di sé, si accomoda sul divano. prima di cominciare, i due definiscono gli aspetti tecnici, espletano le questioni economiche, riassumono i dettagli organizzativi della prestazione facendo un riepilogo del costo e delle pratiche comprese nella performance (il trattamento costa allo schiavo 350 euro e prevede le pratiche appartenenti al trampling estremo di mummificazione, , e ) e infine convengono sulla safeword da utilizzare per interrompere il gioco erotico in caso d’incidenti. - a questo punto Asia si trasforma in dominatrice e trampler e avvia i preparativi per la performance: calza altissimi tacchi a spillo in metallo affusolatissimi, mette sul giradischi un album di musica rock, alza il volume al massimo, sale sul petto nudo dell’uomo e inizia a calpestarlo, saltando e ballando frenetica. dopo un certo periodo di tempo, scende per riprendere fiato e nota che l’uomo appare eccessivamente tranquillo, così gli si avvicina, gli chiede se vada tutto bene, ma il tizio non risponde. lei sospetta che sia lui svenuto ma avvicinandosi nota fiotti di sangue rivolanti da piccoli fori sul petto e così decide di procedere a una valutazione del 184

polso arterioso, ponendo medio e indice in posizione carotidea per rilevare i battiti del cuore: è debolissimo. - in preda al panico, nervosa e sudata per la coca e la situazione, chiede aiuto all’amica Marta, la quale si precipita in suo soccorso. - intanto Asia fruga nelle tasche del morto, rinviene portafogli, cellulare e chiavi della macchina, e provvede a disfarsi della droga presente in casa. - giunta, Marta trova Asia preda di una violentissima crisi di panico e si vede costretta a prendere in mano la situazione: le molla un paio di sganassoni per calmarla e subito suggerisce ad Asia di disfarsi del corpo abbandonandolo sull’autostrada dopo aver simulato un incidente stradale. * 13) KARMA DI BRANCO (con Giovanni Giovinazzo). dopo cena Giovanni esce di casa per raggiungere la piazza bassa del borgo dove ha appuntamento per le 22 con gli amici Nunzio e Nereo ma giunto in piazza trova ad attenderlo il solo Nunzio il quale se ne sta tranquillamente seduto s’un muretto intento a fumare una sigaretta e allorchè lo scorge lo informa che Nereo ritarderà poichè impegnato in una cena con alcuni zii in visita da Cuneo: Giovanni accende allora una sigaretta e si siede con l’amico a fumare e parlare. è una tipica notte torinese calida e umida e dopo alcune sigarette e qualche chiacchiera i due sentono una macchina svoltare a tutta velocità l’angolo tra il lungo-Dora Napoli e il ponte Carpanini e dirigersi sgommando e sbandando verso di loro rombando e ruggendo mentrecchè una voce li saluta gridando il loro nome: è Nereo che richiama la loro attenzione da una Golf GTI alla guida della quale è il cugino Daniele il quale invita i due amici a salire in macchina: saliti e fatte le reciproche presentazioni e scambiati i debiti convenevoli di rito, Daniele propone di andare alla ricerca di compagnia femminile facilmente abbordabile ma Giovanni lo informa che a quell’ora di un giorno infrasettimanale gli unici in cerca di cazzi a 185

Torino sono solo i ricchioni che girano ai Lumini: Daniele propone allora di recarsi in quella zona per farsi quattro risate. arrivati sul posto, la goliardica brigata nota con sorpresa un certo via-vai di macchine e adocchiatane una particolarmente in disparte i quattro decidono di avvicinarla: Daniele invita gli altri a nascondersi per non spaventare il malcapitato conducente dell’altra macchina: mentre Nunzio, Nereo e Giovanni si accovacciano e appiattiscono sui rispettivi sedili, Daniele accosta la macchina parcheggiata e invita l’uomo seduto al volante ad appartarsi con lui: l’uomo (cinquantenne) annuisce e fa cenno di seguirlo con l’auto in una zona più tranquilla: mentre le due autovetture si dirigono verso un parcheggio isolato nelle vicinanze, Daniele istruisce i suoi amici invitandoli a uscire allo scoperto solo dopo qualche minuto prendendo d’assalto l’auto del cinquantenne con pugni e calci; poi parcheggia, scende dalla propria vettura, e sale su quella dell’adescatore mentre nella Golf i tre ragazzi già ridono pensando alla faccia che farà il tipo quando li vedrà: sono tutti sedicenni e sospinti dalla gioventù desiderano ardentemente vivere l’esperienze più spericolate, avventurose e rischiose. impaziente Giovanni sbircia fuori dal finestrino riuscendo a scorgere Daniele tutto preso da un’animata e concitata discussione con lo zimbellatore. si gira verso i suoi compagni Nereo e Nunzio, fa una battuta, loro entusiasti e divertiti si mettono a ridere, poi si volta nuovamente verso l’altra auto ma stavolta non ride più: vede infatti Daniele schiaffeggiare in faccia con il palmo aperto e per tre volte l’uomo il quale d’un tratto spalanca lo sportello ed esce piangente dall’auto cercando di scappare; Daniele lo raggiunge e lo colpisce (stavolta con il pugno chiuso) facendolo cadere in terra per poi cominciare a pestarlo a sangue da terra con ferocia inumana prendendolo a pugni e calci sul corpo e in volto: l’uomo è una maschera di sangue mentre Daniele inveisce con cattiveria gridandogli contro insulti di ogni genere; l’adescatore prova a reagire: si rialza e chiede pietà ma preso dall’agitazione ricade e piomba pesantemente al suolo graffiandosi i palmi delle mani; inoltre si piscia 186

e caga addosso per la paura mentre Daniele continua a colpirlo alle calcagna con calci e pugni. Giovanni e Nereo e Nunzio sono pietrificati e sgomenti dal terrore ma, in fine, Giovanni trova il coraggio di scendere dalla macchina per fermare Daniele e, bloccatolo, lo trae in disparte per placarne (momentaneamente) la furia violenta. GIOVANNI: ma che cazzo fai? Avevamo detto la macchina non lui, cosi lo ammazzi! DANIELE: è il karma, qualcuno deve pur dargli una lezione, altrimenti non impareranno mai che NON SI ADESCANO I RAGAZZINI - BRUTTO FROCIO ROTTO IN CULO. GIOVANNI: ma che cazzo dici? che cosa ti ha fatto? DANIELE: sono tutti uguali, fanno tutti parte dello stesso branco di froci schifosi gli risponde in un accesso d’invereconda ira, Daniele sferra all’uomo (già impotente e sfinito) un ultimo e violentissimo calcio al volto che lo sfigura definitivamente tramortendolo: i 4 ragazzi scappano lasciando l’uomo svenuto a terra in un lago di sangue misto a escrementi. * 14) UN MUCCHIO DI SOLDI. è notte fonda quando Silio e Lo Storto, in piena crisi di astinenza, suonano il campanello di Carlo. Carlo risponde e, preoccupato, l’invita a salire. i due entrano e si fermano nell’atrio d’ingresso con aria goffa e imbarazzata e, impacciati e in evidente stato di alterazione, si accasciano sul divano. Carlo offre loro qualcosa da mangiare per calmarli (li conosce da venti anni), loro accolgono di buon grado il cibo ma vogliono che Carlo gli consegni anche tutti i soldi che tiene in casa. al rifiuto del vecchio, inizia un furioso pestaggio che porterà Carlo alla morte. CARLO: ma vi prego: accomodatevi. SILIO: non vorremmo disturbarti... non vorremmo interrompere qualcosa. CARLO: non interrompete nulla: alla mia età si dorme a quest’ora! 187

i due si avvicinano e si mettono a sedere sul divano piuttosto rigidamente. CARLO: eh cari ragazzi: sono volati questi anni: mi sembra ieri che sfrecciavo a bordo della mia Ford Capri con occhiali da sole rosa fluo e funk a palla, e ora guardatemi: un vecchio rattrappito e rincoglionito con giusto i soldi per arrivare alla fine del mese e alla tomba... ma che fate voi in giro a quest’ora? sono le 4... ma scusatemi un attimo: vado a prendere qualcosa da bere... Carlo torna nella sala con una bottiglia di vino e tre bicchieri e apre la bottiglia ed esce di nuovo e in fine ritorna con tre bicchieri. CARLO: è roba buona... Barbaresco... bevete, bevete. i tre brindano e trincano, Carlo riempie nuovamente i bicchieri e poi fissa i due e li scruta e dice: ma voi avete fame... Silio e lo Storto annuiscono e così Carlo dice: beh aspettate che cercherò di procurarvi qualcosa ma intanto non fatevi scrupolo e bevete a volontà e lascia i due in sala mentre si reca in cucina. Silio dice beh hai sentito, no? su: scoliamocela poi alza la bottiglia e si attacca al collo bevendo a garganella. in fine, la passa allo Storto e dice: finiscila pure. lo Storto ha appena svuotato la bottiglia quando Carlo rientra in sala con un grande piatto ovale pieno di olive secche e farcite e formaggio e salame e prosciutto e pomodori secchi sott’olio e uova sode e pane. CARLO: oh vedo con piacere che avete finito il vino: bravi, bene! vado subito a prenderne altro e così detto esce rientrando poco dopo con due nuove bottiglie mentre i due si piombano intanto sul cibo spazzolando il piatto e ripulendolo del tutto per poi attaccare una nuova bottiglia di vino. SILIO: (a Carlo) sei andato a Taranto quest’anno? CARLO: sì ma solo per due settimane... sapete, i soldi non bastano più, e non li si può più spendere invano per divertirsi. SILIO: ma se tutti dicono che conservi sempre almeno dieci gambe in casa...! per le spesucce, dicono... CARLO: (in tono preoccupato e allarmato) e chi lo dice?

