I Neri e i Rossi, le trame segrete. 1964-1982, la strategia della tensione, le Brigate Rosse, il caso Moro 886393407X, 9788863934076

Uno stilizzato affresco degli anni di piombo. L'autrice dipinge un quadro a tinte decise e in contrasto tra loro, i

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MNEMOSYNE

Patrizia Zangla

I Neri e i Rossi, le trame segrete 1964-1982: la strategia della tensione, le Brigate Rosse, il caso Moro

Patrizia Zangla I Neri e i Rossi, le trame segrete ISBN 978-88-6393-407-6 © 2017 Leone Editore, Milano www.leoneeditore.it

Ad Antonella

La verità distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi. Rudyard Kipling

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Prologo

La Storia del nostro Paese è attraversata da tante controverse vicende. Da tanti, tantissimi fatti rimasti ombrosi. Da tanti, tantissimi morti, che non sempre abbiamo saputo capire. Da tanti tentativi di golpe, che non sempre abbiamo saputo interamente chiarire. Da tanta violenza. Come sempre accade nella Storia, ai fatti si legano gruppi, persone, protagonisti e talvolta comparse. Ci sono uomini e donne che appaiono, restano centrali, altri invece che come scompaiono talvolta ricompaiono. Mentre altri s’inabissano per sempre, portando con sé i fatti. La realtà effettuale è lì per essere osservata, letta e compresa. E per farlo dobbiamo leggere le trame in superficie, anche quanto come filigrana leggera trapela in controluce, e scandagliare gli abissi remoti, talvolta lì dove si annidano le ombre lunghe. Rimettere ordine a quanto naturalmente la storia modifica, e a quanto talvolta è volontariamente scombinato da strutture clandestine sollecitate da ambienti istituzionali e da realtà internazionali, da uomini legati a poteri, da uomini dello Stato che, lavorando sottotraccia, hanno operato per sovvertirlo, inquinarne gli organi e scompaginare la realtà. In un quadro composito multiforme e non monolitico, ho fatto in modo che scorressero rapidi tanti fatti degli anni Sessanta e Settanta fino all’alba degli an13

ni Ottanta, anni in cui la realtà è turbata dal rumore sordo delle pallottole. Un lungo periodo, che quindi investe molto di più di quanto canonicamente s’intende con l’espressione “anni di piombo” – che si pone fra il 1977 e il 1982 – non perché finisca dopo, ma perché inizia prima. Fatti che si fanno avvincente narrazione che muove dal ragionamento delle basi teoriche del terrorismo rosso e nero, in cui s’incontrano e scontrano l’eversione di destra e la lotta armata di sinistra, di cui sono individuate le pratiche eversive, le linee comuni e differenti, le finalità in senso complessivo di quel “pensiero di piombo”; perché il terrorismo è un fenomeno violento che pesantemente ha inciso sul sociale, e in questi termini non vi sono differenze fra rosso e nero. Una varietà di accenti storico-politici, sociologici-culturali utili a tratteggiare l’atmosfera del tempo, con i suoi riti sociali, l’evoluzione del costume, per rendere palpabile quel clima sì incandescente ma carico di energia. Si ricostruisce ogni singolo percorso in una mappa ragionata di eventi, situazioni, luoghi, persone, corredati da una ricca ricerca documentale. Vi sono molti elementi nuovi, altri noti ma riletti e comparati in modo nuovo, le riflessioni di altri studiosi, le loro ricostruzioni, non trascurando la permanenza di alcune zone grigie soprattutto relativamente all’affaire Moro, ma in termini complessivi in tutta la storia del partito armato. Il lavoro è supportato da una mole documentale imponente, che ha preso in considerazione anche atti giudiziari, materiali di archivio dei Servizi segreti, testimonianze dei protagonisti. Il risultato è una ricostruzione agile che apre un guado su fatti rimasti incerti, su tratti di percorso che riservano verità dubbie, tenendo lontane valutazioni apodittiche perché il proposito è la visione organica, raggiunta intersecando i piani cronologi14

ci a quelli logici, sebbene per molti aspetti si raggiungano netti punti di svolta nell’indagine e nella ricerca. L’abilità metodologica credo sia proprio quella di unire, al materiale archivistico, documenti giudiziari (fascicoli processuali, atti delle commissioni parlamentari d’inchiesta) unitamente alle fonti narrative della stampa e della memorialistica. Un’operazione che elimina un dogma cui era ancorata la vecchia metodologia storica, resasi necessaria dalla complessità di questa parte di storia contemporanea, e dalla constatazione di non poter essere esaustivi in considerazione proprio di questa vastità e dell’impossibilità di scrivere una storia organica che comprenda la miriade di piccoli eventi di cui delimitare i singoli confini. La ricostruzione storica e la sua narrazione sono complesse per una varietà di ragioni, sia perché resta sommersa una parte considerevole di eventi, sia perché di molti di essi non si è raggiunta un’univoca interpretazione. Resta un punto fermo che ha fatto da luce, l’esistenza di una verità storica dei fatti, una verità segreta dei vertici dello Stato e una verità divulgata al pubblico, perché assunto prioritario deve rimanere che la Storia non è una scienza esatta, o comunque lo è meno delle altre perché a differenza della scienza, per le plurime variabili che sottendono ogni evento, non si possono riprodurre tutte le condizioni, ossia non si può ricreare in laboratorio il fatto come accade per un esperimento. Vero è che gli italiani di oggi accolgono con riluttanza e dubbi le cosiddette “scoperte” perché aprono scenari nuovi, contrari e contrastanti a quelli che l’immaginario collettivo ha fatto propri, ha sedimentato come “verità”. Gli italiani del tempo sono stati invece la massa di spettatori frastornata da un’onda anomala di violenza. Hanno visto gli opposti estremismi scontrarsi, il sangue rosso e il sangue nero macchiare le strade e le piazze, hanno visto giovani contestatori divenire protagonisti esaltati e compiaciuti della rivoluzione 15

armata. Gli stessi, a lotta conclusa, autori di memorie edulcorate, che sembrano aver smarrito la linea che separa la vittima dal carnefice che alla fine si avvalgono della morale autoassolutoria sintetizzata da un “eravamo in guerra”. E di guerra si è trattato, una guerra non dichiarata. In entrambe le sponde si riscontrano i medesimi esempi di “banalità del male”. Rossi e Neri si sono caricati di odio, come in tutte le guerre fanno i soldati. Prioritario è stato procedere in parallelo, valutare contestualmente cosa accade sottotraccia e cosa raggiunge la superficie e si unisce agli umori della gente comune, ai sogni e alle speranze di quest’Italia garbata, l’Italia di Carosello e Canzonissima. Ricostruire questi due volti contrapposti del Belpaese, l’Italia semplice e l’Italia delle bombe in strada, un’Italia comunque incredula e impotente. Uno spaccato fondamentale del lavoro è infatti rappresentato dall’informazione e dalla controinformazione, le informazioni orientate e orientanti e quelle del pensiero dominante, ritenute indispensabili a tastare il polso all’opinione pubblica del tempo. Passano tanti articoli – di Camilla Cederna, Carlo Casalegno, Miriam Mafai, e di tanti altri – per rilevare come questa sia una società in transizione, appena moderna e ammodernata, al cui interno si muovono forze contrarie, quelle più retrive, reazionarie e conservatrici della società italiana che confidano, talvolta anche senza dichiararlo, nell’eversione nera, e analogamente forze che simpatizzano e persino fiancheggiano l’eversione rossa. Il saggio muove dalla “strategia della tensione”, che inizia prima dell’attentato del 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana a Milano, con alcuni eventi del 1964, da cui si dipanano le fasi crescenti dello stragismo e del golpismo e in parallelo esamina l’estremismo di sinistra: con i suoi moti di piazza, con il suo disinteresse alle sorti della democrazia in bilico – che peraltro 16

meditava di rovesciare con le sue azioni –, con la visione comune semplicistica e rigida della società e dello Stato allora presente e imperante sia fra i Rossi sia fra i Neri; analogamente, con il senso d’illegalità diffusa – del tutto lecito per quello che i terroristi consideravano “l’alto scopo delle loro azioni” – come premessa della violenza organizzata, che ha prevalso sulle iniziali forme di spontaneismo armato di destra e di sinistra cui si sono miscelati una moltitudine di variabili impreviste e imprevedibili, cui si sono legati poteri occulti, interessi degli apparati statali, quelli dei Servizi segreti nazionali e internazionali. Scorrono i fotogrammi della Milano degli anarchici e dei golpisti, di Pinelli, Valpreda, Calabresi, della Padova di Ventura e di Freda ma anche di Negri, fino a raggiungere le Brigate rosse dalla loro origine, le donne brigatiste, gli amori armati e i singoli brigatisti, per approdare al 16 marzo 1978 a Roma, giorno del rapimento di Aldo Moro, che apre all’affaire Moro. Al cui riguardo, fra il dietrologismo e l’antidietrologismo della storia del terrorismo rosso, oltrepassando le banalizzazioni tematiche racchiuse nella formula “sappiamo tutto” e nel suo opposto “c’è sempre un complotto”, si entra nello spazio dell’analisi che ha portato al raggiungimento di nuove certezze, e a una rilettura documentata di come in Italia, fra gli anni Sessanta e Ottanta, sia stato attuato un attacco alla democrazia basato sulla “guerra non ortodossa” e su forme sinuose di “guerra psicologica”. Oggi possiamo dire che alla resa dei conti, sfilacciata e indebolita, la democrazia ha retto l’urto.

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I LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

1.  Strategy of tension La strategia della tensione è un processo molto complesso che ha prodotto il terreno favorevole all’affermazione di fenomeni violenti e reazionari. La genesi rimanda all’espressione inglese strategy of tension, per la prima volta apparsa all’indomani della bomba di Piazza Fontana sul settimanale britannico The Observer in un articolo del corrispondente in Italia, Neal Ascherson, che può vantare di essere stato allievo dello storico Eric Hobsbawm. La scelta dei termini è molto efficace, accomuna due concetti, “tensione” e “strategia”, per comunicare un chiaro messaggio che distingue la politica internazionale della distensione, in atto dal dopoguerra, dalla “strategia della tensione” che ora sta prendendo forma. La sua massima diffusione avviene con uno scritto di Samonà e Savelli dell’anno successivo, La strage di Stato – controinchiesta, e da quel momento diventa d’uso comune, giuridico e politico per indicare la strategia di condizionamento, intendendo con essa l’opera di cambiamento degli eventi attraverso mirate scelte. Un punto nodale da sciogliere è individuare l’esistenza o 19

meno di quella che è definita “la centrale unica del terrorismo eversivo”, quindi della strategia della tensione. Difficile da affermare tout court, non di meno si può evidenziare – perché nel tempo accertata – l’esistenza di una cooperazione di apparati dello Stato con l’eversione. Il giudice Guido Salvini parla di una linea comune, intendendo la volontà di condizionamento comune che ha il suo epicentro nella CIA – Servizi segreti USA. Il 17 dicembre 1947 la NSC, National security council, approva una direttiva (la 4/A) che consente alla CIA di poter condurre azioni di “guerra psicologica” contro le forze comuniste. Lo stesso fine è presente in altri richiami successivi del periodo fra il ’48 e il ’51 che si riferiscono ad azioni coperte. La NSC è l’autorità suprema per la politica estera. Al ’66 risale l’operazione Chaos sempre della CIA, che si propone di infiltrare propri uomini nei movimenti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra in Italia e negli altri Paesi europei (Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania) allo scopo di consolidare l’egemonia atlantica, evitare fratture, impedire l’uscita dall’area atlantica e soprattutto esercitare il controllo. Necessario un passo indietro, torniamo al 1949.

2.  Dal 1949, la DC e il PCI Venerdì 11 marzo 1949, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, alla Camera dei deputati così motiva l’adesione al Patto atlantico, il patto di ferro con gli Stati Uniti: Di pace esterna e interna abbiamo soprattutto bisogno […] 20

tanto che gli sforzi del prossimo periodo possono dirsi decisivi per raggiungere la meta.

Sono gli anni della “guerra fredda”. L’efficace metafora esprime il periodo di contrasti e ambiguità che nella prassi si traduce in un bipolarismo e un antagonismo ideologico e geopolitico che si crea quando una “cortina di ferro” – per usare le parole di Winston Churchill –separa il mondo in due aree d’influenza contrapposte: da una parte gli Stati Uniti con il blocco occidentale dell’Europa, dall’altra l’Unione Sovietica con il blocco orientale. Nel ’49 il blocco occidentale europeo firma il Patto atlantico dal quale nasce la NATO – di lì a poco, basi americane sono installate nel nostro territorio –, che congegna il piano militare di difesa comune. Mentre è in atto una guerra non combattuta in cui Stati Uniti e Unione Sovietica si contendono il dominio mondiale, in virtù della loro forza gli Stati Uniti iniziano a influire sulla politica estera dei Paesi dell’Europa occidentale. La divisione dei due blocchi contrapposti pone davanti a un bivio; sul Governo italiano grava il peso dell’accettazione dei finanziamenti statunitensi – che comporta un debito di riconoscenza nei confronti dei liberatori –, un peso che sottende anche precise scelte. Scelte su cui influiscono le condizioni politiche internazionali e l’universalismo degli Stati Uniti, che conferma il carattere egemonico di una nazione espansionistica, con il fine dichiarato di contenere il comunismo sovietico. Gli italiani avevano indossato per vent’anni la camicia nera, c’era stata la guerra mondiale, quella civile fra italiani, c’erano state la pace e la pacificazione e ora l’Italia si avviava a diventare una nazione democratica. Nel tempo, le plurime formazioni antifasciste che avevano preso parte alla guerra civile resistenziale si erano disperse e il PCI e la DC si erano attestati 21

come partiti di massa. Dagli anni Cinquanta, la DC è il partito italiano per eccellenza. La sua linea politica, erede del giolittismo, è nata in funzione anticomunista, da sempre condizionata dall’antica paura del bolscevismo e dell’anticlericalismo. È di fatto un partito interclassista, alla cui genesi confluiscono esponenti di ideologie diverse: vecchi moderati, integralisti cattolici, ex fascisti e tanti opportunisti. Il vincente “centrismo” conferma l’identità cristiana dell’Italia, che mette all’indice gli altri schieramenti, mitigando così la linea intrapresa dal ’44, successivamente chiarita dal legame fra la politica di Togliatti e quella di De Gasperi. Un legame reale che sottende quella divisione altrettanto reale presente nel sociale fra i cosiddetti Bianchi e i Rossi, rintracciabile nella contesa quotidiana fra militanti democratici e comunisti in particolare a Nord. È questa l’Italia del campanile, delle sfide fra Coppi e Bartali, e di quelle bonarie, colte dalla penna di Giovanni Guareschi nei personaggi di don Camillo e Peppone, il parroco e il sindaco comunista, rispondenti ai veri scontri ideologico-politici fra persone reali, perché l’Italia del periodo è piena di Peppone e di don Camillo. La cultura politica presente, in particolare nei ceti medi, è ancora quella fascista – le vecchie Case del Popolo sono chiuse e messe all’asta –, è impensabile un’unione con la classe operaia. Dalla parte comunista vige invece un’accettazione radicale e adulatoria del partito sovietico. Al ’56 risale il Rapporto Kruscev, presentato dallo stesso segretario al xx congresso del PCUS, che denuncia i crimini commessi nella Russia stalinista, creando un imbarazzante disagio nei partiti comunisti occidentali, come quello italiano, e alimentando nelle aree del Patto di Varsavia l’illusione, presto svanita, di un possibile cambiamento politico strutturale. A poco più di un decennio dalla fine del secondo conflitto, le popolazioni europee orientali vivono profondi disagi che spiegherebbero il flusso migratorio degli abi22

tanti di Berlino Est verso l’Ovest. Da cui i sovietici traggono la motivazione a voler tenere separate le due parti dell’ex capitale tedesca con un muro di cemento, costruito in una notte come “protezione antifascista”. Una barriera invalicabile, permanentemente controllata. Per converso questo flusso è letto dagli organi di stampa occidentali come una prova del poco consenso di cui gode il regime comunista della Germania Est. Si era eretta una divisione materiale dentro la città di Berlino, espressione di quella reale fra i due mondi, il “socialismo reale” e quello “democratico-capitalista”. Torniamo alla nostra DC. La famiglia è cristiana, questo è il modello di cui si fa assertore il partito, pensiamo anche al settimanale Famiglia cristiana, di vasta diffusione nazionale. In questo quadro, la famiglia è prioritaria rispetto alla società civile, questo il messaggio che è veicolato. È questa l’Italia della DC, forte a Nord, in Lombardia e in Veneto, nel “quadrilatero bianco” (Verona, Vicenza, Treviso, Padova) e a Sud, ma in modo meno convinto, regolato dai fenomeni clientelari. Il PCI, con in testa l’Emilia Romagna, la sua regione rossa per antonomasia – le cui sezioni sono diventate aree di aggregazione della vita quotidiana strizzando l’occhio alla famiglia proletaria del modello sovietico – aveva cercato, senza riuscirvi, di porre delle basi anche nelle campagne meridionali, ma la rete clientelare cui faceva riferimento la DC offriva pronta soluzione ai problemi concreti della gente con il solo pedaggio del voto elettorale. Al trinomio ottocentesco Dio-Patria-Famiglia, attivo durante il fascismo malgrado accorpato nella figura onnipotente e onnipresente del dux, è subentrato il più moderno Famiglia-ChiesaSocietà, dove quest’ultima assume il volto del politico dispensatore di favori. Così Piero Ottone, futuro direttore del Corriere della Sera, in merito alla relazione fra potere e influenza che nella prassi fun23

zionava seguendo un ordine gerarchico, dai segretari di partito e dai ministri alla lunga lista di cosiddetti notabili (senatori, deputati, sottosegretari, direttori di enti ecc.), racconta una visita nel ’65 a un notabile campano: Andai a trovare una mattina un notabile avellinese. Erano le nove e mezzo. L’anticamera era piena di povera gente in cerca di favori, e quando egli emerse nello studio, tutti lo salutarono con titoli deferenti, di eccellenza, di onorevole o di senatore. Ma quel che più mi colpì non erano i titoli. Era la tenuta del notabile, in un pigiama a righe. E con il suo pigiama a righe e con le sue babbucce ai piedi, egli mi intrattenne poi per un’ora sui problemi avellinesi.1

3.  “Boia chi molla.” I Neri Negli anni Sessanta, all’area di destra appartengono due partiti in Parlamento: il MSI e il PDIUM, Partito democratico di unità monarchica – si estinguerà nel ’72 – che può contare su un’opinione pubblica conservatrice e anticomunista che dal dopoguerra sceglie la DC per essere rappresentata. Nel marzo ’60, il MSI vive la sua grande opportunità politica, è la richiesta di appoggio al Governo Tambroni. Una decisione, quella di Fernando Tambroni, – da quel momento non si

1  Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989, pp. 139, 140. Sulla guerra fredda anche: John Harper, La guerra fredda. Storia di un mondo in bilico, Il Mulino, Bologna 2013.

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scrollerà più l’etichetta di “uomo di destra” – che non è accolta bene dalle piazze. Esattamente al contrario dai missini. Per il MSI è l’occasione per “uscire dalle fogne”, mettere in pratica il loro desiderio di “non mollare” e realizzare l’agognato progetto chiamato “strategia di inserimento”. Sembra così che il MSI possa riprendersi dalle fratture interne e dal fuoriuscitismo. Alla fine degli anni Cinquanta era nato il Centro Studi Ordine Nuovo con Pino Rauti, che, con altri missini, è in dissenso con la linea di Michelini, segretario del partito cui i Neri dovevano tanto. Dovevano quanto deciso il 26 dicembre del ’46 proprio a casa del ragioniere Arturo Michelini, dove si sono riuniti alcuni reduci di Salò per fondare il MSI. Così dalle ceneri del fascismo risorgeva il Movimento sociale italiano. Risuonava l’eco della votazione del 2 giugno, che in un’atmosfera critica decretava la nascita della Repubblica italiana. Solo due anni più tardi, con le elezioni politiche del 18 aprile ’48, nel nuovo assetto democratico di un’Italia che si avviava alla crescita economica e alla ricerca di una nuova identità politica, maturava il disegno di ricostituire il fascismo. Quel voto dell’aprile ’48 segnava una svolta decisiva per la destra che, ridimensionata, all’indomani della Liberazione, poteva contare solo sui repubblichini, sui nostalgici, e sull’elettorato del Sud scontento del processo di defascistizzazione e ostile alle sinistre. Nel ’46 il MSI, che vede come dirigente di rilievo Giorgio Almirante – negli anni dei trionfi di Mussolini era caporedattore della Difesa della razza, quindi nella RSI, e nel ’47 aveva ricostituito il Partito fascista, confluito nel MSI –, si pone come legittimo erede dei valori del fascismo e della RSI; include fra le sue file monarchici, ex esponenti del fronte dell’Uomo qualunque, un movimento temporaneo, espressione dei ceti medi che aveva riscosso consenso in particolare nel Mezzogiorno. Con Michelini la destra transita verso la nuova epoca democratica. 25

Il fermento interno al MSI non si arresta. Nel ’60 alcuni ordinovisti non si riconoscono più nelle linee del Centro Studi Ordine Nuovo, fra questi Stefano Delle Chiaie, che fonda un nuovo movimento, Avanguardia Nazionale Giovanile. Avanguardia, che si espande soprattutto nell’area Centro-Sud e fa di Reggio Calabria l’epicentro con una sponda su Milano, si autodefinisce un “gruppo di battaglia”. Nato il 25 aprile 1960, subisce denunce per apologia del fascismo e ricostituzione del Partito fascista (formalmente si scioglie per un periodo nonostante gli affiliati continuino a essere attivi e a operare in contatto con l’UAARR, Ufficio Affari Riservati, gestito dal ministro dell’Interno tramite dirigenti di polizia). Per sua definizione, gli appartenenti sono neofascisti anzi neo-nazional-rivoluzionari. Non si tratta più di un Centro Studi, ma di un movimento politico. Il nome riecheggia il passato come i singoli termini scelti: avanguardia, nazionale, giovanile. I neofascisti s’intendono come i nuovi avanguardisti nazionalisti, guardano al mondo, a tutti i movimenti di liberazione nazionale in Africa, in Asia, in Sudamerica. Ma sono anche interessati alle dittature socialiste. Potrebbe sembrare incoerente ma a esse guardano, come alla Cina, come a modelli politici in rottura con l’Unione Sovietica. Il neofascismo è ispirato da Julius Evola, attorno a lui si crea un cenacolo. Gli adepti vedono in lui il maestro, in lui la nuova destra trova il suo naturale compimento, trova quanto il MSI non riesce a dare perché ancorato alle sue radici fasciste, alla retorica mussoliniana. Evola diventa un mito. La sua filosofia riprende il simbolismo fascista, ne rievoca i vecchi concetti di milizia cui però dà nuova linfa, e ne propone di nuovi, demolisce il nazionalismo fascista ponendo assoluta forza non nella Nazione ma nell’Idea, un assunto interpretato come qualcosa di rivoluzionario. Lo sguardo al mondo è diretto anche verso l’Algeria, dove è in 26

atto la guerra d’indipendenza. Il neofascismo, come del resto Evola, appoggia l’OAS, Organisation de l’armée secrète. Così fanno anche Clemente Graziani e Ordine nuovo, una linea esattamente contrastante a quella del MSI di Michelini, che in TV dichiara l’estraneità dei missini con l’OAS, un’organizzazione armata segreta in prevalenza di militari francesi che si oppone all’indipendenza della colonia nordafricana. La frattura interna dura poco perché nel ’62 l’Algeria diventa indipendente. Intanto in profondità qualcosa è cambiato; l’epoca fascista, che aveva i reduci come protagonisti, volge alla fine, un compimento che va in scena proprio con il funerale di Michelini. Il 15 giugno 1969 sfilano i camerati con i cimeli della Seconda guerra mondiale, i gagliardetti fascisti, le uniformi e le decorazioni. Il nuovo segretario sarà Almirante, che lancia un appello “ai camerati che hanno abbandonato il partito”; molti fuoriusciti e ordinovisti rientrano, anche Rauti. Una minoranza guidata da Graziani prende un’altra strada, fonda Ordine nuovo, un nuovo movimento politico di cui farà parte anche Giorgio Freda. In atto, Ordine nuovo e Avanguardia sono i principali gruppi della destra extraparlamentare. Ve ne saranno ancora altri: Fronte nazionale, la Fenice, la Rosa dei venti, SAM – Squadre d’azione Mussolini – e MAR – Movimento azione rivoluzionaria. L’appello in realtà crea un’ulteriore profonda frattura interna, alcuni rientrano ma altri se ne vanno definitivamente. Non mancano casi in cui si abbia una duplice iscrizione, una “emersa” nel MSI, un’altra “sommersa”, in ON.2 Nel decennio degli anni Settanta tutto cambia radicalmen-

2  La doppia iscrizione riguarda i fratelli Vinciguerra, Vincenzo e Gaetano, entrambi estremisti neri, Carlo Cicuttini e Carlo Maria Maggi ordinovista, responsabile del Triveneto, candidato alle elezioni politiche del MSI del ’72.

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te, anche la destra cerca di nuovo d’imporsi, presentandosi come il partito dell’ordine e della sicurezza, ma intanto si lanciano bombe e si pianificano attentati.

4.  Sul filoatlantismo. “Né USA, né URSS, Europa nazione.” C’è un nodo da sciogliere che riguarda il legame tra i gruppi della destra extraparlamentare e il filoatlantismo. Il filoatlantismo negli anni della guerra fredda e del successivo terrorismo, rosso e nero, è stato affrontato da tanti.3 Sull’atlantismo la posizione della destra muta nel tempo. Questa relazione matura gradualmente e contestualmente ai fatti politici del momento, perché inizialmente la destra guarda con sospetto agli Stati Uniti, è troppo vicino il ricordo del secondo conflitto mondiale che li aveva visti decisivi nell’affermazione di Francia e Inghilterra e causa dell’automatico dissol-

3  Giovanni Mario Ceci, Il terrorismo italiano. Storia di un dibattito, Carocci, Roma 2013; Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979, Feltrinelli, Milano 2009; Gerardo Serravalle, Gladio, Edizioni Associate, Roma 1991. Sulla guerra fredda: Virgilio Ilari, Il Generale col monocolo, Nuove ricerche, Ancona 1994; Lorenza Sebesta, L’Europa in difesa. Sistema di sicurezza atlantico e caso italiano, 1948-1955, Ponte alle Grazie, Firenze 1991. Antonio Cipriani, Gianni Cipriani Sovranità limitata. Storia dell’eversione atlantica in Italia, Edizioni Associate, Roma 1991. Giuseppe Casarrubea, Mario Josè Cereghino, Stati Uniti eversione nera e guerra al comunismo in Italia, s.e., Palermo 2007. Marco Grispigni, La strage è di Stato. Gli anni Settanta, la violenza politica il caso italiano verso la lotta armata, Il Mulino, Bologna 2012.

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vimento del fascismo di Mussolini e del nazismo di Hitler. In coincidenza della guerra fredda, la valutazione cambia, gli Stati Uniti sono guardati con interesse in funzione anticomunista.4 Diversa sembra invece la valutazione dei neofascisti, perlomeno quella di facciata, sintetizzabile negli slogan scritti sui muri: “Né USA, né URSS, Europa nazione”. Formula anche chiamata “terza posizione”. Possiamo quindi dire che i cosiddetti irriducibili non vedono possibile l’apertura agli Stati Uniti, ON la pensa in altro modo. Qui s’inserisce l’Istituto Pollio, precisamente il convegno che organizza nel maggio ’65 sul tema della “Guerra rivoluzionaria”, ovvero sullo studio delle strategie d’intervento in tempi di pace per contrastare l’influenza comunista.

5.  1965, l’Istituto di studi militari Alberto Pollio La tattica della penetrazione comunista in Italia è la relazione che l’ordinovista Rauti presenta all’Istituto di studi militari Alberto Pollio (fondato nel 1964) al convegno finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito, organizzato nel maggio ’65 all’Hotel Parco dei Principi di Roma sul tema “La guerra rivoluzionaria”. Non è un raduno di reduci, vi prendono parte alte cariche dello Stato, giornalisti e imprenditori, mossi da una precisa intenzione: individuare il pericolo comunista, discuterne e raggiungere strategie comuni. L’incontro non è clandestino, gli atti congressuali sono pubblicati dalla casa editrice Giovanni Volpe. I partecipanti sono molti, appartengono alla stessa area di 4  Sergio Flamigni, Trame atlantiche, Kaos, Milano 2005.

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destra e al neofascismo: c’è Guido Giannettini, futuro agente del SID,5 l’avanguardista Delle Chiaie, malgrado smentisca la sua partecipazione che altri invece confermano, c’è Mario Merlino, di cui si tornerà a parlare in seguito. Non ci sono gli ordinovisti veneti, Franco Freda e Giovanni Ventura. Molte valutazioni si possono fare sul convegno al Pollio, il vero anello di congiunzione fra l’estremismo nero e gli apparati istituzionali come le Forze armate – nella persona di Giuseppe Aloia, capo di Stato Maggiore dell’esercito, ritenuto la “mente occulta del convegno” – e i Servizi segreti. Infatti a sostenere il Pollio c’è anche il SIFAR, Servizio Informazioni Forze Armate, attraverso la mediazione del colonnello Renzo Rocca, direttore del REI, Ricerca Economica Industriale. Le valutazioni dei commentatori e degli storici non sono unanimi. Per alcuni il convegno è il punto iniziale dell’avvio 5  I Servizi segreti sono apparati autonomi, strutturati in modo articolato e complesso, vi opera personale specializzato per reperire informazioni e infiltrarsi, vi fanno parte militari, molti provengono dall’Arma dei Carabinieri a questo va aggiunta la fitta rete di collaboratori esterni. Sono istituiti nel 1927 nell’ambito della difesa militare, con la sigla SIM. Con la caduta del regime diventano SIFAR, Servizio informazione Forze armate, da questi nasce il SID, Servizio informazione difesa. Dal ‘77 i Servizi vengono riformati: è istituito il SISMI, Servizio informazione sicurezza militare, è da quest’ultimo si separa il SISDE, Sicurezza della democrazia. Dal ’77 quindi a capo del SISMI è posto il generale Giuseppe Santovito e del SISDE il generale dei carabinieri Giulio Grassini. La nuova regolamentazione sembrerebbe all’insegna e di un maggiore controllo se non si venisse smentiti dal fatti, nell’81 la lista Gelli riporta tanti nominativi di uomini dei Servizi e fra questi quelli dei generali Giulio Grassini e Giuseppe Santovito; entrambi verranno rimossi dall’incarico quando scoppia il caso P2. Santovito era stato stretto collaboratore del generale De Lorenzo. In ultimo vanno aggiunti i SIOS, un’ulteriore articolazione dei Servizi delle Forze armate, e la Divisione affari riservati del Ministero degli interni.

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della strategia della tensione, questa è la tesi di Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione “Stragi”; dello stesso parere Mirco Dondi e Guido Crainz. Altri dissentono: sono Gian Paolo Pelizzaro e Vladimiro Satta. Potremmo pensarlo come una sorta di partenza ufficiosa che crea un’importante mobilitazione anticomunista. In sé non esiste reale connessione tra le relazioni del convegno e le stragi, ma partendo dall’incontro del Pollio sono leggibili inquietanti segnali. Ha ragione Nicola Rao a parlare di “un humus culturale”. L’anno dopo esce l’opuscoletto Le mani rosse sulle Forze armate, l’autore è Flavio Messalla, è uno pseudonimo dietro cui si celano Giannettini, Rauti e Edgardo Beltrametti, un altro importante convegnista anche lui di estrema destra, che con gli altri rappresenta il nucleo del convegno. Nello scritto, di cui ci sono poche copie in circolazione, implicitamente si riferiscono i temi della “guerra rivoluzionaria”, esplicitamente si spiegano le ragioni per cui in quel momento storico i comunisti erano riusciti a mettere le mani sulle Forze armate. Grazie a questo libello, Giannettini ottiene credibilità, che gli giova per la nomina a collaboratore del SID. Giannettini è un agente del SID, in contatto con l’Ufficio D dei Servizi segreti, un estremista di destra, un fiancheggiatore di ON, ma non è un fanatico, piuttosto è un esperto di spionaggio, di problemi militari.6 Si dichiara un giornalista e come tale è presentato. Un obiettivo che il Pollio si prefigge è la costituzione dei Nuclei di difesa dello Stato, noti con la sigla NDS, una formazione sconosciuta e rimasta tale per molto tempo; è il generale Alo-

6  Cfr. intervista di Enzo Biagi del 1983. Sarà Andreotti a rivelare che Giannettini è un agente del SID.

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ia a occuparsene. I Nuclei sono argomento di un altro opuscoletto inviato per posta a molti ufficiali italiani con l’invito a farne parte. I nomi dei redattori non sono mai stati resi noti, i ben informati ritengono siano Freda e Ventura e altri ordinovisti. Tuttavia, l’iniziativa è bocciata da Rauti e Giorgio Pisanò, altro relatore a Parco dei Principi; si dissocia anche il SID, che ordina un’indagine interna. Tornando al convegno del Pollio, gli atti redatti da Gilberto Bernabei sono, fra l’altro, recapitati al capo della polizia Angelo Vicari e al principe Junio Valerio Borghese. Bernabei era stato fascista, a capo del gabinetto del Minculpop, era fuggito a Sud e gli era subentrato Almirante; a guerra conclusa è arrestato, dopo un breve periodo di carcere è prosciolto – in tempi di repubblica ha incarichi importanti al ministero della Difesa, poi al Consiglio di Stato, quindi diventa il braccio destro di Giulio Andreotti.7 Il “Talleyrand cinico, bonario e misterioso”, che ricorda l’ambasciatore francese dalle sei teste, che in spregio alla coerenza, collaborò con diversi governi.8

6.  Una cipolla a strati. I Nuclei di difesa dello Stato I Nuclei di difesa dello Stato, nati nel ’66, sono finalizzati alla repressione interna. Rappresentano la sezione più interna del

7  Gianni Flamini, Il Partito del golpe, Bovolenta, Ferrara 1981, vol. 4, p. 94. 8  Andreotti è stato senatore a vita, sette volte presidente del Consiglio, ministro per 26 mandati, alla Difesa dal ’59 al ’66; è morto nel maggio 2013. L’espressione riferita è di Sergio Romano.

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Servizio segreto, che può essere pensato a strati come una cipolla. Si tratta quindi di un servizio parallelo all’organizzazione segreta Gladio. Sono costituiti da militari e civili, comunque esperti d’armi. Dopo la bomba a Piazza Fontana, era previsto un loro intervento in una specifica operazione, dovevano intervenire con funzione d’appoggio e di propaganda in favore dei militari nel preventivato, mai realizzato, colpo di Stato.9 La loro esistenza è nota ai vertici militari, dal capo di Stato Maggiore della Difesa – in quel momento è in forza il generale Giuseppe Aloia – e dai ministri della Difesa.10 Rimasti attivi dal ’66 al ’73, hanno avuto un ruolo in alcuni golpe: quello di Valerio Borghese e il tentativo di colpo di Stato della Rosa dei venti. Sono scoperti nel ’93 con le indagini dei giudici Leonardo Grassi e Salvini.

7.  Strategy of tension: l’azione L’infiltrazione è fondamentale, è un caposaldo del controllo, ne parla anche Giannettini al convegno del Pollio del ’65, d’altronde proprio lui è un infiltrato. Al Pollio presenta una relazione puntuale su cosa e come va fatto. Spiega che ci sono due forme di terrorismo: uno “indiscriminato” (bombe agli uffici, banche, treni ecc.) l’altro “selettivo” che, come dice il termine, è un’accurata selezione di uomini da colpire. Il terrorismo ha tre con-

9  Mirco Dondi, L’eco del boato, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 59. 10  Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Sperling & Kupfer, Milano 1984, p. 152

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seguenze: una immediata, che lo rende funzionale alla strategia della tensione, e due successive, che comportano la paralisi delle azioni avversarie e la pianificazione di altre rappresaglie che generano una situazioni da guerra civile. Per il giudice Salvini, nell’eversione di destra, il padovano Ventura, che simula di essere un editore, veste bene il ruolo dell’infiltrato; Gerardo D’Ambrosio segnala, oltre Ventura, anche Freda. Il modello atlantico sta facendosi strada con una linea precisa: destabilizzare per stabilizzare. Dalle dichiarazioni dei terroristi neri si evince come per essi la strage sia uno strumento di lotta politica attuato per costringere lo Stato ad approvare leggi di emergenza. Infatti, l’eversione nera è anche indicata con il termine “stragismo”. Quanto sin qui esaminato trova riferimento nella politica di Richard Nixon; al marzo del ’70 risale la direttiva Field Manual che riferisce una precisa condotta d’intervento, fa esplicito riferimento all’utilizzo di “azioni violente o non violente” da dosare secondo la circostanza ma sempre per il medesimo fine ultimo: impedire al PCI di governare. Dunque, il programma statunitense d’intervento sulla politica italiana è chiaro. Questo però non deve condurre a un fraintendimento, non si tratta di sposare il progetto neofascista, perché gli Stati Uniti non vogliono un Governo fascista, ma si tratta invece di affiancare alcune azioni per impedire al PCI di raggiungere il Governo. Posta ormai la regia statunitense, che incide sulla trama storica dei fatti, qui è possibile inserire una postilla importante riguardante l’azione dei nostri Servizi segreti. Torniamo alla “struttura CIA”, evidenziando come alcuni ordinovisti sono legati a un servizio segreto dell’esercito statunitense, indicato come US Army intelligence agency, che funge da cerniera fra gli 34

ordinovisti – in contatto con questa struttura – e la CIA.11 In sintesi, prende forma quanto deposto dal generale Gianadelio Maletti in Commissione parlamentare d’inchiesta “Terrorismo e Stragi”, alla quale aveva riferito che la NATO raccoglie informazioni da trasmettere alla CIA. Nell’ottica di Maletti, il SID non aveva autonomia totale, perché si muoveva regolato dal condizionamento statunitense. Molti ordinovisti riferiscono che Rauti fosse il contatto con la “struttura CIA”.12

8.  Le guerre nella guerra fredda Bisogna qui aggiungere gli strumenti di cui si serve la strategia della tensione, che sono: la “guerra psicologica” e la “guerra non ortodossa”. Come noto, la guerra psicologica è una forma di persuasione palese o celata che si serve della paura e dell’idea di rischio e di pericolo. Il conflitto si sposta da un nemico esterno, fulcro di ogni guerra, a un nemico interno, che nella fattispecie è rappresentato dall’avanzata del comunismo, che deve essere arrestata. Guerra psicologica è sinonimo di altri stati d’animo che si generano nell’opinione pubblica alla notizia delle stragi, “senso di incertezza”, “insicurezza economica e politi11  Riguardo il giudice Guido Salvini, le sentenze ordinanze che racchiudono il suo lavoro sono due: la prima del 22 marzo ‘95 sull’eversione neofascista a Milano e in Veneto, e la seconda più completa relativa all’ambito internazionale del febbraio ‘98. 12  Gianadelio Maletti e Antonio La Bruna sono condannati per la strage di Piazza Fontana per gli aiuti che il SID ha dato a Marco Pozzan e Guido Giannettini.

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ca”, sempre con l’obiettivo di mirare al nemico interno, quindi una guerra psicologica che diventa “guerra permanente” contro il comunismo. Già evidente nella relazione di Rauti al Pollio in quell’incontro che rappresenta l’unione tra gli apparati istituzionali, le Forze armate, i Servizi e l’estremismo di destra. L’istituzione dei Nuclei di difesa dello Stato è un obiettivo che il convegno si propone e che riesce a realizzare. Ordine nuovo ha una serie di contatti internazionali con i Servizi, con la NATO e con l’agenzia Aginter Press che ha sede a Lisbona; questa, ufficialmente un’agenzia stampa, è di fatto un’organizzazione per la guerra non ortodossa legata alla NATO e controllata dalla CIA. Il contatto italiano è fra Rauti e Guerin Serac e avviene grazie ad Armando Mortilla, il funzionario dell’UAARR. L’organizzazione di Ordine nuovo prevede al suo interno un ufficio psicologico per la guerra rivoluzionaria sovversiva di cui si occupa proprio Graziani.13 Nelle pagine successive sarà esaminato il condizionamento esercitato da media, giornali e televisione di Stato negli anni di piombo sull’opinione pubblica. La guerra non ortodossa, invece, prevede un altro tipo di azione, quella di servirsi di strutture paramilitari. Si serve di azioni coperte, appunto ignote, decise da un gruppo ristretto di militari e di politici, quindi esula dalla procedura istituzionale, pertanto anche il Parlamento non ne è al corrente.14 Possiamo così dire che durante la guerra fredda si sono incrociati i contesti nazionali e quelli internazionali, si sono intersecati i piani della politica a quelli della società e dell’econo-

13  Mirco Dondi, op. cit., p. 53. 14  Giacomo Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale (1919-1984), Nutrimenti, Roma 2010.

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mia e si sono legati a quelli militari; la risultante ultima di questa miscela è il cambiamento strutturale del sistema di potere. Nel tempo i Servizi segreti si sono autonomizzati, di fatto sono diventati un corpo di potere a sé stante. Questo accade per la loggia massonica Propaganda 2, nota come P2 e in quest’ottica agisce anche il Noto servizio.

9.  La loggia massonica segreta Propaganda 2 A ogni apparato operativo rispondono diverse articolazioni. Licio Gelli è il venerabile maestro della loggia massonica Propaganda 2. Come si legge nella relazione della Commissione d’inchiesta “Sulla loggia massonica P2” del 1984, presieduta dall’onorevole democristiana Tina Anselmi: “Nasce e si sviluppa nell’ambito della maggiore comunione massonica esistente in Italia, il Grande Oriente d’Italia, GOI, di Palazzo Giustiniani”.15 Ogni loggia è contrassegnata da un nome e da un numero (come P2). È accertato anche l’uso di denominazioni fittizie per celarsi all’esterno; gli iscritti erano elencati con il proprio nome o con uno di copertura. Come dichiarato anche da Gelli in un’intervista, gli iscritti alla P2 erano 2.400.16 Fra essi alte ca15  La Commissione parlamentare d’inchiesta “Sulla loggia massonica P2” è istituita con legge n. 527 del 23 settembre 1981, presieduta da Tina Anselmi. La P2 è sciolta con la legge n. 17 del 25 gennaio 1982. Nell’84 la Commissione pubblica 115 volumi di atti che documentano l’inquinamento e l’alterazione del funzionamento delle istituzioni nazionali. Nel proseguo è indicata con l’abbreviazione CpiP2. 16  L’Espresso, 10 settembre 1976.

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riche politiche, ministri, parlamentari, vertici dell’Arma, dell’esercito, della Guardia di finanza, funzionari pubblici, funzionari dei Servizi segreti, giornalisti.17 La lista fu trovata nel marzo ’81 nella fabbrica Giole di Gelli, resa pubblica dalla presidenza del Consiglio il mese successivo, riconosciuta autentica dalla Commissione Anselmi, che sottolinea il grande credito di cui godeva il Venerabile presso “personaggi stranieri di altissimo livello politico”, i documentati contatti con l’eversione nera, le relazioni internazionali delle logge e nello specifico della P2. Ma chi è Licio Gelli? La domanda è mal posta, chiediamoci piuttosto come un uomo in possesso della terza media, proprietario di una fabbrica di materassi Permaflex, la Giole, appunto, possa essere stato tanto influente. Così da avere in occasione dell’inaugurazione di uno stabilimento la presenza del cardinale Ottaviani del Sant’Uffizio. Una foto lo ritrae con accanto Giulio Andreotti in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento Permaflex di Frosinone. Giovane balilla, esordisce come legionario a sostegno del generale Francisco Franco nella Guerra civile spagnola, e da questi è decorato; poco dopo ci sarà il trepidante – come direbbe un cronista dalla voce stentorea – incontro con Mussolini nel salone del Mappamondo a Palazzo Venezia: sono eventi perso-

17  La Commissione Anselmi riporta 972 nomi ritenuti “autentici”. Tra gli iscritti: il banchiere Michele Sindona, originario di Patti nel messinese, trovato morto nella sua cella del carcere di Voghera stroncato da un caffè nel 1986, la magistratura ha riferito che si è trattato di «un suicidio attraverso la simulazione di un omicidio». Su Sindona, cfr. Nick Tosches, Il Mistero Sindona, Alet, Padova 2009. Molti volti noti della TV come Alighiero Noschese, Roberto Gervaso, Maurizio Costanzo ma anche Silvio Berlusconi. Alcuni diranno di non sapere di farne parte.

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nali che instillano nell’animo del giovane una forte avversione al comunismo, cui va aggiunta la morte del fratello in guerra. È il duce ad affidargli il primo incarico: ispettore per l’organizzazione dei Fasci di combattimento in un paesino del Montenegro. Il suo compito è osservare, controllare, archiviare i dati, ma anche di impossessarsi – come si dirà – di tesori, di una parte dei lingotti della Banca nazionale serba destinati all’Italia. Finisce la guerra, alcune biografie riferiscono sia già in contatto con la CIA, in ogni caso è durante l’esilio sardo che fa il suo incontro con la massoneria. Nel ’59 avviene l’incontro con la Grande Oriente d’Italia, altre biografie riferiscono sia precedente. Nel ’63 chiede l’iscrizione alla loggia di Gian Domenico Romagnosi. Gli viene affidato un grande compito, che esegue perfettamente: fare proseliti e rinvigorire una loggia “coperta” che ha il nome di Propaganda. È il ’71, e ha inizio la sua ascesa. È nata ufficialmente la loggia Propaganda 2 e con essa intrighi, incontri, affari. Fra un incontro e un affare Gelli scrive, soprattutto poesie. Ma la finanza è per lui un abile gioco di prestigio, così cura i necessari appoggi della politica e gli appoggi alla politica, gli appoggi del Vaticano e al Vaticano. Soldi e potere. Alla politica: nel ’74, riesce a farsi ricevere dal presidente Giovanni Leone, cui presenta il “Piano di rinascita democratica”, che prevedeva una riforma di tipo presidenziale, l’azione di controllo di partiti, magistratura, stampa e TV. Il piano non convince Leone. Al Vaticano: con il presidente del Banco ambrosiano, Roberto Calvi. Un inciso su Calvi. Fa carriera nel Banco ambrosiano fino a occupare nel ’75 la poltrona di presidente; lo stesso anno s’iscrive alla P2. Ha relazioni importanti, rapporti con lo IOR, la Banca vaticana, finanzia il PSI, e, per volere del Vaticano, Solidarność, il sindacato polacco. In coincidenza con la scoperta della P2 viene arrestato e condannato per reati valutari, il 39

Banco ha un buco di bilancio di oltre mille miliardi di lire. Nel giugno ’82, in pochi giorni, rapidamente tutto precipita: viene destituito dal suo incarico, la sua segretaria si suicida e, ultimo atto, il suo cadavere è rinvenuto a Londra. Il Banco ambrosiano viene posto in liquidazione, alla fine il buco di bilancio ammonta a oltre quattromila miliardi di lire. Ritorniamo a Gelli che riesce a ottenere dalla NATO una notevole commessa per la sua ditta di materassi. Come emerso, nel marzo ’81 si trova “la lista”, l’elenco degli affiliati alla P2. Il Venerabile si dà alla latitanza in Svizzera, dove è arrestato l’anno successivo; evade dal carcere e si costituisce solo nell’87. Nel frattempo, la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 conclude i suoi lavori. Seguono la condanna per depistaggio per la strage di Bologna dell’80 (con sentenza definitiva della Cassazione),18 e per frode per la bancarotta del Banco ambrosiano. Un uomo controverso: nella sua biografia non mancano i cammei, tanti titoli e tante onorificenze. Ancora oggi ci chiediamo: può un uomo, Licio Gelli, aver contato così tanto? È stato il punto di equilibrio di un complesso sistema di potere, certamente, non ha operato da solo; va rilevato, per comprendere meglio i fatti, che il fine della P2 non era «la conquista del potere nelle sedi istituzionali» ma aspirare «al controllo di esse» e il Venerabile era quindi «il punto di collegamento» della piramide, connetteva le due parti, quella «inferiore» a quella «superiore».19

18  La strage di Bologna è approfondita nel iv capitolo «Trame nere». Nello stesso capitolo si torna su Licio Gelli. 19  Cfr. Atti CpiP2.

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10.  Il Noto servizio L’Anello, anche conosciuto come Noto servizio, congiunge l’eversione nera e la parte celata dei vertici dello Stato. È un’ombra che aleggia nella storia italiana di fine secolo, ritenuto una sorta di “super SID”; è una struttura informale senza un nome preciso. Appunto, una struttura segreta, informale e clandestina, complessivamente attiva dal dopoguerra fino agli anni Novanta, con l’identica funzione anticomunista di Gladio, e che come questo si è servito di apparati dello Stato e dell’estremismo eversivo di destra.20 Come suggerisce il nome, era un anello di congiunzione fra i Servizi e il mondo politico e affaristico. A lungo celata, rimasta attiva fino al biennio ’90-’91 e scoperta per caso nel ’96 in una nota delle carte sulla nuova inchiesta della strage di Brescia. Il termine Anello non è mai riferito ma indicato da alcuni appartenenti a esso. La sua azione è determinante nella pianificazione dei golpe, del golpe Borghese, della strage a Piazza della Loggia e in alcune operazioni dei MAR. Il referente politico è Andreotti. Alcuni storici hanno tentato di delinearne la genesi e le articolazioni.21

20  Giuseppe Casarrubea, Mario Josè Cereghino, La scomparsa di Salvatore Giuliano, Bompiani 2013. 21  Aldo Giannuli, Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro, Tropea editore, Milano 2011. Nel corso delle sue ricerche d’archivio, Giannuli trova dei documenti non catalogati dell’Ufficio Affari Riservati. Fra queste carte

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Necessario un passo indietro. La fase di liberazione del Sud Italia è complessa, di fatto, l’Italia è cobelligerante con gli Alleati, non è libera ma è da loro controllata, questo spiega la formazione di più strutture segrete parallele nate fra il ’45 e il ’49 con compiti militari e informativi. Il Noto servizio s’identifica con quello costituito da Ivanoe Bonomi nel giugno del ’44 e posto agli ordini dell’allora capitano dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel giugno del ’45, divenuto presidente del Consiglio, Ferruccio Parri lo affida al comando del questore Luca Osteria, una figura ambigua, capo della Squadra azzurra a Milano e doppiogiochista che finge collaborazione con i tedeschi. In coincidenza del Governo De Gasperi, nel dicembre del ’45, il Servizio s’inabissa come il Titanic. Alla sua ricostituzione si ritiene possa aver contribuito il generale Mario Roatta.22 In forma segreta, rimane ufficialmente operante fino a quando il Servizio segreto militare è stato agli ordini dello Stato Maggiore della Difesa; poi è posto alle dipendenze della presidenza del Consiglio. Il referente del Servizio informativo della presidenza del Consiglio dovrebbe essere stato Andreotti (sottosegretario e uomo di fiducia di De Gasperi). Andiamo avanti. Negli anni, questa struttura sarebbe diventata uno strumento della politica occulta di Andreotti.23

scopre un nota riservata redatta da Alberto Grisolia, un confidente del nucleo milanese dell’Ufficio Affari Riservati, che fa riferimento all’esistenza di un “noto servizio”. 22  Mario Roatta è stato un generale fascista, è il regista occulto dell’assassinio dei fratelli antifascisti Nello e Carlo Rosselli. 23  Il caso accertato in cui esso ha agito è l’operazione di fuga dall’ospedale militare del Celio e la successiva es-filtrazione dall’Italia del criminale nazi-

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11.  Le azione coperte, Stay-behind e Gladio Riguardo alla guerra non ortodossa, si devono menzionare le azioni coperte compiute attraverso il SID e l’UAARR. Come agisce l’UAARR?24 È presente sin dai primi anni Sessanta, è anche questo un filo di congiunzione. Si serve degli ordinovisti per la strage di Piazza Fontana, sono stati accertati i legami di una parte del SID con l’estremismo nero, con alcuni ordinovisti e con Ordine nuovo, e quelli dell’UAARR con gli avanguardisti e con Avanguardia nazionale. Secondo il giudice Salvini, il già citato Mortilla, principale informatore del ministero degli Interni, è un uomo dell’UAARR, oltre che giornalista e cofondatore con Rauti di ON.25 Per chiarezza si torna all’immediato secondo dopoguerra quando si costituisce la rete militare Stay-behind: in pratica pronta a rispondere militarmente a un’eventuale invasione, è anch’essa connessa all’azione della guerra non ortodossa della NATO e a tutte le strutture europee. È in grado di compiere

sta Herbert Kappler, in cambio del sostegno tedesco alla crisi economica dell’Italia del ‘77. Si ritiene che gli uomini del “Noto servizio” rimasti a disposizione del SISMI oltre all’evasione di Kappler si siano occupati della trattativa per la liberazione di Ciro Cirillo. 24  Giacomo Pacini, Il cuore occulto del potere Storia del ufficio Affari Riservati del Viminale (1919-1984), Nutrimenti, Roma 2010, pp. 115, 116. 25  Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia, Feltrinelli, Milano 1995, pp. 130, 131.

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azioni di guerriglia. È presente in tutti i Paesi dell’Europa occidentale, persino in quelli cosiddetti neutrali come la Svizzera e la Svezia. L’altra rete è Gladio, nata nel ’56 quando si formalizza l’accordo fra i Servizi segreti italiani e gli Stati Uniti. Gladio, più che una rete, è un’organizzazione, ovviamente segreta, volta a contrastare l’influenza politica e militare dei Paesi del blocco orientale. È legata alla CIA che dispone di una base segreta sotto il controllo statunitense a Capo Marrargiu in Sardegna per l’addestramento dei “gladiatori”. Resta ignota all’opinione pubblica e al Parlamento: Giovanni Spadolini non ne è informato negli anni in cui è presidente del Consiglio, lo sarà invece da ministro della Difesa.26 Nasce per essere segreta al nemico ma è invece probabile che l’Unione Sovietica ne sia al corrente. La sua esistenza è resa ufficiale molti anni dopo da Andreotti, presidente del Consiglio, il 24 ottobre 1990, in un discorso al Parlamento. Gladio ha una doppia paternità, un padre politico in Paolo Emilio Taviani e uno militare nel generale Giovanni De Lorenzo. Nasce infatti da un’idea del democristiano Taviani, ministro della Difesa e dell’Interno. La differenza tra il piano Stay-behind e Gladio consiste nell’azione differente, perché il primo entra in azione nell’immediato dopoguerra, la seconda rientra nella “guerra rivoluzionaria preventiva”. Nel decennio fra il ’61 e il ’71 Gladio attiva in territorio italiano dei depositi di armi nascoste chiamati Nasco. Il punto è capire come Gladio rappresenti il fulcro delle stra-

26  Gerardo Serravalle Gladio, Edizioni Associate, Roma 1991. Il riferimento che i sovietici sono al corrente dell’esistenza di Gladio è di Serravalle, pp. 86, 87, suo anche il riferimento a Spadolini.

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gi e quale sia la sua funzione.27 L’organizzazione funge da appoggio logistico e materiale alle azioni terroristiche: nel Piano “Solo” e nella strage di Piazza della Loggia a Brescia e già in quella di Piazza Fontana, il cui esplosivo proviene da un deposito statunitense in Germania, lasciato proprio in un Nasco di Gladio a Trieste, di cui potranno disporne Ventura e Freda. Non è da prendere come dato marginale che l’ambiente militare è legato al tradizionalismo, al conservatorismo e già al fascismo, quindi ben disposto ad accogliere l’azione di proselitismo dell’estrema destra. Certamente non tutti gli uomini che ricoprono cariche hanno le stesse informazioni segrete. Un’idea di massima si può avere scorrendo gli elenchi ufficiali di Gladio: si deduce che alcuni gladiatori hanno trascorsi nella RSI, nel MSI, altri nelle formazioni di estrema destra. Tuttavia, va anche rilevato che non tutti quelli presenti nell’elenco sono coinvolti nelle stragi; fra gli altri, non lo è per esempio il terrorista nero Gianni Nardi. Questo dato ha alimentato un’altra riflessione esattamente contraria alla precedente: quelli che non sono in elenco potrebbero essere proprio le persone che fungono da collegamento tra istituzione ed eversione. In quest’ottica Gladio, attraverso i suoi uomini, rientra nello strumento della guerra psicologica, ma costituisce anche un supporto materiale alle azioni. Taviani nelle sue memorie esclude il diretto legame con l’eversione. Un punto importante da chiarire è: si tratta di una rete-organizzazione legittima o no? Il discorso si fa insidioso. La Commissione “Terrorismo e Stragi” chiarisce due tipologie di azioni differenti, la prima è di contrasto all’occupazione nemica; la seconda mostra delle «di27  Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della Nato, Fazi Editore, Roma, 2005.

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storsioni dalle finalità istituzionali dichiarate», ed è in questo senso che Gladio avrebbe attivato i suoi legami con l’eversione di destra, con le stragi e con la P2. Nelle già citate memorie, Taviani spiega che in ordine di importanza oltre a lui c’era il liberale messinese Gaetano Martino, ministro degli Esteri proprio nell’anno dell’attivazione di Gladio, quindi Antonio Segni, Moro, Giuseppe Saragat.28 Necessari altri chiarimenti di ordine generale. Ufficialmente la NATO non dichiara la guerra rivoluzionaria come una propria strategia d’intervento, anche se poi è quanto fa. La vita politica italiana si ritrova a svincolarsi fra i tanti tentacoli, alcuni dei quali collegati ai vertici del SID e a quelli dell’UAARR, questi al filoatlantismo. Della genesi dei Servizi segreti, istituiti il 30 marzo 1949 con una disposizione interna del ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, il Parlamento non ne viene informato, ma sono già in stretta connessione con la CIA. Il ministro della Difesa è responsabile del SIFAR, più tardi SID, mentre dal ’46 il ministro dell’Interno si avvale del già citato UAARR, Ufficio Affari Riservati. La massoneria, che ha sede a Palazzo Giustiniani, funge da cerniera tra il SID e gli Stati Uniti. Il gran maestro è il socialdemocratico Giordano Gamberini, uomo di fiducia della CIA cui dal ’70 è concessa la delega ad occuparsi della P2. Vale la pena rimarcare che anche questa struttura è segreta, gli stessi piduisti non sono al corrente di ogni decisione, diversamente da altri legati ad alcuni dirigenti del SID – il già citato generale Maletti che è il numero due del SID – risultati coinvolti nella strategia della tensione, come appunto Maletti, il suo braccio destro,

28  Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d’uomo, Il Mulino, Bologna 2002.

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il capitano Antonio La Bruna, il responsabile dell’UAARR Umberto D’Amato e il suo stretto collaboratore Giovanni Fanelli. È in nuce il progetto che deve destabilizzare per stabilizzare, che stringe a sé i Paesi della NATO, l’alleanza che unisce gli Stati Uniti a tanti Paesi europei compresi quelli del Nord. Infatti, dopo il golpe greco, si chiede l’espulsione della Grecia dalla NATO. Quanto accaduto in Grecia ha profonde ripercussioni in Italia, malgrado non a tutti visibili. Sul finire degli anni Sessanta s’incrementa il legame fra i nostri Servizi segreti, il SID, e quelli greci, il KYP, che ospitano nelle loro strutture molti estremisti italiani, giovani anche insospettabili dell’eversione nera, prelevati in molte regioni italiane, anche in Meridione. Sappiamo di Rauti, di Delle Chiaie e di Merlino, che a questo viaggio deve la sua finta conversione politica da cui nasce la svolta che lo vuole infiltrato nell’estremismo di sinistra. Un comportamento riscontrabile in molti altri, come racconta l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra. Il progetto, voluto dagli Stati Uniti, è organizzato per loro conto dall’Aginter Press. L’infiltrazione nei gruppi ideologicamente opposti è un elemento “strategico” nella pianificazione della strategia della tensione. Si è fin qui indicata la parte teorica della complessa macchina che ora si avrà modo di vedere in funzione.

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II IL SESSANTOTTO

1.  “Vogliamo tutto.” Mentre sottotraccia si decidono i destini di uomini e situazioni, in superficie esplode la grande contestazione del Sessantotto. “L’immaginazione al potere”, “Non è che un inizio, continuiamo la lotta”, “Proibito proibire”, “Siate realisti, chiedete l’impossibile”, “Assalto al cielo” sono solo alcuni dei più ricorrenti slogan giovanili gridati nelle piazze d’Europa e scritti sui muri. Il senso di libertà aleggia nell’aria, i giovani ne ostentano la forza. Nascono le “radio libere”, che diffonderanno la “musica ribelle”: ci si sente liberi e si ha voglia di manifestare la libertà e per converso di protestare: liberi di ribellarsi. È in atto un fenomeno incandescente, non un progetto organico ma comunque efficace: produce riforme istituzionali, conduce a conquiste salariali, porta a rivalutare categorie sociali fino allora marginali come le donne e i giovani. In senso ampio, la categoria storiografica di riferimento è la “generazione dei giovani” da intendere come chiave concettuale per comprendere questi anni, nei quali si genera una nuova antropologia e da essa nuove aggregazioni sociali e nuovi riti comunitari. “Noi siamo i giovani, i giovani, i giovani” ripete un motivetto in voga. 49

Il Sessantotto sigla la grande mutazione dal carattere internazionale, policulturale, interclassista. Incarna questa mutazione in atto: i modelli borghesi, severamente strutturati, si emancipano, la mentalità conservatrice e passatista si svecchia. I costumi, la moda sono più che mai rappresentativi del passaggio tumultuoso ai nuovi anni, meno ingessati del passato. Gli uomini portano le basette larghe e lunghe, indossano la giacca con le spalle strette, aderente al corpo e il collo ampio, talvolta con una fantasia a riquadri geometrici come la camicia, anche questa stretta e con le ali appuntite, raramente con la cravatta; appena nel tempo libero sfibbiano i primi due bottoni. Le donne hanno i capelli corti cotonati sulla nuca, le sopracciglia sottili quasi invisibili e gli occhi truccati con l’ombretto dai colori brillanti verdino-celestino, sfumati fino all’arcata sopraccigliare. Usano le camicie attillate con il collo appuntito, di fantasie un po’ psichedeliche e un po’ pop dai fiori giganti. I ragazzi hanno i capelli lunghi, i pantaloni aderenti su vita e fianchi con la svasatura a campana. Ma tra poco – nel decennio successivo – l’abbigliamento hippie cederà il posto a quello da alternativo, occhiale con montatura dalla forma esagerata, borsello di pelle, eskimo (giacca militare con il cappuccio) e casacca operaia blu della Cina maoista. Le ragazze mantengono i capelli lunghi, sulla nuca il vezzo di un nastrino colorato, indossano gonne lunghe anche se in genere preferiscono i pantaloni a zampa d’elefante abbinati a una maglia stretta, un cinturone con la fibbia vistosa e al collo lasciano scendere grandi monili smaltati in superficie, ai piedi gli zoccoli. Sessantotto è la potenza di un sogno. «I have a dream» aveva detto in un celebre discorso Martin Luther King: un’oratoria entusiasmante, un messaggio quasi shakespeariano, per destare la coscienza politica dell’America democratica, abbattere le barriere dell’America reazionaria e sostenere i diritti civili dei 50

neri. In Europa ci s’impossessa dei sogni ribelli d’oltreoceano di Jack Kerouac in Sulla strada: la strada, il sesso, le droghe e comunque la poesia. Si fanno propri quelli degli hippie che stigmatizzano il potere come sistema di dominio e sbandierano il pacifismo come arma del cambiamento globale e dello spirito della solidarietà fra i popoli. I due percorsi, della beat generation e dei figli dei fiori, si fanno ora un tutt’uno nel Sessantotto, che mette insieme pacifismo e ribellismo, radicalizza le espressioni provocatorie che contestano il sistema capitalistico borghese che mercifica l’uomo, le sue emozioni e i suoi pensieri. Della critica alla società capitalistica e all’artificialità dei bisogni si fanno portavoce anche gli intellettuali di strada come Jean-Paul Sartre, e quelli della Scuola di Francoforte con i loro proclami. I giovani leggono Herbert Marcuse il suo L’uomo a una dimensione, recuperano Karl Marx, sostengono la liberazione utopica della persona. Il risultato è un’esplosione corale che si estende in ogni campo, dalle arti figurative – è in voga la Pop Art – alla musica, alle culture alternative come quelle pop e hippie. Il ’67 precorre i tempi con la sua Summer of love, un’immensa onda collettiva di energia che tocca entrambe le sponde dell’Atlantico, l’America e il Regno Unito, per inneggiare all’amore libero. “Peace & Love” è lo slogan utopico più diffuso, un binomio consacrato nell’aprile di quell’anno da quattrocentomila persone che a New York marciano sul palazzo dell’ONU per protestare contro la guerra in Vietnam. E insieme alla controcultura e al rock, prende il sopravvento il nuovo misticismo che guarda a Oriente, solarizzazioni, illusioni e correnti di pensiero misticheggianti. 51

Il Sessantotto germina nelle università statunitensi, e da lì rapidamente coinvolge quelle europee: a Parigi, alla facoltà di Lettere a Nanterre e alla Sorbonne, a Praga dove si chiede la democratizzazione di un sistema oppressivo: in piazza San Venceslao, nel cuore della città, lo studente Jan Palach si darà fuoco in segno di contestazione contro gli occupanti sovietici. In Italia L’anno degli studenti, come celebra il titolo di un libro di Rossana Rossanda, si presenta intenso e difficile, gli studenti sono «oggettivamente uno dei punti precari del tessuto sociale». Sono compressi dallo sviluppo capitalistico, inseriti da un lato nel crescente processo, dall’altro da esso esclusi, poiché gli è precluso l’accesso a ruoli sociali cosiddetti superiori. È come se di colpo si fossero trovati sull’orlo di un precipizio: «Questi giovani trovano consumata dietro di sé l’esperienza della lotta contro il fascismo e anche quella della guerra fredda; e con esse tutta una scala di valori e controvalori che nutrì la nostra generazione» scrive Rossanda.29 Sono sì giovani ma delusi dal progetto riformista mondiale che si è imposto come modello di progresso e sviluppo, dalla “nuova frontiera” kennedyana e dal pacifismo fra i due grandi blocchi, tutto messo in crisi dalla guerra in Vietnam. Come scrive Vittorio Foà, la straordinaria energia giovanile verrà dispersa nella ripetizione della dottrina e nel voler ricostruire come una caricatura quello che si era pensato di mandare al macero.30

29  Rossana Rossanda, L’anno degli studenti, De Donato, Bari 1968. Vanno segnalate anche due riviste della sinistra: Quaderni piacentini e Quaderni rossi. 30  Sul Sessantotto persiste un’interpretazione divisa tra chi lo esalta e chi lo legge come un fenomeno che costituisce la premessa all’individualismo degli anni Ottanta. In sintesi, le tesi sono tre: la prima che ne stigmatizza il

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Il Sessantotto lascerà in eredità la bellezza di un sogno collettivo e il senso del possibile, ma la tanta energia ingovernata esplode, presto lascia alla rabbia il posto della gioia. C’è una battaglia fuori che infuria, e presto scuoterà le vostre finestre e farà tremare i vostri muri, perché i tempi stanno cambiando, venite padri e madri da tutto il Paese e non criticate. (Bob Dylan, The times they are a-changing)

2.  I Neri e i Rossi a Valle Giulia a Roma Valle Giulia ancora brilla la luna e Paola prende la mia mano, caduta per sbaglio sui nostri vent’anni tesi come coltelli, come fratelli, perduti forse, qui, architettura, albe cinesi di seta indiana. (Antonello Venditti, Qui)

Inizialmente la differenza fra Neri e Rossi è marcata, il costume e le mode sottolineano questa distinzione, così se i Rossi fanno uso di droghe e inneggiano al sesso libero, fanno esattamente il contrario i Neri. Con l’ondata ribelle sessantottina tutto cam-

carattere ambivalente e oscillante fra esaltazione – espressa in quel “Vogliamo tutto”– e nostalgia delle passate rivoluzioni, per esempio di quella russa del 1917; la seconda che la legge come una “rivoluzione mancata” che porta a una crisi radicale; la terza che vi legge l’inizio della crisi epocale e contemporaneamente quello della nuova epoca postindustriale in cui scienza, tecnologia e nuovi linguaggi modificheranno le società.

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bia, i comportamenti e i costumi si unificano, la ribellione vede uniti militanti di destra e di sinistra. Il Sessantotto è unificante, soprattutto nella sua prima fase che vede gli opposti schieramenti lottare insieme per motivi comuni, è una temporanea pax. Una provvisoria alleanza. Di fatto, i valori di riferimento sono opposti: i Neri pongono il fascismo come valore etico, i Rossi pongono l’antifascismo come valore etico. Qui s’insinua il germe della frattura che diventa lunga e permanente. Il febbraio di quell’anno è freddo e piovoso, a Venezia, a Roma, a Trento, negli atenei occupati s’inizia a discutere. Il Movimento studentesco rivendica il diritto allo studio e la riforma universitaria. Le manifestazioni rosse, riunite sotto la foto del Che, che di norma apre i cortei di Milano e di Torino, e lo stesso copione si mette in scena in altre città italiane, sfociano in scontri fra manifestanti e Forze dell’Ordine. Il volto del Che diviene espressione di lotta contro l’oppressore, del sacrificio romantico dell’azione politica. L’editore Giangiacomo Feltrinelli lo raffigura su un manifesto in occasione della morte del guerrigliero: da quel momento lo consacra come il simbolo del movimento studentesco di allora e della sinistra rivoluzionaria europea. Il Che e Mao assurgono a miti funzionali della contestazione rivoluzionaria. Una contestazione che attua una sorta di rivisitazione, reinterpreta i modelli cinesi e vietnamiti come esempi di antiautoritarismo e antimperialismo; in quest’ottica, la rivoluzione culturale cinese diventa icona, Mao incarna il romanticismo rivoluzionario, sia per i cinesi, che trasforma da contadini in operai-soldati, sia per i giovani europei, che a quella rivoluzione strizzano l’occhio. Da questa fase e negli anni immediatamente successivi, si aggregano e si disgregano gruppi giovanili a vocazione rivoluzionaria. Un fenomeno di militanza compulsivo e frenetico. Ma anche un processo di forte omologazione e uniformizza54

zione. Sono i maoisti di Servire il popolo, dagli altri compagni ridicolizzato in Servire il pollo, il Gruppo Gramsci, l’antistalinista e filomaoista Avanguardia operaia, il Movimento studentesco con il suo feudo all’Università Statale di Milano, la più libertaria Lotta continua, il leninista Potere operaio, attivo soprattutto a Porto Marghera e Torino e l’intellettuale Manifesto, nato dai fuoriusciti del PCI. Come scrive Paul Ginsborg, tutti insieme «sono la più numerosa forza di Nuova Sinistra a livello europeo».31 Ideologicamente sono ferocemente manichei, riproducono su scala inferiore le logiche dei maggiori partiti, «con le loro gerarchie quasi esclusivamente maschili e con presuntuosi leaderini».32 Sono lettori del Capitale di Marx in modo politicamente orientato – la cultura di sinistra va permeando non solo le piazze ma ogni ambiente culturale, dal cinema ai settori della società –, hanno acquisito in modo ambiguo il concetto di violenza, sono convinti della riapplicabilità in Italia dei modelli delle lotte di liberazione dei Paesi del Sudamerica e dell’Asia. E soprattutto, sono convinti assertori, come i Neri, che sia imminente la rivoluzione in Occidente. A Milano, capo indiscusso del Movimento studentesco è Mario Capanna, che idealizza una lotta comune fra studenti e polizia, da «proletari a proletari».33 A Torino fra gli esponenti di spicco anche Luigi Bobbio, figlio del filosofo Norberto, in seguito tra i fondatori di Lotta continua, formazione politica di estrema sinistra, e Carlo Donat-Cattin, finiti in carcere perché sobillatori della protesta. La protesta divampa. Camionette della polizia bloccano le 31  Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, op. cit., p. 243. 32  Ibidem, p. 243. 33  Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Garzanti, (riedizione) 2007.

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strade centrali e le piazze di molte città: incidenti, colluttazioni, lancio di lacrimogeni, sedie usate come corpo contundente, vetri delle auto che vanno in frantumi, volti degli studenti insanguinati. Ci sono anche ragazzi che alla spranga preferiscono il megafono, così si scontrano occupanti oltranzisti e disoccupanti moderati che vogliono riprendere le lezioni. I Neri si organizzano nel FUAN, l’organizzazione universitaria della destra molto radicata nelle università del Sud. Nella prima ondata di contestazione iniziata già nel ’67, preambolo della contestazione sessantottina, che porta alle occupazioni universitarie anticipate da un’inquietudine comune che attraversa l’intera generazione, Rossi e Neri sono uniti nell’avversare la riforma universitaria. È questo il collante di un’unità generazionale fra opposti radicalismi. Ma la contestazione cresce. Fino all’acme di Valle Giulia a Roma. È il primo marzo 1968, il FUAN romano guida la contestazione. Sono presenti molti Neri: Merlino, Delle Chiaie, Adriano Tilgher. Neri e Rossi rappresentano un corpo unico contro lo Stato. Per il MSI è il momento delle scelte. Sceglie di partecipare all’occupazione. Il MSI con in testa Almirante interviene nella contestazione. La presenza del partito interrompe l’unità tra Neri e Rossi, è inevitabile il rientro di ciascun gruppo nei propri ranghi: i Neri si scontrano con i Rossi, la contestazione diventa sempre più confusa e violenta, volano sedie e armadi dalle aule della facoltà. Si è creata un’insanabile spaccatura, come dicevano al tempo, fra “i nostri” e “i vostri”: la spedizione missina contro i Rossi all’università romana non è accolta bene dall’elettorato di destra, alle elezioni il MSI subisce un contraccolpo. La tattica avanguardista non è piaciuta a un elettorato conservatore e tradizionalista, né a quanti, democratici o monarchici, avrebbero potuto votare per il MSI. 56

La vicenda di Valle Giulia è resa eterna in Il PCI ai giovani, in cui a sorpresa Pier Paolo Pasolini scrive di simpatizzare con i poliziotti, perché veri figli del popolo. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente […]. A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte della ragione), eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri.34

L’episodio in sé rivela un dato nuovo, è in nuce un contrasto politico senza precedenti in cui i manifestanti, giovani delle classi sociali alte, rappresentano le richieste dell’estrema sinistra. Nel ’67 è nata la Criminalpol, Centro nazionale coordinamento delle operazioni di polizia criminale, la polizia è prevalentemente reclutata tra le classi più povere del Sud. Vessata in una situazione drammatica, gli agenti sono malpagati, non stupiscono le riflessioni di Pasolini né le dichiarazioni di Delle Chiaie quando dice che in questura a Roma avevano dei loro informatori. Il legame tra Neri e Rossi resta in gruppi minoritari come per esempio nei nazimaoisti, nei gruppi gollisti di sinistra, in linea con la politica di De Gaulle: l’antiatlantismo e il filoeuropeismo. Il fenomeno unitario torna nella stagione successiva, fra il ’77 e l’81, in cui riti e miti sono nuovamente unificanti, Neri e Rossi fanno le stesse cose: partecipano ai concerti, ai raduni, cre-

34  Pier Paolo Pasolini da Nuovi Argomenti n. 10, aprile-giugno 1968.

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ano radio libere, sono di nuovo accomunati dalle stesse istanze ribelli e anarchiche. Fino al “’77 nero”, che storicamente rappresenta un ritorno al ’67, a quella stagione di contestazione implosa che i Neri non erano riusciti a vivere da protagonisti. Adesso hanno comportamenti e costumi fino a quel momento a loro estranei, quelli dei Rossi. Così ci sono i Neri che continuano a indossare l’uniforme – rappresentata da Lacoste, jeans attillati, cintura, mocassini e Ray Ban – e quelli capelloni con i jeans sdruciti. Un nuovo processo di rinnovamento che trova logica conclusione in alcune manifestazioni culturali organizzate dal FUAN e dal Fronte della gioventù, organizzazioni giovanili del MSI chiamate Campi Hobbit. Qui si riprendono miti e riti della sinistra giovanile, uniti al recupero di simboli evoliani come la croce celtica da portare come pendaglio al collo. Ma di fatto le due strade, rosse e nere, si sono definitivamente separate. L’anno di contestazione si chiude con la protesta milanese davanti alla Scala. La città dal dopoguerra è divenuta capitale intellettuale, morale ed economica del riformismo italiano, e in occasione della tradizionale prima di Sant’Ambrogio, gli studenti lanciano uova e ortaggi sui convenuti in abito da sera, sulle donne in pelliccia di visone.

