M. Tulli Ciceronis, In C. Verrem actionis secundae. Liber quartus (De signis)
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Alessandra Lazzeretti

M. Tuili Ciceronis,

In C. Verrem actionis secundae Liber quartus (De signis) Commento storico e archeologico

Edizioni ETS

www.edizioniets.com

Opera pubblicata con il contributo del"premio G. Nenci 2003", del C.N.R. (Promozione ricerca 2004 - Pubblicazione Opere editoriali "L'identità culturale come /attore di integrazione") e del PAR Progetti 2004

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Ai miei genitori

PREMESSA

l. l.

Motivaziom� scopi e limiti de/lavoro

Le sette orazioni di Cicerone contro Verre (divinatio in Q. Caeci­ lium, actio prima, actio secunda suddivisa in cinque parti o libri, noti con i titoli aggiunti posteriormente: de praetura urbana, de praetura Siciliensi, de frumento, de signis, de suppliciis) hanno per contenuto lo svolgimento di una causa de pecuniiis repetundis in cui l'autore, nel

70 a.C., a Roma, in rappresentanza della provincia di Sicilia, sostenne l'accusa contro Gaio Verre, imputato del reato di concussione per il triennio 73 -7 1 a.C., periodo in cui era stato propraetor dell'isola1. Con il presente lavoro ho inteso redigere un commento di caratte­ re storico-archeologico al quarto libro dell'actio secunda, noto nella tradizione come De signis, nel quale, secondo il riassunto datone dal­ l'oratore all'inizio del quinto libro si esamina come« . Gaius Ve"es . .

in Sicilia sacra pro/anaque omnia et privatim et publice spoliarit » (Il, 5 , 1)2 . Si tratta di un commento ad un solo libro e non all'intera . . .

opera perché esso ne costituisce una parte a sé stante, dotata di una propria autonomia conferitagli dallo stesso Cicerone: ho cercato di analizzare i motivi che hanno spinto l'avvocato a ritenere così impor­ tante il tema delle statue, o, meglio, delle opere d'arte rubate dal pro­ praetor, tanto da dedicare ad esso, nell'ambito dell'accusa, un'apposi­ ta orazione. A proposito delle razzie di opere d'arte perpetrate da Verre durante la sua legatio Asiatica, Cicerone, infatti, preannuncia l'intenzione di trattare l'argomento in una sezione ad hoc: « est . . .

mihi focus ad hanc eius cupiditatem demonstrandam separatus » (Il, l, 45 ) . Nella prima parte del quarto libro (par. 3 -7 1 ) sono esaminati i . . .

furti di opere d'arte e oggetti preziosi sottratti da Verre a privati, nella

seconda (par. 72- 15 1 ) trafugati da città e da luoghi di culto pubblici. 1 MEHL

2

Per i crimina repetundarum di cui Verre era accusato cfr. ad esempio HABER­ 1 958, coli. 1 5 8 1 - 1 622. Cfr. HABERMEHL 1 958, coli. 1 5 93-1602.

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Di furti di opere d'arte Cicerone parla, tuttavia, anche in altri passi delle Verrine, e, talvolta, anche in modo approfondito e circo­ stanziato, come per quelli compiuti ai danni di Eraclio di Siracusa e Stenio di Terme (cfr. rispettivamente II, 2, 3 5-50 e II, 2, 83 - 1 16) , derubati i cui casi non sono trattati nel De signis perché la sottrazio­ ne di beni preziosi costituisce solo uno dei campi in cui si esplicano le malversazioni compiute dall'ex-governatore nei loro confronti nell'amministrazione della giustizia. Ho ritenuto un commento al De signis un argomento di partico­ lare interesse anche perché, mentre, nella vastissima bibliografia su queste orazioni, altri libri dell'actio secunda, soprattutto il terzo, per il quale esistono già dei commenti, sono stati oggetto di specifica at­ tenzione in molti lavori, non è mai stato pubblicato, almeno a mia conoscenza, uno studio storico-archeologico di insieme sul quarto libro3 , e, a dire il vero, non sono molto numerosi neanche i contri­ buti su suoi singoli aspetti che, per lo più, nella maggior parte dei casi sono tutt'altro che recenti. La potenzialità documentaria del li­ bro, evidentemente finora sottovalutata e sottoutilizzata, è, invece, notevole, come ha dimostrato il suo studio sistematico, che ha per­ messo di allargare il ventaglio delle informazioni, consentendo, così, la fruizione di una maggiore quantità di dati rispetto a quelli finora recepiti. Ho cercato, quindi, di colmare una lacuna abbastanza evi­ dente negli studi sulle Verrine, con lo scopo di offrire un commento che consenta di fare il punto della situazione, fornendo un quadro esauriente e il più possibile completo dello status quaestionis, e di aggiornare i dati in nostro possesso. Ad ulteriore testimonianza del­ l'interesse destato da questa orazione, recentemente oggetto di sin­ goli contributi di Chiara Michelini e Maurizio Paoletti, relativi ad aspetti più propriamente archeologici, ma anche storici, di alcuni passi4, e di quanto essa meritasse di essere commentata, nei suoi molteplici aspetti e secondo le diverse competenze, si segnala il vo­ lume relativo alla De signis, con testo critico, traduzione, commento (con ampio spazio dato agli aspetti filologici, narrativi e retorici) , re­ datto da Gianluigi Baldo, edito nel gennaio 20045. Data la tematica trattata nel libro, gli argomenti di maggior inte3 Per lamaggiorpane si tratta di edizioni con note di carattere linguisticoe filolo­ gico, cfr . bibliografia_ 4 MICHELINI 2000 e PAOLETTI 2003 . 5 BALDO 2004.

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Premessa

resse sono quelli riguardanti le implicazioni di carattere culturale e politico dei furti di opere d'arte; il fondamento giuridico dell'accusa per i crimini di carattere religioso; la cultura greca, soprattutto arti­ stica e figurativa, le modalità con cui il mondo romano tardo-repub­ blicano si rapporta ad essa e la sua importanza ideologica e politica nella tarda-repubblica; i valori religiosi in relazione, da un lato, con l'arte, il gusto estetico e il mondo greco, e, dall'altro, con il ruolo della religione nello stato romano; l'impiego ideologico delle opere d'arte. Ma l'obiettivo di un commento il più esauriente possibile rende necessario l'approfondimento di altri aspetti, di volta in volta politici, amministrativi, giuridici, economici, in qualche caso anche linguistici e lessicali. In altre parole, con l'intento di evitare quello che, purtroppo, ac­ cade tuttora troppo spesso anche nella migliore edizione di un testo antico, che « ... può dare l'impressione che le discipline storico-fùologiche e quelle archeologiche abitino su due diversi pianeti . . », il lavoro è stato realizzato tenendo sempre ben presente che,« ... nello studio del mondo antico ... archeologia classica e storia antica operano in una situazione di bilanciamento tra fonti scritte e fonti materiali, .. . due sistemi di fonti, ciascuno dei quali costituisce un sistema in sé organico: essi propongono, infatti, informazioni di tipo diverso, non sempre comparabili, e non possono essere utilizzati in modo indifferenziato, come in un bricolage archeo/storiografico, né possono ignorarsi reciprocamente .. » e che è, pertanto, necessario operare « ... senza istituire correlazioni frettolose e senza forzare i dati, evitando di cercare riscontri archeologici ad ogni singola testi­ monianza letteraria e viceversa . . »6. .

.

.

1.2.

La struttura de/lavoro

TI materiale è stato così organizzato. Per esigenze di spazio ho evi­ tato di riprodurre il testo latino dell'intera orazione e di darne una traduzione; pur tenendo presente altre edizioni, indicate nella biblio­ grafia, in particolare quella curata per la casa editrice Teubner da A. Klotz, il testo usato per questo commento è quello di recente pub­ blicato da Gianluigi Baldo7, essenzialmente fondato sull'edizione di 6

MANACORDA 2004, pp. 34-35. Per la situazione relativa al te sto dell'orazione cfr. da ultim o BALDO 2004, pp. 67-73 ; per il te sto cf r. pp. 77- 14 1 , perla traduzione pp. 1 4 3 - 2 1 1 . 7

lO

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W Peterson (ritenuto il filologo più benemerito del '900 nello studio di queste orazioni), da lui curata nel 1907 per gli Oxford Oassical Texts8, con alcuni punti in cui l'autore ha accolto l'edizione di Klotz9• Ad una breve premessa e una più circostanziata introduzione se­ gue il commento strutturato per lemmi significativi; in ogni lemma ho riportato il testo riducendolo alla parte iniziale e a quella finale della porzione presa in esame, separate da puntini di sospensione. li lavoro è corredato da un apparato figurativo: una cartina geo­ grafica dell'intera Sicilia, con i percorsi stradali di epoca romana permette di visualizzare la posizione delle varie città e delle località dove sono avvenuti i furti; un'altra carta della provincia mostra la ri­ costruzione del percorso seguito da Cicerone nel viaggio di raccolta delle prove; mappe delle singole città in epoca romana evidenziano, ove possibile, la localizzazione degli edifici oggetto di spoliazioni, per alcuni dei quali sono riprodotte anche piante e foto dello stato in cui si trovano attualmente; disegni documentano vari tipi di og­ getti rubati; riproduzioni di foto e disegni di coni monetali o di altre raffigurazioni illustrano alcuni dei tentativi fatti nel corso della sto­ ria degli studi per la ricostruzione dell'iconografia delle opere d'arte rubate. Cartine e schemi illustrano, inoltre, gli aspetti salienti ricava­ ti dallo studio del testo; una cartina (fig. 38) riguarda la distribuzio­ ne dei furti di opere d'arte e oggetti preziosi perpetrati da Verre in Sicilia (si basa su quella già pubblicata da WAURICK 1975 , ma con aggiunte e modifiche, dove i furti sono espressi con simboli indican­ ti i diversi oggetti rubati e la natura del furto, pubblico o privato), nonché la distribuzione dei centri in cui altre persone particolar­ mente in vista erano costrette a produrre stoffe preziose per Verre (cfr. anche fig. 42 per la loro onomastica e per altri aspetti significa­ tivi); schemi riepilogativi dei furti ai danni di privati da un lato (con la loro localizzazione, quando esplicitamente indicata da Cicerone), cfr. fig. 39, e di città e luoghi di culto pubblici dall'altro, cfr. fig. 40; l'onomastica dei privati vittime dei furti di Verre, con il numero dei derubati con nome greco a confronto con quello dei derubati con 8 Ho tratto il testo dal sito internet dei classici latini dell'Università degli Studi di Bologna, il cui indirizzoè www.rassegna.unibo.itHo, quindi, ricontro llatoil testoe ripo r­ tato gli emendamenti adottati allalezione originaria corrispondente appunto all'edizione di W. Peterson, sulla scorta del testo edito daBALDO 2004. Ad essaho, infine, apportato un'ulteriore modifica, dettata dalla convincente proposta di emendamento della crux di II, 4, 128, recentemente avanzatada A. Facella, cfr. commento aII, 4, 128. BALDO 2004 , p. 72. 9

Premessa

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onomastica romana, cfr. fig. 4 1; uno schema a parte (fig. 43 ) è stato realizzato per le statue o gli altri oggetti preziosi in qualche modo legati al nome di Scipione Emiliano, nel tentativo di visualizzare meglio quali di essi possano essere stati restituzioni di opere pre­ date in precedenza e quali, invece, donazioni; una carta teotopica (fig. 44 ) della Sicilia (ispirata, ma solo ispirata, a quelle di TROPEA 1902 e DE Vmo 1990, p. 209) illustra la distribuzione dei culti nel­ l'isola secondo la testimonianza del De Signis e dei rimandi in esso contenuti a situazioni trattate nel II libro, con le eventuali conferme provenienti da altre fonti, distinguendo se si tratta di altre fonti let­ terarie, oppure epigrafiche, o numismatiche; una cartina dei luoghi della Magna Grecia, della Grecia e dell'Asia minore elencati nell'ex­ cursus dedicato a famose opere d'arte del mondo antico in II, 4 , 134-13 5 (fig. 3 7 ) . Alcune figure riepilogano le occorrenze di voca­ boli particolarmente importanti che ricorrono con una certa fre­ quenza nel quarto libro: quelli indicanti le abitazioni, i luoghi di culto, la sfera religiosa, le statue. Ci sono, poi, indici delle varie fonti (letterarie, epigrafiche, numi­ smatiche) che hanno concorso alla ricostruzione storico-archeologi­ ca che si è inteso realizzare, un indice onomastico e uno geografico. Completano il lavoro un indice generale e la bibliografia. Pur non avendo quest'ultima nessuna pretesa di completezza, si è cerca­ to, comunque, attraverso lo spoglio sistematico dell'Année Philolo­ gique fmo all'ultimo numero edito disponibile, quello del 2003 , di realizzare un repertorio bibliografico il più possibile completo; tut­ tavia, non si può escludere che possa essere sfuggito qualche contri­ buto, presumibilmente anche importante per questo lavoro, non ne­ cessariamente recentissimo.

In conclusione, desidero ricordare che questo mio lavoro ha avu­ to origine con una tesi di dottorato di ricerca in Storia antica (Storia politica e culturale dell'antichità classica), XIV ciclo, discussa nel 2002 presso l'Università degli Studi di Firenze, tesi che ha, poi, con­ seguito il «Premio Giuseppe Nenci>>, conferito nel 2003 dalla Scuo­ la Normale Superiore di Pisa, con la seguente motivazione« . . . per la vastità delle problematiche esaminate e per la completezza della bibliografia utilizzata nella ricerca relativa allo studio del testo del De Signis di Cicerone ...». A tutti coloro che in vario modo, con validi consigli e competenti suggerimenti, con paziente ascolto e costruttiva critica, con proficui

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dialoghi e produttivi scambi di idee, con punti di vista differenti e spunti interessanti, con aiuto fattivo e appoggio morale, hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro, va il mio ringrazia­ mento. San Quirico d'Orcia, agosto 2005

Alessandra Lazzeretti

INTRODUZIONE

L'arco temporale coperto dal racconto del De Signis è molto am­ pio: nel libro Cicerone fa riferimento non solo a fatti avvenuti fra 73 e 7 1 a.C., o ad altri avvenimenti della precedente carriera di Verre o, comunque, di pochi anni prima, ma anche ad accadimenti del passato, dalla presa di Siracusa a quella di Cartagine, dalle guerre servili ai processi ai precedenti governatori della Sicilia, fornisce informazioni di varia natura sulla storia, i culti, l'ordinamento e l'amministrazione della provincia. Per una migliore comprensione del De Signis ripercorro, quindi, per sommi capi, la storia della pro­ vincia e la sua organizzazione (con particolare riguardo per la posi­ zione giuridica delle varie civitates siciliane teatri dell'azione), alcuni esempi precedenti di sottrazioni di opere d'arte come prede belli­ che nella storia romana repubblicana, la legislazione relativa al pro­ cesso de repetundis, prima di trattare delle accuse mosse contro Ver­ re, dello svolgimento dell'azione giudiziaria a suo carico, della sua figura e dell'immagine datane da Cicerone nelle Verrine. Nel commento il lettore trova particolari su numerosi altri aspetti, quali: la problematica relativa ai vari tipi di documenti utilizzati da Cicerone (testimonianze orali, prove scritte, registri pubblici e priva­ ti, iscrizioni, ecc. ecc.); gli archivi dei documenti ufficiali delle città della provincia, la loro natura e la loro ubicazione; i supporti scritto­ ri; i documenti falsificati; l'uso del latino e l'uso del greco nei docu­ menti privati e in quelli ufficiali; le fonti epigrafiche, la loro natura e il loro utilizzo da parte dell'avvocato, nonché la lingua in cui erano redatte, non solo latino e greco ma anche punico; i discorsi di Cice­ rone; le informazioni di carattere economico relative, ad esempio, al­ la produzione, al commercio e all'utilizzo di beni di pregio; la cultu­ ra artistica ciceroniana, soprattutto in campo figurativo; il ruolo e la posizione di mercatores e negotiatores; il prestigio degli equites; i rap­ porti di patronato di clientela; la proxenia; l'etica familiare, per quan­ to riguarda, ad esempio, il richiamo a Scipione Nasica, fra i giudici al processo, perché difenda i monumenti di quello che Cicerone

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presenta come suo antenato, l'Emiliano; le indicazioni relative ad al­ cuni luoghi di Roma e quelle riguardanti, invece, altre località, soprat­ tutto del mondo greco; la casa privata come ornamento per la città, attraverso le vicende di Gaio Eio di Messina; qualche cenno al voca­ bolario ciceroniano relativo ai termini riferiti alla sfera religiosa (sacer, sanctus e religiosus) e ai luoghi di culto (aedes, templum, sacran"u m, /a­ num) o a quelli indicanti le statue (signum, simulacrum e statua).

I. La

Sicilia romana

I. l . LA conquista e la riduzione a provincia della Sicilia

La Sicilia costituì nel 237 a.C., insieme alle isole maltesi, alle isole Egadi e a Pantelleria, la prima provincia romana: Cicerone stesso (Il, 2, 2; cfr. anche pro Scauro 26) sostiene che deve essere conside­ rata con particolare riguardo rispetto alle altre conquiste romane perché è stata la prima ad essere chiamata provincia e a rendere consapevoli gli antichi Romani del significato del dominio su popo­ lazioni straniere, nonché la sola a restare sempre fedele a Roma 1• La conquista della maggior parte dell'isola fu conseguita durante la Prima Guerra Punica, al termine della quale, nel 24 1 a.C., dopo la battaglia delle Egadi, tutta la zona precedentemente soggetta ai Car­ taginesi passò sotto il dominio romano ( Liv. Epit. 1 9 . XXX , 44 . Polyb. I, 6 1 , 3). li primo assetto a questa parte del territorio sicilia­ no fu dato nello stesso anno da Quinto Lutazio Catulo2 . Nel 227 a.C. la parte dell'isola conquistata dai Romani ebbe il primo preto­ re, C. Flaminius, cos. 223 e 2 1 7 a.C. (Solin. 5. 1, p. 52 M)3 . La zona costituita dalle sei città sulla costa orientale che formavano con il lo­ ro territorio il regno di Gerone II fu conquistata con la Seconda Guerra Punica ad opera di Marco Claudio Marcello, cos. 222, 2 15, 2 14, 2 1 0 e 208 a.C., procos. 2 1 2 a.C., e Marco Valerio Levino, cos. 2 1 0 a.C.4• 1

423 . 2

Sul particolare rapporto fra Ro ma ela Si cilia cfr., ad esempio , SAJITORI1983, pp. 415·

PA CE 1935, p. 2 84. MRR, I, p. 229, do ve si segnalano , relativamente all'ele zio ne di quattro preto ri anche Liv. Per. 20 eXXXIII, 42, 8; Dig. l, 2, 2, 32. 4 MRR, I, p. 278 co n l'indicazio ne ditutte lefo ntiantiche. Per la figura diMarcello cfr. in/ra e co mme nto aII, 4, 1 1 5 e 1 20. 3

Introduzione

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1.2. /;ordinamento di Marco Valerz"o Levino

e l'economia agraria della Sicilia Marcello, eletto console per il 2 1 0 a.C., ebbe in sorte la Sicilia ma, dopo le proteste dei Siracusani per il trattamento da lui riservato alla loro città, la lasciò al collega Levino (Liv. XXVI 29, 1 -9 . XXVI 32, 8. Val. Max. IV, l , 7. Plut. Mare. 23 ) . Questi, dopo aver risolto le questioni più urgenti a Siracusa, mosse contro Agrigento, che fu pre­ sa grazie al tradimento. Dopo la caduta della città ogni opposizione a Roma venne meno e tutte le comunità della Sicilia passarono dalla parte dei Romani (Liv. XXVI 40, 14)5• Levino si preoccupò imme­ diatamente di riportare l'isola alla normalità, favorendo il ritorno nelle proprie case e nei propri campi degli abitanti della Sicilia anda­ ti esuli, affinché riprendessero a produrre grano per Roma (Liv. XX­ VI, 40, 16. XXVII, 5, 3 )6. Proprio in questo consiste la particolare posizione della Sicilia, /ructuosissima atque opportunissima provincia (Il, 3 , 226), rispetto alle altre provincie romane7 : Cicerone ricor­ da che Marco Porcio Catone l'aveva definita « . . . dispensa dello stato romano e nutrice della plebe di Roma . . » (Il, 2, 5) 8 . La ripresa del­ l' agricoltura siciliana era, infatti, funzionale alla politica di Roma e Levino aveva avuto dal senato specill che istruzioni a questo riguar­ do, tanto che, in una lettera indirizzata ai senatori per informarli del proprio operato, evidenzia in modo particolare il suo ruolo di re­ stauratore dell'agricoltura siciliana ( Liv. XXVII, 5, 3 -5)9• Levino fece, quindi, ritorno nell'Urbe, ma nel 209 a.C. fu di nuovo inviato in Sicilia dove rimase come proconsole Hno al 207 a.C. 1 0; dotato di grande familiarità con il mondo greco, era, probabilmente, animato da un sincero fùellenismo1 1 e si comportò con molta clemenza anche verso le città infedeli l2. ,

,

,

.

