Studi galileiani

Table of contents :
Cover
Indice
Avvertenza
I. All' alba della scienza classica
Introduzione
1. Aristotele
2. Le discussioni medievali: Bonamici
3. La fisica dell'impetus: Benedetti
4. Galileo
II. La legge della caduta dei corpi Descartes e Galileo
Introduzione
1. Galileo
2. Descartes
3. Ancora Galileo
Conclusione
III. Galileo e la sua legge d'inerzia
Introduzione
1. Copernico
2. Bruno
3. Tycho Brahe
4. Keplero
Il Dialogo sopra i massimi sistemi e la polemica antiaristotelica
La fisica di Galileo
Conclusione
Appendice
A. I GALILEIANI
1. Cavalieri
2. T orricelli
3. Gassendi
B. DESCARTES
1. Il Mondo
2. I Principi
Indice dei nomi

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Reprints Einaudi I

Alexandre Koyré

Studi galileiani

Pubblicati tra il 1935 e il 1939, cioè negli anni che segnarono uno dei momenti piu fecondi dell'attività di Koyré, i saggi raccolti in questo volume affrontano un identico problema: la nascita della scienza classica, la rivoluzione scien-' tifica del secolo XVII, profondo mutamento intellettuale di cui la moderna fisica prequantica costituisce insieme l'espressione e il risultato. Anche in queste pagine Koyré profonde la precisione, la ricchezza dell'analisi e l'utilizzazione diretta dei testi che gli sono tipiche. Il saggio All' alba della scienza classica è centrato sulle opere giovanili di Gali1eo, un documento prezioso per ricostruire la storia del suo pensiero, che offre in pari tempo la storia completa dell'evoluzione della fisica prima di lui. Il secondo saggio studia una legge fondamentale della dinamica moderna, quella della caduta dei corpi, formulata da Galileo nel 1604, e quindici anni piu tardi da Beeckman in collaborazione con Descartes. Nel tentativo di formulare questa legge, Descartes e Galileo si sono shagliati. «Tuttavia - scrive Koyré - per lo storico del pensiero scientifico, l'insuccesso, l'errore, tanto piu l'errore di un Galileo, di un Descartes, sono qualche volta preziosi quanto i loro successi. Lo sono anzi forse di piu », perché permettono di cogliere il cammino segreto del loro pensiero. Un'altra legge fondamentale, quella d'inerzia, che implica una concezione completamente nuova della realtà fisica, è al centro del terzo saggio. Questa legge rappresenta il risultato di successive precisazioni, ottenute con un lungo lavoro, che Descartes e Galileo svolsero parallelamente. Di A. Koyré, nelle edizioni Einaudi, si vedano gli Studi newtoniani (" P

__

--'>.

x

ba, etc. Cum autem hacc ita se habcant, ponatur IlX cum al anguluffi continens, sumptisque parti· bus ah,

be,

locitatcs in ut lineae

cd, de, etc., aequalihus, protrahantur bm, cn, do, ep, etc. Si itaque cadentis per

b,

bm,

al

ve­

c, d, c, locis se habcnt ut clistantiac ah, (IC, ad, ae, etc., ergo se quoque hahebunt

CII, do, ep.

«Quia vero vcloc i tas augctur conscqucnter in omnihus punctis lincac ae, et non tantum in

Studi galileiani

102

lo suppongo (e forse potrò dimostrarlo) che il grave cadente naturalmen­ te vada continuamente accrescendo la sua velocità secondo che accresce la distanza dal termine onde si parti: come v. g. partendosi il grave dal punto

a e cadendo per la linea ab,

suppongo che il grado di velocità nel punto

tanto maggiore che il grado di velocità in

c, quanto la distanza da è

d sia

maggiore

ca, e cosi il grado di velocità in e esser al grado di velocità in d come ea da, e cosi in ogni punto della linea ab trovarsi con gradi di velocità propor­ zionali alle distanze de i medesimi punti dal termine a. Questo principio mi della

a

pare molto naturale, e che risponda a tutte le esperienze che veggiamo negli strumenti e machine che operano percottendo, dove il percuziente fa tanto maggiore effetto, quando da piu grande altezza casca: e supposto questo prin­ zipio, dimostrerò il resto.

al, e per li punti c, d, e, f cg, dh, ei, fk: perché le linee fk, ei, dh, cg sono tra di loro come le la, ea, da, ca, adunque le velocità ne i punti I, e, d, c, sono come le linee fk, ei, dh, cg. Vanno dunque continuamente crescendo i gradi di ve­ locità in tutti i punti della linea af secondo l'incremento delle parallele tirate Faccia la linea

ak

qualunque angolo con la

siano tirate le parallele

da tutti i medesimi punti. In oltre, perché la velocità con la quale il mobile

a in d è composta di tutti i gradi di velocità auti in tutti i punti ad, e la velocità con che ha passata la linea ac è composta di tutti

è venuto da della linea

i gradi di velocità che ha auti in tutti i punti della linea tà con che ha passata la linea

ad,

dC

adunque la veloci­

alla velocità con che ha passata la linea

ac,

a c

d

e r----"'-

f I-----\k b, c, d, ergo velocÌlates iIIae omnes sese respicient ut lineae quae ab omnibus dictis ae ipsis bm, cn, do aequidistanter producuntur. Istae autem infinitae sunt et con­ stituunt triangulum aep: ergo velocitates in omnibus punctis lineae ab ita se habent ad velocita­ tes in omnibus punctis lineae ut triangulus abm ad triangulum acn, et sic de reliquis, hoc est in duplicata proportione linearum ab, ac. adnotatis

punctis lineae

"Quia vero pro ratione incrementi accelerationis tempora quibus motus ipsi fiunt debent imminui, ergo tempus quo mobile permeat quae inter

ab, ae, media

ab ad

proportionalis existit lO.

tempus quo permeat

ac

erit ut

ab linea

ad eam

La legge della caduta dei corpi

103

ha quella proporzione che hanno tutte le linee parallele tirate da tutti i punti della linea ad sino alla ah, a tutte le parallele tirate da tutti i punti della linea ac sino alla ag; e questa proporzione è quella che ha il triangolo adh al triangolo acg, ciò è il quadrato ad al quadrato ac. Adunque la velocità con che si è passata la linea ad, alla velocità con che si è passata la linea ac, ha doppia proporzione di quella che ha da a ca. E perché la velocità alla velocità ha contraria proporzione di quella che ha il tempo al tempo (imperò che il medesimo è crescere la velocità che sciemare il tempo), adunque il tempo del moto in ad al tempo dci moto in ac ha subduplicata proporzione di quella che ha la distanza ad alla distanza ac. Le distanze dunque dal principio del moto sono come i quadrati de i tempi, e, dividendo, gli spazii passati in tem­ pi eguali sono come i numeri impari ab unitate: che risponde a quello che ho sempre detto e con esperienze osservato; e cosi tutti i veri si rispondono. E se queste cose son vere, io dimostro che la velocità nel moto violento

va decrescendo con la medesima proporzione con la quale, nella medesima linea retta, cresce nel moto naturale. Imperò che sia il principio del moto violento il punto b, ed il fine il termine a. E perché il proietto non passa il termine a, adunque l'impeto che ha auto in b fu tanto, quanto poteva cacciar­ lo sino al termine a; e l'impeto che il medesimo proietto ha in I è tanto, quan­ to può cacciarlo al medesimo termine a; e sendo il medesimo proietto in

e,

d,

c, si trova congiunto con impeti potenti a spingerlo al medesimo termine a,

né piu né meno: adunque l'impeto va giustamente calando secondo che scie­ ma la distanza del mobile dal termine a. Ma secondo la medesima proporzio­ ne delle distanze dal termine a va crescendo la velocità quando il medesimo grave caderà dal punto a, come di sopra si è supposto e confrontato con le al­ tre prime nostre osservazioni e dimostrazioni: adunque è manifesto quello che volevamo provare.

Il ragionamento di Galileo è plausibile, ma ciononostante falso, perché, come è facile vedere, contiene un duplice errore ". È vero, senza dubbio, che i rapporti della velocità sono in ragione inversa di quelli dei tempi; a condizione che il termine di comparazione, ovve­ rosia lo spazio percorso, sia lo stesso e non, come nel nostro caso, dif­ ferente. È anche assolutamente vero che la velocità totale del mobile

è la somma delle velocità (istantanee) che acquista in tutti i punti del suo percorso; come è ugualmente la somma delle velocità che acqui­ sta in tutti gli istanti del suo movimento. Ma queste «somme» non sono simili: l'aumento costante e uniforme in rapporto al tempo non ., Cfr.

DUHEM,

Eludes sur Léonard de Vinci cit., voI. III,

pp. '70 sg.

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104

lo sarà in rapporto allo spazio e inversamente, e in particolare le «somme» delle velocità che aumentano in funzione lineare dello spa­ zio percorso non potranno essere rappresentate da triangoli. Questa rappresentazione non vale che per un aumento uniforme in rapporto al tempo. Galileo, ancora una volta, geometrizza ad oltranza e traste­ t"isce allo spazio ciò che vale per il tempo.

