Lo livero de l'abbecho. Vol. 1: Introduzione e testo critico. [1] 9788846741394

Il "Livero de l'abbecho" e il "Primo amastramento de l'arte de la geometria", conservati n

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Lo livero de l'abbecho. Vol. 1: Introduzione e testo critico. [1]
 9788846741394

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Livero de l'abbecho
lo primo amastramento de l’arte de la geometria

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Biblioteca dei volgarizzamenti Studi e testi

Lo livero de Vabbecho

collan a diretta d a C laudio Ciociola a cura di Andrea Bocchi

V o l.I Introduzione e testo critico

Edizioni E TS

www. edizioniets.com

alla memoria d i mio padre Vasco Franco Bocchi

This series is peer reviewed

Volume pubblicato con il contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca e della Scuola Normale Superiore

© Copyright 2017 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19,1-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PD E PROM OZIO NE SRL

via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884674139-4

Introduzione

àvSp'àya&òv (xèv àXa&éax; yevéCTthxi /aXercóv, yepatv te x al rcoal x aì vóto xerpaytovov, àveu t|;óyou tetuy(asvov Simonide di Ceo in Plat., Prot. 339b

I. Introduzione Nella vasta ed articolata tipologia delle scritture relative all’atti­ vità mercantile del basso Medioevo un posto importante hanno i trattati cosiddetti d ’abaco, dedicati all’aritm etica com m erciale. Com ’è noto, il modello remoto di quasi tutti questi testi, cui risale anche il nome con cui oggi li indichiamo, fu il Liber abaci di Leonar­ do Fibonacci1, eccezionale frutto dell’incontro con la cultura mate­ matica musulmana; le applicazioni di quest’opera di impianto scien­ tifico alla pratica commerciale ebbero un ruolo fondamentale nella vita economica italiana tardo-medioevale2. Risulta però evidente a 1 Le notizie e la bibliografia essenziale su Fibonacci sono raccolte da V O G EL 1981 e 1997 e ridiscusse criticamente da MACCAGNI 1988 e recentemente da ULIVI 2011; si vedano poi gli atti raccolti in Leonardo 1994 e in GIUSTI-PETTI 2002, che docu­ mentano una notevole varietà di approcci. L ’unica edizione del Liber abaci è stata com­ piuta da BoNCOMPAGNl 1857 (su essa si basa la traduzione di SlGLER 2003); dopo il ten­ tativo di A l l a r d 1997:226n. una nuova edizione è promessa nel cantiere napoletano di B u r a t t i n i -C a i a n i e l l o -C a r o t e n u t o - G e r m a n o -S a u r o 2012. Si vedano per un inqua­ dramento generale L ib r i 1838-41, L o r ia 1929:1,379-410. Per l’origine e i diversi usi del­ la parola abaco, un primo orientamento può esser reperito in ENDREI 1977 e, sul piano propriamente linguistico, in LEI I, 6-20. Avverto che il testo del Liber è citato talora co­ me Fib., come nell’apparato dell’edizione del Livero. 2 Sulla tradizione matematica, e in particolare algebrica, di ambito islamico informa la sintesi di RASHED 1997a; i debiti dell’opera del Fibonacci nei confronti di essa sono sta­ ti approfonditi riguardo a singole questioni, specie geometriche (cito solo YOUSCHKEVITCH 1976 e BAUSANI 1983, con ulteriore bibliografia, R a s h e d 1994, AMBROSETTI 2008; A l ­ l a r d 1997:223-229 riassume i termini della questione), mentre resta un problema aperto la dipendenza dall’ammirevole impianto complessivo del Liber da testi matematici in linMUCCILLO

Non si dovrebbe mai attendere decenni per chiudere un lavoro, se non altro perché diventa poi inevi­ tabile dimenticare il dovuto ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito con suggerimenti, correzioni e salutari lavate di capo alla migliore, o meno peggiore riuscita. M i limito perciò a ringraziare di cuore i più prossimi, sperando valga a discolparmi con chi avrò trascurato: Gino Arrighi, Arrigo C a­ stellani, Claudio Ciociola, Vittorio Formentin, Jens Hayrup, Pier Daniele Napolitani, Alfredo Stussi e Carlo Maccagni, il quale mi ammonì profetico che si fa più strada con il millesimo libro su Dante che con il primo sul Livero de l ‘abbecho.

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LO LIVERO DE L’ABBECHO

INTRODUZIONE

chi intraprenda una sistematica ricognizione dei testi di argomento matematico in volgare, magari sulla scorta dell’importante strumen­ to messo assieme da Van E gmond 1980, che di fatto pochissimi so­ no i documenti dell’insegnamento medievale della matematica che direttamente riprendono il testo o - tanto più - l’impostazione del trattato di Leonardo. Ciò dipende evidentemente dal fatto che lo ia­ to cronologico tra la composizione del Liber e quella dei più antichi libri d ’abaco conservati (databili a cavallo tra il Duecento e il Tre­ cento) ha determinato la perdita di una fase importante della tradi­ zione matematica duecentesca; perdita facilitata probabilmente dalle condizioni materiali dei manoscritti, strumenti per l’insegnamento quotidiano e quindi soggetti a facile usura, ma molto di più, a mio avviso, dall’instaurarsi di una prassi didattica che utilizzava il Liber abaci come un repertorio di problemi ma non ne apprezzava la com­ plessa struttura argomentativa. Più in generale i modi e i limiti del­ l’influsso del Liber abaci sono oggetto di discussione, specie dopo che Jens Hoyrup (nell’edizione di un trattato di Jacopo da Firenze, datato 1307, e in numerosi altri contributi) ha proposto di indivi­ duare una linea di sviluppo della matematica e specialmente dell’al­ gebra che esula dalla tradizione fibonacciana e si ricollega indipen­ dentemente - in modi ancora poco chiari - alla matematica araba. L ’insegnamento della matematica elementare e pratica era affi­ dato generalmente a insegnanti laici legati, spesso con una condotta, al mondo comunale e all’attività mercantile. A quanto si desume dal­ la documentazione sopravvissuta, essi prescindevano dalla lezione di Fibonacci sia negli obiettivi, in quanto selezionavano il materiale uti-

le alla pratica applicazione nel campo della gestione economica e contabile di una azienda commerciale, sia nella organizzazione com­ plessiva della materia, che solo in parte teneva conto della geniale strutturazione leonardiana. Prevaleva infatti l’organizzazione della attività didattica in quelle che, con significativa espressione, vengono dette botteghe d’abaco? e non in ambienti di tipo accademico (con la conseguente formazione di dinastie di abacisti: A r r i g h i 1965a e 1966c, F r a n c i 1992:56-59 e sopratutto U l i v i 1994, 2002 e 2011), e sul piano didattico la canonizzazione di un curriculo strutturato, evi­ dente fin dai primi documenti conservatici4. Si delineano così, già nel secolo XTV, due paradigmi scientifici distinti per riferimenti cul­ turali, appartenenze sociali, percorsi professionali: la distanza fra la tradizione accademica, fondata sui saldi presupposti boeziani e ari-

gua araba (ad esempio secondo GIUSTI 2002:59 «l’opera di Leonardo deriva non da un autore o da una scuola, ma semmai dalla matematica araba nel suo complesso»), H rap­ porto con i classici greci è ancora più complicato, potendosi supporre in molti casi una mediazione araba (sicura talvolta anche nei casi in cui esistevano già traduzioni in latino, come senza dubbio per Euclide) o anche il ricorso a versioni latine dall’arabo. Un tentati­ vo di individuare le diverse stratificazioni del Liber abaci, dalla prima diffusione del 1202 (prima opera nota del Pisano) alla seconda redazione del 1228 (e quindi dopo i cosiddetti Opuscolo, trattazioni specialistiche vicine alla produzione musulmana coeva) è proposto da Allard 2002. Va ricordato che i dati al riguardo derivano solo dalla dedicatoria ap­ posta nel 1228, che rappresenta il tentativo di Fibonacci di inserirsi nell’ambiente accade­ mico federiciano, e in cui peraltro si ricorda anche un liber minoris guise precedentemen­ te composto per l’uso pratico dei mercatores. Per uno studio aggiornato sulle traduzioni di testi documentari arabi in ambito e in volgare pisano si veda P ETR U CCI 1996.

3 Vale la pena di notare, nel sintagma bottega d’abaco, l’accezione particolare di abaco, voce che già nel Trecento indicava non più lo strumento, ormai poco usato, ma la materia cristallizzata in un programma univocamente riconoscibile. Bottega, applicata al­ la scuola d’abaco, fa riferimento alla struttura familiare della scuola, perfettamente assi­ milabile alla piccola impresa artigiana coeva in specie fiorentina (su bottega ‘scuola’ vedi AGENO 2000:226-227). In questo quadro, il riferimento - specie incipitario - a libri stesi da famosi abacisti non è la dichiarazione di un debito, ma assume piuttosto un ruolo di specificazione merceologica; si ha l’impressione, cioè, che nella produzione tecnica in volgare l’autorità del testo tradito fosse assai meno significativa delle necessità specifiche dell’ambiente per cui veniva approntato il codice. Rispetto sia ai testi scientifici in latino, sia a quelli letterari in volgare, i documenti dell’attività professionale del tardo medioevo sono disponibili a quei rifacimenti, integrazioni ed adattamenti che l’attività pratica im­ poneva: ne risultano prodotti che, se da un lato dipendono da riferimenti e materiali tra­ dizionali, dall’altro sono organizzati e spesso rielaborati secondo criteri riferibili alla bot­ tega e al momento della stesura. Ne consegue, dal punto di vista ecdotico, la necessità di particolari cautele nel trattare i testi di ambito tecnico o professionale, che sono sottopo­ sti sia ai meccanismi della copia sia a risistemazioni spesso radicali: per il caso del Livero de l’abbecho si veda il capitolo quinto di questa Introduzione. 4 Questi insegnamenti di abaco, anche elementari, erano organizzati fin dal Trecen­ to secondo una articolata strutturazione della materia, come dimostra ad esempio l’im­ portante programma di una scuola d ’abaco del primo Quattrocento pubblicato da ARRI­ GHI 1965-66:122-123; nel documento si raccomanda tra l’altro di assegnare ragioni per il lavoro a casa: nota che questa è reghula generale: ogni sera dare loro le ragione, e ciaschuno sigondo le mute loro, che le denno recare facte la mactina rinvegniente. L e mute sono ap­ punto i diversi argomenti di insegnamento, disposti secondo un ordine che coincide es­ senzialmente con i capitoli 1-XTV del Livero. Manca un lavoro complessivo su cultura e formazione professionale nel medioevo italiano (è invecchiata ma ancora utile la tesi di O l sc h k i 1919); un bilancio dell’attività di ricerca sulla filologia dei testi mercantili si tro­ va in S t u ssi 2 0 0 0 ; propone un’ottima documentazione sulle modalità e i percorsi dell’e­ ducazione elementare in area centrale CHERUBINI 1996, con ampia bibliografìa. Utili le sintesi di LiBRANDl 2003 e , in particolare per l’algebra, di F r a n c i 2010.

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LO UVERO DE L’ABBECHO

INTRODUZIONE

stotelici, e la matematica pratica degli abacisti resiste, almeno in Ita­ lia, alle diverse conciliazioni proposte nel corso di due secoli, dall’u­ manesimo mercantile di Leon Battista Alberti alle sintesi tra tecnica e cultura umanistica dei grandi artisti rinascimentali5, fino a ripro­ porsi, intatta nei presupposti culturali e perfino nelle argomentazio­ ni, nella polemica su Galileo. Per la ricostruzione di questa storia è necessaria una ricognizio­ ne dei testi scientifici più precoci, cui però spesso risulta particolar­ mente difficile attingere a causa di sistemazioni testuali eterogenee6, e i cui connotati geografici, data per scontata la preponderanza to­ scana, andrebbero studiati in dettaglio7; certo diversi elementi inte­ ressanti sono offerti dalla tradizione del Liber abaci, il cui più recen­ te esame - e la cosa non può non colpire - è tuttavia ancora quello di Baldassarre Boncompagni a metà Ottocento. Nell’ambito di essa il manuale di matematica intitolato Livero de l’abbecho e contenuto nel manoscritto Riccardiano 2404 è, a quanto pare, coevo o antece­ dente al più antico testimone latino del Liber abaci; e del resto la dif­ fusione del testo latino è piuttosto scarsa in confronto alla popolarità di libri d ’abaco scritti in volgare e assai variabili quanto a confezio­ ne, selezione della materia, ordinamento e decorazione8. Come si sa,

è soggetta ad alterne vicende la fortuna o la stessa conoscenza di Fi­ bonacci, generalmente noto di seconda mano (cioè attraverso isolate citazioni o discontinui estratti in manuali mercantili) fino al Quat­ trocento, poi progressivamente dimenticato fino alla riscoperta9 di CO SSA LI 1797 e all’edizione curata nel 1857 da Baldassarre Boncom­ pagni10. Il recupero testuale e una attenta valutazione delle testimo­ nianze più antiche della nostra tradizione tecnica e mercantile richie-

5 Al riguardo sono esemplari molti episodi della vicenda di Leonardo da Vinci, dal­ la collaborazione con personaggi a cavallo tra cultura matematica e ruolo accademico co­ me Luca Pacioli all’atteggiamento problematico nei confronti delle forme tradizionali della comunicazione letteraria (per cui si vedano DlO NlSOTTl 1962, M A CCA G N I 1994). 6 Che peraltro nei libri d’abaco, come in buona parte dei testi di argomento tecni­ co-scientifico, sono la regola piuttosto che l’eccezione. In generale, si può affermare che le pratiche tradizionali di annotazione e trasmissione del sapere tecnico hanno come uni­ co connotato fondamentale, almeno fino al Cinquecento avanzato, la varietà e la disorga­ nicità degli argomenti trattati, non perché all’occorrenza mancassero capacità o interesse per la sistematicità speculativa, ma perché il paradigma culturale vigente non prevedeva la possibilità stessa di ima scienza sperimentale e quindi di una comunicazione connotata anche dal punto di vista testuale; e significativamente varietà e disorganicità si produce­ vano anche là dove, come nella matematica, fosse disponibile un testo come il Liber aba­ ti, che trattava in modo didatticamente esemplare tutta la materia, dalla calcolo con le dita alla speculazione teorica specialistica. Sulla questione conto di tornare con maggiore ampiezza in altra sede. 7 Tra i diversi testi d’abaco non toscani alcuni derivano da ambiti linguistici interes­ santi, ma non sono stati oggetto di uno studio specifico né talvolta di una moderna edi­ zione: si considerino ad esempio l’abaco calabrese edito da D i s t i l o 1990 e quello sici­ liano citato da C h e r u b i n i 2006:335. 8 Una utile ma forzatamente approssimativa tipologia è proposta nell’introduzione

al catalogo di V a n E g m OND 1980. Sondaggi limitati lasciano intuire, ad esempio, una prevalenza di codici in scrittura libraria nella tradizione latina, di scritture corsive tra quelli in volgare. Non mancano altri esempi di volgarizzamenti (dal tardo Trecento fino almeno al Cinquecento), di area senese o fiorentina, e addirittura di compilazioni bilin­ gui: ma nell’insieme sembra che la tradizione si sia presto polarizzata tra una testualità fi­ nalizzata all’insegnamento della matematica pratica (supporto cartaceo, formato e deco­ razione modesta, scrittura corsiva, scarso o nullo rapporto con il trattato fìbonacciano, frequenti giunte e tracce dell’uso) e una tipologia dai caratteri piò librari (maggior for­ mato e scrittura posata), caratterizzata non solo da una stretta fedeltà all’originale, ma più in generale dalla volontà di recuperare piuttosto un documento autorevole che un supporto nella pratica. Appena occorre notare la sovrapponibilità di questa distinzione con quella appena introdotta tra la matematica degli accademici o degli umanisti e la ma­ tematica pratica delle scuole dell’abaco. 9 II nome di Fibonacci compare di rado nelle pratiche di ambiente mercantile del secolo XTV, spesso in annotazioni relative a singoli problemi oppure in modo indiretto attraverso un riferimento al modo di Pisa (così ad esempio nel Ricc. 2186). Cosa diversa è la prassi, sempre relativa a abacisti di professione, che tra Siena e Firenze nel secolo XV raccoglie brani di Fibonacci nelle compilazioni di maggiori dimensioni (vedi in proposi­ to FRANCI 1994:69-73) oppure recupera tutto o in parte il Liber abati; nello stesso ambi­ to ci si adopera addirittura in volgarizzamenti peraltro destinati a scarsa diffusione che, assieme ad alcuni codici primotrecenteschi, costituiscono la maggior parte della tradizio­ ne fibonacciana (basti vedere l’elenco dei manoscritti citati da BONCOMPAGNI 1851-52). Nel secolo XVI, in un trattato sulle vite dei matematici illustri, l’attività di Fibonacci po­ teva essere collocata nel 1400 (B a l d i 1998:51), altri, già nel Quattrocento, lo collocavano all’inizio del secolo XIV; in generale per la malcerta conoscenza di Fibonacci dopo il Quattrocento vedi PiCUTTi 1979, P e p e 2002 e P e p e 2004. In particolare per le scuole d’abaco pisane vedi, dopo le note di B o n c o m p a g n i 1851-52 e A n t o n i 1973, gli ottimi lavori di FRANCI 2003:41 («L ’attività pubblica dei maestri d ’abaco a Pisa è documentata solo dalla fine del Trecento») e soprattutto di ULIVI 2011 (che cita come inedito il libro d’abaco pisano edito in BOCCHI 2006). 10 Per i dati bibliografici a proposito di Boncompagni si vedano L e f o n s 1984 e il ca­ talogo della sua biblioteca manoscritta, ora dispersa, raccolto da NARDUCCI1892 (una li­ sta dei manoscritti finora rintracciati è in FOLKERTS-THOMPSON 2012); sulla documenta­ zione archivistica relativa ai Boncompagni Ludovisi si veda l’inventario di VENDITTI 2008: 1 . 1, pp. LEX, LXm e poi per note di spese di casa t. IV, pp. 644-646, per l’inventario dell’eredità t. IV, p. 246, num. 889, per isolate notizie sull’attività scientifica ed erudita t. IV, p. 305, num. 1068/8. L ’eccezionale lavoro di Boncompagni sui più notevoli testi ma­ tematici medievali e moderni è rievocato anche da Picum 1996.

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dono tuttavia adeguati strumenti ecdotici, linguistici e storici, che diano conto della distanza che, in fatto di notazioni, di tecniche e in generale di presupposti culturali, intercorre tra un moderno libro di testo e gli strumenti con i quali si diffusero a livello popolare e pro­ fessionale nozioni scientifiche che oggi riteniamo banali. Proprio per questa esigenza si è messo mano all’edizione del Livero de l’abbecho e del Primo amastramento de l'arte de la geometria, due testi di argomento matematico che sono conservati, scritti dalla stessa mano, nel codice Riccardiano 2404. Livero ed Amastramento (quest’ultimo mutilo della parte finale) consistono di circa cinquecentotrenta esercizi svolti e assemblano ampie sezioni derivate dai capitoli IX, X I e X II del Liber abaci (che nell’insieme occupano cir­ ca metà del testo conservato, come si documenta a § II.l) a proble­ mi di diversa e ignota origine, spesso diffusi in testi analoghi: non derivano da Fibonacci la trattazione della regola delle tre cose (cioè delle proporzioni) e delle sue applicazioni elementari, numerosi esempi di scritture contabili, alcune questioni riguardanti usi e misu­ re locali (in particolare umbre e veneziane) e molti dei problemi di geometria. I testi del Riccardiano costituiscono uno dei più antichi trattati di matematica in volgare, risalendo al primo ventennio del Trecento, e sembrano rappresentativi delle consuetudini di insegna­ mento più diffuse, se dobbiamo credere ai cronisti contemporanei, tra i ceti urbani nell’Italia tardo-medievale11. Poiché su questo codi­ ce si registrano autorevoli interventi nella bibliografia più recente12,

e malgrado il codice fosse stato già trascritto da un pioniere di que­ sto settore di studi, Gino Arrighi13, ho ritenuto che una nuova edi­ zione, condotta con criteri più rigorosi, desse la possibilità di stu­ diarne con maggiore profitto le caratteristiche: tra esse principal­ mente la lingua, un perugino antico nettamente caratterizzato, e gli interventi ampi ed incisivi per cui il volgarizzamento sembra com­ portare una selezione significativa entro il ricchissimo materiale of­ ferto dal Liber abaci, nonché una radicale riorganizzazione dei con­ tenuti. Il controllo di ogni conto e i minuti restauri restituiscono poi al testo, mi sembra, una più vigorosa storicità, mostrando concor­ danze e sostanziali differenze rispetto al Liber in fatto di notazione, tecniche di calcolo e strutture verbali; per la precocità e la periferi­ cità della testimonianza14, il Livero può al riguardo costituire un uti­ le contrappunto ai numerosi testi, specie toscani e settentrionali, che ricerche recenti riportano via via alla luce15.

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11 Proprio negli studi intorno a Fibonacci si coglie anzi una precoce utilizzazione storiografica del noto passo di Villani: nota il compilatore del codice senese L.IV.21 nel­ la trascrizione di BONCOMPAGNI 1854:251: «L eon ardo] pfisano] fu huomo sottilissimo in tutte dispute, et secondo che si truova fu lui il primo, che ridusse a fiume questa praticha in Toschana, che all’ora s’andava per vie molto estrane, nientedimeno d ’assai tempo inanzi a lui in questa nostra città furono schuole d’abacho, che circha al 1348 ò veduto trattato che dice in Firenze essere più di 10 centinaia di fanciulli alle schuole dell’abacho, che pocho inanzi fu Lionardo. E anchora chome si vede lo ’nsegnare loro era a mo­ do antichi et quasi al modo che oservono di presente e vinitiani». Lo stesso abacista regi­ stra con scarso entusiasmo e per un interesse antiquario la tecnica della doppia falsa po­ sizione, già fiore all’occhiello del Liber abaci: «chi per positioni vuole asolvere e chasi du­ ra grandissima faticha. Onde credo che di queste positioni arai a fame masseritia, ché poche o niuna più te ne scriverrò. Solamente questo s’è fatto aedo che l’opera abbia sua perfettione» (BONCOMPAGNI 1854:267 con interventi sulla punteggiatura). 12 Segnalo in particolare F r a n c i 2003, H 0 Y R U P 2005, H 0 Y R U P 2007, H 0 Y R U P 2007a.

13 Sulla lunghissima, pioneristica attività di Arrighi si vedano le bibliografie di P a n 1983 e S i m o n e t t i 1992 e i volumi di Contributi 1992 e F r a n c i -P a g l i T o t i R i g a t e l i ! 1996. Le mende dell’edizione Arrighi sono meno sostanziali che di pre­ sentazione; ma la mancanza di una p aragrafam i e degli opportuni richiami al Liber aba­ ci rende diffìcile la citazione e lo studio dei rapporti con il modello latino; inoltre vengo­ no del tutto obliterate le scelte del compilatore del Livero in fatto di notazione fraziona­ ria, di decorazione e di illustrazione del testo. H fatto che poi il Livero sia il più antico ampio testo perugino e insieme il più antico documento della nuova cultura matematica in un volgare non toscano rende opportuno l’esame linguistico fondato su una nuova edizione. 14 Perifericità, s’intende, relativa alla maggior parte di abaci tre- e quattrocenteschi pervenutici, che sono prevalentemente di area toscana; ma è opportuno segnalare come l’attribuzione a Perugia per argomenti linguistici confermi una secolare continuità di stu­ di nel campo della matematica pratica che vede la città umbra in strettissimi rapporti con Arezzo, centro anche accademico di studi abacistici: un episodio importante di que­ sta tradizione è il Tractatus mathematicus ad discipulos perusinos di Luca Pacioli contenu­ to nel Vaticano Latino 3129 (1477-1490), fondamentale per l’elaborazione della Summa, su cui si vedano i contributi di DERENZINI 1994, CALZONI 1994 e CAVAZZO NI 1994. L ’in­ segnamento dell’abaco a Perugia è documentato a livello universitario negli anni 1389 e 1396 (vedi in proposito ULIVI 2002:125-126). 15 Uno strumento fondamentale per il reperimento e per una prima informazione dei manuali di matematica applicata è il già citato catalogo di VAN EGM OND 1980; per la produzione a stampa si fa riferimento a HOOK-JEANNIN 1991, che sostituisce per il perio­ do medievale la farraginosa bibliografìa di RICCIARDI 1893. In particolare è meritoria l’o­ pera di scavo del Centro studi della matematica medievale presso l’Università di Siena, condotta da L. Tori Rigatelli e R. Franci attraverso la pubblicazione nei relativi Quaderni di molti testi matematici dei secoli XTV-XVI; tuttavia i testi, editi normalmente da giovaCANTI-S a n t i n i

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LO UVERO DE L’ABBECHO

L I. I l manoscritto II Riccardiano 2404, unico testimone del Livero de l’abbecho, se­ gnalato e descritto in V a n E g m o n d 1980:156-157, è un manoscritto composito, fonnato da due imita librarie differenti, di cui il Livero costituisce la prima; la seconda unità, rilegata con il Livero in data non precisabile, ha differenti dimensioni dei fogli e diversa qualità di materiale, sicché si deve considerare additizia; essa consta una ver­ sione trecentesca toscana della Vita Tugdali, edita da CO RA ZZINI 1872 (per stimolo di M USSAFIA 1871), il quale fornisce anche qual­ che informazione sulla fortuna del testo, ma non discute le caratteri­ stiche del manoscritto Riccardiano. La descrizione che segue è riferi­ ta soltanto alla prima unità bibliografica. Firenze, Biblioteca Riccardiana, codice 2404 Manoscritto pergamenaceo, sec. X IV in., mm. 215-222x147. I fogli mostrano dimensioni leggermente diverse da fascicolo a fasci­ colo, spessore non uniforme ed evidenti variazioni nel trattamento del lato pelo. Legatura moderna in pergamena, senza nuova poste­ riore rifilatura dei fascicoli. Il manoscritto consiste di cc. I-III+1-178+179-217+IV-VI; sono cartacee le sei carte non numerate poste tre all’inizio e tre alla fine, re­ canti annotazioni di mano moderna (a Illr Indice con i titoli dei due testi, a IVr Carte 217 nuov. nume, con il timbro del numero uguale a quello usato per la numerazione, a IVr e Vr i numeri 41 e 42). Si osservano diverse numerazioni: a) numerazione moderna, a timbro, apposta nell’angolo destro alto, per cartulazione, continua ed esatta, 1-217; ad essa si fa costan­ te riferimento; b) numerazione antica (ma probabilmente più tarda della stesu­ ra del testo) continua per carta, in inchiostro nero, corretta (a quan­ to è dato osservare), con il numero di carta scritto nel recto in alto a ni matematici, non si raccomandano sempre per correttezza nelle trascrizioni e nelle in­ terpretazioni e per rispetto nella riproduzione delle caratteristiche dell’originale, tanto più importanti in questi casi perché si tratta sempre di testi unici e di notazioni spesso originali, degne quindi della massima attenzione per lo storico della scienza oltre che per chi si occupa di storia della lingua e della cultura italiana. Un quadro aggiornato degli studi è offerto da M a n n i 2001; per un suggestivo panorama vedi VlTALE-BROVARONE 2006.

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destra e ripetuto (solo fino a c. 22v) nel verso in alto a sinistra. Ne restano tracce, sul recto e verso: Ir (1), 4r (4), 5r (5), 5v (5), 6v (6), 7r (7), 7v (7), 8v (8), 9r (9), 9v (9), lOv (10), l l r (II)-13v (13), 14v (14) -18v (18), 21r (21)-23r (23); poi solo sul recto: 25r, 26r, 29r, 31r35r (non chiaro), 37r-39r, 42r-45r, 47r-49r, 5 Ir (si riconosce solo un’asta)-70r, 73 r (si vede solo il 7), 74r-83r, 85r-88r, 90r-94r, 96r, 99r-101r, 103r, 104r, 1 0 6 r -lllr , 114r-117r, 119r-124r, 127r-131r, 133r, 135r, 136r; c) numerazione antica (probabilmente coeva alla stesura) dei fa­ scicoli, continua e completa (eccetto, come d ’uso, il primo fascicolo) in lettere minuscole e inchiostro nero, in alto a destra nel recto: l l r (b), 21r (c), 31r (d), 41r (e), 51r (/), 61r (g), 71r (h), 81r (i), lO lr (/), 11 Ir (m), 121r (n), 131r (o), 139r (r), 149r (s), 159r (t), 169r (u). Se ne desume che almeno un fascicolo era presente o era stato almeno progettato dopo il tredicesimo; d) tracce di una numerazione antica (probabilmente coeva alla stesura) per carta, indipendente, della seconda parte (21 a 159r) nel­ l’angolo in alto a destra in inchiostro rosso evanido, con tracce di in­ chiostro anche in altre carte nella stessa posizione; e) numerazione antica (probabilmente coeva alla stesura) dei ca­ pitoli in inchiostro rosso, posta in alto a destra nel recto, in alto a si­ nistra nel verso: lv (2), 3r (3), 4v (4), 5v (5), 13r (6), 15r (7), 16v (8), 17v (9), 20v (10), 29v (11), 32v (12), 42v (13), 44r (non si legge), 51r (15) , 58v (16), 65r (17), 74r (18), 79v (19), 82r (20), 86v (21), 90r (22), 92r (23), 93r (24), 95r (25), 96r (26), 98r (27), lO lr (28), 102r (29), 104v (30), e, nella seconda parte, 137 (1), 146v (2), 150r (3), 153r (4), 157r (5), 161r (6); mancano, come si vede, il primo e l’ulti­ mo. Questa numerazione viene a sovrapporsi a quella della sola se­ conda parte, appena descritta; f) numerazione antica (probabilmente coeva alla stesura) per carta del solo fascicolo X II (eccetto l’ultima carta) sul recto, a quat­ tro righe dal fondo, sulla destra, con numeri romani da i (11 Ir) a viiii (119r) in inchiostro rosso. Nello stesso fascicolo si trova inoltre una singolare numerazione parziale con ‘cerchietti’ affiancati in in­ chiostro rosso (ciascuno di circa 3-4 millimetri di diametro), posti nel margine esterno in corrispondenza di r. 25 di ciascun recto, giu­ sto sopra la numerazione romana appena descritta: un cerchietto a 11 Ir, due a 112r, tre a 113r, quattro a 114r, cinque a 115r;

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g) tracce di una numerazione antica (probabilmente coeva alla stesura) delle carte scritte del fascicolo 14, nel margine esterno del recto, in corrispondenza del r. 26, in inchiostro rosso, con lettere progressive (132r a, fino a 136r f). Fascicoli: I-X III10, X IV 8, X V -X V III10; l’analisi è confermata dall’apparire del filo di legatura tra la 5a e la 6a di ogni fascicolo, tranne il X IV che lo mostra tra la 134 e 135, vale a dire tra la 4a e la 5a. Catchwords si trovano alle cc. lOv, 20v, 30v, 40v, 50v, 60v, 70v, 80v, 90v, lOOv, llOv, 120v, 148v, 158v, 168v, tutti corretti, e 178v. La rilegatura, in pergamena muta con dorso rigido, è stata appli­ cata in occasione del restauro eseguito, secondo la scheda fornita dalla Biblioteca Riccardiana, da Masi-Andreoni il 29.1.1963: «scuci­ to, restaurate ed imbrachettate varie carte, spianate più di metà, nuova legatura in pergamena. Disinfezione». A quell’occasione va collocato anche l’inserimento delle carte additizie esterne (I e VI, non filigranate), ma non del fascicoletto costituito da quelle interne (II-III e IV-V) le quali riportano una filigrana la cui parte inferiore è visibile a c. IV; essa raffigura un sole con volto umano circondato da otto raggi, sotto il quale si trova una G maiuscola, ed è simile alle marche riconoscibili in numerosi manoscritti riccardiani la cui rile­ gatura può esser fatta risalire alla fine del secolo XV III (il confronto è stato facilitato da un repertorio delle filigrane riccardiane in corso di elaborazione da parte dal personale della Biblioteca, che ringra­ zio). Curiosamente, le carte IV e V (altrimenti bianche) sono, come già detto, numerate nel recto in alto a destra 41 e 42, vale a dire in prosecuzione della numerazione antica della seconda unità libraria, da mano diversa rispetto a quella, ma che tenta di imitarla. Mani: la mano principale (A; cc. l-130v, 137r-178) usa una lètte­ ra textualis di forme gotiche, non molto regolare, assimilabile a scrit­ ture dell’Italia centrale del XTVin., che Armando Petrucci propone di datare entro il 1315; a 53v.l per alcune righe sono inconsuete le forme delle lettere (per esempio nel caso di q(ui)l\lo a 53v.2) e si tro­ vano strane abbreviazioni (m o(ltip)licare a 53v.4), espressioni incon­ suete e notazioni isolate (s. 22 % a 53v.l4, con insolita precedenza dell’intero sul frazionario, vedi § IV). A partire da c. 81 v si notano alcune irregolarità nella forma delle lettere (per esempio la a, fino a quel punto di forma tonda onciale, diventa corsiva onciale, con oc­ chiello ben chiuso in basso e asta piuttosto rigida). D a c. 13 Ir a 136r

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alla mano principale subentra la mano B, di modulo considerevol­ mente più grosso, meno elegante e accurata, con chiaroscuro meno accentuato e aste più tozze ma, se ho ben visto, rispettosa delle con­ suetudini della gotica; usa un sistema grafico forse più arcaico (fre­ quenza di k al di là dell’abbreviazione k l, abbreviazioni meno fre­ quenti ma più compendiose) ed è caratterizzabile rispetto alla prima anche dal punto di vista linguistico. Sul testo intervengono poi altre due mani: la più frequente (C) usa una bella cancelleresca con tratti di mercantesca, non libraria, piuttosto elegante, minuta e regolare, caratterizzata da una r di forma minuscola allungata sotto il rigo al­ ternante con una di forma maiuscola molto elegante; anche questa mano può essere riferita al primo ventennio del secolo XIV , e ad es­ sa si debbono attribuire tutti gli interventi nel corpo del testo e quasi tutte le note nei margini16; l’altra mano di glossa, D , coeva alla pre­ cedente ma più abile, interviene in margine solo a 113r, 145v (bordo esterno) e, forse, a 142v. Ancora, una mano seriore, una elementare dai tratti mercanteschi forse della fine del sec. XTV o dell’inizio del successivo, traccia un problema in una carta già lasciata bianca, a 138v. Infine, per quanto l’aspetto complessivo coincida con quello della mano principale, si devono forse ad altro scrivente le righe 1830 della c. 97r, che presentano alcuni usi grafici ad essa estranei: pri­ ma di tutto la t cedigliata, poi il trattino ondulato per l’abbreviazio­ ne di nasale (su Gosta(n)\tinuopogle 97r.l9), gli occhielli di p e q più minuti, la r dopo vocale con il primo tratto più arrotondato, la g con occhiello chiuso ed allungato. M ise en page e decorazione: le dimensioni dello specchio di scrittura sono 101-103x159 fino a c. 70, 103x162-163 per le cc. 71136, mentre lo specchio delle carte deH’Amastramento è di qualche millimetro più ampio; in molte carte vi sono, nei margini, annotazio­ ni, disegni, conti e addirittura interi problemi con soluzione. Si alter-

16 Un interessante riferimento a questa mano è in CECCHERINI 2008:182 (con ripro­ duzione di 142vb.5 nella Fig. 37), che osserva come i più precoci libri d ’abaco siano spesso postillati non in mercantesca ma (nel nostro caso) con una «ordinary cursive script, shared both by merchants and notaries» (sullo sfondo di una proposta di inter­ pretazione originale riguardo alla tipizzazione della mercantesca, per cui si veda C E C ­ CHERINI 2010); non mi risulta che sia stato tentato un confronto con coeve scritture pe­ rugine.

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LO UVERO DE L’ABBECHO

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nano sempre pelo-pelo e carne-carne: il codice è quindi integro, a parte la mutilazione, probabilmente di un fascicolo, dopo il tredice­ simo. Un foro di tarlo, successivo alla scrittura, interessa buona par­ te del testo circa a metà della quindicesima riga di cc. 70-178, e an­ che, con foro più piccolo, a c. 69. Difetti della pergamena, preesi­ stenti alla scrittura, modificano le dimensioni della carta in parecchi casi (alle cc. 65,66, 83), senza interessare lo specchio di scrittura. Ri­ gatura a piombo, con la prima e l’ultima riga orizzontale che si pro­ lungano fino al margine della carta. L a scrittura comincia sulla se­ conda riga; ciascun foglio ospita 29 o 30 righe di scrittura. I fori per la rigatura sono stati asportati in alcuni fascicoli (mancano in parti­ colare nel quarto e nel quinto), che, se ne deduce, sono stati rifilati autonomamente. Il testo è disposto in una colonna e non lascia alcuno spazio per la presenza dei disegni o delle note in margine: le 134 figure, disegni e conti tracciati in margine in inchiostro rosso o nero vengono de­ scritti nel § I.2.b. e riprodotti in appendice al Livero. Tutte le lettere iniziali del testo dei trentasei capitoli (non dei ti­ toli, che sono di norma scritti in rosso) sono miniate, e inoltre sono miniate le iniziali di 7v.2, 37v.7 e 46v.4, che inaugurano sottosezioni nell’ambito dei capitoli; le iniziali miniate sono alte quanto 4 righe e arricchite da disegni geometrici. Le iniziali dei capoversi, decorate alternativamente in rosso e in azzurro, sono di forma maiuscola, alte circa quanto 2 righe e seguite normalmente da un’altra o da altre due lettere maiuscole, in inchiostro nero; sono state aggiunte succes­ sivamente alla scrittura, com’è evidente dalla sovrapposizione di al­ cuni elementi grafici; sono errori del miniatore E e se di 3r.l (dove non era prevista iniziale miniata), Ba per La a 35v.3, A nnome per [E]n nome a 44r.4, 48r.l e 5 0 r.l7 .1 titoli precedono l’iniziale minia­ ta e sono scritti normalmente in inchiostro rosso dalla mano princi­ pale; la fine del capoverso e del titolo, dove non manca lo spazio, è segnata da tre trattini disposti a triangolo, rispettivamente in nero o in rosso, con funzione ornamentale; di analoga decorazione, che ri­ corre anche altrove in conclusione di qualche problema, si è dato conto in apparato. Le cifre, che talora escono a destra dallo specchio di scrittura, sono normalmente con inchiostro rosso, che risponde certo all’esigenza di «rendere agevole e inequivocabile la compren­ sione dei testi d ’aritmetica e, più ancora, di quelli contabili, per

quanto riguarda tanto la percezione dell’entità numerica quanto la sua immediata individuazione all’interno della parte verbale del di­ sco rso »17; sono quindi state aggiunte negli appositi spazi lasciati bianchi, direi in un momento immediatamente posteriore al resto della trascrizione. Presentano errori piuttosto numerosi, che talora vengono corretti in nero da una seconda mano: soltanto nelle prime dieci carte gli interventi della seconda mano che correggono con in­ chiostro nero cifre in rosso si trovano a 3 r.l7 , 3r.21, 3r.24, 3r.25, 3r.26, 4 r .ll, 4r.29, 5v.2, 5v.20, 6r.25, 6v.l9, 7r.8, 7r.l3-14, 7r.23, 7 v .l4 , 7v .l7 -1 9 , 7v.25, 7v.27, 8 r .l2 , 8r.29, 8r.30, 8 v .l l , 9v.30, 1 0 r.l8 ,1 0 r.l9 . Questi interventi capillari dimostrano che il codice fu allestito in tempi relativamente brevi, essendo l’antigrafo disponibile per un confronto. Molti problemi sono contrassegnati in margine con una crocetta in nero, in corrispondenza delle righe 28v.28, 29r.9, 29r.24, 31r.8, 33r.l8, 39r.l4, 5 3 r .ll, 75r.8, 80v.l2, 88v.l3, 89v.9, 90v.24, 92v.20, 9 5 r.l8 , 95v.9, 9 8 r .l, 110v.l3, l l l v .2 5 , 113v.3, 116v.3, 118v.l4, 119r.l2, 121v.l8, 122v.23, 133r.l8 (due crocette), 133r.25, 133v.7, 134r.23 (una crocetta cassata), 135vT6 (accanto alla parola facta scritta da mano diversa da C), 142v.l2, 151v.7, 169v.6, 169v.7, op­ pure con un segno simile ad h seguito da un apice, in corrisponden­ za delle righe 3 1r.l7, 39v.24, 57r.25, 60r.l2, 62r.7, 62v.8, 64r.21, 70r.9, 70v.l6, 7 1 r.l, 71r.l2, 71r.21, 72v.21, 77v.l6, 79v.2, 79v.l8, 80r.21, 80v.l3, 81r.4, 82v.l, 83r.l6, 84v.5, 85r.22, 86v.l9, 87v.20, 8 8 v .ll, 89r.29, 9 0 v .l9 , 92r.23, 92v.20, 94r.25, 9 4 v .l9 , 94v.22, 9 5 r .l8 , 95v.9, 9 7 r .l7 , 97v.28, 9 9 r .l7 , 99v.23, 100r.5, 1 0 0 r.l4 , 102r.27, 102v.26, 1 0 4 v .ll, 106r.20, 1 0 6 v .ll, l l l v . 8 , 112v.28, 114r.4, 115r.l, 115v.l7, 120r.l8, 120v.22, 121r.l, 123v.l, 123v.l9, 125r.29, 125v.l7, 129v.l4, 130r.28, 130v.7, 131v.26, 132r.4, 132v.7,

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17 C h e r u b i n i 2006:327. Così accade in molti testi matematici medievali, a comincia­ re dal celebre manoscritto di Cambridge che tramanda l’aritmetica di al-Khwàrizml, se­ condo Y o u s c h k e v i t c h 1976:15, fino a quello del Trattato d’abaco di Piero della France­ sca trascritto da A r r i g h i 1970a:9 e riedito con un apparato ben più esaustivo da DALAI ET ALE 2012 nel quadro dell’Edizione Nazionale delle opere di Piero). Condividono que­ sto tratto del Livero, ad esempio, anche il ms. L.IV.20 della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena (una riproduzione si trova in RADICATI DI BROZOLO 2002:63) e il Con­ venti Sopressi 2616, che potrebbe bene essere considerato un modello, dal punto di vista della decorazione e della impaginazione, del più povero Riccardiano 2404.

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LO LIVERO DE L'ABBECHO

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132v.24, 133r.l5, 162r.22, 162v.l, 163r.7, 163v.l4, 165r.7, 165r.20, 166r.20,166v.4,166v.23,167v.l0,168r.l, 168r.l2,168r.26,168v.l9, 169v.l, 171r.l4, 171r.26, 172r.2, 172r.l4, 173r.25, 174r.22; o infine con segni simili a v rovesciata, alle righe 32r.l6, 94v.l3, 94v.l5 e 94v.l7. Accanto alle righe 38r.8, 3 8 r .ll sono disegnate due piccole frecce, orientate rispettivamente verso sinistra e verso il basso. D i al­ tri sporadici segni in margine si dà conto nell’apparato, prima fascia. Scritture avventizie compaiono alle carte 11 Ir (prova di penna Signora Madre seguita alla riga successiva da due parole illeggibili, di mano tardo cinquecentesca), 138v (un problema scritto sull’ultima carta del fascicolo, già citato). Sono bianche le cc. 137r~138r.

mi due decenni del Duecento, come precisa H0YRUP 2003:31. Nei diversi contributi dello stesso autore viene poi proposta una impor­ tante caratterizzazione complessiva del testo che tiene conto di nu­ merose osservazioni sia di contenuto (sostanziale assenza di procedi­ menti algebrici, limitata comprensione di alcuni problemi, rapporto con il Liber abaci) sia, meno felicemente, di forma (incongruenze notazionali, arcaicità della lingua). N e risulta che il Livero rappresenta una testimonianza fondamentale per la storia della matematica me­ dievale, sia in quanto conserva elementi e procedure che le testimo­ nianze successive mostrano già in disuso, sia in quanto attesta svilup­ pi destinati ad ampia o generale diffusione nelle scuole d ’abaco.

Il manoscritto dovette pervenire alla Biblioteca Riccardiana con le soppressioni delle biblioteche conventuali: è infatti registrato dalYlnventario 1810, non nel catalogo di L a m i 1756. In seguito è stato descritto da V a n EG M O N D 1980:156-157 (e già nella tesi di V A N E g MOND 1976:493), segnalato da ARRIGHI 1986 e trascritto integralmen­ te da A r r i g h i 1989 e 1991 (anche in stampa a parte, A r r i g h i 1990); dell'Amastramento esiste una trascrizione nella tesi di Laurea discus­ sa da Antonella Fatai nell’a.a. 1989-1990 presso la Facoltà di Scienze Matematiche dell’Università di Siena, relatrice la Prof. L. Toti Rigatelli, che non ho potuto vedere. E stato utilizzato inoltre in numerosi studi sulla storia economica e sociale del tardo medioevo: cito solo F lN lE L L O Z e r v a s 1975:486 (dove tuttavia è detto «Pisan text») e 501, e B e r t e l l i 1998:38n.; grazie ai lavori di Arrighi è citato anche nel manuale di CASAPULLO 1999:168-173 in modo generalmente corret­ to. Una riproduzione a colori di c. Ir si trova in G i u s t i - P e t t i 2002:114, senza indicazione di provenienza. Un esame attento della struttura e del contenuto del Livero (ma attraverso l’edizione di ARRI­ GH I 1989) è stato condotto da H 0 Y R U P 2003 che ha proposto un rias­ sunto sostanzialmente corretto delle materie trattate nel Livero (non dell'Amastramento) e dei rapporti con Fibonacci (in modo, mi sem­ bra, che contraddice la sua stessa valutazione del rinvio iniziale al Liber abaci come «an instance of embellishment», H 0 Y R U P 2003:40), e inoltre una datazione che ne colloca la trascrizione nel Trecento (ma, pare di capire, comunque prima del più antico testimone di Jacopo da Firenze, redatto nel 1327) e la formazione non più tardi degli ulti­

Gli aspetti materiali del manoscritto vanno naturalmente esami­ nati in riferimento al testo che esso contiene; nel caso del Riccardiano 2404 l’apparato decorativo relativamente elaborato, l’uso di una pergamena di qualità non scadente, rimpaginazione libraria, l’accu­ ratezza della scrittura, l’assenza di appunti o annotazioni di lettura e il buon numero di problemi contribuiscono a delineare una fisiono­ mia piuttosto atipica rispetto al quadro dei libri d ’abaco trecente­ schi, quale si può ricavare dai repertori citati. Il Livero si qualifica, in quest’ambito, come prodotto relativamente prezioso, poco adatto ad essere correntemente impiegato nella pratica mercantile e ispirato piuttosto, per quanto lo consente l’argomento, a coevi trattati didat­ tici. Mi sembrano notevoli, in particolare, la presenza di diverse nu­ merazioni delle carte e dei capitoli (probabilmente in funzione di in­ dici, perduti o mai realizzati) e il sistematico impiego di elementi de­ corativi, come il colore rosso per titoli e cifre e le maiuscole ad inizio di capoverso, a fini di strutturazione testuale (ad esempio nel capito­ lo XTV la mise en page caratteristica di un libro di conti è suggerita dalla presenza delle maiuscole in luogo degli a capo: si veda in pro­ posito il § III.2.d.); sono elementi che non solo testimoniano la cura della confezione, ma suggeriscono anche che il Livero sia frutto di un progetto meditato, consapevolmente orientato alla consultazione piuttosto che alla lettura continuata. Non si discutono qui, perché pertengono alla fisionomia interna del testo, altre caratteristiche pu­ re significative per un’interpretazione complessiva del manufatto, come l’originale organizzazione della materia in capitoli (§ H.2.), i particolari della notazione matematica (§ IV.), il problematico rap­

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LO UVERO DE L’ABBECHO

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porto del volgarizzamento con l’originale latino (§§ III.l. e V .I.), il ricorso sistematico a serie cataforiche e a connettivi testuali a soste­ gno o contrappunto della divisione in capoversi (§ V.2.): va notata tuttavia la contraddizione tra la regolarità e talora la ricercatezza perseguite nell’allestire il manoscritto e, d ’altro canto, la incostanza di alcune scelte e, per indicare un fatto macroscopico, l’impressio­ nante serie di errori e lacune che punteggiano il testo, specialmente quello derivato dal Liber abaci, rendendolo spesso incomprensibile. Contraddizione che, mi sembra, si risolve nella strutturale compre­ senza, all’inizio della produzione scientifica in volgare, di modelli te­ stuali ‘alti’, di provenienza accademica, e di modalità di circolazione ed utilizzazione legate alla pratica mercantile ed artigiana (se ne di­ scute a § V.4.). Di un quadro composito è manifestazione evidente la compresenza nella pagina della gotichetta della mano principale e della scrittura di glossa: la mano C interviene, frequentissima ma di­ scontinua, utilizzando (al contrario di A) una scrittura caratterizzata in senso professionale (di fatto ima minuscola notarile con elementi incipienti della mercantesca toscana classica, diffusa a partire dal terzo e quarto decennio del Trecento), e mantenendo una rigida di­ stinzione funzionale tra il testo principale da un lato e le annotazioni e i disegni in margine dall’altro18. Fin dall’aspetto grafico il Livero si dimostra un oggetto complesso e tale carattere si conferma nell’arti­ colazione della materia, nel rapporto con le fonti, nella strumenta­ zione computistica e matematica.

sto principale, e cioè le postille e correzioni introdotte dalla mano C (1.2.a.); si prosegue trattando dei conti e delle illustrazioni scritti nei margini, che recano quasi sempre didascalie (I.2.b.). D a elementi linguistici si possono individuare, nel corpo del testo, stratificazioni pertinenti alla fase latina e a quella volgare della tradizione (I.2.C.). Infine, nel paragrafo 1.2.d. sono raccolti alcuni elementi utili per in­ dividuare la data in cui fu redatto il volgarizzamento nella forma che a noi è pervenuta.

1.2. Stratificazioni del testo L ’unitarietà del testo qui edito è garantita dal modo coerente in cui la materia è ordinata e dalle scelte omogenee in fatto di lingua, di scrittura, di decorazione e di partizione del Livero e à6\27, un(de) per unde de 156r.22, de 160 per del 60 93r.23, tutte per tratte 54r.l8 (poi corretto da C), che nei è tratto per che nei è e(n)trato 44v.9, meretare ensieme per mettere ensieme 48v.l0, il non­ senso emero per [ov]ero 90v.4 (il Liber ha vel), guadagnano per gua­ dagno 125r.4 (Fib. lucro), tornalla per trovalla ‘la trovammo’ a 37v.3, sonno per senno 72r.2-3, a 118v.l9 è-ne in luogo di e congiunzione; a 16r.l6 fiade di A è cattiva lettura di f a ’ de, che C ha ripristinato; a 83r.l9 a viene del Livero Fib. oppone minus, come richiede il senso, per cui dobbiam o supporre che un intermediario volgare avesse meno, dove m- poteva esser letto vi-", a 106v.21 e voglo tre per vel triplum di Fib. è evidente errore di copia per vogle. Sono errori pure significativi sul piano linguistico agiognene 72v.l4 per habent sicuramente corretto e agiogne 85v.7 per habeantur: in entrambi i casi l’esemplare, recente o remoto, del Riccardiano doveva essere scritto in un dialetto in cui la terza plurale del verbo ‘avere’ suona agiono o aggiono, così da rendere possibile un equivo­ co con ‘aggiungere’. L ’errore di quitto 122v.l6 per quitte mostra che il dimostrativo femminile plurale dell’esemplare aveva i tonico; la preposizione articolata e• Ila viene erroneam ente interpretata a 27v.24 come articolo determinato femminile di forma intera. Il no­ stro m anoscritto discende quindi da un antigrafo in cui si com ­ binano aggiono da ‘avere’, il dimostrativo non metafonetico con i to­ nico e la preposizione articolata e- Ila; che dunque va riferito all’area linguisticamente mediana20. Per definire l’aspetto dell’antigrafo del Riccardiano tom a utile il già citato fraintendimento di t(er)qa per t(er)ra, cui si può accostare il caso di e te(r)tia 24 cha(r)ra\te 128r.5-6 in luogo di e vigniria 24 di un testo affine nello Zibaldone da Canal (vedi l’apparato ad locum):

1.2.c. Stratificazione linguistica Il manoscritto Riccardiano è, allo stato delle ricerche, testimone unico del Livero de l’abbecho e del Primo amastramento, sebbene per limitate porzioni di esso si possano proporre confronti con altri testi medievali di matematica pratica (se ne discute più sotto, §§ III.2-3.). Il volgarizzamento di Fibonacci non deriva direttamente da un anti­ grafo latino: il modello del Riccardiano non fu direttamente il Liber abaci, ma un volgarizzamento già profondamente rielaborato. Infatti numerosi errori compiuti dall’estensore del Livero o da un suo anti­ grafo si spiegano all’interno di una tradizione già volgare e anzi, co­ me possiamo dire con qualche sicurezza, già perugina o comunque mediana. Sono dovute a errore da testo volgare le scrizioni la t(er)qa

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20 Allo stesso modo è significativa l’omissione, probabilmente per omoteleuto dopo quagle, di un ipotetico togle nel passo degle quagle togle el i qioè 3, e chotanto ave el pri­ mo; del quagle anebora el tergo, gioè 2, e chotanto aw e el secondo 82r.l0, da cui si desume un altro tratto linguistico di un antigrafo del Riccardiano, e cioè l’esito palatalizzato di -L U , caratteristico del perugino (§ 43). D ’altro canto va notato che l’errore di 114v.l2, dove la lezione tradita Adomando se partiero chene enfra loro (che corrisponde a Fib. utrum divisio illa recta fuerit) va emendata in [bjene, depone per un antigrafo volgare in cui il dittongamento non seguiva o non seguiva regolarmente le consuetudini perugine che prevedono la forma biene (vedi a questo proposito § 20 del commento linguistico).

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LO UVERO DE L’ABBECHO

10 scambio di r con g lascia pensare che l’antigrafo sia del Livero sia dell’Amastramento fosse in scrittura minuscola con r allungato sotto 11 rigo, e dunque una corsiva. Manca invece ogni indizio linguistico o codicologie© di una pri­ mitiva diffusione toscana (e s’intende qui toscana in senso linguistico e ristretto, vale a dire fino ai confini della varietà aretina) del volga­ rizzamento, tanto meno di una sua produzione nella regione in cui i testi di Fibonacci appaiono più conosciuti21. Sono presenti nel Live­ ro numerose forme che potrebbero far pensare ad un intermediario toscano occidentale; ma a ben guardare si tratta di elementi non fio­ rentini condivisi dal perugino antico. Dal punto di vista poi delle re­ lazioni economiche la frequenza di nomi, valute e ambientazioni to­ scane citate nel Livero riflette probabilmente un carattere oggettivo dell’attività mercantile perugina a cavallo del Trecento e, in alcuni casi, un dimostrabile lascito del Liber abaci. Si noteranno invece più sotto riferimenti a pratiche commerciali e ad usi mercantili ve­ neziani, a conferma della pertinenza del Livero (almeno nella fase di­ rettamente attestata) alla piazza perugina, tradizionalmente orientata al commercio transappenninico e verso gli sbocchi adriatici. Non mancano poi sviste che rimandano senza dubbio alla fase latina della tradizione: si è già osservato che a 29v.9 il Livero ha trovò per minuit di Fib., evidentemente scambiato nella lettura per invenit. Più numerosi e significativi, altri errori sembrano risalire al momento della traduzione dal latino; il volgarizzatore ha probabil­ mente tradotto il testo latino ad verbum, con elementari ulteriori in­ terventi di aggiustamento delle scelte lessicali22: solo così si spiegano 21 Per la fortuna volgare di Fibonacci in Toscana si vedano BONCOMPAGNI 1854, 1963 e 1966a, B a l d e l l i 1965, e naturalmente gli indici di V a n E g m o n d 1980 22 La resa ad verbum è la tecnica di base, eventualmente come fase preparatoria, per la traduzione di opere letterarie e soprattutto pratiche almeno fino al X V secolo; su di essa si è esercitata la riprovazione dei trattatisti, almeno da Orazio, Ep. Il, 1 133, e con minor costanza l’attenzione dei moderni ricercatori: per una essenziale discussione delle teorie antiche e medievali sulla traduzione si vedano B u r id a n t 1983 e i più recenti con­ tributi di COPELAND 1991 e REYNOLDS 1996, incentrati sulla traduzione letteraria; spunti interessanti, specie a proposito dell’ordine delle parole, si possono trovare nei lavori di R a s o 1994-95 e di R o m a n i n i 2002. Si veda poi la bibliografia raccolta da B r u n i 1973 :XCV, nota 10. È notevole che il Livero non presenti alcun riferimento al fatto di es­ sere stato tradotto, quasi che la circostanza di un testo matematico in latino non compor­ tasse alcun pregio, o che fosse normale che la oppenione de I maiestro Leonardo de la chasa degl figluogle Bonarie circolasse in volgare (mentre le più remote traduzioni in volgare A r r ig h i

INTRODUZIONE

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i fraintendimenti sistematici di singole parole (la documentazione è raccolta e analiticamente discussa più sotto, § V.4), gli sbagli per er­ ronea distinctio di parole di Fib., la frequente adesione alla struttura sintattica e spesso all’orbo verborum del testo latino. Per quanto ri­ guarda la tecnica di traduzione, non si osserva nella parte dipenden­ te dal Liber abaci alcuna dittologia sinonimica23, e in generale va rile­ vata l’assenza pressoché assoluta dei consueti modi di amplificatio normalmente utilizzati nei volgarizzamenti di maggiore impegno sti­ listico24, e che qui sembrano diretti più a rabberciare una traduzione zoppicante che a rendere efficace o elegante il testo. E il caso ad* esempio del passo che segue: Uno huomo dava ad uno altro p(er) sua huopra, la quale gle facea cho[n]tinuam(en)te, ma(r)cha una d’argento 107r. 15-16, dove cho[n]tinuamente non è amplificazione ma frain­ tendimento di cotidie (forse per equivoco di lettura con continue) del testo di Fib.: quidam dabat cuidam prò suo opere cotidie march am 1 argenti (identico scambio a 104v.24,104v.26,105r.l). A delineare i modi di questo difficile passaggio dal testo latino a quello volgare mi sembrano significativi anche gli errori in traduzioni in astratto cor­ rette ma non adatte al passo, in particolare quelli che colpiscono i pronomi personali e indefiniti (vedi ancora § VI.4 per una più ampia documentazione): Pone p(er) lib. 100 e p(er) luie che fo 86v.30 (Fib. pone .a. prò libris 100, et .b. prò eo, quod habuit, dove si può pensare al fraintendimento di una scrizione abbreviata h’uit), la m(ultip)lichat(i)o(n)e del t(er)go de ciascuno nu(mer)o 80r.l0 (Fib. ergo et multiplicatio cuiuslibet numeri), el chapetale suo che em Go\stantinuopogle remasero 125r. 19-20 (Fib. capitale ipsius, qui Constantinopolim remanserat). In molti casi, poi, l’insolito ordine delle parole può es­ sere ricalcato sul latino (1), fino a dar luogo, in qualche occasione, a sequenze incomprensibili (2): (1) E se ’l pre^o d’uno s. d’esso boi?. sap(er)e vuogle, esc(r)ive 19v.22 (Fib. Et si pretium unius soldi eiusdem bolsonalie reperire volueris), che di opere fibonacciane sono almeno di mezzo secolo successive e condotte secondo tutt’altri criteri). 23 Si veda al riguardo, oltre ai contributi citati alla nota precedente, la bibliografia raccolta da B r u n i 1973:XCV, nota 10. 24 Ad esempio, tra i casi più recentemente segnalati, quello della duplice traduzione del Moamin studiata da MARRUNCHEDDU 2006.

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LO UVERO DE L’ABBECHO

sonno e- Ila libra d’essa mon(eta) che I vuogle fare: la somma de tutto el (con)sola(r)e enconltene(n)te truuova 24r.l4-15 (Fib. que sunt in libra ipsius monete, quam vis facete, summa totius consolaminis, tantum invenies), che deie ess(er)e esc(r)ipto e- llibre 60 de fa(r)e la moneta 24v.9 (Fib. que debent esse in prescriptis libris fiende monete), chota(n)lte e[n] una libra d’esse onzie 90 e (con)sola(r)e puoie 24v.29 (Fib. totiens una libra ex ipsiis unciis 90 consolari potest), libr. 30 de moneta ad onzie 2 , 1 de peltro cioè giogne(n)do 25r.21 (Fib. libras 30 monete ad uncias 2, cuprum videlicet addendo; et volueris scire), adonqua enfra el t(er)go I e ’l qua(r)to huomo ch’agiono i e tutta la so(m)lma e 7 più, ch’ei deie el pri­ mo e ’l s(econd)o huomo; semeglantem(en)te de la petit(i)o(n)e e da propo(s)it(i)o(n)e delgl’altre trovate e i che ’l qua(r)to huomo aveslse 71r.30-71v.l (Fib. ergo inter tertium, et quartum hominem habent i to­ tius summe, et amplius 7, quos dant primo et secundo homini. Similiter ex petitionibus, et propositionibus reliquorum invenies, inter quartum et primum hominem haberè), È-ne uno nu(mer)o el quale, se sopre agiongneraie I H e 12 168v.5 (Fib. super quem si addideris), sopre el quale agionse H e 12 168v.l5 (Fib. super quem si addideris), egl quagle chusì tolle I e chusì el mostreremo 168v.23 (Fib. et sic accipere eas demonstramus) (2) e tutta fiada sop(er)chiro(n)no egl d. de l’uno 72v.21 (Fib. Deinde ut separentur denarii unius), enp(er)giò che ’l s(econd)o à-ne enna(n)lte, fone § de quisto ch’ave 73r.l7-18 (Fib. Qua re hocquodsecundus habuitantea fuit $ ex hoc, quod habuit), E se ne fosse ditto: p[o’] I la donat(i)o(n)e degle preditte gl’altre 4 huomelne quillo che remanesse s(econd)o l’altra proposiltio(n)e, e diciamo che quilla che remase al s(econd)o 74r.6-10 (Fib. Et siproponatur, post dationes predictas illis .iiij. hominibus inequaliter remanere secundum aliquam datam proportionem, ut dicamus illud quod remansit secundo fuit tantum), primame(n)te 2 fialde me(n)tovato 79v.6-7 (Fib. primo bis computato), Soprasc(r)ipte demostreremo 85r.30 (Fib. Suprascriptis itaque demonstrationibus), en ese reg(o)la 94r.l (Fib. in eorum comuni regula), Anlche: degl di menore piene, overo pa(r)te la loro da I la maiure aria p(er) lo lato de la maiure 114r.29-114v.l (Fib. vel aliter: divide latus maioris arce per latus minoris). Se ne può concludere che il testo del Livero informa (ed è parti­ colarità rara) non soltanto sulla fase direttamente attestata della tra­ dizione, ma anche su quelle precedenti fino a riportare errori relativi ancora alla fase latina (su cui ritorneremo nell’ultimo capitolo di questa introduzione); e con la stessa immediatezza documenta un deciso riassetto della materia del Liber abaci operato prima del vol­ garizzamento o, con ogni probabilità, nell’opera stessa di traduzio­

INTRODUZIONE

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ne. U fatto che errori così remoti nella formazione del testo non sia­ no corretti nel manoscritto Riccardiano dimostra che non vi è stata una successiva revisione; e dunque il Livero riflette in misura rile­ vante una situazione testuale che si può collocare direttamente a ri­ dosso del volgarizzamento e che, a quanto ne so, risulta inattingibile non soltanto entro altri libri d ’abaco in volgare, ma anche nella tra­ dizione dello stesso Liber abaci. Conviene dunque chiarire la crono­ logia non solo del testo nel suo complesso, ma per quel che è possi­ bile, delle diverse fasi e stratificazioni che vi si riconoscono. 1.2.d. Argom enti interni per la datazione G li elementi utili per una datazione interna (relativa cioè alla formulazione dei problemi nella forma attestata, non alla loro tra­ scrizione nel manoscritto Riccardiano) si concentrano nelle sezioni dedicate al cambio tra diverse valute (7r.15-16v.23) e alle scritture di conto (44r.2-51r.2): - il quadro delle monete e dei rapporti valutari ha evidentemen­ te il fine concreto di addestrare al calcolo rapido delle equivalenze valutarie: i valori non sono però sproporzionati ai reali rapporti di cambio che si possono desumere dalla documentazione duecentesca; gli elementi utili (attraverso un esame della coerenza interna dei va­ lori e il confronto con altre fonti) vengono partitamente esaminati più sotto (§ III.2.b.); riassum endo, i dati presentati nei capitoli V-VII e X X I sembrano compatibili con una datazione tra il 1285 e il 1295 circa; - le scritture di conto sono esempi di conto corrente e di calcolo delle competenze attive e passive dell’intestatario. Sono naturalmen­ te conti fittizi, come dimostra anche il criterio di progressiva diffi­ coltà secondo cui vengono presentati, e sono caratterizzati dal for­ mulario tipico della documentazione di ambito mercantile (di tutto ciò si discute più sotto, § III.2.d.). Conformemente ad esso, ogni conto è preceduto dall’invocazione rituale A nome de Dio amen e dall’indicazione dell’anno di apertura del conto, e di ogni operazio­ ne è annotata, oltre al segno (deie dare o deie avere) e l’importo, la data. Tutti i conti risultano accesi il primo gennaio del 1288, mentre la data più tarda citata è il primo dicembre 1290 (chiusura del conto di Guido del Chiaro a 4 8 r .ll); proprio l’unanime attestazione della data rende verisimile che il 1288 possa essere accettato come data di

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LO UVERO DE L'ABBECHO

INTRODUZIONE

riferimento per la formazione del piccolo corpus di esempi di conta­ bilità attestato nella sezione delle regole de saldare ragione-, anzi sulla base di questo elemento VAN EGMOND 1980:156 propone una data­ zione di tutto il Livero al 1288. Non è prudente tuttavia accettare queste date per la stesura del capitolo e ancora meno di tutta l’ope­ ra: è, si può dire, la norma che in manuali di mercatura e altri docu­ menti di ambito mercantile si osservi evidente discrepanza tra l’epo­ ca in cui è collocabile un manoscritto e le poste di conti in esso an­ notate; si deve però considerare che, nel caso del Livero, la data del 1288 concorderebbe in linea di massima con gli altri elementi di da­ tazione. La questione viene discussa analiticamente a § III.2.d. Le sezioni utili per proporre una datazione del testo del Livero non sono, com’è logico, tra le parti derivate da Liber abaci', della tra­ dizione di questo testo si sa ancora troppo poco (sostanzialmente quanto era noto al suo unico editore moderno) per poter individua­ re la posizione del Livero nel suo ambito, ma certo il Riccardiano si colloca assai vicino alla diffusione latina della redazione a noi nota del Liber abaci di cui ripete alcuni errori, mentre altri sono riferibili, come si è detto, al momento della traduzione in volgare.

te (capitolo V), del cambio per modo de merchatante 7v.l (cioè solu­ zioni di equazioni indeterminate elementari), la regola catenaria25 (capitolo VI) con casi particolari (capitolo VII, con equivalenze tra merci e monete, e capitolo V ili dedicato a unità di misura di metalli preziosi), l’applicazione di miscugli a leghe metalliche (capitolo IX) e in particolare a materiale semiprezioso destinato alla monetazione (capitolo X ), con ampie parti su problemi vari legati ancora alle le­ ghe (capitoli X e X I; l’ultimo problema è contraddistinto da un tito­ lo a sé stante, D e chanpana 31v.22). Si introduce poi la matematica finanziaria con l’interesse semplice (capitolo X II, prima parte) e l’e­ sercizio su conti correnti, per passare ad esemplificazioni di calcolo dell’interesse composto (capitolo X II, seconda parte) e dello sconto composto (su affitti di beni, cui è dedicata l’ultima parte del capitolo X II, probabilmente da identificare nel capitolo X III di cui sarebbe caduto il titolo); viene poi esemplificata la gestione di conti correnti personali (capitolo XIV) e di quote di partecipazione alle compagnie (capitolo XV ), che passa dalla semplice ripartizione proporzionale a problemi più complessi di soccide (cioè contratti di allevamento che prevedono, al tremine del periodo concordato, la consegna al pro­ prietario di un numero determinato di animali). Con il capitolo X V I inizia una serie di esercizi su problemi di analisi indeterminata, indicati con etichette funzionali alla memoriz­ zazione: problemi de chonpare de chavagle (capitolo XV I), de huomene che demandavano denare (capitolo XV II), de huomene che trovaro borsce (capitolo X V III), de huomene che cholsero denare emsiememente (capitolo X IX ), de viage (capitolo X X ), quasi tutti riconduci­ bili a sistemi di equazioni indeterminate di primo grado a più inco­ gnite; e infine problemi de huom(en)e ch’andaro a guadagnare agl merchate, cioè riguardanti successioni, e in particolare un problema sulla successione detta di Fibonacci (capitolo X X I)26.

