La macchina e le dimostrazioni: matematica, logica e informatica [1 ed.]
 8815012567, 9788815012562

Table of contents :
Introduzione
I. Quella favolosa macchina di Chicago
II. Le ideografie di Frege e di Peano
III. Il formalismo matematico
IV. La formalizzazione in informatica
V. La deduzione automatica
VI. La dimostrazione sul tovagliolo VII. Il teorema dei quattro colori

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GABRIELE LOLLI BIBLIOTECA

SISi

La Macchina e le dimostrazioni

Ad. D. F.

Matematica, logica e informatica

IL MULINO

Introduzione

« Ma se ci vogliono ventisette equazioni per stabilire che 1 è un numero, quante ne occorreranno per di-

mostrare un vero teorema? ». La risata di Poincaré risuona ancora oggi devastante contro le pretese di scrivere matematica in un linguaggio simbolico e si tra-

smette nella invincibile insofferenza del matematico per tutto quello che sa di linguaggi formali e di logica. Poincaré protestava contro la lunghezza, la mancanza di senso e la scarsa affidabilità dei testi formali intesi come vettori del discorso matematico. La sua denuncia contro la logistica? è stata spesso ripetuta, quasi con le stesse parole:

i Principia Mathematica furono il coronamento dell'impresa formalista. Furono anche la campana a morto della visione formalista... Russell riuscí a mostrare che le ordinarie dimostrazioni reali possono essere ridotte a derivazioni formali, simboliche. Ma egli non fu in grado, in tre enormi laboriosi volumi, di andare oltre i fatti elementari dell'aritmetica 1 H. Poincaré, Les dernières efforts des Logisticiens, in Science et Méthode, Paris, Flammarion, 1908, p. 193.

2 Poincaré preferiva questo tra i vari nomi della nuova logica

per l'accezione spregiativa di cui poteva caricarlo.

3 R.A. De Millo, R.J. Lipton e A.J. Perlis, Social Processes and Proofs of Theorems and Programs, in « Communications ACM », 22 (1979), n. 5, pp. 271-280. Useremo di solito la parola dimostra-

zione, o prova, per indicare argomenti che sono conclusivi per l'accettabilità di un teorema, ma che non necessariamente rispondono a precisi e fissati canoni di rigore e formato; riserveremo la parola derivazione per quello che tecnicamente significa, cioè una sequenza (o un albero) di parole concatenate secondo le regole generative di

un sistema formale. Per una introduzione alla terminologia e ai

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Introduzione

Anche ammessa la possibilità teorica della formalizzazione, non la si può eseguire in pratica, e neanche i logici la praticano: senza il processo di abbreviazione, il discorso matematico è di fatto impossibile... Un qualunque enunciato della logica formale [scritto con le usuali previste abbreviazioni corrispondenti a concetti via via piú articolati] può in linea di principio essere riespanso nella forma atomica primitiva. Ma in pratica questo processo non può essere compiuto, perché le stringhe di simboli presto si fanno cosí lunghe che diventano inevitabili gli errori nella lettura e nell'elaborazione

Ma Poincaré attaccava, bisogna ricordarlo, proprio nel momento in cui gli avversari esultavano per la realizzazione del sogno leibniziano , il sogno di costruire una lingua characteristica e un associato calculus ratioci-

nator attraverso il cui uso « la mente sarà liberata dalla necessità di pensare direttamente alle cose, e tuttavia i risultati verranno fuori correttamente » 6• Fin dall'inizio la formalizzazione è stata associata all'idea di un calcolo che doveva funzionare automaticamente: Leib-

.

niz contemplava il tempo futuro ma non lontano in

concetti dei sistemi formali si veda un testo di logica matematica, in particolare, per la preminenza data a questa nozione quello di H.B. Curry, Foundations of Mathematical Logic, New York, Dover, 19772. 4 Ph. J. Davis-R. Hersh, The Mathematical Experience, Boston,

Birkhaüser, p. 124. facendo lezione agli studenti ingegneri 3 E Peano1980, scandalizzava con il suo Formulario (vedi oltre). 6 Per questa e le varie citazioni di Leibniz seguenti si veda

Leibniz-Logical Papers, a cura di G.H.R. Parkinson, Oxford, Oxford University Press, 1966, pp. xvii ss.; M. Mugnai, Leibniz e la logica simbolica, Firenze, Sansoni, 1973, e La logica da Leibniz a Frege,

a cura di M. Mugnai, Torino, Loescher, 1982;, per la storia della logica formale moderna e contemporanea si vedano i capitoli dedicati all'argomento da C. Mangione in Storia del pensiero filosofico

e scientifico, a cura di L. Geymonat, voll. IV, V, VI, Milano, Garzanti, 1971.

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Introduzione

cui i matematici in disaccordo si sarebbero affidati al calculemus per dirimere le loro questioni. Il calcolo sarebbe stato per l'umanità « una nuova specie di strumento che potenzierà i poteri della ragione più di quanto qualsiasi strumento ottico abbia mai esaltato quelli

della visione ». E dopo la ripresa della seconda metà del secolo diciannovesimo « grandi [erano le] aspettative di Peano e degli altri che (in accordo con le previsioni di Leibniz) avevano sperato che [la logica matematica] avrebbe facilitato la matematica teorica nella

stessa misura in cui il sistema decimale dei numeri ave-

va facilitato i calcoli numerici »' Di fatto il potere taumaturgico era spesso affidato dai sostenitori della formalizzazione all'atto in sé della scrittura simbolica, con poco interesse per il calcolo, e ancor meno per l'analisi concettuale. Essi vantavano e hanno continuato a vantare come pregi della formalizzazione esattamente il contrario di quello che Poincaré denunciava, e cioè chiarezza, brevità, precisione e maggior affidabilità rispetto al linguaggio naturale: nel linguaggio simbolico, a differenza che nell'ordinario lin-

guaggio di parole, abbiamo segni che non sono ambigui e formulazioni che sono esatte: in questo linguaggio, perciò, la purezza e correttezza di una derivazione può essere controllata con maggior facilità e accuratezza... Una derivazione in un linguaggio di parole involve presupposti che non erano stati resi

espliciti, ma si erano infilati inavvertitamente. Un ulteriore

vantaggio di usare simboli artificiali al posto di parole si rivela nella concisione e nella perspicuità delle formule simboliche. Spesso un enunciato che richiede molte righe in un linguaggio

1 K. Gödel, Russell's Mathematical Logic, in P.A. Schilpp (a cura di), The Philosophy of Bertrand Russell, Evanston, Northwestern University Press, 1944, pp. 123-153; Gödel attribuiva il

fatto che la logica era rimasta ben dietro queste aspettative a una carenza di analisi dei concetti di base per la fondazione della matematica, piú che all'inefficienza dei calcoli.

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Introduzione

di parole (e la cui perspiaian e de conseguenza ridotta) può

Si è così andati avanti con la reiterazione di luoghi comuni contrapposti riguardanti meriti e demeriti, potenza e impossibilità della formalizzazione. Il fatto che la disputa continui in situazione di apparente stallo fa sospettare che la posta in gioco sia un'altra: spesso lo è stata. Il problema della formalizzazione, sua possibililità, grado, opportunità, desiderabilità ecc., è diventato uno dei test su cui si misurano e si distinguono le varie scuole fondazionali o i diversi atteggiamenti; è il presupposto implicito di quella posizione maggioritaria che va sotto il nome di formalismo (non impegnato), mentre è il nemico esplicito della stessa maggioranza che reclama libertà per la manifestazione dell'intuizione; influenza la presentazione della matematica, lo stile di esposizione, quindi la sua immagine presso il pubbli-

co, e la didattica. La logica è coinvolta come la responsabile, depre-

cata o benedetta, della diffusione della formalizzazione.

Anzi la logica è identificata del tutto, indebitamente, con la formalizzazione .

Per parlare della formalizzazione bisogna perciò considerare molti livelli, da quello teorico a quello storico a quello psicologico; la storia è importante perché 8 R. Carnap, Introduction to Symbolic Logic and Its Applica-

tions, New York, Dover, 1958, p. 2.

9 « All'interno della comunità matematica, la concezione della matematica come logica e formale fu elaborata da Bertrand Russell

e da David Hilbert nei primi anni del secolo. Essi vedevano la

matematica come procedente in principio da assiomi o ipotesi a teoremi attraverso successioni di passi, ciascun passo facilmente giustificabile a partire dal suo predecessore con una rigida regola di trasformazione, le regole essendo poche e fissate», De Millo,

Lipton e Perlis, op. cit., p. 272. Le posizioni di Russell e Hilbert non potrebbero essere piú deformate, come vedremo nel seguito.

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Introduzione

le polemiche feroci delle origini fissano alcuni termini

anche della discussione successiva, introducono stereotipi non scalfiti dalla pratica susseguente che pure do-

vrebbe fare ragione di molti eccessi; mutano la realtà a cui le parole si riferiscono, ma non gli argomenti con cui di questa realtà si discute, che sono legati alle parole. Come dice Conrad, « words...are the great foes of reality » e alla lunga diventano fatali rispetto a qualunque dose di immaginazione, osservazione, intuizione. che una persona ordinaria può avere.

Nel dialogo tra sordi che si è protratto per anni

colpisce una ambiguità di fondo riguardante l'agente della formalizzazione. Il concetto di calcolo si riferisce a una elaborazione meccanica, che però non può che essere, fino a un certo momento, metaforica e allusiva. Il calcolo doveva pur sempre essere condotto dall'uomo; l'insistenza dei formalizzatori sulla perspicuità e sulla brevità ha senso infatti, se ci si pensa, solo se si ritiene che debba essere proprio l'occhio umano a ispezionare il testo formale10. La (dapprima inevitabile, poi

forse voluta) ambiguità è allora usata dagli oppositori per contestare la fattibilità della impresa di formalizzazione radicalizzando la differenza uomo-macchina: « le regole per scrivere matematica per consumo umano so-

no le opposte di quelle per scrivere matematica per consumo meccanico (cioè i testi "formalizzati") perché tutti i passi che sono puramente meccanici possono, e debbono per brevità e comprensione, essere omessi

da un ordinario testo matematico »" Non c'è da sorprendersi perciò che l'informatica

10 Peano scrive a mano la sua ideografia; quando farà esperimenti di scrittura con le macchine sarà con l'alfabeto binario (sulle orme di Leibniz), non con l'ideografia, si veda G. Peano, La nume-

razione binaria applicata alla stenografia, in « Atti Accad. Sci. Torino », XXXIV (1898), pp. 47-55. 11 Davis-Hersh, op. cit., p. 140.

