Storia di Roma antica 9788854101937

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Storia di Roma antica
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CERCHIAI - MAINARDIS - MANODORI MATERA - ZACCARIA

STORIA

NEWTON

DI

& COMPTON

ROMA

EDITORI

-

ANTICA

BIBLIOTECA

DE

JI Messaggero

«Non intendo accettare né respingere le leggende correnti sull’età anteriore alla fondazione di Roma oppure sulla stessa fondazione,

perché

sono

favole poetiche

piuttosto

che testimonianze sicure sui fatti avvenuti. Concediamo volentieri agli antichi l'usanza di rendere più nobili le origini della città,

mescolando i fatti degli uomini con quelli

degli dèi. E se mai un popolo ha avuto diritto a rendere sacre le proprie origini e a le-

garle alle divinità, questo è il popolo romano». Con queste parole Tito Livio dimostra il suo spirito critico e al tempo stesso non

mette in discussione le “favole poetiche de-

gli antichi”, comunque necessarie per recu-

perare l'identità rornana nella sua interezza e autenticità. Seguendo il suo esempio, an-

che la successiva storiografia ha imparato ad accettare la leggenda tentandone in ogni modo la razionalizzazione. Tutte le ricerche condotte sull’antichità romana, naturalmente rinnovate nei metodi e negli stru-

menti, hanno cercato di guardare a quel

“punto di partenza”, a quelle favole, con questo spirito, cercando di leggerne il senso e di individuare cosa potessero nascondere. Il mito si intreccia dunque con la storia, ma non così strettamente da impedire una indi-

viduazione corretta e rigorosa‘e una lettura

obiettiva del fatto storico. Questo volume nasce dalla collaborazione di più studiosi e ricostruisce il glorioso passato di Roma dai primi abitanti del territorio fino alla crisi dell’Impero e a Diocleziano: epiche battaglie, storici avvenimenti, grandi conquiste, lotte per il potere, re e imperatori, monumenti, opere d’arte, sviluppo urbanistico, celebri personaggi, complotti e congiure, invasioni barbariche, persecuzioni religiose, costumi e tradizioni, organizzazione politica, sociale e militare, rapporti con gli altri popoli, istituzioni, economia e giu-

stizia. Un panorama quanto mai ampio e completo, che ci fa tornare alle origini della nostra storia.

Biblioteca de Il Messaggero © Newton & Compton Editori 1. Cerchiai - Mainardis - Manodori - Matera - Zaccaria, Storia di Roma antica ° Supplemento al numero odierno de Il Messaggero Direttore responsabile Paolo Gambescia Reg. Trib. di Roma n. 164 del 19 giugno 1948 In copertina: Peter Paul Rubens, Romolo e Remo, 1614 ca.

Copertina di Alessandro Tiburtini www. newtoncomp ton.com

Prima edizione in questa collana: settembre 2004 © 1997 Newton Compton editori s.r.l./Finedim s.r.l. © 2000 Newton & Compton editori s.r.l. Roma» Casella postale 6214 ISBN 88-541-0193-1 www.newtoncompton.com Fotocomposizione: Gì Grafica Internazionale s.r.l., Roma Stampato nel settembre 2004 dalla Legatoria del Sud s.r.l., Ariccia (RM)

Claudia Cerchiai/Fulvia Mainardis/Alberto Manodori Vincenzo Matera/Claudio Zaccaria

Storia di Roma antica Dalle origini alla crisi dell'Impero, tutti i grandi avvenimenti, le battaglie, le conquiste, le lotte per il potere, i re, gli imperatori e i celebri protagonisti della città che divenne il centro del mondo

N e w t o n & C o m p t o n editori

Le schede siglate F.S. sono dì Furio Sampoli.

ROMA PRIMA DI ROMA

PREMESSA Quanto agli eventi che si dicono accaduti molto prima della fondazione di Roma (o quando questa era imminente) essi appaiono più abbelliti da fole poetiche che sostenuti da incorrotti documenti storici e non è mia intenzione né confermarli né confutarli. È questa una concessione che si fa ai tempi andati: mescolare vicende divine e umane per rendere più autorevoli gli inizi delle città. Se dunque esiste una nazione cui si debba concedere di ritenere sacre le proprie origini e di riferirle anzi agli dèi stessi, tale è la gloria militare del popolo romano che, quando esso vanta Marte come proprio padre e come padre del proprio fondatore...

Tito Livio, il g r a n d e prosatore e storico d e l l ' e t à augustea, chiarisce i m m e d i a t a m e n t e (nella p r e f a z i o n e al I libro d e l l a Storia dalla fondazione di Roma, R o m a , N e w t o n & C o m p t o n , 1997) il suo spirito critico e l'intento demistificatorio di fronte alle "favole poetiche"; m a n o n le mette in discussione: le riporta in q u a n t o espressioni della mentalità del t e m p o arcaico, al quale è necessario riallacciarsi per non perdere l'identità r o m a n a d o p o il t o r m e n t o s o e sanguinoso passaggio dalla repubblica a l l ' i m p e r o . Livio a m p l i a il racconto tradizionale e vi inserisce definitivamente l'altro racconto tradizionale dell'arrivo di E n e a nel Lazio: n o n un m i t o locale, m a un d o n o dell'antica cultura greca, tramite il canale della Magna Graecia. E n e a era s c a m p a t o alla distruzione di Troia, portando sulle spalle il padre A n c h i s e , che ai suoi tempi, a m o r e g g i a n d o con Venere, lo aveva generato. P e r questa pietas, p e r l'affetto e l ' a t t a c c a m e n t o filiale verso il padre, E n e a era stato esaltato dagli stessi Greci vincitori ed era entrato a vele spiegate nella storia di R o m a : tanto più c h e d a u n suo figlio era discesa la gens Mia, il clan familiare di Giulio Cesare e di A u g u s t o , il c e p p o della dinastia imperiale. E n e a sposa Lavinia, figlia del re Latino, e fonda Lavinio, d o v e gli esuli troiani p o n g o n o definitivamente termine al loro pellegrinaggio nel Mediterraneo e si fondono c o n i Latini. D a E n e a e, forse, d a Lavinia nasce A s c a n i o e q u e s t ' u l t i m o fonda u n a n u o v a città sui Colli Albani, detta A l b a L o n g a , perché si allunga sul dorso del m o n t e A l b a n o . D o p o v a r i e g e n e r a z i o n i il r e P r o c a l a s c i a il r e g n o al p r i m o g e n i t o N u m i t o r e , m a il s e c o n d o g e n i t o A m u l i o caccia il fratello, u c c i d e i nipoti maschi e costringe la nipote R e a Silvia a diventare vestale, p e r obbligarla alla verginità perpetua, senza timore di futuri figli e avversari. Ma ho motivo di credere che l'origine di una così grande città fosse voluta dal fato: doveva nascere l'impero più prestigioso che mai sia esistito, secondo solo alla potenza degli dèi. Rea Silvia subì una violenza in seguito alla quale partorì due gemelli. Proclamò

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STORIA DI ROMA ANTICA

Romolo e Remo allattati dalla lupa, incisione di Bartolomeo Pinelli. che Marte era il padre di quella discendenza illegittima: forse ne era davvero convinta, forse pensava che attribuire la paternità ad un dio giustificasse la colpa. Ma certo non ci furono divinità o uomini capaci di mettere al riparo lei e i figli dalla crudeltà del re. La sacerdotessa viene imprigionata e incatenata. Amulio ordina poi che i due fanciulli vengano gettati nella corrente del fiume. Per un caso provvidenziale il Tevere aveva tracimato e aveva formato dei larghi stagni sicché non era possibile raggiungere il normale corso della corrente. Coloro che eseguirono l'ordine avevano tuttavia fondate probabilità che i bambini annegassero nonostante le acque ristagnanti. E dunque, convinti di eseguire al meglio l'incarico ricevuto dal re, espongono i fanciulli nella pozza più facilmente raggiungibile proprio nel luogo (chiamato Romulare) in cui oggi si trova il Fico Ruminale. Quelli erano allora luoghi del tutto abbandonati. Sopravvive ancor oggi la credenza che le acque basse abbandonassero su una secca il cesto in cui erano stati esposti i bambini e che aveva preso a galleggiare sulla corrente. Una lupa assetata si diresse, dai colli vicini, verso il luogo da cui veniva un vagito. Si abbassò e porse ai due fanciulli le proprie mammelle con tanta mitezza che un pastore che custodiva il gregge del re (se ne tramanda ancora il nome: Faustolo) la trovò mentre lambiva con la lingua i due gemelli, Faustolo li portò alle stalle dove si trovava sua moglie Larenzia perché li allevasse (Livio). Tradizione vuole che Remo scorgesse per primo sei avvoltoi. Quando già la visione augurale era stata annunciata, Romolo ne vide un numero doppio. Le schiere dei fautori dell'uno e dell'altro salutarono entrambri re, attribuendo il diritto di regnare a Remo per aver scorto prima gli uccelli e a Romolo per averne scorti di più. Per questo nacque una zuffa, e, sotto la spinta dell'ira, si arrivò a spargere sangue. Colpito a morte nella mischia, Remo cadde. È comunque più diffusa la leggenda secondo cui Remo, in segno di scherno verso il fratello, fosse saltato oltre le mura che stavano sorgendo. Romolo, trasportato dall'ira, lo avrebbe ucciso e avrebbe inveito contro di lui gridando: «Patisca la stessa sorte chiunque abbia ad oltrepassare le mia mura». Romolo detenne così da solo il comando e diede il suo nome alla città appena fondata. (Livio 1/7).

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Compiute dunque secondo il rito le cerimonie e adunata la gente in assemblea, Romolo dettò i fondamenti del diritto, perché solo le leggi consentono a un popolo di diventare un unico e compatto organismo. Consapevole che le leggi sarebbero apparse inviolabili a quelle genti ancor rozze, solo se egli stesso si fosse reso degno di venerazione grazie ai segni esteriori dell'autorità, accrebbe la propria maestà abbigliandosi in modo particolare e soprattutto ponendosi vicino dodici littori. Alcuni pensano che egli abbia scelto quel numero dagli uccelli che gli avevano profetizzato il regno. A me non dispiace invece condividere il parere di coloro che pensano che anche quelle guardie derivassero dai vicini Etruschi. (Livio 1/8).

Q u e s t e citazioni di Tito L i v i o sono strumentali e v o g l i o n o far capire al lettore quali s o n o le fonti o d o c u m e n t i c h e il m o d e r n o storiografo d e v e affrontare. Tito L i v i o , con t o n o m o l t o soffice, racconta le antiche favole p o e t i c h e s e n z a c a d e r e n e l l a l o r o rete. È u n freddo e r a z i o n a l e realista; decenni di guerre civili gli h a n n o insegnato c h e la violenza prevarrà sempre sulla giustizia e c h e soltanto le leggi - dura lex sed lex - p o s s o n o assicurare la c o n v i v e n z a in u n a società civile. I R o m a n i hanno conquistato il m o n d o mediterraneo per la loro superiorità militare, m a la potenza imperiale non esclude c h e R o m a sia nata d a u n fratricidio, d a genti rustiche e rozze, che h a n n o immediatamente subito l'influenza dei più civili ed evoluti Etruschi; c o m e più tardi subiranno quella dei Greci. Tito Livio sa b e n e che la glorificazione del passato ne comporta l'abbellimento con l'invenzione di episodi "esemplari": accetta la leggenda e ne tenta la razionalizzazione. Allo stesso m o d o , per noi alla fine del secolo x x d . C , resta fermo che nella leggenda ci sono molti elementi d ' u n a realtà arcaica e alla m e t à d e l l ' v m secolo a.C. è stata fondata, secondo un preciso rituale sacro, una n u o v a città. E tutto questo recentemente è stato confermato da più scoperte archeologiche. M a a questo punto, forse, è meglio lasciare i nostri ricordi della "storiella", insegnata alle scuole elementari o medie, e cercare di seguire quanto si p u ò conoscere per merito di centinaia di studiosi (di varia formazione e provenienza), i quali negli ultimi decenni hanno rinnovato gli studi, i metodi, la stessa attrezzatura di ricerca sull'antichità romana. In questo senso cerchiamo di vedere cosa c ' è dietro le favole poetiche. P u ò essere m e n o divertente, m a è importante che il lettore, anche se troverà qualche difficoltà, trovi sempre un'esposizione chiara, u n a sistemazione facilmente leggibile delle ultime acquisizioni scientifiche.

LO SCAVO ALLTSTTTUTO T E C N I C O «SEVERI» A TORRE SPACCATA Nel corso della costruzione dell'Istituto tecnico «Severi», à Torre Spaccata, a poca profondità dal piano di superficie attuale è venuta in luce parte di un 'area abitata circa 6000 anni fa. Sono stati ritrovati blocchetti di lava e piani di argilla cotta, nonché pesi da telaio, rare ossa di pecora o capra, utensili in pietra (lame, punte di freccia, attrezzi per grattare). Gli uomini che vissero a Torre Spaccata 6000 anni fa erano coltivatori e allevatori di bestiame poco evoluti, che integravano la produzione delle loro attività agricole con la carne che si procuravano nelle battute di caccia. Questi antichi abitatori del territorio urbano di Roma non conoscevano l'uso dei metalli. Essi erano arrivati al limite massimo di utilizzazione delle risorse della natura, con l'uso di strumenti ricavati solamente dalla lavorazione della pietra, anche se questa era molto raffinata.

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STORIA DI ROMA ANTICA

NASCITA DI U N TERRITORIO C i r c a d u e milioni di anni fa quasi tutto il L a z i o e r a r i c o p e r t o d a l m a r Tirreno. L e acque h a n n o lasciato tracce d ' u n a linea di costa c h e a n d a v a dai piedi d e i m o n t i S a b i n i ( d a M a g l i a n o S a b i n o a F a r a ) e d e i Licrètili ( d a M a r t e l l i n a a Scandriglia) alle prime falde dei monti Prenestini e Lepini (da Artena a Priverno). L a conca di Rieti era completamente sommersa, c o m e tante altre z o n e di pianura. Dal m a r e e m e r g e v a n o c o m e isole il Soratte, le cime dei monti Cornicolani, m o n t e Gennaro, il Circeo, l'arcipelago pontino (Ponza, Palmarola e Zannone), forse qualche c i m a dei monti della Tolfa. In seguito a sollevamenti di parte del fondo del m a r e e a grandi fenomeni vulcanici n a c q u e u n c o r d o n e di terre emerse. Il corso del Tevere sfociava molto più a nord (davanti a Cetona, in p r o vincia di Siena); p o i , sbarrato d a nuovi ostacoli, deviò, portando c o n sé u n a quantità di detriti, c h e c o l m a r o n o l'antico golfo m a r i n o . Circa 7 0 0 . 0 0 0 anni fa d u e vulcani entrarono in attività: il vulcano Laziale (alto circa 2 0 0 0 metri, le s u e m a c e r i e o g g i c o s t i t u i s c o n o i colli A l b a n i ; l ' a n t i c o cratere principale corrispondeva ai " C a m p i di A n n i b a l e " , i m m e d i a t a m e n t e s o t t o R o c c a di P a p a ; m e n t r e l o s p r o f o n d a m e n t o d e i c r a t e r i minori h a dato origine ai laghi di A l b a n o e di N e m i ) e il v u l c a n o Sabatino (il s u o cratere principale corrispondeva al lago di Bracciano; m e n t r e i crateri minori sono riconoscibili nei laghi di Monterosi e di M a r t i g n a n o , negli antichi laghetti prosciugati di B a c c a n o e di Stracciacappe). I d u e vulcani eruttarono enormi quantità di materiali: i lapilli e le ceneri si depositarono sui sette colli e in tutto l ' A g r o r o m a n o , m e n t r e le colate di Lava modificarono profondamente il territorio, d a n d o ai dintorni di R o m a alcune caratteristiche in parte ancora conservate. L a lava del v u l c a n o Sabatino è giunta fino alla s p o n d a destra del Tevere, m e n t r e quella del v u l c a n o Laziale è arrivata fin quasi alla sponda sinistra e h a scavalcato il corso attuale d e l l ' A m e n e , g i u n g e n d o fino a L u n g h e z z a ; in direzione quasi opposta u n ' a l t r a s u a e n o r m e colata di lava (estesa circa 12 chilometri) affiora ancora nella c a m p a g n a , arrivando nei pressi della t o m b a di Cecilia M e t e l l a s u l l ' A p p i a . E le ultime eruzioni del Laziale e del Sabatino a v v e n n e r o circa 6 0 0 0 anni fa. L'attività dei d u e vulcani a un certo m o m e n t o h a c o m p l e t a m e n t e sbarrato il corso del Tevere. Allora si creò un grande lago, c h e raccoglieva a n c h e le a c q u e d e l N e r a e d e l l ' A m e n e e c h e si e s t e n d e v a d a l l ' a l t e z z a della c o n fluenza del fiume Paglia (nei pressi di Orvieto), fino a R o m a . Il fiume infin e ritrovò la strada p e r il mare, scavandosi u n a vallata, molto più profonda dell'attuale, quasi u n solco nella pianura. Il J I U O V O percorso era diverso d a quello di oggi: nella zona nord della città scorreva spostato più a occidente e nella z o n a sud-est si volgeva in direzione di Torrenova e sfociava in m a r e vicino a T o r S a n L o r e n z o . A n c h e le grandi glaciazioni c h e si sono ripetute ciclicamente, h a n n o c a m biato l'aspetto del territorio. Circa 100.000 anni fa, ad e s e m p i o , il livello del m a r e si e r a a b b a s s a t o di 100-120 metri, a l l o n t a n a n d o la linea della costa di u n a decina di chilometri d a quella precedente. D o p o l'ultima glaciazione (circa 10.000 anni fa), il Lazio e l'area di R o m a

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ROMA PRIMA DI ROMA

h a n n o assunto un aspetto molto simile a quello attuale. In e p o c a preistorica e storica ci sono state continue modifiche della linea di costa, c o m e in età moderna. Il Tevere con l'apporto continuo di detriti h a spostato sempre più avanti la s u a foce, c o l m a n d o p r i m a la l a g u n a c h e si e s t e n d e v a fino ad Acilia, poi i n s a b b i a n d o p r o g r e s s i v a m e n t e i porti progettati e costruiti d a Claudio e Traiano: oggi tra i ruderi dei magazzini e dei vecchi moli di Porto sorgono le piste dell'aeroporto internazionale L e o n a r d o d a Vinci. L e spaventose eruzioni vulcaniche, i cambiamenti del corso del Tevere e d e l l ' A n i e n e , il sollevarsi e ritirarsi del m a r e , le grandi glaciazioni e b b e r o c o m e testimoni gli u o m i n i d e l l ' e t à della pietra: i primi abitatori del territorio di R o m a . E nei millenni gli uomini h a n n o concorso a modificare il territorio, d i s b o s c a n d o le pendici delle alture o incanalando l ' a c q u a .

I PRIMI ABITANTI L e p r i m e tracce di vita u m a n a nel territorio u r b a n o di R o m a o nei suoi immediati dintorni (nella Valchetta della tenuta Cartoni nella x i x circoscrizione e a M o n t e M a r i o a via Cortina d ' A m p e z z o ) risalgono a circa 6 5 0 . 0 0 0 anni fa. Si tratta di qualche scheggia di selce lavorata e d ' u n utensile, sempre in selce (un ciottolo appositamente s m u s s a t o a u n ' e s t r e m i t à per poter r o m p e r e ossa o per spezzare il legno) trovato insieme a denti di cinghiale e d ' u n a n i m a l e oggi estinto e simile a u n b o v i n o . A circa 2 5 0 . 0 0 0 anni fa risalgono altre tracce consistenti concentrate a ovest di R o m a nella z o n a d o v e allora scorreva il Tevere (presso il k m 2 0 della via Aurelia, Palidoro, Torre in Pietra, Malagrotta).

C O M E V I V E V A N O I NOSTRI A N T E N A T I Gli uomini di cui si sono scoperte le tracce a Torre in Pietra, Castel di Guido, Malagrotta, vivevano con ogni probabilità in gruppi (lo dimostra il fatto che riuscissero a cacciare e uccidere gli animali di grandi dimensioni). Si dovevano spostare continuamente sulle orme dei grandi branchi di selvaggina, perché solo così potevano assicurarsi un rifornimento costante di cibo. Tutti i ritrovamenti archeologici avvenuti nei dintorni di Roma riguardano accampamenti provvisori in località aperte, su quello che doveva essere il territorio di caccia. Nella fabbricazione degli attrezzi erano impiegati ciottoli di calcare, selce, ossa di animali. Le prede abbattute erano consumate sul posto; molte delle ossa rinvenute erano state spezzate per succhiarne il midollo. Anche molti degli attrezzi erano preparati sul posto, quando se ne sentiva la necessità.

La quantità di attrezzi e di resti di animali scoperti ci p e r m e t t o n o d'ipotizzare in quale ambiente vivessero i nostri antenati. L e ossa di animali appart e n g o n o a u n a fauna tipica dei climi t e m p e r a t i c o n q u a l c h e t e n d e n z a al freddo: e r a n o c o m u n i i cervi, i bovini, i cavalli, i lupi, gli elefanti, i rinoceronti; non m a n c a n o m a r m o t t e , e bipedi della famiglia delle anatre, delle oche. Così le ossa di m a r m o t t a , rinvenute a Malagrotta, fanno pensare a u n a z o n a ricca di specchi d ' a c q u a , cioè a fiumi e a paludi; così quelle di cavallo, rinvenute in gran n u m e r o a Torre in Pietra, suggeriscono l'esistenza di vaste radure: m e n t r e nei boschi d o v e v a n o vivere lupi, cervi e elefanti.

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STORIA DI ROMA ANTICA Scena campestre da un rilievo in marmo conservato a Monaco.

Nel territorio urbano sono stati scoperti due attrezzi di selce di 250.000 anni fa, uno sui banchi di breccia del Tevere presso ponte Milvio, l'altro sull'Aniene in corrispondenza della batteria Nomentana. D a 2 2 0 . 0 0 0 a 130.000 anni fa sulle s p o n d e dell' A n i e n e vissero gruppi di uomini che sfruttavano l'abbondanza d'acqua e la disponibilità di selvaggina sempre legata alla presenza dell'acqua. Questa fase più recente d e l l ' u o m o p r e i s t o r i c o p r e p a r a l ' a p p a r i z i o n e n e l L a z i o d e l c o s i d d e t t o u o m o di Neanderthal. S o n o stati rinvenuti alcuni strumenti di pietra, databili a circa 200.000 anni fa, in una caverna sul monte delle Gioie (collina cancellata dallo sviluppo edilizio della città nei pressi dei Prati Fiscali). Altri ritrovamenti, alcuni recentissimi, sono stati fatti alla Sedia del Diavolo (vicino a piazza Vescovio), a Saccopastore (sulla curva d e l l ' A m e n e c o m p r e s a tra il ponte Tazio e il viadotto delle Valli), a Casal d e ' Pazzi (presso via di Ripa M a m m e a e a ponte M a m m o l o ) .

I R I T R O V A M E N T I A R C H E O L O G I C I A CASAL DE' PAZZI Nel 1980 mentre si stava costruendo, nei pressi di Casal de' Pazzi, il collettore della rete fognaria del quartiere di Rebibbia, le ruspe hanno portato alla luce un giacimento archeologico risalente a circa 20.000 anni fa. Lo scavo scientifico di circa 1000 mq di terreno ha scoperto un tratto dell'antichissimo letto dell'Aniene, che scorreva con corrente impetuosa sopra un banco di tufo formatosi da un* eruzione del vulcano Laziale circa 300.000 anni fa. Tra le rìpide rive del fiume erano incastrate ossa dì animali e zanne di elefanti, la più lunga delle quali misura 3 metri e 15 centimetri. Sono stati individuati anche resti di ippopotamo, rinoceronte, daino, cervo, capriolo, lupo, iena, bue, cavallo. Parte del cranio di un uomo è stata trovata sul fondo del fiume, mentre sull'antica riva giaceva una grande quantità di strumenti di pietra e almeno uno ricavato da un osso di elefante.

Circa 40.000 anni fa gli uomini di Neanderthal, per ragioni misteriose, scomparvero senza lasciare traccia e lasciarono il campo libero ai nostri progenitori diretti. Di questi però, per un lungo periodo non rimangono a Roma tracce particolarmente rilevanti. I ritrovamenti più importanti per l'epoca anteriore a 7000

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anni fa sono avvenuti ancora al monte delle Gioie e a Tor Vergata, ma anche altri luoghi (frequentati in precedenza dagli uomini dell'antica età della pietra) restituiscono le tracce della loro attività. È molto probabile che il clima e la temperatura siano rimasti stabili per un lungo periodo. Questo fenomeno deve aver facilitato la permanenza in luoghi favorevoli alla sopravvivenza, m a non è possibile dire di più.

DA CACCIATORI AD AGRICOLTORI F i n o a circa 7 0 0 0 anni fa gli abitatori del Lazio e r a n o essenzialmente cacciatori e pescatori: si limitavano a raccogliere le radici, b a c c h e o frutti, per e s p e r i e n z a m a n g i a b i l i s e n z a s g r a d e v o l i c o n s e g u e n z e . L a g r a n d e svolta a v v e n n e q u a n d o gli antichi cacciatori, n o m a d i o s e m i - n o m a d i iniziano ad addomesticare gli animali e g r a d u a l m e n t e a coltivare alcune specie di piante; soprattutto q u a n d o iniziano a produrre vasellame d'argilla. Q u e s t a vera rivoluzione culturale (la cosiddetta "rivoluzione neolitica", cioè della "età della pietra n u o v a " ) , h a costituito il punto di partenza per la civiltà u m a n a . N e restano n u m e r o s e testimonianze, anche se non ricchissim e , nel territorio di R o m a (di n u o v o a Tor Vergata e a Torre Spaccata; a Palidoro, Pyrgi o Santa Severa). Q u e s t e testimonianze s o n o riconducibili a u n a p r i m a fase, in cui gli utensili di ceramica erano decorati incidendone profondamente le pareti con linee o utilizzando i bordi delle conchiglie per i m p r i m e r e nell'argilla semplici motivi di tipo geometrico. L a fase successiv a c o m i n c i a p o c o m e n o di 7 0 0 0 anni fa. Il ritrovamento archeologico più i m p o r t a n t e a v v e n n e nella grotta Patrizi, in località S a s s o di F u r b a r a , a pochi chilometri dalla spiaggia di Santa Severa. Si tratta di sette sepolture, una delle quali d o v e v a riguardare un personaggio particolarmente importante; in vita d o v e v a aver sofferto di gravi malformazioni dello scheletro e aveva subito la trapanazione del cranio. Collegate alla stessa fase di svilupp o delle sepolture del Sasso di Furbara s o n o le tracce d'attività u m a n a scoperte nei pressi di R o m a a C a s a l e del Pescatore (sulla via Prenestina), m e n tre di p o c o più recenti sono quelle del vi millennio a . C , rinvenute a Torre Spaccata, tra la C a s i h n a e la Tuscolana.

L ' A L I M E N T A Z I O N E DEGLI ABITATORI D I P I S C I N A D I TORRE SPACCATA Nello scavo di Piscina di Torre Spaccata sono state ritrovate nelle fosse di scarico numerose ossa che mostrano tracce di esposizione al fuoco. Gli specialisti hanno calcolato che l'80% della carne consumata appartiene a bovini, il 13% a caprovini, il 6% a suini e hanno anche determinato l'età degli animali al momento della macellazione: i maiali venivano scannati prima di aver compiuto un anno, i bovini in genere a un anno e mezzo (anche se alcuni capi dovevano aver raggiunto e superato i tre anni), i caprovini venivano uccisi a tre anni. In queste cifre colpisce da un lato il ruolo di tutto rilievo assolto nell'alimentazione carnea dei bovini, dall'altro esse fanno pensare che l'allevamento di bestiame fosse organizzato basandosi su tecniche piuttosto rozze, poco attente all'incremento degli armenti o delle greggi. Sono state ritrovate anche le ossa di un daino e d'un cervo; la caccia, quindi, contribuiva sempre all'alimentazione.

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A Piscina di Torre Spaccata, n e l l ' e p o c a di transizione tra l'età della pietra e quella del b r o n z o , si insediò u n a piccola comunità, all'altezza del raccordo tra via R a i m o n d o Scintu con via di Torre Spaccata, alle spalle di Cinecittà. Gruppi di uomini per p o c o t e m p o si e r a n o già soffermati su u n terrazzo naturale di tufo, c h e si affacciava su u n piccolo fiume ora s c o m parso. Circa 4 0 0 0 anni fa u n g r u p p o di agricoltori, forse u n a g r a n d e famiglia o clan, aveva costruito la sua "fattoria" c o n u n ' a i a o cortile attrezzato per le esigenze della vita quotidiana e con piani di argilla m a l cotta, d o v e si accendeva il fuoco e si c u c i n a v a la carne. Vicino a questi piani di cottura tre fosse servivano per scaricare i rifiuti. Nelle tre fosse sono stati trovati ossi, chicchi abbrustoliti di cereali, pezzi di legna carbonizzata, frammenti di stoviglie (come una tazza quasi intatta e frammenti d ' u n grande orcio o contenitore di derrate alimentari). Gli spazi di lavoro erano diversificati: d a un lato del cortile si cuoceva la carne, dall'altro si tostavano le granaglie. I nostri antichi antenati dovevano usare molte pappe o minestre, simili alle zuppe di cereali tipiche della cucina contadina dell'Italia centrale, poiché sono stati ritrovati resti di farro, farro piccolo, orzo; mentre m a n c a n e cereali adatti a preparare il pane. L a tostatura conservava a lungo le preziose granaglie, c h e durante l'inverno avrebbero potuto ammuffire o irrancidirsi ed è u n a tecnica usata ancora dalle popolazioni primitive. Inoltre questo gruppo di agricoltori allevav a buoi, pecore, capre e maiali. Nell'area dello scavo, vicino al "cortile" sono state rinvenute anche d u e tombe, situate a qualche distanza l'una dall'altra, in cui erano stati sepolti un u o m o e una donna, in posizione rannicchiata. In questo scavo non sono state ritrovate tracce d'attrezzi metallici, mentre sono stati rinvenuti rari strumenti di selce, d'ossidiana e d ' o s s o (spatole, piccole lame, punteruoli) che sono necessari per lavorare le pelli. N o n mancano punte di freccia in pietra, per cacciare la grande selvaggina, le cui ossa sono state trovate nell'area della "fattoria". Infine sono stati trovati molti esemplari di ceram i c a , tutta m o d e l l a t a a m a n o , p o i c h é era a n c o r a sconosciuto il tornio d a vasaio. L e brocche, le anfore, i grandi recipienti panciuti, le tazze, le scodelle 1

Capanna del Palatino, pavimento e ricostruzione dell'alzato (da Colonna).

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erano la batterìa di cucina e il vasellame usati quotidianamente. Altri oggetti di ceramica sembrerebbero pesi per reti d a pesca, forse d a mettere in relazione col fiume, su cui si affacciava il piccolo insediamento; tra le attività domestiche c ' e r a anche la filatura e la tessitura, c o m e mostrano le fuseruole e i pesi da telaio scoperti. Tutte queste attività p r e s u p p o n g o n o l'esistenza d ' u n riparo, d ' u n a capanna, c h e n o n è stata trovata. A d appena qualche centinaio di metri d a Piscina di Torre Spaccata sono stati individuati altri tre insediamenti che approssimativamente risalgono allo stesso periodo. N o n sarà mai possibile stabilire se sia stato lo stesso gruppo di persone a coltivare, in un arco di tempo non lunghissimo, le terre della zona. L a cosa non è impossibile, poiché le tecniche d'allevamento del bestiame e di coltivazione dei campi erano molto rudimentali; così provocavano il rapido impoverimento dei suoli e imponevano la continua messa a coltura di nuovi terreni, con la necessità di spostare continuamente la residenza del gruppo.

I PASTORI Nella successiva fase preistorica, caratterizzata d a l l ' u s o del b r o n z o e c h e inizia intorno al x v m secolo a.C. (circa 3 7 0 0 anni fa), c ' è u n a battuta d ' a r resto nello sviluppo di insediamenti a R o m a e nei suoi immediati dintorni. F o r s e l ' a b b a n d o n o d e l l e v e c c h i e sedi, attestato a n c h e in altre parti del Lazio, p u ò significare un m o m e n t a n e o riflusso nello sviluppo della regione a sud del Tevere; m a quest'interpretazione dei dati archeologici, ora disponibili, p u ò essere contraddetta da nuovi ritrovamenti. L e z o n e p r i m a intensamente frequentate, c o m e Piscina di Torre Spaccata, c a d o n o in a b b a n d o n o ; m e n t r e a b b i a m o ritrovamenti archeologici in località p r e c e d e n t e m e n t e disabitate. Si pensa che u n irrigidimento della temperatura abbia provocato condizioni m e n o favorevoli per la coltivazione dei c a m p i e che gli uomini si siano piuttosto rivolti all'allevamento di pecore, iniziando la lunga tradizione della transumanza periodica delle greggi. In q u e s t ' e p o c a nella penisola s ' i m p o n e u n m o d o di vivere e di costruire gli attrezzi pastorali, la cosiddetta "cultura appenninica", c o m e si riscontra nei ritrovamenti alla Marcigliana (sulla via Salaria) e al Casale Capobianco, al 16° chilometro della via Nomentana. I pastori della cultura appenninica avviano contatti commerciali e culturali con i Micenei, che basavano la loro ricchezza sugli scambi commerciali, assicurati dalla potenza navale.

CAMPIDOGLIO, PALATINO, FOROJ I PRIMI ABITATI Intorno al x i v secolo a . C , p e r la p r i m a volta è archeologicamente attestato un insediamento u m a n o di qualche importanza nei luoghi c h e furono in seguito il cuore stesso di R o m a . Scavi archeologici nell'area presso la chiesa di S a n t ' O m o b o n o (immediat a m e n t e ai p i e d i d e l C a m p i d o g l i o , d a v a n t i al m o d e r n o p a l a z z o dell'Anagrafe) h a n n o restituito frammenti di ceramica tipici della cultura appenninica e di quella m i c e n e a , frammisti c a o t i c a m e n t e a reperti di età a n c h e m o l t o posteriore e a ossa di animali. I materiali però sono stati ritrovati in u n terrazzamento del iv secolo a . C ,

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Ricostruzione ideale dei monumenti del Foro Romano a ridosso del Campidoglio, tratta dal volume di Luigi Canina L'architettura romana, Roma 1830-1840.

col quale si livellò tutta la zona, e si deve escludere che questa fosse la loro posizione originale. L'ipotesi avanzata al m o m e n t o della scoperta era che q u e s t i a n t i c h i s s i m i c o c c i p r o v e n i s s e r o d a u n i n s e d i a m e n t o s i t u a t o sul C a m p i d o g l i o . R e c e n t e m e n t e , durante u n o scavo n e l l ' a r e a del s u c c e s s i v o Tabularium, sono venuti finalmente alla luce altri reperti, di p o c o posteriori ai più antichi frammenti di ceramica scoperti nell'area di S a n t ' O m o b o n o , c h e h a n n o fornito la p r o v a c o n c r e t a d e l l ' e s i s t e n z a di u n ' a r e a abitata sul Colle Capitolino, situata sul versante che si affaccia sul Tevere. Per capire m e g l i o c o s a è a v v e n u t o nell'area C a m p i d o g l i o - F o r o R o m a n o Palatino è necessario guardarsi intorno, allargando la visuale a l l ' a r e a del Lazio meridionale delimitata dal fiume Tevere, cioè la z o n a che i R o m a n i c h i a m a v a n o antico L a z i o (Latium vetus). In questo periodo anche a Gabii (sulla via Prenestina, a circa 2 0 chilomeLATIUM VETUS E LATIUM N O V U M // Lazio antico era abitato esclusivamente dai Latini, anche se la zona più meridionale, tra Anzio e Terracina era meno fittamente popolata. La culla della civiltà latina infatti era sulla riva destra della valle del Tevere, sulla riva sinistra gli unici Latini erano gli abitanti di Capena e quelli di Falerii Veteres. Intorno al ix secolo a.C. iniziano grandi movimenti di popolazioni che in parte mutano questa situazione. Dall'interno della penisola arrivano i Sabini, che a nord inglobano gli abitanti di Capena, e premono anche sulla destra del Tevere, arrivando a infiltrarsi a Roma. A sud invece giungono gli Equi, gli Ernici e i Volsci, che si fermano su una linea che va da Palestrina ad Anzio. Proprio queste frontiere sono i limiti del Latium vetus ( = antico Lazio); solo alcuni secoli più tardi, con le conquiste dei Romani a questo si aggiungerà il territorio fino al Liri, il Latium novum o adiectum ( = Lazio nuovo, aggiunto).

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tri d a R o m a ) , ad A r d e a , a Lavinium ( l ' a n t i c a L a v i n i o si t r o v a v i c i n o a P r a t i c a di M a r e ) , a Satricum (località Le Ferriere, presso Nettuno), a Ficana (vicino al Tevere, all'altezza di Acilia), si stanno formando nuclei abitati c h e continuano a essere frequentati nell'età del ferro (ix secolo a.C.) e p i a n o p i a n o a u m e n t a n o anche le loro dimensioni. L e c o m u n i t à del Lazio a sud del Tevere s o n o apparentate tra di loro da legami, che forse spiegano le somiglianze nel processo di formazione dei primi nuclei urbani: è nata cioè u n a "cultura laziale" che continua quella pastorale detta "appenninic a " , m a è o r m a i d i v e r s a d a q u e l l a delle regioni confinanti. L a " c u l t u r a laziale" è attestata n o n solo nei centri ricordati sopra, m a anche nei Colli Albani e in alcuni centri della Sabina. E l e m e n t o distintivo della "cultura laziale" è il m o d o di seppellire i morti. A partire dal x secolo a.C. e fino all'vni, i morti sono bruciati e le ceneri sono raccolte in vasi tondeggianti con coperchio a forma di cono. Qualche volta l'urna per le ceneri h a la forma d ' u n a capanna oppure il coperchio è modellato c o m e u n tetto di capanna a d u e spioventi. Secondo le credenze primitive il defunto aveva bisogno di u n a serie di attrezzi che lo d o v e v a a c c o m p a g n a r e nel m o n d o dei morti; il corredo standard delle t o m b e è costituito d a stoviglie di terracotta. Q u a l c h e volta si ritrovano anche statuette, o r n a m e n t i e armi di difesa e di offesa, tutti in b r o n z o . Questi oggetti di metallo (talvolta anche quelli di terracotta) sono però in miniatura; c ' è quindi u n a produzione specializzata di oggetti destinati ai riti della sepoltura. L e t o m b e ritrovate sono troppo poche anche rispetto alla scarsa popolazione degli insediamenti laziali esistenti in quell'epoca. Forse soltanto le person e con un ruolo preminente erano sotterrate col corredo rituale; mentre le persone m e n o importanti dovevano essere seppellite nella nuda terra, senza alcun corredo. N e l l ' x i secolo a . C appare per la p r i m a volta u n ' a r e a abitata nel F o r o R o m a n o ; p r o b a b i l m e n t e si tratta d ' u n a e s p a n s i o n e in p i a n u r a d e l l ' i n s e d i a -

Foro Romano, pianta della Regia.

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m e n t o sul C a m p i d o g l i o , sorto, c o m e a b b i a m o visto, nel corso del x n secolo a.C. In effetti la distanza tra le d u e z o n e abitate n o n supera i 2 0 0 metri. Questi antichi abitatori d e l l ' a r e a intorno al F o r o R o m a n o appartengono alla "cultura laziale". I corredi funerari d ' u n sepolcreto presso l ' a r c o di A u g u s t o , c o n s i s t o n o in vasi e in o r n a m e n t i vari, tutti miniaturizzati. L e quattro t o m b e più antiche risalgono al x secolo a.C. e si s o v r a p p o n g o n o all'insediamento d e l l ' x i secolo a.C. di cui si è già detto. S e m p r e al x secolo risale lo stanziamento di u n g r u p p o di abitatori sul colle del Palatino: la necropoli (la città dei morti) n a c q u e in relazione a q u e s t ' i m p o r t a n t e a v v e n i m e n t o , anche se alcune sepolture sono localizzate nella piccola valle tra la cresta del G e n n a i o e quella del Palatino propriamente detto. L e testimonianze archeologiche disponibili n o n p e r m e t t o n o d'affermare con assoluta certezza se questo nucleo abitativo sia sorto indipendentemente d a l l ' i n s e d i a m e n t o d e l C a m p i d o g l i o - F o r o o p p u r e se sia u n a s u c c e s s i v a espansione di quest'ultimo. L'orientamento generale del sepolcreto, c h e si è ingrandito in direzione delle pendici del Palatino e allontanandosi progressivamente dal Campidoglio e dall'area del F o r o , fa pensare che questa area cimiteriale sia stata utilizzata d a u n abitato unitario c h e c o m p r e n d e v a i tre insediamenti. U n o scavo nel F o r o , effettuato sotto il rudere della Regia (o palazzo dei re di R o m a ) , ha riportato alla luce tracce delle strutture d ' u n edifìcio di legno, a pianta rettangolare e di proporzioni notevoli. Quest'edificio d o v r e b b e risalire a l l ' u l t i m a fase d e l l ' e t à del b r o n z o (intorn o al 9 0 0 a.C.) e d o v r e b b e essere stato destinato ad u n a funzione m o l t o importante: il confronto con altri abitati del L a z i o meridionale p u ò far pensare ad un luogo di culto. Altri r i t r o v a m e n t i a r c h e o l o g i c i in p i a z z a d e l l a P i l o t t a e p r e s s o S a n t a M a r i a della Vittoria a via x x Settembre-largo di Santa S u s a n n a s e m b r a n o indicare l'esistenza d ' u n insediamento a u t o n o m o sul Quirinale, m a l'interpretazione e la datazione del materiale è controversa.

IL LAZIO E LA CULTURA M I C E N E A Nel in millennio a.C nell'area del mar Egeo si sviluppò una grande civiltà basata sul dominio dei mari e sul commercio, distinta nelle due grandi ripartizioni "minoica" (con riferimento alle grandi regge situate sull'isola di Creta) e "elladica" (sviluppatasi sulla terraferma greca). Il periodo più recente della cultura elladica (che inizia circa 3600 anni fa) viene chiamato "miceneo", dal nome della città di Micene, regno dell'omerico Agamennone. Gruppi di navigatori provenienti dal mar Egeo approdarono sulle rive della penisola italiana circa 3500 anni fa e continuarono a frequentarne le coste per circa 500 anni. I Micenei ebbero intensi scambi con le comunità insediate nel golfo di Napoli, con la Puglia, e con la costa ionica. 3300 anni fa essi stabilirono una specie di colonia nelle isole Eolie, come base per commerci e scorribande di tipo piratesco. I Micenei ebbero contatti anche con le popolazioni che vivevano nel Lazio, con le quali dovevano scambiare i loro prodotti (ceramica, oggetti di bronzo) in cambio di metallo grezzo; forse frequentarono anche la zona di Roma. Per questo alcuni studiosi sostengono che il ricordo dei loro contatti commerciali è sopravvissuto nella leggenda dello sbarco di Enea sul lido di Lavinio.

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I fondi di c a p a n n a scoperti sul Palatino dovrebbero risalire alla fine del rx sec. a.C. e p e r m e t t o n o di capire le dimensioni e la struttura delle " c a s e " dei primi abitatori di R o m a . Su un impiantito scavato nel tufo spiccano ancora i fori in cui si conficcavano i pali di sostegno del tetto a d u e spioventi; altri pali sostenevano le "pareti" di graticcio ricoperto di fango e inquadravano la porta, su cui era posta u n a tettoia. A circa cinquanta centimetri dal " p a v i m e n t o " della c a p a n n a u n canaletto d o v e v a assicurare lo scolo d e l l ' a c q u a piovana. Talvolta le u r n e p e r le c e n e ri dei defunti raffigurano delle c a p a n n e e queste m o s t r a n o c h e il tetto era fornito di u n a apertura p e r il fumo del focolare. Sopra qualche urna appaiono figurine u m a n e sedute sul tetto, m a è incert o se q u e s t e eventuali raffigurazioni di antenati, c h e p r o t e g g o n o la casa, effettivamente fossero presenti sulle c a p a n n e . Tra il ix e l ' v i u secolo a.C. si a m p l i a lo spazio utilizzato dai primi abitatori di R o m a e si avvicina la data tradizionale della fondazione di R o m a . II sepolcreto del F o r o R o m a n o c a d e in disuso, m e n t r e si avvia u n a n u o v a area cimiteriale sull'Esquilino, m a persistono nel F o r o le t o m b e di b a m b i ni, i quali p o t e v a n o essere sepolti all'interno dello spazio abitato (consuetudine largamente attestata a n c h e in altre località del L a z i o meridionale). S e c o n d o l'ipotesi più logica q u e s t ' a l l a r g a m e n t o d e l l ' a r e a abitabile d e v e essere m e s s o in rapporto con l'importanza sempre m a g g i o r e dei traffici e c o m m e r c i . Forse u n a prova indiretta è il c o n t e m p o r a n e o a b b a n d o n o delle località abitate nei colli Albani, probabilmente collegato col c a m b i a m e n t o del percorso dei principali itinerari commerciali del L a z i o . Così in q u e s t ' e p o c a sarebbe a v v e n u t a u n ' i m m i g r a z i o n e dai colli Albani verso la piana del Tevere.

// ponte Palatino con il Campidoglio sullo sfondo in una ricostruzione ideale di Luigi Canina.

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RObAAt MEZZANOTTE MENO U N MINUTO Sulla riva sinistra del Tevere n e l l ' a r e a c o m p r e s a tra il C a m p i d o g l i o , il Palatino, l'Esquilino e il Quirinale si è ormai consolidato un rudimentale sistema insediativo d ' u n certo rilievo. Vari elementi contribuiscono ad assicurargli u n a possibilità d ' e s p a n s i o n e e d'ulteriore sviluppo. Per p r i m a cosa la posizione naturale, i colli sono molto più ripidi di quanto si possa oggi i m m a g i n a r e e per questo s o n o difendibili abbastanza facilmente. Questi colli s o n o disposti in stretta raggiera e p o s s o n o contare su due roccheforti naturali: il Campidoglio, quasi c o m p l e t a m e n t e isolato dalle altre alture, e il Palatino. Essi incorniciano e difendono u n a vallata coltivab i l e , sin t r o p p o r i c c a di a c q u a . L e r i s o r s e n a t u r a l i , b e n c h é n o n m o l t o abbondanti, sono sufficienti per la ridotta popolazione d e l l ' a r e a in cui sta per n a s c e r e R o m a . L ' a g r i c o l t u r a n o n c o n o s c e a n c o r a i tipi di g r a n o più adatti a fare il p a n e , m a l ' a l l e v a m e n t o delle pecore e delle capre è facilitato dalla estrema vicinanza delle saline, che forniscono l ' e l e m e n t o indispensabile per la sopravvivenza delle greggi. Tutto intorno ci sono boschi di querce, in cui i maiali p o s s o n o pascolare allo stato brado. Ci sono poi s e m p r e le risorse alimentari fornite dalla caccia e dalla pesca. Gli abitatori delle alture sul Tevere, organizzati in semplici c o m u n i t à a b a s e familiare, sono autos u f f i c i e n t i , m a s i c u r a m e n t e il l o r o l i v e l l o d i v i t a n o n è m o l t o a l t o . C o n t i n u a n o cosi ad usare abbastanza c o m u n e m e n t e il b r o n z o , m a h a n n o p o c h i s s i m o ferro, o forse non n e p o s s e g g o n o per niente. Gli utensili di ferro iniziano ad apparire nelle t o m b e alla m e t à d e l l ' v i n secolo a . C , e per a l m e n o altri cento anni il metallo continuerà ad essere relativamente raro. Gli abitanti di questo villaggio c h e non è ancora R o m a h a n n o però diversi assi nella manica: u n g u a d o , u n incrocio di strade, più tardi u n ponte. È q u a n t o basta perché nasca u n a città.

I MATERIALI EDILIZIA U N A CITTÀ DAL M A R E E DAI VULCANI Prima dell'invenzione del cemento armato, a Roma si costruiva usando mattoni, travertino o scorie laviche (tufo, peperino, pozzolana). L'uso dei mattoni di argilla cotta è abbastanza recente e la sua diffusione si consolida nel i secolo d.C. II travertino, formatosi con il prosciugamento delle grandi lagune di acqua salata che un tempo coprivano il Lazio, è particolarmente abbondante nella zona di Tivoli, per questo i Romani lo chiamavano «pietra di Tivoli» (in latino lapis Tiburtinus). Era riservato agli edifici monumentali ed è diventato la pietra romana per eccellenza. Il tufo ha origine dal depositarsi delle ceneri e dei frammenti di rocce eruttati dai vulcani. Anche il peperino e la pozzolana sono scorie laviche, pur sembrando materiali completamente diversi dal tufo: ma la loro differente consistenza dipende dai processi naturali avvenuti dopo che si depositarono al suolo. I suoli di Roma sono quasi tutti di tipo tufaceo ed hanno fornito nei secoli materiale da costruzione a basso costo; sull'Aventino ancora all'inizio di questo secolo era attiva una cava di tufo. Un'altra pietra molto importante nella storia di Roma è il basalto: semplicemente lava raffreddata, molto povera di silicio (il minerale che costituisce la sabbia delle spiagge), piuttosto dura e di colore nerastro. 1 Romani lo squadravano in grossi blocchi (i basoli) e lo usavano per pavimentare le strade, specialmente quelle su cui passava il traffico principale, come la via Appia, che fu la prima via consolare a essere lastricata.

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

STORIA, TRADIZIONE E LEGGENDE Alla m e t à d e l l ' v m secolo a.C. un gruppo di agricoltori e allevatori fonda una città sulla s p o n d a sinistra del Tevere: R o m a . In Occidente la scrittura alfabetica è ancora u n o strumento nuovissimo e d o v r a n n o passare secoli p e r c h é sia utilizzata per annotare gli avvenimenti storici. P e r questo gli antichi R o m a n i affidano il racconto della nascita della lor o città alla m e m o r i a . Di generazione in generazione alcuni particolari si perd o n o , altri acquistano u n ' i m p o r t a n z a c h e p r i m a non avevano. I c a m b i a m e n ti d ' a l l e a n z e o di linea politica e il desiderio di inventarsi antenati prestigiosi fanno il resto: specialmente negli elogi funebri e nei canti conviviali i dati concreti sfumano nella leggenda, nel mito. Grazie al grande lavoro di raccolta di notizie e di rielaborazione dei dati della tradizione svolto da Vairon e (116 a.C?-27 a.C.) la leggenda delle origini di R o m a a s s u m e la sua veste pressoché definitiva sotto A u g u s t o (27 a . C - 1 4 d . C ) , a opera del poeta Virgilio (70 a.C.-19 a . C ) e dello storico Livio (59 a . C - 1 7 d . C ) . È indubbio che si è trattato d'una operazione politico-culturale, m a è necessario ripetere che gli antichi R o m a n i su molti particolari della loro storia n e sapevano più di noi. Se ci sono vari episodi molto favolosi e poco veridici nel complesso delle antiche leggende, le scoperte archeologiche degli ultimi anni in più casi h a n n o confermato il nocciolo d ' i n f o r m a z i o n e veridica che è alla base del racconto tradizionale.

LA FONDAZIONE DI ROMAJ LA LEGGENDA Nella versione definitiva della leggenda (riportata da Livio nelle sue Storie), le origini di R o m a risalgono alla guerra di Troia. L a sconfitta e il saccheggio di questa città causano l'esilio e il vagabondaggio dei superstiti. Tra questi spicc a n o Antenore ed Enea. Antenore con un gruppo dei suoi si stabilisce nel Veneto, fondando la città di Padova. Enea invece prima sbarca in Macedonia, poi in Sicilia, infine a Laurento nel Lazio. I Troiani approdati nel Lazio m a n c a n o di tutto e si d a n n o al saccheggio: ne nasce u n a guerra con gli aborigeni (abitanti originali della regione), condotti dal re Latino. Ci sono due tradizioni diverse: la prima afferma che Latino è stato sconfitto in battaglia, l'altra che chiede spontaneamente e ottiene la pace. D matrimonio tra Enea e Lavinia, figlia di Latino, stringe ancor più il vincolo tra i due popoli. Asca-

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STORIA DI ROMA ANTICA

L'immagine raffigura la celebre personificazione del fiume insieme alla lupa capitolina e ai due gemelli Romolo e Remo: sullo sfondo, inoltre, si distìnguono alcuni celebri monumenti dell'antica Roma, giustapposti senza tenere conto della realtà topografica, in un'incisione di G. Vasi.

nio, frutto secondo una delle diverse tradizioni, di questo matrimonio, nasce a Lavinio, da poco fondata da Enea. Per motivi sentimentali (gli era stata precedentemente promessa Lavinia), Turno, re dei Rutuli (abitanti di Ardea), dichia-

LA LEGGENDA DI E N E A La discendenza dei Romani dai Troiani è un elemento d'invenzione. Si è avanzata spesso l'ipotesi che la leggenda possa tramandare lontani echi della presenza dei mercanti e dei viaggiatori micenei in Italia tra il xvi e il xv secolo a.C.ma quest'ipotesi suggestiva è priva di basi concrete. È indubbio che la leggenda di Enea è presente nella cultura latina da una data antica, ma è posteriore alla data di nascita di Roma (753 a.G). Una prima versione del mito forse già correva a Lavinio (Pratica di Mare) nel vi secolo a.C. Comunque, nel IV secolo a.C, a poca distanza dalle mura di questa città, esisteva un santuario dedicato all'eroe troiano, costruito trasformando parzialmente una tomba tumulo del vii secolo cuC il santuario hafunzionato da centro di diffusione dei racconti leggendari sulla presenza di Enea nel Lazio, anche perché il mito troiano fondava e rinsaldava il ricordo della parentela e della vicinanza culturale tra ipopoli latini che abitavano a sud del Tevere: è lo stesso meccanismo in base al quale si dice che la democrazia italiana si basa sui "valori della Resistenza " anche se i vari partiti sono continuamente in lotta per il potere. Il mito di Enea servì oltre che a scopi di "propaganda" nella politica "interna " dei popoli latini, anche nelle relazioni di Roma col mondo greco. Per i Greci la leggenda troiana era una narrazione di fatti realmente accaduti; questa storia era l'unico legame che univa concretamente le varie città-stato, al di là delle discordie e delle lotte. In quanto discendenti di Enea i Romani erano in qualche modo dei cugini, legati da sempre alle vicende e alla storia dei Greci. Questo particolare aspetto della leggenda di Enea, elaborato da alcuni autori greci nel v secolo a.C, ebbe uno sviluppo del tutto autonomo dalla elaborazione laziale centrata su Lavinium (l'odierna Pratica di Mare).

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

ra guerra a Latini e Troiani; viene sconfitto, m a Latino cade in battaglia. Turno si rivolge allora all'etrusco Mezenzio, re di Caere (Cerveteri). Per rispondere alla pericolosa minaccia E n e a unifica gli aborigeni e i Troiani in un sol popolo, che prende il n o m e di Latino. In u n a successiva battaglia, gli Etruschi e i Rutuli sono sconfitti e Turno viene ucciso d a Enea; è l'ultima impresa dell'eroe, che durante la m e d e s i m a battaglia scompare misteriosamente. Ascanio abbandona Lavinio sovrappopolata e fonda A l b a Longa, sulle pendici del monte Albano. H trattato di pace tra Latini ed Etruschi, concluso d o p o la morte di Turno, delimita sul Tevere il confine tra i due popoli. In quattrocento anni si succedono trenta r e sul trono di A l b a L o n g a , finché P r o c a lascia d u e figli, N u m i t o r e e A m u l i o , c h e si c o n t e n d o n o il potere. A m u lio riesce a scacciare il fratello (primogenito) N u m i t o r e e costringe R e a Silvia, figlia di questi, a divenire vergine Vestale, i m p e d e n d o l e così di generar e figli. M a l g r a d o l ' o b b l i g o della verginità R e a Silvia concepisce d u e figli e n e attribuisce la paternità a M a r t e . I d u e neonati ( R o m o l o e R e m o ) s o n o destinati a essere affogati nel Tevere, m a u n a provvidenziale inondazione i m pedisce ai servi del r e di accostarsi alle s p o n d e del fiume. I gemelli v e n g o n o abbandonati presso il fico R u m i n a l e (nell'area del F o r o R o m a n o , presso la z o n a centrale d o v e si teneva il C o m i z i o ) , d o v e poi li trov a il pastore Faustolo, la cui m o g l i e Larenzia, dedita a q u a n t o p a r e alla prostituzione, a v e v a il s o p r a n n o m e di "lupa"; sarebbe lei, s e c o n d o l'interpretazione degli antichi c h e volevano spiegare ragionevolmente la leggenda, la lup a c h e allatta i d u e neonati.

Romolo e Remo in un'incisione tratta da Monumenti scelti della Villa Borghese, di A. Nibby, 1832.

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STORIA DI ROMA ANTICA

LA LUPA La lupa è Vantichissimo totem delle genti che fondarono la città, divenuto poi il simbolo stesso di Roma. La raffigurazione più conosciuta è la statua di bronzo, opera d'un ignoto artista etrusco vissuto nel vionelv sec. a.C; non è noto se la statua fosse stata creata su commissione o non provenga piuttosto dal bottino d'una delle tante guerre contro gli Etruschi. Neil 'antichità la statua era collocata sul Campidoglio; da Cicerone ( 106 a.C-7 dicembre 43 a.C.) sappiamo che fu colpita da un fulmine nel 65 a.C. Prima del 1471 si trovava, con altre statue in bronzo d'età romana, nel palazzo Lateranense (la residenza del papa a San Giovanni), poi è stata collocata nei palazzi del Campidoglio, con i primi pezzi della collezione da cui è nato il museo Capitolino. L'opera ha subito in età moderna numerosi restauri. Particolarmente importante l'aggiunta, nel xvsecolo, dei due gemelli che si allattano dalla lupa, modellati da Antonio del Pollaiolo (1431/32-1498).

I fratelli, cresciuti, d i v e n g o n o dei fieri guerrieri, c h e r u b a n o ai ladroni c h e si aggirano nel b o s c o per dare ai loro amici pastori. I ladroni ripetutamente rapinati tendono un agguato a R o m o l o e R e m o nel corso della festività dei Lupercali, importata nel L a z i o dalla c o m u n i t à degli Arcadi (un p o p o l o della Grecia che abitava il P e l o p o n n e s o prima delle migrazioni indoeuropee), stabilitisi con il loro re E v a n d r o sul Palatino. R e m o è catturato e condotto davanti allo zio A m u l i o , che lo c o n s e g n a per essere punito a Numitore, il n o n n o inconsapevole, perché n e stabilisca la condanna. M a R o m o l o , chiamati a raccolta i pastori, assale di sorpresa la reggia di A m u l i o , aiutato anche d a R e m o , che si era procurato (la c o s a è un p o ' misteriosa) amici nella casa di N u m i t o r e . Il c o l p o di m a n o riesce, A m u l i o è u c ciso, il vero re sale sul trono di A l b a Longa. I gemelli decidono di fondare

LA F O N D A Z I O N E DELLE CITTÀ A N T I C H E La fondazione d'una città era un evento che si svolgeva con un rituale fisso e preciso. Per prima cosa si scrutava il cielo, per cercare di interpretare quale fosse la volontà degli dei; per far questo si saliva possibilmente su una altura, in grado di assicurare una visuale sgombra da ostacoli su tutti e quattro i punti cardinali. Avuto un parere favorevole", si aggiogava una coppia di buoi ad un aratro e in processione religiosa si delimitavano i confini del nuovo insediamento. Solo allora si iniziavano a costruire le case e le mura. Questo procedimento è quello seguito da "Romolo " e da "Remo " e rimane in vigore per secoli ovunque i Romani fondano una nuova città. u

u n a città, che superi in grandezza sia Lavinio c h e Alba. P e r un atto così importante si deve indagare quale sia il volere degli dèi; per scorgere i segni della volontà divina R o m o l o sale sul Palatino, R e m o sull'Aventino. R e m o per p r i m o avvista sei avvoltoi, e lo annuncia al p o p o l o in attesa; mentre lo a c c l a m a n o re, R o m o l o v e d e invece b e n dodici avvoltoi. C o n t a di più la precedenza n e l l ' a v v i s t a m e n t o o p p u r e il n u m e r o di segnali c h e si sono scorti? La discussione si fa animata, ne nasce una rissa nella quale R e m o m u o re. L'altra tradizione racconta che mentre R o m o l o sta aprendo il solco che delimita in maniera sacra la n u o v a città, R e m o , per sfida, con un salto scavalca la linea magica; il fratello, in preda alla rabbia, lo uccide. R o m o l o fortifica il Palatino, cioè il luogo dove è stato allevato dal pastore Faustolo; egli inol-

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tre è l'iniziatore dei culti religiosi, perché offre i m m e d i a t a m e n t e dei sacrifici agli dèi. Tra le divinità s e m b r a avere u n ruolo importante Ercole, il quale su un p e n d i o del Palatino h a ucciso il pastore C a c o , c h e aveva tentato di rubargli u n a mandria di buoi.

IL SOLCO E LA COLLINA Per tradizione il solco tracciato ritualmente da R o m o l o sul Palatino (alle pendici del colle e non, c o m e si potrebbe credere, sull'orlo dell'altura) racchiude la cosiddetta Roma quadrata. Secondo lo storico Tacito (ca. 54/55 d.C.-ca. 120 d.C.) questo primo confine della città andava dal luogo dove poi è stata conservata Vara maxima Herculia (altare dedicato a Ercole, sito all'estremità del Circo M a s s i m o verso il Tevere e subito dietro la chiesa di Santa Maria in C o smedin) a l l ' a r a Consi (altare consacrato a Conso, dio dei grani immagazzinati, sito all'altra estremità del Circo), poi piegava verso le Curiae veteres (sul pendio del Palatino, vicino al posteriore arco di Costantino) e infine si dirigev a al tempietto dei Lari (dèi della casa e del focolare, sito nel Foro, presso il tempio di Vesta). Questo primo confine sacro sarebbe stato il pomerio.

IL «POMERIO» DI R O M A // pomerio (dal latino post miimm = dopo il muro) d'una città è una linea di demarcazione il cui significato va oltre quello di un semplice confine "politico" e militare: il pomerio è un limite magico e sacro, difeso da tabù e divieti. All'interno del pomerio si possono compiere alcune azioni, non se ne devono compiere altre. Tra i divieti più forti la proibizione di seppellire i morti all'interno del pomerio, poi estesa all'area cittadina; la misura ha lo scopo di assicurare una migliore igiene urbana, ma non manca una forte componente di superstizioso timore del cattivo influsso dei morti, che vanno tenuti a bada e lontano dalle case dei vivi. Esistono invece incertezze sull'esatta definizione e sul percorso del primo pomerio romano. Secondo Tacito, il pomerio di Romolo sarebbe stato più ampio delle mura di Roma quadrata; mentre il pomerio di Servio Tullio sarebbe stato interno alle mura serviane. E certo che l'Aventino e parte dell'Esquilino (destinato alle necropoli) sono rimasti fuori del pomerio fino ad Augusto. Da Claudio in poi, molti imperatori allargano il pomerio, che al tempo di Aureliano coincide con la nuova cinta muraria.

Si è a l u n g o d u b i t a t o d e l l a r e a l e e s i s t e n z a d ' u n a struttura di fortificazion e sul P a l a t i n o . I riti ricordati d a l l a l e g g e n d a ( o s s e r v a z i o n e del v o l o degli uccelli, a p e r t u r a del s o l c o c o n u n aratro tirato d a u n a c o p p i a di b u o i ) son o stati collegati al desiderio di " n o b i l i t a r e " le origini della città, p r e n d e n d o in p r e s t i t o i rituali usati dagli E t r u s c h i . Il recente ritrovamento del " m u r o di R o m o l o " smentisce queste ipotesi fortemente negative. Il tratto di m u r a e il fossato venuti alla luce sul Palatino, lungo il versante c h e si affacciava verso la Velia, risalgono con b u o n a approssimazione al 730-720 a . C , in un periodo sorprendentemente vicino al 753 a.C. fissato dalla tradizione c o m e data della fondazione d e l l ' U r b e . Si p u ò quindi stabilire un punto fermo nella storia più antica di R o m a : la città nasce in u n preciso m o m e n t o e in b a s e a u n a scelta precisa, così c o m e dic e v a il r a c c o n t o l e g g e n d a r i o . Il p r o c e s s o di unificazione degli i n s e d i a m e n -

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STORIA DI ROMA ANTICA

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occAsva

La Roma quadrata fondata da Romolo, ricostruzione ideale della Roma arcaica, tratta da Antiquae Urbis Romae cuna regionibus simulacrum, di M. Fabio Calvo.

IL M U R O D I R O M O L O Sino a qualche tempo fa la revisione storiografica tendeva ad affermare che la fondazione di Roma (cioè la nascita della città come organismo politico e come impianto urbano, in cui gli abitanti erano associati) risaliva alla metà del vi secolo a.C. Ma la scoperta del cosiddetto "muro di Romolo" ha cambiato le carte in tavola. Alle spalle della basilica di Massenzio, in corrispondenza dell'antico pendio del Palatino contrapposto alla Velia, sono venute alla luce tre diverse e successive mura della città. Il più antico muro, databile al 730-720 a. C, costruito con scaglie di tufo, è largo circa un metro e venti centimetri e conserva alla sommità tracce d'una palizzata. Il ruscello che scorreva nell'avvallamento tra il Palatino e la Velia rendeva ancora più sicura la fortificazione. Alle spalle di questo muro, a circa tredici metri di distanza, correva una palizzata, che è evidentemente il più antico pomerio di Roma. La corrispondenza tra l'orientamento e la datazione di questo muro con il racconto tradizionale sulla fondazione di Roma è sorprendente. Insomma, Romolo evidentemente è un nome derivato da Roma, ma un fondatore è veramente esistito, anche se si chiamava Tiburzio o Pampurioì

ti sparsi d o v e v a e s s e r e g i à i n i z i a t o d a q u a l c h e d e c e n n i o . Infatti i n t o r n o al 7 5 0 a . C . l e s e p o l t u r e d e i p r i m i abitanti di R o m a i n i z i a n o a c o n c e n t r a r s i n e l la zona delTEsquilino. L'esistenza di u n a sola grande area cimiteriale significa c h e l o s p a z i o cittadino inizia a e s s e r e sentito c o m e u n tutto u n i c o , air i n t e r n o del q u a l e a l c u n e z o n e v e n g o n o u s a t e p e r s c o p i specifici.

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UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

È certo che un " R o m o l o " e u n " R e m o " c o m e quelli descritti nella leggenda della fondazione di R o m a non sono mai esistiti: a prima vista ci si accorge che in questi personaggi sono incorporati motivi ricorrenti nella mitologia, c o m e

I LUPERCALI / Lupercali erano una cerimonia religiosa nata sicuramente prima della fondazione di Roma; nella leggenda di Romolo tra Valtro si ricorda che a praticare il rito erano gli Arcadi, una popolazione proveniente dalla Grecia, nota perché praticava la pastorizia. In effetti tutti gli elementi più antichi del culto riportano alla cultura dei pastori: è un 'altra prova della mescolanza di popoli e di usanze avvenute nella zona del Foro-Palatino-Campidoglio e che determinò la nascita della città. Il rito prevedeva una prima fase all'interno del Lupercal, una grotta del Palatino. Dopo aver sacrificato delle capre e svolto altre cerimonie, i partecipanti uscivano di corsa, coperti solo dalla pelle delle capre sacrificate, e con dei frustini ricavati sempre dalla pelle di queste capre iniziavano a percuotere i malcapitati che incontravano sulla loro strada, e in modo particolare le donne. Le strisce di pelle si chiamavano februa; da esse deriva il nome di febbraio. I Lupercali (che sono tra gli antenati del nostro carnevale) avevano luogo in quel mese. Già all'epoca dell'impero non si conosce l'esatto significato della cerimonia, né quale dio in effetti era onorato, ma anche nel 494 d.C. il papa Gelasio I inveisce contro il malcostume " di celebrare i Lupercali. u

il t e m a dei gemelli o la scoperta del trovatello nei pressi di un fiume o di uno specchio d ' a c q u a (per quest'ultimo aspetto, si pensi ad esempio alla storia biblica di M o s e ritrovato in una cesta di vimini abbandonata sul Nilo). N o n sapremo mai se è esistito un capo, che d a solo decide di fondare Roma, di renderla "più grande di Lavinio e di Alba Longa"; siamo invece certi che c ' è stato un personaggio (o forse u n gruppo di persone) che aveva la funzione e le capacità di scrutare il cielo e di trarre gU auspici, cioè d'interpretare i segnali concreti del consenso o del gradimento degli dèi per la fondazione di una città, la costruzione d ' u n tempio o di altri edifici pubblici. Infatti il pomerio di una città è sempre stabilito grazie a un rapporto diretto con la divinità. Q u a n d o " R e m o " con u n salto scavalca il solco c h e " R o m o l o " sta tracciand o p e r delimitare la sua città, q u e s t ' u l t i m o lo uccide p e r c h é egli h a offeso gli dèi, h a violato u n a linea sacra, q u e l confine c h e permette di distinguere tra la violenza e la pace, tra il n e m i c o e l ' a m i c o , tra l'ingiusto e il giusto. Tracciare questo confine spetta per definizione al " r e " R o m o l o : il significato più antico e profondo della parola rex è " l ' u o m o c h e traccia la linea diritta o retta". Nella concezione del m o n d o dei R o m a n i , i confini s o n o u n a c o s a importantissima, fino al p u n t o di conservarsi " m u m m i f i c a t i " per secoli. Nei pressi del successivo Colosseo c'era u n o degli angoli della città quadrata di R o m o l o ; nel vi secolo a.C. in questo stesso punto si incrociarono i confini dei quattro quartieri (o regioni) della suddivisione della città decretata da Servio Tullio; al t e m p o di A u g u s t o (27 a.C. - 14 d.C.) qui si incontreranno ancora i confini di quattro o cinque circoscrizioni della n u o v a divisione a m ministrativa di R o m a . G i à p r i m a della c o s t r u z i o n e del " m u r o di R o m o l o " la città n o n è c i r c o -

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R O M A ARCAICA E IL M U R O D I TERRA DELLE C A R I N A E // primo nucleo della città di Roma è costituito dal Palatino (Germalo e Velia), dalVEsquilino, dalla Suburra ed è dotato d'un terrazzamento fortificato, le Carinae. Questo muro di terra è costruito nella sella tra la Velia e VEsquilino, proprio dietro l'abside della basilica di Massenzio. Come altri centri laziali arcaici, il nuovo insediamento si compone di una collina abitata (il Palatino), di un 'acropoli o roccaforte (la Velia), d'una necropoli o città dei morti (VEsquilino) e d'un terrapieno difensivo (le Carinae).

scritta solo al r e c i n t o del P a l a t i n o , c h e d e l i m i t a u n ' a r e a di c i r c a 16 ettari di superficie. U n ' i p o t e s i credibile v e d e u n a parte dell'abitato su questo colle, m e n t r e u n avvallamento naturale separa l'abitato del Palatino d a quello sulla Velia, che forse serviva d a roccaforte, difesa a sua volta sul lato più scoperto d a un m u r o di terra battuta eretto in corrispondenza delle Carinae (che si t r o v a n o all'altezza del p r i m o tratto di via C a v o u r ) . Oltre le Carinae inizia la z o n a cimiteriale dell'Esquilino. Questa suddivisione dell'abitato in d u e nuclei vicini m a separati d a u n avvallamento naturale è stata riscontrata anche in altri centri abitati del Lazio a sud del Tevere, c o m e ad e s e m p i o ad Ardea. Poi c ' è l'abitato che si trovava sul Campidoglio; ci sono segni che mostrano c o m e questo fosse tutto sommato secondario rispetto a quello principale del Palatino-Velia. I suoi abitanti erano sì " R o m a n i " c o m e gli altri, facevano cioè parte della comunità, condividendone i riti e le usanze, m a erano di "periferia".

U N GUADO E U N NODO STRADALE Il m o t i v o fondamentale della nascita e dello sviluppo di R o m a è la sua collocazione topografica sul fiume, c h e appare ancor più favorevole se consideriamo la disposizione dei colli su cui si è andata espandendo. D Tevere funziona sia d a strada di collegamento per i traffici che a n d a v a n o dalle montag n e al m a r e e viceversa, sia da ostacolo per i c o m m e r c i tra la Toscana e l ' E truria meridionale a nord e il Lazio e la C a m p a n i a a sud. L o sbarramento rappresentato dal fiume v a superato in qualche maniera: poiché non ci sono ancora le capacità tecniche di costruire grandi ponti, si ricorre al traghetto o p pure, è m o l t o più facile, al g u a d o . E R o m a h a u n o splendido g u a d o . L'isola Tiberina, con i suoi banchi di sabbia affioranti d a l l ' a c q u a (se il fium e o v v i a m e n t e non è molto ingrossato dalle piogge) costituisce infatti u n a specie di ponte naturale. Ci sono quindi d u e strade c h e si incrociano. Gli incroci sono i luoghi d o v e naturalmente ci si ferma, si riposa, si incontrano altri viaggiatori con i quali si s c a m b i a n o notizie e merci. Nasce così un punto di scambio o, c o m e si dice un "emporio", sulla riva sinistra del Tevere, in corrispondenza del crocevia. L a scelta della riva sinistra del Tevere, non è casuale: una località completamente aperta è pericolosa, è tropp o esposta al rischio di assalti di predoni. A differenza della riva destra, dove le colline sono troppo lontane dal guado, sulla riva sinistra a pochissima distanza c ' è la ripida altura del Campidoglio sulla quale ci si può rifugiare; e sul C a m pidoglio si possono piazzare sentinelle, in grado di dare in tempo l'allarme. Inoltre u n p o ' più lontano c ' è il Palatino, anch'esso facilmente raggiungibile.

