Motivare alla Bibbia. Per una didattica aperta della Bibbia

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Introduzione allo studio della Bibbia Supplementi 22

Gerd Theissen Motivare alla Bibbia

Paideia Editrice

Motivare alla Bibbia Per una didattica aperta della Bibbia Gerd Theissen

PaiJl'ia EJitricc

a Hartwig Thyen per il settantacinquesimo compleanno

ISBN 88.394.0 703.0

Titolo originale dell'opera: Gerd Theissen Zur Bibel motivieren Aufgaben, lnhalte und Methoden einer offenen Bibeldidaktik

Traduzione italiana di Franco Bassani

C Chr. Kaiser / Giitersloher Verlagshaus, Giitersloh �003 C Paitlt•i;t �.ditrin·. Rn·st:ia LOO�

Sommario

9

Premessa

I3

Abbreviazioni e sigle

I5

Capitolo I Introduzione

Parte prima OBIEITIVI DELLO STUDIO DELLA BIBBIA

2.7

Capitolo 2. la Bibbia nella cultura generale

57

Capitolo 3 la Bibbia nell'i n segnamento della religione

Parte seconda CONTENUTI DELLO STUDIO DELLA BIBBIA

I05

Capitolo 4 Criteri dell'analisi didattica

I I7

Capitolo 5 L'elementarizzazione della Bibbia

154

Capitolo 6 la dialogizzazione della Bibbia

Parte terza METODOLOGIA

2.33

Capitolo 7 Categorie generali della motivazione nell'insegnamento

.z.6 I

Capitolo 8 La motivazione nell'insegn amento della Bibbia

2.97

Bibliografia

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Indi'e del volume

Premessa

Che un esegeta scriva una didattica della Bibbia non richiede giustifica­ zioni. Un esegeta fa lezione su testi biblici e motiva altri a studiare la Bib­ bia, è sempre preso in una didattica della Bibbia. Eppure fino a oggi non c'è un 'opera di didattica della Bibbia scritta da un esegeta di professione. A scrivere questo libro mi hanno spinto motivi particolari. Anzitutto un motivo personale. Negli anni 70 ho insegnato letteratura tedesca e religione nei licei. Insegnare mi piaceva, e anche all'università come insegnante mi sono trovato bene. La didattica che qui espongo dà ragione di quel che da anni è la mia professione: far lezione sulla Bibbia. Riprendo idee ed esperienze che avrei voluto stendere fin dai tempi del mio insegnamento. La domanda che mi pongo è questa: perché trasmettere la Bibbia alle generazioni che vengono dopo di noi - nei molti e diversi mo­ di in cui ciò avviene, testo da meditare, fondamento normativa per la co­ munità cristiana, documento storico culturale? La didattica della Bibbia è un mezzo per attirare alla lettura e allo studio della Bibbia. Nella nostra società la Bibbia è parte dell'informazione culturale di fon­ do. Solo pochi, tuttavia, sono ancora consapevoli che dovremmo cono­ scerla, anche se non l'ascoltiamo più come testo di predicazione. Una di­ dattica della Bibbia si domanda perché mai tutte le persone colte dovreb­ bero studiar/a, compreso anche chi non ha più alcun rapporto con la fe­ de biblica, perché, infine, la sua perdita sarebbe la perdita di qualcosa d'in­ sostituibile. Rispondere a queste domande è compito di una didattica del­ la Bibbia, in particolare di una didattica aperta della Bibbia, che non mi­ ri soltanto a chi si è formato in una società cristiana. La Bibbia è messa in discussione persino nella chiesa. Tener/a in gran­ de considerazione è ritenuto segno di mentalità conservatrice. Quando in discussioni teologiche si difende una teologia biblica (o magari «fedele al­ la Bibbia»), spesso si esprime una protesta conservatrice contro lo spirito del tempo, raramente un'opposizione d'ispirazione profetica. Scarsissimo è l'amore per la Bibbia nella cultura borghese di tradizione liberale. A que­ sta e alla critica progressista si rivolge in particolare una didattica aperta della Bibbia, che vorrebbe conquistare all'amore per essa i raptm•senta11ti di 1111 aistia11esimo afJl'rto al mondo. Cristiani t' tt•olo!o(i ,·oiiSt'TI'.Jttm 11o11 ri.-/nedm10 d'eSSI'Tt'/Jt'rSII.-87; W. von Rejen, Postmoderne, EKL 3