Introduzione

sia il luogo dove si sono riversate ed esaltate le polemiche derivate dalla disputa sulla formalizzazione in matematica. Nell'informatica si chiariscono, anche se non si decidono, molte ambiguità "2.. Qui le parole devono fare i conti con la realizzazione pratica, la lunghezza e

la brevità sono misurate quantitativamente rispetto

alle prestazioni delle macchine, e sono diverse da quelle umane. L'elaborazione meccanica accorcia i tempi

rendendo accessibili testi di un ordine di lunghezza proibito agli umani. La formalizzazione diventa una

cosa molto meno utopica, ma nello stesso tempo meno gratuita o opzionale, con il cambio dell'agente elaboratore: « mentre noi possiamo anche digerire dimostrazioni informali, i calcolatori non fanno girare programmi "informali"». I programmi per girare devono essere sintatticamente assolutamente corretti »13. Ma l'elaborazione automatica è una elaborazione paragonabile a, equivalente alla elaborazione mentale dei processi rap-

presentati dai testi formali? O sono questi almeno un surrogato sufficientemente espressivo di quelli? L'ela12 Nella definizione rigorosa di sistema formale, che è posteriore ai primi esperimenti di formalizzazione totale (risale agli anni Venti,

con Post e Bernays), la richiesta decidibilità degli assiomi e delle regole fa sí che « sia parte della definizione di sistema formale che le derivazioni siano verificabili a macchina », J. McCarthy, A Basis

for a Mathematical Theory of Computation, in P. Braffort - D. Hirschberg (a cura di), Computer Programming and Formal Systems,

Amsterdam, North-Holland, 1963, pp. 33-70, citazione a p. 68. Nella teoria della calcolabilità effettiva, dove si definisce appunto in maniera rigorosa il concetto di macchina, è equivalente intro

durre i sistemi formali in termini di procedimenti meccanici predefiniti o al contrario definire il procedimento meccanico come quello generato da un sistema formale; si veda ad esempio G. Lolli, Def-

nizioni di Algoritmo, in G. Lolli - C. Mangione (a cura di), Matematica e Calcolatore, in « Quaderni Le Scienze », pp. 21-25. 13 W.L. Scherlis -D.S. Scott, First Steps towards Inferential Programming, in R.E.A. Mason (a cura di), IFIP 83, New York Amsterdam, Elsevier Science Publishers B.V. (North-Holland), 1983,

PP. 199-212, citazione a p. 204.

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BIBLIOTECA

Introduzione

borazione automatica dei testi formali investe in definitiva il problema della natura del pensiero, e la meccanizzabilità delle sue manifestazioni. Le dimostrazioni matematiche diventano il punto di riferimento principale di questa ricerca, non per un loro carattere supe-

riore, o inferiore, come manifestazione di pensiero, ma per il loro prestarsi a, o identificarsi con la propria versione formale: nessuno si sognerebbe di dire che noi possiamo produrre latte e zucchero simulando al calcolatore le sequenze formali dei processi di lattazione e di fotosintesi [dice J. Searle]. Ma supponiamo

ora di simulare al calcolatore un matematico, e con successo; ci lamenteremmo forse perché quello che ci aspettavamo erano delle dimostrazioni, mentre, già, tutto quello che abbiamo ottenuto invece sono semplici rappresentazioni di dimostrazioni? Le rappresentazioni di dimostrazioni sono dimostrazioni, no? 14

E qualcuno si spingerà proprio a dire no, altrimenti.. Altrimenti come si potrà sostenere che il pensiero esiste al di fuori della rappresentazione formale? Che la sua validità e universalità sono a-priori? Se le rappresentazioni di dimostrazioni sono dimostrazioni, viceversa le dimostrazioni finiscono per essere solo rappresentazioni di dimostrazioni e quale è il loro rationale al di fuori di queste rappresentazioni fisiche? Nel presentare i momenti e i personaggi importanti di questa storia noi faremo largo uso di citazioni, naturalmente organizzate secondo la visione di chi scrive, ma riducendo al minimo i commenti; lo scopo principa-

le è quello di fornire al lettore i termini di riferimento

per una discussione sulla formalizzazione, il vocabolario essenziale degli argomenti contrapposti: una sorta 14 D.R. Hofstadter - D.C. Dennett, The Mind's I, New York, Basic Books, 1981 (trad. it. L'io della mente, Milano, Adelphi,

1985), citazione dalla edizione Penguin Books, 1982, p. 94.

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SISN3

Introduzione

di lessico, in forma raccontata e perciò si spera meno noiosa. Si vedrà come ormai nella letteratura logico-infor-

matica, ancora poco frequentata, ci sia una ricca discussione, logica, filosofica, fondazionale o come la si vuole chiamare, sulla dimostrazione matematica. Quel lo che si vorrebbe suggerire è che al di sotto della apparente ripetitività della polemica qualcosa si muove; i logici non devono, sotto la sindrome di Saturno, spaventarsi di quello che loro stessi hanno messo in moto, con la codifica della dimostrazione formale ottenuta dalla logica matematica moderna; anche se nasce qualcosa che contraddice forse i presupposti di quella pri-

ma mossa. Che cosa sia, non è reso però dalle risposte facilone che negano la logica in nome di nozioni sfug-

genti e soggettive e che vogliono riversare il nuovo nelle botti vecchie delle tradizionali dicotomie filo-

sofiche 15

15 Alcune integrazioni alla panoramica volutamente selettiva di questa esposizione si troveranno in G. Lolli, Le ragioni fisiche e le dimostrazioni matematiche, Bologna, Il Mulino, 1985. In particolare del volume citato sono rilevanti il capitolo su Peano, quello su

Saccheri e le definizioni, quello su decidibile e indecidibile e la

critica generale delle posizioni espresse nel libro di Davis-Hersh, cit.

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CAPITOLO PRIMO

Quella tavolosa macchina di Chicago

Nei primi anni del Novecento Poincaré svolge una impegnata polemica contro la nuova logica. Poincaré contesta in blocco l'utilità della formalizzazione, dell'uso cioè dei linguaggi simbolici, e pretende di conte-

starla non tanto in base a posizioni di principio, ad esempio sulla natura del linguaggio', quanto confu

tando direttamente quelli che ne erano i pregi decantati dai sostenitori, cioè la brevità, la chiarezza, la af-

fidabilità.

Ma naturalmente l'opposizione è invece di principio e si inserisce nel quadro delle discussioni sui fondamenti della matematica: « quello che ci colpisce nella nuova matematica è il suo carattere puramente formale »', per cui ha senso per la polemica « occuparsi soltanto della forma » 3 e sottoporre a verifica il 1 Nella seconda metà dell'Ottocento è stato molto dibattuto, soprattutto nella cultura tedesca, ma in generale in Europa, il tema della natura del linguaggio, in riferimento anche alla desiderabilità

o possibilità di linguaggi artificiali (non necessariamente simbolici). Ma questa vicenda trascende i limiti della nostra esposizione, anche se vi interferisce in piú punti, con Peano e Frege certamente. Per brevi cenni si veda FI.D. Sluga, Gottlob Frege, London, Routledge

& Kegan Paul, 1980, pp. 75 ss. 2 Gli articoli rilevanti di Poincaré sono stati scritti negli anni 1905-1909 e sono raccolti quasi tutti nel volume Science et Méthode,

Paris, Flammarion, 1908, in particolare i capitoli: L'Avenir des mathématiques (pp. 19-42),Les mathématiques et la Logique

(pp. 152-71), Les Logiques nouvelles (pp. 172-91), Les dernières efforts des Logisticiens (pp. 192-214). Le citazioni di Poincaré tratte da questi scritti saranno indicate soltanto con il numero delle pagi-

ne. La citazione di sopra è tratta da p. 156. 3 Poincaré, op. cit., p. 168.

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Quella favolosa macchina di Chicago

raggiungimento dell'obiettivo dichiarato dai formaliz-

zatori.

« La matematica può essere ridotta alla logica sen-

7a fare appello a dei principi che le sono propri? C'è una scuola, piena di ardore e di fede, che si sforza di stabilirlo. Ella ha una sua lingua speciale dove non ci sono più parole e dove non si fa uso altro che di sim-

boli »'.

Ouesta scuola inizialmente ha proposto la scrittura simbolica, la cosiddetta pasigrafia, per il discorso matematico (ad esempio con Peano), ma poi su tale base ha elaborato la logistica per un obiettivo di fondazione della matematica; la formalizzazione si è così legata al logicismo. Il logicismo non è un fenomeno filosofico gratuito, bensì è legato agli sviluppi della matematica iniziati e caratterizzati da Cantor: l'infinito attuale cioè, e non tanto la sua semplice introduzione e considerazione quanto, da un punto di vista logico, l'affermazione (forse inevitabile) della sua priorità sul finito; o almeno la perdita della posizione privilegiata del finito rispetto a una teoria degli insiemi, che tratta indifferentemente

insiemi finiti o infiniti. Secondo Poincaré i formalizzatori si trovano tra

quelli che hanno adottato il punto di vista cantoriano, probabilmente motivati in ciò dalla difficoltà di dominare a parole il soggetto. Però noi vediamo che Cantor stesso fa eccezione, e Poincaré non discute questa anomalia. E fa eccezione anche Peano in effetti, per cui questo appare un punto debole dell'inizio della polemica, o meglio della capacità di Poincaré di porre l'argomento nella giusta prospettiva. Fatto si è che questi matematici hanno accumulato le formule e hanno creduto di liberarsi di quello che non era logica pura scrivendo intere memorie dove

4 Poincaré, op. cit., p. 152.

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Quella favolosa macchina di Chicago

le formule non si alternano piú con il discorso esplicativo come

nei libri dei matematici ordinari, ma dove questo discorso è completamente sparito. Sfortunatamente sono arrivati a dei risultati contraddittori, quelle che si chiamano le antinomie cantoriane5,

e allora hanno dovuto incominciare ad apportare delle modifiche locali ai loro sistemi. Sembrerebbe addirittura da questa citazione che Poincaré attribuisca alla formalizzazione la responsa-

bilità delle antinomie, quando sappiamo che la loro scoperta è indipendente da formalismi. Ed è curioso

confrontare questa posizione con quello che ancora nel cinquanta Carnap ripeteva esagerando dall'altra parte,

e cioè che « un altro merito della logica simbolica... è

che ha raggiunto la soluzione completa di certe contraddizioni, le così dette antinomie logiche »

In un certo senso Poincaré, se non ha ragione, ha

un efficace argomento, perché può osservare: « le regole

della Logistica hanno fatto le loro prove di fecondità e di infallibilità? ». Le hanno fatte e sono fallite. Più esattamente, « la Logistica ci forza a dire tutto quello che ordinariamente si sottintende; ella ci costringe ad avanzare passo per passo; forse così è più sicura, ma certo non è più rapida »" Ci sono due valori in opposi-

zione; siccome Poincaré insiste sulla lunghezza, contro la decantata brevità e rapidità, allora il peso va sull'altra parte, a parziale compenso, se possibile. « Io mi domando se questa forma... faccia veramente guadagnare in rigore e se ella compensi così gli sforzi che ella impone allo scrivente e al lettore »'. Invece di darci delle

5 Poincaré, op. cit., p. 154.

6 Carnap, Introduction to Symbolic Logic..., cit., P. 3. " Poincaré, op. cit., pp. 192-193. 8 Poincaré, op. cit., p. 168, e continua con la frase sulle 27

equazioni.

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Quella favolosa macchina di Chicago

ali per l'invenzione, come sostiene Couturat, la logistica ci mette le briglie; allora « noi abbiamo il diritto di esigere che queste briglie ci impediscano di cadere. Questa sarebbe la loro sola scusante » Se le regole devono essere seguite ciecamente, cioè ad esclusione di ogni intuizione, allora devono essere infallibili, non c'è posto per l'errore umano. Invece « i logicisti hanno applicato le loro regole, e sono caduti

nelle contraddizioni » e adesso devono modificare

delle cose che avevano dichiarato infallibili. Ma quello di sopra è un argomento polemico indiretto; più caro a Poincaré è l'argomento che nega esplicitamente i vantaggi conclamati, la cosiddetta trasparenza in particolare, mostrandone l'esatto rovescio quando riesce a coglierlo. È feroce ad esempio con BuraliForti che crede di aver dimostrato il principio di induzione, usando un principio rivelato in seguito falso da

Whitehead. Ora tutti possono fare degli errori, dice

Poincaré, ma l'errore di Burali-Forti è inescusabile perché causato proprio dalla logistica o meglio dalla sua oscurità; e anche l'individuazione dell'errore da parte di Whitehead è stata dovuta al fatto che Whitehead era uno dei pochi in grado di capire quei geroglifici. Quando il loro significato è stato disvelato, si è visto essere

che il numero di combinazioni di un numero finito di oggetti sarebbe minore del numero degli oggetti: « qua-

lunque tapino se ne sarebbe accorto al primo colpo [dell'errore], se l'assioma fosse stato enunciato in un linguaggio intelligibile » " L'idea di ricorrere ai linguaggi simbolici per assicurare la precisione del discorso (o per celare il loro stato confusionale), non sarebbe venuta ai logicisti se 9 Ibidem.