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SILIO: lo dice lo Scafista, lo dice Clara, lo dice anche Tortellino... lo dicono tutti, insomma. CARLO: bell’elemento quello: te lo consiglio... SILIO: ad ogni modo tutti concordano sul fatto che tieni almeno 500 euri in contanti in casa. CARLO: è falso: gli unici soldi che ho in casa sono quello che tengo nel portafoglio e nient’altro: 20 o 30 euri SILIO: (in tono minaccioso) fammi vedere. CARLO: (titubante e spaventato) certo. ed estrae il borsello mostrando una banconota da 20, una da 10 e una da 5. SILIO: dammi qua... questo lo tengo io. CARLO: perchè fai così? se vuoi i soldi prendili pure... tienili... ma il borsello restituiscimelo: dentro ci sono i documenti e tutte quelle cose necessarie che a te non servono a nulla ma a me fai un gran danno se li perdo SILIO: vai a fare in culo. CARLO: prego? SILIO: fottiti, frocio. CARLO: (rivolto allo Storto) ascolta, caro: se le cose stanno così, devo cortesemente chiedervi di andarvene: state diventando indisciplinati e mi mettete paura così. lo Storto non risponde. SILIO: c’è dell’altro vino? CARLO: solo qualche altra bottiglia di Barbaresco e Nebbiolo: prendetele pure ma andatemi e lasciatemi in pace: vi prego, vi scongiuro! ma i due non vogliono il vino: vogliono che Carlo consegni loro tutti i soldi che credono ch’egli tenga in casa SILIO: (urlando) sei solo un bocchinaro bastardo e bugiardo! CARLO: ma perchè sei così maleducato? SILIO: e tu perchè sei così frocio? CARLO: mah... SILIO: tua madre era una gran puttana e tu sei un gran frocio... frocio del cazzo... bocchinaro di merda. CARLO: oh mamma... non dire così... te ne prego... Silio imbestia e lo schiaffeggia in volto per tre volte con il palmo della mano aperto: Carlo abbassa la testa e piange. CARLO: mi dispiace: ho cercato di fare del mio meglio. 189

SILIO: ma tu il meglio lo dai solo quando succhi i cazzi... è quella la tua passione: non è forse vero? Carlo non risponde e non reagisce ma rimane fermo e immobile a capo chino piangendo sommessamente. SILIO: (rivolto allo Storto) ma lo vedi tu ‘sto frocio di merda? finocchio schifoso: piange come un bambino, come una femmina! poi rivolto a Carlo: ma non hai ancora visto niente: ti farò piangere come si deve: ti farò piangere io. Silio solleva la bottiglia e butta giù una lunga sorsata. poi la passa a Carlo intimandogli di bere. SILIO: bevi: ti aspetta una lunga notte: l’alcool anestetizza, attenua il dolore... ‘PRENDI’ HO DETTO. Carlo tremante prende in mano la bottiglia e rimane fermo paralizzato dal terrore mentre Silio torna a sedersi sul divano lanciando un occhiata d’intesa allo Storto che sogghigna maligno. dopo alcuni minuti di pesantissimo silenzio e assordante, Silio si alza in piedi e inizia a parlare. SILIO: (rivolto allo Storto) lo sai che cosa voglio fare? mi farò succhiare il cazzo. (rivolto a Carlo) hai sentito, vecchia checca putrida? mi succhierai l’uccello. CARLO: perchè? SILIO: giusto per farci quattro risate! e perchè tu sei una troia succhiacazzi e ti piace... presa un’ulteriore sorsata di vino, Silio si avvicina a Carlo, gli afferra il mento tra le mani e gli solleva la testa. CARLO: ma perchè? oh vi prego: lasciatemi in pace, lasciatemi solo. SILIO: preparati bocchinaro. (abbassando la patta dei pantaloni) apri la bocca, puttana. CARLO: ti prego. SILIO: succhia. Carlo si oppone e Silio lo colpisce a pugno chiuso in testa. Carlo apre la bocca cominciando a succhiare e piange mentre succhia. Silio gli molla allora un’ulteriore sganassone in testa. SILIO: e mettici un po’ d’impegno, viscido coglione: voglio vedere la passione, voglio sentire l’anima mentre lo fai! ah ah ah. 190

Carlo accelera i movimenti della testa e il lavoro della bocca e della lingua. allorchè anche Silio accelera i movimenti ondulatori del bacino, Carlo quasi soffoca e per poco non vomita. in pochi minuti Silio viene e si stacca buttandosi esausto sul divano mentre Carlo continua a piangere. SILIO: (a Carlo) adesso succhia il mio amico. (rivolto allo Storto) adesso svuotati pure tu. STORTO: non so se sia il caso... SILIO: hai paura? sei mezzo frocio pure tu? il vero uomo lo mette dappertutto... donna uomo bambino o animale. STORTO: meglio di no... SILIO: bevi un altro sorso e poi svuotati, ho detto. lo Storto annuisce: butta giù una lunga sorsata poi si slaccia i pantaloni ed estrae il pene mentre Carlo se ne sta in ginocchio piangendo sommessamente. STORTO: non ho voglia di farti male, vecchio: obbedisci, apri le labbra, succhia e non ci vorrà molto. Carlo obbedisce e inizia il lavoro di bocca finchè lo Storto non eiacula. poi sputa in terra lo sperma. SILIO: (incollerito, alzandosi in piedi): devi ingoiare, pezzo di merda, devi ingoiare. Silio molla un pugno in pieno viso a Carlo rompendogli il naso, e poi si rimette a sedere. SILIO: adesso dacci i soldi e ce ne andremo senza farti del male. CARLO: ma non li ho... STORTO: ha detto che non li ha... dai: andiamocene. SILIO: ce ne andiamo quando lo dico io... e poi si sa che i froci sono dei bugiardi patentati: lo farò confessare io... hai capito, ricchione? ti tirerò fuori i soldi a tutti i costi, culattone di merda, BOCCA DI MERDA! (allo Storto) tu stai lì e goditi il vino: mi occuperò io della bambina. Silio fa un giro della stanza, adocchia un bastone da passeggio, lo prende e si piazza davanti Carlo. SILIO: dunque non vuoi proprio parlare? Carlo è come ipnotizzato e non risponde. Silio lo colpisce allora con il bastone alle costole facendolo crollare in terra e infierendo sul corpo. dopo alcuni minuti sia il bastone sia Carlo sono ricoperti di sangue. 191

SILIO: (allo Storto) il figlio di puttana non molla - è proprio vero: i finocchi sono peggio degli ebrei: preferiscono morire piuttosto che sganciare un soldo. (a Carlo) allora: dove li hai i soldi; dov’è che li nascondi? CARLO: (biascicando a fatica) lo giuro, lo giuro, dal profondo del cuore: non li ho i soldi, non ho altri soldi in casa che questi. Silio va su tutte le furie e prende nuovamente a colpire con il bastone Carlo in faccia e sul corpo: il sangue sgorga impetuoso e Carlo sviene. Silio ordina allo Storto di andare a prendere una caraffa d’acqua in cucina e versargliela addosso. quando si riprende, Silio gli avvicina la bocca all’orecchio. SILIO: adesso ricominciamo... ma non ci limiteremo alla faccia: stavolta mi occuperò anche delle palle e del cazzo: parlerai... o ti frantumerò le palle. Carlo non parla e Silio inizia a colpirlo sì pesantemente che lo Storto ha un conato vedendo quell’ammasso grondante sangue e vomita sul pavimento. STORTO: basta: è chiaro che non li ha: nessuno si beccherebbe una simile bastonatura per 500 gambe. SILIO: invece li ha, il frocio: è un bastardo omosessuale frocio, e amico dei negri. e si sa: i negri sono tutti bugiardi. LI HA ti ho detto! (a Carlo) DOVE LI TIENI, VECCHIO PERVERTITO? ma Carlo non risponde. Silio inizia a colpirlo con il bastone nelle parti basse: dal vecchio arriva solo una sequenza continua di flebili rantolii. poi Silio comincia a menare fendenti dovunque, su tutto il corpo di Carlo: viso e ventre, mani e naso, testa e gambe, senza più domandargli dei soldi. la bocca di Carlo spalancata. il sangue che gli scorre dal naso spezzato gli penetra in bocca facendolo affogare nel suo stesso sangue. Carlo perde i sensi e le continue bastonate non provocano più che scarse e deboli reazioni. *