3.  La violenza politica Il Sessantotto non nasce violento, lo diventa. Una violenza nera quanto rossa. Lo stesso è accaduto negli Stati Uniti con il mo58

vimento pacifista contro la guerra in Vietnam e quello a sostegno dei diritti, in particolare dei neri. Una panoramica generale rivela come la violenza sia presente come strumento della strategia della tensione analogamente nei movimenti della sinistra europea, ritenuta fisiologica, germinata quando viene interiorizzata l’idea marxiana di “violenza positiva”, intesa come un acceleratore della protesta in sé e dell’intero processo sociale. Così, intesa come “giusta”, è giustificata anche dagli intellettuali di strada, i non organici al potere, come Sartre. Riguardo a quella specificamente rossa, molti studiosi e commentatori accolgono la tesi di Luigi Manconi e Adriano Sofri, studente contestatore alla Normale di Pisa, divenuto icona di riferimento in Lotta continua, che vedono nella bomba di Piazza Fontana (tema esaminato in seguito) il simbolo dell’“innocenza perduta” che avrebbe generato nei giovani di sinistra l’estremismo e la lotta armata.35 Questa la ragione del passaggio dalla militanza alla violenza che ha ispirato la rivoluzione degli anni Settanta, come evidente anche nell’analisi di Giovanni De Luna. Diverse sono invece le posizioni di altri, fra cui Carlo Fumian36 che è convinto che l’elemento socioeconomico, il cosiddetto disagio economico-sociale – da molti ritenuto causa principale della violenza politica postsessantottina – sia marginale; Vittorio Vidotto e altri ancora, come Brunello Mantelli, mettono in evidenza la specificità del caso italiano, la sua lunga durata.

35  Adriano Sofri, Memoria, Sellerio Palermo 1990, p. 114. 36  Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, Terrore Rosso, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 173.

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4.  Il 1969 Incarnando il nuovo spirito, il vento di libertà e di trasgressione, i giovani da tutto il mondo confluiscono al raduno a Woodstock, il teatro dove va in scena il cambiamento. Qualcosa in profondità è mutato: non è più tempo di “dissenso gridato”, la rivoluzione festosa è tramontata. In quasi un anno si registrano disordini in molte aree italiane apparentemente tanto distanti fra loro e non solo geograficamente, quelle rurali del Sud (Battipaglia, Avola, Nuoro), quelle nell’area del triangolo industriale e inoltre a Torino e a Milano. Sono l’anticamera dell’“autunno caldo del ’69”, la stagione di lotte sindacali operaie, avviate dalla scadenza triennale dei contratti di lavoro, riguardante in particolare la categoria dei metalmeccanici. Finora il conflitto sociale aveva avuto carattere territoriale e regionale, ora assume connotazione nazionale; anche gli studenti, che reclamano il “diritto allo studio” per tutte le classi sociali, si uniscono alla protesta. Il fenomeno italiano della protesta operaia è diverso da quello europeo sin dalle sue finalità, e di più per la durata e gli effetti. In modo unitario i sindacati reclamano la rinegoziazione di quanto varato dal Governo, mai come in questo momento hanno molta forza, un dato che contrassegna questa lotta operaia come un vero conflitto sindacale. Simultaneamente a questi fatti, il comportamento delle Forze dell’Ordine si fa più aggressivo. Si registrano in sequenza una serie di eventi violenti, tutti allineabili in un unico filo: dal primo – Padova, 15 aprile, attentato nello studio del rettore Enrico Opocher – a quelli di fine anno, del 12 dicembre a Milano alla Banca dell’agricoltura, al sottopassaggio della Banca nazionale del lavoro e nello stesso gior60

no a Roma all’Altare della patria e davanti al Museo del Risorgimento. Da non trascurare in questa valutazione d’insieme quelli avvenuti tra aprile e agosto a Roma, Milano e Torino. Sono tutti accertati come attentati ordinovisti, leggibili come strumenti della strategia della tensione. Inizialmente non sono considerati come parte di un unico progetto eversivo, a questa conclusione giungono anni dopo (nel ’74) Emilio Alessandrini e Rocco Fiasconaro (alla loro indagine fa seguito il rinvio a giudizio di Freda e Ventura per il loro coinvolgimento; nell’indagine del giudice Giancarlo Stiz erano già accusati di associazione sovversiva per gli attentati ai treni e per la bomba di Torino). Nel frattempo nella DC, rappresentata dal suo segretario Flaminio Piccoli, avviene un terremoto interno determinato dalla dominanza della corrente dorotea definita “il centro del centro”. La corrente – che prende il suo nome dal convento romano di Santa Dorotea, sede della prima riunione, e che era nata qualche anno prima con un carattere moderato ma rigidamente anticomunista – annovera fra i suoi leader Mariano Rumor e Paolo Emilio Taviani, già fanfaniani. Amintore Fanfani, considerato il “padrone d’Italia” (l’espressione è di Ottone) avendo ricoperto simultaneamente una pluralità d’incarichi – la presidenza del Consiglio, il ministero degli Esteri, la segreteria del partito – è un convinto fautore dell’apertura della DC a sinistra.37 Ma i dorotei hanno un ripensamento in merito. Si ricorda che alla destra della DC ci sono Andreotti e Mario Scelba e alla sinistra Aldo Moro, che già in questi anni è stato presidente del Consiglio traghettando il partito e i dorotei a sinistra.38

37  Piero Ottone, Fanfani, Milano 1966, p. 110. 38  Aldo Moro accademico e giurista, presidente del Consiglio Nazionale della DC, più volte presidente del Consiglio dei Ministri: il i Governo dal

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In inverno si registrano altri moti di piazza. A Roma, anche in occasione della visita di Nixon (il 28 febbraio) scoppia un ordigno davanti all’ingresso secondario del Senato: è in atto una manifestazione studentesca contro il presidente americano.39 Come emerso, la gran parte degli attentati si possono ritenere di matrice nera, ma la constatazione nasce anche dall’osservazione degli obiettivi colpiti: sono sinagoghe e simboli della Resistenza. I quotidiani riportano a margine queste notizie, non manca chi come il Secolo d’Italia le annoveri come operazioni miranti a far uscire l’Italia dal Patto atlantico. In primavera, la sera dell’anniversario della Liberazione, si registrano altri attentati a Milano, alla Fiera campionaria, al padiglione della Fiat, e alla Stazione Centrale. Il giorno successivo, i giornali di opinione danno letture opposte, quelli di sinistra, come l’Unità, parlano di azioni marcatamente fasciste; quelli di destra orientano il lettore a desumere che la paternità appartenga al fronte avverso. Complessivamente, le bombe di Milano sono lette alla stessa stregua dal Corriere della Sera, dalla Nazione, dal Tempo. La Stampa si mantiene cauta e fa anche un richiamo al neofascismo. Fa riferimento a tre «misteriosi manifesti trovati presso le due banche milanesi in Piazza Fontana e vicino alla Scala» di appartenenza a un movimento internazionale di destra vicino all’OAS o ai neonazisti, stampati su carta prodotta in Svizzera o in Germania; simili nella grafica a quelli di Potere Operaio, specifica che in uno si riproduce stilizzata una fabbrica sulla cui ciminiera sventola una bandiera nera, con al centro la scritta

‘63 al ‘64, il ii ‘64 al ’66, il iii dal ’66 al ’68. E di nuovo nel iv dal ’74 al ’76, e nel v dal 12 febbraio ’76 al 30 luglio ‘76. 39  «Violenti tumulti per le vie di Roma», La Stampa, 28 febbraio 1969, p. 1.

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“Autunno ’69” e sotto “L’inizio di una lotta prolungata”.40 La chiosa di Mazzoldi è netta: «È evidente che il tipo del disegno è stato scelto per confondere le idee». Il Corriere della Sera riferisce invece che la pista di tutti gli attentati è anarchica.41 In quei giorni sulle pagine dell’Unità ci si chiede a chi possa giovare tutto questo. In generale, dai giornali si evince una linea comune che nutre il sentimento di paura collettiva e di preoccupazione. Ma il clima è realmente pesante. Come sta emergendo, si vanno determinando cornici comunicative ben delineate. I giornali, che all’epoca rappresentano l’unico palinsesto informativo, come si usa dire, “parlano alla pancia” del Paese. Dai giornali provengono le teorie dominanti che la gente fa proprie. Si possono distinguere zone differenti di appartenenza, una parte considerevole di italiani è nel limbo della “spirale del silenzio”, una minoranza in quella del rancore rabbioso che si lascia andare a espressioni violente dirette verso chi ha individuato come colpevole, con la sequela dei “ci vorrebbe la pena di morte” e “andrebbero uccisi”; un’altra parte ancora è schierata ed è militante. In ogni caso, tutte recepiscono informazioni orientate, una narrazione dei fatti poco ottimista e preoccupata. Anche in seguito all’arresto di anarchici amici dell’editore Feltrinelli, si evince come secondo i giornali d’opinione l’anarchismo appartenga alla sinistra, infatti le presunte azioni violente degli anarchici si riverberano su tutta la sinistra.

40  «Gino Mazzoldi, Misteriosi manifesti trovati presso le due banche milanesi», in La Stampa, 14 dicembre 1969, p. 2. 41  «Bombe alla Fiera, alla stazione di Milano», in Corriere della Sera, 26 aprile 1969, p. 1; «Per gli attentati 14 fermi fra anarchici e fascisti», in La Stampa, 27 aprile 1969, p. 2.

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Altro aspetto interessante è rilevabile dalle agenzie di stampa; nel caso specifico, nell’agenzia OP, Osservatorio politico, che nei giorni prima dell’incidente di Battipaglia manda una velina riferendo di «gravissimi disordini» provenienti dall’area comunista. La notizia è falsa, rientrante nella dinamica messa a punto dalla strategia della tensione. Lungimirante in questo senso è un articolo del 29 aprile dell’Unità, che precisa che è in atto la «tecnica» di «infiltrarsi per provocare disordine». Ma nel clima della realtà del periodo, tanto incandescente quanto incerto, questa denuncia non solo non sembra credibile ma appare una gratuita provocazione; così, quando riferisce di «relazioni pericolose tra l’ambiente della destra radicale e la polizia» produce l’effetto contrario: il giornale è denunciato per la diffusione di notizie false e tendenziose. L’estate del ’69 è rovente. Si registra un’altra serie di attentati, “l’agosto dei treni”. Scopriremo sulla base delle inchieste giudiziarie e della confessione dell’ordinovista padovano Gianni Casalini, anche informatore del SID – confesserà di aver collocato un ordigno su un treno – che sono tutti organizzati da ON. In due numeri a distanza di una settimana, quello del 20 luglio e quello del 27, L’Espresso si pone l’identico quesito dell’Unità, sulle ragioni e gli interessi di chi sta creando questo clima di tensione.42 L’inquietante interrogativo resta senza risposta. Sugli attentati ai treni le ipotesi vagliate dagli inquirenti sono le più varie: dai terroristi altoatesini agli estremisti di destra, passando da generici contestatori e anarchici. Dato confermato dai quotidiani di quei giorni. 42  L’Espresso, 20 luglio 1969, p. 1 e p. 3.

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Questa è solo la punta dell’iceberg, gli ultimi mesi dell’anno riservano episodi più drammatici: a Pisa, dove durante uno scontro un lacrimogeno lanciato dalla polizia uccide uno studente antifascista, a Milano dove muore un agente di pubblica sicurezza. Se la morte di Pisa non ha ripercussioni, quella di Milano ha una eco dirompente. Antonio Annarumma, è un giovane agente di umili origini come la gran parte degli agenti italiani. Il 19 novembre, giorno dello sciopero nazionale sul caro affitti indetto dalle confederazioni sindacali, a Milano si tengono due cortei, degli anarchici e dell’unione marxista-leninista, questo scortato dalle Forze dell’Ordine. I dimostranti imboccano via Larga, raggiungono il Teatro Lirico, dove è in corso il comizio sindacale, si uniscono studenti e operai, manifestanti e gente comune. Si genera uno scontro fra manifestanti e polizia sempre più violento. Il rapporto del prefetto riferisce che la polizia inizia la carica indistintamente su tutti mentre nervosamente i poliziotti sulle jeep perlustrano l’area. Una camionetta urta un gruppo di dimostranti, una ragazza cade a terra. I contestatori reagiscono, la situazione diventa incontrollabile. Nella confusione c’è chi urla, in tanti restano feriti, fra questi Annarumma che, portato in ospedale, morirà poco dopo. La rabbia non si placa, prosegue il giorno del funerale. L’episodio, in sé drammatico, strumentalmente è usato per porre l’accento sull’incontrollata furia rossa e unificare tutta la violenza in un unico corpo politico. Questo avverte il sentire 65

comune, che interiorizza i sentimenti anticomunisti già presenti nel Paese. La destra ne approfitta per rievocare lo spettro bolscevico e invocare interventi forti e leggi d’emergenza. La maggioranza dei quotidiani – Candido, Il Tempo, Il Borghese, La Nazione, il monarchico Roma – nutre questi convincimenti collettivi, sostiene si sia trattato di un’aggressione comunista. Non si discosta il messaggio del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, che parla di «barbaro assassinio» e della necessità di «isolare i delinquenti» (riportato, fra l’altro, in prima pagina dalla Stampa). Nell’immediato, l’Unità completa la ricostruzione riferendo la notizia della carica della polizia; La Stampa, ponendone in prima pagina la foto, in un articolo di Giampaolo Pansa chiarifica la dinamica dell’accaduto. Così Pansa: «Annarumma sarebbe stato colpito alla testa da una spranga o da un tubo metallico lanciato da un dimostrante mentre egli si trovava al volante di un gippone della polizia».43 Le posizioni emergenti sono contrastanti, quella ufficiale racconta che l’agente è ucciso da un dimostrante con un tubolare d’acciaio – i tubolari di un cantiere edile nelle vicinanze del corteo –; l’altra tesi – come sembrano rivelare fra l’altro alcune foto e un filmato della televisione francese Ortf – sostiene che Annarumma transitava su una jeep che viaggiava in senso contrario di marcia e si scontra con l’auto dei colleghi, urtando la 43  Giampaolo Pansa, «Agente ucciso con una sbarra durante gravi scontri a Milano», in La Stampa, 20 novembre 1969, p. 1; «Come sono accaduti i fatti di Milano», in La Stampa, 20 novembre 1969, p. 9. Controversa la posizione del giornalista che da un lato chiarifica, dall’altro sostiene l’uccisione con una sbarra per mano di un dimostrante. Controverso l’accertamento perché il referto iniziale riferisce che la frattura al cranio coincide con il diametro dei tubi, ma non viene confermato.

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testa su un montante dell’auto. Dopo i fatti, del filmato si perdono le tracce, la Rai lo trasmette in una sala interna alla presenza di alcuni dirigenti e giornalisti. Riguardo alle foto, poche e non tutte nitide, i giornali pubblicano quelle in cui si vedono i tubolari sul selciato; di contro, Lotta continua pubblica quella cui si vedono i poliziotti impugnare spranghe di ferro.44 Proprio questo si legge su Stampa sera e l’Unità, entrambi avanzano dubbi sulla dinamica dell’accaduto.45 Il Paese si divide, malgrado propenda per accettare la versione delle autorità. In ogni caso, la responsabilità morale è addebitata agli organizzatori della manifestazione. La morte dell’agente favorisce anche a lunga durata il clima di sospetto sull’anarchismo e sull’estremismo rosso, diversamente da quanto avverrà qualche anno più tardi con la morte di un altro agente, Antonio Marino, ucciso nel corso di una manifestazione milanese da manifestanti dall’estrema destra. L’esito giudiziario sulla morte di Annarumma giunge sette anni più tardi, non specifica la causa della morte, non identifica i colpevoli a conferma della difficoltà di accertare i fatti.

44  Lotta continua, 29 novembre 1969. 45  «Si spera in un filmato per chiarire la morte dell’agente Annarumma», in Stampa Sera, 28 gennaio 1970, p. 2

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III PIAZZA FONTANA

1.  Piazza Fontana, il racconto È una giornata fredda e nebbiosa quella del 12 dicembre ’69, quando il centro di Milano è scosso da un boato assordante. La deflagrazione è smisurata, fa tremare i vetri dei palazzi, tra i milanesi si diffonde la voce che sia scoppiata una caldaia della Banca nazionale dell’agricoltura. L’orologio appeso alla parete del salone della banca si ferma alle 16:37. Dopo il boato assordante, un silenzio irreale avvolge Piazza Fontana, dove quel pomeriggio era scoppiata una bomba.46 Una bomba che cambia tutto in fretta. Quel venerdì pomeriggio di dicembre la città aveva indossato l’abito nero del lutto, spento le luci natalizie, bar e negozi avevano tirato giù le saracinesche. Contemporaneamente, altre due bombe esplodono a Roma,47

46  La bomba esplosa nella Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana uccide 17 persone e ne ferisce 90. 47  Nello stesso giorno, a Milano, in Piazza della Scala viene trovata una

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ma negli ultimi mesi, solo a Milano troppi erano stati gli attentati dinamitardi. Un velo luttuoso cala su tutto il Paese, sono sospesi Carosello e Canzonissima. Con un’espressione visibilmente sconvolta, il presidente del Consiglio dei ministri, Rumor, a capo di un Governo monocolore democristiano, dalla televisione di Stato dà lettura di un messaggio alla nazione. I politici sono preoccupati, non pochi vorrebbero la proclamazione dello Stato d’emergenza e l’applicazione di misure eccezionali, seriamente impensierito anche il ministro degli Esteri, Moro, in quei giorni a Parigi. Milano s’inchina reverente alle vittime innocenti e prega pace: questa la scritta che campeggia su un cartello listato di nero sul portale del Duomo, lunedì 15 dicembre, la mattina del funerale pubblico. Come smarrita, in una calma irreale, la città assiste attonita al cordoglio generale, guarda muta le bare fasciate dal drappo tricolore, che sono portate a spalla dentro la cattedrale. Una folla sgomenta e sconvolta su cui grava un silenzio agghiacciante. Tanta, tanta gente comune affolla il sagrato, ha il viso commosso e gli occhi lucidi. Molti, tra i presenti, trattengono a stento le lacrime. Ci sono migliaia di persone, studenti, giornalisti, rappresentanti parlamentari, autorità, il sindaco di Milano, Aldo Aniasi, il presidente della Camera, Sandro Pertini, il ministro dell’Interno, Francesco Restivo. Dopo quel lunedì di dolore, il silenzio lascia presto il posto alla rabbia e alla paura. Nel frattempo, si verificano fermi e perquisizioni anche a Roma, si cerca nell’ambiente dell’estremismo di sinistra e di de-

bomba inesplosa, altre due bombe scoppiano a Roma, all’Altare della patria e nella Banca nazionale del lavoro di via Veneto.

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stra. A Milano, la polizia passa rapidamente in rassegna la sede della Giovane Italia (organizzazione giovanile del MSI) e quelle di Lotta continua, dell’Unione marxista-leninista e dell’Associazione maoista Italia-Cina, i ritrovi e i circoli anarchici. Il caso è affidato al commissario Luigi Calabresi. Il dottor Antonino Allegra, commissario capo, dirigente dell’Ufficio politico, riceve l’ordine di far setacciare i ritrovi, e di portare gli estremisti in commissariato per gli interrogatori. Da subito, la questura si orienta a ritenerla una strage di matrice anarchica. È arrestato un anarchico già schedato e noto alla polizia, Pietro Valpreda. «L’è lu’!» (è lui!) dichiara convinto il tassista milanese Cornelio Rolandi. Qualche giorno più tardi, a Roma, in un ufficio del palazzo di giustizia, lo riconferma in un confronto all’americana, in cui sostiene di aver accompagnato sulla sua Seicento multipla il passeggero “sconosciuto”, il pomeriggio del 12 dicembre davanti alla Banca dell’agricoltura: il passeggero aveva con sé una borsa di pelle, e che aveva fatto ritorno qualche minuto dopo privo di borsa. Tornerà sempre quel passato. Lo so. Ci ho fatto il callo mentale. Ecco, vede, Piazza Fontana è il nodo di questa Italia, è dove la nostra storia svolta. Quei sedici morti, quei centomila coinvolti e gli anarchici e i fascisti e i Servizi segreti e lo Stato e i giornali e i processi senza verità: tutto comincia da lì, da Piazza Fontana, 12 dicembre 1969. E io? Io per un verso e per l’altro ci continuerò a inciampare. Sinché campo. Ue’, sarà che sono un predestinato, sarà che sono sfigato, ma è così.

Questa è la dichiarazione “del Valpreda”, come viene chiamato in quel periodo, rilasciata ventitré anni più tardi. «Parlare di 71

Piazza Fontana è come parlare di me. La mia storia e quel 12 dicembre sono una cosa sola.»48 Fra i fermati alla Questura di Milano anche un pacifista convinto, di fede anarchica, è il ferroviere Giuseppe Pinelli. Un uomo bruno, malvestito, non per seguire la moda di strada, come si usava al tempo, ma perché lo riteneva irrilevante; un intellettuale che educava gli operai. Anche Calabresi è bruno e di bell’aspetto, porta le basette larghe e veste “moderno”, sotto la giacca indossa il pullover di lana con il collo alto, è di convinta fede cristiana, ha modi garbati e la voce pacata. Sono giorni e ore cariche di tensione. Nell’immediato si confondono il movente, l’area di riferimento e i colpevoli, ma un dato è evidente: inizia un’indagine interminabile. La ricostruzione della questura appare forzata, non sembra si lavori per trovare le responsabilità oggettive, si seguono piste investigative poggianti su facili ed elementari assiomi, se tutto porta agli anarchici, sono stati gli anarchici. Questa l’iniziale ricostruzione: la stanza di Calabresi, al quarto piano del palazzo, è avvolta nel fumo, la finestra socchiusa, Pinelli è trattenuto per essere interrogato oltre i limiti di legge, è sottoposto a uno snervante interrogatorio, all’improvviso si fionda sulla finestra della stanza e precipita nel vuoto. Calabresi è temporaneamente assente, trattenuto nella stanza del capo della politica, Allegra. Maldestri sembrano i tentativi della questura di giustificare l’accaduto, quanto quelli di far ritenere Pinelli il diretto colpevole della strage. Quella sera stessa, sono i cronisti del Corriere della Sera ad avvisare Lucia, la moglie di Pinelli, che il marito è stato portato

48  Intervista in La Stampa, 18 settembre 1992, p. 9.

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all’ospedale Fatebenefratelli; Calabresi, di fronte ai giornalisti che gli chiedono il resoconto del tragico fatto, è invece imbarazzato e pallido. Il questore del capoluogo lombardo, Marcello Guida, non sembra invece impacciato quando dichiara ai giornalisti, in riferimento a Pinelli: «Era fortemente indiziato […]. Il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa, e si è lanciato nel vuoto». Il caso è risolto. Il presidente della Repubblica Saragat sembra se ne rallegri inviando al questore Guida un telegramma. Il caso non è risolto.

2.  Così i giornali e la televisione di Stato Torniamo alla vigilia della strage. Il giorno prima è in edicola Epoca, in copertina sventola il tricolore, all’interno l’articolo di Pietro Zullino pone l’interrogativo, privo di risposta ma orientante, su cosa possa accadere in Italia. I giornali esteri, fra cui Le Figaro e Stern, seguono la stessa onda. Tracciano uno scenario molto preoccupante, il quadro di un’Italia sull’orlo di una guerra civile. Il tedesco Der Spiegel propone l’intervista ad Almirante: un chiaro sintomo della preoccupazione rossa avvertita fuori confine che la Germania vorrebbe scongiurare. Il 14 dicembre era previsto a Roma un raduno organizzato da ON insieme al MSI con un comizio del suo segretario. L’inchiesta di Salvini sulla strage di Piazza Fontana stabilirà che la manifestazione è parte di un’unica operazione poli73

tica.49 Dato confermato dalle testimonianze di alcuni ordinovisti50 e da Vinciguerra, l’ordinovista e avanguardista catanese dal profilo del terrorista anomalo: in vista dell’arresto per l’episodio eversivo di Ronchi dei Legionari a Gorizia – per cui verrà condannato in Appello –, con la complicità della rete anticomunista internazionale attraverso l’agenzia Aginter Press di Serac, espatria in Spagna, dove conosce Delle Chiaie. Convinto dell’esistenza di una collusione tra ON e gli apparati militari e di intelligence italiani, aderisce ad Avanguardia; da latitante si spostain Cile e in Argentina. Inaspettatamente, anni dopo si costituisce e rivela lo schema di una struttura eversiva simile a Gladio.51 Motiva questa scelta ideologico-politica come nata dal convincimento dell’inesistenza delle condizioni per continuare la lotta armata e supportata dalla determinazione a voler rendere pubblici i rapporti dell’eversione nera con gli apparati dello Stato.52 49  TriMi, Sent. Ord., Guido Salvini, cit., pp. 209-211. 50  Gli ordinovisti Giuseppe Fisanotti, Giampaolo Stimamiglio raccontano che ne hanno conoscenza da una confidenza dei fratelli Ventura, Giovanni e Luigi. 51  La quarta istruttoria del processo relativo alla strage di Piazza Fontana volta ad accertare le relazioni fra Delle Chiaie e la P2, non giunge ad alcuna conclusione. 52  Questa posizione è confermata anche nell’intervista a Zavoli. In Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Rai 1, 1990. Dubbi sono stati sollevati sulla sua attendibilità. Per il giudice Casson, l’attentato di Peteano (di cui si parla fra breve) rientrerebbe nelle operazioni occulte di Gladio, l’esplosivo utilizzato proveniva da un deposito Nasco, in questa logica, Vinciguerra era un “soldato” e non puro nazional-rivoluzionario. A riguardo della sua confessione al processo per la strage di Peteano, in cui spiega i motivi della sua scelta e la linea seguita dai responsabili delle stragi nere, si veda anche Franco Ferraresi, Minacce alla democrazia, Feltrinelli, Milano 1995.

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Nella serata della bomba, a sorpresa negli studi Rai il presidente del Consiglio Rumor legge durante il telegiornale il suo messaggio di cordoglio alla nazione. Diffuso nei due canali televisivi e alla radio, e rimandato nel tg della notte. La linea filopresidenziale è chiara: reclama un’azione fermissima nell’individuazione dei colpevoli. Saragat sceglie invece di non comparire, inviando il suo comunicato, un messaggio rassicurante e nel contempo una lettura orientata degli eventi che riflette la sua paura dell’anarchismo. Una linea incline al suo filoatlantismo. Al tempo, le dirette sul luogo sono ancora rare, così le riprese in esterno; la Rai manda in onda il servizio registrato da Milano. Il tono del giornalista, dal volto serio, è mesto, legge a bassa voce. Della strage compare l’interno buio della banca, il salone devastato, il buco nero lasciato dalla deflagrazione. È un’immagine unica, presente nel telegiornale e nelle testate, consacrata simbolo della strage di Milano. I giornali riprendono il messaggio televisivo, rilanciando l’impegno fermo del Governo. Di massima, seguono la linea presidenziale, riferiscono notizie simili, funzionali allo scopo: generare paura collettiva. Attraverso l’etere corre il linguaggio della strategia della tensione. Corre tanto come si denota nei giorni successivi in cui in prevalenza dominano gli articoli orientati allusivi alla pista anarchica. Nella stampa la documentazione fotografica è marginale compare una foto standard, quella dell’emiciclo della banca che racchiude il salone degli sportelli, a terra si vedono i detriti e l’immagine scattata dall’alto che fotografa il buco lasciato dalla deflagrazione che diventa il simbolo nero della strage. In alcuni casi anche quella che ritrae il capitano dei carabinieri e quella del cappellano che benedice cadaveri; e soprattutto iniziano a campeggiare le foto di Valpreda, il “colpevole”. La maggior parte degli articoli utilizza un corredo linguisti75

co simile, ricorrono gli stessi aggettivi: bestiale, orrendo, efferato, sgomenta in riferimento alla nazione. Soprattutto nei titoli di apertura. Nell’occhiello il quotidiano Roma delinea subito la sua linea editoriale intitolando: «Un’ondata di anarchia si abbatte sul Paese»; non stupisce: è di proprietà di un polliano. La polizia di fatto – sappiamo – ha evitato di indagare su ON e su AN. La linea dei quotidiani più diffusi è pressoché uniforme: invocano tutti leggi di emergenza. Nei giorni successivi si possono individuare due linee: la maggioritaria, che crea nell’opinione pubblica un sentimento di riprovazione nei confronti della violenza anarchico-cinese, seguita dal Corriere della Sera di Giovanni Spadolini che porta avanti la linea filogovernativa. E quella minoritaria di giornali come Il Giorno, che usa il termine «provocazione»; Giorgio Bocca scrive che la strage di Piazza Fontana è una «strage di provocazione»; l’Unità mette in guardia il lettore sulle trame che si stanno ordendo contro la democrazia provenienti dalla destra estrema. Il milanese La Notte sceglie di non mettere la foto e in prima pagina, a caratteri cubitali scrive il numero dei morti. La Stampa di Alberto Ronchey tratteggia una riflessione sulle dinamiche articolate della strategia della tensione e nell’immediato appare il lungimirante commento di Carlo Casalegno, voce fuori dal coro sempre del quotidiano torinese: «Aspettiamo le sentenze della magistratura».53 La cerimonia funebre è trasmessa dalla Rai, va in onda sul primo canale in diretta alle 11:00, ritrasmessa nell’edizione se-

53  Alberto Ronchey, «Ne usciremo», in La Stampa, 14 dicembre 1969, p. 1; Carlo Casalegno, «Prenderli a ogni costo», in La Stampa, 13 dicembre 1969, p. 1.

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rale e giorni dopo nel settimanale Tv7 di Sergio Zavoli, sul primo canale con un corredo di immagini ampliato, le riprese che indugiano sui volti delle persone da cui traspare dolore e incredulità. I quotidiani dei giorni immediatamente successivi continuano a seguire le linee editoriali già definite, usando termini fortemente indicativi: feroci, belve, disumano, mostruoso, sangue, dolore, orrenda strage. Il Corriere della Sera titola: «Milano in lutto. Le belve sono ancora tra noi».54 È in linea con l’apertura del giorno precedente, che titolava: «Orrenda strage a Milano, 13 morti e 90 feriti». In basso si leggeva: «Difendere la libertà». L’Unità scriveva invece: «Attentato a Milano: 13 morti e 90 feriti», in basso: «Le bombe inesplose». Il Giorno a caratteri cubitali: «Infame provocazione»; La Stampa: «Un piano terroristico in Italia? Strage a Milano: 13 morti, 91 feriti. Tre bombe anche a Roma: 16 feriti». Da tutte le letture, quelle più orientate e quelle “neutre”, si evince la percezione comune di profondo disorientamento. Non mancano le testate che chiamano in causa il PCI, che tacitamente appoggia l’estremismo, ma l’impostazione principale è che in genere le percezioni, le supposizioni diventano la constatazione dei fatti. Sempre i quotidiani, il giorno dei funerali, preannunciano una svolta nelle indagini: alla maggioranza dei giornali di opinione appare tutto chiaro, così per la Rai. “Chiaro” vuol dire che Pinelli si è suicidato e Valpreda è il colpevole di Piazza Fontana. Questa è la linea comune di più testate come il Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno. Diversamente fa La Stampa, che in 54  Edizione del 14 dicembre 1969.

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coincidenza dell’arresto di Valpreda mantiene la sua linea coerentemente prudente.55 Prima di proseguire sulle modalità informative relativamente ai due fatti fondamentali – l’arresto di Valpreda e la morte di Pinelli –, un inciso sulla Rai, premettendo di fare uno sforzo rappresentativo nel contestualizzarla esattamente nel periodo in cui si verifica l’evento, ovvero nel 1969, quando le notizie fanno veramente scalpore e incidono come un bisturi sulla realtà. Il telegiornale delle 13:30 del 16 dicembre in apertura dà la notizia della morte di Pinelli. È la notizia del giorno, si accredita la linea della questura del suicidio. Nello stesso giorno, durante la diretta del tg serale, è data la notizia shock: «Un anarchico appartenente al gruppo anarchico 22 marzo è stato riconosciuto da un testimone»; a quel punto dà la linea a un giovanissimo Bruno Vespa che, da incauto giornalista, dalla Questura di Roma dice: «Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili della strage, delle stragi […]. La notizia, la conferma, è arrivata un momento fa, qui nella Questura di Roma». Un secondo collegamento fa vedere gli uomini in divisa, seri e soddisfatti dell’operazione dall’esito vincente. Riguardo alle immagini sui quotidiani, anch’esse giovano a completare il quadro della sua colpevolezza. Sono le stesse in tutti i giornali. Sul Tempo del 18 dicembre troneggia la foto segnaletica di Valpreda, Il Gazzettino propone la versione beat generation, un’istantanea – probabilmente proveniente dall’Ansa – che lo ritrae mentre protesta davanti al palazzo di giustizia di Roma contro la detenzione di alcuni anarchici arrestati. Indossa un giubbotto sportivo, è spettinato, ha un medaglione al col-

55  Carlo Casalegno, «E adesso piena luce», in La Stampa, 17 dicembre 1969, p. 1.

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lo con la A di anarchia, e soprattutto è intento a fare il pugno chiuso. C’è tutto, tutti gli strumenti da manuale della guerra psicologica di cui si servono i grandi giornali; così in molti articoli risuona una sorta di “morte all’untore”. Persino di “mostro”. Così su Roma: «Il mostro è un comunista anarchico ex ballerino della televisione: arrestato».56 Sul Corriere della Sera: «Una molla lo ha trasformato in un mostro. Ma non sappiamo ancora quale», «una vita che si schiude al carcere con il marchio di una colpa mostruosa».57 E ancora, sempre il Corriere: «Valpreda, fallito come pittore e ballerino. era finito in un gruppo di anarchici»; lo stesso giorno in prima pagina si legge: «Un’utopia che si nutre di violenza».58 Si mette in evidenza il complotto dei comunisti anarchici, con considerazioni dirette a colpire un intero gruppo politico. Sulla stessa linea dei giornali politicamente schierati che vogliono puntualizzare il legame con il comunismo, traendo spunto dalla foto in cui Valpreda saluta con il pugno chiuso, Il Secolo d’Italia scrive: «Il saluto degli assassini». Non manca chi associa l’anarchia alla criminalità. Il Messaggero scrive: «Arrestati i criminali». Il Corriere della Sera torna a stigmatizzare l’efferatezza del colpevole: «La furia della bestia umana». In questa panoramica si distinguono Il Giorno, Paese Sera, La Stampa, l’Unità; quest’ultimo sceglie una foto di Valpreda di qualche anno prima.

56  Giuseppe Marrazzo, «Il mostro è un comunista anarchico ex ballerino della televisione: arrestato», in Roma, 17 dicembre 1969, p. 1. 57  Mario Cervi, in Corriere della Sera, 17 dicembre 1969, p. 3. 58  Corriere della Sera, 17 dicembre 1969.

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Torniamo a Pinelli e a Valpreda. Nei giornali generalmente le due figure, presentate da molti come “vecchi amici”, sono accostate. L’Unità dedica alla morte di Pinelli più spazio corredando gli articoli di foto; l’articolo «Fare luce sulla morte di Pinelli» funge da indicatore per quanti vogliono comprendere cosa veramente sia accaduto, differentemente dalle altre testate che avvolgono la sua figura di un alone di sospetti fatti di ma e di forse. Così sulla Stampa Carlo Rossella: «I due anarchici milanesi si conoscevano perché la polizia li ha subito sospettati. Forse ci siamo».59 È un articolo ondeggiante, un po’ vorrebbe chiarire, un po’ riferisce “sensazioni” e dati parziali. Per quanto attiene ai gruppi anarchici, il gruppo di Ponte della Ghisolfa (al quale appartiene Pinelli) nella conferenza stampa del 17 dicembre dichiara nettamente che Pinelli è stato ucciso e Valpreda è innocente. Le testate moderate pongono il distinguo tra i due anarchici, mentre un nutrito gruppo di giornali fa propria la linea colpevolista. Il più eclatante è Roma, che segue pedissequamente la linea della questura: Pinelli si è tolto la vita dopo aver confessato. Il Corriere della Sera in apertura, a caratteri cubitali, scrive: «Perché si è ucciso?». Il Resto del Carlino e Il Giornale d’Italia riferiscono invece che potrebbe essere plausibile l’ipotesi che Valpreda abbia dato a Pinelli l’esplosivo, quindi stabiliscono una precisa connessione fra i due. Queste testate si muovono per avvalorare la pista anarchica.60 A una settimana dal59  Carlo Rossella, «I due anarchici milanesi si conoscevano», in La Stampa, 17 dicembre 1969, p. 1. 60  Livio Pesce, «Un anarchico arrestato per la strage», in Il Resto del Carlino, 17 dicembre 1969, p. 1; Marcello Marocco, «Il tassista lo ha riconosciuto senza nessuna esitazione», in Il Giornale d’Italia, 17-18 dicembre 1969, p. 2.

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la strage, il 18 dicembre, sono emessi sei ordini di cattura per strage nei confronti di Pietro Valpreda, Mario Merlino, Emilio Borghese, Roberto Mander, Emilio Bagnoli, Roberto Gargamelli. In coincidenza con l’arresto, i giornali propongono le ricostruzioni dettagliate dei fatti, degli interrogatori, delle bombe, esplose e inesplose. Valpreda è indicato come indiziato principale, definito “esaltato, mitomane, parolaio”. Merlino è accusato e accusatore, una figura enigmatica, prima estremista di destra e poi di sinistra, ritenuto un collaboratore della polizia, è lui che per primo durante l’interrogatorio fa il nome dell’estremista nero Delle Chiaie, riferendo di averlo incontrato proprio venerdì 12 dicembre (il pomeriggio della bomba); Borghese, il fatidico pomeriggio, transita per caso dalla piazza, è il figlio di un alto magistrato della Corte di Cassazione; Mander transita da piazza Venezia subito dopo lo scoppio delle bombe; Bagnoli, l’amministratore del circolo anarchico, confessa di aver sentito parlare di un deposito di esplosivo, la cui ubicazione è nota a Valpreda; infine Gargamelli, figlio del cassiere centrale di quella banca, è riconosciuto in una foto segnaletica da un testimone volontario che riferisce fosse nei pressi della piazza (dopo l’incriminazione, nel confronto non è riconosciuto dal testimone). Dopo le prime confessioni del 15 dicembre, scatta l’operazione Valpreda: tre agenti si presentano in casa di sua zia Rachele per cercare Pietro. Nel primo interrogatorio di lunedì 12 dicembre fornisce un alibi: era febbricitante a letto a casa della zia; nega di essere stato quel pomeriggio nei pressi della banca e di aver preso un taxi.61 Ammette di conoscere Borghese e a ri61  L’alibi per il pomeriggio della strage e dei due giorni (13 e 14 dicembre ’69) successivi sono apparsi fragili, la zia e i familiari che li hanno avallati sono stati accusati di falsa testimonianza.

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guardo dell’esplosivo racconta che nell’ambiente dei militanti si sapeva che in alcune zone romane sulla Tiburtina era conservata dinamite, come gli era stato detto da Ivo Della Savia. Riporto una dichiarazione di Borghese (rilasciata durante l’interrogatorio del 16 dicembre) sulle azioni dimostrative contro le banche: «Dovevamo dimostrare che gli anarchici vogliono una società non basata sul capitale, ma sulla fratellanza fra i vari individui»; in quest’ottica, nell’ottica anarchica, gli attentati dinamitardi dimostrativi sono per questo diretti contro obiettivi «che rappresentano istituzioni che riteniamo sbagliate». Valutata isolatamente è una considerazione pericolosamente compromettente, soprattutto se poi, come avvenuto, non è da subito collocata nel contesto politico più ampio e sfaccettato. Ci si chiede: perché tutto si concentra su Valpreda? Per gli indizi, per la dichiarazione del tassista Rolandi, per la sua biografia che non aiuta ad assolverlo, anzi è funzionale alla costruzione a tavolino del “colpevole”, perché presenta episodi utili, come l’aver fatto parte degli Iconoclasti il cui motto era “sangue, bombe e anarchia”, per alcune frasi sconvenienti come “il papa alla ghigliottina”, per essere stato allontanato dal circolo Bakunin, per aver poi fondato il circolo anarchico 22 marzo, perché è anarchico da troppo poco, e ancora, perché è un comunista borderline, e ancora perché non ha un lavoro stabile, qualche piccolo precedente per tentata rapina e contrabbando, ha lavorato come figurante anche in Canzonissima, informazione questa usata per contrastare la TV di Stato. Voce dissonante è quella di Bocca, che lo descrive come un esaltato, ma non uno stupido che fa da solo un grosso attentato; avanza dubbi sulla ricostruzione, gli stessi che sono esposti sulle pagine dell’Unità. Altro aspetto da segnalare è come viene presentato all’opinione pubblica: Valpreda è un ballerino. C’è chi scrive ex bal82

lerino, il ballerino dinamitardo, il ballerino anarchico. Una presentazione che serve per indicare che non ha una professione stabile, non ha una famiglia, non è stato in grado di farsene una.62 Dati che hanno un effetto boomerang, allusivi nell’indurre l’idea di una persona poco credibile. Altre testate richiamano invece la componente più politica, le sue presunte relazioni con il PCI, allo scopo di rimarcare il legame fra anarchismo e marxismo già adombrato nei giorni della bomba. Valpreda come esempio negativo permane per lungo tempo. Sulla Domenica del Corriere, supplemento del Corriere della Sera, in riferimento ai fermati a Roma per concorso in strage si legge: «Tutti senza padre o senza madre». Nell’articolo è ricostruita la biografia degli arrestati e si sottolinea come, per una cruciale coincidenza, i sospettati siano tutti orfani di padre o di madre, e che questa situazione familiare parrebbe essere la motivazione delle loro scelte di vita pericolose. Si legge affetti da «guasto psicologico», che potrebbe aver provocato «questa condizione».63 A un mese dal fatto, in un bilancio dell’anno 1969, così Indro Montanelli: «Il 12 dicembre un’infame strage piombava il Paese nell’orrore. Tre giorni dopo la cittadinanza milanese rispondeva con un superbo spettacolo di contenuta commozione e di virile fermezza».64 È un articolo dal lessico retrò, memore del

62  Umberto Panin, «La vita sbagliata di Pietro Valpreda», in Corriere della Sera, 17 dicembre 1969, p. 8; Enzo Tortora, «Un solitario dall’aspetto beat», in Il Resto del Carlino,17 dicembre 1969, p. 3. 63  Luigi Cavicchioli, «Tutti senza padre o senza madre», in Domenica del Corriere, 6 gennaio 1970, p. 24 e sgg. 64  Indro Montanelli, «La strage di Milano non deve provocare un caso

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regime, come rivelano i termini superbo spettacolo, contenuta commozione, virile fermezza. È questo il quadro di un Paese sotto pressione. Così si apre al nuovo anno, il 1970. È un’Italia che cerca di capire, di trovare la spiegazione dello sbandamento giovanile. Un’Italia impreparata e preoccupata. Disarmata e impotente. La madre di Emilio Bagnoli, uno dei fermati, dirà: «Nella sua stanza non hanno trovato bombe, non hanno trovato libri cattivi, hanno trovato il Vangelo, una storia degli Stati Uniti d’America e un album di Topolino».65 È un’Italia semplice, se l’interrogativo di costume è: indossare la gonna mini o maxi, la gonna corta o lunga? Se segue con trepidazione il processo di beatificazione a padre Pio da Pietrelcina, il frate delle stigmate, che divide l’opinione pubblica fra cultori del sacro e del profano. L’immagine che ci viene consegnata è di un’Italia schizofrenica, un ritratto che sembra stridere con i cortei e le bombe in strada e la tranquilla quotidianità nazionale fatta di gusti semplici. Un’Italia moralista ma garbata, come la voce suadente delle “signorine buonasera” che presentano i programmi serali, che canticchia i ritornelli pubblicitari, ripete quelli di Carosello, rubrica pubblicitaria quotidiana preserale, amata dai bambini, che propone siparietti musicali e teatrali. Lo realizzano, tra gli altri, grandi registi, fra cui Pasolini e Fellini, vi si alternano attori importanti. In televisione si mandano i gialli dell’investigato-

Drefyus», in La stanza di Montanelli, La Domenica del Corriere, 13 gennaio 1970, p. 4. 65  Luigi Cavicchioli, «Tutti senza padre o senza madre», in La Domenica del Corriere, 6 gennaio 1970, p. 25 e sgg.

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re Nero Wolfe e di padre Brown, con l’attore Renato Rascel; il giovedì sul primo canale Tribuna politica, curata da Jader Jacobelli, un dibattito aperto anche ai rappresentanti dei partiti, che vuole informare e creare una sensibilità politica. Sempre il giovedì va in onda Rischiatutto, il gioco a premi con Mike Bongiorno affiancato da una valletta muta, e il sabato sera il consueto varietà, Signore e signora con Delia Scala e Lando Buzzanca. Ma in questo quadro ci sono le bombe. Il clima di paura è presente da mesi, si ricordano gli articoli sull’Unità di aprile, le espressioni «psicosi della paura» e «fabbrica della paura» sull’Espresso. Queste espressioni offrono lo spunto per un inciso proprio in merito alla strategia della tensione. Si è già fatto riferimento al giornale britannico The Observer che è il primo ad adoperarla in un articolo all’indomani di Piazza Fontana. In Italia il primo a farla propria è l’Avanti!, gli altri rigettano l’idea che vi sia la volontà di Giuseppe Saragat e di aree del suo partito di virare verso destra. A un anno dalla strage di Piazza Fontana si è lontani dalla verità. L’inchiesta è lontana dalla conclusione, si cercano i mandanti e i complici, ma nell’opinione pubblica prende corpo una verità perfettamente modellata, l’idea che a organizzare la strage sia stata l’area anarchica e il circolo romano 22 marzo. È questo il dato inequivocabile che emerge dalla lettura dei quotidiani e settimanali; molti riportano come “retroscena romanzeschi” le ipotesi delle differenti matrici politiche delle esplosioni.66 Le carte processuali della difesa riferiscono che i fermati possano essere vittime di una macchinazione e che la matrice della strage andrebbe cercata nel terrorismo internazionale. Lo

66  Giorgio Bensi, «In Piazza Fontana la bomba scoppiò prima del previsto», in La Domenica del Corriere, 27 gennaio 1970, p. 20 e sgg.

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stesso Maletti, responsabile dell’Ufficio settore D controspionaggio del SID, nel 2009 dirà che i veri responsabili della bomba di Piazza Fontana si sentivano minacciati. Non va dimenticato che funge da sfondo di tutte le azioni stragiste, a partire proprio da Milano e da estendere a tutto il percorso degli anni di piombo, la presenza dei due orientamenti chiave in lotta fra loro, quello nato all’interno dei Servizi con il generale Vito Miceli legato all’estrema destra, e quello opposto del generale Maletti che si è mosso con finalità centriste e presidenzialiste, affinché in Italia si preservasse l’ossatura democratica previa l’opera di “silenziamento” dei comunisti e dei sindacati. Tornando all’episodio in sé: è difficile ricostruire un fatto, soprattutto quando non si vuole sia ricostruito, potremmo aggiungere.

3.  Così la controinformazione Nel frattempo anche la controinformazione ricostruisce gli eventi. Escono i libri Le bombe di Milano e poi Strage di Stato,67 entrambi del ’70; quest’ultimo è un lavoro nato da due redazioni giornalistiche di Milano e Roma, cui partecipano giornalisti, militanti, sindacalisti, docenti universitari; raccoglie anche le schede sugli esponenti dell’eversione nera. L’estensore è Ga-

67  «La Strage di Stato», a cura di Marco Revelli e Sonia Vitozzi, (Forum) in Indice, n. 9, 1988.

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briele Invernizzi, ma è un lavoro composito che si avvale delle informazioni del SID, informazioni ricevute allo scopo di mettere in evidenza la relazione fra l’UAARR e Avanguardia. L’indagine non raggiunge l’individuazione degli esecutori, perché ancora mancava il tassello della cellula veneta di ON; si legge che Calabresi è presente al momento del volo di Pinelli dalla finestra. Il passaggio di informazioni del SID alla controinformazione trova riscontro nell’audizione di Andreotti, che lo ammette alla Commissione parlamentare.68 Nel lavoro si denuncia anche il ruolo di Michele Sindona in qualità di sovvenzionatore dei fascisti. E ancora due lavori illuminanti: Cederna, Pinelli, una finestra sulla strage e Marco Sassano, Pinelli, suicidio di Stato. Se ne occupano anche le Brigate rosse, che raggiungono questa tesi: Valpreda è l’esecutore materiale con gli appoggi del circolo anarchico di Ponte della Ghisolfa e di Pinelli che, resosi conto del fatto, si uccide. La loro indagine è pubblicata sulla loro rivista Controinformazione, fra le carte sequestrate dai carabinieri nel covo milanese di Robbiano di Mediglia nell’ottobre ’74. Più che una ricostruzione è un insieme di opinioni.69 È noto, Val-

68  Commissione parlamentare d’inchiesta “Sul terrorismo e sulla cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” istituita con la legge 17 maggio 1988 n. 172, presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino, operante fino al 2001. Si è occupata dell’inchiesta SIFAR, Gladio, Ustica, del terrorismo in Alto Adige e del caso Moro, nello specifico della documentazione rinvenuta il 9 ottobre ’90 nel covo br di via Monte Nevoso a Milano. Nel proseguo la Commissione verrà indicata con l’abbreviazione CpiTS. Audizione di Giulio Andreotti seduta del 17 aprile 1997, p. 513. 69  Secondo Aldo Giannuli, considerando che la rivista è finanziata dal Mossad israeliano, il risultato potrebbe essere condizionato dalla volontà di inquinare i fatti. In Aldo Giannulli, Bombe a inchiostro, Rizzoli, Milano 2008, p. 333 e sgg.

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preda non è amato a sinistra, nell’ambiente rosso è ritenuto “un ballerino drogato, un ricattato”. Un’altra inchiesta, avviata da Avanguardia, raggiunge invece esattamente l’esito contrario di quella brigatista, il colpevole non è Valpreda.70 Nell’ambito della controinformazione rientrano i film-denuncia: Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, che racconta la condanna a morte di due anarchici innocenti accusati di rapina e omicidio nel 1920 a Boston, 12 dicembre di Pasolini, scritto in collaborazione con Lotta continua e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. E ancora per il teatro, Dario Fo e Franca Rame in Morte accidentale di un anarchico, e Pum, pum! Chi è? La polizia! che ripercorre i fatti dal ’69 al ’72 da una stanza dell’Ufficio Affari Riservati. Il film di Liliana Cavani Galileo ne anticipa i temi, ma anche in tempi recenti si continua a ripensare ai fatti.71

70  CpiTS, 13 L., audizione di Stefano Delle Chiaie, 16-17 1997, cit., p. 1008. 71  Marco Sassano, Pinelli. La finestra chiusa. 40 anni dopo, Marsilio, Venezia 2009. Sassano, giovanissimo scrive per l’Avanti, è molto informato sul caso Pinelli. Imperdibile il lavoro di Marco Nozza, Il pistarolo, Il Saggiatore, Milano 2006. In tema di piste anarchiche anche Camilla Cederna, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, Corrado Stajano, Ermanno Rea. Marco Fini in Le bombe di Milano, Guanda, Milano 2006; Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Ponte alle Grazie, Milano 2012; Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio, Palermo, 2009.

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4.  Pinelli, quel volo nella storia Quella sera a Milano era caldo, ma che caldo, che caldo faceva. Brigadiere, apri un po’ la finestra. Ad un tratto Pinelli cascò…72

La vicenda della morte di Pinelli è nebulosa sin da quella tragica sera. Con il passare dei giorni assume carattere inquietantemente misterioso. Alcune testate nazionali raccontano della stranezza della caduta. Avviene in tre tempi, il corpo cade sul primo cornicione, sul secondo, sul terzo, infine si schianta sul selciato. Raccontano che fra i fermati c’è l’anarchico Pasquale Valitutti, che riferisce di aver sentito dal corridoio rumori sospetti provenienti dalla stanza del commissario. In tanti raccontano, le voci si accavallano e non si quietano. I quesiti irrisolti sono molti e nutrono ragionevoli dubbi, lasciando fallire ogni ragionamento logico. Forse non sapremo mai rispondere a questo quesito: cosa è accaduto la notte del 15 dicembre 1969, in quella stanza al quarto piano della questura? Una colluttazione, cui fa seguito la defenestrazione? Proviamo a pensare a due situazioni esattamente contrarie. La prima. Pinelli è turbato e stanco – è un fermo irregolare perché è trattenuto oltre i limiti –, ha un collasso cardiaco improvviso e gli agenti presi dal panico lo buttano nel vuoto. Andiamo a ritroso e scopriamo che tre giorni prima era tranquillo, tanto da seguire con il suo motorino l’auto di Calabresi

72  Ballata del Pinelli, G. Barozzi, D. Mora, F. Lazzarini, U. Zavanella.

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in questura e, qualche ora prima della morte, gli è accordato il permesso di telefonare a casa. Chiama la moglie perché avvisi i colleghi delle ferrovie, riferendo loro che sta poco bene, che in questura le cose procedono lentamente e lui teme di perdere il posto per quelle che chiama delle «stupidaggini». La seconda. Pinelli è invece un uomo impulsivo, profondamente scosso, sentendosi stretto in una morsa, colto – si disse e scrisse – da «malore attivo» pensa al suicidio escludendo la possibilità di difendersi. Se così è, cosa lo avrebbe indotto a sentirsi sconfitto? Forse la frase “a effetto”, imprudente e avventata, pronunciata da Calabresi, «Valpreda ha confessato», cui sembra faccia seguito la sua accorata locuzione: «È la fine dell’anarchia». Questa frase del commissario è da intendere come incauta o come una falsa dichiarazione per indurlo alla confessione? E incalziamo su questo versante. Come mai alla notizia del “volo di Pinelli”, Calabresi resta nella stanza di Allegri, l’ufficio della politica, e non si precipita in cortile? Si potrebbe pensare che fosse come stordito. Il “processo Pinelli”, che vede fra gli altri imputati Calabresi e Allegra, è celebrato l’anno dopo a Milano in un clima rabbioso; fuori dall’aula del tribunale è il caos, anarchici e studenti che urlano “assassino!” all’indirizzo di Calabresi. Difficile fare chiarezza.73 Nelle piazze di molte città d’Italia si susseguono gli scontri violenti fra manifestanti, estremisti di sinistra, missini e polizia, si usano spranghe e chiavi inglesi, si spara come accadrà nella primavera rovente del ’72, in cui si tengono le elezioni politiche anticipate.74

73  Il processo Pinelli si conclude nel ’75. L’inchiesta condotta dal giudice istruttore Gherardo Colombo esclude l’ipotesi di omicidio, si veda il paragrafo «Le conclusioni» del presente capitolo. 74  Si svolgeranno il 7 maggio ’72.

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I cronisti continuano a seguire il caso, come Marco Nozza, riempiono i taccuini di notizie ufficiali, confrontano versioni, seguono quotidianamente i processi, cogliendo l’incongruenza che somiglia a una bugia, dando un senso ai silenzi, alle mezze parole, agli sguardi. Il settimanale L’Espresso pubblica una lettera-appello, sottoscritta dall’intellighenzia del tempo, un testo di accusa nei confronti del commissario, ritenuto il responsabile della morte dell’anarchico. L’elenco è lungo, i firmatari sono intellettuali, politici, giornalisti; la capofila è Camilla Cederna, tra gli altri: Liliana Cavani, Federico Fellini, Giulio Carlo Argan, Natalino Sapegno, Dacia Maraini, Furio Colombo, Paolo Mieli, Norberto Bobbio,75 Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Natalia Ginzburg, Renato Guttuso, Margherita Hack, Primo e Carlo Levi, Alberto Moravia, Toni Negri, Ferruccio Parri, Pier Paolo Pasolini, Eugenio Scalfari, Lucio Villari, Umberto Eco. Nelle piazze i compagni cantano “anarchia non vuol dir bombe, ma giustizia nella libertà” e intanto si fa netta la martellante campagna contro Calabresi, ormai nome noto. Sui muri del tragitto che è solito percorrere per rientrare a casa, compaiono a caratteri cubitali le scritte: Assassino di Pinelli, Calabresi assassino. Serrate le contestazioni di Lotta continua, che dal suo settimanale rivoluzionario – poi diventato quotidiano – pubblica articoli e vignette satiriche accusatorie.76 Si rilevano le imprecisioni, le incongruenze delle dichiarazioni della questura. Si individuano i dubbi e le riserve sulla pre-

75  Norberto Bobbio e Paolo Mieli hanno dichiarato di essersi pentiti di aver firmato, Giampaolo Pansa invece si rifiutò di firmare la lettera-appello dell’Espresso. 76  «Bombe, finestre e lotta di classe», in Lotta continua, 20 dicembre 1969, p. 1.

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senza o meno di Calabresi nella stanza nel momento in cui Pinelli precipita nel vuoto, si giudicano poco ortodossi i metodi della polizia che ricorre a violenze, ricatti, sotterfugi per estorcere una confessione. Si rileva come l’autoambulanza sia richiesta alla Croce bianca prima della morte di Pinelli: al processo la difesa di Calabresi parla di un errore di trascrizione dell’orario. Le irregolarità che accompagnano l’indagine alimentano nell’opinione pubblica il convincimento che vi sia qualcosa da tener nascosto, quel non procedere del magistrato al sopralluogo sulla scena del delitto, l’esclusione del difensore di parte civile dall’autopsia e ancora il non aver ascoltato i giornalisti presenti quella sera. Calabresi è il “commissario finestra”, il “commissario karate”, il “commissario assassino”, un “uomo di successo”, “uomo della CIA”.77 In una vignetta si vede un cittadino recarsi in questura con il paracadute sulle spalle. Ci chiediamo, perché Calabresi? Perché è lui a condurre l’interrogatorio, lui a invitare Pinelli in questura, perché tutto avviene nel suo ufficio, perché “la finestra sulla strage” è quella del suo ufficio. Sappiamo che per gli anarchici il colpo di karate c’è stato, che per gli estensori di Strage di Stato, Calabresi era presente al momento del volo di Pinelli dalla finestra, forse non è andata così, ma l’attenzione si è spostata sui metodi utilizzati dalla polizia durante gli interrogatori; dei metodi violenti se ne occupano alcuni giornalisti fra cui Cederna. Lo stesso caso è sollevato, dopo qualche anno, anche per Leonardo Marino, la cui confessione è maturata dopo

77  «Il tragico volo nel cortile», in l’Unità, 10 ottobre 1970, p. 9; «Calabresi un assassino», in Lotta continua, 1 ottobre 1970, p. 13.

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diciassette giorni di interrogatori, senza che la magistratura ne fosse a conoscenza.

5.  Il Valpreda Anni più tardi, questo è il fotogramma in sequenza che torna alla mente di Valpreda: «È il pomeriggio del 15 dicembre 1969, al tramonto, non so ancora di cosa mi si accusasse, ma sento una tensione fortissima intorno a me. E poi mi rivedo una dozzina di ore dopo, quando aprono la porta, alla sera tardi, nel tribunale di Roma e mi assale la folla dei giornalisti. Vedo i lampi dei fotografi, sento le spinte, la ressa, le grida. Io, Pietro Valpreda, sono diventato un mostro«. E ancora: «Mi avevano chiamato per una stupidata:78 un volantino contro il Papa. Mia zia Rachele mi aveva detto: “Non andare, manda gli avvocati”. Se le avessi dato retta magari cambiava tutto». Quella stessa mattina, al quarto piano del tribunale di Milano, il tassista Rolandi rilascia la sua testimonianza: «L’è lu’!». Sempre Valpreda racconta: «Venne a Roma per il riconoscimento. I giudici Vittorio Occorsio ed Ernesto Caudillo mi avevano messo in mezzo a quattro poliziotti pulitini e ben vestiti. Io non dormivo da cinquanta ore, ero sporco, avevo la barba sfatta. Lui, il Rolandi, mi puntò il dito contro e disse quella frase famosa: “L’è lu’!”. Poi sull’aereo del ritorno, alla hostess disse: ‘“Oggi ho vinto la lotteria”».79

78  Valpreda si riferisce alla mattina del 15, quando viene convocato dal Tribunale di Milano. 79  La Domenica del Corriere, cit., p. 9.

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Tutto parte da quel: «L’è lu’!». Da quando, interrogato dal questore Guida, riconosce in una fotografia Valpreda come l’uomo che ha accompagnato con il suo taxi. Due mesi più tardi, quando gli viene mostrato Nino Sottosanti identifica lui come il suo passeggero. Chi è Nino Sottosanti? Un infiltrato nero nel movimento anarchico.80 L’inchiesta di Salvini definisce Rolandi «un testimone soggettivamente in buona fede ma che però ha sbagliato persona», non era Valpreda ma un militante nero che volutamente – come da manuale della strategia della tensione – gli somigliava molto.81 Il deposito sulla Casilina di cui parla Merlino – dove avrebbe dovuto esserci l’esplosivo a disposizione del gruppo 22 marzo – non si è mai rinvenuto. Facciamo il punto: si è seguita la pista anarchica su cui si è mossa da subito la questura, così l’Interpol, e, secondo copione della guerra psicologica, dalle testate d’opinione. È stato trovato un colpevole agli occhi di tutti credibile, consacrato nell’immaginario collettivo come il reo, attraverso questa “vittima” è avvenuta la demonizzazione dell’intera area politica rossa e anarchica. L’inchiesta di Salvini attesta che Valpreda è estraneo alla strage, da innocente è restato in carcere tre anni. Un ultimo tassello, che oggi chiameremmo una “trattativa”: il 23 dicembre avviene un incontro tra Saragat e Moro. Sulla veridicità dell’incontro si sono espressi in modo differente alcuni politici, Andreotti non la esclude, Cossiga la nega, la

80  Camilla Cederna, «Il tondino di ferro e fuoco», in L’Espresso, 9 giugno 1974, p. 15; Valpreda è innocente: la strage è di Stato, Comitato nazionale di lotta sulla strage di Stato, Soccorso rosso, Roma 1972. 81  TriMi., Sent. Ord., Guido Salvini, cit., p. 71. 

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Commissione parlamentare la conferma, così il giudice Salvini, così il generale Maletti del SID, così il Memoriale Moro. A pochi giorni dalle bombe di Piazza Fontana, Moro riceve un rapporto del SID che indica nell’eversione nera i colpevoli. La nota del SID riferiva che l’infiltrato Merlino è l’esecutore materiale degli ordigni romani all’Altare della patria, su ordine di Delle Chiaie che, a sua volta, ha seguito Serac. I contatti fra i due – a Roma Serac si vede con Delle Chiaie – sono in questo rapporto del SID. Il rapporto è trasmesso (non alla magistratura, ai già citati magistrati Cautillo e Occorsio) al ministro della Difesa, Luigi Gui che, con buona probabilità, ne parla a Moro. La fonte informativa originaria è identificata solo nel ’74, è l’estremista nero Stefano Serpieri (l’autore del testo sembra sia stato il maggiore Antonino Ceraolo). Qui s’inserisce l’incontro e la trattativa: Moro interviene affinché l’asse politico sia ricondotto al centro, portando Saragat ad abbandonare il suo spostamento a destra.82

6.  Il commissario Calabresi Intanto si sono radicalizzate una galassia di formazioni politiche di attrattiva sui giovani, extraparlamentari e di ultrasinistra, divise solo nominalmente: Potere operaio, Nuclei armati proletari, Prima linea, e la già citata Lotta continua, il cui braccio ar-

82  Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica, Scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Einaudi, Torino 2011, pp. 522-523; CpiTS, 13a audizione di Andreotti, xiii seduta , 11 aprile 1997, p. 471.

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mato del servizio d’ordine avrebbe maturato la decisione di uccidere il commissario.83 Il 18 maggio 1972, il giornale Lotta continua titola: «Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell’assassinio di Pinelli». Il giorno prima, il commissario Luigi Calabresi era stato freddato sotto casa.84 Trascorrono gli anni, l’interesse si placa, all’italiana, malgrado non poche fossero le buone ragioni per lasciare questi fatti sepolti, poiché per troppi italiani essi erano stati motivo di dolore; tuttavia parallelamente vi erano ragioni strumentali nel non voler trovare la soluzione, quando all’improvviso si ritorna al punto d’inizio, a quel 12 dicembre 1969. Un sasso è gettato nell’acqua stagnante, una notizia sconvolgente riporta le lancette dell’orologio a sedici anni prima. Una crisi di coscienza porta Marino ad autoaccusarsi e ad accusare altri esponenti di Lotta continua di aver ucciso il commissario. Marino, – operaio, figura carismatica nell’“autunno caldo”,

83  Nell’intervista di Enrico Mentana agli ex appartenenti di Lotta continua, Marco Boato, divenuto senatore, ed Enrico Deaglio, oggi giornalista, smentiscono che vi fosse all’interno del gruppo un braccio armato, la presenza di un nucleo paramilitare interno; cfr. Speciale Tg1, Il delitto Calabresi, a cura di Enrico Mentana, 1988. 84  Riguardo l’omicidio Calabresi, l’iter processuale è travagliato e si conclude nel 1997, con la sentenza della Corte di Cassazione che individua in Leonardo Marino e Ovidio Bompressi gli esecutori materiali, in Giorgio Pietrostefani e in Adriano Sofri, i mandanti. Sofri si è professato il colpevole morale e non il mandante; nel 2009, in un’intervista al Corriere della Sera (del 18 gennaio) Sofri si è assunto la corresponsabilità etica dell’omicidio. Ha scontato dieci anni di carcere, come previsto dal nostro sistema carcerario che prevede sconti di pena ai reclusi meritevoli. L’art. 27 della Costituzione recita infatti che la pena è finalizzata al recupero del colpevole.

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militante di Lotta continua – ritorna a quel passato, malgrado non vi sia un’apparente motivazione, perché non era indiziato e non era ricercato. Riaffiorano verità seppellite che alimentano ragionevoli dubbi. Il primo, Lotta continua matura la “pazza idea” di uccidere Calabresi e ne pianifica l’uccisione? Un gesto azzardato, compiuto da un gruppo ristretto di estremisti isolati? Il secondo, quanti giovani hanno pensato di premere il grilletto o idealmente l’hanno premuto? È risaputo che il commissario fosse pedinato, è noto che dal suo giornale Lotta continua non abbia mai condannato l’omicidio, ma i membri di rilievo del movimento smentiscono e si dicono estranei dall’esecutivo politico che avrebbe commissionato l’assassinio di Calabresi. Molti ex esponenti hanno parlato di “disumana compensazione”, come accade in guerra, e in quegli anni c’è di fatto una guerriglia e si è applicata una sorta di legge del contrappasso, compensativa. Guardandosi indietro, Sofri, ritenuto il “mandante” dell’assassinio, parla di «parole gravi, dette a cuor leggero», lasciando comprendere come l’evento sia stato un trauma per la società italiana.85 Responsabilità etica e responsabilità politica, cui segue la responsabilità giuridica, s’intersecano reciprocamente. Nonostante le incongruenze, le rivelazioni di Marino trovano conferma in quelle di altri estremisti, come Marco Donat-Cattin, nome di battaglia Comandante Alberto (figlio del senatore e ministro Carlo), Roberto Sandalo di Prima linea, detto Roby il pazzo, già nel servizio d’ordine di Lotta conti-

85  Nell’88, sulle pagine di MicroMega, Sofri scrive della situazione culturale di quegli anni, del “trauma” dell’assassinio Calabresi.

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nua e nelle successive rivelazioni di Patrizio Peci, capo della colonna torinese delle Brigate rosse.86

7.  Le conclusioni L’iter processuale è lungo e tortuoso. Certo se nei primi processi fossero state note le conoscenze acquisite nelle inchieste degli anni Novanta, Ventura e Freda, i colpevoli, sarebbero stati condannati e non si userebbe l’amara espressione di “strage senza colpevoli”. È una trama nera fitta di depistaggi e in cui si muovono tante persone, alcune già tratteggiate; ci sono inoltre Gianni Casalini – a ridosso dei fatti è riconosciuto una fonte inattendibile, ma in tempi recenti le sue informazioni sono state rivalutate – e il già citato Merlino. Ci sono i protagonisti, Ventura, neonazista, transitato dall’Azione cattolica al MSI fino a ON, restando in contatto con il PSI e la DC; è l’editore libraio nella cui abitazione è ritrovato un deposito di armi e di esplosivo; e Freda, neonazista e razzista, bello e dallo sguardo di ghiaccio, è anche lui editore, all’epoca a Padova ha una libreria in via Patriarcato, che apre il giovedì a tarda sera. All’interno si può trovare tanto materiale, nazifascista, maoista, anche quello proibito per legge. È una libreria anomala priva di vetrina con la saracinesca sempre abbassata e sul campanello reca la scritta AR: la radice di ariani,

86  Sandalo è il primo collaboratore di giustizia che spiega l’organigramma di PL, analogamente Peci, primo collaboratore di giustizia delle BR.

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Ares, aretè, aristocrazia, ovvero guerra, razza superiore e virtù militare. La casa editrice è Edizioni di Ar, in tempi recenti pubblica fra l’altro Piazza Fontana: una vendetta ideologica di autore anonimo e Fogli consanguinei, una raccolta di articoli di Michelangelo Buttafuoco con la presentazione del direttore del Foglio Giuliano Ferrara; il primo capitolo è dedicato proprio a lui, a Freda.87 Nei depistaggi (se ne occupa la Commissione parlamentare d’inchiesta del 2001) rientrano più vicende: la distruzione di prove rilevanti (la seconda bomba trovata nella Banca dell’agricoltura viene fatta esplodere dagli artificieri, impedendo la comparazione dei diversi ordigni) e la sequenza di suicidi, omicidi e incidenti. I vertici dell’UAARR (fra questi Silvano Rusomanno) si occupano della morte di Pinelli e scagionano il commissario Calabresi. Il giudice Gerardo D’Ambrosio (conduce la seconda inchiesta sulla morte del ferroviere) esprime riserve sull’operato della questura milanese, rammentando che da subito si vuole orientare sulla pista anarchica. «L’indagine non era stata condotta dai giudici. Si trattava di un’indagine condotta senza metodologia, senza professionalità, soprattutto facendosi condurre per mano dalla polizia.»88 In ogni caso, raggiunge il medesimo risultato: non ci sono prove necessarie per altro esito. Tre le piste percorse. La prima è la pista anarchica. Le indagini sono state condotte anche dal giudice Occorsio – morto per mano neofascista, ucciso da Pierluigi Concutelli.

87  Edizioni di Ar è una Casa editrice di Padova fondata nel ‘63 da Freda e dal gruppo Ar, lo scritto di Buttafuoco risale al 2002. 88  CpiTS, audizione di Gerardo D’Ambrosio, cit., p. 121 e sgg.

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La seconda è la pista neofascista congegnata da ON, da Freda e Ventura, insieme alla cellula di Roma che fa capo a Delle Chiaie. La terza è la pista nera unita agli organi deviati dello Stato.89 La pista neofascista è seguita dal sostituto procuratore di Treviso, Piero Calogero, che parte da Guido Lorenzon per arrivare a Ventura. Lorenzon è il professore dalle rivelazioni altalenanti, parla, ritratta e riaccusa; dopo qualche giorno dalla bomba di Milano (il 15 dicembre), fa delle confidenze al suo avvocato, alla fine del mese le confermerà al giudice Calogero, cui rivela il coinvolgimento di Ventura in alcuni attentati. Questi risponde producendo un alibi di ferro che accerta che quel 12 dicembre era a Roma. D’altronde al momento si sente invincibile come aiuta a comprendere il contenuto di un libretto di autore anonimo – probabilmente Freda – La giustizia è come un timone, dove la si gira, va, che Ventura regala a Lorenzon, che, a sua volta, consegna a Calogero. Ventura –dice Calogero – è un tipo prudente, si muove con l’intenzione di raggiungere l’archiviazione della vicenda, e di fatto il giudice glielo fa persino credere (tatticamente chiede l’archiviazione allo scopo di far riavvicinare Ventura a Lorenzon, sperando in altre confidenze di Ven-

89  La terza istruttoria a Catanzaro, unifica quelle di Milano e Roma, qui emerge la cosiddetta terza pista che vede il coinvolgimento dell’eversione neofascista con gli organi deviati dello Stato. Vede come imputati: Guido Giannettini, Marco Pozzan, il Generale dell’Esercito (in forza nel SID) Gianadelio Maletti, il capitano dell’Arma dei Carabinieri, Antonio Labruna (in forza nel SID) e il maresciallo dell’Arma dei Carabinieri Gaetano Tanzilli (in forza nel SID). Giannettini è assolto come Pozzan, entrambi assolti dal reato di strage, per mancanza di prove. Anche Pozzan è aiutato a espatriare. Inoltre La Bruna e Maletti, entrambi piduisti, sono condannati per il reato di falso ideologico e per favoreggiamento e fuga di Giannettini.

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tura). È grazie all’intercettazione della telefonata di Lorenzon all’Hotel Plaza che si imboccherà la pista nera. È Delfio Zorzi a collocare la valigia – acquistata in piazza del Duomo a Padova e colma di esplosivo dello stesso tipo che sarà usato a Peteano. Le indagini di Stiz, Tamburrino e Calogero saranno poi trasmesse a Milano. Dunque, Lorenzon è la chiave di volta della strage di Piazza Fontana, perché in sincronia hanno operato due forze contrapposte: da un lato c’è il giovane magistrato siciliano Calogero cui Lorenzon riferisce le confidenze di Ventura (chi è stato e come è accaduto), dall’altro ci sono i Servizi segreti che agiscono per sconfessare, meglio per depistare l’operato di Calogero. Riguardo a Calabresi. Poco prima di essere freddato, conduceva un’indagine internazionale sul traffico d’armi fra la Germania dei gruppi neonazisti e il Veneto – che potrebbe essere la stessa di cui era a conoscenza Giangiacomo Feltrinelli; le ipotesi investigative suggeriscono che il suo omicidio sia avvenuto proprio per mano nera. Al riguardo, si è parlato di Gianni Nardi,90 estremista nero, appartenente a Gladio. Altre ipotesi suggeriscono che Calabresi fosse affiliato alla massoneria; in ogni caso, le sue relazioni sull’indagine del traffico d’armi non sono state ritrovate. Andiamo a oggi. La strage di Piazza Fontana ha dei responsabili, sono gli ordinovisti veneti Ventura e Freda. Sappiamo che gli apparati di sicurezza hanno ostacolato le indagini91 e che erano al corrente

90  Gianni Nardi è morto per un sospetto incidente prima di chiarire la sua posizione. Di lui si è occupata la CpiTS. 91  Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, pp. 470 e sgg. Giusto precisare che la sua tesi delle due bombe (una anarchica e una nera) all’inter-

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di quanto si stava preparando: avevano infiltrato propri uomini chiave in ON e in Avanguardia. È indispensabile però chiarire, per non sconfinare in una facile teoria del complotto, che, a sua volta si usa per delegittimare i risultati di lavori e sentenze della magistratura, che ci si riferisce a settori deviati dello Stato. Nei gangli dell’apparato ci sono persone che hanno agito in funzione della strategia della tensione. Sappiamo che gli attentati (la bomba di Piazza Fontana e quelle inesplose) sono compiuti da ON e quelli di Roma da Avanguardia. Che la strage di Milano è pianificata e compiuta da ON. Per l’esecuzione vi sono stati aiuti e connessioni internazionali, della CIA attraverso un suo uomo chiave, Carlo Digilio, infiltrato come “armiere”. Sappiamo anche che il vento greco ha soffiato sulla bomba di Piazza Fontana, perché i fatti della Grecia hanno rappresentato un ordigno per la democrazia italiana. Nella primavera del ’69, il 18 aprile a Padova alla presenza di Freda e del suo gruppo, fra cui Ventura e Merlino, si era tenuta un’importante riunione, in cui si era deciso di pianificare altre iniziative per acuire la tensione in atto.92 Una riunione cui partecipa Rauti, esponen-

no della banca è – come emerso – smentita dalla sentenza della Cassazione: c’è stata una sola bomba, nera. 92  Nel gennaio ’72, le indagini di Calogero portano al recupero di materiale già archiviato, è relativo alle telefonate fra Freda e persone del suo giro fra cui Pozzan e Ventura, da cui si apprende che il 18 aprile ’69 a Padova vi era stato un incontro decisivo fra il gruppo eversivo e un personaggio politico, che sembrava costituire il vertice, era Rauti. Argomento della riunione: il rientro di ON nel MSI e il pensare a eventuali iniziative per accentuare la tensione in atto. Cfr. L’intervista a Pietro Calogero di Silvia Giralucci in Terrore Rosso, op. cit., p. 19.