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Se gli abitanti del posto n e approfittano un p o ' e si fanno pagare la "protez i o n e " magari sotto la forma di offerte all'altare di Ercole che è sorto proprio vicino all'incrocio, è anche vero che grazie a loro l ' e m p o r i o è sempre più sicuro, n o n si corre il rischio di vedersi portare via le mercanzie e le greggi o di rimetterci la pelle. Tutto questo spiega in teoria c o s a c ' è dietro l'affermarsi di R o m a , cioè cosa rende possibile prima l'esistenza dei villaggi e poi la fondazione della città. È possibile scendere nei dettagli e vedere le varie fasi dei traffici e dei c o m merci c h e si sono succedute. F i n o al x secolo a.C. i traffici e i c o m m e r c i non svolgono un ruolo essenziale nella vita degli insediamenti u m a n i della penisola italiana. I fattori strettamente economici sono secondari e il c o m m e r c i o è importante solo perché è il veicolo con cui si diffondono le n u o v e conoscenze e l'uso delle n u o v e tecniche. Gli insediamenti d e l l ' a r e a di R o m a certo non fanno eccezione a questa regola. L e d u e strade dalla Toscana alla C a m p a n i a e dal m a r e alle m o n t a g n e esistono già c o m e esiste già il p u n t o di s c a m b i o in vicinanza del g u a d o dell'isola Tiberina, m a gli scambi s o n o e restano per molto t e m p o faticosi e difficili: metallo contro bestiame, sale contro vasi di terracotta e così via. Percorrendo il fiume risalgono verso l'interno i mercanti che importano utensili preziosi, c o m e le accette di b r o n z o di chiara origine " m i c e n a " c h e sono state ritrovate in Sabina. Tra il x e il ix secolo a.C. la direttrice principale dei traffici laziali corre vicino al m a r e ; il g u a d o che permetteva il p a s s a g g i o del fiume si trovava all'altezza di Ficana (nei pressi di Acilia). E importante ricordare che la linea della costa in corrispondenza della foce del Tevere rispetto a oggi era più vicina a questo centro di a l m e n o c i n q u e o sei chilometri. Q u e s t o itinerario dip e n d e dal fatto c h e a l l ' e p o c a la città d o m i n a n t e d a un p u n t o di vista politico ed e c o n o m i c o sull'Etruria meridionale è Caere (Cerveteri); la strada che passa per Ficana è la più breve p e r un viaggiatore c h e proviene d a Caere e si vuole recare a sud del Tevere. L a regione a nord del Tevere è più progredita di quella meridionale, e quindi detta legge dal punto di vista commerciale. L a strada di comunicazione con la C a m p a n i a passa per L a v i n i o (Pratica di M a r e ) , Ardea, Satrico ("Le Ferriere", presso Nettuno); su queste tappe si innesta il traffico " l o c a l e " proveniente dai colli Albani, c h e smista anche quello proveniente dalla strada che parte d a Veio, tocca R o m a e poi GabìL D a q u e s t ' u l t i m o centro parte anche una via di collegamento con il sud che segue u n percorso più interno sfruttando i pendii dei colli e le valli del Sacco e del Liri. Q u e s t a strada avrà particolare fortuna e in seguito diventerà nota c o m e via Latina. Tra la fine del ix e l ' v m secolo a.C. la città d o m i n a n t e sulla sviluppata regione dell'Etruria meridionale diventa Veio: a questo centro d ' o r a in poi fann o riferimento i rapporti commerciali con il Lazio meridionale. Gli itinerari dei traffici c a m b i a n o notevolmente; in tutte le e p o c h e il controllo delle strad e è u n a delle prime preoccupazioni di chi h a il potere. Partendo d a Veio la strada più breve per il sud è quella c h e passa per R o ma. Il g u a d o principale sul Tevere diviene quello situato presso l'isola Tiberina; i colli Albani sono tagliati fuori (Mte correnti principali dei traffici e adesv

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STORIA DI ROMA ANTICA

L'Isola Tiberina, ricostruzione ideale di L Canina.

Si nota u n a corrispondenza precisa tra le vicende di queste vie di c o m m e r cio e le fasi degli insediamenti u m a n i della z o n a di R o m a e dei colli Albani, che h a precisi riscontri nella leggenda della fondazione di R o m a . Nella fase in cui la strada più importante passa p e r Ficana gli abitati d e l l ' a r e a C a m p i doglio-Foro-Palatino sono ancora ai primi stadi di sviluppo. N e l l o stesso p e r i o d o sui colli A l b a n i c ' è u n n u m e r o n o t e v o l e di insediam e n t i u m a n i ; lo t e s t i m o n i a n o le m o l t e t o m b e sparse nel territorio. Gli abitati s o n o sparsi d a Grottaferrata a M a r i n o e tutto i n t o r n o a C a s t e l g a n d o l f o , d o v e si p e n s a c h e si trovasse A l b a L o n g a . A l b a in effetti n o n è m a i stata u n a città nel s e n s o stretto del t e r m i n e , q u a n t o piuttosto u n r a g g r u p p a m e n t o di p i c c o l e c o m u n i t à : l ' a g g e t t i v o L o n g a i n d i c a p r o p r i o u n tipo di abitato sparp a g l i a t o lungo la collina. Q u a n d o la strada principale per il sud passa p e r R o m a (fine ix-vni secolo a.C.) si c o l g o n o chiari segni di sviluppo degli abitati n e l l ' a r e a dei Fori, m e n tre sui colli Albani inizia il rapido declino, e poi lo s p o p o l a m e n t o , degli insediamenti sparsi. U n ricordo di questi avvenimenti s e m b r a essere il colleg a m e n t o tra R o m o l o e la dinastia regnante su A l b a L o n g a . M a la direttrice di traffico nord-sud n o n è, c o m e si è visto, la sola c h e interessi R o m a . Esiste a n c h e u n a strada in direzione est-ovest c h e parte dalla S a b i n a e, sfruttando la scorrevolezza della valle del fiume, costeggia la riva sinistra del fiume fino a R o m a . È sicuramente u n antichissimo percorso della transumanza delle pecore, usato a n c h e c o m e via maestra per il c o m m e r c i o del sale, p r o veniente dalle saline di Ostia; non s e m b r a p e r ò c h e il c o m m e r c i o di q u e s t ' e lemento naturale, indispensabile p e r la sopravvivenza di uomini e bestie, sia mai spinto oltre la Sabina, cioè fino alle z o n e interne d e l l ' A b r u z z o . Questa strada è, o v v i a m e n t e , la via Salaria. L a Salaria p e r ò n o n procede direttamente fino al m a r e ; all'altezza del guado del Tevere piega b r u s c a m e n t e a destra, attraversa il fiume e prosegue, c o n il n o m e di via C a m p a n a , sulla riva destra del corso d ' a c q u a .

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L a z o n a cruciale p e r il d e s t i n o di R o m a è q u i n d i il foro B o a r i o , c o n l ' a p pendice della zona paludosa del Velabro, che sarà bonificata dai lavori intrapresi dai r e etruschi.

LE «SALINAE», IL F O R O B O A R I O , IL R A C C O R D O STRADALE Fin dalle epoche più antiche un sistema viario, costituito dalla via Salaria e dalla via Campana, consente l'approvvigionamento del sale e collega le saline, alla foce del Tevere, con Roma e con le regioni interne. Il sale, trasportato lungo il Tevere, è depositato presso il guado, punto di passaggio e luogo facilmente raggiungibile dalle popolazioni circostanti: qui infatti si arresta la via Salaria o Salara. Nel foro Boario, ai piedi dell'Aventino, sono localizzate le Salinae ossia il luogo di raccolta del prezioso minerale, fondamentale per un popolo di pastori e di agricoltori. Le leggende e gli antichi culti venerati nel foro Boario confermano che questa zona ha avuto fin dalle origini le caratteristiche d'un emporio o centro commerciale. Qui, secondo una versione della leggenda, Ercole è derubato dei buoi di Gerione da un astuto pastore (o un mostro sputafuoco), chiamato Caco. Questo, approfittando del sonno di Ercole, trascina gli animali per la coda all'interno d'una caverna, sperando che le orme alla rovescia confondano l'eroe. Ma Ercole fiuta l'inganno e lo punisce duramente. Nel luogo in cui è stato derubato dei suoi animali (denominato foro Boario dai buoi di Gerione) Ercole consacra a se stesso /'Ara M a x i m a Quest'altare è precedente alla stessa Roma quadrata e nei suoi rifacimenti successivi è localizzato presso Santa Maria in Cosmedin. Il mito di Ercole e Caco è presente anche in altre aree mediterranee, dalla Spagna alla Sicilia, raggiunte fin da epoche remote dai navigatori greci e fenici. I mercanti (prima fenici, poi greci), risalgono il Tevere e portano merci a Roma, ma anche miti e leggende. Queste si sommano poi a leggende e miti locali, che hanno come protagonista l'Ercole italico, venerato anche a Tivoli. Le successive stratificazioni e trasformazioni hanno conservato il ricordo quasi pietrificato di una prima frequentazione del foro Boario da parte di popolazioni italiche e sabine (che avrebbero portato l'Ercole italico), poi straniere (con l'Ercole Melqart e l'Eracle greco). Fin dal primo momento il foro Boario è passaggio obbligato per lo spostamento delle greggi e per l'approvvigionamento del sale; poi, grazie al fiume, si trasforma in un vero e proprio emporio per la città che si va formando alle sue spalle; e il foro Boario diventa il punto di raccordo d'un fascio di strade, che conducono nelle varie direzioni.

Presso il foro Boario, oltre air importantissimo incrocio doveva esistere un imbarcadero-caricatoio fluviale, dove approdavano e scaricavano o caricavano merci le imbarcazioni provenienti dalla foce del Tevere o d a località site a m o n t e di R o m a . Nell'antichità la navigazione fluviale è m o l t o più diffusa e praticata di oggi. Per esempio buona parte dei materiali edilizi impiegati a R o m a sono trasportati via fiume: sul Tevere si spediscono il travertino d a Fiano e il tufo rosso di Grottarossa, s u l l ' A m e n e n a v i g a il travertino di Tivoli, e infine il fosso d e l l ' O s a , oggi a p p e n a u n rigagnolo, s e r v e a trasportare la pietra g a b i n a , c i o è il peperin o , delle c a v e di C a s t i g l i o n e . L ' i m p o r t a n z a assunta g i à n e l l ' v m secolo dal foro B o a r i o è ulteriormente sottolineata dal fatto c h e vi g i u n g o n o tutti i percorsi stradali più antichi, c i o è le v i e r o m a n e c h e p r e n d o n o il n o m e dalle località d o v e g i u n g e v a n o . Si tratta delle vie N o m e n t a n a (verso M e n t a n a ) , Tiburtina (verso Tivoli), P r e n e s t i n a ( v e r s o Palestrina, sede d ' u n i m p o r t a n t i s s i m o santuario), L a b i c a n a

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STORIA DI ROMA ANTICA

(verso Montecompatri) e via Latina (così chiamata p e r c h é collegava tutto il Lazio antico).

LA C O M P O S I Z I O N E E T N I C A APERTA DELLA CITTÀ DI R O M O L O Le diverse tradizioni e leggende ci presentano fin dall'origine un'immagine di Roma "città aperta", dove l'elemento straniero riesce a convivere e a integrarsi. I Romani di Romolo sono gente di ogni risma e di ogni provenienza e lo stesso fondatore associa al trono Tito Tazio, re dei Sabini, quindi uno straniero. Questo miscuglio etnico, che caratterizza fin dall'inizio la città, non è considerato una debolezza o una vergogna (come accadeva nel mondo greco e anche altrove), anzi diventa una forza e motivo di vanto. Nonostante le numerose componenti delle origini, Roma è pur sempre una città latina, ma sono molto importanti la componente sabina e quella etnisca. I Sabini (ben noti nei racconti degli antichi, ma non testimoniati negli scavi archeologici romani) sono presenti nella valle del Tevere fin dall'epoca più arcaica. Ciò è ben dimostrato dai rivestimenti di Colle del Foro e di Poggio Sommavilla. Gli Etruschi, d'altro lato, hanno influenzato Roma ancor prima della dinastia etnisca dei Tarquini. Esistono infatti dei centri etruschi molto vicini a Roma come quello di Colle di S. Agata a Monte Mario, durato almeno fino al 600 a.C. È anzi probabile che la riva destra del Tevere, un vero e proprio confine naturale, sia stata controllata a lungo dagli Etruschi, salvo una piccola porzione di territorio di fronte al foro Boario, oltre il fiume. Nel processo di urbanizzazione la presenza di Latini, Sabini ed Etruschi si risolve nell'affiancamento e nella convivenza pacifica lasciando un ricordo solo nella presenta origine (etrusco o sabina) di alcune famiglie romane.

ROMOLO E I SABINI Secondo la leggenda il primo periodo della vita di R o m a è piuttosto tumultuoso. R o m o l o dà alloggio a tutti gli "sbandati" che hanno bisogno di un rifugio sicuro, senza distinguere tra liberi e schiavi, tra Latini, Sabini o Etruschi. L o stesso re fonda u n a m o n a r c h i a dai tratti etruschi, i m p o r t a n d o d a quella civiltà più sviluppata alcune usanze c o m e il trono (la cosiddetta sedia curvile che rimane u n o dei simboli più importanti del potere per tutta la durata dello Stato r o m a n o e oltre), la tipica toga orlata da una fascia di color porpora (la toga pretesta, riservata esclusivamente agli adolescenti fino ai sedici anni e ai senatori), la scorta dei dodici littori armati dei fasci, con le verghe e la scure in segno del diritto di imporre la p e n a capitale. A n c h e il Senato sarebb e u n a istituzione di R o m o l o : n e fanno parte cento capifamiglia o meglio i capi delle gentes che abitano la città. L a necessità preminente è quella di assicurare un adeguato p o p o l a m e n t o alla città. M a n c a n o però le donne, che assicurano la continuità della discendenza, la garanzia della sopravvivenza stessa di R o m a . N e s s u n a città del Lazio acconsente a stringere rapporti con i giovani e focosi R o m a n i , gente p o c o racc o m a n d a b i l e . N o n resta c h e ricorrere a l l ' i n g a n n o e al rapimento. R o m o l o organizza dei giochi in onore del dio Nettuno, invita gli abitanti delle città vicine e, approfittando della confusione, fa rapire le giovani in età da marito. D grado ha i suoi privilegi; le donne più belle sono riservate ai senatori. Questa gravissima offesa colpisce essenzialmente i Sabini, particolarmen-

UN FIUME, UN GUADO E U N CROCEVIA

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LA CITTÀ TRIBALE Gli antichi attribuivano a Romolo la fondazione delle tribù in cui era diviso il popolo romano, ma le loro informazioni terminavano qui. I nomi stessi delle tribù sono avvolti nel mistero. Lo storico Livio sostiene che i Ramnensi (Ramni) si chiamano così perché legati a Romolo e sarebbero stati gli abitanti sul Palatino di stirpe e lingua latina. /Titiensi (o Tities) si chiamano così perché legati a Tito Tazio e sarebbero stati gli abitanti sul Campidoglio di stirpe sabina. Livio non riferisce nulla sui Luceri (o Luceres); secondo alcuni sarebbero stati gli abitanti dei boschetti, situati sui colli più meridionali di Roma; secondo altri corrisponderebbero alla componente etrusco. Per alcuni scrittori antichi la divisione in tre tribù sarebbe avvenuta su base gentilizia, cioè quelli che avevano un antenato in comune appartenevano alla stessa tribù. La sola cosa certa è che ciascuna tribù forniva una centuria (cento uomini) di cavalieri che costituivano la cavalleria dell'esercito arcaico. Soltanto con Servio Tullio il loro ruolo e la loro importanza sociale comincia a essere modificata. Più tardi alle tre originarie si affiancano altre tribù, che hanno un carattere territoriale, dal momento che con il nome di tribù si indica un territorio. Ogni tribù era suddivisa in dieci curiae. Ogni curia (da co-viria = gruppo di uomini) raggruppa più famiglie; nell'ambito della curia si tengono le registrazioni delle nascite e delle morti e si svolgono le procedure di leva militare. Ciascuna curia ha propri culti religiosi, che non condivide con nessun 'altra. Da curia derivano Quirino (il nome di Romolo divenuto un dio, il dio "che protegge le curie ") e Quirite ( "colui che appartiene alla curia " cioè il cittadino romano nel significato più ristretto possibile).

te bersagliati, m e n t r e gli altri p o p o l i l a m e n t a n o danni m e n o gravi alla consistenza della loro p o p o l a z i o n e f e m m i n i l e . N o n p e r q u e s t o rinunciano alla vendetta, m a c o m m e t t o n o il classico errore di affrontare u n o alla volta l ' e s e r c i t o r o m a n o e s e p a r a t a m e n t e s o n o sconfitti, r e g a l a n d o ai R o m a n i i p r i m i trionfi militari. T o c c a allora ai fieri abitanti dei colli Sabini, dediti alla d u r a professione del p a s t o r e (e quindi portati ai colpi di m a n o e alla v i o l e n z a ) , di s c e n d e r e in guerra. L o s c o n t r o h a l u o g o nella vallata del F o r o e sarebbe stato p r e c e d u t o dal tradimento d ' u n a donna, Tarpea, figlia del comandante della guarnigione del C a m p i d o g l i o . L a lotta è s e m p r e più d u r a e c o n t i n u a tra fughe e a v a n z a t e , m a senz a segni chiari di chi riuscirà a spuntarla: finalmente le d o n n e si m e t t o n o in

RUPE TARPEA Tarpea originariamente doveva essere una divinità preistorica legata al monte Tarpeo, una delle due cime del Campidoglio. Durante i secoli il nome di questa antichissima divinità passa nel racconto leggendario a una Tarpea, figlia del comandante della roccaforte capitolina, al tempo dell'assedio di Roma da parte dei Sabini di Tito Tazio. Tarpea attirata dai bracciali e anelli d'oro che i Sabini portavano al braccio sinistro si offre dì aprire la porta agli invasori se questi le avessero promesso in dono "ciò che portavano al braccio sinistro ". Infatti i Sabini entrati nel Campidoglio lanciano addosso a Tarpea gli scudi, che impugnavano con la sinistra, e la uccidono. Questa leggenda subisce varie modifiche ed è rinnovata in occasione dell'assedio gallico: in questo caso Tarpea avrebbe tradito per amore del capo dei Galli. In ogni caso il Saxum Tarpeum o rupe Tarpea fino al I secolo d.C. è il luogo dal quale erano precipitati i rei di tradimento e degli altri grandi delitti contro lo Stato.

Tarpea uccisa dai Sabini, incisione di Bartolomeo Pinelli.

m e z z o , p o c o rassegnate a perdere padri, fratelli e sposini. Si g i u n g e alla pace, basata sul c o n d o m i n i o a R o m a tra R o m o l o e Tito Tazio, e a l l ' u n i o n e tra i d u e popoli. Il c o n d o m i n i o p e r ò è il m o d o peggiore di gestire u n a proprietà; molto o p p o r t u n a m e n t e di lì a p o c o Tazio offende gli dèi e m u o r e misteriosamente, lasciando il potere interamente nelle mani di R o m o l o . È solo la p r i m a morte misteriosa c h e avviene a R o m a , altre n e seguono e continueranno a seguire, fin quasi ai giorni nostri. Alla p a c e con i Sabini segue la p r i m a organizzazione della vita in c o m u n e dei R o m a n i ; d o p o aver fondato, c o m e si è visto, il Senato, c o m p o s t o dai capifamiglia, R o m o l o suddivide il p o p o l o in trenta curie, e istituisce anche tre reparti di cavalleria, d a cui h a n n o origine le tre p r i m e tribù: i Tiziensi, i R a m n e n s i e i Luceri. S e m p r e nuovi pericoli minacciano la g i o v a n e città; p r i m a c ' è u n conflitto con gli abitanti di Fidene, poi i R o m a n i d e v o n o vedersela con u n avversario molto più pericoloso, gli Etruschi di Veio. Tutto inizia con u n a scorribanda dei Veienti, c h e saccheggiano i c a m p i e rub a n o il bestiame; R o m o l o c o n decisione fulminea varca il Tevere, sconfigge il potente avversario in c a m p o aperto e lo insegue fin sotto le m u r a di Veio. Poi, tornando vittorioso a R o m a , per vendetta devasta i c a m p i coltivati dai Veienti, i quali c h i e d o n o la p a c e . Ci si accorda p e r u n a tregua della durata di cento anni, in c a m b i o della quale i Veienti d e b b o n o cedere u n a parte del loro territorio, che si trova sulla s p o n d a sinistra del Tevere. È la prima espansione territoriale della città destinata a dominare un impero vastissimo.

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U N RE TROPPO INGOMBRANTE, SCOMPARSO MIRACOLOSAMENTE F o n d a t a la città, ripetutamente sconfitti i nemici, ingrandito il territorio di R o m a , R o m o l o è o r m a i un eroe c h e ha esaurito la sua missione. Durante una parata dell'esercito in piazza d'armi, in C a m p o Marzio, scoppia una tempesta improvvisa, durante la quale il re scompare misteriosamente. Si grida subito al miracolo, m a il popolo pensa che i senatori abbiano organizzato l'omicidio di Romolo. N o n casualmente il re aveva formato, secondo l'uso degli Etruschi, i Celeri, una guardia del corpo di trecento soldati addetta alla sua sicurezza. M a un certo Proculo Giulio si presenta all'assemblea cittadina e annuncia di aver avuto una visione: Romolo gli è apparso, gli ha comunicato che R o m a avrà un grande destino e che la sua scomparsa rientra nella volontà degli dèi. D a quel momento Romolo è identificato con il dio Quirino, che protegge con la sua benevolenza Roma. Il popolo accetta per buona la visione e la profezia; comincia però un difficile interregno, in attesa d ' u n re che riporti in città l'ordin e e l'armonia.

OLTRE LA LEGGENDA Sotto questo racconto si possono ritrovare tracce di avvenimenti realmente accaduti e razionalmente spiegabili. " R o m o l o " è un semplice n o m e , u n simbolo che lega insieme fatti e situazioni che sono avvenuti in momenti differenti; questi fatti e queste situazioni si legano però sempre alle origini di Roma. Per molto tempo si è detto che la storia del ratto delle Sabine era solo il ricord o d ' u n rito matrimoniale antichissimo basato sul rapimento (prima vero, e poi finto) della sposa. Questo rito è ancora vivo presso certe popolazioni primitive che si dedicano alla pastorizia. L e più recenti scoperte archeologiche nel sepolcreto dell'osteria dell'Osa (sulla via Prenestina) fanno pensare però che gli abitanti dei colli Albani, scesi in pianura verso la fine dell'vm secolo a . C , siano emigrati senza portare con sé donne. I giovani avevano quindi il problema di farsi una famiglia e possono bene aver fatto ricorso a razzie di donne per metterne in piedi una; magari le scorribande dei giovani scapoli sono avvenute proprio nel territorio dei Sabini. Col t e m p o dal matrimonio forzato si può passare alla convivenza; gli interessi che legano i Sabini e i Latini abitanti nella zona di R o m a sono molti, legati al traffico commerciale sulla Salaria e alla difesa della strada dalle mire dei Veienti, vicini agguerriti, e perciò pericolosi. L'unione delle due popolazioni, che parlavano lingue diverse e che avevano usi diversi, avviene per gradi. C o m e i mitici Sabini di re Tito Tazio, a n c h e quelli della storia non v e n g o n o accolti direttamente all'interno della città. Se la leggenda racconta c h e e s si si stabiliscono sul Campidoglio, conquistato con la forza, l'archeologia conferma l'esistenza di un insediamento sul colle Capitolino e sul Viminale. Q u e sto abitato è certamente collegato con la città " q u a d r a t a " fondata d a R o m o lo, m a n e costituisce la periferia: s e m b r a in qualche m a n i e r a u n a realtà diversa, in parte a u t o n o m a . Ve n e s o n o molte prove: le d u e alture r i m a n g o n o a n c o r a alla fine d e l l ' v i n secolo fuori dai limiti della città di R o m a , propriamente detta, cioè del Sep-

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STORIA DI ROMA ANTICA

// ratto delle Sabine in un'incisione ottocentesca di Bartolomeo PinellL

timontium; i sacerdoti dei culti più antichi di R o m a , i Salii, sono divisi in due gruppi, i Palatini e i Collini (cioè "quelli del Viminale"); la porta c h e dalle m u r a del Palatino g u a r d a verso il Viminale si c h i a m a Romanula, u n a parola peggiorativa che d o v r e b b e alludere al fatto c h e gli abitanti di quel colle non sono c o m p l e t a m e n t e " R o m a n i " m a periferici, "burini".

UN FIUME, U N GUADO E UN CROCEVIA

IL

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SEPTIMONTIUM

II Septimontium (la parola significa forse "sette colli" oppure "i colli protetti dal fossato ") è la corona di alture su cui sorgono i primi insediamenti umani che poi daranno origine a Roma. Ne fanno parte le due creste del Palatino - il Gennaio e il Palatino in senso stretto - la Velia, la Suburra, il Fagutale, V Oppio e il Celio; in un secondo tempo si aggiungerà il Cispio. Dal circuito del Septimontium. come si vede, restano esclusi alcuni dei colli più famosi (Aventino, Campidoglio, Viminale, Quirinale) e la cresta più alta delVEsquilino, esclusi perché disabitati o abitati da genti di stirpe differente: perciò non esiste alcuna coincidenza tra il Septimontium e i sette colli, più o meno fatali, tanto esaltati dalla retorica di ogni tempo. L'esistenza di un antichissimo legame tra gli abitanti di queste alture ci è stata tramandata grazie a un rito religioso che si svolgeva nell'antica Roma VII dicembre di ogni anno, consistente in una solenne processione sui colli dove erano sorti i villaggi primitivi.

A n c h e l e c o n t i n u e g u e r r e c o n l e c i t t à v i c i n e a t t r i b u i t e al r e g n o di R o m o lo s o n o in f o n d o c r e d i b i l i : p i ù c h e a g u e r r e v e r e e p r o p r i e si d e v e p e n s a r e a p i c c o l e r a z z i e di b e s t i a m e , al m a s s i m o a furti in g r a n d e stile, c o m e è t i p i c o d ' u n a civiltà b a s a t a sulla pastorizia. M o l t o più i n c e r t e s o n o le notizie sugli organismi politici fondati d a " R o m o l o " : il Senato, le trenta Curie, le tribù dei Tiziensi, dei R a m n e n s i , dei Luceri. L a più credibile di tutte è il S e n a t o , formato dai capifamiglia, c i o è dai detentori del p o t e r e a l l ' i n t e r n o dei grandi gruppi familiari.

GLI S T A N Z I A M E N T I DEI VARI POPOLI DEL LAZIO Nel Lazio vivevano fianco a fianco popoli che avevano lingua e tradizioni culturali differenti. La prima suddivisione è quella tra Etruschi e Italici. La civiltà etrusco nasce dalla fusione tra un gruppo dirigente proveniente dall'esterno (forse dall'Asia) e popolazioni aborigene; la fusione fa nascere un popolo completamente differente da quelli vicini. Poi si deve distinguere tra ipopoli italici che si sono stanziati nel Lazio nella preistoria (come i Latini) e coloro che sono arrivati in epoca più recente (come i Sabini). I Latini sono piuttosto isolati; a nord ci sono gli Etruschi, a est i Sabini e a sud si stanzieranno gli Equi, gli Ernici, i Volsci, che sono tutti popoli, come i Sabini, di lingua umbra (od osca), o che ne hanno adottato delle varianti. Nella regione a nord del Tevere in epoca preistorica si erano stanziati due gruppi di Latini, i Capenati e i Falisci. Questi due popoli isolati e circondati dai Sabini, ebbero destini differenti: i Capenati furono inghiottiti e si lasciarono "sabinizzare"; i Falisci conservarono le loro caratteristiche di popolo di stirpe latina.

L a l e g g e n d a e la storia s o n o d ' a c c o r d o : R o m a n a s c e c o m e città c h e r a c c o glie gente proveniente da luoghi diversi, c h e parla dialetti diversi, c h e h a usanze d i v e r s e . F o r s e è q u e s t o il v e r o segreto del s u o s u c c e s s o , della fortuna c h e la d i s t i n g u e d a tutte le altre città del L a z i o c h e s o n o n a t e nello stesso p e r i o do. L a ciliegina sulla p a n n a è r a p p r e s e n t a t a dal s o g n o di G i u l i o P r o c u l o sulla s c o m p a r s a di R o m o l o . Si p o t r e b b e d i r e c h e , se n o n è vera, s i c u r a m e n t e è ben inventata. Tra l ' a l t r o in q u e s t o m o d o L i v i o attesta c h e la gens Mia era già p r e s e n t e nella storia di R o m a , fin dai p r i m o r d i e in p o s i z i o n e di spicco: e v i d e n t e m e n t e L i v i o s a p e v a trattare i potenti nel m o d o giusto.

M

I RE LATINO SABINI

I NOMI DEI RE N e l l a lista t r a d i z i o n a l e dei r e di R o m a N u m a P o m p i l i o , T u l i o Ostilio e A n c o M a r c i o (tutti di origine sabina) succedono a R o m o l o . Q u e s t ' u l t i m o presentava le caratteristiche tipiche del fondatore e p o n i m o (colui c h e d à il p r o prio n o m e alla città), a m e t à strada tra storia e leggenda: con i tre successori si entra in u n a fase c h e è già "storica". I loro n o m i di origine sabina e formati dalla doppia denominazione, tipica del m o n d o italico, confermano in parte la storicità dei personaggi: anche se la tradizione antica h a certamente arricchito e modificato le loro figure, per nobilitare u n a c o m u n i t à c h e si andava sviluppando. A N u m a P o m p i l i o è attribuito il merito di aver addolcito (o intimidito) con la religione e la legge gli animi dei rozzi R o m a n i , c h e fino ad allora a v e v a n o solo " g i o c a t o " alla guerra. P e r p r i m o si o c c u p a delle c o s e sacre: compito che trova eco nello stesso n o m e Pompilio, derivato forse dal grec o pompe, processione sacra. P e r T u l i o O s t i l i o già il n o m e g e n t i l i z i o (Ostilio d a l l a t i n o hostis, n e m i co) rivela u n carattere specifico delle sue azioni. C o m e R o m o l o è un re guerriero; si p r e o c c u p a di a m p l i a r e il territorio di R o m a e di codificare u n c o m p l e s s o rituale p e r r e g o l a r e le d i c h i a r a z i o n i di g u e r r a , la p r o c e d u r a feziale. I R o m a n i , n o n o s t a n t e le loro origini p o c o g l o r i o s e e il l o r o a m o r e p e r q u a l u n q u e s c o n t r o a r m a t o , h a n n o s e m p r e a v u t o c u r a di s v o l g e r e o g n i c o s a s e -

C O M E SI C H I A M A N O I R O M A N I Nel corso del VII sec. a.C. si afferma il sistema onomastico costituito da due elementi. Fino ad allora ciascun individuo si distingueva con un unico nome. A Roma, come in Etruria e in generale nel mondo italico, raffermarsi diforti gruppi aristocratici comporta una maggiore importanza assegnata al nome. Ora il nome oltre a distinguere un uomo da un altro, deve anche permettere di individuarne Vappartenenza a un gruppo familiare. Il nome è così composto da due elementi, dal nome assegnato al bambino al momento della nascita (il prenome che corrisponde al nostro nome)edal gentilizio (il nome proprio della gens o gruppo familiare allargato, corrispondente al nostro cognome). Nella leggènda si ricorda che il padre dei tre gemelli Orazi si chiamava Publio Orazio (prenome e gentilizio), mentre per i tre fratelli ciò che conta è solo la loro appartenenza al gruppo familiare degli Orazi e perciò il prenome è superfluo! Per quanto riguarda le donne è usuale il semplice gentilizio: Marcia, Fabia, ServiHa ecc. Quando esistono più figlie è usuale distinguerle con l'aggiunta di Maggiore o Minore oppure con l'uso di vezzeggiativi e diminutivi: Livilla, Tulliola eccetera.

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I RE LATINO-SABINI

c o n d o f o r m e legali irreprensibili. L e c e r i m o n i e dei sacerdoti feciali h a n n o l o s c o p o di r e n d e r e i R o m a n i sicuri c h e lo s c o p p i o d e l l a g u e r r a n o n avv e n g a p e r c o l p a loro e c h e la g u e r r a sia s e m p r e giusta. A n c h e il n o m e del t e r z o r e , A n c o M a r c i o , è significativo: A n c o ( n o m e p e r s o n a l e ) è s a b i n o , m e n t r e M a r c i o è u n gentilizio l a t i n o . I n o l t r e M a r c i o è u n g e n t i l i z i o p o r t a to d u r a n t e la r e p u b b l i c a s o l t a n t o d a l l a g e n t e d e l p o p o l o , d a l l a p l e b e : altra s e g n a l a z i o n e c h e n e l l a R o m a d e l l e origini n o n e s i s t e v a n o distinzioni p e r n a s c i t a o p e r c e n s o , t a n t o c h e u n r e p o t e v a p r o v e n i r e d a g r u p p i familiari i quali in s e g u i t o s a r e b b e r o stati " p l e b e i " .

U N EMBRIONE DI STATO L'esistenza della monarchia a R o m a è una realtà storica indiscutibile, che è possibile ricostruire anche attraverso posteriori cerimonie e sacerdozi d'età repubblicana. Al solito gli antichi R o m a n i attribuiscono a ciascun re meriti e compiti specifici, personalizzando e travestendo un lungo processo evolutivo. Fin dalle origini, il m o n a r c a è l'antagonista del potere delle grandi famiglie, anche se è u n frutto della volontà dei patres. D o p o che il p o p o l o h a acclam a t o u n n u o v o sovrano, egli d e v e infatti sottoporsi alla volontà e al giudizio dei senatori c h e p o s s o n o confermare o respingere l'elezione. Inoltre se il re m u o r e , sono ancora i senatori c h e gestiscono - attraverso la cerimonia dell' interrex (tra i re) - il potere in quanto il trono è vacante. Tuttavia nonostante la limitazione imposta dai patres, i poteri del re s o n o a m -

Senatore romano in un'incisione di E Perder.

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STORIA DI ROMA ANTICA

plissimi in m a t e r i a militare, religiosa e giudiziaria. Il m o n a r c a è il c a p o sup r e m o d e l l ' e s e r c i t o e negli scontri c o m b a t t e s e m p r e in p r i m a p e r s o n a . A n c o r a in età r e p u b b l i c a n a , q u a n d o o r m a i le s u e c o m p e t e n z e s o n o p a s s a t e ad altri sacerdoti, la sua i m p o r t a n z a in a m b i t o religioso è ricordata dalla figura del rex sacrorum o r e delle c o s e sacre, quasi u n a pallida c o p i a del v e r o re. In u n a R o m a o r m a i retta dai consoli, il rex sacrorum s v o l g e c e r i m o n i e p a r t i c o lari, tra le quali la più interessante è il regifugium, la fuga del r e : il 2 4 febb r a i o q u e s t o re delle c o s e sacre si p r e s e n t a nel C o m i z i o p e r fare dei sacrifici e d o p o averli c o m p i u t i , a l l ' i m p r o v v i s o fugge, rifugiandosi in q u e l l a c h e è t r a d i z i o n a l m e n t e ritenuta la c a s a del s o v r a n o , la Regia. Q u e s t a strana cerimonia, che gli antichi consideravano quasi un ricordo d ' u n a vera fuga, in realtà c o i n c i d e v a c o n la c e l e b r a z i o n e d e l l ' i n i z i o del n u o v o a n n o (che c o m i n c i a in m a r z o s e c o n d o il più antico c a l e n d a r i o r o m a n o ) . Il re a n t i c o s v o l g e u n r u o l o i m p o r t a n t e in m a t e r i a religiosa: a lui t o c c a n o le decisioni sul c a l e n d a r i o , a lui è p o s s i b i l e r e n d e r e feriale o festivo u n g i o r n o d e l l ' a n n o . In definitiva, u n a volta eletto, il r e n o n è u n s o v r a n o " c o s t i t u z i o n a l e " , m a è l ' i n t e r m e d i a r i o della divinità, l ' e s p r e s s i o n e degli dèi in terra. Il S e n a t o , formato dai capi delle famiglie più importanti, tenta i n v a n o di o p p o r r e resistenza al s o v r a n o . L e grandi famiglie s o n o abituate a farsi giustizia

IL P R I M O C A L E N D A R I O A Numa Pompilio è attribuita anche la creazione del calendario arcaico di dodici mesi, poi modificato da Tarquinio Prisco e infine sostituito da Cesare. Vanno "vivo ", agricolo, va da marzo a dicembre. I mesi di gennaio e febbraio in questo calendario "naturale " sono i mesi della purificazione. Si tratta quasi di un periodo senza forma, un caos intermedio tra la morte e la nascita del nuovo ciclo. Per questo motivo gli antichi pensavano che inizialmente Romolo avesse creato un calendario di dieci mesi, nel quale marzo segnava l'inizio. Dei dodici mesi del calendario numano, solo quattro, marzo, maggio, luglio, ottobre, sono di 31 giorni; febbraio ha invece 28 giorni e tutti gli altri 29. In totale ogni anno è composto da 355 giorni. I dieci giorni mancanti, calcolati per eccesso o per difetto, vengono aggiunti mediante un mese intercalare di 22 o 23 giorni. I mesi sono a loro volta divisi in nundinae (nove giorni), che corrispondono grosso modo alle nostre settimane. I giorni delle nundinae sono contrassegnati dalle lettere dell'alfabeto dalla A alla H. All'inizio di ciascuna nundina si tiene il mercato. In ogni mese ci sono anche altri momenti importanti: le colende, le none e le idi che corrispondono alle tre fasi della lunazione. Le colende, il primo giorno del mese, si chiamano così da calare (chiamare a raccolta) perché in origine si proclamava pubblicamente alla folla riunita il mese e la data delle none. Alle none, vengono invece annunciate le feste del mese. Esse cadono il 7 nei mesi di 31 giorni, il 5 nei mesi di 29 giorni. Le idi, per le quali l'origine del nome è incerta, ricorrono il 15 nei mesi lunghi, il 13 nei mesi brevi. Tra le divinità e le feste più importanti del calendario numano ricorrono Giano e ; Giove Lucezio a cui sono dedicati le prime cerimonie che segnano il passaggio al nuovo anno. Februs, da cui Febbraio, è una divinità sabina della purificazione come si addice a questa parte dell'anno. In marzo le feste di Marte, il dio della guerra, da cui deriva il nome di marzo, celebrano l'inizio della stagione guerresca. Giunone con diversi epiteti (tra cui CaveUa legato alle celebrazioni per la luna nuova) è tra le divinità femminili più importanti del calendario. Altre come Pales, Flora, Vesta, sono presenti non solo a Roma, ma presso tutti ipopoli di ceppo italico.

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d a sole, creando le proprie leggi e p u n e n d o i propri colpevoli. È facile allora immaginare le dure reazioni a episodi "leggendari" c o m e quello del re Tulio Ostilio c h e punisce il superstite dei famosi fratelli Orazi, colpevoli di aver ucciso la sorella. Q u e s t o affare della famiglia degli Orazi d o v e v a essere discusso all'interno di questa cerchia. Al contrario il r e i m p o n e le sue decisioni e u n a giustizia " p u b b l i c a " a queste famiglie, abituate alla giustizia s o m maria e privata.

I R O M A N I I M P A R A N O A SCRIVERE L'introduzione della scrittura a Roma è attribuita a Evandro, il mitico colonizzatore greco del Palatino. La scrittura sarebbe arrivata dal mondo greco nell'xi sec. a.C, quando in realtà essa stava ancora affermandosi in Oriente e in Grecia. Il rapido sviluppo di Roma agisce da polo di attrazione per le genti dell'interno e anche per gli intraprendenti commercianti fenici e greci, i quali presso il guado del Tevere trovano il punto di scambio ideale. Questi mercanti, insieme agli oggetti da scambiare e da vendere, hanno portato anche idee, culti (come il culto di Ercole) e probabilmente l'alfabeto. Il ritrovamento delle più antiche lettere ellenizzanti su un vaso di una tomba della necropoli di Osteria dell'Osa, corrispondente all'antica Gabii, coincide in modo stupefacente con la tradizione. Secondo quanto si tramanda Romolo e Remo, educati a Gabii, avrebbero qui appreso la scrittura: Romolo, divenuto re, avrebbe usato ancora quest'alfabeto greco per iscrizioni che celebravano vittorie e definivano trattati. Nel VII sec. a.C. questo nuovo strumento, che si va sempre più adattando alla lingua latina, si diffonde in maniera più ampia, acquistando anche una dimensione pubblica. Documenti scrìtti cominciano a comparire con frequenza nei santuari, nei donari, negli spazi destinati alla vita della comunità.

I senatori non hanno particolari poteri. Di solito sono consultati per questioni su cui il solo re avrebbe poi dato il giudizio finale. D Senato è quindi solo un organo consultivo, che p u ò appoggiare il re, senza potersi opporre. Certamente anche la divisione del popolo in curie e tribù h a concorso ad aumentare il potere del re a discapito delle famiglie e del Senato. I comizi curiati, formati dalle curie riunite insieme, hanno particolari compiti. Dal m o m e n t o che il popolo è il vero depositario del potere, il re d o p o la sua elezione riceve dai comizi curiati il s o m m o potere che gli permette di governare. Infine il raggruppamento delle curie facilita il reclutamento dell'esercito: ogni curia deve fornire una centuria di fanti (cento uomini) per un totale di tremila soldati. Questo è l'esercito primitivo a cui si aggiungono trecento cavalieri, cento per ciascuna delle tribù. Infine i comizi ratificano alcuni atti delle gentes, c o m e una forma particolare di testamento: se un capofamiglia è rimasto privo di eredi, davanti alle curie riunite può nominare un successore, che da quel m o m e n t o entra a far parte della famiglia del padre adottivo, rinunciando a quella d'origine.

L'ACCLAMAZIONE POPOLARE Secondo la tradizione, d o p o la sparizione misteriosa di R o m o l o i patres debb o n o affrontare non pochi p r o b l e m i per la successione. Essi escogitano allora il già citato interregno c o m e soluzione di fortuna per u n o Stato rimasto all'improvviso senza guida. I cento senatori si dividono in dieci decurie (un grupp o di dieci persone), scegliendo d a ciascuna di esse u n u o m o . I dieci uomini

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STORIA DI ROMA ANTICA Curia: proposta di ricostruzione della facciata col portico anteriore (G. Loppolo).

LE N U O V E CURIE DI TULLO OSTILIO Le trenta curie (da coviriae = riunioni di uomini), ripartite in tre tribù, sono il risultato della somma delle sette curie antiche risalenti a Romolo con le ventitré curie nuove create da Tulio Ostilio. Non è chiaro se le curie fossero ordinate su base territoriale (appartengono alla stessa curia gli uomini che abitano in un territorio) o su base gentilizia (appartengono alla stessa curia gli uomini che discendono da una gens oda un complesso familiare). Forse le sette curie più antiche corrispondono a particolari territori: mentre le curie nuove sembrano invece legate alVappartenenza a una medesima famiglia. Solo quattro delle curie rimangono nelVantica sede (le Curiae Veteres), situata nell'angolo est delle pendici del Palatino, mentre le altre si trasferiscono sul Celio (le Curiae Novae). La creazione di queste nuove curie coincidono con la riorganizzazione dello spazio urbano, quasi una nuova fondazione rispetto alla città romulea.

eletti formano un collegio; a rotazione per cinque giorni ciascuno di essi h a Vimperium (il c o m a n d o supremo) e le insegne del potere. Per un anno la città è governata in questo m o d o , m a presto il popolo comincia a lamentarsi, perché bisogna sopportare non un re solo, m a addirittura dieci. A malincuore i patres devono permettere al popolo di scegliere, secondo l'uso, un nuovo re. M e n e così scelto e acclamato N u m a Pompilio, u n sabino di Cures, notoriamente u o m o onesto e religioso. I senatori sembrano soddisfatti e concedono il loro assenso perché n o n ci sono validi motivi per opporsi a un u o m o tanto b u o n o . N u m a P o m p i l i o è il p r i m o dei re stranieri c h e si sarebbero seduti sul trono r o m a n o . L a scelta di u n o straniero, oltre a mostrare ancora u n a volta l'apertura sociale e d etnica, che regola R o m a fin dall'inizio, risponde a n c h e a precise esigenze. N o n m a n c a n o nella città arcaica gruppi e fazioni c h e si contendono il potere e c h e vogliono dettare legge. U n re di origine esterna risulta la soluzione migliore, p e r superare i contrasti tra le diverse famiglie o fazioni, oltre c h e per c e m e n t a r e l'unità dei confederati della recente città.

I RE LATINO - SABINI

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LE PREROGATIVE DEI REì GLI AUSPICI N u m a P o m p i l i o è stato eletto all'unanimità. M a non è m o l t o facile diventare re. A n c h e gli dèi devono essere d'accordo e l'esempio di R o m o l o dimostra c h e è necessario consultarli. P e r conferire al re V imperituri, c h e è un potere di natura divina, sono necessari d u e riti religiosi: l ' o p e r a z i o n e augurale o investitura (F inauguratici) e la p r e s a degli auspici. Questi riti sono svolti dall ' a u g u r e , u n sacerdote c h e incarna tutto il potere del soprannaturale e p u ò c o m u n i c a r l o al re, toccandogli la testa con la m a n o destra. Gli auspici invece s o n o i segnali, tratti dal volo degli uccelli o dalle viscer e degli animali sacrificati, attraverso i quali si manifesta il parere degli dèi. L a c o n o s c e n z a della volontà divina è necessaria ogni volta c h e si d e b b a c o m p i e r e u n atto importante p e r la comunità. Il controllo degli auspici (ossia avere u n filo diretto con gli dèi) consente u n potere politico e n o r m e e i R o m a n i lo sanno bene. Gli scrittori antichi h a n n o fedelmente tramandato Finvestitura di N u m a e n o n è m o l t o difficile ricostruire l'intera cerimonia, svoltasi sul C a m p i d o g l i o . M e n t r e il p o p o l o è riunito nel C o m i z i o , il futuro re sale sull'arce capitolina, p r e n d e n d o p o s t o nel templum, u n ' a r e a rituale di form a quadrata e all'origine delimitata da alberi. L'augure, a c a p o velato e con il lituus (un bastone ricurvo senza nodi), si mette alla sua sinistra. Egli guard a verso sud-est, nella stessa direzione v e r s o cui è orientata la linea median a c h e divide l'area sacra, il cui p r o l u n g a m e n t o i m m a g i n a r i o coincide con il percorso della via Sacra. Il punto terminale di questa traiettoria è il m o n t e Alb a n o ( m o n t e C a v o ) , antico centro sacrale dei Latini. D o p o l'invocazione agli dèi, l ' a u g u r e tocca il c a p o di N u m a c h i e d e n d o a G i o v e di approvare la sua elezione a re. G i o v e risulta d ' a c c o r d o e m a n d a , tramite gli uccelli, il segnale all'augure. N u m a allora diviene re.

LA P R I M A P A V I M E N T A Z I O N E DEL C O M I Z I O // Comizio è il centro politico della città, è il luogo dove si riunisce il popolo. In origine si tratta di una sorta di piazza, un templum come quello ^W'Auguraculum, cioè un 'area consacrata dagli auguri e orientata secondo i punti cardinali, Questo suo speciale orientamento ne ha permesso Fuso anche come orologio solare. Presso il Comizio si trovava il fico Ruminale, sotto quest 'albero - secondo la leggenda - il pastore Faustolo avrebbe trovato Romolo e Remo. La prima pavimentazione in terra battuta risale alla prima metà del VII sec. a.C. (circa 635 a.C.).La relativa altitudine della piattaforma tufacea su cui s'innesta il Comizio, lo rendeva inaccessibile alle acque. Questo spiega il suo precoce utilizzo come spazio pubblico evidente anche nel racconto della "inaugurazione " di Numa Pompilio. Mentre l'augure nell'Auguraculum ("osservatorio") cerca di conoscere quale sia la "volontà" di Giove sull 'elezione di Numa, il popolo in attesa è riunito nel Comizio. Parte della tradizione attribuisce a Tulio Ostilio la fondazione di questo luogo pubblico, ma è più probabile che risalga al tempo di Anco Marcio: allora la città assume un aspetto più organizzato e probabilmente l'area del Comizio, in stretta concomitanza col foro Boario, è sistemata per facilitarne l'utilizzo* Comunque l'intera valle del Foro Romano è stata prosciugata dalla palude solo al tempo dei Tarquinia

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VAUGURACULUM

La collina del Campidoglio è costituita da due cime: il Capitolium e /'Arx, separate da una depressione, /'Asylum. La depressione coincide con la piazza del Campidoglio, collegata a destra e a sinistra dalle scalinate del Vignala che permettono l'accesso a Santa Maria delVAracoeli (VAm) e al giardino di via del Tempio di Giove (Capitolium). Sull'Aix è situato il tempio di Giunone Moneta (che ammonisce), conosciuto solo dal iv sec. a.C Di certo però questo tempio doveva essere molto più antico perché si tratta di una tipica divinità protettrice della rocca. Attualmente è possibile identificare i resti di questo edificio in alcune strutture in opera quadrata, formate da grandi massi, che si trovano nel giardino delVAracoeli. Il monumento più interessante della rocca capitolina è senza dubbio / 'Auguraculum, un 'area augurale antichissima legata al Comizio, dove venivano presi gli auspici. E possibile identificare la sede di questo spazio sacro con una piccola costruzione nel giardino delVAracoeli. La posizione de/Z'Auguraculum doveva permettere una libera visuale sulla città, in direzione sud-est, e sul sottostante Comizio. La costruzione visibile nel giardino delVAracoeli è composta da due settori di muro in tufo di Fidene e per la parte più antica in cappellaccio. Questa struttura (i grandi blocchi quadrati in cappellaccio risalgono al vi sec. a.C.) costituisce la base per una sorta dì terrazza, che può benissimo essere interpretata come i resti dell Auguraculum data la sua posizione e il suo orientamento.

UNA NINFA AIUTA IL RE N u m a si rende c o n t o c h e bisogna agire con astuzia per far accettare le sue riforme ai R o m a n i , i quali non brillano certo per eccessiva mansuetudine. A n che gli animi più coriacei si sarebbero piegati se avessero pensato c h e il re era solo un esecutore di ordini ricevuti dagli dèi. E c c o così la favola della nin-

Numa Pompilio riceve le leggi dalla ninfa Egeria. Particolare da un 'incisione di B. Pinelli.

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1. RE lATINOSABINI

fa Egeria e dei loro incontri notturni. Nel bosco delle C a m e n e , presso la futura porta Capena, alle pendici sud orientali del Celio, questa creatura divina, tipica dei boschi e delle acque, parla al re, insegnandogli i culti e le cerim o n i e . S e c o n d o le m o d e r n e interpretazioni la ninfa Egeria è l'incarnazione di Diana, d e a dei boschi: i suoi rapporti con N u m a rappresentano u n a sorta di m a t r i m o n i o sacro, c h e il re di R o m a contrae con u n a divinità delle acque e della vegetazione, quasi la "civiltà" che fa un patto con la "natura". Nell ' a m b i t o dell'organizzazione della religione a N u m a è attribuita a n c h e la creazione dei collegi sacerdotali dei Flamini, dei Salii e delle Vestali. C o m e s e m p r e gli antichi stabilivano un unico fondatore, in questo caso N u m a , per rituali e culti che certamente s o n o stati il risultato di u n a lunga e lenta stratificazione, soggetta a numerosi influssi. I tre Flamini, cioè i sacerdoti dediti esclusivamente al culto di Giove, Marte e Quirino (identificato con Romolo), fanno parte del patrimonio indoeuropeo, presente in tutte le popolazioni di origine indoeuropea (come i Greci e gli Indiani). Il loro n o m e e la loro funzione sono state infatti paragonate a quelle dei bramini indiani. L o stesso discorso è valido anche per il fuoco sacro di Vesta e per il collegio dei Salii, certamente precedenti alla fondazione della città.

IL «SURPLUS» ALLA DIVINITÀ In questo periodo, in c o n c o m i t a n z a con la sistemazione religiosa riferita a N u m a , si registra la tendenza a dedicare alla divinità oggetti, raccolti in depositi votivi. Il p a s s o successivo è segnato dalla costruzione di edifici sacri agli dèi. Entrambi i fenomeni sono c o m u n q u e la prova c h e qualcosa sta c a m b i a n d o all'interno d ' u n a società fino ad allora senza distinzioni: c o m e risulta dagli oggetti, tutti uguali, sepolti insieme ai defunti. Adesso si comincia a donare alla divinità il surplus (quanto rimane d o p o aver soddisfatto le esigenze primarie dell'esistenza), costituito d a offerte di cibo, vasi, statuette e altri oggetti. N a s c o n o valori differenti d a quelli c h e regolavano l ' i n s e d i a m e n t o primitivo, q u a n d o la p r i m a preoccupazione riguardava proprio la sussistenza. O r a si sviluppa il senso della comunità, si elaborano valori collettivi, legati alla nuova realtà urbana c h e si sta sviluppando. A n c h e gli dèi, prima venerati all'aperto e privatamente in ciascuna famiglia, ora d i v e n g o n o gli dèi della comunità, venerati in luoghi pubblici. A N u m a v e n g o n o fatte risalire n u m e r o s e riforme, quasi tutte volte a dotare R o m a di leggi e culti. Per la prima volta la città si occupa della pace di cui diventeranno espressione il culto e il tempio di Giano. Già al tempo del primo scontro tra Romani e Sabini nell'area del Foro (scontro esterno all'area dei primitivi abitati), la pace stipulata dai due popoli era stata sancita dalla fondazione d ' u n tempietto dedicato a questo dio bifronte (la sua testa presenta due facce opposte). Numa, secondo la tradizione, erige il tempio dalla doppia entrata presso il punto di incrocio tra F Argileto (la via che collega la Suburra al Foro) e la via Sacra. Era dunque esterno alla città palatino-veliense dei re latino-sabini, di cui costituisce una porta mistica verso il m o n d o esterno, straniero e nemico. L e doppie porte, chiuse in t e m p o di pace, rimangono aperte in t e m p o di guerra per permettere ai guerrieri di rientrare nella città in qualsiasi m o m e n t o .

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IL R I T M O SACRO DELLA GUERRA Accanto al calendario religioso esiste un vero e proprio calendario della guerra. Il periodo dell'anno dedicato a questa attività si apre nella buona stagione e finisce all'inizio di quella cattiva. I Salii erano addetti all'apertura e alla chiusura di questo ciclo mediante cerimonie comuni anche alle altre città latine. A Roma si diceva che durante il regno di Numa fosse caduto uno scudo dal cielo. Dopo averlo raccolto il re ne fece allora fabbricare altri undici uguali dal fabbro Mamurio Veturio. Da questo momento in poi i dodici scudi furono conservati nella Curia Saliorum del Palatino, dove era riposto anche il bastone augurale di Romolo. Ogni anno il primo marzo, i sacerdoti Salii "mettevano in movimento" questi scudi insieme alle lance di Marte conservate nella Regia del Foro. Con la loro particolare danza nella città "risvegliavano" la guerra, toccando varie parti dell'abitato. Di sera, al termine della cerimonia, gli scudi e le lance erano di nuovo riposti e i sacerdoti celebravano un banchetto. Altri riti, come le corse di cavalli del 14 marzo (Equirria) e la purificazione delle trombe del 23 marzo (Ttobilustrium), segnano ulteriormente l'inizio della stagione guerresca. Gli antichi sapevano bene che non si può condurre una guerra d'inverno perchéfreddo, carestia e fame sono in agguato. Perciò nel mese di ottobre era celebrata la fine dell'anno militare. / Salii di nuovo ricomparivano insieme a riti di purificazione che permettevano ai soldati (con la cerimonia del Tigillum Sororium), alle loro armi (purificate durante /'Armilustrium) e ai loro animali (l'October equos la simulazione dell'uccisione dell'animale usato in guerra) di rientrare nella città liberi del sangue e degli orrori della guerra.

LA CITTÀ E LA GUERRA D o p o la m o r t e di N u m a P o m p i l i o segue u n altro p e r i o d o di interregno fino all'elezione di Tùlio Ostilio. L e guerre e le prime conquiste hanno finora comportato l'immigrazione parziale dei vinti compensata a volte dall'invio di "col o n i " romani nelle terre conquistate. C o n Tlillo Ostilio e A n c o M a r c i o c ' è invece la rottura di questa tradizione. Nel caso di centri c o m e Alba, Tellene, Ficana, Medullia gli abitanti v e n g o n o deportati nell'urbe, senza lo stanziamento di coloni romani. Questa straordinaria apertura della collettività r o m a n a verso gli stranieri p u ò essere spiegata con la volontà di potenziare il n u m e r o dei cittadini, garanzia di forza per la città. M e n t r e la guerra diviene l'attività principale di R o m a , c h e si ritaglia u n a posizione s e m p r e più grande a spese delle popolazioni vicine.

LA FINE DI ALBA LONGA L a p r i m a grande impresa di Tulio Ostilio è la guerra con Alba, allora g o vernata d a G a i o Cluilio. D o p o i primi scontri, durante i quali m u o r e il loro re, gli Albani e l e g g o n o Mettio Fufezio, il vero protagonista della guerra. L a tradizione narra c h e i d u e re nemici, d o p o aver constatato l'inutilità di u n o scontro diretto, v e n g o n o a patti. Q u e s t a è certamente u n a delle p o c h e volte in cui d u e capi di Stato si preocc u p a n o delle c o n s e g u e n z e di u n a lunga guerra sulle loro popolazioni. Tulio Ostilio e Mettio Fufezio decidono che un duello, tra i "campioni" dei due eserciti, risparmierà sangue e sofferenze inutili. Vengono scelte d u e terne di fratelli, i tre Orazi per i R o m a n i e i tre Curiazi per gli Albani.

Orazio uccide sua sorella nemica della Patria, incisione di B. Pìnelli.

Nel racconto degli antichi il duello assume toni quasi epici. I due eserciti, in silenzio, trattengono il respiro, mentre i sei campioni si scagliano gli uni sugli altri. D u e degli Orazi romani rimangono sul terreno, m a ancora una volta la buona stella di R o m a h a la meglio. L'unico sopravvissuto degli Orazi si d à alla fuga e, riuscendo a distanziare ciascuno degli avversari, li uccide u n o per volta. La grande gioia che segue alla vittoria è di breve durata. I tre Orazi hanno una sorella, fidanzata con uno dei Curiazi uccisi. N o n appena ella riconosce sulle spalle del fratello il mantello che lei stessa aveva tessuto per l'innamorato, si getta a terra disperata. L'orgoglioso Orazio si infuria per questa disperazione fiiori luogo e la uccide: mentre T\illo Ostilio è costretto a condannarlo a morte per l'orrendo delitto. D giovane guerriero si appella al p o p o l o , rimettendosi al giudizio d e l l ' a s semblea popolare e il racconto tradizionale vuole mettere in risalto l ' a m o r e incrollabile dei R o m a n i verso la patria. Il vecchio padre, Publio Orazio, sostiene c h e la figlia sciagurata è morta giustamente; invece, suo figlio, che ha salvato la patria, è ingiustamente condannato a morte d a una città, c h e fino a p o c o prima l ' a v e v a festeggiato c o m e u n eroe. L'assemblea, colpita dal discorso del padre, decide che il giovane Orazio viva e che espii il suo delitto compiendo cerimonie di purificazione presso il 71gillum Sororium. L'alleanza con Alba, seguita allo scontro dei guerrieri, si mostra tuttavia di breve durata. Mettio Fufezio stringe alleanza segreta con Fidene e con Veio, promettendo di tradire i Romani e il suo tradimento diventa chiaro a tutti quando è dichiarata la guerra a questi due popoli. Tùlio Ostilio vincitore non concede

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IL 71GILLUM SORORIUMt

RTJDO DI PASSAGGIO E PORTA TRIONFALE

// Tigillum Sororium (navicella delle sorelle) era un passaggio obbligato sotto una trave di legno e si trovava presso le Carinae. Qui c'era anche Vincrocio di importanti strade: il vicus Orbius, che portava verso VEsquilino, il vicus Cuprius, che scendeva nella successiva valle del Colosseo, così come il clivo Acilio e il clivo di Venere Felice. Il Tigillum si configurava come una porta del nucleo abitato più antico, più tardi sostituito dalla porta Capena, edificata insieme alle mura serviane. idue pilastri su cui poggiava la travicella erano i due altari di Giano Curiazio e di Giunone Sororia. Giano Curiazio era legato alle curie, quindi presiedeva alle cerimonie che consentono Vaccesso dei giovani nelle curie. Giunone Sororia presiedeva alle cerimonie di iniziazione femminili, che coincidevano con Vetà fertile delle ragazze. Le due divinità tutelavano il momento di passaggio dall'infanzia all'età adulta. Questi due "riti di passaggio" erano celebrati presso il Tigillum Sororium, perché quest'ultimo era una porta, un passaggio tra la città e l'esterno: e l'esterno in genere è sempre nemico, ostile. Passare sotto questa porta per rientrare nella città, come è imposto all'Orazio assassino, purifica dal sangue e dagli orrori della guerra combattuta all'esterno e questo rito riammette nel corpo civico. Ma in concreto il Tigillum diventa anche la più antica porta trionfale della città, quella da cui rientrano i condottieri vincitori.

alcuna possibilità di riscatto a Mettio Fufezio, che è giustiziato in m o d o atroce: il re r o m a n o fa venire due carri e lega Mettio per le braccia e per i piedi a ciascuno di essi opposti l'uno all' altro. Poi incita i cavalli: mentre Alba è distrutta e gli Albani sono deportati a R o m a .

LA CRESCITA DELLA CITTÀ Sotto i successori di R o m o l o la città si ingrandisce s e m p r e più: a n c h e il C e lio è incluso nel p o m e r i o e Tulio Ostilio fa costruire la sua abitazione sulla Velia, m e n t r e R o m o l o a v e v a abitato sul G e n n a i o e N u m a P o m p i l i o nel F o ro, in un luogo corrispondente alla Regia storica. A n c o r a nuovi scontri, questa volta con i Sabini, costellano gli ultimi anni di Tulio Ostilio. M a gli dèi sono stanchi, d o p o N u m a Pompilio i R o m a n i semb r a n o essersi dimenticati di loro. U n a pioggia di pietre sul m o n t e A l b a n o a c c o m p a g n a la richiesta di sacrificare agli dèi della patria. C o m e spesso accade, n o n risulta sufficiente p r o v vedere subito ai riti prescritti e l'intera città è colpita d a una violenta pestilenza. Tulio Ostilio cerca di placare gli dèi, ricorrendo addirittura a scritti lasciati d a N u m a . G i o v e , adirato da questi pentimenti tardivi, lo punisce c o m e era solito fare, inviandogli u n fulmine. D o p o trentadue anni R o m a si trova di n u o v o senza re. Il p o p o l o sceglie c o m e successore un nipote di N u m a P o m p i l i o , A n c o M a r c i o . Questi h a un carattere mite, attento alle esigenze dei culti, m a s u l l ' e s e m p i o dei suoi predecessori dichiara guerra ai Latini, p e r c h é questi ultimi avrebbero c o m m e s s o gravi colpe che d o v e v a n o essere punite. C o m i n c i a così u n a lunga guerra c h e è risolta dallo scontro finale e vittorioso a Medullia. D o p o gli Albani stanziati d a Tulio Ostilio sul Celio, le popolazioni vinte da A n c o M a r c i o sono stanziate nella valle M u r c i a , tra Palatino e Aventino, d o v e più tardi sarà costruito il C i r c o M a s s i m o ; mentre le popolazioni vinte di

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Tellene e Ficana, situate a sud di R o m a si insediano sull'Aventino (che a lungo rimarrà fuori dalle m u r a ) . L'archeologia confermerebbe quanto tramanda la tradizione sulla distruzione quasi totale di Politorium voluta d a A n c o M a r c i o . Forse a Politorium, centro abitato dai Latini, corrispondono i resti del m o d e s t o abitato scoperto a Castel di D e c i m a : infatti questo villaggio, d o p o un periodo di relativa ricchezza, attestata dalle necropoli del v n secolo a . C , decade rapidamente per essere abbandonato intorno al 6 0 0 a.C.

LA C U R I A OSTILIA L'edificazione della Curia Ostilio, la più antica sede del Senato, è riferita a Tulio Ostilio. Si trattava di un 'area quadrata, dotata di gradinate, orientata secondo un asse nord-sud. La sua facciata sud coincideva con la parete settentrionale del Comizio arcaico. Nell'utilizzazione del Comizio come orologio solare, la Curia Ostilio costituiva il punto di osservazione delle varie posizioni del sole rispetto all'area quadrata del Comizio, traguardando così l'alba, il mezzogiorno, il tramonto.

A n c h e il Gianicolo è unito a R o m a per evitare che q u a l u n q u e n e m i c o se ne appropri. Così R o m a n o n soltanto si arricchisce del bottino di guerra, m a v e d e increm e n t a r e la sua popolazione e aumentare lo spazio u r b a n o abitato.

LA VIA DEL SALE A n c o M a r c i o , d o p o aver accolto nella città n u m e r o s i Latini, si p r e o c c u p a di provvedere alla difesa di q u e s t ' i n s e d i a m e n t o molto ingrandito. L^ Carinae, l ' a m p i o terrapieno c h e proteggeva la città (ancora limitata al Palatino e alla Velia), a v e v a n o costituito le p r i m e fortificazioni di R o m a . Il re ora fortifica a n c h e il Gianicolo, proprio perché è c o m p l e t a m e n t e esposto agli attacchi nemici, così isolato sulla riva destra del Tevere. È costruito anche il ponte Sublicio in legno, il p r i m o p o n t e di R o m a c h e sostituisce il guad o o il traghetto sul Tevere.

DAL G U A D O AL P O N T E Nella città che si sta consolidando l'antico guado sul Tevere è sostituito da un ponte. Ormai Roma controlla le due rive del fiume, fino al mare dove sono situate le saline e la prima colonia, Ostia. Il ponte di Anco Marcio, detto Sublicio (le sublicae sono ipali sopra i quali è gettato il ponte), insieme allo scalo sul Tevere accentua il carattere di emporio del foro Boario: è possibile che da questo momento venga creato il mercato dei buoi da cui l'intera zona prenderà il nome. La posizione del ponte Sublicio, nelle sue successive ricostruzioni in pietra, è dì facile localizzazione: la testata della riva sinistra è situata poco più a sud dello sbocco della Cloaca Massima, accanto al tempio rotondo vicino al Tevere.

Tutte queste operazioni, insieme alla fondazione di Ostia, fanno parte d ' u n flessibile, m a ostinato, p i a n o d ' e s p a n s i o n e .

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STORIA DI ROMA ANTICA

LA P R I M A C O L O N I A ^ OSTIA Gli scavi archeologici non confermano la tradizione antica, che attribuisce ad Anco Marcio la fondazione di Ostia, quasi a sancire l'estensione del territorio romano. Sembra infatti che non si possa risalire oltre il v secolo a.C. Può darsi che la prima Ostia, quella di Anco Marcio, fosse situata in un luogo differente da quello della città imperiale, forse sull'altra riva del fiume. In ogni modo con Ostia Roma ha il suo porto marittimo e diventa in tutto simile agli altri importanti mercati dell'epoca, come Tarquinia e il suo porto di Gravisca. Lo scalo marino è strettamente collegato al porto Tiberino, situato nei pressi del foro Boario, dove le navi, dopo aver risalito il fiume, scaricano le merci destinate ai mercati di Roma.

L a costruzione di Ostia facilita, oltre all'accesso sul m a r e , anche l ' a p p r o v vigionamento del sale portato a R o m a , presso le Saline dell'Aventino, seguendo il percorso del Tevere. L a via Ostiense c h e collega R o m a a Ostia n o n h a costituito il percorso più antico per il sale. C o m e già d e t t o p r e c e d e n t e m e n t e q u e s t o c o m p i t o e r a svolto dal duplice asse c o m p o s t o dalla via Salaria e dalla via C a m p a n a , c h e p o r t a v a d i r e t t a m e n t e v e r s o sud, v e r s o il m a r e . L a c o s t r u z i o n e del p o n t e Sublicio e la fortificazione del G i a n i c o l o g a r a n t i s c o n o la p r o t e z i o n e e l ' a c c e s s o alle Saline, o r m a i tutelate dalla città.

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I RE LATINO-SABINI

ROMA NEL LAZIO L'estensione del territorio r o m a n o nel Lazio durante i primi re è ricordata dalle feste Ambarvalia. I fratelli Arvali, un collegio di antichi sacerdoti, durante questa cerimonia tracciano intorno alla città una linea di confine che misura qualche chilometro. Al t e m p o di A n c o M a r c i o il territorio di R o m a si estende p e r circa 7 chilometri in ogni direzione e h a u n a superficie di 150 chilometri quadrati: a sud giunge fino ai colli Albani, a ovest fino alle foci del Tevere. D a piccolo insediamento, costituito da piccoli centri abitati su pochi colli, R o m a è diventata u n a delle più importanti città del L a z i o . I villaggi del versante costiero e tiberino dei colli A l b a n i c o m i n c i a n o a decadere v e l o c e m e n t e : m e n t r e altri insediamenti ( c o m e Tivoli, Palestrina, Satrico, L a Rustica, Caracupa) d i v e n g o n o i nuovi poli territoriali insieme a R o m a nel L a z i o .

LA CONQUISTA DEL SANTUARIO DI GIOVE LAZIALE D o p o la distruzione di A l b a L o n g a sul m o n t e A l b a n o non si c o m p i o n o più i riti dedicati a G i o v e Laziale. Il luogo di culto sulla s o m m i t à del m o n t e Alb a n o era stato il santuario c o m u n e delle popolazioni latine. II r u o l o p r e m i n e n t e c h e R o m a c o m i n c i a a r i v e s t i r e nel L a z i o si m a n i f e sta p r o p r i o nel c o n t r o l l o d e l l ' a n t i c o c u l t o c o l l e t t i v o . C o n t r o l l a r e gli dèi p e r c o n t r o l l a r e gli u o m i n i : i R o m a n i s e g u i r a n n o q u e s t a p r a s s i m o l t e volte in f u t u r o . L a t r a s f o r m a z i o n e del G i o v e " u n i v e r s a l e " , p r o p r i o p e r c h é di tutti i L a t i n i , in u n G i o v e " r o m a n o " risulta u n ' o p e r a z i o n e di l u n g a durata. Q u e s t a r o m a n i z z a z i o n e d e l G i o v e a l b a n o è p o r t a t a a t e r m i n e , f a c e n d o salire q u e s t a a n t i c a d i v i n i t à sul C a m p i d o g l i o e f o n d e n d o l a c o n la divinità tipicamente romana, Giove Capitolino. M a probabilmente questo proces-

L'ARA DI S A T U R N O Secondo la tradizione l'altare dedicato a Saturno risale a un 'epocaprecedente alla fondazione di Romolo. Sarebbero stati i Pelasgi, un mitico popolo greco, a portare questo culto nel Lazio e a costruire l'altare. Del resto lo stesso Saturno, sempre in un'età mitica avrebbe fondato un abitato sul Campidoglio, il più antico conosciuto, che in suo onore sarebbe stato chiamato Saturnia. I Saturnalia, le feste dedicate al dio (identificato col greco Crono), si svolgono dal 17 dicembre e durano addirittura sei giorni. Secondo la tradizione era stato proprio Tulio Ostilio a consacrare un ex voto a Saturno e a dedicargli per la prima volta questa cerimonia. Si faceva veramente festa, nessuno lavorava e il banchetto era fatto "alla greca ", cioè a capo scoperto. Come accade durante le nostre festività dedicate a santi e patroni, si regalano e si accendono ceri e soprattutto ci si scambia regali mangerecci e particolari statuine di cera e di pasta. Ma la vera festa è rappresentata soprattutto dalla vacanza. L'antico altare dedicato a Saturno, cui si aggiunse il tempio tuttora visibile, è da identificare nel Foro Romano con i resti dell'antichissimo altare situati dietro i rostri imperiali, presso l'angolo occidentale dell'Arco di Settimio Severo. Quest'altare comunemente è confuso col Volcanale, il santuario di Vulcano, situato invece altrove.

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STORIA DI ROMA ANTICA // dio Crono. Da una statua conservata nel museo del Louvre di Parigi.

so è a r r i v a t o a c o n c l u s i o n e più tardi sotto la d i n a s t i a e t n i s c a , q u a n d o ormai R o m a è già d i v e n u t a la p r i m a p o t e n z a del L a z i o .

LA DIVISIONE DEL LAVORO E LE DIFFERENZE SOCIALI L'accelerato sviluppo della città e l ' a u m e n t o della p o p o l a z i o n e corrispond o n o a un salto di qualità nella vita dei suoi abitanti, a l m e n o per quelli b e nestanti. A l l a semplice c a p a n n a si sostituisce u n ' a b i t a z i o n e con fondazioni di pietra e muri di mattoni crudi, c o m p o s t a d a più stanze. L e attività principali s o n o ancora la pastorizia e l'attività agricola, m a si registra u n a m a g g i o r e divisione del lavoro. Precedentemente ciascuno si o c c u p a v a di ogni attività destinata ad assicurargli la sussistenza, adesso cominciano a manifestarsi delle differenze sociali c h e h a n n o degli effetti a n c h e sull'assegnazione dei diversi compiti. Si consolida un'aristocrazia c h e si distingue dalla m a s s a p o v e r a che non possiede nulla. Nelle sepolture accanto a t o m b e modeste, c o m p a i o n o altre t o m b e piene di oggetti preziosi e d ' i m p o r t a z i o n e . Il lusso di questa nuova aristocrazia provoca non solo un aumento della produzione di oggetti di consumo (specialmente vasi e vasellame), m a n e stimola anche l'importazione. La ricchezza di queste aristocrazie, diffuse nell'intero Lazio e in Etruria meridionale, è attestata dalle ricchissime tombe principesche di Preneste.