Compiti di una didattica aperta della Bibbia

:z.x

mediante una critica della religione che spesso nega ai credenti quella con­ siderazione che è il presupposto di un dialogo. 1 Ma anche per la mentali­ tà postmoderna le religioni sono un che di ingombrante. Danno fondazio­ ni ultime, offrono «grandi racconti» e avanzano (o avanzavano) pretese di assolutezza. La didattica aperta della Bibbia abbozzata nella pagine che seguono, che mira a proporre a tutti la comprensione della Bibbia, ha il suo Sitz im Leben nella società postsecolare. Finora qualsiasi didattica della Bibbia, che ne include il contenuto religioso, era inteso necessariamente come ope­ ra missionaria delle chiese. La mentalità postmoderna sa entrare facilmen­ te in relazione con le convinzioni altrui senza sentirsi costretta a consen­ tirvi. Può esprimere convinzioni senza farsene missionaria. Diametralmente opposta è la reazione del fondamentalismo cristiano alla situa­ zione presente. Il fondamentalismo è da distinguere dal pietismo tradizionale, che ha le sue radici nel xvufxvm secolo, per il quale la conversione, nel senso di de· dizione a Gesù, e la praxis pietatis erano decisivi. Questo pietismo si opponeva al­ la chiesa come istituzione e alla teologia ortodossa estranea alla vita. Il suo sogget­ tivismo era un elemento di modernità. ll fondamentalismo, • per contro, è una rea­ zione, iniziata nel Nordamerica, alla politica che va secolarizzandosi e alla scien­ za moderna del XIX secolo. Nel Niagara Creed del 1878, oltre l'ispirazione lette­ rale della Scrittura, vengono menzionati come •principi essenziali•• quattro pro­ posizioni di fede cristologiche relative alla nascita verginale, alla morte espiatri­ ce, alla risurrezione e al ritorno di Gesù. Assumevano una funzione assai più de­ cisiva tre motivi: 1. il rifiuto delle indagini storico-critiche sulla Bibbia, quindi la generale inter­ pretazione razionale del testo; 2.. la lotta contro la teoria dell'evoluzione in nome di un creazionismo che in­ terpreta in senso letterale il racconto della creazione, opponendosi all'origine del­ l'uomo dalla scimmia; 3. la difesa della morale tradizionale - soprattutto in materia di emancipazio­ ne della donna, aborto e omosessualità. Vanno tenuti separati dal fondamentalismo i più moderati evangelicali, i quali non disdegnano di avere a che fare con la cultura moderna 3 e insieme sostengo­ no una teologia massimalista: nella Bibbia la parte maggiore possibile deve avere 1 Si veda il discorso tenuto da J. Habermas in occasione dd conferimento dd Friedenspreis des Oeutschen Buchhandels, Glauben rmd Wissen, Frankfurt 2001. L'espressione •società postseco­ lare• ricorre alle pp. 13 ss. (tr. it. Fede e sapere: Micromega 5 [2001) 7-16: 9 ss.). ' Il concerto di fondamentalismo si deve alla serie di scritti in dodici volumi The Fundamentals, 1910·1915. Nel 1919 fu fondata a Filadelfia la World's Christian Fundamentals Association. Cf. W. Joest, Fundamentalismus, TRE II ( 1983) 732·738; K. Kienzler, Der religiose Funda­ m�ntalismus. Christentum, ]udentum, Is/4m, Miinchen 1996. 1 Ntl 1943 hanno fondato la National Association of Evangelicals. Nel 1957 si è giunti allo ICi!lima (nn cui questa .:orrente più moderata si è separata dai fondamentalisti, raccogliendosi ontnrnn al prcdi> insostituibile. Benché non sappiano dirci r Le due definizioni della formazione non sono in contraddizione l'una con l'altra. La formula dell'apertura reciproca di mondo e uomo può venir letta nelle due direzioni. Nella sua prima fase W. Klafki sottolineava l'apertura degli oggetti, nella seconda il loro significato per l'uomo e per la vita. • Ricordiamo due proposte di differenziazione delle forme del sapere: Max Scheler, Die Wis­ sensformen und die Gesellschaft, Leipzig 19•6 distingueva la conoscenza per il dominio delle scienze della natura, la conoscenza delle essenze della fenomenologia e il sapere salvifico della religione, che non consiste in una conoscenza di oggeni, ma nella co-effettuazione dell'atto di­ vino di amore; ]. Habermas, Erkenntnis und Interesse, in Technik und Wissenschaft als •Ideo­ logie•, Frankfurt 1968, 146-168 (tr. it. Conoscenza e interesse, in Teoria e prassi nella società tecnologica, Bari 1 967, rist. 1978, 3-r8), distingue un interesse tecnico delle scienze della natu­ ra - il dominio della natura -, un interesse pratico nelle scienze storico-ermeneutiche - la ricer­ ca del consenso -, e un interesse emancipativo nelle scienze sistematiche dell'agire, - la realizza­ limw dt.•llil lilwrr:\.

La comprensione della Bibbia come contributo alla spiegazione della realtà

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che cosa dobbiamo fare nella nostra posizione nel cosmo, ce ne fornisco­ no una descrizione realistica e ci fanno valutare meglio che cosa potrem­ mo fare in questa posizione. È a loro che dobbiamo rimetterei per la for­ mazione della nostra autocomprensione (e non solo per dominare la na­ tura). La loro esclusione dal canone della cultura è segno d'incultura. In materia ha un ruolo anche la Bibbia. Le conoscenze scientifiche sul­ la natura si sono imposte anche contro l'immagine biblica del mondo, ma al tempo stesso la fede biblica nella creazione ha fornito motivazioni alla volontà di conoscenza scientifica. L'emancipazione della curiosità scientifica dalle limitazioni dell'imma­ gine biblica del mondo è parte della storia della fondazione del mondo mo­ derno. In questo si è imposto il primato della conoscenza sui nostri desi­ deri - anche sul desiderio di essere al sicuro nelle interpretazioni tradizio­ nali del mondo. La Bibbia ha perso la sua competenza circa l'immagine del mondo, non dice più come stanno le cose. Ma è troppo semplice limitarsi a contrapporre mythos e logos, imma­ gine biblica del mondo e moderna scienza della natura. Il mito è semmai il primo tentativo della ragione (del /ogos) di capire il mondo e di indicar­ vi il posto dell'uomo. Ce lo fa capire anche il racconto biblico della crea­ �ione, soprattutto se si confronta il primo racconto della creazione (Gen. 1 , formatosi più tardi) col secondo (Gen. 2.): il primo testimonia di uno stu­ pore per la successione ordinata nell'azione creatrice e per le scelte di Dio ordinatore. Questo racconto è una teoria dell'evoluzione in forma mitica, nella quale l'uomo compare al termine, prendendo coscienza della propria responsabilità per questo mondo. Se già nella storia biblica delle origini era all'opera una volontà prescien­ tifica di conoscenza, si può comprendere più facilmente come nella storia dei suoi effetti la fede biblica nella creazione abbia favorito la conoscenza scientifica con due motivi: la sensibilità per la sapienza della natura e per la sua contingenza: 1 . lo stupore per l' «intelligenza» che è stata investita nel mondo ha con­ ferito fino a oggi una coloritura religiosa al sapere scientifico.' Per Keple­ ro, Newton e molti scienziati, nella natura si nascondeva una meraviglio­ sa sapienza. Essi leggevano la natura come libro scritto da Dio in linguag­ gio matematico; 2.. al tempo stesso la conoscenza della contingenza del mondo era uno stimolo alla ricerca empirica: tutto nella natura sarebbe potuto essere di­ verso se Dio l'avesse voluto. Nessuna concezione aprioristica è in grado di anticipare l'ordine della natura che può essere osservato e riprodotto soltanto a posteriori. Persino il modo di procedere sperimentale presenta 1 lln"opera eccellente al riguardo r J. Polkinghorne, Theologie und Naturwissenschll{ten. 1-:ine t:;nfUhrrmK (t•d. in�l. I 'I'J H), ( ;liU·rslnh 2.001.