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te della direzione nazionale del MSI e anello di congiunzione fra golpisti italiani e colonnelli greci.93 Sappiamo dei contatti internazionali, quelli del SID con l’estremismo di destra e i Servizi greci KYP. Nella pianificazione di Piazza Fontana sono infatti coinvolti i KYP, la NATO e i Servizi statunitensi tramite l’Aginter Press di Serac, che ha operato di concerto con la CIA: l’agenzia ha svolto una duplice funzione, è stata la mente degli attentati e l’anello di congiun-

93  Su mandato dei magistrati di Treviso, Rauti è arrestato il 4 marzo ‘72, scarcerato per mancanza di prove, verrà eletto deputato nel maggio di quell’anno. Freda e Ventura sono arrestati a seguito delle indagini condotte dai giudici Calogero e Stiz e grazie alle rivelazioni di Lorenzon. Il processo per la strage di Piazza Fontana passa da Milano, Roma, a Catanzaro e a Bari. Dal 1990 è riaperto nel 2005. Nel ‘92 la Procura di Milano incrimina Carlo Maggi, Delfio Zorzi, Carlo Digilio e altri appartenenti al neonazismo veneto. Inizialmente Freda e Ventura sono arrestati perché sono trovate delle armi a Castelfranco Veneto. Freda, accusato di aver preso parte all’organizzazione della strage di Piazza Fontana, è assolto per mancanza di prove; nel 1987 la Corte di Cassazione conferma la sentenza di Catanzaro e di Bari. Condannato nell’ottobre 1995 a 6 anni di carcere per il reato di ricostruzione del Partito fascista; pena confermata in Appello e ridimensionata a 3 anni nel 1999, modificando il reato in propaganda all’odio razziale. Processato e condannato nel 1999, con 6 anni di carcere, per «costituzione di associazione avente lo scopo di incitare alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali». Il 13 ottobre 2005 viene pronunciata l’ultima sentenza, la Corte di Cassazione conferma le responsabilità di Freda e Ventura. Sono colpevoli ma non giudicabili, il giudizio non va in esecuzione perché entrambi, Freda e Ventura, sono stati assolti dalla Corte d’Assise di Bari che li condanna per le bombe sui treni. La condanna ha valenza storico-etica. Ventura, che confessa il suo ruolo nei 21 attentati del 1969, negando la strage di Piazza Fontana, é condannato per associazione sovversiva in relazione agli attentati della primavera e l’estate ‘69, le bombe a Milano del 25 aprile ‘69 e le bombe sui treni del 9 agosto ‘69.

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zione fra Stay-behind e l’eversione internazionale nera. Dall’agenzia di Lisbona sono transitati tanti estremisti neri. In Italia, della rete di contatti si è occupato l’Ufficio Affari Riservati.94

8.  La scia Il sangue non è solo nella piazza, la scia si estende. Vi sono una serie di morti, potremmo dire, “misteriose”. La prima è quella dell’anarchico Pinelli, morto in circostanze poco chiare. Poi di uno studente (Saverio Saltarelli), morto durante la manifestazione milanese nel primo anniversario della strage. Ci sono le morti di otto testimoni, denunciate nell’ottobre del ’71 dal magistrato Antonio Falco, presidente della Corte d’Assise di Roma95 e l’uccisione del commissario di polizia Luigi Calabresi, il 17 maggio ’72.

94  TriMi, Sent.Ord., Guido Salvini, cit., p. 208. 95  Paolo Cucchiarelli , Il segreto di Piazza Fontana, p. 470 e sgg.

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IV TRAME NERE La lunga stagione delle stragi e dei golpe. 1964-1974… 1980

1.  Trame nere Dal ’75 all’82 le ricerche riferiscono che sono attribuibili all’estremismo nero 131 morti (non includono le vittime del 2 agosto 1980 a Bologna). Tra il ’69 e l’82, per mano dell’eversione nera, muoiono 186 persone. Per il terrorismo rosso 164.96 Lungo è l’elenco delle stragi italiane: • • • • • •

Piazza Fontana, Milano, 12 dicembre 1969; treno Freccia del Sud, Gioia Tauro, 22 luglio 1970; Peteano (Gorizia), 31 maggio 1972; Questura di Milano, 17 maggio 1973; Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio 1974; treno Italicus, in transito presso San Benedetto di Val di Sambro (Bologna) la notte fra il 3 e il 4 agosto 1974;

96  I dati sono dell’Istituto di Studi di ricerche Carlo Cattaneo, Bologna 1984, tabella n. 14.

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• stazione di Bologna, 2 agosto 1980; • treno rapido n. 904 Napoli-Milano, in località Vernio, la notte del 23 dicembre 1984. Vi è un preambolo della lunga stagione di sangue, rappresentato nel 1961 in Alto Adige. dalle azioni del terrorismo sudtirolese, strategicamente iniziate improvvisamente con la “notte dei fuochi” e altrettanto improvvisamente cessate. Con un’informativa, il SIFAR aveva preventivamente messo in allarme le Forze armate. Nel triennio fra il ’69 e il ’72 si registra un’intensa onda di violenza e di attività nere in alcune città del Nord – a Brescia e a Trento – e del Sud – a Napoli e a Reggio Calabria – con un prolungamento a Palermo, Catania e Messina, queste ultime due città sono le roccaforti missine. I missini agiscono da nuovi squadristi di piazza e delle strade, la loro presenza è più massiccia in alcune città; a Milano, a piazza San Babila, aggrediscono anche i passanti se ritenuti Rossi.97 Il fenomeno è correlato a un comportamento indulgente delle Forze dell’Ordine, come racconteranno gli stessi “sanbabilini”. Esiste un legame non dichiarato, filtrato attraverso alcuni dirigenti, fra il MSI e le organizzazioni ON e AN, che apparentemente rimangono estranee al partito. I missini sono picchiatori, le organizzazioni intervengono occasionalmente nelle violenze di piazza e negli scontri, si concentrano sugli attentati, sull’organizzazione dei golpe. Il partito mantiene da sempre una linea duplice, occupa le piazze ma si presenta all’opinione pubblica come il volto rassicurante, come il partito dell’ordine. D’altron-

97  Camilla Cederna, «Picchiatori da 3000», in L’Espresso, 28 gennaio 1970.

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de fino al ’72 il MSI è il partito che trae più beneficio in termini elettorali dalla strategia della tensione, è quello che ne trae più consenso. Una tattica vincente anche dal punto di vista mediatico, cui si aggiunge il puntare il dito sul PCI, reo di mantenere i legami con l’estremismo rosso. Contemporaneamente, in quell’anno, inizia un fenomeno contrapposto che resta inizialmente sommerso: nelle grandi fabbriche si registrano le minacce delle Brigate rosse ai quadri dirigenziali, secondo la dottrina del “tutto il potere al popolo armato” e del “colpirne uno per educarne cento”. Il PCI comprende tardi il fenomeno dell’eversione rossa. Un giovanissimo Piero Fassino, segretario della Federazione giovanile comunista a Torino, parlerà di «marxismo impazzito». Inizialmente si rifiuta anche l’idea, come dimostra il termine di “sedicenti” accostato alle BR, solo in un secondo tempo si prenderanno le distanze dai brigatisti. Il fine dichiarato delle BR è costituire un partito armato per rovesciare le istituzioni e compiere quella rivoluzione proletaria che la Resistenza partigiana aveva lasciato in sospeso, riappropriandosi del mito della cosiddetta “Resistenza tradita”. Questa radice rossa, rintracciabile nel cuore dell’Emilia, vede tra i suoi germogli più importanti Pasquale Gallinari, al tempo baffo deciso e occhiale nero, e Alberto Franceschini, capelli sul collo e occhiali dalla montatura vistosa.

2.  1964: il Piano “Solo” Lungo è l’elenco dei golpe italiani che spesso s’intersecano con le stragi. Sono i giorni di giugno, i giorni della tradizionale parata mi107

litare della festa della Repubblica – quell’anno, il 1964, eseguita da un numero di militari più consistente del solito – e delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri che, per impegni istituzionali del capo di Stato, sono procrastinate al 14 giugno.98 Inizia la parata: il generale De Lorenzo fa sfilare la brigata meccanizzata, con un notevole numero di armi e mezzi pesanti. Dopo la sfilata, il comando generale comunica che le truppe arrivate nella capitale per l’occasione si sarebbero trattenute in loco per tutto il mese successivo. Roma è raggiunta da paracadutisti dei corpi speciali, mentre segretamente gruppi di sottoufficiali addestrati raggiungono la capitale e Milano pronti, ad attuazione del piano, a occupare gli uffici governativi, le sedi dei partiti di sinistra, dei giornali, della radio e della televisione. All’improvviso una telefonata blocca tutto.99 Tra le intenzioni c’era quella di redigere le liste di persone cosiddette “pericolose”, esponenti comunisti, socialisti e sindacali e predisporne l’arresto.100 Il golpe è unicamente ideato – da qui l’indicazione del piano chiamato Solo – dal capo dell’Arma dei Carabinieri durante la crisi del primo Governo Moro. È un piano segretissimo, di cui si redigono appena due copie, la stesura è opera degli alti vertici per evitare la verbalizzazione da parte di segretari. Una copia la custodisce personalmente Segni, presidente della Repubblica in carica, è lui ad appoggiarlo ed è sempre lui a bloccarlo in corso

98  Mimmo Franzinelli, Il Piano Solo: i suoi servizi segreti, il centrosinistra e il “golpe”del 1964, Mondadori, Milano 2010. 99  Per il Piano “Solo”, si consulti: Aa.VV. Sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del Sifar. Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta, Feltrinelli, Milano 1971. 100  Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, op. cit., p. 217.

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d’opera. Messo a punto con il generale De Lorenzo – uno dei creatori della struttura Stay-behind – appoggiato da Gladio con il chiaro intento politico di avversare la sinistra e la sua azione riformista, ha un apparente scopo “difensivo” ma in realtà è un piano “preventivo”. La lista dei congiurati sarà distrutta, si troverà un elenco parziale che riporta 95 nomi fra cui inaspettatamente figurano alcuni deputati comunisti e socialisti, partigiani (Giancarlo Pajetta, Carla Capponi). Alcuni ufficiali ideatori del piano risultano iscritti alla P2, fra questi anche Romolo Dalla Chiesa, fratello del generale Carlo. Un documento del colonnello Rocca (ufficio REI) indica i membri di un “comitato segretissimo” fra cui lo stesso Rocca, che ne è l’ideatore, ed Eugenio Reale, che ritornerà fra qualche anno nel progetto-golpe di Edgardo Sogno (avrebbe dovuto essere nominato ministro). Infatti, il comitato resta in vita anche dopo la morte di Rocca, trovato nel suo ufficio morto per un colpo di pistola alla tempia poco prima di essere interrogato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli eventi dell’estate del ’64, in relazione proprio al Piano “Solo”. La prova del guanto di paraffina non mostrerà tracce di polvere da sparo sulle mani del colonnello, eppure il caso sarà chiuso come suicidio. Nelle pagine del Memoriale della prigionia, Moro senza indugio delinea nel Piano “Solo” la co-partecipazione di Segni, e altrettanto chiaramente individua le ragioni per cui è stato sospeso: di fatto, il solo tentativo era bastato allo scopo.101

101  Per il Memoriale Moro, Miguel Gotor, Il memoriale della Repubblica. Scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Einaudi, Torino 2011.

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3.  1970: Gioia Tauro e i disordini a Reggio Calabria La Freccia del Sud, Palermo-Torino è un classico treno di diciotto vagoni che corre da Nord a Sud; nell’estate del ’70 deraglia nei pressi della stazione di Gioia Tauro. Inizialmente i giornali danno un’interpretazione unanime, sulla Stampa si legge: «Le prime indagini escludono un atto di sabotaggio».102 Da molti studiosi interpretato come una “strage negata”.103 L’attentato e la sua negazione confermano la riuscita operazione della strategia della tensione messa a punto da un asse nuovo, da Avanguardia e dalla ’ndrangheta, con il supporto della massoneria. Il fine è determinare la scissione del controllo politico-amministrativo della Calabria. È probabile che la situazione sia scivolata di mano, che gli stessi organizzatori non volessero un attentato di quelle dimensioni, cui ne seguirà un altro nelle vicinanze. Si farà chiarezza nel ’74: è esclusa l’ipotesi dell’incidente.104 I moti urbani calabresi, sono preceduti da quelli all’Aquila; entrambi (l’abruzzese e calabrese) motivati dall’assegnazione dei capoluoghi regionali. Nel caso calabrese la scelta fra la città di Reggio Calabria, che era convinta di ottenerla, e di Catanzaro, cade su quest’ultima. Reggio era stata città monar-

102  «La sciagura di Gioia Tauro è stata causata dal carrello “impuzzito” di una carrozza», in La Stampa, 24 luglio 1970, p. 1. 103  Nell’attentato di Gioia Tauro del 22 luglio ’70, muoiono 6 persone, e si contano 139 feriti. 104  Paolo Cucchiarelli, Aldo Giannulli, Stato parallelo, Gamberetti, Roma 1998, p. 169.

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chica, ora è feudo della DC ma ha un forte tessuto di destra. Iniziano scontri di piazza sempre più violenti, si erigono barricate, s’indicono scioperi, serrate, blocchi stradali, portuali e aeroportuali, si compiono attentati dinamitardi a sedi pubbliche come la prefettura, la questura, uffici, ma anche a sedi del PCI e del PSI. Inizialmente è una sommossa confusa, questo renderà difficile l’attribuzione della paternità. Una confusione che è una riuscita prova di forza della compagine missina, che nelle intenzioni degli esecutori è da leggere come una forza capace di estendersi anche in altri capoluoghi e di raggiungere la capitale. Secondo lo slogan missino: “Aquila, Reggio a Roma sarà peggio”. La sommossa è particolarmente lunga, dura oltre tre mesi, dal luglio al settembre del ’70, un dato che dimostra gli appoggi importanti che l’hanno celatamente sorretta, quelli di ON, di Avanguardia e del Fronte nazionale. Ma anche appoggi dichiarati come il sindacato CISNAL, con alla testa Francesco Franco detto Ciccio, un missino vicino alle frange extraparlamentari il cui contributo alla sommossa è notevole. Ciccio Franco gode e godrà negli anni successivi di apprezzamento nell’ambiente missino, specialmente nel Fronte della gioventù; sarà infatti l’atteso esponente di rilievo nella manifestazione missina di Milano dell’aprile del ’73.105 Il 12 aprile, ricordato come il “giovedì nero”, la prevista manifestazione contro la violenza rossa sarà vietata, ma i missini, i sanbabilini, le

105  Anche nella fase successiva del ’73, il progetto eversivo nero è composito, cadenzato da precisi passaggi: l’attentato al treno Torino-Roma (fortunatamente fallito), la manifestazione missina a Milano del 12 aprile con il leader Ciccio Franco e nel mese dopo, a maggio, la bomba alla Questura di Milano.

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avanguardie extraparlamentari si raduneranno comunque nel centro della città. Lo scontro con le Forze dell’Ordine è violento, incendi di auto, assalti ai centri rossi, spari nella folla, lanci di bombe a mano: viene colpito l’agente di polizia Antonio Marino, che muore sul colpo.106 La confusione della guerriglia reggina, che di fatto è una mobilitazione eterogenea, è interpretata dall’opinione pubblica e dalle testate nazionali come una legittima presa di posizione di un’area economicamente depressa, come la richiesta di un sacrosanto e giusto riscatto. Ancora una nota sul Sud, dove vi era stato un ammodernamento parziale e caotico, che aveva lasciato uno spazio d’intervento anche a forme malavitose; le città sono povere e da esse parte il flusso dell’emigrazione verso il Nord del Paese. Non a caso quindi la protesta va spostandosi verso destra. Le condizioni di miseria e la disomogeneità della società meridionale che nel tempo hanno favorito la formazione della politica clientelare e della ’ndrangheta ora rappresentano le medesime ragioni che contribuiscono alla virata a destra della sommossa. Le derive sono tragiche. Oltremodo. Dopo i violenti giorni calabresi, alcuni anarchici reggini iscritti alla FAI (Federazione anarchici italiani) avviano un’indagine di controinformazione, per individuare le infiltrazioni nere nei moti di Reggio Calabria. Redigono un dossier in duplice copia, una è spedita alla FAI, ma sarà smarrita; l’altra è sulla loro auto, coinvolta nell’incidente in cui i giovani perdono la vita.

106  I responsabili dell’uccisione dell’agente verranno arrestati e condannati, assolti invece gli organizzatori della manifestazione.

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Questa copia non è mai stata trovata. I cinque giovani erano diretti a Roma, giorni prima avevano subito minacce.107 Si muore di politica.

4.  1970: il golpe Borghese Nome in codice operazione Tora Tora, come l’attacco giapponese a Pearl Harbor; alle origini pensato come l’estensione della bomba di Piazza Fontana, più volte rinviato e infine quasi coincidente con il primo anniversario di quella bomba. Tutto è pronto per la notte tra il 7 e l’8 dicembre del ’70, quando Valerio Borghese – già comandante della x MAS, poi aderente alla RSI, sotto la sigla del Fronte nazionale insieme ad Avanguardia – ha previsto il golpe. A Roma erano arrivati, guidati da un ufficiale dei carabinieri,108 gli allievi della scuola di Firenze in assetto di guerra. Era previsto il rapimento del presidente della Repubblica, Saragat, l’eliminazione del capo della polizia, Vicari, e l’occupazione degli studi Rai da dove Borghese avrebbe letto il proclama ufficiale alla nazione. Un piano minuziosamente concepito in stretto rapporto con le Forze armate, i vertici militari e i membri dei ministeri, improvvisamente annullato dallo stesso Borghese in corso di esecuzione.

107  Fabio Cuzzola, Cinque anarchici del Sud, Città del Sole, Reggio Calabria 2001. 108  L’ufficiale è Dino Mingarelli, non risulta essere un piduista, ma è fra gli estensori del Piano “Solo”, attivo nella vicenda di Peteano.

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«Un’impresa farsesca» la definisce Ginsborg.109 L’ordine di smobilitare è di Andreotti che giunge a Borghese per il tramite di Bernabei. Questo il proclama, dalla chiara intonazione fascista, rinvenuto nei cassetti di Borghese: Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, saranno indicati i provvedimenti più importanti. Le Forze armate, le Forze dell’Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi […]. Soldati di terra, di mare e dell’aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno […]. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all’amore: Italia, Italia, viva l’Italia!

5. 1972: Il tentato dirottamento all’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Giangiacomo Feltrinelli. I due volti di Feltrinelli. L’attentato di Peteano (Gorizia). Ronchi dei Legionari, 6 ottobre 1972 Un ordinovista di Udine tenta all’aeroporto di Ronchi dei Legionari il dirottamento di un Fokker 27 diretto a Bari. È ucciso nello scontro a fuoco dalla polizia. 109  Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, op. cit., p. 255.

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Nel 1972 si registra l’innalzamento della violenza di piazza rispetto agli anni precedenti. Qualche dato.110 Si passa dai 210 episodi violenti del ’69 ai 473 del ’72. Oltre il doppio. È un’impennata che dura incessante fino al ’75, in cui si registra un calo della metà, che comunque, tradotto in termini pratici, significa due attentati al giorno. Non è affatto poco. Nel ’72 su 402 episodi di violenza, 363 sono neri, 39 rossi. Nel ’73 su 345 complessivi, 325 neri, 20 sono rossi. Nel ’74 su 363, sono 298 neri, 65 rossi. Il ’74 attesta un incremento degli episodi neri. Il dato interessante è che la collettività li percepisce marcatamente come violenza rossa: questo attesta come il progetto della strategia della tensione sia perfettamente riuscito! Ma oltrepassando la paternità degli atti violenti, l’altro dato significativo è quello corale, della gente comune che vive come ovattata. Il mondo sembra andare altrove: l’uomo è approdato sulla Luna, il segno di grande modernità e progresso. Per converso, desta scalpore Je t’aime, moi non plus, giudicata oscena. La canzone cantata da Serge e Jane Birkin è ritirata dal commercio. In Italia è esploso il Tuca tuca di Raffaella Carrà, con l’ammiccante ritornello “mi piaci, ah-ah”. La moda è diventata impertinente e trasgressiva, le donne europee vorrebbero essere come la modella Veruska, la più fotografata e ammirata. Le italiane vorrebbero essere come le gemelle Kessler, le ballerine tedesche dalle gambe snelle al centro di un imponente corpo di ballo del celebre spettacolo televisivo del sabato sera, Canzonissima, la gara canora che crea i motivetti musicali. Quelli di Claudio Villa, Mimmo Modugno, Orietta Berti, Nada, Massi-

110  I dati sono tratti dal bilancio dei terrorismi italiani dell’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo..

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mo Ranieri, Gianni Morandi, che gli italiani fischiettano per strada, mentre fra luccichii e sfavillii, proprio Canzonissima ridesta speranza nella nazione: lo spettacolo musicale è associato alla lotteria milionaria di Capodanno. In tanti attendono la TV a colori. Continuano a esserci due soli canali televisivi. La televisione di Stato offre pochi programmi, debitamente selezionati e didattici. Fra i programmi più amati, la Tv dei ragazzi, la serie I ragazzi di padre Tobia. Sul primo canale va sempre in onda Carosello. E tutte le mamme d’Italia pronunciano la frase: “A letto dopo Carosello!”. «L’uomo trovato dilaniato da un’esplosione sotto un traliccio dell’alta tensione nelle campagne di Segrate, presso Milano, è l’editore Giangiacomo Feltrinelli»,111 titola l’Unità. Giangiacomo Feltrinelli Giangiacomo Feltrineli è trovato morto ai piedi del traliccio dell’alta tensione, intento a preparare – scrivono – un’azione di sabotaggio. Militante della sinistra rivoluzionaria, conosciuto come “l’editore guerrigliero”, autore del Sangue dei leoni, cronaca della ribellione armata in Africa e Orgasolo, novembre 1968, sui quattro giorni di sciopero nel paese sardo. Il volumetto, diffuso a basso costo solo in Sardegna, introvabile nel resto d’Italia, espone la tesi della lotta sociale; è considerato una sorta di manuale del perfetto sabotatore, spiega come si prepara una bomba, la mo111  L’Unità, 17 marzo 1972.

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dalità per far saltare un ponte, i progetti di secessione armata e rivolta sociale e presenta un’analogia fra la Sardegna e Cuba, l’una terra dei pastori poveri, l’altra dei contadini poveri. Nell’aprile del ’68 è dato alle stampe il libello: Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia! e nel luglio dell’anno successivo a firma di Giangiacomo Feltrinelli esce: Estate 1969. I due volti di Feltrinelli Si vengono a delineare due volti. Una tesi lo vede guerrigliero, ossessionato dalla minaccia dei golpe. Con il nome “Osvaldo” entra nei GAP (Gruppi azione patriottica) costituiti dal comando generale delle Brigate Garibaldi alla fine del ’43, intenzionato a riavviare il processo interrotto della Resistenza. L’altra tesi lo vede terrorista, anzi il protagonista del disegno eversivo rosso da compiersi formando nuclei di combattenti per mirate azioni terroristiche, progetto appoggiato dal primo nucleo storico delle BR (’69-’79) e in seguito da loro portato a compimento. In quest’ottica è l’ideatore della lotta armata intesa come “guerra civile di lunga durata”, tesi centrale nel progetto di Toni Negri (come si leggerà in seguito). Nell’immediato dei fatti, la Questura di Milano sospetta il suo coinvolgimento nella preparazione degli ordigni esplosivi alla Fiera campionaria e alla Stazione Centrale di Milano – l’indagine è affidata al commissario Calabresi; questo lo avrebbe indotto a entrare in clandestinità. Secondo la ricostruzione, qualche giorno prima della strage di Piazza Fontana lascia Milano, difficile stabilire dove fosse il fatidico 12 dicembre. Era stato interrogato dal giudice Amati proprio in riferimento agli attentati anarchici, forse temeva di essere coinvolto o forse lo era, a ogni modo fugge. Secondo l’audizione del dottore Alle117

gra si sarebbe rivolto ai vecchi partigiani come Cino Moscatelli, senza ottenere supporto; quindi aiutato dalla struttura occulta di Potere operaio, passa la frontiera svizzera e dal gennaio al marzo del ’70 si rende latitante; così “coperto” si muove cambiando cinque identità.112 Riguardo alla morte. L’inchiesta giudiziaria è frettolosa, come la perizia: conduce all’assioma iniziale, incidente involontario. Nel tentativo di ragionare su questo evento, si desume che i sabotaggi ai tralicci dell’alta tensione, nell’intenzione dei sabotatori, avrebbero dovuto essere due, il primo previsto per il 13 marzo del ’72, come accerta il datario bloccato sul giorno 13, la cui lancetta si ferma alle ore 11, e il secondo il giorno successivo; il rinvenimento del corpo dell’editore risale al 15 e al giorno successivo il ritrovamento del materiale inesploso, scoperto dall’altra parte di Milano, a San Vito di Gaggiano. È proprio la scoperta dell’ordigno inesploso che porta gli investigatori – anche quest’indagine è seguita da Calabresi – a desumere che l’uomo trovato ai piedi del traliccio sia Feltrinelli. Queste acquisizioni non sono presenti negli atti ufficiali, che propendono per ritenere che il decesso dell’editore sia avvenuto a seguito dell’esplosione a Segrate, verificatasi il giorno 14, a esse si arriva da fonti pressoché coeve, dal lavoro d’inchiesta condotto dalle BR, in particolare dalla testimonianza di Gunter, il neogappista poi brigatista che guida il sabotaggio a San Vito di Gaggiano. Sempre Gunter riferisce le informazioni apprese dai due militanti che avrebbero accompagnato l’editore a Segrate, di cui uno dovrebbe essere rimasto ferito. Entrambi

112  La fuga protetta di Giangiacomo Feltrinelli, e La strage di Piazza Fontana in atti CpiTS; a parere della Commissione TS si sarebbe trattato di “una fuga protetta”, cfr. relazione p. 117 e sgg.

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i cospiratori che sarebbero stati con Feltrinelli non sono mai stati identificati.113 La morte dell’editore è preceduta da alcuni incidenti. Alcune testimonianze dell’ambiente di sinistra e del Movimento studentesco riferiscono che le mani dell’editore fossero intatte e non dilaniate come ragionevolmente avrebbero dovuto essere quelle di chi sta armeggiando con un ordigno esplosivo; questo ha condotto a ritenere che ci sia stata un’operazione Feltrinelli, che potrebbe essere stata condotta per conto del SID e della CIA.114 A non pochi sembra una messa in scena dei Servizi utile a rilanciare il pericolo rosso. Cederna usa l’espressione “omicidio politico”, lasciando desumere che fosse in dubbio l’ipotesi della morte accidentale; si poteva supporre, invece, che di proposito fosse stato legato al traliccio. L’editore non era persona a molti gradita, non alla stampa moderata e conservatrice, non ai gruppi dell’estremismo di destra. In un comunicato a cura del Movimento studentesco di Capanna, firmato dalla casa editrice, dalle librerie Feltrinelli e da alcune personalità milanesi, fra cui la Cederna ed Eugenio Scalfari, si legge che l’editore era stato assassinato.115 Il giorno del funerale, davanti al Cimitero Monumentale di Milano, in un comizio, proprio Capanna parla di “omicidio mascherato”; l’Unità solleva dubbi e così L’Espres-

113  L’agendina di Feltrinelli riporta in codice l’indicazione del giorno dell’esplosione, come 13 marzo, e riferisce i nomi dei due militanti, Gallo e Bruno, che hanno accompagnato l’editore a Segrate. 114  L’autopsia sul corpo dell’editore, alla presenza dei periti, è eseguita in un secondo momento. L’errore sulla data del decesso potrebbe essere scaturito da questo. 115  Il comunicato è distribuito all’Università Statale di Milano nel corso di un’assemblea del Movimento studentesco.

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so con Cederna.116 Il caso non ha mai avuto soluzione, da un lato resta la tesi dell’uccisione, dall’altro quella di un incidente. La morte di Feltrinelli è letta come l’ennesima minaccia rossa, come conferma anche l’esito elettorale: la violenza è percepita come rossa e il MSI può così proseguire nell’ergersi a partito dell’ordine; d’altronde il decisionismo che rappresenta affascina e rassicura gli italiani. Peteano, 31 maggio 1972 A Peteano (Gorizia), una telefonata anonima avvisa i carabinieri di un’auto lasciata in sosta in un luogo isolato. Nel tentativo di aprire il cofano, i carabinieri sono investiti dall’esplosione. I giornali ideologicamente schierati tuonano: «È un altro delitto delle Brigate rosse»; cauta invece La Stampa, che il giorno successivo scrive: «Si brancola nel buio».117 In generale, inizialmente si è convinti della pista rossa. Almirante approfitta per alzare il tiro e puntare il dito dritto verso tutti i partiti della sinistra, in particolare verso il PCI. Lo fa in comizio a Firenze, servendosi della piazza come forma di pressione. Le sue sono parole accusatorie nei confronti dei comunisti, come si legge all’indomani dell’incontro nell’incauto resoconto dell’ufficio stampa missino. Il testo è stato convenientemente edulcorato delle parti più aggressive ma i passaggi chiave sono rimasti, le accuse e il tono minaccioso contenuto nel dichiarare di essere pronti allo scontro diretto contro i comunisti. Stavolta, la rea-

116  Camilla Cederna, «Perché sono persuasa che Feltrinelli viene assassinato», in La Stampa, 13 aprile 1972, p. 2. 117  Il Secolo d’Italia, 4 giugno 1972, p. 1; La Stampa, 1 giugno 1972, p. 1.

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zione non si fa attendere: da più parti si eleva la voce di espellere il MSI dal Parlamento; diretta verso il segretario del partito è invece l’accusa di ricostituzione del Partito fascista. Quell’anno naufraga il sogno elettorale missino di restaurazione di un regime autoritario, restano i progetti sommersi dell’estremismo nero. Intanto, all’inizio dell’estate del ’72, si avvia il secondo Governo Andreotti, un neocentrismo che vira a destra, definito dalla coalizione DC, PSDI, PLI. Vent’anni dopo, nel ’92, i fatti di Peteano si chiudono con la condanna degli esecutori – fra cui il reo confesso Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, segretario del MSI di un paese vicino Udine – all’ergastolo. Gli autori sono appartenenti a ON e al MSI. L’anno dopo, il 1973, la strategia della tensione pianifica altri attentati. Dal canto loro, i gruppi neofascisti, le SAM (Squadre azioni Mussolini), Avanguardia, ON, Gruppo alfa – un gruppo radicale neofascista di Roberto Cavallaro – annunciano la guerra allo Stato e al bolscevismo, facendo ritrovare volantini della loro lotta. Il neosegretario del PCI, Enrico Berlinguer, si reca a Sofia, in Bulgaria, viaggio che lo porta a maturare decisioni future interessanti che convergeranno nel cosiddetto “compromesso storico”,118 maturato anche dal pe118  Moro lavora con Berlinguer al “compromesso storico” fra PCI e DC per definire il nuovo programma di Governo. In quest’ottica il PCI progressivamente si apre a una cooperazione politica con le formazioni di centro, in particolare con la DC, a cui gli iscritti chiedono di recuperare la sua radice dimenticata, l’impegno sociale, i valori originari etici e sociali smarriti. Cfr. Enrico Berlinguer, Il compromesso storico fra comunisti e cattolici, da Rinascita, 12 ottobre 1973; cfr. Atti e documenti della Democrazia cristiana 1943-1967, Cinque Lune, Roma; cfr. Aldo Moro, Il passaggio dal centrismo al centrodestra, intervento al Congresso della Dc del 1962.

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ricolo rappresentato dallo spettro cileno (in Cile il Governo del socialista Salvator Allende era stato rovesciato da un colpo di Stato). Si continua a morire di politica. Nell’aprile di quell’anno, a Primavalle, un quartiere di Roma, l’azione intimidatoria di alcuni esponenti di Pot Op, della Brigata Tanas, diventa un rogo umano: muoiono bruciati vivi i due figli del segretario locale del MSI. Una foto immortala l’orrore, si vede un ragazzo sul balcone con il volto annerito dal fumo nel vano tentativo di chiedere aiuto.119 Qualcosa di torbido si muove ancora più in profondità. La struttura che partorisce nuove azioni terroriste è chiamata dalle cronache Rosa dei venti.120 Probabilmente è in un incontro a Verona che è definita la nuova strategia eversiva. Alla riunione partecipano ufficiali dello Stato, il MAR (Movimento azione rivoluzionaria) di Gaetano Orlando e Carlo Fumagalli, ex partigiano con posizioni radicalmente filoatlantiche, e ON. Al progetto co-partecipa anche l’organizzazione nera la Fenice, con sede a Milano, di Giancarlo Rognoni e Piero Battiston.

119  È il 16 aprile ’73, la dinamica non sarà mai chiarita, sono condannati gli esponenti di Pot Op: Achille Lollo (oggi in Brasile, ma al tempo viene subito detenuto), Manlio Grillo (oggi in Nicaragua), Marino Clavo (fuggito con l’aiuto di Pot Op). Secondo i familiari i mandanti erano: Morucci, Piperno, Lanfranco Pace; Piperno ha respinte le accuse. 120  Il nome si richiama al simbolo dell’organizzazione atlantica, riferisce con il numero le organizzazioni neofasciste che si sono associate, fra più note ON, AN, FN, ecc., sono oltre venti.

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6.  1973: la Rosa dei venti Si pianificano nuovi attentati: una bomba alla Questura di Milano, preceduta dal – fallito – dirottamento del treno TorinoRoma. Dai giornali emergono nuovi interrogativi. Al tema della “strage di Stato” si affianca quello della “giustizia di Stato”, perché si attende chiarezza e la soluzione ai casi giudiziari. L’intento strategico del neofascismo di far attribuire gli attentati all’estrema sinistra non convince tutti, non per tutti la matrice è rossa, alcuni la ritengono nera. Fra questi Casalegno, vicedirettore della Stampa. Il Secolo d’Italia gli risponde accusandolo di essere un fiancheggiatore dell’estrema sinistra. Quell’estrema sinistra che in un delirio di onnipotenza qualche anno più tardi lo condannerà a morte. Si muore di politica. Carlo Casalegno è ucciso dalle BR nel ’77; curava sulla Stampa la rubrica Il nostro Stato, persuaso infatti che le critiche allo Stato fossero legittime ma che lo Stato andasse difeso. È il primo giornalista a essere ucciso. Le BR si erano sentite attaccate e schernite, oltraggiate dalle sue parole dure contro l’eversione rossa. Il suo omicidio è pianificato dalla colonna torinese di Patrizio Peci e Raffaele Fiore, che preme il grilletto. Racconterà Peci che questo gesto darà alle BR la sensazione di invincibilità. Torniamo alla pianificazione degli attentati della Rosa dei venti121.

121  Sulla struttura della Rosa dei venti, TriMi, Sent.Ord., Guido Salvini, cit., p. 270. È un’organizzazione segreta atlantica che vede unite all’area neofascista i servizi segreti della Nato per la realizzazione di un colpo di

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Fallito il primo attentato, quello al treno Torino-Roma, si punta al secondo. Si sceglie una giornata importante, quella della commemorazione di Calabresi alla Questura di Milano, prevista per la mattina del 17 maggio. Si sceglie un’occasione in cui ci sono molti convenuti, malgrado si tratti di una cerimonia riservata e a invito. Si individua accuratamente l’attentatore, non un ordinovista ma un uomo di destra dal profilo borderline – risulterà essere iscritto a Gladio, ed essere stato un informatore del SID – utile affinché possa passare per anarchico. Il ricorso a un esecutore esterno che non sia parte integrante dell’organizzazione è un espediente vincente perché allontana o comunque rende più farraginose le indagini. L’attentato è pianificato come un seguito della bomba di Piazza Fontana: nella scelta del luogo, dell’attentatore che deve apparire un anarchico e nel vecchio proposito – già da anni coltivato fra gli ordinovisti – di colpire Rumor, che avrebbe “tradito” i propositi di garantire, dopo la bomba di Piazza Fontana, la promulgazione delle leggi di emergenza. Questa notizia però, ad attentato compiuto, sarà rimossa; sui giornali ha spazi marginali per ragioni esattamente contrarie: da destra per non compromettere in alcun modo ON, da sinistra per non dare importanza a Rumor, alla sua linea politica. Questa la ricostruzione. Il mattino dell’attentato, Gianfranco

Stato. L’organizzazione segreta è individuata alla fine di quell’anno dalla magistratura (l’inchiesta è avviata a La Spezia e proseguita a Padova dal magistrato Giovanni Tamburino). Il gruppo terroristico ha come finanziatori, politici e civili fra cui industriali e imprenditori. Ha avuto ruolo rilevante il generale Vito Miceli, capo del SIFAR, Servizio Informazioni Difesa e poi del SID (arrestato, ma mesi dopo l’arresto è vanificato dal trasferimento dell’inchiesta da Padova a Roma). L’organizzazione agisce come Gladio, entrambi hanno nella Nato il loro vertice operante in funzione anticomunista.

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Bertoli, lancia l’ordigno nell’area più affollata, ma stranamente non scappa, indugia.122 È fermato da alcuni uomini delle Forze dell’Ordine e dal prete che era lì per la cerimonia. Al momento dell’arresto pronuncia la frase a effetto: «Morto Pinelli, devono morire tutti!». Indubbiamente, una trovata intelligente ma anomala; le federazioni anarchiche italiane si affrettano a dichiarare che l’attentatore non è iscritto a nessun movimento anarchico organizzato. Dalla questura parte l’indicazione della pista anarchica, ma non siamo più negli anni di Valpreda e Pinelli; subito prende corpo l’idea opposta, che la mano sia nera e che il coinvolgimento sia internazionale, «CIA più fascisti» recita il quotidiano romano Paese Sera.123 Così La Stampa: «L’attentatore, legato a gruppi filofascisti […] si fingeva anarchico ma si univa ai picchiatori di Ordine nuovo»; aggiunge che viene rintracciato proprio da una foto di una manifestazione ordinovista a Udine.124 Quale l’intenzione degli attentatori? Questi attentati vanno interpretati come parte di un progetto ampio, l’inizio di un percorso che avrebbe dovuto portare all’instaurazione di un regime autoritario. Si riproduce l’identica logica del golpe Borghese, pensato come prosecuzione della bomba di Piazza Fontana. Anelli congiunti di un’identica catena.125

122  Nell’attentato muoiono quattro persone e quarantasei vengono ferite. 123  «Milanesi», in Paese Sera, 20 maggio 1973, p. 1. 124  Gino Mazzoldi, «L’attentatore legato a gruppi filofascisti», in La Stampa, 20 maggio 1973, p. 1. 125  Gianni Flamini, Il Partito del golpe. La strategia della tensione e del terrore dal primo centrosinistra al sequestro Moro, Bovolenta, Ferrara 1981-1985.

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A fine ’73 inizia l’inchiesta giudiziaria sulla Rosa dei venti. È veramente cambiato qualcosa rispetto al ’69, la magistratura dirige la sua attenzione verso i vertici militari. Non era mai accaduto prima. Sta cambiando il modo di valutare la catena degli attentati e quello di individuare i colpevoli.126 Un procedimento è avviato contro Almirante, con un decreto ministeriale si chiede lo scioglimento di ON e di AN. Se finora il MSI aveva potuto contare sul “doppio binario”, la piazza che significa violenza e il volto rassicurante per l’opinione pubblica, ora questo ritratto comincia a perdere colori. La doppiezza è anche di molti personaggi da sponda, tesserati al MSI o con incarichi politici e ordinovisti come Vinciguerra, Cincuttini, Paolo Signorelli, Carlo Maria Maggi.127

7.  1974: Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio. Attentato al treno Italicus, 3-4 agosto. Il tentato golpe di Edgardo Sogno, agosto Il 1974 è un anno di svolta. Nonostante lo scioglimento di Ordine nuovo e le numerose comunicazioni giudiziarie ad Avanguardia nazionale, l’attivi-

126  Vengono arrestati Roberto Cavallaro e Amos Spiazzi – poi assolto –, che dirigeva la Legione di Verona dei Nuclei Difesa dello Stato. 127  Carlo Maria Maggi, politico del MSI da cui è espulso, ordinovista, responsabile con Freda della cellula veneta di ON, condannato per concorso in strage, con l’accusa di essere il mandante della bomba di Piazza della Loggia.

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tà nera, soprattutto in Lombardia, resta solida.128 Si è di nuovo pronti a colpire. In quest’anno l’eversione nera raggiunge la punta massima, minaccioso diventa il suo proposito di golpe. Ma mentre le reti clandestine agiscono sottotraccia, cosa accade in superficie? È questa la primavera in cui si vota la legge sul divorzio. Sarà anche in coincidenza dell’esito referendario che si avvia la graduale marginalizzazione parlamentare del MSI. Le strade italiane sono tappezzate di manifesti di propaganda politica con giganteschi Sì o No al divorzio. Si chiede agli italiani di scegliere se essere benpensanti e bacchettoni o divenire progressisti e innovatori. La DC, per questa battaglia antidivorzista con in testa il suo segretario Fanfani, si allea con il MSI. Si vota domenica 12 maggio. L’affluenza alle urne è notevole: è respinta la proposta abrogativa del Governo Rumor, vincono i sostenitori del No. È una stoccata per la DC, che aveva chiesto l’appoggio del MSI! Ma al di là del dato referendario, la situazione interna alla DC è tutt’altro che serena: l’inchiesta padovana del giudice Giovanni Tamburino sulla Rosa dei venti –l’organizzazione della NATO che coordina azioni di terrorismo finalizzate al colpo di Stato – crea un terremoto. L’indagine sull’attività dei Servizi segreti porterà, come già emerso, all’arresto di Miceli.129

128  A novembre ’73, il Governo Rumor, con Taviani ministro degli Interni, emana il decreto di scioglimento dell’organizzazione neofascista ON. Ma i Neri passano alla controffensiva dal disciolto Ordine nuovo, Graziani fonda Ordine nero con fine golpista. 129  Qualche giorno prima del referendum sul divorzio è arrestato l’ex partigiano Carlo Fumagalli, dei MAR. Si rammenta che anche Miceli è arrestato nell’ottobre ’74, accusato di cospirazione contro lo Stato in riferimento al complotto della Rosa dei venti. Scarcerato mesi dopo quando l’inchiesta da Padova passa a Roma.

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Si rammenta che Miceli rappresenta l’ala di destra dei Servizi contrapposta a quella di sinistra espressa da Maletti. Miceli e Maletti, due generali in guerra: è questa anche una guerra interna fra sezioni opposte di uno stesso apparato, che chiama in causa la catena dei rapporti e i differenti equilibri di forza. Nell’opinione pubblica qualcosa cambia: perché cambiando lo scenario, cambia di conseguenza la consapevolezza collettiva dei fatti. A essere cambiati, e a produrre effettivo cambiamento, sono i comportamenti di influenti personalità politiche, di Taviani e Andreotti: in passato avevano favorito le trame autoritarie, ora avviano operazioni di contrasto nei confronti dell’estremismo nero e delle deviazioni degli apparati di sicurezza. A ulteriore conferma del “cambiamento” in atto, anche il fatto che Taviani diventi “un obiettivo sensibile” di ritorsione dell’eversione nera. Nel frattempo, Rumor accoglie la linea sempre più antifascista. Nel contempo, la sconfitta della DC al referendum è letta da destra come la premessa di un possibile e pericoloso accordo con il PCI, con il quale sarebbero mutati i quadri politici. Questa preoccupazione porta a maturare un nuovo attentato contrastante, quello di Piazza della Loggia a Brescia. Il progetto eversivo si muove sinuosamente. L’ambiente statunitense e la NATO sono a conoscenza di quanto si sta preparando. I cambiamenti avvengono anche oltreoceano. Negli Stati Uniti la presidenza Nixon rimarrà travolta dall’ennesimo scandalo, il Watergate, uno scandalo politico scoppiato in seguito alla scoperta di un’azione di spionaggio ai danni dell’avversario politico, il Partito democratico, che porterà in agosto alla destituzione del presidente.130 La stampa america130  Watergate è l’albergo dove furono effettuate le intercettazioni che die-

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na, con in testa il Washington Post, accuserà Henry Kissinger e la CIA di avere appoggiato l’azione. Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio Trascorsi sedici giorni dal referendum, Brescia è percorsa da un lungo brivido. La mattina del 28 maggio, Piazza della Loggia, dove si deve tenere una manifestazione sindacale antifascista, è gremita. Il sindacalista ha appena iniziato a parlare quando all’improvviso esplode una bomba. Il potente ordigno è stato collocato nel cestino dei rifiuti sotto il portico e azionato a distanza. Gli striscioni della manifestazione sono utilizzati come lenzuoli per coprire i cadaveri. Si continua a morire di politica. Perché Brescia? L’ambiente nero eversivo bresciano, dopo quello milanese, risulta molto attivo; qui si è celata la matrice politica della strage, pianificata in soli sei giorni e preceduta da attentati dinamitardi in città.131 L’aria in città è pesante, si teme sia la centrale operativa del terrorismo nero lombardo. Si rinvengono esplosivi. Anche trovati sull’auto dei giovani neofascisti veronesi diretti al funerale di un estremista nero, saltato in aria sul suo motorino mentre trasportava materiale esplodente. A tre giorni dalla strage bresciana, sul primo canale la Rai trasmette in diretta il funerale, si sentono fischi all’indirizzo del

dero il via allo scandalo, in seguito alla sua scoperta Nixon è costretto a dimettersi. 131  La bomba a Piazza della Loggia a Brescia provoca 8 morti e oltre 100 feriti.

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presidente, che stranamente non vengono censurati. Dopo la strage, la riprovazione è corale. Così in Parlamento sono denunciate dagli esponenti democristiani le impunità delle violenze fasciste e l’esigenza di porvi fermo rimedio. Il MSI getta la maschera, è ormai chiaro il suo coinvolgimento: i vertici PCI e PSI chiedono lo scioglimento e in contemporanea le dimissioni del ministro Taviani, la figura istituzionale su cui più si dirige la responsabilità perché ormai è evidente la concatenazione degli eventi, da Piazza Fontana e Piazza della Loggia, e fra esse la serie di attentati. I giornali d’opinione realizzano subito che si tratta di una strage nera. Come ritorsione in alcune città sono prese di mira le sedi missine. Nel Paese si sono risvegliati sopiti sentimenti antifascisti, ma nello stesso periodo le BR alzano il tiro: ad aprile rapiscono il giudice Mario Sossi a Genova; a giugno, nella sede del MSI di Padova, vengono uccisi due militanti: è il primo atto sanguinoso deciso dall’organizzazione, scaturito da una diatriba politica interna tra i capi storici e Mario Moretti, favorevole alla svolta paramilitare; a settembre sono arrestati a Pinerolo Curcio e Franceschini. Al vertice organizzativo resta Moretti. L’iter processuale della strage di Piazza della Loggia non ha condotto a esito giudiziario conclusivo.132 Inizialmente – strate-

132  Condannati per concorso in strage nel 2007: l’ordinovista veneto Delfio Zorzi e Carlo Digilio per aver preparato il materiale esplosivo. Rinviati a giudizio, l’ufficiale Francesco Delfino, una figura di sponda che sapeva e non ha impedito la strage e Pino Rauti. Nel 2010 sono stati assolti: Zorzi (che oggi vive in Giappone), Delfino, Maggi, Rauti, Maurizio Tramonte ovvero “Fonte Tritone” informatore dei Servizi, (le cui dichiarazioni sono state inizialmente occultate da Maletti). Nel 2015, la Corte d’Appello di Milano condanna all’ergastolo Maggi (ideatore e mandante della strage di Brescia) e Tramonte.

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gicamente – si designa un colpevole, Ermanno Buzzi, che però preannuncia di voler parlare; trasferito al carcere di Novara, i camerati Mario Tuti e Pierluigi Concutelli glielo impediranno: “l’infame” viene strangolato. Come già accaduto, si rilevano comportamenti superficiali: nell’immediato, la piazza sarà sottoposta a lavaggio impedendo ai periti di individuare l’esplosivo e di reperire altri dati utili all’indagine. Attentato al treno Italicus, Val di Sambro, 3-4 agosto Sempre sottotraccia si progetta un nuovo attentato nero. Si teme possa accadere qualcosa il 2 giugno; fortunatamente, fra voci e timori, la festa della Repubblica trascorre indenne. Ma in estate si fanno ricorrenti le voci di un altro attentato ai treni. Stavolta non vi sono chiari elementi anticipatori. Nella calura estiva, la notte fra il 3 e il 4 agosto, sulla linea ferrata corre l’Italicus, l’espresso Roma-Brennero; appena fuori Bologna, esplode la vettura numero cinque, in arrivo alla stazione di San Benedetto di Val di Sambro. La carica esplosiva è stata posta sotto un sedile di uno scompartimento vuoto della prima classe.

Nell’edizione straordinaria del telegiornale, Tito Stagno riferisce le intenzioni, vane, degli attentatori: l’ordigno doveva esplodere all’interno della galleria più lunga d’Europa. In tempi recenti si ritiene invece che dovesse esplodere alla stazione di Bologna, ma è difficile avere certezze in considerazione del fatto che il treno viaggiava in ritardo. Il giorno dopo, a rivendicare l’attentato dinamitardo, con un volantino rinvenuto in una ca131

bina telefonica, è ON. Su quel treno doveva esserci Aldo Moro, fatto scendere all’ultimo momento per ritornare al ministero a firmare alcune carte.133 I processi hanno subito innumerevoli depistaggi, non hanno portato all’individuazione di alcun colpevole, ma hanno confermato la matrice nera – all’inizio l’esecutore materiale era stato individuato in Mario Tuti dell’FNR, Fronte nazionale rivoluzionario. L’informazione della carta stampata e televisiva è pressoché unanime nella condanna e nell’usare le stesse espressioni di biasimo della strage bresciana. Nel frattempo si vanno ricostruendo i diversi pezzi della trama, si comprende che la strage di Gioia Tauro non è stata un incidente. La magistratura accerta la relazione tra Piazza della Loggia e l’Italicus.134 Che le trame siano nere è chiaro al Parlamento che muove dure accuse contro il MSI e il suo segretario. Almirante tenta di discolparsi, a chi gli grida assassino risponde: «Noi abbiamo le mani pulite». Coerentemente alla sua linea, Casalegno sulla Stampa condanna gli attentati neri e alza il dito contro il partito perché al suo interno ci sono i mandanti e i complici.135 Linea ancora più dura nei giornali più ideologici come Il Manifesto e Lotta continua.136 Stavolta non fa sconti neanche il Corriere della Sera, in apertura tuona: «Il Governo conferma, esiste un piano eversivo»; nelle notizie dall’estero riferisce: «I

133  Maria Fida Moro, La Nebulosa del Caso Moro, Selene Edizioni, 2004. 134  Relazione di Franco Ferraresi alla CpiTS in relazione anche all’attività della G Press che ricostruisce la catena fino a Piazza Fontana. Cfr. Franco Ferraresi, La morte in piazza. Vent’anni di indagini, processi, informazioni, sulla strage di Brescia, Grafo, Brescia 1996. 135  «Dai gregari ai mandanti», in La Stampa, 6 agosto 1974, p. 1. 136  «Fuorilegge il Msi!», in Lotta continua, 11 agosto 1974, p. 2.

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giornali stranieri sono concordi. Sulla strage il marchio del fascismo».137 Anni dopo, Delle Chiaie sulle pagine dell’Espresso rivelerà che nelle intenzioni c’erano altri attentati, uno in estate all’Arena di Verona.138 Sempre l’avanguardista avrebbe confessato a Vinciguera che per gli attentati ai treni è stato usato lo stesso lotto di timer impiegato a Piazza Fontana. Le verifiche giudiziarie non hanno potuto accertarlo, perché il fascicolo su Vinciguerra – che doveva trovarsi a Lamezia Terme – risulta non giacente. Che Taviani sia “nel mirino” è ormai evidente; in una seduta al senato il MSI fa ricorso a documenti riservati provenienti dal SID che rivelano il legame tra il ministero e Avanguardia nazionale. Il tentato golpe di Edgardo Sogno (agosto ’74) In agosto si registra un ultimo tentativo di golpe, il “golpe bianco” guidato da Edgardo Sogno,139 promosso da partigiani bianchi, antifascisti e anticomunisti, per realizzare in Italia una repubblica presidenzialista simile a quella francese di Charles De Gaulle. Prevedeva di costringere Leone, il capo di Stato, a nominare un Governo che potesse ostacolare l’ascesa del PCI. Al-

137  Corriere della Sera, 6 agosto 1974, p. 1. 138  L’Espresso, 26 dicembre 1982. 139  Come emergerà dalla CpiP2, la P2 vive due differenti stagioni, la prima dal dopoguerra al ’68, in cui resta defilata dalla vita politica, la seconda, dal ’69 al ’74, con al vertice Gelli, in cui influisce strategicamente cooperando alla messa a punto dei golpe. Cfr. Gianni Flamini, Il partito del golpe. Strategia della tensione e del terrore dal primo centro-sinistra organico al sequestro Moro, op. cit.

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la preparazione di questo golpe partecipa Gelli; nei mesi estivi infatti nella sua villa si susseguono gli incontri con alti ufficiali, e lo stesso Sogno compare nella lista P2. Sempre in estate, il generale piduista Vito Miceli è destituito dalla guida del SID e, con l’accusa di “cospirazione contro lo Stato” in riferimento al complotto della Rosa dei venti, sarà arrestato in ottobre. Si difenderà dalle accuse, anche di “favoreggiamento”, riferendo che Mario Tanassi, ministro della Difesa, era al corrente di tutto. Di fatto, Miceli è stato l’intermediario fra il MSI (poco dopo sarà eletto nelle sue file) e la Rosa dei venti. In autunno non si placa la strategia della tensione, continuano gli attentati diretti a Taviani: si registrano a Savona, la sua città, sette attentati dinamitardi. Tanti attentati in forma minore privi di conseguenze giudiziarie. La lunga e sanguinosa stagione del ’74 assume una valenza fondamentale nella comprensione degli anni di piombo come anticipa Pasolini in un inquietante articolo dall’incipit martellante.140 Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe”. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neofascisti autori materiali delle prime stra-

140  146 Corriere della Sera, 14 novembre 1974

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gi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. […] Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli […]. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero […].

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8.  Morte di un poeta. Pier Paolo Pasolini

Nella notte tra l’1 e il 2 novembre del ‘75 all’Idroscalo di Ostia, frettolosamente chiuso come caso di violenza tra omosessuali avviene l’omicidio di Pier Paolo Pasolini141. Non sappiamo cosa sia veramente accaduto quella notte. Sappiamo che si è brutalmente spenta una voce ineguagliabile della nostra cultura. È l’intellettuale ideale, l’intellettuale di sinistra, ma non organico alla sinistra. Berlinguer, segretario del PCI non rilascia il canonico discorso commemorativo che si usa in queste circostanze, da quest’intellettuale “scandaloso” tutti si erano tenuti a debita distanza, la politica e la Chiesa, non era stato così per gli amici intellettuali e la gente comune accorsa al suo funerale. “Se ci fosse stata la sacralità della cultura, non sarebbe accaduto”, e ancora: “Con lui abbiamo perduto un testimone costante delle contraddizioni del nostro tempo”142, disse Alberto Moravia. Sì, quel poeta assassinato, quel cadavere confuso con un sacco d’immondizia, era stato il testimone attento, il faro di quegli anni.

141  Si chiude con la condanna di Giuseppe Pelosi. Dopo l’acquisizione del Dna del sangue rinvenuto sui vestiti di Pasolini, nuove indagini hanno accertato che non appartengono a Pelosi, nell’ultima inchiesta della Procura di Roma si è proposta una nuova ricostruzione che include due nuovi sospettati. Acquisizioni di recenti testimoni riferiscono che in quel piazzale vi fossero almeno sette persone, due identificate nei fratelli Borsellino, neofascisti del Tiburtino. 142  Alberto Moravia commemora l’amico in occasione del funerale, la camera ardente è allestita nella Casa della cultura, un edificio del partito comunista, poco distante da Botteghe Oscure, sede istituzionale del PCI. Cfr. Barth David Schwartz, Pasolini Requiem.

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Recentemente viene intervistato sugli anni del “caso Pasolini”, Concutelli,143 considerato dagli estremisti della nuova generazione un terrorista simbolo. A lui si ispira Valerio Fioravanti capo dei NAR, Nuclei armati rivoluzionari, attivi fra il ’78 e l’81, non un movimento armato specifico perché la sigla sottende una realtà terroristica articolata ovvero non rigidamente strutturata.144

143  Concutelli, oggi libero per gravi condizioni di salute, è condannato a tre ergastoli, fra cui quello del giudice Vittorio Occorsio, i cui mandanti restano celati. Le indagini sulla morte del giudice vengono interrotte per volontà dei Servizi segreti, stava indagando sul legame fra eversione nera e MSI ad Arezzo, città di Gelli. Stava inoltre ricostruendo il movimento massonico in Italia e la relazione fra l’eversione nera e la mala milanese di René Vallanzasca. Concutelli è un romano trapiantato a Palermo e a Catania. È in Sicilia che si orienta verso l’attivismo politico, frequenta gli ambienti della destra radicale palermitana, diventa il capo carismatico di ON, si lega al FN di Borghese. È soprannominato il comandante. La prima volta è arrestato per possesso di armi da guerra con cui si addestrava all’uso sulla collina della frazione palermitana di Bellolampo. Ha solidi contatti con l’’ndrangheta risulterà implicato nel “sequestro Mariani”. Da latitante, nel ’75 partecipa all’incontro ad Albano Laziale con Delle Chiaie e altri neofascisti che avrebbe dovuto concludersi con la fusione di Avanguardia e ON. Nello stesso anno, in libertà vigilata, viene candidato alle elezioni comunali di Palermo nelle liste del MSI. Come da copione, segue la fuga in Spagna dove si unisce ai franchisti, prende parte alle azioni contro ETA. In Spagna, dove da tempo è attivo grazie a Delle Chiaie il canale della destra radicale attraverso l’agenzia Aginter Press di Lisbona. Riarrestato, secondo gli inquirenti stava preparando un attentato al giudice Pier Luigi Vigna. In carcere, in tempi diversi, uccide due neofascisti ritenuti infami, uno è Buzzi di cui si è parlato riguardo la strage di Piazza della Loggia. 144  Come si legge nel testo della CpiTS il carattere non rigido dei NAR implica i legami stretti fra il gruppo terrorista e i componenti della cosiddet-

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Le odierne fotografie ritraggono Concutelli con una folta barba bianca; in quelle di quegli anni ha sempre la barba e in posizione ieratica intento al saluto fascista. Scorrendo la sua biografia, tra la storica riunione del settembre ’75 fra leader neri e la partenza per la Spagna con Delle Chiaie dell’anno dopo, resta un vuoto. Una tessera mancante. In un’intervista esordisce mentendo, asserendo che al tempo era all’estero, l’intervistatrice –Simona Zecchi – lo smentisce: «Era a Roma in quei giorni, qualcuno le portò della frutta, un ragazzo gliela consegnò». Lui non risponde, ma la testimonianza esiste. Tra i silenzi, dice: «Io stimavo Pasolini, perché ragionava con il proprio cervello, non era di nessun partito e aveva del marxismo una sua idea personale».145 Tra le carte del procedimento di Catanzaro relativo alla strage di Piazza Fontana, compare un documento (acquisito dall’allora giudice istruttore Gianfranco Migliaccio il 12 novembre ’75) che potrebbe dare alla vicenda altra lettura. Nello specifico, su questo documento non si è mai indagato. Reca la data dell’8 novembre ’75, è la risposta di Ventura al nucleo antiterrorismo della Questura di Bari sul contenuto di un telegramma che ha ricevuto relativamente alla morte di Pasolini. Nella sua risposta vi è un riferimento a un dialogo per corrispondenza tra lui e il poeta.146

ta Banda della Magliana, banda criminale di Roma. Dei NAR fanno parte, fra gli altri, i fratelli Fioravanti, Giuseppe Valerio detto Giusva e Cristiano, Francesca Mambro e Alessandro Alibrandi. 145  Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2014. 146  La lettera in questione (che testimonia l’esistenza del dialogo) è stata pubblicata in una raccolta curata da Nico Naldini nel ’94.

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Questo il testo, datato 24 settembre 1975: Gentile Ventura, proprio due o tre giorni fa ho spedito al Corriere un articolo che finisce affermando l’ineluttabilità del processo nel caso fossero condotti a termine i famosi processi in corso. Su ciò siamo d’accordo. Quanto al resto, non so. Vorrei che le sue lettere fossero meno lunghe e più chiare. Una cosa è essere ambigui, un’altra è essere equivoci. Insomma, almeno una volta mi dica sì se è sì no se è no. La mia impressione è che lei voglia cancellare dalla sua stessa coscienza un errore che oggi non commetterebbe più. Fatto sta che lei resta sospeso ancora – e ai miei occhi di “corrispondente” scelto da lei – in quell’atroce penombra dove destra e sinistra si confondono. Si ricordi che la verità ha un suono speciale, e non ha bisogno di essere né intelligente né soprabbondante (come del resto non è neanche né stupida né scarsa). Suo, Pier Paolo Pasolini.147

9.  1980: la strage di Bologna, 2 agosto. 1984: l’attentato al treno rapido n. 904, 23 dicembre Inaspettatamente la scia degli attentati della “guerra non ortodossa” prosegue fino agli anni Ottanta, a conferma che l’attentato al treno Italicus è stato un’apparente conclusione del sedimentato intreccio fra terrorismo nero e consorteria massonica. 147 L’articolo citato da Pasolini nella corrispondenza con Ventura – poi incluso in Scritti Corsari – viene pubblicato il 28 settembre ‘75 sul Corriere della Sera con il titolo «Perché il Processo».

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Altre due stragi. La prima, nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna il 2 agosto ’80.148 Da quel giorno, a futura memoria, le lancette del grande orologio sono ferme alle 10:25, il momento dello scoppio. La seconda, nella grande galleria dell’Appennino in località Vernio (fra Firenze e Bologna), sul treno rapido n. 904 NapoliMilano, il 23 dicembre dell’84. In uno scenario che sembra da favola fiocca la neve, il treno è pieno di passeggeri che si recano dai propri cari per le festività. La carica di esplosivo è posta sulla griglia del portabagagli del corridoio della carrozza 9 di questo lungo treno proveniente dal Sud. Quest’attentato dinamitardo vede complici l’eversione neofascista e la loggia P2, in correlazione con Cosa nostra e la banda della Magliana.149

148  Il 2 agosto dell’80 nella strage alla stazione di Bologna muoiono 85 persone e i feriti sono oltre 200. Vengono condannati in via definitiva, dopo tre gradi di giudizio, i terroristi neri Francesca Mambro e Giuseppe Fioravanti. Oggi in libertà. Ritenuti gli esecutori materiali dell’attentato. Al 19 novembre 2014 risale la richiesta di risarcimento dello Stato di due miliardi, la sentenza è relativa alla causa promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Interno per quantificare il danno recato dalla strage; i due terroristi hanno dichiarato di non voler pagare. Sono condannati per calunnia aggravata e depistaggio al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage: Giuseppe Belmonte, Licio Gelli, il generale Pietro Musumeci (capo dell’Ufficio Controllo e Sicurezza dei Servizi) e Francesco Pazienza. Nel tempo non sono mancate ipotesi differenti – in contrasto con le conclusioni processuali – di chi ha ritenuto la “pista palestinese” come causa della bomba, dovuta al tradimento, da parte italiana, del “Lodo Moro”. Questa tesi era sostenuta anche da Gelli. 149  I legami criminali emergono al maxiprocesso di Palermo dell’85 di cui è Pubblico Ministero Giovanni Falcone. “La strage di Natale”, come

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Il giorno del suo arresto a Ginevra, Gelli ha con sé dei fogli di nominativi, da cui sembra non separarsi mai. Vale la pena ricordare quanto avvenuto tempo prima, ovvero il ritrovamento dell’elenco di appartenenza alla P2. Gelli risulta avere quattro residenze, villa Wanda ad Arezzo (abitazione privata), una suite all’Hotel Excelsior di Roma, un’azienda a Frosinone e gli uffici della ditta Giole di Castiglion Fibocchi, dove arriva la Guardia di finanza. Qui vengono trovate le carte: documenti in cassaforte, nei cassetti, negli scaffali e in una valigia. Qui è trovato l’elenco con documentazione allegata. Viene tutto sequestrato dai magistrati che conducono l’indagine, Gherardo Colombo e Turone Giuliano che sono arrivati a Gelli seguendo il flusso del denaro, seguendo gli affari di Sindona. In occasione del suo arresto ha con sé una lista di nomi da unire ai documenti ritrovati un anno e mezzo prima a Castiglion Fibocchi dalla Guardia di finanza, fra questi c’era un documento chiamato «Bologna».150 Per comporre l’intero puzzle bisogna unire questo materiale a quello relativo al processo per il fallimento del Banco ambrosiano di Roberto Calvi. Ecco che si comincia a capire. I fogli riportano nomi di persona, alti funzionari dello Stato, piduisti, altri sono una crasi forse di una parte del nome con il cognome, altri sembrano inventati, altri sono di giornalisti, come si usa dire in Sicilia “chiacchierati”. Le attuali indagini hanno ribaltato le pregresse convinzioni del progetto di Gelli, il Venerabile non ha operato

verrà denominata la bomba sul Rapido 904, ha il bilancio di 15 morti e 267 feriti. 150  Del flusso di denaro racconta Richard Brenneke, ex agente CIA, nell’intervista del luglio ’90 al Tg1.

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per depistare ma per finanziare gli ambienti eversivi. Questo è quanto oggi ha scoperto la Procura di Bologna. Sempre secondo la Procura di Bologna era in cantiere un nuovo golpe, che doveva realizzarsi, tramite una rete di fedeli. Riguardo al materiale per il fallimento del Banco ambrosiano, il figlio del banchiere ha rivelato che il padre aveva con sé a Londra – dove è trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri – una cartelletta intitolata «Bologna». Forse voleva servirsene per contrastare, ricattando, i mandanti della strage alla stazione, di cui conosceva i nomi e i Servizi deviati. In quest’ottica, si è pensato che a Gelli potesse convenire “liquidare” il banchiere. Il “caso Calvi” è frettolosamente archiviato come suicidio, ulteriori perizie ritengono che il banchiere sia stato prima strangolato, poi appeso al ponte. In questa nuova indagine emerge un dato nuovo fondamentale: il Venerabile non è stato unicamente eccellente depistatore delle indagini sulla strage di Bologna ma conduttore, come conferma proprio il documento intestato «Bologna», che riporta una considerevole somma in dollari, ossia il finanziamento completato tramite operazioni eseguite su banche facenti capo, fra l’altro, a Calvi; e che attribuisce anche ai Servizi segreti svariati milioni assicurati dal Pentagono.151 La loggia segreta P2 ha goduto di appoggi, coperture politiche, e di tanto denaro, di dollari, mandati dalla CIA. Il Venerabile dirà beffardo che quel giorno a Castiglion Fibocchi fra le carte «qualcosa» è sfuggito.

151  Cfr. Aa.Vv., Alto tradimento, Castelvecchi, Roma 2016.

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V LA STAMPA NELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE

1.  La stampa nella strategia della tensione Dai fatti ricostruiti è evidente quanto i media siano stati sinuoso strumento nella guerra psicologica, in cui hanno assunto la funzione di dirigere e canalizzare le informazioni. Dagli anni Settanta la stampa è diventata un potere in sé, può informare e disinformare. Così si spiega la ragione per cui da allora l’opinione pubblica prima è frastornata dalle informazioni, poi condizionata. «Non capisco quale altra possibilità ci sia per il giornalista di arrivare alla notizia se non di sfruttare gli interessi contrastanti dei gruppi di potere» dice Giorgio Bocca. Ma a questo punto ci si chiede: cos’è l’opinione pubblica? Secondo Giovanni Sartori «è l’insieme delle opinioni e del pubblico, investe la res publica, la cosa pubblica, si occupa degli argomenti di carattere generale, dei problemi collettivi».152 Prevalentemente viene plasmata dai cosiddetti giornali di opinio152  Giovanni Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza RomaBari 1997, p. 41 e sgg.

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ne, ma, con l’avvento della televisione di Stato come oggetto di divulgazione di massa, le cose cambiano perché la TV elimina “le autorità cognitive”, l’autorità diventa l’immagine che parla e inganna, “l’occhio crede in quel che vede”; così, quanto appare diventa reale anche se non lo è. Diventa vero. Tuttora le informazioni sono talvolta “deviate” verso quanto si vuole porre in attenzione o vi sono delle sottili omissioni; può valere come esempio, estendibile in generale ad altri terroristi, il caso di Sergio Segio, oggi presentato come un esponente del Gruppo Abele; per correttezza e completezza informativa si dovrebbe anche indicare che ha ucciso i giudici Alessandrini e Galli. Molta terminologia dei cosiddetti “anni di piombo”153– espressione che chiarifica come in quegli anni il rumore sordo del piombo delle pallottole sia elemento caratterizzante, simbolo dell’estremizzazione mista a esaltazione della dialettica politica, confluita nella violenza armata –nasce dalla stampa, poi diviene d’uso politico e sociale e non viceversa come spesso si pensa. Al tempo si usava dire: “mettiamo la bomba e montiamo la stampa”.154 I fatti sin qui ricostruiti lo hanno ampiamente dimostrato. 153  Per la prima volta, l’espressione “Anni di piombo” è usata da Margarethe von Trotta, nel suo film del 1981 sull’esperienza sovversiva nella Germania Ovest. Storicamente si può intendere il periodo che intercorre dal 12 dicembre ‘69, data della strage di Piazza Fontana a Milano, al rapimento del generale statunitense James Dozier. La stagione di piombo attraversa molti Paesi europei: in Germania Ovest opera la RAF, con l’obiettivo di aprire una crisi sociale che conduca alla scoppio di una rivoluzione comunista; in Spagna operano i separatisti baschi di ETA, in Irlanda il gruppo nazionalista cattolico dell’IRA. 154  Cfr. I neri e i rossi. Terrorismo, violenza e informazione negli anni Settanta, a cura di Mirco Dondi, Ed. Controluce, Nardò (LE), 2008.

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La carta stampata contribuisce a modificare l’evento utilizzando in modo strumentale l’effetto emotivo che la notizia di un attentato produce sull’opinione pubblica. In questo modo, la notizia diventa non solo preminente ma anche dominante rispetto all’attentato stesso: “L’attentato produce un effetto domino sulla scena pubblica che ne esce completamente reinterpretata”.155 Il pistorolo Nozza, un segugio delle notizie, racconta che era la prassi di ogni giornale che il direttore o il suo vice mettessero in mano al cronista il foglio del caso con la nota scritta in alto pista da seguire.156 Similmente diventa marcato il legame – che talvolta è condizionamento – del potere finanziario, industriale e bancario. In questo quadro si va strutturando il sistema pianificato d’informazione che assume un duplice atteggiamento, uno di tipo “conservatore” (filtra le notizie, incide con una propria linea editoriale, al fine di mantenere lo status quo), l’altro potremmo dire “notarile”, che è quello di una stampa che si limita a dare le informazioni che riceve scevra di confronto, approfondimento e implicazioni. Lo stesso modus è riscontrabile nella TV di Stato, che manda le notizie in differita, malgrado persegua l’identico scopo con la diretta. Un esempio lo fornisce il servizio di Bruno Vespa sulla bomba di Piazza Fontana, che presenta Valpreda come “uno dei colpevoli della strage di Piazza Fontana”. Ci vuole poco a comprendere come per i telespettatori quanto ascoltato diventi verità. Il dato è amplificato e assorbito come tale dall’immaginario popolare. Di fatto sta prendendo corpo proprio il progetto tratteggia155  Mirco Dondi, op. cit., p. 3. 156  Marco Nozza, op. cit., p. 19.

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to in forma teorica al convegno all’Istituto Pollio del ’65, rappresentativo del chiaro legame fra apparati dello Stato (Forze armate e Servizi, un obiettivo è proprio la costituzione dei Nuclei di difesa dello Stato) ed eversione nera, in cui si delineano le linee guida da perseguire in merito alle modalità d’intervento, alla tipologia d’intervento informativo, in pratica, su come deve essere data la notizia, ancora meglio: su come si restringe il campo sul nemico, come si deve essere abili nel rinominarlo più volte nel testo dell’articolo. Tutta l’operazione mira a direzionare il lettore a individuare il cosiddetto “nemico” e a condurlo a interiorizzarne il pericolo e la minaccia. Così che l’evento viene “montato” o al contrario esattamente “smontato”. Un altro esempio. Nel quadro delle manifestazioni sessantottine, Il Tempo e Il Borghese negli articoli di quei giorni richiedono al Governo un’azione d’emergenza provocando nel lettore la preoccupazione dell’imminente rivoluzione comunista. Entrambe non sono testate apertamente schierate, ma hanno un orientamento di destra molto marcato.

2.  Le testate giornalistiche e le agenzie di stampa Al tempo, le testate hanno preminenza sulla televisione, rapporto questo che si ribalterà nel corso degli anni. Non stupisce quindi la presenza di tanti direttori di giornali e giornalisti pubblicisti, esponenti della Rai, nell’elenco della P2. Ovviamente figurare nell’elenco non costituisce in sé reato ma nella fattispecie può far confermare il dato dell’assunto di partenza. Lo sguardo alle statistiche del periodo lo chiarisce ancora di più. Secondo l’analisi di Angelo Del Boca nella classifica dei 146

giornali più venduti nella seconda metà degli anni Settanta, ai primi dieci posti figurano: Corriere della Sera, La Stampa, l’Unità, Il Messaggero, Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Tempo, La Notte, Stampa sera.157 Evidente la scarsità dei quotidiani di partito: Il Popolo (DC), Avanti! (PSI), Il Secolo d’Italia (MSI). Altre due considerazioni vanno aggiunte, una sui proprietari della testata, l’altra sul lavoro delle agenzie di stampa. Sul primo punto, le indagini del giudice Emilio Alessandrini sono la chiave di volta per comprendere il filo che lega il proprietario al finanziamento di un attentato o alla strategia della tensione; in quest’ottica rientrano le acquisizioni della Nazione di Roma e del Resto del Carlino di Bologna da parte del petroliere Attilio Monti, uomo influente nell’orbita dell’Istituto Pollio. Il giudice è il primo a riconoscere in lui un finanziatore della strategia della tensione, per Giannettini è il finanziatore del golpe Borghese. Sul secondo punto. L’agenzia di stampa più importante in Italia è l’Ansa, considerata fra le più rilevanti dell’Occidente, che non risulta coinvolta nella strategia della tensione. Ci sono però sul territorio nazionale circa quattrocento agenzie di stampa influenti; in ordine d’importanza nel periodo, anche perché le informazioni che trasmette sono delle anteprime, anche attendibili, c’è OP di cui è direttore Mino Pecorelli. Del direttore c’è molto da dire, il suo profilo sarà indicato in seguito; la sua agenzia, attiva dal ’68, fornisce informazioni a molti quotidiani e periodici, anche a quelli – come L’Espresso – che non lo dichiarano direttamente. È legata al SID di Vito

157  Angelo Del Boca, Giornali in crisi. Indagine sulla stampa quotidiana in Italia e nel mondo, Aeda, Torino 1968, pp. 37-38.