È curioso constatare che Galileo rileverà il proprio errore" (l'er­ rore nella scelta del principio-definizione del moto accelerato della caduta), mentre al contrario, checché ne dica Duhem, Descartes non se ne renderà conto. Ancora pili curioso è constatare che il ragiona­ mento con cui Galileo si sforza di dimostrare l'assurdità del principio che, all'inizio, gli sembrava cosi «naturale», è esso stesso perfetta­ mente errato ". Ma forse non è questo ragionamento speCioso (e che presuppone la conosc�nza del metodo di deduzione corretta) che ha guidato il pen­ siero di Galileo. È pili probabile supporre che il suo errore gli sia ap­ parso pili direttamente: nel fatto stesso che il suo «principio assioma­ tico» non poteva svolgere il ruolo che gli voleva assegnare; era impos­ sibile, com'è evidente, dedurne le formule descrittive". Era anche im­ possibile - per Galileo - utilizzarlo correttamente. È probabile che ciò sia stato sufficiente; è probabile che un esame approfondito del problema abbia fatto scorgere a Galileo in che cosa consisteva il suo errore. Consiste, non c'è da dubitarne, nel non aver sufficientemente " Ecco

il ragionamento di Galileo (si vedano i Discorsi, in Opere cit., val. VIII, p. 204)

che Duhem (Eludes Sur I.éonard

de Vinci

cit., val. III, p. '78), cOSI come Caverni (Storia del

melodo sperimentale in Italia, Firenze 1891-1896, val. IV, p. 29') trovano concludente: «Quan­ do le velocità hanno la medesima proporzione che gli spazii passati o da pass.rsi, tali spazii ven· gana passati in tempi cguali; se dunque le velocità con le quali il cadcnte passò lo spazio di quat­ tro braccia, furono doppie delle velocità con le quali passò le due prime braccia (sI come lo spa­ zio

è doppio

dello spazio), adunque i tempi di tali passaggi sono eguali: ma passare il medesimo

mobile le quattro braccia e le due nell'istesso tempo, non può avcr luogo fuor che nel moto in­ stantaneo: ma noi veggiamo chc il grave cadcnte fa suo moto in tempo, ed in minore passa le due braccia che le quattro; adunque

è

falso che la velocità sua cresca come lo spazio». Questo

ragionamento contiene un errore analogo a quello del ragionamento che abbiamo citato poco fa: Galileo in questo caso applica al moto la cui velocità aumenta proporzionalmente allo spazio percorso un calcolo che vale soltanto per il moto uniformemente accelerato (in rapporto al tem­

po).

Si vedano MACI!, Die Mechanik cit., p. 24' [trad. it. cit., p. 266], e TANNERY,

Mémoires

scienti/iques, val. VI, pp_ 400 sg. " Una corretta deduzione avrebbe portato Galileo alle formule trovate da Descartco, cfr. oltre, pp_ 122-23_ .. In realtà la formula risulterebbe una funzione esponenziale.

La legge della caduta dei corpi

10.5

considerato «la stretta connessione tra moto e tempo "». E, forse, nel­ l'aver trascurato il fattore causale. L'elogio che Galileo rese piu tardi alla nozione d'attrazione formulata da Gilbert", l'ammirazione che "

egli ha sempre professato per il grande fisico inglese , rendono que­ sta ipotesi assai probabile ": il corpo che cade accelera il proprio mo­ vimento perché in ciascun istante seguente, subisce la medesima azio­ ne istantanea -l'attrazione - della terra. E la formula -definizione essenziale -del moto accelerato deve assumere come base non lo spa­ zio ma il tempo.

2.

Descartes.

Occupiamoci ora di Descartes. Nel 1618 Isaac Beeckman ebbe modo, per caso, di conoscere il si­ gnor du Perron. Beeckman non ci mise molto a scoprire le doti stra­ ordinarie di cui la natura aveva dotato il giovane francese '. COSI si ri­ volgerà a Descartes per chiedergli di aiutarlo a risolvere il terribile problema della caduta accelerata dei gravi. La storia della collaborazione Beeckman-Descartes, vera comme­ dia degli errori, è stata già oggetto di studi piu di una volta '. Crediamo tuttavia non inutile parlarne di nuovo. Beeckman non chiede a Descartes perché, in generale, i corpi cado­ no; questo lo sa già. Lo ha appreso di certo studiando le opere di Gil­ bert J o di Keplero. I corpi cadono perché la terra li attrae. Egli non " Espressione di Galileo, cfr. oltre, p. 137.

.. Si veda la nota 60 a p. 26,. " Galileo tuttavia non utilizzerà mai le leorie di Gilbert e non compirà mai il tentativo di usare la nozione di attrazione di Gilhert per formulare la propria teoria della caduta dei corpi. Si può spiegarlo facilmente: la fisica di Gilbert

è

animista e, prima di Newton, nessuno, neanche

Keplero, saprà matematizzare l'attrazione.

" Cfr. DUIIEM, De l'accéléralioll cit., p. 907. , Descartes, d'altra parte, non lasciava volentieri la lucerna sotto il moggio. Cfr. fOllmal de

Beeckman, 1613, in DESCARl'ES, (Euvres cit., voI. X, p. 331: «Is dicebat mihi se in arithmeticis

et geometricis nihil amplius optare: id est se tantum in iis his novem annis profecisse quantum humanum ingenium capcre possit».

, Si veda soprattutto DUIIEM, Eludes sur Léollard de Vinci cit., voI. III, pp. ,66 sgg. e G.

MILIIAUD, Descarles savalll, Paris 1�20, pp. 2' sg. Cfr. anche]. SIRVEN, Les allnées d'apprelllis­

sage de Descarles, Paris 1928. J

L'opera di Gilbert

(GUILIELMI GILBERTI

Colchestrensis, De magnete, magnetisque corpori-

106

Studi galileiani

vuoI sapere neppure perché cadono con un moto accelerato; sa anche questo. L'accelerazione dei corpi che cadono dipende dal fatto che, in ogni istante del movimento, i corpi sono attratti ex novo dalla terra, e che queste nuove attrazioni gli conferiscono, in ciascun istante, un grado di movimento nuovo, mentre persiste anche il movimento di cui erano dotati in partenza. Fin dal 1613, infatti, Beeckman aveva formulato questa importante proposizione: ciò che viene una volta messo in movimento, rimane in movimento eternamente. Fin dal 16 I 3, egli dunque conosceva la legge della conservazione del movi­

mento'. bus et de magno magnete /ellure, ph)'siologia nova, Landini MDC ) che considerava la terra una calamita e spiegava la caduta dei corpi per mezzo dell'attrazione terrestre, ha avuto una grandis· sima risonanza, ed ha svolto una funzione di primissimo piano nell'evoluzione, e la trasforma­ zione, delle concezioni lisiche. Cosi sarà pubblicamente lodata da Galileo e seguita da Keplero. Gassendi e Newton. Certo, l'idea che Gilbert si faceva dell'attrazione - forza meravigliosa e pa­ ragonabile all'anima - era contraria allo spirito deIIa nuova scienza e perciò stesso inutiIizzabi­ le per Galileo e Descartes. Ma appunto su ciò si concentrerà lo sforzo di Gassendi e di Newton: trasformare l'attrazione gilbertiana in una forza non diretta verso il suo oggetto. , Journal de Beeckman, 1613, in DESCARTES, (Euvres cit., voI. X, p. 60, nota ,: «Mota se­ mel nunquam quiescunt, nisi impediantur. Omnis res semel mota nunquam quiescit, nisi propter externum impedimentum. Quoque impedimentum est imbeciIIius, eo diutius mota movetur: si enim aliquid in altum projiciatur simulque circulariter moveatur, ad sensum non quiescet ante reditum in terram; et si quiescat tandem id non lit propter impedimentum aequabile, sed prop­ ter impedimentum inaequabile, quia alia atque alia pars aeris vicissim rem motam tangit lO. Non confondiamo tuttavia, cosi come si è troppo spesso soliti fare, cosi come, per esempio, fa Duhem (cfr. De l'accéléra/ion cit., p. 904) e, prima di lui, WohlwiII, la legge di conservazione deI mo­ to con la legge di inerzia. La legge deII'inerzia implica il persistere del moto in linea retta; la legge deIIa conservazicne del moto non implica niente di simile. Cosi Beeckman crede alla persi. stenza del moto circolare e ci spiega la persistenza del moto circolare dei pianeti con queIIa, facil· mente osservabile, di un candelabro sospeso a un lilo, perché egli pensa che la legge di conserva· zione de\" moto abbia generalmente valore (cfr. Joumal de Bceckman cit., p. 22'): «eo modo quo in recto motu valeat hoc theorema: quod semel move/ur semper eo modo move/ur dum ab ex/rin. seco impedia/ur. In vacuo vero nuIIa tales consideratio habenda; magnum enim corpus, parvum. grave, leve, magna aut parva superficie, hac sive ilI. figura, etc. semper eo modo quo semeI mo· tum est, pergit moveri, his accidentibus nihil impedimenti afTerentibus. Praeterea cum candela· bra eo modo moventur quo dico annuum motum terrae fieri, si abscisso fune lieri posse, ut can· delabra in aere elevata manerent neque deciderent, sed ut astra in caelo, sic haec in aere vaga· rentur, nuIIa ratio videtur esse cur non pergerent circulariter moveri, usque dum saepius aeri occursando impedita». Il caso di Beeckman non è unico neIIa storia di quegli anni: come lui, anche Hobbes crederà al persistere del moto circolare; cosi non a lui, come neppure a GaIiIeo. spetterà il merito e la gloria di aver per primo chiaramente concepito e formulato la legge di iner­ zia, ma a Descartes. Queste righe erano scritte e già stampate, quando la pubblicazione curata da Cornélis de Waard di nuovi frammenti del Journal di Beeckman (Correspondance du Père Marin Mersenne. Paris 1936, voI. II, pp. II8 sg., 23' sg., 280 sg., ecc.), ha sensibilmente modificato l'immagine che ci si era fatta, o meglio che non ci si era fatta deI fisico olandese, e ci fa amaramente rimpian·