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La Bibbia nella cultura generale

convergenze con l'idea biblica di creazione: se Dio ha creato il mondo al­ la maniera di un snrhirn in m;1mrra inl'nnfondihilr.

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La Bibbia nella cultura generale

sma ancor oggi l'attenzione per il passato, soprattutto là dove si devono superare colpa e fallimenti. Con questi scritti ' hanno inscritto nella no­ stra cultura una 1 . immagine dell'uomo che conferisce a questo, in virtù della sua somi­ glianza con Dio, una dignità intangibile. Con quest'idea della dignità in­ tangibile dell'uomo, questa immagine dell'uomo fa sentire i suoi effetti an­ che là dove le premesse di questa intangibilità sono state erose; 2.. questi scritti hanno formulato una sorprendente etica del comanda­ mento, rendendo indipendente da ogni istanza umana la legge di Dio, ope­ rante ancor oggi nella forma del decalogo e del comandamento dell'amo­ re del prossimo; 3· hanno delineato un'immagine della storia che attribuisce agli uomini la responsabilità del corso degli avvenimenti, ma che li spinge anche alla conversione quando devono allontanare da sé un passato infausto; • 4· ma soprattutto in questi scritti è comparsa la fede nel Dio uno e uni­ co. Vi si è sviluppata una comprensione di Dio che in Dio ha visto un cen­ tro d'infinita energia etica. Là dove, nel mondo moderno, si professa o si nega Dio, si pensa al Dio della Bibbia. Non è possibile eliminare dalla nostra storia l'immagine dell'uomo, l'eti­ ca, la concezione della storia e l'immagine di Dio proprie della Bibbia. De­ vono essere idee familiari a qualsiasi persona colta. Per contro i greci hanno dato forma alla propria autocoscienza median­ te i poemi epici sulla guerra di Troia e mediante la storia della loro lotta contro i persiani in nome della libertà. Si sono ribellati all'idea del domi­ nio straniero, proponendo per primi una forma di convivenza democrati­ ca nella quale gli uomini regolano da sé quel che li riguarda. l greci han­ no sviluppato un'etica dell'autodominio per uomini liberi, che fa capire perché gli uomini siano capaci di porre limiti al dominio. Al tempo stesso hanno prodotto una filosofia che sottopone a continuo esame tutte le pre­ messe del vivere, in una situazione di concorrenza tra scuole e principi. 1 F. Criisemann, Die Bildung des Menschengeschlechts. Oberlegungen zum Thema •Bildung• im Alten Testament, in j. Oche! (ed.), Bildung in evangelischer Verantwortung auf dem Hinter­ gnmd des Bildungsverstiir�dnisses von F.D.E. Schleiermacher, Gottingen 2.001, 79-100, vede il contributo dell'Antico Testamento all'idea di formazione 1. nella somiglianza con Dio come character indelebills, 2.. nell'idea sapienziale di educazione, 3 · nell'apprendimento inteso come riflessione sulle colpe dei padri e 4· nella conoscenza del bene e del male. 1 Nella Bibbia le due posizioni sono immediatamente accostate l'una all'altra. Il Deuteronomio e la concezione deuteronomistica della storia insegnano la responsabilità umana per la storia. l'alleanza con Dio è mantenuta solo se anche il popolo si rivolge a Dio e non lo tradisce. l'al­ leanza è condizionata, può essere revocata. Lo scritto Sacerdotale, invece, insegna un'alleanza eterna che non può essere revocata. Di continuo il venir meno del popolo è tenuto lontano me­ diante il sacrificio. Il Deuteronomio, quindi. insegna come evitare la colpa, lo scritto Sacerdota­ le come allontanarla. Cf. K. Schmid, Der Geschichtsbezug des christlichen Glaubens, in W. Hiir­ le - H. Schmidr - M. Welker, Das ist christlich. Nachdenken uber das Weser� des Christentums, (;i.itl"r!!ii lnh 2.000, 7 1 -yo.