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Miceli, che le invia informazioni, e quindi di fatto diventa un suo strumento di pressione, nell’agenzia lavora anche Enrico De Boccard già presidente del Pollio. Altre agenzie giornalistiche sono Oltremare collegata a Rauti e al quotidiano Il Tempo, a loro volta segnalati come collaboratori dell’agenzia Aginter Press di Serac, l’agenzia D, diretta da Giannettini e Rauti che ha legami con l’area di ON. Un’agenzia della sinistra democristiana è l’Ipe, vicina a Moro. Ci sono altre piccole agenzie comunque connesse ai Servizi e alle testate. L’Aipe ha rapporti con l’UAARR, è finanziata dal SID, come l’agenzia a Montecitorio è anch’essa legata al SID. Giannettini si muove su più agenzie, D, Oltremare, Aginter Press, Destra nazionale. Come emerso, molte agenzie sono legate ai Servizi, non è da escludere che vi siano scambi fra esse o che anche un informatore confidenziale a cui un giornalista ricorre potrebbe essere dei Servizi. C’è ancora qualcosa di più profondo. Da una stessa agenzia possono partire le stesse informazioni destinate a diverse testate anche di diverse ideologie, che le potranno adoperare per finalità diverse. Analogamente le notizie possono partire dai Servizi perché funzionali ai loro fini, arrivare alle sedi dei giornali che ne sono ignari. Talvolta invece sia la fonte che l’origine restano celate. Così l’ordinovista Vinciguerra che riferisce che al tempo «onorevoli del MSI e molti giornalisti sono spioni a tempo pieno sotto copertura».158 Vale la pena ricordare che neanche l’agenzia di stampa può dirsi “neutra”, come porta a comprendere l’agenzia OP di Pecorelli, perché talvolta è dalla fonte che proviene la distorsione, quindi, prima che il fatto in sé diventi notizia. Propedeutica an158  Vincenzo Vinciguerra, Ergastolo per la libertà, p. 9.

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che la valutazione di Giorgio Bocca, che spiegava come alle notizie cosiddette “importanti”, un giornalista non arriva da solo, ma tramite “fughe di notizie”, perché è inevitabile servirsi a proprio vantaggio degli interessi contrastanti dei gruppi di potere per diffondere la notizia, quindi questi stessi interessi condizionano le notizie. In questa logica ogni notizia deve essere valutata alla luce del contesto in cui nasce e si muove. Storicizzando, tutte le notizie di questi anni vanno inserite nel preciso contesto e in particolare relazionate alla politica interna ed estera e agli interessi in campo. Questo è un dato che non va mai dimenticato. La politica estera seguiva due vie opposte: la filoaraba e la filoisraeliana. La prima, perseguita da Moro e da Vito Miceli come dirigente del SID, come riferisce il cosiddetto “lodo Moro”, è mossa in prima battuta dalla necessità di rifornimento di petrolio e in seconda di evitare il terrorismo palestinese in Italia.159 L’altra linea, che nel SID ha come suo referente Maletti e come politico Andreotti, al contrario, si muove per avvicinarsi a Israele. La linea filoaraba non è solo avversata dai Servizi (statunitensi, israeliani e tedeschi) ma guardata con preoccupazione dagli Stati Uniti, perché avrebbe potuto comportare uno sbilanciamento dell’assetto internazionale nel Mediterraneo. A questo punto della disamina dell’attività della stampa in relazione alla guerra psicologica, si possono individuare le categorie cui i diversi tipi di stampa sono stati distinti: “edotta”, “consenziente”, “autonoma”, “di opposizione”.160 Le testate edotte sono: Il Tempo, Il Borghese, Lo specchio, Candido, Il

159  Il lodo Moro è esaminato nel capitolo «Affaire Moro» (parte I), paragrafo «I gialli della trama rossa…». 160  Marco Dondi, op. cit., p. 92.

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Messaggero, La Notte (testate presenti al Pollio). Consenzienti: Il Corriere della Sera, Il Resto del Carlino, Il Mattino, L’Adige, Epoca. Autonome: La Stampa, Il Secolo xix, Il Mondo. Di opposizione: L’Ora, Avanti!, L’Espresso, l’Unità, Lotta continua, L’Astrolabio. Sono da ritenere consenzienti le testate che per inclinazione ideologica seguono il filone delle informazioni e riferiscono la versione indicata dalle autorità. In un ragionamento più ampio, in quel contesto – ma lo è anche oggi – era sempre più conveniente seguire la linea vigente del conformismo informativo imperante, perché opporsi voleva dire esporsi a inimicizie, contrasti, ritorsioni. Superando questi dati statistici, si richiamano due casi come esempi che consentono di seguire dall’interno la dinamica informativa e quindi rispondere al quesito: come viene data la notizia di un attentato o di un golpe? Possiamo prendere a titolo esemplificativo il Piano “Solo” e il golpe Borghese. Il Piano “Solo” dell’estate del ’64 è fermato per volontà dello stesso capo di Stato, Antonio Segni. La notizia del golpe emerge a tre anni di distanza dalla sua tentata esecuzione, riportata dall’Espresso. Nel maggio del ’67, il settimanale pubblica infatti la sua inchiesta – a firma di Lino Jannuzzi e del direttore, Eugenio Scalfari – e le inedite rivelazioni sul coinvolgimento di Segni e del generale De Lorenzo. Le maggiori testate si limitano a riportare la cronaca dell’accaduto, le smentite di Saragat, presidente in carica, e del presidente del Consiglio Moro. Nell’immediata pubblicazione, De Lorenzo sporge denuncia contro l’autore per diffamazione, ma in seguito non vi saranno procedimenti penali. La dinamica della vicenda resterà sempre ne150

bulosa malgrado sarà chiaro il coinvolgimento di Segni e De Lorenzo; la notizia del tentato golpe produce l’effetto sperato: il condizionamento politico e il mantenimento dello status quo.161 L’altro esempio è fornito dalla notizia del golpe Borghese. I quotidiani di sinistra come l’Unità parlano di «complotto reazionario»; Avanti! di un «tentativo neofascista contro le istituzioni»; invece il democristiano Il Popolo pone l’attenzione su un altro aspetto e scrive: «Ferma difesa delle istituzioni». Il golpe Borghese sembra quasi riuscire – è interrotto da una telefonata ricevuta dal principe Borghese; in realtà nelle intenzioni dei golpisti è il contrario, perché il loro fine è unicamente intimidatorio. La notizia è diffusa nell’immediato, la reazione collettiva è fortissima, genera tensione e paura. In particolare negli ambienti della sinistra giovanile. Le notizie di qualche anno dopo consentono altra valutazione. Efficaci allo scopo due articoli della Stampa di Silvana Mazzocchi, quello del giugno ’78 da cui emerge l’attesa collettiva di «condanne esemplari» e quello immediatamente successivo di luglio che riporta la decisione dell’assoluzione.162 La formula “tutti assolti, compresi i rei confessi” è uno strategico escamotage che annulla l’esistenza stessa del tentato golpe Borghese.

161  Cfr. Gli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del Sifar. Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta, Feltrinelli, Milano 1971. 162  Silvana Mazzocchi, «Per il golpe Borghese: l’accusa ha richiesto condanne esemplari», in La Stampa, 1 giugno 1978, p. 11; «Per i giudici il golpe Borghese non fu un’insurrezione armata», in La Stampa, 15 luglio 1978, p. 9.

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3.  Ancora sul convegno al Pollio In conclusione, torniamo al Pollio, quella sorta di centrale che ha congegnato e orientato la strategia della tensione che si è affiancata alle operazioni messe in atto da Gladio e al convegno intitolato “La guerra rivoluzionaria”, il cui sottotema – ricordiamolo – è lo studio del condizionamento della vita politica al fine di individuare le linee strategiche per ostacolare l’influenza comunista. Chi sono i convegnisti del Pollio? Sono tanti i giornalisti che rientrano nell’area d’influenza dell’Istituto e sono tanti i partecipanti di area neofascista come testimonia fra l’altro l’organigramma dell’evento ritrovato a De Boccard, che allora è il presidente dell’Istituto. Figurano sei direttori di quotidiani, Il Messaggero, Il Tempo, La Nazione, Roma, Il Giornale d’Italia, Corriere lombardo, i direttori dei settimanali Lo specchio e Il Borghese, è presente Giorgio Pisanò, lì in veste di relatore, sarà il futuro direttore e proprietario del settimanale Candido. Esponenti di area liberale, Franco Bandini e Renzo Trionfera, che sarà uno dei soci fondatori del Giornale Nuovo di Indro Montanelli e l’intervistatore di Gelli dopo la scoperta degli elenchi P2. Risulta che ogni partecipante ha comunque contatti con gli organizzatori. Sono presenti alcune associazioni, il FUAN e altre missine. Il Tempo è il quotidiano più rappresentato, con sei relatori tra cui appunto Giorgio Torchia, Rauti e tanti altri di orientamento fascista. Il motivo richiamato in apertura torna circolarmente in chiusura, reso efficace da un caso drammatico, quello di Giovanni Spampinato.

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4.  Una storia nera. Omaggio a Giovanni Spampinato, cronista dell’Ora di Palermo Spampinato è un giovane siciliano, bruno, miope, con gli occhiali spessi. È cattolico ma ha una fede comunista. Ha prestato soccorso ai terremotati del Belice, è il corrispondente da Ragusa dell’Ora di Palermo e dell’Unità, si occupa del neofascismo nazionale e delle sue sponde siciliane nei capoluoghi di Ragusa, Catania e Siracusa. Ha l’occhio lungo questo giovane cronista, non si ferma a esaminare i fatti della Sicilia, ma si interessa alle trame eversive nascoste, alle organizzazioni dell’estrema destra locale e ai contatti con la criminalità organizzata che controlla i traffici illeciti e ai legami che intrattiene con esponenti di rilievo dell’eversione nera nazionale e internazionale. Indaga fino alla notte in cui è raggiunto da una raffica di piombo. Su cosa era orientato il suo obiettivo? In questi anni cruciali della strategia della tensione, nella calma provincia della Sicilia orientale qualcosa in profondità si muove, ma non è visibile a occhio nudo. Tutto ha inizio con un delitto, quello di un noto ingegnere del ragusano, Angelo Tumino, che traffica oggetti d’arte. A essere sospettato è un rampollo della buona società cittadina, il figlio del presidente del tribunale della città, Roberto Campria. I due, il defunto e il suo presunto assassino, risultano essere amici, entrambi sono nell’estrema destra. Torniamo a Giovanni. Da tempo ha cominciato a indagare sulle trame nere del neofascismo locale ma dopo quel delitto riavvolge il nastro e riparte: Ragusa non è una provincia sonnolenta come appare, è una zona grigia, è al centro di “attività al limite”, traffici d’armi, droga e oggetti antichi e di strani movimenti degli ambienti del neofascismo riconducibili «a non meglio precisate manovre di 153

agenti del regime greco dei colonnelli, alla segnalazione della presenza di campi di addestramento paramilitare, mascherati da corsi per appassionati di archeologia».163 Sull’Ora pubblica articoli circostanziati (il 6 e l’8 marzo del ’72), in cui riferisce la presenza a Ragusa dell’avanguardista Delle Chiaie; anzi, nell’articolo, si stupisce che non vi siano le sue foto segnaletiche dal momento che risulta essere ricercato per gli ordigni all’Altare della patria a Roma; pubblica un rapporto sullo squadrismo nella sua città e a Siracusa. Ma la cosa più interessante che lo colpisce è Vittorio Quintavalle, che da poco è in città con moglie e figli, viene dalla capitale e vanta un passato nella x MAS e un presente di vicinanza a Valerio Borghese. È lui a incontrarsi con Delle Chiaie. Intanto, chiede il trasferimento dell’inchiesta penale – relativa a Tumino, l’ingegnere con il pallino dell’antiquariato trovato morto – in altra città.164 Certo, non sa che sta entrando in un vortice degno di una pagina del manuale della guerra psicologica. Qualcosa di sommerso stava cominciando ad affiorare. Dalla sua prospettiva locale, osserva. Da quel microcosmo di provincia prende forma il macrocosmo con le sue articolazioni, che dalla provincia si apre sulla capitale e da questa all’Europa. Probabilmente seguiva delle piste, aveva indizi precisi che non fa in tempo a provare. Il suo stesso omicidio resta avvolto in una nebulosa, non sarà mai veramente esaminato, non ha i contorni delle vicende di mafia, appare più un incrocio di congiunture sconvenienti che

163 Giuseppe Casarrubea, Giovanni Spampinato nel tunnel, 26 settembre 2016, in Archivio Casarrubea. 164  Per la cronaca, l’inchiesta del delitto Tumino rimane a Ragusa, fu chiusa senza l’individuazione del colpevole.

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ricordano altre in Sicilia già vissute. In ogni caso, sappiamo che accetta di incontrare il suo assassino, quel ragazzo dell’estrema destra che non gli piaceva, perché girava armato e si diceva avesse un arsenale di armi non dichiarato; di lui tuttavia aveva scritto che si era incontrato con l’ingegner Tumino qualche ora prima della morte di questi, ma precisava che questo incontro non doveva indurre ad affrettare le conclusioni, anzi, che bisognava indagare ancora. Spampinato doveva essere un cronista scrupoloso, non voleva clamore, voleva raggiungere certezze. Non è andata così. È ritrovato crivellato di proiettili. Portato da alcuni automobilisti di passaggio all’Ospedale civile di Ragusa, dove giunge senza vita. L’assassino è quel Roberto Campria che nell’immediato si costituisce nel vicino carcere e dichiara di essere sotto l’effetto di tranquillanti. Quelle ultime ore ha tentato di ricostruirle il fratello Alberto.165 Giovanni era preoccupato, lo attesta anche la denuncia alla federazione provinciale del PCI, in cui dichiara di essere pedinato dalla polizia, e di avere il telefono sotto controllo. Ciononostante accetta di incontrare il suo assassino, in una strada poco illuminata nei pressi del carcere; Giovanni è con la sua Fiat 500, fa salire il ragazzo. Intanto le automobili sono incolonnate nel traffico, ma inaspettatamente una 850 li supera. All’improvviso il giovane apre il fuoco su di lui con due armi, una rivoltella automatica e una pistola a tamburo. Priva di controllo, l’auto scivola nella discesa e si arresta sul ci-

165  Alberto Spampinato, C’erano bei cani ma molto seri, Ponte alle Grazie, Milano 2009.

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glio della strada con il motore ancora acceso. Il ragazzo attraversa la strada, prima ingerisce il tranquillante che ha portato con sé, poi si costituisce. Quante stranezze in questo quadro, quante linee fuori posto. Un omicidio vicino al carcere, quelle due diverse pistole, quell’immediata decisione di Campria di costituirsi. Interessante la riflessione di Casarrubea, che accosta questo delitto a quello di un altro cronista siciliano, Mauro De Mauro, avvenuta qualche mese dopo il golpe Borghese: «Non è da escludere che i due muoiano per una verità esplosiva». De Mauro, anch’egli giornalista dell’Ora, scompare a Palermo nel settembre del ’70; vantava un passato nella RSI, che gli aveva consentito di muoversi bene negli ambienti della destra estrema, conosceva Borghese – in suo onore chiama Junia la figlia – che incontra nel luglio del ’70 proprio a Palermo. Probabilmente quanto in rapida successione riesce a scoprire Spampinato era già noto a De Mauro, che avrebbe compreso le trame celate dell’inesploso golpe Borghese; Spampinato invece di quello che stava per essere organizzato. Da documenti degli archivi dei Kew Gardens britannici e dei Servizi di sicurezza di Budapest si apprende che nella seconda metà degli anni Settanta era in preparazione in Italia un colpo di Stato, voluto dalla NATO. La Sicilia ne costituiva la principale base strategica e militare. La Sicilia è un punto d’incontro cruciale per l’eversione nera. In relazione a sequestri, furti, rapine e varie attività di finanziamento neofasciste si svolge un’altra indagine, quella del vicequestore Giuseppe Peri, che porta all’arresto Pierluigi Concutelli. L’indagine fonda alcune ipotesi su un incidente aereo avvenuto il 5 maggio 1972 a Montagna Longa, vicino Cinisi, feudo di don Tano Badalamenti. Uno strano filo corre fra Gio156

vanni Spampinato di Ragusa e Peppino Impastato di Cinisi: questi muore per mano mafiosa, l’altro non sappiamo per quale reale motivazione, ma sappiamo che in quell’incidente muoiono persone vicine al giornalista ragusano, due giornalisti dell’Ora. L’area dell’incidente aereo è uno spazio militare impenetrabile. Nessuna indagine ha voluto approfondire.166

166  Cfr. Archivio Casarrubea.

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VI “GRANDE DISORDINE SOTTO IL CIELO. LA SITUAZIONE È ECCELLENTE.”

1.  Chi è Toni Negri? «Grande disordine sotto il cielo. La situazione è eccellente.» Questa massima di Mao Tse-tung è tra le preferite di Toni Negri, ben si addice alla Padova di quegli anni, dal cielo terso e sotto il cielo paure e sospetti. Padova, ieri politicamente clerico-fascista, sede dei Servizi segreti della RSI, ora capitale di Autonomia operaia. L’aria è inquieta più che a Milano e a Roma. Ogni giorno le radio libere, come Radio Sherwood, riferiscono di scioperi, occupazioni, pestaggi. È il terrore, durerà dieci anni. Girano delle liste in cui figurano le persone da aggredire o da minacciare, sono presidi, docenti ma anche professionisti e giornalisti. I ben informati dicono che il professor Negri ne sia a conoscenza prima degli altri, che sia l’occulto mandante morale delle aggressioni in atto a Padova e dintorni, che gli si addica il proclama: “Armiamoci e partite” e l’appartenenza alla “mistica del manganello”. Si sfascia tutto: si lanciano corpi contundenti sui vetri delle aule universitarie, nei caffè, nello storico Caffè Pedrocchi. Si muove da questa città il professor Negri, da qui scrive di filosofia politica, scritti ermetici che mi159

scelano esaltazione e vitalismo. Scritti di impegno sociale che aprono a dibattiti, già con la rivista Quaderni rossi che accende il dibattito nella sinistra marxista per lo spostamento progressivo all’“operaismo”. La violenza è il filo razionale che lega la valorizzazione proletaria alla destrutturazione del sistema e quest’ultima alla destabilizzazione del regime. […] Basta con l’ipocrisia borghese e riformista contro la violenza.167

Una biografia ricca di sfaccettature e incongruenze, un po’ come il suo volto magro e spigoloso.168 Negli anni Settanta è il più giovane professore ordinario italiano. Come si usava al tempo, gira l’Europa in autostop, fa esperienze alternative come vivere in un kibbutz israeliano, ma anche a Partinico in Sicilia al seguito del sociologo Danilo Dolci, dove può mettere a frutto la sua radice del cattolicesimo sociale. Nel periodo di adesione al PSI si reca con altri, fra cui Armando Cossutta, in Unione Sovietica, conosce Suslov (il politico che tiene le relazioni del PCUS con i partiti comunisti degli altri Paesi), matura un’aspra posizione verso il PCI. Entra nel gruppo della rivista marxista Quaderni rossi – fra gli altri, vi fa parte Alberto Asor Rosa – che sta-

167  Antonio Negri, in Il dominio e il sabotaggio, Feltrinelli, Milano 1978, p. 68. 168  Dopo anni di silenzio, il 3 maggio 2003 è ospite sulla rete LA 7 nella trasmissione L’Infedele di Gad Lerner, fra l’altro, racconta di un’informazione riservata rivelatagli da Craxi, allora presidente del Consiglio, mentre lui era a Parigi, che lo invitava alla cautela perché «i servizi stavano architettando qualcosa su di me». Con Lerner presenta alla Fiera del libro indipendente di Milano il libro Storia di un comunista (marzo 2016). Allo stesso anno risale la revoca del vitalizio come ex parlamentare del Partito Radicale.

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bilisce contatti con nuclei operai delle fabbriche. Il gruppo si scioglie, restano gli “irriducibili”, fra cui Negri, Mario Tronti e Asor Rosa, che fondano una nuova rivista, Classe operaia. Mensile politico degli operai in lotta (dal gennaio ’64, biennio’66-’67, edita da Marsilio, la casa editrice padovana di cui è cofondatore con Cesare De Michelis, fratello del noto politico Gianni). Nel frattempo, conosce un ragazzo abruzzese trapiantato a Roma, Marco Pannella, fondatore con Scalfari ed Ernesto Rossi del Partito radicale: «Noi» dice Pannella «siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri».169 Un’amicizia che tornerà utile. All’orizzonte ci sono nuovi contrasti, la scissione da Tronti, e la nuova rivista marxista Contropiano (diretta da Asor Rosa e Massimo Cacciari). Segue la rivista Potere operaio. Giornale politico degli operai di Porto Marghera e contemporaneamente Potere operaio, noto come Pot Op, gruppo operaista della sinistra extraparlamentare che intraprende una duplice posizione di rottura con il PCI e con il sindacato. La rivista Potere operaio è la voce ufficiale dell’organizzazione. Sulla Classe scrivono Oreste Scalzone e Franco Piperno, nomi ricorrenti nella vita di Negri e nella storia dell’estrema sinistra. Dirà Cacciari: «Con Negri la rottura avviene già dal primo numero di Contropiano, il secondo numero non è già più firmato da Toni. Fu lì che si consumò la rottura tra una lettura tutta in chiave prerivoluzionaria del Sessantotto e un’altra che vedeva in quella contingenza la possibilità della riorganizzazione

169  Marco Pannella, Scritti e Discorsi 1959-1980, Gammalibri, Milano 1982.

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del movimento. Nel ’70, l’operaismo finisce per ragioni materiali. Ci fu un convegno nel ’77 a Padova, concluso da Napolitano, in cui questa storia veniva storicizzata e se ne constatava l’inevitabile tramonto».170 Le più importanti esperienze di Pot Op come organizzazione sono a Marghera e a Torino alla Fiat Mirafiori. Il cattedratico Negri indossa la tuta blu e partecipa agli scioperi di Marghera, di fatto s’incanala verso l’operaismo politico. Sciolto Pot Op, fonda Autonomia. La primavera del ’79 vede centinaia di militanti dell’area di Autonomia inquisiti, arrestati, mentre in contemporanea il parlamento vota “leggi speciali” per affrontare l’emergenza terrorismo.171 È “l’istruttoria 7 aprile”. Negri è tra gli arrestati, insie-

170  «Intervista a Massimo Cacciari» in Pandora - Rivista di teoria e politica, 15 ottobre 2015. 171  I partiti al Governo – DC, PSDI, PSI, PRI, PLI e PCI – trovano l’intesa e vengono varati interventi legislativi che introducono misure repressive contro i reati di terrorismo (legge Reale del ‘75), sia misure rafforzanti i poteri d’intervento delle Forze dell’Ordine che prevedono anche l’istituzione di Corpi Speciali (come il GIS), coronati da leggi che inaspriscono il giudizio di colpevolezza (Legge Cossiga dell’80). Il 22 maggio ‘75 viene approvata la legge Reale (dal nome del ministro della Giustizia Oronzo Reale, del PRI) che impone poteri speciali alle forze di polizia per la tutela dell’ordine pubblico. Art. 17, possibilità di processi in via direttissima per reati di ordine pubblico. La legge Cossiga N. 16 del 6 febbraio 1980, converte un decreto legge del 1979, porta il nome del ministro dell’Interno DC. Prevede uno sconto di pena per chi collabora con la giustizia. Accolte dall’opinione pubblica anche con sconcerto, vengono sollevati dubbi sull’incostituzionalità, entrambe le leggi, Reale e Cossiga, sono sottoposte a referendum abrogativi che ne confermano il mantenimento. Cfr. Archivio storico delle elezioni –Referendum dell’11 giugno 1978 e Referendum del 17 maggio 1981, in Ministero dell’Interno.

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me, fra gli altri, al suo assistente Ferrari Bravo, a Emilio Vesce direttore di Radio Sherwood, a Giuseppe Nicotri, giornalista del Mattino di Padova, a Piperno e a Scalzone. Diversi i capi d’accusa imputatigli.172 È accusato –insieme a Scalzone e a Piperno – di complicità politica e morale con le BR.173 Accetta la proposta di Pannella di candidarsi per il Partito radicale. Pannella la ritiene una candidatura politica che lo pone come icona, anzi vittima sacrificale di leggi repressive imposte dal PCI, Negri si avvale dell’immunità parlamentare e si impegna a continuare la lotta per la liberazione dei detenuti. In attesa del dibattito parlamentare per l’autorizzazione a procedere al suo arresto, a Roma si tiene un comizio dei radicali che si trasforma in scontro: sono ribaltati i tavoli per le firme dei referendum, volano sedie, microfoni. È la lacerazione con Autonomia: sul palco si lanciano monete, sassi, bottiglie, gli autonomi gli gridano buffone, pupazzo, venduto, lui risponde ragazzotti imbecilli, traditori. In ogni caso, la Camera dei deputati concede l’autorizzazione a pro172  Molti i capi d’accusa a Negri: organizzazione sovversiva, complotto politico, banda armata e insurrezione armata contro i poteri dello Stato, partecipazione al sequestro e all’omicidio Moro, all’omicidio di un militante di Lotta continua, del giudice Alessandrini, (di sequestri di persona con le BR, l’uccisione di un brigadiere durante la rapina di una banca di Argelato in provincia di Ferrara, il tentato sequestro di un industriale, un altro attentato incendiario a uno stabilimento milanese, il furto in un’armeria) e ancora il possesso di esplosivi, attentati dinamitardi, falsificazione di documenti, furti, tentate rapine, tentato sequestro e favoreggiamento. 173  Dopo la carcerazione preventiva, con le dichiarazioni di Patrizio Peci cadono parte delle accuse, di fatto è riconosciuto colpevole di concorso morale nella fallita rapina di Argelato, in cui muore un carabiniere. Condannato in via definitiva a dodici anni di carcere, a questi anni se ne aggiungono altri negli anni ‘90 per altri reati. Gli ultimi quattro li sconta in semilibertà.

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cedere. Pannella è insultato, il PCI e il PSI chiedono di votare la sospensiva dell’arresto fino al processo di primo grado, i radicali si astengono (i loro voti sarebbero bastati all’approvazione). Quando è già latitante in Francia, è concessa l’autorizzazione all’arresto, dopo un giro di conferenze in Europa, sarebbe dovuto rientrare in Italia ma in Francia resta quattordici anni avvalendosi della “dottrina Mitterrand”. A Parigi scrive, insegna all’università, rilascia interviste, nota quella a Enzo Biagi, in cui è presente l’amico Pannella. Biagi è critico, stigmatizza le sue riflessioni vicine alle teorie di Goebbels. Amare le parole di Vesce: «Suscita imbarazzo il suo tentativo di rivestire la latitanza di significati politici». Ma critico diventa anche Pannella che attendeva il suo rientro in Italia, come si legge in una lettera aperta sul Corriere della Sera, in cui lo accusa di aver disatteso il fine della lotta per la liberazione dei compagni in carcere. Rientrerà nel ’97 per finire di scontare la pena.

2.  Quella cena con il giudice Alessandrini Nei giorni del rapimento di Moro, Negri è a Milano dove partecipa a una cena a casa di Antonio Bevere, magistrato che come lui scrive sulla rivista Critica del Diritto, tra gli invitati figura il giudice Alessandrini. La cena tiene banco per un po’ sui quotidiani: c’è stata o no? Chi sono i commensali? Chi invita chi? È confermata da un articolo apparso anonimo sul Manifesto. Negri racconta che l’invito è del dottor Bevere, che gli ester164

na il desiderio di Alessandrini di conoscerlo. Questo dato dovrebbe fornire un indizio: il giudice voleva capire in modo colloquiale chi fosse Negri o è il contrario, Negri cerca di sapere cosa il giudice sa di lui? O piuttosto la cena conferma che il nostro è uno stimato docente ben integrato nei salotti nazionali? Certo, sappiamo anche che il giudice ha un dubbio sull’opportunità di parteciparvi perché è comunque una cena in cui siede al tavolo con un inquisito. Dal momento che la cena c’è stata, si può desumere che il dubbio lo abbia fugato e che forse cercasse conferme a un’idea che gli girava in testa, la voce del professore gli ricordava un’altra voce che aveva ascoltato in radio. La voce trasmessa in radio (il 30 aprile del ’78) era quella del telefonista a casa Moro. Al momento dell’ascolto gli sembrano coincidenti, ne parla con l’amico, il giudice Calogero della Procura di Padova. Interpellato su questo, Calogero non conferma né smentisce.174 C’è quindi il Negri pubblico e il Negri – diciamo – “privato”. «Un vero barone universitario […] profondamente inserito nel contesto della sua città; una città avvolgente, Padova, con tutte le sue caratteristiche; aveva sposato un membro di una importantissima famiglia veneziana, viveva in una casa bellissima. Lui era prima di tutto questo» dice la sua assistente Rita Di Leo. E continua: «Ebbe una grande apertura nei confronti dei Quaderni rossi, con Raniero aveva una comunanza anticomunista fortissima. […] Io l’ho sempre visto come un intellettuale, dal punto di vista generazionale il lavoro con gli operai lo facevano i più giovani. […] A Firenze io colsi, nell’atteggiamento di Negri, di Tolin [si riferisce a Francesco Tolin, N.d.A.], di

174  Marco Nozza, op.cit, p. 142 e sgg.

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altri, la certezza che loro credevano che il PCI dovesse essere combattuto».175 È questo un mondo che sente incombente la paura del comunismo rappresentata dal muro di Berlino, che separa non solo fisicamente l’Est dall’Ovest. Dopo il xx congresso del PCUS, si acuisce la critica allo stalinismo che favorisce il fuoriuscitismo dal PCI e nel contempo muove a interessi meno ideologici e più pragmatici, ovvero al sistema lavorativo nelle fabbriche, allo sfruttamento degli operai. Come emerso, è questo il collante nella lotta comune fra operai e studenti, ed è questo secondo il professore quanto il PCI non comprende. In questa cornice, Classe operaia si propone di raggiungere la maggioranza parlamentare, aborrire gli atteggiamenti collaborativi con i cosiddetti “nemici di classe”, organizzare operazioni distruttive contro i punti nevralgici del sistema con un solo scopo, distruggerlo. Nei numeri di Classe operaia ricorrono gli stessi temi, si usano gli stessi vocaboli gridati nelle piazze e nei cortei: “scontro di massa”, “violenza operaia”, “insubordinazione”. Ogni parola, cui corrisponde un’azione, ha in sé carattere eversivo. È in atto un fenomeno socio-politico complesso che ha il suo cuore pulsante in Veneto, regione secolarmente lontana dalle insurrezioni popolari e mite nei comportamenti collettivi. Città come Padova, Venezia e Treviso si sono rapidamente trasformate, le società rurali sono divenute “classe operaia”, si connotano di una bassa cultura e si muovono attraverso azioni di violenza spontanea e disorganizzata. In questi luoghi orfani della sinistra e privi di strutture sindacali solide s’insinua Auto-

175  Rita Di Leo, a cura di Giuseppe Trotta, Per una storia di Classe Operaia, in Bailamme, vol. 26, Marietti, Milano 2000.

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nomia, che copre il vuoto della politica, qui fanno breccia i sermoni violenti e persuasivi del professor Negri. Anche nelle sedi universitarie dove tiene “seminari di studio” che sono d’indottrinamento politico, per formare i militanti dei Collettivi, nati a Padova e sviluppatisi a Venezia, Vicenza, Rovigo.176 Sin dai primi anni sono ricorrenti nei suoi testi gli incitamenti all’insurrezione armata: «La forza armata del proletariato che attacchi e distrugga il comando capitalistico». Intervistato da Zavoli, Negri sconfessa questo quadro.177 In sé non sconfessabile: il numero 35 di Potere operaio del ’70 è un proclama della violenza operaia come metodo. E ancora di più i numeri 47-48 del giugno del ’72: «Contro chi si deve dirigere la nostra violenza? Ingegneri di fabbrica, giudici, commissari di polizia, presidi, ufficiali dei corpi militari […] contro costoro va esercitata la violenza e il terrore rivoluzionario […]. Perché i proletari seguano la regola: castiga uno, educane cento». Anni dopo, sul Manifesto dirà: «Una specie di massoneria mozartiana, questo era Pot Op». In questi anni Pot Op ha una sede parigina, pianifica una rete logistica europea, ha legami con i baschi di ETA, anche con Beirut, con i campi scuola dove avviene l’addestramento dei militanti. Si sta teorizzando la base del terrorismo rosso, rintracciabile nei due convegni, del ’71 a Roma e del ’73 a Rosolina, in Veneto, il filo rosso che li lega è la scelta della lotta armata. Sono gli anni coincidenti alla genesi di Autonomia Organizzata. Con il senno di poi, il professore smussa gli angoli. Precisa

176  Materiale per la formazione dei quadri. Che cos’è Potere Operaio. In Potere Operaio, n. 45 dicembre 1971. 177  Sergio Zavoli, Intervista Toni Negri, Rai, 1989.

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che le forme di lotta armata spontanea non sono necessariamente divenute «lotta armata di massa», parla di «una costruzione e di una responsabilità collettiva», di cui non si può negare l’esistenza, in quanto parte integrante del clima di quegli anni; ma è altrettanto innegabile che su questa vi siano stati altri innesti. Contrasta l’idea della militarizzazione di massa voluta dal sistema organizzativo interno di Pot Op, nega la volontaria distribuzione nei cortei di molotov e di armi in genere.178 Oggi chi legge i suoi testi, ascolta le sue interviste, rileva il carattere idealizzato e ideale di queste valutazioni, e di quegli anni, di cui riferisce unicamente fattori positivi, «le discussioni, le iniziative di massa», e di cui nega la successiva trasformazione in organizzazione militare. Eppure aveva scritto: Nulla più di quest’attività continua di franco tiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi trovo a vivere. Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna.179

E ancora: Rifiuto del lavoro è innanzitutto sabotaggio, sciopero, azione diretta.180

178  Ibidem. 179  Antonio Negri, in Il dominio e il sabotaggio, Feltrinelli, Milano 1978, p. 43. 180  Ivi, p. 55.

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[…] Il nostro sabotaggio organizza l’assalto proletario al cielo.181

Sembra gli piaccia l’idealizzazione di “quel passato”. Da un punto di vista emotivo, potrebbe essere anche comprensibile. Nell’intervista (del novembre ’86) su Avvenire, quotidiano cattolico, si legge: «Oggi il problema non è più quello della riconquista violenta dello Stato […]. Sono passati dieci anni, è venuto il tempo della pacificazione. Se in passato ho peccato di leggerezza e irresponsabilità, sarò più attento per il futuro». Su Penthouse, (rivista per adulti, marzo ’87) delle BR dice: «Un gruppuscolo marxista-leninista ferocemente ottuso e assassino». Trascura che molti br, come Seghetti e Morucci, Germano Maccari, sono proprio fuoriusciti dai gruppi operaisti, lo stesso vale per le donne, per Barbara Balzerani, Rita Algranati, Adriana Faranda. Il dominio e il sabotaggio è un inno alla rivolta sociale, il cui titolo è già proclama. Uno scritto ripetitivo dallo stile fascista, carico di echi nietzschiani, in cui descrive la classe operaia: Un animale vivo, feroce coi suoi nemici, selvaggio nella considerazione di sé, delle sue passioni, così ci piace prevedere la costituzione della dittatura comunista. L’ordine delle funzioni e dei contenuti non può che instaurarsi sulla vitalità della bestia proletaria, sull’unità della sua diversità.182

E ancora:

181  Ivi, p. 71. 182  Ivi, p. 65.

169

Ogni azione di distruzione e di sabotaggio ridonda su di me come segno di colleganza di classe. Né l’eventuale rischio mi offende: anzi mi riempie di emozione febbrile, come attendendo l’amata.183

3.  Autonomia e BR: uguali e diverse? È certamente vero che è difficile scrivere una storia organica della miriade di piccoli eventi e delimitarne i singoli confini, ma si può tracciare un percorso complessivo che vede camminare parallelamente BR e Autonomia. Una linea sottile le separa e le unisce. Negri dice invece: «La differenza del giorno e la notte» perché «Autonomia era un largo movimento politico anche violento, che non ha nulla a che fare col terrorismo, le BR sono un gruppo terroristico». La storicizzazione ricorda che il partito armato nasce tra il ’70 e il ’71, cui poi si aggiunge la svolta con la genesi di AO. Il professore magnifica la «netta differenza di organizzazione, strategia, forma di lotta, identificazione di soggetti sociali […] ideologia». «L’omologazione tra le due ha confuso la corretta lettura, ha prodotto lo smarrimento del senso reale, impedendo la trasformazione comunista», da intendersi come «lo svantaggio per la società italiana che si è ritrovata in una situazione politica indurita».184

183  Ivi, p. 43. 184  Sergio Zavoli, Intervista Toni Negri, Rai 1989.

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Eppure scriveva esattamente il contrario nel suo esasperato neoleninismo: «È guerra civile permanente».185 Le BR si sono trasformate lungo il percorso, più ideologiche dal ’71 al ’73, l’anno dopo incanalate nella pratica combattente per muovere “l’attacco allo Stato”, fino alla svolta del ’77 coincidente con l’acuirsi della violenza in particolare a Padova e a Bologna. In questa sorta di alternanza fra BR e Autonomia, nel ’78 sembra che le BR vogliano riprendersi la titolarità del comando e sferrare il loro colpo migliore: il rapimento di Aldo Moro. Già nel ’74 il professore scriveva Tesi sulla crisi, ritrovato proprio in un covo BR e inizialmente loro attribuito perché contenente un “lessico brigatista”, compare per esempio l’acronimo SIM, Stato imperialista delle multinazionali. Valutiamo Negri e Curcio. Fra loro ci sono contatti certi, relazioni, confronti. C’è una rete di scambi, nascondigli, aiuti per espatriare e sarà così per anni. La rete eversiva di Rosso garantisce a molti copertura, come accade al br Gallinari prima di essere definitivamente catturato – una volta catturato, i Collettivi veneti gli dedicano un attentato: «Onore al compagno Prospero Gallinari».186 La sede del convegno di Rosolina è affittata a nome di Nadia Mantovani, poi br e compagna di Curcio. Racconteranno militanti e pentiti che quello di Rosolina (il convegno dura dal 31 maggio al 3 giugno) è un incontro molto, molto, animato: si deve de-

185  Antonio Negri, La fabbrica della strategia, 33 Lezioni su Lenin, Padova 1977. 186  Nel ’79, due giorni dopo l’arresto di Gallinari, il FCC ferisce un docente universitario di Padova.

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cidere come agire: Piperno resta a Pot Op e Negri fonda AO, Autonomia organizzata, con una nuova rivista, Rosso, stampata a Milano. Giusto quindi precisare che AO è un’organizzazione che tiene insieme gruppi e bande armate (CoCoRi, Senza tregua, Metropoli) che fanno capo a un coordinamento nazionale.187 Riguardo a Rosso, nato come giornale periodico del Gruppo Gramsci, presto disciolto, in seguito anch’esso diventa gruppo, a sua volta germinato dalla fusione di esponenti di varia provenienza: dal disciolto Gramsci, da Pot Op dell’area negriana, da Autonomia di Milano e dai Collettivi del Nord e del Centro Italia. Sono accertati gli attentati rivendicati da Rosso, all’inizio diretti a case e auto di alcuni dirigenti del Petrolchimico di Venezia, e poi con obiettivi sempre più importanti; seguiranno anche rapine in cui restano i morti a terra. Nel frattempo, anche le BR alzano il tiro: sequestrano il giudice Mario Sossi, ma si guardano intorno. Annotano le mosse dei Neri e dei golpisti, il materiale è tenuto in un covo di Piacenza, acquistato da Mara Cagol, nuova compagna di Curcio. Alla ricerca di materiale nero compromettente fanno incursione nella sede missina di Padova, come emerso; muoiono due missini. È il battesimo di sangue delle BR, che loro rivendicano, contro il parere di Negri. In cosa differiscono Negri e Curcio? I fatti e le acquisizioni dei pentiti – di Carlo Fioroni, primo pentito in assoluto dell’eversione rossa – e degli infiltrati – di Silvano Girotto, l’infiltrato dei carabinieri – consentono di tratteggiare le linee guida di Negri: andare contro il PCI (dato già colto), non essere contro la 187  Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, op. cit., pp. 97-98.

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destra e ritenere l’antifascismo un tema sorpassato. Non mancano le contraddizioni, se si ricorda che nel novembre ’72 un gruppo di militanti di Pot Op processa un missino, costringendolo a camminare con la scritta: Sono un porco fascista. Questo quadro cambia con le BR di Moretti, anzi dal ’74 al ’77 il quadro è in sé modificato. In questa stagione si affermano altre organizzazioni con le sigle più varie, e si alza il livello delle azioni terroriste: i NAP, Nuclei armati proletari, molto attivi a Napoli – l’acronimo NAP non è infatti una coincidenza –, Rosso, le RAP, Ronde armate proletarie, PCO, Proletari comunisti organizzati – che rivendicano il pestaggio del docente padovano Guido Petter, ex partigiano, al grido di “Petter fai fagotto o ti mettiamo in una cassa da morto” – e, al confine con le BR, l’FCC, Fronte comunista combattente, il cui battesimo sarà la “notte dei fuochi” del 3 febbraio ’77 quando, con cadenza di mezz’ora, si verificano attentati nelle province di Padova, Vicenza e Verona. L’organizzazione di questi attentati ha richiesto una rete logistica poderosa e il coinvolgimento di tanti militanti al confine con la lotta armata. L’obiettivo si eleva: seguiranno altri attentati, gambizzazioni, rapine. Riguardo a questo confine, non pochi militanti transitano da un’organizzazione all’altra, solo qualche nome fra i tanti. Susanna Ronconi da Pot Op alle BR, espulsa dalle BR torna a Pot Op, andrà a Prima linea – è l’esecutrice dell’omicidio del professore Alfredo Paolella; ha fatto parte del commando alla sede missina padovana. L’autonomo Marco Barbone da Rosso all’FCC, ne esce e fonda la Brigata xxviii marzo; sarà lui a freddare il giornalista Walter Tobagi. Gli ex operaisti Seghetti e Morucci, poi br. Michele Galati, br veronese e studente con 173

il ruolo di “osservatore” dei seminari autogestiti della facoltà di Scienze politiche di Padova, dove gli iscritti presentano più materie in blocco ottenendo votazioni alte. Corrado Alunni, espulso dalle BR, approda a Rosso, quindi passa all’FCC. Sergio Segio, da Lotta continua passa a Senza tregua, diventerà il Comandante Sirio di Prima linea – costituita con Roberto Rosso e Marco Donat-Cattin – e ancora transiterà a un nuovo gruppo nato al fine di liberare le compagne detenute nel carcere di Rovigo – fra cui la Ronconi, sua compagna nella vita –, facendo saltare il muro di cinta; durante la fuga è ucciso un passante. È lui – con Marco Donat-Cattin – a eseguire l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini. Il volantino di rivendicazione di PL riporterà grossolani errori di scrittura. Sempre per mano piellina morirà il giudice Guido Galli: stava conducendo un’inchiesta sulle formazioni estremiste rosse in Lombardia. La mattina del 29 gennaio del ’79 è raggiunto da una raffica di colpi il giudice Emilio Alessandrini, mentre si trova sulla sua utilitaria per recarsi al lavoro, dopo aver accompagnato il figlio a scuola. L’anno dopo, il 19 marzo dell’80, è freddato mentre è seduto sulla panca del corridoio dell’Università Statale di Milano il giudice Guido Galli. Si accascia a terra con in mano il codice di diritto.

Questa continua miscellanea fra i gruppi è ben rappresentata da PL: come diranno loro stessi, non sono un nuovo gruppo combattente ma la sintesi di altri gruppi (Senza Tregua, Pot Op ecc.); così la pensano i suoi teorici, il matematico Roberto Rosso, Segio e gli altri. Peraltro anche questa formazione precisa la sua distinzione dalle BR. Dirà Segio: «Sono luttuo174

samente simili, con corpi teorici differenti, PL resta vicina alle basi sociali, che per le BR contano esclusivamente in funzione dell’arruolamento».188 C’è ancora un’altra formazione: CoCoRi, Comitati comunisti rivoluzionari, di Scalzone, che mantiene contatti con le altre formazioni: PL, BR, AO. E in tutto questo, Negri mantiene il baricentro, detta le linee, incontra i capi, di PL, di Senza tregua,189 tiene lezioni, partecipa ai convegni, redige scritti dalla linee precise, al Convegno nazionale Autonomia operaia organizzata indica come si deve impedire il “compromesso storico” fra PCI e DC,190 come deve intervenire la lotta armata. Vi è inoltre un filo che unisce il gruppo armato alla base sociale, mediante l’uso del “lottarmatese”, un linguaggio specifico, indecifrabile agli altri, utile per comunicare i messaggi all’esterno.191 Ci saranno altri innesti, sigle e formazioni, come, nella stagione ’78-’79, i PAC: Proletari armati per il comunismo, di Cesare Battisti – la cui biografia è fuori da questi schemi perché si politicizza in carcere, è noto per gli stivaletti tipo “camperos”, utili per guadagnare qualche centimetro –, che secondo la strategia eversiva dovevano irrobustire l’asse militare di Rosso. E così sarà, vista la loro azione sanguinosa. Nel ’78, l’FCC si lega a PL: nasce il Comando unificato.

188  Sergio Zavoli, La notte della Repubblica. Prima Linea, Rai 1, 1990. 189  Testimonianza del piellino Marco Ferrandi, poi transitato al FCC. In Sent.“7 aprile”, Ass. Padova, p. 750. 190  Atti del Convegno nel cd sequestrato in Archivio Massironi. 191  Marco Ferrandi nell’intervista a Sergio Zavoli.

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Per molto tempo resta attivo il proposito di unificare l’intero corpo dell’eversione rossa, che non giunge a realizzarsi. È lo stesso fine che si propone l’eversione nera. Così com’è comune il compiacimento individuale dell’appartenenza al gruppo terrorista. Comune è la violenza armata. Vale per i Neri e per i Rossi. L’obiettivo di Freda è “disintegrare il sistema”, quello di Negri è “destrutturare il dominio”. Analogamente comune è la ritorsione violenta verso chi si dissocia, i fuoriusciti, chi resta nella militanza e non fa “il salto” nella lotta armata. È questo un tema sfaccettato su cui si torna in seguito esaminando il caso del br Patrizio Peci. Sulla rivista Autonomia si leggono gli attacchi personali corredati di foto con carri funebri. Il fuoriuscitismo matura in coincidenza con l’omicidio piellino del giudice Alessandrini e di quello br a Genova del sindacalista Guido Rossa, reo di aver denunciato un collega che distribuiva comunicati delle BR. Questo apre alla questione del consenso ai gruppi terroristi. Inizialmente studenti, operai, gente comune sembrano simpatizzare, anche fiancheggiare, poi in coincidenza di questi assassinii quasi contemporanei (a cinque giorni di distanza) cresce il clima di tensione. Maturano sentimenti di orrore, di condanna e di paura come attesta la difficoltà di formare le giurie popolari ai processi. Questi gruppi eversivi sono cresciuti e si sono radicalizzati in prospettiva di uno sbocco rivoluzionario che nei fatti non avverrà. Anzi, si crea uno iato profondo fra i gruppi armati e la massa di operai sfruttati per i quali i terroristi intendono muovere guerra allo Stato. Un’astrazione delusa è la convinzione che gli operai e la gente comune avrebbero appoggiato il progetto rivoluzionario. Tutti questi gruppi sono rigidamente monolitici e dalle evidenti contraddizioni interne. Appena arrestato, interrogato dal giu176

dice Gian Carlo Caselli192 che si presenta: «Sono il giudice Caselli», Franceschini risponde: «E io sono Alberto Franceschini, prigioniero politico». Il br si rifiuta di rispondere alle domande, vuole si scriva sul verbale dell’interrogatorio «rivoluzionario di professione», il giudice gli dà dell’«assassino», il br risponde con uno schiaffo, dicendo che lo è anche chi ha ucciso Mara Cagol, la compagna di Curcio, che muore in uno scontro a fuoco con i militari. Durante il rapimento di Moro, PL contesta la decisione di ricorrere all’omicidio, poi impugna le armi e compie atroci esecuzioni.

4.  La richiesta di amicizia a Cossiga Anni più tardi, Cossiga, che all’epoca dei fatti esaminati è ministro degli Interni, racconta di aver ricevuto la richiesta di amicizia di Negri. Richiesta accolta, tanto da recarsi alle sue conferenze. Sorprende il cambiamento di Cossiga. Il gesto non piace a Rossana Rossanda, ma come Cossiga, che nel frattempo ha rivisto la sua posizione considerando Negri «una vittima del giacobinismo giustizialista» che «paga un prezzo sproporzionato alle sue responsabilità», sul Manifesto scrive che il ritorno di Negri in Italia sigla la fine degli anni di piombo. Anni in cui:

192  Dopo l’assassinio del Procuratore generale di Genova, Francesco Coco, ucciso con due uomini della scorta, a Torino si costituisce il primo pool antiterrorismo, fra i giudizi Caselli e Luciano Violante.

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fecero strage il reato di opinione e quello associativo, ci fu l’uso straripante dell’associazione sovversiva e financo di banda armata, per incorrere nel quale non è occorso usare armi e neppure detenerle. Di quegli anni, anche il processo a Sofri è una coda avvelenata: bisognava condannare tutti coloro che avevano fatto parte di quel movimento, a qualsiasi costo, con prove e senza prove. Non sarebbe ora di chiudere questo capitolo?».193

Non pochi annoverano Negri fra i “cattivi maestri”. Per Montanelli è «un esemplare umano di bassa lega». Così Bocca: Io lo conobbi dall’Unuri, quale direttore del Bo [si riferisce al giornale universitario Bo, dal nome del palazzo dell’ateneo, N.d.A.] ed esponente massimo dell’Intesa cattolica padovana. […] Senza essere br, volle essere uno dei capi della Rivoluzione in corso che giudicava sicuramente vittoriosa, e compiere alcuni gesti esemplari per legittimare questa sua aspirazione di potere. Un potere alla Suslov, [si riferisce alle sue misure repressive: l’espulsione dell’intellettuale Aleksandr Solženicyn e la deportazione di Andrej Sacharov, N.d.A.] intendiamoci.194

Con la revisione in materia della “dissociazione politica”, potrà avvalersene per il suo appello a Cossiga, che nel frattempo è divenuto capo di Stato.195 193  Il Manifesto, 22 giugno 1997. 194  Giorgio Bocca, Il caso 7 aprile. Toni Negri e la grande inquisizione, Feltrinelli, Milano 1980. 195  Con la legge n. 34 del 18 febbraio ’87, viene riveduta la materia della “dissociazione politica” a cui fa riferimento Negri nel suo appello del 5

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5.  La trama rossa. Negri: capo del terrorismo di sinistra? “Teorema giudiziario Calogero” l’hanno chiamato i denigratori, dal nome del sostituto procuratore siciliano Calogero; di fatto è l’istruttoria che considera un’unica strategia eversiva, un unico vertice che unisce le BR ai gruppi armati di AO e pone Negri a capo del terrorismo di sinistra in Italia.196 L’inchiesta ha attraversato geograficamente il Paese, un’inchiesta madre da cui si sono diramate piccole indagini locali a Napoli, Milano, Roma. Preceduta da una serie di fatti preliminari che portano all’operazione del 7 aprile ’79 e ai risvolti successivi.197 È un’indagine pionieristica, avviata quando il fenomeno eversivo rosso è marginalmente considerato dall’opinione pubblica e dalle forze politiche. Esaminando l’inchiesta di Calogero si torna al punto fondamentale, al rapporto fra BR e AO. AO ha una struttura nazionale, un vertice e dei collegamenti con le BR. Esiste una “convergenza” fra AO e le BR, anche mediante la cosiddetta “struttura di cerniera”, un consiglio ri-

marzo a Cossiga, presidente della Repubblica. Chiede venga estesa a tutti i fuoriusciti. 196  Guido Passalacqua, Trenta ore di requisitoria contro Negri e l’Autonomia, in La Repubblica, 24 settembre 1985. 197  Il 16 aprile l’inchiesta viene trasferita a Roma ritenuta territorialmente competente e qui si inabissa.

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voluzionario stabile dal ’75 messo in crisi con l’“istruttoria 7 aprile”.198 Sono organizzazioni diverse ma vicine, con vertici diversi ma vicini, i CPV, i Collettivi politici veneti, sono una delle articolazioni di AO e di Rosso, l’FCC è una struttura armata indipendente ma in stretta connessione con Rosso.199 Sul piano penale, l’Assise del ramo padovano dell’istruttoria 7 aprile e la Corte d’Appello romana introducono un distinguo, che da allora diviene definitivo, il reato di banda armata e associazione sovversiva non è riferibile all’intero corpo di Pot Op ma al vertice occulto, del quale i militanti potevano non essere a conoscenza. In questo quadro, Negri è il riconosciuto motore delle trame eversive rosse. Riguardo alla pena di Negri, è di molto attenuata per una coincidenza di fattori a lui favorevoli: prima ha giocato a suo vantaggio il suo ruolo e soprattutto la non conoscenza di quanto scoperto in seguito, poi la sua lunga latitanza in Francia, il clima socio-politico che nel frattempo è mutato, la lettera scritta con altri latitanti di presa di distanza dalla lotta armata, una lettera sagace perché non vi è ammissione.200 L’istruttoria padovana 7 aprile è di forte impatto, ma nell’immediato è incompresa dalla collettività.201 Ed è come ovvio motivo di ritorsione da parte dei gruppi

198  Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori, op. cit., p. 129, p. 79. 199  Sent. Corte d’Assise d’Appello del 12 marzo 1992. 200  Cassazione, 1a Sezione penale, 4 ottobre 1988. 201  La comprensione dell’accaduto diventa generale con l’intervista di Calogero a Panorama, nel numero del 23 maggio 1978. Dopo l’operazione del 7 aprile ’79, i giornali garantisti si schierano dalla parte di Negri, per loro il giudice Calogero è uno squilibrato. Amnesty International critica le modalità di accusa.

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eversivi colpiti: il nome del giudice, declamato rabbiosamente nei cortei, scritto con la K, Kalogero, appare minaccioso sui muri di molte città; contro la sua abitazione sono sparati colpi di arma da fuoco. Un’indagine condotta in solitudine come lo sono state Piazza Fontana, Rosa dei venti, l’eversione nera con Stiz e Tamburrino. Un lavoro investigativo che non inizia dalle rivelazioni dei pentiti – Carlo Fioroni di Pot Op, primo pentito in assoluto dell’eversione rossa, che collabora dal dicembre del ’79 – ma dal ritrovamento di materiale compromettente. Così la trama rossa comincia a comporsi: date, luoghi, incontri e documenti, agende, giornali, volantini.

6.  Il loden verde L’inchiesta che porta all’istruttoria 7 aprile parte due anni prima, dall’avvio del procedimento nei confronti di Negri. È l’alba del 21 marzo ’77 quando la Digos esegue una perquisizione nell’abitazione milanese del docente, che è trovato con Maurizio Bignami – il Maurice piellino che farà parte del commando che fredda il giudice Galli –, intento ad annotare alla macchina da scrivere le fasi della guerriglia urbana (è trascorso un mese dalla notte dei fuochi).202 Nelle tasche del loden che Bignami indica come suo, nonostante sia particolarmente lungo – si accerterà che apparteneva a Negri, che è molto alto –, si trovano carte d’identità in bianco. Durante le perquisizioni domiciliari sono 202  A voler essere precisi l’ultima “notte dei fuochi” risale al 3 marzo ’80.

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ritrovate armi e tanti documenti, persino i compromettenti nastri con gli interventi dei partecipanti all’importante iii Conferenza di Pot Op a Roma nel ’71, quella che precede Rosolina. L’archivio di Negri è nascosto in casa dell’architetto Manfredo Massironi, la cui abitazione è di fronte alla facoltà di Scienze politiche. I documenti recuperati riferiscono i contatti e gli incontri con Curcio e come contestualmente si sono mossi per organizzare le lotte alla Fiat di Torino del ’73, accertate anche dal ritrovamento della minuta, scritta da Negri, per la rivista Controinformazione proprio su quella lotta operaia. Fino ad allora la rivista era ritenuta esclusivo organo delle BR. Una netta prova di collaborazione fra BR e AO, della “convergenza”, per usare un termine di Calogero, fra le due, che insieme costituiscono “il partito armato”. L’indagine permette di ricostruire la rete dei rapporti di Negri con i Collettivi autonomi, con Radio Sherwood, con la rivista Autonomia. Un filo rosso unisce quindi i primitivi Collettivi universitari di Scienze politiche a quelli politici. Un progetto eversivo pianificato che situava, di volta in volta, le varie campagne armate che i Collettivi dovevano realizzare, fino all’acme raggiunto con la notte dei fuochi. Si incrociano le dichiarazioni dei pentiti con quelle dei testi, e queste con la documentazione rintracciata, così da trovare una conferma delle coincidenze, perché un dato certo e inquietante di queste vicende sono proprie le “coincidenze”, che alcune volte diventano “stranezze”. Sembrerà forzata l’ipotesi di Calogero di un disegno unico, perché Autonomia era un insieme non omogeneo e frazionato, e anche perché si perdono alcuni pezzi del “teorema”: cadono le ipotesi, quella che Giuseppe Nicotri sia il telefonista che il 9 maggio chiama a casa del professore Franco Tritto per indicare il luogo in cui si trova il cadavere di Moro, e quella che Negri sia il telefonista a casa Moro. 182

I giornali riferiscono la difficoltà della perizia fonica, L’Espresso (gennaio ’80) regala ai lettori la riproduzione del disco della registrazione delle telefonate imputate a Nicotri e Negri con l’ironico invito: «Fai da te la perizia fonica». Ma la realtà va letta alla luce delle omissioni e delle ingerenze degli apparati deviati dello Stato, in cui Calogero s’imbatte da subito. Dalla retata del 7 aprile.

7.  I Servizi segreti deviati Dal ’74, grazie ad alcuni infiltrati in AO e a informatori, i Servizi sono a conoscenza dei documenti relativi agli incontri tra i due professori, Negri e Curcio. Questo lo riferisce personalmente il colonnello del SISMI Pasquale Notarnicola al giudice Calogero. La magistratura non è informata dei rischi in atto scaturiti dall’accertamento di un disegno eversivo unico. La mancata comunicazione non è imputabile, dirà il giudice siciliano, «a una leggerezza, ma a qualcosa di più grave: una copertura del SISMI a Negri».203 Pertanto le sue acquisizioni non potranno essere utilizzate, queste avrebbero confermato l’ipotesi madre: quella di un’unica mente eversiva. Notarnicola rappresentava l’ala minoritaria del Servizio. Ma il punto è che il SISMI sapeva. Sapeva dei piani dei gruppi eversivi di destra e di sinistra. Da un monitoraggio capillare conosceva i movimenti, gli spostamenti dei membri dell’eversione rossa e nera. 203  La Nuova di Venezia, 22 ottobre 2010.

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Il percorso investigativo di Calogero procede e prende la strada della Francia. S’imbatte in una nuova scoperta: la scuola di lingue Hyperion di Parigi. Tuttavia, la scoperta s’interseca con l’interferenza dei Servizi. «La CIA utilizzò quella struttura per esercitare un controllo non formale su personaggi e itinerari del terrorismo di sinistra in Italia».204 La scuola francese è una copertura di una centrale anticomunista della CIA, svolge una duplice azione informativa e di controllo dell’espansione comunista in Paesi chiave dell’Europa. Questo è quanto scopre Calogero, che mette le informazioni raccolte anche sulla scuola Hyperion nel fascicolo dell’indagine 7 aprile – che invia per competenza alla Procura di Roma, nota come “il porto delle nebbie”. Recentemente, alla Commissione Moro 2, il giudice riferisce che i Servizi, su interessamento del generale – piduista – Giulio Grassini, bloccano le indagini sull’Hyperion; lo stesso accadde per l’inchiesta 7 aprile. Riceve la rassicurazione del ministro dell’Interno di allora, Virgilio Rognoni, che lo fa affiancare da due investigatori, Luigi De Sena e Ansoino Andreassi (il primo oggi defunto, il secondo ascoltato in Commissione Moro 2).205

204  Ibidem. 205  Le Commissioni parlamentari d’inchiesta che si sono occupate del caso Moro sono due (a parte la già citata Commissione “Terrorismo e Stragi”. La prima, sulla strage di via Fani e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, anche chiamata in forma abbreviata Moro 1, viii Legislatura, è istituita con la legge del 23 novembre 1979 n. 597, resta attiva fino all’83. La seconda è l’attuale: sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, xvii Legislatura, istituita con la legge 30 maggio 2014 n. 82, presidente Giuseppe Fioroni. Ha prodotto due relazioni, nel 2015 e nel 2016. Nel proseguo sarà indicata con l’abbreviazione CpiM2.

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Si scopre che la scuola ha una sede in Normandia, da qui telefonano tutti gli uomini intercettati, è questa un’utenza superprotetta, così la villa circondata da un triplice anello concentrico di sensori molto sofisticati che impediscono ogni avvicinamento. Continua il giudice: «I nostri colleghi francesi ci spiegarono che si trattava di una sede coperta della CIA che possedeva ville di quel genere in altre capitali europee utilizzando apparecchiature così potenti».206 È in quel momento dell’indagine che si intromette il SISDE. Grassini telefona ai Servizi francesi per chiedere informazioni sull’utenza “coperta”. Contemporaneamente esce un articolo sul Corriere della Sera che riferisce delle indagini, i francesi interrompono la collaborazione con gli italiani. Tuttavia, gli investigatori di Calogero vanno avanti nelle indagini, scoprono altre due sedi della scuola, una in Belgio e una in Inghilterra, a Londra. A questo punto entra nella vicenda Scotland Yard, che ufficialmente dice di non sapere nulla, ma accadde un fatto strano, che così racconta Calogero: «La stanza d’albergo di De Sena fu messa sottosopra, nulla fu portato via, neanche uno spillo, un avvertimento chiaro. De Sena mi chiamò spaventato, gli dissi di lasciar perdere e di rientrare. Solo gli inglesi sapevano di quella missione. Ci mandavano a dire in quel modo che non erano disponibili a collaborare». Da allora, sulla scuola di lingue cala di nuovo il buio. A Carlo Mastelloni, procuratore capo a Trieste, dobbiamo le recenti conoscenze sull’Hyperion.

206  CpiM2, I Relazione 2015. Parte delle dichiarazioni alla Commissione, è stata secretata per volontà del presidente Fioroni. La scuola Hyperion è approfondita nel capitolo «Affaire Moro» (parte ii), nel paragrafo «Hyperion».

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Obbligatoria la domanda: cos’è il cosiddetto “potere deviato”?207 La finalità di tutte le operazioni è sempre il conseguimento del potere, ma c’è il potere e il contropotere. Questo è stato un quadro composito, potere internazionale e nazionale. Un complesso di forze esogene ed endogene ha reso il fenomeno del terrorismo italiano complesso, articolato, lungo e ampio. Queste le parole chiave che lo rappresentano. Esso ha visto l’intervento di tutte le forze sociali, in particolare dell’intellettualità più varia. Come hanno agito quindi i Servizi? Come emerso, in questo scenario hanno avuto un ruolo non secondario la guerra interna nel SISDE, e poi nel SID, le sfere di ingerenza e ancora gli appoggi internazionali che hanno agito nella guerra interna fra apparati, conformemente all’interesse della propria parte.208 In questo quadro vanno ricordate le influenze delle agenzie di stampa. Pensiamo a OP di Pecorelli, che più di una volta ha dato prova di una documentata conoscenza dei fatti e persino di poterli anticipare. Come la nota di agenzia del 16 settembre del ’75, che preannuncia l’imminente violenza rossa degli autonomi.209 Lo fa attraverso un testo allusivo, usando una sorta di lessico in codice, che parla di un progetto imminente del Centro sperimentale di Roma. Specificamente si tratta di un film sull’economista John Maynard Keynes. Si legge: «Il primo colpo della manovella sarà dato entro il mese di ottobre». Aggiunge che si tratta di un nuovo modo di 207  Terrore Rosso, op. cit., p. 216. 208  Ivi, p. 190. 209  Ivi, p. 188.

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fare cinema, che il film sarà girato da un cast importante, tra cui il professore Antonio Negri e il sindacalista della CISL, Vito Scalia. Decodifichiamo il testo: “Centro sperimentale” sta per controspionaggio, “Keynes”, molto citato nei testi di Negri, indica la fase del capitalismo in crisi, “il nuovo modo di far cinema” indica la strategia in atto che deve minare l’affermazione del PCI.

8.  Il temuto PCI Ma era veramente da temere il Partito comunista italiano? Così forte da essere temuto all’esterno, e avversato all’interno? Da destra, e nel cosiddetto “fronte atlantico”, sono preoccupati, tanto da mettere in campo diverse azioni per contrastarne l’avanzata. Un intervento avviato sul finire degli anni Cinquanta. Negli anni, il PCI si allontana dal PCUS, è un progressivo distanziamento ideologico e politico, ma è al ’75 che risale la frattura, quando il segretario italiano chiede l’interruzione di ogni rapporto finanziario. Di fatto, fino all’89, l’Italia riceverà finanziamenti, questo perché il rapporto con Mosca è delicato, Berlinguer non piace, ma non giova loro una brusca rottura, perché quello italiano è il partito comunista più importante dell’Occidente. Un punto cruciale riguarda il comportamento del PCI nei confronti dell’estremismo rosso. La linea perseguita è ferma fino all’opposizione alla trattativa con le BR per il rilascio di Moro. In coincidenza con il biennio ’69-’70 condanna le violenze, 187

si pone a difesa delle istituzioni democratiche. Un atteggiamento chiaro ma incompreso da molti militanti e dalla vasta frangia giovanile che va verso l’estremismo. In coincidenza dei minacciosi “venti greci”, l’insediamento del regime dei colonnelli (’67-’74), il timore che la stessa esperienza possa verificarsi in Italia porta a programmare, con il supporto sovietico, un piano d’emergenza che prevedeva nel nostro territorio stazioni radio per il mantenimento dei contatti con l’esterno. Nel contempo avvia la politica di distensione con la NATO, che Berlinguer esprime nella frase che molti valutano ambigua «accettiamo l’ombrello NATO». Si tratta di un processo lungamente maturato che ha l’incipit dopo il suo incidente automobilistico a Sofia. Alcuni giorni dopo, sul settimanale Rinascita Berlinguer spiega di voler avviare un dialogo tra i maggiori partiti che raccolgono gli elettori cattolici e comunisti. Sta prendendo forma il compromesso storico. Presentato come «la prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari d’ispirazione comunista e socialista e con le forze popolari d’ispirazione cattolica, oltre con formazioni di altro orientamento democratico». Alle elezioni politiche del giugno del ’76, il PCI ottiene la maggioranza relativa, il suo massimo storico, il 34,4% dei voti, cui segue il recupero della DC, che torna al 38%. In quest’ottica, fiero di questo risultato, il PCI si propone come diverso, dove “diverso” è indice di una sorta di superiorità morale che gli consente di concentrare su di sé le speranze di rinnovamento presenti nel Paese. Questo potrebbe spiegare il raggiungimento del suo massimo storico e confermare quanto al momento fosse irrilevante il peso dei gruppi extraparlamentari. Iniziano i governi di solidarietà nazionale, in cui fornisce appoggio esterno 188

ai governi democratici.210 Ma di nuovo la soluzione non è gradita, molti rumoreggiano – gli operai e la base del partito –, molti si allontano. Qualche giorno prima delle elezioni, Berlinguer rilascia un’intervista sul Corriere della Sera. Alla domanda di Pansa, se Mosca possa decidere per lui la stessa fine di Alexander Dubček, leader della Primavera di Praga, risponde di non aver timori, ma, su insistenza del giornalista, che chiede se il Patto atlantico poteva configurarsi come “scudo utile” per costruire il socialismo nella libertà, la risposta inaspettata è chiara: l’Italia deve rimanere nel Patto atlantico, a mantenimento dell’equilibrio internazionale. È in quest’occasione che usa l’espressione «l’ombrello della NATO», garante di sicurezza.211 Un’alchimia delicata quella dell’equilibrio internazionale; dal suo ritorno dalla Bulgaria iniziano le ostilità con Mosca, anche in coincidenza con la proposta dell’“eurocomunismo”. L’espressione è del giornalista Frane Barbieri; con essa s’intende la politica di distanziamento dal sistema sovietico intrapresa dai diversi partiti comunisti europei (italiano in testa, francese e spagnolo, cui si uniscono altri: belga, greco e inglese).212 Il progetto fallisce perché la Francia rappresenta l’anello debole di questa catena. La rilettura odierna evidenzia chiaramente questa linea nell’apporto che il PCI dà prima per impedire la

210  Nel discorso tenuto a Bari il 21 dicembre ’75, Moro spiega la necessità del dialogo col PCI. Cfr. Aldo Moro, L’intelligenza e gli avvenimenti. Testi 1959-1978, Garzanti, Milano 1979. 211  Giampaolo Pansa, Berlinguer conta sulla Nato per mantenere l’autonomia da Mosca, in Corriere della Sera, 15 giugno 1976; Intervista a Enrico Berlinguer in Corriere della Sera 20 giugno 1976. 212  Frane Barbieri, Le scadenze di Breznev, in Il Giornale Nuovo, 26 giugno 1975.

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deriva autoritaria, rappresentata da quella lunga stagione di golpe, poi per opporsi all’eversione rossa. Torniamo ai Servizi. In questa storia molti vestono un “doppio ruolo”, nello Stato, nell’apparato militare, nei Servizi e nelle strutture segretissime come UAARR, Noto servizio e logge massoniche, come la P2. È questa una vicenda intricatissima che evidenzia le contraddizioni del sistema. Se volessimo trovare un’immagine rappresentativa pensiamo a tanti anelli concentrici, da quelli centrali a quelli più esterni, dalla varia “manovalanza” fino alla rete internazionale. I generali Miceli e Maletti sono in lotta fra loro ma sono entrambi piduisti. Un occhio non esperto potrebbe erroneamente pensare che l’appartenenza alla medesima consorteria sia ragione di affinità, ma è invece l’esatto contrario: ciascuno si muove nell’interesse della propria parte. Il punto di contatto è stranamente rappresentato dall’essere stati entrambi inquisiti in inchieste giudiziarie per favoreggiamento e cospirazione, e contestualmente l’essere stati tanto protetti dai vertici dello Stato e del Governo. I Servizi hanno giocato nella stessa partita della lotta armata. Hanno giocato nella medesima partita per ragioni di opportunità. Non di complotto di apparati nazionali e internazionali si deve parlare, ma di gruppi deviati della guerra, di apparati dentro i Servizi, che hanno interagito con atti di favoreggiamento, di copertura di persone e di situazioni, con omissioni per far vincere la partita alla loro fazione. Per stabilizzare, normalizzare il centrismo, o favorire attraverso la strategia della tensione la svolta autoritaria. Chiaramente con un filo che li ha legati ai vertici dello Stato, o per meglio dire a quelle personalità istituzionali che hanno preso parte alla partita. 190

VII ALLE ARMI. PAGHERETE CARO. PAGHERETE TUTTO

1.  Pagherete caro. Pagherete tutto La società intanto lentamente si sta trasformando. Le radio libere, “ma libere veramente”, trasmettono la “musica ribelle”, musica impegnata che fa da contraltare a quella disco e pop che vola leggera con i suoi motivetti ripetitivi che fanno il giro del mondo. Imperversa il soul travolgente di Stevie Wonder, mentre gli studenti leggono di nascosto Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti,213 la cui copertina preannuncia il linguaggio crudo e l’esplicito contenuto. Da oltreoceano si diffonde una voglia di leggerezza, come la voce in falsetto dei Bee Gees. È esplosa “la febbre del sabato sera”214 nelle serate in discoteca, al ritmo martellante della disco music, con i giovani che emulano Tony Manero: capelli co-

213  Musica ribelle è una canzone di Eugenio Finardi. Il romanzo Porci con le ali del ‘76 è di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera. La copertina è disegnata dal fumettista Pablo Echaurren. 214  La febbre del sabato sera, con Toni Manero personaggio protagonista, è un film musicale del ’77, in Italia arriva l’anno dopo.