10 Poincaré, op. cit., p. 194.

" Poincaré, op. cit, p. 209.

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Quella favolosa macchina di Chicago

non ci fosse stata una forte tendenza alla loro diffusione favorita da un altro altrettanto rilevante fenomeno, quello della emergenza del metodo assiomatico. In effetti da quel momento assiomatizzazione e formalizzazione sono affiancate e spesso confuse, nonostante le

origini e gli obiettivi diversi.

L'origine della nuova tendenza, che ha portato alla matematica interamente formale, Poincaré la vede, oltre che nel cantorismo, anche nella impostazione assiomatica estrema di Hilbert. Qui tutto è esplicitato in modo da permettere di « fare geometria anche a un cieco », qui si arriva all'esagerazione di postulare che su una retta esistano due punti, quando chiunque direbbe che ne esistono infiniti:

sicché, è l'esplicito obiettivo, per dimostrare un teorema, non è più necessario, e nemmeno utile sapere cosa vuol dire. potrebbe sostituire il geometra con il piano à raisonner immaginato da Stanley Jevons17, o, se si preferisce, si potrebbe immaginare una macchina in cui si introducessero gli assiomi da una apertura e se ne raccogliessero i teoremi dall'altra, come quella favolosa macchina di Chicago dove si immettono i maiali vivi e da dove questi ne escono trasformati in salumi e salsicce. Non piú di quanto sia utile a una macchina, il matematico non ha bisogno di capire quello che fa 13

Ma questo è coerente per Poincaré con l'obiettivo di Hilbert (cosicché le confutazioni degli esiti eventualmente colpiscono l'obiettivo finale): 12 Nel 1869 Jevons aveva elaborato una macchina logica, presen-

tata alla Royal Society nella memoria: On the mechanical performance of logical inference. La macchina di Jevons si situa in una lunga tradizione che parte da Pascal, e in Inghilterra nell'Ottocento ruota intorno al nome di Babbage e alla sua macchina analitica. Si veda B. Randell (a cura di), The Origins of Digital Computers,

Berlin, Springer, 19753, B.B. Bowden (a cura di), Faster than

Thought, London, 1953, e H.H. Princeton Goldstine,University The Computer from Pascal to von Pitman, Neumann, Princeton, Press, 1972. 13 Poincaré, op. cit., p. 157.

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Quella favolosa macchina di Chicago

egli voleva ridurre al minimo il numero degli assiomi fonda-

mentali della geometria, e farne l'enumerazione completa; ora,

nei ragionamenti nel corso dei quali il nostro spirito resta

vigile e attivo, in cui l'intuizione gioca ancora un ruolo, è dif-

ficile non introdurre un assioma o un postulato che passi inav-

vertito. E solo dunque dopo aver ridotto tutti i ragionamenti geometrici a una forma puramente meccanica, che egli ha potuto essere certo di essere riuscito nel suo obiettivo e di aver completato il suo lavoro 14

Poincaré non dubita che questa impresa sia possibile, per la geometria, ma la ritiene i) poco interessante e poco utile 15 e soprattutto la ritiene invece ii) impossibile per l'aritmetica. Di qui parte la sua polemica

con i logicisti: « quello che voglio indagare, è se sia vero che una volta ammessi i principi della logica, si può non dico scoprire, ma dimostrare tutte le verità matematiche senza fare di nuovo appello all'intuizione » 16La risposta è negativa perché il principio di induzione matematica è indimostrabile.

La formalizzazione è una soluzione estrema a cui i

sostenitori assegnano virtù taumaturgiche che Poincaré nega, ma in vista di obiettivi che sarebbero secondo

loro alla portata della logica, e secondo Poincaré no. Cosa è la logica?

Egli ripete più volte che la logica, non la logistica

è sterile, e nessun abbellimento la può migliorare:

14 Poincaré, op. cit., pp. 157-158. 15 « Ci si è sforzati d'altra parte di enumerare gli assiomi e i postulati piú o meno dissimulati, che servono di fondamento alle diverse teorie matematiche. Hilbert è stato quello che ha ottenuto i risultati piú brillanti. Sembra d'altra parte che questo dominio sia

piuttosto limitato, e che non ci sarà piú niente da fare quando

l'inventario sarà terminato, cosa che non dovrebbe essere molto

lontana. Ma quando si sarà enumerato tutto, allora ci saranno parec-

chie maniere di classificare; un buon bibliotecario trova sempre

qualcosa da fare, e ogni nuova classificazione potrà avere il suo inte-

resse per il filosofo », ibidem, pp. 41-42.

16 Poincaré, op. cit., p. 159.

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Quella favolosa macchina di Chicago

una dimostrazione veramente fondata sui principi della Logica

Analitica si comporrà di una successione di proposizioni; le

une, che serviranno da premesse, saranno delle identità o delle

definizioni; le altre si dedurranno dalle prime passo a passo; ma benché il legame tra ogni proposizione e la successiva si percepisca immediatamente, non si vedrà di primo acchito come

si sia potuti passare dalla prima all'ultima, in modo che si potrà essere tentati di considerarla come una verità nuova.

Ma se si rimpiazzano successivamente le diverse espressioni che vi figurano con le loro definizioni e se si eseguirà questa operazione finché è possibile, non resteranno piú alla fine che delle identità, di modo che tutto si ridurrà a una immensa tautologia. La Logica resta dunque sterile, a meno di essere fecondata dall'intuizione 17.

La logica formale è per Poincaré una disciplina legittima, ma che cosa ci insegna? « Le regole della logica formale esprimono semplicemente le proprietà di tutte le classificazioni possibili » 18 , e siccome la logica è l'arte della classificazione per questo Poincaré pensa che la applicazione della logica alla matematica sia un lavoro poco interessante, da bibliotecario. Ouesto modello di dimostrazione formale è ben fondato tradizionalmente, Poincaré lo prende dai classici

per così dire.

L'origine antica non ci interessa, senza ripartire da Leibniz ricordiamo solo il filone francese, che si suole radicare in Condillac, e che forse è quello che più influenza Poincaré. Anche senza risalire alle fonti evidentemente lo si assorbiva nella tradizione orale. L'evidenza di un ragionamento consiste unicamente nell'identità che si dimostra da un giudizio all'altro. Questo lin-

guaggio algebrico fa scorgere in modo evidente come i giudizi sono legati gli uni agli altri in un ragionamento ... Si vede che 17 Poincaré, op. cit., pp. 210-211.

18 Poincaré, op. cit., p. 212. Si veda anche di Poincaré, La logi-

que de l'infini, , in Dernières Pensées, Paris, Flammarion, 1913, pp. 101-139.

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Quella favolosa macchina di Chicago

l'ultimo è racchiuso nel penultimo ... e cosí di seguito risalendo, solo perché l'ultimo è identico al penultimo, il penultimo a quello che lo precede, ecc.; e si riconosce che questa identità determina tutta l'evidenza del ragionamento 19

È il modello dell'algebra che domina, perché è l'al-

gebra che offre questo paradigma di ragionamento, « dei

giudizi successivamente identici, espressi con lettere » 20

E poi d'Alembert: se si esamina una serie di proposizioni matematiche dedotte le une dalle altre in guisa che due proposizioni risultino immediatamente contigue, senza passaggi intermedi, ci si avvedrà che tutte quante sono null'altro che la prima proposizione, la quale, per cosí dire, si sfigura progressivamente e gradualmente nel passaggio da ciascuna proposizione alla successiva, acquistando forme differenti ma senza risultare tuttavia realmente modificata ... Ogni stadio ... riconoscibile in quello immediatamente contiguo; ma non sarebbe piú identificabile in uno stadio piú lontano, pur dipendendo sempre dai precedenti e pur essendo destinato a trasmettere le medesime idee 2

La stessa visione passa nelle scuole via via più

moderne, ad esempio in quella degli algebristi inglesi:

la dimostrazione è un metodo di dimostrare l'accordo di idee remote mediante una serie di idee intermedie, ciascuna delle quali si connette con la piú prossima; ... un metodo per stabilire la connessione tra certi principi e una conclusione me diante una serie di proposizioni intermedie e identiche di cui ciascuna è connessa con quella prossima, cambiando la combinazione di segni che la rappresenta in un'altra che risulta equi-

valente ad essa 22

19 E.B. De Condillac, La logique, ou les premières développements de l'art de penser, Paris, L'Esprit et De Bure, 1780 (trad. it. in Opere, Torino, Utet, 1976, pp. 671-773, citazione a p. 757). 20 E.B. De Condillac, Etude de l'Histoire. Logique, in Oeuvres complètes, Paris, Baudouin Frères, 18272, p. 446. 21 J.B. Le Rond d'Alembert, Discours préliminaire, Enciclopedie, in P. Casini (a cura di), Enciclopedia, Bari, Laterza, 1968, pp. 22-23. 22 R. Woodhouse (1801), cit. da F. Barone, Logica Formale e

20

Quella favolosa macchina di Chicago

Così attraverso la scuola inglese il modello si trasmette anche all'algebra della logica e probabilmente di qui a Peano (oltre a stabilire molte premesse concettuali della elaborazione meccanica). E dunque un modello molto consolidato, e sulla sua base Poincaré ha ragione di chiedersi come i logicisti possano pensare di introdurre qualcosa di nuovo, ammesso che la matematica non sia una immensa tautologia. D'altra parte, quando Poincaré afferma che « la lo-

gica formale non è altro che lo studio delle proprietà comuni a tutte le classificazioni » 23. , egli aggiunge che per la validità dei risultati occorre che le classificazioni

siano immutabili, che non cambino sotto il naso, e

questo è garantito solo dal carattere finito del dominio

su cui si lavora, mentre è di sicuro contraddetto nel

caso infinito (che è concepito da Poincaré come una possibilità inesauribile, arricchentesi nel tempo con le successive costruzioni del matematico). La pretesa della nuova logica di dominare l'infinito, fino addirittura a definirlo, è illusoria, basata su delle apparenze. « La nuova logica è più ricca della logica classica », come si vantano i suoi sostenitori, ma solo nel senso che « i simboli si sono moltiplicati e permettono combinazioni variate che non sono più in numero limitato » 24 . Non c'è da meravigliarsi allora se sono

ora riducibili alla logica diverse nozioni, che prima non lo erano: « abbiamo introdotto un gran numero

di nozioni nuove che non erano semplici combinazioni di quelle antiche », o così ha fatto Russell dichiarando

indefinibili diverse parole nuove, e indimostrabili diversi nuovi principi: per Poincaré questi sono giu-

Logica Trascendentale II (L'algebra della Logica), Torino, Ed. di Filosofia, 1965, p. 107. 23 La logique de l'infini, cit., p. 101. 24 Poincaré, op. cit., p. 174.