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15) STORIA DI NESSUNO (di Giovanni Giovinazzo). Come tutte le mattine Attilio (ma nessuno lo chiama con il suo nome. E forse non lo sanno nemmeno, il suo nome) se ne sta lì al Portobello, seduto al solito tavolo nel padiglione esterno allestito di fronte al bar, facendo colazione con un bicchiere di Jack D. on the rocks e una sigaretta. Attilio. Quarantadue anni. Ma ne dimostra sessanta, disfatto dall’alcol e dal fumo, con il volto segnato da rughe pesanti come a testimonianza di un passato duro, sempre rivolto verso il basso. Attilio, esile, di bassa statura, uno di quelli che la gente non nota, quelli che non degni di uno sguardo, uno insignificante, un perdente, un Nessuno. Oggi però non è un giorno come gli altri, e Attilio aspetta che la banca apra per riscuotere il prestito da 30,000 euro che gli è stato concesso. Da oggi tutto cambierà, tutto sarà.... sarà tutto diverso. E Attilio andrà da Olga (una prostituta che usa frequentare abitualmente e della quale è innamorato) e le dirà che l’ha sempre amata e che con i soldi potrebbero andar via per cominciare una nuova vita insieme. Oggi Attilio avrà la sua vittoria. Impaziente guarda continuamente l’orologio. Finalmente! Sono le 09,00. L’uomo si reca in banca come previsto e riscuote in contanti il denaro che aveva richiesto. Subito dopo corre a casa per preparare le valigie. Il suo appartamento è piccolo, sporco e malandato. Abita in Via Borgo Dora, di fronte il bar Portobello. Alle 22,00 si reca a casa di Olga. Suona il campanello e lei gli apre. Olga è alta, giovane, con i capelli lunghi biondi, gli occhi azzurri e tutte le curve al punto giusto. Bella da morire. Attilio non resiste e le mostra i contanti. Le racconta subito tutto. Le dice che l’ama e che insieme sarebbero felici e potrebbero iniziare una nuova vita. Lei lo guarda stupita e gli dice che prima deve fare una telefonata. Attilio non capisce di cosa Olga stia parlando al telefono, lei è russa, ma non ha importanza: Attilio è felice, emozionato, tutti i suoi sogni si stanno 193

avverando. Alla fine Olga riattacca il ricevitore e comunica ad Attilio che prima di partire deve passare da un’amica a prendere alcune cose che le serviranno per il viaggio. Attilio acconsente e i due escono insieme. Salgono sull’auto di lui e si avviano. Qualche minuto e Olga lo invita a fermarsi, scende e gli dice di aspettarla. Poco dopo due figure emergono dal vicolo vicino al quale Attilio si trova parcheggiato con la sua vettura. Non ha nemmeno il tempo di accorgersi di quello che sta accadendo: i due aprono la portiera dell’auto e lo afferrano trascinandolo fuori dall’abitacolo. Lo piacchiano. Il primo pugno gli rompe il naso, e Attilio subito sente il sapore ferroso del sangue che gli scorre nella bocca; poi cade a terra, e i due cominciano a infierire su di lui con calci e pugni. Attilio perde i sensi. Riprende conoscenza qualche ora più tardi. E un rantolo penoso si stacca a fatica dai polmoni irrigiditi e contratti e affiora alla bocca con strappi e raschi che risalgono la canna del collo ed escono dalla gola fusi in un unico lamento. Respira ancora. Sì. Ma non riesce a muoversi, non sente dolore, gli hanno rotto l’osso del collo; si guarda intorno: la sua auto è scomparsa e con lei Olga e anche i suoi soldi, lasciandolo vicino ai cassoni dell’immondizia. Si avvicinano alcuni ratti, attirati dall’odore del sangue. Uno comincia a rosicchiargli la faccia. È l’ultimo fatto di cui ha cognizione: poi, sviene di nuovo. Ormai irriconoscibile viene ritrovato il giorno dopo dalla polizia. I poliziotti fanno alcune domande nel vicinato senza ottenere risposte. Viene classificato come sconosciuto. Un Nessuno. * 16) L’ORIENTALE SICULA. Omar, personaggio che abbiamo già incontrato nel corso della stagione (30 anni, scrittore, ex galeotto con un trascorso criminale alle spalle, originario di Catania in Sicilia ma residente, come tutti i personaggi della serie, 194

nel borgo Dora di Torino), riceve la notizia della morte della madre Olimpia e parte in macchina alla volta della Sicilia per assistere ai funerali. durante il viaggio in macchina, che dura 13 ore da Torino a Messina, ripercorre con la mente gli infiniti conflitti, le incomprensioni e gli scorni con la madre e la famiglia. dopo la traversata dello Stretto, entra nella SS114 Orientale Sicula che da Messina porta a Catania. a soli 60 chilometri da casa, nei pressi del paese di Letojanni, l’auto rilascia dal cofano uno sbuffo di fumo nero e si ferma: Omar scende dalla macchina e si avvia a piedi verso l’abitato, che si scorge a pochi chilometri di distanza. giunto in piazza chiede ad alcuni astanti l’indirizzo di un meccanico, raggiunge l’officina e prende accordi con un operaio per riparare il guasto occorso alla macchina, consegna a questo le chiavi della vettura e nell’attesa si ferma a un chiosco sulla spiaggia, in una zona piuttosto isolata all’estremità settentrionale del lungomare. lì incontra un gruppo di tre donne straniere (una nigeriana, una marocchina e una turca), una delle quali (la marocchina) si mostra sin da subito particolarmente disponibile nei suoi confronti: i due iniziano a chiacchierare e scoprono di avere molte affinità e una comune visione del mondo e della vita, sono in sintonia, si sentono bene insieme, riescono ad aprirsi l’uno all’altra e si confessano senza remore, senza vergogne e senza pregiudizi: è un vero e proprio scambio di anime il loro, durante il quale si raccontano a vicenda: Omar con divertimento e gioiosa nostalgia del suo passato burrascoso da criminale e la donna, che si chiama Nabila e ha 28 anni, della condizione d’ignoranza, violenza e povertà che l’ha condotta sulla via della prostituzione, del risentimento nei confronti della vita e dei sogni infranti. dopo alcune ore Omar riceve la telefonata del meccanico il quale lo informa che il guasto è stato riparato e l’auto è pronta per ripartire. Omar e Nabila si accommiatano con un abbraccio denso di angoscia. Omar si reca al meccanico, paga, riprende la macchina, e si avvia sulla strada verso Catania, ma, allo svincolo che immette sull’autostrada ha un ripensamento e, anzichè imboccare l’autostrada, ritorna indietro, verso Nabila, che, seduta sulla spiaggia, fuma malinconicamente una 195

sigaretta: parcheggia la macchina e le va incontro, lei lo nota e sorridendo gli corre incontro. i due si abbracciano. NABILA: che ci fai qua? Omar: è un bel posto dove passare l’estate. i due che si avviano mano nella mano verso casa camminando a piedi nudi sulla spiaggia dorata del tramonto. * DRAMATIS PERSONAE. ASIA. Asia ha 30 anni e una laurea in letteratura inglese. di statura bassa, ha pelle chiarissima, capelli neri e occhi verdi e molto grandi. vive con il suo cane Lady, un’enorme rottweiller nera, in una mansarda luminosa, tappezzata di giornali, in via Lanino, nel quartiere Borgo Dora. quella casa è l’unica cosa che le ha lasciato il padre, morto da dieci anni, che faceva il camionista. sua madre è una impiegata del comune di Torino ora in pensione. Asia ha una lauea in giurisprudenza ma non ha mai preso l’abilitazione per esercitare e così si arrangia in molti modi, tra cui ripetizioni di lingue straniere: parla infatti inglese, francese e spagnolo. ha una sola amica: Marta, lesbica, capelli rosa, obesa (pesa novanta chili), che lavora in un bar di un centro commerciale ed è per questo perennemente incazzata. il padre di marta è un poliziotto in pensione. CARLO. tarantino, ottuagenario e omosessuale dichiarato ( lo avrebbe definito Reinaldo Arenas) è un residente storico del borgo. DANIELE. diciannovenne all’epoca del pestaggio ai danni di un omosessuale avvenuto nel parcheggio della Colletta e raccontato nel secondo episodio, da bambino è stato abusato da un maestro delle scuole elementari.