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tonati e catena d’oro al collo, che balla al centro della sala dove si staglia un’enorme sfera a specchi che riflette la luce sulla pista, e che cammina ancheggiando in un completo bianco attillato. Nelle sale si proietta Hair, un film musicale di Milos Forman sui “figli dei fiori”, sempre dagli Stati Uniti ci raggiungono Taxi Driver, New York, New York e le pellicole fantascientifiche della saga di Guerre stellari e gli immaginifici contatti con entità extraterrestri di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Mentre Woody Allen in Io e Annie si interroga sulla nevrosi dei rapporti umani, per noi italiani è la saga del ragioner Ugo Fantozzi – scritta e interpretata da Paolo Villaggio – a definire l’umore del tempo. Un racconto tragicomico che vede protagonista l’impiegato tipo, simbolo del subordinato al potere, del “perditore” per eccellenza, che si muove in un ufficio fra impiegati servili e arrivisti. Quell’uomo medio che patisce, subisce e medita un riscatto impossibile, perché resta prostrato di fronte al megadirettore: «Venerabile maestà. Disponghi di me come meglio vuole». Intanto la violenza cresce. Il passaggio è ormai avvenuto: dalla stagione non violenta segnata dalla libertà, dalle “lunghe discussioni”, contrassegnata da simboli del maggio sessantottino – i capelli lunghi dei ragazzi e le gonne e gli zoccoli delle ragazze –, dal “mettere in discussione” tutto – il ruolo del professore e del padrone –, dall’apertura al nuovo confluita nei viaggi per comprendere altri popoli, dai pomeriggi al cineforum, dalla lotta per i diritti degli operai e dei popoli oppressi alle armi. Un passaggio senza ritorno al reperimento di armi e di munizioni. «Non possiamo aspettare diecimila anni, combattiamo subito, mattina e sera» afferma una massima di Mao Tse-tung. È guerra. Una guerra che non ha eserciti in campo. Una guerra anomala, dall’esito imprevedibile. È un’onda inarrestabile. Una spirale 192

di violenza, ripicche, ritorsioni e vendette, minacce, tradimenti interni e delusioni. Le biografie dei Rossi rivelano tratti simili, l’appartenenza alla FGCI, l’esperienza nei Quaderni rossi, il sindacato e il PCI, il partito da cui non si sentono rappresentati. Quasi ogni giorno a Milano in piazza Duomo si tengono comizi sindacali, l’eco si estende in città, e al suo impetuoso boato si unisce il suono stridulo delle sirene delle volanti della polizia, si accavallano le voci dei cortei in cui si avanza con il volto coperto, agitando il pugno chiuso e la chiave inglese al grido di: «Pagherete caro. Pagherete tutto. Contro i padroni e il capitalismo, lotta armata per il comunismo». Lungo il percorso lasciano i volantini ciclostilati con le sigle di rivendicazione: Volante rossa o Lotta armata per il comunismo, a volte li abbandonano nelle cabine telefoniche. Così si transita dai cortei violenti, alle gambizzazioni e all’assassinio. Individuano l’obiettivo da colpire nei Neri, nell’industria, nella magistratura, nella polizia, nei burocrati. Così intendono rappresentare la prima linea del proletariato armato, la prima ondata di questa rabbia, la trincea più avanzata contro i neofascisti assurti a nemici fisici subentrati agli altri bersagli, il sistema e il sociale. Il fine è neutralizzare politicamente il nemico, indebolirlo, al contempo disarticolare il sistema interno alle fabbriche come comprova della forza del contropotere che loro rappresentano. Per il primo intervento di sangue, del 4 dicembre ’76, PL sceglie Monza, la città in cui la destra è forte e si sono insediati gruppi neofascisti. «I nostri Tupamaros devono convincersi che non c’è spazio per la loro follia.» Questa la dichiarazione del ministro degli Interni Cossiga nella primavera del ’77. Chi ha fatto il salto nella lotta armata ha accettato una nuova ferrea logica in cui la quotidianità è scandita da “spese proletarie” nei supermercati (prelevare le merci delle grandi catene alimentari senza pagare), da “espropri proletari” – fino a rapine più grosse, nel loro gergo “salto del bancone” –, da minacce a persone ri193

tenute pericolose: sono le “ronde proletarie” contro gli agenti, cui gridano, mentre li minacciano con il colpo in canna: «Dimettiti, diserta, la prossima volta potrebbe non andarti così bene!».215 Per converso è fatta di retate di compagni compiute dalla polizia. Di partecipazione ai raduni giovanili. Nel giugno del ’76, Re nudo organizza nel Parco Lambro di Milano il iii Festival del proletariato giovanile. È occupata l’intera collinetta. Capelloni e compagni si assiepano sul prato, cantano, intonano inni partigiani, canzoni guerrigliere degli Inti Illimani, si passano spinelli; la polizia irrompe con manganelli e fucili, poi lascia loro l’intera collinetta con un remissivo: «Andatevene tutti in minchia!», a comprova della provenienza meridionale delle Forze dell’Ordine. Sulle bancarelle, libri, riviste, striscioni con i nomi degli organizzatori: Re nudo, Rosso, Senza tregua, Servire il popolo. Chi diventa operativo diviene un “combattente”, è inquadrato in strutture chiamate “gruppi di fuoco”, ogni gruppo è costituito da cinque militanti. I gruppi controllano i quartieri, pianificano le azioni eversive e dopo ogni dimostrazione controllano che la stampa abbia dato la notizia, affinché la rivendicazione sia a tutti nota, infatti i comunicati vengono lasciati nelle sedi dei giornali o dell’Ansa. Sono attacchi ai comandi dei carabinieri con molotov, episodi di guerriglia nella capitale e nei più importanti capoluoghi, Torino e Bologna. Su tutto c’è l’organizzazione. Ha un vertice, è il Comando nazionale, che si occupa del cosiddetto settore tecnico-logistico, delle basi: reperimento di armi, di documenti falsi. L’organizzazione tiene i contatti con la rete diffusa nel territorio nazionale, ha sedi in prevalenza a Nord e a Sud, a Milano, Bergamo, Torino, Firenze, e ancora a Bologna, Roma, Napoli e soprattutto in Ve-

215  Massimo Battisaldo e Paolo Margini, Decennio rosso, Paginauno, Vedano al Lambro (MB), 2013.

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neto. Molti operativi dell’FCC, anche intesi come quelli di Rosso, raggiungono i Paesi Baschi e seguono l’addestramento di ETA. S’innesca un pericoloso circuito fatto di rivendicazione e vendette, alla polizia rispondono che per ogni compagno ucciso morirà uno di loro. Si applica una primitiva legge del taglione. Sono esaltati, spietati, lucidi, inarrivabili ma isolati dal mondo reale, per scelta costretti a vivere con la pistola carica nel cassetto, in un appartamento in cui non può filtrare la luce del giorno, dove conducono una doppia vita, mentre procedono dritti nel perseguimento del loro convincimento. Gli operativi dei vari gruppi attendono la svolta decisiva; a gennaio del ’78 gira voce fra i Rossi che vi sarebbe stata un’unificazione generale di tutto il partito armato, con una strategia comune: colpire il nemico proprio dove si organizza di più. Di fatto non ci sarà nessuna unione. Riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza. (Claudio Lolli, Ho visto anche degli zingari felici)

2.  Cos’è il terrorismo? La domanda è insidiosa, complessa la risposta. Possiamo ragionare sui tanti aspetti emersi. Appare una contraddizione irrisolta la differenza dell’obiettivo colpito, se si è trattato di un unico atto violento, una bomba su un treno o in una piazza, o se di un attentato dinamitardo cadenzato come nella notte dei fuochi. Il primo obiettivo colpisce la popolazione inerme, il secondo crea panico collettivo. Ma il punto è che si tratta di un’azione illegale che si serve del195

la violenza che diviene una spirale continua. Certo, dobbiamo distinguere gli attentati di massa da quelli individuali, miranti ai vertici dell’organizzazione statale (uomini di Governo, politici, alte gerarchie militari, esponenti della magistratura) o della fascia intermedia (forze di polizia, guardie carcerarie, giornalisti, sindacalisti) ritenuti simboli del potere costituito. La risposta non si ottiene nemmeno considerando le reazioni collettive che Walter Laqueur216 ha sintetizzato nelle «emozioni forti», ovvero «l’ira, l’irritazione, l’aggressività», cui in seconda battuta potremmo aggiungere l’insicurezza, il disorientamento e lo sbandamento. Che, a loro volta, diventano sentimenti utili per dimostrare la forza del gruppo rivoluzionario, capace di colpire e di dileguarsi. Sono aspetti caratterizzanti il terrorismo, che ricordano quelli della guerra civile, ovvero l’imprevedibilità dell’azione che deve essere inattesa, deve restare fuori da ogni congettura possibile. Un’azione sì imprevista ma continua e comunque dimostrativa che come fine ultimo vuole dimostrare, appunto, che è capace di colpire il potere nei suoi gangli vitali. Differentemente dalle guerre convenzionali di movimento o di posizione, si punta sull’inaspettato. E dall’azione nasce la reazione, l’effetto che diventa un’intimidazione, una minaccia per il sociale, per le comunità, per i singoli da colpire. Analogamente in comune con la guerra civile è l’agire senza regole, il presunto nemico non conosce le regole dell’azione. Anche perché il gruppo rivoluzionario opera in clandestinità, questa è il metodo di lotta. Altro elemento è l’uso e l’abuso della vendetta e della punizione sia all’esterno – si vendicano i propri morti uccisi dalle Forze dell’Ordine, così i compagni vendicano i compagni, i 216  Walter Laqueur, L’età del terrorismo, Milano 1987, p. 9 sgg., p. 21.

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camerati vendicano i camerati – sia fra pari, perché il pentito, “l’infame” deve essere colpito. Eliminato. Accanto all’azione terroristica va posta la sua informazione: il terrorista si compiace del suo ruolo, vuole che si parli delle azioni che compie, quindi che si parli di lui. Questa funzione hanno i comunicati di rivendicazione, che ne magnificano il valore rivoluzionario, e palesano l’esasperato fanatismo che spesso rasenta una cieca intransigenza. In questa logica, il terrorista assume agli occhi sociali la connotazione positiva di alternativo, di “rivoluzionario”, ed elimina il tratto distintivo negativo che nel passato si accompagnava alla sua figura. Anzi, dal suo punto di vista, la sua è un’azione resistente-partigiana rivolta contro il regime o il sistema che ha deciso prepotentemente di voler combattere. C’è anche l’implicita volontà – soprattutto nel sovversivismo rosso – di dare una scossa alle coscienze intorpidite, di risvegliare la coscienza popolare, persino di trasformare in corso d’opera quella che presuppongono sia l’ostilità popolare verso le istituzioni nel vero motivo della loro lotta, così si pongono alla testa di un fantomatico esercito popolare. Differentemente l’azione nera, messa a punto dalla strategia della tensione, gioca maggiormente sull’effetto mistero per far transitare la colpa sulla parte opposta. Volendo ragionare sulle cause del terrorismo, sui nessi, non si raggiunge unanime valutazione; è indubbio che entrambe, l’eversione nera e rossa, si siano generate da forze endogene su cui hanno agito condizionamenti esterni, legati alla specificità del tempo e in particolare ai luoghi; ovvero la lotta armata ha dei luoghi fisici, delle aree, delle città italiane, delle regioni in cui germina e si evolve. Una causa certa generale è quella economico-sociale, ancor meglio il disagio sociale delle classi più povere, emarginate e periferiche, ma questo dato va comunque inserito in un prospetto più ampio, perché questi gruppi sociali non 197

hanno agito da soli, la rivoluzione che ne è scaturita è opera di menti raffinate, che hanno utilizzato quel disagio. Come evidenziato nel corso della disamina, nella germinazione del fenomeno ci sono più fattori, perché si è trattato di qualcosa di profondo, nato sottotraccia, che poi ha trovato ragioni nella realtà effettuale per svilupparsi. Alla radice c’è un nous pensante della lotta armata, in entrambi i fronti. È bene anche cogliere dalla Storia la distinzione fra le categorie di “insurrezione” e di “rivoluzione”, intendendo con la prima un fenomeno anche violento ma privo di conseguenze, esattamente il contrario del secondo termine. Andando a ritroso, potremmo pensare alla Rivoluzione francese del 1789 quando il popolo affamato, opponendosi a una sovranità ottusa e parassita, tuonava aggressivo: “Alle armi. Alle armi” reclamando “pane e diritti”. Sul piano storico l’evoluzione è contrassegnata dal periodo giacobino (il biennio 1792-1794) chiamato “governo del terrore”. Facendo un grosso salto temporale, nel decennio Sessanta-Settanta del Novecento, la guerriglia urbana assume analogo carattere rivoluzionario, che in senso ampio può intendersi come “Terrore”.217 Tuttavia, malgrado analogo l’epilogo esemplificato nell’espressione di Pierre Victurnien Vergniaud – girondino, morto alla ghigliottina – “La rivoluzione è come Saturno: divora i suoi figli”, qui il quadro è diverso perché l’Italia viveva sì un periodo di crisi, ma l’assetto complessivo generale era di prosperità economica.

217  Il termine “Terrore” in senso specifico indica lo strumento cui un Governo ricorre per conservare il potere o reprimere il dissenso interno, sono esempi nel passato la Francia giacobina, la Russia bolscevica dal 1918-21, la Germania nazista dal 1933-45.

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Questa rivoluzione è piuttosto paradigma di una democrazia debole, che temeva per la sua esistenza, tesa e tirata da un lato dalle spinte reazionarie dell’eversione nera, anche sostenute dai regimi dittatoriali esistenti nel mondo e dai Servizi segreti deviati e, dall’altro, dalle spinte rivoluzionarie oltranziste degli ambienti giovanili dell’estremismo di sinistra. Svela un Paese in conflitto interno, che stenta a fare i conti con la sua recente storia, che sta elaborando le sue ferite di guerra e l’esperienza del Ventennio fascista. Non è da trascurare che il Paese era stato segnato dalla “guerra civile”, erano rimaste fratture, riverberi, strascichi. Una guerra civile da cui erano nati il MSI e il neo-PCI e da essi le ideologie esasperate di questi anni, incapaci di rimanere entro la dialettica politica corretta, capaci di contrapposizioni violente e fino a raggiungere la lotta armata come metodo e, così estremizzate, automaticamente fuori dall’ambito parlamentare, ma bisognose di relazioni internazionali. Riflettendo sulle conseguenze, si coglie come il destinatario della violenza politica sia il progetto riformista nella sua globalità, questo è ancora un dato comune al terrorismo nero e rosso. Dalla parte dei Rossi prendiamo come riferimento Negri, il cui fine è impedire il compromesso storico. Dalla parte dei Neri, la strategia della tensione opera per impedire l’affermazione del PCI e il suo approdo al Governo, per far deviare la democrazia verso l’autoritarismo. È stato definito «un pensiero di piombo», come porta a evincere la valutazione di Negri, i suoi propositi di «sabotaggio di massa», di «decostruzione», e similmente quelli delle BR di «omicidio politico» e per converso, nella strategia della tensione, di guerra psicologica. Nel caso del terrorismo nero è più evidente la presenza degli orchestrali che hanno suonato per volontà degli orchestratori, i responsabili della strategia della tensione, che ha determinato 199

un continuo inquinamento della democrazia che ha seguito un percorso circolare chiuso, ritornando su se stessa. Nei casi specifici delle bombe nelle piazze, dei tentati golpe, si è operato per depistare, per ingarbugliare la trama dei fatti così da far attribuite più interpretazioni al medesimo evento, oppure si è mantenuta l’indagine su una pista che si sapeva essere errata per favorire il consolidamento nell’opinione pubblica della tesi da promuovere. Per esempio nel caso più clamoroso di Piazza Fontana si è imboccata la pista anarchica, mantenuta per consolidare l’anticomunismo e soprattutto per celare i mandanti e i colpevoli. In questo modo si è lavorato nel tempo costruendo e ricostruendo bugie e ancora bugie che hanno portato, in modo circolare, al punto di partenza. Un processo che inizialmente riguarda politica, polizia, magistratura, e che infine torna alla politica. Lo stesso – come si vedrà – accadrà per il caso Moro. Ancora attuale Pasolini. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente – se il potere americano lo consentirà – magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon – questi nomi prima o poi saranno det200

ti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero colpo di Stato.218

218  Pier Paolo Pasolini, Cos’è questo golpe? Io so, in Corriere della Sera, 14 novembre 1974.

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VIII LE BR, UNA STELLA A CINQUE PUNTE

1.  BR: i Tupamaros italiani Così il giudice Giovanni Pellegrino: La storia delle BR è conosciuta quasi per intero, quella che rimane ancora oscura è l’area di contiguità […]. Non siamo riusciti a capire se gli apparati abbiano utilizzato le BR, per raggiungere, con una strategia diversa, gli stessi obiettivi che si prefiggevano con lo stragismo. E se errori, difetti di conoscenza, forme di rimozione che hanno riguardato soprattutto la sinistra, non abbiano poi rappresentato, per gli apparati, una sorta di copertura per volontarie omissioni.219

Tuttora questo è un nodo da sciogliere, le interferenze, le relazioni esterne all’organizzazione, come individuare le contiguità dell’intellettualità con la sinistra extraparlamentare. Si è innescata una struttura perversa in cui è sfumata la differenza fra

219 Giovanni Fasanella, Claudio Sestieri, Giovanni Pellegrino, Segreto di Stato la verità da Gladio al caso Moro, Torino, Einaudi 2000 p. 141.

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legalità e illegalità, e in cui non pochi si sono mantenuti nella linea sottile tra istituzione ed eversione. Un fenomeno emerso già dopo il rogo di Primavalle,220 in cui inizia una campagna innocentista cui prendono parte le testate come Il Messaggero e, fra gli altri, Moravia, Fo, Rame, allora esponente di Soccorso rosso militante. Pot Op, attraverso il suo segretario Piperno, respinge ogni accusa, copre le responsabilità che ammette in tempi recenti. La cronaca dei fatti ricorda che Morucci, responsabile della struttura occulta di Pot Op, fu incaricato di accertare la dinamica; “con pistola alla mano” ottenne la confessione dell’operaista Marino Clavo. Dei tre responsabili del rogo, Achille Lallo, Marino Clavo, Manlio Grillo, gli ultimi due si danno alla latitanza quest’ultimo aiutato dall’amico Scalzone; anni dopo ha affermato che la cellula in azione era già legata alle BR.221 Ci sono favoreggiamenti e contiguità da parte di molti insospettabili, il br Maccari dichiarò che se fossero conosciuti i nomi di chi le ha favorite, si rimarrebbe stupefatti. Lo stesso vale per l’elenco che riferisce 96 nominativi (anche di persone di altra nazionalità, Sudafrica, Spagna, Cile, Argentina) di brigatisti – noti, sconosciuti e persone contigue al terrorismo – in possesso di Valerio Morucci, ritrovato al momento del suo arresto con Faranda in casa dell’autonoma Giuliana Conforto.222 Un

220  Sul rogo di Primavalle anche il capitolo iv. 221  Questo legame non è stato accertato, si sa invece che l’accaduto è uno dei motivi che contribuisce allo scioglimento di Pot Op. 222  L’elenco nominativo è allegato al mandato d’arresto a carico di Valerio Morucci, Adriana Faranda e Giuliana Conforto del 29 maggio 1979, ritrovati nel covo romano di viale Giulio Cesare n. 47. Cfr.. Mandato d’arresto della Questura di Roma, Digos n. 050001, del 31 maggio 1979 a firma del Vice Questore Domenico Spinella.

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elenco in cui compaiono lo stesso Morucci, Faranda, Balzerani, Moretti, Gallinari, Ronconi, Peci, ma anche il tipografo Enrico Triaca, interi nuclei parentali (più persone con lo stesso cognome) fra cui, Borghi Vincenzo e Mario, un “certo” Franco Moreno, nomi questi su cui tra breve si tornerà. Così il generale Maletti, capo dell’Ufficio D del SID, sulle BR: Nell’estate del 1975 avemmo sentore di un tentativo di riorganizzazione e di rilancio […] sotto forma di un gruppo ancora più segreto e clandestino, e costituito da persone insospettabili, anche per censo e cultura e con programmi più cruenti, questa nuova organizzazione partiva col proposito esplicito di sparare, anche se non ancora di uccidere, […] arruolavano terroristi da tutte le parti, e i mandanti restavano nell’ombra, non direi che si potessero definire “di sinistra”.223

Infine, non pochi nodi riguardano l’“affaire Moro” (come lo chiama Leonardo Sciascia rimandando alla formula “affaire Dreyfus”) e le derive rappresentate dalle fughe coperte di molti terroristi, approdati in luoghi tranquilli.224

223  Intervista rilasciata al settimanale Il Tempo, 20 giugno 1976. 224  Una nutrita schiera ha trovato “ospitalità” in Francia, protetta dalla Dottrina Mitterand: Pietrosanti (riconosciuto come Sofri mandante morale dell’omicidio Calabresi), Marina Petrella qui approdata dopo la sentenza Moro-ter (condannata all’ergastolo per l’omicidio di un poliziotto); è stato latitante in Francia, poi estradato, Paolo Persichetti delle BR-UCC, arrestato nel 2002. Oggi è libero, non risulta essersi “dissociato”. Il Nicaragua ha offerto rifugio al br Alessio Casimirri, a Manlio Grillo. La Svizzera al br

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Si tenta qui un’analisi muovendo dalla domanda chiave: che cosa sono le BR? Domanda legata a quelle direttamente connesse: come hanno operato? Perché il caso Moro rappresenta il loro epilogo? Il tema è articolato e vasto, tanti gli studiosi a occuparsene.225 Brigate rosse: nate dal gruppo rivoluzionario della sinistra extraparlamentare xxii ottobre, costituitosi il 22 ottobre del ’69 con il leader Mario Rossi, conosciuto come i Tupamaros della Val Bisagno (vicino a Genova). Il gruppo storico di Franceschini, Curcio, Cagol sceglie una nuova sigla, appunto Brigate rosse e un simbolo, la stella a cinque punte, decisa per contrassegnare il legame con la storia rossa – era il simbolo delle Brigate Garibaldi, dell’Armata rossa e dei Tupamaros uruguaiani –, che viene inserita in un cerchio disegnato con una moneta da cento lire, che spesso, come si nota nei volantini, è imperfetto. Le BR sono germinate dal CPM, Collettivo politico metropolitano;226 come racconta Franceschini, si erano sbarazzati della presenza ingombrante di Corrado Simioni. Nel ’70 individuano il fine della loro lotta armata nel creare «le condizioni soggettive» per il passag-

Alvaro Lojacono Baragiola, che riferisce l’esistenza di una via segreta di fuga dall’Italia all’Algeria con l’aiuto diretto del PCI, infatti prima approda in Algeria, quindi in Brasile, in Svizzera e in Francia. 225  Nel ’76 esce, edito da Feltrinelli, Soccorso Rosso-Brigate Rosse. Che cosa hanno fatto. Che cosa hanno detto. Che cosa se ne è detto. È la prima ricostruzione storica, le bozze sono revisionate da Curcio e Franceschini. 226  Una genesi che aiuta la fantasia popolare a ritenere che all’esordio ci sia un brigatismo romantico, tesi nutrita dalla storia personale di Curcio, rimasto in carcere pur non avendo ucciso, la stessa che vuole secondo una motivazione intellettuale i br continuatori della Resistenza intesa come incompiuta.

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gio al comunismo, perché – scrivono – «nelle aree metropolitane nordamericane ed europee esistono già quelle oggettive».227 Sulla genesi del gruppo, i racconti presentano alcune differenze. Curcio riporta la riunione a Stella Maris nel ’69, Franceschini quella di Pecorile a Vezzano sul Crostolo nell’estate del ’70, Tonino Loris Paroli – militante della colonna torinese – chiarisce che lo storico incontro avviene nella trattoria Da Gianni, a Costaferrata di Casina, sempre nei pressi di Reggio Emilia. Qui si discute per giorni di fila. Ci sono una settantina di ragazzi, i fuoriusciti del PCI – meglio, della FGCI – reggiano, milanese e trentino, molti di Sinistra proletaria, i “duri di Reggio” – giovani, fra cui Franceschini, di diversa provenienza ideologica (sinistra, anarchica, cattolica) – che già dall’estate precedente si ritrovano in una soffitta di Reggio Emilia, in via Emilia San Pietro al civico 25. Così Da Gianni, fra salame nostrano, salsicce, tortelli, cappelletti in brodo, irrorati «da un frizzantino da far impallidire anche il ricordo di Lenin», alla presenza di Curcio e Cagol, Franceschini e Gallinari, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli e Roberto Ognibene, nascono le BR.228 Si rimarca come sin dalle origini un fil rouge unisca l’eversione rossa; lega le BR, i GAP, Pot Op e AO. Un filo unisce intenzioni, progetti comuni, persino il lessico e il corredo di parole chiave: operano e parlano nello stesso modo, dunque, Curcio, Feltrinelli, Negri.

227  Lotta sociale e organizzazioni nella metropoli, Collettivo politico metropolitano, gennaio 1970. 228  La Stampa, 24 ottobre 1991.

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Anche i br transitano dalla gioventù comunista – radice da cui cercano la legittimazione della loro scelta estrema – alla lotta armata. La politica (gli stessi segretari provinciali del PCI) lo dichiarerà tardivamente, questo perché inizialmente le BR svolgono una funzione anti-PCI che torna utile a tanti, ai democristiani, ai socialisti, agli stessi comunisti.229 Come scriverà anni dopo Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, il loro obiettivo era colpire «la democrazia dei partiti», la democrazia bloccata. Nel tempo, centrano meglio l’obiettivo da colpire, nel mirino oltre al fascismo e al neofascismo includono la DC. Tutto questo mentre il PCI, preoccupato dei “venti cileni”, intraprende, attraverso il canale sovietico, una stretta relazione con la Cecoslovacchia.230 Sotto vigilanza del PCUS, viene istituita a Praga la Scuola politica del compagno Synka, una struttura clandestina per addestrare i compagni italiani alle azioni di sabotaggio e alla preparazione di attentati. Il br Franceschini, dissociatosi in carcere, ha chiarito la natura del passaggio dai partigiani alle nascenti BR – che è stato simbolico e materiale – di aiuti e contatti, inizialmente di vecchie armi. È noto che gli Alleati avevano imposto alle formazioni partigiane l’obbligo di resa delle armi e che la richiesta di smobilitazione è ottemperata, ma non quella di resa delle armi. Resta una cellula clandestina operante, in gran parte costituita 229  Verbale del Comitato Federale del PCI, del 21 dicembre 1977, che riporta le parole del segretario provinciale Antonio Bernardi. 230  L’assistenza dei sovietici consiste nell’addestramento speciale. Nello specifico si richiede per alcuni compagni italiani un «corso di preparazione speciale» per apprendere «tecniche di radiotrasmissione, di travestimento, di camouflage delle sembianze». Esplicito aiuto materiale consistente in radiotrasmettitori necessarie per comunicare clandestinamente con i compagni rifugiati a Praga. Si richiede siano confezionati anche documenti italiani.

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dalla Brigata Garibaldi legata al PCI, ritenuta preziosa in vista di un intervento armato a seguito di una possibile nuova guerra civile italiana. A occuparsene è Luigi Longo, che rappresenta una sorta di capo ideale di quest’organismo, e l’ex partigiano Moscatelli. Della sua esistenza si è a conoscenza dalla sua immediata genesi, come attestano le documentazioni del consolato statunitense e quelle del nostro ministero dell’Interno, che al riguardo redige il Dossier SIFAR.231 Nell’immediato dopoguerra, ex partigiani e compagni mettono in piedi una struttura paramilitare clandestina a scopo difensivo, sarà denominata Gladio rossa.232 Sciolta nel ’74 ma nota dal ’92, questo spiegherebbe il nome attribuitole in antitesi a Gladio, l’organizzazione anch’essa nata nel secondo dopoguerra su impulso della CIA, coordinata dalla NATO, per contrastare un’eventuale invasione dell’Unione Sovietica, cui hanno aderito quasi tutti i Paesi occidentali dell’Europa, scoperta nel ’78 con il caso Moro ma resa nota all’opinione pubblica nel ’90. Le due Gladio sono contemporanee e hanno le stesse finalità in senso capovolto, l’una diretta contro l’URSS, l’altra contro gli USA. L’aver qui inquadrato l’origine delle BR aiuta a comprendere l’evoluzione successiva che può essere così sintetizzata: nel ’69 nasce il CPM, dal ’70 al ’74 si sigla la stagione della propaganda, dal ’74 all’80 quella dell’“attacco al cuore dello Stato” – che comprende la “campagna di primavera”, finalizzata alla

231  Su Gladio rossa indaga Giovanni Falcone, poco prima di morire approfondiva le relazioni fra il PCI e il PCUS, in particolare il corso dell’“Oro di Mosca” che raggiunge l’Italia. Un’indagine sui rapporti fra PCI e PCUS e il KGB. 232  Gianni Donno, La Gladio rossa del Pci (1945- 1967), Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2001.

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preparazione dell’azione in via Fani –, dall’80 quella del partito armato con innesti, fratture fino alla crisi conclusiva. Sono evidenti due considerazioni: che la lotta armata è il loro metodo, e che, avendo tranciato il rapporto con il PCI, sono bisognose di relazioni internazionali da cui avere, se necessario, sostegno e protezione.

2.  Quel giorno al luna park È martedì grasso, il 19 febbraio dell’80; fra maschere e bimbi festosi al luna park di Torino è arrestato Patrizio Peci, capocolonna di Torino; con lui Rocco Micaletto, capocolonna di Genova. Entrambi dell’esecutivo nazionale BR.233 Da tempo, i carabinieri di Dalla Chiesa – sarà il primo a interrogarlo nel carcere di Cuneo – sono sulle tracce di Peci, hanno intercettato le telefonate con i familiari, sanno che è in crisi ideologica. Sarà il primo grande pentito br, l’infame per antonomasia, che tradisce il codice omertoso fra i terroristi.234 Oggi è un uomo dall’identità sconosciuta, vive in una località segreta, appena ieri era un ex combattente che comprende prima degli altri che la guerra è finita.235

233  Marco Nozza, op. cit., p. 162. 234  Patrizio Peci, Io l’infame, a cura di Giordano Bruno Guerri, Mondadori, Milano 1983. 235  Silvana Mazzocchi, «Io sono Patrizio Peci carnefice e vittima» in Repubblica.it, 19 ottobre 2008.

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Delle BR dice: «Si sono scardinate da sole; forse io ho dato la prima spallata».236 L’arresto consente di entrare nell’organizzazione. E dalla porta principale. Gli italiani li hanno conosciuti attraverso il loro simbolo – la stella a cinque punte in un cerchio –, i proclami più noti – «uno Stato proletario dentro lo Stato borghese», «colpirne uno per educarne cento» –, e l’eco dei delitti feroci che hanno commesso; ma poco sanno delle BR. Nell’immediato le sue rivelazioni portano all’arresto di una settantina di br, e a innescare una reazione a catena che avvia alla disarticolazione interna. Lui parla e si tratteggia la mappa dei covi, dei complici, dei fiancheggiatori, delle gambizzazioni, delle rapine per l’autofinanziamento dell’organizzazione, dei sequestri di persona. Permette di arrivare ai covi, a quelli veneti – di cui riconosce la superiorità: quelli di Jesolo e Udine avevano realizzato un archivio in microfilm di tutti i documenti br –, e alla cattura del br veronese Michele Galati, poi pentito. Spiega il funzionamento dell’ingranaggio interno, della sua struttura verticistica, in cui ci sono i capicolonna; spiega come si diventa capo, distinguendosi per capacità organizzativo-militari e per impegno, che i rapporti interni fra br sono paritari, ma alcuni fra essi assolvono il ruolo di guide, fra questi Moretti, che conosce nel ’74, divenuto da poco capo (dopo l’arresto di Curcio e Franceschini). Peci è un “regolare” delle BR, perché questo – spiega – «è un mestiere». Vuol dire avere un appartamento, uno stipendio (di duecentomila lire), un mese di ferie. Vuol dire che per mestiere si uccide.237 Essere regolare vuol dire 236  Il fatto quotidiano, 22 novembre 2013, p. 11. 237  Sergio Zavoli, «Intervista a Patrizio Peci», La notte della repubblica, op. cit.

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osservare un severo codice comportamentale, come attesta il vademecum del “terrorista modello” (scoperto in coincidenza dell’arresto di Maccari), probabilmente redatto da Moretti con l’inconfondibile stile brigatista, il “politichese da burocrati”, che stabilisce il comportamento da tenere in situazioni di vita quotidiana. Un codice di istruzioni e di norme di sicurezza che indica come affittare un appartamento, parcheggiare l’auto, vestirsi, comportarsi con i vicini di casa in relazione alla figura sociale che si intende rappresentare nella clandestinità, per calarsi al meglio in quella parte – per esempio, se è un impiegato o un operaio dovrà uscire al mattino presto, ecc. Dal ’76, Peci entra in latitanza, è bravo a vivere da clandestino, bravo a mimetizzarsi fra la gente, bravo a vivere la doppia vita, da persona normale e da terrorista. Fino all’arresto. Subito inizia a collaborare, ammette la responsabilità in sette omicidi e la partecipazione a tanti attentati, nel gergo br come “appoggio lungo”, imbraccia il mitra ma non spara. Boia, bastardo, verme, infame: questi gli insulti a lui diretti dagli ex compagni nelle gabbie durante i processi in corso alle BR. Dopo l’arresto entra in contatto con Dalla Chiesa, inizia una sorta di “trattativa”, gli viene chiesta una prova di fiducia, rivela il covo di via Fracchia a Genova. Nell’incursione genovese muoiono i br trovati nell’abitazione. Le BR non hanno ancora capito che non è più solo un regolare ma un infiltrato, non hanno capito che è in crisi, che è deluso dalla lotta armata. Ma lo capiscono presto: dirigono su di lui tutto il loro risentimento. Il suo pentimento ha aperto una voragine all’interno dell’organizzazione, aleggia la preoccupazione che altri compagni possano collaborare per ottenere la riduzione di pena. Il suo pentimento è un terremoto interno: le BR si spaccano in tre sezioni, una più violenta con Senzani a capo delle BR-PG, Partito della guerriglia. Senzani decide di dare inizio alla campagna per pu212

nire i pentiti, con lucida determinazione porta a compimento il suo fine non rivoluzionario ma distruttivo. Nel frattempo anche l’opinione pubblica si divide, si apre il dibattito sul ruolo da assegnare ai collaboratori. Il giudice Caselli è portavoce di quanti lo ritengono necessario, il presidente della Repubblica Sandro Pertini definisce Peci «un uomo senza idee».

3.  Marco Donat-Cattin, la I al posto della O L’arresto di Patrizio Peci è l’esplosione di una bomba a orologeria, la cui miccia nei successivi mesi primaverili fa scoppiare il caso Donat-Cattin, il Comandante Alberto di PL. Le rivelazioni di Peci, avvalorate dal pentito piellino Roberto Sandalo, Roby il pazzo, ne confermano l’identità e l’appartenenza al gruppo eversivo dell’estrema sinistra. Qualcuno dice che in quei giorni il presidente del Consiglio Cossiga – per i br “capo degli sbirri” – fosse “un pugile suonato”, sono troppo vaghe le sue dichiarazioni sulle generiche indiscrezioni apprese su Marco – figlio di Carlo, il vicesegretario unico della DC – che lo davano membro di una formazione terroristica. E pur ammettendo qualche superficialità nel non leggere sempre quanto arrivava alla sua attenzione, le riporta come “notizie di corridoio”. Donat-Cattin senior – noto per la politica del “preambolo” con cui aveva sotterrato il compromesso storico – ebbe dei colloqui privati con Cossiga in ordine alla posizione del figlio Marco, in cui fu avvisato che il figlio terrorista era ricercato. Nell’immediato il Comandante Alberto è introvabile. Verrà arrestato a Parigi, estrada213

to l’anno dopo in Italia. Proprio la sua fuga alimenta i sospetti sul comportamento di Cossiga, che si allungano anche sul padre (accusato di aver favorito la fuga; le accuse non verranno provate).238 Il mistero s’infittisce. In quei giorni di primavera, una mano anonima invia i verbali degli interrogatori di Peci senza il foglio relativo a Marco Donat-Cattin, arrivano a Fabio Isman del Messaggero, poi alla sede di Lotta continua, nel pomeriggio a Paese Sera, il quotidiano comunista che in prima pagina scrive: «Peci: il figlio di Donat-Cattin fa parte di Prima linea». Il Messaggero dedica alla vicenda tre puntate, nella terza avverte il lettore che Peci ai giudici ha fatto «un nome grossissimo», ma non dice di chi. Lotta continua pubblica sul suo omonimo giornale un’edizione speciale di sedici pagine con una nota redazionale di avvertenza al lettore: «Abbiamo ricevuto questi verbali che pubblichiamo, non sono completi ma mancanti di diverse pagine». Avverte della mancanza di un “foglio” ma non scrive la parola “foglio” bensì “figlio”. Non si saprà mai chi, scrivendo “figlio” al posto di “foglio”, abbia voluto dare in modo tanto sinuoso quell’informazione, una I al posto di una O. Da alcuni sarà interpretato come un messaggio in codice per avvisare lo stesso latitante di essere ricercato. Congetture troppo sofisticate? Chissà! Fatto sta che la

238  Gli atti delle rivelazioni di Sandalo rilasciate al magistrato Gian Carlo Caselli sono inviati alla Camera con «l’ipotesi di violazione del segreto per consentire la fuga di un terrorista». Cossiga è sospettato di favoreggiamento, il caso si conclude con l’archiviazione. Nell’85, usufruendo delle leggi sulla dissociazione e sui collaboratori di giustizia, Donat-Cattin figlio ottiene gli arresti domiciliari; assolto per insufficienza di prove dall’accusa di concorso morale nell’assassinio del criminologo Alfredo Paolella. Libero dal dicembre ’87, muore in un incidente stradale.

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notizia è un macigno anche per Donat-Cattin senior, che da anni aveva allentato i rapporti con il figlio, anzi alle prime notizie pensa si tratti del nipote. Appreso che è del figlio che si parla, nell’immediato rassegna le dimissioni da vicesegretario della DC, che Flaminio Piccoli respinge; d’altronde, come contenere ad appena un mese dalle elezioni comunali e regionali dell’8 giugno l’imbarazzante rivelazione? L’ufficio di propaganda della DC stampa i manifesti con la scritta a caratteri cubitali: «Diteci se avete mai conosciuto un brigatista democristiano». Sono ritirati e non saranno affissi. Il giornalista Isman è arrestato per violazione del segreto istruttorio: è scoppiato il caso politico, investe Cossiga, Giacomo Mancini e Rognoni. Le cose sono andate verosimilmente così: la notizia filtra attraverso un passaggio di mano, il vicecapo del SISDE, Silvano Russomanno (tra breve anche lui arrestato), già soldato della Wehrmacht nei giorni di Salò, già noto nella vicenda di Piazza Fontana per aver trovato sempre più prove contro “il Valpreda”, la passa a Isman.239 L’intento è di diffondere nell’opinione pubblica l’idea che il terrorismo sia allo stremo e la rivelazione clamorosa su Donat-Cattin lo confermerebbe. Tuttavia, è un tentativo di rasserenamento generale che si scontra con la realtà, in cui l’eversione rossa sembra invece inarrestabile. È primavera, ma in molte città l’aria è sempre più irrespirabile. Il numero speciale di Lotta continua, quello del 7 maggio, in cui sono pubblicati i verbali di Peci, esce con un titolo provocatorio: «BR, lo spettacolo è finito».

239  Marco Nozza, op. cit., p. 150, p. 157, p. 170.

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Ma c’è ancora un lungo strascico di sangue. Qualcosa cambia anche all’interno di Lotta continua, che sembra più cauto, lontano dai proclami “né con lo Stato, né con le BR”. Dopo la pubblicazione di qualche articolo di troppo, uno in particolare in cui si chiede chi ci sia sopra Moretti, il giornalista Guido Passalacqua è gambizzato. Diciannove giorni più tardi, viene freddato Walter Tobagi. Si era posto l’identico quesito, nell’articolo di domenica 20 aprile dal titolo: «Non sono samurai invincibili». I terroristi sono isolati dal grosso della classe operaia, però sono riusciti a penetrare in alcune zone calde delle grandi fabbriche. Se tentiamo di ragionare sui frammenti di verità che la cronaca ci offre in questi giorni, dobbiamo confessare una sensazione: pare proprio che il terrorismo italiano, almeno quello delle Brigate rosse, sia giunto a un tornante decisivo […]. Si assiste, insomma, al tentativo fin troppo chiaro che il brigatista cerca di far vedere che la sua lotta armata può essere la continuazione dell’azione in fabbrica. È una mossa spregiudicata; i sindacalisti e la stragrande maggioranza dei lavoratori la respingono. Ma non c’è dubbio che questa linea delle BR costringe a rifare i conti con una realtà complessa: non serve parlare di fascisti travestiti, quando le biografie personali di capi come Lorenzo Betassa o Riccardo Dura rivelano una lunga militanza nel sindacato e in altri gruppi di vecchia o nuova sinistra. L’interrogativo da porsi è un altro, come mai certi lavoratori hanno fatto il salto terribile? Stupisce sapere, come si è detto in questi giorni, che la mitica direzione strategica delle Brigate rosse sarebbe formata da non più di cinque persone: gli operai Betassa e Dura, il tecnico Moretti, la maestrina Balzerani e l’ex cameriere Peci. E fra loro, solo Moretti avrebbe collegamenti con il supervertice politico, il sinedrio occulto dei capi di tutti i capi. In ogni 216

caso, conviene non cadere nelle facili mitologie per cui uno diventa l’inafferrabile e l’altra l’onnipresente. Lo sforzo che si deve fare è di guardare la realtà nei suoi termini più prosaici, nell’infinita gamma delle sue contraddizioni; senza pensare che i brigatisti debbano essere, per forza di cose, samurai invincibili.240

Si muore di politica.

4.  La banalità del male: storia di Roberto Peci Roberto Peci è il fratello del brigatista Patrizio, la sua è una breve permanenza nelle BR, ne esce a seguito dell’arresto per il ritrovamento di armi e documenti a San Benedetto del Tronto (luogo di provenienza dei Peci); in contemporanea a questo episodio, Patrizio entra in latitanza. Roberto è nuovamente arrestato per fatti accaduti anni prima, subito rilasciato. La coincidenza di questo “doppio arresto” fa insospettire le BR, anzi, in loro si fa strada il convincimento che Patrizio sia arrestato una prima volta su delazione del fratello e subito rimesso in libertà per acquisire informazioni da infiltrato, e una seconda volta arrestato definitivamente. Dunque, anche per Patrizio uno strategico “doppio arresto”. Per questo accentuano l’interesse su Roberto. Il loro convincimento è privo di supporto storiografico e

240  Walter Tobagi, «Non sono samurai invincibili» in Corriere della Sera, 20 aprile 1980.

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giudiziario, però è sostenuto probabilmente per giustificare l’epilogo sanguinoso della vicenda Peci. Mettono a punto la vendetta trasversale, proprio come accade nelle associazioni a delinquere come la mafia o la camorra: rapiscono Roberto, lo sequestrano per 55 giorni, lo sottopongono a un processo, emettono la sentenza di morte del prigioniero. Il processo a opera delle BR-PG241 a guida Senzani, che ne decreta la morte, è grottesco, l’esito è drammatico. Lo svolgimento nella “prigione del popolo” è filmato a dimostrazione della “legalità proletaria”.242 Il “processo proletario” – una forma di processo diretto già usato per Aldo Moro – a Roberto Peci si apre con l’inno Bandiera rossa, si sente una voce fuori campo, quella di Stefano Petrella che interroga l’incriminato Roberto. È presente Senzani. Roberto parla con un filo di voce, si presenta come un “dissociato”, aggiunge di non credere più nella lotta armata. L’interrogatore gli chiede: «Patrizio Peci è un pentito?». «No.» «Ha deciso di collaborare con i carabinieri.» In sottofondo riprende la musica, si sente la voce di Petrella che emette la sentenza: «Le Brigate rosse concludono il processo a Roberto Peci condannandolo a morte». Roberto Peci è accusato di essere un traditore. Sono i giorni dell’estate ’81, i suoi familiari – la sorella e 241  Queste le formazioni nate dalla scissione delle BR: BR-PG, partito della guerriglia di Senzani; BR-Walter Alasia (Alasia è il br ucciso nel ’76 in uno scontro a fuoco dopo che aveva ucciso due poliziotti, è questa la colonna milanese che gambizza Indro Montanelli); BR-UCC con alla guida la br Balzerani. 242  Fonte Ministero della Giustizia, Filmato originale delle Brigate Rosse.

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la moglie – si adoperano per la sua liberazione.243 Nessuno li ascolta: i media tacciono, i parenti del “traditore” sono isolati. Le BR lasciano nelle sedi dei giornali alcune videocassette e una lettera di Roberto, una confessione forse estorta durante l’interrogatorio. Radio Radicale decide di darne notizia. Per l’abile volontà di Senzani, il processo a Roberto diventa uno spettacolo – da lungimirante professore ha intuito che la strategia mediatica ha grande forza: promuove persino un sondaggio, chiedendo agli operai delle fabbriche e ai br in carcere di pronunciarsi sulla vita o sulla morte di Roberto. Si viene a creare una strana complicità, un rovesciamento delle parti, in cui i direttori delle carceri chiedono ai br carcerati di pronunciarsi. Franceschini non risponde, condanna le istituzioni che si sono prestate a quest’anomala richiesta. In ogni caso, la maggioranza degli interpellati vuole la liberazione. Per converso, Senzani vuole la morte del prigioniero. Chiede sia mandato dalla Rai il comunicato della sentenza di morte affinché si veicoli un messaggio chiaro: il doppio tradimento dei due fratelli infami. Da questo spera di attingere consenso utile all’eversione rossa che lui rappresenta. Su decisione del direttore Zavoli, il video non sarà mandato in onda. Una scelta controversa, maturata per non legittimare il terrorismo. Considerando l’epilogo del caso Moro, forse il caso Peci meritava maggiore riflessione: Roberto è il fratello di un collaboratore dello Stato, a sua volta divenuto una vittima del terrorismo. La condanna a morte è eseguita il 3 agosto dell’81. Nel vi-

243  In quei giorni la sorella Ida ammette le colpe di Patrizio, sperando così di ottenere la grazia per Roberto, che muore a 25 anni lasciando la moglie incinta.

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deo si vedono degli uomini incappucciati, il prigioniero messo al muro, giustiziato da traditore con“undici colpi di arma da fuoco”. Il corpo di Roberto è ritrovato in un casolare della campagna romana. Il novello Robespierre Senzani fotografa il cadavere di Peci, così da fare spettacolo della morte e rendere eterno il suo distorto concetto di “legalità proletaria”. Si è da poco spartito con Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata, i proventi del sequestro di Ciro Cirillo.244 Enzo Biagi rende pubblico il video all’interno del suo programma Linea Rossa di Rete 4.245

5.  Brigatiste e brigatisti: amori armati È lungo questo elenco, alcuni sono nomi storici come Curcio e Franceschini. Renato Curcio, occhi scuri e inquietanti, barba folta da populista russo dell’Ottocento, non risulta abbia rinnegato la lotta armata, malgrado l’abbia considerata una fase chiusa della Storia. Quindi Prospero Gallinari e Valerio Morucci; altri sono meno noti, ma ricoprono ruoli decisivi, come il romano Bru-

244  Ha ottenuto l’effetto opposto dalle sue intenzioni: il parlamento approva un decreto speciale per i collaboratori di giustizia con lo Stato. Cirillo è rapito il 27 aprile ’81, rilasciato anche grazie alla mediazione del faccendiere Francesco Pazienza legato ai Servizi e a Cutolo. 245  Era il 19 ottobre ’83, tre anni dopo la Rai, nella prima puntata di Spot Biagi, manda in onda l’intervista premettendola con il video della condanna a morte di Roberto Peci.

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no Seghetti; altri, nonostante il ruolo considerevole nelle azioni, sono rimasti più celati o nell’ombra, fra questi Maccari e soprattutto Alessio Casimirri e Giovanni Senzani. Hanno storie simili, medesime provenienze politiche, transitati da una formazione a un’altra, hanno un nome di battaglia, nel gergo br tutti hanno fatto il “salto del fosso”, sono entrati nella lotta armata. E in molti casi la clandestinità come scelta di vita li ha portati a scegliere di essere “doppiamente compagni”, nella lotta politica e nella vita personale. Fra le coppie di br: Curcio e Margherita Cagol, uccisa in un conflitto a fuoco con i carabinieri – era il 1975 –, ma prima Curcio e Mantovani e oggi Curcio e l’ex terrorista rossa Maria Rita Prette; ancora, Mara Pia Vianale e Giovanni Gentile Schiavone, Anna Laura Braghetti e Gallinari, Algranati e Casimirri, Maria Rosa Roppoli e Patrizio Peci. È accaduto anche ai piellini, a Segio e Ronconi, a Bruno Laronga e Silveria Russo. Entrambe le coppie hanno lasciato negli ultimi anni Settanta una scia di sangue. La piellina Russo viene dal femminismo pacifista e istituisce il Commando femminile, una militanza armata di sole donne per contrassegnare il loro protagonismo, partecipa con gli altri all’addestramento nelle grotte delle montagne lombarde e piemontesi, e chiarisce che l’omicidio rientra in «una normale attività operativa».246 Le donne br hanno ruoli e caratteri diversi, alcune sono più determinate e rabbiose come Cagol, Faranda e Balzerani, queste ultime fanno parte della direzione strategica delle BR. Barbara Balzerani è legata a Moretti, con cui occupa nei giorni del rapimento Moro l’appartamento-covo romano di via Gradoli 96, a tre chilometri in linea d’aria da quello di via Fa246  Sergio Zavoli, La notte della Repubblica. Prima Linea, Rai 1990.

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ni, dove è trattenuto l’illustre prigioniero, Aldo Moro. È un’irriducibile, vanta una lunghissima latitanza fino all’arresto a metà degli anni Ottanta, quando è alla guida delle BR-UCC, Unione comunisti combattenti. Come lei, anche Rita Algranati è transitata da Pot Op, viene dal quartiere romano di Primavalle, per seguire Casimirri, di cui è invaghita. Non ha competenze decisionali, ma nel ruolo di staffetta partecipa a tutti gli attentati più crudeli, è lei che il mattino del rapimento del presidente Moro è sul motorino all’incrocio tra via Stresa e via Fani con un fascio di fiori in mano, e che, alla vista dell’Alfetta bianca (della scorta) e della Fiat 130 su cui viaggia lo statista, solleva i fiori e dà inizio alla sparatoria che segna la storia della politica italiana.247 Separatasi da Casimirri, si unisce a Maurizio Falessi, militante delle appena citate BR-UCC, il gruppo terrorista che si rifornisce di armi in Medio Oriente; lo stesso Falessi è addestrato nei campi palestinesi dell’FPLP, Fronte popolare di liberazione della Palestina di George Habash, a dimostrazione del legame con il terrorismo internazionale. Anna Laura Braghetti, di aspetto ordinario, è la br che si divide fra ufficio e covo prigione. È la vivandiera nel covo prigione di via Montalcini 8; per Maccari – che lei accusa di essere

247  Nel 2004, Rita Algranati arrestata al Cairo in Egitto, da quel momento dovrà scontare sei ergastoli per la partecipazione agli omicidi dei magistrati Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione, del colonnello dei carabinieri Antonio Varisco, del democristiano Italo Schettini, dei due poliziotti di guardia alla sede della DC di Piazza Nicosia a Roma. Dopo l’arresto di alcuni brigatisti della colonna romana, fugge con il marito, il br Casimirri, a Managua in Nicaragua, dove la rivoluzione sandinista di Daniel Ortega aveva rovesciato il regime dittatoriale di Somoza.

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il «quarto uomo»,248 noto nella letteratura del caso Moro come il quarto carceriere celato dietro l’identità fittizia dell’«ingegner Altobelli» – è una «compagnuccia di quartiere», «la ex fidanzata di Seghetti» che «è entrata a far parte delle Brigate rosse per comprare un appartamento ed è stata poi partecipe di tutto ciò che successivamente è successo in Italia».249 La stessa accusa nei confronti di Maccari viene anche da Adriana Faranda, la br che più ha mantenuto il legame con la casa madre, con Pot Op, come del resto il suo compagno nella vita Morucci, che nel tempo mantiene la passione per le armi ed è tra i primi a sollecitare la militarizzazione interna. Nel febbraio del ’74 è arrestato dalla polizia svizzera perché in possesso di un fucile mitragliatore e cartucce di vario calibro, e quando due anni più tardi entra nelle BR, nella colonna romana, consegna all’organizzazione pistole, munizioni, la mitraglietta Skorpion usata per uccidere Moro. Partecipa a quasi tutti gli attentati che insanguinano Roma nel ’77, ma in via Fani il suo mitra si inceppa dopo pochi colpi, lo testimonia più volte anche in Commissione “Stragi”. È lui a predisporre l’appartamento prigione di Moro. Fondamentalmente dentro le BR la coppia Faranda-Morucci è considerata un tutt’uno con Autonomia, fino alla fine. Entrambi sono contrari all’epilogo luttuoso della prigionia di Moro, che è poi la linea di Lanfranco Pace e Piperno, che faranno da tramite nella trattativa della liberazione con Bettino Craxi, segretario del PSI. Dopo l’uccisione di Moro rilanciano l’idea dell’unificazione delle BR con AO mediante il punto di unione

248  Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, Il prigioniero, Mondadori, Milano 1988, p. 97. 249  Ibidem.

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del gruppo Metropoli (scompaginata con l’istruttoria del giudice Calogero del 7 aprile ’79), quindi fanno ritorno da Piperno, fino al loro arresto in casa di Giuliana Conforto (il 29 Maggio ’79), dove si rinviene un arsenale di armi.250 È questa una situazione da catalogare come estremamente interessante su cui tra breve si ritornerà.

6.  Germano Maccari, il quarto uomo? Romano, iniziato alla militanza politica in Pot Op, amico della Faranda, di Morucci e di Seghetti, con i quali costituisce il gruppo LAPP, Lotta armata potere proletario, confluito poi nelle BR. È descritto come un terrorista deciso e con discrete capacità militari, firma la prima “gambizzazione” – è il ’73, è ferito alle gambe il caporeparto di una fabbrica elettrica di Roma. Appena qualche anno e transita nelle BR, come irregolare.251 Nel ’93 viene arrestato, è l’anno che sigla la svolta nella vicenda del “quarto uomo” nel covo prigione romano. Dopo tre anni di «rimorsi» e «lacerazione» – termini che usa durante la sua deposizione in tribunale – «confessa» e riferisce tanti particolari. Spiega che alla difficile confessione giunge do-

250  Dagli atti del processo Metropoli traspare il forte legame fra Piperno, Morucci e Faranda. 251  Nell’80, Maccari esce dalle BR, viene arrestato nel ’93, accusato dalla Faranda, tre anni dopo ammette il coinvolgimento nel sequestro Moro, ma non di aver preso parte all’assassinio. È condannato a 30 anni, ridotti a 26. Muore per un infarto nel carcere di Rebibbia a Roma.

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po la morte del padre, ex partigiano comunista. Andiamo a ritroso, ai giorni del rapimento del presidente. Al processo riguardo al materiale redatto dalle BR, in particolare riferimento alle fotocopie rinvenute nel ’90 nel covo milanese di via Monte Nevoso, asserisce di non saperne nulla perché il metodo operativo brigatista era grossolano, non da «amanuensi»; aggiunge: «Per le Brigate rosse l’originale o la fotocopia è la stessa cosa». In riferimento a Moretti, parla di «ubriacatura di potere», citando come particolare a supporto la lettera che Moro dalla prigione brigatista indirizza a Cossiga, che lo statista avrebbe voluto rimanesse segreta, e che, al contrario, Moretti pubblica, adducendo a spiegazione che al popolo si debba far sapere tutto. Racconta il dubbio di Franceschini che gli confessa il timore che Moretti sia un uomo dei Servizi. La parte più importante della sua confessione riguarda la colonna romana: i covi romani, quello prigione di via Montalcini, quello di via Gradoli, la casa covo di Moretti-Balzerani e l’identità del “quarto uomo”. Sulla decisione di uccidere il prigioniero Moro confessa – definendosi un «brigatista atipico» – che «la sera dell’8 maggio è venuto Moretti in via Montalcini e ha riportato la decisione dell’esecutivo nazionale delle BR di uccidere il presidente Moro». Lui non è d’accordo – recenti acquisizioni fanno pensare che l’8 maggio l’esecutivo si sia riunito in via Chiabrera (zona Ostiense), qui vengono assegnate a ciascun br le consegne per il giorno successivo. Aggiunge il particolare relativo alla sabbia marina rinvenuta nei pantaloni di Moro, di cui non ricorda se inserita nel risvolto prima o dopo l’esecuzione, ma che se ne fosse occupata la Balzerani, reperendola nel lido laziale all’ovvio scopo di depistare le indagini. Infine riferisce di essere lui alla guida della Renault 4 rossa (a ridosso dei fatti le cronache riferiscono fosse invece Morucci) e accanto a lui siede un Moretti silenzioso che poco prima ha fred225

dato Moro, superando l’impasse della pistola Walther PPK che s’inceppa.252 Questa confessione spiegherebbe la sua coincidenza con il “quarto uomo”. Nell’immediatezza dei fatti, non è così. Il pentito Antonio Savasta riferiva di non sapere chi fosse Maccari, ritenendo che il quarto uomo, alias l’ingegnere Altobelli, fosse Gallinari, anche perché lui stesso lo aveva ammesso durante un’intervista.253 Maccari racconta anche come erano portate all’esterno dell’appartamento prigione le lettere scritte dallo statista: queste passavano da Moretti a Morucci, che fungeva da “postino” per recapitarle a persone fidate della famiglia Moro, fra cui il parroco Antonello Mennini. Don Antonello è il giovane prete della diocesi romana di Santa Chiara (distante poche centinaia di metri dall’abitazione dei Moro), è il contatto fra la Santa Sede e le BR. Scorrendo la biografia si legge che è figlio di Luigi Mennini, figura preminente dello IOR, la Banca vaticana, che dall’81 entra nel servizio diplomatico della Santa Sede; oggi è nunzio apostolico nel Regno Unito, attualmente il fratello è a capo della Procura di Chieti. In una dichiarazione rilasciata poco prima di morire, Cossiga fa il suo nome e riferisce che avrebbe confessato l’illustre prigioniero fino alla fine dei suoi giorni e gli avrebbe impartito l’estrema unzione. Dalla morte di Moro il prelato non ha mai deposto. Nel 2015, per iniziativa di Papa Bergoglio, è chiamato a deporre dalla nuova Commissione d’inchiesta.254 La deposizione lascia delusi quanti si attendevano straordi-

252  Senato della Repubblica, Commissione “Stragi”, xiii Legislatura, Caso Morbioli, deposizione di Maccari, pp. 724 sgg. 253  È l’intervista rilasciata a Tg1 Sette risalente all’89. 254  La dichiarazione di Cossiga risale al 2010. Mennini ha sciolto il riserbo e ha deposto il 9 marzo 2015 alla CpiM2.

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narie dichiarazioni, per quanto un dato interessante si coglie: ha smentito Cossiga. Il nunzio, nel ricordare il segreto confessionale del suo ministero, dichiara di non aver confessato lo statista, di non aver ricevuto in custodia oggetti e documenti personali perché non ha mai avuto accesso al covo BR, perché, se così fosse stato, avrebbe contribuito subito alle indagini.255

7.  Gallinari, detto “Gallo” Un irriducibile, non rinnegherà mai la lotta armata. Fisico massiccio e baffoni alla Stalin. Emiliano come Franceschini, come lui lascia il PCI e come lui cresce nel culto della guerra partigiana, nel ’72 passa alla clandestinità; arrestato a Torino, due anni dopo si dichiara prigioniero politico. Cinque anni più tardi evade dal carcere di Treviso e si unisce alla colonna romana, divenendone il capo militare.256 Secondo Savasta – le sue rivelazioni rappresentano l’inizio dell’implosione delle BR; arrestato nell’82, inizia subito a collaborare, fino a qualche giorno prima dell’arresto aveva steso comunicati br chiamando “infami” i dissociati – è lui che durante una riunione a Moiano in Umbria brucia le carte rimaste in mano ai

255  Rai News, Caso Moro, Don Mennini nega di aver confessato lo statista, 9 marzo 2015. 256  Nuovamente arrestato nel ’79, fra i documenti sequestratigli un piano per un’incursione brigatista all’Asinara, che doveva provocare l’evasione in massa dei detenuti del carcere dell’isola. Nell’81 sposa in carcere la Braghetti. Muore nel gennaio 2013 nel garage di casa a causa di un malore.

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br. Nelle prime versioni, è sempre lui, Gallinari, il sicario di Moro. Solo nel ’93, l’imperturbabile Moretti, che per questo Morucci definisce «la Sfinge»,257 ammette di aver ucciso il presidente nel garage del covo di via Montalcini; fino ad allora, come da canovaccio della sceneggiatura, proprio l’irriducibile br si era assunto la «responsabilità politica» dell’omicidio.258 Al riguardo, nella sua deposizione al processo Moro, la Braghetti supporta questa tesi, riferendo che il mattino presto, intorno alle sei, lo statista è condotto nella rimessa dell’appartamento per essere ucciso. Chi tra Maccari, Gallinari, Moretti abbia inferto i colpi mortali ad Aldo Moro non è stato mai chiarito.

8.  Alessio Casimirri l’imprendibile? La sua biografia è costellata di ombre.259 Vive in Nicaragua, che non ha concesso l’estradizione.

257 Lo definisce così nel giugno ’98, durante un’audizione della Commissione d’inchiesta. 258  Nel ’93, nel libro-intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda, Moretti dichiara di aver ucciso Moro con due armi silenziate. 259  Nell’80 lascia le BR. scappa con un passaporto falso a nome Guido Di Giambattista, nell’82 entra nel Paese latino-americano con la protezione del Governo rivoluzionario dei sandinisti, dove (nell’85) viene individuato con la Algranati. Nell’89 è condannato in contumacia dalla magistratura italiana, per aver preso parte al sequestro e all’omicidio Moro. La richiesta di estradizione alle autorità del Nicaragua, dove oggi fa il ristoratore, viene respinta.

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La sua vicenda è legata con un doppio filo a quella di Maccari, cui Moretti ha dato l’ordine di recarsi nel covo prigione romano di via Montalcini. Negli anni, Casimirri ha rilasciato alcune interviste, alla stampa italiana e nicaraguense.260 Ci sono poi state le missioni del SISDE in Nicaragua. Nel ’94, a seguito delle dichiarazioni del pentito di ’ndrangheta Saverio Morabito –notizia ripresa dall’Unità del 16 aprile ’98 – il suo nome è stato accostato a quello dell’infiltrato legato al capitano Francesco Delfino,261 alla guida del reparto operativo a Milano, in quel momento l’unità chiave nel contrasto delle BR in Lombar-

260  In Italia, la prima in assoluto, del 17 novembre ’88, è del settimanale Famiglia Cristiana, la seconda, del 23 aprile ’98 è dell’Espresso. Ce ne sono altre successive che il br ha smentito di aver rilasciato. Le più recenti a Joaquín Tórrez A. su El Nuevo Diario del 1 febbraio 2004; e a Magazine di La Prensa 12 agosto 2007. All’Espresso che riferiva avesse addestrato le truppe speciali sandiniste, risponde di non essere stato un agente sandinista. 261  Qualche nota su Delfino. È stato nel SISMI. Secondo le sue deposizioni rilasciate sia alla Commissione Parlamentare di inchiesta «Sul terrorismo in Italia e sulle cause…» sia in seguito come teste al processo per la morte di Calvi, è l’unico agente italiano mandato a Londra alla notizia del rinvenimento del cadavere del banchiere per prendere contatto con le autorità britanniche. Il suo nome torna nell’indagine sulle relazioni tra mafia e P2 per l’individuazione di Francesco Pazienza (faccendiere che prende parte ai negoziati per il rilascio di Ciro Cirilo, è un agente del SISMI individuato negli USA, condannato nell’88 per aver tentato di depistare le indagini sulla strage di Bologna, condannato per lo scandalo del Banco Ambrosiano nel ‘93 e per la sua gestione di segreti di Stato nell’82, ha scontato 12 anni di carcere).Torna nella vicenda che porta alla cattura di Totò Riina. In tempi recenti, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna del tribunale di Brescia, secondo cui si sarebbe avvalso del sequestro dell’industriale Soffiantini per truffarne i familiari – chiede alla famiglia il denaro fingendo servisse alla liberazione del loro congiunto. Muore nel 2014, è andato in congedo con il grado di generale.

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dia. Secondo Morabito, grazie ai suoi contatti calabresi – Delfino era di origine calabrese – il capitano era riuscito a infiltrare un giovane nelle BR durante il rapimento di Moro. Le indagini non troveranno riscontri e la vicenda sarà archiviata. Su questi nomi, lo ’ndranghetista Morabito e il capitano Delfino, si avrà modo di tornare. Casimirri – la madre è cittadina vaticana, il padre è capo ufficio stampa dei papi Pio xii, Giovanni xxiii e Paolo vi – dichiara di essere stato estromesso dall’operazione Moro subito dopo l’agguato di via Fani – lui è nel commando di fuoco – perché aveva subito una perquisizione del SISDE. La notizia uscirà sulla stampa. Trascorre del tempo, a essa segue la rivelazione che il signor Luigi Altobelli sia il romano Germano Maccari, che – come emerso – è il br che confessa tardivamente lasciando un percorso di ragionevoli dubbi (la perizia calligrafica sulla sua firma apposta sul contratto di fornitura elettrica dell’appartamento di via Montalcini è eseguita solo nel ’96, a tre anni dal suo arresto). Ma sarà proprio lui ad ammettere di essere “il quarto uomo”. La vicenda si è così chiusa. Dal canto suo, Casimirri dirà di non conoscere l’identità del “quarto uomo” che gli era stato presentato come chi «si sarebbe occupato della parte logistica di un’importante operazione», però lo descrive. Questo in occasione dell’incontro con i tre agenti del SISDE in Nicaragua. Gli agenti redigono una relazione ufficiale su questa conversazione e sul riconoscimento del «misterioso individuo». All’epoca il signor Altobelli aveva il nome di battaglia di Germano, è descritto come un uomo alto, di corporatura snella, con baffetti radi, stimato per le sue «qualità militari». Ora, se dobbiamo propendere con il sostenere che questi corrisponda a Germano Maccari, appare po230

co credibile che abbia usato come nome di battaglia lo stesso che ha all’anagrafe; inoltre se Altobelli fosse stato Maccari, le stimate qualità militari non corrisponderebbero al suo profilo. Uniamo a questo racconto la rivelazione di Savasta che riferisce i passaggi successivi della vicenda, quando il “quarto uomo” va a vivere nell’appartamento-prigione di via Montalcini, dove accade un imprevisto: Altobelli-quarto uomo e la Braghetti si innamorano, ma lei è già legata al br Gallinari, questa la ragione per cui Altobelli-quarto uomo deve lasciare la casa. Casa che la Braghetti aveva trovato con Seghetti, il suo ex fidanzato. Ritorniamo alla dichiarazione di Casimirri, all’identità di questo Altobelli-quarto uomo da lui identificato in Giovanni Morbioli. Potrebbe apparire strano ma Giovanni Morbioli non verrà interrogato. In un secondo tempo, sarà inviata a Casimirri la foto di Morbioli, il br risponde agli uomini del SISDE che era sicuro fosse lui il “quarto uomo”, lo scrive su un foglio che sarà mostrato nel processo Moro quinquies. Qualcosa accade. Il successivo incontro nicaraguense – già fissato – salta improvvisamente, l’Unità del 16 ottobre ’93 presenta una notizia in anteprima all’indomani dell’arresto di Germano Maccari, accreditando Casimirri come fonte del SISDE nell’operazione sul “quarto uomo”. Solo alcuni giorni dopo, nel tg serale di Rai 2 si riferisce che il br latitante in Nicaragua aveva fatto sapere a un giornalista della testata televisiva che non era più disposto a rilasciare dichiarazioni per rogatoria ai giudici italiani. La “fonte Casimirri” si è così chiusa.

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9.  Mario Moretti, il terrorista dai chiaroscuri «Le Brigate rosse sono una cosa, le Brigate rosse più Moretti un’altra.»262 Così dichiara Dalla Chiesa in Commissione “Terrorismo e Stragi”. Marchigiano, piccolo di statura, baffetti, è un perito industriale; a Milano, in fabbrica, conosce i futuri br Corrado Alunni e Giorgio Semeria. È un puro? È una spia? In ogni caso, è il capo delle BR dal ’75 all’81. Non risulta essersi pentito, né dissociato. Ha un percorso terroristico contrassegnato da «stranezze».263 Appena alcune. Sin dal primo mandato di cattura, emesso perché considerato appartenente alle BR e non specificamente per la strage di via Fani. La “fortuna” vuole che riesca a sfuggire in tempo utile per evitare la cattura. Il SISDE è già a conoscenza di chi sia prima della scoperta della casa-covo romana di via Gradoli – dove vive con la Balzerani. L’ordine di cattura (del 24 aprile ’78) per il sequestro Moro e l’uccisione della scorta riporta i nomi dei seguenti br: Gallinari, Faranda, Peci, Morucci, Ronconi (tutti resisi latitanti) ma non il suo. Il suo nome non compare né in riferimento alla strage di via Fani – dichiara di essere arrivato da solo alla guida della Fiat 128 CD, rubata giorni prima264 – né alla costituzione delle BR. Il primo mandato d’arresto di Moretti coincide con la scoperta della tipografia di Enrico Triaca situata in via Pio Foà a Roma (in uso alle BR, qui stampano volantini e comunicati), riguarda «l’organizzazione e la partecipa262  CpiTS, p. 160. 263  Questo il termine usato in riferimento a Moretti dalla CpiTS, cit. 264  Tesi ritenuta falsa dalla CpiM2, I relazione 2015, cit.

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zione all’associazione eversiva denominata BR». Nient’altro. La scoperta della tipografia è tardiva, Moro è già stato ucciso, ne consegue che se il materiale trovato in via Gradoli fosse stato tempestivamente esaminato vi si poteva arrivare prima. Questo dato è una conferma che le indagini per trovare la prigione di Moro subiscono sia distorsioni mirate sia lentezze e negligenze accidentali. Il nome del tipografo Triaca – arrestato il 17 maggio del ’78, nel corso delle indagini sulla morte di Moro – è legato a due eventi. Il primo: dopo l’arresto, è pestato e torturato, sottoposto alla pratica chiamata waterboarding265 – a occuparsene è una squadra speciale dell’antiterrorismo al comando di De Tormentis, eteronimo di Nicola Ciocia, dirigente dell’UCIGOS.266 Il secondo riguarda i macchinari della tipografia, in cui risultano apparecchiature in uso ai Servizi segreti: indubbiamente è una strana coincidenza.267 Peraltro si ricorda che il suo nome è

265  È tra le tecniche di condizionamento utilizzate dalla CIA negli interrogatori, non classificate come “tortura” secondo la legge USA. È la simulazione d’annegamento in cui il detenuto viene steso su una panca inclinata, con i piedi in alto e un panno a coprire bocca e naso, gli viene gettata acqua in testa. 266  Al 2013 risale l’istanza di revisione del processo della Corte d’Appello di Perugia sul caso Triaca. Il caso del pestaggio è stato sollevato dal Secolo xix , che nel 2007 ha raccolto le testimonianze di Rino Genova all’epoca commissario Digos e l’ammissione, fatta con lo pseudonimo di Professor De Tormentis, di Nicola Ciocia, l’allora capo di una squadra dell’antiterrorismo alle dirette dipendenze degli Interni. Cfr. Nicola Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai “metodi speciali”, come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata, Sperling & Kupfer, 2011. 267  Macchinari che sono stati utilizzati per stampare la risoluzione della Direzione strategica BR del febbraio ‘78 risulteranno provenienti da stock ministeriali in disuso. La stampante (AB-DIK260T) apparteneva in origine

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nell’elenco ritrovato a Valerio Morucci al momento del suo arresto. Un’altra stranezza. L’11 maggio, a firma del capo della polizia, viene emessa una taglia sulle BR, indirizzata al ministro dell’Interno, non per invitare gli italiani alla collaborazione quanto per creare una possibile scollatura in seno all’organizzazione. Il testo non fa riferimento al caso Moro, bensì a generici terroristi: Gallinari, Morucci, Peci, Ronconi, Faranda, ma non Moretti. Certo, comparando le date si rileva che la richiesta della taglia risale all’11 maggio, il mandato di cattura è del 19 maggio, ma la stranezza che riguarda il br è comunque confermata. Cosa dedurne? L’esistenza di un preoccupante velo a celare Moretti. La Commissione d’inchiesta “Terrorismo e Stragi” nel 2001 scrive: «Incredibile inefficienza degli apparati dello Stato in pressoché tutte le sue articolazioni».268 Sembra riesca sempre a sfuggire agli agguati, fra questi il blitz del ’72 nel covo milanese di via Boiardo. Questo e quello di via Delfico sono i primi covi br a essere scoperti. Non pochi i br a sospettare di lui. Al tempo del caso Sossi alcuni vorrebbero estrometterlo dal comitato esecutivo delle BR. Durante l’ora d’aria nel carcere di Torino, Franceschini bisbiglia a Curcio sia un infiltrato di Israele. Peci sospetta sia un «infiltrato dei partiti politici», che operi contro le BR per impedirne l’affermazione.269 Nell’intervista a Biagi dell’83, Peci rivela i suoi sospetti su

al raggruppamento unità speciali di forte Braschi, dove aveva sede il SISMI, la fotocopiatrice (AB-DIK 675) proveniva dal ministero dei trasporti. 268  CpiTS, cit., pp. 23-24. 269  Intervista di Enzo Biagi a Patrizio Peci, cit. in Il fatto quotidiano, 22 novembre 2013, p. 11

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Moretti,270 gli stessi del br Semeria, responsabile esecutivo dell’organizzazione. Galati riferisce che per i suoi rapporti con la Hyperion era persona ambigua. Troppo lungo l’elenco di “stranezze” e di ragionevoli dubbi che accompagnano la sua figura. Lui ha respinto le accuse alla sua persona, sia quelle provenienti dall’interno che dall’esterno, ritenendole pretestuose, utili ad adombrare l’intero organismo br.

10.  Giovanni Senzani, delitto senza castigo Ha un profilo borderline, rivoluzionario e controrivoluzionario: accreditato professore, insegna a Berkeley, Siena, Firenze, ma non si sbaglia ad accostarlo all’occulta regia del sequestro e dell’interrogatorio del presidente della DC, muovendo dalla considerazione del democristiano Piccoli attestante la presenza di un uomo di cultura che partecipa agli interrogatori del prigioniero. Per molto tempo di lui non si è saputo nulla. La biografia redatta dalla Commissione, presieduta da Giovanni Pellegrino, lo pone sin dal ’70 vicino ai NAP, dal ’76 nelle BR del Comitato rivoluzionario toscano. Dal ’77 risulta organico alle BR, probabilmente il suo primo contatto è la colonna ge-

270  C’è un altro episodio che riguarda la br Nadia Ponti, che Peci sospetta abbia fatto arrestare Raffaele Fiore (che poi farà parte del commando di via Fani) e Vincenzo Acella. Fiore e Peci al tempo abitano insieme, una sera Fiore non rientra a casa, Peci ne parla con Nadia, scopre poi che prima dell’arresto i due compagni si sono incontrati proprio con lei.

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novese, tuttavia resta un irregolare. Fermato senza conseguenze nel ’76, lo stesso accade anni dopo. Salvato da un dispaccio del SISMI riferente che nella primavera ’78 era fuori dall’Italia, circostanza mai oggetto di effettiva indagine e chiarimento. A cavarlo dall’impaccio è la dichiarazione del generale Giuseppe Santovito – all’epoca dei fatti è presidente del SISMI, risulterà tesserato della P2, soprannominato Mister Jack Daniel’s dal nome di una nota marca di whiskey di cui è grande estimatore. Sempre nella fatidica primavera di quell’anno, Senzani è consulente in veste di criminologo del ministero di Grazia e Giustizia, periodo in cui divide a Roma una casa con Bellucci, che risulterà essere informatore dei Servizi. E ancora nello stesso anno risulta abbia affittato una casa ai brigatisti in via Pisani a Firenze. Il suo nome torna nell’ipotesi che poco prima del suo assassinio Moro sia stato trasferito in un appartamento di Palazzo Caetani, che sporge sulla via omonima, in cui sarà ritrovato il cadavere dell’onorevole, in una Renault 4.271 Ancora ipotesi. Viaggia molto, tiene i rapporti internazionali delle BR in Francia, e soprattutto mantiene i rapporti con il SISMI e con molti militari fra cui il generale Nino Longanesi, anche a capo della struttura.272 Questi rapporti, durante il caso Cirillo, diventano sempre più stretti, in particolare con il generale Pietro Musumeci.273 Scorrendo la biografia, un particolare merita attenzione, quando tiene a Lisbona una conferenza sul tema “Le

271  Passaggio questo che verrà esaminato al termine del capitolo “Affaire Moro (i Parte)”. 272  La deposizione di Francesco Pazienza del 3 giugno ’87 al processo sulla strage di Bologna. 273  273 CpiTS, p. 210.

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istituzioni carcerarie”. Sono presenti, fra i relatori, i magistrati Minervini e Tartagliano, e il medico Paolella: tutti e tre saranno uccisi dalle BR. A Torre del Greco organizza un convegno che vede tra i relatori la presenza di Negri e Piperno con cui ha costanti relazioni. La Commissione Fioroni ha aggiunto un’altra frequentazione, con il generale calabrese Delfino.274 Il br Savasta lo indica come molto presente nei fatti relativi a Moro ma queste dichiarazioni, pur verosimili, non hanno trovato conferma nelle carte processuali. Franceschini lo qualifica come un “megalomane”. Nell’82, dopo due anni di clandestinità, è catturato; in quel periodo è alla guida delle BR, prende il posto di Moretti. Condannato all’ergastolo per il rapimento e l’assassinio di Roberto Peci. Dal 2004 in libertà condizionata, definitivamente libero dal 2010. Non risulta essersi pentito o dissociato, non è mai stato ascoltato nelle aule giudiziarie per il caso Moro, nei fatidici giorni del rapimento viene trattenuto e subito rilasciato per mancanza di prove, non si sbaglia ad accostare il suo nome all’espressione “delitto senza castigo”.

11.  Parola d’ordine: portare l’attacco al cuore dello Stato: il rapimento di Aldo Moro È una mattina come altre, a Roma c’è una timida aria di primavera giovedì 16 marzo ‘78, quando in via Mario Fani, all’altez-

274  Confermati i rapporti di Senzani con il generale Pietro Musumeci, a riguardo Cfr. CpiTs, p. 210; quelli con Guglielmi. CpiM2, in I relazione 2015, audizione dell’avvocato Libero Mancuso, del 13 ottobre 2015, p. 58.