21

Quella favolosa machina di Chicago

dizi sintetici che non hanno cambiato natura, ma solo

posto, per il fatto di essere stati introdotti in trattati di logica La creatività cattiva della logistica ha radici però

in un inganno che Poincaré crede di aver individuato. I logici pensano di poter dimostrare verità nuove perché sembra loro, nel processo sopra descritto di riduzione alla logica pura attraverso il rimpiazzamento dei termini definiti con le definizioni, che le loro formule non si riducano a delle identità come nei ragionamenti ordinari; ma questo succede solo perché le loro definizioni sono impredicative.

Ora l'unico modo di lavorare con l'infinito che

cambia le estensioni delle classificazioni, man mano che si va avanti, e che cresce il dominio infinito, l'uni-

co modo di avere una certa stabilità, o invarianza rispetto alla crescita successiva, è quello di usare solo defini-

zioni predicative. Altrimenti si hanno, come tutti ve-

dono, delle contraddizioni. « E allora la logistica non è più sterile, essa genera l'antinomia » %. Poincaré si era proposto di indagare se « le contraddizioni provengano dal fatto che le regole della logica sono state male applicate » » clude così che invece sono state applicate fuori dal loro dominio. I logicisti non vogliono riconoscere la ne-

dell'infinito; e hanno creduto che con l'armatura del formalismo si potesse evitare questa restrizione; così in un certo senso è vero che sono proprio loro, con la

logistica, a generare la contraddizione 28 15 Ibidem, p. 175. 26 Poincaré, op. cit., p. 211.

2 La logique de l'infini, cit., p. 101.

23 Poincaré, Dernières pensées, cit., passim e in particolare pp. 143-162: Les mathématiques et la logique.

22

Quella favolosa macchina di Chicago

Il ragionamento di Poincaré si chiude in modo

coerente, completo e per lui soddisfacente. Bisogna dire che nella sua polemica Poincaré è aiutato molto da una serie di ingenuità di coloro che sceglie a bersaglio polemico, e che dovrebbero dimostrare quello che Poincaré contesta, e cioè che il principio di induzione non è sintetico ma giustificabile analiticamente. Poincaré passa in rassegna vari dei tentativi sperimentati di definizione dei numeri, e ha vita facile. Ci confessa di aver letto queste definizioni sempre con un certo disagio: « io mi aspettavo sempre una petizione di principio... il fatto è che è impossibile dare una definizione senza enunciare una frase, ed è difficile enunciare una frase senza mettervi un nome di numero, o

almeno la parola molti, o almeno una parola al plurale » 29 Egli prende in esame poi nei dettagli definizioni proposte da Burali-Forti e da Couturat, traduce dal formalismo in francese, e riassumendo commenta:

« cosa è zero? è il numero di elementi della classe

vuota; e cosa è la classe vuota? è quella che non contiene alcun elemento. Definire zero con vuoto e vuoto con nessuno significa proprio abusare della ricchezza

della lingua [italiana] »3'. Ecco allora Couturat scrivere un'altra formula « che in [italiano] vuol dire:

zero è il numero degli oggetti che soddisfano una condizione che non è mai soddisfatta » 3", e così continuan-

do a girare in tondo. Un'altra possibilità indagata dalla scuola dei logi-

cisti è quella di giustificare il carattere logico del princi-

pio di induzione facendo appello alle definizioni per postulati. A questo proposito Poincaré, richiamata la

teoria classica delle definizioni in matematica, rifacen29 Poincaré, op. cit., p. 166. 30 Poincaré, op. cit., p. 169. 31 Ibidem, e anche p. 176 su altre infelici uscite di Couturat.

23

Quella favolosa macchina di Chicago

dosi a Stuart Mill, sottolinea con forza il principio che « in matematica la parola esistenza non può che avere un senso, significa mancanza di contraddizione » ma i logicisti non riescono a soddisfare i requisiti del la dimostrazione della non contraddittorietà 33 е più spesso cercano di evadere la richiesta. Così Couturat contesta il requisito della non contraddittorietà con un grosso equivoco che però non è solo suo ma presente

anche nella scuola di Peano, e cioè affermando che una classe è non contraddittoria quando non è vuota 34

Altrove Couturat si limita a ripetere che la definizione è soddisfacente, oppure prova quella per astra-

zione, senza la minima preoccupazione del discorso sul-

le classi di classi. Nella scuola peaniana c'è spesso faciloneria, e Poincaré stesso si sente in dovere di ritenere che gli eccessi dei seguaci sconvolgano probabilmente lo stesso

Peano (di cui come matematico non può non avere stima); oppure c'è scarsa attenzione alle reali difficol-

tà, come quando Burali-Forti cerca di contraddire Can32 Poincaré, op. cit., p. 162. Poincaré è attento alla teoria della definizione perché ritiene che li si giochi la scommessa sul rigore in matematica: « finché gli oggetti del ragionamento erano dati dai sensi o dall'immaginazione, non c'era alcuna idea precisa su cui il ragionamento si potesse basare. Allora gli sforzi si sono concentrati sulle definizioni, e il risultato è stata l'aritmetizzazione della matematica »; risultato soddisfacente se si accetta anche la presenza ineliminabile di varie forme di intuizione: « l'analisi oggi costruisce le sue dimostrazioni solo con sillogismi e l'intuizione pura del nume-

to; alla fine il rigore assoluto è stato raggiunto» (intervento al Congresso di Parigi del 1900, parzialmente ristampato in « The

Mathematical Intelligencer », 7 (1985), n. 4, pp. 75-77). 33 Su questo, e in particolare sull'approccio di Hilbert, si veda oltre, capitolo terzo. 3 La critica meraviglia di Poincaré per questa topica è espressa a p. 196. Lo stesso errore è ripetuto da Jourdain, e da Peano nel resoconto di Jourdain in G. Peano, Super theorema de CantorBernstein et additione, in « Rivista di Matematica », VIII (1906), Pp. 136-157.

24

Quella favolosa macchina di Chicago

tor con il ragionamento che usa la classe di tutti gli ordinali 35

Nella sua vittoriosa demolizione della logistica

Poincaré ritiene di avere anche giustificato in positivo la propria posizione predicativista, che era quello che gli stava a cuore. In realtà ha solo usato la formalizzazione come donna dello schermo, e ha approfittato delle esagerazioni ingenue dei suoi proponenti 36 . È necessa-

rio avere presente la posizione complessiva di Poincaré e la sua proposta fondazionale per dare una valutazione della polemica. Poincaré ha localmente ragione, vince cioè tutti gli argomenti in cui si imbarca, ma è possibile che egli abbia globalmente torto, o almeno che non abbia ragione. Non perché la storia gli abbia dato torto o cose simili, ma perché è portatore di una proposta complessiva che per quanto interessante non

ha in sé un carattere intrinseco di necessità. Anche gli antagonisti avevano una loro visione completa, ed

è ora di sentire anche l'altra campana per vedere se la polemica di Poincaré è corretta e centrata.

35 Poincaré riferisce (immagina?) un dialogo ironico in cui egli si sforza di spiegare ad Hadamard che Burali-Forti ha il diritto di

parlare della classe di tutti gli ordinali perché l'ha indicata con

omega, p. 179. Nella scuola di Peano il problema delle definizioni è spesso sostituito dalla introduzione di un simbolo, a innegabile vantaggio della brevità. 36 La storia del predicativismo è molto complessa, non finisce certo cosí; curiosamente oggi i sistemi impredicativi sono ritenuti molto piú vicini al discorso informale; l'esatta delimitazione della matematica predicativista è stata ottenuta negli anni Sessanta da

H. Wang, G. Kreisel e S. Feferman. La particolare versione di Poincaré del predicativismo è stata studiata da A. Cantini, Una teoria della predicatività secondo Poincaré, in « Rivista di Filosofia », 1981, n. 19, pp. 32-50.

25

CAPITOLO SECONDO

Le ideografie di Frege e di Peano

Frege e Peano non sono formalisti, anche se sono i primi due campioni della formalizzazione totale. Frege intanto non proviene dall'esperienza della assiomatizzazione in cui Poincaré vede l'inizio della nuova tendenza; al contrario, egli semplicemente non capisce co-

me si possa impostare in tal modo la matematica Gran parte della sua attività polemica è rivolta poi proprio contro il formalismo'. « Il suo scopo era di

mostrare che le formule matematiche non sono simboli

vuoti, che non sono generalizzazioni induttive, che

non sono infine espressioni di leggi psicologiche della mente umana » Per Frege la formalizzazione non è il meccanismo formale alla Jevons di produzione di teoremi, anzi « un 1 Si veda il famoso scambio di lettere con Hilbert alla fine del secolo scorso, in G. Frege, Alle origini della nuova logica, Torino,

Boringhieri, 1984. Su Frege si veda M.A.E. Dummett, Frege:

Philosophy of Language, London, Duckworth, 1973 (trad. it. Filosofia del linguaggio: saggio su Frege, Torino, Marietti, 1983). 2 « Sono completamente d'accordo con Lei (dice Husserl) sulla ricusazione della "aritmetica formale", come essa è ora solitamente impostata, e cioè non solo come un (e certo molto significativo) allargamento della tecnica aritmetica, ma come una teoria dell'aritmetica », lettera di E.G. Husserl a Frege del 18 luglio 1891, in Alle origini..., cit., pp. 79-81; il massimo rappresentante della

tendenza è indicato da Husserl nel trattato di H. Hankel. Per la

polemica di Frege contro il formalismo ottocentesco, contro l'idea della matematica come gioco di scacchi, si veda il complesso delle

sue opere, tradotte in G. Frege, Logica e Aritmetica (a cura di C. Mangione), Torino, Boringhieri, 1965. , Gottlob Frege, cit., p. 43.

27

Le ideografie di Frege e di Peano

uso puramente meccanico delle formule è pericoloso

1) per la verità dei risultati, 2) per la fecondità della

scienza... La scienza giungerebbe a un punto di stallo se il meccanismo formale prendesse il sopravvento fino a soffocare del tutto il pensiero » La formalizzazione è tuttavia un'attività di cui non si può negare il peso in matematica: « non vorrei in

alcun modo considerarlo un meccanismo completamen-

te inutile o dannoso, al contrario lo ritengo necessario. Il processo naturale in cui sono andate le cose sembra essere il seguente. Ciò che in origine era fatto tutto di pensieri, col tempo si solidifica in un meccanismo, che libera in parte il ricercatore dal pensiero » Questa posizione è spesso ripetuta nel corso dell'Otto-

cento, a partire ad esempio da Comte, e la funzione liberatoria, in bene e in male, del formalismo nei ri-

guardi del pensiero è sempre stata ammessa dai mate-

matici stessi"

La via naturale, lungo la quale si giunge a un linguaggio simbolico, mi sembra questa: quando una ricerca è portata avanti servendosi di parole, ci si imbatte in ostacoli dovuti all'ampiezza del linguaggio naturale, e alla sua mancanza di chiarezza e di precisione; per porvi rimedio, si crea un linguaggio simbolico con cui condurre la ricerca in modo piú chiaro e preciso. Dunque: prima l'esigenza, poi il soddisfaci4 Lettera a Hilbert del 1 ottobre 1895, in Alle origini.., cit.,

p. 43. 5 Ibidem, p. 44.

6 Comte individua nell'invenzione di nuovi formalismi l'assorbimento della « parte preparatoria » del ragionamento nel dominio della lingua matematica, algebrica; cosí ad esempio è successo con il calcolo: A. Comte, Essais sur la Philosophie des mathématiques (1819), Paris, Au Bureau de la Revue Occidentale, 1879, pp. 17 ss.

