L'ipogeo di Porta Maggiore a Roma

Table of contents :
Indice
Introduzione (Pietro Mander)
La 'basilica' pitagorica di Porta Maggiore a Roma (Nuccio D'Anna)
L'ira degli dèi nella Basilica di Porta Maggiore (Luciano Albanese)
La basilica sotterranea di Porta Maggiore tra sacro e profano: miti privati e misteri pubblici nella Roma cosmopolita del I secolo dell'era volgare (Giovanni Casadio)
Il movimento pitagorico a Roma e Publio Nigidio Figulo (Nuccio D'Anna)
Il 'pitagorismo orfico' nel pensiero di Bachofen (Giampiero Moretti)
Indice analitico dei nomi propri

Citation preview

QUADERNI DI MEMPHIS Collana diretta da PIETRO MANDER

l

CIPOGEO DI PORTAMAGGIORE AROMA D RAMMA

SACRO E ANTICHE RELIGIOSITÀ

NEGLI STUCCHI DECORATIVI DELLA BASILICA SOTTERRANEA

a cura

di

GIANCARLO SERI Sovrano Gran Maestro, Gran Commendatore, Gran Hierophante Generale dell'Antico e Primitivo Rito

di Memphis e Misraim con la collaborazione di PIETRO MANDER e GIOVANNI SciARRILLO

Accademia dei Filaleti Associazione no-profìt

Opus Nova Aetate

Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim- Ordine Massonico Regolare Orientale del Rito Antico e Primitivo di Memphis e Misraim

ISBN 978-8 8-6496-277- 1

Proprietà artistiche e letterarie riservate Copyright© 20 1 6 - Gruppo Editoriale Bonanno Srl Acireale- Roma

www. tipheret.org [email protected]

INDICE

INTRODUZIONE

(Pietro Mander)

PAG.

7

LA " BASILICA' PITAGORICA DI PoRTA MAGGIORE A RoMA

(Nuccio D'Anna)

13

LIR A DEGLI DÈI NELLA BASILICA DI PORTA MAGGIORE

(Luciano Albanese)

33

LA BASILICA SOTTERRANEA DI PORTA MAGGIORE TRA SACRO E PROFANO: MITI PRIVATI E MISTERI PUBBLICI NELLA RoMA cosMOPOLITA DEL I SECOLO DELL'ERA VOLGARE

( Giovanni Casadio)

47

IL MOVIMENTO PITAGORICO A RoMA E PuBLIO NIGIDIO FIGULO

(Nuccio D'Anna)

59

IL "PITAGORISMO ORFico" NEL PENSIERO DI BACHOFEN

( Giampiero Moretti)

INDICE ANALITICO DEI NOMI PROPRI

71 79

INTRODUZIONE

Pietro Mandd È noto che nel 1917, eseguendo dei lavori lungo la tratta ferroviaria Roma - Cassino, all'altezza di Porta Maggiore, in Roma, venne casualmente scoperta una basilica sotterranea, riccamente decorata con pregevoli stucchi. Databile al I secolo d. C. , il manufatto fu tosto oggetto di indagini da parte dei più qualificati studiosi. Va chiarito che l'interesse suscitato andò subito oltre quello meramente arche­ ologico o storico-artistico, già di per sé di grande rilievo, ma investi il campo storico-religioso, toccando aspetti "esoterici" delle dottrine più squisitamente associabili a detto ambito, ov­ vero l' orfismo ed il pitagorismo. Infatti, di questa basilica si occupò anche René Guénon2, basandosi sullo studio di Jérome Carcopino del 19273. En­ trambi gli autori propendevano per un riferimento dell' edifi­ cio all'area di pensiero pitagorica, ipotesi che non è più condi­ visa dagli studiosi. Giancarlo Seri, Sovrano Gran Maestro, Gran Ierofante e Gran Commendatore dell'Antico e Primitivo Rito di Mem­ phis e Misraim, afferente al Grande Oriente d'Italia, nonché presidente dell'accademia dei Filaleti, ha organizzato, nel 20 13, una visita alla basilica, grazie alla collaborazione della Sovrintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area Archeologica di Roma: infatti, le visite dove1 Presidente della sezione romana dell'Accademia dei Filaleti René Guénon, Simboli della scienza sacra, cap. 36 Il simbolismo dello Zodiaco nei pitagorici, Adelphi, Milano 1 984: 207-2 1 1 . ' Jéròme Carcopino, La basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, Biblio­ 2

thèque de l'É cole des Chartes 88, Paris 1 927. 7

vano essere centellinate a causa dell'infestazione di micro-or­ ganismi che mettevano a rischio la sopravvivenza degli stuc­ chi. Una pericolosa infiltrazione d'acqua inoltre minacciava la stati ca stessa dell'edificio. La Sovrintendenza quindi intraprese e portò a compimento un'accurata opera di restauro, che s'era da poco compiuta all'epoca della visita. Fu a seguito di questo evento che il Prof. Seri chiese a quat­ tro studiosi che parteciparono alla visita, uno studio correlato ad essa, studi che qui presentiamo. Espongono le loro idee qui quattro qualificati studiosi, di diverse discipline e diverse appartenenze, provenienti dal mondo accademico e degli studi storico-religiosi e filosofici, e non dall'istituzione Massonica: Luciano Albanese, Giovanni Casadio, Nuccio D'Anna e Giampiero Moretti. Due parole di presentazione, sebbene la chiara fama di questi studiosi sia ben nota: LuciANO ALBANESE

Allievo e poi assistente di Lucio Colletti alla Sapienza di Roma, dove attualmente svolge la mansione di docente presso il di­ partimento di Filosofia, Albanese esordì con studi interpreta­ dvi sul marxismo, di cui ricordiamo Il concetto di alienazione, Bulzoni, Roma 1984. Il prosieguo della ricerca condusse Al­ banese allo studio del pensiero tardo-antico: a chi gli chie­ desse luni per questa, che avrebbe potuto apparire una svolta inusuale, Albanese rispondeva che il percorso seguito passa­ va attraverso lo studio di Hegel, non a caso qualificato come «il Proclo tedesco» (così Ludwig Feuerbach) . Nel suo nuovo campo d'indagine, Albanese ha pubblicato studi su Giambli­ co" e sugli Oracula Chaldaica, di cui uno in un volume in collaborazione con me, a seguito di un convegno organizzato dall'Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim dal prof. ' Luciano Albanese, Il neoplatonismo di Giamblico e altri saggi, Stamen, Roma 20 1 4; l misteri degli Egiziani di Giamblico- Guida alla lettura, Atene e Gerusalemme: Pensiero antico e paleocristiano 7, Aracne editrice, Roma 20 1 4. 8

SerP. Attualmente Albanese è in procinto di pubblicare un'e­ dizione commentata ampliata degli Oracula Chaldaica per la Fondazione Valla. GIOVANNI CASADIO