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IL C U L T O DEI LARI E I L O R O TEMPLI I Lari sono i geni (creature divine o spiriti) degli antenati defunti, che proteggono la famiglia dei vivi. Essi somigliano ai Penati, altre divinità tipiche della casa che vegliano sulle provviste familiari (penus). Esiste dunque un culto familiare dei Lari (Lar familiarisj, celebrato dall'intera famiglia intorno al focolare e un culto "esterno", che coinvolge V intera comunità. I Lari (come Lares Compitales, cioè dei crocicchi delle strade) sono intesi come i primordiali abitatori del territorio e diventano gli antenati ideali dei cittadini romani. Durante la festa dei Compitalia, la festa cioè dei crocevia o compita, celebrata i primi giorni di gennaio, è compreso anche un sacrificio a questi Lares che proteggono non la casa ma i luoghi civici. II loro tempio (Taedes LarumJ è situato vicino alla casa di Anco Marcio, nei pressi della porta Mugonia. Un altro sacello o piccolo tempietto dei Lari è collocato nel Foro vicino alla antica porta Romanula.

IL V O L C A N A L E Vulcano (il dio del fuoco identificato con il greco Efesto) è celebrato nelle solenni feste (Volcanalia) del 23 agosto. Come Saturno, è presente nelle origini mitiche di Roma. Vulcano è il padre di Caco, il pastore ladro (per altri un mostro sputafuoco) che pensò di alleggerire Ercole dei buoi di Gerione. Il Volcanale è l'antico santuario dedicato a Vulcano nel Foro Romano ed è spesso erroneamente identificato con Vara di Saturno, vicino all'Arco di Settimio Severo. Gli antichi scrittori ciforniscono precise indicazioni per identificare l'area di Vulcano nel Comizio. Una pietra nera ("Lapis Niger) indica il luogo funesto, dove in circostanze misteriose è morto Romolo, e gli antichi scrittori ci dicono che Romolo è stato ucciso nel Volcanale. È lecito dedurre che l'area di Vulcano coincidesse col complesso del Lapis Niger. Quest'ultimo è stato costruito almeno nel vi sec. a.C. e in quel tempo il Volcanale deve esser stato trasferito nelle vicinanze, forse nella piccola area quadrata che ancor oggi sì vede a 5 metri a sud-est del Lapis Niger. Scavi sotto il pavimento di marmo nero vicino alla Curia Giulia hanno rivelato la presenza di un piccolo santuario (formato da un altare, da un'iscrizione e da una colonna con la statua della divinità) e questo complesso è tuttora visibile vicino alla Curia Giulia, coperto da un pavimento di vetro e da una tettoia di lamiera.

DA PASTORI A MERCANTI La fame di lusso dell'aristocrazia stimola il c o m m e r c i o , favorito anche dalla consueta apertura del m o n d o r o m a n o agli stranieri, che cominciano a stabilirsi nell'urbe. Essi producono non solo terrecotte di alto livello, m a anche n u m e r o si oggetti di bronzo e soprattutto di ferro, destinato a divenire il materiale m a g giormente usato. A b b i a m o così spade, lance, coltelli, fibule (spille o fibbie, che sostituiscono i bottoni negli abiti). A c c a n t o alla produzione c o m u n e , rivolta a una fascia abbastanza ampia della popolazione, sono attestati anche prodotti destinati a un piccolo gruppo ristretto, appunto i m e m b r i dell'aristocrazia. Si tratta di elmi, scudi, carri a due ruote, morsi di cavallo e vasi metallici. L e d o n n e di r a n g o h a n n o i l o r o oggetti di lusso c o m e gli specchi e le p i c c o l e cistae (contenitori cilindrici, in g e n e r e p e r gioielli) lavorate a s b a l z o .

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STORIA DI ROMA ANTICA Pianta e ricostruzione ipotetica dei monumenti sotto il Lapis Niger.

I primi orafi fanno a gara nello stimolare la vanità femminile c r e a n d o oggettini preziosi e delicati, c o m e i primi fermatrecce d'argento e ambra, lavorati a filigrana. L a R o m a dei pastori si è ben presto trasformata in u n importante punto di s c a m b i o tra il m o n d o etrusco e quello greco, desiderosi entrambi di allargare il loro mercato ai R o m a n i , c h e c o m i n c i a n o ad assaggiare i dolci piaceri del lusso.

UN AVVENTURIERO ETRUSCO SUL TRONO DI ROMA

DUE ETRUSCHI SU U N CARRO D u r a n t e il regno di A n c o M a r c i o R o m a (il cui abitato abbraccia Palatino, C a m p i d o g l i o , Celio, Aventino e Gianicolo) diventa u n o tra i centri più importanti del Lazio. L ' e p o c a oscura delle orìgini è o r m a i lontana, e la città appare ai popoli confinanti c o m e un centro che p r o m e t t e di diventare s e m p r e più potente. C o m e nelle origini, in questo m o m e n t o è ancora più forte la sua tipica apertura verso gli stranieri e n u m e r o s e p e r s o n e i m m i g r a n o a R o m a in cerca di fortuna e di ricchezza. Proprio durante il r e g n o di A n c o M a r c i o arriva l'etrusco L u c u m o n e , importante personaggio originario d a l l ' e t n i s c a Tarquinia. Insieme a lui arrivan o la m o g l i e , numerosi familiari e amici, oltre a grandi ricchezze. Alle sue spalle c ' è u n a lunga storia: è figlio d ' u n nobile greco, D e m a r a t o di Corinto, fuggito dalla sua città q u a n d o era salito al potere il tiranno Cipselo. Demarato, d o p o aver caricato su u n a nave le sue ricchezze, aveva deciso di trasferirsi in Etruria: d a t e m p o aveva rapporti commerciali con i Tirreni (così i Greci chiamavano gli Etruschi) e pensava di potersi stabilire in una delle lor o città, che conosceva bene. Scelse Tarquinia, dove aveva numerosi amici a causa dei frequenti rapporti commerciali, e nella città etnisca costruì u n a nuova casa, sposando una nobildonna tarquiniese. D a questo matrimonio erano nati due figli: Arrunte e L u c u m o n e . L a morte del primogenito Arrunte costringe il padre, ormai vecchio, a lasciare ogni suo bene al figlio minore, L u c u m o n e . D e m a r a t o non sapeva che sua nuora, la moglie di Arrunte, era incinta: il b a m bino che nascerà, proprio per la sua completa povertà, sarà chiamato Egerio (povero). L u c u m o n e non p u ò dirsi contento: alle ricchezze paterne non corrisponde la possibilità di rivestire cariche politiche di qualche rilievo. L a sua condizione di figlio d ' u n greco e d ' u n a etnisca lo pone fuori gioco nella concorrenza con gli Etruschi "purosangue". Anche il suo matrimonio con la nobile Tanaquil, si rivela fonte di insoddisfazione, poiché la moglie alimenta la sua ansia di potere e non si accontenta della posizione subordinata del marito. Infine Tanaquil convince Lucumone a partire per Roma, prospettandogli una città "aperta", dove a nessuno sarebbe interessato sapere di chi fosse figlio e d o v e sarebb e stato facile ottenere onori e potere. Seduti sul carro, arrivano sul Gianicolo, in procinto di entrare a R o m a . M a all'improvviso un'aquila planando sulla testa d e l l ' u o m o gli strappa il cappello che, d o p o u n rapido volo, gli rimette sul c a p o . È questa u n a delle p r i m e voi-

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STORIA DI ROMA ANTICA Carta dell'Etrurìa.

te in cui Tanaquil fa sfoggio della sua c o n o s c e n z a di prodigi e auspici, I V ' trusca doctrìna, diffusa e praticata in Etruria. R i c o n o s c e nel volo d e l l ' a q u i la il segno del glorioso destino c h e gli dèi riservano al marito. Così i d u e coniugi, felici e speranzosi, entrano a R o m a .

COME DIVENTARE INDISPENSABILI AL RE E VINCERE IL REGNO C o m i n c i a u n a n u o v a vita p e r L u c u m o n e , c h e c a m b i a il suo n o m e etrusco in q u e l l o r o m a n o di L u c i o T a r q u i n i o ( T a r q u i n i o p e r c h é o r i g i n a r i o di Tarquinia). L a s u a c a s a d i v i e n e b e n p r e s t o n o t a a tutti a R o m a : il n u o v o venuto cerca in ogni m o d o di rendersi amabile, offrendo il suo aiuto a chiunque ne abbia bisogno. Ancora una volta il denaro conosce la strada più breve per raggiungere il cuore e il cervello degli uomini. D a bravo politico Lucio costruisce un ampio consenso intorno a sé, sapendo che ben presto la sua fama arriverà fino al re.

UN AVVENTURIERO ETRUSCO SUL TRONO DI ROMA

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FARE ACQUISTI A R O M A L'esistenza di tabernae, le botteghe per il commercio al minuto, pone il problema di come funzionasse il sistema di compravendita, dato che la moneta non è stata ancora inventata a Roma. Si usano perciò pezzi di metallo il cui valore è calcolato in rapporto al peso. Ogni volta che si deve comprare qualcosa il pezzo di metallo è pesato, dato che non esistono ancora dei pezzi standard con un valore fisso. Dalla fine del vii secolo a.C. e soprattutto nel vi secolo comincia a diffondersi l'uso di barre dì rame ferroso (che contengono cioè circa il 20% di ferro) con un'impronta, simile ad un ramo secco stilizzato. Queste barre del "ramo secco" (da identificare con /'aes signatum o bronzo "segnato", non grezzo, di cui parla la tradizione) divengono la misura di valore e il mezzo d'acquisto più diffuso. Tuttavia l'uso di pesare di volta in volta i pezzi non tramonta. Solo con la vera e propria moneta commercianti e acquirenti metteranno da parte la bilancia.

In p o c o t e m p o Tarquinio Prisco (il primo) diventa intimo del vecchio A n co, fino al punto di essere designato nel testamento c o m e tutore legale dei figli del re. M a i figli del monarca sono già adulti alla morte del padre ed è probabile che la tradizione, presentando Tarquinio c o m e tutore, nasconda un'effettiva associazione al potere: ossia A n c o Marcio, sedotto dai modi gentili e dalle capacità (anche economiche) di Tarquinio Prisco, lo avrebbe associato al trono (come già Romolo aveva fatto con Tito Tazio). È noto che il vecchio re aveva cominciato a dividere i segreti del regno col suo nuovo amico, che era divenuto il suo braccio destro e aveva imparato trucchi e segreti del buon governo. Alla m o r t e di A n c o M a r c i o q u a n d o giunse il m o m e n t o di eleggere un n u o v o monarca, Tarquinio astutamente allontana i figli del vecchio sovrano col pretesto d ' u n a battuta di caccia e per la p r i m a volta i R o m a n i c o n o s c o n o u n a b u o n a p r o p a g a n d a politica, u n g e n e r e destinato ad avere a lungo successo. N e l discorso di Tarquinio, chiaramente falso così c o m e è stato tramandato dalla tradizione, i re precedenti d i v e n g o n o esempi di stranieri che, pur totalm e n t e ignari di " c o s e r o m a n e " , h a n n o ottenuto il regno. Il suo m o d e l l o e il suo e s e m p i o è soprattutto N u m a , v e n u t o a stabilirsi a R o m a n e l l ' e t à in cui si p u ò essere utili alla città. L e parole e gli argomenti dell'etrusco c o n v i n c o n o il p o p o l o c h e accetta l'autocandidatura e Tarquinio è eletto re, così la propag a n d a politica h a fatto il suo ingresso nella storia r o m a n a .

SOLO A ROMA GLI ETRUSCHI? L'instaurazione della dinastia dei Tarquini corrisponde a una più generale affermazione della potenza etnisca, c h e coinvolge tutto il Lazio. Gli Etruschi nell'vra e nel v n sec. a.C. sono al loro apogeo: controllano non solo l'Etruria, m a anche parte della Campania (col centro di Capua). Oltre alla ricchezza di materie prime (feno), il fiorente commercio e una agricoltura, che si avvale delle conoscenze importate dall'Oriente, sono in parte la causa del successo. È inevitabile che il loro controllo si estenda anche sul Lazio, posto proprio in mezzo a due aree fortemente "etruschizzate" e che è una tappa obbligata per andare dall'Etruria in Campania, sia via terra che via mare. Per terra due sono le strade: una è quella interna, l'altra è quella che segue la costa.

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STORIA DI ROMA ANTICA

// Foro Romano in una ricostruzione ideale di L. Canina.

L a prima (quella che sarà la futura via Latina) partendo d a Caere e Veio, d o p o aver oltrepassato il Tevere a Fidene, giunge a Palestrina, senza passare per R o m a . D a qui, superati due facili valichi dell' Appenino, la strada segue il corso del Sacco (l'antico Trerus) e del Garigliano (l'antico Liris). Il guado presso R o m a e quindi R o m a stessa sono invece fondamentali per l'altra strada, la futura via Appia, che corre parallela alla costa. Nella stessa epoca in cui si installano i Tarquini nell'urbe, le principali città del Lazio (Solonio, Ardea, Collazia e Gabii) subiscono una forte influenza etnisca o addirittura ricevono lucumoni etruschi (la parola etnisca corrispondente alla figura del rex latino). L'influenza etnisca e il controllo di alcune città laziali n o n fanno parte d ' u n a m p i o progetto di conquista. In realtà n u m e r o s e città etnische ( c o m e Caere, Tarquinia, Vulci e Veio) sono in lotta tra loro p e r poter espandere il proprio d o m i n i o e il proprio controllo sul Lazio. L'arrivo di L u c u m o n e , alias Tarquinio, così c o m e è narrato dalla tradizione, m a s c h e r a u n ' o c c u p a z i o n e della città. L u c u m o n e (ossia re), c o m e ogni grand e e p o t e n t e aristocratico, g i u n g e i n s i e m e ad u n gran n u m e r o di parenti e d amici (clienti). L o stesso m e z z o con cui viaggia insieme a Tanaquil, il carro {carpentum\ è simbolo del suo rango e del suo potere. In definitiva il racconto tradizionale d ' u n Tarquinio esule e avventuriero n a s c o n d e u n a realtà "vergognosa": R o m a è caduta nelle m a n i di u n a potenza straniera.

TRE RE TROPPO LONGEVI I tre ultimi re etruschi c o p r o n o u n arco di t e m p o di 106 anni, decisamente troppi. S e c o n d o q u a n t o ci è tramandato Tarquinio Prisco avrebbe regnato 38 anni, Servio Tullio 4 4 e Tarquinio il Superbo, l ' u l t i m o re p r i m a della nascita della Repubblica, 25 anni. M a i conti n o n tornano. L u c u m o n e , poi Tarquinio Prisco, d o v e v a avere circa 25 anni q u a n d o aveva abbandonato Tarquinia, n e l l ' e t à in cui voleva intraprendere la carriera politica e aveva cominciato a sentire il p e s o della sua condizione di " s a n g u e m i sto", c o m e freno alla sua ambizione.

UN AVVENTURIERO ETRUSCO SUL TRONO DI ROMA

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A R o m a vive 17 anni, p r i m a c h e la morte di A n c o M a r c i o gli permetta di accedere al regno: aggiungendo anche i 38 anni del suo regno, Tarquinio avrebb e raggiunto gli ottant'anni (25 + 17 + 3 8 = 80). A l l a sua morte i d u e figli, L u c i o e Arrunte, h a n n o rispettivamente 27 e 25 anni. S e Servio Tullio h a regnato per 4 4 anni il p o v e r o L u c i o Tarquinio il Superbo, a l l ' e p o c a del regicidio, q u a n d o scaraventa giù Servio dai gradini della curia, sarebbe o r m a i ultrasettantenne (27 + 4 4 = 7 1 ) . A m m e s s o c h e il clima di R o m a antica preservasse la salute e favorisse una b u o n a vecchiaia, al m o m e n t o della sua cacciata, d o p o b e n 25 anni di regno, Tarquinio il S u p e r b o avrebbe avuto 9 6 anni (27 + 4 4 + 2 5 = 96). Egli sarebb e inoltre vissuto ancora per 14 anni, quelli dell'esilio, così d a diventare ultracentenario (27 + 4 4 + 25 + 1 4 = 110). È evidente che gli antichi storiografi r o m a n i h a n n o dimenticato per strada q u a l c u n o dei Tarquini: d o v e v a essere pesante per l'orgoglio r o m a n o a m m e t tere u n a d o m i n a z i o n e straniera con molteplici re. Forse u n riequilibrio tra i tre re, ricordati dalla tradizione, si ottiene ammettendo semplicemente che Tarquinio il S u p e r b o sia stato il nipote e n o n il figlio del p r i m o Tarquinio.

IL PRIMATO NEL LAZIO E IL CONTROLLO DELLE VIE COMMERCIALI S e c o n d o l ' u s u a l e c o s t u m e r o m a n o , il regno di Tarquinio si apre con una serie di c a m p a g n e contro i Latini e contro i Sabini che h a n n o superato P A m e ne. D o p o aver preso ai Latini Apiolae (forse P o m e z i a ) , il re si volge a Oriente, contro i Sabini. L a vittoria su Collazia, festeggiata col p r i m o trionfo, sancisce il controllo r o m a n o sull'importante asse viario che d a Caere e Veio conduce a Gabii e Praeneste. Egerio, il nipote di Demarato rimasto povero in canna, è p o s t o al c o m a n d o della città, forse c o m e l u c u m o n e . I s u c c e s s i v i s c o n tri c o n i Prisci Latini (o c o n S a b i n i p a s s a t i ai Latini) r i s p o n d o n o alla m e d e s i m a v o l o n t à di c o n t r o l l o d e l l e vie terrestri, c h e p a s s a n o a est della città. Tarquinio, dopo una serie di successi, riesce a occupare alcune delle città latin e situate fra il Tevere e V Aniene: Corniculo, Crustumerio, Ficulea, Cameria, Ameriola, Nomento, Fidene cadono sotto il controllo romano-etrusco. N o n è opposta grande resistenza: solo la popolazione di Corniculo, c o m e quella di Apiolae (la cui conquista h a richiesto un massiccio uso delle armi), è ridotta in schiavitù. È probabile però che si tratti d ' u n a città etnisca, decisa a non rinunciare alla sua posizione. R o m a alla fine di questi scontri esercita il suo controllo sulle località a sud del Tevere per circa 15-20 km, sulla regione dell'Aniene nei pressi della sua confluenza col Tevere, almeno su parte dei colli Albani e sulla sponda destra del fium e (Gianicolo e Silva Mesa). L a popolazione dell'urbe risulta notevolmente ingrandita dalle conquiste. Gli abitanti delle città vinte sono trasferiti a R o m a , dove si stanziano sui colli, acquisendo anche la cittadinanza romana.

LA LEGA LATINA E TARQUINIO PRISCO L a L e g a latina, formata dai trenta popoli albani confederati, si trova a d o v e r fare i conti con la potenza romana. R o m a è ormai u n a città impegnata nella fondazione e n e l l ' i n g r a n d i m e n t o del suo imperium ai danni delle città vi-

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cine. L a città di R o m o l o , divenuta l'arbitro delle sorti del Lazio, è capace anche d'imporre i propri governatori (come Egerio a Collazia). La sconfitta p o litica e sacrale della lega latina è sottolineata dalla costruzione del tempio di Giove Capitolino e dalla creazione dei Ludi magni, i grandi giochi, che si sostituiscono àlleferiae Latinae, celebrate ogni anno dai popoli confederati.

GLI DÈI FRENANO IL RE: UCCELLI E PIETRE TAGLIATE Durante gli scontri con i Sabini Tarquinio Prisco per la prima volta comprende la necessità di disporre d ' u n a cavalleria più n u m e r o s a di quella offerta dalle tre centurie di R o m o l o . D e c i d e di creare altre centurie e di chiamarle col proprio n o m e . M a l ' a u g u r e Attio N e v i o gli si o p p o n e , sostenendo c h e non è realizzabile quanto non è autorizzato dagli uccelli, mediante gli auspici. D re, rosso d'ira, grida ad Attio N e v i o di d o m a n d a r e ai suoi uccelli se è possibile fare quello che lui stesso sta p e n s a n d o in quell'istante. Attio N e v i o , imperturbabile, d o p o aver preso gli auspici, dice c h e è possibile. Tarquinio aveva pensato di tagliare un sasso con un rasoio. Immediatamente, dopo aver sentito il pensiero del sovrano, Attio Nevio divide a metà la pietra.

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IL C A M P O M A R Z I O Con i Tarquini si comincia a parlare del Campo Marzio. Con questo nome, nel suo significato più ampio, si intende tutta la pianura compresa tra il Campidoglio, il Tevere e le estreme pendici del Quirinale e del Pincio. Secondo la tradizione questa porzione di pianura, definita dall'ansa del Tevere, apparteneva ai Tarquini come possesso regio. Nel momento della cacciata diventa un 'area pubblica della città. Anche quest'ampia pianura (campus) è costellata d'acquitrini e paludi. Toponimi come quello di Valle (S. Andrea della Valle, teatro Valle) e di Vallicella ricordano queste bassure, tra le quali era famosissima la palus Caprae (la palude della Capra). Il nome di Campo Marzio non è l'unico assegnato a questo luogo, ma è quello che ha prevalso nel corso del tempo. Esso deriva da un altare d'origine antichissima, dedicato a Marte, dato il carattere militare di questa area (la pianura di Marte, dìo della guerra). Nel Campo Marzio era presente anche il Tarentum (situato con certezza presso ponte Vittorio Emanuele), un santuario dedicato al culto arcaico delle due divinità del regno infernale: Dite e Proserpina. D'origine antichissima era anche il Trigarium (corrispondente all'attuale via Giulia), un terreno adibito alle corse delle trighe, gli arcaici carri tirati da tre cavalli.

Il re, m u t o c o m e conviene in questi casi, rinuncia al suo progetto. L e centurie rimangono i m m u t a t e m a egli a u m e n t a il n u m e r o dei cavalieri portandolo a 1800. Probabilmente con questo ritocco della cavalleria d e v e essere stata avviata la riforma dell'esercito, poi completata d a Servio Tullio.

ROMA CITTÀ "ETRUSCA* Il regno di Tarquinio Prisco rappresenta la sintesi e il completamento di quanto era già stato impostato dai precedenti monarchi. L'effettivo m o m e n t o di svolta per la città si era verificato con A n c o Marcio quando aveva ampliato e fortificato l'abitato (vedi pagine precedenti). Queste premesse sono completate da Tarquinio Prisco, che p u ò essere considerato il nuovo fondatore della "città", intesa c o m e spazio urbano organizzato e articolato. L a grandezza di R o m a e la sua futura potenza si manifestano anche nel prodigioso rinvenimento nello scavo delle fondazioni del tempio di Giove. Sul monte Taipeo di trova una testa u m a n a perfettamente conservata, che diventa il simbolo della posizione di caput mundi, riservata dagli dèi alla città di Romolo. Il monte Tarpeo (chiamato così d a Tarpea) per questa festa {caput) assume il n o m e di Capitolium. L'ingrandimento della città si manifesta chiaramente nella costruzione d ' u n a nuova cinta muraria in pietra, che sostituisce il precedente muro di terra. L a R o m a di A n c o Marcio ruotava intorno al foro Boario, unica area di scambio e di mercato per gli insediamenti dei colli. 11 prosciugamento della valle, che collega il Campidoglio col Palatino e la Velia, permette di costruire nuovi assi stradali e un nuovo spazio civico. U n complesso sistema di canalizzazione, culminante nella Cloaca Maxima (un canale di scolo in parte a cielo scoperto), permette a Tarquinio di drenare le numerose acque e gli acquitrini della valle. Al posto delle capanne nasce u n a vera e propria piazza, dove è possibile vendere, c o m p r a r e , incontrarsi, fare politica. L'augure Attio N e v i o trasporta la ficus Ruminalis dalle pendici del Palatino, presso il Velabro, nel Foro, per sottolineare chiaramente l'importanza politica e religiosa della grande opera di Tarquinio.

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La Cloaca Massima in un'incisione del secolo scorso.

IL LIVELLAMENTO DEL F O R O E LA C L O A C A M A X I M A La pavimentazione del Foro Romano, attualmente visibile, è l'ottava in ordine di tempo e risale a Lucio Nevio Surdino, pretore del 14 a.C, come si legge nell'iscrizione in lettere di bronzo situata vicino alla colonna di Foca, nella parte centrale della piazza. Si ripavimentava il Foro ogni volta che incendi, demolizioni o nuove costruzioni rendevano necessario livellare tutto e sistemare un nuovo piano di calpestio. Tra questi otto strati successivi il pavimento in terra battuta corrisponde alla prima utilizzazione della valle tra Campidoglio e Palatino come piazza della città oforo e risale all'avvento dei Tarquini. Infatti Tarquinio Prisco promuove l'imponente opera di drenaggio della valle, che presentava un fondo sconnesso, solcato da numerosi corsi d'acqua e reso inospitale da molte paludi. La più importante delle numerose canalizzazioni è la Cloaca Maxima (la fogna maggiore). Il suo percorso inizia dal Quirinale per poi dirigersi verso la futura basilica Emilia (subito a destra per chi entra nell'attuale ingresso del Foro), attraversandola obliquamente. Dopo aver piegato in avanti alla volta del santuario di Venere Cloacina, il canale attraversa il Foro e la futura basilica Giulia, descrivendo poi un gomito in corrispondenza del santuario di Vertumno. Sempre zigzagando sbocca infine nel Tevere, vicino al ponte Sublicio. La Cloaca in origine è coperta solo in parte: la sua struttura sotterranea è posta fino a 10 m di profondità ed è alta oltre 4 me larga più di 3 m. Al drenaggio della acque segue il livellamento e la pavimentazione in terra battuta: così la valle tra i colli diviene la piazza dei nuclei abitati situati sui colli.

L e d u e strade, la via Sacra e la via Nova, p r i m a extraurbane, d i v e n g o n o ora percorsi urbani. In q u e s t o m o m e n t o è pavimentata l ' a r e a del C o m i z i o , sottostante alla r o c c a capitolina, forse già utilizzata precedentemente. A questa sistemazione del F o r o e del C o m i z i o corrisponde a n c h e la p r i m a fase costrutti-

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v a in pietra della Regia. D a casa d'abitazione dei re della dinastia etnisca questo complesso assumerà in età repubblicana la funzione di casa di rappresentanza del rex sacrorum. In u n articolato progetto u r b a n o il C a m p i d o g l i o e il suo gigantesco t e m p i o diventano il centro sacro e politico di R o m a , c h e ormai vive della sua piazz a e della sua rocca. F O R O E C O M I Z I O * AFFARI E POLITICA La creazione del Foro corrisponde alVintegrazione definitiva della comunità palatino-veliense col complesso del Campidoglio e del Quirinale. La piazza, segno di una vera propria comunità civica, è ben presto divisa in due settori, ciascuno con funzioni precise. Dopo la prima pavimentazione (risalente a Tulio Ostilio o ad Anco Marcio), al tempo dei Tarquini il Comizio è dotato delle gradinate per accogliere le assemblee. Questa parte del Foro è destinata dunque alla politica e all'amministrazione della giustizia; mentre le attività propriamente economiche si stabiliscono nella parte meridionale del Foro. Le numerose botteghe artigiane, dislocate tutt'intorno per volere di Tarquinio, sono destinate ad attività commerciali sulla base di prodotti più raffinati e riservati a un mercato socialmente più elevato di quelli del foro Boario e del foro Olitorio, riservati allo smercio delle derrate alimentari e del bestiame.

IL T E M P I O DI G I O V E SUL C A M P I D O G L I O La tradizione sul tempio dì Giove Capitolino del Campidoglio presenta qualche incertezza nell'attribuzione all'uno o all'altro dei Tarquini. Tarquinio Prisco l'avrebbe iniziato e Tarquinio il Superbo l'avrebbe concluso. Infine la dedica vera e propria del tempio (si potrebbe dire l'inaugurazione) coincide con il primo anno della Repubblica. Date le dimensioni colossali dell'edificio è lecito pensare che il primo sovrano etrusco abbia edificato il solo grande basamento e parte dell'alzato e che l'ultimo dei re abbia concluso l'intero edificio. Il tempio di Giove è il primo esempio di tempio "tuscanico" (che imita i modelli greci in parte modificandoli), diffuso nell'Etruria e nel Lazio. Prima i palazzi e le regiae ospitavano le divinità gentilizie: ora si costruisce un edificio pubblico funzionale solo al culto delle divinità. Molti culti arcaici preesistenti sono spostati o accolti nel tempio, come Terminus (dio dei confini), ospitato nella cella del dio. L'edificio, orientato secondo un asse nord-sud, misurava 53 m per 63 m circa. È abbastanza difficile ricostruirne puntualmente l'alzato: probabilmente le tre celle (a partire da sinistra di Minerva, Giove e Giunone) occupavano solo parte del podio. Sui lati lunghi sei colonne formavano un colonnato che si arrestava contro la parete cieca di fondo. Le sei colonne della facciata, orientata a sud, insieme ad altri due ranghi di colonne costituivano il sostegno per il tetto del profondo pronao, lo spazio templare che sta davanti alle celle. Il tetto (forse a tre falde) era decorato alla sommità da una statua di terracotta raffigurante Giove in una quadriga. Di questo imponente edificio attualmente rimangono visibili ben pochi resti. Parte dell'angolo orientale della facciata sud si scorge in via del Tempio di Giove, resti della parete nord in piazzale Caffarellì, mentre la parte più cospiscua del nucleo centrale si trova all'interno del museo Capitolino.

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LA REGIA E LA CASA DELLE VESTALI Sappiamo che la casa di Numa era costruita in corrispondenza di quella che sarà la successiva Regia. Gli scavi archeologici hanno dimostrato la presenza di dieci o undici capanne usate fino agli inizi del vii sec. a.C; queste capanne sono distrutte alla fine del vii sec. a.C. e i loro resti raccolti e deposti in alcune buche. Contemporaneamente comincia la costruzione di un primo edificio in pietra. Se Numa ha veramente abitato in questo luogo, la sua casa doveva essere una capanna, simile a quelle rappresentate dalle urne cinerarie etnische. Dopo una prima distruzione Vedificio è ricostruito tre volte: nel secondo quarto del vi sec. a.C, nel terzo quarto e alla fine del secolo. Esiste una straordinaria coincidenza con le fasi salienti dell'ultima storia di Roma monarchica: il regno di Tarquinio Prisco, di Servio Tullio, di Tarquinio il Superbo e la fine della monarchia. In ogni caso l'ultima ricostruzione conferisce alla Regia la struttura che manterrà per sempre. La prima Regia in pietra è costituita da un ampio cortile trapezoidale e da tre ambienti allineati sulla parete di fondo. Questo edificio assomiglia moltissimo ad altre regiae (come quella diAquarossa presso Viterbo e quella di Mudo presso Siena) e ad alcune tombe etnische che le imitano. All'inizio, prima della sua trasformazione in edificio religioso, la Regia probabilmente è stata la vera residenza del re a partire dai Tarquini. Strettamente collegati a questo edificio sono il piccolo tempio rotondo di Vesta e la casa delle Vestali.

VESTA, LE VESTALI CASALINGHE E LA DEBOLEZZA DELLA C A R N E Anche se gli antichi attribuiscono a Numa la creazione delle Vestali, il culto di Vesta è di certo molto più antico. La protezione del fuoco richiama un 'età preistorica in cui esso garantisce la vita per gli uomini: la morte del fuoco o la morte del capo della tribù sono la fine per la comunità. Si capisce perciò perché il focolare del re diventi una sorta di focolare dell'intera città. Il culto di Vesta che lo rappresenta non può essere distante dalla Regia, ma deve addirittura farne parte integrante. Il nome della dea Vesta, corrispondente alla greca Hestia, significa letteralmente casa. Le Vestali assomigliano alle figlie del sovrano addette al focolare della casa reale. Anche i particolari rituali che esse compiono, come la ripulitura dell'"immondizia " o stercus del tempio, successivamente gettata nel Tevere, e la preparazione della mola salsa (farina salata) danno l'idea di sacerdotesse quasi "casalinghe" che accudiscono a una casa speciale. All'epoca di Tarquinio Prisco si completa la costruzione della loro casa (7'Atrium Vestae), collegata col recinto del tempio: si tratta d'un cortile rettangolare orientato secondo i punti cardinali. Sulla parete dì fondo si aprono sei stanze destinate a ciascuna delle Vestali. Le sacerdotesse provengono da famiglie patrìzie, dalle quali sono tratte ad un 'età compresa fra i sei e i dieci anni. Per trentanni devono accudire al fuoco sacro di Vesta e alle altre cerimonie, conservando la verginità. Tarquinio Prisco aumenta a sei il numero delle sacerdotesse e istituisce nuove punizioni per quelle che violano i voti. Il re, capo supremo delle Vestali (come il padre con le sue figlie), può anche condannarle a morte. Per quanto riguarda la pena capitale si possono distinguere addirittura tre diversi fasi. Quella più antica, potremmo chiamarla albana, consisteva nell'uccisione della donna per mezzo di verghe, senza però toccarla con mano. Una seconda fase, numaica, implicava sempre l'uso dì tecniche che impedissero di toccare la colpevole: la si poteva perciò gettare nel fiume, lapidare o seppellire viva. Con Tarquinio quest'ultimo supplizio diventa definitivo e rituale.

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C I R C V 5

// Circo Massimo in un'incisione di Onofrio Panvinio, tratta da De Ludis Circensibus et te Triumphius, 1681.

Al n u o v o asse u r b a n o del F o r o si aggiunge quello rappresentato dalla Valles Murcia, d o v e Tarquinio Prisco crea il Circo M a s s i m o . IL C I R C O M A S S I M O Nell'ampio piano urbanistico di Tarquinio alla bonifica della valle del Foro corrisponde anche quella della valle Murcia situata tra Palatino e Aventino. I riti dedicati a Venere Murcia nella parte sud-ovest del Circo e la presenza di una piscina publica (un laghetto) vicino al tempio della dea, ci dicono molto sulla natura paludosa e malsana del luogo. Questa ampia area, dopo la bonifica, è adibita a circo, uno spazio dedicato ai giochi e alle corse con i cavalli. Per gli spettatori Tarquinio Prisco allestisce sedili di legno (più tardi sostituiti da sedili di pietra) che sono assegnati e divisi fra le curie e i senatori. In questo nuovo spazio civico Tarquinio Prisco celebra per la prima volta i Ludi Magni, dedicati a Giove Capitolino. t

Così a R o m a , d o p o la guerra e la politica, anche il divertimento h a un suo luogo deputato e di notevole importanza.

GLI DÈI ASSOMIGLIANO AGLI UOMINI A l l a c r e a z i o n e di u n a v e r a e p r o p r i a città e t n i s c a c o r r i s p o n d o n o a n c h e profonde modifiche culturali e religiose. A u m e n t a n o i prodotti e i manufatti greci, si modificano i gusti. Rispetto alla religione animistica (ogni cosa, ogni f e n o m e n o è dotato di spirito) c o m i n c i a a diffondersi u n a religione antropomorfica. Gli dèi h a n n o form a e difetti u m a n i , c o m e gli u o m i n i a m a n o e odiano. Solo la morte n o n p u ò

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NASCONO I GIOCHI Le guerre vittoriose di Tarquinio Prisco sono segnate da particolari celebrazioni In occasione della vittoria a Collazia Tarquinio celebra il primo trionfo, la prima processione d'un vincitore. In seguito alle guerre con i Sabini egli istituisce i Ludi Magni (i grandi giochi). Questi giochi sono chiamati così sia per la loro "grandezza", sia perché dedicati a Giove, il più grande degli dèi. Originariamente duravano tre giorni, l'8, il 9 e il IO settembre: la loro massima estensione in seguito raggiunse i quindici giorni, dal 4 al 19 settembre. Non sappiamo esattamente quali fossero le cerimonie e ì giochi dei primi Ludi di Tarquinio. Si svolgevano certamente corse di cavalli e gare di pugilato, con atleti e pugili fatti venire dall'Etruria. Le versioni successive della festa presentavano solenni processioni di fanciulli a cavallo e a piedi nel corteo d'apertura. Seguivano poi ginnasti, cavallerizzi e tre gruppi di danzatori (adulti, adolescenti e fanciulli). I danzatori adulti con elmo crestato e piumato eseguivano una concitata danza di guerra. Nello spazio dedicato alla musica flautisti e citaristi (suonatori di lira a sette corde) intonavano musiche per la folla e per gli dèi. Erano infine portate le statue divine seguite dai sacerdoti che chiudevano la parata, I veri e propri giochi cominciano a questo punto. Si trattava di corse di cavalli e dì carri insieme a diverse gare ginniche, secondo lo schema tipico dei giochi greci. I Ludi dedicati a Giove Capitolino hanno un risvolto politico importante: essi si sostituiscono alle feriae Latinae, le feste dei federati della Lega latina. Fare i giochi a Roma, nel Circo Massimo, ancora una volta sottolinea il controllo, politico e religioso che la città esercita sui Latini.

raggiungerli. D a questo m o m e n t o è massiccia la penetrazione di culti greci attraverso la m e d i a z i o n e etnisca e dalla Magna Graecia.

LA STATUA E IL S U O SCULTORE La produzione di statue divine in terracotta è la grande novità del vi sec. a.C. Questa raffigurazione "fisica" degli dèi va di pari passo, almeno per Roma, con la diffusione di una religione antropomorfica: se gli dèi assomigliano agli uomini, deve essere possibile raffigurarli. La statua di Giove Capitolino, probabilmente commissionata da Tarquinio Prisco allo scultore Vulca di Veio, è stata forse la prima statua in assoluto collocata a Roma. Vulca di Veio è uno dei pochi nomi di scultori arcaici che sono riusciti a vincere la polvere del tempo. Egli risulta il maggiore esponente della coroplastica o scultura in terracotta, caratteristica di quest'epoca. Sappiamo che il suo Giove era seduto e si presentava abbigliato come un sovrano etrusco. Portava la corona aurea e vestiva, sopra una tunica purpurea bordata, la tebenna, il mantello arrotondato etrusco. In mano, come simbolo del suo potere, teneva lo scettro sormontato dell'aquila. Per gli Etruschi le divinità non avevano costumi differenti dagli uomini: così Giove, vestito come un re, abita in un "palazzoprincipesco" (il tempio) insieme alla moglie (Giunone Regina) e alla figlia (Minerva). È chiaro il significato politico e religioso di una simile raffigurazione all'interno dei progetti dinastici della gente tarquinio: Tarquinio Prisco diviene quasi la copia del re degli dèi in terra.

L'innovazione più importante è la sostituzione di G i o v e , M a r t e e Quirino con la triade capitolina di G i o v e , G i u n o n e e M i n e r v a : e la n u o v a triade di-

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Ricostruzione ideale di L Canina del Tempio di Giove Capitolino.

venta il simbolo di R o m a . U n a n u o v a realtà c h e si riconosce c o m e città, richiede a n c h e u n a riforma religiosa e per la p r i m a volta con i tre sovrani etruschi l'introduzione di nuovi culti diventa u n atto politico. L a mentalità religiosa r o m a n a è il risultato d ' u n originario patrimonio ind o e u r o p e o (modificato d a molteplici influssi italici, greci e etruschi) e di numerosi riti per assicurarsi la benevolenza degli dèi. Ciascuna divinità è funzionale a specifiche attività (Diana la caccia, Minerva le arti ecc.). D complesso rituale r o m a n o , gestito in buona parte dal re e dai sacerdoti, cerc a di facilitare i rapporti tra gli dèi e gli u o m i n i . Infatti gli dèi non sono sempre buoni. L e cerimonie e i sacrifici h a n n o lo scop o di r e n d e r e benigna la volontà divina, il numeri. Q u e s t a parola, c h e poi corrisponderà al termine deus (dio), indica proprio la potenza astratta degli dèi. P r i m a delle divinità, in tutto simili agli uomini, è il numen c h e spaventa i R o m a n i , tutti impegnati a renderlo benevolo e favorevole.

LA MONARCHIA ETRUSCAJ CONTINUITÀ E RINNOVAMENTO T a r q u i n i o Prisco, c o m e già d e t t o , p e r p r i m o i n t r o d u c e la p r o p a g a n d a elettorale e si autocandida. In effetti con la dinastia etnisca divengono importanti n u o v i ceti sociali c o m e c o m m e r c i a n t i , artigiani, agricoltori, allevatori. L e minores gentes, di cui parla la t r a d i z i o n e , a p p o g g i a n o il s o v r a n o e a q u e sti n u o v i ceti forse a p p a r t e n g o n o a n c h e i n u m e r o s i etruschi c h e si stabilis c o n o a R o m a . Il s o v r a n o ricambia il loro f a v o r e s c e g l i e n d o n u o v i senatori {patres minorum gentium) tra i g r u p p i familiari e m e r g e n t i e in q u e s t a c i r c o s t a n z a il r e c o n q u i s t a n u o v o p o t e r e .

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I candidati p e r il S e n a t o e r a n o stati scelti fino a q u e s t o m o m e n t o dai m e m bri delle famiglie più importanti, o r a s o n o eletti a d i s c r e z i o n e del re, second o l a sua volontà. Senatori, cavalieri e gentes costituiscono l'articolata b a s e sociale su cui Tarq u i n i o P r i s c o f o n d a il s u o p o t e r e e il s u o s u c c e s s o .

A R T I G I A N I STRANIERI AL SERVIZIO DEL RE Nel corso del vi sec. a.C. si verifica un importante cambiamento nella produzione in terracotta. Questo materiale, prima usato soprattutto per la produzione di oggetti d'uso come vasellame, è ora utilizzato per decorare i nuovi edifici sacri e civili che si vanno diffondendo. Inizia un 'ampia produzione di decorazioni architettoniche, soprattutto lastre, che nelle loro raffigurazioni tengono conto della natura dell'edificio. Se l'edificio è sacro i soggetti preferiti sono processioni e assemblee di divinità Se l'edificio è "civile", come la Regia del Foro, si cercano immagini che richiamino la simbologia del potere. Le lastre fittili (di terracotta) della Regia presentano una processione di felini, tra i quali appare a intervalli un minotauro (l'uomo con la testa di toro), con evidente richiamo al mito di Teseo. Questa produzione comporta anche la nascita dì vere e proprie scuole artigiane, che cominciano a distinguersi nei loro prodotti. A questi esperti artigiani si rivolge anche Tarquinio Prisco per la decorazione architettonica del tempio di Giove e ben presto anche a Roma si avvia una produzione autonoma su modelli etruschi.

I S I M B O L I DEL P O T E R E , U N ' E R E D I T À E T R U S C A L o stretto l e g a m e fra il sovrano e l'esercito (il populus sinonimo di esercito) corrisponde ad u n rafforzamento dhlYimperìum regale (il potere supremo). U n a ricca simbologia costituita d a oggetti di origine etnisca ( m a derivati dal m o n d o greco-anatolico) comincia a rappresentare fisicamente il potere del monarca.

IL QUARTIERE D E G Ù ETRUSCHI Due strade (Vici e non viae) collegano il Foro col Tevere. Uno è il vicus Iugarius (corrispondente grosso modo a via della Consolazione e che sbocca nelforo Olitorio, il mercato delle verdure), l'altro è il vicus TYiscus (corrispondente grosso modo a via San Teodoro e che porta nel foro Boario). Il nome di quest'ultimo (via Etrusco) è legato all'esistenza d'un quartiere degli Etruschi. In Roma antica, come nelle moderne metropoli, grandi concentrazioni di immigrati finiscono col dare il nome alla strada o al quartiere che ne accoglie il maggior numero (come le contemporanee Little Italy o Chinatown negli USA). Generalmente si dice che al tempo di Tarquinio Prisco c'è una massiccia immigrazione di Etruschi, stabilitisi in questa parte della città. È più probabile che la loro presenza sia anche precedente: del resto questa zona è molto vicina al foro Boario, l'area più importante di Roma fin dalla sua fondazione. È probabile che commercianti etruschi si siano stabiliti qui, vicino al guado, quando ancora Roma non controllava completamente il fiume. Segno della presenza etnisca è anche il piccolo santuario di Vertumno, forse collocato in corrispondenza del doppio gomito della Cloaca, subito dietro la futura basilica Giulia. Di questa divinità etnisca non si sa molto: la sua festa era celebrata il 13 agosto, insieme a quella di Diana, era legata alla natura e assomigliava sotto alcuni aspetti a Silvano, divinità dei boschi e dei campi; ma la sua vera caratteristica era la possibilità di mutare forma, assumendo qualunque aspetto.

UN AVVENTURIERO ETRUSCO SUL TRONO DI ROMA

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L e verghe dei fasci, portati dai dodici littori, concretizzano la capacità del re di castigare e di punire. L'ascia legata insieme ad esse è il segno della punizione suprema: la morte, che solo il re può dare. L a sedia curule - un sedile con le g a m b e a x - diviene u n o dei segni deWimperium del re, poi ereditato dai magistrati della Repubblica. L'anello d ' o r o , già usato dai re etruschi, è adottato dalla classe equestre r o m a n a ed è un tipico segno distintivo d ' u n a classe ricca e nobile in una società composita. A questi simboli si aggiungono lo scettro con l'aquila e la corona d ' o r o , entrambi simboli d ' u n potere assoluto, fastoso, tipicamente orientale (vedi box La statua e il suo scultore). L I N T R O D U Z I O N E DEL T R I O N F O A Tarquinio Prisco è attribuita la creazione del rituale del trionfo. In occasione della vittoria a Collazia per la prima volta il re celebra fastosamente il suo successo. La parola "trionfo" deriva dall'etrusco triumpe, un termine che in origine designa una musica e una danza. Il trionfatore, che percorre la città con i suoi soldati, danzando e cantando, è vestito come un lucumone etrusco o come la statua di Giove Capitolino. Porta la toga purpurea (un mantello corrispondente alla tebenna etrusco) e la tunica palmata, una tunica bordata e decorata: in mano ha lo scettro con l'aquila e al collo la bulJa d'oro (una collana-amuleto etrusco). Seduto sul carro, dopo aver completato il percorso processionale attraverso la città, giunge in Campidoglio dove hanno inizio i solenni sacrifici a Giove Ottimo Massimo.

IL RE N A T O DALLE F I A M M E Alla corte di Tarquinio cominciano a verificarsi strani eventi intorno a un bambino di n o m e Servio Tullio. Secondo la tradizione sua madre Ocresia, una nobile donna di Corniculo, divenuta una schiava addetta al fuoco alla corte di Tarquinio Prisco, sarebbe stata fecondata da una scintilla o addirittura da un fallo emerso dal focolare. Un giorno, mentre il piccolo Servio dorme, la sua testa è avvolta da fiamme e il fanciullo placido continua a dormire. Per la seconda volta Tanaquil ha m o d o di manifestare la sua doctrina di origine etnisca. Di fronte alla corte c o m p l e t a m e n t e impazzita, con c a l m a imperturbabile ordina di n o n svegliare il b i m b o e c o n t e m p o r a n e a m e n t e n e annuncia un glorioso futuro. Egli sarà la luce del trono nei m o m e n t i difficili, sarà c o m p i t o suo e di Tarquinio favorire questa gloria infinita. Estinte naturalmente le fiamme, il b i m b o si sveglia. D a questo m o m e n t o sarà allevato nella corte reale, c o m e u n giovane principe, dimostrandone in p i e n o le virtù e le capacità. Sarà così naturale per Tarquinio dargli in sposa sua figlia. N u v o l e scure si a d d e n s a n o sul t r o n o . I figli di A n c o d e c i d o n o di u c c i d e r e T a r q u i n i o p e r vendicarsi di essere stati e s t r o m e s s i dal t r o n o . A s s o l d a n o d u e pastori c h e , i m p r o v v i s a n d o u n a lite nella reggia, c h i e d o n o del re. Il re a c c o r r e p e r p l a c a r e i d u e litiganti, m a al contrario del f a m o s o p r o v e r b i o , il t e r z o (il re) n o n g o d e . I d u e falsi pastori d o p o averlo pugnalato mortalmente fuggono. Tra grida e pianti ancora u n a volta la v o c e di Tanaquil si leva c a l m a e sicura. Fatto c h i a m a r e Servio accanto a Tarquinio morente gli ordina di diventare il n u o v o re di R o m a : dovrà perciò dimenticare la sua origine servile e vendicare suo suocero. Servio accetta.

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STORIA DI ROMA ANTICA Abito di donna romana, incisione di Cesare Vecellio.

I VESTITI DEI R O M A N I Non soltanto il trionfatore e le statue degli dèi indossano un abbigliamento di origine etrusco, ma hanno la stessa origine la maggior parte dei capi del vestiario romano destinato a diventare il simbolo stesso di Roma. La toga o mantello arrotondato, fermato con una fìbula sulla spalla (diverso dal rettangolare greco, himation), i calcei o calzature dalla punta quadrata e dalle quattro stringhe superiori (diverse dalle soleae, i sandali) che derivano dal modello etrusco con la punta "orientale" (simile alle babucce arabe) e le stringhe incrociate tipiche della moda del vii e del vi secolo a. C. : il campestre o corto perizoma che copre le nudità maschili, il suo nome deriva dal fatto che i giovani guerrieri, troppo pudibondi per allenarsi nudi come i Greci, lo indossano per esercitarsi nel Campo Marzio. L'influenza etrusco si manifesta nella preferenza per i pesanti tessuti di lana e nella tendenza a coprirsi molto di più (mantelli, tuniche, cappelli), per obiettive esigenze climatiche, così come nell'uso di abiti più lussuosi di quelli greci e nella sensibilità per le mode. Le vesti dei sacerdoti romani sono il campionario più ampio di abiti etruschi. Come i nostri ordini religiosi hanno conservato per secoli gli abiti tipici del Medioevo, così i principali sacerdozi romani, hanno "fossilizzato" il vestiario di origine etrusco, adottato nel VII e nel vi secolo a.C.

ROMOLO E SERVIO TULLIO N e i r a c c o n t i degli antichi s o l o R o m o l o e S e r v i o Tullio h a n n o a v u t o il privilegio di u n a nascita divina. E s i s t o n o strette c o r r i s p o n d e n z e tra le v i c e n d e del p r i m o e del sesto sovrano di R o m a . E n t r a m b i sono nati dal fuoco, entrambi s o n o figli di u n a d o n n a l e g a t a in q u a l c h e m o d o al fuoco. Infatti R e a Silvia è u n a vestale. O c r e s i a u n a s c h i a v a di g u e r r a a d d e t t a al focolare. Q u e s t ' u l t i m a a s s o m i g l i a m o l t o a u n a s a c e r d o t e s s a sia p e r la n o b i l e origine, sia p e r i suoi incarichi nel p a l a z z o . A n c o r a , R o m o l o e S e r v i o n a s c o n o e viv o n o p a r t e della l o r o infanzia e g i o v i n e z z a in u n a c o n d i z i o n e ( p a s t o r e e schiavo) inferiore alla l o r o n a t u r a e origine. Tutti questi parallelismi p o t r e b b e r o e s s e r e stati creati ad arte m e n t r e S e r v i o T u l l i o e r a a n c o r a v i v o . L ' " u s u r p a t o r e " della dinastia dei Tarquini potrebbe aver volentieri suscitato tutte q u e ste storie e questi racconti p e r rendersi più accettabile ai R o m a n i c o m e m o narca: p e r c h é S e r v i o Tullio è l ' u n i c o r e a n o n e s s e r e eletto dal p o p o l o .

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UN AWENfURIIìRO ETRUSCO SUL TRONO DI ROMA

IL T E M P O D E I I A CITTÀt IL N U O V O C A L E N D A R I O Alla nuova organizzazione della città corrisponde anche la definitiva fissazione del calendario. Come già detto la tradizione attribuisce a Romolo il calendario primitivo di dieci mesi e a Numa quello "scientifico" di dodici mesi lunari. È certo che la dinastia etrusco perfeziona il calendario, fissandolo in una forma che si mantiene inalterata fino alla riforma di Giulio Cesare (il cosiddetto calendario giuliano). Tra i numerosi "calendari" conservatisi, solo quello dipinto di Anzio (scoperto nel 1915) è pregiuliano. Dipinto in rosso e nero, presenta una divisione verticale dei mesi. Luglio e agosto, derivati dai nomi di Caio Giulio Cesare e di Augusto, si chiamano ancora Quintile e Sextile. 1 giorni della settimana, la nundina, sono segnati in nero, tranne il primo giorno in rosso. Accanto alla lettera di ciascun giorno (dalla A alla H) ci sono alcune sigle: F come fastus o giorno in cui è lecito amministrare la giustizia: N come nefastus, cioè non fastus, o giorno in cui non si può amministrare la giustizia e che diventa un giorno di vacanza. I giorni contrassegnati da NP sono i giorni nefasti ma evidentemente con alcune qualità speciali: i giorni con C, comitialis, sono quelli in cui si possono tenere i comizi o assemblee. Infine i giorni con EN sono endotercisi, cioè divisi in tre parti da un 'azione rituale che iniziata al mattino, è poi sospesa, per essere infine terminata la sera. Il giorno è perciò nefastus al mattino e alla sera, fastus durante la pausa. Nel calendario sono indicate in forma abbreviata le divinità e le feste più importanti: ad esempio l'abbreviazione LEMVR (per Lemuria), seguita da una N(nefastus), contraddistingue il 9, VII, il 13 maggio e indica che in quei giorni si celebrava la festa dei Lemures, gli spettri dei morti che invadono il mondo dei vivi. Accanto alle feste fisse (Teriae stativae) ve ne sono anche altre mobili (feriae conceptivaej come le Ambarvalia, le feste dei fratelli Arvali, che non compaiono nel calendario ma sono indicate di anno in anno dai pontefici.

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Una ricostruzione dei Fausti antiates maiores, unico calendario pregiuliano conosciuto.

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IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

UN'ELEZIONE CONTRASTATA Secondo il racconto tradizionale, alla morte di Tarquinio Prisco Tanaquil escogita u n o stratagemma, nel t i m o r e che q u a l c u n o si o p p o n g a a Servio Tullio. Tarquinio abita vicino al t e m p i o di G i o v e Statore, d o v e i percorsi della via Sacra e della via Nova divergono d o p o la porta M u g o n i a . L a regina si avvicina alla finestra del palazzo, che d à sulla via Nova, e si rivolge alle persone lì raccolte, rassicurandole sullo stato di salute del re e dicendo che il re è solo ferito e stordito dal colpo ricevuto: poiché Tarquinio h a bisogno di tempo per riprendersi, è necessario che il popolo obbedisca a suo genero, Servio T\illio, che lo rimpiazzerà nelle sue funzioni più importanti. Allora c o m p a r e Servio, a c c o m p a g n a t o dai littori, e il p o p o l o tranquillizzato torna a casa. D o p o alcuni giorni, q u a n d o la posizione di Servio Tullio è in qualche m o d o consolidata, è annunciata finalmente la m o r t e di Tarquinio.

La morte di Tarquinio Prisco in un'incisione di Bartolomeo PinellL

IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

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I figli di A n c o M a r c i o sono banditi mandati in esilio e Servio celebra un fastoso funerale per Tarquinio, c o m e se fosse morto p o c o prima.

SERVIO TULLIO E LA F O R T U N A ALLA FINESTRA La tradizione sottolìnea che la presa del potere di Servio Tullio era illegale ed era un regalo d'una donna (muliebri dono). Risulta interessante, al di là dello stretto rapporto esistente fra Tanaquil e la Fortuna, la possibilità di cogliere alcuni elementi di origine orientale, all'interno della storia di Servio Tullio. Il tema della "donna alla finestra" è presente due volte nel racconto tradizionale sul sovrano: nella notte la Fortuna era solita entrare furtivamente nella stanza di Servio Tullio; Tanaquil dalla finestra del palazzo reale arringa la folla dopo l'attentato contro Tarquinio Prisco. Esistono stretti legami con l'Afrodite di Cipro (la Venere romana) "che guarda dalla finestra", una divinità rappresentata proprio affacciata a una finestra, e con alcuni episodi biblici come quello di Micol, figlia di Saul e moglie di David. La leggenda sulla regalità di Servio Tullio richiama l'antichissimo mito della dea amante del sovrano, attestato nel Vicino Oriente in tempi antichissimi, poi conservato e diffuso dai Fenìci. Proprio in virtù di quest'amore la dea conferisce il potere a un sovrano "irregolare" e il rapporto privilegiato con la divinità rappresenta la legittimazione della regalità. Non è escluso che questi temi fenici seguano la stessa strada delle merci, degli oggetti che gli abili mercanti fenici trasportano fino al portus Tiberinus, dove forse fino da tempi antichi esìste un loro emporio.

IL RE FUORILEGGE B e n p r e s t o c o m i n c i a n o i p r o b l e m i . P i ù gentes n o n s o n o s o d d i s f a t t e di q u e s t o r e i l l e g a l e . C e r t a m e n t e egli è il g e n e r o del v e c c h i o r e , m a n o n c ' è stata a l c u n a e l e z i o n e , il S e n a t o n o n h a d a t o il s u o c o n s e n s o e p e r g i u n t a n o n s o n o stati p r e s i gli a u s p i c i . S e r v i o T u l l i o , c o n o s c i u t o p e r t e m p o il l o r o m a l c o n t e n t o , c e r c a l ' a p p o g g i o del p o p o l o : in p a r t i c o l a r e , g r a z i e a u n p a r t i c o l a r e g g i a t o p i a n o di r i f o r m e , c e r c a il c o n s e n s o d e l l ' a m p i a fascia d i cittadini indigenti. L a schiavitù per debiti costituisce u n o dei problemi più grossi per la gente più p o v e r a della popolazione. Servio stabilisce c h e il debitore insolvente debba consegnare solo la sua terra e n o n se stesso c o m e schiavo. Per m e g l i o gestire e riscuotere le entrate pubbliche attua il c e n s i m e n t o (misurare il census, la ricchezza) d ' o g n i c i t t a d i n o : c i a s c u n o p a g h e r à p r o p o r z i o n a l m e n t e alle p r o p r i e possibilità. In c o n c o m i t a n z a col c e n s i m e n t o stabilisce c h e le terre c o n q u i s t a t e in battaglia d e b b o n o e s s e r e distribuite fra i cittadini più p o v e r i . Tutte queste iniziative fanno di Servio un personaggio s e m p r e più s c o m o do e, resosi conto del pericolo c h e sta correndo, decide di prendere i suoi avversari in contropiede. Durante u n ' a s s e m b l e a annuncia c h e è costretto ad abb a n d o n a r e la sua carica. C o n parole toccanti, lascia libero il p o p o l o di soggiacere alla violenza di uomini, simili agli uccisori di Tarquinio, che stanno tramando contro di lui e contro i discendenti del vecchio re. M a la folla in lacrime lo trattiene, supplicandolo di rimanere al potere. I suoi sostenitori p r o p o n g o n o allora di fare le elezioni e di regolarizzare la sua p o sizione, trasformando Servio in un re legittimo.

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STORIA DI ROMA ANTICA

LA T O M B A F R A N C O I S A VULCI E L'IMPERATORE C L A U D I O ANTIQUARIO La scoperta a Vulci d'una tomba etrusco della seconda metà del ivsec. a.C. ha dato nuovo spessore alla figura di Servio Tullio. La tomba (chiamata Francois dal nome del pittore A. Franqois che l'ha scoperta nel 1857) presenta due cicli di affreschi, che illustrano episodi di lotte tra capi di città etnische e laziali contrapposti a episodi della guerra di Troia. Ogni figura è accompagnata da un 'iscrizione dipinta in lingua etnisca, che indica il nome del personaggio. Abbiamo così Marce Camitlna che pugnala Cneve Tarchunies Rumach (Cneo Tarquinio da Roma); Calìe Vipinas (Celio Vibenna) che libera Macstrna legato; Laris Papathnas Velznach (da Volsinii) che trafigge Larth Ulthes: Rasce che colpisce Pesna Arcmsnas Sveamach (da Sovana): Aule Vipinas (Aulo Vibenna) che colpisce Venthical [...] Plsachs (forse da Falerii Veteres). La mancata menzione per alcuni di loro della città di provenienza indica che si trattava di personaggi di Vulci, mentre per altri il nome costituito da un solo membro (Macstrna e Rasce) può voler indicare che erano a tal punto noti da non avere bisogno di ulteriori precisazioni. L'insieme di questi duelli fa pensare a uno scontro tra Vulci e altre città etrusche e laziali. Un passo della famosa tabula di Lione, recante la trascrizione di un discorso al Senato dell'imperatore Claudio, per la concessione della cittadinanza agli abitanti della Gallio, getta luce sui personaggi raffigurati nella tomba e sul loro spessore storico. Infatti l'imperatore rifacendosi a storici etruschi identifica Mastarna con Servio Tullio. Sappiamo che l'imperatore era un grande etruscologo, forse una delle ultime persone che conoscevano la lingua etrusco, destinata poi a diventare (e in parte a rimanere) un mistero. Il nome Macstrna è la versione etrusco della parola latina magister, il condottiero capo dell'esercito. È menzionato storicamente Servio TullioMastama, liberato da Celio Vibenna, il compagno che lo seguirà anche a Roma, insieme al fratello Aulo Vibenna e al romano Cneo Tarquinio, non altrimenti noto. Questo confermerebbe in parte la possibilità che Roma abbia conosciuto più re chiamati Tarquinio. Servio Tullio sarebbe stato un condottiero di Vulci e, grazie all'aiuto dei suoi compagni fsodales), in particolare Celio Vibenna, si sarebbe impadronito del trono romano, usurpando i diritti della dinastia dei Tarquini.

LA CITTÀ RIFORMATA P e r c o m p r e n d e r e la portata i n n o v a t i v a del r e g n o di S e r v i o , le sue riforme d e b b o n o e s s e r e c o n s i d e r a t e c o m e parti d ' u n i n s i e m e o r g a n i c o . L ' o r d i n a m e n t o censitario c o r r i s p o n d e alla riforma d e l l ' e s e r c i t o , c o m e la distribuzion e delle terre corrisponde alla creazione di soldati-contadini, c h e costituiranno la v e r a forza del m o n d o r o m a n o , a l m e n o fino al n s e c o l o a.C. L a t r a d i z i o n e ci t r a m a n d a u n ' o r g a n i z z a z i o n e in c i n q u e classi, m a è p r o b a bile c h e l ' o r i g i n a r i a d i v i s i o n e s e r v i a n a fosse m o l t o più s e m p l i c e , forse a d d i rittura di sole d u e classi. A d o g n i m o d o si s a c h e p e r a p p a r t e n e r e alla p r i m a è n e c e s s a r i o u n p a t r i m o n i o di 100.000 assi; p e r la s e c o n d a classe d a 10*0.000 a 7 5 . 0 0 0 ; p e r la terza di 5 0 . 0 0 0 ; p e r la q u a r t a di 2 5 . 0 0 0 assi; p e r la q u i n t a di 11.000 assi. Tutti c o l o r o c h e n o n p o s s i e d o n o n e m m e n o 11.000 assi s o n o contati p e r sé {capite censi) e n o n s o n o sottoposti al servizio militare. Q u e sta d i s t i n z i o n e si l e g a s t r e t t a m e n t e a l l ' o r g a n i z z a z i o n e d e l l ' e s e r c i t o . Nella R o m a arcaica i soldati d e v o n o p r o v v e d e r e a p r o p r i e s p e s e al loro a r m a m e n to. D i s t i n g u e r e s e c o n d o la ricchezza p e r m e t t e di d i s t i n g u e r e i soldati second o le a r m i c h e p o s s o n o p e r m e t t e r s i . Q u e s t o spiega p e r c h é la cavalleria è a p p a n n a g g i o delle gentes più potenti, le sole a potersi p e r m e t t e r e l ' a c q u i s t o e il m a n t e n i m e n t o d ' u n c a v a l l o .

IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

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L'ASSE Per tutti i Latini /'asse è sinonimo dell'unità di base, sia monetaria sia ponderale. In origine equivaleva a una libbra (327,5 g) di rame in barre; successivamente sulla base della libbra sono state "fuse " monete lenticolari, molto irregolari. La lega delle prime monete (circa 66% di rame, 20% di piombo, 6% di stagno) corrispondeva a quella adoperata per gli oggetti d'uso comune. Sembra che le prime "vere" monete siano state coniate alla metà del v secolo a.C. L'asse si divideva in 12 once ed esistevano monete frazionarie (come il semiasse = 6 once) o monete multiple (2, 3, 5,10 assi).

I m e m b r i della prima classe sono divisi in ottanta centurie, quaranta per i più anziani (senjores dai 4 6 ai 6 0 anni), quaranta per i più giovani (juniores dai 18 ai 4 6 anni). L a seconda, terza e quarta classe sono divise in venti centurie, dieci di senjores o dieci di juniores. L a quinta conta trenta centurie, divise a metà fra i più anziani e i più giovani. A queste centurie se n e aggiungono due di g e nieri (carpentieri e fabbri) e d u e di musici (trombettieri e suonatori di corno).

L'ESERCITO OPLITICO E IL CITTADINO-SOLDATO O g n i classe h a u n particolare a r m a m e n t o (panoplia). I m e m b r i della prima p o r t a n o T e l m o , lo scudo circolare, la corazza c h e protegge il torso davanti e dietro fino all'inguine e i gambali, il tutto di bronzo. L e armi offensive s o n o la lancia e la spada corta. Quelli della seconda classe, privi soltanto della c o razza, h a n n o lo scudo allungato, rettangolare e le m e d e s i m e armi della prim a . I soldati della terza s o n o sprovvisti di gambali. P e r la quarta c a m b i a n o le a n n i , costituite dalla lancia e dal giavellotto. I soldati della quinta, di cui fanno parte anche i musici, s o n o quasi d e l tutto privi di armi, dal m o m e n t o che usano solo la fionda e i proiettili di pietra. L e p r i m e tre classi costituiscono il vero esercito, c o m e si d e d u c e dal loro a r m a m e n t o . L a divisione in centurie, benché possa sembrare artificiosa, corrisponde all'esatta definizione

Soldati romani in combattimento. Disegno tratto da un antico stucco.

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STORIA DI ROMA ANTICA

della legione romana classica (40+10+10 centurie = 6000 uomini). L'esercito oplitico (oplita u o m o armato, dal greco oplon) creato d a Servio costituisce l'esatto r a d d o p p i a m e n t o dell'esercito r o m u l e o c o m p o s t o di 3 0 0 0 uomini. Per essere efficaci, gli opliti d e b b o n o essere schierati in formazione di m a s sa c o m e la falange, costituita da parecchie file di soldati: in media otto. Il buon esito d ' u n o scontro tra d u e falangi dipende dalla saldezza e coesione dei suoi componenti, gli opliti: dipende d u n q u e dalla solidarietà civica.

LA CAVALLERIA E LA CRISI DELL'ESERCITO GENTILIZIO A Servio si attribuisce il p o t e n z i a m e n t o della cavalleria, insieme alla creazione della legione di opliti. L e 18 centurie di cavalieri dell'esercito servian o (costituite dai cittadini più ricchi) sono il risultato delle centurie reclutate tra i primi cittadini (ex primoribus civitatis). N o n o s t a n t e il potenziamento della cavalleria, c h e g o d e anche di particolari diritti di voto, con Servio Tullio tramonta l ' i m p o r t a n z a del c o m b a t t i m e n to a cavallo e su carro, tipico delle lotte aristocratiche. P e r questo precedentemente la guerra era appannaggio dell'aristocrazia e l'esercito era organizzato soprattutto su b a s e gentilizia. C o n Servio la proprietà fondiaria diventa la b a s e per l'arruolamento. Il possesso della terra è una prerogativa tipica dei cittadini, cioè di coloro che godono la totalità dei diritti della città. La riforma serviana ha il merito di sostituire un esercito cittadino a un esercito gentilizio e di essa fa parte anche la divisione territoriale della popolazione, così le tribù territoriali prendono il p o sto delle curie.

L'ASSEMBLEA DEL CITTADINCHSOLDATOS I COMIZI CENTURIATI I cittadini g o d o n o particolari diritti politici, in proporzione al servizio fornito d a ciascuna classe nell'esercito. E probabile che la creazione dei c o m i zi centuriati (assemblee del p o p o l o , diviso in centurie) in sostituzione dei c o mizi curiati, sia c o n t e m p o r a n e a alle riforme serviane, cui è strettamente legata. La novità consiste nel fatto c h e questa n u o v a assemblea presenta u n a diversificazione nei diritti di ciascuna delle sue c o m p o n e n t i . C o m e u n esercito essa si riunisce fuori dalla città, nel C a m p o M a r z i o , d o v e ciascuna delle 193 centurie rappresenta u n a sola unità di voto. I capite censi sono riuniti in u n a sola centuria, m e n t r e le d u e centurie del g e n i o v o t a n o con la prima e le d u e dei musici con la quarta. L ' o r d i n a m e n t o censitalio corrisponde alla n u o v a realtà cittadina della R o m a dei Tarquini. L a struttura sociale, s e m p r e molto elastica e aperta a stimoli esterni, inizia ora a dare segni di cedimento. L e antiche gentes c o m i n c i a n o a rivendicare i privilegi della loro condizione: b a n d e armate e fazioni, c o m e quella ad e s e m p i o dei Marcii, sconvolgon o la quiete. L e n u o v e gentes, giunte anche al Senato, rivendicano al contrario spazi più ampi nella vita politica. Ai diritti dell'antica aristocrazia si contrappone o si sostituisce il diritto del n u o v o denaro. La riforma di Servio può sembrare ispirata a princìpi di eguaglianza, m a in realtà

IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

assegna nuova forza politica alle classi più ricche. L'assemblea e la distribuzione dei voti sono infatti articolati in m o d o che nelle votazioni la maggioranza automaticamente spetti alle centurie dei cavalieri e alla prima classe. Col voto per centurie le classi più ricche raggiungono il totale di 98 voti, con una maggioranza di tre voti sulla s o m m a totale dei voti delle altre classi (95).

LA NUOVA DIVISIONE TERRITORIALE C o m e già anticipato, Servio Tullio modifica le istituzioni e la suddivisione della popolazione: infatti è c a m b i a t o il vecchio o r d i n a m e n t o in tre tribù gentilizie (Tities, Ramnes, Luceres) e in curie. L o stretto l e g a m e esistente tra il cittadino, possessore di terra, e il soldato c o m p o r t a u n a n u o v a divisione del territorio in tribù, intese c o m e circoscrizioni territoriali, cui si appartiene in

PORTUNUS Il santuario di Portunus era situato vicino al Tevere, presso la porta Humentana, fuori dal perimetro delle mura serviane. /Portunalia,/4?.sta del calendario «nomano» erano celebrati il 17 agosto. Portunus, divinità «legata alle porte» (non solo al portus come si potrebbe credere), si identificava con Melicerte-Palemone figlio di Ino-Leucotea, quindi è particolarmente legato alla Mater Matuta del foro Boario. Del resto è comprensibile il legame tra la porta e il porto che questo culto sembra simboleggiare. Portunus, in quanto custode delle porte, può essere interpretato come custode del porto, l'ingresso fluviale-marino alla città. Il tempio arcaico di questa divinità è ignoto e probabilmente nuovi scavi, sono il tempio rettangolare sul Tevere - identificato quasi con certezza con Vedificio sacro a Portunus - permetteranno di conoscere un altro tempio «serviano», coevo a quello di Mater Matuta-Fortuna.

// tempio di Portunus detto della Fortuna Virile, incisione di G. B. PiranesL

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STORIA DI ROMA ANTICA

b a s e alla residenza, L e n u o v e tribù territoriali, u r b a n e e rustiche (della c a m p a g n a ) , r a p p r e s e n t a n o la n u o v a articolazione della città serviana. D territorio urbano è diviso in quattro tribù (la Palatina, la Collina, la Suburana sul Celio, VEsquilino) e R o m a diviene la «città delle quattro regioni». L e tribù r u s t i c h e (le p i ù a n t i c h e s o n o l a Lemonia, l a Voltinia, l a Camilia, l a Follia, l a Pupinia, la Romilia) c o r r i s p o n d o n o p r o b a b i l m e n t e , c o m e si d e d u c e d a l n o m e di a l c u n e di e s s e , ai pagi (i v i l l a g g i ) c h e c i r c o n d a n o l a città, c o p r e n d o p r o b a b i l m e n t e t u t t o il t e r r i t o r i o r o m a n o p i ù a n t i c o (Vager Romanus antiquus).

LA GRANDE ROMA DEI TARQUINI L ' o r g a n i z z a z i o n e d e l l o spazio u r b a n o e d e x t r a u r b a n o c o m p o r t a u n a n u o v a definizione del p o m e r i o r o m u l e o , il limite giuridico-sacrale (vedi il s e c o n d o capitolo) è o r a a m p l i a t o p e r c o m p r e n d e r e a n c h e il V i m i n a l e e l ' E s q u i l i n o . S e r v i o T u l l i o p o r t a a t e r m i n e l a s t r a o r d i n a r i a ristrutturazione d e l l o s p a zio urbano, iniziata da Tarquinio Prisco: così riorganizza insieme la città fisica e i suoi abitanti. Il s e n s o di q u e s t a città, q u a s i " r i f o n d a t a " , è d a t o d a l le g i g a n t e s c h e m u r a " s e r v i a n e " , c h e c i r c o n d a n o l ' a b i t a t o p e r u n a l u n g h e z z a di c i r c a 11 k m .

L'ANELLO DELLE M U R A SERVIANE Prima della cinta muraria serviana Roma aveva conosciuto altre forme di fortificazione, come le Carinae e il murus terreus di Anco Marcio. Secondo la tradizione Tarquinio aveva costruito il primo muro di pietra, poi inglobato in quello serviano. Un tratto ben visibile è quello situato in via del Teatro di Marcello: cinque filari di blocchi quadrati in cappellaccio (un tufo friabile che si estrae dal sottosuolo urbano), inseriti in un muro moderno. Qui sì apriva la porta Catularia che dava accesso al Campidoglio. Dall'altra parte del colle si apriva la porta Fontinalis, dalla quale partiva il vicus Lautumiarum (le lautumiae erano le cave di pietra) verso il Foro. Le mura continuavano poi verso la sella tra Campidoglio e Quirinale, tagliata successivamente dal foro di Traiano. Sulla cresta del Quirinale si aprivano la porta Salutaris e la QuirinaJis. Dopo un percorso in salita le mura giravano verso sud, costituendo la protezione della parte orientale della città, quella maggiormente esposta. Qui erano situate la porta Collina (i resti nel Ministero delle finanze), la porta Esquilina (arco di Gallieno) e la porta Viminalis (piazza dei Cinquecento). Da questa ultima porta usciva il vicus che andava a formare le vie Nomentana e Salaria. Questo tratto delle mura era fortificato anche da un terrapieno (agger) e da una fossa Dopo la porta Viminalis il tratto sicuramente meglio conservato è quello sul fronte della stazione Termini. Altre porzioni di mura si vedono in piazza Manfredo Fanti e in via Carlo Alberto, poco lontano dalla porta Esquilina Qui finiva anche la parte fortificata dal terrapieno e da questo punto diviene più difficile seguire l'andamento delle mura Altro tratto notevole è quello in viale Aventino, lungo 42 m e alto circa 8. L'Aventino era probabilmente incluso nella prima cinta e nel tratto tra il Piccolo e il Grande Aventino si aprivano le porte Naevia, Raudusculana e Lavernalis. È pressoché impossibile stabilire quale fosse il percorso tra Aventino e Campidoglio. E probabile che le mura corressero parallele al Tevere, includendo il foro Boario dove si trovava la porta Triumphalis, che sostituirà il già noto Tigillum Sororium, come ingresso della città per il comandante vincitore. In quest'area erano situate anche la porta Trigemina (vicino a Santa Maria in Cosmedin), la Flumentana (presso il tempio di Portunus) e la Carmentalis (presso l'area sacra di Sant'Omobono).

IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

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La porta Viminale in una xilografia di A. Loretì.

L'intensa crescita edilizia e urbana di R o m a durante il regno di Servio Tullio è nota nelle aree m a g g i o r m e n t e interessate e m e g l i o conosciute ( c o m e il C o m i z i o , la Regia, il foro Boario), a n c h e attraverso i numerosi rinvenimenti di terrecotte architettoniche appartenenti ai n u m e r o s i edifici pubblici e sacri edificati in questo m o m e n t o sulla Velia, presso il Tevere, sull'Esquilino. Il C o m i z i o , in coincidenza con l ' a v v e n t o del n u o v o re, è " m o n u m e n t a l i z zato". I frammenti di lastre architettoniche che raffigurano processioni di cavalieri e di carri (appartenenti forse agli spioventi della Curia senatus) e il cippo con la legge sacra o Lapis Niger confermano la sacralità e il significato politico di q u e s t ' a r e a . L ' a r e a del foro B o a r i o h a u n a p o s i z i o n e c e n t r a l e nel p r o g e t t o u r b a n o di S e r v i o . Q u e s t i a b b a n d o n a il t e m p i o c a p i t o l i n o , c h e s a r à c o n c l u s o dal s u o successore, e d e d i c a particolare attenzione alla Fortuna, sua d e a protettrice. B e n c h é a S e r v i o s i a n o attribuiti n u m e r o s i t e m p l i d e d i c a t i alla d e a F o r t u na, c o n o s c i a m o e p o s s i a m o localizzare soltanto q u e l l o situato n e l l ' a r e a sac r a di S a n t ' O m o b o n o . E d i l i z i a sacra e s u p r e m a z i a p o l i t i c a v a n n o di pari p a s s o a n c h e d u r a n t e il r e g n o di S e r v i o T u l l i o . C o m e p e r T a r q u i n i o l ' e d i f i c a z i o n e del t e m p i o c a p i t o l i n o a v e v a significato s p o g l i a r e il s a n t u a r i o di G i o v e L a z i a l e della sua i m p o r t a n z a politica e religiosa, così la c o s t r u z i o n e del t e m p i o di D i a n a v o luta d a S e r v i o T u l l i o d à u n ulteriore c o l p o alla g i à v a c i l l a n t e L e g a latina e al s a n t u a r i o federale di D i a n a A r i c i n a . L'edificio situato fuori dal p o m e r i o sull'Aventino, il colle " p l e b e o " , gode del diritto di asilo, perpetuando una tradizione che risale addirittura a Romolo. A c c a n t o all'edilizia pubblica e sacra il r e g n o di Servio Tullio è caratterizzato anche dalle p r i m e domus aristocratiche. L e ricche, grandiose e sontuose dimore che occupano l'area tra Velia e Palatino confermano il racconto tradizionale sulla venuta di gentes straniere (soprattutto etnische) che si trasferiscono a R o m a con amici, parenti e ricchezze. L o scavo del g r a n d e abitato arcaico sulla Laurentina (forse l'antica Tellenae: c o n u n a necropoli e u n a fattoria del vi secolo a.C.) insieme ad altri sca-

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STORIA DI ROMA ANTICA

IL CULTO DI F O R T U N A E DI M A T E R M A T U T A // rapporto privilegiato di Servio Tullio con la dea Fortuna porta ali edificazione di numerosi templi. La tradizione ricorda un edificio sacro eretto dal re nel foro Boario e il tempio della Mater Matuta. Matuta allude al suo aspetto mattutino fmatutinus) o aurorale; infatti la sua festa, i Mattalia, celebrata VII giugno, annuncia Vaurora del giorno più lungo dell'anno, il solstizio d'estate che arriva il 21 giugno, così i Matralia sono l'aurora del secondo semestre dell'anno. Ben presto questa divinità latina si identifica con la greca Ino-Leucotea. Ino è la sorella di Semele, madre di Dioniso, e - per salvare il figlio Melicene dal marito impazzito - si getta nel mare, diventando una divinità marina, Leucotea. Le più antiche leggende romane raccontano che lno-Leucotea sarebbe stata accolta col figlio MelicertePalemone da Ercole nel foro Boario, dove sarebbe stata ospitata dalla ninfa Carmenta. Ino-Leucotea, identificata con la Mater Matuta, è la protettrice della maternità, della navigazione e infine dei commerci, data la sua localizzazione nel foro Boario. È uno dei culti emporici, come quello di Ercole e quello di Portunus, strettamente legati al significato e alla funzione del foro Boario e del portus Tiberinus in particolare. Il gioco delle identificazioni non finisce qui. La divinità del foro Boario presenta anche caratteristiche virginali e guerriere, tipiche di Minerva (la greca Athena), di Venererà greca Afrodite) e di Fortuna, la dea capricciosa che concede i suoi favori all'uomo da lei prescelto. Non per nulla VII giugno è celebrata anche la festa di Fortuna.

L'AREA S A C R A DI

SANTOMOBONO

Gli scavi archeologici sotto la chiesa di Sant'Omobono hanno identificato un'area, che comincia a essere «sacra» dalla fine del vii secolo a.C. La costruzione del primo tempio arcaico coincide perfettamente col regno di Servio Tullio. Sempre in età serviana c'è un primo rifacimento: e su una grande piattaforma sono edificati due templi gemelli separati, uno per Fortuna e uno per la Mater Matuta. Poi tutto è distrutto alla fine del vi secolo a.C, come la Regia e il Comizio, in stretta coincidenza col crollo della monarchia etnisca. Al primo rifacimento di questo tempio risalgono numerose terrecotte architettoniche (simili a quelle del Comizio, del Campidoglio e della Regia) e i frammenti di due statue acroteriali (collocate sul culmine del tetto): sembra probabile però che si tratti di Ercole e di Atena, che accompagna l'eroe divinizzato nell'Olimpo. Questo gruppo avrebbe un particolare significato nel tempio di Fortuna, perché simboleggerebbe la legittimazione del potere regale donato dalla dea. Dall'altra parte Pisistrato, tiranno di Atene e altro sovrano illegittimo, per riconquistare il potere finge di essere accompagnato sulVacropoli dalla stessa Atena, in realtà una donna travestita da dea. L'abbigliamento di Ercole, che porta la pelle di leone (la leonté, allacciata alla «cipriota» ossia alla «fenicia»), potrebbe significare che la dea sarebbe Afrodite (in fenicio Astane). Quest'ultima come Atena protegge il suo eroe, quindi protegge l'uomo (Ercole è un eroe, non un dio) cui ha dato il potere: evidente richiamo al panicolare rappono di Servio Tullio con Fonuna, la dea sua amante.

vi archeologici permette di avere u n ' i d e a del p o p o l a m e n t o delle c a m p a g n e e delle distribuzioni di terra c h e la tradizione ricorda. L ' a u m e n t o della p o p o l a z i o n e (30-40.000 p e r s o n e ) c o m p o r t a u n allargam e n t o dello spazio u r b a n o abitato, e la R o m a delle "ivRegiones" si estende

IL RE RIFORMATORE, IL RE TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

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LE D O M U S ARISTOCRATICHE DEL P A L A T I N O Le vicende più importanti della storia dei Tarquini e di Servio Tullio si svolgono nel Foro, quasi a testimoniare che questo spazio, ormai monumentalizzato, è il centro della città e della sua storia. Tarquinio Prisco e Servio Tullio abitano nella parte orientale del Foro, vicino all'Atxìum Vestae e al tempio di Giove Statore. In quest'area, sulle pendici settentrionali del Palatino, sono edificate grandi domus aristocratiche, dove abita la nuova aristocrazia (le minores gentesj, sostenitrice della dinastia etrusco. L'edificio meglio conservato ha una forma quasi rettangolare e misura circa 23 x40 m. La parte che si affaccia sulla via Sacra è occupata da tabernae, i negozi voluti da Tarquinio Prisco. L'ingresso della casa si trova nella parte orientale, dove si apre un grande hortus (il giardino), di forma allungata e alberato. L'ingresso principale immette in un'ala Pinelli).

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STORIA DI ROMA ANTICA.

colonia e confiscato il porto. Infine sono re\ocati il diritto di matrimonio, di c o m m e r c i o e di riunione delle altre città. I registrati romani diventano anche i magistrati dei Latini: R o m a , d a città più giande, diventa la capitale del Lazio, fi suo territorio è quasi raddoppiato e giurge a coprire u n ' area di 6000 kmq, mentre sono create altre due tribù r u s t i c h e j a Scaptia e la Meda. L a deduzione d ' u n a colonia r o m a n a ad AJIÌÌO (la seconda d o p o Ostia) e più a sud, a Terracina (328 a . C ) , mostra l'intento ci conquistare la costa e di rafforzare c o n presidi militari il territorio appena conquistato.

L'ESPANSIONE ROMANA IN CAMPANIA D o p o la guerra latina gli interessi romani sulla C a m p a n i a diventano evidenti nel trattaménto differenziato verso le città greche. Fondi e F o r m i a ricevono la cittadinanza senza diritto di voto, mentre il fertilissimo territorio (ager Falernus) della ricca C a p u a è confiscato e distribuito ai cittadini r o m a n i e nel 318 a.C. si creano le tribù Falerna e Oufentina. I R o m a n i p r e m i a n o la fedeltà dei cavalieri c a m p a n i , c h e non h a n n o defezionato durante la guerra latina, e c o n c e d e soltanto a loro la cittadinanza, rifiutata invece al resto della p o p o lazione. In pratica l'alleanza con i ceti dirigenti cittadini tende a prevenire il pericolo di future rivolte. L a deduzione di colonie di diritto latino a Cales (334 a.C.) e Fregellae (328 a . C ) fortifica la via Latina (il percorso interno c h e collega R o m a a C a p u a ) e completa il controllo della regione tra il Liri e il Volturno, rinnovando i m o tivi dello scontro c o n i Sanniti. Ormai gli interessi delle due parti sono in netto contrasto ed è chiaro che la componente greca presente in Campania occupa u n ruolo chiave nelle possibili spartizioni.

LA N U O V A M O N E T A Z I O N E Fino alle guerre sannitiche Roma ha conosciuto due tipi di moneta, /'aes grave, una barra di bronzo senza segni distintivi, e / 'aes signatura, attribuito a Servio Tullio (vedi capitolo Un avventuriero etrusco sul trono di Roma). / / trattato d'alleanza con i Campani (326 a. C.) lascia un segno anche nella monetazione. La zecca di Napoli produce per gli alleati una moneta simile alla propria, salvo nella "leggenda": prima Rhomaion (in greco), poi Romano. Non è ancora chiaro cosa significassero e che scopo avessero questi coni; non è escluso però che fossero un segno della volontà dei commercianti romani di infiltrarsi nelle rotte del grande commercio greco, che aveva in Napoli uno dei centri principali. Nel 289 a.C. sono creati i «triumviri monetali» o magistrati predisposti alla monetazione; mentre la zecca è posta vicino al tempio di Giunone Moneta, dedicato nel 345 a. C, che lascia il suo epiteto a quella che tuttora chiamiamo moneta. Imprima moneta d'argento è coniata nel 269 a.C. sotto il consolato di Quinto Ogulnio e di Caio Fabio; il denario d'argento vale dieci assi dì bronzo, sul retro è- incisa IIimmagine dì Ercole e sul verso la lupa che allatta i •gemelli.

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LA SECONDA GUERRA

L'aristocrazia greca di N a p o l i , chiaramente antisannita e decisa a tutto p u r di liberarsi dell invasore, p r o m u o v e la guerra. Napoli era stata fondata da Cum a nel v n secolo a . C sulla collina di Pizzofalcone (Parthenope o Paleapo9

L'EGEMONIA NELL'ITALIA CENTRO-MERIDIONALE

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lis la vecchia città), m a nel 4 7 0 a.C. la città era stata ricostruita e spostata a est (Neapolis, la città nuova). I Sanniti d a t e m p o si erano infiltrati tra gli originari abitanti greci al punto che, q u a n d o l'aristocrazia si allea c o n i R o m a ni ( c o m e aveva già fatto quella c u m a n a ) , la plebe insieme ai Sanniti si ritira a Paleapolìs. L a città vecchia d o p o un lungo assedio si arrende al console Publilio Filone. Il trattato che n e segue (326 a.C.) c o n t e m p l a condizioni molto favorevoli per i vinti e d a questo m o m e n t o inizia la politica fìloellenica, c h e caratterizzerà i successivi rapporti col m o n d o greco. M a il trattato con N a p o l i esaspera i rapporti con i Sanniti, già deteriorati durante l'assedio. Gli scontri armati c h e seguono sono c o m u n e m e n t e chiamati seconda (3263 0 4 a.C.) e terza (298-290 a.C.) guerra sannitica. In realtà sono u n ' u n i c a lunga ed estenuante guerra (interrotta d a periodi di tregua), nella quale è coinvolta la m a g g i o r parte delle popolazioni italiche, alleate con l ' u n o o con l'altro dei contendenti. 9

LA R I F O R M A DELL'ESERCITO E LE A R M I DEL L E G I O N A R I O L'esperienza della prima guerra sannitica, durante la quale la parte più povera dell'esercito si rifiuta per un momento di combattere, compòrta un cambiamento nella struttura dell'esercito, già modificata da Camillo. Abbandonata la falange oplitica e la centuria, sull'esempio dei Sanniti si adotta il manipolo (120 persone), molto più mobile, composto da tre file di soldati armati. L'abbandono della centuria comporta la crisi dell'esercito oplitìco e dell'ordinamento centurìatò. Grazie al manipolo lo sforzo bellico è distribuito in maniera più uniforme e non è più concentrato nelle prime classi di censo. Anche l'armamento è rinnovato: i soldati sono tutti dotati di scudo, e delle medesime armi e l'unica differenza riguarda i cittadini più ricchi che possono permettersi la cotta di maglia. Lo scudo dopo l'incendio gallico non è più il clipeus o scudo rotondo, ma si adotta lo scutum, il grande scudo rettangolare, che diventerà il classico simbolo del legionario romano.

UMILIATI E VENDICATI Nella seconda guerra sannitica i R o m a n i cercano d'accerchiare il nemico, occupando il territorio dei Vestini, una popolazione situata a nord del territorio sannita. Gli scontri avvengono nella regione occidentale tra Lazio e Campania e nel Sannio, dove i R o m a n i tentano di penetrare con u n ' a z i o n e troppo azzardata. I due consoli, Tito Veturio Calvino e Spurio Albino, rimangono bloccati a Caudio (tra C a p u a e Benevento) nella doppia góla-delle Forche Caudine. I Sanniti obbligano i consoli a firmare u n accordo infamante e a passare sotto un g i o g o , insieme a tutti i soldati, seminudi e privi di armi, m e n t r e li c o prono di insulti e facezie (321 a . C ) . L a tradizione h a chiaramente minimizzato l'episodio, presto lavato d a nuove vittorie. In realtà i termini del trattato (non un foedus m a u n a sponsio ossia un trattato vincolante solo per i comandanti) contemplano l'evacuazione di tutte le colonie romane della valle del Liri e lasciano trasparire una pesante sconfitta. Il popolo r o m a n o non si ritiene vincolato dai patti, m a consegna al nemico i consoli (unici responsabili della sponsio) ed è libero di scendere di n u o v o in c a m p o contro i Sanniti. Ancora u n a volta con procedure dubbie i R o m a n i ri-

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STORIA DI ROMA ANTICA Le forche caudine (da E Bartolini).

vestono le loro azioni con una patina di correttezza giuridica, apparentemente inattaccabile. L a sfortunata vicenda delle Forche Caudine insegna qualcosa e provoca profondi cambiamenti nella struttura militare romana. La ripresa del conflitto inizialmente è ancora sfavorevole all'esercito romano, n u o v a m e n t e battuto (315 a . C ) . Si combatte a Satrico, a Lautulae fra Terracina e Fondi, ad Ausonia, a M i n t u r n o , a Vescia. L a fondazione della colonia di Luceria (314 a . C ) , tra Puglia e Sannio, concretizza l'ampliamento del controllo territoriale r o m a n o , già rafforzato in altro m o d o con l'alleanza di Marsi, Peligni, Marrucini e Frentani. Il trasferimento delle 2 5 0 0 famiglie di c o loni a Luceria segna il futuro tracciato della via Valeria, c h e i R o m a n i c o m i n c i a n o b e n presto a costruire. La deduzione di colonie ai margini del territorio sannita ha lo scopo di rafforzare il possesso delle terre strappate con fatica al n e m i c o . Nel 313 a.C. si ded u c o n o Saticola e Suessa, m e n t r e l ' a n n o d o p o nella mille volte perduta valle del Liri è fondata Interamna. N e l l o stesso a n n o è dedotta la colonia di Ponza con lo scopo di proteggere le coste. I Sanniti adottano la tattica della guerriglia ed evitano gli scontri decisivi: per questo R o m a invia sul c a m p o gli uomini migliori, c o m e Lucio Papirio Cursore o Quinto Fabio Rulliano, che aTerracina riporta una delle prime effettive vittorie. Per R o m a le difficoltà aumentano. Il ruolo di città e g e m o n e impone u n prezzo e n o r m e in fatica e sangue. Al pericolo sannita si a g g i u n g o n o gli Etruschi, c h e attaccano alle spalle i R o m a n i (vedi capitolo / Romani e la penisola). I Sanniti tentano allora di colpire R o m a al fianco, staccando i fedelissimi Ernici (306 a . C ) . Finalmente la presa di Roviano, capitale dei Pentii, suggella il successo della strategia r o m a n a (305 a . C ) . M a per entrambi i contendenti si tratta d ' u n a m e z z a vittoria e d ' u n a m e z z a sconfitta: i R o m a n i non sono riusciti ad annullare la potenza sannita e i Sanniti non h a n n o bloccato l ' e spansione r o m a n a . Così un altro inevitabile scontro si profila all'orizzonte. Per R o m a il pericolo che precede l'ultima guerra sannitica ferve di attività. Nuove fondazioni di colonie cercano di proteggere i territori appena conquistati:

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si d e d u c o n o colonie a Sora, A l b a Fucente (303 a.C.) e Carsoli. L a valle dell ' A n i e n e è aggiunta al territorio r o m a n o con la creazione della tribù Amense; mentre a sud, n e l l ' e x territorio degli Aurunci, è creata la tribù Teretina. L e operazioni di rafforzamento e di contenimento coinvolgono anche i Piceni con i quali è stipulato u n trattato in funzione antigallica. Agli U m b r i è sottratta la città di N a m i , d o v e è dedotta u n a colonia. N e l M e z z o g i o r n o R o m a deve fare i conti col m o n d o g r e c o alleandosi con la città di Taranto (302 a.C.) e con i Lucani (299 a . C ) , nella speranza di prendere il Sannio alle spalle. Alla fine l'ingerenza r o m a n a , in u n ' a r e a ancora estranea, p r o v o c a la riapertura del conflitto con i Sanniti (298 a . C ) . OMERO A ROMA Livio Andronico, prima d'essere liberato, fa il maestro per i figli del suo padrone. Insegna loro la letteratura greca e spesso legge brani di suoi componimenti poetici in latino. Ama molto leggere il poema che racconta le vicende d'un greco scampato alla guerra di Troia. L'eroe dopo mille peripezie torna a casa, dove una schiera di pretendenti ha cercato di rubargli la moglie, rimasta miracolosamente fedele. Una volta eliminati gli avversari, riesce finalmente a godersi il tepore e la pace della famiglia. Il nome dell'eroe è Odisseo in greco, Ulisse in latino. Questo poema (vero "calvario" per ogni ragazzino romano che impara a leggere) non è altro che la traduzione modificata e rivista dell'Odissea di Omero (vili sec. a.C.). Livio avvia una profonda evoluzione culturale: il mondo greco, ma soprattutto quello siciliano e magnogreco, da questo momento esercita un grande influsso nella mentalità romana. Non a caso iprimi letterati (Livio Andronico, Nevio, Ennio)provengono tutti dall'Italia meridionale. L'impronta greca sifa sentire sul teatro, sulla poesia, sul modo di scrivere storia. Durante le guerre puniche la "mania greca" scoppia come un'epidemia senza salvezza. I Romani non s'accontentano più di traduzioni e riassunti in latino; ma imparano a leggere e scrivere in greco; si tuffano nella produzione artistica greca. La cultura romana, fino a questo momento provinciale e piuttosto rozza, è completamente mutata in un processo né facile, né indolore: suscitando il malcontento e le critiche di tutti quelli che vedono nel passato un paradiso di onestà e virtù, perché il contadino analfabeta combatte e ubbidisce meglio degli "intellettualoidi"; inoltre non gradisce che il suo comandante sia vestito come uno "smidollato " greco e che abiti in una casa piena di quadri e statue greche.

LO SCONTRO FINALE Publio Cornelio Scipione Barbato c o m p i e una spedizione in Puglia, m e n tre il n e m i c o cerca di colpire R o m a da nord mediante l'appoggio di Galli, U m bri ed Etruschi {vedi capitolo / Romani e la penisola). I d u e fronti della guerra richiedono u n grande impiego di risorse u m a n e e militari. I comandanti m i gliori s o n o mobilitati, sebbene le forti rivalità esistenti fra i generali romani non aiutino nello svolgimento d ' u n a guerra dalle dimensioni s e m p r e più a m pie. Q u i n t o F a b i o Rulliano (console nel 3 0 8 , 2 9 7 , 2 9 5 a . C ) , D e c i o M u r e (figlio del c o m a n d a n t e della guerra latina), A p p i o Claudio Cieco (console nel 3 0 7 , 2 9 6 a.C.) e L u c i o Volumnio (d'origine etnisca) s o n o i protagonisti delle azioni militari, culminanti nella battaglia di Sentino, in U m b r i a (295 a . C ) . Quinto Fabio Rulliano e D e c i o M u r e sostengono il p e s o dei Galli e dei Sanniti. Gli Etruschi sono contemporaneamente trattenuti nel loro territorio e L u cio Volumnio c o m b a t t e felicemente nel Sannio. Si fondano nello stesso an-

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/ Sanniti chiedono la pace a Manio Curio Dentato, incisione di B. Pinelli.

n o due colonie marittime a Minturnae e a Sinuessa. A n c o r a u n successo nel 2 9 3 a.C. rende i R o m a n i finalmente padroni della situazione. L a vittoria di M a n i o Curio Dentato sui Sabini contribuisce a rafforzare il controllo dei territori più difficili (vedi capitolo / Romani e la penisola); m e n t r e trattati stipulati con varie città (Gubbio, Camerino, Volsinii, Arezzo, Perugia) sanciscono l'indiscussa supremazia r o m a n a . In Puglia la fondazione d ' u n a colonia latin a a Venosa (291 a.C.) rende ormai indiscutibile la presenza e l'ingerenza di R o m a e i Sanniti sono costretti a trattare con la n u o v a potenza e g e m o n e e a entrare nella sua sfera d ' a z i o n e .

I POLITICI E L'ESPANSIONE Il duro e prolungato sforzo delle guerre sannitiche potrebbe sembrare frutto di finalità comuni a tutto il ceto dirigente romano. In realtà all'interno di questo ceto dirigente si possono grosso m o d o distinguere due posizioni e due linee politiche differenti. Per gli esponenti della prima posizione la priorità consiste nel soddisfare la fame di terra dei contadini romani. La conquista delle regioni dell'Italia centrale, fertili e poco popolate, è lo scopo principale della loro attività politica. In vista di quest'obiettivo non sono contrari all'ampliamento del territorio romano, alla creazione di nuove tribù, all'estensione della cittadinanza alle popolazioni vinte, se queste si mescolano ai cittadini romani nella fondazion e delle colonie. L'altra posizione rappresenta gli interessi dei ceti mercantili ed è rivolta specialmente ai mercati e ai commerci della M a g n a Grecia: l'esigenza di terre passa in secondo piano, poiché nel Mezzogiorno sono numerose le pianure aride e rocciose, mentre è fortissima l'attrattiva dei porti delle colonie greche e delle correnti internazionali di traffico. Esponente della prima tendenza è Manio Curio Dentato, il vincitore della Sabina (vedi capitolo I Romani e la penisola), mentre Appio Claudio Cieco incarna le esigenze dei ceti mercantili.

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A P P I O C L A U D I O IL C I E C O Appio Claudio lega soprattutto il suo nome al periodo nel quale è censore (312 o 310 a.C. per diciotto mesi). E come censore, valendosi del diritto di usare per scopi di pubblica utilità una parte dell'erario, dà inizio a due grandiose opere pubbliche: il primo acquedotto per Roma (Aqua AppiaJ, la prima strada militare fino a Capua, la via Appio «regina viarum». / nobili l'avversano: l'utilità, dicono, non è pari alla enormità delle spese. Ma Claudio ha avuto in mente anche altro: dare stabile occupazione a una gran massa di plebei. In realtà negli anni seguenti allarga l'orizzonte sociale con una riforma costituzionale per la quale i plebei (ivi compresi i liberti) che non posseggono terreni, ma svolgono attività redditizie sia nel campo del commercio che dell'artigianato, devono entrare a pieno diritto nelle tribù urbane. C'è infine un terzo episodio che illustra la tempra umana e politica della sua personalità. Durante la guerra contro Pirro viene a Roma un ambasciatore del re epirota: chiede di trattare, offre la pace o quanto meno una lunga tregua. 1 Romani hanno già perduto due battaglie, ma Appio Claudio, ormai vecchio e divenuto cieco, non disarma, si alza in Senato e grida: «Nessuna pace, nessuna trattativa con Pirro, finché lui calpesti il suolo d'Italia». Nel marmo che lo ricorda, giunto fino a noi, è scritto: censore, due volte console (307 e 296 a.C), dittatore, prese molte fortezze ai Sanniti, sconfisse eserciti di Sabini e di Etruschi. Cicerone e Catone lo ricordarono come scrittore e grande oratore; ma anche giurista, raccoglitore di massime morali, e grammatico riformatore dell'alfabeto e della fonetica latina. Infine promosse la redazione dei Fasti consolari, che rimane una grande fonte di notizie per la storia romana antica. (F.S.)

L a costruzione della via Appia, c h e collega R o m a a C a p u a , è il segno più evidente dei suoi interessi politici ed economici: così c o m e A p p i o p r o m u o v e riform e finalizzate ad accrescere il potere della turba forensis, l ' i n s i e m e di p i c c o li mercanti e speculatori c h e h a n n o c o m e habitat naturale il F o r o . P e r c i ò tenta d'iscriverli alle quattro tribù u r b a n e e di a u m e n t a r e il loro p e s o politico, m a la sua p r o p o s t a è osteggiata e annullata dai suoi acerrimi nemici, Q u i n t o F a bio Rulliano e Publio D e c i o M u r e . N o n o s t a n t e tutto i grossi m e r c a n t i , c h e investono in terra e sono iscritti alle tribù rustiche, h a n n o c o m u n q u e un p e s o p o litico e la guerra tarantina, destinata a scoppiare p o c o d o p o , è u n a manifestazione dell'indiretto successo della politica di A p p i o C l a u d i o C i e c o .

LA V I A A P P I A Come censore Appio Claudio il Cieco promuove la costruzione della via Appia, che nel 312 a.C conduce fino a Formia, dal 281 fino a Taranto e dal 267 fino a Brindisi. La strada tracciata da Appio solo con la ghiaia, in seguito è lastricata dagli Ogulnii nel tratto fuori porta Capena, nei pressi del tempio di Marte. La via Appia, spesso vicina alle coste tirreniche, è il segno tangibile delle conquiste romane nel sud e apre la lunga serie delle strade consolari, che conservano nel loro nome il ricordo del console o del censore che le ha create; al contrario delle strade più antiche (la Salaria), il cui nome è legato alla funzione. Da questo momento le conquiste romane sono seguite dalla costruzione d'una strada, che ricalca grosso modo il percorso seguito dai soldati prima, dai coloni poi. La strada è un mezzo per l'occupazione e il controllo d'un territorio, poiché consente lo spostamento rapido di eserciti, capaci d'accorrere celermente dove è necessario l'intervento, e Vapprovvigionamento di beni di prima necessità della città: i rifornimenti.

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Veduta degli antichi sepolcri sulla via Appia (daL Canina, La prima parte della via Appia, dalla Porta Capena a Boville, 1853).

IL P R I M O A C Q U E D O T T O Prima della costruzione dell'equa. Appia, l'acquedotto voluto da Appio Claudio, il fabbisogno idrico della città era legato all'utilizzazione del Tevere (allora potabile) e dei pozzi o delle cisterne diffuse su tutto il territorio urbano. L'aqua Appia, con un percorso sotterraneo dal settimo-ottavo miglio della via Prenestina arriva fin quasi alla porta Capena, con una portata giornaliera di 75.000 me d'acqua. Dopo aver alimentato un laghetto o piscina publica, finisce sull'Aventino, intensamente abitato e inurbato, probabilmente per volontà dello stesso Appio.

IL PRIMO SCONTRO COL MONDO GRECO I rapporti con Taranto, come rivela il trattato stipulato nel 302 a . C , sono da temp o tesi. Romani e Tarantini hanno nemici comuni, tra cui i Sanniti, m a hanno anche sfere d'influenza sempre più vicine. L'impegno romano sul mare e nei commerci marittimi, potenziato dalla fondazione di colonie e dal controllo della Campania, diventa sempre più massiccio. R o m a è implicata in fastidiosi episodi, che minano ulteriormente i suoi rapporti con Taranto. I mercenari campani, mandati d a R o m a a presidiare alcuni centri greci dell'Italia meridionale (Reggio, Crotone, Locri, Ipponio) si rivelano u n ' a r m a a doppio taglio. D a protettori divengono i saccheggiatori e gli assassini delle popolazioni loro affidate. Nel 288 a.C. una di queste bande di irregolari, i Mamertini (i seguaci di Marte), s'impadronisce di Messina, dando vita a uno Stato autonomo. Molto più tragico è l'episodio che ha per protagonista la città di Reggio. L a legio Campana, inviata dai Romani, si ribella, massacra tutti i Reggini e s'impadronisce della città. L'alleanza con i Mamertini d à forza e fiducia agli sciagurati mercenari (280 a . C ) . L a condotta degli uomini politici romani non è limpida e lascia supporre numerose connivenze e conflitti d'interesse. R o m a ormai è sempre più invischiata in vicende e situazioni che impongono una diversa condotta. D casus belli (il motivo della guerra) con Taranto sorge quando Turi, d o p o una rivolta democratica, inve-

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ce di chiedere aiuto a Taranto, si rivolge ai Romani. U n a flotta di dieci navi romane solca il golfo di Taranto, contravvenendo palesemente agli accordi del 302

BELLONA* L'IDEOLOGIA DELLA GUERRA E LA M E M O R I A DEGLI A N T E N A T I Dopo gli interventi di Camillo (vedi capitolo Ascesa, caduta e resurrezione di Roma) il foro Boario conosce un nuovo fervore edilizio. In stretto collegamento con i ceti mercantili, Appio Claudio rivitalizza questa area mercantile e commerciale. Nel 296 CLC. accanto al tempio di Apòllo Medico costruisce il tempio di Bellona (da bellumj, che diventa simbolo dell'ideologia della guerra che ormai anima i Romani. Davanti al tempio si trova la columna bellica dove si compiono i rituali della guerra, mentre all'interno sono esposte le imagines clipeatae (ritratti scolpiti negli scudi) degli antenati del censore, in uno stretto e ormai indistinguibile legame tra il sacrario familiare della gens Appia e l'espansionismo o militarismo romano. Quando Roma si consacra alla conquista, inevitabilmente si afferma l'ideologia della Vittoria, già diffusa nel mondo greco con la divinizzazione dell'invincibile Alessandro Magno. Oltre al tempio di Bellona, detta Victrix (vincitrice), negli anni seguenti sono dedicati il tempio di Iuppiter Victor (295 a. C.) e di Victoria sul Palatino (294 a, C). Lo stesso Ercole dell'Aia. Maxima diviene Hercules Victor, la principale divinità dei generali trionfatori.

ERCOLE PUBBLICO Uno dei più antichi santuari di Ercole, /'Ara Maxima (ritenuto precedente alla stessa Roma romulea), è reso «pubblico» da Appio Claudio. La gens Pinaria da tempo immemorabile controllava l'altare e il culto, affidato ai soli ministri (i potiti,) della gens, legati alla divinità da una sorta di schiavitù sacra (ierodulia). Questa «pubblicazione» del culto assume un significato politico ed economico, perché le decime (tradizionalmente donate al tempio e gestite dai PinariiJ confluiscono nelle casse dello Stato.

POLITICA E D E C O R O U R B A N O La nuova nobilitas patrizio-plebea, in gran parte promotrice dell'espansionismo romano, lascia un segno tangibile della sua potenza e del suo prestigio nel Foro, centro simbolico della città. L'intensa e nota attività edilizia di Caio Menio (vedi capitolo precedente) modifica l'aspetto della piazza; poi i fratelli Ogulnii, d'origine plebea, fanno erigere, col denaro delle multe inflitte agli usurai, una copia della lupa del Lupercale (a cui aggiungono i gemelli), da collocarsi accanto alla statua dell 'augure Attio Navio. Nel 294 a.C. accanto al fico Ruminale, un altro plebeo giunto alla censura, Quinto Marcio Rutilo Censorino, erige una statua di Marsia, in memoria della sua gens (sulla base della falsa etimologia Marcius da MarsyasJ, mentre i ceppi rotti ai piedi della statua sono il simbolo della libertà dalla schiavitù per debiti, ottenuta dalla plebe con la legge Petelia Papiria del 326 a.C. Sempre col denaro delle multe agli usurai si abbellisce anche il tempio Capitolino e l'edile èneo Flavio, liberto protetto da Appio Claudio, edifica un altare alla Concordia, vicino al Volcanale. Il contatto col mondo greco spinge i Romani a importarne anche gli uomini "ideali": nel Comizio trovano spazio le statue di Alcibiade e di Pitagora, il più forte e il più saggio dei Greci, segno indubbio del fascino del mondo greco su Roma. Il Campo Marzio e il Quirinale, aree importanti nell'età repubblicana, sono ugualmente interessate da edifici sacri voluti dalle famiglie più eminenti. IPapirii Cursori terminano nel 293 a.C il tempio di Quirino, mentre Giunio Rubulco dedica e vota un tempio a Salus (la salvezza).

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STORIA DI ROMA ANTICA

a.C. L'immediata risposta di Taranto, che riprende Turi e affonda buona parte delle navi, apre la guerra (282 a . C ) .

L'AVVENTURA DI PIRRO Taranto in passato, q u a n d o era difficile sostenere la spinta delle popolazioni indigene, aveva già chiesto aiuto a condottieri e mercenari spartani (Sparta era la sua madrepatria) o epiroti. Il primo era stato A r c h i d a m o (343-338 a . C ) , cui erano seguiti Alessandro il Molosso (336-331) e Cleonino (303-302 a . C ) , im­ pegnati quasi tutti contro Apuli e Lucani, le bellicose popolazioni dell'interno. A n c h e questa volta Taranto segue la tradizione e chiama in soccorso Pirro so­ vrano dell'Epiro. L'avventura di quest'ultimo si tinge di toni leggendari, sia per le vittorie mal utilizzate (le proverbiali «vittorie di Pirro»), sia per il grande di­ segno d'unificazione della M a g n a Grecia, rimasto u n o splendido sogno. Al p r i m o incrociarsi d e l l e a r m i P i r r o v i n c e a E r a c l e a ( 2 8 0 a . C ) , c o ­ g l i e n d o il n e m i c o di sorpresa. Il re s c e n d e in c a m p o c o n gli elefanti e c o n i soldati schierati a falange: la d i s p o s i z i o n e " c l a s s i c a " d e l l e s c h i e r e a r m a ­ te di P i r r o s b a r a g l i a i legionari. P e r i R o m a n i inizia u n m o m e n t o difficile, p e r c h é l ' e s e r c i t o epirota, s e g u e n d o la via L a t i n a , g i u n g e p e r i c o l o s a m e n t e fino ad A n a g n i (forse addirittura a Praeneste). C i n e a , l ' a m b a s c i a t o r e del r e , t r a t t a n d o col S e n a t o , p r o p o n e c o n d i z i o n i d u r i s s i m e di p a c e . Il v e c c h i o A p p i o C l a u d i o C i e c o con u n v i g o r o s o d i s c o r s o i n d u c e i senatori a rifiu­ tarle: se i R o m a n i a v e s s e r o accettato q u e l l e c o n d i z i o n i di p a c e , si s a r e b ­ b e r o preclusi q u a l u n q u e futura possibilità d ' i n t e r v e n t o n e l l a M a g n a G r e ­ cia. P i r r o , i n c a p a c e di approfittare del s u c c e s s o e del terrore c h e r e g n a a

Pirro mostra a Fabrizio, ambasciatore romano, un elefante, incisione di B. PinellL

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R o m a , r i p i e g a v e r s o sud. A d Asculum s u l l ' O f a n t o r i c o n f e r m a la s u a superiorità e v i n c e u n a s e c o n d a volta, s e p p u r in m o d o m e n o g r a n d i o s o ( 2 7 9 a . C ) . M a i R o m a n i , d o p o lo stupore iniziale, h a n n o p r e s o le m i s u r e alla

I TRATTATI C O N C A R T A G I N E L'espansione romana prima nel Lazio poi nell'Italia meridionale è accompagnata da vari rinnovi del primo trattato con Cartagine, stipulato nel 509 aC. Nei momenti cruciali della storia romana puntualmente navi e ambasciatori cartaginesi compaiono all'orizzonte (348, 306, 279 a.C), pronti a tutelarsi dalle possibili evoluzioni della politica romana. Il primo trattato (509 a.C.) vietava ai Romani e loro alleati di frequentare gli empori africani della Bizacena e della Piccola Sirte; mentre i Cartaginesi dovevano rispettare la sovranità di Roma sul Lazio e non dovevano arrecare offesa ai Latini o attaccarne le città. Nel secondo trattato (348 a.C.) si ribadiscono più o meno le stesse clausole, ma accanto a Cartagine compaiono anche i popoli di litica, città fenicia della costa africana, e di Tiro, la madrepatria della stessa Cartagine. Inoltre la zona vietata ai commerci, alla pirateria e alla colonizzazione romana è ampliata a ovest fino alla città di Cartagena, città fenicia fondata nel territorio dei Tartessi in Spagna; anche la Sardegna rientra nella zona d'influenza cartaginese e i Romani abbandonano la colonia già fondata sull'isola nel 386. D'altra parte se pirati cartaginesi catturano i cittadini d'una città latina, alleata a Roma, possono trattenere le persone e le ricchezze, ma debbono consegnare la città ai Romani. Il terzo trattato (306 a.C.) ribadisce i due precedenti con la novità del riconoscimento cartaginese per l'ingerenza romana nell'Italia meridionale. Il quarto trattato (279 a.C), concluso ancora una volta in un momento difficile, quando Pirro incombe adAnagni e Cinea propone la pace al Senato, vuole evitare che i Romani concludano una pace separata con l'Epirota; Cartagine conosce iprogetti di Pirro sulla Sicilia e teme che l'alleanza di Romani ed Epiroti possa esserle fatale. D'altra parte nel 277 a.C, sconfitta da Pirro, Cartagine cerca una pace separata, "dimenticando" l'impegno preso.

falange ellenistica e h a n n o i m p a r a t o a contrastare gli elefanti c o n carri d o tati di falci. L ' a n n o seguente (278 a.C.) g i u n g o n o a R o m a messaggeri di Cartagine, preoccupata che i R o m a n i stipulino u n a p a c e separata con Pirro. Il terzo a n n o di guerra trascorre nell'inattività. L a tradizione racconta c h e il m e dico di Pirro sarebbe giunto a R o m a , p r o p o n e n d o di avvelenare il suo re. D console Caio Fabrizio Luscino avrebbe rifiutato col m e d e s i m o sdegno con cui avrebbe ordinato d'allontanare Cinea, ritornato a proporre la pace. A l l a fine del 2 7 8 a.C. c a m b i a lo scenario dell'avventura italiana di Pirro. Il re, chiam a t o a gran voce dai Greci di Sicilia, sbarca nell'isola per combattere i Cartaginesi. Siracusa, liberata dall'assedio cartaginese, sull'onda dell'entusiasmo lo proclama re. L'anno seguente nuovi successi rafforzano la posizione di Pirro al p u n t o c h e i Cartaginesi chiedono la pace. Il re rifiuta e, deciso a vincere in m o d o definitivo, cerca invano di espugnare Lilibeo e Trapani, ultima roccaforte fenicia dell'isola. M a il successo gli sta ormai o s c u r a n d o la ragione. Pirro s ' a b b a n d o n a al sogno d ' u n a c a m p a g n a africana, per colpire Cartagine alle radici. L e d u r e m i sure c h e adotta nei confronti dei Siciliani, costretti a fornirgli denaro, a p p r o v v i g i o n a m e n t o e uomini, gli valgono la fama di tiranno e lo costringono ad a b b a n d o n a r e l'isola. P o i P i r r o s u b i s c e u n a sconfitta n a v a l e n e l l o stretto e p e r d e p a r t e d e l l ' e -

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STORIA DI ROMA ANTICA

L'UMORISMO GRECO A R O M A Dopo le rappresentazioni sacre, importate dall'Etruria, nel in secolo a.C, Roma conosce altre forme di spettacolo tramite i contatti con gli Osci e i Greci. I Romani cominciano a ridere, guardando /'atellana (da Atella, una città osca tra Capua e Napoli), una farsa giocata sulla comicità di alcuni personaggi fissi: Macco, lo sciocco beffato; Bucco, il grasso ciarlatano; Pappo, il vecchio vizioso; Dossenno, il sapientone astuto e perennemente affamato. Le battute (scontate e volgari) e gli intrecci sono sempre uguali, ma suscitano il riso degli abitanti dell'urbe, poco raffinati in fatto di teatro. Soltanto dopo la guerra con Pirro Roma assaggia il vero teatro, nato in Grecia più di due secoli prima. Da Taranto giunge come schiavo Tito Livio Andronico, in seguito liberato dal patrono Livio, che fa provare ai Romani il gusto del teatro greco, fondendo insieme i lazzi e le facezie (graditi al pubblico) con l'intreccio delle commedie greche. Nasce così la commedia latina chiamata commedia palliate, dal pallio o mantello di tipo greco, indossato dagli attori. Andronico traduce e mette insieme anche parti delle tragedie greche, creando una "nuova" rappresentazione tragica, la tragedia coturnata (dai coturni, gli alti sandali usati dagli attori).

s e r c i t o c o n t r o i C a m p a n i di R e g g i o , s o s t e n u t i d a i M a m e r t i n i di M e s s i n a . L a s u a c a t t i v a c o n d o t t a m i l i t a r e si m a c c h i a a n c h e di a z i o n i s a c r i l e g h e c o m e il s a c c h e g g i o d e l t e m p i o di P e r s e f o n e a L o c r i ( 2 7 6 a . C . ) . R o m a i n t a n to si è p r e p a r a t a a l l o s c o n t r o . T r a P u g l i a e S a n n i o il r e è b a t t u t o d a l c o n sole M a n i o C u r i o D e n t a t o . Il c o m a n d a n t e r o m a n o approfitta del t e r r e n o a c c i d e n t a t o , sul q u a l e s o n o d ' o s t a c o l o l ' a r m a m e n t o p e s a n t e e la f a l a n g e . A M a l e v e n t o (da allora B e n e v e n t o ) l'altro console L u c i o Cornelio Lentulo s c o n f i g g e di n u o v o l ' e s e r c i t o di P i r r o e l o c o n v i n c e a l a s c i a r e l ' I t a l i a ( 2 7 5 a . C ) , c h i u d e n d o il s u o s o g n o di c o n q u i s t a . I R o m a n i n o n p e r d o n o t e m p o : tra il 2 7 3 e il 2 7 2 a.C. s o t t o m e t t o n o le principali città g r e c h e , s t i p u l a n d o trattati c o n L u c a n i e Bruzii, nel 2 7 3 a.C. fon-

U N SERPENTE SULL'ISOLA TIBERINA Una violenta pestilenza imperversa a Roma. I pontefici, incapaci di trovare rimedio al morbo, decidono di ricorrere ai decemviri sacris faciundis, i dieci sacerdoti addetti alle cose sacre e in particolar modo alla consultazione dei Libri Sibillini. La raccolta degli oracoli della Sibilla Cumana era arrivata a Roma al tempo dell'ultimo Tarquinio: da quel momento era divenuta il testo sacro cui ci si rivolgeva quando fallivano le normali pratiche religiose. I dieci riferiscono che l'unica salvezza per lo Stato consiste nell'introduzione del culto di Esculapio (figlio di Apollo) venerato a Epidauro, in Grecia, come dio della medicina. Ifratelli Ogulnii, legati al mondo etrusco per la loro origine chiusino, promuovono il nuovo culto. Inviati in Grecia a capo di un 'ambasceria per richiedere una statua del dio, tornano con un serpente, animale magico e simbolo d'Esculapio. I pontefici fissano nell'isola Tiberina la sede del culto: un'area vicina alla città, ma contemporaneamente separata. Posizione ideale per un tempio dove si raccolgono i malati in cerca della salvezza. La divinità appare in sogno ai malati e svela come possono ottenere la guarigione (la pratica ^ / / ' i n c u b a z i o n e ) . L'edificio sacro diventa un "ospedale" per coloro che il male ha bandito dalla città, gli "isolati" dell'isola.

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Esculapio, sotto forma di serpentello, scende sull'Isola Tiberina (stampa popolare del xvm secolo).

LO SCIOPERO DEI M U S I C A N T I Quando le autorità romane (e in particolare Appio Claudio) cercano di moderare la presenza dei tibicini (i suonatori di tibia, un particolare flauto), onnipresenti nelle cerimonie pubbliche, questi abbandonano la città; si rifugiano a Tivoli e rifiutano di venire a patti con gli ambasciatori romani. Secondo la tradizione sono fatti ubriacare e sono caricati di peso sui carri alla volta di Roma. Poi il riconoscimento della funzione pubblica della corporazione e l'istituzione d'una festa (celebrata il 13 giugno) convincono i suonatori a venire a patti. A Roma si affermano le corporazioni di mestieri delle attività artistiche, come quella degli attori, con sede nel tempio di Minerva sull'Aventino. Del resto già si conoscono organizzazioni di attori e musicisti in occasione di un 'epidemia, quando sono chiamati dall'Etruria i ludiones (attori) a celebrare la festa dì Giunone Regina (364 a.C).

LA CACCIA ALLE AVVELENATRICI // 331 a.C. è un anno diffìcile per i Romani. Strane morti, misteriose epidemìe decimano i cittadini più influenti della città. Al cospetto dell'edile curule Quinto Fabio Massimo si presenta un giorno una schiava e si dichiara pronta a rivelare l'origine della misteriosa malattia, se il patrizio le garantisce la vita. Così svela che alcune matrone, fabbricando veleni, sono la causa dei misteriosi decessi. Si scatena una vera "caccia alle streghe" e sono arrestate circa 170 matrone patrizie. Due di esse, Cornelia e Sergia, si difendono e affermano che si tratta di farmaci salutari. Invitate a bere queste loro medicine muoiono all'istante fra atroci dolori. Qui il racconto di Tito Livio improvvisamente cambia direzione: non dice più nulla sul destino delle avvelenatrici e aggiunge che come rito d'espiazione di questa faccenda, rimasta poco chiara e che ha legami col mondo della magia, fu stabilito che ogni dittatore piantasse un chiodo (per trafiggere gli spiriti del male) nel momento della sua elezione, sull'esempio del chiodo piantato nel tempio capitolino a partire dall'anno zero della Repubblica. È oscuro questo legame tra le avvelenatrici e i dittatori certo è che nello scandalo furono coinvolte le gentes più famose e potenti.

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STORIA DI ROMA ANTICA

L'Isola Tiberina in un'incisione di Etienne Du Pérac.

d a n o la colonia latina di Paestum\ Taranto riceve lo statuto di città alleata e conserva l ' a u t o n o m i a amministrativa, m a perde l'indipendenza politica.

ROMA ENTRA NELLA POLITICA INTERNAZIONALE L a guerra contro Pirro rappresenta un m o m e n t o decisivo n e l l ' e v o l u z i o n e di R o m a . Per la prima volta si è misurata alla pari col m o n d o greco, dal quale era stata s e m p r e esclusa, in q u a n t o "barbara". L ' a m b a s c e r i a inviata d a Tolom e o Filadelfo, sovrano dell'Egitto, subito d o p o il ritiro di Pirro, sancisce il n u o v o ruolo della città. I regni ellenistici p r e n d o n o coscienza che qualcosa sta c a m b i a n d o nel Mediterraneo occidentale e si accaparrano l'alleanza r o mana, p r i m a che sia troppo tardi. Gli storici greci, che a v e v a n o disdegnato quanto era esterno al m o n d o greco, si o c c u p a n o di R o m a , raccogliendo e a m pliando le leggende sui suoi antenati troiani. A d e s s o la politica del ceto dirigente r o m a n o subisce un c a m b i a m e n t o , progressivo e inarrestabile. L'ingresso di famiglie c a m p a n e nel Senato determina il successo definitivo della politica avviata d a A p p i o Claudio. I m e m b r i della gens Fabia, d a s e m p r e portavoci d ' u n atteggiamento filoetrusco, spariscono dai Fasti consolari, mentre al loro posto c o m p a i o n o gli Atilii e gli Otacilii, originari della C a m pania. Questi saranno i nuovi protagonisti delle vicende del ui secolo e dello scontro con Cartagine, che comincia a rivelarsi c o m e inevitabile.

I ROMANI E LA PENISOLA

LA CONQUISTA DELL'ITALIA CENTRALE L e vittorie nelle guerre sannitiche e nella guerra tarantina sono decisive per il processo di espansione di R o m a nel Mediterraneo (quanto la successiva vittoria nella p r i m a guerra punica) e i gruppi politici romani, legati ai ceti mercantili, realizzano i progetti di conquista di nuovi mercati marittimi. Al contrario, il p r o g r a m m a politico dei gruppi dirigenti romani, legati al ceto dei proprietari terrieri e alla d o m a n d a di terre coltivabili da parte del p r o letariato r o m a n o , d e v e trovare risposta nel centro-nord della penisola e imp o n e il controllo dei territori appartenenti a Etruschi, U m b r i , Sabini e Galli. C o n gli Etruschi dal 351 vige u n a tregua di lunga durata, m a l'occasione per u n a ripresa delle ostilità è offerta d a l l ' a n d a m e n t o della seconda guerra sannitica. L e vittorie dei R o m a n i , soprattutto d o p o la fondazione della colonia di Lucerà, p r e o c c u p a n o le città etnische, gli Equi, gli Aurunci. A questi tradizionali nemici in questa occasione si a g g i u n g o n o anche molti degli alleati italici, sia antichi (gli Ernici) sia recenti (i Marrucini, i Frentani, i Marsi, i Peligni). P e r tutti, infatti, la crescente potenza r o m a n a costituisce un pericolo m a g g i o r e di quello costituito dai Sanniti. In un primo scontro (314) i R o m a n i massacrano gli Aurunci: dopo, per non trovarsi irrimediabilmente presi tra due fuochi, sono costretti ad attaccare in anticipo gli Etruschi. Perciò il console Quinto Fabio M a s s i m o Rulliano (un ennesimo Fabio contro gli Etruschi!) porta l'esercito romano oltre i monti Cimini, bloccando la possibile avanzata etnisca verso R o m a (311 ); poi la vittoria rom a n a del 310 presso il lago Vadimone (Bracciano) costringe gli Etruschi a sottoscrivere una nuova tregua per la durata di quarant'anni. R o m a tratta molto duramente alcuni popoli. Stronca una rivolta degli Ernici (306) e annette allo Stato r o m a n o , c o m e civitas sine suffragio, la loro città principale, Anagni. Gli Equi, battuti con u n a guerra l a m p o , cessano d'esistere c o m e p o p o l o indipendente (304). Altre popolazioni (Marsi, Peligni, Marrucini, Frentani e Vestirli) sono forzate a stringere patti separati con R o m a ; perdono l'indipendenza in politica estera e sono obbligate a fornire aiuti militari a R o m a ; m a n t e n g o n o p e r ò l ' a u t o n o m i a amministrativa interna e non d e v o n o pagare n é tasse n é tributi alla città d o m i n a n t e ; inoltre in qualità di alleati partecipano alla distribuzione delle terre strappate ai nemici di R o m a . L'intenzione di procedere alla conquista delle regioni adriatiche è testimoniata dalla costruzione d ' u n a nuova strada, la via Valeria, che valica l'Appennino centrale e raggiunge la costa marchigiana (306); m e n t r e le già citate {vedi capitolo precedente) colonie di Sora e Alba Fucens rafforzano il controllo dei territori verso l'Abruzzo.

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STORIA DI ROMA ANTICA Un comandante impartisce ordini ai suoi uomini

LA FORZA E LA DIPLOMAZIA Per consolidare antiche alleanze e crearne n u o v e , R o m a approfitta di q u e ste vittorie sugli Etruschi e sugli alleati ribelli e anche della breve tregua (304298) tra la seconda e la terza guerra sannitica. L'espansione r o m a n a , infatti, non sfrutta soltanto le c a m p a g n e militari, m a anche l'attività diplomatica svolge un ruolo notevole. L o scopo più i m m e d i a t o è quello di sgretolare il fronte dei nemici più vicini a R o m a . Così, n e l l ' a r e a umbra, è concluso u n foedus con C a m e r i n o (310) ed è stretto u n rapporto di amicitia con Otricoli (308). M a la politica estera r o m a n a h a anche prospettive di più largo respiro. C o m e già detto nel capitolo precedente, la garanzia di poter esercitare liberamente il c o m m e r c i o per m a r e è assicurata dal terzo trattato con Cartagine (306) e dal trattato con Taranto (303). A n c h e nell'Etruria i R o m a n i contano sulla collaborazione delle aristocrazie locali e questa direttiva di fondo spiega l'intervento r o m a n o ad A r e z z o , p e r d o m a r e u n a rivolta della plebe contro la gens Cilnìa fìloromana (302). Il controllo sul territorio u m b r o è rafforzato dalla fondazione della colonia latina di Narni (299); m e n t r e in evidente funzione antigallica, nello stesso a n n o è concluso u n trattato di p a c e e alleanza con i Piceni e con i Vestini, abitanti nella regione marchigiana.

TUTTI CONTRO ROMA L a crescita della potenza r o m a n a spinge di nuovo le popolazioni dell'Italia centrale ad allearsi tra di loro e con i Sanniti. Si tratta di Sabini, Etruschi, U m bri, Galli Sènoni e Pretuzi (questi ultimi sono schiacciati nell'area marchigiana tra i Vestini a sud e i Piceni a nord, entrambi alleati di R o m a ) . L a coalizion e è guidata dal capo sannita Gellio Egnazio. C o n una marcia molto rischiosa attraverso territori in gran parte ostili, Gellio porta il suo esercito fino nel cuo-

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re dell'Umbria. L o scontro decisivo avviene nel 295 a Sentìno sulYAesis (Esino), presso l'odierna Sassoferrato (AN). Nella battaglia, che è stata u n a vera e propria «battaglia delle nazioni», i consoli Quinto Fabio M a s s i m o Rulliano e Publio Decio M u r e , con quattro legioni e l ' a p p o g g i o degli alleati, riescono a sconfiggere i nemici, assai più n u m e r o si. R e s t a n o sul c a m p o sia Gellio E g n a z i o sia D e c i o M u r e . Quest'ultimo trova la morte volontariamente, dopo aver pronunciato una solenne formula sacra, con cui offre la propria vita per ottenere dagli dèi la vittoria per l'esercito romano. È l'antico rituale della devotìo, che accomuna il figlio al padre, che si era sacrificato allo stesso m o d o nella guerra contro i Latini. Negli anni successivi tutti i nemici dei R o m a n i si arrendono o vengono a patti. Gli irriducibili Sabini sono domati ( c o m e i Sanniti) d a M a n i o Curio D e n tato (290) e Feronia, divinità sabina, è trasferita a R o m a , dove le viene dedicato u n t e m p i o {vedi b o x Manio Curio Dentato e Vurbanistica). In questo periodo il territorio controllato direttamente d a R o m a registra un notevole incremento e p u ò essere usato p e r allentare la pressione d e m o g r a fica del proletariato urbano. Nella regione strappata ai Sènoni è fondata la colonia r o m a n a di Sena Gallica (Senigallia). I territori di Foligno e Spoleto, insieme a quelli dei Sabini e dei Pretuzi, sono annessi allo Stato romano, che si estende così fino al m a r e Adriatico. Nel sud, come già detto, è fondata la colonia di Venosa, nel territorio tolto ai Sanniti (291).

LA DEVOTIO

DEI DECII

La devono o sacrificio è uno tra i rituali più conosciuti nel mondo romano. Esistono due tipi di devotiones: la devotìo ducis. quando il comandante sacrifica se stesso per la salvezza dell 'esercito (come nel caso dei Decii Mure) e la devotìo hostium o "sacrificio " dell'esercito nemico, che è "consacrato" agli dèi. Si tratta in entrambi i casi d'una sorta di voto, col dono alle divinità infernali della persona o delle cose scelte. Il primo caso di devotìo, ambientato nella Roma romulea, è quello di Metteo Curzio. Il comandante sabino si getta col cavallo in una palude della valle del Foro (da allora chiamato lacus Curtius) per garantire la salvezza ai suoi. Ma il suicidio dei maschi della famiglia dei Decii ci offre l'esempio più chiaro del rituale della devotìo. // primo Publio Decio Mure vota se stesso agli dèi inferi durante la guerra latina, quando si combatte ai piedi del Vesuvio lungo la strada che porta al fiume Veseri (340 a.C). Dopo la preghiera agli dèi si lancia tra i nemici penetrando profondamente tra la schiera, da lui scompaginata. Con la sua morte i Romani vincono. Il secondo Decio Mure, figlio del console del 340 a.C. sacrifica se stesso in occasione della terza guerra sannitica, nello scontro di Sentìno (295 a.C). Anche questa volta per i Romani la battaglia vinta è decisiva, dato che prelude alla vittoria finale su Sanniti, Galli, Etruschi e Umbri. Il terzo Decio è il figlio del Decio Mure di Sentìno. La possibilità di seguire le orme del nonno o del padre gli si presenta durante la guerra con Pirro, in occasione della battaglia di Asculum (279 cuC). In genere si ritiene che la triplice devotìo dei Decii Mure rappresenti uno dei frequenti casi di raddoppiamento d'un fatto leggendario. Dei tre sacrifici probabilmente è falso il primo, poiché la gens Decia, di origine osca, è conosciuta a Roma soltanto con la prima guerra sannitica, quando il primo Decio, a causa d'uno stratagemma, si conquista il cognome di Mus, topo. Le altre due devotiones sono probabilmente vere. In particolare il Decio morto a Sentìno, censore nel 304 a.C. e quattro volte console, nei racconti dei Romani diventa un eroe, protagonista anche d'un dramma del tragediografo Accio (fine del n secolo a.C), intitolato Decius sive Aeneadae (Decio o gli EneadiJ. t

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STORIA DI ROMA ANTICA

R O M A I N V I A I SUOI P R I M I PREFETTI / Romani nel corso del in secolo a.C. debbono risolvere il problema dell'amministrazione dei territori annessi di recente e formalmente autonomi (p. es. le civitates sine suffragio,). Nascono così le «prefetture» o circoscrizioni territoriali, soggette alla giurisdizione di un praefectus iure dicundo inviato da Roma, per l'amministrazione della giustizia e l'organizzazione dei mercati. In questo periodo la formula è applicata al territorio unificato di Capua e Cuma; all'agro cere tono (Caere / Cerveteri e Forum Clodi, a ovest del lago di Bracciano); all'agro vulcente (Saturnia, nella valle dell'Albegna; Statonia, nella valle del Flora); al territorio umbro (Tnteramna Nahars/Tinzi, Plestia/Colfiorito, Fulginie/Foligno); al territorio sabino (Reate/Rieti, Amiternum /Amiterno, Nursia / Norcia); all'area picena e pretuzia (nelle Marche).

N u o v i trattati d ' a l l e a n z a (foedera) sono stretti o rinnovati in questo periodo tra R o m a e i popoli sconfitti, che mantengono formalmente la propria indipendenza.

ANCORA I GALLI Il p e r i c o l o si affaccia n u o v a m e n t e dal n o r d nel 2 8 4 , q u a n d o b a n d e di Galli Sènoni i n v a d o n o l ' E t r u r i a settentrionale. I R o m a n i s u b i s c o n o gravi perdite in u n a battaglia p r e s s o A r e z z o , nella q u a l e m u o r e il c o n s o l e Q u i n t o Cecilio M e t e l l o c o n sette tribuni militari e 13.000 soldati. M a i R o m a n i passano subito al contrattacco e rovesciano la situazione, mettendo a ferro e fuoco il territorio dei Sènoni, che viene occupato fino a Rimini. L ' a n n o s e g u e n t e la m i n a c c i a gallica si ripresenta. Q u e s t a volta gli invasori sono i Galli Boi, evidentemente preoccupati della rapida avanzata dei R o m a n i v e r s o le loro sedi n e l l a p i a n u r a p a d a n a orientale. I Galli, g r a z i e a l l ' a l l e a n z a delle città e t n i s c h e ostili a R o m a , g i u n g o n o anc o r a u n a volta fino al l a g o V a d i m o n e ( B r a c c i a n o ) , d o v e s o n o battuti d a un esercito r o m a n o c o m a n d a t o dal console Publio Cornelio Dolabella (283); però

NASCE A R O M A LA PITTURA, ARTE N O N DISDEGNATA DAI NOBILE Tra il iv e il ni secolo a.C. un patrizio romano, Gaio Fabio, si dedica alla pittura: infatti dipinge di propria mano il tempio della Salute, votato nel 311 dal console Gaio Giugno Bubulco durante la seconda guerra sannitica e costruito dallo stesso come censore tra il 306 e il 303. Secondo la tradizione queste pitture si potevano ammirare fino all'epoca dell'imperatore Claudio, quando il tempio fu distrutto da un incendio. Esempi di pittura romana di questo periodo si conservano in qualche tomba gentilizia. Quella più nota è il sepolcro dei Cornelii Scipioni presso la via Appia. Ma sono noti anche gli affreschi frammentari di alcuni sepolcri a camera rinvenuti sull'Esquilino, che riproducono scene di battaglia o di trionfo, da collegare con le gesta dei personaggi sepolti. Uno in particolare, in cui è raffigurata probabilmente la consegna di doni militari dopo la presa di una città, in base ai nomi dipinti come didascalia alle figure (Fabius, FanniusJ, è ritenuto da molti il sepolcro dei Fabii. La pittura deve essere stata tenuta in grande onore a Roma, se gli illustri membri deh la gens Fabia, discendenti dal pittore Gaio Fabio, ereditano da questo antenato artista il cognome di Pittore, e tra loro è noto il più antico storico romano: Fabio Pittore.

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II sepolcro degli Scipioni in una ricostruzione ideale di L Canina.

la necessità di concentrare le forze nella guerra contro Taranto e Pirro (284272) i m p o n e u n a battuta d'arresto nel conflitto con i Galli.

ROMA TRA DUE MARI Contemporaneamente alle prime fasi della guerra contro Taranto e Pirro R o m a h a consolidato il controllo della costa adriatica centromeridionale, annettendo il territorio dei Pretuzi (283), che h a n n o partecipato alla coalizione antiromana sconfitta a Sentino. Verso la fine della stessa guerra, R o m a fond a u n a colonia latina a Cosa, sulla costa tirrenica dell'Etruria settentrionale (273). In questa colonia è realizzata una riorganizzazione fondiaria di vaste proporzioni, che costituisce u n o dei p r i m o esempi della "centuriazione" rom a n a (vedi box La centuriazione: la forma romana del paesaggio rurale ) . Negli anni seguenti sono sconfitti anche i Piceni, i cui territori entrano a far parte dello Stato r o m a n o , con l'eccezione di Ascoli e Ancona, che restano aut o n o m e e diventano alleate di R o m a (269-268). Il controllo d e l l ' a g r o piceno-gallico è rafforzato dalla fondazione di due c o lonie latine a Rimini (268) e a F e r m o (264). D u e anni d o p o i R o m a n i otteng o n o u n a vittoria anche sui Messapi, abitanti nell'area pugliese settentrionale. U n episodio molto significativo chiarisce i rapporti intrattenuti dai R o m a n i con le aristocrazie delle città etnische. Gli abitanti di Volsinii (Orvieto), infatti, dopo aver liberato i loro schiavi e aver loro concesso l'accesso alle magistrature, si ritrovano oppressi dagli stessi ex schiavi. Di nascosto perciò chiamano in loro aiuto i Romani, che inviano Decio Mure, il quale in parte fa uccidere i liberti, in parte li restituisce come schiavi ai loro padroni. Q u e s t ' e p i s o d i o e quello ricordato precedentemente della repressione della plebe di A r e z z o testimoniano quanto fosse avanzato il grado d'assimilazion e delle aristocrazie etnische a R o m a .

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L a stessa riflessione del resto è valida a n c h e per le aristocrazie c a m p a n e e per quelle di molti altri popoli della penisola, che via via entrano in stretti rapporti c o n R o m a . A l l a vigilia della p r i m a guerra punica (264) il d o m i n i o r o m a n o , praticamente ininterrotto, s'estende dallo stretto di M e s s i n a fino a Rimini sull'Adriatico e a Pisa sul Tirreno. Il territorio r o m a n o vero e proprio va d a T a l a m o n e a C u m a sul versante tirrenico e d a Pesaro a Giulianova su quello adriatico: s o n o p o c o più di 20.000 k m q che c o m p r e n d o n o anche alcune zone del Sannio e l'intera Sabina. A questo nucleo centrale s'aggiunge il territorio in m a n o degli alleati, che raggiunge circa 6 0 . 0 0 0 k m q . L a federazione romano-italica esercita d u n q u e il controllo su circa 80.000 k m q in pratica su quasi tutta l'Italia peninsulare. Soltanto i regni di Siria e d ' E g i t t o o lo Stato cartaginese superano in grandezza il d o m i n i o di R o m a e dei suoi alleati. Q u e s t o spiega a m p i a m e n t e p e r c h é nel 2 7 3 il r e d ' E g i t t o T o l o m e o Filadelfo abbia inviato u n ' a m b a s c i a t a a R o m a , per instaurare rapporti di c o m m e r c i o e d'amicizia. C o n Cartagine, invece, i trattati n o n servono più alle soglie d ' u n conflitto aperto, p e r la supremazia del Mediterraneo occidentale.

IL BUON USO DEL BOTTINO^ EDILIZIA E AUTOCELEBRAZIONE L'esproprio delle terre dei popoli vinti, c o n la conseguente disponibilità di vaste estensioni d ' a g r o pubblico d a dare in affitto ai privati, contribuisce all'arricchimento dell'erario r o m a n o . Il ricavato del bottino, diviso tra i c o m a n d a n t i e i soldati, provoca anche un incremento delle fortune private. L'afflusso di queste n u o v e ricchezze, oltre a creare u n a grande richiesta di merci di lusso (vedi box), dà anche n u o v o imp u l s o all'attività edilizia a R o m a . Per il solo trentennio tra il 302 e il 2 7 2 le fonti antiche d a n n o notizia della costruzione di ben undici templi. I lavori sono di regola appaltati dai censori, che controllano le imposte e i canoni di affitto delle terre pubbliche. Alcuni templi sono anche costruiti dagli edili col ricavato di multe (ex aere multatició). S o n o ancora in vigore le norm e che limitano le forme eccessive d'autocelebrazione (la principale delle quali è proprio quella d'offrire un edificio pubblico alla città), m a la proibizione

LE LEGGI C O N T R O IL L U S S O P. Cornelio Rufino, console nel 290 e nel 277, è espulso dal Senato nel 275 a. C, perché possiede dieci libbre di vasellame d'argento, e il disonore di quest'espulsione dal Senato pesa sui suoi discendenti per quattro o cinque generazioni Il lusso sfrenato, e soprattutto la sua ostentazione, va contro le norme morali della classe dirigente romana dell'epoca: ma iprovvedimenti contro il lusso ben presto sono destinati a ridursi I controlli sembrano affievolirsi già alla svolta tra tv e in secolo a.C, come testimoniano in una tomba a camera con 7 sarcofagi di peperino, uno «striglie» (strumento ricurvo e con manico, adatto per ripulire la pelle e detergere il sudore: è un indizio dell'introduzione a Roma della frequentazione delle palestre) e diverse terrecotte architettoniche prodotte nella Magna Grecia. Nel caso specifico si tratta d'un membro dell'aristocrazia romana, forse un trionfatore, come si può dedurre dalla presenza nella decorazione di alcune quadrighe tirate da vittorie alate.

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p u ò essere aggirata con la p r o m e s s a solenne, pronunciata davanti all'esercito in armi, d ' u n edificio templare a u n a divinità e questo t e m p i o è poi costruito col bottino (de manubiis) ricavato dalla vittoria dal generale vincitore.

IL RINNOVAMENTO URBANISTICO Q u a s i n u l l a è rimasto visibile del n o t e v o l e a r r i c c h i m e n t o edilizio di R o m a tra rv e m secolo a.C. Oltre ai n u m e r o s i t e m p l i , negli u l t i m i d e c e n n i del iv s e c o l o a.C. e nei p r i m i d e c e n n i del m s e c o l o è n o t o c h e s o n o costruiti d u e a c quedotti: inoltre s o n o innalzate a l c u n e statue onorarie di privati e a l m e n o d u e statue colossali di divinità. P o c h i s s i m e opere di q u e s t o p e r i o d o h a n n o lasciato q u a l c h e traccia e tra q u e -

M A N I O C U R I O D E N T A T O E L'URBANISTICA Manio Curio Dentato è uno dei personaggi più illustri della media Repubblica romana. È un homo novus, ossia non discende da magistrati curuli e non appartiene per nascita alla nobilitas romana. Si distingue come generale; ricopre il consolato per quattro volte {290, 284, 275 e 274); è nominato censore nel 272. A lui si devono nel 290 la vittoriosa conclusione della terza guerra sannitica e la conquista della Sabina, per le quali celebra il trionfo; nel 283 sconfigge i Sènoni e riporta vittorie anche sugli Etruschi; batte definitivamente Pirro nel 275. A Manio Curio Dentato è attribuita anche una notevole attività edilizia a Roma. Costruisce il tempio di Feronia, votato in seguito alla vittoria sui Sabini, da identificarsi probabilmente col tempio C di largo Argentina. Col bottino ricavato dalla vittoria su Pirro nell'anno della censura procede all'edificazione dell'Amo Vetus, il secondo acquedotto di Roma in ordine cronologico, che porta a Roma l'acqua dell'Amene, convogliata presso Vicovaro.

Area sacra del largo Argentina, planimetria generale.

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ste è n o t o il c o s i d d e t t o t e m p i o C d e l l ' A r e a sacra di largo A r g e n t i n a , il terzo d a n o r d tra quelli a n c o r a visibili. C o n q u e s t ' e d i f i c i o c o m i n c i a u n l u n g o p e riodo di riorganizzazione e trasformazione d e l l ' a r e a del C a m p o M a r z i o . C o n m o l t a probabilità e r a d e d i c a t o a F e r o n i a : il c u l t o di q u e s t a divinità della Sab i n a è introdotto col c o n s u e t o rituale délVevocatio (la « c h i a m a t a fuori» del d i o dalla città vinta) e c o n l'offerta di un t e m p i o a o p e r a del c o n s o l e M a n i o C u r i o D e n t a t o d o p o la vittoria sui Sabini nel 2 9 0 . L'altro p o d i o in tufo risale alla fase più antica del t e m p i o , di cui rimangon o frammenti della decorazione architettonica in terracotta e alcune iscrizioni.

A N C O R A SUI N O M I DEI R O M A N I Agli inizi del m secolo a.C. è ormai stabilita l'usanza definitiva nell'onomastica dei ceti superiori. Ogni individuo è connotato dal prenome (- il nostro nome proprio), dal nome (= il gentilizio) e dal cognome (l'ulteriore specificazione familiare all'interno d'una gens): ad esempio Publio Cornelio Scipione. Progressivamente, specie nei casi di clan familiari molto prolìfici si aggiungono altri soprannomi che diventano specifici cognomi di un ramo familiare, all'interno di una gens. Così avremo gli Scipioni Barbati o Cetegi eccetera.