7 « A Eulero pareva che i suoi simboli e le sue formule s'incaricassero di pensare per lui e che la sua matita vincesse di perspi-

cacia il suo cervello », riporta G. Vailati, Sull'importanza delle

ricerche relative alla Storia delle Scienze (1896), in Scritti, LeipzigFirenze, Seeber-Barth, 1911, pp. 64-78.

28

Le ideografie di Frege e di Peano

mento. Fare il contrario, creare prima un linguaggio simbolico e poi cercarne eventuali applicazioni, potrebbe essere meno proficuo

Questa storia naturale, come tutte le storie naturali dei filosofi, non è completamente soddistacente; che la creazione dei formalismi sia soltanto l'effetto del tentativo di sfuggire a difetti del linguaggio naturale sembra unilaterale, pone troppa enfasi sulle virtù appunto

di questi artefatti, nel mentre che lascia il fenomeno in un'aura di miracoloso; appunto tutto quello che insospettiva o non convinceva Poincaré. Di fatto il fenomeno ha un carattere più intrinseco alle necessità positive della matematica, e non solo di difesa e puli-

zia Ad ogni modo si tratta in sostanza, secondo me, non tanto della contrappo sizione fra parole pronunciate e simboli scritti, quanto invece di questo: se sia meglio servirsi di teoremi e metodi di por. tata piú ampia o piú ristretta 1°. Quest'ultima contrapposizio ne sembra coincidere con quella di prima solo nel caso in cui non esista ancora un adeguato apparato simbolico per i metodi di piú ampia portata da Lei opportunamente introdotti. Nel caso in cui però un ragionamento possa essere espresso, in 8 Lettera a Hilbert, cit.; Frege pensa che « forse il simbolismo

di Boole-Schröder-Peano ha percorso questa strada », ma si tratta di

rivalità interne; per Peano la validità del rilievo maligno è dubbia. • Lo intuiva ad esempio Russell, quando osservava che era la creazione di « novi algoritmi che rendeva possibile assoggettare a

trattazione simbolica materie prime lasciate alla vaghezza e all'imprecisione del linguaggio ordinario », B. Russell, My Philosophical

Development, New York, Simon & Schuster, 1959, p. 75, corsivo

nostro. 10 Questo è proprio il tema che in quegli anni costituisce il

primo interesse fondazionale di Hilbert, rivolto agli « approfondimenti » dei fondamenti che si realizzano con l'introduzione di concetti e metodi di prova piú generali; si veda M.V. Abrusci, 'Proof', 'Theory' and 'Foundations' in Hilbert's Mathematical Work from 1885 to 1900, in M.L. Dalla Chiara (a cura di), Italian Studies in the Philosophy of Science, Dordrecht, Reidel, 1980, pp. 453-491.

29

Le ideografie di Frege e di Peano

tutti i suoi aspetti, in simboli, esso apparirà piú breve e piú chiaro in tale forma che in parole: sempre che si tratti davvero dello stesso ragionamento e non venga seguito un me. todo totalmente diverso; solo in tal caso si può fare un confronto. I vantaggi derivanti dalla chiarezza e dalla precisione sono cosí grandi, che senza il linguaggio matematico simbolico

alcune ricerche non si sarebbero potute condurre. Ora può accadere che, grazie a ulteriori progressi della scienza, i medesimi risultati si ottengano con piú facilità e maggior completezza seguendo altre vie, senza usare simboli o usandone di meno. Quando però il linguaggio simbolico si sarà perfezionato al punto da poter dare espressione al nuovo ragionamento, allora quest'ultimo apparirà piú chiaro in forma simbolica che in parole "

Al di là del tentativo conciliante di accordo con

Hilbert resta però che per Frege è possibile e augurabile fare per così dire il passo fatale, il passo verso la formalizzazione completa; nonostante la consapevolez-

za dei pericoli, « non si può... identificare l'uso dei

simboli con un processo vuoto di contenuto, meccanico, sebbene il pericolo di cadere in un puro meccanismo formale sia in questo caso molto maggiore che

quando si usino le parole. Si può anche pensare in

simboli » 12

Il quesito successivo è perché si debba pensare in simboli, ammesso che si possa, quale è l'esigenza che preme. Lo scopo di Frege non era quello di rappresentare o di fare matematica, ma di indagare e provare una tesi filosofica, quella della natura analitica della conoscenza. Egli voleva « indagare quanto si possa procede-

re nell'aritmetica in modo puramente deduttivo ba-

sandosi solo sulle leggi del pensiero che sono al di sopra di tutte le particolarità... Per evitare che in questo tentativo si introducesse inavvertitamente alcunché di 11 Lettera a Hilbert, cit., p. 43. 12 Ibidem.

30

Le ideografie di Frege e di Peano

intuitivo, tutto doveva svolgersi senza la minima lacuna entro la catena deduttiva » 13 « Fu la necessità di eliminare con sicurezza assunzioni che nella fondazione dell'aritmetica vengono fatte tacitamente, a portarmi all'ideografia dell'anno

1879 »". Al fine di determinare quello che si può

conoscere con la sola ragione, egli non poteva basarsi sul discorso nel linguaggio comune, quello in cui Poincaré stesso riconosceva che si infiltravano di nascosto assunzioni non esplicitate. Ma c'è di più, oltre alla necessità di esplicitare tutto, c'è una riserva proprio sulla correttezza del linguaggio naturale. Il linguaggio ordinario non è determinato dalle leggi logiche in modo che l'aderenza alla grammatica garantisca la validità

formale dei nostri movimenti di pensiero, al contra-

rio:

è compito della filosofia spezzare il dominio della parola sullo spirito umano svelando gli inganni che, nell'ambito delle relazioni concettuali, traggono origine, spesso quasi inevitabilmente, dall'uso della lingua e liberare cosí il pensiero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla natura dei mezzi lin-

guistici di espressione 15

Ouesta polemica filosofica contro il linguaggio e i suoi inganni Frege la giustifica con esempi e argomenti che riguardano la matematica; egli è molto critico proprio nei confronti di quella commistione di linguaggio 13 Frege, Begrifschrift, in Logica e Aritmetica, cit., p. 104. 14 Lettera a Jourdain del 23 settembre 1902, in Alle origini.

.*)

15 Frege, Begriffschrift, cit., p. 106; e ancora « non può essere

compito della logica seguire le orme del linguaggio... Il compito principale del logico consiste in una liberazione dal linguaggio » e in una semplificazione della proliferazione delle forme linguistiche, di origine primitiva, che con le loro immagini nascondono la forma

logica (lettera a Husserl del 30 ottobre 1906, in Alle origini...,

cit., p. 83).

31

Le ideografie di Frege e di Peano

naturale e formalismi parziali di cui Poincaré diceva che è fatto il gergo matematico. La matematica dovreb.

be essere un modello di chiarezza logica, e invece ci sono forse più espressioni errate, e quindi più idee errate, negli scritti dei matematici che in quelle di ogni altra scienza 16

In particolare le sue critiche si incentrano sugli

usi della variabile e, collegato a ciò, sulla definizione di funzione. Le definizioni correnti di funzione sembrano riferirsi a numeri o grandezze variabili, cose che non esistono.

C'è da chiedersi se non si dovrebbe eliminare completamente questa parola ... non si può dire, né di un segno né di ciò che esso esprime o indica, che sia variabile o che sia una variabile ... la cosa migliore sarà perciò limitarsi ad affermare che le lettere latine servono a conferire a un enunciato generalità di contenuto 17

La malattia moderna dei matematici per Frege è la confusione tra il segno e quello che esso significa; es-

sa è dovuta alla tendenza a isolare i termini e a cercarne il significato singolarmente; e questo è proprio favorito dall'uso di formalismi parziali, e dalla tentazione di usare frasi incomplete come se fossero complete. Ma anche i logici non sono da meno. Frege è in particolare molto caustico sul modo di arrabattarsi di Russell ', lo fa inorridire la frase che « ogni simbolo 16 Sluga, op. cit., p. 99. 17 Nella lettera a Jourdain (1910-137), in Alle origini..., cit.,

pp. 92-102, sono contenute le note che Frege ha preparato per lo scritto storico di Jourdain, e che saranno ivi inserite; la citazione è alle pp. 93-94. 18 « Nella spiegazione di Russell c'è da chiedersi innanzitutto che cosa significhi "a symbol has a value". Si intende la relazione di un segno con ciò che viene denotato? Ma allora il symbol può avere solo un value, poiché il segno deve essere univoco e deve essere stabilito quale significato (value) il segno debba avere. La variabile sarebbe allora un segno. Ma per chi non si pone all'interno

32

Le ideografie di Frege e di Peano

il cui significato non è determinato è chiamato una

variabile » 19

Un altro argomento dove è urgente per Frege mettere ordine è la definizione di funzionale, con i problemi posti dalla rappresentazione delle funzioni in quan-

to distinte dai loro singoli valori 20

D'altra parte invece le caratteristiche dei formalismi che, quando usate meccanicamente, sono pericolose per la verità stessa dei risultati, possono essere domate: « attraverso il perfezionamento logico della notazione si riesce a scongiurare quasi completamente

1l... pericolo » 2 Egli si impegna perciò a costruire di una teoria formale, la variabile è tanto poco un segno quanto lo

può essere un numero. Ora, se Lei scrive: "A variable is represented by a symbol which is to have one of a certain set of values"

toglie in questo modo l'ultimo dubbio. Ma come stanno allora le cose? Il simbolo denota (represents) in primo luogo la variabile, in secondo luogo uno di una certa specie di valori, senza che sia stabilito quale. La cosa migliore sembra allora tralasciare la parola "symbol" dalla definizione. Inoltre, alla domanda: che cos'è una variabile?, bisogna dare una risposta indipendente dalla risposta che si dà alla domanda: con quale simbolo viene denotata una variabile? Si viene cosí alla definizione: "A variable is one of a

certain set of values, without its being decided which one"; questa ultima aggiunta non fornisce però una piú precisa determinazione.. io non direi dunque... "signs have variable meanings"...», ibidem,

pp. 93-95. 19 Lettera a Jourdain del 28-1-1914, in Alle origini.., cit.,

pp. 107-112: « invece di dire "il significato di questo segno non è determinato", bisognerebbe dire "non è determinato quale signifi-

cato debba avere questo segno"?... A p. 5 Russell dice:"Variables will be denoted by single letters, and so will be certain constants"

Se una variabile è denotata da una singola lettera, il significato di questa lettera è una variabile, quindi un simbolo secondo Russell,

e il significato di questo simbolo non è determinato. Abbiamo

dunque un segno di un segno. Le costanti sembrano dover essere allo stesso modo simboli.. ..» (p. 108). Poincaré si sarebbe potuto divertire a queste lezioni di formalizzazione, se le avesse conosciute.