La comprensione della Bibbia come via all'autocomprensione dell'uomo

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Sia gli ebrei sia i greci, pressoché nello stesso periodo (VI sec. a.C.), si imbatterono nella fede nel Dio uno e unico con Senofane di Colofone i gre­ ci, con il Deutero-Isaia gli ebrei. I due popoli rigettavano il mondo che si trovavano davanti e da cui dipendevano profondamente. In età ellenisti­ ca questi due popoli ebbero un intenso dialogo dal quale uscì il primo cri­ stianesimo. In questo l'etica ebraica del comandamento si congiungeva con l'etica greca della ragione. Nel cristianesimo delle origini troviamo l'unio­ ne di queste due etiche in un'etica del comandamento che deve fondarsi sulla ragione, perché Dio ha inciso i comandamenti nel cuore. Paolo met­ te in relazione con la volontà di Dio l'idea filosofica dell' «esame,., •Esa­ minate ogni cosa e serbate ciò che è buono!» è il suo invito (1 Tess. 5,21), oppure: > (Sal. 36,1 0). Nella freschezza del­ l'acqua si sperimenta l'origine della vita, nei monti che ci stanno davanti nella loro quiete ciò che oltrepassa l'eternità del sasso, nella croce la vio­ lenza di tutti gli uomini che vogliono scaricare la loro «colpa>> sugli altri cercando «capri espiatori>> . I simboli aprono dimensioni profonde nel mondo e nell'uomo. Per questo spesso s'intende il linguaggio simbolico della Bibbia come linguaggio dell'inconscio, in cui si esprime la ricerca di una vita completa. La religione è forse il linguaggio simbolico di cui ogni persona che non voglia atrofizzarsi deve apprendere l'alfabeto? Dove, se non nella religione e nella Bibbia, troviamo nella nostra cultura una tale riserva di simboli fautori di vita? questo linguaggio di simboli è forse il ne­ cessario e insostituibile contributo della Bibbia alla nostra cultura ? l'inse­ gnamento della religione nell'ambito della scuola può giustificarsi per il fatto di trasmettere una competenza dei simboli (come caso speciale della competenza ermeneutica), svolgendo così una funzione antropologica ne­ cessaria ? In tal modo esso fornisce quantomeno un contributo che non consiste né nella trasmissione del passato (come avviene nella didattica er­ meneutica della Bibbia), né nel dominio del futuro (come nella didattica orientata ai problemi). Questo contributo si colloca nel presente - nella percezione della vita nel suo fondarsi sulla religione - e in un linguaggio che, per la sua forma immaginifica e narrativa, è accessibile anche a bam­ bini e a giovani.' r Opere fondamentali sull'argomento sono P. Biehl - G. Baudler, Erfahnmg - Symbol - Glau­ be, Frankfurt I98o. H. Halbfas, Das dritte Auge. Religionsdidaktische Anstosse. Schriften zur Religionspi:idagogik 1, Diisseldorf 1981. P. Biehl, Symbol und Metapher. Auf dem Wege zu ei­ ner religionspi:idagogischen Theorie religioser Sprache: JRP I ( I984) �9-64. Sulla didattica sim­ bolica nel suo complesso cf. P. Biehl, Symboldidaktik, LexRP � (�ooi) �074-�079; Ch. Greth­ lein, Religionspi:idagogik, 169-173 (su H. Halbfas). 179·I81 (su G. Baudler). • Con la rivalutazione del concetto di simbolo furono riscopeni altri aspetti dell'apprendimento e dell'insegnamento religiosi, che andavano oltre il semplice accostamento discorsivo alla Bib­ bia e alla religione: 1. la didattica della Bibbia rivalutava le immagini (cf. H. Halbfas, Das drit­ te Auge, p-83; G. Lange, Bi/d, Bilddidaktik, LexRP I (100I) I 86-191; 1. la riscoperta del nar­ rare portò con sé la didattica del racconto (G. Baudler, Ein{Uhrung in die symbolisch-erzahlen­ de Theologie, Paderborn 1981; l. Baldermann, Erzahlen, LexRP 1 (�ooi) 43 5-441; J. la rivalu­ tazione dell'interazione nella lettura della Bibbia ha condotto al bibliodramma (G.M. Martin, •Bib/iodrama• als Spie/, E.xegese und Seelsorge: WPKG 68 ( 1979) I J 5·I44; D. Dormeyer - R. Kollmann - F. Munzel, Bibelarbeit. Ribeldidaktik, LexRP r (�oo r ) 17�- r Ro.

L'impostazione simbolica della didattica

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Anche qui serviamoci di un esempio. Prendiamo il simbolo della creazione o, me­ glio, il mito della creazione. Si tratta infatti di un racconto della creazione del cielo e della terra nel tempo delle origini, in cui il tempo stesso ha avuto origine. ·\ Ila luce di questo mito, ancor oggi gli uomini possono percepire la realtà in una dimensione profonda che va oltre il mondo stesso, e al tempo stesso questo sim­ bolismo si rivolge a profondità del nostro sentire che nessun altro linguaggio è in grado di raggiungere. All'inizio del vangelo di Giovanni leggiamo queste parole: In principio era la parola e la parola era presso Dio e la parola era Dio. Essa era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo suo, e senza di essa nulla è .rato fatto di ciò che è fatto . . . (Gv. 1 , 1 s.) . .\ prima vista si tratta di un testo speculativo che non potrà mai essere una certez­ ta personale: nessuno ha assistito alla creazione del mondo. Eppure, questo e al­ tri testi sulla creazione suscitano una grande intuizione ed evidenza emotive. F.D.E. Schleiermacher le chiamava il •sentimento della dipendenza assoluta • , altri dopo di lui parlavano di •sentimento creaturale».' Quando da studenti di teologia leg­ gevamo gli scritti di Schleiermacher e cercavamo di capire che cosa potesse signi­ ficare il •sentimento della dipendenza assoluta • , l'insegnante, dichiarato seguace di Karl Banh, ci chiese: •Chi di voi sa che cosa fare di una cosa del genere? qual­ cuno conosce qualcosa di simile ? • . Si aspettava che nessuno volesse parlare. Di fatto nessuno alzò la mano - tranne io. A che cosa pensavo? Pensavo che nella no­ stra vita siamo circondati da cose di cui non disponiamo, come l'aria, la luce, lo spazio. Radicalmente indisponibile ci è la nostra stessa esistenza. Non possiamo aver influenza sul fatto di esistere, così come sul fatto che qualcosa in generale esista. lndisponibili sono il momento e il luogo del nostro vivere, i nostri genito­ ri, il nostro corpo cui siamo legati per tutta la vita. Indisponibile - e per nulla mo­ difica bile - è tutto ciò che sprofonda nel passato. lndisponibile è anche il nostro esi­ stere nello scorrere del tempo, che inarrestabilmente si affretta dove non voglia­ mo: verso la morte. In tutte queste cose noi siamo semplicemente dipendenti. Di questo dato dell'essere, indisponibile e contingente, parla l'inizio del vangelo di Giovanni. Ma non ne parla come di un dato di fatto da accettare ciecamente. Di­ 'e invece: in questo fatto si nasconde un •verbo • , una parola che interpella gli uomini, una luce che orienta, che dà un senso e una motivazione. •

