Schermi corsari. Forme e contenuti «televisivi» di un intellettuale inedito 8878702331, 9788878702332

"Schermi corsari" mette insieme i più significativi interventi di Pier Paolo Pasolini apparsi in televisione (

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Schermi corsari. Forme e contenuti «televisivi» di un intellettuale inedito
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Gabriele Policardo

Seher1ni corsari Pasolini in televisi0ne Prefazione di Italo Moscati

GABRIELE POUCARDO

SCHERMI CORSARI Pasolini in televisione Prefuzione di Italo Moscati

BULZONI EDITORE

INDICE Prefazione di Italo M05ati _ _ _ _ _ __

p.

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Prima pane. Il grande equivoco _ _ _ _ __



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Una Ktlt11 stilistipclbre, denugogiamcntc, :a un:a scmplicitì fals::amcnte salutll'C e dirctt:ao • • Y-ic: Nuove., n. 47 :a. XVII, 22 novembre 1962. • B:ast:a :avere un:a dùcn:t:a conos«nz.a dd mondo p:asolini:ano, per KOprirvi ddk concentricità critiche:, ovvero dei gr2J>poli 1e0rici intorno :ai quali si sviluppano i v:ari filoni del suo ragionamento, e nei quali b riRcssione è sempre inKritt:a (null:a è l:asci:ato al c::aso). Egli in questo fu un :abile .editor-. ddl:a propria opcr:a. coniando le funosc immagini ddlo Suto derico-f:ascisu, dclb scomp:ars::a ddle lucciole, dando un corpo .italiano. e un volto provinciale all:a lettura marxista deU:a Storia ():a civiltì :an::aic:a incsor:abilmcnte, brutalmente sp:rz:w:a vi:a dal ncoc:apiulismo, i soctoprolct:ari l:a cui grzua csisterwale viene progrcssiv:amcnte c:ancclbt:a dall'omolog:auone dclb civiltà dei consumi, ccc.).

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C'è solo un caso di espressività - ma di espressività aberrante - nel linguaggio puramen1e comunicativo dell'indusuia: è il caso dello slogan. Lo slogan infa1ti deve essere espressivo, per impressionare e convincere. Ma la sua espressività è mosuuosa perché diviene immediawneme s1ereotipata, e si fissa in una rigidità che è proprio il con1rario dell'espressivi1à, che è e1emameme cangiame, si offre a un'in1erpre1azione infini1a. La fin1a espressività dello slogan è cosl la punta massima della nuova lingua 1emica che s0S1i1uisce la lingua umaninica. Essa è il simbolo della vi1a linguistica del fururo, cioè di un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di ruhure, perfe1wnen1e omologalo e accuhura10 ••. Pasolini, dunque, usa i vari suumenti che ha a disposizione senza forzarne la natura, tuttavia trascendendola. Ai film lascia la rappresentazione delle sue analogie immaginifiche, marxiste, per un pubblico da visione; alla poesia rivolge l'intuizione e ai romanzi /~mia tkl vitalismo in opposizione all'aleggiare della mone; alla 1elevisione dà slogan, frasi a effe1to, che colpiscono l'una dopo l'altra con un grado di ahissima concentrazione di senso: chi ascolta Pasolini ha una raffica di s1imoli, d'immagini tulte di grande effeuo, come wui colpi a ripe1izione, sui quali si pub cominciare a rifle1tere solo alla fine, riprendendo il respiro. Il ruolo della tv è s1raordinario: essa è contemporaneamente «un nemico. ma anche il mezzo auraverso il quale poter ulteriormente ampliare le possibilità della comunicazione, fino a raggiungere vas1i1à di

" I 7 nuztpo 1973. An"1isi lilftllùli~a di uno slt,gan, in Smlfi coT11Zri, Garzanti, Milano, 1975, p. 12.

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pubblico impensabili per altre epoche, per gli intellettuali del passato. A proposito di questa apparente «integrazione,, all'interno del sistema di produzione editoriale, Pasolini lucidamente spiega che sta usando i mezzi di quel sistema contro il quale si batte una lotta descritta come impari, come un braccio di ferro (ancora uno slogan) - ma il senso è proprio quello di utilizzare i mezzi del capitalismo per potersi esprimere contro il capitalismo; un cavallo di Troia che consente di avere accesso agli strumenti di comunicazione della borghesia per attaccarla dall'interno, con l'aiuto fondamentale del suo mezzo diabolico, ma che dà la possibilità di arrivare. È il modo critico, anche se forse, ingenuo, di accettare quell'integrazione, quei compromessi che secondo Pasolini gli intellettuali italiani diversamente accettano:

Il compromesso si può riassumere in uno solo: è quello di accettare in un modo acritico - perché se f= critico si può anche ammettere, anzi credo che sarebbe inevitabile - l'integrazione. [lo la accetto) ma in modo critico. Cioè, ceno non posso non accettarla, perché devo essere un consumista per forza anch'io, mi devo vestire, devo vivere, non soltanto, devo scrivere, devo fare dci film, quindi devo avere degli editori, devo avere dci produttori ... la mia produzione consiste nel criticare la società che in un ceno modo mi consente almeno per ora - di produrre in qualche modo".

" r~ B: fo"uzmo l'apprllo. 1971, Programma Nzzionalc, 1975. In alcuni asi, per gli spezzoni che àtcrò in seguito, non mi è nato possibile risalire alle informazioni c:wte sul prognmma originale. Ho dunque àuto l'edizione, o la raccolta, dalle quali ho tr.aKrino i br.ani. 34

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Il probkma d~lla verità

Otello: ma qual è la veriti? ~ quello che penso io di me, o quello che pensa b gente, o quello che pensa quello là b dentro? Jago: cosa senti dentro di te, concentrati bene, cosa senti, eh? Otcllo: sl sl. .. si sente qualcosa che c'è ... Jago: quelb è b veriti, ma.•. sssst! Non bisogna nominarb, perché appena b nomini, non c'è più 11•••

" Chr co111 sono k n1111olr, 1968 La venionc che Pasolini gira dcll'Oul/o nd conometraggio è emblematica di qucsu ,-cri~. Ninetto Davoli, del pcnonaggio shalcespcariano non ha qw.si nulla, se non l'immediatezza delle passioni, la forza incondiz.ionau e selvaggia di queste cmoi.ioni, che sono poi il vero clemen• to di naturalezza che stava a cuore a Pasolini (al di là delle scelte ideologiche, linguistiche per le quali Otello parla in romanesco e fa le smorfie di un so11oprole1ario romano); diversamente, Totò interprc«a Jago - verde di bile e d"invidia - in una maniera intensamente drammatic:a. Entrambi rendono l'interpreuzione cosl appassionante, che durante la rapprcscntmone al teatro delle marionette il pubblico è sentimentalmente rapito al punto da invadere la scena e concludere a proprio piacimento il dramma: Ja• go e Oidio, che hanno colpe e responsabilità dr.-cnc, vengono uccisi. Desdemona (Laura Betti) viene soccona da un gruppo di spettatrici, Cassio (Franco Franchi) ponato in trionfo, disorien• talo. Tu112via, solo dopo esser reati getuti in una discarica, in mC2ZO alla •mondezza,, che ritroviamo anche nei romanzi, i due •pupi. di pezza (Davoli e Totò) scoprono il mondo reale, quelle nuvole di luce e di vapore bianco che nd .ciclo di cana. del tea• trino non esistevano. Ndla metafora al rovescio di Pasolini, due pcnonaggi della fan1asi2, che nella finzione vengono «:imnwza• ti• dalla realtà, solo cosl possono vedere coi loro occhi la "stra• :i:iante meravigliosa bcllcna dd creato". Ma questo è un lusso concesso solo al mC2ZO cinematografico; all2 tdcvisione, la questione del rea.le è molto più complessa.

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C'è un punto in cui Telmon ha colto nel segno durante il programma di Biagi. Pasolini, per via delle sue origini contadine, e del suo arcaico bisogno di concretezza, di fisicità, di autenticità, in un ceno senso vedeva la televisione come una specie di sovrastruttura, dotata di molte utilità, ma del tutto insensata se intesa quale strumento di creazione di rapponi sociali, o di produzione «di umanità,., Invece è proprio in questa direzione che il medium si è sviluppato, evidentemente per ragioni che hanno la loro ragion d'essere in tutta la storia dell'umanità: t inurrm tkl potert riprodursi e autolegittimarsi, inducendo nella massa l'illusione di unificazione, ma creando in rtalrà divisione, 111111 divisione non minacciosa, cui t preclusa ogni reale evoluzione progmsisra. La televisione è proprio questo: bravissima a fingere di essere il medium che unisce, mentre invece è proprio il mezzo che separa. Inoltre è «il mezzo naturalistico,. per eccellenza, e come tale non poteva che scatenare in Pasolini il rancore più intimo. È divenuta ormai famosa la lapidaria conclusione dell'autore che, nell'inedito del 1966 dal titolo «Contro la televisione.. 11, dichiara: Ciò esclude i telespettatori da ogni partecipazione politica come al tempo fascista: c'è chi pensa per loro, e si tratta di uomini senza macchia, senza paura, e senza difficoltà neanche casuali e corporee. Da tutto ciò nasce un clima di Terrore. l.D vedo chiaramente il tenore negli occhi degli annunciatori e degli intervistati ufficiali: non va pronunciata una parola di scandalo - e poiché è scandalo anche un mal di " Poi rxcoho in PIF..R PAoto PASOLINI, Tunt k "P"r• I Meridiani, Mondadori, Milano, 2001, p. 137.

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pancia - se esw potenzialmente mette in discussione b sirurczza della spiritualità s1a1ale, ne rivela b pos.1ibili1à di un minore ottimismo - praticamente non può es.sere pronunciati alama parob in qualche modo lltTll. Il problema della verilà ri1oma in numerosi interventi televisivi di Pasolini. I.:episodio più interessante da questo punto di vista, è l'intervista di Biagi. È quindi giunto il momento di patlare di questa trasmissione, perché la sua storia è emblematica e il suo destino appare fatalmente intrecciato ai contenuti che vi sono trattati. B: facciamo l'appt& 1971 avrebbe dovuto essere trasmessa il 27 luglio di quell'anno u, ma fu sospesa per una vicenda giudiziaria che coinvolse Pasolini quale direttore responsabile di «Lotta continua,,. Scandalosamente, essa andò in onda solo all'indomani del suo assassinio, il 3 novembre 1975. Ma ancor più scandalosa fu, da pane della RAI, la distruzione di due dibattiti televisivi (L'inq11ittudint tki giova11i e /111/ia11i ogg,), sicché oggi l'intervista di B acquista ancora più valore, essendo rimasta in pratica l'unico dibattito monografico sull'autore in tv. È qui il caso di riportare parte del dialogo tra Enzo Biagi e il regista, perché si giunge a un vero e proprio scontro di ideologie sul problema del poter dire "rutto quel che si vuole" in televisione is, ovvero a uno scontro che vede da una pane l'ideologia marxista, l'antico sa-

urza

urza

" Questa, e: :altre: imponanti infurmnioni sul materiale: tdc:visiwo su PuoUni, sono tnuc: cWl'anicolo di Robc:no Chiesi su .Libero, la rivista dc:I documentario•, n. 4 a. I luglio 2006. " Le: domande: di Biagi sono saittc: in corsivo.

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pere degli studi enciclopedici, dall'altra il televisivo:

1111QVO

sape"

Per esempio il fatto di aver trovato i miei amià qui, alla televisione, non è bello; per fomma noi siamo riusciti ad andare al di là dei miaofoni e del video e a ricostituire qualoosa di reale, di sinc:ero, ma rome posizione, b posizione è brutta, è falsa. peT(hl,

(OSII

d trova di ros} a11om1alt in q11tstt1 silUIIZiont?

Perché la televisione è un medium di massa, e il medium di massa non può che meràfiarà e alienarà.

Ma oltrr aifom1aggini tal rrstQ, (Omt Id ha scritt0 una vo/Ja •IJlltsttJ mtzzJJ ci pona sopmrnmo dd formaggini in casa• - esso po,111 adtsso lt srg parolr. noi sdamo discmmdo n1tti (on g,andt Ubmil senza alcuna inibizione, o no? non è vero si t vero, /ti non pw font dirr

= quello cht IIUIJ!t?

No, non posso dire tutto quel che voglio... Ili dica! No, non lo potrei perché sarei accusato di vilipendio, uno dei tanti vilipendi del endice fascista italiano, quindi in realtà non posso dire tutto; e poi a parte questo, oggettivamente di fronte all'ingenuità, o alla sprovvedutezi.a di ceni ascoh:uori, io stesso non vorrei dire cene rose; quindi mi autoccnsuro. Ma a parte questo, non è tanto questo, è proprio il medium di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ti ascolta dal video, ha verso di te un rappono da inferiore a superiore, che è un rappono spaventosamente antidemocratico.

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&/J, io ptnso dJt SÌIZ andJt in rrrti rasi 11n rapport0 al/JJ pari, r!Jt lo sptttatorr r!Jt t davanti al rtksr!Jtrmo riviva Mlk vosm virmdt a"'hr q1111kosa di suo, non t in uno stato di inferiorità. Prrr/JI non può rssrrr alla pari? Sl, teoricamente questo pub essere giwto, alcuni spettatori che culturalmente, per privilegio sociale ci sono pari, prendono le nostre parole ecc. ecc. ma in genere proprio il video, le parole che cadono dal video cadono sempre dall'alto, anche le più democratiche, anche le più vere, anche le più sincere... Emerge subito una verità, seppure parziale: Pasolini e Biagi non si capiscono. Parlano due lingue diverse, ed è piuttosto Biagi a non capire il senso delle parole di Pasolini, a sforzarsi di riportare continuamente al parrkolare (quella trasmissione, quello studio, quegli ospiti, quelle parole) un discorso che è quanto mai

u11ivtr14k. Il problema di Pasolini non è la sua libertà in quel momento, né ciò che potrebbe in effetti dire; persino l'abisso tra le affermazioni possibili e un ceno tipo di pubblico - culturalmente inadeguato a recepire con esattezza alcuni messaggi - passa in secondo piano. Il punto è che la tv è di per sé, 01110/ogkamr11u, un medium che impone un rapporto non democratico. E Pasolini spiega il perché: la televisione configura un rapporto di subalternità per chi è davanti al video, molto più di quanto non avvenga con tutti gli altri mezzi di comunicazione. Le parole scelte da Pasolini, «mercificarci• e .alienarci., sono puramente marxiste, e instaurano una similitudine tra l'alienazione degli operai rispetto al proprio lavoro, quindi nei con-

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fronti dei padroni, e l'alienazione del pubblico di massa, di fronte al potere della televisione, che è invisibile ma non astratto, ed è il potere stesso della classe dominante: Che cosa vuol coprire la televisione (Bemabci, Granzotto, ecc. ecc., magari, ora, anche Piolicchi)? Vuol coprire la vergogna di essere l'espressione concreta attraverso cui si manifesta lo Staio piccolo-borghese italiano. Ossia di essere la depositaria di ogni vo/gari11J, e dell'odio per la realtà (mascherando magari qualche suo prodotto con la formula del realismo). Il sacro è perciò completamente bandito. Perché il sacro, esso sl, e soltanto esso, scandalizzerebbe veramente le varie decine di milioni di piccoli borghesi che tutte le sere si confermano nella propria stupida •idea di sé» davanti al video"· Qui Pasolini, da «innamorato• della vita autentica e incondizionata, si lascia prendere un po' dall'emotività, cedendo a espressioni forse troppo impetuose, che culminano in un ritratto della televisione come nuova Inquisizione, francamente esagerato. Che in tv pos.u passare, dopo una divisione «netta, fatta con l'accena.., soltanto chi è «imbecille, ipocrita, capace di dire frasi e parole che sono puro suono,. è più vero per la tv del nostro tempo che per quella d'allora, clamorosamente. Del resto, noi oggi siamo indotti a difendere la tv che veniva fatta in quegli anni Oo scritto è del 1966), e che seppur con qualche scivolamento baccheltone, ha prodotto spettacoli e testi rimasti nella storia. "Gmtro la tdnisionr, in P. P. PASOLINI, T11ndropr,r, cit., p. 130.

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Il fatto che la censura, o la sospensione ad inUTim di programmi tra cui anche Terza B, non cancella il fatto che essi siano stati comunque pensati e prodotti. Tuttavia, Enw Biagi non colse rutti questi rimandi nelle parole di Pasolini (anche in Conrro la ukvisione c'è qualche cedimento allo slogan, segno che inevitabilmente il nostro autore si era accorto di come la tv stesse contaminando e cambiando il mondo circostante - basti pensare al modo in cui si è trasformata l'impaginazione dei giornali). Biagi difende accanitamente l'atmosfera di distensione e sincerità (persino di «libertà» diceva) nello srudio della sua trasmissione. Ma il punto su rui insiste Pasolini non è l'oggetto, ma la cornice ovvero «il medium di massa in sé», come ripete poco dopo, riprendendo il discorso interrotto da alcuni dei suoi ex compagni di liceo: Però io vorrei chiarire una cosa che mi sembra importante, cioè io non parbvo di noi in questo momento alla televisione, parlavo delb televisione in sé come medium di massa, come me?ZZO delb circolazione di massa, quindi ammettiamo che invece di esser noi qui, ci sia anche una persona assolutamente umile, un analf2beta, interrogato dall'intervistatore, l'insieme delb cosa, vista dal video, acquista sempre un'aria autoritaria, fatalmente, perché viene sempre data come da una cattedra, il parlare dal video è parbre sempre cx cathedra, anche quando questo è mascherato da democraticità ecc. ecc. Su un punto Biagi ha decisamente ragione: quel me'ZZO che portava nelle case degli italiani i formaggini denunciati da Pasolini, ora portava le sue parole. Ma

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erano sempre parole di autocensura, misurate e centellinate, ed è quasi ironico il fatto che dopo questo tiremmolla del dire e del non dire, il programma sia finito nel «congelatore» per ben quattro anni. Tant'è, persino gli amici di un tempo, presenti in studio, faticarono poi a comprendere la portata, la dimensione della riflessione pasoliniana. Agostino Bignardi, che aveva iniziato anche lui da ragazzo con la scrittura per finire poi eletto nelle liste, del Partito liberale italiano, è quello che ci capisce di meno. Per lui dalle parole di Pasolini si evince una «dichiarazione di fede aristocratica intellettuale-, etica, un'appanenenza a un ceto intellettuale «che è in cena misura incomunicabile-. Biagi rincara la dose dicendo di avere «l'impressione di una persona che vive una grande solitudine e che può magari sentirsi o vittima o incompreso e che in ogni caso è rassegnato a quelli che sono i fatti». Com'è evidente, tutti si affrettano a giudicarr Pasolini, ma nessuno in realtà si muove dalla propria rigida posizione, per sforzarsi di capire. Nessuno, in realtà, si sforza di capire fino in fondo cosa intenda, perché tutti cercano - per esprimersi - la via più facile, non quella più difficile. Dico questo, di passaggio, in riferimento a coloro che, con ondate d'irrisione e di disprezzo, continuano a distanza di anni ad affermare che Pasolini abbia detto (anche) delle idiozie. Potrebbe pure darsi, perché no; eppure chi afferma ciò si guarda bene dal documentare o contestualizzare un tale giudizio. Una delle cose che deve aver fatto soffrire maggiormente Pasolini, nella sua indefessa ricerca di verità parziali, era

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probabilmente il sentimento d'incomprensione, di solirudine intellettuale, conseguente alla difficoltà di trovare interlocutori all'altezza del suo impegno e della sua profondità. Il caso di Biagi ci insegna che a Pasolini 17 si rispondeva solo in supnftd~, non nelle profondità che hanno fatto di lui la persona geniale di cui ci racconta Enzo Siciliano. Come per coloro che leggevano i suoi scritti, anche dagli interlocutori Pasolini pretendeva fatica, impegno, ossia dovere di migliorare. Mi piace ricordare come questo fosse consigliato persino a un suo lettore di •Vie Nuove,,, operaio, che si riteneva sgrammaticato ma desiderava ardentemente potersi esprimere: Se lei sente dentro di sé oltre che dei sentimenti, anche il bisogno di esprimerli, non cerchi, per farlo, il modo più facile, ma il più difficile: lei ha il dovere, davanti a se Slesso e ai suoi compagni, di farsi da solo un'istruzione, di progredire. Sa quanti socialisti e comunisti, che adesso occupano posizioni importanti e di responsabilità nella lotta politica, hanno cominciato cosl! Questo è il primo passo che un operaio deve compiere nella sua lotta ideologica contro la classe sociale che lo vuole ignorante e intellettualmente impotente. È un primo passo personale, individuale, particolare, lo so: ma tuttavia quello che la spinge a farlo è la fede politica che lei ha, ed è soprattutto per essere utile a questa fede politica che significa poi il riscatto rotale e popolare di una nazione - che lei ha il dovere, lo ripeto, di migliorare".

