Levitico. Introduzione, traduzione e commento 8821599426, 9788821599422

Testo ebraico a fronte. Il libro del Levitico è il cuore del Pentateuco perché esprime le preoccupazioni teologiche fond

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Levitico. Introduzione, traduzione e commento
 8821599426, 9788821599422

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GIORGIO PAXIMADI si è laureato in Lettere Classiche presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore e licenziato in Teologia presso l'Università di Friburgo (CH). È Dottore in Scienze Bibliche e insegna Antico Testamento alla Facoltà Teologica di Lugano.Tra le sue pubblicazioni: E io dimorerò

in mezzo

o

loro. Composizione e interpretazione di

Es 25-31, Bologna 2004; i commenti alle lettere di Filippesi, Galati e Tito in Lettere di Paolo, a cura di B. Maggioni - F. Manzi, Assisi 2005.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

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Presentazione \IU\'\ \.f:U-,10'\E IJEIL\ BIBBL\ l\\ l fl.:'li. A\ l'lUI!

a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a margine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddisfare le esigenze dellettqre contemporaneo. L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente a esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione.

PRESENTAZIONE

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Un approfondimento, posto in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico \l Ul.\ \

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DI.J LA BlBlH.\ D.\ l. TL.STl . \\TH.lll

Il testo in lingua antica Il testo ebraico stampato in questo volume è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS), quinta edizione. Le correzioni alla lettura di alcuni termini, indicate dai masoreti (qerè l ketib), sono segnalate da parentesi quadre, con il seguente ordine: nel testo compare la forma "mista" che si trova nel manoscritto, nelle parentesi si ha prima la forma presupposta dalle consonanti scritte (ketìb) e poi quella suggerita per la lettura dai masoreti (qerè). La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi discostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: i segni · , indicano che si adotta una lezione differente da quella riportata in ebraico, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase ebraica. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato. I testi paralleli Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo commentato con il simbolo l l; i passi che invece hanno vicinanza di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo •!•. La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferimento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.

ANNOTAZIONI

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V approfondimento liturgico Redatto sempre da Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli, rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi nella versione CEI del 2008.

LEVITICO Introduzione, traduzione e commento

a cura di Giorgio Paximadi

SAN PAOLO

Biblia H ebraica Stuttgartensia, edited by Karl Elliger and Wilhelm Rudolph, Fifth Revised Edition, edited by Adrian Schenker, © 1977 and 1997 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2017 Piazza Soncino, 5- 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-215-9942-2

INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Il libro del Levitico è il centro, letterario e teologico, del Pentateuco. La tradizione ebraica lo intitola, a partire dal suo inizio, wayyqrii ', alla lettera: «e chiamò»; la Settanta preferisce un nome descrittivo del contenuto e lo chiama «Levitico», sottolineando il fatto che in esso si trovano essenzialmente legislazioni relative al culto, che si presume praticato da sacerdoti di stirpe !evitica, anche se, nel libro stesso, il termine «leviti» compare solo in Lv 25,32.33 a regolare una questione relativa ai diritti di riscatto che essi godono nelle città di loro proprietà 1• Come detto, il Levitico è il cuore del Pentateuco, non solo perché ne occupa il centro, ma soprattutto perché esprime le preoccupazioni teologiche fondamentali della redazione Sacerdotale, che di esso costituisce la struttura di base. Dopo avere descritto, nei primi capitoli della Genesi, il passaggio da una creazione «molto buona» (Gen l ,31) a una situazione di ritorno al caos, della quale l'episodio della torre di Babele (Gen 11, 1-9) è l'emblema, il Pentateuco, attraverso le storie patriarcali prima e quella dell'esodo poi, indica le linee fondamentali della risposta di YHWH alla decadenza della sua creazione: la formazione, per mezzo della discendenza di Abramo, di un popolo con cui stringere un'alleanza. Dopo il racconto dell'esodo dall'Egitto, vero «kerygma» anticotestamentario espressione della professione di fede di Israele (Es 14-15), la 1 L'espressione «sacerdoti !eviti» o «sacerdoti figli di Levi», che giustificherebbe il titolo greco, non compare mai nei testi Sacerdotali, ma è propria del linguaggio del Deuteronomio, e dell'opera del Cronista. Cfr., p. es., Dt 17,9.18; ICr 9.2; 2Cr 5,5. L'espressione compare sporadicamente anche altrove: due volte in Giosuè (3,3; 8,33), in Geremia ed Ezechiele (Ger 33,18; Ez 43,19; 44,15) e nel tardivo Is 66,21.

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IO

narrazione della teofania al Sinai, che introduce il Codice dell'alleanza (Es 19-23), e il rito della sua conclusione (Es 24), il redattore Sacerdotale inserisce ciò che per lui è il reale scopo della rivelazione di YHWH al suo popolo: la descrizione del miskiin, il santuario portatile, paradigma di tutti i futuri santuari di Israele (Es 25-31; 35---40), per mezzo del quale YHWH abita in mezzo al suo popolo (Es 25,8), per passare poi, con il libro del Levitico, alla regolazione del culto che in esso si svolge (Lv 1-7), alla consacrazione del personale che lo celebra e alle regole relative (cc. 8-1 0). Le regole sulla purità (cc. 11-16), per mezzo delle quali il popolo di Israele è determinato e racchiuso in un confine sacro che lo distingue dalla realtà circostante, servono da preludio al rituale del grande giorno dell'Espiazione (c. 16), vertice teologico del sistema sacerdotale, che permette la permanenza del rapporto tra YHWH e il suo popolo nonostante le infedeltà di questo. Determinato così il popolo e assicurato il rapporto con YHWH, il cosiddetto Codice di santità precisa tutti quegli aspetti legali e morali che ne caratterizzano la vita interna (cc. 17-27). Il libro dei Numeri riprende la narrazione del viaggio nel deserto, interrotta ad Es 19, 1-2 con l'annuncio dell'arrivo di Israele al Sinai, presentando dapprima l'organizzazione del popolo: partito dall'Egitto e arrivato alla montagna sacra come una turba disorganizzata (Es 12,37-38), ne riparte in buon ordine (Nm 10,12), dopo che Mosè ne ha fatto il censimento (N m l), e poi descrivendo le varie tappe del viaggio. Gli episodi del viaggio danno talora l'occasione per l'inserzione di testi legislativi, come per esempio Lv 15-19, relativi a situazioni che si sarebbero prodotte solo dopo l'ingresso in Canaan (cfr. 15,2), ma i versetti introduttivi e conclusivi di Lv (1,1; 27,34; Nm 1,1), così evidentemente paralleli, distinguono la legislazione data al monte Sinai da quella data durante la peregrinazione di Israele nel deserto 2 • In questo modo la successione Es-Lv-Nm dà al corpus legislativo del Levitico una posizione centrale, che verosimilmente riflette un giudizio di valore sul suo contenuto 3 • Il Deuteronomio infatti chiude il Pentateuco con i «discorsi d'addio» di Mosè e la 2

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J.W. Watts, Leviticus 1-10, Peeters, Leuven 2013, 21-22. lvi, 22.

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sua benedizione per le dodici tribù (Dt 33), evidentemente parallela a quella pronunciata dal patriarca Giacobbe in Gen 49; il codice legislativo deuteronomico (Dt 12-26) riprende il Codice dell'alleanza (Es 20,22-23,33) e anche il Decalogo (Es 20,1-17) ha un parallelo nell'ultimo libro del Pentateuco (Dt 5,1-21 ). Questa considerazione della centralità canonica del Levitico rispetto al Pentateuco contrasta fortemente con l'attenzione relativamente scarsa che viene solitamente attribuita ad esso nell'esegesi e nella teologia di impostazione cristiana. Questo fatto può essere di certo attribuito alla valutazione che una parte della teologia neotestamentaria, in particolare quella paolina, dà dei testi rituali e giuridici dell'Antico Testamento, come di qualcosa che esprime un momento superato della storia della salvezza, ma forse anche al fatto che, a partire dali' epoca della nascita dell'esegesi moderna in ambito protestante, un testo che mette così tanto in luce gli aspetti liturgici e cultuali non poteva essere percepito con una particolare simpatia. In effetti, mentre ancora all'epoca relativamente antica della Lettera di Barnaba il Levitico veniva ampiamente citato, ancorché venisse interpretato privilegiandone la chiave di lettura allegorica, in seguito l'attenzione nei suoi confronti calò in modo sensibile. È il caso di ricordare le omelie di Origene conservate nella traduzione di Rufino4 , il commentario di Cirillo di Alessandria5 e le Locuzioni e Questioni sul/ 'Ettateuco di Agostino6, opere tutte che si preoccupano essenzialmente di esporre il senso spirituale del libro. Anche Teodoreto di Cirro si occupò del Levitico nelle sue Questioni sul Levitico7 , con l'attenzione più letterale tipica della sua esegesi, tuttavia il dossier patristico relativo al nostro libro non è molto più ampio. Evidentemente di tutt'altro awiso sono i commentatori ebraici, che dedicano al Levitico notevole spazio nei loro scritti: oltre al materiale di commento al Levitico che si trova in vari trattati della Mishnà, fra i numerosissimi altri si pensi ai commentari di Rashi, di Ibn Ezra e di Nal:unanide, veri capolavori dell'esegesi ebraica medioevale. L'avere 4 Origene, Omelie sul Levitico. Traduzione, introduzione e note a cura di Maria Ignazia Danieli, Città Nuova, Roma 1985. 5 Cfr. Patrologia Greca 69, 343-376. 6 Sant'Agostino, Locuzioni e Questioni sull'Ettateuco. A cura di L. Carozzi- A. Pollastri, 2 voli., Città Nuova, Roma 1997 -199R. 7 Patrologia Greca 80, 176-216.

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lasciato quasi completamente in mano alla tradizione ebraica la fruizione di questo essenziale libro biblico ha privato l'esegesi cristiana, oltre che di un testo fondamentale per la ricostruzione del pensiero biblico, anche di un'importantissimariflessione teologica su argomenti essenziali, quali la fw_Izione mediatrice del culto e una percezione del valore e del significato dei suoi elementi che potrebbe fornire spunti alla teologia sacramentale.

ASPETTI LETTERARI

Chiaramente il Levitico è collegato tanto allibro dell'Esodo che lo precede, quanto a quello dei Numeri, che lo segue, condividendone molte prospettive teologiche e la struttura narrativa, ossia il racconto dell'esodo e delle peregrinazioni nel deserto, di cui la tappa al monte Sinai, presso cui il Levitico è ambientato, è un momento fondamentale. Lo stesso inizio del libro, il quale si apre con una frase priva di soggetto perché sottintende quello dell'ultima frase di Esodo, manifesta la connessione con quanto precede. In più, per molto tempo l'esegesi storico-critica si è occupata quasi esclusivamente di determinare e ricostruire le fonti originarie a partire dalle quali il Pentateuco venne composto, riservando minore attenzione ai fenomeni letterari dell'opera considerata nel suo ultimo stadio redazionale. Dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso si è notato però un significativo cambiamento di prospettiva per quanto riguarda gli stuoi sul Levitico: si è passati da una considerazione del libro come parte della tradizione Sacerdotale (P, iniziale del termine tedesco Priestercodex, ovvero Codice Sacerdotale) a una più attenta valutazione delle sue caratteristiche letterarie specifiche8 • Tale sviluppo degli studi ha portato a una serie di nuove proposte relative alla strutturazione del libro stesso e ha provocato la necessità di apprezzare in modo nuovo una problematica già peraltro ampiamente conosciuta: dal 8 Per lo sviluppo di questa problematica occorre citare soprattutto i lavori dell'antropologa Mary Douglas. Cfr. in particolare M. Douglas, Leviticus as Literature, Oxford University Press, Oxford 1999.

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XVIII secolo è opinione condivisa il fatto che i capitoli 17-26 del Levitico debbano essere separati e debbano formare un'unità a sé stante in genere chiamata «Codice di santità» (H, iniziale del termine tedesco Heiligkeitsgesetz, ovvero Legge di santità), verosimilmente posteriore a P. Materiali riferibili a questa corrente sono però reperibili anche al di fuori dei capitoli 17-26 e danno corpo all'idea che i suoi responsabili abbiano operato un lavoro redazionale sui testi derivanti dalla tradizione P. Ulteriori dettagli su questo problema verranno dati in seguito. Indipendentemente dalle discussioni sottili a proposito delle ulteriori suddivisioni delle fonti in questione, il prendere in carico questa problematica influenza evidentemente l'interpretazione del Levitico come libro.

Struttura del Levitico Il fatto che il libro del Levitico conosca la compresenza di almeno due stadi redazionali successivi (P e H), dei quali l 'uno si presenta come la rielaborazione dell'altro, rende possibile suggerire che esso debba essere inteso come un libro con due edizioni. Questa duplicità si coglie in particolar modo nell'aggiunta della cosiddetta appendice del capitolo 27. In ogni caso l'editore finale ha badato a dare allibro nella sua totalità una strutturazione che può essere individuata come coerente, anche se non immediatamente percepibile. Il collegamento con Esodo e Numeri è assicurato da ovvie considerazioni di tipo contenutistico e formale (si pensi all'inizio ex abrnpto); tuttavia gli studi di questo ultimo decennio hanno messo in rilevo una strutturazione di Levitico che gli conferisce una certa indipendenza. Occorre immediatamente dire che tali strutturazioni, a eccezione forse di una, soffrono di notevoli pecche metodologiche, centrate come sono su considerazioni prevalentemente contenutistiche o basate su indizi formali insufficienti o scelti con criteri talora arbitrari. Per mostrare l'insufficienza metodologica di una strutturazione basata su considerazioni esclusivamente contenutistiche, oltretutto guidate da una precomprensione esterna, si può citare l'opera di Radday9 che, attratto da idee che non escludono una certa influenza neotestamentaria, postula l'esistenza di un climax 9 Y.T. Radday, «Chiasmus in Hebrew Biblica! Narrative», in J. Welch (ed.), Chiasmus in Antiquity, Gerstenberger, Hildesheim 1981, 50-117.

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teologico del libro in 19,18 (il precetto dell'amore al prossimo). Dato poi che il libro in questione si trova al centro della Torah, ecco trovato il cuore di tutto il Pentateuco. Contro questo tipo di considerazioni è il caso di notare come il sottolineare l'importanza concettuale di un'affermazione biblica non coincida con il trovare la struttura del testo. Più equilibrato è il contributo di Hartley 10, il quale, più che una struttura letteraria, fornisce un piano dell'opera, riprendendo quello offerto dalla maggior parte dei commentari. Secondo questo tipo di analisi il Levitico si strutturerebbe in sei parti: l. regole per i sacrifici (1,1-7,38); 2. consacrazione dei sacerdoti e primi sacrifici alla tenda dell'incontro (8,1-10,20). La parte è caratterizzata dalla presenza della forma narrativa; 3. la purità rituale (11,1-15,33): caratteristica di questa parte sono le formule discorsive rivolte a Mosè e Aronne insieme; 4. il giorno dell'Espiazione (16,1-34). La normativa è racchiusa tra un'introduzione narrativa e le leggi sul calendario; 5. le cose sante (17,1-26,46); 6. le decime e le offerte (27,1-34): quest'ultima parte è caratterizzata, insieme ai capitoli 1-7, dal fatto di avere un'introduzione e una conclusione identificabili. Come si vede, il Codice di santità è lasciato a parte, perché identificato dal tema della santità, ma nulla si dice a proposito di un'articolazione interna. Si tratta di una descrizione senza dubbio esatta, ma non ancora sufficiente per presentare una vera struttura letteraria del libro. Un'altra analisi interessante è quella proposta da Zenger e Frevel, che individuano uno schema in sette parti 11 sulla base della funzione strutturante delle formule di introduzione dei discorsi di YHWH e delle loro variazioni. Con questo criterio è possibile individuare un centro J.E. Hartley, Leviticus,Word Books Publisher, Dallas (TX) 1999. E. Zenger- C. Frevel, «Die Bilcher Levitikus und Numeri als Teile der Pentateuchkomposition», in T. Romer (ed.), The books of Leviticus and Numbers, Peeters, Leuven, 2008, 38-40. Altri hanno percorso questa strada: si ricordi C. R. Smith, «The Literary Structure of Leviticus», Joumal for the Study ofthe Old Testament 70 ( 1996) 17-32, che propone una struttura in cui parti narrative succedono a parti legislative. Il fenomeno è effettivamente osservabile, pur se a prezzo di qualche semplificazione (difficilmente Lv 16 può essere considerato una parte narrativa), ma vi è sempre il problema di utilizzare un criterio solo per la strutturazione di un testo così complesso. 10 11

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(cc. 16-17), attorno al quale le sezioni sono disposte a specchio: capitoli 11-15 (purità) e capitoli 18-20 (santità); capitoli 8-10 e capitoli 21-22 (sacerdozio e sua funzione mediatrice). Meno chiari sembrano i rapporti tra i capitoli 1-7 e i capitoli 23-26 (27), in particolare, raggruppando i capitoli 23-26, non si pone una distinzione tra il calendario cultuale del capitolo 23, cui possono eventualmente essere aggiunti i capitoli 24 sui riti quotidiani e 25 sugli anni sacri, e il capitolo 26, contenente le benedizioni e le maledizioni, che sembra non essere in continuità tematica con quanto lo precede. Anche l'accorpamento dei capitoli 16 e 17, così palesemente diversi per tematica e per redazione, non sembra dimostrato mentre la centralità del capitolo 16 è un'intuizione che deve essere valorizzata. Il tentativo organico più recente di dare una strutturazione a Levitico è quello di D. Luciani, al quale si ispira buona parte di questo commentario 12, anche se per certe parti mi è sembrato più opportuno proporre una diversa articolazione del testo. Egli tenta di offrire una soluzione basata su rilievi formali a partire dal fatto che la divisione del libro in trentasei discorsi divini non è stata tenuta in considerazione a sufficienza. Un'analisi serrata basata essenzialmente sulle ricorsività lessicali che consentono di raggruppare i discorsi, ma anche sulle variazioni delle formule introduttive permette a quest'autore di individuare anzitutto gli elementi iniziali, centrali e finali del libro:

A: 1,1-7,38 (primi nove discorsi) {SPAZIO] E si rivolse a Mosè e YHWH gli parlò DALLA TENDA DELL'INCONTRO dicendogli: · 2«Parla agli Israeliti e di' loro ... (1,1-2) [7,35] QuESTA (zot) è l'unzione di Aronne e dei suoi figli, dei sacrifici bruciati in onore di YHWH, dal giorno in cui eserciteranno il sacerdozio di YHWH. [36] Agli Israeliti YHWH ha ordinato di dar loro questo, dal giorno della loro unzione. Precetto eterno (buqqah), di generazione in generazione. 12 D. Luciani, Sainteté et pardon. l. Structure littéraire du Lévitique; II. Guide technique, Leuven University Press, Leuven 2005. Negli schemi che seguono sono evidenziate solo le ricorsività pertinenti per stabilire i rapporti tra le varie sezioni del libro. Mi ispiro per lo più al testo di Luciani, semplificando e integrando ciò che mi sembra appropriato.

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[37] QuESTA (zot) è la legge per l'olocausto, l'oblazione, il sacrificio espiatorio, il sacrificio di riparazione, l'investitura e il sacrificio di comunione: [38] come YHWH ha ordinato a Mosè sul monte Sinai, quando ordinò agli lsraeliti di presentare le offerte a YHWH nel deserto del Sinai». X: 16,1-34 (diciottesimo discorso) [TEMPO] Y HWH parlò a Mosè DOPO CHE I DUE FIGLI DI ARONNE ERANO MORTI mentre presentavano un'offerta davanti a YHWH. [2] YHWH disse a Mosè: «Parla ad Aronne, tuo fratello ... [34b] E fece come YHWH aveva ordinato a Mosè. A': 25,1-27,34 (trentacinquesimo e trentaseiesimo discorso) [sPAZIO] [25,1] YHWH disse ancora a Mosè sul monte Sinai: [2] «Parla agli Israeliti e di' loro ... [26,46] QuESTI ('el/eh) sono gli statuti (l:zuqqfm), le prescrizioni e le leggi che YHWH diede fra sé e gli lsraeliti, sul monte Sinai, per mezzo di Mosè. E YHWH disse a Mosè dicendo: «Parla agli Israeliti e di' loro [27, l-2a] ... [27,34] QuESTI ('el/eh) sono i comandi che YHWH ha ordinato a Mosè per gli Israeliti, sul monte Sinai 13 • Per Luciani la determinazione delle sezioni A, A' e X è possibile a partire da alcuni indizi strutturali: le tre introduzioni narrative all'inizio delle tre sezioni (l, l; 16, l; 25, l) sono amplificate con una determinazione spaziale (A; A') o temporale (X) che non ha paralleli altrove nel Levitico; i brani che chiudono le sezioni estreme (7,35-37; 26,46; 27,34) sono caratterizzati da alcuni elementi comuni, evidenziati graficamente nella tabella soprastante; 13 La traduzione presentata in questo schema non è quella offerta nel commentario, ma è una versione più letterale, che ha lo scopo di evidenziare meglio i parallelismi presenti nel testo.

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il membro che chiude la sezione centrale (16,34b ), con il suo soggetto implicito (sicuramente Aronne, il quale però non è il destinatario primo del discorso), ha caratteristiche particolari, che lo distinguono da tutti gli altri «rapporti di esecuzione» 14 presenti in Levitico; i due versetti che chiudono i capitoli 26 e 27 (26,46; 27,34) sono tra loro paralleli e, posti nel contesto globale della macrostruttura del Levitico, svolgono la funzione sia di concludere la sezione alla quale appartengono, sia di concludere la totalità del libro, così come il brano l, 1-2 ha un valore introduttivo sia per quanto riguarda la sezione alla quale appartengono, sia per quanto riguarda l'insieme del libro. Si può poi notare che in A e A' gli ordini dati a Mosè perché trasmetta le parole divine sono identici: «Parla agli Israeliti e di' loro» (1,2; 25,2; 27,2), mentre l'ordine presente in 16,2 (X) è unico nel suo genere: «Parla ad Aronne tuo fratello». Ancora si può osservare che la sezione A e la sezione A' terminano con una duplice chiusura: «Questa è l'unzione ... »; «Questa è la legge ... » (A: 7,35.37) e «Questi sono gli statuti. .. »; «Questi sono i comandi ... » (A': 26,46; 27,34). Queste due chiusure hanno un vocabolario comune, messo in evidenza nell'impostazione tipografica della tabella precedente. L'espressione «che YHWH ha ordinato a Mosè» nel Levitico compare solo in 7,38; 16,34; 27,34 15 • Avendo così individuato gli elementi iniziali, centrali e finali del libro, può proporre una struttura globale così concepita: A(1,1-7,38) Il sistema sacrificate come modo per mantenere il rapporto tra YHWH e il popolo, messo a rischio dalle trasgressioni di Israele B (8,1-10,20) Consacrazione del santuario e del suo clero (spazio sacro); liturgia inaugurale: trasgressione (fuoco estraneo) e prolungamento legislativo 14 Chiamo così quelle frasi a carattere formulare che spesso chiudono un discorso divino, segnalando che questo è stato riferito al destinatario (cfr. 21 ,24; 23,44;) o che le disposizioni in esso contenute sono state eseguite. Cfr., p. es., 24,23. 15 Per tutta quest'analisi cfr. D. Luciani, Sainteté et pardon. I, cit., 245-334.

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C (11,1-12,8) Gli animali puri e impuri; la puerpera e la circoncisione l'ottavo giorno dalla nascita, condizioni per la santità di Israele D (13,1-15,33) Le impurità che escludono dalla partecipazione alla santità X (16,1-34) Il giorno dell'Espiazione D' (17, 1-22, 16) Le condizioni fisiche e morali per la santità C' (22,17-33) Gli animali sacrificabili; il sacrificio dell'animale l'ottavo giorno dalla nascita, condizioni per la santità di Israele B' (23,1-24,23) L'anno liturgico (tempo sacro); liturgia quotidiana; trasgressione (il bestemmiatore) e prolungamento legislativo A' (25,1-27,34) La proprietà divina della terra e le conseguenze delle trasgressioni di Israele 16 Numerosi elementi legano B e B': B (8, 1-1 0,20):

Consacrazione del santuario (spazio) e del suo clero: sette riti E ali 'ingresso della tenda del/ 'incontro voi risiederete .. , per sette giorni (8,35) Liturgia inaugurale bipartita: sacrifici per il clero e il popolo (9,1-23) Prenditi ... prendete (9,2-3) Trasgressione (profanazione del santuario) e prolungamento legislativo (l O, 1-20) E I FIGLI DI ARONNE, NADAB EABIHU PRESERO ••. (10,1) E MosÈ

UDÌ E GLI SEMBRÒ BENE

(10,20) ...

B' (23,1-27,34):

Anno liturgico (tempo): sette feste (23,1-44) Nelle capanne risiederete per sette giorni (23,42) Liturgia bipartita: le lampade e i pani (24, 1-9) Ordina di prendere per te ... e tu prenderai (24,2.5) 16

Cfr. D. Luciani, Sainteté et pardon. I, cit., 293-325.

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rNTRODUZIONE

Trasgressione (profanazione del nome divino) e prolungamento legislativo (24,20-23) E USCÌ UN FIGLIO DI UNA ISRAELITA (24, l 0) E MosÈ PARLÒ ..• E I FIGLI DI ISRAELE FECERO ORDINATO A MOSÈ (24,23)

COME YHWH AVEVA

Come si può vedere, esiste una corrispondenza tra B e B': in B i riti di consacrazione (in numero di 7) sono interrotti dall'intervento di Nadab e Abihu; quest'episodio permette di chiarificare qualche aspetto del diritto Sacerdotale. Analogamente, in B ', l'istituzione di un .calendario liturgico che determina il tempo sacro (sette feste di cui l'ultima dura sette giorni) precede l'istituzione dei riti dell'accensione delle lampade e della presentazione dei pani, che si svolgono in tempi determinati. A questo succede l'episodio della bestemmia, che introduce una serie di precisazioni riguardanti il diritto penale. I rapporti tra C e C'sono così sintetizzabili:

c (11,1-12,8) Animali puri e impuri; lista degli animali: «Questi sono gli animali che potrete mangiare •.. » (11,2-31) Io sono YHWH vostro Dio, vi santificherete e sarete santi, perché io sono santo; non vi renderete impuri (. . .)perché io sono YHWH che vi ho fatti partire dalla terra d'Egitto per essere Dio per voi; sarete quindi santi perché io sono santo ( 11 ,44-45) QUANDO UNA DONNA PARTORIRÀ .•• SARÀ IMPURA PER SETTE GIORNI ..• L'OTTAVO GIORNO SARÀ CIRCONCISO

(12,1-3)

C' (22,17-33)

Animali sacrificabili e non sacrificabili; lista dei difetti: «Qualsiasi capo in cui ci sia un difetto, non lo presenterete come offerta» (22,17-25) QUANDO È PARTORITO UN BOVINO O UN OVINO O UN CAPRETTO, STARÀ PER SETTE GIORNI SOTTO SUA MADRE, E DALL'OTTAVO GIORNO IN POI

(22,26-27) Io sono YHWH. Non profanerete dunque il mio santo nome così che io venga santificato in mezzo agli Israeliti. Io sono YHWH che vi santifica, colui che vi fa uscire dalla terra di Egitto per essere Dio per voi. Io sono YHWH (22,31 b-33)

SARÀ GRADITO

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Alla lista degli animali impuri in C corrisponde in C'la lista dei difetti che rendono un animale non sacrificabile, Si tratta delle uniche due liste del genere in Levitico. La prescrizione relativa alla puerpera (12,1-3) è formulata in modo evidentemente parallelo a quella relativa ali' età dell'animale sacrificabile, mentre l'esortazione alla santità che in C occupa il centro della sequenza ( 11 ,44-45), è parallela a quella di C' (22,31b-33), dove assume un valore conclusivo. Anche D e D'hanno numerosi punti di contatto. D (13,1-15,33)

Quando sulla cute di UN ESSERE UMAN0 ... (13,2). [DEGENERAZIONE DELLA PELLE E DEI TESSUTI: DIAGNOSI]

(L 'affetto da desquamazione) porterà le vesti strappate, la sua capigliatura rimarrà scompigliata ••• griderà: «Impuro! Impuro!>>. Abiterà separato: la sua residenza si troverà fuori dall'accampamento (13,45-46) Questa è l'istruzione sulla piaga di desquamazione( ... ) per dichiararlo puro o impuro (13,59) Questa è l'istruzione ... (14,1-2) [PURIFICAZIONE DI CHI È COLPITO DA DESQUAMAZIONE: RITUALE]

Questa è l'istruzione ... (14,32) Quando arriverete •.. (14,33-34) [DEGENERAZIONE DELLA CASA: DIAGNOSI E RITUALE]

Questa è l'istruzione ... per indicare in quale momento qualcosa è impuro e in quale momento è puro ( 14,54-57) Farete così tenere lontani (nzr) gli Israeliti dalla loro impurità e non moriranno per essa, cioè per il fatto che rendono impura la mia Dimora, che si trova in mezzo ad essi (15,31) D' (17,1-22,16)

QUALSIASI UOMO ... ( 18,6) [CONDOTTE SESSUALI ILLECITE, SACRIFICIO A MOLEK: AVVERTIMENTO]

Non rendetevi impuri con tutte queste cose•.. Voi osserverete i miei statuti e le mie regole ... senza mettere in pratica nessuno degli statuti abominevoli che vengono messi in pratica davanti a voi, così da rendervi impuri a causa di questi ••. (18,24-30)

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Parla a tutta la comunità di Israele e spiega loro: Sarete santi, perché santo sono io, YHWH vostro Dio. Ognuno abbia riverenza ... io sono YHWH vostro Dio (19,1-3) [SANTITÀ PER TUTTI]

osserverete tutti i miei statuti ... li eseguirete ( 19,3 7)

Dirai anche agli Israeliti: CIITUNQUE TRA GLI lsRAELm ••• (20,1-2) (SACRIFICIO A MOLEK E CONDOTTE SESSUALI ILLECITE: CASTIGO]

Ma voi osserverete tutti i miei statuti e tutte le mie regole e li eseguirete ... e voi distinguerete tra i quadrupedi puri e quelli impuri, tra i volatili impuri e quelli puri. .. ciò che ho distinto per voi, dichiarandolo impuro (20,22-25) (Il sacerdote unto) non scompigli la sua capigliatura, non strappi le sue vesti, non entri al cospetto di cadaveri e nemmeno per suo padre o sua madre si renda impuro. Non esca dal santuario ••. (21,10-12) Parla ad Aronne e ai suoi.figli perché abbiano un atteggiamento riverente (nzr) verso le (offerte) sante degli Israeliti- e non profanino il mio santo nome-, ciò che essi mi consacrano (22,2) Lo schema permette di evidenziare la somiglianza di struttura delle due sezioni: entrambe sono composte da un chiasmo (13,114,571!20,1-25) e sono chiuse da un'istruzione che presenta un'occorrenza del verbo nzr ali' hifil ( 15,31 e 22,2); si tratta delle due uniche occorrenze di questo verbo in Levitico. 15,31 è verosimilmente un'aggiunta editoriale di H 17 , che avrebbe così inteso introdurre questo riferimento per sottolineare il rapporto tra le due sezioni. Anche 13,45-46, che presenta i divieti che colpiscono chi è affetto da desquamazione, è parallelo a 21,10-12, che precisa l'obbligo del sommo sacerdote di astenersi dai riti del lutto: ciascuno degli atteggiamenti imposti al malato è strettamente proibito al sacerdote; entrambi poi sono segregati, questi all'interno del santuario, quello fuori dali' accampamento. H collegamento tra le due sezioni mette così in rilievo il rapporto tra impurità 17 Cfr. I. Knohl, The Sanctuary ofSilence: The Priestly Torah and the Holiness School, Eisenbrauns, Winona Lake (IN) 2007 2 , 69-70.

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e santità. La sezione D presenta i casi più violenti di impurità, come quello del malato di desquamazione e i casi di impurità sessuale del capitolo 15; non evidenziato nello schema soprastante perché non fornisce paralleli formali con la sezione D', anche se contenutisticamente è molto legato. I più gravi di questi casi (la desquamazione e le affezioni sessuali) comportano un'impurità del santuario, che è espiabile con un sacrificio. Il pericolo di queste situazioni consiste nel fatto che vengano trascurate le norme per la loro purificazione. In questo caso l'impurità dell'altare, che dovrebbe essere tolta dal sacrificio, vi rimane e costituisce un pericolo per la permanenza di YHWH nel santuario. Nella sezione D', dopo una trattazione relativa ai sacrifici, in particolare almodo con cui essi agiscono per mezzo dell'applicazione del sangue all'altare (c. l 7, anch'esso non evidenziato nello schema per lo stesso motivo del c. 15), il testo prende in considerazione colpe contro la santità, che, oltre a implicare in molti casi la morte civile del colpevole (karet nell'ebraico posteriore) hanno come conseguenza la contaminazione dell'altare. Tale contaminazione, non remissibile da parte del responsabile con un sacrificio, costituisce anch'essa un pericolo per il santuario, come verrà precisato più sotto con ulteriori dettagli. Il capitolo 16, con il rito di yom kippur (il «giorno dell'Espiazione»), è posto al centro di questa struttura: con esso vengono eliminate tutte quelle impurità che potrebbero mettere a rischio la presenza di Y HWH. Come si vede da questa sintesi, Luci ani stabilisce. i rapporti tra le diverse sezioni non semplicemente da un punto di vista contenutistico, ma soprattutto sottolineando rapporti formali, come parallelismi, riprese di vocaboli e altri elementi che mostrano l'esistenza di legami significativi anche tra sezioni che, dal punto di vista del contenuto, non sembrerebbero essere, di primo acchito, caratterizzate da particolari somiglianze. Si tratta di un fenomeno comune nelle analisi basate sul modello dell'analisi retorica, che, evidenziando elementi di forma, scoprono nel testo relazioni altrimenti non percepibili. Le brevi descrizioni che ho aggiunto allo schema di Luciani evidenziano questo tipo di rapporti.

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Lingua e stile La lingua del Levitico è l'ebraico letterario classico; gli aramaismi sono praticamente assenti. Lo stile è quello caratteristico dei testi Sacerdotali: amante delle ripetizioni, degli elenchi e della precisione, caratterizzato da un linguaggio tecnico in cui la presenza di parole che potrebbero essere considerate sinonime in realtà riflette la ricerca di un linguaggio univoco e tecnico. Il patetismo oratorio che si trova in altri libri del Pentateuco, come, per esempio, nel Deuteronomio, è assente nei testi Sacerdotali; anche le riflessioni teologiche sono ridotte al minimo. I due unici veri intermezzi narrativi che non raccontino lo svolgimento di un rito (10,1-5; 24,10-23), pur riferendo di incidenti molto gravi, limitano i mezzi espressivi al minimo indispensabile. Dove il redattore del Levitico rivela la sua maestria letteraria è nella strutturazione accurata del testo per mezzo di rimandi e ricorsività che mettono in relazione gli elementi diversi, istituendo connessioni significative tra elementi in apparenza tra loro scollegati.

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

È volontà di YHWH di abitare in mezzo al suo popolo (cfr. Es 25,8: «io dimorerò in mezzo a loro»); lo scopo del Levitico è di assicurare gli strumenti per mezzo dei quali Israele possa essere delimitato rispetto all'ambiente esterno e formare così un popolo separato, per poter accogliere l'abitazione di Dio. Il principale strumento con cui viene ottenuto questo scopo sono le leggi di purità, che permettono al popolo di formare, attorno al santuario, una sorta di «zona di protezione>>, profana ma caratterizzata dalla purità, che protegga il santuario, sfera della santità, dal venire a contatto con l'impurità del mondo esterno, cosa che rischierebbe di compromettere la presenza di YHWH in mezzo al suo popolo e dunque l'esistenza stessa di Israele. Nel sistema sacerdotale tuttavia, non è tanto l'impurità in sé ad essere pericolosa, ma la trasgressione della Legge. L'impurità in quanto tale, infatti, finché rimane in un ambito di normalità e non deborda nella sfera morbosa (come è il

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caso della malattia di desquamazione o dei flussi sessuali irregolari) o in quella della morte (come nel caso dell'impurità da contatto da cadavere) può essere eliminata tramite semplici riti di abluzione o addirittura per mezzo del passare del tempo; anche quella morbosa viene allontanata, sia pur con un rito più complesso che prevede un sacrificio, e così è resa innocua. Ciò che è veramente pericoloso è invece l'impurità che non viene eliminata nel tempo o con la modalità prescritta, per qualsiasi motivo ciò accada. L'ipotesi peggiore è che qualcuno trascuri volontariamente il precetto divino, non compiendo correttamente la purificazione, ma si può anche dare il caso che tale trascuratezza avvenga per inavvertenza o per ignoranza. In questo caso la teologia sacerdotale- per la quale, evidentemente, il concetto di peccato come è percepito nella nostra visione morale non può essere applicato, ma occorre ricorrere a quello, più ampio, di trasgressione - prende in considerazione soltanto la violazione in quanto tale della norma divina, che ha delle conseguenze nefaste, rendendo il santuario inadatto a ospitare la presenza di YHWH (cfr. Lv 16,16). Le conseguenze sul trasgressore variano certamente a seconda della sua coscienza o volontà, ma quello che importa veramente sono le conseguenze che la trasgressione ha sul santuario e sulla presenza divina. Il testo passa dal prendere in considerazione l'impurità causata da certe sorgenti, pericolosa solo se trascurata con violazione della norma divina, a un altro tipo di impurità, non provocata all'uomo dal fatto di venire a contatto con una sorgente dell'impurità stessa, ma provocata al santuario dalla trasgressione di qualsiasi altra norma divina, come quelle contenute nella parte etica del Codice di santità (cc. 18-20). L'atto dell'Israelita che trasgredisce, volontariamente o meno, una norma divina, ha come conseguenza il rischio di allontanamento di YHWH dal suo santuario, a meno che tale impurità non venga rimossa da un'appropriata procedura sacrificale. L'impurità ha dunque anzitutto una caratteristica relazionale: si definisce in rapporto con YHWH e con l'alleanza che egli ha con Israele, e diviene veramente pericolosa quando, coniugandosi con una trasgressione, anche se involontaria o inconsapevole della Leg-

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ge, pregiudica la fedeltà di Israele ali' alleanza. Il modo con cui la nefasta influenza delle trasgressioni degli Israeliti viene rimossa nel rito sacrificale è senza dubbio l'applicazione del sangue inteso come detergente rituale, ma non bisogna escludere che questo sangue abbia anche il valore di sostituzione della vita del trasgressore con il sangue della vittima sacrificale «che è la vita» (cfr. 17, Il), e di riparazione dell'offesa fatta alla divinità, che si accontenta di una compensazione sacrificale da lui stesso stabilita invece di esigere la vita del trasgressore. Il sistema sacrificale, che viene trattato all'inizio del Levitico (cc. 1-7) è inscindibilmente connesso con la relazione di Israele verso YHWH e dunque con il sistema di purità, che ingloba anche l'aspetto morale. Il sacrificio serve a riconoscere la relazione di alleanza (olocausto), a rafforzarla, permettendo a Israele una sorta di «commensalità» con il proprio Dio nella condivisione di parti diverse della stessa vittima (sacrifici di comunione). Tale «commensalità» non deve però essere intesa come se il sacrificiQ di comunione costituisse un reale banchetto offerto alla divinità, come invece accadeva in molti casi nella tradizione religiosa dei popoli vicini. In effetti all'interno della «dimora» non erano presentate vere e proprie offerte sacrificali: l 'unico luogo in cui le offerte, sia vegetali che animali, vengono presentate è l'altare esterno. La pratica sacri-ficale del Levitico sembra voler porre deliberatamente fra parentesi l'aspetto alimentare dei sacrifici, cosicché è possibile vedere nelle espressioni che si riferiscono al culto sacrificale, come al «cibo» di Dio (22,25) oppure al «profumo gradevole» (l, 17), soltanto resti di un uso linguistico precedente, alla stessa stregua del vasellame posto sulla tavola dei pani, ma non più effettivamente adoperato (cfr. Es 25,29). A sostegno di quest'interpretazione si può citare il fatto che la carne bruciata sull'altare non riceve una preparazione culinaria, cosa che invece troviamo nei paralleli vicino-orientali. Questa differenza rituale distingue il sacrificio israelitico da quello cananeo e, sorprendentemente, lo avvicina alle pratiche sacrificali elleniche. Nel rituale del Levitico è obbligatorio lessare nella pentola le parti che devono essere consumate dagli offerenti, dunque quanto è offerto sull'altare non subisce lo

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stesso trattamento di quanto viene consumato nel banchetto sacro. Si può sottolineare che, se il sangue è sparso e se il grasso è bruciato sull'altare, ciò non accade perché YHwH se ne nutra, ma perché il sangue e il grasso appartengono soltanto a YHwH, quali simboli della vita e della floridezza dell'animale 18 • Secondo quanto stabilisce Lv l 7, 14 il sangue è la vita, dunque appartiene a Dio e non ali 'uomo. Analogamente il grasso è riservato esclusivamente a YHwH, e l'uomo non se ne può cibare (cfr. 3,17; 7,23-25). È inoltre significativo che, nel sacrificio di comunione, solo il sangue e il grasso siano offerti a YHWH, escludendo ogni tipo di carne: non è un pasto che Dio condivide con i suoi fedeli. Vedremo che anche nel caso del sacrificio per la trasgressione vige la medesima regola: a Dio va tutto il grasso della vittima, bruciato sull'altare, mentre la carne è di esclusiva pertinenza dei sacerdoti, dato che il sacrificio è in favore di un offerente colpevole, per il quale un banchetto festivo non avrebbe senso. Significativamente, nel sacrificio del giovenco per il peccato del sommo sacerdote o di tutta la comunità di Israele (4,1-21 ), la carne, che non può essere consumata dal sacerdote perché in entrambi i casi è lui l'offerente colpevole, da solo o in quanto parte della comunità-, viene bruciata fuori dell'accampamento, ma sull'altare viene posta solo la parte grassa, come negli altri sacrifici per la trasgressione. È chiaro che vi è un rapporto stretto tra l'idea di sacrificio e quella di alimentazione: possono essere offerte soltanto vittime pure, di cui ci si possa nutrire. Occorre tuttavia osservare che le vittime possono essere solo animali domestici; la cacciagione, benché adatta all'alimentazione, non è adatta al sacrificio: è di qualcosa di sua proprietà che l 'uomo si deve privare per offrirlo a Dio, dunque già in partenza il problema non è semplicemente quello di «nutrire Dio». Anche le oblazioni che vengono offerte obbligatoriamente insieme agli olocausti e ad altri sacrifici (Nm 15,1-12) sono composte semplicemente di farina e olio, mescolati in maniera da formare una 18 Ancora oggi, nelle culture semitiche le parti grasse sono considerate i bocconi prelibati del pasto, riservati ali' ospite. In ogni caso, nel sacrificio israelitico, essi non subiscono una cottura e una preparazione, ma sono semplicemente bruciati.

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pasta, dunque qualcosa che non può essere definito un cibo vero e proprio. Sull'altare vengono poi presentate anche offerte vegetali composte solo di farina su cui è stato versato dell'olio (Lv 2,1-3). È vero che sono ricordati anche vari casi di offerte vegetali sotto la forma di pani o di altri tipi di focacce, in ogni caso sempre azzimi; tuttavia la maggior parte di tali offerte è di fatto consumata dal sacerdote, mentre ciò che viene effettivamente bruciato sull'altare è in genere una quantità simbolica (un pugno) che riceve il significativo nome di «commemorazione» (2,2) a sottolineame la funzione: non è qualcosa di cui YHWH si cibi, ma piuttosto un modo per ricordare l'offerente davanti a lui. Ciò che viene offerto in sacrificio sono i prodotti principali più simbolici della terra d 'Israele, spesso usati per descrivere le qualità della terra stessa: il bestiame, i cereali, l'olio d'oliva e il vino, impiegato per le libagioni anch'esse regolarmente comprese nel culto. A seconda dello stato di preparazione delle offerte: materia prima (farina e olio), semi lavorato (pasta all'olio) o pane vero e proprio, l'idea di un cibo offerto a Dio sarà poi più o meno sottolineata, ma tale aspetto non sarà mai prevalente. In ogni caso resterà evidente il significato simbolico di tutto ciò: quanto è trasmesso a Dio attraverso il fuoco è solo un memoriale. Anche ciò che dell'animale sacrificato viene bruciato sull'altare (a parte il caso dell'olocausto) sembra obbedire alla stessa regola. Si tratta di parti grasse, segno che ciò che si offre non sono animali magri e scadenti: per Dio ci si priva della parte migliore del gregge, ossia dei capi più grassi. Certo, il significato simbolico del sacrificio come pasto comune tra l'uomo e la divinità dev'essere mantenuto, almeno nei suoi aspetti positivi, come la sottolineatura dell'armonia comunitaria e della benedizione fisica derivante dal pasto sacrificale. Ma nella tradizione Sacerdotale contenuta nel Pentateuco quest'aspetto non è posto in rilevo; in ogni caso, è rilevante il fatto che le parti riservate a YHWH siano diverse da quella consumate dagli Israeliti e, nel caso delle offerte vegetali, non si presentino nemmeno come un cibo propriamente detto. Esse sono poi obbligatoriamente offerte prima della preparazione della carne per il banchetto sacro, e questo sfuma ancor di più l'aspetto «alimentare» del sacrificio.

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Il sistema sacrificale ha anche la fondamentale funzione di ricostituire la relazione di alleanza quando la trasgressione per inavvertenza o involontaria della Legge l'abbia messa in pericolo, rischiando l'allontanamento di YHwH dal santuario. Cuore dell'alleanza è infatti proprio quest'abitazione: i sacrifici hanno lo scopo di riconoscerla e celebrarla (olocausto), di viveme gli aspetti gioiosi, che si spingono fino alla soglia di una commensalità con Y HWH (sacrifici di comunione), e di ricostituirla, quando sia stata messa in discussione dalle trasgressioni alla Legge. Quest'ultima funzione è svolta dai sacrifici con valore espiatorio, per mezzo dell'applicazione del sangue della vittima sull'altare, concesso per un'esplicita disposizione di YHWH (cfr. 17,11). Rimane tuttavia un grave rischio per il popolo di Israele: le trasgressioni che passano inosservate, e che dunque non possono essere espiate con un particolare sacrificio, e quelle causate da un atto deliberato, le quali non possono essere espiate dal colpevole perché non sono remissibili per mezzo di un sacrificio (cfr. N m 15,30-31 ), si accumulano pericolosamente sul santuario e sull'altare e sfiorano la stessa arca dell'alleanza. Il rito diy6m kippur elimina tutte le restanti impurità, assicurando la permanenza di Y HWH nel suo santuario e la continuità della sua relazione di alleanza con Israele (cfr. Lv 16,16). In tutta questa complessa concezione- che, come si è visto, non regola solo l'aspetto «rituale» della vita di Israele, ma si estende a tutte le sue relazioni con Dio e con il prossimo, elevando la trasgressione nei confronti del prossimo a pericolo che mette in discussione l'alleanza stessa tra YHWH e il suo popòlo- il sacerdozio ha una funzione essenziale: è la grande mediazione che rappresenta il popolo davanti a Dio, attraverso il sistema simbolico delle vesti sacerdotali minuziosamente descritte in Es 28, e Dio davanti al popolo, compiendo i sacrifici e gli altri atti del culto quotidiano e interpretando per il popolo la Legge dell'alleanza. La concezione sacerdotale mette così in rilievo il proprio teocentrismo: il sacerdozio infatti non è istituito dal popolo o da un re; è lo stesso YHWH che sceglie una famiglia e la costituisce nel ruolo sacerdotale per mezzo di un rito in cui Mosè funge da mediatore (Es 29; Lv 8). È

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un ruolo di responsabilità estrema, non esente da rischi gravi, che possono giungere fino alla morte, come l'incidente narrato in Lv l O, 1-7 mostra in modo eloquente. Per l'esercizio di tale responsabilità, che comporta l'avvicinamento alla sfera più intima della santità, il sacerdote deve mantenersi in uno stato di purità particolarmente irreprensibile ed è dotato da YHWH stesso di vesti sacre che lo proteggano da ogni rischio di irriverenza, che porterebbe alla morte (cfr. Es 28,35.43). Da quanto esposto risulta chiaro come il concetto che sta a fondamento della teologia sacerdotale sia l'idea dell'alleanza: stretta da YHWH con Israele al Sinai e condizionata, dal punto di vista di Israele, dali' osservanza della Legge non è una realtà stati ca, ma dinamica e relazionale. Sempre Israele deve provare la sua fedeltà ad essa, attraverso l'osservanza della Legge, e sempre YHWH è quasi costretto a fornire al suo popolo i mezzi per ricostituirla, per un disegno di fedeltà al proprio piano di salvezza. Lo scopo dell'alleanza è poi descritto in particolare dal testo Sacerdotale di Es 29,45-46: «lo dimorerò in mezzo ai figli di Israele e sarò Dio per loro, e riconosceranno che io sono YHWH loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro». Il libro del Levitico si comprende alla luce di questa volontà di YHWH di rendere possibile la propria abitazione in mezzo al suo popolo.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

Il libro del Levitico e, più in generale, i testi Sacerdotali, hanno come ovvio destinatario un pubblico interessato alle questioni rituali, trattate da un punto di vista tecnico-liturgico; tale pubblico è chiaramente composto da personale di classe sacerdotale. Sarebbe tuttavia un errore considerare tali testi alla stregua di un Codice rubricale; ciò risulta evidente dal fatto che, in molti casi, come, per esempio, per il giorno dell'Espiazione, i minuziosi riti previsti non sono descritti nel loro svolgimento, così da lasciare ampio margine ad ambiguità e dubbi interpretativi. Una gran parte dei testi Sacerdotali, poi, non riguarda questioni di carattere liturgico, ma si occupa di problematiche morali o legate al concetto di

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purità che, assumendo la funzione di una sorta di confine spirituale di Israele e regolandone la vita interna, vogliono descrivere il popolo come la nazione santa in mezzo alla quale YHWH può abitare. In questo senso il corpus Sacerdotale, conservando la sua primaria caratteristica di codice legislativo, si presenta come una riflessione teologica, rivolta al personale sacerdotale e destinata non solo a tramandare leggi e riti, ma anche a descrivere una concezione della realtà, ordinata alla presenza di YHWH, che, a partire dal santuario, determina la visione stessa del cosmo come di un insieme composto di sfere differenziate e caratterizzate dalla loro prossimità o lontananza dalla presenza di YHwH: un ambito di ciò che è impuro e non può mai venire a contatto con la realtà sacra, una sfera della profanità pura, una sorta di zona di rispetto che separa l'impurità dalla realtà sacra e, infine, una sfera sacra, connessa direttamente alla presenza di YHWH. I testi Sacerdotali hanno appunto lo scopo di istruire i sacerdoti, custodi di quest'ordine, a eseguire il loro compito, che è quello di distinguere «tra il sacro e il profano, tra l'impuro e il puro» (10,10), di istruire il popolo di Israele a osservare queste distinzioni, e ad apprestare gli opportuni rimedi, tramite i riti di purificazione e il sistema sacrificale, qualora tali separazioni siano venute meno, al fine di permettere a Israele di prestare a YHWH un culto che riconosca e attualizzi l'alleanza. La domanda sull'epoca in cui le tradizioni sacerdotali sono state fatte oggetto di questa sistematizzazione, che è insieme anche una rilettura teologica, ha accompagnato gli stessi primi passi dell'esegesi scientifica moderna. A un'epoca precritica, che dava per scontato il ruolo di Mosè come autore del Pentateuco, e dunque anche degli scritti Sacerdotali, si è passati a una visione più realistica, che tenta di individuare nella storia di Israele un'epoca in cui collocare plausibilmente la redazione del corpus e di farsi un'idea più precisa dei suoi rapporti con il resto del Pentateuco. L'ipotesi di J. Wellhausen Come è noto, l'idea tuttora maggioritaria a proposito dell'insieme cultuale descritto nei testi Sacerdotali può essere fatta risalire

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a J. Wellhausen (1844-1918) 19 , il quale attribuiva a un'epoca postesilica la redazione della tradizione Sacerdotale e, in particolare, considerava tutta la descrizione contenuta nel libro dell'Esodo e presupposta dal Levitico come la proiezione nell'epoca del viaggio nel deserto del tempio di Gerusalemme. L'ipotesi di Wellhausen non va esente dal sospetto di essere guidata da pregiudizi teologici, in particolare quando egli interpreta la fissità rubricistica delle prescrizioni liturgiche e l'enfasi portata sui riti di purificazione come indizi di un'epoca tardiva. In effetti tutti quegli aspetti considerati «tardivi» trovano puntuale rispondenza in testi cultuali vicinoorientali anche assai antichi. In particolare, rituali di purificazione ed espiazione sono caratteristici del culto ufficiale in tutta la Mesopotamia, l'Asia Minore e la Siria settentrionale fin dal secondo millennio a.C. L'ossessione per l'impurità, descritta da de Vaux come caratteristica dell'epoca postesilica, è in realtà documentata in tutto il Vicino Oriente antico in epoca ben più arcaica20 • L'allarme a proposito dell'assoluta indiscutibilità dell'ipotesi critica tradizionale era già stato lanciato nel1947 da F.M. Cross21 , il quale sottolineava come svariati elementi della tradizione Sacerdotale facciano pensare alla presenza di informazioni storiche preesiliche e identificava la «dimora» di cui parla la tradizione Sacerdotale con la tenda sotto la quale David alloggiò l'arca dopo averla trasportata a Gerusalemme (cfr. 2Sam 6, 17). Più recentemente sono stati fatti studi volti non solo a rivalutare la tradizione Sacerdotale dal punto di vista dell'antichità delle informazioni di cui è in possesso, cosa che ormai è generalmente ammessa, ma ad attribuire la sua stessa redazione a un'epoca precedente l'esilio. M. Haran, nel suo volume sul culto nell'antico Israele, sottolinea come alla tesi tradizionale sia sottesa una filosofia della storia di tipo he19

J. Wellhausen, Prolegomena zur Geschichte Jsraels, Reimer, Berlin 1883.

° Cfr. R. de Vaux, Le istituzioni dell'Antico Testamento, Marietti, Casale Monferrato

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19773, 448. Per una valutazione su quest'aspetto cfr. M. Weinfeld, «Social and Cultic Institutions in the Priestly Source Against their Ancient Near East Background», in D. Krone (ed.), Proceedings ofthe 8th World Congress ofJewish Studies. Pane/ Sessions: Bible studies and Hebrew Language, Magnes Press, Jerusalem 1983, 95-129. Cfr. soprattutto pp. 114-115. 21 F.M. Cross, «The Tabernacle. A Study from an Archeologica! and Historical Approach», Biblica/ archaeologist IO (1947) 45-68.

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geliano, che vede il sorgere della tradizione Sacerdotale come uno sviluppo dialettico rispetto alla fonte Deuteronomistica22 , e afferma inoltre che in realtà le condizioni storiche che hanno favorito il sorgere della tradizione Sacerdotale sono identificabili molto di più nel periodo preesilico, come pure al periodo preesilico deve essere riferita la totalità dei materiali e delle tradizioni in essa presenti e dunque anche la sua cristallizzazione letteraria. La tradizione Sacerdotale sarebbe il prodotto di un circolo sacerdotale desideroso di opporsi a una situazione cultuale e religiosa giudicata irregolare e innovativa attraverso la puntualizzazione di una tradizione più antica proiettata in un passato normativo23 • I realia e la loro antichità Al sospetto di non antichità non sono naturalmente sfuggiti i realia, ossia gli oggetti concreti descritti nel testo, soprattutto nel libro dell'Esodo. Nonostante si tratti di una problematica che non riguarda direttamente il contenuto del Levitico, occorre soffermarvisi a causa degli stretti legami formali e contenutistici che uniscono i due libri. Per quanto riguarda la «dimora», si è spesso affermato che la descrizione che si trova in Es 26 sia contraddittoria e che una simile costruzione non possa esistere nella realtà24 • Tale affermazione urta contro una facile obiezione: il testo in questione non è un progetto architettonico, ma un testo liturgico, e in ogni caso i rimandi a un modello, comunque debbano essere interpretati, impediscono di cercare nel testo più di quanto esso stesso afferma di contenere. In ogni caso tentativi di prendere seriamente in considerazione le obiezioni tecniche alla fattibilità della «dimora» hanno mostrato che il testo è certo incompleto e oscuro in molti particolari, ma che in esso non si trova nulla di veramente irrealistico che 22 Cfr. M. Haran, Temples and Temple-Service inAncient lsrael, Clarendon Press, Oxford 1978, 6-7. 23 Cfr. lvi, p. 8. Haran individua l'origine di questa tradizione più antica in una "leggenda" riguardante il santuario di Shilo trasposta in chiave gerosolimitana; cfr. lvi, pp .. 198-200. Cfr. anche M. Haran, «Shiloh and Jerusalem: the -Origin of the Priestly Tradition in the Pentateuch», Journal of Biblica/ Literature 81 (I 962) 14-24. 24 Si può citare, p. es., M. Gorg, «Das Zelt der Begegnung: Untersuchung zum Gestalt der sakralen Zelttraditionen Altisraels», Banner biblische Beitriige 27 (1967), soprattutto le pp. 30-32.

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si opponga di per sé alla realizzabilità di una simile costruzione25 • Vale la pena di prendere in considerazione più da vicino il caso della «dimora» descritta in Es 26, perché, mentre le descrizioni degli oggetti di culto sono state spesso considerate tardive, ma in ,un certo modo rispondenti a qualcosa che a una determinata epoca dovette essere esistito, questa descrizione è stata la più attaccata ed è stata indiscriminatamente accusata di essere un'utopica proiezione nel deserto degli splendori del secondo tempio. In effetti, già da parecchio tempo si sono cercati paralleli antichi che potessero gettare luce sulla «dimora». È stata spesso evidenziata l'esistenza, presso numerose tribù semitiche, di tende sacrali collegate con attività oracolari e cultuali e destinate a offrire un rifugio per i betili, ossia le pietre sacre, della tribù26 • Tali tende sopravvivevano fino a tempi recenti presso alcune tribù beduine e la tenda che ricopre attualmente l'edificio sacro della Mecca sarebbe l 'ultimo residuo di questa tradizione. Si è anche fatto osservare che la descrizione della «dimora» come appare nel nostro testo concorda con quanto sappiamo di manufatti e di tecnologie dell'età del bronzo27 • In particolare padiglioni formati da strutture lignee dorate, presumibilmente ricoperti da tendaggi, erano di uso comune in ambito tanto sacro che profano in Egitto e ne sono stati ritrovati esemplari risalenti addirittura alla IV dinastia (2600 a.C. circa) e forse alla I dinastia (2900 a.C. circa); alcuni di questi manufatti sono legati a rituali di purificazione connessi con la mummificazione28 . Più interessanti per il nostro argomento sono i paralleli letterari che è possibile trovare nei testi di Ugarit del secondo millennio a.C.: El, il grande dio creatore cananeo, vive alla sorgente delle acque cosmiche in una tenda posta su una montagna, descritta con un 25 Cfr. B. Pelzl, «Das Zeltheiligtum von Ex 25ff. Die Frage nach der Moglichkeit selner Errichtung», Ugarit-Forschungen 7 (1975) 379-387. 26 Cfr. J. Morgenstem, «The Ark, the Ephod and the "Tent ofMeeting"», Hebrew Union College Annua/ 17 (1943) 153-265; 18 (1944) 1-52. L'autore identifica la cosiddetta Qubbah piuttosto con l'arca dell'alleanza, che per lui ha la forma di una tenda. 27 Cfr. K.A. Kitchen, «The Tabemacle: A Bronze Age Artefact», in S. Ahituv - B.A. Levine (ed.), Avraham Ma/amat Volume, Israel Exploration Society, Jerusalem 1993, 119*-129*. 28 Cfr. J.K. Hoffmeier, «The Possible Origins ofthe Tent ofPurification in the Eg)rptian Funerary Cui t», Studien zur altiigyptischen Kultur 9 ( 1981) 167-177.