20 Ibidem, p. 101. 21 Lettera a Hilbert, cit., p. 44.

33

Le ideografie di Frege e di Peano

un linguaggio con la perfezione sopra reclamata, essendo provato che quelli esistenti non l'hanno; questo linguaggio non è dato, ma deve essere costruito con una analisi filosofica dei concetti da rappresentare. Si tratta di concetti molto sofisticati perché sono quelli dell'aritmetica. Questo prova intanto che per Frege la matematica non è una grande tautologia, perché egli è interessato primariamente alla conoscenza, e vi include la aritmetica, proprio come conoscenza per eccellenza. È una conoscenza che pone dei problemi perché, d'accordo in questo con Poincaré, ha a che fare con l'infinito: « perché l'infinito dopo tutto non può essere negato nell'aritmetica, ed esso è incompatibile con l'attitudine epistemologica [dello scetticismo positivi-

sticol » 22

In secondo luogo osserviamo che la possibilità di un simile linguaggio è semplicemente postulata. Quello che Frege vuole, e che afferma di aver costruito con la sua Begriffschrift è un linguaggio in formule del pensiero puro, con due enfasi, su formule e su pensiero: il linguaggio deve essere in formule perché deve trattare relazioni indipendenti dalla natura particolare delle cose, ma deve pur sempre essere un linguaggio del pen-

siero. Le formule sono formule di struttura del pensiero, e il linguaggio deve essere « un insieme di segni, la cui forma logica non possa in alcun modo prescindere dal contenuto ». Questo linguaggio completamente trasparente non

deve appoggiarsi a nulla, in particolare non ad altri

2 Citato da Sluga, op. cit., p. 43; nella critica generale allo

scetticismo positivistico, o a come altrimenti viene chiamato, c'è una reazione a sviluppi ottocenteschi che richiama temi kantiani; ma se Frege è un kantiano, come sostiene ad esempio Sluga, è un kantiano

riformato, e cosi pure Hilbert, come vedremo, mentre Poincaré è un kantiano ortodosso.

34

Le ideografe di Frege e di Peano

linguaggi, non a una metateoria; il suo significato deve trasparire dalla stessa struttura formale; allora i sim-

boli non sono simboli non interpretati o altre cose del genere della tradizione formalista; non c'è neanche

una semantica come teoria del significato, perché il

significato è espresso in modo esauriente dall'espressione linguistica. La semantica serve solo nella critica del linguaggio comune come guida alla costruzione del linguaggio perfetto.

Il linguaggio non assomiglia a quelli naturali; addirittura se ne discosta proprio nella struttura spaziale, invece che lineare, delle parole, e in questo si differenzia anche dalle altre ideografie che conservavano

la sequenza lineare, ma questo è voluto:

la mia ideografia sembra scomoda, confrontata con la logica simbolica di Boole, se la si considera solo come una logica simbolica, come calculus ratiocinator e non come lingua characterica. Questo svantaggio diventa però un vantaggio, se si usa l'ideografia per gli scopi per i quali essa è nata. È appunto questa scomodità che permette di afferrare con un colpo d'occhio la costruzione logica di una struttura complessa ... per effetto di questa scomodità le formule piú complicate raggiungono una chiarezza che non sarebbe possibile altrimenti 2, senza di essa l'occhio si troverebbe non poche volte di fronte a un caos difficilmente districabile 24

La natura e la misura della chiarezza sono determinate dal contenuto, il pensiero puro; non si riferiscono a una ripulitura del linguaggio ordinario: 23 In fondo qualche ragione l'aveva nel pensare che la disposizione spaziale invece che lineare rivelasse qualcosa di piú della struttura. Basta pensare in generale alla utilità dei diagrammi; ma

anche in vari formalismi odierni le strutture bidimensionali, grafi e alberi, hanno visto confermata la loro utilità come rappresentazione di strutture sintattiche di espressioni logiche; utilità non solo

visiva, ma di analisi logica, comematematici. possibilità di applicazione di schemi di ragionamenti strutturali 24 Lettera a Jourdain (1910-19132), cit., p. 102.

35

Le ideografie di Frege e di Peano

i logici sono ancora troppo attaccati al linguaggio e alla grammatica, e troppo ingolfati nella psicologia. Ciò impedisce loro di studiare la mia ideografia, che potrebbe invece agire pro-

prio in senso liberatorio.Si ritiene che il processo mentale non sia correttamente rivelato dall'ideografia, ed è giusto:

infatti, senza dubbio non è questo il suo scopo. Se poi essa determina processi mentali completamente nuovi, ciò non è in opposizione al suo scopo 25.

Che il linguaggio perfetto sia formale è infatti una necessità filosofica, ma ha anche dei vantaggi pratici; una volta costruita l'ideografia, l'operare con essa mi ha a sua volta costretto a un piú preciso approccio ai concetti fondamentali dell'aritmetica, sebbene io non sia piú in grado di rendere conto nei particolari di questo passaggio. Il riconoscimento del fatto che il supporto del numero non è un mucchio, un aggregato, un sistema di oggetti, ma invece un concetto, è certamente dovuto essenzialmente alla ideografia ... ritengo di dovere questa distinzione fra mucchio (aggregato, sistema) e classe (estensione del concetto), che

prima di me non era forse stata ancora fatta in modo cosí

rigoroso, alla mia ideografia 26

proprio come la matita di Eulero. Si continua a considerare compito della logica lo studio di determinati processi mentali, mentre invece essa deve studiare il pensiero, inteso come qualcosa 25 Lettera a Husserl del 30 ottobre 1906 in Alle origini..., cit., P. 82. Sulla critica di Frege ai logici psicologisti si veda lo studio di E. Picardi, The Logics of Frege's Contemporaries, in D. BuzzettiM. Ferriani (a cura di), Speculative Grammar, Universal Grammar and Philosophical Analysis of Language, Amsterdam, Benjamins (Sittols), 1986.a Jourdain del 23 settembre 1902, in Alle origini.... 26 Lettera cit., p. 90; aggiunge in verità Frege che « in questo processo sono senza dubbio intervenute certe riflessioni che però non hanno lasciato traccia di sé in quanto è stato pubblicato ». Non è naturalmente rilevante ai fini del presente discorso che alla fine Frege sia tornato a pensare alle classi sganciate dai concetti, cioè ai mucchi,

per la definizione dei numeri.

36

Le ideografe di Frege e di Peano

di oggettivamente esistente. Oggettivo è la parola chiave di Frege. E si noti che anche molte logiche simboliche, come quella di Boole, ricadono sotto la

stessa critica: il simbolismo booleano non deve esprimere contenuti logic ma presentare relazioni algebriche astratte; essa è per Free « una logica rivestita di panni algebrici », che pertanto non può essere applicata all'aritmetica. L'intenzione di Frege non è quella di esporre in formule una logica astratta, ma di esprimere per mezzo dei segni un determinato contenuto, con rigore e chiarezza maggiori di quanto non si possa fare con le parole. Questo è il senso della distinzione tra calculus ratiocinator, e lingua characteristica, che ingloba un calcolo deduttivo ma ha per di più un contenuto di pensiero 2 E non solo occorrono perciò simboli nell'ideografia, ma simboli che non richiamino quelli usati al posto delle parole comuni dagli usuali simboli matematici; il che significa che un testo formalizzato di Free non assomiglia, come è noto, a un testo matematico, neanche a uno scritto con abbondanza di simboli matematici e delle usuali abbreviazioni stenografiche; però va più in profondità, i formalismi matematici hanno una maneggevolezza illusoria: « le proposte di Schröder sarebbero completamente insufficienti quando si volessero rappresentare strutture logiche più complicate, se si volessero realmente condurre con esse dimostrazioni matematiche » 28 Insieme con le logiche simboli-

che, è tutta la tradizione algebrica della dimostrazione 27 Per capire la distinzione, può essere utile l'identificazione (che però è parziale) proposta da van Heijenoort tra calculus di Boole e calcolo proposizionale da una parte e tra la lingua fregeana

e la logica dei predicati dall'altra (si veda J. van Heijenoort, Logic as Calculus and Logic as Language, in Selected Essays, Napoli

Bibliopolis, 1985, pp. 11-16).

28 Lettera a Jourdain (1910-19137), in Alle origini..., cit., p. 102.

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Le ideografie di Frege e di Peano

come calcolo di equazioni, quella a cui si riferiva im-

plicitamente Poincaré, che cade sotto la critica di

Frege. La rappresentazione delle dimostrazioni matematiche, oltre che l'analisi concettuale, è possibile solo nella sua logica e non nelle altre esistenti 29

Del tutto diverso è l'obiettivo di Peano, come diversa è la sua preparazione culturale, nonostante certe

convergenze dei loro progetti. Peano non è interessato a una indagine sulla conoscenza in sé, ma alla perfezione della matematica. La matematica non è il prodotto arbitrario di capacità logiche, ma il complesso delle teorie classiche, algebra, geometria, calcolo... che si sono formate nella storia, partendo da situazioni o problemi o capacità immediate dell'uomo (spa-

zio, movimento, contare), e si sono evolute in teorie. L'obiettivo che Peano si pone è quello della realizzazione della lingua characteristica leibniziana, e di quella assume tutte le premesse e tutte le prospettive. La sua grande conquista, quella che egli ritiene essere

la sua grande conquista, è di aver perfezionato i for-

malismi esistenti in modo da renderli in grado di rappresentare simbolicamente intere teorie, cioè le frasi complete del discorso matematico e non solo relazioni particolari. Per realizzare questo, bisogna incominciare a tradurre simbolicamente le proposizioni fondamentali della matematica, ed egli vi riesce con due innovazioni, che sono l'appartenenza (per

passare da una classe a una affermazione di appartenenza alla stessa), e l'operatore di astrazione (che a partire da una proprietà o definizione fornisce la classe corrispondente) 30

2 Bisognerebbe analizzare gli specifici costrutti dell'ideografia di Frege, ad esempio il quantificatore, per vedere quali ragiona-

menti permette di esprimere che sfuggono invece al calcolo algebrico.

30 « Alcuni anni fa, considerando la classe determinata da una

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Le ideografie di Frege e di Peano

Una volta in possesso delle adeguate capacità

espressive, non resta che isolare, per ciascuna teoria matematica, le sue idee primitive, rappresentarle con simboli e iniziare lo sviluppo delle teorie stesse:

con le combinazioni dei segni dell'Algebra e della Logica, si possono esprimere in simboli proposizioni via via piú lunghe e piú complesse, e il risultato a cui si è arrivati in questi ultimi anni è che si possono rappresentare tutte le relazioni della logica con pochi segni, aventi un significato preciso e assog-

gettati a regole ben determinate. Di conseguenza, introducendo dei segni per indicare le idee dell'Algebra, o della Geometria si possono enunciare completamente in simboli le proposizioni di queste scienze 31

Certo « bisogna dapprima analizzare completamen-

te le proposizioni che si vogliono scrivere in sim-

boli »32, la analisi ha in Peano un significato preciso,

leibniziano, di riduzione alle idee semplici, che si suppone esistano sempre. La costruzione di una ideografia è possibile solo dopo la scoperta delle idee primitive del dominio in questione, e che siano (come sono di

solito) in numero limitato. Le idee di una scienza si

dividono in semplici e complesse, e queste ultime sono

combinazioni delle prime in modo non dissimile, diceva Leibniz, dalla scomposizione dei numeri in fatcon di iene. io mesinareede irale io discolo seno diadedurinne io tava a un calcolo di proposizioni (Calcolo geometrico, 1888); ...dopo

di che fu sufficiente trovare un modo per esprimere proposizioni individuali (attraverso l'epsilon), per tradurre un'intera teoria in un modo completamente simbolico, negli Aritmetices Principia (1889) »: è il bilancio di Peano alcuni anni dopo, nella recensione

dei Grundgesetze di Frege (1895), in G. Peano, Opere Scelte, vol. II, Roma, Cremonese, 1958, pp. 189-195. 31 G. Peano, Notations de logique mathématique (Introduction

au Formulaire de mathématique), 1894, in Opere Scelte, vol. II,

cit., P. 125.

