Bibbia tradotta Bibbia tradita

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Collana

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Studi biblici

S.A. Panimolle, 11 discorso di Pietro all'assemblea apostolica

1: Il concilio di Gerusalemme II: Parola, fede e Spirito III: Legge e Grazia F. Lambiasi, L'autenticità storica dei Vangeli M. McNamara, I Targum e il Nuovo Testamento

C.K. Barrett, La prima lettera ai Corinti

L. L.

Monloubou, La preghiera secondo Luca Alonso Schokel, Trenta salmi: poesia e preghiera

P. Grelot, l Canti del Servo del Signore

J.

Dupont, Teologia della Chiesa negli Ani degli apostoli

P . Lapide, Leggere l a Bibbia con u n ebreo

F.-E. Wilms, l miracoli nell'Antico Testamento Il Midrash Temurah, a cura d i M. Perani

J.

Dupont, Le tre apocalissi sinottiche

l. De la Potterie, Il mistero del cuore trafitto

W. Egger, Metodologia del Nuovo Testamento J. Darù, Principio del Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco S. Zedda, Teologia della salvezza nel Vangelo di Luca

L.

Gianantoni, La paternità apostolica di Paolo

S. Zedda, Teologia della salvezza negli Atti degli apostoli

A. Giglioli, L 'uomo o il creato? M. Pesce, Le due fasi della predica;;ione di Paolo

E. Boccara, Il peso della memoria

L.

Alonso Schokel- J.M. Bravo Arag6n, Appunti di ermeneutica

Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di

H. Simian-Yofre

27.

F. Manns, Il giudaismo G. Cirignano - F. Montuschi,

28.

F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù

29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36.

H.

La personalità di Paolo

Simian-Yofre, Testi isaiani dell'Avvento

M. N obile, Ecclesiologia biblica

L. F.

Ballarini, Paolo e il dialogo Chiesa-Israele Manns, L'Israele di Dio

A. Spreafico, La voce di Dio

G. Crocetti, Questo è il mio corpo e lo offro per voi A. Rofé, La composizione del Pentateuco P. Lapide, Bibbia tradotta Bibbia tradita

PINCHAS LAPIDE

BIBBIA TRADOTTA BIBBIA TRADITA

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Titolo originale: 1st die Bibel richtig ubersetzt?, Bd. l und 2 Traduzione dal tedesco di Romeo Fabbri

C>

1996 Giitersloher Verlagshaus, Giitersloh

C>

1999 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna

ISBN 88-10-40737-7 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2000

•La lingua ebraica è la migliore di tutte e la più ricca di parole. Se fossi più giovane, vorrei imparare questa lingua, poiché senza di essa non si può comprendere rettamente la sacra Scrittura. lnfalli, il Nuovo Testamento, pur essendo scritto in greco,

è pieno di ebraismi e del modo ebraico di esprimersi.

Perciò hanno detto giustamente: gli ebrei bevono alla fonte; i greci dai rigagnoli, che scorrono a partire dalla fonte; i latini alle pozzanghere».

MARTIN LUTERO

(WA, Tischreden, l, 524s)

«La Bibbia esercita la sua influenza nel corso dei secoli. Un processo costante di attualizzazione adatta l'interpretazione alla mentalità e al linguaggio contempo­ ranei... Bisogna dunque costantemente ritradurre il pensiero biblico in un lin­ guaggio contemporaneo, perché sia espresso

in una maniera adatta agli uditori». GIOVANNI PAOLO II

(da un discorso nel centenario della Provvidentissimus Deus e cinquantenario della Divino afflanre Spiritu, 23 aprile 1993, Enchiridion biblicum, EDB, Bolo­ gna 1994, 1256)

AVVERTENZA AL LETTORE ITALIANO

In questo volume Pinchas Lapide affronta i problemi posti dalle traduzioni nelle lingue antiche e moderne della Bibbia ebraica e, più in generale, della mentalità ebraica. Scrivendo in tedesco e per un pubblico tedesco, si riferisce in particolare alla traduzione di Lutero ( 1534), comprese le sue revisioni più recenti (1964 e 1 984), alla Ein­ heitsubersetzung, la traduzione comune delle Conferenze episcopali dei paesi di lingua tedesca (1980) e alla Bible de Jérusalem (1955) e successive revisioni. Le traduzioni inadeguate e i veri e propri errori di traduzione evidenziati da Pinchas Lapide si ritrovano in genere in tutte le ver­ sioni della Bibbia ebraica, comprese quelle antiche (Septuaginta, Vulgata), e in tutte le versioni del Nuovo Testamento in latino e nelle principali lingue moderne. Quando esiste una piena convergenza fra il testo biblico tedesco citato da Lapide e il testo italiano dell'editio princeps 1971 della ver­ sione della Bibbia a cura della Conferenza episcopale italiana, detta comunemente Bibbia della CE/, si riproduce quest'ultimo. In caso di divergenza, le divergenze riguardanti un solo termine o pochi ter­ mini vengono indicate fra parentesi nel corpo stesso della citazione, mentre quelle più estese vengono indicate nelle note a piè di pagina. In entrambi i casi, le divergenze sono introdotte dalla sigla CEI. Nella sua opera, Pinchas Lapide inserisce anche qualche riferi­ mento a traduzioni, modi di dire e/o usi e costumi religiosi tipici della cultura tedesca e che non trovano riscontro nella lingua e/o cul­ tura italiana. In questo caso, per la loro comprensione, il lettore viene ovviamente rinviato al testo-contesto tedesco. 7

Il materiale qui raccolto in un volume unico è stato pubblicato dall'autore in due volumi separati e in qualche modo indipendenti. Come ausilio al lettore, ai fini di una più facile reperibilità dei mate­ riali, qui li dividiamo in tre grandi parti (Questioni generali, Antico Testamento, Nuovo Testamento) e nella seconda e terza parte li di­ sponiamo in base alla successione classica dei libri biblici, dalla Ge­ nesi all'Apocalisse. Il lettore non farà comunque fatica ad accorgersi che Lapide non ama la designazione di «Antico Testamento» e pre­ ferisce parlare di >. 2 In fondo, anche Tommaso d'Aquino afferma lo stesso, quando nella sua Summa scrive: (Ciò che si riceve, viene ricevuto secondo la modalità del ricevente). In origine, il testo sacro era trasmesso oralmente e solo molto più tardi è stato fissato per iscritto. Originariamente, entrambi i Te­ stamenti furono raccontati balbettando nell'ardore dell'esperienza diretta di Dio e solo più tardi furono messi per iscritto, con timore reverenziale, dai loro successori - tutti orientali ricchi di immagina­ zione - per un pubblico dotato degli stessi sentimenti, dunque da persone profondamente coinvolte per i timorati di Dio, cioè da uo­ mini per altri uomini. Solo molto più tardi vennero letti fredda­ mente, spiegati cerebralmente e demitizzati scientificamente dai teo­ logi occidentali. Questo drastico cambiamento di mentalità non poté non produrre gravi fraintendimenti, malintesi e stravolgimenti di senso, che non rendono giustizia né allo spirito né alla lettera della Scrittura, quali dovettero essere intesi dai loro autori e uditori origi­ nari. Ma ciò che è avvenuto in passato, in forma di dialogo parlato può rivivere solo nel discorso, per cui nella tradizione ebraica la Scrittura è destinata a ricondurre alla sua originaria espressione par­ lata. Già il termine ebraico che viene reso abitualmente con significa propriamente ; il nome tradizionale della Bibbia non è quindi , bensì la fatta in pubblico, la lettura che viene davanti alla comunità

1

2

Exodus

Rabba V, 9.

CE!: «> (ISam 25,22.34; IRe 14,10; 16,11; 21,21; 2Re 9,8), mentre la Einheitsubersetzung, in considerazione del fatto che nei monasteri entrambi i Testamenti vengono letti in coro o a tavola, ha preferito un'espressione più elegante: «tutto ciò che è maschile>>. Ma la vera insidia per Lutero e per la maggior parte dei suoi suc­ cessori è stata, ed è, la polisemia delle parole ebraiche fondamentali. Così, ad esempio, shalom non significa solo «pace>>, ma anche «pro­ sperità, incolumità, benessere. gioia, riconciliazione, verità, comu­ nione e armonia».lfesed può significare «fedeltà, giustizia, grazia, ser­ vizio ispirato dall'amore, affetto o procedimento giudiziazio>>. 'Abo­ dah può significare «servizio, cura, culto divino, lavoro o preghiera>>, a seconda della posizione all'interno di un più ampio contesto. Non a torto, al termine della sua introduzione al Salterio tedesco, Lutero prometteva a «tutti i maestri e intelligenti>> 50 fiorini se gli aves­ sero «tradotto debitamente e con sicurezza la parolina l}en che ricorre continuamente nella sacra Scrittura>> e viene resa abitualmente con «gentilezza, grazia, favore, amorevolezza>>. Questa polisemia, da sem­ pre tipica dell'ebraico, ha dalo molto filo da torcere a Lutero: 27

«Ci è capitato spesso di cercare per tre-quattro settimane un unica pa­ rola, chiedendo a destra e a sinistra, senza averla peraltro trovata. Lavo­ rando alla traduzione del libro di Giobbe ... ci è a volte capitato di non riuscire a tradurre tre righe in quattro giorni>>.6 '

Lutero deve aver spesso sospirato come Fridolin Stier (19021974 ), un altro eccellente traduttore dei nostri giorni: «Tradurre i salmi! Parola per parola, versetto per versetto, bloccarsi, in­ cespicare. "Tradurre", e subito stridono e scricchiolano le lingue, quindi "tras-poni" ed ecco i morsi della cattiva coscienza. Il tutto è "affare di trasposizione"; si prende la parola originaria ebraica, si trova per essa qualcosa che vale molto meno e si sa che non se ne salta mai fuori».7

E tuttavia spesso gli riesce quel miracolo del matrimonio fra il registro linguistico tedesco e quello ebraico, che ha potuto trasfor­ mare la Bibbia in un libro di lettura tedesco. Non a caso Heinrich Heine, che ha usato per tutta la vita la Bibbia di Lutero, esclama en­ tuasiasta: «Martin Lutero ci ha offerto non solo la libertà del movimento, ma an­ che lo strumento del movimento; egli ha dato infalli un corpo allo spi­ rito. Ha creato la lingua tedesca».'