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vocabolario che ritroviamo anche nel testo di Esodo. Probabilmente è in questa tenda di El che si riunisce il m6 'idi degli dèi2 9 , parola evidentemente connessa con l'espressione ebraica ('6hef) ma 'ed, «tenda dell'incontro» che designa il santuario portatile descritto nel libro dell'Esodo e presente in tutto il Levitico. R.J. Clifford ha avanzato l'ipotesi che quello che nel culto cananeo e nella mitologia era il luogo dell'assemblea degli dèi, sia divenuto per la tradizione Sacerdotale il luogo dell'incontro tra Dio e il suo popolo; ha inoltre fatto osservare che, mentre sono stati trovati santuari dedicati a Baal o a Dagon, finora non vi è alcun esempio di santuario dedicato a El, il che farebbe supporre che il santuario tipico di El fosse una struttura meno stabile. Haran suggerisce che in realtà anche il santuario di Shilo sarebbe stato non tanto una costruzione in muratura ma una struttura simile alla «dimora»30 • Qualunque cosa si pensi di tali ipotesi, bisogna far notare che l'idea che in questi contesti culturali e religiosi si preferisse una struttura cultuale a tenda piuttosto che un tempio è notevolmente rafforzata dai paralleli letterari citati sopra e forse anche dal parallelo archeologico fornito dal tempio di Timna nel Negheb, dove un piccolo tempio egiziano fu riadattato alle esigenze cultuali dei nuovi occupanti midyaniti, che lo ricoprirono con una grande tenda sostenuta da pali di legno31 • La descrizione della «dimora» che si trova nel libro dell'Esodo, a cui bisogna far comunque riferimento anche parlando del Levitico, più che essere una costruzione artificiale, sembra tramandare il ricordo di un uso cultuale assai diffuso in tutto il Vicino Oriente antico e considerato talmente importante che non si esitava a conformare ad esso anche un tempio preesistente. L'idea che si tratti del ricordo di una realtà effettivamente esistita è forse più plausibile dell'idea di una semplice costruzione letteraria pur basata su dati antichi, e ciò perché la natura di un testo liturgico comprende una 29 Cfr. R.J. Clifford, «The Tent ofEl and the lsraelite Tent ofMeeting», Catholic Biblica/ Quarterly 33 (1971) 221-227. Cfr. anche U. Cassuto, A Commentary o n the Book ofExodus, Magnes Press, Jerusalem 1967, 322. 3°Cfr. M. Haran, Temples, cit., 201. 31 Cfr. B. Rothenberg, The Egyptian Mining Tempie at Timna, IAMS, London 1988, 277-278.

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forte dose di conservatorismo: molto spesso infatti, e soprattutto neli' antichità, la liturgia è costellata di riti e di testi ripetuti per la loro venerabile arcaicità anche quando il loro senso esatto ormai sfugge, e di oggetti conservati per lo stesso motivo. Vi è certo nel nostro testo una buona dose di utopia e soprattutto la presenza contemporanea di elementi venuti da storie e da tempi diversi, ma l'insieme è la realizzazione di una continuità32 e in quanto tale è dotato di una sua coerenza. Quale sia poi il ricordo storico tramandato, se la tenda di David, come pensava Cross, o piuttosto il tempio di Shilo, se si segue l'ipotesi di Haran, è difficile da precisare. L'argomento linguistico Accanto a queste considerazioni di tipo archeologico, vi sono anche alcuni dati linguistici che potrebbero far propendere per l 'idea di una più alta antichità almeno di una buona parte del testo della tradizione Sacerdotale. Alcuni studiosi hanno osservato che la tradizione Sacerdotale testimonia una situazione linguistica più antica rispetto a quella che è possibile ritrovare in testi chiaramente più tardivi, quali Ezechiele, Esdra-Neemia e Cronache, e che numerosi tecnicismi Sacerdotali caratteristici della letteratura tardiva, tanto biblica che postbiblica, non sono presenti in essa33 • J. Milgrom, nel suo commentario al Levitico 34, riprendendo alcuni suoi studi precedenti, ha dato una formulazione rilevante a questo argomento. Prendo in considerazione un esempio particolarmente interessante tra i tanti forniti da Milgrom. Il sostantivo 'iiboda ricorre settanta volte nella tradizione Sacerdotale e significa sempre «lavoro fisico». I leviti, sotto pena di morte, non possono svolgere 32 Un esempio non troppo lontano da noi è quanto vediamo in Roma alla Confessione di S. Pietro dopo i recenti scavi archeologici, oppure a Gerusalemme nella basilica della Risurrezione. 33 Cfr. A. Hurvitz, «The Evidence ofLanguage in dating the Priestly Code: A Linguistic Study in Technical Idiorns and Terminology», Revue biblique 81 (1974) 24-56. Cfr. anche Id., «The Language of the Priestly Source and its Historical Setting; the Case for an Early Date», in D. Krone (ed.), Proceedings of the 8th World Congress of Jewish Studi es, ci t., 83-94; nonché, «Dating the Priestly Source in Light of the Historica! Study of Biblica! Hebrew; a Centennial after Wellhausen», Zeitschrift fiir die alttestamentliche Wissenschaft l 00 supplement ( 1988) 88-100. 34 J. Milgrom, Leviticus 1-16, Doubleday, New York 1991,3-13.

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atti cultuali (cfr. Nm 18,3-4), e possono solo compiere la 'iiboda consistente nel rimuovere la dimora, una volta che essa sia stata smontata dai sacerdoti (cfr. N m 4,4-15). La 'iiboda in questo contesto è un servizio che si caratterizza per non essere sacerdotale. Nei testi cultuali postesilici (Esdra, Neemia, Cronache) invece accade il contrario: 'iiboda è il termine tecnico per indicare il servizio sacerdotale che i leviti non possono fare. La conclusione che si può trarre è che ·saremmo qui di fronte a un processo di tecnicizzazione del linguaggio: dal significato generico del sostantivo si passerebbe a un senso tecnico. È rilevante osservare che nella cosiddetta «Torà sacerdotale» di Ezechiele (cc. 40-48 del suo libro) tale terminologia non è ancora presente. La dimostrazione è stata contestata35 , ma a mio avviso non con argomenti conclusivi e il tentativo rimane quindi rilevante. Milgrom ha inoltre mostrato che, mentre è possibile affermare che vi sono dei casi in cui il Deuteronomio è a conoscenza delle dottrine tipiche della tradizione Sacerdotale e in certi casi del suo specifico linguaggio, è impossibile dire la stessa cosa della tradizione Sacerdotale nei confronti del Deuteronomio, il che viene ad aggiungersi agli argomenti precedenti come ulteriore indizio in favore dell'antichità della tradizione Sacerdotale.

I rapporti tra il Codice di santità e la tradizione Sacerdotale Nella discussione attuale vi sono due opinioni non conciliabili: quella, sostenuta da una maggioranza di studiosi, secondo la quale la tradizione Sacerdotale è la redazione finale e il Codice di santità è uno strato tradizionale più antico, e quella secondo la quale il Codice di santità è in realtà la voce del redattore che ha utilizzato un più antico materiale Sacerdotale36 • Quest'ultima ipotesi, benché considerata con scetticismo da molti, soprattutto in ambiente europeo, da un decennio circa sta guadagnando favore 37 • Dato che 35 Cfr. J. Blenkinsopp, «An Assessment ofthe Alleged Pre-Exilic Date ofthe Priestly Materia! in the Pentateuch», Zeitschrift fiir die alttestament/iche Wissenschaft l 08 ( 1996) 495-518. 36 Cfr. R. Rendtorff, «Introduction>), in R. Rendtorff- R.A. Kugler (ed.), The Book of Leviticus. Composition and Reception, Brill, Leiden- Boston 2003, 1-3. 37 Cfr. J.L. Ska, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l'interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, Dehoniane, Bologna 2002, 171.

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il problema del rapporto tra il Codice di santità e la tradizione Sacerdotale ha influssi tanto sulla concezione della struttura del libro che sulla sua datazione, è opportuno esaminarlo più da vicino. Il Codice di santità anteriore alla tradizione Sacerdotale L'ipotesP 8 parte da un apprezzamento per la tesi di Wellhausen, secondo la quale il Codice di santità è la traduzione in chiave Sacerdotale della preoccupazione deuteronomica per la centralizzazione del culto a Gerusalemme. Per citare un esempio tra tanti, il significativo spostamento del rito dell'offerta delle primizie a sette settimane dopo l'offerta del primo covone, stabilito in Dt 16 e precisato in Lv 23, manifesta la necessità di evitare un pellegrinaggio in un momento delicato dell'attività agricola ed è conseguenza della centralizzazione del culto voluta dal Deuteronomio e data per scontata dai successivi testi Sacerdotali. Se questo tipo di considerazioni è accettabile, occorre spostare il momento redazionale del Codice di santità a un'epoca immediatamente preesilica o esili ca. Tale giudizio di posteriorità della tradizione Sacerdotale viene poi confermato con considerazioni di tipo linguistico-comparativo: per esempio, l 'uso di alcuni tratti della lingua che vengono giudicati, forse in un modo talora un po' ipotetico, come aramaismi, propri di un'epoca in cui l'ebraico non era più la lingua parlata. Secondo quest'ipotesi la tradizione Sacerdotale utilizza nella sua redazione il materiale del Codice di santità. La tradizione Sacerdotale prima del Codice di santità Opposta a questa è la tesi sostenuta principalmente da J. Milgrom, nel suo commentario al Levitico e in altri interventi, ma già avanzata in precedenza da altri, secondo la quale chi ha stilato il Codice di santità (H) sarebbe anche il redattore del Levitico, e avrebbe utilizzato il materiale proveniente dalla tradizione Sacerdotale (P) a lui precedente. Analogamente alla prima, ma con l'effetto contrario, Milgrom stabilisce l'anteriorità della tradizione Sacerdotale rispetto al Codice di santità sulla base dei calendari 38 Cfr. B. Levine, «Leviticus, its Literary History and Location in Biblica! Literature», in R. Rendtorff- R.A. Kugler (ed.), The Book of Leviticus, cit., 11-23.

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liturgici. Lv 23 (che appartiene al Codice di santità) contiene un calendario liturgico che deve essere paragonato non con Deuteronomio ma con Nm 28-29, un testo proveniente dalla tradizione Sacerdotale. Il Codice di santità prescrive l'offerta del covone (è l'offerta dell'orzo che matura prima del grano), sulla quale la tradizione Sacerdotale tace, e si diffonde in dettagli a proposito dei sacrifici offerti in quest'occasione e, soprattutto, delle ablazioni e delle libagioni accompagnatorie, mentre l'offerta della festa delle settimane è presente in entrambe le tradizioni, con questa differenza: per N m 28,27 (di tradizione Sacerdotale) occorrono due giovenchi, un ariete e sette agnelli, mentre per il Codice di santità sette agnelli, un giovenco e due arieti (Lv 23,18). Numeri precisa poi le ablazioni e le libagioni accompagnatorie, mentre Levitico le dà per scontate. La conseguenza che Milgrom trae da questo e da altri simili casi è che il Codice di santità, scrivendo, ha sotto gli occhi la tradizione Sacerdotale e la corregge dove la sua dottrina differisce, ma rinvia tacitamente alle sue disposizioni quando esse concordano. Analogamente, la menzione dei sacrifici da offrirsi nel novilunio del settimo mese (Lv 23,23-25; Codice di santità) è solo generica, perché dà per scontata la lista sacrificale che si trova in Nm 29,1-2a.6b (tradizione Sacerdotale) e innova inserendo due parole (sabbiiton zikkiir6n: «un riposo, un memoriale») che insistono sul carattere sabbatico e commemorativo della occorrenza. Secondo Milgrom, la maggior parte del contenuto del Codice di santità deriva dal secolo VIII ed è il prodotto di un tentativo di rinnovare radicalmente il pensiero della precedente scuola Sacerdotale. Milgrom ammette poi una certa percentuale di materiale (5%) proveniente da epoca esilica. Il vantaggio della ricostruzione di Milgrom consiste nel ricercare la coerenza interna della dottrina Sacerdotale nel suo sviluppo legislativo, tuttavia certe sue affermazioni sono talora un po' forzate 39 • Questo problema dei rapporti reciproci tra il Codice di santità e la tradizione Sacerdotale, in particolare l'idea che sia stato il redattore dei testi del Codice di santità a utilizzare un materiale 39 Su questo problema cfr. la trattazione estensiva di I. Knohl, The Sanctuary ofSilence cit., l 04-1 06; cfr. J. Milgrom, Leviticus 17-22, Doubleday, New York 2000, 1333.

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Sacerdotale precedente o viceversa, ha delle conseguenze sulla datazione dei testi Sacerdotali. In effetti che il Codice di santità debba essere attribuito a ùn' epoca preesilica-esilica è opinione condivisa da parecchi commentatori, che sottolineano in particolare il rapporto tra il Codice di santità e Deuteronomio e la corrispondenza tra il linguaggio del Codice di santità e quello di Ezechiele, sempre ma soprattutto nel capitolo 2640 • È poi da notare, come afferma Hartley, che la tendenza attuale degli studi tende ad essere piuttosto scettica a proposito dell'esistenza di un «Codice di santità» inte.so come un documento a sé stante: certo, parecchi blocchi di materiale sono tra loro contigui, ma non vi è reale unità tra questi diversi blocchi, cosicché si può concludere che questi furono assemblati in funzione della loro attuale collocazione nel Levitico41 • A mio avviso questa considerazione rafforza l 'idea che, in effetti, nel Codice di santità si abbia a che fare con uno strato redazionale finale che si è venuto ad aggiungere a qualcosa di preesistente, nella fattispecie il materiale della tradizione Sacerdotale. Se dunque questo è il caso, una datazione del Codice di santità all'epoca preesilica comporterebbe la necessità di spostare la datazione del materiale di tradizione Sacerdotale a un'epoca ancor più remota. A questo riguardo Milgrom sottolinea come l'impressione di una datazione preesilica del Codice di santità sia rafforzata dal fatto che il Codice di santità passa sotto silenzio il problema dei matrimoni misti, cosa che sarebbe stata inconcepibile all'epoca di Esdra. Un importante argomento linguistico di datazione è poi il fatto che il concetto teologico di «pentimento» è espresso, tanto dal Deuteronomio che dai profeti scrittori, per mezzo del verbo sub, mentre nel Codice di santità si usano solo i verbi kiinii' nifal («essere umiliato») e yiida hitpael («confessare»), di significato meno pregnante e con meno implicazioni morali. Importante è poi osservare che il termine 'am hii 'iire$ (popolo della terra) in Lv 20,2.4 è utilizzato nel senso che assume anche in 2Re 11,14.18.19.20; 21,24; 23,30, a indicare cioè un gruppo sociale e politico giudeo caratterizzato da grande lealtà nei confronti della dinastia davidica. Nei libri postesilici, la

°Cfr. J. Milgrom, Leviticus 17-22, cit., 1362.

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J.E. Hartley, Leviticus, cit., 259.

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medesima espressione è utilizzata in senso opposto, a indicare gli stranieri (cfr. Esd 4,4; al plurale anche Ne 9,30; l 0,31 )42 . La molteplicità dei santuari, spiegazione migliore per la legge altrimenti eccessivamente utopistica di Lv 17,1-7, relativa al divieto della macellazione profana, punta poi a un'epoca precedente la centralizzazione cultuale del Deuteronomio: in effetti un simile divieto, se l 'unico santuario fosse stato il tempio di Salomone, come imposto dalla legge deuteronomica, avrebbe avuto come conseguenza il fatto di costringere gli Israeliti a un regime praticamente vegetariano. Interventi redazionali esilici sono comunque discernibili, come, per esempio, 23,2b-3.37-38, in cui lo sabbiit è definito un m6 'ed («riunione»), cosa possibile solo nel contesto esili co, e poi, evidentemente, 26,33b-35.43-44, in cui il prolungamento dell'esilio è attribuito alla mancata osservanza dell'anno sabbatico, mentre gli altri riferimenti all'esilio (26,40-42.45) sono meglio intesi se riferiti alla catastrofe del regno del Nord43 • Sulla base di queste e di altre riflessioni, il Levitico può essere dunque considerato in due modi: o un'attualizzazione di un Codice di santità immediatamente preesilico-esilico da parte di una scuola Sacerdotale tardiva, oppure un'attualizzazione della tradizione Sacerdotale da parte di una scuola Sacerdotale successiva, quella appunto del Codice di santità, iniziante all'epoca di Ezechia, ma che non si spinge oltre l'esilio. In questo caso la tradizione Sacerdotale, che dovrebbe essere considerata preesilica, rifletterebbe la tradizione antica del santuario di Gerusalemme o, forse più probabilmente, quella di un santuario precedente, quale potrebbe essere quello di Shilo44 , mentre il santuario centrale, ma forse non unico, del Codice di santità sarebbe quello della Gerusalemme all' epoca del re Ezechia. Personalmente propenderei per questa seconda ipotesi come quella che giustifica meglio la redazione di un testo così complesso e ambizioso in un'epoca di prosperità e di vivacità intellettuale come quella della fine del secolo VIII, piuttosto che in un'epoca di profonda crisi come quella persiana. Cfr. J. Milgrom, Leviticus 17-22, cit., 1361-1362. Cfr. lvi, 1363. 44 J. Milgrom, Leviticus 1-16, cit., 30-31. 42

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Qual è il possibile ambiente vitale per il Codice di santità? La proposta di Knohl, in parte fatta propria da Milgrom, è che il Codice di santità vada collocato sotto il regno di AQ.az e di Ezechia: in questo periodo, dopo la caduta di Samaria (721 a. C.), molti abitanti del Nord cercarono rifugio a Gerusalemme; la situazione sociale, con la tensione tra latifondisti e piccoli contadini, riflessa nelle leggi sull'anno sabbatico e soprattutto sul giubileo (Lv 25), che sono proprie del Codice di santità e assenti dalla tradizione Sacerdotale, si spiegano meglio in quest'epoca, come dimostrano i primi cinque capitoli di Isaia, che non nell'epoca di Manasse e di Giosia, nelle quali queste problematiche sembrano assenti. Il culto di Molek- qualsiasi interpretazione si dia a quest'enigmatico nome - e la devozione popolare ai satiri sono caratteristiche del secolo VIII, mentre nel VII erano più in auge le ammonizioni antiidolatriche che leggiamo nel Deuteronomio45 • La motivazione per la composizione di questi testi dovrebbe essere ricercata in una reazione della classe sacerdotale alle critiche profetiche che accusavano il culto di formalismo: sarebbe questa la motivazione della maggior sensibilità «etica» e «sociale» del Codice di santità rispetto alla tradizione Sacerdotale46 • Milgrom abbraccia la tesi di Knohl, distaccandosi però dall'idea che il Codice di santità postuli una centralizzazione del santuario. Il problema sorge per il fatto che la centralizzazione è postulata chiaramente dalla riforma di Ezechia (cfr. 2Re 18,1-4), ma il Codice di santità, come detto sopra, probabilmente non richiede tale centralizzazione, dunque Ezechia avrebbe agito in questo senso non sotto la spinta del Codice di santità47 , ma in seguito a considerazioni di tipo socioeconomico: dati archeologici permettono infatti di affermare che, per esempio, l'altare di Beer-Sheba, che non era collegato a un santuario, fu smantellato e sepolto in quest'epoca48 , ma ad l. Knoh1, The Sanctuary ofSilence, cit., 207-208. lvi, 214-216. 47 J. Milgrom, Leviticus 17-22, cit., 1504. 48 Aggiungerei che, secondo 2Re 18,4, Ezechia distrusse il serpente di bronzo attribuito a Mosè e collocato nel Tempio di Gerusalemme; ora l'altare di Beer-Sheba portava la raffigurazione di due serpenti. Si può forse pensare che proprio questi due serpenti furono la causa della sua abolizione, come portatori di una simbologia antica ma non più accettabile. 45

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Arad e a Lakish, due santuari collegati a piazzeforti, i templi continuarono a esistere, anche se nel caso di Arad, probabilmente, l'altare sacrificate fu messo fuori uso. Così Ezechia sarebbe stato spinto a quest'innovazione dal desiderio di spingere gli abitanti delle campagne a radunarsi nelle piazzeforti, e questo in previsione dell'invasione di Sanl).erib del 701 a.C. La centralizzazione (relativa) sarebbe stata dunque realizzata verso la fine del regno di Ezechia. Un'altra motivazione, a mio avviso ancor più plausibile, potrebbe essere proposta: dopo il 721 a.C. gli esiliati dal Nord dovettero portare con sé il primo nucleo del Deuteronomio, che, sull'influenza delle tradizioni profetiche settentrionali, criticava la molteplicità dei luoghi di culto (cfr. Os 8,11-14 ): fu dietro questa spinta che Ezechia realizzò la sua riforma49 , con la quale probabilmente la scuola Sacerdotale da cui origina il Codice di santità non era totalmente d'accordo, poi abortita sotto Manasse e ripresa da Giosia. In questo caso, evidentemente, il racconto di 2Re 22,3-20 a proposito della «riscoperta» del Deuteronomio sotto Giosia dovrebbe essere considerato veritiero, e in realtà non c'è una vera ragione per non dare fiducia a questo testo. Il Codice di santità sarebbe stato dunque una risposta sacerdotale alle problematiche suscitate dalla sensibilità presente nel Deuteronomio, e avrebbe ripreso e attualizzato in questo senso le tradizioni Sacerdotali. Se dunque il Codice di santità dev'essere considerato lo strato redazionale della tradizione Sacerdotale, iniziato e sostanzialmente concluso ali' epoca di Ezechia, con alcuni prolungamenti in epoca esilica, la tradizione Sacerdotale deve essere considerata ad esso precedente. Sulla esatta collocazione temporale della tradizione Sacerdotale Milgrom e Knohl divergono. Secondo Knohl deve essere considerata una testimonianza delle consuetudini cultuali del Tempio di Gerusalemme all'epoca della monarchia unita50 , mentre per Milgrom occorre spingersi prima dell'epoca monarchica e individuare nella tradizione Sacerdotale, secondo un suggerimento di Haran, la tradizione del

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Cfr. J. Milgrom, Leviticus 17-22, cit., 1512-1513.

°Cfr. lvi, 19.

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tempio di Shilo51 • La motivazione per cui Knohl preferisce pensare al tempio di Gerusalemme come ambiente vitale della tradizione Sacerdotale risiede nel fatto che la «dimora» della tradizione Sacerdotale seguirebbe la struttura del tempio di Gerusalemme: la sua descrizione sarebbe dunque un anacronismo. Milgrom rifiuta quest'idea soprattutto sulla base del fatto che, a ben guardare, le dissimiglianze tra il tempio di Salomone e la «dimora» sono notevoli, a partire dalle dimensioni: per la «dimora» sono 30110/10 cubiti mentre per il tempio sono 60/20/30 (IRe 6,2). In particolare la menorà (o candelabro a sette bracci) non è presente nel tempio di Salomone e la sua forma trova paralleli nella tarda età del Bronzo (XVI-XII secolo a.C. circa), e questo è particolarmente rilevante dato il grande significato di quest'oggetto. La «dimora» è indissolubilmente legata al culto dell'arca e l 'ultima collocazione dell'arca è nel santuario di Shilo. L'ipotesi che i testi Sacerdotali riguardanti la «dimora» riflettano l 'uso cultuale di Shilo è però messa in questione dal fatto che in parecchi testi (lSam 1-3; Gdc 18,31 dove si usa l'espressione «casa di Dio») il tempio di Shilo sembra essere un edificio in muratura, e questo è in contraddizione con il famoso testo di 2Sam 7, nel quale la costruzione di un tempio in muratura è bollata come qualcosa di contrario alla tradizione; questo fatto ricorda paralleli cananei, in cui gli dèi sono detti abitare in padiglioni non in muratura, e anche il già citato tempio midyanita di Timna, in cui una struttura a tenda svolgeva un ruolo essenziale. Milgrom tenta di risolvere il problema pensando che a Shilo ci possa essere stata sia una tenda che il tempio in muratura, eventualmente la prima all'interno del secondo. A mio avviso il parallelo di Timna, in cui la struttura del tempietto egiziano viene riutilizzata coprendola con una tenda, indica un'altra possibile soluzione: il santuario di Shilo era misto, parte in muratura, parte di materiale tessile, considerato essenziale per la tradizione .della divinità di origine desertica che esso ospitava52 • lvi, 30-31. Alcune obiezioni a quest'ipotesi sono certo possibili. In primo luogo si può osservare che il tempio di Timna non è originariamente midyanita, ma è un luogo di culto egiziano riutilizzato, mentre il santuario di Shilo non sembra avere avuto una simile evoluzione; in secondo luogo si può sottolineare che la connessione tra i Midyaniti e gli Israeliti antichi 51

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TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testo del libro del Levitico, analogamente a quello degli altri libri del Pentateuco, è sostanzialmente ben conservato. Il Testo Masoretico, basato sui grandi manoscritti medioevali, è grosso modo il medesimo che è possibile ritrovare nei frammenti ritrovati a Qumran e redatti talora in grafia paleo-ebraica. Anche il Pentateuco Samaritano, come pure la tradizione targumica e la Peshitta riflettono un testo sostanzialmente stabile. Le varianti introdotte dalla Settanta riguardano spesso espressioni tecniche che sfuggivano alla comprensione del traduttore greco, o riflettono preoccupazioni di tipo teologico; si veda, per esempio, la discussione relativa a 4,12. Utilizzando la Settanta come testimone di un testo diverso da quello Masoretico occorre comunque usare prudenza, perché vi è sempre il rischio che quelle che apparentemente sembrano attestazioni testuali divergenti siano in realtà correzioni intenzionali del traduttore greco come, per esempio, la variante di 8, l O, o di 9,20, che verosimilmente sottendono una concezione diversa del rito. La Vulgata del Levitico è poco autorevole e riflette una certa fretta piuttosto incline a semplificare e a sintetizzare. Nel commento testuale ho preferito cercare di difendere il più possibile il Testo Masoretico, discostandomi da esso solo dove la corruttela è effettivamente molto probabile. Nel fare questo sono stato guidato anche dal desiderio di non contaminare redazioni diverse del testo, in una situazione nella quale la storia delle diverse forme testuali non è è certo suggerita da alcuni interessanti paralleli, quali il serpente di bronzo, ma è !ungi dall'essere accertata. Alla prima obiezione si può rispondere ricordando che, in ogni caso, per i Midyaniti che riutilizzarono il santuario di Timna, doveva comunque essere plausibile una struttura mista, altrimenti avevano tutto lo spazio per costruire una struttura unicamente tessile e semplicemente dismettere il tempio egiziano. Si può certamente concedere un certo grado di indimostratezza alla cosiddetta «ipotesi midyanita>>, ma comunque occorre sottolineare la stranezza di Es 18, in cui il suocero midyanita di Mosè è presentato come un sacerdote yahvista sincero, al cui sacrificio prendono parte Mosè e Aronne, ed è dotato di una strana voce in capitolo per quanto riguarda l'organizzazione del popolo. A fronte della presentazione negativa dei Midyaniti che tro~iamo generalmente nei testi storici, l'idea che Es 18 abbia conservato qualcosa di più di una semplice leggenda è comunque concepibile. È chiaro che il collegamento tra la «dimora» e Shilo è un'ipotesi e che Milgrom pecca di un entusiasmo forse eccessivo, tuttavia gli indizi addotti non permettono di metterla semplicemente fuori gioco.

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perfettamente conosciuta. Ho comunque accolto nel testo i rari casi di evidenti glosse, come, per esempio, quella di 9,17, in assenza di testimonianze manoscritte che le espungano. Il Testo Masoretico è citato secondo il Codice Firkowich B 19A o Leningradense (L)53 , sul quale si basa l'edizione diBiblia H ebraica Stuttgartensia. Eventuali varianti presenti in altri codici masoretici sono segnalate nel commento, quando pertinenti. Come noto, il Codice Firkowich B 19A è un manoscritto dei primi anni dell'XI secolo, per certi aspetti meno autorevole del Codice di Aleppo, a lui precedente di qualche decennio ma mutilo proprio della maggior parte della Torà e dunque inutile per il ristabilimento del testo del Levitico. Il Codice Firkowich B 19A resta dunque il testimone completo più antico del Testo Masoretico. Elenco dei manoscritti citati nel commento 11 QLeviticoa ·(Il QpaleoLeva o Il Q l). Il rotolo, frammentario, è scritto in alfabeto paleo-ebraico e data intorno al100 a.C.; contiene parti di Lv 4; 10--11; 13-21 e la totalità di 22-27. È il più lungo manoscritto in carattere paleo-ebraico. È un manoscritto molto interessante, presentando un testo che non rispecchia né il Testo Masoretico, né il Pentateuco Samaritano, né la Settanta ed è caratterizzato da un certo numero di varianti indipendenti. È stato pubblicato da D.N. Freedman- K.A. Matthews, The Paleo-Hebrew Leviticus Scro/1, Eisenbrauns, Winona Lake (IN) 1985. 4QLeviticob (4QLevb o 4Q24). Un manoscritto databile alla metà del I secolo a.C. e contenente i capitoli 1-3 e 21-25, più vicino al Testo Masoretico e al Pentateuco Samaritano che alla Settanta. È pubblicato da E. Ulrich, inAA. V v., Genesis to Numbers, Discoveries in Judaean Desert 12, Clarendon, Oxford 1994, pp. 177-187, tavv. XXXI-XXXIV. Ghenizà del Cairo. Le letture dei frammenti del Levitico presenti nel materiale della Ghenizà del Cairo54 sono riportate dali' apparato sJ Questo nome deriva dal fatto che è conservato presso la Biblioteca nazionale russa di S. Pietroburgo (già Leningrado). 54 Si tratta del deposito di libri fuori uso (ghenizà, appunto) della sinagoga caraita de Il Cairo, che contiene documenti e frammenti di testi manoscritti databili tra il IX e il XIX

INTRODUZIONE

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critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia. Lo stato attuale della pubblicazione delle collezioni è ancora molto frammentario; per un catalogo dei frammenti cfr. M.C. Davis, Hebrew Bible Manuscripts in the Cambridge Genizah Collections, 4 voll., Cambridge University Press, Cambridge 1978-2003.

secolo, tra cui molti testi biblici. Riscoperta da Solomon Schechter nel 1896 fu la più importante fonte di antichi manoscritti biblici prima della scoperta di Qumran.

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LEVITICO [CHIAMÒ]

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LEVITICO 1,1

1pio z,iJ~Q ,,7~ l·qil~ 1t,n~1 ilWb-z,~ N'Ji?~1 1 2 :ibNZ, _,::> C'lN cf!Z,N l11DN1 ;Ni1.z7" 'l:l-Z,N i:Ì1 }, ed è rara (tre occorrenze nella Bibbia ebraica). Il pronome suffisso femminile si riferisce evidentemente a i11;t"")f?; se la parola significa «gozzo», chiaramente non ha senso. Molte versioni antiche e moderne risolvono il problema eliminando il pronome o mutandolo al maschile, pensando che il testo prescriva al sacerdote di spennare il volatile, ma questa sembra una semplificazione. Accolgo il (:1I;'!~j~ int;tlf?-n~)-

suggerimento di Milgrom ispirato a Rashi, secondo il quale la parola è presente, con diversa vocalizzazione, anche in Sof 3,1 (i1tt1b ), e deve essere collegata a 'tt'1 (N a 3,6) 'inteso non come derivante dai verbo i1t;t':), come interpretano comunemente i lessici, ma piuttosto nel senso di «escremento», comune nell'ebraico postbiblico. La parola potrebbe dunque indicare la cloaca dell'animale (o piuttosto la parte che la circonda) e «la sua piuma» sarebbe evidentemente la coda. Il testo prescriverebbe dunque di pulire l'animale staccando la zona della coda e della cloaca ed estraendone le interiora.

Si può notare che, nelle liste di sacrifici, l'olocausto compare generalmente al primo posto (cfr. Es 24,5; 32,6; Ger 14,12), e si può trarre la conclusione che esso fosse caratterizzato dal fatto di stabilire un contatto tra Y HWH e il sacrificante, onde potergli poi offiire gli altri sacrifici. Questa regola però non è assoluta (cfr. Es 10,25; 2Re 10,24) e, soprattutto, non è osservata nel Levitico, dove questo tipo di sacrificio non inizia le varie sequenze rituali (Lv 9,8.12: la consacrazione dei sacerdoti; 14,19-20: la purificazione di colui che è affetto da desquamazione; 16,24: la conclusione dei riti di yom kippfir), che invece sono introdotte dai sacrifici a carattere espiatorio. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che in questi casi si tratta di riti consacratori o, comunque, che prevedevano il passaggio da uno stato di impurità a uno stato di purità; durante questi riti la prima azione richiesta era l'allontanamento di ciò che impediva il contatto con Y HWH. In ogni caso, durante una giornata «ordinariro) nel santuario, il primo sacrificio era l'olocausto di un agnello, ripetuto la sera a suggello della serie rituale (cfr. Es 29,38-42).

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LEVITICO 2,3

16G li

asporterà quindi le interiora dalla parte della coda e le getterà accanto all'altare a oriente, nel posto della cenere. 17Poi lo smembrerà tirandolo per le ali, ma non lo dividerà. Il sacerdote quindi lo volgerà in fumo sull'altare, sopra la legna che è sul fuoco. È un olocausto, un dono dal profumo gradevole per YHWH. 1Quando una persona presenterà un'offerta di oblazione a YHWH, la sua offerta consisterà di fior di farina; vi spargerà dell'olio e vi porrà sopra dell'incenso. 2Poi la porterà ai sacerdoti figli di Aronne, prendendo una manciata piena di farina e d'olio oltre a tutto l'incenso; allora il sacerdote volgerà in fumo la (parte di) commemorazione dell'offerta sull'altare. È un dono dal profumo gradevole per YHWH. 3Quanto rimane dell'oblazione, spetta ad Aronne e ai suoi figli; è cosa santissima tra i doni per

2

Cenere (1W"1.) - Di per sé la parola ebraica significa «grasso» (di materie alimentari, come olio, carne) e, in senso traslato, «abbondanza» (cfr. Sal 65, 12), ma in contesto cultuale è termine tecnico per indicare la cenere grassa che risulta dalla combustione della materia sacrificate (cfr. IRe 13,3.5). •:• 1,16 Testi affini: Lv 4,12 //2,1-16 Testi paralleli: Lv 6,7-ll; N m 15,1-6 2,1 Oh/azione - Traduco così il sostantivo rtçt~T,'l, seguendo una tradizione che origina dalla Vulgata. La parola in questione di per sé significa «dono», ma nei testi sacerdotali prende il valore tecnico di «offerta vegetale».

Fior di farina (n"b) - Il testo di l Re 5,2, che oppone la farina chiamata così a quella definita Ti~j?, più a buon mercato, fa capire che si tratta non di semola (Vulgata), ossia di farina non completamente macinata, ma di una farina di qualità superiore. 2,2 La (parte di) commemorazione(:"!~~) -Alla lettera: «la sua commemorazione». Si tratta di un termine tecnico dali' etimologia trasparente, derivante dal verbo i:lt, «ricordare», che indica appunto la parte di offerta vegetale che viene effettivamente bruciata sull'altare. La parola è propria dei testi Sacerdotali (sei volte in Levitico e una volta in N m 5,26).

2,1-16 Le oh/azioni

Per lo più tali offerte consistevano in una sorta di pasta composta da farina intrisa di olio. Il testo non specifica le quantità, ma la disposizione di Nm 15,112, che impone di presentare quest'offerta- unitamente a una libagione di vino -ogni volta che si offre un olocausto o un sacrificio di comunione, dà l 'idea delle proporzioni. La quantità dell'offerta vegetale dipendeva dall'entità della vittima. Un agnello richiedeva un decimo di efa (2-4 litri) di farina intrisa in un quarto di hindi olio (circa 3-4 decilitri). La libagione era un quarto di hindi vino. Per gli animali più grandi le misure aumentavano: un ariete richiedeva due decimi di efa di farina, un terzo di hin di olio e un terzo di h in di vino. Il giovenco richiedeva tre decimi di efa di farina, mezzo hindi olio e mezzo hindi vino. Se la pasta all'olio è presentata separatamente, vi è aggiunto dell'incenso; questo accade anche per l'offerta costituita dalla primizia di grano abbrustolito, ma se essa sostituisce un

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LEVITICO 2,4

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2,7 Padella (nWO!~)- Il sostantivo, presente qui e in 7,9, deriva del verbo !Lini, che compare solo in Sal45,2, ma che, sulla scorta di paralleli in altre lingue semitiche potrebbe significare «ribollire». In 2Sam 13,9 la sventurata Tamar cuoce le frittelle per il suo fratellastro Amnon in un utensile chiamato n;_~; anche in quel caso si è di fronte a un. occorrenza isolata. La somiglianza fonetica tra i due termini, pur non corradicali, potrebbe forse far pensare a un' onomatopea. Questo terzo tipo di offerta sembra quindi fritta nell'olio. Forse per que-

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sto non si specifica che debba essere azzima. •:• 2,4-7 Testi affini: Lv 7,9 2,8 Porterai ... , la si offrirà (:1?'ii?:11 ... l)ln~ :il}i; '}.!/? i~iJ-n~ Or.J~1 i$iJ WNT~~ h~-n~ 1~91 :1;?iO ~i:)~-~~ iz:tN N'?.-iJ1 i~iJ OJQ T'!'WlpiJ EJ::>D ni?-71 5 '}..!/? O'Q~!fl V:;lW OÌiJ-lQ i1ÌìJ1 OJ~ Wf.~~-n~ tn::>D ~~\?1 6 niJìi?-~~ oìD-lQ tò::>D )o~r :W,tpiJ n~'J~ 'J.!f!-n~ illi1; -~f 1n~1 1}.?io ~Q~f iW~ i1li1; ~~.~? O'~tpiJ nl'?i? n~TQ :1;?io ~Q~ no~rio/~ ;,?vo n;:nQ 1io;-~~ l:f!:lo/~ i$D o:;r ilO::lOi1 ~~rm-nN u~o C'i' nNon;, i!l ::~.~n-~:;,-nN1 8 'Do/ h~t ::lli?.iJ-~~ iW~ ::~.?nD-~f h~1 ::1.1~0-~~ -n~1 o'?t?fiJ-~~ iW~ lQ'?P, iW~ ~?ò0-n~1 n\~fiJ iitPO 01~' iWN:;) 10 :i1~i'0' ni'~:;,;,-~,U 1:b;,-~,U hilÌilil :il~VO n;nQ ~P- 16::>0 bl't?i?iJ1 o'~7~iJ n:;lJ. ltT

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4,3 Il sacerdote unto - In tutta la Bibbia ebraica, l'espressione 11'~971 171!!l:::t per indicare il Sommo Sacerdote, ricorre solo in questo capitolo (cfr. vv. 5.16) e in 6,15. Come sacrificio per la trasgressione (nNi;?07) - La traduzione di questo termine è molto difficile, a causa della sua ambiguità. Di per sé la radice N~n al qal in primo luogo significherebbe «fallire lo scopo», o anche «perdere» (cfr. Gb 5,24; Pr 19,2), ma questo significato è molto poco attestato e lo si potrebbe considerare come un uso metaforico derivato dal senso morale del

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verbo, che infatti nella grande maggioranza dei casi, al di fuori della terminologia tecnico-liturgica, sta a indicare un'infrazione della legge divina. Il fatto che tale trasgressione, nel nostro testo, sia qualificata come avvenuta «per inavvertenza» impedisce di tradurre il termine con «peccato». Occorre inoltre sottolineare il fatto che la terminologia liturgica utilizza la parola come termine tecnico per indicare non la trasgressione in quanto tale, ma il sacrificio che ne elimina le conseguenze e, in seguito, addirittura la vittima di tale

comunità nel suo complesso, l'animale scelto è un toro o un vitello maschio. Il colpevole (il sacerdote o gli anziani) presentano la vittima e impongono le mani (nel caso del sacerdote si parla di una sola mano) su di essa. Il valore di sostituzione della vita dell'offerente con la vita della vittima che questo gesto assume è difficile da escludere. L'offerente immola poi la vittima e, se è egli stesso sacerdote, porta il sangue all'interno della tenda dell'incontro. Nel caso

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LEVITICO 4,10

una delle azioni) che non si devono fare, 3se è il sacerdote unto ad aver trasgredito, rendendo così colpevole il popolo, per la trasgressione che ha compiuto offrirà a YHWH un giovenco integro, preso dal bestiame grosso, come (sacrificio per la) trasgressione. 4Condurrà il giovenco ali' entrata della tenda dell'incontro davanti a YHWH, imporrà la mano sulla testa del giovenco e scannerà il giovenco davanti a YHWH. 511 sacerdote unto prenderà poi un po' del sangue del giovenco, lo porterà nella tenda dell'incontro: 6il sacerdote intingerà il dito nel sangue e spruzzerà con quel sangue sette volte davanti a YHWH, di fronte alla cortina del santuario. 711 sacerdote porrà quindi un po' di sangue sui corni dell'altare dell'incenso profumato (che è) davanti a YHWH, quello che è nella tenda dell'incontro. Verserà poi tutto il sangue del giovenco alla base dell'altare dell'olocausto, che è all'ingresso della tenda dell'incontro. 8Preleverà tutto il grasso dal giovenco della trasgressione: il grasso che ricopre le interiora, tutto il grasso che è al di sopra delle interiora, 9 i due reni, il grasso che è sopra di essi, cioè che è sui tendini, e il lobo sopra il fegato - al di sopra dei reni lo distaccherà - , 10come lo si preleva dal toro del sacrificio di comunione; il sacerdote lo volgerà poi in fumo sull'altare dell'olocausto.

sacrificio (cfr. Lv 4,25). Preferisco dunque tradurre «trasgressione» per evitare una terminologia connessa con una dottrina morale estranea al testo. •:• 4,5 Testi affini: Lv 6,23 4,6 Di fronte alla cortina (n:;?'i~ ·~~ nl() L'espressione ·~D nl( ricorre una cinquantina di volte nella Sibbia ebraica, con il significato di «di fronte». La frase non deve essere dunque intesa nel senso che il sacerdote asperga la parte anteriore della cortina: il sangue non arriva a toccare la preziosa stoffa. 4,7 Altare dell'incenso profumato- La pa-

rola n~.bp deriva dalla radice ,~p. termine tecnico per indicare la consumazione della materia sacrificale tramite il fuoco. L'espressione C'~Q;:t m_bp si trova nei testi Sacerdotali per indicare il profumo di particolare composizione, i cui ingredienti sono fissati in Es 30,34-38, che si poteva usare esclusivamente nel culto e, probabilmente, solo all'interno del santuario. L'altare in questione è già descritto in Es 30,1-5, ma è chiamato con questo nome solo nel presente versetto. •:• 4,8-9 Testi affini: Lv 3,9-11; 7,3-4

del sacrificio per la comunità, gli anziani impongono le mani e immolano la vittima e il sacerdote porta il sangue nella tenda. Giunto all'interno, il sacerdote compie due gesti: prima intinge il dito nel sangue e compie sette aspersioni verso la cortina che separa le due zone interne della «dimora»; poi spalma il sangue sui corni dell'altare dei profumi. Uscito, versa il sangue attorno all'altare degli olocausti.

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LEVITICO 4,11

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tratta del contenuto non dell'intestino, ma dello stomaco del ruminante, che non è stato ancora sottoposto al complesso procedimen· to digestivo. 4,12 Lo farà portare fuori (N':,IÌi"T) -Il soggetto di questo verbo e del verbo seguente ~1 ~1 è lo stesso «sacerdote unto» che ha compiuto i gesti rituali precedenti. La Settanta e il Pentateuco Samaritano leggono in entrambi i casi un plurale, probabilmente scandalizzati che un atto del genere venga compiuto dal sommo sacerdote in persona. Il Testo Masoretico ha una lezione più difficile e va conservato. Dev'essere inteso o nel senso che l'atto è compiuto sotto la sua supervi-

1yio ~0~9 iW~ iiÌil;

sione, oppure nel senso che il rituale deriva da un'epoca in cui il «sacerdote unto» non era ancora quella figura inaccessibile tipica del culto postesilico. La particolarità della terminologia («il sacerdote untO») potrebbe indicare la conservazione di un tratto arcaico (cfr. nota al v. 3). Discarica- L'ebraico lE;!f#, benché ricorra soltanto qui è di significato trasparente, derivando dal verbo lDfli che significa ((riversare». •:• 4,12 Testi affini: Lv 1,16 4,13 Compiendo ... precetto di YHWH (i"TrW;nn6 ...1ill.V1)-Alla lettera: ((e avranno fatto qualcuno dei precetti di YHWH che non si fanno».

Per quanto riguarda lo scuoiamento e lo squartamento della vittima, il testo tace; presumibilmente è riservato ali' offerente, tuttavia si precisa che è il sacerdote che deve prendere le parti grasse, come per il sacrificio di comunione e bruciarle sull'altare. Il resto dell'animale, compresa la pelle, dev'essere bruciato fuori dal santuario, in un luogo puro. 6,23 sancisce che queste vittime, il cui sangue è stato

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LEVITICO 4,18

Invece la pelle del giovenco e tutta la carne, con la testa, le zampe, le interiora e gli escrementi, 12cioè tutto il giovenco, lo farà portare fuori dall'accampamento in un luogo puro, alla discarica della cenere, e lo brucerà con fuoco su legna; sarà bruciato sulla discarica della cenere. 13 Se invece avrà errato tutta la comunità di Israele, compiendo uno degli atti vietati da un precetto di Y HWH, ma il fatto sarà rimasto nascosto agli occhi dell'assemblea e poi si riconosceranno in colpa, 14quando sarà nota la trasgressione commessa, l'assemblea offrirà un giovenco preso dal bestiame grosso come (sacrificio per la) trasgressione, e lo porterà davanti alla tenda dell'incontro. 15Gli anziani della comunità imporranno le mani sulla testa del giovenco, davanti a YHWH, e (qualcuno di essi) scannerà il giovenco davanti a YHWH. 1611 sacerdote unto porterà poi una parte del sangue del giovenco nella tenda dell'incontro; 17 il sacerdote intingerà il dito in un po' di sangue e spruzzerà sette volte davanti a YHWH, di fronte alla cortina. 18Porrà quindi un po' di sangue sui comi dell'altare che è davanti a YHWH, quello che si trova nella tenda dell'incontro. Verserà poi tutto il sangue alla base dell'altare dell'olocausto, che si trova all'ingresso della tenda 11

E poi si riconosceranno in colpa (,~W~1) - Il verbo CrDN significa «incorrere in una colpa contro qualcuno» quando è seguito da" e il nome della persona o cosa con cui si è in colpa (cfr. 5, 19), mentre se è usato in senso assoluto, si riferisce piuttosto al sentimento dell'essere in colpa. Dato che il sentimento di colpevolezza non ha quella sfumatura psicologica che noi gli diamo, ma deriva dal rendersi conto di una colpa oggettiva, il verbo può anche significare «essere in colpa»; tuttavia tradurre CrziN con «riconoscersi in colpa» dà miglior ragione del significato del testo, particolarmente al v. 22. Ai vv. 22-23 in effetti si parla del capo che ha trasgredito «per

inavvertenza»; vi sono due casi: o si sente lui stesso in colpa, oppure la trasgressione gli è fatta conoscere da altri. 4,15 (Qualcuno di essi) scannerà il giovenco (~nrzi1) -Alla lettera: «e scannerà». La Setta~t~ 'e la Peshitta pongono il verbo al plurale, ma è un'evidente lezione facilitante. Si tratta di un costrutto impersonale (cfr. Gen 11,9; l Re 22,38). Dato che questo costrutto è dovuto all'assenza, in ebraico, di un vero pronome indefinito, ne introduco uno italiano. Mi sembra una soluzione più rispettosa del testo, perché chiarisce meglio il fatto che è sicuramente uno degli anziani offerenti a compiere l'atto di immolazione. •:• 4,16.Testi affini: Lv 6,23

portato all'interno della tenda, non possono essere mangiate, ma devono essere bruciate. Il motivo consiste evidentemente nel fatto che l'offerente è il sacerdote stesso, o perché è colpevole in prima persona o perché fa parte del popolo che ha trasgredito. In entrambi i casi non può mangiare del sacrificio che offre in proprio fàvore.

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LEVITICO 4,19

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nel compiere i riti di purificazione entro il tempo previsto (cosa implicita nel fatto che di per sé questi casi di impurità non richiedono sacrifici di purificazione, se le prescritte pratiche sono fatte in tempo utile), il giuramento fatto per leggerezza (che però non comporta di per sé danni al prossimo). Questi casi sembrano fare eccezione alla regola esposta sopra, ossia che la violazione deliberata non sia remissibile per mezzo di un sacrificio. In effetti le colpe descritte in 5,1-4 e alcuni casi previsti dal sacrificio di riparazione, quelli in cui è implicato un comportamento fraudolento e quindi un'evidente responsabilità, per esempio, i falsi giuramenti previsti in 5,20-26 sono colpe deliberate: il primo e il quarto caso, meno evidentemente il secondo e il terzo, non ricadono nella fattispecie dell' «inavvertenza» di cui al capitolo 4; di conseguenza necessitano di un trattamento a parte. Sono dunque remissibili per mezzo di un sacrificio solo se vengono confessati (cfr. 5,5). L'esplicita confessione è richiesta in quattro casi: il presente testo, la confessione generale fatta dal sommo sacerdote sul capro emissario di yom kippur (il giorno dell'Espiazione: 16,21 ), la confessione che il popolo deve fare durante l'esilio (26,40), dove evidentemente non si ha a che fare con una prescrizione di tipo liturgico o giuridico, e il testo di Nm 5,6-7, dove si precisa che cosa si debba fare nel caso in cui il colpevole non possa rifondere il danno a chi lo ha subito o al suo erede. In tutti questi casi, anche quando non si è nell'ambito di una disposizione di tipo strettamente legale, risulta chiaro che la trasgressione che deve essere confessata ha aspetti di volontarietà, e il rito di yom kippur (il giorno dell'Espiazione) serve appunto a evitare le conseguenze che i peccati volontari avrebbero su tutto Israele. È anche importante notare che il peccato di cui è questione in Lv 5 è un peccato occulto: il colpevole ne sente rimorso (o ne viene a conoscenza nel caso della purificazione trascurata) e lo confessa; in questo caso lo rende espiabile per mezzo di un sacrificio. Questo è

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LEVITICO 5,6

oppure perché tocca un'impurità umana: una qualsiasi delle impurità con cui ci si contamina, ma ciò gli rimane nascosto, e poi lo viene a sapere e si riconosce in colpa; 4oppure quando una persona fa un giuramento, chiacchierando a sproposito, di fare qualcosa di malvagio o di buono, su uno qualsiasi di quegli argomenti sui quali la gente chiacchiera giurando a sproposito, ma ciò gli rimane nascosto, e poi lo viene a sapere e si riconosce in colpa per una di quelle cose; 5quando accadrà che si riconoscerà in colpa per una di quelle cose e confesserà la sua trasgressione, 6porterà come riparazione a YHWH per la trasgressione che ha commesso una femmina di bestiame piccolo, pecora o capra, come (sacrificio per la) trasgressione, e il sacerdote compirà per lui il rito espiatorio per la sua trasgressione.

3

un principio fondamentale della legge Sacerdotale: la confessione ha la capacità di trasformare in inavvertenza una colpa deliberata, e dunque di renderla espiabile per mezzo di un sacrificio. Esclusa da questo tipo di espiazione sarebbe appunto la colpa deliberata e impenitente, il cui colpevole, evidentemente, non è disposto a confessare. Dato che, nei casi trattati al capitolo 4, l'atto per il qÙale si celebra il sacrificio dev'essere inteso come pubblico, in questo caso la confessione ha forse anche lo scopo di rendere noto quanto altrimenti rimarrebbe nascosto. Nm 15,22 parla anche della violazione dei precetti positivi per la quale si offre questo sacrificio, riunendo così le due fattispecie distinte nel testo di Levitico. I commentatori si sono chiesti se i vv. 5-13 riguardino solo le quattro fattispecie che li precedono immediatamente oppure tutta la materia trattata nella legislazione sul sacrificio per la trasgressione. Se fosse vera la prima ipotesi, che è quella immediatamente suggerita dal testo, se ne concluderebbe che, per il legislatore Sacerdotale, le quattro fattispecie del capitolo 5 ammettono la commutazione della materia del sacrificio avendo riguardo alla condizione economica dell'offerente, mentre non sarebbe questo il caso per quelle trattate nel capitolo 4. Alcuni commentatori tendono a risolvere il problema affermando che i vv. 1-6 siano un'inserzione posteriore e che 5,7-13 vada immediatamente unito a 4,35. Si tratta però di una soluzione ipotetica che, come spesso accade in questi casi, rinuncia a dare un senso accettabile al testo attuale e di tal testo deve ipotizzare una forma non documentata. È più probabile pensare che si sia effettivamente di fronte a una fattispecie diversa, che ammette questa sostituzione. Il fatto però che la scelta possa ricadere anche su un'offerta costituita da un'ablazione vegetale, la qual cosa esclude evidentemente il rito del sangue, fa pensare che in questo caso l'enfasi non cada tanto sulla necessità di purificare il santuario da un'impurità che lo ha contaminato perché ha preso ancor più forza dopo essere stata trascurata, quanto

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LEVITICO 5,7

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5,7 Come riparazione per la trasgressione (N~çt iW!ot ì~~~rn~) -Alla lettera: «la sua riparazione che ha trasgredito)). Si tratta di un'abbreviazione della formula presente al versetto precedente 5,11 Se non ha disponibilità (ì.,... J't!ri i'(~K1)­ Alla lettera: «e se la sua mano ~on. ~ggiung~)).