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IL Sommario. I criteri di ordinamento dei capitoli II.l. Tavola dei capitoli Si discute in questo paragrafo l’ordine degli argomenti trattati nel Riccardiano 2404, avendo riguardo alla sistemazione della mate­ ria e rimandando al successivo l’esame della formazione delle diver­ se componenti testuali e tradizionali che costituiscono il Livero. Una volta illustrata, nel primo capitolo, la regola delle tre cose (cioè delle proporzioni), essa viene applicata prima su semplici pro­ blemi di calcolo del prezzo di merci che si vendono a centinaio (cioè a cento volte l’unità di misura di base; capitolo II) e successivamente al caso particolare di merci sottoposte a raffinazione con scarti di va­ lore significativo (capitolo III); si procede poi con altre semplici ap­ plicazioni della regola delle tre cose diretta o inversa applicata a mi­ sure di panno (capitolo IV, prima parte), e con equivalenze, senza indicazioni di ambito (dette appunto regole senza nome 5v.l9bis); seguono le regole del cambio monetario semplice, anche con 3 valu­

25 Cioè l’equivalenza di più unità monetarie senza che sia previsto un materiale scambio di monete, utile per transazioni su diverse piazze o per equivalenze non direttamente disponibili. Per la storia del fortunato tecnicismo, passato all’inglese chain rute, te­ desco Kettenregel o Kettensatz, olandese Kettin-Regel, si veda S mith 1953:11,573. 26 È bene precisare che Fibonacci, nel problema che utilizza la serie che porta il suo nome (Fib. 283), non individua le proprietà della successione; i termini serie e numero di Fibonacci furono coniati dal matematico francese Edouard Anatole Lucas (1842-1891), evidentemente sulla scorta di LIBRI 1838-41.

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LO UVERO DE L’ABBECHO

INTRODUZIONE

Seguono alcune questioni con maggiori elementi concreti, dispo­ ste in ordine di crescente complessità: dapprima semplici esercizi su equazioni di primo grado ad una incognita sui rapporti tra il peso delle singole parti di una coppa (capitolo X X II) e sulla porzione na­ scosta di un palo conficcato in terra (capitolo X X III); poi sistemi a tre o quattro incognite (presentate come il contenuto di diversi vasi; capitolo X X IV ), un problema di ripartizione proporzionale tra i soci di una compagnia (il titolo, de huomene che vonno per via chumunalemente ensieme, è fuorviarne; capitolo X X V ), un esempio di proce­ dimento di falsa posizione (XXVI). Il capitolo X X V II è dedicato al­ la velocità con cui si svuotano o si riempiono tini e botti, il X X V III riguarda miscugli risolvibili con sistemi di equazioni di primo grado a due incognite, il X X IX contiene problemi di riparto proporzionale esemplificati con il riferimento a un contadino salariato, mentre il X X X contiene due problemi sulle successioni e in particolare ancora sulla serie di Fibonacci. Infine una ampia sezione è dedicata, come accade di norma nei manuali di matematica pratica, a ragioni varie, difficilmente catalogabili o di puro divertimento (capitolo X X X I). I problemi affrontati nel Primo amastramento de Parte de la geo­ metria non sono disposti secondo un criterio di progressiva com­ plessità, ma raccolti in sei capitoli senza esplicita distinzione tra geo­ metria piana, geometria solida e algebra. I problemi del primo capi­ tolo riguardano il cerchio, e in particolare la relazione tra diametro ed area (139r-140r), il confronto e la somma delle aree di più cerchi (140r-142r), il rapporto con quadrati (142r-143v) e triangoli inscritti e circoscritti (143v-145v), le dimensioni di un cerchio al cui perime­ tro o alla cui area si aggiunga una quantità unitaria (145v-146v). Il secondo capitolo è dedicato a problem i di geometria solida che coinvolgono poge e peschaie, cioè cilindri, di cui si calcola al solito il volume studiando poi la variazione crescendone le dimensioni della misura unitaria (146v-147v e 148r); in altri problemi se ne confronta il volume con vari altri solidi: cubi (147v e 149r), cilindri (148r e 149r), parallelepipedi (148v), coni e doppi coni (149v), sfere (15Or). Si tom a alla geometria piana con il capitolo III, che tratta dello schudo, come vengono successivamente designati sia il triangolo che il trapezio (cui viene dedicata la parte finale del capitolo: 152v-153r); non è presentata alcuna distinzione tra diversi tipi di triangolo, ma si assume implicitamente che si tratti di triangoli isosceli. L e regole

d’arbore del capitolo IV sono applicazioni del teorema di Pitagora (o piuttosto, nell’ottica del trascrittore, della regola di Pitagora) fino a 156v, cui segue un problema di proporzioni che può essere accosta­ to a quelli discussi nel Livero, capitolo X X III, e altri simili alle que­ stioni varie del capitolo X X X I del Livero. Anche i problemi del ca­ pitolo V sono applicazioni della regola di Pitagora tratte dal Liber abaci, e sono indicati come regole de torre in virtù della rappresenta­ zione dell’ipotcnusa come una corda o una scala appoggiata ad una torre (157r-159r) o come il tragitto percorso da uno o due uccelli tra una torre e una fonte (159v-160v); per questo vengono raccolti in questo capitolo anche problemi di algebra simili a quelli già discussi nel capitolo X X X I del Livero. Il capitolo VI è dedicato a problemi de numere: in essi manca ogni riferimento alla geometria, anche se i primi si presentano come applicazioni della regola di Pitagora (un po’ come le regole senza nome del capitolo IV del Livero); sono que­ stioni di analisi indeterminata simili a quelle discusse nella prima parte del codice e risolvibili con equazioni di primo o secondo gra­ do27. Non viene distinta come capitolo a sé stante, ma è provvista di un titolo in rosso la sezione dedicata a problemi misti di equivalenza tra misure di estensione in uso a Assisi, G ubbio e Perugia e di misu­ ra di appezzamenti di forma irregolare, secondo misurazioni empiri­ che. In fine si trovano due problemi di geometria solida, di cui non è chiaro il rapporto con quelli che precedono. Ecco in dettaglio il contenuto del Livero secondo la partizione in capitoli, con il riferimento alle corrispondenti pagine del Liber abaci (che non necessariamente esauriscono la materia trattata nel capitolo del volgarizzamento); segno con asterisco i casi in cui la coincidenza tra i due testi è limitata a parte del problema e ometto l’indicazione di compendi e cambi di rigo.

27 Un utile confronto tra le serie di problemi di questo tipo nei vari libri d ’abaco è svolto da H 0Y R U P 2007:132-133, il quale conclude che il trattato di Jacopo «coincides with what we fìnd in thè Columbia Algorism and in thè Livero de Vabbecho-, it is solved in thè same way, as is thè dose kin Liber abaci ». Il rapporto tra il Livero e il Columbia X 511 A13 andrebbe approfondito anche sul piano paleografico, della decorazione e del­ l’organizzazione testuale.

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LO UVERO DE UABBECHO Livero dell’abbecho

86v-91r

X X I.

de huomene ch’andaro a guadagnare agl merchate

carte

cap.

argomenti

cap. e pag. del Liber

lr - lv lv-3r

I. II.

de le regole de le tre chose

non nel Liber

3r-4v 4v-5r

III. IV.

91r-92r 92r-93r 93v-95r 95r-96r

6r-7r 7v-13r

V.

13r-15r

VI.

merchatante de regole de baracta de monete e denari

non nel Liber

X X IL de choppe e del suo fondo XXin. d ’arbore o vogle de legne XXTV. de vasa X X V . de huomene che vonno per via chumunalemente ensieme 96r-97v X X V I. de huomene che portaro margarite a vendere em Gostantinuopole 98r-101r X X V n .d e tine e de botte cho’ n ’esce el vino per gle foramene cho sonno e -1 fondo 101r-102r XX V m d ’uno che mandò el figlo en Alixandria 102r-104v X X IX . d ’uno lavoratore che lavorava enn tuia uopra

15r-16v

VII.

de le regole de marcho Tres?e e de svariate

16v-17v

V ili.

non nel Liber ragione de libr. da sapere quante d. de chantra e charrubbe non nel Liber e grana è l’onzia

104v-105r X X X . de huomene ch’àndano l’imo p o ’ l’altro 105r-136v X X X I. de regole per molte guise

17v-20v

IX.

20v-22r

X.

22r-29v 29v-32v

X I.

de svariate regole che s’apertengono al

32v-42v 42v-44r

X II.

consolare de le monete regole de merto overo d ’usura

XIII.

44r-51r

XIV .

51r-58v 58v-65r

5r-6r

65r-74r

74r-79v 79v-82r

regole che ensengna a fare ragione de lo centonaio de tutte le cose che se vendono a cento s. o a cento b rad a de le regole de pepe che se [m ]onda regole degle drappe che se vendono a channa e a br. regole senga nome de regole de chanbio regole de chanbio per m odo de

non nel Liber non nel Liber non nel Liber non nel Liber non nel Liber non nel Liber

de comparare bolzone a numero de denare ed a peso de libr. 1X128-31 de regole de consolare ed alegare monete 1X 131 regole de svariate mode

X IV 399, X U 298, X I 160,165-66, X U 179 X I I 188-89 x n 174-75 X I I 286-87 X I I 293-94,297 X I I 203-04,277-78 X U 183-86 X I I 180-81 X m 323-24, X I 160-61, X H 186-87, x m 324-25 x n i6 8 x n 273-74,297-298, 283-84, X m 329-30, X H 31 2 -13,177*, 1 8 2 ,3 0 7 *, 3 0 4 ,2 1 1 *, 279-81, X I 160, X V 403, X I 173*, X U

X I 144-59,161 X I 161-62,164 X I I 267-73; 3 1 3 *

regole che s’apertengono a quille de la usura

2 8 3 ,1 7 7 ,1 8 2 ,2 7 6 , 3 1 1 ,3 1 6 ,3 1 3 , 309-310,312,

non nel Liber

X I 132-133,165

XV .

regole de saldare ragione de svariate regole de compagnye

non nel Liber X n 293,2 8 1 -8 2 ,1 7 8

XV I.

de chonpare de chavagle

(da 60r) X H 228-229

X V II. de huomene che demandavano d. l’uno a l’altro

X V III. de huomene che trovaro borsce X IX . de huomene che cholsero denare

XX.

Primo amastramento de l’arte de la geometria non nel Liber

234-236,253-254

139r-146v I. 146v-150r II.

de tondo de regole de po?e e de fonte e de peschaie e de citeme

X i n 336-38, X II

150r-153r IH.

284-85,189-90, 196-202,287-88 X n 212-15,220-28

153r-157v IV. 157r-161r V.

de regole de schudo overo de triangogle de regole d ’arbore per molte guise

X m 403-404 non nel Liber non nel Liber

regole de torre de ragione de numere

X n 281-83,172,

emsiememente

X I I 204-07, x i n

de regole de prochacio overo de viage

X n 191,258-66

330,281 82r-86v

43

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161r-178v VI.

Xni398 1 7 3 ,1 7 6 ,1 7 8 ,1 8 7 , 188,207-11, X I V 4 0 2 ,4 0 5 ,4 1 0

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La successione delle questioni trattate coincide sostanzialmente con quella normale in analoghi «formai didactic treatises», cioè in raccolte di problemi dotate di una coerente organizzazione formale secondo un ordine ragionato (secondo la definizione di Van E g MOND 1980:13-29; si vedano anche F ranci-Toti RIGATELO 1982 e F ranci 1994 per l’esemplificazione di questioni diffuse in questo ti­ po di testi); invece la scelta di omettere del tutto la trattazione degli elementi della numerazione e del calcolo risulta piuttosto atipica ri­ spetto ad analoghi manuali trecenteschi e quattrocenteschi, i quali tendono a iniziare con una analitica descrizione dei numeri arabi e del loro uso nelle diverse operazioni e spesso con una introduzione alle frazioni e alle radici, secondo l’impostazione del Liber abaci, senza tuttavia che si possa provare un diretto rapporto testuale28. U Livero invece, che pure rispetta in modo puntuale il testo di Fibonacci quando lo utilizza, esclude risolutamente ogni fase intro­ duttiva né chiarisce notazioni e tecniche di calcolo che pure possia­ mo ritenere di diffusione non generale all’epoca; e d ’altro canto non approfondisce lo studio delle tecniche oltre una episodica trattazio­ ne di equazioni di secondo grado. Rispetto al testo del Liber abaci vengono considerati solo i capitoli X I, X II e XIII, più la giunta di qualche problema del IX e del XIV 29. La sezione geometrica è anco­ ra più sbilanciata verso un approccio pratico che prevede una rudi­ mentale ed approssimativa strutturazione per figure geometriche e trascura del tutto una definizione degli enti geometrici elementari e delle nozioni di base (si veda più sotto per l’elenco specifico); né si

fa alcun riferimento alla struttura formale della dimostrazione mate­ matica30. Questa selezione dei problemi non è compatibile con il progetto di un manuale complessivo di matematica, com’è il model­ lo fibonacciano, e si riferisce invece ad un progetto di raccolta di materiali di matematica prevalentemente finanziaria e pratica desti­ nata a chi aveva già buon dominio degli strumenti di calcolo (secon­ do una divisione della materia evidentemente canonizzata) e cercava di affinare abilità operative in contesti non particolarmente raffinati ma eminentemente pratici: sono significativi lo spazio dedicato ai problemi che da altri manuali sono detti per dilette?1 e la scelta di chiudere la parte algebrica con veri e propri casi pratici di traffici reali in situazioni locali concrete (128r-130v.l3, 135v.9-136v). Il L i­ vero, almeno nella sua sistemazione documentata, andrà quindi rife­ rito ad un contesto didattico (al di fuori del quale non sarebbe giu­ stificabile una organizzazione così selettiva), e in particolare ai corsi avanzati di abaco tenuti, per iniziativa privata o comunale, nei gran­ di centri commerciali italiani; in essi questo strumento sarà stato usato da un insegnante come repertorio di esercizi e per la struttura­ zione complessiva della materia. Nell’allestimento relativamente raf-

28 Si veda ad esempio l’introduzione di Piero della Francesca al suo Trattato d’abaco, pubblicato da A r r ig h i 1970a:39, che si propone di scrivere alcune raigioni mercantesche conmo baracti, m eniti e compagnie; cominciando a la regula de le tre cose seguendo positioni et, se a Dio piacerà, alcune cose de algebra: dicendo prima alcune cose de’ rodi, cioè montiplicarli, partirli et ragiognarli e cavare l’uno da l'altro benché fusse buono da farse nelle librecte (cioè nei corsi di introduzione elementare al calcolo). La sequenza degli ar­ gomenti nelle carte 3r-23v del Trattato (in DALAI ET ALII 2012) coincide nella sostanza con quella del Livero. 29 Anche all’interno dei singoli problemi è evidente la tendenza ad evitare digressio­ ni teoriche: ad esempio a 26r.30, in un brano tradotto puntualmente da Fib. 152, vengo­ no omesse circa 6 righe (nel testo a stampa), che introducono i concetti di larghezza e scarsezza, cioè di percentuale di nobile nelle monete. Invece a 62r.2-3 vengono diffusa­ mente inserite precisazioni relative alla effettiva posizione dei numeri utilizzati nelle ope­ razioni, che mancano del tutto nel passo corrispondente del Liber abaci.

30 Va osservato tuttavia che una organizzazione tematica è presente all’interno del singolo capitolo, specialmente nei cap. I e II deS.’Amastramento, in cui i problemi vengo­ no disposti in modo da offrire una disamina relativamente organica delle relazioni tra elementi interni della figura studiata (rispettivamente cerchio e cilindro) e poi dei rap­ porti con altre figure, piane nel primo caso e solide (con ampia esemplificazione) nel se­ condo. A fronte di questo ordinamento, che testimonia la presenza tra le fonti del Livero di un repertorio ordinato di casi, stanno esempi di associazioni assolutamente esteriori, come quelle segnalate nei capitoli V e VI, e di osservazioni nettamente empiriche, come i rapporti tra aree di cerchi discusse a 140r-141v: in perfetta analogia, com’è facile osser­ vare, con procedimenti utilizzati nel Livero ad esempio nei cap. XV e X X (se ne discute subito sotto) e rispettivamente nel cap. X II a proposito dei rapporti empirici tra unità monetarie e calcolo degli interessi. 31 La presenza di problemi ‘per diletto’ è, si può dire, costante nella produzione abacistica (vedi F R A N C I-T o n RlGATELLI 1982 per resemplificazione); non saprei tuttavia precisare, per la mancanza di un esame analitico dei testi, se i tipi di problemi raccolti sopra questa etichetta si ripetano dal primo Trecento al Cinquecento, o se si possano in­ vece osservare una differenze nella composizione di queste parti; da alcuni testi partico­ larmente vicini alla didassi spicciola, come ad esempio quello di Pier Maria Calandri (edito da ARRIGHI 1974), si ha la sensazione che la categoria ‘per diletto’ si sia ampliata fino a comprendere tutto ciò che non è riferibile a matematica finanziaria e alle tecniche per la risoluzione di equazioni; e che presto venga a costituire un vero e proprio reperto­ rio per questioni adatte ad essere presentate davanti ad un pubblico.

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finato e costoso del manoscritto deve aver avuto una sua parte il de­ siderio di possedere e all’occorrenza esibire un testo prestigioso re­ datto secondo la oppenione de I malestro Leonardo Ir. 1-2; d ’altronde la pluralità di numerazioni e la revisione operata da C documentano lo sforzo di realizzare uno strumento anche concretamente utilizza­ bile, specialmente per la consultazione. II.2. L ’ordinamento per capitoli Come è visto nella tabella del paragrafo precedente, il testo del codice Riccardiano è diviso in trentasette capitoli; essi sono distinti dall’iniziale miniata e dal titolo in rosso seguito da tre puntini dispo­ sti a triangolo, numerato progressivamente e contrassegnato anche da una specifica numerazione marginale (vedi la descrizione del ma­ noscritto, §1.1.), evidentemente in ragione di una coerente scelta de­ gli elementi decorativi; in alcuni casi un titolo in rosso non corri­ sponde ad un capitolo ma ad una sua sezione non numerata (5r, 7v, 22r). U capitolo più ampio, il X X X I del Livero, consta di ventidue carte (ed è anche il più composito), ma normalmente un capitolo oc­ cupa quattro o cinque carte e contiene un numero variabile di capo­ versi, distinti dall’tf capo, dal rientro e dall’iniziale decorata; un pro­ blema è generalmente contenuto da un solo capoverso, che può ospitare eventualmente anche la sua prova o una sua variante; più di frequente, tuttavia, queste parti accessorie del problema (di rado i diversi momenti della soluzione) occupano un capoverso distinto. La sequenza dei problemi è quindi organizzata nei capitoli, che si possono considerare relativamente autonomi e, in senso lato, omo­ genei per ciò che riguarda gli argomenti trattati. Il singolo capitolo, tuttavia, raggruppa normalmente questioni derivate da diversi punti del Liber abaci, o anche da fonti diverse (ad esempio nel capitolo X V I problemi tratti da Fibonacci seguono ad altri estranei al Liber), e risolte con procedimenti diversi: così nel ca­ pitolo XV II a due questioni affrontate col metodo della seconda fal­ sa posizione seguono parecchi esercizi risolti secondo elementari procedimenti algebrici e nel capitolo X V tra le sva(r)iate reg(o)le de (com)pagnye compaiono alcuni problemi di riparto degli utili investi­ ti, risolvibili con una equazione di primo grado, un problema di in­ teresse semplice, un miscuglio, un riparto semplice, un calcolo di

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soccida e la questione delle zampe, cioè un problema ispirato al con­ tratto di soccida. Si osserverà peraltro che il capitolo X V è dichiara­ tamente miscellaneo, e anzi si potrà cogliere la differenza tra sezioni, come questa, più marcatamente applicative e altre, come ad esempio i capitoli I e II, che illustrano un preciso tipo di problema o di calco­ lo. Ma neppure i capitoli riferiti ad un particolare ambito matemati­ co sono sempre omogenei: così il X X I, dedicato alle successioni {de huomene ch’andaro a guadagnare agl merchate), ospita alle cc. 90v91r parecchie questioni che si possono riportare ad equazioni ad una incognita e con le regole dette propriamente de viage (cioè con quelle del X X e le prime due del X X I) hanno in comune solo la pa­ rola merchate. Reciprocamente, novità anche rilevanti dal punto di vista matematico, come la risoluzione dell’equazione di secondo gra­ do, non vengono affatto rilevate nella divisione in capitoli. Esaminia­ mo in dettaglio la struttura del capitolo X X IX (102r) intitolato d ’u­ no lavoratore che lavorava enn una uopra. In questo capitolo sono raccolti 4 problemi, presentati come calcolo del­ la mercede dovuta da un signore de l’uopra ad un lavoratore per un com­ pito mensile; nei primi due, la paga complessiva stabilita, di 7 s., viene però decurtata di 4 d. per ciascun giorno del mese in cui il lavoratore non ha lavorato. Si tratta quindi di un sistema di equazioni indeterminate ad una incognita, che viene risolto prima (102r.I) con il metodo della secon­ da falsa posizione, poi (103r.I) con un riparto proporzionale, con ripetuti riferimenti, attribuibili evidentemente al compilatore, al fatto che il pro­ blema è stato già risolto per altra via (103r.6, 103r.23-24); in entrambi i casi le soluzioni sono tratte da Fib., che le discute però in due diversi ca­ pitoli. Perciò il compilatore può aver seguito un programma per cui le diverse tecniche vengono raffrontate (così capita esplicitamente nel Liber e in modo implicito ma evidente in altri testi, come ad esempio nel Trat­ tato di Piero della Francesca (in D a la i ET ALE 2012: carte 16r-24r); si os­ servi tuttavia che nell’ordinamento del Livero il metodo più difficile, quello della seconda falsa posizione, precede il più semplice, contro ogni logica didattica e contro la sequenza documentata nel Liber abaci. D problema seguente, 103r.II, si riferisce ad una questione raccolta da Fib. nel capitolo de questionibus arborum et similibus, con introduzione affine alle precedenti, ma svolto con metodi algebrici esplicitando il rap­ porto tra le incognite e poi trovando un valore appropriato con la falsa posizione. Nel caso di 104r.I, invece, si toma al metodo della seconda falsa posizione: il problema deriva infatti dal capitolo XIII del Liber.

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Il criterio che presiede all’organizzazione del capitolo X X IX non è dunque la comune tecnica di risoluzione o la difficoltà cre­ scente: il compilatore ha raccolto, guidato dai numerosi rimandi in­ terni del Liber, questioni formulate verbalmente nello stesso modo, così come nel capitolo X V già citato i problemi sono accomunati dal riferimento all’attività di associazioni mercantili o finanziarie32. Sem­ bra cioè che nella distribuzione della materia non abbia avuto un ruolo determinante la relativa complessità degli strumenti matemati­ ci utilizzati nella risoluzione dei problemi, e che anzi esempi di pro­ cedimenti diversi vengano deliberatamente accostati nello stesso ca­ pitolo. Non si tratta, mi pare, di incapacità nell’organizzare il tratta­ to: il compilatore si mostra infatti perfettamente in grado di apprez­ zare comparativamente la difficoltà di ciascun problema e di dispor­ re un gruppo di problemi in ordine crescente di complessità3334: si è visto, infatti, nel paragrafo precedente (e più in dettaglio si vedrà ai §§ III.2.d., m .2.f.) che una disposizione per complessità crescente è sicura nel capitolo XIV , solidarmente dedicato agli esempi di conta­ bilità, e che un criterio preciso regola l’ordine dei problemi nei pri­ mi capitoli dell’Ama stra n ie n ti.

L ’organizzazione della materia secondo capitoli caratterizzati da una etichetta comune è quindi frutto di una scelta consapevole; di volta in volta il riferimento, normalmente indicato dal titolo del capi­ tolo, può essere una tecnica di conto (regole de le tre chose nel capito­ lo I, regole de saldare ragione nel capitolo XTV) o un ambito di appli­ cazione {de regole de chanbio nel capitolo V, de le regole de marcho Tresge nel capitolo VII, de tine e de botte nel capitolo X X V II) o an­ che un dettaglio che ricorre negli esempi che la illustrano (è il caso delle chonpare de chavagle nel capitolo XVI, de huomene che portaro margarite a vendere em Gostantinuopole nel capitolo X X V I, de torre nel capitolo V dell'Amastramento)\ ma, per quanto arbitraria, è que­ sta la connotazione che identifica il capitolo, e non la difficoltà relati­ va o il tipo di calcolo. Infatti, anche per la mancanza di una rigorosa definizione dei ti­ pi di equazione, gli strumenti di risoluzione utilizzati dal Livero van­ no riferiti ad una prassi didattica che, in armonia con la tradizione medievale, si fondava sostanzialmente sulla individuazione di casi esemplari memorizzabili, cui fare riferimento per analogia nei con­ creti procedimenti applicativi. Dunque il criterio di ordinamento del Livero rispecchia una pratica di insegnamento per cui il discente vie­ ne addestrato a collegare per analogia il problema contingente al pa­ trimonio di tecniche di risoluzione apprese (a mente, o ‘rubando con gli occhi’) durante il periodo di apprendistato35; in questo qua­ dro è essenziale sia per il docente/artista sia per il discente/apprendista che ci si possa riferire ad un ambito di risoluzione (concreta­ mente: ad un capitolo) individuabile anche attraverso un riferimento estrinseco o arbitrario. Si considerino al riguardo i rinvii a particolari tecniche di conto

32 Si veda in proposito anche § III.2.d. 33 Le osservazioni sulla maggiore o minore difficoltà di un problema sono di fatto la più diffusa indicazione teorica che esprima il volgarizzatore (ad esempio Quista è m(o)lto forte raìgione a sap(er)e fare a deritto ed a ponto 120v.3-4) e che venga conservata nel pas­ saggio dal trattato di Fibonacci al Livero (ad esempio la quale quistio(n)e ligiere ène 66v.28, la quistione ène puoie levissima I a fare 90v.l0); in questi termini (cioè di una pra­ tica inopportunità di seguire il metodo, piuttosto che di una impossibilità assolutamente intesa) viene significativamente tradotto anche insolubilis in senso matematico: e quisto modo ène emscioglebele, gio\è forte 79v.l4. Si noti che queste osservazioni, come le altre analoghe, si riferiscono, piuttosto che alla difficoltà della costruzione teorica, alla com­ plessità dei procedimenti del calcolo minuto (ad esempio a 162v.2 si giustifica p(er)ché ne venga fatta più ligiere la ragione la scrizione $ in luogo di 1 H); si ha l’impressione che la facilità sia intesa in un senso tutto pragmatico, per cui facile è il problema che si risol­ ve col minor numero di operazioni, a prescindere dalla complessità del quadro teorico. Allo stesso modo la questione 141r.II è detta più ligi(er)e della precedente, rispetto alla quale unica differenza è che il risultato può essere espresso in numero intero. Anche le due indicazioni m(ultip)lica 2 fiad(e) I vuogle le lib. 132 e s. 12, vuogle le lib. 17; via le 17 è più bello 55r.2, e p(er) fare pi\ù bella ragione sì devemo arechare a me\nore numere 148v.l4 si riferiscono a semplificazioni nel calcolo. 34 La capacità di ordinare un libro d’abaco non è evidentemente prerogativa dei grandi trattatisti come Fibonacci: si veda ad esempio la limpidezza - secondo i criteri moderni - dell’ordinamento del libro che va ascritto al maestro milanese Giovanni Mar-

liani, pubblicato da ARRIGHI 1965 e V lG O LO 1983; il confronto vale soprattutto perché nei due codici, genovese e torinese, che si possono riferire a questo trattato i problemi sono spesso analoghi o coincidenti con quelli del Livero, ma vengono ordinati secondo criteri rigorosamente matematici, senza riguardo per le materie o gli oggetti citati. 35 Un altro effetto, sul piano testuale, di questa pratica è la presenza di espressioni formulari in testi cronologicamente lontani, per i quali non si può individuare una tradi­ zione testuale comune; si tratta quindi di un particolare caso di tradizione di memoria, legata non alla frequentazione di testi letterari ma alla consuetudine professionale con formulazioni mandate a memoria negli anni di istruzione e apprendistato; si veda in pro­ posito la documentazione discussa nel $ III.2.a.

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(7v.l, 12V.29, 18r.9, 22v.l9, 27r.3-4, 2 7 v .ll, 28r.l2, 28r.24, 29v.l4, 36v.5, 40v.8, 5 2r.l6, 5 2 v .l, 52v .l0, 53v.4, 68v.22, 70r.8-9, 89r.l5, 90r.6-7, lll r .1 7 , 130r.l3, 150r.l7, 172v.23); si vedrà che di fatto non tutti questi richiami possono essere riferiti organicamente ad uno specifico passo o sezione del testo. Ad esempio a 27r.3-4 il vol­ garizzatore richiama le questioni sulle compagnie (secondo cho’ e• la regola de la conpagnia amastramo) traducendo Fib. 154 {ut in societatibus docuimus) che le aveva già trattate nel capitolo X (da p. 135, e prima a p. 114): ma nel Livero esse devono essere ancora affrontate, e verranno discusse a c. 5 Ir36; e addirittura si rimanda nel caso di 70r.8-9 ( Quista regola se fa cho’ quilla del quinto erboré) ad una regula quinti arboris che non viene mai trattata nel Livero: è infatti un rinvio preso di peso da Fib. 19837; lo stesso si verifica a 77v.9 dove s(econd)o e• II’altra antecedente fe(m )m o trova esatto riscontro nel Liber ma non nel Livero. L à dove un rinvio non è presente nel Liber e viene inserito nel nostro volgarizzamento, si rivela errato: così a 90r.6-7 Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo fa\ re p(er) lo modo de l’alegare de le mon(ete) descrive in modo errato il m odo in cui il problem a è risolto (si consideri per confronto 130r.l3-14, dove quella tecnica è usata correttamente). In questi casi e in altri analo­ ghi, in cui il rimando è copiato dal Liber ma è sbagliato nel Livero perché la spiegazione della tecnica non è stata tradotta o perché il problema è stato spostato nel volgarizzamento, da un punto di vista moderno si tratta di un richiamo inutile; per il volgarizzatore/ordinatore del Livero è invece un riferimento non alla sostanza testuale ma ad generico ambito entro cui tentare la soluzione del problema. Per chi usava questi manuali le indicazioni e i rimandi interni ai cal­ coli de viagie, de arbore, ecc. rinviano non ad uno specifico strumen­ to matematico di risoluzione dei problemi (come oggi si direbbe ‘un problema di secondo grado’) e neppure ad un generico ambito teo­ rico (‘un problema di trigonometria’) ma ad una delle chiavi empiri­ che di approccio al problema che costituivano il bagaglio del mate­

matico medievale, il quale si comportava nei riguardi del problema esattamente come un artigiano coevo: sforzandosi cioè di richiamare alla memoria e di adattare alla singola questione che gli si presentava uno dei procedimenti appresi dal suo maestro e implicitamente o esplicitamente autorizzati dalla prassi corporativa e dalla tradizione professionale38. L a mancanza di una specifica attenzione alla struttu­ ra formale della dimostrazione (mentre è evidente la capacità di or­ ganizzare il testo secondo criteri testuali tradizionali, come si è det­ to) e il fatto che siano state tralasciati i numerosi riferimenti del L i­ ber a questioni astratte (anche all’interno del singolo problema) sono due fondamentali caratteristiche del Livero che trovano spiegazione, a mio avviso, proprio in una concezione artigianale e pragmatica del­ l’insegnamento della matematica: le definizioni euclidee degli enti elementari dovevano apparire probabilmente altrettanto stravaganti in un ambito di matematica pratica quanto lo sarebbe, in una ricetta di cucina, una digressione sulla natura dell’uovo. L a distanza tra il procedimento del Liber e quello del volgarizzamento non sta dun­ que nell’uso di questi rinvìi, che del resto Fibonacci usa ampiamente e che anzi spesso diventano istituzionali nei trattati di matematica tardomedievali, ma nell’approccio attestato nel Livero e normalmen­ te nei libri d ’abaco, che proscrivono i riferimenti teorici capillarmen­ te presenti nel trattato leonardiano con la stessa sistematicità con cui riformano la sua complessa architettura39.

36 La stessa situazione si ripete a 37v.l8-19, in cui le questioni dei viaggi vengono ci­ tate prima di essere effettivamente discusse (da 82r): è probabile che anche qui si tradu­ ca meccanicamente Fib. 267, in cui il problema è inserito nel capitolo de viagiis. 37 A 31r.2 e 63v.23 il riferimento ad una figura in margine, tratto da Fib., non ha ri­ scontro nel Livero; in altro caso (80v.23) il riferimento è inutile perché frutto di un frain­ tendimento del testo di Fibonacci.

38 In questa prospettiva si comprende che tecniche di calcolo di specifico interesse in un ambito professionale potessero di fatto essere svincolate da una applicazione prati­ ca e invocate per le loro applicazioni in ambiti del tutto differenti: è esattamente il caso dei calcoli relativi alle leghe metalliche (il modo de l’alegare de le monete), che il Livero presenta come attualmente in uso ai monatiere (che è rilievo probabilmente infondato, preso di peso da Fibonacci: vedi qui sotto § III.l.) ma vengono citati come tecnica riso­ lutiva in numerose occasioni, nessuna legata direttamente alle leghe: lo podemo sap(er)e p(er) I lo modo de l’alega(r)e de le monete 12v.28-29, lo podemo sap(er)e p(er) lo mo(do) de l’alega(r)e de le mo\nete 30r.25-26, noie devemo fa(r)e p(er) lo mo(do) I de l’alega(r)e 130r.6-7, lo podemo fare p(er) lo modo de I l’alegare 130r.l3-14. La tecnica di calcolo si applica cioè ad altri ambiti non per generalizzazione e per procedimento deduttivo, ma per estensione analogica. 39 Si consideri ad esempio il capitolo X III del Liber, dedicato alla presentazione del metodo della seconda falsa posizione e, nella sua prima parte, alla soluzione con questa tecnica di problemi già risolti per altra via nel cap. XII: il confronto tra i diversi procedi­ menti, esplicito e strutturale nel trattato leonardiano, è completamente obliterato nel Li­ vero, che accorpa nella stessa sezione problemi formulati in maniera affine ma risolti in

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In questo quadro si spiega anche la cura posta nel rispettare la divisione in capitoli e l’uso di diverse numerazioni (per carta, per ca­ pitolo, per fascicolo) che servono a facilitare una lettura non per se­ quenza ma per ambito di risoluzione; mentre il criterio per crescente difficoltà può aver valore all’intemo dei capitoli, che è ragionevole scorrere in modo sequenziale. E d è significativo che le parti del trat­ tato in cui è più evidente il consapevole sforzo di riordinamento del­ la materia (e cioè gli esempi di contabilità e i primi capitoli dedicati alla geometria) non siano derivate dal Liber, che cioè un criterio di ordinamento appaia più chiaro là dove è meno presente il modello fibonacciano. Esso evidentemente ha, rispetto all’organizzazione te­ stuale del Livero, un effetto di remora all’elaborazione di un testo funzionale: funzionale, s’intende, alla pratica di insegnamento appe­ na descritta. Il criterio didattico del Liber doveva apparire nell’ambito pro­ fessionale mercantile farraginoso e complicato più o meno come ad un illitterato doveva apparire difficile la lingua in cui era scritto; ma il trattato di Fibonacci era evidentemente insostituibile come reper­ torio di problemi e di tecniche di risoluzione: l’organizzazione inter­ na del Livero appare quindi determinata dal difficile equilibrio tra una tendenza ‘pratica’ (nel senso che il termine ha nel sintagma ‘ma­ tematica pratica’) e la caratterizzazione speculativa del Liber. L a ten­ sione tra questi due termini spiega, a mio avviso, il carattere compo­ sito del Livero e giustifica lo sforzo fatto dall’ordinatore del volgariz­ zamento, il quale doveva sentire insufficiente ai suoi fini una tradu­ zione che mantenesse l’impianto originale del Liber. L ’ordinamento dei problemi nel Livero documenta quindi un ambito culturale e professionale diverso dalla concezione moderna della matematica: per questa ragione risulta piuttosto difficile deli­ neare una partizione del Livero in riferimento agli strumenti matema­ tici utilizzati. A grandi linee si possono individuare quattro grosse se­ quenze di problemi: la prima spiega ed utilizza in molti e diversi am­ biti la regola delle tre cose completando il repertorio degli strumenti di calcolo essenziali (capitoli I-XI), la seconda offre esempi di ragio­ neria e matematica finanziaria (calcolo dell’interesse e dello sconto

semplici e composti: capitoli XII-XIV), la terza, più speculativa, in­ troduce tecniche di calcolo più complesse, in particolare la seconda falsa posizione e l’approccio con problemi a più incognite (capitoli X V -X X X con l’importante appendice dei capitoli IV-VI dellyAmastramento); infine l’ultimo capitolo del Livero, il X X X I, contiene pro­ blemi vari, in qualche caso già risolti nei capitoli precedenti. Tutti questi elementi ci forniscono un quadro significativo e rea­ listico delle tecniche utilizzate nell’apprendimento dell’abaco, e inol­ tre pongono il problema degli strumenti matematici utilizzati nel L i­ vero rispetto a quelli illustrati nel suo modello. Al riguardo va fatto un rapido inventario delle nozioni che il Livero utilizza senza alcuna spiegazione, spesso in contrasto con quanto accade in manuali con­ temporanei40: non vengono introdotti da chiarimenti l’uso (presso­ ché esclusivo, come si è visto) delle cifre arabe, le complesse nota­ zioni frazionarie41, le operazioni elementari, ivi comprese duplicazio­ ne e dimezzamento, e le loro proprietà con numeri naturali e frazio­ nari42, l’estrazione di radice, l’elevazione a potenza e le operazioni con le potenze43, i rapporti di proporzionalità, il rilevamento della media aritmetica; inoltre i concetti di numero primo e numero per­ fetto (a quest’ultimo si accenna cursoriamente a 174v), le formule del calcolo dell’interesse e dello sconto razionale, la tecnica della fal­ sa e della seconda falsa posizione, di cui si offre solo l’esemplifica­ zione. Per quanto riguarda la matematica finanziaria spicca la man-

modo diverso: così avviene nei capitoli XVII, XLX, X X I e X X IX , che addirittura comin­ ciano in due casi (65r.I e 102r.I) con la tecnica di risoluzione più complicata.

40 Ma come il Livero si comportano altri testi: cito qui solo il Libro d’abaco lucchese edito da A r r ig h i 1973 e quello pisano edito da BOCCHI 2006 di sul manoscritto della B i­ blioteca Comunale degli Intronati di Siena segnato L.VI.47: nella seconda sezione di que­ sto codice composito si trova appunto una raccolta di questioni matematiche riferibili, per l’aspetto linguistico, a Pisa (che recava nelle carte iniziali delle tavole disgregationis). 41 Sulla forma delle frazioni in Fibonacci e nei testi più antichi influenzati dalla ma­ tematica araba si vedano ALLARD 1992 e L ’HUILLIER 1990:36; un sistema diverso si trova ad esempio nel codice A.II.39 della Biblioteca Universitaria di Genova, per cui vedi RlGOLO 1983 :XII. Vasto materiale in MENNINGER 1969. 42 Per cui numerosi manuali riportano invece con puntuale attenzione diverse ed ela­ borate tecniche di calcolo: si vedano ad esempio al-Khwàrizml in BONCOMPAGNI 1856:28, Fib. 47-83, R i v o l o 1983:3-11, BARBIERI-LANCELLOTTI 1988:4v-7r e 23v, il libro d’abaco di Pagolo Petriboni (circa 1430) descritto in VENTIGENOVI 1993:180, ecc.; alcuni esempi vengono illustrati anche in F r a n c i -T o t i R IG A TELI! 1979, YOUSCHKEVITCH 1976:27. 43 In particolare si usa senza spiegazione, ma con un certo imbarazzo il termine radieie sorde, per cui vedi il Glossario s.v. sorde. Una esposizione piana dei diversi tipi di ra­ dice si trova ad esempio in SlMl 1992:19-21.

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canza di un capitolo sulle compagnie, cioè sul riparto delle quote dei membri di una società, capitolo cui pure si rinvia a 27r.3-4. In ambi­ to geometrico vengono applicate ma non spiegate le nozioni elemen­ tari su linee, punti e angoli, la costruzione di poligoni regolari, i con­ cetti di parallelismo e perpendicolarità, area, base, circonferenza, diametro, apotema, lato e altezza relativa ad un lato44. Queste omissioni si spiegano probabilmente in modi diversi. Le nozioni di base (notazioni, operazioni fondamentali, addestramento al calcolo complesso, enti geometrici) sono probabilmente date per note dalle cosiddette librettine, cioè dai primi corsi di avviamento all’istruzione commerciale; negli altri casi invece, e particolarmente ri­ guardo alle tecniche di risoluzione, l’aspetto che noi oggi diremmoteorico non era evidentemente considerato significativo ai fini della pratica professionale spicciola e veniva nettamente trascurato nella prassi didattica incentrata sullo svolgimento, da parte dell’insegnan­ te, di casi esemplari. Infatti, sia che vogliamo pensare ad un uso di­ dattico, sia che fosse pensato per l’apprendimento individuale, il L i­ vero non poteva comunque essere utilizzato senza altri aiuti, ma do­ veva essere riferito ad un inquadramento professionale derivato dal­ l’esperienza, esattamente come qualsiasi tecnica artigianale.

III. Sezioni tematiche del manoscritto Il Livero de l’abbecho è articolato in capitoli che si riferiscono ad ambiti diversi dell’attività commerciale, creditizia e scientifica, spes­ so in coincidenza con significative soluzioni di continuità sul piano codicologia) e su quello testuale; in questo capitolo ci si propone di chiarire le speciali caratteristiche di queste sezioni attraverso il con­ fronto con altra documentazione tardomedievale. Si possono individuare nel Livero e nell’Am astram ento le se­ guenti partizioni:

44 Manca significativamente ogni coincidenza con la versione della Pratica geometriae fìbonacciana edita da B a l d e l l i 1965, e anche con la breve sezione di geometria pratica del manoscritto della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena segnato L.VI.47, ima raccolta di questioni riferibili, per l’aspetto linguistico, a Pisa e pubblicata in B o c c h i 2006.

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1. Il volgarizzamento da Fibonacci (si veda più sopra la tavola delle concordanze col Liber; 17v-32v, 37r-42v, 51r-v, 53v-54v, 60r-110r, 125r-127v, 149r-150r, 160r-160v, 165v-174v) 2. Regole di matematica pratica non comprese nel Liber abaci 2.a. regole delle tre cose (lr-6r.2) 2.b. regole di cambio (6r.3-16v.23) 2.c. regole di merito (32v.21-44r.2) 2.d. conti correnti (44r.3-51r.2) 2.e. regole di Orvieto (135v.9-136v) 2. f. geometria piana e solida (139r-161r.ll) 3. Regole per molte guise; schede relative a realtà locali e problemi vari 3. a. Problemi vari: generalità 3.b. Regole per molte guise... (109v.l3-136v) 3.c. Ragione de mare (121v.16-122r.17) 3.d. Quante dìà-ne la luna (122r.18-122v.21) 3.e. Regole de Venetia (128r-130r.27) 3.f. Perugia (intitolato De peso de pane de Peroscia; 130r.28-130v.13) 3.g. Problemi vari: il fascicolo XIII (130v.l4-135v.8) 3.h. Mesure de terre (175r.5-178v) Ciascun punto è discusso qui di seguito attraverso il confronto con altri testi: in particolare si studiano in relazione ad 1. le strategie seguite dal compilatore riguardo alla scelta dei temi e all’ordine dei problemi, in rapporto a quello della sua fonte, cioè Fib.; in connes­ sione con i punti 2.a. e 2.c. si farà riferimento alla trattazione dei me­ desimi argomenti in altri libri d ’abaco; in riferimento a 2.b. si racco­ glie la documentazione sulle equivalenze monetarie desumibile dal Livero, per verificarne congruenza e verosimiglianza e per ricavare elementi per la datazione interna di alcune sezioni del testo; il capi­ tolo X IV , dedicato all’esemplificazione di partite contabili, viene esaminato a § III.2.d. in riferimento alla prassi contabile di fine Duecento; le regole di Orvieto (§ III.2.e.) possono essere utilmente confrontate con i testi affini generalmente contenuti nelle pratiche di mercatura, come precoce esempio di una tendenza ad integrare l’in­ segnamento dell’abaco con i problemi concreti dell’attività mercan­ tile. Infine, le regole di geometria raccolte nella seconda sezione del manoscritto (§ III.2.f.) forniscono utili elementi sui criteri della scel­ ta e dell’ordinamento dei problemi, per quanto manchi tra i testi di

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geometria pratica tardomedievale un modello quale il Liber abaci fu nel settore dell’algebra. Nel § III.3. si esaminano singoli problemi o gruppi di problemi non tratti dal Liber abaci e che si segnalano per carattristiche parti­ colari; si veda § III.3.a. per un inquadramento complessivo della se­ zione.

vati da Fibonacci diventano la minoranza e vengono accostati senza un criterio riconoscibile; in qualche caso il problema assomiglia ad uno analogo trattato nel Liber, ma con cifre diverse. N ell’Am astra­ mento poi, vi sono due sezioni derivate da Fibonacci: la prima ri­ guarda il confronto tra volumi di solidi (cc. 149-150,160r), la secon­ da, molto più estesa e compatta, è dedicata a problemi de numere, cioè di equazioni indeterminate (161r-174r). L a provenienza da differenti capitoli non implica tuttavia diver­ sità nelle caratteristiche testuali (decorazione, formularità, impagina­ zione): ad esempio i problemi da 105r a 109v, che, contenuti nella sezione de regole per molte guise, comunque derivano sistematicamente da diversi passi di Fibonacci, sono perfettamente in linea con le caratteristiche testuali dei precedenti. Tuttavia, dall’esame dei sin­ goli problemi e della loro collocazione nel Livero e nel Liber si pos­ sono individuare notevoli residui dell’organizzazione del testo fibo­ nacciano.

III.l. Il volgarizzamento da Fibonacci Il Livero de Vabbecho si presenta come un volgarizzamento del trattato fibonacciano: a parte la citazione di Fibonacci, è probabile che all’altezza cronologica del nostro testo il titolo rinviasse per an­ tonomasia all’opera del pisano e non fosse ancora un riferimento ge­ nerico ad un qualsiasi manuale di matematica pratica. Dalla tabella presentata nel § II.l. risulta evidente la parte che il testo del Liber abaci (nella redazione da noi conosciuta) ha effettivamente nel Riccardiano 2404: in dettaglio sono tradotti dal Liber, dei 398 del Live­ ro, 165 problemi, e dei 135 dell’Amastramento 42, mentre 12 risulta­ no tanto simili ad altri di Leonardo da poter essere riportati senza dubbio alla sua lezione. Come si vede, la materia di parte considere­ vole del Livero e dell’Amastramento (in totale 219 problemi su 533) è tratta dai libri IX , X I-X III del Liber, grazie una selezione che esclude in primo luogo gli elementi del calcolo e lo studio delle re­ gole di notazione introdotte da Leonardo, che occupano le prime 84 pagine dell’edizione Boncompagni; le sezioni immediatamente se­ guenti, dedicate da Fibonacci allo studio delle misure locali con semplici applicazioni della regola delle tre cose, vengono sostituite da gruppi di problemi nuovi, ma di argomento affine a quelli del modello; inoltre vengono incluse, sia pure in modo non sistematico, questioni affrontate da Leonardo a proposito della composizione di leghe metalliche (capitoli IX -X I del Liber, esclusa solo la seconda parte del X) e di altri problemi di analisi indeterminata. L a traduzio­ ne da Fibonacci riprende nella seconda parte del capitolo X II del Livero con problemi di viaggi che vengono qui introdotti come pro­ pedeutici al calcolo dell’interesse. A parte due problemi isolati a c. 54, si tom a a tradurre dal Liber solo a c. 60r, con problemi di ana­ lisi indeterminata, proseguendo con qualche intromissione di testi non provenienti da Fib. ma inseriti in passi appropriati senza evi­ denti discontinuità (82r, 108r); da c. 108r, tuttavia, i problemi deri­

Il problema 105r.II richiede il calcolo del capitale prestato ad interesse semplice annuo del 13,372% circa; si tratta quindi di un problema per­ fettamente analogo a 39r.I, e come quello viene risolto col metodo de viage: è inserito infatti da Fibonacci nel capitolo de viagiis, come il se­ guente 106r.I (e la variante 106v.I), consistente nel calcolo dello sconto di un prestito concesso da un signore che volea fare uno palago al maiestro che lo costruisce; grazie al confronto con Fib. risulta evidente la vi­ cinanza (che nel Liber è anche contiguità) con le questioni riportate nel Livero alle cc. 37v-42v e si comprende un rinvio che nel Livero è incon­ gruo (Quista regola è da operare secondo la regola del chapitolo de la pri­ ma chasa è da fare 106r.l6-17) perché il corrispondente problema (37v.I) è risolto con procedimento diverso45. Anche i seguenti 106v.II, 107r.I e 107v.I sono tratti dalla medesima sezione de erraticis, ma trat­ tano questioni riconducibili al consolare (cioè ai calcoli assimilabili alla 45 Che poi il richiamo non corrisponda ad un pregnante riferimento è dimostrato dalla differenza di lessico tra i due passi; in essi, ad esempio, si traduce sistematicamente minutio con menovamento a 37v.29 e seguenti, con mutto a 106r.22 e seguenti. Invece il problema in oggetto viene risolto nel Livero proprio come Fib. scioglie quello a pagina 267, calcolando cioè le diminuzioni (appunto minutio) del capitale e degli interessi a causa del pagamento a fine del primo e, in via ipotetica, del secondo mese e mettendole poi in rapporto proporzionale con il tempo trascorso, per cui l’incognita, cioè il tempo in cui il maiestro lavorò, è uguale alla somma da pagare nel secondo mese moltiplicata per il numero dei giorni e divisa per l’interesse passivo relativo allo stesso periodo.

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fusione di diversi metalli). Il 107v.I, diffuso in molte raccolte tardomedievali, richiede di trovare il numero complessivo di discendenti gene­ rati in un anno da una coppia di colombe che si riproduce, a partire dai due mesi di vita, ogni mese, e genera così la successione detta ap­ punto di Fibonacci (il conto è eseguito qui passo per passo; vedi B o y e r 1980:§ 14.8, F r a n c i -T o t i R i g a t e l o 1980:109). Il 108r.I ripete esattamente la situazione di 37v.I, contemplando la durata di un fitto annuale di lb. 30 pagato con un prestito di lb. 6 all’interesse annuale (composto a capitalizzazione annuale, a quanto sembra da 108r.ll) del 20%, quindi inferiore al fitto, come a 39r.I; a differenza di quei proble­ mi, questo è risolto con il metodo della doppia falsa posizione. Il pro­ blema 108v.I consiste nel calcolo dell’interesse del 20% su una somma di lib. 100 per 18 anni, fatto passo per passo: la difficoltà è quindi nel calcolo (ed è biene forte 108v.30), che porta al risultato di 511118 i 111 (in notazione moderna 5111 7911200964/68719476736). I problemi 109r.I e 109r.II sono semplici esercizi che utilizzano somme di frazioni e proporzioni tradotti dal capitolo de arboribus del Liber (vedi § IV.). Materia e difficoltà relativa dei problemi non sono diversi dalle questioni raccolte in altri capitoli, ed è anzi maggiore la correttezza formale: si nota tra l’altro nel passo di remane a noie apresemare s. 48, gioè s. 24 108r.25 -26 la correzione cioè s. 24 incorporata nel te­ sto, che assieme ad un caso affine a 164r.20 e alle righe aggiunte fuo­ ri dallo specchio di scrittura a 103r costituisce la documentazione nel Livero di una fase correttoria anteriore all’intervento di C. D ’al­ tro canto è notevole la infedeltà al Liber sul piano dell’ordinamento delle questioni. Si esemplifica qui di seguito il rapporto tra il testo del Riccardiano e il suo modello attraverso il confronto del capitolo più fedele (il XV III) e di quello meno rispettoso (il X X I). U capitolo XVIII (74r-79v) è uno dei più omogenei del Livero: gli 8 problemi de huomene che trovaro borsce sono tratti tutti dalla quinta parte del capitolo XII del Liber e riguardano tutti equazioni indetermi­ nate di primo grado del tipo x + a = my; y + a = nx (dove n è un nume­ ro razionale). È notevole che tale rigore strutturale si accompagni ad una buona qualità testuale e a più efficaci traduzioni: infatti sono relati­ vamente pochi i guasti della tradizione (con le omissioni concentrate a 77v: si veda l’apparato), almeno in qualche caso imputabili senza dub­ bio alle ultime fasi di essa (come dimostra l’intervento con cui C risar­

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cisce un saut du mime au tnème a 79r.l7); e, per esempio, a 75v.8-9 os­ serviamo una buona traduzione di un gerundivo (per la frequenza di errori in coincidenza di gerundivi vedi sotto, § V.4.). Il Livero riporta in 74r.I due dei tre modi di risoluzione esposti da Fib.; nel terzo modo si cita l’incognita, o res, e forse per questo - considerato il suo imbaraz­ zo di fronte all’uso di res in altri casi discussi ancora a § V.4. - il volga­ rizzatore l’ha omesso. Il procedimento viene poi complicato esaminando i casi di tre (75r.I, 75v.I, 76r.I, 78r.I), quattro (76r.II, 77r.I) e cinque (79r.I) uomini, cioè incognite, e variando opportunamente i coefficienti fino a contemplare nel problema 79r.I un problema che viene risolto considerando un nu­ mero negativo (deveto 79v.l5)46. Un problema analogo a quello di 74r.I viene risolto col primo modo (75r.I, che tra l’altro si trova anche in AR­ RIGHI 1964:100; a differenza di 74r.I il risultato è raddoppiato per evi­ tare un numero non intero: Enpergiò che 73 non puoie partire senga rot­ to 75v.l0-ll) e poi nel secondo modo (75v.I), sempre seguendo con qualche fraintendimento il modello. Nel 76r.I si tratta il caso in cui una variabile è nota. I problemi 77r.I e 78r.I considerano un numero di borse uguale al numero di uomini, cioè rispettivamente quattro e tre, il cui valore viene indicato come a + s, dove s è un numero naturale; ven­ gono risolti calcolando valori adeguati47 per le incognite proposte. Si toma all’unica borsa con l’ultimo problema della sezione (79r.I), di for­ mulazione molto semplice e risolto per via aritmetica. Il capitolo XXI è invece il più composito e disorganizzato del Livero. Tutti i problemi sono tratti dal Liber abaci, ma si riferiscono a tipi di operazioni assai diversi, tanto che sono affrontati in punti molto distan­ ti del trattato: gli esercizi che corrispondono ai nostri 86v.I e 87r.I si trovano nel capitolo XV del Liber, dedicato alle proporzioni (ma fa ri46 II che vale come dimostrazione del fatto che nella prassi computistica trecentesca l’uso dei numeri negativi non crea alcun problema (attraverso il riferimento al caso più immediato, cioè la contabilità) anche a livelli modesti di conoscenze, e non si fa ricorso ad esso essenzialmente per motivi di scarsa applicazione pratica (per un rapido resoconto della questione vedi SMITH 1953:11,258; di recente DALMASSO-TONIATO 2006:356-360). È vero che il volgarizzatore travisa il testo di Fib. nel proporre la soluzione del problema: ma la difficoltà è di comprensione del testo, non della funzione dei numeri negativi. 47 Fib. 216 mostra come operando sui coefficienti si ottengano rapporti che vengo­ no poi fatti corrispondere ai dati del problema: ad esempio una volta trovato il rapporto tra due incognite, si cerca un valore tale per cui tale rapporto sommato ad a sia un nu­ mero intero. L ’applicazione forse più sintetica di questo metodo si trova in Fib. 221-222, un passo tralasciato dal Livero; in esso Fibonacci precisa tra l’altro: hee et sitniles questiones per elchataym solvi non possunt nisi fortuitu.

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ferimento a equazioni di secondo grado), l’originale di 87r.II nella pars VII (de erraticis) del capitolo XII e quelli degli altri, da 88r.I in poi, nel capitolo XI de consolamine monetarum. Forse proprio in considerazio­ ne di questo carattere composito, il compilatore si è sforzato in questo capitolo più che in altri di giungere ad una omogeneità almeno forma­ le, inserendo in testa ad ogni gruppo di problemi riferimenti a huomene che andato ad uno merchato (87r.29), anche contro l’autorità del modello48. In particolare i primi due problemi sono, in Fib., la dimostrazione, ba­ sata sulla costruzione geometrica di segmenti in rapporto proporziona­ le, della formula risolutiva delle equazioni di secondo grado rispettiva­ mente pura (x2 = 200) e completa (100x2 + lOOx - 299 = 0), per cui, co­ me d’uso, non viene considerata la soluzione negativa. La risoluzione però è stata travisata dal volgarizzatore, il quale ha sistematicamente omesso le lettere che indicano i segmenti utilizzati nella dimostrazione geometrica49. Non è possibile dire se queste omissioni siano state age­ volate da particolari condizioni materiali nella tradizione (come ad esempio potrebbe essere l’uso dell’inchiostro rosso per queste lettere), ma certo esse impediscono assolutamente di comprendere l’importante discussione, anche per la mancanza di una illustrazione adatta. Sono piuttosto diversi gli argomenti degli altri esercizi della stessa sezione, tutti però introdotti dall’esempio di una o più persone che vanno ad un mercato: il primo (87r.II) riguarda il rapporto tra i guadagni di due mercanti su due piazze diverse in cui, però, hanno praticato gli stessi prezzi, e si riduce ad una equazione di primo grado a due incognite, che viene risolta attribuendo all’incognita un valore opportuno (87v.811). I problemi 88r.I e 88v.I vengono risolti con il ricorso al metodo delle successive compensazioni o consolationes. La questione 89r.I (e le

48 In particolare a 86v.27 e 87r.7 il riferimento è di Fib. ma viene frainteso due righe più sotto con una traduzione impropria, in virtù della quale gli uomini citati nella formu­ lazione dei primi tre problemi della sezione sembrano due; a 87r.29, 88v.l3 e 89r.6 il ri­ chiamo formulare non è nel testo di Fibonacci. La mano principale dimostra qui una in­ solita propensione all’intervento (probabilmente per consapevolezza delle difficoltà te­ stuali) trascrivendo in margine il testo erroneamente omesso in due occasioni: nel passo ed egle emcie lavorò {e non cee lavorò} 103r.4 e, subito sotto, nelle righe trascritte nel margine inferiore, indicate come 15bis e 15ter. 49 In pratica ciascuna lettera viene semplicemente omessa nella tradizione, pur con­ servando il testo un aspetto grafico assolutamente normale, senza altre lacune evidenti. Proprio per il carattere sistematico (e sintomatico) di questa omissione non si è intervenu­ ti a integrare il testo nei 29 casi in cui, tra 86v.30 e 87r.23, si sarebbe dovuto supplire con una notazione assolutamente assente nel Livero. L o stesso fenomeno si verifica a 160r.