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za del civico 47, urlano le sirene della polizia, la gente accorre in strada, resta pietrificata innanzi ai corpi insanguinati, falciati da raffiche di mitra. I corpi sono quelli degli agenti della scorta dell’onorevole Moro, uccisi a sangue freddo dal commando di fuoco delle BR275. Poco più in là, sulla strada, una pistola automatica, un caricatore di mitra, macchie di sangue, una fila di bossoli, un cappello dell’Alitalia, una borsa portadocumenti. A qualche minuto dall’azione terroristica, sopraggiunge la signora Eleonora, moglie dello statista, frastornata, ancora non sa se il marito, che dicono sia stato rapito, è rimasto illeso. È uscito di casa da poco l’onorevole, il maresciallo Leonardi è al portone ad attenderlo. Un saluto, prende le sue borse, le sistema in auto mentre Moro si accomoda e, come al solito, comincia a sfogliare i quotidiani del giorno. È una mattina intensa, dopo la messa nella chiesa di Santa Chiara è atteso in Parlamento per la fiducia al nuovo Governo di unità nazionale guidato da Andreotti, poi all’università. Sono le prime ore del mattino, la città è tranquilla, gli studenti sono già in aula, appena qualche passante in strada. Ma non è una giornata come le altre, accade qualcosa d’imprevisto. In pochi attimi. L’auto presidenziale, una Fiat 130 blu, imbocca via Fani, all’improvviso all’altezza di un Bar si trova davanti una Fiat 128 bianca, targata CD (Corpo Diplomatico) che rallenta e viene inevitabilmente tamponata dall’auto su cui viaggia lo statista. Chissà se qualche secondo prima il presidente non è più chino sui giornali ma solleva lo sguardo. Scendono

275  Gli uomini della scorta erano: Oreste Leonardi, maresciallo dei carabinieri, Domenico Ricci, appuntato dei carabinieri, Francesco Zizzi, vicebrigadiere, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera, entrambi agenti PS.

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lesti due terroristi che aprono il fuoco, in sequenza gli altri due. Del commando fanno parte: Fiore, Morucci, Bonisoli, Gallinari. Fanno fuoco sull’Alfetta della scorta, crivellando i corpi degli agenti, mentre i vetri infranti schizzano in aria, un solo agente riesce a uscire dall’auto, una manciata di secondi ed è colpito da una pallottola all’altezza della fronte, resta pietrificato sull’asfalto con il corpo supino e le braccia aperte. Da via Stresa sopraggiunge rapida, in retromarcia, un’altra auto (una Fiat 132 blu), con calma, altri due uomini prelevano il presidente, che immaginiamo sconvolto, e lentamente riparte, seguita da due auto. Si annota il passaggio di una moto con due persone a bordo. Sapremo poi – conclusione cui giunge la polizia scientifica – che la Fiat 128 con targa CD viene solamente urtata in modo lieve dalla Fiat 130276 che, a sua volta, viene tamponata dall’Alfetta della scorta. Così, la Fiat 130 presidenziale resta chiusa fra due auto.

276  Nel resoconto della seduta n. 7 (12 novembre 2014) della CpiM2, p. 7, si legge che l’integrità delle auto porta a smentire il dato noto nella letteratura sul caso Moro secondo cui la Fiat 130 presidenziale aveva tamponato più volte la 128 CD. Questo non è possibile perché se così fosse stato l’auto presidenziale avrebbe dovuto riportare la rottura dei fendinebbia che invece risultano intatti. CpiM2, paragrafo 8.2 , p. 87, I Relazione 2015.

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IX AFFAIRE MORO (parte I)

Quella esposta è una lineare ricostruzione storica. Dal ‘78 a oggi, è stata ripresa, nuovamente sezionata e ricostruita innumerevoli volte. Quasi 40 anni per una ricostruzione che avrebbe potuto essere subito chiara, se solo fosse stata raccontata in modo trasparente. Perché tante omissioni simili a bugie? Si mente perché si vuole negare una colpa o perché si vuole proteggere se stessi quando non si conoscono i fatti. E nel caso delle BR? Sappiamo che il rapimento è opera loro, e loro vogliono si sappia, perché dovrebbe essere l’obiettivo del loro progetto rivoluzionario. E quindi? Sono bugie o le cose sono sfuggite loro di mano. Si sono ritrovati in un gioco internazionale che forse non avevano considerato; qualcuno ha detto: «Il rapimento è una fuga in avanti». Quando si è fatto riferimento alla testimonianza di Savasta sull’ingresso del “quarto uomo” nella casa, la vicenda ha assunto un aspetto molto particolare, da un lato, ha riferito della componente umana che attraversa trasversalmente le BR, dall’altro ha consegnato alla medesima contorni disarmanti, tanto che un misto di fastidio e incredulità porta a chiedersi: ma sono questi i terroristi che hanno tenuto sotto scacco il Paese? Da quasi quarant’anni ci arrovelliamo sugli stessi punti del meccanismo. 241

Ci poniamo le stesse domande che si avvicinano e si allontanano. Chi erano? Quanti erano? Dove erano collocati? Che armi hanno adoperato? C’era un’ulteriore protezione? E sulla moto? Una moto o due moto, che appaiono e scompaiono. O a piedi, magari. Come sono riuscite a dileguarsi in una città da subito sotto assedio? E a tenere un prigioniero – sempre in quella città e nel ripostiglio angusto della stessa casa – per 55 giorni? Qui lo hanno interrogato? Chi? Il terrorista che ha il diploma di perito industriale o un raffinato docente universitario? Tutto questo mentre ad Arezzo, in una villa, s’incontrano magistrati e generali dei carabinieri, mentre si mobilitano falsari legati a bande criminali ma anche discutibili personaggi legati a mafia, camorra e ’ndrangheta. Mentre la politica discute. Il Papa lancia il suo accorato appello e il Vaticano si muove sinuosamente e autonomamente. E poi? Viene ucciso? Dove? Da chi? Perché viene ucciso? Ecco che il meccanismo riprende ad arrovellarsi. Hegel suggeriva: «Il vero è l’intero». Non la somma delle parti ma la loro articolazione dialettica. Le ricostruzioni dei fatidici 55 giorni sono lacunose e contrastanti, vi sono coincidenze che sembrano depistaggi unitamente a ritrattazioni e dichiarazioni brigatiste incongruenti. Bugie e tentennamenti, negligenze della magistratura e involontarie semplificazioni da parte della polizia, ma anche colpe, depistaggi operati da apparati dello Stato, indagini non svolte, confusione di fatti e persone, e l’ombra criminale di quei poteri occulti allora sconosciuti come la P2 e Gladio. Per quanto attiene alle interferenze dei Servizi segreti o di altri organismi si evidenziano elementi di non sempre chiara e univoca interpretazione. Certo, per dovere di chiarezza storica 242

dovremmo sempre indicare in modo preciso la situazione cui ci si riferisce, è quanto qui si cercherà di fare anche in relazione ai Servizi segreti deviati e complici, indicando il nome degli agenti in rapporto al fatto contingente. Nel tempo, si è venuto a creare un dibattito fra i cosiddetti dietrologi e gli antidietrologi del caso Moro, in sé sterile, che allontana dall’obiettivo conoscitivo perché disperde la ricerca in mille rivoli. A chiarire la difficoltà di individuare i diversi aspetti del rapporto che lega questa vicenda con la verità storica possono aiutare le ricostruzioni, gli atti processuali, le interviste ai brigatisti, gli articoli coevi. I processi,277 le pagine dei memoriali, le commissioni

277  I grandi processi per il caso Moro sono cinque. Il primo e il secondo procedimento sono stati unificati in un unico processo nell’83: Moro 1 e Moro bis. Il 24 gennaio ’83 i giudici della I Corte d’Assise (presidente Severino Santiapichi) emettono la sentenza del processo per la strage di via Fani e il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. La sentenza condanna all’ergastolo 32 persone: Renato Arreni, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Anna Laura Braghetti, Giulio Cacciotti, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Natalia Ligas, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Rocco Micaletto, Luca Nicolotti, Mara Nanni, Cristoforo Piancone, Alessandro Padula, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Nadia Ponti, Salvatore Ricciardi, Bruno Seghetti, Pietro Vanzi, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 marzo ’85 la Corte d’Ass. d’App. conferma 22 condanne all’ergastolo. Ridotta la pena per Natalia Ligas, Mara Nanni, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 novembre ’85 la Cassazione conferma quasi integralmente la sentenza, tranne per le posizioni di 17 imputati minori per i quali si chiede la rideterminazione della pena. Il terzo processo, Moro ter, 12 ottobre ’88 riguardante le azioni delle BR a Roma tra il ’77 e l’82, si conclude con 153 condanne (26 ergastoli e 1800 anni complessivi di detenzione) e 20 assoluzioni. La ii Corte d’Assise (presidente Sergio Sorichilli) condanna all’ergastolo Susanna Berardi, Barbara Balzerani, Vittorio Antonini, Roberta Cappelli, Marcello Capuano,

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d’inchiesta.278 I dati qui riferiti sono il risultato di acquisizioni aggiuntive, corrette nel tempo e completate durante le indagini e Renato Di Sabbato, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Cecilia Massara, Paola Maturi, Franco Messina, Luigi Novelli, Sandra Padula, Remo Pancelli, Stefano Petrella, Nadia Ponti, Giovanni Senzani, Paolo Sivieri, Pietro Vanzi, Enrico Villimburgo, i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri e gli imputati in libertà per decorrenza dei termini di detenzione Eugenio Pio Ghignoni, Carlo Giommi, Alessandro Pera e Marina Petrella. Il 6 marzo ’92 la iii Corte d’Assise d’Appello conferma la condanna all’ergastolo per 20 imputati del processo Moro ter. Pena ridotta per Alessandro Pera, Eugenio Ghignoni, Paola Maturi, Franco Messina e altri due imputati. Il 10 maggio ’93 una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Arnaldo Valente) conferma le condanne emesse in Appello per gli imputati del Moro ter. Annullata, con rinvio ad altra sezione penale della Corte d’Appello di Roma solo per la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in Appello a 15 anni. Il 1° dicembre ’94 si apre il processo Moro quater, che si occupa di alcuni risvolti del caso non risolti dai processi precedenti e di alcuni episodi stralciati dal Moro ter; si conclude con una sentenza della prima Corte d’Ass. (presidente Severino Santiapichi) che condanna all’ergastolo Alvaro Loiacono, in carcere in Svizzera per altre vicende, riconosciuto colpevole di concorso nel rapimento e nell’uccisione dell’ex presidente della DC Aldo Moro e di altri omicidi. Il 3 giugno ’96 la sentenza viene confermata dai giudici della Corte d’Ass. d’App. di Roma e, il 14 maggio ’97, dalla Cassazione. Il 16 luglio ’96 i giudici della seconda Corte d’Ass. emettono la sentenza nel processo Moro quinquies e condannano all’ergastolo Germano Maccari per concorso nel sequestro e nell’omicidio di Aldo Moro e nell’eccidio della scorta, e Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi. Il 19 giugno ’97, in Appello, la pena per Maccari è ridotta a 30 anni. La Cassazione disporrà un nuovo processo e il 28 ottobre ’98 la nuova sentenza d’Appello condanna Maccari a 26 anni ed Etro a 20 anni e 6 mesi. La condanna per Etro diventa definitiva nel ’99, mentre Maccari sarà di nuovo processato in Appello e la sua pena ridotta a 23 anni. 278  Come già evidenziato, l’attuale Commissione parlamentare d’inchiesta è quella: “Sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro”, istituita con la legge del 30 maggio 2014, n. 82. Le precedenti sono state: La prima Commissione, Moro I (1979), quattro Commissioni “Terrorismo e Stragi”, una Commissione “P2”.

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i processi. Verità verosimili sono comparate a quelle processuali, non trascurando che di uno stesso fatto vi sono versioni diverse e che molte supposizioni e tesi anche qui riportate non sono state seguite da indagini. Il punto è dunque legare i due piani di ricerca, quello storico e quello giudiziario, muovendo dall’assunto fondamentale che la storicizzazione aiuta la logicizzazione. Conosciamo una buona parte della ricostruzione che lega i diversi fili, ma dobbiamo anche riferire la permanenza di zone grigie.279 Sappiamo che il presidente fu ucciso per il sommarsi di molteplici motivi, persino antecedenti al rapimento, come il compromesso storico, le relazioni internazionali, le ingerenze degli Stati Uniti; altri motivi sono maturati nei 55 giorni del rapimento. Una decisione presa dopo che erano stati raggiunti accordi per la sua liberazione. Come confermano le lettere scritte dal covo prigione. I passaggi di questa storia sono così cadenzati: l’agguato, e prima la definizione dell’obiettivo Moro e l’organizzazione preliminare del sequestro, la prigionia, la trattativa per il rilascio, la decisione – decisamente non unanime – di uccidere il presidente, il ritrovamento del corpo, e ancora i br direttamente coinvolti, i loro covi – quelli scoperti e non –, gli affiliati, gli infiltrati, i vari fili che si legano ai passaggi indicati, cui rispondono innumerevoli sottopassaggi: i cosiddetti preallarmi, la formazione e la postazione del commando di fuoco sulla scena di via Fani, il prelevamento delle borse personali dello statista dall’au279  La verità processuale non equivale a quella storica, i fili sono rappresentati da forze esterne, come i condizionamenti nazionali, i contatti internazionali con i Servizi segreti italiani, i Servizi deviati, il KGB, la CIA, la criminalità organizzata, la Banda della Magliana, la Nuova Camorra, Cosa Nostra. Con i poteri occulti come Gladio, P2, all’epoca sconosciuti, poteri occulti interni al Vaticano. E situazioni interne alle BR.

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to, lo spostamento del prigioniero, la detenzione nel luogo o nei luoghi di prigionia, il successivo spostamento della salma. Si è scelto di focalizzare maggiore attenzione su alcuni di essi. Alcuni br hanno fornito versioni differenti, dichiarazioni smentite, altri hanno scelto la segretezza, altri hanno parlato sgretolando i teoremi precedenti, e ancora in tempi diversi gli stessi br hanno riferito dati diversi sulla medesima situazione. Per questa ragione si è venuta a determinare una geometria irregolare in cui si sono intersecate linee divergenti che hanno contribuito a rendere criptica parte della ricostruzione. I motivi sono duplici. Uno dettato dalla segretezza dell’organizzazione ovvero dalla sua clandestinità, che non ha favorito la corretta descrizione degli avvenimenti, infatti ogni br o fiancheggiatore o movimentista, riferisce quanto ricorda; da non trascurare che le indicazioni operative potrebbero essere state date in tempi diversi o alla presenza di br diversi e in luoghi diversi. Intervistato da Biagi, il br Patrizio Peci, alla domanda «Come comunicavate fra voi?» risponde: «Fissavamo gli appuntamenti, generalmente in piazza. Non ci si presentava con il proprio nome, se ne usava uno inventato».280 L’altro è dettato dal fatto che la dichiarazione potrebbe essere stata rilasciata per un preciso fine. In questo caso è evidente la duplice abilità: prima i br sono stati capaci nel pianificare “la loro verità”; poi – durante i processi e in Commissione d’indagine –, efficienti nel riferirla così come l’hanno sapientemente confezionata. Contemporaneamente un lavoro raffinato ha favorito la comunicazione di “quelle bugie” utili a confermare le loro tesi.

280  Il Fatto quotidiano, 22 novembre 2013, p. 11.

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1.  Tanti auguri La notizia è come un macigno. Il sabato sera, la TV di Stato manda in onda il canonico varietà, in apertura del programma Raffaella Carrà canta la sigla, Tanti auguri. È una canzonetta ben augurante e festosa, il cui motivetto ripete: «Se per caso cadesse il mondo, io mi sposto un po’ più in là […]. Com’è bello far l’amore da Trieste in giù!». La decisione della Rai ai più appare stonata, l’impressione generale è che non vi sia luogo in cui spostarsi, sbiadito e inutile sembra il tentativo di voler restituire apparente tranquillità a un corpo sociale piegato su se stesso. Nessun italiano ancora sa che si sta per entrare in un labirinto, del quale non si raggiungerà l’uscita. Già al mattino del giovedi, giorno del rapimento, la Rai propone la telecronaca da via Fani, mentre in sottofondo si sente il frastuono degli elicotteri che perlustrano la capitale; è condotta dal giornalista Paolo Frajese, che racconta l’accaduto con voce tremante. Nel pomeriggio è un rincorrersi di notizie, edizioni straordinarie dei quotidiani, incursioni straordinarie dei telegiornali che prepotentemente entrano nelle case degli italiani. In quei giorni, il pomeriggio dei più piccoli era dedicato al dolce faccino di Heidi, il cartone animato amato dai bambini. Il Consiglio dei ministri è convocato in seduta straordinaria, rinviato il previsto dibattito parlamentare sulla fiducia al nuovo Governo di solidarietà nazionale, e la Federazione sindacale unitaria indice lo sciopero generale fino alla mezzanotte. Anche nei giorni successivi si vive come al rallentatore. Ovunque, in strada, al bar, negli uffici si parla di Aldo Moro. Nell’immediato, l’area di Negri si dice contraria al rapimento, 247

perché considerato «una fuga in avanti», le BR stanno anticipando i tempi, come si legge nel comunicato a firma dei Collettivi politici dell’Università di Padova; ma appena pochi giorni dopo l’agguato di via Fani fanno quadrato, nell’atrio della facoltà di Lettere patavina, pongono una bara con la scritta Per Moro. Un macabro presagio.

2.  Così la stampa nei 55 giorni Ma cosa scrivono le testate giornalistiche? «L’attacco contro lo Stato ha raggiunto il suo culmine. Moro rapito dalle Brigate rosse.» Così titola l’edizione straordinaria della Repubblica di giovedì 16 marzo 1978. All’interno si legge: “Rabbia e sgomento nel Paese”.281 Le cronache riferiscono che la pattuglia armata è costituita da una dozzina di br, fra i quali una donna – sapremo che sono due –, alcuni con indosso le divise dei piloti e degli steward della compagnia di volo nazionale; raccontano che l’azione è fulminea, militarmente ineccepibile. «Dodici killer per un massacro scientifico.»282 Lo stesso quotidiano riporta la dichiarazione di Andreotti: «Isoliamo i violenti», e i primi tentativi di esame del disegno br: «È un complotto internazionale».283

281  La Repubblica, 16 marzo 1978, p. 1. 282  Miriam Mafai, Dodici killer per un massacro scientifico, in La Repubblica, 17 marzo 1978, pp. 1 e 2. 283  Ibidem, pp. 2 e 3.

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Un’ora più tardi, la rivendicazione. A comunicarla all’agenzia di stampa Ansa di Roma una voce frettolosa: «Stamattina abbiamo sequestrato il presidente della DC, Moro, ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di Cossiga, ministro dell’Interno. Brigate rosse». A tre giorni dal rapimento, il senatore del PCI, Ugo Pecchioli denuncia i collegamenti tra BR e Autonomia: «Bisogna rompere la catena della solidarietà». Le BR hanno rilasciato il Comunicato n. 1 e una fotografia di Moro. È una polaroid in bianco e nero con il presidente in posa frontale, la camicia sgualcita aperta sul collo, sul fondo la bandiera con la stella a cinque punte e la scritta BR: nessuna richiesta da parte delle BR, è un pedante proclama che annuncia l’inizio nella «prigione del popolo» del «processo a Moro», definito «il gerarca più autorevole» dopo De Gasperi, lo «stratega di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano».284 I giorni seguenti sembra possa esserci qualche speranza, La Repubblica apre con: «Moro è vivo, ecco le foto», continuano però a riferire le ipotesi d’indagine: «Il prigioniero Moro forse è lontano da Roma», e all’interno si suggerisce possa essere sul «litorale laziale».285 Sullo stesso quotidiano, sempre in prima pagina: «Assassinati due giovani di sinistra», una notizia che sembra sconnessa dal resto, ma che assumerà significato nei mesi a seguire.286

284  I virgolettati sono del Corriere della Sera del 18 marzo 1978 e Corriere della Sera del 19 marzo 1978.  285  La Repubblica, numero unico, 19-20 marzo 1978, p. 1; Giorgio Battistini, «Il prigioniero Moro, forse è lontano da Roma», p. 2. 286  Giovanni Cerruti, «Assassinati due giovani di sinistra» in La Repubblica,

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Contemporaneamente le testate riportano la notizia di una capitale sotto assedio, dei soldati ai posti di blocco, della polizia che ha iniziato le perquisizioni a tappeto e di agenti speciali tedeschi che collaborano con la polizia italiana. Via Gradoli, atto I: la polizia, raggiunta via Gradoli, si ferma dinanzi all’appartamento affittato a un certo «ingegner Vincenzo Borghi» (il nome sulla cassetta della posta e sul citofono), in casa gli inquilini non ci sono; si ferma davanti alla porta chiusa e non entra a perlustrare. I quotidiani riferiscono anche del dibattito politico interno all’estrema sinistra sintetizzabile nello slogan: «Né con lo Stato, né con le BR». Congiuntamente si apre il dibattito etico, privo di soluzione, ci si chiede: è giusto pubblicare la fotografia del presidente e il comunicato br?287 Intanto in quattro città italiane, Torino, Roma, Milano, Genova, con la cadenza di mezz’ora, le BR hanno fatto trovare il Comunicato n. 2. Anche questo è un testo lungo scritto senza interlinee, in cui comunicano che «è in corso l’interrogatorio di Aldo Moro» presentato come «uomo di punta della borghesia, quale più alto fautore di tutta la ristrutturazione del SIM [Stato imperialista delle multinazionali]».288 Proseguono: «Lo spettacolo fornitoci dal regime in questi giorni ci porta a una prima considerazione. Vogliamo mettere in evidenza il ruolo che nel SIM vanno ad assumere i partiti costituzionali». Il testo del comunicato cita la «strategia imperialista, diretta esclusivamente dalla DC e dal suo Governo». Riguardo al capo dello Stato,

19-20 marzo 1978, p. 1. Su questo tema si ritorna nel sottoparagrafo «In via Monte Nevoso n. 8, Milano». 287  Corriere della Sera, 22 marzo 1978. 288  La Repubblica, 26 marzo 1978.

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nel testo si parla di «corrotti e buffoni», con esplicito riferimento al presidente Giovanni Leone. Grandi novità si leggono sulla politica interna, alcuni giornali, in testa La Stampa, invitano Leone a lasciare il Quirinale e consentire l’elezione d’emergenza di Moro alla suprema carica dello Stato.289 Il Comunicato n. 3290 s’accompagna a una lettera autografa di Moro a Cossiga, si legge: «Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato», appare attendibile la decodifica: mi trovo in un condominio affollato e non ancora controllato dalla polizia, che però non sembra avere effettivo seguito. Sin dalla prima domenica dal sequestro, da piazza San Pietro il Papa si appella ai sequestratori. Al momento non è in corso alcuna trattativa con le BR, lo sarà tra breve. La politica s’interroga se accettare il ricatto delle BR o se trattare con i terroristi. La linea del PCI è manifestata dall’Unità che titola: «Fermezza».291 Non è diversa l’apertura della Repubblica: «Non si tratta con le BR».292 Nei primi giorni di aprile incalzano le novità. Il 5 aprile, la Repubblica titola: «Moro chiede aiuto, in una lettera autografa inviata a Giacinto Zaccagnini e al partito». Le BR vogliono lo scambio dei prigionieri, fanno appello alla guerra civile e alla lotta di classe.293 Il partito è irremovibile sia nel rite-

289  La Stampa, 28 marzo 1978. 290  Corriere della Sera, 30 marzo 1978. 291  L’Unità, 31 marzo 1978, p. 1. 292  La Repubblica, 31 marzo 1978, p. 1. 293  Prioritaria per le BR è la «risoluzione strategica», consistente nell’accelerare la fine del sistema «imperialistico-borghese» attraverso lo scontro rivoluzionario. Cfr. Brigate rosse, Risoluzione strategica, n. 2, 1978.

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nere che la lettera sia stata estorta, sia nel proposito di non cedere alla trattativa. «Il Parlamento risponde “No”.»294 Intanto gli autonomi fanno sapere di sentirsi assediati dalle Forze dell’Ordine che cercano i fiancheggiatori br. Così, sul Corriere della Sera, Scalzone: «Tra noi e le BR lo scontro teorico-politico è esplicito da anni. Le nostre critiche contro le loro concezioni ottocentesche sono molto più profonde delle critiche dei riformisti, che si limitano a dipingere i terroristi come demoni inventati da potenze straniere».295 Appena qualche giorno prima, nella casa di campagna di Zappolino (Bologna), un gruppo di amici, docenti universitari e consorti, fra cui Romano Prodi, per impiegare il tempo fa una seduta spiritica evocando lo spirito di Giorgio La Pira e don Luigi Sturzo, interrogati per sapere dove sia il prigioniero. Ottengono la risposta: il pendolino si ferma sulla carta geografica dispiegata sul tavolino, in corrispondenza della località Gradoli. Prodi ne parla con il portavoce di Zaccagnini, Umberto Cavina, quindi la notizia giunge a Cossiga. Iniziano le ricerche – senza successo – nel paesino di Gradoli. La seduta è un utile espediente per celare la soffiata pervenuta a Prodi dall’ambiente dell’Autonomia bolognese. Non a Gradoli paese bisogna pensare ma a via Gradoli, in città. Quella via romana dove vi era stata la perquisizione, quella in cui la polizia si era fermata davanti alla porta chiusa. Dove da tre anni le BR hanno un appartamento in affitto: la casa-co-

294  Fausto De Luca, Il Parlamento risponde No, in La Repubblica, 5 aprile 1978, p. 1. 295  Corriere della Sera, 8 aprile 1978.

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vo di Moretti-Balzerani, il centro operativo, il deposito di documenti e di armi. In quei giorni le trattative continuano: il PSI vuole la mediazione e il suo segretario Craxi incontra all’Hotel Raphael l’avvocato (Giannino Guiso) difensore di Curcio; la direzione della DC, attraverso il suo segretario Zaccagnini, ribadisce la linea della fermezza. Il 9 aprile la Repubblica titola: «In un nastro un altro drammatico messaggio. La voce di Moro detta l’ultimatum delle BR».296 Su un nastro un messaggio di Moro, segnalato dal terrorista che telefona al centralino della Questura di Roma come «l’ultimo». Il Comunicato n. 5 è un atto di accusa, che la Repubblica riporta in apertura: «L’interrogatorio di Moro. I brigatisti rendono pubblica una confessione contro Taviani».297 Diffuso sempre dai giornali il Comunicato n. 6 con la sentenza: Aldo Moro è colpevole e pertanto viene condannato a morte.298 Sono trascorsi 34 giorni. Arriva l’annuncio shock nel Comunicato n. 7 che riferisce: «l’avvenuta esecuzione». Indica che la salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi del Lago della Duchessa, dà i particolari precisi sul luogo e sulla morte del presidente, avvenuta mediante suicidio. Il testo ha qualche sbavatura: l’intestazione BR è diversa dalle precedenti, compaiono errori di ortografia. 296  Giorgio Battistini, In un nastro un altro drammatico messaggio in La Repubblica, 9 aprile 1978, p. 1. 297  La Repubblica, 11 aprile 1978. 298  La Repubblica, 16 aprile 1978.

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È il panico, sembra di esser ritornati alla mattina del rapimento. Iniziano le perlustrazioni della zona, ma dal carcere di Torino, Curcio e Franceschini si affrettano a riferire che il comunicato non è loro. Un nuovo colpo di scena avviene in via Gradoli: è l’atto ii. In via Gradoli 96, interno 11, secondo piano, alle prime ore del mattino vengono chiamati i vigili del fuoco per una perdita d’acqua dall’appartamento dove abita l’“ingegner Borghi”; l’uomo non è in casa, entreranno da una finestra. Si spalanca innanzi il santuario: armi ed esplosivi (rivoltelle con silenziatore, un mitra Km-I, un fucile a pompa con canna mozza – si accerterà, non utilizzate in via Fani), divise (dell’aviazione civile, dell’azienda telefonica SIP, della PS e delle Poste), fogli con l’intestazione della Questura, del ministero dei Trasporti, della Camera dei deputati, dell’Alitalia, dell’Università di Roma, del PSI, della Marsilio Editore, e targhe, documenti vari, fra cui le minute di alcuni dei comunicati BR, e il libro contabile in cui annotano le spese, anche le più modeste. Dietro le spoglie dell’ingegner Borghi si cela il br Moretti – diranno i vicini –, un uomo piuttosto basso visto con una donna dai capelli rossi. C’è un via Gradoli, atto iii299 da considerare: in quella via stretta a imbuto, in quel periodo risultano ventiquattro appartamenti intestati a società immobiliari, molti degli amministratori risultano dei Servizi segreti; al civico 89, abita un ex ufficiale dei carabinieri, è un compaesano di Moretti e al secondo piano della stessa palazzina abita Lucia Mokbel, una studentes-

299  Cfr. Archivio Flamigni.

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sa universitaria informatrice della polizia, il cui convivente lavorava in uno studio commercialista che conduce al SISDE.300 Ma riprendiamo la cronistoria attraverso i quotidiani. Ancora appelli per la liberazione del presidente. Sono in tanti a firmare quello di Lotta continua, fra esponenti della sinistra estrema e intellettuali laici e cattolici. Il 20 aprile arriva il Comunicato n. 7, quello “autentico”, come dimostra la polaroid che ritrae il presidente con in mano una copia della Repubblica del 19 aprile. È vivo, ma ha le ore contate: è un ultimatum: la trattativa deve avere termine, le BR vogliono lo scambio dei prigionieri. Nel frattempo, le BR vogliono dimostrare che tengono sotto scacco il Paese. A Roma lanciano da un’auto due bombe e sparano contro il muro di cinta della caserma romana dei carabinieri, quella dell’ufficio del generale Dalla Chiesa, reo dell’arresto di Curcio e Franceschini. A Milano uccidono il maresciallo delle guardie di custodia, Francesco Di Cataldo, perché «torturatore di detenuti». I detenuti di San Vittore si affrettano a smentire con un gesto contrario, con una sottoscrizione fanno pervenire fiori al suo funerale. Continuano gli attentati delle BR a Torino, Milano, Genova. Sabato 22 aprile le testate aprono con la supplica di Paolo vi: «Io scrivo a voi, uomini delle Brigate rosse […] liberate Aldo Moro […] senza condizioni. Vi prego in ginocchio, liberate Moro».301 Nella giornata, Radio Vaticana lo rimanda in tutte le lingue.

300  Sergio Flamigni, in Il covo di Stato, cit., ricostruisce dettagliatamente i legami che conducono molti degli appartamenti dello stabile al SISDE. 301  La Repubblica, numero unico 23-24 aprile 1978, p. 1.

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Gli fa da eco quello del segretario generale dell’ONU, Kurt Waldheim. Intanto dalla sua prigione scrive anche il presidente. Il 30 aprile è diffuso il suo sesto messaggio, una lettera alla DC, in cui spiega di non scrivere sotto dettatura. Ha parole dure nei confronti di Zaccagnini e Andreotti. Sono trascorsi 50 giorni. I giornali riportano una notizia sconcertante – rivelatasi falsa, chiaro esempio della strategia della tensione: la vedova di uno degli agenti uccisi in via Fani ammonisce che non si liberino i terroristi, altrimenti si darà fuoco. Ma la situazione è veramente incandescente. La trattativa sembra chiudersi, come attesta il Comunicato n. 9 di venerdì 5 maggio: «Alle organizzazioni comuniste combattenti, al movimento rivoluzionario, a tutti i proletari […]. Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Moro è stato condannato».302 Come i precedenti, è fatto trovare nel pomeriggio in quattro città, Genova, Milano, Roma, Torino. È un lungo comunicato che riporta l’esito negativo della «trattativa di scambio dei prigionieri» a causa del Governo e dei suoi «complici», definisce Craxi «illusionista» per il suo fumoso tentativo, conclude con «la sentenza» di morte. Nella chiosa finale, anticipa la sigla BR con il monito a carattere maiuscolo: «RIUNIFICARE IL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO COSTRUENDO IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE»; farà discutere l’uso del doppio gerundio del testo: «eseguendo» (riferito alla sentenza) e «costruendo» (al Partito comunista combattente). 302  La Repubblica, 6 maggio 1978.

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Il Corriere della Sera riporta che nel covo di via Gradoli c’è materiale interessante, un piano di attentati della colonna romana corredato di nomi, indirizzi, fotografie. Ci sono due elenchi, uno con i nomi, i profili e le fotografie di alti funzionari Rai, industriali, uomini politici; l’altro riferisce le generalità di esponenti della DC a livello regionale, provinciale e comunale.303 Funge da contraltare l’avvertimento delle BR, che dichiarano proprio nel loro comunicato: La libertà in cambio della libertà. E poiché questo non è avvenuto, i terroristi hanno scelto di parlare il linguaggio delle armi. [Il presidente] ha rivelato le turpi complicità del regime, ha indicato con fatti e nomi i veri e nascosti responsabili delle pagine più sanguinose della storia degli ultimi anni […]. Tutto sarà reso noto al popolo, ma non attraverso i giornali di regime […] che hanno per unica regola la menzogna e la mistificazione.304

È il cinquantacinquesimo giorno dal rapimento. Aldo Moro è stato ucciso, le BR lo hanno trucidato con una raffica al cuore. Ucciso da una raffica di colpi sparata da una pistola mitragliatrice di fabbricazione cecoslovacca, la Skorpion CZ calibro 7,65, dotata di silenziatore; e finito con una rivoltella Walther PPK calibro 9,305 o forse nell’immediato si pensa sia l’inverso, perché la pistola si inceppa e per finirlo si usa la mitraglietta. «Ammazzato con undici colpi al cuore» scrive Miriam Mafai

303  Corriere della Sera, 8 maggio 1978. 304  La Repubblica, 6 maggio 1978, p. 1. 305  Il giudice Coco era stato freddato nel giugno ’76, a Genova, con una Skorpion.

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sulla prima pagina della Repubblica del 10 maggio ’78, che titola a caratteri cubitali: «L’assassinio di Moro».306 L’editoriale a firma di Scalfari: «Contro il terrore le leggi della Repubblica».307 L’articolo di Mafai si correda della foto storica del corpo esanime dello statista, abbandonato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Michelangelo Caetani. Smagrito, la barba di alcuni giorni, con indosso il cappotto scuro che indossava quel giovedì 16 marzo, è avvolto in una coperta di lana color cammello. Ha la testa contro la ruota di scorta, ha la mano insanguinata appoggiata al petto. Sembra un fagotto abbandonato. L’auto, posteggiata tra via delle Botteghe oscure, dove c’è la sede del PCI, e piazza del Gesù, dove c’è la sede della DC, è lì dal mattino presto; sembra che una donna abbia visto un uomo e una donna parcheggiarla. Ad avvisare una telefonata appena dopo le 13. Un misterioso interlocutore – sapremo poi che è Morucci – presentatosi come il dottor Nicolai chiama nella tarda mattinata del 9 maggio il professor Tritto, per comunicare la notizia della morte da recapitare, come da volontà dell’onorevole, alla famiglia. È una telefonata insolitamente lunga rispetto alle precedenti, l’interlocutore parla senza fretta, scandisce le parole, ma esita più volte. «Allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani, che è la seconda

306  Miriam Mafai, Undici colpi al cuore in La Repubblica, 10 maggio 1978, pp. 1 e 2. 307  Ibidem , pp. 1 e 2.

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traversa a destra di via delle Botteghe oscure. […] Va bene? […] No, dovrebbe andare personalmente.» Dall’altra parte del cavo si sente che il ricevente non riesce a parlare, soffocato da un nodo in gola: «Non posso». Sopraggiunge la voce dell’interlocutore: «Non può? Dovrebbe, per forza…». Seguono attimi di silenzio. Il professore scoppia a piangere, interviene il padre a proseguire il colloquio. La voce dice allora: «Basta che lo facciamo. Il messaggio ce l’ha già suo figlio. Va bene?». E ancora, si sente il padre del professore che dice: «Non posso andare io?». La voce risponde: «Lei, può andare anche lei […]». E continua: «Perché la volontà, l’ultima volontà dell’onorevole è questa: cioè di comunicare alla famiglia, perché la famiglia doveva riavere il suo corpo. Va bene? Arrivederci».308 Nelle prime ore del pomeriggio la radio diffonde la notizia. La scelta brigatista di assassinare Moro desta profondo sdegno. La Repubblica riporta la dichiarazione di Sciascia: «Si apre per tutti noi un duro avvenire. Ma per loro è il principio della fine». Gli fa da eco Moravia: «Le loro azioni ci fanno orrore». Contemporaneamente la famiglia Moro diffonde il suo comunicato:

308  La conversazione è registrata dalla polizia perché il telefono del professore Tritto è controllato. Un commissario capo della Digos si reca sul posto, dopo altra polizia, i carabinieri, le autorità, il ministro dell’Interno Cossiga.

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La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia.

La famiglia vuole silenzio. La politica lascia inascoltata questa richiesta – come inascoltati erano rimasti gli appelli dello statista, persino i suoi tentativi di fornire indicazioni di carattere legale per il suo possibile rilascio In apertura la Repubblica riporta la notizia: «Cossiga si è dimesso».309 Si celebrerà il funerale ufficiale senza la salma – per volontà della famiglia è già stata tumulata – con la sfilata delle autorità, Andreotti, Cossiga, Zaccagnini, Fanfani, e tanti altri politici. Sempre la Repubblica in apertura: «Moro sepolto in un cimitero di campagna».310 Un trafiletto riferisce: «Curcio esalta l’assassinio».311 Dal carcere, infatti, Franceschini e Curcio rivendicano e plaudono all’assassinio con altri br. Fra questi c’è Paolo Maurizio Ferrari, uno dei portavoce al primo processo al nucleo storico delle BR, tenutosi nel ’76 a Torino: è fra quelli che dichiarano di considerare gli avvocati d’ufficio che accettano il mandato «col-

309  Fausto De Luca, Cossiga si è dimesso, in la Repubblica, p. 1. 310  Giampaolo Pansa, «Moro sepolto in un cimitero di campagna», in la Repubblica, p. 1. Il cimitero è a Torrita Tiberina. 311  Ibidem, p. 1.

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laborazionisti e complici del tribunale di regime».312 Solo un inciso su questa vicenda. Alla prima udienza, a nome di tutti gli imputati detenuti, proprio Ferrari legge il comunicato in cui affermano che non hanno nulla di che difendersi perché “prigionieri politici” di contro agli “accusatori” che difendono “la pratica criminale antiproletaria dell’infame regime che essi rappresentano”. I difensori d’ufficio rimetteranno il loro mandato, viene nominato come difensore d’ufficio Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino. Croce sarà assassinato dalle BR. Torniamo a Moro. Sono trascorsi 55 giorni, il Paese è profondamente ferito. L’insicurezza l’ha fatta da padrona, i cinema hanno perso spettatori, i bar hanno anticipato la chiusura. Ora in strada, al bar, la gente ripete all’indirizzo dei politici: “Lo avete ucciso voi”; e la politica si giustifica: “È morto affinché la democrazia viva”. Rassicurante ma inverosimile il messaggio di Cossiga alla Commissione interni della Camera: «Il terrorismo non è riuscito a fermare la vita dello Stato».313 È lo sconforto generale unito a rassegnazione e disapprovazione. Ma accanto a questi sentimenti contrapposti, un dato merita attenzione: nei 55 giorni le BR uccidono otto persone e ne gambizzano sette, ma la percezione generale è che le colpe siano unicamente della politica. Essa ha enormi responsa-

312  Nel ’74 Ferrari viene arrestato e subito rilasciato per aver partecipato al sequestro del sindacalista della CISNAL Bruno Labate. Nuovamente arrestato, esce dal carcere nel 2004 e ricompare in più occasioni tra le fila dei sovversivi con finalità terroristiche, fino a essere nuovamente arrestato nel 2012. 313  La Stampa, 13 aprile 1978, p. 2.

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bilità, ma l’omicidio è commesso dalle BR. Qui s’inserisce l’abile capacità comunicativa brigatista che ha indotto l’opinione pubblica a questo tipo di valutazione. Astuta nel condurre a una lettura dei fatti capovolta, lo stesso meccanismo lo doserà bene nei processi. Questo dato capovolto si sedimenta nella coscienza del Paese, per questo si fatica a rimettere ordine e a veicolare altre valutazioni malgrado siano più corrispondenti alla realtà dei fatti. L’impatto propagandistico delle loro azioni è fortissimo sulla stampa, italiana ed europea. Dai giorni del sequestro fino all’uccisione, Le Monde individua proprio questa loro abilità: la capacità di far capovolgere la lettura dei fatti a proprio vantaggio.

3.  L’obiettivo è Moro? È una scelta mirata quella del presidente come obiettivo da colpire in quel preciso contesto politico internazionale.314 Data la premessa si possono individuare alcuni tentativi precedenti al ’78. Il primo si può rintracciare nel ’64. A confermarlo, un documento desecretato dell’archivio Rocca, che individua un rapporto tra il colonnello Rocca – direttore del REI, del SIFAR e di Gladio; per conto del SIFAR finanzia l’Istituto Pollio e il convegno all’Hotel dei Principi –315 e William Harvey, l’agen-

314  Roberto Faenza con Edward Becker, Il Malaffare, Mondadori, Milano 1978, p. 317. 315  Sul Piano “Solo” si veda il capitolo iv. Riguardo il Pollio si vedano

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te CIA (oggi deceduto) che avrebbe favorito gli attentati a sedi della DC e ai giornali del Nord per attentare alla politica del presidente.316 Potremmo ipotizzare l’esistenza di una rete dormiente che collega uomini in posizioni strategiche, da attivare con comandi precisi al momento preciso. Altro tentativo risale all’attentato all’Italicus, treno con cui Moro doveva partire.317 La sua apertura a sinistra è vista con sospetto da Henry Kissinger, non è gradita alle forze del Patto atlantico e analogamente al PCUS perché nell’ottica del compromesso il PCI si emancipa dal controllo sovietico, condotta interpretabile come una sorta di avvicinamento autonomo agli Stati Uniti. Al primo processo contro il nucleo storico delle BR (nell’83) lo confermerà Noretta Moro, moglie dello statista.318 La figlia Maria Fida racconta che nell’autunno del ’77, a conclusione di una lezione universitaria – come in seguito riferito dagli studenti presenti –, dice che «avrebbe fatto

i capitoli i, paragrafo 5, e v paragrafo 3. Riguardo Renzo Rocca si veda il capitolo iv. 316  Nell’ottobre ’62, in piena crisi missilistica cubana, Harvey è convinto che sia inevitabile predisporne l’invasione, l’operazione non è autorizzata, fortunatamente – come noto – le cose hanno altro esito, l’agente viene declassato per questo trasferito in Italia. Qui nel ’64 conosce il colonnello Rocca, cui suggerisce di costituire la rete Gladio italiana, di cui sarà l’intermediario, col compito di impiantare delle “squadre d’azione” per compiere assalti terroristici contro la DC e i suoi esponenti. 317  Si veda il capitolo iv. 318  CpiM2, audizione di Marco Clementi, 17 giugno 2015, pp. 62-64; pp. 135-138; p. 143. Clementi ritiene non vi sia stata avversione statunitense verso Moro.

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la fine di Kennedy».319 Al di là di segnali specifici più o meno rintracciabili, è il clima di ostilità nei suoi confronti che va evidenziato, perché da tempo Moro è un obiettivo sensibile. Sui muri della capitale a firma BR si legge: Oggi Fiori, domani Moro.320 Nell’inverno si fanno ricorrenti le voci che Moro potrebbe essere rapito, si intensificano nei mesi successivi fino alla primavera.

4.  I gialli della trama rossa… La preparazione L’intera operazione dovrebbe essere stata guidata da Firenze, in un appartamento messo a disposizione dal comitato rivoluzionario toscano, come conferma nel ’98 Morucci. Le dichiarazioni dei singoli membri portano a ritenere che in tutte le colonne br d’Italia si tenga la preparazione dell’azione di via Fani, chiamata “Campagna di primavera”. D’altronde siamo in piena “strategia di annientamento”, iniziata l’anno prima, mirante a colpire i “servi dello Stato”, terrorizzare ampi settori delle classi dirigenti e ostacolare il funzionamento dello Stato. È in un bar della capitale, alla presenza di Morucci, Faranda, Algranati, Casimirri e Gallinari, che quest’ultimo sembra (secondo le loro testimonianze) dire ai presenti: «Procederemo all’esecuzio319  «Moro: Io come Kennedy», in La Stampa.it, 28 maggio 2009. 320  Fiori è un deputato DC gambizzato dalle BR.

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ne». Per il sequestro, hanno operato più colonne coordinate fra loro, ma nei 55 giorni il comitato esecutivo è a Firenze, da dove partono i comunicati e dove si riunisce permanentemente. Morucci, con funzioni logistico-militari è a capo della colonna romana,321 non riferisce dati precisi riguardo alla partecipazione alle riunioni del comitato, i luoghi in cui avvengono gli incontri, e inizialmente neanche chi sia il padrone di casa, a chi spetti il compito di battere a macchina i comunicati. Si potrebbe desumere che l’ordine definitivo dell’esecuzione di condanna a morte sia partito dal capoluogo toscano,322 se non fosse che, qualche anno prima, lo stesso Morucci, avesse dichiarato che la decisione di avviare “l’operazione Fritz” – da “Frezza bianca”, nome in codice suggerito dalla capigliatura brizzolata dello statista – sia stata presa durante un incontro (non precisa chi fosse presente) avvenuto ai Castelli romani.323 A Roma il prigioniero viene detenuto in uno stanzino ricavato nell’appartamento di via Montalcini 8, intestato alla Braghetti, la br che al momento del sequestro è incensurata.324 Lo confermano anche Morucci e Faranda. Al primo processo Moro, Patrizio Peci parla di un doppio rifugio, inizialmente lo statista sarebbe stato detenuto nel retrobottega di un negozio di caccia e pesca di proprietà di Casimirri, a Roma (ubicato in zona Monteverde). Morucci dice sia

321  La Gazzetta del Sud, 16 marzo 1998, p. 5. 322  A Firenze sono state individuate tre basi BR, in via Unione Sovietica, affittata da uno dei rapitori del generale Dozier, in via Barbieri, dove nei giorni del sequestro Moro si riunisce il comitato esecutivo delle BR, e in via Pisana. 323  La Repubblica, 21 settembre 1984. 324  Anna Laura Braghetti, Paola Tavella, Il prigioniero, op. cit.

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esistita una sola prigione, da lui stesso predisposta. Così Faranda, che conferma l’intera prigionia d Moro nell’appartamento abitato dalla Braghetti e Gallinari, e frequentato da Moretti e – sapremo molto dopo – da Germano Maccari, l’ingegner Altobelli. Nel tempo l’idea del doppio rifugio è stata ripresa. Ventilata l’idea del secondo covo nella zona del ghetto romano, si è anche ipotizzata quella di un rifugio sulla costa laziale.325 Il pre-allarme Possiamo considerare due posizioni opposte, una che conferma, l’altra che nega. Chiamiamo tesi quella che sostiene l’esistenza di dati interpretabili come segni anticipatori del disegno brigatista di rapire Moro, antitesi quella che recita che gli stessi non costituiscono un preallarme. L’attuale Commissione d’inchiesta Moro 2 ha valutato due documenti, la nota del 20 aprile ’78 e il cablogramma di Beirut del 18 febbraio ’78 che intende come un preallarme dei palestinesi indicante che Moro fosse un obiettivo sensibile. L’antitesi sostiene il contrario.326 Il primo documento qui riferito non è una nuova acquisizione quanto una rilettura di un’informazione già nota alla Commissione Moro 1.327 La nota in questione è un messaggio (del 20 aprile ’78, successivo al rapimento Moro) di un ex appartenente ai Servizi di sicurezza del Venezuela,

325  Paolo Cucchiarelli, Morte di un presidente, Ponte alle Grazie, 2016. 326  Cfr. Studi di Marco Clementi. 327  CpiM1 “Sul rapimento Moro…” presieduta dal senatore Libero Gualtieri nel corso dell’viii legislatura, 1979-1983, a cui il SISMI redige una relazione sulla nota dei Servizi segreti del Venezuela.

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che riferisce al SISMI che nell’inverno di quell’anno sono avvenute due riunioni segrete (a Madrid e a Parigi) sotto la direzione della JCR, Giunta coordinamento rivoluzionario; nel testo sono indicati i movimenti rivoluzionari partecipanti.328 Il secondo documento è un cablogramma datato 18 febbraio ’78, proveniente da Beirut. Il telegramma riporta l’informazione della “fonte 2000”, l’agente dei Servizi segreti in Libano – dovrebbe essere il colonnello Stefano Giovannone, affiliato ai Cavalieri di Malta – che per conto di Moro si stava occupando delle relazioni in Medio Oriente,329 che riferiva di aver appreso dall’FPLP di George Habash di un’azione terroristica nei confronti di una personalità politica che avrebbe potuto riguardare l’Italia, ma si sarebbe adoperato, per i precedenti impegni presi, a impedirlo. A ben guardare, la prima frase ha un tono preoccupante, ma la successiva pare rassicurante. La chiosa del telegramma avverte: «Da non diramare ai Servizi collegati all’OLP Roma».330 Secondo la Commissione Moro 2, lo statista ne rimase turbato. Gli studi contrapposti sostengono invece che non vi fosse allarme per l’Italia, e che la sua preoccupazione dipendesse dalle car-

328  Il testo, rinvenuto all’Archivio centrale dello Stato, privo d’intestazione e numero di protocollo, reca scritto: Direttiva Prodi, “Caso Moro”, MIGS, Fondo Ministero Interno Gabinetto Speciale, busta 11. 329  Il 3 ottobre 2008, il quotidiano israeliano Yediot Aharonot pubblica un’intervista a Cossiga del corrispondente dall’Italia Menachem Gantz, in cui rivela l’esistenza di un accordo segreto tra Italia e terrorismo palestinese siglato quando era presidente del Consiglio Moro. Il magistrato Rosario Priore conferma le dichiarazioni di Cossiga. L’OLP aveva in territorio italiano uomini, basi e armi. 330  CpiM2, I relazione 2015, audizione di Marco Clementi, 17 giugno 2015, pp. 62-64; pp. 135-138; p. 143.. OLP è l’acronimo di: Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

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te riservate nel suo archivio personale di via Savoia, dove si trovavano vari scritti importanti fra cui quello degli scandali Lockheed e SIFAR. Anzi, il successivo ritrovamento di alcuni documenti riservati nello studio di Moro, avvenuto a ridosso della sua morte, è considerato come una prova che gli scritti siano rimasti in loco. In realtà, questo dimostra certamente che nello studio personale dello statista siano rimasti documenti riservati ma non esclude a priori che una parte possa essere stata sottratta. Riguardo all’interpretazione del testo, farebbe pensare che l’Italia è esclusa dal teatro degli attentati, perché gode di un’immunità parziale da parte dei palestinesi, come la Germania e la Francia. Questo dato per l’antitesi rappresenta la collaborazione fra l’FPLP e l’Italia. L’ottica riferita porterebbe ad accertare la validità del lodo Moro. Al cui riguardo Cossiga dichiarava: «Lo chiamavano “accordo Moro” e la formula era semplice: l’Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non toccano obiettivi italiani». La corretta interpretazione porta ad avvalorare l’antitesi qui indicata, malgrado non possa essere esclusa un’eventuale preoccupazione complessiva da parte del presidente. Anche perché non sappiamo cosa da quella data, fra il 18 febbraio e il 16 marzo, sia stato fatto. Andiamo all’altro documento. Secondo l’antitesi, le due riunioni segrete sono mosse dal tentativo di ridare vigore alla struttura internazionalista rivoluzionaria al tempo in crisi; a quella di Madrid avrebbero partecipato formazioni politiche rivoluzionarie del mondo (i Tupamaros uruguaiani, il MIR cileno, la Liga socialista venezuelana, singoli combattenti del Centro America e degli Stati Uniti, del Giappone e di Singapore e della Germania occidentale, e i guerriglieri dell’FPLP – Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – di George Habash e del PCTE spagnolo) e Lotta continua; in quella di Parigi 268

i presenti si sono impegnati a impostare le strutture portanti del loro progetto distinto per aree geografiche (latinoamericana, nordamericana, asiatica, iberica, europea). In quella sede stabiliscono i loro contenuti operativi fra cui l’esecuzione di un’azione clamorosa contro un’eminente personalità politica pubblica dell’Europa occidentale, la creazione di una centrale in Europa per la produzione di documenti personali falsi, l’istituzione di un comitato tecnico-scientifico per lo studio di armamenti atomici, l’addestramento dei guerriglieri in campi angolani da parte dei cubani, l’incremento della lotta armata (soprattutto in Argentina, Brasile e Cile), lo sviluppo di azioni terroristiche in occasione del Mondiale di calcio in Argentina e una nuova riunione in Svezia. La presenza dei guerriglieri di Habash spiegherebbe quindi il possesso delle informazioni contenute nel cablogramma ma, al contempo, la mancata menzione delle BR tra i gruppi partecipanti alle riunioni segrete escluderebbe ogni riferimento di attentato a Moro e all’Italia. Un’ultima riflessione su Giovannone. Così scrive il giudice Renato Squillante, includendo anche il generale Giuseppe Santovito, direttore del SISMI: «Giovannone e Santovito si adoperano a coprire le responsabilità palestinesi, entrambi sono adusi a mentire e depistare».331 Nell’83 Giovannone viene arrestato per traffico di armi fra le BR e l’OLP. Non si è riusciti ad accertare cosa sapesse veramente Moro di Giovannone, ci sono due richiami nelle lettere della sua prigionia brigatista.

331  CpiP2. Riguardo Santovito, è a capo del SISMI dal ’78 all’81. Ascoltato dalla CpiP2 per il coinvolgimento dei vertici dei Servizi segreti iscritti appunto alla loggia segreta e per il coinvolgimento nel caso Moro. Viene scagionato e muore di morte naturale nell’84.

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Riguardo a questa vicenda ci sono da considerare le derive: portano a Gladio, che indica i propri agenti con la lettera G. e un numero. Mancano più dieci giorni dal rapimento del presidente. Il 2 marzo ’78, il generale Vito Miceli del SID conferisce a G. 71 (Nino Arconte) l’ordine di partire per Beirut per una missione segreta: deve incontrare l’agente G. 219 (Mario Ferraro, colonnello del SISMI) che gli dà il messaggio a distruzione immediata con firma del capitano di vascello Remo Malusardi della x Divisione SB (Stay-behind). Lui, a sua volta, lo deve consegnare a G. 216 (Giovannone). Il messaggio recita: «prendere contatti con le BR per la liberazione di Moro». Il messaggio non verrà distrutto, anzi fotografato e riconsegnato anni dopo, nel ’95, dal primo emissario G. 71 a G. 219; i due gladiatori, nella vita sono Arconte e Ferraro, s’incontrano a Olbia. Mesi dopo Ferraro è trovato morto in circostanze mai chiarite, il caso è chiuso come suicidio. Arconte rivelerà della missione segreta e sarà accusato dallo Stato di calunnia aggravata.332 C’è un altro dato letto come preallarme, è una nota dell’agenzia di stampa Aipe333 (del 15 aprile ’78, ergo, a rapimento Moro già avvenuto), che diffonde un dispaccio dello SDECE, Servizio segreto francese, sul rischio di una nuova impresa spettacolare in alcuni Paesi europei, compresa l’Italia. Sempre questa nota informa di un precedente allarme del gennaio ’78 che avrebbe interessato Londra e Parigi. Anche in questo caso, la

332 CpiM2, i relazione 2015, precisa che l’autenticità del documento non è confermata, p. 20. 333  La nota dell’agenzia di destra Aipe è del 15 aprile ’78, dirama il dispaccio n. 1640.

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tesi propende per leggerlo come un preallarme da estendere anche all’Italia e a Moro. Ancora altri dati sono letti come preallarmi. Risalgono a un anno prima del rapimento.334 Sotto lo studio personale di Moro in via Savoia vi era un motociclista sospetto con in mano un oggetto che faceva pensare a una pistola. L’uomo è identificato, aveva precedenti per scippo, ma non ci sono stati altri sviluppi. Così per il caso di Franco Moreno, l’impiegato del Banco di Roma visto (il 4 febbraio ’78) con fare equivoco sempre nei pressi dello studio del presidente. Anche questo privo di risvolti. Eppure, la persona in questione figura in quell’elenco – di cui ci si è già occupati – ritrovato in possesso di Morucci al momento del suo arresto. Ci sono anche i preallarmi che si verificano nella stessa giornata del rapimento. Quando il centralino della Questura di Roma in cui scatta l’allarme segnala l’avvenuto agguato, il capo della Digos della capitale, Domenico Spinella, è già in auto diretto in via Mario Fani. In passato non era mai stato chiarito a chi appartenesse l’automobile, un’Alfasud targata Roma S88162, e chi fosse alla guida per raggiungere via Fani. Le indagini affidate dalla Commissione Moro 2 alla Polizia di Stato hanno accertato: è un’auto in dotazione alla Digos della Questura di Roma, che di norma è affidata al dottor Giancristofaro, ma quella mattina alla guida c’è invece Spinella. L’Alfasud, appunto, parte dalla questura prima che il centralino segnali l’agguato. Sono appena passate le 9. Al momento non si è in grado di accertare quando Spinella abbia ricevuto la chiamata in cui viene messo a parte del rapimento, né l’orario della sua partenza dalla questura per recar334  Corriere della Sera, 11 novembre 1977.

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si sul luogo dell’agguato, né la provenienza di questo presunto avviso anticipato.335 Certo da annoverare sempre tra le “strane coincidenze”, che Morucci al momento dell’arresto ha nell’agenda il numero di telefono del commissario capo Antonio Esposito, in servizio la mattina del rapimento. Risulta aver dichiarato il falso negando di essere in servizio quel mattino, era invece nella sala operativa della questura in contatto radio con la scorta di Moro. Risulterà iscritto alla P2. In ottica di preallarme, la letteratura negli anni ha raccontato del messaggio anticipato trasmesso quella mattina dall’emittente radiofonica Radio Città Futura di Renzo Rossellini336. La frase «forse rapiscono Moro». Non ci sono certezze al riguardo. Tuttavia, è noto che in alcuni ambienti culturali vi sia simpatia per l’eversione rossa, vi è un humus favorevole, questo ha reso

335 CpiM2, i relazione 2015, audizione dell’ex agente di Pubblica Sicurezza Adelmo Saba. Quella mattina si trova inaspettatamente libero perché il suo capo, Enrico Marinelli senza avvisarlo lo ha disposto in ferie. Dichiara che quel mattino nessuna delle auto civetta del commissariato di zona che svolge le consuete operazioni sul territorio è nei pressi di via Fani, il servizio di controllo, che precede il passaggio di personalità importanti, era sospeso. 336 CpiM2, i relazione 2015, pp. 108-109. L’annuncio viene sentito da un’ascoltatrice, riferito durante l’interrogatorio dell’immediato pomeriggio, non viene verbalizzato, è rimasta una nota informale riportante che la signora «di livello culturale molto scadente» ha frainteso l’annuncio. La circostanza viene riferita all’autorità giudiziaria molto tempo dopo, quando viene raccontata dal settimanale Famiglia Cristiana. Rossellini parla chiaramente di questo humus culturale nella sua audizione dell’81 alla Commissione vii legislatura. Fra i segnali anche quello di una fonte imprecisata che risponderebbe al nome di Franco, uno studente che avrebbe annunciato il previsto rapimento. Notizia non convalidata.

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credibile la circostanza, e molto di più nello specifico è noto di Rossellini, la cui compagna è una militante di sinistra, sospettata di essere vicina alle BR. In ogni caso, al tempo era funzionante una struttura informale di ascolto negli uffici della Digos della Questura di Roma dei programmi di Radio Città Futura e Radio Onda Rossa. Le radio libere sono sottoposte a una speciale attenzione. Il punto dunque non è se è stato detto o meno, ma l’evidenziare quell’atmosfera carica di tensione che avverte anche l’uomo della strada, in cui si leggono presagi negativi. Naturalmente, in certi ambienti culturali si discute di più dell’eventualità di “qualcosa di grosso” che è in preparazione riguardante Moro. Per chi esamina gli eventi oggi appare strano che non si predisponga meglio la sorveglianza del presidente, ma quest’aspetto attiene a molte altre vicende simili. E ancora l’articolo «Idi di marzo» (del 15 marzo), in cui Pecorelli richiama i personaggi di Bruto e Cesare e attualizza la nota vicenda connettendo ai riferimenti storici il giuramento del Governo Andreotti337. Nicola Rana, collaboratore personale di Moro, ha riferito che per i plurimi episodi riferiti verificatisi da oltre un anno e per il furto reiterato dell’autoradio dalla sua automobile personale, ci fu la convocazione di Giuseppe Parlato, capo della polizia, nello studio di via Savoia.338 Nella sua recente audizione, Rana af337  Cfr. Alfredo Carlo Moro, Storia di un delitto annunciato, Editori Riuniti, Roma 1998, pp. 22 e ssg. 338  CpiM1, Audizione del 30 settembre 1980. Rana riferisce di aver incontrato nell’ufficio di via Savoia, la sera del 15 marzo ‘78, Parlato, il capo della polizia. Da una relazione del 22 febbraio ‘79, redatta dal capo della Digos e indirizzata al questore di Roma De Francesco, Spinella riferisce di esser

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ferma di non ricordare più con chi ha avuto la sera del 15 marzo quel colloquio, se con Parlato, capo della polizia o se con Spinella, ma che si concorda un servizio di vigilanza dell’ufficio di Moro di via Savoia, a partire da giorno 17 marzo. Difficile quindi appurare se c’erano ragioni precise di allarme o preoccupazioni da accertare, in ogni caso è già la sera prima, la vigilia del rapimento. La scelta del giorno: il 16 marzo ’78 Moretti dirà che è casuale la coincidenza del rapimento dello statista con il varo del nuovo Governo Andreotti. Sarà anche casuale, tuttavia, ci sono dati certi da riferire: la sera prima, i br tagliano le ruote del furgone del fioraio che per abitudine sosta nell’area dell’agguato; quel fatidico mattino al posto del furgone è invece posteggiata – secondo Morucci per una semplice casualità – un’Austin Morris risultata di proprietà di una società immobiliare collegata ai Servizi segreti (ubicata nello stesso stabile romano in cui si trova l’Immobiliare Gradoli che ha immobili di copertura in via Gradoli, la via in cui c’è il covo di Moretti e Balzerani).339 Nella via del sequestro c’è un’altra auto posteggiata, è una Mini Minor che risulta di proprietà di un appartenente a Gladio. Entrambe le auto po-

andato in via Savoia la sera del 15 marzo per organizzare la vigilanza dell’ufficio nelle ore di assenza di Moro e della sua scorta. Nella stessa relazione, Spinella aggiunge che la notizia del rapimento di Moro gli arrivò quando si trovava nell’ufficio di De Francesco. 339  CpiM2, Relazione 2015, p. 60 e p. 86.

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steggiate costituiscono un intralcio a eventuali manovre di fuga dell’autista di Moro. L’agguato in via Fani, Roma La ricostruzione dell’agguato consegnata dalla letteratura ufficiale non è chiara. I punti da esaminare riguardano: i br nella fase dell’agguato, il commando di fuoco, la presenza della moto, di un uomo dei Servizi segreti, l’avviso alla Digos di Roma. Ripartiamo da quella mattina in cui sulla Repubblica Miriam Mafai aveva scritto: «Dodici killer per un massacro scientifico». Si è scelto qui di non occuparsi delle armi, della traiettoria dei proiettili ma della spettacolarità dell’azione, si segnala solo che le perizie hanno appurato che vengono usate anche munizioni di provenienza speciale, le stesse trovate nei depositi Nasco.340 Un’azione militarmente perfetta. Alcuni dati. La deposizione di Morucci è differente da quelle di Moretti e di Fiore. Nella deposizione dell’83 alla Commissione parlamentare, Morucci dice che dell’agguato fanno parte «poco più di dodici»: lui e Fiore che sparano diretti all’auto su cui transita Moro, quindi Gallinari e Bonisoli che aprono il fuoco sull’auto della scorta, e ancora due irregolari, Casimirri e Alvaro Lojacono che non sparano, Algranati – sul motorino – e Seghetti – alla guida di una Fiat 132 blu. Inizialmente nella ricostruzione c’è anche Riccardo Dura (morto in un agguato due anni dopo), al cui riguardo Morucci dichiara che è stato in-

340  Sergio Flamigni, La tela di ragno, Kaos, Milano 1993. Nessun’indagine ha approfondito.

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dicato come parte del gruppo di fuoco, ma poi non partecipa, e Raimondo Etro, con la funzione di recuperare le armi dopo il rapimento (ipotesi che risale al ’94). Secondo la sua ricostruzione, del commando di fuoco fanno parte quattro br, appostati dietro la siepe del bar. Questo si evince dal Memoriale Morucci, consegnato il 13 marzo ’90 da un emissario – suor Teresila Barillà, assistente spirituale nelle carceri, morta in circostanze mai chiarite – al capo di Stato Cossiga, anzi, questi lo riceve da Remigio Cavedon, direttore del quotidiano DC Il Popolo, consulente di politici, fra cui Rumor. Il Memoriale Morucci è il risultato dei colloqui fra Cavedon e il dissociato Morucci, che all’epoca disse che in molti passaggi era evidente l’intromissione del direttore.341 Recentemente si è acquisito il disegno della dinamica realizzato da Moretti con i numeri indicanti le singole postazioni del commando di fuoco a conferma della loro versione.342 Agguato, fase preliminare. Sono coinvolte cinque auto: 1) Fiat 128 CD guidata da Moretti; 2) Fiat 128 bianca con Lojacono e Casimirri; 3) Fiat 128 blu posteggiata con Balzerani; 4) Fiat 132 blu parcheggiata contromano in via Stresa con Seghetti alla guida; 5) Autobianchi 112 senza persone a bordo. Agguato. Impugnando una mitraglietta, Balzerani si pone all’incrocio per bloccare il traffico, la 132 blu con Seghetti rag-

341 Del Memoriale Morucci questa – sembra – la ricostruzione: Morucci e Faranda consegnano il loro memoriale con un biglietto recante la data dell’ ’86 e una dedica per Cossiga a suor Barillà, la suora lo dà a Cavedon, questi a Cossiga che, a sua volta, lo consegna alla polizia e alla magistratura. 342  CpiM2, I relazione 2015, p. 61. Il grafico è consegnato da Marco Clementi.

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giunge in retromarcia la 130 presidenziale, preleva Moretti, Fiore e Gallinari che fanno salire Moro sull’auto, che nasconderanno con un plaid. La fuga. Il corteo si muove con in testa la 132 blu guidata da Seghetti (cui siede accanto Moretti, e dietro Fiore, Moro, Gallinari, che Morucci racconta aver cambiato auto), è seguito dalle due Fiat 128 (bianca, con Casimirri al volante, Lojacono, Gallinari e blu, con Morucci, Bonisoli, dietro Balzerani), raggiunge via Dei Massimi (chiusa al traffico, Moretti scende dall’auto e trancia la catena). Procede. In via Licinio Calvo sono lasciate le tre auto (le 128 e la 132, da cui Seghetti scende per salire su una Citroën Dyane azzurra, lasciando Moretti alla guida). Ultima battuta: il gruppo raggiunge piazza Madonna del Cenacolo, dove si trova il furgone alla cui guida si metterà Morucci e in cui Moro sarà nascosto in una cassa. Segue l’ultimo trasferimento di Moro dal furgone 850 grigio a un’altra Citroën Ami 8 (con Moretti, Gallinari, Maccari e il prigioniero) per raggiungere il covo di via Montalcini 8. A questo punto, Morucci telefona all’Ansa per rivendicare la paternità dell’attentato. La dinamica presenta incongruenze. Dubbiosa la simultaneità del posteggio delle tre auto, la polizia stradale che nell’immediato perlustra la zona trova solo la 132 (quella mattina alle 9:20), si fa notare che nel già citato servizio Rai, Frajese dice trafelato: «Siamo appena arrivati sul luogo dell’assalto […] sono le dieci meno dieci». Emergono altri dubbi. 1) C’è stato o no l’intervento aggiuntivo? Le BR, appunto, lo hanno sempre negato: nessun appoggio esterno, nessuna presenza di quelli che Curcio chiama «occasionali alleati», reperiti dalla malavita comune, come aveva anche scritto Pe-

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corelli su OP. L’azione è militarmente perfetta, attestante la presenza di un commando addestrato, fa vacillare l’idea di ragazzi inesperti con la pistola. Moretti ha detto che la loro «capacità di precisione militare era approssimativa», e ancora Curcio che «ci sparavamo sui piedi». Morucci ha riferito: «I mitra s’inceppano» (il suo e quelli di Gallinari, Bonisoli e Fiore). Anche Faranda al riguardo della militarizzazione delle BR ha detto che i loro addestramenti erano episodici perché era pericoloso spostarsi fuori Roma. Ma tutti questi br rispondono al profilo dell’inesperienza? No di certo Morucci, basta accennarne la biografia: responsabile del servizio d’ordine in Pot Op, reclama la militarizzazione delle BR, è arrestato (nel ’74 dalla polizia svizzera) perché in possesso di un fucile mitragliatore e quando entra nelle BR della colonna romana, consegna il suo arsenale compresa la mitraglietta Skorpion usata per uccidere Moro. Quindi Morucci era militarmente efficiente, però non riesce a sparare perché l’arma s’inceppa, come le altre dei br. Se ora si scarta anche l’ipotesi di un superaddestrato, unico dato certo restante è che c’è stata un’operazione “scientifica” – in cui muoiono gli agenti e resta illeso il presidente – di cui non si conoscono gli autori. 2) Perché il gruppo di fuoco indossa le divise dell’Alitalia? Le indossa perché potrebbero non conoscersi fra loro, ma al contempo il dato fa rilevare che i due sulla moto non la indossavano. Siamo portati a pensare che fra loro non si conoscessero tutti e la divisa serva da riconoscimento. Altro dubbio logico fa capolino, se la scorta fosse riuscita a colpire i br, chi si sarebbe occupato di portare a termine l’operazione, e costui o costoro dov’erano?

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Potremmo proseguire a elencare i punti se non fosse che recenti acquisizioni stravolgono l’intero quadro, forniscono prove, alcune ancora secretate.343 La prima acquisizione. Il bar Olivetti in via Fani non era chiuso per caso ma appositamente. È stato la base logistica del rapimento, era luogo di sinistri incontri, frequentato da esponenti della Banda della Magliana, dai NAR, dalle BR344 e ancora da esponenti della mafia siciliana e siculo-americana. Risultato di proprietà dei coniugi Olivetti e della figlia del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Da questo bar transita un traffico internazionale di armi – che vede il coinvolgimento di Tullio Olivetti –, le cui munizioni sono della stessa tipologia di quelle usate nell’agguato a Moro. Sopra il bar al tempo c’era la sede di una società di copertura dei Servizi il cui titolare risulta parente di un colonnello che all’epoca era comandante della base militare sarda a Capo Marrargiu, dove si addestravano gli esponenti di Gladio e dei corpi speciali.345 Riguardo al contributo esterno, si fanno i nomi di esponenti della mafia calabrese, Agostino De Vuono e Antonio Nirta, detto “due nasi” per l’abilità con la lupara. Si rammenta che quando nel ’93 Maccari è indicato come “quarto uomo”, il pentito Morabito riferisce che Nirta (legato al generale Delfino, di cui si è tracciato il profilo) è presente nel sequestro di Moro. La seconda acquisizione. I covi nella capitale risultano mol-

343 CpiM2, ii relazione 2016, 20 dicembre 2016. Molti atti di queste scoperte sono coperti dal segreto istruttorio e sono stati inviati alla Procura della Repubblica di Roma. 344 CpiM2, i relazione 2015, p. 103. 345 CpiM2, i relazione 2015, pp. 55-56, p. 84. Accertamenti sul bar sono stati secretati dalla Commissione (p. 93).

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ti di più di quanti finora accertati. Va aggiunto un covo in via Dei Massimi, nella zona della Balduina, la cui scoperta modifica la dinamica del trasbordo del presidente da via Fani346 e fa perdere veridicità al resoconto del Memoriale Morucci, i cui pezzi sono stati assemblati nel tempo e divenuti fondamento di verità processuale. Andando a ritroso, controllando le fonti coeve di Pecorelli e di Pietro Di Donato, il covo era già indicato e sin dal giorno successivo al rapimento – il 17 marzo – una fonte riservata lo aveva segnalato alla Guardia di finanza; allora le indagini si disperdono, difficile dire se in rivoli di superficialità o se a causa di mirate azioni.347 Questo covo ora assume una valenza strategica perché chiarisce come potrebbe essere avvenuto il collegamento con via Licinio Calvo dove, il giorno del rapimento e i due successivi, sono rintracciate le tre auto br usate per il rapimento, che non sono parcheggiate simultaneamente né successivamente – sarebbe stato troppo rischioso raggiungere quel parcheggio da un’altra zona di Roma – ma sembrano fuoriuscite da un garage sotterraneo situato nella stessa via.348 Sorprendentemente questo covo in via Dei Massimi è in una delle due palazzine del Vaticano: siamo infatti in un’area di extraterritorialità, qui ci sono due palazzine di proprietà dello IOR, in cui si trova un covo br dove risulta vivere anche un terrorista straniero e «una nota brigatista [verosimilmente Faranda] ed esponenti dell’Autonomia operaia», vi sono alcune società americane riconducibili alla CIA, e in due appartamenti al tempo risultano risiedere altis-

346  CpiM2, p. 66, p. 74. 347  Cfr. Cpi M 2, ii relazione 20 dicembre 2106. 348  La ricostruzione dettagliata che riferisce di due moto si può leggere negli atti CpiM2, ii Relazione 2016, cit..

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simi prelati del Vaticano, uno è Paul Marcinkus.349 Questo covo potrebbe essere stato il primo e immediato appoggio dopo il rapimento. Risulta che durante l’agguato uno o più br siano stati feriti, come rivelano le macchie ematiche sulle loro auto.350 Le conclusioni. Il commando doveva essere più numeroso – difficile indicarne le unità – e ottimamente addestrato. Vi hanno preso parte i migliori br di ciascuna colonna, di Torino, Roma, Genova, Milano. Morucci peraltro aveva raccontato che vi era stata una prova generale in una base di Velletri. Vale la pena rammentare che l’operazione Sossi – testimonianza di Franceschini – ha visto «impiegati 18 compagni», l’operazione Moro 9. Permane un’alea dubitativa sulla modalità e la dinamica. Il trasbordo del presidente e le foto sparite nel nulla Quella mattina l’azione è rapida, ma il trasbordo del presidente avviene invece lentamente. Così lo descrivono i testimoni. In via Fani, un altro spettatore a pochi secondi dalla fuga del commando scatta dal balcone di casa una dozzina di foto della scena. A consegnarle quasi subito alla magistratura la moglie dell’uomo (una giornalista dell’agenzia Asca). Non si saprà più nulla. Lo stesso vale per il rullino di un filmino super 8 gira-

349  L’esame eseguito sull’auto, sulla Fiat 132 – si rammenta, è quella su cui viene fatto salire Moro dopo l’agguato di via Fani – evidenzia infiorescenze arboree presenti nell’area in cui è situato questo covo. 350  CpiM2, p. 71, p. 67.