Quanto ampiamente e profondamente gli ebraico-germanismi di Lutero abbiano compenetrato la lingua tedesca è documentato da tutta una serie di termini ed espressioni che si sono così ben acclima­ tati nel linguaggio quotidiano che solo gli studiosi della Bibbia pos­ sono ancora riconoscere la loro origine ebraica. 9 Nononostante tutti i progressi scientifici, i viaggi sulla luna e le bombe atomiche, l'uomo continua a ; è un , formato di «carne e sangue>> o ••pol­ vere e cenere>>; in seguito, diventa o «forte come Sansone>>, un , «casto come Giu­ seppe», un >. Ma se >, ha , inutilmente «vuota il suo cuore>> e sospira di ritornare >. Infatti, Dio guarda e non fa . Infine, egli aspira a diventare vecchio «come Matusalemme>>, per i fi­ gli dei suoi figli, prima di percorrere >, di , dal momento che . Tutte queste espressioni correnti sono espressioni bibliche ebrai­ che. Martin Lutero le ha tradotte in tedesco con tale sensibilità e maestria che esse appartengono da oltre quattro secoli al nocciolo della lingua tedesca. 29

Meno facilmente riconoscibili come luterismi biblici sono certe espressioni comuni del linguaggio quotidiano vetero-testamentario come, ad esempio, foglia di fico (Gen 3,7), padre del paese (Gen 41,43), amore del prossimo (Lv 19,18), spina nell'occhio (Nm 33,55), marchio di infamia (Dt 32,5), sangue d'uva (Dt 32,14), tappabuchi (Ne 4,7), rimorsi di coscienza (Gb 27,6), fracasso da pagani (fracasso infernale) (Sal 2,1), valle di lacrime (Sal 84,7), malalingua (Pr 4,24), popolo meschino, gretto (Sof 1,11), promemoria'" (Nm 15,38) e molte altre. La conclusione è evidente: la roccia primordiale della speranza e della fede dell'uomo porta un'indiscutibile impronta ebraica ed è espressa alla maniera ebraica. Questa inesauribile fonte di saggezza vetero-biblica ha influenzato l'intero Occidente: dall'Islanda alla Nuova Zelanda, dalla Norvegia al Cile. Questo tesoro potrebbe per­ dere la sua attualità solo se l'umanità e l'uomo passassero di moda. Fino ad allora noi tutti possiamo costruire tranquillamente, in­ sieme a Mosè e Davide, Gesù e Paolo, sul libro ebraico di Dio dei fi­ gli di Israele. Questo vocabolario biblico si è acclimatato ovunque così profondamente e naturalmente, che persino nel periodo della grande esaltazione della cultura e della razza tedesca nessuno ha pensato di queste parole bibliche, poiché in tal caso si sarebbe dovuta mutilare la stessa letteratura classica tedesca, come ad esempio Goethe e Schiller. In breve, grazie a Lutero, dalla culla alla tomba ogni cristiano, ne sia consapevole o meno, viene conti­ nuamente ricondotto alle sue radici bibliche ebraiche. Lutero era soddisfatto della sua traduzione? Egli la considerò sempre in continuo divenire. Ancora alla fine dei suoi giorni lamen­ tava di non aver più la possibilità di riprendere da capo la traduzione della Bibbia tedesca. Ma per il suo popolo l'opera si è svincolata dalla vita di fede del suo autore ed è diventata il libro fondamentale della lingua alto-tedesca. Ai suoi numerosi critici, >. In seguito, Buber continuò il lavoro da solo e poté completarlo solo nel 1961 a Gerusalemme. La spinta decisiva che convinse Ro­ senzweig a rinunciare al suo progetto originario di «limitarsi a una traduzione di Lutero redatta alla maniera ebraica>> venne dalla vi­ sione buberiana del compito, cioè . Quel dovere era imposto dalla scoperta che «i tempi avevano trasformato in vario modo la Scrittura in un palinsesto>>. 2 I tratti biblici originari, il senso e le parole originarie sono «rico­ perti da una concettualizzazione corrente di origine in parte teolo-

1 Fr. RosENZWEIG, Die Schrift und Lwher, 1926, 51. 2 Una pergamena riscritta dopo aver raschiato il testo precedente.

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gica e in parte letteraria» e ciò che l'uomo contemporaneo normal­ mente legge, quando «apre il Libro», è cosl difforme dal parlare re­ stando in ascolto che vi è stato documentato, «che avremmo ogni motivo di preferire a questa apparenza il rifiuto e la scrollatina di spalle di chi non sa più che farsene di un tale strumento». La rispettosa dimestichezza con il suo senso e la sua sensibilità «è stata rimpiazzata da una mescolanza di rispetto privo di conoscenza e di familiarità priva di penetrazione>>. 3 Come Rosenzweig, anche Buber è consapevole della il compito assunto, ma ne vede l'assoluta necessità «se si vuole che la Scrittura torni a parlare>>. L'impossibilità di rinunciare ai traduttori, nonostante tutta la loro incompetenza, è attestata già dalla stessa Bibbia. Vi era un tra­ duttore già fra Giuseppe e i suoi fratelli in Egitto (Gen 42,23). Fi­ lippo e Andrea sono serviti a Gesù come traduttori per i greci (Gv 12,20-23). Sulla tavoletta posta sulla croce vi erano già due tradu­ zioni (Gv 19,19-20) e il miracolo della Pentecoste è stato anche un miracolo di traduzione (At 2,8). Con il suo Rosenzweig ha centrato il nocciolo della questione, poiché ogni traduttore è soggetto fonda­ mentalmente a un doppio ordine di leggi, che si contrappongono tanto più duramente quanto più la lingua della scrittura primitiva è lontana dalla lingua della traduzione, Nel caso dei traduttori della Bibbia a questo dilemma viene ad aggiungersene un altro: il diritto del singolo passo, che pretende un'espressione letterale, e la legge dell'armonia dell'insieme, che può tollerare differenze e dissonanze, ma non contraddizioni. Nes­ suna meraviglia quindi che gli italiani abbiano introdotto il detto: «Traduttore, traditore>>, che imprime su ogni traduttore il marchio del tradimento o nei riguardi della lingua di partenza o nei riguardi della lingua di arrivo. Voltaire esprime la stessa verità lapalissiana con una relativa maggiore eleganza quando afferma: «Chi legge un capolavoro della letteratura mondiale in traduzione fosse pure la migliore - assomiglia a chi ha un appuntamento con una bella ragazza , ma poi esce alla sera con la sua sorella brutta>>. ' M. BuaER. Zu einer neuen Verdeurschung der Schrift, 5, annesso come qua­ demo accompagnatorio del primo volume dell'edizione integrale della traduzione della Bibbia presso Jakob Hegner Verlag.

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In realtà, l'inadeguatezza umana ha giocato un ruolo, increscioso e importante al tempo stesso, fin dalla prima traduzione della Bib­ bia, la cosiddetta Septuaginta greca, portata a termine circa 23 secoli fa. In questo caso, si tratta in primo luogo di errori di lettura, che scambiano le lettere, passano da una parola a un'altra simile che ri­ corre più avanti nel testo o sconvolgono la successione delle parole, dando così spesso luogo a sostanziali cambiamenti del testo. Nella dettatura, che era prassi corrente negli scrittoi dei monasteri medie­ vali, spesso l'orecchio poteva ingannare al pari dell'occchio. E a tutto questo vengono ad aggiungersi anche gli errori della mano: nello scrivere si scambiano lettere simili, come M e N o U e V, o se ne scrive una sola invece di due o due invece di una. Anche gli errori della memoria portano spesso a scambiare parole che hanno uno stesso senso; e lo stesso dicasi degli errori di valutazione. Nella scrit­ tura continua senza spazi fra le parole, correntemente usata negli an­ tichi manoscritti greci, spesso si separano, o si congiungono, le pa­ role in modo errato. Così, ad esempio, la frase di Gesù in Mc 10,40 può affermare: >. Tuttavia le parole conclusive possono essere lette anche come: > biblica ed eliminare le incrostazioni prodotte da questo cliché casereccio, Martin Buber e, dopo qualche esitazione, anche Franz Rosenzweig si decisero a tra­ durre insieme la Bibbia ebraica in tedesco. Dopo un lavoro prepara­ torio di anni, che si spinse fino ai limiti del dicibile, giunsero alla sor­ prendente conclusione che le traduzioni più importanti - quella greca dei Settanta, quella latina di Girolamo e quella tedesca di Mar­ tin Lutero - non avevano mantenuto le loro promesse. La spinta verso una vera traduzione doveva provenire dall'au­ tentica forma ebraica e doveva proporsi di conservare il carattere originario della Scrittura nella scelta delle parole, nel loro signifi­ cato, nella costruzione della frase e nella sua struttura ritmica. Per assicurare tutto questo, il traduttore doveva ricorrere, al di là del pa­ trimonio lessicale esistente, ad espressioni non usuali, persino a pa­ role dimenticate, e non doveva trascurare neppure la creazione di neologismi nei casi in cui il vocabolario tedesco non disponesse di termini pienamente corrispondenti a una determinata concezione biblica. Stante il baratro che separa la lingua tedesca e la lingua ebraica, entrambi i traduttori furono pienamente coscienti dell'incompiu­ tezza del loro lavoro, ma questo non scoraggiò il loro sforzo di rag38

giungere il miglior risultato possibile. E si scatenò, in realtà, una vera lotta fra i due, poiché, attorno al loro modo di rendere le peculiarità linguistiche, si accese ben presto una battaglia accademica fra i so­ stenitori di una de-ebraicizzazione a vantaggio del tedesco e i soste­ nitori di una iper-ebraicizzazione per amore della fedeltà al testo originale. Quando il primo saggio fu pronto per le stampe, Rosenz­ weig esclamò: >. La loro traduzione è certamente più ebraica di tutte le altre ver­ sioni tedesche della Bibbia. Ma ora è riuscita troppo tedesca? Il let­ tore giudichi da sé sulla base degli esempi che seguono, nei quali si compara frase per frase l'inizio della Bibbia (Gen 1,1-2) secondo Bu­ ber con la Bibbia di Lutero (1964) e con la Einheitsiibersetzung dei vescovi cattolici di Germania, Austria e Svizzera (1980): Buber

Einheitsiibersetzung

Lutero

In principio Dio creò il cielo e la terra.

In principio Dio creò cielo e terra.

In principio Dio creò cielo e terra.

Ma la terra era IrrWirrsal (confusione).

Ma la terra era wiist (desolata) e wirr (disordinata).

la terra era wiist (deserta) e /eer (vuota).

Tenebre sulla faccia del Urwirbel (vortice primordiale).

Tenebre si stendevano sulle acque primordiali.

Ed era buio sull'abisso.

Il Soffio di Dio aleggiante sulla faccia delle acque.

E lo spirito di Dio aleggiava al di sopra dell'acqua.