" Ecuz.ion liana per :altri imponanti intcUc:nuali, come Moravia o C:alvino, rispetto ai quali ci restano memorabili confronti, a cui guardiamo a,n nos12lgi2. u cVic Nuove,,, n. 51 2. XV, 24 dicembre 1960

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Dal ci11nna alla uln1isio11~. Le gmndi divisioni La funzione «livellatrice,. della tv, la sua autoritaria imposizione di un conformismo omologante, è una peculiarità contemporanea all'avvio stesso del servizio regolare di diffusione, nel 1954. Per Pasolini, vi è da subito una netta differenza rispetto al mezzo che, fino a quella data, aveva detenuto il primato dell'immagine in movimento, il cinema 19• In un'intervista del 1958 », quand'era ancora ritenuto un appartenente alla «schiera dei giovani scrittori italiani•, Pasolini analizza gli effetti sul pubblico di ciò che egli chiama ru«api111/ismo ulevisivo. Quando io scrissi il mio primo roman1.0, RJJgazz.i di vita, la televisione non era ancora entrata in funzione. Dirò di più: molte cose che oggi riempiono la vita dei giovani e dei poveri in generale non c'erano. Non c'erano i flippm, i calcio-balilla, i circoli giallo-rossi o bianco-azzurri che siano, il fu. memo o il fotogramma sviluppati e aff2scinanti come sono oggi, non si era affermato, o almeno non nella misura attuale, quel ceno cinema che i produttori destinano al pubblico dei poveri. I:esistenza dei RJJgazz.i di vitt1 era, quindi, dal punto di vista dei divenimenti, squallida e vuota. Oggi invece, la società non offre al giovane lavoro, ma infiniti modi di dimenticare il presente e di non pensare al futuro. "Tuttavia la 1dcvisione è figlia più dcUa r:idio che dd cinema, come dimostr:ino - ncUa loro cona:zionc - le prime trasmissioni e rubriche, nonché l'imposwione stessa di medium ein diR:tta.. "'Pubblicata su «Vie NuO\'C». n. 51 a. Xlii, 20 dicembre 1958, a cur:i di Anuro Gismondi. Le successive ciuzioni w-anno 1r:itte dall"cdwone di Tu~ lr opnr, cii., p. I555.

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I.a televisione è pa.s.uta anche sui sottoproletari del Tiburtino lii, di Donna Olimpia, dell'Acqua Bullicante, trasformando il modo di pensare e di parlare dei borgatari romani, i quali dopo appena quattro anni di trasmissioni avevano iniziato a esprimersi diversamente, con una ricchezza maggiore ma con l'ironica rassegnazione del distacco da un linguaggio conformistico (già imbruttito da un eccesso di parole straniere e tecnologiche), che si usa ma nel quale è difficile «credere» totalmente, quasi come una forma d'istintiva e debole difesa. Una maggiore resistenza dimostravano, ad esempio, certi "strati della popolazione romana più ricchi e forti", come a indicare che il livellamento culturale - per cosl dire - parte sempre dal basso. Se la penetrazione del cinema è più forte, e di differente efficacia, lo si deve proprio allo statuto di «finzione,, che il linguaggio cinematografico istituisce davanti allo spettatore 21 ; a differenza dell'illusione di verità " Dn=cntc da quello tdc:visn-o (che è f:dso, n:toria,), il 112rur:alumo dd cinana è una furwonc dd suo lingmggio. In Empirismo Emico, P:asolini lo spiega a,n un esempio dh-cncntc, pokmizundo (e un po' schcrundo) rispetto alle idee di Mor:avia e Bcnolucci: .Se 2nr:aV1:no il ling112ggio cinc:nu1ogr:afìco io ,-ogiio esprimere un f:.cchino, pn:nclo un f:.cchino vero e lo riprodua,: a,rpo e voce. [...] li cinenu è .scmiologiamcn1c- una 10:nica 2udiovism, quindi fxchino in camc, OSS2e voce.[ .••] 1':r esprimerlo, si2 pun:comc imnugine, è lui stesso che io uso. Or.a. poi, mcnwno che qud lxchino p:uli come Hcgd. Ebbene è un f:.a:hino che p:ul2 come Hc:gcl. Pcn:he Ndb rnl12 - si2 pun: in un caso str:ino dclb =112 non ci poudibc cssac un fxchino che p:a,12 a,me Hcgd~ Dunque un f:.a:hino che dica .u monaca lll2>, o un f:wchino che dica .Tesi e :antitesi., mno poi 1uni e due pcnonaggi ddb =11~ che il cinc:nu riprodua: c:osl come sono. In tal senso il cinC1112 è &talmente narur:aluòco•. Empirismo Emico, Gananti, Mil2110, 1972, p. 248.

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(dall'espressione «lo ha detto la radio,. si passò in breve tempo, e con maggior credenza, a «lo ha detto la televisione..) prodotta dalla tv, che risulta più «fredda.., «artificiosa,,, «distaccata.. e «ufficiale... È curiosa, in questa dissertazione sul neocapitalismo televisivo, una riflessione m passant sul meccanismo psicologico per cui, laddove la tv stava livellando il linguaggio dei sottoproletari, il cinema aveva invece agito, con il suo hahims epico prima che linguistico, sull'immaginario della malavita romana, con quella che Pasolini definisce una "sorta di crudeltà moralistica di stampo protestante derivata soprattutto dai film americani". Sembra l'equivalente drammatico, 11oir, di quella messa in ridicolo che il Sordi «americano.. faceva dell'impatto (e delle molte imitazioni) dei film con Marlon Brando (motociclista e col giubbotto di pelle), suJ povero immaginario degli strati culturalmente meno ricchi in quello stesso periodo. Com'è evidente, ci si riferisce qui a quell'Italia irriducibilmente provinciale, a quella grande periferia nazionale che negli anni si è trasformata, travestita, corrotta, ma mai definitivamente evoluta. Perciò una cosa su cui, già in quei primi anni, Pasolini dimostra grande acutezza, fino a vedere molto in là nel futuro, è lo squilibrio, lo sfasamento dell'effetto di arricchimento culturale sui vari strati sociali. Una delle critiche più ricorrenti, sulla demoniZl.azÌone (ragionata) che Pasolini fa del mezzo televisivo, è che esso - al di là del suo essere uno strumento di diffusione ideologica, e di consacrazione del potere della classe egemone - sia stato un formidabile mezzo di sviluppo intellettuale degli italiani, oltre che di unificazione linguistica (su questo, torneremo più avanti in dettaglio).

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A proposito di ciò, egli dichiara: La tv, a mio parere, mettendo assieme spettacoli di un ceno valore artistico e rulrurale (la prosa) e altri di assai minore livello, mettendo cioè la pane più povera, rulruralmente par-

lando, a romano ron diversi liveUi, per rosl dire, di adnua, non solo non conrorre ad elevare il livello rulrurale degli strati inferiori, ma determina in loro un senso di inferiorità, quasi angoscioso. I poveri, cioè, vengono indotti continuamente ad una scelta, che cade, per forza di cose, a vantaggio di spettaroli improntati a livello inferiore. In questo senso, se mi si ronsente, la tv s'inserisce nel fenomeno generale del neocapitalismo. In quanto essa tende a elevare un po' il grado di ronoscenza in roloro che sono di livello superiore, ma a precipitare ancora più in basso chi si uova a un livello inferiore. Fatalmente, anche àò è più comprensibile oggi che allora. Gli ascolti plebiscitari che ceni generi televisivi attuali, più degradanti, mettono a segno, sono proprio il frutto di questa divisione, e il segno che, nonostante la buona volontà di «quei» dirigenti (Bemabei, Granzotto, ecc.), non vi sia stata in verità alcuna vera acculturazione ~ta traverso la televisione, se non quella di un'elementare alfabetizzazione intellettuale, o creazione di quella «medietà» dell'italiano che, quasi con disprezzo, Pasolini etichettava appunto come «medio». Ancora una volta, il medium che si propone di unire, in verità divide, separa, riproduce divaricazioni sociali, culturali, e in tal modo anche ingiustizie e distinzioni di cl~ 12• " Particolarmente oggi, in visu del p:as:uggio definitivo al digtulc sulla cui dau non si è ancora ceni, qucsu divisione appare gii

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Cosl, menue da una pane la rulrura ad alto livello si fa sempre più raffinata e per pochi, questi «pochi• divengono, fittiziamente, tanti: diventano «massa,.. ~ il uionfo del «digcst> e del «rotocalco• e, soprattutto, della televisione. Il mondo travisato da questi mezzi di diffusione, di cultura, di propaganda, si fa sempre più irreale: la produzione in serie, anche delle idee, lo rende mostruoso"'.

Negli ultimi anni, anche il linguaggio del cinema almeno in Italia- ha finito con l'essere contaminato da codici provenienti dalla tv. Complice la pratica delle co-produzioni televisive, il cinema ha finito col perdere il suo natumlismo propriamente cinematografico, per assorbire il n11111r11/ismo televisivo, e risultare in molti casi falso, artificioso, incapace di convincere. Non è solo un discorso d'inquadra.ture (di linguaggio), di scelta degli attori, d'imposizione del cast o di esauste variazioni su storie piccoloborghesi: la natura stessa del sentimento cinematografico, che ne è il motore prima al botteghino e poi nell'immaginario comune, si è convenita nel suo equivalente televisivo, cioè il più retorico sn11imn1111/ismo. Mentre gli americani continuano - nonostante la crisi - a girare ancora qualche grande sogno di celluloide, i nostri film si sono ridotti a un neorealismo pedissequo del mondo rappresentato in tv, e sono sempre funissinu. Tra Uconsumo ddle cbssi piil agwe e qudlo delle dusi inferiori c'è già un :abisso: le prime xccdono a contenuti complessi, cultul'2lmcnte imponanti e pagano questo servizio. Per le alire classi, anoora la maggior:uw, rimane l'xccsso a w,a tdc:vùione gcnel'2lisu cultul'2lmente degradante, stand:ardizuu w:rso Ubwo e di-,,rat2 dalla pubblicità. ., •Vie Nuove,,, n. 38 a. XVII, 20 settembre 1962.

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più sn11imen111/istici, sempre più falsi, e perciò sempre più brutti.

Il sogno di una I/ire

Alla consuetudine - che Pasolini denunciava - d'integrarsi nel sistema neocapitalistico, di soggiacere alle nuove leggi che ogni intellettuale (che volesse continuare a vivere e produrre nell'industria culturale) avrebbe dovuto accettare, egli opponeva due tendenze: rivolgersi ad una nuova I/ire, da creare ed educare, e produrre opere (merci) inconsumabili. Il passaggio dalla letteratura al cinema era già avvenuto, come spesso egli diceva in televisione, per protestare contro la nuova lingua della società e quindi contro la società f()Ut (()Urt. Era dunque solo ad una parte di questa società che Pasolini si rivolgeva con le sue opere: non più I'I/ire storica, quella benestante e culturalmente avanzata, ma una nuova I/ire, proveniente dal popolo: La questione resta in questi termini: i primi miei film, da .k(attont a // Vangtlo ~ondo Martt0 alla Rkott11 cd &iipo R.t, li

ho fimi sotto il segno di Gramsci. E infatti con i miei primi film mi sono illuso di fare opere naz.ionalpopolari nel senso gramsciano della parola, e quindi da ciò consegue che pensavo di rivolgermi al popolo, al popolo come dasse sociale ben differenziata dalla borghesia, almeno in modo ideale naturalmente, cosl come l'aveva conosciuto Gramsci e come io stesso l'avevo conosciuto da giovane, almeno compresi tutti gli anni Cinquanta. ~ sua:cssa poi quella che si chiama la crisi (in un certo senso positiva) della società italiana. Cioè il passaggio dell'Italia da un'epoca a carattere ancora in gran parte agrario, artigianale, o comunque pal00e2pitalis1ico a

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una nuova epoca, quella del benessere, del neocapitalismo; e quindi con la trasfonnazione radicale, per quanto fulminea, della socie1à i1aliana. Il uasfonnarsi cioè di questo popolo idealizzalo da Gramsci e da me giovane in qualcos'altro, in quella che i sociologi chiamano •massa,,, E a questo punto io mi sono in un ceno senso rifiutato, non programmaticamente, non aprioristicamente, ma in seguito alle prime esperienze, di fare dei prodotti che fossero consumabili da questa massa. E quindi ho f:mo dei film d'llitt, che apparentemente antidemocratici, aris1ocratici, in realtà- essendo film prodo1ti in polemica contto la cultura di massa che è 1irannica, che è antidemocra1ica per eccellenza - sono stati invece, secondo me, un atto, per quanto forse inutile in quan10 idealistico, di democrazia"'. Sembra qui riapparire il rischio del fraintendimento di Bignardi, l'incomunicabilità di un intellettuale che formula una dichiarazione di superiore r.iristocrazia.. Anche un giornalis1a in studio, naturalmente, ha difficoltà a capire di cosa si parla, in che termini e in quali «territori» si articoli il discorso di Pasolini, tant'è che egli dovrà precisare più a fondo - pazientemente il senso che attribuisce alla parola «élite-: Un'operazione apparen1emen1e aris1ocratica in realtà è un atto di democrazia, perché io proprio a ques1a élite mi voglio rivolgere, mica alla élite classica, sarei un pazzo se dicessi una cosa di questo genere. Quindi si 1ra1ta di un equivoco; siccome la parola •élite- è onnai usata da decenni in un ceno " Cinrm,z 70, RAI Secondo Canale, 1970. la citu.ionc ~ lung:a pc:rdié ~ini cbbora il ragiorwncnto di getto, senza prender lìa10; cosl mi puc giusto nei suoi confronti lascian: che il discorso sia riprodotto ndla sua intcn:z:za.

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senso, e non e.e n'è un'alm per sostituirla, l'equivoco verbale nasce proprio dalla parola; io non intendo, quando dico e faccio un film per l'élite-, parlare dell'élite classica, dei privilegiati, detentori del potere e quindi della cultura, niente affatto, parlo di un'élite che cerco là dove la trovo, e posso benissimo trovarla, appunto, nelle minoranz.c operaie avanzate. Quando parlo di élite intendo un nuovo tipo di élite evidentemente, l'élite rapprcscnt2ta da un nuovo tipo di decentramento, a qualsiasi livello. Questo discorso, rivolto al pubblico che Pasolini desiderava «selaionare,, dalla massa, è anche valido per il suo stesso apparire in televisione: oltre il video c'è quella «massa. di cui fanno parte le minoranz.e operaie avanzate, la cui attenzione spera di suscitare. Le sue parole suonano come un invito, o un appello diretto «alla massa», cosa che il cinema e i giornali, ad esempio, non gli consentivano. Ricordano altre parole, parole rivolte all'amico sgrammaticato, corrispondente di «Vie Nuove,, cui aveva consigliato di farsi una cultura e desiderare di migliorare «per dovere». Dal canto suo, Pasolini si tutelava dal rischio, sempre in agguato, di divenire egli stesso ~rto di consumo. Per preservarsi da tale rischio, cercava di mantenere sempre un velo mistico intorno a sé e alle sue opere. Le quali, peraltro, venivano concepite proprio nel segno dell'impossibilità ad esser «consumate,,: La società cerca di assimilare, di integrare, ceno; è l'opera-

zione che deve fare per difendersi, però non sempre riesce, alle volte ci sono delle operazioni di rigetto. Tanto più che adesso non possiamo parlare di poesia come di merce; cioè io produco, ma produco una merce che in realtà è inconsumabile, quindi c'è un rappono strano fra me e i consumato-

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ri ... Immagina che a un ceno pun10 in Lombardia qualruno inventi un paio di scarpe che non si consumeranno mai più, e un'indwtria milanese costruisca qucs1e scarpe; pensa alb rivoluzione che succederebbe nella Valle Padana, almeno nel seuore dei calzanuifici. Cioè io produco una merce, che dovrebbe es.1ere b poesia, che è inconsumabile; morirò io, morirà il mio editore, moriremo iutti noi, morirà runa la nostra socie1à, morirà il capi1alismo, ma la poesia resterà inconsumata. I...I Quesia idea, molto poetica, della poesia che non si consuma, oggi non funziona. Perché il libro è passato in secondo piano rispetto all'autore. Non è più il suo romanw ad essere consumato, o la raccolta di poesie, ma l'amore stesso. Il timore di Pasolini era più che giustificalo, al punto da divenire oggi il paradigma letterario corrente. È l'autore il marchio stesso della sua produzione culrurale, il che lo solleva da quasi ruui i compiti e i doveri di un autore in senso classico. Non ha bisogno di slogan per lanciare una sua opera, egli stesso è lo slogan, il messaggio, la merce da consumare: il suo volto, le sue parole sullo schermo, il suo appanenere ad al1re ca1egorie o professioni (ormai scrivono rutti, dai cakia1ori ai preti, alle suore, agli assassini, agli ex terroristi, agli adolescemi in preda alle 1empes1e e alle ribellioni della pubertà) hanno preso il sopravvento. Dirò di più: ciò che rappresen1a il contenuto di un'opera, in fin dei conii, non importa più. Il successo può dipendere esclusivarneme dal fatto di aver prodotto un oggetto di consumo il cui 1itolo sia evoca1ivo, e alle spalle del quale si sia mossa un'imponame casa editrice, con una imponente e cos1osa operazione di mar-

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keri11g. Infatti non esistono più libri belli o bruni, ma libri famosi e non famosi, autori celebri o sconosciuti. Questo è cos\ vero, che il libro è divenuto un ogget· to di consumo quotidiano a tal punto da ponare alla chiusura di centinaia di storiche librerie, prive di pubblico, dal momento che i libri vengono distribuiti nelle edicole assieme ai giornali li, come un caffé da consumare al mattino, come qualcosa che va acquistata per un consumo immediato, giornaliero. E siccome un libro non si può leggere in una mattinata, gli italiani comprano milioni di libri per arredare il salono, senza leggerne uno. Pasolini ha vinto: nessuno ha potuto consumare lui, né la sua opera. Quanto in ciò la sua prematura scomparsa abbia giocato un ruolo determinante, è un giudizio che lascio al lettore.

u manipolazioni Per milioni di italiani la televisione è l'unico «portale,, su una realtà «altra,, rispetto a quella di cui essi hanno esperienza quotidiana. Per motivi di ordine economico, anagrafico, in alcuni casi anche clinico Oa televisione è il solo collegamento con l'esterno di ospe"Anche: per i giornalisti è V2lida quc:sta considcrwonc:: gli :articoli da loro pubblicati contano mc:no di ciò che: dicono in tdc:visionc:; l'autorcvolcna ddb loro penna è proporuonalc: al gndo di notoric:ù e: alle: on: di apparizione: in tv; in molci hanno toralmc:nrc: confuso non solo infomm.ionc: e: spettacolo, ma giornalismo e: intl21tc:nimc:nto; k loro inchieste: sulle: riviste: e: sui giornali hanno successo solranro se: sono nambili attraverso le: immagini, cioè iolo se: sono rappn:sc:ntabili in tv.