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GIOVANNI. sedicenne, è nato in Torino ma è originario della Calabria: i suoi, gente onesta e lavoratrice, sono emigrati nella metropoli piemontese negli anni ’70. MARCO. 43 anni, gran dongiovanni e casanova con molta energia, è un temerario e vive senza pensare a quello che fa, frenetico e ansioso. NEREO e NUNZIO. sedicenni amici di Giovanni e Daniele. OMAR. 30 anni, scrittore, ex galeotto con un cospicuo trascorso criminale alle spalle, originario di Catania in Sicilia ma residente, come tutti i personaggi della serie, nel borgo Dora di Torino. andato via di casa a 17 anni, allaccia rapporti con la mala del quartiere San Berillo di Catania che lo impiega come jettacqua in un bordello clandestino. a 21 anni conosce una donna greca più grande di lui di alcuni anni e si trasferisce in Grecia: lì si barcamena come contrabbandiere sui pescherecci d’altura che fanno la spola tra le coste greche e quelle egiziane importando sigarette e canapa. rientrato in Sicilia, si laurea in lettere ed è assunto nelle graduatorie dei docenti della provincia di Torino, dove si trasferisce stabilmente. mentre presta servizio in qualità di docente di geografia nell’istituto Albe Steiner di Torino, si invaghisce ricambiato di una studentessa, Ambra, di 16 anni, con cui intraprende una pericolosa relazione intima. la focosa e appassionata relazione che i due conducono si conclude quando i genitori della ragazza vengono a conoscenza della tresca: Omar viene accusato di molestie sessuali, licenziato dalla scuola ed esonerato dall’insegnamento. privo di alternative, riallaccia i rapporti interrotti con il mondo del crimine e si avvicina al clan dei siciliani di Barriera. ridiventa caruso ma, dopo un anno, viene arrestato e condannato per estorsione: in cella giungono altri definitivi per i reati di spaccio, rissa, lesioni personali, truffa informatica e molestie 197

sessuali. dopo aver scontato la pena cumulativa di 7 mesi, decide di tagliare definitivamente i ponti con l’ambiente della criminalità. intraprende la carriera di scrittore. un giorno conosce Amina, se ne innamora e sembra aver messo la testa apposto. SIMONE. rapper, 30 anni, con un passato turbolento di spaccio e consumo di droga alle spalle, si mantiene lavorando come meccanico. STORTO. quarantenne spiantato e perennemente disoccupato, taciturno e remissivo, tossicomane e alcolizzato. LO

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VISUM * IDEA. PERCHÈ.

il film muove dall’intento di registrare visivamente la paradossalità delle conquiste concettuali relativistiche einsteiniane riflettendo in primis la molteplicità dei punti di vista e delle percezioni e dei piani della realtà dei quali non possiamo accorgerci ma di cui dobbiamo serenamente accettare l’esistenza, e in secundis la compresenza di molteplici punti di vista e piani della realtà in uno stesso luogo del tempo e dello spazio. alla base di questo progetto è l’idea assiomatica stando alla quale “qualsiasi cosa ti accada nel momento in cui accade diventa la realtà. può trattarsi di un film, un sogno, un rapporto sessuale, un assassinio, venire assassinato o mangiare un gelato. le bugie ti vengono imposte in un secondo momento; quello che succede, succede. allucinazione è solo un termine nel dizionario e un’appendice sociale. TUTTE le parti compongono il tutto. qualsiasi cosa un uomo veda è reale. non è stata portata lì da una forza estranea, era già lì prima che quell’uomo nascesse. non incolparlo perchè la vede in questo momento. beh, io ho questa copia del NATIONAL GEOGRAPHIC e le pagine scintillano come se si trattasse della realtà. naturalmente non è così.” [Charles Bukowski: UN VIAGGIO ALLUCINANTE (tit. or. A BAD TRIP): STORIE DI ORDINARIA FOLLIA]. diverse le conseguenze di questo assunto e i suoi derivamenti corollari: 1) che la possibilità ermeneutica dell’interpretazione è legata al numero di interpretazioni possibili e da queste condizionate: ogni interpretazione (e con essa lo sforzo di rendere univoco il senso di un oggetto artistico o scientifico) è solo il risultato di una incomprensione: la scienza e l’ermeneutica postmoderne aderiscono infatti alla metafisica che separa i dati immediati e irriducibili dalle costruzioni teoriche elaborate a partire da quelli:

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secondo tale metafisica, a fronte di dati che costituiscono gli elementi sui quali sembra esistere un consenso generalizzato, esiste una messe di interpretazioni e letture possibili e compatibili che non sembrano fare corpo con i dati a cui si applicano benchè solo provvisoriamente e temporaneamente o convenzionalmente univoco e fuori discussione: uno stesso procedimento, quale quello di usare una chiave inglese, può essere letto e descritto come l’azione meccanica di stringere un bullone, o come l’azione creativa di congegnare un veicolo, o come la conseguenza della necessità di procacciarsi di che vivere, o in fine come un contributo politico teso a favorire il flusso delle esportazioni e il sistema economico-finanziario del paese: le possibilità interpretative sembrano insomma inesauribili e non si considera più l’incomprensione e l’errore interpretativo come un accidente evitabile ma come la condizione stessa della conoscenza e della ricerca. allo stadio attuale della conoscenza e della ricerca non si può più semplicemente considerare la lettera (interpretazione letterale) come distinta e contrapposta allo spirito (interpretazione metaforica e figurale e allegorica) nell’ottica di sostenere il diritto a interpretare diversamente da come autorizzi la lettera ma si vede nella lettera stessa un miraggio che si dissolve tra le miriadi di possibili interpretazioni. oggi l’unico sforzo che la conoscenza e la scienza può compiere è quello di elencare e raccogliere il numero potenzialmente infinito di letture teoricamente ammissibili e plausibili e dare conto del proliferare dei sensi e dei significati: altro non si può poichè “per quanto si ammettano le combinazioni più diverse, esse non rifletteranno mai la complessità delle nozioni non formalizzate.” [Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca: TRATTATO DELL’ARGOMENTAZIONE (Einaudi, Torino, 1966-1989): 256]. 2) altra conseguenza derivata e assunto corollario rispetto all’assunto di partenza è che nulla è (veramente e finalmente e profondamente) conoscibile, e che sarebbe comunque non-comunicabile seppur fosse conoscibile sicchè 3) con Ernst Mach, “si tratta solo di scoprire la mutua dipendenza dei fenomeni” [Ernst Mach in ILLUSIONI OTTICOGEOMETRICHE di Giovanni Bruno Vicario (Istituto Veneto di 200

Scienze, Lettere ed Arti; Venezia; 2009): 288] non già i meccanici e gerarchici rapporti ontologici di causa ed effetto tra questi. 4) estrema e ultima conseguenza è il percepire il mondo quale immenso e grandioso inganno e la vita quale sogno a occhi aperti, secondo la celebre lezione rassegnata del poeto ispanico Pedro Calderon de la Barca nella mirabile opra del 1635 LA VITA È SOGNO: indicative e riassuntive al riguardo le parole pronunciate dal re Basilio in merito alla sua decisione di librare il figlio dalle pesanti catene e dagli angusti ceppi che l’opprimevano: “Quindi ho voluto lasciargli uno scampo: poter dire che quanto vide era sogno. Otterrò così due scopi. Primo: aprire il suo animo, poiché mostrerà da sveglio ciò che immagina e che pensa. E secondo: il suo conforto, poiché, nel vedersi ora obbedito, e poi tornare in carcere, il suo pensiero sarà d’avere sognato, e farà bene a pensarlo, giacché nel mondo, Clotaldo, ognuno che vive sogna.”. prova, conferma ed esempio corroborante la teoria delle interpretazioni multiple e la teoria del soggettivismo cognitivo è l’insieme dei fenomeni conosciuti come illusioni ottiche che (credo più opportunamente e precisamente) definisco errori ottico-cognitivi poichè si tratta di distorcimento nel passare dalla percezione alla rappresentazione di oggetti visivi-percettivi dovuto alle operazioni di mediazione attivate dal sistema percettivocognitivo umano per trasformare i segnali e gli stimoli esterni in rappresentazioni mentali-cognitive: se gli errori ottico-cognitivi sono dovuti all’intervento, durante la fase della formulazione delle risposte a uno stimolo o input, di una programmazione di un comportamento futuro quale risposta allo stimolo; e se la programmazione viene vanificata con frustrazione nel soggetto percepiente da successive informazioni ottenute tramite la evoluzione dello stimolo o il cambiamento nella erogazione delle risorse attentive interessate dallo stimolo; mi domando allora qual sia la realtà: quella che vediamo e percepiamo e su cui si basano i nostri sensi, o quella che ricostruiamo tramite un’operazione cognitiva mediata e posticcia e che è il risultato di una correzione operata dal nostro sistema percettivo al fine di realizzare la 201