' VERBRUGGHE 1 976, p. 48. 6 PACE 1 93 5 , pp. 3 7 1 -372, dove l'autore ricorda il mosaico di Ostia, risalente all a metà del I sec., con la personificazione delle quattro provincie granarie dell'impero, in cui la Sicilia è raffigurata con la Spagna, l'Africa e l'Egitto. GOLDSBERRY 1 973, p. 23 8 . MANGANARO 1 97 2 , p. 444. VERBRUGGHE 1 97 6 , p. 4 9 . MANGANARO 1 9 80, p . 416. ScUDERI 1 996, pp. 414-415. 7 CLEMENTE 1 988, p. 1 05. SCUDERI 1 996, pp. 414-415. 8 VERBRUGGHE 1 976, p. 49 . 9 VERBRUGGHE 1 976, p. 48. MAzZA 1 9 8 1 , p. 28. 10 BROUGHTON 1 95 1 , pp. 287 , 292, 296. C!CCOTn 1965, p. 58. TOYNBEE, 1965, p. 2 1 0. MANGANARO 1 980, p. 4 1 6. 11 MAN GANARO 1 980, p. 4 1 8. MAZZA 1981, p. 24. 12 MANGANARO 1 980, p. 4 1 9.

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M . Tuili Ciceronis, I n C Ve"em actionis secundae Liber quartus (D e signis)

Dopo la conquista dell'isola, Roma si trovò di fronte al problema di organizzare forme di governo per una terra che aveva avuto già una lunga e completa civilizzazione: nella sistemazione della Sicilia, considerato anche il diverso assetto dato, un po' di tempo dopo, ad altre regioni come la Sardegna e la Spagna, si mostrò ancora una volta il notevole spirito di adattamento di Roma all e diverse situa­ zioni che le si presentavano 1 3 . Mentre il senato di Roma mirava alla ricostruzione d i un 'econo­ mia agricola siciliana a base cerealicola, a partire dalla metà del II sec. a.C. comincia a essere evidente nell'isola la presenza di apparte­ nenti al ceto equestre che, insieme ad italici e a grecanici dell'Italia meridionale, tendevano ad investire soprattutto nell ' economia estensiva di allevamento e pascolo 14. n primo ordinamento amministrativo dell'intera isola risale pro­ prio all a sistemazione condotta da Levino nel 2 1 0 a.CP, tesa a sta­ bilire sul piano del diritto i rapporti fra le singole città della provin­ cia e Roma e un organico sistema tributario 16: la sua opera in Sicilia è stata riconosciuta come incisiva ed efficace17 . I.3. Publio Rupilio e la lex Rupilia Quasi un secolo dopo, decisiva per l'assetto definitivo della pro­ vincia fu la prima guerra servile, conclusasi con la vittoria dei Ro­ mani ad opera di Publio Rupilio Calvo1 8, che al termine della guerra restò in Sicilia, forse come proconsole per ill31 a.C . , al fine di rior­ ganizzare l'isola19. Assistito da dieci legati del senato, diede alla pro­ vincia l'ordinamento amministrativo ancora in vigore al tempo di Verre2° e noto come Lex Rupilia (II, 2, 1 3- 1 6. Cfr. anche Val. Max. 13

CLEMENTE 1 988, p. 1 05 . MAZZA 1 98 1 , p. 3 0 . 1' PACE 1 93 5, p . 285. CLEMENTE 1 988 , p . 109. !6 MANGANARO 1 980, p. 4 1 7 . 17 MAZZA 1 98 1 , p . 24. 1 8 MRR, I, p. 498 con l'indicazione delle fonti antiche. 19 SCRAMUZZA 1 93 7 , p. 246. Broughton (BROUGIITON 1 95 1 , p. 498) non conosce governatori romani in Sicilia nel 1 3 1 a.C. e attribuisce il lavoro di riorganizzazione di Rupilio al 1 3 2 a.C., anno del suo consolato. TO YN BE E 1 965, p. 3 27 . In GOLDSBERRY 1 97 3 , p. 246 l'autrice sottolinea che è possibile che Rupilio sia rimasto in Sicilia come proconsole per il 1 3 1 a.C. ma che nessuna fonte antica ne parla. MANGANARO 1980, p. 43 9 . 2 0 TOYNBEE 1965, p. 218. GOLDSBERRY 1973, pp. 246,289. 14

Introduzione

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VI, 9, 8)21. Quella che i Siciliani definivano così era, in realtà, come ricorda anche Cicerone in Il, 2, 32, solo un decretum, divenuto, poi, la /ex provinciae22• Basandosi su quanto già stabilito da Levino23 , la /ex Rupilia, che doveva essere una regolamentazione generale per tutta la provincia24 , dava un assetto defmitivo all'ordinamento della Sicilia, modificato varie volte dal 2 1 0 a.C. Sebbene in II, 2, 40, Cice­ rone indichi esplicitamente che la legge riguardava anche altri cam­ pi, tutto ciò che sappiamo su di essa è quanto egli ci dice in II, 2, 32, relativamente all'amministrazione della giustizia25, fornendo una summa dello ius Siculorum26 e riferendo un breve sommario degli articoli riguardanti la procedura giudiziaria e le norme da osservare nelle cause private, che variavano secondo lo stato civile delle due parti in causa27. 1.4. Le città della Sicilia e la loro posizione giuridica

nei confronti di Roma

Grazie soprattutto alla testimonianza di Cicerone, è possibile ten­ tare di ricostruire l'assetto giuridico e tributario dato all'isola da Le­ vino e perfezionato da Rupilio. Cicerone stesso presenta la condizio­ ne della Sicilia prima della pretura di Verre in II, 3, 12, dove consi­ dera vantaggiosa la situazione siciliana rispetto a quella delle altre provincie, poiché la Sicilia è stata amichevolmente accolta dai Roma­ ni sotto la loro protezione, mantenendo verso Roma gli stessi rap-

21 Per la legge cfr. CARCOPINO, 1914, pp. 150-152 in panicolare. ScRAMUZZA 1937, pp. 246-248; ROTONDI 1966, p. 489; DE MARTINO 1966, p. 285; MANGANARO 1972, pp. 445 e 451. MAzzA 1981, p. 40. 22 LoPEZ 1972, pp. 178-191. GOLDSBERRY 1973, p. 344. 23 GOLDSBERRY 1973, p. 289. 24 MAzZA 1981, p. 30. 2' Per l'interpretazione di questo complesso passo ciceroniano cfr. GOLDSBERRY 1973, pp. 342-356. 26 CALDERONE 1976-77, p. 373. 27 MAzzA 1981, p. 40. Seguendo l'esposizione di Cicerone, se la vertenza è tra cit­ tadini siciliani della stessa città il dibattito deve svolgersi nella loro città e secondo le loro leggi; se, invece, i cittadini siciliani sono di città diverse, è il governatore a dover sorteggiare i giudici per il processo; se la vertenza vede contrapposti un privato e una comunità la giuria è affidata al senato di un'altra città; infine, se la disputa è tra cittadi­ ni romani e cittadini siciliani ci sono due casi diversi: se è il romano a far causa al sici­ liano, il giudice sarà siciliano, viceversa sarà un romano. In tutti gli altri casi i giudici vengono solitamente scelti fra i cittadini romani del distretto interessato.

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porti di sudditanza che aveva precedentemente verso i sovrani locali. La posizione giuridica di ogni civitas era stabilita in rapporto al suo comportamento nei confronti di Roma; proprio per questo mo­ tivo, poteva essere modificata dal senato sia come premio, sia come punizione. Al tempo della pretura di Verre in Sicilia le città dell'iso­ la erano secondo alcuni sessantacinque, secondo altri sessantottd8. Tali computi sono stati effettuati sulla base della lettura combinata di II, 2, 1 3 3 e 1 3 7: nel primo brano, infatti, Cicerone parla di due censori per ogni città; nel secondo il numero totale dei censori viene stabilito in centotrenta: le città risultano così essere sessantacinque, interpretazione che è stata sostenuta, fra gli altri, da Carcopino e Scramuzza29. Altri, anche in base alla testimonianza di Plinio il Vec­ chio, che in N. H. III, 88 parla di sessantotto città, ritengono che al­ le sessantacinque città, che avevano ciascuna due censori, si devono sommare le tre civitates foederatae, che non avrebbero avuto censo­ ri , per un totale di sessantotto. Ciccotti, ad esempio, era favorevole a questa seconda ipotesi chiamando in causa anche Diodoro che in XXIII, 4 parla di sessantasette città a cui va sommata Siracusa, e Li­ vio che, in XXVI, 40, cita sessantasei città a cui devono aggiungersi Siracusa e Agrigento della cui presa ha già parlato30. I.4. 1 . Le civitates foederatae

All 'interno delle sessantacinque o sessantotto città della Sicilia è possibile distinguere diversi rapporti con Roma, in base ai quali Ci­ cerone le divide in quattro gruppi in II, 3, 1 3 - 1 4 . n primo è costituito dalle civitates /oederatae, quelle cioè che go­ devano di un trattato di alleanza con Roma, Messina e Taormina. Messina fu la prima città della Sicilia ad acquisire questa condizio­ ne, probabilmente nel 264-263 a. C. , all 'inizio della Prima Guerra Punica3 1 . Taormina, forse astenutasi dalle ostilità, divenne civitas /oederata al termine della Seconda Guerra Punica (Diod. XXIII, 6. Appian. Beli. Sic. 5)32. La testimonianza di Cicerone si riferisce, 28

PACE , 1935, p. 285. GABBA 1959, p. 305 , nota

nr.

4. GOLDSBERRY 1973, pp. 301

e

379-380, nota nr. 77. Cfr. inoltre GOLDSBERRY 1973, p. 766-779 dove l'autrice tenta di

identificare queste 65 o 68 città. 29 CARCOPINO 1914, pp. 207-211. SCRAMUZZA 1937, pp. 328-329. JO ClCCOTTI1965, p. 60. H Della condizione di civitas foederata di Messina si parla anche in Plut . Pomp., 10. Per maggiori dett agl i dr. commento a II, 4, 3. } 2 BADIAN 1958, p. 37, nota nr. 3. GOLDSBERRY 197 3 , pp. 288-289. MANGANARO

Introduzione

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probabilmente all'assetto dato all'isola d a Levino fra 209 e 207 a.C . In questo elenco delle civitates /oederatae manca, infatti, Neto33 che, secondo Manganaro, acquisì il /oedus probabilmente nel 1 3 1 a.C. , forse in seguito al comportamento meritevole tenuto nel corso della rivolta di Euno durante la prima guerra servile34 e che Cicerone stesso include fra le civitates /oederatae in II, 5, 56 e 133. Con l'ipo­ tesi di Manganaro non concordano Schmitt e Goldsberry che riten­ gono la stipula del trattato fra Neto e Roma più o meno contempo­ ranea a quella fra Taormina e Roma35. I /oedera che regolavano i rapporti di queste città con Roma era­ no differenti fra loro. Cicerone si sofferma più diffus amente sugli obblighi del/oedus fra Roma e Messina, completamente stravolti da Verre per favorire i Mamertini36. Messina doveva fornire una nave, come risulta da II, 5, 50 ed anche soldati e marinai, così come Ne­ to3 7 , obblighi da cui Taormina era esente (Appian. Bell. Sic. 5 ) . Le civitates /oederatae mantenevano le loro leggi, i loro costumi e i loro organi di governo e non erano soggette al potere del governa­ tore della provincia e all'occupazione militare, conservando i loro beni e i loro territori (II, l, 160. Cfr. anche Plut. Pomp. 1 0 , 2)38, questi ultimi sempre esenti, chiunque li coltivasse, dal pagamento della decima (Il, 3, 13)39. 1980, pp. 415 e 418. Sull'ordinamento della città cfr. SARTORI1954, pp. 356-376. Per la data del trattato fra Roma e Taormina sono state fatte diverse ipotesi riassunte in AR­ DIZZONE 1967, p. 166, nota nr. 47, cfr. anche SCHMITI 1969, pp. 256-257, nr. 534 con l'indicazione delle fonti antiche. La più accreditata, sulla base della testimonianza di Appiano in Bel/. Sic. 5, è il212 a.C., non sappiamo se prima o dopo la presa di Siracu­ sa. Se esso fu stipulato prima, indica, probabilmente, che Marcello cercava di assicura­ re alla parte romana l'alleanza di Taormina, città strategicamente importante, in un momento della guerra molto critico per i Romani, mentre molte altre città si erano schierate con Siracusa ed erano ostili a Roma (GOLDSBERRY 1973, p. 288); se, invece, la stipula del trattato è posteriore alla presa di Siracusa, esso costituisce, probabilmente, una ricompensa per Taormina che non aveva dato aiuto ai Cartaginesi durante la guer­ ra (GOLDSBERRY 1973, p. 289). H PluTCHARD 1 975, p. 41. 14 MANGANARO 1980, p. 418 dove, però, l'autore non cita le fonti antiche su cui basa la sua ipotesi. ScunERI1996, p. 416. 15 ScHMITI 1969, pp. 257-258, nr. 535 con l'indicazione delle fonti antiche. GoLDSBERRY 1973, p.289. 16 Cfr. commento a II, 4,21. )7 BAD!AN 1958, pp. 37- 39. 38 DE MARTIN O 1966, p. 280 e nota nr. 31. 19 GOLDSBERRY 1973, p. 295. Per la diversa posizione del territorio delle civita/es immunes et /iberae a seconda di chi lo coltivava cfr. in/ra.

M. Tuili Ciceroni!, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

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!.4.2. Le civitates sine foedere immunes ac liberae

La seconda categoria è formata dalle civitates sine /oedere immu­ nes ac liberae4°. Centuripe, Alesa, Segesta, Alide e Palermo erano ci­ vita/es sine foedere immunes ac liberae, cioè indipendenti, ma non avevano la garanzia di un trattato. Non c'è accordo fra gli studiosi sui tempi dell'acquisizione di questo status. Secondo Goldsberry Alesa, Segesta e Alide avrebbero acquisito tale condizione durante la Prima Guerra Punica, mentre Centuripe e Palermo avrebbero re­ sistito a lungo ai Romani; secondo Pritchard le prime quattro città elencate da Cicerone avevano, probabilmente, ottenuto tale condi­ zione grazie all ' aiuto fornito a Roma nella Prima Guerra Punica41 . A suo giudizio è , invece, sorprendente trovare in questa lista Paler­ mo, che si era sempre schierata dalla parte dei Cartaginesi prima di essere conquistata con le armi dai Romani42. La concessione di tale status a Centuripe e Segesta può essere connessa alle leggende troia­ ne relative a legami di parentela fra le due città della Sicilia e il La­ zio43. Goldsberry nota, tuttavia, che altre città della Sicilia potevano vantare un'origine troiana ma non erano civitates immunes et liberae al tempo di Verre44. Probabilmente Roma garantì libertas e immuni­ las solo a pochissime tra le città che nella Prima Guerra Punica era­ no passate volontariamente dall a sua parte45• La condizione di immunitas consisteva nel fatto che il territorio di queste città non era sottoposto alla decima46. Tale esenzione ri­ guardava, però , la terra, solo se essa era coltivata da un cittadino della città immune. I forestieri, invece, erano soggetti al pagamen­ to della decima (Il, 3, 91-93) anche se Romani di elevata estrazio­ ne (Il, 3, 93) e lo erano anche i cittadini delle città immuni che coltivavano la terra di una città immune che non fosse la propria (Il, 3, 54-57; 93; 115) . Anche le civitates liberae et immunes con­ servavano le loro leggi e i loro costumi. Sottostavano all'obbligo del/rumentum imperatum: dovevano, cioè, vendere al prezzo fissa40

PruTCHARD 1 975, p. 4 1 . MANGANARO 1 980, p. 4 1 8. SCUDERI 1996, p. 4 1 6. GOLDSBERRY 1 973, p. 290-29 1 . PRITCHARD 1 97 5 , p. 42. 42 PR!TCHARD 1 975, p. 4 1 . 4' MANGANARO 1 972, p. 448-449. MANGANARO 1 974, pp. 389-401 , in particolare pp. 3 95 -400. GOLDSBERRY 1 97 3 , p. 290 e nota nr. 22. Per Centuripe cfr. più diffusa­ mente il commento a II, 4, 29, per Segesta quello a II, 4, 72. 44 GOLDSBERRY 1 97 3 , p. 29 1 e p. 374, nota nr. 32. 4' GOLDSBERRY 1 97 3 , p. 293 . 46 GOLDSBERRY 1 97 3, p. 295 . 41

Introduzione

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to da Roma una certa quantità di grano47. 1.4.3. Le civitates decumanae

La maggior parte fra le rimanenti sessanta et"vitates che erano sot­ toposte al dominio di Roma e non godevano di alcun privilegio erano et"vitates decumanae48. Esse erano, cioè, soggette al pagamento della decima, una quota decimale dei prodotti del loro territorio, secondo la Lex Hieronica. La definizione del loro numero e la loro identifica­ zione sono tuttora problematici49 ma dovevano essere comunque più numerose delle trentacinque citate da Cicerone;o. Probabilmente di esse facevano parte le quaranta città che, secondo Livio (XXVI, 40, 1 4), si erano spontaneamente consegnate al popolo Romano, e forse una parte di quelle che erano state occupate grazie al tradimen­ toH. È stato proposto che fossero in totale cinquantaquattro52• 1.4.4. Le civitates censoriae

Infine c'erano le dvitates censoriae. Esse, definite pochissime da Cicerone, erano state conquistate con la forza ed erano così deno­ minate perché la loro imposta fondiaria era appaltata dai censori a Roma. Esse, infatti, erano state cancellate dall a carta politica della provincia ed il loro territorio era stato dichiarato ager publicus53. Ci­ cerone sottolinea la benevolenza dei Romani prima di Verre soste­ nendo che l'ager fu poi redditus alle città54, affermazione che apre complessi problemi interpretativi55. Infatti, l'ager, pur restituito alle città, restava publicus populi Romani e il suo possesso da parte degli abitanti della Sicilia era, quindi, precario. Esso era destinato ad es­ sere affittato a chi ne facesse richiesta, dietro pagamento di una 4;