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5,13 Mentre (il decimo di efa) sarà del sacerdote, come l 'ablazione (:"tçt~O:;l Ft::? :1t;1~:;t1) -Alla lettera: «e sarà [forma femminile del verbo] del sacerdote come l'oblazione)). Le tre parole non sono chiare. La Settanta porta -rò òÈ Ka-raÀELlj>eÈv €a-m L «e il rimanente sarà)), che supporrebbe it;1ì~;:T :1~:;t1, lezione

piuttosto dalla necessità di offrire a YHWH una riparazione (cfr. vv. 6 e 7) per una lesione ai suoi diritti. Tale lesione potrebbe essere definita come una «trascuratezza verso l'ordine giudiziario e cultuale» (Kiuchi), non quantificabile pecuniariamente, come è invece il caso del sacrificio di riparazione di cui trattano i versetti seguenti, ma che mette in secondo piano l'idea dell'impurità, permettendo l'utilizzo, anche se eccezionale, di una materia sacrificale che esclude l'uso del sangue. Da un punto di vista rituale vengono date norme particolari per il sacrificio dei due uccelli. Uno dev'essere offerto come sacrificio per la trasgressione propriamente detto: in questo caso la procedura rituale prevede che la testa dell'uccello

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LEVITICO 5,13

Se però un capo di piccolo bestiame non è nelle sue possibilità, porterà a YHWH, come riparazione per la trasgressione, due tortore o due giovani colombi, l'uno come (sacrificio per la) trasgressione e l'altro come olocausto. 8Li porterà al sacerdote e (questi) offrirà per primo quello per la trasgressione, staccandogli la testa dalla parte della nuca, ma senza separarla. 9 Spruzzerà poi parte del sangue del (sacrificio per la) trasgressione sulla parete dell'altare, mentre il rimanente sarà spremuto alla base dell'altare; è un (sacrificio per la) trasgressione. 10Con il secondo invece farà un olocausto secondo la regola. Così il sacerdote compirà per lui il rito espiatorio per la trasgressione che ha compiuto, ed egli sarà assolto. 11 Ma se non ha disponibilità nemmeno di due tortore o di due giovani colombi, porterà (comunque) come sua offerta per la trasgressione un decimo di efa di fior di farina come (sacrificio per la) trasgressione; non aggiungerà su di essa olio né vi porrà incenso, perché è un (sacrificio per la) trasgressione. 12La porterà al sacerdote e il sacerdote ne prenderà una manciata piena, la (parte di) commemorazione, e la volgerà in fumo sull'altare sopra i doni di YHWH. Essa è un (sacrificio per la) trasgressione. 13 Così il sacerdote compirà per lui il rito espiatorio riguardo alla trasgressione che ha compiuto a causa di una di quelle cose ed egli sarà assolto, mentre (il decimo di efa) sarà del sacerdote, come l'oblazione"». 7

che, però, più che essere una reale variante, che i pronomi sono femminili già a partire dà l'impressione di una semplificazione di . dallo stesso v. l l, riferendosi a i15lNi1 ni'W.l.7 un testo difficile. Il problema sintattico con- (>. È chiaro che siamo di fronte a un termine tecnico ormai non più comprensibile con precisione. Noth osserva che nel v. 23, in

di sacrilegio involontario o anche con un certo grado di volontarietà data dal falso giuramento. La differenza tra questa fattispecie e quelle del sacrificio per la trasgressione consiste nel fatto che la trasgressione, oltre che inavvertente ossia involontaria, è anche inconsapevole. Il senso esatto dell'espressione «riconoscersi in colpa>> (w 'asem: v. 23) resta materia di disputa tra chi ritiene che si tratti di una presa di coscienza soggettiva, derivante da una sorta di sospetto («riconoscendosi in colpa>>) e chi pensa piuttosto a un venire a conoscere una trasgressione in precedenza inconsapevole, forse in conseguenza di una punizione divina già in corso, come è il caso narrato in l Sam 6, in cui gli ex voto inviati dai Filistei con l'arca dell'alleanza in occasione della sua restituzione agli Israeliti sono appunto definiti come un 'asiim, dunque una costosa riparazione, e il sacrilegio compiuto dai Filistei è riconosciuto quando si manifesta contro di loro la

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LEVITICO 5,21

18porterà

al sacerdote un ariete integro dal gregge, secondo la valutazione corrente, come (sacrificio di) riparazione; il sacerdote compirà il rito espiatorio per lui, per l'inavvertenza che ha compiuto senza saperlo e sarà assolto. 19È un (sacrificio di) riparazione, in quanto è certamente incorso in una colpa verso YHWH». 20 YHWH parlò a Mosè: 21 «Quando una persona trasgredisce e commette un sacrilegio contro YHWH, ingannando un suo prossimo in materia di deposito, ossia di cosa affidata, o di appropriazione indebita, o reca danno al suo prossimo, cui vengono ripetuti i motivi per cui si offre Masoretico e Wia nel Siracide ebraico), il signifiquesto sacrificio, l'espressione in questione è cato è trasparente, derivando dal verbo t,;~. che assente. Potrebbe dunque trattarsi di un sino- significa «rubare».ln questo caso il termine non nimo di li,i?il, introdotto come spiegazione, · può essere tradotto con «rapina», in quanto si secondo lui da un'altra mano, ma forse anche tratta evidentemente di un atto commesso con dallo stesso redattore, e non ripetuto in se- frode o con sopruso e non con violenza fisiguito. L'ipotesi è interessante, sebbene non ca, dunque «furto» sarebbe più appropriato. sia fondata su dati testuali; si può però rile- Per la tradizione rabbinica il verbo ':m indica vare che la Vulgata sembra andare in questa l'appropriazione ingiusta di un bene essendone direzione quando traduce anima qua e ... ne- consapevole illegittimo proprietario, mentre il gaverit depositum ... quodfidei eius creditum verbo :ll~ indica il furto compiuto di nascosto. .fuerat «la persona che abbia negato un depo- Questo significato sarebbe presente anche nel sito che era stato affidato alla sua buona fe- testo biblico; prova ne sarebbe che il furto vede». La Vulgata intenderebbe quindi li,i?~ e ro e proprio (:1~) non rientra nella fattispecie ,, n~1illn::l come un unico concetto. Tradu- espiabile con questo sacrificio. Si può pensare c~ q~incÙ .«in materia di deposito ossia di che qui si abbia in mente una proprietà di un cosa affidata», consapevole dell'ipoteticità vicino di cui ci si è ingiustamente appropriati, della proposta. D'altronde qualsiasi altra quali potrebbero essere un campo, un pozzo o spiegazione di questo termine tecnico resta anche del bestiame, come è il caso, p. es., di Gen 21,25; Mi 2,2; Gb 24,2, in cui è appunto fortemente ipotetica. Appropriazione indebita- Per quanto il sostan- utilizzato il verbo ':lTl. Per questo la traduzione tivo ~sia piuttosto raro (quattro volte nel Testo «appropriazione indebita» sembra la più adatta.

punizione divina. La motivazione per cui in questo caso viene offerto un costoso ariete (v. 18) in sacrificio di riparazione e non un più semplice sacrificio per la trasgressione risiederebbe proprio nel fatto che in questo caso è passato più tempo prima che la trasgressione venga alla luce. In ogni caso è da notare l'assenza di compensazione economica, presente invece nei casi di cui ai vv. 15-16 e 21-26. Le offese contro i diritti divini si possono realizzare anche per mezzo di una prevaricazione contro i diritti giuridici del prossimo (vv. 21-22). Alcune delle trasgressioni contemplate da questo rituale comprendono una deliberata violazione di un giuramento, tutte poi suppongono la consapevolezza; di conseguenza nel testo sono assenti la menzione dell'inavvertenza o della mancanza di volontarietà che avevano caratterizzato i casi precedenti. La necessità di offrire un sacrificio

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LEVITICO 5,22

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5,22 E giura il falso (,ptp-';l~ ll;;l~m- L'accentazione masoretica, segnando il termine ,ptp con la pausa principale del versetto, intende il giuramento riferito solo alla fattispecie riferita alla prima metà del versetto stesso, ossia all'inganno nella restituzione di un oggetto trovato. Di conseguenza il secondo inciso del v. 22 viene inteso come prolettico rispetto a quanto segue e diviene una sorta di riassunto di tutti i casi precendenti, che prepara la sanzione contenuta nel v. 23. Questo però contrasta con quanto affermato nei vv. 23b-

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24a, che sembrano porre una distinzione tra l'oggetto perduto e ritrovato e ciò a proposito del quale si è giurato il falso. Consapevole della difficoltà, la Settanta, seguita dalla maggioranza dei commentatori e delle versioni recenti, intende la frase ,ptp-';l~ ll;;l~~, come riferita a ciò che segue e, di conseguenza, all'inizio del v. 24 elimina la congiunzione disgiuntiva ì~, per meglio accordarlo con il v. 22. La Vulgata invece intende la frase secondo l'accentazione masoretica. Con Cardellini, si può intendere che la frase ,ptp-',~ ll;;l~J1

di riparazione mostra che queste prevaricazioni toccano la sfera sacra, il motivo esatto di questo è però incerto. Più ovviamente si potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla presenza di un giuramento; in effetti però questo è citato in modo esplicito solo nel caso di appropriazione fraudolenta di un oggetto smarrito, di cui al v. 22, e probabilmente non va presupposto negli altri casi. L'aggiunta esplicativa del v. 24 non limita la presenza di un falso giuramento al caso di appropriazione dell'oggetto perduto, e non dice nemmeno che il sacrificio va offerto solo nel caso di un'azione aggravata da un falso giuramento. Se dunque l'inciso «e giura il falso» del v. 22 va unito a quanto lo precede e non a quanto lo segue, la frase seguente, «riguardo a una di tutte queste azioni umane, le quali costituiscono una trasgressione», non deve essere intesa come riferita a tutte le azioni umane che costituiscono una trasgressione, ma soltanto a quelle nominate nella frase precedente; in caso contrario il sacrificio di riparazione si applicherebbe a tutte le trasgressioni possibili, perdendo così la sua funzione. Questa è anche l'interpretazione di Rashi. La necessità di riconoscere la colpa e il carattere sacrilego di essa vengono

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LEVITICO 5,26

oppure trova un oggetto perduto, inganna a proposito di esso e giura il falso; riguardo a una di tutte queste azioni umane, le quali costituiscono una trasgressione, 23 quando, dopo aver trasgredito, si sarà riconosciuto in colpa, restituirà l'oggetto dell'appropriazione indebita o l'oggetto del danno inferto o il deposito ricevuto o l'oggetto perduto che ha trovato, 24o (anche) tutto ciò a proposito del quale ha giurato il falso, lo ripagherà secondo il capitale e vi aggiungerà in ogni caso un quinto; lo darà al possessore non appena si riconosce in colpa. 25 Porterà poi come riparazione nei confronti di YHWH un ariete integro dal gregge secondo la valutazione corrente, come (sacrificio di) riparazione, al sacerdote. 2611 sacerdote quindi compirà per lui il rito espiatorio davanti a YHWH, e sarà assolto da una di quelle azioni di cui si sia reso colpevole». 22

- la quale nel v. 22, seguendo l'interpretazione del Testo Masoretico, precisa quanto la precede - assuma al v. 24 un valore più generale e conclusivo delle varie fattispecie, parallelo alla frase generica del v. 22b «riguardo a una di tutte queste azioni umane, le quali costituiscono una trasgressione». Adotto quest'interpretazione introducendo ali 'inizio del v. 24 un «anche» esplicativo. Riguardo a una ... trasgressione- Alla lettera: «su una di tutte le cose che l 'uomo fa trasgredendo con esse».

5,24 Anche- Cfr. nota al v. 22. Capitale - Questo significato tecnico del sostantivo w~~. che può essere tradotto con il termine italiano «capitale», mantenendo la stessa metafora («capo»), è molto raro, trovandosi solo qui e nella formula parallela di Nm 5,7. Il contesto rende chiaro il significato. In ogni caso un quinto (1'çJW~C)1) - Il plurale della parola ebraica implica un valore distributivo. •!• 5,25 Testi affini: 2Re 12,17

esplicitati da N m 5,6-7 che afferma: «Qualora un uomo o una donna compiano una qualsiasi trasgressione contro qualcuno, commettendo così un sacrilegio contro YHWH, quella persona è colpevole; confesserà la colpa che ha commesso, restituirà integralmente l'oggetto della colpa che ha commesso e vi aggiungerà un quinto». È chiaro che per il testo di Numeri non si tratta di qualsiasi trasgressione, ma soltanto di quella che riguarda una questione di tipo pecuniario. A questa trasgressione è connesso un sacrilegio e ne consegue l'obbligo di restituzione con l'ammenda di un quinto. È da notare che il testo di Nm 5,6-7 non fa menzione di un giuramento; questo appoggia l'interpretazione data sopra per Lv 5,22-24: non è solo il giuramento violato a costituire un sacrilegio; qualsiasi violazione dei diritti economici del prossimo per Numeri è «un sacrilegio contro YHWH» e per Levitico richiede un sacrificio di tipo particolare. In tutte queste fattispecie ha particolare importanza il fatto che si tratta di una trasgressione volontaria e con intento fraudolento, che per conseguenza viene a configurare non solo una trasgressione, ma un sacrilegio, il quale però è espiabile per mezzo di un sacrificio specifico a causa della confessione spontanea.

LEVITICO 6,1

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zio durante il rigido inverno gerosolimitano. Il Pentateuco Samaritano, leggendo il1?i~:::r con l'articolo, mostra di comprendere lo stesso sostantivo del Testo Masoretico: l'assenza dell'articolo è in effetti strana e il testo del Pentateuco Samaritano potrebbe essere una lezione facilitante. In numerosi manoscritti la ~ è rimpicciolita, fatto di difficile comprensione ma che indica esitazioni del masoreta. In effetti né il Testo Masoretico né alcuna delle ricostruzioni proposte appare pienamente soddisfacente, facendo pensare a una corruttela del testo molto antica che lo rende attualmente irrecuperabile. Seguire in qualche modo il Testo Masoretico è, in un certo senso, il minore dei mali. Nonostante la variante della Settanta sia una soluzione accolta da vari studiosi, essa si scontra con il fatto che, generalmente, il sostantivo r:!~r~ è di genere maschile; l'eventuale pronome suffisso femminile non può dunque riferirsi all'altare. Potrebbe eventualmente riferirsi ali' «olocausto» ma che senso avrebbe parlare di un «braciere dell' olocau-

6,1-7,38 Regole sulla manipolazione della materia sacrificate e sulle spettanze sacerdotali I capitoli 6 e 7 del Levitico, contengono cinque discorsi di Y HWH ( 6, 1-ll; 6, 12-16; 6,17-7,21; 7,22-27; 7,28-34) con una pericope di conclusione riguardante i capitoli in questione (7,35-36) e la totalità della sezione (7,37-38). In 6,2 fa la sua prima comparsa la parola «istruzione» (tora) e si opera una brusca transizione nella menzione dei destinatari del discorso che Mosè deve rivolgere a nome di YHWH: per la prima volta sono nominati «Aronne e i suoi figli», che saranno menzionati ancora in 6, 18, mentre in 7,23.29 i destinatari sono di nuovo gli Israeliti. I capitoli 6 e 7 vengono generalmente considerati come supplementi ai capitoli precedenti, contenenti essi stessi vari livelli redazionali. In ogni caso la logica che ha presieduto alla redazione finale del testo è rintracciabile in modo chiaro: mentre i capitoli 1-5 sono rivolti ai laici, i capitoli 6-7 riguardano piuttosto i sacerdoti, sia nel senso che sono rivolti esplicitamente a loro (6,1-7,21) sia nel senso che sono rivolti ai laici ma riguardano questioni relative a materie sacre, come il grasso e il sangue, da cui essi devono astenersi perché spettanti in particolare a YHWH e dunque riservate alla manipolazione dei sacerdoti, oppure alle

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LEVITICO 6,3

parlò a Mosè: 2«0rdina ad Aronne e ai suoi figli: "Questa è l'istruzione per l'olocausto. L'olocausto starà sul braciere sopra l'altare per tutta la notte, fino al mattino, e il fuoco dell'altare vi sarà fatto ardere. 3Il sacerdote poi si rivestirà del suo abito di lino 1YHWH

sto»? Le esitazioni nell'interpretare il testo stato costrutto è separato dal suo nome regderivano probabilmente dal fatto che né al v. gente da un pronome suffisso (cfr. Lv 26,42; 3 né al v. 5 si parla di uno specifico «braciere» Ger 33,20), ma più probabilmente in questi o «focolare» sull'altare, ma la difficoltà non casi si ha a che fare con desinenze arcaiche dev'essere esagerata. È certo che non tutta la di stato costrutto. Inoltre la parola .,~ non grande superficie dell'altare ardeva contem- compare in Es 28,31-42, d.ove si descrivono poraneamente: il fuoco doveva essere tenuto minuziosamente gli abiti dei sacerdoti ed è acceso in un punto e utilizzato per incendiare al singolare, mentre gli abiti dei sacerdoti le vittime sacrificati e il legname che le avreb- sono in numero superiore: tre o quattro, be bruciate. Mi pare probabile che il termine se si contano anche i calzoni. La parola in in questione sia utilizzato in senso tecnico per questione non è frequente (undici volte nel indicare questo punto dell'altare in cui il fuoco Testo Masoretico), deriva dalla radice.,.,~ veniva sempre tenuto acceso. («misurare un'estensione>>) e designataloVì sarà fatto ardere (i:!! .,j?,l'1) -Il pronome ra la sopravveste di guerra (2Sam 20,8; cfr. suffisso maschile i :!l si riferisce non a ;,lp i~ anche l Sam 18,4) e in altri casi, in senso metaforico, un'ampia copertura o estensione («braciere>>), ma a rr;~t~ («altare>>). 6,3 Il suo abito di lino (.,;,; i.,~)- Alla let- (Gb}l,9; Sal109,18). Si può avanzare l'itera: «il suo abito, lino>>. Il testo fa difficoltà potesi che in questo caso il testo non pensi ad alcuni commentatori perché è grammati- alle normali vesti sacerdotali di Es 28, ma calmente duro: la parola .,~ è in una sorta . a un altro indumento più ampio, una sorta di nesso apposizionale, una costruzione che di sopravveste o di grembiale portato senza si trova in poesia. Potrebbe anche trattarsi di cintura, di lino a causa del suo uso sacro, utiuno di quei rarissimi casi in cui un nome allo lizzato per la pulizia quotidiana dell'altare.

prebende sacerdotali (7,29-34). Anche l'ordine dei sacrifici è diverso rispetto ai capitoli 1-5: infatti in questi capitoli dapprima vengono trattati l'olocausto, l'oblazione, i sacrifici per la trasgressione e di riparazione e solo da ultimo i sacrifici di comunione. L'ordine è piuttosto quello decrescente della santità: i primi sono «cose santissime» (6, l 0.18.22; 7, 1.6), che devono essere consumate dai sacerdoti nel luogo sacro dove i laici non possono entrare, mentre l'ultimo non rientra in questo novero e può essere mangiato anche dai laici. 6,1-11 I sacrifici offerti «in perpetuo» e l 'ablazione L'olocausto e l'oblazione vegetale di cui si parla ai capitoli 1-2 sono l'oggetto del primo discorso di Y HWH contenuto in questa pericope. I vv. 1-7, definiti una «istruzione>> (tora; v. 2), hanno come oggetto il trattamento delle ceneri sacre derivate dalla combustione dei sacrifici. Dato che l'olocausto è l'unico sacrificio bruciato interamente, del quale dunque rimangono solo le ceneri, la disposizione legislativa è definita «istruzione per l'olocausto», ma essa, evidentemente, doveva applicarsi anche alle ceneri dei restanti sacrifici. Alla disposizione sulla cenere, la cui manipolazione richiede un abito specifico, cui si accenna di sfuggita (v.

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LEVITICO 6,4

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-nN N'!lim 0'1nN 0'1.l::J. w:J;, •.•

>, presente, p. es., in Lv 10,11; 26,46, il sostantivo è impiegato soprattutto con il senso di «parte assegnatiD>, «spettanza>>, particolarmente, ma non solo, in contesto cultuale: cfr. Gen 47,22.26; Es 5, 14; Ez 16,27; 45, 14; spesso proprio con c7ill: Lv 7,34; 10,15; 24,9; Nm 18,8.11.19. Questo significato dev'essere inteso anche qui, perché un'eventuale traduzione «statuto eterno per le vostre generazioni)) renderebbe

di difficile comprensione le parole seguenti :'11:'1' 'tpl>. Per le vostre generazioni - L'espressione c;:::•r.M"1" si riferisce evidentemente, qui come altrove, ·agli lsraeliti e non solo ai sacerdoti; in tutta la pericope infatti YHWH parla dei sacerdoti in terza persona: la seconda persona plurale non può che essere intesa come riferita a Mosè e, con lui, a tutti gli lsraeliti. Certo, l'espressione risulta un po' strana, ma in fondo non c'è veramente nulla di insensato: è agli Israeliti che viene data un'indicazione, valida per il futuro, riguardante le spettanze sacerdotali. Tutto ciò che viene a contatto - Di per sé si potrebbe tradurre anche «chiunque viene a contatto)), ma la possibilità è esclusa dal fatto che in seguito si danno norme di desacralizzazione solo per gli oggetti e non per le persone. •:• 6,7-11 Testi affini: Lv 2; Nm 15,1-6

spirito di questa sezione del Levitico, il testo precisa la disposizione data a 2,3: «Quanto rimane dell' oblazione, spetta ad Aronne e ai suoi figli)), dettando norme relative alla maniera con cui i sacerdoti sono tenuti a consumare la parte dell'oblazione che non viene bruciata sull'altare. Le norme particolari sono dovute allo stato di santità contagiosa in cui si trova questo tipo di offerte.

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LEVITICO 6,12

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i1l 13 :it?N; i1Wb·Z,~ i1l'i7 i?-171 12 ,,~1;1 i11J.F~ n?ç i1P.~v nì''PP. ink nW~D bi'f i1li1'~ ~:t'1i?~ i1lp~t::l TT?W~ n~oG-;~ 14 ::t·w~ n-tJ'~OG~ 1p:i~ nr,t'~OG :;,~,,?

nry'rrr-;J. :t''Ji?D o'n;J np~Q ').'.;JD. ;,~~':;11;1 n~;nt.?

Z,'7.f i11'i'] o?;v-pry nf.IN

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6,13 Dal giorno- Se si prende l'espressione Ci' ::l nel suo senso abituale («nel giorno») si ha ima contraddizione con il successivo avverbio,,~~. che significa «sempre», «in perpetuo» (cfr. la nota dedicata a questo termine). Si può intendere che l'ebraico Ci' ::l qui significhi «non appena», o, più precisamente, dare alla preposizione ::1 un significato analogo a v~. come è possibile a partire dal raffronto con altre lingue semitiche e come è osservabile anche nell'ebraico biblico (cfr. Lv 7,35.36; 8,32; 14,18 e, per contrasto, 14,29). Questi- Il pronome suffisso singolare in in~ ha fatto problema ad alcuni traduttori che lo hanno corretto in plurale (cfr. versione CE l). Una tale correzione non è testualmente giustificata. Il testo va inteso nel senso che i «discendenti di Aronne» qui citati non sono tutti i sacerdoti, ma quelli che gli succedono nella suprema carica, come d'altronde è precisato nel v. 15. Offerta perpetua- L'avverbio ,,~n è un termine tecnico del linguaggio Sacerdotale che indica quei riti che devono essere celebrati «in perpetuo», ossia senza interruzione a scadenze regolari. Oltre ai due riti prescritti dal testo in analisi (l'olocausto mattutino e serale e l'oblazione, sempre mattutina e serale, del sacerdote Aronne e dei suoi successori nel sommo sacerdozio) nei testi Sacerdotali i riti da celebrare «in perpetuo» e che quindi rivestono

rò:>iJì 15

particolare rilievo sono: l'obbligo di porre ogni sabato i dieci pani «della faccia», sulla tavola dorata che si trovava lungo il lato meridionale del primo dei due vani in cui era diviso lo spazio interno della dimora (Es 25,30); l'obbligo di accendere quotidianamente, alla sera e alla mattina, le sette lampade che si trovavano sul grande candelabro d'oro situato lungo il lato settentrionale dello stesso ambiente (Es 27,20-21; Lv 24,2-4) e, contestualmente, di bruciare l'incenso sull'apposito altare (Es 30,8); l'obbligo per il sommo sacerdote di indossare durante il culto il pettorale decorato con i nomi delle tribù di Israele, contenente gli enigmatici oggetti chiamati 'urim e tummim (Es 28,29-30) e il diadema con la scritta «sacro a YHWH» (Es 28,38). In questo senso tecnico l'avverbio diventa un sostantivo che specifica le azioni rituali in questione, come in Es 30,8 q'foret tiimfd, «incenso perpetuo»; 'olat tiimfd (Es 29,42; N m 28,6; Esd 3,5), o 'olat hattiimid, formula usata nel calendario liturgico di Nm 28-29 (Nm 28,10.15.23.24.31; 29,6.11.16.19. 22.25.28.31.34.38) a indicare l'olocausto perpetuo che deve essere offerto oltre ai sacrifici delle varie feste, e che forse per questo riceve la specificazione dell'articolo. L'espressione in questione è traducibile con «I' olocausto del rito perpetuo» o «quotidiano». In questo senso sostantivato, la parola diverrà frequente nell'ebraico postbiblico, ma già in Daniele, per

6,12-16 L 'ablazione sacerdotale quotidiana I vv. 12-16 si presentano come un nuovo discorso di YHWH e hanno destato varie perplessità. In primo luogo si è notato che il testo, pur essendo aperto da una nuovà fonnula introduttiva (v. 12) non è qualificato come istruzione (tora); inoltre i destinatari non sono esplicitati in modo diretto, anche se il contesto fa comprendere che sono i medesimi del discorso precedente, ossia «Aronne e i suoi figli» (v. 13). Il testo si presenta dunque come una sorta di excursus, e ha fatto supporre che fosse un'inserzione secondaria. La cosa è possibile; tuttavia occorre chiedersi il motivo dell'inserzione in questo punto e notare che vi sono numerosi

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LEVITICO 6,15

parlò a Mosè: 13 «Questa è l'offerta che Aronne e i suoi figli presenteranno a YHWH dal giorno in cui questi verrà unto: un decimo di efa di fior di farina come offerta perpetua; una metà di mattina e una metà di sera. 14Sarà preparata alla piastra con olio; la porterai ben imbevuta, una forma, un'oblazione in pezzi; la offrirai come profumo gradevole per YHWH. 15 Anche il sacerdote che, tra i suoi figli, sarà stato unto dopo di lui la presenterà. È un diritto perpetuo 12YHWH

indicare il complesso di riti quotidiani del santuario e, per antonomasia, l'olocausto quotidiano definito «il tiimfd>> (Dn 8, 11-13.31; 12, Il). 6,14 Ben imbevuta (n~~,~)- Il verbo compare solo tre volte neila Bibbia ebraica e sempre al participio hofal femminile (qui, in Lv 7,12 e in !Cr 23,29). È generalmente tradotto con «impastato», sulla scorta di un parallelo arabo. A questa traduzione si oppone il fatto che per questo significato esiste già il verbo ';!~i-· Quella qui proposta è basata su un parallelo accadico. Unafonna- La parola '~'DJ::! ricorre solo qui ed è di incerta etimologia. Spesso è stata ncondotta alla radice :'TDI( «cuocere al forno», ma la cosa è oltremodo dubbia. Il parallelo accadico tappinni non getta molta luce, significando genericamente una tipologia di preparazione di cereali. La Settanta ha neondotto la parola al verbo :-TJD («rivolgersi») e ha tradotto V.. LKta ( «curvÌÌ», «intrecciata»), comprendendo che si tratti di una specie di ciambella, ma anche questo è estremamente dubbio, oltre che testualmente incerto nella stessa Settanta. Sulla scorta della Peshitta, si è vista una corruttela e si è proposto di correggere in ;,~~~n («tu la romperai» da nnD) ma è evidentemente una lezione facilitante. Pure i Masoreti sembrano avere avuto delle difficoltà interpretative: anche se la forma si presenta come lo stato costrutto di un conget-

turale C'~'DI:'\, viene segnata con un accento disgiuntivo, cosa inconsueta (ma non impossibile) per i nessi costrutti. Il termine generico «forma», che può riferirsi a una «forma di pane» resta dunque solo un espediente per evitare di riportare la parola ebraica non tradotta. Si tratta chiaramente di un termine tecnico della panetteria dal significato ormai oscuro. 6,15 È un diritto perpetuo di YHWH- L'espressione, che non ricorre altrove con questa formulazione nel Testo Masoretico, non è immediatamente comprensibile, e in particolare disturba la parola :11:-t'';!, che non può significare «da parte di YHWH». Qualcuno cerca di risolvere il problema riferendo :11:-t'';! a :-ti]JP. ~(«la offiirà a YHWH»), forse anche sulla ba~ se dell'accentazione masoretica che pone un accento disgiuntivo su c';il1; sintatticamente questa sembra tuttavia una soluzione troppo faticosa, come è faticoso riferirlo al verbo seguente e tradurre ~~sarà bruciata per YHWH». Alcuni, sulla base dell'omissione di :11:-t'';! nella Settanta, sospettano una dittografia con la fine del v. 14, ma in modo troppo ipotetico. Probabilmente la soluzione migliore è quella di intendere, ph come «diritto», «tassa», analogamente al v. Il, senza però bisogno di spostare l'accento disguntivo masoretico sul termine :11:-t'';!: come i sacerdoti hanno dei diritti nei confronti degli Israeliti, così YHWH ne ha nei loro confronti.

rapporti lessi cali tra i w. 1-11 e il w. 12-16. In modo particolare sembra rilevante il ricorrere dell'espressione «perpetuo» (tiimfd; w. 6.13), termine tecnico del linguaggio Sacerdotale per indicare i riti che devono regolarmente ripetersi nel santuario (cfr. Es 29,38.42; 30,8; Lv 24,2-3.4.8; Nm 28,3.6), che, in Levitico, fa la sua prima comparsa proprio in questo capitolo e collega i due discorsi di YHWH. Un altro problema interpretativo del testo è costituito dall'identificazione esatta dell'offerta descritta nei w. 13-16. Si è ritenuto che si tratti di quella presentata dal sacerdote Aronne nel giorno della sua consacrazione (cfr. Lv 8,26-28), ma questo è impossibile sia perché l'offerta del giorno della consacrazione differisce sensi-

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LEVITICO 6, I6

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W'!f? i1li1~ '}~7 hNtplJ~ O!J~.t;l il?V~ OJJ~.t;l il~?~N' MDN N}2lJ1?~ HJ:;,iJ 19 :N1:;J O'o/.li?. :1pio 'v~ ,~n~ ;~~-\:) W1i? oii?Ttf 6,16 Totalmente consumata è?•':l:~)- Mentre al v. 15 l'avverbio è utilizzato ~~l suo senso normale («totalmente»), in questo caso prende il significato sostantivale tecnico di «sacrificio totalmente conswnato», che si trova anche in Dt 33,10; lSam 7,9; Sal 51,21. Il termine è

impiegato come sinonimo di n':lil («olocausto»), ma non presenta quelle c'aratteristiche di tecnicità proprie di quest'ultima espressione. 6,19 Che offre il sacrificio per la trasgressione (1"1\1i( ~1:9J::t'?tl)- Il verbo ~~ç; al pie/ prende spesso il significato di «purificare», per

bilmente da quella del testo in analisi, sia perché l'uso dell'avverbio tiimid («in perpetuO») esclude che si tratti di un'offerta fatta una tantum. Sir 45,14 intende il testo come riferentesi a un'offerta quotidiana, presentata due volte al giorno: probabilmente è l'interpretazione più corretta di questo testo difficile. Così si chiarisce anche la collocazione del testo a prima vista strana: il regolamento riguardante l' «offerta perpetua» viene inserito al termine delle istruzioni riguardanti le oblazioni vegetali proprio perché è quella che, amilogamente al duplice olocausto (Es 29,3842), costituisce l'essenza del culto quotidiano sull'altare esterno. A ben guardare, in effetti, l'olocausto cui si fa riferimento al v. 2, il quale deve stare «sul braciere ...tutta la notte» è verosimilmente quello perpetuo imposto da Es 29,38-42, che, secondo la prescrizione di Nm 28,4.8, dev'essere offerto la mattina e la sera, come ultimo sacrificio della giornata, e che, di conseguenza, arde tutta la notte, probabilmente per estenderne a tutte le ore notturne il valore propiziatorio. Così quelle istruzioni relative ai sacrifici «santissimi» ma non dotati di carattere espiatorio vengono aperte e chiuse dai due sacrifici «perpetui», ossia offerti regolarmente: i due agnelli per l'olocausto, da presentarsi a cura degli «lsraeliti)) (Nm 28,2) e l'ablazione egualmente «perpetua)), da presentarsi a cura del sacerdote Aronne. Entrambe queste offerte vengono totalmente consumate con il fuoco e si presentano come l'offerta quotidiana del popolo di Israele nelle due sue parti costitutive: i sacerdoti e il popolo. Al centro rimane la descrizione dell'oblazione vegetale, analogamente a quanto si era osservato al capitolo 2. Così viene ribadita l'importanza di quest'ultimo tipo di offerta, benché non si tratti di un'offerta presentata quotidianamente «in perpetuO>): si tratta di un'offerta santissima, che può anche assumere valore espiatorio (Lv 5,12), caratterizzata da un memoriale dell'alleanza (2,13) che le dona un rango· speciale. È verosimile che la collocazione di quest'offerta nel testo in analisi non sia senza significato. I riti per i quali si usa il termine tiimid (cfr. nota a 6, 13), in modo particolare l'olocausto quotidiano con la sua ablazione vegetale e la libagione accompagnatoria

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LEVITICO 6,19

di YHWH; sarà bruciata totalmente. 160gni oblazione di un sacerdote sarà totalmente consumata (dal fuoco); non si potrà mangiare». 17YHWH parlò a Mosè: 18«Di' ad Aronne e ai suoi figli: "Questa è l'istruzione riguardo (il sacrificio per) la trasgressione. Nel luogo in cui si scanna l'olocausto sarà scannato (anche) (il sacrificio per) fa trasgressione davanti a YHwH; è cosa santissima. 1911 sacerdote che offre (il sacrificio per) la trasgressione lo mangerà; si mangerà in un luogo santo: nell'atrio della tenda dell'incontro. mezzo del sacrificio in questione e del suo rito del sangue: cfr. 8, 15, o anche in senso traslato Nm 19,19. In questo caso, dato che il pronome :ir;'lk può riferirsi solo a n~~O («sacrifico per la trasgressione») del versetto precedente, non avrebbe senso dare al verbo

questo significato, traducendo, p. es., «purificare il sacrificio per la trasgressione»; il verbo assume dunque la sfumatura tecnica «offrire un sacrificio per la trasgressione» (cfr. anche 9, 15). •:• 6,19 Testi affini: Lv 10,17

(cfr. Nm 28,4.8), erano in accordo con la diffusa abitudine cultuale del Vicino Oriente antico, secondo la quale ogni giorno veniva preparato un banchetto per la divinità, e questo accadeva generalmente alla mattina e alla sera. Nella liturgia !evitica questo rito viene riletto sulla base della teologia dell'alleanza, così da divenire espressione di fede nel rapporto tra YHWH e il suo popolo. Poiché l'oblazione vegetale è particolarmente significativa della teologia dell'alleanza, a causa del «sale dell'alleanza» che vi è obbligatoriamente aggiunto (2,13), l'inserimento delle prescrizioni sull'ablazione vegetale al centro tra le due offerte «perpetue» (tiimid) attira di nuovo l'attenzione sul significato di ricordo dell'alleanza che è proprio del culto di Israele. La precisazione finale, sul fatto che nessun'ablazione presentata da un sacerdote dev'essere mangiata (v. 16), rispecchia la prescrizione di 4,12.21: in quei casi il giovenco del sacrificio per la trasgressione del «sacerdote unto» o quello per tutta la comunità di Israele non veniva mangiato dal sacerdote celebrante, ma veniva bruciato sulla discarica della cenere perché l'offerente era lo stesso sacerdote celebrante (a titolo personale o in quanto parte anche lui della comunità di Israele); analogamente in questo caso chi offre un sacrificio non può goderne i frutti. Un'eccezione è costituita dal sacrificio di comunione, che comunque ha un livello di santità diverso; per questo inoltre non viene contemplato il caso di un sacerdote che sia anche l'offerente, probabilmente perché questi comunque partecipava di tutti i sacrifici che offriva. 6,17-7,21 I sacrifici offerti in occasioni particolari Una nuova formula introduttiva apre un ulteriore discorso di YHWH, diviso in tre istruzioni. Nelle prime due ( 6,18-23 e 7,1-1 0), tra loro collegate, sono precisate le regole dei due sacrifici «per la trasgressione» e «di riparazione». Esse sono concluse dalle norme relative alla consumazione della carne di questi stessi sacrifici, che riserva al sacerdote che li celebra quelle parti che non vengono bruciate sull'altare. Tali norme si estendono anche alla pelle delle vittime degli olocausti, unica parte di questo sacrificio che necessiti di una disposizione in

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LEVITICO 6,20

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7, 7 (Si applica) la stessa legge- Alla lettera: «un'unica legge per loro». L'accentazione masoretica, che pone la pausa maggiore del versetto sotto 007 («per loro») è ambigua: l'inciso «(si applica) la stessa legge» potrebbe riferirsi a tutto il rito (così le principali versioni moderne tra cui la versione CEI che traduce «il sacrificio di riparazione è come il sacrificio per il peccato: la stessa legge vale per ambedue; la vittima spette-

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7,16 La vittima sacrifica/e ... il suo sacrificio (in:!.! ... n~r)- In questo caso risulta evidente come il termine n~~. analogamente ad altri termini del linguaggio sacrificale, designi tanto la vittima che il rito in cui è sacrificata: il pronome possessivo in in:::lt si riferisce alla prima occorrenza del termine. Cosicché.si mangerà ciò che ne è avanzato (':l;=~~. 1~~0 1tliJ;:n) - La sintassi poco chiara

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della frase ha spesso posto problemi interpretativi. La Settanta risolve il problema radicalmente, omettendola. Per Rashi il , iniziale non ha valore, come, p. es., in Gen 36,24; altri vorrebbero unir! o alla parola precedente, leggendo 1tliJ;:t in")~01 «e ciò che ne resta (si mangerà) il mattino dopo». Una soluzione plausibile sta nell'attribuire a, un valore consecutivo. •:• 7,18 Testi affini: Lv 19,7

gerarchia tra i diversi tipi di sacrificio di comunione. Dato che la carne dei sacrifici di comunione non è riservata ai soli sacerdoti, ma è destinata anche alla consumazione dei laici, verosimilmente fuori dal recinto sacro, l'istruzione che li riguarda si conclude con le condizioni di purità necessarie a mangiarla (vv. l9c-2l ). Evidentemente queste istruzioni non sono necessarie nel caso dei sacerdoti, la cui purità durante la celebrazione del culto è data per scontata, ma sono più pertinenti per quanto riguarda il comportamento dei laici; ci si può chiedere allora perché esse siano inserite in un discorso divino rivolto ai sacerdoti (cfr. 6, 18). Occorre notare che la questione della distinzione tra purità e impurità è affare eminentemente sacerdotale (cfr Lv lO, lO), di conseguenza è appropriato inserire le norme relative alla purità dei laici in un discorso destinato ai sacerdoti che devono istruirli. È infine da notare il parallelismo che lega 6,11.20 con 7,21 collegando così l'inizio e la fine del discorso divino: in 6,20 vengono date norme per «neutralizzare» la santità contagiosa della carne e del sangue del sacrificio per la trasgressione, qualora essi «tocchino» qualcosa, mentre in 7,21 si precisa che la persona impura non può consumare la carne sacrificate. In

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LEVITICO 7,21

si avanzerà per il giorno dopo. 16Ma se la (vittima) sacrificale che viene offerta è un voto o un dono spontaneo, sia mangiata sia nel giorno in cui si offre il suo sacrificio sia l'indomani, cosicché si mangerà ciò che ne è avanzato. 17Invece ciò che rimane della carne del sacrificio al terzo giorno, sarà bruciato nel fuoco. 18Ma se si oserà mangiare della carne del proprio sacrificio di comunione al terzo giorno, colui che l'ha offerto non sarà accettato, non si terrà conto di lui; (la carne) sarà considerata un rifiuto e la persona che ne mangia ne porterà la colpa. 19La carne che tocchi qualsiasi cosa impura non verrà mangiata; sarà bruciata nel fuoco. Per quanto riguarda la carne: chiunque sia puro potrà mangiare la carne. 20Per ciò che concerne la persona che mangerà la carne del sacrificio di comunione, che appartiene a YHWH, essendo in stato di impurità, quel tale sarà reciso dalla sua parentela. 21 Quando una persona toccherà qualsiasi cosa impura: un'impurità umana o un animale impuro o un'abominazione impura e poi mangerà della carne del sacrificio di comunione che appartiene a YHWH, quella persona sarà recisa dalla sua parentela"». 7,21 Un 'abominazione impura (~~l? fP~) L'espressione risulta strana perché tautologica In 5,2 si trova un passo parallelo dove compare ~~ ~«un animale brulicante impurm>, mentre il nesso ~~ fP~ non si trova altrove nella Bibbia ebraica; di conseguenza molti commentatori correggono in n~ «animale brulicante», come si trova in pochi manoscritti ebraici, nel Pentateuco Samaritano, nella Peshitta e in alcuni

manoscritti del Targurn; tale lezione è molto più comprensibile e perciò sospetta di essere facilitante. In Lv Il i due termini compaiono nel medesimo contesto e possono essere considerati quasi sinonimi, anche se ha un senso più specifico, mentre 5,2 e 7;21 non sono esattamente paralleli e dunque non è il caso di ridurre l'uno all'altro. Preferisco mantenere la lezione del Testo Masoretico come lezione più difficile.

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entrambi i casi si tratta di un contatto inappropriato tra la materia consacrata e quanto le è estraneo. Ciò che viene a contatto con questi elementi non può evidentemente essere qualcosa di impuro, dato che essi devono essere manipolati e consumati ali 'intemo dell'area sacra, da dove ogni impurità è bandita. La loro particolare santità però fa sì che essi comunichino il loro stato agli oggetti che li.toccano, i quali ne sono consacrati. Il vasellame usato per cucinare la carne sacra dev'essere desacralizzato con la rottura, se si tratta di un vaso di ceramica, o con una scrupolosa lavatura se esso è di metallo, analogamente a quanto·è prescritto per l'utensile divenuto impuro in 11,33. La veste sacra macchiata dal sangue dev'essere scrupolosamente lavata ma, essendo già sacra (cfr. Es 29 ,21.29), non riceve un 'ulteriore consacrazione dal contatto con il sangue. Colpisce il fatto che le realtà sacre e le realtà impure, a certi livelli, abbiano lo stesso comportamento: una sorta di fluido che intacca ciò cui si avvicina. Occorre però notare che in questo caso la sacralità dell'offerta si comunica alle cose che tocca, ma non alle persone, mentre l'impurità tende sempre a minacciare le cose sacre, che richiedono di essere protette da essa.

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LEVITICO 7,22

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7,24 Morto naturalmente - Il sostantivo n7~~ ricorre in 5,2 nel senso di «carogna».

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La traduzione adottata vuole evidenziare l'opposizione tra questa parola e i1~!t;l

7,22-27 Il grasso e il sangue In due formulazioni parallele, un altro discorso di YHWH proibisce la consumazione del grasso e del sangue. La norma dettaglia le istruzioni già date a 3, 17. La sua inserzione a questo punto è ben spiegabile contenutisticamente: il discorso precedente di YHWH, pur essendo rivolto ad Aronne e ai suoi figli (6, 18), si concludeva con le norme sulla purità da osservarsi nella consumazione dei sacrifici di comunione, per sé valide tanto per i sacerdoti che per i laici. Nei sacrifici in generale, e in quelli di comunione in particolare, è all'offerente che spetta l'incarico di macellare la vittima e di consegnare al sacerdote le parti di essa che devono essere presentate sull'altare, ossia il sangue e il grasso (cfr. 1,5-6; 3,2-3 epassim), considerate materie riservate esclusivamente a YHWH. In più i sacrifici di comunione sono gli unici nei quali l'offerente consuma una parte della vittima. La collocazione a questo punto della proibizione è dunque giustificata. Volgendo a conclusione la Torà sacrificale, si riassume quanto è proibito ai laici: il sangue e il grasso in quanto spettanti a YHWH, e alcune parti della vittima in quanto spettanti al sacerdote (vv. 31-34). Il motivo della proibizione del sangue non è chiarito in questo testo, ma lo sarà in modo approfondito in 17,14: «Infatti la vita di ogni essere vivente è il suo sangue con la vita che esso porta; perciò ho detto agli Israeliti "Non mangerete il sangue di nessun essere vivente, perché la vita di ogni essere vivente è il sangue di questa; tutti quelli che lo mangeranno saranno recisi"». Si tratta di uno dei pochi testi Sacerdotali che danno la motivazione teologica di una legislazione, anche se questa motivazione pone particolari problemi, che verranno esaminati a suo tempo. Più sfuggente appare la motivazione, mai chiarita in modo esplicito, della proibizione del grasso. Il testo proibisce ogni tipo di grasso derivante dagli animali sacrificabili (bovini, ovini caprini). Il v. 25 precisa ulteriormente che sono esclusi solo gli animali «da cui si presenta un

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LEVITICO 7,29

parlò a Mosè: 23 «Di' agli Israeliti: "Non mangerete alcun tipo di grasso di bovino, di ovino e di capra. 24Tuttavia il grasso di un animale morto naturalmente e il grasso di un animale sbranato potrà essere utilizzato per qualunque uso, ma assolutamente non ne mangerete. 251n effetti, chiunque mangerà il grasso dell'animale da cui si presenta un dono per YHWH, la persona che ne avrà mangiato sarà recisa dalla sua parentela. 26E nemmeno mangerete di alcun (tipo di) sangue in tutti i vostri luoghi di residenza, né appartenente a un volatile né a un animale terrestre. 27Chiunque mangerà un qualunque (tipo di) sangue, quel tale sarà reciso dalla sua parentela"». 28 YHWH parlò a Mosè: 29«Di' agli Israeliti: "Chi o:f:fre il sacrificio di comunione a YHWH, porterà come offerta a YHWH parte del suo

22 YHWH

termine tecnico che deriva dal verbo 'jl~ «sbranare)), e indica l'animale ucciso da

una fiera; di conseguenza, non può essere mangiato (17,15; 22,8).

dono per YHWH». Dunque, di per sé il grasso della selvaggina è consumabile, mentre il sangue di qualsiasi animale, anche di quelli puri ma non sacrificabili (v. 26), è interdetto. Il v. 24 permette l'utilizzo non alimentare del grasso di un animale per sé sacrificabile ma morto naturalmente o ucciso da una fiera. È da notare che non si prevede la medesima cosa per un eventuale animale macellato al di fuori del rito sacrificate; questo in armonia con la prospettiva di 17,1-4, un testo che si ritiene appartenga al cosiddetto Codice di santità (cc. 17-26), e anche con quanto implicato in 3,17, testo probabilmente derivante dalla stessa tradizione. Secondo tale prospettiva, la macellazione profana degli animali sacrificabili non è prevista. I motivi per cui le parti grasse sono riservate a YHWH sono stati illustrati nel commento al capitolo 3; l'esclusione della consumazione delle stesse da parte degli offerenti deriva da questo medesimo fatto: dato che la macellazione profana non è prevista dalla prospettiva teologica di questo testo e dato che le parti da offrire a YHWH durante il sacrificio sono strettamente determinate e sono appunto le parti grasse, ne consegue che la loro consumazione da parte dell'offerente è una prevaricazione rispetto a quanto è dovuto a YHWH solo. Per questo motivo la consumazione del grasso della selvaggina non è proibita: non essendo quest'ultima sacrificabile, il suo grasso non è mai destinato a YHWH e dunque la sua consumazione non è una prevaricazione nei suoi confronti. Diverso è il caso del sangue, che è proibito non tanto perché è destinato a YHWH, ma perché, appunto, «la vita della carne è nel sangue» ( 17,11 ), e in quanto tale gli appartiene. Egli eventualmente può concederlo per effettuare il rito di espiazione (cfr. sempre 17, Il), ma in nessun caso come nutrimento, anche se si tratta del sangue di un animale per sé non sacrificabile. 7,28-34 Le spettanze sacerdotali sul sacrificio di comunione Il quinto e ultimo discorso di questa prima parte del libro del Levitico riguarda le spettanze sacerdotali del sacrificio di comunione. Dato che la macellazione della vit-

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LEVITICO 7,30

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•: > (8,4-30 e 9,8-24), intervallate da alcune parole di Mosè (8,31-35 e 9, 1-7), e del racconto della morte di Nadab e Abihu con le sue conseguenze (10,1-7.16-20), anch'esso intervallato da un discorso di Mosè, stavolta più corposo (l O, 12-15). I discorsi di Mosè si presentano come ripetizioni e precisazioni di quanto già detto da YHWH, particolarmente nel capitolo 29 del libro dell'Esodo, cosicché l'unica nuova disposizione legislativa è quella contenuta nel secondo intervento di YHWH e riguardante l'astinenza dagli alcolici nel periodo del servizio sacerdotale.

8,1-36 L'investitura dei sacerdoti e la consacrazione della «dimora» La prima sequenza narrativa è estremamente complicata e pone dei gravi problemi interpretativi. Può essere considerata un'unica grande pericope strutturata in modo concentrico attorno ai vv. 14-29 nei quali viene dato il resoconto dei sacrifici offerti per l'occasione. Tali versetti sono racchiusi dal resoconto della purificazione di Aronne e dei suoi figli, della loro vestizione e dell 'unzione della «dimora>>, dei suoi arredi e di Aronne (vv. 6-13), e dalla narrazione della seconda unzione dei sacerdoti con l'olio e con il sangue prelevati dall'altare (v. 30). La pericope è introdotta e conclusa dalle istruzioni di YHWH a Mosè (vv. 1-5) e di Mosè ad Aronne e ai suoi figli (vv. 31-36).

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LEVITICO 8,3

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le faceva assumere un carattere sacro (cfr. Lv 19,19) che la rendeva inadatta all'uso quotidiano. La sopravveste (':l•~o;:r)- Il capo di vestiario è menzionato altrove nella Bibbia ebraica, ma non ha un uso esplicitamente sacrale. Lo indossano Samuele (l Sam

Un problema spesso studiato riguarda il rapporto tra Levitico 8 ed Es 29, testo nel quale YHWH dà le disposizioni per il rito descritto nel capitolo in analisi. In effetti i due testi, sebbene descrivano un rito a un dipresso simile, presentano alcune significative differenze, la più rilevante delle quali è la diversa collocazione del rito dell 'unzione con olio e sangue. In effetti in Es 29,20-21 questo rito è collocato al centro della pericope. Anche il rapporto tra la consacrazione dell'altare e la consacrazione dei sacerdoti è diverso rispetto a quanto compare in Es 29: in quel testo infatti la consacrazione dell'altare (Es 29,36-37) veniva accennàta dopo quella dei sacerdoti (Es 29,1-35), e trattata per esteso solo in Es 40,9-11, provocando così una caratteristica incongruenza. Infatti in Es 29,21 si ordina di consacrare i sacerdoti aspergendoli del sangue sacrificate e dell'olio dell'unzione presi dall'altare: che il sangue fosse stato sparso sull'altare era precisato al v. 20, mentre fino a quel punto non si era fatta menzione dell'olio, che quindi faceva una comparsa un po' improvvisa. Occorre tenere conto del fatto che Es 29 tratta separatamente i due riti, mentre Lv 8 ne presenta il concreto svolgimento liturgico. Ed è a questo fatto che molte discrepanze vanno attribuite, come il redattore stesso precisa al v. 17: si tratta deli' esecuzione di istruzioni precedentemente comunicate a Mosè. Non sarebbe tuttavia corretto appiattire Lv 8 su Es 29: la diversa articolazione dei riti suppone anche una diversa concezione del loro significato. In Es 29l'aspersione dell'olio misto a sangue ha un posto centrale, mentre in Lv 8 tale posto è occupato piuttosto dagli atti sacrificali in quanto tali. È probabile che Es 29 sia precedente a Lv 8 e che quest'ultimo ne sia una rielaborazione, motivata anche dali 'intento di apportare una correzione teologica, volta a non interrompere i riti sacrificali. Ancora si può notare che in Lv 8,23 Aronne viene cosparso con il sangue dell'ariete prima che vengano cosparsi i suoi figli, mentre in Es 29,20 ciò avviene simultaneamente. Anche qui la motivazione sembra essere teologica: il desiderio di mettere in luce il ruolo di Aronne. Altri elementi di differenza sembrano sottolineare il fatto che Lv 8 si pone come una rilettura nei confronti di Es 29, non solo perché

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LEVITICO 8,7

trasgressione, i due arieti e il canestro degli azzimi. 3Poi raduna tutta la comunità all'ingresso della tenda dell'incontro». 4 Mosè fece come gli aveva ordinato Y HWH e la comunità si radunò all'ingresso della tenda dell'incontro. 5Allora Mosè disse alla comunità: «Questo è quanto YHWH ha ordinato di fare!». 6Mosè presentò Aronne e i suoi figli (a YHWH) e li lavò con acqua, 7poi rivestì lui della tunica, lo cinse con la cintura, gli fece indossare la sopraweste, 15,27; 28,14), Saul (lSam 24,5.12) e Yonatan (l Sam 18,4). È un abito di pregio e di circostanza (cfr. Gb l ,20; 2, 12), il distintivo delle principesse di sangue reale ancora nubili (2Sam 13, 18), dei sovrani (Ez 26, 16), dei capi come Esdra (Esd 9,3.5). Quella del sacerdote Aronne è interamente di porpo-

ra, con una scollatura decorata (Es 28,31) e adornata di campanelli con funzione apotropaica, alternati a ricami raffiguranti melagrane (Es 28,33-35), simboli cultici ben noti in tutto il Vicino Oriente Antico, aventi probabilmente un valore beneaugurante di fecondità.

descrive il concreto svolgimento dei riti, ma perché ne dà una reinterpretazione. 8,1-5 Preliminari e convocazione Il rito si apre con un ordine esplicito di YHWH, che fa chiaro riferimento a quanto prescritto in Es 29,1-3, dove veniva precisato che le offerte vegetali dovevano essere previamente presentate a YHWH; per questo motivo qui sono citate come qualcosa di già conosciuto. Anche in 8,26 si mostra questa consapevolezza quando si precisa che il canestro degli azzimi è «davanti a YHWH». L'introduzione si chiude con la certificazione da parte di Mosè della perfetta conformità del rito con gli ordini di YHwH. Il testo si presenta come una citazione diretta delle prime parole di Es 29,1, che è dunque il suo riferimento diretto; in ogni caso non si può negare che l'espressione «questo è quanto» (zeh haddabar) abbia anche di mira le azioni che Mosè compie immediatamente dopo avere pronunciato tali parole. 8,6-13 Vestizione dei sacerdoti e unzione di Aronne e de/l 'altare I versetti presentano i riti preliminari alla consacrazione dei sacerdoti. Aronne e i suoi figli vengono «presentati>> (wayyaqreb, alla lettera «fatti avvicinare»), e il testo parallelo di Es 29,4 precisa «ali' ingresso della tenda dell'incontro». La tenda dell'incontro era stata menzionata due volte nei versetti precedenti, dunque non viene richiamata qui. Tuttavia, l'omissione fa sì che in Levitico i futuri sacerdoti siano designati con il verbo qarab hifil («far avvicinare», «presentare») usato in modo assoluto, com'è normale per le offerte sacrificali. Non è chiaro se la cosa sia intenzionale, ma, data l'alta tecnicità de li' espressione, è per lo meno probabile che si suggerisca uno status dei futuri sacerdoti analogo a quello delle vittime sacrificali, come sarà visto chiaramente più avanti. Analogamente in N m 8,9-11 i !eviti, ali' atto della consacrazione, sono fatti oggetto degli stessi riti svolti sulle vittime sacrificali (imposizione delle mani, elevazione), e i sacerdoti stessi in 8,27 sono «elevati» insieme alle offerte che tengono nelle mani. I vv. 7-9 elencano i capi di vestiario nell'ordine in cui sono indossati. Dopo la tunica viene imposta la cintura, la cui assunzione da parte di Aronne in Es 29

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LEVITICO 8,8

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L 'efod (,~~~)-Data l'incertezza che regna sull'esatta natura di questo capo d'abbigliamento, sulla scorta della maggioranza delle versioni moderne è preferibile non tentare una traduzione di questa parola. Doveva trattarsi di una versione enormemente arricchita e appesantita del perizoma di lino, dapprima veste comune, poi rimasto ne li 'uso cultuale. Quello indossato da David durante il trasporto dell'arca dell'alleanza (2Sam 6,20) era appunto di lino, e si presentava come un abito poco consistente, al punto da scomporsi durante la danza sacra e da esporre il pio re a una sconvenienza. Quello di cui si tratta qui (confezionato con una sorta di broccato con fili d'oro e dotato di una sorta di cintura di fattura particolare, che probabilmente faceva corpo unico con esso, e da una specie di bretelle adorne di pietre preziose, verosimilmente con lo scopo di sostenerlo ed evitare che scivolasse, cfr. Es 28,7-9) era l'insegna propria del sommo sacerdote. È molto difficile indovinare quali fossero i rapporti tra questo paramento sacro e l' efod con funzione oracolare (l Sam 23,6.9), oggetto di culto di fattura non chiarita, ma che sembra essere non una veste ma qualcosa di più consistente, che si «porta» o si «apporta» (l Sam 2,28; 14,3) o si colloca in un luogo di culto (Gdc 8,24-27), dietro al quale si può riporre qualcosa (l Sam 21, l 0). Le caratteristiche di questo efod divinatorio e i suoi rapporti con la veste sacerdotale dello stesso nome non sono stati ancora chiariti, ma occorre notare che l'abito sacerdotale è connesso con la funzione oracolare del sacerdote Aronne

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soprattutto perché il pettorale (cfr. al v. 8), che contiene gli oggetti divinatori chiamati urim e tummim, si presenta come un accessorio deli' efod medesimo (cfr. Es 28, 15-30). La chiusura (~W".)- La parola ricorre qui e in Es 28,8.27.28; 29,5; 39,5.20.21 per indicare un dettaglio de Il' efod. Il termine deriva dal verbo ~wn che significa, tra l'altro, «progettare», «escogitare». Stringendo lo (,t!N•!)- Il verbo ricorre solo qui e nel parallelo Es 29,5. Si tratta di un verbo denominativo derivante dal sostantivo ,~~-Dato che nella stessa frase si è parlato dell'atto di cingere questo capo di abbigliamento con la chiusura che gli è caratteristica, è evidente che il verbo significa ancora «cingere», «stringere». 8,8 Pettorale (lrph::t) - Si trattava di un ornamento quadrato largo e lungo una spanna e adornato da dodici pietre preziose recanti i nomi delle dodici tribù; era collegato ali' efod da un sistema di catenelle, i cui dettagli precisi rimangono sfuggenti. Paralleli di ornamenti simili a uso sacra! e o semplicemente decorativo sono comuni in tutto il Vicino Oriente antico: si pensi particolarmente ai numerosi esempi egiziani. E inserì nel pettorale (lWh;:t-':l~ 10•1) - Qui e nel parallelo Es 28,30 la Settanta e il Pentateuco Samaritano (qui anche la Peshitta) leggono 1WhìT':l.P «sul pettorale>>. La maggioranza dei commentatori e delle versioni seguono il Testo Masoretico. La variante è stata originata da un'armonizzazione con Es 28,22.23; 39,15, dove però si parla dell'aspetto esterno del pettorale. Il parallelo tra

veniva ritardata fino al completamento della vestizione degli altri sacerdoti. Anche questo dettaglio rituale indica una diversa concezione teologica tra i due testi: per Levitico, Aronne è completamente rivestito prima che i suoi figli incomincino ad assumere le insegne del loro grado; mentre in Es 29,9l'assunzione della cintura,

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LEVITICO 8,9

gli mise l' efod e lo cinse con la chiusura dell' efod stringendolo con essa. 8Gli impose quindi il pettorale e inserì nel pettorale gli urim e i tummim. 9Gli impose poi il turbante sulla testa e, sulla parte anteriore del turbante, gli impose il fiore aureo, diadema sacro, come YHWH aveva ordinato a Mosè. Es 25,21 (collocazione delle tavole della Testimonianza nell'arca) ed Es 28,30 (collocazione degli uri m e tummim nei pettorale) chiarisce che i due gruppi di oggetti hanno la medesima funzione di espressione della volontà di YHWH posta al centro del culto di Israele. La variante renderebbe meno evidente quest'elemento del testo. Gli urim e i tummim -Come nel caso dell' efod, p~eferisco non tradurre questi due termini dal significato incerto. Si possono fare solo due affermazioni sicure: si trattava di oggetti con funzione divinatoria (Es 28,30; N m 27,21; l Sam 28,6) che, in epoca postesilica, erano soltanto un ricordo storico cui non corrispondeva più qualcosa di reale (Esd 2,63; Ne 7,65), e le loro dimensioni erano tali da poter essere contenuti in un pettorale largo e lungo una spanna. Tutto ciò che si può dire di più di questi oggetti può essere fatto solo sulla base di congetture. Il loro numero è incerto: trattandosi di due nomi plurali, si potrebbe pensare che si trattasse di due gruppi di oggetti, ma si potrebbe anche trattare di una finale singolare arcaica in c- rimasta cristallizzata nel!' uso liturgico. Le radici delle due parole (i1t( «luce», ma potrebbe anche essere iiN «maledizione» e cm, con «completezza», «perfezione»), non sembrano molto chiarificanti e comunque la loro identificazione non è sicura. È abbastanza plausibile pensare che si trattasse di un rituale psefomantico, ossia di divinazione tramite dadi, pietruzze o simili, il quale forse ammetteva anche la possibilità di una risposta neutra (cfr. ISam

28,6) o più articolata di un «SÌ» o di un «DO>) (cfr. Gdc l , l; l Sam l 0,22, ma in nessuno di questi casi gli oggetti in questione vengono citati esplicitamente). Quello che risulta chiaro è che i testi Sacerdotali li considerano oggetti molto venerabili e carichi di un forte significato simbolico, al punto da conferire loro una collocazione d'onore e una rara spiegazione teologica nell'ambito della descrizione dettagliata delle vesti sacerdotali (cfr. Es 28,29-30), mettendo li in parallelo alle stesse tavole dell'alleanza, ma forse tendono a !imitarne l 'uso ai soli casi in cui si può fare «davanti a YHWH», ossia nel santuario. 8,9 Il turbante (M:J~~OìJ) - Parola derivata dal raro verbo rp~ ·N' 1Wt-~ ilO~ ìO~Ò 'D'~-~ ìW~~ 1uio ;i1N hn!lm 33 :~!)1ivn WN:L on;:J~ ìiv:L:L ..