LE T R E N T A C I N Q U E TRIBÙ DEI R O M A N I Le prime tre tribù di Roma antica sono quelle dei Tities, Ramnes e Luceres, secondo la tradizione risalenti a Romolo e corrispondenti alle genti che formano il nucleo originario della nuova città (tribù «genetiche»). Nel periodo di passaggio tra la monarchia e la repubblica, vengono istituite ventuno tribù, cui corrispondono altrettanti ambiti territoriali, quattro entro la città (tribù urbane) e diciassette nell'agro romano (tribù rustiche). Altre diciotto tribù sono create nel corso del iv e del HI secolo, in corrispondenza alle conquiste e al conseguente allargamento del territorio controllato direttamente da Roma: nel 241 a.C. viene così raggiunto il numero definitivo di trentacinque tribù. Tutti i cittadini romani creati dopo questa data sono iscritti a una delle tribù già esistenti. Le tribù costituiscono la base dei comizi curiati (ogni tribù è suddivisa in 10 curie) e poi di quelli tributi (assemblee di tutto il popolo romano o della sola plebe), che hanno poteri legislativi, elettorali e giudiziari e funzionano fino agli inizi del principato. Le tribù dei Romani (sono indicati il momento della creazione e il territorio di pertinenza): ante 495 a . C : 4 tribù urbane: Esquilina, Palatina, Collina, Suburana (regioni di Roma); 17 tribù rustiche, di cui 6 più antiche: Lemonia, Camìlìa, Pupinia, Pollia, Romìlìa e Voltinia (stretta fascia dei villaggi intorno a Roma) e 15 più recenti: Voturia, Aemilia, Horatia, Papiria, Menenio, Claudia, Sergia, Cornelia, Fabia, Galena (area più esterna di territori di pertinenza delle gentes dell'aristocrazia romana) e Clustumina (annessione dell'agro di Crustumerio); 387 Stellatina, Sabatina, Tromentina e Arnesis (agro veìente e capenata); 358 Pomptina (area pontina) e Poblilia (territorio degli Ernici); 338 Scaptia e Maecia (territorio laziale: Lanuvio e Velletri); 318 Falerno (agro Falerno) e Dufentina (valle del fiume Ufente); 299 Aniensis (territorio degli Equi, nella valle dell'Amene) e Terentina (territorio degli Aurunci); 241 Velina (territorio dei Pretuzii) e Quirino (area sabina).

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Porta Maggiore in un'incisione di Giuseppe Vasi

L'edificio è stato restaurato d a D o m i z i a n o , d o p o l ' i n c e n d i o del C a m p o M a r zio d e l l ' 8 0 d . C , e a questa fase più tarda appartengono i resti dei muri della cella e del m o s a i c o p a v i m e n t a l e a tessere b i a n c h e e nere. Ancora all'iniziativa di M a n i o Curio Dentato si deve la costruzione d ' u n acquedotto, 1'A/110 Vetus. Tracce del condotto sotterraneo in piccoli parallelepipedi di tufo con copertura in lastre di cappellaccio sono state viste in varie e p o c h e nella z o n a di porta M a g g i o r e . Nella stessa area, in posizione elevata rispetto alla città, in seguito confluirà a n c h e Yaqua Marcia (144 a . C ) , di cui si c o n s e r v a n o alcune arcate nel piazzale L a b i c a n o e nel piazzale di porta M a g g i o r e , oltre agli acquedotti di Claudio, d u e arcate dei quali costituiscono l'attuale porta M a g g i o r e . C O M P R A R VASI A R O M A «Novio Plauzio mi fece a Roma, Dindio Macolnia mi diede a sua figlia» si legge sul coperchio della cosiddetta Cista Ficoroni. un cestello in bronzo finemente decorato con scene delle storie degli Argonauti, proveniente dalla necropoli di Palestrina e conservato al museo dì Villa Giulia. Quest'oggetto, uscito da una bottega artigiana romana nel iv secolo a.C, testimonia nella maniera più evidente che Roma in quest'epoca era un importante centro di produzione di oggetti di lusso, che venivano anche esportati. Vasi di produzione romana urbana sono stati infatti rinvenuti in tutto il Mediterraneo occidentale e anche questo è uno dei segni della nuova ricchezza affluita nella città, in seguito alle vittoriose campagne militari, e dello sviluppo economico che suscita attività produttive in grado di reggere il confronto con la produzione delle più evolute società ellenistiche.

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STORIA DI ROMA ANTICA

Sulle altre costruzioni e sui m o n u m e n t i eretti a R o m a in questo p e r i o d o sono note soltanto informazioni ricavate dalle narrazioni degli scrittori antichi o dalle riproduzioni di particolari edifici o statue sulle m o n e t e d ' e p o c a più tarda. È certo soltanto c h e nel iv secolo la lotta politica tra i gruppi dirigenti della nobilitas r o m a n a si svolge anche attraverso contrapposti piani di sviluppo edilizio e forme più o m e n o sfarzose d'autocelebrazione. N e l 3 0 6 a.C. davanti al t e m p i o dei Castori (vedi capitolo La città-stato: continuità e rinnovamento) è eretta la statua equestre di Quinto M a r c i o Tremulo, onorato per le vittorie riportate sugli Ernici, e questo m o n u m e n t o è riprodotto probabilm e n t e su u n a m o n e t a di Lucio M a r c i o Filippo (coniata nel 113-112 a . C ) , che intendeva esaltare il ricordo d e l l ' u n i c o trionfatore della famiglia. Sul C a m p i d o g l i o nel 305 è innalzata una statua colossale di Ercole. Sempre sul Campidoglio è realizzata nel 293 una statua di Giove (ugualmente colossale, tanto che era visibile dal m o n t e C a v o ) , con la fusione delle armature tolte ai Sanniti. Gaio Spurio Carvilio, dedica questa statua colossale a Giove, ponendo accanto una propria statua di dimensioni minori. In questo periodo è ricorrente l ' u s o di «votare» templi alle divinità, r o m a n e e d'importazione: è un m o d o classico per esaltare il ruolo degli individui e delle gentes, che lottano per il primato politico. G i u g n o Bubulco "vota" e poi costruisce il tempio della Salus, famoso nell'antichità per le pitture di G a i o Fabio (vedi box Nasce a Roma la pittura, arte non disdegnata dai nobili). Per celebrare l'ideologia della vittoria, sempre più dominante a R o m a in seguito al successo delle c a m p a g n e militari contro i popoli limitrofi, sul Palatino sorgono tre templi. Il più antico è quello a G i o v e Vincitore. Votato in occasione della battaglia di Sentino (295) dal dittatore Quinto Fabio M a s s i m o Rulliano, è poi da lui c o struito con le spoglie raccolte nello scontro contro i Sanniti. U n tempio alla Vittoria è dedicato nel 294, presso porta R o m a n u l a sul Palatino, per iniziativa dell'edile Lucio Postumio Megello, che destina alla costruzione il ricavato dell'esazione di multe. Questo tempio sorge sul luogo di u n ' a rea antichissima riferita al mitico Evandro, re degli Arcadi (vedi capitolo Un fiume, un guado e un crocevia) e gli si attribuiscono alcune notevoli terrecotte della decorazione, rinvenute sul retro del più tardo tempio della Magna Mater (vedi capitolo Romani e cartaginesi: la conquista del Mediterraneo). Infin e il console M a r c o Attilio Regolo fa erigere il tempio di Giove Statore presso la porta Mugonia, dove, secondo la tradizione, R o m o l o avrebbe fermato i Sabini. S e m p r e alla più antica leggenda di R o m a si riferisce la dedica del tempio di Quirino (cioè di R o m o l o divinizzato), voluto dal dittatore Lucio Papirio Cursore (325) e realizzato da suo figlio Tito nel 293 presso la porta Quirinale. L o stesso Tito Papirio Cursore fa costruire nel 272 sull'Aventino un tempio a C o n s o (il dio del consiglio, che forniva a R o m o l o l'ispirazione per le scelte p o litiche), votato fino dal 293 e nella cella del tempio una pittura rappresentava Papirio in veste trionfale. In questo periodo, oltre al richiamo all'antichissima leggenda romana (Evandro, R o m o l o ) , si manifesta anche un'esplicita e m u l a z i o n e di Camillo. Marco Fulvio Fiacco nel 2 6 4 trionfa sugli Etruschi di Volsinii e p o n e dediche sacre n e l l ' a r e a dei templi di Mater Matuta (ricostruito d a C a m i l l o per ricordare la grande R o m a dei Tarquini) e di G i u n o n e R e g i n a (fatto edificare d o p o la presa di Veio; vedi capitolo Ascesa, caduta e resurrezione di Roma).

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I ROMANI H LA Pl-NEOLA

Rovine dell'Acquedotto Claudio verso i Castelli Romani in un'incisione

ottocentesca.

Il r i c h i a m o alla R o m a d e l l ' e t à m o n a r c h i c a spiega a n c h e l'erezione del tempio alla Fors Fortuna, appaltato nel 2 9 3 con la preda di guerra d a Spurio Carvilio proprio accanto a quello dedicato alla stessa divinità d a Servio Tullio (vedi capitolo / / re riformatore, il re tiranno e la rivoluzione). Ricchissima è la serie delle divinità "astratte", che iniziano a diffondersi in questo periodo. Si tratta per lo più di personificazioni di virtù pubbliche e private. Si è già visto il significato della dedica di un tempio alla Concordia, eretto in ricordo della pacificazione tra patrizi e plebei (vedi capitolo / luoghi e le istituzioni). Ora si d e d i c a n o templi alla Salus, alla Spes, alla Libertas, alVHonos, alla Mens, alla Virtus e alla Fides. Q u e s t ' u l t i m a divinità è particolarmente importante per la politica r o m a n a nei confronti degli alleati, basata sì su n o r m e scritte, m a fondata soprattutto sulla reciproca fiducia tra i contraenti. C A M B I A LA M O D A . CADE LA BARBA / Romani dei tempi più antichi portano regolarmente la barba, come si può vedere nei pochi ritratti conservati, il più noto dei quali è il cosiddetto Bruto Capitolino. A partire dalla prima metà del m secolo a.C a Roma s'impone la moda di rasarsi. Iprimi barbieri (tonstrini) sarebbero giunti dalla Magna Grecia intorno al 300 a.C. La nuova moda deriverebbe dunque dall'imitazione delle abitudini del mondo greco-ellenistico: così tenere la barba lunga diviene il segno d'un voluto attaccamento alle tradizioni romane antiche. Si spiega così anche il cognome aggiunto (un vero e proprio soprannome) portato da Lucio Cornelio Scipione Barbato, capostipite del ramo della gens Cornelia cui si riferisce ilfamoso sepolcro degli Scipioni, scavato nei pressi della via Appio.

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STORIA. D I R O M A . A N T I C A

U n terremoto verificatosi durante la lotta contro i Piceni (268) fornisce l'occasione per la dedica d ' u n tempio alla Tellus (la Terra) nell'area delle Carinae, nella z o n a di passaggio tra la Velia e l'Esquilino. L e fonti scritte narrano c h e nella cella era rappresentata u n a m a p p a d'Italia, la p r i m a carta geografica della penisola di cui si abbia notizia. U n caso particolare è offerto dal t e m p i o della Venere Ossequiente presso il circo M a s s i m o , votato dall'edile Quinto Fabio M a s s i m o Gurgite col ricavato delle m u l t e imposte alle d a m e r o m a n e accusate di adulterio: infatti questo tempio diviene anche la sede della prostituzione urbana. Va ricordato, infine, il t e m p i o eretto d a M a r c o Fulvio Fiacco in occasione del trionfo per la presa di Volsinii (264) e dedicato a Vertumno, la divinità principale dei Volsiniensi. Si tratta del solito rituale délVevocatio della divinità del n e m i c o vinto e le spese sono sostenute coi proventi del bottino (la tradizione parla di duemila statue in bronzo). A n c h e qui ( c o m e nel t e m p i o di C o n s o ) , secondo u n a consuetudine evidentemente diffusasi in questo periodo, u n a pittura rappresentava il dedicante in veste di trionfatore.

LA CITTÀ, GLI UOMINI LA TERRA Grazie alle guerre e alle conquiste l'aspetto della città di R o m a nella p r i m a metà del m secolo a.C. subisce u n radicale m u t a m e n t o e assume s e m p r e più le caratteristiche d ' u n a metropoli ellenistica, ricca di edifici sacri, di pitture, di statue colossali delle divinità e di statue onorarie dei generali trionfatori. Anche se di tutto questo ormai esistono soltanto le testimonianze delle fonti scritte o delle monete. Tra la fine del iv e i primi decenni del m secolo si registra un notevole incremento della popolazione urbana, che è stata "stimata" in circa 187.000 abitanti nel periodo immediatamente precedente alla prima guerra punica. Alla crescita della popolazione v a n n o collegate le opere di pubblica utilità, c h e caratterizzano in questo periodo l'edilizia urbana: non per nulla

LA C E N T U R I A Z I O N E * RURALE

LA F O R M A R O M A N A

DEL P A E S A G G I O

// territorio romano può essere distribuito sia a singoli assegnatari (assegnazione «vintane» o «viritarie» da viritim, ad ogni uomo), sia a gruppi di coloni reclutati per essere dedotti in una colonia. La prima soluzione è adottata, ad esempio, nella distribuzione delle terre conquistate ai Sabini nel 290 a.C. La seconda soluzione è applicata ogni qual volta è fondata una colonia, romana o latina. Quello che caratterizza le operazioni d'assegnazione dei lotti è la preliminare misurazione fcenturiato o centuriazione) del territorio da suddividere, effettuata dagli agrimensori romani (gromatici), che usano un particolare strumento per mantenere gli allineamenti (groma). Si crea in tal modo una maglia ortogonale di grandi quadrati o rettangoli (centurie,), che comprende tutto il territorio da distribuire ai coloni. Entro questo sistema ordinato, che tiene conto dell'orientamento solare e delle caratteristiche morfologiche del terreno, inparticolar modo dello scolo delle acque indispensabili all'irrigazione, si ricavano le parcelle dei singoli coloni. Questa procedura trasforma in maniera profonda e duratura il paesaggio precedente. Ancora a distanza di duemila anni è infatti possibile riconoscere le tracce, talora molto ben conservate, dell'antico paesaggio romano.

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I ROMANI E LA PENISOLA

C I T T A D I N I E TERRE L'incremento dei cittadini romani, abitanti nell'Urbe e nel territorio romano, nel periodo che va dalla fine della Lega latina allo scoppio della prima guerra punica può essere seguito grazie ai dati sui censimenti tramandati dagli scrittori antichi. Può essere utile confrontare l'aumento della popolazione (le cifre si riferiscono ai cittadini maschi adulti) con i dati proposti dagli studiosi sull'estensione del territorio romano. Anno

Cittadini

Territorio

336 294 280 276 265

250.000 262.321 287.222 271.224 292.234

5.776 kmq 14.000 kmq 17.320 kmq 24.000 kmq

in m e n o di c i n q u a n t a n n i sono costruiti ben due acquedotti: Yaqua Appia (312) e l'Anto Vetus (273). In seguito alle conquiste il territorio abitato d a cittadini romani h a un notevole incremento e la riorganizzazione del territorio strappato agli Equi e agli Aurunci porta alla creazione di due nuove tribù: YAniensis e la Teretina (299). Allo stesso m o d o l'annessione dei territori dei Sabini e dei Pretuzi (290) porterà alla costituzione delle due ultime tribù: la Quirina e la Velina, nel 241 a.C. In definitiva nella p r i m a m e t à del in secolo a.C. R o m a diventa s e m p r e più u n o Stato territoriale.

ROMANI E CARTAGINESI: È LO SCONTRO

I TRATTATI N O N BASTANO PIÙ R o m a , d o p o aver completata la conquista dell'Italia meridionale, q u a n d o è costretta a intervenire in Sicilia, si trova faccia a faccia con la potenza cartaginese (vedi capitolo L'egemonia nelVItalia centro-meridionale). M a fin dagli inizi della Repubblica i vari trattati di navigazione e di c o m m e r c i o con scadenze s e m p r e più ravvicinate ( 5 0 9 , 3 4 8 , 3 0 6 e 279 a . C ; vedi box / trattati di Cartagine nello stesso capitolo) dimostravano che la possibilità di u n o scontro con Cartagine era stata costante nella politica r o m a n a . L'antica colonia della città fenicia di Tiro sulla costa africana (a nord-est dell'attuale Tunisi) è una tappa obbligata dei traffici marittimi tra il Mediterraneo orientale (Egitto e Fenicia, d a cui riceve tappeti, ceramiche, vetri, pietre preziose) e quello occidentale (Spagna, d a cui riceve argento e pesce salato). È una tappa obbligata anche nei traffici nord-sud, perché è in diretto contatto con gli empori greci della Sicilia (da cui importa prodotti artistici) ed è il porto d ' i m barco delle merci dell'Africa centrale (avorio, penne di struzzo, schiavi). Cartagine, c o m e tutte le città fenicie, è famosa per la produzione di porpora e il suo "impero mercantile" si estende, per m e z z o di fondazioni coloniali e scali commerciali, lungo tutto il bacino mediterraneo occidentale, dalla Cirenaica alle colonne d'Ercole, dalla Spagna meridionale alle Baleari, dalla Sardegna e Corsica a parte della Sicilia. N e l l ' e c o n o m i a cartaginese una parte importante è rappresentata anche dall'agricoltura, esercitata soprattutto nella fertile pianura del fiume Bagrad. Lì sorgono le fattorie dei grandi proprietari fondiari, i quali insieme ai grandi mercanti e ai grandi imprenditori-artigiani costituiscono il nucleo della oligarchia nelle cui mani è concentrato il potere politico. A n c h e a Cartagine si contrappongono due differenti linee politiche. I proprietari terrieri preferiscono una politica d'espansione territoriale in Africa; mentre i mercanti e gli artigiani vedono con favore le conquiste d'oltremare, per consolidare e allargare i mercati. La difesa d ' u n impero coloniale e il controllo degli alleati in Africa, dai quali esigono pesanti tributi, obbligano i Cartaginesi a mantenere un ingente apparato militare, costituito soprattutto da mercenari. M a sempre la forza cartaginese di base è costituita dalla flotta.

LA QUESTIONE SICILIANA Pirro nel 275 a . C , al m o m e n t o d e l l ' a b b a n d o n o della Sicilia (vedi capitolo L'egemonia nell'Italia centro-meridionale), a v r e b b e e s c l a m a t o « C h e bel

ROMANI K CARTAGINESI: È IO SCONFRO

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Appio Claudio il Cieco censura nel Senato le proposte di pace di Pirro; fu anche uno dei primi conquistatori della Sicilia (da Bartolìni).

COMI; SI GUADAGNA U N COGNOME Nelle operazioni in Sicilia del 263 a.C, che portano alla resa di Gerone di Siracusa e alla conquista di Messina, si distingue particolarmente il console Manio Valerio, che ottiene oltre al trionfo anche il cognome "trionfale" Messalla (cioè conquistatore di Messana), portato da tutti i suoi discendenti L'uso di attribuire un cognome trionfale ai generali vincitori da allora diventa una consuetudine molto seguita: Publio Cornelio Scipione Africano, Lucio Cornelio Scipione Asiatico, Quinto Cecilio Metello Macedonico, Quinto Cecilio Metello Numidico e tanti altri ancora. D'altra parte cognomi legati a particolari virtù strategiche sono usuali anche presso i Cartaginesi, se è vero che Amilcare merita il cognome Barca (-fulmine), poi portato dai discendenti, per la sua rapidità nel condurre le azioni belliche. Non sempre, però, i cognomi affibbiati ai generali sono lusinghieri. Quando, nel primo scontro navale della guerra punica, il console Gneo Cornelio Scipione è sorpreso dai Cartaginesi nel porto di Lipari, i suoi equipaggi si rifugiano in tutta fretta sulla terraferma e il console stesso, terrorizzato, si arrende. Per questo motivo al primo e sfortunato ammiraglio di Roma (quando ritorna a Roma in seguito a uno scambio di prigionieri) è attribuito il cognome burlesco di Asina, con riferimento al terrore dell'acqua che Romani attribuivano alla femmina dell'asino.

c a m p o di battaglia lascio ai Cartaginesi e ai R o m a n i ! » e dieci anni d o p o div e n t a un v e r o profeta! Infatti nel 2 6 5 a.C. G e r o n e , n u o v o s i g n o r e di Siracusa, assale i M a m e r t i n i , i mercenari del s u o p r e d e c e s s o r e A g a t o c l e , c h e alcuni anni p r i m a si e r a n o impadroniti di M e s s a n a ( M e s s i n a ) e a v e v a n o fondato u n o Stato i n d i p e n d e n t e . I M a m e r t i n i , sconfitti in battaglia, affidano il p r e s i d i o d e l l a r o c c a a u n a guarn i g i o n e di Cartaginesi e m a n d a n o c o n t e m p o r a n e a m e n t e a m b a s c i a t o r i ai R o m a n i , per offrire la s o t t o m i s s i o n e della città. Il S e n a t o r o m a n o si t r o v a di fronte a u n a s c e l t a d e c i s i v a . Gli a c c o r d i c o n C a r t a g i n e e s c l u d o n o u n i n t e r v e n t o r o m a n o in S i c i l i a e i R o m a n i c o n s i d e r a n o i M a m e r t i n i p o c o p i ù d ' u n a b a n d a di b r i g a n t i . È c h i a r o p e r ò c h e i C a r t a g i n e s i , s e a s s u m o n o il c o n t r o l l o di M e s s i n a , sar a n n o in g r a d o di battere i Siracusani e d ' i m p o r r e la loro e g e m o n i a sull'intera Sicilia.

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STORIA DI ROMA ANTICA

Su proposta dei consoli, la questione è rimessa alla votazione dei comizi, che decidono d'inviare a Messina i soccorsi richiesti. Il c o m a n d o della spedizione è affidato al console A p p i o Claudio, che traghetta parte dell'esercito in Sicilia e costringe al ritiro il presidio cartaginese di Messina. M a la guerra divampa: la presenza armata dei R o m a n i in Sicilia spinge all'alleanza tra i Cartaginesi e i Siracusani, che m u o v o n o uniti contro Messina. Appio Claudio, constatato che ormai R o m a è ufficialmente in guerra, fa passare tutto l'esercito in Sicilia. Venuto a c o n o s c e n z a delle p r i m e vittorie di A p p i o C l a u d i o , il S e n a t o r o m a n o m a n d a n e l l ' i s o l a e n t r a m b i i c o n s o l i eletti p e r il 2 6 3 a . C , M a n i o Otacilio e M a n i o Valerio (vedi b o x ) . C a r t a g i n e s i e S i r a c u s a n i s o n o battuti in successivi scontri i n t o r n o a M e s s i n a . A l l o r a m o l t e città g r e c h e si sottom e t t o n o s p o n t a n e a m e n t e ai R o m a n i , c h e m a r c i a n o su Siracusa. Gerone, per evitare il peggio, chiede ai R o m a n i una pace separata, accordata a o t t i m e c o n d i z i o n i : c o m e alleato di R o m a m a n t i e n e il g o v e r n o di Siracusa e di alcuni p o s s e d i m e n t i ; v e r s a u n a p i c c o l a i n d e n n i t à di g u e r r a e si imp e g n a a rifornire le t r u p p e r o m a n e di stanza in Sicilia. E il p a t t o sarà f e d e l m e n t e m a n t e n u t o p e r tutto il r e g n o di G e r o n e , quasi mezzo secolo.

LA SICUREZZA O I A RICCHEZZA Il Senato d e v e scegliere se proseguire u n a sicura politica di assestamento del d o m i n i o r o m a n o nell'Italia peninsulare o p p u r e se avviare u n a decisa espansione fuori della Penisola. L a presa di M e s s i n a e le facili vittorie creano grandi entusiasmi: la preda è ricchissima e molto di più ci si p u ò aspettare dalla conquista delle altre città siciliane, poiché l'espulsione dei Cartaginesi dall'isola sembra impresa facilmente realizzabile. I R o m a n i scelgono la ricchezza. Così d a un intervento militare, circoscritto e limitato nel tempo, si giunge alla più lunga guerra d e l l ' e t à antica: la p r i m a guerra punica (264-241 a . C ) .

I N GUERRA PER LA SICILIA D o p o le p r i m e sconfìtte c a m p a l i , i C a r t a g i n e s i si r i n c h i u d o n o in a l c u n e fortezze, b e n difese dal lato di terra e f a c i l m e n t e rifornibili p e r m a r e . U n i c a e c c e z i o n e è la piazzaforte di A k r a g a s ( o d i e r n a A g r i g e n t o ) , c h e n o n è sit u a t a sulla costa. Su di e s s a i R o m a n i c o n c e n t r a n o il loro sforzo e la cing o n o d ' a s s e d i o c o n quattro legioni, al c o m a n d o dei d u e consoli (262). L ' a s sedio dura ben cinque mesi e la rocca risulta imprendibile. In soccorso giung e d a l l ' A f r i c a A n n o n e c o n u n e s e r c i t o di m e r c e n a r i , arruolati di r e c e n t e . D o p o u n a furiosa battaglia i R o m a n i e s p u g n a n o la città, m a la g u a r n i g i o n e c a r t a g i n e s e si m e t t e in salvo e p e r q u e s t o m o t i v o i consoli vittoriosi non o t t e n g o n o il trionfo. D ' a l t r a p a r t e il s a c c h e g g i o della città e l ' a s s e r v i m e n t o dei superstiti, tutti G r e c i , c o m p r o m e t t o n o l ' i m m a g i n e dei R o m a n i p r e s s o gli abitanti d e l l e altre città g r e c h e d e l l a Sicilia. Nell'anno successivo (261) qualche città dell'interno passa dalla parte di R o ma, m a le fortezze della costa tornano tutte all'alleanza con Cartagine, di cui t e m o n o la potenza marittima.

R O M A N I E CARTAGINESI* £ LO S C O N T R O

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I ROMANI DIVENTANO MARINAI I R o m a n i c o m p r e n d o n o che, per sconfiggere Cartagine, è indispensabile il controllo del m a r e e nel corso d ' u n solo a n n o è allestita u n a flotta in grado d'affrontare quella cartaginese. D o p o qualche disavventura la flotta r o m a n a , c o m a n d a t a dal console G a i o Duilio, affronta quella cartaginese nel tratto di mare tra M i l a z z o e le isole Lipari. Grazie anche all'introduzione dei ponti mobili, i famosi corvi, i Cartaginesi sono messi in fuga e p e r d o n o 50 navi. N e l l ' e n t u s i a s m o della vittoria, nel F o r o R o m a n o è innalzata una colonna in onore di G a i o Duilio, ornata con i rostri delle navi catturate. La colonna e la relativa iscrizione celebrativa saranno rifatte in età augustea, per perpetuare il ricordo dell'eccezionale avvenimento.

I CORVI Nonostante l'impegno profuso nella costruzione, le navi romane sono goffe e lente rispetto a quelle cartaginesi. Per rimediare allo svantaggio, prendendo a modello ponti mobili in uso nelle marine ellenistiche, è adottato un congegno, che permette d'evitare battaglie navali manovrate e trasformare la guerra per mare in una serie di piccoli scontri di fanteria. Una grossa e lunga antenna con una carrucola è fissata alla prua delle navi. All'antenna è assicurata una scala o barcarizzo munito d'un basso parapetto, alla cui estremità è applicata una punta metallica acuminata. Con un sistema di gomene questo congegno, chiamato dai soldati corvo a causa del becco aguzzo, è sollevato e fatto ricadere con forza sulla tolda della nave nemica, su cui si aggancia saldamente. Attraverso questa sorta di ponte i fanti romani assaltano la nave nemica, che non può più manovrare, e ingaggiano un corpo a corpo mortale.

Ricostruzione di un corvo: il ponte mobile è dotato di un arpione che le navi romane usavano per l'arrembaggio alle navi nemiche.

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STORIA DI ROMA ANTICA

L a vittoria di M i l a z z o h a g r a n d e risonanza, m a non modifica la situazione in Sicilia. N o n o s t a n t e gli sforzi dei R o m a n i , le munitissime fortezze di Lilib e o e Trapani rimangono saldamente in m a n o ai Cartaginesi, che controllan o la parte occidentale dell'isola. I successi della flotta (con l'occupazione della città punica di Aleria in Corsica nel 259 e la sconfitta della squadra navale cartaginese al largo della Sardegna nel 258) incoraggiano i R o m a n i ad attaccare Cartagine, traghettando gli eserciti in Africa. Nel 2 5 6 una squadra navale, al c o m a n d o dei consoli Manlio Vulsone e Attilio Regolo, salpa d a Messina diretta in Africa. Al largo di C a p o E c n o m o (oggi C a p o Sant'Angelo, presso Licata), dove h a sostato per imbarcare i fanti, la flotta romana è intercettata dai Cartaginesi, comandati dall'ammiragUo Amilcare, e s'ingaggia la più grande battaglia navale dell'antichità. Dalla parte romana si schierano 2 3 0 navi d a guerra e circa 100 battelli per il trasporto di cavalli e rifornimenti: gli equipaggi a s s o m m a n o a circa 100.000 rematori; sono imbarcati inoltre 40.000 fanti. Dalla parte cartaginese si schieran o 2 5 0 navi, con non m e n o di 150.000 uomini. D o p o alterne vicende i Cartaginesi sono messi in fuga e la via del mare verso l'Africa è aperta.

ARMATORI E MARINAI Prima della guerra con Cartagine i Romani non hanno alcuna esperienza di cose marinare. Soltanto dal 311 a.C è creato un piccolo comitato incaricato di provvedere ai problemi della marina. Le navi sono fornite dagli alleati italici, chiamati «alleati navali» e la flotta romana conta al massimo una ventina di navi, tutte triremi. In Italia nessuno costruisce quinqueremi, indispensabili per condurre una campagna navale contro la flotta cartaginese: sono navi con venticinque o trenta remi su ogni fiancata, con cinque uomini a ogni remo (nel complesso circa trecento rematori). Per passare in Sicilia, l'esercito romano è traghettato attraverso lo Stretto con navigli scoperti, presi a prestito dagli alleati. In quest'occasione, una nave coperta dei Cartaginesi, che tentava di ostacolare lo sbarco, si sarebbe arenata su una secca e avrebbe fornito il modello per la costruzione della prima flotta di Roma. In breve tempo si mettono in cantiere 100 quinqueremi e 20 triremi. Mentre le navi sono in costruzione, sulla terraferma si provvede all'addestramento degli equipaggi, perché servono circa 30.000 rematori. In parte sono forniti dagli alleati navali, ma per lo più si tratta di trasformare dei contadini in marinai. Fatti sedere gli uomini su banchi disposti nello stesso ordine di quelli della nave, i comandanti li fanno gettare indietro tutti insieme, accostando le mani al petto all'ordine del capovoga, e poi piegarsi a tempo in avanti allungando le braccia. Così, dopo il varo delle navi e un breve addestramento in mare, sono pronti a salpare per la prima spedizione navale di Roma.

LA GUERRA IN APRICA E IL GRANDE NAUFRAGIO I R o m a n i s b a r c a n o p r e s s o la A s p i s (in latino C l u p e a , a est d e l l ' a t t u a l e cap o B o n ) e la c o n q u i s t a n o senza difficoltà: m a p e r e s p u g n a r e C a r t a g i n e son o necessari rinforzi dall'Italia. Il S e n a t o r o m a n o d e c i d e c h e un c o n s o l e rim a n g a a svernare in Africa con m e t à d e l l ' e s e r c i t o e l ' a l t r o ritorni a R o m a col resto delle t r u p p e e i prigionieri. L e o p e r a z i o n i in Africa s o n o affidate al solo Attilio R e g o l o e u n a serie di scontri favorevoli p o r t a n o l ' e s e r c i t o di R e g o l o m o l t o vicino a Tunisi. I Cartaginesi p r e n d o n o allora in consideraz i o n e la possibilità di c h i e d e r e la p a c e , m a R e g o l o p r o p o n e c o n d i z i o n i

ROMANI E CARTAGINESI* ii LO SCONfRO

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t r o p p o g r a v o s e e umilianti. L e s c a r a m u c c e c o n t i n u a n o ; m e n t r e R e g o l o n o n sa approfittare di alcune circostanze favorevoli ( c o m e la rivolta degli alleati n u m i d i c o n t r o C a r t a g i n e ) , i Cartaginesi n o n o s a n o affrontare l ' e s e r c i t o r o m a n o in c a m p o aperto. L ' a n d a m e n t o della g u e r r a c a m b i a r a d i c a l m e n t e nel 255 a . C , quando giungono a Cartagine i mercenari spartani, guidati dall'abile generale Santippo. Questi dispone di 12.000 fanti, 4 0 0 0 cavalieri e circa 100 elefanti; R e g o l o schiera 15.000 fanti, m a solo 5 0 0 cavalieri. S a n t i p p o a p profitta della m a g g i o r e m o b i l i t à di m a n o v r a e d e l l ' i m p a t t o degli elefanti, attacca i R o m a n i in p i a n u r a e li sconfigge p e s a n t e m e n t e . S o l o 2 0 0 0 u o m i ni riescono a rifugiarsi a C l u p e a : lo stesso R e g o l o c o n 5 0 0 u o m i n i c a d e prig i o n i e r o . Il S e n a t o r o m a n o h a già allestito 3 5 0 navi, p e r p o r t a r e i rinforzi in Africa, m a d e c i d e di r i n u n c i a r e a l l ' i m p r e s a e i n v i a la flotta solo p e r i m b a r c a r e i 2 0 0 0 superstiti, asserragliati a C l u p e a . Sulla via del ritorno la flotta è colta d a u n a s p a v e n t o s a t e m p e s t a : 2 8 4 navi s o n o distrutte e a n n e g a n o 7 0 . 0 0 0 r e m a t o r i e 2 5 . 0 0 0 soldati: è il più s p a v e n t o s o disastro n a v a l e d e l l'antichità.

I A BOTTE C H I O D A T A DI ATTILIO REGOLO Attilio Regolo non è stato un gran generale e neppure un abile diplomatico. Su lui pesa la responsabilità della disastrosa conclusione della spedizione in Africa. In cambio l'episodio della sua prigionia presso i Cartaginesi ha prodotto numerosi racconti leggendari, che hanno finito perfare di Regolo un personaggio esemplare, come quelli di Muzio Scevola, Orazio Coclite o Clelia; sempre i Romani hanno saputo ammantare le loro sconfitte di un alone eroico e le loro leggende, se non sono vere, sono sempre ben inventate. Regolo infatti sarebbe stato inviato a Roma per negoziare la pace, dopo aver giurato ai Cartaginesi che sarebbe ritornato in ogni caso in Africa. Egli avrebbe persuaso il Senato romano a respingere le proposte dei Cartaginesi e, mantenendo la parola, sarebbe tornato a Cartagine. Lì sarebbe stato torturato e avrebbe trovato la morte rinchiuso in una botte irta di chiodi. Si celebra così la fìdes (lealtà) dei Romani e si sottolinea la crudeltà e la barbarie dei Punici. Di tutto ciò, naturalmente, non si trova traccia nel resoconto della guerra punica fornito dagli storici più attendibili, come ad esempio il greco Polibio. E probabilmente Regolo è morto in prigionia, prima dello scambio di prigionieri, avvenuto nel 247 a.C

DI NUOVO IA GUERRA IN SICILIA E NUOVI DISASTRI NAVALI L a guerra c o n t i n u a in Sicilia, d o v e i R o m a n i riescono a p r e n d e r e P a l e r m o , m e n t r e i Cartaginesi c o n q u i s t a n o e d i s t r u g g o n o A g r i g e n t o . U n a sfortunata spedizione n a v a l e r o m a n a v e r s o l a T r i p o l i t a n i a (253 a.C.) finisce p r i m a nelle secche e poi n u o v a m e n t e in un naufragio, con la perdita di altre 150 navi e dei loro equipaggi. Nel 2 5 0 a.C. i Cartaginesi non riescono a riprendere P a l e r m o , p u r usando numerosi elefanti c o m e forza d ' u r t o . Ancora una volta m a n t e n g o n o il controllo soltanto delle fortezze marittime di Lilibeo e Trapani. I R o m a n i concentrano gli sforzi contro Lilibeo, che è stretta in una m o r s a per terra, c o n due legioni, e per m a r e , con 200 navi. La città è però munitissima e circondata da un a m p i o fossato. N o n o s t a n t e l ' i m p i e g o di m a c c h i n e d a assedio, fornite

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Attilio Regolo è condannato a morte dai Cartaginesi (incisione di B. Pinelli).

dagli alleati siracusani, i R o m a n i non riescono a espugnare Lilibeo, rifornita per m a r e da 5 0 navi cartaginesi che forzano il blocco. Si giunge così al 249 a . C : il n u o v o console, Publio Claudio Pulcro, tenta di prevenire l'arrivo di ulteriori rinforzi agli assediati e attacca immediatamente la squadra cartaginese, ancorata a Trapani. M a l'abilità del comandante cartaginese porta alla sconfitta della flotta r o m a n a e alla perdita di quasi 100 navi. Il console, caso rarissimo nella storia romana, è processato per trascuratezza e pesantemente multato. Il suo collega, Giunio Pullo, non ha maggiore fortuna. Nel corso d ' u n a scaramuccia contro la flotta cartaginese, le sue navi sono sorprese dalla tempesta presso capo Pachino e completamente distrutte contro gli scogli della costa. In questa fase della guerra, l'unica vittoria r o m a n a è la presa della città di Erice, che permette di isolare completamente d a terra Trapani e Lilibeo.

VERSO LA PACE R o m a è esausta. M a n c a il denaro per armare u n ' a l t r a flotta. S e c o n d o il censimento del 247 la popolazione atta alle armi è calata in v e n t ' a n n i di circa 50.000 unità (quasi il 17%). A Cartagine, proprio q u a n d o potrebbe riprendere il controllo del m a r e nella lotta contro R o m a e probabilmente concludere u n a p a c e accettabile, prevale il partito che persegue l'espansione sul territorio africano. O r a Cartagine disarma praticamente la flotta e concentra tutti i suoi sforzi nelle c a m p a g n e terrestri che portano, sotto la guida di A n n o n e il G r a n d e , alla conquista di ampi territori sul suolo africano. Il c o m a n d o delle o p e r a z i o n i in Sicilia è affidato nel 2 4 7 a . C ad A m i l c a -

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re B a r c a , p a d r e del g r a n d e A n n i b a l e , c h e riesce a m a n t e n e r e s a l d a m e n t e in m a n o c a r t a g i n e s e Trapani e L i l i b e o , a r i p r e n d e r e E r i c e e a c o m p i e r e fulm i n e e scorrerie l u n g o le c o s t e d e l l ' I t a l i a m e r i d i o n a l e . C o m e c o n t r o m i s u ra i R o m a n i f o n d a n o in questi a n n i u n a n u o v a c o p p i a di c o l o n i e marittim e , ad A l s i o (vicino a L a d i s p o l i ) e a F r e g e n e , c h e si a g g i u n g o n o a q u e l l e già fondate a l l ' i n i z i o della g u e r r a a Pirgy (Santa S e v e r a ) e a Castrum Novum ( S a n t a M a r i n e l l a ) . S o p r a t t u t t o i R o m a n i d e c i d o n o infine di c o m p i e r e u n o sforzo d e c i s i v o e a r m a n o u n a n u o v a flotta g r a z i e a u n c o n s i s t e n t e p r e stito, c o n c e s s o dai più ricchi aristocratici r o m a n i , col p a t t o c h e le s o m m e s a r a n n o restituite in c a s o di vittoria. T r a il 2 4 3 e il 2 4 2 a.C. s o n o c o s t r u i te 2 0 0 q u i n q u e r e m i , subito inviate d a v a n t i a T r a p a n i . I Cartaginesi, colti di sorpresa, sono in grado di mettere in m a r e u n a flotta solo d o p o otto mesi. Al largo delle isole Egadi, di fronte a Lilibeo, si svolge l ' u l t i m o atto della lunghissima guerra. Il console Q u i n t o Lutazio Catulo riesce a sconfiggere la squadra cartaginese, che è catturata e dispersa (241 a . C ) . Privi della flotta, i Cartaginesi decidono di chiedere la resa. Si giunge all'accordo d o p o lunghe trattative, condotte per i Cartaginesi d a A m i l c a r e e per i R o m a n i d a Lutazio Catulo e poi d a u n ' a p p o s i t a c o m m i s s i o n e inviata in Sicilia dal Senato. Cartagine d e v e rinunciare ai suoi possedimenti in Sicilia, restituire i prigionieri senza riscatto e pagare in dieci anni un indennizzo di 3200 talenti (pari a 83 tonnellate di argento).

SUPREMAZIA DI ROMA NELL'ITALIA CENTRALE Proprio n e l l ' a n n o in cui si conclude la p r i m a guerra punica i R o m a n i d o m a no la rivolta dei Falisci, che si sono sollevati approfittando del totale i m p e gno di R o m a contro i Cartaginesi. La repressione è durissima. L a città antica di Falerii Veteres (corrispondente a Civita Castellana) è rasa al suolo e metà del territorio è confiscato: è fondato soltanto negli anni successivi un n u o v o centro, Falerii Novi, in pianura, a circa sei chilometri a occidente del vecchio. Inoltre per accelerare il processo di romanizzazione dell'area u m b r a (vedi capitolo precedente), nel 241 a.C. è fondata la colonia latina di Spoleto.

ROMA, GUARDIANO DEL MARE Fin da q u a n d o si sono affacciati sull'Adriatico con la conquista dei territori dei Sènoni (290) e dei Pretuzi (283) i R o m a n i si sono trovati di fronte al problema della pirateria illirica (vedi box). Il fenomeno a s s u m e proporzioni preoccupanti q u a n d o le piccole tribù illiriche si riuniscono in u n vero e proprio Stato di pirati, c h e raggiunge una discreta potenza tra il 240 e il 2 3 0 a . C , sotto il re A g r o n e e la sua vedova, la regina Teuta. L e c o n t i n u e l a m e n t e l e degli alleati italici e delle città g r e c h e i n d u c o n o a l l ' i n t e r v e n t o R o m a , c h e o r m a i è investita del c o m p i t o della difesa totale d e l l ' I t a l i a . N o n ha alcun effetto u n ' a m b a s c e r i a inviata presso la regina Teuta nel 230, con la richiesta d ' u n risarcimento dei danni subiti dai mercanti italici. Anzi la nave che riporta la delegazione romana è assalita e un ambasciatore r o m a n o rimane ucciso. È la guerra. Gli Illiri minacciano le città greche e conquistano Corcira (odierna Corfù).

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Profilo, pianta e sezione di una quinquereme, nave romana a cinque ordini di remi.

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PIRATI D I MESTIERE, C O N L I C E N Z A STATALE Le coste frastagliate dell'Illiria corrispondono per buona parte a quelle dell'attuale Albania: protette da numerose piccole isole e ricche di baie riparate costituivano una base ideale per l'attività piratesca delle tribù costiere di quella regione. La scarsità di risorse del retroterra, brullo e impervio, spingeva la popolazione a trarre i suoi guadagni quasi esclusivamente dalle incursioni lungo le coste della penisola balcanica e dell'Italia, rendendo assai pericolosa la navigazione dei Greci e degli Italici nell'Adriatico e nello Ionio. La velocità delle loro navi, le liburne, la loro abilità e la possibilità di rifugiarsi in porti sicuri garantivano la prosecuzione indisturbata della loro attività "produttiva", che godeva dell'appoggio dello Stato. Alle rimostranze dei Romani, che inviarono un 'ambasceria per ottenere il risarcimento dei danni subiti dagli Italici da parte dei pirati illirici, la regina Teuta avrebbe infatti risposto che «non era nelle abitudini dell'Illiria impedire ad alcuno di conquistarsi bottini sul mare».

I R o m a n i i n v i a n o u n a flotta di 2 0 0 navi c o n b e n 2 2 . 0 0 0 u o m i n i e in b r e v e c o s t r i n g o n o Teuta alla resa ( 2 2 8 a . C ) . Gli Illiri d e v o n o c e d e r e tutti i territori, città e isole d a l o r o occupati sulla c o sta adriatica m e r i d i o n a l e , rinunciare alla pirateria e i m p e g n a r s i a n o n far nav i g a r e la flotta a sud di Lissa.

I R O M A N I AMMESSI AI G I O C H I DI C O R I N T O La promozione internazionale di Roma è confermata da un fatto molto significativo. Nel 228 a.G, dopo l'inizio della guerra contro ipirati illirici, Roma è ammessa a partecipare ai giochi istmici, che si svolgevano secondo l'antica tradizione a Corinto. È questo il segno che ì Romani sono considerati dai Greci come appartenenti alla medesima stirpe ellenica; perciò sono degni di partecipare alle antiche competizioni sportive, cui erano ammessi solo i cittadini delle città-stato greche. È però anche il segno tangibile di ringraziamento per l'intervento militare contro i pirati illirici, sentito come intervento in difesa della libertà di commercio dei Greci nelle acque dello Ionio e dell'Adriatico. I giochi, che si tenevano nell'intervallo di quelli olimpici, consistevano in gare ippiche, ginniche e, più tardi, anche artistiche. Si conservano anche liste di vincitori dei giochi in età romana.

I R o m a n i in q u e s t ' o c c a s i o n e stringono trattati d ' a l l e a n z a c o n p a r e c c h i e c o lonie ( c o m e E p i d a m n o , o d i e r n a D u r a z z o , e A p o l l o n i a ) e isole g r e c h e (Coreira e F a r o , o d i e r n a L e s i n a ) , c h e si affidano alla loro p r o t e z i o n e . I n s t a u r a n o a n c h e importanti rapporti diplomatici c o n gli Stati greci interessati ai traffici c o n l ' a r e a adriatica, tra cui A t e n e e C o r i n t o . U n d e c e n n i o d o p o c ' è u n a ripresa della pirateria illirica. D e m e t r i o di F a r o a v e v a ottenuto dai R o m a n i q u e s t ' i s o l a in c a m b i o d e l l ' a i u to fornito durante la guerra c o n t r o Teuta, q u a n d o a v e v a tradito c o n s e g n a n d o ai R o m a n i Corcira. O r a D e m e t r i o c a m b i a di n u o v o b a n d i e r a e si m e t t e al s e r v i z i o d e l r e di M a c e d o n i a , il g i o v a n e F i l i p p o v , p e r c o n t o del q u a l e r e c a d i s t u r b o alle città greche indipendenti e a quelle protette da Roma. Preoccupati dal deteriorarsi d e i r a p p o r t i c o n i C a r t a g i n e s i n e l l a p e n i s o l a i b e r i c a , i R o m a n i inter-

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v e n g o n o in forze e c o s t r i n g o n o in b r e v e D e m e t r i o a lasciare F a r o e a t r o v a r e asilo in M a c e d o n i a (219 a . C ) .

LA NUOVA SPINTA GALLICA E LA CONQUISTA DEL NORD L'esito della p r i m a guerra punica h a favorito indubbiamente i ceti mercantili romani, mentre s o n o restate insoddisfatte le esigenze dei proprietari terrieri e dei contadini. N e l 232 a . C , per iniziativa del tribuno della plebe G a i o Flaminio e contro il volere del Senato, si decide d ' a s s e g n a r e a singoli cittadini r o m a n i terre nel Piceno e nel cosiddetto agro gallico, tolto in precedenz a ai Sènoni (vedi capitolo precedente). Preoccupati dalla ripresa d e l l ' e s p a n s i o n e r o m a n a verso nord, i Galli B o i e Insubri passano l'Appennino (255 a . C ) , giungono a Chiusi e sconfiggono uno degli eserciti romani inviati a fermarli. I Romani possono contare sull'alleanza con i Galli C e n o m a n i (insediati tra l ' O g l i o e l ' A d i g e ) e con i Veneti, che garantiscono loro u n appoggio nella Pianura P a d a n a orientale. D u e eserciti consolari inseguono i Galli in ritirata lungo la costa tirrenica e li sbaragliano a Talamone: 4 0 . 0 0 0 Galli restano sul terreno e 1000 sono fatti prigionieri. L ' a n n o seguente il territorio dei Boi è m e s s o a ferro e fuoco e si apre la possibilità di penetrare nella ricca Pianura Padana. Il progetto è portato avanti dal gruppo politico interessato all'espansione territoriale in Italia, il cui leader è ancora G a i o Flaminio. Eletto console per il 2 2 3 a . C , egli passa in forze il P o , entra nel territorio degli Insubri e li sconfigge presso il fiume Chiese. C o n t r o la volontà della m a g g i o r a n z a del Senato, l ' a s s e m b l e a popolare gli decreta il trionfo. L a guerra p e r ò non è conclusa. Di fronte al rifiuto r o m a n o di giungere a un accordo di pace, gli Insubri si a r m a n o n u o v a m e n t e , arruolando a n c h e mercenari oltralpe. L ' a n n o seguente (222 a.C.) il console M a r c o Claudio Marcello li sconfigge a Casteggio, u c c i d e n d o di propria m a n o il c a p o gallico Viridomaro e ottenendo perciò le spoglie o p i m e (vedi capitolo Ascesa, caduta e resurrezione di Roma). Segue la presa di M i l a n o e la resa degli Insubri. Nel territorio tolto ai Galli

G L I E R R O R I SI P A G A N O , A N C H E SE T A L V O L T A È POSSIBILE CAVARSELA

/ Cartaginesi non sono teneri con i loro generali sconfitti: Annone, dopo aver persa Agrigento nel 261 a.C, è privato del comando, dei diritti civili e multato di 6000 pezzi d'oro; Asdrubale, sconfitto nel 250 a.C. sotto le mura di Palermo, è richiamato in patria e giustiziato. Tale durezza di trattamento spiega lo stratagemma adottato da Annibale, lo stratega sconfitto da Gaio Duilio nella battaglia navale di Milazzo del 260 a.C, che prevedendo una punizione manda un suo uomo di fiducia a sondare gli umori del Senato cartaginese. In particolare fa chiedere ai senatori, se lo avessero approvato qualora avesse attaccato con 200 navi una squadra romana forte di 120. Il Senato, udito ciò, lo esorta ad attaccare. «Ebbene - dice il messaggero - è proprio quello che Annibale ha fatto e siamo stati battuti». Con questo stratagemma Annibale evita il disonore e la punizione per la sconfitta da parte dei concittadini. In seguito, però, sconfitto dai Romani in Sardegna, sarà condannato dai Cartaginesi superstiti all'impiccagione.

R O M A N I K CARTAGINESI? È LO S C O N T R O

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saranno fondate di lì a p o c o le colonie di C r e m o n a e Piacenza. Tra il 2 2 0 e il 219 a.C. G a i o Flaminio, che in quegli anni ricopre la carica di censore, c o struisce la via Flaminia, da R o m a a Rimini, asse portante della penetrazione verso la Cisalpina.

MODIFICHE ISTITUZIONALI Alla fine della p r i m a guerra p u n i c a e in seguito alla grande mobilitazione delle classi inferiori, per sostenere lo sforzo bellico, a R o m a si registra una riforma " d e m o c r a t i c a " d e l l ' o r d i n a m e n t o centuriato. Nell'organizzazione dei comizi o assemblee popolari si fondono il principio territoriale con quello del censo. Nel 241 le tribù (vedi capitolo / luoghi e le istituzioni) r a g g i u n g o n o il n u m e r o definitivo di 3 5 , m e n t r e il totale delle centurie rimane fissato a 193. Con la riforma 10 unità di voto sono tolte alla p r i m a classe e le residue 7 0 centurie v e n g o n o divise tra le 35 tribù, a ciascuna delle quali corrispondono u n a centuria di ìuniores e u n a di seniores. L'iscrizione a una centuria della p r i m a classe non dipende d u n q u e più dall'entità dei beni e dalla scelta dei censori, m a dall'iscrizione in u n a tribù e quindi dalla residenza. Inoltre c h i u n q u e abbia il censo per rientrare nella prim a classe, m a non possiede terre, è iscritto nelle otto centurie in cui si suddividono le quattro tribù urbane. L o scopo della riforma deve essere stato quello di dare m a g g i o r e forza politica al ceto agricolo; m a anche gli esattori p u b blici (publicani) e i mercanti investono parte dei loro guadagni in terreni e possono iscriversi nelle tribù rustiche. D ' a l t r a parte proprio durante il in secolo a.C. gradualmente diminuisce l ' i m p o r t a n z a dei comizi. S o n o convocati infatti solo per l'elezione delle magistrature maggiori (consoli, pretori, censori) o per decidere della pace e della guerra. L'attività legislativa e l ' e l e z i o n e dei magistrati minori sono s e m p r e più spesso affidate ai comitia tributa, cioè alle assemblee del popolo r o m a n o organizzate secondo le tribù e n o n secondo le centurie, e questi comizi tributi non d e b b o n o essere confusi con i concilia plebis tributa, cui partecipano soltanto i plebei e che e m e t t o n o i plebisciti con valore di legge (vedi capitolo / luoghi e le istituzioni). Nella seconda m e t à del ni secolo a.C. c a d e anche u n ' a l t r a prerogativa patrizia: infatti l'elezione del pontifex maximus viene affidata a u n ' a s s e m b l e a popolare (comitium) formata per sorteggio d a 17 tribù su 3 5 . L'espansione della sfera d'influenza di R o m a fuori d a l l ' a m b i t o italico porta anche a innovazioni nel sistema giudiziario e amministrativo. A c c a n t o al pretore urbano, che continua a occuparsi delle cause tra cittadini, nasce il pretore «peregrino», che dirime le cause tra forestieri {peregrini) o tra cittadini romani e forestieri (242 a . C ) . S o n o inoltre creati d u e pretori, cui è affidata l'amministrazione delle n u o v e province della Sicilia e della Sardegna e Corsica (227 a . C ) .

EDILIZIA I N TEMPO DI GUERRA E NEL DOPOGUERRA L'edilizia pubblica a R o m a nel periodo della p r i m a guerra punica è necessariamente collegata alle vicende belliche e, quindi, interessa soprattutto l'area del foro Boario, d o v e si trovano i navalia, il porto militare di R o m a .

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Q u i nel 2 6 0 a.C. G a i o Duilio dedica un t e m p i o a G i a n o , divinità bifronte della p a c e e della guerra, e nel 2 5 6 A u l o Atilio Calatino dedica u n t e m p i o alla Spes. Collocati presso il tempio di Portunus di fronte al porto Tiberino, questi templi rappresentano il simbolo monumentale della nuova potenza marittima di R o m a , già espressa nella colonna rostrata di G a i o Duilio e in quella eretta in onore di M a r c o E m i l i o P a o l o nel 255 a.C. sul C a m p i d o g l i o .

LE CIFRE DELLA G U E R R A . U O M I N I E M E Z Z I Alcune cifre indicative, tratte dagli scrittori antichi, benché poco sicure e certamente parziali, possono dare un'idea dell'enorme sforzo bellico e del grande dispendio di uomini e mezzi nel corso della prima guerra punica (264-241 a.C), come già detto la guerra più lunga dell'età antica. 1 Romani avrebbero schierato nel 263 in Sicilia 40.000 uomini; nel 262 in Sicilia avrebbero ripristinato i 40.000 uomini; nel 261 la flotta romana sarebbe stata composta da 100 quinqueremi e 20 triremi con 30.000 rematori; nel 256 al capo Ecnomo la flotta romana sarebbe stata composta da 230 navi (perse 24) con 100.000 rematori e 40.000fanti; nel 256 Regolo in Africa avrebbe avuto 40 navi, 15.000fanti, 5000 cavalieri (solo 2000 sopravvissuti e 500 prigionieri); nel 255 naufragio della flotta: 284 navi, 70.000 rematori, 25.000 soldati; nel 253 nuovo naufragio della flotta: perse 150 navi; nel 250 all'assedio di Lilibeo sono presenti due legioni e 200 navi; nel 249 nuovo naufragio della flotta: perse 120 navi; nel 241 alle Egadi la flotta schiera 200 quinqueremi. 1 Cartaginesi a loro volta avrebbero schierato nel 262 in Sicilia 50.000fanti, 6000 cavalieri, 60 elefanti; nel 260 a Milazzo 130 navi (perse 60); nel 256 a Capo Ecnomo 250 navi (perse 100), 15.000 uomini e in Africa 12.000fanti, 4000 cavalieri, 100 elefanti; nel 250 all'assedio di Palermo numerosi elefanti (persi 1Q); nel 241 alle Egadi avrebbero perduto 120 navi.

Nel 241 a.C. Quinto Lutazio Catulo, d o p o la vittoria delle Egadi, dedica nel C a m p o M a r z i o un tempio di Giuturna, divinità delle acque: tempio c h e forse è identificabile col cosiddetto tempio A di largo Argentina. Nello stesso anno sull'Aventino, luogo destinato alle divinità dei popoli vinti trasferite a R o m a con la procedura dell' evocatio (vedi capitolo / luoghi e le istituzioni), è costruito il tempio di M i n e r v a votato in occasione della conquista di Falerii. Il ventennio circa tra le d u e guerre puniche è caratterizzato d a una serie di costruzioni, che rispecchiano u n forte conflitto ideologico tra le gentes patrizie e plebee. Sull'Aventino, colle " p l e b e o " per eccellenza, sorge il t e m p i o di luppiter Liber et Libertas (238 a . C ) , dedicato d a Tiberio S e m p r o n i o , antenato dei Gracchi, rappresentante del partito filopopolare. Nel C a m p o M a r z i o meridionale (nella z o n a oggi c o m p r e s a tra il teatro di Marcello, piazza Cairoli, via del portico di Ottavia e il Tevere), G a i o F l a m i nio (il leader d e m o c r a t i c o costruttore della via Flaminia) costruisce il circo Flaminio (221 a . C ) , corrispettivo plebeo del Circo M a s s i m o , dove si terranno le assemblee della plebe (concilia plebis e i ludi plebei). L'aristocrazia romana patrizia è presente col tempio di Honos a porta Capena, votato d a Quinto Fabio Massimo (234 a . C ) , e con Yaedes Honoris et Virtutis, votata d a M a r c o Claudio Marcello dopo la battaglia di Casteggio del 222 a.C. Inoltre A p p i o Claudio p r o m u o v e lo sviluppo dei quartieri meridionali e fa lastricare, con basoli p o ligonali, il clivus Patricius, principale accesso all'Aventino (238 a . C ) .

ROMANI E CARTAGINESI^ È LO SCONTRO

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// basolato dell'Appia antica: particolare di un'incisione di G.B. Piranesi.

I R O M A N I COSTRUTTORI D I STRADE L'intervallo fra le due guerre puniche favorisce anche la costruzione di numerose e importanti strade, che costituiscono alla fine del ni secolo una fitta rete di vie di comunicazione in Italia da e per Roma. Le strade romane possono essere lastricate, come avviene per le vie urbane e perturbane, ma anche per le strade di più larga comunicazione. Comunemente però si tratta di strade inghiaiate o semplicemente in terra battuta con un modesto strato di preparazione. In ogni caso le strade consolari tendono a essere rettilinee, anche se debbono affrontare forti pendenze, ed evitano ifondovalle. Le principali strade tracciate in quell'epoca: a) via Aurelio (241) lungo la costa dell'Etruria a Vulci; b) via Amerina (circa 240) per Nepi e Falerii Veteres fino ad Amerio; c) via Flaminia (220) per Capena e Falerii fino a Rimini; d) via Clodia (m-n sec. ?) per Riera e Tuscania fino a Saturnia; e) via Cassia (1717-154?) per la valle del Tevere ad Arezzo; f) inoltre la via Salaria è prolungata da Rieti con due rami, verso la costa picena e pretuzia.

VERSO LA NUOVA GUERRA CON CARTAGINE L a disfatta cartaginese, seguita al p r i m o s c o n t r o c o n R o m a , h a m e s s o in luc e le d e b o l e z z e politiche e militari d e l l o Stato p u n i c o . A l c u n e famiglie di latifondisti ritengono inevitabile l'alleanza c o n i R o m a n i , m a gran parte dei Cartaginesi rifiuta l ' a b b a n d o n o d e i mercati e c o m m e r c i m e d i t e r r a n e i : p e r un p o -

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STORIA DI ROMA. ANTICA

p o l o di mercanti è difficile diventare un p o p o l o di contadini. L a fine del conflitto h a anche p r o v o c a t o il rientro in Africa dei mercenari, che creano numerosi problemi sociali e militari. C h i è abituato a guadagnarsi la vita c o m battendo e razziando difficilmente si trasforma in un pacifico contadino.

I SENATORI E LE N A V I Una legge del tribuno Quinto Claudio, sostenuto da Gaio Flaminio, dispone nel 218 a.C. che nessun senatore o figlio di senatore possieda navi capaci di trasportare più di trecento anfore. Tale carico corrisponde grosso modo al trasporto dalle tenute d'un senatore delle derrate alimentari necessarie al suo fabbisogno. I senatori (e i loro figli) sono così esplicitamente riconosciuti come una classe sociale distinta dal resto dei cittadini. Appartenere alla classe dirigente dello Stato romano impone norme particolari di comportamento diverse da quelle degli operatori commerciali. Soprattutto, forse, si vuole salvaguardare l'integrità dei patrimoni dell'aristocrazia romana, evitando che vi siano clamorosi dissesti, che avrebbero avuto anche contraccolpi politici. Di fatto la legge lascia anche largo spazio all'ascesa del ceto equestre, che si trova ad avere, almeno sulla carta, il monopolio delle attività commerciali su vasta scala. Naturalmente la legge può essere facilmente aggirata, poiché ogni senatore romano può continuare ad arricchirsi con i traffici per mezzo di intermediari, che normalmente sono i suoi liberti, a lui legati da un rapporto, di dipendenza (clientela).

Il tentativo di riprendere possesso della Sardegna sembra offrire un necessario sfogo ai problemi dello Stato punico. M a i Romani, preoccupati della nuova vitalità dei Cartaginesi, col pretesto che l'operazione è diretta contro Roma, intimano guerra alla città punica. Di fronte a questa prospettiva i Cartaginesi abbandonano l'isola e pagano un supplemento alle indennità dovute (237 a . C ) . L'idea di risolvere i problemi economici e sociali con la conquista di territori barbarici non a b b a n d o n a alcuni uomini politici punici, tra i quali A m i l care Barca, che si fa p r o m o t o r e della conquista della Spagna. I R o m a n i c o m i n c i a n o di n u o v o a p r e o c c u p a r s i e m a n d a n o a m b a s c i a t o r i p e r v e d e r e c o m e p r o c e d o n o le o p e r a z i o n i . A m i l c a r e s p i e g a c h e s c o p o d e l -

Nave da carico cartaginese, mosaico conservato a Ostia.

ROMANI E CARTAGINESI? È LO SCONTRO

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LE P R I M E P R O V I N C E R O M A N E Dopo la fine della prima guerra punica, con la conquista della Sicilia, della Sardegna e della Corsica, i Romani estendono il loro dominio anche fuori della penisola italiana. Il modo scelto per controllare questi territori è diverso da quello adottato in Italia. Qui si è fatto ricorso a confische di terre, a fondazione di colonie, ad alleanze; si sono sottoposti i nuovi alleati a obblighi militari. Le isole invece diventano proprietà del popolo romano, veri e propri distretti amministrativi del nascente impero romano. 1 loro abitanti non sono cittadini o alleati, ma sono sudditi soggetti a tributi e non sono chiamati a servire nell'esercito. Al contrario, sono sottoposti al controllo d'un esercito e governati da magistrati romani, inviati regolarmente ogni anno con poteri militari e giudiziari. Nascono così le prime province definite territorialmente. In precedenza le fonti antiche parlavano di «provincia», a proposito della sfera d'attività affidata a un magistrato. Non era però un ambito territoriale delimitato con precisione, bensì l'ambito entro il quale egli deve esercitare il mandato affidatogli per una spedizione, per una guerra eccetera.

l ' o p e r a z i o n e s p a g n o l a è p e r m e t t e r e a C a r t a g i n e di p a g a r e i s u o i d e b i t i . B e n ché poco convinti, i Romani stipulano un accordo con i Cartaginesi (226 a.C.) p e r c u i il f i u m e E b r o ( d a i d e n t i f i c a r e p r o b a b i l m e n t e c o n l o J u c a r ) è s t a b i l i t o c o m e l i m i t e p e r l ' i n f l u e n z a c a r t a g i n e s e . A s d r u b a l e s o s t i t u i s c e il s u o c e r o A m i l c a r e a c a p o d e l l ' e s e r c i t o e c o n t i n u a l e o p e r a z i o n i in S p a g n a c o n abile d i p l o m a z i a . A l l a m o r t e d i A s d r u b a l e i soldati s c e l g o n o c o m e n u o v o c a p o A n n i b a l e , il figlio v e n t i s e i e n n e di A m i l c a r e . L a S p a g n a , d o m i n a t a dai B a r c a c h e r i v e s t o n o le c a r i c h e p i ù a l t e d e l l ' e sercito, s e m b r a q u a s i u n o S t a t o a u t o n o m o , d o v e le d e c i s i o n i s o n o p r e s e senza c o n s u l t a r e il p a r e r e d e i d i r i g e n t i c a r t a g i n e s i . L a p r u d e n z a di A s d r u b a l e e r a stata u n freno e u n p e s o ; i v e t e r a n i si aspett a n o m o l t o d a A n n i b a l e : il g i o v a n e figlio d e l g r a n d e c o m a n d a n t e fa sperare in azioni più g l o r i o s e . E le loro s p e r a n z e n o n s a r a n n o d e l u s e .

I «BARCIDI»

La narrazione delle guerre puniche ci mette di fronte a parecchi personaggi della classe dirigente cartaginese di nome Asdrubale, Annibale, Amilcare, Annone, Magone. Si tratta dei nomi più diffusi a Cartagine: dove, come in Grecia, a ogni individuo era attribuito un nome personale unico (ad esempio Pericle, Alessandro, Filippo ecc.), spesso seguito, per permettere meglio l'identificazione di personaggi con nomi uguali, dall'indicazione del nome del padre (patronimico). Talora si aggiungevano anche appellativi derivati da particolari virtù o imprese, che poi restano a caratterizzare quel ramo della famiglia. Così Annibale appartiene alla famiglia cartaginese dei Barcidi, cosiddetti dal soprannome «Barca» (che significa "fulmine ") attribuito a suo padre Amilcare per la rapidità delle sue azioni militari. Ecco lo schema genealogico dei pochi membri della famiglia «Barca» (con xey sono indicate la moglie e la figlia di Amilcare, il cui nome è ignoto): Amilcare «Barca» (sp. x) Au As M Y Annibale Asdrubale Magone y (sp. Asdrubale) (F.S.)

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STORIA DI ROMA ANTICA

IL TRATTATO DEII/EBRO Tra il 226 e il 225, preoccupati dai successi cartaginesi in Spagna e per Vinvasione gallica, i Romani decidono di trattare direttamente con Asdrubale e di stabilire le rispettive sfere di azione nella penisola iberica. Il cosiddetto «trattato delVEbro» stabilisce che l'espansione cartaginese deve arrestarsi ali 'Ebro e che i Romani possono mantenere il controllo del territorio spagnolo nord-orientale, a difesa delle colonie dei Marsigliesi, loro antichi alleati. Roma, però, ha stretto alleanza negli stessi anni con Sagunto, città iberica posta a sud dell'Ebro e quindi nella sfera di egemonia cartaginese, e questa sarà la causa scatenante della seconda guerra punica: quando Annibale nel 219 a.C. attaccherà Sagunto, i Romani dovranno intervenire a tutela dei propri alleati.

U N U M B R O RIFA IL VERSO AI GRECI E FA RIDERE I R O M A N I Plauto senza dubbio è un personaggio di grande spicco nella vita culturale romana del ili secolo a.C. Nato a Sarsina, sull'Appennino, in gioventù come attore calca le scene a Roma. La mancanza di quattrini lo costringe però ad adattarsi a girare la macina tutto il giorno per poter campare. Raggiunge il successo come autore di commedie, un genere di teatro leggero, misto di recitativi e cantati, vicino alla moderna operetta. I temi, ripresi dalla ricca tradizione della commedia greca, sono rielaborati e adattati al gusto romano. Si tratta per lo più di intrecci complicatissimi, spesso imperniati su scambi di persona, in cui si muovono personaggi molto caratterizzati; un servo imbroglione, un padre severo, un giovane spiantato e innamorato, una mezzana avida di denaro, un soldato gradasso. Vi si trovano anche situazioni tratte dalla storia recente, come nei Prigionieri di guerra, nel Piccolo Cartaginese, nella Gomena Vi è rappresentata anche in chiave satirica la ricerca dì gloria militare e di trionfi dell'aristocrazia romana, che dalle guerre vuole trarre vantaggi e prestigio personale. Celebre la frase messa in bocca al personaggio Je//'Anfitrione; «Io li misi in rotta al primo attacco, grazie all'autorità e al comando conferitomi con investitura divina».

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Scena teatrale romana, dal Codice vaticano latino 3868, Eunucus, atto in, scena n.

ROMANI E CARTAGINESE LA CONQUISTA DEL MEDITERBANEO

IL TRATTATO VIOLATOJ DI CHI È IA COLPA D o p o il p r i m o conflitto, durato ventiquattro anni e costato uomini e risorse, R o m a non p u ò permettere c h e v e n g a rimessa in discussione la sua egem o n i a nel m a r Tirreno e in parte del Mediterraneo occidentale. D ' a l t r a parte i Barca sfruttano il m a l c o n t e n t o di b u o n a parte dei Cartaginesi per la perdita delle d u e isole (Sicilia e Sardegna) e p u n t a n o sulla conquista della Spagna, c o m e unica possibilità d ' u n a concreta politica antiromana. Negli scrittori antichi questa politica è l'espressione d e l l ' o d i o per i R o m a n i seminato d a A m i l c a r e nel c u o r e del figlio. In procinto di partire per la Spagna, d o p o i sacrifici, il generale aveva c h i a m a t o accanto a sé A n n i b a l e (che a v e v a nove anni) e gli aveva d o m a n d a t o se voleva seguirlo nella c a m p a g n a militare. A n nibale aveva accettato con entusiasmo, allora A m i l c a r e gli aveva p r e s o la destra e gli aveva fatto giurare sull'altare sacro c h e mai sarebbe stato a m i c o dei R o m a n i (vedi capitolo precedente).

Amilcare fa giurare ad Annibale, suo figlio, eterno odio ai Romani (incisione di B. Pinelli).

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STORIA DI ROMA ANTICA

Antichi e m o d e r n i si sono s e m p r e interrogati sulle cause della seconda guerra punica e sui reali colpevoli dLi questo rinnovato scontro frontale: in realtà n o n c ' e r a possibilità di m e d i a z i o n e tra gli interessi di R o m a e quelli di Cartagine. L ' a t t a c c o di A n n i b a l e a S a g u n t o , città alleata r o m a n a nel territorio d ' i n fluenza c a r t a g i n e s e s e c o n d o il trattato d e l l ' E b r o (vedi p a g i n e p r e c e d e n t i ) , r e n d e inevitabile l ' i n t e r v e n t o . A m b a s c i a t o r i r o m a n i si p r e c i p i t a n o a Cart a g i n e p e r s a p e r e se la c o n d o t t a di A n n i b a l e a b b i a l ' a p p r o v a z i o n e dei dirigenti p u n i c i . Q u i n t o F a b i o ( d o p o a v e r a s c o l t a t o le a c c u s e dei C a r t a g i n e si sul m o d o in cui era stata stipulata la p a c e alla fine d e l l a p r i m a guerra) r a c c o g l i e sul p e t t o la toga. D i c e c h e in q u e l l a sorta di s a c c o p o r t a g u e r r a o p a c e : a l o r o la scelta. I C a r t a g i n e s i gli r i s p o n d o n o di fare q u e l l o c h e gli p a r e : c o s ì Q u i n t o F a b i o , sciolto il s a c c o , offre la g u e r r a .

RISATE PER GLI AMBASCIATORI Lasciata Cartagine, gli ambasciatori romani si recano in Spagna e in Gallia, p e r cercare alleati. Nel migliore dei casi ricevono tiepidi consensi. Presso u n a popolazione gallica, d o p o aver avanzato le loro richieste all'assemblea dei guerrieri in armi, ottengono c o m e risposta u n a risata generale. Anche nella Gallia è noto c h e i Galli d'Italia sono stati soggiogati dai R o m a n i e costretti a p a g a r e u n tributo. L e assurde pretese r o m a n e possono solo suscitare ilarità, tanto più che i Galli h a n n o ottimi rapporti con i Cartaginesi. Sagunto è costretta alla resa nel 219 a.C. e il p i a n o di A n n i b a l e sorprende i R o m a n i sul p i a n o strategico e tattico. Va al di là d ' o g n i i m m a g i n a z i o n e un esercito africano c h e attraversa le Alpi con gli elefanti. M e n t r e i d u e fratelli Scipioni si i m b a r c a n o con u n esercito a Pisa, m a arrivano troppo tardi al R o dano, d o v e speravano di bloccare i Cartaginesi.

I SENATORI L O N T A N I DAI MERCATI Mentre Annibale espugna Sagunto, a Roma si discute vivacemente se i senatori possono partecipare ai commerci (218 a.C). La possibilità di grandi guadagni suscita Vintraprendenza dei compassati dirigenti romani. Iprodotti agricoli delle loro ville rustiche cominciano a essere venduti in mercati sempre più lontani e a volte prendono la strada del mare. Ma i viaggi per mare sono insicuri e di esito incerto. Un naufragio rischia di gettare sul lastrico antiche famiglie nobili. Questa è la paura che si nasconde dietro il plebiscito Claudio, promosso dal tribuno Quinto Claudio. In base a questa legge a un senatore è vietato possedere una nave che possa trasportare un carico maggiore di trecento anfore. Per rendere più efficace il divieto si aggiunge una condanna morale: l'attività mercantile è indegna di un uomo di nobile origine. Il commercio è il dominio dei ladri e degli imbroglioni ai quali è meglio non mescolarsi. La città ha più che mai bisogno dei suoi uomini, meglio che rimangano legati a uno stile di vita austero e parsimonioso piuttosto che si diano ad avventure marine. Inutile dire che non pochi senatori, tramite prestanome, esercitano comunque commerci su larga scala. Lo stesso Catone, grande sostenitore dell 'ideale del cittadino-contadino, non rinuncia ai soldi facili del commercio, ben più facili di quelli dell'agricoltura.

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A N N I B A L E E FAMIGLIA Annibale appartiene alla famiglia dei Barca. Figlio di Amilcare e cognato di Asdrubale (successore di Amilcare nel comando dell'esercito), ha due fratelli, Asdrubale e Magone e alcune sorelle di cui non conosciamo il nome. Annibale significa "Ba'al ha fatto la grazia" (Ba'al, identificato con Saturno, era la maggiore divinità fenicia), ed è l'esatto parallelo dell'ebraico Iohannan, dal quale deriva il nostro Giovanni, che significa "Yahve (Dio) ha fatto la grazia". Il nome della famiglia Barca probabilmente significa "folgore". Il padre di Annibale comincia a essere chiamato dai suoi soldati "folgore di guerra ", facendo poi del soprannome il "cognome" della famiglia. Il cognome Barca diventa distintivo per i discendenti del comandante dato che in fatto di nomi i Cartaginesi hanno ancor meno fantasia dei Romani. Tra quelli più frequenti figurano Amilcare, Asdrubale, Annone, Magone portati dalla maggior parte dei capi punici di cui si ha ricordo.