Per tutti questi aspetti dr. DE MAlmNO 1966, p. 290. CICCOTTI 1965, p. 61. MANGANARO 1980, p. 418. CLEMENTE 1 988 , p. 106. 49 CALDERONE 1960, pp. 4-5 dove l'autore discute le diverse ipotesi avanzate al riguardo. 50 ScuoERI 1996, p. 416. '1 PRITCHARD 1975, p. 37. '2 Oggi non sono più ritenute attendibili altre ipotesi, come, ad esempio, quelle avanzate in DE MAimNo 1966, p. 291, riguardante un calcolo di 34 città decumane, e in CiCCOTil 1965, p. 61, relativa ad un computo di 30 città decumane. H MANGANARO 1980, pp. 418-419. � GoLDSBERRY 1973, pp. 303-304. MANGANARO 1980, pp. 418-419. SCUDERI 1 996, p. 417. " DE MA!mNO 1966, pp. 291-293 e GOLDSBERRY 197 3 , pp. 303-307, dove gli au­ tori discutono le diverse proposte avanzate al riguardo. 48

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M. Tuili Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

quota fissa che i censori stabilivano a Roma ogni cinque anni (/oca­ fio censoria). Oltre a tale canone i precari possessori pagavano pro­ babilmente anche la decima'6. La determinazione del numero e l'identificazione delle civita/es censoriae restano problematiche'7 . L'ipotesi ritenuta più probabile è che il loro numero ammontasse a sei'8, cifra che confermerebbe la definizione ciceroniana relativa al fatto che fossero pochissime le città sottoposte al regime tributario più sfavorevole'9 e che concor­ derebbe anche con la testimonianza di Livio in XXVI, 4060. I tenta­ tivi di identificarlé1 sono complicati dal fatto che alcune delle città che sono descritte dalle fonti come conquistate con la forza appaio­ no nelle Verrine come decumanat/'2• 1.5. Il sistema tributario della Sicilia Ogni città pagava annualmente le imposte municipali interne de­ terminate dai propri censori e versava a Roma un contributo straor­ dinario per la difesa del territorio provinciale, diverso da città a città, fornendo navi e marinai o truppe di terra63 . Una società di publicani romani appaltava la riscossione della tas­ sa sul pascolo (scriptura) e dei dazi sulle merci importate ed esporta­ te nei porti dell'isola (portorium), i cui appalti erano probabilmente attribuiti in Sicilia64• La tassa più importante era la decima sui raccolti, la cui istituzio­ ne risaliva, probabilmente, a Gelone (485-478)6', ma fu rinnovata e '6 PRITCHARD 1975 , p. 34 . MANGANARO 1 980, p. 424. MAzzA 1 98 1 , pp. 25-27 dove l'autore sottolinea casi di sovrapposizione tra ager publicus e ager decumanus. SCUDERI 1 996, p. 4 1 7 e nota nr. 37 . '7 CALDERONE 1960, pp. 4-8 e GOLDSBERRY 1973, pp. 301-31 4 , dove gli autori di­ scutono le diverse proposte avanzate al riguardo. '8 ScuDERI 1 996, p. 416. Non mancano ipotesi contrastanti, oggi, però, non ritenu­ te più valide, come, ad esempio, quella avanzata in CICCOTII 1 965 , p. 6 1 , relativa ad un totale di ventisei città censorie. '9 PRITCHARD 1975 , p. 37 . SCUDERI 1996, p. 416. 60 GoLDSBERRY 1 97 3, p. 302. CLEMENTE 1 988, p. 109 . SCUDERI 1996, p. 4 1 6. 61 CALDERONE 1 964-65, pp. 68-69. GOLDSBERRY 197 3, pp. 302-303. SCUDERI 1 996, p. 4 1 7 , nota nr. 37. 62 MANGANARO 1980, p. 424 . SCUDERI 1996, p. 417, nota 37 . 63 Cfr. ad esempio il caso di Messina nel commento a II, 4, 2 1 . 64 MANGANARO 1980, p. 421. 6' GoLDSBERRY 1973, pp. 142- 1 4 3 e p. 186, note nrr. 202 e 203, dove l'autrice met­ te in rilievo anche altre ipotesi.

Introduzione

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regolata da Gerone II (270-2 16) per il regno di Siracusa66, forse do­ po che ebbe concluso un accordo con Roma , durante la Prima Guerra Punica, nel 263 a.C.67. Nel 2 1 0 a.C. Marco Valerio Levino la estese a tutta l'isola, mantenendola in vigore con il nome di Lex Hieronica68• Con la lex Rupilia entrò a far parte dello statuto della provincia e divenne il punto di riferimento in materia tributaria69. Cicerone insiste molto sull'equità di questa legge, secondo la quale sono tutti gli agricoltori a dover pagare la decima, poiché si tratta di un'imposta sul raccolto70. I raccolti ad essa sottoposti erano quelli del grano, dell'orzo, del vino, dell'olio e dei legumi. Al tempo di Verre ad essa si aggiunse la lex Terentia Cassia fru­ mentaria del 73 a . C . , che stabiliva, oltre alla decima, ulteriori for­ niture di frumento per le /rumentationes dall a Sicilia , a causa delle devastazioni operate in Italia dalla guerra servile di Spartaco71• n governatore, perciò, comperava a p rezzi fissati dallo stato un altro 1 0% del raccolto, le alterae decumae, da tutti i terreni già sottopo­ sti alla decima e un quantitativo annuale di grano, il /rumentum emptum imperatum, suddiviso fra tutte le civitates dell'isola72 . n prezzo fissato era stabilito indipendentemente dalle normali rego­ le di mercato e risultava, così, molto spesso inferiore al valore del­ la merce. A ciò si aggiungeva (II, 3, 1 88-204) l'obbligo, a cui sot­ tostavano i coltivatori, di procurare il /rumentum aestimatum in cellam, cioè l ' approvvigionamento per la famiglia ed il seguito del governatore . Sappiamo, inoltre, di uno sconto del 4 % (binae qui­ quagesimae) a favore degli scrivani (Il, 3, 1 8 1 )7 3 , di abbuoni per la 66 GOLDSBERRY 1973, p. 131. 67 TOYNBEE 1965, p. 255. SCUDERI1996, p. 418. 68 GOLDSBERRY 1973, p. 289. La maggior parte degli studiosi attribuisce a Marco Valerio Levino l'estensione della /ex Hieronica a tutta la provincia. Pinzone (PINZONE 1979, pp. 165-194) fa risalire, invece, l'adozione della Lex Hieronica all'origine della provincia. L'applicazione della /ex Hieronica a tutta la provincia viene, invece, attribui­ ta solo a Publio Rupilio in CARCO PIN O 1914, pp. 70-75 e PRrrcHARD, 1970, p. 353. Per un'ampia trattazione sulla /ex Hieronica, sulla sua origine e su quanto da essa stabilito cfr. GoLDSBERRY 1973, pp. 131-146. 69 Per un approfondimento di quanto previsto dalla legge in materia tributaria al tempo di Verr e cfr. PRrrcHARD 1970, pp. 352-368 e GOLDSBERRY 1 973 , pp. 131-146 e pp. 426-441. 70 PRITCHARD 1970, pp. 352-368. SCUDERI 1996, p. 418. 71 ROTONDI 1966, p. 366. MANGANARO 1980, p. 444. CLEMENTE 1 988, pp.110 e 113. 7l MANGANARO 1980, p. 421. 73 GoLDSBERRY 1973, pp. 133-134 dove l'autrice mette in rilievo le diverse inter­ pretazioni relative a questa percentuale.

M. Tu l/i Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

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prova (spectatio) e il cambio delle monete (collybus) e per il diritto di bollo (cerarium) .

1.6. Leggi, costituzionz; senat� assemblee popolari e magistrature locali Tutte le città della Sicilia, pur sotto il governo romano, conserva­ rono il diritto di servirsi delle loro leggi e delle loro costituzioni lo­ cali, occasionalmente modificate dai Romani74. Ad esempio, Livio (XXV, 28, 3) specifica che uno dei termini della resa dei Siracusani a Roma fu proprio quello di poter mantenere le leggi locali e Plutar­ co (Mare., 23, 7 ) , conferma che la città continuò a usare le sue leggi anche dopo il 2 1 2 a.C. Inoltre Diodoro (XIII, 35 , 3) sostiene che Si­ racusa e altre città della Sicilia continuarono ad utilizzare le loro leggi fino al 44 a.C . , anno in cui tutti gli abitanti dell'isola ricevette­ ro la cittadinanza romana. Sembra (II, 2, 114- 1 45 ) che le città della Sicilia abbiano formato, sotto il dominio romano, un'organizzazione federale, della cui atti­ vità non sappiamo, purtroppo, quasi niente, conosciuta come «com­

mune Siciliae»75 . Le civitates della Sicilia avevano i loro magistrati locali e le loro istituzioni locali. Tutte le civitates avevano un loro senato, indicato sempre da Cicerone con la parola senatus76, corrispondente al greco

(3ouÀ�,

che controllava l'amministrazione interna. In II, 2, 120- 1 25 Cicerone ricorda i tentativi di Verre di interferire nella composizio­ ne del senato di alcune città, facendovi entrare persone che non ne avevano diritto77: Alesa (Il, 2, 1 22) , Agrigento (Il, 2, 123-124) ed Eraclea (II, 2, 125 ) . Dalle testimonianze relative a queste tre città, anche se non si può estendere questa considerazione a tutte le città dell'isola, sappiamo che almeno in alcune di esse l'entrata in senato era condizionata da vari elementi: dal genus, dal census, dall'età, dall' occupazione, da cetera iura78 . Cicerone, però, non spiega mai in quale modo fosse regolata l'entrata nei senati locali79. 7� 75 76

GOLDSBERRY 1973, p. 35 6. GOLDSBERRY 197 3 , p. 357 . GOLDSBERRY 1 9 7 3 , p. 3 5 9 e p . 4 1 5 , nota nr. 364 con l'indicazione dei passi dee-

romani. 77

GABBA 1959, pp. 3 04-320. GABBA 1959, p. 3 05 . GoLDSBERRY 197 3, p. 3 61 . 7 9 GABBA 1 959, p p . 3 05 - 3 09 e GOLDSBERRY 1 97 3, p p . 3 60-369, dove gli autori discutono varie ipotesi. 78

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Le assemblee locali delle rispettive città, indicate sempre da Cice­ rone con la parola populus8°, si riunivano per eleggere i membri dei rispettivi senati e i magistrati, e per designare anche coloro che rico­ privano determinate cariche religiose. n numero ed il nome con cui venivano indicati i magistrati di gra­ do più elevato variano da città a città. Non conosciamo le condizio­ ni necessarie per essere eletti ad una magistratura suprema nelle città della Sicilia e non sappiamo se i magistrati ricevessero un com­ penso in denaro per il loro operato81 . In ogni città erano eletti due censori (Il, 2, 1 3 1 ) , in carica per cinque anni, con l'incarico di ri­ scuotere le tasse locali pagate annualmente dai cittadini: un'istitu­ zione chiaramente esemplificata sul modello di Roma82. Cicerone è sempre attento a riferire le competenze costituzionali e lo è, in modo particolare, quando la dimensione magistratuale e il primato civico coincidono83 . Nelle Verrine sono citati, ad esempio, tre proagori di tre città: Dionisiarco a Catania (Il, 4, 5 0 ) , Sopatro a Tindari (II, 4 , 85 ) , Eraclio a Siracusa (Il, 4 , 1 37 ) 84 • 11. 1 . Il reato de repetundis e le rispettive leggi fino al 7 0 a. C. n reato di concussione è il primo per il quale nella legislazione ro­

mana venne creato un apposito tribunale. Nel 149 a.C. Lucio Cal­ purnio Pisone con la /ex Calpurnia85 propose di istituire una quaestio perpetua, la quale prevedeva che venisse concessa la facoltà di chie­ dere la liquidazione (aestimatio) dei beni tolti ai magistrati. Le quae­ stiones davano ai provinciali la possibilità di citare in giudizio il go­ vernatore86, ma la corruzione continuò anche perché, grazie al siste­ ma dell'ampliatio, che consentiva di rimandare il verdetto in maniera 80 GoLOSBERRY 1973, p. 359 e p. 415, nota nr. 364 con l 'indicazione dei passi cice-

roniani_

8 1 GoLDSBERRY 1973, PP- 365-366. 82 GoLOSBERRY 1973, p. 366. 8l Rizzo 1988, pp. 214-215. 84 Sui proagori e le diverse interpretazioni della loro figura e del loro ruolo cfr . SARTORI 1961, PP- 53-66. ARoiZZONE 1969, pp. 155-176. MANGANARO 1963, pp. 205220_ MANGANARO 1972, p. 447, nota nr. 16. Rizzo 1988, pp. 214-215 . Cfr. anche i commen ti ai rispettivi passi. 8' ROTONDI 1966, p. 292. Ciccorn 1 965 , p. 42. 86 VENTIJRINI 1979, p. 86.

M. Tuili Ciceronis, In C Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

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indefinita87, i colpevoli riuscivano spesso a rimanere impuniti. L'attribuzione delle giurie per il crimen de repetundis fu per lungo tempo oggetto di contesa fra senatori e cavalieri88. Con la !ex Sempronia iudiciaria del 123 a.C. Gaio Gracco tolse ai senatori il monopolio della funzione giudicante e stabili secondo al­ cune fonti antiche (ad es. Diod. XXXIV-XXXV, 25 ; Vell. II 6, 3 ; Tac. Ann. XII 60,3 ; Fior. II l, 6 . Cass. Dio XXIV 83,7 ) la completa esclusione dei senatori, secondo altre, soprattutto Livio (Per. LX) e Plutarco ( Gr. , 26, 2-3 ), invece, che i giudici fossero scelti in una lista composta di seicento cavalieri oltre ai trecento senatori89• Un altro tribuno, Manio Acilio Glabrione, promulgò nel 1 22 a.C. la !ex Acilia repetundarum90, con cui si stabiliva che l'estorsio­ ne fosse giudicata in un processo penale e si rendeva più severa la pena del magistrato colpevole, condannato a restituire il doppio del maltolto. Della !ex Servilia iudiciaria, proposta nel 1 06 a.C. dal console Quinto Servilio Cepione che « . . . modificò l'ordinamento graccano, togliendo i giudici dal solo senato (Tac. Ann. XII, 60) o da senato e cavalieri promiscuamente (lul. Obs. 4 1 ) . . »91 non si sa neppure con certezza se venne approvata e, in tal caso, come e quando sia stata abrogata. Sulla questione intervenne pochi anni dopo il tribuno Gaio Servilio Glaucia promulgando, poco prima dell'inizio del I sec. a.C., la lex Servilia repetundarum (Il, l, 26)92, sulla cui esatta datazio­ ne, le opinioni sono discordi93 . Essa introduceva un'importante no­ vità: la comperendinatio. Rispetto all'ampliatio, che forniva spesso al­ l'accusato la possibilità di riuscire ad evitare la condanna, rimandan­ do il verdetto, la comperendinatio obbligava i giudici ad emetterlo .

87

FUHRMANN 1 989, p. 68. Sul complesso esame del crimen de repetundis in età repubblicana cfr. soprattut­ to VENTIJRINI 1 979. 89 SCUDERI 1 996a, p . 170 e p . 1 7 0 nota n r. 3 con l ' in dicazione delle fonti antiche e della bibliografia più recente. 90 Clccorn 1 965 , pp. 4 2-4 5 . 91 ROTONDI 1 966 , p . 325 . 92 CICCOITI 1965, pp. 50·52. ROTONDI 1966 , p. 322. 9l Rotondi (ROTONDI 1 966, p . 322) la attribuisce al tribunato di Glaucia, nel 1 1 1 a . C . , Santalucia (SANTALUCIA 1 990, p . 5 4 7 ) al 1 04 a.C., m a, forse, come propone Scu­ deri (ScUDERI 1 996a, p . 1 7 1 nota n r. 8), andrà più probabilmente riferita al 1 01 a.C., anno nel quale Glaucia sarebbe stato tribuno (MRR, I, pp. 5 7 1-572), o al 1 00 a.C., an · no in cui rivestì la pretura (TIBILEITI 1953, pp. 83-84 ) . Cfr. più diffu s amente commen ­ to a II, 4, 33 . 88

Introduzione

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durante la seconda azione giudiziaria, separata dall a prima da un so­ lo giorno (1, 9). La !ex Cornelia de repetundis94, che venne promulga­ ta da Sill a nell'8 1 a.C . , restituì il tribunale de repetundis esclusiva­ mente al senato, che, però, era stato allargato dal dittatore anche agli equites, oltre che ai municipali. Conservò per il resto la procedura introdotta da Glaucia. Nelle Verrine Cicerone si riferisce a questa legge definendola più volte come « . . . communis arx sociorum . . . » , roccaforte degli alleati (Div. in Caec. , 17- 1 9. ll, 4 , 1 7 ; 5, 1 26)95. La legge fissava la pena per il reato di concussione, di cui, purtroppo, non è possibile stabilire con esattezza l'entità96. Essa regolava ancora lo svolgimento delle cause de repetundis quando iniziò il processo contro Verre, che si colloca in un momento particolarmente delicato della storia giuridica romana. Gneo Pompeo appena giunto alle por­ te di Roma, nel 7 1 a.C. , aveva promesso di attuare una riforma giu­ diziaria e di restituire i poteri ai tribuni delle plebe (1, 45 ) , come poi effettivamente fece, nel 70 a.C., con la lex Pompeia Licinia de tribu­ nicia potestate97 • Realizzò anche il cambiamento nella composizione del tribunale de repetundis, togliendone il monopolio ai senatori: la lex Aurelia iudiciaria98, proposta dal pretore Lucio Aurelio Cotta, che introduceva le nuove norme ripartendo il potere giudiziario fra senatori, cavalieri e tribuni aerani, fu promulgata, probabilmente, in­ torno al 20 settembre del 70 a.C. (ll , 2, 1 74 ) , quando si era conclusa l'actio prima e si attendeva la ripresa delle udienze contro Verre. È lo stesso Cicerone (Div. in Caec. 8; 70; I, 3 6-49) ad informarci sul per­ corso seguito per l'approvazione della legge. Il.2 . I capi d'accusa contro Verre: de repetundis Nelle Verrine e nel De signis in particolare è possibile individuare quali erano le modalità di percezione dell'idea del furto di opere d'arte e le implicazioni di carattere etico-giuridico ad esso connes­ se99 all'inizio del I sec. a.C. Cicerone sottolinea soprattutto la viola­ zione della sanctitas, della religio100, da parte di Verre, la profana94 9' 96

Ciccorn I %5, p p . 52-53. RomNm l 966, p . 3 60. Ciccorn 1%5, p. 55. C!CCOITI I %5, p. 54 per l'esame delle varie p i ot esi avanzate al riguardo.

97 ROTONDI 1966, p. 369. 98 Ciccorn 1965, pp. 54-56. RoTONDI 1966, p. 369 . 99 CELANI 1998, p. 3 07 . 1 00 BECAITI 1959, p . 579.

M. Tuili Ciceronis, In C. Verrem actionis secundae Liber quartus (De signis)

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zione che egli ha compiuto rubando statue dai sacrari domestici, co­ me quello di Gaio Eio a Messina, e dai più noti templi dell'intera provincia di Sicilia. Al centro della requisitoria del quarto libro dell' actio secunda c'è, quindi, il crimine religioso101 , già anticipato nel primo libro ( Il, l, 7 ): « . . . la violazione della sacralità e della so­ lennità di tutti i riti e di tutti i luoghi sacri e l'offesa arrecata alle im­ magini degli dei, che non solo sono state portate via dai loro templi, ma ora giacciono nascoste ed occultate nelle tenebre, tormentano senza tregua la sua mente con accessi di pazzia furiosa e follia » . . .

(Il, l , 9).