E lo spirito di Dio aleggiava sull'acqua.

sal (desolazione) e

E

Già nel secondo versetto colpiscono i neologismi /rrsal e Wirrsal, che non solo corrispondono contenutisticamente all'ebraico tohu­ we-bohu, ma creano una coppia di termini il cui suono imita ,acusti­ camente anche l'impetuoso frastuono del mondo primordiale. Ancor meno familiare risulta il terzo versetto, che in ebraico ha un suono breve, quasi a mo' di staccato: we hoseq al penei tehom. Lu­ tero rende queste quattro parole con >, ma con . Il contenuto della Torah è costituito, già dal semplice punto di vista quantitativo, molto più da lieto annuncio, promessa, compimento, storia della sal-

• HERDER, •Geist der hebr!iische Poesie•,

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m.

vezza ed ethos, che non da «leggi>> vere e proprie, da regolamenti e prescrizioni, che sono destinate globalmente a promuovere un ethos umano e la giustizia sociale. Oltre i due terzi della Bibbia ebraica non hanno assolutamente nulla a che vedere con la legislazione, ma sono consacrati all'azione salvifica di Dio nei riguardi del suo po­ polo. La Torah è soprattutto ed essenzialmente nel senso cristiano del termine, buona novella dell'amore di Dio e della libertà di tutti i discendenti di Adamo. Ogni libertà, che non , come i rabbi chiamano il loro divino ammaestra­ mento del Sinai, porta necessariamente all 'anarchia e, in ultima ana­ lisi, alla più gravosa mancanza di libertà: al rendersi schiavi da se stessi di tutte le pulsioni inumane che continuano a pullulare e bra­ mare nel cuore di ogni uomo. Ciò che questa Torah significa per l'e­ breo - e il fatto che Gesù sia un ebreo fedele alla Torah resta un elemento irrinunciabile anche per la cristologia - è chiaramente espresso nella liturgia quotidiana delle sinagoghe (nelle quali egli era solito predicare). Una delle benedizioni fondamentali riguarda il dono della Torah al Sinai, che ha portato, com'è noto. alla costituzione degli israeliti in popolo. Essa non viene chiamata «rivelazione>> o o ad­ dirittura •>, solo al fine di far risplendere ancor maggiormente la luce del cristianesimo, che sarebbe libero dalla legge. In conclusione, tutta la ricchezza di pensiero che si trova racchiusa nel termine To­ rah quale fondamento dell'intero giudaismo non può essere espressa in alcuna lingua straniera senza una notevole perdita di sostanza. L'espressione verbale che più si avvicina sarebbe forse «insegna­ mento di Dio>> o . Ma semanticamente e contenutisticamente errata e tale da gettare una luce sinistra sull'e­ braismo - come anche su Gesù - è certamente la sua abituale di­ storsione in «Legge>>. 2.

IL

PROFETA

«> ricorre oltre 140 volte nelle diverse versioni tede­ sche della Bibbia ebraica e circa 130 volte nel Nuovo Testamento. Nella Bibbia ebraica per lo più in relazione con la parola di Dio che gli viene rivolta; nel Nuovo Testamento per lo più quale garante delle cosiddette , intese appunto a confer­ mare il compimento di tutte le promesse da parte di Gesù. Ma in che cosa consiste l'originario ufficio profetico dell'antico Israele? Che cosa comprende e che cosa non comprende? La Bibbia presenta tutta una serie di attività che vengono defi­ nite profetiche. Così, ad esempio, lddo è lo storico di corte del re Sa­ lomone. Storici di corte sono anche i profeti Gad, Natan e Achìa c di uno dei loro colleghi si dice: (2Cr 12,15). Una seconda attività di questi annunciatori era quella musicale. Come molti odierni pastori d'anime, essi utilizzavano tutti i mezzi di­ sponibili al servizio della loro predicazione. Così in l Cr 25, I leg­ giamo: . 1 2

12

Nella ver.;ione della CE! non si parla di •profeti•, ma solo di «Uomini•.

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Come intercessori i profeti entrarono in azione già al tempo di Abramo, a proposito del quale Dio annuncia in sogno al re Abime­ lech: «Ora restituisci la donna di quest'uomo: egli è un profeta; pre­ ghi egli per te e tu vivrai» (Gen 20,7). A proposito di Mosè, che è considerato il più grande dei «pro­ feti>>, si afferma che solo grazie alla sua intercessione, dopo il pec­ cato del vitello d'oro, è stato risparmiato al popolo il castigo divino (Es 32,1 1ss; Nm 14,13-19). Egli prega con successo non solo per Mi­ riam (Nm 12,13) e per Aronne, il sommo sacerdote (Dt 9,20), ma non meno di otto volte anche per il faraone e per gli egiziani colpiti dalle piaghe, il che permette di considerarlo il primo esempio di amore del prossimo concretamente vissuto. Spesso alla missione profetica era associata la guarigione dei ma­ lati, come ad esempio nel caso di Eliseo, che guarisce il generale ara­ meo Naaman dalla lebbra (2Re 5,8-16), e di Elia, che riporta in vita il figlio morto della vedova di Sarepta (lRe 17,17-24). Un certo numero di «profeti>> si consacra con grande impegno al­ l'attività missionaria, come ad esempio Geremia (lO,lss), che invia i suoi messaggeri in mezzo ai pagani cinquecento anni prima di Paolo. E poiché nella concezione del mondo dell'ebraismo Dio e l'uomo sono partner nell'azione salvifica tesa al miglioramento del mondo, anche la creatura può contraddire il suo Creatore, può muovergli dei rimproveri, può protestare, fino a rasentare la ribellione. Così Abramo discute animatamente con Dio a proposito di So­ doma e Gomorra (Gen 18,23ss); suo nipote Giacobbe lotta con l'an­ gelo del Signore per tutta la notte (Gen 32,23ss) e i «profeti>> mo­ strano immediatamente il loro spirito battagliero. Così Geremia li­ tiga con il suo Dio: (Ger 12,1-2)_ '3 E questa è l'accusa mossa a Dio da Abacuc: (Ab 1,1-3). Gli stessi toni usa anche Giobbe, che è considerato un pagano, ma che fa parte dei grandi . Egli ribadisce con forza il suo

" CE!: «Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa discutere con te . . Perché le cose degli empi prosperano? Perché tutti i traditori sono tranquilli?». .

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buon diritto, con parole che sembrano rasentare la bestemmia: «Com'è vero che vive Dio che mi nega il mio diritto, io mi aggrappo saldamente alla mia giustizia e non la lascio» ( Gb 27,2-6). 14 Non occorre molta immaginazione per rendersi conto del modo in cui questi messaggeri, che osavano citare in giudizio persino Dio, si comportassero con le autorità del loro paese, quando queste ul­ time si abbandonavano alla sete di potere. Così il «profeta» Samuele si rivolge pubblicamente a Saul: «Hai agito da stolto, non osser­ vando il comando che il Signore Dio tuo ti aveva imposto ... Ora il tuo regno non durerà» (lSam 13,13ss; 15,17ss). Non meno aspra­ mente Elia condanna il suo re Acab come «ladro e assassino>>, men­ tre il «profeta>> Natan non esita a riprendere apertamente il re Da­ vide davanti alle persone del suo seguito: «Tu sei l'uomo... che de­ ruba i poveri e commette adulterio>> (2Sam 12,7ss). Per tutti gli uomini di Dio dell'antico Israele il passaggio da que­ sta aperta critica del potere all'attività politica era molto facile. Così Isaia consacra interi capitoli alla strategia che egli raccomanda; Ge­ remia chiede ai suoi governanti una politica estera estremamente impopolare; Amos si intromette senza alcun timore nella politica so­ ciale dell'aristocrazia e i suoi colleghi flagellano senza remore gli abusi morali perpetrati nel loro regno. Non si trattava di pie predi­ che domenicali né di innocui discorsi da opposizione parlamentare, bensì di dichiarazioni di guerra teo-politiche che comportavano in ogni caso nell'antico Israele un pericolo di vita, anzitutto per gli ac­ cusatori e, da ultimo, anche per gli stessi re, il cui potere rimase sem­ pre esposto per tutta la sua durata alla critica «profetica». Ma il compito principale dei «profeti>>, in quanto coscienza del popolo, era soprattutto quello di risvegliare la nostalgia di tutto ciò che è giusto e buono; e, come nel caso di ogni coscienza attiva, spet­ tava a loro attaccare Israele. investirlo con mordente ironia e scuo­ terlo con una critica sferzante. In ultima analisi, il nocciolo del mes­ saggio di tutti i è un unico forte e ricorrente appello alla conversione: un ineludibile appello ad abbandonare l'idolatria delle cose, come ad esempio la ricchezza, la difesa e la prostituzione nei ri-

" CEI: «Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, non rinuncerò alla mia integrità. Mi terrò saldo nella mia giustizia, senza cadere•.

71

guardi degli idoli terreni e a ritornare al Dio dei padri, alla originaria figliolanza divina di tutti i fedeli. Questo grido dei profeti può assumere diverse forme: ammoni­ mento, brusco rabbuffo, lamentazione che suscita il timore, minaccia apocalittica, brutale invettiva, ma anche condizionata promessa di salvezza o allettante richiamo dell'amore di Dio. Essi ricorrono a tutti i registri della polemica e della retorica per invitare Israele a ri­ tornare al proprio Padre celeste, il quale attende il pentimento del suo popolo. In breve, i «profeti>> si occupano di tutto il possibile - a volte anche dell'impossibile - con una sola notevole eccezione: la profezia vera e propria nel senso classico del termine, cioè la previ­ sione del futuro. Il nabi ebraico è un custode dell'ethos biblico, un disturbatore di chi crede di possedere la salvezza, uno staffilatore di ogni forma di ingiustizia, un fustigatore della sete di potere e dello sfruttamento, ma soprattutto un distruttore della concezione superstiziosa di chi considera Dio un distributore di successo. Egli è, non da ultimo, uno che delude tutti coloro che vogliono trasformare Dio in un'assicura­ zione, al fine di conseguire un'assoluta sicurezza. In breve, il com­ pito decisamente scomodo dei > quindi con grande gioia la distruzione di Ninive, ma provoca contro la sua volontà la penitenza della città pagana e si arrabbia a causa della bontà di Dio che smentisce la sua >, come dice Bonhoeffer, né una giustizia sovrumana, ma vuole la sedaqah, un termine dell'ebraico antico che esprime entrambe le cose e le fonde in una superiore unità. Infatti, solo l'armonia di amore e giustizia corrisponde alla visione ebraica del mondo basata su un Creatore giusto e un'umanità maggiorenne. Questa sedaqah non corrisponde né alla dikaiosyne dei greci né alla justitia dei romani, le quali in quanto ponderazione del dare e dell'avere sono diventate espressioni tecniche del linguaggio giuri­ dico. In questo caso, l'essere eticamente giusto dell'ebreo o il dar buona prova di sé davanti a Dio - una condizione a proposito della quale si sottolinea continuamente che ciò che è legale è ancora ben !ungi dall'essere legittimo - diventa una «giustizia>> legale, che l'uomo davanti a Dio. Nella traduzione si perde la voce del­ l'amore divino, che risuona con estrema chiarezza nel pressante ap­ pello profetico alla giustizia, e la coscienza che il mio diritto, nel qua­ dro della sedaqah, include sempre anche il diritto del prossimo. Quando, nella sua animata discussione con Dio a proposito di Sodoma e Gomorra, Abramo osa obiettare al suo Creatore: >, quindi i malvagi, che infrangono tutte le principali norme morali. Il secondo errore consiste in un'er­ rata interpretazione del verbo pahad, che persino nei dizionari viene inteso come sinonimo di «punire» o «colpire>>. Così, ad esempio, in Die Gute Nachricht la frase tratta dai dieci comandamenti viene tradotta: . Un'analisi semantica del verbo pa­ had permette invece di affermare, come constata anche Joseph Scharbert della Commissione cattolica che ha collaborato alla Ein­ heitsubersetzung, che > (Le 1 ,44). Infine, non a caso, la festa cattolica che ricorda la visita di Ma­ ria incinta ad Elisabetta, quando , viene chiamata Visitazione di Maria, come segno della grazia concessa a Maria. Per rendere giustizia all'ambivalenza di questo verbo, Marga­ rethe Susman ha scritto: «Dio visita il suo popolo, lo visita

per

condurlo a sé>> .21

Ciò può essere convincente dal punto di vista teologico, ma non rende assolutamente ragione dei tre passi classici della visitazione (Es 20,5; 34,7; Dt 5,9). Qui si tratta infatti, come chiarisce il contesto, di un «verificare attentamente, esaminare una cosa>>; di i peccatori in caso di ricaduta o mancanza di penti­ mento. Così, anche nella prima stampa ad experimentum della Ein­ heitsubersetzung si diceva molto giustamente: . Ciò significa che Dio non ap­ plica assolutamente una punizione collettiva alla discendenza di un peccatore, ma che attende a lungo - è quindi >

La lingua materna della Bibbia non conosce alcuna formazione dei tempi del verbo nel senso delle lingue indo-europee, ma possiede solo due forme di stato che caratterizzano un'azione come già con­ clusa e compiuta o come ancora in corso o in divenire. Perciò, la con­ cezione ebraica del tempo non conosce né la grossolana ripartizione in passato, presente e futuro, né le sei forme temporali della lingua tedesca. L'ebreo sperimenta il tempo come un flusso che avanza eternamente e mai si arresta. dev'essere inteso quindi nel senso della preghiera quotidiana della sinagoga, nella quale si dice: «Credo con piena convinzione che il Creatore, sia lodato il suo Nome, ha creato tutte le creature e che egli solo ha compiuto, compie e com­ pirà l'opera della creazione».