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dal i, strutture sanitarie e parasanitarie), o più semplicemente perché ormai il lavoro richiede troppo tempo e troppe risorse, molte persone hanno difficoltà a conoscere il mondo intorno a sé, fuori della propria ristretta gamma di azioni e luoghi quotidiani, prescindendo dalle immagini che tutte le sere la televisione porta nelle loro case. Quindi hanno una percezione deviata di questa re.1ltà altra, deviata proprio dal mezzo che gliela porge. Da un lato, la rappresentazione televisiva della vita pubblica, delle vicende politiche e della elaborazi0ne delle idee, deve- e sente rigidamente tale dovere- operare secondo una selettività di scelta e una serie di nonne linguistiche che assicuri innanz.i rutto che •tutto va bene-, ed è fatto per il bene. Il bene non deve avere difficoltà: ed ecco che infatti il mondo presentato dalla televisione è senu difficohà; se difficoltà ci sono state, sono state sempre provvidenzialmente -appianate-; se disgraziatamente l'appianamento non è ancora avvenuto (ma avverrà), provvede a dare questo perduto senso di pianeu.a la lingua infonnativa orale-scritta dello sptaktr. L:ideale piccol0-borghese di vita tranquilla e perbene (le famiglie giuste non dtvono avtrt disgrazit, ciò è disonorevole davanti agli altri) si proietta come una specie di Furia implacabile in rutti i programmi televisivi e in ogni piega di essi'"· Dall'altro lato, però - e ciò avviene specialmente negli ultimi anni - questo ideale di tranquillità piccolo-borghese si è ineluttabilmente incrinato a causa di terribili vicende di cronaca (il terrorismo, i cataclismi "' Contro fil rrlnisionr, ciL, p. 137.

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naturali, gli omicidi efferati che conquistano lunghe direne tv). Ma ciò non significa che il grado di realtà che passa anraverso la televisione si sia accresciuto. Cinformazione televisiva, panicolarmente nel periodo corrispondente all'ultimo governo di centro-destra, ha segnato un primato nel campo della manipolaZJone. Non si parla esclusivamente di una censura, ma di una vera e propria .-adulterazione» informativa dei fatti 17, adoperata - ad esempio - con l'uso improprio, irritante, delle immagini di repertorio. Esse vengono spesso usate in assenza di nuove immagini, come riempitivo, cosa che non avviene in nessun altro paese europeo (altrove si indica in sovrimpressione •immagini d'archivio»; a farci caso, buona parte di ogni telegiornale è costituita da questo tipo di immagini, sulle quali si può •costruire,, praticamente qualsiasi realtà). La costruzione di questa realtà falsata crea un dispositivo ammortizzatore delle tensioni sociali: l'informazione televisiva mantiene costante queste tensioni, ma le confina in ambiti -a noi lontanissimi». Cioè la tv si guarda bene dall'affermare, ad esempio, .era dieci anni non avremo più soldi per pagarvi le pensioni», però bombarda con informazioni del tipo •tra dieci anni il surriscaldamento globale giungerà a un livello tale che i ghiacci del polo si scioglieranno, Cli il saggio di Fabrizio Tonc:llo, D11U1t11li11 tklk monJinr 11 tp1rll4 dtllr vrlinr, in M. VV., Ttkvisionr irri r fllgi, a cura di Franco Montdc:onc:, Manilio, Venezia. 2006. Cfr. anche: G. C. BosETTI, Spin. Tru«hi r tm•imbl'Of)i tk/14 poli1ir11, Manilio, Venezia 2007. 11

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e questo sarà un guaio• 11• Insomma, dà corpo a una

serie di «terrori• 19, ritrae un pericolo che non è mai immediato e non coinvolge mai il pubblico: riguarda sempre, pur terribilmente, qualcun altro, che è molto lontano'°· La tensione si accompagna sempre ad una cena quota di pietismo, di sentimentalistica (dunque retorica) compassione: rispetto al passato, l'informazione ha perduto cosl la funzione analitica per esaltare esclusiva-

'" Nd caso dcU"infomuzione meteorologia. il problema non è il mctc0 in sé, ma il complesso di rubriche: di costume e spettacolo forz.it:unente ricondone aglj aggiornamenti c:vasivi sul clima. "Si può pula,c di ,,:ro e proprio terrorismo a proposito ddle malanic: vi è una scandalosa cam~na terroristica anuata tramite pubbliciti di f:umaci, rubriche di medicina. maratone rdcvish-c. li concx:tto è che ruui siamo minacciati, la mone sembra incomber,:, ma la scienza - che tuttavia non riesce a fornir,: ccnc:zzc: vcrifìabili al 100 % neppur,: sulle cause ddle più banali malartic - induce non solo a prevenir,:, ma a curar,:, inten"Cnil'I:, opctarc, .i:igliaro,, sempre e comunque. Persino nc:Uo spot pubblicitario ddl'anticalcar,: ddla laV2Stoviglie si parla di artacco :agli .organi vitali.. Le: con• sc:gucruc di quc:sto terrorismo sono facili da immaginar,:. Mossi dal terror,: del .male- che incombe, milioni di consumatori saccheggiano le farmacie e fanno un uso smodato, irrazionale ohr,: che pericoloso, deUc medicine. Alla tdcvisione, questa .medicina., fa bene: le industrie farmaceutiche investono milioni ndb pubbliciù. Cosl ogni altra ricerca o scopciu in campo medico viene censura• ta. anche se comprowhUe con peru,nruali superiori a queUe protocollari, a meno che - com'è facilmente verificabile - non implichi un profitto multimilionario. "' Ne abbiamo :avuto un c:scmpio nella lettura, pesantemente curoccnuic:a, dcUo tsunami che colpl il 26 dicembr,: 2004 le isole che si alrac:ciav:mo ruU'Occ:ano Indiano. Ndl'informazionc: di qud periodo, la notizia veramente imponante non era cquel che è aa:aduto., le dimensioni ddla t~i:l, ma quanti inglesi, francesi, tedeschi, italiani ccc. vi erano coin,'Ohi.

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mente la capacità di emozionare. Per cui l'atteggiamento irrazionale, la risposta sentimentale, sono le reazioni più ricercate nel pubblico, rispetto ad un consumo cnuco. Inoltre, noi italiani non abbiamo, nella nostra cultura, quella visione biblico-allegorica tipica del mondo statunitense, e che si è manifestata nell'interpretazione che gli americani hanno dato dell' 11 settembre (è caratteristico, nella loro visione storica, sovrapporre il destino del loro popolo a quello della Bibbia). Dunque, la nostra reazione a ceni fenomeni preoccupanti è stata segnata da una radicale svolta verso l'a1111nspe11acolo. Piuttosto che aumentare la riflessione critica sul complesso periodo che l'umanità sta attraversando (guerre che perdurano da decenni, civiltà sull'orlo dello scontro, polveriere sul punto di esplodere), ci siamo dati al varietà, agli spettacoli comici, alla spensierateua un po' becera di un totale intrattenimento, stile .sabato sera». Ogni tanto qualche programma assolve al dovere di riportarci alla crudezza del «mondo reale.: lo fa «servendo» di volta in volta il «delitto del giorno» con programmi di approfondimento giornalistico sulle indagini dei vari omicidi, che divengono grandi saghe tra il

noir e l'horror. Queste trasmissioni, in realtà, non approfondiscono nulla (compito degli inquirenti e della magistratura). Si crea allora una perversa messa in scena, aberrante, sul giallo che fa solo spettacolo di tanti omicidi. La cronaca, punroppo, ne produce a un ritmo tale da approvvigionare tempestivamente qualsiasi contenitore di .approfondimento».

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Per fare un esempio concreto: l'ultima «grande inchiesta» che ha focalizzato l'attenzione di giornali, telegiornali e programmi giornalistici, in ordine di tempo e durante la stesura di questo libro, è stata quella sulla sanità italiana. Un giornalista del settimanale «I.:Espresso• ' 1 ha raccontato di essersi fatto assumere dal Policlinico di Roma, per documentare lo stato di abbandono, di sporcizia, di deturpamento malsano presente in alcuni ambienti della struttura. Si tratta di un'inchiesta che non è affatto aggiuntiva di sapere, in nulla: nessun telespettatore, neppure quello più ingenuo, ha mai potuto supporre - conoscendo il proprio paese - che i sotterranei di un policlinico somigliassero ad una clinica svizzera. È come scoperchiare i tombini per le strade: si sa che ci sono, se ne conosce la storia e se ne può dunque intuire il futuro, e si sa anche «cosa c'è sotto». Il problmut posto è in realtà un mm-problmut: ci si tiene sempre alla superficie delle cose, si gira intorno alle questioni. Pasolini invece partiva dal centro, sa che nessuna soluzione verrà adottata, se non di facciata, che col tempo è destinata a rivelarsi miseramente parziale. Da un lato non ci sono soldi ma solo debiti; dall'altro è impossibile che gli italiani abbiano cura e affetto per le cose pubbliche - una totale assenza di senso civico, contro la quale la tv nulla ha potuto, anzi forse ha avuto perfino un effetto negativo. Più interessante, e utile, sarebbe stata un'inchiesta sul vero orrore che riguarda la sanità in Italia: il giro di collusioni tra politica, mafia e ospedali, la quantità impressionante - tale da dover destare sospetto " «I:Esprcs:so., n. I a. Ull, 11 gcnruio 2007

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- di cariche pubbliche ricopene da medici, direttori sanitari, e primari soprattutto al Sud. Ma siccome in queste indagini si può rischiare la vita, è più facile e spettacolare ispezionare le cantine e i sonerranei degli ospedali, dove si trovano scheletti che, s), aeano indignazione, ma sono assai meno pericolosi per chi, con una fastidiosa e ostentata ingenuilà, finge di scoprirli. Tornando a Pasolini, è quindi il caso di affermare con chiarezza quanto il suo allarme di allora fosse giustificato: perchl la tv cht abbiamo trtdiraro oggi è ilfrur10 di q11~/k a~azioni cht già allora egli dmundava. Anche se ritengo che il quadro attuale sia di gran lunga peggiore rispetto a qualsiasi pessimistica previsione che Pasolini poteva immaginare allora. Si è già detto e scritto molto (forse troppo) del rappono tra politica e televisione. E se oggi la politica è un vero e proprio gtn~rt televisivo, che potremmo chiamare realiry poliric, già nel 1966 Pasolini aveva intuito quanto stava avvenendo, ovvero la definitiva riduzione degli intellettuali e dei politici al «formato televisivo»: lo, da telespettatore, [•. .) ho visto sfibre, in quel video, un'infinità di personaggi: la eone dci miracoli d'Italia - e si tratta di uomini politici di primo piano, di persone di import201.a assolutamente primaria neil'indusuia e nella rultura; spesso persone di prim'ordine anche oggettivamente. Ebbene, la televisione fareva e fa, di tutti loro, dei buffoni: riassume i loro discorsi fa. mtdoli passare per idioti - col loro, sempre t11d10 beneplacito? - oppure, anziché esprimere le loro idee, legge i loro interminabili telegmnmi: non riassunti, evidentemente, ma ugualmente idioti, idioti come ogni espressione ufficiale. Il video è una terribile gabbia che tiene prigioniera dell'Opinione Pubblica - sn-vilmmlt snvifll ptr 011t11trne il tofllk stn!llismo- l'in-

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tera classe dirigente italiana: la ciocca bi2nca di Moro, la gamba cona di Fanf.ini, il rwo alto di Rurnor, le ghi2ndole seba~ di Colombo, sono uno spettacolo rappresentativo, tendente a spogliare l'umanit2 di ogni umanit2 "·

Rispetto a quegli anni, le cose sono molto cambiate. Ma lo sono più in politica o in televisione? Probabilmente in entrambi i casi, perché se allora queste erano le due facce della stessa medaglia •pubblica,,, oggi esse ne sono la medesima faccia. Non possono esistere politici che non siano uomini di spettacolo, non può esistere un'attività politica che ignori la televisione. letteralmente non esisrerrbbe. I politici vivono in televisione e, per quello di loro che arriva ai telespettatori, non hanno altra umanità se non quella televisiva. È la conseguenza del regime dei consumi applicato alla democrazia: la politica è destinata al consumo, come qualunque altra merce. Un tkserto se11za «l~ciok» È ora il caso di domandarsi: su quale terreno la televisione si è potuta cos\ fortemente sviluppare, al pun-

to da unificare e livellare totalmente il popolo di un'intera nazione, più di quanto sia avvenuto nelle altre nazioni europee»? " C4nt10 "1 lml!iJioM, ciL, p. 133. Va qui o~to che i nomi dei notabili democrutiani del passato (al tempo tanti Capi di governo) potrebbero oggi essere brillantemente sostituiti da altri notabili, indistintamente di maggio12111.a o di opposiz.ione. " In FDnCi~ ad esempio, già sul finire degli anni Scssan12 vennero creati 13 centri regionali di produzione televisiva. allo smpo di

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P.isolini teneva spesso a precisare che questa sua visione negativa era limitata alla nazione italiana. Da noi il consumismo ha devastato ogni realtà precedente perché, a differenza degli altri popoli, l'esperienza dell'identità italiana era ancora giovane e debole. Per molti secoli l'identità degli italiani, cioè dei popoli dell'intera penisola, era stata la storia di gruppi separati e, seppur accomunati da una morale cattolica, pesantemente frammentata dai vari domini. Dopo il fascismo e durante gli anni Cinquanta e Sessanta questa identificazione cattolica si era addirittura rafforzata, ma neppure la Chiesa era riuscita a contenere l'improvviso impatto della società dei consumi. E proprio la televisione, che la Chiesa credeva trionfalmente di dominare con la propria morale, fu responsabile del più vasto movimento di laicizzazione e dissacrazione della società italiana,._ Pasolini l'aveva detto, che in tv nulla di rùpondcn: 211c nuove componenti socùli e mantenere le rc21tl locali, suca:ssh'2111cntc moltiplicatisi fino a qU2Si 100 centri produnivi. li concetto di prr»dmitl è cosl servito d:a un sistem:a di progranuna:ùone 2ltcmat:a ~oc21c, nmon2lc) che lavora per :aree concentriche. Anche l":ipcnura dd men::ato :alle tv pri,-:itc h:a avuto 11112 storia del tutto divcm d:alla nostr.a: il furtlssimo Servizio Pubblico Fnno:sc (ORTF) è staio suddiviso, nel 1972, in ben 7 JOCied, dcUe quali la princip2lc (TFl) privatizzata; css::1, insieme :alla neonata Can21t, fornl le basi per il pluralismo cdi1ori2lc e infunna1ivo che 21 nooro Paese è punroppo ignoco. ln lnghihcrra. addirittura nd 1954 un Ro)-:il Act sta.bill la crcaz.ionc di 13 1cbisioni indipendenti. M .I.a Chicu h:a insomm:a fatto un JWIO ool diavolo, cioè a>n lo Swo borghese. Non c'è oon1raddizionc pili K:Uldalosa infani che qudla tra religione e borghesia, essendo qucst"uhima il oontnrio della religione. li poccn: molW'Chico o frodale lo cn in fundo di meno. li fascismo, pcrob, in quanto momento rq,rmivo dd api talismo, era meno diabolico, oggmn'2111Cnle, dal punto di visu ddb Oucs:a. che

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«sacro» può esistere, perché sarebbe scandalizzante e disorien1ante. Bernardo Benolucci, nella testimonianza per un documentario sul regista, spiega molto bene cosa Pasolini volesse intendere con quella teoria che prende il nome dal famoso scritto sulle «lucciole. apparso sul «Corriere della Sera. in un articolo del 1973, nel quale l'autore paragonava la scomparsa delle lucciole estive dai giardini, dai parchi e della campagne, ad una omologa scomparsa della bonarietà e della semplicità dall'Italia precapitalis1ica: Pier Paolo parlava di wia specie di corruzione messa in moto dalla società dei consumi per cui culturalmente quello che conviene alla società dei consumi è di distruggere, cancellare qualsiasi cultura popolare locale in modo da poter vendere di più. Se si aea un deseno culturale, è molto più facile vendere. Nel deseno tutto è W1 miraggio"... Questo deserto culturale, come una «notte in cui tutte le vacche sono nere», era dunque una tabula rasa il n:gime dcmocrwa,: il fucismo c:r:a un:a bestemmia, ma non minaCruc:sa, perché esso c:r:a wu fo1,,z nuov:a ideologia. li Concordato non è suto un s:aailc:gio nc:gli anni Trcnt:1, ma lo è oggi, ,e: il fascismo non ha nemmeno ialnto b Chiesa, mc:ntrcoggi il Ncoapiwismo la distrugge. I:xu:11:wunc dd fascismo è S12to un atroce episodio: rm l'xa:ttrzionc: della àvilù borghc:sc: apitilisùa è un fu. 10 dc:fìnitn'O, il cui cinismo non è solo una nu.cdua. l'ennesima macchia ndla storia ddla Cruc:sa, ma un more: storico che: b Chiesa pagherà probabilmc:ntc:con il S1IO declino.. Scritti G,n,zri, eit., p. 14. " Dal Documentario Pin- /bolo Ptwlini 1,n11 tDspmltll villllil4, a cur:a di Simona Gwbc:ni, rc:gia di ~lo Brunano, testi di Antonio Dcbc:nc:dc:tti. v.a :all'interno b

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che democraticamente - cioè indotta con la seduzione anziché con la repressione - il regime dei consumi, cioè il dominio economico, politico, industriale, aveva creato, per poterla poi colonizzare prima a livello simbolico (la nuova Italia di Caro~&, delle pubblicità in tv, della merce che iniziava a scorrere immauriak e liquida sullo schermo), poi consumisticamente (il boom economico, i prodoni di massa, i primi elettrodomestici del nuovo benessere, i bmi ~ la grande vittima dei modelli, l' t'SJt'rr di un popolo diversificato che si omologa a un gruppo ristretto di modelli, con un procedimento difficilmente reversibile, in quanto anche le m inoranze progressiste non possono nulla contro questi modelli, che sono tali perché autoritari, e sono autoritari perché statali, e lo Stato è «la nuova produzione di umanità,.. «Ritrovare un proprio modello di vira. è il grande problema di questa umanità, nel momento in rui la mutazione antropologica denunciata da Pasolini nei termini di un vero e proprio «genocidio• (termine marxista) è ancora in corso, e si somma ad una nuova mutazione - non ancora prevista dall'autore nel periodo in cui scriveva - messa in moto dalla civiltà dei computer, della realtà vinuale, un ossimoro che rientra perfettamente nell'universo pasoliniano, ma che tuttavia l'avrebbe fatto probabilmente inorridire: lo quando parlavo di una certa omologazione degli italiani, parlavo a un livello statistico che abbracciava milioni, milioni e milioni di persone. Tu in una piazza popolata da ànqucmila persone, mentre una volta, soltanto fino a dicà anni fa, tu stesso dall'alto del quinto piano indicandoli dicevi

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•quello è uno srudente, quello è un operaio, quello è un ragazzo del sud, quello è un vecchio del nord, ccc. ecc.• questo non lo puoi più fare, in una piazza ru non distingui più mdb, àoè il linguaggio del componamento, il linguaggio fisico-mimico, è completamente omol0g210". Negli Scritti (orsari, la questione del linguaggio fisico-mimico è al centro dell'anicolo 7 gmnaio 1973. Il «DiscoT11J• tki (aptlli (pubblicato sul «Corriere della sera. con il 1i1olo Cmtro i (1tptlli umgh,). I capelloni di Praga, che Pasolini aveva incontrato nella hall di un albergo durante un viaggio, esprimevano con i loro capelli quel che rendeva le parole superflue: la loro appanenenza a una sottoculrura di sinistra. La quale, con il passare degli anni (e degli eventi politici e sociali) aveva finito col mescolarsi e confondersi alla sonoculrura di destra, poiché quel «linguaggio della presenza fisica., ontologico ma irrazionale, finiva col non esprimere più nulla. lnfani, nella cinà di lsfahan in Iran, altri capelloni inconttati da Pasolini esprimevano in modo non verbale ru1t'al1ro significato, quello di una non-.1ppanenenza al numero dei «morti di fame., ma di un'imitazione dei modelli europei (borghesi, ricchi, capi12lisrici) della cui conoscenza quel linguaggio era un'ostentazione, un segno di riconoscimento. Per uno strano ciclo, quei capelli di «sinistra. avevano girato il mondo, fino ad assumere un valore opposto, alludendo a «cose di destra.. Anche in questo passaggio, vi è un anacco all'omologazione giovanile segui12 al '68. Cosl come era stato "Programma .Controampoo, 19 onobrc 1974.