' Così R. Otto, Das Heilige. Ober das lrrationale in der Idee des Gottlichen und sein Verhiiltnis zum Rationalen, Breslau 1917, 8 ss. (tr. it. 1 3 ss.) 1 ll concetto della •dipendenza assoluta• di Schleiermacher non mi è parso adeguato - suggeri­ sce il malinteso che la religione debba qui trasfigurare delle dipendenze, mentre non è questo che s'intende. Perciò ho cercato di descrivere questo •sentimento creaturale, con parole mie ri­ correndo a una metafora musicale. Se il miracolo dell'esistenza di tutte le cose trova corrispon­ denza nella nostra esistenza, si trana allora di un fenomeno di risonanza», L'essere stesso si fa rl·rcepibile come suono (o come una parola che ci tocca) e trova un'eco nel nostro stesso esiste­ re. l rapponi di risonanza non sono rapponi di dipendenza. La corda che vibra non domina la cassa di risonanza che registra le sue vibrazioni. Cf. G. Theissen, Argumente fiir einen kritischen Gl�uben. Oder: Was hii/t der Religionskritik stand?, Miinchen 1978, '1988. Il concetto di •espe­ ritn7.e- di risonanza• indica le esperienze positive dell'accordo, della comprensione e dell'amore. l l11 �hiamattJ ..esperienze dell'assurdo,. la mancanza di risonanza. Il sentimento creaturale com­ rrenderehbt l'una c l'altra esperienza e sarebbe caratterizzato da quell'ambivalenza di risonan­ /.a � as!iurc.lirà «.:h� R. Onn ha desuiuo ,o) concetto del mysterium fasdnusum t'l trt'mrn,/u,.,. t�

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La Bibbia nell'insegnamento della religione

La didattica simbolica ebbe il grande merito di riportare l'attenzione sui testi biblici considerati in se stessi. Così facendo riprendeva la didattica ermeneutica della Bibbia, ma era ben consapevole che oggi, per compren­ dere i testi biblici, è necessario insegnare e apprendere la grammatica del linguaggio biblico, l'alfabeto delle immagini, dei simboli e delle narrazio­ ni. Ben presto si sono constatati e corretti i limiti dell'impostazione sim­ bolica della didattica. Spesso l'intero linguaggio figurato della religione è stato visto come linguaggio simbolico, cancellando così la differenza tra simbolo, metafora, ruolo, narrazione e comandamento.' Simbolico e reli­ gioso vengono identificati troppo rapidamente; il pansimbolismo impedi­ sce la percezione chiara di particolari simboli, dei segni-immagine, nei qua­ li aspetto sensibile e senso si uniscono in modi specifici. Al riguardo è ne­ cessaria qualche precisazione, e si aggiunga la critica di ulteriori ingiusti­ ficate generalizzazioni: 1. il linguaggio simbolico della Bibbia viene inteso come espressione astorica di un intemporale linguaggio di simboli dell'umanità, come una delle tante manifestazioni dell'inconscio collettivo nell'uomo (C. G. Jung). Perciò si ritiene di poter servirsene per minare i confini tra le culture. An­ che se ci si muove storicamente, si perverrebbe sempre agli stessi strati profondi dell'uomo; 2.. spesso i simboli sono ritenuti a priori qualcosa di buono. Si riflette troppo poco sulla loro ambivalenza e sulla loro forza distruttiva, quasi non esistesse un uso politico dei simboli, in cui questi possono venir impiegati nel bene e nel male. Non si considera che ci sono simboli del sacro e del terrore. Va detto, per contro, che i simboli non sono semplicemente il linguag­ gio religioso né gli elementi di un alfabeto universale, e nemmeno sono in maniera univoca moralmente positivi. Piuttosto, la didattica simbolica è necessaria perché i simboli sono segni specifici radicati in contesti con­ creti e possono avere effetti ambivalenti. b) Delimitazione del concetto di simbolo Per quanto attiene alla religione si deve anzitutto distinguere tra le diffe­ renti forme di segni. I simboli sono immagini elementari nella realtà e nel­ la parola. Si costituiscono grazie a una percezione simbolica del mondo, in virtù della quale le cose diventano un rinvio a qualcosa d'altro. • Le co­ ' Per illustrazioni al riguardo d. H. Schmidt, Symbole - elementare Bausteine religioser und moralischer Bildungsprozesse. Ein Symboldid4ktischer Sanierungsversuch, in R. Bernhardt U. Link-Wieczoreck (edd.), Metapher und Wirklichkeit. Die Logik der Bildhaftigkeit im Reden von Gott, Mensch und Natur, Gottingen ����. n l - 1_1 �a Un'esposizione completa sul concetto di simbolo è fornita da A.A. Bucher, Symhol - Symbol­ hildunR - Svmlml�rzlt'hUnR. St. Orri l i�n 1 9'10. Qursrn trrmim· rquiVfK."O ruù. a mio rarrrr. rs•