IL SOGNO DI ANNIBALE Gli scrittori antichi n a r r a n o c h e un s o g n o s t r a o r d i n a r i o a v r e b b e turbato A n n i b a l e , p r i m a di p a s s a r e l ' E b r o . Gli a p p a r e un g i o v a n e , inviato dagli dèi e lui stesso simile a u n d i o . Il g i o v a n e lo invita a s e g u i r l o in Italia s e n z a voltarsi m a i indietro. A n c h e in s o g n o la curiosità h a il s o p r a v v e n t o : A n n i b a l e si v o l t a e v e d e u n s e r p e n t e e n o r m e , a v v o l t o n e l l e s u e spire, in m e z zo a u n a d e v a s t a z i o n e di alberi e p i a n t e . D i e t r o a l l ' a n i m a l e arriva u n fragoroso t e m p o r a l e . S v e g l i a t o di c o l p o , A n n i b a l e c h i e d e agli i n d o v i n i il significato del s o g n o : gli r i s p o n d o n o c h e il s o g n o allude alla d e v a s t a z i o n e d e l l ' I t a l i a e c h e di più n o n è lecito s a p e re. Felice p e r il p r e s a g i o , p a r t e in p r i m a v e r a d a C a r t a g e n a con 102.000 u o m i n i e si a d d e n t r a nelle vallate alpine, q u a n d o si a v v i c i n a l ' a u t u n n o .

AFRICANI ED ELEFANTI ATTRAVERSANO LE ALPI L a strada seguita dal generale cartaginese attraverso le Alpi non è ben c o nosciuta. È probabile che, d o p o aver risalito il R o d a n o fino alla confluenza con l'Isère, abbia seguito la M a u r i e n n e per poi passare attraverso il Gran San Bernardo, il M o n c e n i s i o e il p a s s o di Clapier. L u n g o questo difficile percorso è più facile procurarsi alleati tra le popolazioni celtiche. Il re B r a n c o , cap o degli Allobrogi, gli offre sostegno e aiuti. Guidare gli animali d a s o m a e soprattutto gli elefanti lungo gli stretti e pericolosi sentieri alpini diventa sempre più difficile. Il nevischio trasforma i sentieri ghiacciati in piste scivolose e pericolose. Il ghiaccio sotto il peso degli animali si r o m p e e impiglia le z a m p e c o m e si trattasse di u n laccio mortale. I soldati punici s o n o costretti a costruire n u o v i p e r c o r s i , d o v e g e l o e m a l t e m p o h a n n o distrutto i sentieri. D o p o aver accatastato e bruciato grandi alberi, spezzano la roccia bruciata con l'aceto e il ferro. Poi addolciscono la discesa con modesti tornanti per rendere più facile la strada agli elefanti. Fatica, freddo e mancanza di cibo cominciano a decimare l'esercito, ridotto a 20.000 fanti e 6 0 0 0 cavalieri, m e n t r e molti animali m u o i o n o di fame per m a n c a n z a di foraggio. A settembre Annibale arriva in pianura e riesce a conquistare la capitale dei

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STORIA D I R O M A A N T I C A

A N N I B A L E TRASFORMISTA O V V E R O C O M E N O N FARSI UCCIDERE DAGLI ALLEATI Mentre sverna nella Gallio. Cisalpina, Annibale ricorre alla proverbiale astuzia cartaginese nei confronti degli alleati celtici. Il generale si fida poco della loro recente amicizia e teme che in cambio di bottino e ricchezze possano ordire qualche attentato. Sifa allora preparare numerosi abiti e numerose parrucche di colore e di foggia diversa, adatte a persone di tutte le età. Per evitare di essere identificato, cambia continuamente abito e parrucca. Si trasforma in giovane schiavo, in soldato numida, in stalliere, in cavaliere, in cuoco, in una girandola di personaggi che non consente nemmeno ai suoi più vicini collaboratori di identificarlo. Il generalissimo" si sente a suo agio in questo ruolo di trasformista da varietà, che la paura degli alleati giustifica solo in parte. u

Taurini (presso l'odierna Torino). A n c h e l ' i m p r o v v i s o m i g l i o r a m e n t o delle condizioni climatiche e l ' a b b o n d a n z a di cibo non risollevano l'esercito, d a troppo t e m p o malridotto per la miseria e i disagi.

LA GUERRA IN ITALIAJ ROMA IN GINOCCHIO Dei d u e Scipioni arrivati troppo tardi in Gallia, C n e o si dirige in Spagna; il console Publio rientra in Italia e si prepara allo scontro con Annibale nella Valle Padana. L'esercito punico, m e z z o assiderato e azzoppato secondo i discorsi del console, lo batte al Ticino in ottobre. In dicembre le altre legioni, guidate d a Tiberio Sempronio L o n g o , ricevono una vergognosa batosta alla Treb-

La battaglia del Ticino vinta dai Cartaginesi. Scipione salva il padre dalla cattura (incisione di B. Pinelli).

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bia e le popolazioni celtiche passano dalla parte di Annibale. A fianco dei R o mani resistono i Cenomàni di Brescia e i Veneti. Essi riforniranno di viveri Crem o n a e Piacenza, le due colonie latine, che resisteranno agli attacchi del c o mandante cartaginese fino al 2 0 0 a . C In realtà, d o p o u n primo m o m e n t o di euforia, gli alleati si accorgono c h e Annibale non tiene in alcun conto la vita dei soldati. I saccheggi per procurarsi i viveri diventano sempre più pesanti d a sopportare. I contingenti africani e iberici sono notevolmente ridotti e gli elefanti sopravvissuti alle nevi alpine muoiono uno dopo l'altro. Solo uno, chiam a t o "il Sirio" (cioè un elefante siriano, asiatico), resiste e serve unicamente a impressionare la gente q u a n d o entra nelle città con Annibale sul groppone. Nonostante tutto in p o c o t e m p o Annibale annulla la conquista r o m a n a della Gallia Cisalpina e R o m a comincia a tremare. TEMPI D U R I PER LE SPIE Come in ogni guerra che si rispetti, anche in quella annibalica le spie e gli informatori segreti hanno la loro parte di lavoro: la permanenza di Annibale nella penisola e la sua assoluta libertà di movimento richiedono grandi sforzi a informatori o traditori. A Roma nei momenti cruciali non passa giorno che non si scoprano informatori punici, infiltrati e mescolati al popolo e addirittura ai soldati. Lo stesso accade nell'accampamento avverso. Il condottiero difficilmente riesce a valutare la fedeltà dei nuovi alleati italici, sempre più numerosi. Il lavoro delle spie è redditizio, non mancano però i rischi. Romani e Cartaginesi si distinguono profondamente nel trattamento delle spie una volta scoperte. Gli informatori di Annibale in genere sono rispediti all'accampamento del mittente con le mani tagliate: mentre Annibale non ama lasciare in giro storpi, perciò provvede a crocifiggere pubblicamente le spie dei Romani.

I PRODIGI DELLA PAURA A n n i b a l e passa l ' i n v e r n o a Bologna: mentre a R o m a e nei dintorni avveng o n o strani prodigi. N e l foro B o a r i o un b u e sale fino al terzo p i a n o di u n ' a bitazione e si getta a capofitto al suolo. U n b i m b o di sei mesi grida «Iò triumphe», il grido dei generali trionfatori. N e l cielo balena una visione di navi e il t e m p i o di Speranza nel foro Olitorio (il mercato delle verdure) è colpito dal fulmine. A L a n u v i o l'asta della statua di G i u n o n e si m u o v e d a sola; nel P i c e n o p i o v o n o pietre; in Gallia un lupo ruba e porta via la spada dal fodero d ' u n a sentinella. Consultati i Libri Sibillini, si stabilisce di c o m p i e r e la purificazione della città e d'indirizzare preghiere pubbliche agli dèi. L'elezione a console di G a i o Flaminio, noto c a p o popolare (vedi capitolo precedente), insieme a C n e o Servilio G e m i n o , peggiora la situazione. In un m o m e n t o così difficile, la sua partenza per l'Etruria senza prendere gli auspici accresce il terrore dilagante. I d u e consoli si dividono l'esercito: C n e o Servilio v a a Rimini con due legioni e F l a m i n i o ad A r e z z o con le altre d u e . N u o vi prodigi diffondono paura. Sassi infiammati c a d o n o a Praeneste: le acque delle fonti di Caere fluiscono miste a sangue; capre si trasformano in p e c o re, galline in galli, galli in galline. D o p o il riposo emiliano, Annibale tenta di scendere verso la costa ligure m a il m a l t e m p o lo blocca. L'esercito punico prova qui altri disagi, che non aveva provato sulle Alpi: per tre notti la piena dei fiumi impedisce qualunque spo-

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stamento: freddo e gelo d e c i m a n o i soldati bagnati dalle piogge torrenziali; lo stesso Annibale contrae un'infezione che, mal curata, lo rende orbo.

IL CLIMA MALSANO DEL LAGO Lasciata la Flaminia Annibale giunge nell'alta valle dell'Arno, nei pressi di Fiesole. Flaminio, sopravvalutando se stesso e il cattivo stato dei soldati punici, decide di non aspettare il collega. M a gli dèi non sembrano d ' a c c o r d o : salito sul cavallo in preda all'ira per l'inutile attesa, l'animale stramazza al suolo facendo sbattere la testa al console. Flaminio testardo prende un altro cavallo. Al l a g o T r a s i m e n o i R o m a n i s o n o sorpresi nella nebbia, m e n t r e sono a n c o ra in ordine di marcia; 15.000 u o m i n i s o n o massacrati e 10.000 fatti prigionieri; Flaminio stesso è colpito a morte (21 giugno 2 1 7 a . C ) ; è annientata anc h e u n ' a v a n g u a r d i a di 4 0 0 0 uomini, m a n d a t a d a Servilio: Roma non aveva mai subito una sconfitta così grande. AMORE P U N I C O E DEMENZIALITÀ DI FLAMINIO

Dopo la sconfitta del Trasimeno Tito Otacilio, per ordine del Senato, vota sul Campidoglio un tempio a Mens, la Mente. Questo culto per una divinità astratta si colloca in un momento difficile per la città. La follia, la mancanza di senno (cioè, mente) dì Flaminio ha condotto lui stesso e l'esercito a una tragica rovina. L'appello alla razionalità è comprensibile, in quanto richiama il concetto di misura, di ordine: tutto ciò che manca in quel momento. Nello stesso anno, Quinto Fabio Massimo vota un tempio a Venere Ericina. Si tratta della divinità punica del monte Erice in Sicilia. Secondo una pratica collaudata, i Romani si appropriano d'una divinità nemica e il tempio sul Campidoglio è in stretto collegamento con quello di Mente. Venere, dea dell'amore e dell'istinto, è il contrario della razionalità e dell'equilìbrio: è il contrario di Mente. Mettere i due templi vicini tende a contrapporre e contenere gli influssi di ciascuna divinità, nella ricerca dell'equilibrio necessario in anni difficili.

Lo schieramento degli eserciti cartaginese e romano durante la battaglia del lago Trasimeno (da W. Holden).

ROMANI E CARTAGINESI* LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO

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Q u a n d o n e l l ' u r b e c o m i n c i a n o a giungere le p r i m e notìzie u n a gran folla si riunisce nel F o r o . N u m e r o s e d o n n e v a g a n o per le strade, c o m e istupidite dai racconti sempre più tragici. U n unico grande lutto colpisce la città. O r m a i tutti disperano di vedere i propri cari vivi, soprattutto le m a t r o n e p i a n g o n o i figli e i mariti. Si racconta che non poche d o n n e imbattutesi a l l ' i m p r o v v i s o nel figlio incolume, d o p o averlo creduto morto, siano spirate nelle sue braccia p e r l'eccessiva gioia.

CHI VA PIANO VA LONTANO: FABIO MASSIMO IL TEMPOREGGIATORE L a discesa di A n n i b a l e continua senza ostacoli. C o n lusinghe e false p r o m e s s e il c o m a n d a n t e cartaginese allontana d a R o m a gli alleati italici. Alcuni c e d o n o , altri resistono c o m e Spoleto. A R o m a per la p r i m a volta si c o m prende la necessità d ' u n a strategia unitaria. Flaminio è morto, Servilio è tagliato fuori. Si ricorre a una procedura eccezionale e si elegge dittatore Quinto Fabio M a s s i m o con M a r c o M i n u c i o Rufo c o m e c o m a n d a n t e della cavalleria. F a b i o M a s s i m o , cinque volte console, è ormai ultrasettantenne. N o n d o v e v a essere particolarmente veloce e brillante, se era s o p r a n n o m i nato ovicula, pecorella. M a la lentezza non gli h a impedito di raggiungere una vasta cultura e di fare u n a brillante carriera, nonostante la gens Fabia sia più famosa per prestigio c h e per ricchezza. L a sua posizione politica è contrassegnata dal tradizionalismo e in passato ha s e m p r e sostenuto una politica di non intervento nelle vicende spagnole. La sua elezione incontra l'opposizione della plebe urbana, sobillata dal c o m a n d a n t e della cavalleria M a r c o M i n u cio Rufo, d a C a i o Terenzio Vairone e dal tribuno della plebe Publio Metilio. Il p i a n o di Fabio prevede non la battaglia c a m p a l e , d o v e A n n i b a l e h a sempre dimostrato u n ' i n d i s c u s s a superiorità, m a il lento l o g o r a m e n t o delle forze n e m i c h e con una tattica di guerriglia e di attesa (perciò è c h i a m a t o il «temporeggiatore», ossia colui che attende e rimanda). C o n due n u o v e legioni insegue Annibale in Puglia, limitandosi a disturbare i rifornimenti. L'esercito cartaginese, d o p o il saccheggio del Sannio, c o mincia a devastare l ' a g r o Falerno, tagliando e distruggendo le vigne che producono il famoso vino. Minucio Rufo cerca d'istigare i soldati contro l ' a p parente inerzia di Fabio M a s s i m o , che non risponde alle provocazioni del cartaginese; m a il temporeggiare di Fabio comincia ad avere successo. Annibale s'accorge che i Romani gli chiudono ogni possibile valico e lo stanno circondando. La sua famosa astuzia ancora una volta h a la meglio. N o n a p p e n a cala l'oscurità alcune mandrie di buoi con fascine incendiate legate intorno alle corna sono spinte lungo un pendio. Gli animali impazziti per il dolore sbandano, incendiano i boschi, si lanciano lungo i dirupi. L e sentinelle r o m a n e poste a controllo di u n o dei valichi, atterrite dallo spettacolo, fuggono lasciando via libera all'esercito cartaginese. Annibale torna così in Puglia, nella piazzaforte di G e r e o n i o (217 a . C ) .

I SUCCESSI SPAGNOLI Il parziale insuccesso d e l l ' a z i o n e di Fabio M a s s i m o è presentato c o m e un fallimento d a parte dei suoi oppositori, M i n u c i o Rufo riesce a farsi assegna-

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re gli stessi poteri di Fabio e m e t à dell'esercito. A gennaio la dittatura s e m e strale di Fabio non è rinnovata (216 a . C ) . I successi che i d u e Scipioni riscuotono contro A n n o n e in Spagna, l'altro teatro di guerra di questi duri anni, riportano in a u g e elementi a loro vicini. A m a r z o i comizi e l e g g o n o il patrizio L u c i o Emilio Paolo e C a i o Terenzio Vairone, u n o dei detrattori di Fabio, un plebeo figlio d ' u n macellaio.

D O N N E DI DUBBIA M O R A L I T À E SACERDOTI EVIRATI La nave che trasporta la pietra nera, simbolo di Cibele, rimane incagliata sul Tevere, quasi la dea si rifiuti di andare oltre. Per i Romani potrebbe essere un segno di terribile sciagura, quando la loro pazienza e il sangue freddo sono messi a dura prova da Annibale, che passeggia " per la penisola. Alla patrizia Quinta Claudia non pare vero di poter dimostrare la sua innocenza, disincagliando la nave. Da tempo circolano voci poco benevole sulla sua condotta, un po'troppo spigliata e allegra. La donna chiede a Cibele di dimostrare la sua purezza, permettendole di liberare la nave: si sottoporrà alla pena di morte se non sarà esaudita. Cibele, forse per complicità tutta femminile (o grazie all'aiuto di chi aveva messo Quinta Claudia nei guai), disincaglia la nave. La donna è salva e Cibele entra a Roma. I giochi dedicati alla Grande Madre, i Ludi megalenses (dal greco Megale Meter), sono celebrati non appena istallata la dea. Dal 194 o dal 191 a.C. sono aggiunte anche delle rappresentazioni drammatiche o Ludi scaenici. La romanizzazione" di Cibele comporta Veliminazione di aspetti del culto scomodi per le autorità romane. 1 riti orientali, come i loro due sacerdoti (un uomo e una donna) e i giochi sono controllati da un magistrato. 1 fedeli (patrizi) quando compiono il rituale banchetto devono giurare al console di non spendere più di centoventi assi ciascuno: inoltre non devono bere vini orientali, né sperperare più di cento libbre d'argento. Lo Stato preferisce ignorare che ì Galli, devoti della dea, secondo il culto frigio si evirano per entrare al suo servizio; sconsiglia ai cittadini romani di imitare i Galli, per evidenti ragioni di prestigio; ma chiude un occhio, quando i sacerdoti evirati due volte all'anno chiedono la carità. Il 24 marzo avviene il rituale versamento di sangue: alcuni devoti si autoflagellano, altri si autoevirano in ricordo di Attis, il dio venerato insieme a Cibele, che si era per primo autoevirato in onore della dea. u

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LA DISFATTA DI CANNE Verso l'estate del 2 1 6 a.C. Annibale lascia la piazzaforte di Gereonio per dirigersi verso le ricche pianure della Puglia meridionale. Il condottiero spera di trovare vettovagliamenti e di portare gli eserciti n e m i c i su un terreno adatto alle grandi m a n o v r e . L e sue speranze si avverano e presso C a n n e , un piccolo villaggio apulo sull'Ofanto, il 2 agosto 216 a . C , si scontrano i d u e eserciti. Il genio militare di Annibale raggiunge la sua m a s s i m a espressione. L a battaglia h a un esito spaventoso per i R o m a n i : 4 6 . 2 0 0 sono i morti e 30.000 i feriti. Il console patrizio è travolto dalla m a s s a c h e fugge e rimane ucciso: Caio Terenzio Varrone trova rifugio a Venosa. Maarbale, il c o m a n d a n t e della cavalleria punica, p r o p o n e al suo generale di raggiungere R o m a prima dell'annuncio della disfatta; m a Annibale indugia e alla fine rinuncia. Si dice che l'indugio abbia salvato la città. Forse A n n i b a l e era consapevole che l'assedio d e l l ' u r b e avrebbe potuto durare troppo a lungo, mentre sarebbe stato difficile controllare la via del Tevere ed eliminare la forza della flotta romana.

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LA G R A N D E M A D R E E IL T E M P I O SUL P A L A T I N O Ogni nuova sconfitta è contrassegnata per i Romani da prodigi e strani eventi che turbano la città e le campagne. Uno dei segni più paurosi e stupefacenti del sovvertimento del mondo e della difficoltà dello Stato romano è considerata la nascita di neonati di sesso indefinito o androgini: questi sfortunati bambini, numerosi negli anni della guerra punica, sono subito eliminati. Durante la lunga e difficile guerra il responso dei Libri Sibillini richiede Vimportazione d'una divinità orientale: la Magna Mater o Cibele, la Grande Madre degli dèi. Ambasciatori partono per il regno di Pergamo (situato nell'attuale Turchia), nel cui territorio è situato il santuario di Pessinunte. Il 4 aprile del 204 a.C. Publio Cornelio Scipione Nasica, scelto perché è ritenuto il migliore dei Romani, riporta dall'Asia un pietra nera, simbolo della dea orientale. Questa pietra è accolta nel tempio di Vittoria sul Palatino, finché sullo stesso colle le è dedicato un tempio (10 aprile 191 a.C). Cibele viene "depurata" dei suoi tratti più scomodi e diventa una divinità patrizia. La sua origine troiana" (nel regno di Pergamo era inclusa la Troade) consente di accoglierla nel pomerio e addirittura sul Palatino, il cuore della città romulea, perché i Romani cominciano a essere molto sensibili alla loro discendenza mitica e la leggenda sull'origine troiana può costituire un 'ottima carta, quando le legioni si spingeranno verso la Grecia. u

Il tempio di Cibele a piazza Bocca della Verità in un'incisione di G.B. Piranesi

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R O M A BRUCIA Nel 213 a.C. un violento incendio scoppia nel foro Boario e brucia la maggior parte degli edifici sacri. Lo Stato non naviga nell'oro, ma si trovano i soldi per ricostruire i templi di Speranza, Fortuna e Mater Matuta. Nel 210 a. C. un altro violento incendio doloso scoppia nel Foro, divampando in punti diversi. Il tempio di Vesta si salva a stento grazie all'opera di 13 schiavi, che ottengono in premio la libertà. Per due giorni le fiamme bruciano gran parte degli edifìci. Il Senato, deciso a trovare i colpevoli, offre un premio in denaro (ola libertà se schiavo) a chi denunci gli incendiari. Uno schiavo della famiglia campana dei Calavii denuncia i suoi padroni e altri giovani campani, che hanno appiccato il fuoco per odio verso Roma, dopo la presa di Capua. I denunciati in un primo momento tentano di accusare lo schiavo, ma alla fine confessano: sono giustiziati seduta stante, mentre lo schiavo è liberato e premiato con una ricca somma di denaro. La ricostruzione permette di risistemare le tabemae, le botteghe, che stanno sempre più crescendo in modo disordinato. Le tabemae argentariae (ricostruite e perciò dette novae, nuove) sono disposte intorno al nuovo centro commerciale fmacellum o mercato), che occupa l'area poi riservata al foro della Pace di Vespasiano.

IL PROGETTO MEDITERRANEO DI ANNIBALE I m m e d i a t a m e n t e gli alleati r o m a n i in Apulia, S a n n i o e quasi tutta l'Italia abb a n d o n a n o R o m a . A n n i b a l e p a s s a alla s e c o n d a p a r t e del s u o piano. O r a p o trà recarsi a C a p u a , città c h e i suoi alleati segreti s o n o pronti a consegnargli. Il fratello M a g o n e si dirigerà invece v e r s o sud, nel B r u z i o (odierna Calabria); d o p o aver o c c u p a t e le città italiote, rientrerà a C a r t a g i n e . Altri emissari d e b b o n o suscitare la rivolta in Sicilia; a n c h e in S a r d e g n a la situazione è ormai favorevole, così c o m e in Cisalpina; in S p a g n a invece è scom o d a la p r e s e n z a dei d u e S c i p i o n i .

IL G I U R A M E N T O D I S C I P I O N E All'indomani della terribile sconfitta di Canne, Roma e il suo esercito vivono momenti difficili. Un pericolo mortale incombe sul destino della città. Gli ufficiali scampati alla strage, insieme ai pochi soldati sopravvissuti, si rifugiano a Canosa e il giovane Publio Scipione è tra questi. Corre voce che alcuni comandanti, capeggiati dal patrizio Lucio Cecilio Metello, abbiano intenzione di abbandonare Roma alla sua sorte e di fuggire in Oriente, al servizio di qualche sovrano. Mentre tutti insistono per riunire un consiglio, per discutere e verificare la fondatezza di queste voci, Scipione decide di agire. Il pericolo va affrontato con le armi in pugno; il vero nemico si annida dove si perde tempo in chiacchiere e consigli. Con la spada in pugno egli si reca nella tenda di Metello, dove trova i congiurati riuniti. Il giovane, in preda all'ira, agitando pericolosamente la spada sulle loro teste, dichiara che non abbandonerà la causa di Roma e che non permetterà a nessun cittadino di farlo. Se verrà meno al giuramento possa Giove colpire la sua casa e la sua fortuna con orribili disgrazie. Ordina inoltre a tutti i presenti di prestare giuramento, minacciando di morte istantanea chiunque si rifiuterà. Inutile dire che gli ufficiali, di fronte alla persuasiva argomentazione che si muove sopra le loro teste, sono ben lieti di giurare e di fornire a Roma il loro valido aiuto. (F.S.)

R O M A N I E C A R T A G I N E S E LA C O N Q U I S T A DEL M E D I T E R R A N E O

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Scipione con la spada in pugno dichiara che non abbandonerà la causa di Roma e non permetterà a nessun cittadino di farlo (incisione di B. PinellU particolare).

Tuttavia i punti vitali dello " S t a t o " dei Barca sono ancora intatti. In Oriente A n n i b a l e avvia rapporti c o n Filippo v di M a c e d o n i a , ostile ai R o m a n i per un patto di reciproco aiuto tra i d u e contraenti in caso d ' u n attacco nemico. Roma è annichilita dall'esito di Canne. L a tensione sociale è fortissima. Scoppiano scandali e si susseguono prodigi. D u e vestali, Opinia e Floronia, infrangono il voto di castità: una s'uccide, l'altra è sepolta viva. U n o dei pontefici minori, Lucio Cantilio, che aveva iniziato Floronia ai piaceri della carne, muore sotto la frusta. C o m e ultima salvezza si ricorre ai sacrifici umani per placare paure soprannaturali: un u o m o e una donna d'origine gallica, un u o m o e una donna d'origine greca sono calati vivi sottoterra nel foro Boario, in un luogo circondato da pietre. H terrore e il presagio d ' u n a inevitabile rovina gravano sulla città, ridotta alla disperazione. P e r la p r i m a volta la m a n c a n z a di uomini, quasi tutti periti a C a n n e , i m p o n e d'arruolare gli schiavi: il grande esercito r o m a n o è ridotto a u n a b a n d a di servi.

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STORIA DI ROMA ANTICA

C E M E N T O C O N T R O PIETRA Q U A D R A T A Alla fine del in secolo le tecniche costruttive edilizie registrano un importante cambiamento. In Campania comincia a essere usato il cementizio, ottenuto da una miscela di calce e pozzolana, adoperato come legante per le pietre. Piccole scaglie di tufo di forma piramidale sono inserite nel nucleo del muro dì cementizio, lasciando a vista la parte irregolare («opera incerta»). Progressivamente Vorditura delle mura assume un aspetto più regolare, quasi reticolato, grazie ai tufelli di eguale dimensione, disposti ordinatamente («opera reticolata»). Quest'invenzione è utilizzata per le fondazioni e per gli alzati e la sua portata è enorme, perché consente soluzioni architettoniche fino ad allora impensabili. Nonostante la duttilità del cementizio, i Romani rimangono legati alla vecchia tecnica della pietra quadrata, usata ancora in età imperiale per le costruzioni di prestigio e la fedeltà al «sasso quadrato» è solo un'altra espressione della tenace fedeltà al passato.

I MUTAMENTI DELLA SORTE M a g o n e sbarcato in Africa n o n i n c o n t r a difficoltà a p r e p a r a r e aiuti p e r A n nibale, n o n o s t a n t e l'ostilità di A n n o n e (da s e m p r e n e m i c o dei B a r c a ) . Al m o m e n t o della p a r t e n z a l a notizia d ' u n a p e s a n t e sconfitta c a r t a g i n e s e in S p a g n a c o n v i n c e i dirigenti punici a c o n v o g l i a r e là esercito e flotta. Gli alleati intanto n o n d e l u d o n o A n n i b a l e : i Galli Cisalpini c o m b a t t o n o v i t t o r i o s a m e n t e c o n t r o i R o m a n i e il c r a n i o del c o n s o l e P o s t u m i o , scuoiato e ricoperto d ' o r o , d i v e n t a u n c a l i c e p e r i sacrifici dei sacerdoti celtici. M a l e n t a m e n t e la s i t u a z i o n e m u t a p e r il " g e n e r a l i s s i m o " c a r t a g i n e s e . In S i c i l i a la m o r t e d e l t i r a n n o I e r o n e s e m b r a v a f a v o r i r e l ' a v v e n t o p u n i c o , m a le t e m p e s t i v e a z i o n i d ' A p p i o C l a u d i o P u l c r o e M a r c o C l a u d i o M a r c e l l o ribaltano ogni piano. Siracusa è assediata (214 a . C ) . In S p a g n a i d u e S c i p i o n i m i e t o n o s u c c e s s i . L ' a l l e a n z a c o n la M a c e d o n i a è o s t a c o l a t a d a l l ' a v v i c i n a m e n t o d e i R o m a n i a E t ò l i e A c h e i , n e m i c i di F i l i p p o e in g u e r r a c o n t r o di l u i . C o n m i n i m a s p e s a ( f o r n i s c o n o p o c h e n a v i agli a l l e a t i ) i R o m a n i si t u t e l a n o l e s p a l l e ( 2 1 2 a . C ) . I n A f r i c a i n t r a p r e n d e n t i a g e n t i r o m a n i , p r o n t i a r a c c o g l i e r e il m a l c o n t e n t o i n t o r n o a C a r t a gine, stipulano un accordo col capo numida Massinissa, nemico dei Cart a g i n e s i e d i S i f a c e , s u o rivale p e r il t r o n o d e l l a N u m i d i a .

I ROMANI COLLEZIONISTI D'ARTE Da tempo l'arte greca ha trovato grandi estimatori in alcuni Romani. La presa di Siracusa rappresenta un momento di svolta nel gusto artistico romano, perché Marcello e i conquistatori trovano a disposizione un grandissimo numero di stupefacenti opere d'arte. Il saccheggio della ricca città greca frutta un ricco bottino di quadri, statue, oggetti preziosi d'ogni fattura. Da questo momento i Romani si trasformano in ladri d'opere d'arte, spinti da una bramosia e da un 'ammirazione esagerata verso tutto ciò che porta il marchio greco. Gran parte degli oggetti siracusani diventa l'ornamento del tempio di Honos (l'Onore), costruito da Claudio Marcello fuori porta Capena. La fama della collezione circola velocemente, tanto che i visitatori stranieri non lasciano Roma prima d'aver ammirato i quadri e le statue regalate da Marcello.

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LO SCUDO E LA SPADA DI ROMA A Roma, dopo i disastri della strategia "interventista", si torna alla tattica di Fabio Massimo. I due protagonisti della ripresa sono ancora Fabio (console nel 215, 214 e 207 a . C ) e Claudio Marcello, detti «lo scudo» e «la spada» di Roma. L e azioni militari più importanti si concentrano in C a m p a n i a nell'assedio di C a p u a . Annibale, incapace di difendere la città alleata, si spinge a sud e occupa Taranto. C a p u a è costretta alla resa c o n t e m p o r a n e a m e n t e a Siracusa, che si arrende a Marcello nel 2 1 2 a . C , d o p o d u e anni d ' a s s e d i o . Nel m e d e simo a n n o gli Scipioni e s p u g n a n o Sagunto, costringendo i Cartaginesi a un maggior i m p e g n o sul fronte spagnolo, m e n t r e in Africa Siface, poi alleato rom a n o , con scontri e s c a r a m u c c e rivendica il regno di N u m i d i a .

LO S C I E N Z I A T O SVAGATO La gioia di Claudio Marcello per la resa di Siracusa nel 212 a.C. è offuscata da un fatto increscioso. I Romani, espugnata la città, si riversano come un 'orda scatenata nelle vie cittadine, depredando, uccidendo, violentando. La famosa ricchezza dei Siracusani acceca la mente. Un soldato giunge nella casa di Archimede, famoso scienziato greco. Archimede non si è accorto che la città è stata presa. Da molto tempo è impegnato nella dimostrazione d'una proposizione geometrica e ancora non è giunto alla soluzione. Il soldato gli ordina di lasciare tutto e di seguirlo. Archimede, intento alle sue carte, lo invita ad accomodarsi e aspettare che abbia ridotto la proposizione a dimostrazione. Il romano, poco incline all'ammirazione per gli uomini di scienza, non si accomoda e la spada uccide Archimede, probabilmente troppo assorto nei suoi pensieri per accorgersi di morire.

È o r m a i irrealizzabile la g u e r r a i m p o s t a t a d a A n n i b a l e . L ' i m p r o v v i s a inv e r s i o n e di m a r c i a fin sotto le m u r a di R o m a suscita g r a n d e p a u r a , m a è m i l i t a r m e n t e i m p r o d u t t i v a (211 a . C ) . I g e n e r a l i r o m a n i n o n o s a n o a n c o r a a v v e n t u r a r s i c o n t r o di lui in c a m p o aperto e l'incoscienza del proconsole C n e o Fulvio Centumalo a Erdonea è p u n i t a d a u n a p e s a n t e sconfitta: la superiorità militare e strategica di A n nibale è a n c o r a i n d i s c u s s a , a n c h e se il " g e n e r a l i s s i m o " è c o s t r e t t o a ritirarsi nel B r u z i o , d o p o la p e r d i t a d i C a p u a .

LARGO AI GIOVANI R o m a è ormai allo stremo. Dodici colonie si rifiutano di fornire i contingenti richiesti. L a guerra assume tinte che possono sembrare paradossali. Fabio M a s s i m o n o n esita a saccheggiare la penisola per impedire ad A n n i b a l e di ottenere rifornimenti, m a in questo m o d o contribuisce al generale impoverim e n t o e alla prostrazione delle popolazioni italiche. Il c o l p o più d u r o arriva dalla Spagna: la m o r t e i m p r o v v i s a dei d u e Scipioni rischia di vanificare anni di guerre vittoriose (211 a . C ) . C o n u n a decisione senza precedenti è eletto proconsole il ventiquattrenne Publio Cornelio Scipione, figlio d ' u n o dei generali morti e il giovane parte per la Spagna.

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STORIA D I R O M A A N T I C A

IL FIGLIO DEL SERPENTE Grande sconcerto suscita a Roma l'elezione a proconsole del giovane Publio Cornelio Scipione che è stato soltanto edile. L'elezione è illegale, ma il giovane rassicura la folla, riunita in assemblea, sulle sue capacità e sul suo coraggio. Si racconta che il padre, sconfitto da Annibale al Ticino, in quell'occasione è stato salvato a stento proprio dal figlio diciassettenne. Inoltre ogni azione del giovane sembra ispirata dagli dèi. Prima di agire Scipione si reca in Campidoglio nel tempio di Giove. Lì siede da solo e appartato. Per confermare le leggende sulla sua stirpe divina, Scipione non ha scrupoli ad attribuire alla madre amplessi con un grande serpente: il serpente appariva nella camera da letto snodandosi e poi si dileguava non appena arrivava qualcuno. Il padre Publio, spesso assente, non doveva essere stato particolarmente felice di questa leggenda, ma prodigi e leggende rassicurano i Romani che affidano le sorti della campagna spagnola a un comandante così giovane.

LE SOCIETÀ D I SCIACALLI La lunga guerra annibalica mette sotto sforzo le finanze urbane (i cittadini romani sono costretti a pagare tributi straordinari) e quelle degli alleati. L'Italia salvata da Scipione è una terra prosciugata: le popolazioni italiche hanno dovuto concedere ai Romani e allo stesso Annibale uomini, derrate, denaro. Lo scempio dell'agro Falerno conserva a lungo il ricordo del peso della guerra. Roma per lunghi anni sostiene due guerre parallele, una in Italia, l'altra in Spagna. Moltissime risorse sono convogliate nella penisola iberica e nel 215 il tributo personale dei cittadini romani è addirittura raddoppiato con la promessa della restituzione alla fine della guerra. Come accade sempre nei momenti difficili, esistono anche quelli che nella disgrazia traggono profitto e guadagno. L'impossibilità di provvedere ai servizi essenziali per l'esercito costringe il Senato ad appaltarli a società di cittadini facoltosi (i cavalieri della prima classe di censo), i quali anticipano i capitali. Scoppiano i primi scandali. Sono a carico dello Stato i rischi corsi dalle navi durante le tempeste per rifornire gli eserciti: così molti publicani dichiarano falsi naufragi o li provocano ad arte. Suscita grande scandalo il caso di Marco Postumio da Pirgy, che ha caricato poche merci scadenti su navi, vecchie e sconnesse destinate alla Spagna, e dopo l'immancabile naufragio denuncia la perdita di un carico molto più ricco. Il Senato si trova con le mani legate, nonostante la segnalazione del pretore, perché non vuole inimicarsi i publicani, indispensabili per i bisogni d'uno Stato sempre più grande. Le società di appaltatori diventano sempre più importanti e si delìnea una profondafrattura tra la classe dei cavalieri orientata verso queste attività mercantili o finanziarie, e la classe politica, che si riserva la direzione dello Stato.

L a c o n q u i s t a di C a r t a g e n a e soprattutto 1* o t t i m o t r a t t a m e n t o riservato alle m o g l i e figlie di capi iberici, p e r la p r i m a volta non s e l v a g g i a m e n t e violentate e u c c i s e , gli v a l g o n o aiuti e r i c o n o s c e n z a d a parte delle p o p o l a z i o n i locali ( 2 0 9 - 2 0 8 a . C ) . A l c o n t r a r i o , la m o r t e di C l a u d i o M a r c e l l o , u c c i s o in u n o s c o n t r o s e n z a i m p o r t a n z a a Venosa, e l ' e t à a v a n z a t a di F a b i o non g i o v a n o al g e n e r a l e p u n i c o . A n n i b a l e nel d e c i m o a n n o di p e r m a n e n z a in Italia è in u n a situazione p e s s i m a . I R o m a n i h a n n o r i o c c u p a t o Taranto, riprendendo il c o n trollo del m a r e . In Oriente la p a c e c o n Filippo nel 2 0 5 a.C. e l i m i n e r à il peric o l o di u n ' a l l e a n z a c o n C a r t a g i n e . Asdrubale, il giovane fratello di Annibale, dalla Spagna ripete la traversata delle Alpi, per portare viveri e aiuti al generale. Nella P a d a n i a una volta ancora

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Bassorilievo, proveniente da Pozzuoli, raffigurante una trireme.

LE C O N D I Z I O N I D I PACE DOPO ZAMA // greco Polibio (205-123 a.C.) ha tramandato le condizioni di pace consegnate ai plenipotenziari punici dopo la sconfitta: «i Cartaginesi conserveranno in Africa le città che avevano prima di dichiarare la guerra, il territorio che possedevano un tempo, il bestiame, gli schiavi e tutti gli altri beni. Cominciando da oggi, non sarà fatto loro alcun male e vivranno secondo le loro leggi e i loro costumi: non saranno imposte guarnigioni [...]. Ma restituiranno ai Romani tutto ciò che è stato ingiustamente sottratto durante Varmistizio. Restituiranno i prigionieri e gli schiavi fuggiaschi, senza limiti di tempo; consegneranno tutte le navi da guerra, a eccezione di dieci triremi, e tutti gli elefanti. Non faranno guerra ad alcun popolo al di fuori della Libia e nella Libia stessa la faranno solo con il consenso dei Romani. Restituiranno a Massinissa le case, le terre, le città e tutto ciò che apparteneva al re e agli antenati, entro i confini indicati. Forniranno allarmata grano per tre mesi e ne pagheranno le spese fino a quando non sarà giunta da Roma la risposta relativa a questo trattato. In cinquantanni verseranno 10.000 talenti euboici d'argento (una moneta greca dell'isola di Eubea, in pratica una cifra enorme) nella misura di 200 talenti all'anno. Consegneranno in garanzia cento ostaggi, che il generale romano sceglierà tra i giovani dai quattordici ai trentanni»

falliscono contro Piacenza, la fedele colonia che da sempre resiste ad Annibale, e l ' i m p r e s a si conclude con la sua sconfitta al M e t a u r o del 207 a.C.

IL «MAL D'AFRICA» DTJN GENERALE VITfORIOSO Tornato S c i p i o n e dalla S p a g n a , i suoi sostenitori ne o t t e n g o n o l ' e l e z i o n e a c o n s o l e . L a Sicilia gli è assegnata c o m e p r o v i n c i a o area d ' i n f l u e n z a . Il s o g n o d ' u n a g u e r r a africana affascina S c i p i o n e : m a F a b i o M a s s i m o si o p p o n e c o n tutte le forze; il r i c o r d o di Attilio R e g o l o è a n c o r a t r o p p o v i v o (vedi capitolo p r e c e d e n t e ) . S e n o n è possibile fermare il g i o v a n e c o n s o l e c o n le p a role, gli si p o s s o n o togliere i finanziamenti e il S e n a t o rifiuta di ricorrere a n u o v e contribuzioni. M a Scipione p u ò contare su vaste clientele. D a parte etnisca gli g i u n g o n o gli aiuti più consistenti. N e p p u r e lo s c a n d a l o , c a u s a t o dalle brutalità del s u o l u o g o t e n e n t e c o n gli abitanti di L o c r i , ferma i preparativi della g r a n d e spedizione. Alla fine d e l l ' e s t a t e del 2 0 4 a.C. S c i p i o n e sbarca

a Litica. Finge di interessarsi alle trattative, avanzate d a A s d r u b a l e e Siface, e lascia passare l'inverno, con le truppe accampate nei Castra Cornelia ( l ' a c c a m p a m e n t o Cornelio). A primavera con u n attacco a sorpresa o c c u p a e brucia gli a c c a m p a m e n t i nemici. Siface è inseguito fino a Citta, d o v e è catturato insieme alla regina Sofonisba, figlia di Asdrubale. L a g i o v a n e e bella donn a era stata u n t e m p o fidanzata di Massinissa, a n c o r a i n n a m o r a t o di lei. Sofonisba senza fatica riesce a convincere il vecchio a m o r e a sposarla quello stesso giorno. M a Scipione n o n è sensibile a queste storie d ' a m o r e u n p o ' stantie e tardive; la figlia di Asdrubale è pericolosa e v a eliminata. A M a s s i nissa dovrà bastare il regno di Numidia. Consapevole del suo fallimento, Sofonisba b e v e la c o p p a di veleno c h e il fresco sposo a malincuore le offre. L a fine di Siface, inviato prigioniero in Italia, fa vacillare la potenza cartaginese. Il potere passa ad A n n o n e , u n nipote di Annibale, c h e riporta in aug e la fazione dei Barca. N o n o s t a n t e u n a vittoria navale a Utica (la flotta si dirige poi verso C r o t o n e per andare a prendere Annibale) il Senato cartaginese accetta le condizioni romane. Scipione esige "solo" l'abbandono dall'Italia, la rinuncia a S p a g n a e Sardegna, la c o n s e g n a della flotta, salvo 2 0 navi. M a la guerra non p u ò finire così: m a n c a ancora lo scontro con Annibale. A l la fine di ottobre i d u e generali, d o p o u n colloquio infruttuoso, si fronteggiano a Naraggara, presso il villaggio di Z a m a (202 a . C ) . Per la p r i m a volta A n nibale è sconfitto in u n a battaglia c a m p a l e . Tornato a Cartagine c o n v i n c e i concittadini a chiedere la pace. È così sancita la fine della potenza cartaginese. Pochi giorni d o p o la sconfitta le vedette r o m a n e v e d o n o partire dal porto di Cartagine u n a n a v e coperta di b e n d e e di rami d ' u l i v o : s o n o i plenipotenziari c h e si recano a R o m a a implorare la p a c e .

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ROMANI E CARTAGINESI^ LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO Sepolcro degli Scipioni, sarcofago di L Cornelio Scipione Barbato.

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IL L U P O PERDE IL PELO M A N O N IL V I Z I O Dopo la sconfitta e il ritorno a Cartagine Annibale non vive momenti allegri. Molti dirigenti lo odiano ma lo sopportano come baluardo contro la rivoluzione che serpeggia tra il popolo. L'ex generalissimo si ritira nei suoi possedimenti, dove trasforma i suoi soldati in coltivatori di ulivi, pur di tenerli occupati ed evitare sommosse. Ma il condottiero, che aveva tenuto in scacco l'Italia, non può trasformarsi in un pacifico proprietario terriero. Cinque anni dopo Zama rientra in politica come sufeta, l'equivalente punico del console romano. Intanto i suoi occhi sono puntati sull'Oriente dove possono nascere guai per Roma. Isuoi rapporti con il sovrano siriaco Antioco ili (vedi pagine seguenti) cominciano presto. A Roma i suoi movimenti scatenano paura. Scipione l'Africano difende il vecchio nemico, invitando a non dare credito alle chiacchiere. Nessuno è convinto e nel 195 a.C. il Senato invia a Cartagine una commissione d'inchiesta composta da Cneo Servilio (il vecchio console del 217 a. C), da Claudio Marcello (figlio del vincitore di Siracusa) e da Terenzio Culleone (un prigioniero di guerra liberato da Scipione). I tre non sono molto soddisfatti di quanto vedono. Intanto Annibale prepara la fuga, perché teme che la missione porti al suo arresto. Giunto sull'estrema punta orientale della Tunisia, dove lo attende una nave, invita i comandanti delle navi all'ancora a un banchetto sulla spiaggia. La grande tenda del festino nasconde la sua nave alla vista degli uomini. I cibi abbondano e il vino scorre a fiumi. Dopo poco tempo tutti sono ubriachi e non pochi cominciano ad addormentarsi. Allora Annibale sguscia via e salpa per la Siria, dove il re Antioco lo aspetta. Presto tra i due cominceranno i malintesi e le delusioni. Il re cerca nell'ex generale punico un tecnico, che gli riorganizzi l'esercito. Annibale invece progetta d'intervenire in Oriente. Vorrebbe che il sovrano gli concedesse parte delle sue truppe e della sua flotta per tornare a Cartagine e trascinarla in guerra. Ancora una volta vorrebbe sbarcare in Italia e suscitare la definitiva rivolta degli alleati: ma ad Antioco questo progetto sembra una chimera e Annibale deve adattarsi a seguire il re, che si sta preparando allo scontro con Roma.

LA CONQUISTA DELL'ORIENTE

GLI INTERESSI ADRIATICI R o m a aveva cominciato a tenere d'occhio la costa orientale dell'Adriatico già durante le guerre puniche. L a flotta romana era intervenuta contro i pirati (vedi capitolo Romani e Cartaginesi: è lo scontro), poi contro Filippo v, in occasione della prima guerra macedonica: m a in quest'ultimo conflitto R o m a aveva impegnato solo sei navi, lasciando il peso della guerra agli Etòli, sfortunati alleati. D o p o la sconfitta e l'espulsione di Demetrio, cui era affidata l'Illiria (vedi capitolo Romani e Cartaginesi: è lo scontro), la Grecia comincia ad avvertire sul collo il fiato caldo dei Romani, sempre più vicini e interessati.

LA GUERRA DIFFERENZIATA Alla fine della guerra annibalica R o m a è costretta a ricominciare d a c a p o il lavoro di riconquista della Gallia Cisalpina e della Spagna. L'intensa colonizzazione dell'Italia settentrionale costituisce u n a valvola di sfogo p e r i cittadini r o m a n i nullatenenti e per gli italici. D o p o la g r a n d e paura c ' è bisogno di terre fertili e ricchezze, p e r fare dimenticare il sangue e il peso della guerra. L a riconquista della Spagna invece, oltre al bisogno di terre, è legata alla volontà di spezzare alle radici la potenza dei Barcidi e di Cartagine. Per controllare il territorio si fondano colonie, c h e sono però insufficienti. Il carattere tutt'altro c h e arrendevole degli Iberici rende necessario l ' i m p i e g o p e r m a n e n t e di legioni e di truppe alleate: così i soldati romani sono costretti a rimanere lunghi anni lontano d a casa, tra gente ostile. R o m a scopre invece in Grecia u n m o n d o c o m p l e t a m e n t e n u o v o . G i à il contatto con la Sicilia e la M a g n a Grecia ha lasciato un segno profondo nella mentalità r o m a n a (vedi capitolo / Romani e la penisola). L e città greche, le m o narchie ellenistiche (nate dalla disgregazione d e l l ' i m p e r o di Alessandro), le L e g h e (come quella etolica e quella achea) sono interlocutori molto differenti dalle tribù galliche o iberiche. L a ragione affidata alle armi, la diplomazia grossolana n o n si adattano alla raffinatezza della cultura greca. I R o m a n i si eran o già sentiti i "cugini p o v e r i " q u a n d o erano stati accolti ai giochi istmici di Corinto, c o m e ringraziamento p e r aver eliminato i pirati (vedi capitolo Romani e Cartaginesi: è lo scontro). L'unica scappatoia è quella di offrire alla Grecia protezione e "patronato". Pertanto, nella fase iniziale della loro interferenza, i R o m a n i si presentano c o m e difensori della libertà greca, un c o m o d o paravento dietro cui nascondere interessi m e n o nobili.

ÌA a>NQU).STA )>J«:)J.'ORIENTE

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G I A R D I N I E BALCONI D I P I N T I TRA M A R M I E M O S A I C I // lusso orientale e la sfrenata attività edilizia lasciano un segno profondo anche nelle costruzioni private. Si registra un notevole incremento delle abitazioni, addensate soprattutto ai margini o nella stessa area forense. Il ceto dirigente è consapevole della necessità di vivere nel cuore della città. Per rispondere a quest'esigenza s'innesca uno scatenato mercato speculativo: le abitazioni di alto rango, che affollano Foro e pendici del Palatino, hanno un forte sviluppo in altezza. Neil 'abitazione romana sì perpetua la tradizionale distinzione tra sfera pubblica e privata: atrio e tablino sono destinati agli affari pubblici, mentre le aree private acquistano un nuovo valore e una nuova importanza. La parte privata è ora destinata ai privata Consilia, le riunioni politiche informali, divenute ormai la spina dorsale della politica. Inoltre è in questo spazio che l'amore smodato per il lusso orientale può trovare sfogo. Lo sfarzo, pubblicamente disapprovato, si realizza in peristili, giardini, triclini, esedre. Marmi, decorazioni scultoree e mosaici rispecchiano i gusti eclettici dei nobili romani. Per aumentare il senso della dilatazione dello spazio abitativo negli ultimi decenni del il secolo a. C si diffonde il secondo stile pompeiano. Si tratta d'una particolare decorazione pittorica che trae il suo nome proprio da Pompei, dove la cosiddetta Casa del Fauno eguaglia per sfarzo e ricchezza le più splendide dimore ellenistiche. Per mezzo della pittura, prendendo a prestito le scenografie teatrali, si creano spazi illusori come giardini, balconi, ampie vedute che dilatano l'orizzonte. Le pareti si sfondano e lo spettatore scopre prospettive e paesaggi ariosi e sconfinati.

Decorazioni parietali pompeiane in un 'incisione della prima metà dell'Ottocento.

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STORIA DI ROMA ANTICA

LA RIPICCA DI U N GENERALE S E N Z A T R I O N F O Vira di un generale, cui è negato il trionfo, dà origine all'edificazione d'un monumento che conoscerà enorme fortuna presso i Romani, Varco di trionfo. Lucio Stertinio, dal momento che per rivalità politica non può sfilare lungo la via trionfale, decide di edificare i fomices Stertini (gli archi di Stertinio). I due archi davanti al tempio di Fortuna e di Mater Matuta raddoppiano così Varco già esistente (196 a.C). Un altro arco è edificato presso il centro della curva del Circo Massimo. Se Stertinio non può sfilare, coloro che sfileranno saranno costretti a passare sotto i suoi archi, memoria immortale della sua impresa. Scipione Africano riprende Videa rendendola ulteriormente monumentale. Varco da lui dedicato è sormontato addirittura da sette statue e decorato da due bacini marmorei. La sua collocazione sul clivo Capitolino coincide col momento più importante della processione del trionfatore, Vingresso sul Campidoglio.

LA SECONDA GUERRA MACEDONICA L'occasione del n u o v o intervento contro Filippo v , m a n c a t o alleato di A n nibale (vedi capitolo precedente), è offerta dalle pericolose alleanze del re macedone. In Egitto (altra grande potenza ellenistica) la m o r t e del re crea u n a crisi dinastica. Il n u o v o re b a m b i n o è u n a facile p r e d a per A n t i o c o m re di Siria, altro m o n a r c a protagonista della politica di questi anni; R o m a è chiam a t a a intervenire contro una possibile alleanza tra Filippo e Antioco. L e pressioni degli alleati greci c o n v i n c o n o il Senato riluttante: R o m a è a p p e n a uscita dalla guerra contro A n n i b a l e e la vittoria l ' h a resa troppo fiduciosa nelle sue capacità. Dietro il paravento della guerra giusta ( R o m a interviene in difesa degli alleati!), M a r c o E m i l i o L e p i d o avanza richieste esose a Filippo v . Il re rifiuta e scoppia il conflitto (200 a.C.). M e s s o a freno Antioco H I , c o minciano le operazioni militari, m a i primi successi non sono decisivi e la guerra minaccia di trascinarsi a lungo.

I MILITARI INTELLETTUALI L ' a r r i v o di T i t o Q u i n z i o F l a m i n i n o i m p r i m e u n a svolta alle o p e r a z i o n i . Il n o b i l e r o m a n o i n a u g u r a u n n u o v o m o d o di fare la g u e r r a . E g l i si r e n d e c o n t o c h e gli attacchi brutali d a n n o b e n p o c h i risultati e c o n finissima d i p l o m a z i a p o r t a avanti u n s u o p r o g e t t o filoellenico ( c i o è , f a v o r e v o l e alla G r e c i a ) : R o m a si p r e s e n t a c o m e la p r o t e t t r i c e d e l l a libertà delle città g r e c h e di fronte allo s t r a p o t e r e d e l l e m o n a r c h i e e l l e n i s t i c h e : R o m a n o n c o n quista m a "libera". F i l i p p o s a r e b b e d i s p o s t o a trattare la p a c e , m a F l a m i n i n o alza s e m p r e di più il p r e z z o . L e d u e principali L e g h e g r e c h e , la L e g a a c h e a e q u e l l a e t o lica, i n s i e m e a Sparta, p a s s a n o ai R o m a n i . O r m a i F l a m i n i n o h a le spalle coperte e sconfigge Filippo nella battaglia p r e s s o la città di Cinocefale (lett e r a l m e n t e testa di c a n e ) in T e s s a g l i a ( 1 9 7 a . C ) . Il r e è c o s t r e t t o ad a b b a n d o n a r e i p o s s e s s i in G r e c i a e in A s i a M i n o r e , a c o n s e g n a r e la flotta e a p a g a r e u n a g r o s s a i n d e n n i t à c o m e c o n t o s p e s e dei R o m a n i . S u l l ' o n d a del successo a Flaminino sono prolungati i poteri in Asia. Il suo piano filoellenico diventa u n a realtà: entusiasmo e stupore a c c o m p a g n a n o la sua p r o c l a m a z i o n e della libertà ai Greci. Nella variopinta cornice dei giochi

LA. CONQUISTA DELI/ORIENTE

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Carta geografica con l'indicazione dell'espansione di Roma negli anni 241-27 a.C.

istmici i R o m a n i " g r a t u i t a m e n t e " si dichiarano garanti d e l l ' a u t o n o m i a delle città (196 a . C ) . M a è u n a libertà vigilata. L o stesso F l a m i n i n o è invischiato in scaramucce diplomatiche e scontri senza esito definitivo con alcuni alleati, già stanchi e preoccupati. N o n o s t a n t e tutto, riesce a evacuare le truppe r o m a n e dalla Grecia, lasciando solo guarnigioni in qualche piazzaforte (194 a . C ) . La politica di Flaminino h a il vantaggio di non costringere lo Stato r o m a n o a u n ' o c c u p a z i o n e permanente dei tenitori, c o m e avviene invece in Spagna. I problemi di tipo istituzionale (una n u o v a burocrazia responsabile per la politica estera), militare (un esercito permanente), sociale (necessità di uomini, strappati dalle loro t e n e ) ed e c o n o m i c o sono p e r il m o m e n t o accantonati. L e v i c e n d e d e l l a s e c o n d a g u e r r a m a c e d o n i c a s e g n a n o il s u c c e s s o d ' u n a parte della classe dirigente. F l a m i n i n o , c o m e S c i p i o n e , è i m b e v u t o di c u l t u r a g r e c a , m a la sua c o n dotta i m p e n s i e r i s c e i tradizionalisti, i q u a l i n o n si r i c o n o s c o n o più in q u e sti g e n e r a l i c h e f a n n o la g u e r r a s o p r a t t u t t o c o n le p a r o l e .

LA GUERRA FREDDA L'abile diplomazia e le spettacolari dichiarazioni di Flaminino purtroppo non risolvono la situazione. R o m a già d a qualche anno è impegnata in un braccio di f e n o con Antioco m e quest'ultimo si propone c o m e garante della Grecia contro gli opportunisti Romani. In un clima di guerra fredda si prepara l'inevitabile conflitto. Antioco m, in un m o m e n t o così difficile, trova spazio per un'avventura amorosa, che fa gridare allo scandalo. Il re, già avanti negli anni, s'innamora d'una ragazza molto giovane: a quel punto la difesa della Grecia e la guerra contro R o m a diventano solo fastidiosi impegni. In preda alla sua ubriacatura amorosa si getta anima e corpo nel piacere. Per un intero inverno Antioco si dedica ai banchetti e alla sua giovanissima sposa, contagiando anche ufficiali e soldati.

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STORIA DI ROMA ANTICA

E quest'infiacchimento dell'esercito siriano si rivela in tutta la sua gravità nello scontro con R o m a . Il malcontento della L e g a etolica, intanto, r e n d e vani gli sforzi di Flaminino. Assassini e tradimenti fanno precipitare la situa-

SPECULAZIONE EDILIZIA E I N C E N D I Una larga fascia della popolazione si accontenta di edifici molto più modesti delle nuove domus lussuose. A tradizioni più sobrie rimangono legate anche alcune famiglie aristocratiche come quella degli Elii. Sedici persone vivono in una domuncula, una casupola sull'Esquilino, impermeabili alle nuove mode che hanno fatto perdere il senno a molte persone. In particolare scoppia una speculazione edilizia sfrenata per le abitazioni destinate alla sfera più umile della popolazione, costituita spesso da immigrati italici o cittadini latini. Liberti e schiavi del ceto senatorio promuovono un'intensa attività edilizia dai grossi profitti. A questi si aggiungono i guadagni ricavati dalle botteghe che si aprono sulle facciate esterne delle abitazioni, gestite da privati o dagli stessi liberti. L'origine della ricchezza personale lascia la traccia nei nomi di personaggi come Publio Licinio Tegola e Publio Licinio Embrice, liberti d'una famiglia che guadagna parecchio con i laterizi. Le case crescono come funghi, senza regole e smisurate in altezza. L'ampio uso di laterizio e soprattutto del legno le rende facile preda di incendi. Ben presto si pone freno a quest'edilizia selvaggia con leggi che limitano l'altezza e prescrivono lo spazio da lasciare tra una casa e l'altra (due piedi e mezzo, cioè 75 cm) per scongiurare gli incendi a catena.

zione. Gli Etoli si rivolgono ad Antioco in, scelto infine c o m e c o m a n d a n t e s u p r e m o della stessa lega. R o m a p u ò contare su Rodi, su P e r g a m o (un piccolo regno dell'attuale Turchia), sulla L e g a achea e sulla neutralità di Filipp o . L a spedizione in Grecia di Antioco ni, condotta troppo velocemente con u n esercito raffazzonato, non h a successo. Alle Termopili, Acilio Glabrione blocca il re e lo costringe a ritornare sui suoi passi (191 a . C ) . S C I P I O N E A M U L E T O C O N T R O LA P A U R A S e b b e n e s i a n o trascorsi già dieci a n n i , t o r n a a farsi sentire la p a u r a , e r e dità della g u e r r a a n n i b a l i c a . A R o m a n e s s u n o h a d i m e n t i c a t o c h e l ' a n t i c o n e m i c o è o s p i t e del sovran o ellenistico e c ' è il s o s p e t t o c h e le o p e r a z i o n i di A n t i o c o in p o s s a n o nas c o n d e r e chissà q u a l e astuto p i a n o del g e n e r a l e c a r t a g i n e s e . L a scelta di i n v i a r e S c i p i o n e A f r i c a n o è l ' a n t i d o t o al terrore. In v e s t e di ufficiale del fratello, scialba controfigura, il v i n c i t o r e di Z a m a h a la p o s sibilità di r e a l i z z a r e la sua politica orientale ( 1 9 0 - 1 8 9 a . C ) . A l pari di F l a m i n i n o , la d i p l o m a z i a e il d i a l o g o c o n t r a s s e g n a n o la s u a attività. Egli intrattiene r a p p o r t i p e r s o n a l i c o n A n t i o c o , A n n i b a l e e F i l i p p o , c h e frequenta p r e s s o la c o r t e siriana. Si racconta che durante u n a passeggiata Scipione abbia chiesto ad Annibale quali siano stati i generali più grandi. A n n i b a l e mette al p r i m o p o s t o Alessandro, poi Pirro e infine se stesso. Scipione ridendo gli chiede quale sarebbe stata la classifica qualora avesse vinto a Z a m a . Senza la minima incertezza, l'ex generale risponde che allora si sarebbe m e s s o al p r i m o posto. Alla vigilia dello s c o n t r o d e c i s i v o , S c i p i o n e c a d e m a l a t o . L a sua r i c h i e -

r A CONQUISTA DELL'ORIENTE

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Tetradracma d'argento di Perseo, re dei Macedoni, sconfitto dai Romani a Piana nel 167 a.C.

GLORIA E INSULTI

Le numerose e ricchissime vittorie orientali influenzano il costume del trionfo. La luxuria modifica la processione e i modi del trionfo, che diventa uno spettacolo di magnificenza e ricchezza. Cambia Vabbigliamento e alle vesti d'origine etrusca del trionfatore si sostituisce una toga ricamata sui bordi con palme d'oro e figurine che eseguono una danza di guerra. Il distacco dalle origini etrusche è evidente nel nuovo significato della processione: da cerimonia purificatrice (che consente il rientro nella comunità civica di chi si è macchiato di sangue umano) diventa esaltazione della personalità. Il generale sembra quasi Bacco seguito dai suoi fedeli festanti e danzanti. Le truppe accompagnano con grida il comandante. Alle esclamazioni più tradizionali (Io triumphe) si aggiungono insulti e volgarità. In questo momento i soldati possono gridare quello che pensano: la virilità e spesso l'omosessualità del loro capo sono l'oggetto preferito. Lazzi e battute si mescolano alle grida di gioia. Tra i trionfi più grandiosi, oltre a quello di Flaminino, quello di Emilio Paolo (vincitore dell'ultimo re macedone Perseo, figlio di Filippo v, a Pidna, 168a.C.)è certamente il più ricco: dura tre giorni la processione, che si snoda dal Campo Marzio fino al Campidoglio. Sui bordi delle strade la gente costruisce palchi, tutti i templi sono aperti e pieni di profumi. Il primo giorno sfilano le insegne dei vinti, i quadri, le statue portate su duecento carri. Nel secondo giorno sui carri sono sistemate le armi dei Macedoni: migliaia di lance, di elmi, di scudi, di archi, tutti lucidi e brillanti, sono disposti in modo da produrre un incredibile fragore. Dietro vengono 3000 soldati con vasi pieni di monete d'oro e d'argento. Poi altri con tazze, piatti, anfore e vasi, sempre d'oro e d'argento. Il terzo giorno sfilano i trombettieri. Seguono 120 buoi con le corna dorate e centinaia di ragazzi, riccamente vestiti che portano vasi e coppe preziose per i sacrifici. Sfilano poi altri carri pieni di vasi e coppe, tutte appartenenti a Perseo. Dopo un intervallo giungono i piccolissimi figli del re insieme a precettori e a schiavi. Tutti piangono e insegnano ai piccoli a tendere le mani come supplici. Perseo viene dietro. Vestito di scuro ha lo sguardo stranito e sbigottito. La sua mente è ormai preda della pazzia. Tutti i suoi familiari lo seguono dolenti e disperati. Dopo quattrocento corone d'oro, mandate a Emilio dalle città italiche, arriva finalmente il trionfatore. Sopra un carro magnifico, vestito di porpora e ricami dorati, porta un ramo d'alloro. Dietro, il suo esercito canta e schiamazza, dileggiando ed esaltando il suo generale.

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STORIA DI ROMA ANTICA

sta a d A n t i o c o di rimandare l a b a t t a g l i a e l a r e s t i t u z i o n e d a p a r t e d e l r e di s u o figlio, c a d u t o p r i g i o n i e r o , f a n n o d r i z z a r e i c a p e l l i ai R o m a n i . P i ù tardi, p r o p r i o e p i s o d i di q u e s t o g e n e r e gli c o s t e r a n n o l a c a r r i e r a . F a l l i t a c o m u n q u e la m e d i a z i o n e di S c i p i o n e , il c o n f r o n t o d i r e t t o n o n p u ò e s s e r e p r o r o g a t o . P e r la p r i m a v o l t a l ' e s e r c i t o r o m a n o s b a r c a i n A s i a . A M a g n e s i a , sul S i p i l o , S c i p i o n e v i n c e ( 1 8 9 a . C ) . L ' a n n o s e g u e n t e M a n l i o V u l s o n e , il s u c c e s s o r e d e g l i S c i p i o n i , s t i p u l a la p a c e c h e p r e v e d e la c o n s e g n a d e l l e n a v i d a g u e r r a e l a c e s s i o n e di p a r t e d e l l ' A s i a M i n o r e agli Stati alleati di R o d i e P e r g a m o . A n n i b a l e è c o s t r e t to a f u g g i r e p r e s s o il r e P r u s i a di B i t i n i a . P i ù t a r d i i R o m a n i c h i e d e r a n n o al r e la c o n s e g n a d e l l ' a n t i c o n e m i c o . L ' a r r i v o di F l a m i n i n o alla c o r t e di P r u sia g e t t a A n n i b a l e n e l p a n i c o . Il c a r t a g i n e s e ha s e m p r e s a p u t o c h e q u e l l a s a r e b b e stata la sua fine. P e r q u e sto h a costruito in Bitinia u n a c a s a c o n sette uscite, d u b i t a n d o della lealtà del re. Q u a n d o p e r ò le guardie di F l a m i n i n o c i r c o n d a n o l'abitazione, si r e n d e c o n to di n o n avere più s c a m p o . I m p r e c a n d o c o n t r o la vita, c o n t r o P r u s i a e c o n tro gli dèi, vuota la sua t a z z a di v e l e n o ( 1 8 3 a . C ) .

I M A G A Z Z I N I DEGLI EMILII // colossale investimento di denaro nell'urbanistica non interessa soltanto edifici di culto e complessi destinati allo svago dei Romani. S'investe anche in opere di natura utilitaria e di pubblico godimento. La gens Emilia svolge un ruolo centrale nell'edificazione del quartiere mercantile dì Roma, quando suoi membri rivestono la censura e l'edilità. Il risultato è un formidabile sistema di attracco fluviale, corredato da ambienti per l'immagazzinamento delle derrate, e lunghi portici che facilitano il collegamento con la città. Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo, edili nel 193 a. C, ampliano il poitus Tiberinus, estendendolo più a valle, sulla riva sinistra. A questo complesso si aggiunge un lungo molo pavimentato e dotato di barriere con cordonate di accesso al Tevere. Alle spalle Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, censori del 179 a. C, aggiungono un enorme magazzino, il portico Emilio, destinato a ospitare le derrate alimentari di Roma. L'edificio è costruito su modello greco e misura circa 487 m di lunghezza e60m di larghezza, perfettamente corrispondente alla gigantesca banchina lunga 500 m e larga 90 m. Il portico è articolato in 50 navate coperte da volta a botte e posate su 294 pilastri. La superficie coperta raggiunge quasi i 30.000 mq. Il nuovo complesso segna il trionfo del calcestruzzo e della nuova tecnica costruttiva, /'opera incerta (vedi capìtolo precedente). Alcuni muri sono visìbili oggi nelle vie Branca, Rubattino e Florio a Testacelo. L'intensa attività degli Emiliì crea un quartiere commerciale, perfettamente funzionale e adeguatamente collegato alla città. Secondo un modello ellenistico, altri portici sono aggiunti per migliorare la comunicazione col resto della città. Un primo portico collega l'emporio con la porta Trigemina; un altro collega il Tevere con il tempio di Speranza nel foro Olitorìo e col tempio di Apollo Medico; un terzo infine mette in comunicazione con l'area più a monte del Tevere: col tempio di Giove Custode, situato vicino ai carceres del circo Flaminio. Coronamento di questa complessa operazione urbanistica è il ponte Emilio, il secondo ponte di Roma. Dopo il ponte Sublicio, sul Tevere si getta il primo ponte "lapideo", costituito da piloni e colonne in pietra e da sovrastrutture in legno. La creazione d'un passaggio stabile, di ridotta manutenzione, sancisce il ruolo sempre più importante che va acquisendo l'area al di là del fiume, il Trastevere, saldamente collegato a//'emporiunx

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IL CONTO DELLA GUERRA L ' e s p a n s i o n e r o m a n a in G r e c i a e in O r i e n t e c o m i n c i a a far s e n t i r e i s u o i effetti s u l l ' a s s e t t o istituzionale e sociale di R o m a . L ' a z i o n e di C a t o n e il C e n s o r e è il s e g n o p i ù c h i a r o d e l l a c r i s i . Il p r i m o a t t a c c o l o sferra a d A c i l i o G l a b r i o n e , il v i n c i t o r e d e l l e T e r m o pili, a c c u s a n d o l o di a v e r e i n t a s c a t o n a s c o s t a m e n t e d e l d e n a r o . A n c h e a L u cio, fratello dell'Africano, intenta un p r o c e s s o con la m e d e s i m a accusa. M a n c a n o all'appello 5 0 0 talenti (una cifra e n o r m e ) versati d a A n t i o c o . L'Africano interviene personalmente stracciando in aula i registri e sfidando chiunque ad accusare colui che ha vinto Annibale e ha salvato R o m a (187 a . C ) . Tre anni più tardi, q u a n d o C a t o n e diviene censore, la denuncia colpisce lo stesso Scipione. L ' a c c u s a è di t r a d i m e n t o . Q u a n d o m a i si è sentito di u n g e n e r a l e c h e c h i e d e al n e m i c o di r i m a n d a r e lo s c o n t r o p e r c h é si sente p o c o b e n e ? Q u a n d o m a i il n e m i c o restituisce un o s t a g g i o s e n z a riscatto? L e sottigliezze d e l l a d i p l o m a z i a , il r a p p o r t o di familiarità e di r e c i p r o c o rispetto instaurati c o n il r e s o n o i n c o m p r e n s i b i l i p e r q u e l l a fascia di cittadini c h e C a t o n e rappresenta. Scip i o n e rifiuta di r i s p o n d e r e alle a c c u s e e si ritira nella s u a villa di L i t e r n o , d o v e p o c o d o p o la m o r t e p o r r à fine alla sua e c c e z i o n a l e esistenza.

U N N U O V O E D I F I C I O PUBBLICO: LA BASILICA Catone costruisce la prima basilica, una delle più grandi innovazioni dell architettura romana. Basilica proviene dal greco basilikòs (= regale) e designa w/z'aula o porticus basilica (portico regale). Catone durante la sua censura acquista con denaro pubblico gli atria di Menio e di Tizio e al loro posto edifica la basilica Porcia (184 a.C). Vedificio è collocato a ovest della curia senatus, dell'atiium Libertatis (sede dei censori) e della zona dei tribunali. È probabile che inizialmente la basilica sia stata a un piano e priva dei colonnati tipici delle costruzioni posteriori: doveva essere una sala rettangolare coperta, sostenuta da file di pilastri, e nella cattiva stagione destinata a servire alle funzioni tipiche del Foro. Alla basilica Porcia si affiancano successivamente la basilica Aemilia, edificata dai censori del 179 a.C, e la basilica Sempronio costruita dal padre dei due Gracchi al posto della casa di Scipione Africano e delle botteghe adiacenti. In particolare la basilica Emilia, destinata a vita lunghissima, diventa il monumento simbolico del prestigio della gens Emilia, alla quale tocca la manutenzione e il restauro dell edificio sino alVepoca cesariana. La creazione di questi nuovi punti di ritrovo nel Foro toglie importanza ad aree come il Comizio. Si verifica un progressivo spostamento della sede delle funzioni giudiziarie, politiche ed economiche verso nord-est, fuori dallo spazio forense. L'istallazione d'un orologio ad acqua, necessario per stabilire l'ora dei processi, fa della basilica Emilia il nuovo centro della attività giudiziaria. Ormai la vita della città si articola su un nuovo asse che comprende il mercato (il macellum), le basiliche, il vicus Tuscus, l'emporio fluviale e il percorso che porta al Campidoglio, monumentalizzato e abbellito da colonne, statue e archi. Risultano tagliati fuori spazi come l'area circostante alla Regia e al tempio di Vesta, un tempo vero cuore della città. Queste aree riacquisteranno importanza solo alla fine della Repubblica, grazie all'intervento di Cesare e di Augusto. 1

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Ricostruzione ideale del serbatoio dell'acque Marciae all'Esquilino di Peter Schenck.

L'ACQUA M A R C I A La popolazione è notevolmente aumentata. Le misure igieniche e il fabbisogno di acqua sono cresciuti proporzionalmente. Si spiega così la creazione del secondo acquedotto, /'Aqua Marcia, realizzato nel 144 a.C. Con la sua portata giornaliera di 196.600 metri cubi di acqua dalle fonti di Subloco riesce a rifornire i quartieri orientali e centrali, compreso il Campidoglio. Ma dopo vent'anni l'acquedotto si rivela insufficiente. Probabilmente per le medesime zone si crea un nuovo acquedotto di sostegno, /'aqua Tepula, proveniente da una sorgente tiepida al decimo miglio della via Latina ( 125 aC).