32 G. Peano, Introduction au Tome Il du « Formulaire de Mathématique »,, 1896,in Opere Scelte, vol. II, cit., p. 198.

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Le ideografie di Frege e di Peano

tori primi. Indicate le idee semplici con dei segni, si ottiene un alfabeto della mente. Così Leibniz, e così ripeteva Peano, che con soddisfazione poteva dire:

« nel 1889 io ebbi la fortuna di pervenire a una

analisi completa delle idee della logica, riducendole a un numero molto piccolo... e come sottoprodotto ottenni un alfabeto simbolico, o ideografia, adeguato a rappresentare le idee della logica »

Il lavoro che porta all'alfabeto simbolico ha un

valore in sé: « questa analisi ha i suoi vantaggi;

quante volte la proposizione si trasforma in una identità, oppure vi si scoprono inesattezze, lacune, ambiguità » ». L'analisi che permette la formalizzazione paga in questo raggiungimento di rigore e chiarezza; l'atto in sé della formalizzazione poi paga in un ulte-

riore senso: tutte le proposizioni conosciute « una volta scritte in simboli, occupano poco spazio, meno di quello che si crederebbe » Questa circostanza è alla base della ragione prima del suo progetto di un

Formulario, compendio compatto di tutta la matematica esistente:

sarebbe molto utile raccogliere insieme tutte le proposizioni note che da faleriscono a certe aree della matematica ebbero

difficoltà a esprimerle in simboli logici; le verità aritmetiche

trarrebbero grande beneficio da questa traduzione, rispetto sia

alla precisione sia alla brevità. E probabile che tutte le verità intorno a certi argomenti possano essere condensate in un numero di pagine non maggiore di quello richiesto solo per la loro bibliografia 36

33 G. Peano, Studi di logica matematica, 1897, in Opere Scelte,

vol.34 II,Ibidem. cit., p. 201.

35 Ibidem, p. 199. 3 G. Peano, Sul concetto di numero, in « Rivista di Matematica », I (1891), pp. 87-102 e 256-267, citazione a p. 266.

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Le ideografie di Frege e di Peano

Infatti « ora è possibile pubblicare un Formulario

di Matematica che si propone di contenere tutti i metodi, tutte le dimostrazioni, tutte le proposizioni conosciute nelle scienze matematiche » 37.

Per quel che riguarda la matematica, e la speri-

mentazione che egli ha fatto su larga scala, Peano non ha dubbi su queste caratteristiche della formalizzazione. Per quel che riguarda la scienza in sé della formalizzazione è molto piú empirico e disponibile di Frege,

rispetto ai possibili raffinamenti, ai perfezionamenti e cosí via. La formalizzazione non deve esprimere contenuti logici o leggi del pensiero, ma la realtà delle teorie matematiche date, e quindi non c'è un criterio assoluto di perfezione: « solo l'applicazione continua-

ta, e su vasta scala, di questa scienza,... ci porrà in grado di riconoscere quali fra le innumerevoli formule sono utili e quali meno; quali teorie si disseccheranno spontaneamente perché sterili; quali nota-

zioni, sia in riguardo alla sostanza che alla forma, sono a preferirsi » . Ma questa sperimentazione va condotta soprattutto sulla matematica: io credo che a questo risultato si arriverà specialmente con

le applicazioni alla matematica, ove le idee sono completamente precisate; invece applicandole, secondo l'antica usanza dei

logici, ad esempi tratti dal linguaggio comune, in cui i termini sono sempre alquanto imprecisi, e quindi non atti a passare

piú volte nel meccanismo delle formule, si arriva qualche volta a risultati assurdi o troppo semplici, e quindi poco utili

a illustrare la teoria 39

37 G. Peano, Introduction au Tome II.. .., cit., p. 199. Per la

descrizione del Formulario, nelle sue varie edizioni, delle sue dimen-

sioni e contenuto, impressionanti, si veda U. Cassina, Storia e analisi del « Formulario completo » di Peano, in « Boll. UMI », X (1955), n. 3, pp. 244-265 e 544-574, e Sul Formulario mathematico di Peano, in A. Terracini (a cura di), In memoria di Giuseppe Peano, Cuneo, Liceo Scientifico, 1955, pp. 71-102. 38 Recensione di Schröder, in Opere Scelte, vol. II, cit., p. 121. 39 Ibidem.

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Le ideografe di Frege e di Peano

Salta agli occhi un orientamento particolare, che di solito viene attribuito alla sua natura di matematico puro; egli non dice che la matematica abbia bisogno di maggior precisione e chiarezza; è il linguaggio comune che talvolta vi aggiunge le sue ambiguità, ma la matematica in sé, quando la si analizzi completamente, o la si liberi delle oscurità del linguaggio comune, è precisa; questo infatti è il suo atteggiamento ad esempio nei confronti dell'antinomia di Richard, a proposito della quale rifiuta la soluzione predicativista di Poincaré per scioglierla solo con una formalizzazione rigorosa*, ne segue che maggiore enfasi viene

a essere posta sulla restante caratteristica della formalizzazione, proprio la brevità e la concisione. A questo punto se ci chiediamo chi abbia ragione tra Poincaré e Frege, o tra Poincaré e Peano, la risposta non è semplice; alcune complicazioni della que-

stione le abbiamo già viste con Frege, quando egli ammette che a prima vista la sua notazione è complessa, ma parla di chiarezza in vista del rivelamento di una struttura logica, qualunque essa sia, che è oscurata dal linguaggio. Poincaré non si cimenta con que-

sta problematica, che peraltro non conosce che in modo indiretto 4 Per la brevità in sé, e per l'affidabilità che ne consegue, resta quella atroce battuta di Poincaré sulle 27 equazioni, ma anche essa richiede qualificazioni. Si potrebbe risponderle che nel Formulario di Peano ci sono un mucchio di teoremi importanti, come chiedeva Poincaré, dimostrati in modo 40 L'analisi della antinomia di Richard è svolta nella additione dell'articolo Super teorema de Cantor-Bernstein et additione, in « Rivista di matematica », VIII (1906), pp. 136-157. 4 Sarebbe interessante analizzare come l'opera di Frege è stata recepita dai contemporanei, attraverso le esposizioni indirette di Couturat ecc.

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Le ideografie di Frege e di Peano

compatto, anzi ci sono tutti quelli allora noti; e allora forse l'obiezione si sposterebbe dalla semplice possibilità di catalogazione a quella della facilitazione della scoperta; ma la discussione non avrebbe comunque punti di riferimento precisi, e si sfilaccerebbe. Piut-

tosto possiamo convincerci che le obiezioni di Poincaré

sono un po' troppo semplicistiche meditando su alcune delle considerazioni di B. Russell, un altro personaggio non trascurabile della storia della formalizzazione.

Egli ha raccontato come è noto il suo incontro

con la logica di Peano a Parigi nel 1900, la grande impressione che subito ne ebbe per la maggior precisione e il maggior rigore logico che Peano mostrava in ogni discussione, il suo studio di detta logica, e il r1conoscimento dei vantaggi che essa aveva sui formalismi precedentemente usati, da Leibniz fino a Whitehead, per gettare luce sulla « grammatica dell'aritmetica »; vantaggi dovuti a precisi miglioramenti tecnici « di cui è molto difficile apprezzare l'importanza a meno di non aver speso (come io ho fatto) diversi anni a cercare di capire l'aritmetica ... Le vecchie teo-

rie entravano sempre in crisi sullo 0 e sull1 e fu

proprio la capacità di Peano di superare queste difficoltà che fin dall'inizio mi impressionò » Su 0 e 1 dunque non è il caso di sorridere tanto facilmente come faceva Poincaré quando concedeva alla fine, e in parte contro le sue stesse critiche, che « se si tratta di dimostrare che 1 è un numero, allora la pasigrafia ce la fa, ma se una difficoltà insorge, se c'è una antinomia da risolvere, allora la pasigrafia diventa impotente » 43"; se è vero che 0 e 1 sono i casi 42 B. Russell, My Philosophical Development, cit., p. 66. 43 Poincaré, Science et Méthode, Paris, Flammarion, 1908,

p. 171.

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Le ideografie di Frege e di Peano

piú difficili non c'è da sorprendersi se lo spazio ad

essi dedicato inizialmente deve essere un po' piú lungo della loro misura intrinseca; anche perché bisogna avere sempre presente quale è il fine della analisi.

Certo c'è una apparente assurdità nel procedere, come si fa nella teoria logica dell'aritmetica, attraverso molte e piuttosto recondite proposizioni della logica simbolica, alla « dimostrazio-

ne » di truismi quali 2+2=4, perché è ovvio che la conclusione è molto piú certa delle premesse, e la supposta relativa dimostrazione sembra perciò futile. Ma naturalmente quello

che noi stiamo veramente dimostrando non è la verità di

2+2=4, ma il fatto che questa verità può essere dedotta dalle

nostre premesse. La « semplicità logica » di una proposizione si

misura, grosso modo, con il numero dei suoi costituenti. E un errore supporre che una idea o una proposizione piú semplici siano sempre piú facili da cogliere di una piú complicata

L'analisi della matematica comincia in genere a metà strada, da cose note o che si sanno dimostrare,

e da questo punto ci si può chiedere o che cosa segue,

sviluppando la matematica verso le sue applicazioni, oppure come si arriva al punto in cui siamo. Il vantaggio di ottenere premesse logiche semplici al posto di premesse empiriche è in parte che questo ci offre una pos-

sibilità maggiore di isolare un eventuale elemento di falsità infiltrato, in parte è che serve a organizzare la nostra conoscenza, e in parte infine è rappresentato dal fatto che le premesse logiche hanno, di norma, molte piú conseguenze che non

le premesse empiriche, e cosí ci conducono alla scoperta di molte cose che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute 45.

14375

Il tipo di creatività che permette l'analisi logica, le nuove scoperte favorite dalla logica, non vanno 4 B. Russell, The Regressive Method of Discovering the Premisses of Mathematics (1907), in D. Lackey (a cura di), Essays in Analysis, London, George Allen & Unwin,, 1973, рр. 272-283. 45 Ibidem.

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Le ideografie di Frege e di Peano

tanto nella direzione dell'immediatamente avanti, come sembra leggere Poincaré, ma nella direzione

spezzata indicata da Russell.

È vero che Russell queste cose le dice nel 1907,

e può darsi che la polemica feroce di Poincaré lo abbia

aiutato a riflettere; ma Russell non è mai stato un

patito della formalizzazione, nonostante si sia imbarcato nella impresa dei Principia, sul modello peaniano. Egli non ha dato rilevanti contributi alla scienza della formalizzazione, ricordiamo come Frege perdesse la pazienza per i pasticci e le approssimazioni del Russell logico simbolico. Per quel che riguarda la natura della logica simbolica, per Russell addirittura « la parola

simbolica designa il soggetto per mezzo di una caratteristica accidentale, perché l'uso di simboli matematici, qui come altrove, è semplicemente una comodità, teoreticamente non essenziale » Dato il suo interesse preminente per l'analisi logica piuttosto che per il perfezionamento della ideografia, non sorprende che i progressi tecnici che egli riconosce a Peano non siano ad esempio gli stessi rivendicati da Peano; essi sono per Russell: la separazione tra due tipi di proposizioni fondamentali, quelle singolari come « Socrate è mortale », e quelle universali come « Tutti i greci sono mortali » (separazione naturalmente resa opportunamente dal

simbolismo), e la distinzione tra un oggetto e l'insie-

me costituito da quel solo oggetto (che « non è pedanteria scolastica » ma rivela come « cose che sono con46 Con questa dichiarazione, in The Principles of Mathematics,

cap.II. Russell sembrerebbe d'accordo con Poincaré che ritiene « difficile ammettere che la parola 'se' acquisisca, quando la si

scrive C rovesciato, virtú che non aveva quando la si scriveva 'se' »,

in Science et Méthode, cit., p. 167; ma in questo si rivela poco matematico, in quanto è dubbio che si possa dire che l'uso dei

simboli matematici è semplicemente una comodità, e inoltre contraddice altre sue piú fini riflessioni, menzionate sopra.