L'impostazione simbolica della didattica

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se lasciano trasparire dimensioni profonde del mondo in cui si vive e stra­ ti profondi nell'intimo dell'uomo. Simboli di questo genere possono esse­ re elementi fondamentali della natura quali luce, acqua, terra e aria; op­ pure realtà topologiche come via, mare, monte, deserto, campo, giardino; inoltre edifici architettonici come tempio, casa e capanna; oppure parti del corpo come mano, piede, occhio, orecchio, bocca, cuore.' Rinviando a qualcosa d'altro i simboli consentono di orientarsi nel mondo e confron­ tarsi con la propria interiorità. Essi edificano un cosmo nel quale respira­ re e vivere. Il mondo diventa una grande casa, la natura un tempio, il cor­ po un'offerta vivente, ecc. Dal simbolo è da distinguere la metafora.• Un simbolo è sempre da prendere « alla lettera »; in esso a un primo senso se ne unisce un secondo. Una fiamma reale può ad esempio essere rappresentata in un testo in mo­ do da fungere da simbolo dell'amore. Resta una fiamma reale, ma in for­ t.a del contesto (una storia d'amore, ad esempio) acquista un secondo si­ gnificato, divenendo immagine di una passione. Al contrario, si frainten­ de la metafora se la si prende alla lettera. Chi parla della «fiamma del­ l'amore» non pensa a una persona dalla cui bocca o dai cui occhi divam­ pi una fiamma, ma alla realtà interiore di sentimenti e motivi. Un simbo­ lo può essere un pezzo di realtà, mentre una metafora è sempre un feno­ meno linguistico, consistente nella combinazione di parole e significati se­ manticamente incongruenti, che (presi alla lettera) non potrebbero comsere impiegato in modo chiaro soltanto se si indicano le diverse rradizioni di pensiero all'inter· no delle quali lo si usa. a) La tradizione estetica conosce la conrrapposizione di simbolo e allegoria. Il simbolo è l'ap· rarire in forma sensibile di un'idea, mentre l'allegoria rende possibile una relazione ua il sensi­ hile e il suo significato solo in forza del pensiero. Nei due casi, sia nel simbolo sia nell'allegoria, si manifesta un che di oggettivo U.W. Goethe). b) Per la rradizione della psicologia del profondo il simbolo è espressione dell'inconscio nel sogno e nel mito - vuoi come dissimulazione di impulsi e desideri socialmente inammissibili che non possono venir immessi direttamente nella comunicazione (così Freud), vuoi come linguag­ Rio che rende l'inconscio accessibile alla comunicazione pubblica (così C. G. Jung). c) Per la rradizione del neokantismo il concetto di simbolo è il concetto generale sono il qua· le stanno le diverse forme simboliche» che hanno la funzione di ordinare e strutturare il mon­ do, come il mito, il linguaggio, l'ane e la conoscenza (E. Cassirer). In questo caso il concetto di aimbolo non si riferisce al comparire di una realtà «trascendente• oggettiva o soggettiva, ma è espressione di un atto umano •trascendentale• con cui l'uomo dà ordine al suo mondo. .c

1 lJ. Friichtel, Mit der Bibel Symbole errtdecken, GOttingen 1991, '1994, propone una diversa classificazione: 1 . simboli tratti dai fenomeni della natura, come i simboli opposti acqua e deser­ to, luce e tenebra, alto e profondo, oltre al simbolo della stella; 2. simboli desunti dai compor· ramenri dell'uomo: piede, mano, occhio, orecchio, bocca, schiena, volto, cuore; 3· simboli che so­ "" stati presi dall'ambito sia della natura sia della cultura, come i simboli del cammino e del fuo­ co; 4· simboli attinri al campo della cultura, come fontana, casa, giardino, vigna, pane, veste, na· ve. - la descrizione di U. Friichtel va giudicata positivamente perché in essa la Bibbia non è so· In l• l'"rta d'aççesso al mondo generale dei simboli, ma i simboli aprono la via alla Bibbia. a Sulla definizione delle diverse forme di figure cf. P. von Gemiinden, Vegetatiorrsmetaphorifr lm Nt'u'n Trstanrrnt und srinrr llmu •t>lt. frihourg-Grirringrn 1 99 1. 1-.49 (l·on hihlio)(ratia).

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La Bibbia nell'insegnamento della

religione

binarsi e che, proprio per questo, costringono chi ascolta o legge ad assu­ mere un senso traslato. Poiché «latrare» può essere detto solo di cani o di volpi, l'espressione •, col comandamento della rinuncia alla violenza del discorso della mon­ tagna, creando di qui il concetto di «resistenza non violenta». L'antica etica indiana dell'ahimsa si sviluppò dalla critica al sacrificio di animali e dalla concezione della reincarnazione. Se negli esseri viventi sono presenti anime di uomini che vi si sono incarnate, non è permesso fe­ ridi. Questa etica fu ulteriormente sviluppata dai due movimenti mona­ stici nati dall'induismo, il giainismo e il buddhismo, ma sopravvive anche nell'induismo. Il profondo rispetto per la santità della vita non è, invero, la resistenza non violenta. Questo concetto etico si è sviluppato soltanto dall'incontro di Gandhi col discorso della montagna? • Si potrebbe essere scettici. Nel discorso della montagna si trova espres­ samente un divieto della resistenza: •Ma io vi dico che non dovete resi­ stere al male . . . » (Mt. 5,3 9), su cui Gandhi nella sua lettura dovette pas· 1

(.;h. Mark!i4.:haes, Die Gnosis, 1.00 1 .

• Cf . Il.

R:11•anrn. M,"..,'"· M11ho�mmnd arrd tht Mahatma, 170·1 Rl.