LA TERZA GUERRA MACEDONICA Il periodo che intercorre fra la vittoria di Magnesia e la nuova guerra con la Macedonia segna una profonda evoluzione nella politica romana. Nel conflitto con le monarchie ellenistiche si fa sempre più chiara d a parte romana una nuova volontà imperialistica. La politica di disimpegno, il protettorato, che hanno funzionato fino a quel momento, sono sottoposti a revisione. L'intervento diretto nelle vicende orientali diviene più massiccio. In Grecia la situazione si trascina nei soliti scontri e conflitti. L a "libertà" regalata da R o m a è un fardello pesante e pien o di incognite. A R o m a importa il mantenimento dell'ordine, unica garanzia per il controllo della situazione. La Lega achea, vecchia alleata, riprende i suoi piani d'egemonia nel Peloponneso. R o m a tenta d'arginare l'inevitabile crisi con l'aiuto di Demetrio, il figlio minore di Filippo. Il giovane, che h a vissuto a lungo in Italia c o m e ostaggio, è diventato il portavoce di un atteggiamento filoromano in patria. Filippo, convinto dal primogenito Perseo, ne autorizza l'assassinio. L a si-

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tuazione precipita vertiginosamente. Prima di intervenire, i Romani tirano in lung o per preparare bene l'azione (172-171 a . C ) . Intanto il nuovo re macedone rafforza il r e g n o e riesce a raccogliere intorno a sé tutti i sentimenti nazionalistici dei Greci. D o p o tentativi d'accordo falliti e iniziali scaramucce, il console Lucio Emilio Paolo punta direttamente sulla Macedonia. A Pidna, Perseo prova l ' a m a r o sapore della sconfitta (168 a . C ) . Fuggito a Samotracia, il re cade nelle mani dei R o m a n i , che lo portano prima a R o m a per il trionfo e poi a A l b a Fucente, dove morirà in dura prigionia (165 o 162 a.C.).

L U C I O E M I L I O P A O L O IL M A C E D O N I C O O V V E R O DELL'ONESTÀ // padre è morto nell'accecante carneficina d'agosto a Canne; come lui, il figlio è rigido, ubbidiente alle leggi, bramoso più del bene della patria che della propria gloria militare. Non diversamente si comporta nella vita privata. Dalla prima moglie ha due figli, noti poi con il nome di Fabio Massimo il maggiore, con quello di Cornelio Scipione Emiliano, distruttore di Numanzia e Cartagine, il minore; ambedue, quindi, adottati dai Fabii e dai Cornelii. A Roma l'adozione, specie nell'intento di impedire l'estinzione del nome di una famiglia patrizia, ha il carattere sacrale di un rito. Lucio Paolo Emilio, nel concedere l'adozione dei figli, è mosso insomma da un alto senso civico nonché dal rispetto per due famiglie di antica nobiltà e legate alle vicende storiche della Repubblica. Lucio Paolo Emilio è edile nell'anno 193 a.C, pretore due anni dopo. È il periodo in cui la Repubblica dà inizio alla grande avventura in Asia - il vecchio mondo che da allora diviene un serbatoio inesausto di ricchezze per il patriziato romano -mala Spagna si ribella; e Lucio Emilio Paolo è inviato colà per reprimere i movimenti insurrezionali. Vince i nemici in due battaglie campali, occupa duecentocinquanta città e torna a Roma più povero, dacché non solo non si preoccupa di ammassare denaro, come facevano gli altri generali, ma spende addirittura del suo. Nel 182 a.C. è console. Combatte contro i Liguri ribellatisi, li sconfigge, costringendoli a consegnare città e navi. Ma nonostante le vittorie militari e una vita intemerata, quando si presenta per un secondo consolato, gli elettori lo ignorano. Rapidamente i tempi cambiano, si impongono nuove regole nel gioco politico, dettate o via via imposte nella società romana dalle ricchezze che affluiscono dalle province e dall'Oriente e che, inevitabilmente, corrompono i costumi. Lo eleggono, comunque, (168 a.C.) a furor di popolo per la guerra contro Perseo. Ha sessantanni. Pidna è una battaglia memorabile: venticinquemila Macedoni uccisi, solo cento i Romani. E immensi la preda e il tesoro del re. Ma niente resta nelle mani dì Emilio Paolo, al punto che alla sua morte si trovò appena di che rimborsare la dote alla seconda moglie. (F.S.).

LA GRECIA DOPO PIDNA L a M a c e d o n i a è ora divisa in quattro r e p u b b l i c h e senza c o l l e g a m e n t o tra l o ro. L e estrazioni m i n e r a r i e , fonte di ricchezza per la c o r o n a e lo sfruttamento delle foreste s o n o bloccati. A n c h e in G r e c i a si favoriscono i frazionamenti. Gli alleati traditori s o n o puniti in m i s u r a differente. Alla L e g a etolica s o n o confiscati alcuni territori. A l l a L e g a a c h e a s o n o richiesti più di mille ostaggi. Tra questi si t r o v a a n c h e lo storico Polibio, c h e sarà l ' o s s e r v a t o r e più acuto della crescita imperialistica di R o m a . R o d i , l'isola c h e vive del c o m m e r c i o m e d i t e r r a n e o , è ridotta alla f a m e . Il suo tentativo di m e d i a z i o n e tra R o m a e P e r s e o è s e m b r a t o sospetto. Tra l'ipotesi della distruzione e quella del s u o a n n u l l a m e n t o e c o n o m i c o p r e v a l e q u e s t ' u l t i m a . N e l l a p i c c o l a isola di

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STUPRI E V I O L E N Z E PER D I O N I S O Dietro la Roma vittoriosa delle grandi guerre orientali si nascondono lotte sociali e malesseri Oltre ai processi agli Scipione un altro grave episodio è sintomo d'una profonda frattura nella comunità. La repressione sanguinosa dei baccanali, le feste in onore di Bacco (Dioniso in greco), provoca la morte di moltissime persone. Le feste mescolano insieme diversi ingredienti esplosivi. A queste celebrazioni notturne, avvolte da profondo mistero, possono prendere parte solo gli iniziati. Il vino e la musica assordante stordiscono i partecipanti, donne e uomini vestiti da donne. Orrendi delitti si consumano tra le allucinazioni religiose che sviluppano le facoltà divinatorie dei partecipanti. Lo stupro e l'unione carnale simboleggiano la fusione fisica con la divinità, l'orgia culmina spesso col suicidio e l'assassinio: alla divinità è riservato il sacrificio umano e gli iniziati praticano l'omofagia (mangiano ipropri simili). In un clima di terrore Roma trema di fronte a queste sette segrete. La denuncia al console arriva come conseguenza di losche macchinazioni. Un cavaliere, Publio Ebuzio, rimasto orfano di padre, aveva come tutore il nuovo marito della madre. Costui per impadronirsi del patrimonio decide di compromettere il giovane. La madre, evidentemente d'accordo, chiede a Ebuzio di compiere il voto fatto in occasione di una malattia. Ebuzio per rendere grazie della salute riacquistata deve iniziarsi ai baccanali. Dopo dieci giorni di castità egli sarà accompagnato nel sacrario. Ebuzio acconsente. Quando arriva però dalla prostituta di cui è innamorato, trova difficile mantenere fede alla promessa e ridendo le spiega il motivo dell'improvvisa freddezza, ha donna rabbrividisce perché, quando era ancora schiava, è entrata una volta nel sacrario e sa che Zi i sacerdoti portano l'iniziato, che deve avere meno di verni anni: lo trattano come fosse una "vittima", mentre ululati, suoni di cembali e tamburi coprono le grida di chi è violentato. Ebuzio decide di parlare con la madre. La donna e il patrigno lo accusano di non saper stare dieci giorni lontano da quella donnaccia e lo cacciano di casa. A questo punto il giovane cavaliere presenta denuncia al console. Dopo una penosa sceneggiata di fronte al magistrato, la verità è raccontata. Il quadro di questa folla invasata e allucinata è ancora più sconvolgente di quanto si possa supporre. Scatta immediatamente la repressione. Si promulgano senatoconsulti (leggi senatorie) per vietare qualunque tipo d'associazione segreta e si puniscono i colpevoli. Le delazioni e le condanne si susseguono senza posa. Molti, in preda alla vergogna, si suicidano. La città è bagnata di sangue.

D e l o è aperto dai R o m a n i un p o r t o franco c h e diventa il n u o v o centro dei traffici m e d i t e r r a n e i . L a sorte d e l l ' E p i r o è c e r t a m e n t e quella più dura. L a s u a p u n i z i o n e d e v e d i v e n t a r e l ' e s e m p i o p e r chi o s a ribellarsi a R o m a . C i r c a 150.000 p e r s o n e s o n o ridotte in schiavitù. O r m a i R o m a n o n tollera più a l c u n a o p p o s i z i o n e . P e r l ' i n t e r a G r e c i a inizia u n a p r o f o n d a e inarrestabile crisi.

LA SPAGNA INSANGUINATA L a l o g i c a d e l l ' i m p e r i a l i s m o h a così p r e s o il s o p r a v v e n t o . N e l giro di p o c h i d e c e n n i la politica di g a r a n t e d ' u n equilibrio h a lasciato il p o s t o a u n a p o l i tica d ' a g g r e s s i o n e . Il l e n t o l a v o r o d i p l o m a t i c o di F l a m i n i n o e di S c i p i o n e è a b b a n d o n a t o . Tuttavia R o m a n o n h a b e n c h i a r o c o s a fare d o p o la guerra. L a stessa s o l u z i o n e della M a c e d o n i a m o s t r a c o m e i dirigenti r o m a n i s i a n o titubanti e in b i l i c o fra s o l u z i o n i differenti. In Occidente R o m a non h a invece i m e d e s i m i scrupoli e risolve i problemi con la guerra. In S p a g n a si combatte e si stabilisce la p a c e c o n le armi in p u g n o . L ' i m p e g n o militare r a g g i u n g e d i m e n s i o n i e n o r m i , circa 5 0 . 0 0 0 u o m i n i nei

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m o m e n t i p i ù critici. D o p o i successi di C a t o n e e T i b e r i o G r a c c o , le tribù i b e r i c h e r e s p i r a n o aria di libertà c o n Viriato, un n u o v o c a p o c h e li s p i n g e alla rivolta. I R o m a n i non v a n n o p e r i i sottile, così m a s s a c r a n o 2 0 . 0 0 0 Vaccei ( u n a p o p o l a z i o n e s p a g n o l a ) nel 152 a . C e altrettanti L u s i t a n i (abitanti d e l l ' a t t u a l e P o r t o g a l l o ) nel 150 a . C Pace e guerra si alternano senza posa fino al 133 a.C. q u a n d o il giovane Scip i o n e Emiliano, r e d u c e d a Cartagine (vedi infra) p r e n d e N u m a n z i a , la capitale della rivolta celtibera. C o n un esercito arruolato a sue spese il giovane figlio adottivo dell'Africano distrugge la città e riduce in schiavitù gli abitanti che n o n si s o n o suicidati.

SI P A G A C O N IL «DENARIO» Probabilmente durante la seconda guerra punica il sistema monetario romano raggiunge la sua forma definitiva. Il pezzo principale è il «denario» d'argento (letteralmente la moneta di dieci assi) che pesa inizialmente poco più di 4 grammi. Sul diritto e sul rovescio sono impressi dei «tipi» (immagini) costanti: più tardi appaiono i ritratti di antenati e di vecchie glorie familiari dei magistrati, incaricati di sovrintendere alla coniazione di denaro. I pochi centimetri quadrati della moneta diventano un potente mezzo di propaganda, utile per ricordare agli elettori, nel prosieguo della carriera, i meriti della gens in lizza. II denario ha come sottomultipli: il «quinario» (equivalente a cinque assi) e il «sesterzio» (due assi e mezzo). A questi si aggiungono sottomultipli di bronzo: le monete che veramente circolano nelle mani dei Romani. In seguito alle conquiste cominciano ad affluire grosse quantità d'argento e si conia una nuova moneta, il «vittoriato» (pari a tre quarti di denario), mentre le monete di bronzo piano piano diventano meno usuali. Anche lo stipendio militare è pagato in monete d'argento. L'affermazione del denario accompagna le azioni militari romane al punto da divenire quasi l'unica moneta circolante nel Mediterraneo. Commercianti greci, romani e italici ormai comprano e vendono a suon di denari.

GLI ULTIMI SINGULTI: CARTAGINE E CORINTO In Africa R o m a si serve d e l l ' a p p o g g i o di Massinissa, re della N u m i d i a , per tenere sotto controllo Cartagine. C o n t i n u e s c a r a m u c c e e conflitti h a n n o caratterizzato l ' u l t i m o cinquantennio. L a rinascita dell'agricoltura cartaginese e la stessa posizione molto favorevole della città (vedi capitolo Romani

e Cartaginesi:

è lo scontro)

fanno temere una

ripresa della sua potenza mercantile. D a anni uomini politici c o m e Catone proclamano la necessità di eliminare per sempre il pericolo cartaginese. C a t o n e u n giorno si presenta in Senato con dei magnifici fichi. I senatori n e a m m i r a n o la freschezza e le dimensioni chiedendo d a dove prov e n g a n o . C o n u n l a m p o negli occhi il vecchio censore dice c h e li h a colti lui stesso tre giorni p r i m a a Cartagine. L a città e la sua ripresa s o n o più forti e vicine di q u a n t o si possa supporre. Nuovi contrasti con Massinissa per questioni di confine suscitano infine l'intervento r o m a n o (149 a . C ) .

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STORIA DI ROMA ANTICA

I soldati c h e s b a r c a n o in Africa s o n o guidati d a S c i p i o n e E m i l i a n o , il futuro vincitore di N u m a n z i a . C o n t r a r i a m e n t e a q u a n t o a v v i e n e di solito, nessun o a v a n z a p r o p o s t e di p a c e . L a città è distrutta. Il s u o territorio è m a l e d e t t o e c o s p a r s o di sale. P e r Cart a g i n e cala il sipario ( 1 4 6 a . C ) . I n G r e c i a n e l l a m e d e s i m a e p o c a n u o v i ferm e n t i s c a t e n a n o la rivolta d e l l a p o p o l a z i o n e . C o m e è accaduto quasi t r e n t a n n i prima, un tale chiamato Andrisco, spacc i a n d o s i p e r il figlio d i P e r s e o , r a c c o g l i e i n t o r n o a s é l ' o s t i l i t à g r e c a c o n tro R o m a . M a C e c i l i o M e t e l l o l o s c o n f i g g e a P i d n a , q u a s i a s o t t o l i n e a r e

IL TEATRO INSTABILE / ludi religiosi, celebrati con sempre maggior frequenza a Roma, hanno spiccati aspetti teatrali che si prestano a essere rappresentati su una scena. La necessità di un teatro o edificio funzionale agli spettacoli è l'inevitabile conseguenza, acuita anche dalla passione dei Romani per le tragedie e commedie. Il censore Cassio Longino tenta la costruzione d'un teatro lapìdeo ai piedi del Palatino (154 a.C). La reazione immediata dell'oligarchia è il rifiuto, perché il teatro è una manifestazione dell 'eccessiva ellenizzazione del ceto dirigente. Publio Cornelio Scipione Nasica fa smantellare quanto già edificato dal censore e vieta che sì allestiscano sedili per spettatori nel raggio d'un miglio intorno a Roma. L'opposizione all'edificio teatrale risiede soprattutto nel timore che l'assemblea popolare possa trovarvi un adeguato luogo di riunione, come accade nelle città ellenistiche (corrotte e degenerate secondo i tradizionalisti). Inoltre è costante il timore che un membro dell'oligarchia acquisisca un prestigio troppo grande, perché aleggia lo spettro di generali e uomini politici padroni della folla, capaci d'imporsi con misure popolari. Nonostante quest'ostilità a Roma non mancano edifici, più o meno stabili, destinati agli spettacoli. È questo il caso del theatrum et proscaenium ad Apollinis (teatro e proscenio presso il tempio di Apollo) vicino al circo Flaminio. Su un 'area semicircolare, fatta costruire dai soliti censori del 179 a.C, trovano spazio gradinate in legno, davanti alle quali si può erigere una "scena" teatrale. In queste condizioni precarie la scena e i fondali utilizzati sono modesti e non conoscono la ricchezza o la varietà goduta dagli spettatori del Sannio e della Campania, dove la tradizione teatrale ha una lunga tradizione.

IL T E M P I O G R E C O DEL F O R O O L I T O R I O Tra i numerosi edifici pubblici costruiti in questo periodo si ricorda il tempio di Giunone Sospita (Salvatrice), voluto da Caio Cornelio Cetego (tra il 194 e il 197 a.C). La nuova costruzione si affianca a due anteriori, risalenti alla prima guerra punica, il tempio di Giano e di Speranza nel foro Olitorio (il mercato delle verdure). Nella piccola piazza oggi compresa fra le pendici del Campidoglio e i resti del teatro di Marcello, sotto e accanto alla chiesa di San Nicola in Carcere, si trovano i resti dei tre templi. Probabilmente l'edificio più vicino al teatro di Marcello è il tempio di Giano, quello più vicino al portus Tiberinus il tempio di Speranza, mentre quello di Giunone Sospita è probabilmente sottostante alla stessa chiesa. Si tratta di un tempio lungo 30 m, largo 15, periptero (un colonnato corre sui quattro lati), esastilo (sei colonne sulla fronte), con tre ordini di colonne sul lato breve anteriore e due su quello posteriore. Nel sotterraneo di S. Nicola sono visibili alcuni ritocchi delle colonne della facciata.

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Foro Olitorio: pianta dei templi dedicati a Giano (A) a Giunone Sospita (B)e alla Speranza (C) inglobati nella chiesa di San Nicola in Carcere.

I PORTICATI DEL C A M P O M A R Z I O // Campo Marzio nella parte circostante al circo Flaminio è interessato da grandi opere pubbliche. Gran parte dei bottini guadagnati in guerra è impiegata in edifici sacri e quadriportici quali il tempio di Ercole e delle Muse (divinità protettrici delle arti), il portico d'Ottavio (168 a.C.) e il portico di Metello (146 a.C). Gli edifici, situati lungo il lato settentrionale del circo, sono il primo esempio di urbanistica monumentale a Roma. Artisti, architetti e pittori greci fanno conoscere la luxuria asiatica (il lusso orientale) a una città che fino a quel momento si è accontentata di edifici modesti, specchio della semplicità dei suoi costumi. All'interno del quadriportico di Metello trovano spazio due templi dedicati a Giunone Regina (creato da Marco Emilio Lepido nel 179 a.C.) e a Giove Statore. Quest'ultimo rappresenta un 'importante innovazione, poiché si tratta del primo edificio sacro costruito integralmente in marmo a opera dell'architetto Ermodoro di Salamina di Cipro. Il modello ellenistico-orientale conoscerà da questo momento numerose imitazioni nell'architettura religiosa romana. Le statue di Giunone e Giove sono ugualmente create da scultori greci, Policle e Dionisio, quasi a confermare fino a che punto la committenza nobiliare sia impregnata di cultura greca.

c h e la p a r e n t e l a c o n P e r s e o è s o l t a n t o n e l l a s f o r t u n a e n e l l o s t e s s o l u o g o . L a M a c e d o n i a p e r d e così l ' a u t o n o m i a formale e i distretti s o n o sostituiti di lì a p o c o d a u n a p r o v i n c i a . I R o m a n i n o n si f e r m a n o , p e r c h é s o n o b e n d e c i si a indebolire c o m p l e t a m e n t e la L e g a achea. L a richiesta di lasciare fuori dalla confederazione città c o m e Sparta, A r g o e Corinto scatena u n a n u o v a rivolta, r e p r e s s a s e n z a freni o incertezze. L a r e a z i o n e di C o r i n t o n o n è tollerata e L u cio M u m m i o o c c u p a e d i s t r u g g e la città d e l l ' i s t m o . L ' e n o r m e b o t t i n o in o p e r e d ' a r t e s u p e r a quasi q u e l l o c h e E m i l i o P a o l o h a p o r t a t o a R o m a d o p o la vittoria di P i d n a . L ' a u t o n o m i a della G r e c i a è d e c i s a m e n t e finita.

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STORIA DI ROMA ANTICA

S O G N I E ELEZIONI Dopo la sconfitta di Canne Lucio Cornelio Scipione, fratello di Publio ilfuturo Africano, si presenta alle elezioni come edile. Le possibilità di successo sono però poche. Publio Cornelio pensa allora di ricorrere all'aiuto divino. La madre in quei giorni compie contìnui pellegrinaggi nei santuari e fa offerte agli dèi, preoccupata per la candidatura di Lucio. Publio va da lei e le racconta il sogno che ha fatto. Entrambi i fratelli erano stati eletti edili e una volta giunti a casa la madre li aveva abbracciati e baciati. Ascoltando il sogno la donna si commuove e tra le lacrime augura che ciò possa accadere. Publio Cornelio dichiara allora di voler tentare la sorte e chiede alla madre di preparargli una toga candida. È infatti sua intenzione presentarsi alle elezioni con ilfratello. La donna accondiscendente sorride e non pensa più alla sua richiesta. Giunto il giorno delle elezioni, il giovane si procurala toga che la madre ha dimenticato e va al Foro. Il popolo, sia per la novità, sia per la fama che Publio già gode, è entusiasta e vota i due fratelli. Tornati a casa, la madre come in sogno, li abbraccia e li bacia piena di gioia. Le amiche della donna si incaricano poi di diffondere il racconto del prodigio. Così tutti credono che i sogni del giovane Scipione si avverino e che egli sia in contatto diretto con gli dèi, anche nella vita quotidiana.

DALLA DIPLOMAZIA DI FLAMININO ALL'AGGRESSIVITÀ DELL'EMILIANO D o p o la caduta degli Scipiòni e la morte di Flaminino, la politica estera r o m a n a segue la strada d a essi indicata. L'opposizione dei conservatori tradizionalisti, p e r quanto violenta, non modifica la condotta dei dirigenti romani. P e r m e z z o secolo, p u r affermando la sua e g e m o n i a , R o m a evita di ampliar e il territorio e di creare n u o v e province. O v u n q u e la sua supremazia è riconosciuta e i mercanti romani e italici si e s p a n d o n o e si affermano s e m p r e più nel m o n d o mediterraneo. Il d e l i c a t o p r o b l e m a istituzionale d e l l ' a m m i n i s t r a z i o n e dei territori fuori d a l l ' I t a l i a è affrontato p a r z i a l m e n t e nel 179 a . C , c o n la legge Bebia. P e r risolvere il p r o b l e m a s p a g n o l o si d e c i d e di e l e g g e r e , a l t e r n a t i v a m e n t e o g n i a n n o , q u a t t r o e sei p r e t o r i , in m o d o c h e d u e rimangano a R o m a e d u e v a d a n o n e l l e p r o v i n c e : n e l s e c o n d o a n n o si c o m p i e u n a r o t a z i o n e c o m p l e t a n e l l e q u a t t r o p r o v i n c e (Sicilia, S a r d e g n a , S p a g n a C i t e r i o r e e S p a g n a U l teriore). Q u e s t o m e c c a n i s m o , u n r i m e d i o di fortuna, è p e r ò d e s t i n a t o a saltare in b r e v e t e m p o , q u a n d o c o m i n c i a n o a farsi strada i c o m a n d i straordinari (vedi a n c h e il c a p i t o l o s u c c e s s i v o ) . Nella seconda m e t à del n secolo a.C. si assiste a un profondo m u t a m e n t o di indirizzo. L'azione r o m a n a si fa aggressiva e distruttiva. N o n solo in S p a g n a si c o m p i o n o stragi di Stato, m a a n c h e in Oriente. L a g u e r r a di s t e r m i n i o d i v e n t a la n o r m a . I n c a r n a z i o n e perfetta di q u e s t a s e c o n d a t e n d e n z a è P u b l i o C o r n e l i o S c i p i o n e E m i l i a n o , figlio adottivo dell'Africano. Il giovane figlio di L u c i o E m i l i o Paolo, il vincitore di Pidna, al m o m e n t o della sua adozione h a acquisito p r e n o m e , n o m e e c o g n o m e degli Scipioni che

LA CONQUISTA DELL'ORIENTE

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IL SEPOLCRO DEGLI EROI A Roma i sepolcreti sono esclusi dal centro abitato e dal pomerio, il limite giuridico e sacrale della città: sono disposti generalmente ai lati delle strade che escono dalla città. Lungo la via Appio, subito dopo la sua costruzione nel 312 a.C. (vedi capitolo L'egemonia nell'Italia centro-meridionale), sono edificate tombe gentilizie. Una delle prime è quella degli Scipione cui si aggiungono quelle dei Servila e dei Metelli. Inizialmente sono tombefamiliari sotterranee, prive di grandi ornamenti esterni. Solo alla fine del il secolo a. C., quando inizia l'uso del monumento isolato, la via assume l'aspetto che conserva tuttora. Vicino alla porta Capena Claudio Marcello, vincitore di Siracusa (208 a.C), ha edificato il tempio dì Virtus (Valore). Accanto all'edificio sacro i Marcelli hanno costruito la tomba di famiglia, di cui attualmente non rimane nulla. Non lontano da porta San Sebastiano si trova la tomba sotterranea degli Scipioni (scoperta nel 1780 durante lo scavo di una cantina) e, dai pochi resti conservati, si può ricostruire la facciata, che doveva assomigliare a una grande scena teatrale, divisa da pilastri. Il basamento sottostante, nel quale si aprono gli ingressi al sepolcro, è decorato da affreschi, probabilmente di carattere militare. La parte più antica accoglie una trentina di sarcofagi, nei quali sono stati sepolti quasi tutti i membri della famiglia dall'inizio del in secolo alla metà del u secolo a.C.;ma l'Africano è stato sepolto nella sua villa di Uterno. I grandi lavori di sistemazione della tomba sono stati condotti da Scipione Emiliano tra il 146 a.C (distruzione di Cartagine) e il 133 a.C. (distruzione di Numanzia). In quello stesso momento la tomba fu dotata di una facciata scenografica. Gli Scipioni sono una delle numerose famiglie di età repubblicana che si estìngue agli inizi dell'impero. La tomba in età augustea accolse solo alcuni membri del ramo secondario dei Cornelii Lentuli, che si vantavano della loro discendenza dall'Africano. 1 sarcofagi sono collocati lungo le pareti e, in base alle iscrizioni dipinte o scolpite sui fianchi, si possono riconoscere i membri della famiglia. Come conviene agli epitaffi, tutti gli Scipioni qui sepolti brillano per virtù, coraggio e onore anche se poi si tratta di ragazzini di 16 anni. Tra le dediche, oltre a quella di Scipione Barbato (probabilmente il creatore della tomba come si nota dalla posizione del suo sarcofago, vedi capitolo Romani e Cartaginesi: è Io scontro), si legge sui resti di un sarcofago questa iscrizione: «Lucio Cornelio Scipione, figlio di Lucio, nipote di Publio, questore, tribuno militare, morto a 33 anni. Suo padre vinse il re Antioco». Si tratta evidentemente del figlio di Lucio Cornelio Scipione Asiatico, fratello dell'Africano.

Ricostruzione grafica della facciata del Sepolcro degli Scipioni sulla via Appia secondo E Coarelli.

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STORIA D I R O M A A N T I C A

con lui tornano agli antichi splendori, m e n t r e il gentilizio Emilio è trasform a t o in un secondo c o g n o m e . E P u b l i o C o r n e l i o S c i p i o n e E m i l i a n o d i v e n t a l ' i n c a r n a z i o n e perfetta della n u o v a t e n d e n z a , a g g r e s s i v a e distruttiva, di R o m a nei p r o b l e m i di p o litica estera. Infatti, c o m e già d e t t o , s e n z a la m i n i m a i n c e r t e z z a il g i o v a ne c o m a n d a n t e p r o c e d e alla d i s t r u z i o n e s i s t e m a t i c a dei n e m i c i , a Cartagine p r i m a , a N u m a n z i a p o i .

11 sepolcro degli Scipioni Publio Cornelio Scipione (m. 211 a.C)

Gneo Cornelio Scipione Calvo (m. 211 a.C.) Lucio Emilio Paolo Macedonico

Scipione Africano

Emilia

omelia

Scipione Emiliano

Sempronia

Lucio Cornelio Scipione Asiatico

Tiberio Sempronio Gracco (m. 154 a.C.)

Tiberio Gracco (tribuno)

Caio Gracco (tribuno)

ROMA TRA CONSERVATORI E INNOVATORI

NOBILITAS E CAVALIERI Nel corso delle campagne militari del n secolo a . C risulta determinante la funzione del Senato e di pochi membri di alcune famiglie: progressivamente il p o tere politico si concentra nelle mani d ' u n a ristretta cerchia che fornisce consoli, pretori, censori. La chiusura dell'aristocrazia in oligarchia (governo di pochi) coincide con la diffusione del concetto di nobilitas (nobiltà): appartengono alla nobilitas tutte le famiglie che hanno fornito magistrati. La separazione tra ceto dirigente e popolo si fa più acuta, mentre le assemblee sono ormai dominate dai proletari, coloro che sono troppo poveri per andare in guerra. Tuttavia nuove classi emergono prepotentemente alla ribalta. Nel corso delle guerre lo Stato romano h a dovuto ricorrere ad appaltatori privati, per sopperire ai suoi bisogni, e questi appaltatori, appartenenti al ceto equestre, hanno vasta disponibilità di mezzi per fornire servizi, c o m e l'approvvigionamento degli eserciti. Nati dalle originarie centurie dei cavalieri dell'ordinamento centuriato, hanno sfruttato in pieno le possibilità offerte dall'espansione militare e si occupano soprattutto degli appalti (delle tasse, delle miniere, dell'edilizia, delle tariffe doganali ecc.). L'interesse di questo ceto affaristico ha causato molte delle manifestazioni più esagerate di bellicismo. L'esempio più lampante è quello di Rodi, punita per la sua mediazione di pace con Perseo: il nuovo porto franco di Delo prostra economicamente l'isola, facendo passare il primato mercantile a Italici e Romani. La vecchia nobiltà fondiaria si scontra col dinamismo del nuovo ceto capitalistico, formato da uomini nuovi - cioè di recente fortuna - e da liberti, pronti a tutto per il guadagno. Tuttavia l'opposizione tra i due gruppi assume spesso toni sfumati, infatti anche i senatori sono interessati ai guadagni mercantili e non disdegnano di armare navi per i porti orientali, mentre le recenti ricchezze dei cavalieri sono investite in terra, mancando la mentalità capitalistica del reinvestimento (tipica della società moderna). L o Stato esercita inoltre un controllo diretto sulle attività finanziarie. I censori stabiliscono la concessione degli appalti e un tribunale, formato da senatori, giudica i casi di concussione nelle province, garantendo un minimo di controllo statale.

CRISI E SVILUPPO DELL'AGRICOLTURA Nella seconda metà del n secolo a.C. la crisi della piccola produzione agricola diventa più acuta. La tendenza da parte dei ricchi ad appropriarsi del terreno pubblico (agro pubblico), cioè del terreno che non è stato assegnato, danneggia i pie-

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STORIA DI ROMA ANTICA

coli proprietari e i nullatenenti. I piccoli proprietari alle misere entrate dei loro campi aggiungono anche i prodotti dell'agro pubblico e i nullatenenti vivono esclusivamente di esso. Inoltre i piccoli appezzamenti, non coltivati dai proprietari impegnati per lunghi anni in guerra, nel migliore dei casi diventano sterili, nel peggiore devono essere venduti a causa dei debiti. Accanto alle strepitose ricchezze portate in patria da Flaminino e da Emilio Paolo l'altra faccia della medaglia è la povertà dei ceti più modesti. L a difficile e contraddittoria situazione dell'agricoltura italica si coglie del resto nell'indiscutibile sviluppo della produzione, conseguente all'espansione militare. P e r l a prima volta le esportazioni di prodotti italici acquistano un ampio raggio.

I GIOIELLI DI C O R N E L I A Molte ricche matrone romane amano vantarsi dei loro abiti e dei loro gioielli Ogni incontro con le amiche è Voccasione per sfoggiare le ultime novità, spesso portate dai mariti come bottino di guerra. Non fanno eccezione le amiche di Cornelia, figlia dell'Africano e moglie di Sempronio Gracco. Una di esse durante una visita, non smette d'elogiare le collane, gli anelli e i bracciali che indossa. Alla fine, dopo aver esaurito i pregi dei propri gioielli, chiede a Cornelia di farle vedere i suoi. Non è possibile che la moglie d'un generale vittorioso non abbia pietre e ori di eccezionale bellezza. Cornelia conferma e anzi propone di mostrarle subito le sue splendide gioie. L'amica curiosa acconsente. Cornelia ordina a una schiavetta di condurle i suoi tesori. Tiberio e Caio sono accompagnati nella stanza: «Ecco i miei gioielli!», esclama la matrona all'amica sbigottita e delusa. (F.S.)

Cornelia, madre dei Gracchi, mostra i "suoi gioielli" a una matrona (incisione di B. Pinelli).

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L'AREA SACRA D I L A R G O A R G E N T I N A // complesso chiamato area sacra di largo Argentina si colloca fra le attuali vie Florida, di San Nicola ai Cesarmi, di Torre Argentina e il largo Argentina. I quattro templi, che occupano questa parte del Campo Marzio meridionale, non appartengono alla stessa epoca. Ipìù antichi sono i templi contrassegnati con la Ce con la Ai. Il tempio C probabilmente è stato edificato da Mario Curio Dentato perFeronia, la divinità sabina evocata dopo la conquista del 290 a.C. Si tratta di un edificioperiptero, cioè tutto circondato da colonnati tranne sul lato posteriore: i resti attualmente visibili appartengono a un restauro posteriore. Il tempio A è stato costruito per celebrare la vittoria su Cartagine, conseguita da Caio Lutazio Catulo nel 241 a.C. La divinità a cui è dedicato è Giuturna, ninfa delle acque che ben si accorda con la presenza dell'aqua Virgo, la fonte su cui saranno poi edificate le terme di Agrippa. In ordine di tempo Vedificio sacro successivo è il tempio D, il più grande, dedicato da Marco Emilio Lepido ai Lari Permarini, divinità di origine orientale (179 a.C). Fino alVincendio del 111 a.C. i tre templi costituiscono complessi cultuali autonomi. Solo dopo la devastazione dell area si stabilisce di riunire i tre edifici con un 'unica pavimentazione, elevando il livello di circa 1,40 m Nello stesso momento è probabile che si passi alla costruzione d'un porticato intorno agli edifici. Marco Minucio Rufo con la porticus Minucia ringrazia gli dèi della vittoria sugli Scordisci, una popolazione della Tracia ( 106 a.C). Nello spazio rimasto libero tra AeC,un altro Quinto Lutazio Catulo fa erigere il tempio B. Si tratta del primo edificio rotondo periptero dell'area. Le colonne corinzie sono in tufo dell'Amene. L'edificio, legato alle distribuzioni di grano che si compiono nell'area, è dedicato alla «Fortuna del giorno presente», ossia il giorno delle frumentazioni. Alla decorazione dell'edificio B appartengono i giganteschi resti (solo la testa e parte del collo misurano 1,40 m) d'una statua femminile costruita in parte in marmo, in parte in metallo. Attualmente è conservata nei Musei capitolini (braccio nuovo). Alla fine del il secolo cuC. quest'area sacra assume l'aspetto che conserva tuttora. La presenza delle divinità che proteggono i viaggi per mare e di quella che soprintende alle frumentazioni della plebe rendono il complesso il simbolo stesso dell'espansione romana, con tutti i suoi vantaggi e contraddizioni.

D a p p e r t u t t o nella p e n i s o l a s o r g o n o a z i e n d e d i m e d i a g r a n d e z z a c h e coltiv a n o p r o d o t t i pregiati c o m e l a vite e l ' o l i v o , destinati alla vendita. L e anfor e italiche d i v e n t a n o i tipici contenitori p e r il trasporto d e i prodotti d e l l ' E truria e della C a m p a n i a . O v u n q u e n e l M e d i t e r r a n e o si i n c o n t r a n o m e r c a n t i italici e r o m a n i c h e s c a m b i a n o prodotti agrìcoli e soprattutto schiavi.

SCHIAVITÙ E RIVOLTA U n r u o l o rilevante n e l l ' a m p l i a m e n t o della p r o d u z i o n e agricola è p r o m o s s o dall'incremento della schiavitù. Il b o t t i n o dei conquistatori orientali è c o s t i tuito d a ricchezze, m a a n c h e d a migliaia d i schiavi. L a schiavitù è s e m p r e esistita a R o m a e nei suoi trattati C a t o n e c o n c e d e u n largo s p a z i o ai consigli p e r l ' a l l e v a m e n t o e l ' a d d e s t r a m e n t o degli schiavi d o m e s t i c i . A c c a n t o allo schiav o n a t o in c a s a o r a c o m p a i o n o schiavi d ' o r i g i n e straniera, s p e s s o d ' e l e v a t a origine sociale e culturale. Vicino alle a z i e n d e di m e d i e d i m e n s i o n i , si sviluppano i grandi latifondi b a sati s u l l ' i m p i e g o di n u m e r o s a m a n o d o p e r a servile. C o m e c o n s e g u e n z a i lavoratori liberi delle classi più u m i l i s o n o estromessi d a i m p i e g h i c h e e r a n o t r a d i z i o n a l m e n t e l o r o affidati.

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STORIA D I ROMA. A N T I C A

GLI SCHIAVI DI C A T O N E Nella casa di Catone ci sono molti schiavi, ma ancora in numero contenuto, senza confronto con le grandi aziende agricole, dove centinaia o migliaia di schiavi costituiscono pericolosi focolai di rivolta. Il Censore con i suoi schiavi si comporta ancora come un padrone, che si sente a capo d'una grande famiglia. Egli preferisce acquistarli quando sono piccoli, per allevarli con facilità, come i cuccioli. In casa, quando non sono occupati in qualche lavoro, sono obbligati a dormire. Catone è felice, vedendoli dormire, perché il sonno fa bene al corpo e rende l'animo più docile. Si preoccupa anche dei loro piaceri sessuali, osservando che la castità li rende insofferenti e trascurati. Ma qui si tradisce la mentalità speculativa del vecchio romano: permette loro di frequentare le schiave soltanto dietro un piccolo compenso e vieta d'incontrare altre donne! Suscita inoltre gelosie e discordie, ben sapendo che la concordia tra gli schiavi è pericolosa per il padrone.

G i à nel 185-180 a.C. si p r o m u l g a u n a legge che i m p o n e di impiegare una certa quota di liberi nelle aziende di quanti occupano il terreno pubblico. L'impiego di schiavi entra prepotentemente in altri settori d e l l ' e c o n o m i a . Nella pastorizia e nelle miniere lo sfruttamento a s s u m e toni durissimi. D a questo m o m e n t o in poi le rivolte servili diventano u n p r o b l e m a sociale ricorrente per il m o n d o r o m a n o . L a rivolta più seria scoppia in Sicilia tra gli schiavi addetti alla pastorizia. Diversamente dalle altre volte, i ribelli h a n n o u n c a p o carismatico, E u n o , che si vanta del d o n o della profezia. Il suo m o d e l l o è A n t i o c o m e, c o m e il vecchio n e m i c o r o m a n o , si fa incoronare re. L a rivolta h a un'articolata organizzazione e coesione interna che ritarda e rende difficile la repressione.

LA RIFORMA AGRARIA L a crisi dei ceti contadini h a importanti risvolti militari che n o n p o s s o n o essere sottovalutati. Il modello del contadino-soldato sta entrando in crisi. Il ceto dirigente si r e n d e c o n t o b e n presto che l ' u n i c o rimedio consiste nella suddivisione d e l l ' a g r o pubblico. Alcuni nobili, tra cui Scipione Emiliano, p r o p o n g o n o di limitare il possesso d e l l ' a g r o e ridistribuire ai più poveri le terre recuperate. Q u e s t a riforma agraria, rimasta inattuata, è ripresa d a Tiberio G r a c c o . C o m e tribuno della plebe il giovane nipote dell'Africano si mette dalla parte dei più deboli. L a s u a l e g g e agraria è a v a n t a g g i o di c o l o r o c h e c o m b a t tono e muoiono per Roma. Gli uomini politici devono ricordarsi che la decadenza della piccola proprietà lascerà lo Stato senza esercito. Il tribuno p r o p o n e d u n q u e u n limite per il terreno pubblico: non più di 5 0 0 iugeri (125 ettari) per capofamiglia (con l ' a g g i u n t a di 2 5 0 iugeri p e r ciascun figlio maschio). La terra tolta agli occupanti abusivi d e v e essere distribuita c o m e possesso inalienabile ai poveri, in lotti forse di 3 0 iugeri. U n a commissione di tre m e m bri d e v e procedere alle espropriazioni e alle n u o v e assegnazioni.

ROMA TRA CONSERVATORI E INNOVATORI

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L O STATO C O N T R O IL LUSSO Di fronte al lusso dilagante si promulgano a più riprese leggi «suntuarie», per contenere il lusso. Catone, soprattutto durante la sua censura, si prodiga con tutte le sue forze per far rispettare i divieti. I banchetti, gli arredi delle tavole e i gioielli delle donne sono i campi più colpiti. Lo Stato stabilisce delle cifre limite oltre le quali scatta la multa. Catone alla fine giunge al punto da inimicarsi sia chi per mantenere il lusso paga le tasse, sia chi per colpa delle tasse non può più permettersi il lusso. La furia di Catone non si ferma qui. Distrugge le condutture che portano Vacqua dagli acquedotti nelle case e nei giardini, fa abbattere e demolire gli edifici che occupano il suolo pubblico, blocca le somme stanziate per il restauro dei templi. In realtà queste norme, al di là della spettacolare azione di Catone, mirano soltanto a contenere le spese smodate, cui si lascia andare la nobiltà. Il loro scopo è quello d'impedire che patrimoni ingenti siano dispersi e che s'impoveriscano intere famiglie dell'oligarchia, da cui è retto lo Stato.

L a proposta di Tiberio ha lo scopo di ricostituire u n largo strato di piccoli proprietari, m a gran parte del ceto dirigente s ' o p p o n e : la legge è sentita com e sovversiva e rivoluzionaria. Q u a n d o Tiberio propone di distribuire al popolo l'eredità lasciata ai R o m a n i dal sovrano di P e r g a m o , i senatori a stento tollerano questa invasione nel c a m p o della politica estera. A d arte si diffonde la v o c e c h e Tiberio tenga nascosta in casa sua la corona e il m a n t o regale. L'opposizione è condotta ad armi pari col tribuno Ottavio. C o n un atto totalmente anticostituzionale Tiberio destituisce Ottavio, dichiarando c h e la sua azione tradisce gli interessi del p o p o l o .

SE CIEL N O N VUOLE.U n g r u p p o di nobili, tra cui Scipione Nasica, decide di passare dalle parole ai fatti. Scaduta la carica, Tiberio si candida per l ' a n n o successivo. Il clim a si fa pesante. In città si respira aria di violenza e terrore. Il giorno dell'elezione segni infausti creano ulteriore timore. I polli degli auguri si rifiutano di uscire dalla loro gabbia. Tiberio ricorda un altro oscuro segnale: nel suo bellissimo e l m o p o c o temp o p r i m a si erano insinuati d u e serpenti che, d o p o aver deposto le uova, le a v e v a n o ingoiate. M a in quel giorno nero i presagi non finiscono qui. Uscito di casa inciampa e l'unghia del piede gli si spezza. 11 sangue comincia a sgorgare dal sandalo. Nel frattempo d u e corvi, litigando nel cielo, lasciano cadere ai suoi piedi una pietra. Tiberio decide c o m u n q u e di recarsi in C a m p i d o g l i o . L'assemblea, iniziata nel migliore dei m o d i , v a via via degenerando. U n gesto di Tiberio viene subito interpretato dalla fazione avversaria c o m e la richiesta della corona. Scipione Nasica intanto chiede a gran v o c e l'intervento del console. Di fronte al rifiuto di questi, s'infuria e, copertosi il c a p o con un l e m b o della toga, si avvia sul C a m p i d o g l i o . Altri lo seguono. Armati di leve e bastoni c o m i n c i a n o a colpire i partigiani di Tiberio. Il tribuno cerca di fuggire m a è colpito con u n a sedia. Il suo corpo insieme a quello di molti c o m p a g n i è gettato nel fiume. La repressione dei sostenitori dei Gracchi è senza limiti.

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La morte di Tiberio Gracco in un'incisione ottocentesca di B. Pinelli (particolare).

SOLDATI S T R A C C I O N I Nel 125 a.C. sono censiti 394.000 cittadini, circa il 20% in più rispetto all'ultimo censimento. Probabilmente l'aumento è dovuto all'attuazione della legge agraria e all'abbassamento della soglia di censo per appartenere all'ultima classe. Si assiste a una progressiva proletarizzazione della società e soprattutto dell'esercito. Le lunghe campagne in Spagna hanno reso necessario l'impiego di truppe stanziali, cioè di stanza nel territorio da controllare. A volte, per sopperire all'enorme bisogno di uomini, si è ricorso anche a truppe indigene, arruolate sul posto. Più frequentemente si è abbassata la soglia di censo e migliaia di proletari entrano nell'esercito. La proposta di Caio Gracco di non arruolare militari al di sotto di 17 anni ci dà un 'idea delle condizioni miserevoli e disperate di gran parte dei legionari. L'organizzazione della legione, fondamento della forza militare romana, subisce alcune importanti modifiche. Durante le guerre sannitiche (vedi capitolo L'egemonia nell'Italia centro-meridionale) erano stati introdotti i manipoli, più mobili e veloci. Per ovviare all'inevitabile debolezza, dovuta alle ridotte dimensioni del manipolo, si crea una nuova unità tattica: la coorte, risultato dell'unione di tre manipoli. L'ampia proletarizzazione dell'esercito produce una progressiva decadenza della disciplina e anche della motivazione morale per la guerra. I nuovi soldati sono molto più vicini ai mercenari, senza patria né fede, che ai legionari di solo cent'anni prima.

SCONFITTI MA N O N DISTRUTTI L a m o r t e di T i b e r i o p r o d u c e u n a frattura i n c o l m a b i l e n e l l a società r o m a n a . P e r la p r i m a v o l t a è stato versato il s a n g u e d ' u n cittadino. N e g l i anni seguenti la p r o p a g a n d a a n t i g r a c c a n a r a g g i u n g e toni m o l t o forti. Si tenta di togliere p r o g r e s s i v a m e n t e forza alla l e g g e f a c e n d o l e v a soprattutto sul m a l c o n t e n t o degli Italici. I beneficiari della riforma agraria s o n o infatti soltanto i cittadini. Gli Italici, c h e p e r l u n g o t e m p o h a n n o a v u t o in affitto le terre p u b b l i c h e , o r a si trov a n o i m p r o v v i s a m e n t e s e n z a nulla.

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N O N DI SOLA P A P P A . . L'alimentazione del cittadino romano, privo di consistenti fortune, è sempre stata povera Il piatto principale è la puls, una pappa di cereali, a volte arricchita da fave, lentìcchie, ceci. Le carni non si mangiano spesso e in genere si macellano solo gli animali vecchi e inutilizzabili. Per ammorbidire questa carne coriacea, si usa bollirla lungamente e dopo arrostirla sul fuoco. La dieta "mediterranea " dei Romani è ricca dì verdure e di oli vegetali, dal momento che l'olivo è sempre più diffuso e coltivato. Il grande afflusso di ricchezze del il secolo aC. muta questa dieta "tutta salute". Il lusso colpisce anche a tavola e improvvisamente la pappa abituale diventa scipita e indigesta Si passa al pane e al vino, ben presto protagonisti delle tavole anche modeste. Le pietanze si arricchiscono di salse e dì ingredienti nuovi. Per chi può permetterselo la carne diventa il piatto principale. Dato che il cibo è specchio dell'uomo, anche il costume alimentare diventa espressione di fedeltà alla tradizione romana. Chi si oppone alla dilagante moda greca rimane fedele alla pappa e alle verdure, vero cibo d'un vero Romano: così il cibo semplice diventa il simbolo d'una rimpianta semplicità.

IL T E M P I O R O T O N D O V I C I N O AL TEVERE Vicino al Tevere, nelforo Boario esiste l'unico esempio di tempio, quasi completamente in marmo, giunto fino a noi. Il tempio circolare è decorato da 20 colonne di marmo. La cella è anch'essa in marmo. Purtroppo è andata perduta tutta la parte superiore. Il tempio è stato erroneamente identificato con quello di Vesta. In realtà i resti di un'iscrizione e d'una statua di culto non concedono dubbi sulla divinità dell'edificio. Si tratta d'un tempio dedicato a Ercole «Olivano», costruito forse da Ermogene, lo stesso architetto greco autore del tempio di Giove Statore, il primo tempio in marmo di Roma. La statua d'Ercole, di cui si sono trovati alcuni frammenti, è probabilmente opera di Scopas minore, lo scultore greco che ha aperto bottega a Roma nel u secolo aC. Il committente del tempio è un mercante romano, Marco Ottavio Erreno, arricchitosi con il commercio dell'olio. Proprio come patrono degli olearii dedica l'edificio a Ercole, chiamato per la sua funzione «Olivario». Il foro Boario continua dunque a curare il culto di Ercole, divinità che fin dall'epoca arcaica protegge i mercanti che passano attraverso il guado. Molto simile all'edificio ancora conservato doveva essere il tempio rotondo a Ercole voluto da Scipione Emiliano (142 aC). Isuoi resti esistevano ancora nel XV secolo quando furono completamente demoliti. Esso era probabilmente situato nell'area occupata dall'ex palazzo dei musei di Roma, a nord della chiesa dì Santa Maria in Cosmedin

Pianta e ricostruzione del tempio rotondo dedicato a Ercole, noto come tempio di Vesta.

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IL T E M P I O RETTANGOLARE V I C I N O AL TEVERE Tra gli edifici ancora conservati va senz 'altro ricordato il tempio rettangolare di Portuno, vicino a quello rotondo di Ercole. Si tratta d'un tempio pseudoperiptero (cioè solo semicolonne circondano la cella), rivestito inoltre da lastre di travertino. Purtroppo della ricca decorazione in stucco non rimane più nulla, mentre si vedono ancora musi leonini che decorano il cornicione, frutto d'un restauro successivo. L'edificio del lì secolo a.C. ha coperto un luogo di culto molto più antico, forse del iv secolo, segno della continuità del culto del dio Portuno, protettore dei porti e degli ingressi nelle città, ed è erronea la denominazione di tempio della Fortuna Virile.

L a m o r t e di Scipione Nasica, forse assassinato, segna u n a ripresa del m o vimento filograccano (129 a . C ) . Per placare gli Italici il console Fulvio Fiacc o p r o p o n e di estendere la cittadinanza. L a proposta c a d e e Fulvio è trasferito in Gallia (125 a . C ) . Il fratello m i n o r e di Tiberio, il secondo «gioiello» di Cornelia, in questi anni h a cercato di sostenere la legge agraria. S e n z a clamore h a continuato a lavorare nella c o m m i s s i o n e per la distribuzione delle terre. Rispetto al fratello, Caio è un personaggio estremamente complesso. Attento politico, è u n abilissimo oratore che sa incantare le folle. R e s o saggio dalla fine di Tiberio, h a pensato il suo p r o g r a m m a politico, presentato dieci anni d o p o , in m o d o c h e possa affrontare opposizioni e avere appoggi. L a novità e la lungimiranza della sua opera consistono n e l l ' a v e r saputo agganciarsi alle n u o v e forze, che r e c l a m a n o di entrare nella vita politica, p e r c h é la plebe (che h a appoggiato Tiberio) è u n a b a s e troppo labile e mutevole.

U N PROGRAMMA AMBIZIOSO Il p r o g r a m m a di C a i o c o n t e m p l a i n n a n z i t u t t o u n a l e g g e f r u m e n t a r i a , c o m p o r t a n t e la v e n d i t a ai p o v e r i di g r a n o a p r e z z o r i d o t t o . U n ' a l t r a l e g g e stabilisce c h e il v e s t i a r i o dei soldati sia a c a r i c o d e l l o S t a t o e c h e e s s o n o n sia più detratto d a l l o s t i p e n d i o . Inoltre p r o i b i s c e c h e si a r r u o l i n o g i o v a n i c o n m e n o di 17 a n n i .

I R O M A N I N O N P A G A N O TASSE L'enorme quantità di metallo prezioso che affluisce nelle casse dello Stato dopo la sconfitta di Perseo riesce a sopperire ai bisogni della Repubblica. Secondo i Romani la guerra deve pagare se stessa. In questo caso il bottino sopravanza al punto che i cittadini possono permettersi di non pagare più il tributo. Il tributo è l'unica tassa pagata dai Romani e in tempi difficili, come nel corso della guerra annibalica, è stato addirittura raddoppiato. L'esenzione dal pagamento dura a lungo e soltanto nel 43 a.C. sarà ripristinato il tributo, da allora in poi sempre pagato.

M a l ' a n i m a della sua proposta politica è la legge giudiziaria. D a l 149 a . C è stato istituito u n tribunale p e r giudicare i casi di estorsione ai danni dei provinciali. Il tribunale è costituito d a una giuria di senatori.

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C A T O N E PAPÀ M O D E L L O La tradizione racconta che Catone è stato un buon marito e un buon padre. Essere considerato un buon marito equivale per lui a essere un buon senatore. Con la nascita del figlio non e* è faccenda importante che lo tenga lontano da casa, quando sua moglie lava o fascia il piccolo. Quando questi ha raggiunto l'età di capire è lo stesso Catone che si occupa della sua educazione, nonostante abbia in casa sua uno schiavo d'origine greca, maestro di molti ragazzi. Preferisce insegnargli lui stesso a leggere e a scrivere per non permettere che uno schiavo sgridi o peggio punisca suo figlio. L'apprendimento riguarda non solo le lettere e il diritto, ma comprende esercizi fisici che ne rafforzino il corpo. Il piccolo Catone impara così a nuotare, a combattere, a cavalcare, a sopportare il freddo. Il padre scrive la sua opera storica a caratteri grandi per fare in modo che avendola in casa il figlio possa fare esercizio e conoscere fatti importanti. Come spesso accade il ragazzo, pur con tutta la buona volontà e l'impegno, cresce deboluccio e malato. Nonostante tutto, quando ha occasione di andare in battaglia, dimostra il suo valore. Durante lo scontro a Pidna gli sfugge di mano la spada: afflitto si getta nella mischia e, facendosi largo fra i corpi dei nemici uccisi, la recupera. Emilio Paolo loda il gesto e una volta tornati in patria gli dà in moglie sua figlia Terzia.

C l a m o r o s i casi di a s s o l u z i o n e di m e m b r i della nobilitas re più v o l t e allo s c a n d a l o .

h a n n o fatto grida-

Il c o n t r a s t o p r o f o n d o tra c l a s s e senatoria e c l a s s e e q u e s t r e si c o g l i e in tutta la sua d r a m m a t i c i t à p r o p r i o in questi processi. C a i o priva i senatori della m a g g i o r a n z a e trasferisce ai cavalieri la d i r e z i o n e dei p r o c e s s i . L a sua attività in f a v o r e della c l a s s e e q u e s t r e si manifesta a n c h e in u n ' a l t r a l e g g e . L a p r o v i n c i a d ' A s i a , la p r i m a p r o v i n c i a asiatica, risultato d e l l ' e r e d i t à di A t t a l o (re di P e r g a m o ) , p o n e p r o b l e m i di n a t u r a b u r o c r a t i c a e fiscale. C a i o stabilisce c h e l ' a p p a l t o d e l l a riscossione delle tasse sia affidato ai publicani (cioè a dei cavalieri) e il t e s o r o della c o r o n a sia u s a t o p e r il p o p o l o . L ' i n t u i z i o n e politica c h e i cavalieri p o s s a n o s o s t e n e r e c h i a p p o g g i i loro interessi e c o n o m i c i è d e s t i n a t a a l u n g o s u c c e s s o nella storia d e l l a R e p u b b l i c a .

PASSIONI SENILI Perdere la testa per una donna più giovane anche nel mondo antico è una "follia" diffusa. Antioco ili ha trascorso un intero inverno con la sua giovanissima moglie, proprio mentre la guerra con i Romani si fa imminente. Massinissa, il vecchio alleato di Roma contro Cartagine, cede al fascino della giovinezza. Lo stesso Catone, ligio difensore della morale romana, non sa resistere alla carne. Pur essendo vecchio non rifugge il piacere insieme alla moglie: quando questa muore, si sposa con una giovanissima ragazza. Infatti, rimasto vedovo, si trova a vivere nella stessa casa in cui abita il figlio e la nuora. La casa è piccola e la nuora non tarda molto ad accorgersi che una giovane schiava frequenta la camera del padrone. La ragazza, diventata insolente, suscita la reazione del figlio di Catone, che non riconosce nel vecchio satiro il padre che gli ha insegnato a leggere e che non si mostrava nudo di fronte a lui. Catone allora decide di sposare la ragazza. Da queste nozze, osteggiate dal figlio, nascerà un bimbo che allieterà gli ultimi anni della vecchiaia dell'anziano padre e allevierà il dolore per la morte del primogenito.

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STORIA DI ROMA ANTICA Marco Porcio Catone (incisione ottocentesca).

I cavalieri a s s u m o n o in questo m o m e n t o u n a d i m e n s i o n e politica più chiara. L'alleanza tra tribuni, plebe e cavalieri funzionerà ogni volta che si vorrà contrastare la nobilitas. C o n questi appoggi C a i o G r a c c o è pronto per rilanciare la legge agraria, acc o m p a g n a t a questa volta d a u n ricco p r o g r a m m a di deduzioni di colonie, anc h e all'estero.

IL SUCCESSO FA PERDERE LA TESTA All'apice del suo successo l'anno seguente è rieletto tribuno. Il suo programma si allarga. C a i o p r o p o n e u n a legge c h e c o n c e d a la cittadinanza r o m a n a ai L a tini e la cittadinanza latina agli altri Italici. Il suo i m p e g n o antioligarchico è alla base dell'altra proposta riguardante u n a n u o v a procedura di voto. Se l'ordine di votazione nei comizi centuriati sarà sorteggiato, non sarà più automatica la vittoria dei ceti più ricchi. Probabilmente quest'ultima proposta provoca il ripensamento di vasti gruppi che appoggiano il tribuno. S c o p p i a n o torbidi in città. N u m e r o s i Italici e Latini, attirati dalle parole di G r a c c o , sono espulsi. Il console F a n n i o eccita la plebe, spaventata dalla possibilità c h e la cittadinanza e i suoi privilegi sian o allargati a troppe persone. Il tribuno M a r c o Livio D r u s o diventa il p e r n o d e l l ' o p p o s i z i o n e aristocratica. La politica demagogica dell'avversario fa perdere a Caio Gracco gran parte d e l l ' a p p o g g i o della plebe. Il suo tentativo di fondare u n a colonia a Cartagine è bloccato e gli ostacoli a u m e n t a n o . Gli scontri s o n o s e m p r e più feroci finché ai consoli è concessa la piena potestà di agire per il b e n e dello Stato. C a i o G r a c c o e i suoi c o m p a g n i s o n o dichiarati n e m i c i p u b b l i c i . S u l l ' A v e n t i n o si c o n s u m a lo s c o n t r o finale. M o l t i c a d o n o e lo stesso C a i o si fa u c c i d e r e d a u n o s c h i a v o . I s u o i p e r s e c u t o r i t a g l i a n o la testa del c a d a v e r e p e r p o r t a r l a al c o n s o l e . D a l m o m e n t o c h e è stato p r o m e s s o di p a g a r e a p e so d ' o r o la testa, u n tale, c h e se n ' e r a i m p a d r o n i t o , t o g l i e il c e r v e l l o e lo sostituisce c o n p i o m b o (121 a . C ) .

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CULTURA PER IL POPOLO, CULTURA PER L'OLIGARCHIA Nell'ottica della cultura soprattutto figurativa assistiamo in q u e s t ' e p o c a a un importante fenomeno. L a cultura unitaria che finora h a caratterizzato la R e pubblica si dissolve. D a una parte rimane la cultura romano-italica, destinata a u n ' a m p i a diffusione, al punto d a essere chiamata «arte plebea», dall'altra la n u o v a cultura elitaria, rivolta cioè a una ristretta cerchia di persone. Q u e s t a divisione, c h e nasce proprio negli anni in cui la nobilitas si richiud e in se stessa, caratterizzerà tutte le future manifestazioni artistiche. Ci sarà i n s o m m a u n a p r o d u z i o n e artistica p e r la massa, la plebe, e u n ' a r t e p e r i n o bili, i ricchi e gli intellettuali.

LA RICERCA DI UN'ARTE PER L'IMPERO Nella seconda m e t à del li secolo a.C. si assiste a u n a n u o v a ellenizzazione della cultura r o m a n a . N u o v a perché qualunque manifestazione artistica, letteraria precedente è nata in u n a città c h e fin dalle origini h a conosciuto u n a forte c o m p o n e n t e greca, diretta (i mercanti greci dell'Italia meridionale) o indiretta (gli Etruschi). M a questa volta il fenomeno è diverso. N o n ci sono influssi c h e filtrano p e r vie traverse, m a c ' è u n a precisa volontà della classe d o m i n a n t e di scegliere c o n s a p e v o l m e n t e il m o d e l l o culturale greco-ellenistico. N e l corso del t e m p o il rapporto dei m e m b r i della nobilitas con il m o n d o greco si modifica. Si passa d a u n a p r i m a fase, personificata d a uomini c o m e Scipione e Flam i n i n o , di totale assorbimento di tutto quanto è prodotto dalle m o n a r c h i e ellenistiche, a una controproposta conservatrice rappresentata da C a t o n e : per finire poi in u n a n u o v a ellenizzazione, priva di q u a l u n q u e carattere eversivo, ben rappresentata d a Emilio Paolo. lì ritratto " m o d e l l o A l e s s a n d r o " di F l a m i n i n o s u l l o statere d ' o r o la d i c e l u n g a . L a statua in b r o n z o che si fa erigere vicino ai carceres del Circo M a s s i m o è a c c o m p a g n a t a d a u n a iscrizione greca. D modello greco è assunto in tutte le sue caratteristiche, in netta opposizione alla cultura tradizionale. I p r o c e s s i degli Scipioni e la c o n d a n n a dei b a c c a nali s o n o solo gli e s e m p i più evidenti del tentativo di c o n t e n e r e la spinta i n n o v a t i v a (vedi c a p i t o l o p r e c e d e n t e ) . L a fazione c a t o n i a n a m i r a a salvag u a r d a r e le t r a d i z i o n i p o l i t i c h e , r e l i g i o s e , artistiche a n t i c h e . T u t t a v i a è s b a g l i a t o c r e d e r e c h e si sia verificata u n ' o p p o s i z i o n e netta, d a u n a parte " R o m a " , d a l l ' a l t r a la " G r e c i a " : C a t o n e p a r l a v a g r e c o , c o n o s c e v a b e n i s s i m o la c u l t u r a g r e c a , le s u e o r a z i o n i s e g u i v a n o m o d e l l i g r e c i . L o s p a v e n tava l ' i m i t a z i o n e t r o p p o fedele del m o n d o orientale, p e n s a n d o alle c o n s e g u e n z e c h e a v r e b b e r o p o t u t o a v e r e p e r la società r o m a n a . Il s u o atteggiam e n t o c o n s e r v a t i v o n a s c e v a s o l o dal d e s i d e r i o di m a n t e n e r e intatto un m o n d o (fatto di rapporti sociali, tradizioni, culti), c h e stava c a m b i a n d o . L'az i o n e di C a t o n e d a q u e s t a v i s u a l e n o n è stata d i v e r s a d a q u e l l a dei G r a c chi c h e m i r a n o a salvaguardare i piccoli proprietari, i contadini-soldati, anim a del m o n d o r o m a n o .

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PROVA D ' A M O R E Come censore Tito Quinzio Flaminino conferisce la dignità di principe del Senato all'Africano ( 189 a. C). Per questo motivo Catone gli giura inimicizia eterna e non perde occasione per colpirlo. Flaminino ha unfratello che non gli assomiglia per nulla: anche nellafamiglìa Quinzio c'è una pecora nera, dissipata e gaudente. Lucio Quinzio si distingue per il suo amore spassionato per i piaceri terreni e per i suoi amanti. Invaghitosi d'un ragazzino, se lo porta sempre dietro, anche quando comanda un esercito o una provincia. Il giovane sembra amarlo con la stessa intensità. Durante un banchetto si profonde in dichiarazioni d'amore per Lucio, dicendo che lo ama al punto da aver disertato un 'esecuzione a morte. Infatti gli sarebbe piaciuto vedere "in diretta" la morte d'un condannato, ma per stare con Lucio, per vedere Lucio, per dare una gioia a Lucio, vi rinuncia. Lucio, confuso e contento, rassicura l'amante promettendogli ciò a cui ha rinunciato. Fa venire dalla prigione un condannato a morte, insieme a un carnefice e nella sala del banchetto ordina al boia di scannare il poveretto. L'amante batte le mani felice. Saputa la cosa Catone decide di render pan perfocaccia a Tito Quinzio. Non appena diventa censore espelle dal Senato il fratello del generale con l'accusa di indegnità. E tutti quelli che conoscono la storia dell'amante non possono che essere d'accordo.

U N M O N T E DI COCCI La collina artificiale chiamata Testacelo (Mons testaceus, monte di cocci) misura 30 metri e ha una circonferenza di 1 km con una superficie coperta di 20.000 mq.: è collocata verso il fiume nell'angolo sud della città. La sua particolarità è dovuta alla sua origine, dal momento che è sorta grazie agli scarichi delle anfore contenenti i prodotti importati. Rampe permettevano d'accedere alla sommità del mucchio, per vuotare i carri pieni di detriti. Qui si ammucchiano gli antichi "vuoti a perdere ", dal 140 a. C. fino al ni secolo d. C. E questa collina costituisce un documento insostituibile della vita economica di Roma per circa quattro secoli, perché le anfore permettono di identificare le vie commerciali, le fonti di approvvigionamento della città e il loro mutare nel corso del tempo.

Tipo di anfore del Testaccio.

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L a figura di E m i l i o P a o l o i n c a r n a i n v e c e u n a n u o v a fase d e l l ' a t t e g g i a m e n to r o m a n o v e r s o la G r e c i a . D o p o la vittoria di P i d n a , p r i m a di rientrare, il g e n e r a l e c o m p i e u n v i a g g i o nelle località più i m p o r t a n t i della G r e c i a classica (la G r e c i a del v s e c o l o a . C , la G r e c i a di Pericle). Lascia addirittura u n m o n u m e n t o a Delfi c h e c o m m e m o r a la battaglia di Pidna. L ' i s c r i z i o n e c h e a c c o m p a g n a il fregio è in latino. A O l i m p i a il generale rimane affascinato dalla statua di Z e u s costruita d a F i d i a ( v secolo a . C ) , l ' a u tore della statua di A t e n a nel P a r t e n o n e d i A t e n e . È i n n e g a b i l e il filoellenismo di E m i l i o P a o l o , c o m e è i n n e g a b i l e la s u a diversità d a q u e l l o di S c i p i o n e o F l a m i n i n o . N o n c ' è più l ' i m i t a z i o n e del m o n a r c a orientale in tutte le s u e espressioni artistiche, o r a si ricerca u n ' a r t e c h e sia e s p r e s s i o n e d ' u n a città c h e h a c o n q u i stato u n i m p e r o . Si c e r c a u n ' a r t e ufficiale. Il s u o m o d e l l o n o n s a r a n n o più le corti ellenistiche, sorte d o p o la m o r t e di A l e s s a n d r o , m a la G r e c i a classica, la G r e c i a delle città-stato del v secolo a.C. e di A t e n e in m o d o particolare.

M E D I C I N A CASALINGA E MEDICI CARNEFICI Secondo Catone il capofamiglia deve occuparsi della sua terra, dei suoi animali e della sua famiglia, salvaguardando la salute dei suoi familiari. La medicina domestica ha una lunga tradizione a Roma e si aggiunge una certa diffidenza nel mettersi nelle mani di schiavi e stranieri che si spacciano per guaritori. A partire dal n secolo a.C. compaiono i primi medici d'origine greca. Nel mondo ellenistico gli studi di medicina sono molto avanzati e ad Alessandria si pratica comunemente la vivisezione, per conoscere il funzionamento del corpo umano. Roma non è una piazza molto ambita dai medici. Tuttavia uno di essi, Arcagato, è invitato dal Senato a esercitare la sua arte a Roma (219 a.C). Grazie a fondi pubblici ha a disposizione un ambulatorio, per ricevere i malati: ma il suo progetto fallisce sia per mancanza di altre sovvenzioni, sia per i metodi non proprio delicati. E Arcagato diventa la personificazione della paura che hanno i Romani del medico carnefice, quello che non tentenna di fronte agli interventi più cruenti. Passerà altro tempo prima che la figura del medico diventi consueta, familiare e non fonte dì angosciosi incubi.

PIEDI, U T E R I E D I T A N E L TEVERE Accanto alla medicina tradizionale e alla nuova medicina d'origine greca per il Romano resta comunque importante l'aiuto degli dèi. Dopo l'arrivo d'Esculapio, l'isola Tiberina si è trasformata in un ospedale ("vedi capitolo L'egemonia nell'Italia centro-meridionale), che accoglie i malati. Dopo la guarigione è usuale donare al dio l'oggetto che era stato promesso in voto secondo le proprie possibilità. Molto spesso si tratta di ex voto anatomici, come oggetti in terracotta, prodotti a stampo, che rappresentano la parte del corpo guarita. Il Tevere ha restituito e continua a restituire migliaia di questi ex voto, che ì fedeli hanno donato a Esculapio. Tra questi si possono distinguere quelli che rappresentano l'organo guarito (come piedi, occhi, orecchie, mammelle, uteri, cuori, intestini) e quelli che invece simboleggiano la protezione richiesta circa la fecondità e il ciclo riproduttivo. Esiste dunque un mercato di ex voto anatomici che, fiorito sulla religione popolare ancora legata a rituali e culti antichi, segue la conquista romana e si diffonde con essa.

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Il ceto d o m i n a n t e r o m a n o trova nel classicismo neoattico (che imita l'arte ateniese del v secolo a.C.) il suo m e z z o espressivo.

BOTTEGHE E ARTISTI GRECI A R o m a gli artisti greci neoattici trovano u n a m p i o mercato. Si costruiscono i templi c o m p l e t a m e n t e in m a r m o e le statue di culto assomigliano ai modelli greci del v secolo a.C. Intere scuole e famiglie di artisti lavorano per gli uomini politici. Dalla statua sacra si passa ben presto ai ritratti. È opera di Teisicrate la statua bronzea di Cornelia e dei d u e Gracchi, edificata nel luogo in cui furono uccisi. F a m o s i s s i m a è anche la bottega di Scopas minore, autore di numerose opere, tra cui l'Ercole Olivario situato nel tempio r o t o n d o vicino al Tevere (vedi b o x a p . 223).

CONSENSO E GIUSTIFICAZIONE Durante le guerre di conquista è diffusa a tutti i livelli la consapevolezza c h e la guerra arricchisce. I soldati, p u r costretti a lunghi anni di p e r m a n e n z a all'estero, sono consapevoli dei vantaggi economici c h e n e deriveranno. U n a mentalità imperialistica e militaristica è d u n q u e diffusa. N e l teatro il miles, il soldato, diventa un personaggio tipico. Si tratta sempre d ' u n o spaccone che h a fatto i soldi con la preda bellica, p u n t u a l m e n t e dilapidato dalla sgualdrina astuta c h e incontra sulla sua strada. F a r e il soldato è d u n q u e u n affare per b u o n a parte del p o p o l o . A q u e s t o si unisce il naturale orgoglio per la propria condizione di R o m a n o , votato al d o m i n i o universale e a n c h e su questo sentimento imperialistico di m a s s a i c o m a n d a t i sanno fare leva. Il 146 a . C , ann o della distruzione di Cartagine e Corinto, segna u n a svolta p e r la politica romana: ora la guerra aggressiva e distruttiva fa vacillare il consenso c h e R o m a si è costruita in patria e fuori. In patria e m e r g o n o p r o b l e m i sociali ed economici che n e m m e n o le ricchezze di Perseo sanno risolvere. F a r e il soldato è un mestiere con troppe incognite e conseguenze. A l l ' e s t e r n o R o m a d e v e giustificare la sua violenza: dalla città c h e d o n a v a la libertà al m o n d o g r e c o è diventata la città che lo distrugge. Si diffonde c o -

ORECCHIE A S V E N T O L A S U U N C O R P O D A EROE A Roma comincia a diffondersi il gusto per i ritratti Non solo amano farsi ritrarre gli uomini politici, come Flaminino o Postumio Albino, ma anche gli arricchiti, coloro che devono il loro denaro ai mercati orientali. La statua romana tipica è quella togata, ma presto i Romani iniziano a scoprirsi: prima le spalle, poi V intero corpo. Il modello è quello del sovrano ellenistico e della statuaria classica (arte greca del v secolo a.C). Molti negotiatores (mercanti) si fanno ritrarre in nudità eroica. Per il nostro gusto il risultato sembra discutibile, dal momento che il corpo atletico, composto in una posizione classica, stride col realismo della testa, modellata in modo da ritrarre il committente. I segni della calvizie e le orecchie leggermente a sventola sopra un corpo da divinità greca manifestano il desiderio di ascesa sociale delle nuovi classi, che non temono il ridicolo.

ROMA TRA CONSERVATORI E INNOVATORI

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// gruppo del Laocoonte conservato ai Musei Vaticani.

sì u n a quantità e n o r m e di scritti polemici, di oracoli e vaticini c h e p r e v e d o n o la distruzione di R o m a . U n a parte dei Greci detesta i R o m a n i , u n ' a l t r a li giustifica. Oltre a Polibio, lo storico acheo ostaggio dal 167 a.C., anche alcuni filosofi trovano u n a ragione all'operato di R o m a . Nel 155 a.C. arrivano tre filosofi greci, i primi rappresentanti di questa scienza c h e p o n g a n o piede n e l l ' u r b e . C a t o n e è più rabb i o s o c h e mai. L a vista di tanti giovani romani, pronti a farsi abbindolare d a questi cialtroni, gli fa m o n t a r e il sangue alla testa. I tre, tra cui spicca C a m e a d e , sono però i portavoce d ' u n a n u o v a idea. Parte del m o n d o greco, d o p o n u m e r o s i interrogativi, h a trovato le spiegazioni p e r l'incontrastata vittoria r o m a n a . I R o m a ni h a n n o vinto perché s o n o i migliori. È inevitabile quindi d o v e r loro o b b e dire.