Allievo di Ugo Bianchi, Casadio ne ha sviluppato le linee di ri­ cerca e le relative impostazioni. Attualmente ordinario di Storia delle religioni nell'università di Salerno (Fisciano) , Casadio ri­ copre anche incarichi di spicco negli organi internazionali con­ cernenti la ricerca storico-religiosa. Fra le sue numerose opere, ricordiamo, fra le varie maggior­ mente attinenti al tema qui considerato: Per un'indagine stori­

co-religiosa sui culti di Dioniso in relazione alla fenomenologia dei misteri, l, Studi Storico-religiosi VI (1982) : 209-234; Per un'indagine storico-religiosa sui culti di Dioniso in relazione alla fenomenologia dei misteri, Il, Studi e materiali di Storia delle Religioni XLIX (1983) : 123-149; Gnostische �ge zur Unsterbli­ chkeit, Eranos l N F (1993) : 203-254; Il vino dell'anima. Storia del culto di Dioniso a Corinto, Sicione, Trezene, Il Calamo, Roma 1999; Ugo Bianchi: Una vita per la storia delle religioni, Il Cala­ mo, Roma 2002 (curatela) . Con me è stato curatore di una rac­ colta di studi, organizzata dal Prof. Seri, su Mircea Eliadé. Sem­ pre in ambito di studi eliadiani, Casadio ha indagato a fondo il fenomeno dello sciamanesimo, pubblicando una monografìa7• Nuccio D'ANNA

Intervenuto direttamente in questo tema con almeno due opere capitali, lo studio sulla continuità tra orfìsmo e pitagorismo (Da 1 Luciano Al banese - Pietro Mander (a cura di), con la collaborazione di Mas­ similiano Nuzzolo, La teurgia nel mondo antico, ECIG, Genova 20 1 1 : La Bibbia pagana: gli Oracoli Caldei: 67- 1 75 ; Un libro condensato: i Misteri degli Egiziani (con Pietro Mander) : 1 73-273. '' Giovanni Casadio - Pietro Mander (a cura di), Mircea Eliade. Le forme de!Ut Tradizione e del sacro, presentazione di Giancarlo Seri, Edizioni Mediterranee, Roma 20 12. - Giovanni Casadio, L o sciamanesimo. Prima e dopo Mircea Eliade, Il Calamo, Roma 20 1 4 .

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Oifeo a Pitagord') e quello su Nigidio Figulo9• Come dice Gio­ vanni Casadio, D'Anna è «uno dei più eruditi e fini ermeneuti del complesso di codeste tradizioni [che definirei "autentiche", in quanto discendenti da una Tradizione Primordiale] nei loro sottili rapporti». Di rilievo il suo studio, uscito in una nuova edizione aggiornata, sul Neo-platonismo 10, e sulle concezioni di tempo ed eternità nell'antica Grecia1 1 • Oltre a questi studi, pertinenti al presente argomento, D'Anna ha indagato - come ha ricordato Casadio, nella frase appena citata - anche altre tra­ dizioni: a mero titolo di esempio, ricordo il libro sulla religiosità celtica12, sulla poesia trovatoricai.' e sulla figura di Melkitsedek1 4• MoRETTI Filosofo, ordinario di Estetica presso l'università di Napoli «l'Orientale», ha seguito una linea di ricerca, che, partendo dal pensiero di Martin Heidegger, esamina la filosofia estetica tedesca nel Romanticismo. Ricordiamo di lui: Heidelberg ro­ GIAMPIERO

mantica. Studio sui rapporti poesia-mito-storia e arte-natura nel preromanticismo e in J Gorres, F. Creuzer, J e W Grimm, J J Bachofen, Itinerari, Lanciano 1 984 1 '. Ricordo lo studio su No­ valis, anch'esso in due fasi successive di approfondimento 1\ e "Nuccio D'Anna, Da Oifeo a Pitagora, Edizioni Simmetria, Roma 20 I I . ., Nuccio D'Anna, Publio Nigidio Figulo. Un pitagorico a Roma ne/]• secolo a. C., Arché Edizioni PiZeta, Milano 2008 . 1 0 Nuccio D'Anna, Il neo-platonismo. Significato e dottrine d i u n movimento spiri­ tuale, Il Cerchio, I 988; 20 I l. 1 1 Nuccio D'Anna, Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell'antica Grecia, Edizioni Mediterranee, Roma 2006. " Nuccio D'Anna, Il Cristianesimo celtico. I pellegrini della luce, Edizioni dell'Or­ so, Alessandria 20 I O. 11 Nuccio D'Anna, !l segreto dei Trovatori. Sapienza e poesia nell'Europa medie­ vale, Il Cerchio, Roma 2005 1 '' Nuccio D'Anna, Melkitsedek. Il mistero di unajigum biblica, Il Leone Verde, Torino 20 I 4. " Successiva edizione: Cosmopoli, Bologna - Roma 1 995. Ad essa seguono: Heidelberg romantica: Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Guida Editori, Na­ poli 2002, con nuova edizione: Morcelliana, Brescia 20 I 3 . "' Giampiero Moretti, L'estetica di Novalis. Analogia e principio poetico nella profezia romantica, Rosenberg & Sellier, Torino 1 99 1 ; Novalis. Pensiero, poesia, ro­ manzo, Morcelliana, Brescia 20 I 6 IO

su Ludwig Klages 17, oltre a studi più generali, quali Nichilismo e Romanticismo. Estetica e filosofia della storia fra Ottocento e Novecento, Cadmo Roma 1988, e Introduzione all'estetica del Romanticismo tedesco, Nuova Cultura, Roma 2007. Apre la serie dei capitoli lo studio preliminare sulla basilica scritto da Nuccio D'Anna; seguono, in ordine alfabetico per autore, gli interventi di Albanese, Casadio, D'Anna e Moretti.

'" Giampiero Morecti, Anima e immagine. Sul «poetico» in L. Klages, Aesthetica pre-print, Palermo 1 985, cui segue: Anima e immagine. Studi su Ludwig Klages, Mimesis, Milano 200 l. 11

LA " BASILICA" PITAGORICA DI PoRTA MAGGIORE A RoMA1H

Nuccio D'Anna l. Il 23 aprile del 1917 nei pressi di Porta Maggiore a Roma, per una casuale contingenza legata ai lavori della locale linea fer­ roviaria, venne portata alla luce una costruzione architettonica sotterranea risalente agli inizi dell'Impero che aveva conservato quasi intatta la sua primitiva strutturazione religiosa e rituale. Il rinvenimento non poteva non porre, e con tutta l'evidenza possibile, il problema della destinazione di questo straordinario edificio imperiale assieme a quello del significato dottrinale del­ le raffigurazioni che abbondantemente ne adornavano le pareti. Secondo la totalità degli archeologi che se ne sono occupati, il monumento sotterraneo risale alla metà del I sec. d. C. , anche se è ragionevole pensare che i lavori per la sua costruzione siano cominciati almeno una diecina d'anni prima. Ledificio fu co­ struito in un luogo lontano dall'usuale vita rituale della Roma imperiale, fuori dal pomerium e da ogni possibile legame con l'attività sacrificai e che ricollegava i tanti culti presenti in città 1" Lo srudio delle pittografìe e degli srucchi della "basilica" si basa essenzialmente sulle immagini che abbiamo colto durante la visita del sito curata dall'Associazione "I Filaleti" 1'8/XI/20 1 3 , sulle tavole ripottate nell'articolo di Eugénie Strong e Norah Joliffe, lhe Stuccoes ojthe Underground Basilica, "Journal of Hellenic Srudies", XLIV, 1 924: 65- 1 1 1 , e in Emily L. Wadsworth, Stucco Reliefi of the First and Second Cen­ turies Stili Extant in Rome, in Memoirs of the American Academy in Rome, IY, 1 924: 9- 1 02. Imprescindibili restano le molte tavole incluse nella grossa memoria di Gof­ fredo Bendinelli, Ii Monumento sotterraneo di Porta Maggiore in Roma, in Monumenti Antichi. Accademia dei Lincei, vol. XXXI , Roma 1 927: 60 1 -859; quelle srudiate nel libro ormai diventato un "classico", di Jér6me Carcopino, La Basilique pythagoricien­ ne de la Porte Majeure, Paris 1 927, e le altre prodotte nella brochure di Salvatore Auri­ gemma, La Basilica sotterranea neopitagorica di Porta Maggiore in Roma, Libreria dello Stato, Roma 1 974. Un ringraziamento particolare va all'ing. Claudio Lanzi che ci ha fornito oltre ottanta foto colorate degli srucchi da lui riprese all'interno dell'edificio.