Questo non solo esprime il concetto fondamentale di un'evolu­ zione che procede in avanti e verso l'alto, ma comprende anche la salvezza come una realizzazione piena alla fine dei tempi. Qui pas­ sato, presente e futuro sono strettamente congiunti in una continuità ininterrotta, poiché nella concezione dell'antico Israele la creazione non è un atto salvifico di Dio compiuto una volta per tutte, ma un atto ricco di benedizione che si compie ogni giorno. > (Gen 1,1-3). Questa traduzione della Einheitsiibersetzung (1980) dà l'impressione di una sequenza temporale, nella quale il «creare>>, )'«aleggiare>>, il e l' costituiscono un percorso. Ma nel testo origi­ nale le cose non stanno in questo modo. Esso collega l'azione con cin­ que «C», sottolineando così la stretta relazione temporale esistente fra queste cinque righe. In base al contenuto, si dovrebbe tradurre: «Quando Dio si mise a creare cielo e terra - allora l'universo era (ancora) informe e deserto, con le tenebre sull'abisso e lo spirito di Dio che aleggiava sulle acque - Dio disse: Sia la luce! E la luce fu». 86

2.

RENDETEVI SOTIOMESSA

LA

TERRA!

Nessun 'altra espressione del racconto della creazione è stata tanto bistrattata, tanto allegramente fraintesa e mal interpretata come ha fatto Lutero in questa sua traduzione, nella quale si ag­ giunge in un'annotazione marginale: , il che può essere considerato solo come una svalutazione anti-biblica della creazione: essa può essere sfrut­ tata e usata come una realtà subordinata e priva di volontà. Invece, nel testo biblico originario, all'uomo viene assegnato il compito di prendersi cura del mondo creato da Dio, non di sottometterlo; di go­ vernarlo, non di usurparlo; di amministrarlo, conservarlo e svilup­ parlo con saggezza e prudenza come amministratore fiduciario di Dio, il quale ha affidato questa buona creazione ai suoi figli. In questa traduzione si perde sia la coppia di suoni, sia il gioco di parole, che collegano inseparabilmente l'adam (il (Gen 2,22). Così si legge pratica­ mente in tutte le versioni tedesche della Bibbia. Il termine ebraico qui usato significa solo raramente «Costola>> e viene tradotto abitualmente con o , per esempio quando si parla della tenda del convegno nel deserto, dell'arca del­ l'alleanza e del tempio di Gerusalemme. Tutti sanno che un fianco è anatomicamente indispensabile, mentre Adamo avrebbe potuto facilmente sopravvivere alla perdita di un'unica costola. Nessuna meraviglia quindi che l'errata tradu­ zione della abbia portato a una svalutazione della donna nel mondo cristiano. Nella derivazione di Eva dal fianco di Adamo i rabbi leggono un senso profondo. Se Dio avesse voluto che la donna dominasse sul­ l'uomo, l'avrebbe creata dal capo di Adamo, così come, ad esempio, Pallade Atena, la dea protettrice dei greci, venne tratta dal capo di Zeus. Se avesse voluto che fosse schiava di Adamo, Dio l'avrebbe formata a partire dai suoi piedi (secondo le pitture e sculture della simbologia orientale). Ma Dio l'ha tratta dal fianco di Adamo, per­ ché l'ha destinata ad essere la sua compagna, in tutto e per tutto uguale a lui, affinché essi compiano il loro viaggio terreno e lo por­ tino a termine fianco a fianco. In questo senso propongo che si proceda urgentemente alla cor­ rezione di questa errata traduzione. 88

5.

«L'UOMO CHIAMÒ (Gen 3,20)

LA

MOGLIE EVA>>

Nella profonda simbologia dei nomi biblici Eva - in ebraico Hawwah - ha tre significati: Eva è non solo colei che dona la vita ­ «madre di tutti i viventi>> - ma anche colei che parla e, non da ul­ timo, colei che dona il senso, cosa che oggi si ama qualificare come intuizione femminile. E tutto questo in tre lettere ebraiche, il cui profondo significato si perde quasi interamente nella traduzione. 6.

COME SI È GIUNTI DA EvA ALLA MELA?

«Allora Eva prese del frutto dell'albero e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era accanto a lei, e anch'egli ne mangiò>> (Gen 3,6). Eva non ha mai mangiato una mela, ma ha preso solo «del frutto dell'albero>> (Gen 3,6). Può quindi aver mangiato fichi, datteri, olive o carrube, ma certamente non delle mele, che sono state importate in Oriente dall'Europa solo nel XIX secolo. La famosa mela, così spesso rappresentata nell'arte occidentale, è entrata nel racconto della caduta dei progenitori a causa di una traduzione errata della Vulgata latina. Lì infatti il serpente dice: «Eritis sicut Deus, scientes bonum et malum>>, che significa: «Sarete come Dio, conoscendo il bene e il male>>. Ma in latino quest'ultimo termine (malum) può si­ gnificare sia che . Ed è proprio questa che è stata retrocessa di quattro righe e posta nelle mani di Eva, la quale durante tutta la sua vita non ha mai visto, e tanto meno man­ giato, una mela. Ma oggi è troppo tardi per procedere a una rettifica di questa falsa traduzione, entrata nel frattempo nella letteratura universale. Del resto, non sarebbe praticamente di alcuna utilità per la teologia morale il voler liberare la buona Eva, con un pedante tratto di ma­ tita rossa, dalla sua famosa mela. 7.

(Gen 4,15)

Dopo il primo fratricidio, Caino è come paralizzato dal terrore davanti ad Abele che giace a terra morto. Allora risuona la voce dal89

l'alto - o si è trattato di una domanda che lo rodeva dentro? -: «Dov'è Abele, tuo fratello?>>. Caino gridò: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! >>.4 Ma la lingua ebraica, grazie alla sua pluristratificazione, per­ mette anche un'altra lettura. Caino potrebbe essersi appellato a Dio: >. Qui si trova la radice dell'espressione tedesca «ingiustizia che grida al cielo>>. Nel testo ebraico a questo punto si trova - cosa 91

molto rara nella Bibbia - la forma plurale di «sangue», che è ov­ viamente intraducibile in tedesco. Nella Mishna (M Sanhedrin IV,5), là dove i giudici ammoni­ scono i testimoni chiamati a deporre in un processo che prevede la pena capitale, questo plurale viene interpretato nel senso che chi uc­ cide un uomo (o contribuisce alla sua condanna a morte con una falsa testimonianza) sparge non solo il suo sangue, ma anche il san­ gue di tutti i suoi eventuali discendenti. Tale è quindi il senso più profondo del plurale grammaticale del termine > (Es 20,5) al tempo stesso, egli è necessariamente un Dio appassionato, che dona e prende, che perdona e castiga, che chiede e concede al tempo stesso. Un Dio senza collera per il peccato, senza zelo per il diritto, che troneggia imperioso in cielo, sarebbe il Dio apatico dei greci, che non vuole saperne della sofferenza del mondo. Al fine di rigettare un tale immagine apatica di Dio, comincia già nel libro della Genesi quell'> (Os 6,6); (Sal 30,6); >, un'ingiunzione che in terra tedesca venne presa alla lettera e stimolò una fervida attività di costruzione di organi in tutto il paese. E così non pochi parroci hanno motivato la costruzione di un co­ stoso organo per la loro chiesa con il Salmo 150. Chi oserebbe obiet­ tare quando (apparentemente) la costruzione dell'organo è pre­ scritta chiaro e tondo dalla stessa Bibbia? 21. LA BIBBIA È PESSIMISTA? «La nostra vita dura settant'anni... e ciò che in essi sembra pre­ zioso è solo vana fatica» (Sal 90,10). Così ha tradotto Martin Lutero e la Einheitsiibersetzung ha ulteriormente peggiorato le cose: > (cf. Lv 28,3), mentre il primo significherebbe «Simone l'esseno». La forza dell'abitudine ha potuto indurre Luca a cambiare questo hapax legomenon in «Simone il fariseo», dal momento che aveva già parlato di altri due farisei che avevano invitato Gesù a casa loro (Le 11,37; 14,1). La stessa forza dell'abitudine, un rotolo con­ sunto o entrambi i fattori, possono aver indotto Matteo e Marco a ri­ tornare all'omeogramma >.35 Ma ciò non corrisponde alle abitudini del­ l'Oriente, dove sono le donne (cf. Gen 24,15) a portare le brocche dell'acqua sul capo o sulla spalla. Un uomo che fa una cosa del ge­ nere può essere solo un non sposato (come era la maggor parte degli esseni) e deve necessariamente attirare l'attenzione. Se a ciò si ag­ giunge che Giuseppe Flavio parla di una «porta degli esseni» nelle mura della città a quel tempo,36 che nei rotoli della scrittura di Qum­ ran sono stati trovati chiari riferimenti a una >.0 Sembra quindi che queste nozze di Cana siano avvenute in un'a­ bitazione essena, il che potrebbe forse spiegare anche l'insufficiente quantità di vino procurata dallo sposo (Gv 2,3 e 2,10). Anche in que­ sto caso affiorerebbe un ulteriore contatto di Gesù con gli esseni, un contatto che offre nuovi e profondi stimoli alla riflessione. 22. GESÙ GUARISCE IL LEBBROSO? (Mc l ,40-45) «Guarigione di un lebbroso»: così intitolano quasi tutte le tradu­ zioni della Bibbia questo breve episodio, che ci viene riferito da tutti e tre i Sinottici, nonostante che, com'è noto, il testo originario non contenga alcun titolo o sottotitolo. Anche i termini «guarigione>> o «guarire>> non ricorrono mai nel testo. Strana è pure l'ingiunzione del silenzio imposta a colui che è stato guarito dalla lebbra, in aperta contraddizione con l'ordine datogli da Gesù: «Va', presentati al sa­ cerdote e offri per la tua purificazione ..>> (Mc 1 ,44 ) . Al termine non si dice né che colui che è stato guarito si sia re­ cato dal sacerdote a Gerusalemme, né che si sia attenuto all'ingiun.