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8,31 All'ingresso- La Settanta al posto di n!}~ ha Èv ·tti aÙÀ.U «nel cortile», che presupporrebbe un testo ebraico originario ,~IJ~. Il Testo Masoretico è da salvaguardare: quella della Settanta non è una vera variante, ma l'espressione di una concezione diversa del rito. Dell'incontro- Il testo della Ghenizà del Cairo omette iJ1iO sia qui che al v. 35. Anche se si tratta di una lezione più breve e più difficile, il Testo Masoretico è preferibile data la tecnicità de !l'espressione: il nesso di

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parole ';,;::tk n!}~ senza iJ1iO si trova a indicare l'ingresso. di una tenda qualsiasi (cfr. Es 33,8; Nm ll,lO; 16;27), mai l'ingresso della «dimora». Ho ordinato - La Settanta, la Peshitta e il Targum, tanto qui che in l O, 18, invece di 'D'~.l,l leggono •n·r~ «mi è stato ordinato». Il problema sorge perché in Es 29,32 è YHWH, non Mosè, a impartire questa disposizione. La scelta è difficile, ma si può osservare che il Testo Masoretico distin-

«all'entrata della tenda dell'incontro>>, analogamente a quelle del sacrificio per la trasgressione, le quali devono essere consumate «nell'atrio della tenda dell'incontro» (6,19), espressione con ogni probabilità equivalente a quella del testo in analisi, come risulta chiaro dal v. 35, che prescrive ai sacerdoti di rimanere per sette giorni all'entrata della tenda dell'incontro, intendendo evidentemente che essi non debbano allontanarsi dall'atrio della «dimora». Coloro che consumano le carni sono i sacerdoti, che sono gli offerenti stessi, e ciò secondo quanto è previsto per i sacrifici di comunione (7, 19). Si tratta dunque di un sacrificio caratterizzato da uno status particolare, a metà strada tra i sacrifici per la trasgressione e quello di comunione, analogo alla particolare condizione liminare propria dei sacerdoti durante il rito della loro consacrazione. L'ordine dei sacrifici presente in 7,3 7 rispecchia questa concezione. Il rituale descritto nei versetti precedenti dev'essere ripetuto per sette giorni; questo fa dunque sì che la prescrizione del v. 32, relativa all'obbligo di bruciare

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LEVITICO 8,36

all'ingresso della tenda dell'incontro; la mangerete là insieme al pane che è nel canestro dell'investitura, come ho ordinato dicendo: "La mangeranno Aronne e i suoi figli". 32 Invece l'avanzo della carne e del pane lo brucerete nel fuoco. 33 Non uscirete dall'ingresso della tenda dell'incontro per sette giorni, fino al compimento del periodo della vostra investitura, perché il rito dell'investitura durerà sette giorni. 34Quello che si è fatto oggi, YHWH ordina che si faccia (ancora), per compiere il rito espiatorio a vostro favore. 35 Rimarrete all'ingresso della tenda dell'incontro di giorno e di notte, per sette giorni, osservando la prescrizione di Y HWH, per non morire; così infatti mi è stato ordinato». 36Aronne e i suoi figli fecero quindi quanto YHWH aveva ordinato per mezzo di Mosè. gue la lezione di 8,31; l O, 18 (dove si trova «come ho ordinato») da 8,35; l O, 13 (dove troviamo •n·~~ 1::;,-·~ «poiché così mi è stato ordinatm> ). Vi è dunque il sospetto di un'assimilazione. Propongo quindi di scegliere la lezione del Testo Masoretico come lezione più difficile. La difficoltà si può spiegare pensando che Mosè, che in tutto il testo si presenta come l'officiante principale del rito pur non essendo sacerdote, rivesta qui anche il ruolo di istruttore dei

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neoconsacrati riguardo ai loro compiti sacri. 8,33 Perché il rito della vostra investitura durerà sette giorni (c;:,,•-nN NS~· C'~' nl1~:zì ·~) -Alla lettera: «p~rché per s~tte gi~rni ~i· ri~mpirà la vostra mano». Una variante abbastanza diffusa legge al plurale C::;!',_' «le vostre mani», probabilmente inflm:nzata dal fatto che si parla di più sacerdoti. La forma abituale d eli' espressione tecnica è però al singolare; la variante dev'essere respinta perché facilitante.

gli avanzi non consumati debba essere intesa come riferita a ognuno dei sette sacrifici dell'investitura (cfr. v. 33). La stessa procedura, che impone di consumare la carne della vittima e di bruciare gli avanzi il giorno stesso, è prescritta per il sacrificio di ringraziamento, il più importante dei sacrifici di comunione (cfr. 7,15), a conferma della situazione particolare del sacrificio dell'investitura: un po' meno sacro dei sacrifici con carattere espiatorio, ma al limite superiore della santità rispetto ai sacrifici di comunione. La prescrizione del v. 35, che impone ai sacerdoti di non allontanarsi per sette giorni e sette notti dall'apertura della tenda dell'incontro, cioè dal suo atrio, sotto pena di morte esprime il fatto che in tale periodo essi si trovano nello stato liminare del rito di passaggio, che comporta tabù e pericoli spec}ali. La consacrazione è completa solo al settimo giorno del rituale, nel quale i sacerdoti acquisiscono il loro stato finale. L'acquisizione di tale qualifica è espressa nella celebrazione dell'ottavo giorno (9,8-24), nella quale essi esercitano per la prima volta il loro ministero, ed è sanzionata da una teofania.

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LEVITICO 9, l

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•:• 9,24 Testi affini: IRe 18,38; 2Mac 2,10 10,1 Lapropria paletta da incenso- L'ebraico :'!nn~ indica un utensile che, in Levitico, compare qui e in 16,12, dove ha un ruolo di primo piano nel rito che il sacerdote Aronne deve compiere nel Santo dei Santi nel giorno dell'Espiazione. Si tratta di un oggetto ben documentato nel Vicino Oriente antico, tanto archeologicamente che iconograficamente, il quale consisteva in una sorta di paletta (talora un recipiente a forma di mano umana)





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sulla quale si ponevano i carboni ardenti e l'incenso da portare davanti alla divinità. Con questa funzione lo troviamo nella narrazione di N m 16-17, dove è anche questione di un'offerta «straordinaria» di incenso, ma il termine designa soprattutto un accessorio del candelabro d'oro (Es 25,38; 37,23; Nm 4,9) e dell'altare (Es 27,3; 38,3; N m 4, 14), non collegato a un rito dell'incenso ma, più verosimilmente, alle necessità di pulizia e di manutenzione dei due sacri oggetti.

La seconda manifestazione consiste nel fuoco che consuma i sacrifici emergendo dall'interno del santuario («dalla presenza di YHWH», v. 24), e sottolineando in questo modo il fatto che YHWH ormai dimora nel santuario stesso (cfr. Es 25,8; 29,45). Il fuoco è strettamente collegato con la nube, che in Es 14,24 è definita «colonna di fuoco e di nube», e anche l'aspetto della Gloria sul Sinai è definito «come un fuoco divoratore» (Es 24, 17). Si può dunque considerare che il fuoco che divora le offerte in Lv 9,24 altro non sia che la Gloria stessa di YHWH, che sanziona così direttamente i riti compiuti, mostrando il gradimento di YHWH (cfr. l Re 18,22-39 e, nella rilettura che il Cronista dà della storia deuteronomistica, l Cr 21 ,26; 2Cr 7, l-3). Si può osservare che l 'intervento di questo fuoco divoratore sia superfluo, dato che le offerte sono già state poste a bruciare sull'altare. In realtà, da un punto di vista narrativo, la cosa è spiegabile: il fuoco divino consuma in un istante le offerte che stanno consumandosi sull'altare e sanziona così definitivamente l'accettazione dei sacrifici. L'acclamazione finale del popolo dev'essere intesa non come un'espressione di terrore, ma un grido gioioso alla vista della teofania.

10,1-20 Gravità delle trasgressioni rituali e funzioni dei sacerdoti La pericope riporta la terza narrazione contenuta in questa seconda sezione del Levitico, la quale è racchiusa tra due momenti che formano inclusione: nei vv. 1-3 viene raccontata la tragica conseguenza della trascuratezza rituale di due dei figli di Aronne, Nadab edAbihu, mentre nei vv. 16-20 il tema della morte dei due giovani è ripreso per giustificare con una situazione di lutto il comportamento apparentemente trasgressivo tenuto da Aronne nei confronti delle carni sacrificali. All'interno di tale cornice incontriamo una serie di disposizioni legislative a loro volta costruite

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LEVITICO l 0,2

4-un fuoco scaturì dalla presenza di YHWH, divorando sull'altare l'olocausto e le parti grasse, tutto il popolo vide, gridò e si prostrò a terra.

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Nadab e Abihu, figli di Aronne, presero. ciascuno la propria paletta da incenso, vi posero fuoco e infusero sopra di esso incenso, poi offrirono alla presenza di YHWH un fuoco estraneo, che egli non aveva ordinato loro. 2Allora un fuoco scaturì dalla presenza di YHWH e li divorò; così morirono davanti a YHWH. 1

Sopra di esso (:;r'~~) - Il Pentateuco Samaritano, la Peshitta e una parte della tradizione manoscritta del Targum leggono FT'~P «sopra di esse)), riferito evidentemente alfe pàlette da incenso. Con la maggioranza dei commentatori e delle traduzioni mantengo il Testo Masoretico: l'enfasi di esso sembra infatti posta proprio sul fuoco «estraneo)). Verosimilmente, se il testo si fosse riferito alle palette, sarebbe stata usata la preposizione ~ al posto di ',:7, Un fuoco estraneo - Le parole :1l! so-

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no significativamente assenti nel testo della Ghenizà del Cairo. L'esiguità della testimonianza di questa lezione, e il fatto che potrebbe essere stata generata da un omeoarcto, impedisce di preferirla al Testo Masoretico; è tuttavia significativo che varie tradizioni testuali abbiano cercato di distogliere l'attenzione dal fuoco, a dimostrazione che la natura esatta dell'infrazione non è chiara. •:• 10,1-3 Testi affini: Lv 16,1 •:• 10,2 Testi affini: Nm 16,35

in forma chiastica: due discorsi di Mosè, il primo riguardante le regole del lutto per i sacerdoti (vv. 4-7) e il secondo concernente le regole per la consumazione delle rimanenze sacrificali (ablazione vegetale e spettanze sacerdotali del sacrificio di comunione, vv. 12-15) racchiudono un discorso di Y HWH ( vv. 8-11 ), nel quale egli, partendo dal divieto per i sacerdoti di bere alcolici durante il loro servizio, sancisce la funzione propria del sacerdozio: quella di «distinguere» tra sacro e profano e tra impuro e puro, e quella di «insegnare» ai figli di Israele le norme della legge divina. In questo modo il discorso di YHWH si pone al centro della struttura. 10,1-3 Le tragiche conseguenze della trascuratezza rituale La natura esatta dell'infrazione commessa dai figli di Aronne non risulta immediatamente chiara. Nei testi Sacerdotali, oltre a quella sul giorno dell'Espiazione (16,6), non c'è alcun' altra prescrizione che disponga un'offerta di incenso tramite la «paletta», ma non è possibile affermare che la natura dell'illecito fosse proprio di avere compiuto questo rito, dato che nella narrazione di Nm 16,16-18 l'uso di tale strumento costituisce parte integrante dell'ordalia che permette di distinguere i sacerdoti legittimi dagli usurpatori. Doveva trattarsi di una sorta di offerta spontanea per la quale si utilizzava uno strumento di proprietà privata e non del santuario, come indica il testo affermando: «ciascuno la propria paletta da incenso» (v. l). L'unico fatto che il testo critica effettivamente è che i due figli di Aronne hanno presentato un «fuoco estraneo», critica che viene ripetuta in tutti i brani in cui ci si riferisce all'episodio in questione (cfr. Nm 3,4; 26,61). In che senso si può pensare che il fuoco in questione sia «estranem>? È probabile che si intenda stigmatizzare il fatto che il fuoco sia stato portato dall'esterno del

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LEVITICO l 0,3

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per la teologia Sacerdotale, la prima generazione dei figli di Aronne abbia uno status di maggiore sacralità rispetto ai sacerdoti che sarebbero succeduti, dato che «l'olio dell'unzione di YHWH)) è su di loro (v. 7). Si potrebbe però anche trattare di una tensione fra diverse tradizioni Sacerdotali. La proibizione del v. 7 dev'essere chiaramente intesa come legata al contesto: non è fatto obbligo ai sacerdoti di abitare permanentemente nel santuario; essi però non devono allontanarsi da esso per partecipare ai riti funebri. Si tratta anche in questo caso di una proibizione limitata ad Aronne e ai suoi figli, probabilmente da non riferirsi soltanto al tempo della loro consacrazione, dato che esso, per sé, è già finito e dato che la medesima proibizione, riguardante però solo il sommo sacerdote, è espressa in 21,12 con la stessa motivazione e ha evidentemente un carattere permanente: dato il contesto, che riguarda i riti di lutto, è a questi riti che la proibizione dovrebbe essere riferita. 10,8-11 L 'astinenza sacerdotale e le funzioni didattiche dei sacerdoti Il centro della pericope è occupato dal discorso di YHWH, tanto più rilevante in quanto è l'unico rivolto direttamente ad Aronne, senza la mediazione di Mosè. YHWH sancisce una norma legislativa intesa come permanente («statuto eterno)); v. 9b): il divieto di bere alcolici durante l'esercizio del culto (la proibizione delle bevande alcoliche è presente anche in Ez 44,21 ). I sacerdoti devono comportarsi così per due motivi: evitare un pericolo di morte ed essere in grado di distinguere le varie sfere della santità e della purità, nonché di insegnare tale distinzione agli Israeliti. La seconda motivazione risulta abbastanza comprensibile: per svolgere le loro funzioni di sorveglianza e di insegnamento di una materia così delicata e così rischiosa occorre che siano perfettamente padroni di se stessi. La prima attira maggiormente l'attenzione perché è uno dei cinque casi in cui una trasgressione cultuale è sanzionata esplicitamente con la morte. Gli altri quattro sono: l'obbligo per il sommo sacerdote di portare dei campanelli risuonanti sull'orlo di una sua veste durante l'esercizio del ministero nella tenda dell'incontro (Es 28,33-35); l'omissione delle abluzioni preliminari ali 'ingresso nella tenda dell'incontro (Es 30,20); la proibizione di entrare davanti al velo interno della «dimora» per il sacerdote che abbia qualche

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LEVITICO 10,9

per non morire e perché Egli non si adiri con tutta la comunità; invece i vostri fratelli, tutta la casa di Israele, facciano lutto per l'incendio che YHWH ha fatto divampare. "Non uscite dall'ingresso della tenda dell'incontro, perché non moriate, dato che l'olio dell'unzione di YHWH è su di voi». Essi si comportarono secondo l'ordine di Mosè. 8Y HWH parlò ad Aronne: 9«Non berrai vino o bevanda inebriante, né tu né i tuoi figli, quando entrerete nella tenda dell'incontro; così non morirete. so impersonale; mi pare quindi che il soggetto debba essere identificato con YHWH, anche se non è esplicitato. La costruzione è certo faticosa,

e ha fatto pensare che il testo sia in disordine. •:• 10,6-7 Testi affini: Lv 21,10-15 •:• 10,9 Testi affini: Ez 44,21

difetto fisico (Lv 21,23) e l'omissione da parte dei sacerdoti di indossare gli appositi calzoni durante il culto (Es 28,43). Queste prescrizioni hanno a che fare con la totalità della persona del sacerdote, che non deve essere tale da mancare di rispetto alla divinità per quanto riguarda il suo atteggiamento all'interno del santuario, la purità (e la pulizia), l'aspetto fisico, la decenza dell'abbigliamento e l'integrità dello stato psichico. Il precetto proibisce dunque ciò che potrebbe mettere in difficoltà le due fondamentali funzioni del sacerdozio: il comparire davanti a YHWH (non solo per il culto ma per qualsiasi attività debba svolgersi all'interno della tenda dell'incontro) e l'insegnare al popolo la legislazione sacrale. Ci si è chiesti quale sia il collegamento di questa prescrizione con la narrazione che la circonda. Il fatto di collocare al centro delle strutture letterarie un elemento dotato di un qualche aspetto enigmatico è un fenomeno spesso presente nella prosa e nella poesia biblica, e altrettanto spesso questo fenomeno conduce ad affermare che gli elementi di non immediata comprensione sono interpolati o comunque frutto di rielaborazioni successive. Questo punto di vista non dev'essere necessariamente accolto: in realtà si può notare che quest'avvertimento di YHWH, sul pericolo mortale che grava sui sacerdoti, non dev'essere limitato semplicemente ali 'assunzione di bevande inebrianti; riguarda piuttosto tutta la loro condotta nell'esercizio delle loro funzioni. In effetti questa minaccia di morte è espressa al centro di una storia per certi aspetti paradigmatica, essendo essa stessa un episodio di morte: è la prima volta che due sacerdoti (Nadab ed Abihu) compiono un atto di culto di loro iniziativa, senza aspettare l'ordine di Mosè; facendo questo essi commettono una trasgressione che ha come conseguenza la loro morte istantanea, ma che non è una delle violazioni sanzionate con un'esplicita minaccia di morte. Non si muore dunque solo per ciò che viene espressamente sanzionato come degno di morte, ma si muore anche per una trasgressione cultuale a prima vista poco rilevante, come potrebbe essere l'utilizzo di un fuoco non prelevato dall'altare, che però ha l 'imperdonabile difetto di non essere ciò che YHWH ha ordinato, ossia di essere un gesto non posto in spirito di obbedienza alla Legge. Il punto di col-

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10,11 Tutte le norme (C'PIT',~)- Il significato del verbo esclude che in questo caso il tennine abbia il significato di «spettanze», che invece nonnalmente assume nel linguaggio Sacerdotale (cfr. 6, Il; e nota a 7 ,36). •!• 10,12-13 Testi affini: Lv 2,11; 6,9-10 l 0,14 In un luogo puro- Invece di ìi:-t~ cipf?::!

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la Settanta legge Év -ro'lnp &y[tp («in un luogo sacro»). La presenza delle figlie, che sicuramente non entrano in un luogo sacro, esclude la correttezza della lezione, che dev'essere considerata come assimilante al versetto precedente. E le tue figlie ('9"'M.l:::l~) - La Settanta ha KOCÌ. otK6ç oou «e la tua casa)), che suppone

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legamento tra i vv. 8-11 e i versetti precedenti è proprio il tema della morte come punizione divina per la trasgressione cultuale. Il pericolo mortale nell'esercizio del culto non deve dunque essere limitato alle quattro istanze sopra elencate, ma copre tutto l'esercizio del ministero che avviene di fronte a YHwH, con l'esercizio del rito ma anche con la manutenzione dei luoghi e degli utensili di esso. Dunque, la clausola ((Così non morirete» non è limitata ali' assunzione di bevande inebrianti, ma è estesa a tutti gli atti di culto, che devono essere compiuti in conformità con ciò che YHWH ha ordinato (cfr. v. 1), pena l'essere istantaneamente fulminati. L'esclusione delle bevande inebrianti ha lo scopo di attirare l'attenzione di Aronne, con un'urgenza tale da indurre YHwH, per la prima e unica volta, a rivolgersi direttamente a lui senza Mosè come intermediario, sulla costante attenzione che il sacerdote deve avere durante qualsiasi azione connessa in qualche modo con il culto, a causa del pericolo mortale cui è esposto. Il v. l O si presenta come un'ulteriore precisazione da parte di YHWH: lo stato di sobrietà da parte del sacerdote è anche una condizione favorevole al suo secondo fondamentale compito, cioè l'insegnamento della legge sacrale al popolo. La separazione sintattica, che la congiunzione iniziale del v. l Omanifesta, mostra che la

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LEVITICO 10,15

Statuto eterno per le vostre generazioni, 10anche perché distinguiate tra il sacro e il profano, tra l'impuro e il puro 11 e insegniate agli Israeliti tutte le norme che ha dato loro YHWH per mezzo di Mosè». 12Mosè disse quindi ad Aronne, a El'azar e a Itamar, i suoi figli superstiti: «Prendete l'ablazione che rimane dai doni di YHWH e mangiatela in forma di (pani) azzimi accanto all'altare, perché è cosa santissima: 13 la mangerete in un luogo sacro, perché è di diritto vostra e dei vostri figli tra i doni di YHWH, così mi è stato infatti ordinato; 14mentre il petto del rito di elevazione e la coscia della spettanza li mangerete in un luogo puro, tu e anche i tuoi figli e le tue figlie, perché sono stati concessi di diritto a te e ai tuoi figli, come prelievo dai sacrifici di comunione degli Israeliti. 15 (Essi) porteranno la coscia della spettanza e il petto del rito di elevazione, assieme ai doni delle parti grasse, per presentarli in elevazione davanti a YHWH, e poi spetteranno a te e ai tuoi figli, come diritto perpetuo, secondo quanto ha ordinato YHWH». l'ebraico '9l!'::l.,. L'espressione «N, i suoi figli e le sue figlie» è frequente, mentre un eventuale «N, i suoi figli e la sua casa» non si trova mai. Questo tuttavia potrebbe lasciare pensare che la Settanta presenti una lezione. più difficile; la scarsezza della testimonianza induce tuttavia a conservare il Testo Maso-

retico. La lezione della Settanta può essere collegata alla variante precedente, ed essersi generata dali' imbarazzo di trovare le in un luogo che essa, a differenza del Testo Masoretico, definisce «santo». Tutto il problema potrebbe anche essere ricondotto a una diversa concezione della disposizione rituale.

mancanza in questo campo non è coperta dalla clausola «così non morirete», del v. 9, perché solo le trasgressioni del culto riguardano direttamente YHWH. Comunque il fatto che questa precisazione sia accostata alla prima nello stesso intervento solenne di YHWH rivolto ad Aronne, fa sì che esso nella sua totalità prenda il significato di una sorta di ammonizione sintetica riguardante l'importanza delle due attività per eccellenza del sacerdozio: quella cultuale e quella di interpretazione della Legge. 10,12-15// trattamento delle spettanze sacerdotali dei sacrifici di investitura Dopo un così solenne intervento di YHWH, Mosè riprende la parola per invitare Aronne e i due figli superstiti a completare i riti sacrificali con la consumazione delle prebende a loro destinate. Il motivo di questa ulteriore esortazione è probabilmente individuabile nel fatto che Aronne e i suoi figli potevano avere delle esitazioni ad assidersi a un pasto sacro dopo aver subito una perdita così tragica. Il v. 15 pone dei problemi perché, ripetendo la disposizione data da YHWH in 7,32, aggiunge il dettaglio che la coscia della spettanza sacerdotale è prelevata «dai sacrifici di comunione degli lsraeliti». La cosa diventa comprensibile se ci si rende conto del fatto che non si tratta, evidentemente, dei sacrifici di tipo generico, per i quali dovrebbe valere la regola enunciata in 7 ,32, che esclude la coscia dal rito

134

LEVITICO 10,16

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11,3 Con zoccolo, e i cui zoccoli sono di-

visi (nbltl l1QW n.pQizi1 i1t;J"'];l nt:?"']~~) Alla lettera: «fanno crescere uno zoccolo e dividono una divisione di zoccoli». L'espressione risulta strana perché il raro verbo 0"1!:l, nei due casi in cui compare al qal nella Bibbia ebraica ha evidentemente il significato di «dividere», riferito (esplicitamente o implicitamente) al pane: cfr. ls 58,7; Ger 16,7. All'hifil e con l'oggetto interno compare nel presente contesto (11,3.4.5.6.7.26), nel parallelo Dt 14,6-8 e in Sal 69,32. Nei due brani legislativi è sovente accompagnato dall'espressione l1Qtp l1Qizi, con il verbo al participio qal (attivo o passivo), che alla lettera si può rendere con «dividere una divisione» (cfr. Lv Il, 7.26, dove la ripetizione di nb"15l è sottintesa, e Dt 14,6, in cui si precisa nio1!:l •ni!i). È chiaro che tradurre «separanoT ~no.. ~occolo separato e dividono una divisione di zoccoli» è una tautologia, che i commentatori e le versioni cercano in vari

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modi di aggirare, o intendendo la seconda espressione come determinazione della prima (cfr. versione CEI: «ha l 'unghia bipartita, divisa da una fessura») o pensando a un'endiadi. È molto più semplice ritenere che il verbo in origine significasse «dividere», ma che, in questo linguaggio tecnico, sia passato a significare «avere gli zoccoli». Questo è ancora più evidente quando si osservi che, traducendo così, si evita l'assurdità di far dire ai vv. 4-6 che il cammello, la lepre e l'irace non abbiano zoccoli divisi, presupponendo così che gli Israeliti considerassero le lepri come dei cavalli in miniatura, dotate di zoccoli ma indivisi: più semplicemente, come è ovvio, non hanno gli zoccoli. In Dt 14,8 si dice del maiale che i!O.,tl o•.,!:lc senza aggiungere l1QW l1Qizi, m~ lf cont~~e-­ sempio non vale perché il testo è lacunoso e si deve adottare la variante del Pentateuco Samaritano e della Settanta, che aggiunge appunto l1QW llQizi. Ancor più .chiaramente

caratteristiche riducono gli animali puri alle specie domestiche dei bovini, degli ovini e dei caprini ed escludono gli equini, ruminanti ma il cui zoccolo non è bipartito. Per quanto riguarda la selvaggina, oltre ai caprini sono puri i cervidi. Dei quadrupedi impuri ne vengono menzionati quattro: il cammello, l'irace (procavia capensis) e la lepre, ruminanti ma non dotati di zoccolo, e il maiale, dotato di zoccolo bipartito ma non ruminante. Dt 14,4-5, forse con spirito meno sistematico dà una lista di animali puri, mentre il testo Sacerdotale preferisce dare dei criteri. D'altronde la purità degli animali sacrificati doveva

141

LEVITICO 11,8

tra i quadrupedi: 3tutte (le bestie) con zoccolo, e i cui zoccoli sono divisi, e che sono ruminanti; questi mangerete. 4 Soltanto questi non mangerete tra i ruminanti e tra quelli che hanno zoccoli: il cammello perché rumina ma non ha zoccoli; per voi sarà impuro. 5L'irace, perché rumina ma non ha zoccoli; per voi sarà impuro. 6La lepre, perché rumina ma non ha zoccoli; per voi sarà impura. 711 maiale, perché ha gli zoccoli e i suoi zoccoli sono divisi, ma non rumina; per voi sarà impuro. 8Non mangerete la loro carne e non toccherete la loro carcassa; per . . . vot saranno 1mpun.

Dt 14,7 riporta i1.V~OWiJ i19l;;liJ 'ç;l',~~, che dev'essere evidentemente tradotto «che hanno lo zoccolo diviso». La confusione è già presente nella Settanta di Lv ll,3, che traduce la prima espressione con ÒLX11Àoùv òn.l..~v («avente lo zoccolo fesso») e la seconda con òvuxw-rfìpa.ç òvuxL(ov («che ha una spaccatura nel! 'unghia»); si tratta di due espressioni sostanzialmente sinonime, ripetute entrambe anche ai vv. 4.5 (mentre il Testo Masoretico riporta solo la prima) per un'evidente assimilazione che non suppone un testo ebraico diverso. Che sono ruminanti (i1,~ n':lll~)- Alla lettera: «che fa risalire il f~~aggi~;>. Che non si tratti della ruminazione nel senso fisiologico del termine, ma del semplice movimento continuo delle fauci risulta chiaro dal fatto che questo movimento è attribuito anche all'irace e alla lepre (vv. 5.6). Settanta, Vulgata e Peshitta aggiungono la congiunzione copulativa, ma è lezione facilitante. Forse

l'asindeto è dovuto al fatto che si desidera sottolineare che entrambe le caratteristiche sono necessarie. 11,4/l cammello (':l~ili1)- Si tratta, evidentemente, del dromedari~ (Camelus dromedarius), dato che il cammello propriamente detto (Camelus bactrianus) è tipico dell'Asia centrale. Mantengo la traduzione consueta, dato che la parola italiana deriva dal nome semitico dell'animale, presente anche nel nostro versetto. 11,5 L'irace (1~~iJ)- È la Procavia capensis, curioso animale assai simile alla marmotta, ma facente parte di un ordine a sé detto Hyracoidea. E un mammifero piantigrado molto arcaico, assai presente nella zona, che vive in colonie numerose sulle rocce. È citato in Sal l 04,18 e in Pr 30,26, dove si loda la saggezza di questa creatura che, essendo debole, si sceglie rifugi inaccessibili. Il sostantivo è spesso usato come nome di persona (cfr. 2Re'22,3).

essere data per scontata, dato che, secondo la tradizione Sacerdotale, gli animali sacrificati non sono oggetto di macellazione profana. Evidentemente l'impurità degli altri animali dev'essere dedotta dalle regole suesposte, per cui risultano impuri certamente tutti i carnivori. I plantigradi sono annoverati più avanti tra gli animali impuri (11,27) e questo esclude sicuramente l'orso dagli animali puri, ma anche animali non plantigradi ma che la percezione antica considera tali, come leoni, leopardi e cani (i gatti non sono citati nella Bibbia ebraica ma sarebbero sicuramente impuri).

142

LEVITICO 11,9

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11,9 Pinne e squame (nipp~i?1 i';!~~) -È la resa tradizionale. La prima parola si trova solo in questo contesto e nel brano parallelo di Dt 14, la seconda può indicare anche le piastre di una corazza (l Sam 17 ,5, al plurale). 11,10 (Animali) brulicanti nell'acqua- La parola n.~ (animale «Strisciante» O «brulicante» ossia, probabilmente, piccoli animali caratterizzati dali' avere una forma di locomozione indeterminata, quali i pesci ma anche i rettili e certi piccoli roditori che, pur avendo zampine, sembrano muoversi strisciando sul ventre) dev'essere riferita anche

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ai pesci dotati di pinne e squame citati al v. 9, così che questi, accanto alle cavallette e simili, sono animali puri. Anche se a prima vista la cosa può non sembrare così evidente, il confronto con Gen l ,20 permette di capire che il v. 10 è una precisazione del v. 9. 11,13 Il gipeto (O~~D)- I nomi degli animali citati in questo versetto e nei versetti seguenti sono spesso di difficile se non impossibile identificazione. In mancanza di congetture plausibili, basate, p. es., su etimologie, seguirò l'interpretazione della Settanta e della Vulgata. Per questo sostantivo, presente solo

11,9-12 Gli animali acquatici Gli animali acquatici possono essere mangiati se hanno pinne e squame. Questo dunque esclude ogni specie di molluschi e di crostacei, ma anche l'anguilla, che, notoriamente, non ha squame visibili. È da notare che non si fanno nomi di specie di pesci, a dimostrazione della scarsa dimestichezza che gli Israeliti avevano nei confronti della pesca e delle attività marinare o, forse, anche della scarsa pescosità del bacino orientale del Mediterraneo prima del taglio dell'istmo di Suez. È da notare che questi animali acquatici sono definiti non «impuri» (tiime '), ma «abominevoli>> (seqe$ ). La differenza tra le due categorie sembra consistere nel fatto che le carcasse degli animali denominati seqe$ contaminano solo se ingerite, mentre quelle degli animali tiime' contaminano al contatto. I due criteri riducono le possibilità alimentari a quelli che potrebbero essere definiti «pesci propriamente detti», ossia a quegli animali che, nell'immaginario di un popolo non dedito ad attività marine, anzi che le vede con sospetto, soddisfanno a tutte le caratteristiche più evidenti dei pesci. È stata avanzata l'ipotesi che la distinzione sia anche dettata

143

LEVITICO 11,14

Questo mangerete di tutto ciò che si trova nell'acqua: ciò che ha pinne e squame, (che vive) nell'acqua, sia nei mari sia nei fiumi, lo potrete mangiare. 10lnvece tutto ciò che è sprovvisto di pinne e squame, sia nei mari sia nei fiumi, appartenente a(gli animali) brulicanti nell'acqua e agli esseri viventi acquatici, è un'abominazione per voi, 11 e un'abominazione la considererete; non mangerete la loro carne e avrete in abominio la loro carcassa. 12Tutto ciò che vive nell'acqua e non ha pinne e squame sarà per voi un'abominazione. 13 Questi avrete in abominio tra i volatili - non saranno mangiati; sono un'abominazione-: l'aquila, il gipeto e il falco pescatore, 14il nibbio e le varie specie di uccelli da preda;

9

qui e in Dt 14,12, Settanta e Vulgata hanno rispettivamente il curioso ypu\fl e gryps che corrisponderebbe a un animale mitologico, il grifone. La vicinanza all'accadico pariisu («rompere») porta molti commentatori a pensare al gipeto o avvoltoio degli agnelli (Gipaetus barbatus), uccello necrofago noto per il caratteristico comportamento che lo porta a rompere le ossa delle carogne di cui si ciba. Il falco pescatore (i1~J~~)- Il termine ricorre solo qui e nel parallelo Dt 14,12; Settanta e Vulgata si riferiscono al Pandion haliaetus. ll,l4Nibbio ... uccelli dapreda (~;:t ... ~)

-Il primo termine è probabilmente derivato da un raro verbo che significa «volare velocemente», mentre il secondo è riconducibile a un'altra radice dal medesimo significato testimoniata in semitico. La Vulgata riferisce il primo al nibbio (Milvus milvus) e il secondo all'avvoltoio; la Settanta inverte i termini. Dato che i1'~ è anche testimoniato come nome di perso';;a (cfr. tra l'altro 2Sam 21 ), «avvoltoio» è forse meno adatto. Inoltre con il versetto seguente si passa a un'altra tipologia di volatili; è quindi meglio intenderlo come un termine generico.

dal concetto di «normale mezzo di locomozione»: così, gli animali terrestri camminano, quelli acquatici nuotano e gli uccelli volano; quelli che si comportano in modo da travalicare queste barriere sono anormali e dunque «abominevoli». Tale intuizione, forse valida per gli animali acquatici, non può essere assolutizzata: come si noterà più avanti, non tutti gli uccelli acquatici sono impuri (mancano, p. es., l'anatra, non citata nella Bibbia, e l'oca, forse presente in IRe 5,3le quali erano comunque conosciute nell'antichità), non tutti gli uccelli impuri sono acquatici, e non tutti gli animali «brulicanth>, ossia, probabilmente, dotati di una forma di locomozione indeterminata, sono impuri. 11,13-19 Gli uccelli Per quanto riguarda gli uccelli, il testo non dà un criterio generale, ma si limita a fornire un elenco di specie «abominevoli» (anche in questo caso il testo non utilizza il termine «impuro»), probabilmente considerato esaustivo, proprio a causa de li' assenza di un criterio generale. Dato che l'elenco comprende numerosi nomi di difficile se non impossibile identificazione, non è facile comprendere il

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LEVITICO 11,15

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nJ."Q7 i1~~~;:t i1l"t?OiJ :c?,? N~ì;Jl'i?W v~.,~-~l} 1?-hiJ 'liV;:t l'1W ~~20 11,15 Tutte le specie di corvi- Il versetto ha due strani problemi testuali, forse collegati. In primo luogo manca in manoscritti importanti della Settanta, e curiosamente lo stesso fenomeno accade nel passo parallelo di Dt I 4, 14. Si può pensare che qualcuno abbia voluto proteggere il corvo dalla cattiva fama, dato forse il ruolo simpatico che svolge in alcuni racconti come Gen 8,7 e l Re 17,4-6, e abbia di conseguenza espunto il versetto che Io dichiarava impuro. Così interpretato, questo fatto potrebbe essere solo un'idiosincrasia di una parte, per quanto autorevole, della tradizione manoscritta della Settanta, ma c'è un secondo problema testuale che suggerisce un'interpretazione opposta. Inspiegabilmente il codice di Leningrado (L) omette la congiunzione copulativa all'inizio del versetto. Molti manoscritti ebraici, il Pentateuco Samaritano, tutte le versioni antiche e il Targum Pseudo-Gionata la reintegrano, con evidente lezione facilitante, ma questo fenomeno, unito alla precedente variante, potrebbe essere forse una spia del

fatto che il versetto in questione sia una glossa precipitata nel testo. Dunque, originariamente, il corvo non sarebbe stato un uccello impuro. 11,16 Il gufo reale (il~~~ìJ n;l)- Tradizionalmente tradotto con «struzzo)), il termine non può indicare quest'animale, dato che i comportamenti descritti nei testi che ne parlano, ossia l'abitare tra le rovine (Is 13,21; 34,13; 43,20; Ger 50,39) e il lamento (Mi l ,8) non sembrano propri di esso. Più verosimilmente si tratta di varie specie di strigidi. Per la traduzione seguo il suggerimento di Milgrom che lo identifica nel «gufo reale}} (Bubo bubo ). Gufo di palude- L'ebraico "10~ è generalmente reso con «gabbianm}, seguendo la Settanta. Dato che gli uccelli acquatici sembrerebbero trattati più avanti, preferisco pensare a uno strigide (Asio.flammeus). Il Pentateuco Samaritano aggiunge a quest'ultimo termine iJ'O' «secondo la sua specie}}, dimostrando così ·di comprenderlo come nome di un 'intera classe di uccelli (tutti gli strigidi?). 11,17 L 'allocco (Oi:l;:t)- Si tratta verosi-

motivo di queste esclusioni. Sembrerebbe di capire che siano esclusi gli uccelli da preda e con abitudini necrofaghe e certi uccelli acquatici. Nel caso dei primi ciò si può spiegare con il fatto che le loro abitudini alimentari li rendono impuri: si nutrono di animali uccisi senza che vengano previamente dissanguati o di carogne. Più difficile è determinare l'esclusione dei secondi. Come visto, l'anomalia del mezzo di locomozione (nuotano e volano) non è sufficiente a spiegarla e, soprattutto, non è tematizzata dal testo, mentre nel caso dei pesci si allude esplicitamente ad essa (le pinne). Inoltre gli uccelli acquatici non sembrano essere citati come categoria a parte, ma inframmezzati ad altri animali non acquatici, come la civetta e l'assiolo. Nemmeno l 'alimentazione sembra un criterio dirimente: la cicogna è infatti onnivora e talora necrofaga, gli aironi e il cormorano sono ittiofagi mentre il cigno (posto che

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LEVITICO 11,20

tutte le specie di corvi, 16 il gufo reale, il gufo comune e il gufo di palude, le varie specie di sparvieri, 17 l'allocco, il cormorano, la civetta, 18il cigno, l'assiolo, la folaga, 19 la cicogna, le varie specie di aironi, l'upupa e il pipistrello. 21 i10i.9 no'Ì!JO N1i1 i1VN i10i1:Ji1 :NO\?" Oi1:J U.l3;,-;:;, O:J; Oi1 O"ND\? i1?UO i1ll'N hi.l1 -

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11,21 Che hanno- Con il qerè ;,-,t+/t:t. Il ketìb ~6 «non» per un qerè «a lui» è testimoniato altrove (cfr., p. es., Es 21 ,8; Lv 25,30). Due arti al di sopra delle zampe -Alla lettera: «due zampe al di sopra dei loro piedi». 11,22 Locuste ... cavallette - I sostantivi i!;:l"ltC e :::ll"1 sono abbastanza comuni, anche se non" è chiara la loro differenza. i!;:l"ltC è ben attestato tanto nella Bibbia che in accaruco per indicare la Schistocerca gregaria o locusta del deserto, dal noto comportamento distruttivo. Il comportamento devastante di ~ descritto in 2Cr 7,13 fa pensare che anche questo termine, più raro, alluda al medesimo animale. Traduco con «locuste» e «cavallette>>, sentiti come sinonimi in italiano corrente (anche se, da un punto di vista zoologico, la Schistocerca gregaria non va confusa con la pur affine Locusta migratoria), Grilli ... acridi- Questi due vocaboli compaio-

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no soltanto qui: C~~9 forse connesso con un termine aramaico indicante «divorare» o «distruggere», e ,~,O. con vaghe connessioni con altre parole semitiche indicanti un'andatura saltante, sono chiaramente impossibili da tradurre e devono essere resi in modo generico. Scelgo nomi di specie (grilli) o di generi (acridi) di insetti con aspetto simile, dato che il criterio offerto da Levitico sono le zampe atte a saltare. 11,24 Inoltre contrarrete impurità a causa dei seguenti (1~7p~l;l i!?~'1) - Non risulta immediatamente chiaro se il v. 24 debba essere unito a quanto segue o a quanto precede. Una maggioranza di commentatori ritiene che la frase debba essere unita a ciò che segue, mentre alcuni commenti e versioni, tra cui quella promossa dalla CEI, preferiscono tradurla come conclusione di ciò che precede. A parte il fatto che sovente

evidentemente lo scopo di escludere dal novero degli animali proibiti quelle locuste che costituivano un alimento di fortuna, tradizionale della cultura pastorale originaria degli Israeliti. Anche questi animali sono definiti «abominevoli», non «impuri». 11,24-26 Le conseguenze per l'impurità: i quadrupedi terrestri I versetti in analisi si pongono al centro del capitolo Il e insieme aprono il secondo versante di esso. Vengono presi in considerazione gli animali esclusi applicando i criteri presentati ai vv. 2b-8, ossia i ruminanti che non hanno lo zoccolo bipartito oppure gli animali che non hanno lo zoccolo bipartito ma non ruminano. Le carogne di questi animali contaminano per contatto, ma il contatto può essere più o meno profondo: se vengono semplicemente toccati, sì

147

LEVITICO 11,26

soltanto questi mangerete tra tutti gli (animali) brulicanti che volano e che camminano su quattro (zampe): quelli che hanno due arti al di sopra delle zampe per saltare con essi sul terreno; 22 tra essi sono quindi questi quelli che mangerete: le varie specie di locuste, le varie specie di grilli, le varie specie di acri di, le varie specie di cavallette. 23 Ma tutti gli (altri animali) brulicanti che volano e che camminano su quattro zampe sono un'abominazione per voi. 24lnoltre contrarrete impurità a causa dei seguenti - chiunque tocca la loro carcassa sarà impuro fino alla sera 25 e chiunque trasporterà una delle loro carcasse dovrà lavarsi le vesti e sarà impuro fino alla sera -: 26a causa di tutti gli animali che hanno zoccolo, il cui zoccolo non è diviso o non sono ruminanti; essi saranno impuri per voi. Chiunque li tocca sarà impuro. 21

il pronome :1~~ ha valore prolettico, penso che sia meglio intendere l'espressione come introduzione a ciò che segue perché nel v. 25 si parla del trasporto della carogna di un animale impuro, cosa che difficilmente si adatta agli insetti del v. 23. 11,26 A causa di tutti gli animali - La variante :10:1:1:1-':::l'\ che si trova in pochi manoscritti 'ebraièi', nel testo originale della Settanta e nella Peshitta, se adottata impone di collegare il v. 24 a ciò che lo precede e non a ciò che lo segue. È una variante che va rifiutata in quanto lezione facilitante che tende a rendere più semplice la sintassi. Il cui zoccolo non è diviso (nl.lOW m~·K l.l0~1) -La Settanta omette m~·K perché ritiene-che :191;l n97~~ voglia dire } terrestri dandone una definizione comune: sono tutti gli animali che camminano sul ventre, o che, strisciando sul suolo, camminano con quattro o più zampe. Gli animali «brulicanti>> sono divisi in tre categorie, a seconda dell'ambiente in cui vivono: quelli acquatici (vv. 9-10), quelli alati (vv. 21-24) e quelli terrestri. Nelle prime due categorie esistono tanto specie commestibili che specie non commestibili e la distinzione tra queste è ottenuta tramite un criterio generale, mentre in questa terza categoria - che comprende evidentemente tutti i rettili, i piccoli roditori, gli insetti e gli altri artropodi terrestri -ve ne sono alcuni che sono impuri e contaminanti, e ne è data una lista ai vv. 29-30, mentre tutti gli altri sono definiti «un'abominazioneH non adatta alla consumazione alimentare ma che, per sé, non ha conseguenza dal punto di vista dell'impurità.

LEVITICO 11,43

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•:• 11,45 Testi affini: Lv 18,3-5; 22,33; 25,38.55; 26,13.45

11,43-47 Sintesi teologicafinale Proprio il fatto che questa distinzione così sfumata tra animali «brulicanti» puri, impuri e abominevoli sia completamente ignorata a partire dal v. 43, che considera equivalente l'essere impuro e l'essere abominevole, indica chiaramente la presenza di una mano redazionale successiva che ha inquadrato un materiale legislativo precedente. Tale mano è senza dubbio identificabile con quella dei redattori del Codice di santità, a partire dalla loro firma teologica: il ritornello . Il Pentateuco Samaritano ha .11,-Tn al nifa/ («è seminata»); anche la Settant~ ha 01TEpf!ano9fj («è seminata»), che però non necessariamente si

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riferisce a questa variante, potendo essere solo una traduzione a senso. In questo significato l' hijil del verbo è usato solo qui, mentre il nifa! nel Testo Masoretico si trova solo in Nm 5,28. La traduzione nei due casi è equivalente ma le due lezioni non sono intercambiabili: il Testo Masoretico sot-

12,1-5 L 'impurità della puerpera L'impurità della puerpera è il primo dei casi riguardanti le impurità relative alla sfera sessuale; gli altri verranno trattati al capitolo 15, al quale rimando per la trattazione delle motivazioni di tale impurità. La puerpera è impura per quaranta giorni nel caso del parto di un maschio e per ottanta nel caso del parto di una femmina. Tale periodo di impurità è ulteriormente diviso in due: un primo periodo di sette giorni (quattordici per la femmina) nel quale l'impurità è la medesima di quella del flusso mestruale, dunque è comunicabile ed è caratterizzata dalle norme dettagliate nel capitolo 15, mentre per i trentatré (sessantasei) giorni successivi, l'impurità è del tipo più basso (dunque non è contagiosa), e impedisce solo il contatto con le cose sacre. Al termine del periodo di impurità più grave il bambino maschio è circonciso. L'origine dell'impurità non è tanto la nascita del bambino, che non è impuro e non è soggetto ad alcun rito di purificazione (la circoncisione infatti non è un rito di purificazione ma un rito collegato alla pubertà che solo in Israele è trasferito all'infanzia e collegato alla teologia dell'alleanza), ma le emissioni lochiali conseguenti al parto, che sono evidentemente analoghe alle altre emissioni genitali. È da notare che non è qui presa di mira la semplice emorragia: il sangue di una ferita non rende impuri, il sangue mestruale e lo sperma sì, perché sono perdite di vita. Tali emissioni sono citate tre volte (vv. 4.5.7). Il problema che ha occupato la discussione è relativo alla motivazione della differenza di impurità tra il parto di un bambino e quello di una bambina. La tendenza attuale di molti esegeti è quella di motivare questo fatto con la posizione inferiore che la donna aveva nella società israelitica: si pensi, per esempio, alla significativa differenza nella tariffa di riscatto tra uomo e donna (27 ,2-7). Tuttavia occorre ammettere che, in Israele, tale posizione di inferiorità era meno rilevante

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12

LEVITICO 12,5

parlò a Mosè: 2«Di' agli Israeliti: "Quando una donna concepisce e partorisce un maschio, sarà impura per sette giorni; sarà impura come nei giorni della sua indisposizione mestruale. 3Poi, ali' ottavo giorno sarà circoncisa la carne del prepuzio del bambino. 4Ella rimarrà per trentatré giorni a purificarsi dal sangue; non toccherà nulla di sacro né entrerà nel santuario fino al termine del periodo di purificazione. 5Se invece avrà partorito una femmina sarà impura per due settimane come durante le mestruazioni e rimarrà per sessantasei giorni a purificarsi dal sangue. 1YHWH

tolinea di più l'aspetto attivo della donna, mentre il Pentateuco Samaritano (e forse la Settanta) mettono in rilievo il ruolo passivo. Sua itifermità (:1ni"T)- Il verbo iT,i compare solo qui, ma l'agg~ttivo m"! («indisposto», «debole»; cfr. Lam l, 13; 5}7) ne rende trasparente il significato.

•:• 12,2 Testi affini: Lv 15,19 •:• 12,3 Testi affini: Gen 17, IO 12,4 A puri.ficarsi dal sangue- Alla lettera: «nei sangui della sua purificazione». Si tratta verosimilmente di un'espressione fissata dali 'uso, indicante lo stato particolare di impurità della puerpera.

che in altre culture. Quello che però in quest'interpretazione rimane discutibile è l'idea che, nei testi Sacerdotali, valga l'equazione secondo la quale ciò che è più impuro è anche più disprezzato; in effetti già i rabbini facevano notare che l'osso di un asino contamina meno dell'osso del sommo sacerdote. In ogni caso i sacrifici sono identici sia nel caso del maschio che nel caso della femmina. Una spiegazione spesso proposta (già nel Talmud) si ispira alla fisiologia antica: secondo Aristotele e Ippocrate l'embrione maschile è completamente formato in circa la metà del tempo rispetto all'embrione femminile. In particolare per Aristotele l'embrione maschio è formato in quaranta giorni, mentre l'embrione femmina in tre mesi. Per Ippocrate l'embrione maschile ci mette trenta giorni, mentre quello femminile ce ne mette quarantadue (il resto della gestazione è occupato dall'accrescimento). Pare che questo tipo di visione fosse condivisa neli' antichità, anche se non ci sono prove positive che gli autori biblici la abbracciassero. Un'altra interpretazione possibile lega in qualche maniera l'impurità prolungata della madre a quella futura della figlia nelle sue regole mestruali: la bambina non le ha ancora ma è in potenza fonte di impurità. A me sembra che in queste spiegazioni non venga sufficientemente messo in valore l'aspetto della circon~isione. È vero che il rito della circoncisione non è un rito di purificazione, che il neonato non è impuro e che l'incirconciso è detto impuro solo metaforicamente (cfr. Is 52,1; lMac 1,48). Tuttavia il riferimento alla circoncisione, messa in stretto rapporto con la fine del primo periodo di impurità (vv. 2-3), è significativo: la bambina, evidentemente, non è circoncisa. Si può trovare forse un parallelo alla cosa nello strano racconto della circoncisione n? inN1 i1?v? inN i1.li~ ~l:l ~ll.V iN o~in fiT

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12,7 Allora sarà pura (ili~1)- La lezione della Settanta, KCÙ Krt.6ap~El Ùirr~v, suppone un testo ebraico :1l:Jt01 «e la purificherà>>. L'espressione è interessante perché contrasta con l'uso normale della formula, dove al verbo i~:l (pie!) si aggiunge la constatazione «e sarà puro», al qal e non al pie! (cfr. 12,8; 14,20.53; 16,30). In questa formula il pie/ si trova solo in Ez 43,26, tradotto con Krt.6apwfmv «purificheranno», in

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>, è cosa nota ormai da tempo. In primo luogo perché i sintomi e l'evoluzione della malattia descritti in Lv 13 non si accordano con quelli del morbo di Hansen: in effetti il progresso del morbo di Hansen è lento e dUJ:a anni, mentre la n~1~

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avanza rapidamente, dato che una quarantena di una settimana è sufficiente a decidere il caso dubbio ( 13,4). Il morbo di Hansen è incurabile senza terapia farmacologica, mentre il Levitico prevede la possibilità di guarigione; anzi il rito di purificazione descritto nel c. 14 è un rito che presuppone la guarigione. Il sintomo del pelo che diventa bianco (13,3.10.20.25.30) non è proprio del morbo di Hansen. Gli ascessi di cui si parla in 13,18-23 non sono tipici del morbo di Hansen, anche tenendo conto del fatto che la terminologia talora è di difficile comprensione. Il sintomo più devastante del morbo di Hansen, ossia la perdita di sensibilità e la necrosi degli arti e delle ossa facciali, non è citato. Tuttavia l'obiezione più grave all'identificazione della nll'"l::l con il morbo di Hansen è il fatto che nelle fonti letterarie esso non è chiaramente attestato nel bacino del Mediterraneo prima di Alessandro Magno, e in seguito è chiaramente descritto come Éì..Eqlavrtacnç, suo nome specifico greco. Ippocrate utilizza questo nome per indicare il

dovuta alla punizione divina: Es 4,6; Nm 12,10; 2Re 5,27), espressione che sembra riferirsi più all'àspetto squamoso che al colore, dato che questo non è menzionato. Nm 12,12 parla dell'aspetto del malato di $iira'atcome simile a quello di un feto nato morto e ormai semidecomposto. I sintomi descritti in Lv 13 in genemle sembrano essere essenzialmente: pelo bianco e pelle depressa (cioè lesione sottocutanea). La lesione sottbcutanea sembra particolarmente importante nella diagnosi: se è presente, è un segno chiaro di impurità, mentre anche se tutta la pelle viene imbiancata, ma non vi è segno di ulcerazione (si tratta probabilmente di alopecia) non si tratta di $iira 'at (13,12-13). Non è chiaro a che malattia si riferiscano questi sintomi, mentre quelli descritti come esplicitamente escludenti la $iira 'at ( 13,4) sono verosimilmente quelli dell'alopecia e della vitiligine. Ricerche svolte in campo medico non hanno portato a risultati apprezzabili: i sintomi descritti al capitolo 13 non quadrano esattamente con nessuna delle malattie della pelle conosciute, ma possono comunque riferirsi a una serie di queste malattie (psoriasi, mi cosi varie), che hanno come caratteristica comune quella di produrre desquamazione. È però da notare che nessuna di queste malattie è contagiosa, almeno in modo molto accentuato. D'altronde Israele conosceva bene altre malattie contagiose, che non sono colpite da una particolare impurità. Dunque, il problema non è medico ma simbolico: la malattia causa impurità perché l'aspetto fisico del malato, macchiato e con piaghe aperte, assomiglia a quello di un cadavere (cfr. Nm 12, 12), e dunque ne possiede l 'impurità caratteristica, aggravata dal fatto che il cadavere non se ne va in giro da solo.

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LEVITICO 13,3

macchia, un'esfoliazione o uno schiarimento e poi questo diventa sulla sua cute una piaga di desquamazione, venga portato dal sacerdote Aronne o da uno dei sacerdoti suoi figli. 311 sacerdote esaminerà la piaga sulla cute: se il pelo sulla piaga è diventato bianco e l'aspetto della piaga è più profondo della morbo di Hansen, mentre il nome ì..Énpoc è uti- bo di Hansen, mantenere la resa tradizionale lizzato per altre affezioni della pelle. E solo in «lebbra>> è ingiustificato. Il termine è di oscura epoca medievale (IX sec.) che viene fatta quel- etimologia, forse connesso in qualche modo la confusione che ancor oggi perdura; dunque con l'accadi co ~ennitu, che indica una qualche anche nel Nuovo Testamento la ÀÉrrpoc non è · malattia della pelle. La Settanta, traducendo il morbo di Hansen. Più grave ancora è il fatto con ì..Énpa, termine generico derivante da ì..Érrw che fino a pochissimo tempo fa, i ritrovamenti («squamare», «sbucciare»), mostra di capire la paleopatologici che mostrassero le caratteristi- parola come connessa con una situazione nelche deformazioni ossee del morbo di Hansen la quale l'epidermide è coperta di squame. In non erano più antichi del VI secolo d.C.; ora Es 4,6 e Nm 12,10 l'as~tto della cute colpita invece è stata accertata la presenza di un indi- dalla malattia è definito ~~lp~ «come la neve», viduo affetto da morbo di Hansen in una tomba non riferito al candore (così pensa la versione di Gerusalemme del primo secolo d.C., ma si CEI riprendendo un'esplicitazione di Vulgata tratta di un caso unico, a dimostrazione che, per Nm 12, l O) ma da intendersi come allusivo anche in quell'epoca, il, morbo di Hansen era ali' aspetto squamoso del!' epidermide. una malattia rarissima. E dunque da escludere 13,3 La esaminerà (~i11(,,) - Il contesto fa che la caratteristica violentemente contagiosa capire che il pronome sùffisso si riferisce alla di questa terribile malattia, soprattutto in con- piaga e non all'essere umano. Cfr. i vv. 25-26 dizioni igieniche precarie, sia ali' origine delle dove i pronomi femminili dipendenti dal verregole di impurità particolarmente strette cui bo i11(, «vedere», «osservare», «esaminare», va soggetto chi è affetto da ntr]~. Essendo or- in riferimento a n,i1:l, sinonimo femminile mai accertato che il termine non indica il mor- di l1~~. tolgono l'ambiguità.