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seguenti 89v.I, e 90r.I, che variano solo i dati numerici) è un classico problema di analisi indeterminata a due incognite, con una unica solu­ zione; è diffuso in molte raccolte tardomedievali, e lo stesso Fibonacci propone due schemi di soluzione, nelYEpistola a Teodoro filosofo50, e nel Liber abaci, seguito dal nostro volgarizzatore, dove usa un sistema di consolazioni; per le caratteristiche del problema rimando allo studio di Di STEFANO 1982. I problemi 90v.I, 90v.II e 91r.I, consistenti in equazioni di primo grado, vengono risolti col sistema della falsa posi­ zione51. I due capitoli esaminati mostrano due criteri opposti nella sele­ zione dei problemi da trascrivere rispetto al Liber. nel primo caso si isola un gruppo di problemi omogenei e collegati (ma non consecu­ tivi) nel trattato latino, nel secondo problemi diversi per strumenti di risoluzione vengono accostati dal riferimento, in qualche caso del tutto esteriore, alla nozione comune del merchato. Si sono già di­ scusse nel § II.2. le scelte operate dal compilatore del Livero in fatto di organizzazione per capitoli; qui invece importa sottolineare i mo­ di della selezione dei problemi entro il trattato di Fibonacci52: la di­ versità dei criteri con cui si procede alla selezione nei capitoli XV III

50 Cioè in uno degli Opuscoli (il Flos, il Liber quadratorum e appunto YEpistola) editi da BONCOMPAGNI 1856:44-54 (in particolare 45) di sul codice Ambrosiano E.75, ai quali Fibonacci affidò la risoluzione, in modi particolarmente originali, di questioni a vario ti­ tolo notevoli. 51 È notevole che a 90v.22 non venga rilevato che l’investimento calcolato implica che il numero delle uova acquistate non sia intero (e si veda invece 86v.l6-18). Il riferi­ mento alle uova era tradizionale, come osserva Pacioli nel De viribus quantitatis (Biblio­ teca Universitaria di Bologna, ms. 250, c. 41v): et queste sonno quelle domande ch(e) se sogliano dar(e) alle volte per le scole da li preceptori ali scolari (vedi anche AGOSTINI 1924:179-180). 52 Non possiamo quindi attribuire la mancanza di problemi o di intere sezioni del Li­ ber a disattenzione o erronee omissioni da parte del compilatore del Liber. quello che c’è è frutto di una scelta e, per quel che riguarda il piano della selezione dei materiali (diver­ sa è ovviamente la questione per i modi del volgarizzamento), la supposizione che il com­ pilatore del Liber avesse accesso solo a parte del Liber quale esso ci è oggi noto ha l’unico effetto di spostare il problema. All’opposto si può avenzare il dubbio, peraltro indimo­ strabile allo stato della ricerca, che la tradizione mercantile e professionale del Liber specie nella fase più antica - conservi materiale fibonacciano estraneo alla seconda edi­ zione del trattato (1228) e tratto invece da altre opere di Leonardo Pisano, il quale, nella dedicatoria premessa all’edizione del 1228 del Liber abaci, cita una prima redazione del trattato nel 1202 e un liber minoris guise ad uso specifico dei mercanti, che sono entram­ bi perduti e, a quanto pare, non hanno lasciato traccia nella tradizione fibonacciana.

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e X X I (documenta uno studio approfondito e un approccio diversifi­ cato al corpus di questioni offerte dal Liber in funzione di un proget­ to complessivo e definito. Un altro esempio in positivo viene dal confronto del capitolo X (per la precisione delle sole cc. 22r-29v). Sono presenti in molti libri d’abaco questioni relative al consolare, che, secondo la definizione del trattatista quattrocentesco Pier Maria Calan­ dri (in ARRIGHI 1974:144), è «alchuno mescolamento d’ariento di più sorte o vero ariento con rame» ( «materia» si aggiunge «molto piacevo­ le et d’utile»). Tutte le zecche medievali erano infatti rifornite di metal­ lo nobile in forma di bolzone, cioè di monete troppo logore o svalutate che venivano vendute a peso, data la sproporzione tra valore intrinseco e nominale, e secondo la percentuale di nobile: che sono naturalmente i dati fomiti in ognuno dei problemi del capitolo X. Non si tratta tutta­ via di un capitolo derivato dalla pratica di bottega dei monetieri: a te­ stimonianza di come «larghe parti dei trattati d’abaco passassero senza sostanziali cambiamenti da un autore all’altro» (GIUSTI 1993:232) il Li­ vero trae letteralmente parte della sua trattazione dal Liber abaci. Perfi­ no le destinazioni d’uso espressamente indicate sono da prendere con prudenza: a 24v.l7 quisto è 7 modo che usano più egl monatiere è tra­ dotto dal Liber (Fib. 146) e non rispecchia necessariamente la situazio­ ne alla fine del Duecento53. Per il resto il Livero evita, come sua con­ suetudine, considerazioni di ordine astratto ma trae tutte le questioni della sezione Regole de svariate mode del capitolo X dalle pagine 144161 (nel capitolo IX) del Liber. Dei problemi contenuti in Fib. molti sono omessi, ma l’ordine in cui si succedono è uguale a quello del mo­ dello, e il compilatore mostra di comprendere benissimo la differenza tra le questioni del consolare e le successive amplificazioni, anzi intro­ duce - conformemente al suo modo di ordinare le cose - un capitolo a sé stante (l’undicesimo dedicato a svariate regole che s’apertengono al consolare de le monete) là dove Fibonacci presenta solo l’esemplifica­ zione delle tecniche appena spiegate. Il compilatore del Livero ha quindi lavorato sul testo di Fibonac­ ci secondo l’originale divisione in capitoli, e ha anzi utilizzato queste 53 L ’episodio non è isolato: nel Trattato d'abaco di Pier Maria Calandri, che si è ap­ pena citato, l’introduzione al capitolo 16, dedicato alla materia del consolare, è una tra­ duzione puntuale dal Liber abaci (p. 143), che comporta per di più qualche contraddi­ zione col testo che segue (si veda A r r i g h i 1974:144, che non cita la fonte e non rileva le incongruenze).

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partizioni per individuare gli argomenti di suo interesse; all’interno dei capitoli, poi ha selezionato il materiale utile omettendo nell’am­ bito del singolo problema gli aspetti teorici e nel quadro del capitolo quei problemi che gli sembravano superflui; ha poi raggruppato ciò che restava secondo un criterio di pertinenza e di memorabilità. Il processo di selezione del materiale non si ferma infatti al livel­ lo dell’ordinamento dei problemi: è evidente nel volgarizzamento la scelta di evitare ogni giustificazione teorica per presentare una rac­ colta di problemi svolti; vengono quindi eliminate nelle introduzioni e nel corpo della discussione dei problemi le parti ritenute non es­ senziali, con lacune che non possono essere dovute a guasti nell’antigrafo, poiché, mentre in alcune occasioni il contesto può aver favori­ to una omissione (è il caso di 68v.24-25 e di 97r.l0: si veda l’appara­ to ad locum), di norma i dati necessari allo svolgimento vengono all’occorrenza riassunti e reintegrati nel testo (si vedano ad esempio i passi di 75r.l e 81v.22-23; il rattoppo non ha funzionato invece a 124v.l9). Questi interventi di semplificazione sono capillari, e, insie­ me alla riorganizzazione complessiva di cui si è detto, disegnano un manuale radicalmente diverso, nella consistenza materiale e nei pre­ supposti culturali, dal modello di Fibonacci. 111.2. Regole d i matematica pratica non com prese nel ttL iber abaci” 111.2 . a. L a regola delle tre cose G li esempi relativi alle proporzioni, che il testo designa con il nome di regola delle tre cose, sono diffusissimi in tutti i trattati di matematica mercantile e normalmente si accompagnano a sezioni re­ lative alle tecniche di calcolo con i numeri arabi54. Nel Livero sono moltissimi i problemi che si possono ricondurre alle proporzioni, ma la parte che viene esplicitamente dedicata alla loro pratica è limitata ai capitoli I-IV (cc. l-6r). L a sezione non deriva dal testo di Fibo54 È da ricordare che il calcolo del quarto membro di una proporzione dagli altri tre non era citato in Euclide e lo stesso nome della proporzione e il lessico relativo si genera­ lizza solo in epoca medievale: vedi TROPFKE 1930-40:111, I l e 16-19. D ’altro canto la centralità della regola del tre nell’insegnamento matematico medievale è indubbia, ed esplicita ad esempio nell’intitolazione stessa della Summa pacioliana: si vedano in propo­ sito G iu s t i 1994:11-12, S m i t h 1994, G i u s t i 2002:84-86. La regola del tre era nota con questo nome fin dalla matematica indiana ( S m i t h 1953:11,483-494, E v e s 1983:174).

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nacci, che non riporta la regola, e mostra invece significativi rapporti con altri testi della tradizione matematica pratica tardomedievale. Per esempio la formulazione della regola (Se ce fosse dieta alchuna ragione e* Ila q(ua)\le se proponesse tre chose, sì devemo m(ultip)licare I quitta chosa che noie volerno sap(er)e (contra) q(ui)tta I che non è de quitta medessma, a pa(r)ti(r)e nett’aMtra lr.4-8) è vicina a quella di ma­ noscritti o stampe dal Trecento al Cinquecento, dal Tractatus di Jaco ­ po da Firenze (Vat. Lat. 4826, trascr. H 0 Y R U P 2007:236-237) al M a­ gi. X L 88 di Paolo Gherardi al manuale di Paolo dell’Abaco (ARRIGHI 1964:153), al Trattato di Piero della Francesca ( D a l a i ET A L II 2012), alla Summa di P a c i o l i 1494 e all’Arte de l’abbacho trevigiana: Jacopo: Se ci fosse data alcuna ragione nela quale si proponesse tre co­ se, sì debiamo multiplicare sempre la cosa che noi vogliamo sapere contra a quella che non è simegliante, et parti nel’altra cosa, cioè, nel­ l’altra che remane Magl.XI.88 c. Ir: Se ci fosse detta alchuna ragione nella quale si pro­ ponesse tre chose, sì dobiamo multiprichare quella I chosa che nnoi volgiamo sapere chontra quella che I nno(n) è di quella medesima et partire nell’altra. I ... Se ci fosse detta alchuna ragione nella quale si prolponesse tre chose et dall’una delle due parti dilnanzi avesse rotto sì dobiamo multiprichare a(m)lbedue le parti dinanzi p(er) tale numero in chente I si truova quello rotto. Paolo dell’Abaco 153: Dobiamo senpre multjprichare quello che nnoj domandiamo chontro alla choxa che nonn è di quella medexima, a partire nell’altra choxa la detta multjprichazione. Ricc. 2263, c. 5 Ir: Se ci fosse detta alcuna ragione ne la quale si proponesono in 3 colse sì dobiamo moltiplicare quela cosa che noi volgliamo saplere contra quela che non di quela medesimo e partire ne l’alltra. Piero della Francesca: La regola de le tre cose dici che se dèi montiplicare la cosa, che l’orno vole sapere, per quella che non è simiglante e, la somma che fa, partire per l’altra; et quello che ne vene è della natura de quello che non è simiglante .... P a c i o l i 1494:c. 67r: La regola del 3 in doi modi si costuma farla ma(n)dar a memoria a chi l’arte voi praticare sotto diverse parolle l’una e l’altra, ma con la medesima sententia. E l’un modo è questo che dici la regola del 3 voi che se multiplichi la cosa che l’homo voi saper per quella che no(n) è simigliante e partire per l’altra che è simiglia(n)te, e

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quel che ne vene sì è-ne de la natura de quella che non è sim igliaste e sirà la valuta de la cosa che volerno inquirere... ARTE, 30r-v: La regula de le tre cose è questa, che tu dieba moltiplicare la cosa che tu vuol sapere con quella che non ha somiglia, e partire per l’altra. E la parte che nascerà sarà de la natura de la cosa che non ha somiglia.

L a stessa formulazione è ricordata da Pier Maria Calandri (se­ condo A r r i g h i 1974:61) dopo altra più personale: Alchuni ànno da­ to questo modo che si multiplichi la chosa che tu vuoi sapere per quella che non è somigliante et dividi nell’altra. Naturalmente non è il caso di postulare un rapporto di derivazione diretta tra questi manuali: si tratta certo di una formula tradizionale, comunicata attraverso l’in­ segnamento in tutte le scuole d ’abaco, sicché si potrebbe parlare di tradizione di memoria professionale. Va rilevato che la diffusione di questa e simili formulazioni non si limita all’ambito definitorio, e coinvolge espresamente la loro strutturazione sintattica: fin dalla pri­ ma carta, nel capitolo dedicato alla regola delle tre cose, in quello delle reg(o)le senga nome (5r-6r e i seguenti capitoli V e VI) e sparsa­ mente più avanti è la stessa struttura sintattica del periodo (tipica­ mente voglo dire chust: 3 ravignane vaglono 5 cortonese, que varronno gle 7 ravignane? lr.10-12) a costituire, in mancanza del consueto ri­ ferimento a choppe, arbore o vasa, lo spunto mnemonico per la cor­ retta impostazione del calcolo, e significativamente essa viene suc­ cessivamente richiamata in modo formulare e rimane invariata anche in diverse situazioni testuali (documentazione a § V.2 .). Peraltro l’in­ cidenza di questo tipo di tradizione nelle scritture professionali, e tanto più in quelle non professionali, non è facile da provare, a parte casi evidenti come quello appena discusso, né è agevole valutarne l’effetto ai fini della diffusione di tratti linguistici55.

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Per rilievi sulla formulazione della regola delle tre cose in altri testi si veda H0Ye 10 (dove si propone di considerare la formula come un documento di ar­ caicità). La componente professionale nelle valutazione linguistica delle scritture prati­ che è questione mai affrontata in modo complessivo; spesso viene invocata per spiegare la diffusione di singole forme, come ad esempio nel caso di sao nei Placiti capuani (bi­ bliografia in CASTELLANI 1976:59-76). In altro ambito, e in particolare riguardo alla cul­ tura visiva del Quattrocento, le formulazioni tradizionali della regola delle tre cose e la loro rappresentazione hanno attirato l’attenzione di B a x a n d a l l 1974:95-96.

RUP 2008:4-7

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III.2.b. L e “regole de chanhio” (6r.3-16v.23 e passim ) Sono dedicati al cambio di monete i capitoli V-VII (6r-16v); dal punto di vista matematico si tratta di semplici applicazioni delle pro­ porzioni, ma a partire da 7r, attraverso le regole de chanbio per modo de merchatante, vengono introdotte, senza esplicitarle, le regole delle tre cose inversa e altre varianti come la regola catenaria (T ropfke 1930-40:11, 193, SMITH 1952:11, 572-574). Sono sostanzialmente ri­ conducibili alla regola delle tre cose le questioni cosiddette de baracte (due problemi nel capitolo VI, da 14v.29 a 15r.23), in cui lo scam­ bio di beni avviene attraverso una precisa valutazione in denaro (com’era del resto uso anche secoli più tardi: vedi ad esempio F ran CI-Toti R ig a t elo 1982:78-80). Si tratta di baratti semplici, in cui cioè non è previsto conguaglio in denaro e in cui la scadenza è im­ mediata (non sono previsti cioè elementi di credito). I capitoli dedicati al cambio di monete sono tra i più interessanti per quel che riguarda la datazione con criteri interni del materiale confluito nel Livero. Manca infatti ogni coincidenza con i valori uti­ lizzati nel Liber abaci e in generale non è possibile individuare ante­ cedenti testuali esatti della sezione; certamente il fine primario di es­ sa sta nell’esercizio al calcolo con i numeri frazionari, ma i dati con­ tenuti in questi problemi e in altri che nel Livero trattano di monete (135v-136v) sono sufficientemente numerosi ed organici da permet­ tere di ricostruire un quadro valutario piuttosto preciso. Un primo elemento per la datazione è fornito dalle monete cita­ te: la presenza del fiorino e del gros tournois, coniati rispettivamente nel 1252 e nel 1266, individua un termine post quem\ meno sicuro è il limite inferiore: è notevole l’assenza del ducato veneziano, coniato nel 128456, mentre è presente il grosso veneziano. Si nota poi l’as­ senza del denaro perugino, che sappiamo in circolazione dal 1260 (in proposito vedi SCARAMUCCI 1972); ma è anche possibile che i pe­ rugini siano citati col nome, allora diffuso, di cortonesi57. Per il resto 56 Si tratta comunque di un argomento non decisivo: secondo M a n d ic h 1988:16 « È vero che sin dal 1284 viene battuto dalla zecca veneziana il ducato d’oro; ma è anche vero che a costituire la base della circolazione resta allora il grosso d’argento ». Si può poi pensare che la moneta fosse citata col nome di fiorino, come spesso avveniva (vedi ad esempio TRAVAINI 2 0 0 3 :100). 57 Boni denarii perusini, qui comuni vocabulo gentium appellantur cortonenses (C e n c i 1974:75 cit. da PlEROTTl 1981:123); fin dal 1279 lo statuto perugino faceva obbligo ai

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il quadro delle valute citate appare realistica nella situazione tardoduecentesca di Perugia, dopo cioè la fine del periodo di preminenza del denaro lucchese, durata fino al sesto decennio del Duecento; in questo periodo è attestata la circolazione di denari ravennati {ravi­ gnane), aretini, aquilini (cioè imperiali), anconetani (che possono coincidere coi bolognini), lucchesi, cortonesi, pisani, senesi, verone­ si, provisini (P lE R O T T l 1981:114, 122). Su un altro piano, natural­ mente, va considerata la citazione di fiorini (la prima attestazione di un cam bio di fiorin i a P eru gia è del 1272 secon d o P lE R O T T l 1981:107) e tomesi, vale a dire delle monete legate al traffico inter­ nazionale di manufatti58. I rapporti valutari tra le 14 monete citate dal Livero sono nume­ rosi e significativi. Si pone naturalmente il problema se si possano considerare dati realistici o se siano invece valori casualmente acco­ stati per esercizio; per chiarire appunto il realismo delle quotazioni riportate, e quindi per cercare di individuare un possibile ambito temporale e geografico di pertinenza, si procede ora ad elencare tut­ ti i rapporti di cambio desumibili dal Livero, che poi si utilizzeranno per valutare 1) la congruenza dei rapporti tra le monete citate più volte nel Livero, 2) la coerenza delle quotazioni all’interno di proble­ mi che coinvolgono diverse monete al fine di individuare un sistema omogeneo di dati e 3) la corrispondenza delle quotazioni con quelle storicamente attestate. Ecco la tavola completa dei rapporti valutari; per ogni rapporto si indica la valuta, l’importo con la sigla Ib. (lire) s. (soldi) d. (denari) op­ pure nel formato Ib.s.d, seguito dal segno « che qui significa ‘dà di Massari del Comune di recipere prò quolibet introitu comunis, bonos denarios perusinos et cortonenses et non aliam monetam (CAPRIOLI 1986:c.l8r). A Perugia erano battuti anche imperiali e bolognini (vedi Corpus Nummorum, 188-190 e tav. XIV). 58 Anche le rationes decimarum umbre, edite da S e l l a 1952, attestano un quadro compatibile con quello del Livero: quelle di Perugia 1332-1334 (come quelle di Città di Castello, Assisi, Nocera Umbra, Foligno e Spoleto) sono redatte in cortonesi (computato floreno ad rationem III lib. XV II sol. VI den. cor. prò quolibt floreno), quelle di Gubbio invece in ravignani (sia nel 1295 che nel 1334) e quelle di Rieti 1308-1309 in once e tari; invece le rationes di Temi, Nami e Massa Trabaria riportano le diverse valute, rispettiva­ mente: Temi 1275-1280 cortonesi, romani veteres, veneti de argento (grossi), aquilini de argento, fiorini auri e de argento, guelfi, tomesi grossi e parvi, provini, papalini, cortonesi grossi; Nami 1297 fiorini d’oro, tomesi, crociati de argento, cortonesi; Massa Trabaria ravignani, anconetani, volterrani.

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cambio a’, dalla valuta corrispondente e dal riferimento testuale; i nu­ meri senza altra indicazione si intendono in denari; uso le seguenti ab­ breviazioni: boi. ‘bolognino’, cort. ‘cortonese’, emp. ‘imperiale’, fior. ‘fiorino’, gen. ‘genoino’, gr. per ‘grosso’, mar. ‘sterlina {mark sterlingsY, merg. ‘mergoglese’, par. ‘parigino’, pis. ‘pisano’, rav. ‘ravignano’, seti. ‘senese’, torti, ‘tomese’, tor.gle ‘tomesello’, veti, ‘veneziano’, ver. ‘vero­ nese’. bolognini: boi. 25 * pis. 22 (7r.20), boi. 23 « pis. 21 (7r.25), pis. 1 lb. * boi. 1.2.10 (7v.9), boi. 1 s. « sen. 17 f (8v.26), 12 bol.a lb. « sen. 19 h (8v.27), emp. 1 s. « boi. 25 (13v.9), boi. 1 s. « pis. 15 (13v.l0); cortonesi: rav. 3 « cort. 5 (lr.10), tor.gle 1 s. « cort. 27 (9r.22), gen. 1 s. * cort. 21 (9r.23), emp. 1 s. « cort. 31 (9r.24), tor. gr. 1 « cort. 56 * rav. 31 « pis. 46 « emp. 18 (lOr.10), rav. 1 s. « cort. 32 (13r.l7), pis. 12 « cort. 13 (13v.l0), fior. 1 s. « cort. 19 (15v.l8), fior. 1 s. « cort. 18 f (16r.9); fiorini: fior. 1 lb. « pis. 1.1.0 » boi. 1.3.0 (7r.25), ven. 1.0.0 « fior. 17.15.0 (8v.6), uno fiorino d’oro * tor.gle 5 s. « rav. 20 s. * pis. 30 s. (10v.l6), fior. 1 s. « cort. 19 (15v.l8), fior. 1 s. « cort. 18 i (16r.9), tor.gle 1 s. « fior. 30 (15v.l8), emp. 1 s. « fior. 25 (16r.7), mar. 1 mar. « fior. 6.15.7 (136v.6); genovini: gen. 12 * cort. 21 (9r.23), gen. 1 s. « emp. 19 (13v.7), gen. 1 s. * emp. 16 i (14r.2), tor.gle 1 s. « gen. 19 f (14r.2); imperiali: emp. 1 s. « ven. 53 (6r.4), emp. 12 « ven. 54 i (6r.l6), emp. 1 s. « pis. 33 f (8v.l8), emp. 1 s. « cort. 31 (9r.24), tor. gr. 1 « cort. 56 « rav. 31 « pis. 46 * emp. 18 (10r.l0), gen. 1 s. « emp. 19 (13v.8), gen. 1 s. * emp. 16 i (14r.4), emp. 1 s. * boi. 25 boi. (13v.9), emp. 1 s. « pis. 31 è (14r.l9), emp. 1 s. * fior. 25 (16r.7); soldi di Melgueil (mergoglesi): merg. 1 s. « cort. 19 (9r.23), merg. 1 s. « tor.gle 21 f (14r.l); parigini: par. 1 s. ~ pis. 35 (7v.l7), par. 1 s. « pis. 28 (8r.l), par. 1 s. » pis. 40 (8r.l3), par. lb. 4 « tor. lb. 5 (135v.l5); pisani: pis. 22 « boi. 25 (7r.20), pis. 1 lb. * boi. 1.2.10 (7v.l), tor. 1 s. * pis. 35 (7v.l0), par. 1 s. “ pis. 38 (7v.l9), tor. 1 s. * pis. 32 (7v.29), par. 1 s. » pis. 28 (7v.30), par. 1 s. * pis. 40 (8r.l3), tor. 1 s. * pis. 32 (8r.l9), mar. 1 mar. » pis. 6.13.4 (8r.28), emp.'l s. « pis. 33 f (8v.l8), tor. gr. 1 « cort. 56 « rav. 31 * pis. 46 « emp. 18 (10r.l0), uno fiorino d’oro « tor.gle 5 s. * rav. 20 s. * pis. 30 s. (10v.l6), boi. 1 s. « pis. 15 (13v.9), emp. 1 s. * pis. 31 f (14r.l9); ravennati (ravignani): rav. 3 « cort. 5 (lr.10), rav. 3 i * pis. 7 f (lv.21), rav. 1 lb. * ver. 31 f s. (6v.l0), rav. 1 s. « ven. 19 f (6v.25), rav. 12 i « pis. 20 è (7r.2), tor. gr. 1 * cort. 56 * rav. 31 « pis. 46 « emp. 18

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(10r.l0), uno fiorino d’oro * tor.gle 5 s. « rav. 20 s. « pis. 30 s. (10v.l6), rav. 15 * tor.gle 12 (llr.15), tor.gle 1 s. « rav. 23 (13r.l5), rav. 1 s. « cort. 32 (13r.l5), rav. 12 « cort. 23 (13v.l), tor.gle 1 s. « rav. 23 (13v.l), rav. 17 « ven. 31 (14v.l0); senesi: boi. 1 s. « sen. 17 è (8v.26), boi. a lb. 1 s. « sen. 19 f (8v.26); steriini di marca (mark sterlings): mar. 1 mar. « pis. 6.13.4 (8r.28), mar. 1 s. « tor.gle 52 (15v.l6), mar. 1 « fior. 55 s. (136v.5), fior. 6.15.7 « mar. 1 (136v.6). tornesi: torn. 1 s. « pis. 35 (7v.l0), torn. 1 s. « pis. 32 (7v.29; 8r.l4), torn. gr. 1 « cort. 56 * rav. 31 « pis. 46 « emp. 18 (10r.l0), torn. 12 « ven 58 (14v.ll), par. lb. 4 « torn. lb. 5 (135v.l5); non è riferito ad alcuna valuta in particolare torn. 1 « 14 s. 6 (7r.l5) tomeselli: tor.gle 1 s. « 27 cort. (9r.22), uno fiorino d’oro « tor.gle 5 s. « rav. 20 s. * pis. 30 s. (10v.l6), tor.gle 12 « rav. 15 (llr.15), tor.gle 1 s. « fior. 30 (15v.l8), tor.gle 1 s. « rav. 23 (13r.l4), tor.gle 12 « rav. 23 (13v.l), merg. 1 s. « tor.gle 21 è (14r.l), 1 s. tor.gle « gen. 19 f (14r.2), mar. 1 s. « tor.gle 52 (15v.l6); veronesi: rav. 1. « veron. 31 è (6v.l2); veneziani: emp. 1 s. * ven. 53 (6r.4), emp. 12 * ven. 54 \ (6r.l6), rav. 1 s. « ven. 19 f (6v.25), ven. 1.0.0 « fior. 17.15.0 (8v.6), rav. 1 « ven. 1 \ (llv.24), rav. 17 * ven. 31 (14v.l0). Compariamo i casi di attestazione multipla di rapporti valutari: non sono utili gli esempi di concordanza esatta, che potrebbero de­ rivare da copia (tor.gle 1 s. * rav. 23 a 13r.l4 e 13v.l; torn. 1 s. * pis. 32 a 7v.29 e 8r.l4)59; più significativi i casi in cui si osservano picco­ le variazioni tra diversi problemi, che si riferiscono evidentemente a fonti o a rilevazioni diverse: tor. 1 s. * pis. 35 (7v.l0) rispetto a tor. 1 s. * pis. 32 (7v.29 e 8r.l4), emp. 1 s. * ven. 53 (6r.4) rispetto a emp. 12 * ven. 54 i (6r .l6), fior. 1 s. * cort. 19 (15v.l8) rispetto a fior. 1 s. « cort. 18 \ (16r.9), rav. 12 « cort. 23 (13v.l) rispetto a rav. 31 * cort. 56 (lOr.10), mentre è notevolmente fuori scala rav. 20 * cort. 32 (13r.l5). Sono interessanti in particolare le seguenti coincidenze tra i valori espressi in diverse occasioni e in diverse grandezze: pis. 46 « emp. 18 (lOr.10) rispetto a emp. 1 s. « pis. 31 \ (14r.l9), rav. 31 * pis. 46 (10r.l0) rispetto a rav. 20 s. * pis. 30 s. (10v.l6). Più rilevanti, 59 N o n h o ten uto co n to d el ra p p o rto tor.gle 12 « rav. 15 in d icato a l l r .1 5 , n o n co m ­ p arab ile agli altri; tra l ’altro è attestato p e r diversa valu ta nella trattazion e d ella stessa m oneta néR Algorismo ed ito d a VOGEL 1977:59.

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ma tutto sommato realistiche, le variazioni nei casi di gen. 1 s. * emp. 19 (13v.7) rispetto a gen. 1 s. * emp. 16 i (14r.2), e di rav. 1 s. * ven. 19 f (6v.25), rav. 17 * ven. 31 (14v.l0), rav. 1 « ven. 1 i A b­ biamo quattro valutazioni del bolognino a pisani, tre delle quali in li­ nea (boi. 25 d. * pis. 22 d. a 7r.20, boi. 23 d. * pis. 21 d. a 7r.25, pis. 1 lb. « boi. 1.2.10 a 7v.9), mentre è nettamente diverso il valore boi. 1 s. * pis. 15 d. (13v.l0). Risultano mediamente equivalenti par. 1 s. « pis. 40 d. (8r.l3), torn. 1 s. * pis. 32 d. (8r.l9), con lievi variazioni in par. 1 s. « pis. 38 d. (7v.l9) e tom. 1 s. * pis. 35 d. (7v.l0); spicca invece il dato, senz’altro eccessivo, di par. 1 s. * pis. 28 d. (8r.l). Con diverso procedimento è possibile analizzare la coerenza in­ terna di un problema che prevede il riferimento a diverse valute, e stabilire una data approssimativa confrontando i valori che se ne possono ottenere per equivalenza con la documentazione desumibile da altre fonti: ad esempio riguardo al problema di lOr.10, che ripor­ ta le quotazioni del gros tournois rispetto a 4 altre monete, possiamo rilevare dalla documentazione coeva che un fiorino vale normalmen­ te tra il 1274 e il 1300 10 gros tournois (SPUFFO RD 1986:186), vale a dire che un gros tournois corrisponde a 2 s. a fiorini; si possono sta­ bilire di conseguenza i seguenti valori per il fiorino delle seguenti va­ lute: cort. 2 .6 .8, rav. 1.5 .10, pis. 1.18.4, emp. 0.15.0. I valori di SPUFFORD 1986 (indico tra parentesi la pagina) per il periodo 12851290 sono cort. 2.8.0 (57), rav. 1.5.0-1.7.0 (72), pis. 1.14.4.0-1.18.0 (42), emp. 0.12.0-0.15.6 (97). D ’altronde la sostanziale differenza tra la quotazione del gros tournois a pisani in questo problema (pis. 46) e dei soldi tomesi in altri problemi (torn. 1 s. * pis. 35 a 7v.l0, tom. 1 s. ** pis. 32 a 7v.29 e 8r.l4) rende improbabile una datazione ante­ riore al momento in cui «its value in money tournois had risen and fallen erratically from 1290 onwards as Philip IV altered thè silver content of thè denier tournois» (SPUFFO RD 1986:184). Analizziamo ora dal punto di vista monetario le ragioni discusse dal Livero a cc. 135v.9-136v.12, che offrono un diverso punto di vi­ sta sulle equivalenze monetarie: si tratta infatti di operazioni di ac­ quisto di panni francesi, presentate come correnti pratiche di com­ mercio di cui vengono analiticamente descritti, per così dire, i pre­ ventivi di spesa. S i riflette puntualmente il dato storico del rapporto tra parigini e tomesi, rapporto fissato (secondo SPUFFORD 1986:172) dal 1221 a 16 parigini per tomese, nel Livero nella forma par. lb. 4 =

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tom. lb. 5 (135v.l5); ma la quotazione del fiorino tra i 34 e i 36 tornesi è nettamente superiore ai valori attestati da SPUFFORD 1986:172174. Nel problema successivo, a 136v.2 la quotazione del fiorino a mark sterling corrisponde a 22,857-23,703, cioè 34,285-35,554 dena­ ri a pound sterling, un valore confermato dal cambio inverso indica­ to dal Livero a 136v.3 in 55 fior, per 12 mark sterling e che corri­ sponde a quello registrato da SPUFFORD 1986:198 solo per il periodo 1280-1298 in fonti italiane. Infine ecco il confronto diretto delle quotazioni riportate dal L i­ vero con i dati desumibili dalla documentazione coeva: per quanto molti rapporti non siano direttamente attestati nel presumibile pe­ riodo di formazione del Livero, i valori hanno riscontri significativi in alcuni casi:

tor. gr. 1 « 46 pis. (10r.l0) rispetto ai 57 di SPUFFORD 1986:188 nel 1278 tor. gr. 1 « 56 cort. (10r.l0) rispetto ai 50 di SPUFFORD 1986:186 nel 1297 gen. 1 s. « 19 emp. (13v.7) rispetto ai 21.4-21.8 di SPUFFORD 1986:103 tra 1287 e 1291 fiorino d ’oro « pis. s. 30 (10v.l6) rispetto ai 24-36 di SPUFFORD 1986:41-42 tra 1268 e 1277 In conclusione, si può affermare che buona parte dei dati raccol­ ti nella sezione dei cambi (quelli cioè citati in questa ultima sezione) ha un plausibile riscontro in un periodo piuttosto breve che va dal 1280 al 1295 circa, mentre alcuni dati vistosamente dissonanti (come quello relativo al fiorino) possono essere attribuiti a semplificazione didattica. III.2.C. Le regole di merito (32v.21-44r.2) Il capitolo dedicato a problemi de merto, riguardanti cioè il cal­ colo dell’interesse (32v.21-44r.2), è composto nella sua prima parte di semplici precetti utili per eseguire calcoli dell’interesse a mente, basati su semplificazioni tra unità monetarie e temporali, con facili esercizi illustrativi. I primi 18 problemi di questa sezione iniziano con la dicitura Se d e fosse dieta alchuna ragione de merto, qioè ... (si veda più sotto, § VI.2 ., per una valutazione complessiva di questi elementi formula­

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ri) e possono essere divisi in coppie di questioni nelle quali l’incognita, nel calcolo dell’interesse semplice (I = c *i * t, dove I indica gli interessi maturati, c il capitale prestato, i il tasso d ’interesse nomina­ le unitario nel periodo di tempo, t il tempo), riguarda volta a volta il capitale che ottenga, nelle condizioni date, un dato interesse (così a 32v.II, 33r.I) oppure il tempo necessario a maturare una data som­ ma (a 32v.1,33r.II); in particolare, poiché gli altri termini rimangono unitari, è possibile ridurre i primi 4 problemi a semplici proporzioni. Piuttosto che di una trattazione sistematica, si tratta quindi di esem­ pi, disposti con particolare cura didattica, di quelle che vengono chiamate nella Summa pacioliana regule generales meritorum (cui viene dedicato un capitolo a c. 182r-v, senza esempi o problemi ri­ solti); esse consistono appunto nell’individuare possibili semplifica­ zioni di ogni dato fisso pertinente, e in particolare dei numeri relati­ vi alle valute, delle unità monetarie non decimali e delle durate60. Per il calcolo non si fornisce una regola univoca, ma si suggeriscono espedienti basati sulla semplificazione della formula indicata (così a 33r.I-II la regola empirica di dividere 150 per l’interesse annuo del cen­ tinaio di lire (lb.) si basa sul fatto che l’interesse di un d. per giorno si calcola moltiplicando la somma per ^j{j, cioè, per 100 lb., 100- 248 : i = 150:i)61. Il problema di 33r.III utilizza la stessa formula dando I per noto, fissando i a piacere ed esaminando la variazione di t al variare di c e viceversa; il 33v.I è una sua variante (la formulazione è infatti so­ stanzialmente identica a 33r.27-29 e 33v.l-2), che considera due transa­ zioni con I identico, e propone quindi una proporzione tj : t2 = cj : x. Nei successivi 33v.II e 34r.I si prospetta un risultato per cui il capitale si raddoppia, definendo quindi I = c e, dato per costante l’interesse, esaminando le variazioni rispetto a tempo e capitale; i fattori 20 a 33v.30 e 100 a 34r.ll sono dovuti rispettivamente ai rapporti 240/12 e

60 Si noti che gli esempi, o meglio i soli dati numerici di essi, ritornano in altre trat­ tazioni: così i problemi 63-66 e 68-69 di S a n t i n i 1982:49 sono identici ai nostri 33r.I33v.I e 34r.III-34v.I, mentre il 67 è un’applicazione con altri valori del meccanismo mo­ strato a 33v.m . 61 Si tratta quindi, sostanzialmente, di semplificazioni possibili grazie alla semplifica­ zione tra grandezze monetarie e temporali (vedi subito sotto l’esemplificazione). In co­ struzioni di complessità molto maggiore, come ha brillantemente dimostrato G i u s t i 1991:73, la stessa coincidenza è utilizzata, consapevolmente o no, in formule per la riso­ luzione di equazioni di terzo grado, utilizzando probabilmente un procedimento di pro­ va ed errore.

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100/1 tra le grandezze della lira rispetto ai mesi dell’anno (l’interesse è espresso in denari al mese) e dal centonaio rispetto alla lira (a 34r.8-9 in­ fatti l’interesse è calcolato in lire all’anno); la coppia 34r.II e 34r.III è si­ mile e inversa rispetto a 32v.II e 33r.l. Il fattore 2/3, proposto come so­ luzione del 34v.I (come 3/2 del suo inverso, 34v.II), è il quoziente dei denari per lb. e dei giorni dell’anno (essendo i espresso prima in lire al­ l’anno, poi in soldi al giorno); ad identico principio, ma per il calcolo di i su base mensile, e inverso procedimento si fa ricorso nel 35r.I. Nei due problemi seguenti, il 35r.II e il suo inverso 35r.III, il valore i è espresso per anno al centinaio di lire e poi per mese alla lira (e viceversa nel se­ condo), per cui la soluzione è data da x = i • 240 / (100 • 12) e quindi dal fattore 5. Nel 35v.I (privo di chiarimenti teorici, a differenza dei prece­ denti) sono posti fissi interesse e tempo, con il capitale come incognita; è risolto in modo analogo a 33v.I, da cui differisce solo per le grandezze utilizzate; il successivo 35v.II applica lo stesso schema, trovando con una proporzione tra t e e , dato i costante, il capitale della seconda tran­ sazione. Leggermente diverse sono le questioni 35v.III-35v.IV, per cui dall’interesse annuale a lire per centinaio di lire si trova quello giornalie­ ro: nei primi due, passandosi da lire all’anno a denari al giorno (nel 35v.III) o viceversa (nel 35v.IV), si usa il fattore 2/3 trovato per 34v.I. Seguono alcuni facili problemi riguardanti il calcolo dell’interesse sem­ plice, che differiscono dai precedenti per il fatto di non proporsi come applicazione di regole empiriche, ma come puro esercizio: il 36r.I ri­ chiede il capitale cui corrisponde una somma pagata a titolo d’interesse del 13,75%; nel 36r.II si richiede il computo dell’interesse in soldi (non è fornita soluzione); il 36r.II richiede il calcolo dell’interesse giornaliero considerato un interesse annuale del 10,67% (non viene utilizzato il me­ todo suggerito nel 33r.I, che è perfettamente analogo a questo). I problemi che seguono richiedono il calcolo dell’interesse composto; è particolarmente interessante il primo di essi (36v.I) perché appare fittizio e diretto ad esemplificare, prima di qualunque definizione teorica, come si effettua in pratica il calcolo dell’interesse composto, e, d’altro canto, è gravemente problematico nella formulazione: si deve ritenere infatti che nel capoverso del Livero si siano verificati alcuni errori di trascrizione, che interessano parecchie righe e rendono incomprensibi­ le il calcolo, di per sé non difficile62; d’altro canto la schematizzazione

62 II procedimento usato è infatti semplicissimo e non ricorre alle potenze, ma preve­ de di aggiungere al capitale (100) un numero di zeri uguale al numero degli anni utilizzati (10) e al numero così ottenuto viene aggiunto per 10 volte un decimo del suo valore (si ot-

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successiva (37r.5-ll) è pure gravemente lacunosa63. L ’interesse passivo è trattato nel 37r.I, che giunge ad una corretta soluzione togliendo un decimo (cioè l’interesse) al capitale iniziale per un numero di volte uguale al numero delle unità di tempo impiegate. Le questioni da 37v.I a 42v.I (trattate, seppure con qualche differenza, anche in Fib.) riguar­ dano tutte una stessa fattispecie, cioè il caso di una locazione atipica per cui l’affitto di una casa viene pagato con un prestito al 20% a capi­ talizzazione annuale64: il canone è quindi scomputato dal capitale e dal­ l’interesse della somma prestata. Il problema 37v.I richiede di calcolare il tempo di permanenza dell’affittuario, e viene risolto semplicemente seguendo tutte le fasi, scadenza per scadenza, fino all’ultima frazione di anno65. Nel 38v.I, risolto allo stesso modo, si contempla invece il caso che il proprietario della casa riesca a versare un quinto della somma prestata, mentre nel 39r.I la somma prestata è molto minore, inferiore al canone annuale. Nel 39r.II l’incognita non è più il tempo, ma il de­ naro prestato; il testo di Fib. viene qui seguito più puntualmente e si applica effettivamente, per la prima volta, la regola dei viaggi (per cui vedi sotto, § IV.), anche se di seguito (seguendo fedelmente Fib.) si propone il metodo, assai meno raffinato, del rifare i conti all‘indietro dall’ultima alla prima operazione (metodo che a 53v.4-5 e a 110r.l7 sarà detto lo modo del tornare enderieto). Vengono poi proposte altre variazioni sul caso: si richiede la rata pagata secondo gli accordi di lo­ cazione (40r.I), poi il capitale investito nel caso che alla fine rimangano tiene così il prodotto del capitale per il tasso elevato all’ennesima potenza); il risultato vie­ ne poi diviso per l’interesse annuale elevato all’ennesima potenza. Il testo appare corretto fino a 36v.21, ma a 36v.22 è chiaro che non il numero 25937424610, ma 10000000000 va diviso per 100, e bisogna dunque togliere 2 zeri, non 20, come detto a 36v.24; a 36v.25 in­ vece la dizione quiste 11 figure pierte si riferisce evidentemente al primo numero: per met­ tere ordine si dovrebbe espungere il 20 a 36v.25 (o considerarlo errore di lettura per n(umer)ó), inserire una copula (eventualmente seguita da ‘per’) prima di ensieme a 36v.26 e interpungere fortemente prima di che a 36v.29. Per chiarezza trascrivo qui la mia para­ frasi da 36v.l8 a 36v.21: ‘si deve aggiungere per dieci volte un decimo di quello che ven­ gono queste 11 cifre, in modo che tutte saranno diverse da zero in questo modo’. 63 Non vi si fa neppure riferimento (già quello di 36v.l8 era poco chiaro) all’aggiun­ ta della decima parte da ripetere per quanti anni è prestata la somma, in cui principal­ mente consiste il calcolo. Lo stesso vale per il problema accennato subito di seguito nello stesso capitolo, di cui non è data soluzione. 64 Nel catasto perugino del 1360-61 «il valore di stima delle case date in affitto era calcolato in base alla capitalizzazione del fìtto monetario» (GROHMANN 1981:1,138) 65 È notevole che il problema sia invece risolto in Fib. con l’estrapolazione dello scomputo dopo il secondo anno, giustificando quindi l’inserzione del problema nel capi­ tolo de viagiis, mentre il riferimento del Livero alle questione de viagie resta sostanzial­ mente inapplicato.

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lb. 20, che ovviamente hanno comportato un diverso calcolo dell’inte­ resse (40v.I, risolto col metodo del ‘tornare’, suggerendo però a 4Ir. 12 il metodo dei viaggi), poi la rata nel caso che alla fine del periodo d’af­ fitto rimangano lb. 20 (41r.I, speculare a 40v.I e risolto col metodo dei viaggi). Viene poi proposta la variante per cui il fitto viene scontato sul prestito ad interesse di una somma tale che alla fine del periodo d’affit­ to siano rimaste lib. 20 (nel caso di 41r.I) o il capitale (nel caso del 41v.I), mentre nel 42r.II e 42v.I si richiede di trovare il capitale e, ri­ spettivamente, il canone, supponendo che alla fine restino lb. 36. Il capitolo XIII (42v-44r, dedicato a regole che s’apertengono a quitte de la usura) comprende 7 problemi variamente pertinenti a questioni di interesse, senza riscontro in Fib. e di scarso interesse matematico, risol­ vendosi tutti con sistemi di equivalenze. La giunta più cospicua di C, 44ra, riguarda suggerimenti per il calcolo dell’interesse semplice di un 100 lb. per anno, e va accostata quindi ai capitoli analoghi a 33r; segue un esempio di calcolo dell’interesse mensile per lira a partire da quello annuale per 100 lb. Naturalmente le regole di semplificazione per il calcolo dell’inte­ resse semplice trovano puntuale riscontro in altre fonti abacistiche, come il trattato di Dionigi G ori (per cui vedi F ranci-T oti RlGATELLI 1982:56-57) e YAlgorismo trecentesco edito da VOGEL 1977:7173; nella documentazione coeva, è notevole il confronto con il tratta­ to di Paolo Gherardi contenuto nel codice Magi. X I.88. In alcuni casi la corrispondenza testuale è perfetta; si veda ad esempio il testo del magliabechiano a lOr, da confrontare nel Livero con il problema 34r.III: Se nnoi volessimo fare alchuna ragio(n)e d i merito, cioè / le chotante Ibr. guadangnano il die uno d. e noi volessimo / sapere che guadangna l’anno il cent(inaio), sì dobiamo partire / .cl. lb. p(er) tante parti quante lb. guadangnano il die uno d. / V o ti dare asemp(r)o alla dieta reghola e vo dire chosì: xv lb. / guadangnano il die uno d.; che guadangnerà il centinaio / l’anno? D e’ chosì fare: parti .cl. lb. p(er) xv, che nne viene / x, ed ài che ’l centinaio guadangna l’anno lb. x66. Fac­ cio seguire la tavola dei riscontri per tutta la sezione67: 66 La somiglianza strutturale è accentuata dal frequente ricorso alla formula intro­ duttiva Se ci fosse detta alchuna ragione di merito (se ne discute più ampiamente nel SV.2.) 67 II trattino significa che manca corrispondenza tra i due testi; segnalo con asterisco il caso in cui la formulazione della regola coincide, ma l’esempio è differente.

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Magi. X L88 8v 8v 9r 9r 9r 9v 9v lOr lOr lOv lOv lOv l lr llr llr llv llv llv

Livero 33v.II 34r.I

32v.II* 32v.I 33 r.II 34r.II 34r.III 34v.I 34v.III 34v.II 35r.I 35r.II* 35r.III simile a 35v.II 35v.I

Dal confronto tra i due testi (che nel commento è stato svolto solo in riferimento al Livero) appare evidente la maggiore comples­ sità della versione perugina, che appare più sistematica e più efficace nella successione di spiegazioni ed esempi che caratterizza questa se­ zione: si può osservare che Puso di esempi diversi nei casi di 32v.II, 32v.I e 35r.II (in corrispondenza con 9r e 9v) è dovuto all’opportu­ nità di variare i valori di 3 e 10 d., che nella versione del Magliabechiano facilitano la risoluzione senza calcoli, per semplificazione; e in generale Pordinamento complessivo appare più sistematico nel te­ stimone umbro, che procede per coppie di problemi. D ’altro canto il Magliabechiano offre talora una formulazione più chiara, sicché si utilizza per controllare il testo del Livero (è citato in apparato con la sigla Mgl2). A partire da 36v.4, come si è osservato, il tipo di calcolo cambia, senza che il compilatore lo segnali: di qui in poi le questioni riguar­ dano l’effettivo calcolo di interessi e sconti semplici e composti, con calcoli piuttosto complicati e tecniche nettamente più evolute. È cambiata senza dubbio anche la fonte: scompare l’intestazione che caratterizza tutta la prima sezione, Se d e fosse ditta alchuna ragione

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de merto, sostituita dalla più consueta formula introduttiva Famme quista ragione; poi a 37v.7 il ritorno al testo di Fibonacci (in partico­ lare con la discussione di casi di interesse e sconto su una casa, una delle parti di maggiore interesse ragionieristico dell’intero trattato) coincide con il titolo D e sutile regole de prestrare lib. quante tu vuogle ad usura sopre alchuna chosa, che non costituisce però separazio­ ne di capitolo: è chiaro quindi che, come si è visto per altre sezioni, il capitolo è strutturato in riferimento ad un nucleo concettuale fina­ lizzato alla pratica (cioè il calcolo dell’interesse), piuttosto che pro­ porre un’organica trattazione degli strumenti matematici ad esso re­ lativi. III.2 .d. Conti correnti (44r.3-51r.2) Anche il capitolo dedicato dal Livero alle scritture di conto (il XIV) non trova riscontro nel Liber abad\ esso offre però importanti indicazioni circa le tecniche contabili note al compilatore. Il primo testo che espone compiutamente le regole della partita doppia è, allo stato degli studi, il libro de scripturis nella Sum m a di P A C IO L I 1494:197r-210v, mentre la prima illustrazione non sistematica è rin­ venibile nel notevole trattato quattrocentesco di Benedetto Cotrugli edito da Tucci 1990:171-175 (da consultare tenendo accanto la re­ censione di ZANATO 1993 )68; la pratica di questo metodo contabile che si articolasse su più libri legati da rinvii puntuali è tuttavia assai più antica, ed è stata individuata in un libro ancora duecentesco da C a s t e l l a n i 1952:8-10. L a gestione di quelli che oggi chiameremmo conti correnti è esemplificata in modo articolato nel Livero: la sezione dimostra una coerenza e correttezza considerevoli rispetto ad altri capitoli, il che fa supporre una relativa prossimità alla redazione originaria e quindi accresce l’attendibilità delle date che compaiono in questa sezione; anzi dalla data, che è sempre riferita al 1288 (44r, 44v, 45r, 46v, 48r, 49r). Com ’è noto, non è corretto attribuire valore probante per da­ tare la composizione del manoscritto alle indicazioni che frequente­ mente compaiono nei testi di ambito mercantile, specie quando non 68 In generale sulla storia della partita doppia si vedano M e l i s 1950:621-638, Y a 1978 e bibliografìa ivi citata. Per un esempio perugino quattrocentesco vedi M o n t r o n e -C h i r i e l e i s o n 2009. MEY

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coincidono le risultanze paleografiche, come appunto avviene per il Livero (un caso clamoroso è la presenza di conti datati al 1370-1373 nella Summa di PA CIO LI 1494:185v, 186r); queste date possono inve­ ce risultare utili, pur con le necessarie cautele, per la datazione inter­ na del testo (o meglio della sezione di testo). L o studio delle tecniche testuali utilizzate dimostra la rigorosa coerenza del capitolo. Tutti gli esempi prevedono una netta struttu­ razione testuale derivata evidentemente dalla pratica contabile. In­ fatti gli esercizi, che presuppongono solo la conoscenza delle opera­ zioni fondamentali e del calcolo dell’interesse semplice, sono dispo­ sti accuratamente in ordine di difficoltà crescente e sono presentati come conti nominativi, seguiti da diverse voci attive o passive, dallo svolgimento dei conti necessari e da un capoverso finale in cui si riassumono sinteticamente i risultati delle transazioni, cioè il saldo del conto corrente; il primo capoverso inizia sempre con l’invoca­ zione rituale A nome de D io, seguita dall’indicazione dell’anno (tut­ ti i conti hanno origine, come si è detto, da una operazione datata al primo gennaio del 1288); la data di chiusura del conto appare anch’essa alla fine del capoverso, normalmente con analoga invocazio­ ne (47v.22, 4 9 r.8,50r.l7). È notevole la densità di interventi corret­ tori, in particolare nelle carte 45-47. Tutto ciò fa pensare che i conti siano fittizi, cioè che non siano stati copiati da un registro di conta­ bilità effettivamente utilizzato ma scritti espressamente per servire di esercizio69. Il primo conto, intitolato a messer Bindo degl Circhie (44r.4-5), riporta solo voci a debito (cioè indicate come deie avere) ed è sem­ plificato dal fatto che i versamenti figurano effettuati tutti all’inizio del mese, così da rendere i calcoli meno elaborati. Viene richiesto di saldare ragione, di rechare tutte quiste dr. ad uno t(er)m ene e di sap(er)e quillo che deie av(er)e de chapetale e de prode p(er) lo tenpo ch’io Vò tenute (44r.l0-12), cioè di calcolare la somma del capitale

versato e degli interessi relativi al deposito determinando anche la data cui riferire il pagamento nel suo complesso (quindi in modo proporzionale alle somme e ai relativi termini)70.Viene svolto calco­ lando l’interesse annuale del capitale, che viene poi riportato alla du­ rata del deposito fino alla successiva operazione71. Elementi del for­ mulario tecnico ragionieristico possono essere individuati nella pro­ posta: in particolare l’intitolazione A nnome de Dio amen con la data e le espressioni sopra riportate; così anche nel capoverso conclusivo, che viene evidentemente presentato come esempio di chiusura di un conto (eccettuata la consueta esortazione e chusì fa ’ le semeglante ra­ gione 4 4 v .l0 -ll). Non vi sono errori. Lo stesso schema è osservato negli esercizi successivi. Nel secon­ do (intitolato a Manno Attaviano degl’Ardigeglie) il calcolo è compli­ cato dall’uso di cifre, tassi e periodi meno agevoli da trattare, ma con poche operazioni (5 in totale); per questo, probabilmente, viene se­ guito il metodo suggerito a 44v.22-23 (quisto altro modo), e cioè il calcolo preliminare dell’interesse mensile di una lira, un soldo e un denaro, da moltiplicare poi per i corrispondenti valori; non però ad ogni nuovo versamento, ma direttamente dalla data della singola operazione al giorno di chiusura del conto. Anche tenendo conto dei due errori di copista a 45 r.6 e 45r.l7 la somma finale degli inte­ ressi è sbagliata di oltre 2 soldi. Si ritorna invece alla somma del capitale e al calcolo dell’interes­ se ad ogni versamento nella ragione di messer Raniere da la Terga da Urvieto (45r.23), caratterizzata da numerosi errori, non sempre ri­ conducibili a scorsi di penna o di calcolo. Aumenta il numero delle operazioni (tutte de’ avere), e la complessità del calcolo delle compe-

69 Secondo H0YRUP 2007:34 si tratterebbe di «loan contracts containing invocation of God, names and dates, thus reals or pretendedly reai», che sarebbero stati copiati «from a written source, either reai contracts or another abbacus treatise». Propenderei per l’ipotesi di una realistica simulazione di scritture contabili (non di contracts, per cui non avrebbe senso una contabilità analitica) redatte a fine didattico, forse prendendo spunto da conti reali e probabilmente proprio col fine di inserire una sezione apposita nel Livero (come si può ritenere considerando la contiguità temporale con la data di stesura).

70 Si tratta di una operazione che il fiorentino trattato d’abaco edito da ARRIGHI 1974:172 ci dice esser stata di comune insegnamento nelle scuole d’abaco (costituiva an­ zi la parte conclusiva di esso), e che naturalmente può essere applicato a conti reali come anche a meno canoniche transazioni, e anche, per esempio a prestiti ad usura coperti da operazioni lecite, come gli affitti. 71 Val la pena di notare come il calcolo dell’interesse della lira, del soldo e del dena­ ro, come la successiva indicazione e tuttavia saccie quillo che guadagna la lib. e ’is. e ’l denaio (44r.l6-17; s’intende l’interesse mensile: si veda più sotto) siano a rigore superflue nella presente ragione, e il procedimento sia invece utilizzato nei problemi seguenti: evi­ dentemente il primo esercizio serviva per rendere familiare all’allievo la problematica del saldare la ragione, e forse a suggerirgli un metodo semplice e rapido per calcoli sommari. È comunque una ulteriore conferma della unità di concezione del capitolo.

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tenze, dato che le operazioni sono collocate in date diverse dall'ini­ zio del mese. Non è strettamente pertinente il titolo dato dal Livero alla se­ conda parte del capitolo, Regole de saldare e de rechare a termene (46v.2-3), che coincide nella sostanza con il proposito di 4 4 r .l0 - ll, e dovrebbe quindi designare tutti gli esercizi qui esaminati72; è però ragionevole che si sia inserita una cesura tra gli esercizi che precedo­ no e il gruppetto che comincia col conto intitolato a messer G iani degle M agloarde (46v.4). Q uest’ultimo figura aver avuto un conto corrente, con la prima voce a debito e le altre a credito, i cui interes­ si vengono calcolati separatamente, sicché nel consuntivo (47v.2230) sono registrati i subtotali relativi ad attività e passività; viene uti­ lizzato, come sempre da qui in avanti, il metodo del computo del­ l’interesse da operazione ad operazione (sono in tutto 11), con un errore di calcolo in sede di consuntivo (47v.27). Nei conti di Guido del Chiaro (48r.l-2) e di Bienciviene de Grifo (49r.l4-15) i depositi e i prelievi vengono scalati dai crediti registrati nelle prime voci e dif­ feriscono per il fatto di terminare il primo a debito, l’altro a credito; proprio il fatto di cominciare con importante operazione a debito rappresenta l’unica differenza sostanziale tra il conto di Bencivenni e quello, sopra analizzato, di Ranieri: sono perfettamente identici le date, i versamenti e perfino gli errori, mentre divergono molti parti­ colari formali73. Il conto di Bencivenni presenta numerosi errori di calcolo e imprecisioni nelle date74. Queste incongruenze e l’uso dello

stesso conto in esercizi vicinissimi con nome diverso e senza alcun richiamo fanno pensare che il materiale, e quindi i dati indicati (no­ mi, date, cifre), siano fittizi, e che il compilatore attingesse ad un re­ pertorio di esercizi o di appunti. Se disponiam o in tabella i contenuti tecnici ( 1: presenza di operazioni in data diversa dall’inizio del mese; 2 : presenza di voci al passivo; 3: unità monetarie utilizzate; 4: interesse applicato; 5: nume­ ro di operazioni del conto; 6: procedimento per somme successive delle operazioni e dell’interesse maturato nel periodo intercorso o per calcolo dell’interesse di ogni operazione fino al saldo) appare chiara la complessità progressivamente crescente delle partite esem­ plificate:

72 In particolare le regole del saldare vengono utilizzate in tutta la sezione sul presti­ to ad interesse; invece rechare a termene si riferisce più in particolare a tecniche contabili del tipo di quelle esposte a 50r.23-51r.2. Si veda in proposito anche FRANCI-TOTI RIGA­ TELO 1982:89-90. Si è appena osservato che il compito salda\re ragione ... e rechare tutte quiste dr. I ad uno t(er)mene 44r.l0-12 era assegnato già nell’introduzione al primo conto corrente. 73 Queste differenze deriveranno da differenti copie del medesimo testo, oppure, e mi sembra ipotesi più convincente, da differenti letture, forse da parte della stessa perso­ na, dello stesso schema o delle stesse registrazioni contabili che possono essere servite come base per questa simulazione. È difficile dire se la ripetizione sia voluta o meno: la mancanza di richiami e la lunghezza dei conti depongono per una inconsapevole redu­ plicazione; d’altro canto è anche possibile che con l’accostamento di operazioni presso­ ché identiche si sia voluto sottolineare didatticamente l’impostazione creditoria del con­ to di Bencivenni; anche la posizione a chiusura di serie omogenee di problemi incoraggia a credere che si tratti di per ima duplicazione intenzionale. 74 A 50r. 19-20 si indica come data di chiusura del conto il primo d ’agosto, in modo

Bindo Manno Ranieri Giani Guido Bencivenni

1

2

3

4

5

6

no sì sì sì sì sì

no no no sì sì sì

lb. lb.,s. lb., s., d. lb., s. lb. lb., s., d.

10% 9,25% 9% 7% 8% 9%

4 5 7 11 10 8

periodo operazione periodo periodo periodo periodo

La presenza di voci passive distingue nettamente due serie di tre esercizi, chiuse rispettivamente dal conto di Ranieri e da quello di Bencivenni, che rappresenta una sorta di esame conclusivo del pic­ colo corso di contabilità. Consideriamo poi questi conti dal punto di vista della tecnica contabile. L a formula Anno 1288 che introduce la parte finale degli esercizi esclude tanto il memoriale, libro di prima annotazione delle operazioni, che il giornale, in cui l’informazione viene scomposta nei tratti elementari (attività/passività), dato che in queste due sedi ogni annotazione è preceduta dalla data precisa. Sembra invece di poter individuare in queste righe la partita tipica di un quaderno, vale a dire della fase più elaborata delle scritture contabili tardo-medievali, in cui l’operazione è scissa negli elementi fondamentali, che vengono del resto concorde con altri passi (49r.24, 50r.l4,), ma in contraddizione con lo stesso calcolo dell’interesse della prima e maggiore voce del conto per 20 mesi, che va quindi, se dobbiamo partire dal primo gennaio, fino a tutto il mese di agosto.

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riassunti sotto l’indicazione della partita di merce interessata (più frequentemente a Venezia dove la vita economica era ritmata dall’ar­ rivo delle mude dall’Oriente) oppure sotto il nome del relativo ope­ ratore economico. Nel quaderno infatti veniva indicato in testa ad ogni carta il millesimo, cioè l’anno, mentre non poteva essere segna­ ta la singola data «perché le registrazioni di un conto di mastro pote­ vano avvenire in date diverse dello stesso anno» ( Y a m e y 1994:144, con un’ampia trattazione del problema) o anche, si aggiunga, di anni diversi senza che si debba correggere il millesimo, come infatti suc­ cede nei conti riportati nel Livero a titolo d ’esempio: a c. 50v si rias­ sume il conto di Bienciviene del Grifo, che figura averlo tenuto pres­ so l’azienda titolare del libro per 19 mesi, dal primo gennaio 1288 al primo agosto dell’anno successivo. Conviene dunque agli esempi trattati nella sezione di contabilità del Livero la definizione che ne ha fornita CASTELLANI 1952:5-7 (in riferimento ad uno schema attuato fin dai conti del 1211 e valido almeno fino al libro della compagnia Farolfi del 1299-1300 e agli altri mastri toscani della prima metà del Trecento):

conto ad un movimento di credito piuttosto che ad un’operazione di compravendita; d ’altro canto è preciso e univoco l’uso del lessico tecnico contabile come appare dai documenti toscani di fine Due­ cento. Senza poter quindi inferire una pratica di partita doppia, pos­ siamo ritenere che i conti esemplificati nel Livero troverebbero ade­ guata collocazione nella sezione di sintesi di un quaderno toscano del tardo secolo X III. Va spesa qualche parola sull’uso di elementi decorativi e inter­ puntivi e sulla mise en page adottata nel Livero in questa sezione. E notevole l’uso sistematico della maiuscola nel corpo del testo all’ini­ zio di ogni operazione per evidente ripresa dei modelli testuali delle scritture di conto, dove naturalmente ogni posta richiede un a capo e il numero, collocato come nel Livero sempre alla fine, viene incolon­ nato con gli altri nella parte destra della pagina: così ad esempio a 49r. 14-23 sono maiuscole le iniziali di tutti gli anche che marcano l’i­ nizio di ogni entrata. In tutta la sezione dedicata ai libri mercantili viene rispettata la strutturazione testuale tipica di un libro di sintesi contabile, come è evidente dall’uso dell’invocazione ad apertura del conto, dall’ordinamento delle operazioni per data e dalla dislocazio­ ne delle cifre alla fine della frase (e quindi con le peculiarità anche sintattiche caratteristiche delle annotazioni mercantili). All’opposto la mise in page è invece ispirata a modelli evidentemente librari, con iniziali decorate e scrittura a piena pagina: infatti i numeri in rosso non sono allineati nel margine destro, come avviene nei libri di con­ to, ma compresi nel corpo del testo; a 49r.l2, immediatamente pri­ ma del saldo del conto relativo a G uido del Chiaro, viene usata la verghetta che serve ad evitare spazi vuoti a fine riga, che è tratto evi­ dentemente librario. Insomma dal punto di vista dell’organizzazione del testo la sezione dedicata ai conti correnti rappresenta uno strano ibrido tra la regolare impaginazione della gotica libraria e la mimesi del modello testuale del libro contabile, che evidentemente era, nel­ l’esperienza dello scrivente, perfettamente individuabile e caratteriz­ zato in senso professionale75.

i conti, intestati unicamente a debitori e creditori, ed intestati loro, ge­ neralmente, per una serie d’affari omogenei, s’apron l’uno sotto l’altro lasciando sotto il paragrafo iniziale lo spazio che si giudica sarà occu­ pato dagli altri... I conti del dare si trovan tutti nella prima parte del li­ bro, quelli dell’avere nella seconda parte. Ecco lo schema d’un conto chiuso: la. nome del debitore o creditore; affermazione del credito o debito; data di scadenza; ragione del credito o debito; circostanze che ne han­ no accompagnato il sorgere; scopo al quale han servito o stan per servi­ re le utilità che ne forman l’oggetto. lb. Successive affermazioni di crediti o debiti, le. Eventuale somma di crediti o debiti. 2a. Affermazione del pagamento; data in cui è avvenuto; circostanze che lo hanno accompagnato. 2b. Successive affermazioni di pagamenti. 2c. Eventuale somma di pagamenti che estinguono il debito. Rispetto a questo schema questa sezione del Livero mostra due non sostanziali differenze: cioè che si introduce tra la prima e la se­ conda sezione del conto il calcolo degli interessi e che si riferisce il

75 Sull’impiego di schemi di impaginazione di origine mercantile in ambito librario si vedano le osservazioni di G i u n t a 1995 e STEINBERG 1999 a proposito del canzoniere Vaticano e di ClARALLI 2009 a proposito della carta pisana di Philadelphia.