41 bSabbar 96a. " QpN I, 7. "' CD X, W-13.

150

zione del silenzio, ma si afferma al contrario, come c'era da aspet­ tarsi: > (Lv 14,19-20). In breve, poiché la guarigione di un lebbroso da parte di Dio comportava anche delle conseguenze sociali - fine dell'isola­ mento e riammissione nella comunità - la sua guarigione doveva essere confermata ufficialmente dal sacerdote e suggellata con un sacrificio di ringraziamento nel tempio di Gerusalemme. Il rapporto fra Lv 14 e Mc 1,40-45 viene ulteriormente confermato dalla parola 152

di Gesù «mòstrati al sacerdote>> che è tolta alla lettera dal Lv 13,49: un altro esempio della fedeltà di Gesù alla Torah, ma anche della sua accettazine in linea di principio del sacrificio di offerta al tempio di Gerusalemme. Si può ritenere che la nostra pericope debba essere vista sullo sfondo della tradizione profetica di Eliseo, il quale un tempo rese possibile la guarigione dalla lebbra a Naaman, capo dell'esercito del re di Aram. Quel pagano viene in Israele, con una lettera di racco­ mandazione del suo re, per farsi guarire dall'uomo di Dio. Ma Eliseo non lo riceve e gli fa dire di andare al fiume Giordano e di bagnarsi per sette volte nelle sue acque. Dapprima Naman si mostra sdegna­ to - «Forse che i fiumi di Damasco non sono migliori di tutle le ac­ que di Israele?>> (2Re 5,12) -, ma poi si lascia convincere dai suoi servi ad obbedire al profeta; infine, si dice: (2Re 5,14). Ma che cosa lo guarì? La Bibbia ebraica non lascia nel dubbio nessuno dei suoi lettori: la guarigione non è dipesa né dall'acqua del Giordano né dal profeta Eliseo, ma unicamente dalla fede del leb­ broso nel fatto che Dio può prestare soccorso anche nelle peggiori forme di malattia, anche nei casi in cui tutte le medicine umane risul­ tano impotenti. Questo attesta il capo dell'esercito guarito, il quale (2Re 5,15), una verità biblica che Eliseo conferma ulteriormente rifiutandosi di ricevere un qualsiasi dono per l'avvenuta guarigione (2Re 5,16). È quella stessa fede in Dio e nelle sue azioni salvifiche che Gesù non si stanca di sottolineare: , dice alla donna che perdeva sangue, dopo la sua guarigione (Mt 9,22); , dice al cieco non appena questi può vedere (Mc 10,52); , dice (Le 17,19) al lebbroso, il quale mentre si recava dal sacerdote si è trovato purificato (Le 17,14). Che questa fede sia rivolta a Dio - e non a Gesù - lo dimo­ strano numerosi passi dei Vangeli: (Le 17,15).46 Alla donna curva Gesù disse: «Donna, sei libera dalla tua 46 CEI: , poi le impone le mani «e subito quella si raddrizzò e glo­ rificava Dio» (Le 13,12s). Dopo la guarigione del paralitico leg­ giamo: «Tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: Non ab­ biamo mai visto nulla di simile !» (Mc 2,12). Dopo la risurrezione del figlio della vedova di Naim, si dice dei presenti: «Tutti furono presi da timore e glorificavano Dia>> (Le 7,16). In conclusione, ciò che Gesù ha fatto nella pericope che stiamo esaminando corrisponde non solo alla prassi rabbinica del suo tempo47 e alla descrizione di Giuseppe Flavio,48 ma anche al testo originario della pericope, in cui si parla di una da parte di Gesù, della constatazione umana di una guarigione operata da Dio, al quale Gesù, come pio ebreo, rende onore, chie­ dendo di offrire i sacrifici prescritti dalla Bibbia. Come, nonostante tutto questo, ci si sia potuti fare un 'idea errata al riguarto - soprattutto da parte dei pagani, per i quali molto più tardi i Vangeli sono stati tradotti in greco - lo dimostra la pericope del pagano indemoniato : «Dopo aver molto atteso senza vedere succedergli nulla di male (CEI: di straordianrio] ... di­ ceva che era un dio>> (At 28,6). Le numerose analogie fra gli insegnamenti esseni e il patrimonio ideale di Gesù depongono a favore della tesi secondo cui il Naza-

47 Lev R 16.

40

154

GIUSEPPE FLAVIO, Contra Apionem l, 31.

reno avrebbe passato una parte dei suoi «anni nascosti>> (fra i 12 e i 30 anni) a Qumran o in una delle comunità essene presenti in di­ verse città della Palestina.49 Una tesi che risulta rafforzata dalla breve distanza che separava il luogo tradizionale del battesimo di Gesù al Giordano (Mc 1,9 par.) dall'insediamento esseno sulla sponda del Mar Morto. Che lì abbia potuto anche apprendere le co­ noscenze, e imparato a padroneggiare le tecniche, della loro medi­ cina, allora ampiamente nota e stimata, è piuttosto evidente. Questo potrebbe spiegare molte delle sue guarigioni, anche sul piano psico­ somatico (espulsione dei demoni), le quali agli occhi dei contadini galilei dovevano apparire sicuramente come dei miracoli. Ma Gesù sottolinea sempre che tutte le guarigioni sono opera di Dio e questo in perfetta sintonia con la parola biblica: «lo sono il Signore, il tuo medico [CEI: colui che ti guarisce]» (Es 15,26). 23. GESÙ LODA UN IMBROGLIONE? Nessun lettore della parabola dell'amministratore infedele (Le 16,1-9) sosterrà che quest'ultimo sia stato un uomo d'onore e abbia tenuto un comportamento tutto sommato comprensibile e facil­ mente perdonabile. Egli è, in realtà, un vero imbroglione e falsifica­ tore di documenti, una persona che non passerebbe indenne attra­ verso nessun tribunale, ma sarebbe severamente punita. E tuttavia questo grave caso di corruzione viene scelto da Gesù come oggetto del suo insegnamento e (apparentemente) additato ai suoi discepoli come un esempio da seguire. Ma l'apparenza inganna. Vediamo anzitutto il testo e lo svolgimento del racconto. La pa­ rabola dell'amministratore infedele è articolata in tre atti, che sem­ brano procedere logicamente e coerentemente fino alla sorpren­ dente e illogica conclusione finale. L'attore principale del primo atto è il padrone, il quale accusa il suo amministratore di infedeltà, gli chiede di rendere ragione della

49 Riguardo agli esseni FILONE m ALESSANDRIA scrive: «Essi vivono in diverse città e anche in molti villaggi, in grandi gruppi>> (Apologw pro Judaeis, § 1 ) . Così pure, GIUSEPPE FLAVIO in Bel/. Jud. Il, 8,4. Cf. anche supra. il paragrafo 21 intitolato: «Sulle tracce dell'esseno scomparso• ( 1 42ss).

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sua amministazione e, constatata la sua reale cattiva amministra­ zione, lo licenzia. Qui si sottolineano due cose: anzitutto, che l'accu­ sato occupa una posizione elevata - non è quindi un semplice ser· vo - e, in secondo luogo, che è cosciente della giustezza dell'accusa e non può addurre alcuna giustificazione. L'attore principale del secondo atto è l'amministatore. La sua si­ tuazione è disperata e, non essendo abbastanza robusto per com­ piere i lavori propri dei servi, gli resta solo l'umiliante prospettiva di una vita da mendicante. Ma no! Improvvisamente intravede una via di uscita che può consentirgli di trovare accoglienza altrove dopo che sarà stato licenziato. Ed ecco allora il suo piano. Nel terzo atto, la tensione finora col­ tivata e potenziata con semplici mezzi stilistici, culmina nella richie­ sta fatta dall'amministratore licenziato - sfruttando la posizione oc­ cupata fino ad allora - a due debitori del suo padrone di falsificare i loro certificati di debito. Poi il testo greco dice in modo del tutto inatteso: >, i partiti reli­ giosi chiesero in parlamento un voto di fiducia, che poté essere evi­ tato solo dopo che Ben Gurion ebbe ufficialmente dichiarato che quell'originale esegesi biblica era una sua opinione personale e non obbligava quindi il governo ad alcuna presa di posizione. La libertà che Ben Gurion si prese allora e l'errore estremamente probabile di Marco hanno uno stesso fondamento: la polisemia della lingua ebraica aggravata dalla scrittura non vocalizzata. Ma il nostro racconto può nascondere benissimo un significato profondo, che possiamo scoprire solo riflettendo sul significato del termine «porci>> nell'Israele di quel tempo. Com'è noto, la carne di maiale non poteva essere consumata (Lv 1 1 ,7: Dt 14,8) e l'alleva­ mento dei maiali era severamente vietato in tutto Israele (BQ 7,7). «Maledetto l'uomo che alleva maiali! >> (M 64b e Sotah 49b) era con­ siderato un principio basilare assolutamente incontestabile. Il «porco>> era anche l'immagine dell'odiato impero romano, rin­ viando abitualmente al Sal 80,14 dove si dice: . A ciò si aggiunge il fatto che la X Legione Fretense, che allora assicurava in Israele la famige­ rata pax romana ricorrendo brutalmente alla spada, aveva come ma­ scotte un cinghiale. Se a tutto questo si aggiunge ancora il fatto che i legionari romani spesso arricchivano il loro povero rancio militare con carne di maiale rastrellata nel villaggi greci della Decapoli, è chiaro che i termini e •> emanavano un odioso odore politico, soprattutto presso tutti coloro che , come si dice così eloquentemente nel Magnificat (Le 1,49-55), nel Benedictus (Le 1,68-71) e nella profezia della vec­ chia Anna (Le 2,38). Perciò, quando Gesù ammonisce i suoi di (Mt 7,6), essi comprendono che non si deve spre­ care la sapienza della Torah per i pagani e soprattutto per i romani (cf. Pr 1 1 ,22). Quando nella parabola del figliol prodigo si dice: «Allora andò ... e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci>> (Le 15,15), si può intendere certamente un allontanamento dal territorio abitato dagli ebrei, ma anche qualcosa di ancor più spregevole: la collaborazione con i ro=