Lo scelus è, infatti , compreso fra i capi d'accusa che si sommano nel furto di una statua di divinità, elencati dettagliatamente da Cice­ rone durante la narrazione del furto della statua di Mercurio dal ginnasio di Tindari (Il, 4, 88) ; dal caso specifico si può estendere l'elenco ciceroniano alla quasi totalità dei furti di opere d'arte ed oggetti preziosi di proprietà pubblica (ma anche, almeno in parte e con i dovuti adattamenti, ad alcune delle opere d'arte e degli oggetti preziosi proprietà di privati) , ciascuno dei quali racchiude, infatti, in sé una serie di imputazioni che, per dirla con le parole di Cicero­ ne, « distinguere ac separare possim nescio » (Il, 4 , 88) . Di questa serie di incriminazioni è al primo posto, appunto, il reato di estorsione102 , poiché Verre ha sottratto, in questo caso, ma anche in altri, ad alleati del popolo romano una statua di grande valore. . . .

. . .

11.3. Altre accuse: peculato, lesa maestà, sacrilegio Al secondo posto viene il reato di peculato103 , perché Verre ha predato, in questo caso, come in altri, una statua che è una pro­ prietà pubblica del popolo romano, presa dal bottino di guerra, in­ nalzata in nome di un generale romano. In II, l, 1 1 l'oratore aveva già sostenuto che « . . . ci saranno forse alcuni che riterranno che il suo peculato debba essere punito con la massima severità, poiché costui non si limitò a portar via da templi veneratissimi e da città di alleati ed amici del popolo romano i M. Marcel/i et P Africani mo­ numento . . . », mettendo chiaramente in luce che « . . . le opere d'arte 10 1 1 02 10}

BECATI1 1951, p. 579. BECATI1 1959, p. 579.

Per la legislazione al riguardo cfr. supra. VENTIJRlNI 1979, pp. 400, 403 e 404-407 .

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in questione erano considerate ed erano di fatto proprietà del popo­ lo romano e, quindi, della res publica . . . » . Terzo il reato di maiestas, cioè di lesa maestà, perché sottraendo un monumento che testimonia la potenza, la gloria, le imprese dei Roma­ ni, Verre si è comportato, in qualità di magistrato, in modo tale da danneggiare, sminuendola, la dignità dello stato (dr. ad esempio II, 4, 68); qualora fosse congiunta al peculato la maiestas poteva essere ri­ conosciuta come un tradimento nei confronti dello stato stesso104• Infme, c'è il reato di sacrilegio, perché Verre ha calpestato i senti­ menti religiosi più profondi105• Con sacrilegium si intende, infatti, la violazione di un santuario o il furto di un oggetto sacro106, crimine di cui l'ex-governatore si era macchiato in innumerevoli occasioni. Pur essendo quello intentato a Verre un processo de repetundis, Ci­ cerone suggerisce, almeno in parte, anche per l'ex-governatore, qualcosa di simile ad altri casi di empietà raccontati dalla tradizione, che esprimono « . . . il carattere inespiabile della contaminazione . . » : . . . . . . . bili' . . . » l 07 . « . . . 1 cnmmt volontan. . . . » sono « . . . m quanto t ali , mespta Verre è, infatti, segnato dalla sua empietà, elemento che non compa­ re direttamente nel De Signis ma è suggerito in vari passi nel primo libro dell'actio secunda (II, 6; 8; 47) . Nelle orazioni di Cicerone che ci sono giunte tutti i suoi antagonisti sono accusati, in una forma o in un'altra, di empietà, che, pur non essendo, forse, un reato perseguito formalmente nei tribunali108, aveva, evidentemente, una sua rilevan­ za molto significativa109 almeno a livello di condanna morale. .

104 VENTIJRINI 1 979, pp. 400-40 1 . MARINONE 1 992 , pp. 1 0- 1 1 . 1 � ll paragrafo comprendeva anche un ultimo capo d'accusa: la crudeltà, poiché la statua in questione era stata usata da Verre per infliggere a Sopatro, il proagorus di Tm­ dari, alleato ed amico del popolo romano, persona innocente, un nuovo tipo di tortura. Come si vede, si tratta di un 'imputazione che è specifica di questo caso e che non può essere estesa ad altri. 1 06 SaiEio 1 983 , p. 2 3 . 1 07 ScHErn 1 983 , p p . 23 e 27. Per l e stringenti analogie fra i casi di Pleminio, nel cor­ so della seconda guerra punica (Liv. XXIX, 1 6-22 ) , e di Quinto Fulvio Fiacco nel 173 a.C. (Liv. XLII, 3 , 8 in particolare) da un lato e il racconto dell'empietà di Verre contro la Cerere di Enna dall'altro dr. la circostanziata analisi di BALDO 1 999, pp. 36-39. 1 08 Secondo Marinone (MARINONE 1 992 , p. 1 1 , nota nr. 6) è possibile che nella legi­ slazione sillana il sacri/egium non fosse ancora stato assorbito nella quaestio peculatus e conservasse la sua arcaica configurazione di delitto capitale affidato al iudicium popu/i, anche se nella pratica questo non veniva più attuato. Solo con la /ex lu/ia del 59 a.C. il sacri/egium venne attribuito alla quaestio peculatus. 1 09 NoRTII 1 990, pp. 5 8 1 -582 .

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n furto di una statua di divinità viene, così, a racchiudere in sé tutte le accuse mosse contro Verre ed è, in un certo senso, paradig­ matico di quelle che erano le imputazioni, oltre alla concussione, per le quali l'ex-governatore avrebbe potuto essere chiamato in giu­ dizio. Cicerone aveva già mostrato chiaramente ai giudici nd primo libro dell'actio secunda che, qualora l'imputato fosse stato assolto dall'accusa di concussione, egli avrebbe intentato contro Verre un nuovo processo con l'imputazione di peculato (li, l , 11) o di lesa maestà (li, l , 1 2 ) , oppure avrebbe portato Verre di fronte al popolo perché venisse giudicato per violenza e omicidio nei confronti di cittadini romani (Il, l , 1 3 - 1 4 ) . Mentre, però, tutti gli altri capi d'ac­ cusa (concussione, peculato, lesa maestà) emergono anche da altri campi in cui si è esplicato il comportamento dell 'ex-governatore esaminato negli altri libri, il crimine religioso si evidenzia solo in quello che è l'oggetto dd De signis: il furto di opere d'arte di carat­ tere, per lo più, sacrale.

11.4 . La procedura legale e la divinatio Secondo la legislazione in vigore all'inizio dd 70 a.C. , quando Ci­ cerone chiese di poter sostenere l'accusa contro Verre1 10, la proce­ dura giudiziaria prevedeva, quindi, per il processo due fasi distin­ te e successive: l'actio prima e l'actio secunda, precedute dalla divi­ natio, cioè dall a scdta dell'accusatore, e intervall ate dall a comperen­ dinatio, cioè da un breve rinvio di un solo giorno (I, 34; II, l , 26). In entrambe le actiones l'accusa e la difesa esponevano nell'ordine le loro arringhe, a cui seguivano le deposizioni dei testimoni e l'esi­ bizione delle prove. In questo modo la causa era trattata due volte (Il, l , 26) 1 1 1 . L a divinatio, introdotta con la legge promulgata dal console Quinto Servilio Cepione nel 1 06 a.C. , era il procedimento con il quale i giudici designavano ( all a lettera «indovinavano») chi, fra co­ loro che si erano proposti per sostenere l ' accus a , fosse il più idoneo 1 12 • Generalmente l'accusatore era accompagnato da alcuni collaboratori, che sottoscrivevano l'accusa, i subscriptores. Dopo 1 10 Per la cronologia dd processo nelle sue varie fasi cfr. MARINONE 1 990, con , in particolare, p . 42, per un prospetto sintetico riassuntivo. 1 1 1 MARI NONE 1990 , p. 4 . 112 DAVID 1992, pp . 50 1 -2 .

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che Cicerone, su invito dei Siciliani, aveva chiesto di essere l'accu­ satore di Verre, si era presentato, con la richiesta di sostenere la stessa accusa, Quinto Cecilio Nigro 1 1 3 • La procedura prevedeva che un'apposita commissione di giudici che non avevano prestato giu­ ramento (iudices iniuratz) , composta di senatori e scelta dal pretore, designasse, sulla base dell'onestà e della capacità, il più adatto, do­ po aver ascoltato le due parti nell'ordine con cui avevano chiesto di sostenere l'accusa. Cicerone, perciò, parlò per primo. Fin dall ' ini­ zio della Div. in Q. Caec. egli ricorda che gli abitanti della Sicilia lo avevano scelto per sostenere l'accusa, pur avendo patroni illustri, a causa del buon ricordo della questura che aveva esercitato a Lilibeo nel 75 a.C. 1 14 • Per questo e per la sua provata esperienza nel soste­ nere le cause, che contrappone all'inesperienza di Cecilio, Cicerone mostra se stesso come il più idoneo a rivestire il ruolo di accusato­ re. Egli mette in cattiva luce il suo avversario, presentandolo come un uomo moralmente e culturalmente mediocre (Div. in Caec. , 1 3 ; 28-30; 58-60) e accusandolo di collusione (praevaricatio) con l'im­ putato, del quale era stato questore (Div. in Caec. , 6 1 ) . Cecilio era legato anche ai Metelli, dai quali la sua famiglia aveva ottenuto la cittadinanza romana1 15• Successore di Verre come governatore della Sicilia era nel 70 a.C. Lucio Cecilio Metello1 16, il futuro cos. 68 a.C. La candidatura di Quinto Cecilio Nigro a sostenere l'accusa era sta­ ta, probabilmente, appoggiata proprio dai Metelli che intendevano favorire Verre 1 1 7 , il quale, intanto, si era scelto come difensore Quinto Ortensio Ortalo, avvocato notissimo. La prospettiva che Verre potesse uscire assolto dal processo, infatti, si fece più concre­ ta quando nelle elezioni del 27 luglio del 70 a.C. vennero designati consoli per il 69 a.C. il suo difensore Quinto Ortensio Ortalo e Quinto Cecilio Metello Cretico ( 1 , 26) 1 18, probabilmente fratello (1, 27 ) del governatore della Sicilia1 19, che in I, 2 9 Cicerone, mirando m 1 14

FuHRMANN 1989, p . 66. Per essa cfr. FEDELI 1980, pp. 13 5 -144 e FUHRMANN 1 989, pp. 56-6 1 . m BADIAN 1 9 5 8 , pp. 298 e 302. 1 16 Cfr. MONZER 1897a e stemma dei Caeci/ii Metei/i cfr. RE, Ill, l , 1 897 , s. v. Caeci· Iii Metei/i, coli. 1229-1230. 1 17 Sul legame tra i Metelli e Verre cfr. BADIAN 1958, p. 298. VAN OoTEG HEM 1 966. GRUEN 1971, pp. 1-16; TwvMAN 1 972, pp. 8 58 -9 . BRUNT 1 980, pp. 2 7 3 -289. N ICOLS 1981, pp. 238-240. 1 18 MONZER 1897d. 1 19 BRUNT 1980, p. 28 1 .

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« . . . alla dignità familiare del console designato, che dovrebbe rea­ gire . . . » a queste voci120, afferma essere diventato console per opera di Verre, il quale aveva utilizzato divisores, addetti a distribuire il denaro per comprare gli elettori, a favore di Ortensio e dei Metelli. Nei giorni successivi, infine, era stato eletto praetor repetundarum Marco Cecilio Metello (1, 2 1 ) , altro fratello ( 1 , 27 ) del successore di Verre in Sicilia12 1 . I tre sarebbero statP22 figli di Gaio Cecilio Me­ tello Caprario123 , cos. 1 1 3 a.C. Cicerone stesso mette in rilievo ( 1 , 1 8- 1 9 ) l'episodio nel quale, dopo l'elezione a console di Ortensio, Gaio Curione si congratula con Verre per quella che ormai viene considerata la sua sicura assoluzione. I sostenitori di Verre, infatti, cercarono di rimandare l'accusa all'anno successivo, facendo uso di ogni mezzo per prendere tempo (1, 3 1 -3 4 ) . Sullo svolgimento dei processi influivano anche i giorni festivi e le pubbliche cerimonie, di cui si doveva tenere conto per fissare le udienze, poiché in essi era proibito svolgere attività giudiziaria. Cicerone riesce, comunque, a sconfiggere Quinto Cecilio e viene designato come accusatore, probabilmente nel gennaio del 7 0 a.C. 124 . La procedura prevedeva che, quando era necessario con­ durre delle indagini (inquisitio), l'accusatore avesse a disposizione un certo tempo per svolgerle, sotto la protezione della legge e ac­ compagnato, spesso, da collaboratori. Cicerone chiese e ottenne 1 1 0 giorni per svolgere la sua inchiesta in Sicilia e raccogliere le prove. Ma i sostenitori di Verre misero in atto una nuova manovra contro di lui. Un altro accusatore, che sosteneva un processo di fronte allo stesso tribunale, chiese solo 1 08 giorni per la sua inchie­ sta. Poiché il suo termine scadeva due giorni prima di quello propo­ sto da Cicerone, egli aveva diritto di precedenza sulla causa contro Verre, che poteva essere discussa solo dopo la fine dell'altro proces­ so ( 1 , 6; II, l , 30) 125 Gli oppositori di Cicerone speravano, così, di riuscire nel loro intento di differire il processo all'anno successivo, confidando anche nei giorni festivi. Cicerone compì, dunque, insieme al cugino Lucio, un viaggio in

120 121

ScUDERI 1996a, p. 1 82

MONZER 18 �7b.

122 Secondo l'ipotesi che riscuote maggior credito, cfr. BRUNT 1980, p . 280 ma dei Caecilii Metei/i cfr. RE, III ,1, 1897 , s. v. Caecilù Metei/i, coll. 1 229- 1 230. 1 23 MONZER 1 897c. Cfr. anche commento a II, 4 , 140 e 148. 1 24 C!CCOTTI 1965 , p. 1 52. MARINONE 1 990, p. 1 5 . 1 2' MARI NONE 1 990, p . 1 5 .

e stem -

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Sicilia (il, l, 1 6 ) per l a raccolta delle prove126, cui allude più volte nell 'actio secunda. Probabilmente completò il giro dell'isola in meno di 50 giorni127, durante i quali il successore di Verre, Lucio Cecilio Metello, fece di tutto per ostacolare le indagini (Il, 2, 63 -64; 1 3 8139; 1 60- 1 64 ) . Al suo ritorno a Roma, Cicerone si adoperò per rac­

cogliere anche qui delle prove, facendo sequestrare i registri di Ver­ re e di suo padre, accorgendosi, però, che l'imputato li aveva com­ pilati solo fino al 73 a.C. (II , 2, 60-6 1 ) . Secondo la procedura veniva, poi, fornita alle parti in causa la li­ sta dei senatori che non avevano impedimenti e che potevano fun­ gere da giudici al processo. Si estraevano a sorte quelli che doveva­ no comporre il tribunale (consilium quaestionis), dando facoltà a ciascuna delle parti di ricusare quelli che non erano di loro gradi­ mento (reiecto iudicum) ; l'accusatore poteva respingere tutti i nomi che voleva, l'accusato, invece, solo un certo numero: se l'accusato non era un senatore non poteva ricusare più di tre giudici (il, 2 , 77 ) 1 2 8• Cicerone ricusò gli amici di Verre più corrotti, ottenendo, così, nel complesso, una giuria onesta e prestigiosa (Il, l, 1 7 - 1 9 ) 12 9 • n tribunale era presieduto da Manio Acilio Glabrione, persona one­ sta, a cui Cicerone fa appello perché svolga il suo ruolo con autorità e saggezza, ricordando la tradizione di rettitudine della sua famiglia e facendo leva sul fatto che il padre era stato il promotore della /ex Acilia repetundarum, che inaspriva le pene dei giudici (Il, l , 5 1 52 ) 1 30. n collegio di difesa di Verre comprendeva oltre a Ortensio, Lucio Cornelio Sisenna, politico , oratore e letterato13 1 , e Publio Cornelio Scipione Nasica, advocatus, cioè consigliere di Ortensio, ancora adulescens all ' epoca del processo, imparentato con i tre Me­ telli, Quinto, Marco e Lucio, i figli di Gaio Metello Caprario, in quanto nipote di una loro zia; era, infatti, figlio dell'omonimo, che fu forse pr. 93 a.C . , a sua volta figlio dell'omonimo cos. 1 1 1 a.C. e di 1 26 Per la cronologia dd viaggio di raccolta delle prove cfr. MARINONE 1990, pp.

17 · 43, con, in particolare, p. 43 , per una cartina riassuntiva dd percorso seguito, una cui ridaborazione è qui riprodotta alla fig. 2 . 127 CICCOTI1 1 %.5 , p. 1 6 1 . 128 ClCCO'ITi l%.5 , p . .52. 1 29 Per l'elenco dei giudici, di cui non conosciamo tutti i nomi, cfr. Ciccorn 1 96.5 , pp. 1.5.5 e, più recentemente, ALExANDER 1990, p. 89, con l'indicazione dei brani delle Verrine in cui Cicerone li nomina esplicitamente. Cfr. anche commento a II, 4, l . 1 3° Cfr. supra. 13 1 Cfr. NIESE 1 900 . Cfr. commento a II, 4 , 33.

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M. Tuili Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae l.iber qwrtus (De signis)

Metella, figlia di Quinto Cecilio Metello Macedonico e sorella di Gaio Metello Caprario. Nel 64 a.C., adottato da Quinto Cecilio Me­ tello Pio, divenne Quinto Cecilio Metello Pio Scipione132• 11 . 5 . L' actio prima

Prima dell'inizio del dibattito i giudici prestavano il loro giura­ mento. Se l'accusato non si dichiarava subito colpevole, rendendo superfluo lo svolgimento del processo, si procedeva con l'apertura del dibattito da parte dell'accusatore. Poiché Verre non si dichiarò colpevole, il processo ebbe inizio133 • L actio pn'ma cominciò il 5 ago­ sto (secondo il calendario pregiuliano, che corrispondeva al 19 lu­ glio del calendario astronomico ) 1 34 del 70 a.C. , l'unica data esplici­ tamente indicata nel testo (1, 3 1 ) 135• Cicerone rinunciò espressa­ mente all ' oratio perpetua (I, 3 3 ) , cioè ad un discorso articolato su tutti gli argomenti fondamentali dell'accusa136, e tenne, invece, un discorso breve, nel quale accennò sinteticamente ai capi d'accusa contro Verre, scegliendo di rimandare al secondo dibattito un'espo­ sizione più lunga. Questa procedura accelerava il corso del dibatti­ to, cogliendo di sorpresa la difesa e vanificandone l'ennesimo tenta­ tivo di far slittare il processo all ' anno successivo. Dopo il 15 agosto, infatti, il processo avrebbe subito un aggiornamento di circa qua­ ranta giorni per l'interruzione dell'attività giudiziaria a causa dei lu­ di votivi e dei ludi romani, promossi da Pompeo nella guerra contro Sertorio. Ortensio, quindi, avrebbe potuto iniziare a parlare intorno al 20 settembre e con l'ascolto dei testimoni le udienze si sarebbero protratte sicuramente fmo al 26 ottobre, data di inizio dei ludi victo­ riae Sullanae, seguiti poi dai ludi plebeei, che non avrebbero consen­ tito la ripresa del processo fino al 1 8 novembre137. Nella prima udienza, inoltre, fu letta la lista dei testimoni chiama­ ti dall'accusa, che vennero ascoltati a partire dal giorno successivo, m BRUNT 1 980, p. 280, nota nr. 49. Cfr. MONZER 1 897 g . Cfr. stemma in RE, III, l , 1 897 , coli. 1225 - 1 226 e in SYME 2001 tavv. I e XIX. m Per il processo in generale cfr. HABERMEHL 1 95 8 , coli . 1 624- 1 63 1 . Per la sua du­ rata dr. MARINONE 1 990. 1 34 Cfr. da ultimo MARINONE 1 997 . Tune le date qui espresse sono indicate secondo il calendario pregiuliano. m F VHRMANN 1 989, pp . 68-69. MARINONE 1 990, p . 3 . 1 36 MARINONE 1 992 , p . 1 6 . J J 7 MARINONE 1 990, pp. 3 -4 3 .