È da notare che, tanto nell'Antico Testamento quanto nel Vicino Oriente antico, la presenza di malattie cutanee è legata all'idea di una punizione divina: in 2Re 5,27 la $t'ira 'at colpisce Ghel)azi come punizione della sua avidità (di N a 'aman però non si dice nulla di simile, anche se la sua guarigione è conseguente all'umiliazione cui egli si assoggetta), oppure, come qualcuno sostiene, del suo sacrilegio perché, accettando il dono di Na'aman, implicitamente afferma che questi è stato guarito da Eliseo e non da YHWH. 2Cr 26,16-21 racconta di come il re Uzziya fosse stato colpito da lebbra in seguito al suo tentativo di usurpazione delle prerogative sacerdotali. Si tratterebbe in questi casi di punizioni per sacrilegi; ma si ricorderà poi il caso di Miryam in Nm 12,10-15, che si presenta piuttosto come una punizione per un delitto morale. Negli stessi testi Sacerdotali, YHWH si attribuisce la prerogativa di colpire con la $iira 'at. David maledice Yoab e la sua discendenza per l'assassinio di Abner augurando la $iira 'at (2Sam 3,29). Questo aspetto della $iira 'at come punizione morale non è attestato nel Vicino Oriente antico, mentre quello per il sacrilegio sì. Tuttavia la malattia in quanto tale, non in quanto punizione di qualcos'altro, nella tradizione Sacerdotale è legata non a un peccato ma a un caso particolarmente violento di impurità. La diagnostica per l'evoluzione di una piaga cutanea (13,2-17). Vengono presentati due casi. Il primo (vv. 2-8) comporta la presenza di due segni distintivi: l'imbianchimento del pelo e la depressione nella cute. Questo primo caso è diviso

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LEVITICO 13,4

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13,4 Il sacerdote isolerà (il caso di) piaga 1tl;::,::t i'JO::t) - La traduzione intende dare ragione del fatto che l'oggetto grammaticale del verbo «isolare» è la piaga e non l'essere umano del v. 2 (alla lettera: «il sacerdote isolerà la piaga»). La totalità delle versioni e dei commentatori intende però che oggetto del provvedimento sia il malato e non la piaga stessa: si tratta di un uso metonimico del termine, analogo forse a quel/o (l1~~::t-ntt

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>, «preservazione della vita», «sussistenza», ma mi pare che qui sia più che altro presente un gioco di parole sulla radice di ;,:çt.

che l'impurità sia data dalla compresenza della lesione e della dichiarazione del sacerdote. Quando questa manca non vi è impurità, come mostra bene l'esempio della casa affetta da desquamazione, che rende impuro quanto vi si trova solo dopo che il sacerdote l'ha dichiarata impura (cfr. 14,36). Quando dunque vi è una dichiarazione del sacerdote che indica la possibile presenza di un'impurità, si rende necessario un rito di purificazione (anche se del tipo più blando), nonostante il fatto che l'esistenza dell'impurità non venga poi verificata. Questa dinamica manifesta nel modo più chiaro possibile che l'impurità ha a che vedere non con motivazioni igieniche, ma con considerazioni di tipo simbolico legate all'accesso degli Israeliti alla sfera cultuale. Nel secondo caso (vv. 9-11) il segno diagnostico della depressione della cute viene sostituito dalla presenza di una zona di «carne viva», che, unitamente

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LEVITICO 13,11

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del pronome N1i1 immediatamente precedente. 13,18 Su di un corpo, cioè sulla sua cute -Alla lettera: «su di esso (il corpo), sulla sua cute». La strana espressione, sovraccarica e aramaizzante, presenta varianti: il Pentateuco Samaritano omette tlli.;l, mentre alcuni manoscritti del Testo

all'imbianchimento del pelo, manifesta la presenza di un tipo particolare di desquamazione, definita «cronica», per la quale non è necessaria la quarantena, ma la dichiarazione di impurità viene immediatamente effettuata. Un problema particolare è posto dai vv. 12-17, che presentano il caso in cui la malattia ricopre tutto il corpo del paziente. In questo caso, e in modo a prima vista paradossale, il paziente completamente ricoperto da desquamazione è considerato puro, salvo poi ridivenire impuro nel momento in cui sul suo corpo si apre una piaga che mostri la presenza di «carne viva» (v. 14). La disposizione pone due ordini di problemi. In primo luogo non si capisce come mai il fatto che la malattia si diffonda su tutto il corpo, manifestando così un peggioramento, abbia come conseguenza non un aggravamento dello stato di impurità, ma una sua scomparsa. In secondo luogo risulta strano il fatto che questa dichiarazione di purità prevista dal v. 13 non comporti nessun rito di purificazione: né quello descritto nel capitolo 14 - d'altronde escluso in questo caso dato che esso vale per colui che è guarito (14,3), mentre qui non si tratterebbe di una guarigione ma di un peggioramento - né una semplice abluzione o il passar del tempo. Alcuni autori cercano di risolvere la difficoltà affermando che, in realtà, la diffusione della malattia su tutto il corpo è segno di una prossima guarigione: sotto l'epidermide colpita se ne forma un'altra sana. L'apparizione di una nuova piaga è segno di una recidiva. In questo caso la malattia intesa potrebbe essere effettivamente la psoriasi. Un'altra soluzione sarebbe distinguere il caso previsto dai vv. 12-17 da

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LEVITICO 13,18

vi è desquamazione cronica sulla sua cute: il sacerdote lo dichiarerà impuro. Non lo isolerà, perché è (senz'altro) impuro. 12Ma se la desquamazione si diffonde completamente sulla cute, ricopre cioè tutta la cute del(la persona che ha la) piaga, dalla testa ai piedi, dovunque il sacerdote esamini, 13e il sacerdote constati che la desquamazione ricopre tutto il suo corpo, dichiarerà puro il (caso di) piaga. È diventato tutto bianco: è puro. 14 Ma nel momento in cui appare in lui carne viva, è impuro; 15 se il sacerdote vedrà la carne viva lo dichiarerà impuro: la carne viva è impura; è, desquamazione. 16Ma quando la carne viva torna a diventare bianca, andrà dal sacerdote; 17 il sacerdote lo esaminerà e, se la piaga è mutata in bianco, il sacerdote dichiarerà puro il (caso di) piaga: egli è puro. 18 Quando poi su di un corpo, cioè sulla sua cute, c'è una pustola e 11

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Masoretico, la Settanta, la Vulgata e la Peshitta omettono i::l. Ritengo che il Pentateuco Samaritano potrebbe conservare una lezione più breve e più originale, che testimonia meglio l'uso del Sacerdotale, generalmente privo di ararnaismi, e che quindi 'ri~ sia una glossa. In ogni caso la

presenza della parola nella Settanta indicherebbe che si è introdotta in epoca piuttosto antica. In assenza di certezze, e nel sospetto che si tratti di lezione più difficile, preferisco mantenere e tradurre il Testo Masoretico come testimoniato dal codice di Leningrado (L).

quello trattato immediatamente prima: non si tratterebbe della lesione di cui ai versetti precedenti, ma di una nuova fattispecie, nella quale non si tratta di una lesione o di una piaga, ma di un mutamento di colore che coinvolge tutta la cute di una persona (vitiligine, che però non è squamosa, o forse psoriasi diffusa). Si tratterebbe quindi non di un peggioramento di uno stato pregresso ma di un caso diverso (non sono infatti citati i due criteri diagnostici precedenti: il pelo bianco e la cute incavata). In questo caso l'apparizione della carne viva (v. 14) sarebbe l'apparizione di un'altra malattia, questa sì impura, sul luogo in cui c'è già una malattia, ma che non ricade tra quelle che provocano impurità. Analogamente, ai vv. 18-19 e 24 si prevede il caso di una pustola o di un'ustione, lesioni non impure, all'interno delle quali si manifesti una piaga di desquamazione. Quest'interpretazione, benché non assolutamente certa, porterebbe alla soluzione anche del secondo problema citato sopra: la dichiarazione di purità del v. 13 non sarebbe da intendersi nel senso che il malato prima era impuro, poi diviene puro (senza rito di purificazione), per poi divenire di nuovo impuro se si apre una piaga, ma, analogamente al v. 30, sarebbe la constatazione da parte del sacerdote che lo stato di purità non è mai venuto meno, dunque non c'è bisogno di un rito di purificazione. La diagnostica per una pustola o una bruciatura (l 3, 18-28). Dopo la descrizione delle due tipologie fondamentali di desquamazione, vengono presi in considerazione alcuni casi che potrebbero suscitare dei dubbi: quello della piaga che germina nella cicatrice di una pustola e quello che riguarda la

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LEVITICO 13,I9

i1"~;t7 n1n~ i~ i1~;t7 n~tp l'D'P0 Cii?l?:;l il~i/1' 9 ~~ìQ i1JD1 iD:;,iJ i1~1fo :HJ:;,iJ-?~ i1~1~1 nQJl?1~

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13,20 È più basso (t,EitD)- Benché la situazione sia la stessa di q~ella descritta al v. 3, là l'aspetto della piaga è descritto come 1i!l~ pb~. V~ notata la differenza di terminologia. 13,22 E una piaga (N,i1 !l~~)- La Settan-

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fine) hanno fatto pensare alla micosi che in italiano è indicata con il termine di .J iN48 :O'nW!:I il.J.:;t iN 1C~ l"

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13,45 Si copriràfin sopra i baffi (:-t~ cw'-,PJ) -Cioè il velo dovrà coprire la bocca. La parola C~W è connessa etimologicamente con :1~~. «labbro», anche se il rapporto esatto tra le due radici non è chiaro. Che indichi i baffi o la barba attorno alle labbra, e non le labbra stesse, risultaevidente da2 Sam 19,25, dove l'espressione 105lW :1Wl7 «curarsi i baffi» è accostata a 1'7~~ :-t~V,' con l'evidente significato di «curarsi i piedi», e al lavaggio delle vesti, per esprimere il dolore interessato di Mefiboshet durante la forzata assenza di David, fuggito per la congiura del figlio Abshalom. In Ez 24, 17.22 il medesimo gesto di coprirsi i baffi è un segno di lutto.

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14,31- Il versetto si apre con~ ~·WI::1-,~ ~ «secondo la sua disponibilità>>. L'inciso è assente in Settanta, Peshitta e Vulgata e sembra

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una dittografia In alternativa si può pensare che si tratti di una variante introdotta nel testo per armonizzarlo con il v. 22. In ogni caso è meglio

che questo in genere ha a che fare con i sacrilegi? La risposta non è univoca; la motivazione più ragionevole è che ciò sia dovuto al fatto che la #ira 'at è di norma collegata alla punizione di un sacrilegio, anche se eventualmente questo è rimasto occulto. Il gesto fondamentale di questo rito è quello della triplice applicazione, prima del sangue e poi dell'olio, previamente offerto e consacrato, spruzzandolo per sette volte davanti a YHWH. Il parallelo con il rito di consacrazione dei sacerdoti (Es 29,19-21; Lv 8,23-24) è evidente. Come l'uso del sangue ridona al malato quella vita che la malattia gli aveva sottratto, così è capace di donare al sacerdote consacrato quella sacralità che è un particolare rapporto con Dio, sorgente della vita. Tuttavia tra il rito della purificazione del malato di desquamazione e quello dell'investitura sacerdotale vi sono anche rilevanti differenze. Come nell'ordinazione sacerdotale, anche nella purificazione del malato le sue estremità sono bagnate di sangue sacrificale ( 14,14); vi è poi un rito di aspersione, ma esso avviene utilizzando un olio profano, portato dallo stesso malato, anche se è previamente consacrato, non quindi l'olio dell'unzione sacra, e soprattutto non il sangue del sacrificio preso dall'altare, come invece è il caso del sacerdote. Il sacrificio di riparazione offerto in questo caso ha come particolarità il fatto che non è segnalato il rito del sangue sui comi dell'altare, sostituito da quello sul corpo stesso del malato. Il sacrificio di riparazione viene prima del sacrificio per la trasgressione perché è da esso che si trae il sangue del rito purificatorio. Conclude il tutto l'olocausto. Interessante il fatto che questo appare l'unico caso in cui il sangue sacrificale sembra usato per purificare una persona, non l'altare. Si direbbe una sopravvivenza di un rito più arcaico (di guarigione?) che è stato inserito nel sistema sacrificale levitico. Il fatto che sia seguito da un sacrificio per la trasgressione vuole pro-

183

LEVITICO 14,33

L' olio che rimane sul palmo del sacerdote, lo metterà sulla testa di colui che si purifica, per compiere su di lui il rito espiatorio davanti a YHWH. 30Quindi con l'una delle tortore o dei giovani colombi, a seconda della disponibilità dell'offerente, celebrerà 31 • , un (sacrificio per) la trasgressione e con l'altra un olocausto, oltre all'oblazione; così il sacerdote compirà il rito espiatorio per colui che si purifica, davanti a YHwH. 32Questa è l'istruzione per chi è colpito da una piaga di desquamazione, il quale non abbia disponibilità per la sua purificazione».

29

33 YHWH

parlò a Mosè e ad Aronne:

espungerla, praticamente con tutti i commentatori e le traduzioni. Dopo queste parole viene ripetuto ,~~ come ripresa dopo la lunga in-

cidentale. Non è necessario espungerlo, come invece vorrebbe qualcuno; comunque non lo traduco per alleggerire la sintassi.

babilmente ripristinare l' «ortodossia» !evitica: dopo la purificazione necessaria per un'impurità così grave, bisogna comunque purificare l'altare, contaminato dall'impurità umana, secondo la teologia Sacerdotale. È da notare, inoltre, la progressione dello stato di purità del protagonista del rito. Dopo il rito dei due uccelli il sacerdote dichiara puro il malato per la prima volta (v. 7), al v. 8la purità è conseguente alla depilazione e alle abluzioni che egli immediatamente esegue; poi un'altra volta viene constatata come conseguenza del medesimo rito compiuto sette giorni dopo. Come nel caso della puerpera, anche in questo un 'impurità così grave non svanisce tutto d'un colpo, ma il passaggio allo stato normale avviene per gradi, tant'è vero che il malato può entrare nell'accampamento ma non nella sua tenda. Alla fine dell'abluzione del settimo giorno però tale purità è conseguita; così il protagonista del rito può compiere un atto cultuale. Un'ulteriore dichiarazione di purità è presente al termine di tutto il rito (v. 20); come nel caso della puerpera (cfr. 12,7-8), questa dichiarazione dev'essere intesa come il risultato non del sacrificio (in tal caso anche l'olocausto avrebbe questo valore, ma, come visto, ciò è proprio solo dell'olocausto del toro di cui in l ,4), ma di tutto il complesso rituale. Proprio la manipolazione del sangue sul protagonista del rito, presentandosi quasi come una vera e propria purificazione, manifesta che questo rito deriva da un momento più arcaico dello sviluppo storico della sequenza rituale. 14,33-53 Norme sulla desquamazione delle case In un successivo discorso (vv. 34-53), rivolto a Mosè e ad Aronne, YHWH detta norme in merito alle macchie di muffa e di umidità che si possono manifestare nelle case di abitazione degli lsraeliti e che vengono assimilate alla desquamazione. Dopo il versetto introduttivo (33), la pericope è suddivisa in tre parti.

184

LEVITICO 14,34

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14,36 Prima di entrarvi (l:::t~:::t N~~ C1~:1)­ Alla lettera: «prima che il sacerdote vi entri». 14,37 Cavità (n1~1lij?~)- La parola ricorre soltanto qui. L'etimologia è discussa: una possibilità è la derivazione dalla radice 11p!D («abbassarsi»), o da varie combinazioni di radici, per giustificare la presenza di ben cinque consonanti. Qualcuno propone una

derivazione egiziana che darebbe al lemma il significato di «eruzione». Per la traduzione mi pare che la soluzione migliore sia lasciarsi guidare dal contesto e dall'esempio della Settanta (KotÀaç) e della Vulgata (vallicula), in entrambi i casi «avvallamento». 14,38 Alla porta della casa- Cioè non si limiterà a uscire nel cortile, ma varcherà

14,34-42 Diagnostica della desquamazione delle case La prima (vv. 34-42) presenta la piaga della casa come dovuta a un'iniziativa diretta di YHWH, cosa che non era detta né a proposito della desquamazione delle persone né di quelli:l delle vesti, e descrive il primo intervento del sacerdote, con la conseguente messa in quarantena della casa e i provvedimenti necessari qualora si manifesti una natura aggressiva della piaga. La disposizione è detta valere solo dopo l'ingresso degli Israeliti nella terra di Canaan; l'affermazione ha l'evidente scopo di mantenere la coerenza narrativa del racconto, che colloca la rivelazione della legge nel momento in cui gli lsraeliti conducono una vita nomadica, che esclude l 'uso di abitazioni di pietra. Il riferire a YHWH l'iniziativa della piaga rende esplicito quanto negli altri casi era solo implicito e descrive il fenomeno come una punizione divina; per questo è ancor più rilevante il fatto che il proprietario della casa non sia colpito da alcuna sanzione: non diviene impuro, a meno che non sia entrato nella casa quando essa si trovava in stato di impurità, e non deve offrire alcun sacrificio espiatorio.

185

LEVITICO 14,42

«Quando arriverete nella terra di Canaan, che io vi do come possesso, qualora io colpisca con una piaga di desquamazione una casa della terra di vostro possesso, 35colui cui la casa appartiene andrà a informare il sacerdote: "Mi è apparsa in casa come una piaga". 36Allora il sacerdote darà ordine di liberare la casa prima di entrarvi per esaminare la piaga, perché quanto si trova in casa non diventi impuro; poi il sacerdote entrerà per vedere la casa. 37Esaminerà la piaga e, se la piaga sulle pareti della casa si presenta come cavità verdastre o rossastre e il loro aspetto sarà più basso della parete, 38 il sacerdote uscirà dalla casa, alla porta della casa, e isolerà la casa per sette giorni. 39Quando il sacerdote ritornerà il settimo giorno, se vedrà che la piaga si è estesa sulle pareti della casa, 40ordinerà che si tolgano le pietre su cui vi è la piaga e che si gettino fuori dalla città, in un luogo impuro. 41 Quindi farà raschiare completamente la casa dall'interno e i calcinacci che avranno raschiato si scaricheranno al di fuori della città, in un luogo impuro. 42 Si prenderanno poi altre pietre da collocare al posto delle pietre (rimosse), si prenderà altra calce e si intonacherà la casa. 34

la soglia dell'abitazione (n·~ ;:t no~-"~). 14,41 Farà raschiare (~)-Un manoscritto ebraico, il Pentateuco Samaritano e tutte le versioni antiche leggono 1lT'~ al plurale. È chiaramente Wla lezione facilitante che annonizza il numero del verbo con gli altri verbi presenti nel contesto, mtendendolo in senso impersonale e non fattitivo. Si è ipotizzato che la lezione ori-

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14,43Dopochesisono tolte (y~n ,~)-Alla lettera: «dopo ha tolto)). Le due parole sono testualmente tonnentate. Sulla base del Pentateuco Samaritano alcuni vorrebbero correggere la prima in '":1~. ma la fonna è di per sé plausibile e la correzione non si impone, anzi il Pentateuco Samaritano si presenta come assimilante con il '":1~1 della seconda parte del lezione facilitante. Anversetto, dunque è che il verbo crea problema, perché la Settanta

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(appoggiata dalla Peshitta e dai Targumim ma non alla lettera) legge-rò ÈI;EÀE'iv «il togliere)), quindi come un infinito (f';lo) invece che un qatal; la variante è adottata da alcuni commentatori. Altri ipotizzano di vocalizzare f~J::!. «essere tolto)) intendendo un infinito costrutto pual, mentre il Pentateuco Samaritano legge ,~~n «tolgono)), armonizzando con il v. 40. A mi.o avviso sono tutti tentativi di semplificazione: il Testo Masoretico va difeso come lezione

Oriente antico, ma da una qualche attitudine umana, anche se non specificata, e viene usata per esprimere un valore simbolico: anche l'abitazione dell'Israelita dev'essere caratterizzata dalla stessa purità che determina la sua persona e il suo cibo, così da costituire un ambiente adatto a poter accogliere la presenza di YHWH. 14,43-48 Diagnostica della desquamazione delle case in caso di recidiva La seconda parte (vv. 43-48) descrive il da farsi qualora la desquamazione riappaia, e si conclude con le regole riguardanti lo stato di impurità che tocca chi entra nella casa durante il periodo di quarantena. Analogamente a quanto avveniva nel caso della desquamazione del tessuto, il semplice fatto della sua Ti comparsa ed estensione, constatato dopo l'eliminazione del materiale infetto, è sufficiente a farla

187

LEVITICO 14,52

Ma se la piaga ritorna e si diffonde dopo che si sono tolte le pietre, dopo aver raschiato la casa e dopo averla intonacata, 44 il sacerdote andrà a esaminarla: se la piaga si sarà estesa nella casa, è desquamazione maligna nella casa. Essa è impura. 45 Si abbatterà la casa: le sue pietre, il suo legname e tutti i calcinacci della casa li si porterà al di fuori della città, in un luogo impuro. 46Colui che entrerà nella casa per tutto il periodo in cui è isolata, sarà impuro fino a sera. 47 Chi dorme nella casa, laverà le sue vesti, e chi mangia nella casa, laverà le sue vesti. 48 Se al contrario il sacerdote andrà a esaminare (la casa) e la piaga non si sarà estesa nella casa dopo che è stata intonacata, il sacerdote dichiarerà pura la casa, perché la piaga è stata guarita. 49 Allora, per purificare la casa, prenderà due uccelli, legno di cedro, (una stoffa di) colore scarlatto e issopo 50e scannerà un uccello su un vaso di terracotta, sopra dell'acqua di sorgente. 51 Poi prenderà il legno di cedro, l'issopo, la (stoffa di) colore scarlatto e l 'uccello vivo, li intingerà nel sangue dell'uccello scannato e nell'acqua di sorgente e spruzzerà in direzione della casa sette volte. 52Così purificherà la casa con il sangue

43

più difficile e va inteso come una terza persona singolare con valore impersonale. Per rendere la frase in un italiano accettabile è opportuno modificame la sintassi. 14,44 Maligna (m~o~) -Cfr. nota a 13,51. 14,49-50 PrenderiL. e scannerà- Di per sé la forma grammaticale fa supporre che il soggetto sia il sacerdote, che è evidentemente l'attore di tutti i gesti descritti prima e dopo (dichiarare puro, prendere, intingere, spruz-

zare; cfr. vv. 51-53). Tuttavia nei vv. paralleli 4-5 si precisa puntigliosamente che la materia sacrificale deve essere procurata dall'offerente, il quale, come d'abitudine, compie anche l 'uccisione (non sacrificale) de li 'uccello. In effetti i vv. 49-53 presuppongono e sintetizzano i vv. 4-7, che devono dunque essere tenuti presenti per comprendere lo svolgimento del rito, senza voler ripercorreme punto per punto i dettagli.

dichiarare «maligna» (v. 44; cfr. 13,51-52), con il conseguente obbligo di distruggere la casa colpita (v. 45). Colui che entra nella casa durante la sua quarantena contrae l'impurità del grado più basso, per liberarsi della quale è sufficiente il trascorrere del tempo, mentre chi vi dorme o vi mangia - le due attività fondamentali che si fanno in una casa - viene contaminato più profondamente, così da dover lavare le sue vesti. Non si parla di un'abluzione del corpo, probabilmente non c'è motivo di sottintenderla: non è un impurità che penetri così profondamente da richiederla. 14,49-53 Purificazione della desquamazione delle case La terza parte (vv. 49-53) contiene il rituale di purificazione per la casa dichiarata guarita dalla desquamazione. Il testo non parla della necessità di una seconda

188

LEVITICO 14,53

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quarantena, ma c'è chi la ritiene probabile. Il rito riprende la prima sezione rituale della purificazione della persona, con l'immolazione dell'uccello e l'aspersione della casa. Il proprietario, invece, non è fatto oggetto di alcun rito, né deve offrire un sacrificio. È chiaro che le regole sulle case, come anche quelle sui vestiti che concludono il capitolo 13, sono in continuità con quelle della lebbra del corpo: è tutto l'ambiente di vita dell'uomo che dev'essere immune dall'impurità che lo apparenta in qualche maniera alla morte. Il vestito e la casa sono ciò che di più intimo l'uomo possiede: anch'esso dev'essere adatto alla purità che caratterizza il popolo di YHWH.

14,54-57 Conclusione delle regole sulla desquamazione Gli ultimi versetti del capitolo 14, nei quali il narratore riprende la parola, devono essere intesi come la conclusione di tutte le regole relative alla desquamazione contenute nei capitoli l3 e 14.

15,1-33 Le impurità sessuali Il discorso di YHwH contenuto nel capitolo 15 riguarda le impurità che riguardano la sfera sessuale e particolarmente quelle derivanti dai flussi genitali. La pericope è articolata in forma chiaramente chiastica: dopo una frase introduttiva (vv. 1-2a), la materia è disposta in cinque parti: A (vv. 2b-15): le emissioni genitali patologiche dell'uomo B (vv. 16-17): le emissioni sessuali normali dell'uomo

189

LEVITICO 15,2

dell'uccello, con l'acqua viva, con l 'uccello vivo, con il legno di cedro, con l'issopo e con la (stoffa di) colore scarlatto. 53 Poi rilascerà l'uccello vivo fuori dalla città, in aperta campagna. Così compirà il rito espiatorio per la casa ed essa sarà pura». Questa è l'istruzione per qualsiasi piaga di desquamazione, per la tigna, 55per la desquamazione del vestiario e della casa, 56per la macchia, l'esfoliazione e lo schiarimento; 57per indicare in quale momento qualcosa è impuro e in quale momento è puro. Questa è l'istruzione per la desquamazione. 54

15

1 YH~H

parlò a Mosè e ad Aronne: 2«Parlate agli Israeliti e sptegate loro: "Chiunque avrà un flusso dal suo corpo, il suo flusso è impuro. materiale organico dagli organi genitali», distinto però dallo sperma, per cui vale

un'altra terminologia.

X: (v. 18): il rapporto tra l'uomo e la donna con emissione sessuale B' (vv. 19-21 ): le emissioni sessuali normali della donna A' (vv. 25-30): le emissioni sessuali patologiche della donna Il v. 31 è la considerazione finale di Y HWH sul valore teologico deli' impurità in rapporto con la «dimora» di YHwH stesso, mentre i vv. 32-33, che non fanno più parte del discorso di YHWH, costituiscono il riassunto della pericope. Le impurità sessuali sono l'ultimo grande motivo di impurità del sistema Sacerdotale; esse si dividono in impurità normali e impurità derivanti da una malattia. Le impurità normali riguardano il ciclo mestruale femminile e qualsiasi tipo di eiaculazione maschile, ivi compresa quella che avviene ali' interno di un normale rapporto sessuale (v. 18). Le impurità derivanti da una malattia riguardano le persone affette da scolo o da menorragia. L'uomo affetto da queste ultime impurità, particolarmente virulente, è definito con un termine tecnico ebraico particolare: ziib (cfr. 15,2; 22,4). Il femminile di questa parola, zabd, indica invece tanto la mestruata che la donna affetta da menorragia. 15,2b-15 Le emissioni genitali patologiche del/ 'uomo L'impurità dell'uomo affetto da una malattia sessuale può essere di due tipi: la prima di esse è un flusso di materiale organico dai genitali maschili che si identifica con lo scolo o gonorrea. Ancora una volta il problema non è di carattere igienico, perché la forma maligna di questa malattia venerea non è conosciuta prima del XV secolo; si tratta invece di un'infiammazione delle vie urogenitali maschili conosciuta come Gonorrea benigna, non molto contagiosa. Il problema sorge invece per quanto

190

LEVITICO 15,3

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15,3 Nella seconda parte del versetto i testimoni sègnalano una lunga aggiunta, ma non sono concordi: dopo iN «oppure», il Pentateuco Samaritano aggiunge: «il corpo ritenga il flusso, è impuro per tutti i giorni del flusso del suo corpo oppure [i/ corpo lo ritenga ... ]». Il Q Levitico• (IIQpaleoLev•o II Q!) presenta anche l'espansione ma aggiunge 1:::1 prima di •o• concordando in questo con !'€v a{rr~ della Settanta, che presenta un'espansione analoga ma non identica. Di per sé la situazione testuale suggerirebbe un omeoarc-

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to tra il primo e il secondo iN. Occorre però sottolineare che il plus si presenta come un tentativo di rendere più scorrevole la difficile sintassi del testo, per mezzo del prestito di locuzioni tratte dal parallelo di Lv 15,25-26 e di Nm 19,13. Più che di un omeoarcto, si tratterebbe dunque di un'aggiunta tardiva, facilitante e assimilante, che imporrebbe di conservare il Testo Masoretico. 15,4 Qualsiasi giaciglio (::lit_;io::t-'i)- Alcuni manoscritti e la Peshitta leggono _,::l1. La variante ha una certa importanza, perché

riguarda la seconda affezione descritta al v. 3: una situazione nella quale il fluido è ritenuto neIl' apparato urogenitale; questa affezione può essere identificata con varie forme infiammatorie, ma non si è ancora arrivati a una definizione soddisfacente. L'impurità derivante da queste affezioni è particolarmente contagiosa e comporta numerosi e complessi divieti. In primo luogo rende impuro qualsiasi mobile sul quale l'impuro si sia disteso; questa impurità è a sua volta contagiosa e ne provoca una di secondo grado in chi venga a contatto con questi oggetti; essa dura un giorno ed è diversificata a seconda dei casi, ma è comunque risolvibile con l'abluzione del corpo e delle vesti e il passaggio del tempo (fino alla sera). Il letto è più contagioso: il solo contatto richiede lavaggio delle vesti e abluzione. Gli altri mobili richiedono lavaggio delle vesti e abluzione se ci si siede sopra o se li si trasporta, solo trascorrere del tempo se li si tocca (v. l 0). Vi è il caso Pl!rticolare della sella (v. 9) menzionata solo perché è un oggetto che potrebbe destare dei dubbi.

191

LEVITICO 15,10

ln ciò consisterà l'impurità per il suo flusso- (che) il corpo lasci scorrere il flusso, oppure il corpo lo ritenga, questa è la sua impurità: 4qualsiasi giaciglio, su cui si coricherà chi è affetto da flusso, diventerà impuro, e qualunque oggetto, su cui si siederà, diventerà impuro; 5chiunque toccherà il suo giaciglio laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera, 6e anche chi si siede su un oggetto, sul quale è stato seduto chi è affetto da flusso, laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera; 7 chi poi tocca il corpo di colui che è affetto da flusso, laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera. 8Se chi è affetto da flusso sputa su una persona pura, (questa) laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impura fino a sera. 91noltre qualsiasi mezzo per viaggiare sul quale sarà salito chi è affetto da flusso, sarà impuro, 10chiunque tocchi qualsiasi cosa si sia trovata sotto di lui, sarà impuro fino a sera, e chi abbia trasportato tali cose laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera. 3

accettando il testo del codice di Leningrado (L) qui riprodotto, il pronome con cui si conclude il v. 3 si riferisce al versetto successivo, mentre, accogliendo la variante, il pronome riprende semplicemente il termine iniziale del versetto stesso. In questo caso la fine del v. 3 e l'inizio del v. 4 si tradurrebbero: «questa (cioè "dotata di questa estensione temporale") è la sua impurità, e qualsiasi giaciglio ... ». La traduzione proposta mantiene il testo del codice di Leningrado (L) perché comunque meglio attestato.

15,9 Mezzo per viaggiare - Il sostantivo e il verbo connesso~:::,, non significano semplicemente «carro» e «cavalcare», ma anche «veicolo» e «viaggiare su un veicolo» (cfr. Ger 17 ,25) o, meglio, viaggiare su qualcosa salendo sul quale i piedi non tocchino il terreno; ali' hifìl il verbo prende anche il significato di «trasportare su un carro» (cfr. 2Sam 6,3; 2Re 9,28). La norma non si riferisce dunque soltanto alla sella, ma a qualunque mezzo di trasporto sul quale si salga.

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Anche il contatto fisico con il malato prevede diversi casi. Il contatto diretto con il corpo (non con le vesti) provoca un'impurità secondaria che richiede trascorrere del tempo (fino alla sera), lavaggio delle vesti e abluzione. Alla stessa procedura si sottopone colui che riceve uno sputo dal malato (v. 8). Si tratta dell'unico caso in cui è menzionata la saliva come fonte di impurità, ma questa sua caratteristica dipende evidentemente dal fatto di essere la saliva di qualcuno così violentemente impuro. Anche qui siamo di fronte a una mitigazione dell'impurità: in altri sistemi legislativi, come, per esempio, in quello hittita, la saliva in quanto tale era considerata fonte di impurità. Quando si dà il caso del malato che tocca un'altra persona, la cosa non ha conseguenze purché egli si sia lavato le mani; evidentemente questa disposizione mira a permettergli di continuare a frequentare il consorzio umano: quest'impurità è dunque meno virulenta di quella della desquamazione. Se invece non si è lavato le mani, l 'impurità secondaria provocata in colui che è stato toccato finisce alla sera,

192

LEVITICO 15,11

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•:• 15,12 Testi affini: Lv 6,21; 11,33.35 15,13 Sarà guarito ... per la sua purificazione (in'V')t;l'( ... iiJtp')- Il verbo ha evidentemente due significati diversi nel medesimo versetto, dato che chiaramente la purificazione è conseguenza dei riti prescritti, ma la guarigione è supposta come già avvenuta, in concordanza con la concezione implicita

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15,23 (Un qualsiasi oggetto)(~~:"!)- La sintassi del versetto è di difficile comprensione, in particolare perché non risulta chiaro quale sia l'antecedente del pronome~~:"!. Può essere la persona di cui si parla al versetto precedente, ma in questo caso bisognerebbe supporre che, se uno tocca l'oggetto su cui la donna si è seduta, deve lavare le vesti e del corpo, ma se lo tocca mentre egli a sua volta si trova seduto sul medesimo oggetto,

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deve solo lasciar passare il tempo. La cosa evidentemente non ha senso. Nemmeno può essere l'oggetto su cui la donna si siede perché che senso ha che l'oggetto su cui si siede si trovi sopra l'oggetto su cui è seduta? Per la versione CEI l'antecedente è generico: «se un oggetto si trova sul Ietto»; per altri il riferimento non è a un oggetto, ma alla situazione: «qualora si dia il caso che si tocchi il suo letto» ecc. In questo caso

la sedia sono impuri e contaminano fino alla sera chi li usa, con obbligo di lavaggio e abluzioni. Quindi, in questo senso, il letto della mestruata e quello del malato di gonorrea sono egualmente impuri, mentre la sedia della mestruata è più impura, perché richiede lavaggio e abluzione anche al semplice contatto, mentre la sedia del malato contamina così solo se usata o trasportata, non se toccata. I motivi di queste sfumature non sono evidenti: una soluzione possibile è che il corpo della mestruata è considerato meno direttamente a contatto con la sorgente dell'impurità- cioè con il sangue mestruale- di quanto non sia il letto o la sedia. La differenza rispetto al malato di gonorrea può essere dovuta al fatto che l'emissione della mestruata è più abbondante e clamorosa e, soprattutto, costituita da sangue; dunque, nel caso del malato il solo letto è veramente pericoloso, perché viene a contatto con la fonte del!' impurità per un tempo maggiore. La mestruata e la donna affetta da gonorrea non sono esplicitamente obbligate a lustrazioni. A fronte del fatto che una semplice polluzione notturna le esige, l'omissione sembra molto strana. Nel caso della mestruata si può pensare (ed è la corrente esegesi rabbinica) che la cosa sia data per scontata, oppure che l'impurità del maschio, comunque caratterizzata da una certa eccezionalità, anche se non dovuta a una malattia, sia più virulenta di quella regolare della donna. Appare più difficile motivare l'omissione nel caso della malata di gonorrea, ma anche in questo caso si può invocare la motivazione che la gonorrea altro non è che una mestruazione prolungata, che quindi è assoggettata alle medesime regole, tranne che la sua eccezionale durata nel tempo provoca la necessità di offrire un sacrificio. Il v. 24 stabilisce che l 'uomo che ha rapporti con la mestruata riceve la sua stessa impurità, per sette giorni, evidentemente a partire dal rapporto, e la comunica al

197

LEVITICO 15,24

Qualunque cosa su cui ella si coricherà nel suo stato di mestruata diventerà impura, e qualunque cosa sulla quale si siederà, diventerà impura. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, laverà le sue vesti, si laverà il corpo con acqua e sarà impuro fino a sera; 22chi poi toccherà un qualunque oggetto sul quale si sia seduta, laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera; 23 se poi (un qualsiasi oggetto) si trova sul giaciglio o sull'oggetto sul quale essa è seduta, toccandolo si è impuri fino alla sera. 24E se mai un uomo ha un rapporto sessuale con lei, lo stato di mestruata di questa ricadrà su di lui, che sarà impuro per sette giorni e qualsiasi giaciglio, su cui si coricherà, diventerà impuro.

20

però si ripeterebbe inutilmente quanto già detto ai versetti precedenti, con l'aggravante di omettere l'abluzione purificatoria, che dovrebbe essere eventualmente considerata implicita. La traduzione presentata propone che l'antecedente sia da individuarsi nell'espressione '~=f'-':j) « iN S''

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questa legislazione. Il Codice Sacerdotale è sempre assai parco nel dare motivazioni teologiche esplicite; quando lo fa, queste sono dunque della massima importanza. «Tener lontani» (in ebraico nozar) è un tennine tecnico che indica «separare», ma anche «consacrare». Il nazireo (Nm 6,1-21) è colui che si è separato per Dio con voti particolari. In questo senso il tennine può anche voler dire «astenersi»: il separato per Dio si separa dalle cose impure. Gli attori di quest'azione di separare sono gli stessi citati al v. 2, ossia Mosè e Aronne. La classe sacerdotale, che qui entrambi rappresentano, è dunque particolannente designata per compiere questa separazione/consacrazione. Il separato è il popolo di Israele, e il motivo della separazione è il fatto che la dimora di YHWH si trova in mezzo a loro ed essi non devono contaminarla. Nel caso in cui essi divenissero impuri, si verificherebbe

200

LEVITICO 15,32

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15,33 Per chi è affetto da un flusso, sia maschio che femmina (:1~p~~1 ,~~~ ì.:lìt-n~)

- L'inciso ripete la prima parte del versetto e dev'essere inteso come una frase sintetica

la catastrofica fattispecie di un'impurità che entra direttamente a contatto con la santità perché l'impurità degli Israeliti contamina in modo pericoloso l'altare. La conseguenza di una così grande sciagura sarebbe la morte di tutto il popolo. La pena normale per chi volontariamente provochi questo contatto diretto tra le due sfere è la morte civile (e, implicitamente, anche fisica) del kiiret, ossia dell'esclusione (l'essere «tagliati fuori») dalla comunità di Israele. Evidentemente in questo caso, essendo coinvolto tutto il popolo, sarebbe inappropriato usare questa terminologia; si usa quindi il verbo «morire», che indica bene la conseguenza di un atteggiamento che porta alla distruzione del popolo. Da questo testo si vede bene che, per la teologia !evitica, il concetto di purità è un concetto relazionale, che definisce le caratteristiche che il popolo deve avere per ospitare nel suo centro la presenza di Dio. Ciò però deriva da un fatto fondamentale: Israele è il popolo di YHWH, che a sua volta è stato scelto tramite l'alleanza. È chiaro dunque che, per i testi Sacerdotali, purità e alleanza sono concetti strettamente apparentati. Il fatto che i vv. 32-33 presentino un riassunto dei casi di impurità sessuale, ha fatto pensare che il v. 31 si riferisca solo a questi casi. In realtà, dato il fatto che questa spiegazione teologica viene a conclusione di tutte le regole di purità, fa pensare piuttosto che essa si riferisca all'intero blocco legislativo. IL GIORNO DELL'ESPIAZIONE (16,1-34) Dopo una frase di introduzione (vv. 1-2a), possiamo considerare la pericope come divisa in tre parti. Nella prima di esse (vv. 2b-l O) sono descritti i preparativi del rito: gli animali necessari, le vesti speciali, che devono essere totalmente di lino, l'offerta del giovenco, il sorteggio tra i due capri e l'offerta di quello destinato al sacrificio; la seconda parte (vv. 11-20) descrive l'immolazione del giovenco e del capro e il rito particolare compiuto con il loro sangue nella parte più interna del santuario, dove risiede l'arca dell'alleanza con il suo propiziatorio; la terza parte (vv. 21-34) tratta del rito di invio nel deserto del capro emissario, ed espone la conclusione del rito, con la deposizione delle vesti particolari da parte di Aronne, la sua abluzione e la combustione sull'altare delle offerte

201

LEVITICO 16,1

Questa è l'istruzione per colui che è affetto da un flusso, per colui che ha un'emissione di sperma così da diventare impuro, 33 per colei che è indisposta per la sua mestruazione, per chi è affetto da un flusso, sia maschio che femmina, e per un uomo che si corichi con un'impura.

32

16

parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aronne, quando si erano avvicinati alla presenza di YHWH 1YHWH

finale. I vv. 32-33 possono essere intesi come non facenti più parte del discorso di YHWH.

Il 16,1-34 Paralleli: Lv 23,26-32; Nm 29,7-11 •:• 16,1 Testi affini: Lv l O, 1-3

sacrificai i; alcune disposizioni complementari sul digiuno chiudono la pericope. Si è visto finora che le impurità «normali» possono essere purificate per mezzo del passare del tempo e, eventualmente, delle abluzioni, quelle «anormali» richiedono un sacrificio di purificazione. Non sono però questi gli unici casi, né i più importanti, in cui si offre· un sacrificio di purificazione. Il capitolo 4 stabilisce che la trasgressione involontaria di un comandamento negativo (v. 2: 1 ;z;-,w~

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16,12 Incenso profumato (C'~t?tl M":~.i!lP)­ Cfr. nota a 4, 7. •:• 16,13 Testi affini: Es 33,20 16,14 Da/lato orientale (i'l9"')P.)- Il termine ebraico può essere inteso nel senso che il sacerdote è rivolto iJ-;~ il)N i1liJ1

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16,15 Pmterà il suo sangue (~"T"ntot)- La Settanta legge c(llÒ tou a'(j.uxtoç aùroD «dai suo sangue», cioè «parte del suo sangue», che farebbe supporre un teslo ebraico originario ~lO- È una lezione che assimila il testo alle altre occorrenze

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nel capitolo. Qualcuno suggerisce che l'assenza di partitivo non sia senza significato e che l'espressione lasci intendere che è tutto il sangue de li' animale che viene portato nel Santo dei Santi per acquisire l'efficacia che gli permet-

v. 15 permette di precisare che il sommo sacerdote asperge il propiziatorio otto volte: una al di sopra, sette sul davanti. Il v. 16 precisa che tale rito purifica il santuario dalle «impurità», dalle «ribellioni» e dalle ' m;, oili.J-':l 30 :o::>::>in.l ili1 ili1, n1tNi1 ;,,;,, '.l!l~ ;~n o::>nN ii1"~ O:J'~l' r· : • o:J'nNon ·: .. -n~ orp~~1 o~? N'D ti.t;tfw n~W 31 :~iQ'?T:l iliN nW9~-,w~ t6~D i~:;l1 32 :o?iv ni?-D. O?,'lJW-?~ -:

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16,29 Oriundo (n,tNi1) -Termine quadrilittero piuttosto rar-;; di etimologia sconosciuta. Il suo significato è dato dal fatto che generalmente è impiegato in coppia con ,) («straniero»). In Levitico compare solo qui e nel Codice di santità (cc. 17-26). 16,30 Si farà il rito espiatorio (,El~')- È stato proposto di correggere il pie/ iri pual (,ç~~. «sarà fatto il rito espiatorio») sulla base della Peshitta e della Vulgata, ma non è necessario: il verbo si può comprendere come un impersonale e la scelta delle versioni antiche come delle traduzioni a senso che tentano di appianare la difficoltà sin tattica. 16,31 Riposo assoluto (lìn~~ n;~~)- Alla lettera: «sabbatico». Si tratta del termine tecnico per indicare il riposo caratteristico del settimo giorno (cfr. Es 35,2). È anche

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impiegato per indicare il riposo della terra nell'anno sabbatico (cfr. Lv 25,4-5). In Levitico si trova solo qui e nel Codice di santità (cfr. 23,3). 16,32 È stato unto, ricevendo l'investitura (N~Q: ... n~~·)- Alla lettera: «ha unto esso» ... · «le cui" mani ha riempito», terze persone singolari con valore impersonale. La sintassi non consueta, ma nemmeno irregolare, ha causato scelte nella Settanta (verbi al plurale), nella Peshitta e nella Vulgata (verbi passivi) che non devono essere intese come reali varianti testuali, ma come traduzioni a senso. D'altronde nemmeno nella presente traduzione è stato possibile conservare la medesima struttura sintattica dell'originale, ma si sono volte le frasi al passivo. Per l'espressione «riempire le mani» cfr. nota 8,33.

Con i vv. 29-31 vengono introdotte la data in cui si deve eseguire questa procedura (dato che all'inizio del testo non si dà una data ma si presuppone che questo sia un rito da eseguire tutte le volte che se ne presentasse la necessità, e questa doveva essere certamente la situazione più antica) e il fatto che durante

213

LEVITICO 16,34

Sarà per voi uno statuto eterno; nel settimo mese, il dieci del mese, vi umilierete e non vi dedicherete a nessun lavoro, sia l'oriundo che lo straniero che dimora in mezzo a voi, 30poiché in quel giorno si farà il rito espiatorio per voi, per purificarvi; sarete puri davanti a YHWH da tutte le vostre trasgressioni. 31 Sarà per voi un (giorno di) riposo assoluto e vi umilierete: statuto eterno. 3211 sacerdote che è stato unto, ricevendo l'investitura per esercitare l'ufficio sacerdotale al posto di suo padre, compirà il rito espiatorio, indossando le vesti di lino, le vesti sacre. 33 Compirà il rito espiatorio per la parte più santa del santuario, per la tenda dell'incontro e l'altare; compirà il rito espiatorio anche per i sacerdoti e per tutto il popolo dell'assemblea. 34 Questo sarà per voi uno statuto eterno: compiere il rito espiatorio per gli Israeliti, a causa di tutte le loro trasgressioni, una volta all'anno». (Aronne) eseguì quanto YHwH aveva ordinato a Mosè.

29

16,33 La parte più santa del santuario tll'1p~) - Il contesto impone di comprendere quest'espressione come riferita alla parte più interna del santuario, il cosiddetto «Santo dei Santi», che in Lv 16 è designato con ['espressione t!i"1.P:J (cfr. nota al v. 2). L'espressione non ricorre altrove nella Bibbia ebraica. Probabilmente tll'1p0 non è la forma costrutta di t!i1P~ («santuario») ma di t!ii_p~, parola così ipotizzata allo stato assoluto da alcuni autori a partire dall'unica attestazione it!i"'l,P~ (cfr. Nm 18,29: la parte santa delle offerte) per analogia con forme del tipo iço~. Infatti questo di Nm 18,29 è l'unico caso in cui la forma costrutta è scritta così. In tutti gli altri casi (sei nella Bibbia ebraica) la forma è regolarmente ifll1p0. Il v. 33 utilizzerebbe dunque l'espressione t!Ì"").PiJ (t!l"1.~:J

non con il significato che assume nel c. 16, ma nel senso più generico che ha nel resto del libro. E per tutto il popolo del! 'assemblea- Anche quest'espressione (t,~i?iJ t:l;!-t,~-t,!l1) compare soltanto qui; il suo significato è però chiaro, e rafforza l'impressione che questi versetti finali siano il risultato di un' elaborazione redazionale. 16,34 (Aronne) eseguì (W!;~1) - Il soggetto non può che essere Aronne, ma è talmente lontano che le versioni antiche sono intervenute o volgendo il verbo o al passivo (Settanta) o al plurale (Peshitta). Il Testo Masoretico va mantenuto come lezione più difficile. Si potrebbe anche pensare a un uso impersonale della terza persona singolare e tradurre «e si fece», ma sintatticamente mi sembra un po' troppo duro.

questa giornata si dovessero eseguire le pratiche dell'umiliarsi che comprendeva il digiuno (non totale), il non curare l'igiene personale (cfr. Esd 8,21-23; Dn l 0,3.12) e il riposo sabbatico. Si tratta dell'unico giorno di digiuno positivamente prescritto dal Pentateuco.

LEVITICO 17,1

214

Excursus: distinzione tra il Codice di Santità (17,1-26,46) e il resto della legislazione Sacerdotale In ambito esegetico l 'idea di una diversità tra Lv 17-26 e quanto lo precede e lo segue è stata avanzata da tempo. Questo fatto risulta evidente anche a una prima lettura: il testo sembra avere un carattere più «moralmente sensibile», un andamento più esortatorio; inoltre compaiono determinate caratteristiche di linguaggio, delle quali la più evidente è la formula «sarete santi, perché santo sono io, YHWH vostro Di Q)> ( 19,2; 20,26; ma cfr. 11 ,44.45)- che ha fatto sì che a questi capitoli venisse attribuito il nome di «Codice di santità»- e soprattutto la formula «io sono YHWH vostro Dio» o semplicemente «io sono YHWH» (in questo caso praticamente corrispondente al profetico «oracolo di YHWH»; cfr. 18,2.4.5). A queste espressioni così tipiche se ne possono affiancare numerose altre. È poi da notare, come caratteristica peculiare del Codice di santità, di pari passo con la formula «io sono YHWH», il fatto che YHWH parli in prima persona, indirizzandosi a Israele cui si rivolge in seconda persona. Vi sono anche alcune rilevanti differenze di vocabolario, tra le quali è da sottolineare il fatto che l'aggettivo «impuro» (!iime'), che nel Codice Sacerdotale indica soprattutto, anche se non esclusivamente, un'impurità di tipo rituale, remissibile con un rito purificatorio o con un sacrificio, nel Codice di Santità viene riferita a delitti morali, che di per sé non comportano un'impurità del colpevole, ma una sua condanna alla pena del kiiret, ossia dell'esclusione dalla comunità, che comportava una sorta di «morte civile»: Parecchio di questo vocabolario particolare si trova anche nel Deuteronomio, cosicché da un lato si può sottolineare la vicinanza del Codice di santità all'ultimo libro del Pentateuco, dall'altro si è spesso utilizzata questa vicinanza per sostenere che questi due testi siano cronologicamente vicini. Riguardo al problema della delimitazione del Codice di santità, occorre osservare che il corpus in quanto tale non ha una vera e propria introduzione, e che si discute sull'appartenenza effettiva del capitolo 17 a questo strato redazionale. In effetti esso manca di due tratti distintivi fondamentali del Codice di santità: la radice qds (che rimanda all'«essere santo») e la formula «io sono YHWH». Vi sono inoltre legami molto forti tra Lv 16 e Lv 17, e soprattutto il ricorrere del verbo «espiare» (ebraico, kiipar pie/; cfr. 16,6.1 0.16; 17, Il) importante soprattutto perché il capitolo 17 offre la spiegazione teologica del rito di espiazione prescritto nel capitolo 16: è dunque difficile separare questi due capitoli, anche se è chiaro che la loro indole rimane diversa. Si può anche notare che il linguaggio sacrificale presente nel capitolo 17 ha il suo antecedente nel capitolo l e che la proibizione del sangue presente in 3,17 viene ripresa e spiegata in 17,10-12. Resta vero che il testo mostra caratteristiche innegabili del Codice di santità, e in primo luogo il

215

17

LEVITICO 17,2

1YHWH

2«Parla

parlò a Mosè: ad Aronne, ai suoi figli e a tutti gli Israeliti e

fatto che YHWH si indirizza al popolo in prima persona e insiste sulle motivazioni teologiche delle prescrizioni (vv. 10-12) e, dunque, deve essere considerato come l'inizio del Codice stesso. D'altronde è probabilmente inutile separare in modo così netto strati diversi di redazione, ed è meglio considerare quest'incertezza come segno di un intervento redazionale che, unendo i due materiali, li ha profondamente rielaborati per adattarli l'uno all'altro.

LE CONDIZIONI FISICHE E MORALI PER LA SANTITÀ (17,1-22,16) La sesta sezione del libro del Levitico prende in considerazione una serie di norme relative alle condizioni per la santità. La legge sul sangue e sulla sua manipolazione (17,1-16) apre questa normativa: l'Israelita deve astenersi dal versare il sangue degli animali in immolazioni illecite; non può consumarlo in quanto «è la vita», ma può utilizzar! o come strumento di purificazione del santuario (l, 11 ). Un'altra sfera in cui la santità può essere messa in pericolo è quella delle relazioni matrimoniali e sessuali; ad esse è dedicato il capitolo 18, che descrive le relazioni sessuali proibite. Il capitolo 19 presenta una serie di normative relative alla santità vissuta nei rapporti con Dio, nelle distinzioni tra le specie animali e vegetali e tra le classi sociali e nei rapporti con il prossimo. Il capitolo 20 è un codice penale che descrive le punizioni per alcuni fra i delitti descritti nei capitoli precedenti. La santità nell'esercizio del sacerdozio e nella consumazione dei pasti sacri è l'oggetto delle disposizioni contenute in 21,1-22,16. 17,1-16 Norme sul sangue Dopo il versetto introduttivo, il testo del capitolo 17 può essere suddiviso in tre parti: nei vv. 2-9 vengono date norme relative alla macellazione degli animali che possono essere offerti in sacrificio (bovini, ovini e caprini). Nei vv. l 0-12 viene imposto il divieto di nutrirsi di sangue e ne viene data un'importantissima spiegazione teologica, mentre nei vv. 13-16 è questione del trattamento che dev'essere riservato agli animali commestibili ma non sacrificabili e particolarmente al loro sangue. Anche in questo caso la norma è accompagnata da una spiegazione teologica (v. 14). 17,2-9 La macellazione degli animali sacrificabili La frase iniziale - «Parla ad Aronne, ai suoi figli e a tutti gli Ismeliti}} - ricorre in 21 ,24 e in 22, 18 e si presenta come tipica del Codice di santità. Mentre il resto del testo Sacerdotale distingue i diversi destinatari delle prescrizioni, il Codice di santità si indirizza a Israele nella sua totalità anche quando la prescrizione riguarda i soli sacerdoti: in 21,1-23 si danno norme relative a questi ultimi e alle loro condizioni di ammissione al culto, ma alla fine (v. 24) la formula viene ripetuta per sottolineare il coinvolgimento di tutti gli Ismeliti. Le leggi di santità riguardano così il popolo nel suo complesso.

216

LEVITICO 17,3

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l l 17,2-9 Testi paralleli: Dt 12,4-14 17,4- Il Pentateuco Samaritano e la Settanta, dopo iN'~t) inseriscono una lunga aggiunta: «per celebrarlo in olocausto o in sacrificio di comunione a YHWH in vostro favore come profumo gradevole, e lo scannerà fuori, e non lo porterà ali' entrata della tenda dell'incontro». La variante potrebbe essere difesa pensando a un omoteleuto causato dalla ripetizione della frase ,N'~:-t ~ot':l il.',~ ':l:-t~ot nn!l:l-':l~ot,; tuttavia la grande maggioranza dei commentatori la respinge come uno sviluppo secondario che ripete inutilmente quanto ingiunto dai vv.

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8-9. Senza quest'aggiunta il testo impone di offrire in sacrificio qualsiasi animale venga macellato, proibendo così la macellazione profana. Finché ogni città aveva il proprio santuario, questa prescrizione del Codice di santità, benché fosse probabilmente un'innovazione rispetto a una pratica precedente che permetteva la macellazione per fini non sacrificali, era realistica, ma quando il santuario fu centralizzato a Gerusalemme essa divenne utopistica. L'aggiunta nasce presumibilmente dal desiderio di aggirarla, !imitandone l'applicazione alle uccisioni sacrificali.

Preso nel suo significato immediato, il testo fa un'affermazione sconcertante: gli lsraeliti non possono macellare degli animali sacrificabili semplicemente per mangiame la carne, ma sono obbligati a offrirli in sacrificio a YHWH. La norma contrasta evidentemente con quanto affermato da Dt 12,15-16. La storia testuale mostra che ci sono stati tentativi di armonizzare queste due concezioni, a riprova di quanto quella del brano in analisi facesse difficoltà, una volta stabilita l 'unicità del santuario di Gerusalemme, come è senza dubbio la prospettiva della legislazione deuteronomica. L'equiparazione dell'uccisione non sacrificale d eli' animale a un delitto di sangue, con la conseguente pena del kiiret, la morte civile, mostra bene la gravità che il Codice di santità annette a quest'atto; la spiegazione teologica che segue, significativamente rivolta al solo Mosè, mostra le ragioni di tale insistenza: in realtà non esiste un 'uccisione puramente profana e la macellazione «in campagna», e anche, con ogni probabilità, una forma analoga

217

LEVITICO I7,7

spiega loro: "Questo è ciò che YHWH ha ordinato: 3A chiunque, della casa di Israele, scanni un toro o un ovino o una capra nell'accampamento o fuori dall'accampamento - 4e non lo porti all'ingresso della tenda dell'incontro per presentarlo in offerta a YHWH davanti alla dimora di YHWH, si imputerà un delitto di sangue; ha versato il sangue: quell'uomo sarà reciso dal suo popolo. 5Perciò i sacrifici che offrono in campagna, gli lsraeliti li porteranno a YHWH all'ingresso della tenda dell'incontro, al sacerdote, e li offriranno come sacrifici di comunione a YHwH; 6 il sacerdote spargerà il sangue sull'altare di Y HWH, all'ingresso della tenda dell'incontro, e volgerà in fumo il grasso come profumo gradevole per YHwH". 7Così non offriranno più i loro sacrifici ai capri, dietro ai quali si prostituiscono. Sarà per essi uno statuto eterno per le loro generazioni. Quell'uomo (N1:1;:T lD'~:;t) - La Settanta legge ~ \jlux~ ÈKElVTJ «quell'anima», inteso in senso generico «quella persona» e, di conseguenza, volge al femminile (a\m1ç) il pronome che conclude la frase. La variante non suppone un testo ebraico originario ma è assimilazione con 22,3. La Settanta non si rende però conto della maggior precisione del Testo Masoretico. In questo caso la macellazione è un atto compiuto da un uomo (maschio), mentre il contatto impuro con una cosa sacra, di cui è questione in 22,3, è cosa che chiunque può commettere.

Dal suo popolo -L'espressione iop :!~,P~. in luogo del consueto C~~ +pronome suffisso, si trova qui e in 20,3.6 ed è caratteristica del Codice di santità. 17,7 Ai capri, dietro ai quali si prostituiscono (C:::t'!.IJ~ C'~T C;::t ,~ C")'.\)W~)- Si tratta evidentemente di sacrifi'ci offèrti a divinità raffigurate in forma di capri, come chiarisce il verbo ;"T)t ( «prostituirsh> ), che designa un culto percepito come idolatrico. Quest'ultimo termine, in Levitico, ricorre solo nel Codice di santità, ed è tipico di Osea e di Ezechiele.

che avveniva in luoghi di culto cittadini ( t.Vnr~::> '4 J... IT

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. In questo caso, evidentemente, il pronome possessivo, come anche il pronome personale maschile che funge da copula, sono riferiti al . sangue; da ciò la traduzione proposta. La vita di ogni essere vivente è il sangue di

alla spiegazione data al v. 14: il sangue è la vita dell'animale, ma, dato che la vita è data da YHWH, non è lecito impossessarsene; il versarlo a terra e coprirlo con la polvere è un modo di dargli una sorta di sepoltura, restituendolo a quella terra da cui Dio ha tratto gli animali (cfr. Gen 1,24). A questa idea si può aggiungere anche il desiderio di voler evitare un uso magico del sangue, offerto a divinità infere, oppure il fatto che il sangue sparso a terra invoca vendetta (Gen 4, 10). La spiegazione del v. 14 rip~ende quella già data al v. Il ma adottando una formulazione leggermente diversa, a sottolineare con ancor più forza la stretta associazione tra il sangue e la vita. Gli ultimi due versetti precisano un caso che poteva presentarsi con qualche dubbio: come ci si doveva comportare riguardo a un capo di selvaggina morto naturalmente o sbranato? Secondo 22,8 questa legge si applica solo ai laici, mentre ai sacerdoti un simile tipo di carne era assolutamente proibito, essendo essi obbligati a un più alto livello di purità. La prescrizione richiama quella già data in Il ,39-40, con due differenze significative: in primo luogo al capitolo Il l'impurità riguardava tanto il cibarsi di un animale morto naturalmente che il fatto di trasportarne la carcassa, e il rito di purificazione prevedeva l'abluzione delle sole vesti e lo stato impuro fino alla sera; in questo caso all'animale (evidentemente puro) morto naturalmente si aggiunge quello sbranato e il rito di purificazione sembra più complesso, prevedendo anche l'abluzione del corpo, oltre a quella delle vesti. Non è fatto cenno alla contaminazione a causa del contatto con la carcassa o al trasporto di questa. Il contesto permette di chiarire che, malgrado le somiglianze, le due norme regolano fattispecie diverse: nel capitolo Il è questione di un animale domestico che

223

LEVITICO 17,16

polvere. 14lnfatti la vita di ogni essere vivente è il suo sangue con la vita che esso porta; perciò ho detto agli Israeliti: "Non mangerete il sangue di nessun essere vivente, perché la vita di ogni essere vivente è il sangue di questa; tutti quelli che lo mangeranno saranno recisi". 15 Qualsiasi persona poi che mangerà un animale morto naturalmente o sbranato, che sia un oriundo o uno straniero, laverà le sue vesti, si laverà con acqua e sarà impuro fino a sera, poi sarà puro. 16Ma se non le laverà e non si laverà il corpo ne porterà la colpa». questa (l't1:1 i~"! i 9f-t,~ d~~. '=;!) - In questo inciso la sintassi è più regolare: il qerè perpetuo invita a comprendere come femminile il pronome personale e a riferirlo a d~~· Rispetto alla frase di apertura del versetto (cfr. nota precedente) non si tratta di una semplice ripetizione ma della differenziazione di due punti di vista: all'inizio YHWH spiega a Mosè che la vita della carne consiste nel fatto che il sangue è portatore di vita, mentre nella seconda, rivolto agli Israeliti, non ripete la spiegazione ma afferma semplicemente il dato di fatto,

analogamente a quanto accade ai vv. 11-12, nei quali dapprima vi è una spiegazione rivolta da YHWH a Mosè e poi il precetto rivolto agli Israeliti. Le varianti testuali segnalate nella nota precedente derivano anche dalla mancata comprensione della sottile sfumatura. •:• 17,10-14 Testi affini: Lv 19,26; Dt 12,1516.20-27 17,15 Un animale morto naturalmente o sbranato (:1~1tp, ::t'?;;l~)- Cfr. nota a 7,24. •:• 17,15-16 Testi affini: Lv 22,8; Es 22,30; Dt 14,21; Ez4,14

muore; il cibarsene rende impuri, ma vi è la necessità di allontanarne la carcassa, e anche questo gesto causa un'impurità; il caso previsto nel capitolo 17 riguarda piuttosto la selvaggina: un animale selvatico (ovviamente puro) che venga trovato morto naturalmente o sbranato da una bestia feroce, se mangiato causa un'impurità, mentre non c'è, piuttosto comprensibilmente, la necessità di allontanarne la carcassa. Tale impurità sembra più grave di quella causata dall'animale domestico, dato che richiede anche il lavaggio del corpo oltre a quello delle vesti. È poco probabile infatti che il lavaggio del corpo in 11,40 sia considerato implicito. Il v. 16 precisa un fatto importante, che illumina anche l 'interpretazione delle leggi di 11,39-40: mangiare della carcassa di un capo di selvaggina morto naturalmente o sbranato non è di per sé vietato ma implica un'impurità che impedisce di partecipare a pratiche di c~lto, pena la punizione del kiiret (cfr. 7, 19-21). È la trascuratezza nella purificazione a causare una situazione che il testo definisce come «portare la colpa». L'espressione di per sé è ambigua, potendo significare tanto «essere colpevole» che «portare le conseguenze di una colpa», ossia riceverne la punizione. I passi paralleli non sono perfettamente conclusivi, dato che l'espressione è presente tanto in casi in cui viene comminata la pena del kiiret (cfr. 19,8) quanto in casi in cui è possibile offrire un sacrificio di riparazione (5,1). L'assenza di una sanzione potrebbe indicare che la trasgressione può ammettere un'espiazione sacrificale; in ogni caso è importante notare che, perfettamente in accordo con la teologia Sacerdotale, la colpevolezza entra in gioco solo quando si ha la deliberata trasgressione di un comando divino, in questo caso quello di compiere la prescritta purificazione.