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un penoso equivoco lo scontro degli studenù di Valle Giulia con i figli dei veri poveri, i poliziotti, allo stesso modo le nuove «maschere ripugnanti•, che i giovani avevano messo sulla faccia, erano lo scandalo e l'equivocodi una insensata rivolta ai loro padri; e se proprio Pasolini aveva costruito - possiamo dire - il suo intero sistema simbolico intorno allo scontro con il padre, i giovani del tempo non avevano compreso il significato ancora una volta marxista di questa opposizione, di questa dialettica obbligatoria per natura Oa sintesi di una nuova generazione, migliore, nella stessa specie umana). Essi non avevano prodotto un conflitto e dunque un superamento, ma una ribellione che aveva il senso di una «condanna radicale e indiscriminata», non tanto contro i padri biologici, ma contro la «storia in evoluzione e la cultura precedente» che essi rappresentavano. Questa condanna non era una presa di coscienza, per dirla in termini di fenomenologia hegeliana, un momento del progresso verso il passo successivo, l'autocosdmza, ma una barriera insormontabile, che li aveva isolati dai loro padri, impedendo quindi ogni opposizione dialettica: ancora un richiamo alla crisi del marxismo, dovuta al ritrarsi di un elemento fondamentale per il progresso in termini di tesi e antitesi. Ora non restava altro che prender coscienza del1'«isolamento in cui si sono chiusi, come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù•, cristalliz... zaù in un'«insopprimibile realtà storica., che aveva arrestato ogni progresso, producendo al contrario un vero e proprio rtgmso. Essi erano andati più indietro dei loro padri, tramite quella tendenza che Pasolini definiva il «conformismo dell'anticonformismo•, una libertà che

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non era affatto tale, poiché distruttrice di quei valori e di quelle conquiste che parevano stabilmente acquisiò dopo la tragedia della guerra. AJlora, nel '45 e quasi per un decennio a seguire, gli italiani avevano dovuto inventarsi un modo di essere «italiani•. All'indomani della liberazione, quell'emergenza nazionale e umana aveva ponato ad un veloce progresso, solidale e toccante, che poi il regime dei consumi avrebbe spazzato via, sommergendo quel complesso di realtà (e di verità) rapidamente consolidatesi per necessità, e facendo affiorare in superficie una sola realtà, l'unica ammessa, dotata di una sola fondamentale proprietà: che fosse consumabile'°.

Anche la Chiesa vicncchiama12 in C2USa in questo proa:sso: «li Vai ic:ano non lu c:ipito che a>s:a doYcv:a e ccu non da1'CY:l ccnsuran:. Dovc:v:a ccnsunn: per esempio 'urosdlo', onnipotente, che esplode in tuno il suo niton:, la sua assolut=.:a, la sua pcrmtoricd. il nuovo tipo di vil2 che gli italiani 'devono' vÌ\'a'C. E non mi si diii che si tr:atl2 di un tipo di vi12 in cui la rdigionc a>nti qwla,sa. D"altra pane le trasmissioni di anncn: spccific:uncntc religioso ddla tdcvisionc sono di un 12k tedio, di un 12k spirito di rcprcssività. che il Vatiano :avrdibc futo bene :a «nsur:ulc tune. li bomb:anwncnto ideologico tdcvisivo non è esplicito: esso è tutto ndlc a>sc, tutto indin:t• to. M:a ~ un 'modello di vit:a' ha potuto men: propag;ancwo con 12nt2 c:ffiacu qmnto altra,,:rso la televisione. Il tipo di uomo o di donn:achc a>nt:1, che è moderno, cheèd:a imi12n: ed:a rcalm.an:, non è dcscrino o clc:a111a10: è rapprcscn12to! li linguaggio cldla televisione è per su:a n:atura il lingi.uggio fuia>-mimico. a lingi.uggio cld a>mporumcnto. [...] Gli eroi della prop:ag:and.a tdcvui~ - giO\-:uu su motocidcne, rag:m.c :acanto :a clcntifiici - proliferano in maioni di eroi :analoghi nella realtà.. &ritti CÀrsllri, ciL, p. 59. 10

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SECONDA PARTE

I CONTENUTI DEGLI INTERVENTI TELEVISM (1957-1975)

La seconda parte di questo libro intende costituire un piccolo «zibaldone» critico degli interventi televisivi di Pasolini, ovvero una raccolta dei principali «testi•, trascrini e organizzati coerentemente, in forma di un ulteriore -serino corsaro•, il cui spirito si accosta spesso agli articoli e ai saggi, ma non di rado si avventura in tematiche e riflessioni - frutto di intuizioni estemporanee - di cui manca un corrispettivo negli scriui. Nonostante essi riguardino temi che esulano dalla tv, o che la riguardano indirettamente, è tuttavia interessante porre queste riflessioni in «dialogo• con altri suoi scritti contemporanei, per una più esatta ricostruzione dell'universo pasoliniano. I programmi, le rubriche e i documentari da cui questi spezzoni sono trani verranno àtati di volta in volta. Il tenore vorrà scusare l'autore nel caso di qualche picx::ola e involontaria imprecisione: la mia buona volontà nelle ricerche non mi :mirura una completa cenezza della provenienza delle fonti e dei brani, poiché purtroppo non esiste ancora una raccolta completa e sistematica, consultabile per intero, del patrimonio intellettuale affidato da Pasolini alla «memoria. della televisione. Non è tanto una fatale «vendetta. del mezzo, quanto la rimozione freudiana - da parte della politica - di un 81

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artista che, come disse Moravia il giorno dei funerali, qualunque paese sarebbe stato felice di avere 1• E contro il quale si perperua un ipocrita, colpevole, ingiusto oblio. Il conjliltQ originak

Intorno al conflitto con il padre si costruisce praticamente tutto l'universo pasoliniano. Un conflitto viscerale, lancinante, arcaico, che ha segnato l'uomo, il poeta, lo scrittore, il regista, l'intellettuale-contestatore, per tutta la sua travagliata esistenu. Un conflitto che ha generato un dolore di cui egli stesso non nascondeva l'intensità, ed è stato continuamente superato nell'opera (in perenne antitesi) con una forza espressiva, una vastità e una articolazione assai rare. Il conflitto paterno è il centro del sistema autoriale di Pasolini, il fulcro del suo discorso estetico e della sua ricerca sul linguaggio, nonché il motore primo della contestazione ali'autorità e dell'impegno àvile, di cos\ alto livello da aver costituito - in Italia - un caso deàsamente unico. Questo conflitto genera intorno a sé l'intero sistema, come ho detto, e ogni tema pasoliniano ricalca in qualche modo lo scontro paterno. Come questa filiazione tematica si svolga, lo racconta egli stesso: .Qlul,i.ui JOcicù. sarebbe suta contenta di aver Pasolini tra le sue file, :abbiamo perso prima di rutto un poeta, e il poeta •.• non cc ne sono unti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in eia• KWl secolo ... quando san lì nito questo secolo, Pasolini san 1n i pochissimi che conteranno come poeta. il poeta dovrebbe c:sscr sacro ••.• dal documento fìlmat0 dell'ormone funebre di Albeno Moravia, il 2 novembre 1975. 1

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Mio padre... è difficile parlare di lui, perché era uno molto diverso da me e con cui ho avuto dci rapponi molto difficili. I tipici rapponi tra padre e figlio, quando questi rapponi sono drammatici. Drammatici prima di rutto inconsàamente, per ragioni che Freud spiegherebbe, meglio di me; e anche poi per ragioni oggettive di carattere: mio padre era un uomo un po' all'antica, un ufficiale, cioè esanamcnte il contrario di mc, la pensava esattamente all'opposto di come la pensassi io, allora e adesso. Quindi e'era proprio una diversità di ideologia, di carattere. Ma forse sono un po' ingiusto a dire questo, perché se io inconsciamente ero nemico a lui, lui era profondamente nemico a mc, anch'egli, ceno, inconsciamente. Tuttavia, in realtà è stato poi lui che mi ha quasi spinto a sceglie-re la camera che ho preso. C'è questo misto di sentimenti, gratitudine, odio: è il rappono più drammatico che abbia avuto nella mia vita. Ogni mio rappono drammatico avviene con rutto cib che è paterno, cioè - mettiamo - con lo Stato, o con il sentimento medio dcUa vita che hanno gli uomini, con la società, eccetera eccetera... 1 Dalla massa conflittuale, dunque, come cerchi concentrici, si originano altri conflitti, sempre di natura «patemaJt: il primo e più importante, con l'autorità dello Stato, un grande padre tentacolare e burocratico, contro il quale Pasolini si è battuto, non tanto in una critica alla struttura in sé, quanto in una deplorazione degli uomini di questo Stato, nei quali egli vedeva una prosecuzione di quella piccola borghesia venuta alla luce durante il fascismo. La stessa ideologia segue la lotta dei lavoratori (come figli) contro i padroni, cioè dei deboli contro i più ' Un p«t4 d'oppo,irionr,

RAI, Secondo Canale,

1967.

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foni, un'immagine che Pasolini ebbe impressa per via di alcune scene cui assistette in gioventù, durante le rivolte contadine, e che lo poneranno a scegliere come «naturaJe,, la strada del marxismo>. Il secondo conflitto è contro la Chiesa, ovvero la sua imposizione moralistica e costtittiva, nonché l'imperdonabile collusione con il regime fascista: dunque soprattutto contro l'impostazione ministeriale di tale istituzione; in contrasto con quella semplicità e pure'Zza contadina - a tratti pagana - , delle quali era intrisa la religione nell'epoca pre-industriale. A Pasolini, inoltre, piaceva «giocare,, con il doppio uso che Cristo, nei Vangeli, fa della parola «padre» (riferendola sia a San Giuseppe che a Dio). Il terzo conflitto, quello con la società, è espresso tramite la scelta di una tecnica espressiva sempre diversa, fino al totale abbandono della lingua come stru-

' In Trna B: fo«i411UI l'appdlt,, /97/ P.uolini, rispondendo alle domande formulate da Enzo Bi2gi, parla prima della madre:, poi del padre:, inu~iando la religione a una immcdia11 rapprc:scn11zione dialettica dei genitori: I nr«onri ,k lrfom,a sua m4lirr nrlla sua infonzill hanno avuto un po,, nrlla formazionr Jr/ 1"" t'JlntltlTd I noconti non tanto. La sua ideologia sl, che era formata da IUlle qudlc iUusioni di cui lei mi parbv:a prima: l'illusione ddl'csscrc: buoni, dc:ll'csscrc: bravi, ddl'csscre generosi, del ciani agli altri, del cn:dcrc:, del sapere, eccetera eccetera. LA sua famiglia mi rrlifjosa? No. Mio padre:, che: era nazionalis12 anche: se non proprio fa. scisu. quasi, aveva una rdigione puramente formale: in chiesa la domenica alla mc:ua grande, la mc:ua dove vanno tutti i borghesi ricchi. Mia madre: invece a\'l:Y:l una religione contadi112, rurale, presa da sua nonn2, una religione molto poetica. per niente con\,:nzionalc, per nimte confessionale.

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mento letterario, decisione che Pasolini interpretava come contestazione alla società intera. Oltre la lingua, anche l'uso dei mezzi del neocapi1alismo rientrava in ques1a forma di contestazione. Gli altri conflitti seguono l'impostazione dei precedenti, inoltre si dispiegano nella storia come schema interpretativo, secondo lo stesso andamento marxista, dialettico: anche il fascismo aveva rappresenta. . . . . to una retorica autontana patema, cui s1 era oppos13 in un primo momento (in antitesi) la forza popolare guidata dal Pci, ma non si giunse mai ad un'effettiva sintesi (la palingrnesi della società i1aliana) a causa dell'esplosione del consumismo (un nuovo ritorno, repentino e sregolato, al dominio piccolo-borghese antecedente). Cosl anche il discorso sulla lingua finisce col confluire nell'aspetto conflittuale paterno: essa non è che uno strumento di costruzione di una diversa realtà, nelle intenzioni migliore rispetto a quella precedente e suscettibile di continua evoluzione. Infine, soprattutto, il conflitto con il padre biologico è riprodotto con impressionante parallelismo nel rapporto con il «padre intellettuale., cioè Gramsci.

«Con u,, r «contro ,r,,... Pasolini dedica all'intellettuale che ha segnato la sua formazione teorica alcuni dei versi più belli da lui scritti, nella raccol1a crnn-i di Gramsci':

u

• P. P. PASOLINI, lr ,mm di Grrzmsci, Garzanti, Milano, 19S7.

ss

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Lo sandalo del contraddirmi, dell'essere con te e contro te; con te nel cuore,

in luce, contro te nelle buie visc.ere; del mio paterno stato traditore - nel pensiero, in un'ombra di azione mi so ad esso anacx::ato nel calore degli istinti, dell'estetica passione; attratto da una vita proletaria a te anteriore, è per me religione la SU2 allegria, non la millenaria sua lotta: la SU2 natura, non la sua coscien1.a; è la for1.a originaria dell'uomo, che nell'atto s'è perduta, a darle I'ebbreu.a della nostalgia, una luc.e poetica: ed altro più io non so dirne, che non sia giusto ma non sincero, astratto amore, non accorante simpatia..• Come i poveri povero, mi attacco come loro a umilianti sperame, come loro per vivere mi batto ogni giorno. Ma nella desolante mia condizione di diseredato, io possiedo: ed è il più esaltante dei possessi borghesi, lo stato più assoluto. Ma come io possiedo la storia, essa mi possiede; ne sono illuminato: ma a che scrve la luce??

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I.a poesia, ambientata nel Cimitero Acattolico di Roma ai piedi della Piramide Cestia (nel quartiere Ostiense, che Pasolini amava e frequentava, sovrastato daJla solenne architettura aerea del gazometro), è fonemente si11es~1ka e, pur nella sua forza ideologica, esteticamente decadente. In essa si respira l'umida atm~fera del «giardino inglese,,, il marcire delle foglie e il vago aJeggiare - mai opprimente - del senso di mone. Il rimando alle macerie di una città, di un paese ancora non ricostruito, è immediato. Anche la lontana eco dei lavoratori, udibile nel colpo d'incudine che risuona nelle officine del quartiere Testaccio, fa da sfondo aJla poesia ma, aJ contempo, dà corpo aJ discorso storico e diaJettico. I.:intensa passione che vi si percepisce, l'amore e la presa di coscienza rispetto alla persona cantata, insieme con il fluire continuo delle terzine, ricordano i versi che Walt Whitman dedicò al Presidente Lincoln, dopo il suo assassinio. Può sembrar strano, ma anche nei versi Pasolini lavora per immagini, e sembra anticipare il linguaggio cinematografico, in quella versione epica che caratterizza tanta letteratura americana. Questi passaggi sono il vero nucleo magmatico, passionale, del mondo di Pasolini. Il conflitto paterno resta centrale: nel rappono ideologioo tra Pasolini e Gramsci, come tra un allievo e un maestro o tra un figlio e un padre, si esprime rutto lo «scandalo,. di una contraddizione, che per il «figlio,. sembra non solo insuperabile, ma alla base stessa del suo modo di sentire, di vivere, di esprimersi. Pasolini è «con• Gramsci «in luce,,, cioè nella riflessione, nell'interpretazione razionale della società, dello

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scontro di clas-se, del progresso e dello sviluppo; ma «contro• Gramsci «nelle viscere,,, nell'irrazionalità, nel1'tresia vitalistka perfettamente incarnata dai ragazzi di vita: non sono la «lotta» né la «coscienza. della vita proletaria «anteriore,, a scatenare in lui le pmioni, l'allegria, ma la namra primigenia dell'uomo, che nell'incivilimento è andata irrimediabilmente perduta. Questo punto è fondamentale perché, pur -ndo strettamente inerente al campo della poesia e dell'estetica, fornisce un maggior senso ideologico anche al resto della produzione e dell'opera di Pasolini; rende più comprensibili persino molti interventi televisivi, in cui questi sentimenti vengono espressi con minore enfasi, ma con i medesimi contenutP.

LA suita marxista t J'amorr ptr il sottoproktariaro Nel documentario Pasolini J'Et1ragt, citato in apertura del libro, il «poeta,, spiega a Ninetto cosa sia vitale nel concepimento di un'opera: quell'ispirazione data dalle cose che colpiscono profondamente la sensibilità dell'artista. Egli ricorda la fortissima impressione che aveva suscitato in lui il mondo del sottoproletariato romano, non appena vi era venuto a contatto. Ma un'altra immagine, una più fone impressione erano già fermamente fissate nella sua memoria, pron' Per amosccrc più approfonditamente quanta imponanza al>bi.a riYCStito ndla fonn:wonc ddl'autorc l'open di Antonio Gr:unici, oltre :all'cspcricnz.a diretta e :al contributo di Gianfranco Contini e Carlo Emilio G:adda. cfr. ENZO S 101.L\NO, Vira di Iù1t,/ini, Mond:adori, Milano, 2005, p. 191.

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te a germogliare nelle prime opere letterarie, dalla straordinaria ricchezza umana. In fondo io ho preso il Friuli per una specie di piacevole - e allo stesso tempo tragico - esilio, una specie di prigione dove compiere gli atti e le operazioni del mio narcisismo, in m~ zo ai gelsi, alle vigne, ai prati verdi del Friuli, e nel tempo stesso un luogo dove covare il dolore per b mone di mio fratello, che era avvenu12 un anno prima proprio alb fine delb guerra, da partigiano. I:incont.ro con b realtà, è avvenuto appena son nato, cioè il primo rappono con b realtà l'ho avuto nei primi anni dell'infanzia, anzi direi il definitivo. Ma con una realtà sociale, di cui prendere una coscien:r.a a livello delb maggiore consapevolezza, l'ho preso proprio in queste mie specie di prigioni, o di esilio friulano, dedicato esdusivarnente a una poesia mistica, cioè una poesia in dialetto friulano. Questa presa di contatto è avvenut2 attraverso le lotte tra i braccianti e i padroni, quelli che i braccianti chiamavano i loro padroni, cioè una specie di sopravvivente feudalesimo nel Friuli, e io sono stato dalb pane dei braccianti, ed è attraverso questa scelt2 i.stintiva che poi ho preso la mia strada, che è ancora quelb di oggi, cioè b strada del marxismo, dell'opposizione totale alla mia società•. Una simile dichiarazione compare anche in una «risposta mai spedita,, su Mondo Nuovo', nella quale Pasolini aggiunge ai termini opposti padroni-braccianti (da cui la sintesi nella scelta del marxismo) un terzo elemento, quello religioso:

' lntcrvina prodotta dalla telcvuionc tcdcsa nel 1973. Essa. insieme al documentario francese, ~ tra i documenti più importanti sull'ideologia dell'auto~.