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6 agosto. L a gravità delle accuse era tale d a togliere a Ortensio ogni proposito di confutazione e il giorno ancora successivo, il 7 agosto, la prostrazione di Verre raggiunse il culmine (II, l , 20). Cicerone continuò l'interrogatorio dei testimoni, il cui numero doveva essere notevole138, per nove udienze successive, fino al 13 agosto (Il, l , 156) , facendo delle loro deposizioni l'demento centrale della cau­ sa139. Le prove contro Verre erano schiaccianti a tal punto che Or­ tensio ritenne la difesa ormai irrimediabilmente compromessa e non più sostenibile (II, l , 7 1 ) . ll processo venne aggiornato. Ritenuto molto improbabile che la comperendinatio si sia potuta attuare dal 13 al l5 agosto, vigilia delle feste, poiché per l' actio secunda sarebbe rimasto solo il giorno dd 15 agosto, mentre da vari luoghi delle Ver­ rine140 è evidente che intervalli temporali così brevi non venivano presi in considerazione per discutere cause importanti, Marinone ha proposto di vedere nd 13 agosto il termine dell'actio prima e la deli­ bera della comperendinatio ma, poiché il 1 6 agosto iniziavano una serie di feste che si protraevano quasi senza interruzione (In Ve"em, I, 3 1 ) fino al l 9 settembre, la ripresa della causa venne fissata per il giorno successivo, 20 settembre, la prima data utile. Verre, che era rimasto nell'Urbe per un certo periodo (cfr. II, 4 , 33 ) , durante il quale si svolsero, presumibilmente, delle trattative fra l'accusa e l'imputato, dopo aver messo in salvo le opere d'arte più preziose fra quelle che possedeva (II , l , 5 1 ) 14 1 , pochi giorni prima del termine fissato per la ripresa delle udienze, probabilmente intorno all a metà dd mese di settembre del 70 a.C., decise di andare in esilio (Il, l , l ) a Marsiglia1 42 . Quando la causa riprese, il tribunale prese atto che, con l'esilio, l'accusato si era spontaneamente riconosciuto colpevole143 . Perciò, la seconda fase dd processo fu, probabilmente, soltanto una sinteti­ ca ripresa delle accuse da parte di Cicerone1 44 , cui seguì l'emissione ns Cfr. Al.ExANDE.R 1 990 per l'elenco dei nomi esplicitamente citati da Cicerone. Marinone (MARINONE 1 992, p. 1 95 ) , ritiene che siano da raddoppiare i sessanta nomi, fra individuali e di città, espressamente citati nel testo. 1 39 MARINONE 1 990, p. 5 . 140 Citati in MARINONE 1 990, p . 8 , nota nr. 2 7 . 14 1 MARINONE 1 990, p p . 1 0- 1 1 . 1 42 VENTIJRINI 1 980, pp. 1 64 - 1 65 . FUHRMANN 1 989, p . 69. MARINONE 1 990, pp. 1 01 3 , con la puntuale analisi temporale dello svolgimento dei fatti. 143 MARINONE 1 990, p. 1 3 . Contra VENTIJRINI 1 980, p. 1 6 1 . 1 44 V ENTIJRINI 1 980, p. 1 65 .

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M . Tuili Ciceronis, In C. Verrem actionis secundae Ltber quartus (D e signis)

della sentenza di condanna. La litis aestimatio, cioè la determinazio­ ne pecuniaria della pena, che costituiva un giudizio accessorio e non era legata al risultato del processo, concluse la causa. Nella divinatio Cicerone aveva chiesto, secondo la legge, un risarcimento di 1 00 mi­ lioni di sesterzi (Div. in Caec. 1 9 ) , e in altri passi (1, 56 e II, l , 27) aveva calcolato in 40 milioni di sesterzi le estorsioni inflitte dall ' im­ putato ai Siciliani, ma, grazie all'operato di Ortensio che riuscì abil­ mente a giustificare i furti di Verre come regolari acquisizioni145, la pena effettivamente comminatagli fu di soli 3 milioni di sesterzi. Ci­ cerone accettò il compromesso di una pena modesta, irrisoria rispet­ to all'entità delle accuse, pur di chiudere velocemente la causa146•

11.6. I.:actio secunda

Nell'actio prima, Cicerone, mettendo in atto l'abile strategia di ri­ nuncia ad un'oratio perpetua, per evitare che lo svolgimento della causa fosse rimandato all'anno successivo nel quale, come si è visto, l'imputato avrebbe avuto buona probabilità di essere assolto, aveva espresso l'intenzione di raccogliere in seguito il frutto della fama che avrebbe potuto ottenere dall'oratio perpetua, articolata e com­ pleta di tutte le argomentazioni dell'accusa, già preparata in antici­ po (1, 33 )147 Al termine del processo, probabilmente all'incirca fra il 20 settembre e il 25 ottobre, egli rielaborò il materiale accusatorio raccolto148 e completò la stesura dei cinque libri, che la tradizione (ad esempio Plin . , Ep. , I, 20, 10) conferma come mai pronunciati ma solo scritti, della seconda Verrina, la fittizia actio secunda 149, definiti da E. Narducci « . . un curioso "ibrido" tra un'orazione pubblicata e un'opera di finzione letteraria . . . »15 0 • Essi vennero verosimilmente pubblicati subito, nell'autunno del 70 a.C . 1 5 1 , perché, dato che la brevità della causa l'aveva privato di un più grande successo1 5 2, con .

1 4 5 Clccorn 1 965 , p. 234. MARINONE 1 990, p. 1 3 . 1 46 VENTURINI 1 980, p . 1 65 . MARINONE 1 990, p. 1 3 . 147 Cfr. d a ultimo BALOO 2 004 , pp. 23 -24 . 1 48 MARINONE 1 990, p. 1 3 , con bibliografia precedente; sulla pubblicazione delle

Verrine cfr. ora HALL 2002 , pp. 7 1 -84 , con bibliografia precedente. 149 G. Baldo ha significativamente intitolato «ll processo: dall a cronaca alla fiction» il capitolo dove ricostruisce, appunto, il passaggio dagli eventi alla loro trasposizione letteraria, cfr. BALOO 2004, pp. 20-24 . uo N ARDUCCI 1 992 , p. 3 3 . 15 1 MARINONE 1 990, p . 1 4 . 1 52 HAL L 2002 , p. 7 3 .

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la loro edizione Cicerone s i proponeva d i ottenere il riconoscimento della sua vittoria su Ortensio153 , del valore artistico e letterario della propria eloquenza, capace di amplificarne la risonanza nello spazio e nel tempo154, e, insieme, di diffondere la documentazione della sua affidabilità politica, in funzione di dare maggior impulso all a sua carriera politica155. Nell'actio secunda Cicerone espose le sue ar­ gomentazioni con un 'ampiezza incompatibile con un'arringa effetti­ vamente pronunciata, ma realizzata solo dall ' espressa composizione per un pubblico di lettori156. La trattazione è svolta in forma orato­ ria ed è rivolta costantemente ai giudici, a Ortensio, il difensore di Verre, a Verre stesso, essendo composta immaginando che l'imputa­ to si fosse effettivamente presentato al secondo dibattito157 . Altrove Cicerone stesso poneva l'accento sulle differenze fra i discorsi pro­ nunciati e la loro rielaborazione scritta per la pubblicazione (Brut. 9 1 -92 e Tusc. IV 55 ) 158, mostrando chiara coscienza dell'orazione come prodotto letterario che, oltre ad un effetto sull'uditorio imme­ diato, produce ulteriori esiti in un tempo più lungo e su un pubbli­ co più vasto e indeterminatol59.

ll.7. La figura dell'imputato e la sua carriera prima

dell'incarico in Sicilia All'inizio del primo libro dell' actio secunda, Cicerone comincia a fornire i tratti salienti della biografia dell'imputato. Gaio Verre era nato intorno al 1 15 a.C. dal senatore (ll , 2 , 1 02 ; II, 2 , 60) omonimo e da una donna della gens Tadia (IT, l , 128). ll gentilizio160 Ve"es era considerato di possibile origine etrusca, forse derivato dall'etru­ sco vere161 • Degli anni precedenti all ' accesso di Verre alle magistrature Cicem ScuoERI 1 994 , p. 123 . 1 5-4 NARDUCO 1990, p. 894 . 1" ScuoERI 1 996a, pp. 174 e 1 83 . U6 F UliRMANN 1 980, pp. 4 1 -42. MARINONE 1 990, p . 7 . 1 57 MARINONE 1 990 , p. 10. 1 '8 Scuo ERI 1 994, p. 123 nota nr. 22 . J5CJ NARDUCCI 1 990, p. 885 . NARDUCCI 1 99 1 , pp. 3 3 -53 e NARDUCCI 1 992 , p. 3 6 . 160 Sulla discuss ione al riguardo e sul definitivo riconoscimento che si tratta di nomm cfr. SaruuE 1 904 . SMITH 1 954. GREENWOOD 1 928- 1 9672, p. LXIV.

un

1 6 1 Per la discussione sull'origine del nomen e sul luogo di provenienza della gens cfr. Soru1.zE 1 904 . SMITH 1 954. TAYLOR 1 960 . SYME 1 955. HAiuus 1 97 1 . HALL 1 984 . Or. commento a Il, 4, 7 .

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M . Tuili Ciceronis, I n C . Ve"em actionis secundae Uber quartus (De signis)

rone afferma di non voler parlare in dettaglio, accennando, comun­ que, alla sua adolescenza dissoluta, trascorsa fra bagordi notturni , gioco d'azzardo e dissolutezze d i ogni genere (II, l, 3 2 -33 ) . Verre aveva iniziato il suo cursus honorum nell'84 a.C. come que­ store del console Gneo Papirio Carbone in Gallia Cisalpina1 62 • A detta di Cicerone il console si rammaricava che gli fosse toccato co­ me questore un uomo dissoluto e incapace. Nonostante ciò, Carbo­ ne fu prodigo con Verre di benefici e favori, che quest'ultimo ri­ cambiò rubando del denaro e dandosi alla fuga, abbandonando il console, l'esercito e la provincia. Verre passò dall a parte di Sill a , nel frattempo sbarcato a Brindisi di ritorno dall'Oriente. Cicerone met­ te in rilievo con rapidi cenni l'atteggiamento di Silla che, sull a base del suo precedente operato, non si fida di Verre e gli ordina di re­ stare a Benevento. Qui, in seguito, gli concesse di impossessarsi dei beni dei proscritti, secondo la definizione di Cicerone, onorandolo come traditore ma non concedendogli fiducia come ad un amico (Il, l, 3 8 ) . Qualche tempo dopo, nell'BO a.C . , Gneo Cornelio Dolabella, de­ signato governatore della Cilicia, si scelse Verre come legatu s 1 63 Inoltre, dopo l'uccisione del questore Gaio Malleolo, Dolabella no­ minò Verre come vice-questore. Verre si comportò con Dolabella come aveva già fatto con Carbone, tradendo nel primo caso il sacro vincolo imposto dal sorteggio, nel secondo quello di una scelta vo­ lontaria (Il, l , 42 ) . Infatti Verre non solo abbandonò Dolabella ma rese contro di lui una deposizione durissima, sostenendo false accu­ se (Il, l , 4 1 ) . Tale parte del libro è di particolare interesse per il tema di questo studio perché già durante la sua legatio Asiatica Verre compì furti di opere d' arte, ai danni, soprattutto, di città e di luoghi di culto pub­ blici. In Acaia Verre fece razzia di statue e di dipinti, e fu anche il promotore del furto di una notevole quantità d'oro dal tempio di Minerva ad Atene (Il, l , 45 ) . Oltre alla già citata tentata spoliazione del santuario di Apollo a Delo (Il, l , 46) , l'episodio più significativo della legatio Asiatica, Verre portò via statue da numerose città come 162 Alla questura di Verre in Gallia Cisalpina, cui aveva già fatto rapida allusione in I, I l , Cicerone dedica II, l, 3 4 -40. Cfr. HABERMEHL 1958, coli. 1 5 63 - 1 5 64 . 1 63 All a legatio Asiatica d i Verre, cui aveva già fatto un rapido cenno i n I , l riguar­ dante soprattutto i furti di opere d'arte, Cicerone riserva II, l, 4 1 - 1 02 . Cfr. HABER­ MEHL 1 95 8 , coli. 1564 - 1 569.

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Chio, Eritre, Alicarnasso (Il, l, 50) , Aspendo ( II , l, 53 ) , non trala­ sciando di trafugare opere d'arte dai santuari più famosi: il tempio di Giunone a Samo, dal quale sottrasse quadri e statue che consetvò poi nella sua casa (Il, l, 5 1 -52 ) , e il santuario di Diana a Perge (II, l, 5 4 ) : « . . un catalogo che allarga i crimini di Verre alla dimensione dell ' Impero . . . »164• Già in risposta a queste accuse Verre si difende facendo uso dello stesso espediente che utilizzerà poi per respingere le accuse dei furti di opere d'arte in Sicilia: egli sostiene di aver comprato tutte le opere d'arte che possiede (II , l , 60) . Molte altre furono le colpe di c ui si macchiò durante la legatio Asiatica, fra cui spiccano, per il clamore suscitato, il tentativo di ra­ pimento e violenza ai danni della figlia di Filodamo, l'uomo più in vista di Lampsaco (Il, l, 64-84) e l'indebita appropriazione dell'ere­ dità del figlio di Gaio Malleolo, di cui Dolabella lo aveva nominato tutore (Il, l, 85- 1 02 ) . Cicerone passa, poi, a trattare diffusamente l'anno, il 7 4 a.C. , del­ la pretura urbana di Verre1 65 in cui l'imputato continuò nel sac­ cheggio di templi e di edifici pubblici e nell'appropriazione illegale di beni e possessi. Le colpe commesse dall'imputato erano ben note al pubblico presente e Cicerone si scusa se tralascerà molti fatti: di alcuni di essi preferisce che parlino direttamente i testimoni, di altri è costretto a non parlare per ragioni di tempo. Assicura il suo udito­ rio che, in ogni caso, egli non si è comportato con negligenza ma anzi, che si è preparato accuratamente per affrontare il processo. Dopo quest'ampia trattazione, con funzione introduttiva, che ha lo scopo di mettere in cattiva luce l'imputato attraverso una puntua­ le analisi delle sue precedenti malefatte, compiute nell 'esercizio del­ le cariche da lui ricoperte prima del 73 a.C. , Cicerone comincia il racconto del triennio in cui Verre ricoprì la carica di governatore della Sicilia166• n governo della provincia era affidato ad un governatore con in­ carico annuale ma, in realtà, la durata della carica si estendeva dalla partenza del governatore da Roma verso la sua nuova destinazione, fino al suo rientro dall a provincia. Quando si presentavano circo­ stanze particolari, soprattutto difficoltà di ordine politico e ammini.

GRIMAL 1 996, p. 97 . All a pretura urbana di Verre, a cui aveva sinteticamente accennato in I. 1 2 , Cice­ rone dedica II, l, 1 03 - 158. Cfr. HABERMEHL 1958, coli . 1 569- 1 57 3 . 1 66 Cfr. HABERMEHL 1 958, coli. 1 5 7 3 - 1 5 8 1 . 164 165

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M. Tuili Ciceronis, In C. Verrem actionis secundae Liber quartus (De signis)

strativo o qualunque altro motivo che impedisse il cambio dei magi­ strati, il senato prorogava l'incarico al magistrato in carica167• Così accadde per Verre. Come ex-pretore fu designato dal senato pro­ praetor ed ottenne in sorte la provincia di Sicilia per l'anno 73 a.C. , con incarico annuale. Suo successore per il 72 a.C. era stato scelto Quinto Arrio, che, però, non poté raggiungere la provincia perché era impegnato nella guerra contro Spartaco168• Verre, quindi, rima­ se in carica anche per il 72 a.C. Poiché, a causa della guerra servile e dell'insurrezione in Italia meridionale, la situazione militare venuta­ si a creare era molto pericolosa, il senato gli prorogò l'incarico an­ che per il 7 1 a.C . , probabilmente anche allo scopo di affidargli la protezione della Sicilia contro eventuali infiltrazioni dei ribelli che controllavano ancora la vicina Calabria. Al momento dell'attribuzione della provincia il governatore rice­ veva anche l' ornatio provinciae, cioè un equipaggiamento completo consistente in truppe, dipendenti e denaro. n governatore era rive­ stito di imperium, cioè aveva un ampio potere in cui rientravano funzioni militari, amministrative e giurisdizionali; aveva diritto di vi­ ta e di morte su ogni abitante della provincia, ma non sui cittadini romani; controllava la giurisdizione civile e penale; aveva il coman­ do supremo delle forze della provincia ed il potere di requisire i mezzi per la guerra. In campo amministrativo il potere dd governa­ tore era limitato solo dall'autonomia delle città, ma tale limite non era tale da impedirgli di intervenire negli affari interni finanziari delle città, ad esempio con l'imposizione di tributi a favore di Roma con carattere straordinario, come nd caso dell'istituzione da parte di Verre, dell'altera decuma (Il, 3 , 10) 169 L'ordinamento dato all'isola da Publio Rupilio prevedeva, tra l'al­ tro, che al governatore venissero assegnati, mediante estrazione a sorte, due questori, conservando, unico caso fra tutte le provincie ro­ mane, la distinzione delle due zone successivamente conquistate: la maggior parte dell'isola presa con la Prima Guerra Punica e il regno di Gerone il, comprendente sei città sulla costa orientale, conquista­ to con la Seconda Guerra Punica. I due questori, che costituiscono nella provincia la più alta autorità dopo quella dd governatore170, 1 67

DE MARTINO 1 966, pp. 1 90- 1 93 . Cfr. commento a II, 4, 42. 1 69 Per t u tti questi aspetti cfr. DE MAlmNO 1 966, pp. 348-355 , 357-359. 170 DE MARTINo 1 966, p. 3 5 1 . 1 68

Introduzione

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avevano sede a Siracusa, dove si trovava il praetorium, e a Lilibeo. Durante la pretura di Verre ci furono dei problemi anche nell'av­ vicendamento dei questori. Nelle Verrine, infatti, compaiono i nomi di quattro questori: nel 73 a.C. Marco Postumio a Siracusa (Il, 2 , 44) e Quinto Cecilio Nigro a Lilibeo (Div. in Caec. 4 , 2 8 , 3 1 -3 5 , 39, 60-73 ) 17 1 , nel 72 e 71 a.C. Tito Vettio Chilone a Siracusa (Il, 3, 1 68 ; II, 5 , 1 1 4 ) e Publio Cesezio a Lilibeo (Il, 4 , 146; II, 5 , 63 ) 172 • Se ne deduce che, dopo il primo anno, insieme al successore di Verre era­ no stati designati anche i nuovi questori; solo essi, però, raggiunsero la Sicilia ed ebbero, poi, la proroga del loro incarico per l'anno suc­ cessivo 173 . TI senato designava anche alcuni coadiutori del governatore, no­ minati generalmente tra gli appartenenti all ' ardo senatorio. All ' epo­ ca di Verre il loro numero era variabile in rapporto soprattutto al­ l'importanza della provincia o del governatore e alla situazione mili­ tare. La designazione era fatta in modo da scegliere persone gradite al magistrato a cui erano destinate e la scelta cadeva per lo più su suoi amici e parenti. I legati erano collaboratori del governatore ne­ gli affari civili e militari e il loro rango era inferiore a quello dei que­ stori174. Nelle Verrine sono menzionati due legati: Publio Cervio (Il, 5, 1 1 4 ) insieme al questore Tito Vettio Chilone e Publio Tadio (Il, 2, 49; Il; 5, 63 ) con il questore Publio Cesezio17 5 Cicerone aveva concepito la trattazione della seconda Verrina come suddivisa in quattro parti riguardanti quaestura, legatio Asia­ tica, praetura urbana, praetura Siciliensis (1, 3 4 ) 176 ma, evidentemen­ te nel corso della stesura, il progetto iniziale subì delle modifiche e l'esame dei reati commessi durante quest'ultima magistratu ra, andò ad occupare i tre libri centrali (terzo, quarto e quinto) dell'actio 171 Per il prim o cfr. MRR, II, p. 1 1 0. MRR , II, p. 1 1 7 rife ri sce , invece , il secondo al 72 a.C. 17 2 M RR , II, p . l l O riferisce, invece, il prim o al 73 a.C. Per il secondo cfr. MRR , II, p. l 1 7 . m Per i questori di Verre in Sicilia cfr. MARINONE 1 990 a . Cfr. anche commento a II, 4, 146. 1 7� Per tutti questi aspetti cfr. DE MARTINO 1 966 , pp. 349-3 5 1 e MARINONE 1 990a, p. 5 8 e nota nr. 45. m Per Publio Cervio cfr. MRR, Il , p. 1 1 2 , per Pu blio Tadio cfr. MRR , II, p. 1 1 3 . Per i legati di Verre in Sicilia cfr. MARINONE 1 990, pp. 5 6-66. 176 Cfr. da ultimo BALDO 2004, p. 28.