costanza di forme e grandezze necessaria a un adeguato comportamento adattivo all’ambiente? e, d’altro canto, è forse che un’illusione causata da un ente geometrico su carta sia meno reale di un’illusione causata da un ente tangibile? la quistione è che non si possono confrontare gli oggetti dell’esperienza visiva con gli oggetti del pensiero poichè tanto gli errori ottico-cognitivi quanto gli stimoli fisici e le proprietà geometriche sono dotate di pari realtà cognitiva se non ontologica come già appariva chiaro e lampante al filosofo greco del 5° secolo Protagora nel sunto che fa della sua opinione in materia Aristotele: “infatti le linee visibili non sono le stesse per il geometra e per lo spettatore poichè nessuna cosa visibile con gli occhi è diritta o curvata nel senso geometrico: il cerchio non connette a una retta in un solo punto ma nel modo sostenuto da Protagora confutando i geometri cioè in molteplici punti [Aristotele: METAFISICA: 997b35; traduzione mia]: il riferimento all’esperienza visiva come contrapposta alla concezione dei geometri (interessati solamente a creare concetti di cui poi valersi per eseguire calcoli sempre più utili a fini pratici) induce ad ipotizzare una sorta di riguardante la tangente alla circonferenza di un cerchio la quale ha percettivamente più punti in comune con la circonferenza e non uno solo come vorrebbe e prescrive ed esige la geometria: Se l’uguaglianza delle procedure caratterizza il risultato dell’osservazione e quello della misurazione allora - ne consegue che non si può distinguere tra illusione e realtà: o è tutto realtà o è tutto illusione. Per meglio dire, se per illusione si intende errore, la conclusione è inevitabile: si può parlare di errore in mancanza di un termine di confronto? [Giovanni Bruno Vicario: ILLUSIONI OTTICO-GEOMETRICHE (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; Venezia; 2009): 292293]. COME.

1) proponendo una più complessa e composita rappresentazione figurativa dello spazio tramite raffigurazione recusante e repudiante la visione monoculare prevista dai canoni e dettami artistici tradizionali. 202

2) attirando nella dimensione figurativa e nel campo visivo-percettivo molteplici piani della realtà che tecnicamente e logicamente dovrebbero esserne estranei e così concretando il paradosso escheriano della diplopia la quale riunisce più punti di vista logicamentefisicamente incompatibili nella stessa raffigurazione mediante il ricorso (tra gli altri) a: - immagini ossessivamente ricorsive, involute e ritorte, e spiraliformi simboli della conoscenza che ritorna su se stessa poichè incapace di giungere alla verità perocchè basata s’un linguaggio-codice il quale non raggiunge mai i fondamenti del reale imperocchè sempre si riferisce ad un altro linguaggio che a sua volta si riferisce ad altro linguaggio all’infinito; - effetto Droste-Misset; - mise-en-abysme; - elementi e forme geometricamente simmetriche e simmetricamente labirintiche e matematicamente infinitive. * FONTI ISPIRATORIE. alla base del progetto vi è l’opra di Maurits Cornelius Escher la cui arte ruota intorno a un concetto e una interpretazione dello spazio quale non semplice riproduzione s’un piano bidimensionale dell’ambiente tridimensionale che ci circonda secondo le leggi della prospettiva scientifica derivata dalla geometria descrittiva le quali permisero dal ‘400 in avanti di riprodurre in modo illusorio la terza dimensione sul piano bidimensionale ma quale compresenza relativistica ed einsteiniana delle molteplici dimensioni e dei molteplici piani reali. oltre quelle citate nel corso dell’esposizione, altre opere che potrebbero risultare interessanti e fornire utili spunti e stimoli e idee sono: - UN ALTRO MONDO II (1947) - METAMORFOSI II (1939-49). *

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BIBLIOGRAFIA SULLE COSÌ DETTE ILLUSIONI OTTICHE. BUSSAGLI2004 = Marco Bussagli: Escher (Giunti - FirenzeMilano - 2004) VICARIO2009 = Giovanni Bruno Vicario: ILLUSIONI OTTICOGEOMETRICHE IV: UNA RASSEGNA DI PROBLEMI (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti - Venezia - 2009). * ALTRI TITOLI POSSIBILI -

OVER THE WALL OVER THE CROSSING OLTRE IL SOGGETTO LIFE IS DREAM SOMNIUM SOMNIUM VISIONIS BEYOND THE MIRROR SLEEPING DREAM

* 1: UNDERNEATH. TRAMA.

- piano fisso in soggettiva di una porticina minuscola (come quella del numero civico 21 di via del Borgo Dora) in una normalissima strada (come potrebbe essere appunto la via del Borgo Dora). - primo-piano in soggettiva di una mano che gira la maniglia della porta la quale si apre s’una scala senza fine bidirezionale ascendente-discendente all’infinito cioè infinitivamente discendente verso l’alto e infinitivamente ascendente verso il basso che riprende la scala. - primo-piano in soggettiva di un piede nudo che appodia sul primo gradino della scala bidirezionale. - primo-piano in soggettiva di coppia di piedi nudi che percorre in loop la scala e rappresentazione visiva della sensazione di vertigine e spaesamento dovuta alla duplice e straniante percezione prodotta dal salire una scala che scende e contemporaneamente scendere una scala che sale. 204

- zoom in retro dell’obbiettivo della tele-camera che slarga a mostrare in secondo-piano come la scala non proceda lungo una retta infinita ma lungo un circuito chiuso costituito da quattro rampe e uguale alla scala impossibile di Penrose (pubblicata nel 1958) replicata nell’opera SALITA E DISCESA (1960) di Maurits Cornelius Escher. - ulteriore zoom in retro progressivo dell’obbiettivo a mostrare come la scala sia non isolata ma incastonata all’interno di un complesso e complicatissimo meccanismo di scale infinitamente ricorsive simile a quello descritto e delinato da Maurits Cornelius Escher nell’opera del 1953 (dunque mediana e analoga a CASA DI SCALE [1951] e CONCAVO E CONVESSO [1955]) RELATIVITÀ4 dal cui loop l’occhio del narratore riesce a uscire solo precipitandosi nel vuoto compreso e delimitato dalle rampe di scale. quest’ultima scena ha lo scopo d’indicare ed evidenziare l’impenetrabilità della rete di relazioni che costituiscono il tessuto ontologico instaurantesi tra i vari piani fisici della casa e dunque tra i diversi piani e le molteplici dimensioni soggiacenti alla realtà stessa simboleggiata appunto dalla casa nonchè l’impossibilità di rinvenire nella trama inespugnabile della realtà una via di fuga: la scappatoia è solo una crepa e una breccia nel muro infinito e imperscrutabile della realtà ma lo squarcio non risolve l’equazione della realtà e dunque mantiene insoluto l’algoritmo ricorsivo della stanza relativistica di Escher nonchè dell’essenza molteplice e plurima e ritorta della realtà. AUDIO.

il film potrebbe essere accompagnato (e commentato) dagli aberramenti-distorcimenti-illudimenti-paradossi-allucinamenti acustico-sonoro-percettivi prodotti usando la cd. scala di Shepard ideata dallo psicologo americano Roger Newland Shepard, dallo stesso impiegata per la registrazione di crescendo-glissando infinitivi; successivamente 4

https://www.youtube.com/watch?v=zSIbRlWvEaA, https://www.youtube.com/watch?v=n3j-1MRhHks, https://www.youtube.com/watch?v=p7znWeeuAKU, https://www.youtube.com/watch?v=xVyYcAI90jw.

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ripresa e rielaborata da una nutrita schiera composta d’artisti-scienziati quali Jean-Claude Risset e Dan Tepfer e Thierry Rochebois i cui esperimenti sonori diedero vita a inaspettati e imprevedibili paradossi melodici assolutamente allucinanti e allucinati nonchè sinusoidali e spirali; e in fine più tardi impiegate nella produzione delle allucinazioni acustico-sonore forgiate all’interno della sperimentazione appartenente al genere psy-tranche il quale sfrutta gli studi acustici effettuati dai precursori Shepard e Risset. (ma rilevanti effetti di tipo Shepard si trovano anche nella musica tradizionale sotto forma di progressioni modulanti-modulari progressive: per esempio nella FANTASIA E FUGA IN SOL MINORE PER ORGANO BWV 542 di Johann Sebastian Bach o nella parte finale del brano ECHOES dei Pink Floyd dove un glissando di voci tagliato ad anello è mixato in modo da dare l’illusione di un crescendo continuo che risulta dalla dissolvenza di una lunga ripetizione guidata dalla chitarra elettrica. altri illusioni-allucinazioni-paradossi acustici-sonori che potrebbero servire al progetto sono contenute nel brano SPACE PROBE di Sun Ra tratto dall’album MY BROTHER THE WIND dello stesso nonchè negli esperimenti di molti altri autori: - Roger Newland Shepard: https:..www.youtube.com.watch?v=CMM3FE9AJ14 https:..www.youtube.com.watch?v=qjv-KorBYqo https:..www.youtube.com.watch?v=2L2AEMgK9zI https:..www.youtube.com.watch?v=MShclPy4Kvc https:..www.youtube.com.watch?v=BzNzgsAE4F0 https:..www.youtube.com.watch?v=qZkZWbpzqKE - Thierry Rochebois: http:..independent.academia.edu.ThierryRochebois - Jean-Claude Risset: https:..www.artapartofculture.net.2016.12.20.ciao-jeanclaude-risset-tra-musica-e-tecnologia. https:..www.youtube.com.watch?v=RcX0ubvoZUA https:..www.youtube.com.watch?v=8fSKk4OqZp0 https:..www.youtube.com.watch?v=JQRxTGLp8AY https:..www.youtube.com.watch?v=Fhj2O4jToKI 206