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to nelle fasi dell’agguato da una giornalista francese, consegnato nell’immediato alla Procura di Roma e nell’immediato scomparso.351 Le borse del presidente Secondo la testimonianza della moglie Eleonora, il presidente usciva abitualmente di casa portando con sé cinque borse, una contenente documenti riservati, una di medicinali ed effetti personali, nelle altre tre ritagli di giornali e tesi di laurea dei suoi studenti. La signora dichiara: «I terroristi dovevano sapere come e dove cercare, perché in macchina c’era una bella costellazione di borse». Dopo l’agguato ne sono rinvenute solo tre. Due le sottrae lestamente Morucci, riuscendo in pochi minuti a capire quali fossero quelle con i documenti. In via Fani, l’agente dei Servizi Le commissioni parlamentari hanno confermato che quella mattina in via Stresa (a duecento metri dall’incrocio con via Fani) è presente il colonnello della vii divisione del SISMI, nonché vicecomandante di Gladio, capo del settore K, Camillo Guglielmi – nel frattempo deceduto, cui fa riferimento l’ex agente a bordo della Honda autore della recente lettera. Guglielmi (dipendeva direttamente dal generale Musumeci, esponente della P2 implicato in vari depistaggi e condannato nel processo sulla

351 CpiM2, i relazione 2015, p. 133 riferisce di due rullini fotografici di due persone diverse.

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strage di Bologna) conferma che quella mattina era in via Stresa, perché doveva andare a pranzo da un amico. L’amico è il colonnello Armando D’Ambrosio che così ricostruisce la vicenda: “Verso le ore 9:30 è giunto presso la mia abitazione […]. Il colonnello stette presso la mia abitazione con la moglie per tutta la mattinata e stette con noi a pranzo […]. Non ricordo se venne presso la mia abitazione per un appuntamento datoci in precedenza. Oppure se passò senza appuntamento precedente, poi lo invitai a pranzo. Non ricordo come mai venne alle 9:30. Ricordo anche che quando arrivò gli diedi la notizia di quanto era successo”.352 Flamigni presenta Guglielmi come «un piduista, uno dei migliori addestratori di Gladio, esperto di tecniche di imboscata, che lui stesso insegnava nella base sarda di Capo Marrargiu, dove si esercitavano anche gli uomini di Stay-behind». In via Montalcini 8 interno 1, Roma Già sappiamo che la br Braghetti è l’intestataria dell’appartamento, non sappiamo però che a uccisione del presidente già avvenuta – siamo nell’estate ’78 – l’UGICOS svolge delle indagini.353 I risultati della ricerca sono consegnati in forma anonima e senza i nomi degli inquirenti. Il contenuto dell’indagine riferisce che fino al giugno ’78 l’appartamento è abitato da una

352 CpiM2, i relazione 2015, p. 45. 353  L’UCIGOS è l’ufficio centrale della Polizia di Stato, nato contemporaneamente alla DIGOS nel ’78; si stabiliscono uffici periferici in ogni questura, subentrati ai vecchi “Uffici politici” dipendenti dall’Ufficio Affari Riservati. Delle indagini ne parla il giudice Ferdinando Imposimato.

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coppia regolare, la Braghetti e l’ingegner Altobelli. Questo scrive l’ispettrice incaricata che non ha alcun sospetto; diversamente i br si insospettiscono e decidono di abbandonarlo. Ricordiamo che al tempo del rapimento all’interno 1 di via Montalcini 8 non avvengono controlli, e che nei giorni del rapimento una Renault 4 rossa era stata vista in sosta in corrispondenza del civico 8, l’auto risulta rubata il primo marzo – nella settimana verranno rubate anche le altre auto utilizzate per l’agguato. Al momento la verità processuale riferisce che il covo di via Montalcini 8 è l’unico per l’intera durata del sequestro, per 55 giorni. A questo dato si aggiungono altre tesi che propendono per sostenere che ci siano stati altri luoghi di prigionia. Riguardo all’ipotesi di un secondo covo, l’autonomo Elfino Mortati, arrestato dopo la morte di Moro, nell’interrogatorio confessa di aver avuto contatti con alcuni br, di essere stato ospitato in un loro covo nella zona del ghetto romano, dove c’era un covo o forse più di uno.354 Anche i giudici Rosario Priore e Ferdinando Imposimato propendono per ritenere che vi sia stato un secondo covo (tema su cui si torna nel prosieguo). Il luogo della prigionia è strettamente connesso a un altro punto della vicenda che per necessità di chiarezza viene qui anticipato, la morte del presidente. I br concordano nel sostenere che sia stato freddato la mattina presto nel garage dell’appartamento. Moro viene nascosto in una cesta, non è narcotizzato né imbavagliato, resta così silenzioso dalle scale fino al box, dove è ucciso nel garage comune a tutti gli abitanti dello stabile. La circostanza trova conferma nella dichiarazione di Pace che, dopo la morte di Maccari, indica quest’ultimo come assassino dello statista, adducendo di averlo saputo dall’ingegner Al354  Per il covo del ghetto di Roma si consulti Flamigni in Il covo di Stato.

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tobelli, ovvero dallo stesso Maccari. Il suo racconto delle ultime ore di Moro ha risvolti caricaturali: Moretti è colto da crisi di panico e alle prese con la pistola inceppata, Gallinari è singhiozzante, e Maccari da buon soldato interviene e fredda il prigioniero con la mitraglietta Skorpion. Maccari era contrario all’uccisione ma si è visto costretto dalle contingenze a intervenire.355 La confessione che aveva rilasciato Maccari era circostanziata: è nel garage di via Montalcini, precisa che a sparare è Moretti, il quale usa due armi silenziate. «Due, perché una si inceppò.» Si rimarca che è una circostanza molto particolare se si ricorda che si è in garage. Nella sentenza del Moro quinquies si ritorna sulle modalità dell’uccisione, molto rischiosa per i br: Moro appunto senza bavaglio, non narcotizzato, posto in una cesta, condotto lungo le scale al box comune ai condomini, qui viene freddato nonostante sia noto che anche i colpi delle armi silenziate producano rumore. In via Gradoli 96, Roma Come emerso, la scoperta del covo romano di via Gradoli 96 avviene in due atti. Atto ii, 18 aprile 1978. Il materiale ritrovato – come da verbale della polizia – è abbondante, comprende carte con riferimento alla P2, a Gladio, le confessioni del presidente alle BR durante la prigionia, disposto in una confusione razionale. È questo un covo importante, dove, prima di Moretti e Balzerani, hanno abitato i br Bonisoli, Carla Brioschi, Morucci e Faranda,

355  La confessione di Pace è rilasciata a ridosso della morte di Maccari, avvenuta nel carcere di Rebibbia il 26 agosto 2001.

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che probabilmente avevano le chiavi, quindi tutti loro avrebbero potuto ritornarci in un secondo tempo. L’Atto i, ricordiamo, recita che a due giorni dal rapimento del presidente (il 18 marzo ’78) era avvenuta la mancata perquisizione, come si apprende da una relazione informativa della polizia: l’intero stabile era stato perquisito, ma non l’appartamento covo in questione.356 La vera scoperta del covo coincide con la consegna del falso comunicato n. 7, che i br valutano come «una provocazione» del Governo.357 Nel testo del comunicato n. 7 (quello falso) manca la classica chiosa BR, «Portare l’attacco allo Stato imperialista», sostituita con «Libertà per tutti i comunisti imprigionati»: sembrerebbe un’esplicita richiesta di trattativa, di rilascio dei prigionieri politici. Ci sono altre opzioni interpretative, si potrebbe pensare sia un messaggio per i br, a voler lasciar intendere che l’ostaggio è compromesso a tal punto da essere destinato a morire; per Franceschini l’operazione Lago della Duchessa va letta unitamente a Gradoli, è questo un messaggio loro diretto, o al contrario potrebbe rispondere all’intenzione di indicare che è necessario spostare la sede della prigione, perché le BR sono braccate. Si potrebbe pensare sia voluta dai br, da Moretti, ma anche da Morucci e Faranda che avrebbero voluto, come Maccari, e come Franceschini, una soluzione non violenta del sequestro. Nella sua deposizione al processo Moro, la Braghetti esplicita che 356  Dagli atti della CpiP2 si denota che quanti hanno preso parte a quella perquisizione sono stati promossi a incarichi superiori: il vicecapo della squadra mobile di Roma, Elio Cioppa, è promosso a vicedirettore del SISDE, guidato al tempo dal generale Giulio Grassini, risultato iscritto alla P2, poco dopo anche Cioppa risulta essere piduista. CpiP2 istituita con la legge n. 527 del 23 settembre 1981. 357  Secondo Morucci, il comunicato è opera dei Servizi segreti (dichiarazione dell’84).

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dei quattro sequestratori uno non fosse d’accordo per l’assassinio (secondo la loro ricostruzione sarebbe Maccari). L’operazione Gradoli è un rompicapo. Una fotografia del presidente viene trovata al Centro Studi Antonio Scontrino – dal nome del celebre compositore dell’Ottocento – di Trapani. È questo un circolo noto in città per le iniziative culturali aperte al pubblico, ospitato nel centro cittadino in un imponente palazzo barocco. Sulla foto di Moro sono apposte delle iscrizioni mai decriptate, certo da iniziati massonici. Infatti il centro è la copertura di una sede massonica di cui è presidente il gran maestro Giovanni Grimaudo. È un luogo d’incontro di massoni, templari, politici, appartenenti a Servizi segreti di tutto il mondo e mafiosi, lo frequentano Calogero Mannino e Carlo Vizzini. Nell’86 la polizia lo perquisisce e scopre che da esso dipendono altre sei logge massoniche coperte, dai nomi suggestivi, Iside, Iside 2, Osiride, Ciullo d’Alcamo, Hiram, Cafiero; trova anche tante carte, agende, rubriche con numeri di telefono di politici locali, regionali e nazionali. Indagando si scopre che il venerabile maestro Licio Gelli si è recato due volte a Trapani in coincidenza dell’istituzione della loggia Iside. Mauro Rostagno, poco prima di essere ucciso per mano mafiosa, stava indagando sulle logge segrete del trapanese.358 A Trapani c’era anche un’altra sede legata a Gladio, è il Centro Scorpione, guidato dal maresciallo Vincenzo Li Causi, un circolo dotato di un aereo in grado di volare al di sotto delle ap-

358  Corte d’Assise di Trapani, “Sentenza Rostagno”. Nelle motivazioni della “Sentenza Rostagno” si definisce il circolo Scontrino “un paravento di Logge infestate da elementi mafiosi”.

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parecchiature radar.359 La presenza di circoli massonici coperti suggerisce la presenza di “un quarto livello” inespugnabile cui fa riferimento anche il giudice Carlo Palermo. Alla luce di queste indicazioni, “Gradoli” si può leggere anche come “GradoLI”, vale a dire “Grado 51”, alludendo al grado più alto e celato della gerarchia massonica conosciuta. Dunque, il messaggio poteva essere destinato al signore di Gladio che stava per intervenire o, al contrario, cui si chiedeva di intervenire.360 Abbandoniamo le interpretazioni, alcune particolarmente affascinanti, e procediamo con la ricostruzione. L’autore del falso comunicato – firmato «Brigate rosse, cellula Roma Sud» – è Tony Chichiarelli, un falsario romano legato alla Banda della Magliana, la cui presenza nella vicenda è associabile al tentativo di depistaggio delle indagini; per una strana coincidenza il suo borsello è rinvenuto su un taxi a pochi giorni dalla morte del giornalista Pecorelli. Il primo quesito da porsi: per conto di chi scrive il falso comunicato? Gladio? P2? I Servizi deviati? Il secondo quesito: come viene ripagato per il supporto fornito? Si è supposto con i proventi della rapina alla Brink’s Securmark, il colpo da 35 miliardi di lire, compiuta nella notte fra il 23 e il 24 marzo ’84. Il falsario romano muore in circostanze misteriose qualche mese dopo, le indagini avviate alla sua morte risalgono a un borsello ritrovato anni prima (il 14 aprile ’79) su un taxi. Un borsello che presunti turisti americani, che subito dopo si volatilizzano, consegnano in una stazione dei carabinieri nelle mani del colonnello – piduista – Antonio Cornacchia.361

359  Carlo Palermo, Il quarto livello. 11 settembre 2001, Ultimo atto?, Editori Riuniti, Roma, 1996. 360  Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca, Il misterioso intermediario, Einaudi, Torino, 2003. 361  Il borsello contiene alcuni oggetti riguardanti Moro: nove proiettili ca-

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C’è un altro tratto di strada da percorrere nella ricostruzione, porta a Mino Pecorelli, che riesce a scrivere prima che avvengano i fatti o che vengano ritrovati gli atti, come per il Memoriale. Già al tempo si è tentato di screditare OP, Osservatorio politico, prima periodico poi settimanale, e la sua persona, perché affiliato alla P2; al tempo era “dissociato”, adducendo che si servisse delle sue ricerche a fine ricattatorio. È ben informato, più di qualsiasi altro cronista. Sulle sue agende documenta contatti, telefonate, incontri, con uomini dei Servizi segreti, con Licio Gelli. Ha legami con il colonnello Nicola Falde (a capo del SID dal ’67 al ’69), con Vito Miceli (a capo del SID dal ’70 al ’74) con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E ancora con Umberto D’Amato (piduista, esperto di intelligence, consigliere del ministro dell’Interno e capo della polizia), con il generale Maletti (piduista come Miceli), i capitani La Bruna e D’Ovidio (entrambi piduisti), i magistrati Infelisi e De Matteo, con avvocati e politici di diverse forze politiche. Ha un eccellente informatore, l’alto ufficiale Antonio Varisco, freddato dalle BR (nel luglio del ’79). Nonostante questa rivendicazione e l’autoaccusa di Savasta, quella di Varisco resta una morte misteriosa, come quella di Pecolibro 7,65 Nato, una pistola Beretta calibro 9, fazzoletti di carta della marca “Paloma”, la stessa di quelli ritrovati sul suo cadavere per tamponarne le ferite, messaggi in codice, indirizzi romani sottolineati, medicinali, un pacchetto di sigarette della stessa marca che fumava lo statista, una cartina della zona del Lago della Duchessa e un messaggio con le copie di schede della polizia di cui in un secondo tempo si trovernno gli originali, compresa quella di rivendicazione dell’omicidio Pecorelli. Cfr. Carabinieri di RomaReparto Operativo; n. 11513/330-7 “P”, Roma 8 giugno 1979; Oggetto: Reperti relativi al rinvenimento di un borsello avvenuto a bordo di un taxi contenente una pistola e documenti vari delle Brigate Rosse con progetti di attentati (ritrovamento del 14 aprile ‘79). Il documento è trasmesso il 22 ottobre ’79 alla Procura della Repubblica di Roma al Dott. Domenico Sica.

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relli, che è ucciso con quattro colpi di arma da fuoco il 20 maggio del ’79: un proiettile è sparato all’altezza della bocca. Una morte che chiama in causa una miriade di passaggi e sottopassaggi fra loro intersecati, di cui non si è fatta chiarezza. L’inchiesta è articolata, riguarda Gelli, i NAR (Carminati, Fioravanti), la Banda della Magliana, la mafia (Tano Badalamenti, Pippo Calò). Buscetta lancia accuse precise, fa nomi precisi: è un omicidio eseguito nell’interesse di Andreotti, per mano della Magliana, motivato dal materiale sul caso Moro che intendeva pubblicare, materiale in possesso del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di cui in un articolo anticipa la morte.362 Pecorelli scrive in modo criptico, ma allude chiaramente all’animosità che circonda lo statista e coglie i presagi di morte. Sergio Flamigni a riguardo scrive: Pecorelli coglieva l’atmosfera di dura ostilità verso la politica di Moro, e a partire dalla seconda metà del ’75 cominciò a esprimerla attraverso enigmatiche note di questo tenore: «È proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?»; «Moro-bondo»; «Un funzionario, al seguito di Ford in visita a Roma, ebbe a dichiararci: “Vedo nero. C’è una Jacqueline [vedova Kennedy, N.d.R.] nel futuro della vostra penisola”»; «E a parole Moro non muore. E se non muore Moro». Il 9 gennaio ’76 in OP riportò a tutta pagina una caricatura di Moro con il titolo: «Il santo del compromesso, Vergine, martire e… dimesso» e le parole: «Oggi, assassinato con Moro

362  Del suo omicidio, al processo di Perugia, viene accusato Andreotti: condannato a ventitré anni, la sentenza nel 2003 è impugnata in Cassazione (presieduta dal giudice Corrado Carnevale) sarà annullata. Cfr. CpiTS cit., p. 233.

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l’ultimo centrosinistra possibile di sedimentazione indolore della strategia berlingueriana».363

Dunque, sono tre gli eventi da porre nella stessa linea temporale e logica: la morte di Pecorelli, quella di Varisco e del falsario, passando dal ritrovamento del borsello di quest’ultimo. Anni più tardi il Corriere della Sera ricostruisce la vicenda.364 La sera in cui viene ucciso Pecorelli, sotto la sede del suo giornale arriva subito Varisco insieme a Domenico Sica. I due perquisiscono la sede e trovano un biglietto: Caro Pecorelli, le invio questo medicinale perché possa lenire la sua cefalea. Io, come lei sa, soffro del medesimo male. Importante è comunque che lei si prenda un periodo di riposo. Giulio Andreotti

Ammesso che sia vero, l’episodio si connette pochi giorni più tardi al borsello fatto ritrovare dal falsario, in cui fra i tanti appunti vi è una nota su Varisco e la scheda relativa a Pecorelli, che riferisce: «Mino Pecorelli da eliminare». Varisco lascia l’Arma proprio dopo l’omicidio di Pecorelli. Torniamo alla scoperta del covo al cui interno si trovano gli elenchi nominativi di esponenti iscritti alla P2 che sempre il Corriere della Sera, il giorno prima della morte di Moro, pubblica in prima pagina.365 La sequenza dei nomi nelle liste

363  Sergio Flamigni, Dossier Pecorelli, Kaos, Milano 2005. 364  Giuseppe D’Avanzo, Corriere della Sera, 25 settembre 1999. 365  Nell’articolo di Sandro Acciari e Andrea Purgatori si riferiscono alcuni nomi – Loris Corbi, Beniamino Finocchiaro, Michele Principe, Publio

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si interrompe bruscamente il giorno successivo, quando tutti i quotidiani si occupano del ritrovamento della salma di Moro. L’operazione conclusiva si avrà solo con il ritrovamento dell’elenco (ricordiamo, nel marzo dell’81). Recentemente tra i reperti del covo vengono ritrovate alcune audiocassette, sommariamente valutate all’epoca del primo ritrovamento.366 Morucci aveva dichiarato alla Commissione “Stragi” che le cassette degli interrogatori erano andate distrutte perché sovraincise: le bobine venivano distrutte, a occuparsene era Maccari, come lui stesso ha dichiarato, poiché di fatto era lui a sbobinarle. Ricordiamo anche che le indagini si erano dirottate sul paese di Gradoli, che era stato avvisato Giovanni, il figlio di Moro, che allerta Cossiga per un’eventuale ricerca, ma la risposta del ministro era stata che lo stradario romano non riportava una via con questo nome. A sua volta Cossiga ha in seguito escluso di essere lui ad aver dato questa risposta. In ogni caso, la circostanza si lega a quella successiva dell’estate ’78, quando il Corriere della Sera riporta la notizia che nei fatidici 16 e 17 marzo, alla segreteria del ministro dell’Interno, sarebbe giunta una segnala-

Fiori – del primo elenco. Del secondo elenco cita Girolamo Mechelli (ferito in un attentato il 26 aprile ‘78), la cui presenza nella lista viene smentita dalla DIGOS, che implicitamente conferma l’esistenza degli elenchi. Il 9 maggio, il Corriere della Sera in un altro articolo sullo stesso argomento, aggiunge i nomi di Gustavo Selva e di Giacomo Sedati (DC). 366 CpiM2, i relazione 2015, p. 61. Audiocassette sono state trovate anche in altri covi br (via G. Cesare, via delle Nespole, via U. Pesci). Sottoposte al vaglio del RIS, Reparto investigazioni scientifiche, per capire se sotto la musica dei cantautori del tempo e dei canti rivoluzionari si celino colloqui e interrogatori a Moro: i tecnici hanno accertato che in nessuna risulta incisa la sua voce.

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zione anonima indicante il covo di via Gradoli e che Cossiga avrebbe conferito incarico al capo della polizia di provvedere a rintracciarlo. Il capo della polizia ha smentito l’accaduto.367 Rispetto al covo di via Gradoli, durante la deposizione di Maccari al processo, quando gli viene fatto notare che in quella via vi sono gli appartamenti del SISDE, risponde che era difficile che le BR potessero saperlo. Questo covo risulta di proprietà di Luciana Bozzi, docente, vicina a Giuliana Conforto e a Piperno, entrambi docenti e compagni di Pot Op. La trattativa per il rilascio: fermezza o contrattazione? Quali sono state le intenzioni delle BR? Si è ricavato un piccolo interstizio su cui si sarebbe potuto – se solo lo si fosse voluto – operare per salvare il presidente? Di norma, una trattativa deve essere vantaggiosa per entrambe le parti che la sottoscrivono: ci si chiede, cosa volevano ottenere le parti? La DC? Voleva ottenere la liberazione del prigioniero o il silenzio? Le BR? Volevano ottenere la loro legittimazione, lo scambio dei prigionieri, la base per un proselitismo, provvedimenti mirati ad alleggerire i reati politici? Dell’altro? Moretti dice che la decisione dell’uccisione non è nata a priori bensì scaturita dall’evolversi dei fatti, determinata dall’inefficace trattativa di richiesta di scambio dei prigionieri, vanificata dall’azione dello Stato, che alla fermezza coniuga confusione, segno di una mancanza di chiarezza e autorevolezza politica. Potreb-

367  CpiTS cit., p. 210.

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be non mentire. Specifica come non vi sia stata costrizione nella richiesta di far scrivere il detenuto e che la sua uccisione, nonostante qualche frizione interna, sia stata voluta a maggioranza. All’esterno, contro la linea violenta si colloca Piperno,368 figura enigmatica di questa vicenda, mal sopportato da molti br che temono voglia assurgere a ruoli dirigenziali. Si pone Pace – si scoprirà dopo – come intermediario del PSI nella trattativa per il rilascio. La trattativa è condotta da Pace e Piperno, vicini a Claudio Signorile e Mancini, rispettivamente vicesegretario e segretario nazionale del PSI. Signorile sostiene che l’epilogo è deciso nella notte fra l’8 e il 9 aprile. Ricostruiamo quei giorni. Pace, ex dirigente di Pot Op, riferirà di aver incontrato due volte Craxi – che riferirà di un solo incontro – e una dozzina di volte Signorile; questi segnala che gli incontri sono dai tre ai cinque; a sua volta Piperno dirà che sono quattro o cinque. Più volte, sembra sette o otto volte, s’incontra con la Faranda, la br conferma, incontri avvenuti grazie alla mediazione di Seghetti, a lei legato per un vincolo di comparato.369 Da non trascurare che nei primi giorni del sequestro Moro, risulta che Pace sia stato fermato due volte dalle Forze dell’Ordine. Il pomeriggio del 5 maggio è recapitato il comunicato br in cui si legge che Moro «è stato condannato», di fatto la «trattativa socialista» è ancora aperta. Il giorno dopo, il 6 maggio, Signorile incontra il presidente del Senato, Fanfani, che si im368  Il professor Piperno al processo del 7 aprile ’79 contro Autonomia viene ritenuto fiancheggiatore del partito armato delle BR. Latita in Francia dove risiede, grazie alla Dottrina Mitterand sul diritto d’asilo che ne impedisce l’estradizione, in seguito fugge in Canada, rientra in anni recenti in Italia, ricopre l’incarico di assessore alla cultura del Comune di Cosenza. 369  La trattativa di liberazione di Moro condotta da Pace e Piperno in CpiTS pp. 151 e ssg.

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pegna nella riunione della DC – prevista per il 9 maggio – a chiedere un’apertura ufficiale della trattativa. Ma quella mattina Moro viene ucciso. Riguardo alla notizia della morte di Moro, Signorile dice che si diffonde prima della telefonata di Morucci al professor Tritto alle 12:10: «Cossiga mi chiamò al Viminale, per prendere un caffè insieme, e io mi stupii, perché non avevamo un rapporto di grande consuetudine; dopo pochi minuti che ero nella sua stanza, erano le 10:30, sentiamo l’altoparlante della centrale operativa annunciare che la nota personalità era stata ritrovata al centro di Roma».370 Sulla stessa linea si muove un’altra interpretazione: quel mattino al Viminale Cossiga attende la notizia della liberazione, ma una telefonata annuncia il ritrovamento del cadavere. Si è capovolto l’epilogo della trattativa segretissima condotta dall’eccellente mediatore Igor Markevič, il maestro che ha diretto le maggiori orchestre del mondo.371 Chi è costui? Markevič è il marito della duchessa Topazia Caetani, della storica famiglia della nobiltà romana, proprietaria dell’omonimo palazzo in via Caetani. È Senzani a presentarlo a Moretti. È accertato che il professore abbia rapporti internazionali, con ambienti dell’intellettualità, con apparati dello Stato; nei giorni del sequestro alle riunioni fiorentine del comitato esecutivo delle BR con Senzani ci sono Salvatore Bombaci e Igor Markevič. Il socialista Salvo Andò propone l’ipotesi che la P2 sia po-

370  Ansa 23 gennaio 2010, intervista di Alessandro Forlani. Signorile anni dopo sarà condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. 371  Cfr. Giovanni Fasanella, Giuseppe Rocca, Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il caso Moro, Einaudi, Milano 2003.

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tuta intervenire per condizionare o orientare la linea della fermezza.372 Nello specifico rievoca la forza del Corriere della Sera – per la presenza egemonica del gruppo di Gelli al suo interno, che comunque si estendeva su parte della stampa del tempo –, forza già emersa se si considerano le tante circostanze che vedono il Corriere venir a conoscenza prima delle altre testate di informazioni importanti. Inoltre riguardo al giornalista Walter Tobagi, riferisce che gli era stato proposto dalle BR di intervistare Aldo Moro durante il sequestro, dato questo da non connettersi – dato il suo rifiuto – alla successiva uccisione. Si può qui aggiungere la dichiarazione di Morucci e Faranda, che esprimono la loro valutazione (che non equivale a quella dell’intera organizzazione) che la mediazione fra il PSI e le BR non interessasse la base operativa brigatista, perché l’autonomo Pace, nella veste di mediatore, non godeva di alto credito presso le BR. Contraria all’uccisione PL, lo dichiara Ferrandi, che aggiunge come, nonostante il suo gruppo disapprovi, ne resti «ipnotizzato» a tal punto da iniziare a convertire le proprie strutture per cooperare con le BR, e in seguito emularle convergendo nel progetto che ritiene l’omicidio politico lo strumento decisivo della lotta armata. Sempre concernente la trattativa, c’è stato il deciso tentativo di Papa Paolo vi di salvarlo. L’uomo della trattativa personale del pontefice è monsignor Cesare Curioni (capo dei cappellani nelle carceri) con l’appoggio dei gesuiti; si ventila la sua liberazione proprio in Vaticano. Il Governo, che contemporaneamente sta valutando le due vie della trattativa politica – fermezza e patteggiamento con i terroristi –, fa saltare il tentati-

372 CpiM2, i Relazione 2015, audizione di Salvo Andò, del 3 giugno 2015, p. 33.

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vo religioso, da qui l’appello del Papa alle BR di liberarlo «senza condizioni». Successivamente c’è un altro uomo dei Servizi che entra nella vicenda: è “Gino”.373 A fare il suo nome è monsignor Fabio Fabbri (al tempo vice ispettore generale dei cappellani nelle carceri) che dichiara di averlo conosciuto a vicenda conclusa, ma che il suo compito era di controllarlo perché in quei giorni Papa Paolo vi stava tentando, appunto attraverso Curioni, di intercedere per il rilascio del prigioniero, prevedendo anche un riscatto in valuta americana corrispondente a dieci miliardi di lire. Da non trascurare che parallelamente è presente un’altra contro-trattativa, quella di una parte del Vaticano di concerto con la consorteria italo-americana che fa capo a monsignor Paul Marcinkus,374 spregiudicato uomo della finanza vaticana, chiamato “il banchiere di Dio”, a capo dello IOR. Si rammenta che al momento dell’arresto, Morucci ha nella sua agenda il suo numero personale. Valutiamo altre interferenze. Vale a dire: BR-mafia, BR-’ndrangheta, BR-camorra in relazione alla trattativa; secondo i giudici Priore e Imposimato si tratta di una costante contiguità nella vicenda. Il pentito storico di Cosa nostra, Masino Buscetta, dichiara che, su esplicita volontà di Andreotti, il deputato

373  Il nome “Gino” è rivelato da monsignor Fabio Fabbri nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia che si svolge a Palermo; cfr. la dichiarazione del 20 febbraio 2015 di Giuseppe Fioroni, presidente CpiM2. 374  Paul Marcinkus è coinvolto nell’82 nel fallimento del Banco ambrosiano. Attraverso Michele Sindona, banchiere considerato vicino alla mafia italo-americana, Calvi, presidente della Banca, entra in contatto con Marcinkus. Lo IOR di Marcinkus svolge una funzione di copertura di molte operazioni finanziarie anche legate alla P2. Marcinkus lascia Roma nel ’97, muore nel 2006 negli Stati Uniti.

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democristiano Salvo Lima e i cugini Salvo si rivolgono al boss Stefano Bontade al fine di trovare la prigione. I contatti dovevano avvenire in carcere con la mediazione di Pippo Calò (legato anche alla Banda della Magliana) e i br detenuti. All’improvviso, il tentativo si ferma perché arriva il contrordine di cessare le ricerche. Moretti fa frequenti viaggi in Sicilia e in Calabria – accertati quelli del ’75 e del ’76 – non unicamente finalizzati a mantenere i legami con i compagni ma per stringere relazioni con la criminalità organizzata. In un appunto di Pecorelli si legge che sta seguendo una pista di collegamento: «Come avviene il contatto mafia-BR-CIAKGB-mafia. I capi delle BR risiedono in Calabria. Il capo br è il prof. Franco Piperno, prof. fis. univ. Cosenza». Anche Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata, riporta (sebbene alterando più volte il racconto) di essersi attivato nella ricerca. Riferendo che questo compito gli era stato affidato dai Servizi. Nella sua deposizione alla Commissione “Stragi”, Morucci scredita l’intera dichiarazione di Cutolo. Questi, ascoltato in carcere da alcuni collaboratori della Commissione, ha riferito di aver appreso durante la sua detenzione da un boss della ’ndrangheta dei contatti intercorsi, per il sequestro Moro, tra le BR e gli ambienti della malavita organizzata calabrese in relazione al reperimento di armi. Si è accertato che nel carcere, in cui all’epoca si trovava Cutolo, vi era un solo detenuto della ’ndrangheta, il cui nome è compatibile con quello da lui riferito. La relazione fra la malavita calabrese e le BR è nota nel ’93, al tempo del processo Moro quater, che si è occupato fra l’altro della presenza o meno dello ’ndranghetista Nirta tra i rapitori di Moro. In questi termini, lasciamo aperta l’ipotesi di un “doppio binario”, vale a dire che le indicazioni erano due, una istituzionale-ufficiale, che dichiara di non intraprendere trattative con 298

le BR, e una segreta, che viceversa vorrebbe tentare di salvarlo e di trovare il covo prigione. Valutiamo anche la trattativa diplomatica per la liberazione messa in atto dai palestinesi. L’intermediario cui ricorre Yasser Arafat è la RAF tedesca.375 Il piano sembra prendere corpo, prevedeva – dopo la consegna di Moro – un aereo pronto a Beirut per i BR. Controllando le lettere di Moro dalla prigionia in una, recapitata il 28-29 aprile ’78 e destinata all’onorevole Erminio Pennacchini, presidente del comitato di controllo sui Servizi, si parla di uno «scambio dei prigionieri». L’informativa su questo filone della trattativa è rimasta per anni secretata – al momento risulta riservata –, reca la data del 24 aprile ’78, è di provenienza di un’importante fonte, il centro SISMI di Beirut, inviata alla direzione centrale di Roma, l’intermediazione è curata dal colonnello Giovannone.376 Il 30 aprile Moretti telefona a Nora Moro per sollecitare un “intervento immediato e chiarificatore”, al cui riguardo Moro scrive: “..puoi chiamare subito Pennacchini (la lettera è indirizzata a Piccoli) che sa tutto... Poi c’è Miceli e il colonnello Giovannone che Cossiga stima...”. Il piano è in fase di decollo, come lascia desumere il rientro a Roma di Giovannone da Beirut, appunto perché convinto che il rilascio sia imminente. Qualcosa però non va secondo i programmi: ai primi di maggio improvvisamente la trattativa s’interrompe. Il 9 maggio precipita tutto. Si erano determinate due distinte aree d’intervento, una oltranzista – che sarà quella vincente – e una moderata.

375  RAF, Rote Armee Fraktion, gruppo guerriglia urbana antimperialista, detto anche banda Baader-Meinhof dal nome dei suoi esponenti Andreas Baader e Ulrike Meinhof. 376  CpiM2, p. 81.

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In ultimo, torniamo al socialista Signorile. Nel primo numero di Metropoli – il periodico di Autonomia – appare un fumetto che racconta le sequenze del delitto Moro, compresa la trattativa per il rilascio condotta da Pace e Piperno. Nel ’99, in Commissione d’inchiesta, sempre Signorile dirà: «Metropoli è Piperno, quindi è lui che dà i contenuti al fumetto».377 Sempre rimanendo nell’area di contatto con Autonomia, va rammentata la circostanza della costituzione della rivista Metropoli. La cui pubblicazione inizia intorno alla seconda metà del ’78, preceduta da incontri improduttivi fra alcuni non precisati autonomi con Moretti e alcuni br della colonna romana. Il primo numero esce a dicembre ’78 con un articolo di Piperno che riporta un’emblematica relazione: «Coniugare la terribile bellezza del 12 marzo ’77 con la geometrica potenza di via Fani». Il testo collega due eventi: quello del 12 marzo ’77 e quello del 16 marzo ’78.378 La macchina da scrivere usata per redigere il primo numero di Metropoli – giornale prima stampato a Roma, poi a Firenze – è ritrovata a casa di Giuliana Conforto – il cui nome è già emerso: è l’amica e collega di Piperno, il quale ha sempre smentito una connessione fra le singole situazioni; eppure è nel suo appartamento di viale Giulio Cesare a Roma che vengono ritrovati Morucci e Faranda. E inoltre la mitraglietta Skorpion che sarebbe stata usata per freddare lo statista, l’indirizzo personale di Marcinkus e la carta intestata di padre Morlion.

377  Ivi, p. 169. 378  Preceduti dallo scontro dell’11 marzo a Bologna ’77 fra la sinistra extraparlamentare e le Forze dell’Ordine in cui muore un militante di Lotta Continua, Francesco Lorusso, il giorno successivo, appunto il 12, si tiene una grande manifestazione a Roma che si trasforma in uno scontro armato, un vero episodio di guerra civile.

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Felix Andrew Morlion è un domenicano belga, fondatore della Pro Deo, un istituto religioso con base a Lisbona, e della rete spionistica al servizio del Vaticano e degli Stati Uniti. Il suo nome ci riporta al ’43, a quando aiuta William Donovan (il capo dell’OSS, antenata della CIA) ad aprire un canale informativo in Vaticano cui far arrivare le informazioni del fronte tedesco. Nel ’45 Andreotti è nominato suo segretario. Nel dopoguerra, Morlion continua la sua opera in funzione anticomunista. Alla fine degli anni Sessanta attiva i contatti con ambienti legati all’Aginter Press di Lisbona, il cui proprietario è un esperto di operazioni coperte, e con Berna, dove ha sede lo studio dei gruppi maoisti. Al momento dei fatti di cui ci occupiamo è a capo degli agenti CIA in Italia, e Marcinkus è un agente CIA. Sono in tre i Conforto, sono Giuliana, Giorgio e Silvia.379 Per l’opinione pubblica sono nomi sconosciuti, le informazioni su Giuliana e Giorgio restano coperte fino al 2000. Giorgio è il padre di Giuliana, ha avuto rapporti con la massoneria, in particolare con il Grande Oriente d’Italia, con sede a Palazzo Giustiniani, e con l’associazione Giordano Bruno, a esso legata. Nella documentazione italiana recuperata negli archivi del ministero dell’Interno, risalente al ’54, è indicato come «aderente al PCI» e «aderente al PSI». Sono dati diversi di biografie differenti malgrado provenienti dalla direzione del Viminale, redatte da uffici ancora diversi. Durante il fascismo, un’altra biografia informa che Giorgio è vicino al Partito d’azione. Contemporaneamente, con il nome in codice di “Dario” (ma avrà altri nomi di copertura), risulta essere un agente del KGB, infiltrato nel PNF (Partito nazionale fascista) poi dislocato nel centro anticomunista annesso al ministero degli Esteri. È arrestato nel ’32 379  Le informazioni sui Conforto in CpiTs p. 249 e sgg.

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con l’accusa di propaganda sovversiva, e anche l’anno successivo perché sospettato di far parte di un’organizzazione comunista; quindi, malgrado possa apparire impossibile, mantiene rapporti stretti con l’OVRA – la polizia politica del regime –; nel ’41 sembra ricoprire incarichi per i fascisti e i sovietici. Nel ’44 ha contatti con l’OSS, muovendosi per far arruolare ex agenti dell’OVRA e militari nazisti con chiare intenzioni anticomuniste. Si traccia il profilo di un uomo camaleontico, sfuggente e accorto, l’individuo perfetto per questa vicenda, immaginiamo quanti si sono mossi più o meno come Conforto. Nel caso Moro, quelli indicati non sono gli unici riferimenti che conducono al KGB, un altro richiamo è fornito da Fëdor Sergej Sokolov. Originario della Georgia, è uno studente russo che frequenta l’istituto in cui insegna Moro, lo incontra nei giorni antecedenti al sequestro, informandosi delle sue abitudini e dei suoi orari. Sokolov, malgrado sia giovanissimo, è un colonnello del KGB il cui nome compare anche nel Dossier Mitrokhin, un corposo complesso di schede trascritte da Vasilij Mitrokhin, archivista del servizio segreto sovietico che riferisce le attività di spionaggio in Europa a favore del KGB. Chiamato anche Rapporto Impedian, da uno dei nomi in codice dell’archivista. Il dossier, che rivela l’attività di spionaggio sovietico, è trasmesso prima alla CIA, che non lo ritiene credibile, quindi ai Servizi segreti della Gran Bretagna, dove è accolto favorevolmente; Mitrokhin vivrà lì protetto in una località segreta. Successivamente il rapporto di Mitrokhin è trasmesso al SISMI in Italia, quindi reso noto dalla Commissione “Stragi” del ’99.380

380  La Commissione Mitrokhin è istituita nel dicembre 2005 per compiere una missione in Ungheria. Le carte trovate in Ungheria sono in buona

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Infine Silvia, sorella di Giorgio, zia di Giuliana. Negli archivi si trova un appunto, datato 15 marzo ’54, del capo della polizia che la indica, insieme al fratello, come informatrice dell’URSS. Durante il fascismo lui è arrestato, ma non lei. Al casellario politico centrale sulla donna non è aperto alcun fascicolo. Il fascicolo serve a monitorare l’attività sovversiva, quindi è molto strano che a un ente di regime come l’OVRA, al cui vertice all’epoca c’è Guido Leto, sfugga Silvia Conforto, dal momento che entrambi i fratelli risultano essere informatori dei sovietici.381 Pochi cittadini statunitensi o strutture possono godere di un codice PA, indicante persone o strutture coperte. Lo stesso vale per l’alto prelato Marcinkus e per strutture come l’Hyperion,382 il nodo su cui hanno fatto bloccare anche l’istruttoria del giudice Calogero. Avevamo lasciato aperto un passaggio importante, quello dell’arresto di Morucci e Faranda, anticipando che hanno fatto ritorno dagli amici di Autonomia. Ma com’è avvenuta la loro cattura, quel 29 maggio del ’79? Hanno interrotto il legame con le BR, e sono entrati in lati-

parte vincolate da segreto, la restante è riportata nella relazione finale della Commissione. Documentano le operazioni congiunte fra BR e la rete del terrorismo in Europa e in Medio Oriente diretta dal KGB e pianificata dalla STASI tedesco orientale. Si leggono i nomi di alcuni br come Savasta e Morucci in qualità di contatti italiani del “gruppo Carlos”, non è chiaro se perché facenti parte del gruppo o se loro referenti in Italia. 381  Tutte le informazioni riferite sono presenti nella Relazione della CpiTS, cit., p. 249 e ssg. 382  Ivi, p. 158.

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tanza. Pare temendo Moretti:383 Gallinari dirà a Pace che sono «traditori», quindi «da eliminare»384 – prima di darsi alla fuga, hanno prelevato armi e denaro alle BR, che restituiranno in un secondo tempo –; trovano riparo, come più volte riferito, in viale Giulio Cesare 47, dove saranno arrestati. È la casa di Giuliana Conforto. Pace rivela che si è trattato di una volontaria consegna alla polizia. Il legame con Giuliana Conforto, quindi con Autonomia, ovvero con Piperno e Pace, funge da elemento centrale, cui legare la “soffiata” dei due confidenti della polizia al nucleo operativo del maresciallo Nicola Mainardi – del nucleo di De Sena. I confidenti gestiscono un autosalone a Roma, l’Auto Cia srl, il cui proprietario è un amico di infanzia di Morucci.385 L’appartamento in questione (di viale Giulio Cesare) è acquistato nel ’74 da Luciana Bozzi, vicina alla Conforto; risulta che l’anno successivo Moretti ci vada a vivere, quindi è plausibile ritenere che vi arrivi attraverso il tramite di Autonomia, in ogni caso questo avviene due anni prima di quanto il br racconta nel suo libro scritto con Rossanda.386 Una volontaria posticipazione di due anni utile a offuscare il pregresso legame fra Autonomia e BR. Resta plausibile ritenere che oltre alla

383  Cfr. ii Relazione CpiM 2. 384 CpiM2, ii Relazione 2016, 20 dicembre 2016, p. 145. 385  Il confidente è stato ascoltato dalla CpiM2 il 27 aprile 2016; Atti pp. 153, 155. Morucci racconta l’arresto in modo pressappoco uguale nella Peggio gioventù, Rizzoli, Milano 2004, p. 208, spiegando che «per avere i documenti falsi contatta gente sbagliata, un informatore della polizia». Riascoltato dalla CpiM2, audizione del 16 gennaio 2017, si rifiuta di rispondere arroccandosi su un comportamento reticente. Cfr. Paolo Cucchiarelli, Morucci non gradisce, tutto già noto, non rispondo, Ansa, Roma, 17 gennaio 2017. 386  Mario Moretti, Brigate Rosse una storia italiana, Anabasi, Milano 1994, p. 114.

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“soffiata” sia subentrato “qualcosa d’altro”, un “doppio livello” che ha condotto all’individuazione del covo, quindi ai due br. Interessante è anche capire chi possa rappresentare questo tassello. Potrebbe esserci stato l’intervento di Giorgio Conforto per una sorta di “negoziazione” in virtù della quale i due br vengono consegnati alla polizia.387 Resta da capire, considerando chi è stato Giorgio “Dario” Conforto, per quale “ente” stesse operando. Alla luce di questi dati, è interessante stigmatizzare il legame fra i due covi br: quello di via Gradoli 96 e questo di viale Giulio Cesare 47, la cui relazione porta sempre a Pot Op. I fratelli Conforto sono informatori ambigui. Giulio resta una persona sospetta che risulta organicamente addentrata nella politica italiana dal fascismo in poi. Giuliana viene solo temporaneamente trattenuta, scagionata perché non sono trovati dati sufficienti attestanti il suo coinvolgimento nel caso Moro: la solita “strana coincidenza” vuole che l’avvocato nominato alla sua difesa (Alfonso Cascone) abbia incarichi anche al Viminale. In via Monte Nevoso 8, Milano Questo covo è scoperto due volte, per coincidenze sospette. Ancora non possiamo rispondere se è per volontà delle BR che le carte recuperate al suo interno siano state trovate in due tempi. Anche per questo covo ci sono dunque due atti. “Fatalmente”, la scoperta del covo coincide con la disdetta del contratto

387  CpiM2, p. 165. Questa tesi è anche nella relazione della Commissione Mitrokhin.

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d’affitto di quello in viale Unione Sovietica, e con la smobilitazione di quello di via Pisana, a Firenze. Atto i: la prima scoperta risale al primo ottobre del ’78. Atto ii: la seconda, al 10 ottobre del ’90. Atto i. È una domenica il primo ottobre del ’78, quando i carabinieri irrompono in via Monte Nevoso, covo br a Milano. Trovano tante carte, una cartelletta azzurra con all’interno fogli, il Memoriale Moro, scritto durante la prigionia. Mesi prima, il 24 giugno, nel deposito degli autobus di linea a Firenze, è ritrovato un borsello, al cui interno ci sono una pistola automatica con il colpo in canna, fogli dattiloscritti con riferimenti al partito armato, un mazzo di chiavi, la nota di un appuntamento dal dentista, il libretto di circolazione, l’atto di compravendita di un motorino con una firma. Mesi di accertamenti, appostamenti e indagini conducono a Milano, in via Monte Nevoso al numero 8. Quella domenica lì sono trovati i br Lauro Azzolini – il borsello è il suo –, Nadia Mantovani e un giovane al momento non noto, Franco Bonisoli, ma che è uno dei quattro br del commando di via Fani. L’indagine prosegue, porta ad altri covi, in via Olivari e Pallanza, a una tipografia d’appoggio in via Buschi e ad altri br. Da agosto, al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sono stati conferiti poteri speciali antiterrorismo, il gruppo dei carabinieri che già si occupa di terrorismo; vi si uniscono, fra gli altri, due giovani capitani: Roberto Arlati e Umberto Bonaventura. Al covo si arriva alle prime ore del mattino, c’è Arlati, ma è Dalla Chiesa che preleva le carte per consegnarle quella sera 306

stessa a Roma ad Andreotti, presidente del Consiglio, e a Virginio Rognoni, ministro degli Interni. Queste carte sono consegnate dal generale Dalla Chiesa ad Andreotti, perlomeno una parte, un’altra è depositata in una cassetta, poi scomparsa. Giorni intensi questi di ottobre, i giornali riferiscono i fatti, trapelano indiscrezioni su alcuni politici, su Andreotti, sulla stampa si fa un gran vociare sulle carte trovate in via Monte Nevoso. Se ne occupa insistentemente Mino Pecorelli, che fa cenni, allusioni, riferimenti al “divo Giulio”, “padrino” per le sue relazioni palermitane con Salvo Lima. A metà mese, il Governo rende pubbliche le carte trovate, ma le voci persistono, si amplificano. Inevaso l’interrogativo: che fine hanno gli originali del Memoriale? Un inciso. Questi br hanno comportamenti molto leggeri, se ci riflettiamo, poco consoni a dei terroristi. Chiavi smarrite dentro borselli (dal borsello di Azzolini si arriva al covo di via Monte Nevoso), rubinetti dell’acqua lasciati aperti (da Moretti o Balzerani nel covo romano di via Gradoli), documenti distrutti per errore (come tra poco verrà spiegato): che ne è del decalogo del “perfetto brigatista” stilato da Moretti? Atto ii. È mercoledì 10 ottobre ’90 quando, a seguito dei lavori di ristrutturazione e restauro dietro un’intercapedine di gesso in un appartamento in via Monte Nevoso 8 – il vecchio covo br, da allora è rimasto vuoto e incustodito, non si riesce a risalire a chi e quando abbia tolto i sigilli della polizia giudiziaria–, viene trovato materiale interessante. Una borsa con denaro in lire, una pistola Walther PPK, un mitra avvolto fra i giornali datati 1978 307

e un plico di carte: sono lettere, disposizioni testamentarie, il Memoriale. D’altra parte, in Commissione Moro 1, Dalla Chiesa aveva riferito che mancavano gli originali del dattiloscritto ritrovato, i manoscritti, le registrazioni degli interrogatori, i contenuti delle borse sottratte a Moro. Quanto allora – nel primo ritrovamento – era dattiloscritto è ora ritrovato manoscritto. È ritrovata un’altra copia del Memoriale più estesa, rispetto al testo trovato nel ’78. Il riscontro incrociato riferisce che i documenti del ’78 e del ’90 sono coevi, in alcune parti il testo è coincidente, ma vi sono anche informazioni in più, riservatissime in cui si parla delle strutture Staybehind e Gladio. Di nuovo – come alcuni anni prima – a qualche giorno dalla riscoperta, il presidente del Consiglio Andreotti riferisce il contenuto delle carte: l’esistenza di Gladio e l’elenco dei 622 gladiatori (i documenti recuperati sono prima presi in consegna dalla DIGOS e pubblicati dalla Commissione “Stragi” nel 2001).388

388  Si ricorda che la Commissione “Stragi” è costituita per la prima volta durante la x Legislatura dalla legge n. 172 del 17 maggio 1988, rimanendo attiva per tredici anni, fino al 2001, anno della pubblicazione degli atti. La Commissione entra in possesso di informazioni fino allora poco note, dà organicità alle tante notizie frammentarie. Tuttavia, non ha prodotto una relazione conclusiva dell’intero lavoro svolto. Tutti i documenti sono prodotti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta “Sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi” nel corso della xi, xii, e xiii legislatura. La conclusione dei lavori risale alla 78a seduta del 22 marzo 2001. Come già riferito, a 36 anni dai fatti, nell’ottobre 2014 viene istituita la nuova, la terza, Commissione d’inchiesta parlamentare alla Camera; cfr. Archivio legislativo del Senato della Repubblica. Per altri approfondimenti si può consultare la “Sentenza Andreotti” in cui si legge che la comparazione degli scritti porta ad affermare che ‘quanto rinvenuto nel ’90 contiene notizie più pregnanti e organiche rispetto a quello del ‘78’, in par-

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Sapremo che sono molti, molti di più, nell’elenco figuravano nomi sconvenienti che in quel momento dovevano restare celati e non trasmessi alla magistratura.389 Ritornano giorni incandescenti, confusi. Così il ministro Virginio Rognoni: Gli interrogativi sono molti, ma gli interrogativi siano interrogativi e non necessariamente sospetti […]. L’operazione di via Monte Nevoso era ancora in corso quando il generale Dalla Chiesa me ne dà notizia per telefono. Dopo un’ora ci incontriamo in caserma dai carabinieri di Tortona […]. Né allora né oggi avevo e ho ragione di dubitare che quelle pagine consegnatemi fossero tutte le carte del Memoriale ritrovato nel covo.

E prosegue: E si ragiona così: i carabinieri non possono non aver visto quel nascondiglio; perciò il materiale che vi è stato trovato comprese le banconote andate fuori corso (!) vi è stato collocato in tempi successivi e ora vien fatto scoprire per fini di destabilizzazione. Non si accetta il fatto che all’ispezione dei carabinieri sia sfuggito quel nascondiglio (non si dimentichi che allora l’obiettivo era la cattura degli assassini di Moro) e

ticolare sul caso Italcasse e sui rapporti tra Sindona e Andreotti. Cfr. Corte d’Assise d’Appello di Perugia, Sent. n. 4 del 13 febbraio 2003, pp. 47-48. 389  Nel 2001, i magistrati Libero Mancuso e Gerardo Padulo (consulenti della Commissione “Stragi”) trovano in un archivio della Digos il plico “Sequestro Moro, documenti ritrovati in via Monte Nevoso, elenchi appartenenti all’organizzazione Gladio”, al cui interno vi erano due elenchi nominativi dell’organizzazione Gladio. Complessivamente gli elenchi erano tre.

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si accetta come persuasivo il fatto che qualcuno, in possesso di quel materiale, potendolo custodire in mille altri luoghi sicuri e da lì farlo uscire al momento opportuno, l’abbia invece nascosto proprio nel covo sequestrato di via Monte Nevoso.390

Tornando alle carte, in seguito a questo secondo ritrovamento riparte l’indagine, con la Commissione “Stragi”, operante dal 1994 al 2001. Trascorrono gli anni, si chiude il secolo, s’avvia il nuovo millennio e riaffiorano altri dettagli. Si recupera un “particolare” omesso durante il ritrovamento del mattino del primo ottobre 1978. Bonaventura riferisce che quelle carte sono fotocopiate prima di essere verbalizzate dalla magistratura e riportate nel covo per essere consegnate la sera a Dalla Chiesa. Anni dopo, in una pubblicazione del 2004, il capitano Arlati aggiunge un altro “particolare” omesso quella lontana domenica di ottobre a Milano, che a metà mattinata Bonaventura prese la cartella azzurra per fotocopiare le carte dell’interrogatorio br a Moro e rientrò nel covo nel pomeriggio. Arlati ebbe come l’impressione che fosse più sottile, che mancassero fogli.391 Qualcuno ha scritto che in questa storia ci sono «carte, nomi e foto che appaiono e scompaiono».392 Verosimilmente potrebbe essere andata così, prima del lo390  Virginio Rognoni, «Quei lugubri sospetti di via Monte Nevoso», in la Repubblica, 23 novembre 1990. 391  La sorella di Bonaventura denuncia Arlati per aver diffamato il fratello, morto nel frattempo, la Corte d’Appello di Milano l’8 maggio 2015 emette sentenza di assoluzione. 392  Antonio Fratini, «Carte, nomi e foto che appaiono e scompaiono», Ansa.it, 16 marzo 2008.

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ro arresto quel primo ottobre ’78, i br ritrovati nel covo di via Monte Nevoso stavano redigendo un opuscolo sugli scritti di Moro, da rendere pubblico, quindi avrebbero cestinato la prima stesura. In questo covo è trovata la prima parte del Memoriale Moro, il testo dell’interrogatorio cui è stato sottoposto il presidente durante il sequestro, redatto in prima persona, di cui lo statista stesso è anche narratore: a occuparsene sembra sia stato Moretti, che registra su nastri magnetici le risposte dell’interrogatorio e parte di esse le trascrive su carta. Gli originali – hanno detto i brigatisti – sono andati distrutti per errore o come riferisce Moretti a Flamigni una parte è rimasta nelle mani dei Servizi. I manoscritti sono stati quindi copiati in versione dattiloscritta, la loro diffusione avviene a Firenze, non è noto se la trascrizione sia stata eseguita nell’appartamento-covo dell’architetto Giampaolo Barbi393 o in casa di proprietà di Senzani, né è sicura l’identità del brigatista che se n’è occupato materialmente. Dopo la stesura del dattiloscritto, come emerso, i documenti originali (nastri e scritti) sono ritenuti persi o secondo altri br distrutti. Dunque, è accertato che: 1) il Memoriale Moro è una raccolta di documenti redatti dalle BR, di una parte della quale è autore lo stesso statista, che di esso esiste un’unica copia – rinvenuta in questo covo –, che sia questo sia le carte (lettere, disposizioni testamentarie) non sono mai stati ritrovati in forma originale; 2) che il materiale ritrovato è incompleto: mancano i nastri degli interrogatori cui le BR sottopongono Moro e le relative trascrizioni, le sei lettere recapitate durante il sequestro ai ri-

393  Ex di POT Op transitato nelle BR, arrestato nel ’78 insieme con altri br che come lui fanno parte della colonna toscana.

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spettivi destinatari (che le hanno rese pubbliche), quelle non recapitate (ritrovate in via Montalcini), alcune pagine del Memoriale (deduzione scaturita dalla frammentarietà del testo). Superata l’impasse di chiarire i motivi della duplice stesura, torniamo al rallentatore al ritrovamento delle carte. La cronaca della prima scoperta riferisce che il materiale è ritrovato in tarda mattinata, consegnato per essere fotocopiato e riconsegnato nel covo nel tardo pomeriggio della stessa giornata. A occuparsene è Bonaventura, cui le ha consegnate Arlati, che ha eseguito l’irruzione nel covo, ma la cui squadra nei giorni successivi alla scoperta non ne completa la perlustrazione. Da notare che Bonaventura in seguito è divenuto dirigente del SISMI. Anni dopo Arlati dice che le carte riconsegnate erano in numero inferiore a quelle trovate nel covo. Per correttezza informativa si aggiunge che il generale Mario Mori sconfessa Arlati, confermando che immediatamente tutto è riconsegnato a Dalla Chiesa, e che Maletti a sua volta lo sconfessa, aggiungendo che nel ’74, nutrendo sospetti sulla sua persona perché troppo vicina all’estrema destra, lo esonera dall’incarico. Non si sono mai accertate prove dell’esistenza di un gruppo organico e attivo in questo senso nel SID. Certi invece sono i legami fra Mori e Bonaventura – morto, sembra per infarto, il giorno prima della sua audizione –, allora era capo del SID di Palermo; così Maletti: «Sapevamo che era affiliato, organico, punciuto come si dice».394 Un’ultima nota su Mori. Recentemente ha fatto parlare di sé per una “strana coincidenza” che lo lega al br Morucci che si è scoperto lavori per una società di sicurezza e intelligence, la G Risk, nata con Mori e più tardi controllata dall’ex colonnello dei carabinieri Giuseppe Di Donno, entrambi imputati a Pa394  Repubblica.it, intervista del 21 novembre 2013.

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lermo al processo sulla trattativa Stato-mafia.395 Ancora un altro legame unisce Mori e Morucci, entrambi hanno scritto sulla rivista Theorema, edita da Noema, di cui era direttore scientifico proprio il generale. Anche il generale Maletti è comparso molto nel corso di questa disamina. La sua biografia recita che dal ’71 al ’79 è capo del reparto D del SID, esordisce con azioni di depistaggio in riferimento a Piazza Fontana, favorendo alcuni neofascisti accusati di aver messo la bomba nella Banca dell’agricoltura – per questa ragione condannato a due anni; anche il suo braccio destro La Bruna è condannato per favoreggiamento –, segue la sua fuga a Johannesburg da dove fa rivelazioni sulla strage nata in funzione anticomunista che dice avvenuta con la regia della CIA – che ha smentito – e di cui erano al corrente Nixon e Andreotti.396 Nel suo racconto esclude la presenza del KGB nella trama dei fatti di Piazza Fontana, al cui riguardo invece fa i nomi di Casalini – in anni recenti ascoltato dal giudice Guido Salvini – nome in codice “fonte Turco”, ex confidente SID, che ha rivelato la provenienza dell’esplosivo e il luogo in cui era nascosto, la compromissione di Giannettini, quella di Ivano Toniolo, indicato fra gli esecutori della strage, vicino a Freda e Ventura, che fugge in Spagna e in Angola, ma che non risulta essere stato indagato, né interrogato.397 Solo nel 2013 il generale accetta di rispondere alle domande dei magistrati dal Sudafrica.

395  Emiliano Liuzzi e Marco Lillo in «Ucci Ucci che ci fa Mario Mori con Morucci», Il Fatto quotidiano, 1 marzo 2016. 396  Riguardo Andreotti cfr. Gianni Minoli, Caso Moro, Rai, Mixer, 1998. 397  Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato, «La Cia, Kennedy, Moro», in L’Espresso, 22 aprile 2010.

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Anche per Flamigni, il rinvenimento del materiale di via Monte Nevoso è ostacolato da Dalla Chiesa o da uomini dei Servizi segreti al suo seguito. Ma cosa conteneva di compromettente il Memoriale? Certo materiale interessante per i Servizi segreti sia dei Paesi della NATO e sia del blocco orientale. Il riferimento all’esistenza di Gladio, le responsabilità istituzionali, nazionali ed estere, nella strategia della tensione, le connivenze e le indulgenze. Durante l’interrogatorio lo statista potrebbe aver fatto il nome dell’organizzazione Gladio, prima che la notizia della sua esistenza diventi di dominio pubblico.398 Potrebbe aver riferito la dinamica dei golpe degli anni Settanta, dell’affaire Lockheed o, viceversa, potrebbe anche esserci stato un tentativo di macchiare la reputazione dello statista, proprio in riferimento allo scandalo statunitense, per il quale nel giugno ’78 dà le dimissioni il presidente in carica Giovanni Leone.399 Per chiarire questa dinamica si è fatto ricorso alla sindrome di Stoccolma, la vittima che s’innamora del proprio carnefice: in questo caso il tentativo è depotenziare il ruolo di Moro così da depotenziare la veridicità dei suoi scritti. Da non sottovalutare l’apertura a sinistra che intendeva perseguire, non gradita al presidente statunitense Nixon.

398  Una tesi questa che secondo alcuni, fra cui Clementi, non troverebbe conferma perché Gladio era progettata per entrare in azione unicamente in caso di invasione sovietica. 399  Lo scandalo Lockheed, dal nome dell’azienda omonima, riguarda il pagamento di tangenti a militari e politici di Stati stranieri come Italia, Paesi Bassi, Germania e Giappone per la fornitura di aerei militari. A vent’anni dalle dimissioni del presidente Leone, le accuse si rivelano insussistenti.

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Nell’immediato, politici e giornalisti si affannano a ritenere che le lettere di Moro dalla prigionia siano opera di uno squilibrato, sottoposto a costrizione. Delle circa ottanta lettere scritte nella prigione del popolo, una trentina sono consegnate, rese pubbliche dai suoi carcerieri. Le altre sono trovate anni dopo nei vari covi br. I dilemmi sono tanti: è una scrittura sotto dettatura? La volontà e la capacità di quest’uomo sono offuscate dalla paura e dalle minacce? Sciascia nell’affaire Moro suggerisce di applicare come linea interpretativa il nonsenso. L’esempio più noto è nella frase in cui scrive di trovarsi sotto un «dominio pieno e incontrollato», in cui sembra lasciar intendere un condominio pieno e ancora non controllato. Cossiga dirà che in quei 55 giorni nessuno farà una valutazione attenta. Sciascia chiede a Cossiga – durante l’audizione in Commissione Moro 1 –: «Avete tentato una decifrazione dei messaggi di Moro durante il sequestro?»; Cossiga risponde: «No, procedevamo con metodi artigianali». Nell’immediato nessuno ha quindi sottoposto il testo delle lettere a una sorta di analisi logica. Durante la detenzione il detenuto Moro scrive. Scrive tante lettere.400 In alcune sono visibili delle sbavature, dei tratti più netti, delle cancellature, su altre sono rimasti indelebili i segni delle lacrime che hanno bagnato il foglio mentre è intento alla stesura. Ha bisogno di comunicare, sicuramente stando alle

400  «Le Lettere dal Patibolo», in Critica Sociale (rivista storica del socialismo). Il corpo di trentotto lettere si conclude con lo scritto alla moglie Noretta. I destinatari sono, fra gli altri, Fanfani, Pietro Ingrao, Zaccagnini, Craxi, Piccoli, Cossiga, Andreotti e due lettere vengono scritte al partito della DC.

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condizioni brigatiste; analogamente, seppur determinato da ragioni diverse, lo stesso bisogno lo hanno i terroristi, che devono far capire e far conoscere il loro progetto all’esterno, infatti gli forniscono giornali selezionati e ritagliati. Gli scritti dello statista favoriscono all’esterno la legittimazione loro e della lotta armata in generale, resta probabile che per alcuni possa aver ricevuto l’ordine di scrivere. Riguardo alle carte, intervistato da Zavoli, Moretti serafico chiosa: «Le carte erano tenute male». Un’ultima valutazione. A due giorni dal rapimento dello statista, due compagni sono uccisi dai NAR; fra gli assassini c’è anche Massimo Carminati. Una delle vittime, Fausto Tinelli, vive con la famiglia nello stabile al civico 9 di fronte al covo di via Monte Nevoso, ed è proprio lì che i due si stavano recando al momento dell’agguato. Il duplice omicidio è di difficile lettura, i due diciottenni stavano conducendo un’indagine personale sul traffico di eroina nel loro quartiere, gestito dalla Banda della Magliana e dall’estrema destra milanese, può sembrare un’intimidazione trasversale.401 Da non trascurare che la prigione del popolo di via Montalcini a Roma è nel quartiere controllato dalla Magliana, che in seguito si è scoperto essere legata ai Servizi, alla P2 e all’estremismo di destra. In via Montalcini 1 c’è la villa che appartiene a Danilo Sbarra, a pochi passi da questa via abitano Danilo Abbruciati, Amelio Fabiani e Luciano Mancini e poco distante Francesco Picciotto, uomo di Pippo Calò. In ogni caso, le br non lasciano il covo di via Monte Nevoso.

401  Il 18 marzo ’78 i NAR compiono il duplice omicidio dei compagni diciottenni Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci.

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X AFFAIRE MORO (Parte II)

1.  Gli infiltrati nell’organizzazione Nelle memorie di Moretti si riferisce di un viaggio del ’79, da Ancona a Cipro, quindi alla volta di Tripoli in Libano, per trattare una partita di armi da destinare alle diverse colonne delle BR dislocate sul territorio italiano; una parte sarà custodita in Sardegna confidando nella complicità della Barbagia rossa, formazione rivoluzionaria della zona di Nuoro. È accertato che le formazioni terroristiche europee hanno fra loro rapporti, collaborano con le organizzazioni armate palestinesi, impegnate in attentati e attacchi contro Israele. Un addestramento che – al di là delle loro dichiarazioni – ha riguardato anche le BR. È anche comune la presenza degli infiltrati, che nella fase iniziale le BR sembrano riuscire a contenere; poi il congegno s’inceppa, anche in coincidenza dei contatti ravvicinati con i Servizi deviati e la malavita. Così Patrizio Peci: «Lo Stato allora [agli inizi] – poi non più – ti lasciava gli spazi per poter sperare nella vittoria, […] lo Stato poteva avere interesse a lasciare spazio alla lotta armata. Interessi velati, e magari contrapposti, ma certamente tesi a creare confusione. Altrimenti la lotta al terrorismo sarebbe stata più 317

immediata e aspra. Ci avrebbero stroncato subito, come hanno fatto quando gli è parso il momento». Così il br Alfredo Buonavita: «Le BR si potevano sconfiggere agli inizi degli anni Settanta perché eravamo un gruppo conosciuto da tutti».402 Il primo infiltrato è Marco Pisetta, compagno di Curcio e Cagol alla Libera Università di Trento, che porta a individuare – siamo ancora nel ’72 – il covo milanese di via Boiardo, dove sono arrestati alcuni br. Ne pianificano l’eliminazione in un incontro a Basilea fra le BR e AO, cui partecipano Franceschini e Carlo Fioroni, poi l’idea viene abbandonata.403 Un altro è Francesco Marra,404 infiltrato per conto del generale dei carabinieri Delfino, di cui ci si è già occupati. Il più noto è Silvano Girotto, conosciuto come “frate Mitra”, perché è un ex francescano con un passato da guerrigliero in Bolivia e in Cile, referenze giuste per ottenere credito presso i br. A lui si deve – siamo nel 1974 – a Pinerolo la doppia cattura di Franceschini e Curcio. Come riferito esplicitamente dal generale Dalla Chiesa, per un infiltrato è catturato Peci. Così avviene per Giorgio Semeria, preso alla stazione di Milano; analogamente avviene nel ’79 per la cattura di Gallinari. Silvano Girotto entra nell’organizzazione per volontà di Moretti. La vicenda che presenta qualche ombra di troppo è la cattura dei due br storici.

402  CpiTS, audizione del giudice Ferdinando Imposimato del 24 novembre 1999. 403  Pietro Calogero, Carlo Fumian, Michele Sartori,Terrore Rosso, op. cit., p. 18. 404  Marra, con Alfredo Bonavita, preleva il giudice Sossi per portarlo alla “prigione del popolo”. Il suo nome resta coperto, lo stesso Bonavita non ne parla.

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Questa la ricostruzione. La moglie di un fiancheggiatore br riceve una telefonata, un avvertimento sul rischio dell’appuntamento che avrebbero dovuto avere Franceschini e Curcio con Girotto. Dall’altra parte del cavo telefonico ci sono degli agenti del Mossad, come in seguito riferiranno anche Moretti e Patrizio Peci. La presenza del Servizio segreto israeliano verrebbe motivata dal fatto che in politica estera il Governo italiano stava seguendo la linea filoaraba, come già emerso con il lodo Moro. Pare appunto che da mesi il Mossad cercasse di entrare in contatto con le BR offrendogli supporto di armi e denaro. In questo frangente, come propria referenza, avrebbe fornito quest’avvertimento telefonico. Il giudice Imposimato dà per certa la relazione con il Mossad.405 Entriamo nei dettagli: a Moretti il compito di rintracciare Curcio prima dell’appuntamento con Girotto. Ma arriva un’ora più tardi: i due br sono già stati arrestati. L’arresto di Franceschini e Curcio è un terremoto nelle br, ci pensano e ripensano tantissime volte. Franceschini ha molti dubbi: se Girotto si doveva occupare di un corso di addestramento militare in cui poco alla volta tutti i br avrebbero partecipato, perché anticipare i tempi e arrestare solo due br? Potremmo rispondere per continuare a monitorarli. Qualunque risposta non mitiga l’ambiguità di Moretti che da quel momento prende corpo, anche perché lui stesso fornisce una spiegazione molto lacunosa del suo ritardo. Già in passato vi era stata una frizione interna in relazione alla trattativa per la liberazione del giudice Sossi (Moretti era contrario), tanto che in una riunione a Parma, le BR volevano estrometterlo dal comitato esecutivo.

405  CpiM2, I relazione 2015, audizione del giudice Imposimato del 25 marzo 2015, p. 45.

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Chi vuole propendere per la linea della destabilizzazione che stabilizza qui trova ampio spazio, potremmo quindi pensare che volutamente si sia lasciato Moretti in libertà affinché potesse militarizzare le BR, rapire Moro e dare quell’esito al rapimento. Tuttavia, resta anche aperta l’ipotesi come dire più “umana”, di Moretti risentito perché aveva saputo di voler essere estromesso dalle BR. Franceschini confessa che il dubbio gli fu insinuato dal colloquio con Curcio, due anni dopo alle Carceri Nuove di Torino (quando questi è nuovamente arrestato). Questi sospetti porteranno a un’indagine interna delle BR condotta da Azzolini e Bonisoli, che non darà però alcun esito, come del resto quella del br Giorgio Semeria. Dal canto suo Curcio, nonostante nutra dubbi, giustifica Moretti per un particolare: sapeva che entrambi – lui e Franceschini – erano a Parma a lavorare su alcune carte importanti. Carte trafugate dallo studio milanese di Edgardo Sogno, che riportavano l’elenco (i nomi di militari, magistrati, ufficiali di polizia e carabinieri) degli affiliati al tentativo di golpe bianco predisposto nell’agosto del ’74, con l’intenzione di renderle pubbliche. Al momento della loro cattura l’opuscolo era nella loro auto. Così Curcio: «Qualche anno dopo, al processo di Torino, chiesi al presidente Barbaro di rendere noto il contenuto del fascicolo che si trovava nella mia macchina quando mi arrestarono e lui rispose imbarazzato: “Non si trova più […]. Qualcuno deve averlo trafugato dagli archivi giudiziari”».406 Dalla testimonianza di Franceschini si apprende che, durante l’interrogatorio, il giudice Caselli gli mostra le foto dei suoi incontri con Girotto, foto in cui ci sono Girotto e Moretti contras406  Mario Scialoja, Renato Curcio, A viso aperto, Mondadori, Milano 1993.

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segnato da un cerchietto. Lui risponde di non conoscere Moretti ma Caselli pronuncia una frase allusiva, vale a dire: «Se non lo conosce, almeno si ponga il problema del perché l’operazione è stata fatta quando c’era lei e non quando c’era quella persona».

2.  Il primo motore immobile, che muove senza essere mosso Parafrasando Aristotele, possiamo ritenere ci sia “un primo motore immobile, che muove senza essere mosso”; in questa logica le BR sono “il missile di un motore”.407 Al processo Pazienza dell’85, nella sua deposizione Nara Lazzarini, segretaria di Gelli, riguardo alla mattina del rapimento (16 marzo ’78), testimonia che questi abbia ricevuto all’Hotel Excelsior di Roma due persone a cui avrebbe detto: «Il più è fatto». Molti fili sono emersi, aggiungiamo che si è ipotizzata nelle br la presenza di un uomo dei Servizi, nome in codice “Franco”, studente di legge all’Università di Roma e che i Servizi abbiano una sede coperta del SISDE408non solo in via Gradoli, sopra il bar Olivetti, ma anche in via Caetani 32, in uno degli appartamenti di Palazzo Antici Mattei.

407  La comparazione con Aristotele è dell’autrice, l’espressione “missile di un motore” è di Sergio Flamigni, Dossier Pecorelli, op. cit. 408  Sede individuata per caso nel ’94 a seguito di un’indagine sui fondi neri dello stesso Servizio segreto civile, in uno degli appartamenti del palazzo ha vissuto la figlia di un funzionario del SISDE coinvolto nell’indagine.

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C’è un nome da richiamare, Steve Pieczenik. Ai tempi del sequestro, il nome di questo funzionario del dipartimento di Stato degli Stati Uniti sembra passare inosservato o forse si fa di tutto perché passi inosservato.409 È un superconsulente statunitense del Governo Andreotti. È uno psichiatra, plurilaureato a Cornelle e a Harvard, un esperto di terrorismo internazionale. È vicino al ministro dell’Interno Cossiga, per questo chiamato a gestire “la crisi” interna nata dal sequestro Moro. Chiamato quindi per stabilizzare una situazione destabilizzante. Flamigni accerta l’esistenza in Viminale di un doppio organismo, l’uno ufficiale e l’altro ombra. I membri di quello ufficiale sono: Gelli, Federico D’Amato, responsabile del ministro dell’Interno, e Pieczenik, agente statunitense che lavora per conto di Kissinger, a capo del dipartimento antiterrorismo statunitense. Contemporaneamente D’Amato e Pieczenik fanno parte di entrambi gli organismi. D’Amato ha svolto incarichi a Berna per la CIA Europe. Inoltre le persone scelte da Cossiga per costituire i “comitati di crisi” sono prevalentemente affiliati alla P2.410 Il filo di Arianna conduce alla CIA, al SISMI, ed entrambi alla P2. Pieczenik dirà che tutta la vicenda doveva avere l’esito che ha avuto: «La ragion di Stato ha prevalso sulla vita dell’ostaggio» e ancora «la decisione finale fu presa da Cossiga e presumo da Andreotti».411 Un dato è certo, Cossiga si dimette a

409  Nel novembre 2014 il Procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, ha chiesto ufficialmente alla Procura della Repubblica di procedere formalmente a carico di Pieczenik. Il fatto è preceduto da alcune interviste rilasciate dal consulente; Cfr. Intervista di Gianni Minoli, 30 settembre 2013 per Radio 24. Al 21 aprile 2016 risale quella di Alex Jones. 410  Sergio Flamigni, La tela del ragno, Il delitto Moro, Kaos, Milano 2003. 411  La Stampa, 9 maggio 2008.

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ventiquattro ore dal ritrovamento della salma, riconferma la validità della politica della fermezza e assume su di sé le responsabilità. Così aveva scritto Moro: Mia dolcissima Noretta, […] vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento.412

Non può sottacersi la costante presenza della P2, di Gladio, che tradotto in termini pragmatici significa l’appartenenza dell’affiliato alla loggia. L’adepto ha un vincolo di mandato e di silenzio, dovrà portare fedeltà al giuramento: questo deve essere sempre tenuto presente quando esaminiamo il caso Moro. Ora chiediamoci, si sapeva dov’era la prigione Moro? E chi ne era a conoscenza? In un articolo di OP Pecorelli (17 ottobre ’78) scrive: Il ministro di Polizia sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero […] perché un generale dei carabinieri era andato a riferirglielo nella massima segretezza, il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto, magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso […]. Non se ne fece nulla e Moro fu liquidato […]. Purtroppo il nome del generale CC è noto: Amen.

Come già esposto gli scritti di Pecorelli vanno decriptati. “Il ministro di polizia” è Cossiga, è informato del luogo di prigionia

412  Lettera a Noretta, recapitata il 5 maggio 1978.

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da un generale, chiamato “Amen”, il generale Dalla Chiesa, ma non è dato l’avallo per operare, non gli viene dato dalla “loggia di Cristo in paradiso”, la P2 appunto. Secondo Pecorelli, anche Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva trasmesso la richiesta d’iscrizione alla P2, il fratello Romolo, generale, è già iscritto.413 Si è creata una relazione tra diversi “enti” operanti come un’unica consorteria internazionale mossa dallo stesso fine, di cui sono stati perni centrali Gelli, Calvi, Sindona, Marcinkus – quest’ultimo è un anello portante della catena. Quindi dobbiamo scindere il ruolo del Papa e la sua trattativa personale dal ruolo del Vaticano, che ha giocato nella stessa partita ma con altri giocatori: in pratica si è mosso affinché fosse portata avanti altra trattativa, esattamente contraria a quella del Santo Padre. In conclusione, alla luce dei recenti dati acquisiti, va riscritta – come si sta già facendo – la letteratura sul caso Moro, in merito alla dinamica dell’agguato di via Fani, ai luoghi di detenzione, alle plurime trattative per la liberazione, non escludendo un possibile “passaggio di mano” che spiegherebbe il lungo lasso di ore intercorso nella mattinata tra l’uccisione dello statista e la telefonata di avviso del br Morucci al professor Tritto. In via Caetani, 9 maggio ’78, Roma Il 9 maggio del ’78, avviene il ritrovamento del corpo di Moro. Sono passate le 13, ma l’auto sembra sia lì dal mattino, come dichiara una donna che dice di aver visto un uomo e una donna parcheggiarla e dileguarsi in fretta. Ad aprire il bagagliaio inter413  Si veda, il capitolo iv, il paragrafo 1964, Il Piano “Solo”.