' Pubblkata il 1° novcmb~ 1964.

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Ho amato, alb fine degli anni Quaranta, b religione rwtica dei contadini friubni, le loro campane, i loro vesperi. Ma cosa è entrava Il il cattolicesimo? Sono diventato comunista ai primi scioperi dei braccianti friubni, ncll'immediato dopoguerra: e da allora tuna b mia angolazione culrurale e le mie letture sono state marxiste. I fatti cui fa riferimento, si erano svolti agli inizi del 1948, in occasione di manifestazioni a San Vito al Tagliamento, osteggiate dai «padroni» e represse dalla polizia: le proteste dei contadini, durate alcuni giorni, contestavano l'attuazione del «lodo De Gasperi», ovvero la decisione politica di assegnare ai mezzadri dei compensi a parziale risarcimento dei danni economici seguiti alla guerra. Fu intorno a queste Ione di rivendicazione contadina, dal sentimento universale e metastorico, che Pasolini «coagulò il romanzo del suo Friuli. Il romanzo avrebbe visto la luce molto più tardi, nel 1962, "debitamente tagliato, restaurato, verniciato e incorniciato", col titolo // sqgno di una cosa - e il ..sogno» (parola di Marx in una lettera ad Arnold Ruge, del 1843) era la speranza nella palingenesi sociale, tenuta dagli uomini sotto l'ala della coscienza con pudore e fatica,,•. Oltre alla scelta ideologica, questi episodi segnano in maniera decisiva il sentimento democratico che Pasolini anteponeva a ogni rappono umano, fissando in lui una sorta di sentimento dell'uguaglianza universale, • Questo brano. e le informwoni prcccclcn1i rulk Ione dei bl'3'XW!ti, p=ngono d21'1 biognfu scritu eh E.nz.o Siciliano, cit., p. 141.

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cioè un rispetto assoluto privo di pregiudizi e sovrastrutture, tipico in qualche modo dell'infanzia. Se all'autorità egli si opponeva con la risolutezza irrazionalistica di un beamik e la razionalità degli strumenti comunicativi più efficaci, alla concretezza delle azioni interpersonali riservava invece le più alte sensibilità. Caratteristica che, oltre a rendere pressoché unico - per un intelletruale - il suo modo d'immergersi e di vivere nella realtà sociale (pur con tutte le sue brutrure e brutalità), spiega l'uni tarietà delle sue opere fino alla fine degli anni Sessanta, dai romanzi, al cinema, alla produzione critica (in seguito, la delusione per l'irrimediabile degenerazione antropologica degli italiani, e l'acuirsi della crisi umana e politica del paese, produrranno nell'opera dell'autore contrasti viscerali cosl forti, da forgiare prodotti conseguentemente troppo sofferti e forse addiritrura sbagliati, come il film Sa/ò 9). Ma nel 1966, all'intervistatore francese che gli domanda la ragione del suo interesse per il sottoproletariato, Pasolini risponde:

• t signilìc:arivo, in proposito, ciwc un curano d21l'intcrvista di Biagi (1971): lri si batrt conm, l'ìp«risùz, snnprr. Qll4li sono i 14/,ù ,IN """k disrn,gt:rr? u p,nnu:ioni sul saso, lo sfatzirr 4'lt rralù più t'l'lllk, 14 11111ntanz4 di sinttrit4 nti rttpporti s«ùzli? Mm, questo l'ho dmo fino a dicci anni '2, adesso non dico più queste cose perché non ci credo; le ripeto ... la parola speranza è canccUata complcumcntc dal mio ,-oabolario. quindi oontinuo a locwc per vcriù paniali, momento per momento, on per or.a. mese per mese, ma non mi pongo programmi a lunga scadcnu perché non ci cn:do più.

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Credo che à siano due ragioni a spiegare questo mio amore, questo mio agio di comportamento nell'ambiro del so1toproleraria10. Una ragione è psicologica, àoè io non riesoo - proprio neanche se lo volessi - psicologicamenre, direi fisicamenre, a fare delle disaiminazioni fra un individuo e l'ahro. Trovanni di fronte al capo della polizia o a un alro magistraro o di fronte a un umile operaio o spazzino è proprio la sressa cosa credo, dal punro di vista psicologico. Qucsro per una specie di •timidilà. in&nrile... pensi che delle volte mi scopro a far fa. tica a dare del ru a un cane. Non soh:anro di fronre a un essere umano, ma di fronte a un essere animale io ho questa spe-àe di timidirà per rui araibuisco un gmide prestigio alla persona che mi è davanti. Senza fare discriminazioni appunro per le persone, àoè rune le persone che sono davanti a me, rurti gli esseri animati che sono davanti a me sono quasi sempre dei padri e delle madri. Ma poi èè una ragione storica, un po' meno divenente ma ugualmenre imponanre ••. Poco dopo, nello sresso programma, Pasolini passeg· gia per le saadine sterrare della periferia romana, nel quaniere di Rebibbia: una periferia «panicolarei, rra casupole e muri «costruiri a mano• dai sottoproletari (non dal fascismo, come le case popolari che ospitavano grandi concenttarnenti di poveri): è l'immagine vivente di quella città preindustriale descritta nei romanzi, un deserto mediorientale arrraversato dai vari Accanone, dove la genie vive «come ad Algeri, al Cairo, a Bombay ecc 11•• Pasolini mostra pure la casa in cui aveva vi53uto una quindicina d'anni prima, tra il 1951 e il 1954, nel periodo in cui scrisse il primo romanzo, Ragazzi di vira,

•• Progmnnu tv, nwlini l'Enrrzgl. cii. Il Id.

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alcune raccolte poetiche tra cui u ceneri di Gramsci, un'antologia della poesia dialettale italiana, e fa questo per rispondere «a quegli idioti• che l'avevano accusato di essere venuto tra i sobborghi di Roma da turista, quando invece vi aveva abitato per anni, in un passato povero, da disoccupato, prima di trovare il lavoro d'insegnante in una lontanissima scuola di Ciampino, per ventisettemila lire al mese 12. È tra queste casupole che egli veniva folgorato ogni giorno dal fone contrasto tra quella esistenza vitalistica e la continua minaccia della morte, che come un temporale ali'orizzonte dominava la caducità delle vite in borgata. Misere, ma irripetibilmente spontanee. Un sentimento universale, la scoperta di quell'azione nella realtà che era di per sé già letteraria, espressiva, originata dalla rappresentazione di un mondo - pur raccontato sono un'ispirazione talmente passionale da essere quasi fanatica - che egli aveva sperimentato in tutta la sua violenza come esperienza della propria vita. Un sentimento implicito in A((amme (1961), poi generalizzato, sublimato e trasformato nella favola Ucce//a((i e uccellini (1965), dove le parole del corvo, ovvero l' ilko/ogia, esprimono un'invidia per l' «innocenza, la semplicità, la grazia. dei personaggi messi in scena da Totò e Ninetto, avvertite come religiose. Il corvo, cioè la componente razionale-marxista di Pasolini, invidiava in essi, che altro non erano se non due figure estrapolate dalla periferia mostrata nel programma, quell'abitudine a «discutere della vita e della morte con le prime parole che vengono alle labbra.. " E. S1c11JANO. Vìt4 di Ruolini, cit. , p.

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Ninetto, come Totò, è un personaggio totalmente innocente, che «vive e non conosce la vita.: l'opposto del corvo teoretico, che «pensa alla vita ma non vive,,.,_ Ritorniamo di colpo allo «scandalo del contraddirmi»: il corvo è «con» Gramsci, è la «coscienza,, umana proiettata nella Storia e nel progresso, ottimista (sperava in un futuro migliore) ma infelice; i due sottoproletari, «contro» Gramsci, sono invece destinatari di quel «calore degli istinti», di quell' «estetica passione,, tipici di una vita proletaria anteriore, dalla naturale forza originaria («nell'atto s'è perduta.), per le quali Pasolini provava amore, ammirazione, ma anche nostalgia. Ma erano, per un'ironica opposizione - di carattere quasi "Queste parole sono traile dal programma Prwlini l'Enr11tl. Ricorda inoltre Pasolini, in un'intervista televisiva contcmporanc:a all'uscita del film e raccolta nel gu citato documentario Pirr Paolt, Pasolini 11n11 dispnrltll 11it4/itil (1986), di S. Gwbcni, A. Dcbcncdcui e P. Brunano: •Questo film è una favola, e come in tutte le favole i personaggi sono simbolici, Totò e Ninetto sono un padre e un figlio che rappresentano un po' tutta l'umanità. li corvo un personaggio-simbolo che rappresenta l'ideologia. la presa di coscicnz.a sulla reali¼ che i due poveri padre e figlio non riescono ad avere. Gli altri uccellacci e uccellini, quelli convertiti dai due fraticelli nella favola di S. Francesco, rappresentano i buoni e i cauivi, gli umili e i potenti, i ricchi e i poveri: la lott:a di classe. Ili film rappresenta per mcl un esame di coscicnu in quanto mi sono raccolto un po' in mc stesso spinto dagli avvenimenti [•.• j cioè il mondo intorno a noi è molto cambiato, non soltanto in Italia ma in tuua Europa. in tutta la terra, e allora evidentemente le idee che mi hanno finora sostenuto e suggerito un'interprctzzione della realtà, si sono dimostrate improvvisamente invca:hiatc e superate, e l'adattamento che io ho dovuto fare a questa nuova realtà sociale, politica, leucraria intorno a mc ha causato qudla crisi che ha causato a sua volta il mio esame di cose icnz.a,,.

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esistenzialista - pessimisti eppur intimamente, irrazionalmente, inconsapevolmente ftlici. Accanone: .i/primo primo piano• della storia del cinema.

Quando Pasolini cambia tecnica letteraria, passando dai romanzi ai film, sceglie di esordire con un'opera che s'inserisce ideologicamente nel solco dei formalisti russi degli anni Venti: c'è, nella sua volontà di applicare il marxismo al testo cinematografico, un richiamo alle teorie dei primi registi sovietici. Ma gli scritti teorici e il montaggio di Ejzenstejn adattavano il materialismo dialettico alla fonna del film, mentre Pasolini lo applica, com'è solito fare, al co111n1uto, riconducendo la messa in scena - e il totale concepimento iconografico dell'opera - a un discorso strettamente linguistico: per Pasolini il cinema non è che una nuova tecnica letteraria, una forma espressiva, scelta per opposizione, per protesta alla società. Su questo aspetto di contestazione egli si allontana dagli ideali esclusivi di acculturazione (e propaganda comunista) di massa del cinema russo, e conduce il suo discorso sul sottoproletariato in termini molto simili a quanto fa nei romanzi. Ritenendo il cinema un equivalente «per immagini» del linguaggio letterario, in cui la realtà viene rappresentata con la realtà (e non con un sistema codificato di parole), egli nella rappresentazione del sottoproletariato non tiene a cuore solo l'aspettativa (e il percorso oppositivo) di un futuro migliore, ma anche quella che potremmo definire la «ttascendenz.a,, di una suggestione sacrale, caratteristica del suo intimo atteggiamento di 95

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osservatore della realtà, aspetto assai importante che, con grandissima finezza, egli non si limita ad esprimere solo simbolicamente o iconograficamente, ma con un uso straordinario della musica nella colonna sonora: lo ho voluto rappresentare la degradazione e l'umile condizione umana di un personaggio che vive nel fango e neUa

polvere delle borgate di Roma. lo sentivo, sapevo che dentro questa degradazione c'era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago, generale della parola. E allora questo aggettivo sacro l'ho aggiunto con la musica, ho detto - cioè la degradazione di Aa:attone è s\ una degradazione, ma una degradazione in qualche modo sacra. E Bach mi è servito a far capire, ai vasti pubblici, questa mia intenzione 14. L:effetto, certamente, è impressionante e suggestivo: c'è un che di religioso ma per nulla cattolico, né clericale, nelle sequenze di À((atto11t. Come se, idealmente, il mistico (o il religioso), esattamente come nel1'opera di Kierkegaard, fosse un livello ulteriore al quale si giunge, dopo il superamento della propria condizione umana: non è una salta momk, come in Au1Au1, bens\ una specie di rimando, di sintesi naturale per cui un mondo degradante e brutale - per cosl dire - tende a trascendere se stesso. È quanto accade, anche sul piano estetico, nel romanz.o Ragazzi di vita: si percepisce sempre un che di trasoendente, persino nell'immagine dei praticelli seni.a vita, bruciati da un sole che non dà vira, persino nelle sterminate distese di «mondezza,, che opprimono i paesaggi periferici della Roma del dopoguerra. Un mmzn110 mori. " li ,;,,mlii dd'4 mzlù, RAI, Se-condo Canale:, 1969.

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Il riferimento ai «vasti pubblici» riguarda sempre l'intento nazional-popola" che Pasolini aveva dichiarato con l'espressione «sotto il segno di Gramsci»: ovvero il rivolgersi a un pubblico di massa da «educare» e «coltivare» come una nuova I/ire, il che conferma un ulteriore legame con il cinema formalisia russo. Aggiungendovi quella visione «miracolosa,, del tutto estranea a quel cinema, al punto che in Acc111to11e è già implicito il senso e il sentimento del film successivo, Il Va11gelo s«ondo Matteo u. Parlando invece della forma, è evidente come Pasolini vi presti attenzione limiiaiamente al «prestigio letterario» di quesia nuova «lingua.: ed è un aspetto di cui ci occuperemo nel discorso sul linguaggio. Sulle scelte stilistiche del lessico cinematografico, occorre quindi far riferimento alle parole di un altro regista, Bernardo Benolucci, che aveva assistito Pasolini durante le riprese:

"Tale intendimento è ri~ito in termini simili in un altro intervento tdcvisi\'O, con gli stessi s'4:an, :a tcstimoni:anz:a clcll:a a,ns:apcvolc:zu televisiva nel modo di comunian: deU':autorc: cl primi film li ho scriui, li ho girati, sotto il segno di Gruruci, che pid:av:a di opere :a c:ar.mcn: n.nionalpopol:arc, ri\'Olte :a un popolo idc:alc. Poi è successo un f:auo molto impon:ante per l'Itali.:a: è cioè :agli inizi degli :anni Scss:ant:a che l'ltali:a è entr:at:a nd gr:ande dominio ciel nuovo c:apitalismo, e quindi :anche in Italia si sono avuti i primi movimenti deU:a cosiddctt:a ailrur:a di m:ass:a. E allora :a questo punto facendo il film io ho perso l'illwionc gr:anucwu di ri\'Olgenni al popolo: in realtà questo popolo er:a l:a m:ass:a. e quindi i miei fìlm :a=o il destino di un:a consum:a:r.ione di m:ass:a.. Qucst:a cit:a:r.ionc, e l:a SU00CSSiv:a di Bcnolucci, sono Jemprc r:accolte nel documcnwio Pier Jlzolo !bsolini una ditpm111z 11i1a/i14, di S. Gwbcni, A. Dcbc:ncdctti, P. Brun:atto, 1986.

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[Pier Paolo) rifondava il linguaggio oon l'animo di un pioniere, o di un naif... bisognerebbe dire un falso naif... però il suo atteggiamento era quello di uno che per la prima volta guarda nel buco nero della macchina da presa. [...I Assistevo al primo •primo piano• della Sloria del cinema: .Acr4tront è un film girato rutto frontalmente, non ci sono mai momenti di avvolgimento intorno ai personaggi. Pier Paolo filmava frontalmente come nelle pale d'alrare 1oscane rrccencesche, Pier Paolo amava ccni film perché un pubblico popolare che lui amava, amava questi ceni film ". I.:ideologia espressa nella forma, è dunque sovrapposta e intersecata alla componente estetica della rappresentazione: non è il materialismo dialettico che Ejunstejn applicava alle inquadrature (dall'opposizione di immagini contrastanti nasceva un significato ideologico, concettuale), ma un linguaggio ispirato alla pittura: essenziale, frontale, più ieratico che espressivo. Profondamente ideologico era invece il contenuto: tant'è che la reazione del pubblico e della critica non mancò di portare alla luce sentimenti insospettabili e suscitare scandali: Il film .Accanonr ha suscitato in Italia forse il primo caso abbastani.a clamoroso - per quanto limitatissimo - di razzi. smo. Lei sa benissimo che gli italiani non sono razzisti, c'è qualche piccolo sintomo, per esempio certi cartelli nei bar di Torino dove c'era saitto •proibi10 l'ingresso ai terroni•, cioè sono dei picooli elementi. Ma gli iraliani sono srati raz. zisti, pur essendo borghesi, come i francesi, gli inglesi, ecc. ecc., e non hanno mai avuto occasione di manifestare il lo"Id.

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ro razzismo. Un'occasione gliel'ho data io a>n •Accattone•, cioè rappresentando un personaggio come Accattone, di razza diversa ". Questa manifestazione di razzismo forniva a Pasolini un elemento in più per rafforzare la propria convinzione che anche la società italiana del tempo, non solo il potere centrale, ricordas.-çe in maniera non troppo indefinita la precedente società, scivolata giorno dopo giorno nelle spire del regime fascista. Anche ali'epoca del primo libro di poesie, lo scrittore ventenne si era dovuto misurare con un razzismo evoluzionistico (il rinnegare le proprie origini) del regime, in sé contraddittorio (da un lato - concretamente - si negava la lingua di un popolo; dall'altro - astrattamente - ne si produceva una tronfia celebrazione, retorica e irreale, nelle grandi campagne mussoliniane come quella «del grano,., rivolte allo stesso popolo la cui esistenza, linguisticamente e dunque culturalmente, s'intendeva censoriamente cancellare). Il mio primo libro è uscito nel '42, è un libro di poesie in dialetto friulano che è il dialetto di mia madre. Le ho scritte verso i 18 anni e le ho pubblicate esattamente a 20 anni. Perché ho scritto in friulano? Allora non me ne sono ben reso a>nto, ma me ne son reso conto immediatamente appena è uscito il libro; alcuni critici avrebbero voluto recensirlo, non l'hanno potuto fare perché le riviste di allora - erano gli ultimi anni del fascismo - non volevano che si parbsse di dialetti, che esistesse una letteratura dialettale, e questo perché l'Italia di allora, l'Italia ufficiale di allora, era un'll21ia a>m"Pasolini: culrurac soàctà. RAI, Programma Nazionale, 1967.