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III.2 .e. L a “ragione ke s ’usa de fare en Orvieto” (135v.9-136v) Ua piccola sezione è dedicata da B, in chiusura del Livero, alla ragione orvetana, contrassegnata da un titolo in rosso; essa rassomi­ glia, per il contenuto, al capitolo di un tipico manuale di mercatura, di quegli strumenti cioè che informavano il mercante, tra l’altro, de­ gli usi mercantili di singoli mercati (qualità e misure delle merci, mo­ dalità di pagamento, pedaggi, costi di trasporto)76. Entrambi i capo­ versi descrivono infatti uno schema di compere di pangne francieske, presentato come una consuetudine degli orvetane (a quanto si desu­ me, mercanti orvietani in Francia), il cui schema viene confrontato nel secondo capoverso (136v.3) con una variante attribuita ai fioren­ tine»; nei due esempi che vengono presentati si calcolano analiticamente i costi dei singoli passaggi dalle Fiandre in Italia e si indicano anche gli aspetti valutari, in modo da poter calcolare la convenienza dell’acquisto; nel costo complessivo è compreso anche il guadagno del mercante, che si assume compreso tra l’8 % e il 10% . Attraverso il confronto con i testi più completi è possibile confermare le fasi e i valori della ragiolne orvetana (si veda § III.2 .b. per i rapporti valutari e l’indice dei toponimi per l’identificazione delle piazze citate), che quindi vanno considerati realistici. Si tratta di una materia che usual­ mente si trova disposta in modo analitico per città (si veda in gene­ rale V A N E g m o n d 1980:26 e per un esempio BO RLANDI 1936) e non, come fa il Livero, attraverso il resoconto dell’operazione completa. La differente organizzazione del testo corrisponde in realtà ad un di­ verso intento: nel Livero il calcolo è presentato non come effettivo resoconto di una operazione commerciale, ma come esercizio di cal­ colo del prezzo finale; infatti il prezzo del panno grezzo è determina­ to solo a fini esemplificativi (uno panno costa più d’un altro; ma dicia­ mo ke coste ma(r)ke 8 136r.l9-21) mentre le costanti del problema sono gli usi, cioè le consuetudini contabili, valutarie e tributarie che contribuiscono a formare il prezzo finale; piuttosto che di uno sche­ ma ad uso del mercante che si accinge ad una importazione di pan­ ni, la ragione orvetana va interpretata come un esercizio di calcolo 76 Vedi E v a n s 1936, S T U S S I 1967, T ucci 1968 con altri rinvìi. Si tratta di una utilissi­ ma fonte per Io studio degli strumenti e delle relazioni commerciali, le cui implicazioni nella storia culturale e letteraria non sono state forse approfondite quanto sarebbe possi­ bile: si veda ad esempio Tucci 1987.

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del presumibile costo di panni grezzi dal punto di vista di un mer­ cante residente, come dimostra anche l’inclusione dell’utile dell’im­ portatore nella formazione del prezzo, tenuto conto delle variabili valutarie e mensurali (un esempio analogo in H 0 Y R U P 2007:86-87, 281-283). In questo senso la ragione orvetana è prefettamente perti­ nente alla materia del trattato, per quanto riferita ad un ambito pro­ fessionale specifico, e non è necessariamente collegata ad una circo­ lazione del Livero nelle aziende commerciali, cioè all’ambiente in cui si formano normalmente i manuali di mercatura (il processo è docu­ mentato in D ini 1980). Il lessico è nettamente caratterizzato in senso professionale: si considerino le espressioni, utilizzate solo in questa sezione, k ’è se­ gnato ke costa en Frangia, gioè de tacha 135v.26, richatura 135v.l6, 136r.2, prodegiam o 136r.5, recare a ‘convertire in altra valu ta’ (135v.l4, 135v.20, 136r.l0), secondo esse ònno la vendeta 135v.20, 135v.24, contare ‘valutare nel cambio di valuta’ 135v.l5, 135v.22, 135v.28,136r.3. III.2 .f. Le regole di geometria (139r-161r.ll) Pur essendo conforme per caratteristiche formali e per qualità testuali al Livero de l’abbecho, il trattato di geometria ospitato nelle cc. 139v-178v del Riccardiano 2404 è stato sicuramente concepito come testo autonomo; lo dimostrano la presenza di un titolo com­ plessivo (Quisto è-ne lo primo amastramento de l’ar\te de la geometria 139v.l, evidentemente analogo a Quisto è-ne lo livero de l’abbecho lr .l), l’inizio sulla prima carta di un nuovo fascicolo e il fatto che comprenda dei capitoli con titoli e numerazione autonoma. Scritto almeno su quattro quinterni e giunto a noi incompleto per la caduta di uno o più fascicoli dopo c. 178v, comprende cinque capitoli di problemi di geometria piana e solida (conformi per decorazione a quelli del Livero), cui segue un capitolo di problemi de numere, trat­ ti dal Liber abaci e riguardanti operazioni con le frazioni e con i nu­ meri quadrati. Q uest’ultima sezione è identificata dalle impostazioni che distinguono un nuovo capitolo (titolo in rosso, nuovo capover­ so, numerazione in rosso in alto a sinistra), ma non da altri elementi, e deve quindi essere considerata parte dell’Amastramento malgrado l’evidente discontinuità tematica. Segue una sezione di misure di ter­ re, cioè di geometria piana e di equivalenze metrologiche, con parti­

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colare interesse alla zona umbra, ovviamente senza riscontro in Fi­ bonacci; anche qui troviamo i consueti indicatori di inizio capitolo ma non una esplicita indicazione in merito e neppure la consueta numerazione per capitolo (come notato a § I.I.). Per tutti i problemi dei primi cinque capitoli, evidentemente ela­ borati su un modello comune, vengono fomiti i dati numerici e i cal­ coli che portano alla soluzione, seguiti spesso da un ammonimento a ricordare un passaggio caratteristico della questione; in nessun caso è attestata una dimostrazione puntuale o un chiarimento sul modo in cui si è giunti allo schema di risoluzione77; è notevole poi che non venga inserita alcuna premessa di tipo teorico che introduca le nozio­ ni elementari di linea e punto, superficie, ecc. e le definizioni di figu­ re e solidi, com’era uso nei libri di geometria pratica e anche in tratta­ ti d ’abaco (da Fibonacci ai libri di testo come quello edito da ARRI­ GH I 1974:184-187); scelta che va certo confrontata con quella analoga di evitare ogni trattazione preliminare della numerazione araba e del­ le operazioni fondamentali nella prima parte del trattato. Tutti i pro­ blemi sono risolti in maniera corretta (sul piano del calcolo) e lineare, con solo pochi errori di copia. Come si vede dalla tabella dei capitoli (§ II.l.) soltanto nel secondo dei cinque capitoli si trovano questioni tratte dal Liber abaci, in particolare dalla seconda parte del capitolo X IV de questionibus geometrie pertinentibus (Fib. 397). A conferma dell’unità compositiva della sezione da 139r a 161v si notano analogie nella ratio dispositiva, in particolare tra i capitoli I e II: in entrambi i primi problemi sono articolati in una successione ragionata, a partire dai rapporti tra gli elementi della figura conside­ rata (tra diametro, circonferenza e area del cerchio a 139r.I-140r.I, tra diametro della base, altezza e volume del cilindro a 146v.I), per continuare con il confronto con una figura o un solido simili, otte­ nuti aumentando di una unità il diametro (145v-146r e 147r-v) e il confronto con altre figure inscritte o circoscritte in tutti gli altri casi. La struttura interna dei due capitoli, sebbene assolutamente implici­ ta, appare con chiarezza, e così avviene anche nel terzo capitolo, che presenta una netta separazione tra la parte dedicata al calcolo dell’a­

rea dei triangoli (150r.II-150v.I), quella che suggerisce varie tecni­ che, generalmente arbitrarie, per la costruzione di triangoli (150v.II152r.I) e i due problemi che trattano di trapezi (152r.II-152v.I). È molto meno organico invece l’ordinamento degli altri due capitoli, che ospitano questioni assolutamente disomogenee (è il caso del problema 156v.III nel quarto capitolo). Si riassume qui il contenuto del primo (1), del quarto (2) e del quinto (3) capitolo:

77 Tanto che queste questioni possono essere assimilate, piuttosto che ad altri pro­ blemi trattati nella prima parte, agli schemi di calcolo (regole de merlo) esposti alle cc. 32v-42v.

(1) Si inizia con le regole del cerchio78, che illustrano il modo di trovare la circonferenza a partire dal diametro (139r.I) o viceversa (139r.II), l’area a partire dalla circonferenza (nel 139r.III si moltiplica metà del diametro per metà della circonferenza, nel 139v.I si moltiplica circon­ ferenza per diametro dividendo poi per 4)79 o viceversa (139v.II; viene usato qui e altrove il numero fisso ji, uguale ad un quarto del rapporto tra raggio e area, convenzionalmente fissato a ^), l’area a partire dal diametro (140r.I). Nelle carte 140r-142r si analizzano alcuni casi di rapporti tra circonferenze: si chiede di trovare, data una circonferenza, la circonferenza di un cerchio di area uguale ad un quarto (140r.II, con prova a 140r.III), poi, dato il diametro, l’area di un cerchio di diametro doppio (140v.I), poi, data la circonferenza, il diametro di un cerchio di area uguale ad un terzo (141r.I) o di un quinto (141r.II), e infine, note le circonferenze, la differenza dei diametri di due (141r.HI e 141v.I) e di tre (141v.II) cerchi concentrici. Da 142r a 143v si trattano i rapporti tra un cerchio e un quadrato: se abbia area maggiore un cerchio di cir­ conferenza 80 o un quadrato di lato 20 (142r.I), quale sia il rapporto tra l’area di un cerchio inscritto e di un quadrato circoscritto (142v.I) e

78 Così come avviene ad esempio nel trattato d’abaco conservato nel Magliabechiano XI.86 ed edito da ARRIGHI 1964:104-115; in quel testo seguono quattro problemi con sfere e poi la sezione riguardante relazioni di parallelogrammi con cerchi (ARRIGHI 1964:118-123), poi problemi di pozzi (Arrighi 1964:123-126 e 129-140). 79 Com’è noto, la parola radius fu utilizzata in senso geometrico solo a partire dal 1569; il concetto di raggio è usato nel Livero solo in un contesto marginale a 178v.ll, dove è detto pondo de mego, probabilmente per fraintendimento di perpendicularis. Era prassi normale indicare diverse tecniche per calcolare l’area del cerchio: ad esempio nel Trattato di geometria pratica edito da SlMl 1993:5-6 sono utilizzati ben 12 metodi distinti (i tre usati nel Livero sono rispettivamente il terzo, il secondo e l’ottavo). Il compilatore del Livero non manca di far notare la differenza tra i primi due metodi (Anche se può fa­ re quista ragione en quisto mo\do 139v.ll), ma non rispetto al terzo, e cioè al rapporto di fi tra la superficie del cerchio e quella del quadrato costruito sul diametro (139v.22); è notevole poi che il rapporto di venga introdotto apoditticamente più sotto (143r.8).

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viceversa (143r.II). Nel 143r.I si fornisce la relazione tra area del qua­ drato e area del cerchio iscritto, indicandola approssimativamente in {4 sulla base non di dimostrazioni (avenga ch’egle se faciano I p(er) [rjadigye sorde 143r.26-27, cioè con l’impiego di numeri irrazionali), ma dell’autorità di antiche fylogapfe. Da 143v a 145v le questioni ri­ guardano triangoli iscritti e circoscritti a cerchi, da 145v a 146v il varia­ re della superficie del cerchio all’aumentare del diametro. (2) Il quarto capitolo raccoglie questioni di geometria di ambito diver­ so che hanno in comune il riferimento, anche puramente esteriore, ad alberi. Il primo problema (153r.I) richiede di trovare il tempo in cui può essere abbattuto un albero di lunghezza data che si piega alla velo­ cità di un braccio al giorno, e quindi la lunghezza di un quarto della circonferenza in rapporto al raggio. La parte centrale del capitolo, con la maggioranza delle questioni, è invece dedicata ad illustrare la relazio­ ne tra i lati di un triangolo rettangolo che abbia un cateto uguale ai tre quarti dell’altro (attraverso la fattispecie di alberi spezzati, che quindi formano col suolo appunto un triangolo rettangolo)80: ne consegue, in­ dicati con a e b i cateti e con c l’ipotenusa, a = f b = f c, b = 4 a = 5 c, c = | a = f b. Questa relazione viene usata sistematicamente nei problemi fino a c. 156v, considerando noto prima un cateto (153v.I), poi l’altro (153v.III) e infine l’ipotenusa (154v.I), mentre la prova viene sempre eseguita con la regola di Pitagora (153v.II, 154r.I, 155r.I)81; resta isola­ to il 154r.II, in cui il triangolo rettangolo non osserva i rapporti indica­ ti. Una soluzione analoga è prospettata come metodo più semplice nel 155v.I, già risolto con la regola di Pitagora. A 155v.II-156r.I il caso di un albero spezzato di cui si conosce la distanza della cima dal piede, 40, e la lunghezza complessiva 70 (dunque un cateto e la somma degli altri due lati) viene risolto l’equazione x2 + 402 = (70 - x)2, verificata at­ traverso la regola di Pitagora; infine viene curiosamente suggerito un terzo schema di risoluzione, presentato come p(er) appositione falsa 156r.28, di cui si nota l’inefficacia. Invece i due problemi contenuti nel 156v.I coincidono con le prime questioni de arboribus del Liber abaci (tra i riscontri più tardi vedi ad es. ARRIGHI 1964:74); il 156v.II è per­ fettamente analogo, salvo appunto il riferimento ai problemi de arboribus, alle questioni già analizzate a 127r. Infine il 157r.I, utilizzando 80 In realtà quasi tutte queste questioni vengono esemplificate attraverso l’immagine di un albero in un giardino accanto ad una fonte o ad un fiume, e sono quindi perfetta­ mente sovrapponibili ai tipici problemi sulle torri analizzati nel capitolo successivo. 81 Solo nell’ultimo si usa il teorema di Pitagora per determinare uno dei cateti, men­ tre la relazione b = $ c viene chiarita dopo la prova (155r.24-155v.4).

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un’immagine simile a quella già vista per il 153 r.I, richiede di trovare l’ipotenusa di un triangolo rettangolo equilatero data la misura del lato: per la risoluzione vengono indicati due valori dell’irrazionale ^2 trovati per via empirica. (3) Con lo stesso criterio del quarto capitolo, sono raccolte nel quinto problemi che citano a vario titolo torri (si veda per confronto la sezione del trattato di Jacopo da Firenze in H0YRUP 2007:287-290): essi riguar­ dano operazioni su singoli triangoli rettangoli (dove ad una torre, che rappresenta un cateto, viene legata una corda o una scala, cioè l’ipotenusa; 157r.II-159r.I, tutti risolti con la regola di Pitagora e mantenendo il rapporto tra cateti di |; il primo anche in Arrighi 1964:136), uno in cui si deve invece calcolare il tempo necessario a tre maiestre per co­ struire una torre (quindi una somma di frazioni analoga a 109r.I; 159v.I), uno nel quale è richiesto il tempo in cui si raggiungano due uo­ mini che salgono a diverse velocità una torre (159v.II); seguono poi al­ cuni problemi sugli uccelli alla fonte, cioè che riguardano la misura dell’ipotenusa di due triangoli rettangoli, descritti da due torri e dal percorso compiuto da due uccelli per raggiungere una fonte in mezzo a loro (159v.III-160r.I); e infine un’altra applicazione del teorema di Pi­ tagora (160v.I). Più in dettaglio va chiarita la differenza tra 159v.III e i problemi successivi: se è vero, infatti che la fattispecie delle questioni è identica, i metodi utilizzati differiscono notevolmente: il 159v.III ripro­ pone sostanzialmente il consueto rapporto, solo empiricamente soddi­ sfacente, di i tra due cateti, mentre il 160r.I (anche in ARRIGHI 1964:133) e il 160v.I, basati su costruzioni geometricamente meno ba­ nali, si limitano però alla parte aritmetica della soluzione e derivano, at­ traverso una problematica semplificazione, dal Liber abaci. Come si vede, i capitoli dell’Amastramento non si discostano da quelli del Livero riguardo alle tecniche di ordinamento e selezione del materiale. È più complicato individuare peculiarità testuali dei problemi di geometria rispetto a quelli prevalentemente algebrici di­ scussi nel Livero e in generale nei trattati di aritmetica pratica: per quanto non manchino riscontri in testi affini, dal Liber abaci al trat­ tato di Jacopo da Firenze (H 0 Y R U P 2007:364-371) fino a più tarde raccolte di problemi geometrici (come si può vedere dai passi citati a confronto), è difficile - almeno allo stato delle ricerche - ricostruire documentariamente la storia di una geometria pratica tre- e quattro­ centesca, a causa del prevalente interesse delle scuole d ’abaco per l’algebra; inoltre il lessico tecnico geometrico, considerevolmente

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più ricco di quello algebrico, non conosce durante il medioevo inno­ vazioni significative ed autorevoli, ma normalmente recuperi da testi della tradizione greco-latina: in questa situazione, e considerato il li­ vello elementare della maggior parte dei problemi trattati néLAm astramento, si è preferito non allegare a confronto documenti coevi82. 111.3.

a. Problemi vari: generalità

La presenza di una sezione di problemi dichiaratamente eteroge­ nei dopo quelli che illustrano particolari tecniche di calcolo è, si può dire, un dato costante nelle raccolte tardomedievali (vedi ad esem­ pio la descrizione di V a n E g m o n d 1980:21-22); questa caratteristi­ ca, se talora consente la formazione di una caotica congerie di que­ stioni svariatissime, nasce tuttavia da una esigenza capitale nella prassi matematica (e in genere scientifica) medievale: quella di indi­ viduare nella complessità dei problemi una tra le tecniche mnemoni­ camente apprese durante l’apprendistato, che consentiva di ricavar­ ne la soluzione attraverso l’estensione analogica del procedimento. Le sezioni de erraticis nel Liber abaci sono infatti tutt’altro che caoti­ che e rappresentano corpora specificamente rivolti ad esercitare, nel lettore, questo tipo di sensibilità: così la pars VII del capitolo X II del Liber rappresenta una summa e insieme una verifica dei problemi af­ frontati nel capitolo, utilizzandone gli strumenti in contesti nuovi o con modalità inconsuete; e questo tipo di approccio è ritenuto tanto qualificante, che il capitolo X III, dedicato alla regola della doppia falsa posizione, comincia con una sezione di problemi già risolti con altre tecniche su cui il nuovo metodo dimostra le sue potenzialità. 111.3.

b. “R egoleper molte guise...” (109v.l3-136v)

D a 109v.l3 comincia la sezione del Livero intitolata Regole per molte guise, forte e ligiere de molte contintione, che per buona parte (con la sola eccezione di 114v.I) non deriva direttamente dal Liber abaci, ma da rielaborazioni anche profonde di problemi ivi raccolti o affini: la circostanza, peraltro, non appare in alcun modo da elemen­ ti interni al testo, mentre sul piano della decorazione si nota la man-

82 Si vedano in proposito l’importante edizione del volgarizzamento pisano della Eradica curato da FEOLA 2008 e la recensione di BOCCHI 2009.

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canza del titolo in rosso all’inizio di alcuni problem i (109v .l3, 109v.28, 110r.23) secondo una pratica costante a partire da 114v. Il testo tuttavia è tutt’altro che scorretto: almeno nei primi si registra anzi uno sforzo evidente di precisione terminologica e definitoria (per esempio a 109v.l5-17: una centa p(er) ampiega tale che lo sacho debia ten(er)e 2 tanto che dana(n)ge, che no(n) tenea da prim a). Non vi è alcun criterio apparente che associ questi problemi; è però evidente nella formulazione e nella soluzione di molti di loro che le tecniche di conto utilizzate coincidono sostanzialmente con quelle praticate nei capitoli precedenti (così l l l r . I e 115v.III sono problemi de viage simili a quelli trattati nel capitolo X X , il 113v.II è simile alle questioni sul pepe discusse nel capitolo III) o seguenti (112v.II è un problema sui corrieri analogo a 123r.II, e sono nume­ rose le questioni di geometria solida: 114r.I, lló v .I; sono simili 114v.II e, d ’altro canto, l l l r . I e 115r.I-II, e anche 112v.I e 116r.I). L a natura composita di questa sezione è tuttavia evidente per la pre­ senza di questioni altrimenti estranee per argomento al Livero (come il calcolo dell’età della luna e della declinazione dalla rotta di una nave, rispettivamente a 122r.I e 121v.I, dei quali si discute qui sotto) e da più minuti indizi testuali (per esempio a llO v e 114v la valuta di riferimento è il bisante, a 105r e 123v-125r, dove pure si tratta di Alessandria e Costantinopoli, è il fiorino). Pur essendo dal punto di vista moderno generalmente più facili dei precedenti, i problemi raccolti in questo capitolo utilizzano qua e là tecniche di conto non banali per l’epoca e per il livello di approfondimento della prima parte del Livero, come le radici quadrate (109v.24) e qualche cogni­ zione di geometria solida (114r.I). Raccogliendo i problemi per ge­ nerica area di pertinenza è possibile individuare alcuni argomenti: geometria (1), analisi indeterminata (2 ), calcoli complicati con le fra­ zioni (3), matematica ricreativa (4). (1) Alcune questioni di geometria anticipano qualche argomento discus­ so nell1Amastramento: il 109v.I richiede di calcolare il lato di un quadra­ to di area doppia di un quadrato di lato 6 (così almeno si deduce dal calcolo effettuato di seguito, ma non viene esplicitata la forma del poli­ gono che dovrebbe essere descritto dall’apertura di un sacco); natural­ mente il risultato è irrazionale e viene espresso per approssimazione con un numero frazionario (109v.26). A 116v.I, dati altezza e apotema di un cono (indicato come un padiglone; la formulazione è tradizionale: vedi

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in proposito BAXANDALL 1974:87, H0YRUP 2007:298-299), si calcola il raggio utilizzando la regola di Pitagora per trovare il diametro (detto mego o quilo de tnego a 116v.l6-17), da cui poi si determinano la circon­ ferenza (detta qui rotondo o rifondo o tondo) e la superficie della base del cono (p/2-d/2); la superficie laterale è calcolata moltiplicando l’apotema per metà della circonferenza. A questioni di geometria può essere riferito anche il 113v.I (analogo a SlMI 1991:91-92), di fatto un semplice problema delle tre cose applicato ad una misura di superficie. (2) Sono problemi di analisi indeterminata quelli dal 116v.II a 120r.I compresi: significativamente, il primo è titolato D'uno numero (116v.25), quelli da 118v.l4 sono raggruppati sotto il titolo De numere e sono introdotti dalla formula truovame tagle 3 numere. La sezioncina così individuata non è tuttavia omogenea per tecniche di risoluzione, che consistono nel caso di 118r.I in una discussione sull’impostazione del conto (notevole anche sul piano sintattico per il ricorso ad un ela­ borato periodo ipotetico), in quello di 118v.II nel calcolo senza altre spiegazioni: i due problemi sono evidentemente correlati, ma disposti in ordine inverso a quello logico. Vengono utilizzati procedimenti simi­ li a quelli descritti nel capitolo sugli alberi (XXIII) e quello di falsa po­ sizione; problemi analoghi sono trattati in Fib. 173 (qui tradotto a 166v.II), 176 (167r.II), 181, 190. Al di fuori della sezione così indivi­ duata, il lllr .I è una questione de viagiis, non tratta da Fib., che viene risolta attraverso il metodo del ‘tornare indietro’; in fine si descrive un metodo efficace di presentazione grafica del problema. Con due for­ mulazioni diverse (112v.II, 123 r.II) è presente anche il classico proble­ ma dei due corrieri che partono da due città differenti e si incontrano in un punto da determinare: per la diffusione del problema (già in Fib. 182, più puntualmente seguito da 123 r.II) si veda FRANCI-ToTI RlGATELLI 1982:106-7. (3) Le due questioni di 126v-127r ricalcano due problemi risolti nel Liber (Fib. 311): consistono nella moltiplicazione dello scacchiere (126v.I) e nel problema delle sette pellegrine (127r.I). Non sono tutta­ via privi di relazioni con i problemi immediatamente precedenti e se­ guenti, incentrati su calcoli piuttosto complicati con le frazioni: così per il complicato calcolo del guadagno di due soci in due piazze diver­ se a 123v.I, per un problema di interesse composto a 125r.I, per il con­ tenuto di una botte a 125v.I, per una questione di viaggi a 126r.I. (4) Altre questioni riguardano ambiti già esaminati in precedenza, co­ me i problemi sui pomi a 114v.II e 115r.I (esercizi simili con valori nu-

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merici diversi si trovano ad esempio in RIVOLO 1983:IX), quelli sulle regole degli alberi a 120r.I, 123r.I, 133r.III e 133r.IV (analoghi o iden­ tici a quelli trattati da Fib. 173-174 e 177), quello sulla lana sucida, cioè da lavare, di 113v.II (analogo alle regole de pepe che se [m]onda, capi­ tolo III), quello di llOv.I (identico nella formulazione a Fib. 160, risol­ to anche con la doppia falsa posizione a Fib. 323, simile a quelli del ca­ pitolo XXII del Livero) e quello di 115v.IH (simile a quelli del capitolo XXI del Livero). È diffuso in molte raccolte medievali (ad esempio nel testo appena citato edito da RIVOLO 1983:21) il problema 114v.I su cinque pani da dividere tra tre persone. Lo stesso vale per problemi di matematica che ora diremmo ricreativa: quelli di llOr.I sono problemi di divinatio, che consistono cioè nell’indovinare rispettivamente tre nu­ meri attraverso opportune indicazioni, e l’età di un giovane attraverso una semplice equazione. Le questioni lllv .I e 112r.I sono evidente­ mente accostate perché vi si parla di uova (come anche in Fib. 178-179, dove però i problemi sono diversi). Il problema 121r.I è analogo a llOv.I, con diversi valori, e viene risolto con la tecnica del partire tra­ verso (riparto proporzionale); riguardando la costruzione di una nave, introduce per associazione la ragione de mare che nel Livero segue im­ mediatamente e che in questa Introduzione viene discussa nel § III.3.C. Un caso particolare è rappresentato dal problema 127v.I, che riguarda il calcolo di un adeguato di scadenza. Questo problema è stato charamente aggiunto in un momento successivo rispetto alla stesura del fa­ scicolo, come dimostrano (oltre all’evidente differenza di argomento) il cambio di modulo a 127v.2-3, e il fatto che siano state utilizzate 31 ri­ ghe contro le consuete 29 o 30, evidentemente per la necessità di con­ cludere entro la fine della carta. Subito dopo l’inserzione di 127v.I inizia la sezione 128r-136v, che occupa l’ultima parte del fascicolo XII; mentre le cc. 128r-130v sono dedicate alla spiegazione dei pesi usati a Venezia, ad esercizi sulla loro utilizzazione, al problem a sul peso de pane de Peroscia (dunque da questioni per così dire locali, che vengono discusse partitamente nei paragrafi che seguono) e ad uno, a proposito delle mi­ sure di un panno, che è sicuram ente additizio, come si vedrà a § III.3.f. III.3.C. "Ragione de mare” (121v.16-122r.17) Il problema di 12 lv.I concerne il calcolo della rotta di una nave che non proceda direttamente verso la meta, e fornisce dati empirici,

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senza dimostrazione: di fatto si propone per ciascuna di quattro rot­ te una coppia di numeri, uno dei quali rappresenta la distanza per­ corsa nella direzione desiderata, il secondo la deviazione rispetto ad essa. Non sarebbe corretto ridurre questa ragione de mare alla sua sostanza geometrica, cioè all’applicazione empirica di relazioni trigo­ nometriche elementari (e però sconosciute in E uropa nel secolo XTV): mi sembra rilevante al riguardo il fatto che al problema sia de­ dicato un capitolo a parte ben lontano dalle questioni analoghe (contenute anzi nella sezione di geometria, capitoli IV e V) e segua invece un problema d'uno che fé fare una nave\ è inoltre significativo l’uso del lessico specialistico marinaro (v-édi nel G lossario per abasa­ re, deschade, quarta, sopra, ecc.) e non di quello strettamente geome­ trico. Coerentemente con le tecniche di insegnamento e memorizza­ zione dell’epoca, per cui si faceva riferimento a casi esemplari ordi­ nati per categorie e designati secondo caratteristiche estrinseche, si dovrà invece inquadrare il problema in un contesto essenzialmente pratico, riconoscendovi la finalità di addestrare, oltre che alla pratica del calcolo, agli strumenti fondamentali per determinare le rotte ma­ rittime. Il capitolo trova infatti un confronto illuminante con le tec­ niche di navigazione che per un lunghissimo periodo, fino a ben ol­ tre lo sviluppo della navigazione oceanica, dominarono nel Mediter­ raneo. In particolare le annotazioni del Livero sono da accostare ad una pratica, detta marteloio83, che è ben documentata in pratiche di navigazione veneziane quattrocentesche. Per ciascuna delle quarte (cioè degli intervalli di 11°15’ costituiti dai 16 venti e mezzi venti ad essi intercalati) viene memorizzata una serie di 4 numeri, dei quali il primo rappresenta Valargar (cioè quanto si è deviato rispetto alla rot­ ta desiderata), la seconda Vavanzar (cioè quanto si era progredito ef­ fettivamente), la terza il retorno (cioè il cammino da percorrere per tornare sulla rotta), la quarta Yavanzar de retorno (cioè quanto si sa­ rebbe avanzato ulteriormente percorrendo il cammino per tornare sulla rotta). Nel caso analizzato nel Livero la nave, andando da levan­ te verso ponente, compie un bordo verso maestro, quattro quarte

83 II nome, di incerta derivazione, risulta documentato dal 1390 circa; la tecnica in­ vece è descritta in cinque fra atlanti e portolani a partire dal Quattrocento avanzato. Per un inquadramento nella tradizione marinaresca veneziana si vedano TliCCI 1991, FAL­ CHETTA 2009, B occhi 2017.

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(45°) verso nord; vengono fomiti i primi due valori (cioè Yalargar e Yavanzar) relativi alle sole 4 quarte necessarie, che naturalmente coin­ cidono, con relativa precisione, con quelli del marteloio»8384. Se quindi le differenze nell’approssimazione non permettono di supporre una filiazione diretta tra il problema del Riccardiano e la tecnica qui rapi­ damente descritta, la vicinanza del Livero con le consuetudini della navigazione è evidente. Si osservi peraltro che non viene dichiarato alcun rapporto tra la pratica qui illustrata e le regole dei pesi venezia­ ni esposte a 128r. Dal punto di vista linguistico il capitolo non sem­ bra essere caratterizzato in modo particolare rispetto al resto del trat­ tato, ma è notevole, rispetto ai normali sopra o sopre, l’unica occor­ renza di sovra 122r.l3 (accanto a sopra 121v.27, 122r.8), che tuttavia può essere forma non familiare al menante ma promossa dalla parti­ colare accezione tecnica {la nave vane i de vento sovra maiestró). III.3.d. “Quante dì à-ne la luna" (122r.18-122v.21) Il problema 122r.I è presentato come un amastramento da 'nsegnare quante dì à-ne la luna, cioè un calendario lunare, e in effetti in diversi passi se ne ribadisce il fine di individuare l’età della luna {quillo che ne ve(r)rà I sì sironno angne p(er)fette e sironno glangue de I la luna 122v.7-9, quillo che t'e(n) viìene sì sonno egl dì ch'ave la luna 122v. 19-20) Si suggerisce di procedere così: tolti 621 dal nume­ ro degli anni attuali, si converte il risultato in giorni (secondo l’equi­ valenza giuliana a 365 122r.28), cui vengono aggiunti i giorni del­ l’anno in corso e sottratti 195 giorni; si divide il risultato per la dura­ ta dell’anno lunare (cioè per 354 122v.9), poi per il numero dei giorni del mese: la parte intera del risultato indica i giorni (che ven­ gono poi divisi in mesi lunari, quindi di 29 e 30 giorni alternativa­ mente), mentre il resto è la frazione del giorno, che diventa rilevante solo dalla metà in su. Che però non si tratti di un calendario lunare è tuttavia provato da numerosi elementi: in primo luogo non è seguito il computo usua-

84 Le cifre indicate dai ms. col marteloio per la seconda metà del quadrante e per un percorso di 100 miglia sono 71 e 71,83 e 5 5,92 e 38,98 e 20; il Livero propone per ogni 10 miglia i valori di 7 e 7 larghi, 8 $ e 5 I, 9 e 4 , 9 f e 2 L È notevole poi la coincidenza di lessico almeno per deschade 121v.28 e discazute ‘deviazioni’ di MASIERO 1984:528; si ve­ da in proposito anche BONFIGLIO DOSIO 1987.

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le della lettera domenicale che informa delle fasi lunari (e dunque del­ la data della Pasqua, e quindi è diffusissimo), e in suo luogo si toglie dal millesimo dell’era cristiana 621, cioè la differenza tra l’anno zero del calendario cristiano e l’anno dell’egira; i 195 giorni rappresentano la differenza tra il Capodanno cristiano e il giorno in cui avvenne la fu­ ga di Maometto dalla Mecca (cioè il 15 luglio 622); il valore di M per la durata dell’anno lunare (354 ^è) non è probabilmente frutto di cal­ colo astratto, ma della pratica di compensazione per cui il calendario arabo introduce undici giorni supplementari nell’arco di trentanni. Anche la frazione del giorno, che diventa rilevante solo dalla metà in su è una prova che all’origine del computo sta un calendario in cui il giorno comincia al tramonto, come è d ’uso in area semitica85. Insomma non si tratta di un calendario lunare perpetuo, ma di un algoritmo per convertire la data del calendario giuliano in quella del calendario musulmano, camuffato per adattarlo all’unico uso pratico che esso potesse assumere in Occidente86. Non è facile dire di dove provenga questo originale computo dei giorni della luna: la ricerca di esempi simili, particolarmente difficile per la diffusione di formule basate sul calcolo dell’epatta, non ha da­ to esito, e il contesto del Livero non fornisce indicazioni utili87.

85 Beninteso, il computo della data a partire dal tramonto era ben diffuso anche in Europa (se ne veda un esempio pisano del 1336-1337 in CASTELLANI 2000a:356-357, con bibliografia). Si ricordi peraltro il passo della Vita nova (cap. 19, G o r n i 1996:169) in cui Dante cita la data della morte di Beatrice: secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissi­ ma si partio nella prima ora del nono giorno del mese vale a dire, secondo l’interpretazione di T o y n b e e 1902:63-64 e comunemente accettata, dopo il tramonto del giorno 8 giugno. La formula, comunque, non converte correttamente le date del calendario cristiano in quello musulmano, dando luogo ad uno scarto di dodici giorni: per il controllo ho utilizza­ to C a p p e l l i 1969, G u b o g l u 1955, F r e e m a n - G r e n v i l l e 1977 e E n d r e s s 1994:209-214. 86 In astratto la conversione dal calendario arabo può essere stata utile anche in am­ bito musulmano: come informa ClFO LETTl 2006:442-443, è vivo ancor oggi in Tunisia, in ambito rurale, l’uso del calendario detto contadino o, localmente, berbero, che di fatto ripete quello giuliano mantenedone i nomi dei mesi (vedi in particolare C h ia u z z i 1988, t. I, pp. 140-141). Nel nostro caso, tuttavia, l’eventualità può essere esclusa in ragione del riferimento all’era cristiana. 87 Comunque nel Livero il testo va probabilmente restaurato supponendo a 122v,1011 un fraintendimento del testo, già in volgare, per cui un originario partegione sarebbe stato erroneamente analizzato in pa(r)te giogne e resta em mego significherebbe semplicemente ‘il resto della divisione’. Per la conoscenza e l’uso del calendario arabo nel Tre­ cento si veda G a c k -S c h e i d i n g 1995.

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III.3.e. "Regole de Venetia" (128r-130v.l3) L a sezione inizia di seguito alla precedente, su nuova pagina e con titolo in rosso, e termina in coincidenza con la fine del fascicolo. L ’autonomia testuale è resa evidente dalla peculiarità dell’argomen­ to, dalla descrizione cioè di usi delle due città di Venezia e Perugia. Per quanto riguarda la prima parte disponiamo anche di un termine di confronto in una sezione analoga dello Zibaldone da Canal edito da STU SSI 1967 (qui citato Zib) e delYAlgorismo pubblicato da V o GEL 1977 (qui citato Alg)88. Si confronti la sezione dedicata dal Live­ ro alle Reg(o)le de Venetia (128r.l-21) con Zib 7v.l5-8r.3: Questo sì è lo amaistramento de saver far la raxion de l’oro a l’usanza de Veniexia. In Venexia se vende l’oro a charato de marcha de fin oro. Carato sì è a dir u- nome de pesso lo qual è 1/3 d’onda de fin oro perciò che chi avesse una marcha de fin oro sì pessarave 8 onge e vigniria 24 charati de fin oro. Doncha giaschaduna onga sì tegnirave 3 charati de fin oro, duncha gaschun carato grosso de marcha è 1/3 d’onga de fin oro. Lo charato de la marcha sé partido per IIIJ grane e una grana sì è partido per mego e cllamasse mega grana e non se può partir in piu parte lo charato, se no grane e mege e tanto vien a dir una grana quanto seria a dir 1/4 de carato; la mega grana sì è li 1/8 de carato. Sepis che la marcha sì è 8 onge e l’onga sì è 4 carati e Ilo carato sì è 36 charati pigiolli e l’onga sì è carati 144. Ancora è partida l’onga in 6 sagi e l’un sago sì è carati 24; tanto sé a dir un sago co’ seria a dir un sexto de onga. Per ciaschadun s. de dir. che vai lo quarto de Ponga lo carato pigiollo sì vai 1/3 de dir. I due compilatori hanno evidentemente utilizzato una scheda re­ perita in qualche raccolta di carattere mercantile, che riportava il medesimo testo, perfettamente adattato nelle due varietà. Pure di origine veneziana pare il testo affine del Riccardiano 2161, nel quale la stessa scheda si trova (come segnala STU SSI 1965:XXII; e vedi V a n E g m o n d 1980:146-147) a c. 19v. Non fa invece cenno a Venezia la versione documentata a c. 17r di un Algorismo contenuto nel codice 88 È invece diversamente formulata la scheda sullo stesso argomento della Tarifa ve­ neziana (vedi Tarifa 1925:10-14,67-70).

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Columbia X 511 A13 qui siglato Alg89: Quest’è l’ammaiestramento che insengna a fare le rascioni dell’oro. L ’oro si vende a marcha di fino oro; a echi n’avesse una marcha di fino oro sì pesaria 8 oncie e terréne 24 chrati di fino oro. Dunqua ciascuno charato grosso di marcha sì è 1/3 di onccia; e ttanto è fine ciascuno oro quanti charata tiene la marcha, e tanto ci n’è di fine ciascuno oro quan­ ti charati tiene meno di 24 charati, perciò che lo più fino oro sì è di 24 charrati. Lo charrato grosso sì è 4 grane e l’una grana sì è partita per 1/2 e chiamase meza grana. La grana sì è 1/4 di charato e la 1/2 grana sì è 1/8. L ’oncia dell’oro sì è 4 qurtieri e U’uno quartiero pesa 36 chara­ ti piccioli di 144 charati ill’oncia. Il testo del Livero prosegue riportando un’altra scheda, di cui YAlgorismo utilizza solo l ’inizio: Chi volesse sapere fare la rascione dell’oro, sicchomo è, save, ciò che vale in prima la prima marcha, che d[a]ché ttu sai la marcha, si puote sapere fare ill’una oncia, che vale 1/8 di quanto vale ill’una oncia e lo quartieri vale 1/4 dell’oncia. e che si trova completa ma dislocata in Zib lv.20-30 (da confrontare con Livero 128r.21-128v.2, cui segue un problema molto simile a quelli che succedono in Zib), da cui trascrivo:

89 A differenza dello Zibaldone da Canal, i contatti tra questo codice e il nostro Riccardiano non si limitano a pochi problemi; sono anzi comuni ai due manoscritti numero­ se questioni, derivate o meno dal Liber abaci, in diversi ambiti oltre a Alg 17r = Liv 128r.I: si considerino Alg 2v = Liv 118v.I, Alg 3v = Liv 51r.H (Fib. 293), Alg 15v = Liv llr.II, Alg 21r = Liv 32v.I, Alg 23r = Liv 52v.I, Alg 25r = Liv 36v.I, Alg 29v = Liv 113v.II, Alg 40r = Liv 156v, Alg 47r = Liv 126v.I (Fib. 309), Alg 47v = Liv 32v.H, Alg 50r = Liv 114v.II, Alg 5 Ir = Liv 117v.I, e inoltre formulazioni simili legano Alg 27r a Liv 130v.I, Alg 30r a Liv 125v.I (Fib. 313), Alg 3 Ir a Liv 102r.I (Fib. 323), Alg 43r a Liv 22r.II, Alg 44r-45r a Liv 91r.II (Fib. 188), Alg 51r a Liv 68v.I (Fib. 190), Alg 54r a Liv 112vII. Ciò fa dell’Algorismo il documento più vicino, a quanto sembra, al Livero, al quale può essere accostato anche per la scrittura gotica libraria (di modulo leggermente più grande e meno accurato in Alg) e l’appartenenza all’area linguistica toscana orienta­ le; d ’altro canto la lezione di Alg è spesso più trascurata e manca del tutto l’inquadra­ mento in capitoli. Il codice è stato descritto da VAN E g m o n d 1980:253-254 (alcune carte sono riprodotte in DScriptorium) ed edito da V o g e l 1977, che non ho potuto controlla­ re sul manoscritto e che cito (anche nell’apparato) intervenendo tacitamente, ove occor­ re, su interpunzione e separazione di parole.

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e per giaschadun s. de dir. che vai lo sago de l’onga lo carato pigolio sì valle 1/2 dir. Qui vuol saver fare la raxion de l’oro sì de’ saver fare i(n)prima quello che monta la prima marcha e li charati e le grane e la 1/2 grana che tegnisse la marcha e segondo che fosse vendudo lo cara­ to e quello che monta l’una marcha se die scrivere per si d’una parte et a pe de quello che vai la marcha se die scrivere quello che vai l’onga ed a pe de l’onga devemo scrivere quello che vai lo 1/2 e pio’ devemo scri­ ver quello che vien lo charato pigiollo e può’ ì è mollto latina a saver far giaschuna raxion d’oro. In questa sezione viene quindi rifuso materiale di una certa dif­ fusione, che conserva una netta autonomia testuale e anzi viene assi­ milato alla struttura di capitoli del Riccardiano. La coincidenza è tanto più notevole quando si considera che lo Zibaldone, che contie­ ne testi di argomento affine a quelli del Livero e deriva alcuni pro­ blemi da un volgarizzamento dello stesso Liber abaci, si dimostra piuttosto lontano dal testo umbro anche là dove i problemi e la fon­ te (Fibonacci) coincidono. Si veda ad esempio il problema risolto dallo Zibaldone a 21v.l-21, coincidente con Livero 163v.25-164r.13: Fa’-me questa raxion: trovarne 5 tal numeri in XJ che agonti tufi 5 insenbre faga XJ e sia tal che mulltiplicando lo primo per J monta quan­ to può e mulltiplicando lo segondo per 2 monta tanto quanto lo primo e molltiplicando lo i per 3 faga alltretanto e cossi lo \ per 4 e lo 5 per 5 agio che giaschun faga tanto quanto lo primo. Questa sì è la soa dreta riegolla che nui devemo trovar un numero che posa partir per 1, per 2, per 3 e per 4 e per 5, giò sì è 60 e devemo par­ tir in un, giò sì è 60 e per 2, li vien 30 e per 3, li vien 20 e per 4, li vien 15 e per 5, li vien 12. E gongi tufi questi numeri insenbre in suma, gioè 60 e 30 e 20 e 15 e 12, s(uma) 137, ch’io vorave che fosse sollamente 11, nui sì devemo dire: se 137 fose 11 che serave 60? Mulltiplicha 60 via 11, fa 660 e parti in 137, che nde vien 4 e questo sì è lo primo che mulltiplichando per J fasse si medeximo e lo segondo numero sì è è e l’alltro i e l’alltro sì è 4 e l’alltro i e tufi questi numeri agonti insenbre monta a ponto l l . E molltiplichà giaschun sì corno nui avemo dito sì monta la mulltiplichagion quanto l’alltro. Questi da pe sì è li 5 numeri cossi fati, che monta aponto l l . E varda qua de soto:

2#

it$

1#

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L a relazione di parentela tra questo brano e Livero 163v.25-

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164r.l3 è evidente: entrambi i testi derivano da una remota fonte co­ mune, Fib. 207-209 (e vedi anche 181-182); ma la sistemazione stes­ sa della sintassi volgare, l ’andamento sbrigativo e pragmatico del L i­ vero a fronte della versione veneziana chiariscono che siamo di fron­ te a un testo più scorretto che nel caso del manoscritto umbro, o co­ munque a percorsi tradizionali differenti. Come confermano anche altri casi analoghi all’ultimo citato90, ci troviamo di fronte a due di­ verse fonti del Livero, la cui sutura è ancora visibile, ma che sono av­ viate ad essere fuse in un nuovo libro di matematica. Altri passi del Livero trovano riscontro nel manuale veneziano: non solo le cifre, com ’è naturale, ma anche la form ulazione dei rapporti tra le unità di conto è nel Livero lv.30-2r.7 vicina a Zib 3v.20-27:

è anche il trait d’union col problema che segue, De peso de pane de Peroscia (130r.27), di fatto simili alle questioni sul pepe discusse al­ l’inizio del Livero. Notizie di usi di pesi e di misure in diverse piazze sono assai frequenti nei libri d ’abaco (ad esem pio vedi H 0 Y R U P 2007:84,277-278) e in generale nei testi di ambito mercantile (come appunto Zib), fino a formare un sottogenere specializzato che spesso si designa con il nome di tariffe o pratiche di mercatura (ad esempio E v a n s 1936, B o r l a n d i 1963, D i n i 1980).

Questa riegolla sì è la qual amaistra a far tute le raxion de le marchadantie che se vende a C o a M o a carga de lbr. 400 o a llitera de C rotolle sì corno dirà qua de gosso. Per giaschaduna lbr. che vai lo C sì vai la lbr. dir. 2 e f e ll’onga vai 5. Per giaschadun s. che vai lo C l’onga valle to sen­ pre agiogne 85v.l2, equantur > e domando 97 v.6 , unusquisque in pre­ scriptis partibus > chonciosiachosaché ’nfra le secrete parte 72v.5, erunt denarij burse > sonno de la borscia 76v.26, cum bis omnibus >con quitto huomo 87r.9, Vnde dividendi > Unde da veder*è 103r.l7, ex computan­ do > eschontando 105r.25, multiplicet > fa ’ stare 110r.30, superaddatur 10 > dàgle suo 10 llO v.l, prescripte virgule > p er la scripta virga 126v.l0, et vadat ipsa rotunditas semper minuendo versus altitudinem, donec ad nichilum redigatur > e voieto esso retondo e senpre menovando ver la sua altega, tuttavia a l retondo artorniam o 149v.6-8, perpendicularis > per lo pendente 149v.21, in ventre > em giascuno d’esse 149v.30, per positas > preposte 174r.l, que cum velint > egl quagle conviene 168v.l2.

2) con tigit 40v.l9, 75v.2, 103r.29, cotidie (per continue ) 104v.24, 104v.26, 105r.l, 105r.7, 107r.l6, 107r.29-30, cuius 18r.l9, 28r.3, 29v.l3-14, 97v.l0, 107r.l9-20, 149v.22,, equantur 97v. 1-2, 97v.6-7, excedant 90r.l, 17Ir. 19, fu it (per fe d i) 107r.l9, 107r.20, im pares 60v.27, 61v.l9, latitudinem 149r.2, 149r.8, m inuunt 65v.30, 6 6 r.2, minuendo 149v.6, minuentur 88r.5, quoniam 69r.30, 71v.8, portio 30v.29, 31r.8, positos 78v.8, 83r.5, pregnantur 107v.l3, 107v.l6, 107v.22, 107v.25, 107v.27, 107v.29, 108r.l, quantum (per quartum ) 74r.l5-16, 80r.l3, 91v.5-6, quinquennii 125v.l6, 125v.l8, res 18r.l9, 28r.3, 83r.20-22, 97r.5, 97r.l0, ró40r.30, 63r.8, 76r.l0, 91r.25,171r.30. Si trovano poi errori anche in determinati settori grammaticali, come i pronomi e aggettivi indefiniti (1), i gerundivi (2 ), le voci del passivo (3; per la discussione dei singoli esempi si rinvia per brevità all’apparato), i numerali ordinali per gli incroci, già accennati, tra quartum e quantum, tra quintam e quantitatem, ecc. (4)135: 135 Un caso particolare delle tipologia esemplificata in 1 ) è quello di pone che la pi-

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1) unamquamque 91v.22, unius 31v.24, omnes 68r.23, 95r.26, eorum 66r.20, eorundem 78r.l7, 78r.27, eadem 68r.20, unoquoque 70r.9, quotlibet 98v.30, quaslibet 70r.l4, qualibet 76r.l9, quilibet 170r.29,173v.7, eiusdem 80r.l2, unusquisque 72v.5, uniuscuiusque rei 83r.25, eundem 167v.28, aliquod 169v.29, quem libet 90r.26-27, uterque 103v. 10; 2) inveniende sunt 42r.l8, cum non sit computanda 75v.5, dividendo su n ti 5v.8, est operanda 106r.l7; 3) 24r.l6, 41r.28, 42r.l0, 42v.7, 61r.20, 61v.4, 61v.23, 62v.28, 62v.30, 68r.25, 68v.22, 70r.23, 72v.21, 75v28 , 76r.l5, 76r.23, 76v.l2, 77v.l6, 78r.27, 79r.l3, 80v.24, 83r.2, 83r.l0, 84r.l5, 84r.22, 84v.3, 85v.8, 85v.l0, 85v.23, 85v.26, 87v.l3, 89v.9, 89v.24, 90r.l7, 90v.9, 93v.20, 97r.8, 97r.l6, 97r.28, 97v.3, 98r.6, 105v.9, 106r.l9, 107v.l4 (e infra), 107v.l6,125v.8,149v.6,172r.30; 4) de quibus accipiatur quinta pars > torraie la quantità parte 42v.9, habeat inde prim us > agiaìno enprima 72r.2-3, et insuper quintam eius > e de sopre quanto esso àne 73r.l3, quorum quinta, scilicet 3, serva ex parte > degle quagle parte, gioè 3 de la sua parte 77v.7-8, multiplicatio bizantiotum secundi in quartam summe; et quantum m ultiplicatio bizantiorum tertii in quintam eiusdem summe > la multiplichatione degl d. del secon­ do e • la quarta somma e la quarta multiplichatione degl d. del tergo e- la quinta somma 80r.l-2, et quantum multiplicatio > e la quarta multipli­ chatione 80r.l3, ex partibus tercij, et quarti > e ie parte del quarto 94r.29, multiplicata quinta parte unius > multiplichato la quantità parte de l’uno 169v.7, m ultiplicabis quintam > multiplichata la quantità 169v.9.

Uno degli aspetti più sconcertanti della tipologia degli errori del nostro volgarizzatore è tuttavia l’impressionante frequenza di saut du m im e au mente, che coinvolgono porzioni anche ampie di testo e che possono essersi verificati a partire dal testo latino, fino cioè al momento della traduzione in volgare (per la discussione rinvio ai singoli passi)136: 27r.20, 30r.7, 62v.25-27, 64v.4, 66v.28, 67v.2, 68v.24, 70r.20, 71r.6, 75v.l0, 76v.22, 77v.l0, 77v.l6, 77v.29, 78v.24, 80r.l8, 85r.l, 85r.l4, scione sia de altro numero 40r.30, dove il menante mostra di non capire il corrispondente passo di Fib. pone, ut pensio sit aliquis numerus, cioè l’incognita. 136 Si tratta di errori che è difficile attribuire ad una fase di traduzione per dettatura, come è stato supposto per altre situazioni: si veda in proposito BRUNI 1978 e la discus­ sione, riportata di seguito a quel contributo.

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87v.23, 89r.30, 89v.27, 90r.28, 91v.l0, 94r.l3, 98v.21, 99v.l6, 101r.26, 101v.3, 102v.4, 102v.ll, 127r.7, 166v.l0, 168v.4, 170v.5, 170v.25, 170v.30,171v.28,172r.21. Meno frequentemente documentabile, ma ugualmente significa­ tivo, è il numero rilevante di errori derivato dalla ripetizione scorret­ ta di una frase fatta o di una espressione codificata dall’uso (speciali­ stico); possiamo addirittura cogliere il momento in cui la sindrome sta per manifestarsi: a 94v.7 il menante, facendo riferimento al §f di due righe dopo, stava anticipando emp(er)giò\ sennonché si accorge dell’errore e cassa la parola, proseguendo correttamente: tiene del t(er)go e §f del qua(r)to. All’opposto a 150v.27 vengono ripetute, ma poi immediatamente cancellate, due parole della frase qua(n)to < se vuole > sirà che ripetevano un costrutto della riga pre­ cedente. E lo stesso avviene nei casi che seguono, in cui l’erroneo in­ serimento (per anticipazione o per introduzione di sintagmi dell’u­ so) è reso evidente dalla correzione: de tutte le cose che se vendono a cento I s. o a cento bra­ da 2r.l-2, E di’: 4 via lib. 46 s. 14 d. 4 I che viene lib. 186 s. 17 d. 4, a partire en 31 4v.28-29, sì devemo rechare gle s. I 3 d. 6 de ravignane a tomesegle llr .l, enfina a dì 3 d’aprile 49r.26, è uno huomo che {dè dare} ad uno altro 50r.23-24, Or devemo fare l el quinto 57r.l3, viene uno altro e l e aconpagnase cho- lloro 58r.l-2, l’uno pagò-ne f 59r.20, se tu me I daie ’l f degl tuoie d. 60r.5-6, el quin­ to, el primo e ’l s(econd)o el 5 79r.l7, Se ne fosse ditto: ène uno leno 92v.20, en quanto sirà voieta tutta la I botte 98v.26-27, cho- Ilo me?fo d(e)l I dì se voieterà essa 101r.3-4, egl quagle pone I sopre 37 e sironno 24 103r.l5bis-15ter, e quillo che mo(n)ta sonino lib. 114r.7-8, adoma(n)dote qua(n)lto tor. egl remasero 126r.l7-18, sì de­ vemo pa(r)tire < p(er) > la so(m)ma de \ 139v.l4, chota(n)to è-ne più el quadro che ’l relto(n)do 142v.29-30, lo I ritondo ch’è nello mego del quadro prende I f i del quadro < prende f f del quadro >, £Ìloè 77 143r.24, lo me$o de la ditta < citema > cholonda 149r.24 Questi errori si contrappongono alle omissioni per saut prece­ dentemente elencate in quanto tutti si riferiscono sicuramente alla fase volgare della tradizione, mentre i 38 esempi sicuri di saut (peral­ tro riscontrati nelle sole parti in cui è possibile un confronto puntua­

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INTRODUZIONE

le col testo del Liber)u7 possono essere riferiti ad una ricorrenza di parole o elementi grafici del testo latino, e vanno perciò considerati come pertinenti alla fase latina fino al volgarizzamento compreso137138. Anche in altri passi, ma normalmente in altri modi, Pomissione di parti significative del testo rende incomprensibile il dettato del Live­ ro e spesso impossibile una utilizzazione puntuale degli esercizi. Si può riscontrare il comportamento del nostro compilatore nei con­ fronti di un testo volgare accostando alle cc. Ir, 8v-10v, 128r-v e 164-165 i paralleli passi del Magi. XI. 88 e dello Zibaldone da Canal già segnalati più sopra: è notevole il fraintendimento di vole in vale (Livero 128v.22) e quello, evidentemente pertinente alla fase volgare della tradizione, di d'oro in dura (Livero 128v.2); è poi da considera­ re il rispetto che si può supporre nel trattamento dei modi (in parti­ colare del condizionale) nello Zibaldone, laddove il Livero si appiat­ tisce sull’indicativo. Nella parte non ripresa da Fib. è sicuro un saut in pochissimi casi, come quello di 6r.l-2, dove l’errore è risarcito dal correttore, che integra in margine le parole omesse: lo quale devemo m (ultip)licare p(er) 4 {e dire: 4} I via 14383. L o stesso si verifica a 24r.20, dove C integra un dato omesso dalla mano principale (e pre­ sente invece nella figura a margine, come già segnalato). Anche a 164r.5 (in un passo che ha riscontro nello Zibaldone, ma non nel Liber abaci) VAmastramento incorre nella omissione di una frase, che non sembra però originata da saut\ a 132r.28 la mano B, nella for­ mulazione del problema, commette un palese errore nell’ordine del­ le parole: È uno pogo e uno serpente cupo palm e 90. Infine è forse do­ vuta a saut sul testo volgare l’omissione di due righe che lo stesso A reintegra a piè di pagina, a 103r.l5bis-15ter. Un errore che si ripete e che va attribuito probabilmente alla fase volgare della tradizione è lo scambio tra ‘altezza’ e terza (116v.l9, 149v.l5, 158v.20, tergo a 153v.l8); noto infine emero 90v.4 per overo. Mi sembra quindi che le dinamiche riscontrabili nella fase volgare della tradizione siano di­

verse, per tipo e frequenza, da quelle riferibili al testo latino. Vanno trattati a parte gli errori riguardanti i numeri e la loro no­ tazione, che richiedono particolari cautele: infatti l’errore che interes­ sa il singolo dato numerico è normalmente risarcibile per confronto o per calcolo e dunque non offre dati certi per la ricostruzione degli sta­ di non direttamente attestati della tradizione. In qualche modo analo­ go è il caso degli errori di notazione, che a rigore informano delle competenze del più recente trascrittore ma non possono essere riferiti più in là dell’ultima copia: in concreto, si dovrà ritenere che l’errore ad esempio nella lunghezza della virga delle frazioni sia risarcibile da ogni trascrittore (così ad esempio a 96v.2 il Livero ha H è 3 invece del corretto H8 3 dove Fib. ha jio 3)139. Tuttavia in alcuni casi Fib. e il L i­ vero concordano in errori di calcolo (ad esempio a 72v.29, 106r.26, 124v.l8, 125r.l7-18 e 125r.l8): dunque è probabile che i calcoli non fossero sempre verificati e che quindi i numeri possano aver subito nella trasmissione lo stesso tipo di guasti di altre parti del testo. Cito per brevità un solo, significativo esempio: il risultato corretto del cal­ colo di 126r.25 è 282429536481, ma Fib. ha 282439336481 e il Livero trascrivendo 282439336410 non solo sbaglia le ultime due cifre, ma mantiene l’errore di Fib. nella quinta cifra da sinistra. In conclusione, gli errori sistematici del Livero e àALAm astra­ mento, che non mostrano al riguardo differenze di comportamento, sembrano motivati dalla difficoltà di copiare un testo che doveva apparire problematico a causa delle frequenti abbreviature, delle pause nella copiatura determinate dai numeri scritti in rosso (a loro volta soggetti a specifici errori di copia), dell’uso di una strumenta­ zione lessicale e sintattica che, specie nella fase recenziore della tra­ dizione, eccedeva le capacità del menante e, forse, del lettore cui era destinato. La traduzione ha segnato sicuramente un momento cruciale per la moltiplicazione di sbagli e fraintendimenti: vi è trac­ cia di numerosi e caratteristici errori di trascrizione e di omissione anche nel testo latino che servì di base per il volgarizzamento, do­ vuti probabilmente non solo a trascuratezza ma anche ad una difet­ tiva comprensione del testo. Invece la fase del volgarizzamento ap-

137 Si aggiungano quindi i casi non dimostrabili per mancanza di un sicuro riscontro testuale, ma individuabili, con maggiore o minore verosimiglianza, grazie a evidenti lacu­ ne o a interventi di mano secondaria: 40v.30,59v.24,113r.20,152r.20. 138 Valga come controesempio 82v.30 de ciaschuno d. che egle faceia, l’altro, dove si è portati a supporre la caduta per saut sulla terminazione -eia (dunque volgare: Fib. ha hahuit) di un imperfetto aveia; ma un attento confronto col modello latino conferma che si tratta piuttosto di una errata traduzione di alium, qui nel senso di alterum.

139 Invece H 0 YRUP 2007:39 ritiene che nel Livero l’incomprensione della notazione frazionaria di Fib. dimostri che il compilatore avrebbe accolto « Fibonacci’s most sophisticated problems ... as extemal embellishment».

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pare caratterizzata da una analoga propensione all’errore, ma anche da uno sforzo di riordinamento e radicale riorganizzazione delle unità tematiche, secondo i criteri esposti più sopra, e da una rico­ noscibile tendenza ad introdurre costrutti caratterizzati in senso professionale, che dà luogo talora ad errori ed estensioni arbitrarie. Se comunque consideriamo complessivamente il testo latino e la versione volgare, e insomma l’intero processo che porta alla forma­ zione del Riccardiano 2404, allora avvertiamo che gli errori e le la­ cune rappresentano l’aspetto negativo e complementare dello sfor­ zo, esaminato a § VI.2., di dare al testo una nuova strutturazione, legata alle esigenze concrete delle botteghe e della matematica pra­ tica piuttosto che a quelle del trattato accademico. Il percorso che dal Liber abaci porta al Livero non è il cammino piano di un dettato intrinsecamente autorevole e destinato ad essere, più o meno rispet­ tosamente, riprodotto; all’opposto, il testo conservato nel Riccar­ diano rappresenta il momentaneo assestamento di scorie incompre­ se e di soluzioni lessicali, sintattiche, stilistiche destinate ad un lun­ go futuro. Sulla base di questi scompensi, di queste soluzioni di continuità, possiam o ricostruire stratificazioni e ripensamenti; di qui, traguardando, possiamo intuire alcune delle linee di evoluzione nella storia del libro scientifico in volgare.