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alle funzioni liturgiche dello stato. Lo stesso schema architetto­ nico sviluppato su tre navate, con l'abside collocata come "co­ ronà' a conclusione della navata centrale, rimanda ad un tipo di struttura architettonica che comincia a svilupparsi proprio in questo periodo e poi trionferà definitivamente nell'arte cri­ stiana. Come annotò Salvatore Aurigemma, l'edificio ha anche un'altra particolarità che lo rende unico nel proprio genere ar­ chitettonico: è l'unica costruzione del mondo romano giunta fino a noi che sia riuscita a conservare una serie di stucchi de­ corativi, quasi sicuramente alle origini affrescati con una ricca coloritura poi persasi nel lento trascorrere dei secoli e nell'ab­ bandono più totale del sito. In una lunga memoria che non ha perso nulla della propria freschezza argomentativa, già nel 1924 Eugénie Strong e Norah Joliffe studiarono con cura questi stra­ ordinari stucchi mostrando ne l'originale fattura, la sofisticata composizione artistica e la ricchezza di temi mitologici frutto di una creatività che si è saputa legare ad una logica narrativa ben radicata in una dimensione mistico-religiosa. Tuttavia l'importanza delle raffigurazioni, dei medaglioni e degli stucchi di questo celebre edificio romano è notevole anche per un altro aspetto messo in luce dagli studiosi solamente negli ultimi anni. Gilles Sauron ha potuto documentare, infatti, che la pittura adornante l'interno delle case romane del periodo impe­ riale con un ricco e sofisticato simbolismo ha il proprio momen­ to iniziale attorno agli anni Ottanta a. C. ed ha cominciato ad affermarsi a partire dagli edifici sul Palatino, quasi sicuramente nella casa di uno dei senatori che capeggiavano la fazione aristo­ cratica conservatrice, per poi diffondersi rapidamente in molti altri edifici del patriziato romano. È il periodo che significati­ vamente coincide con l'inizio dell'attività politico-dottrinale di Publio Nigidio Figulo''\ il senatore-aruspice amico di Cicerone considerato nel milieu culturale romano il restauratore del pita­ gorismo dell'Urbe, ed è verosimile pensare che l'ambientazione ' '' Un ritratto della complessa attività politica, dottrinale ed iniziatica di Nigi­ dio si trova in Nuccio D'Anna, Publio Nigidio Figulo, Archè, Milano 2009. 14

dominale e "sociale" in grado di permettere la costruzione di un edificio così particolare come la cosiddetta "basilica'' sotterranea, ha avuto la sua iniziale spinta creatrice proprio nell'ambito di una élite erudita e autorevole costituita da facoltosi aristocratici come quelli che andranno a formare il raffinato circolo di iniziati che periodicamente si radunava attorno a Nigidio. Questa "moda aristocratica'' e "conservatrice" che ha valo­ rizzato le abitazioni patrizie mediante stucchi riccamente illu­ strati con cicli mitologici che sembra prediligessero forme tra­ dizionali di tipo orfico-pitagorico, coincide con la sistemazione delle sofisticate pittografìe che adornano l'edificio sotterraneo di Porta Maggiore. Nel suo nucleo essenziale questa "moda ari­ stocratica'' ha avuto una durata piuttosto limitata e secondo le ricerche di Gilles Sauron può considerarsi spenta già alla fine del I secolo a. C. E tuttavia la sua contemporaneità temporale con il ciclo pittorico della "basilica'' è stupefacente, c'è una vi­ cinanza di fatturazione, materiali usati e simboli che non può essere ritenuta casuale. Mostra una serie di eventi e di realtà artistico-culturali che precisano una direzione, fanno emergere un ricchissimo sottofondo dottrinale registrato dagli artisti su indicazione dei loro committenti, in grado di documentare una diffusa mentalità e una forma di religiosità che si alimentava ancora dei miti e dei simboli legati al passato spirituale più an­ tico del mondo "classico". Affio ra un particolare stile pittorico, preservato in modo eminente nell'edificio sotterraneo per una serie di fortunati eventi, che affidava la trasmissione dei simboli spirituali più elevati non solamente ai trattati speculativi, ma anche alle raffigurazioni, alle decorazioni e alla stessa struttura­ zione architettonica. Alle origini, la pittura parietale e l'insieme degli stucchi cosiddetti decorativi "narravano" vicende mitiche che quasi sicuramente dovevano costituire una vera e propria forma di "supporto contemplativo". Non servivano per un puro diletto o per una semplice e superficiale pedagogia religiosa, ma raffiguravano elementi dottrinali molto selettivi, cicli spirituali e forse anche stati contemplativi. 15

Non ci sono dati che possano indirizzare verso un'attività sacrificai e pubblica dell'edificio, secondo le usuali abitudini liturgiche dell'epoca. Non sono state ritrovate statue o sup­ porti di nessun tipo che eventualmente possano giustificare una tale ipotesi. Al contrario, la stessa sostanziale modesta di­ mensione della struttura architettonica vieta di pensare ad un continuum sacrificale con un sacerdozio regolare dai compiti e dalle funzioni strutturate. Tutto indica che siamo davanti ad un'ambientazione élitaria che esclude ogni rapporto con fedeli vari e cosmopoliti, eventualmente convenuti nell'edificio per pregare o sacrificare. D'altronde, la sua strutturazione archi­ tettonica volutamente ed inequivocabilmente concepita come un edificio sotterraneo vieta di ipotizzare un uso aperto ad una moltitudine di fedeli di varia provenienza e formazione. La stessa illuminazione dell'edificio era assolutamente scarna, affidata principalmente ad un unico foro circolare dalle im­ portanti implicazioni simboliche, praticato in alto, al centro dell'atrio. Secondo Jéròme Carcopino, che ha scoperto tracce inequivocabili di fumo sulle pareti, durante i rituali la luce proveniente da quest'unico oculus si associava a quella di alcu­ ni candelabri appesi negli archi formati fra le colonne. Come si vede, l'associazione luce/tenebre-sotterranee è chiara ed ap­ pare voluta, forse direttamente in relazione dottrinale con quei miti pitagorici che raccontavano la discesa all'Ade di Pitagora e il suo rapporto spirituale con la luce celeste.