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M. Tuili Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

secunda177 • Di questa actio il secondo libro è dedicato alle malversa­ zioni compiute da Verre nell'amministrazione della giustizia. n ter­ zo, il libro più lungo dell actio secunda, di cui costituisce l'elemento centrale, riguarda l'amministrazione fiscale, in particolare in campo agricolo178• In esso Cicerone fornisce importanti informazioni di ca­ rattere giuridico ed economico sull'organizzazione e l'amministra­ zione della Sicilia e, parlando dei suoi abitanti come di una popola­ zione laboriosa e onesta, offre dell'isola una visione generale idilli a­ ca prima della pretura di Verre, funzionale allo scopo oratorio di presentarlo, con evidente semplificazione dell'effettiva situazione storica, come l'unico responsabile dei mali e dei problemi dell a pro­ vincia. n governatore viene descritto come uno sfruttatore che con un calcolo lucido e metodico trae vantaggi e guadagni personali dal­ la più grande risorsa dell'isola, l'agricoltura. n quinto libro, infine, riguarda l'amministrazione militare179, argomento che non si riferi­ sce propriamente ai capi d'accusa contestati a Verre ma serve a Ci­ cerone per mettere ulteriormente in cattiva luce la figura dell'accu­ sato, presentato in tutta la sua crudeltà di feroce persecutore dei condannati, che vengono da lui sottoposti a supplizi e torture180. '

III. l. Opere d'arte greche portate in Italia Perché Cicerone, nella stesura di queste orazioni, scelse consa­ pevolmente una partizione della materia (Il, l , 45 ) , che, isolando­ lo, conferiva notevole rilevanza all'argomento dei «furti di opere d'arte» ? Per comprendere la coscienza che il mondo romano della tarda repubblica aveva del «furto d'arte» , da intendersi nel significato suggerito da M. Pape 1 8 1 , è utile ripercorrere, sia pure sinteticamen­ te, nelle sue tappe fondamentali, il cammino che il formarsi di que­ st 'idea aveva seguito nel tempo, dalla fine del III sec. a.C. all'inizio del I sec. a.C. 1 77 P e r la numerazione e i titoli delle Verrine cfr. da ultimo BALDO 2 004 , pp. 24 - 26 , per la loro struttura tematica pp. 26-3 2 , con bibliografia precedente. 178 C fr. HABERM E I IL 1 958, coli . 1 602 - 1 6 1 3 . 179 Cfr. HABERMEHL 1 958, coli . 1 6 1 5 - 1 622. 1 80 Per un ' analisi del quinto libro cfr. ScUDERI 1 994 , pp. 1 1 9- 1 4 3 . 1 8 1 PAPE 1 97 5 , p. l e nota X: « . . . in der Arbeit wird der Ausdruck 'Kunstraub' au­ ch fiir Kunstwerke aus Kriegsbeute angewendet, aber am Kontext ist der juristische Sachverhalt einwandfrei zu ersehen . . . >>.

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Nel mondo romano la produzione artistica, ovviamente di prove­ nienza dall'area culturale greca, era divenuta oggetto di riflessione in concomitanza con l'arrivo a Roma di opere d'arte frutto di spo­ liazioni conseguenti ad eventi bellici. n fenomeno, pur noto presso tutte le civiltà 1 82 , assunse proporzioni senza precedenti nelle con­ quiste romane. n bottino presentato a Roma nella cerimonia del trionfo dal generale vittorioso costituì la prima e la più importante causa dell'arrivo massiccio di opere d'arte nell'Urbe ma anche in al­ tre città. In questa sede sarà sufficiente ricordare i casi più rappre­ sentativi e signifìcativi183 , che hanno caratterizzato momenti notevo­ li nella storia della cultura romana. Cicerone stesso ne sintetizza le tappe salienti in un paragrafo del primo libro dell'actio secunda (Il, l, 55) a partire da Marco Claudio Marcello, che nel 2 12 a.C. con­ quistò Siracusa, « . . . urbem ornatissimam . . . ». Continua, poi, con Lucio Cornelio Scipione Asiatico, che nel 1 90 a.C. sconfisse Antio­ co III di Siria, « . . . regem potentissimum . . . ». Pochi anni prima, nel 1 97 a.C. , Tito Quinzio Flaminino aveva vinto a Cinoscefale Filippo V di Macedonia, proclamando, l'anno successivo, la libertà dei gre­ ci. La guerra contro la Macedonia fu definitivamente conclusa dalla vittoria di Lucio Emilio Paolo su Perseo a Pidna nel 1 68 a.C. 1 84 . Chiude l'elenco Lucio Mummia che nel 146 a . C . prese Corinto, « . . . urbem pulcherrimam atque ornatissimam, . . . plenissimam rerum omnium . . . » e sottomise al popolo romano molte città dell'Acaia e

della Beozia 1 85 • I più grandi generali vittoriosi della tarda repubbli­ ca costituiscono qui una serie di exempla che serve ad esaltarne la moderazione nella gestione del bottino di opere d'arte frutto delle loro vittorie: essi che « . . . hanno adornato dei frutti delle loro con­ quiste urbem totam templaque deorum omnesque Italiae partes, han­ no case signis et tabulis pictis vacuae ma che cum honore et virtute 1 82 Cfr. , ad esem p io , MOGGI 1 973 .

1 83 Cfr. CHEVAU.IER 1 99 1 , p. 65 per una tabella riassuntiva dei principali trionfi che videro il massiccio affl u sso a Roma di opere d'ane, dalla presa di Veio nel 3 96 a . C . fino al trionfo di Augusto sull ' Egitto nel 29 a.C. 1 84 La ragione per la quale Cicerone non segue un ordine cronologico ma parla del­ la vittoria di Aaminino, del 1 97 a.C . , dopo quella di Scipione Asiatico, avvenuta nel 1 90 a.C . , risiede molto probabilmente nella volontà di accomunare e presentare l'uno di seguito all ' altro i due anefici della conquista della Macedonia, Aaminino ed Emilio Paolo. 1 8' Nel De o/liciis sono ricordati con gli stessi accenti Scipione Emiliano, Lu cio Emilio Paolo e Lucio Mummio.

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M.

Tuili Ciceronis, In C. Verrem adionis secundae Liber quartus (De signis)

. » (II , l , 55 ) . Tutti gli imperatores romani di fine III sec. e prima metà del II a.C . 1 86 appaiono qui come connotati da honos e

/lorerent

. .

1 86 L'oratore non ricorda altri casi significativi di prede bellich e. La presa di Veio da parte di Marco Furio Camillo nel 3% a.C. ponò a Roma, per la prima volta, un numero notevole di statue (Plut. Cam., 1 2 ) . È soprattutto, però, la guerra contro Taranto, nel 280 a.C. , a rappresentare un punto di svolta, costituendo il primo contatto romano con po· polazioni greche. Con la presa di Taranto nel 272 a.C. e la successiva conquista di Reggio nel 270 a.C. cominciarono ad affluire a Roma numerose opere d'arte di produzione gre­ ca o prodotte in Italia ma da artisti di nascita o di cultura greca. Come ricorda F1oro, pri­ ma del trionfo su Taranto si vedevano sfilare a Roma il bestiame dei Volsci, le greggi dei Sabini, i carri dei Galli , le armi spezzate dei Sanniti; ora. invece, oro e porpora, statue e Tarentinae deliciae (F1or. Ep. , I, 1 3 , 25-27 ) . Dopo la conquista di Siracusa si susseguirono in gran numero le occasioni perché i Romani entrassero in contatto e in possesso di ope­ re d'atte greche. Nel 209 a.C. la presa di Taranto da parte di Fabio Massimo ponò a Ro­ ma un bottino ugualmente ingente. Livio descrive lo scrupolo religioso di Fabio che lo trattenne dal trasponare a Roma la colossale statua di Zeus opera di Lisippo (Liv. XXV, l , 6, 8 ) , a giudizio di Strabone seconda per grandezza solo al colosso di Rodi (Strab. VI, 1 ) , ma Plinio ritiene che furono proprio le notevoli dimensioni della statua e le conse­ guenti difficoltà del suo traspono ad impedire che anch'essa venisse sottratta alla città per essere trasferita a Roma (Plin. N. H., XXXIV, 40) . Fabio Massimo ponò, invece, nel­ l'Urbe, un 'altra statua colossale opera di Lisippo, quella raffigurante Ercole, che sorgeva sull'Acropoli della città e fu trasferita sul Campidoglio (Plin . N. H. , XXXIV, 40) , la pri­ ma opera d'atte greca trasponata a Roma di cui la tradizione tramanda il nome dell 'auto­ re. Al 1 90 a.C. si data la vittoria di Manio Acilio Glabrione sugli Etoli e sul re Antioco ill ; un'iscrizione (l.L.L.R. P 32 1 a) rinvenuta a Luni, posta sul basamento di una statua, testimonia che egli donò alla città, probabilmente all'atto della sua fondazione, nel 177 a.C., un'opera d'arte predata a Scarfeia. Anno impanante è anche il 189 a.C . , in cui si ce­ lebrarono a Roma due trionfi: quello di Scipione l'Asiatico, che, nella vittoriosa guerra contro Antioco ID, culminata con la presa di Magnesia sul Sipilo, aveva conquistato l'A­ sia Minore ellenizzata, e quello di Marco Fulvio Nobiliore, vincitore sull'Etolia. Livio (XXXVll , 59, 3 -5) descrive con dovizia di panicolari il trionfo di Scipione evidenziando, tra l'altro, la p resenza in esso di 234 corone l'oro, di vasi d'argento cesellati per un totale di 423 libbre, di vasi d'oro per complessive 1 023 libbre, e di 1 3 4 statue di divinità. Se­ condo la nota affermazione di Plinio (N. H. , XXXITI , 148) con il trionfo di Scipione l'A­ sia sconfitta introdusse il lusso in Italia. TI trionfo, decretò, come affermano sia Livio (XXXVll , 59, 3 - 5 ) sia lo stesso Plinio (N. H. , XXXIV, 3 4 ) , la fine dei simulacri in legno e in terracotta nei templi di Roma, sostituiti da opere d'atte imponate. Livio descrive (XXXIX , 5, 15) anche il trionfo di Marco Fulvio Nobiliore durante il quale sfilarono, tra l'altro, 285 statue di bronzo. Egli (XXXVI ll , 9, 1 3 ) sottolinea che i Romani ponarono dalla conquista di Ambracia bronzi, marmi e tavole ma lasciarono il resto (Polyb. XXII , 1 3 , 9), fra cui Plinio (N. H. , XXXV, 66) dice che si trovavano opere fittili di Zeusi. Marco Fulvio Nobiliore trasponò a Roma (Plin. N. H., XXXV, 66) il noto gruppo delle nove Muse, accompagnate da Ercole Musagete, in bronzo, e le dedicò in un santuario di Erco­ le, l'Aedes Herculis Musarum, eretto nei pressi del Circo F1aminio. Due anni dopo, nel 1 87 a.C., si celebrò il trionfo del proconsole Gneo Manlio, con il quale, secondo Livio (XXXIX , 6 - 7 ) , il lusso asiatico, il peggiore dei nemici, si insinuò a Roma. Manlio fu il primo ad introdurre a Roma, dopo la conquista dell'Asia, i triclini in bronzo, i tavoli ed i tavolini ad un solo piede, secondo quanto afferma Plinio (N. H. , XXIV, 1 4 ) .

Introduzione

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virtus, quelli che Cicerone intendeva evidenziare come loro attributi peculiari rispetto all a libido di Verre, il quale agiva, invece, guidato da ben altri sentimenti. Non a caso alcuni dei nomi di questi generali vittoriosi, e, nel ri­ tratto datone qui da Cicerone, rispettosi delle città conquistate, so­ no quelli che ritornano nel quarto libro delle Verrine in contrappo­ sizione al ben diverso operato di Verre. I tre personaggi che cam­ peggiano come exempla nel De signis sono, infatti, Lucio Mummio, Scipione Emiliano e Marco Claudio Marcello. Scipione Asiatico ed Emilio Paolo non vengono mai menzionati nel De signis ma sono ben rappresentati da Scipione Emiliano, figlio naturale del secondo e nipote adottivo del primo. A Flaminino, infine, è dedicato nel quarto libro un breve ma significativo cenno.

III.2. lmperatores del passato e del presente a confronto con Ve"e III.2 . 1 . Marcello a confronto con Ve"e Marcello domina l'ultima parte del De sig nis , quella dedicata alla presa di Siracusa , dove , a detta di Cicerone, lasciò molte opere splendide e non compì profanazioni (Il, 4, 1 20- 1 2 1 ) . In questa se­ zione è ricordato b revemente anche Flaminino, che collocò in Campidoglio una statua di Giove Imperatore presa in Macedonia (Il, 4 , 129) 187 . L a conquista d i Siracusa ebbe conseguenze particolarmente inci­ sive per la formazione della cultura artistica romana, e gli stessi au­ tori antichi manifestano una piena coscienza del fatto che l'avveni­ mento costituì una vera e propria svolta nella storia della cultura ro­ mana. Marcello portò a Roma un ricco bottino di opere d'arte (Liv. XXV 40, 1 -2 e XXXIV 4 , 4 . Polyb . IX 1 0 ) , consistente per lo più in quadri e statue 188 che dedicò, per la maggior parte, nei templi di Honos e Virtus, presso Porta Capena, visitati dagli stranieri proprio per i loro splendidi ornamenti (Il, 4, 12 1 . Cfr. anche Liv. XXV , 40, 3 ) 189 Cicerone lo presenta come un uomo moderato, rispettoso di Siracusa e delle opere d'arte in essa contenute, dando un versione dei fatti funzionale alla contrapposizione con l'operato di Verre190 e 1 87 PETROCHEILOU 1 97 4 , p. 7 7 . WAVRICK 1 97 5 , p. 3 7 . l 88 MANGANARO 1 980, p. 4 1 5 . ScunERI 1 996, p. 425 , nota nr. 84 . 1 89 WAURICK 1 975, p . 3 7 . CHEVALLIER 1 99 1 , p . 4 9 . GALSTERER 1 994 , p . 859. 1 90 GALSTERER 1 994 , p. 859. ScUDERI 1 996 , p. 425 .

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M. Tuili Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

corrispondente all'idealizzazione della figura di Marcello che era stata elaborata dall'ambiente intellettuale greco, teso a legittimare il dominio di Roma191 .

III.2.2 . Mummio e Scipione Emiliano in confronto con Ve"e Mummio e Scipione Emiliano sono, invece, i generali vittoriosi del 146 a . C . , un anno epocale, nel quale il primo prese Corinto, conquista che segnò l'acquisizione da parte dei Romani di tutta la Grecia continentale, il secondo conquistò e distrusse Cartagine 1 92 • L'ingente bottino dei Romani a Corinto consentì a Mummio di essere prodigo di donativi non solo nei confronti di Roma ma anche di molte altre città. Nel suo trionfo sull ' Acaia e su Corinto, celebra­ to nel 145 a.C . , egli esibì le più numerose e le più belle opere d'arte (Strab. VII, 3 8 1 ) , di cui, poi, riempì Roma (N. H. , XXXIV, 3 6 ) , do­ ve gli edifici ornati con le statue greche da lui donate vennero deno­ minati aedi/icia mummiana (Fest . Ep. , 125 ) 193 • Mummio dedicò, poi, altre statue in numerosi centri del mondo romano, ulteriore prova dell'enormità del suo bottino, come testimoniano una serie di epigrafi comunemente classificate come tituli mummiani194• È, pro­ babilmente, questa la prima volta in cui gli oggetti donati furono corredati da un 'iscrizione relativa contemporaneamente all'evento celebrato e al luogo di provenienza, indicati entrambi dalla formula di datazione, mentre in precedenza le iscrizioni ricordavano solo il luogo in cui l'oggetto dedicato era stato preso, dando alla prove­ nienza una funzione preminente rispetto all'evento 195 Ed è sinto­ matico che la formula dei tituli mummiani trovi un parallelo pro­ prio in una contemporanea preda cartaginese: un signum, del quale conosciamo l'iscrizione dedicatoria, offerto da Scipione alla città di

Ma"uvium Marsorum196• Mummio compare in contrapposizione a Verre soprattutto nella 191

1 92

ScUDERl 1 996, p. 425 , nota nr. 84 con bibliografia precedente.

Mumrnio e Scipione sono accostati da Cicerone nel De officiis e numerosi altri elementi della tradizione collegano i due conquistatori nel loro atteggiamento verso le opere d'arte, cfr. NENCI 1 978, p. 1 0 1 3 con l'indicazione delle fonti antiche. 19� NENCI 1 978, p. 1 0 1 1 . CHEVALLIER 1 99 1 , p. 5 5 . 1 94 NENCI 1 97 8 , p p . 1 0 1 0- 1 0 1 1 con l'indicazione della bibliografia. Per l e caratteri­ stiche delle iscrizioni dedicatorie cfr. WAURICK 1 97 5 , pp. 1 2 -40. 1 � NENCI 1 978, pp. 1 0 1 2 - 1 0 1 3 con vari esempi. 196 NENCI 1 978, p. 1 0 1 2 , con indicazione della bibliografia, tra cui , in particolare, LETTA - D'AMATO 1 975 , pp. 7 1 -7 7 , nr. 5 1 e tav. XIX.