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sar sopra; anche altrove, del resto, la sua ricezione del discorso della mon­ tagna è selettiva. Non considera, ad esempio, il divieto di giurare; obbli­ gazioni volontarie, giuramenti e voti erano per lui strumenti importanti nella lotta per la liberazione. Si è quindi servito del discorso della monta­ gna solo superficialmente - forse soltanto per sottrarre alla controparte in­ glese e cristiana una base legittimante e renderla meno sicura ? ' o invece, contro la tradizione interpretativa cristiana, ha riscoperto qualcosa di ve­ ro, considerando la quinta antitesi un'esortazione alla resistenza non vio­ lenta - non sulla base di un'esegesi storico-critica, ma della sua situazio­ ne, che lo induceva alla protesta e alla resistenza ? Qui non possiamo di­ lungarci su tutti questi problemi; penso che Gandhi abbia intuitivamente colto nel segno. La rinuncia alla violenza del discorso della montagna spera in un cambiamento della controparte. Ma su quest'interpretazione non vi è consenso. Nella quinta antitesi del discorso della montagna il vangelo di Matteo porta quat­ tro esempi concreti di rinuncia alla resistenza; questi non contemplano soltanto relazioni personali dirette (come il colpo sulla guancia, che non si deve rendere), ma anche relazioni giuridiche, come quando si tratta di pignorare una veste, del­ l'esercizio del potere politico, quando si tratta di lavori coatti, rapporti economi­ ci, quando si parla di doni e prestiti. L'ultima esortazione sta fuori della serie delle altre: •Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle• (Mt. 5, 4 2.). In questo caso al destinatario dell'esortazione non è fatto alcun male; è lui che deve fare del bene all'altro. Addirittura lo obbliga con doni e l'altro può pretendere da lui prestiti. In questo esempio è visibile l"intento, non solo di sop­ portare il comportamento dell'altro, ma anche di obbligarlo per il futuro. La quinta antitesi è tematicamente affine alla prima, che tratta di come aver ra­ gione della propria aggressività (l'ira dentro di sé). Le due antitesi sono da inter­ pretare l'una con l'altra. Negli esempi concreti con cui Matteo illustra la prima, infatti, all'uomo viene fatto carico della responsabilità per il comportamento del­ l'altro. Se davanti all'altare ti sovviene •che ruo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all'altare, va' prima da lui e riconciliati col tuo fratel­ lo e poi torna a offrire il ruo dono• (Mt. 5,2.3 s.). Se in Mt. 5,2.3 s. si tratta di in­ fluire sul comportamento dell'altro, lo stesso accade nella quinta antitesi. Non si può obiettare che nella quinta antitesi l'uomo è in una condizione d'impotenza. Da un lato ciò non vale nel caso del prestito di denaro; dall'altro anche l'ultimo esempio della prima antitesi presuppone proprio questa situazione: un tale sta andando in tribunale e deve temere di trovarsi colpevole. Finché è pe r via dovrà riconciliarsi con l'avversario, deve influire sul comportamento di questo. Alla luce dell'ultima antitesi, la rinuncia alla violenza è esercizio dell'amore 1

O. Wolff, Mahatma und Christus. Eine Charakterstudie Mahatma Gandhis und des moder­ Hinduismus, Berlin 1 9 5 5, 1 3 5 , attribuisce a Gandhi un rapporto strumentale col Nuovo Te­ stamemo: " Ricorre anche al Nuovo Testamento, al discorso della montagna e a Cristo stesso co­ me un politico chr ha uno scopo, non li trana da religioso. Per lui Cristo è un alleato nella sua lnn:� rd t· hm�i (b lui l i dt il di diventare un ,.-ollahorarore nella harra�lia di Crisrn " . Mn

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per il nemico e imitatio dei. Come Dio facendo sorgere il sole su cattivi e buoni non approva l'agire malvagio dei cattivi, così l'uomo che ne è imitatore non deve approvare le azioni ingiuste altrui. Il discorso della montagna consiglia una sorta di • intervento paradossale». In psicoterapia questo intervento consiste nel rafforzare il sintomo (quindi ciò di cui il paziente soffre) allo scopo di superarlo. Se ad esempio il paziente lamenta la mal­ vagità del mondo, questo verrà dipinto a tinte ancor più fosche così che il pa· ziente finirà per opporvisi da sé, uscendo dall'atteggiamento passivo del lamento. Analogamente, in risposta all'agire violento dell'altro, dovrà aggravarne provoca­ toriamente il comportamento così da interrompere la spirale della violenza. Poi­ ché in Palestina si conservava il ricordo di una riuscita resistenza passiva e non violenta contro i romani,' potrebbe darsi benissimo che nel discorso della mon­ tagna, con la sua quinta antitesi, si speri in un mutamento della controparte vio­ lenta, senza che si faccia dipendere da ciò la nostra azione. Non si tratta certo della resistenza politica non violenta delle moderne strategie di conflitto, ma que­ sta le è più vicina di una tolleranza passiva. Gandhi ha dunque scoperto intuiti­ vamente qualcosa di giusto? si avvicinava con questo al significato storico del di­ scorso della montagna più di tanti esegeti cristiani?

Indipendentemente da questo, occorre tenere in considerazione il diverso quadro interpretativo in cui di volta in volta viene visto Gesù in ambito induista. Ebraismo e islam lo percepiscono nel quadro di una concezione orientata della storia, che s'interroga sul compimento di una rivelazione: mentre per la fede cristiana Gesù è questo compimento al centro della storia, dove Dio per un istante si è rivelato in maniera definitiva, gli ebrei attendono ancora il compimento della storia. I musulmani, al contrario, credono che Gesù sia stato uno stadio preliminare in direzione della rive­ lazione compiuta che ha luogo con Muhammad. Gandhi si accosta a Ge­ sù in maniera fondamentalmente diversa. Non lo interessa che Gesù sia stato o meno una figura storica, così come non lo tocca la questione se il Dio induista Rama sia vissuto o meno.• Nelle tradizioni che li riguarda­ no, per lui è contenuta una verità valida per sempre, ed è questo che è fondamentale. Gandhi non può far suo il legame della fede con la storia; 1 Cf. G. Theissen, Gewaltverzicht und Feindesliebe (Mt J,JB-48 / Lk 6,27·JB) und deren so­ zjalgeschichtlicher Hintergrund, in Studien zur Soziologie des Urchristentums, Tiibingen 1979, 160- 197 (tr. it. La rinuncia alla violenza, l'amore per il nemico (Mt J,J B·4B; Le 6,27·3B) e il loro sfondo storico-sociale, in Sociologia del cristianesimo primitivo, Genova 1987, 142-175). • Cf. M. Chatterjee, Gewaltfrei widerstehen. Gandhis religioses Denken - Seine Bedeutu"g fiir umere Zeit, Giitersloh 1994 (ediz. ingl. 1983) a p. 48 sottolinea •che Gandhi, come in generai• gli indù, non attribuiscono alcun valore alla storicità. Che Krishna o Rama siano realmente vis­ suti, è irrilevante per il giudizio su un'immaginazione religiosa». A p. S4 l'autrice riporta una l·a ratteristica affermazione di Gandhi del 1925, di fronte ai missionari di Calcutta: •Questo Gesi1 (storico) non porta alcun arricchimento alla mia esperienza spirituale; ma se mi parlate dr l < ;t· ­ sù t"terno, se con Gesù intendete la religione dell'amore universale che dimora nei cuori, alloro� rosso dire che questo Gesù vive nel mio cuore - allo stesso modo in cui vi vivono Krishn;a n