La legge della caduta dei corpi

107

Tutto ciò, ed è molto, costituisce tutta la struttura fisica del pro­ blema 5 e Beeckman la conosce dunque prima di incontrare Descartes; ma, pur comprendendo perfettamente (assai meglio di Descartes) l'agere che il suo prezioso diario sia rimasto inedito. Infatti, Beeckman, ci se ne rende conto ora, merita pienamente l'appellativo di vi, ingeniosissimus di cui l'aveva gratificato Deseartes; e, quel che piu importa, ci appare ormai come un personaggio di primo piano nella storia dell'e­ voluzione delle idee seientifiche; infine, la sua influenza su Deseartes sembra esser stata ben piu profonda di quanto non si sia potuto supporre finQ ad oggi; in particolare, parecchie fra le leggi del moto e dell'urto formulate da Deseartes nei suoi Principi hanno il loro modello in quel­ le che aveva stabilito Beeckman (cfr. Correspondance cit.,voI. II,app. I,A, pp. 633 Sg.); inoltre, erudito e ben informato sulla letteratura seientifica dell'epoca, egli ha, senza dubbio, trasmesso

a

Descartes la conoscenza di opere che questi non aveva letto. Beeckman appartiene a quella corrente di pensiero che si può qualificare bruniano·gilbertia· na. Come già Bruno egli ammette l'infinità dell'Universo e un numero infinito di stelle fisse; co­ me Bruno è sostenitore del vuoto che egli identifica con l'etere e la materia sottile; come Gil· bert e Keplero pensa che in questo etere risieda l'origine e l'agente dell'attrazione; assai pri­ ma di Deseartes e Paseal spiega l'innalzamento dei liquidi nei tubi chiusi con la pressione atmo· sferica; e, quel che qui ci interessa in modo assai particolare, ha formulato, prima di Deseartes, il principio della conservazione del moto, ha respinto la nozione dell'impetus e ha dato una ri­ sposta corretta al problema del proietto. Cosi, fin dal 1620 egli afferma che Motus a Deo semel

creatus non minus quam corporeitas ipsa in aeternum conservatu" e se, non sapendo come spie· gare da questo punto di vista il fatto indubitabile dell'arresto (dunque della scomparsa de! mo· to) nel caso dell'urto dei corpi molli, scrive (ibid., voI. II, p. 123): «His ita positis, nun· quam motus in vacuo potest intelligi ad celeriorem motum vergere, sed omnia tandem spec­ tare ad quietem propter aequales occursus. Unde sequitur Deum opto max. solum potuisse motum conservare movendo semel maxima corpora minima celeritate, quae deinceps reliqua ad quietem semper spectantia perpetuo resuseitant et vivificant,., fin dal 1629 egli sostiene che que­ sta scomparsa

è soltanto apparente e che il movimento si conserva dividendosi tra le parti e gli

atomi che compongono i corpi (cfr. ibid., pp. 2'9 sg.). Fin dah614 si oppone alla nozione del­

l'impetus (ibid., p. 236): «Lapis,projectus in vacuo,perpetuo movetur; obstat autem ei aer, qui novus semper ei occurrit atque ita efficit ut motus ejus minuatur. Quod vero philosophi dicunt vim lapidi imprimi, absque ratione videtur; quis nempe posse concipere, quid sit iIIa aut quo· modo lapidem in motu contineat, quave in parte lapidis sedem figat? Facillime autem mente quis concipiat in vacuo maturo nunquam quiescere, quia nlllla causa mutans moturo, occurrit; nihil enim mutatur absque aliqua causa mutationis », e nel 1618 in uno dei Corrolaires delle tesi che aveva sostenuto a Caen, afferma (ibid., p. 237): «Lapis e manu emissus pergit moveri non propter vim aliquam ipsi accedentem,nec ob fugam vacui, sed quia non potest non perseverare in eo motu, quo in ipsa manu existens movebatur,.. I meriti di Beeckman, come si vede, sono immensi. Tuttavia non dobbiamo esagerare in questa valutazione positiva dell'opera di Beeck· man,e non attribuiamogli,come fa il suo dotto commentatore,l'invenzione del principio di iner· zia (cfr. ibid., pp. 122, 236, 272). Giacché quando Cornélis de Waard serive (p. 236): «nella prima di queste nore egli lo applica soltanto a tOrto al moto celeste e circolare, ma poco tempo dopo (luglio 1613' aprile 1614) lo estende ai moti rettilinei: 011lnis ,es semel mo· ta, nunqua11l quiescit nisi propter externum impedimentum: quoque impedimentum est im­ becillius, eo diutius mota movetu,,,... egli commette né piu né meno lo stesso errore di Beeckman, che afferma (ibid., p. 360): «Id quod semet movetu, in vacuo, sempe, movetu" sive secundum lineam ,ectam seu circula,em tam supe, cent,o suo, qualis est motus diurnus Terrae, et annuus ", senza rilevare - senza per questo fargliene una colpa - che la conservazione del mo­ to circolare e quella del moto rettilineo sono ,igo,osamente incompatibili. 5

Bisognerà attendere almeno trent'anni, fino al De motu imp,esso a moto,e t,anslato di

Studi galileiani

108

spetto fisico della questione, è incapace di padroneggiarlo matemati­ camente. Dai principi di cui è in possesso, non può dedurne le conse­ guenze; non può ricavarne la formula che gli permetta di calcolare la velocità e lo spazio percorso dal grave". Ed è ciò che egli chiede a Descartes. Gli chiede dunque 7: Ammettendo i miei principi, ovverosia che ciò che è messo in movimento si muova eternamente nel vuoto, e supponendo un vuoto fra la terra e la pietra che cade, è possibile conoscere qual è lo spazio che un corpo che cade per­ corre in un'ora, quando si sa quanto ne percorre in due ore?

La formulazione della domanda è curiosa. Beeckman non chiede, cost come sembrerebbe naturale chiedere: si può conoscere quale spa­ zio percorrerà in due ore, un corpo che cade, quando si sa quanto ne percorre in un'ora sola? Egli pone invece, come abbiamo visto, la do­ manda inversa.

È evidente che Beeckman, il quale concepisce la' caduta non piu, certamente, come un moto «naturale», ma come l'effetto di un'attra­ zione terrestre sul corpo che, in sé stesso, non prova alcuna tendenza a muoversi da una parte piuttosto che da un'altra, e persino, in gene­ rale, a muoversi affatto (il corpo rimane per natura in quiete se qual­ che forza esterna non lo costringe a muoversi, in tal caso persevererà nel suo nuovo stato di movimento come persevererà nella quiete), non può concepire la caduta che come un moto che abbia un fine naturale e normale -la terra -e neppure -come Benedetti o il giovane Galileo - come un moto che possa prolungarsi all'infinito '. Cost se lo rappre-

Gassendi (Pari. 1643) - e ancora! -, per ritrovare una concezione cosi chiara del meccanismo della caduta. Abbiamo insistito sui meriti di Beeckman perché ci sembra che siano stati un po' troppo disconosciuti. •

II cbe, sia detto per inciso, infirma l'opinione del Duhem a proposito della generale dif.

fusione, ncl corso dci XVI C dci XvII secolo della formula o della regola di D'Oresme (si veda DU­ HEM,

El udes mr Léonard de Vinci cit., voI. III, pp. ,80 sg. e passim). La nostra impressione, al è che questa formula sia rimasta pressappoco sconosciuta. 7 Cfr. DESCARTES e BEF.CKMAN, Physico.malhematica, in DESCARTES, (Euvres cit., voI. X,

contrario, pp. 75 sg.

• È curioso constatare che la concezione di Beeckman, molto naturale, in fin dei conti, per un copernicano, e che rappresenta un notevole progresso in rapporto a quella di Benedetti e del giovane Galileo, si avvicina, d'altra parte, alla concezione tradizionale della caduta, moto diret­ to

verso una meta.

La legge della caduta dei corpi

109

senta come un movimento che va da A in B: dalla cima di una torre o da un qualsiasi punto al di sopra della terra, fino a questa. E questo mo­ vimento - il moto totale - che noi possiamo misurare, vale a dire, pos­ siamo misurare la distanza percorsa e il tempo impiegato. E da questo punto che noi dobbiamo partire per ricostituirne, con l'analisi, le fasi anteriori '. Non è esattamente nello stesso modo che Descartes concepirà il moto della caduta. Cosi la sua risposta sarà inesatta. Ma Beeckman non se ne accorgerà. Infatti, ecco ciò che, secondo Beeckman, alla domanda «perché la pietra che cade nel vuoto, precipita con una velocità sempre mag­ giore» risponde Descartes «partendo dai principi» di Beeckman

IO:

Quando esiste un vuoto fra il corpo e la terra, il corpo si muove verso il basso, verso il centro della terra, nel modo seguente: in un primo mo­ mento, percorre tanto spazio quanto può farlo per l'attrazione" della terra; in un secondo [momento] persevera in questo movimento al quale si assom­ ma un nuovo movimento di attrazione, in modo che, in questo secondo mo­ mento, percorre uno spazio doppio. In un terzo momento, si mantiene lo spazio doppio

",

al quale se ne aggiunge, in seguito all'attrazione della terra,

un terzo, in modo che, in un solo momento, percorre uno spazio triplo del primo.

Queste considerazioni che, come vedremo tra breve, sono una tra­ sposizione di Beeckman del ragionamento cartesiano, permettono di

, Galileo, come si è visto - e come si vedrà anche in seguito - non ragiona a questo modo. Egli si muove sempre dalla concezione bencùettiana di uno spazio archimcùeo e studia il moto della caduta come un tipo particolare del movimento. Galileo non parte mai dal caso concreto. IO Cfr. ]ournal de Beeckman cit., p. ,8: «Lapis cadens in vacuo cur semper celerius cadat: moventur res deorsum ad centrum terrae, vacuo intermcùio spatio existente, hoc pacto; primo momento, tantum spacium conficit, quantum per terrae tractionem fieri patest. Secundo, in hoc motu perseverando superadditur motus novus tractionis, ita ut duplex spacium secundo momen­ to peragretur. Tertio momento, duplex spacium perseverat, cui superadditur ex tractione terrae tcrtium, ut uno momento tripIum spacii primi peragrctur ... " Passo di un'importanza capitale perché rivela bene tutta la differenza che esiste tra la no­ zione di attrazione e quella di tendenza: l'attrazione agisce dall'esterno, tira i COrPi verso la ter­

ra. Il moto della caduta è dunque - horribile dictu - un moto violento. Senza dubbio, Keplero, rendendo l'attrazione reciproca, contribuirà a rendere la situazione meno traumatizzante; ma Deseartes assimilerà definitivamente il moto naturale della caduta al moto violento prodotto dal­ l'urto. Cfr. oltre, p. 133. 12

"Si mantiene lo spazio doppio,. - duplex spatium perseverat - la velocità doppia, vale a

dire quella che è in grado, in un momento, di far percorrere uno spazio doppio, persiste.