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vengono gli artificieri, aleggia il timore che possa essere stato collegato alle serrature un ordigno esplosivo. Trascorsi alcuni minuti di silenzio irreale, una folla anonima si accalca in quella via rimasta indelebile nella coscienza dei contemporanei e raccontata dai filmati. Si percepisce l’atmosfera carica di tensione, ma molti volti rivelano incredulità, si vedono uomini in divisa, qualcuno porta le mani alla testa, altri scuotono il capo, lesti fotografi che si avvicinano all’auto e scattano una foto che aprirà le prime pagine dei giornali; l’arrivo di Cossiga414. Già dalle 14 la notizia si diffonde. La rivendicazione delle BR avviene alle 12:30. Gli artificieri dichiarano di essere arrivati sul posto un’ora prima della telefonata delle BR, quindi alle 11:30. Cossiga arriva con Spinella e con il tenente colonnello Antonio Cornacchia415 alle 13:30, quest’ultimo dichiara che a quell’ora, la strada era completamente deserta. Il giornalista Rai Franco Alfano, presente al momento dell’apertura del cofano della Renault 4 conferma questa dichiarazione. Il nome Caetani rimbalza. Si può seguire un appunto di Pecorelli, ritrovato dopo la sua morte. Poco prima di essere ucciso, in OP parla di una coppia, la nobildonna Caetani con il marito – che altri non è che Igor Markevič –, e lascia pensare che l’ultima parte della prigionia sia avvenuta in un altro covo, un appartamento di Palazzo Caetani

414  Gianni Minoli, Caso Moro, Mixer, Rai, 1998. 415  Cornacchia è pluriconvolto nella vicenda, in via Gradoli, in via Caetani e nei giorni del rapimento quando occulta la richiesta delle foto segnaletiche di alcuni br aderenti all’Hyperion. Cfr. CpiM2, i relazione 2015, pp. 103, 104.

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o di Palazzo Orsini, lascia intendere che il prigioniero sia stato spostato nella zona del ghetto ebraico.416 Anche in questo caso c’è una tesi e un’antitesi. La tesi ufficiale vuole che il corpo di Moro sia condotto da via Montalcini in via Caetani. Implicitamente intende sia stato percorso un lungo tragitto compiuto di giorno, in una città sorvegliata da posti di blocco con un cadavere nascosto nell’auto. L’antitesi sostiene che l’ostaggio è stato trasferito da vivo in un altro covo. Moro è già morto da due anni quando su un numero di Metropoli dell’80 appare un articolo dal titolo «Oroscopone»; il contenuto è criptico, riferisce particolari situazioni e allude alla presenza all’interno delle BR di un «Russo», un «Gran Signore» che faceva parte delle «carte vecchie» e si trasforma in «Gran Nemico». Per decriptarlo lo si può connettere alle dichiarazioni di Morucci, che per primo ha parlato della presenza nell’organizzazione di un «anfitrione» fiorentino, forse anche proprietario dell’appartamento di Firenze dove avvenivano le riunioni, invitando Moretti chiamato appunto “la Sfinge” a riferire ciò che conosce.417 Inizialmente non si riesce a stabilirne l’identità, perché per errore gli è attribuito il cognome della moglie: si cerca Igor Caetani.418 In un secondo tempo, si accerta sia Igor Markevič. Ucraino con la cittadinanza italiana, ex partigiano, un dato che ancora una volta conginge la Resistenza con gli anni di piombo, sposato con la duchessa Caetani, morto in Francia nell’83.

416  La tesi viene riferita dalla CpiTS, cit., p. 204. 417  Dell’“Anfitrione” si parla nella CpiTS, cit., p. 152 e ssg e p. 167. 418  La prima informativa del SISMI confonde il cognome di Igor con quello della moglie; cfr. CpiTS, cit., p. 162. La vera identità si conosce solo nel maggio ’99.

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Per il giudice Pellegrino, Igor Markevič non è il “grande vecchio” delle BR. Rimbalza ancora. Come emerso, resta ombrosa la modalità di spostamento del cadavere da via Montalcini a via Caetani. All’epoca, il proprietario di Palazzo Caetani – che ospita un Centro Studi frequentato da Senzani – è un ricco americano, Hubert Howard, legato alla colonna fiorentina delle BR. Alcuni anni dopo, durante una ristrutturazione del palazzo, in un appartamento sono ritrovate armi impacchettate con giornali datati 1978. L’appartamento di proprietà del marchese Bernardo Lotteringhi era stato temporaneamente lasciato a Mannucci Benincasa (a capo del SISMI dal ’71 al ’91). L’agente è condannato per il ritrovamento dell’arsenale nascosto nella casa del nobile, dove aveva anche sistemato una centrale telefonica per ricevere le chiamate riferenti le mosse dei br.419 Questo avveniva durante il sequestro Moro. Dopo l’arresto di Senzani, la centrale è smantellata.420

3.  Il corpo di Moro Si sente spesso dire che se il caso non trova soluzione entro le 24 ore, prende altra forma. Sono accertati i granelli di sabbia marina trovati sul telone cerato che copre il corpo, nel risvolto dei pantaloni, sulle suole delle scarpe (proveniente da due luoghi diversi), sui parafan419  Sentenza del Tribunale di Firenze del 23 aprile 1997. 420  CpiTS, cit., p. 170.

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ghi della Renault 4, sul cappotto e sulla giacca del presidente421. C’è salsedine sul colletto della camicia, sui proiettili utilizzati per ucciderlo. C’è una spighetta marina nel risvolto del pantalone, peli di cane, alcuni capelli rossi di donna sull’abito. Secondo Flamigni ci sono indizi che lasciano pensare al litorale di Palidoro-Focene. Nell’immediato si era parlato di sabbia, della costa romana come luogo dell’ultima prigione. Se così è, le BR sono state abilissime nel far credere sia un depistaggio ciò che è vero. Rammentiamo la domanda posta a Maccari proprio sulla sabbia nei pantaloni, a cui risponde che era utilizzata per depistare, presa all’uopo dalla Balzerani. I br hanno dichiarato invece di averlo trattenuto nel ripostiglio ricavato da una stanza dell’appartamento di via Montalcini, una prigione angusta e stretta – sembra quella descritta da Alekos Panagulis, il rivoluzionario compagno di Oriana Fallaci costretto in una cella di tre passi ma il presidente soffre di claustrofobia, prende a malavoglia gli ascensori. Nel luogo soffocante in cui sembra sia detenuto rischia continue crisi. Braghetti dirà che ha avuto una prima crisi respiratoria appena sequestrato, a seguito della quale decidono di tenere aperta la porta dello stanzino. Qui episodicamente è interrogato da uno di loro con il volto coperto, che gli si siede a fianco, come dice sempre la br al processo, sono colloqui di circa un’ora. E così trascorrono i 55 giorni. Moro piange, legge, scrive, ascolta la messa registrata e come rivela il racconto del corpo, fuma422. Così fino alla decisione di ucciderlo. 421  Paolo Cucchiarelli, Morte di un presidente, Ponte alle Grazie, Milano 2016. 422  L’autopsia accerta la presenza di dosi di nicotina che per quantità superano quelle riscontrabili in un fumatore incallito.

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Le BR raccontano che Moro non sa vogliano ucciderlo e non vede chi lo uccide. Nell’intervista a Zavoli Moretti racconta di aver pronunciato un reverente: «Salga presidente, si accomodi», di aver fatto rannicchiare l’eccellente ostaggio nel vano dei bagagli della Renault 4, di averlo coperto e di aver aperto il fuoco, con una mitraglietta Skorpion con silenziatore. L’esecuzione sembra perfettamente eseguita, lo credono morto, ma il corpo del presidente si muove ancora, bisogna intervenire con un colpo finale, saranno due colpi esplosi da una pistola Walther PPK. Gli spari dovrebbero averlo raggiunto all’improvviso perché il volto ha i tratti sereni. Questo darebbe ragione ai br, non sa che vogliono ucciderlo perché gli è stato chiesto di indossare gli abiti della mattina del sequestro, potrebbero averlo informato di un trasferimento di prigione. Al processo la Braghetti aggiunge che uscendo dalla casa li saluta e che viene ucciso dove e come viene ritrovato, ovvero nel portabagagli della Renault 4, e condotto in via Caetani. Nell’immediato come suo giustiziere si autoaccusa Gallinari, seguito da Moretti, infine si accredita la versione che dà la responsabilità a Maccari. I br riferiscono che sono le 6:00 del mattino, la perizia del ’78 indicherà tra le 9:00 e le 10:00, Pecorelli riferiva le 4:30 del mattino. Recenti studi propendono a confermare la data del decesso alle 4:30423. Dal primo racconto br i percorsi narrativi si dividono in più sentieri. Nel tempo, oggetto di esame sono state la modalità 423  Cfr. perizia balistica di Gianluca Bordin e Alberto Bellocco, cit.

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dell’esecuzione, la posizione di Moro nell’auto, il luogo in cui è avvenuta e recentemente il numero dei colpi inferti. Una tesi sostiene che il presidente sia stato fatto accomodare sul sedile posteriore e che sia stato colpito dal passeggero seduto accanto al guidatore424. Una frazione di secondi in cui Moro potrebbe essersi reso conto che sta per essere colpito e in un istintivo tentativo di autodifesa possa aver alzato la mano sinistra, che resta ferita. Anche la destra è insanguinata, lasciando pensare possa averle alzate entrambe. Poi – commesso l’omicidio – il corpo viene posizionato nel modo in cui le drammatiche foto raccontano. Quest’ipotesi si motiva con la spiegazione che se fosse stato ucciso sdraiato, i bossoli sparati sarebbero caduti tutti fuori e non all’interno dell’auto. Una nuova tesi – risultato della perizia dei RIS, Reparto investigativo scientifico dei carabinieri425 – ritiene che il presidente sia «seduto sul pianale, sopra la coperta, con il busto eretto e le spalle rivolte verso l’interno dell’abitacolo, il portellone aperto» colpito con una serie di tre spari, da due armi differenti. I colpi – nel numero di 12 – sarebbero stati sparati in tre sequenze distinte: l’iniziale con tre colpi diretti al torace, la successiva in cui è raggiunto da un’altra raffica con la mitraglietta Skorpion, la finale, colpito a morte da due ultimi spari con la pistola Walther PPK/S e di nuovo la Skorpion. Un chiarimento riguardo il numero di colpi inferti a Moro, 424  Il perito balistico Gianluca Bordin e il medico legale Alberto Bellocco hanno effettuato un lavoro scientifico sulla salma, su richiesta del giornalista Paolo Cucchiarelli. La perizia balistica è acquisita dalla Camera dei Deputati il 15-06- 2016 Doc. N. 673/1. In questa perizia si ritiene che i colpi possano essere stati 12, che un colpo possa essere rimasto nel corpo di Moro. 425  Audizione del colonnello dei RIS Luigi Ripani, 22 febbraio 2017, in CpiM2.

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non più 11 come finora indicato dalla letteratura storica e giornalistica e dagli stessi atti ufficiali (indagini giudiziarie e indagini delle Commissioni d’inchiesta) preesistenti ma 12426. Premettendo che ogni contributo è inteso come un tassello di ricerca perché il senso ultimo non è il raggiungimento della “verità assoluta” inesistente in senso ontologico, né la manichea differenziazione tra verità e bugia, né la divisione del mondo fra buoni e cattivi ma ricostruire quanto accaduto nella primavera ’78, nel tempo i br hanno affermato che i colpi sono stati nel numero di 3, 5, 7, 9. Ora, riflettendo, sembra comprensibile che chi spari non abbia la prontezza di sapere il numero dei colpi inferti, inoltre, se il numero dei colpi serve unicamente a dimostrare la falsità delle dichiarazioni br, questo risultato può ottenersi sia che i colpi siano stati 11 sia 12.

4.  Il grande giovane vecchio Aveva scritto Giorgio Bocca sulla Repubblica:427 «Chi dirige le BR è uno che conosce bene dal di dentro il funzionamento dello Stato». Nell’intervista a Marco Affatigato sul Secolo xix si legge che 426  Riguardo la CpiM2, né la prima Relazione del 10 dicembre 2015 né la seconda del 20 dicembre 2016 menzionano il numero di colpi. Il presente libro completa la sua ricerca nel marzo 2017, si vedrà nei prossimi mesi se ci saranno sviluppi –dato che la Commissione è stata prorogata (dall’art. 12-bis del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210) fino alla fine della xvii Legislatura. 427  La Repubblica, 31 marzo 1978.

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il “grande vecchio” del terrorismo rosso è un nero, è l’ordinovista Clemente Graziani, latitante a Londra. Nella sua dichiarazione si legge anche che i vertici di Ordine nuovo sapevano tutto del rapimento di Moro.428 Il “grande vecchio”, appunto. Un altro rompicapo. Il primo ad adombrarne l’esistenza è Bettino Craxi, che sul Tempo lascia andare la frase sul deus ex machina delle BR che andava cercato «tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi […]. Certo, molti di loro avranno smesso, qualcuno sarà anche morto. Però, dico, ci sarà pure chi ha continuato a lavorare nella clandestinità. Magari sarà oggi a Parigi a lavorare per il partito armato». Un dire generico o un riferire preciso di qualcuno e di qualcosa? Non sfugge la frase sibillina a Lotta continua che lo invita a fare il nome, aggiunge a chiare lettere che il profilo tracciato corrisponde a Corrado Simioni, quindi, all’Hyperion. È questo un nome che pubblicamente affiora nel ’79, torna nell’80 e poi riscompare. Di nuovo mistero e silenzio. Le prime informazioni sull’Hyperion risalgono al ’74, compare nell’intervista sul settimanale Il Mondo rilasciata da Andreotti.429 Guido Giannettini lo identifica come un “centro rivoluzionario”. In un suo articolo (del 12 aprile ’80), il giornalista Passalacqua si pone il quesito su chi fosse sopra Moretti, chi i veri comandanti delle BR. Si riparte dal “grande vecchio”, dove “vecchio” viene da chiedersi se si riferisca o meno all’età anagrafica.

428  Marco Nozza, op. cit., p. 217. 429  Massimo Caprara, «Andreotti: questa è la verità», in Il Mondo, 20 giugno 1974. Nel corso dell’intervista, fra l’altro, Andreotti prende esplicitamente le distanze da Giannettini.

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Simioni è quindi un vecchio? Il grande vecchio in questione? Nell’80 ha superato i quarant’anni, ma non può definirsi “vecchio”. La sua biografia potrebbe fornire più di un indizio.430 Ha origini venete, esordisce come militante del PSI, da cui è espulso con la generica accusa di “condotta immorale”, in tempi recenti Franceschini dirà per storie di donne. I socialisti lo ricordano per il legame con Craxi e per il feroce anticomunismo. Si occupa di attività culturali promosse dallo United States Information Service (USIS), si trasferisce a Monaco, sembra aver lasciato la politica per la teologia ma i ben informati riferiscono lavori alla radio Europa libera della CIA, che trasmette nei Paesi dell’Est. Torna in Italia e, in barba all’anticomunismo che professa, milita in Falce e martello, gruppo nato prima della contestazione sessantottina, che negli anni diventa marxista-leninista; qui frequenta i circoli maoisti ed è fra i fondatori del CPM di Milano, l’organizzazione anticamera delle BR, che diventa Sinistra proletaria e poi Nuova resistenza. Alla stagione monacense segue quella elvetica, da Berna torna a Milano. Berna è la sede anticomunista per eccellenza, che diventa il centro internazionale dei movimenti maoisti. In quel periodo alla sede di Lotta continua perviene un elenco di agenti CIA in cui compare proprio il suo nome. Doveroso rammentare che all’epoca chiunque fosse antipatico era apostrofato “come uno della CIA o del KGB”, ma nei fatti, Simioni è antipatico a molti, perché non ha comportamenti da compagno, ha molti soldi e gira con automobili di lusso. A Franceschini sono antipatici altri a lui vicini, come Duccio Berio e Vanni Mulinaris,431 ma proprio lui lo soprannomi430  Marco Nozza, op. cit., p. 151. 431  Riguardo Mulinaris e Berio, il primo non si è presentato alla richiesta

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na “Ingles” come il personaggio, interpretato da Marlon Brando in un film di Gillo Pontecorvo, che arruffa il popolo e poi fa sedare nel sangue la rivolta. Simioni piace invece a Moretti. Quando in Italia affiora il nome dell’Hyperion, Fabio Isman del Messaggero si reca a Parigi – dove si è trasferito – per intervistarlo; l’intervista è estesa anche a Berio e Mulinaris. I tre dichiarano di non aver rapporti con Negri, nonostante il professore insegni all’Università di Parigi, e di non percepire nulla per l’attività di insegnanti all’Hyperion.432 Le informazioni sono riportate anche in un rapporto della polizia di Roma (del primo gennaio dell’80), come dato trasmesso dalla polizia francese. Stranamente, il tenore di vita dei tre docenti appare elevato. Risulta inoltre che alla scuola di lingue arrivino dei proventi, tra cui una fideiussione di venti milioni di lire, accreditati a una banca di Parigi, da un imprenditore, Cesare Rancilio, il cui fratello Augusto tempo prima era stato rapito dalla ’ndrangheta calabrese.433 Simioni presenta la scuola come una cooperativa, con scioltezza racconta il suo passato politico nel Collettivo, l’incontro allo Stella Maris di Chiavari (dicembre ’69) che sancisce la scollatura con il gruppo, spiega la scelta della “non violenza”, che ha comportato il suo trasferimento parigino, l’istituzione della scuola e i tanti interessi pacifisti. Da allora, il suo di audizione della CpiM2, il secondo – nell’audizione del 28 ottobre 2015, p. 72 – ha riferito che l’Hyperion non ha avuto sedi Roma, e che la scuola non aveva contatti con Negri, pp. 73-74. Berio esclude la presenza di Negri, all’Hyperion «non ha mai messo piede», «sul piano politico era veramente un’altra cappella». 432  Recentemente il giornalista Fabio Isman – intervistatore dei componenti del Super-clan – recentemente alla CpiM2 dirà di non aver tratto conclusioni certe su una possibile attività occulta della scuola parigina. 433  Marco Nozza, op. cit., p. 150.

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nome si eclissa di nuovo; muore in Francia, nella sua villa circondata da guardie armate nel cuore della campagna.434

5. L’Hyperion Il nome Hyperion appare e svanisce. Cos’è veramente questa scuola di lingue in Quai de la Tournelle 27 a Parigi, situata di fronte a Notre-Dame? Una scuola molto nota e ben frequentata nella patria di Hugo. Qui pare insegnino Berio, Mulinaris e Simioni. Fra i fondatori anche padre Morlion, di cui ci si è già occupati. Ripartiamo dalla svolta delle BR, dalla decisione di entrare nella lotta armata, anzi di uccidere. Richiamiamo alcuni fatti già emersi. Il 17 giugno del ’74, nella sede del MSI di Padova sono uccisi due militanti missini. L’omicidio dei due giovani è il primo dell’organizzazione, determina un contrasto politico interno, fra i contrari, Curcio, e i favorevoli come Simioni.435 Come riferito da Curcio, nell’estate del ’70 al convegno di Pecorile – che sigla l’atto di fondazione delle BR –, Simioni si distingue per il suo radicalismo ideologico e per il convincimento che l’organizzazione da subito dovesse essere armata. È messo in minoranza. Tuttavia, immediatamente, insieme

434  Ivi, p. 155. 435  Considerando che agli interrogatori br partecipi un uomo di cultura e dal momento che Maccari, ritenuto il “quarto uomo”(anche per sua ammissione), non corrisponde a questo alto profilo, per Flamigni “il quarto uomo” è Simioni.

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a Berio, Mulinaris, Gallinari, Moretti, fonda un nuovo nucleo: è il Super-clan, probabile abbreviazione di super-clandestini. Ha un compito pragmatico: occuparsi dell’infiltrazione dei gruppi dell’ultrasinistra per guidarne i movimenti e organizzare rapine a mano armata. Sembra esattamente il contrario di quanto Simioni abbia dichiarato. Si annota un’altra evoluzione interna, Gallinari e Moretti rientrano nelle BR, Simioni e gli altri restano al Super-clan, si trasferiscono a Parigi dove nel ’76 aprono la scuola di lingue Hyperion. Nel frattempo, in Italia il terrore rosso avanza. Il giudice Calogero sta avviando l’indagine su Autonomia, indaga su Negri, sulle sue relazioni con Curcio, e arriva a Parigi, arriva all’Hyperion. Ma il percorso investigativo è bruscamente interrotto. Aveva avviato un canale informativo con i Servizi francesi, scoprendo che la scuola risulta essere la copertura di una centrale anticomunista della CIA, che informa e controlla l’espansione comunista in Europa.436 Una centrale internazionale del terrorismo che tiene i contatti e i rapporti internazionali con i gruppi sovversivi, uno snodo nevralgico del traffico d’armi, noto ai Servizi. Come emerso, il SISDE nella persona del generale –piduista – Grassini ostacola l’indagine. Si era già a un punto di volta, ma Grassini telefona ai Servizi francesi per chiedere informazioni sull’utenza coperta. Le indagini sull’ Hyperion si bloccano. Lo stesso accade per l’inchiesta 7 aprile ’79, per intenderci quella su Autonomia. Lo stesso accadde per l’inchiesta 7 aprile ’79, per intenderci quella su Autonomia.437 Si verifica un’altra circostanza: simultaneamente, il Corriere della Sera

436  Sulla vicenda Hyperion anche il capitolo vi paragrafo 7. 437 CpiM2, i relazione 2015, audizione del giudice Piero Calogero 11 novembre 2015, p. 161, proseguita in seduta segreta.

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pubblica un articolo in cui riferisce lo stato dell’indagine in corso, nel gergo equivale a “bruciare la notizia” che sembra abbia ricevuto da una mano segreta – la mano qualcuno dei Servizi – che la passa al giornalista Paolo Graldi.438 Il rapporto redatto dalla polizia (6 marzo ’79) riferisce del presunto legame tra Negri e l’Hyperion, e della sospensione delle indagini a seguito dell’articolo del Corriere della Sera apparso in prima pagina con questo titolo: «Secondo i Servizi segreti era a Parigi il quartier generale delle Brigate rosse» (24 aprile ’79), che rivela l’esistenza dell’inchiesta. Le autorità francesi decidono di sospendere la collaborazione con l’Italia. Le conoscenze sull’attività dell’Hyperion s’interrompono, questo nome s’inabissa di nuovo. Le notizie del Super-clan cominciano a filtrare anche dall’interno delle BR dopo le confessioni dei br pentiti Galati e Marina Bono.439 Nelle prime indagini e negli anni successivi il profilo di Mulinaris – coinvolto nel traffico d’armi con l’estero – e Simioni è confuso con quelli di alcuni br storici. Savasta dirà di non sapere cosa fosse veramente la scuola, né di conoscere i nomi dei compagni francesi, ma di essere a conoscenza dei viaggi in Francia di Moretti con la Balzerani e con i passaporti falsi, come del traffico d’armi che da lì transita. Secondo Pace, invece, la scuola parigina è legata alla sinistra socialista francese. D’altronde, come emerso, molti br fuoriusciti godono di appoggi oltralpe. Una rete protetta ha consentito a molti terroristi di fuoriuscire, espatriare in Francia, e la centrale operativa è l’Hyperion, ma oggi è accertata anche la presenza di un covo br nella capitale francese. 438  Marco Nozza, op. cit., p. 150. 439  Ivi, pp. 173, 177.

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Si ritorna al nodo iniziale che non si riesce a sciogliere. Moretti e Balzerani hanno rapporti con questa scuola, da cui consegue la relazione: Moretti-Hyperion-Servizi. Questo confermerebbe le preoccupazioni di Curcio e di altri br su Moretti, che risulta altresì vicino a molte attività terroristiche internazionali, a ETA e alla RAF, a sua volta vicina alla STASI della DDR. L’Hyperion è conosciuta anche con altri nomi in codice: il generico “la ditta” (è questo un termine usato anche per indicare altre organizzazioni eversive che fanno capo ai golpe di Borghese, alla Rosa dei venti, alla CIA) e le “zie rosse”: questa è un’espressione precisa, così spiega Gallinari – che per molti non è mai uscito dal Super-clan –, nata nel ’72 per esaltare la presenza nel gruppo di donne determinate come la Cagol.440 Andiamo alle recenti acquisizioni. La missione londinese del nucleo di De Sena, come emerso, è bruscamente interrotta: vuoi per il disinteresse degli inglesi al terrorismo rosso, che implicitamente spiegherebbe la ragione per cui la situazione prenda questa piega,441 vuoi, come indica il giudice Calogero,442 per l’interferenza del Corriere della Sera, con l’articolo di Paolo Graldi. La collaborazione con i Servizi cessa improvvisamente.443 440 Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli, Bompiani, Milano 2008, p. 78. 441 CpiM2, ii Relazione, Audizione di Ansoino Andreassi, 21 gennaio 2016, p. 27. Spiega i rapporti fra BR e RAF da leggersi nell’ottica antiNATO. 442  CpiM2, I Relazione 2015. Audizione 11 novembre 2015, p. 55. 443  L’articolo citato è pubblicato sul Corriere della Sera il 24 aprile 1979. Durante la sua audizione (il 2 dicembre 2015) il giornalista Paolo Graldi smentisce che questa situazione sia stata causata dal suo articolo, riferisce di non conoscere Silvano Russomanno vicedirettore SISDE, anzi sostiene

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L’indagine aveva portato a individuare l’esistenza di quattro sedi della nota scuola, a Parigi, Bruxelles, Londra e Roma. Il canale con l’Italia è rimasto attivo nei giorni del rapimento di Moro, le sedi italiane della scuola francese, nella capitale erano in via Nicotera e in via Angelico, sono tempestivamente aperte e chiuse. Le “coincidenze” in queste vicende sono sempre sorprendenti. In ultimo aggiungiamo le recentissime dichiarazioni del br Franceschini sulla scuola parigina e su Moretti. Sulla scuola.444 Torna su una frase chiave di Paolo Inzerilli, generale per quasi quindici anni a capo della Gladio italiana, che parla dell’Hyperion come di «una camera di compensazione fra i Servizi», «una specie di parlamento dei Servizi», al cui interno quindi ci sono francesi, inglesi, israeliani, palestinesi eccetera. Nel racconto di quel passato, il br riferisce il loro smarrimento, suo e di Curcio, alla morte di Feltrinelli, quando si sentono come «gattini ciechi», giacché era l’editore a occuparsi delle relazioni esterne e con l’estero, ecco perché subentra Simioni, che godeva invece di conoscenze e di una rete di relazioni; questo – aggiungiamo – l’avrebbe reso più addentrato e più insidioso.445 Il ruolo di Simioni è sempre più magmatico. Sem-

che scrivere di aver appreso una notizia da una fonte dei Servizi garantiva la copertura della reale provenienza dell’informazione. La sua audizione è contrastante a quella di De Sena – ascoltato dal giudice Carlo Mastelloni il 26 febbraio 1983 – e da quella del giudice Calogero. CpiM2 op. cit., p. 54. 444 CpiM2, ii Relazione 2016, audizione di Alberto Franceschini, 27 ottobre 2016, ancora inconclusa, p. 113 e ssg. e più volte richiamato nel corso della relazione. Il processo a carico dei dirigenti Hyperion si conclude nel ’90 con la loro assoluzione; per questo Mulinaris non accetta di deporre per la nuova Commissione presieduta da Fioroni. 445  Identiche considerazioni si leggono in: De Prospo, Rosario Priore, Chi

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pre Franceschini racconta che nel ’74 è affidato alla Cagol l’incarico di consegnare dei questionari compilati da militanti vicini alle BR, pronti a farne parte, a Roberto Diotti. Questi è un ex partigiano riparato in Cecoslovacchia per sfuggire all’accusa di aver partecipato all’uccisione di un dirigente Fiat. Ma quando il 2 maggio di quell’anno alcuni br entrano nella sede del Centro resistenza democratica con l’intenzione di trafugarne i documenti – è questo un centro legato ai Servizi americani e inglesi, di cui è promotore Edgardo Sogno, l’ex partigiano bianco estensore proprio del fallito golpe dell’estate del ’74 –, trovano il testo del necrologio di Diotti, fatto pubblicare dagli esponenti del Centro proprio per volere di Sogno. Ricapitolando, Simioni del Super-clan affida l’incarico alla Cagol, che è una br, di portare l’elenco nominativo di possibili militanti delle BR, corredato di questionario, a un uomo legato al golpista Edgardo Sogno. Ancora strane “coincidenze”!446 Su Moretti. Franceschini lo considera molto più di una spia, è «un uomo di Simioni».447 Ovviamente il br Moretti ha dato la sua versione, già emersa. In questo quadro il Super-clan è sempre più qualcosa di sordido. Aggiungiamo che non risultano a suo carico azioni dimostrative e violente, quindi in questo modo si è preservato dai controlli. Sulla sua modalità operativa è difficile rispondere. È articolato in più cellule funzionanti, ognuna con un capocellula, più cellule formano una colonna.448 Ha contatti con gli altri gruppi terroristici, RAF, IRA, ETA, FPLP. Presumibil-

manovrava le Brigate Rosse?, Storia e misteri dell’Hyperion di Parigi, Scuola di lingue e centrale del terrorismo internazionale, Ponte Alle Grazie, Firenze 2011. 446  Il testo del necrologio lo pubblica Sergio Flamigni in La Sfinge, p. 130. 447  Alberto Franceschini, Giovanni Fasanella, Cosa sono le BR…, p. 54. 448  S. Flamigni La Sfinge, pp. 88, 89.

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mente rappresenta la testa dell’intero progetto rivoluzionario, ha avuto la funzione di infiltrare ed esfiltrare i propri esponenti nelle strutture legali. Rappresenta la testa delle BR, perciò dei singoli esponenti. Di fatto, Simioni, Mulinaris, Berio, Franco Troiano, Francoise Tuscher, Innocente Salvoni si sono ritirati per essere richiamati al momento di un vero bisogno.449 Per Franceschini questi sono tutti uomini dell’Hyperion come Moretti, Maurizio Ferrari e Gallinari. Sono accertate le frequentazioni a Parigi di Moretti e Senzani con l’Hyperion, con il suo referente nella capitale francese Jean-Louis Badet. Di nuovo si sottolinea che la sede italiana è attiva durante il sequestro Moro.450 Recentemente sono emersi altri centri studio a Milano, Genova Nervi, Venezia Mestre e che, analogamente, il Super-clan è stato impegnato nella promozione e vendita di riviste come: Ordine pubblico, Riforma dello Stato, Nuova riforma della Polizia, Notiziario Finanze e Tesoro,451 diciamo, non esattamente coerenti con il suo “progetto rivoluzionario”. Ancora strane coincidenze!

6.  Le derive, il “paradiso disabitato” Alla resa dei conti, il partito non salva il suo presidente, le BR emettono un giudizio di condanna a morte, avviandosi con questa decisione a iniziare un autodistruttivo percorso a ritroso, perdendo l’aura di purezza con cui avrebbero voluto con449  S. Flamigni La Sfinge p. 127. 450  Ord. Sent. del giudice Mastelloni; CpiM2, op. cit., p. 128. 451  CpiM2, op. cit., p. 121.

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traddistinguersi. Rivelano un apparato contrastante a quello consegnato alla fantasia popolare, emerge un organismo strutturalmente non compatto e ideologicamente percorso da conflittualità e ambizioni di potere che ne hanno determinato la parabola discendente. Moro è stato ucciso da undici (o dodici) colpi al cuore che assumono la connotazione di paradigma interpretativo della convergenza di interessi alla sua morte. Ci siamo avvicinati all’intelligenza criminosa occulta, al primo motore immobile, a quel deus ex machina. Potremmo ancora chiederci: a chi poteva convenire che Aldo Moro rimanesse in vita? Alle BR giovava più da morto o da vivo? Quesiti che trovano soluzione rispondendo a un’altra domanda: chi era Aldo Moro? Valutando il suo progetto per l’Italia in qualità di ideatore di un disegno politico pacificatore. Si è già esaminata la precedente situazione politica e i rapporti fra la DC e il PCI che hanno portato a maturare il progetto del compromesso storico; ci si chiede, quindi, se e quanto si temeva avrebbe cambiato i rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione Sovietica. Nel novembre del ’79, Berlinguer annuncia la fine del compromesso storico e con esso si conclude una lunga stagione politica. Dal canto suo Moretti ha sempre sostenuto la positività ideale dell’azione armata br, sebbene conclusasi in aberrazione, rifiutato l’accusa della presenza di manovre esterne, di se stesso come un manovratore manovrato, non escluso che la loggia P2 trasversalmente abbia attraversato tutte le istituzioni dello Stato, attribuito ai Servizi segreti piduisti il comunicato n. 7. Oggi potremmo ancora intrattenerci sul tema dei differenti trattamenti carcerari dei br, perché un’elementare comparazione della lettura dei profili e delle pene – ovviamente andrebbe342

ro considerate le singole posizioni e le gradualità di colpe – porta a valutare che il pluriomicida Moretti sconta venti anni di carcere quasi come Franceschini, che non ha mai sparato. L’impressione che si ricava è che in virtù del concetto di “responsabilità politica”, alcuni abbiano pagato anche per altri. La logica della “ragion di Stato” ha prevalso anche nella lotta armata. Così Zavoli a Franceschini: «Era nelle premesse che fallisse?». Lui risponde: «Sì, era nelle premesse, il terrorismo è socialmente sconfitto, può essere politicamente utilizzato».452 Nei giorni del sequestro, in riferimento alle BR, Umberto Eco scrive che nel loro ragionamento non vi è delirio, ma ingenuità. «Ingenuo» il loro voler «colpire al cuore dello Stato», che rimanda a una nozione ottocentesca di Stato e che sottintende la convinzione «ingenua» che il nemico abbia un cuore. Il terrorismo non è, come si propone nelle sue teorie, «nemico dei sistemi», ma la «controparte naturale». Le BR devono riconoscere che stanno recitando un copione già scritto dai loro presunti nemici, […] rispondono con un romanzo d’appendice ottocentesco fatto di vendicatori e giustizieri bravi ed efficienti come il conte di Montecristo. Sfortunato allora quel popolo che si trova tra i piedi gli eroi, specie se costoro pensano ancora in termini religiosi e coinvolgono il popolo nella loro sanguinosa scalata a un paradiso disabitato.453

452  Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Nuova Eri-Mondadori, Roma 1992, intervista a Franceschini. 453 Umberto Eco, «La sanguinosa scalata a un paradiso disabitato», in La Repubblica, 29 marzo 1978, pp. 1, 2.

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7.  Si riparte dal Sud Come spiega il giornalista d’inchiesta Nozza, ci sono due categorie di esecuzione, quelle ragionate e quelle casuali. Non sono casuali il rapimento di Ciro Cirillo e quello di James Lee Dozier. È cambiato qualcosa nella strategia delle BR, che centrano le loro azioni nel Mezzogiorno: il 27 aprile dell’81 un commando capeggiato da Senzani rapisce dal garage della sua casa di Torre del Greco Ciro Cirillo.454 Negli 89 giorni del sequestro, il Governo dichiara di non trattare, ma il rapimento si conclude con il rilascio del prigioniero. La cronaca del tempo ricorda che quell’anno la Campania è devastata da un terribile terremoto e a curarne la ricostruzione è chiamato l’assessore all’Urbanistica della Regione Campania, Cirillo. Il sequestro è una matassa aggrovigliata di cui s’intravedono i bandoli, i vertici della DC, i Servizi e la camorra, perché questo è il territorio della camorra di Cutolo. I Servizi si rivolgono alla Camorra per avviare una trattativa di rilascio, i br contrattano con i familiari del sequestrato sul prezzo del riscatto, a occuparsi della trattativa è Senzani. I rapporti fra Senzani e i

454  Cirillo è legato ad Antonio Gava, potente democristiano, a capo della segreteria del partito. Un rapimento rivendicato dal Comunicato n. 1, fatto ritrovare con una telefonata al Mattino di Napoli, rilasciato, viene fatto ritrovare nella zona di Casoria il 24 luglio ’81.

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Servizi deviati sono confermati dall’ex questore Arrigo Molinari.455 Il negoziato ha esito positivo, Cirillo viene liberato. La somma del riscatto è ingente, un miliardo e quattrocentocinquanta milioni di lire, pagato dalla famiglia e da chi altro? La famiglia riferirà che il denaro era personale (il contributo di amici non precisati). L’istruttoria del giudice Carlo Alemi ritiene vi sia una regia politica voluta dai vertici della DC, che ha coinvolto i costruttori napoletani. Il denaro potrebbe essere stato dato dalla famiglia, dagli amici di partito e dai costruttori che sarebbero stati ricompensati con gli appalti della ricostruzione del dopo terremoto. A questo “teorema” si giunge tramite le rivelazioni di Moretti e dei br della colonna napoletana arrestati. Si ritiene vi sia stata una trattativa parallela, tenuta nascosta alla magistratura, e un doppio riscatto, una somma aggiuntiva destinata a Cutolo. Il riscatto sarebbe stato di due miliardi di lire. Tesi confermata anche da un pentito della Banda della Magliana.456 Il “teorema Alemi” è sconfessato da Gava, dai vertici della DC che, smentendo il coinvolgimento della Camorra, ribadiscono di aver perseguito la linea della fermezza. Il ministro dell’Interno Virginio Rognoni457 dichiara al Parlamento che il versamento della somma è attribuibile interamente alla famiglia del sequestrato.

455  CpiTS cit. 456  Il giudice istruttore a Napoli fra il ’79 e l’83 è Carlo Alemi, sua la ricostruzione della dinamica del caso Cirillo. Il pentito della Banda della Magliana è Claudio Sicilia. Cutolo, condannato per “falso e tentata estorsione ai danni della dc”, è stato assolto nel ’93. 457  La dichiarazione di Virginio Rognoni alla Camera dei deputati è del 23 marzo ’82, quella di Ciriaco De Mita tenuta in Senato è del 3 agosto ’88. In La Storia siamo noi. Il caso Cirillo. La trattativa.

345

I segni sulla vicenda restano dentro la DC e le BR, come lavare l’onta di aver spartito i soldi con la camorra?458

8.  La carceriera legge Diabolik Nel Natale dell’81 c’è aria di crisi, il progetto rivoluzionario rosso sta per implodere. La sfiducia aleggia, c’è sempre meno convinzione e più rabbia cattiva, sono sfilacciati i legami con la rete internazionale, al cui riguardo potremmo citare – secondo la testimonianza del pentito br Savasta – i legami di Moretti con l’OLP risalenti alla fine del ’78 (immutati sino al suo arresto del 4 aprile ’81), raggiunti mediante la rete dell’Hyperion. La partita prevedeva – per le BR – la possibilità di addestramento presso i loro campi in Libano e l’aiuto per garantire la fuga dei br dall’Italia, invece come contropartita l’OLP chiedeva un supporto per gli attentati contro Israele. Questo potrebbe contestualizzare il rapimento del generale Dozier – deciso dalla direzione strategica a Padova nell’ottobre dell’81 e realizzato a dicembre – nato nell’ambito della campagna terroristica anti-NATO, che richiedeva un accordo delle BR con l’OLP e la RAF. 458  Nell’immediato, Cirillo è convinto dal partito a firmare le dimissioni per impedire si possano innescare situazioni compromettenti. Appena qualche anno dopo i fatti, quando nell’88 Alemi deposita i risultati dell’indagine, l’opposizione parlamentare chiede le dimissioni di Gava, nel frattempo divenuto ministro dell’Interno, al Senato Ciriaco De Mita ribadisce l’estraneità delle istituzioni, e, in riferimento ad Alemi, parla di «opinioni indebitamente espresse».

346

Prende forma il rapimento del generale texano James Lee Dozier, contestualmente i resti di PL stanno pianificando l’evasione (del 3 gennaio ’82) delle detenute, fra cui Susanna Ronconi, dal carcere di Rovigo; in tutto il nuovo gruppo armato di Segio conta cinque uomini, poi saliti a otto. Con un po’ d’impegno, nell’ambiente degli autonomi veneti, riesce a recuperare l’esplosivo utile all’operazione. Il 17 dicembre ’81, i br veneti, con le tute da idraulico, prelevano direttamente in casa il generale che rinchiudono in un baule. La direzione strategica è a Padova – dove il prigioniero è trattenuto per 42 giorni in un appartamento di via Pindemonte della br Emanuela Frascella – ma è da Verona che procede l’operazione. I giorni passano, la carceriera ascolta in cuffia musica rock, legge i fumetti, legge Diabolik e ogni tanto il prigioniero è interrogato da Savasta, i br per la liberazione hanno in mente una richiesta di scambio di terroristi italiani o dell’OLP o della RAF, ma non l’hanno messa a punto. All’improvviso è arrestato Michele Galati, che collabora subito. Tutto accelera: la polizia irrompe nel covo patavino, arresta – fra gli altri br – Savasta e Frascella. L’operazione Dozier è così conclusa il 28 gennaio ’82. Inarrestabile la caduta del brigatismo. Il 23 ottobre ’88, dal carcere di Rebibbia a Roma, i terroristi inviano alla stampa, a firma degli irriducibili, Gallinari, Seghetti e altri br, un documento in cui dichiarano: La lotta armata contro lo Stato è finita. Le statistiche riferiscono il numero degli attentati: nel ’69 sono 398, nel ’79 sono 2.513, nell’87 scendono a 8.

347

SIGLE di organismi/ organizzazioni/ partiti

AN Avanguardia Nazionale AO Autonomia Organizzata BR Brigate Rosse BR PG Brigate Rosse Partito della Guerriglia BR UCC Brigate Rosse Unità Comuniste Combattenti COCORI Comitati Comunisti Rivoluzionari CPV Collettivi Politici Veneti DC Democrazia Cristiana FAI Federazione anarchici italiani FCC Fronte Comunisti Combattenti FN, Fronte Nazionale FPLP Fronte Popolare Liberazione Palestina LAPP Lotta Armata Potere Proletario MAR Movimento Azione Rivoluzionaria MSI Movimento Sociale Italiano NAP Nuclei Armati Proletari NAR Nuclei Armati Rivoluzionari ON Ordine Nuovo OP Osservatorio Politico 349

P L Prima linea P2 Propaganda 2. PAC Proletari Armati Comunismo PCI Partito Comunista Italiano PCO Proletari Comunisti PDIUM Partito Democratico di Unità Monarchica PLI Partito Liberale Italiano POT-Op Potere Operaio PRI Partito Repubblicano Italiano PSDI Partito Social Democratico Italiano PSI Partito Socialista Italiano RAF Rote Armee Fraktion, Gruppo guerriglia urbana antimperialista RAP Ronde Armate Proletarie REI Ricerca Economica Industriale RSI Repubblica Sociale Italiana SAM Squadre Azione Mussolini SDCE Servizio segreto francese SID Servizio Informazioni Difesa SIFAR Servizio Informazioni Forze Armate UAARR Ufficio Affari Riservati

350

Abbreviazioni delle Commissioni parlamentari d’inchiesta/ Tribunale di Milano

CpiTS, Commissione parlamentare d’inchiesta “Sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabili delle stragi” CpiM1, Commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 1” CpiM2, Commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 2” CpiP2 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla “Loggia Propaganda 2” Sent. Ord., Sentenza Ordinanza TriMi, Tribunale Milano

351

INDICE DEI NOMI

Abbruciati Danilo  p. 316

Arafat Yasser  p. 299

Alemi Carlo  pp. 354 e n, 346n

Arconte Antonino (Nino)  p. 270

Alessandrini Emilio, pp. 61, 144, 147, 163n, 164-165, 174, 176

Argan Giulio Carlo p. 91 Arlati Roberto pp. 306, 310 e n, 312

Algranati Rita pp. 169, 221-222 e n, 228n, 244n, 264, 275

Arreni Renato  p. 243n

Allegra Antonino pp. 71-72, 90, 117

Asor Rosa Alberto  pp. 160-161 Azzolini Lauro  pp. 207, 243n, 306307, 320

Allen Woody  p. 192 Allende Salvador Guillermo  p. 122

Badalamenti Gaetano (Tano)  pp. 156, 290

Almirante Giorgio  pp. 25, 27, 32, 56, 73, 120, 126, 132

Badet Jean Louis  p. 341

Aloia Giuseppe  pp. 30-31, 33

Bagnoli Emilio  pp. 81, 84

Alunni Corrado  pp. 174, 232

Balzerani Barbara pp. 169, 205, 216, 218n, 221, 225, 232, 243n, 253, 274, 276, 277, 285, 307, 328, 337-338

Andò Salvo  pp. 295, 296n Andreassi Ansoino  pp. 184, 338n Andreotti Giulio  pp. 31n, 32 e n, 38, 41, 42, 44, 61, 87e n, 94, 95n, 114, 121, 128, 149, 238, 248, 256, 260, 273-274, 290 e n, 291, 297, 301, 307-308 e n, 309n, 313 e n, 315n, 322, 332 e n

Bandini Franco  p. 152 Barbi Giampaolo  p. 311 Barbieri Frane  p. 189 e n

Annarumma Antonio pp. 65-66, 67 e n

Barbone Marco  p. 173

Anselmi Tina  pp. 37 e n, 38 e n

Battisti Cesare  p. 175

Barillà Teresa  p. 276 e n,

353

Battistini Giorgio pp 249n, 253n

Borghese Junio Valerio  pp. 32-33, 41, 113-114, 125, 137n, 147, 150- 151 e n, 154, 156, 338

Battiston Piero  p. 122 Beltrametti Edgardo  p. 31

Borghi Mario  p. 205

Berio Duccio  pp. 333 e n, 334 e n, 335-336, 341

Borghi Vincenzo  pp. 205, 250, 254 Bozzi Luciana  pp. 293, 304

Berlinguer Enrico  pp. 121 e n, 136, 187-189 e n, 342

Braghetti Anna Laura pp. 221-222, 223n, 227n, 228, 231, 243n, 265 e n, 266, 283-284, 286, 328-329

Bertoli Gianfranco  p. 125 Bertolucci Bernardo p. 91

Brenneke Richard  p. 141n

Betassa Lorenzo  p. 216

Brioschi Carla  pp. 243n, 285

Bevere Antonio  p. 164

Buonavita Alfredo  p. 318

Biagi Enzo  pp. 31n, 164, 220, 234 e n, 246

Buscetta 290, 297

Bignami Maurizio  p. 181

Tommaso

(Masino)  pp.

Buttafuoco Michelangelo  p. 99 e n

Birkin Jane  p. 115

Buzzi Ermanno  p. 131, 137n

Bobbio Norberto  pp. 55, 91 e n

Cacciari Massimo  pp. 161, 162n

Bobbio Luigi  p. 55

Caetani Topazia  pp. 295, 325-326

Bocca Giorgio pp. 76, 82, 88n, 143, 149, 178 e n, 331

Cagol Mara pp. 172, 177, 206-207, 221, 318, 338, 340

Bombaci Salvatore  p. 295

Calabresi Luigi pp. 17, 71-73, 87, 89-92 e nn, 95-97 e nn, 99, 101, 104, 117-118, 124, 205n

Bompressi Ovidio  p. 96n Bonaventura Umberto pp. 306, 310 e n, 312

Calò Giuseppe (Pippo)  pp. 290, 298, 316,

Bonisoli Franco  pp. 207, 239, 243n, 275, 277-278, 285, 306, 320

Calogero Pietro pp. 59n, 100-101, 102n-103n, 165, 172n, 179, 180n, 182-185, 224, 287, 303, 318n, 336 e n, 338, 339n

Bontade Stefano  p. 298 Borghese Emilio  pp. 81-82

354

Calvi Roberto pp. 39, 141-142, 229n, 297n, 324

Clavo Marino  pp. 122n, 204

Campria Roberto  pp. 153, 155-156

Clementi Marco  pp. 263n, 266n, 267n, 276n, 314n

Capanna Mario  pp. 55 e n, 119

Coco Francesco  pp. 177n, 258n

Capponi Carla  p. 109

Colombo Gherardo  pp. 90n, 141

Carrà Raffaella  pp. 115, 247

Colombo Furio  p. 91

Casalegno Carlo pp. 16, 76 e n, 78n, 123, 132

Concutelli Pierluigi  pp. 99, 131, 137 e n, 138, 156

Casalini Gianni  pp. 64, 98, 313

Conforto Giorgio  pp. 301 e n, 302305

Casarrubea Giuseppe pp. 41n, 154n, 156, 157n

28n,

Cascone Alfonso  p. 305

Conforto Giuliana  pp. 204 e n, 224, 293, 300-301 e n, 303-305

Caselli Giancarlo  pp. 177 e n, 213, 214n, 320-321

Conforto Silvia  pp. 301 e n, 303305

Casimirri Alessio pp. 205n, 221222 e n, 228-231, 244n, 264-265, 275-277

Cornacchia Antonio pp. 288, 325 e n

Cavedon Remigio  pp. 276 e n

Cossiga Francesco  pp. 94, 162n, 177-179 e n, 193, 213-214 e n, 215, 225-226 e n, 227, 249, 251-252, 259n, 260 e n, 261, 267n, 268, 276 e n, 292-293, 295, 299, 315 e n, 322323, 325

Cavina Umberto  p. 252

Cossutta Armando  p. 160

Cederna Camilla pp. 16, 87-88n, 91-92, 94n, 106n, 119, 120 e n

Craxi Benedetto (Bettino)  pp. 160n, 223, 253, 256, 294, 315n, 332-333

Chichiarelli Antonio (Tony)  p. 288

Croce Fulvio  p. 261

Cicuttini Carlo  pp. 27n, 121

Curcio Renato  pp. 130, 171-172, 177, 182-183, 206 e n, 207, 211, 220-221, 234, 253-255, 260, 277278, 318-320 e n, 335-336, 338-339

Cavallaro Roberto  pp. 121, 126n Cavani Liliana pp. 88, 91

Cioppa Elio  p. 286n Cirillo Ciro  43n, 220 e n, 236, 344 e n, 345n, 346n

355

Curioni Cesare  pp. 296-297

Donat-Cattin Carlo pp. 56, 213, 214-215

Cutolo Raffaele  pp. 220 e n, 298, 344-345 e n

Donat-Cattin Marco  pp. 97, 174, 213, 214 e n, 215

Dalla Chiesa Carlo Alberto  pp. 42, 109, 210, 212, 232, 255, 289-290, 306-310, 312, 314, 318, 324

Donovan William  p. 301

Dalla Chiesa Romolo  p. 109

Dozier James Lee  pp. 144n, 265n, 344, 346-347

D’Amato Umberto  pp. 47, 289

Dubček Alexander  p. 189

D’Amato Federico  p. 322

Dura Riccardo  pp. 216, 275

D’Ambrosio Armando  p. 283

Dylan Bob  p. 53

D’Ambrosio Gerardo  pp. 34, 99 e n

Eco Umberto  pp. 91, 343 e n

De Gaulle Charles  pp. 57, 133

Esposito Antonio  p. 272

De Luna Giovanni  pp. 28n, 59

Etro Raimondo  pp. 244n, 276

De Mauro Mauro  p. 156

Evola Giulio Cesare Andrea (Julius) pp. 26-27

De Michelis Cesare  p. 161

Fabbri Fabio  p. 297 e n

De Sena Luigi pp. 184-185, 304, 338, 339n

Fabiani Amelio  p. 316

De Vuono Agostino  p. 279

Falco Antonio  p. 104

Delle Chiaie Stefano  pp. 26, 30, 47, 56-57, 74 e n, 81, 88n, 95, 100, 133, 137n, 138, 154

Falcone Giovanni  pp. 140n, 209n Falde Nicola  p. 289 Falessi Maurizio  p. 222

Di Cataldo Francesco  p. 255

Fanelli Giovanni  p. 47

Di Donato Pietro  p. 280

Fanfani Amintore  pp. 61, 127, 260, 294, 315n

Di Donno Giuseppe  p. 312 Di Leo Rita  pp. 165, 166n

Faranda Adriana pp. 169, 204 e n, 205, 221, 223-224 e n, 232, 234, 243n, 264-266, 276n, 278, 280, 285286, 294, 296, 300, 303

Digilio Carlo  pp. 102, 103n, 130n, Diotti Roberto  p. 340

356

Fellini Federico pp. 84, 91

Franco Francisco  p. 38

Feltrinelli Giangiacomo  pp. 54, 64, 101, 114, 116-118, 119 e n, 120 e n, 207, 339

Franco Francesco (Ciccio)  p. 111 en Frascella Emanuela  p. 347

Ferrandi Marco  pp. 175n, 296

Freda Franco  pp. 17, 27, 30, 32, 34, 45, 61, 98-99 e n, 100-102 e n, 103 e n, 126n, 176, 313

Ferrara Giuliano  p. 99 Ferrari Bravo  p. 163

Fumagalli Carlo  pp. 122, 127n

Ferrari Maurizio  pp. 260-261 e n

Galati Michele  pp. 173, 211, 235, 337, 347

Ferrari Paolo Maurizio  p. 341 Ferraro Mario  p. 270

Galli Guido  pp. 144, 174, 181

Fiasconaro Rocco  p. 61

Gallinari Prospero  pp. 107, 171 e n, 205, 207, 220-221, 226-228, 231232, 234, 239, 243n, 264, 266, 275, 277-278, 285, 304, 318, 329, 336, 338 e n, 341, 347

Fiore Raffaele  pp. 123, 235n, 239, 243n, 275, 277-278 Fioroni Carlo  pp. 172, 181, 318 Fioroni Giuseppe pp. 184n, 185n, 237, 296n, 339n

Gamberini Giordano  p. 46 Gargamelli Roberto  p. 81

Flamigni Sergio pp. 29n, 254n, 255n, 275n, 283, 284n, 290 291 n, 311, 314, 321n, 322 e n, 328, 335n, 340n, 341n

Gava Antonio  pp. 344n, 345, 346n

Foà Vittorio  pp. 52, 232

Gelli Licio  pp. 30n, 37-40 e n, 133n, 134, 137n, 140n, 141-142, 152, 287, 289-290, 296, 321-322, 324

Frajese Paolo  pp. 247, 277

Gentile Schiavone Giovanni  p. 221

Franceschini Alberto pp. 107, 130, 177, 206-208 e n, 211, 219-220, 225-227, 234, 237, 254-255, 260, 281, 286, 318-320, 333, 339-341 e n, 343 e n

Giannettini Guido pp. 30-31 e n, 33, 35n, 100n, 147-148, 313, 332 e n

Fo Dario pp. 88, 91, 204

Ginsborg Paul pp. 24n, 55 e n, 108n, 114 e n

357

Ginzburg Natalia p. 91

Imposimato Ferdinando pp. 283n, 284, 297, 318n, 319 e n

Giovannone Stefano  pp. 267, 269270, 299

Invernizzi Gabriele  pp. 87

Girotto Silvano  pp. 172, 318-320

Iozzino Raffaele  p. 238n

Goebbels Joseph Paul p. 164

Jannuzzi Lino  p. 150

Graldi Paolo  pp. 337-338 e n

Kappler Herbert  p. 43n

Grassi Leonardo  p. 33

Kissinger Henry  pp. 129, 263, 322

Grassini Giulio pp. 30n, 184-185, 286n, 336

La Bruna Antonio p. 35n, 47, 100n, 289, 313

Graziani Clemente pp. 27, 36, 127n, 332

La Pira Giorgio  p. 252 Laronga Bruno  p. 221

Grillo Manlio  pp. 122n, 204, 205n

Labate Bruno  p. 261n

Grimaudo Giovanni  p. 287

Leonardi Oreste  p. 238 e n

Grisolia Alberto  p. 42n Gronchi Giovanni  p. 279

Leone Giovanni  pp. 39, 133, 251, 314 e n

Guareschi Giovanni  p. 22

Leto Guido  p. 303

Guglielmi Camillo p. 237n, 282283

Levi Carlo p. 91 Levi Primo p. 91

Gui Luigi  p. 95

Li Causi Vincenzo  p. 287

Guiso Giannino  p. 253

Lima Salvatore (Salvo) pp. 298, 307

Guttuso Renato p. 91 Hack Margherita p. 91 Harvey William King  p. 263 e n

Lojacono Baragiola 206n, 275-277

Infelisi Luciano  p. 289

Lollo Achille  p. 122n

Iannucci Lorenzo (Iaio)  p. 316n

Longo Luigi  p. 209

Impastato Giuseppe (Peppino)  pp. 157

Lorenzon Guido  pp. 100-101, 103n

358

Alvaro  pp.

Lotteringhi Bernardo  p. 327

Massironi Manfredo  pp. 175n, 182

Maccari Germano  pp. 169, 204, 212, 221-224 e n, 226 e n, 228-231, 244n, 266, 277, 279, 284-285 e n, 286-287, 292-293, 328-329, 335n

Mastelloni Carlo pp. 185, 339n, 341n Mazzocchi Silvana  pp. 151 e n, 210n Mennini Antonello  p. 226 e n, 227n

Maggi Carlo Maria pp. 27n, 103n, 126 e n, 130n

Mennini Luigi p. 226

Mainardi Nicola  p. 304

Merlino Mario pp. 30, 47, 56, 81, 94-95, 98, 102

Maletti Gianadelio  pp. 35 e n, 46, 86, 95, 100n, 128, 130n, 149, 190, 205, 289, 312-313

Messalla Flavio  p. 31 Micaletto Rocco  pp. 210, 243n,

Malusardi Remo  p. 270

Miceli Vito  pp. 86, 124n, 127 e n, 128, 134-135, 148-149, 190, 270, 289, 299

Mancini Giacomo  pp. 215, 294 Mancini Luciano  p. 316

Michelini Arturo  pp. 25, 27

Manconi Luigi  p. 59

Mieli Paolo p. 91 e n

Mannino Calogero  p. 287

Minervini Girolamo  p. 237

Mannucci Benincasa Federigo p. 327

Mingarelli Dino  p. 113n

Mantelli Brunello  p. 59

Mitrokhin Vasili  p. 302 e n, 305n

Mantovani Nadia  pp. 171, 221, 306

Mokbel Lucia  p. 255

Maraini Dacia p. 91

Molinari Arrigo  p. 345

Marcinkus Paul  pp. 281, 297 e n, 300-301, 303, 324

Monti Attilio  p. 147

Marini Antonio  p. 243n

Moravia Alberto pp. 91, 136 e n, 204, 259

Marino Antonio  pp. 67, 112

Morbioli Giovanni  pp. 226n, 231

Marino Leonardo  pp. 92, 96 e n, 97

Moreno Franco  pp. 205, 271

Markevič Igor  pp. 295, 325-327

Moretti Mario pp. 130, 173, 205, 211-212, 216, 221, 225-226, 228 e n,

Martino Gaetano  p. 46

359

Moscatelli Vincenzo (Cino)  pp. 118, 209

229, 232 e n, 234-235, 237, 243n, 253-254, 266, 274-278, 285-286, 293, 295, 298, 299, 300, 304 e n, 307, 311, 316-321, 326, 329, 332, 334, 336-343, 345-346

Musumeci Pietro  pp. 140n, 236, 237n, 282 Nardi Gianni  pp. 45, 101 e n

Mori Mario  pp. 312-313 e n

Negri Antonio (Toni)  pp. 17, 91, 117, 159, 160n, 161-162, 163 e n, 164-165, 167, 170-172, 175-183 e n, 187, 199, 207, 237, 248, 334 e n, 336-337

Morlion Felix Andrew  pp. 300301, 335 Moro Aldo  pp. 14, 17, 46, 61 e n, 70, 87n, 94-95, 108-109, 121n, 132, 140n, 148-149, 150, 163n, 164-165, 171, 177, 182, 184 e n, 187, 189n, 200, 205 e n, 206, 209, 218-219, 221-223, 224n, 225-226, 228 e n, 230-234, 236-238, 239n, 243 e n, 244n, 245, 247-279 e n, 281 e n, 284-287, 288n, 290-292 e n, 294 e n, 295-296, 298-300, 302, 305, 308, 309-311, 314-315, 319-320, 322324, 326-330 e n, 332, 339, 341-342

Nicotri Giuseppe  pp. 163, 182-183 Nirta Antonio  pp. 279, 298 Nixon Richard  pp. 34, 62, 128, 129n, 200, 313-314 Notarnicola Pasquale  p. 183 Nozza Marco  pp. 88n, 91, 145, 344 Occorsio Vittorio  pp. 93, 95, 99, 137n

Moro Eleonora  pp. 238, 263, 282, 238, 315n, 324 e n

Olivetti Tullio  pp. 279, 321

Moro Maria Fida  p. 263

Opocher Enrico  p. 60

Mortati Elfinio  p. 284

Orlando Gaetano  p. 122

Mortilla Armando  pp. 36, 43

Ortega Daniel  p. 222n

Morucci Valerio  pp. 122n, 169, 173, 204 e n, 205, 220, 223, 224 e n, 225-226, 228, 232, 234, 239, 243n, 258, 264-266, 271-272, 274-276 e n, 277-278, 280-282, 286 e n, 292, 295-298, 300, 303 e n, 304 e n, 312313 e n, 324, 326

Osteria Luca  p. 42 Ottone Piero  pp. 23, 61 Pacciardi Rodolfo  p. 46 Pace Lanfranco  pp. 122n, 223, 284, 285n, 294 e n, 296, 300, 304, 337 Pajetta Giancarlo  p. 109

360

Palermo Carlo  p. 288 e n

Pertini Alessandro (Sandro)  pp. 70, 213

Palma Riccardo  p. 222

Petrella Marina  pp. 205n, 244n

Pannella Marco  pp. 161, 163-164

Petrella Stefano  pp. 218, 244n

Pansa Giampaolo  pp. 66 e n, 88n, 91n, 189, 260n

Petter Guido  p. 173

Paolella Alfredo  pp. 173, 214n, 237

Picciotto Francesco  p. 316

Parlato Giuseppe  pp. 273 e n, 274

Piccoli Flaminio  pp. 61, 215, 235, 299, 315n

Parri Ferruccio  pp. 42, 91

Pinelli Giuseppe  pp. 17, 72-73, 7778, 80, 87, 88n, 89-90 e n, 91-92, 96, 99, 104, 125

Pasolini Pier Paolo  pp. 57, 84, 88, 91, 134, 136 e n, 137-139 e n, 200 Passalacqua Guido  pp. 216, 332 Pazienza Francesco  pp. 220n, 229n, 236n, 321

Piperno Franco  pp. 122n, 161, 163, 172, 204, 223-224 e n, 237, 293-294 e n, 298, 300, 304

140n,

Pecchioli Ugo  p. 249

Pisanò Giorgio  pp. 32, 152

Peci Patrizio  pp. 98 e n, 123, 163n, 176, 205, 210-219, 221, 232, 234235 e n, 246, 265, 317-319

Pollio Alberto  p. 29 Ponti Nadia  pp. 235n, 243n, 244n Prette Maria Rita  p. 221

Peci Roberto  pp. 217-220 e n, 237

Priore Rosario p. 267n, 284, 297, 339n

Pecorelli Carmine (Mino)  pp. 147148, 186, 273, 278, 280, 288-289 e n, 290-291, 298, 307, 323-325, 329

Prodi Romano  pp. 252, 267n

Pellegrino Giovanni pp. 31, 87n, 203, 235, 327

Quintavalle Vittorio  p. 154 Rame Franca  pp. 88, 204

Pelosi Giuseppe  p. 136n

Rana Nicola  p. 273 e n

Pennacchini Erminio  p. 299

Rauti Pino pp. 25, 27, 29, 31-32, 35-36, 43, 47, 102 e n, 103n, 130n, 148, 152

Peri Giuseppe  p. 156 Persichetti Paolo  p. 205n

Reale Eugenio  p. 109

361

Reale Oronzo  p. 162n

Russo Silveria  p. 221

Ricci Domenico  p. 238n

Russomanno Silvano  pp. 215, 338n

Rivera Giulio  p. 238n

Sacharov Andrej Dmitrievič  p. 178

Roatta Mario  p. 42 e n

Saltarelli Saverio  p. 104

Rocca Renzo  p. 30, 109, 262, 263n

Salvini Guido pp. 20, 33-34, 35n, 43, 73, 94-95, 123n, 313

Rognoni Giancarlo  p. 122

Salvoni Innocente  p. 341

Rognoni Virginio  pp. 184, 215, 307, 309, 310n, 345 e n

Sandalo Roberto  pp. 97, 98n, 213, 214n

Romagnosi Gian Domenico  p. 39

Santovito Giuseppe pp. 30n, 236, 269 e n

Rolandi Cornelio  p. 71, 82, 93-94 Ronchey Alberto  p. 76 e n

Sapegno Natalino p. 91

Ronconi Susanna  pp. 173-174, 205, 221, 232, 234, 347

Sartori Giovanni  p. 143

Roppoli Maria Rosa  p. 221

Sbarra Danilo  p. 316

Rossa Guido  p. 176

Scalfari Eugenio  pp. 91, 119, 150, 161, 258

Rossanda Rossana  pp. 52 e n, 177, 228n, 304

Scalia Vito  p. 187 Scalzone Oreste  pp. 161, 163, 175, 204, 252

Rossella Carlo  p. 80 e n Rossellini Renzo  p. 272 e n, 273

Scelba Mario  p. 61

Rossi Ernesto  p. 161

Schettini Italo  p. 222n

Rossi Mario  p. 206

Sciascia Leonardo  pp. 205, 259, 315

Rosso Roberto  p. 174

Seghetti Bruno pp. 169, 173, 221, 223-224, 231, 243n, 275-277, 294, 347

Rostagno Mauro  p. 287 e n Roppoli Maria Rosa  p. 221

Segio Sergio  pp. 144, 174, 221, 347

Rumor Mariano  pp. 61, 70, 75, 124, 127 e n, 128, 276

Segni Antonio pp. 46, 108-109, 150-151

362

Semeria Giorgio  pp. 232, 235, 318, 320

Spinella Domenico  pp. 204n, 271, 273n, 274, 325

Senzani Giovanni  pp. 212, 218 e n, 219-221, 235-236, 237n, 244n, 295, 311, 327, 341, 344

Squillante Renato  p. 269

Serac Guerin  pp. 36, 74, 95, 103, 148 Serpieri Stefano  pp. 36, 95

Stagno Tito  p. 131 Stiz Giancarlo  pp. 61, 101, 103n, 181 Sturzo Luigi  p. 252

Sica Domenico  p. 291

Tambroni Fernando  p. 24

Signorelli Paolo  p. 126 Signorile Claudio pp. 294-295 e n, 300 Simioni Corrado  pp. 206, 332-335 e n, 336-337, 339-341 Sindona Michele  pp. 38n, 87, 141, 297n, 309n, 324 Sofri Adriano  pp. 59, 96n, 97 e n, 178, 205n

Tamburino Giovanni  pp. 124n, 127 Tanassi Mario  p. 134 Tartaglione Girolamo  p. 222n Taviani Paolo Emilio  pp. 44-46, 61, 127n, 128, 130, 133-134, 253 Tilgher Adriano  p. 56 Tinelli Fausto  p. 316 e n

Sogno Edgardo pp. 109, 126, 133134, 320, 340

Tobagi Walter  pp. 173, 216, 217n, 296

Sokolov Fëdor Sergej  p. 302

Torchia Giorgio  p. 152

Sossi Mario  pp. 130, 172, 234, 281, 318n, 319

Tramonte Maurizio  p. 130n

Sottosanti Antonio (Nino)  p. 94

Triaca Enrico  pp. 205, 232-233 e n Trionfera Renzo  p. 152 Tritto Franco  pp. 182, 258, 259n, 295, 324

Spadolini Giovanni  pp. 44 e n, 76 Spampinato Alberto  p. 155Spampinato Giovanni pp. 152-153, 155-157

Troiano Franco  p. 341 Tronti Mario  p. 161 Tumino Angelo  pp. 153-154 e n, 155

Spiazzi Amos  p. 126

363

Turone Giuliano  p. 141

Waldheim Kurt  p. 256

Tuscher Francoise  p. 341

Zaccagnini Benigno  pp. 251-253, 256, 260, 315n,

Tuti Mario  pp. 131-132

Zavoli Sergio pp. 74n, 77, 167, 219, 316, 329, 343

Vacca Giuseppe  p. 208 Valitutti Pasquale  p. 89 Vallanzasca 137n

Renato

Zecchi Simona  p. 138

(René)  pp.

Zizzi Francesco  p. 238n Zorzi Delfio  pp. 101, 103n, 130n

Valpreda Piero  pp. 17, 71, 75, 7783 e n, 87-88, 90, 93 e n, 94 e n, 125, 145, 215

Zullino Pietro  p. 73

Varisco Antonio  pp. 222n, 289, 291 Venditti Antonello  p. 53 Ventura Giovanni pp. 17, 30, 32, 34, 45, 61, 74n, 98, 100-102 e n, 103n, 138-139 e n, 313 Vesce Emilio  pp. 163-164 Vespa Bruno  pp. 78, 145 Vianale Maria Pia  p. 221 Vicari Angelo  pp. 32, 113 Vidotto Vittorio  p. 59 Villaggio Paolo  p. 192 Villari Lucio p. 91 Vinciguerra Vincenzo  pp. 27, 47, 74 e n, 121, 126, 133, 148 Violante Luciano  p. 177n Vizzini Carlo  p. 287

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I giornali, riviste e quotidiani – La Stampa, Stampa Sera, Corriere della Sera, ecc. – sono stati consultati negli archivi-emeroteche e negli archivi digitalizzati sul Web.

377

SOMMARIO

Prologo........................................................................................... 13 I  LA STRATEGIA DELLA TENSIONE......................19 1.  Strategy of tension.................................................................. 19 2.  Dal 1949, la DC e il PCI......................................................... 20 3.  “Boia chi molla.” I Neri.......................................................... 24 4.  Sul filoatlantismo. “Né USA, né URSS, Europa nazione.”.................................................................................. 28 5.  1965, l’Istituto di studi militari Alberto Pollio.................... 29 6.  Una cipolla a strati. I Nuclei di difesa dello Stato............... 32 7.  Strategy of tension: l’azione................................................... 33 8.  Le guerre nella guerra fredda................................................. 35 9.  La loggia massonica segreta Propaganda 2.......................... 37 10.  Il Noto servizio...................................................................... 41 11.  Le azioni coperte, Stay-behind e Gladio............................ 43 II  IL SESSANTOTTO.................................................. 49 1.  “Vogliamo tutto.”..................................................................... 49 2.  I Neri e i Rossi a Valle Giulia a Roma.................................. 53 3.  La violenza politica.................................................................. 58 4.  Il 1969........................................................................................ 60

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III  PIAZZA FONTANA................................................ 69 1.  Piazza Fontana, il racconto.................................................... 69 2.  Così i giornali e la televisione di Stato.................................. 73 3.  Così la controinformazione................................................... 86 4.  Pinelli, quel volo nella storia.................................................. 89 5.  Il Valpreda................................................................................. 93 6.  Il commissario Calabresi......................................................... 95 7.  Le conclusioni.......................................................................... 98 8.  La scia...................................................................................... 104 IV  TRAME NERE....................................................... 105 1.  Trame nere.............................................................................. 105 2.  1964: il Piano “Solo”............................................................. 107 3.  1970: Gioia Tauro e i disordini a Reggio Calabria............ 110 4.  1970: il golpe Borghese......................................................... 113 5.  1972: Il tentato dirottamento all’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Giangiacomo Feltrinelli. I due volti di Feltrinelli. L’attentato di Peteano (Gorizia)................... 114 Giangiacomo Feltrinelli........................................................ 116 I due volti di Feltrinelli........................................................ 117 Peteano, 31 maggio 1972 ................................................... 120 6.  1973: la Rosa dei venti........................................................... 123 7.  1974: Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio. Attentato al treno Italicus, 3-4 agosto. Il tentato golpe di Edgardo Sogno, agosto ’74................. 126 Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio........................... 129 Attentato al treno Italicus, Val di Sambro, 3-4 agosto...... 131 380

Il tentato golpe di Edgardo Sogno (agosto ’74)................... 133 8.  Morte di un poeta. Pier Paolo Pasolini............................... 136 9.  1980: la strage di Bologna, 2 agosto. 1984: l’attentato al treno rapido n. 904, 23 dicembre........ 139 V  LA STAMPA NELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE.............................................................. 143 1.  La stampa nella strategia della tensione.............................. 143 2.  Le testate giornalistiche e le agenzie di stampa................. 146 3.  Ancora sul convegno al Pollio............................................. 152 4.  Una storia nera. Omaggio a Giovanni Spampinato, cronista dell’Ora di Palermo............................................... 153 VI  “GRANDE DISORDINE SOTTO IL CIELO. LA SITUAZIONE È ECCELLENTE.”................ 159 1.  Chi è Toni Negri?.................................................................. 159 2.  Quella cena con il giudice Alessandrini.............................. 164 3.  Autonomia e BR: uguali e diverse?..................................... 170 4.  La richiesta di amicizia a Cossiga........................................ 177 5.  La trama rossa. Negri: capo del terrorismo di sinistra?... 179 6.  Il loden verde.......................................................................... 181 7.  I Servizi segreti deviati.......................................................... 183 8.  Il temuto PCI......................................................................... 187 VII  ALLE ARMI. PAGHERETE CARO. PAGHERETE TUTTO......................................... 191 1.  “Pagherete caro. Pagherete tutto”....................................... 191

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2.  Cos’è il terrorismo?............................................................... 195 VIII  LE BR, UNA STELLA A CINQUE PUNTE.....203 1.  BR: i Tupamaros italiani....................................................... 203 2.  Quel giorno al luna park....................................................... 210 3.  Marco Donat-Cattin, la I al posto della O......................... 213 4.  La banalità del male: storia di Roberto Peci...................... 217 5.  Brigatiste e brigatisti: amori armati..................................... 220 6.  Germano Maccari, il quarto uomo?.................................... 224 7.  Gallinari, detto “Gallo”........................................................ 227 8.  Alessio Casimirri l’imprendibile?......................................... 228 9.  Mario Moretti, il terrorista dai chiaroscuri......................... 232 10.  Giovanni Senzani, delitto senza castigo........................... 235 11.  Parola d’ordine: portare l’attacco al cuore dello Stato: il rapimento di Aldo Moro ................................................ 237 IX  AFFAIRE MORO (parte I)..................................... 241 1.  Tanti auguri............................................................................. 247 2.  Così la stampa nei 55 giorni................................................. 248 3.  L’obiettivo è Moro?............................................................... 262 4.  I gialli della trama rossa….................................................... 264 La preparazione.................................................................... 264 Il pre-allarme....................................................................... 266 La scelta del giorno: il 16 marzo ‘78................................. 274 L’agguato in via Fani, Roma.............................................. 275 Il trasbordo del presidente e le foto sparite nel nulla........... 281 Le borse del presidente......................................................... 282 382

In via Fani, l’agente dei Servizi.......................................... 282 In via Montalcini, n. 8 interno 1, Roma............................ 283 In via Gradoli n. 96, Roma................................................ 285 La trattativa per il rilascio: fermezza o contrattazione?.... 293 In via Monte Nevoso n. 8, Milano..................................... 305 X  AFFAIRE MORO (parte II)............................................ 317 1.  Gli infiltrati nell’organizzazione.......................................... 317 2.  Il primo motore immobile, che muove senza essere mosso....................................................................................... 321 In via Caetani, 9 maggio ’78, Roma.................................. 324 3.  Il corpo di Moro.................................................................... 327 4.  Il grande giovane vecchio..................................................... 331 5.  L’Hyperion.............................................................................. 335 6.  Le derive, il “paradiso disabitato”....................................... 341 7.  Si riparte dal Sud.................................................................... 344 8.  La carceriera legge Diabolik................................................. 346 SIGLE di organismi/organizzazioni/partiti........................... 349 Abbreviazioni delle Commissioni parlamentari d’inchiesta/ Tribunale di Milano..................................................................... 351 INDICE dei nomi....................................................................... 353 BIBLIOGRAFIA........................................................................ 363

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Finito di stampare nel mese di maggio 2017 per conto di Leone Editore dalla Xxxxxxxxx - Xxxxxx (XX) Printed in Italy