- Eduard Dominguez (che impiega ed elabora la cd. scala di Shepard sfruttando il di Shepard e Risset che unisce e amalgama la tecnologia fornita dal di Shepard a quella fornita da di Risset) https:..www.youtube.com.watch?v=vt0f0dMojr8 https:..www.native-instruments.com.en.reaktorcommunity.reaktor-user-library.entry.show.6403. https:..vimeo.com.9283535 - Dan Tepfer https:..www.youtube.com.watch?v=P3hdTbtLra4 https:..www.youtube.com.watch?v=YivLzr9DD3k&list=PLUzNns pxG1f5Bks6R8ckCzDSEn__psaO8 - Thierry Rochebois https:..www.youtube.com.watch?v=OsBanpBQj0k https:..soundcloud.com.thierry-rochebois-1.higher-andailleurs https:..www.youtube.com.watch?v=xbDnA1oezjE https:..www.youtube.com.channel.UCAhRo1cCl1r_dFMVYaxTh5Q .videos https:..www.youtube.com.user.ThierryRochebois https:..www.youtube.com.watch?v=83WIkYPDgb4 https:..www.youtube.com.watch?v=oXBzSmFD8uE - Max Mathew https:..www.youtube.com.user.alexdinunzio https:..www.youtube.com.user.ComputerHistory - Sun Ra https:..www.youtube.com.watch?v=VxXDaxrnqk0 - Otto Luening https:..www.youtube.com.watch?v=pZc6KFJiKU0

- FANTASIA E FUGA IN G MINORE PER ORGANO N° BWV 542 di Johann Sebastian Bach https:..www.youtube.com.watch?v=tgDE3klkmtQ 207

- di Giuseppe Tartini https:..www.youtube.com.watch?v=eAu2IDJJtUM - Bebe e Louis Barron https:..www.youtube.com.watch?v=YSFoILcyqAU&t=83s https:..www.youtube.com.watch?v=Zg_5Eb8coTU&t=754s https:..www.youtube.com.watch?v=dwaaY34OQaM&t=85s https:..www.youtube.com.watch?v=Biqz1r2d_xY * 2: OVER THE MIRROR. la caduta termina dentro una camera dall’arredamento di chiara impronta e spiccata matrice nipponiche: in questo episodio la conseguenza primaria del concetto fondante il progetto e sostanziante l’assioma reggente il concept (interpretazione quale risultato di una incomprensione comprensione quale errore o falsamento di prospettiva) è reso visivamente tramite rappresentazione figurativa della fenomenologia della camera giapponese arrangiata e teorizzata da Roland Barthes nel suo libro L’IMPERO DEI SEGNI. - campo totale fisso orizzontale inquadrante l’interno di una casa giapponese simile a quella descritta nel libro L’IMPERO DEI SEGNI di Roland Barthes (vd. foto contenuta all’interno del libro L’IMPERO DEI SEGNI) in tutto fuorchè in un particolare: a sinistra è presente una finestra dotata di 1) grata di ferro a cui è appoggiata una sagoma nera di forma oblunga e tratti non definiti chiaramente e 2) davanzale sul quale è poggiato un ceneraio contenente una sigaretta fumante. - rotazione del campo in senso orario, completa di 360° e con angolatura orizzontale a mostrare l’assoluta specularità dell’architettura e intercambiabilità degli elementi architettonici presenti nell’interno della camera. - nuova e seconda ruotazione del campo in senso orario completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom-in avanti a mezza spirale antioraria a stringere sul primo piano della finestra: il dettaglio nero appare ora più 208

nitidamente e assume i contorni di un gatto che è appoggiato alla grata di ferro della finestra e osserva in camera mentre uno specchio situato dietro l’animale ne riflette la groppa. - nuova e terza ruotazione del primo piano della finestra in senso orario completa di 360° e con angolatura orizzontale + zoom e primissimo piano sul gatto e sullo filo di fumo spirante dalla sigaretta fumante. - nuova e quarta rotazione del primissimo piano del gatto in senso orario completa di 360° e con angolatura orizzontale: allorchè giunge a metà del movimento di rotazione la ripresa fa sì che il gatto che è ora capovolto non sia più un gatto ma appaia come un vaso mentre lo specchio rimanda ancora l’immagine riflessa del retrotreno del gatto; completata la rotazione allora il vaso riacquista le sembianze originarie del gatto mentre lo specchio posto dietro l’animale riflette ora un vaso. il filo di fumo intanto prende contorni più nitidi e lo si vede chiaramente spirante in lente volute che librandosi si slargano in una banda che si trasforma gradualmente in una scia rettilinea. - travelling composito composto da: 1) rotazione continua e perpetua in senso orario completa di 360° e con angolatura orizzontale del dettaglio nero del gatto-vaso in primo piano che inizialmente si presenta come un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra ma che, durante il movimento di capovolgimento e giunto nel mezzo della rotazione dell’obbiettivo, capovolto prende la sembianza di un vaso appoggiato alla grata di ferro della finestra per poi riprendere nuovamente, al completamento del secondo mezzo giro di rotazione, i connotati di un gatto appoggiato alla grata di ferro della finestra mentre lo specchio riflette un vaso quando l’occhio inquadra un gatto e viceversa + 2) contemporanea carrellata orizzontale, in avanti, a precedere sul dettaglio nero del gatto-vaso della finestra che viene scavalcato: dopo aver scavalcato il gatto, l’occhio entra nello specchio, dove inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra offre la groppa alla visione della tele-camera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine del garrese: lo spettatore entra in un loop di 209

immagini rifratte dallo specchio e l’occhio, entrando di nuovo nello specchio, inquadra un gatto appoggiato alla grata di ferro di una finestra che offre il garrese alla visione della tele-camera mentre uno specchio posto innanzi a lui ne riflette l’immagine della groppa; ancora, la tele-camera entra nuovamente nello specchio, dove un gatto nero appoggiato alla grata di ferro di una finestra osserva in camera mentre uno specchio posto alle sue spalle ne inquadra il garrese, rimbalzando in loop tra scena reale e scena riflessa nello specchio. come si evince dalla descrizione generale, la scena è complicata dal fatto che il dettaglio nero del vaso-gatto cambia non solo orientamento, essendo inquadrato prima d’avanti poi da dietro, ma anche forma, tramutandosi, appunto, da gatto in vaso e viceversa, sicchè è necessario scomporre la scena in subunità più malleabili e gestibili: considerando che rotazione e carrellata avvengono contemporaneamente, che esse sono sovrapposte nella stessa scena e che la rotazione avviene sempre in senso orario e con angolatura orizzontale mentre la carrellata procede sempre in orizzontale, in avanti e a precedere, allora avremo i seguenti frammenti (ciascuno scandito dal mezzo giro di rotazione preso come unità di misura del tempo scenico): MEZZA ROTAZIONE

CARRELLATA

a) garrese di gatto garrese di gatto b) vaso groppa c) groppa di gatto vaso d) vaso garrese e) garrese di gatto vaso f) vaso groppa g) groppa di gatto vaso h) vaso garrese - durante il loop del travelling dello specchio, l’obbiettivo (con scarto infinitesimale e quasi impercepibile) punta verso il filo di fumo che sale dal ceneraio adagiato sul davanzale della finestra: il filo di fumo lentamente viene ed entra in primo-piano mediante zoom in avanti fino a occupare l’intero campo visivo mentre gli altri elementi dell’immagine vengono gradualmente esclusi dall’inquadratura. la scena è realizzata tramite zoom in 210

avanti progressivo sul filo di fumo che tende a occupare l’intero campo visivo escludendo gli altri elementi: l’obbiettivo finisce per entrare dentro il fumo e immergercisi dentro. * 3: SMOKE WIRE. - il filo di fumo prende lentamente le sembianze di una strada lunghissima e dritta (come le strade californiane) su cui una vettura procede contro un tramonto di porpora. - mentre il veicolo procede e si avvicina al tramonto, questo cangia progressivamente dal porpora al viola e successivamente dal viola al quasi-nero e infine al nero. - la vettura termina la propria corsa nel tramonto ormai del tuto nero dove precipita, si perde e svanisce insieme con la scia di fumo. - il campo è adesso occupato da un’unica campata nera. - il campo nero precedentemente immobile e statico or riceve delle scosse che lo fanno muovere e ondeggiare in modo sussultorio come onde elettromagnetiche in un campo elettromagnetico od onde marine sul manto equoreo. - le onde si trasformano in vere e proprie folate di vento che inizialmente flebilissime divengono sempre più forti: con l’aumentare dell’intensità delle folate di vento anche il campo ondeggia in modo sempre più convulso e prima sussulta poi si agita poi è scosso e infine letteralmente spazzato via come una pagina sfogliata dal vento lasciando il campo libero e vuoto, illuminato da un candore aureo. - il manto nero s’impiglia in un punto del campo biancoaureo e addensandosi prende la forgia di un ramo di albero che staglia nel campo bianco-aureo dello sfondo. - il ramo di albero oscilla prima dolcemente poi sempre più fortemente agitato da un venticello tenue che poi monta divenendo sempre più forte. - il vento oscilla sempre più forte il ramo il quale infine si sfalda sotto le sferzate del vento e gli schiaffi inferti da questo. - sfaldandosi il ramo si trasforma in miriadi di piccoli fiori alati che si librano in un nugolo luminescente. 211