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mani, quindi una complicità prezzolata con i tiranni pagani. In realtà, una discesa fino nella feccia dell'umanità. Quindi la parabola parla di un ebreo che ha rinnegato la sua eredità biblica, è diventato un traditore, ma alla fine ha comunque ritrovato la strada del penti­ mento e del ritorno. Qui, nella guarigione dell'indemoniato, i riferimenti allo , che si presenta come , , e poi «scongiura con insistenza Gesù di non cacciarlo fuori da quella regione>>, ma di «mandarlo da quei porci>>, sono altrettante evidenti allusioni all'indesiderata potenza romana. Anch'essa non voleva la­ sciare >; anch'essa aveva uno ed era molto numerosa; anch'essa era associata inequivocabilmente ai porci nel linguaggio comune. Perciò, è impossibile non percepire la gioia del narratore quando parla della fine di tutti quei porci (ro­ mani), per i quali si è letteralmente pregato di venire in soccorso. I romani erano giunti in Israele proprio , contro la volontà del popolo ebraico, per cui il loro ritorno a casa sul mare, meglio ancora a capofitto (Mc 5,13), corrispondeva al desiderio di quasi tutti gli ebrei del tempo. A tale riguardo. si può ancora ricordare che Matteo indica come luogo della guarigione Ga­ dara, che, diversamente dalla città di Gerasa, si trovava in prossimità del mare ed era stata distrutta due volte nella guerra contro Roma - entrambe le volte da Vespasiano - e i suoi abitanti erano stati massacrati, fatti prigionieri o crocifissi dal comandante della cavalle­ ria Placido." Il nocciolo storico di questo racconto può esprimere il desiderio, assolutamente comprensibile nei sopravissuti a quel massacro, che i sprofondassero - come un tempo, i cavalli e i cava­ lieri dell'Egitto (Es 14,27) - fra le onde del mare. Anche Joachim Gnilka afferma giustamente nel suo commento al Vangelo di Marco: «L'origine del racconto potrebbe essere zelota» e > (Mt 24,51 ), che ha uno strano suono sia in greco che in tedesco, ma dimostra al tempo stesso che il giudi­ zio di condanna è stato pronunciato nella lingua materna di Gesù. Dobbiamo quindi ritenere di avere a che fare, per quanto ri­ guarda il nocciolo, con un 'autentica parabola di Gesù trasmessa ori­ ginariamente nella lingua materna del Nazareno. Ritraducendo il verbo oggetto di scandalo («tagliare a metà>>) nell'ebraico parlato al tempo di Gesù abbiamo gasar, che ha due si­ gnificati (come il francese trancher): o «decidere; deliberare». Il denominatore comune è il nel senso di smembrare o de-cidere. L'espressione dubbia potrebbe essere tra­ dotta quindi in greco in due modi a partire dal testo originale, che era quasi certamente ebraico: a) , che corrisponde al primo significato di gasar (l Cor 3,25; Is 53,8); oppure b) , che corrisponde al secondo significato di gasar (Gb 22,28; Est 2,1). La seconda traduzione sarebbe non solo contestualmente più fe­ dele, ma risolve immediatamente anche i tre aspetti improbabili di cui si è detto sopra, corrisponde molto meglio all'etica di Gesù e rap­ presenta anche, non da ultimo, una contrapposizione più adeguata con la ricompensa del servo fedele (Mt 24,47). Che questa correzione non ci permetta ancora di vedere nella versione greca il testo originale, dipende, fra l'altro, dal fatto che il servo malvagio, che si è dato alla bella vita, viene detto un >. Questa pericope merita la nostra attenzione per diversi motivi. Cosi, ad esempio, essa rinvia molto chiaramente alla fede nella rein­ carnazione, che era molto diffusa nell'ambiente di Gesù. Inoltre, il brusco cambiamento del nome Simone in quello di Pietro suscita la nostra curiosità: a differenza di diversi altri apostoli, Simone viene presentato fin dall'inizio come uno che non ha un nome greco, ma era, ed è rimasto, un ebreo. Ma su questo ritorne­ remo un 'altra volta. 33. LA DOITRINA DEl DUE REGNI: SI DEVONO PAGARE LE TASSE A CEsARE?

Siamo nella primavera dell'anno 30, nel cuore della Gerusa­ lemme giudaica e nel cortile del tempio. I protagonisti del nostro dramma si guardano e si studiano. Da una parte i fieri sadducei erano allora una quarantina di famiglie che gestivano il culto del tempio -, i quali vogliono compromettere il riottoso predicatore iti­ nerante di Nazaret, poiché temono la sua influenza insurrezionale sulla nutrita schiera dei suoi seguaci (farisei). Dall'altra il Nazareno, circondato da molte centinaia di amici e discepoli, il quale vede nei sacerdoti sadducei dei veri e propri collaboratori dei tiranni pagani 172

romani. Alle due estremità del cortile del tempio stazionano polizia, spie e legionari romani, incaricati soprattutto di assicurare la pace e l'ordine. Ora, in questa contrapposizione intra-giudaica, si abbatte come una mazzata una domanda tranello di un sorvegliante: >. «Di Cesare>> è la risposta generale. Allora risponde in modo chiaro e inequivocabile: «Restituite (CEI: rendete] quindi a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio>>. Qui abbiamo uno degli errori di traduzione più gravi e ricchi di conseguenze negative di tutto il Vangelo. Gesù non dice: «Date>>, ma «Date indietro, restituite>> (in greco apodo te), consigliando in definitiva una rottura non violenta nei ri­ guardi dell'ordinamento politico esistente. In altri termini, poiché secondo il diritto romano relativo alla co­ niazione delle monete, tutte le monete in circolazione che portavano l'effigie dell'imperatore gli appartenevano come sua proprietà pri­ vata, la risposta di Gesù era a prima vista una risposta giusta e cor­ retta. Ma non così per i giudei presenti. Essi compresero chiaramente ciò che Gesù diceva: «Restituite (apodote) all'imperatore il suo pec­ caminoso denaro e non usate!o, come io stesso vi ho dimostrato, af­ finché possiate dare a Dio ciò che è di Dio, cioè il riconoscimento della sua esclusiva sovranità sull'intera creazione, senza domina­ zione pagana e culto idolatrico». 174

I giudei, che allora erano oppressi, compresero benissimo senza il successivo errore di traduzione - il messaggio di Gesù: un deciso rifiuto opposto agli occupanti e ai loro collaboratori per amore del regno di Dio. Con la sua contemporanea richiesta: «Date a Dio ciò che è di Dio, e precisamente tutta la vostra fedeltà, poiché tutto ciò che siete e possedete viene da lui», Gesù si trova ad anni luce di distanza dalla dottrina cristiana dei due regni, che vuole dividere asetticamente il nostro mondo fra Cesare, da un lato - anche nel caso in cui dovesse indossare una camicia nera - e Dio, dall'altro. Nulla è più lontano dall'intenzione del Nazareno, il quale voleva dare tutto a Dio, com­ presa, se necessario, la stessa vita. Le parole che Gesù pronunciò quel giorno a Gerusalemme per i romani erano inoppugnabili, ma per i giudei erano un chiaro invito alla rivolta. Purtroppo per i lettori tedeschi della Bibbia esse continuano ad essere tradotte in un modo che ne travisa il senso. 34. CAVALCARE

SU

DUE

ASINI?

In occasione del suo ingresso a Gerusalemme, Gesù ordina a due dei suoi discepoli: >

La sal­

(Ja/kut Shimoni II,

Rabbi Abbahu intende dire, come hanno spiegato successivi ese­ geti ebrei, che Dio si lascia co-salvare insieme a Israele o in mezzo al suo popolo. Entrambi dipendono quindi l'uno dall'altro, come sotto­ linea spesso la cabbala. La mistica racconta lo zimzum di Dio, il quale si limita fin dall'inizio per fare spazio nell'universo alla crea­ zione. Egli va in cerca dell'uomo, esattamente come quest'ultimo va in cerca di lui. Ora, è evidente il motivo per cui in Matteo doveva essere tradotto erroneamente con >. Poi leggiamo: «Vi mostrerà al piano superiore una grande stanza (CEI: sala]; lì preparate per la cena>> (Mc 14,15). E così avviene. Questo è quanto. Ma scavando più in profondità si scoprono tre dati sorprendenti che solo una più attenta lettura della pericope ri­ vela. Ma torniamo al nostro passo. Riguardo all'uomo che è andato ad attingere acqua, Gesù dice ai due discepoli: (Mc 14,13). Questo particolare permette di concludere che il padrone di casa ap­ parteneva ai circoli esseni o ai loro simpatizzanti a Gerusalemme. Volere o no, presso gli esseni, spesso celibi, il compito di attingere acqua ricadeva sugli uomini, in contrasto con l'usanza orientale che lasciava quest'incombenza alle donne. Ed ecco il secondo dato sorprendente: i discepoli devono dire al padrone di casa (come riportano i più antichi manoscritti greci): > come si addice a uo­ mini liberi. Perciò allora - come ancor oggi - in occasione del ban­ chetto della celebrazione della Pasqua ogni famiglia ebraica metteva a disposizione dei commensali molti cuscini come simbolo di libertà. In conclusione, quest'analisi testuale offre un'ulteriore prova del fatto che il giovedì santo Gesù ha effettivamente celebrato con i suoi discepoli la festa di Pasqua secondo l'usanza ebraica. È interessante notare come questi testi confermino anche che Gesù ha soggiornato spesso a Gerusalemme, dove aveva persino un recapito fisso. La «grande stanza al piano superiore», come sappiano da Mc 14,15, o addirittura, la «grande sala>> secondo altre traduzioni, era abba­ stanza ampia per celebrarvi delle feste o tenervi delle riunioni. Nella descrizione della celebrazione della Pasqua fatta dai Si­ nottici colpisce l'assoluta assenza di donne, in aperto contrasto con la tradizione ebraica. Gli evangelisti hanno forse relegato in cucina le grandi donne (ebraiche) del movimento di Gesù? Dove sono ri­ maste Maria di Magdala, la suocera di Pietro, Marta, Maria e tutte le altre? A tutte le feste ebraiche nella cui origine sono state coinvolte so­ prattutto le donne come, ad esempio, Pasqua, Hannuka, Pentecoste, Purim e altre ancora, la donna ebrea è non solo sollecitata, ma obbli­ gata, a partecipare. in

38. GESÙ

È

STATO TRADITO?

Per diciotto secoli «i giudei>> sono stati considerati: «increduli», solo perché sono rimasti fedeli alla loro fede; «avidi di danaro>>, solo 183

perché apparentemente un certo Giuda ha ricevuto «30 monete d'argento>> per consegnare Gesù; , solo perché lo stesso Giuda avrebbe perché il libro del­ l'Esodo (21 ,32) parla di >, che potevano es­ sere benissimo due o ventiquattro. In entrambi i casi, si trattava co­ munque di una grave infrazione della legge romana, che vietava tas­ sativamente a tutti gli ebrei di portare spade, crocifiggendo spesso come ribelli i trasgressori. Che gli apostoli abbiano effettivamente messo mano alle loro spade lo attesta Luca (22.50), il quale, per un giustificato timore della censura romana, ha dovuto comunque ridi­ mensionare il loro attacco e ridurlo al semplice taglio di un orecchio. «Siete usciti con spade e bastoni come contro un !adrone (CEI: brigante]» (Le 22,52 e par.), così Gesù si rivolta contro il suo arresto, esprimendo chiaramente la sua motivazione politica. Anche il ter­ mine che segue «condurre via, arrestare» (syllambanein) in Mc 14,49 deriva dal linguaggio giuridico romano, come termine tecnico per in­ dicare l'arresto di un ribelle. Analogamente Giovanni (18,12) afferma che l'arresto di Gesù venne effettuato da un'intera cohorte romana (600-800 uomini) con­ dotta dal suo comandante, il che lascia intendere che dovette trat­ tarsi di ben più di tredici inoffensivi predicatori itineranti. Che lo svolgimento di quest'azione romana a tarda notte non sia stato del tutto pacifico lo confermano gli stessi apostoli, i quali chiedono a Gesù: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?» (Le 22,49), il che indica che gli apostoli e i discepoli disponevano di tutta una serie di spade. Sorprendente è anche il fatto che il processo di Gesù davanti a Ponzio Pilato venga messo in relazione con Barabba, «il quale era stato arrestato con gli insorti, che nel corso della sollevazione avevano commesso un omicidio» (Mc 15,7).7° Ci viene quindi detto che pro­ prio nei giorni in cui Gesù operava a Gerusalemme era scoppiata in città una rivolta - si dice la rivolta, dunque un fatto noto a tutti -, nel corso della quale erano stati arrestati diversi «!adroni». «Costui solleva il popolo con il suo insegnamento (CEI: inse­ gnando]» - così si afferma allo stesso tempo a Gerusalemme «per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui» (Le 23,5).