M.o�mo• · ·

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quest'indipendenza dalla storia gli viene dalla sua tradizione induista. Vi sono però anche indizi che ne avesse trovato conferma per influenza della teosofia con cui era venuto a contatto a Londra. I Per la sua politica della tolleranza questa influenza si rivelò altrettanto decisiva delle tradizioni indiane antiche. Il suo insegnamento può inoltre essere visto in una tra­ dizione sapienziale di dimensioni internazionali (H. Raisanen)! Lo s'in­ contra anche nella Bibbia. Con la sua rinuncia alla violenza e alla ritor­ sione il discorso della montagna è conforme a una tradizione sapienziale diffusa presso tutti i popoli, che nel discorso della montagna è iscritta in una concezione finalista della storia. Le sue richieste sono le condizioni per essere ammessi nel regno di Dio, sono imperativi per chi nella storia voglia camminare nella direzione del fine di questa. Tanto più merita os­ servare che a questo scopo vi rientri anche un imperativo atemporale e cosmopolita come la regola d'oro (Mt. 7,1 1). In Gandhi vengono quindi a incontrarsi molte tradizioni: quelle induiste della non violenza, l'esote­ rismo teosofico, il discorso della montagna cristiano e una tradizione sa­ pienziale universale che, di fronte alla durezza della vita, esorta alla rinun­ cia alla vendetta e alla rinuncia di sé. Sembra che qui si possa trovare l'uni­ versale nel concreto. In un'etica fondamentale affatto elementare vi sono tendenze universali. La ricerca di queste è invero un contributo limitato al dialogo tra religioni, ma tali tratti universali non sono da sottovalu­ tare. Una volta che esisterà un' > che ci sia possibile abitare. Proprio per questo le religioni san­ no che la realtà si sottrae radicalmente a tutte le interpretazioni: Dio e l'es­ sere ci rimangono inaccessibili, si rivelano un mistero di profondità in­ sondabile - quasi una dura rupe contro cui, come onde, s'infrangono i no­ stri tentativi di assimilarla ai nostri concetti cognitivi. Ma proprio questa resistenza, che sperimentiamo nel fallimento dei nostri pensieri, è l'indice di una realtà. L'insegnamento della religione ha a che fare notoriamente con una realtà che solo limitatamente è possibile , contrapposta a tutti i tentativi di ridurre il dinamismo umano a poche pulsioni fondamentali e ai loro derivati. Que­ st'espressione significa che «da funzioni precedenti può nascere una fun­ zione nuova come unità strutturata autonomamente. L'attività di questa nuova unità non dipende dal fatto che rimangano attive quelle da cui es­ sa si è sviluppata».' Il compito della didattica consiste perciò nello sce­ gliere oggetti d'insegnamento polivalenti sotto l'aspetto motivazionale, og­ getti che tocchino contemporaneamente molti motivi. Si deve confidare che in qualche studente si sviluppi da essi un interesse reale. Si fa leggere della lirica politica, ad esempio, per risvegliare l'interesse per la lirica in ge­ nerale attraverso quello per la politica. La nostra questione ora è se tutto ciò valga anche per i motivi religiosi, se l'interesse per la religione possa venir appreso al pari di tutti gli altri interessi. a) Motivi e interessi religiosi. Punto d'appoggio della didattica della religione? Circa cinquant'anni fa sarebbe stato impossibile discutere seriamente di interessi religiosi come punto di partenza dell'insegnamento della reli�io· ne. Con calore la teologia dialettica aveva negato nell'uomo qualsiasi pun· to d'appoggio per la rivelazione, vedendo nella fede un miracolo inespli· cabile prodotto dalla parola di Dio. Si opponeva così alla concezione del· r

G.W. Allpon, F.ntstehung, 494·

Motivi che spingono a comprendere la Bibbia

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la teologia liberale, secondo cui vi sarebbe nell'uomo una predisposizione religiosa che si tratterebbe di risvegliare. La religione sarebbe quindi «in­ segnabile» . ' Il problema allora era posto in questi termini: chi insegna la religione e interpreta la Bibbia può presupporre in coloro cui si rivolge un «organo religioso» , oppure solo la parola di Dio crea in loro quest'or­ gano? È soltanto la Bibbia interpretata in spirito di fede che lo crea? I tentativi di mediazione della teologia ermeneutica sono stati animati dalla convinzione che la ricerca umana di una vita autentica è il punto d'avvio della rivelazione e che nel cor inquietum dell'uomo è da ricercare un riferimento a Dio. • Nell'ultimo secolo il problema del punto d'avvio ha funto da pietra di paragone per le diverse correnti teologiche e di di­ dattica della religione. Il concetto di 49