IlO

Studi galileiani

risolvere correttamente il problema posto e di calcolare il tempo della caduta. Continuiamo dunque la relazione di Beeckman u: Ma, siccome questi momenti sono indivisibili, lo spazio che il corpo per­ corre, nella sua caduta, in un'ora, sarà ADE. Lo spazio che percorrerà in due ore cadendo raddoppia la proporzione dei tempi, vale a dire, ADE rispetto ad ACB, che è la doppia proporzione di AD rispetto ad AC. Sia il momento dello spazio che il corpo percorre cadendo in un'ora di una grandezza qual­ siasi, per esempio ADEF. In due ore, percorrerà tre momenti uguali, cioè AFEGBHCD. Ma AFED è composta da ADE pitl AFE. E AFEGBHCD è composta da ACB piti AFE e EGB, ovverosia con il doppio di AFE. Cosi, se il momento è AIRS, la proporzione degli spazi sarà ADE cor.

klmn sta ad ACB con klmnopqt, vale a dire, ancora una volta, il doppio di klmn. Ma klmll è molto piti piccolo di AFE. Siccome la proporzione dello spazio percorso sta a un altro come proporzione di un triangolo a un altro triangolo, ai quali termini [della proporzione] sono aggiunte delle [grandezze] uguali, e siccome queste aggiunte si fanno tanto piti piccole quanto piti pic­ coli sono i momenti dello spazio, ne segue che queste aggiunte diventano di quantità nulla quando il momento è di grandezza nulla. Orbene, tale è il momento dello spazio attraverso il quale cade il corpo. Resta dunque dimo­ strato che lo spazio attraverso il quale cade il corpo in un'ora sta allo spazio attraverso il quale cade in due ore come il triangolo ADE sta al triangolo

ACB ... U Journal de Beeckman cit., p. ,8: «Lapis cadenlis lempus suppulalum: Cum autem mo·

menta haec sint individua, habebit spacium per quod res una hora cadit ADE. Spatium per quod duabus horis cadit, duplicat proportionem temporis, id est ADE ad ACB, quae est duplicata proportio AD ad AC. Sit enim momentum spatij per quod res una hora cadit alicujus magnitu­ dinis, videlicet ADEF. Duabus horis perficiet talia tria momenta, scilicet AFEGBHCD. Sed

AFED constat ex ADE cum AFE; atque AFEGBHCD constat ex ACB cum AFE e EGB id est cum duplo AFE. .. Sic si momentum sit

AIRS, erit proportio spatii ad spatium, ut ADE cum klmn, ad ACB

cum klmnopql, id est etiam duplum klmn. Ast klmn est multo minus quam AFE. Cum igitur proportio spatii peragrati ad spatium peragratum constet ex proportione trianguli ad triangu­ lum, adjectis utrique termino aequalibus, cumque haec aequalia .djecta semper eo minora liant quo momenta spatii minora sunt: sequitur haec adjecta nuIIius quantitatis fote quando momen­ tum nullius quantitatis statuitur. Tale autem momentum est spatii per quod res cadit. Restat igitur spatium per quod res cadit una hora se habere ad sp.tium per quod cadit du.bus horis, ut triangulum ADE ad Iriangulum ACB. "Haec ita demonstravit

M. Perron, cum ei ansam praebuissem, rogando an possit quis scire

quantum spatium res cadendo conficeret unica hora, cum scitur quantum conficiat duabus horis, secundum mea fundamenta, viz. quod semel movelur, semper movelur in vacuo, et supponendo inter terram et lapidem cadentem esse vacuum. Si igitur experientia compertum sit, lapidem ce­

cidisse duabus horis per mille pedes, continebit triangulum ABC 1000 pedes. Hujus radix est 100 pro linea AC quae respondit horis duabus. Bisecata ea in D, respondet AD uni horae. Ut

igitur se habet proportio AC ad AD duplicata, id est 4 ad I, sic 1000 ad 2'0, id est ACB ad

ADE,..

La legge della caduta dei corpi

III

Se dunque fosse fatta l'esperienza che il corpo precipitando in due ore percorre mille piedi, il triangolo ABC conterrà mille piedi

14.

Perciò, la radice

è cento per la linea AC che corrisponde a due ore. Divisa in due parti uguali in D, AD corrisponderà a un'ora. Come dunque la proporzione doppia di AC sta ad AD, cioè quattro a uno, cosi stanno mille a duecentocinquanta, cioè ACB ad ADE.

I

f-------:::ò'Ik-.--, G

C

L------:H"=--->I B

La soluzione è insieme elegante ed esatta: gli spazi percorsi sono riconosciuti proporzionali ai quadrati dei tempi. Ma questa non è af­ fatto la soluzione di D'escartes: Beeckman, come ben si sa, si era sba­ gliato nell'interpretare la risposta del signor du Perron

15.

Ecco, infatti,

l'altro resoconto, quello che ci ha lasciato Descartes stesso. Nelle sue Cogitationes privatae Descartes annota, brevemente

IO:

14 Notiamo per inciso che allo stesso modo di Galileo, Deseartes rappresenta lo spazio per­

corso dal corpo che cade, non con una linea, ma con una superficie. Il fatto è che né Galileo, né Deseartes pensano in primo luogo allo spazio percorso; essi pensano invece al movimento effet­ tuato. Il «momento» indivisibile di cui parla Deseartes non

è

un «istante»; è esattamente la

medesima cosa del «grado di velocità» di cui parla Galileo; è cioè un movimento o una velocità istantanea, il minimum, o se si preferisce, la differenziale del movimento. In quanto tale - mo­ vimento - esso ha necessariamente due dimensioni. In tal modo la figura (il triangolo oppure il rettangolo) rappresenta letteralmente la somma dei «momenti,. o «gradi di velocità,. infiniti.

1;

questo che ci sembra non abbia compreso il Duhem. 15 Cfr. DUHEM, Etudes sur Léonard de Vinci cit., voI. III, p. '70; e MILHAUD, Descartes sa­

vant cit., p. 27. 16

DESCARTES, Cogitationes privatae, in (Euvres cit., voI.

X,

pp. 219 sg.: "Contigit mihi an­

te paucos dies familiaritate uti ingeni05issimi viri, qui talem mihi quaestionem proposuit: pis, aiebat, dcscendit ab

A

La­

ad Buna hora; allrahitur autem a terra perpetuo eadem vi, nec quid

deperdit ab il/a celeritate quae ilIi impressa est priori allrac/ione. Quod enim in vacuo movetur sC11Iper moveri existimabat. Queritur quo tempore tale spatium percurrat,..

112

Studi galileiani Mi è capitato, pochi giorni fa, di stringere amicizia con un uomo assai capace, che mi ha proposto la questione seguente: Una pietra, dice, precipita da A in B in un'ora; essa è di continuo attrat­ ta dalla terra con la medesima forza e non perde nulla della velocità che le

è stata impressa dall'attrazione precedente. Ora, ciò che si muove nel vuoto, si muove, secondo lui, per l'eternità. Ci si chiede in quanto tempo la pietra percorrerà uno spazio dato.

Notiamo, immediatamente, che Descartes riconosce d'aver ricevu­ to da Beeckman sia la questione, sia i principi della soluzione ". Prin­ cipi che non hanno, per lui, come per Beeckman, valore di verità; per Descartes non sono che ipotesi, che, d'altronde, egli comprende im­ perfettamente. Il che non gli impedisce tuttavia di risolvere il pro­ blema posto e persino di darne due soluzioni diverse. Il povero Beeckman non chiedeva tanto: egli voleva sapere come cadono le pietre. Descartes non si accontenta solo di questo, ma gli spiega anche come potrebbero cadere". Ecco dunque la sua risposta 19: Ho risolto la questione. Nel triangolo isoscele rettangolo, ABC rappre­ senta lo spazio (il movimento); la disuguaglianza dello spazio dal punto A alla base nc, la disuguaglianza del movimento

2••

In conseguenza di ciò, AD

sarà percorso nel tempo che è rappresentato da ADE; e DB nel tempo rap­ presentato da DEBC: dove bisogna rilevare che lo spazio minore rappresen­ ta il movimento piu lento. Ma ADE è la terza parte di DEBC: ne segue che AD sarà percorso tre volte piu lentamente di DB. Ma si potrebbe anche porre la questione in un altro modo: cioè [ammet-

17 Si sa che l'ili tardi Dcscarles negherà di aver mai imparalo qualcosa da Becckman. Cfr. la

à Merrenne, 4 novembre 1630 (in (Euvrer cit., voI. stesso (ibid., pp. 1'7 sg.).

!.ellre

I, pp. 17 1 sg.) e la Lellre à Beeckman

I. Gilson ha già messo in rilievo questo tratto caratteristico dello spirito cartesiano: Des­

cartes si preoccupa assai l'ili di spiegare un fatto che di stabilirlo. Si veda E. GILSON, Eluder rur

III pensée médiéva[e dllns [Il jormll/ion du ryr/ème carlésien, Paris 1930. X, p. 219: «Solvi quaestioncm. In triangulo isoscelo rcctangulo, ABC spatium [motum] repraesentat: inaequalitas spatii a puncto A ad ba­ sim BC, motus inaequalitatem. Igitur AD percurritur tempore, quod ADE repr.esentat; DB ve · ro tempore quod DEBC repraesentat: ubi est notandum minus spatium tardiorem motum re· pracsentare. Est autem AED tertia pars DEBC: ergo triplo tardius percurret AD quam DB. Ali· le role de

19 Cogila/ioner privalae, in (Euvrer cit., voI.

ter autem proponi potest hacc quaestio, ita ut semper vis attractiva terrae aequalis sit iIIi quae primo momento fuit: nova producitur, priori remanente. Tunc quaestio solvetur in pyramidelO. 211

La disugu aglianza del movimento

velocità.

-

molur inequalilalem

-

vuoI dire: la variazione della

La legge della caduta dei corpi

II3

tendo] che la forza di attrazione della terra sia uguale a quella che è stata nel primo momento: e che ne sia prodotta una nuova, mentre permane anche quella precedente. In questo caso, il problema si risolverebbe nella piramide.