2. Nel suo impareggiabile studio sulla "basilica pitagorica" di Porta Maggiore che ha orientato tutte le analisi successive, Jéròme Carcopino aveva annotato con cura (pp. 247-48; pp. 256-57) che l'edificio sotterraneo non era stato costruito per le funzioni religiose dell'usuale pubblico di devoti. All'interno si trova un gruppo complessivo di sette mensae marmoree che rivelano una selezione rigidissima del numero dei frequentatori. Tre di queste mensae furono classificate dallo studioso francese come "ineguali", e forse si trovavano collocate in corrispettivo 16

del sito occupato dai 3 personaggi considerati più importanti fra i non molti frequentatori. Secondo Eugénie Strong e Norah Joliffe si tratterebbe dei capi della confraternita romana e le loro tracce figurative possono essere ancora seguite nei frammenti di alcuni stucchi. Cosa importante, che rivela anche molti aspetti dell'atteggiamento rituale di questi frequentatori, le altre 4 men­ sae costituivano il luogo rituale attorno cui erano soliti radunarsi 7 convitati ciascuna: 4 x 7 28. Come si vede, la cerchia riserva­ ta degli iniziati che abitualmente convenivano nell'edificio sacro per i loro rituali molto riservati erano verosimilmente formata da 28 membri, il numero che secondo quanto ci riferisce Eu­ clide era considerato "perfetto" nelle speculazioni aritmosofiche pitagoriche perché ottenuto dalla somma dei primi numeri di successione doppia (l + 2 + 4 7) moltiplicata per 4, sicché 28 diventava il numero "perfetto" ottenuto dalla somma di tutti i suoi divisori: l + 2 + 4 + 7 + 14 ( 7 + 7) 28. E certo nessun osservatore può pensare che sia un puro caso che questo straor­ dinario numero 28 corrisponda esattamente alla cifra ottenuta sommando la lunghezza, la larghezza e l' altezza20 dell'edificio sotterraneo che misurano rispettivamente 12, 9 e 7 metri 28. Come si vede, la tipologia dei reperti archeologici e di al­ cune raffigurazioni di questo singolare edificio sotterraneo ha confermato che i pitagorici di questa consorteria semi-segreta, la cui costituzione risulta assolutamente inusuale nella Roma della fine della Repubblica e dei primi tempi dell'Impero, si radunavano a gruppi di 7 attorno a 4 diverse mensae. Le men­ sae erano di marmo e venivano poste sotto i candelabri in cor­ rispettivo di immagini di divinità che molto probabilmente gli iniziati, abbigliati con vesti di puro lino bianco (come era uso fra i pitagorici dei primi tempi) , consideravano simboli della dimensione trascendente nella quale dimorava il myste final=

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'" Ricordiamo che i piragorici conoscevano due modalirà di calcolo: la prima, più conosciura, era legara al rapporro geomerrico con il cerchio e culminava nelle divisione duodecimale; la seconda sviluppava i rapporri arirmerici e si incenrrava nella divisione decimale. 17

mente liberato "dalle catene della generazione" . "LAnthologia Palatina (XIV, l) precisa che 28 corrispondeva anche al nu­ mero dei primi selezionati discepoli di Pitagora, mentre Athe­ neo (I, 9, 15- 16) ricorda che anche i partecipanti al Simposio platonico erano 28 i quali nella prospettiva della "restaurazio­ ne tradizionale" che aveva in vista il filosofo ateniese doveva­ no riprendere e perpetuare la tradizione iniziatica che aveva alimentato la costituzione delle confraternite pitagoriche dei primordi. Si può aggiungere che 28 può considerarsi formato anche dalle due cifre "cardinali" il cui prodotto dà, ancora, 28 7 x 4, rispettivamente il numero "virginale" o "senza ma­ dre", e quello della manifestazione corporea, la "conclusione" della prima serie numerica l, 2, 3, 4, che è come dire che il 4 rappresenta una vera e propria "progressione verso il basso" , la "cadutà' nella materia simboleggiante quella "prigione del corpo" considerata come la condizione stessa del "ciclo della generazione" , la "fissità" e la staticità tipica della manifestazio­ ne corporea. Nelle sue linee essenziali si tratta di una dottri­ na ben conosciuta alla quale accennano esplicitamente anche molti frammenti nei quali si è conservata questa antichissima tradizione orfico-pitagorica che sembra riprendere le venerate tradizioni sacre di entrambi i movimenti. È questo il sostrato spirituale che all'alba della fondazione dell'Impero verrà ricor­ dato anche da Virgilio nelle Bucolichel-1• Il 7, invece, è detto virginale perché è ritenuto non generante, indivisibile e inge­ nerato. Ed è per questo che sul 7 si articolano le note musicali, l'euritmia, le corde della lira del dio Apollo, molte feste del calendario liturgico, le stelle che compongono la costellazione polare del Gran Carro e i pianeti fondamentali del sistema astronomico "classico" la cui armonia e logica strutturale scan­ disce i ritmi dell'esistenza. Il colore bianco delle vesti degli iniziati aveva il proprio =

" Cfr. Nuccio D'Anna, Mistero e Profezia. La IV egloga di Virgilio e il rinno­ vamento del mondo, Lionello Giordano, Cosenza 2007; Id. , Da Oifeo a Pitagora, Editrice Simmetria, Roma 20 1 1 . 18

corrispettivo nel bianco del pavimento che forse copriva anche le pareti interne delle colonne. Non è un puro richiamo orna­ mentale inteso a rendere più accogliente un ambiente sotterra­ neo. Il bianco è il colore principale che simboleggia la luce del sole, il fulgore dell'astro diurno che secondo i pitagorici co­ stituiva il veicolo di manifestazione dello splendore celeste. Il bianco del pavimento, e la stessa luce solare che dall'unico ocu­ lus illuminava l'interno dell'edificio, trovano il loro perfetto corrispettivo anche nell'orientamento complessivo della "basi­ lica", dove l'iniziato entrava da Ponente e seguendo !"'itinera­ rio mistico" disegnato dagli stucchi, si dirigeva verso Oriente, là dove sorge il sole, il veicolo di manifestazione del dio Apollo la cui dimensione spirituale l'adepto pitagorico doveva con­ templare attraverso la meditazione dei simboli dell'abside.

3. Il ciclo mitologico illustrato nella "basilica'' comincia necessa­ riamente la propria narrazione già a partire dal vestibolo. I.: usura del tempo che ha inesorabilmente toccato l'edificio abbandona­ to già dal tempo di Nerone, e mai restaurato prima della fortu­ nata scoperta del 1917, l'azione secolare delle acque pluviali e la lenta, ma continua penetrazione di strati notevoli di terriccio che spesso sono arrivati a coprire i locali e le pittografie, hanno offeso in modo irreparabile molte raffigurazioni. Tuttavia, resta­ no tracce consistenti in grado di documentare senza ombra di dubbio che gli stucchi, e forse anche la superficie delle stesse pa­ reti, erano riccamente colorati secondo uno stile policromo ben attestato anche in molti altri edifici di culto del mondo classico. Il vestibolo aveva la funzione primaria di rompere improv­ visamente l'abituale ritmo disordinato della vita quotidiana (il "ciclo della generazione" nel quale ogni essere umano è im­ merso facendosi consumare inconsapevolmente) , e di intro­ durre nella speciale dimensione spirituale che avrebbe dovuto vivere l'adepto ammesso ai riservatissimi sacri misteri celebrati nell'edificio. Quasi immediatamente il visitatore è colpito da una Menade che al centro del vestibolo cavalca una pantera reg19