Criteri di edizione Nell’edizione si rispettano gli accapo del Riccardiano 2404 e si numerano le righe di tre in tre nel margine sinistro, ricominciando ad ogni cambio di carta, che viene indicato con numerazione in ne­ retto, sempre nel margine sinistro (a 82r.l e 88r.l ho dovuto intro­ durre un cambio di riga, non registrato nella numerazione, perché il testo assai compendiato eccede lo spazio di un rigo tipografico). Ca­ pita talvolta che le ultime parole di un capoverso o di un titolo siano scritte nello spazio lasciato libero dal capoverso successivo: in que­ sto caso si rispetta l’accapo e le parole in questione vengono trascrit­ te accanto al margine destro, contrassegnate dal numero di riga con un bis (ter). La presenza delle lettere miniate o ornate, che contrad­ distinguono l’inizio di ogni capoverso, viene indicata da una inden­ tatura di tre spazi. Si seguono sostanzialmente i criteri utilizzati da C A ST E LL A N I 1982; in particolare si usano parentesi tonde per lo scioglimento del­ le abbreviazioni, parentesi aguzze per le parti cancellate, cassate o espunte, parentesi graffe per le aggiunte marginali o interlineari, asterischi spaziati per le parti lasciate in bianco, punti tra parentesi quadre per le lacune non emendabili, tre punti senza parentesi per due lacune non segnalate (113r.20 e 146v.29), parentesi quadre per ricostruzioni o integrazioni, aggiungendo dettagli significativi in ap­ parato quando non si tratti di semplice omissione di segni grafici (anche di titulus per nasale o er). In mancanza di specifiche indica­ zioni in apparato, s’intenderà che la lettera o le lettere tra parentesi quadre sono state semplicemente omesse dal menante e vengono reintegrate congetturalmente. I segni abbreviativi sono stati sciolti seguendo la grafia più fre­ quentemente attestata nelle scrizioni a piene lettere: ad esempio si trascrive co(n)pagno perché le forme con n sono nettamente prepon­ deranti. Ancora secondo la forma maggioritaria si è sciolto nel caso di cant(r)a ‘misura di peso’ 27r.6 e chant(ra) 21 1 2 {cantra t. 4, chantra 16v.24 contro chante(r)a 16v.25); solo nel caso di ho, per cui si hanno scrizioni univoche huorno, si è preferito lo scioglimento tradi­ zionale ho(mo). Si è trascritto il trattino che taglia l’asta di p come ar nel caso dei derivati di ‘comperare’ e in altri casi che vengono speci­ ficati in apparato, adottando la forma delle corrispondenti scrizioni

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LO UVERO DE L’ABBECHO

a piene lettere. Vengono stampate in corpo minore le parole o le let­ tere aggiunte da mano diversa da quella principale (si è considerata principale B a 131r-136v, A in tutto il testo rimanente) entro il testo o nei margini, sempre che non vi siano dubbi sul punto in cui devo­ no essere inserite e che le inserzioni non superino le dimensioni di una riga; in ogni caso la situazione viene descritta nella prima fascia di apparato, dove inoltre si trascrivono le annotazioni apposte fuori dallo specchio di scrittura e non univocamente inseribili. Ancora nella prima fascia di apparato si registra la presenza delle illustrazio­ ni e dei calcoli, che sono riprodotti in ordine alla fine del volume. Le aggiunte, le illustrazioni e i calcoli tracciati nei margini vengono in­ dicati col numero della carta seguito da una lettera minuscola secon­ do Lordine in cui appaiono, precedendo quelli a sinistra e in alto (es.: 35rb indica il secondo schizzo da sinistra e dall’alto di c. 35r; 145va.2 indica la seconda riga del testo aggiunto nel margine di c. 145v). Non si dà conto dei trattini orizzontali e delle 25 i cassate che sono stati utilizzate per riempire lo spazio a fine di riga. Si introducono secondo criteri moderni le maiuscole, la distin­ zione tra u e v, i diacritici, i limiti di parola, la punteggiatura; in det­ taglio, le preposizioni articolate si trascrivono unite nel caso che pre­ sentino geminazione della consonante, separate nel caso contrario (e si è sempre preferito degle e dagle); nei casi in cui è possibile la pro­ stesi si è uniformato secondo la scrizione maggioritaria entro i casi certi (e così si trascrive esteriine sulla base di degle I ditte este(r)line 15v.l7 e se 12 I este(r)line 15v.22 contro quiste ste(r)\line 95r.22, ma svariata sulla scorta di è svariata 2v.21; un doppio esito è documen­ tato anche nel caso di staia ed estaia, con esempi significativi dopo vocale (m(ultip)lica estaia 100 3Ov. 19, guadagnato staia 3 Ir. 13; inol­ tre prego degl 1100 staia 30v.21, en staia 54r.4 e altre 50 staia 54r.l6, ecc.). I numerali ordinali vengono sempre separati quando sia distin­ guibile la congiunzione e (vengono tuttavia raccolti ordinatamente in forma completa nel § 84 del commento linguistico). Si trascrive unito sichome a causale a 52v.29, distinto sì chome comparativo; sempre separato sì che. L ’apostrofo indica l’elisione o il troncamen­ to; si adottano le scrizioni e 7, che 7 e se 7 sulla base di qui 7 mostramo 19r.24, 19v.6, 22v.23 e o 7 tondo o 7 quadro 142r.26, po 7 quale 15r.4, tra 7 43v.6,49r.l0. Il punto in alto • indica l’omissione di una consonante assimilata alla consonante successiva, anche dopo una

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vocale non scritta, come nei casi di La to(r)re e ’• leno 157va.l-5 e 158va.l (dove si sarà probabilmente voluto evitare la sequenza di tre e). Il trattino orizzontale viene usato (oltre che per il cambio di riga all’interno di parola o di numero) per distinguere il -ne epitetico che spesso compare dopo vocali toniche finali e differenziarlo da ne pro­ nome enclitico. Si distinguono: àgione ‘ne ho’ da agione ‘aggiungi’ (con inadeguata grafia per la nasale palatalizzata), anno sost. da ànno da ‘avere’; enfine avverbio da en fin e prep. + sost. (seguito per esem­ pio da un complemento di specificazione); cho’ troncamento sillabi­ co di ‘come’ da cho• preposizione semplice con assimilazione della finale; e’ pronome atono da e congiunzione e in due casi articolo maschile plurale; fa (IIIa persona dell’indicativo di ‘fare’) da fa ’ IP dell’imperativo (e fa-ne indicativo con epitesi da fàne imperativo con pronome affisso) e analogamente di’ imperativo e di preposizione semplice accanto a dì ‘giorno’ (singolare e plurale; dì-ne ‘giorno’ epi­ tetico si oppone a di-ne imperativo epitetico di ‘dire’)140; poi dà (IIP persona dell’indicativo di ‘dare’) a da preposizione (inoltre dàgle im­ perativo e dagle preposizione articolata), de’ preposizione articolata a dè IIP persona del presente di devere (oltre che da dé IP persona a 139v.l9 e anche plurale di DIES a 50v.l8), fo voce del verbo ‘essere’ (e fo-ne epitetico) a fò voce del verbo ‘fare’ (attestato solo in fòlo 3r.8); m ette(r)a’ IP persona del futuro da mette(r)à IIP; può’ IP per­ sona dell’indicativo di podere a può IIP persona; può-ne IIP persona dell’indicativo di podere con epitesi a puòne con pronome enclitico e a puone imperativo dittongato da ‘porre’; se congiunzione a sé pro­ nome (e s i 27v.30), anche seguito da stesso o medesmo, so voce del verbo ‘sapere’ a so’ ‘sotto’. Altre omografie restano tali: ad esempio imogie ‘vuole’ e vuogle ‘volge’, e• assimilato da en e e• da el (questo solo a 106v.l4). Si è poi utilizzato l’accento circonflesso nei casi in cui una vocale finale di parola abbia assorbito (per semplificazione grafica o fonetica) la vocale della preposizione en (per esempio eIVulna n’à 19 è• II’altra remane 5 133v.22; secondò • la sopredicta quisfilone avemo dicto 18r.22 e s(econd)ó • la ima(r)ge\ne mostreremo 88v.l; se voietà • la mità d’uno dì 115r.23; ma, per chiarezza, non nel caso di è già accentata, come q(uan)\to argento è • ll’armanente 160 140 Proprio la presenza di di e la simmetria tra i due imperativi induce a mantenere la grafia di’, fa ’ per gli esiti regolari di DIC, FAC.

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LO UVERO DE L'ABBECHO

INTRODUZIONE

mon(ete) 29r.l2). Si segue la grafia corrente nel caso di né, che pro­ babilmente veniva però realizzato con la vocale aperta. In fatto di interpunzione si è rispettato l’uso, per quanto discon­ tinuo, del copista che segna con un punto marcato la pausa interpuntiva forte, corrispondente nella trascrizione ad un punto fermo o punto e virgola. Si introduce poi una virgola 1) nelle enumerazioni, 2) prima di una frase coordinata per asindeto o con subordinata o in­ cidentale interposta e 3) prima di una frase completiva indiretta (ec­ cetto finali, consecutive, relative restrittive e comparative introdotte da quanto e simili) o di una frase principale posposta a una dipenden­ te; invece non si pone la virgola dopo e (ed) congiunzione prima di un subordinata di modo finito anteposta alla reggente (sulla scorta di e\d enp(er)giò che la paga ène fiorin e d ’oro 75, s ì àno I avute esse 105v.9). Si inseriscono sistematicamente i due punti dopo chust se la frase che segue non dimostra subordinazione sintattica e dopo cioè (non cioè che) che introduce una frase dichiarativa (vedi § 134). Le parentesi a caporale sono introdotte, in mancanza di ogni segno di interpunzione del manoscritto, per segnare il passaggio al discorso diretto. Vengono conservate le abbreviazioni bolg. (bolognini), br., bra. (braccia), cort. (cortonesi), den., de., d., dr.., der. (denari),/ , //or. (fiorini), kal., kl., k. (calende), li., lib., lb., libr. (libre, lire), mar. (marche), onq., onc. (once), p. (pisani o piccioli), s. (soldi), tor., to., (tornesi, torneselli), ven. (veneziani), e invece si scioglie g(rana) 16v.24, altrimenti poco perspicuo. Sono attestate tre scrizioni per la seconda singolare del futuro di operare (l’infinito è l’unica altra voce del verbo attestata): operaie 41v.l3, operaie 101v.20, entrambe con l’asta di p tagliata da un trattino orizzontale, e opeiaie 101v.27 con titulus ondulato sopra /: si può ricostruire un futuro sincopato *operraie e dunque trascrivere rispettivam ente op(er)aie, op(er)raie e op(er)[r]aie supponendo nel terzo caso uno scambio tra t e r per er­ rore di scrittura. L ’apparato è diviso in due fasce; nella prima, dopo l’indicazione della riga o delle righe interessate e il testo accolto (in tondo) seguito da due punti, si rende conto della lezione del manoscritto (in corsi­ vo), dello stato materiale della pagina, della presenza di grafici e fi­ gure, delle singole alterazioni subite dallo scritto e delle particolarità paleografiche (tituli superflui, usi particolari, ductus insoliti, ecc.) o

della decorazione (si indica ogni caso in cui le cifre, normalmente in inchiostro rosso, vengono scritte in nero); inoltre, come già detto, vengono trascritti in questa fascia gli interventi marginali o interli­ neari che non possono essere trascritti nel testo per incertezza circa il punto di inserzione o per le dimensioni eccessive (in corsivo). Nel­ la seconda fascia, ove possibile e opportuno, dopo il riferimento alla riga del Livero, la pericope interessata e la parentesi quadra si ripor­ tano i passi paralleli del Liber abaci (con la sigla Fib.; se manca il rin­ vio al numero di pagina ci si referisce a quella citata in precedenza, in neretto per facilitare la ricerca), dalla Summa de Arithmetica Geo­ metria Proportioni e Proportionalità di Luca Pacioli (Venetiis, Paganinus de Paganinis 1494, copia della Biblioteca Universitaria di Pa­ dova, segn. sec.XIV 442, citata senza indicazione dei cambi di riga; la sigla è Pac), dallo Zibaldone da Canal (Manoscritto mercantile del sec. XIV , a cura di A. Stussi, Venezia, 1967, siglato Zib), da\TAlgorismo trecentesco (Columbia X 511 A13) edito da V O G E L 1977 (siglato Alg con il numero di carta). Mi pare che tale annotazione, per cui il testo latino o volgare soccorre alle frequenti manchevolezze o al fati­ coso lessico tecnico del volgarizzatore, sollevi dall’incombenza di un puntuale commento a piè di pagina.

Lo livero de l’abbecho Lo primo amastramento de l ’arte de la geometria

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Quisto è-ne lo livero de l’abbecho secondo la oppenione de Ir malestro Leonardo de la chasa degl fìgluogle Bonarie da 3 Pisa, f Lo p(r)imo chapitolo è-ne de le reg(o)le d(e) le tre chose. Se ce fosse dieta alchuna ragione e • Ila q(ua)le se proponesse tre chose, sì devemo m(ultip)licare r 6 quilla chosa che noie volemo sap(er)e (contra) q(ui)lla che non è de quilla medessma, a pa(r)td(r)e nell’a­ ltra. 9 Voglovo dare l’asenpio a la dieta reg(o)la e voglo dire chusì: « 3 ravignane vaglono 5 cortonese, que va(r)ronno gle 7 ravignane? ». Deie fare chusì: m(ultip)lichare 7 fiade 5, che fon12 no 35, e pa(r)tire p(er) t(er)90 , che ne viene denare 11 f, e chusì fa’ le semeglante ragione. Se ce fosse dieta alchuna ragione nella quale se p(ro)pones15 se tre chose e da l’una de le doie pa(r)te denanze avesse rocto, sì devemo sap(er)e en que numero se truova quisto rocto; saputo en que nu(m)e(r)o {se truva} quisto rocto, sì devemo m(ultip)licare 18 amedoro le pa(r)te denanze p(er) tale nu(mer)o en que se truova q(ui)llo rocto. Voglovo dare l’ase(n)pio a la dieta reg(o)la e voglo dire chu21 sì: « bracia 4 ^ de panno vaglono 17 d., que ne va(r)ronno gle 5 bracia? ». Deie fare chusì, rechare a sano p(er) quisto rocto, ch’è tercpo, e sì di’: « 3 fiade 4 ^ », che fanno 13 bracia. Or de24 verno dire: « 3 fiade 17 denare », che fanno 51 denaio; or devemo dire: « 13 bracia de panno vaglono 51 dena­ io, que ne va(r)ronno gle 5 bracia? ». Sì devemo m(ultdp)licare 5 fi27 ade 51 denaio, che fonno 255 denare, a pa(r)tire p(er) 13, che ne viene denare 19 yf de denaio. Or avemo che, se bracia 4 \ de panno vaglono 17 d., che vengono gle 5 bracia dena(r)e 30 19 if de denaio, e chusì fa’ le semeglante ragione. Se ce fosse dieta alchuna ragione nella quale se pròlv ponesse tre cose e amendoro le pa(r)te denanze avesse3 ro rocto, sì devemo sap(er)e en que nu(mer)o se truovano q(ui)ste rocte; saputo en que nu(mer)o se truovano quiste rocte, sì

Ir 1 Sopra quisto, di mano piu tarda, il numero 134.

1-3 he prime tre righe sono in inchiostro rosso. 8-13 8 Accanto, nel margine esterno, si trova la fig. Ira. 18 le : integratone di C, confermata da 1v.5 e da Mgl2 d o b iam o m ultiprichare a(m ) | bed ue le partì dinanzi. 18 {se truva} : aggiunto da C in interrigo. 30 Sotto l’ultima riga, al centro, si trova la fig. 1rb; immediatamente a sinistra il timbro rosso della Biblioteca Riccardiana. Ir 3-5 h a formulatone della regola delle tre cose è traditonale: vedi l ’Introdutone porgli opportuni riferimenti. 7 a partì(r)e : Mgl2 et partire. 16-17 sì... m (ultip)lichare : Mgl2 sì d ob iam o m ultiprichare.

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devemo m(ultip)licare amedoro le pa(r)te denanze p(er) tale nu(mer)o en que se troveranno quiste rocte. Voglovo dare l’asenpio a la dieta reg(o)la e voglo dire chusì: « brada 2 3 de d(r)appo vaglono denare 3 que ne 9 va(r)ronno gle 5 brada? ». Deie fare chusì: i è se truova en 12 , or devemo fare 12 fìade 2 i, che fanno 28 bra­ da; or devemo fare 12 fiade 3 che fonno 39 dena12 re; or avemo rechato a sano e devemo dire chusì: « bracia 28 de drappo vaglono denare 39, que ne va(r)ronno gle bracia 5? ». Sì devemo fare 5 fiade denare 39, che fonno 15 195 d., e pa(r)tire p(er) 28, che ne viene d. 6 $ de denaio, e chu­ sì fa’ tutte le semeglante ragione. Se ne fosse dieta alchuna ragione nella quale se p(ro)18 ponesse tre cose e tutte e tre le pa(r)te denanze avesse rocte, sì devemo rechare a sano amedo(ro) le p(ar)te d(e)nanze. Voglovo dare l’asenpio a la dieta reg(o)la e voglo dire chy21 sì: « ravignane 3 \ vaglono pipane 7 i, que va(r)ronno gle ravignane 9 è? » Sì devemo dire chusì: « ^ 4 se tryova en 12 »; or devemo fare 3 fiade 12 che fa 39; or 24 devemo fare 7 ^ via 12, che fa 88 . Or avemo rechato a sano e devemo dire chusì-ne: « 39 ravignane vaglo­ no 88 pipane, que ne va(r)ronno gle ravignane 9 è? ». 27 Deie fare chusì: 9 è via 88 , che fa d. 803, a pa(r)tire pe(r) 39, che ne viene s. 1 d. 8 §9, e chusì fa’ le semegla(n)te r(agione). E1 secondo chapitolo de le chose che se vendono a ce(n)tonaio. 30 Quiste sonno le reg(o)le che ensengna a fare ragione de lo centonaio de tutte le cose che se vendono a cento s. o a cento bracia, sì corno se vendono gle drappe 3 d(e)l lino e quilgle de la lana; p(er) ciascheuna lib. che vale lo centonaio, sì vale la lib. 2 d. 5 e l’oncia vale 5 de d.; p(er) ciascheuno s. che vale lo centonaio, sì vale la lib. e l’oncia 6 vale fèo; p(er) ciascheuno d. che vale lo centonaio, sì vale la lib. ièo e l’oncia vale nèo; p(er) ciaschuna lib. de d. che va6

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le lo miglaio, sì vale lo centonaio 2 s.; p(er) ciaschuna dicina de lib. che vale lo miglaio, sì vale lo centonaio 1 lib.; a(con)to te sia che lo centonaio vale lo yè de quanto vale lo miglaio e gle doie cento s. vale lo 5 di lo mi12 glaio e lo vc vale lo \ di quanto vale lo miglaio; le 10 lib. vale lo di quanto vale lo centonaio e gle 20 vale lo i e le 25 vale lo qua(r)to e le 50 vale lo è di qua(n)15 to vale lo centonaio. Lo centonaio del pev(er)e venduto p(er) lib. 23 e vuole sap(er)e qu[e] va(r)ronno le lib. 12 de pev(er)e. Pone secondo ch’ò mostro, gioè 18 le lib. del centonaio {sotto} quille del centonaio, {et} le lib. 12 {sotto} le lib. 100, e m(ultip)lica 12 fiade lib. 23; averaie lib. 276, le quale p a r ­ tire en 100 , gioè p(er) la enposta ch’è d(i)c(t)a de sopre, ed averaie 21 che de le lib. 200 vegneraie lib. 2 e de le lib. 75 el verà-ne s. 15 e de la lib. 1 egl verà-ne d. 2 §. Lo centona{io} de giò che tu vuogle venduto p(er) s. 17 d. 5 e vu24 ogle sap(er)e que vaglono le lib. 7. Pone secondo ch’ò mo­ stro de sotto e m(ultip)lica 7 fiade s. 17 e 7 fiade d. 5, e fa’, dégle denare, s., e averaie s. 121 ed. 11 , gle quagle pa(r)tire en 100 p(er) 27 le enposte che d(i)c(t)e sonno; e diraie che degle s. 100 egl ve­ rà-ne s. 1 e degle s. 20 egl verà-ne d. 2 §; onde p(re)nderaie lo $, che sonno d. 40, ed àie denare 12, echo 52, e puoie n’àie 30 11, echo 63 che d. 60 gle viene f e dèn’ av(er)e 3 iè?5 {o vogle T$è} Lo centonaio del pev(er)e venduto p(er) lib. 22 s. 15 e d. 6 e vo2v glo sap(er)e que va(r)ronno le lib. 20 de pev(er)e. M(ultip)lica 20 p(er) 3 Ub. 22 e s. 15 e d. 6 ed averaie lib. 455 e s. 10, che de le lib. 400 gle viene lib. 4 e de le lib. 55 gle viene s. 11 e degle s. 10 gle viene denare 1 i. 9

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lv 9-15 Accanto, nel marine esterno, si trova lafig. Iva.

11 de : espunto con due puntini appena visibili; unpuntino si trova anche, per errore, sotto la prima e di dena | re. 19-21 N el marine ester­ no ci sono quattro righe di C, parzialmente asportate dalla rifilatura (1vb.1-4): p(er) tale m[...] | che in q[...] | trovar[..] | rotte. 22-27 N el morfine esterno, si trova lafig. 1ve. 2r / se : di lettura incerta per una macchia d’inchiostro. 1-2 cento | s. o a cento bracia : espunzione in entrambi i casi. 3-4 cias | cheuno : -s- scritto in interrigoper mancanza di spazio.

lv 23 fare 3 fiade 12 \ : in realtà 12 per 3 £ 30 Introduzione identica in A lg 8r (cheperaltro poi passa subito agli esempi): Queste la reghola che insengna a fare tutte le rascioni di tutte le merchatande che si vende a .C. lb. e a .C. br.

2r 15-22 Accanto a queste righe, nel marfine esterno, si trova lafig. 2ra. 16 qu[e] e omessa per mancanza di spazio. 21-22 ve | rane s. 15 e de la lib. 1 egl veràne d. 2 § : le ultime due lettere di riga 21 sono state riscritte d aC su rasura; in entrambi i casi una prima scrizione veraiè è stata corretta da C con raggiunta di una ostina con svolazzo. 27-28 egl ve | rà-ne ... verà-ne d. : le ultime lettere di riga 27 sono di C ; in entrambi i casi, l’originario veraie ì stato corretto in vera-ne come a r. 22. 21 vegneraie : la prima sillaba è riscritta 0 ripassata da C. 30 Sotto lo scritto, a l centro, si trova la fig. 2rb, le cui ultime cifre, 2, sono scritte in nero su altre in rosso. 2v 1-4 N el morfine esterno, si trova lafig. 2va, parfialmente asportata dalla rifilatura. 2r 16-18 L a disposifione suggerita (in questo solo caso) nel testo, per cui lire, soldi e denari vengono allineati verticalmente, non trova riscontro nellafig. 2ra. 25 de sotto : errore evidenteper ‘sopra’, come a 2v.8. 29 denare : qui, come nel caso delprecedente 40 e di 11 alla riga successiva, non si tratta di denari ma di centesimi di denaro ricavati dalla divisione per 100 rispettivamente di s.20, d.10 e d.1. 30 av(er)e 3 : errore evidente per $, che si deve sommare a j i jfó p er ottenere, secondo la notatone usata correntemente dalla prima mano, la parte frazionaria del risultato corretto, s. 1 d.2 jfjjf. 2v 5 Sommando questiparziali si ottiene il risultato corretto 4.11.1 £.

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Bragia 100 de drappo vendute p(er) lib. 34 e s. 12 e d. 6 , e vuogle sap(er)e que va(r)ronno gle bragia 7 £. Fà-ne secondo ch’ò mostro de sotto e m(ultip)lica 7 fiade lib. 34 e s. 12 e d. 6 e p(re)nde 9 p(er) lo è la mitade de le lib. 34 e s. 12 e d. 6 e giogne om(n)e causa ensieme e fa’, degle d., s. e, degle s., fa’ lib. ed averaie lib. 259 e s. 13 e d. 9, a pa(r)tire en 100, che de le lib. 200 ve12 gnerà-ne lib. 2 e de le lib. 55 vegnerà-ne s. 11, e remangono lib. 4, che sonno s. 80; giogne s. 13, averaie 93, che de s. 91 e d. 8 gle viene d. 11, puoie remane d. 25 che ne viene i. 15 Lo centonaio del pev(er)e, ch’è on$ie 1200, è venduto p(er) lib. 24 e s. 12 e vuogle sap(er)e que va(r)ronno le onc. 4 M(ultip)lica 4 3 lib. 24 e s. 12 e averaie lib. 106 e s. 12, a pa(r)tire en 1200, 18 cioè en di 100: enp(r)ima en 12 e puoie en 100. Voglo p a r ti­ re le lib. en i e seronno d., e gle s. en 100 , chomo d., e gle d. pa(r)tire en 1200; e averaie d. 21 e ^ {cioè} {d. 21 t3£}. Diverse reg(o)le. 21 E enp(er)ciò che quista reg(o)la è svariata da l’altre ed è molto utile, si la volemo mostrare en quisto modo; ponia’ che ’l centonaio del pev(er)e vagla lib. 13, adomandote 24 qua(n)to n’ave(r)a’ p(er) d. 3. Quista è-ne la sua reg(o)la, m(ultip)lica 3 p(er) 5, che fanno 15, e pa(r)te p(er) lo p(re)c;o de la valuta d(e)l centonaio, ?ioè p(er) 13, ed averaie on^ie 1 p(er) d. 3. E se 27 ne fosse d(i)c(t)o qua(n)to n’avesse p(er) s. 7, e m(ultip)lica 7 p(er) 5, che fanno 35, e quagle pa(r)te semegla(n)tem(en)te p(er) 13: averénne lib. t§ 2 e chusì entenderaie de 30 tutte le semeglante £Ìoè che ne viene lib. 2 onc. 8 jf E se ne sirà d(i)c(t)o el contrario de quista medesema reg(o)la, 3r 9Ìoè « che va(r)ronno le onc. 7 », si m(ultip)liceraie 7 p(er) 13, che 3 fanno 91 {d.}, e pa(r)teraie p(er) 5, che ne viene d. ^ 18. E se ne fos­ se dicto « qua(n)to va(r)ronno le lib. 7 d’essa me(r)9e », m(ultip)Uca(r)e semeglantem(en)te 7 p(er) 13, che fonno 91 {s.}, e pa(r)teraie 6 p(er) 5, che ne viene s. è 18, «pioè s. 18 e d. § 2, e chusì fa’ de {le} seme­ glante r(agione). Lo ter^o chap(ito)lo è-ne de le reg(o)le de pepe che se [m]o(n)7bis da. 6

2v 12 vegnerà-ne : sillaba mitrale di C; anche -aie è stato corretto in -ane. 17 Rasura all’inizio della riga. 20 {cioè} {d. t$$} : dopo cioè, scritto da C in interrigo, si trova un segno di richiamo, che rimanda a d. fo3 scritto in margine. 20 Diverse reg(o)le : in inchiostro rosso. 30 A semeglante seguono duepunti marcati, poi la gjunta di C. 3r / E se : ms. E e se (non è visibile la letterina gui­ da). 1 medesema reg(o)la : la prima parola è quasi completamente evanida, la seconda sembra ripas­ sata da mano imprecisabile. 7-7bis Lo ter90 ... [m]o(n) |da : ms. no(n) |da; titolo in inchiostro rosso. 2v 14 remane d. 25 : cioè 16 di resto sommati ai 9 che rimanevano da dividere per 100: il risultato, corretto, è 2.11.11 i. 20 Entrambi i risultati, quello in corpo del testo e quello aggiunto a margine, sono corretti ed equivalgono, in notazione moderna, as.1 d.9 j§ .

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Lo centonaio del pepe me chosta lib. 25, fòlo mondare ed ènne uscita libre 20 de polve, de la quale polve vale lo centonaio lib. 10 ; voglo sap(er)e que me ve(r)rà lo cento­ naio de quisto pepe mondo. Regol’è che devemo trare de libre 100 quiste libre 20, e re­ sta libre 80 necto; or devemo dire: « se ’l centonaio d(e) la d(i)c(t)a polve vale lib. 10, que ne va(r)rà le libre 20? ». Sì devemo m(ultip)licare 20 v(i)a 10 , che fa 200 libre, e pa(r)tire p(er) 100 , che ne viene lib. 2; or devemo trare, de libre 25, libre 2, e rema(r)rà lib. 23. Di’ chusì: « se le 80 Ub. vaglono lib. 23, que ne ve(r)ronno le 10{0}? ». Sì moltiplica 23 fiade 100, che fa lib. 2300, e pa(r)tire p(er) 80, che ne viene lib. 28 s. 15, e chotanto vale lo 100 {lib.} del necto p(e)p(e). Lo centonaio del ^affarano vale lib. 17 s. 9 d. 5; voglolo conciare ed escene de polve libre 21 , de la quale vale lo ce(n)tonaio lib. 4; que va(r)rà lo centonaio del faffarano necto? Regol’è che devemo trare de libre 100 libre 21, e resta libre 79 de ^affarano netto; or di’ chusì: « el centonaio de la pol­ ve che n’è uscita vale lib. 4, que ne va(r)rà le 21 libre? ». Sì m(ultip)lica 4 fiade 21, che fa 84 lib., e pa(r)tire p(er) 100, che ne viene s. 16 d. 9 5, e devemo trare, de lib. 17 s. 9 d. 5, s. 16 d. 9 f, e restane lib. 16 s. 12 d. 7 §. Or devemo dire chusì: « 79 lib(r)e de ^affarano va­ glono lib. 16 s. 12 d. 7 f, que ne va(r)ronno le 100 libre? ». Sì m(ultip)lica lib. 16 s. 12 d. 7 $ via 100 libre, che fa libre 1663 s. 1 d. 8 , a pa(r)ti(r)e p(er)79,chene viene lib. 21 s. 1 ^ e chusì fa’ le semeglante r(agione). 3v Lo centonaio del pev(er)e vale lib. 17, lo centonaio del ^affarano vale lib. 22 , i’ ò lib. 18 {de d.} e voglo uno centonaio tra pepe e tpaffarano; adomandote qua(n)to me deie da­ re de ciascheduno, sì ch’io no(n) sia engannato. Reg(o)l’è che noie devemo pon(er)e quisto 18 tra 17 e 22; de­ vemo dire: « da 18 a 22 sì à 4 » e pon(er)e sopra el 17. Or deve­ mo dire: « da 18 a 17 sì à 1 », e pon(er)e sopra el 22. E devemo dire: « 4 e 1 fa 5 », ed avemo che una lib. de ^affarano vale 4 de quilla del pepe ed io ne voglo uno centonaio de l’u-

3r 16 v(i)a : va con svolazzo pronunciato e un trattino arcuato in alto. 19 p(e)p(e) : in rosso. 22 21 : ultima cifra di C, in inchiostro nero su rasura. 29 16 : ultima cifra di C, in inchiostro nero su rasura. 30 16 : C ha modificato in 6, in inchiostro nero, l ’originale 0 in rosso. 30 d. 7 : A aveva scritto 1, poi corretto da C con inchiostro nero. 30 libre 1663 : le lettere -re, evanide, sono visibili solo con l ’ausilio della lampada di Wood; il primo 6 èfrutto di correzione di C, in nero, su altra cifra. 3r 20 vale : sinonimo di me chosta di 3r.8, indica ilprezzo pagato per ilprodotto grezz?• 3v 10 de l’u | no e de l’altro : cioè complessivamente (diverso da de l’uno qua(n)to de l’altro 3v.27).

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no e de l’altro. Di’ chusì: « 1 fìada 100 lib. de ^affarano sì fa 100 libre de ^affarano », e p(ar)tire p(er) 5, che ne viene Hb(r)e 20. Or devemo m(ultip)licare 4 fiade 100 lib(r)e de pepe, che fa 400 libre, e pa(r)tire p(er) 5, che ne viene lib(r)e 80. Or avemo 20 lib(r)e de ^affarano et 80 libre de pepe, che fa tutto lib(r)e 100 1822. E se la volemo provare, sì devemo dire: « lo centonaio del pepe vale 17 lib., que ne va(r)ra{(n)no} le 80 libre? ». Sì m(ultip)lica 17 fiade 80, che fa 1360, e pa(r)tire p(er) 100, che ne viene lib. 13 s. 17. f Or devemo dire: « lo centonaio del 9afarano vale lib. 22 , que ne ve(r)rà le 20? ». Sì devemo fare 22 via 20, che fa 440 lib., a pa(r)tire p(er) 100, che ne viene lib(r)e 4 s. 8 , e giogne asieme cum 13 lib. s. 12 e farà lib. 18 co­ rno vuole e(ss)e, ed è facta. Lo centonaio del pepe vale lib. 16 s. 10, lo centonaio del «pafarano vale lib. 18 s. 4, lo centonaio del cie(n)namo vale lib. 25 s. 6 , e io {ò}-ne lib. 20 {de denare} e vuoglo uno centonaio de l’uno qua(n)to de l’altro, sì che io no(n) sia enga(n)nato. Reg(o)l’è {che} devemo fare: « da 16 lib. s. 10 enfin’a 20 lib. sì à lib. 3 s. 10 », e pon(er)e sopra el 25 lib. s. 6 ; or devemo dire: « da lib. 25 s. 6 enfine 20 sì à lib. 5 s. 6 », e pon(er)e sopra lib. 16 s. 10. Or devemo dire:«da lib. 18 s. 4 enfine e • lib. 20 sì à lib. 1 s. 16 », 4r el quagle pone sopra e • llib. 25 s. 6 . Or devemo dire: « {d a } lib. 20 enfine e • llib. 25 s. 6 sì à lib. 5 s. 6 », e pon(er)e sopra lib. 18 s. 4. E d(e)vemo mettere ensieme tutte quiste d. che sonno d(e) sopre a le lib. 16 s. 10, che sonno lib. 5 s. 6 , e semeglantem(en)te quigle che stonno de sopre a le lib. 18 s. 10 e quigle che sonno de sopre a le lib. 25 s. 6 , che ciascheuno è-ne lib. 5 s. 6 ; e fa’ somma de tutte quiste d. de sopre, che sonno lib. 15 s. 18, e quisto sirà pa(r)tedore. Or l’arechiamo a menore nu(mer)o che noie podemo, el qual’è 15 18, e quist’è pa(r)tedore. Or devemo pigiare quillo ch’è sopra a lib. 16 s. 10, egl quagle m(ultip)lica e di’: « 5 fiade 100 », che fa 500; e p(er) igle

3v 11-15 Accanto si trova nel margine esterno la figura 3va. 15-17 Accanto si trova nel margine inter­ no lafig. 3vb, in inchiostro rosso eccetto i due numeratori 5 f 1, che sono in inchiostro nero e di mano C. 24 pepe : d iC su rasura. 25 9afarano ... cie(n)namo : le due parole sono state scritte da C su rasura; l’ultima è abbreviata con un lungo svolalo. 30 Sotto l’ultima riga, a l centro, si trova la fi­ gura 3vc. 4f 9 l’arechiamo ; ms. lanchiamo, che emendo sulla base delpasso parallelo di 162v. 15. 11 16 : A aveva scritto 10, poi C è intervenuto correggendo. 12 p(er) igle : la primitiva scrizione era pigi, che C ha modificato aggiungendo il titulus ed -e. 4r 6 lib. 18 s. 10 : errore evidente per lib. 18 s. 4. 7-8 che ciascheuno ... s. 6 : s ’intende che la somma di 1.16.0 e di 3.10.0, scritti sopra 25.6.0, è appunto 5.6.0; si noti che lafig. 3vc non rispecchia questo conto.

LO LIVERO D E L ’A BBECHO

s. 6 sì pigia gle de 100, el quale è-ne 30, e devemo pa(r)tire 530 lib(r)e per 15 7$, e p(er)ché la ragione sia più lati(n)a, 15 sì devemo noie rechare a sano, che devemo fare 10 via 15, che fa 150, giorno 9 e farà 159, el quale è pa(r)tedore. Or devemo fare 10 fiade 530, che fa 5300, e pa(r)tire p(er) 159, 18 che ne viene lib(r)e 33 t$$, che sonno 4 onc. e chota(n)to averemo da lib. 16 s. 10 e da lib. 18 s. 4 e da lib. 25 s. 6 ; e me­ tte tutte quiste 3 pa(r)te en somma e farà lib. 100 ed è 21 facta: libre 33 £ libr. 33 libr. 33 E se la volemo provare, sì devemo dire chusì: « se ’l ce(n)tonaio d(e)l pepe vale lib. 16 s. 10 , que ne va(r)rà le lib(r)e 24 33 e onc. 4? ». Sì devemo m(ultip)licare lib. 16 s. 10 via Ub(r)e 33 on^ie 4, che fa lib. 550, e pa(r)tire p(er) 100, che ne vi(en)e lib. 5 s. 10. Or devemo dire: « se ’l centonaio de 27 9aferano vale lib. 18 s. 4, que ne va(r)rà le libre 33 on9Ìe 4? ». Sì devemo multiplica(r)e lib. 18 s. 4 via lib(r)e 33 on9Ìe 4, che fa lib. 606 s. 13 d. {4}, e pa(r)tire p(er) 100, che 30 ne viene lib. 6 s. 1 denare {4}. Or devemo dire: « se ’l centonaio d(e)l ciennamo vale lib. 25 s. 6 , que ne ve(r)rà le libre 33 on9Ìe 14? ». Sì devemo m(ultip)lica(r)e 3 lib. 25 s. 6 via libre 33 onc. 4, che fa lib. 843 s. 6 d. 8 , e p a r ­ tire p(er) 100, che ne viene lib. 8 s. 8 denare 8 . E p(er) ved(er)e s’ella è-ne biene provata, sì mette tutte quiste de. 6 en somma, cho’ tu veie de sotto: puoie farà lib. 20 , chomo vuole e(ss)e, e chusì fa’ le semeglante pruove; lib. 5 s. 10 d. 0 , lib. 6 s. 1 d. 4 {fano lb.} lib. 20 cho • lib. 8 s. 8 d. 8 . 9 El qua(r)to cap(ito)lo è-ne de le reg(o)le degle drappe che se ve(n)do9bis no a channa e a br. Me9a qua(r)ta de bra9Ìo è-ne £, qua(r)ta de bra9Ìo è-ne i, quarta e me9a qua(r)ta de bra9Ìo §, me90 de bra9Ìo è 12 £, me9o e me9a qua(r)ta de br. f, me90 e \ de br. è-ne |, me9o e qua(r)ta e me9a qua(r)ta de bra9Ìo è-ne ?, a partire en 4. 15 Fame quista ragione, br. 6 1 {di pa(n)no} costa lib. 13 s. 5 d. 6 , que costa lo br.? Recordete che onne ragione rocta sì d(e)-

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4v

4r 27 9aferano : parola aggiunta d aC in spafio lasciato libero dalla prima mano. 30 {4} : in nero, di C. 4v / ciennamo : di C in spazio lasciato libero dalla prima mano. 2 on 9Ìe 14 : erroreper 4, corretto alla riga successuva. 8 d. 0, lib. 6 : le cifre sono in nero, ripassate da C ; sotto la prima si distingue la primitiva scrizione in rosso, probabilmente un 2. 9-9bis El qua(r)to ... br. : titolo in rosso; la frase, a partire dall’ultima sillaba di vendono, è scritta in verticale nel margine interno, dalla mano principale. 4v 6 cho’ ... puoie : ci si riferisceprobabilmente alla breve lista di rr. 7-8.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

ie gire enna(n)9e de tanna che sia sana; donqua deie tu di(r)e: 18 « 4 via 6 1 br. fanno 27 e 4 via lib. 13 s. 5 d. 6 fanno lib. 53 s. 2 », pa(r)tirle en 27, che ne viene s. 39 d. 4, e c o ta n ­ to costa lo bra?io e chusì fa’ le semeglante r(agione). 21 Famme quista ragione, br. | 7 costano lib. 11 s. 13 d. 7; adoma(n)dote que viene costata la ca(n)na. Recordete che se fa p(er) la regola del 3, che la channa sì è 4 br., che 24 devemo dire: « se | 7 fosse lib. 11 s. 13 d. 7, que vale gle 4 br., ?ioè 1 canna? ». Di’: « 4 via lib. 11 s. 13 d. 7 », che fanno lib. 46 s. 14 d. 4, gle quagle sì deie pa(r)tire {p(er)} | 7, 27 che devemo menare p(er) \ enna^e, e di’: « 4 via | 7 fanno 31 ». E di’: « 4 via lib. 46 s. 14 d. 4 » che viene lib. 186 s. 17 d. 4, a partire en 31, che ne viene 30 lib. 6 s. 6 di denare. La canna de { 1} drappo, ch’è br. 4, venduta p(er) lib. 7 e s. 9 e d. 5r 9 e vuogle sap(er)e que va(r)ronno gle bra. 3 e la me9a 3 qua(r)ta del br., 9oè gle br. è 3. Fà-ne secondo ch’ò most(r)o de sotto e m(ultip)lica 3 fìade lib. 7 e s. 9 e d. 9 e puoie p r e n ­ de lo &di lib. 7 e s. 9 e d. 9 e giogne ensieme e ave6 raie lib. 23 e s. 7 e d. f 11 a pa(r)tire en 4 pa(r)te, unde lo i di 23 lib. è lib. 5 e remane lib. 3, che sonno s. 60; giogne li 7, averaie s. 67, pa(r) tele en 4 ch e n e v ien e s. 16 e 9 remane s. 3, che sonno d. 36; giogne li d. 11: avera­ ie 47, pa(r)te en 4 che n e viene d. 1 11 e d(e) li f gle vi(en)e 5^ {o vogle 3§}. Bra9Ìa 1 15 de drappo vendute p(er) lib. 24 e s. 7 e d. 6 12 e vuogle sap(er)e que va(r)ronno gle br. 1 9. Quista se fa p(er) doie guise: l’una è-ne che tu deie m(ultip)licare 4 fiade 15 e, gionto 3, averaie 63 e puoie m(ultip)lica 4 fiade 15 lib. 24 e s. 7 e d. 6 : averaie lib. 97 e s. 10 e multiplicheraie ^ 9 p(er) lib. 97 e s. 10 e pa(r)teraie en 63. L’altra è-ne ch[e] tu deie m(ultip)liceraie 4 fiade ^ 9, ed è meglo; ed averaie i 37 18 e m(ultip)lica ^ 37 p(er) lib. 24 e s. 7 e d. 6 e pa(r)teraie en 63, 9Ì0 è en averaie lib. 14 e s. 7 e d. 7 e $ gf {o vuogle ^ } . 19bis Reg(o)le sen9a nome. Famme quista ragione, se j 7 fosse £ 9, che seria £ 6 ? 21 Quiste sonno ragione che none agiono nome, che la

4v 17 tantta : ripassato in nero da C sulla primitiva scrizione di A , rotta. 22 ad o m an d o te : la prima lettera è coperta dalla decoratone. 28 < a pa(r)tire en 31 c h e > : la frase anticipa la riga successiva, ed è stata cassata. 5 r 1 d e f i} : giunta di C. 8 che ne viene : di C su rasura. 10 che ne viene : tutto di C su rasura. 13 A fiade : segue nel margine esterno una lineetta in nero,forse aggiun­ ta in seguito. 19bis R eg(o)le se n fa n om e : titolo scritto da A in rosso in verticale nel margine esterno. 5r 4 de so tto : erroreperde, sopre.

10 h a somma dà il risultato corretto, 5.16.11 §§.

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prima deie e(ss)e pa(r)tedore, donqua deie tu dire: « £ 9 via \ 6 », che, de è 6 , fa(n)ne è, che sonno 13; e [de] § 9 fanne qui(n)te, che sonno 47, e di’ « 13 via 47 », che fanno 611, gle qua­ gle sonno è de i, 9Ìoè dÌ9Ì[m]e; donqua deie tu p a r ti­ re 611 en 10, che -de viene iè 61 e cotanto fa 5 9 via è 6 , la quale somma sì deie pa(r)tire en j 7. Se tu vuogle pa(r)tire 61 Ì(n) f 7, sì men(er)a’ 30 fiade enna(n)te tutte le 2 pa(r)te e di’: « iè 61 via 30 », che fa 1833; di’: « § 7 via 30 », che fa 230, pa(r)te 1833 i(n) 230, che ne viene 7, p(er) le 3 cose, de d., e cotanto siria li 6 £. Se i 5 valese i 7, que ne ve(r)ria \ 9? Sì devemo sap(er)e en que nume(r)o se truoveno amedoro le pa(r)te dena(n)9e, 9Ìoè ^ £, che se truova en 15. Or devemo m(ultip)licare amedoro quiste pa(r)te p(er) 15, 9Ìoè 5, che fa 75, e pigia el ^ de 15, ch’è 5, e giogne sopre 75 e farà 80. Or de­ vemo fare 7 v(ia) 15 che fa 105, el i de 15 è 3, lo quale giog(n)e sopra al 105, e farà 108. ^ Or avemo rechate amedoro le pa(r)te denare a sano e podemo dire: « 80 vale 108, che ne va(r)rà h 9? ». Sì devemo fare 9 v(ia) 108, che fa 972, e pigiare el 7 de 108, ch’è ^ 15, lo quale giogne sopra a 972 e farà 987 e pa(r)tire p(er) 80, che ne viene

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5v

12 . E se ne fosse dicto: « è 10 vale & 13, que ne va(r)rà gle § 15? », sì ’l podemo fare p(er) quillo altro modo, 9Ìoè che devemo fare 9 v(ia) 15, che fa 135, e, gionto li 2 che sta de sopre da la v(er)ga d’eso 9, e farà 137. Or devemo m(ultip)licare l’altro nu(mer)o e dire: « 8 v(ia) 13 », che fa 104, e, gionto lo 1 che sta de sopre da la v(er)ga d’esso 8 , ed averaie 105. Or avemo rechato a sano amedoro le pa(r)te e devemo multiplicare 105 {p(er)} {137}, che fa 14385, lo quale devemo pa(r)tire p(er) gle num(er)e che se truovano de sotto da le v(er)ge [de]gle rotte, 9Ìoè è è, che se truovano [en]

5r 23 e [de] § 9 : e 5 9; si integra sulla base di d e \ 6, fa(n)ne è nella stessa riga e delpasso analogo a 54r.7. 25 d ifi[m ]e : difine. 5v 2 5 : in nero di C. 4 N el margine interno, di C, v(el) 15 (5va.1). 10 v(ia) : in rosso. 12bis ^ § § 1 2 : le cifre sono scritte in rosso nello spazio in bianco al termine di r. 14, separate dal testo da due verghette verticali in rosso. 14 N el margine, di C, più fo(r)te (5vb. 1) senza segno d’inserimento ma da riferireprobabilmente a m od o. 19 O r : con iniettale toccata in rosso. 20 {p (e r)} {1 3 7 } : p(er) è scritto in interrigo con segno di inserzione, da C, in inchiostro nero, 137 in rosso nel margine interno con segno di richiamo. 22 [dejgle : ms. gle (da confrontare con gle rotte d e sotta a le v(er)ge 19r.2). 5v 1 p(er) le 3 co se, de d. : interpreto per la regola delle tre cose’; d e d. è partitivo riferito alla frazione precedente. 3 le pa(r)te d en a(n )fe : s ’intende la partefrazionaria di cisascun numero.

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72, e devemo pa(r)tire 14385 p(er) 72, che ne viene % 199, lo quale devemo pa(r)tire p(er) 4 10; sì devemo rechare a sano e devemo dire: « 4 v(ia) 10 », che fa 40, e, gionto lo 1 che sta de sopre da la v(er)ga d’eso 4, ed averaie 41, lo quale 41 devemo m(ultip)licare p(er) lo 72 e dire: « 41 v(ia) 72 », che fa 2952, e quisto sirà pa(r)tedore. Or devemo fare 72 v(ia) 199, che fa 14328, e giogn(er)e sopre el 57 che sta de sopre da la v(er)ga d(e)l 72, ed averaie 14385, lo quale devemo m(ultip)licare p(er) 4 {e dire: 4} via 14385, che fa 57540, e pa(r)tire p(er) 2952, che ne viene 19. Tf Lo quinto cap(ito)lo è de reg(o)le de chanbio. Lo soldo degl’enperiale vale ven. 53 e vuogle sap(er)e que va(r)ronno grenperiale 3. Deie fare secondo ch’ò mostro de sotto, e m(ultìp)lica 3 fìade 53 e pa(r)te en 12 ed averaie 4 13, e cotanto vaglono gle 3 enperia[gle]. E se decesse che vaglono s. 3 e vuogle le lib. 3, d(e)ie sap(er)e che, daché gle 12 enperiagle vaglono d. 53, e gle 12 s. degl’enperiagle vaieranno s. 53 de venitìane e le lib. 12 degrenperiagle vaieranno lib. 53 de ven., onde se vuogle sap(er)e que vaglono gle s. 3 d’enperiagle m(ultip)lica 3 fiade s. 53 e pa(r)te en 12 ed averaie s. 13 e d. 3, e lib. 3 vaieranno lib. 13 e 4, ^ioè lib. 13 e solde 5. E se dicesse che enperiagle 12 vaglono ven. \ 54 e vuogle sap(er)e qua(n)te ven. deie av(er)e p(er) lib. 3 e s. 4 e d. 5 d’enperiagle, fà-ne secondo ch’ò mostro de sotto e m(uldp)lica 3 fiade 54 lib. e 4 fiade 54 s., 5 fiade 54 d. e puoie prende lo i de lib. 3 e di s. 4 e di dr. 5 e giogne ensieme e ave(r)aie lib. 174 e s. 18 e d. è 7, a pa(r)tire en 12; onde diraie « lo di 174 », sì è lib. 14, remane lib. 6 , che sonno s. 120; giogne cu(m) s. 18: averaie s. 138, a pa(r)tire en 12 , che ne viene s. 11, e rimane s. 6 , che ne viene d. 6 ; ed àie d. \ 7, che degle 7 gle viene è i e degle 4 gle viene aè {o vogle H }.

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3 6r

6r 1 p(er) 4 {e dire: 4 } : di C, con numeri in inchiostro rosso. 3 L o qu into ... ch an bio : titolo in rosso. 5 fare : aggiunto da C in spasso lasciato in bianco. 7 enperia[gle] : ms. enperia sen%a segno di abbreviamone. 18 Fà-ne : le lettere fa sono di C su rasura. 22 sì è : ms. seie (vedi ad es. 6v.1). 25 { o vogle H } : di C, con numeri in rosso. 6r 4 ven. : s ’intende denari di venetani: qui (in contrapposi^one a lo so ld o d egl’enperialej e poi sempre di seguito si indica col semplice nome la moneta quando si parla di denari. 21 lib. 174 e s.18 e d. l \ : in realtà i s. sono 14: ma il seguito è giusto solo se si accoglie 18. 25 h a somma di $ i e z i fa appunto §§; il risultato giusto è Ib. 14 s. 11 d. 2, ma se si accettaper buono il valorefornito a r. 21 il risultato è corretto.

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La live(r)a de la seta, ch’è on e d. 4, ed àie p(er) tutto che vuaglono gl’este(r)line a pisane lib. 435. Chojnjto vo sia che ’l ma(r)cho è-ne s. 13 et d. 4.

LO LIVERO D E L ’A BBECHO

La live(r)a degle venitiane vale a fiorine lib. 17 e s. 15, que va(r)ronno le 55 lib. e s. 11 e d. 8 de venitiane? Fa’ chusì: m(ultip)lica 55 via 17 lib. 15 s., fanno lib. 976 e s. 5; or àie a fare 9 le 11 s. 8 d. de venitiane p(er) 10 s.: pigia el £, ch’è lib. 8 e s. 17 e d. 6 , ed àie p(er) tutto lib. 985 e s. 2 e d. 6 ; or àie a fare che va­ glono gle 20 venitiane: pigia t£, ch’è lib. 1 e s. 9 e d. 7, 12 ed àie p(er) tutto che vaglono venitiane a pisane a fiori­ ne lib. 986 e s. 12 e d. 1. P(er) onne lib. che vale la lib. degle venitiane, vale el vinitiano d. 1, e p(er) onne denaio che 15 vale el vinitiano, vale la lib. de vinitiano lib. 1 a pisane; donqua vale el s. de quiste vinitiane s. 17 e d. 9 e ’l vi­ nitiano vale d. 1 17, e chusì fa’ le semeglante r(agione). 18 Famme quista ragione, lo s. degl’enpe(r)iagle vale pisane i 33, p(er) 600 lib. de pisane qua(n)te enpe(r)iagle ave(raie)? Reg(o)rè che devemo fare 12 fiade 600 lib. de pisane, che fon21 no lib. 7200, e pa(r)tire p(er) 3 33 e, p(er)ché la ragione s’entenda meglo, sì devemo rechare a sano e devemo dire p(er) quisto rocto, ch’è ter?o: « 3 fiade i 33 », che fa 100, e « tre fiade 7200 lib. », 24 che fanno 21600, e pa(r)tdre p(er) 100, che ne viene lib. 216 d’enpe(r)iagle, e cotante n’ave(r)aie de lib. 600 de pisane, ed è f(a)c(t)a. 6

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9 8r 9 tor[n]. : tort.; lo stesso alle righe 11, 12 e 15. 12 150 {lb.} : lo 0 è in nero su rasura, mentre lb. è inserito da C in interrigo. 13 S i nota un vistoso cambio di modulo rispetto alla riga precedente: la scrittura sifa da questopunto più compatta e regolare. 14 e quante : la e è scritta da C su rasura. 17 ch[u]sì : ms. chisì. 24-25 tut| to : corretto da A su -a. 25 : espunto. 29 ma(r)che 3 : cifra corretta da C su altra di A . 30 65 : il 6 è corretto da C s u l di A in rosso, eroso. 8v 3 et : con­ giuntone ridondante di C (ma imitando il ducttfè'*# A ) in nero su rasura di numero in rosso. 4 mo pilglia : leparole cassate sembrano estranee al contesto (6.1.4 diviso 4 fa appunto 1.13.4) quiforse per erroneo inserimento. 5 Cho[n]to ... d. 4 : di C in spatrio lasciato bianco a fine di riga; manca il titulus.

8r 6 le 22 lib. : cioè la differenza tra le 128 già calcolate e 150.

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Lo soldo degle bulugnine vale senese \ 17 e doie d. più a la lib. de bolognine; p(er) lOO.lib. de senese, qua(n)te bulognine ne averò? Regol’è che devemo fare quillo che viene la lib. degle bulognine a senese \ 17 el s. e a doie d. più a la lib. d(e)gle

bolognine; or devemo dire: «ad. 17 lo s., la lib. viene s. 28 d. 9r 4 », e p(er) lo me^o devemo pigiare la mità de 20 d., ch’è 10; or devemo pon(er)e gle 2 d. più e fare somma, ed ave(r)aie s. 29 e d. 4, ed avemo, p(er) s. 29 d. 4 de senese, s. 20 de bolognine: que avera’ p(er) lib. 100 de senese? Sì devemo fare 20 via 100 lib., che fa 2000 lib., a pa(r)tire p(er) ^ 29, che devemo arecha(r)e a sano e dire chusì: « 3 via ^ 29 », che fa 88 , e « tre via 2000 », che fa 6000; or avemo rechato a sano e devemo pa(r)tire p(er) 88 , che ne viene lib. 68 s. 3 d. j { l d(e) denaio, e chusì fa’ le sem(eglante) r(agion)e. Lo soldo degle ravignane vale 25 pistachie e ’l soldo degle torneseglie vale 35 pistachie ed i’ ò-ne lib. 100 de pistachie e vuoglone tante tomesegle quante ravi8v / / 20 : di C in nero su rasura di 2 rosso.

19 ave(raie) : ave con titulus ondulato. 25 lib. : le lettere li sembrano scritte da A su un 2 rosso. 9r 4 e d. 4 : la cifra è stata ripassata dallo stesso A . 9 sem(eglante) : abbreviatura insolita per mancanza di spazio a fine riga. 11 ed i’ ò-ne : di C su rasura.

Sv 11 gle 20 venitiane : cioè i 20 denari di veneziani (s. 1 d.8) da aggiungere ai 10 s. già trovati.

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21

gnane a ponto ch’io no(n) sia enga(n)n[a]to. Reg(o)l’è che devemo giogn(er)e ensieme 25 e 35, che fonno 60; or mette ensieme amedoro le monete, che fonno 24; or di’ chusì: « p(er) 60 pistachie ò-ne 24 tra ravignane e tomesegle, que ave(r)ò p(er) 100 lib. de pistachie? ». Sì m(ultip)lica 24 fiade 100, che fa 2400, e pa(r)tire p[er] 60, che ne viene lib. 40, degle quagle 40 sì devemo pa(r)tire p(er) me^o, che le 20 lib. sonno ravignane e le 20 tomesegle, e chusì fa’ tutte le semeglante ragione.

24

L o soldo degle tomesegle vale cortonese 27, lo soldo d(e)gle genovine vale cortonese 2 1 , lo s. degle me(r)goglese vale cortonese 19, lo s. degl’enpe(r)iagle vale cort.

15

18

31; p(er) 2787 lib. s. 9 e d. 5 de cortonese damme tanto de l’una moneta quanto de l’altra a ponto ch’io no(n) sia 27 engamnato. Regol’è che devemo mett(er)e ensieme tutte quiste mo­ nete, cioè 27 e 21 e 19 e 31, che fanno 98 cortonese; 30 or devemo mett(er)e ensieme le 4 monete, che fonno 48 denare; or di’ chusì: « p(er) 48 tra tomesegle e genovine e nmergoglese e ’npe(r)iagle ò-ne 98 cortonese, que 3 ave(r)ò p(er) lib. 2787 s. 9 d. 5? ». Fa’ chusì: m(ultip)lica 48 via lib. 2787 s. 9 d. 5, che fa 133798 lib. s. 12, a pa(r)tire p(er) 98, che ne viene lib. 1365 s. 5 d. 10 de denaio; e p(er)ché quiste sonno 4 6 monete, sì ne (con)viene pa(r)tire p(er) qua(r)to, che devemo pigia­ re el qua(r)to de le lib. 1365 s. 5 d. $ 10 de denaio, ch’è lib. 341 s. 6 d. 4$ 5 de denaio, e chotanto ave(r)aie de tor9 nesegle e de genovine e de me(r)goglese e d’enpe(r)iagle ed è facta. E se la volemo provare, la dieta ragione, sì devemo dire: « se 12 tomesegle vaglono cortonese 12 27, per 341 lib. s. 6 d. $ 5 de denaio qua(n)te cortonese ave(r)ò? ». Fa’ chusì: m(ultip)lica 27 via lib. 341 s. 6 d. H 5 d(e) dena­ io, che fa lib. 9215 s. 14 d. H 4 de denaio, e pa(r)tire p(er) 12, 15

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21

24 27 30

3

6

9v

che ne viene lib. 767 s. 19 d. 6 de denaio, e chotante cortonese àie de la p(r)ima moneta. O r devemo di(r)e:

« se gle 12 genovine vaglono 21 cortonese, quante cortonese ave(r)ò p(er) 341 s. 6 d. H 5 de denaio? ». Fa’ chusì: m(u)l(ri)p(li)ca 21 via lib. 341 s. 6 d. 5, che fa lib. 7167 s. 15 d. H 7, e pa(r)tire p(er) 12, che ne viene lib. 597 s. 6 d. H§ 3 de de9r 13 enga(nìn[a]to : ms. enga(n)nto. 9v 5 : il 2 è in nero, correzione di C su altra cifra in rosso. 7 45 : anche qui il 2, in nero, è frutto di correzione di C su 7 in rosso. 18-19 m(u)l(ti)p(li) | ca : ms. mlp | ca di C, abbreviato in modo insolito. 9t 15-16 che fon | no 24 : s'intende 24 d., cioè 2 soldi.

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LO LIVERO D E L ’A BBECHO

LO LIVERO D E L ’A BBECHO

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naio, e chotante cortonese àie de la s(econd)a moneta. Or d(e)vemo dire: « se 12 me(r)goglese vuaglono 19 cortonese, quante cortonese ave(r)ò p(er) 341 lib. s. 6 d. 5 de me(r)goglese? ». Fa’ chusì: m(ultìp)lica 19 fiade lib. 341 s. 6 d. 5, che fa lib. 6485 s. 2 d. li 8 de denaio, e chotante cortone­ se àie de la ter^a moneta. Or devemo dire: « 12 enperiagle vaglono 31 cortonese, p(er) lib. 341 s. 6 d. H 5 d’enpe(r)iagle qua(n)te cortonese averò? ». Fa’ chusì: m(ultip)lica 31 fiade lib. 341 s. 6 d. & 5, che fa 10581 lib. d. $ 8 de denaio, a pa(r)tire p(er) 12, che ne viene lib. 881 s. 15 {d. |§f 7} de denaio, e chotante cortonese ave(r)ò de la qua(r)ta moneta; e p(er) ved(er)e se noie avemo facto [biene], sì devemo mett(er)e ensieme tutte quiste cortonese e fa(r)ne som­ ma e se la somma reviene che dicha lib. 2787 s. 9 d. 5, sì averemo facto biene, e p(er) quisto modo fa’ le semeglante ragione de sotta: lib. 767 s. 19 d. HI 6 , lib. 597 s. 6 d. f i 3, lib. 540 s. 8 d. f i 6 , lib. 881 s. 15 d. l i 7; somma lib. 2787 s. 9 d. 5, ed è facta. Famme quista ragione, io ò-ne uno tomese gros­ so, del quale posso av(er)e cortonese 56 e ravignane 31 e pisane 46 e ’npe(r)iagle 18, ed io vuoglo de tutte q(ui)ste monete, $ioè de l’una e de l’altra corno viene ch’io no(n) sia engannato. Regol’è che noie devemo mett(er)e ensieme tutte quiste monete, cioè 56 tomese e ravignane 31 e pisane 46 e ’npe(r)iagle 18, che fonno en somma 151 e p(er) sap(er)e quanto devemo av(er)e d(e) ciascheuna, sì devemo m(ultip)licare om(n)e moneta p(er) sé, e deverno dire chusì: « 56 via 56 », {fa(n)no} 3136, e pa(r)tire p(er) 151, che ne viene s. 1 d. Hf 8 de cortonese, e quista è-ne la p(r)i(m)a mo(net)a. T[ Or devemo fare gle ravignane, e m(ultip)lica 31 via 31, che fa 961, e pa(r)tire p(er) 151, che ne viene d. 6 de ravi­ gnane; or devemo fare gle pisane e dire: « 46 via 46 », che fa 2116, e pa(r)tire p(er) 151, che ne viene s. 1 d. 2 d(e) pi.

lOr

24 Or devemo fare gl’enpe(r)iagle e devemo m(ultip)licare

9v 25 8 : segue un segno di richiamo, che rimanda ad alcuneparole scritte nel margine da C (9va. 1-3): a partire p(er) 12, che | ne viene lb. 540 | s. 8 d. f§ f 6 . lOr 2 [biene] : om. (fr. sì averemo facto biene 10r.5). 6 H f 6 : il 3 è scritto in nero da C ripassando un precedente 2 in rosso. 18 3136 : con 1 in nero su altro numero in rosso, eroso. 19 8 : tutto di C in nero su rasura di altri numeri in rosso. 19 mo(net)a : moa con titulus arcuato seguite da un punto. 20 Segno di paragrafo in rosso, ma di inchiostro di colore diverso da quello in cui sono scritti i numeri:forse è aggiunta di C. 9v 26 È stata omessa, per svista, la divisioneper 12 che dà il risultato: 570.8.6 $ . il denominatore corretto è 588.

lOr 6 d. H f 6 :

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18 via 18, che fa 324, e pa(r)tire p(er) 151, che ne viene d. 2 d’enpe(r)iagle, ed è facta. E se la volemo provare che facia 56 cortonese, sì ne devemo comensare dagl’enpe(r)iagle en quisto modo, che devemo dire: « se ’npe(r)iagle 18 vaglono cortonese 56, que ne va(r)rono gl’enperiagle y§i 2? ». Sì devemo m(ultip)licare 2 via 56, che fa y§f 120 de denaio, a pa(r)tire p(er) 18, che ne viene d. 6 , e chotante cortonese averò; semeglante devemo dire: « se pisa­ ne 46 vaglono cortonese 56, che ne va(r)ronno gle pi­ sane t£t 14 de denaio? » Sì devemo multiplicare y§y 14 via 56, che fa 784, a pa(r)tire p(er) 46, che ne viene s. 1 d. 5 de cortonese; or devemo dire: « se 31 ravignane vaglono 56 cortonese, que ne va(r)ronno gle dr. rif 6 de ravignane? » Sì devemo fare 56 via d. yif 6 , che fanno yf? 356, a pa(r)tire p(er) 31, che ne viene corto­ nese Uff 11 de denaio, e p(er) sap(er)e quanto devemo av(er)e de cortonese, sì devemo mett(er)e ensieme quiste sa­ ne e rotte, ed è facta: s. 1 d. 8 , d. 6 , s. 1 d. 5, d. 11 ; somma d. 56. Famme quista ragione, è uno che vuole chanbia(r)e uno fiorino d’oro, del quale ne può av(er)e s. 5 de tornesegle e puòne av(er)e s. 20 de ravignane e puòne av(er)e s. 30 de pisane; p(er) quisto fiorino vuoglo de tut­ te e tre quiste monete e tanto de l’una quanto de l’altra aciò ch’io no(n) sia engannato. [R]eg(o)Pè che noie devemo sap(er)e en que nu(mer)o se truovano quiste monete, che se truovano en 60; or di’ chusì, che p(er) s. 60 che vale el fiorino, sì n’ave(r)aie fiori(n)e 12 a 5 s. de tornesegle uno, e p(er) s. 20 de ravignane sì n’averaie fiorine 3-, e p(er) s. 30 de pisane sì n’ave(r)aie 2 ; e p(er) quiste tre monete sì avemo fiorine d’oro 17 e io ne vuoglo pu(r) uno. Fa’ chusì: m(ultip)lica 1 fiada 60, che fa s. 60, e pa(r)tire p(er) 17, che ne viene s. 3 d. yf 6 de de­ naio, e chotanto ave(r)aie de ciascheuna moneta,

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e p(er) quisto m odo se fonno tutte le semeglante r(agione).