Introduzione

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prima parte del quarto libro, riguardante le spoliazioni compiute dal governatore a danno di privati. In occasione della presa di Te­ spie, nel 146 a.C., Mummio requisì le statue delle Muse e tutte le statue di carattere profano, profana signa, della città ma non osò toccare il Cupido, opera di Prassitele, conservato anch'esso a Te­ spie, poiché si trattava di una statua votiva (Il, 4, 4 ) 1 97 Nel De of/i­ ciis, inoltre, Cicerone sottolinea che Mummio non tenne per sé niente di ciò che aveva predato1 98, tanto da non lasciare, secondo Plinio (N. H. XXXIV, 3 6) , nessuna dote alla figlia. Scipione campeggia in tutta la seconda parte del De signis nella sua qualità di restitutore delle opere d'arte predate in Sicilia dai Cartaginesi 1 99• Con la narrazione (II, 4 , 7 2 - 7 3 ) della restituzione operata da Scipione dell a statua di Diana di Segesta, asportata in precedenza dai Cartaginesi, comincia, infatti, la seconda parte del libro, quella riguardante le spoliazioni di Verre ai danni di città e luoghi pubblici. Tale restituzione, evidenziata da un'iscrizione det­ tagliata scolpita sull'alto piedistallo della statua (Il, 4, 7 3 ) , acquista un significato simbolico ancora maggiore proprio perché effettuata nello stesso anno in cui Mummio depredava Corinto2 00 • Poiché la base, dopo l'asportazione della statua da parte del governatore, era rimasta in situ, a testimoniare insieme la benevolenza di Scipione e la cupidigia di Verre, quest'ultimo la fece togliere, per cancellare ogni prova del suo furto (Il, 4 , 7 9 )20 1 • Nel quarto libro delle Verrine è questo il primo luogo in cui Cicerone presenta la contrapposizio­ ne fra Verre e Scipione. li motivo della restituzione operata da Sci­ pione di opere d'arte predate, già introdotto all'inizio del primo li­ bro dell'actio secunda (Il, l , 1 1 ) , era apparso in altri brani delle Ver­ rine. Dotato di virtus e diligentia, Scipione incarna agli occhi dell'o­ ratore virtù tipicamente romane che spiccano in confronto all a cupi­ ditas di Verre. In De officiis Il, 75, infatti, Scipione verrà lodato da Cicerone per le sue molte qualità tra cui, soprattutto, la morigera197

Per maggiori particolari si rimanda al commento a questo paragrafo.

1 98 PETROCHEILOU 1 974, p. 78. 1 99 Scipione Emiliano è una delle figure più amate dall'oratore e ricoprirà

un ruolo importantissimo soprattutto negli scritti fùosofici di Cicerone. Per maggiori dettagli re· lativi ai diversi casi ricordati da Cicerone si rimanda al commento relativo alla seconda parte del De sig n is , passim. 200 NENCI 1 97 8 , p. 1 0 1 2 . 201 Cfr. anche il caso della Saffo di Silanione nel p ritaneo di Siracusa e dell'iscrizio· ne posta sulla sua base (II, 4, 1 2 5 - 127 ) .

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M. Tul/i Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

tezza, definita dall'oratore prerogativa dei suoi tempi ed espressa­ mente contrapposta alla cupidigia. Tutti questi grandi imperatores si erano ben guardati dall'acquisi­ zione di opere d'arte ad uso privato. La collocazione pubblica delle opere d'arte oggetto di bottino bellico le mette, infatti, al riparo dal­ la privata luxuria, dall'acquisizione ad uso privato, fenomeno cultu­ rale della tarda repubblica, che Verre personifica, pur essendo il suo caso un unicum, e che ha in tutte le Verrine una caratterizzazione fortemente negativa, di fronte alla quale Cicerone esalta, invece, la virtus, « . . . insita nella pubblica collocazione dei capolavori . . . »202 • In Pro Murena, XXXVI l'oratore afferma, infatti, che « . . . il popolo ro­ mano odia il lusso dei privati ma ama la magnificenza pubblica . . . ». « . . . la deprecazione ufficiale del lusso, esibito all'interno delle case private dei ricchi non solamente costituisce l'espressione di una " questione morale " , ma si collega strettamente anche ad una que­ stione di ordine politico: infatti, l'appropriazione di elementi simbo­ lici che sono sempre stati degli edifici pubblici, costituisce in realtà l'espressione visibile della perdita di autonomia del pubblico e di ciò che è comune, a favore di un processo di appropriazione e di con­ trollo diretto del potere da parte di gruppi ristretti privati . . . »2 03 III.2 .3 . Publio Servi/io Vatia: i contemporanei in confronto con Ve"e Nel primo libro dell'actio secunda, dopo aver citato, come si è vi­ sto, numerosi generali di Hne m prima metà II sec. a.C. come exem­ pla di moderazione nel loro rapporto con le opere d'arte delle città conquistate (II , l , 55 ) , Cicerone aveva introdotto la figura di Publio Servilio Varia Isaurico, tra i giudici al processo contro Verre, procon­ sole in Cilicia negli anni 7 8-75 a.C. 204, indicandolo espressamente co­ me « . recens exemplum fortissimi viri . » (II, l , 56) : dopo la presa di Olimpo, avvenuta solo qualche anno prima dello svolgimento della causa, nel 74 a.C, « . . . portò al popolo romano tutte le statue che, se­ condo la legge di guerra e i diritti del generale vittorioso, tolse ad una città nemica, conquistata con le armi e con il valore, le fece sfùare nel suo trionfo e si preoccupò di farle registrare nei documenti pub­ blici come proprietà dell'erario . . . » . Raccontando nei dettagli la pro-

. .

202

.

.

CELANI 1 998 , pp. 1 5 e 3 07 . ZACCARIA RUGGIU 1 995 , pp. 3 3 6-337 e p . 27 e nota nr. 5 2 . 204 MùNZER 1 923b. MRR , II , p . 1 05 . Su di l u i cfr. più dettagliatamente commento a Il, 4 , 2 1 . 20l

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Introduzione

cedura seguita da SeiVi.lio, Cicerone istituisce un esplicito confronto fra il comportamento di questi e quello di Verre, tristemente noto per aver saccheggiato negli stessi luoghi « oppida pacata sociorum atque amicorum » (II, l , 56) e per aver sottratto da santuari molto venera­ ti « . per scelus et latrocinium » molte opere d'arte che si possono ora vedere soltanto in casa sua e in quelle dei suoi amici (II, l , 5 7 ) 205 . . .

. . .

. .

. . .

In tal modo Cicerone supera lo scarto passato-presente che appare frequentemente nelle Verrine e dopo esempi del grande passato ne introduce uno contemporaneo per mostrare che anche ora è possibile comportarsi diversamente da come aveva fatto Verre. li brano (II, l , 5 7 ) è interessante anche per le informazioni relati­ ve all'inventariazione e catalogazione delle opere d' arte acquisite come bottino di guerra206: Servilio fece registrare nei documenti pubblici come proprietà dell'erario le opere d'arte che aveva porta­ to da Olimpo, consistenti soprattutto in statue, delle quali vennero schedati il numero complessivo, la grandezza, l'aspetto e l'atteggia­ mento (magnitudo, figura, status) . Gli scopi oratori e giudiziari di Cicerone, possono aver contribuito, almeno in parte, all'idealizza­ zione del comportamento di Servilio, in funzione della contrapposi­ zione con Verre, ma la sua condotta di generale vittorioso che aveva portato le statue di Olimpo « . Romam in publicum . » (II, l , 54) e le aveva fatte ascrivere come proprietà erariale (II, l , 5 7 ) doveva rientrare nella prassi corrente. Appare, così, evidente che l'impiego ideologico delle opere d'arte greche, parte del bottino di guerra, trasportate dall'area artistico­ culturale greca nel mondo romano, ebbe nella tarda repubblica un ruolo rilevante anche dal punto di vista politico, sul quale si avrà modo di tornare in seguito in maniera più specifica. Alcuni anni prima delle operazioni militari di Servilio in Cilicia, grande clamore avevano suscitato il sacco di Atene e la distruzione del Pireo da parte di Silla, nell'86 a.C. Nel suo trionfo sul re Mitri­ date celebrato a Roma nell'8 1 a.C. egli esibì, tra l'altro207 , un qua­ dro, opera di Parrasio, raffigurante Teseo, che fu collocato in Cam­ pidoglio, dove venne distrutto dall'incendio del 68 a.C. (Plin. N. H. , XXXV, 69) . Dal tempio di Giove Olimpio ad Atene aveva sottratto .

M

.

Per riflessi oni su ll, l, 56-57 cfr. PAPE 1 97 5 , pp. 7 5 -76, ABERSON 1 994 , p. 74

CELANI 1 998, p. 3 08. Cfr. anche MoArn 1 994 , p. 1 1 6. 206 207

. .

CELANI 1 99 8 , p. 308. Cfr. ad esempio CHEVALLIER 1 99 1 , p. 57

e

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M. Tuili Ciceronis, In C. Ve"em actionis secundae Liber quartus (De signis)

colonne con cui, poi, vennero eretti templi sul Campidoglio (Plin.

N. H. , XXXV, 45 ) . Della maggior parte di ciò che aveva predato in territorio greco (Nep. Att. 4 ; Paus. IX, 2 1 , 6 ; Luc. Zeux. 3 ; App. Mithr. 3 9 ) , opere d'arte ed elementi architettonici, Silla diede una collocazione pubblica, ma tenne anche qualcosa per s � 08 .

III J . Il collezionismo La presa di Atene mise in difficoltà le botteghe ateniesi, provo­ cando, forse, il massiccio trasferimento di artisti neo-attici in Italia e favorendo, di conseguenza l'artigianato di Delo2 09 A questo perio­ do sono databili, fra l ' altro, due dei più noti relitti di navi che docu­ mentano il trasporto di opere d'arte greche verso Roma: agli anni fra il 1 00 e 1'86 a.C. la nave di Mahdia, partita dal Pireo, e al decen­ nio fra 80 e 70 a.C. quella di Antikytera2 10. Già dopo il 146 a.C. l'arrivo a Roma di molti originali greci, in se­ guito alla presa di Corinto, aveva segnato una ripresa dell' arte greca chiamata a lavorare per la committenza romana ( Pl i n . N. H. , XXXIV, 52 )21 1 . A Roma affluirono, insieme a numerose opere origi­ nali, anche molti artisti greci. Con il trionfo di Quinto Cecilia Me­ tello sulla Macedonia nel 146 a.C. giunse a Roma il noto gruppo scultoreo, opera di Lisippo, composto da 2 5 statue raffiguranti Alessandro Magno e i cavalieri caduti nella battaglia del Granico (Plin . N. H. , XXXIV, 64 ) 2 1 2 . Lo stesso Metello è accompagnato a Roma dall'architetto Ermodoro di Salamina, da lui incaricato di co­ struire il tempio di Giove Statore, il primo tempio in marmo eretto nell'Urbe, e da scultori della famiglia di Policle. Quest 'ultimo, insie­ me al fratello minore Dioniso, scolpì la statua di culto del tempio (Plin. N. H. , XXXVI , 2 5 ) 21 3 Alcuni anni dopo, nel 1 3 6 a.C., Ermo208 Fonti sulle prede si.ll a ne riepilogate da ultimo in LETZNER 2000, p . 223 e nota nr. 25 . Per la collocazione delle prede cfr. da ultimo LETZNER 2000 , p. 223 e nota 26. 209 COARELLI 1 983 , p. 4 7 . 21° C OARELLI 1 983 , p. 49 con bibliografia precedente. Cfr. anche commento a II , 4,

133.

211

2 12 m

CHEVALL IER 1 99 1 , p . 5 5 . HùLSCHER 1 994 , p. 879. Sul gruppo bronzeo cfr. da ultimo CALCANI 1 989. C OARELLI 1 970-7 1 , p . 254. Per l'attività degli scultori della famiglia di Policles e

di altri artisti greci a Roma cfr. COARELLI 1 970-7 1 , pp. 24 1 -265 , con bibliografia prece­ dente e con , in particolare, p . 25 1 per lo stemma della famiglia . Per gli artisti greci a Roma nel II sec. a.C. cfr. , in generale, CHEVALLIER 1 99 1 , pp. 88-95 .

Introduzione

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doro costruì, su richiesta di Lucio Giunio Bruto Call aico, un altro tempio, nel Campo Marzio, nel quale furono collocati, secondo Pli­ nio (N. H. , XXXVI , 26) due originali greci opera di Scopas: una sta­ tua colossale di Marte seduto ed una Venere nuda2 14• Gli artisti greci giunti a Roma a partire dalla seconda metà del II sec. a.C. testimoniano un aumento della richiesta di opere d'arte greche, che i romani intendevano procurarsi non solo con prede belliche. Ad artisti greci era affidata, inoltre, la realizzazione di co­ pie di famosi origin ali2 15 . Nella prima metà del I sec. a.C. si formò anche una delle collezio­ ni private più note, quella di Marco Emilio Scauro, che fu il primo a Roma ad avere una dattiloteca, cioè una collezione di gemme (Plin. N. H. , XXXVII , 1 1 ) 2 1 6 _ Nasce, cosi, un vero e proprio collezionismo, passione che acco­ munava molti romani, fra cui anche l'avvocato dell'accusa e quello della difesa nel processo a Verre, Cicerone e Ortensio, e di cui l'im­ putato incarna nella prima metà del I sec. a.C. l'esempio più ecla­ tante e l'espressione più maniacale2 1 7 : in lui, infatti, il desiderio di possedere e la passione per opere d'arte e oggetti preziosi, studium (II, 4 , 1 ) , travalica i limiti consentiti, diventando morbus e insania (Il, 4 , 1 ) , e sconfinando, infine, in latrocinium (Il, 4, l) e scelus. Per sottolineare l'atteggiamento di Verre verso le opere d' arte, Cicerone usa più volte vocaboli propri anche del linguaggio medico ad indi­ care un aspetto che potremmo dire quasi patologico del suo com­ portamento: quella che Verre stesso definisce passione (studium, II, 4, l ) è, in realtà, malattia ( morbus, ad es. II, 4, l e 2 9 ) , follia (insania, ad es. II, 4, l; cupiditas, ad es. II, 4, 42 ; amentia, ad es. II, 4, 44 ; /uror, ad es. II, 4, 4 1 ) , tanto che egli è divenuto schiavo delle sue passioni (servus libidinum) anche nell'esercizio della sua attività magistratuale.

214 GALSTERER 1994, p. 860. HùLSCHER 1 994 , p . 87 8. Per le copie c la loro funzione cfr. CHEVALLIER 1 99 1 , pp. 95 - 1 00. FlJHRMANN 1 989, p. 7 1 . 217 Per l'atteggiamento dci romani di fronte all'ane c i vari aspetti del collezionismo romano in diverse epoche cfr. CHEVALLIER 1 99 1 , pp. 1 03 - 1 3 1 con l'indicazione delle fonti antiche. m 216

M. Tuili Ciceronis, In C. Verrem actionis secundae Liber quartus (De signis)

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IV.

Furti di Verre in Sicilia 2 1 8

IV. l . Topografia dei/urti: località Nel quarto libro delle Verrine Cicerone espone i furti d'arte com­ piuti da Verre in Sicilia secondo un ordine topografico, che ricalca il percorso da lui stesso seguito per la raccolta delle prove da esibire al processo2 19• La distribuzione geografica dei furti di opere d'arte e oggetti preziosi a privati o a città e luoghi di culto pubblici è impor­ tante dal punto di vista economico e sociale, poiché indica i centri e i privati più benestanti220: sia per gli uni sia per gli altri22 1 , si tratta di città localizzate sulle coste dell'isola222• Proprio grazie all a loro posizione geografica, le città costiere potevano beneficiare dei van­ taggi economici derivanti da attività commerciali, che avevano favo­ rito la concentrazione di notevoli ricchezze nelle mani dei loro abi­ tanti o nella proprietà della città stessa. n loro affacciarsi sul mare le rendeva, inoltre, preferite da Verre perché il trasporto della sua re­ furtiva dalla provincia all'Italia avveniva tramite una nave da carico (Il, 4, 17 - 1 9; II, 2 , 13 ; II, 5 , 44-48)223 Nel De signis sono citati privati vittime di Verre abitanti in totale 218

Per una p rima analisi dei dati emersi dall o studio del D e signis e q ui sviluppati più ampiamente cfr. LAZZERErn 2004 ; per un'analisi della situazione relativa ai furti a privati cfr. PAOLETII 2003 . 2 1 9 MAN SUELLI 1982, p. 6 1 9. 22 0 MA NSUELLI 1 982 , p. 620. 22 1 Per i fu rti a privati tranne Agi rio e Centuripe, per quelli a città e luoghi pubblici tranne Assoro, Enna ed Engio. 222 Cfr. figg. nrr. l e 3 8 . 22 3 COARELLI 1 983 , p. 46. La nave è qualificata come una «navis oneraria maxima» o «cybaea» o «navis cybaea maxima» . Per l'uso del termine cybaea cfr. CASSON 1 97 1 , pp. 1 66- 1 67 , 3 95 . Essa era stata costruita illegalmente a Messina con legname fornito dagli abitanti di Reggio (Il, 5, 47 ) , da manodopera assunta e pagata a spese pubbliche, sotto il controllo di un membro del senato di Messina, preposto ufficialmente a sovrin­ tendere ai lavori. Con la nave, carica di tutto ciò che dei furti compiuti in Sicilia (Il, 5 , 4 4 ) Verre non aveva voluto spedire a Roma, il governatore lasciò l'isola al termine del suo mandato e si diresse a Velia, dove Cicerone la vide personalmente, durante il suo viaggio di ritorno a Roma, dopo il giro per la raccolta delle prove in Sicilia. La nave, compi forse, più di un viaggio fra la Sicilia e l'Italia per il trasporto del bottino di Ver­ re: Cicerone, infatti, sembra alludere al fatto che essa facesse la spola fra il continente e l'isola per il trasporto della refurtiva. Secondo MARINONE 1 990, p. 13 , si tratta, forse, della stess a nave con cui Verre si recò in volontario esilio a Marsiglia intorno all a metà di settembre del 70 a.C. Cfr. commento a II, 4, 1 7 .

Introduzione

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in 1 1 città; di altri tre derubati, che vivono in altre tre città, l'oratore parla, invece, nel secondo libro dell'actio secunda224. Una sola, Mes­ sina, è civitas /oederata, due, Centuripe e Palermo, sono civitates si­ ne /oedere immunes ac liberae, le restanti sono civitates decumanae. Una, Lilibeo, è sede di questore. Quattro, Tindari, Alunzio, Agirio e Centuripe, devono fornire una nave alla flotta provinciale. Se Cicerone ricorda spesso ( cfr. ad esempio II, 4, 50) di non aver potuto elencare tutti i casi di furto, ma di aver scelto i più significa­ tivi, si può supporre che si tratti di una pura forma retorica, oppure che le città derubate fossero anche di più o che, comunque, fosse più alto il numero dei privati derubati e delle opere d'arte e degli oggetti preziosi loro sottratti225 In alcune di esse, Cicerone menzio­ na un solo derubato, quasi che un singolo furto serva come esempio paradigmatico dell'operato di Verre in quelle città. In 4 (Alunzio, Centuripe, Agirio e Catania) , invece, Verre ha derubato l'intera cit­ tadinanza, costringendo il cittadino più in vista a requisire gli ogget­ ti preziosi posseduti dagli altri abitanti. La città che annovera tra i suoi abitanti il più alto numero di p ri­ vati, citati per nome, derubati di opere d'arte (ben 9, compreso un tentativo di furto fallito) è Lilibeo. È, comunque, probabile che su questo elevato numero di attestazioni abbia influito il particolare le­ game di Cicerone con la località, dove era stato questore nel 75 a.C. (Cic. Pro Piane. 64. Plut. Cic. 6, 1 )226 e dove intratteneva rapporti di amicizia e ospitalità227 Lilibeo, tuttavia, appare svolgere un ruolo rilevante per quanto riguarda la qualità delle opere d'arte possedute dai suoi residenti: sono cittadini di Lilibeo, infatti, Panftlo e Diodo­ ro, proprietari di originali greci di toreutica, e abita nella città anche Lisone, l'unico altro privato, oltre a Gaio Eio di Messina, proprieta224 Si tratta del caso di Quinto Cecilio Dione di Alesa trattato in II , 2, 1 9-20, per il quale cfr. commento a II, 4 , 1 7 . Nel De signis si p a rl a anche di Terme (II , 4, 73 ) , ma de i furti ai danni di Stenio di Terme Cicerone tratta, invece, in II, 2, 83 - 1 1 8 , cfr. commen ­ to a II, 4 , 4 1 . Ampia la parte riservata nd De signis a Siracusa (II, 4, 1 1 5 - 1 3 3 ) , ma solo per furti ai danni di luoghi pubblici, mentre dd derubato Eraclio, abitante ndla capita­ le della provincia, Cicerone parla in II, 2, 3 5 - 5 0 , cfr. commento a II, 4, 1 3 6. m Anche per analogia con quanto si afferm a in MARINONE 1 992 , p. 185, dove l'au­ tore ritiene che la sessantina di nomi di testimoni esplicitamente indicati da Cicerone (fra nomi individuali e ddle città) siano da raddoppiare. 226 Per l'anno della questura di Cicerone cfr. FUHRMANN 1 989, pp. 56-6 1 . 227 Per il rapporto fra Cicerone e l a città cfr. FEDELI 1 980, pp. 1 3 5 - 1 4 4 . SCRAMUZZA 1 93 7 , p. 3 3 8 e BRUNT 1 97 1 , p. 22 1 sottolineano che, in II, 5, IO e 1 40, Cicerone ricorda fra i derubati a Lilibeo alcuni cittadini romani di cui egli si definisce ospite ed amico.