gendo in mano un tirso. La Menade è colta di spalle, quasi ad invitare l'iniziato ad abbandonare il mondo e a seguirla. A lato si trova un rombo, una tipica figura geometrica appartenente al patrimonio simbolico delle dottrine pitagoriche, che incornicia un cerchio dove un Amorino è colto mentre afferra un'anfora, lo strumento cerimoniale che ritornerà spesso anche in altri me­ daglioni, forse il simbolo della bevanda di immortalità cui deve attingere l'iniziato. Tutto intorno fanciulle stanti, maschere di Giove Ammone (?) messe lì col probabile compito di esorcizzare gli spiriti del disordine, Amorini che inseguono farfalle (simboli delle anime degli iniziati finalmente liberate dal ciclo del dive­ nire) , caprioli che trascinano bighe, cerbiatti in fuga, pappagalli scolpiti a coppie contrapposte, ippocampi e una irraggiungibile Vittoria la cui singolarità rappresentativa sembra quasi renderla estranea all'insieme delle altre immagini del vestibolo. Si tratta di un'importante forma divina che ritornerà ancora nel sesto riquadro della navata sinistra e nello stucco conclusivo del ciclo figurativo della navata centrale. Su ogni cosa sembra troneggia­ re quello che Salvatore Aurigemma interpreta come un Genio alato completamente nudo che sparge la bevanda di immorta­ lità da un'anfora rovesciata mentre regge una divina fanciulla poggiata su una sua ala. Secondo Goffredo Bendinelli (nella sua poderosa e documentatissima memoria del 1927) e poi anco­ ra Salvatore Aurigemma, siamo davanti all'apoteosi celeste che trasfigura l'iniziato ammesso ai sacri riti offìciati nell'edificio. Come appare chiaro, le raffìgurazioni del vestibolo non sono scene di un transeunte diletto estetico offerte ad un pubblico di selezionati aristocratici. Non hanno il compito di sollecitare vaghe sensazioni o i "buoni sentimenti" degli sparuti devoti, ma rappresentano una realtà archetipale colta in alcuni dei suoi elementi simbolici essenziali e "narrata" attraverso i miti. È la dimensione spirituale nella quale dimora l'iniziato che ha final­ mente trasceso i limiti del mondo quotidiano. 4. La navata sinistra dell'edificio contiene un numero cospicuo 20

di immagini mitiche appartenenti con sicurezza al patrimonio dottrinale della spiritualità apollinea. Gli archeologi assicura­ no che l'itinerario iniziatico di questa navata si sviluppa se­ guendo cinque tappe. Nella prima, composta da otto pannelli figurativi, appaiono alcuni simboli ricavati dal culto apollineo: una lunga serie di Tritoni, un Erote o Amorino volante, una Nereide, un'altra serie di maschere gorgoniche con la proba­ bile funzione esorcistica di allontanare il disordine, infine una Vittoria volante che annuncia il trionfo dell'ordine e dell' ar­ monia. Segue la raffigurazione del celebre agone musicale fra Marsia e Apollo. Il dio dell'armonia cosmica ha già vinto l'empio ribelle e, finalmente seduto, può suonare la sua lira. Marsia è ancora legato all'albero del supplizio, colto nell'atti­ mo che precede il suo squartamento. La scena è completata dall'immagine di Apollo posto di fronte alla dèa Athena e da un'altra del dio seduto mentre suona la sua lira accompagnato dal probabile canto di una Musa. Un importante particolare di questa serie narrativa è senza dubbio alcuno la raffigurazio­ ne di due sacre mensae poste in un ambiente adorno di corone di fiori, con rami di palma che emergono da sotto le mensae. Su questi "tavoli" che in realtà sono la figurazioni delle sacre are utilizzate nella "basilica'' si trovano brocche, una patera e una ciotola, gli utensili di un probabile banchetto sacrificale. Il ciclo narrativo di questa navata è arricchito da altre scene e da una lunga serie di strumenti cerimoniali: un'ara sulla quale ancora arde un fuoco sacrificale, vasi rituali, coppie di grifi ala­ ti, leoni rampanti, un serpente sacro attorcigliato all'albero-a­ xis mundi che fa da controparte al medaglione con al centro l'effigie di un altro albero sacro verso cui si rivolge una sacer­ dotessa colta dall'artista mentre eleva le invocazioni rituali. Parallelamente a questo ciclo così ricco di raffigurazioni ri­ conducibili al culto apollineo, nella navata destra troviamo una serie di richiami a quegli aspetti della mitologia ellenica che sembra aver conservato una forte impronta rituale e persino iniziatica. Dopo le consuete pittografie con una maschera gor21

gonica, con le Nereidi che cavalcano mostri marini e le Menadi che introducono il ciclo mitologico successivo suonando timpa­ ni, l'adepto che ha appena superato il vestibolo contempla im­ mediatamente l'immagine di un'anima liberata dalle catene del corpo e finalmente pervenuta all'Elisio. Qui incontra tre perso­ naggi femminili (due di queste fanciulle stanno sedute) ricca­ mente abbigliate che sembrano attenderla da sempre. Il tempo pare aver esaurito il proprio flusso. La figura centrale copre un ruolo quasi-regale e, a giudicare dallo scettro tenuto saldamento in mano, personifica una kourothrophos, la fanciulla-iniziatrice che nei tempi più antichi aveva il compito di istruire nelle varie "arti" i giovani elleni. Non pare possano esserci dubbi che ci si trovi in una ambientazione elisiaca. Le scene successive mo­ strano via via un'anima che intona la sua arpa, altre che con­ versano passeggiando o seduti alla maniera antico-pitagorica, amorini che attraversano il cielo, Arianna che porge a Teseo il filo che gli permetterà di uscire liberato dal labirinto, i divini fratelli "solari" Apollo e Artemide mentre discorrono, un Her­ mes psicopompo, ancora Danaidi che portano le loro anfore sacre mentre una di loro versa l'acqua in un pithos per preparare i rituali che stanno per essere celebrati. Tutto sembra indirizzato a dare valore alla scena conclusiva che appartiene a tutto il patri­ monio iniziatico ellenico: una matrona seduta di fronte ad una fanciulla ( anima) colta mentre legge in un volumen accanto ad un'altra fanciulla che scorre attentamente il proprio volumen. La complessa scena riproduce una iniziazione misterica colta in alcuni elementi essenziali ed "esemplari" che, come per es. la lettura del volumen, avevano un importante ruolo nei rituali del circolo pitagorico di Publio Nigidio Figulo e si trovano menzio­ nati anche negli scritti di Giamblico. Il "paesaggio" mitico aiuta a comprendere anche il ruolo "edenico" coperto dai filosofi e dalle fanciulle che poco lontano lo completano accompagnati da tutta una serie di ben conosciuti oggetti rituali come crateri, idrie, alle, oscilla, cembali. Sulla parete è stato possibile persino rinvenire tracce pittoriche che lasciano seguire le linee essenziali =

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di un paesaggio ideale che forse doveva ricordare ad ogni inizia­ to l'archetipo mitico dei Campi Elisi.

5. Ma l'itinerario iniziatico principale che l'adepto doveva se­ guire immerso nella contemplazione del mistero raffigurato negli stucchi, si trova nella navata centrale. Qui il "viaggio" del myste è stato sapientemente ordinato attorno a tre quadri che forse avevano il compito di indicare tre diverse condizioni contemplative, le tre fasi che precedevano la trasfigurazione finale. Purtroppo il terzo riquadro è irrimediabilmente scom­ parso e resta solamente la possibilità di ricostruire la formula­ zione simbolica lavorata al suo centro attraverso le pittografie dei riquadri laterali che ne incorniciavano la struttura. La pri­ ma inquadratura rettangolare raffigura una danza orgiastica ritmata dal suono del doppio flauto suonato da una fanciulla inginocchiata mentre tutt'intorno fervono scene di vita con inusuali pigmei e alcuni negri indaffarati nei loro lavori. Se­ condo un'ipotesi di Jérome Carcopino questi personaggi sono la raffigurazione mitologizzata dei Cabiri qui colti mentre sono immersi nella pratica dei loro rituali così legati al mondo sotterraneo ---ipotesi rafforzata anche dalla successiva scena nella quale troviamo due donne poste di fronte mentre pra­ ticano una stranissima cerimonia che Salvatore Aurigemma classifica come nekyomanzia. Il primo riquadro che accoglie il visitatore all'ingresso della navata centrale raffigura un Dioscuro che trascina una Leucip­ pide in cielo, forse la stessa entità divina che il mito fisserà come quella che dovrà diventare la sua eletta sposa. Non può trattarsi che di Polluce, lo "Splendente", il divino gemello che trascina l'anima dell'adepto ancora riluttante per i sentieri celesti. An­ che il culto exoterico dei Dioscuri appartiene al patrimonio del pitagorismo fiorente nelle colonie greche della penisola già dal tempo di Acchita di Taranto. Da qui penetrò prima in alcune città latine del Lazio per poi arrivare a Roma dove finalmen­ te i Gemelli Dioskouroi (''Figli di Zeus") divennero i patroni 23