E se la vuolemo prova(r)e, sì devemo rechare gle s. d. yf 6 de ravignane a tornesegle, p(er){9iò che} 1 tomesello vale 4 ravignane; or di’ chusì: « se 1 tomesello vale 4 ravig(nan)e, que ne va(r)ronno {gle} s. 3 d. y4 6 de ravignane? ». Sì multiplica una fiada s. 3 d. if 6 , e pa(r)tire p(er) qua(r)to, che ne viene denare {7 10 de tornesegle; or devemo dire: « se 1 tome­ sello vale pisane 6 , que ne va(r)ronno gle $. 3 d. yf 6 de pisane? ». Sì m(ultip)lica 1 fiada s . 3 d . y f 6 e pa(r)tire p(er) 6 , che ne viene d. y} 7 de tornesegle. Or mette tutte quiste d. ensieme, cioè d. 10 e d. y^ 7 e s. 3 d. yf 6 , che fa a ponto s. 5 chomo vuole essere, e p(er) quisto modo puoie prova(r)e le semeglante ragione e arechare a qualuncheuna de le monete te piacesse, ed è facta. Famme quista ragione, uno chanbiatore (con)parò 15 ravignane p(er) 12 tornesegle e revendéio la mitade i 15 p(er) 12 tornesegle, e revendéio l’altra mitade a 1 14, e p(er) 12 tornesegle sì guadagnano uno tomesello, né più né meno; adomandote quante lib. de tomesegle envistìo e • ravignane e qua(n)te fuoro gle ravi­ gnane ch’egle awe p(er) gle tornesegle che egle envistìo. Quista è-ne la diretta reg(o)la da sap(er)e q u a n ­ te tornesegle envistìo en ravignane, che noie deve­ mo dire enprima: « p(er) s. 8 de tornesegle teneremo s. 10 de ravignane », gle quagle devemo pa(r)tire p(er) è, e l’una mitade devemo chanbiare a i 15 p(er) 12, e l’altra mità devemo chanbiare a J 14 p(er) 12, che de l’una mità devemo dare 61 ravignano p(er) 48 tornesegle, e de l’altra mità devemo dare 59 ravignane p(er) 48 tornesegle; donqua l’una mitad’è tornesegle èi 47 e de l’altra mità sirà tornesegle fi 48 de tomesello, sì che pa(re)

llr

3

3

lOv

lOv 1 Sopra questa riga si trova il numero d’ordine delfascicolo di cui questa è l’ultima pagina: un 1 rosso inquadrato da quattro trattini perpendicolari a penna nera (la parte alta di quello superiore è asportata dalla rifilatura della carta). 21 [R]eg(o)l’è : ms. Fegole per errore del miniatore che ha probabilmente ripetuto l’inifiale delparagrafo precedente. 28 3 : in nero, di C. lOv 2 t s f 6 : il risultato corretto è 6 j§ f. 6 784 : il risultato corretto è 17 j§f. 11 11 : il risultato corretto è 11 jff. 12-13 L a somma indicata è corretta se i valori si correggono come detto sopra.

6

9

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lOv 30 Sotto questa riga, a piè pagina, al centro di quattro tratti ondulati disposti ortogonalmente, si trova il catchword: e se la vo. ll r 1 Sopra la riga, al centro, si trova il numero difascicolo (2); nell’an­ golo superiore destro la lettera d’ordine delfascicolo (b). 1 < a sa> : lettere cassate ed espunte, cui segue un'ostina sen%a apice; probabilmente A stava per scrivere a sano. 2 3 : numero parfialmente coperto dalla inifiale decorata. 4 ravig(nan)e : ravig con e soprascritta. 4 3 : di C in nero su rasura. 5 qua(r)to : tra -t- ed -o- C ha inserito in ìnterrigo una r. 26-27 deve | mo : deve | verno. 30 pa(re) : inifiale con asta tagliata e un titulus ondulato su a. A piè di pagina si vede un 15 in nero, eroso, diforma più tarda rispetto alla mano principale. llr 14 A lg 1órpropone unaformulafione simile (ma con valuta di cortonesi episani) con un diverso cal­ colo. 17 guadagnano : nelproblema non si usa la terreaplurale, e la vicinanza alla ter%apersona revendeio rende improbabile un cambio di persona: può essersi verificata l’omissione di una ostina da -amo o un accordo erroneo con tornesegle. A lg usa la ter%a guadagnai.

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che avemo guadagnato in s. 8 de tomesegle $$ d’uno tornesello; donqua pa(r)e che noie agiamo g(u)adagnato en uno tornesello 55^5 d’uno tornesello, donqua en 3599 tornesegle envestite en ravignane, rechanbiandogle sì cho’ noie avemo dicto, sì guadagneremo uno tomese, cioè-ne: en lib. 15 me­ no uno denaio de tornesegle sì guadagna[m]o uno tornesello, e p(er) quisto chotale modo sì devemo fare quiste chotale ragione, che tuttavia deve­ mo sap(er)e enprima que pa(r)te d’uno tornese vale uno ravignano e chiascheuno chanbio che noie vuolessemo dire. Regole de pesce. Famme quista ragione, uno pesce, o vuogle uno tornese, ma diciamo che ’l pesce chostò d. 18 e deiese fare lo pagam(en)to de 3 mon(ete): l’una mon(eta) è-ne venitiane e l’altra è-ne ravignane e la t(er)£a è-ne pisane; {e} gle 5 ravignane vaglono 7 pisane, gle 7 pisane vaglono 9 venitiane e d’esse d. {vole} tan­ to de l’una moneta qua(n)to de l’altra; adomandote quanto devemo dare sì che vagla a ponto 18 vin. Quista è-ne la diretta reg(o)la chomo se degono fa(r)e quiste chotale ragione, che noie devemo ved(er)e que vale uno ravignano a venitiano, che vale vinitiane 5 1, e devemo ved(er)e que vale uno pisano a vinitiano, che vale venitiano $ 1 ; e uno vinitiano vale pu(r) uno vinitiano. Mo devemo noie trova(r)e uno nu(mer)o là uve se truovano gle rotte che noie avemo ditte, cioè £ che se truova en 35; donqua devemo noie fare de ravignane {£ 1} trentaecinqueeseme, che sonno 49 e de pisano $ 1 devemo fare 3$, che sonno 45, e de uno vinitiano devemo fare 3§, che sonno §f. Mo devemo noie agiogn(er)e tute qui­ ste pa(r)te ensieme, che fanno 129; mo devemo di­ re chusì: « se 129 fosse 18, que sirà 35? ». Tuttavia q(ui)llo nome che fosse pagata la cosa, 9Ìoè vinitiane,

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6 12r

l lv 7 guadagna[m]o : ms. guadagnano. 12 vuolessemo : la seconda -e- è formata solo da un'ostina verticale e un tratto orizzontale, simile ad t. 12 Regole de pesce : titolo in rosso. 18 {vole} : in interrigo. 30 {§ 1} : di C in inchiostro nero in marine con segno di richiamo dopo ravignane. 12r 5-7 Manca il verbo della frase principale: probabilmente si deve supporre la caduta di muldplica per dopo tuttavia.

9

12

che devemo m(ultip)licare 18 via 35: fanno 630, a pa(r)ti(r)e p(er) 129, che ne viene d. { 2! 4 de den., e chotanto devemo to(r)re de ciascheuna mon(eta) a deritto ed a ponto. E chili la vuolse provua(r)e, sì devemo dire chusì: « se 5 ravignane vaglono 7 vinitiane, que va(r)ronno gle ravignane $ $ 4? ». Che ve(r)rà-ne d. I 29 6 de vini­ tiane; or devemo dire: « se 7 pisane vaglono 9 vini­ tiane, que va(r)rà pisane 129 4? ». Di’ che va(r)rà d. 6 de vinitiano. Anchorà devemo dire: « vinitiane $ $ 4 de vinitiano vaglono pu(r) vinitiane 4 de vini­ tiano ». Mo devemo noie agiogn(er)e ensieme d. {§§ 6 e d. 129 6 e d. lèi 4 de denaio: tutte montano d. 18 de vinitiane a ponto, e p(er) quisto modo se degono fare tutte l’altre ragione de quista manera. Uno pesce chostò s. 12; choluie che lo comparò-ne sì lo pa(r)tìo en 2 pa(r)te none uguale e vendéo tante d. la lib. de l’uno pe9o qua(n)te libre pesava lo pe9o e chusì fé de d’amedoe gle pe9e e le pa(r)te sì che n’a(v)ve s. 12 de tutto lo pesce; adomando qua(n)to pesava ciascheuno pe90 e p(er) quale modo lo podemo {i(n)}ve(n)ire a po(n)to. TJ Quista è-ne la sua reg(o)la chomo noie lo po­ demo sap(er)e, che noie devemo trovare uno nu(mer)o lo quale sia m(ultip)licato p(er) doie racLupe; l’uno nu(mer)o volemo che sia 3 e l’altro 4 e m(ultip)lica(n)do 3 via 3, che fa(n)o 9, a m(ultip)licando 4 via 4, che fa 16, e devemo agiogn(er)e la m(ultip)licatione de amedoro gle nov(er)e, 9Ìoè 9 e 16: fanno 25, e la radice de 25 sì è 5. Mo sì devemo tornare a la radice del chosto del peso, 9Ìoè {s.} 12 , lo quale 12 sì devemo m(ultip)licare cho • la radicie de 9, cioè cu(m) 3; donqua a m(ultip)licando 3 via 12 fanno 36, lo quale 36 se degono pa(r)tire co • Ila radice {de} 9 e de 16, 9Ìoè 5, che ne viene i 7, e chotante lib. pesava l’uno pe9o; e se noie volessemo sap(er)e qua(n)to pesava l’altro pe90 , sì devemo m(ultip)licare la radice del chosto del peso cho * Ila radice de 16; donqua devemo m(ultip)Hcare 4 via 12: fanno 48, lo quale 48 sì devemo pa(r)tire p(er) 5, che ne viene f 9, e chotantfe] lib. pesava l’altro peso, e chotante d. se vendéo la livera.

12v

I 2 t 8 \& : il 9 è ricorretto da C, in nero, a partire da una primitiva scrizione 0. 18 < d e > : espunto. 27 Segno di paragrafo in nero di C. 12v 7 16 : con 1 in rosso ripassato e 6 in nero, su rasuraforse di 0. 12 chotantje] : ms. chotanto. 13 peso : corretto da A su pe$o. 13 Nello spazio lasciato Ubero nella riga C ha agguato (12va): e no • se può fa(r)e si quillo che chosta no(n) | n’à radifie. 12r 8

:frazione impropria, per $§. 1 2 $ $ 6 : cioè 6 $ . 14

6 : cioè 6 i§.

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E se la volemo provare, sì la devemo m(ultìp)licare £ 7 via 15 1 7, che fa H 51 d(e) denaio; anchora f 9 via f 9, che fa(n)no 25 92 de denaio, e agiogne ensieme e fanno 144 d. che sonno s. 12 , e quista è-ne m(o)lto suttilissima r(agione). 18 Famme quista ragione, uno vilano avea * * * pesde de tre maneriie, del quale valea la libr. del p(r)imo d. 47, de l’altro valea la lib. d. 58, de l’altro valea la lib. d. 75, 21 e non sapemo qua(n)to pesava ciascheuno pesce p(er) sé, l’uno da l’altro; à-ne trovato uno pesciaiuolo che gli à dato capo pieie d. 68 de la lib.; adomando te qua(n)24 to pesava l’uno pesce e l’altro, e quante d. n’a(v)ve del pescie. Quista è la deritta reg(o)la chomo noie la podemo fa(r)e e sap(er)e quanto pesa quillo che vale la lib. d. 47 e q(ui)llo 27 da 58 dena(r)e la libra e quillo da 75 la libra e qua(n)to pe­ sava tutte e tre pescie, che noie lo podemo sap(er)e p(er) lo modo de l’alega(r)e de le monete, che noie d(e)vemo 30 dire quant’à da 47 fine en 68 , che nei à 21, e qua(n)t’à da {75} enfine 68 : à-ne 7; lo quale 21 e 7 se può-ne iscesare l’uno p(er) l’altro, ^ioè p(er) che ciascheuno à-ne ^ e lo ^ de 3 21 è-ne 3 e lo ^ de 7 è-ne 1; lo quale 1 devemo dire che sia da d. 47 l[a] libra, e lo 3 devemo dire che sia da 75 la libra. Anchora devemo dire quant’à-ne da 58 enfi6 n’a 68 , che n$i à 10, e quant’à da 75 enfine en 68 : àn^e 7, e chusì devemo torre anchora 10 libre de quillo da 75, e 3 n’avevamo, echo 13 libre e 1 libra da 47 e 9 7 libre da 58 d., e chusì pare che pese tutt’e 3 {egl} pesce libre 21. Donqua pesava libre 13 quillo da d. 75 la li­ bra e 7 quillo da 58 e 1 quillo da 47, e p(er) quisto cho12 tale modo se può fare ciò che te fosse adoma(n)dato e(n) quisto chotale modo de più e de meno o d’altro chosto o d’altro peso, e ’l pesce viene tutto lb. 5 s. 19. 15 Lo sexto capi(to)lo de regole de baracta de monete e den(ar)i. Lo soldo degle tomesegle vale 23 ravignane e ’l s. degle ravignane vale 32 cortonese ed i’ ò 100 18 lib. de cortonese e vuoglone tornesegle: quante n’ave(r)ò io a quista ragione? Reg(o)Pè che ne devemo com(en)9are da la pa(r)te d(e) rieto e devemo dire chusì: « 12 21 ravignane vaglono 32 cortonese, que ne va(r)rà le

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12v 15 & : numero ottenuto da §£ erodendo il trattino inferiore di 3. 18 Spando eroso e lasciato in bianco. 21 pesce : si vede un puntino marcato sopra -c-. 23 gli à : ms. ghia, con un'asta espunta. 30 che nei è : con le lettere -ci- sono ricorrette su -n-. 30 quant’à : corretto da -o. 13r 4 l[a] : ms. li. 9 libre : corretto da -a. 15 Titolo in rosso. 15 den(ar)i : ms. deni con trattino verticale ondulato. Le ultimeparole sonoforse state scritte in secondo momento o con un altro inchiostro.

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100 lib. de cortonese? ». Fa’ chusì: m(ultip)lica 12 via 100 lib., che fa 1200 lib., e pa(r)tire p(er) 32, che ne viene lib. 37, s. 10 de ravignane. Or devemo dire: « se ’l s. degle tor­ nesegle vale 23 ravignane, que ne va(r)rà le lib. 37 s. 10 de ravignane? ». Sì devemo m(ultip)lica(r)e 12 fìade 37 lib. s. 10, che fa lib. 450, a pa(r)tdre p(er) 23, che ne viene lib. 19 s. 11 d. 3, e chotante lib. de tornesegle averaie a quista ragione p(er) 100 lib. de cortonese, ed è facta. f E se ne fosse dicto que ne va(r)rà el s. degle tornesegle a quista ragione, cioè che 12 tornesegle 13v valsero 23 ravignane e gle 12 ravignane valse(r)o 23 cortonese, que ne va(r)ronno gle 23 ravignane? Sì m(ultìp)lica 23 Bade 32, che fa 736, e pa(r)tire p(er) 12, che ne viene s. 5 d. 1 1, e chotante c[o](r)tonese te viene lo s. degle tomesegle, e chusì fa’ le semeglante ragione. [L]o soldo degle genovine vale 19 enpe(r)iale, el s. degl’enpe(r)iagle vale 25 bulognine, el s. degle bulog(n)ine vale 15 pisane e ’l s. degle pisane vale 13 co(r)tonese; p(er) 85 lib. de cortonese qua(n)te genovine averò a quista ragione? Reg(o)l’è che noie devemo fare chusì, enchomen^arne da la moneta de (r)ieto, che devemo dire: « se 12 pi­ sane vuaglono 13 cortonese, que ne va(r)ronno gle 85 lib. de cortonese? ». Sì m(ultip)lica 12 Bade 85, {fanno} lib. 1020, e par­ tire p(er) 13, che ne viene lib. 78 s. 9 d. 2 de pisane. Or devemo dire: « se 12 bolognine vaglono 15 pisane, que ne va(r)ronno gle 78 lib. s. 9 d. H 2 de pisane? ». Sì devemo fare 12 Bade 78 lib. s. 9 d. 2 de pisane, che fa 941 s. 10 d. i l 9, e pa(r)tire p(er) 15, che ne viene lib. 62 s.*15 d. t§ 4; or devemo dire: « se ’l s. degl’enpe(r)iagle vale 25 bulognine, que ne va(r)rà le lib. 62 s. 15 d. 4 de bulognine? ». Sì devemo fare 12 Bade lib. 62 s. 15 d. if 4, che fa lib. 753 s. 4 d. if 7, a pa(r)tire p(er) 25, che ne viene lib. 30 s. 2 d. 7 d’enpe(r)iagle. Or de­ vemo dire: « se s. [1] degle genovine vale 19 enperiagle, p(er) lib. 30 s. 2 d. 7 quante genovine ave-

13r 30 Segno dì paragrafo di C; la e che segue è minuscola. 13v 4 736 : subito dopo le cifre, in interrigo, si vedono due lettere o cifre non leggibili di C. 5 c[o](r)tonese : ms. ca(r)tonese. 9 15 : il 5 è in nero, forse su rasura di un numero in rosso. 15 {fanno} : di C in margine con seggio di inserimento posto erroneamente dopo lib. (13va). 13v 1 tomesegle : erroreper cortonese, come si desume dal confronto con 13v.5. 2 valse(r)o 23 : erroreper 32.

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rò? » Si devemo fare 12 fìade lib. 30 s. 2 d. ^ 7, che fa lib. 361 s. $ 11, e pa(r)tire p(er) 19, che ne viene lib. 19 d. 6 de genovine, e p(er) quisto modo fa’ le semegla(n)te r(agione). E1 soldo degle me(r)goglese vale tomesegle \ 21, el s. degle tomesegle vale genovine 3 19 e ’l s. d(e)gle genovine vale enpe(r)iagle \ 16; per lib. 26 s. 17 d. 5 de me(r)goglese qua(n)te enperiagle averò? Regol’è che noie devemo fare chusì, che se 12 me(r)goglese vaglono tomesegle i 21 , que ne va(r)rà le 26 lib. s. 17 d. 5 de me(r)goglese? Sì devemo fare \ 21 via lib. 26 s. 17 d. 5, che fa lib. 577 s. 14 d. i 5, e pa(r)tire p(er) 12, che ne viene lib. 48 s. 2 d. $ 10 de tomesegle. Or deve­ mo dire: « se ’l soldo degle tomesegle vale genovi­ ne ^ 19, que ne va(r)ra{no le} lib. 48 s. 2 dr. M 10 de tomesegle? ». Sì m(ultìp)lica ^ 19 via lib. 48 s. 2 dr. èi 10, che fa lib. 930 s. 15 d. si 6 , e pa(r)tire p(er) 12, che ne viene lib. 77 s. 11 d. 432 3, e chotante genovine ave(r)ò. Or devemo dire: « se s. [1] degle genovine vale enpe(r)iagle i 16, que ne va(r)rà le lib. 77 s. 11 d.$& 3 de genovine? ». Sì devemo m(ultip)licare i 16 via lib. 77 s. 11 d. 3, che fa lib. 1253 s. 2 d. 3, e pa(r)tire p(er) 12, che ne viene lib. 104 s. 8 d. 3$% 6 . El soldo degle enpe(r)iagle vale pisane è 31, el centonaio del pepe vale lib. 11 e s. 11 ed avemo lib. 57 s. 5, o vuogle lib. \ 57, d’enpe(r)iagle, del quale voglo pepe; adomandote qua(n)to ave(r)ò de quillo pepe p(er) lib. \ 57 d’enpe(r)iagle. Essc(r)ive la quistio(n)e s(econd)o qui la mostramo: enp(er)^iò che ’l p(re)$o del pepe, 9Ìoè lib. èè 11, è de gene(r)atio(n)e de lib., e lib. i 57, degle quagle vo­ lano conparare pepe, sonno d’essa gen(er)at(i)o(n)e, uporto è che ’l nu(mer)o che qui sonno d(e) sopre * * * da la lina, 9Ìoè 12 e \ 31, faciamo semeglantem(en)te lib., unde da sap(er)e è-ne che, da puoie che ’l soldo vale pisane \ 31, che le lib. 12 degl’enpe(r)iagle vaglo­ no lib. è 31 de pisane; e po(r)raie lib. i 57 d’enpe(r)ia-

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: erroreper %$§£.

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13v 29-30 d. 6 | : di Cforse su rasura. 14r / i 21 : di C in nero, parfialmentefuori dello specchio di scrittura (malgrado la prima mano avesse lasciato ampio spazio bianco tra vale e tomesegle). 3 17 : la cifra 1 è stata scritta da C innero. 11 il 2 è di C in nero su 1 in rosso. 12 15 d. 35 6 : tutte queste cifre sono di C in nero. 13 3: tutte queste cifre sono di C in nero. 14 s. [1] \si integra sulla base di 14r.3. 17 3 : tutte cifre di C in nero, scritteforse su rasura. 17 1253 s. 2 d. t^ I 3 : in nero di C, forse su rasura. 18 104 s. 8 d. 6 : d iC in nero. 30 Sotto l’ultima riga, nel margine inferiore della carta, si trova lafig. 14ra. 14r 18

gle sotto lib. 12 d’enpe(r)iagle e le lib. degle pisane sotto le lib. degle pisane, $ioè ^ 1 1 sotto è 31; da puoie che chusì avemo facto, sì m(ultip)licare 4 57 p(er) i 31, che fanno § 1803, egle quagle sonno a trav(er)so; egl quagle § 1803 sì m(ultip)licheraie p(er) 100, che fa-ne 180237 è, e quista somma pa(r)te(r)aie p(er) gl’altre doie nu(mer)e, p(er) 12 e p(er) 11 : ave(r)aiene libre de pepe ^ 1303, cioè centonaia 13 e libre 1 e onc. 1, e p(er) quisto modo fa’ le semeglante ragione. Famme quista ragione, 17 ravignane vaglono 31 vinitiano e 12 tomese vaglono 58 vinitiane; p(er) 43 {lb.} s. 7 d. 9 de ravignane quante lib. de tomese averò? Recordete che noie devemo m(ultip)licare la quantità de­ gle ravignane co- Ilo val(or)e degle tornese, 9Ìoè 17 via 58 vinitiane, che fa 986, gle quagle si deggono scriv[e]re a pè degle ravignane e sironno ravignane; anchora devemo m(ultip)licare 12 tomesegle cho- Ilo valere de 17 ravignane, 9Ìoè 12 via 31 vinitiano, che fa 372, gle quagle sonno tornese; gle quagle se degono sc(r)iv(er)e a pieie degle tomese, gle quagle vaglono altretanto vinitiane, a tomese 12 p(er) 58 vi­ nitiane, quanto vale 986 ravignane a ravignane 17 p(er) vinitiane 31; donqua, puoie ke noie avemo chusì facto, sì devemo dire: « se 986 vaglono 372 tomese, p(er) lib. 43 s. 7 d. 9 de ravignane qua(n)te tor­ nese ave(r)ò? ». Sì devemo m(ultip)licare 372 via lib. 43 s. 7 d. 9, che fa lib. 16140 s. 3 d. 0, gle quagle pa(r)te p(er) 986, che ne viene lib. 16 s. 7 d. $§f 4 de tomese. Bra9Ìa 20 de panno vaglono lib. 3 de pisane e libr. 42 de banbagio vaglono lib. 5 d’esse pisane: p(er) bracia 50 de panno qua(n)te libre de banbagio av(er)emo? Quista è-ne la sua reg(o)la, che noie devemo pon(er)e br. 20 po’ ’l quale pone lib. 3, cioè el suo p(re)90 , sotto el quale po-

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14v 4 57 : con 5 ripassato in rosso. 4 1803 : qui, come anche nella occorrenza di 1803 alla riga seguen­ te, l ’ultima cifra, originariamente un 2, è stata modificata in 3 mediante l’aggiunta, di C in nero, di un trattino nella parte inferiore. 7 p(er) 12 e p(er) sè 11 '.le lettere sono in nero, i numeri in rosso, su due rasure; si distinguono a sinistra della prima rasura l’ansa di una c e una cediglia, in basso un’asta discendente; in interrigo e nel margine si trova l ’annotazione di C: cioè-ne p(er) 1 138 (14ve. 1). 8 $ 1303 : di C in nero. 8 libre 1 : in rosso su rasura di altro numero. 9 \ j \ : di C in nero. 17 scri­ v e r e : la lezioneprimitiva era /uire, cioè s(er)vire, poi corretta da C aggiungendo unapiccola t sopra -u- e aggiungendovi un trattino cosi daformare c(r)iu. 28 Alcune parole sono aggiunte da altra mano di seguito, nello spazio lasciato bianco sulla riga e nel margine interno (14vb.1-3): L ’altro mo(do) èIlo chapitolo de le | reghole de 11 chanbio. 30 Sotto questa riga, leggermente spostata verso l’in­ terno, si trova la figura 14va.

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ne lib. 5, po ’l quale pone libre 42 e puoie po(r)raie lib(re) 50 sotto egl brada 20, e m(ultip)lica 50 p(er) 3 e sironno 150, 6 egle quagle m(ultip)lica p(er) 42 e sironno 6300; e (con)ciosia[cosa]ché stia a trav(er)so d’esse tre-ne, e[n] quisto che viene pa(r)te(r)aie l’a(r)mane(n)te degle num(er)e, $ioè p(er) 5 e p(er) 20, £Ìoè p(er) 100; 9 onde pa(r)te 6300 p(er) 100: viene libre 63 de banbagio averemo p(er) bracia 50 de panno, e p(er) quisto modo me fa’ le semeglante ragione. De baracte. 12 Se eie fosse d(i)c(t)o che libre 7 de pev(er)e vaglono lib. 4 de v(ero)nese, e libre 9 de ^affarano vaglono lib. 11 de v(ero)nese, e noie avemo libre 23 de pev(er)e e voglone ^affarano, 15 adoma(n)dote qua(n)to ne devemo av(er)e a ponto. Quista è la sua diritta reg(o)la, che noie devemo m(ultìp)licare el p(re)?o de pev(er)e e del zaffarano p(er) la quantità de pev(er)e che tu 18 àie, 9Ìoè che devemo m(ultip)licare 4 via libre 23, che fa libre 92, el quale 92 devemo m(ultip)licare p(er) 9, che fa 828, egl quagle 828 pa(r)te p(er) gle num(er)e che sonno rema21 ste, cioè p(er) 7 e p(er) 11, doè p(er) 77, che ne viene libre 10 di libra, 89, sopre egl quagle agiogne la piscione del primo 9 anno, 9Ìoè lib. 30, e m(ultip)lica la so(m)ma p(er) 5 e pa(r)te p(er) 6 , che ne viene lib. \ \ %il }1 99, 9Ìoè lib. 99 e dena(r)e là I? fi9 7, e chotanto prestò sopre la d(i)c(t)a cha12 sa. Altre la truova en altro modo, 9Ìoè le trovate lib. fèf 24: retoma quista quistione a la re­ gola degle viagia, 9Ìoè che de 5 facea 6 en cias15 chuno anno e spe(n)dea lib. 30, 9Ìoè che dava p(er) pisci­ one lib. 30, e ’n chapo degle 5 viagye, 9Ìoè degl 5 agne, sì remasero a luie lib. fàf 24, egl quagle 18 deie esc(r)iv(er)e p(er) ordene chusì: § \ i £ £; e puoie ope(r)aie s(econd)o de sopre avemo ditto e troveraie semeglantem(en)te lib. H il 11 99 cho’ vuole ess(er)e. 21 E se ne fosse ditto che egle prestò sopre essa chasa

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40v 27 24 : numero riscritto di A su rasura. 30 A piè pagina si trova il catchword: del quarto. 30 la piscione : sì integra sulla base di Fib. adde 30, scilicet pensione quarti anni. 41r 1 1n alto al centro il numero difascicolo: 5. N ell’angolo in alto a destra si trova la segnatura delfascicolo e. 40v 18-19 se ... di 70 : Fib. contigit illis diebus 70. 20 e puoie quanto sagle : Fib. deinde vide quantum ascendat. 21 e *ll*a(n)no ... sagle : Fib. in anno quidem ascendit. 22 donque ... anno : Fib. ergo in 5 libris lucratur 1 per annum; si integra 1 dopo guadagnano. 41r 1 t87 75 : Fib., erroneamente, { 5$ 45. 10-11 Risultato corretto Ib. 99 s. 10 d. 7 12-13 le trovate I lib. f # 24 : Fib. 272 repertis libris yf~Ìf 24 (l’errore nel numerofrazionario si ripete a r. 17).

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semeglantem(en)te lib. 3 £ £ n 17 99 e tenne p(er) quiste d. la chasa agne 5 e dì 70 e remasergle lib. 20, adoma(n)dote la piscione p(er)ché no • la saie. Fa’ chusì, sa^ie qua(n)to è el chapetale, cho • lo quale, facen­ do mo el ditto guadagno e(n)n anno e(n)n anno de qui ad agne 5 e dì 70, ed aremas(er)ne lib. 20, s(econd)o cho’ avemo preposto en fine del ditto termene. Chusì è da ved(er)e: enp(er) ch’e • quigle 70 dì de 180 faciea 187, pone chusì e dena(n)te egl pone p(er) 5 angne 5 fiade § en quisto modo: £ £ £ £ £ 119, e m(ultìp)lica tutte egl 5 de sopre da le verge l’uno p(er) l’altro e sironno 3125, egl quagle m(ultip)lica p(er) 180 lib. e sironno 562500, egl quagle pa(r)te p(er) tutte egl num(er)e de sotto da le v(er)ge, £Ìoè 6 p(er) tutte egl 6 , che fanno 7776, egl quagle m(ultip)lica p(er) 187 e sironno 1454112, che ne viene }££££}%7 e chotanto sirà q(ui)lla qua(n)tità; la quale traie de lib. £ £ £ 1} B 99: rema(r)rà lib. £ £ i f {7 91 ed echo quilla quanti­ tà cho • Ila quale usura pagò la piscione, e cotanto enfine gle remasero. E se la volemo provare, pone che la piscione sia lib. 36 e op(er)aie s(econd)o facie(m)mo de sopre. Anchora se la piscione è-ne lib. 30 e uno prestò sopre essa chasa ad essa medesma usura tan­ to che tenne la chasa agne 5 e dì 70, ed enfine degle suoie gle remase el chapetale; enp(er)9Ìò che de ciaschuno 5 che egle avea co • Ilo suuo chapetale fiÌ9Ìe 6 p(er) ciascuno anno, donq(ua) em 5 guadagnava 1; donqua em 5 fiade 30, 9Ìoè en 150, sì guadagnava 30, 9Ìoè la pisci­ one: e chotanto a(v)ve egle. Ma se ’l guadagno esvariasse en a(n)no e(n)n a(n)no, sì faremo p(er) alt(r)a

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reg(o)la, gioè ch’emp(r)imam(en)te face(m)mo de dì 70, e • gl quagle de 180 faciea 187; pone 1Ì 7 e dena(n)te da essa po(n)e p(er) ordene £, 9Ìoè 5 fia­ de s(econd)o de sopre dice(m)mo, e puoie m(ultip)lice(r)aie tut­ te egl num(er)e de sopre da le v(er)ge l’uno p(er) l’altro e la somma che farà sì traraie de la m(ultip)licatione de tutte egl num(er)e che sonno de soto da le v(er)ge; e quillo che remane pa(r)te p(er) la m(ultip)licatio(n)e de £ £ B 91 e • 1num(er)o el quale ne viene de la m(ultip)licatio(n)e de tutte egl num(er)e ke stonno de sotto da le v(er)ge en sé medessme, ed averaie semeglantem(en)te lib. 150. Anchora se ’l chapetale è-ne lib. 150 s(econd)o cho’ ave­ mo ditto de sopre, e doma(n)dasse la qua(n)tità de la piscione, con9Ìosiachosaché suuo chapetale en fine degl ditte a(n)gne proponesse d’arman(er)e e sempre £ del suo chapetale esso guadagnasse, tolle el £ de 150, ch’è 30, ed àie l’adoma(n)data piscione. E se ne fosse ditto che ’l guadagno sia dessa medessa piscione e ’n fine degl 5 agne e dì 70 egl remanessero lib. 36 oltra el suo chapeta­ le s(econd)o cho’ propone(m)mo, enp(r)imam(en)te da sap(er)e è-ne che noie devemo trovare le lib. 150 cho • Ile quale guadagnava la piscione; egl quagle trovate, veie el quale chapetale 36 guadagnare pò-ne: esc(r)ive(r)aie p(er) ordene £§?£££££ e m(ultip)liceraie tutte egl num(er)e che so(n)no de sopre da le v(er)ge l’uno p(er) l’altro e sironno 562500, degle quagle traie la m(ultip)licatio(n)e de tutte egl num(er)e che sonno de sotta a le v(er)ge, 9Ìoè de 1454112: remane 891612, p(er) gle quagle pa(r)te la m(ultip)licatio(n)e de 562500 en 36, che deie so p e r ­ chiare sopre el suo chapetale; che ne viene

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42r

41v 4 In marine, in corrispondenza di questa riga, con segno di richiamo dopo 562500, si trova l ’aggiunta: egl qualgle m(ultip)lica p(er) lib. | 20 e siro(n)no 112500. 20 fii^ie : ii senza apici. 20 em : con -m verticale che si allunga sotto la riga e titulus superfluo.

42r 11-12 guadagnas | se : la prima -s- in alto sul rigoper mancanza di spazio.

41r 24 adoma(n)dote ... saie : Fib. et quota sit pensio ignoraveris. 26-28 e(n)n’anno ... ter­ mene : Fib. de anno in annum, in fine dictorum proveniat in libris 20, que remanere proponuntur in fine dicti terminis. 29 C husì... ved(er)e : Fib. quod sic est videndum. 41v 4 S i omette la moltiplicazioneper 20. 9 1 £ £ 1 } H 99 : Fib., erroneamente, i £ £ 11 B 99. 10-12 ed echo ... remasero : Fib. et hec est illa quantitas, cum qua, et cum eius usuris persolvitur pensio, et nichil inde in fine remansit 19 co ‘ Ilo suuo : Fib. in suo. 23 a(v)ve : Fib. habuit

42r 3 e • 1 : Fib. in. 7 S i omette di dire che lucrum è ut supra. 9-10 con9Ìosiachosaché ... arman(er)e : Fib. Cum itaque suum capitale ei in fine dictorum annorum proponatur remanere. 14-15 che ’l ... piscione : Fib. 273 lucrum sit idem, et pensio sit eadem. 17 s(econd)o ... enp(r)imam(en)te : avverbio inserito dal volgarizzatore: Fib. ei remansisse proponimus. 17-18 da ... trovare : Fib. inveniende sunt 20 el quale chapetale 36 : Fib. ex quo capitali libras 36. 24 degle ... m(ultip)licatio(n)e : Fib. que extrahe de mulriplicatione. 26 p(er) ... pa(r)te : Fib. in quorum regula divide. 27-28 deie ... chapetale : Fib. debent superare super suum capitale.

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LO LIVERO D EL’ABBECHO

lib. 172, egl quagle agiogne com 150 e sironno lib. 172 e chotanto awe egle. Ma se ne fosse ditto che ’l chapetale suuo sia lib. 172 e ’l guadagno sia desso medesmo 3 ed en fine guadagnasse lib. 36 e no(n) saie q u a n ­ to sia la piscione, retorna s(econd)o dice(m)mo de sopre, $ioè $ $ $ 22 , co- lgle quagle guada(n)gna em 6 quigle 5 angn’e dì 70 quille lib. 36, p(er)ché e(n) fine d’esso propone(m)mo oltra el suuo cap(eta)le remanesse; el quale traraie de 172: 9 remane 150, degl quagle torraie la qua(n)tità pa(r)te, ch’è lib. 30, p(er) l’adoma(n)data piscione. El ter^o decimo capi(to)lo de reg(o)le che s’ap(er)tengo11bis no a quille de la usu(r)a. 12 Famme quista ragio(n)e, uno huomo sì dà ad un altro lb. 80 e a chuluie che sonno date quiste d. sì n’à de suoie lib. 15 20 e va-ne a guadagnare; e a(r)viene [a] chuluie che gl’à mise le 80 lib. e dice: « Io ò tolto el gua­ dagno che fiero le mie 20 lib., e tolto puoie el 18 quinto del guadagno de le tuoie 80 lib. p(er) mia fatiga, e trovome lib. 7 »; adoma(n)dote q u a n ­ to guadagnaro quiste lib. [80]. Regol’è che 21 noie devemo fare chusì, che devemo pigiare el quinto de lib. 80, ch’è lib. 16, e giogn(er)e sop(r)a a lib. 20 e faronno lib. 36. Or di’ chusì, che le 36 24 lib. me guadagnano lib. 7, che me guadagneronno le lib. 10{0}? Sì m(ultip)lica 7 fiade 100, che fa 700, a pa(r)tire < e > p(er) 36, che ne viene lib. 19 e s. 8 e d. f 10 27 de denaio, e chusì fa’ le semeglante ragione. E se la volemo prova(r)e, sì devemo fare que ne tocha lib. 20 p(er) quisto modo, che devemo m(ultip)licare 30 20 fiade lib. 19 s. 8 d. \ 10, che fa 388 lib. s. 17

LO LIVERO D EL’ABBECHO

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42v 11 Fino ad usu(r)a (che si trova nella riga seguente, nello spacco lasciato appositamente libero dal testo) in inchiostro rosso. 15 Integratone di a necessaria per il senso. 20 L a scrittura è, dalla penulti­ ma lettera di guadagnaro alla prima di Regol’è, completamente evanida e visibile solo con la lampada di Wood; dopo lib. erano scritte delle cifre in rosso, che sono restituite congetturalmente. 25 10(0} : l'ultimo 0 è aggiunta di C in nero. 27 < e > : lettera erosa di A . 29 p(er) : di C. 42r 29 172 : errore d’anticipatfone per 22. 30 aw e : Fib. habuit. 42v 4 retoma s(econd)o dice(m)mo de sopre : Fib. Reperias quidem, secundum quod modo docuimus. 6-8 p(er)ché ... remanesse : Fib. que in fine ei proponuntur ultra suum capitale remanere. 9 qua(n)tità : evidente erroreper quinta (così in Fib.).

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d. £ 9, a pa(r)tire p(er) 100, che ne viene lib. 3 s. 17 d. i 9, e chotanto ne toch(er)à a le lib. 20. Or devemo trare de lib. 19 s. 8 d. $ 10 quiste lib. 3 s. 17 d. i 9, ?ioè el guadagno de le 20 lib., e rema(r)rànne lib. 15 s. 11 d. ^ 1, degle quagle devemo pigiare lo qui(n)to, ch’è lib. 3 s. 2 d. § 2; e giogne chon quiste che guadag(n)aro le lib. 20 e farà lib. 7, e chusì fa’ le semegla(n)te r(agione). Uno guadagna cho(n) lib. 85 lib. 7 s. 6 d. 5, cho- lib. 36 s. 10 qua(n)to guadagnerò a quista ragione? Reg(o)l’è che devemo m(ultip)licare lib. 7 s. 6 d. 5 via lib. {36} s. 10, che fa lib. 272 s. 13 d. £ 8 a pa(r)tire p(er) 85, che ne viene lib. 3 s. 4 d. 1 de denaio, e chusì fa’ le semeglante ragione. Fa(m)me quista ragione, uno huomo deie recev(er)e lib. 100 di qui a uno anno; dicie quiste che deie reciev(er)e quiste d.: « Dagleme ogie e ’xchontatene d. 2 p(er) lib. ». Adoma(n)dote quillo che me deie dare sì ch’io no(n) sia enga(n)nato. Reg(o)l’è che de­ vemo sap(er)e quillo che la lib. guadagna l’anno a 2 d. lib. el mese, che viene l’anno s. 2 ; or devemo dire: « 20 s. me fa 22, che m’averà fatto 100 lib.? ». Sì devemo fare 20 fiade lib. 100 , che fa 2000 lib., e pa(r)tire p(er) 22, che ne viene lib. 90 s. 18 d. 2, e chotanto deie av(er)e quigle che devea av(er)e de qui ad uno anno lib. 100 , e chusì fa’ le semegla(n)te r(agione). Famme quista ragione, uno guadagna, chon lib. 100, lib. 17; dicie uno altro: « Io ò guadagnato lib. 19 s. 9 a quilla ragione che tu àie guadagnato lib. 17 p(er) centonaio». Adoma(n)dote qua(n)te d. fuoro quigle chon quigle guadagnò lib. 19 s. 9. Reg(o)l’è che noie devemo fare lib. 19 s. 9 via lib. 100, che fa lib. 1945, e pa(r)te p(er) 17, che ne viene lib. 114 s. 8 d. 2 de denaio e chotante d. fuoro qui­ gle chon quigle guadagnano lib. 19 s. 9, ed è f(a)c(t)a. Famme quista ragione, uno guadagnò p(er) lb. s. 4 e trovòse tra ’l guadagno ch’avea fatto e ’l chapetale suuo da prima a ponto lib. 40; adoma(n)dote qua(n)to fo el suuo chapetale. Reg(o)l’è che no-

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43v

43r 2 20 : segue uno spasso bianco, con tracce di inchiostro rosso, resto di una cifra erosa. 10 {36} : di C in nero, fuori dallo specchio di scrittura. 11 272 : si vedono tracce di inchiostro rosso sotto il primo 2. 43v 5 quista : manca la gambetta di -a. 43r 8 lib. 7 s. 6 d. 5 : errore (anche due righepiù sotto) per lib. 7 s. 9 d. 5.

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L OLIVERO DE L ’ABBECHO

L O LIVER O DEL ’ABBECHO

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ie devemo dire chusì: « 20 s. m’à fatto s. 24, che me sirà f(a)c(t)o lib. 40? ». Sì devemo m(ultìp)licare 20 fiade 40, che fa 800 lib., a pa(r)ti(r)e p(er) 24, che ne viene lib. 33 12 s. 6 d. 8 , e chota(n)to fo el suuo chapetale, ed è f(a)c(t)a. Uno huomo deie arcev(er)e suoie d., egl quagle stonno a doie d. lib. el mese, e chuluie ch’à qui15 ste suoie d. le tiene mese 6 ; en chapo de 6 me­ se gle diè-ne tra suuo chapetale e prode a po(n)to lib. 60: vuoglo sap(er)e qua(n)to fo el suuo chapeta18 le de prima. Reg(o)l’è che noie devemo sap(er)e quillo che la lib. guadagna en 6 mese a 2 dena(r)e lib. el mese, che guadagna d. 12 ; or di’ chusì: « 20 s. me 21 guadagna s. 1, $ioè che de s. 20 fa s. 21 , onde si­ rà fatto lib. 60? ». Sì devemo m(ultip)licare 20 fiade 60 lib., che fa 1200 lib., e pa(r)tire p(er) 21 , che ne viene lib. 24 57 s. 2 d. ^ 10, e chusì fa’ le semeglante r(agione). Uno huomo deie reciev(er)e lib. 100, e chuluie che glele deie dare le tiene dì-ne 19 e puoie el pa27 gò e diègle degle suoie lib. 145 s. 10; adoma(n)dote qua(n)te dì-ne deie ten(er)e gle suoie aciò che sia arestorato a ritto. Reg(o)l’è che noie devemo m(ultip)lica30 re 19 fiade 100, che fa 1900, e pa(r)tire p(er) \ 145, 9Ìoè p(er) 145 s. 10, che ne viene dì-ne 57 13 de dì-ne; p(er) quisto modo fa’ le semeglante ragione. 3 El qua(r)todecimo capi(to)lo de reg(o)le de saldare ra3bis gione. A nnome de Dio am(en), 1288. Mes(ser) Bindo degl Circhie deie av(er)e d., degl quagle d. gnie de-

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43v 27 s. 10 : dopo queste afre un segno di richiamo rimanda a due righe vergate da C nello spasso sot­ to riga 30 e verso il margine esterno (43va. 1-2): e disse che tenesse tante dì quiste suoi Ib. 145 s. 10 che fose | restorato p(er) lo te[m]po ch’eso avea tenuto le suoi lb. 100. 44r 3 Titolo in rossofino a ra | gione. 3-26 Accanto, nel margine esterno, si trova un intero capitolo scritto da C in in­ chiostro leggermentepiù chiaro (44ra.1-30): Conto te sia chep(er) ciaschuna | lb. che guadangna lo cie(n) | tonaio l’a(n)no sì guadangna | la lb. lo mese 5 de de | naio e p(er) honne s. che | guadangna lo cie[n]tonaio | l’anno sì guadangna la | lb. lo mese 7^5 de d. | e p(er) hone denaio sì gua | dangna lo mese 73^5 | de denaio. Dòte l’asen | pio a la dita reg(o)la et | voglo dire chosì: lo | cientonaio guada(n)gna | l’a(n)no lb. 16 s. 17 d. 9, | que guadangna la | lb. lo mese? Reco(r)dote | che p(er) lb. 16 si vale | la lb. lo mese ■*§, et p(er) 117 s. sì vale iM» e p(er) | 9 d. sì vale 72§g; et | se tu vogle sapere | que viene la lb. lo | mese, sì agio(n)gne | insieme et | et T3$ò e sirono d. | yfcè 3 de denaio | e chotanto guadangna | la lb. lo mese ed è | fata a ponto. 4 A nnome : probabilmente errore del decoratorepereti nome. 43v 14 d. lib. : si intenderà d. per lib., cioè al 20%. 44r 1 1l risultato è corretto è 13 séfcon errore (0 piuttosto approssimazione) per eccesso di j^T-

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verno dare a ragione de lib. 10 p(er) centonaio; e dè avere mes(ser) Bindo, che ne diè en kl. genaio, lib. 100; anche deie av(er)e en kl. ma(r)9o lib. 50; anche deie av(er)e en kl. luglo lib. 400; anche deie av(er)e en chalende agosto lib. 100 . Io vuoglo salda­ re ragione cho • lluie e rechare tutte quiste dr. ad uno t(er)mene e sap(er)e quillo che deie av(er)e de cha­ petale e de prode p(er) lo tenpo ch’io l’ò tenute. Reg(o)l’è che noie devemo sap(er)e quillo che guadagna la lib., el s. e ’l denaio, che la lib. guadagna d. 2, el s. io e ’l denaio 7^5; e tuttavia saccie quillo che guadagna la lib., el s. e ’l denaio. Or devemo sapere quillo che guadagna le 100 lib. l’anno, che guadagnano lib. 10 ; or devemo meretare qui­ ste 100 lib. da kl. de genaio enfina a kl. ma(r)9o, che sonno 2 mese; or devemo dire: « 2 mese que pa(r)t’è de l’anno? », ch’è el è; or devemo pigiare el \ de lib. 10, eh’(è) lib. 1 s. 13 d. 4. Or devemo mett(er)e ensieme lib. 100 cho • lib. 50, che forino lib. 150; or devemo dire: « le 150 lib. que guadagnano l’a g ­ no? », che guadagnano lib. 15; or le devemo meretare da kl. ma(r)9o enfina a kl. luglo, che son­ no 4 mese; or devemo dire: « 4 mese que pa(r)t’è de l’anno? », ch’è ’l i; or devemo pigiare el t(er)90 de lib. 15, ch’è lib. 5; or devemo mett(er)e ensieme lib. 150 cho * 400, che sonno 550 lib., e deve -le mereta(r)le da kl. luglo entro a kl. agosto, ch’è uno mese; or devemo dire: « uno mese que pa(r)te è de l’anno? », ch’è ’l tÌ; or devemo pigiare el 7Ì de ciò che gua­ dagnano l’anno, 9Ìoè de lib. 55, ch’è lib. 4 s. 11 e d. 8 . Or devemo mett(er)e ensieme lib. 550 chom lib. 100, che sonno 650. E saldata ragione cho(n) mes(ser) Bindo, che deie av(er)e en kl. agosto lib. 650 de chapetale e, del me(r)to che nei è tratto per lo ten­ po ch’io l’ò tinuto, lib. 11 s. 5, e chusì fa’ le seme­ glante ragione. A nnome de Dio am(en), a(n)no 1288. Ma(n)no Attaviano degl’Ardigeglie deie av(er)e d., degl qua-

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44v

44r 7 Bindo : la- d- ? ripassata su altra lettera. 12 A nnome : stessa situazione di 44r.4. 44r 14 quillo che guadagna : s'intende all'anno. frazioni di denaro.

15-16 el | s. tÌ e *1 denaio 7^3 : s ’intende

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LO LIVERO D EL’ABBECHO

LO LIVERO DE L’ABBECHO

gle e* ne dego meretare a ragione de 9 lib. e 5 s. p(er) centonaio: deie av(er)e, egl quagle me diè em kl. de genaio, lib. 50; anche deie av(er)e a 9 dì ent(r)a(n)te giugno lib. 33 s. 4; anche deie av(er)e a 23 dì d’agosto lib. 84 s. 9; anche deie avere a 11 dì de novem­ bre 117 s. 11; anche deie avere a 17 dì de febraio lib. 29 s. 2. Io vuoglo saldare ragione cho • lluie e rechare tutte quiste d. ad uno termene. Reg(o)l’è che quista ragione se fa en quisto altro modo, 9Ìoè che noie devemo sap(er)e quillo che la lb. guadagna el mese, che guadagna d. ^ 1; or de­ vemo meretare le 50 lib. da kl. de gi[e]naio enfina a 17 entrante febraio, ch’è uno anno e uno mese e 17 dì; e p(er)ché la ragione sia più ligiere, sì devemo sap(er)e quillo che viene el mese, che viene s. 7 d. \ 8 , e ’l dì viene d. fi 3; donqua viene em 13 mese e 17 dì lib. 5 s. 4 d. iè 6 d(e) d(en)aio. Or devemo sap(er)e quillo che guadagnano el mese le 33 lib. e s. 4 el mese, che guadagnano s. 5 dr. 1 §è de denaio e ’l dì guadagnano d. 7^5 2; or le devemo m(er)et{a(r)}e da 9 dì emtrante genaio enfina a 17 dì de febraio, che sonno mese 8 e dì 8 , che vine lib. 2 s. 2 d. 3. Or devemo m(er)et{a(r)}e le 84 lib. s. 9 da 7 dì a la uscita d’agosto enfina a 17 dì de febraio, che sonno 5 mese e 24 dì; or devemo sapere quillo che viene el mese, che viene lib. 0 s. 3§è 13 e ’l dì guadagna d. 5 de denaio, donq(ua) viene em 5 mese e 24 dì-ne lib. 3 s. 17 denare 5 de denaio. Or devemo meretare le 117

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12 44v 15 em : con -m nericale e titulus superfluo ondulato. 16-17 ent(r)a(n) | te : c'è un solo trattino ondulato. 18 84 : ultima cifra ripassata sull’abbreviazione s. 25 gi[e]naio : ms. ginaio. 26 In corrispondenza della riga, nel margine esterno, si trova l'annotazione di C, senza segno di richiamo ma da inserire forse dopo febraio: ?ioè tuto el tempo che l’à | tenute. 45r 2 e s. : le lettere sono vicinissime, quasi sovrapposte; pare che s sia stata aggiunta in un secondo momento da C. 2-3 1 | : tutti numeri riscritti da C su altra frazione, di cui si vede solo 1 ultima cifra del numeratore. 3 2 : frazione di C in nero su rasura. 4 devemo : le prime due lettere, interessate dalla rasura, sono state probabilmente ripassate. 4 m(er)et{a(r)}e : A aveva scritto mett(er)e, cui C ha aggiunto un titulus e un a. Lo stesso due righepiù sotto. 5-6 che | vine : di C su rasura della scrizioneprecedente Don | qua. 6 3 : frazione di C in nero su rasura: si distinguono a l numeratore 3 e 6, al denominatore 1 e 1. 10 s. 35$ : numeratore ripassato da C in nero. 10 5 : denominatore eparte intera di C in nero su rasura.

45r 4 genaio : erroreper giugno.

6 3 : erroreper 11-12 II risultato corretto approssimato è 3.15.6

3.

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13 : cioè s. 13 d 0

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lib. s. 11 da 11 dì-ne de nove(n)bre emfina a 17 dì de febraio, che sonno mese 3 e dì 2; or devemo sap(er)e quillo che guadagna el mese, che guadagna­ no 18 s. e 1 denaio ^ d., e ’l dì guadagna d. 7, donqua viene, em mese 3 e dì 2, 3 s. 15 d. 7$$$ 6 d. Anno 1289. Saldata ragione cum Ma(n)no Attaviano a 17 dì de febraio, che deie av(er)e de chapetale lib. 314 s. 6 e del tenpo ch’io l’ò tenute che nc’è entrato lib. 13 s. 19 d. y§§è 9, e chusì fa’ le sem(egl)a(nte) r(agione). A nnome de Dio am(en), a(n)no 1288. Mes(ser) Raniere da la Ter^a da Urvieto deie av(er)e d., degle quagle de­ nare egl ne dego meretare a ragione de lib. 9 p(er) centonaio; e deie av(er)e, egl quagle me diè en kl. de genaio, lib. 9 s. 5 d. 4; anche deie av(er)e a 3 dì d’aprile lib. 25 s. 3 d. 1; anche deie av(er)e a dì 14 di luglo lib. 91 s. 9 d. 11; anche deie av(er)e a dì 9 de nove(n)bre lib. 31 s. 13 d. 9; anche deie av(er)e a dì 17 de febraio lib. 11 s. 7 d. 5; anche deie av(er)e a dì 11 de magio lib. 19 s. 4 d. 6 ; anche deie av(er)e a dì 2 d’agosto lib. 396 s. 17 d. 3. Reg(o)Pè che noie devemo fare chusì, meretare le lib. 9 s. 5 d. 4 da kl. de genaio enfina a dì 3 entrante aprile, che sonno 3 mese e 3 dì-ne; or devemo sap(er)e quillo che la lib. guadagna el mese a ragio(n)e de lib. 9 p(er) centonaio, che guadagna 1 denaio e f; or devemo sap(er)e quillo che guadagna el s., che guadagna t&j, e ’l d(e)naio guadagna or devemo sap(er)e quillo che guadagna el mese lib. 9 s. 5 d. 4, che guadagnano s. 1 d. 21 4 de denaio e ’l dì gua­ dagnano donqua guadagnano, em mese 3 e dì 3, s. 4 d. 3 de denaio. Or devemo mett(er)e ensieme chom lib. 9 s. 5 d.

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45v

45r 14-17 L a leggibilità è compromessa daU’emergere dell’inchiostro dellafacciata successiva. 26 9 : di C in nero su rasura; sotto si distinguono tracce di una cifra e di 0, ora occhiello di 9, in inchiostro rosso. 29 14 di luglo : di C su rasura; era scritto 3 d’apr[il]e, con cifra in rosso. 45v 12 s. 5 : la cifraprobabilmente erapreceduta da un 1 , poi eroso. 45r 17 3 s. 15 : errore di copia per lib. 2 s. 15. 21-22 Consuntivo corretto riguardo al capitale, mentreper gli interessi il valorefornito a r. 22 non coincide né con quello reale (13.18.11 né con la somma dei contiprecedenti (14.19.1 3§fjè), anche intervenendo sui due errori serviti di 45r.6 e 45r. 17 (nel qual caso si ha 13.19.11 !$ $ $ ).

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LO LIVERO DEL ’ABBECHO

LO LIVERO DEUABBECHO

4 le lib. 25 s. 3 d. 1, che fa lib. 34 s. 8 d. 5, e devemo sap(er)e quillo che guadagna el mese, che gua­ dagnano s. 5 d. liè 1 de denaio, e ’l dì guada­ gnano d. 4$jè 1. Or devemo m(er)etare le lib. 34 s. 8 d. 5 a dì 3 entrante aprile enfìna a 14 dì entrante luglo, che sonno mese 3 e dì 11; donqua guadagnano s. 17 d. 4 de denaio. Or devemo mett(er)e ensieme cho • l[i]b. 34 s. 8 d. 5 lib. 91 s. 9 d. 11, e farà lib. 125 s. 18 d. 4; e deve­ mo sap(er)e quillo che guadagna el mese, che guadagna s. 18 d. sèè 10 e ’l dì guadagna lib. d. è83è 7 de denaio; or le devemo m(er)etare da 14 dì entrante luglo enfìna a dì 9 entrante novenbr(e), che sonno mese 3 e dì 25, donqua aguadagnano lib. 3 s. 12 d. Or devemo mett(er)e ensieme, chom lib. 125 s. 18 d. 4, lib. 31 s. 13 d. 9, che fa lib. 157 s. 12 d. 1; e devemo fare quillo che guadagna el mese e ’l dì-ne: quillo che guadagna el mes’è lib. 1 s. 3 dr. 7 d. e ’l dì guadagna d. 9 de dena­ io; or devemo mereta(r)e da 9 dì entrante novenbre enfìna a dì 17 entrante febraio, che sonno mese 3 e dì 8 , che eie guadagnano lib. 3 s. 16 d. 10 de denaio. Or devemo mett(er)e chon lib. 157 s. 12 d. 1 lib. 11 s. 7 d. 5, che fa lib. 168 s. 19 d. 6 , e devemo sap(er)e quil­ lo che guadagnano el mese e ’l dì, che guada­ gnano el mese lib. 1 s. 5 d. 5^è 4 d., e ’l dì guadagnano d. gfBè 10 de denaio; or le devemo meretare da 17 dì entrante febraio enfìna a dì 11 entrante magio, che sonno mese 2 e dì 24, che viene lib. 3 s. 11 d. 3$$ 9 de denaio. Or devemo mett(er)e chon lib. 168 s. 19 d. 6 lib.

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45v 24 l[i]b. : ms. lib. 25 lib. 91 : di C in nero su rasura; i resti delle scritturepreesistenti sembrano di lettere maiuscole. 18 24 : il 4 è di C in nero su rasura; A aveva scritto 5. 45v 20 d. 1 : la cifra delle unità è errata e va corretta in 2. 23 s. 17 d. $ $ 4 : il risultato corretto è 0.17.4 4$ $ . 27 3^ 10 : in realtà 10 M 28 7 : errore per 7 ]$■ 46r 1 II risultato corretto è 3.12.4 $ 5-6 lib. 1 s. 3 dr. | 3$ $ 7 : in realtà 1.3.7 fé10 lib. 3 s. 16 d. 4^ 10 : il risultato corretto è 3.17.2 M alla cifra quifornita non si può arrivare sulla base dei valori di 46r.5-6. 18 lib. 3 s. 11 d. 308$ 9 : il risultato corretto è 3.10.11 il numero qui riportato si ottiene calcolando interesse per 2 mesi e 25 giorni, uno in più di quanto indicato.

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19 s. 4 d. 6 enfra lib. 188 s. 4, e devemo sap(er)e quillo che guadagna el mese e ’l dì, che gua­ dagna el mese lib. 1 s. 8 d. 2 , e ’l dì guada­ gnano s. 0 d. 11 de denaio e deve -le mereta(r)le da 11 dì entrante magio enfìna a dì 2 entrante agosto, che sonno 2 dì e 2 1 , che viene lib. 3 s. 15 d. ^ 9 de d(e)naio. A nnome de Dio. Saldata ragione chon mes(ser) Rainiere da la Ter9a, {a(nno)}1289 dì 2 entrante agosto, che deie av(er)e de chapetale lib. 585 s. 1 d. 3 e del me(r)to, che nei è entrato p(er) lo tenpo ch’io l’ò tenute, lib. 15 s. 18 d. to^ 6 de denaio; p(er) quisto modo fa’ le semeglante r(agione). Reg(o)le de saldare e de rechare a termene. A nome de Dio am(en) a(n)no 1288. Mes(ser) Giani degle Magloarde deie da(r)e denare, degl quale ne deie meretare a ragione de lib. 7 p(er) centonaio. E deie da(r)e en kl. de genaio lib. 850 s. 10; àne dato en kl. de ma(r)90 lib. 25; anche ne à dato a dì 7 entrante febraio lib. 100; anche n’à da­ to en kl. de luglo lib. 85; anche n’à dato a me90 agosto lib. 10 ; anche n’à dato en kl. de dicenbre lib. 12; anche n’à dato en kl. de febraio lib. 50; anche n’à dato en kl. de magio lib. 80; anche n’à dato en kl. d’agosto lib. 20 ; anche n’à dato a me90 setenbre lib. 100 ; anche n’à dato a mec9o novenbre lib. 15 s. 10 . Io vuoglo saldare ragi­ one chon luie e rechare tutte quiste denare ad uno termene. Reg(o)l’è che noie devemo meretare enna(n)te tut­ te egl suoie d., 9Ìoè lib. 850 s. 10 a ragione de 7 lib. p(er) centonaio, 1 anno e mese 10 , che c’intra de me(r)to lib. 109 s. 2 d. § 11 de denaio. Or deve-

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46r 24 11 : di C in nero su rasura; A aveva scritto un 2 0uni). 25 2 dì e 21 : errore elùdenteper ‘2 mesi e 21 di’; A aveva scritto come primo numero 21, con 1 poi eroso. 27 A nnome : stessa situatone di 44r.4. 46v 2-3 Reg(o)le ... termene : in inchiostro rosso. 15 a mec^o : di C su rasura; sotto si distinguono alcune lettere, che trascrivo con le mie integrazioni: e[n k]al. de. 46r 23 7^ : erroreper 2$ 26 lib. 3 s. 15 d. ^ 9 : il risultato è sbagliato in conseguenza del­ l’errore segnalato a riga 23; il risultato corretto è 3.16.2 $ f . 46v 1 lib. 15 s. 18 d. T000 6 : il dato non coincide né col valore corretto (15.19.3 n* con la somma degli interessi parziali che sono stati elencatipiù sopra. 9 febraio : è data anteriore a quella della rigaprecedente e quindi erroreper il valo­ re corretto, che è aprile (tfr. r. 24).

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mo meretare le 25 lib. da kl. ma(r)?o enfina a 24 dì 7 entrante aprile e devemo sap(er)e quillo che guadagnano l[e] lib. 25 l’anno, che gua­ dagnano lib. 1 s. 15; or devemo sap(er)e quillo 27 che guadagna el mese, che guadagnano d. 35; or devemo sap(er)e quillo che guadagna el dì, che guadagnano d. è 1, che viene em 7 30 dì d. è 8 , e giogne sopra a s. 2 d. 11 ed averaie s. 3 d. è 7. Or devemo mett(er)e ensieme le 25 lib. co- Ile 100, e farà lib. 125, e mereta(r)lle da dì 7 3 entrante aprile enfina a kl. de luglo, che son­ no 2 mes(e) e 23 dì; sì devemo sap(er)e quillo che guadagnano l’anno, che guadagnano lib. 8 6 s. 15, e’ gle mese 2 e dì 23 guadagnano lib. 2 s. 0 d. è 4 d. Or devemo mett(er)e ensieme lib. 125 cho- lib. 85, che sonno lib. 210, e mereta(r)le 9 da kl. de luglo enfina a me^o agosto, ch’è 1 mese e me^o; sì devemo fare quillo che guada­ gnano l’anno, che guadagnano lib. 14 s. 14; 12 or devemo sap(er)e quillo che guadagnano em uno mese e m[e]2 o, che guadagnano lib. 1 s. 16 d. 9. O r devemo fare chusì, metere ensieme lib. 210 15 cho* lib. 10, che sonno lib. 220, e m(er)etarle da

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L OLIVERO DE L ’ABBECHO

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me 9o d’agosto enfina a kl. de dicenbre, che sonno 3 mese e me^o; or devemo fare quillo che guadagnano l’anno, {che guadangnano} lib. 15 s. 8; or devemo sap(er)e quillo che guadagnano em mese 3 e me90 , che viene {lb.} 4 s. 9 d. 10. Or devemo mett(er)e emsieme lib. 220 cho* lib. 12, che sonno 232, e m(er)etarle da kl. de dicenbre enfina a kl. de febraio, che sonno mese 2, e devemo sap(er)e quillo che guadagna l’anno, che guadagna lib. 16

s. 4 d. 1 9; or devemo sap(er)e quillo che guadag(n)a­

46v 25 l[e] lib. : ms. li lib. 29 \ 1 : denominatore e parte intera sono riscritte da C in nero su rasura: probabilmente A aveva scritto gf. 30 \ 8 : come alla riga precedente, denominatore e parte intera di C in nero sono su rasura della precedente scrizione di A , che è ancora leggibile: s£. 47r 1 i 7 : in nero di C su rasura di della precedente scrizione di A : g£. 4 mes(e) : abbreviato con trattino obliquo che taglia l’asta di s. 6 mese 2 : il numero è stato ripassato in nero da Cprobabilmente su un precedente 3. 13 m[e]zo : ms. mzo. 16 d’agosto : ms. ad agosto con un puntino posto per errore sotto la a- di agosto. 18 L a frase, scritta da C in margine con segno di inserzione, è necessaria perché non si intenda lib. 15 s .8 come soggetto di guadagnano; C non interviene altrove in casi analoghi, per es. a 48v. 13.