LE GUERRE SOCIALE MARIO E SILLA

ROMA E DI NUOVO I GALLI Durante gli ultimi anni della crisi dei Gracchi, l'attenzione dei Romani non fu concentrata soltanto sulla capitale, ma si diresse anche verso i Galli che stavano al di là delle Alpi, dove essa era stata bruscamente interrotta. Nel secolo precedente Massalia (Marsiglia), città-stato di origine greca e alleata dei Romani, aveva fatto pressione su quest'ultimi affinché dichiarassero guerra ad Annibale. In seguito, nel 125 a . C , Massalia, non per la prima volta, si appellò a Roma per ricevere aiuto contro un altro genere di nemici, rappresentati dalle tribù dei Liguri stanziati nell'attuale riviera francese. Il Senato accolse la richiesta e doverosamente ridusse all'ordine le recalcitranti tribù. Ma così facendo i Romani vennero in contatto con le tribù celtiche dell'interno della regione, e dovettero combattere contro due di esse, quella degli Allobrogi e l'altra più potente degli Arverni, dai quali derivò il nome la regione dell'Alvernia, riuscendo a sconfiggere duramente l'una e l'altra in due distinte battaglie combattute sul Rodano nel 121. Gneo Domizio Enobarbo, che aveva vinto la prima delle citate battaglie, rimase sul posto e completò l'annessione dell'intera Gallia meridionale compresa fra le Cévennes e le Alpi, con l'eccezione di Massalia e del suo territorio che conservarono la libertà. Attraverso tutto il paese fu costruita una strada di grande comunicazione, chiamata via Domizia dal nome di Enobarbo, che collegava per terra l'Italia alla Spagna; e nel corso della generazione successiva l'intera regione fu trasformata in una provincia che, dal nome della sua città capitale Narbo (Narbona), fu chiamata Gallia Narbonese. Nel frattempo sulla costa opposta del Mediterraneo, ossia in Africa settentrionale, dovette essere intrapresa un'operazione più seria. In quella regione, nel regno cliente della Numidia - che si estendeva a fianco della provincia romana d'Africa - era morto il successore del re Massinissa, per cui Roma spartì il regno fra due giovani principi (118). Uno di questi era Giugurta, che aveva servito nelle file di Scipione Emiliano. Egli aveva fama di atleta e di cavaliere, oltre che quella di essere un soldato nato; ma sotto una maschera di allegra bonomia celava profonde risorse basate sull'astuzia e sul tradimento calcolato. Poiché la partizione operata dai Romani gli aveva assegnato soltanto la regione occidentale del paese, che era anche la più arretrata, egli non solo respinse l'accomodamento, ma ordinò alle sue truppe di massacrare gli Italici residenti in Numidia (M. Grant, Storia di Roma antica, ;pp. 233-234). N o n o s t a n t e la s t r a g e di C i r t a il S e n a t o , p r e o c c u p a t o p e r q u a n t o a c c a d e a n o r d d e l l e A l p i (il r i c o r d o d e l l e i n v a s i o n i g a l l i c h e è s e m p r e v i v o ! ) , d e c i d e l ' i n t e r v e n t o in A f r i c a di m a l a v o g l i a e s o l o in s e g u i t o a r i p e t u t e p r e s s i o n i dei c a v a l i e r i ( c h e o v v i a m e n t e t u t e l a n o gli i n t e r e s s i dei negotiatores), del p o p o l o e d e g l i alleati italici, p r e o c c u p a t i p e r l a s i c u r e z z a dei c o m m e r c i nel Mediterraneo. L a condotta fiacca della g u e r r a nei primi d u e anni (111-110 a.C.) e la vergognosa sconfitta subita dall'esercito r o m a n o da parte di Giugurta (il quale agi-

).K GUERRE SOCIALI: MARIO E SILLA

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Un gruppo di senatori romani. Particolare di un sarcofago di marmo, Museo delle Terme di Roma.

sce con astuzia tattica e spregiudicatezza, tanto da essere soprannominato il «leone del deserto», m a non disdegna corruzione e tradimento) portano a un inasprimento dei conflitti latenti all'interno dell'oligarchia romana. A c c u s e di incompetenza e di corruzione sono rivolte ai consoli, che h a n n o trattato con Giugurta. N e l 109 si g i u n g e alla costituzione d ' u n a c o m m i s s i o ne d'inchiesta, che è formata secondo la legge graccana d a cavalieri (vedi capitolo precedente) e si dimostra intransigente verso gli ex consoli c h e s o n o condannati all'esilio. L a p r o s e c u z i o n e d e l l a c a m p a g n a c o n t r o G i u g u r t a è affidata a Q u i n t o C e cilio M e t e l l o , n i p o t e di M e t e l l o M a c e d o n i c o , c u g i n o di M e t e l l o B a l e a r i c o e m e m b r o di u n a f a m i g l i a c h e h a d a t o a R o m a c o n s o l i , c e n s o r i , p o n t e fici e g e n e r a l i f a m o s i . L a scelta si rivela felice. M e t e l l o r i m a n e in Africa nel 109 c o m e c o n s o l e e nel 108 c o m e p r o c ò n s o l e ; s c o n f i g g e G i u g u r t a in n u m e r o s i scontri c a m p a l i e c o n q u i s t a p o s i z i o n i c h i a v e p e r il c o n t r o l l o del territorio. N o n r i e s c e p e r ò a c o n c l u d e r e la g u e r r a , p o i c h é i N u m i d i sfugg o n o allo s c o n t r o a p e r t o , ricorrendo alla guerriglia. A n c h e M e t e l l o è a c cusato perciò d ' i n c a p a c i t à e sostituito nel 107 d a G a i o M a r i o (vedi L'ascesa degli h o m i n e s n o v i e Gaio Mario), u n homo novus e l e t t o c o n s o l e grazie al f a v o r e dei cavalieri e del p o p o l o , i m p r e s s i o n a t i d a l l a f a m a d a lui c o n q u i s t a t a n e l l a g u e r r a africana c o m e l u o g o t e n e n t e di M e t e l l o .

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STORIA DI ROMA ANTICA

GIUGURTA2 D A ALLEATO D I R O M A A «LEONE DEL DESERTO» Giugurta era figlio di Mastanabale, figlio del re Massinissa e d'una concubina. Per la nascita illegittima era stato lasciato in disparte dal nonno, ma per le sue virtù d'atleta e cavaliere eccellente era amato dai Numidi. Rimasto orfano, era stato adottato dallo zio Micipsa, succeduto al padre sul trono di Numidia. Micipsa presto deve preoccuparsi per la decisione e l'avidità di comando del giovane nipote, che mette in pericolo la successione dei suoi figli giovanetti: Iempsale e Aderbale. Con la segreta speranza di liberarsene, lo mette a capo del contingente di Numidi, inviato a Scipione Emiliano per la guerra in Spagna. Il giovane Giugurta si distingue come valoroso soldato: dopo la presa di Numanzia (133 a.C), Scipione lo onora ed elogia in pubblico. Lo convoca nel suo quartier generale e gli consiglia di coltivare sempre l'amicizia col popolo romano, pubblicamente e non privatamente e senza far regali a singoli individui. Giugurta, adottato da Micipsa, che di malavoglia lo lascia erede con i suoi figli, non esita afar assassinare Iempsale e a mettersi in lotta aperta contro Aderbale, costretto a cercare rifugio nella provincia romana d'Africa. Intanto contro i consigli di Scipione, compra con ricchi donativi il favore dei senatori romani, pronti a dimenticare i suoi delitti e a tollerare che divida il regno con Aderbale. Giugurta approfitta del tacito appoggio dei Romani e ignora gli accorai: così scende di nuovo in guerra contro il cugino, che si rifugia nella piazzaforte di Cìrta. Mancando alla parola data dì lasciare loro salva la vita in caso di resa, Giugurta fa massacrare non solo Aderbale e i suoi seguaci, ma anche i commercianti romani e italici che avevano partecipato alla difesa della città. Scoppiata l'inevitabile guerra con Roma, Giugurta continua nella sua politica di corruzione, riempiendo di doni i comandanti romani inviati in Africa e molti politici romani sono disposti a prendere le sue difese anche quando egli è chiamato a Roma, per rispondere dei suoi misfatti e a testimoniare contro i generali corrotti. Giugurta ricorre al delitto anche a Roma, facendo assassinare Massiva, un nipote di Massinissa, che si era rifugiato nella città. Costretto a lasciare Roma per evitare il peggio, riprende la guerra in Africa, continuando a corrompere ufficiali e soldati romani, e a lungo conduce fortunate operazioni di guerriglia con contìnui agguati e imboscate, tanto da venir soprannominato il «leone del deserto».

U N ESERCITO DI PROLETARI METTE IL «LEONE» IN GABBIA D p r i m o problema per G a i o M a r i o è procurarsi soldati per la guerra d'Africa. È autorizzato a fare n u o v e leve dal Senato, c h e spera d'intaccare la popolarità dello s c o m o d o personaggio. M a r i o arruola esclusivamente volontari e permette che nelle legioni siano accolti anche i nullatenenti (vedi L'esercito appartiene a chi paga di più). I proletari accorrono in massa, attratti dalla speranza d'arricchirsi col bottino e di ricevere terre alla fine della guerra. Mario parte per l ' A frica con questi soldati, pronti a combattere per i propri interessi e per il successo del loro comandante. L a guerra si rivela n é facile né rapida. I N u m i d i , infatti, h a n n o ottenuto l ' a p p o g g i o di B o c c o , suocero di Giugurta e re della Mauritania (corrispondente al M a r o c c o e a parte dell'Algeria). D o p o tre anni di scontri (107105 a.C.) Giugurta è costretto a cercare rifugio presso il suocero. Per evitare il peggio, B o c c o , alla fine d ' u n a complessa trattativa condotta dal questore L u c i o Cornelio Siila, consegna il genero (105 a . C ) , che sfila incatenato c o m e u n a bestia feroce nel trionfo di M a r i o ed è strangolato subito d o p o in carcere. Eliminato Giugurta, il r e g n o di N u m i d i a passa nella mani d ' u n innocuo nipote di Massinissa. N o n è infatti importante l'allargamento territoriale dello Stato, che comporterebbe numerosi problemi amministrativi. È imporv

LE GUERRE SOCIALI: MARIO E SILLA

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Giugurta incatenato viene consegnato a Siila (incisione dì B> Pinelli).

tante che i negotiatores romani e italici possano continuare a fare i propri affari senza ostacoli e pericoli.

IA MINACCIA DAL NORD UNISCE I RIVALI Il vantaggio politico personale tratto d a G a i o M a r i o dalla guerra contro Giugurta è evidente. I suoi oppositori fanno perciò circolare la v o c e c h e la prim a fase della guerra è stata in realtà risolta per merito di Quinto Cecilio M e tello (che h a anche a v u t o l'appellativo di N u m i d i c o ) e c h e la trattativa decisiva per la cattura di Giugurta è stata opera di L u c i o Cornelio Siila. Questi, infatti, mette in bella m o s t r a u n anello dove h a fatto incidere la scena di B o c c o che gli c o n s e g n a Giugurta, cosa c h e p r o v o c a le ire del suscettibile M a r i o . L a contesa è p e r ò interrotta sul nascere. M e n t r e M a r i o è ancora in Africa giunge infatti a R o m a , insieme c o n quella della fine della guerra contro Giugurta, la notizia c h e l'esercito r o m a n o , c o m a n d a t o d a due consoli incapaci, presso A r a u s i o (Orange, nel sud-est della Francia) è stato sconfitto in m o d o disastroso dai C i m b r i e Teutoni (105 a . C ) . Nonostante la legge proibisca l'iterazione del consolato, nessuno sembra più adatto di M a r i o per far fronte al n u o v o pericolo. Eletto console contro ogni regola per il 105, M a r i o rientra dall'Africa, celebra il trionfo e a s s u m e il com a n d o delle operazioni contro i G e r m a n i ; m a i Cimbri e i Teutoni non sembrano avere fretta di scendere in Italia. L o scontro è pertanto rimandato per più di d u e anni, nei quali M a r i o è rieletto console. A facilitare questa rielezione continuata contribuisce anche la

236 L'ASCESA DEGLI HOMINES

STORIA DI ROMA ANTICA

NOVI

E GAIO MARIO

Homo novus per i Romani è un cittadino che inizia la carriera politica senza poter vantare nella propria famiglia almeno un magistrato curule (pretore o console). Le cariche pubbliche, infami, si tramandano alVintèrno d'una ristretta cerchia di famiglie (nobilitas) che ripetutamente ricopre le magistrature romane. L'ascesa politica di chi non appartiene alla nobilitas è molto difficile e nei primi tempi del tutto eccezionale: richiede comunque il sostegno di membri influenti dell'aristocrazia patrìzio-plebea, che detiene il potere. Un caso esemplare è costituito da Gaio Mario. Nato da genitori oscuri, che vivevano del proprio lavoro, Gaio Mario passa i primi anni della sua vita nel villaggio di Cirreatone, nel territorio di Arpino. Milita sotto Scipione Emiliano nella campagna contro i Celtiberi e partecipa alla presa di Numanzia (134-133), facendosi apprezzare dal generale per le sue virtù militari. Intraprende la carriera politica grazie all'appoggio di Cecilìo Metello. Tribuno della plebe nel 119, in seguito è pretore e propretore in Iberia. Rientrato a Roma, sposa Giulia (la zia delfuturo Giulio Cesare) e sì assicura l'appoggio della famiglia patrizia dei Valerii Flacci. La sua posizione è cosi consolidata e può aspirare a onori maggiori: e questo homo novus, console per ben sene volte, per molti anni è l'arbitro della politica romana.

Mario brucia le armi dei Cimbri e dei Teutoni (particolare da un'incisione di B. Pinelli).

LE GUERRE SOCIALI: MARIO E SILLA

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L'ESERCITO APPARTIENE A C H I P A G A DI PIÙ // nome di Gaio Mario è legato a una innovazione rivoluzionaria: Varruolamento nell'esercito romano dei nullatenenti In realtà, da quando era entrata in crisi la piccola proprietà contadina, il sistema della leva legato al censo aveva già creato non pochi problemi e suggerito differenti soluzioni. Sempre più spesso era stato abbassato il limite minimo per l'iscrizione alla quinta classe (l'ultima) dell'ordinamento centuriato. In tal modo erano stati arruolati cittadini, che nell'ordinamento tradizionale sarebbero stati considerati proletari. Inoltre, in seguito a un provvedimento di Gaio Gracco, lo Stato già forniva l'armamento ai soldati. La vera innovazione rivoluzionaria è che Mario coniuga l'arruolamento dei proletari con l'organizzazione d'un esercito professionale. La possibilità di arruolarsi nell'esercito, aperta a tutti i cittadini, è infatti colta soprattutto dai nullatenenti, attratti dalla prospettiva d'arricchire col bottino e di ricevere assegnazioni di terre alla fine delle campagne. S'instaura in tal modo la mentalità che nell'esercito si può arricchire come in qualsiasi altra professione, purché si resti fedeli al comandante, da cui dipendono la distribuzione della preda e delle terre. In tal modo si rompe il binomio tradizionale cittadino-soldato, su cui si era fondata gran parte della fortuna militare di Roma nell'età delle conquiste territoriali. Il soldato non serve più lo Stato per dovere civico, ma segue il suo generale per trarre il massimo profitto dalle vittorie: nascono così gli eserciti personali dei capiparte nelle guerre civili del I secolo a.C.

paura d ' u n a rivolta servile, scoppiata in Sicilia e protrattasi senza trovare resistenza dal 104 al 101 a . C ; R o m a h a b i s o g n o d ' u n u o m o forte e questi non p u ò essere che M a r i o . Q u a n d o i Teutoni decidono di avanzare verso le Alpi, partendo dalla Gallia meridionale, sono sbaragliati da Mario ad Aquae Sextiae (Aix-^en-Provence) nel 102 a . C ; mentre i Cimbri, scesi lungo la valle dell'Adige, sono sterminati da Mario e soprattutto dal suo collega nel consolato Quinto Lutazio Catulo ai Campi Raudii (una località nel Veneto, tra l ' A d i g e e il Po). Q u e s t e v i c e n d e h a n n o d i m o s t r a t o la fragilità d e l l e difese nei d o m i n i r o mani settentrionali, perciò sono costituite le province della Gallia Transalpina ( c h e p r e n d e r à poi il n o m e di N a r b o n e s e d a l l a città di Narbo Martius, o d i e r n a N a r b o n n e ) , e della Gallia Cisalpina (l'Italia settentrionale al di q u a d e l l e A l p i ) . L e n u o v e p r o v i n c e si a g g i u n g o n o alle sette già esistenti (Sicilia, S a r d e g n a e C o r s i c a , le d u e S p a g n e , M a c e d o n i a , Africa, A s i a ) .

IL POTERE, I TRIBUNALI, LE TERRE La lotta politica d i v a m p a a R o m a . Già nel 106 a . C , sotto l'impressione della c o n d a n n a inflitta l ' a n n o p r i m a ai quattro consolari responsabili delle sconfitte in Africa, il console Gaio Servilio Cepione aveva fatto abrogare la legge graccana che riservava ai cavalieri le cause relative al comportamento dei magistrati in provincia. L a fine della guerra contro Giugurta e il trionfo di M a rio sui Cimbri e i Teutoni creano condizioni favorevoli all'affermazione dei privilegi del ceto equestre e alla ricompensa dei proletari che si sono battuti p e r la difesa di R o m a . Nel 103 il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino, legato a G a i o Mario, ottiene la concessione per i veterani di Mario di c o spicue terre nella provincia d'Africa. N e l 101 a.C. u n altro tribuno della pie-

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STORIA DI ROMA ANTICA

b e di parte mariana, G a i o Servilio Glaucia, riesce a togliere di n u o v o ai senatori il controllo dei tribunali. N e l 100 a.C. M a r i o è eletto console per la sesta volta, b e n c h é nessuna particolare ragione giustifichi l'iterazione eccezionale della carica. M a r i o vuole semplicemente controllare l'assegnazione di terre ai veterani della guerra germanica. S u o collega è il fedele a m i c o Lucio Valerio R a c c o : Glaucia è pretore; Saturnino, c h e h a fatto assassinare il candidato rivale, è tribuno per la seconda volta; il controllo dello Stato è saldamente in m a n o alla parte mariana. La concordia non dura però a lungo. L a proposta di Saturnino di fondare colonie nella Gallia Transalpina e distribuire terre ai veterani romani, latini e italici trova l'opposizione del Senato e della plebe urbana; m a alla fine è approvata. Gli alleati di Mario rilevano sfrenate ambizioni personali. Glaucia si presenta candidato al consolato mentre ricopre ancora la pretura, non rispettando la legge che prevede un intervallo di tre anni tra due magistrature curali. Per favorirlo, Saturnino fa uccidere u n o scomodo rivale. Scoppiano gravi tumulti e il Senato ordina ai consoli di ristabilire l'ordine. D o p o un tentativo di mediazione, Mario e Valerio Fiacco a r m a n o senatori, cavalieri e plebe urbana e costringono alla resa Saturnino e Glaucia, trincerati nel Campidoglio con i loro seguaci: contro il volere dei consoli i due "sovversivi" sono linciati dalla folla

L'ITALIA IN RIVOLTA L e contese interne e le guerre esterne h a n n o lasciato insolute tutte le q u e stioni più importanti: riforma agraria, controllo dei tribunali, cittadinanza agli alleati. Questi ultimi, grazie alla regolare partecipazione alle guerre di R o ma, si s o n o assimilati ai cittadini r o m a n i e p r e m o n o p e r ottenere la parità dei

Ricostruzione ideale dell'antico Campidoglio in un'incisione ottocentesca di E Nardini.

)JS GUERRE SOCIALI: MARIO E SIILA

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diritti attraverso la cittadinanza. Alcuni di essi si spacciano per cittadini, tanto d a costringere i consoli del 9 5 a.C. a c o m p i e r e u n ' i n d a g i n e per individuare i falsi cittadini e annullare gli atti giuridici d a loro compiuti senza averne il diritto. L a c o n s e g u e n z a è u n a serie di processi e u n diffuso malcontento nelle file degli alleati. A l c u n e proposte di legge, c h e riprendono in parte il p r o g r a m m a graccano, s o n o presentate nel 9 1 a.C. d a M a r c o L i v i o D r u s o , figlio dell'avversario di G a i o G r a c c o (vedi capitolo precedente). D r u s o è difensore del ceto senatorio, m a ritiene c h e l'aristocrazia d e b b a farsi carico dei problemi dello Stato, a n c h e a costo di rinunciare ad alcuni privilegi. N e l 9 2 si è svolto un processo contro Publio Rutilio Rufo, legato del proconsole d ' A s i a Q u i n t o M u c i o Scevola, accusato di malversazione n e l l ' a m m i n i s t r a z i o n e della provincia, m a in realtà inviso ai cavalieri per il suo rigore nel difendere i sudditi contro i soprusi degli appaltatori r o m a n i . L a c o n d a n n a di Rufo, palesemente innocente, rimette in discussione il m o n o p o l i o dei cavalieri nei tribunali. Perciò la p r i m a delle proposte di D r u s o p r e v e d e di sottrarre di n u o v o i tribunali permanenti ai cavalieri e di restituirli al controllo d e l l ' o r d i n e senatorio. In c o m p e n s o p r e v e d e l'allargamento del Senato d a 3 0 0 a 6 0 0 m e m b r i , consentend o così l'ingresso nel m a s s i m o organo dello Stato di 3 0 0 cavalieri. Gli altri d u e punti del p r o g r a m m a di D r u s o sono strettamente collegati tra loro. Egli propone, infatti, n u o v e distribuzioni di terre ai nullatenenti. N o n essendoci sufficienti disponibilità di agro pubblico è necessario prendere terra agli alleati, perciò è necessario tacitarli con la concessione della cittadinanza. Il p r o g r a m m a di D r u s o piace naturalmente alla m a g g i o r a n z a degli Italici, che gli giurano fedeltà e lo p r o c l a m a n o loro patrono. M a scontenta i cavalieri, c h e non vogliono farsi estromettere dai processi, e molti senatori. Q u e st'ultimi t e m o n o c h e il loro potere sia diminuito d a l l ' i n g r e s s o d ' u n a massa di uomini nuovi nel Senato e dalla possibilità c h e i nuovi cittadini p o s s a n o concorrere nell'elezione alle cariche pubbliche. Grazie all'appoggio d'influenti m e m b r i della nobilitas, le proposte iniziano l ' i t e r p e r l'approvazione, che è però rallentato d a vizi di forma e dall'ostilità del console in carica, Lucio Marcio Filippo. M e n t r e ancora si discute, D r u s o è assassinato d a un sicario. L a m o r t e di D r u s o è la scintilla che fa scoppiare la rivolta degli alleati, n o ta c o m e guerra sociale (dei sodi = alleati) o guerra italica. P e r primi si m u o v o n o gli Italici, c h e h a n n o giurato fedeltà allo sventurato tribuno. M o l t e p o polazioni della penisola si rivoltano contro R o m a e b e n presto l'obiettivo non è più la cittadinanza r o m a n a , bensì l ' i n d i p e n d e n z a d a R o m a . È costituita una L e g a di popoli italici, che si d à u n o r d i n a m e n t o simile a quello dello Stato r o m a n o (due consoli, dodici pretori, un senato), sceglie c o m e capitale Corfinium (presso Sulmona), ribattezzata per l'occasione Italica, batte moneta propria con l'effigie dell'Italia in armi e la l e g g e n d a I T A L I A O V T T E L J U (le d u e form e , quella latina o quella osca, p e r designare la penisola). Si è infranta la coesione tra R o m a e i suoi alleati, presupposto della crescita territoriale dello Stato r o m a n o e del successo nelle guerre di conquista o di difesa contro i nemici esterni (basti pensare alla guerra contro Annibale). R o m a è costretta di n u o v o a lottare per la supremazia nella penisola. I soldati romani si trovano di fronte gli alleati di tante battaglie, che parlano la stessa lingua, usano le stesse armi e le stesse tecniche. L a tattica dei R o m a n i , c h e i m p i e g a n o nella d u r a lotta i loro migliori generali (Mario, Siila, Metello Pio,

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G n e o P o m p e o Strabone), consiste nel portare la guerra nei territori degli alleati, per disperderne le forze e affrontarli separatamente. M a gli eserciti romani, accanto a parziali successi, c o n o s c o n o a n c h e sanguinose sconfitte. Tra il 9 0 e l ' 8 9 gran p a r t e dei popoli ribelli c a p i t o l a n o , sicché n e l P 8 8 resistono a R o m a solo i L u c a n i e i Sanniti. F o n d a m e n t a l e è la fedeltà degli alleati latini, c h e p e r m e t t e ai R o m a n i di disporre di rinforzi e soprattutto di piazzeforti situate entro i territori dei n e m i c i . Neutrali r i m a n g o n o le città greche dell'Italia meridionale. L a vittoria è favorita d a u n a decisiva c o n c e s s i o n e politica, c h e incrina fin dal principio la c o m p a t t e z z a dei p o p o l i italici. G i à alla fine del 9 0 a.C. il c o n s o l e L u c i o G i u l i o C e s a r e fa a p p r o v a r e la l e g g e c h e c o n c e d e la cittadin a n z a r o m a n a agli alleati rimasti fedeli e a quelli c h e si a r r e n d o n o subito; negli anni successivi p r o v v e d i m e n t i simili s o n o presi a favore di c o m u n i t à e a n c h e di singoli alleati c h e n e facciano richiesta. A n c h e d u r a n t e la guerra le contese tra le opposte fazioni continuano a turbare R o m a . Sotto la spinta dei cavalieri è infatti istituito agli inizi del 9 0 un tribunale speciale, per p r o c e s s a r e c o l o r o c h e h a n n o istigato gli alleati alla rivolta. N a s c e u n a vera e p r o p r i a caccia alle streghe. M o l t i illustri p e r s o n a g g i , già p o l i t i c a m e n te vicini al tribuno D r u s o , s u b i s c o n o c o n d a n n e o l a s c i a n o R o m a spontan e a m e n t e . Q u a n d o p e r ò si tenta di colpire M a r c o E m i l i o S c a u r o , il più autorevole dei senatori, la situazione si c a p o v o l g e . F o r t e a n c h e d e l l ' a p p o g gio p o p o l a r e , il S e n a t o fa s o s p e n d e r e i p r o c e s s i . Si g i u n g e in tal m o d o n e l l ' 8 9 a u n ' e n n e s i m a riforma dei tribunali. L a scelta dei giudici diventa elettiva e p o s s o n o essere eletti sia i senatori, sia i cavalieri, sia i semplici cittadini. Frattanto è c a m b i a t o l ' o r i e n t a m e n t o nei confronti della question e della cittadinanza agli alleati: ora di fronte ai nuovi tribunali c o m p a i o n o coloro c h e si s o n o opposti in p r e c e d e n z a a ogni c o n c e s s i o n e e s o n o considerati colpevoli della ribellione degli alleati. Alla fine della g u e r r a sociale tutta l'Italia p e n i n s u l a r e , a sud del R u b i c o ne (in R o m a g n a ) e della M a g r a (in Toscana), è d u n q u e p o p o l a t a di cittadini r o m a n i . P e r effetto della l e g g e Giulia del 9 0 , s o n o inoltre cittadini r o mani anche gli abitanti delle ex colonie latine della Cisalpina (Cremona, Aquileia, P i a c e n z a e B o l o g n a ) . Le popolazioni della Pianura P a d a n a (Galli, Veneti e forse Liguri), che hanno aiutato i R o m a n i durante la grave ribellione degli altri alleati, h a n n o ricevuto a loro volta la cittadinanza di diritto latino, in b a s e a u n a legge fatta votare dal console d e l l ' 8 9 G n e o P o m p e o Strabone. Il p r o v v e d i m e n t o sarà decisivo per la graduale assimilazione della Cisalpina e per il suo inserimento nell'Italia romana.

LA CRISI IN ORIENTE.. N e l l ' a n n o 88 a . C , mentre un'atmosfera di violenza grava su R o m a , dove si susseguono i delitti politici e non sono ancora domati i Lucani e i Sanniti, giunge la notìzia che la provincia d ' A s i a è stata invasa da Mitridate vi, re del Ponto, uno Stato vassallo di R o m a sulla costa meridionale del M a r Nero. Il giovane sovrano, insofferente della posizione di dipendenza d a R o m a ereditata dal padre, già da tempo h a iniziato una politica dì espansione nei confronti degli Stati vicini (Bitinia, Cappadocia, Paflagonia) e a m a presentarsi c o m e difensore degli interessi dei Greci d ' A s i a Minore contro gli occupanti romani. Il Se-

).)• GUERRE SOCIALE MARIO E SILLA

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nato, preoccupato per questo atteggiamento, h a più volte inviato osservatori in Oriente (nel 92 Mario, nell'87 Siila) per studiare la situazione. L a m o s s a di Mitridate vi coglie di sorpresa i R o m a n i , distratti dagli avvenimenti in Italia. M a l ' o c c a s i o n e è stata offerta a Mitridate vi dal comportam e n t o di alcuni senatori romani, i quali, a v e n d o concesso dei prestiti al re di Bitinia, N i c o m e d e iv, lo h a n n o incoraggiato a saccheggiare il Ponto, per procurarsi il denaro d a restituire loro. Mitridate vi n o n p u ò non reagire alla provocazione. Liquidato facilmente N i c o m e d e rv, decide d ' i n v a d e r e la provincia romana d ' A s i a e se n e impadronisce. D a Efeso invia segretamente m e s si ai magistrati delle città greche con l ' o r d i n e di eliminare i R o m a n i e gli Italici (soprattutto publicanì e negotiatores) presenti nella provincia. L'ordine è eseguito con incredibile zelo, tanto che sono massacrati in un solo giorno circa 80.000 uomini. A n c h e la p r o p a g a n d a filoellenica, perseguita d a Mitridate vi, sortisce buoni effetti. Infatti raggiunge con i suoi eserciti la M a c e d o n i a e la Grecia, dove è acclamato c o m e liberatore.

.«E A ROMA A R o m a il c o m a n d o della guerra in Oriente è stato assegnato regolarmente a L u c i o Cornelio Siila, console n e l l ' 8 8 e c h e si trova a combattere contro i Sanniti. Nello stesso t e m p o si dibatte la questione dell'iscrizione dei nuovi cittadini nelle tribù. L a legge Giulia prevedeva che essi fossero iscritti in n u o v e tribù (8 o 10) appositamente istituite. Così i nuovi cittadini non avrebbero conquistato il controllo dei comizi, c o m e sarebbe avvenuto se essi, più numerosi dei vecchi cittadini, fossero stati distribuiti nelle 35 tribù tradizionali. L'ala più radicale dei seguaci di D r u s o , capeggiata dal tribuno Publio Sulpicio Rufo, intende eliminare questa restrizione e presenta un plebiscito contro l'istituzione delle n u o v e tribù. L a proposta è appoggiata a n c h e da G a i o Mario, sia per la sua tradizionale disponibilità nei confronti degli ex alleati sia per il desiderio di crearsi u n a n u o v a b a s e politica e di farsi assegnare la guerra contro Mitridate vi. Nonostante l'ostilità del Senato e dei consoli in carica (tra cui Siila, costretto

SILLA I N PRIVATO Lucio Cornelio Siila appartiene a una famiglia patrizia. Un suo antenato era stato espulso dal Senato, perché possedeva una quantità d'argento superiore a quanto consentito dalle leggi sul lusso. La condanna ha "segnato" tutti i discendenti e il giovane Siila conduce una vita disagiata. Spesso gli è rimproverata Vorigine sospetta delle sue ricchezze, perché si arricchisce con le eredità della matrigna e d'una ricca cortigiana, innamorate di lui. Trascorre il suo tempo in compagnia di mimi e buffoni, cantanti e danzatori. Da giovane s'innamora d'un attore, Metrobio, e continua adamarlo per tutta la vita. Bisessuale perfetto, ha cinque mogli. In giovanissima età sposa Illa, da cui ha una bambina; sposa poi Elia e, successivamente per la terza volta Clelia, che ripudia col pretesto che è sterile. Pochi giorni dopo, a cinquantanni, fa uno splendido matrimonio, molto chiacchierato, con Cecilia Metello, che gli dà due figli e per i cui funerali spende molto più del consentito dalla legge. Ancora vedovo, s'innamora di Valeria, figlia di Valerio Messalla, conosciuta durante uno spettacolo di gladiatori. Da questa passione senile nasce una figlia, nata però dopo la sua morte e perciò chiamata Postuma.

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STORIA DI ROMA ANTICA Caio Mario, incisione tratta dalVUhi&trììim ìmagines.

ad allontanarsi d a R o m a ) il plebiscito è approvato con l ' a p p o g g i o dei cavalieri fedeli a M a r i o . U n altro plebiscito toglie il c o m a n d o della guerra in Oriente a Siila p e r affidarlo a M a r i o . Allora Siila m a r c i a su R o m a con sei legioni, p e r «liberarla d a coloro che la stavano governando d a tiranni». Alla violenza politica risponde u n atto rivoluzionario. Presa R o m a , cacciati o uccisi i rivali ( M a r i o riesce a fuggire in Africa), abrogati i plebisciti di Sulpicio, Siila parte per la c a m p a g n a contro Mitridate vi. A p p e n a Siila lascia R o m a il console d e l l ' 8 7 L u c i o Cornelio Cinna, suo rivale politico, tenta di varare u n a legge c h e autorizza l'iscrizione dei nuovi cittadini nelle 35 tribù storiche. L'altro console, G n e o Ottavio, partigiano di Siila, si o p p o n e . L e opposte fazioni si scontrano e per le vie di R o m a scorre di n u o v o il sangue di cittadini. C i n n a raggiunge le legioni nel Sannio, chiude la guerra c o n Lucani e Sanniti, e marcia su R o m a , a v e n d o trovato u n alleato in M a r i o rientrato in Italia. L o scontro assume la fisionomia di una vera e propria guerra civile. A fianc o del console Ottavio si schierano infatti con i loro eserciti i due generali Quinto Cecilio Metello Pio e G n e o P o m p e o Strabone. Si combatte nei dintorni di R o m a , m a i difensori della città non d a n n o prova di abilità tattica e di chiare scelte politiche. Per evitare ulteriori spargimenti di sangue, il Senato decide di trattare con Cinna e Mario. Q u a n d o questi entrano in città, si assiste però alla solita sequenza di stragi e c o n d a n n e che a c c o m p a g n a n o questa fase della storia di R o m a . O r m a i la ripetizione delle cariche è divenuta consueta. Per F 8 6 a.C. sono eletti consoli M a r i o per la settima volta (che m u o r e p o c o d o p o l'entrata in carica) e C i n n a per la seconda. E Cinna, console anche negli anni 85 e 84, d o m i n a la scena politica per un triennio, molto travagliato. L'iscrizione dei nuovi cittadini nelle tribù sarà risolta più tardi (forse nel 7 0 a . C ) . P r e m e i n v e c e il p r o b l e m a dei debiti, c h e i n t e r e s s a b u o n a p a r t e degli aristocratici r o m a n i , privati d e l l e l o r o r e n d i t e d a l l a g u e r r a sociale e d a l l ' o c c u p a z i o n e d e l l a p r o v i n c i a d ' A s i a d a p a r t e di M i t r i d a t e v i . N e l l ' 8 6 , n o n o stante l ' o p p o s i z i o n e dei cavalieri, è v a r a t o u n p r o v v e d i m e n t o c h e r i m e t t e tre quarti d e l l ' a m m o n t a r e dei d e b i t i esistenti: in c a m b i o è g a r a n t i t o il v a l o r e d e l denario d ' a r g e n t o , p e r c h é i debiti fatti c o n m o n e t a b u o n a n o n sian o restituiti c o n m o n e t a d e p r e z z a t a . M a il p r o g r a m m a di C i n n a è interrotto bruscamente dalla sua morte (84 a.C.) e i suoi successori n o n s o n o all'altezza della situazione.

LE GUERRE SOCIALI: MARIO E SIILA

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SILLAS IL «FORTUNATO» DALLA CULLA AL R O G O «Salve, ofanciullo, fortunato per te e per la tua patria». Con questo augurio si tramanda che una donna, subito scomparsa, salutasse il piccolo Siila portato a passeggio dalla sua balia. Questo presagio lo accompagna per tutta la vita ed egli fa di tutto per accreditare la fama della sua fortuna. Con una certa civetteria (ma forse anche per convinzione superstiziosa) ama attribuire al favore della sorte non solo successi in guerra e in politica, ma anche le amicizie e il favore di personaggi influenti. Quando diventa padrone di Roma, in un discorso al popolo enumera insieme le sue virtù e le sue fortune e chiede di essere soprannominato Felix (Fortunato), soprannome riportato anche sulle monete che lo celebrano. Quando si rivolge ufficialmente ai Greci preferisce definirsi Epafrodito, favorito d'Afrodite, la dea greca dell'amore. Quando dalmatrimonio con Metella nascono due gemelli, li chiama Fausto e Fausta, perché è faustum ogni evento fortunato e di buon augurio. Quando il corpo di Siila è posto sul rogo, sembra che stia per piovere da un momento all'altro. Improvvisamente un gran vento alimenta le fiamme e fa bruciare in fretta la pira. Poi, appena raccolte le ceneri e mentre ilfuoco si spegne, comincia un terribile acquazzone che dura per il resto della giornata: la Fortuna sembra aver accompagnato Siila fino al suo funerale, e forse è scesa con lui nella tomba!

LA GUERRA CONTRO MITRIDATE VI Frattanto Siila, a c a p o d ' u n esercito r o m a n o , difende gli interessi di R o m a in O r i e n t e , m a c o n t e m p o r a n e a m e n t e è u n fuorilegge. N o n o s t a n t e c i ò c o m batte c o n t r o Mitridate vi, p r i m a in G r e c i a e poi in A s i a M i n o r e . Q u i è raggiunto d a l l ' e s e r c i t o inviato d a C i n n a , c o m a n d a t o dal legato G a i o Flavio F i m b r i a , c h e h a fatto assassinare il c o m a n d a n t e legittimo L u c i o Valerio R a c c o . Sia Siila c h e F i m b r i a riportano parziali vittorie sulle truppe di M i tridate vi. Q u a n d o i d u e eserciti r o m a n i s ' i n c o n t r a n o , i soldati p a s s a n o q u a si tutti dalla parte di Siila, c o s t r i n g e n d o F i m b r i a al suicidio. O r a Siila, c h e p e n s a a riprendere il potere in Italia, e Mitridate vi, c h e t e m e u n a sconfitta, non h a n n o interesse al proseguimento della guerra. L a p a c e è facilmente conc l u s a (85 a . C ) , q u a n d o il r e del P o n t o si dichiara disposto a rientrare nel suo territorio e a p a g a r e u n a forte indennità. L e città g r e c h e , c h e a v e v a n o partecipato al massacro dei R o m a n i e degli Italici, sono punite con u n a forte multa e c o n la perdita d e l l ' i n d i p e n d e n z a . I n tal m o d o Siila p u ò sbarcare a Brindisi nella p r i m a v e r a d e l l ' 8 3 c o n u n esercito fresco e m o l t o d e n a r o .

IL RITORNO E LA VENDETTA Siila scrive al Senato, ricorda i servigi resi a R o m a nella sua carriera e precisa che ritoma per vendicarsi degli avversari che lo hanno dichiarato nemico pubblico e gli hanno distrutto la casa. Alcuni nobili romani (tra cui Quinto C e d ilo Metello Pio, G n e o P o m p e o , M a r c o Licinio Crasso) rispondono all'appello e raccolgono un esercito privato per appoggiarlo. È di n u o v o la guerra civile. Per circa due anni le fazioni opposte insanguinano R o m a e l'Italia. I successori di Cinna tentano di attirare dalla loro parte anche gli ex alleati, m a questi, con l'eccezione dei Sanniti e degli Etruschi, non si fanno coinvolgere, perché Siila h a dichiarato di non volere ledere i diritti acquisiti. I rivali di Siila non riescono a organizzarsi. Quinto Sertorio, già legato a Cinna e valente generale, si

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è ritirato nella sua provincia, la Spagna Citeriore, dove organizza un controgoverno. I consoli dell'82, G n e o Papirio Carbone e Gaio Mario il giovane (figlio di Mario), subiscono ripetute sconfitte. Gli ultimi difensori, tra cui vi è un contingente di Sanniti, tentano la resistenza presso porta Collina, m a sono travolti e massacrati dai Sillani. L a lotta continua per le strade della città, seminando morte e distruzione. I Sanniti fatti prigionieri sono uccisi nel C a m p o Marzio. Papirio Carbone, che ha tentato di fuggire in Sicilia, è raggiunto d a Gneo P o m p e o e ucciso con i suoi seguaci. Gaio Mario il giovane trova la morte a Palestrina, dove ha cercato rifugio. L a vendetta di Siila è feroce e sistematica. Son o redatte liste di proscrizione (veri e propri bandi) con i nomi di tutti gli avversari: chiunque è autorizzato a uccidere impunemente, ricavandone anzi un compenso. S o n o così eliminati, oltre a un numero imprecisato di cittadini (forse circa 10.000), 80 senatori e 1500 cavalieri romani. L e terre dei proscritti sono confiscate e servono per le assegnazioni da dare ai legionari congedati, mentre i loro figli sono esclusi dalle cariche pubbliche.

LE VENDETTE DEL DITTATORE E DEI SUOI AMICI Dopo il ritorno dì Siila a Roma i massacri si susseguono senza regola. Molti sono eliminati per inimicizie con fautori del dittatore, ai quali è lasciata mano libera come ricompensa per la fedeltà. Alla richiesta dì dire quando sarebbero cessati i massacri, chi intendesse castigare e chi risparmiare, Siila immediatamente proscrive 80 persone, senza far avvertire nessun magistrato. Incurante dello sdegno dei concittadini, il giorno dopo proscrive altre 220 persone e quello successivo altrettante. Afferma che proscrive quelli di cui si ricorda, in seguito proscriverà quelli che ha dimenticato. È proscritto chi nasconde un proscritto, anche se si tratta di parenti stretti. Invece chi uccide un proscritto riceve un compenso in denaro: così lo schiavo ammazza il padrone e il figlio ammazza il padre. I mariti sono massacrati nelle braccia delle mogli, ì figli nelle braccia delle madri. Molti sono uccisi semplicemente per appropriarsi dei loro beni, tanto che spesso si dice: «Costui lo ha ucciso la sua ricca casa, questi il giardino, quest'altro i suoi bagni caldi». Quinto Aurelio, uomo pacifico e lontano da ogni inimicizia, si reca nel Foro e nella lista dei proscritti legge il proprio nome. Allora esclama: «La mia tenuta di Alba mi perseguita!» e fatti pochi passi è scannato da un tale, che lo ha seguito per appropriarsi della ricompensa.

LA DITTATURA E LE RIFORME D o p o la vittoria Siila si preoccupa di legittimare il suo potere. Per l ' 8 2 e 1*81 si fa eleggere dai c o m i z i centuriati dittatore a t e m p o indeterminato con p o teri amplissimi (il titolo c o m p l e t o suona «dittatore col c o m p i t o di e m a n a r e leggi e di riformare la costituzione»). Poi riprende il progetto di Druso, esclude i cavalieri dai tribunali e porta il n u m e r o dei senatori da 3 0 0 a 600, con l ' i m m i s s i o n e di cavalieri, homines novi e soprattutto di suoi seguaci. Inoltre limita radicalmente il potere dei tribuni della plebe, che in passato e r a n o stati la causa di tanti turbamenti dello Stato. A lungo rimane lettera morta la concessione della cittadinanza agli ex alleati: per molti anni, infatti, non si eleggono censori e quindi n o n p o s s o n o essere registrati nuovi cittadini. Data l'importanza dell'esercito in armi durante le contese civili, è proibita la presenza di truppe su tutto il territorio della penisola italiana, dal Rubicone e dalla M a g r a fino allo stretto di Messina. N e i l ' 8 0 Siila d e p o n e la dittatura e si fa

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eleggere console; nello stesso a n n o rinuncia del tutto alle magistrature, m a controlla lo Stato anche d a privato, contando solo sulla fedeltà dei suoi veterani, fino alla sua morte, avvenuta nel 7 8 a.C. Per p r i m o della gens patrizia dei Corneli sceglie la cremazione, p e r timore c h e sia offeso il suo cadavere, c o m e era toccato al cadavere di G a i o M a r i o .

LA RICOSTRUZIONE DI ROMA S o n o scarse notizie s u i r attività edilizia a R o m a nei primi decenni del i secolo a.C. Solo con Siila si p u ò parlare d ' u n progetto urbanistico di largo respiro. L a città in gran parte era stata devastata dagli incendi, causati dagli scontri tra le truppe rivali nel cuore del centro storico e in particolare nell'area tra il F o r o e il C a m p i d o g l i o . E proprio dal t e m p i o Capitolino Siila comincia la ricostruzione della città. Inoltre ridisegna i limiti della cerchia urbana, a m pliando il pomerio, c h e era rimasto invariato fin d a l l ' e p o c a regia. Importanti opere riguardano l'area del F o r o , G a i o Aurelio Cotta da pretore (81 a.C.) fa erigere davanti al t e m p i o dei Castori il tribunale Aurelìum. L a tribuna dalla quale il pretore esercitava la giustizia: da console (75 a.C.)

IL C A M P I D O G L I O R I S O R G E DALLE C E N E R I Le guerre civili non risparmiano neppure i monumenti: negli scontri per la conquista di Roma da parte di Siila numerosi antichi edifici sono distrutti dagli incendi divampati in molte zone del cuore di Roma. Il più illustre è senza dubbio il tempio Capitolino, dove bruciano anche gli antichi Libri Sibillini I lavori di ricostruzione, promessi da Siila, richiedono grande impegno e molto tempo. Basti dire che sono trasportate a Roma addirittura le colonne del/'Olympieion di Atene. Il nuovo tempio è inaugurato solo nel 69 a.C. da Quinto Lutazio Catulo, il figlio del vincitore dei Cimbri, che era stato console nel 78: è stato tratto a sorte tra molti aristocratici (tra i quali figurava anche Cesare), che ambiscono all'onore di associare il proprio nome al rifacimento d'una costruzione così prestigiosa.

Lucio Cornelio Siila. Disegno tratto da una moneta d'argento del 55 a.C.

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p r o v v e d e alla n u o v a pavimentazione della piazza. Siila stesso fa costruire la n u o v a Curia, più a m p i a di quella precedente, poiché è raddoppiato il n u m e r o dei senatori. N e l 7 8 a.C. M a r c o E m i l i o L e p i d o , c o n grande dispendio di mezzi, ricostruisce la basilica E m i l i a (l'unica basilica repubblicana conservata fino ai giorni nostri), se p u r nelle forme conseguenti ai restauri di età i m periale, al p o s t o di quella eretta dai censori del 179 a.C. M a r c o E m i l i o L e pido, antenato del console del 7 8 , e M a r c o Fulvio Nobiliore (vedi capitolo La conquista dell'Oriente). N e l l o stesso a n n o è realizzato a n c h e il Tabularium, che costituisce lo sfondo monumentale del Foro sul lato nord, unificando in u n complesso comunicante tutti gli edifici destinati all'amministrazione finanziaria dello Stato. IL

TABULARIUM

A Quinto Lutazio Catulo è affidato Vincarico d'edificare (o forse ampliare) il Tabularium, l'archivio dello Stato romano. Con un progetto imponente anche sul piano tecnico (un'iscrizione rivela il nome dell'architetto, Lucio Cornelio, forse un liberto o un cliente di Siila) sono unificate, per mezzo d'un imponente muro dì sostegno (ancora visibile alla base del palazzo dei Senatori), le due vette del Capitolium e dell Arx, prima divise dalla sella dell'Asylum. Si ottiene in tal modo una costruzione di grande effetto scenografico, che diventa con la sua monumentale fuga di arcate la quinta finale, lo sfondo prospettico del Foro. In quest'edificio sono conservate le tabulae dei testi giuridici e amministrativi; nello stesso tempo sono resi comunicanti vari edifici dell'amministrazione fiscale dello Stato romano: l'archivio vero e proprio, la zecca (collegata al tempio di Giunone Moneta), l'erario (collegato al tempio di Saturno).

Tabularium, pianta delle strutture antiche all'interno del Palazzo Senatorio.

COSPIRAZIONE E DITTATURA

UNA SITUAZIONE ESPLOSIVA D o p o la morte di Siila (78 a.C.) la crisi della Repubblica diventa più grave. Le riforme del dittatore sono m e s s e a dura prova e d a più parti si richiede ormai la loro abolizione. Altre vicende turbano a fondo l ' i m p e r o . Q u i n t o Sertorio, u n o dei capi democratici perseguitati da Siila, suscita la rivolta in Spagna (80-78 a.C.) e le popolazioni spagnole, d a s e m p r e ostili al d o m i n i o rom a n o , trovano in lui la risposta alla loro esigenza d ' a u t o n o m i a . A n c h e in Oriente la situazione è altamente esplosiva. Mitridate e il suo alleato Tigrane fomentano il malcontento. Mitridate protegge i pirati e le c o ste della Cilicia (costa turca) diventano le basi d a cui partono le spedizioni di questi briganti del m a r e , le cui navi (tutte dorate, c o n le vele color p o r p o ra e i remi ricoperti d'argento) terrorizzano i commercianti italici al loro solo apparire. Nella stessa penisola italiana la situazione è difficile. L e proscrizioni sillane h a n n o lasciato u n segno profondo nella società. Chi h a p e r s o i suoi beni n o n si rassegna facilmente e vuole riottenere le proprie ricchezze e il proprio ruolo. A n c h e la plebe n o n h a m o t i v o di essere contenta e i suoi tribuni sono ridotti a larve senza p e s o politico. I cavalieri sono im-

Antiche monete riproducenti, a sinistra, Mitridate e, a destra, Tigrane, conservate al Brìtish Mu seum di Londra.

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pazienti di recuperare i loro diritti politici e specialmente il controllo dei tribunali, m e z z o p e r proteggere gli affari n o n s e m p r e limpidi. Il sottofondo di questo quadro, turbato e sconvolto, è costituito dalla sorda protesta degli schiavi. Molti di essi h a n n o prestato servizio nell'esercito sillano e la consapevolezza di costituire il livello più basso d ' u n a società ormai percorsa d a profonde spaccature h a fatto nascere n u o v e aspirazioni tra le file di questi disperati. N o n pochi c o m i n c i a n o a sperare di cambiare la situazione, soprattutto rendendosi conto del proprio n u m e r o e della propria forza.

SPARTACO* IL GLADIATORE RIVOLUZIONARIO M e n t r e a R o m a il ceto dirigente conservatore è impegnato a frenare le riform e democratiche (avanzate d a uomini c o m e M a r c o E m i l i o L e p i d o , console nel 7 8 a.C.) e a combattere la rivolta spagnola di Sertorio, d a C a p u a fuggono alcune decine di gladiatori. Il loro c a p o è Spartaco, u n soldato trace c h e ha militato nell'esercito r o m a n o , p r i m a di essere ridotto in schiavitù p e r diserzione. I R o m a n i sottovalutano inizialmente la rivolta e le truppe p o c o numerose, inviate in C a m p a n i a , s o n o sbaragliate dagli insorti. Il gladiatore, s u l l ' o n d a del successo, v a intanto rafforzando le file del suo esercito "rivoluzionario". Migliaia di schiavi fuggiaschi, di ladri e briganti, m a a n c h e di e x soldati, di disperati e piccoli proprietari rovinati, v e d o n o in lui la possibilità di riscatto. Alla fine Spartaco p u ò contare addirittura 70.000 uomini. R o m a a questo punto è giustamente preoccupata perché l'esercito servile controlla ormai l'Italia meridionale. L ' e x sillano M a r c o Licinio Crasso, un ricchissimo banchiere, è inviato contro i rivoltosi. D a questo m o m e n t o le cose cominciano a mettersi male p e r Spartaco. Insieme ai suoi uomini risale la penisola nel tentativo di oltrepassare le Alpi ( 7 2 a.C.) e molti e x schiavi di origine germanica o gallica lo piantano in asso, p e r tornarsene a casa. In tutta fretta, Spartaco c o n i superstiti scende di n u o v o nella penisola. M a la sorte sembra avergli voltato definitivamente le spalle. I pirati, c h e dovrebbero traghettare i fuggiaschi in Grecia, n o n si fanno trovare a l l ' a p p u n t a m e n t o . Iniziano pesanti sconfitte p e r l'esercito di Spartaco, s e m p r e più sfiduciato e rappezzato. Presso le sorgenti del Sele, tra Puglia e Lucania, circa 6 0 . 0 0 0 u o mini c a d o n o insieme a Spartaco. 1 5 0 0 0 superstiti c h e fuggono verso nord son o massacrati da G n e o P o m p e o , il generale c h e sta tornando dalla Spagna, d o p o la vittoria su Sertorio.

IL MILIONARIO E IL GENERALE G n e o P o m p e o è figlio di P o m p e o Strabone, u n o spregiudicato u o m o politico italico, c h e h a utilizzato le sue clientele nel P i c e n o , p e r assicurarsi u n a posizione personale durante la guerra sociale (vedi capitolo precedente). Tutti i clienti di P o m p e o Strabone, alla sua morte, sono passati al figlio. Q u a n d o Siila era sbarcato a Brindisi, il giovanissimo P o m p e o aveva potuto offrirgli il suo esercito personale: il dittatore aveva ricambiato il favore, concedendogli onori e il titolo di Magno (Grande).

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P o m p e o è u n attento osservatore della realtà: q u a n d o Siila aveva lasciato il potere (vedi capitolo precedente), si era dissociato prontamente dal suo schier a m e n t o , consapevole che ormai n o n gli avrebbe portato nulla di b u o n o . D i venta u n " m o d e r a t o " e intraprende una c a m e r a militare ricca di successi. D o p o avere sconfitto Sertorio, " s c i p p a " a C r a s s o la gloria del successo finale, sconfiggendo i superstiti seguaci di Spartaco. Nonostante questa azione non proprio corretta, i due uomini v e n g o n o ben presto a patti. Il consolato di P o m p e o e C r a s s o è il segno che ormai c o m a n d a chi ha m e z z i finanziari e militari per imporsi (70 a . C ) . Marco Licinio Crasso è un affarista di enorme ricchezza e costituisce un pariner ideale p e r u n generale vittorioso, perché è a m i c o dei cavalieri. P o m p e o e Crasso p r o m u l g a n o una serie di n o r m e c h e restaurano l'alleanza tra cavalieri e plebe. La plebe h a di n u o v o i suoi tribuni, il ceto equestre i suoi tribunali. Gli ex sillani rovesciano le riforme di Siila!

CRASSO I M P R E N D I T O R E P O L I V A L E N T E Negli ultimi decenni della Repubblica la speculazione edilizia raggiunge livelli fino a quel momento sconosciuti. Crasso, famoso per il suo fiuto negli affari, nota che in città gli incendi e i crolli sono alVordine del giorno: compra come schiavi più di 500 architetti e muratori. Come un avvoltoio acquista le case incendiate e quelle confinanti, vendute dai proprietari per timore dì nuovi incendi. Grazie a tragedie, più o meno accidentali, diventa piano piano proprietario di buona parte della città. La parte più grossa dei suoi guadagni la ottiene sempre tramite i suoi schiavi. È abilissimo nelVimpiegarli in molteplici attività: architetti, mercanti, lettori, scrivani, banchieri, contabili, fabbri ecc. Tutti alla fine della giornata di lavoro portano moltissimo denaro nelle casse del padrone. Probabilmente proprio per questa sua abilità con gli schiavi (che alleva e istruisce personalmente), infligge una solenne e clamorosa punizione ai rivoltosi di Spartaco, crocifiggendo 6000 schiavi lungo la vìa Latina, come monito per chiunque voglia sconvolgere Vordine sociale.

O r m a i la lotta politica non si articola più tra le due grandi fazioni dei nobili (optimates o "migliori") e dei popolari, m a tra d u e schieramenti, nati nel seno dell'oligarchia senatoriale. D a una parte la fazione conservatrice, dall'altra quella dei giovani aristocratici c h e senza incertezze si servono di chi fa loro più c o m o d o .

I SUCCESSI ORIENTALI DI POMPEO D o p o il consolato per P o m p e o seguono anni di attesa. Il suo grande m o m e n t o è la c a m p a g n a contro i pirati della Cilicia. In tre mesi riesce a fare piazza pulita dei pirati (67 a . C ) . Con manovre poco chiare si fa assegnare anche la camp a g n a orientale contro Mitridate, e in d u e anni, giovandosi di quanto h a già fatto Lucullo, il suo predecessore, sconfigge il sovrano orientale. N o n contento, spazza via anche gli ultimi discendenti della dinastia di Seleuco, il grand e r e g n o che aveva avuto c o m e sovrano Antioco in (vedi capitolo Romani e Cartaginesi: la conquista del Mediterraneo). Ora P o m p e o crea n u o v e p r o vince e risistema i confini del d o m i n i o r o m a n o in Oriente.

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In Italia il s u o r i t o m o è atteso c o n t i m o r e : ricorda t r o p p o d a v i c i n o l ' a l t r o s b a r c o , q u e l l o di Siila, p o c o m e n o di v e n t ' a n n i p r i m a . C o n t r o o g n i aspettativa e o s c u r o p r e s e n t i m e n t o il g e n e r a l e , o r m a i p o t e n t i s s i m o , c o n g e d a l'esercito a Brindisi. C h i e d e " s o l o " al S e n a t o di a p p r o v a r e il s u o o p e r a t o in O r i e n te, a c c e t t a n d o n e la s i s t e m a z i o n e . M a il S e n a t o rifiuta ( 6 2 a . C ) , s p a v e n t a t o d a l l ' i m m e n s o p o t e r e di P o m p e o e p e r n u l l a c o m m o s s o dal s u o rispetto p e r la legalità r e p u b b l i c a n a e n o n s i s t e m a i veterani di P o m p e o .

BROGLI ELETTORALI TRA SPLENDIDI M A R M I Le elezioni politiche, come dimostrano gli accordi tra Pompeo, Cesare e Crasso o le macchinazioni per bloccare Catilina, in età tardo repubblicana sono ormai completamente controllate. Il voto è guidato da chi paga di più e al mattino prepara più sporte per i suoi clienti. Crasso, ma gli altri non sono da meno, offre banchetti al popolo e per tre mesi prima della sua elezione distribuisce frumento a ogni Romano. Cesare costruisce nel Campo Marzio i Saepta Iulia ossia il recinto per le elezioni, di cui è rimasto solo un pezzo di muro lungo il Pantheon. Si trattava d'una splendida cinta marmorea, affiancata da un enorme porticato, dove si svolgevano comodamente le operazioni di voto. In quest'area rettangolare (286 X 94 metri) ampie campate, separate da barriere di legno o di funi, dividono le unità di voto. A sud si trova il diribitorium, dove si effettua lo spoglio dei voti. L'ironia della storia vuole che Cesare costruisca questo complesso quando il voto dei cittadini romani perde apertamente significato, monumentalizzato il tramonto dell'espressione più alta della vita politica repubblicana.

I B A N C H E T T I D I LUCULLO Dopo le imprese asiatiche, Lucullo a Roma si dedica a una esistenza agiata e comoda. La sua passione è soprattutto il buon cibo e trova modo di far partecipe della sua passione anche il popolo, invitando tutta Roma a banchetto dopo il corteo trionfale (66 a. C). Le sue cene sono famosissime. Essere invitati da Lucullo significa provare i cibi più raffinati, le pietanze più strane e inconsuete. A ogni tipo di cibo si accompagna anche un salone differente delle sue numerose e ricchissime dimore. Quando ordina la cena ai suoi cuochi è sufficiente che indichi loro il luogo dove vorrà mangiare.. In un tempo rapidissimo le mense sono allestite e imbandite. Anche quando cena da solo vuole che molte tavole siano imbandite, perché, come ama dire, quando non ci sono ospiti, c'è sempre Lucullo che cena con Lucullo.

MALCONTENTO, RICCHEZZA E AMBIZIONE L a situazione a R o m a si fa s e m p r e più difficile. L a c o n g i u r a di C a t i l i n a dim o s t r a c h e intrighi e a m b i z i o n i p e r s o n a l i h a n n o sostituito i partiti e l e i d e e politiche ( 6 3 a . C ) . Il r i s e n t i m e n t o di P o m p e o v e r s o il S e n a t o è sfruttato d a u n n u o v o p e r s o n a g g i o , G a i o G i u l i o C e s a r e , d a p o c o in p r i m o p i a n o s u l l a s c e n a p o l i t i c a . Il s u o p a s s a t o n o n è d e i più l i m p i d i e d e i p i ù c o e r e n t i . S p o s a t o s i c o n C o r n e l i a , figlia di C i n n a (vedi c a p i t o l o p r e c e d e n t e ) , e r a stato p r o s c r i t t o d a Siila. Il d i t t a t o r e l ' a v e v a p o i p e r d o n a t o e il s u o r e i n s e r i m e n t o n e l l a v i t a p o l i t i -

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CATILINA // rientro di Pompeo dall'Oriente coincide con la denuncia della congiura di Cantina. Lucio Sergio Catilina era un nobile, esponente dell'antica famiglia dei Sergii ormai ridotta in povertà. La sua carriera era iniziata sotto i migliori auspici nella cerchia di Pompeo Strabone padre di Pompeo Magno. Nonostante la mancanza di denaro (per spettacoli ed elargizioni alla plebe) Catilina diventa questore (78 a.C.) ed edile (71 a.C). Implicato in diversi scandali che scuotono lo Stato in questi anni, Catilina è avversato dall'oligarchia senatoria. Tra le tante dicerie che circolano sul suo conto si dice che sia l'amante di sua figlia e che abbia ucciso il proprio fratello. I suoi tentativi d'ottenere il consolato sono ripetutamente ostacolati. Il suo programma è basato sulla cancellazione dei debiti e sull'assegnazione di terre alla plebe, per questo è pericolosamente "demagogico". Contro il rischio che queste misure così popolari gli garantiscano un pericoloso consenso, Catilina è bocciato per la terza volta, nonostante l'aiuto di Crasso e Cesare. A questo punto decide di fare leva sugli elementi sillani concentrati in Etruria, sul malcontento della plebe urbana e dei nobili, afflitti come lui dai debiti, per scatenare una rivolta. In Etruria cresce un esercito in armi sotto il comando di Manlio, un giovane nobile legato a Catilina. Il piano è di suscitare un'insurrezione armata in Etruria e di uccidere i due consoli a Roma. Cicerone, avversario di Catilina alle elezioni, è divenuto console e per vie traverse viene a conoscenza della congiura. Catilina e ì suoi seguaci, nonostante la mite proposta di Cesare (confiscare i beni lasciando loro la vita), sono condannati a morte in contumacia, senza diritto di appello. Alcuni congiurati catturati a Roma sono giustiziati: Catilina e molti suoi seguaci muoiono sul campo, combattendo coraggiosamente. Il trionfo di Cicerone diventa il trionfo del governo senatorio. Ma in questo regime repubblicano, apparentemente forte e legalitario, Catilina ha trovato spazio per una rivolta e creare un esercito. Catilina, al di là della turpe fama che lo circonderà grazie alle orazioni di Cicerone (le Catilinarie) e al racconto dello storico Sallustio (La congiura di Catilina) assomiglia moltissimo a un capro espiatorio, mentre si salvano alcuni suoi favoreggiatori, tra i quali Cesare. f

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c a n o n a v e v a a v u t o g r a n d i difficoltà. C o m e q u e s t o r e a v e v a a n c h e s e g u i t o P o m p e o in S p a g n a . L ' a m i c i z i a col m i l i o n a r i o C r a s s o r a p p r e s e n t a la sua salvezza. Infatti C e s a r e è p e r e n n e m e n t e rincorso dai creditori p e r il saldo dei suoi infiniti debiti. C r a s s o s a l d a i debiti e finanzia l ' a r r u o l a m e n t o di u o m i n i . Q u a n d o h a i m e z zi p e r " f a r e " politica, G a i o G i u l i o C e s a r e d i v e n t a il sostenitore del partito p o polare. Il m a l c o n t e n t o di P o m p e o , la ricchezza di C r a s s o e l ' a m b i z i o n e di C e s a r e c o s t i t u i s c o n o u n cocktail e s p l o s i v o . I t r e si a l l e a n o s u l l a b a s e di u n a c c o r d o p r i v a t o , n o t o c o m e « p r i m o t r i u m v i r a t o » (tre u o m i n i ) , b a s a t o sul p r i n c i p i o c h e l ' u n i o n e fa l a forza: P o m p e o s ' i m p e g n a a p a s s a r e voti a C e s a r e p e r il c o n s o l a t o d e l 5 9 a . C , C e s a r e s ' i m p e g n a a fare a p p r o v a r e i p r o v v e d i m e n t i o r i e n t a l i di P o m p e o e a s i s t e m a r e i veterani, Crasso si fa portavoce degli interessi dei gruppi finanziari in Oriente.

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Rievocazione della congiura di Catilina in un'incisione di B. Pinelli.

CRASSO E LUCULLO FINTI SEDUTTORI Tra i difetti (o i pregi) di Marco Crasso l'amore per il denaro, che farà di lui uno dei più grandi milionari romani, è certamente quello più marcato. L'accusa d'intendersela con Licinia, una vestale appartenente alla sua gens, nasce dalla sua assidua presenza al fianco della donna. Ovunque Licinia vada, Crasso è al suo fianco, gentile e innamorato. I maligni ci mettono poco a portare la donna in tribunale, con la prospettiva dell'usuale condanna a morte: ma Licinia è assolta. Crasso imperterrito riprende la sua corte galante al punto da essere a sua volta accusato: ma ancora una volta il verdetto è l'assoluzione. Infatti ciò che interessa a Crasso non è certo la vestale, quanto la proprietà che Licinia possiede fuori Roma. Così una volta assolto, ricomincia la sua corte serrata finché la donna, pur di toglierselo dai piedi, gli concede quanto chiede. Anche Lucullo ricorre a vie traverse, per ottenere il governo della Cilicia, la provincia dell'Asia Minore (74 a.C.) che può aprire la strada per la guerra contro Mitridate vi. È candidato per la Cilicia anche Cetego, preso da un'intensa passione amorosa per Preda, una donna celebre per la sua bellezza, per la sua intelligenza, per le sue capacità amatorie. Preda è famosa per servirsi di quelli a cui piace e favorire i maneggi politici dei suoi amanti. Quello che Preda vuole, ottiene. Lucullo con regali e infinite adulazioni entra nelle sue grazie e Cetego, tramite la donna, diventa uno strumento nelle mani di Lucullo, pronto a favorirlo negli usuali brogli elettorali, così senza ostacoli Lucullo ottiene la provincia della Cilicia.

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Q u e s t ' a l l e a n z a a tre rappresenta una delle fratture più grandi all'interno del sistema politico r o m a n o . L'opposizione al Senato diventa ora g o v e r n o e non più lotta esterna e sovversiva, m e n t r e è il Senato che diventa l'opposizione.

LA SPARTIZIONE DEL POTERE Eletto console, Cesare fa approvare i provvedimenti con o senza il parere del Senato. I veterani di P o m p e o s o n o sistemati sull'agro pubblico. N e s s u n esproprio turba i sonni dei piccoli proprietari e anzi il ricco bottino di P o m p e o è in parte utilizzato per acquistare nuovi lotti di terra per la plebe. N o nostante l'opposizione del Senato, la sistemazione d e l l ' A s i a fatta d a P o m p e o è approvata. A n c h e Crasso e i suoi protetti (i pubblicani asiatici) sono accontentati e il c a n o n e degli appalti d a versare allo Stato è ridotto d ' u n terzo. Inoltre Cesare fa promulgare una legge che gli assegna per cinque anni la Gallia Cisalpina (l'Italia settentrionale), l'Illirico e poi anche la Gallia Narbonese: la base per crearsi u n a grande forza militare. A R o m a tutti sono c o n s a p e v o li che stanno accadendo trasformazioni eccezionali: gira infatti voce c h e il 59 è l'anno del consolato di Giulio e di Cesare, poiché il collega Bibulo è niente più che una comparsa.

LA N U O V A ALLEANZA Finito l ' a n n o di consolato, il Senato tira un sospiro di sollievo. U n a volta partito per le lontane Gallie, Cesare sembra m e n o pericoloso. M a il previdente Cesare lascia a R o m a un professionista della d e m a g o g i a e degli scandali: Publio Clodio. Questi, diventato tribuno, trova il m o d o di m a n d a r e in esilio Cicerone col pretesto di aver c o n d a n n a t o a m o r t e i seguaci di Catilina, senza aver c o n c e s s o l'appello al p o p o l o . Con un tale successore nella fazione p o polare Cesare parte con le spalle coperte (58 a . C ) . La fragilità del «triumvirato» si mostra ben presto in tutta la sua pericolosità. Mentre Clodio impazza a R o m a , P o m p e o prende le distanze e lentamente si riavvicina al Senato, apprensivo spettatore dei successi di Cesare in Gallia (vedi box La guerra gallica). Per tentare di ricucire u n ' alleanza che fa acqua d a tutte le parti Crasso, P o m peo e C e s a r e si incontrano a L u c c a (56 a . C ) . Di n u o v o si stabilisce una divisione dei doveri e dei poteri: m e n t r e il m a t r i m o n i o tra Giulia, giovanissim a figlia di Cesare, e il già attempato P o m p e o rinsalda l ' a c c o r d o . S e c o n d o i patti Crasso e P o m p e o diventeranno consoli l ' a n n o seguente (55 a.C.) e prolungheranno il m a n d a t o di Cesare nelle Gallie per altri cinque anni. Scaduto l'incarico P o m p e o avrà il proconsolato in S p a g n a e Crasso in Siria, d o v e si stanno presentando all'orizzonte nuovi nemici: i Parti.

POMPEO E IL SENATO NELLA CITTÀ IMPAZZITA Tutto funziona c o m e stabilito, tranne u n piccolo particolare. M e n t r e C r a s so parte per la Siria e Cesare si lancia in u n a vasta c a m p a g n a di conquista, P o m p e o rimane a R o m a . Il suo s o g n o di " m o d e r a t o " è il riavvicinamento al Senato, per diventarne il princeps, il primo dei senatori, e la prima m o s s a è

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GLI O D O R I D I R O M A Ogni "quartiere" di Roma è accompagnato da un odore particolare, perché artigiani e commercianti che fanno lo stesso mestiere tendono a raggrupparsi insieme. L'Argileto e le strade vicine hanno un acutissimo odore di concia, dato che lì lavorano i cuoiai e gli oggetti di cuoio escono da queste botteghe. L'odore accompagna quelli che salgono al quartiere della Suburra, il regno delle prostitute. Profumi orientali si mescolano ai richiami e alle occhiate delle donne. Dall'altra parte nel Velabro l'odore dolciastro e nauseabondo del sangue, mescolato a quello degli escrementi, ricorda che vi lavorano i macellai, spesso squartando i maiali, allevati usualmente per la strada: non è difficile che i passanti siano travolti da questi animali che grufolano e corrono nelle pozzanghere della via. Nel vicus Tuscus ci sono i negozi di lusso: qui i profumi migliorano e si comprano i pregiati rotoli di papiro; a caro prezzo si paga la prostituzione di lusso d'ogni tipo e genere. Ma i profumi più cari, insieme all'onnipresente incenso, si mescolano all'odore della porpora bollita nell'urina. Per gli estranei i quartieri possono essere labirinti nauseabondi. Mentre per chi ci abita, l'odore che si porta addosso è la spia della provenienza. Gli uomini e le donne raffinate mal sopportano questo lezzo. Non è raro vederli passare svelti con fiori davanti al naso per proteggere le loro delicate narici. Le donne spesso preferiscono ampolline d'ambra che strofinate emanano un piacevole odore, sufficiente per sopportare ilfetore delle strade.

LA D I M O R A DELL'AVVOCATO Tutta l'elite politica romana desidera abitare in centro, vicino al Foro. La zona residenziale più esclusiva è quella sul Palatino, dal quale si domina la città. Rampe, a volte molto ripide, permettono l'accesso col carro in queste lussuose dimore. L'oratore Crasso, console nel 95 a.C, era stato chiamato addirittura la «Venere del Palatino» per il largo sfoggio di marmi asiatici nella sua abitazione. Cicerone dopo il suo consolato (63 a.C.) arde dal desiderio d'avere quella casa e lasciare la sua vecchia abitazione alle Carine. Alla fine riesce a spuntarla e va ad abitare sul Palatino, ma la casa sul Palatino sembra diventare una maledizione. Clodio, nemico giurato di Cicerone, quando riesce a mandarlo in esilio, demolisce la sua casa e ne disperde mobili e statue, edificando al suo posto un tempio alla Libertà. Cicerone non rinuncia al Palatino, simbolo del successo. Tornato dall'esilio grazie a Pompeo, abbatte il tempio e ricostruisce la dimora. Gli uomini di Clodio ne ritardano i lavori con continui assalti agli operai e incendi nel cantiere. Solo quando Mitene uccide Clodio (52 a.C.) Cicerone riesce ad avere la sua sospirata dimora. Forse proprio la gioia eccessiva è la causa della pessima orazione che egli compone in difesa di Milone, il quale è spedito in esilio a Marsiglia. Quando Cicerone gli invia l'orazione, riscritta con più calma, Milone osserva che se Cicerone avesse parlato così in tribunale, Milone non mangerebbe le buone triglie di Marsiglia.

il rientro di C i c e r o n e d a l l ' e s i l i o . L a vita n e l l a capitale precipita n e l l a più t o tale anarchia. L a plebe, manovrata d a personaggi c o m e Clodio, affolla r u m o r o s a i Comizi. Tranne Cicerone, sempre presente, tutti gli altri preferiscono stare lontani dalle sedute. B a n d e di plebaglia e avanzi di galera d a n n o vita a u n a sorta di guerriglia privata. Tra i capi, oltre a Clodio, esponente dei popolari, figura Tito A n n i o Milone, c h e si dichiara sostenitore dell'aristocrazia. L a città è completamente paralizzata. N e s s u n o s'arrischia più a uscire di casa p e r paura d ' e s s e r e ucciso negli scontri tra opposte fazioni. Il malcontento del popolo, schiacciato dai d e -

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Pompeo in un'incisione tratta