dell'ordine equestre e nel 499 furono i protagonisti della vittoria romana contro la Lega Latina al lago Regillo. Il "rapimento" della Leucippide è attorniato da importanti scene che rimandano tutte ad una realtà iniziatica. La prima di queste pittografie tratteggia la celebre preparazione del sa­ crificio di Ifigenia nella Tauride che ogni elleno considerava da sempre un elemento essenziale della propria cultura religiosa. Seguendo il diffusissimo rituale iniziatico del "taglio dei capel­ li" , ben conosciuto in molte civiltà antiche, che forse doveva essere seguito anche dagli adepti ammessi nella "basilica'' , an­ che Calcante taglia i capelli della figlia e consacra la vergine ad Artemide per la riuscita dell'impresa. Subito dopo appare un riquadro con le immagini di He­ rakles ed Athena, la dea della sapienza la cui importanza è impossibile non considerare all'interno del patrimonio miti­ co del pitagorismo. Anche il culto di Herakles è tipicamente pan-pitagorico. Qui ricordiamo solamente che Milone, sposo della figlia di Pitagora e famosissimo atleta olimpico, appariva in pubblico abbigliato volentieri con una pelle di leone e la clava in mano per imitare l'Eroe olimpico, era considerato un suo celebre sacerdote e la stessa sua casa nella quale conveni­ vano abitualmente i maggiorenti del pitagorismo crotoniate, era considerata un santuario di Herakles. Fu proprio in questo "edificio sacro" che Cilone e i suoi sorpresero i capi dei pita­ gorici durante un simposio e li fecero morire nelle fiamme in quella che alcuni hanno considerato una vera e propria ekpyro­ sis pitagorica. Herakles ritorna anche in un altro piccolo qua­ dro della "basilica" in un riquadro che lo "ferma" nel momen­ to esatto in cui sta uccidendo il mostro marino che si accinge a divorare Esione legata ad una roccia. Ancora altri due piccoli rettangoli richiamano la dimensione iniziatica di questo ciclo narrato nel quadro iniziale. Il primo raffigura il centauro Chirone intento ad istruire un Achille an­ cora giovinetto. Chirone è probabilmente il più celebre maestro di iniziazioni, l'educatore e il kourothophos più cercato dell'an24

tica Grecia: presso la sua caverna-dimora convenivano abi­ tualmente gli Eroi del mito per apprendere i segreti delle "arti cortesi", della guerra, della medicina, degli agoni sacri, ecc. Il secondo rettangolo, invece, mostra la maga Medea che osserva i figlioletti morti accanto ad un altro maestro-iniziatore. E, an­ cora, intorno a queste scene troviamo giocolieri sacri, tavoli che lasciano intendere la presenza e l' operatività dei giochi rituali, cerimonieri che portano anfore sacrificali, pigmei (= Cabiri ?) danzanti, donne e uomini che trascorrono il tempo in piena armonia con le belve feroci e con una natura pacificata. Anche il secondo riquadro posto al centro della navata ac­ compagna il visitatore con scene marcatamente iniziatiche. Qui è Ganimede con la sua tipica oinochoe che viene innalzato in cie­ lo da un genio alato. La scena non ha la violenza paragonabile a quella del "rapimento" della Leucippide; qui l'adepto-iniziato è "aiutato" a salire in cielo e la trasfigurazione è accompagnata da un Orfeo che si intrattiene con Euridice, da Oreste che contem­ pla ancora Ifigenia nella Tauride e da Medea che addormenta il drago per permettere a Giasone di uccidere il mostro e afferrare il Vello d'oro. Sono scene di una liberazione, simboleggiano il totale supe­ ramento della condizione umana, l'abbandono della vita pro­ fana, lo scioglimento dei vincoli del "ciclo della generazione". La beata condizione dell'iniziato è raffigurata nei rettangoli che adornano il riquadro: una scena nuziale che probabilmen­ te documenta lo status di unità spirituale con l'anima-sposa protagonista del rito; una scuola, ossia un ambiente iniziatico con il maestro che regge una ferula mentre sta seduto regal­ mente e gli allievi si muovono intorno posizionandosi davanti e dietro; una palestra nella quale fanciulli (= adepti) , come in alcuni celebri frammenti di Eraclito, si esercitano al seguito di un ludimagister ed imparano anche i fondamenti simbolici che regolano il gioco tradizionale; una corsa armata che documen­ ta l'importanza iniziatica data dai pitagorici all'addestramento militare e aglì agoni atletici dal tempo della primitiva confra25

ternita crotoniate fino all'erezione dell'edificio sotterraneo; il "gioco della pallà' con il suo ricco simbolismo cosmico-dottri­ nale che ha costituito sempre un elemento gnoseologico fon­ damentale nell'educazione pitagorica già a partire dalle primi­ tive forme organizzative della confraternita.

6. Dopo aver percorso il vestibolo e la navata centrale, dopo aver contemplato le figure che adornano le due volte laterali, l'adepto giunge finalmente di fronte all'abside della "basili­ cà', la parete finale dell'edificio sotterraneo. La parete è inte­ ramente decorata da una ricca pittografia che conclude questo straordinario "itinerario mistico" con quello che Salvatore Au­ rigemma chiama "catino dell'abside", significativamente col­ locato dall'artista ad Oriente, il punto in cui sorge la luce che inonda ogni adepto e col suo splendore trasfigura il cosmo. Al centro della pittografìa troviamo una fanciulla con la testa e la parte superiore del corpo aureolate da un mantello effigia­ to in una forma quasi-circolare. La fanciulla è stata colta sullo scoglio di un alto promontorio e l'accenno al movimento del corpo indica quasi sicuramente la sua volontà di lanciarsi nel sottostante mare agitato. Secondo la quasi totalità degli studiosi, la fanciulla raffigura la poetessa Saffo colta nell'attimo che ha preceduto il suo salto dalla celebre rupe dell'isola di Leucade, là dove secondo Strabone (X, 2, 9) si trovava un famoso santuario del dio Apollo. È, questa, l'interpretazione exoterica dell'effigie, quella che Pierre Boyancé, sviluppando alcuni punti delle sco­ perte di Jérome Carcopino, ha immortalato in un suo celebre studio nel quale dava significato alle tante tradizioni che lega­ vano Saffo al mitico Faone22• Con la mano sinistra la fanciulla regge una cetra a sette corde, il tipico strumento musicale apol­ lineo, mentre con la destra (ormai irrimediabilmente monca) sembrerebbe reggere un lembo del mantello. Limportanza data dall'artista al modo di vestire della fanciulla, il mantello, la stes-