A

D

B

E

C

Curiosa postilla! Ci si rende conto fino a che punto sia estraneo alla mentalità di Descartes il problema del meccanismo fisico della caduta. Che Beeckman l'abbia effettivamente risolto non lo riguarda gran che. Ed egli immagina un altro caso «possibile», un caso in cui la forza d'attrazione crescerebbe di istante in istante; allora, nel secondo momento, il corpo sarebbe attratto con una forza doppia; nel terzo, con una forza tripla, ecc. In questo caso, beninteso, il corpo precipiterebbe molto piu velocemente". Come sarebbe possibile un tale aumento della «forza d'attrazione»? Descartes non se lo chiede. Infatti, non da fisico, ma da puro matematico, da puro geometra egli considera il problema: si tratta di stabilire un rapporto fra due serie di grandezze variabili. Perché non tentare, già che ci siamo, un'ipotesi interessante? Descartes è un geometra, un puro matematico. In ciò consiste, sembra, la ragione per la quale egli non afferra molto bene i «principi» di Beeckman e dà alla sua domanda una risposta sbagliata. Egli considera il problema - e il fenomeno preso in esame - in modo del tutto diverso da Beeckman. Come Beeckman, egli parte dalla fine della caduta. Ma, al contrario di Beeckman, egli la considera, in qualche modo, fissata, arrestata. O, se si preferisce, egli non considera che la traiettoria della caduta. Oppure, se si vuole, istintivamente, elimina il tempo. La linea ADB - che per Beeckman rappresentava il tempo impie" II problema si risolverebbe con la piramide - In/vetur in pl'ramide - vale a dire le velo· cità aumenterebbero come i cubi e non pili come i quadrati.

Studi galileiani

II4

gato 22 -rappresenta per lui, naturalmente, la traiettoria percorsa. E il problema si trasforma: una traiettoria è percorsa con una velocità «uniformemente variabile»; il problema consiste dunque nel deter­ minare la velocità in ciascun punto del percorso. I triangoli ADE, ABC che, per Beeckman, rappresentavano lo spazio percorso (il per­ corso), rappresentano invece, per Descartes, il movimento del mobile, vale a dire la «somma delle velocità» realizzate. E, molto plausibil­ mente, conclude: essendo tripla la «somma delle velocità», lo spazio DB sarà percorso tre volte piu velocemente. Si recupera il tempo, ma troppo tardi; la geometrizzazione ad oltranza, la spazializzazione, l'e­ liminazione del tempo - là dove non si può eliminarlo -la non consi­ derazione dell'aspetto fisico, causale, del processo conducono Descar­ tes -come già Galileo, e prima di lui, Benedetti e Michel Varron - a concepire il moto uniformemente accelerato come un moto in cui la velocità aumenta proporzionalmente al cammino percorso, e non pro­ porzionalmente al tempo impiegato. Ora, se ci è permesso, in effetti, di attribuire alle nostre nozioni definizioni arbitrarie, è anche necessario -ed è la lezione che ci darà Galileo -sforzarsi di conoscere l'essenza dei fenomeni nella natura. Vale a dire, ci è vietato trascurare le cause e omettere il tempo. Abbiamo detto che Descartes non ha ben afferrato i «principi» della fisica di Beeckman. Si potrebbe dire anche di piu, e affermare che non ha compreso il progresso compiuto dal suo amico". È vero che Beeckman stesso non se ne rende conto molto bene. Il testo dei

Physico-mathematica, confermando la nostra analisi delle origini del­ l'errore cartesiano, ci sembra dimostri pienamente questa incompren­ sione. CosI lo citeremo per intero 24 •

" Può essere curioso notare che per Beeckman, come per Galileo (cfr. sopra, pp. 102·3; Dialogo cit., voI. VII, p. 2'1, e Discorsi cit., giornata terza, voI. VIII, pp. 208·2'0), il flusso

del tempo

è sempre rappresentato da una verticale e non, come noi facciamo abitualmente, da

un'orizzontale. " Questo decisivo progresso consiste: a) nella /lclla affermazione della legge della conser· vazione

del moto, che viene in tal modo scissa dalla concezione dell ùl/pet tl s ; h) nell'elimina· '

zione di ogni causa interna al mobile. Per la prima volta nella storia della fisica un effetto varia­ bile potrà essere spiegato con l'azione successiva, o prolungata, di una forza costante.

24 DESCARTES e BEECKMAN, Physico-mathematica, in DESCARTES, (Euvres cit., pp. n sg.:

«In proposita quaestione, ubi imaginatur singulis temporibus novam addi vim qua corpus grave

I

La legge della caduta dei corpi

15

"

Nella questione posta, in cui s'immagina che, in ciascun istante , una nuova forza s'aggiunga [a quella] con la quale il corpo grave tende verso il basso, io dico che questa forza aumenta allo stesso modo con cui aumentano le linee trasversali

de, fg, bi, e tutte le altre infinite trasversali che si posso­

no immaginare tra loro. Per dimostrarlo assumerò per primo minimo o pun­ to del movimento

26

causato dalla prima forza di attrazione della terra che si

può immaginare, il quadrato avremo il doppio, e cioè

alde. Per il secondo minimo del movimento, dmfg; infatti, la prima forza che era nel primo mini­

mo, rimane, e un'altra, nuova, vi si aggiunge, uguale alla precedente. Ugual­ mente nel terzo minimo del movimento, ci saranno tre forze, cioè quella del primo, secondo e terzo minimo del tempo, ecc. Ora questo numero è trian­ golare come altrove spiegherò forse piu a lungo, ed è evidente che rappre­ senta la figura del triangolo abc. Tuttavia, dirai, ci sono delle parti ecceden­ ti,

aIe, emg, goi, ecc., che escono dalla figura del triangolo. In conseguenza,

la figura del triangolo non sarà in grado di esprimere la progressione in que­ stione. Ebbene, io rispondo che queste parti eccedenti, sono la conseguenza del fatto che noi abbiamo dato a questi

minima un'estensione, mentre invece

tendat deorsum, dico vim ilIam eodem pacto augeri, quo augentur lineae transversae de, Ig, bi, et aliae infinitae transversae quae inter ilIas possunt imaginari. Quod ut demonstrem, assumam pro primo minimo vel puncto motus, quod causatur a primo quac imaginari potest attractiva vi terrae, quadratum a/de. Pro secundo minimo motus, habebimus duplum, nempe dmg/: pergit enim ea vis quae erat in primo minimo, et ali. nova accedit illi aequalis; item in tertio minimo motus, erunt 3 vires; nempe primi, secundi et tertii minimi temporis, etc. Hic autem numerus est triangularis, ut alias forte fusius explicabo, et apparet hunc figuram triangularem abe reprae­ sentare. Immo, inquies, sunt partes protuberantes a/e, emg, gai, etc. quae extra trianguli figuram exeunt. Ergo figura triangulari ilIa progressio non debet explicari. Sed respondeo ilIas partes protuberantes oriri ex eo quod latitudinem dederimus minimis, quae indivisibilia debent ima­ ginari et nullis partibus constantia. Quod ita demonstratur. Dividam ilIud minimum ad in duo aequalia in q; iamque arsq est [primum] minimum motus, et qled secundum minimum motus, in quo erunt duo minima virium. Eodem pacto dividamus

di, Ib, etc. Tunc habebimus partes

protuberantes ars, sle, etc. Minores sunt parte protuberante a/e, ut patet. Rursum, si pro mini­ mo assumam minorem, ut M, partes protuberantes crunt adhuc minores, ut aJ3y etc. Quod si de­ nique pro illo minimo assumam verum minimumJ nempe punctuffiJ tum illae partes protuberan­ tes nullae erunt, quia non possunt esse totum punctum, ut patet, sed tantum media pars minimi a/de, atqui puncti media pars nulla est. Ex quibus patet, si imaginetur, verbi gratia lapis ex a ad b trahi a terra in vacuo per vim quae aequaliter ab ilIa semper fluat, priori remanente, mo­ tum primum in a se habere ad ultimum qui est in b, ut punctum a se habet ad lineam be. Me­ diam vero partem gb triplo celerius pertransiri a lapide, quam alia media paIS all., qui. triplo maiori vi a terra trahituI: spatium enim Igbe triplum est spatii alli., ut facile probatur. Et sic proportione dicendum de caeteris partibuslO. " Notiamo questo «in ciascun istante,. - singu/is lemporibus

-

nel momento stesso in cui

Descartes pensa "forza lO, pensa anche «tempo lO. 26 Minimo o punto dci movimento

-

minimum vel pUllelum molus

-

è esattamente la mede­

sima cosa di ciò che Descartes chiama anche «momento,. e di ciò che Galileo e i suoi predeces­ sori chiamano «grado di velocità».

II6

Studi galileiani

bisogna immaginarli come indivisibili e come se non fossero costituiti da alcuna parte. Il che si dimostra nella seguente maniera. Divido questo minimo ad in due parti uguali in q; allora arsq sarà il [primo] minimo del movimento, e q/ed il secondo minimo del movimento, nel quale ci saranno due minimi di forze. Allo stesso modo, divideremo dI, /h, ecc. Allora avremo

2

!I-----~--,

3 h I-------~---, P 4 b l...-_ _ _ _ _ _ _ _

~

C

delle parti eccedenti ars, sle, ecc. Queste sono piu piccole della parte eccedente aie, com'è evidente. Andiamo avanti. Se, per un minimo, ammetto un minimo minore, come ad, le parti eccedenti saranno ancora pit1 piccole, come a~y, ecc. Poiché se, infine, per questo minimo, io prendo il vero minimo, ovverosia il punto, allora queste parti eccedenti saranno nulle, perché non potranno essere tutto il punto, ma soltanto una metà del minimo alde, com'è evidente, e la metà di un punto è nulla.

a

!r---ig cL------'b Dal che è chiaro che se noi immaginiamo, per esempio, una pietra che, nel vuoto, fosse attratta dalla terra da a in b con una forza che provenga da questa con un'intensità sempre uguale, pur conservando la precedente, il primo movimento in a starebbe all'ultimo che è in b, cosi come il punto a sta alla linea be. Quanto alla metà gb, essa sarà percorsa dalla pietra tre volte pit1 velocemente dell'altra metà ag, perché sarebbe attratta dalla terra con una forza tre volte maggiore. Infatti, lo spazio /gbc è il triplo dello spazio a/g, com'è facile provare. E cosi, proporzionalmente, si deve dire delle altre parti.