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no e(n) mese 2, che viene lib. 2 s. 14 d. $ 1 d. Or devemo mett(er)e ensieme lib. 232 chon lib. 50, che sonno lib. 282, e mereta(r)le da kl. de febraio enfina a kl. de magio, che sonno mese 3, e deverno sap(er)e quillo che guadagnano l’anno, che guadagnano lib. 19 s. 14 d. $ 9 de denaio, e- mese 3 guadagna lib. 4 s. 18 d. i 8 de. Or devemo mett(er)e ensieme lib. 282 chon lib. 80, che fanno lib. 362, e m(er)etarle da kl. de ma­ gio enfina a kl. d’agosto, che sonno mese 3, e devemo sap(er)e quillo che guadagna l’a(n)no, che guadagnano lib. 25 s. 6 d. § 9 d(e) denaio, e(n) mese 3 guadagna lib. 6 s. 6 d. \ 8 d(e) dena(io). Or devemo mett(er)e ensieme lib. 362 chom lib. 20, che forino 382, e mereta(r)le da kl. agosto enfina a me9o setenbre, ch’è uno mese {e me9o}. Or deverno fare quillo che guadagna l’anno, che guadagnano lib. 26 s. 14 d. $ 9 de denaio, em 1 mese {e me9o} guadagnano lib. 3 s. 6 d. $ 10 de denaio; or devemo mett(er)e emsieme lib. 382 cho(n) lib. 100, che fanno lib. 482, e mereta(r)le da me9o setenbre enfina a mego novenbre, che so(n)no mese 2 , e devemo sap(er)e quillo che gua­ dagnano l’anno, che guadagnano lib. 33 s. 14 d. 1 9 d., em mese 2 guadagnano lib. 5 s. 12 denare $ 5 de denaio. A nnome de Dio am(en), anno 1290. Saldata r(agione) com mes(ser) Giani degl Magloarde a mego de nove(n)bre, che deie dare lib. 959 s. 10 d. f 11, de le quale lib. 959 s. 10 d. § 11 de d. sì n’à date de chapetale lib. 497 s. 10 ed èncie entrato de me(r)to lib. 33 s. 5 d. 9 de denaio; donqua pa(r)e che n’agia dato de suoie d. lib. 530 s. 15

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47v

47r 26 e(n) : A aveva scritto el, poi C è intervenuto espungendo 1 e aggiungendo un titulus alla e. 26 d. | 1 d. : la seconda abbreviamone d. si riferisce alla parte frazionaria. 47v 8 dena {io} : abbreviato con un punto marcato a fine rigo. 11 a me^o : di C in nero sulla precedente scrizione di A : ... kl. de. 14 $ 10 : il 3 è stato ripassato in nero da C. 17 me90 ... me90 : entrambe le parole sono scritte da C su rasura; il testo sottostante legge in entrambi i casi: kl. de. 22 A nnome : si veda 44r.4. 22 a me90 : di C su rasura. 47v 14 lib. 3 s. 6 d. $ 10 : il risultato corretto è 3.6.10 $. 24 lib. 959 s. 10 d. $ 11 : // valore, corretto, rappresenta la somma del capitale a debito di Giani e del relativo interessepassivo. 27 lib. 33 s. 5 d. iè 9 : il risultato corretto è 31.9.4 j§ ; anche i seguenti dati riassuntivi sono errati.

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d. M 9 de d. ed ora resta che deie dare mes(ser) Gian(i) lib. 428 s. 17 d. jè 2 de denaio, ed è f(a)c(t)a. A nnome de Dio am(en), anno 1288. Guido del Chiaro ne deie dare d., degl quagle ne deie m(er)etare a ragione de lib. 8 p(er) centonaio e deie da­ re en kl. de genaio lib. 500; àne dat[o] a dì 5 e n trac­ te ma(r)9o lib. 150; anche n’à dato a dì 13 de magio lib. 56; anche n’à dato a dì 17 d’agosto lib. 91; anche n’à dato a dì 25 de nove(n)bre lib. 33; anche n’à dato a dì 15 de febraio lib. 84; anche n’à dato en kl. aprile lib. 61; anche n’à dato a dì 8 de luglo lib. 27; anche n’à dato a dì 19 de sete(n)bre lib. 19; anche n’à dato a kl. de dicenbre lib. 186. [R]eg(o)l’è che noi devemo meretare le lib. 500 da kl. de genaio enfina a kl. de dicenbre, che sonno mese 23, che (n)ci entra de me(r)to lib. 76 s. < .> d. . Or devemo meretare le lib. 150 da dì 5 entrante ma(r)50 enfina a dì 13 de magio, sì devemo sap(er)e quillo che guadagna a 8 lib. p(er) centonaio le 150 lib., che ne viene 12 lib.; or de­ vemo sap(er)e quillo che guadagna em 2 mese e 8 dì, che ne viene lib. 2 s. 5 d. 4; or devemo mett(er)e ensieme le 150 lib. cho(n) 56 lib., che som 206 lib., e mereta(r)le da 13 dì entrante magio enfìna a 17 entrante agosto, sì devemo sap(er)e quillo che guadagnano l’anno, che guadagnano lib. 16 s. 9 d. i 7; or devemo sap(er)e quillo che gua­ dagnano em 3 mese e 4 dì, che ne viene lib. 4 s. 4. Or devemo mett(er)e ensieme 206 lib. chom 91, che fa 297 lib., e mereta(r)le da 17 dì d’agosto enfina a 25 dì entrante nove(n)bre, sì devemo sap(er)e quillo che guadagnano l’a(n)no, che guadagnano lib. 23 s. 15 d. £ 2; or devemo fare quillo che guadagnano em 3 mese e 8 dì, che ne viene 6 lib. s. ifSì 9 d. 4. Or devemo mett(er)e

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9 48r / A nnome : si veda 44r.4. 4 àne : l ’iniziale, diforma maiuscola, è stata aggiunta da C addos­ sata alla letteraprecedente; sono maiuscole, ma di B, anche le iniziali di anche fino a r. 11. 4 dat[o] : ms. data con -a per anticipazione grafica della vocale successiva. 11 186 : di C in nerofuori dello spec­ chio di scrittura. 15 s. < •> d. < •> : rasure dei numeri scritti in rosso da A , probabilmente 6 e 8; il ri­ sultato corretto è 76.13.4. 27 In corrispondenza di questa riga si trova una annotazione, forse di C: 4 s. 6 48v / f 2 : con 2 di C in nero su rasura;forse A aveva scritto in unprimo tempo 48r 27 II risultato corretto è quello annotato da C: 4.6.0 $ . 48v 3

9 : erroreper

9.

ensieme 297 lib. chom 33 lib., che fanno 330 lib., e m(er)etarle da 25 dì entrante nove(n)bre enfina a 15 dì de febraio; sì devemo fare quillo che gua­ dagnano l’anno, che guadagnano lib. 26 s. 8.; or devemo sap(er)e quillo che guadagnano en 2 mese e ’m 20 dì, che ne viene lib. 5 s. 17 d. 4. Or devemo meretare ensieme 330 lib. cho(n) 84 lib., che fonno 414 lib., e m(er)etarle da 15 dì de febraio enfina a kl. de aprile e sì devemo fare q(ui)llo che guadagnano l’anno: lib. 33 s. f 2 d. 4; or devemo fare quillo che guadagnano en 1 mese e ’m 15 dì, che ne viene lib. 4 s. f 2 d. 9. Or devemo meretare ensieme lib. 414 cho(n) lib. 61, che fanno lib. 475, e mereta(r)le da kl. aprile enfina a dì 8 de luglo, che sonno mese 3 e dì 8; sì devemo sap(er)e quillo che guadagnano l’a(n)no, che guadagnano lib. 38, e devemo sap(er)e quillo che guadagnano en mese 3 e dì 8, che guada­ gnano lib. 10 s. 6 d. f 10 de denaio. Or devemo mett(er)e emsieme lib. 475 chom lib. 27, che fanno lib. 502, e meretarle da dì 8 de luglo emfina a dì 19 de setenbre, che sonno mese 2 e dì 11; sì devemo sap(er)e quillo che guadagnano l’anno, che guadagnano lib. 40 s. 3 d. f 2; or devemo sap(er)e quillo che ne viene em mese 2 e dì 11, che ne viene lib. 7 s. 18 d. H8o 7 de d(e)na(io). Or devemo mett(er)e emsieme lib. 502 cho(n) lib. 19, che fanno lib. 521, e m(er)etarlle da dì 19 de setenbre enfina a kl. de dicenbre, che sonno mese 2 e dì 11; sì devemo sap(er)e quillo che guadagna­ no l’anno, che guadagnano lib. 41 s. 13 d. ^ 7 de denaio; e devemo sap(er)e quillo che guadag(n)ano em mese 2 e dì 11, che guadagnano lib. 8 s. 4 d. ii&) 5 de denaio. A nome de Dio am(en), anno 1289. Saldata ragione chom Guido del Chiaro che deie av(er)e lib. 856 s. 13 d. 9 de d. tra ’l chapetale e ’l prode k’o(n)

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49r

49t 8 anno 1289 : ms. anno 1209 per errore. 49r 10 k’o(n) : un trattino taglia l’asta di k, piuttosto che trovarsi sopra o. 48v 15 lib. 4 s. I 2 d. 9 : la frazione va ovviamente riferita, qui e a r. 13, ai denari. corretto è 7.18.4 f§. 49r 7 II risultato corretto è 8.4.4

29 II risultato

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

LO LIVERO DEL’ABBECHO

fatto egl suoie d.; escontate quigle che devea dare, resta che deie av(er)e Guido del Chiaro lib. 280 s. 7 d. 1, e chusì fa’ le semeglante r(agione). A nnome de Dio am(en), anno D(omi)ni 1288. Biencivi15 ene de Grifo deie dare d., degl quagle denare deie meretare a ragione de lib. 9 p(er) centonaio in lib. g.; deie dare Bienciviene de Grifo lib. 1500, 18 àne dato a kl. de genaio lib. 9 s. 5 d. 4; anche n’à dato a dì 3 d’aprile lib. 25 s. 3 d. 1; anche n’à dato a di 14 de luglo lib. 91 s. 9 d. 11; anche 21 n’à dato a di 9 de nove(n)bre lib. 31 s. 13 d. 9; anche n’à dato a dì 17 de febraio lib. 11 s. 7 d. 5; anche n’à dato a dì 11 de magio lib. 19 s. 4 d. 6 ; anche 24 n’à dato a dì 2 d’agosto lib. 396 s. 17 d. 3. Reg(o)l’è che noie faciamo p(er) quisto modo, $ioè che noie devemo meretare le lib. 9 s. 5 d. 4 da kl. de 27 genaio enfìna a dì 3 d’aprile, che sonno me­ se 3 e dì 3; sì ne co(n)viene sap(er)e quillo che la lib. gua­ dagna el mese a ragione de lib. 9 p(er) centonaio,

or devemo méretare le lib. 34 s. 8 d. 5 da dì 3 entrante aprile enfìna a dì 14 entrante lu15 glo, che sonno mese 3 e dì 11, che ne viene s. 17 d. 388 4 de denaio. Or devemo mett(er)e en­ sieme chom lib. 34 s. 8 d. [5] cho(n) lib. 91 s. 9 d. 11, 18 e fa lib. 125 s. 18 d. 4; mo devemo sap(er)e quillo che guadagnano el mese, che guadagnano s. 18 d. 588 10, e ’l dì guadagnano d. £838 7; or le de21 verno mereta(r)le da dì 14 entrante luglo enfina a dì 9 entrante novenb(re), che sonno mese 3 e dì 25, che ne viene lib. 3 s. 12 d. £883 2 de d. 24 O r devemo mett(er)e ensieme cho(n) lib. 125 s. 18 d. 4 chom lib. 31 s. 13 d. 9, che fa lib. 157 s. 12

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che guadagna d. f 1, e devemo sap(er)e quillo

che guadagna el s., che guadagna t8s ; or devemo sap(er)e quillo che guadagna el d., che gua3 dagna 7285. Or devemo fare quillo che lib. 9 s. 5 d. 4 guadagnano el mese, che guadagna­ no s. 1 d. èi 4; or devemo sap(er)e quillo che gua6 dagna el dì, che guadagna £38; or devemo fare gle mese 3 e dì 3, che guadagnano s. 4 d. £38 3 de denaio. Or devemo mett(er)e ensieme, 9 chom lib. 9 s. 5 d. 4, lib. 25 s. 3 d. 1, che fanno lib. 34 s. 8 d. 5; mo devemo sap(er)e quillo che guada­ gna el mese, che guadagnano s. {5} d. 388 1; or de12 verno sap(er)e quillo che guadagnano {el dì} d. *888 2 ;

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49r 15-24 Tutti gli anche hanno iniziale maiuscola e toccata in rosso; sulla disposinone delle poste di conto nel riquadro di scrittura della pagina vedi /Introduzione. 17 in libr. g. : di C in nero su rasura; A aveva scritto anch[...]. 18 àne : come alla riga precedente, C scrive in nero su rasura (con minale maiuscola); ma si vedono solo alcune tracce della scrinneprimitiva a[n]ch[e n’Jà. 18 anche : con minale maiuscola, come anche le altre occorrente della parola alle righe 19-23. 27 : espunto, forse da C. 28-29 gua | dagna : la prima -a- è scritta in alto per mancanza di spano a fine rigo. J 0 f 1 : scritto in modo incerto, sembra con ductus differente da A , ma in inchiostro rosso. 49v 5-6 gua | dagna : la prima -a- è scritta in piccolo, in alto sulla riga per mancanti di spaffo. 9 d. 1 : il numero, omesso da A , è stato inserito da C; lo stesso per il 5 a r. 11. 12 {el dì} : di C in nero in interrigo.

d. 1 ; sì devemo fare quillo che guadagnano el mese, che guadagnano lib. 1 s. 3 d. a338 7, e ’l dì guadagnano d. 9; or le devemo mere­ tare da 9 dì entrante novenbre enfìna a dì 17 entrante febraio, che sonno mese 3 e dì 8 ,

che viene lib. 3 s. 16 d. 4$$ 10 de denaio. Or devemo mett(er)e chom lib. 157 s. 12 d. 1 lib. 11 3 s. 7 d. 5, che fa lib. 168 s. 19 d. 6 ; sì devemo sap(er)e quillo che [guada]gnano el mese, che guadagnano lib. 1 s. 5 d. 288 4, e ’l dì guadagnano d. ?888 10; 6 or le devemo meretare da dì 17 entrante febraio enfìna a dì 11 entrante magio, che sonno mese 2 dì 25, che viene lib. 3 s. 11 d. 9 388 9 de denaio. Or devemo mett(er)e 168 lib. s. 19 d. 6 chom lib. 19 s. 4 d. 6 e farà lib. 188 s. 4, sì devemo sap(er)e quillo che guadagna el 12 mese, che guadagn[a] lib. 1 s. 8 d. £f 2 e ’l dì g u a ­ dagnano d. 7Ìè 11 ; or le devemo mereta le da dì 11 entrante magio enfìna a dì 2 en15 tirante agosto, che sonno mese 2 e dì 21, che ne viene lib. 3 s. 15 d. £f8 9 de d.

50r

49v 15 e dì : di C in nero su rasura; A aveva scritto e s. 17 lib. 34 s. 8 d. [5] : per erronea omissione. 50r 4 [guada]gnano : ms. gnano. 12 guadagnfa] : ms. -o. 12-13 g(u)a | dagnano : con la prima -a- scritta in alto per abbreviarne infine di riga. 49v 16 II risultato corretto è 0.17.4 20 I risultati corretti sono rispettivamente 10 Jjfe 7 23 II risultato corretto è 3.12.4 $ 50r 1 1l risultato corretto è 3.17.2 13 788 11 : erroreper 2$ 11. 1611 risultato corretto è 3.16.2

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

LO L1VER0 DEL’ABBECHO

A nnome de Dio am(en), anno 1289. Saldata ragione chom Bienciviene de Grifo, che deie dare lib. 1725, degl quagle n’à date en kl. d’a­ gosto lib. 585 s. 1 d. 3 e resta che deie dare Hb. 1239 s. 10 d. 9 e chusì fa’ tutte le semegla(n)te ragione de saldare e de rechare a t(er)mene. Se ne fosse ditto: è uno huomo che {dè dare} ad uno altro en kl. de genaio lib. 300, anche glene dà de Tende a mese 3, 9Ìoè en kl. aprile, lib. 200 , e chustuie le tiene entro a kl. de genaio e vuole saldare ragio(n)e cho(n) luie e dicie chusì: «Fa’ ragione e secondam(en)te tu àie guadagnato, respondemene a tuo senno e fa’ sì che vengano tutte esc(r)ipte en uno di». Adoma(n)dote a que tenpo degono venire scripte. Regol’è che le devemo m(ultip)lica(r)e le lib. contra egl mese en quisto modo, che de­ vemo fare p(er) le lib. 300 ch’à tenute mese 12, donqua devemo dire: « 3 via 12 mese », che fa(n)no 36 mese; e p(er) gle 200 lib. ch’à tenute me­ se 9, sì m(ultip)lica 2 lib. via 9 mese, che fa 18 me­ se, e gione sopre a mese 36 ed ave(r)aie che farà mese 54; or mette ensieme lib. 300 chom lib. 200, che fanno lib. 500, e pa(r)te mese 54 p(er) 5, che ne viene mese 10 e dì 24, e a mese 10 e dì 24 ve(r)ronno esc(r)ipte egl denare. E se la volemo provare, sì la podemo prova(r)e a 9Ì0 che noie volemo; e provia la a doie denare la lib. el mese; or fa’ que vaglono le lib. 500 el mese a doie d. la lib., che vaglono lib. 4 s. 3 d. 4, e ’l dì vaglono s. 2 d. i 9; donqua va(r)-

255

18

50v

50r 17 A nnome : si veda 44r.4. 23 II segno di paragrafo, in inchiostro rosso, èfuori dello specchio di scrittura; leparole allafine della riga sono cassate. 50r 19 In realtà il calcolo è fatto per 20 mesi, cioè fino a tutto agosto; si noti che nel consuntivo è compreso il capitale di Ib. 1500 e l ’interesse del 9% (Ih. 225; el qua(r)to dà al primo quanto egle egl remase p o ’ la [d]at(i)o(n)e che fé po’ lo s(econd)o hu­ omo e de sopre qua(n)to esso à-ne, ed avero tutte ugualem(en)te. Fa’ chusì: enp(er)ciò che ’l p(r)imo dà al s(econd)o quanto esso s(econd)o à-ne e la mità degle suoie, adonqua el s(econd)o n’à 2 e ’l primo dà a luie d. 3 e chusì à d. 5; enp(er)9Ìò che ’l s(econd)o à-ne enna(n)te, fo-ne | de quisto ch’ave puoie. Semegla(n)tem(en)te s(econd)o quista positione el t(er)90 huomo àne dal primo quisto ch’ave puoie el q(uar)to huomo | e al p(r)imo remasero de q(ui)llo che egle a(v)ve puoie, p o ’ la d[a]tio(n)e, 9Ìoè che egle fé-ne [a]l s(econd)o huomo. Adonqua pone p(er) ordene § e f e f e if, e puoie sì pone i; ed en p(er) quillo che ciascuno ònno fata dat(i)o(n)e en­ fra loro, agiono la qua(r)ta pa(r)te de tutta la so(m)ma degl d. d’esse 4 huomene; e po • gle cusì p(er) ordene i i f t f f; ed oramaie traie 5 p(er) 1 1 , el quale è de sopre da esso 1 1 : resta 6, el quale m(ultip)lica p(er) 1, ch’è de sopre al 4, e siro(n)n[o] { 6 }, egl quagle agiongne chom la m(ultip)licat(i)o(n)e de 1, ch’è de sopre al 4, em 11, e sironno 17, el q(ua)le m(ultip)licha p(er) 4, el qual’è sopre el 9, e sironno

297

73v

73r 11 < a > : cassata con un leggero tratto in nero. 72v 11 ess(er)e : la prima lettera è riscritta da A su altra, ora illeggibile. 27 $ inchiostro nero. 73r 1 d. del s(econd)o : ms. d. de el s(econd)o.

12 : con 6 di C in \

72v 5 'nfra... chon |petate : fraintendimento di Fib. unusquisque in prescripds partìbus, et numerus bis computatus sit,'probabilmente chusì è traduzione di sic, per errore sul testo latino. 8-9 che ... loro : Fib. que dupplica propter binam computatdonem eorum. / / el quale vuole ess(er)e : Fib. que vellent esse. 14 agiognene : Fib. habent;probabilmente per scambio tra agiono e agiogne, dunque da testo volgare. 15-16 anchora ... de 8 più : il volgarizzatorefraintende il testo di Fib. et inter quintum et primum quartana partenti, et 8 plus. 19 T27 18 : Fib. corretta­ mente 18. 21-22 e tutta ... denare : Fib. Deinde ut separentur denarii unius a denariis. 25 ~$j : Fib. correttamente 26 ch’avea : Fib. habet 26-27 el quale arma | ne(n)te ave : cattiva traduzione del testo di Fib. quod residuum e st 29 7$ 3 : Fib. T$ 7, ma il risultato corretto è 7. 73r 4 : Fib. erroneamente 7$ . 4 10 remane : Fib. 10 remanebunt con mantenimento dell'ordine delleparole.

12 [d]at(i)o(n)e : ms. t-; si emenda sulla base di r. 2 5 e di Fib. (post dationemj. 22-23 po’ la d[a]tio(n)e ... huomo : ms. dittio(n)e ... el s(econd)o; si corregge sulla base di Fib. post dationem videlicet quam fecerat secundo homini.

73r 7 mitade | sua : Fib. 287 dimidium eius. 10 esso qua(r)to : Fib. ipse quartus. 11-13 dà al primo quanto ... s(econd)o hu | omo : Fib. dat primo quantum ipsi remansit post dationem, quam fecit secundo homini. 13 e de sopre qua(n)to esso àne : p>er errore di let­ tura il volgarizzatore fraintende i dati di Fib. et insuper quintana eius. 13 avero : Fib. habuerunt 17-18 enp(er)9Ìò ... ch’ave : Fib. Qua re hoc quod secundus habuit antea fuit § ex hoc, quod habuit postea; si può spiegare la lacuna ipotizzando una caduta per omoteleuto da enp(er)9Ìò [9Ì0]. 19 quista posinone: Fib. 288 hanc investigadonem. 19-21 à|ne ... q(uar) | to huomo : Fib. habuit primum $ ex hoc, quod habuit postea. E t quartus. 22-23 po’ la d[a]done ... huomo : Fib. post dadonem videlicet quam fecerat secundo homini, con mantenimento dell’ordine delleparole. 24-26 ed en | p(er) ... agiono : Fib. Ideo quia unusquis­ que, post factas dationes inter se, habuit 29-30 traie 5 ... da esso 11 : Fib. extrahe 5 de 11, que sunt sub ipsis 5.

298

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

68, el quale m(ultip)licha p(er) 7 e sironno 46, el q(ua)le m(ultip)licha p(er) 5 e sironno 2380, e chotanto 6 a(v)ve el qua(r)to huomo. D a chapo tole egl § e traie 4 de 9: resta 5, p(er) lo quale m(ultip)licha 17, e siro(n)no 85, sopre lo quale agiongne la 9 m(ultip)lichat(i)o(n)e de 1, ch’è sopre el 4, em 11 mena­ ta em 9, 9Ìoè 99, e sironno 184, egl quagle m(ultdp)licha p(er) 3, ch’è sopre el 7, e puoie tutto p(er) 5 12 de la p(r)ima v(er)ga e siro(n)no 2790, e chotante n’a(v)ve el t(er)?o huomo. Anchora tolle 7 e t(r)aie 3 de 7: remane 4, p(er) lo quale m(ultip)licha 184, 15 e sironno 736, sopre egl quagle agiog(n)e la m(ultip)lichat(i)o(n)e de 1 ch’è sopre el \ em 11 fiade, 9 e 7 fiade, ?ioè 693, e sironno 1429, egl q(ua)18 gle m(ultip)licha p(er) 2, ch’è de sopre da 5 de la p(r)i(m)a v(er)ga, e sironno 2858, e chotanto a(v)ve el s(econd)o huomo. Anchora tolle | e traie 2 de 5: re21 sta 3, p(er) lo quale m(ultdp)licha 1429 trovate e si­ ronno 4287, sopre egl quagle agio(n)gne la m(ultip)lichat(i)o(n)e de 1, el qual’è sopre el 4, em 5, 24 el qual’è sopre 11, fiade 9 via 7 fiade 5, che so(n)no sotto le v(er)ge, cpioè 1575, e siro(n)no 5862 e chota(n)te n’a(v)ve el primo huomo. Adonqua 27 agio(n)gne egl trovate, : in rosso, cassato da un tratto pure in rosso. 24 primo 7 e lo 1 : ; numeri, scritti e ripassati in rosso, erano invertiti. 24 esso 7 : il numero, in rosso, è ricavato da un precedente 1 in rosso. 26 $ : in rosso su rasura di al­ tro numero in rosso. 26 quagle p(er) : ms. quagle p(er) la. 27 de l[e] chose : ms. de lo chose. 127r 1 emp(r)ima : Fib. 310 In primo. 4 m(ultip)licate faciono 256 : m(ultìp)lichate è erro­ reper agionte/ invece di 256 Fib. ha, correttamente, 255; manca, forseper saut, la precisatone che 255 è la somma dei puncta dellaprima linea. 7 p(er) essa medesma : Fib. propter eandem (legato sin­ tatticamente alla frase successiva). 9-10 l’a | dopiagione : saut su duplicatione: Fib. magis nu­ mero duplicadonis dupli duarum linearum, videlicet de punctis 32, que dimidium optinent schacherij. Vnde multiplica 4294967296 in se, reddunt 18446744073709551616; que sunt 1 , magis duplicatione totìus schacherij; quo numero in se ipso multìplicato, reddunt 1 , magis duplicatione duorum schacheriorum. 20 qua(n)te ... vechie : Fib. 312 quot sunt ge­ nera rerum uniuscuiusque vetule. 24 e lo 1 : Fib. et adde unum. 25-26 e siro(n)no | 57 : nel Livero, come in Fib., va integrato e agiogne 1 prima di sironno.

401

p(er) 7 che poste sonno so’ la v(er)ga e sironno 137256 127v e p(er) quisto modo fa’ le setneglante ragione. De num(er)e. Fa(m)me quista rag(i)o(n)e, uno me deie da(r)e d. em 5 pagam(en)ta divi­ sate l’uno da l’altro, sì cho’ si chontiene q(ui) da pieie, la quale ragio(n)e vuole redu(r)e a imo t(er)mene o a doie t(er)mene o a doie pagam(en)ta, sì che s’en stan l’uno l’alt(r)o a de(r)icto e a ponto. Devemo recev(er)e da tono dì 9 essie(n)t[e] octovre lib. 1317; anche devemo recev(er)e a dì 9 essie(n)te octov(r)e lib. 628; anche devemo av(er)e a me^o nove(n)bre lib. 293; anche devemo {av(er)e} entra(n)te dece(n)bre lib. 979; anche devemo av(er)e em kl. de genaio lb. 2594: so(m)ma lib. 5811. Prima deie av(er)e quillo che rema(n)e enell me^o 1 d. 217463. Quista è la d(e)ritta reg(o)la chomo se deie fa(r)e quista ragio(n)e e tutte le semeglante ragio(n)e che se podesse(r)o di(r)e de più e de meno, che noie devemo fa(r)e la so(m)ma de tutto el chapetale, de la quale deve(r)aie ess(er)e pa(r)tedore, la quale so(m)ma se deie esc(r)iv(er)e sì chomo sta qui de sopra, e daché noie avemo chusì fatto, sì devemo m(ultip)licha(r)e tutte le lib. de la p(r)ima ragio(n)e cho(n) gle dì d(e)l p(r)imo t(er)mene emfine a l’altro t(er)m(en)e, che so(n)no mese 7 e dì 1 più, 9Ìoè dì 111, co(n)tra lib. 1317; e quilla m(ultip)lichat(i)o(n)e sì deverno noie esc(r)ive(r)la da una pa(r)te, e qua(n)do àie facto l’una, sì devemo fa(r)e l’altra ed agiogn(er)e tutte le m(ultip)lichat(i)o(n)e emn una so(m)ma e tutta quilla so(m)ma sì devemo pa(r)tire em tutto lo chapetale, e q(ui)llo che ne ve(r)rà sì serà q(ui)llo dì ch’io deggo av(er)e quillo detera(n)[o] t(er)m(en)e, ta(n)te lib. q(uan)t’è da q(ui)llo e(n) su, che remane enei me 90 d(e) tutta la so(m)ma d(e)l chapetale; e q(ui)llo che rema(n)e deie av(er)e enp(r)i(m)a l’altro dì

e(n)derieto de l’on9 . d(e)llo d(e)retano t(er)m(en)e, 9Ìoè e(n)p(r)Ì(m)a che ’l d(e)ritano t(er)m(en)e; avemo veduto p(er) ragio(n)e che devemo av(er)e lib. 2456 dì 8 esce(n)te nove(n)bre; anche d(e)ve[m]o av(er)e a dì 7 osce(n)te nove(n)br(e) lib. 3355 ed è fatta a deritto e a ponto.

127v 2 De num(er)e : titolo in rosso. 2-3 Vistoso cambiamento di modulo tra le due righe. 3 Ac­ canto alla riga, nel margine esterno, si trova una crocetta e, subito sotto, le lettere no, in nero. 7 essie(n)t[e] : essie(n)to per assimilatone grafica; la seconda -s- è legata con -i-, così da sembrare effe (lo stesso alla riga seguente); tfrr. 127v.8 e 127v.30. 9 {av(er)e} : aggiunto in interrigo, forse da C. 18 ragio(n)e : r- con asta ripassata, forse ricavata da altra lettera. 24-25 Righe, specie nella parte cen­ trale, molto rovinate; nel me%gp si trova un buco preesistente della pergamena. 24 detera(n)[o] : ms. detera(n)e, corretto sulla base di 127v.28. 30 d(e)ve[m]o : ms. d(e)veno. 127v 7 h a data èprobabilmente sbagliata: i sette mesi e un giorno di r. 19, calcolati dalprimo gennaio (r.10), indicano il 4 pugno. 11-12 L a frase non sembra avere un senso nell’ambito delproblema; si trattaforse di una parte del calcolo collocatafuori posto. 20 dì 111 : // valore corretto è 211. 28 de Fon?: d(e)llo : la legione non è chiara (neanche ad un copista, cui parve necessaria la parafrasi introdotta da : cassato ed espunto. 30 A piè di pagina, nel centro, si trova la jig. 149rb. 149v 12-17 Accanto, nel margine esterno, si trova la Jig. 149va. 14 [bjasso : ms. passo (cfr. 149v.5, 149v.9, 149v.10 e Fib. area basis,).

149v 30 A piè di pagine, mutilata dalla rifilatura, si trova lafig. 149vb. 150r 11-17 Accanto, nel 149r 23 somma : Fib. summa pedum. 24-26 lo mego ... via 11 : è in parte omessa la spiega­ tone di Fib. diametrum collumpne, que per geometriam sic invenitur: videlicet quod divides circolum columpne, videlicet 22 per £ 3, exibunt prò diametro pede 7; quorum dimidium, quod est £ 3, multiplica per dimidium circuii, videlicet per 11. 29 3850 : Fib., corret­ tamente, 385. 149v 4 forma de piramo : Fib. formarti piramidis circularis: si tratta cioè di un cono. 5-8 fioè de ... attorniamo :fraintendimento di Fib. hoc est, quod in basi sit ut pes et vadat ipsa rotunditas semper minuendo versus altdtudinem, donec ad nichilum redigatur. 9 ch’e ■ retondo basso : Fib. circulus basis. 10-11 d’esso bas | so : Fib. ipsius basis. 13 la mità ... vogle : Fib. dimidium circuii. 15 el diametro de la t(er)ga : fraintendimento (attraverso un testo volgarej di Fib. diametrum altitudinis. 16 10 : Fib., correttamente, 18. 17-19 m(ultìp)lichatione ... me | desmo : Fib. multiplicationem dimidii diametri circuii, videlicet £ 3 in se.

marine esterno, si trova lafig. 150ra. 18-19 E l ... triangogle : titolo in rosso.

150r 20-21 ch’è ... pe(n)dente : Fib. que est parum amplius de 17, erit perpendicularis. 22 e vogle : errore, Jone per equivoco su una abbreviatone, di Fib. cuius. 24-26 S i calcola proportonalmente il volume dell’acqua spostata, comeprima a 149r. 13-18 e a 149r.30-149v.2. 25 l ’aria : Fib., erroneamente, archam. 149v.29-150r.1 quisto ... pirame : fraintendimento su Fib. in duo reddit piramides similes superscripto piramidi; et quod ponatur in ventre ipsius, scilicet in sectione piramidorum; probabilmente in vtre abbreviato è stato compreso come derivato da uter. 150r 3 p(er) quista reg(o)la : Fib. per suprascriptam regulam. 11 p(er) £ 2, e sironno £ 32 : i valori corretti sono 2 j e 32 12 1437 : in realtà 1437 j.

§.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

orine fa£Ìa br. 10 e noie volessemo sap(er)e q u a n ­ to è ’l suo diametro. Sì devemo m(ultip)lichare la li­ na del triangolo de lo schudo p(er) sé medesmo e dire: « 10 via 10 », che fa 100, degl quagle abatte el qua(r)to, e rema(r)rà 75, degl quagle 75 troveraie la sua radice lo più sutile che puoie, ch’è br. f 8 de br., e chotanto è ’l suo diame­ tro de me$o. Anche sonno maiestre che dichono ch’è meglo a fare p(er) quisto altro modo, £Ìoè che, fosse uno eschudo che ’l t(r)iangolo suo da la­ to è-ne p(er) fa^ia br. 9, che m(ultip)lichamo 9 via 9, che fa 81, degl quagle 81 devemo abatt(er)e la mità de la m(ultip)lichat(i)o(n)e de l’una de le line da lato, $ioè i 4 via i 4, che fa 4 20, lo quale \ 20 deve­ mo abatt(er)e de br. 81, e rema(r)rà br. 1 60. Mo deverno noie emvenire la radice de 1 60 , ch’è-ne f 7, e chotanto è la lina de me^o de lo triamgolo che vogle lo schudo; e se ne fosse ditto qua(n)te br. quadre fosse quisto ch’è p(er) fa^ia e da lato br. 9, sì devemo pigiare la mità de 9, ch’è è 4, e m(ultip)lichiamo p(er) lo diametro de me90 , ch’è f 7, e m(ultip)lichare f 7 via è 4, che fa 35, e chotante br. quad(r)e è-ne, avenga che se faciano p(er) radice sorde. E se ne fosse ditto: è uno es[c]hudo del quale eschudo no(n) sapemo quanto è ’l suo triangolo da lato, ma sapemo quanto è-ne p(er) lo diametro, ch’è br. 13; e se noie volemo sap(er)e quanto è p(er) lo triangolo da lato, sì devemo m(uldp)lichare el ditto diametro p(er) sé medesmo, br. 15 de br., e chotanto è p(er) 9Ìaschuna lina da lato, e chusì fa’ le semeglante ragione. Se ne fosse ditto: è una lina de schudo ch’è br. 24

PRIMO AMASTRAMENTO

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3

150v

150r 21 -25 Accanto, nel marine esterno, si trova lafig. 150rb. 150v 10 9 : scritto in poco spasso, in rosso. 13 sorde : di A nello spasso lasciato libero alla riga 14. 14 es[c]hudo : la lettera ì stata asportata dal buco di un tarlo. 19-23 Accanto, nel margine esterno, si trova lafig. 150va. 21 sopra 169 : la prima cifra sembra cassata con un trattino orizzontale rosso. 22 < 15 > : cassato con due trattini orizzontali in nero. 150v 25 11problema consiste essenzialmente nel costruire un triangolo isoscele di base (lina de schudo,/ 24, e vienepresa in consideratone solo una soluzione con numeri interi.

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e ’l triangolo suo da lato sia qua(n)to se vole; adoma(n)dote qua(n)to < se vuole > sirà el chorpo de quisto schudo a ponto. Reg(o)l’è che devemo pigiare la mi­ tà de br. 24, ch’è 12, lo quale 12 devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 12 via 12 », che fa br. 144. Mo devemo trovare uno tale num(er)o che, gionto chom 144, e agia radÌ9Ìe, ch’è 16; mo devemo m(ultip)lichare 16 via 16, che fa 256, el quale agiogne chom br. 144, e farà br. 400, del quale è la sua radÌ9Ìe 20 br., e chotanto è lo triangolo da lato. Mo avemo che p(er) la lina de sopre è br. 24 e p(er) lo triangolo da lato è br. 20 e p(er) lo diametro è br. 16; e p(er) sap(er)e quante br. quadre è tutto, sì devemo m(ultip)lichare la mità de la lina de sopre p(er) lo t r i ­ angolo da lato, 9Ìoè 12 via 16, che fa br. 192, e chotanto è a ponto. Se ne fosse ditto: è una lina de schudo la quale è-ne br. 12 e noie volemo fare amedoro gle t(r)iangogle da lato a9Ìò che sia tanto l’uno qua(n)to l’altro; adoma(n)dote quante br. quadre sirà tutto el suo chorpo a ponto. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo pigiare lo sexto de quanto è la ditta lina de sopre, 9Ìoè de br. 12 , ch’è br. 2 , egl quagle 2 devemo trare de br. 12 , e resta br. 10 , e chotanto è p(er) lo triangolo suo da lato; e se volemo sap(er)e quanto è p(er) lo diametro de me9o, sì deve­ mo pigiare el ter90 de 12, ch’è 4 br., e rema(r)rà br. 8 , e chotanto è p(er) lo suo diametro; e se volemo sap(er)e quante br. quadre è tutto, sì devemo pigia­ re la mità de la lina de sopre, ch’è br. 6 , e m(ultip)licha(r)la p(er) lo diametro, ch’è br. 8 , e dire: « 6 via 8 », che fa 48, e chota(n)te br. quadre è tutto q(ui)sto eschudo. E se la volemo provare, sì devemo pigiare la mi­ tà de br. 12 , ch’è br. 6 , lo quale devemo m(ultìp)licha(r)e p(er) sé medesmo e dire: « 6 via 6 », che fa 36; mo d(e)ve-

439

151r

150v 27 < se vuole > : cassato ed espunto. 151r 3-10 Accanto, nel marine esterno, si trova la fig. 151ra. 14 a$iò : della -9- si vede solo la cediglia, mentre il resto è stato asportato da un buco di tarlo. 17-21 Accanto, nel marine esterno, si trova lafig. 151rb. 25 Accanto a questa riga, nel margine esterno, si trova uno scarabocchio in rosso, forse un h eroso e cancellato. 151f 12 II problema richiede di costruire un triangolo isoscele di base 12; viene risolto supponendo il lato uguale a § della base, di modo che applicando il teorema di Pitagora (utilizzato comeprova a 151 r.28151 v.6) l'altezza sia costantemente (è p(er) sane e p(er) rotte 151 v.6) uguale a § della base.

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LO LIVELLOD EL’ABBECHO

mo m(ultip)lichare lo diametro suo p(er) sé stesso e dite: 8 via 8 , che fa br. 64, e giongne s[o]pra a br. 36, e farà br. 100, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è 10 , e chotanto deie essere lo triangolo suo, ed è provata a po(n)to e p(er) sane e p(er) rotte. Se ne fosse ditto che una lina de schudo è-ne br. 37 e ’l triangolo suo sia quanto vogle e sia tanto l’uno qua(n)to l’altro: di(m)me q u a n ­ to è ’l chorpo suo a ponto. Reg(o)Pè che noie deve­ mo abatt(er)e el è de 37, ch’è è 6 , e ’l remane(n)te sì è § 30, e chotanto è p(er) lo triangolo de ciaschuna de le fasie da lato; e p(er) sap(er)e qua(n)to è p(er) lo diametro suo, sì devemo abatt(er)e el t(er)90 de la quantità de la ditta lina de sopre, £Ìoè de br. 37, ch’è br. f 12, e rema(r)rà-ne br. § 24, e chota(n)to è ’l suo diametro a ponto. E se la volemo provare, sì devemo pigiare la mità de la lina de sopre, ch’è br. i 18, e m(ultip)licha(r)lo p(er) sé medesmo e dire: « £ 18 via i 18 », che fa i 342; mo devemo m(ultip)lichare el diametro suo e dire: « § 24 via f 24 », che fa br. f 608, egl quagle agiogne chom br. \ 342, che fa fi 950, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è br. i 30, e quanto è ’l triango­ lo tanto deie essere la sua radice, ch’è bra. i 30; e p(er) sap(er)e quante br. quadre è tutto, sì devemo pigiare la mità de la lina de so­ pre ch’è br. è 18, e m(ultip)licha(r)lo p(er) lo suo diamet(r)o, ch’è br. f 24, un(de) m(ultip)licha è 18 via f 24, che fa br. f 456 de br., e chotante br. quadre sirà, e p(er) quisto modo puoie fare de qua(n)te tu vuogle p(er) sane e rotte. Se ne fosse ditto ch’è uno diametro de schudo ch’è-ne br. 10 , e la fa$ia de sopre fa quantu(n)che

PRIMO AMASTRAMENTO

151v

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152r

151v 2 s[o]pra : ms. sapra, per assimilatone grafica. 14 devemo : un foro di tarlo ha asportato parte della sillaba centrale. 15 Accanto, nel marine esterno, si trova lafig. 151 va. 151v 7 Viene qui verificata, con un numero che dà luogo a risultatifratonari, la velatone esposta nel problema precedente eprovata nel successivo, sempre attraverso il teorema di Pitagora. 24 f i : erroreper 5Ì 30. 25-26 e qua(n)to ... sua radice : s'intenda: 'e la sua radice deve essere uguale al lato del trangolo'.

6

vuogle, e ’gl triangogle siano pare da lato: adomandote quante br. quadre sirà tutto. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo piglare la mità del ditto < triangolo > diametro, ch’è 5, el quale 5 giongne sopra al 10, e fa­ rà br. 15, e chotanto sirà la lina de sopre; e p(er) sap(er)e quante siano gle triangogle da lato, sì d(e)vemo pigiare el è de qua(n)t’è la ditta lina de sopre, ch’è è 2 , e remane br. è 12 , e chotante sironno gle triangogle da lato. E se la vo­ lemo provare, sì devemo pigiare la mità de la lina de sopre, ch’è br. è 7, lo quale devemo m(ultip)lichare p(er) sé stesso e dire: « è 7 via i 7 », che fa 4 56; mo devemo m(ultip)lichare lo diame­ tro suo p(er) sé medesmo e dire: « 10 via 10 < 0 > br. » {fo(n)no 100 }, egl quagle agiongne chom br. \ 56, e farà b. \ 156, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è br. è 12 , e tanto vuole essere la radice quanto la lina da lato. E p(er) sap(er)e q(uan)te br. quadre fosse, sì devemo pigiare la mi­ tà de la lina de sopre, ch’è br. è 7, e m(ultip)licha(r)lo p(er) lo suo diametro, ch’è br. 10, e dire: « è 7 via 10 », che fa br. 75, e chotante br. quadre è tut­ to e p(er) rotte e sane. Se ne fosse ditto: è imo eschudo chusì fatto ch’è p(er) fa$ia de sopre br. 18 e de le fa^ie da lato br. 12 e la testa de sotta br. 6 ; adoma(n)dote qua(n)te br. quadre è tutto quisto eschudo. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo pigiare lo di­ ametro de quisto schudo, ch’è br. 12 , p(er) om(n)e fa$ia; e p(er) sap(er)e lo suo diametro, sì devemo m(ultip)lichare una de le fa^ie de quisto schudo e dire: « 12 via 12 », che fa 144, degl quagle devemo abatt(er)e

441

152v

152r 9 < triangolo > : espunto e cassato. 10-16 Accanto, nel margine esterno, si trova la fig. 152ra. 14 remane : un buco di tarlo ha asportato la parte inferiore della prima sillaba. 20 Nella stesura C deve aver saltato dal primo 10 al risultato (100j della moltiplicatone; successivamente C è intervenuto cassando con un tratto diagonale l'ultima cifra di 100 e integrando in morfine il risultato, in inchiostro nero. 152v 8-9 abatt(er)e | < e > lo qua(r)to : e cassato; lefinali di lo e quarto sono frutto di correfione sulla primitiva scrifione -e. 152r 9-15 S i applica la relafione individuata a 151r, per cui la base ì uguale a ^dell'altera e il lato a fidella base. 30 S i tratta in realtà, come si desume dalla descrifione, di un trapefio isoscele. 152v 4 pigiare : non è chiaro il senso del verbo:forse è erroreJ>er multiplichare.

442

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

< e > lo qua(r)to, ch’è br. 36, e rema(r)rà br. 108, degl quagle devemo trovare la sua radice, degl quagle no(n) se può trovare a ponto, ch’è br. ^ 10 12 de bra^io, e chotanto è lo suo diametro. E p(er) sa­ pere quante br. quadre è tutto, sì devemo pi­ giare la mità de br. 12 , ch’è br. 6 , un(de) devemo 15 m(ultip)lichare 6 via § 10 , ch’è br. f 62, e chotante br. quadre è tutto quisto schudo. Or devemo sap(er)e quante br. quadre è-ne el quadro den18 tro, ch’è semeglanteme(n)te br. § 62, e p(er) quisto chotale modo fa’ le semeglante ragione, ma molte no(n) se possono fare a ponto p(er)ché se fon21 no p(er) radice sorde, 9Ìoè che no(n) sonno a po(n)to. Famme quista ragione, è uno eschudo de sva­ riate chantone ch’è p(er) la fa9Ìa de sopre br. 40 24 e p(er) quilla de sopre è br. 16 e p(er) ciaschuna de q(ui)lle da lato è br. 20 ; adoma(n)dote qua(n)te br. quadre è tutto quisto schudo. Quista è la sua reg(o)la, che 27 noie devemo trare lo maiure quadro che se ne può trare, ch’è br. 16, e quilla ch’è remasta sì è br. 32, e p(er) le fa9Ìe da lato sì è br. 20; e p(er) 30 sap(er)e lo diametro de quisto schudo, sì devemo m(ultip)lichare 20 via 20, che farà br. 400; mo deverno pigiare la mità de 32, ch’è br. 16, lo q(ua)3 le devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 16 via 16 », che fa 256. Or devemo trare de bra. 400 quisto ditto 256, e rema(r)rà br. 144, de6 gle quagle {144} devemo trovare la sua radÌ9Ìe, ch’è br. 12 , e chotanto è ’l suo diametro de me90 , e chotanto sirà la lunge9a de quisto qua9 dro. E p(er) sap(er)e quanto sirà tutto, sì devemo fa(r)e

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PRIMO AMASTRAMENTO

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152v / 1-15 N el marine esterno, si trova lafig. 152va. 30 Sotto il testo, a piè di pagina, si trova la fig. 152vb. 153f 1 N ell’angolo in alto a destra, in rosso, si trova il numero del capitolo: 4. 6 {144} : a causa dell’insufficiente spasso lasciato da A , la cifra è stata aggiunta in margine interno, in rosso, con segno di richiamo. 152v 9 lo qua(r)to : in realtà bisogna togliere 36 perché è il quadrato della metà della differenza delle basi. 14 la mità de br. 12 : ci si riferisce alla differenza delle basi, non, come sembra, alla misura del lato obliquo. 15 6 via ... br. $62 : le cifre sono evidentemente errate,farse in relazione a differenti ap­ prossimazioni nella radice. 17-18 el quadro den | tro : la misura dell’area viene calcolata sommando quella dei triangoli con base la metà della differenza delle basi e quella del parallelepipedo della base mi­ nore dell’altezza: tuttavia la somma non viene eseguita. 22-23 uno eschudo ... chantone : come si comprende dalla descrizione più sotto, si tratta di un trapezio isoscele. 23 sopre : errore per ‘sotto’. 27 lo maiure quadro : cioè un rettangolo.

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12 via 16, che fa 192 br., e chotanto sirà el quadro; e p(er) sap(er)e quanto sirà lo schudo, sì devemo fare 6 via 32, che fa * * * e giongn(er)e ensieme, e farà br. 384, e p(er) quisto modo fa’ le semegla(n)te ragione, ed è f[a]tta. El quarto chapi(to)lo è de reg(o)le d’arbore p(er) molte guise. Se ne fosse ditto: è uno a(r)bore lo quale è alto br. 20 e voglolo taglare e a 9Ìaschuno cholpo se piega uno br.; adomandote en qua(n)te cholpe sirà chaduto en terra. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo mostrare l’asenpio em quisto modo, 9Ìoè che noie devemo radopiare qua(n)to egle è lungo, adonqua devemo dire: « 20 e 20 », che fo(n)no 40. Mo l’avemo rechato ad uno reto(n)do ch’è p(er) lo diametro br. 40, e devemo sap(er)e quillo che vogle, adonqua devemo 40 per \ 3 m(ulrip)lichare, che fa(n)no f 125, degl quagle devemo pigiare el qua(r)to, el qual’è br. ^ 31, ed en cho­ tante cholpe sirà chaduto l’a(r)bore; e tutta fiada parte la somma per quarto, ed en chota(n)te cholpe sirà chaduto en terra. Se ne fosse ditto: è uno fiume, lo quale fiume è br. è 12 , e da l’altro chanto del fiume sì sta uno a(r)bore, lo quale no(n) sapemo quanto sia al­ to, un(de) iio voglo fare una schala che gionga da la ripa del fiume entro a la cima de l’a(r)bore: adoma(n)dote qua(n)to è alto l’a(r)bore e qua(n)to sirà alta la schala. Quista è la sua reg(o)la, che noie d(e)vemo pigiare el \ de la la(r)ge9a del fiume, 9Ìoè de br. è 12, ch’è br. è 3, egl quagle agiog(n)e emsieme chom br. è 12, e farà br. § 15, e chota(n)to sirà grande la schala; e p(er) sap(er)e quanto sirà alto l’arbore, sì devemo trare el i {di} br. è 12 , ch’è è 3, e ’l remane(n)te sirà i 9, e chotanto sirà alto l’arbore.

*

153v

153r 14 f[a]tta : lettera asportata da un buco di tarlo. 14-15 E l ... guise : titolo in rosso. 20 em : segue un foro della pergamena precedente alla stesura del testo. 30 A piè di pagina, sotto il testo, si trova la fig. 153ra. 153v 7-13 Accanto, nel margine esterno, si trova la fig. 153va. 12 {di} : inserito da C in alto sul rigo. 153r 12 Lacuna evidente. 153v 1 S i tratta quindi di calcolare ipotenusa e cateto di un triangolo rettangolo con un lato di 12 £, secondo le relazionigià viste.

444 15

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

E se la volemo provare, sì devemo m(ultip)lichare la la(r)ge$a del fiume p(er) sé medesmo e dire: « \ 12 via è 12 », che fa br. \ 156; mo devemo m(ultip)lichare lo t(er)50 de l’arbore e dire: « 1 9 via 1 9 », che fa 86 , egl quagle agiongne emsieme cho(n) br. i 156, e farà br. gf 244, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è f 15, chomo vole essere, e chusì fa’ le semeglante ragio(n)e a po(n)to. Se ne fosse ditto ch’è uno arbor[e] alto br. f 25 e uno fiume è a pieie de l’arbore ed io voglo pon(er)e una schala da la cima de l’a(r)bore a la proma del fiume: adoma(n)dote qua(n)to sirà largo el fiurne e qua(n)to sirà larga la schala a ponto. Quista è la sua reg(o)la, ^ioè che noie devemo pigia­ re el i de la la(r)ge$a de l’a(r)bore, 9Ìoè de br. f 25, ch’è br. f 8 , e giogne sopra a br. f 25, e farà br. $34, e chotanto sirà largo el fiume; e p(er) sap(er)e

PRIMO AMASTRAMENTO

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quanto sirà larga la schala, sì devemo pigla-

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re el i de br. § 34, ch’è br. § 8 , e giongne sop(r)a, ed averaie br. 43 e chotanto chonverà essere lunga la schala. E se la volemo prova’, sì devemo m(ultip)lichare la lunge9a de l’a(r)bore, 9Ìoè br. f 25, p(er) sé me­ desmo e dire: « f 25 via f 25 », che fa 665; mo devemo m(ultip)lichare la la(r)ge9a del fiume, 9Ìoè br. § 34, p(er) sé medesmo e dire: « § 34 via f 34 », che fa br. 5§ 1183 de br., e agiogne ensieme l’uno cho * ll’altro, e farà br. 1849, degl quagle devemo trovare la sua radÌ9Ìe, che vuole essere tanto qua(n)to sirà lunga la schala, 9Ìoè 43, chomo vuole essere; e p(er) quisto modo fa’ tutte le semeglante ragione a ponto e mostrale ad altruie p(er) rad^ie. Se ne fosse ditto: è uno gia(r)dino e * Ilo quale gi­ ardino è uno a(r)bore ch’è alto br. 100 e ’m me-

153v 20 156 : segue un foro preesistente alla stesura del testo. 23 arbor[e] : ms. arbora per assimilatone grafica allenitale della parola successiva. 30 A piè di pagina, partnlmente asportata dalla rifilatura, si trova la fìg. 153vb. 154r 14 qua(n)to : con -t- quasi completamente asportato da un buco di tarlo. 153v 18 lo t(er)9 0 de l’arbore : si tratta evidentemente di un errore: nell’antigrafo si sarà trovato l’altezza (per cui si veda r. 13). 27 larga : sembrerebbe più appropriato lunga: forse è stata erroneamente estesa alla scala e all’albero la la(r)geza del fiume (154r.9).

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90 de quisto gia(r)dino sì sta una fonte, la q(ua)le fonte sta-ne de lugne da l’a(r)bore br. 20 , e qui­ sto e(r)bore se spe9a e chade la cima entro em me9o de la fonte, e quisto ch’è rotto no(n) se spi9Ìa de Pa(r)bore, che s’en tiene alchuna chosa; a-

doma(n)dote en quale luocho se ruppe l’a(r)bore e qua(n)to è ’l rotto e quanto è ’l sano ch’è remaste. Reg(o)l’è che noie devemo m(ultip)lichare qua(n)to ène da pieie de l’a(r)bore a la fonte, che sonno br. 20 ; un(de) mu(ltip)licha br. 20 p(er) sé medesmo e di’: « 20 via 20 », che fa 400 br. Or devemo pigiare de br. 100 tale num(er)o che, m(ultip)lichato p(er) sé medesmo e gionto chom br. 400, che ’l remane(n)te de quiste br. 100 sia la radÌ9Ìe de quiste num(er)e m(ultip)lichate e gionte, lo quale è br. 48, e m(ultip)lichare br. 48 p(er) sé medesmo e dire: « 48 via 48 », che fa 2404 br., e, agionte chom br. 400, e farà br. 2704. Or de­ vemo sap(er)e quanto è l’a(r)mane(n)te de br. 100 , ch’è br. 52, egl quagle 52 è radÌ9Ìe de 2704 br.; or avemo che l’a(r)bore rotto è br. 48 e l’a(r)mane(n)te ’va sta el rotto è 52 br. E se la volemo pro­ vare, sì devemo m(ultip)lichare 52 via 52, che fa 2704 chome vole e(ss)e, e ’n quisto modo se fo(n)no le semeglante ragione a ponto. E se ne fosse ditto: è uno gia(r)dino, e * Ilo me9o de quisto gia(r)dino sta una fonte e ’n quisto g ia r ­ dino està uno a(r)bore, el quale arbore no(n) sape­ nte quanto è la sua lunge9a né quanto è de lugne da la [fjonte, ma sapemo che l’e(r)bore ch’è rotto è br. 70 e la cima de quisto erbore è chaduta entro e(n) me9o de quista fonte; adoma(n)do qua(n)t’iera la lunge9a de l’a(r)bore, enna(n)te che se ronpesse, e quanto è ’l pedale ch’è ’(r)masto e qua(n)to avea da pieie de l’a(r)bore a la fonte. Reg(o)l’è che noie devemo m(ultip)lichare quanto è ’l rotto, 9Ìoè br. 70 e dire: « 70 via 70 », che fa 4900; or deve-

154v

154r 30 A piè di pagina, postalmente asportata dalla rifilatura, si trova la fig. 154ra. 154v 14 gia(r)dino : con -i- quasi del tutto asportato da un buco di tarlo. 18 [fjonte : lettera asportata da un buco di tarlo. 22 (r)masto : il trattino di abbreviatone è a ricciolo, e si riferisce quindi a vibrante preconsonantica. 154v 18-19 l’e(r)bore ch’è | rotto : cioè la parte dell’albero dal punto di rottura alla cima (l’ipotenusa).

446

27

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3

LO LI VERO D EL’ABBECHO

mo abatt(er)e de br. 70 el quinto, ch’è br. 14, e remane br. 56, e chotanto avea da pieie del pe­ dale a la fonte, el quale è-ne br. 56; or devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 56 via 56 », che fa 3136 br. Or devemo trare de br. 4900 quista somma, gioè br. 3136, e rema(r)rà br. 1764, degl quagle 1764 br. devemo trare la sua radigie, ch’è br. 42, e chotanto è ’l pedale ch’è remasto

15

del rotto. E p(er) sap(er)e quanto iera lungo sì devemo mett(er)e ensieme br. 42 e br. 70, e farà br. 112, e chotanto iera l’a(r)bore, enna(n)te che se ronpesse, e chusì fa’ le semeglante ragione, gioè che quillo ch’è rotto fose giò che v[o] lesse, sì n’abatte el quinto, e l’a(r)mane(n)te sirà tanto quanto ve(r)rà dal pe­ dale a la fonte; e puoie m(ultip)licha quisto remane(n)te e de la so(m)ma ne traie quillo che ve(r)rà, sì t(r)uova la radice, e chotanto sirà l’a(r)bore ch’è rema­ sto; e p(er) quisto modo puoie fare de quante ra­ gione te fossero ditte, e quisto m odo sì è chomo avemo ditto de sopre e p(er) sane e p(er) rotte.

18

E se la volemo provare, sì devemo m(ultip)lichare quant’è dal pedale de l’e(r)bore a la fonte, ch’è br. 56, un(de) m(ultip)licha 56 via 56, che fa 3136 br.,

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PRIMO AMASTRAMENTO

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30 155r

e quanto è quillo ch’è remasto chello ’va se ru­ ppe l’e(r)bore, ch’è br. 42, e m(ultip)licha 42 via 42, che fa 1764, e giongne sopra a br. 3136, e farà br. 7900, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è br. 70, chomo vuole essere, e chusì pruova le semeglante ragione. E se la vuogle fare venire più ligierem(en)te, la ragione, sì devemo pigiare el 5 de qua(n)to è la rama

154v 30 A piè di pagina, parzialmente aportata dalla rifilatura, si trova la jig. 154va. 155r 8 fose : la -o- è stata probabilmente ripassata da a, forse non dalla mano principale. 8 v[o]lesse : ms. valesse. 14 ditte : un buco di tarlo interessa parzialmente le due prime lettere. 18 che : con ultima lettera quasi completamente asportata da un buco di tarlo. 154v 28 A questo punto sifa ricorso a l teorema di Pitagora, che di norma è lasciato per la prova (anche qui a 155r.16-24), mentre si lascia ad un successivo approfondimento (155r.24-155v.4) la consueta relazione per cui un cateto è uguale a $ dell'altro. 155r 19 e quanto è : il sintagma dipende da devemo m(ulrip)lichare (dove si intenderà \elevare al quadrato') di r.16 ed è quindi coordinato a quant’è di r. 17. 22 7900 : errore elidente per 4900. 24 Q ui si suggerisce di usare la relazione già esaminata per determinare l ’altro cateto moltiplicando l’ipotenusa per § = $ ' § , togliendo cioè dall’ìpotenusa successivamente un quinto (rr.26-27) e un quarto (r.28).

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rotta e, pigiato el i, del remane(n)te devemo pigiare el ì e ve(r)rà l’uno cho’ l’aljtjra; e ponialla en quisto modo: la rama è-ne br. 70, or pigià el i de br. 60, ch’è br. 14, traiene de br. 14, e rema(r)rà br. 56, e chotanto sirà de lugne da la fonte el pedale; or pigia el i de 56 br. ch’è bra. 14, traie de br. 56 br. 14: rema(r)rà br. 42, e chota(n)to sirà remasto el sano de l’e(r)bore, ed è fatta. Famme quista ragione, è uno a(r)bore, e • 1quale a(r)bore està una schala ch’è alta quanto l’a(r)bore; iio no(n) so né qua(n)to se sia alto l’a(r)bore né la schala, ma so che la schala è tanto deciesata dal pieie de l’a(r)bore che ci à br. 20; adoma(n)dote quanto è alto l’a(r)bore. Reg(o)l’è che noie devemo m(ultip)lichare 20 via 20, che fa br. 400. Or devemo trovare tale num(er)o che, m(ultìp)lichato p(er) sé medesmo e gionto chom 400 br. agia radice, el qual’è 15; un(de) m(ultip)licha 15 p(er) sé medesmo e di’: « 15 via 15 », che fa 225, e gi­ ongne sopra a br. 400, ed averaie che farà br. 625, degl quagle 625 devemo trovare la sua radice, ch’è br. 25, e chota(n)to è alto l’a(r)bore, e la schala, ed è fatta. E se la volemo fare più ligierem(en)te, sì devemo abatt(er)e el qua(r)to e ’l remane(n)te sirà el num(er)[o]; e se vuogle sap(er)e quanto sirà l’altera, sì devemo pigia­ re el 4 e giongn(er)e sopre, e chotanto sirà l’altega. Or lo pruova: pigia el i de br. 20, ch’è br. 5, e agiongne sopra a br. 20 e sirà bra. 25, cho’ vuole essere; e se vuole sap(er)e el nu(mer)o, achatte el | de br. 20, ch’è 5, e rema(r)rà-ne 15. Famme quista ragione, è uno a(r)bore lo qua­ le è deritto en pieie ed è lungo br. 70 ed una fonte sì gl’è da pieie a la(r)go br. 40, lo q(u)ale arbore è rotto en tale modo che la cima agiongne a la fontana; adoma(n)dote quanto è quillo ch’è remasto deritto en pieie de l’arbore e qua(n)to

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155r 28 l’al[t]ra : ms. la Iera. 155v 12-21 Accanto, nel margine esterno, si trova la jig. 155va. 14 un(de) : iniziale parzialmente asportata da un buco di tarlo. 21 num(er)[o] : ms. num(er)e. 27 15 : scrittofuori dallo specchio di scrittura, in rosso. 155r 30 br. 60 : erroreper 70. 30 br. 14 : evidente errore, per ripetizione, in luogo di 70.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

è quillo ch’è rotto, lo quale arbore sta-ne chusì. E se noie volemo sap(er)e fare m(o)lto latinamente q(ui)6 sta ragione e tutte le semeglante, e maiure e menore, sì devemo m(ultip)lichare tutta la lunge^a de l’a(r)bore en sé medesmo, £Ìoè 70 via 70: mo(n)9 ta 4900, de la quale so(m)ma se deie abatt(er)e 40 via 40: monta 1600, $ioè tanta m(ultip)lichatio(n)e quant’à da la fontana a l’a(r)bore, e rema(r)rà-ne 12 3300, egl quagle se deggono pa(r)tire p(er) me90 , e sonno 1650, egl quagle se degono p a r ­ tire p(er) la lunge9a de l’a(r)bore, 9Ìoè em 70, che ne 15 viene f 32, e chotante br. remasero em pieie, e 46 br. 7 de bra9Ìo è-ne el rotto. E se noie volessemo sap(er)e la pruova, sì devemo m(ultip)lichare 18 40 via 40, che fa 1600, e f 23 via $ 23 en sé medesmo: monta M e 555, ’gle qua­ gle se degono agiogn(er)e 1600, e sonno $ 21 e 2155, ed altretanto deie mo(n)tare 7 46 via f 46, che monta e 2155; un(de) altretale radÌ9Ìe esirà-ne de l’una somma quanto d(e) 24 l’altra so(m)ma, ch’è altretanto, e p(er) quisto chotale modo se degono fare tutte le semegla(n)te ragione, e maiure e menore, lo quale p(er) lu 27 mio < p(er) l’uno > modo. Se vogle ch[e] t’ensegne p(er) lo modo degl’altre maiestre p(er) apposidone fal­ sa, sì podemo dire che 70 sta p(er) 7 e 40 p(er) 4 30 e devemo m(ultip)lichare 4 via 4, che fa 16, e de 7 devemo togl(er)e 2 e m(ultip)lichare 2 via 2, che fa 4, e devemolo agiogn(er)e chom 16, e son3 no 20; e puoie devemo m(ultip)lichare lo 5 che remase dal 7 en sé medesmo e dire: « 5 via 5 »,

PRIMO AMASTRAMENTO

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6 156r 14 de : iniziale parzialmente asportata da un buco di tarlo. 26-27 p(er) lu | mio < p(er) l’uno > : ilprimo scrivente ha erroneamente ripetuto p(er) l’uno,’ C ha cassato le ultime dueparole e ha aggiunto due astine e un apice. 22 un(de) : si dovrà integrare de, probabilmente caduto nell’antigrafo per aplologa. 27 ch[e] : ms. cho. 30 A piè di pagana, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig. 15óra. 156v 3 5 : in rosso su rasura di 7 in rosso. 4 7 : in rosso su rasura di 5 in rosso. 156r 4 sta-ne chusì : probabile riferimento alla figura che illustra il problema, cioè qui a 15óra. 5 II problema è risolto attraverso un’equazione di secondo grado, senza dame tuttavia alcuna spiegazione teo­ rica. 15 32 : erroreper 23. 27 Viene qui impostata un'altra tecnica di risoluzione basata su una prima falsa posizione di 20 per il cateto minore; la soluzione vieneperò interrotta al rilevamento della diff(erentia) (156v.5) tra il risultato dellapositrone e quello richiesto, quindi tra 45 (20 + 25) e 70; èpossi­ bile che questa parola, usata da Fibonacci nel senso di ‘capitolo, sezione’, sia stata fraintesa da un copista, e abbia provocato l’omissione ««/Livero del resto del calcolo da parte di un copista

che fonno 25. Onde biene vede ch’è Ila diff(erentia). Se ne fosse ditto: è uno a(r)bore lo quale è-ne i \ br. 30: adoma(n)dote qua(n)to è tutto l’a(r)bore. Fa’ chu­ sì, truova uno num(er)o là uve se nuove i i, che se truova 12, e traine ^ i de 12, ch’è-ne 7, e m(ultip)licha 12 p(er) 30, che viene 360, el qua­ le pa(r)te per 7, che ne viene $ 51. Anche è uno arbore che già soterra el i ^ e de sopre rema­ ne 30: adoma(n)dote qua(n)to è l’a(r)bore. Fa’ chusì: truova uno numero ’va se nuove i i, che se truova 12 , degl quagle lieva el i e ’l ch’ène 7, e m(ultip)licha 12 via 30, ch’è-ne 360, e pa(r)te p(er) 5, che ne viene 72, e chusì fa’ le semeglante ragione). Famme quista ragione, è uno a(r)bore lo quale à-ne 100 ramora ed en ciaschuno ramo sì sta 100 nide ed en ciascuno nido sì stonno 100 uova ed en ciascuno uovo sì è 100 < 0 > {uciegle}; adoman­ do qua(n)t’è la so(m)ma de tutte quiste chose ditte. Quista è la sua reg(o)la, enprimam(en)te devemo esc(r)ivere gle ramora mo9Ì, che poniamo < che gle > 2 9Ìffri p(er) 100 nidora gle quagle sonno em ciascuno ramo, e sironno 1000 nidora, gle quagl’è su-ne en ciascuno ramo, e sironno chota(n)te: 10000 ; anche enna(n)9e, che pone doie altre 9Ìffere p(er) gle uova 100 , e sironno 1000000 ; anche enna(n)9e che pone un’altra volta doie altre 9Ìfre: è p(er) gle ucegle 100 gle quagle so(n)no en ciascuno uovo, e sironno 100000000 ; puoie guasta 2 cifere, egl quagle sonno e • Ilo primo grado, en t(er)90 , en quinto, en setimo de quillo nu­ mero, e pone e • lloro luocho 1, e chusì averemo 101010100 , e chotanto è-ne la so(m)ma.