" Cfr. Pierre Boyancé , Leucas, "Revue Archéologique", III, 1 929: 2 1 1 -2 1 9. 26

sa sua fattura aureolata attorno alla figura e il suo accompagnar­ si con la sacra cetra assicurano che non si tratta di un semplice vestiario profano, ma di un abbigliamento che assolve una pre­ cisa funzione sacra nell'ambito del rituale che si sta svolgendo davanti agli occhi del visitatore. Considerata la forte ambienta­ zione apollinea, dietro questi rituali sembrerebbe potersi sup­ porre persino una dimensione sacra musicata - cosa, d' altron­ de, assolutamente normale per ogni pitagorico. Proprio questa ambientazione mistico-estatica dell'immagine di Saffo portò Pierre Boyancé ad ipotizzare anche l'esistenza di uno speciale "linguaggio segreto", probabilmente sostanziato da un impor­ tante simbolismo sacro modulato sui miti raffigurati negli stuc­ chi, un linguaggio che avrebbe dovuto forse alimentare anche la liturgia celebrata dall'élite pitagorica nell'edificio sotterraneo23• Tuttavia va precisato che un tale "linguaggio segreto" avrebbe potuto acquisire significato spirituale e concretezza espressiva solamente se concepito come il corrispettivo della rivelazione divina ricevuta dall'iniziato, un "linguaggio mistico" in grado di consentire una vera e propria riformulazione fonetica del so­ strato spirituale che sostanzia accanto alle realtà cosmiche anche il simbolismo e le dimensioni mitiche sperimentate dall'adepto durante il rituale sacro. Alle spalle della fanciulla si trova un Erote col compito di accompagnarne lo slancio verso i flutti del mare mentre poco lontano due Tritoni sembrano aspettarla: il primo ha un drappo ricurvo col quale dovrà verosimilmente rivestire con un sacro peplo la fanciulla dopo l'immersione nel mare, il secondo regge sulla spalla sinistra una lunga asta (e non l'inverosimile "remo" immaginato senza fondamento da qualche archeologo) e into­ na il suono di una buccina. Limpressione che nel rituale abbia parte cospicua una ambientazione musicale che tenderebbe a sostanziare la "mistica della luce" tipica di ogni culto apollineo è forte, rafforzata dalla presenza della cetra, dalla buccina dentro

2·'

Pierre Boyancé, Leucas, cit. : 2 1 8-2 1 9. 27

cui soffia il Tritone, dal fatto che Saffo era una poetessa i cui componimenti durante la recitazione venivano abitualmente musicati, dalla leggerezza dei movimenti del corpo della fan­ ciulla, dalla posizione "leggerà' dei suoi piedi, forse dagli stessi abiti svolazzanti che potrebbero indicare non l'improbabile ed insignificante soffio del vento marino supposto da qualche ar­ cheologo, ma il ritmo musicale che ne ordina i gesti, l'armonia melodica che l'avvolge, i suoi fondamenti sacri, la symmetria complessiva che si dispiega davanti agli occhi dell'adepto nel punto in cui egli ha finalmente compiuto il rituale iniziatico. Il "salto in mare" della fanciulla dell'abside rientra in un regi­ stro iniziatico molto ampio e ben conosciuto. Secondo un cele­ bre archeologo come Waldemar Deonna "sal tare da una grande altezza significa saltare nella morte e ovunque abbiamo di ciò innumerevoli esempi. Si tratta di un rito, di un'offerta, volonta­ ria o meno, alle potenze infernali, un' ordalia che lascia il giudi­ zio agli dèi ctoni, particolarmente nel caso del tuffo rituale nel mare o nel fiume, nel quale il dio potrà accettare o rifiutare la vittima"21• L''immersione sacrà', il tuffo nelle acque impetuose del mare, era un rito ben conosciuto, praticato anche in alcune forme di iniziazione guerriera e nelle cerimonie sacre degli scia­ mani delle culture artiche. Il dipinto dell'abside sembra rimo­ dulare, secondo canoni mitologici appartenenti a tutta la cul­ tura ellenica, un canovaccio iniziatico presente da sempre nelle civiltà primordiali. E con ogni verosimiglianza l'adepto pitago­ rico doveva "riprenderlo" e attualizzarlo all'interno della speciale prospettiva realizzativa del rituale operato nella "basilicà'. Nel lato sinistro dell'abside, un giovinetto siede su uno scoglio appoggiato ad una sacra palma e poco sopra, in alto, a sovrintendere l'intero svolgimento del rito, troviamo il dio Apollo che afferra con la mano sinistra il suo celebre arco. Poco più lontano, su uno scoglio che fa da contraltare alla rupe di '' Così Wa ldema r Deonna , Ii simbolismo deLL'acrobazia antica, Mila no 2005: 1 22. Cf r. Jea n Hubaux, L epiongeon rituei, Liège-Pa ris 1 923: 5-8 1 ; Henri Jea nma ire, Couroi et Courètes, Lille 1 939: 227: 326 e sgg. 28

Leucade, il giovane Faone (lo "Splendente") sembra aspetta­ re l'arrivo di Saffo, la personifìcazione dell'anima liberata dal ciclo della generazione, dai legami con le forme transeunti, dall'apparenza di un vita immersa nel divenire e priva di ogni radicamento spirituale. Il mito ellenico ha sempre raccontato il dramma della poetessa Saffo innamorata di Faone, lo strano barcaiolo che a causa del dono della "giovinezza perenne" fat­ togli da Afrodite, era considerato il simbolo della perfezione e dello splendore celeste. Franz Stoessl non ha faticato molto ad elencare con pedanteria i legami inusuali fra: a) il culto apollineo coltivato in alèuni templi dell'isola di Lesbo; b) l'im­ portanza assunta nei cicli mitologici o nelle raffigurazioni pit­ toriche da un personaggio secondario come Faone che però, in quanto immagine del Puer Aeternus e dello "splendore" ce­ leste, sembra aver acquisito inequivocabilmente i tratti di una vera e propria epiclesi di Apollo; c) l'esistenza stessa di questo speciale amore coltivato da una poetessa come Saffo realmente vissuta, nei riguardi di un personaggio appartenente invece ad un universo esclusivamente mitopoetico2". Per questi motivi l'esegesi esoterica dei pitagorici ritrovava in questo singolare personaggio nient'altro che una "forma" apollinea, una epi­ clesi di Apollo in quanto dio dello splendore solare, una sua teofania, una manifestazione della luce intellegibile che qui il mito ha "fermato" personifìcandone le attribuzioni celesti. "Lapoteosi di Saffo e la sua trasfìgurazione nell'abside del­ la "basilica'' ha un suo coronamento "trionfale". Su un plinto posto poco più sotto, l'artista ha voluto effigiare in uno stucco l'immagine di una Vittoria con le ali perché qui questa divinità non propone il suo solito culto exoterico legato all'invincibilità delle legioni e alla religiosità romana vittoriosa sul cosmo, ma rappresenta l'apoteosi dello stesso iniziato, il suo status "trionfa­ le". La trasfìgurazione celeste dell'adepto pitagorico è finalmente compiuta. Perciò accanto alla Vittoria alata l'artista ha aggiunto

2'