La legge della caduta dei corpi

I

17

È difficile immaginarsi un testo che riunisca, come questo, una su­ con la pi6 irrimediabile confusione fisi­ ca. Descartes, decisamente, non ha compreso i «principi» di Beeck­ man; COSI lascia, semplicemente, cadere la conquista intellettuale di quest'ultimo: il principio della conservazione del moto. Lo sostitui­ sce con quello della forza. Egli parte dall'idea che la velocità è propor­ prema eleganza matematica

27

zionale alla forza"; e ne trae la conseguenza che una forza costante produce una velocità costante. Descartes ricade dunque nella conce­ zione classica della fisica dell'im pet u s . Egli s'immagina che se il corpo che cade accelera il proprio movimento, ciò è dovuto al fatto che il corpo è attratto con maggior forza dalla terra alla fine del suo movi­ mento che all'inizio o, per dirla con le sue parole, perché la forza di attrazione della terra produce nella pietra una forza motrice che va progressivamente crescendo: in tal modo somma (il passo che citiamo corrisponde alla prima ipotesi studiata nel testo delle Cogitationes pri­ vatae che abbiamo citato sopra) le forze agenti, e non semplicemente

le velocità". 27

DUHEM, Etudes sur Uonard de Vinci cit., voI. III, p. '76, serive a questo proposito:

«Ciò che Beeckman aveva detto [bisognerebbe, beninteso, dire: Deseartes] era di ben altra esat­ tezza e di ben altra portata dai ragionamenti del Meccanico di Pisa lO.

I ragionamenti del .. Mec­

canico di Pisa» non erano cosi disprezzabili come dà ad intendere il Duhem; consistevano in realtà.

COSI come si è visto e come avremo occasione di vedere piu avanti, in un'utilizzazione del­

la geometria degli indivisibili di Cavalieri. Per quanto riguarda il ragionamento cartesiano, lo si ritrova, pressappoco tale e quale, in Gradi (cfr. CAVERNI, Storia del metodo sperimentale cit., voI.

IV, pp. 306 sg.). 1 2

Idea perfettamente giusta se, come Descartes, si elimina il tempo e si rappresenta l'azio­

ne della forza come fuori del tempo oppure istantanea; allora, come dirà Newton (Pbilosopbiae naturalis principia matbematica, axiomata sive leges motus, Londini 1687, lex

Il, p. 12) è fuor

di dubbio che «Si vis aliqua motum quamvis generat, dupla dupium, tripla triplum generabit, sivc simul et semcl, sive gradatim et successive impressa fuerit,.. Sull'istantaneismo di Descartes si veda l'ottimo lavoro di J. WAIIL, Le rOle de l'idée de l'instant dans la pbilosopbie de Descartes, Paris 1920.

è lungi dal comprendere sé stesso, dal compren­ è implicito nel suo «principio». Ciò è totalmente confermato dai testi pubblicati da

" Abbiamo già detto che Beeckman stesso dere ciò che

Cornélis de Waard. Beeckman si comprende cosi poco che giunge al punto di negare la continui­ tà dell'accelerazione nella caduta, e ad adottare la teoria di un movimento non ininterrotto. (Cfr. Correspondance du Père Marin Mersenne cit., voI.

Il, pp. 291 sg.). D'altra parte, al pari di

Aristotele, egli ammette che il corpo, lanciato in aria, si fermi prima di ritornare indietro. Lo si vede bene, piu paradossale di quanto non sembrasse, la nuova nozione del movimento

è lungi

dall'essere chiara per Beeckman, ed è a Descartes che vertà riservato il compito di renderla chiara e di penetrarne tutte le implicazioni. Ma non vi arriverà che dieci o quindici anni piu tardi, al tempo delle Reglliae e del Monde, quando si deciderà finalmente a non vedere nel mo­ vimento che ciò che vi vedono i matematici.

I

Studi galileiani

18

Si ha l'impressione che Descartes, pur accettando - ipoteticamen­ te - il principio di Beeckman, il principio di conservazione del movi­ mento, non se ne fidi. Si ha l'impressione che, cercando di risolvere il problema della caduta, egli preferisca rinunciare alle nozioni elaborate da Beeckman, nozioni visibilmente ancora troppo nuove per lui, trop­ po insolite, troppo difficili. In realtà, la nozione del movimento che Beeckman - implicitamente - tira in ballo (è la nozione del movimen­ to della fisica classica) si situa in qualche modo, nella sottile frontiera che divide il matematico (il geometrico) dal fisico (il temporale). È una nozione molto difficile da ricavare, e la difficoltà che un Descartes pro­ va ad afferrarla, a mantenersi su questo limite preciso tra il fisico e lo spazio puro è la prova sufficiente, se non ce ne fossero altre, di questa difficoltà. Qui sta la ragione per cui Descartes la evita; il movimento, entità paradossale, che è uno stato del mobile e che, nondimeno, passa da un mobile all'altro, che rappresenta il cambiamento e che, nello stesso tempo, rimane uguale a sé stessa, sembra a Descartes un essere ibrido; e volontariamente quanto istintivamente egli sostituisce tale nozione con quelle, piu concrete - e piu chiare, piu facilmente imma­

ginabili

3. _

di forza motrice da un lato, di traiettoria dall'altra.

Nonostante questo, risolve brillantemente la sua deduzione mate­ matica. Lo si capisce

senza

fatica: formalmente non c'è, in realtà, nes­

suna differenza tra il problema di Beeckman e quello che gli sostitui­ sce Descartes. Che si tratti di forze, di spazi, di velocità, poco impor­ ta; si tratta sempre di una sola e medesima cosa, di calcolare cioè il rit­ mo di variazione di una grandezza che aumenta uniformemente in rap­ porto al tempo. E quando pensa alla forza di attrazione Descartes pen­ sa necessariamente

a

una variazione, oppure a una produzione, nel

tempo. È quando cerca di tradurre i risultati della sua integrazione in termini di spazio che, trascinato dallo slancio della rappresentazione immaginativa e dalla sua tendenza alla geometrizzazione ad oltranza, cade nell'errore che, cosa curiosa, anche con la sua fisica della forza,

30 La fisica di Dese.rtes è - ohimè! - una fisica

immaginativa, e assai spesso una concezione Méta­

chiara è per lui soltanto una concezione chiaramente immaginata. Cfr. L. BRUNSCHVICG,

physique et Mathématique chez Descartes, in «Revue de méthaphysique et de Morale», cfr. anche oltre, pp. 144 sgg.

1927;

La legge della caduta dei corpi

119

poteva, all'inizio, evitare". Se vi cade, è perché, col sostituire la traiet­ toria al movimento, egli fa della traiettoria - e non piu del tempo l'argomento della sua funzione. La traduzione - reinterpretazione - cartesiana delle idee di Beeck­ man ci sembra cOSI curiosa e cOSI rivelatrice nello stesso tempo delle intime tendenze dell'animo umano, delle difficoltà che ha dovuto su­ perare per arrivare a questa nozione del moto che, solo dieci anni pill tardi, Descartes dichiarerà semplice ed evidente al punto da non ri­ chiedere né ammettere nessuna definizione, che ci rimprovereremmo di non illustrarla ancora con un altro testo. Il lettore, speriamo, non ce ne vorrà per questo. Descartes prosegue dunque ": Questa questione può essere risolta anche in un altro modo, piti diffici­ le. Si immagini che la pietra si trovi nel punto a, e che lo spazio tra a e b sia vuoto. E che, per la prima volta, oggi alle nove per esempio, Dio crei in b una forza che attragga la pietra; e che, negli istanti susseguenti, crei in se­ guito delle forze di attrazione sempre nuove, uguali a quelle che ha creato nel primo istante, le quali, unite alle forze create prima, attraggono la pietra sempre piti forte,

e

tanto piti forte che, nel vuoto, ciò che è mosso una volta

si muove in eterno; e ammettiamo che la pietra, che era in a, pervenga alle dieci in ·b. Se si chiede in quanto tempo percorrerà la prima metà del percor· so, ovverosia ag, e in quanto tempo lo spazio che resta da percorrere, io ri· spondo che la pietra discende per la linea

3l

ag in un ottavo di ora e per la

linea gb in sette ottavi di ora. Allora, infatti, bisogna costruire una piramide su base triangolare, di cui l'altezza sia ab e che sia divisa in un modo qual­ siasi, insieme all'intera piramide, da linee trasversali equidistanti dall'oriz-

" Bastava mantenere rigorosamente il parallelismo tra forza e velocità e continuare a pensa· re cnusalmente, vale a dire, in funzione dci tempo. "

llESCARTES c REECKMAN,

Ph)'s;co-mathcmot;ca,

in llESCARTES,

(Euvres

cit., p. 77: «Aliter

vero potest hacc quacstio proponi difficilius, hoc pacto. Imaginctur lapis in puneto Il manerc, spatiuffi intcr Il

et b

vacuum;

iamque primum, verbi gratin, haùie hora nona Dcus crect in b vim postca morncntis nuvnm et novam vim creet, quae aequalis sit

attractivam lapiJis; et singulis

illi quam primo momento creavit; quae iuncta cum vi ante creata fortius lapidem trahat et for­ tius itcrum, quia in vacuo in

a,

perveniat ad

h

quad

semeI

motum

est semper movctur; tandemque lapis, Qui erat

hora decima. Si petatur quanto tempore primam mediam partem spatii con·

fecerit, nempe as:, et quanto reliquam: respondeo lapidem descendisse per Iineam ag tempore 1/8 home, per spatium

gb,

7/8 horae



chiaramente un errore: bisogna invertire le cifrel. Tunc

enim debet fieri l'yramis supra basim triangul.rem,

cuius

altitudo sit

ab,

quae quocunque pacto

dividatur und cum tota pyramide per Iineas transversas aeque distantes ab horizonte. Tanto ce· lerius lapis inferiores partes Iineae ab percurret, quanto maioribus insunt totius pyramidis sec· tionibus». 3.1

I.a linea,

come sempre in Descartes, rappresenta la traiettoria.

120

Studi galileiani zonte. La pietra percorrerà le parti inferiori della linea ab tanto pili veloce­

mente quanto esse parteciperanno a sezioni maggiori di tutta la piramide 34.

Descartes non ha torto di considerare questo modo di risolvere la questione, come «piu difficile». Infatti, egli adotta, questa volta, il principio di Beeckman della conservazione del moto. Ma a questo prin­ cipio egli aggiunge - e si capisce che invochi il concorso divino un aumento costante della forza d'attrazione. Cosa curiosa! Di tutti i casi possibili che Descartes esamina ce n'è uno solo che non prende in considerazione ed è proprio quello che Beeckman gli aveva proposto.