224

LEVITICO I8,I

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Il 18,2-23 Testi paralleli: Lv 20,8-21 •!• 18,3 Testi affini: Es 23,23-24; Ez 20,7-8

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•!• 18,5 Testi affini: Dt 4,1; 5,29; 6,24; 8,1; Ez 20,11; Ne 9,29

18,1-30 Le relazioni matrimoniali Il capitolo 18 si distingue per essere introdotto (vv. 2-5) e concluso (vv. 24-30) da due parti parenetiche che esortano gli Israeliti a distinguersi dalle pratiche matrimoniali cananee, considerate incestuose e definite «abominevoli» (v. 30). Secondo Luciani, il corpo delle leggi che regolano la materia (vv. 6-23) può essere strutturato in forma chiastica: A (v. 6): legge generale sull'incesto B (vv. 7-11 ): interdizioni riguardanti la famiglia ristretta C (vv. 12-16): interdizioni riguardanti la famiglia allargata X (v. 17): interdizione riguardante la donna e la sua discendenza diretta C' (vv. 18-20): interdizioni riguardanti le relazioni di prossimità e la mestruata B' (v. 21): proibizione di dare la discendenza diretta a Molek A' (vv. 22-23): legge generale sulla sodomia e la bestialità A e A' sono leggi generali non riferite a casi specifici, ma contenenti proibizioni di principio relative ai rapporti con consanguinei, ai rapporti omosessuali e alla bestialità. B e B' hanno legami più deboli, ma sono le uniche a parlare della discendenza diretta del destinatario della legge (v. l 0: «la figlia di tuo figlio o la figlia di tua figlia)) e v. 21 «la tua discendenza))). C e C'sono legate dal riferimento ai rami collaterali della famiglia.Al centro (X) il v. 17 riguarda la discendenza della moglie, il connubio con la quale è sentito come particolarmente vergognoso. 18,1-5 Introduzione parenetica Dopo il versetto introduttivo, YHWH si rivolge a Mosè ordinandogli di esortare gli Israeliti a distinguersi dal comportamento sessuale dei loro vicini del passato (gli Egiziani) e del futuro (i Cananei). Per quanto riguarda i primi, è utile ricordare l'abitudine propria della casa reale, ma diffusa anche nel resto della popolazione, in modo particolare tra l'aristocrazia, di contrarre matrimoni tra stretti consanguinei, soprattutto tra fratello e sorella. Nel caso della famiglia reale, tali unioni avevano anche una valenza religiosa, essendo molto spesso volte a conservare la purezza del sangue della dinastia, considerato, com'è noto, di natura divina. La

225

18

LEVITICO 18,5

parlò a Mosè: 2«Parla agli lsraeliti e spiega loro: "Io sono YHWH vostro Dio; 3non agite come gli abitanti del paese di Egitto in cui abitavate, né come gli abitanti del paese di Canaan, nel quale vi faccio entrare: non seguite i loro statuti. 4Mettete in pratica le mie regole e osservate i miei statuti, seguendoli; Io sono YHWH vostro Dio. 50sserverete dunque i miei statuti e le mie regole: mettendo li in pratica l 'uomo vive grazie ad essi. Io sono YHwH. 1YHWH

•:• 18,3-5 Testi affini: Lv Il ,45; 22,33; 25,38.55;

26,13.45

dissolutezza sessuale dei Cananei è invece considerata proverbiale in molti testi biblici a partire da Gen 9,20-26 in cui l:fam, l'antenato di Canaan, si macchia di un delitto a probabile sfondo omosessuale contro il proprio stesso padre, mentre i suoi discendenti sono protagonisti dell'episodio di Sodoma e Gomorra (cfr. Gen 19,1-29). Non è tuttavia documentabile il fatto di una particolare inclinazione dei Cananei all'incesto; la menzione della loro depravazione sessuale può essere intesa semplicemente come una forma di disprezzo del nemico e di avvertimento nei confronti degli Israeliti perché non si comportino allo stesso modo per non subire la stessa pena (cfr. v. 28: «così il paese non vi vomiterà perché lo avete reso impuro, come sta vomitando il popolo che vi sta davanti»). Un'altra possibilità porta a pensare a un riferimento a quelle pratiche di magia sessuale presenti nei culti dei popoli vicini a Israele. È da notare la frase del v. 5 che conferisce alla legge un potere intrinseco di dare la vita. Si tratta di una prospettiva teologica caratteristica del Codice di santità che trova un parallelo in Ez 20,11: «lo ho dato loro le mie leggi ( ... ) perché l'uomo le esegua e viva per esse». Anche il ritornello «io sono YHwH (vostro Dio)» che, nella formulazione lunga, apre e, in quella breve, chiude l'introduzione parenetica è caratteristico del Codice di santità; al di fuori di esso si trova solo in Lv 11 ,4445, dove è probabilmente il segno della rielaborazione redazionale che integra materiale Sacerdotale precedente (cfr. anche, p. es., 18,6.21.30). La formula ha la funzione di elevare il significato delle diverse disposizioni legali dali' ambito socio-politico a quello di manifestazione della volontà divina. Si noti che i comportamenti stigmatizzati in questo capitolo e descritti come propri delle popolazioni pagane non vengono presentati come dei vizi derivanti da una deriva morale occasionale, ma sono qualificati come degli «statuti», caratterizzanti la struttura sociale delle popolazioni in questione (cfr. i vv. 3 e 30). Di conseguenza, le norme dettate da YHWH a Israele in questo capitolo non devono essere intese semplicemente come precetti morali, ma come criteri distintivi, che separano Israele dalle altre nazioni.

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LEVITICO 18,6

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18,6 A un parente (i1~=!l 1l!tl1i) -Alla lettera: «carne della sua carne». Le due parole ebraiche sono praticamente sinonimi che: Mi 3,2-3 fa pensare che 1l!tl1i sia piuttosto la carne che aderisce alle ossa, mentre ,~f quella avvolta dalla pelle. In ogni caso 1l!tl.P indica una parentela molto stretta anche in 12.13; 20, 19; 21 ,2; in 25,49 è unita a ,~f come in questo versetto. 18,7 La nudità di tuo padre, cioè la nudità di tua madre. (10N M!1l1, '9'::1~ MJ")~)- Alla lettera: «la nudità di tuo padre e la nudità di tua madre». È stato suggerito che la proibizione sia rivolta anche contro i rapporti omosessuali con il proprio padre; tuttavia la frase che segue, che pone una particolare enfasi sulla madre, e in generale tutto il contesto, che non ha a che fare con la proibizione de !l' omosessualità, ma piuttosto dei rapporti con consanguinei, impone che alla congiunzione si dia

un valore esplicativo. Per Dt 23, l; 27,20 avere rapporti con la moglie del proprio padre (che però non necessariamente è la propria madre), significa «alzare la veste» del proprio padre. Giova forse ricordare che Gen 2,24, per quanto generalmente non sia un testo ascritto alla tradizione Sacerdotale, definisce l'uomo e la donna «una sola carne». D'altronde il versetto successivo stabilisce esplicitamente che la nudità di un'altra moglie del proprio padre è la nudità di quest'ultimo. •!• 18,8 Testi affini: Dt 23, l; 27,20.23 •!• 18,9 Testi affini: Dt 27,22 18,9 Della stessa stirpe o di stirpe estranea (f,n n")~io iN M';l M")~iO)- Alla lettera: «stirpe di casa o stirpe di fuori». La parola n1.~io (radice 1':l') in questo caso non signHìca «nascita»; indica piuttosto «famiglia allargata», «clan», «stirpe>> (cfr., p. es., Gen 11 ,28; 12, l; 24,4-7).

18,6 Legge sull'incesto La legislazione presentata in questi versetti riguarda la necessità di imporre a Israele una regolamentazione nelle relazioni matrimoniali di carattere endogamico, accordandola con i rapporti sfumati e talora ambigui presenti in una società che ammette il matrimonio poligamico e il ripudio. Il v. 6 presenta il principio generale che governa tutto il primo versante della legislazione, fino al v. 16 compreso. Per comprenderne la struttura occorre osservare che, in un primo momento, il testo prende in considerazione l 'Israelita-tipo, inserito in una famiglia poli gamica della quale però non è il patriarca, cioè il capofamiglia: le relazioni, soprattutto quelle ascendenti o collaterali, si definiscono quindi in rapporto al padre.

227

LEVITICO 18,10

Nessuno di voi si accosterà a un parente per scoprime la nudità; io sono YHwH. 7La nudità di tuo padre, (cioè) la nudità di tua madre, non la scoprirai. Si tratta di tua madre; non scoprirai la sua nudità. 8La nudità della moglie di tuo padre non la scoprirai: è la nudità di tuo padre. 9Quanto alla nudità di una sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, della stessa stirpe o di stirpe estranea, non scoprirai la loro nudità. 10 Quanto alla nudità della figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia, non scoprirai la loro nudità, perché esse sono la tua nudità.

6

Sorella, figlia di tuo padre ("9':llfn;l "9J;1in~) -Comprende la sorella completa, che altrimenti sarebbe assente dalla lista delle unioni proibite, e la sorellastra consanguinea solo per parte di padre; la «sorella, figlia di tua madre)) è con ogni verosimiglianza una figlia di primo letto della propria madre (vedova o ripudiata). Non è però chiaro l'esatto significato d eli' inciso in analisi. L'interpretazione del Targum e della tradizione ebraica ha proposto che n·~ n1',;~ si riferisca ancora alla sorellastra figlia del padre e ym n·T~i~ alla sorellastra figlia solo della madre, ma questo è meno probabile perché, nel caso del padre, sarebbe un'inutile ripetizione di quanto detto nel primo inciso del versetto. Non resta che pensare che la frase si riferisca solo alla sorellastra consanguinea per parte di madre; in questo caso le due fattispecie potrebbero

riferirsi a una sorellastra che è uscita dal clan d'origine per entrare nel nuovo clan della madre (n·~ n1~i~), oppure a una sorellastra che è rimasta nel clan d'origine (y;n n1~i~). Potrebbe darsi che il primo sia il caso della figlia della vedova, che, morto il padre, deve seguire le sorti della madre, mentre il secondo sia il caso della figlia della divorziata, che rimane nel clan del padre vivente (avanzo questa proposta a mio avviso plausibile anche se, evidentemente, solo ipotetica). La loro nudità (1~r\ll)- Parecchi manoscritti, il Pentateuco Samaritano, la Settanta, la Peshitta e la Vulgata hanno il suffisso femminile singolare. Verosimilmente si tratta di una lezione facilitante, dovuta al desiderio di semplificare la pesante sintassi della frase. Il Testo Masoretico dev'essere conservato.

18,7-11 Interdizioni riguardanti la famiglia ristretta In questo contesto vi è un primo cerchio di relazioni proibite che copre in primo luogo la madre (v. 7), in secondo luogo la matrigna (v. 8). La relazione con queste due donne compromette anche quella con il proprio padre (v. 7: «la nudità di tuo padre, cioè la nudità di tua madre» e v. 8: «è la nudità di tuo padre»). Un secondo cerchio di proibizioni investe tutte le sfumature del rapporto tra fratello e sorella consanguinei (v. 9): la sorella piena, la sorellastra consanguinea per parte di padre, quella consanguinea per parte di madre; in questo caso la proibizione non è definita in rapporto alla nudità del padre: si tratta di donne libere da vincoli matrimoniali. Con la proibizione della nipote diretta si prende in considerazione la genera-

228

LEVITICO 18, Il

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18,11 Figlia di una moglie di tuo padre, della stirpe di tuo padre - Dopo il primo ':f':ll~, la Settanta aggiunge oÙK àTToKaÀu\jiELç «non scoprirai», supponendo un testo ebraico originario ;,i,i~n N'',. Si tratta di una lezione armonizzimte con le altre fattispecie, nata a causa del fatto che la Settanta, forse non troppo a suo agio

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con le sottigliezze dei matrimoni poligamici, comprende 1':;l~ n;~;~ come parte della motivazione: «non scoprirai la nudità della figlia di una moglie di tuo padre perché è tua sorella del casato di tuo padre», supponendo che il padre della ragazza in questione sia il padre del destinatario della proibizione. Intendendo così però il

zione successiva: l'Israelita-tipo è diventato patriarca; il rapporto con la nipote è dunque un'infrazione contro la sua stessa nudità (v. 10). 18,12-16 Interdizioni riguardanti la famiglia allargata A partire dal v. 12 le proibizioni si allargano alle linee collaterali del padre e della madre: la zia patema e quella materna. Si tratta di rapporti di consanguineità che però non fanno parte della famiglia patriarcale di riferimento dell 'Israelitatipo. Per esprimere questo fatto viene usata un'espressione specifica: «carne di tuo padre/di tua madre», diversa da quella usata nei versetti precedenti. L'espressione «scoprire la nudità di x» è dunque riservata al rapporto con le donne appartenenti al patriarca o per matrimonio (madre, matrigna) o per consanguineità diretta (nipote diretta), ma non per consanguineità collaterale (sorella e sorellastra). Si passa poi a considerare rapporti che noi definiremmo di affinità: la zia acquisita (v. 14), la nuora (v. 15) e la cognata (v. 16). La natura particolare e più distante dei primi due rapporti è segnalata dall'assenza tanto dell'espressione «nudità di JO>, che dell'espressione «carne di x», ma per la nuora vi è l'espressione «è la moglie di tuo figlio», che segnala l'appartenenza alla famiglia patriarcale: non è «la tua nudità» perché non è consanguinea, e non è nemmeno un'ipotetica «nudità di tuo figlio», perché il figlio, vivente il padre, non ha una propria famiglia patriarcale (e in effetti le figlie di questo sono definite in rapporto alla nudità del nonno, e non a quella del padre: v. l 0). Si tratta di un caso particolare per cui viene coniata un'espressione specifica. Per la cognata (v. 16) è utilizzata l'espressione «la nudità di tuo fratello»: si tratta di un altro caso particolare, in cui l'appartenente a un'altra famiglia patriarcale è vietata a causa della consanguineità del marito. In ogni caso non si può inferire solo da questo testo che vi sia un'opposizione alla legge del levirato, ossia alla legge che impone aii'Israelita di sposare la vedova del fratello che sia morto senza figli perché il figlio nato da quest'unione sia considerato erede del morto (Dt 25,5-6; cfr Gn 38,8-9): non

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LEVITICO 18,16

Quanto alla nudità della figlia di una moglie di tuo padre, della stirpe di tuo padre, è tua sorella; non scoprirai la sua nudità. 12La nudità della sorella di tuo padre non la scoprirai; è carne di tuo padre. 13 La nudità della sorella di tua madre non la scoprirai, perché è carne di tua madre. 14La nudità del fratello di tuo padre non la scoprirai: non ti accosterai a sua moglie; è tua zia. 15 La nudità di tua nuora non la scoprirai: è la moglie di tuo figlio; non scoprirai la sua nudità. 16La nudità della moglie di tuo fratello non la scoprirai: è la nudità di tuo fratello. 11

versetto diventa un'inutile ripetizione di quanto già detto al v. 9. Si tratta invece del caso di una sorellastra non consanguinea né per parte di padre né per parte di madre. Se regge l'ipotesi enunciata sopra, si tratta della figlia di primo letto di un'altra moglie del padre, la quale, avendo sposato il padre in seconde nozze dopo essere ri-

masta vedova, ha portato la figlia nel clan del nuovo marito. Il fratello, solo «legale», non è così in nessun modo consanguineo, ma in ogni caso non può sposare la ragazza. Si può forse supporre che, se la moglie iri questione fosse una ripudiata, la ragazza non farebbe parte del clan del padre e sarebbe così possibile sposarla.

è infatti questione di un matrimonio, ma di un rapporto sessuale, e presumibilmente la cognata in questione non è vedova; è dunque una relazione adulterina.

Dalla somma di queste proibizioni si deduce che ali 'Israelita-tipo sono vietate tutte le donne appartenenti alla propria famiglia patriarcale e diverse dalle proprie mogli, siano esse consanguinee o meno, e tutte le donne esterne ad essa che abbiano con lui un rapporto di consanguineità (sorellastre «di stirpe estranea» e zie tanto paterne che materne) o che appartengano a un proprio consanguineo (zie paterne acquisite, nuore, cognate). Come si vede, le cugine di ogni grado e le nipoti collaterali non sono comprese nella lista delle proibizioni. Non è nemmeno presentato il caso di una zia materna acquisita, ossia della moglie di un fratello della madre: non vi è infatti in questo caso né consanguineità né affinità (essendo imparentata dal lato materno, appartiene a una famiglia patriarcale completamente diversa). L'omissione della figlia, tanto qui che in Lv 20,11-21 e in Dt 27,20-23, è degna di rilievo: la proibizione della nipote diretta dovrebbe implicare, a maggior ragione, quella della madre di questa. Non è pensabile che la norma voglia autorizzare l'incesto con la propria figlia nubile (se è sposata è chiaramente un adulterio). Si deve dunque concludere che il caso venisse ritenuto talmente ovvio da non essere nemmeno menzionato in modo specifico: la proibizione del v. 6 doveva essere percepita come sufficiente. Non è nemmeno menzionato, in questo contesto, il matrimonio tra un Israelita e una straniera, che diventerà invece un problema per molti testi chiaramente postesilici, come, per esempio, Esd l 0,2. Il modello di famiglia presentato in questi versetti differisce da quello implicato in altre storie, dove si trovano casi di unioni in cui l'endogamia è più spinta: così Sara è sorellastra di Abramo (cfr. Geo 20, 12), Tamar, figlia di David, prospetta la possibilità di essere data in sposa ad Amnon, suo fratellastro per parte di padre (cfr. 2Sam 13,13 ), ma si tratta della famiglia reale, dove potrebbero essere in vigore altre norme, più vicine a quelle della tradizione egiziana, di cui la corte di Giuda subiva comunque l'influenza.

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LEVITICO 18,17

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18,17 Stretta parentela (ill~W)- Il Testo Masoretico presenta un termine che compare solo qui nella Bibbia ebraica, legato evidentemente con il termine iN.W «carne>>, ripetuto più volte nel presente capitolo. La Settanta riporta otKE'i!u yap oou «sono infatti tue parenti», ma è chiaramente un tentativo di interpretare in modo incongruo una parola difficile: le persone citate infatti non sono sicuramente «carne» di colui cui è indirizzata la prescrizione, ma sono semmai legate da un rapporto che noi definiremmo di «affinità». Occorre mantenere il Testo Masoretico, intendendolo come un sostantivo astratto. È una tresca vergognosa (l(, il illfT)- In tutte le altre occorrenze il vocabolo, derivato dal verbo COT, «escogitare», «complottare», significa «complotto», «tresca». E logico pensare che sia questo il significato anche qui e in Lv 19,29 e 20,14. Il termine si riferisce al fatto che la madre e la figlia complottano insieme per creare un ménage sentito come sconveniente e incestuoso. All'impudicizia

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del fatto si aggiunge dunque l'intrigo per ottenere questa situazione. 18,18 Insieme a sua sorella (ilJ;'Ih~-';!~)­ La preposizione ';!~ nel senso di «insieme», «Oltre a» è comune (cfr., p. es., Lam 3,41; 2Sam 24,3); non occorre perciò correggere in';!~, tanto più che le due preposizioni sono spesso interscambiabili. Così che vi sia una rivalità (i1~'()- Il verbo ha di per sé il significato di «essere ostile», «essere in conflitto»; in questo caso è evidentemente collegato al sostantivo ill~· che in lSam 1,6 e nel testo ebraico di Sir 37,11 indica la «rivale» in un matrimonio poligamico. Si tratta di un uso tecnico. Preferisco dare alla preposizione ';! un significato consecutivo piuttosto che finale. Scoprendo la nudità di costei in aggiunta all'altra durante la vita di quest'ultima (;;T'~Df ;;r·~~ ilJ;'Iil~ ni'Y~'?) -Alla lettera: «per scoprire la di lei nudità oltre a lei durante la vita di lei». La frase non risulta immediatamente chiara; a quale delle due donne

18,17 Interdizione riguardante la donna e la sua discendenza Con il v. 17, che si pone al centro di tutta la pericope, svolgendo un ruolo di cerniera tra la prima e la seconda parte si arriva ai confini della famiglia, prendendo in considerazione la discendenza della moglie e vietando il matrimonio con le donne discendenti in linea diretta da questa: la figlia (evidentemente di primo letto di una vedova o di una ripudiata) e la nipote diretta, tanto figlia di un figlio maschio che di una figlia. Quest'unione è qualificata come una «tresca» particolarmente riprovevole: la donna mette nel letto del marito con cattive intenzioni, e con il consenso colpevole di questo, la giovane figlia o la nipote, anch'ella consenziente. 18,18-20 Interdizioni riguardanti le relazioni di prossimità, la mestruata e l'adulterio. Il secondo versante della parte normativa del capitolo (vv. 18-23) comprende sei proibizioni; le prime tre (vv. 18-20) riguardano il rapporto con donne che

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LEVITICO 18,20

La nudità di una donna insieme a quella di sua figlia non la scoprirai, né prenderai la figlia di suo figlio o la figlia di sua figlia per scoprime la nudità: esse sono stretta parentela; è una tresca vergognosa. 18Non prenderai poi una donna insieme a sua sorella, così che vi sia una rivalità, scoprendo la nudità di costei in aggiunta all'altra durante la vita di quest'ultima. 1 ~é ti accosterai a una donna durante la sua impurità mestruale per scoprime la nudità. 20Neppure darai il tuo membro alla moglie del tuo prossimo fecondandola, così da renderti impuro con lei. 17

si riferiscano i pronomi dev'essere dedotto dal contesto. •:• 18,18 Testi affini: Gen 29,27 •:• 18,19 Testi affini: Lv 15,24 18,20 Neppure darai il tuo membro alla moglie del tuo prossimo - Per la traduzione di n·~:~ cfr. nota a 5,21. Le versioni sono comp.rènsibilmente imbarazzate nel tradurre il termine n::;~::rq, ma è un errore farlo derivare da :l::ltii ni::l senso di «giacere» e rendere di conseguenza «letto coniugale», «giacere con», o simili, come fa la Settanta e anche la versione CEI («non darai il tuo giaciglio») con molti moderni. Con co ibis «andrai insieme» la Vulgata sceglie piuttosto la strada deli' eufemismo, seguita da altri. Si è visto sopra (cfr. 15, 16) che il verbo :l::ld, significa anche «effondere», «emettere». Se dunque la parola in questione deriva dalla stessa radice, il significato del termine n::;~::d si chiarisce se si considera che in tutte le ·sue quattro occorrenze (Lv 18,20.23; 20,15; N m 5,20) è accompagnato dal verbo

1m («dare», «mettere») e in tre di esse (non nella presente) dalla preposizione :l «in». Se dunque :1?:;:~ significa «emissione» (cfr. 15, 16), molto plausibilmente n:;~::~ prende il senso di «CÌÒ che emette», ossia il membrÒ maschile. Fecondandola (:1'1\~) -Alla lettera: «per seme». Dato che la parola significa tanto «sperma» che «discendenza», per chiarire il senso esatto mi pare importante osservare che, al v. 23, dove la medesima terminologia è impiegata in riferimento a un atto sessuale compiuto con un animale domestico (:1~:}::.), quest'inciso non compare. A mio avviso, questo suggerisce che il testo abbia in mente l'atto sessuale compiuto in modo che ne consegua (almeno come possibilità) la fecondazione della donna, cosa evidentemente impossibile nel caso dell'animale. È necessario notare il linguaggio esplicito, non volgare ma tecnico, di tutti questi versetti. •:• 18,20 Testi affini: Lv 20,10; Es 20,14

non hanno alcun rapporto di consanguineità con l 'uomo e che quindi non rientrerebbero nelle proibizioni precedenti. Nel primo caso la proibizione è assoluta, e vieta di sposare contemporaneamente due sorelle; l'esempio di Rachele e Li a, sorelle tra loro e mogli di Giacobbe (Gen 29, 15-30) testimonia un uso diverso, ma la nota rivalità tra le due donne esemplifica quali situazioni possano avere dato origine al divieto. Il secondo caso presenta una proibizione limitata nel tempo: nessun rapporto sessuale è permesso durante le mestruazioni della donna. È evidente che il testo presuppone le norme presentate in Lv 15,19-24, fornendo un altro indizio in favore della precedenza delle norme Sacerdotali su quelle contenute nel Codice di santità. La terza proibizione è di nuovo assoluta, ed è quella dell'adulterio. Stupisce la motivazione che viene data: «così da renderti impuro con lei». La spiegazione sembra incoerente con quanto affermato in 15, 18, che proclama l'impurità di qualsiasi rapporto sessuale. Con ogni pro ba-

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LEVITICO 18,21

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18,21 Per farlo passare (,'::l~;:I~) - Il Pentateuco Samaritano e la Settanta leggono ,,:;l~iJ~ «per servire», «per adorare». Si tratta di un consueto errore scribale consistente nello scambio di , con , . Il termine del Testo Masoretico è tecnico per questo tipo di pratica cultuale (cfr. Ger 32,35 e anche Dt 18,10; 2Re 16,3; 17,17; 21,6; 23,10).

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•!• 18,21 Testi affini: Lv 19, 12; 20,2-5; 22,22; IRe 11,7 18,22 Non giacerai come si giace- In questo caso la radice :::J.;:It!i e il sostantivo a lei collegato devono essere intesi nel senso di «giacere». •!• 18,22 Testi affini: Lv 20, 13; Gn 19,5; Gdc 19,22 18,23 Per accoppiarsi (i'l~~!7) -Nel pas-

bilità è corretta la spiegazione secondo la quale quest'impurità, come quella che colpisce il colpevole di bestialità (v. 23), è permanente ed è una delle cause della contaminazione della stessa terra, giustificando così la pena di morte, che in 20, l 0.15 viene comminata per questi delitti. 18,21 Proibizione di dare la discendenza a Molek Il sacrificio «a Molek» (v. 21) era, forse, un sacrificio a una divinità infera di questo nome, nel quale dei bambini erano gettati in una fossa sacrificale, tipica di questa categoria di divinità, in cui veniva acceso un fuoco. Occorre notare che, a questo riguardo, regna una notevole incertezza: il nome stesso della divinità è incerto e poco attestato, ed è per lo meno possibile che l'espressione ebraica lammolek (di solito tradotta «a Molek») possa essere intesa come il nome di un tipo di sacrificio, più che di una divinità (bisognerebbe tradurre: «offrire in sacrificio mole/m). In effetti chiare testimonianze epigrafiche fanno capire che, in ambiente cartaginese, era questo il significato della terminologia in questione, ma tali testimonianze non possono essere impiegate per spiegare la situazione in ambito biblico, che sembra più ambigua. In particolare il fatto che in 20,5 l'espressione sia compresa chiaramente come un nome divino orienta la comprensione del rito come un sacrificio umano dedicato a una divinità. 18,22-23 Legge generale sulla sodomia e la bestialità Più difficile è spiegare il motivo che porta ad accostare il rito idolatrico del sacrificio a Molek all'adulterio che lo precede e alle due perversioni sessuali

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LEVITICO 18,24

Non consegnerai uno della tua discendenza per farlo passare a Molek, né profanerai il nome del tuo Dio; io sono YHWH. 22 Con un maschio poi non giacerai come si giace con una donna: è un abominio. 23Neppure darai il tuo membro a un animale, così da renderti impuro con esso; né una donna si metterà davanti a un animale per accoppiarsi è una perversione. 24Non rendetevi impuri con tutte queste cose, perché con tutte queste cose si sono resi impuri i popoli che io sto per scacciare 21

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so parallelo di 20,16la forma è scritta senza mappiq ed è dunque un infinito costrutto in forma apparentemente femminile, come spesso accade con la preposizione t, (cfr. :"1~~7 al v. 20). Si è proposto di eliminare il pronome suffisso (cioè il mappiq), dato che il verbo non è transitivo. Probabilmente la correzione dev'essere accolta, ma in questo caso occorre anche correggere :içli< :"1~~,7 di 20, 16 in

:içll( n~~")t,. Per quanto riguarda il significato del verbo, o si tratta di un aramaismo per la radice f:::l1, che significa «chinarsi», oppure, più probabilmente, è la radice del numerale «quattrm>, e in questo caso significherebbe qualcosa come «mettersi a quattro zampe» (cfr. Sal139,3). In ogni caso si tratta del verbo specifico per indicare l'accoppiamento degli animali (cfr. Lv 19,19).

che lo seguono: la sodomia e la bestialità. La motivazione potrebbe essere ricercata nel fatto che tutte queste pratiche mettono in pericolo la discendenza introducendo nella famiglia elementi estranei o sopprimendo alcuni elementi di essa oppure essendo pratiche per sé inadatte alla procreazione e in più, e forse in modo più appropriato, legate a riti pagani a sfondo magico. Si può anche pensare che lo strano accostamento tra l 'adulterio (v. 20), le perversioni sessuali e questo tipo di sacrificio sia dovuta al fatto che l'idolatria è sovente presentata come una deviazione sessuale e in modo particolare come un adulterio (cfr., p. es., Ger 3, l), con ogni probabilità anche a causa dei riti di magia sessuale che le religioni cananee verosimilmente comportavano. Il sacrificio in questione è particolarmente idoneo ad essere classificato tra le perversioni sessuali perché - come la sodomia, la bestialità e, in ultima analisi, anche l'adulterio- mette in pericolo la generazione e la coesione della famiglia. 18,24-30 Conclusione parenetica I versetti conclusivi si presentano come una riflessione teologica in merito alle conseguenze delle trasgressioni elencate al centro del capitolo. È da notare che il significato de li' aggettivo «impuro» assume in questo testo un rilevante valore morale. È chiaro che, per la teologia Sacerdotale, qualsiasi atto sessuale ha la caratteristica di rendere impuro chi lo compie (cfr. 15,18 ), tanto più quello segnato da una particolare proibizione e qualificato come «abominio», ossia connesso in qualche modo con la violazione di una legge

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LEVITICO 18,25

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Il 18,24-30 Testi paralleli: Lv 20,22-24 18,26 Voi invece (CO~)- Alcuni manoscritti, il Pentateuco Samaritano e le versioni antiche omettono il pronome soggetto. Data la funzione enfatica che il pronome riveste, è meglio difendere il Testo Masoretico e pensare a un'aplografia per omoteleuto che abbia causato la variante, piuttosto che a una dittografia presente nel Testo Masoretico. 18,27 Che vi sta davanti (c:;)J:;l'? ,W~)- La maggioranza dei commentatori e ddle versioni (compresa quella promossa dalla CE l)

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intende la preposizione in senso temporale e, di conseguenza, riferisce la relativa a n~::t 'f/Ì~~ «gli uomini del paese)), traducendo «che vi si trovavano prima di voi)). Se questo fosse il significato, ci si dovrebbe aspettare la presenza del verbo ;,•;, («essere))) in funzione di predicato verbale. Così la traduzione si accorda meglio con la struttura narrativa del testo: le popolazioni cananee sono ancora presenti nel paese, e Israele non vi è ancora entrato, ma sono già state «vomitate)) e dunque il popolo potrà espropriarle.

sacra le, ma si tratta sempre di un 'impurità rimediabile con il rito appropriato. In questo testo l'impurità, pur connessa ultimamente alla violazione di proibizioni di natura sessuale, non è remissibile, ma ha delle conseguenze devastanti sul soggetto; se si tratta di una persona singola, egli viene fatto oggetto della pena del kiiret, ma se l'abitudine perversa diventa un costume diffuso, la conseguenza è che tutto il popolo viene «vomitato» dalla terra, resa impura. Il possesso della terra non è così incondizionato, ma viene subordinato all'osservanza di quelle leggi che permettono di distinguere fin nella sua struttura interna la famiglia israelitica dai popoli pagani, almeno nelle intenzioni del redattore. Che il concetto di impurità in questi testi

235

LEVITICO 18,30

davanti a voi, 25 tanto che il paese è divenuto impuro e io ne ho punito la colpa proprio tramite esso: il paese ha vomitato i suoi abitanti. 26 Voi invece osserverete i miei statuti e le mie regole, non compirete nessuno di quegli abomini- né l'oriundo né lo straniero che dimora in mezzo a voi - 27 perché tutte quelle abominazioni le hanno compiute gli uomini del paese che vi sta davanti e il paese è divenuto impuro. 28Così il paese non vi vomiterà perché lo avete reso impuro, come sta vomitando il popolo che vi sta davanti. 29Intatti, per quanto riguarda tutti coloro che compiranno qualcuno di questi abomini, le persone che lo avranno compiuto saranno recise dal loro popolo. 30 0sserverete quindi le mie prescrizioni senza mettere in pratica nessuno degli statuti abominevoli che vengono messi in pratica davanti a voi, così da rendervi impuri a causa di questi; io sono YHWH vostro Dio"».

18,28 Sta vomitando (:-t~i?)- L'accento Masoretico mostra che la voce verbale è compresa come un participio. Biblia Hebraica Stuttgartensia, forse sulla scorta di Settanta e Vulgata, propone di intendere un qatal (così anche una maggioranza di commentatori e versioni, tra cui CEI). C'è da notare che il participio si accorda meglio con r}~tç~ (participio piel) del v. 24: come YHWH è sui punto di scacciare i popoli, così la terra è sul punto di vomitarli, così che il processo è in realtà già iniziato. Il fatto che manchi il pronome

soggetto, generalmente presente con un participio, non è un obiezione sufficiente: infatti la costruzione senza pronome è ben testimoniata (cfr. Gen 24,30; 37,15). Non è dunque necessario accogliere la correzione. 18,30 A causa di questi (Q ;::T~)- Il testo della Ghenizà del Cairo omette e il Pentateuco Samaritano legge 10~ al femminile in accordo con il sostantivo precedente (nipr::t). La variante è lezione facilitante, e il pronome si riferisce, con una costruzione un po' faticosa, ai popoli cananei menzionati al v. 28.

appartenenti al Codice di santità sia diverso da quello Sacerdotale, appare proprio nel fatto che, espellendo i suoi abitanti come già ha espulso quelli precedenti, la terra è capace, per così dire, di purificarsi da sola. Non bisogna in questo caso opporre troppo decisamente un'impurità rituale a un 'impurità morale, dato che gli atti in questione sono impuri anche dal punto di vista della visione più propriamente Sacerdotale, ma è indubbio che il Codice di santità, pur supponendo la comune teologia Sacerdotale, è più interessato ad aspetti che senza dubbio potremmo definire morali, manifestando così una sorta di conti~uum tra il concetto di impurità e quello di peccato, che nella teologia Sacerdotale precedente sono invece più rigorosamente separati.

236

LEVITICO 19,1

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19,2 Tutta la comunità - Le due parole l'1i JrS~ sono omesse dal testo della Ghenizà d'el Cairo e da alcuni manoscritti ebraici, mentre la Settanta e Il QpaleoLev• omettono -S~. In effetti l'espressione è strana, in quanto è l'unico caso in Leviti-

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co in cui la parola ii1.P. è utilizzata in una formula in cui YHWH ordina a Mosè di dire qualcosa agli lsraeliti. La lezione della Settanta può essere derivata da un'aplografia per omoteleuto tra -Stot e -',~, mentre l'omissione di entrambi i .termini dà l'im-

19,1-37 Le esigenze della santità Il capitolo 19 del libro del Levitico, racchiuso tra un'introduzione narrativa (vv. l-2a) e la conclusione del discorso di YHWH (v. 37), presenta tre gruppi di disposizioni legali (vv. 3-18; 19-22; 23-36). Il primo e il terzo gruppo sono tra loro in connessione da un punto di vista tanto formale che contenutistico, riguardando precetti relativi ai rapporti con Dio (vv. 3-4 e 26-31), ai rapporti con i beni e il corpo (vv. 5-12 e 23-29) e ai rapporti con il prossimo (vv. 13-18 e 32-36). Al centro le due disposizioni riguardanti le distinzioni tra le specie animali e vegetali (v. 19) e la distinzione tra schiavi e liberi dal punto di vista matrimoniale (vv. 19-22). 19,1-2 Invito alla santità I primi due versetti del capitolo si distinguono per alcuni elementi rilevanti. In primo luogo, l'utilizzo del termine «comunità» (ebraico, 'éda) in una formula di apertura non è altrimenti attestato nel Levitico, e con ogni probabilità ha la funzione di sottolineare l'importanza di questo capitolo dal punto di vista del redattore del Codice di santità. La tradizione ebraica nota che Lv 19 ha degli interessanti aspetti di parallelismo con la formulazione del Decalogo di Es 20, contenendo anch'esso precetti relativi all'onore dovuto ai genitori (v. 3a) e al rispetto del sabato (v. 3b), così come norme relative all'idolatria (v. 4), al falso giuramento (v. 12); in particolare il v. 36 reca un'autopresentazione di YHWH quasi esattamente parallela a quella che apre il Decalogo (Es 20,2). Rivolto a tutti gli Israeliti, il capitolo in questione è collocato dopo il capitolo 18, che detta norme relative ali' organizzazione della famiglia israelita, in quanto distinta dalle popolazioni cananee e dalle loro usanze. Dopo tale determinazione, il capitolo 19 espone i doveri rituali e morali che caratterizzano la vita dell 'Israelita nei suoi rapporti con Dio, con il prossimo israelita, con i beni e con il prossimo non israelita. L'esposizione prosegue nei capitoti seguenti sino al capitolo 22. In questo senso è chiaro che la santità, prescritta nel v. 2 come imitazione della santità stessa di YHWH, indica in primo luogo la separazione di Israele dalle realtà profane. La formula «lo sono YHWH vostro DiO>), che compare in tutto il capitolo per altre quindici volte in forma abbreviata («io sono YHWH»)- con un evidente valore di elemento strutturante, a

237

19

LEVITICO 19,4

parlò a Mosè: 2«Parla a tutta la comunità di Israele e spiega loro: "Sarete santi, perché santo sono io, YHWH vostro Dio. 3Abbiate ognuno riverenza verso la madre e il padre e osservate i miei sabati: io sono YHWH vostro Dio. 4Non rivolgetevi a idoli e non fatevi dèi di metallo fuso: io sono YHWH vostro Dio. 1YHWH

pressione di essere una lezione facilitante e armonizzante. Il Testo Masoretico va dunque mantenuto sottolineando la peculiarità della formula: essa enfatizza il fatto che il c. 19 non è rivolto ai soli sacerdoti, ma alla comunità nel suo complesso, secondo la

caratteristica propria del Codice di santità. •!• 19,2 Testi affini: Lv 11,44-45; 20,7; 21,8; 22,32-33 •!• 19,3 Testi affini: Es 20,8.12; Lv 19,30; 26,2 •!• 19,4 Testi affini: Es 20,4

segnalare la delimitazione della maggior parte delle leggi-, sottolinea l 'importanza del capitolo in questione. Tuttavia è necessario notare che nel v. 2 la formula in questione costituisce un comandamento a sé stante, caratterizzando così tutto il capitolo come una conseguenza di questo comandamento: Israele è santo come Y HWH se segue queste norme che proclamano in modo particolare la santità della divinità 19,3-18 Dio, i beni e il prossimo In questo primo gruppo di precetti i vv. 3-4 sono collegati in modo particolare al rapporto con Dio. Risulta dunque importante il fatto che il comandamento relativo alla riverenza nei confronti dei genitori abbia la precedenza su quello riguardante l'osservanza del sabato. La connessione tra i due è presente anche in Es 20,8-12, testo nel quale la precedenza è però data al comandamento del sabato, che conclude i comandamenti riguardanti i rapporti con Dio, mentre quello sui genitori apre i comandamenti relativi al prossimo. Nel testo in analisi invece il comandamento sui genitori precede quello sul sabato e la menzione della madre precede quella del padre, contrariamente a quanto avviene in Es 20,12 e in Dt 5,16. È stato notato che per mezzo di queste due inversioni il testo pone in primo piano il contesto familiare in cui l'Israelita viene introdotto ai suoi doveri religiosi e nel quale la madre tiene un posto di preminenza. In effetti, a moderare l'immagine patriarcale della società biblica si trovano numerosi testi nei quali la figura femminile viene presentata come il cl,Jore della vita familiare (si pensi all'elogio della moglie/madre che si trova in Pr 31,10-31) e, soprattutto come colei che ha la funzione di ascoltare la parola di YHWH, di spingere l'uomo al suo adempimento e di cantare la sua realizzazione. Le eroine bibliche come Debora o Giuditta sono esempi evidenti di questa figura letteraria, la cui ovvia prosecuzione è la descrizione lucana di Maria di Nazaret. Nei confronti del padre e della madre si dice che occorre «avere riverenza»: il verbo, spesso reso con «temere», non è generalmente riferito ai genitori, ma è più proprio dell'atteggiamento nei confronti di Dio, e questo fatto mette ancor più in evidenza il ruolo di questi. Il fondamento di tale posizione, che accosta la madre e il padre allo stesso Dio, può forse essere trovato nella concezione espressa da Gen 5, 1-2, dove il

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LEVITICO 19,5

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fatto che Dio abbia creato Adamo a sua immagine è collegato alla generazione di Set, il figlio di Adamo, a immagine dello stesso padre. I genitori hanno dunque il ruolo di trasmettere ai :l;ìgli l'immagine divina che essi stessi hanno ricevuto. Per la teologia Sacerdotale, poi, il sabato è il grande strumento che permette all'uomo di riconoscere l'opera di Dio nella creazione. I due comandamenti associati nel v. 3 affermano dunque che l'atteggiamento con cui l'Israelita si conforma alla santità di YHWH parte dal riconoscimento della propria origine e dell'origine di tutta la creazione daYHWH stesso. La prima sfera alla quale si estende tale riconoscimento è, evidentemente, la monolatria aniconica (v. 4) e la correttezza nelle pratiche del culto. Il problema è trattato nei vv. 5-8 e riguardanti il sacrificio di comunione, unico rito sacrificate ad essere totalmente sotto il controllo dei laici per quanto riguarda la consumazione delle carni consacrate, sottratte naturalmente le prebende sacerdotali. Delle tipologie di questa categoria di sacrifici qui è trattata la meno importante, quella per voto o presente spontaneo (cfr. 7, 16-18), mentre la trattazione sui sacrifici di comunione per ringraziamento (cfr. 7,12-15) è rinviata a 22,29-30. Viene così ottenuta un'inclusione che sottolinea l 'unità dei capitoli 19-22, contenenti il cuore della legislazione del Codice di santità. Con i vv. 9-1 O si prendono in considerazione i beni tipici dell 'Israelita: la terra e i suoi frutti. È possibile che il percorso logico del testo possa essere così rintracciato: il riconoscimento delle origini da YHWH attraverso i genitori e il culto

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LEVITICO 19,13

Quando sacrificate un sacrificio di comunione a YHWH, sacrificate lo in modo che sia gradito. 6Sarà mangiato nel giorno del vostro sacrificio e anche l'indomani, e ciò che rimane fino al terzo giorno sia bruciato nel fuoco. 7Ma se si oserà mangiare nel terzo giorno, è un rifiuto, non sarà gradito; 8chiunque lo mangia ne porterà la colpa, perché ha profanato ciò che è sacro a YHWH, quella persona sarà recisa dalla sua parentela. 9Quando poi mieterete il raccolto della vostra terra, non finirai di mietere i lati del tuo campo e non raccoglierai la spigolatura del tuo raccolto. 10Non racimolerai nemmeno la tua vigna e non ' raccatterai i grappoli caduti; li lascerai al povero e lo straniero; io sono YHWH vostro Dio. 11 Non ruberete, non mentirete e non vi ingannerete reciprocamente. 12Nemmeno giurerete nel mio nome per cose false: così profaneresti il nome del tuo Dio; io sono YHWH. 13Non opprimerai il tuo vicino e non lo deruberai. La paga del salariato non rimarrà presso di te la notte fino al mattino. 5

•!• 19,9-10 Testi affini: Lv 23,22; Dt 24,19-22 •!• 19,11 Testi affini: Es 20,15; Dt 24,7

•!• 19,12 Testi affini: Dt 19,16-21 •:• 19,13 Testi affini: Dt 24,14-15

correttamente celebrato portano una benedizione che si riflette sulla fecondità dei campi e delle vigne; questa non deve essere egoisticamente incamerata nella sua totalità, ma una parte di essa dev'essere lasciata al godimento del povero e dello straniero, ossia delle due categorie che, avendo perduto o non avendo mai avuto il possesso della terra, si trovano svantaggiate. Così una pratica che, in origine, può avere significato un'offerta rituale alle divinità della fecondità, tracce della quale si trovano anche in Lv 23,22 e in Dt 24, I9-22, viene piegata a esprimere la preoccupazione che la benedizione di YHWH sia condivisa anche da chi è meno fortunato. La clausola «io sono YHWH vostro Dio» (v. IO) unisce i precetti rituali a questa diposizione di tipo più etico mostrandone così l'intima connessione. Al v. Il inizia un'elencazione di quattro gruppi di divieti. Il primo gruppo riguarda la correttezza nei rapporti interpersonali. Violazione di questa correttezza sono tanto il furto che la menzogna che lo spergiuro. Il furto è posto in questo gruppo perché il verbo utilizzato implica che esso sia realizzato con l'inganno; si tratta dunque di comportamenti che mettono in pericolo la coesione sociale. Lo spergiuro, che porta a una profanazione del nome di YHWH, viene accostato ad altri delitti, sottolineando così che essi non sono solo crimini contro le persone, ma coinvolgono la sfera stessa della divinità. Nel gruppo successivo di proibizioni (vv. 13-14) viene messo in primo piano il comportamento apertamente ingiusto nei confronti del prossimo. Analogamente al gruppo precedente, l'ultima proibizione, coinvolgendo un'invocazione del nome di

240

LEVITICO 19,14

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19,15 Non avrai preferenza nei confronti del povero né riguardo nei confronti del potente (Si,~ 'JEl ,.,;,n t61 -,,.'JEl t(fDn·KS)- Alla lette;a: -~, interpretazione tradizionale - anche rabbinica - a partire dalla Settanta e dalla Vulgata che però potrebbe essere una rilettura, oppure come modificante il nome: «amerai il tuo vicino che è come te», cioè l'Israelita, oppure «che è una persona come te» (cfr. Dt 13,7). Il Testo Masoretico, ponendo un accento disgiuntivo su 1~,, sembra favorire la prima interpretazione. Il v. 34, parlando del ,~, dice '9i~~ ~~1; dato che 1i~f non si può riferire a i,, la frase dev'essere tradotta «lo amerai come te stesso». L'evidente parallelismo tra le due frasi impone di tradurre così anche il v. 18.

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morali. I cinque precetti si susseguono in due serie nelle quali i precetti negativi sono seguiti da precetti positivi. Nella prima serie all'esclusione del sentimento di odio segue l'esortazione alla correzione, fondata su una concezione della responsabilità che estende a ogni Israelita l'obbligo che in Ez 3,18 riguarda la missione profetica. Nella seconda serie i primi due precetti negativi uniscono l'esclusione dell'atto esterno della vendetta a quella del sentimento interno di ira, mentre il comandamento positivo è il famoso «amerai il tuo vicino come te stesso». È chiaro che il contesto

242

LEVITICO 19,19

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;; ·-Ìa parola fli5:)~ ha numerose attestazioni (cfr., p. es., Lv 22,4; Nm 5,2; 6, Il) e dev'essere considerata come un'abbreviazione de li' espressione n~ fli5:)~ > in esso contenuti. Rivolgendosi a «tutta la comunità di Israele» e non a un gruppo ristretto di capi o di sacerdoti, costituiscono il cuore stesso del Codice di santità, che ha di mira, appunto, la santità del popolo nel suo complesso.

2o 250

LEVITICO 20, l

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Il 20,9 Testi paralleli: Es 21,17 20,9 Il suo sangue ricada su di lui (i:!. ,,~.,) Alla lettera: «i suoi sangui in lui». Il pllir~le, inconsueto (la frase ricorre solo in Ez 18,13, -ma cfr. Lv 20,11.12- altrimenti è generalmente adottata l'espressione i~N1~ i~l «il suo sangue sulla sua testa»), ha provocato la variante al singolare del Pentateuco Samaritano, che deve essere respinta come lezione facilitante assimilante. Il plurale di t:ll è spesso usato con il significato specifico di «sangue

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sparso per violenzro> (cfr., p. es., Gen 4,10). L'utilizzo di questa parola configura la maledizione contro i genitori come un omicidio. Il 20,10 Testi paralleli: Lv 18,20; Es 20,14; Dt 22,22 20,1 OChi commette adulterio ... del suo vicino (,:1l,i1 ...l"J~' i~ ~N1)- La ripetizione della frase relativa stupisce ed è forte la tentazione di considerarla una dittografia; tuttavia la testimonianza testuale non va in questo senso: una minoranza dei manoscritti ebraici e i

20,9-21 Precetti penali

I precetti che seguono prendono in considerazione i casi in cui è implicata la pena capitale, riprendendo così quanto disposto al capitolo 18. La normativa è aperta dal divieto di maledire il padre e la madre (v. 10), ripreso dal Codice dell'alleanza (Es 21, 17) e assente in questa formulazione in Levitico, dove si stabilisce piuttosto l'obbligo contrario (cfr. Lv 19,3). Dato che le leggi contenute nel capitolo in analisi riguardano le pene per delitti di natura sessuale, è rilevante l'inserimento di questa disposizione derivante da una legislazione più antica. Risulta chiaro che la prospettiva in cui il testo si pone è quella dell'integrità dei mpporti familiari, messa in pericolo da questi disordini di natura sessuale, che rompono la solidarietà familiare, fondata sul mpporto con il padre e con la madre. La frase «il suo sangue ricada su di lui» (specifica di questo capitolo, qui al singolare e più avanti al plumle, e che si trova anche in Ez 18,13) implica il fatto che l'uccisione del colpevole non costituisce un omicidio, ma con ogni probabilità non comporta anche che chiunque possa mettere in atto la condanna: è verosimilmente una corte di anziani a pronunciare il verdetto. Il tipo di esecuzione capitale dev'essere la lapidazione, analogamente a quanto affermato al v. 2. Dopo questo primo delitto, che fornisce la chiave interpretativa per tutti gli altri,

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LEVITICO 20,14

Chiunque maledice suo padre e sua madre sarà messo a morte; ha maledetto suo padre e sua madre: il suo sangue ricada su di lui. 10lnoltre, se qualcuno commette adulterio con la moglie di un altro, cioè chi commette adulterio con la moglie del suo vicino, sarà messo a morte, sia l'adultero che l'adultera. 11 Se qualcuno giace con la moglie di suo padre, scopre la nudità di suo padre; saranno messi a morte entrambi: il loro sangue ricada su di loro. 12 Se qualcuno giace con la propria nuora, siano messi a morte entrambi; hanno commesso una perversione: il loro sangue ricada su di loro. 13 Se qualcuno giace con un maschio come si giace con una donna, hanrìo commesso un abominio; siano messi a morte entrambi: il loro sangue ricada su di loro. 14Se qualcuno prende una donna assieme a sua madre, è una tresca vergognosa; bruceranno nel fuoco tutti e tre, e così non ci sarà un tresca in

9

manoscritti minuscoli della Settanta omettono la ripetizione e tale testo più breve dev'essere considerato come un 'aplografia per omoteleuto. Il Testo Masoretico, comunque strano, si può spiegare in due modi: o il secondo inciso è una frase aggiunta per precisione legale, forse, ma non necessariamente, una glossa, volendo indicare che il caso riguarda solo la moglie dell'Israelita (non semplicemente «di un vicino»: cfr. 19,18 che usa il termine per l'Israelita, distinto dal i~ di 19,34); oppure si tratta di

una lezione conflata, che unisce due varianti antiche, la prima terminante con t!i'N n~-nN. («la moglie di qualcuno») e la seconda con ;;,;n. n~-nN. («la moglie del suo vicinm> ). Dato il grado di ipoteticità di questa seconda spiegazione, preferisco adottare la prima e tradurre di conseguenza. •:• 20,13 Testi affini: Lv 18,22; Oen 19,5; Ode 19,22 •:• 20,14 Testi affini: Lv 18,17; 21,9; Oen 38,24; Ode 15,6

vengono nominati tre tipi di adulterio: quello con la moglie di un estraneo, quello con la propria matrigna e quello con la propria nuora. L'adulterio è supposto tra consenzienti, dunque la pena di morte è comminata a entrambi i colpevoli. La legislazione di Dt 22,22, prescrivendo la constatazione della flagranza, attenua il rigore di quella del Codice di santità. Anche l'atto omosessuale (tra maschi) preso in considerazione dal v. 13 è supposto tra consenzienti ed è per certi versi equiparato ali' adulterio: sono tutti gesti che portano dissoluzione nell'ordine familiare alla base della società israelita, che deve basarsi su rapporti certi e sanciti dali' ordine matrimoniale. Il v. 14 introduce una novità: per il delitto di cui in Lv 18,17a (espresso in modo leggermente diverso) si stabilisce un modo particolare di esecuzione della pena capitale, definito «bruciare nel fuoco». Di questa pena si fa menzione in alcuni testi (Geo 38,24; Gdc 15,6) ed era quella riservata alle figlie dei sacerdoti che si prostituivano (Lv 21 ,9). La modalità di esecuzione di questa pena non è chiara; in ogni caso la tradizione giudaica successiva la identificava non con il rogo, ma con l'introdurre nella bocca del condannato una sostanza infuocata. La pena è molto rigorosa, comportando la morte con il fuoco di tutti e tre i colpevoli: il motivo di tale severità può consistere nel fatto che l'aspetto di intrigo di questo rapporto ambiguo è sentito come particolarmente sconveniente.

254

LEVITICO 20,15

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1n1ìl'-nN i1Nìn-N'il1 rln1ìl'-nN i1Nì1 'o"> (dalla radice :1i.l1 «denudare», «denudarsi»), presente nel versetto e in tutto il contesto. Che il termine debba qui essere

compreso nel significato metaforico di «privo di figli» è già chiaro per la Settanta e per la Peshitta, il cui suggerimento è seguito dalla stragrande maggioranza delle versioni e dei commentatori moderni. Abramo è detto 'i'iP in Gen 15,2, dove il contesto impone questò significato. L'altro utilizzo della parola è in Ger 22,30, dove è manifesto il significato metaforico: il re Yoyakin (chiamato nel testo «Konya») è detto '!'!P, non perché non abbia figli, ma perché nessuno di loro salì al trono.

rapporto con la mestruata è un problema particolarmente sensibile e che ritorna, oltre che in 18,9 anche in 15, 19.24. In quel caso si danno norme relative all'impurità dell'uomo che abbia commesso l'atto in questione; a quella situazione di impurità oggettiva si aggiunge in questo caso la pena del kiirét, che colpisce l'atto deliberato dell'uomo, ma anche della donna la cui complicità viene presunta. I versetti che seguono non prevedono più una pena inflitta dal tribunale umano, ma lasciata piuttosto all'azione di Dio stesso. Il v. 19, che prende in considerazione il rapporto con la propria zia diretta, evidentemente nubile (cfr. 18, 12-13 ), stigmatizza l'atto («ne porteranno la colpa»), ma non indica esplicitamente una pena, mentre il v. 20, che ha a che fare con il rapporto con la zia acquisita, ossia con la moglie dello zio, determina che la pena sia la privazione della discendenza. ncaso è previsto da 18, 14 ma la pena desta stupore perché l'atto dovrebbe essere classificato come adulterio e comportare la pena di morte; deve dunque trattarsi di una vedova, e l'insistenza sui figli farebbe pensare a un 'unione di tipo leviratico con il nipote e non con il cognato, oppure di una divorziata.

256

LEVITICO 20,21

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20,21 Sconcezza(:"!''!))- È da notare l'uso in senso generico di un tennine che, nel resto dei testi Sacerdotali, ha il significato tecnico di «impurità mestruale» (cfr. p. es., 12,2.5; 15,19). 20,23 Del popolo ('iZI;:T) - Una variante abbastanza ben attestata (alcuni manoscritti

ebraici, il Pentateuco Samaritano e le principali versioni) legge al plurale. La versione CEI accoglie la variante, ma si deve rifiutarla, in quanto lezione facilitante e annonizzante rispetto a 18,24. •:• 20,22-24 Testi affini: Lv 18,24-30 20,25/ quadrnpedi (i11?~J)-Cfr. nota a 11,46.

Ancor più desta discussione il v. 21. Si parla di un matrimonio («Se un uomo prende))) e non semplicemente di un rapporto sessuale, come al versetto precedente e come è invece previsto in 18,16; la cognata dev'essere evidentemente vedova o ripudiata. Non viene precisato se la donna ha già un figlio oppure no; se dunque la norma è presa in senso assoluto, viene ad essere in contraddizione con la legge del !evirato (Dt 25,5-1 O) e manifesta l'esistenza di un corrente di pensiero contraria a tale pratica. Data la mancanza di dettagli, non è possibile risolvere la questione. 20,22-26 Ulteriore appello alla santificazione I vv. 22-26 corrispondono ai vv. 7-8, ma l'esortazione alla santità è più estesa e, soprattutto, contiene una venatura di minaccia, ripresa da 18,28.