Franz Stoessl, Phaon, RE, XIX, 2, Stutcgart 1 938 (cii . 1 790- 1 795), cl. 1 792. 29

l'improvviso arrivo di due fanciulle che sembrano elevare inni di gloria, mentre in mano reggono i simboli di questo corona­ mento "vittoriale" e "trionfale": la prima eleva al cielo la corona da imporre sul capo dell'iniziato e la seconda porta la palma, simbolo della rigenerazione spirituale e della "nuova vità'. I..: universo spirituale raffigurato nella "basilicà', e la stessa sua strutturazione narrativa, mostrano una varietà di racconti e di personaggi mitologici che non possono essere sbrigativa­ mente classificati come se facessero parte di una singola tradi­ zione poetica, come per es. è successo con le versioni del mito antico rese immortali da O mero. Non c'è nulla che permetta di concludere che ci si trovi davanti ad un paesaggio religioso che in qualche modo intenda riformulare il sostrato sacrificale presente nella vita templare del tempo. La stessa varietà non piccola dei cicli mitologici brevemente allusi dai personaggi degli stucchi non conduce ad una sorta di "ecumenismo mito­ logico" e dottrinale. Bisogna evitare di studiare le singole scene raffigurate nelle pareti come se dovessero riprendere l'intera storia mitologica dell'antichità. Al contrario, l'artista sembra essersi preoccupato di rendere omogenei la varietà dei raccon­ ti sottesi nelle pitture e li ha riformulati indirizzandoli alla comprensione dell'itinerario iniziatico tracciato nell'edificio. Non emerge in nessun modo una qualche finalità pedagogica degli stucchi, una sorta di "riassunto mitico per analfabeti", c'è invece un'attenzione precisa verso il sostrato rituale che ha alimentato le immagini e la diretta sperimentazione della loro dimensione spirituale. Come gli ultimi rappresentanti del neoplatonismo si preoccuperanno di mostrare la radice sacra ed unitaria delle diversificate forme spirituali che avevano so­ stanziato la tradizione classica ormai giunta al tramonto, così l'artista che ha effigiato gli stucchi della "basilica" non ha teso a cogliere un sistema mitologico "settario" staccato dalla realtà religiosa del Io secolo d. C. Al contrario, ha voluto effigiare i miti e i personaggi che potevano avviare alla comprensione del sostrato più elevato che aveva retto la vita rituale "classicà' , 30

ne ha colto i fondamenti "essenziali", ha scelto i personaggi "esemplari" che potevano indirizzare verso una autentica espe­ rienza spirituale, ha privilegiato quei miti che potevano rive­ lare nel modo più chiaro la tradizione sacra che sostanziava la vita rituale di questa straordinaria élite pitagorica, la sola che sembrava potersi trovare nelle condizioni di superare il piano della semplice devozione e di sperimentare dall"'interno" il si­ gnificato più elevato dei simboli religiosi. La "basilica" pitagorica di Porta Maggiore venne costruita in coincidenza di una precisa situazione culturale che vide la nascita dell'Impero e la celebrazione delle radici sacre che reg­ gevano quella che ormai era correntemente percepita come una irreversibile pax deorum. I.;" itinerario iniziatico" raffigura­ to nelle pareti dell'edificio sotterraneo quasi sicuramente face­ va parte di una più ampia tradizione sacra che finalmente era riuscita a permeare anche le arti, la cultura e la religiosità, una forma spirituale elitaria che i suoi rappresentanti forse pensa­ vano di poter fare emergere anche sul piano rituale. Lordine di Nerone che vietò per sempre la frequentazione della "basi­ lica" sotterranea costrinse l'élite che aveva concepito l'edificio sacro al silenzio e forse all'occultamento.

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LIRA DEGLI DÈI NELLA BASILICA DI PORTA MAGGIORE

Luciano Albanesr!-6 La Basilica sotterranea di Porta Maggiore deve l'appellativo di

'pitagorica', come è noto, soprattutto alla monografia di Carco­ pino del 192627, un testo che può essere ormai considerato un classico. Il testo è ricco e pieno di suggerimenti stimolanti, come sempre nel caso di Carcopino, in particolare per quanto riguar­ da il collegamento fra alcuni stucchi della Basilica e l'operato di Nigidio Figulo2x (un tema sul quale Nuccio d'Anna ha scrit­ to delle pagine molto stimolanti nella monografia su Nigidio )29 Il libro di Carcopino sviluppava, argomentandola, l'ipotesi di Franz Cumont (apparsa in un importante articolo del 1918)w, che aveva definito la Basilica 'pitagorica'. [opera di Carcopino si presentava esplicitamente come alternativa all'interpretazione di Bendinelli (vedi in particolare i rilievi critici di Carcopino alle pp. 83 sgg.) , che in un lungo articolo del 1922 pubblicato nel «Bullettino della Commissione archeologica comunale», Il Mau­ soleo Sotterraneo, altrimenti detto Basilica di Porta Maggiore (suc­ cessivamente sviluppato nella più ampia monografia del 1926,

Il monumento sotterraneo di Porta Maggiore in Roma. Contributo alla storia dell'arte decorativa augustea)J1 aveva definito il com"' Università di Roma La Sapienza ,- Jéròme Carcopino, La Basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, LArtisan du Livre, Paris 1 927. " Un suggerimento già fatto da Cumont (v. n. 30) . ''' Nuccio D'Anna, Publio Nigidio Figulo. Un pitagorico a Roma nel l secolo a. C., Archè-Edizioni PiZeta , Milano 2008. 10 Franz Cumont, La basilique souterraine de la Porta Maggiore, «Revue Archéo­ logique», 2 ( 1 9 1 8) : 52-73. " In Monumenti antichi della Reale Accademia dei Lincei, XXXI (I 926) , coli. 60 1 -859. 33

plesso sotterraneo un 'mausoleo sepolcrale' a carattere familiare, spogliato di tutte le urne (un dissidio analogo fra Bendinelli e Carcopino si registrò a proposito dell'interpretazione dell' lpogeo degli Aureli di Viale Manzoni, un altro monumento sepolcrale per il primo e la sede dei valentiniani a Roma per il secondo) . La tesi di Carcopino era legata soprattutto all'interpretazio­ ne della grande scena che si vede nel catino dell'abside della Basilica. Sulla base di un passo di Plinio (Nat. Hist. XXII 8, 9, 20) Carcopino, in un articolo apparso nella Rev. Arch. XVIII 1923, aveva già interpretato la scena come il tuffo di Saffo dalla rupe di Leucade verso le Isole dei Beati, dove era attesa da Apol­ lo: una metafora della ritrovata serenità dell'anima finalmente uscita dal corpo, ma soprattutto, secondo Plinio o la sua fonte, una metafora spiccatamente pitagorica. La tesi di Carcopino era molto suggestiva, ma l'dentificazione di ciò che si vede riprodot­ to nell'abside non è così agevole. Conseguentemente, così come non erano mancate le critiche e le riserve relative all'articolo di Cumont (per una loro rassegna si può vedere l'articolo di Gil­ bert Bagnani apparso nel 1919 sul ]ournal of Roman Studies12, così non mancarono le riserve sulla tesi di Carcopino. Esse presero corpo soprattutto in un importante articolo del 1924 apparso sul ]ournal of Hellenic Studies13 firmato da Eugénie Strong e Norah Jolliffe. Di origine francese, la Strong era la collaboratrice di Thomas Ashby, ed era autrice di due importanti monografie sull'arte romana. Della Basilica si era già occupata a lungo, e le sue ricerche trovarono esito nell' ar­ ticolo del '24 redatto insieme ad un'altra nota archeologa, No­ rah Jolliffe. Dopo aver fatto il primo spoglio completo degli stucchi, disegnandone una mappa veramente esaustiva, che lo stesso Carcopino utilizzò largamente nel libro del '26, l'artico­ lo passa alla loro interpretazione. 12 Gilbert Bagnani, 7he Subterranean Basilica at Porta Maggiore, 1he ]ournal of Roman StudieS>• 9 ( 1 9 1 9) : 75-85. Il Eugénie Strong and Norah Jolliffe, 1he Stuccoes of the Underground Basilica near the Porta Maggiore, 7he ]ournal of Hel/enic StudieS>•, Vol. 44, Pare I ( 1 924) :