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rio di una statua rubata da Verre. Alto anche il numero dei privati derubati da Verre e citati per no­ me da Cicerone abitanti a Tindari. Non tutti i derubati, però, sono riconducibili a precise città, o perché Cicerone non le nomina228, o perché, come nel caso del principe Antioco di Siria, si tratta non di un residente, ma di un personaggio che si trova a transitare nell'iso­ la quando viene derubato. Possiamo anche ipotizzare che Cicerone abbia scelto di trattare i furti contro privati di alcune città piuttosto che di altre, seguendo un criterio di selezione ben preciso. Egli potrebbe, cioè, aver escluso deliberatamente di parlare di furti contro privati avvenuti in quelle località in cui era più importante mettere in luce altri aspetti del mal­ governo di Verre come, ad esempio, le malversazioni nell'ammini­ strazione della giustizia e lo sfruttamento dell'agricoltura229• Gli abitanti della Sicilia derubati di opere d'arte da Verre sono indistintamente greci o romani: la ricchezza ed un conseguente ruo­ lo rilevante dal punto di vista sociale, economico, politico e cultura­ le erano, perciò, appannaggio di privati discendenti da famiglie di origine greca o romana. L'esame sistematico della loro onomastica sembra implicare, infatti, che nessuno di essi appartenga all o strato etnico punico dell'isola230. In particolare, i privati derubati con no­ me greco sono in numero maggiore rispetto a quelli con onomastica romana. Degli uni Cicerone indica sempre il luogo di residenza mentre di tre degli altri, gli equites romani Gneo Calidio e Lucio Pa­ pinio e il cittadino romano Lucio Curidio, non dice dove abitassero. Sarà interessante rilevare anche che tra i derubati con onomastica romana, i cittadini per nascita sono quasi il doppio di coloro che, invece, lo sono diventati23 1 • Nella distribuzione geografica delle opere d'arte rubate a privati, gli originali greci, o presunti tali, si concentrano in due città: Messi228

Cfr. in/ra. Lo confermerebbero anche, ad esempio, le vicende riguardanti Quinto Cecilio Dione di Alesa, Stenio di Tenne ed Eraclio di Siracusa, per i quali cfr. supra, in cui i furti da loro subiti sono strettamente legati alla cattiva amministrazione della giustizia da parte del governatore. 230 Per tutti questi aspetti MANSUELLI 1 982 , p. 620. La presenza di italici e romani in Sicilia è sicuramente precoce a partire almeno da fme m sec. inizio II sec. a.C. Nel I sec. a.C. tale presenza appare più numerosa p roprio grazie ai dati ricavabili d alle Ver­ rine. 23 1 Per tutti questi aspetti cfr. figg. n rr. 39 e 4 1 . 229

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na, con le statue opera di Prassitde, Mirone e Policleto, di proprietà di Gaio Eio (Il, 4, 3 -27 ) , e Lilibeo, con l'hydria cesellato da Boeto, posseduta da Panfilo (II, 4, 32), e le tazze Tericlee, opera di Mento­ re, di proprietà di Diodoro (II, 4, 3 8) . A questo proposito, tra Mes­ sina e Lilibeo si riscontra un'altra interessante analogia: due dei pri­ vati proprietari di originali greci, Gaio Eio e Panfilo, li hanno eredi­ tati dai propri antenati232• Entrambi, quindi, appartengono a fami­ glie in posizione economicamente, ma anche culturalmente, rilevan­ te da varie generazioni. In entrambi i casi è possibile che i loro ante­ nati li abbiano acquistati presso la bottega stessa dell'artista che i aveva realizzati. Verre sottrae opere d'arte di proprietà di città o di luoghi di culto pubblici da 9 località, in 4 delle quali (Segesta, Assoro, Engio, En­ na) Cicerone non ricorda furti contro privati. Particolare il caso di Malta, dove Verre, pur non essendovisi mai recato , ha ordinato la spoliazione del /anum Iunonis; nell'isola era nato anche Diodoro che viene però derubato a Lilibeo, città divenuta, nel frattempo, il suo luogo di residenza. Delle 9 località una, Segesta, è civitas sine /oedere immunis ac li­ bera, le altre sono tutte civitates decumanae. Una Siracusa, è sede di questore e del governatore. Due di queste città, Segesta e Enna, do­ vevano fornire una nave per la flotta provinciale; ad esse va ad ag­ giungersi la civitas sine /oedere immunis ac libera di Neto, dove Ver­ re non compì furti ma costrinse Attalo a fabbricare per lui coperte e tappeti di porpora durante tutto il triennio 73 -7 1 a.C. (Il, 4 , 5 9)233 • L'analisi del testo ha dimostrato che nella sua stesura Cicerone ha seguito precise regole, cominciando la narrazione dei furti, in ognu­ na delle due parti, dall a città con lo status giuridico più elevato e procedendo in ordine decrescente. Nella prima il racconto prende le mosse con un derubato di una civitas /oederata, Messina, per pro­ seguire con due derubati di civita/es sine /oedere immunes ac liberae, Centuripe e Palermo, e continuare con derubati in civita/es decumanae; nella seconda, con una civitas sin e /oedere immunis ac li­ bera, Segesta (Il, 3 , 6; II, 3 , 13 ) , per passare, poi, a civita/es decuma­ nae, terminando, in un efficace crescendo, con l'ampia narrazione riguardante la capitale della provincia. La trattazione di quanto av­ venuto nella città conclude sia la prima sia la seconda parte, dato 232 m

Cfr. fig. nr. 39. Cfr. fìgg. nrr. 3 8

e

42.

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che gli avvenimenti di cui è vittima il principe Antioco di Siria han­ no come teatro proprio Siracusa.

IV.2 . Oggetti preziosi e le opere d'arte rubate La maggior parte delle opere d'arte trafugate da Verre a privati e città della Sicilia sono statue, per lo più in bronzo234• Nel De signis sono espressamente indicate come statue bronzee l'Ercole di Miro­ ne (Il, 4, 5) e le due Canefore opera di Policleto (Il, 4, 8) conservate nel sacrarium di Gaio Eio di Messina, la statua di Diana di Segesta (Il, 4, 72 ) , quella di Ercole ad Agrigento (Il, 4, 94) , la piccola statua che, dopo il fallimento del furto della statua del dio, costituì l'unica preda di Verre nel santuario di Chrysas ad Assoro (Il, 4, 96) , una statua di Cerere di Enna, l'unica che egli riuscì a rubare nella città (cfr. in/ra II, 4, 109) . È in bronzo, infine, la nota vacca di Mirone (dr. in/ra II, 4, 135) che non fa parte delle opere derubate ma com­ pare nell'elenco delle più celebri opere d'arte del mondo antico che costituisce l'excursus dei paragrafi 134- 135. Di marmo sono il Cupi­ do opera di Prassitele dal sacrarium di Gaio Eio a Messina (Il, 4, 4 ) , l a statua del fiume Chrysas a d Assoro (Il, 4, 98) , una statua di Cere­ re a Enna (Il, 4, 1 09). Non delle opere depredate ma di quelle più note nell 'antichità fanno parte altre statue marmoree: la Venere di Reggio, l' Mrodite Cnidia e lo lacco di Atene (Il, 4, 135). L a circostanza non è sorprendente perché l'opera statuaria è di gran lunga la più apprezzata nel mondo romano repubblicano e ad essa andava, probabilmente, anche la personale predilezione dei ro­ mani del I sec. a.C . , di Cicerone come di Verre235 • Gli scultori citati per nome sono famosi statuari greci come gli autori delle opere che compongono la collezione di Gaio Eio di Lilibeo (Prassitele, Miro­ ne, Policleto) e il bronzista Silanione, cui si deve la statua di Saffo del pritaneo di Siracusa (Il, 4, 125 - 127) 2 36 . Le uniche tabulae pictae ricordate estesamente sono quelle raffi­ guranti la « pugna equestns Agathocli regù » e i ritratti dei venti. . .

234

. . .

Cfr. figg . nrr. 39 e 40. Per altre riflessioni cfr. commento a II, 4, 95 . Per maggiori particolari cfr. i commenti ai rispettivi brani. Dubbia appare l'attri­ buzione a Mirone dell 'Apollo dd tempio di Esculapio ad Agrigento, poiché all'epoca dello scultore era consuetudine apporre la firma sulla base e non , come testimonia Cicerone per la statua, sull 'opera stessa, cfr. commento a II, 4 , 93 . m 2 36

Introduzione

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sette re e tiranni di Sicilia nell' 'A&f)vott.ov di Siracusa, oltre ai qua­ dri, il cui soggetto non è specificato, di proprietà di Stenio di Terme. Le porte criselefantine del tempio costituiscono, insieme agli avo­ ri del fanum Iunonis a Malta, un esempio dell'abilità degli artigiani locali nella lavorazione di questo materiale. I soggetti raffigurati dalle opere rubate sono scelti da Cicerone con altrettanta oculatezza e con un significato ben preciso nell'in­ tento di trasmettere al lettore un messaggio che questi doveva essere in grado di percepire abbastanza facilmente. Per le statue si tratta nella stragrande maggioranza di divinità, solo in un caso di un per­ sonaggio miti-storico, come Saffo. L' unica altra opera d'arte di sog­ getto storico, qualunque fosse la tecnica con la quale era stata rea­ lizzata, è l'Alessandro di Efeso, ricordato nell'excursus sulle più no­ te creazioni artistiche del mondo antico. Le sole tabulae di cui si parla estesamente sono, invece, di argomento storico237 • Cicerone ripete più volte che la sua non può essere un'analisi det­ tagliata di tutti i furti commessi da Verre ma che dovrà limitarsi a scegliere tra essi i più significativi. Nella scelta ha senza dubbio agi­ to la volontà dell 'oratore, altrettanto espressamente dichiarata, di rappresentare una casistica la più ampia possibile. Ci sono, quindi, molte statue di dei ma anche una statua con soggetto miti-storico, imm agini conservate in templi ma anche una custodita in un edifi­ cio pubblico come il pritaneo di Siracusa, e una, il Mercurio di Tin­ dari (Il, 4, 84-92 ) , in un gymnasium (II, 5 , 1 85 ) . Alle statue e alle tabulae pictae s i aggiungono tessuti preziosi ap­ partenenti a vari privati siciliani238, gli oggetti in oro e pietre prezio­ se di produzione siriana di proprietà del principe Antioco, la tavola di cedro di Quinto Lutazio Diodoro239, ma, soprattutto, una stermi­ nata quantità di vasellame prezioso, per lo più in argento, di rilievi incastonati, di quadri, tutti citati da Cicerone in forma anonima, e che possiamo, perciò, supporre di produzione locale. Tra questi si segnalano per la particolarità della loro forma le scaphia, coppe a navicella con rilievi incastonati, appartenenti al giovane Eio di Lili­ beo (Il, 4 , 3 7 ) , e gli eculei, vasi potori terminanti a forma di testa di m 238

Per tutti questi aspetti dr. figg. nrr. 39 e 4 1 . Gli « . . . Attalica peripetasmata . . . » (Il, 4, 2 7 ) appartenenti a Gaio Eio ma anche altri tessuti preziosi posseduti da Quinto Cecilio Dione di Alesa (Il, l , 27-28) ed di Siracusa (ll, 2 , 3 5 -62 ) ; per maggiori dettagli dr. commento a II, 4 , 27. 239 Per maggiori dettagli e riflessioni dr. commenti ai rispettivi passi.

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cavallo, una volta proprietà di un Quinto Massimo non identifica­ bile con certezza, ma, forse, il Ve"ucosus Cunctator, cos. 233 , 228, 2 1 5 , 2 1 4 e 209 a . C .240, e ora dell ' eques romanus Gneo C alidio

(Il, 4, 42 ) .

V. l . La funzione politica delle opere d'arte predate

e l'importanza ideologica della cultura artistica Alcune sculture offrono l'opportunità di tornare sull'argomento per sottoporre il quadro fin qui delineato ad un'altra chiave di lettu­ ra, che non esclude le altre ma che è ad esse complementare: quella relativa alla funzione politica che vengono ad assumere da un lato le spoliazioni di opere d'arte e la loro dedica in un nuovo contesto, dall'altro la restituzione di opere d'arte predate in precedenza nel corso di altri conflitti. La chiave per comprendere l'importanza ideologica della cultura artistica nella tarda repubblica e il ruolo dei valori religiosi in rap­ porto a quello della religione nello stato romano è contenuta in al­ cuni passaggi particolarmente significativi del De signis. Restituen­ do agli Agrigentini il toro del tiranno Falaride, Scipione li invita a chiedersi se sia più utile per loro essere schiavi dei propri concitta­ dini o prestare obbedienza al popolo romano, dato che lo stesso og­ getto testimonia contemporaneamente la crudeltà di un loro com­ patriota e la benevolenza dei romani (Il, 4, 73 ) . n noto toro bronzeo viene così ad avere la funzione di far percepire agli abitanti di Agri­ gento che è nel loro interesse obbedire al popolo romano piuttosto che essere schiavi dei propri concittadini24 1 • Secondo J. Gailla rd, il brano riflette l'ideologia ciceroniana di imperium iustum, di un «im­ perialismo etico»242, così come verrà, poi, enunciato dall'oratore nel De ol/iciis, nel noto passo (Il, 26-27 ) relativo alla degenerazione del governo romano. In esso Cicerone sostiene che finché il potere del popolo romano si manteneva con la benevolenza e i benefici, il Senato era rifugio di popoli e nazioni e i magistrati e i comandanti 2 4 0 In II, 5, 25 con Quintus Maximus Cicerone indica Quinto Fabio Massimo Verru· cosus Cunctator, cos. 233 a.C., ma è difficile dire se anche qui si tratti dello stesso per·

sonaggio, cfr. commento a II, 4, 42 . 24 1 Per un'analisi di questo passo cfr. GAILLARD 1 983 , pp. 1 3 5 - 1 3 6 e FERRARY 1 988, p. 587. 2 4 2 GAILLARD 1 983 , pp. 1 3 5 - 1 3 6.

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difendevano le provincie e gli alleati con giustizia e fedeltà: così il dominio di Roma si poteva allora definire patrocinium piuttosto che imperium . Le parole di Scipione agli agrigentini sono, infatti, espressione dell'idea del ruolo di polizia universale affidato a Roma: patrocinium orbis terrae (Cic., De o/1. , II, 27 ) . L e spoliazioni di Verre vengono a d assumere, i n quest'ottica, un'altra importante valenza: asportando la statua di Diana che Sci­ piane aveva riportato ai Segestani e la cui restituzione era ricordata da un'epigrafe sul basamento, e che pertanto poteva essere definita « . . . monumentum P Scipionis . . . » , Verre compie un atto che costi­ tuisce la negazione stessa della conquista romana e soprattutto dei suoi effetti benefici sulle popolazioni entrate a far parte dell'orbita di Roma243 • Lo stesso, ovviamente, per tutte le altre opere d'arte che, dopo la conquista, i grandi generali romani hanno lasciato in Sicilia o hanno restituito o hanno donato alle città dell'isola, per tut­ ti gli altri « . . . monumenta imperatorum . . . », primi fra tutti le coraz­ ze, gli elmi e le hydriae in bronzo corinzio, che Scipione aveva la­ sciato in offerta al santuario della Grande Madre di Engio, facendo­ vi incidere il proprio nome ( Il, 4, 97 ) . A riprova delle possibilità di interpretare in questa prospettiva il comportamento di Verre in rapporto alle opere d'arte, desidero atti­ rare l'attenzione sul fatto che nel quarto libro anche Verre è defmito da Cicerone tyrannus in due occasioni (Il, 4 , 5 1 e 123 )244• Nel secondo di questi passi, riguardante il furto dei ventisette ritratti di re e tiranni di tutta la Sicilia dall' 'A&I)vClt.ov di Siracusa, la contrap­ posizione esplicitamente istituita dall'oratore è fra Verre e i tiranni della città: questi hanno abbellito « . . . templa deorum immortalium . . . » mentre lui ha portato via « . . . illorum monumenta atque ornamenta . . . ». Ritengo possibile che Cicerone pensasse anche ad un accostamento fra Verre e Falaride di Agrigento. Mentre i tiranni di Siracusa hanno ornato i templi, Verre è stato tyrannus nel senso in cui lo è stato Falaride: il suo comportamento, infatti, non è quello w GAILLARD 1 983 , p. 1 3 6 . Ma nd corso dell'opera Ocerone usa il termine in riferimento a Verre anche in II, l , 82 ; II, 3 , 20; ll, 5 , 103 e 1 1 7 . Per il frequente impiego della figura del tiranno nel­ l'oratoria ciceroniana e per le sue implic12ioni ideologiche e politiche cfr. SIRAGO 1 956 e, da ultimo, MARTIN 1 994, pp. 1 3 5 - 1 3 9 . Quest' ultimo, in particolare, cfr. MARTIN 1 994, p. 1 3 5 , s ot tolin ea che, in rapporto a Verre, Cicerone include nel concetto di ti· rannia il semplice esercizio senza controllo della libido trasformando l ' in giu ri a politica in condann a morale. 2 44

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di un governatore romano in tempo di pace, ma lo rende equipara­ bile ad uno dei più crudeli tiranni siciliani.

V.2 . L'impiego ideologico-politico delle opere d'arte nel De Signis: una stratt/icazione di significati Qual' è la funzione dell'opera d'arte nell'utilizzo che ne fa Cicero­ ne nel De Signis? Delle opere d 'arte e degli oggetti preziosi viene fatto un impiego ideologico a vari livelli: se ne possono individuare, a mio avviso, almeno quattro. n primo è quello contemporaneo alla loro realizzazione. Le sta­ tue e i quadri, ma anche gli oggetti di artigianato prezioso, hanno un loro significato, riguardante i soggetti raffigurati e la loro collo­ cazione, che appartiene al momento della creazione dell'opera stes­ sa. La statua di una divinità viene commissionata da un privato o da una città per motivi particolari, così come, ad esempio, delle tabulae dipinte come quelle su cui era ritratta la « pugna equestris Agatho­ cli regis » o le ventisette in cui erano raffigurati i re e i tiranni della Sicilia. L'opera ha poi una sua vita nella collocazione stabilita da co­ loro che ne hanno decretato la realizzazione. n secondo livello di impiego ideologico è quello che viene fatto quando, nel corso della vita dell'opera stessa, si verificano situazioni belliche in cui essa diviene oggetto delle mire del vincitore e, di conseguenza, entra a far parte, insieme ad altri beni, del bottino di guerra: durante le guerre puniche i cartaginesi sottraggono a molte città della Sicilia numerose statue (dr. II, 4, 72-83 , ad esempio, per la Diana di Segesta) che trasferiscono nella loro patria. Qui queste opere d ' arte che avevano una collocazione pubblica sono poste ugualmente in pubblico e circondate dalla stessa venerazione di cui erano oggetto in patria (Il, 4, 72) . Dopo la vittoria su Cartagine Scipione introduce un nuovo am Tv>n

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