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pletamente stereotipa e f21sa, probabilmente al di fuori di ogni forma di realismo, anche se completamente poetico com'era questo. Se non si volC!Va che in Italia si parlasse il dialetto, praticamente non si volen che in Italia ci f0s.1ero dei contadini e degli operai"· Eppure, nel '42, il regime si era già macchiato di colpe ben più gravi che non quella di rifiutare I'esistenza di contadini e operai: oltre la folle impresa bellica, il vero orrore umano - commesso da quel gruppo di «criminali al potere,, - fu l'emanazione delle leggi razziali, peraltro firmate dal Re d'Italia. Intanto, il «popolo., dopo la breve esperienza dell'«ltalietta» pallidamente liberale d'inizio secolo, non aveva avuto occasione storica per formarsi una qualunque coscienza critica. Il fascismo aveva approfittato di un abissale vuoto di potere, di una crisi che rendeva l'Italia un paese a tutti gli effetti equiparabile a quelli del Terzo Mondo, senza tuttavia giungere a riempire questo vuoto (che lo stesso Pasolini giudicava ancora tale, fino agli anni in cui scriveva 1'). Un primo momento di riflessione critica, sulla propria storia, condizione e identità, era stata fornita agli Italiani nell'immediato dopoguerra. Com'era avvenuto nella Russia degli anni Venti, cosl in Italia un ruolo fondamentale lo ebbe il cinema, che trascese la propria natura di genere spettacolare per divenire rappresentaIl Id. "Cfr. l'anicolo /" ftblmiio 1915. l'tmin,/,, drlk fu«iok, pubbliato sul .Corriere ddla Scr:a. ron il titolo li 111101" ,bi potnt in ltlliUI, riprodotto in &ritti Corsmi, cit., p. 128.

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zione sacrale - come il teatro nell'Antica Grecia - e "di fondazione" per una nuova società. Il Nrorealismo ha r:apprcscntato il primo atto di coscienu critica - dal punto di vista politico, ideologico - che l'Italia ha avuto di se stessa. I.:ltalia fino a quel momento non aveva avuto una storia unitaria, la storia di una nazione, ma la storia di un insieme di piccoli popoli, di piccole nazioni (a parte la grande divisione ua nord e sud). Gli ultimi vent'anni poi erano la storia del f:lscismo, cioè una storia di un'unità aberrante. Soltanto con la Resistenu è cominciata la storia italiana, tale da potersi paragonare alla storia della Francia, dell'lnghiltena o della Spagna. Prima di tutto è la riscopena dell'Italia, il primo sguardo che l'Italia ha di se stessa senza veli retorici, seni.a falsità, col piacere di scoprirsi, e col piacere anche di denunciare i propri difetti, e questo è un carattere comune a tutti. E l'altro aspetto comune a tutti è il prospettivismo di carattere marxista, cioè che tutte le opere nrorealistiche si basano sull'idea che il futuro sarà migliore, in quanto si adempirà ad una rivoluzione che non si sa quale fosse poi"'... Questo frammento apre il discorso a una serie di dicotomie: la prima è tra la mancata rivoluzione progressista - che le sinistre non riuscirono mai a compiere, e che sfociò nei due filoni del '68 e del terrorismo (in pane sovrapposti) - e il golpe (o la serie di golpe) strisciante per cui Pasolini lanciò diversi gridi d'allarme. Una seconda dicotomia riguarda le modalità di opposizione al potere centtale: come già ricordato, Pasolini insisteva fermamente sul fatto che un movimento di opposizione si manifesti con azioni e idee divme da » li rinmw ddla rrakà, cit

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quelli del regime cui si oppone. Nasce cosl la contraddizione ineluttabilmente implicita nel movimmro di co111esrazione giovanile. esro, pur usando mezzi aggressivi e d'intolleranza uguali (in alcuni casi peggiori) a quelli del sistema contro cui si scagliava, s'inseriva nel solco di quella Resistenza italiana - cosl diversa da quella degli altri paesi europei - che pur consistendo, nei fatti, in una vera e propria g11emt civile, era animata da sentimenti diversi dal dominio che intendeva combattere. Più che una questione di mezzi, è una questione di fini. Quello della Resistenza era la libertà, scoperta solo negli ultimi mesi, da un'oppressione totalitaria, libenicida e «aberrante»: nonostante i partigiani uccidessero - per forza di cose - i rappresentanti del vecchio regime (macchiandosi di delitti inaccettabili e a volte gratuiti), intendevano sosliruire il precedente status quo con uno più giusto e democratico. Insomma, una vera rivoluzione. Punroppo l'esplosione della civiltà dei consumi arrestò quella che Pasolini definiva •palingenesi,., che poi tramontò definitivamente nel segno di un ritorno a una nuova forma di regi,~, in cui il dominio e.entrale ereditava alcune modalità del ventennio (uso della polizia, carattere pesantemente repressivo, ricorso ali'alleanza cattolica, fone influenza sui media di massa e negazione di un vero confronto con le foru politiche avversarie) e in cui la società piccolo borghese era simile ali'equivalente società degli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Il passaggi'> è tale da indurre Pasolini a un confronto sulle nuove generazioni di «arrabbiati,.. Eredi ideali di quei panigiani che avevano liberato l'Europa dai nazi102

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fascisti e che anche in altri paesi si erano espressi con forme non troppo diverse tra loro: ma in Inghilterra e in Francia esisteva un'autentica borghesia in senso moderno, di origini più oolte e di maggior coscienza storica e civile, contro la quale le generazioni giovanili degli anni Sessanta si scagliavano oon una rabbia proporzionale, cioè - per oosl dire - una cgrande rabbia.. I.:ltalia, che invece non oonosceva quel tipo di borghesia, ma appunto una «piccola borghesia,,, manifestava allo stesso modo solo una «piccola rabbia,,, un sentimento che, come il proprio avversario ideologico, era caratterizzato dal medesimo aspetto provinciale, limitato. Ciò che Pasolini definiva - a proposito della Resistenza - una «sorta di grantk mbbia organizulta, per cui gli italilmi avevano rivoluzionato il loro modo di essere e la propria storia pr«etknre 21», non era più valido per il '68, che contraddittoriamente attingeva al «serbatoio ideologia,,. della Resistenza solo per colmare un proprio vuoto, e che poi sarà il principale responsabile del fallimento di quei tentativi di cambiamento: Quando un giovane critica la borghesia, lo fa con schemi di aitica alla realtà preparati già dalla Resistenza e dalla rulrura marxista italiana (vedi i canti partigiani) ma gli schemi si sono fatti vecchi, uffiàali: non arrabbiati, ma rivoll.11.ionari dunque, assumendo un'altra fonna di moralismo sempre borghese (non confonnismo borghese e canolico, ma marxista) 22 •

Tant'è che l'autentica «rabbia. scandalosa di Pasolini, che in Italia non veniva compresa ma attaccata, ca" Progr:amma tv Pasolini l'Enrotl, ÒL D Id.

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talogata, e ignorata, veniva compresa meglio dai critici francesi. Non è un caso che questo momento riflessivo sulla rabbia fosse ritenuto a tal punto imponante, da dare il titolo alla puntata del documentario che la tv francese produsse con la serie sui cineasti del tempo. Quella di Pasolini è, in effetti, una rabbia non catalogabile, unica in Italia, paragonabile - lo fece lui stesso - alla sublime rabbia di Socrate, che senza reagire da rivoluzionario, ma da arrabbiato, contestava il potere della sua città come uno «straccione che andava in giro da una palestra ali'altra di Atene, alla periferia di Atene,,, senza quella demagogia e quel moralismo, previsti da Pasolini come pericoli probabili, di cui furono rivestiti gli atti del '68: l'occupazione violenta dei luoghi pubblici, la rivendicazione di uno spazio democratico che poi veniva riempito da un nuovo atteggiamento antidemocratico (meccanismo fatale, come racconta George Orwell nella favola LA fawria tkgli animai,) che egli soleva definire, con un'«odiosa formula», un «fascismo di sinistra :o••

O,iesn, Porne t Ttkvisiont: dal pi111110 di Pno/q VI al carim,a di Giovanni P111J/q Il

li sottoproletariato di Accartont, ~ndo ontologicamente emarginato al punto di collocarsi al di fuori e al di là della Storia, è lo stesso che, senza sostanziali differenze, popola i film che Pasolini ambienta in altre epoche, in luoghi lontani dalle borgate romane. "Id.

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È il caso de // Vang~/q secondo MallM (1964), che

egli sceglie di raccontare proprio dal punto di vista di un umile, cogliendo tutta la meraviglia del «miracolo•, l'apparizione improvvisa dell'ultraterreno nella vita di una creatura semplice. Proprio ciò che sta a cuore a Pasolini: fermare sulla pellicola, come nelle pagine di un romanzo, il sentimento eterno, universale dell'incredulità disarmata di fronte allo scandalo del metafisico rapportato all'umano, la lotta tra la ragione e l'irrazionale, tra il sacrale, il mistico, il trascendente e il terreno, l'immanente, il materialistico. Facendo un passo indietro, di ciò che Pasolini da tempo pensava ed esprimeva a proposito della Chiesa, vi sono abbondanti testimonianze, scritte e filmate. È storica la sua analisi sulla crisi del cattolicesimo prodotta della laicizzazione consumistica di massa; e la presa di coscienza di questa crisi da pane del Papa, ritratto nell'immagine che diede lo spunto al celebre Pianto di PM!o VI a Casrelgandolfou. È utile rileggerne un passo, perché il rischio della fine della Chiesa, motivo della preoccupazione del Papa, sembra da Pasolini imputato a una questione non solo consumistica, ma specificamente pubblicitaria: Uno dei più potenti strumenti del nuovo potere è la televisione. La Chiesa finora questo non lo ha capito. Anzi, penosamente, ha creduto che la televisione fosse un n,o strumen"Con una punta di sarcasmo, Pasolini cita cosl, ndl'ania>lo .Chics:a e 1'>terc. (.Corriere ddla Sera., 6 ottobre 1974) l'oggetto di un precedente articolo sul .declino di un gnndioso appa.r:110 di potere., pubbliatn con il titolo cl dilemmi di un Papa, oggi. (22 settembre 1974). Cfr. &rini Cor111ri, lbid., p. 71 e p. 84.

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to di potere. E infatti la censura della televisione è stata una censura vaticana, non c'è dubbio. Non solo, ma la televisione faceva una continua rtdamt della Chiesa. Però, appunto. faceva un tipo di rtdamt totalmente diversa dalla rtdamt con rui lanciava i prodotti, da una pane, e dall'altra, e soprattutto, elaborava il nuovo modello umano del consumatore. La rtdamt fatta dalla Chiesa era antiquata e inefficace, puramente verbale: e troppo esplicita, troppo pesantemente esplicita. Un vero disastro in confronto alla rldamt non verbale. e meravigliosamente lieve, fatta ai prodotti e all'ideologia consumistica, col suo edonismo perfettamente irreligioso (macché sacrificio, macché fede, macché asc:etismo, macché buoni sentimenti, macché risparmio, macché severità dei costumi ccc. ccc.). ~ stata la televisione la principale artefice della vittoria del •no• al referendum n [sull'abono, NdA.), attraverso la laicizzazione, sia pur ebete, dei cittadini. E quel •no• del referendum non ha dato che una pallida idea di quanto la società italiana sia cambiata appunto nel senso indicato da Paolo V1 nel suo storico discorsetto di Castelgandolfo".

"Tra i fatti che maggiormente 00naibuirono alla crnzionc ddl'cquivoco del P.asolini cattoli00, fu suo non schicnni a f.avorc ddl'abono: non per r:igioni mor:ali o cristiane (nug:ui anche per qudlc), ma per l'asaivibilità di qudla s«U4 :al gcncr:alc ano di mcràlìcazionc della vita: la possibilità di wu .lcgalir.r.mone cldl'omicidio., segno di una sociccà it:aliana che ddla vita perdeva la dimensione e l~nainscco nlorc. Ciò nonostante, esprimendo ,olo wu opcq,lcssità. in merito, P.asolini usò toru neanche lontanamente paragonabili a qudli di F.anf.ani e della Cliicsa. che anzi ri1cnc:va non a,U'SCl'O .api10 niente di cib che è succ:r:s10 nd nostro~ in questi ultimi dico anni: il popolo italiano è risultato - in modo oggctti,'O e lampante infinitamente più •progn:dito. di quanto essi pensassero, puntando ancora sul vocchio sanfednmo contadino e pal00indunrialo.. Cfr. .Mondo., 28 marzo 1974 e cCorricrc ddla Sera., IO giugno 1974. "'lvi, p. 81.

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Per Pasolini, la tv aveva portato la Chiesa alla crisi estrema oltre la quale, come unica soluzione, essa non avrebbe potuto - per continuare a esistere - che liberarsi da «se stessa., cioè dal «potere-: quel potere (e quei delitti di potere) che aveva caratterizzato la sua storia, ma anche I' «ignoranza• degli ultimi due secoli. Cioè il fatto di aver fermato il riconoscimento del progresso culturale e intellettuale a San Tommaso (negando l'importanza di autori come Marx), come un tempo era avvenuto con gli ipse dixit aristotelici. Se l'ignoranza paradigmatica della Chksa era speculare all'ignoranza «qualunquistica• della borghesia (Pasolini affianca quasi sempre questi due sostantivi), la crisi dell'Istituzione ecclesiastica nel 1974 - a distanza di un trentennio - non avrebbe mai potuto lasciare speranze al futuro che, in verità, la attendeva. Tre anni dopo la morte di Pasolini, infatti, dopo la breve parentesi di Giovanni Paolo I (della cui improvvisa morte certamente egli si sarebbe interessato), l'elezione di Giovanni Paolo Il avrebbe segnato un'importante svolta modernista nella storia della Chiesa. Papa Wojtyla, abituato al palcoscenico per via del suo passato teatrale, e dotato innegabilmente di un carisma raro nel Novecento tra i personaggi pubblici, seppe riuscire nell'impresa di riformare l'aspetto della comunicazione ecclesiale, facendo della televisione un fondamentale strumento di condivisione e testimonianza del proprio pontificato, dall'elezione (cos'era quel l'amabile «se sbaglio mi corrigerete-, se non un geniale per quanto involontario sloga11?) alla compianta conclusione.

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Anch'egli, come Pasolini, aveva compreso e sfruttato le immense potenzialità del mexz.o, grazie al quale poté divenire il punto di riferimento non solo spirit11ak ma persino familiar~ per milioni di fedeli e, persino, di non credenti. Tuttavia, come scrisse Eugenio Scalfari nell'editoriale che commentò la sua scomparsa, Wojtyla ebbe un grande limite, che per anni era stato il punto di forza suo e della «sUa» Chiesa: Questo abbiamo visto negli ultimi tre giorni. Ieri quella voce che ha risuonalo nel mondo intero per ventisette anni, prima robusta, solenne, combattiva, pasiorale; poi sempre più fievole, infine ridotta a un suono disanicolato, sttuggente, espressione d'un corpo crocifisso neUa finitudine umana e volutamente esibito come esempio e testimonianza; queUa voce si è spen1a per sempre. Lascia nella Chiesa un vuoto incolmabile e in lutti noi dolore e affettuoso rispetto. Ma invita anche alla meditazione su questo grande pontificato. Wojiyla ha rivestilo la Chiesa con il mantello del suo carisma personale. Ora, dopo la sua scomparsa, la Chiesa è nuda. la sua forza e le sue debolezze appaiono in 1utt2 evidenza insieme alla forza e ai limiti del lungo regno di Giovanni Paolo Il, che ci obbligano all'esame e al ricordo2'1. C'è un legame tra il carisma del Papa «tra la gentee la conclusione del già citato articolo «Chiesa e Potere,,: in esso Pasolini, provocatoriamente, ipotizzava per la Chiesa la scelta di una cultura «libera, antiautoritaria, in continuo divenire, contraddittoria, collettiva, scandalosa.. Inoltre, immaginava un Papa che donasse la scenografia dei palazzi vaticani, con tutto il «ciarpa., «La Repubblica.., 3 aprile 2005.

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me (folcloristico) di stole e gabbane, di flabelli e sedie gestatorie-, agli operai di Cinecittà, e soegliere per sé una dimora più umile in «qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla,,. Giovanni Paolo Il, pur non facendo nulla di rutto questo, fu comunque il primo e unico Papa della storia moderna a immergersi tra la folla, ad abbracciare i poveri, gli umili, i reietti, i dimenticati del Terzo Mondo. A panecipare fisicamente di una realtà che, virtualmente, veniva riprodotta su milioni di schermi, creando un seguito che è stato visibile solo nei giorni successivi alla sua mone, con i milioni di persone che hanno affollato le strade di Roma per rendergli un ultimo omaggio, con il coinvolgimento emotivo - un autentico lutto - di chi va a salutare un proprio familiare. Questo suo «mantello• carismatico se n'è andato insieme a lui, e la Chiesa - per quanto sia au.ardato giudicare, dopo soli due anni, il pontificato di Benedetto XVI - è rimasta nuda, priva di un'identità che sia diversa da quel rigore teologico (sempre un po' anacronistico) e da quel ritorno all'esercizio ministeriale del vecchio potere, lo stesso animatamente scongiurato da Pasolini. Prima di ruuo la distinzione radicale tra Chiesa e Stato. Mi ha sempre stupito, anzi, per la verità, profondamente indignato, l'in1erprel2Zione clericale deUa frase di Cristo: «Da' a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio•: interprel2Zione in cui si era concentrata rutta l'ipoaisia e l'aberrazione che hanno caraueriz:z.ato la Chiesa controrifonnistica. Si è faua passare cioè - per quanto ciò possa sembrare mostruoso - come moderata, cinica e realistica una frase di Cristo che era, evidentemente, radicale, estremistica, perfet109

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wnente religiosa. Cristo infatti non poteva in alrun modo voler dire: ..Accontenta questo e quello, non cercar grane politiche, ooncilia la praticità della vita sociale e l':molute7Za di quella religiosa, da' un colpo al cerchio e uno alla botte ecc.• Al conuario Cristo - in assoluta coerenza oon tutta la sua prediazione - non poteva che voler dire: «Distingui netta• mente tra Cesare e Dio; non confonderli; non farli coesistere qualunquisticamente oon la srusa di potere servire meglio Dio; •non oonciliarli•: rioorda bene che il mio •e• è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto •inconciliabili••".

Il Cristo che venne a portare la spada Un discorso completamente diverso, del tutto estraneo alla Chiesa e al suo potere, temporale o spirituale che sia, riguarda l'opera cinematografica che Pasolini trasse dal Vangelo di Matteo, mettendo semplicemente in scena, a suo dire, quanto è scritto. Sulle ragioni di una simile scelta, egli aveva già ironizzato tramite il suo alter ego Orson Welles (doppiato da Giorgio Bassani) nella scena dell'intervista ne lA ricotta (1962): Che cosa IIUIJ!e l'Sprimm con qiustt1 sua n11111N1 o~m? il mio intimo, profondo, arcaico cattoliO!Simo. .,. 6 ortt>m 1914. Nuoi,r pro,pmiw m,ri€k: la Chia4 tin111ilu1/ potnr, sul .Corriere ddl:a Scr:a.. con il titolo ChitSII ~porrrr, in Smtti U,T'Sllri, ci, .• p. 85.

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Arraico•.. C4tt0lkt1imo... e che cOSll nepensa della societil itt1lil1na? Il popolo più analfabe12, la borghesia più ignorante d'Europa.

E c/Je ne pensa della morte? Come marxis12 è un fatto che non prendo in considerazione.