- il nugolo luminescente dei fiori-alati forma un grande sole immenso e rosso. - il sole si muove e cola nel mare. * 4: INFINITIVE METAMORPHOSIS. - dal mare sorgono stupendi gusci di nautilus (il cui misterioso cifrario è simbolo di tutto quello che precisamente manca all’acqua cioè la saldezza di sviluppi lineari e architetture regolari e equilibrio di volumi: il nautilus è il mediatore fra tutto quello che è evanescente fluido asimmetrico e il mondo delle strutture e delle stratificazioni dove tutto è tangibile e ponderabile). - i nautilus iniziano a ruotare e rotare e roteare intorno al proprio asse trasformandosi gusci di lumaca spiraliformi (la spirale è archetipo bio-logico cioè insieme esistenziale e logico e di conseguenza biologico dell’origine della percezione e della conoscenza nonchè arcaico segno centrifugo-centripeto insieme di un monocentrico labirinto e di un labirintico nucleo policentrico). - i gusci di lumaca si trasformano in gusci di noce sempre rotanti. - i gusci di noce (sempre roteando) divengono piante frattaliformi uguali a quelle della seguente foto:

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. - le piante si stilizzano al punto da ridursi a semplici cerchi ruotanti che si dispongono circolarmente attorno a un unico cerchio centrale più grande rispetto al quale essi sono più piccoli. roteando i cerchi più piccoli aumentano gradualmente le proprie dimensioni dando l’impressione che il cerchio centrale diminuisca di grandezza ma rimanendo invece della stessa dimensione e riproducendo pertanto la famosa all’illusione ottica di Ebbinghaus & Thiéry. - i cerchi si trasformano in un lampadario roteante simile nella sembianza e nella forgia a quello della cattedrale di san Bavone in Haarlem (Amsterdam) riprodotto da Marco Bussagli nel sedicesimo foglio del suo libro intitolato ESCHER (Giunti, Firenze-Milano, 2004) e reperibile in internet. - il lampadario muta in polpo: i bracci del lampadario divengono i tentacoli della bestia mentre il corpo centrale ne diviene la testa. - il polpo si trasforma in una palma: la testa del polpo muta nel tronco dell’albero e i tentacoli nelle foglie mosse dal vento. 213

- la palma inizialmente è uguale a quella dell’opera intitolata PALMA di Maurits Cornelius Escher (1933) ma poi i suoi pampini si trasformano in piume di pavone che sul tronco si muovono sospinte dal vento aprendo e chiudendo a ventaglio. - le piume di pavone si staccano dal tronco e iniziano a fluttuare nell’etere sospinti dal vento. - fluttuando si trasformano lentamente in pesci volanti: prima cresce la coda e poi l’occhio della piuma si trasforma nell’occhio del pesce e in fine i filamenti terminali estremi della piuma divengono squame. - i pesci volanti si trasformano in uno stormo di autovetture alate: al posto dei bocchettoni per l’aria le branchie, al posto delle ruote anteriori le pinne pettorali, al posto delle ruote posteriori le picche pelviche; una di queste macchine scende in picchiata e atterra nel mare: durante la fase finale dell’atterraggio il suono diretto prodotto dall’attrito del corpo solido nel mare è riverberato e combinato con il suo eco riflesso entro i 35m5 dando luogo a raffigurazione visiva dell’allucinazione acustica di Haas6 della fusione dei suoni ritardati. NOTA.

fonti d’ispirazione per questo film sono state il TRITTICO DELLE TENTAZIONI (1505-6) di Hyeronimus Bosch e METAMORFOSI II (1939-40) di Maurits Cornelius Escher da cui ho tratto l’idea della metamorfosi continua e infinitiva della forma: nell’opera del maestro fiammingo infatti improbabili figure fantastiche e mostruose scaturiscono l’una dall’altra in una trasfigurazione continua e inesausta, disordinata ma affascinante; nella METAMORFOSI II di Escher 5

http://www.mirkoperri.com/psicoacustica-falsificare-lospazio/#:~:text=L'effetto%20Haas%2C%20prende%20il,sotto%20la%20soglia%20 dei%2035ms.&text=Detto%20semplicemente%2C%20il%20nostro%20cervello,parte %20integrante%20del%20suono%20diretto. 6

http://www.mirkoperri.com/psicoacustica-falsificare-lospazio/#:~:text=L'effetto%20Haas%2C%20prende%20il,sotto%20la%20soglia%20 dei%2035ms.&text=Detto%20semplicemente%2C%20il%20nostro%20cervello,parte %20integrante%20del%20suono%20diretto.

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invece una miriade di forme trasmutanti l’una nell’altra senza soluzione di continuità inizia e finisce nella parola metamorphose come le immagini del presente film iniziano nel mare e in questo finiscono (il ritorno all’acqua è simbolo della ricorsività del reale). * 5: HALLUCINATION. riproduzione di scala di Schroeder(1858) che cambia direzionamento sull’asse alto-basso e conduce a un pianoro come nella fotografia qui di seguito:

- sul pianoro sono situate due torri di Epicuro che in lontananza appaiono circolari ma, mentre la tele-camera si avvicina, si fondono in un triangolo impossibile di Penrose(1958) il quale a sua volta si trasforma nella sedia di Beuchet (la nota teoria della torre quadratacircolare di Epicuro postula che l’osservatore che scruta una torre quadrata da lontano ne tragga la sensazione che la torre in realtà sia rotonda ricevendone una visione non evidente e ben definita che potrà divenire chiara ed evidente solo qualora l’osservatore si avvicini all’oggetto osservato: come il tema dell’illusione dei sensi occupava un posto d’eccellenza nelle teorie degli antichi 215

circa il valore della conoscenza così il classico caso ed esempio paradigmatico delle torri è emblema della controversia intorno ai presunti errori della sensazione. la fonte primaria del paradosso si trova in nei versi 353363 del libro 4° del DE RERUM NATURA di Lucrezio: “E le torri quadrate d’una città, se le scorgiamo da lontano, accade per tale condizione che le vediamo rotonde, poiché ogni angolo appare ottuso se guardato a distanza, anzi neppure si distingue, e il suo impulso si perde, né l’urto dell’immagine può giungere fino alle nostre pupille: mentre i simulacri volano per ampi spazi, lo fiaccano a forza i frequenti assalti dell’aria. Quando a causa di ciò ogni angolo sfugge ai sensi, avviene che le costruzioni di pietra sembrano levigate al tornio, tuttavia non come quelle che da vicino sono davvero rotonde, ma quasi in abbozzo appaiono un poco somiglianti.”. la soluzione addotta da Lucrezio fa leva chiaramente sulla funzione estraniante svolta dall’aria frapposta tra l’oggetto percepito e gli organi sensoriali del soggetto percipiente la quale smussa gli spigoli dei simulacri che la attraversano deformando l’immagine a tal punto che “ogni angolo sfugge ai sensi” [verso 360]. tuttavia il contenuto teorico-concettuale della formulazione epicureana è molto più profondo e intricato: come spiega Sesto Empirico, anche qualora la torre ci apparisse rotonda comunque la sensazione che ne avremmo sarebbe veridica poichè il simulacro che giunge ai pori e penetra negli organi di senso possiede effettivamente una forma rotondeggiante e non più quadrata come l’oggetto di partenza e ciò a causa degli smussamenti laterali subiti dall’eidolon-simulacro durante il tragitto attraverso l’aria sicchè lo schema dell’oggetto muta realmente almeno nella sua percezione e così la sua configurazione geometrica mentre non muta invece o perlomeno non in maniera decisiva la sua morphè vale a dire il suo aspetto esteriore complessivo tant’è che nonostante la distanza considerevole l’oggetto continuerà comunque ad apparirci come una torre; d’altra parte però se nel vedere la torre rotonda affermassimo che essa è realmente tale quale ci appare e non quadrata allora la nostra opinione aprirebbe le porte all’errore: la sensazione, possedendo un contenuto che, con Miloš 216