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157r

156v 8-16 Accanto, nel margine esterno, si trova la fig. 156va. 1 5 1 : nel denominatore la primitiva scrizione, 1 in rosso, è stata corretta in 4 in inchiostro nero. 161 : la primitiva scrizione, ^ in rosso, è stata corretta cassando, pure in rosso, il numeratore. 18 quista : con -t- quasi completamente asportato da un buco di tarlo. 20 nido : la -d- di tipo onciale è correzione su una lettera con asta verticale. 21 100 {uciegle} : l ’ultima cifra, in rosso, è stata espunta da C che ha agguato in nero in interrigo uciegle. 24 < che gle > : espunto. 30 A piè dipagna, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova la fig. 156vb. 157r 1 In alto nell’angolo a destra si trova, in rosso, il numero del capitolo: 5. 3 cifere : con seconda -e- ripassata. 156v 6 È certa l’omissione, nel nostro testo, di una parte della proposizione: si potrebbe integrare semplicemente de dopo a(r)bore. 24 mo^i : si tratterà di un errore di letturap erii numero 100.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

Famme quista ragione, è uno arbore lo quale è lungo br. 40, e quisto a(r)bore giacie en t(er)ra, e uno lo vuole relevare ciascuno dì-ne 1 bra.: adoma(n)dote en quante dì-ne serà relevato. Quista è la ragione, m(ultìp)licha 40 en sé medesmo, che monta 1600, gle quagle adopia e siro(n)no 3200, e de quiste togle la radice, ch’è-ne 55 pocho meno; overo [a]ltram(en)te togle la mità de 40, ch’è 20, lo quale pone sopre e sironno 40, e de quiste togle le pa(r)te, e sonno 5, e rema­ ne 55 e quisto è l’arbore, ed è fatta.

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E1 quinto chapi(to)lo è-ne de (r)[e]g(o)le de torre.

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Se ne fosse ditto: è una to(r)re ch’è alta br. 40, e ’m quista to(r)re sì è una fune ch’è semeglantem(en)te br. 40, e ’l chapo de quista fune è tirata tanto ch’è ciessata da la to(r)re br. 30; adomandote quanto averà dal chapo tirato de la fune a la terra.

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Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo fare 40 via 40, che fonno 1600; or devemo fare 30 via 30, che fonno 900, e giongne emsieme 1600 chom 900, che fo(n)no 2500 br., degl q(ua)gle 2500 devemo trovare la sua radice, ch’è br. 50, degl quagle br. 50 ne devemo trare q(ui)llo ch’è alta la fune, gioè br. 40; un(de) traie br. 40

de br. 50: resta 10, e chotante bragia è dal chapo tirata {è} la fune a la te(r)ra. Se ne fosse ditto: è una to(r)re ch’è alta br. 20 e uno leno è-ne a lato d’essa ch’è alto altre br. 20 ,

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14 [a]ltram(en)te : lettera asportata da un buco di tarlo. 18 E1 ... t[o]rre : in rosso; in (r) [elg(°)le> ’ e‘ * omesso erroneamente (o considerato riassunto dall’abbreviazione); in t[o]rre la vocale è stata asportata da un buco di tarlo. 19-30 Accanto a queste righe e ancora più in giù nella pagina, nel marine esterno, si trova un paragrafo scritto da C in nero (157ra.1-16): K E una to(r)re ch’è | alta bra. 4 0 ed à(n)cie| uno fossato ch’è | anpio bra. 30. V o||glo ponere una es|chala: quante bra. | sirà alta la schala? | Deie fare chosìe, | 40 via 4 0 fa(n)no || 1600, (et) deie fare | 30 via 30, fa(n)no | 900: giongne in|sieme, fanno | 25 0 0 e la radigie || sì è 50 e chotan | to è alta l’eschala (nella quarta riga 30 è corretto su altro numero). 20 fune : la parola sembra ottenuta ripassando fare o simile. 30 A piè dipagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig. 157rb. 157v 2 tirata è la fune a la te(r)ra : la primitiva scrizione, tirato a la fune, è stata corretta da C ripassando una lettera, scrivendo è in interrigo, aggiungendo a la fune nello spazio lasciato libero infine di riga eprobabilmente non considerando ilprimo è.

157r 11-17 S i tratta evidentemente di due modiper utilizzare l'irrazionale V z nelprimo caso si estrae ( to g le ) la radice de! doppio del quadrato, nel secondo caso si moltiplica il numero dato per una volta e mezzo e si toglie ré (— 1,416). 15 40 : erroreper 60.

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ed io tiro quisto leno tanto ch’è deschostato da la cima de la to(r)re br. 4: adoma(n)dote qua(n)to à-ne dal pieie de la to(r)re al leno ch’è tirato. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo m(ultip)lichare 20 via 20, che fonno 400 br.; mo devemo trare de br. 20 tanto quanto sonno gle br. ch’è deciessata da la cima de la to(r)re, gioè br. 4, e remane br. 16, egl quagle 16 devemo m(ultip)lichare p(er) sé medes­ mo e dire: « 16 via 16 », che fonno 256, egl qua­ gle 256 devemo trare de br. 400, e rema(r)rà b. 144, degl quagle 144 br. devemo trova(r)e la sua radigie, ch’è br. 12 , e chotanto è dal leno al pieie de la torre, e chusì fa’ le semeglante r(agione). Famme quista ragione, è una to(r)re che no(n) so q(uan)to se sia alta, e una fune sta a lato de la to(r)re, ch’è alta quanto la to(r)re, e no(n) so quanto se sia alta niuna de quiste chose, ma io so-ne che qui­ sta fune è tirata tanto dal pieie de la to(r)re ch’è br. 36: adomandote quanto sirà alta la to(r)re e quanto averà dal chapo tirato a la terra. Q(ui)sta è la sua reg(o)la, che noie devemo m(ultip)lichare 36 via 36, che fa br. 1296; mo devemo pigiare tale nume(r)o che, m(ultip)lichato p(er) sé medes­ mo e gionto ensieme chom 1296, e agia ra­ digie, el qual’è 48; e m(ultdp)licha 48 via 48, che fa 2304, el quale giongne chom 1296 e farà 3600, degl quagle 3600 devemo trovare la sua radigie, ch’è br. 60. Donqua 60 br. sirà alta la to(r)re e la fune; e p(er) sapere qua(n)to àne dal chapo de la fune a la t(er)ra, sì traie de br. 60 quiste br. 36, e rema(r)rà 24 br., chomo vuole essere. Or avemo che la to(r)re è {a}lta b. 60 e dal chapo tirato de la fune a la to(r)re br. 36

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157v 8-17 Accanto, nel margine esterno, si trova la fig . 157va. 12-13 m e d e s |m o : con -s- in interrigo p er mancanza di spazio. 14 de : un buco d i tarlo ha asportato quasi p er intero l ’occhiello di d-. 18 qu ista : con t- quasi completamente asportata da un buco di tarlo. 3 0 A p iè di pagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig . 157vb. 158r 1-19 Accanto, nel margine esterno, si trova i l problema ( 1 5 8 r a .1 - 1 1 E g l’è una sc h a |la apogiata a una | to(r)re, ed è , la schala, al | ta bra. 5 ed è spar||tita, la schala, di s o |t t o la to(r)re br. 3; | qu an to sirà alta | la tore? D eie f a |r e ch osì, 5 via 5 || fa(n )n o 25 et 3 | via 3 fo(n )n o 9; | traie 9 de 25: | resta 16, la ra |d ic ie de 16 || sì è 4, e b r a d a | 4 è alta la to(r)re. 6 {a } lta : con a- aggiunto da C in interrigo.

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PRIMO AMASTRAMENTO

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

e dal chapo de la fune a la t(er)ra br. 24. E se la volemo provare, sì devemo m(ultip)lichare 60 via 60, che fa 3600; or devemo sap(er)e 36 via 36 e 48 via 48, che fa semeglantem(en)te 3600, chomo vuole essere. Se ne fosse ditto ch’è una to(r)re e una fune ène a lato de la to(r)re ed è tamanta la to(r)re chamanta la fune e no(n) sado chama(n)ta se sia niuna de quiste sopreditte chose, ma sa^io che quista fune è deschostata, $ioè tirata, dal pieie de la torre br. 2 0 : adoma(n)dote qua(n)t[o] à-ne dal chapo tirato a la t(er)ra. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo fare chusì, £Ìoè che noie devemo pigiare el t(er)£o de br. 20 , ch’ène br. £ < 2 > 6 de br., el quale agiongne sopra br. 20 , e farà br. f 26, e quisto è lo nu(mer)o che neie se vuole agiongn(er)e cho ■ Ila qua(n)tità che propone che sia deschostata. E p(er) sap(er)e quan­ to è l’altera de la to(r)re e de la fune, sì devemo pigiare el qua(r)to de br. £ 26, ch’è br. £ 6 , el q(ua)le giongne ensieme sopre a br. £ 26, e farà br. £ 33 e chotanto sirà alta la to(r)re e la fune. E p(er) sap(er)e qua(n)to à dal chapo tirato de la fune a la t(er)ra, sì devemo sap(er)e quanto à-ne da 20 enfìn’a £ 33, che eie sonno £ 13. E se la volemo fare più ligierem(en)te, la ragione, sì devemo pigiare gle £ de quanto è-ne deciessata la fune da la to(r)re, 9Ìoè gle £ de 20, ch’è £ 13, e chusì viene fatta l’una chomo l’altra. E se la volemo provare, sì deve­ mo m(ultip)lichare 20 via 20, che forino 400; or de­ vemo m(ultip)lichare £ 26 via £ 26, che fa br. è 711, egl quagle agiongne sopra a br. 400, ed averaie che farà br. £ 1111; or devemo sap(er)e se £ 33 via £ 33 fa £ 1111, sì averemo biene fatto; un(de) di’: « £ 33 via £ 33 », che fa semeglantem(en)te £ 1111, chomo vuole essere: fatta. Se ne fosse ditto: è una to(r)re ch’è alta br. 40, e • 1la quale to(r)re sta uno leno ch’è alto altre 40

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br. e quisto leno è deschostato dal pieie de la to(r)re 24 br.; adomandote quante br. è deschosta18 to da la cima de la to(r)re a quillo del leno. Qui­ sta è la sua reg(o)la, che noie devemo m(ultip)lichare la t(er)£a de la to(r)re per sé medesma e di(r)e: « 40 via 21 40 », che fa 1600; mo devemo m(ultip)lichare tanto quanto à-ne da la to(r)re al leno, ^ioè 24, e di(r)e: « 24 via 24 », che fa 576, egl quagle 576 de24 verno abatt(er)e de br. 1600, e rema(r)rà br. 1204, degl quagle devemo trovare la sua radice, ch’è br. 32; or devemo dire: « de br. 32 emfìne 27 em br. 40 sì à br. 8 », e chotanto è deschostato da la cima de la to(r)re el leno, e chusì fa’ le semeg(lante) r(agione). Famme quista ragione, è una to(r)re ch’è alta br. 30

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158r 19 qua(n) | t[o] : ms. qua(n) | ta per assimilatone grafica. 22 < 2 > 6 : la prima cifra, in rosso, è stata cassata con un leggero tratto di penna obliquo; la seconda è pure in rosso. 30 A piè di pagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig. 158rb.

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17 e uno fiume sta a pieie de la to(r)re, un(de) volemo

pon(er)e una scala da la cima de la to(r)re emfina a la ripa del greppo del fiume: adomandote qua(n)to sirà grande quista schala e quanto sirà largo el fiume. Quista è la sua reg(o)la, che noie deve­ mo pigiare el t(er)90 de l’altera de la torre, $ioè de br. 17, ch’è br. £ 5, lo quale agiongne sopra a br. 17, e farà br. £ 22 , e chotanto sirà largo quisto fiume. E se vuogle sap(er)e qua(n)to sirà la lunge^a de la scala, sì devemo pigiare el qua(r)to de br. £ 22, ch’è br. £ 5, egl quagle giongne sopre a br. £ 22 , e farà br. £ 28, e chotanto sirà lunga la scala a ponto. E se la volemo provare, sì devemo m(ultip)lichare 17 via 17, che fa 289, mo devemo m(ultip)lichare quanto è la(r)go el fiume, £Ìoè br. £ 22 , un(de) m(ultip)licha £ 22 via £ 22, che fa £ 513, egl quagle agiongne ensieme chum 289, e farà £ 802; e p(er) sap(er)e se sta biene, sì devemo trovare la radice de quisto ditto num(er)o a ponto, ch’è £ 28, e m(ultip)licha £ 28 via £ 28,

159r

158v 18-25 Accanto, nel marfine esterno, si trova lafig. 158va (dove 24 è erroreper 245). 30 A piè dipagina, a l centro, si trova il catchmrd pon(er)e incorniciato dal consueto motivo, tutto in nero. 159r 1 Sopra il testo, nel centro, si trova il numero difascicolo (18,) in rosso con la solita decorazione in nero. 5 de la torre : ms. de la fonnte torre; la parola torre evidentemente corregge, ma senza cancellature, la primitiva scrizione erronea fonnte. 158v 20 la t(er) lunga la schala, sì pigia el qua(r)27 to de tutta la so(m)ma co * Ilo t(er)90 ch’è gionto, e pigia el qua(r)to e giongne sopre, e chotanto sirà grande la scala, e chusì fa’ le semeglan30 te ragione a ponto. Famme quista ragione, è uno lo quale vuole fare una to(r)re ed à trovate 4 maiestre 3 e l’uno de quiste 4 maiestre disse: « iio farò quista to(r)re em 4 dì-ne »; disse el s(econd)o: « iio la fa­ rò em 3 dì-ne »; disse el t(er)9o: « iio la farò-ne em 6 2 dì-ne »; disse el qua(r)to: « iio la farò-ne em 1 dì-ne »; adoma(n)do, se ncie lavorassero tutte asieme, a quale ora del dì sirà compita. 9 Questa è la sua reg(o)la, aduna 4 e 3 e 2 e 1, che sonno 10 ; or togle lo i ^ \ de 10 e po(n)e sopra 10 , e sonno i 20 , che ne viene \ me12 no i, ed e • me9o dì-ne meno i sirà conpita la torre. Famme quista ragione, è una to(r)re la quale è 15 alta br. 40, e uno huomo è de sotto [e] l’altro de sopre; quillo ch’è de sotto sagle en rìaschuno dì-ne è de br. e la notte arensegne è, 18 e quillo ch’è de sopre sagle lo dì-ne uno } e la notte descende i de br.; adoma(n)do em quante dì-ne seronno gionte emsieme. Qui21 sta è la sua reg(o)la, p(er) £ togle 3 e p(er) \ togle 4, e m(ultip)licha 3 p(er) 4, che fo(n)no 12, e p(er) è togle 5 e p(er) £ togle 6 , e m(ultip)licha 5 p(er) 6 , che viene 24 30. Mo m(ultip)licha 12 p(er) 30, che viene 360, gle

PRIMO AMASTRAMENTO

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159r 26 < la g > : le lettere, tracciate in modo insolito, sono cassate da due leggerissimi tratti di penna nera. 30 A piè della pagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig. 159ra. 159v 513 Accanto, nel margine esterno, si trova lafig. 159va. 11 viene i : la primitiva scrizione del numero in rosso, £ è stata corretta con un trattino dipenna nera. 21-27 Accanto, nel margine esterno, si trova lafig. 159vb.

159v 12 £ : in entrambe le occorrenze è errore per g i (il risultato è £§). promosso da sotto interpretato comepreposizione.

15 [e] : ms. a per errore

455

quagle m(ultip)licha p(er) l’alte9a de la to(r)re, 9Ìoè p(er) 40, che viene 14400; e mo lieva el e 3^ de 360, gle quagl’è 42; mo pa(r)te 14400 p(er) 42, che viene 343 meno 7 , ed en chotante dì-ne sironno emsieme agionte, ed è fa(t)ta. Famme quista ragione, sonno 2 to(r)re, e ’n

ciascuna to(r)re sì sta 1 palonbo, e tra quiste 2 torre sì sta una fonte e quiste palonbe se muovono ad una ora e sonno gio(n)te a la fonte ad una ora e ciascuno à volato 100 br.; adoma(n)dote quanto sirà alta ciascuna de quiste torre e qua(n)to averà da l’una to(r)re a l’altra. Reg(o)l’è che devemo fare 100 via 100 , che fa 10000 b.; or devemo pigiare el qui(n)to de br. 100 , ch’è 20 br., e remane 80 br., e 80 br. sirà alta ciascuna de le to(r)re. Or devemo fare 80 via 80, che fa­ né 6400 br., e traie, de br. 10000, br. 6400, e rema(r)rà br. 3600, degl quagle deve­ mo trovare la sua radÌ9Ìe, ch’è br. 60, e ’n chapo de 60 b. sì è la fonjtje. Or avemo [che] ciascuna de q(ui)ste torre è alta br. 80 e da l’una to(r)re a l’alt(r)a sì ave(r)à br. 120 , e chusì fa’le semeglante ragi­ one. E se la volemo provare, sì devemo m(ultip)licare 80 via 80, che fa br. 6400; e qua(n)to è da la to(r)re a la fonte, ch’è br. 60, e m(ultip)licha 60 via 60, che fa-ne 3600, e giongne ensieme br. 3600 chon br. 6400, ed averaie br. 10000, cho­ mo vuole essere, e chusì pruova le semegla(n)te ragione. Se ne fosse ditto che en uno piano sonno 2 to(r)re ed en ciascuna è-ne uno ucello e l’una è-ne alta pieie 30 e l’altra è-ne alta pieie 40, e da l’una to(r)re a l’altra sì è pieie 50, ed enfra

160r

159v 26 viene : ms. vieene. 27 360 : leprime due cifre sono in rosso, l’ultima agguata in un secondo momento, in nero. 29 fa(t)ta : abbreviato con un titulus ondulato. 30 A piè dipagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova lafig. 159vc. 160f 14 fon[t]e : buco di tarlo. 14 avemo [che] ciascuna : ms. avemo ciascuna. 160r 8 S i adotta il consueto rapporto per cui un cateto è § dell’ipotenusa. 24 Problema risolto da Fib. 331 col metodo della doppiafalsa posizione, da Fib. 398 con metodigeometriciprima, algebricipoi; an­ che in quest’ultimo caso, più vicino alla trattazione del nostro testimone, il testo del Riccardiano è solo in parte riscontrabile con il Liber abaci e difatto coincide solo nelle righe 24-29 di Fib. 398, da adde passus a erit linea .d.% 32, con la particolarità di omettere le sigle che indicano i segmenti (come già a 86v-87r) ed ogni riferimento ad esse.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

quiste 2 to(r)re sì è una fonte e quiste uciegle se muovono ad una ora e vengono a bev(er)e a quista fonte; adoma(n)dote en quale luoco està la fonte. Quista è la sua reg(o)la, che noie devemo giongn(er)e emsieme l’altera de le to(r)re, ?ioè 30 e 40, e sironno 70, egl quagle pa(r)te p(er) mero, che ne viene 35, e puoie pa(r)te 50 p(er) me50 , che ne viene 25, £Ìoè la qua(n)tità ch’è da l’una to(r)re a l’altra, e tolle la differentia ch’è da la menore to(r)re, rioè 35, ch’è 5; p(er) lo quale 5 m(ultip)licha 35 e sironno 175, egl quagle pa(r)te p(er) la mità de lo spatio, gioè p(er) 25, che ne viene 7, egl quagle agiongne chom 25 e siron­ no 32, é • gle 32 estarà la fonte; e pa(r)te qua(n)to è de lugne da la to(r)re menore, sì tra’ de 25 el ditto 7: remane 18, e donqua è, da la fonte a la to(r)re maiure, è pieie 32, e da { la } menore sì è pieie 18, e chusì fa’ le semeglante ragione. Se ne fosse ditto ch’è uno piano e stonocie rit­ te 2 aste, le quale sonno de lugne l’una da l’altra pieie 12 e la menore asta è alta pièie 35 e la maiure è alta pieie 40: adoma(n)dote, se la maiure asta chadesse sopre la menore, qua(n)to de l’asta maiure avan^àra so­ pre la menore. Quista è la sua reg(o)la, che no­ ie devemo m(ultip)lichare qua(n)to è da l’una a l’alt(r)a, rioè 12, p(er) sé medesmo, e dire: « 12 via 12 », che fa 144; anchora devemo m(ultip)lichare l’al­ tera de l’asta menore em sé medesma, rioè 35 via 35, che fa 1225, egl quagle agiogne chon 144 e sironno 1369, degl quagle la radi^ie è-ne 37, egl quagle 37 traie de l’altera de l’asta maiure: remane 3, e chota(n)to sop(er)chia de l’asta maiure chadendo sopre la menore. E se l’asta menore chadesse sopre la maiure, quanto avanràra anchora de la ma-

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iure? Fa’ chusì: traie de la m(ultip)lichatio(n)e de l’altera de la menore el 144, rioè de 1225: remane 1081, degl quagle truova la radirie sua, ch’è 32, egl quagle traie de l’altera de l’asta maiure, rioè de 40, e rema(r)rà de l’asta maiu(r)e if 7, e chotanto avanga de l’asta maiure chadendonrie su la menore, e p(er) quisto modo fa’ le semeglante ragione. El sexto chapi(to)lo è-ne de ragione de numere. Se ne fosse ditto: truovame tale 2 num(er)e che, m(ultip)lichato ciaschuno p(er) sé e gionto ensieme, faria 225 a ponto. Reg(o)l’è che noie devemo tro­ vare la radirie de 225, ch’è 15, degl quagle 15 devemo abatt(er)e el quinto, ch’è 3, e rema(r)rà 12 , e m(ultip)licha 12 p(er) sé medesmo e di’ « 12 via 12 », che fa 144, e devemo trare de 225 el ditto 144, e rema(r)rà 81, degl quagle 81 devemo trovare la sua radirie, ch’è 9; donqua avemo trovate tale 2 num(er)e che, m(ultip)lichato ciascu­ no p(er) sé, sì fa la ditta so(m)ma, che l’uno è-ne 12 e l’altro è 9. E se la volemo provare, sì m(ultip)lica 12 via 12, che fa 144, e m(ultip)licha 9 via 9, che fonno 81, e giongne sopra a 144, e farà 225 chomo vuole essere; ma de molte no(n) se posso trovare a ponto p(er)ché no(n) se truovano le radire; e chusì fa’ le semeglante ragione de num(er)e. E se ne fosse ditto: truovame tale 2 numere che ciascuno sia m(ultip)lichato p(er) sé e gionto ensie­ me agia radirie. Reg(o)l’è che noie devemo pon(er)e a qualunche num(er)o noie volemo, e voglo dare l’asempio a la ditta reg(o)la e voglo ponere 5, degle quagle 5 devemo trare el quinto, ch’è 1, e rema(r)rà-ne 4, lo quale 4 devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 4 via 4 », che fo(n)no 16, e p(er)ché el num(er)o è-ne 5, sì devemo m(ultip)lichare 5 via 5, che fo(n)no 25, e devemo sap(er)e qua(n)to è da 16 enfìn’a 25, che nri à 9, degl quagle 9 devemo trovare la sua radirie, ch’è 3. Or ave-

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161v

160v 2-12 Accanto, nel marine esterno, si trova lafig. 160va. 14 {la} : agliunto in interrigo da C. 26 em : con titulus superfluo. 30 A piè dipagina, parzialmente asportata dalla rifilatura, si trova la fig. 160va. 161r 12 Tutta la linea è in rosso. 26 225 : l'ultima cifra è stata corretta in rosso su un precedente 6, pure in rosso.

160r 29 ad una ora : Fib. pan volatu, et descendentes pariter. 160v 6-7 ch’è | da ... gioè 35 : Fib., correttamente, que est a minori turri usque in 35. 11 pa(r)te : non ne è chiaro il senso (il testo si discosta qui da Fib.):forse è un erroreper tolle.

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L 0 LI VER0 DEL ’ABBECHO

PRIMO AMASTRAMENTO

mo trovate 2 num(er)e che ciaschuno m(ultip)lichato p(er) sé sira(n)no la ditta so(m)ma m(ultip)lichata: 4 via 4, che fa(n)no 16, e 3 via 3, [c]he fanno 9, e mette ensieme 16 e 9, che fo(n)no 25, ed è fatta. Truovame uno num(er)o che, tiratone el 3 , el remane(n)te de quisto nu(mer)o sia la radice de q(ui)llo num(er)o che ncie avemo tratto. Reg(o)l’è che ne devemo pon(er)e em quillo num(er)o en que se truova, 9Ìoè em 3, e devemo trare el % de 3, ch’è 1; or devemo dire: « 1 via 3 », che fa 3: e p(er) q(ui)llo ch’è remasto dal ditto num(er)o, 9Ìoè da 2 , lo quale devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 2 via 2 », che fa 4; or devemo pa(r)tire 3 p(er) 4, che ne viene $, degl quagle | ne deve­ mo pigiare el 3 , ch’è e rema(r)rà %; donqua devemo m(ultip)lichare \ via 5, che fa Or ave­ mo trovato tale nu(mer)o che, tiratone el i, lo remane(n)te è radice de quillo num(er)o, lo qual’è |, e chusì fa’ le semeglante ragione. Famme quista ragione, truovame tale num(er)o che, tiratone el i e ’l el remane(n)te sia radi^ie de quillo num(er)o. Reg(o)l’è che devemo dire: « i ^ se truova em 20 »; or devemo pigiare el \ e ’l £ de 20, ch’è 9, e ’l remane(n)te è 11; or devemo m(ultip)lichare quisto 9 p(er) lo nu(mer)o en que se tru­ ova, e dire: « 9 via 20 », che fa 180, e ’l remane(n)te del nu(mer)o, ?ioè 11 , sì devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo e dire: « 11 via 11 », che fa 121; or deve­ mo pa(r)tire 180 p(er) 121 , che ne viene 1, degle quagle devemo trare el \ e ’l ch’è ifi; or devemo trare de jf? tH, e rema(r)rà yf?, el quale è radice de ifi, e devemolo rechare a menore nu(mer)o, el yff, ch’è yf, lo quale devemo m(ultip)lichare p(er) sé medesmo, e dire: « 9 via 9 », che forino 81, e « 11 via 11 », che forino 121 : or ave­ mo yff, ed avemo trovato tale num(er)o che, tiratone el i e ’l el remane(n)te è-ne radi-

161v 14 [c]he : rimatale è stata asportata da un foro di tarlo.

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15 fo (n )n o : U nitale sembra

ripassata. 161v 16 II problema è analogo, per quanto semplificato, a quelli discussi da Fib.174-175, e come quelli

è risolto col metodo dellafalsa posinone.

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£Ìe de quillo num(er)o, lo quale è-ne 1, e p(er) qui­ sto modo puoie fare de quante num(er)e tu vuogle, ed è fatta. La retronecha. Se ne fosse ditto: « truova tale num(er)o che, tirato­ ne el i e ’l è, e quillo che sia radice de q(ui)llo che remane ». Reg(o)l’è che noie devemo sap(er)e en que num(er)o se truova ^ che se truova em 12; or devemo dire: « el 3 è 4 e ’l \ è 3 », e gio(n)gne emsieme 4 e ’l 3, e farà 2, e ’l remane(n)te sì è 5, e noie volemo che quisto 7 sia radice de 5; or devemo fare 5 via 12, che forino 60; or devemo fare 7 via 7, che forino 49; e devemo pa(r)tire 60 p(er) 49, che ne viene 1 iè, ma p(er)ché ne venga fatta più ligiere la ragione, sì devemo dire or devemo trare el i, ch’è e ’l è-ne e giogne emsieme, e farà or lo devemo arechare a menore nu(mer)o, che podemo di(r)e 7 , e chotanto è ’l ^ à de e ’l remane(n)te è-ne li; donqua quisto $ è radice de 4^, chomo vole essere, e p(er) quisto modo puoie fare de quante num(er)e tu vuo­ gle, ed è fatta. Fa(m)me quista ragione, che de 15 me fa9Ìe tale 2 parte che, pa(r)tendo la maiure p(er) la me­ nore, me rema(n)ga 7 a ponto. Reg(o)l’è che noie devemo dire: « 7 agionto 1 », e farà 8 ; un(de) deverno pa(r)tire 15 p(er) 8 , che ne viene 1 1; or de­ vemo trare de 15 quisto $ 1, e rema(r)rà è 13; or avemo fatte de 15 tale 2 pa(r)te che l’una è 1 1 e l’[a]ltra è-ne è 13, lo quale è 13 de­ vemo pa(r)tire p(er) 1 1, e devemo rechare a sano e dire: « 8 via è 13 », che fa 105; or devemo fare 8 via £ 1, che fa 15, e devemo pa(r)tire 105 p(er) 15, che ne viene 7, chomo vuole essere. Se ne fosse ditto: fame [de] £17 tale 2 pa(r)te che, pa(r)tendo la maiure p(er) la menore, me rema(n)ga 4 a ponto. Reg(o)l’è che devemo giongn(er)e 1 sop(re) a quillo che vuogle che rema(n)ga, 9Ìoè 4, ed ave-

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162v

162r 21 L a retronech a : in rosso. 23 quillo ch e sia : quillo si riferisce alla somma del tenfp e del quarto: il senso richiede l'espuntone di che. 27 2 : errore evidenteper 1. 162v / 1 ££ : /7primo 1, cioè la parte intera, è scritto sotto la linea difratone. 18 [ajltra : U nitale è stata asportata da unforo di tarlo.

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LO LIVERO DE L ’ABBECHO

raie 5; or devemo pa(r)tire f 17 p(er) 5, che ne vie­ ne B 3, e devemo trare de quisto 3 17 quisto B 3, e ’l remane(n)te è-ne B 13; or n’avemo fatte 2 pa(r)te che l’una è H 13 e l’altra è-ne B 3; en quisto modo devemo rechare a sano ciascuna de le pa(r)te, e devemo fare 15 via B 13, che fa 108, e 15 via 3, che fa 52; un(de) devemo pa(r)tire 108 p(er) 52, che viene 4, chomo vuole essere; e p(er) quisto modo puoie fare de quante rotte e sane tu vuogle. Famme quista ragione, truovame tale nu(mer)o che, tiratone el f e ’l | e gionto sopra e preso puoie el f e ’l i, e sia 3. Reg(o)l’è che no­ ie devemo dire: « f \ se truova eni 12 », e ’l f e ’l 4 [de] 12 sì è 7, lo quale 7 devemo giong(er)e sop(r)a 12, e faranno 19; or devemo pigiare el f e ’l \ de 19, ch’è B 11, ed io voglo che sia 3; or devemo f[a]re 3 via 12, che forino 36, e pa(r)tire p(er) B 11 ; or devemo rechare a sano e de­ vemo fare 12 via el 36, che fonno 432; or de­ vemo dire: « 12 via B 11 », che fa 133; or avemo a pa(r)tire 432 p(er) 133, che ne viene B f 3, e chotanto è quisto nu(mer)o en que se truova. E se la volemo provare, sì devemo pigiare el f de yff 3, ch’è yB 1; or devemo pigiare el i, ch’è-ne Bf, e gogne sopra a yff 3, e farà B f 5; or devemo pigiare el f de quisto ditto num(er)o, ch’è yff 1; or devemo pigiare el ch’è B§ 1, e giogne yff 1 e Bf 1, e farà 3, chomo vuole essere, e p(er) quisto modo se fanno le semeglante ragione. La retronecha. Fa(m)me quista ragione, truovame tale nu(mer)o che, tiratone el f e ’l i e gionto sopra, e puoie pigia el i e ’l f, e • remane(n)te sia 5. Reg(°)l’è che noie devemo dire: « f i se truova em 12 », e ’l f e ’l \ de 12 sì è 7, e giogne sopra a 12, e farà 19, degl quagle 19 de-

PRIM O AM ASTRAM EN TO

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verno pigiare el \ e ’l f, ch’è B 8 , e ’l rema­ nente è-ne B 10 , e noie volemo che sia 5; sì devemo fare 5 via 12, che fa 60, e pa(r)tire B 10 , e devemo rechare a sano e dire: « 20 via B 10 », che fa 209, e « 20 via 60 », che fa 1200, egl quagle devemo pa(r)tdre p(er) 209, che ne viene B f 5, e chotanto è quisto num(er)o, del quale num(er)o devemo pigiare el f e ’l i e giogn(er)e sopra, e farà B f 9, degl quagle traie el è e ’l f, ch’è B f 4: e • remane(n)te è 5, ed è f(a)c(t)a. Truovame tale nu(mer)o che, tiratone egl f, rema(n)ga § a ponto. Reg(o)l’è che devemo pigiare 5, degle quagle 5 devemo pigiare gle f, ch’è 3, e ’l remane(n)te 2, ed io voglo che sia f; sì devemo fare 8 via 2 , che fa 16, e p(er) gle 5 sì devemo fare 3 via 5, che fa 15; or avemo a pa(r)tire 15 p(er) 16, che ne viene B, e chotanto è-ne quisto nume(r)o. E se la volemo pro­ vare, sì devemo trare gle § de B> che so(n)no T§: e • remane(n)te sì è B, 9Ìoè |, e chusì fa’ le semeglante ragione.

Famme de 11 tale 5 pa(r)te che, m(ultip)lichando la prima p(er) 1 e la s(econd)a p(er) 2 e la t(er)9a p(er) 3 e la qua(r)ta 27 p(er) 4 e la quinta p(er) 5, e tanto fa9Ìa l’una m(ultip)lichatio(n)e quanto l’altra. Reg(o)l’è che noie deve­ mo sap(er)e en que nu(mer)o se truovano tutte qui30 ste 5 pa(r)te, 9Ìoè 1 e 2 e 2 e 4 e 5 , che se truo­ vano en 60; or lo devemo pa(r)tire p(er) * * *, che ne viene * * *, e p(er) * * *, ne viene 30, e p(er) 3, ne viene 20, 3 e p(er) 4, ne viene 15, e p(er) 5, ne viene 12; e giogne tutte quiste pa(r)te emsieme, 9Ìoè 6 e 30 e 20 e 15 e 12, che fonno 132, e quisto è-ne pa(r)tedo(r)e; 6 or devemo fare 11 via 60, che fa 660, e pa(r)tire p(er) 137, che ne viene B f 4, e chotanto è la p(r)Ì(m)a, e devemo pigiare el me90 de quisto B f 4, ch’è 9 B f 2, e ’l t(er)9o è-ne B f uno, e ’l qua(r)to è-ne

164r

re-

163v 6-7 pa(r)tdre | 5? 10 : è probabilmente caduto un per (0un viaj a l cambio di riga. 18 fare : la -a- èparzialmente asportata da unforo di tarlo. 164r 1-2 Negli spazi lasciati in bianco dalla prima mano non è stato scritto alcun numero (i valorigfusti sarebbero rispettivamente 60, 1 e 60).

163r 3 108 : errore p er 2 0 8 ; lo stesso errore si ripete alla riga successiva: pa(r)tdre 108 p(er) 52. 11 [de] 12 : preposizione omessa. 2 2 e giogne sopra : s'intende che vanno aggiunti sia 1 737 c^e i§f30 e • remane(n)te : s ’intende il risultato: 1 12(20) * = 5.

163v 25 IIproblema è in Zib. 21 v. 1-21 (si veda /Introduzione/ 30 2 e 2 : erroreper 3. 164r 4 : erroreper 60. 5 132 : erroreper 137. 6 Zib. imposta chiaramente la proporzione: ch’io vorave che fosse sollamente 11, nui sì devemo dire: se 137 fose 11 che serave 60?

163r 14 f[a]re : lettera asportata da un foro di tarlo. ma[n]e(n)te : ms. remare(n)te.

2 7 La retronecha : in rosso. 3 0

6

462

12

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18

21

24

27

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3

6

9

12

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

1, e ’l quinto è-ne e m(ultip)licha la prima p(er) 1, e farà tanto qua(n)to la s(econd)a p(er) 2 e la t(er)ga p(er) 3 e la qua(r)ta p(er) 4 e la quinta p(er) 5, e chusì fa’ tut­ te le semeglante ragione. Fa(m)me de 11 tale 5 p[a](r)te che, m(ultip)lichata la prima p(er) la quinta, fagia tanto quanto è m(ultìp)lichata la t(er)ga p(er) sé medesmo o vuogle la s(econd)a p(er) la quan­ ta. Reg(o)Pè che noie devemo pa(r)tire 1, lo quale 1 devemo radopiare p(er) 2 , e radopia 2 ed averaie 4, e radopia 4 ed ave(r)aie 8 , e radopia 8 ed averaie 16, e p(er) quante pa(r)te te ne tocha conviene de fare, p(er) chotante fiade te con vie­ ne radopiare; or devemo mett(er)e ensieme tutte quiste pa(r)te le quale noie avemo radopiate, gioè I e 2 e 4 e 8 e l 6 , che fa 31, e quisto sirà pa(r)tedore; or devemo dire: « 1 via 1 1 », che fa 11, e pa(r)tire p(er) 31, che ne viene e deverno fare 2 via 11, che fa 22, e pa(r)tire p(er) 31, che viene e 4 via 11, che fa 44, e pa(r)ti(r)e p(er) 31, che ne viene < 1 > 1, e 8 via 11, che fa 88 , e pa(r)te p(er) 31, che ne viene 2, e 16 via 11, che fa 176, e pa(r)dre p(er) 31, che ne viene 5. E se la volemo provare, m(ultìp)licha la prima p(er) la quinta: sì fa tanto quanto la t(er)ga m(ultip)lich[at]a p(er) sé me­ desmo; un(de) m(ultip)licha 5 via ^j, che fa 2, e m(ultip)licha $ 1 via 1, che fa semeglantem(en)te 2, e altretanto farà la qua(r)ta p(er) la seconda; e se vogle agiogn(er)e tutte le pa(r)te 5 ensieme, a no(n) m(ultip)lichandole, sì faronno I l a ponto. Fa(m)me quista ragione, truovame uno tale num(er)o, o vuogle sano o vuogle rotto, che, faciendone 2 pa(r)te, l’una maiure de l’altra, e m(ultìp)licha(n)do la maiure en sé medesmo, fagia quanto poderà, e m(uldp)lichando la menore co(n) tutto lo nu(mer)o che fo trovato fagia alt[r]etale m(ultip)lichatdone

PRIMO AMASTRAMENTO

15

quanto la maiure en sé medesma. Quista è molto sutile ragione a fare ed a trovare lo num(er)o che noie avemo trovato, 27, via jk,

18

gle quagle fanno 2 pa(r)te estreme l’una da l’altra; l’una pa(r)te fo gle quagle sonno i 4, e m(ultip)licha \ 4 via è 4, che fa \ 20; l’alt(r)a pa(r)te fo-ne §£, gioè f, un(de) a m(ultdp)lichare 27 via | sì monta 20, ed altretanto m(ultip)li[cha] la menore pa(r)te, a m(ultip)lichare cho ■ lo nu(mer)o che fo trovato, quanto la maiure en sé medesma.

21

24

164v

463

\

Se tu vuogle sap(er)e, truovame tale 5 num(er)e che m(ultip)lichando l’uno p(er) gle 4 mo(n)teno 25, 27 sì cho’ siria a dire p(er) apositione falsa 1 e 2 e 3 e 4 e 5, e sì cho’ siria a dire 1 via * * *, che fa * 2, e 2 via 3, mo(n)ta 6 , e 4 via 6 , mo(n)tano 30 24, e 5 via 24, mo(n)tano 120 ed io vo(r)ria 25. Sì devemo dire p(er) to(r)na(r)e endirieto e d[i](r)e: « se 120 fosse 1, que siria 25? », che seria lo primo num(er)o 3 si, che, m(ultip)lichandole p(er) doie, sonno e, m(ultip)lichandole p(er) 3, monta e, m(ultip)lichandole p(er) 4, mo(n)ta che sonno d. 5; a m(ultip)lichandole 6 5 fiade, 5 montano 25. Se tu vuogle sap(er)e pa(r)tire 10 en doie tale pa(r)te che, m(ultip)lichandole l’una p(er) 9 e l’altra em sé medesma, 9 ma sia l’una m(ultip)lichatio(n)e quanto l’altra. Reg(o)l’è che se deie m(ultip)lichare 10 p(er) 9, che monta 90, gle quagle 90 se deie pa(r)tire p(er) 10, che ne viene 9, 12 gle quagle 9 devemo abatt(er)e la mitade de 10, ch’è 5, e rema(r)à 4, e quisto 4 m(ultip)licha p(er) 9, che mo(n)ta 36; e lo 6 che remane da 10, m(ultip)licha(n)15 do em sé medesmo, monta 36; un(de) quiste so(n)no le doie pa(r)te che se degono fare de 9, che m(ultìp)lichando p(er) 10 e l’altra en sé medesma vie(n)te 18 tanto l’una quanto l’altra; e quisto no(n) se pu-

165r

164f 13 ragione : con iniziale maiuscola. 14 p[a](r)te : -a- asportata da un foro di tarlo. 18 devemo : ms. devevemo per diplografia. 29 < 1 > : cifra in rosso, cassata da un trattino in nero. 164v 2 m(ultip)lich[at]a : ms. -icha. 14 alt[r]etale : con -r- asportata da unforo di tarlo.

164v 22 m(ultip)li[cha] : è stata omessa l’ultima sillaba. 28 via : manca lo spazio per la cifra (1) che andava scritta subito dopo. 29 2 : cifra in rosso su rasura di altro numero pure in rosso, forse 3. 165r 1 d[i](r)e : solo de con titolo ondulato.

164r 1 0 ^ : errore di copia per { $ . 13 Viene omessa nel Livero (al contrario di quanto avviene a 164v.6-8) l’osservazione di Zib., a rigore superflua: e turi questi numeri agonti insenbre monta aponto 11. 17 pa(r)tire : il verbo sembra qui incongruo, forse errore per pigiare. 20 ne tocha | conviene -.glossa sinonimica;probabilmente va espunto ne tocha (9Ìoè t4, del primo

465

166r

166v

166r 14 [o] vogle : lettera asportata da un buco di tarlo; la -o- di vogle sembrapoi tracciata su J>arte di una -u-. 166v 1 1l decoratore non ha scritto l’iniziale. 166r 3A p(er) 4 no(n) so | p(er)chia niuno : Fib. per 7 vero integraliter dividitur; segue la dimostrazione. 9 remane nulla chosa : altra traduzioneper la medesimaformula di Fib. 282 per 7 vero dividitur; segue in Fib. la dimostratone. 18 de sopre da le v(er)ge : erroreper sotta, come chiarisce il confronto con Fib. 172 sub virga. 18-19 de sop(re) ... doie v(er)ge : Fib. super unam de duobus virgulis reliquis.

466

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

num(er)o, sia £ £, cioè 2§, del s(econd)o, e £ £, 9Ìoè ££, del t(er)?o, sì pone anchora p(er) ordene chusì: iè e m(ultdp)licha el 12 de la prima v(er)ga p(er) lo 9 de so­ pre da la s(econd)a p(er) lo 11 de sopre da la t(er)9a e ’sisagle 6 quanto più puoie, ed averaie escessato p(er) me90 : 594 è p(er) lo primo, e p(er) lo s(econd)o 770 e p(er) lo t(er)90 945, e chusì fa’ le semeglante ragione. 9 Sonno 3 num(er)e, degl quagle el £ del primo ène quanto el £ del s(econd)o, £ è-ne quanto el è del t(er)90 num(er)o. Quista è la sua reg(o)la , che noie deve12 mo emprima trovare doie nu(mer)e degl qua­ gle l’uno sia el £ de l’altro: so(n)no 3 e 4; pu­ oie truova gl’altre 2 num(er)e degl quagle 15 el £ de l’uno sia el è de l’altro: so(n)no 5 e 6 . Adonqua el primo nu(mer)o è ’l s(econd)o sì chomo el 3 è-ne a 4, e ’l s(econd)o è-ne al t(er)9o s(econd)o el 5 è-ne al 6 , 18 e p(er)9Ìò pone el 3 e ’l 4 en una lina, el 5 e ’l 6 e- ll’atra sì che el 5 sia sopre 4, sì chomo qui mostramo, e m(ultip)licha 5 p(er) 3 e 5 p(er) 4 e 4 p(er) 6 , 21 ed averaie el primo nu(mer)o, 15, el s(econd)o, 20 , e ’l t(er)9o, 24, e chusì fa’ le semeglante ragione. Se ne fosse ditto: siano 4 num(er)e, e ’l primo, 24 el s(econd)o e ’l t(er)9o siano quanto egl £ £ degl num(er)e siano £ del qua(r)to nu(mer)o. Truova empri­ ma 3 num(er)e, 9Ìoè 15 e 20 e 24, e puoie tru27 ova doie num(er)e, 9Ìoè che £ de l’uno siano £ de l’altro, e sonno 15 e 14, degl quagle ce s[c](r)ive sopre gl’altre 3 num(er)e, s(econd)o qui most(r)a30 mo, e m(ultip)licha 15, che so(n)no sopre 24, p(er) 15 e p(er) 20 e p(er) 24, p(er) lo quale 24 m(ultip)licha 14, ed ave167r raie el primo num(er)o, 225, el s(econd)o, 300, el t(er)9o, 3 360, e ’l qua(r)to, 336, ed è-ne el t(er)90 num(er)o

PRIMO AMASTRAMENTO

3

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24

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3

al qua(r)to sì chomo 15 so(n)no al 14 cho’ gle £ £ num(er)e £ del qua(r)to, e chusì poderaie m(o)lte più num(er)e p(er) quisto modo trovare. [E] se ne fosse ditto ch’è uno num(er)o del quale si traraie £ £ £ £ e quillo che rema(r)rà sì m(u)l(ti)pliche(r)aie em sé medesmo, farà esso medesmo num(er)o, 9Ìoè che sirà radÌ9Ìe de quillo num(er)o; adoma(n)dote el quale num(er)o è esso. Po(n)e che sia 60, emp(er)9Ìò ch’em 60 se truovano q(ui)ste rotte, £ £ £ £, e puoie tolle el £ de 60, ch’è 2 0 , el £ de 60, ch’è 15, el £ de 60, ch’è 12 , el £ de 60, ch’è 10 , e giongne esse emsieme e sironno 57, egl quagle traie de 60: restano 3, egl quagle 3 m(ultip)licha p(er) sé medesmo e sironno 9, egl quagle 9 voglono ess(er)e 60; enp(er)9Ìò diraie: « p(er) 60, che m’en ’rviene 9, que pono, che me ve(n)ga 60? ». Sì m(ultip)licha 60 p(er) 60, che fa 3600, e pa(r)te p(er) 9, che ne viene 400; e p(er)ché la reg(o)la de 9 è-ne £ de £, sì pa(r)te uno de quigle 60 p(er) 3, che ne viene 20; anchora pa(r)te l’altro 60 p(er) 3, che ne viene 20, la q(ua)le reg(o)la remane da 9, egl quagle emsieme m(ultip)licha: sonno 400 semeglantem(en)te, e chotanto è quillo nu(mer)o. E dòtene l’asenpio: £ £ 4 £ de 400, 9Ìoè 300: remane 20, la qua­ le somma m(ultip)licha em sé medesma: fo(n)no 400, s(econd)o cho’ è ditto. Altre dÌ9Ìe che, tratto del domandato num(er)o £ £ £ £ d’esse, remane el quale è radÌ9Ìe d’esso num(er)o, emp(er)9Ìò [a] menare £ em sé p(ro)ve(n)chono esso nume(r)o, emp(er)9Ìò trnova nu(mer)o el quale, se m(ultip)li[c]ato sirà p(er) d’uno emtero, ve(r)rà 1, e truo-

467

167v

166v /0 £ : numeri scritti in nero in alto sul rigo, senza che lo scrivente avesse lasciato lo spazio. 14 num(er)e : con -u- danneggiata da unforo di tarlo. 18 pone el : con -1- parzialmente asportata da unforo di tarlo. 29 s[c](r)ive : ms. sp(r)ive.

167r 7 E se : ms. Sse per errore del decoratore. 14 60 : la seconda cifra è danneggiata da unforo di tarlo. 167v 3 emp(er)9Ìò [a] menare : ms. emp(er)9Ìò menare (per confronti si veda Jj" 147). 4 m(ultip)li | [c]ato : ms. m(ultip)lice | rato.

166v 6-7 ed averaie ... primo : Fib. 173 et evitabis £ ex unaquaque multiplicatione, et habebis primum numerum 594. 10 el £ ... è-ne : Fib. £ secundi; et £ secundi; l’errore è probabilmente dovuto a saut du mime au mime. 13 l’uno : Fib. £ unius. 16 è ’l s(econd)o sì chomo : Fib. est ad secundum sicut/ quindi ’l rappresenta la preposizione articolata aL 17 a 4 : Fib., erroneamente, 3. 17 s(econd)o : traduce sicut 24-25 siano quanto ... nu(mer)o : il testo di Fib. è stato alterato fino a renderlo incomprensibile: sint ad invicem in proportionibus suprascriptis; et £ tertii numeri sint £ quarti numeri. 29 ce s[c](r)ive. sopre gl’altre : Fib. et scribe eos.

167r 4-5 cho’ ... num(er)e : £ è errore sul numerale ordinale di Fib. cum £ tertii numeri sint 6 p(er) quisto modo : Fib. per quibuslibet proportionibus. 8 si traraie : Fib. 176 si extraxeris. 19 p(er) 60 ... 9 : Fib. prò 60, que pono, veniunt 9. 24-25 la quale ... da 9 : Fib. que in regula remanent de 9. 27-28 E dòtene ... 300 : errore di copia da Fib. Verbi grada: extrahe £ £ £ £ de 400, scilicet 380. 30 Altre ... tratto : Fib. Aliter, quia extraxeris. 167v 1 d’esse : Fib. ipsius. 3-4 emp(er)5Ìò ... ve(r)rà 1 : Fib. Qua re ex ducta in se pervenit idem numerus. Qua re invenias numerum qui cum muldplicatus fuerit p(er) j£ unius integri, veniat 1. 5-6 e • Ila quale devisi | one : Fib. ex qua devisione.

468 6

9

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15

18

21

24

PRIMO AMASTRAMENTO

LO LIVERO DEL’ABBECHO

em [sé] m(ultip)lichate rendono p(er) lo domandato nu(mer)o

vaio chusì: pa(r)te 1 p(er) jè, e • Ila quale devisi­ one viene 20 p(er) radice del preditto nu(mer)o, el quale, em sé m(ultip)lichate, rendono 40 p(er)

44? semeglantemente.

E se ditto ne fosse ch’è uno nu(mer)o, e • 1quale agiogneraie è è k i e da la somma cholta, se em sé medesma m(ultip)licheraie, sì farà esso medesmo nu(mer)o, fioè che sirà radice d’esso nu(mer)o. Pone ch’esso num(er)o sia 60, sopre egl quagle agiongne è è i è d’esso, 9Ìoè 57, e sirà 117, egl quagle m(ultip)licha p(er) sé medesme e sironno 13689, egl quagle voglono essere 60; ernfper]9Ì0 diraie: « p(er) 60 che pono e • Ila quantìtade del num(er)o m’e(n) viene 13689, que pono a9Ìò che m’e(n) ve(n)ga 60? ». M(ultìp)licha 60 via 60, che fa 3600, egl quagle pa(r)te p(er) 13689, e pa(r)telo p(er) 9, che ne viene yf^, e chotanto sirà quillo num(er)o del quale la radÌ9Ìe trovare vo(r)raie;

$ 1, un(de) ne viene

p(er) la radi-

9Ìe del ditto num(er)o, el quale, m(ultìp)lichato, fa-ne 1^ 8, sì chomo de sopre dicemmo.

27

30

Ma se ne fosse ditto: è-ne uno nu(mer)o, sopre el q(ua)le si agiongne(r)aie el’a(r)mane(n)te del è i i i d’esse e la so(m)ma en sé medesma m(ultip)licheraie, ancho(r)a farà nu(mer)o, 9Ìoè che sirà radÌ9Ìe. Pone ch’esso

sia 60, del quale traie è i è remane 3, egl quagle agiongne chom 60 e sironno 63, 3 egl quagle em sé m(ultip)lichate fa9Ìono 3969, egl quagle vuole esse 60; emp(er)9Ìò m(ultip)licha 60 p(er) 60 e sironno 3600, e pa(r)te p(er) 3969, che ven6 gono 448, e tal’è quillo nu(mer)o. E vuogle agiongn(er)e sè sopre 1, 9Ìoè l’a(r)mane(n)te [de] è è è si­ ronno 5è 1, e • gle quagle pa(r)te 1 : ve(n)gone 2¥, 9

Anchora è-ne nu(mer)o del quale tolle i f | f e de la cholta qua(n)titade traraie desso num(er)o, e l’a(r)mane(n)te s’en s[é] medesmo m(ultip)licheraie, sì 15 farà esso medesmo num(er)o, 9Ìoè che sirà radÌ9Ìe de quillo nu(mer)o. Pone che sia 60, del q(ua)le tolle egl f, che sonno 40, egl 4, che so(n)no 18 45, egl f, che sonno 48, egl §, che so(n)no 50, e agiongne emsieme e sìrano 183, degl quagle traie 60: remane 123, egl q(ua)21 gle m(ultìp)licha p(er) sé medesmo e sironno 15129; enp(er)9Ìò di-ne: « p(er) 60 che pono me ve(n)ne 15129, que pono a9Ìò che m’e(n) ve(n)ga 60? ». Sì m(ultip)licha 60 24 p(er) 60, che fa 3600, e pa(r)te p(er) la reg(o)la de chota(n)te 15129: vie(n)ne e chota(n)to è q(ui)llo nu(mer)o. Se ne fosse ditto ch’è ’l 3 de uno emtero, d(e)l 27 quale nu(mer)o el \ sia el sì pone che quillo num(er)o sia 60, degl quagle 60 tolle el i, ch’è 15; del 15 tolle el i, ch’è 3, p(er)ché (con)viene 30 che sia tanto i; sì m(ultip)licha 6 p(er) ^ e siro(n)no 20, egl quagle pa(r)te p(er) 3: vie(n)ne § 6 . Altre esc(r)ive p(er) ordene è i i, e puoie m(ultip)licha 1 , ch’è de sopre dal 3 5, p(er) 1, ch’è de sopre dal 4, el quale p(er) 3, la quale pa(r)te p(er) 3 e sironno j 6 . È-ne uno nu(mer)o el quale, se sopre agiongneraie 6 i i e 12 , e da la cholta so(m)ma torraie è §, è-ne 12 e niente remane; adomandote el qua­ le num(er)o è-ne esso. Emprimam(en)te da far’è che 12

tutto el num(er)o, ed è fatta.

sì pa(r)te 1 p(er)

469

168r

el quale è radÌ9Ìe del preditto nu(mer)o; el quale

167v 6 p(er) : forse ripassato dalla prima mano. 8 el quale ... m(ultip)ichate : Fib. quìbus in se muldplicads. 17-18 emjper] 19Ì0 : è stata omessa una -p- con abbreviamone.

167v 10-11 e ■ 1 quale agi | ogneraie : Fib. super quem si addideris. 18 e • Ila quanritate : Fib. in quanritate. 23 del quale ... vo(r)raie : Fib., correttamente, cuius radicem, que 7^ ? invenies, si diviseris. 25 el quale, m(ulrip)lichato : Fib. quibus in se muldplicads. 28 si agiongne(r)aie el’a(r)mane(n)te : Fib. si addideris residuimi. 28 d’esse : Fib. ipsius. 29-30 ancho(r)a ... nu(mer)o : Fib. eundem faciet numerum. 168r 4 egl ... esse : Fib. 177 que velint esse. 6-7 vuogle agi | ongn(er)e : Fib. introduce un secondo metodo: Vel adde. 7 l’a(r)mane(n)te [de] è : Fib. residuimi de £.

168v

168r 10 em [sé] m(ultip)lichate : integrazione giustificata da Fib. 177 (in se muldplicads reddunt). 12-13 del quale ... num(er)o : Fib. de quo si acdperis f f § et de collecta quanritate extraxeris ipsum numerum. 14 s[é] : la finale è stata asportata da un foro di tarlo. 16 che : con h ripassato, forse da C. 18 so(n)no : con s- corretta da A sullaprecedente scrizione c-. 168v 6 e 12 : ms. ene 12 per errore di lettura da testo volgare: Fib. 187 et 12 (e vedi qui sotto r. 17). 168r 1 1 : errore per 4 $ . 2 5 1 } 4 ? : cioè tɧ¥, il quadrato di § f. 26 Se ... emtero : Fib. 178 Si queratur de terrio unius integri. 27 quale nu(mer)o ... pone : Fib. de cuius numeri quarta sit quinta pars, pone. 29-30 p(er)ché (con)viene | che sia tanto : fraintendimento di Fib. que cum vellent esse tantum. 30 6 : da correggere in 60. 168v 1-2 Altre esc(r)ive p(er) | ordene :fraintendimento di Fib. Aliter descibe per ordinem. 2-3 sopre dal | 5 : è stato omesso, probabilmente per saut du mime au méme su quod est super, un tratto di Fib.: muldplica unum,

quod est super 3 per 4; que per 5, erunt 20; que divide per multiplicarionem de 1, quod est super 5 in 1, quod est super 4. 5-6 nu(mer)o ... è-ne 12 : Fib. 187 super quem si addideris.

470 9

12

15

18

21

24

27

30

3

LO LIVERO D EL’ABBECHO

devemo trovare uno nu(mer)o dal quale se traraie è i sia 12 e niente rema(n)ga; pone che sia 30, degl quagle traie è ì, $ioè 17: remane 13, egl quagle co(n)viene che sia 12 ; donqua m(ultip)licha 12 p(er) 30, e siro(n)no 360, egl quagle pa(r)te p(er) 13: vie(n)ne if 17, emp(er)^[i]ò da chapo diraie: « ène nu(mer)o, sopre el quale agionse \ ^ e [fa] 12 »: faciono t§ 27, egl quagle traie de t§ 27: rema(n)gono if 15, e puoie pone ch’esso num(er)o sia 12, sopre egl quagle agiongne \ ^ d’esse e siro(n)no 19, egl quagle conviene che sia t§ 15; sì m(ultip)licha 12 p(er) 15 e pa(r)te p(er) 19: vienne 9, e chotanto è-ne quillo num(er)o. Dòtene l’asenpio, tolle 4 ^ de egl quagle chusì tolle e chusì el mostreremo, ?ioè che ’l m(ultip)licheremo 9 p(er) 19 e p(er) lo 17 de sopre da esso 19 e p(er) lo 13 agi­ ongne 4 e sironno 2448, sopre egl quagle agiongne el i e ’l £ d’ese, che sonno 1428, e sironno 3876, egl quagle pa(r)te p(er) Tè~T§; e p(er)ché emprima p(er) 19 che p(er) 13? p(er)ché 3876 emteram(en)te pa(r)timo p(er) 19: vengone if 15, sopre egl quagle agiongne 12 e sironno il 27, degl quagle traie è i: remangono 12, degl q(ua)le sì teraie a me(n)te: rema(r)rà s(econd)o p(ro)posto fo de sopre. Ancho(r)a sì è uno nu(mer)o sopre el quale sì agiog(n)e è f e d. 60, se de la cholta so(m)ma traraie è i | e d. 60, nie(n)te rema(r)rà; fa’ chusì: truova uno

PRIMO AMASTRAMENTO

6

9

12

15

18

21

24

27 169r 30

3 168v 13 siro(n)no : di lettura incerta a causa dell’inchiostro sbiadito. 14 emp(er)U>

143vb 145vb b r. 5 0 v o g le

è-n e br. 10 p(er) lo trìa(n )g h o lo

vogle br. 30

143vb

è-n e b r. q u a d r e / ^ 9

70

l

v o g le b r. 31

4§9 ] è -n e b r. q u a d r e i f 7 6

145vb

508

SCHEMI NEI MARGINI DEL MANOSCRITTO RICCARDIANO2404

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

è-ne br. quadre 153

146ra

147ra

vogle br. $ 43 è più quisto de sotto $ de br.

el m uro è-ne br. 8 $ 52

è-nc br. quadre 154

è ch u po br. 10 et vogle br. 36

vogle br. 44

147va

vogle br. 44

br. i 4 2 n’essch on o fuore p(er) la pietra 146va

vogle br. I 47

è più br. l i 22

v o g le br. è 36

146vb

p(er) lo m e z z o br.

br. M 2 8 crescie

147vb È ch u p o 10 br. È chupo br. 20

br. 7

È tuto e! p ezzo 770 br. quadre

146vb

509

510

SCHEMI NEI MARGINI DEL MANOSCRITTO RICCARDIANO2404

LO LIVERO D EL’ABBECHO

511

Tiene 1000 barig. Eschone p(er) quista pietra barigle

vogle 44

fH 78 br.24

Lunga 20 pieie

150ra

tra brg. $ 99

lunga 24

149ra

tiene b(a)rig. 1000

____«Ù i. 6 14400

149rb

Tiene bang. 1000

149va H + H 15

20

512

LO LIVERO DE L ’ABBECHO

SCHEMI NEI MARGINI DEL MANOSCRITTORICCARDIANO2404

513

153va

È lungo l'a(r)bore 1 1 2

154va

br.

br .4 3 70 br. è k> spezzato

514

SCHEMI NEI MARGINI DEL MANOSCRITTO RICCARDIANO2404

L 0 L I VER0 DEL ’ABBECHO

155va br. 20 è decicsata la scala ' da l'arbore

É lungho br. 70

156ra

} 46 è-nc d rocto

br. I 51 è l'arbo(r)ov

156va 158rb E1 H c - n c 30 br.

La tote è alta br. 4 33

La somma de q(uil Iste chose si è 101010100

158rb

lattin e -p l& ék p .

È alta br. 40 la to(r)rc c la fune

~

L a to(r)rc e ’* lene so(n)n o br. 40 e br. 8

157rb

[...]dedesa[.„] br. dal capo de la fune a la te(r)ra

158va

5 15

516

SCHEMI NEI MARGINI DEL MANOSCRITTO RICCARDIANO2404

LO LIVERO DE L ’ABBECHO IL a toro £ br. 17 alta

br. 40

159ra

28 br. c lungha la schala

160va (...) et 3 et 2 et 1 fo(n)no 10

i i f e l p

è-nc 50 pieie

159va

H it

[-.] mezzo di m. 1

[c|o(n)pnita

« %*•

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