Dopo questo scambio di battute, Welles legge e recita lo sono una forza tkl pass1110, spiegando come «il poeta. inizi col paragonare le antiche opere architettoniche, tanto artistiche quanto popolari, aJle orribili costruzioni contemporanee, per poi cantare le proprie origini contadine e il culto di un mondo che non è più, la cui arcaica religione può sopravvivere solo nell'umiltà di quelle opere. Ci troviamo di fronte a un intreccio tematico all'apparenza inoomprensibile, quindi la chiave di lettura va ricercata più in profondità. Siamo sempre nell'ambito del conflitto paterno: mentre si fa strada un nuovo discorso sul valore intrinseco dell'architettura popolare (preziosa come la poesia dialettale e ogni aJtra cultura «particolare,, prei ndustriale), tra i più cari al poeta e regista (è lo spunto del programma la fonna tk/Ja dnà). Pasolini sardonicamente professa un radicato animo cattolico, per poi disprezzare il popolo e la borghesia che ne sono espressione. È qualcos'altro che lo interessa profondamente. È quaJcosa d'intelletruaJe in cui egli vede rivivere i temi cari alla sua poetica, alla sua ideologia: lo scontro tra i braccianti e i padroni, tra i figli e i padri, il cui valore non è spirituale, né co1w"11orio, ma appunto ideologi111

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co, estraneo a qualunque discorso religioso che non sia quello meramente inerente allo sguardo con cui la realtà di queste vicende narrate prende forma nella sensibilità dell'artista. Siamo al famoso equivoco del Pasolini religioso, cristiano, persino cattolico. Anche Enzo Biagi pare sia scivolato «nelle vicinanze» di questo equivoco. Senta Pasolini, (Ome mai ,in marxista (Ome In mu tanto sptsso ispirazio~ dli soggtni (ht nlgcni gli episodi della prcdic:rzionc di Cristo, p:aragonando le ri,,: del lago di libcriade, la sua «umiltà. piccole=. modestia., a e.erti p:ac:aggi desolati, brulli .ddla Calabria o delle Puglic.. Il

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genza e le sue risposte. Al vederlo restarono srupici e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto cosl? Ecco, tuo padre e io, angosciaci, ti cercavamo•. Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapeva1e che io devo o«Uparmi delle cose del Padre mio?•. Ma essi non compresero le sue parole". Sembra quasi di poter sovrapporre al fanciullo del racconto il piccolo Pasolini, affamato di curiosità e assetato di conoscenza, abiruato a far domande troppo intelligenti per non creare perplessità e ad esprimersi con tale acutezza da essere spesso frainteso o addirittura incompreso. In effetti, il passo di Luca è forse più indicativo - rispetto all'ammonimento del film - di come sia stata netta la divisione descritta nel Vangelo tra i padri e i fi. gli. Infatti, dopo l'esperienza del Tempio, Gesù compie un atto molto importante: dichiara di non ri,onoscert più l'autorità patema. Questo è quanto interessa a noi, perché rientra perfettamente nel discorso iniziale del conflitto con il padre, riconducendoci al cuore della riflessione pasoliniana J1. " lua, 2,4 I.

" I; cù seguire l'implici10 consiglio di ~lini, di occuparsi dei 1es1i detti .sxri-, perché in essi si ttovano - se non al1ro - ddle Jtnordinaric opere in1ellct1u:ali; nonché qU21che misterios:a con• in,ddwone, nel cui segno scmbr:a dischiudcni l'intcr:a conccuone ICS11.Wc della Bibbia: solo nelle prime pagine contiene WI apparcnle errore narrativo, poiché Dio crea per due \'Ohe le piante e gli 2J1i• mali, sia prima che dopo a,u acato l'wn2J1ità. !\,i, crea la donna ... che er:a già st:ata creata insieme all'uomo. Sarebbe interessante csplor:an: questi aspetti intellettuali in quelli che sono i rati di fo,u/aion~ della nostr:a cuhur:a (attenzione che altri popoli risav:ano aj propri testi) rompendo lo schematismo che riconduce esclu-

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Cristo, dopo aver studiato e compreso, contesta il padre e l'intera impostazione della propria società, pacificamente ma con risolutezza, com'era già accaduto a Socrate, e affrontando una simile sone.

LA forma t:k/la città Il titolo di questo paragrafo avrebbe potuto essere «l'architettura prodotta da un popolo•, a voler significare una riflessione assai profonda cui Pasolini giunge osservando il profilo della città di Sabaudia - ovvero quella che il titolo del programma indica come «forma. -: e cioè che, sebbene ordinata ed edificata dal fa. scismo, la «fascista. Sabaudia non contiene nulla d i ridicolo, cioè di fascista, come ci aspetteremmo da un oggetto creato da quel regime che ridicolo era, bensl tradisce delle caratteristiche 11/rrr rispetto a quelle inutilmente imposte dalla dittatura. Questa riflessione, a mio parere, è la più interessante nel documentario d'autore Pasolini r.•. la fonna t:kl,. la città", di Paolo Brunano, con inseni della città (la prima parte del documentario è filmata a Orte) girati dallo stesso Pasolini, a sostegno delle tesi e delle osservazioni che condivide in un primo momento con Ninetto, poi con l'intero pubblico televisivo. Della devastazione paesaggistica dell'Italia, attuata in quegli anni, Pasolini parlava spesso nei suoi interventi,

sinmcntc i Vangeli :alla Chiesa. o :alla mor:alc canolica (che se ne sono appropriate, :anche con pcs:anti intcrvcnli tcsnwi). " RAI, Secondo Can:alc, 1974.

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soprattutto sw giornali. La distruzione della «forma,, dell'Italia, della sua bellezza anàca rovinata irrimediabilmente da una miriade di abusi edilizi e obbrobri architettonici, era uno dei moàvi per i quali l'intellettuale avrebbe voluto vedere alla sbarra gli intrallazzatori della Dc, prevedendo scenari che si sarebbero poi verificaà una quindicina d'anni dopo il suo assassinio. Nello stesso anno del documentario su One, Pasolini era intervenuto nel programma ConrrocmnpoP, per fare chiarezza su che cosa egli intendesse veramente criticare nel concetto di progresso: Non è affatto vero che io non creda nel progresso; io aedo nel progresso, non credo nello sviluppo, e nelb fattispecie in questo sviluppo, ed è questo sviluppo semmai che dà alla mia natura gaia una svolta uemendamente triste, quasi tragica: appunto perché non sono un sociologo, un professore, ma faccio un mestiere molto strano, che è quello dello scrittore. Sono direttamente interessato a quelli che sono i cambiamenti storici; àoè rutte le sere, rutte le notti la mia vita consiste nell'avere rapporti immediati con tun.a questa gente, che io vedo che sta cambiando. E questo fa pane della mia vita intima, delb mia vita privata, della mia vita quotidiana, è un problema mio... Oltre alla «gente» che stava cambiando, anche i paesaggi dell'Italia stavano perdendo la loro natura panicolaristica di prodotto delle civiltà storiche e diversificate, dall'anima arcaica. Anche dal punto di vista formale, l'Italia era preda di un selvaggio livellamento architettonico: i casermoni di cemento proliferavano come un'in,, Id.

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fezione omogenea, con identiche caratteristiche tanto al nord quanto al sud, sebbene nel meridione la situazione fos.w resa ancor più grave da una capillare collusione (e sovrapposizione) tra politica e malavita. I luoghi scelti da Pasolini per «mostrare,, gli effetti di questo scempio (contro il quale, a dire il vero, si pronunciarono anche altri intelletruali, tra i quali Italo Calvino) erano a lui cari anche per ragioni biografiche (nei dintorni di One Pasolini aveva una casa in cui si ritirava a scrivere in solitudine, soprattutto nell'ultimo periodo, allorché iniziò a porre mano all'incompiuto romanzo P~ITO/io). Anche a Sabaudia aveva una casa, sulla spiaggia, acquistata con l'amico Moravia. Come racconta Paolo Brunatto, nella fase iniziale delle riprese del documentario Pasolini comprese immediatamente che gli era necessario parlare di una pietra o di un muretto di confine, cioè di un panicolare architettonico frutto di una cultura popolare, quasi figurativa seppur anonima, definendo una stradina «un'umile cosa,, e condensando proprio in questa umiltà l'immenso valore che egli vi attribuiva, quasi come un archeologo che si meravigli della perfezione senr.a tempo di un capitello classico, o di un'antica porta sumera. Non a caso Pasolini accosta tra loro due città, One e Sabaudia, profondamente diverse storicamente: la prima medievale, la seconda fucista. Ma egli nova in questa apparente inconciliabilità un elemento comune, che poi è il vero protagonista del racronto: entrambe le città sono opera del medesimo popolo, e presentano caratteri simili in quanto prodotto della stessa cultura contadina che ha in sé i caratteri della bellez:za, dell'armonia. Ancora una volta è il pretesto per affermare come, anche paesag-

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gisticamente, nonostante alami interventi «fascisti», il regime non abbia saputo produrre quella omologazione rulrurale che, invece, nel ventennio successivo il neocapitalismo consumistico raggiungerà con aspetti mosauosi. Tutto ciò viene espresso da Pasolini con parole che, rilette oggi, somigliano a un vero e proprio trattato da umanista rinascimentale, confortate dalla presenza delle immagini che, nel documentario, dimostrano perfettamente quanto esse intendono descrivere. Riascoltiamolo questo passo: Io ho scelto una città, la città di One, cioè ho sc:elto come tema la forma di una città, il profilo di una città. Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto un'inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di One nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta. Basta poi che io muova questo affare qui, nella macx:hina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, della massa architettonica della città, è incrinata e rovinata e deturpata da qualcosa di estraneo. C'è quella casa che si vede là a sinistra, la vedi? Ecco, questo qui è un problema di rui io parlo con te [Ninetto, NdA.), perché non son capace di parlare in astratto rivolto al vuoto, al pubbliro televisivo che non so dov'è, dove si trova. Parlo con te, che mi hai seguito in tutto il mio lavoro e mi hai visto molte volte alle prese ron questo problema. Tante volte siamo andati a girare fuori dall'Italia, in Marocro, in Persia, in Eritrea, e tante volte avevo il problema di girare una scena in cui si vedesse una città nella sua completez:za, nella sua interez:za, e quante volte mi hai visto soffrire, smaniare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c'entrava ron questa forma della città, con questo profilo della città che io sceglievo.

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Poco dopo, Pasolini prosegue la riflessione con toni che ricordano i suoi interessi pittorici, nonché la passione per il disegno, che peraltro pensava di riprendere a esercitare proprio in un piccolo atelier costruito, insieme alla casa, vicino Orte: Siamo adesso di fronte a One da un altro punto di vista, c'è la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rinascimentale; se la inquadro vedo un totale ancora più perfetto di quello di prima, la fonna della città si rivela nella sua perfezione massima. Ma se io panoramico da sinistra a destra, quello che ti dia?Vo prima risulta in modo ancora più grave, infatti la ciuà finisce con uno stupendo acquedotto su quel terreno bruno, ma immediatamente attaccate all'acquedotto ci sono altre case moderne dall'aspetto non dico orribile, ma csuemamente mediocre, povero, sen1.a fantasia, se01.a invenzione, sono case popolari - che rappresentano assolutamente necessarie non dico di no - ma che b sono un altro elemento disturbatore della perfezione della fonna della città di One, come la casa che abbiamo visto prima. Qui Pasolini, sulla suggestione di un sentimento che confessa essere di profondo scoramento, giunge ancora più in profondità, illustrando meglio i vari aspetti del problema: Ora, che cos'è che mi dà tanto fastidio, anzi direi quasi una specie di dolore, di offesa, di rabbia, la presenza di quelle povere case popolari (che comunque devono esserci, il problema era semmai di costruirle da un'altra parte, di prevedere di poterle costruire da un'altra parte) ... dunque che cos'è che mi offende in loro? È il fatto che appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi da quelli dell'antica città di One e la mescolanza tra

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le due cose infastidisce, è un'incrinarura, un turbamento della forma e dello stile. Questo forse io lo soffro in modo particolare non soltanto perché ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da "211ima bella•, ma anche perché ho tanto lavorato su dei film storici in rui questo problema era un problema pratico. Perché questo non è un difetto solo italiano, ma un difetto di rutto il mondo ormai, soprattutto del teno mondo. Mentre introduce un tema che è montato come un vero e proprio inseno (o flashback) del documentario, cioè la pane che paragona gli scempi edilizi italiani a quelli (addirittura peggiori, in certi casi) che egli ha incontrato ali'estero, Pasolini percorre una stradina di pietre sconnessa, tipica di quella cultura popolare a lui cara, che era poi lo spunto iniziale del documentario, in parallelo con il discorso sulla salvaguardia dei dialetti, della letteratura e della poesia dialettale italiana: Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, un'umile cosa, non si può nemmeno confrontare con cene opere d'arte, d'autore, stupende della tradizione italiana. Eppure io penso che questa stradina da niente, cosl umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con rui si difende un'opera d'ane di un grande autore, esattamente come si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima, come la poesia d'autore, come la poesia di Dante, di Pe1rarca, ecc. ecc. E cosl il punto dove pona questa strada, quell'antica pona della città di One, anche questo non è quasi nulla, vedi delle mura semplici, dei bastioni, dal colore cosl grigio... e in realtà nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa, e io sento invece proprio il dovere di difendere

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questo. Quando dico che ho scelto come oggetto di questa trasmissione la forma di una città, la suuttwa di una àttà, il profilo di una àttà, voglio proprio dire questo, voglio difen. dere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera - diàamo cosl - del popolo, di un'intera storia, dell'intera storia del popolo di una àttà, di un'infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all'interno di un'epoca, che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti, nelle opere d'ane d'autore. Beh, è per questo che non è sentito, perché con chiunque tu parli è immediatamente d'accordo con te nel dover difendere un'opera d'ane di un autore, un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il Clii valore storico è ormai assodato, ma nessuno si rende conto che inveoe quello che va difeso è proprio questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare. In un'apparente divagazione, Pasolini si sofferma a commentare immagini tratte da spezzoni girati in alcuni paesi mediorientali, nei quali ha poi ambientato (o rifiutato di ambientare, proprio per queste ragioni) sequen1.e dei suoi film. Per rispondere a chi, probabilmente, doveva averlo accusato di essere eccessivamente apocalittico nei confronti dell'Italia, egli dimostra che ovunque nel mondo lo «sViluppo•, disgiunto dal progresso, ha devastato la bellezza e la diversificazione culturale della realtà materiale precedente"· clo, che sono sovvenivo, secondo loro, un cvcnorc ddla tra• dizione, mi trovo alle volte, non dico cw-anti a un grande edificio, a una bella pmza, ma addirinura davanti a un ,-ccdùo muretto che poni impressi nd ruo umile peperino, nei pori dei ruoli ornati corrosi, i segni di uno stik dd pamto - mi trovo con le bcrime :agli occhi: bcrime di nostalgia e di rabbia. Come vedi, parlo di "passaM

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Come un appassionato ambasciatore dell'Unesco, Pasolini cita alcune di queste città deturpate da una criminale barbarie di stato: la bellissima Yaul, sul Golfo Persico, presso la quale avrebbe voluto girare alcune immagini per Il fiore tk/Je Milk e 11na notte, «una città meravigliosa perché tutte le città avevano un sistema di ventilazione antico, di due, tremila anni fa, che era rimasto intatto: delle colonnine che raccoglievano il vento e lo facevano entrare dentro la città. Quindi il panorama della città era dominato da questa specie di ventilatori che sembravano un po' dei tempietti greci arcaici, o egiziani•. Su questa meraviglia perduta, brutalmente contrastata dall'azione modernizzante di scavatrici passate «come un vero e proprio bombardamento a tappeto», Pasolini ritornerà ancora durante una conferenza stampa della Lega Italo-Araba". Una sorte simile toccò alla «stupenda porta, gigantesca, di granito, bianca come tutto il resto della città» presso lo stato di Aden, un manufatto antichissimo dal valore inestimabile, che una sconsiderata ventata di moderna urbanizzazione distrusse senza pietà, né consapevolezza. Il riferimento al fallimento del comunismo"', nei paesi del Terzo Mondo, è evidente: nessuna

come noria nei suoi procioni irripetibili sublimi: anche pii) wnili•. •Vie nuove., a. XVII, 22 nO\i:mbrc 1962 " 1ùax>l12 in Pier ~lo Pasolin~ /¼-r ilnnm111, Tomo S0CX>ndo, in PIEll PAOLO PAWLINI, Tu"rlropnr, l Meridiani, cit., pp. 2116-2117• ., È proprio il paese più comunista ddl'Asia. la Cina, ad aver commesso le peggiori devasu:z.ioni pacs2ggistiche in nome di uno .sviluppo uhl':IOO:identalc: valli, antichi templi, intcn: regioni 11000 staù distrutti, indipendentemente da qualunque valore archeologi10"

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ideologia, tanto più quella del consumismo, poteva preservare qualunque civiltà dalla desenificazione culturale, che al contrario trasformava certe zone desertiche, di naturale bellezza (e le cui costruzioni s'inserivano nel paesaggio con un'armonia esteticamente apprezzabile) in agglomerati cementizi a dir poco disarmonici. Parlando delle mura di Sa11a'a, alle quali dedicò un ulteriore film di montaggio girato nei sopralluoghi per Il Fiorr (trasmf!$$0 dalla RAI il 16 febbraio 1971), Pasolini tradisce quella natura trasfigurante implicita nel suo sguardo, per la quale le mura yemenite rendevano la città «posata sul deserto come una specie di rustica Venezia.. Esanamente come i luoghi del VMgrlo che, nella sua immaginazione, ricordavano le regioni del meridione italiano. Da questo «s0gno» di suggestione orientalistica, Pasolini ritorna all'Italia, e all'oggetto centrale del documentario della RAI, la «cinà», un'altra cinà del Lazio, che ugualmente egli sceglie di mostrare per proseguire il discorso sulla «forma»: co o storico, per ac:uc nUC)\'C inlnstrattun: a fronte: di una crescita dcmogrmca incontenibile:. Nc:gli ultimi anni, anche: l'intolleranza rdigiosa si è 2ggiunta alla disma.ionc: ddlc traa:e dd mondo antico: è il aso dc:i Buddha di Bamiyan, alte d«ine di metri, sailpite nella pietra quasi duemila anni f.a. distratte: per ordine dei talebani (musulmani iconoclasti) nel 2001 senza alcun reale motivo (ndla cultur:i e nelle: intenzioni degli sailtori, le statue rappresentavano lìgun: umane e non divine, sicché non potevano in nessun modo ri1eneni idolatre:. Si tratta di un uhc:rion: c:lcrncn10 di allarme:, perché se da una pane il lh'C!lamento neocapitalistico prosegue, dall'altro gli integralismi e le intolleranze n:ligiosc segnano un ritorno minaccioso ai vandalismi ddl'cpoa ddlc crociate.