potremmo definire non-concettuale, si limita a restituire l’evidenza della realtà esterna e solo il contenuto concettuale dell’opinione frutto di ragionamento può essere ritenuto responsabile dell’errore. alla luce di queste premesse ci domandiamo come sarà possibile discriminare due simulacri affini: sebbene infatti il simulacro della torre quadrata e quello della torre rotonda siano ambedue veri, la torre, di fatto, è quadrata; la risposta è che dando alla nozione epicurea di verità il senso e il significato di correttezza della rappresentazione, applicando tale caratterizzazione della verità non solo ai giudizi ma anche alle rappresentazioni, ammettendo che l’aria opera degli smussamenti sugli angoli del simulacro i quali saranno tanto più profondi quanto maggiore sarà la distanza che ci separa dall’oggetto della percezione e infine asseverando che ciò non deve in alcun modo far dubitare dell’affidabilità dei nostri sensi allora possiamo affermare con Sesto che l’oggetto percepito possiede realmente i caratteri che manifesta e che paradossalmente la torre che è in realtà quadrata è in realtà anche tonda). * 6: SIMULTANEOUS WORLDS. - un vecchio sale le scale di un palazzo. camminando introduce la mano nella tasca destra dei pantaloni per estrarne un mazzo di chiavi. estraendo le chiavi perde l’accendino che gli scivola dalla tasca e cade in terra senza che l’uomo se ne accorga (un vecchio introduce la mano nella tasca destra dei pantaloni salendo le scale di un palazzo ed estrae un mazzo di chiavi perdendo l’accendino che gli scivola dalla tasca dei pantaloni e cade in terra senza che l’uomo se ne accorga). - il vecchio giunge davanti alla porta d’ingresso di un appartamento e inserisce la chiave nella toppa della serratura aprendo la porta ed entrando nell’appartamento - allorchè è dentro l’appartamento l’uomo saluta un secondo uomo più giovane e sui 30 anni il quale ricambia il saluto ed esce fuori dall’appartamento. 217

- il ragazzo percorre in direzione opposta il tragitto precedentemente seguito dal vecchio e discendendo le scale scorge un accendino giacente in terra tra due bredi (o brelle): lo raccoglie riconoscendolo e lo riporta al vecchio che riconosce l’accendino smarrito e ringrazia il ragazzo per avergli riportato l’accendino poichè altrimenti non avrebbe saputo come accendere. - successivamente il vecchio chiede al ragazzo che gli presti un accendino dichiarando di non trovare più il proprio, e affermando di averlo probabilmente smarrito in qualche luogo imprecisato. * 7: JUST A DREAM. - citazione-allusione costituita da taglio-prelievoinnesto della scena del film di John Frankenheimer RONIN (1998) nella quale il personaggio di Deirde (interpretato da Natasha McElhone) trova la morte e muore in un incidente stradale alla fine di un lunghissimo inseguimento a bordo di una autovettura BMW che sbanda capovolgendosi su se stessa ed esplode causando la morte del personaggio interpretato dall’attrice7. - l’attrice si rialza, eseguito il postremo atto del suo personaggio, e, salutando i membri della truppa esce dalla scenografia, notando con disappunto come nessuno risponda al proprio saluto (questa e tutte le scene successive potrebbero essere attuate ricreando l’immagine di Natasha McElhone or impiegando la tecnologia del deepfake usata per dare a personaggi cinematografici il volto di attori diversi da quello dell’attore originario come nel rifacimento di SHINING dove il protagonista è interpretato da Jim Carrey e non più da Jack Nicholson come nell’originale di Stanley Kubrik8, e applicando il deepfake alle molteplici scene della serie CALIFORNICATION in cui l’attrice è presente e recita nel ruolo di protagonista femminile). 7

https://www.youtube.com/watch?v=qxZNWVpNK48.

8

https://www.youtube.com/watch?v=HG_NZpkttXE.

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- tornata a casa fa una doccia ed esce per sbrigare alcune faccende quotidiane spensierata, sorridente, felice del proprio lavoro e soddisfatta dalla propria interpretazione . infine torna a casa dove nota un incredibile trambusto e via-vai di persone, alcune conosciute - altre ignote: immediatamente getta la propria borsa in terra e si precipita dentro dove incrocia la figlia e disperatamente le va incontro; tuttavia la figlia non risponde anzi le passa davanti senza nemmeno voltarsi né degnandola di uno sguardo o un cenno: Natasha allora la segue e si dirige verso il salotto di casa continuando invano a chiamarla per cercare di attirarne l’attenzione: giunta in salotto perde di vista la figlia e scopre con panico e terrore una bara posizionata al centro della camera al cui interno è adagiato il proprio cadavere. * 8: BEYOND THE MIRROR. - campo totale di una camera di Ames all’interno della quale due specchi affrontati riflettono all’infinito (rappresentazione visiva dell’effetto Droste-Misset) la scena composta da un occhio che parla a una bocca (raffigurazione visiva dell’effetto sonoro di McGurkMacDonald9): sia l’occhio sia la bocca sono situati ciascuno all’estremità superiore di un corpo umano di cui sostituiscono la testa. - > in retro a mostrare come ognuno di questi quadri-scene sia inserito e replicato all’interno di ognuna delle celle esagonali del favo di un bugno infinitivo. - campo totale del favo: allargandosi sempre di più l’immagine si stilizza in un tessuto infinitivo di specchi esagonali grigi-opachi con campitura non omogenea a sfumatura orizzontalmente orientata verso destra o verso sinistra che riproduce l’ultima ed estrema illusione del 9

https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_McGurk., https://leganerd.com/2010/11/11/effetto-mcgurk/, http://www.ch.unich.it/docenti/didomenico/Fondamenti/files/Relazione%20e ffetto%20McGurk.pdf.

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nostro video: l’illusione ottica dell’immagine cava già studiata da Escher in CONCAVO E CONVESSO (1957). - didascalia finale: “Lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso che, lo si sa, è la Forma.” Roland Barthes L’IMPERO DEI SEGNI.

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“Siedo sognando. Brame, sensazioni: All’Arte questo ho dato. Volti, figure, Visti, perdute. Di amori indefiniti Qualche vago ricordo. Un’Arte che si nutre Di questa forma della Bellezza E con sagacia ne contorna i tratti Mi prese inavvertita, Mi rese intensa la vita. In me impressioni e giorni S’intricarono.” Kavafis-Ceronetti UN’OMBRA FUGGITIVA DI PIACERE MIO CONTRIBUTO ALL’ARTE.

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MANUEL OMAR TRISCARI Classe 1989, è stato archeologo nell’Università di Catania e nella Missione Archeologia Italiana di Atene; interprete nell’Ambasciata Cipriota in Roma; docente di discipline umanistiche nei licei. Attualmente vive e lavora in Torino. Opere maggiori: i saggi “Politica e propaganda nell’Atene periclea” (Aracne, Roma, 2019), “Dal testo all’immagine” (IperSegno, Pineto, 2020), e “Il tema della morte in Leopardi” (AltroMondo, Vicenza, 2020); le sillogi poetiche “Carnaio” (Robin, Torino, 2019), “Pelle di pantera” (Corpo11, Torino, 2020), “Odi a Muna” (Il Falò, Busto Arsizio, 2020), “Il catalogo delle donne” (Il Falò, Busto Arsizio, 2020), “Carne di donna” (PaperHill, Pineto, 2020), “El rey de la papaya” (Corpo11, Torino, 2020), e “Carnami” (Ensemble, Roma, 2020); le antologie “Congiunti” (Ensemble, Roma, 2020) e “Pioggia e lacrime” (SensoInVerso, Ravenna, 2020); la sceneggiatura “Pulp”.

€ 10.00

isbn 978-88-31200-08-0

Manuel Omar Triscari

Il presente volume raccoglie idee, spunti, progetti, soggetti, e abbozzi di sceneggiatura per film di medio, lungo e corto metraggio. Trame, appunto. In ognuna delle quali è palese e manifesta la passione e l’interesse dell’autore per il rapporto tra sogno e realtà, tra vita cosciente e vita dell’inconscio, tra vita esteriore e vita intrapsichica, tra vita vissuta e vita immaginata. Soprattutto, emerge da questi scritti una concezione di “storia come desiderio” memore e pregna della lezione di Mario Vargas Llosa: leggiamo romanzi, guardiamo film, inventiamo storie, scriviamo libri e poesie, solo per poter vivere le molte vite che vorremmo quando non abbiamo a disposizione che la nostra e attuale; per rintracciare, dietro il mare degli eventi e il quotidiano commercio degli incontri, una trama, un senso. Una scelta estetica e poetica, insomma, che si traduce immediatamente in presa-di-posizione filosofica.

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