257

LEVITICO 20,26

Se un uomo prende la moglie di suo fratello è una sconcezza. Ha scoperto la nudità di suo fratello: rimarranno denudati (di figli). 22 Ma voi osserverete tutti i miei statuti e tutte le mie regole e li eseguirete; così non vi vomiterà la terra nella quale vi conduco perché la abitiate. 23 Non seguirete gli statuti del popolo che io scaccerò davanti a voi, perché essi compiono tutte queste (empietà) e io mi sono disgustato di essi. 24 A voi dico: voi prenderete possesso del loro territorio e io ve lo darò in possesso; una terra che stilla latte e miele. lo sono YHWH vostro Dio, che ho distinto voi tra i popoli. 25 E voi distinguerete tra i quadrupedi puri e quelli impuri, tra i volatili impuri e quelli puri: non renderete abominevoli le vostre persone con i quadrupedi, con i volatili e con tutto ciò che striscia sul suolo e che ho distinto per voi, dichiarandolo impuro. 26 Così voi vi manterrete santi per me, perché io, YHwH, sono santo e vi ho distinti tra i popoli perché rimaniate miei. 21

Dichiarandolo impuro (l!t~~~)- Il Pentateuco Samaritano, la Settanta, ia Peshitta e alcuni manoscritti del Targum leggono ;"!l!t~~" «come impurità». È invitante consider~re . la variante una lezione più difficile; il sostantivo però indica lo stato di impurità di una persona, e non è generalmente usato per gli

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animali impuri. La presenza del verbo hifil «separare», così tipico del linguaggio Sacerdotale, fa preferire la lezione del Testo Masoretico. Per l 'uso del verbo l!tO~ pie/ nel senso di «dichiarare impuro» cfr. I 3,8. •!• 20,26 Testi affini: Lv I 1,44; 20,7; 21,8; 22,32

La promessa della terra (v. 24) introduce nell'esortazione finale un nuovo tema: quello della santità come distinzione dagli altri popoli, manifestata dalla distinzione che gli Israeliti opereranno tra animali puri e animali impuri (vv. 25-26). La terminologia è ripresa da 11,47 e collega il concetto di «distinzione» tra puro e impuro, caratteristico dei testi Sacerdotali, con l 'idea di «santità» come separazione, così cara alla teologia del Codice di santità. In questo modo il tema della distinzione tra gli animali puri e impuri viene inserito in questo corpus legislativo, che non lo tratta esplicitamente, ma suppone quanto già stabilito nel capitolo 11, anche se non adotta la medesima precisione termino1ogica.

258

LEVITICO 20,27

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20,27 Pozzo negromantico ... indovino (')lJ,' ••. :::liK)- Cfr. note a 19,31. · Li lapideranno con pietre (Cr;'IN ,O~T 1~~~) -Alla lettera: «con la pietra lapideranno loro»; cfr. la frase simile P':9 ,ii'?~T di 20,2. Il Pentateuco Samaritano e la Settanta riportano l'interessante variante C,O~in C'):::lK:::l, «lo lapiderete con pietre», che alletta 'ii suo aspetto di lezione più difficile non assimilata. A ben guardare però nemmeno la frase del Testo Masoretico può essere considerata un'àssimilazione rispetto al v. 2: l'ordine delle parole è opposto, venendo a formare un chiasmo che racchiude il capitolo

con

in un'inclusione, e manca un pronome suffisso. Adottando la variante si verrebbe dunque a perdere una preziosa particolarità del Testo Masoretico, che non può essere semplicemente accusato di essere assimilante. •:• 20,27 Testi affini: Lv 19,31; 20,6; Dt 18,11; l Sam 28,7 21,1 Per un morto (tlì"::Jl.'?)- Cfr. nota a 19,28. Nessuno si renda impuro (KOt!l•-t('?) - Alla lettera: «non si renda impuro»: La frase ha un soggetto generico sottointeso (cfr., p. es., 2 l, l 0). Nella sua parentela (W?.P:;t)- Qui e ai vv. 4.14.15 il Pentateuco Samaritano legge al singolare; anche la Settanta, la Pcshitta e i

20,27 La pena per la negromanzia Con il v. 27 si ritorna alla sanzione della pena di morte per i delitti previsti in 19,31. La norma, in evidente collegamento con 20,2 di cui riprende, in ordine inverso, la fraseologia, e con 20,6, ha la funzione di racchiudere il capitolo in un'inclusione. Al v. 6 si stabiliva la pena del kiiret per chi consultasse negromanti, mentre al v. 27 è comminata la lapidazione per chi eserciti attivamente la negromanzia, attraverso lo strumento del pozzo negromantico o dell'indovino. Per quanto riguarda il pozzo negromantico, è illuminante il parallelo con l'episodio narrato in 1Sam 28,3-25, nel quale la strega, definita ba 'iilat 'ob (v. 7), ossia «padrona di un 'ob», cioè di un pozzo negromantico, vede lo spettro di Samuele salire dalla terra, cioè dall'interno del pozzo. Rilevante è il fatto che, nel testo in analisi, la pratica che coinvolge un indovino sembra distinta da quella collegata con il pozzo negromantico, mentre in Lv 19,31le due cose sembrano far parte dello stesso rituale. L'avere un indovino «presso di sb> ricorda l'episodio narrato in At 16,16-24, in cui la donna posseduta dallo spirito indovino è una schiava. La pena della 1apidazione è inflitta dunque al proprietario dei due strumenti divinatori: il pozzo magico o lo schiavo medium. La norma contro la negromanzia è ripresa al termine della legislazione penale a proposito delle trasgressioni sessuali, perché, per certi aspetti, riguarda la stessa materia: il sacrificio a Molek mette in pericolo la discendenza della famiglia, le trasgressioni sessuali travalicano i suoi limiti interni, mettendone in pericolo la struttura, mentre la negromanzia coinvolge le generazioni passate, abolendo le distinzioni fra i familiari vivi e quelli morti.

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LEVITICO 21,2

Se un uomo o una donna hanno un pozzo negromantico o un indovino presso di sé, siano messi a morte: li lapideranno con pietre; il loro sangue ricada su di loro"». 27

21

disse a Mosè: «Di' ai sacerdoti figli di Aronne: "Nessuno si renda impuro per un morto nella sua parentela, 2se non per i congiunti più stretti: per sua madre e per suo padre; •• per suo figlio e per sua figlia; • · per suo fratello; 1YHWH

Targumim e, sebbene non così chiaramente, la Vulgata mostrano di comprendere un singolare. L'errore nasce probabilmente dalla mancata comprensione della differenza Iessicale tra c~ («popolo») e la forma plurale C'O~, assai spesso usata nel senso di «parentela». Si tratta dunque di indebite armonizzazioni. •:• 21,1 Testi affini: Ez 44,25-27 21;2 Per sua madre e per suo padre- Alcune testimonianze (Pentateuco Samaritano e Settanta) invertono i due termini. Analogamente a quanto accade in 19,3 si tratta di un'armonizzazione all'ordine più consueto.

Per suo figlio e per sua figlia; per suo fratello

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in:h1 iJ:l,1)- Il Pentateuco SamaritanÒ alcuni min~scoli della Settanta omettono la congiunzione copulativa davanti a iJ:;l,, «per suo figlio» (appoggiati in questo caso da alcuni manoscritti del Targum) e 1'nN':l1 «per suo fratello», ottenendo così un'inte'n':ssante costruzione con due coppie di termini e un termine isolato. Per quanto la testimonianza testuale sia esile, le omissioni possono essere una lezione più difficile e il Testo Masoretico può avere armonizzato con l'uso più comune della particella copulativa. Accolgo la variante e traduco di conseguenza.

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21,1-22,16 Norme per i sacerdoti Il capitolo 21 dedica due discorsi di YHWH alle norme comportamentali dei sacerdoti. L'argomento verrà continuato nella prima parte del capitolo 22, con un altro discorso. Il primo discorso del capitolo 21 va dal v. l al v. 15 ed è rivolto a tutti i sacerdoti in generale e riguarda le norme che essi devono seguire nei riti di lutto, nella salvaguardia della loro santità e nelle questioni matrimoniali, mentre il secondo discorso (vv. 16-23) è rivolto più specìficatamente ad Aronne, come a colui che deve discernere le qualità fisiche di coloro che devono esercitare il sacerdozio, e riguarda i difetti fisici che escludono dali' esercizio del ministero. Al capitolo 22 il discorso di YHWH (1-16), il primo del capitolo, mentre gli altri due fanno parte della sezione successiva, precisa le condizioni in cui i membri della stirpe sacerdotale possono mangiare le offerte sacre. 21,1-15 Norme indirizzate a tutti i sacerdoti Il discorso è articolato in tre parti che formano una struttura chiastica: dal v. l al v. 8 vengono date le norme relative ai sacerdoti ordinari; il v. 9 contiene una norma particolare a proposito della pena che colpisce la figlia del sacerdote che si prostituisce, mentre i vv. l 0-15 riguardano gli stessi problemi trattati in precedenza, ma stavolta in riferimento al sommo sacerdote (il «più grande tra i suoi fratelli»). I sacerdoti ordinari (21,1-8). A tutti i sacerdoti è proibito il lutto se non per uno stretto parente: genitori, figli, sorella nubile. La moglie non è citata, verosimilmente perché è data per scontata. Alcuni ritengono che l'esempio di Ezechiele (Ez 24, 15-18),

260

LEVITICO 21,3

n? W'~7 i1IJ;ì!-~7 iV,?~ 1'7~ i1;tiijpiJ h7~nfiJ i.t)h~?ì3 ilt;lli?:-N7 J i1r.!li?:-~7 5 :i7t:JtJ7 1'~l}f ?l}# Ngl?: ~74 :N~'?: ~7 Olo/:t~~ mj.J; ~? oai?T !'l~~~ O~~if l-lt:~li? [~l)li?:-N7 f Or.J';::i?~ OlP ~l77t:~; ~?1 OQ';::i?N? ~'iT 0'y?"lp6 :l"'l?,'Jo/ ~'?lo/: ;,~~ 7

:1.V1i? ~.,m Oi,-'1i?~ op Or.J';::i?~ ory~ ;,j;,; 'W~-n~ \:;> N~ij W"Ji?-'f. 1njz; ~? nV?'~9 i1tR~i~ i1lf.>~1 mi?: ~? h77tn i1}.t 1?·;,~~;. i»"Ti? :l''Ji?~ N~i) "n:f?~ ory~-n~-'f. ifl'P1i?1 8 :1"~?N? :O~'P1i?'? i1J~i; '1,~ Wiii? 'f. 21,3 Germana 0'7~ :1:::J.i1p::t) -Alla lettera: «vicina a lui». Verosimilmente è definita «vicina a lui», come lo sono gli altri parenti citati nel v. 2: il padre, la madre, i figli e il fratello germano (ossia non il fratellastro). Si tratta dunque della sorella germana e non della sorellastra. Per questa si prescrive però una restrizione: solo se è nubile. Le due caratteristiche non devono quindi essere poste in nesso causale: «vicina perché nubile». Per essa (l'17) - La Settanta, leggendo È1Tl to&roLç «per questi», mostra di riferire la clausola finale della frase a tutto l'elenco contenuto nei versetti precedenti e non esclusivamente alla sorella nubile; più che spia di un diverso testo ebraico è un'interpretazione della Settanta, la quale però non capisce che il Testo Masoretico vuole precisare che soltanto per una sorella nubile vale la regola e non per la sposata. 21,4 In quanto marito, non si renderà impuro per la sua parentela (acquisita) - La frase,

poco chiara, ha dato da fare agli interpreti. Si sono proposte varie congetture, ma nessuna di esse sembra imporsi come particolarmente convincente. La Settanta legge l:çlimva, forse pensando a ll~~::l («come in un sorso» cioè «rapidamente»), cfr. Nm 4,20. La congettura che si tratti di un diverso testo ebraico non convince, perché la Settanta è isolata e perché la variante non migliora il senso. Cercando di dare un senso al Testo Masoretico, si può intendere S~ come complemento di ~~·. ma questo è poco probabile, dato che sarebbe necessaria una preposizione; non resta che considerarlo soggetto o, meglio, predicativo del soggetto. Dato il contesto, relativo alla parentela del sacerdote, S~ è più comprensibile nel senso di > (cfr. 7,20) aggiungo «acquisita>>. 21,5 Non praticheranno- Con il qerè ~n'li?'· •:• 21,5 Testi affini: Lv 19,27-28

cui YHWH proibisce i riti di lutto altrimenti concessi ai sacerdoti, mostri che la proibizione di Lv 21,1 riguardava solamente il «rendersi impuri», ossia il recarsi al cospetto del cadavere. L'interpretazione è interessante ma con ogni probabilità troppo dipendente dall'esegesi mbbinica. In ogni caso è chiaro che anche ai sacerdoti sono proibiti quei riti che comportavano segni particolari sulla capigliature o sulla barba e incisioni sul corpo, e che facevano invece parte del costume comune dei riti di lutto. Manca la proibizione del tatuaggio (cfr. 19,27-28): dato che in questo caso si elencano solo riti di lutto, mentre in 19,28 si tmtta in genemle di pmtiche in onore di divinità infere (delle quali i riti di lutto facevano comunque parte), è possibile pensare che la pmtica dei tatuaggi non facesse strettamente parte di tali riti e che per tale motivo qui venga omessa. Il richiamo alla necessità della santità per i sacerdoti, riproposto al v. 6, sepam la legislazione sui riti di lutto da quella sul matrimonio e fornisce la motivazione di

261

LEVITICO 21,8

anche per lUla sorella germana vergine, che non si è ancora sposata: per essa si potrà rendere impuro. 4ln quanto marito, non si renderà impuro per la sua parentela (acquisita), profanando se stesso. 5Non praticheranno lUla tonsura sulla loro testa, non raderanno l'orlo della loro barba e nella loro carne non praticheranno un'incisione. 6 Saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il nome del loro Dio, perché essi presentano i doni di YHWH, cibo del loro Dio, perciò saranno in stato di santità. 7Non sposeranno lUla prostituta né una donna profanata, e non sposeranno una donna ripudiata da suo marito, perché (il sacerdote) è santo per il suo Dio. 8Tu lo riterrai santo, perché presenta come offerta il cibo del tuo Dio. Sarà per te santo, perché sono santo io, YHWH, che vi santifica. 3

21,6 In stato di santità (tli,~':l)- Il sostantivo astratto singolare ha causato la correzione C'tD1i? (aggettivo: «santi») nel Pentateuco Sarnaritano e nelle versioni antiche. La versione CEI sembra accogliere la variante, traducendo «saranno santi». Il Testo Masoretico è chiaramente lezione più difficile e va difeso. 21 7 Una prostituta né una donna profanata (n7~ l"t~T l"!~)- L'espressione non è chiara e in maniera particolare sfugge il significato «una donna vioesatto dell'aggettivo lentata>>, cioè non illibata (ma, evidentemente, non per sua colpa)? «Una prostituta sacra»? Preferisco mantenere l'ambiguità e tradurre con il termine generico «profanata». Qualcuno, sulla base del confronto con il v. 14, propende per un'endiadi: «una donna profanata dalla prostituzione», ma probabilmente il v. 14 è corrotto; cfr. più sotto. Perché il sacerdote è santo (N~l"! tD'1i?-'~)­ Alla lettera: non meglio specificato, spesso inteso come riferito non a Mosè, ma agli Israeliti nel loro complesso. Questo fenomeno ha fatto pensare che si tratti di un'interpolazione tardiva, non inserita nel contesto. È però necessario notare che l 'ultimo inciso del versetto («Santo sono io, YHwH, che vi santifica») è parallelo alla fine

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LEVITICO 21,9

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morto)). Settanta e Peshitta tentano di armonizzare con Nm 6,6 leggendo t!i~J. al singolare, ma il Testo Masoretico è testimoniato anche da Il Q Levitico• (Il QpaleoLev• o Il Q l). Il sostantivo è da intendersi in senso generico. 21,12 Perché la consacrazione ... su di lui

del v. 15, che chiude le disposizioni relative al sommo sacerdote. L'ipotesi di un'interpolazione successiva alla redazione del testo è perciò improbabile. L'interpretazione migliore è che l'esortazione sia in effetti rivolta a Mosè, considerato come rappresentante di tutta la comunità degli Israeliti («che vi santifica»). Anche il pronome di seconda persona plurale non dev'essere considerato un errore che ha sostituito un pronome di terza persona, ma come un'affermazione che mostra bene la prospettiva teologica del Codice di santità: la consacrazione dei sacerdoti è la conseguenza della consacrazione che YHWH ha operato nei confronti di tutto il popolo. Vi è un crescendo di santità che coinvolge una prima cerchia costituita dal popolo, una seconda cerchia dai sacerdoti, incaricati delle offerte del popolo, e una terza cerchia in cui al sommo sacerdote (v. 18) corrisponde in modo particolare la santità del santuario stesso (v. 12). La figlia del sacerdote (21 ,9). Per il tipo di pena applicata a questo caso si veda il commento a 20,14. Il testo individua il motivo esatto dell'applicazione di questa pena nel fatto che il comportamento della figlia del sacerdote profana anche suo padre. Ciò può essere inteso in senso generico, in riferimento alla solidarietà che coinvolge tutti i membri di una famiglia, tanto più di una famiglia sacerdotale, che si nutre dei proventi dell'altare. Ci potrebbe essere anche il desiderio di stigmatizzare un rito di prostituzione sacra, cui la figlia di un sacerdote potrebbe più probabilmente dedicarsi, ma l'esistenza stessa di questi riti è controversa. In ogni caso è chiaro che la morte con il fuoco nel caso di delitti sessuali è sopravvivenza di un costume arcaico nell'ambiente tradizionalista delle famiglie sacerdotali e, come visto in 20, 14, per alcuni casi che comportavano un particolare stigma sociale. Il versetto in questione è posto al centro della struttura per evidenziare il fatto che, nella teologia del Codice di santità, la santità non è qualcosa di confinato al puro ambito sacrale, ma coinvolge cose e persone che per sé non sarebbero direttamente

263

LEVITICO 21,13

poi la figlia di un sacerdote si profana prostituendosi, è suo padre che ella profana; sia bruciata nel fuoco. 1011 sacerdote più grande tra i suoi fratelli, sulla cui testa è stato versato l'olio dell'unzione e che ha ricevuto l'investitura indossando le vesti, non scompigli la sua capigliatura, non strappi le sue vesti, 11 non entri al cospetto di cadaveri e nemmeno per suo padre o sua madre si renda impuro. 12Non esca dal santuario e non profani il santuario del suo Dio, perché la consacrazione dell'olio dell'unzione del suo Dio è su di lui. Io sono YHWH. 13 Egli sposi soltanto una

9 Se

(1'7~ ...,q ':!l) -La frase, di difficile interpretazione e sintatticamente strana, con quella lunga catena costrutta, è abbastanza chiaramente una conflazione tra l O, 7, C~,~~ illil~ no~~ li?W-'~ «dato che l'olio deli'un~ zione di YHWH è su di voi», e 8,9, in cui si cita il diadema (,p) del sacerdote Aronne. In

10,7 non si poteva usare la parola ,q, perché era questione dei figli di Aronne, clie non indossano questo segno di distinzione. Risulta però chiaro che il termine ha qui un significato più generico, che si trova tipicamente in N m 6, a proposito della consacrazione del ,,H, e che è quello originario del verbo ,tJ.

toccate: così la sola appartenenza a una famiglia sacerdotale pone esigenze più alte .di santità, anche se non si è mai direttamente coinvolti in atti di culto. Si tratta di un ragionamento di tipo paradossale: se tali sono le esigenze nel caso della figlia femmina, tanto più gli altri membri della famiglia devono essere irreprensibili. Che il comportamento inidoneo dei figli possa portare ali' estromissione del culto dello stesso padre e di tutta la discendenza, appare anche nell'episodio del figli di Eli, narrato in l Sam 2,12-36. In quel caso si trattava di una vera e propria violazione liturgica, anche se i termini esatti di essa ci sfuggono. Il sommo sacerdote (21, l 0-15). L'appellativo con cui è chiamato il successore di Aronne «il sacerdote più grande», presente anche in altri testi (cfr., p. es., Nm 35,25.28; Gs 20,6; 2Re 12,11; 22,4.8; 23,4) dev'essere inteso come una descrizione della funzione del successore di Aronne, il quale viene investito della sua carica per mezzo di una particolare unzione (cfr. Lv 8,12). La teoria che quest'unzione del sommo sacerdote non fosse altro che l'unzione regale, trasferita su di lui dopo la caduta della monarchia, è da scartarsi pervari motivi, non ultimo il fatto che l'unzione è un tipico rito di investitura sacerdotale documentato fin dalla metà del secondo millennio a. C. Al sommo sacerdote è richiesto un livello di santità maggiore rispetto agli altri sacerdoti. Gli sono assolutamente proibiti anche gli atti di lutto ordinario, come lo scompigliarsi la capigliatura e lo strapparsi le vesti, e questo anche per i parenti più stretti; il contatto con un cadavere (cioè la compresenza con un cadavere nello stesso spazio chiuso) è poi proibito in assoluto, anche nel caso del padre e della madre. Le proibizioni sono analoghe a quelle imposte ai due figli di Aronne in l 0,6-7 (cfr. il commento relativo a quei versetti). Lo stesso vale per la proibizione di allontanarsi dal santuario (cfr. l O,7), che dev'essere ristretta ai riti di lutto, cosicché il sommo sacerdote non ha il diritto di uscire dal santuario nel quale sta officiando per seguire un funerale, dato che, al suo ritorno, profanerebbe il santuario medesimo.

264

LEVITICO 21,14

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21,23 Verso la cortina (n;>.,~jj',~)- L' espressione per indicare l'accesso all'interno del Santo dei Santi è invariabilmente n:l-,tl', n·~ «all'interno della cortina» (16,!2.15\ Q~i non si tratta evidentemente dei riti riservati al sommo sacerdote, ma del culto quotidiano



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che si svolge nella prima sala del santuario. I miei luoghi santi ('fPlP~) - Il plurale, e il suffisso del participio C~"'!i?l? che vi si riferisce, hanno suscitato stupore e reazione da parte della Settanta, che interpreta -r:ò aywv -r:ou 9Eou aù-r:ou «il luogo santo del suo Dio».

servizio liturgico di un uomo di stirpe sacerdotale. Il significato esatto delle parole con cui il testo descrive le varie deformità è difficile da determinare; in ogni caso risulta chiaro che si tratta di deformità fisiche e non di difetti morali. Simili liste di caratteristiche che escludono dal culto si trovano un po' in tutte le tradizioni cultuali del Vicino Oriente antico e sono debitrici alla concezione che solo quanto si presenta immune da difetti è presentabile alla divinità. I vv. 22-23 permettono tuttavia alle persone che si trovano in questo stato di mangiare dei proventi del culto sacrificale, di qualsiasi livello di santità essi siano. La norma si rende necessaria per il fatto che, altrimenti, il membro della stirpe sacerdotale impedito di partecipare al culto non avrebbe più avuto mezzi di sussistenza, e permette di comprendere che la presenza di questi difetti fisici non comporta uno stato di impurità. Non a caso il v. 24 afferma che l'infrazione a questa norma comporta una profanazione dei luoghi santi, ossia mancanza di rispetto nei loro confronti che, con ogni probabilità, comportava una sanzione pecuniaria e l'offerta di un sacrificio, secondo la normativa esposta in Lv 5,14-16, ma non una loro contaminazione, la qual cosa sarebbe stata ben più grave. 22,1-16 I sacerdoti e il cibo sacro Dopo la frase introduttiva (v. l) e un'esortazione di carattere generale (v. 2), il discorso è suddiviso in due versanti: i vv. 3-8 contengono le norme che i sacerdoti

267

LEVITICO 22,4

2211

cibo del suo Dio, (le porzioni) delle cose santissime e delle cose sante, lo mangerà; 23 soltanto non entrerà verso la cortina né si avvicinerà all'altare, perché ha un difetto; non profanerà quindi i miei luoghi santi, perché io sono YHWH che li consacra"». 24Allora Mosè parlò ad Aronne, ai suoi figli e a tutti gli Israeliti. 1YHWH parlò a Mosè: 2«Parla ad Aronne e ai suoi figli perché abbiano un atteggiamento riverente verso le (offerte) sante degli Israeliti - e non profanino il mio santo nome -,ciò che essi mi consacrano. Io sono YHWH. 3Di' ad essi: "Nelle generazioni (future), chiunque di tutta la vostra discendenza si avvicinerà alle (offerte) sante che gli Israeliti consacrano a Y HWH essendo in stato di impurità, quella persona sarà recisa dal mio cospetto. Io sono Y HWH. 4Chiunque della discendenza di Aronne sia colpito da desquamazione o abbia un flusso non mangi delle (offerte) sante, finché non sia puro; chiunque tocca una cosa impura per un morto o se da un uomo esce un'emissione di sperma,

22

Il plurale va mantenuto ed eventualmente inteso come collettivo; ma cfr. nota a 26,3 l. •:• 21,16-24 Testi affini: Lv 22,22-24; 2Sam 5,8 22,2 Abbiano un atteggiamento riverente (1,T~'1)- Alla lettera: «si tengano distaccati». E ~~~ profanino il mio santo nome - La

proposizione parentetica separa il relativo dal suo antecedente, rendendo la sintassi parecchio faticosa. Invece di semplificare, ho preferito mantenere l'ordine del testo ebraico proprio perché nemmeno esso è lineare.

devono osservare rispetto al cibo sacro qualora siano colpiti dalle varie forme di impurità, mentre i vv. l 0-16 precisano a quali condizioni gli estranei alla famiglia sacerdotale possano nutrirsi del cibo sacro e quali siano le sanzioni per coloro che se ne nutrono in modo non autorizzato. Il v. 9 si pone al centro della struttura, esortando all'osservanza delle norme e minacciando di morte i trasgressori. Norme per i sacerdoti in stato di impurità (22, 1-8). Chiaramente il problema dello stato di impurità in cui possono incorrere i sacerdoti è in logica continuità con quanto precede: mentre nel capitolo 21 è questione di alcuni membri della famiglia sacerdotale che non possono prendere attivamente parte al culto, perché impediti da qualche menomazione fisica permanente, ma possono nutrirsi dei proventi del culto stesso, il primo discorso del capitolo 22 inizia con il trattare un caso per certi versi opposto: i sacerdoti che, pur essendo di per sé abili al culto, non possono nutrirsi dei proventi di questo a causa di un'inabilità acquisita, dovuta a una condizione di impurità. La pena prevista per la trasgressione della norma è quella del kiiret. I vv. 4-5 passano poi in rassegna le diverse cause di impurità: le prime due ad essere citate (v. 4a) sono la malattia della pelle trattata nei capitoli 13 e 14 e la malattia sessuale di cui si parla in 15,1-15. Sorprende l'assenza dell'impurità da contatto da cadavere, la quale, però, dal punto di vi-

268

LEVITICO 22,5

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(«cibo») del v. 7, che però è un po' distante, oppure tutta l'ingiunzione del v. 8. Quest'ultima interpretazione si scontra con il fatto che in questo caso sarebbe più normale l'uso del suffisso di terza persona femminile o del pronome dimostrativo femminile n~T inteso nel senso di ~~queste cose». Scelgo dunque la prima interpretazione e traduco di conseguenza, conservando però una certa ambiguità alla

sta del contesto narrativo, non è stata ancora sanzionata, venendo citata solo in Nm 19, 11. La proibizione di nutrirsi delle cose sacre finisce con il terminare dello stato di impurità. L'assenza di ulteriori precisazioni mostra che il testo suppone come noto il contenuto dei capitoli 13-15 nei quali sono trattati in dettaglio i criteri riguardanti le impurità in questione. Le altre impurità menzionate nei vv. 4b-5 sono contaminazioni che si esauriscono nel volgere di una giornata. Si tratta di quattro fattispecie: l'impurità secondaria da contatto da cadavere (N m 19,22), l'emissione di sperma (Lv 15, 16.18), il contatto con la carcassa di un animale brulicante (che si tratti della carcassa è dato per scontato, perché si presuppone la conoscenza di Lv 11 ,29-31 ), e tutti gli altri casi di impurità derivata (cfr., p. es., 15,5.8.11.21 ). L'ordine in cui sono citate le impurità è verosimilmente giustificato dalla decrescente gravità. Il rito di purificazione previsto al v. 6 generalizza per tutti i casi il lavaggio del corpo e il passaggio del tempo, unificando così quanto più volte stabilito nei singoli casi con diverse sfumature: semplice passaggio del tempo (p. es., 11,24.27.31.39; 15,19.23); abluzione del corpo e trascorrere del tempo, ma non lavaggio delle vesti (p. es., 15,16.18); lavaggio delle vesti e trascorrere del tempo ma non lavaggio del corpo

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LEVITICO 22, Il

o chiunque tocchi un animale brulicante per cui diventa impuro, o un essere umano per cui diventa impuro, qualsiasi sia la sua impurità, 6 la persona che avrà toccato queste cose sarà impura fino a sera e non mangerà delle (offerte) sante se non essendosi lavata il corpo con acqua; 7quando poi tramonterà il sole e sarà quindi puro, solo dopo mangerà delle (offerte) sante, perché questo è il suo cibo. 8Quanto a un animale morto naturalmente o sbranato, non li mangerà, per non contaminarsi. Io sono YHwH". 9 0sserveranno quindi le mie prescrizioni e non si graveranno di una pena per esso così da morime, perché lo hanno profanato. Io sono Y HWH che li consacro. 'N"-N~ it-~:::>1 ~:>Nn il":tN cn;o il".:n))l:> h":JN n·• Ìn"W9Q t"JP-;1 ilJ1o/:;l'IV":ri? ~?-N"-"f. lV"~1 14 :if. "1f-?1irntt ~t;?D; N?1 15 :'IZ>li?D-ntt tnj? 1D~1 1"7lJ bniN ~N"Wil1 16 :il1il"~ m"i"-ilVN nN ~Niiv" "l::l ilyi; "1.~ "f. Cr.J"W1i?-ntt c?,:tt;tf. ilr?o/~ TjP, :CW1i?T? -

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22,19 (Sarà) integro (t:l'Ol'l)- La traduzione della frase brachilogica richiede che sia ripristinato un verbo. •!• 22,18-20 Testi affini: Lv l ,3 22,21 Per un voto straordinario (,!TN~~';l) - Il verbo N',El deriva dal sostantivo N'js:; «prodigio», «miracolo», e vuoi dire «essere straordinario» (generalmente al nifal). In

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contesto cultuale e unito a ,-p è usato al pie! (qui e in Nm 15,3.8) e all'hifìl (in Lv 27,2 e in Nm 6,2). Probabilmente in tutte queste occorrenze, il significato va compreso intendendo in senso concreto il valore del verbo, per cui «straordinario» verrebbe a significare «spontaneo», «generoso». •!• 22,21 Testi affini: Lv 3, l

GLI ANIMALI SACRIFICABILI (22,17-33) Il secondo discorso di YHWH presente nel capitolo 22 (22,17-25) apre la settima sezione del Levitico. Esso menziona come destinatari anche la totalità dei figli di Israele oltre alla stirpe di Aronne, ed espone i difetti che si devono escludere nelle vittime sacrificali. Benché le offerte vengano fatte prima di tutto dagli Israeliti, i sacerdoti sono esplicitamente menzionati perché è su di loro che ricade la responsabilità di controllare l'osservanza di queste norme. Il discorso successivo (22,26-33) è di interesse più globale, con norme generali concernenti il trattamento degli animali da sacrificio e le carni sacrificali. Dato che la materia riguarda tanto i sacerdoti che la totalità del popolo, l'unico destinatario citato è Mosè. I versetti finali di questo discorso (vv. 31-33) non si limitano alla legislazione in esso esposta, ma sono l'esortazione conclusiva per tutta la materia contenuta nei capitoli 21-22. 22,17-25 I difetti delle vittime sacrificati Le norme valgono per tutte le vittime sacrificali offerte in voto o dono spontaneo- si esplicita così il significato del termine «integro» (tiimfm), che designa gli animali da sacrificio fin dall'inizio (cfr., p. es., 1,3)- e anche per tutti gli offerenti, Israeliti o stranieri residenti (ger; cfr. 16,29). Al centro del discorso, i vv. 22 e 24 precisano quali siano i difetti che escludono l'animale dal sacrificio; il v.

273

LEVITICO 22,22

parlò a Mosè e disse: 18 «Parla ad Aronne, ai suoi figli e a tutti gli Israeliti e spiega loro: "Chiunque della casa di Israele o straniero in Israele presenterà come sua offerta per qualsiasi voto o dono spontaneo uno dei capi che si offrono a YHWH in olocausto, 19perché sia gradito in vostro favore, (sarà) integro, maschio, tra il bestiame grosso, gli agnelli e i capretti. 20 Qualsiasi capo in cui ci sia un difetto, non lo presenterete come offerta, perché non sarebbe gradita in vostro favore. 21 Se qualcuno presenterà un sacrificio di comunione a YHWH per un voto straordinario o un dono spontaneo, tra il bestiame grosso o quello minuto, sarà integro per essere gradito; non dovrà avere alcun difetto: 22 (un animale) affetto da cecità, o fratturato, o mutilato o affetto da ulcera o con la scabbia o un eczema; questi non li presenterete come offerta a YHWH e nulla di essi porrete sull'altare come dono per YHWH. 17 YHWH

22,22 Affetto da cecità (niJ~)- Alla lettera: «cecità». Benché la parola ·sia presente solo qui, il significato è trasparente, derivando dalla radice 11l1 «essere cieco». È un astratto per il concreto. Affetto da ulcera (n~:il~)- È una parola che ricorre solo qui, dal significato difficilmente determinabile. Traduco così dato che i due

difetti successivi hanno forse a che fare con malattie della pelle. Potrebbe derivare da una radice ":l' (da cui si avrebbe anche il sostantivo ',~', «corso [d'acqua]», cfr. Is 30,25; 44,4) ~he significa «scorrere», «emettere liquido». Scabbia ... eczema- Per i termini :11• e nt~"' cfr. le note a 21 ,20. n

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23 concede alcune eccezioni, solo per quelle vittime offerte in dono spontaneo. I sacrifici con valore espiatorio non vengono trattati in questo contesto perché per essi non può essere fatta alcuna eccezione. Sono presentate due fattispecie: la vittima per l'olocausto (vv. 18-20) e quella per il sacrificio di comunione (v. 21 ). È degno di nota il fatto che sia proprio il Codice di santità, non riservato esclusivamente ai sacerdoti ma rivolto alla totalità del popolo, a indicare esplicitamente i criteri di accettabilità delle vittime. I criteri riguardano solo i quadrupedi; gli uccelli sono omessi verosimilmente perché non sono mai offerti in sacrifici volontari, ma sono sostituti di animali più costosi in riti che richiedono un olocausto o un sacrificio espiatorio; dunque, non si dà mai un caso in cui si possa offrire un volatile difettoso. I difetti degli animali sono in egual numero e paralleli a quelli indicati per i sacerdoti (21, 18-20). La terminologia è la medesima, tranne per tre difetti («affetto da cecità», «mutilato», «affetto da ulcera»: v. 22) di difficile identificazione e che, con ogni probabilità fanno parte di un vocabolario specifico per gli animali, ritenuto non adatto agli esseri umani. Le eccezioni elencate al v. 23, che con ogni probabilità si devono intendere come menomazioni minori, come potrebbe essere un arto più lungo o più corto, sono valide solo per gli animali offerti in sacrificio spontaneo, ossia quelli per i quali non sussista alcun obbligo, legale o derivante da un voto. Le menomazioni dei testicoli

274

LEVITICO 22,23

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)) con valore impersonale, mentre la Settanta esita tra noL~GHç «farai» (testimoni più

capitolo 22. La disposizione riguarda un tipo di sacrificio, quello per ringraziamento, che fa parte dei sacrifici di comunione e che era, verosimilmente, il più frequente tra i sacrifici offerti dagli Israeliti. L'esortazione conclusiva (vv. 31-33) riprende tanto 22,2, ripresentando il tema della profanazione del nome di YHWH, quanto 19,2, di cui richiama il tema della santità di YHWH e della conseguente santità di Israele. Il riferimento all'evento principale della storia della salvezza chiude il capitolo e costituisce un legame tra la sesta sezione (17,1-22,16) e la settima (22,17-33). L'esodo dall'Egitto viene presentato come facente parte della definizione stessa che YHWH dà di sé, e ha come scopo il rapporto privilegiato che lo lega a Israele: «essere Dio per voi».

L'ANNO LITURGICO; IL BESTEMMIATORE E LA LEGISLAZIONE RELATIVA (23,1-24,23) L'ottava sezione del Levitico può essere suddivisa in tre pericopi: il capitolo 23, caratterizzato dalla descrizione del calendario liturgico. Nonostante la suddivisione in più discorsi di YHWH, il capitolo ha un'unità contenutistica che rende appropriato considerarlo un'unità. 24, l-9 tratta dei riti da osservarsi nel santuario a scadenze regolari, quotidiane o settimanali. 24, l 0-23 è un'inserzione narrativa, cui è unita una serie di disposizioni legislative riguardanti vari casi di rilevanza penale. 23,1-44 Il calendario sacro Il capitolo 23 è diviso in cinque discorsi di YHWH ( vv. 1-8; 9-22; 23-25; 26-32; 33-43), nei quali viene presentato un calendario contenente le feste, le date in cui

277

LEVITICO 23,3

ne farete avanzare fino al mattino. Io sono YHWH. 31 0sserverete dunque i miei precetti e li eseguirete. Io sono YHWH. 32Non profanerete dunque il mio santo nome così che io venga santificato in mezzo agli Israeliti. Io sono YHWH che vi santifica, 33colui che vi fa uscire dalla terra di Egitto per essere Dio per voi. Io sono YHWH"».

23

parlò a Mosè: 2«Parla agli Israeliti e spiega loro: "Le riunioni di YHWH che proclamerete come sacre proclamazioni; sono queste le mie riunioni. 3Per sei giorni ci si dedicherà al lavoro, ma nel settimo giorno ci sarà un riposo assoluto, una sacra proclamazione; non vi dedicherete a nessun lavoro; il sabato è per YHWH in tutti i vostri luoghi di residenza. 1YHWH

antichi) e TIOl~O€':€ «farete» (minuscoli; cfr. anche Peshitta e Vulgata). La stessa differenziazione delle varianti indica che si tratta di tentativi di migliorare un testo ritenuto difficile, tanto più che i testi del Codice di santità hanno una predilezione per le forme

passive. Il Testo Masoretico va chiaramente mantenuto. Riposo assoluto (linf~ n:;~~) - Cfr. nota a 16,31. •!• 23,3 Testi affini: Lv 19,30; 26,2; Es 31, 15; 35,2

devono essere celebrate e le offerte da presentarsi in esse. Tutto il capitolo è rivolto agli lsraeliti, che sono coinvolti in prima persona nell'osservanza delle feste. Ogni discorso riguarda una diversa festa o ciclo festivo, tranne il primo, che prende in considerazione tanto il sabato che la Pasqua con la collegata festa degli Azzimi (vv. 1-8). Viene poi la festa dell'offerta del primo covone, con la collegata festa delle Settimane (vv. 9-22). Al terzo posto (vv. 23-25) si trova la sacra proclamazione del settimo mese, corrispondente alla festa postbiblica di ros hassiina («Capodanno») del calendario più recente, che iniziava con il mese di Tishri (settembre-ottobre). Le prescrizioni per la festa del giorno dell'Espiazione (yom kippur) occupano il quarto posto (vv. 26-32), mentre al quinto posto (vv. 34-43) viene la liturgia per la festa delle Capanne. Il v. 44 chiude l'elenco delle feste. La disposizione delle feste segue quella di un calendario stagionale, che inizia a primavera con la Pasqua (cfr. Es 12,2). Le prescrizioni relative al sabato precedono tutte le altre per l'ovvia ragione che il ciclo settimanale è svincolato dal calendario. 23,1-8 Il sabato e la Pasqua Dopo i due versetti introduttivi (vv. 1-2a) il testo è strutturato in tre parti: i vv. 2b-4 introducono in modo generale la tematica (il v. 2b è una sorta di titolo) ed enunciano la legge sul sabato, isolata al centro (v. 3); la ripetizione di alcune parole chiave crea una struttura chiastica di tali versetti, che mette in rilievo tale centralità del sabato: A) v. 2a~: «proclamazioni»; B) v. 2b: «sono queste le mie riunioni»; C) v. 3aa: «per sei giorni ci si dedicherà al lavoro»; X) v. 3a~: «ma nel settimo giorno ci sarà un riposo assoluto, una sacra proclamazione»; C') v. 3b: «non vi dedicherete a nessun lavoro ( ... ) in tutti i vostri luoghi di residenza»; B ')

278

LEVITICO 23,4

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23,4 Nel tempo stabilito (C"!P.i~f) -Quest' accezione del termine ,p;~ è pure molto comune (cfr., p. es., Gen 17,21; 18,14). 23,5 Nel primo mese (1itDI!t")ty tDlh:;l)- Il mese in cui si celebra la Pasqua è così definito in accordo con quanto stabilito in Es 12,2. Es 13,4 dà a questo mese il nome cananeo di :::l':::l~ («spiga di granm>; cfr. Lv 2,14), ma è una caratteristica tipica (non esclusiva) dei testi Sacerdotali non usare nomi per i mesi, ma chiamarli con un ordinale: è almeno pos-

sibile che tale scelta sia dovuta al desiderio di evitare nomi che evocassero assonanze paganeggianti. I nomi babilonesi dei mesi, che sono quelli tuttora usati nel calendario ebraico, sono impiegati in testi chiaramente postesilici (cfr., p. es., Ne 2, l; 6, 15), ma la struttura del calendario lunisolare babilonese, con il capodanno a primavera, era comunque conosciuta nel Vicino Oriente antico settentrionale. Generalmente si assume che questo fosse il calendario utilizzato nei testi Sacerdotali.

v. 4aa: «Queste sono le riunioni di YHWH>>; A') v. 4ap: «le sacre proclamazioni». I vv. 5 e 6a, al centro del discorso, fissano la data della Pasqua e dell'inizio della festa degli Azzimi, mentre i vv. 6b-8 applicano alla Pasqua e alla festa degli Azzimi le regole sabbatiche dell'astinenza dal lavoro e della sacra proclamazione. L'introduzione del sabato in questo contesto ha suscitato perplessità perché nel sommario finale del v. 38 esso è esplicitamente escluso dal numero delle «sacre proclamazioni», ossia delle feste che devono essere annunciate al popolo, mentre il v. 3 lo definisce esplicitamente in questo modo, mostrando così che il significato dell'espressione ha subito una mutazione, dato che la cadenza regolare del sabato rende inutile una proclamazione esplicita. È chiaro dunque che, in questo contesto, l'espressione assume il significato fisso di «festa liturgica». Il sabato poi non cade sotto la categoria delle «riunioni»; la menzione di esso sarebbe stata introdotta in questo contesto e dotata di un particolare rilievo dal redattore del Codice di santità, che avrebbe così integrato nel suo lavoro un calendario liturgico più antico, evidentemente Sacerdotale. Lo stesso vocabolario (sabbat sabbiitòn) ricorre anche nelle due menzioni del sabato che si trovano in Es 31,15 e 35,2, che presumibilmente derivano dalla stessa tradizione che ha composto il Codice di santità. L'importanza del sabato è messa in evidenza, nello stesso Codice di santità, in Lv 19,3.30; «osservate i miei sabati» e 26,2: «osservate i miei sabati e abbiate riverenza verso il mio santuario», dove il sabato è addirittura preposto al santuario stesso. Anche in Es 31,13-17 e 35,2 le menzioni del sabato hanno la funzione di

279

LEVITICO 23,8

Queste sono le riunioni di YHwH, le sacre proclamazioni che proclamerete nel tempo stabilito. 5Nel primo mese, il quattordici del mese, al tramonto, è la Pasqua di YHWH, 6e nel quindicesimo giorno del mese è la festa degli Azzimi per YHwH; per sette giorni mangerete azzimi. 7Nel primo giorno si terrà per voi una sacra proclamazione. Non vi dedicherete a nessun lavoro manuale 8e presenterete un dono a YHWH per sette giorni. Nel settimo giorno vi sarà una sacra proclamazione. Non vi dedicherete a nessun lavoro manuale"».

4

Al tramonto (c;~;~~ 1':::!)- Alla lettera: «tra le due sere}>. Il significato dell'espressione si ricava soprattutto dal parallelo di Es 30,8, in cui al sacerdote Aronne viene ordinato di accendere le lampade della dimora «tra le due sere}>, ossia, evidentemente, al tramonto. 23,7 Lavoro manuale- I due termini i1:::~t,~ e :-t"')~P. pur indicando entrambi il co~cett~ di «lavorm}, non sono esattamente sinonimi: :-t:::xt,~ è il termine generico per indicare il la~o;o', mentre:"!"')~~. per la sua connessione

etimologica con il verbo i:lll da cui deriva il sostantivo i::Jl', «schiavo}>, è più spesso connesso con Ì'ldea del lavoro pesante o «servile}>. L'espressione :-t~N'{~-',f (v. 3) dev'essere intesa come l'esclusione da ogni tipo di lavoro, caratteristica del sabato e del giorno dell'Espiazione (cfr. 16,29), mentre quella del testo in analisi riguarda l' esclusione del solo lavoro pesante o fisico. •!• 23,5-8 Testi affini: Es 12, 1-20; 23,14; N m 28,17-25

sottolineare che il lavoro di costruzione della «dimora}} non è una giustificazione sufficiente per trascurare l'osservanza del sabato. Con tale collocazione il sabato prende un'importanza preminente anche sulle altre grandi feste. Si tratta di una celebrazione che, nella prospettiva di questo capitolo, non richiede sacrifici particolari, come invece accade in Nm 28,9-10, ma si compie da parte degli Israeliti in «tutti i (loro) luoghi di residenza» osservando il riposo. La prospettiva teologica particolare del Codice di santità è così messa in speciale evidenza. Per la concezione fondamentale che la tradizione Sacerdotale ha del sabato, esso è prima di tutto un dono di Dio, indipendente dal corso dei cicli astronomici naturali: è l'unica realtà inanimata che riceva la benedizione di Dio; egli dona agli uomini un giorno che sia particolarmente connesso con la vita, della quale la benedizione è dono. Attraverso questa benedizione Dio separa il sabato dal resto dei giorni e lo dichiara sacro (Gen 2,3; Es 20,11) analogamente a quanto fa per l'altare e per la «dimora» (Es 29,44 ). Con il v. 5 si entra nel calendario liturgico propriamente detto, fissando in primo luogo la data della Pasqua e della connessa festa degli Azzimi: le norme relative si trovano in Es 12,1-20 e in Nm 28,16-25; qui sono date per presupposte. Il quattordici del primo mese «tra le due sere», cioè al tramonto, viene celebrata la festa di Pasqua. Il giorno successivo (il quindici del mese) inizia la festa degli Azzimi, che dura una settimana. In generale si ammette che la Pasqua e la festa degli Azzimi fossero originariamente due feste diverse, unite in un secondo momento. La prima sarebbe stata una festa legata al mondo pastorale e connessa a riti apotropaici volti a

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LEVITICO 23,9

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23,33-43 La festa delle Capanne L'ultima pericope del capitolo unisce le prescrizioni relative alla festa delle Capanne alla conclusione genemle del calendario, struttumndosi in forma concentrica: A (vv. 3334a): introduzione e ordine dato daYHWH a Mosè; B (vv. 34b-36): prescrizioni per la festa delle Capanne; X (vv. 37-38): conclusione genemle del calendario; B' (vv. 39-43): prescrizioni per la festa delle Capanne; A' (v. 44): esecuzione dell'ordine da parte di Mosè. La festa è designata con il nome particolare di «festa delle Capanne» (cfr. Dt 16,13.16; 31,10); Es 23,16 le attribuisce il nome di «festa del raccolto», mentre in l Re 8,2.65 e in altri testi esilici e postesilici è definita come «la festa» per eccellenza. La sua preminenza è presumibilmente dovuta al fatto che è l'ultima celebrazione dell'anno agricolo, dopo la conclusione dei lavori nei campi (v. 39). Questa circostanza le fece assumere un tono di gioioso ringmziamento per i frutti della term e di impetrazione per l'abbondanza delle piogge invernali, essenziali per l'agricoltura. La festa dura sette giorni, cui si aggiunge eccezionalmente un ottavo giorno di riposo e di celebrazione, designato con il nome speciale di {{adunanza>> (ebraico, 'fl$eret; v. 36). I vv. 34-36 precisano il calendario della festa, la preminenza del primo e dell'ottavo giorno, camtterizzati dall'astinenza non assoluta dal lavoro, e l'obbligo di presentare sacrifici, la cui entità è elencata in Nm 29,12-38. Si tratta della festa di pellegrinaggio per eccellenza, in particolar modo dopo la centralizzazione del santuario. L'ottavo giorno è una camtteristica specifica di questa circostanza, e una probabile aggiunta ad

289

LEVITICO 23,38

YHWH parlò a Mosè: 34«Di' agli Israeliti: ''Nel quindicesimo giorno di questo settimo mese è la festa delle Capanne; sette giorni per YHWH. 35Nel primo giorno, una sacra proclamazione; non vi dedicherete a nessun lavoro manuale. 36Per sette giorni presenterete un dono a YHWH; il giorno ottavo vi sarà per voi una sacra proclamazione e presenterete un dono a YHWH. È un'adunanza; non vi dedicherete a nessun lavoro manuale. 37Queste sono le riunioni di YHWH che proclamerete come sacre proclamazioni per presentare doni a YHWH: olocausti e ablazioni, sacrifici e libagioni, secondo il programma di ciascun giorno, 38oltre i sabati di YHWH, le vostre regalie, i vostri voti e i vostri doni spontanei che offrirete a YHWH. 33

e le loro libagioni») per quanto riguarda i primi due sostantivi non è dovuta a un diverso testo ebraico, ma al desiderio di dare una traduzione più fluida (anche la Vulgata traduce al plurale). La Settanta, comunque, colpisce per l'assenza di i1r;'l~~. «oblazione», forse dovuta a una consapevole omissione del redattore della Settanta, imbarazzato dall'inconsueto ordine olocausto - oblazione - sacrificio - libagione, senza rendersi conto del fatto che

è proprio questo l'ordine tenuto nei cc. 1-3. 23,38 Regalie (C~'r}iln~) - In Levitico il sostantivo è presente solo qui. In Nm 18,29 questo stesso termine è riservato a tutte le spettanze che i !eviti ricevono dal popolo di Israele, dalle quali devono prelevare la decima. Verosimilmente si tratta di una parola generica per indicare tutte le offerte possibili, sacrificati o meno; solo in seguito ne vengono specificate due categorie: i voti e le offerte spontanee.

essa, dato che i riti propri della festa, e in particolare l'obbligo di abitare in capanne, durano solo sette giorni (cfr. vv. 39; 41 e 42), mentre per l'ottavo è prescritto solo un rituale sacrificale (cfr. Nm 29,35-38). È una sorta di giorno supplementare di ringraziamento e di intercessione. La preghiem per la pioggia e l'offerta d'acqua connessa alla festa delle Capanne divennero in modo particolare importanti in epoca postesilica (cfr. Gv 7,3 7), ma il testo in analisi non ne fa menzione. I vv. 37-38 formano il sommario del calendario contenuto nel capitolo 23. È in modo particolare notevole il fatto che questa chiusum del calendario, propria del Codice di santità, si riferisca, come a cosa nota, al programma dei sacrifici presente nel Codice Sacerdotale (cfr. Nm 28-29): ulteriore elemento in favore dell'idea che il Codice di santità supponga il Codice Sacerdotale e non viceversa. Nell'elenco dei sacrifici mancano quelli per la trasgressione, che pure fanno parte del programma di ogni festa. È probabile che, in questo caso, il termine «sacrifici» (zebal:z) non sia da intendere in senso tecnico di «sacrifici di comunione», ma indichi semplicemente le offerte cruente distinte dali' olocausto. D 'altronde, che la terminologia non sia tecnica è mostrato dalla sequenza «olocausti e oblazioni, sacrifici e libagioni», che non può essere presa in senso stretto, dato che le oblazioni non sono di esclusiva pertinenza degli olocausti, né le libagioni sono connesse solo alle altre forme di sacrifici. Il carattere di sommario conclusivo di questi versetti è accentuato dalla menzione di tutte le altre possibili offerte sacre, indicate dal termine «regalie», volutamente generico.

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LEVITICO 23,39

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23,40 Il prodotto di alberi ornamentali (,1;:t f,P ,,~) -Alla lettera: «il frutto di alberi ornamentali». La traduzione letterale è tradizionale {Settanta, Vulgata) e ha dato origine ali 'uso del frutto del cedro durante la liturgia di questa festa. Tuttavia la parola

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può avere anche il senso generico di «prodotto» (cfr. Dt 28,4: 11'.11?i)~ ,,'?,, «il prodotto del tuo bestiame>>). Il sostantivo piuttosto raro (quattro volte nel Testo Masoretico ), non è mai testimoniato come nome di un albero, ma esiste solo con il si-

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I vv. 39-43 riprendono la tematica della festa delle Capanne, precisando le osservanze proprie di essa che riguardano non specificamente il culto del tempio, ma le cerimonie proprie di tutto il popolo. Si ha in primo luogo la prescrizione di utilizzare per la festa rami di alberi ornamentali, e in secondo luogo quella di abitare in capanne (sukkot) durante i sette giorni della festa in questione. L'interpretazione del v. 40 è un altro problema che ha dato origine a scismi: i rami degli alberi menzionati devono essere utilizzati per costruire le capanne medesime, come ritengono i caraiti, o devono essere portati in segno di festa da coloro che partecipano alla celebrazione, come ritiene la tradizione maggioritaria, che ha dato così origine al rito de!lulab, il mazzo sacro che si agita ritualmente durante la festa? Il testo farebbe pensare piuttosto alla prima soluzione, anche se questo non è esplicitamente affermato; quest'interpretazione è testimoniata da Ne 8,15, mentre la seconda, che ha dato origine al rito attuale della festa, è adombrata in 2Mac l 0,6-7 e, soprattutto in Libro dei Giubilei 16,29-30 e sembra di conseguenza decisamente più tardiva. La collocazione strana dei vv. 39-43, posti dopo quella che è apparente-

291

LEVITICO 23,44

1n più il quindicesimo giorno del settimo mese, quando raccoglierete i prodotti della terra, festeggerete la festa di YHWH per sette giorni. Il primo giorno sarà di riposo e l'ottavo giorno sarà di riposo. 40Nel primo giorno prenderete il prodotto di alberi ornamentali: foglie di palma, rami di alberi frondosi e salici di torrente, e gioirete davanti a YHWH vostro Dio per sette giorni. 41 La celebrerete come festa di YHWH per sette giorni, ogni anno. Statuto eterno per le vostre generazioni. La festeggerete nel settimo mese. 42 Abiterete inoltre in capanne per sette giorni. Ogni oriundo in Israele abiterà in capanne. 43 Perché i vostri discendenti sappiano che in capanne ho fatto abitare gli Israeliti quando li ho fatti uscire dalla terra d 'Egitto. lo sono YHWH vostro Dio"». 44Allora Mosè comunicò agli Israeliti le riunioni di YHWH.

39

gnificato di «onore>>, «ornamento)). A ciò si aggiunga l'assenza della congiunzione davanti alla parola successiva (ntl~ «foglie))) e la presenza della medesima davanti >.

mente la conclusione della pericope, ha fatto pensare che essi siano un'aggiunta secondaria, anche se non necessariamente postesilica. A prescindere dalla valutazione che si vuole dare a quest'ipotesi, che ha un certo grado di plausibilità dal punto di vista d eli' origine del materiale in essa contenuto, occorre notare, in primo luogo, che i versetti in questione si giustificano con il fatto di precisare osservanze che coinvolgono tutto il popolo, una volta che siano state illustrate quelle che, riguardando la materia più direttamente cultuale, sono rivolte principalmente ai sacerdoti. In secondo luogo, è utile osservare che la struttura del testo è dal punto di vista letterario molto studiata: come nei vv. 2b-4 la prescrizione riguardante il sabato (v. 3) è intercalata tra l'introduzione generale del capitolo (v. 2b) e la ripresa della medesima (v. 4), così una struttura analoga è adottata al termine del capitolo stesso. La separazione delle due serie di prescrizioni riguardanti la festa delle Capanne non dev'essere dunque considerata come segno di trascuratezza compositiva; è al contrario uno strumento retorico per far risaltare l 'unità redazionale del testo.

292

LEVITICO 24,1

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Il 24,2-3 Testi paralleli: Es 27,20-21 24,2 Spremuto (n't:' :P) - L'aggettivo, derivante dalla radice nn:::l, si trova solo in riferimento all'olio (cfr. Es 27,20; 29,40; Nm 28,5; IRe 5,25.). La tradizione ebraica, con ogni probabilità a ragione, sostiene che si tratta dell'olio ottenuto dalla prima spremitura delle olive, nel mortaio e non nel torchio.