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Eccoci di fronte alla suunura, alla forma, al profilo di un'altra ciu:à immersa in una specie di grigia luce lagunare benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea, si tratta di Sabaudia; quanto abbiamo riso, noi inteUettuali sull'architetrura del Regime, in città come Sabaudia. Eppure adesso proviamo una sensazione assolutamente inaspettata: la sua architettura non è niente d'irreale, di ridicolo. Il passare degli anni ha fauo sl che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere - diciamo cosl - tra metafisico e realistico, metafisico in un senso veramente europeo deUa parola, cioè ricorda - mettiamo - certa pittura metafisica di De Chirico; realistico perché anche vista da lontano, si sente che le città sono fatte - come si dice un po' retoricamente - a misura d'uomo ... In un passaggio, poi tagliato nel montaggio definitivo del programma, Pasolini paragonava nuovamente qualcosa di «vicino» a qual~ di «lontano», e cioè certe forme di Sabaudia, sovrapposte fantasticamente a forme di minareti orientali, a moschee filmate ne // Fiore, com'era caratteristico del suo stile. Ma nel brano che segue, fino alla conclusione del documentario, Pasolini ricava le (011(UUioni ideologiche, storiche, di quanto ha scelto di mostrare nelle immagini di One e Sabaudia: afferma cioè quel che la «scomparsa delle lucciole,, aveva rappresentato, l'impotenza omologante del fascismo, che era passato sopra l'Italia senza modificarla in profondità, e la natura perversa di una vera omologazione, in atto in quegli anni. Come ci spieghiamo un fatto simile, che ha del miracoloso: una citù ridioola, fascista, improvvisamente ci sembra cosl incantevole... Sabaudia è stata creata dal Regime, non c'è

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dubbio, ma non ha nulla di f2scista, se non alcuni caratteri esteriori. Allora io penso che il fascismo, il regime fascista, non è staro altro - in condusione - che un gruppo di ai minali al potere. E questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente. Non è riusàto a incidere e nemmeno a scalfire lon12J1amente la realtà dell'Italia. Sicché Sabaudia - benché ordinata dal regime secondo a?rti aiteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico - non trova le sue radiò nel regime che l'ha ordinata, ma trova le sue radiò in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente ma che non è riusàto a scalfire. È la realtà dell'Italia provinòale, rustica, paleoindustriale che ha prodotto Sabaudia, non il fascismo. Ora invece suca?de il contrario: il regime è un regime demoaatico, ma quella acculturazione, quella omologazione che il fasòsmo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi - cioè il potere della civiltà dei consumi - riesce invece a ottenere perfettamente; distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. li vero fascismo è proprio questo potere della òviltà dei consumi, che sra distruggendo l'Italia, e ciò è avvenuto talmente rapidamente che forse non e.e ne siamo resi conto: è avvenuto tuno in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni. È stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi, sparire. Adesso, risvegliandoci da questo incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare. Cobiezione che, a questo punto, si potrebbe muovere a Pasolini è che, nonostante l'incapacità di .scalfi. reo (o di produrre) l'identità del popolo italiano, quel «gruppo di criminali al potere" abbia tuttavia reso possibile un primo momento di progresso nel Paese, proprio nel senso di una modernizzazione che, diversa-

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mente, un regime con meno «polso» avrebbe probabilmente faticato a realizzare. Renzo De Felice, noto (e discusso) studioso del fascismo, ha dedicato diversi saggi •1 alla politica iia.liana del Ventennio, analizzando minuziownente un'ampia documentazione interna al fascismo, fino alla conclusione che esso abbia potuto vantare caratteri di razionalità e modernità unici nella storia italiana fino a quel momento. È ormai noto, infatti, che il regime coincise in Italia con un momento di notevole impulso allo sviluppo e con una manifesta modernizzazione nella cultura, nell'economia, nell'urbanistica, cosl come nell'architem.tra e nelle arti figurative, senza trascurare gli interventi nel campo delle sttum.tre di previdenza e assistenza sociale. Sugli intellettuali del tempo, del resto, alcuni di questi aspetti avevano esercitato un richiamo indiscutibile (Pirandello, ad esempio, trovò molte affinità con gli ideali di ordine e razionalità apponati dal fascismo). La riflessione di Pasolini va oltre la questione della modernizzazione: egli insiste sopram.ttto sulla que.tione del vero progresso del pae.e, che non è tanto da ritenersi un merito della lungimiranza del potere centrale (repressivo e, in certi aspetti, inconsistente), ma del più generale patrimonio umano, culturale, individuale degli italiani a, cioè insito in un popolo dalle «radici,, rustiche, " dr.: u inrrrpma.i4ni dr/.{rZKismD (uicru. 1976), M,-,/ini (Latc:rza, 1983), lnklktrwl/i di fen~ alfoKim1D (Bonacci, 1985) e /nrm,istll nJfosrismD (Ulcrza. 1975), ohrc alla monumentale: biografia di Mussolini, in più ,-olumi, pubblicata da Einaudi. "~ ddlo stesso avviso Federico Z.cri, cfr. il .suo ultimo libro G,. n, Profo-r, Di Rcnm Editore, Roma 1998.

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provinciali, storicamente definite, che il fascismo dominò tirannicamente senza riuscire a modificare. Il fascismo si era limitato ad organizzarne la vira, credendo di poter competere con i modelli sociali di altri paesi, più progrediti, in cui esisteva invece un reale disegno di progresso, favorito da una politica autenticamente liberale ed efficace. Un equivoco in cui, secondo Pasolini, anni dopo cadde anche la Democrazia cristiana: Le Opere dcl Regime non sono Opere del Regime. Sono soltanto Opere che il Regime non può non fare. Le fa, naturalmente, nel modo peggiore (e in questo la Democrazia cristiana non si distingue dagli altri Regimi) ma, ripeto, non può non farle. Qualsiasi governo in Italia verso la fine degli anni Trenta avrebbe bonificato le Paludi Pontine: il Regime Fascista ha elencato tale bonifica, di comune amministrazione, tta le proprie Opere. Di rune le Opere che Andreotti litwgicamente elenca come Opere del Regime Demoaistiano, si potrebbe ripetere la stessa cosa: il Regime Democristiano non

poreva non farle. E, ripeto, le ha fatte malissimo". Qui siamo nel segno di quella epopea clnicofasdsta, per usare un termine assai presente nel «gergo» pasoliniano, che dopo il boom economico consolidò un potere dagli stessi caratteri repressivi e polizieschi, rafforzato da un nuovo strumento di propaganda, di costruzione di consenso e di autolegittimazione, la televisione, che non influiva tanto sull'orientamento politico degli italiani, quanto ne modificava profondamente soprattutto i modelli di comportamento (consumo) e di coscienza, dunque il pensiero, a tal punto omoge"18fil,b,oio 1975. 1Nixtm irmiani, in Smni U/ff4Ti, cit., p. 137.

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neizzato da spegnere (o da rendere inefficace) quasi ogni movimento di opposizione o di «rabbia• verso gli anefici di questo nuovo srarus quo".

Una lingua «di protnra»: 11~/ cuo" d~/Ja "11/rà Scelgo come ultimo argomento da trattare la questione della lingua ' 1: sebbene essa sia il punto di panenza del discorso di Pasolini, anzi il suo effettivo rodice espressivo (che si tratti di rappresentare la realtà con le parole o con la realtà st~), è però fondamentale aver prima chiari i punti del suo pensiero, i nodi teorici, che vengono espressi da una lingua non sempre omogenea ma viva, come ciascuna delle sue rappresentazioni. Molti ritengono che uno dei limiti dell'artista Pasolini sia stato quello di aver cercato sempre, quasi o.çsmivamente, nuove tecniche espressive, nuovi linguaggi, senza essere mai giunto al perfezionamento di alcuno di essi. Questo discorso riguarda solo una critica di ordine estetico alla sua opera creativa: io ritengo al contrario che non sia una questione di limiti espressivi, ma di eccessivo tormento interiore, quello per cui alcune opere di Pasolini presentano caraneristiche oggenivamente esaspe" In F1'21lcia. inm:c, l'impost:zzione nuggiormcnte democratica ddl:a $0ÒC:Ù, :ancor oggi fflle n:aso:n: movimenti di «1'2hbi:a. or-

g:anirura. per lo più giov:anile, che in cpiiodi :anche ~nti dimoJtr:a l:a possibilità di un':zzione - per cosi din: - periferica, che ricsa: :ad inAuin: :anche sulle Ja:lte politiche cecntr:ali.. " Per un :approfondimento dello itudio rull:a lingu:a, cfr. P. P. PASOLINI, N"'1w quntioni linpisticlN in Empirismo rrrtKo, G:an:anti, Mil:ano, 1972, p. 5.

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rate. Forse opportunamente questo tormento è stato «confinato» in akuni testi artistici, piuttosto che minare l'acutezza o la perseverama degli interventi civili. Di questo limite caratteriale, generato da un incontenibile impeto emotivo, Pasolini era ben cosciente fin dall'epoca dei primi film, delle lettere sui giornali: So bene che le mie lenere su «Vie Nuove» sono piene di difetti: sono implacabili «spie• di stati d'animo spesse volte inutili, fi1titl, f:llsati dall'immediatezza deUe circostanze che li determinano, indifesi, immaturi, eccessivi... non bisognerebbe mai scrivere, neanche una riga, nci momenti in cui le emozioni sono nel loro farsi, ancora inattuale. È il segreto deUo stile! Invece la sede stessa in cui stendo queste risposte, è, per definitlone, contraria al distacco: quella che i critici ermetici chiamavano la «decantnione- deUe passioni ... Al di là di questo, esiste anche un vero e proprio codice linguistico-espressivo cui Pasolini faceva ricorso. Ne abbiamo visto un esempio a proposito degli sk,gan. E c'è pure una ftgum retorka centrale, che egli non mancò di citare - quasi a eleggersi oggetto di una critica letteraria - nel programma di Biagi, ed è la figura che maggiormente può spiegare l'ambiguità, o contraddittorietà, del suo discorso civile ed estetico: C'è un amore oppositorio, inconciliabile, che si pouebbe chiamare l'ossimoro, cioè il definire le cose per opposi rione, ragau.a bionda e mora per esempio. Se una figura ccnuale nelle mie opere èquesto ossimoro, questo definire le cose per oppositlone, questo contrasto insanabile, può darsi che que"cVic Nuovc,,, n. 47 a. XVII, 22 nO\-cmbrc 1962.

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sto dia alle mie opere l'impossibilità di essere CX>ruuma1e in modo normale, quindi susciti delle reazioni di aii lei (Biagi, NdA.) parla". A quesia dichiarazione di «inconsumabili1à,,, si aggiunge un'uheriore dichiarazione, rilascia1a qualche anno prima (1966) sul set di U((tlut(d e uuel/ini, a proposito dello scandalo naturalmente legato alla sorte di ogni autore che sia au1enticamente tale, cioè disposto a esprimersi senza compromessi né mediazioni: Un aurore, quando è disinteressato e appassiona10, è sempre una CX>ntestazione vivente; appena apre bocca, contesta qualcosa, il conformismo, ciò che è uftiàale, ciò che è s1a1ale, ciò che è nazionale, ciò che insomma va bene per runi. Quindi non appena apre bocca, un artista è per forza impegnalo, perché il suo aprire bocca è scandaloso, sempre. Un autore è dunque un ossi1rwro vi11n1te, che si esprime sempre per opposizione dialettica alle cose del mondo. Gli altri elementi del discorso, a dimostrare la fluente omogeneità teorica dell'universo pasoliniano, possono seguire questo filo concettuale, sempre fondato su quell'aspetto della contesiazione che - ricordiamolo - Pasolini aveva impostato sul conflitto con l'autorità patema. Noi capiamo le metafore agriCX>le del Vangelo, ma parli CX>n un giovane - nato in questi anni, educalo in questi anni - di moggio, di maggese, di bilancia, insomma wi la terminologia agricola, per lui è una 1erminologia incomprensibile, bisogna tradurgliela, addiri1rura non capisce il senso di cene "TO'U B:fouillmo l'llp~llo. 1971, ciL

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parole. Cioè voglio dire che il Vangelo e Cristo sono espressione di un mondo contadino arcaico, che è sopravvissuro per duemila anni, perché fino a vent'anni fa il mondo non era mollo cambialo in sosranza; valeva ancora il passare delle stagioni, i conradini lavoravano i loro campi, aspenavano che romassc il propricrario, àoè è era l'eremo riromo, il problema del bene e del male, ea:. ecc. ma negli ultimi ànquesei anni in halia - negli alrri paesi ancora prima - èè sraro un rovesàamenro di ruuo questo. La produzione non è più un fauo àdico deUa rem, la produzione è un fauo àdico di quella seconda narura che è l'indwrria... Com'è soliro fare, quando affroma una quesrione imelle1t11ale, Pasolini inizia il ragionamemo con una conresrualizzazione storica, ripica del suo sentirsi responsabile per via del suo mesriere di srudioso, il che giusrifica l'in1erven10 nella rrasmissione Saptrr, sul Programma Nazionale, del 1968, nell'ambiro di quella tv che aveva ancora un impegno pedagogico e, in quesro caso, persino scolasrico:

L:iraliano è srara una lingua sohanro leueraria, per molri secoli, àoè fino a dieà, venr'anni fa. Menrre, per esempio, il francese si è formalo come lingua uniraria per ragioni politiche, burocrariche e srarali, l'iraliano è diven1a10 una lingua uniraria, che comprende ruua l'lralia, per ragioni puramenre leuerarie. E questo presrigio leuerario è naro a Firen1.e in una siruazione scoria naruralmenre moho diversa dall'a1ruale; i ere grandi padri dell'iraliano, àoè Dance, Perrara. e Boccacào, si sono imposti al resto della popolazione iraliana per ragioni di prestigio leuerario. " Frammento rxa>ho in />in Rtolo Ptwlini /wta di G:abridl.:a Sia. M11garzi11i Einsuin, RAI, 2005.

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Accennando ai contenuti di quella che fu, precedentemente, una crisi personale dell'autore, tale da sintetizzarsi successivamente in un cambio repentino di tecnica espressiva, egli naturalmente fa subito un collegamento tra la lingua italiana e la società che la rende viva, criticando i cambiamenti che in quel tempo entrambe stavano rivelando nel segno dell'appiattimento culturale, fortemente accelerato dalla rapida diffusione dei mezzi di comunicazione di massa: Citaliano va cambiando nel senso che si sta f2cendo veramente unitario. Ripeto, fino a quindici, venti, trent'anni fa non si poteva parlare di un italiano veramente unitario; si può cominciare a parlarne adesso, anche per merito della televisione, dei giornali, oppure della vita statale che è infinitamente più unita che mohi anni fa; le infrastru1ture sono enormemente accresciute, ma il centro linguistico dell'italiano non è più letterario, e non è più Firenze, ma è tecnico o tecnologico ed è Milano. Secondo me l'italiano è unito sopra1tutto dal linguaggio tecnico; mettiamo la parola •frigorifero-... rutti gli italiani la adoperano, daUa massaia di Milano alla massaia di Palermo, rutte usano la parola •frigorifero-; cioè le parole tecniche sono una specie di cemento, non so come dire, di patina che sta liveUando e unificando rutto l'italiano. [... ) Non è né migliore né peggiore, questa è la realtà. lo tendo ceno ad amare di più - alla guida di una lingua nazionale - una lingua letteraria, ma se questa lingua invece di essere letteraria è tecnologica, non posso fare altro che prenderne ano. Questo è proprio il caso (l'unico di cui il lettore mi perdonerà) di dire un po' ironicamente «se Pasolini fosse vivo oggi ... », chi sa quale agonia e struggimento coverebbe il suo animo, nel vedere la lingua di Dante e

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Petrarca devastata, più che i paesaggi italiani, dai neologismi, insidiata da decine, centinaia di termini esplosi con l'affermazione dell'elettronica computerizzata, imbalsamata in clichè ed espressioni convenzionali ormai inesorabilmente passati dalla tv agli spettatori, un misto di parole muruate (con una goffaggine spesso grossolana) per lo più dall'inglese, in una specie d'impasto linguistico di stampo mediologico che ha impoverito ogni espressività, persino sentimentale. E se la tv livella la lingua e la riduce ad un codice convenzionale, dal numero di parole spaventosamente ristretto, la scuola sembra non riuscire a compiere nulla di risolutivo contro questo fenomeno: sorvolando sul discorso dei telefoni cellulari, i nuovi libri di testo, nonché i corsi e persino la concezione stessa delle modalità didattiche dopo la riforma Moratti O'inquietante sistema dei ~diti fonna1iv1), sembrano anzi concepiti perfettamente all'interno di questo sistema formativo televisivo (nel quale i quiz hanno sostituito le domande di un tempo, e il grado di cultura degli studenti, scoraggiante, è proporzionale alla «fonuna. nel segnare le caselle giuste). Per molto meno, Pasolini scelse una drastica risoluzione: abbandonare quella lingua - sensibilmente migliore di quella contemporanea - come vera e propria protesta verso la società: Ho dato - di questo mio passaggio dalla letteratura al ànema - varie spiegazioni. La prima è stata la più ovvia, cioè ho pensato di aver voluto cambiare tecnica. Tutta la mia produzione letteraria è caratterizzata dal f.ltto che ho cambiato spesso tecniche letterarie, e pensavo che il cinema fosse una tecnica nuova. Poi ho capito che questo non era vero, perché

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il cinema non è una 1ccnia leneraria ma è un'ahra lingua. Allora ho pensalo, in maniera forse un po' avvemurosa, esagerata, di essere passa10 al cinema, àoè a un'alua lingua, per abbandonare l'italiano. Cioè per esprimere una specie di prolesta conuo l'italiano e contro la mia soàe1à, una specie di rinuncia alla nazionalità i1aliana. Ma neanche questa in fondo è una spiegazione 101ale. La spiegazione vera secondo me è questa: le ho deno che il cinema è una lingua, uansnazionale e lrallSClassista, àoè un negro del Ghana, un americano e un italiano quando usano questa lingua del cinema, la usano miti alla s1essa maniera. ~ un sis1ema di segni che è valevole per 1une le possibili nazioni del mondo. Ora, qual è la araneristia prinàpale di ques10 sistema di segni?~ quella di rappresenwe la rea.lii non a1uaverso dei simboli, come sono le parole, ma anraverso la rcal1à stessa. Se per esempio io voglio rappresenta.re lei, rappresemo lei anraverso lei. O comunque anraverso qualcun altro in ame e ossa, che è analogo a lei. Cioè rappresemo sempre la rcal1à usando la rcal1à s1essa. Questo mi permeue - faO?ndo il cinema, àoè usando ques10 mezzo di espressione artistica - di vivere sempre al livello, e nel cuore della reallà".

La realtà, che in Empirismo Errtko"' Pasolini arriva a chiamare «cinema in narura», è per lui più fedelmente rappresentata nel cinema (con il montaggio, cioè con la suita letteraria di pani rappresentative di essa) che non nella televisione: Le tecniche audiovisive colgono l'uomo nell'atto in rui egli dà l'esempio (volendo o non volendo). Per ques10 la 1elevisione è cos\ immorale. Perché, non fondandosi appun10 sul

" Intervista :a cun ddl:a tdcvisionc talcsa. 1973.

'° Gt., p. 137. 136

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montaggio, essa si lim i12 a essere una temica audiovisiva allo stato puro: è molto vicina, dunque, a quell'ininterrotto •piano sequenza,, che è virtualmente il cinema. I •piani sequenza• della televisione mostrano gli uomini naturalisticamente: cioè 12nno parbre la loro realtà per quello che essa è. Ma poiché l'unico intervento non naturalistico dclla televisione è il taglio della censura, fat12 in nome della pia:ola borghesia, ecro che il video è una fonte perpetua di rappresenmione di tSn11pi di vira t idto/JJgia pkco!IJ-borgl,m. Cioè di •buoni esempi•. Ecco perché la televisione è ripugnante almeno quanto i lager. [.. . ) Mi ci è voluto il cinema per capire una rosa enormemente semplice, ma che nessun letterato sa: che la realtà si esprime da sola; e che la letteratura non è altro che un mezzo per mettere in rondizione la realtà di esprimersi da sola q,111,uJq non t fisi - di riaprire, alla luce di una n:cmte con1roincbginc, l'indiic:= sultuccisionc del poct:a. Cfr. il .Corriere della Sera. dd 20 giugno 2007.

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anda1a sempre più evolvendosi proprio verso una degenerazione populista che fa comodo a tutti, 1anto a destra quanto a smtstra. Questo populismo ha lentamente sostituito il vecchio potere di matrice post-fascista e clericale con un nuovo potere (questo s\, denunciato da Pasolini), che si legittima soprattutto nella sua dimensione mediatica. Accolla come 11/rtnuttiva idtob,gi