10 CE!: « ..si trovava in messo un omicidio•. .

190

carcere

insieme ai ribelli che nel tumulto avevano com­

Essendo stato arrestato da una cohorte romana (con l'aiuto della polizia del tempio) Gesù è stato fin dali 'inizio un prigioniero dei ro­ mani, il suo processo si è basato su tre accuse politiche (Le 23,2) e il governatore romano lo ha condannato in base al diritto romano come un ribelle politico, come attesta inequivocabilmente la scritta , insieme ai quali ha subìto la morte del ribelle, non fossero semplici banditi o criminali, ma ar­ denti patrioti e martiri per la loro fede, probabilmente addirittura compagni di fede di Gesù, i quali offrirono come lui la loro vita per la liberazione di Israele. La comune esecuzione capitale dei tre ebrei, due dei quali ven­ gono descritti come ribelli e il terzo stigmatizzato come un fallito «re-messia>>, può aver avuto per i romani e gli ebrei del tempo un unico significato: così Roma punisce tutti coloro che minacciano il suo imperium. Ma gli ebrei consci di se stessi davano a tutte le vit­ time della tirannide la qualifica di «santi>>, il titolo onorifico ebraico riservato ai martiri e ai campioni della fede. Se quindi Paolo, molto più tardi, può dire: «lo sono crocifisso con CristO>> (Gal 2,19) e fare di quest'espressione fondamentale il cuore del suo vangelo, lo stesso può dirsi, in modo ancor più con­ creto e significativo, di questi due compagni di sofferenza di Gesù di Nazaret, che attendono da quasi duemila anni la loro riabilitazione. 40. QUANDO E DOVE

È

APPARSO IL RISORTO?

Dobbiamo supporre che le contraddizioni che si trovano nei rac­ conti della risurrezione fatti dagli evangelisti dipendono almeno in parte da errori di traduzione dei loro testi originari c modelli semi­ tici. Quest'ipotesi può essere convalidata da due traduzioni errate che riguardano il luogo e il tempo delle apparizioni del Risorto. Il luogo delle apparizioni del Risorto è stato, secondo Marco e Matteo, la Galilea; secondo Luca, Gerusalemme. Alcuni studiosi hanno poi imputato l'apparizione di Gesù in Galilea a un errore di Marco, per cui quella fatale contraddizione poteva considerarsi ri­ solta. Ma altri studiosi hanno parlato di un errore, assolutamente evidente e per giunta volontario, di Luca. Inoltre, Marco e Matteo 191

non parlano di apparizioni a Gerusalemme e Luca non parla di ap­ parizioni in Galilea; anzi negli Atti degli apostoli, scritti sempre da Luca, il Risorto ha espressamente ordinato ai discepoli «di non al­ lontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre» (At l ,lss). Quindi Luca conosce apparizioni solo a Gerusalemme e dintorni e nulla sa di apparizioni in Galilea. Alla soluzione di questa contraddizione può contribuire anzi­ tutto un'annotazione lessicale. In ebraico il termine galil, con la sua forma femminile galilah, significa semplicemente «regione, con­ trada». A partire da Is 9, 1 . dove si parla di >. Poiché gli Atti degli apostoli mirano inconstestabilmente a spianare la strada al Vangelo nel suo cammino da Gerusalemme a Roma e a celebrare la marcia vittoriosa della fede (cf. At 1,8), il cambiamento del nome di Paolo vuole ov­ viamente simboleggiare questo spostamento del punto focale. D'ora in poi Roma diventa la calamita della nuova teologia missionaria, per cui un nome romano può indiscutibilmente facilitare il raggiun­ gimento di un tale obiettivo. Perché la scelta cadde proprio su Paulos o Paulus? Da un lato certamente a causa dell'assonanza, della prossimità del suono, ma d'altro lato anche e soprattutto perché il nuovo nome caratterizza molto bene Paolo. In latino Paulus significa o , il che si addice al carattere molto complesso di Paolo, che po­ teva essere molto arrogante e aggressivo, ma presentava anche tratti umili, tormentati. A suo modo Paolo di Tarso restò fedele alla tradizione dei suoi padri. Fu un missionario dell'ebraismo, profondamente impegnato nella sua missione di apostolo del suo messia ebreo. Egli la percepì come una vocazione e vi consacrò tutta la sua vita. Questo compito gli diede il coraggio della fantasia teologica. Infatti solo nella misura in cui (lCor 9,20ss) la sua missione poté trovare una risonanza mondiale. Paolo non ha mai incontrato il Gesù di Nazaret terreno e questo ha certamente favorito una certa spinta alla giustificazione e un fa­ natismo molto conscio di sé nella predicazione. Jeshua e Sha'ul sono stati due ebrei che. nella loro concezione del messaggio ebraico e nella sua spiegazione, si sono situati senza dubbio alle due estremità della democrazia esegetica ebraica: Gesù era, e rimase, colui che inaspriva la Torah, la approfondiva, non era disposto a rinunciare a «nessun jota dell'insegnamento>>; mentre 197

Paolo era un riformatore, che voleva spianare il più possibile ai pa­ gani e ai «timorati di Dio», ai quali si rivolgeva, la strada verso il mo­ noteismo. Entrambe le tendenze sono tipicamente ebraiche e coesistono fino ai nostri giorni fra i credenti ebrei, insieme alla nostalgia messia­ nica, all'ardente attesa dell'imminente venuta del messia e alle di­ scordie fra fratelli, comunque senza alcuna divinizzazione di un qualsiasi essere umano. La tanto raccomandata «riconduzione>> di Gesù o addirittura del «figliol prodigo» Paolo in seno al giudaismo mi sembra del tutto su­ perflua, dal momento che entrambi non hanno mai abbandonato la fede nella quale sono nati. Ebreo era e restò per tutta la sua vita an­ che Paolo, come il suo Salvatore, e come ebreo anch'egli mori, come Gesù, per mano dei romani. 3.

PAOLO HA «RIPUDIATO»

D..

SUO POPOLO?

Vi è un passo del Nuovo Testamento che gli avversari degli ebrei amano citare da sempre a riprova del fatto che Israele è stato rigettato. Ecco l'affermazione in questione: «Se infatti il loro [dei giudei] rifiuto è riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro am­ missione se non vita dai morti?» (Rm 1 1,15). Così traduce Martin Lutero, seguìto in questo dalla maggior parte dei traduttori tedeschi della Bibbia. Ma questa formulazione si trova veramente nel testo originale greco della Lettera ai Romani? Scaturisce veramente dalla penna di Sha'ul di Tarso che non si è mai stancato di sottolineare con orgoglio il suo essere ebreo, il suo essere fariseo? (Gal 1,14; 2,15; Rm 9,3-4; ecc.). Assolutamente no. Anche qui abbiamo a che fare, come ac­ cade spesso nel Nuovo Testamento, con una lettura fuorviante o con un tendenzioso errore di traduzione. In Rm 1 1 , 1 Paolo ha posto la domanda retorica: «Dio ha forse ri­ pudiato il suo popolo?», solo al fine di negarla con estrema deci­ sione. Può quindi quattordici versetti dopo affermare che Israele è stato effettivamente ripudiato? La domanda è assolutamente super­ flua in presenza delle altre numerose affermazioni che ricorrono nello stesso capitolo, come, ad esempio: - Israele non è assolutamente ripudiato (Rm 1 1,1-2); 198

- esso è santo nella sua totalità e integrità (Rm 1 1,16); - i giudei hanno continuato ad essere «gli amati da Dio» (Rm 1 1 ,28); - la loro «chiamata» non può essere revocata (Rm 1 1,29); - le > (Rm 3,12). Un caso tipico di queste semi-citazioni che Paolo spesso modi­ fica per porle al servizio della sua estrosa argomentazione è Gal 3,16, dove si dice: > (Mt 18,1-5; Mc 9,33-37). Così aperto e spontaneo, così privo di preoccupazioni e concreto nella sua fede voleva certamente diventare anche il tanto contestato e spesso in lotta con se stesso Paolo di Tarso. In certi circoli della teologia femminile tedesca si afferma da qualche tempo che Gesù di Nazaret sarebbe stato il . Recentemente, negli stessi cir­ coli, ci si è spinti fino ad affermare che Gesù sarebbe stato il . Si tratta di due imputazioni che non hanno assolutamente nulla a che vedere con la realtà storica. La posizione di Gesù nei riguardi della donna e del bambino è in linea di continuità con la sollecitudine e la dedizione agli altri tipica di molte eminenti figure bibliche, come ad esempio, Elia, Eliseo e

7 CEI: «Quand'ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragio­ navo da bambino. Ma divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato».

206

Osea. Se Gesù fosse intervenuto con idee diverse in questioni così delicate come quella della condizione giuridica della famiglia, lo si sarebbe forse lasciato leggere, insegnare e spiegare la Torah, sabato dopo sabato, in tutte le sinagoghe della sua Galilea, come leggiamo spesso nel Vangelo di Luca? In conclusione, diciamo che i traduttori della Bibbia di Zurigo hanno seguito in genere una linea intelligente e coscienziosa nella loro traduzione, per cui faccio i miei migliori auguri alla nuova revi­ sione attualmente (1994) in corso. 8.