Com'è possibile che Beeckman non abbia rilevato l'errore com­ messo da Descartes e non abbia rivendicato a sé stesso la gloria di una esatta soluzione? Non si potrà mai spiegarlo interamente. Bisogna ammettere il fatto: Beeckman, che insegue la soluzione di un proble­ ma di fisica, che pone a Descartes una questione determinata - una questione matematica - applica naturalmente la soluzione ricevuta al problema posto. E là dove Descartes dice spazio, Beeckman legge tem­ po 3S. Con maggiore esattezza, là dove Descartes passa senza renderse­ ne conto dal tempo allo spazio, Beeckman evita di fare altrettanto. Cosi, commettendo, in rapporto a Descartes, ma nel senso inverso, l'errore che questi commette nei suoi confronti, giunge a ristabilire, in qualche modo, la situazione. Tale è, grosso modo, la spiegazione che ne dà Milhaud ". E noi dobbiamo confessare di non vederne altre. Bi­ sogna ammettere il fatto: Beeckman non si accorge che la soluzione di Descartes è diversa da quella che gli attribuisce. Non si accorge che i principi fisici di questa soluzione non sono i suoi. Ed è quindi naturale che attribuisca a Descartes la soluzione che trascrive. Non sarebbe questo un indice che, per Beeckman, il problema era soprattutto matematico, e che nella sua soluzione -l'effettuazione del­ l'integrazione -egli scorge il merito del suo giovane amico?

" Vale a dire proporzionalmente alla terza potenza. Ci troviamo di fronte alla seconda

Cogilaliones privalae. Cfr. DUHEM, Eludes sur Léonard de Vinci cit., voI. III, p. Cfr. MILHAUD, Descarles savanl cit., pp. 28 sg.

tesi delle 3S 36

'70.

ipo.

La legge della caduta dei corpi

121

Si potrebbe, ci sembra, spingersi ancora oltre. Se Beeckman non vede la differenza tra la sua soluzione (la velocità proporzionale al tem­ po impiegato) e quella di Descartes (velocità proporzionale allo spa­ zio percorso) è perché, per lui, tale differenza non esiste: è perché egli crede equivalenti queste due soluzioni ". Ciò, senza dubbio, apparirà ai nostri lettori estremamente poco verosimile. Tuttavia ... non dimentichiamo che Beeckman, buon fisico senza dubbio, è matematico assai mediocre: ora, noi vedremo che lo stesso Descartes, matematico geniale se mai ce ne fu, non ha mai sapu­ to né riconoscere l'errore che aveva commesso, e neppure, ritrovando in Galileo la formula esatta , riconoscere che era differente da quella "

31 Ci troveremmo di fronte, in certo senso, alla ripetizione della situazione esemplificata

sopra tra Leonardo da Vinci e Benedetti.

LeI/re ii Mersenne del 14 agosto 1634 (in nESCARTF.S, (Euvres cit., voI. I, p. Correspondal/ce de Descarles, a cura di C. Adam e G. Milhaud, Paris 1936, voI. I, p. 26,) in cui Deseartes dice di aver sfogliato il Dialogo di Galileo che Beeckman gli aveva pre· " Si veda la

303; e in

stato dal sabato al lunedi: «Il signor Beeckman venne qui sabato sera e mi prestò il libro di Ga· Iileo; ma lo ha riportato a Dort stamani, di modo che non l'ho avuto tra le mani che per trenta ore. Non ho tuttavia traseurato l'occasione di sfogliarlo tutto e trovo che filosofa assai bene ri· guardo al moto, quantunque non vi siano che ben poche cose fra quelle che dice intorno al mo­ to, che io trovi vere; ma, per quel che ne ho potuto capire, egli sbaglia piu quando segue le opi­ nioni oramai correnti, che quando invece se ne allontana. Eccetto tuttavia per ciò che dice a pro­ posito del flusso e riflusso, che io trovo tirato un po' per i capelli. Anch'io, d'altronde, avevo spiegato questo fenomeno, nel mio

MOl/de, con il movimento della terra, ma in una maniera del

tutto differente dalla sua. «Voglio tuttavia confessare di aver riscontrato nel suo libro qualcuna delle mie idee, come, fra altre, due, di cui penso di avervi scritto altre volte. La prima

è che gli spazi attraverso cui

passano i corpi pesanti quando cadono in basso, stanno fra loro come i quadrati dei tempi che i corpi impiegano a discendere, vale a dire che se una palla impiega tre momenti per discendere da

A fino a B, non ne impiegherà che uno per continuare da B fino a C, ecc., il che però io af­ è mai cosi vero come egli pensa di dimostrar-

fermerei con molte riserve, giacché in realtà non

A

lo,.. La riserva di Descattes

è curiosa; ma è anche, d'altra patte, perfettamente comprensibile

nell'ambito della sua fisica; la soluzione di Galileo presuppone il vuoto, e l'attrazione; ebbene, Descartcs, oramai, non ammette né l'uno né l'altro. Ma non

è questo il punto che ci interessa,

quanto piuttosto il btto che Deseartes creda di aver riconosciuto in Galileo la propria soluzio-

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Studi galileiani

che egli aveva, un tempo, proposta. Dal che si può osservare, una vol­ ta di pili, quanto le idee semplici e chiare, alle quali ci hanno abituato la fisica classica e la filosofia cartesiana, siano state invece tanto difficili da dedurre e da capire. Anche per un Galileo. Anche per un Descartes.

Dieci anni dopo il memorabile incontro con Beeckman, Descartes ebbe, ancora una volta, l'occasione di occuparsi del problema della ca­ duta dei corpi. Questa volta fu il suo amico Mersenne a proporgli la questione. E la risposta di Descartes è completamente diversa da quel­ la che a suo tempo aveva dato a Beeckman

lO.

Fuorché in un punto:

proprio come dieci anni prima Descartes dà al suo amico una formula errata; la stessa formula di allora, formula in cui la velocità del mobile è una funzione non del tempo impiegato, ma dello spazio percorso.

Scrive Descartes .0: Per prima cosa, suppongo che il movimento, una volta impresso in qual· che corpo, vi rimanga per sempre, se non ne è sottratto da qualche altra cau· sa, ovverosia, una volta che qualcosa ha iniziato

a

muoversi nel vuoto, si

muove per sempre e con la stessa velocità ". Supponete dunque un peso, che si trovi in A, spinto dalIa propria gravità verso C. lo dico che se, dal mo­ mento in cui ha iniziato a muoversi, la sua gravità l'abbandona, continuerà lo stesso nel suo movimento finché non pervenga in C. Ma allora, non di-

ne del problema, che ne

è invece del tutto diversa. Su questa differenza si veda l'articolo di P. § 1.

Tannery che abbiamo citato sopra alla nota 42 del

" È curioso constatare che Duhem le crede identiche (cfr. DUIIEM, Eludes sur I..éonard de III, p. ,69). D'altra parte per comprendere il ragionamento di Descartes, il Du­

Vinci cit., voI.

hem si vede obbligato a capovolgere il disegno che la correda (ibid., p. ,66). .. LeI/re

à Mersem/C, del 13 novembre 1629 (in

Correspondancc cit., voI.' I, pp. 8, sg.).

DESCARl'ES, (Euvres cit., voI.

I, p.

71; e

" Segnaliamo questa precisazione; Beeckman aveva detto soltanto: si muove eternamente nella stessa maniera; Descartes precisa: con la stessa velocità. Senza dubbio, anche Beeckman intendeva la stessa cosa; per lui, ciò era ovvio. Ma era necessario dirlo, giacché un corpo poteva benissimo muoversi eternamente senza conservare la propria velocità e anzi, muoversi «nella stessa maniera», per esempio, aumentando la propria velocità, oppure al contrario, diminucn· dola di continuo. La legge della conservazione del moto implica senza dubbio la conservazione della velocità, ma

è pur sempre necessario esplicitare questa implicita conseguenza. Basterà che

Descartes vi aggiunga quella della direzione per formulare la legge di inerzia. Aggiunta suffi­ ciente, ma assolutamente indispensabile. Cosi, contrariamente a quanto pensano Duhem (De ['accé/éralion ciI., p. 904) e de Waard (Correspondance du Père Marin Mersenne cit., val.

II,

pp. 236 sgg.), né Descartes, né Becckman hanno, in nessuno dei lesli che abbiamo cilalo, formu­ lato il principio di inerzia.

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scenderà né piu né meno rapidamente da A in B che da B in C. Ora, siccome non accade COSI, ma siccome invece mantiene la sua gravità che lo spinge verso il basso e che, in ciascun momento, aggiunge delle nuove forze per la discesa, ne risulta che percorre lo spazio BC molto piu rapidamente che AB,

o

E

CI4Wil.WWJ.LUWil.WWJ.LUWil.W.J.U..D perché, percorrendolo, mantiene tutto l'impetus dal quale era mosso attra­ verso lo spazio AB, e, in piu, se ne aggiunge uno nuovo, a causa della gravi­ tà che, ancora, lo spinge in ciascun nuovo istante. Quanto alla proporzione nella quale questa velocità aumenta, la si dimostra con il triangolo ABCDE; la prima linea, infatti, indica la forza della velocità impressa nel primo mo­ mento, la seconda, la forza della velocità impressa nel secondo momento, la terza, la forza conferita nel terzo momento, e COSI di seguito. In tal modo si forma il triangolo ACD che rappresenta l'aumento di velocità del peso nella sua discesa da A a C, e ABE che rappresenta l'aumento di velocità nella pri­ ma metà dello spazio che questo peso percorre: ed il trapezio BCDE che rappresenta l'aumento della velocità nella seconda metà dello spazio che per­ corre il peso, e precisamente Be. E siccome il trapezio BCDE è tre volte piu grande del triangolo ABE, com'è evidente, ne segue che il peso precipiterà tre volte piu velocemente da B in C che da A in B; vale a dire che se discen­ de da A a B in tre momenti, scenderà da B a C in un solo momento. È come dire che, in quattro momenti, percorrerà il doppio di spazio che in tre, e, di conseguenza, in dodici momenti il doppio che in nove, e in sedici momenti, il quadruplo che in nove e COSI di seguito ".