Per tenere accesa (ri'?p;:t'?) -Alla lettera: «per far salire)). · · 24,3 Aronne- Numerosi manoscritti, il Pentateuco Samaritano e la Settanta aggiungono «e i suoi figli)). Si tratta di un 'armonizzazione con Es 27,21, che va evidentemente respinta. All'esterno della cortina della testimonianza (n"!l1:-;T n:;:,~~ f1n~) - La curiosa frase, che non ha altre occorrenza nella Bibbia

24,1-9 I riti del santuario I vv. 1-9 del capitolo 24 sono dal punto di vista contenutistico collegati a quanto li precede: il calendario sacro determina i riti che sono da osservarsi nel santuario a scadenze regolari. Si è spesso affermato che il testo in questione sia un'inserzione proveniente da una fonte Sacerdotale, forse rielaborata dai redattori del Codice di santità, come potrebbe far supporre qualche elemento di vocabolario. Il brano è tripartito: nei vv. 1-4 si danno istruzioni relative alla collocazione delle lampade nella tenda dell'incontro «con regolarità» (tiimid); nei vv. 5-7 Y HWH istruisce Mosè a proposito della confezione e della disposizione dei pani sacri; mentre nei vv. 8-9 si sancisce che tale disposizione dev'essere ripetuta ogni sabato «con regolarità}} (tiimfd) e si danno istruzioni relative alla consumazione dei pani da parte di Aronne e dei suoi figli, una volta che essi siano stati ritirati dal cospetto di YHWH. La descrizione del candelabro a sette braccia, che richiama nella forma un albero di mandorlo stilizzato, si trova in Es 25,31-40; 37,17 -24; il resoconto della sua collocazione in Es 40,9.24-25. Nm 8,1-4 contiene precisazioni sull'orientamento delle lampade. Il testo in analisi presenta delle ambiguità: il nome specifico ebraico m•noréì, che qui è tradotto con «candelabrm}, suppone che esso sia l'oggetto descritto in Es 25,31-40, e che dunque possa portare più lampade, e per la precisione sette; in effetti al v. 4 la parola «lampade>} ricorre al plurale (nerot). Questo però contrasta con quanto affermato dai vv. 2-3, che parlano di «una lampada}> (ner), al singolare. Si potrebbe trattare di un singolare collettivo oppure di una spia del fatto che, in origine, nel santuario c'era non un candelabro a sette braccia, ma un'unica lampada, eventualmente con sette lucignoli. In ogni caso è chiaro che l'oggetto descritto al v. 4 è lo stesso di cui si parla nel libro dell'Esodo: il versetto stesso, definendolo sinteticamente «il candelabro puro>>, suppone la conoscenza

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LEVITICO 24,5

4

parlò a Mosè: 2«0rdina agli Israeliti _di portarti olio d'oliva vergine spremuto per ummazione, per tenere accesa una lampada con regolarità. 3Aronne la disporrà ali' esterno della cortina della testimonianza, nella tenda dell'incontro, dalla sera alla mattina davanti a YHWH, con regolarità. Statuto eterno per le vostre generazioni. 4Disporrà le lampade sopra il candelabro puro, davanti a YHWH, con regolarità. 5Prenderai poi fior di farina e ne cuocerai dodici focacce; ogni 1YHWH

ebraica, si presenta come l'abbreviazione del testo di Es 27,21 (cfr. anche Es 30,6): «al di fuori della cortina che è davanti alla testimonianza». 24,4 Disporrà (1·W~)- La Settanta ha la seconda plurale (KocUOHt:, «accenderete»); anche tutti i verbi dei vv. 5-7, che sono alla seconda singolare, vengono volti alla seconda plurale. Cfr. la nota al v. 3: è un tentativo di

armonizzare il testo, attribuendo ad Aronne e ai suoi figli quello che il Testo Masoretico assegna al solo Aronne o addirittura a Mosè. Le varianti sono facilitanti e vanno respinte. Il candelabro puro (;"t'l:"l~;:t ;"t'l~!? ::t)- Questa frase ellittica, che si trova pure in Es 31 ,8; 39,37, dev'essere intesa come un'abbreviazione di ii;"!~ ::l;"tt Mi~~ «un candelabro d'oro puro» (Es 2s:31; 37', 17).

di Es 25,31. Se dunque non si interpreta il termine «lampada» dei vv. 2-3 in senso collettivo, il v. 4 appartiene a uno strato redazionale diverso dal contesto prossimo, e più vicino alla tradizione Sacerdotale che a quella del Codice di santità. È da notare che la medesima terminologia al singolare si trova nel passo di Es 27,20-21, parallelo a q1,1ello in analisi, e che, con ogni probabilità, dev'essere attribuito alla tradizione del Codice di santità. È verosimile che qui si sia in presenza di una tensione fra tradizioni liturgiche diverse: l 'una che preferisce un candelabro composto da un unico recipiente, l'altra che pensa piuttosto a un candelabro a sette braccia, costruito in modo tale da rappresentare l'immagine dell'albero sacro, a noi noto da documenti iconografici del Vicino Oriente antico sicuramente precedenti alla costruzione del primo tempio. Si tratta di tradizioni parallele, entrambe risalenti a epoche assai antiche, che il testo desidera conservare. L'uso di accendere una lampada nel santuario, come d'altronde quella di allestire una mensa con del cibo, si rifa all'idea che il santuario sia un'abitazione della divinità, nella quale si devono predisporre quegli oggetti necessari al suo benessere. Nei santuari delle popolazioni vicine tale usanza era intesa in senso molto materiale, e al dio venivano approntati giornalmente sontuosi banchetti, mentre nel tempio di Israele tale idea subisce una rilettura di tipo simbolico, per cui la lampada sacra diviene un simbolo di YHWH stesso nei suoi rapporti con la creazione, in quanto raffigura l'albero sacro: l'albero della vita decorato di simboli astrali, così presente nell'iconografia del Vicino Oriente antico. Un testo rilevante a riguardo, ancorché tardivo, è Zc 4, in cui il tema del candelabro e quello degli alberi sacri sono uniti. I dodici pani poi si caricano di rimandi alla teologia dell'alleanza. I vv. 5-7 prendono in considerazione questi dodici pani. Ognuno di essi contiene due decimi di efa, ossia dai quattro agli otto litri di farina: il doppio della

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LEVITICO 24,6

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razione giornaliera considerata sufficiente per un uomo (cfr. Es 16, 16). I pani sono disposti in due pile di sei pani ciascuna; in cima a ognuna di esse è disposto dell'incenso, definito «commemorazione» ('azkiira), il cui scopo verosimile è quello di essere bruciato sull'altare esterno, analogamente a quanto prescritto in Lv 2,2. Evidentemente quest'incenso tiene il posto degli stessi pani, dato che essi, non potendo essere offerti sull'altare perché lievitati (cfr. 2, Il), devono essere consumati dai sacerdoti. I pani in questione sono comunque definiti «un dono per YHWH», dunque sono a tutti gli effetti un'offerta sacrificale; in quanto «santissimi>), analogamente alle oblazioni di cui a 2,3.1 O e 6, l O e ai sacrifici per la trasgressione e di riparazione, regolati nei capitoli 6 e 7 godono di uno speciale trattamento, dovendo essere consumati in un luogo sacro dai sacerdoti. Il numero di questi pani e il fatto che, unici tra tutte le offerte, siano definiti un' «alleanza eterna)) ne mostra il valore di memoriale dell'alleanza stessa. Il termine ebraico b•rit (di solito tradotto con «alleanza») può anche indicare un segno esterno che commemori o ricordi tale alleanza. È questo il significato della frase b•rit '6/iim che, nel Pentateuco, oltre che qui al v. 8, ricorre a designare l'alleanza abramitica in generale (Gen 17,7.13.19), ma anche l'arcobaleno, segno dell'alleanza noachica (Gen 9,16), e l'obbligo che gli Israeliti hanno di osservare il sabato (Es 31,16). Il fatto poi che i pani debbano essere rinnovati di sabato è un ulteriore collegamento con la teologia dell'alleanza.

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LEVITICO 24,10

focaccia sarà di due decimi. 6Le disporrai quindi in due pile, sei per pila, sopra la tavola pura davanti a YHWH. 7Porrai su ciascuna pila incenso grezzo; servirà da commemorazione per il pane; un dono per YHWH. 80gni giorno di sabato lo si disporrà davanti a YHWH con regolarità, da parte degli Israeliti: un'alleanza eterna. 9Essa apparterrà ad Aronne e ai suoi figli, che ne mangeranno in luogo santo, perché è cosa santissima per lui tra i doni di YHwH: un diritto perpetuo». ln mezzo agli Israeliti uscì poi un tale, figlio di una donna israelita, suo padre però era egiziano: questo figlio di una (donna) israelita e un uomo israelita litigarono nell'accampamento, 10

non resta che n',:l, «alleanza>>. Tale termine può talora essere utilizzato anche per una realtà concreta, che rappresenti l'alleanza (l'arcobaleno in Gen 9,13 o il sabato in Es 31,16). Il 'Pane dev'essere inteso come un'«alleanza», nel senso che la sua collocazione è un obbligo che deriva dall'alleanza stessa come speciale relazione tra YHWH e il suo popolo. Ne mangeranno 0:17~~}) - Il pronome suf-

fisso ha imbarazzato alcuni scribi. Il Pentateuco Samaritano introduce un pronome suffisso femminile, che però è lezione facilitante (continua il femminile del verbo precedente e si riferisce al sostantivo n'1:l); il Testo Masoretico usa il pronome suffisso maschile, riferito in senso collemivo a cn.~ «pane)), per evitare di dire che i sacerdoti mangiano l'alleanza. •!• 24,5-9 Testi affini: Es 25,30; l Sam 21,4-7

24,10-23 Il bestemmiatore e la legge del taglione Questa pericope ha spesso creato problemi ai commentatori a causa della differenza di argomento che la distacca da quanto la precede (23, 1-24,9, contenente un calendario liturgico) e da quanto la segue (il c. 25 riguardante anch'esso questioni di calendario). Essa è composta da una sezione narrativa (la seconda del Levitico dopo l'incidente narrato in l O, 1-5), che racchiude una disposizione legislativa relativa alla legge del taglione e alle sue conseguenze giurisprudenziali. L'equiparazione tra straniero e oriundo presente in questa pericope rimanda alla visione teologica propria del Codice di santità. Per la problematica della collocazione del testo occorre trovare una spiegazione nel parallelismo esistente tra la sezione narrativa in questione e l'altro episodio narrativo presente in Levitico, quello di 10,1-5. È possibile, infatti, notare che quella narrazione è preceduta dal racconto della consacrazione dei sacerdoti e del santuario, che si compie in sette giorni e con sette riti, conclusa da un solenne rituale sacrificate collocato in un ottavo giorno (cc. 8-9), mentre il calendario liturgico (23, 1-24,9), che compie una consacrazione del tempo, si articola in sette feste ed è seguito dalla descrizione di un rituale, quello del candelabro e dei pani sacri. In entrambi i casi, dopo questa sequenza, è inserita la narrazione di una trasgressione: quella di Nadab e Abihu (l O, 1-5) riguarda i sacerdoti, che sono così ammoniti sulle conseguenze delle trasgressioni cultuali, mentre quella di 24, l 0-23 riguarda i laici, tanto Israeliti che stranieri, che sorio ammoniti sulle conseguenze

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LEVITICO 24, Il

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24,11 Pronunciò il Nome (c~m-n~ ... ~~·J) - Il verbo ~p~ ha prima di tutto il significato di «perforare», e poi assume figurativamente quello di «indicare», «designare», facendo una perforazione sulla cosa da designare (l'immagine è analoga all'italiano

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«puntualizzare» ). In questo senso è spesso usato con cW: cfr., p. es., Nm 1,17; Is 62,2. Forse potrebbe essere un eufemismo: l'uso dell'esplicito ':l':lp immediatamente dopo non è seguito dall'oggetto della maledizione. Così «pronunciò il Nome e maledisse»

di quelle azioni che li riguardano più da vicino: la profanazione del nome divino e, secondo l 'impostazione tipica del Codice di santità, l'offesa rivolta al prossimo. Quella che può essere considerata la seconda narrazione contenuta nel Levitico, dato che racconta un episodio vero e proprio e non riferisce semplicemente dello svolgimento di riti, comprende i vv. 10-12. Non è possibile separare la narrazione dal corpus di sette leggi che la segue: essa si pone come l'enunciazione del caso concreto che permette di legiferare, prima sul delitto di blasfemia, poi su delitti ad essa connessi. Commentatori di varie epoche, incuriositi dall'espressione «USCÌ», si sono chiesti se ciò implichi che il bestemmiatore in questione, essendo un mezzosangue, abitasse in un luogo separato rispetto al resto degli Israeliti; in realtà l'espressione si deve intendere nel senso di «apparve in pubblico». L'enfasi posta sulla non pura ascendenza israelitica del peccatore in questione dev'essere tuttavia evidenziata come il tentativo di sottolineare che un tale crimine dev'essere perseguito qualsiasi sia l'appartenenza etnica del malfattore. Il modo eufemistico con cui viene descritta la bestemmia non permette di chiarire a prima vista la natura precisa dell'atto: se cioè si tratti di una maledizione rivolta a Dio, oppure di un utilizzo blasfemo del nome di Dio per maledire qualcuno. Se fosse vero il secondo caso, sarebbe un argomento a favore dell'idea che in questo testo sia contenuta la concezione dell'impronunciabilità del nome di Dio. Dato che però al v. 15 si parla esplicitamente di «maledire Dio», è più probabile che il v. 11 e la prescrizione del v. 16 debbano essere intesi piuttosto in questo senso. D'altronde vi sono esempi biblici nei quali il nome di YHWH è utilizzato non in contesto sacrale, ma come semplice espressione beneaugurante di saluto comune nella vita quotidiana (cfr. Rt 2,4), e anche la proibizione di Es 20,7 sembra riferirsi a un uso spergiuro o ingannatore del nome di YHWH piuttosto che implicare un divieto assoluto di pronunciarlo.

297

LEVITICO 24,16

e il figlio della donna israelita pronunciò il Nome e maledisse. Allora lo portarono da Mosè; il nome di sua madre era Shelomit, figlia di Dibri, della tribù di Dan. 12Lo posero sotto custodia finché fosse loro chiara (la situazione) per bocca di YHWH. 13YHWH parlò a Mosè: 14«Fa' uscire il bestemmiatore fuori dall'accampamento; tutti coloro che hanno udito impongano le mani sulla sua testa e tutta la comunità lo lapidi. 15Poi dirai agli Israeliti: "Chiunque maledica il suo Dio sarà gravato dalla pena, 16e chi pronuncia il Nome di YHWH sarà messo a morte, lo lapidi senz'altro tutta la comunità. Sia straniero che oriundo, dato che ha pronunciato il Nome, sia ucciso. 11

equivarrebbe a «maledisse il Nome». L'idea di un eufemismo spiegherebbe anche leprescrizioni dei vv. 15-16 senza far pensare che il testo sottenda già l'idea dell'impronunciabilità del nome di YHwH. •:• 24,11 Testi affini: Es 22,27

24,12 Finché fosse loro chiara la situazione «per il chiarire per loro». Il verbo è raro e non ha altre attestazioni al qal. Altre occorrenze in coniugazioni diverse (Nm 15,34 pual; Ne 8,8 pual; Ez 34,12 nifal) danno questo significato.

(cry7 l!i""lEl':l) -Alla lettera:

I tre nomi· propri contenuti nel v. 11 hanno suscitato la curiosità dei commentatori, perché possono essere intesi come «nomi parlanti». In questo caso l 'innominato bestemmiatore risulterebbe essere figlio di «Retribuzione» (s'lomit), nipote di «Processo» (dibra; cfr. Gb 5,8), della tribù di «GiudiziO)) (diin). La cosa è evidentemente ]ungi dall'essere dimostrata, ma il fatto che i tre nomi appartengano allo stesso campo semantico merita di essere segnalato. Prima della lapidazione i testimoni impongono le mani sulla testa del condannato. L'interpretazione del gesto ha suscitato discussioni. Si è detto che si tratterebbe di un atto in cui i testimoni designano il colpevole di un atto così estremo e lo indicano come condannato a morte; tuttavia, nel caso analogo di Nm 15,32-36- in cui un uomo che ha violato il sabato viene lapidato dalla comunità sulla base di una sentenza divina, pur essendovi dei testimoni che compiono addirittura l'arresto del colpevole in questione -l 'imposizione delle mani non viene compiuta. È più probabile che in questo caso il gesto abbia un significato analogo a quello compiuto dal sacerdote Aronne sulla testa del capro emissario del giorno dell'Espiazione (cfr. 16,21 ). Se questo è il senso del gesto, esso potrebbe implicare l'idea che la bestemmia generi in chi l'ha udita una colpevolezza che dev'essere scaricata su colui che l 'ha effettivamente pronunciata. I versetti successivi prendono spunto dali' episodio narrato per fissare alcune regole generali: la pena di morte è inflitta al bestemmiatore, e si precisa che non deve essere fatta distinzione tra Israelita e straniero residente. La precisazione non è ripetuta nelle prescrizioni successive, ma è posta come conclusione di esse al v. 22 ed è ovvio che debba essere considerata implicita in tutti i casi. Apparentemente il v. 15 e il v. 16 presentano due casi diversi: colui che maledice Dio (in segreto?) e colui che pronuncia il suo nome. Nel primo caso la colpa

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LEVITICO 24, I 7

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:ilt,'P O'~fl~1 VWD O'~~iJ I1i)fW V~\tZ 'Q7 ~7 ~:i/1 25,5 La germinazione spontanea (r!'~t;))- Il sostantivo deriva dal raro verbo n5:lO, attestato con il significato di «aggiungere», «unire» (cfr. 13,2), e, oltre al contesto presente (qui e al v. 11), si trova in Gb 14,19, dove apparentemente indica lo «sgorgare» delle acque e in 2Re 19,29 (parallelo a Is 37,30), dove si parla del prodotto spontaneo del suolo e si fa distinzione tra quello del primo anno, indicato con questo termine, e quello del secondo anno indicato con il sostantivo ?D•no/o•n1!i. l grappoli delle tue vigne non pot~te - Alla lettera: «i grappoli dei tuoi consacrati». Il sostantivo ,,T~ «separato», «consacrato», a sua

volta derivante dalla radice ,T~ «separare» «dedicare», riferito alle vigne è usato solo in questo contesto (vv. 5 e 11). La Settanta interpreta r~v aracpuÀ~v rofl àyuwjlarOç aou «il grappolo della tua consacrazione»; si tratta di una traduzione curiosa, dato che l 'idea che questo riposo delle vigne debba corrispondere a una loro consacrazione non ha senso. Per comprendere questa resa occorre forse pensare che la Settanta abbia interpretato la parola ,,T~ in riferimento alla consacrazione dei nazir~i descritta in N m 6. È però possibile che anche nel Testo Masoretico l'uso della parola ,,H riferita alle vigne possa essere un'al-

in quest'ultimo, però, la disposizione sul maggese non ha posto e tutta l'attenzione è rivolta alla remissione dei debiti, assente tanto in Esodo che in Levitico. Il testo di Levitico si presenta come uno sviluppo e una precisazione di quello di Esodo, in modo particolare perché Esodo impone il riposo alla terra del singolo proprietario, mentre in Levitico è tutta la terra nel suo complesso che riposa; per questo fatto la precisazione dell'Esodo secondo la quale il frutto del riposo deve andare agli indigenti scompare, dato che in tal modo essa potrebbe realizzarsi solo ogni sette anni; secondo il Levitico sono invece i membri della famiglia allargata e gli animali ad essa appartenenti che possono sfruttare il prodotto spontaneo della terra dalla quale dipendono, non avendo potuto lavorarla in quell'anno. L'anno sabbatico è definito un «riposo sabbatico» per la terra (per il significato dell'espressione idiomatica sabbat sabbiit{m nel senso di «riposo assolutm>, si veda il commento a 23,9-22). L'espressione del v. 4: «un sabato per YHWH» è di

303

LEVITICO 25,8

sabato per YHWH. 3Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo prodotto. 4Ma nel settimo anno vi sarà un riposo sabbatico per la terra, un sabato per Y HWH; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna, 5La germinazione spontanea di ciò che avevi mietuto non la raccoglierai e i grappoli delle tue vigne non potate non li vendemmierai; sarà un anno di riposo sabbatico per la terra. 611 (prodotto spontaneo del) sabato della terra sarà il vostro nutrimento: per te, per lo schiavo, per la schiava, per il salariato e per il colono che dimorano con te. 7Anche gli animali domestici e gli animali selvatici, che si trovano nella tua terra, avranno in cibo tutto il suo prodotto. 8Conterai poi sette settimane di anni: sette anni per sette volte; avrai un periodo di sette settimane di anni, cioè quarantanove anni. lusione al voto di nazireato: come i nazirei lasciano crescere liberamente i loro capelli, così nell'anno sabbatico le vigne vengono lasciate crescere liberamente e non vengono potate. Il Testo Masoretico legge '9TH· ossia una forma plurale con scriptio defectiva (per ì'~'q, forma testimoniata in alcuni manoscritti ebraici e al v. Il). Alcuni vorrebbero correggere nel singolare 1TP (correzione che potrebbe essere appoggiata sulla Settanta), oppure intendere la vocalizzazione del Testo Masoretico come una forma pausale singolare, per mantenere il parallelismo con 1T::O:i' («la tua mietitura») del primo emisti-

chio. Questa correzione potrebbe essere alla base della versione CEI: «l'uva della vigna che non avrai potata». Non sembra necessario procedere a una simile emendazione. 25,6 Il (prodotto spontaneo del) sabato della terra (f'lt:;-t M:;!~)- Alla lettera: «il sabato della terra». Cioè i frutti spontanei del suolo e della vite non possono essere fatti oggetto di lavori agricoli, ma ci si può comunque nutrire di essi. Il significato metonimico di f'lt:;"l n:;1~ per ~';'! n:;1~ ~::ll;l è chiarito dal v. seguente. •:• 25,1-7 Testi affini: Es 23, l 0-11; Dt 15,1-11 25,8 Settimane di anni (C'JWiT nh:ilt!i)- Cfr. nota a 23,15. . ''-

particolare importanza per il significato teologico della pericope. Oltre che nel Decalogo (Es 20, l O; Dt 5,13 ), essa è presente in particolare in Lv 23,3 e designa il sabato propriamente detto. La sua occorrenza qui riveste l'anno sabbatico della stessa sacralità: è un dono di YHWH fatto alla terra, come il sabato è un dono fatto agli uomini. Si può ulteriormente osservare che il parallelismo tra il sabato settimanale, che ha il suo inizio nella creazione, e l'anno sabbatico, il cui calcolo, secondo il v. 2, inizia dal momento del dono della terra, mette in parallelismo anche questi due eventi, che vengono così posti su un piano di analogia. Il giubileo (8-17) Il giubileo si svolge ogni cinquantesimo anno e comporta un secondo anno di riposo della terra, già lasciata senza coltivazione nel quarantanovesimo anno. Il segnale di inizio viene dato nel giorno dell'Espiazione di questo cinquantesimo anno, ossia il dieci del settimo mese. Il riferimento alle feste autunnali è in appropriato collegamento con l 'inizio dell'anno agricolo (si veda

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LEVITICO 25,9

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25,9 Allorafarai risuonare il segnale del corno

(,;lirzi tçl,~;:n)- L'uso del verbo ,::llJ hifil con ,Elirzi non si trova altrove; il verbo abituale in q~esto caso sarebbe infatti vpn. Un parallelo si puo trovare nel!' espressione ',;p ,,~11 «far passare la voce», «proclamare» (cfr. Es 36,6). Il segnale - La parola :"T~,it;l indica il «segnale» (d'allarme o di gioia; cfr. 23,24). 25,10 Il Cinquantesimo anno -Alla lettera: «l'anno del cinquantesimo anno». Un giubileo (',::li')- È una traduzione con-

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suetudinaria di un termine di etimologia non chiara. Si tratta tuttavia di una traduzione per certi aspetti fuorviante, introdotta da san Girolamo, che, traducendo iobeleus, rischia di collegare pseudoetimologicamente il sostantivo ebraico con il latino iubilum, dal verbo iubilare, che significa prima di tutto «schiamazzare con allegria». Il significato della celebrazione biblica e della parola ebraica è completamente diverso. Mantengo tuttavia la traduzione come tradizionalmente

il commento a 23,23-25). L'inizio del giubileo è segnato dal suono del como, da non confondere con quello della festa di inizio del settimo mese (cfr. 23,24), che si presentava anch'esso come uno squillo d'allarme (rrn 'a) eseguito però verosimilmente con la tromba. Il suono di inizio del giubileo è dato non appena si è compiuto il rito del giorno dell'Espiazione; è questo il significato che dev'essere attribuito alla frase «il dieci del mese», dato che 23,32 ha cura di precisare che questa solennità inizia alla sera del nove. Che l'inizio del giubileo sia rimandato al momento che segue i riti espiatori annuali è certo dovuto alla grande solennità dell'anno sacro, che non può essere iniziata senza un'adeguata purificazione. Si è molto discusso per sapere se l'anno giubilare debba essere considerato un anno sabbatico oppure no. In effetti, nel caso in cui non sia il settimo anno sabbatico ad essere un anno giubilare ma quello successivo, si avrebbero due anni consecutivi di proibizione dei lavori agricoli, e questo provocherebbe vari problemi. Come indicato sopra, i vv. 9-1 O sembrano esprimersi in questo senso: il quarantanovesimo anno, calcolato sulla base del calendario agricolo che va da autunno ad autunno, è quello sabbatico, mentre quello giubilare è il cinquantesimo, che inizia dopo il giorno dell'Espiazione. Si è cercato di aggirare questo problema affermando che il «cinquantesimo anno» del v. 11 è in realtà un numero tondo, che

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LEVITICO 25,13

Allora farai risuonare il segnale del como, nel settimo mese, il dieci del mese; nel giorno dell'Espiazione farete risuonare il como in tutta la vostra terra. 10Consacrerete quindi il cinquantesimo anno e proclamerete una remissione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo e ritornerete ognuno al suo possesso (originario): ritornerete ognuno alla sua casata. 11 È un giubileo: sarà per voi il cinquantesimo anno; non seminerete né mieterete le germinazioni spontanee e non vendemmierete le vigne non potate, 12 perché è un giubileo: sarà sacro per voi; mangerete il prodotto (spontaneo) del campo. 13 ln quest'anno del giubileo ognuno ritornerà al suo possesso (originario).

9

accettata, consapevole del possibile rischio di fraintendimento. La tradizione rabbinica (Rabbì Aqiba) ritiene che sia il nome del corno del caprone con cui è fabbricata la tromba rituale, testimoniato in fenicio come ybl, metonimicamente passato a indicare la celebrazione stessa; altri collegano il termine a una forma della radice ":l' «portare», «riportare»: è l'occasione in cui tutto è «portato» alla sua condizione originale, o al raro sostantivo ';!~:, che indica il fluire (ru-

moroso) delle acque (cfr. nota a 22,22). La Settanta fonde le due possibilità e interpreta àQ>ÉoEwç OTJf.U:ta(o: «annuncio di liberazione», condividendo evidentemente la nostra stessa incertezza. Comunque, al di fuori del presente contesto, il termine indica lo strumento musicale (cfr. Es 19,13 e il c. 6 di Giosuè, soprattutto al v. 5 che parla esplicitamente di un ';l;J.i•iJ n.p, traducibile con «corno di montone»), la qual cosa farebbe propendere per la prima interpretazione.

si riferisce allo stesso anno sabbatico-giubilare, ma questo non sembra giustificato nel testo, che è molto esplicito. Il problema sorge con l'obiezione degli Israeliti immaginata al v. 20, cui YHWH dà risposta ai vv. 21-22. Se infatti il settimo anno è quello sabbatico e l'ottavo è quello giubilare, è corretto che YHWH affermi che la sua benedizione fa sì che il prodotto duri per tre anni (il sesto, ossia l'ultimo in cui si semina, il settimo, quello sabbatico, e l'ottavo, quello giubilare). Meno comprensibile è il fatto che il v. 22 affermi che nell'ottavo anno occorre seminare e, durante quest'anno, mangiare ancora del vecchio prodotto finché non si possa mangiare del nuovo nell'anno nono. Se fosse così, l'ottavo anno non potrebbe essere il giubileo, dato che in esso non si può seminare (v. Il) e, di conseguenza, il settimo anno dovrebbe essere tanto il giubileo che l'anno sabbatico. Questo però è in contraddizione con i vv. 9-1 O che distinguono le due celebrazioni. La controversia attuale non è per nulla nuova, risalendo alla contrapposizione tra i commentatori ebrei medievali: Rashi identificava i due anni mentre Nabmanide li distingueva. È probabile che la soluzione di quest'ultimo sia quella giusta, anche se non tutti i problemi vengono così risolti. Avremmo nel testo la compresenza di due calendari: quello religioso che iniziava a primavera, dal quale derivano i nomi dei mesi (cfr. v. 9: il «settimo» mese) e quello agricolo, che iniziava in autunno. Il

306

LEVITICO 25,14

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25,14 Se uno di voi vende un bene al suo prossimo- Alla lettera: «Se venderete un oggetto di vendita ognuno al tuo prossimo». La mancanza di concordanza tra il plurale del verbo e il singolare del pronome suffisso ha dato origine a lezioni facilitanti nel Pentateuco Samaritano e nelle versioni; tuttavia, qui

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>. 25,23 Definitivamente- Il sostantivo n\)'~~ (nella Bibbia ebraica solo qui e al v. 30) deriva dalla radice n~~. «opprimere>>, «eliminare>>; quindi n11~~';1 si può intendere: «fino

all'eliminazione>>. Sulla base di alcuni usi biblici e di un parallelo siriaco si ipotizza per la radice anche il significato «fare tacere (i l nemico)», quindi «fino al silenzio», «irrevocabilmente». La frase idiomatica si trova tale e quale (particolarmente nella formulazione del v. 30) in un parallelo ugaritico. •:• 25,23 Testi affini: Sal39,13; lCr 29,15 25,25 Ciò che suo fratello ha venduto- Alla lettera: «l'oggetto della vendita di suo fratello». •:• 25,25 Testi affini: Rut 4,1-12; Ger 32,6-9

nei confronti della quale egli comunque mantiene sempre un diritto di proprietà. Questo rapporto assoluto di proprietà è analogo ai diritti che, in Mesopotamia ma anche in Egitto, aveva il re: tutta la terra originariamente apparteneva alla corona e ritornava ad essa in caso di mancanza di eredi. In Israele la legge è riferita a YHWH a sottolineame da un lato la regalità, dall'altro ad affermare la sacralità della terra stessa, proprietà divina concessa al popolo (cfr. Nm 33,50-34,29). Il concetto di una proprietà divina della terra è un'antica idea semitica che conta numerosi paralleli nel diritto dei popoli vicini: essa fonda il possesso perpetuo che ne ha la corona, mentre, riel testo in analisi, il diritto regio è avocato a YHWH. 25,25-55 Il diritto di riscatto Questa proprietà divina fonda un diritto di riscatto perpetuo che ha alcune conseguenze sulle alienazioni provocate dai debiti. Le leggi relative sono esposte nei vv. 25-34 e introducono una nuova figura giuridica: quella del «riscattatore» (go 'el). Il testo dà per scontata la definizione di questo personaggio, che era un parente prossimo incaricato di proteggere i diritti di coloro che non avevano la possibilità di rivendicarli da sé. Tale figura entra in azione nel momento in cui qualcuno, a motivo di un debito, è costretto ad alienare parte della sua proprietà; per evitarne la dispersione, questa dev'essere rilevata da un «riscattatore». Il v. 25 pone alcune difficoltà interpretative a proposito dell' estensione esatta del suo ruolo. Ci si può chiedere infatti se il riscattatore abbia un semplice

310

LEVITICO 25,26

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tamente palese e potrebbe essere tanto il compratore che l'oggetto della vendita. Il confronto con le altre occorrenze della stessa terminologia chiarisce che il soggetto è il bene acquistato. Cfr. soprattutto i vv. 30.31.

diritto dì prelazìone, oppure se abbia l'obbligo di riscattare l'oggetto della vendita da un terzo che l'abbia compmto. Non è nemmeno precisato che cosa accada dopo che il riscattatore è entmto in possesso del bene: lo restituisce subito al proprietario, attende il giubileo, oppure ne diventa il proprietario definitivo? Sulla base del confronto con la fattispecie seguente- in cui l'assenza dì un go 'el causa l'insorgere di un diritto di riscatto da parte del venditore stesso, qualom egli si rimetta economicamente - qualcuno ha supposto che, anche in questo caso, come ai vv. 27 e 15-16, esista un diritto di riscatto da parte del proprietario originario nei confronti del go 'el, la cui entità sia proporzionale al numero degli anni che mancano al giubileo e si annulli quando il terreno ritorna al proprietario originario nel giubileo stesso. Tuttavia nel pamllelo di Ger 32,8 il cugino del profeta propone a Geremia l'acquisto di un campo sulla base del suo diritto di riscattatore; in quel caso si trotta solo di un diritto di prelazione e il campo in questione rimane definitivamente nel possesso del profeta. Anche il caso descritto da Rt 4 è istruttivo: il go 'el più prossimo rispetto a Booz dapprima intende usufruire del suo diritto, ma quando scopre che a quel diritto è connesso un obbligo di !evirato, che impedirebbe di far entmre in modo definitivo la terra da lui riscattata nel proprio patrimonio, ma la legherebbe ali' erede del morto, nato postumo dal matrimonio leviratico - rinuncia all'esercizio del suo diritto, divenuto a questo punto pregiudizìevole ai suoi interessi. In entmmbi i casi non è prevista la restituzione della proprietà al giubileo. Si è affermato che tale ritorno invece sia presupposto nel testo in analisi, dedicato specifica-

311

LEVITICO 25,31

Ma se qualcuno non ha un riscattatore, quando avrà la disponibilità e troverà la somma per il riscatto, 27consideri gli anni della vendita, restituisca il rimanente a colui cui ha venduto e ritorni al suo possesso (originario). 28 Se però non troverà la somma per restituire, l'oggetto della sua vendita rimanga a chi lo ha comprato fino all'anno del giubileo, quindi nel giubileo sarà libero e ritornerà al suo possesso (originario). 29Ma se qualcuno comprerà una casa di residenza in una città cinta da mura il diritto di riscatto per essa durerà fino al compiersi dell'anno dalla vendita: il diritto di riscatto per la casa durerà un anno. 30Se però non viene riscattata entro il termine di un anno intero, la casa che si trova in una città cinta da mura passerà definitivamente in possesso di colui che la ha comperata, per sempre; non sarà libera al giubileo. 31 Invece, le case dei villaggi non circondati da mura le si considererà come 26

25,29 Un anno (C'C~) - Alla lettera: «giorni». L'uso di Ci' al plurale per indicare il periodo di un anno è ben attestato (cfr., p. es., Gdc 17,10; lSam 1,21; 20,6). 25,30 Cinta- Leggendo, con il qerè, ;',; cfr. nota a 11,21.

25,31 Le si considererà (::lWn') - La terza persona singolare ha valore ..impersonale. Il Pentateuco Samaritano, la Settanta la Peshitta e i Targumim riportano un plurale, evidente lezione facilitante per semplificazione sintattica.

mente al giubileo stesso. Quest'implicazione tuttavia potrebbe non essere necessaria: si tratterebbe di un caso in cui la proprietà passa definitivamente ali' acquirente, in questo caso il go 'el, ed è svincolata dal giubileo, come nel caso del!' edificio posto in una città murata, di cui al v. 30. Il senso di questa disposizione, che privilegia l'interesse del clan rispetto a quello della famiglia, sarebbe con ogni probabilità quello di invogliare il go 'el ad avvalersi del proprio diritto. A quest'argomentazione si oppone di solito il fatto che, al v. 30, il definitivo passaggio della casa nella proprietà dell'acquirente è sancito con enfasi, mentre nel v. 25 di questo si tace, facendo pensare che valga anche per questi versetti la regola generale sancita al v. 13. L'interpretazione che esclude un ritorno alla proprietà originaria al giubileo sembra però più probabile perché si accorda con quanto si trova in Geremia, anche se è innegabile che il testo conservi una certa ambiguità. Per quanto riguarda colui che si vede così definitivamente privato dei propri beni, vale con ogni probabilità l'esortazione dei vv. 35-36, che vediamo applicata nel libro di Rut. I vv. 26-28 presentano una fattispecie completamente diversa: si tratta del caso in cui il venditore ridotto in povertà non ha un riscattatore. In questo caso ha un diritto di riscatto perpetuo, il cui controvalore è commisurato agli anni che restano al giubileo, e rientra in possesso della sua proprietà allo scadere del giubileo medesimo. Se il bene venduto è una casa situata in una città dotata di mura (vv. 29-30), esso è sottratto alla legge del giubileo, e anche il diritto di riscatto è limitato a un anno; se invece la casa è in un villaggio non dotato di mura (v. 31 ), ricadrà sotto la legge generale.

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LEVITICO 25,32

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=11#ll 'tn :11P,in1 i~ i:t T;li? 25,33 Quando poi colui che ha il diritto di riscatto è uno tra i /eviti (c•,7::q~ ';l!:_(~' iW!$1) -Vi è un problema relativo all'interpretazione della preposizione 1~. che può essere intesa come «da» o come «tra». Nel primo caso occorrerebbe dare al verbo ';lt(~ il significato di «comperare>> che però non è attestato nella Bibbia ebraica. Alcuni cercano di risolvere il problema pensando che, non essendo i leviti realmente proprietari di beni immobili, ma ricevendone alcuni in uso perpetuo nei territori delle varie tribù, quando un Israelita qualsiasi compra una casa da un levita, in realtà la riscatta, dato che essa appartiene pur sempre al patrimonio della sua tribù anche se, per esprimerci in termini moderni, solo come «nuda proprietà>>. La soluzione, mutuata dalla tradizione rabbini ca medioevale, è allettante ma forse troppo ingegnosa per essere davvero plausibile. Di un certo peso sono i commentatori che seguono la lezione della Vulgata si redemptae nonfuerint («se non sono state riscattate>>), che supporrebbe un testo ebraico originario ';lN~' t6, ma si tratta evidentemente di una i~~ione facili-

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tante con base testuale troppo ridotta. Una maggioranza di commentatori e versioni (tra cui quella promossa dalla CEI) interpreta 1~ nel senso di «tra>>: «uno tra i leviti>>. Altri riferiscono iWN1 a c';li.!l n';lN~ «riscatto perpetuo», del v~r-~~tto preced~~te, ma questo è reso molto improbabile dalla congiunzione copulativa che precede la particella relativa in questione e dalla mancanza di un pronome di ripresa. La struttura sintattica della frase suggerisce piuttosto che la relativa abbia un valore circostanziale (come compreso praticamente dalla totalità degli interpreti) e sia di conseguenza riferita a quanto segue e non a quanto precede. Mi pare che si possa interpretare la frase, che comunque non brilla per chiarezza, come ripresa e precisazione ulteriore di quanto detto al v. 32: i leviti hanno un diritto di riscatto perpetuo; di conseguenza, quando il venditore è un levita, è qualificato come «colui che riscatta», cioè colui che ha il diritto di riscatto, che può esercitare in ogni momento, e in ogni caso nell'anno del giubileo. Invero il verbo ';lN~ non si trova mai con il significato intransi-

È da notare che tutti questi casi di compravendita sono collegati alla situazione di impoverimento di un Israelita. I vv. 13-17, che sanciscono le regole generali, dovevano trovare applicazione essenzialmente in questi casi di impoverimento, data la resistenza che in genere si aveva a privarsi della proprietà ancestrale (cfr., p. es., l 'istruttiva storia del re Acab e della vigna di Nabot narrata in l Re 21 ). Le leggi relative alle case poste nelle città murate non si applicano alle città levitiche, nelle quali i !eviti godono sempre e comunque del diritto di riscatto, come sancito dai vv. 32-33. I pascoli comuni di dette città levitiche non sono poi alienabili. Nel nostro linguaggio li definiremmo un bene demaniale.

313

LEVITICO 25,35

poste in aperta campagna; vi sarà diritto di riscatto e (la casa) sarà libera al giubileo. 32 Per quanto riguarda le città dei levi ti, cioè le case delle città di loro possesso, i leviti avranno diritto a un riscatto perpetuo. 33 Quando poi colui che ha il diritto di riscatto è uno tra i levi ti, nel giubileo la casa oggetto della venditanella città di loro possesso - sarà in ogni caso libera, perché le case delle città dei leviti sono loro possesso in mezzo agli Israeliti. 34La campagna a pascolo comune delle loro città non si potrà vendere, perché è loro possesso perpetuo. 35 Se il tuo fratello cadesse in povertà e diventasse inadempiente nei tuoi tivo di «avere il diritto di riscatto», ma solo con quello transitivo di «riscattare», se non nel caso del participio qal ';i~~. che, oltre a significare «colui che riscatta qualcuno o qualcosa» (cfr. v. 25), è anche ben attestato, proprio in questo contesto, come indicante «colui che ha il diritto di riscatto» (v. 26; cfr. anche Rt 3,9.12), da cui poi l'accezione «parente stretto (che gode per antonomasia di questo diritto)»; cfr. N m 5,8. Tenuto conto del contesto, mi pare plausibile dare al verbo questo significato; per cui la frase contemplerebbe il caso in cui un !evita vende la casa a un'altra persona (non necessariamente levita) senza poi esercitare quel diritto di riscatto perpetuo che gli è attribuito dal v. 32. In questo caso il testo fa notare che la casa ricade nella legge generale del giubileo e non è sottoposta all'eccezione prevista dal v. 30 per le case site nelle città murate. Nella città di loro possesso- L'inciso è talora inteso come endiadi insieme a quanto precede («la casa e la città della sua proprietà», cioè: «la casa nella città ecc.»), ma per lo più corretto in in!r::t~ ,,11 n':;l «la casa della città»,

sulla scorta del parallelo intt:'~ '!~ '!:9 (cfr. v. 32). La correzione non ha base testuale ed è inutilmente armonizzante. Mi sembra più interessante intendere la frase come incidentale, eventualmente una glossa, comunque da non espungere. 25,34 Pascolo comune- Il sostantivo W,J~, dal verbo W,J «sospingere», «cacciar fu~­ ri» (gli animali) indica la campagna esterna alla città, né abitata né coltivata ma adibita a pascolo. I leviti avevano diritto a questi pascoli comuni dato che, non possedendo terre coltivabili, non potevano dedicarsi ali' agricoltura. •:• 25,32-34 Testi affini: N m 35,1-8; Gs 21,145; Ez 48,13-14 25,35 E diventasse inadempiente nei tuoi confronti (19.\1 i'1: :"II;Of?,)- Alla lettera: «la sua mano vacilla con te». L'espressione non si trova altrove, ma che indichi un rapporto di tipo economico è deducibile dal contesto (esclusione del prestito a interesse) e dal fatto che il sostantivo '1: è altrove utilizzato per indicare la disponibilità di beni (cfr., p. es., 14,30-32; 25,26.28).

A partire dal v. 35 si passa a un altro argomento, anch'esso relativo al giubileo: le leggi sui debiti. I vv. 35-38 riguardano un'ulteriore evoluzione del caso di impoverimento. È probabile che la situazione debba èssere ricostruita in questo modo: dopo un raccolto sfortunato, un contadino ha già venduto parte della sua terra per acquista!e la semente con cui far fruttare il rimanente dei suoi possedimenti. Un altro raccolto sfortunato lo costringe a contrarre un debito per acquistare la semente, dato che non ha più terra da vendere oltre a quella che deve seminare. La legislazione dei vv. 35-37 sancisce gli obblighi del creditore, quando il debitore divenga inadempiente. Si esclude l'interesse sul debito, anche se mascherato da vendita di

314

LEVITICO 25,36

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Come straniero colono (:::lttl'in, i~) - Si può intendere come un'endiadi (cfr. v. 23): non semplicemente uno straniero residente (i~), ma un colono che, pur non avendo il possesso della terra, può raggiungere una certa solidità economica (cfr. v. 4 7). Abramo si definisce così in Gen 23,4 mentre sta discutendo con gli Hittiti l'acquisto di una proprietà: non si tratta

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dunque di una persona sprovvista di capacità economiche. Il sintagma ha valore predicativo rispetto al i::l che precede immediatamente. La Settanta e Vulgata esplicitano con una preposizione (rispettivamente Wç npoolJÀmou e quasi advenam «come uno straniero»), che non deve essere intesa come attestazione di un altro testo ebmico (i:lf ).

beni di prima necessità, che il creditore opera nei confronti del debitore. I vv. 35-36 con ogni probabilità devono essere intesi nel senso che in seguito all'indebitamento il terreno del debitore passa nella proprietà del creditore, il quale però deve non scacciare da esso il precedente proprietario, ma mantenerlo come coltivatore salariato. Quest'ultimo assume dunque lo statuto di «straniero colono» (v. 47), ossia di un contadino che, pur non avendo il possesso pieno della terra, la lavora traendone profitto, e non semplicemente secondo lo statuto dello «straniero residente» (ger), di cui si parla in 19,33-34. Si tratta del gradino immediatamente precedente alla schiavitù per debiti. Anche in questo caso non è detto se la terra ritorna al precedente proprietario alla scadenza del giubileo oppure se rimane in possesso del creditore. Non trattandosi di un «riscattatore», ci sarebbe il rischio che la terra passi a un altro clan; è quindi verosimile che, in questo caso, la legge del giubileo venga applicata e la terra ritorni al precedente proprietario alla scadenza. La clausola finale del v. 35 («vivrà presso di te») di conseguenza dev'essere intesa non nel senso che il debitore entri a fare parte del personale del creditore, ma esprime la sua subordinazione: non è più un lavoratore indipendente, ma è un salariato. La schiavitù, per debiti è regolata dai successivi vv. 39-43: è l'ultimo stadio dell'impoverimento di un Israelita. Il testo non esplicita in quali circostanze si

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LEVITICO 25,43

confronti, tu lo sostenterai, come straniero colono, ed egli vivrà presso di te. 36Non pretenderai da lui interesse e remunerazione, ma avrai riverenza verso il tuo Dio, e tuo fratello vivrà presso di te. 3'7Non gli presterai il tuo denaro a interesse e non gli fornirai le tue vettovaglie ricavandone un compenso. 38lo sono YHWH vostro Dio che vi ha fatto usCire dalla terra d'Egitto per darvi la terra di Canaan, per essere vostro Dio. 39Quando tuo fratello cade in povertà nei tuoi confronti e si vende a te, non imporgli un lavoro servile; 40sia presso di te come un salariato straniero: lavorerà presso di te fino all'anno del giubileo. 41 Poi ti lascerà assieme ai suoi figli e ritornerà alla sua casata; ritornerà al possesso dei suoi padri. 42 Essi, infatti, sono miei schiavi che ho fatto uscire dalla terra d'Egitto. Non saranno venduti come si vende uno schiavo. 43 Non dominerai su di lui con asprezza, ma avrai riverenza verso il tuo Dio. 25,36 Interesse e remunerazione - L'uno è l'interesse vero e proprio sul prestito in denaro; l'altro è verosimilmente la plusvalenza dovuta al creditore per compensarlo della perdita di capitale causata dalle oscillazioni del valore di mercato delle derrate alimentari, come risulta chiaro dal versetto successivo. L'Israelita dunque non solo non

può esigere un interesse, ma deve anche prestare in perdita. •:• 25,38 Testi affini: Lv Il ,45; 18,3-5; 22,33; 25,55; 26,13.45 25,40 Come un salariato straniero - Cfr. 22, l Oe nota. •:• 25,39-41 Testi affini: Es 21,2-11; Dt 15,12-18; Ger 34,8-22

debba verificare questa fattispecie. Verosimilmente si tratta del caso in cui qualcuno non solo non è riuscito a ripagare il suo debito coltivando un possedimento ormai divenuto proprietà altrui, ma non ne ha nemmeno tratto il necessario per il suo sostentamento. Lo schiavo israelita gode di alcune garanzie, prima fra tutte quella di non poter essere gravato con lavori «servi li». Che cosa esattamente questo significhi non è detto; Filone ritiene fossero i lavori particolarmente pesanti mentre la tradizione rabbinica, forse a ragione, pensa a lavori umilianti quali il servizio personale al padrone. L'altra garanzia fondamentale è che a questo tipo di schiavi si applica pienamente il giubileo: alla sua scadenza ritornano alla libertà e alla proprietà originaria insieme a tutta la famiglia, cosicché il loro stato giuridico può essere paragonato a quello del salariato preso a giornata (siikir, cfr. v. 6) o del colono di cui al v. 35; in pratica quello che il padrone possiede non è la persona dello schiavo, ma la sua prestazione lavorativa. Prova ne sia il fatto che egli non ha il diritto di venderlo (v. 42). La legislazione ha un fondamento teologico: tutti gli Israeliti sono schiavi di YHWH in virtù dell'esodo; uno schiavo non può possedere un altro che sia schiavo del suo stesso padrone. La riverenza verso Dio, vero proprietario degli Israeliti, ispira un comportamento rispettoso nei confronti di questo tipo di lavoratori: non devono essere trattati «con asprezza» (v. 43).

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LEVITICO 25,44

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25,49 Oppure suo zio (ii"1-iN)- Dunque il > al v. Il prepara il ricorso dello sesso termine al v. 15. La serie delle benedizioni è conclusa da un ritorno al tema dell'alleanza: YHwH abiterà in mezzo al suo popolo. La formula esplicita dell'alleanza: «sarò per voi Dio e voi sarete per me un popolo» corona le promesse. Al v. 12 stupisce l'espressione «camminerò in mezzo a voi», che richiama il testo di 2Sam 7,6-7,

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LEVITICO 26,13

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26,13 Ritti (n~·~l?iP)- Alla lettera: «in drittezza>>. Il significato di questo termine, attestato solo qui e derivato dal verbo t::,p «stare ritto», «sorgere», è dato dali' etimologia e dal contesto. •:• 26,13 Testi affini: Lv 11,45; 18,3-5; 22,33; 25,38; 26,45 Il 26,14-43 Testi paralleli: Dt 28,15-68 26,15 Se (CII:,)- Una variante ben testimoniata (alcuni ·manoscritti ebraici e del ~en­ tateuco Samaritano, la Peshitta, la Vulgata e probabilmente la Settanta, che inizia la frase con à.U.ti) presenta l'asindeto CII: all'inizio della frase. La variante è suggestiva: si presenta come lezione più difficile e si adatta

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meglio all'indole enfatica del testo; perciò mi pare opportuno adottarla. 26,16 Vi farò investire, terribilmente -Alla lettera: «farò visitare su di voi terrore». Il sostantivo ì1S;:9 («terrore») non è l' oggetto diretto dei verbo; ha piuttosto un valore avverbiale. Gli oggetti diretti sono i due sostantivi seguenti, introdotti dal segno di accusativo. Consunzione (n~)- Solo qui e in Dt 28,22. Così reso sulla baSe di un termine arabo affine che indica la tisi; seguendo la tradizione dei traduttori, preferisco rendere in modo più generico. Febbre (Mr::t"'!jPiJ) - Solo qui e in Dt 28,22.

la profezia di Natan, nella quale YHWH afferma di non avere bisogno che David gli costruisca un tempio perché la sua abitudine è di «camminare» in una tenda insieme agli lsraeliti. Si può ipotizzare che si tratti del vestigio di un'epoca in cui il santuario dell'arca dell'alleanza non aveva una sede fissa. Il richiamo alla storia della salvezza presente al v. 13 si può intendere come la manifestazione della certezza della benedizione: com'è vero che YHWH ha salvato il suo popolo, così lo benedirà. 26,14-33 Le maledizioni provocate dalla trasgressione della Legge Se a YHWH non viene la «nausea» (v. Il) di fronte a Israele, è però possibile che Israele provi «nausea» (v. 15) per le regole e i precetti nei quali si esprime l'alleanza. Tali ribellioni provocano la punizione da parte di Y HWH. Le maledizioni occupano uno spazio molto più ampio rispetto alle benedizioni, come accadeva anche nei documenti legislativi della tradizione del Vicino Oriente antico. Inoltre, non sono un semplice rovesciamento delle benedizioni, presentandosi in cinque gruppi (vv. 14-17; 18-20; 21-22; 23-26; 27-3 3), ognuno introdotto da una condizione legata alla disobbedienza

323

LEVITICO 26,19

lo sono Y HWH vostro Dio che vi ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, perché non foste più loro schiavi, e ho spezzato le sbarre del vostro giogo facendovi camminare ritti. 14Ma se non mi ascolterete, non eseguirete tutti questi precetti, 15 • ' se disprezzerete i miei statuti e se vi verranno a nausea le mie regole, così da non eseguire tutti i miei precetti, rompendo la mia alleanza, 16anch'io agirò così: vi farò investire, terribilmente, dalla consunzione e dalla febbre, che consumano gli occhi ed estenuano la vita. Seminerete invano il vostro seine e ne mangeranno i vostri nemici: 17 mi volgerò contro di voi e sarete percossi di fronte ai vostri nemici; coloro che vi odiano vi domineranno e fuggirete senza che vi sia alcuno a inseguirvi. 18 Se poi fino a quel punto non mi avrete ascoltato, io continuerò a punirvi sette volte di più per le vostre trasgressioni. 19 Spezzerò la superbia della vostra forza, renderò di ferro il vostro cielo e di rame la vostra terra; 13

La derivazione dalla radice n'1p «ardere», «accendere» rende plausibile la traduzione. Estenuano (n:J.''10)- Participio hifil dal verbo :::l1'1, forma sec.ondaria di :::l~'1, «strugger'si», «consumarsi)). Il significato è stabilito sulla base di paralleli semitici. 26,17 Vi domineranno (C::l:::l ,.,,,)-La Settanta porta oLW/;ovt«L {,.taç ; VJW ;,:bo O:J';l' 'T-1!>0'1 .,; l'bl.V; 'l'Oi11 o:,nn;,:l-nN hn''Ì:Ji11 Il'."

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26,42 De/l 'alleanza con Giacobbe - Qui e nella frase successiva la desinenza del sostantivo n·,~ potrebbe essere intesa come un pronome· suffisso («la mia alleanza»). Però l'eventualità che un sostantivo in stato costrutto sia separato dal suo nomen regens da un pronome suffisso è molto rara; cfr. 6,3. Più verosimilmente si tratta di una forma arcaica di desinenza di stato costrutto, presente con questo sostantivo anche in Ger 33,20;

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> in 5,15 e più volte nel capitolo 27. Nel capitolo 27 ritornano poi precisazioni sulla materia sacrificale, in modo particolare sulla destinazione degli animali offerti in voto, che ha la sua trattazione prinCipale nei capitoli 1-7. Un'ulteriore osservazione porta ad affermare che il capitolo non può essere inteso come un'aggiunta molto posteriore: la valutazione in cinquanta sicli per un uomo adulto corrisponde a quella del tributo imposto al regno di Samaria da parte dell'Assiria (2Re 15·,20) e, verosimilmente, corrispondeva al prezzo di mercato di uno schiavo. In epoca esilica e postesilica tale prezzo era però raddoppiato; quindi questa valutazione ha senso se riferita all'ottavo e settimo secolo. La struttura del capitolo 27 è piuttosto evidente: dopo i due versetti introduttivi, il testo dà alcuni criteri per la valutazione delle persone (vv. 2b-8) e degli animali (vv. 9-13) offerti in voto. Al centro della pericope si trovano i criteri per la valutazione dei beni immobili che siano stati consacrati (vv. 14-24) e le conseguenze della legge del giubileo per queste disposizioni. Il v. 25, in collegamento con i vv. 2b-8, precisa il valore esatto del «siclo del santuario», mentre i vv. 26-33 presentano i casi particolari relativi alle persone e alle cose offerte in voto. 27,2b-8 Le persone offerte in voto Il testo non precisa la motivazione a causa della quale una persona può essere offerta in voto. Che il voto possa essere formulato non solo dalla persona sulla quale grava, ma anche da un terzo, risulta chiaro dal fatto che si prevede la possibilità di

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LEVITICO 27,8

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pronome suffisso indica la persona che ha fatto il voto, o l'autore del voto e la persona oggetto del voto stesso sono diverse e, dunque, il verbo va tradotto «e lo presenterà» (cfr. versione CEI). Ve-

rosimilmente il testo è aperto a entrambe le possibilità e, quindi, va tradotto in modo generico. 27,9 Si possono presentare (,:l'ii?~)- Alla lettera: «e presenteranno», da intendersi in senso

offrire in voto anche un bambino (D b~!P:iJ1 i1li1~? i.V71' iJ;~:~rn~ Wìi?~-~f. w~~1 14 -o~1 15 :o~i?; 1# HJ::>D il)~ 1~1!?~ ìW~9 VJ 1'?.~ :li'? 1'?. ;,;m ,~?~ ;:p1~-'ll??. n~w~Qn, 'lQ;i i.t;t~-n~ ~~~~ w~"ti?~D ~!?? ~P1~ i1,:;:t1 i1li1~? w~~ w~;ri?~ ilitD~ i1J.if'Q 1o~1 16 :i? n~~Q-o~ 17 ='li?# ~i?W o~'{!QQ~ o~1vip ì~i) V'1t W1I w~;ri?~N~~iliJ ìp~-o~118 :o~i?: 'IT:P1~:P ii1Jo/ w~;ri?~ ~?.!,D n1çi~D b~~o/iJ ~p,-~~ 'll?~D-n~ t6::>D ;?-:lWD1 . ~i11o/ i1Ìo/D-n~ l~~~~ ~~ro~1 19 =1?.1~9. V'J~~1 ~;l~D nt-o/ iP:i? om ,~?~ ;:p1~-'ll??. n~WQQ 'lQ;i i.t;:~~ w~;ri?~D l

27,16 Del fabbisogno di seme di questo (i.lli!) - Alla lettera: «del suo seme». Non si tratta del prodotto del campo, ma della



semente necessaria a seminario. Misurare in questo modo il valore di un campo era comune nel Vicino Oriente antico.

sostituire l'animale in questione con uno della stessa specie ma di qualità diversa. Se così fosse, la consacrazione dell'animale sostitutivo sembrerebbe avvenire solo in quest'ultimo caso ed essere concepita come Wla pena per Wl tentativo di frode. In ogni caso anche la sostituzione con Wl'animale migliore, che non si presenta come fraudolenta, porta a questa conseguenza. Dunque, la conclusione non dev'essere esagerata. Nel caso in cui l'animale non rientri tra quelli sacrificabili, la procedura da seguire ha degli aspetti che la rendono simile a quella descritta nel v. 8, che regola il caso della persona umana indigente: il sacerdote stabilisce, in modo non contrattabile, un prezzo sulla base del valore di mercato. In questo caso la valutazione serve verosimilmente a stabilire a quale prezzo il santuario può mettere in vendita l'animale in questione; se il compratore è però lo stesso che ha offerto l'animale, viene applicato un sovrapprezzo di un quinto del valore stabilito dal sacerdote. È importante notare che, contrariamente a quanto avveniva nel caso delle persone umane, in questo caso la valutazione è fatta sulla base del valore di mercato e non su una tariffa fissata per tutti, a marcare la differenza tra la persona dell'Israelita e i suoi animali domestici.

27,14-251 beni immobili consacrati Per quanto riguarda i beni immobili, case e campi, la legislazione Sacerdotale utilizza una terminologia diversa: parla di «consacrazione», con ogni probabilità un termine più ampio di >

LA CONSACRAZIONE DEL SANTUARIO E DEI SACERDOTI E l RISCHI

(8,1-10,20) >> 103 8,1-36 L'investitura dei sacerdoti e la consacrazione della «dimora» » 103 9,1-24 L'inaugurazione del ministero sacerdotale » 118 l O, 1-20 Gravità delle trasgressioni rituali e funzioni dei sacerdoti » 126 CHE ESSI CORRONO

(11,1-12,8) 11,1-47 La distinzione tra animali puri e animali impuri 12,1-8 La puerpera

GLI ANIMALI PURI E IMPURI E LA PUERPERA

» 136 » 136 » 155

(13,1-15,33) 13,1-59 La desquamazione: il corpo dell'Israelita e delle sue vesti 14,1-32 La desquamazione: il rito di purificazione 14,33-53 Norme sulla desquamazione delle case 14,54-47 Conclusione delle regole sulla desquamazione 15,1-33 Le impurità sessuali LE IMPURITÀ CHE ESCLUDONO DALLA SANTITÀ

pag. 158 )) 159 174 )) 183 )) 188 » 188 >>

» 16, 1-1 O Preparativi del rito » 16,11-20 I riti sacrificati e la manipolazione del sangue » 16,21-34 Invio nel deserto del capro emissario e riti conclusivi »

IL GIORNO DELL'ESPIAZIONE

(16,1-34)

Excursus: distinzione tra il Codice di Santità (17,1-26,46) e il resto della legislazione Sacerdotale LE CONDIZIONI FISICHE E MORALI PER LA SANTITÀ

(17,1-22,16)

17,1-16 Norme sul sangue 18,1-30 Le relazioni matrimoniali 19,1-37 Le esigenze della santità 20,1-27 Disposizioni penali 21,1-22,16 Norme per i sacerdoti GLI ANIMALI SACRIFICABILI (22,17-33) 22,17-25 I difetti delle vittime sacrificati 22,26-33 Norme generali sugli animali sacrificati e sul trattamento delle carni

200 203 206 209

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L'ANNO LITURGICO; IL BESTEMMIATORE E LA LEGISLAZIONE

(23,1-24,23) 23,1-44 Il calendario sacro 24,1-9 I riti del santuario 24,10-23 Il bestemmiatore e la legge del taglione RELATIVA

» 276 )) 276 )) 292 )) 295

LA PROPRIETÀ DIVINA DELLA TERRA; LE CONSEGUENZE

(25,1-27,34) . 25,1-55 L'anno sabbatico e il giubileo 26,1-46 Benedizioni e maledizioni 27,1-34 Tariffe per persone e cose consacrate

DELLE TRASGRESSIONI

)) 300

» 300 )) 318

» 332

IL LIBRO DEL LEVITICO NELL'ODIERNA LITURGIA Il lezionario festivo Illezionario feriale Conclusione

pag. 345

» 345 » 34 7 » 348