BATIAGLIA ATIORNO AL

Maranatha! Quest'invocazione appartiene al patrimonio della tradizione e Paolo l'ha ripresa dagli ambienti della comunità primi­ tiva di Gerusalemme. Essa si trova in traduzione greca al termine del libro che chiude il Nuovo Testamento, l'Apocalisse, e compendia in quattro parole le relazioni fra i discepoli e il loro «salvatore>>: «Amen, vieni Signore Gesù!» (Ap 22,20). Che il testo, originariamente aramaico, di quest'invocazione fosse diventato una formula già alla fine del I secolo risulta chiara­ mente dal fatto che non viene tradotto nei testi scritti in greco per le comunità di lingua greca (cf. 1 Cor 16,24 e Did. 10,6). Esso appar­ tiene cioè a quella serie di invocazioni che sono state riprese diretta­ mente dalla lingua materna dei primi discepoli di Gesù, come ad esempio «alleluja>>, «osanna>>, «amen>> e il familiare «abbà>>. Non che quelle invocazioni fossero considerate intraducibili. Evidentemente si sono conservate in esse esperienze religiose che le successive generazioni hanno deciso di recepire con profondo ri­ spetto nella loro liturgia come «parole originarie di Gesù». Da allora esse fanno parte della roccia primitiva della pietà della comunità cri­ stiana. L'incertezza che contraddistingue fino ad oggi il significato di questa formula dipende dalla polisemia tipica della lingua ebraica e aramaica e dal modo in cui si comprende la Bibbia. Se ci si decide per maran-atha, come fanno alcuni antichissimi manoscritti, la for­ mula significa: « (passato). Ma non meno corretto sarebbe il perfetto presente (scegliendo come base sempre maran-atha): «Il Signore è presente>>. Se invece si divide l'invoca-

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zione in marana-tha, si ottiene un imperativo: > (Le 1,2), tutti rigorosamente ebrei che pensavano. parlavano e tramandavano in lingua semitica, dal momento che durante la sua vita Gesù non ha avuto altri discepoli. In altri termini, vale la pena cercare di spingersi con tutti gli stru­ menti offerti dalla linguistica, dall'acribia storica e dalle scienze bi­ bliche, oltre il testo greco dei Vangeli, per avvicinarsi, per quanto è possibile da esseri umani, alla più antica tradizione dei primi disce­ poli di Gesù. Senza dubbio, non riusciremo mai a liberare Gesù dallo strato di detriti costituito da tutto ciò che si detto e scritto di lui. Oggi, sembra praticamente impossibile riuscire ad estrarlo dalle sabbie alluvionali del linguaggio edificante, attraverso il quale hanno cercato di coglierlo coloro che sono venuti dopo di lui. Comunque nelle relazioni più antiche sopravvive ancora una traccia degli aspetti che non sono stati colti, un'eco del discorso relativo a quegli

' LoHFINK, 5 LoHANK,

Gonesworr im Mensclumworr, 8s. Gotteswort in Menschenwort, 1 1 .

215

elementi di cui non si è saputo rendere conto, ma che superano tutte le limitazioni e le concezioni in cui hanno cercato di imprigionarlo i suoi amministratori posteriori. I l presente volume rappresenta un primo tentativo di ripulitura delle incrostazioni tardo-greche per liberare dai detriti un tratto di strada che conduce al Nazareno. Questa ricerca non mira a generare insicurezza nei credenti in Cristo, bensì ad aiutarli a ritornare a quella «fede ragionevole>> che ha annunciato Gesù (Mc 12,29-34), una fede disposta a ricercare dietro le molte parole la vera Parola. Si tratta di una fede con la F maiuscola in quella verità (Gv 8,32); di una fede che non è certamente (2Ts 3,2), ma che è abbastanza aperta da ammettere gli eventuali errori degli evan­ gelisti; di una fede che non si aggrappa ansiosamente alle singole pa­ role, ma cerca di afferrare il significato globale; di una fede che non impone al testo alcuna dogmatica camicia di forza e non accetta di di­ chiarare santi evidenti e documentati errori di traduzione. In altri termini, si tratta di avvicinarsi maggiormente alla fede della prima comunità cristiana, formata dai primi discepoli di Gesù, a una fede in Gesù che nella sua immediatezza appartiene sia alla storia della fede di Israele che agli annali della Chiesa delle origini. Non si deve propugnare nulla di ciò che è stato detto su Gesù e dopo di lui, ma si deve perseguire solo ciò che egli ha detto, fatto e voluto, senza mescolanze e senza cambiamenti. ..

..

*

Ora, per potersi anche solo avvicinare a questo, bisogna ancora rispondere a molte domande che da secoli e fino ai nostri giorni con­ fondono tanti lettori: - Che cosa significa il misterioso titolo «Figlio dell'uomo•• che Gesù attribuisce circa 80 volte a se stesso e che cosa dice a proposito della tanto discussa auto-comprensione di Gesù? - Gesù ha detto veramente ai farisei: (Le 17,21) o questa espressione può essere stata intesa anche in altro modo? - Quale attesa si cela dietro il gioioso grido >. '0

A proposito della sua nuova traduzione del Vangelo di Marco in ebraico, il protestante Robert L. Lindsey, profondo conoscitore della lingua e cultura ebraica, scrive: «Questo lavoro ha prodotto in me la viva sensazione di essere occupato a restaurare un'opera originariamente ebraica e a crearne al tempo stesso una del tutto nuova ... In questo genere di traduzione esiste conti­ nuamente l'esaltante possibilità di scoprire qua e là le parole stesse di Gesù•.''

Denken in jUdischen Kategorien•, in Freiburger Rundbriefn. 133/140, Freiburg 1 984, 69ss.

8 WIL> (Tt 2,7), 1 5 cosi come esso «corrisponde al sano insegnamento (CEI: dottrina)>> (Tt 2,1 ), per non «lasciarsi sviare da insegnamenti estranei [ CEI: dottrine diverse e peregrine] >> (Eb 13,9), da (At 20,30), perché non avvenga che «ciascuno ab­ bia un insegnamento diverso>> (1Cor 14,26). Infatti, «Chi va oltre l'in­ segnamento (CEI: dottrina] di Cristo, non possiede Dio>> (2Gv 9). Per possedere «il solido fondamento dell'insegnamentO>> (Le 1 ,4) bi­ sogna quindi, come ha fatto Luca, risalire a coloro che sono stati «te­ stimoni con gli occhi [e con le orecchie)>> della vita e dell'insegna­ mento di Gesù, per poi diventare «sevitori (CEI: ministri] dell'inse­ gnamento (CEI: della parola]>>. Si tratta di quei proto-apostoli da cui Paolo ha «ricevuto>> la prima tradizione (1Cor 1 1 ,23; 15,3), che ha poi, a sua volta, «trasmesso>> (l Cor 15.3). Che anche Paolo abbia sentito il bisogno di sottoporre il suo in­ segnamento al controllo di Pietro e delle persone «normative>> e ab­ bia ritenuto importante di dirlo ai galati, lo afferma egli stesso in Gal

12 P. GAECHTER, •Die literarische Kunst im Matthausevangelium», in

Bibelstudien 7( 1966), Sss. 13 P. GAEC"TER, Das Mallh/Jusevangelium, Innsbruck 1963, 20.

Stuugarter

" CEI: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli».

15 CEI: •purezza di dottrina•.

220

1,18 e 2,1-10. Perlomeno in 1Cor 1 1 ,23-25 lascia intravedere che non si è trattato per lui unicamente di un controllo sul contenuto dell'in­ segnamento, ma anche sulla lettera della tradizione che egli cita quasi come uno scolaretto che ha mandato a memoria un brano (dottrinale). Il giudaismo del tempo si basava in gran parte su una cultura della memoria che dai discepoli dei rabbi si aspettava una straordi­ naria capacità mnemonica, perché fossero «come cisterne che non perdono una sola goccia d'acqua>> (Abot 2,8). , recita una regola fonda­ mentale delle scuole della Torah, (Er 21b); e ancora: (Gittin 57a; Er 2lb). La precisione che si riscontra nella copia del rotolo di Isaia tro­ vato a Qumran e la trasmissione praticamente senza errori della Mishnah da parte di generazioni di tradenti sembrano confermare appieno la fedeltà al testo della cultura mnemonica dei rabbi. Le circa 250.000 diverse letture e varianti testuali che si riscontrano nei manoscritti dei Vangeli greci - come si può vedere in ogni edizione scientifica del Nuovo Testamento - dimostrano che i cristiani pro­ venienti dal paganesimo hanno maneggiato con molta maggiore li­ bertà e disinvoltura i documenti della Chiesa. Se già i discepoli dei rabbi si preoccupavano di trasmettere in modo assolutamente fedele le parole dei loro maestri, quanto più devono averlo fatto i discepoli ebrei di Gesù, che era considerato dalla sua prima comunità molto più importante di qualsiasi dottore della legge o esegeta della Torah. Ciò permette al gesuita Paul Gaechter di concludere: «In genere gli ellenisti non possedevano una memoria testuale parago­ nabile a quella degli ebrei che parlavano aramaico ... Finché la tradi­ zione di Gesù

è

rimasta all'interno della cultura mnemonica semitica,

vetero-giudaica, si può presupporre la massima fedeltà letterale consen­ tita ad esseri umani».'6

16 P. GAECHTER, «Die urchristliche Uberlieferung verglichen mit der rabbini· schen Gedachtniskultur>>, in Zeirschrift fur Katholische Theologie 95(1973), 41ss.

221

Globalmente prese, queste concezioni indicano certe conse­ guenze che si vanno consolidando sempre più chiaramente. Eugen Biser, teologo cattolico, afferma: «[Occorre anzitutto) continuare a lavorare sull'ininterrotto rapporto fra teologia e parola rivelata, per ricostruire la forma dell'espressione orale integrale, soprattutto biblica, per aiutare la teologia a uscire dalla sua eccessiva estraniazione scientifica». (E conclude:) «Questo conferisce in gran parte al lavoro da compiere il carattere di una

stica». 17

ricostruzione lingui­

Che questa >

121 122 123 125

. . . . . . . . . . . . . ................... . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . .

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Parte terza

Nuovo Testamento l.

Vangeli .

«CONOSCERE» UN UOMO . . . . . . . . . . ............... ....... CHE COSA CANTANO GLI ANGELI A NATALE? . . DI GIOVANNI CHE NON BATTEZZAVA .............. «RITORNATE» O ? (Mc 1 ,15; Mt 3,2) . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ECCO VERAMENTE UN ISRAELITA? . . . . . . . . . . . . . . . . . . IL TERZO GIORNO DELLE NOZZE A CANA .. . . . . . . SUL COSIDDETTO DISCORSO DELLA MONTAGNA . . PREDICAZIONE DELLA MONTAGNA O INSEGNAMENTO DELLA MONTAGNA? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . «MA IO VI DICO ... >>: TENTATIVO DI UNA RIBELLIONE? . . . . . . . . . . . ......... . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . .. . . . . . . . VI SONO ANTITESI NELL'INSEGNAMENTO DELLA MONTAGNA? DIO NELLE . . . . .. . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . BEATI l PERSEGUITATI PER CAUSA DELLA GIUSTIZIA (Mt 5,10) . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IL PIÙ PICCOLO NEL REGNO DEI CIELI? (Mt 5,19) ADULTERIO NEL CUORE (Mt 5,28) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

(Mt 5,39) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................ UN OCCHIO BUONO E UNO CATTIVO ............. . . . ODIARE E AMARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GESÙ HA INSEGNATO CON PIENA AUTORITÀ? . . . . . COME IL RABBI DI NAZARET DIVENNE SULLE TRACCE DELL'ESSENO SCOMPARSO . . . . .. . . . . GESÙ GUARISCE IL LEBBROSO? (Mc 1,40-45) .... GESÙ LODA UN IMBROGLIONE? . . . ....... . . . . . . .. . . . .

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24. NoN GETIATE LE VOSTRE PERLE DAVANTI Al PORCI! (Mt 7,6) . . . . . . . . .. . . . . . . . . ..... . . . . . . . . . . . .. . . .. . . . . .. . . . . . . . . 25. CIRCA DUEMILA PORCI? (Mc 5,13) . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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26.

VINO VECCHIO E VINO «NUOVO>> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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27. O R A I L MOGGIO È NEL SECCHIO? . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28. LElTO O BASTONE: CHE COSA TRASPORTA IL PARA..

LITICO?

. . . . . . . . . . • ....••........•........ . • . . . . • • . . . . . • . . . • . . . . •

29. PASSA UN CAMMELLO PER LA CRUNA DI UN AGO? 30. IL PADRONE DEVE