è piu veloce di quanto non 2 2 come 3 e 4 , vale a dire, come 9

" Il moto della caduta, cosi come se lo rappresenta Descartes, sia in realtà. Infatti, lo spazio percorso in 3 e 4 «momenti» c 16. Dunque non

è

è

«due volte» piu grande durante il quarto «momento». Se Descartes si fos·

se ricordato di questo calcolo, cinque anni piu tardi, mentre scorreva il

Dialogo,

non avrebbe

potuto credere all'identità della sua soluzione con quella di Galileo. Infatti, mentre in Galileo gli spazi percorsi nei tempi successivi sono

sicut numeri impores ab unitate,

non sono tali in

Descartes. Ma nell'epoca in cui Descartes leggeva il testo di Galileo, egli aveva perduto ogni

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Studi galileiani

Abbiamo detto prima che la soluzione del problema della caduta che Descartes invia a Mersenne è molto differente da quella che ha elaborato sotto l'influenza di Beeckman. Infatti, la nozione d'attrazio­ ne, cOSI felicemente utilizzata da questi, è completamente sparita; Descartes si rivolge di nuovo alla concezione dell'impetus e la sua in­ terpretazione della caduta non è molto diversa da quelle che furono date a suo tempo dal Benedetti o dallo Scaligero ": la gravità, qualità essenziale del corpo e che genera in ciascun istante un nuovo impetus spinge questo corpo verso il basso; l'accelerazione (trasposizione in termini di impetus della concezione formata in termini d'attrazione)" deriva dal fatto che questi impetus sono generati successivamente in ciascun nuovo istante; infatti, ogni impetus produce un movimento di una velocità costante; è dunque unicamente con la somma di nuovi impetus che può spiegarsi l'accelerazione. Il principio di Beeckman­ conservazione del moto

-

è affermato ormai senza riserve (e senza

menzionare Beeckman) ma, cosa oltremodo curiOSi!, è riferito alla con­ servazione dell'impetus. La deduzione della formula del moto della caduta, moto uniforme­ mente accelerato, è ugualmente diversa dalle deduzioni precedenti. Fuorché, come abbiamo già detto, nell'identità della formula conclu­ siva. Allo stesso modo di prima, Descartes passa dal tempo allo spa­ zio, dal fisico al geometrico. Infatti, finché pensa al meccanismo reale - fisico - dell'accelerazio­ ne, Descartes vede gli impetus sorgere e generarsi l'uno dopo l'altro nei momenti successivi del tempo. Appena che, al contrario, passa allo studio matematico del moto, sostituisce immediatamente lo spazio al tempo, lo spazio percorso al tempo impiegato. speranza di poter dare una soluzione numericamente esatta del problema della caduta reale. E il caso astratto, studiato da Galileo (e, un tempo, da lui stesso), della caduta nel vuoto non lo in­ teressa piu: la concezione del vuoto è assurda e una fisica delle idee chiare non può farne nes­ sun uso. 4l Cfr. sopra, pp. 90 sg . .. La gravità genera successivamente delle forze istantanee, degli impctus che muovono il

corpo e che si conservano nel corso del suo movimento. L';mpetus qui - come in Cardano, e co­ me talvolta in Galileo stesso - si identifica, di fatto, con il movimento e la velocità. Retaggio di una concezione superata che sopravvive 'all'interno di una nuova fisica. Quanto all'abbandono della nozione di attrazione, è proprio caratteristico del pensiero cartesiano; a questa oscura no­ zione (azione a distanza) Descartes preferisce chiaramente quella della gravità.

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La figura che gli serve di base per la sua deduzione non è, in verità, molto chiara. È diversa dalle figure di prima, fuorché in un punto: la linea AC, quella che va dall'alto in basso, rappresenta la traiettoria della caduta. Come per l'addietro, il pensiero di Descartes cede alla tentazione dell'immaginazione geometrica. Il suo ragionamento sem­ bra essere il seguente: nel primo istante della caduta, il primo impetus produce un movimento che -da solo -trasporterebbe il corpo verso

C con una data velocità. Questo impetus agisce su tutta l'estensione del percorso; cost è rappresentato dalla linea AC che simboleggia l'in­ tera traiettoria. Il secondo impetus produce un movimento di una ve­ locità ( assoluta) uguale a quella che è stata prodotta dal primo. Questo non interviene però dall'inizio del movimento, ma ghermisce il corpo, per cost dire, a una certa distanza dal punto A; il terzo non interviene "

che ancora piu lontano , e cost di seguito. In tal modo l'insieme degli

impetus è rappresentato dall'insieme dei tratti del tragitto - spazio percorso -lungo i quali agiscono. Descartes ha, diciamo cost, dimenticato che gli impetus interven­ gono successivamente, o, se si preferisce, questa successione, egli la vede distesa nello spazio sulla traiettoria del percorso". Non avendo potuto -neppure nel 1629 -comprendere interamente la nozione del movimento che implica il principio della sua conservazione, Descartes resta sempre alla dissociazione della concezione causale e dell'analisi matematica, dell'evoluzione temporale e della rappresentazione geo­ metrica della caduta. Mersenne -non vogliamogliene per questo -non aveva compreso molto bene la spiegazione di Descartes, e pertanto questi ritorna alla carica. Cost scrive a Mersenne 47: Nell'ultima vostra mi chiedete perché io dico che la velocità impressa [al corpo] dalla gravità come uno nel primo momento della caduta, e come due nel secondo momento, ecc. Vi rispondo, senza avere l'intenzione di of­ fendervi, che non mi sono affatto espresso in questi termini; ho invece af­ fermato che la velocità è impressa dalla gravità come uno nel primo momen" Queste distanze sono, beninteso, infinitamente piccole.

.. Il che, in un certo senso, è perfettamente giusto: l'accelerazione avviene effettivamente in ciascun punto del percorso.

47 LeI/re à Mersenne, del 18 dicembre 1629 (in Correspondance cit., voI. I, pp. 97 sg.

DESCARTES,

(Euvres cit., voI. I, p. 89;

e

126

Studi galileiani to della caduta, e da capo è impressa come uno nel secondo momento della

stessa gravità, ecc. Orbene, uno nel primo momento, e uno ncl secondo, fan­ no due, e uno ncl terzo fanno tre, C; in tal modo [la velocità] cresce in propor­ zione aritmetica. Ora, io credo di averlo sufficientemente provato per il fatto che la gravità accompagna eternamente il corpo nel quale si trova; ed essa non può accompagnare il corpo se non sospingendolo costantemente verso il basso. In tal modo, se supponessimo, per esempio, che una massa di piombo cada verso il basso in virtti della forza della gravità, e che dal primo momen­ to che segue l'inizio della caduta, Dio ritiri dal piombo ogni gravità in modo che, dopo ciò, la massa del piombo non sia piti pesante di quanto lo sarebbe se fosse d'aria, o di piume, questa massa continua nondimeno a scendere, so­ prattutto nel vuoto, come ha iniziato a scendere; e non si può dare alcuna spiegazione perché la sua velocità diminuirebbe e non aumenterebbe. Ora, se dopo un certo tempo Dio restituisse a questa massa di piombo la sua pro­ pria gravità, e ciò per un solo istante, passato il quale, gliela ritirerebbe di nuovo, forse che in questo secondo momento la forza di gravità non spinge­ rebbe il piombo come ha fatto nel primo momento? La stessa cosa si può di­ re degli altri momenti. Dal che segue certamente che, se lasciaste cadere una palla in spatio piane

t'detlO

da cinquanta piedi di altezza, composta di una

qualsiasi materia, essa impiegherà sempre per l'appunto tre volte tanto tem­ po nei primi venticinque piedi quanto negli ultimi venticinque. Ma all'inter­ no dell'aria, è tutta un'altra cosa ...

Questa nuova spiegazione non aggiunge, a dire il vero, niente di nuo­ a quello che Descartes ha detto a Mersenne nella sua lettera prece­ dente. Notiamo, una volta di piu, quanto la concezione cartesiana si sia di nuovo ravvicinata a quella dei teorici dell'impetus: la gravità,

vo

causa aggiunta al mobile che lo sospinge verso il basso! Questa nozio­ ne è puramente e semplicemente la stessa di quella di Benedetti". Os­ serviamo inoltre che, in margine, Descartes aggiunge: Bisogna ricordarsi che abbiamo in precedenza ammesso che un corpo una volta mosso si muoverà in eterno nel vuoto, e mi accingo a dimostrarlo nel mio trattato;

notiamo infine che, in questa stessa lettera, parlando di Beeckman, Descartes dice: egli ammette, al pari di me, che ciò che, una volta, ha iniziato a muoversi, continuerà a muoversi con la sua propria forza (sua sponte) se non è impedi­ to da qualche forza esterna, e dunque, ncl vuoto, si muoverà per l'eternità... .. Cfr. sopra, pp. 46 sg.

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Negli anni che seguono, Descartes avrà piu volte l'occasione di ri­ tornare sul problema della caduta. Mai piu, tuttavia, tenterà di darne la formula, mai piu cercherà di stabilirne la legge. È che, intorno al 1630, il pensiero di Descartes subisce un'evoluzione molto profonda.

Cosi profonda e cosi radicale che si potrebbe anche chiamarla una ri­ voluzione. La riflessione metodica, la meditazione sul pensiero umano e i suoi rapporti 'con la realtà, preoccupazioni di cui le Regulae ad di­ rectionem ingenii ci offrono la magnifica testimonianza, cominciano a dare i loro frutti. In tal modo, per ricostruire la fisica - e il mondo fisico - Descartes si accinge ormai a procedere «secondo l'ordine del­ le ragioni» e non secondo quello delle materie. Non c'è bisogno d'insistere sull'importanza decisiva di questa ri­ voluzione intellettuale". Basterà osservare che questo rovesciamento degli ordini permette a Descartes di comprendere e di presentarci, con un'insuperabile chiarezza, il nuovo concetto del movimento, fonda­ mento della nuova scienza; di determinarne la struttura e la natura an­ tologica; di esprimere, con una perfetta chiarezza, tutto ciò che non era che o �curamente adombrato e implici�amente contenuto nel pen­ siero di un Beeckman e di un Galileo - tutto ciò che abbiamo dovuto «esplicitare» nel corso del nostro studio; infine, gli permette di for­ mulare il principio d'inerzia: conquiste che mettono Descartes-scien­ ziato sullo stesso piano del Descartes-fìlosofo, vale a dire, sul primo. Ma, cosa curiosa, questa stessa rivoluzione intellettuale fa perdere a

Descartes tutte le acquisizioni concrete della