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Le ideografie di Frege e di Peano

tate uno possano essere contate molte », ambiguità da cui nascono infiniti cavilli nella filosofia della matema*7). La costruzione delle ideografie come si vede è

tica un affare complesso con molti livelli di motivazioni, obiettivi e analisi. Russell è uno degli obiettivi polemici privilegiati di Poincaré, ma soprattutto, pensiamo, perché la sua ricerca inesausta per uscire dalle contraddizioni (egli

provò varie soluzioni oscillando per alcuni anni tra teoria dei tipi, teoria senza classi, teoria zig-zag) sembrava a Poincaré la prova vivente della insussistenza delle pretese assolutiste della apparentemente ferrea logistica 48..Un comodo bersaglio per argomenti ad hominem. Ma gli poteva rimproverare solo inconsistenze generali con quelle che erano le sue (di Poincaré) rappresentazioni polemiche. E in generale bisogna dire che la sua esposizione di Russell è abbastanza fedele, forse perché Russell ha scritto di piú, o perché si spiegava meglio, o perché Poincaré lo ha letto meglio. La rappresenta-

zione degli altri avversari invece non è molto fedele, anche se questo non vuol dire che sia peggiorativa. Su Frege e Peano sceglie la via del silenzio, e si appunta invece sui minori; il che presenta il vantaggio, per noi,

di fare emergere gli argomenti tipici, popolari, della

polemica.

47 My Philosophical Development, cit. I due punti indicati da

Russell non sono comunque privi di relazione con quelli menzionati

da Peano. 48 Sulla soddisfazione di Poincaré per gli ondeggiamenti di Russell si veda Science et Méthode, cit., pp. 203-206.

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CAPITOLO TERZO

Il formalismo matematico

Tra gli antagonisti minori di Poincaré va senz'altro classificato Couturat, già piú volte citato. Couturat in effetti non è un gran rappresentante della scuola logicista, non si può dire che le faccia una buona propaganda. Ma esprime bene la posizione media. Se leggiamo i suoi scritti dedicati alle definizioni', troviamo accostati molti argomenti diversi con poca finezza. Dapprima egli espone la teoria classica sulle definizioni, quella secondo cui ogni definizione richiede una dimostrazione di esistenza e unicità, e si imbarca nel problema se il definiens e il definiendum siano nomi o concetti, prendendosela con il pregiudizio nominalista che la matematica sia solo un gioco di nomi. Per sfuggire a tale pregiudizio, la sua conclusione alquanto contorta è che i due termini della definizione sono lo stesso concetto, considerato una volta nella sua unità e una volta nella sua molteplicità. Alla fine del-

l'analisi però viene a riconoscere una parte di verità di questo pregiudizio, che ha a che fare con il carattere formale della matematica:

in una teoria deduttiva, la verità delle proposizioni che si deducono dai principi è indipendente dal senso delle nozioni prime. In effetti, siccome queste nozioni non sono definite, il loro senso intrinseco non interviene, non pud intervenire nelle 1 L. Couturat, Les définitions mathématiques, in « L'Enseignement mathematique »,VII (1905), pp. 27-40, e Définitions et démonstrations mathématiques, in « L'Enseignement mathematique », VII (1905), pp. 105-121.

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Il formalismo matematico

deduzioni; queste riposano interamente sulle proposizioni prime, che stabiliscono delle relazioni estrinseche tra le nozioni

prime. Ne risulta che ogni altro sistema di nozioni prime che verifichi gli stessi postulati, verifica anche tutte le proposizioni che ne derivano. Si è cosí condotti a fare astrazione dal

senso delle nozioni prime, a ridurle a dei simboli privi di

senso, e a considerare la teoria come riferentesi soltanto a

questi simboli. Una tale astrazione è legittima ... ella proviene dal carattere formale delle derivazioni matematiche; esse poggiano solo sulla forma delle proposizioni, e non dipendono in alcun modo dal loro contenuto concettuale ... Si concepisce cosí una teoria matematica come una pura forma di ragionamento, vuota di contenuto, dove il posto delle nozioni è marcato dai simboli, e si è cosí condotti a pensare che la teoria

si riferisca ai simboli?

Naturalmente ci sono poi le diverse possibili interpretazioni che si ottengono con una variazione del senso dei simboli. Questa, , il lettore riconoscerà facilmente, è l'esposizione classica della posizione formalista della matematica, come lui stesso la chiama In tale impostazione Couturat vede la realizzazione completa e pacifica della riduzione della matematica alla logica perseguita dalla tendenza logicista. E invece un logicismo mozzo, perché mantiene solo il carattere logico delle deduzioni, mentre evita le difficoltà della definizione logica dei concetti con il loro svuotamento di senso.

Nello stesso Couturat ripete cose i dette invece datempo altri che formalisti non tutte sono,lecome

logicisti e Peano; a proposito delle definizioni in particolare prosegue introducendo le definizioni per po-

stulati e quelle per astrazione, che erano gli esperimenti definitori dei logicisti, e a cui più o meno cosciente? Ibidem, pp. 39.40.

3 Per la precisione, è il formalismo moderno, che come notava Poincaré si appoggia alla impostazione assiomatica precisata alla fine del secolo scorso. Per il formalismo ottocentesco di tipo empirico si rimanda alla polemica di Frege sopra citata.

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Il formalismo matematico

mente si attribuivano doti creative, e le ritiene del tutto legittime e soddisfacenti.

La commistione di formalismo e logicismo in una

versione edulcorata alla Couturat sarà in un certo senso ufficializzata nel bilancio delle scuole fondazionali esposto al convegno sui fondamenti di Königsberg del 1930, con la relazione di Carnap*; nella stessa occasione la presentazione del formalismo fatta da von Neumann lo legava invece, come da allora sarà d'obbligo,

al nome di Hilbert.

Hilbert era intervenuto sulla scena della formalizzazione nel 1904, con una proposta che si discostava decisamente da quelle esistenti, perché motivata da una sua impostazione del tutto originale. Poincaré avrà ovviamente molto da obiettare anche contro Hilbert, ma il rispetto sarà assoluto, pur nella polemica, e Poincaré dimostrerà di capire a fondo la strategia di Hilbert. La discussione servirà a fare emergere dei punti molto significativi e importanti; altri, non Poincaré sono quelli che hanno in seguito deformato Hilbert a campione di un generico formalismo. Hilbert non è mai stato un ammiratore dei formalizzatori totali, e aveva espresso le sue riserve a Frege nel 1895 stimolandone la risposta che abbiamo visto sopra; addirittura aveva rivelato a Frege che « i Suoi sforzi erano diretti ad attenuare piuttosto che ad accentuare il carattere formale della matematica »'. In

una prima fase il lavoro di Hilbert si era rivolto alla 4 Le relazioni sulle tre scuole principali, Carnap sul logicismo, Brouwer sull'intuizionismo e von Neumann sul formalismo, pubblicate su « Erkenntnis » nel 1931, si possono leggere in P. Benacerraf-

H. Putnam (a cura di), Philosophy of Mathematics, Oxford, Black-

well, 1964. 5 Lettera di Frege a Hilbert, 1 ottobre 1895, in Alle origini della nuova logica, cit., p. 43.

49

Il formalismo matematico

assiomatizzazione della geometria, in parte per mette-

re a posto definitivamente lo stato delle proposizioni indipendenti, ma anche piú in generale per indagare il meccanismo del metodo assiomatico, a cui attribuiva un grande significato per la caratterizzazione della scien-

za moderna Nel 1904 Hilbert affronta i problemi dei fondamenti della teoria dei numeri (aritmetica e analisi), e in questa occasione sposa il metodo assiomatico alla formalizzazione, in una sintesi che, con variazioni successive solo tecniche, diventerà nota come programma

di Hilbert.

Il punto di partenza di Hilbert è che l'infinito,

cosí ormai essenziale al discorso e alle dimostrazioni matematiche, « non si trova mai realizzato; esso non è presente nella natura, né è ammissibile come fondamento del nostro pensiero razionale »".. In questo sembrerebbe d'accordo con Poincaré, se non che egli ritiene ci sia una spiegazione del come e del perché l'infinito è comunque usabile e utile in matematica: « l'infinito, essendo proprio la negazione di uno stato che vige dovunque, è un'astrazione spaventosa - eseguibile soltanto con l'uso consapevole o inconsapevole del metodo assiomatico »'. Il metodo assiomatico è una soluzione non per permettere di fare geometria anche ai ciechi, ma per far fare matematica ai matematici. 6 Si veda lo studio di Abrusci, cit., e le osservazioni di C.). Webb, Mechanism, Mentalism and Metamathematics,Dordrecht, Reidel, 1982, cap. III, a proposito della influenza su Hilbert degli sviluppi teorici della fisica; si vedano poi le opere raccolte in D. Hilbert, Ricerche sui Fondamenti della matematica, Napoli, Bibliopolis, 1985, da cui trarremo le citazioni. Il volume comprende gli scritti sui fondamenti da quello del 1900, sulla assiomatizzazione dei numeri reali, alla conferenza di Heidelberg del 1904, allo scritto del 1917 sul metodo assiomatico, ai lavori di logica degli anni Venti e alcune riflessioni generali del 1930.

7. Hilbert, op. cit., p. 266. 8 Ibidem, p. 304.

50

Il formalismo matematico

Ne aveva dato un esempio con la assiomatizzazio-

ne dei numeri reali, attraverso cui la infinità dell'in-

sieme delle successioni di Cauchy viene sostituita da un sistema sottoposto a un numero finito di assiomi, le cui verità accettabili sono solo quelle ottenibili con un numero finito di applicazioni di regole precise. « L'operare con l'infinito può venire reso sicuro soltanto mediante il finito » , e questa è la funzione prima della assiomatizzazione. A questo però si aggiunge, nella situazione di confusione originata dall'operare intuitivo con l'infi-

nito, la volontà di dimostrare che non si tratta di una scappatoia evasiva, di dimostrare rigorosamente questa

sicurezza data dal finito. Allora la formalizzazione viene concepita ai fini di

una dimostrazione di non contraddittorietà che non

può basarsi sulla esibizione di un modello, necessaria-

mente infinito; invece di pensare agli oggetti di cui una teoria sembra parlare, si può provare a ragionare

sulle affermazioni stesse della teoria, sugli enunciati e teoremi, allo scopo di dimostrare l'impossibilità di occorrenza di certe configurazioni sgradite. Per fare questo le frasi devono essere ridotte a oggetti matematici, e oggetti molto concreti perché su di essi si possa esercitare un ragionamento matematico di tipo elementare ed affidabile, quello che presuppone

solo il finito.

L'uso dei metodi cosiddetti finitisti verrà via via precisato ma è già in germe nel primo abbozzo del 1904; naturalmente i metodi matematici affidabili sono

pur sempre matematici, per cui non c'è questione di riducibilità della matematica alla logica: la matematica, come ogni altra scienza, non può essere fondata mediante la sola logica; anzi, come precondizione per l'uso

delle inferenze logiche e per lo svolgimento delle operazioni

? Ibidem, p. 266.

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Il formalismo matematico

logiche, ci deve essere già dato qualcosa nella rappresentazio-

ne: certi oggetti concreti extra-logici che esistono intuitivamente come esperienze immediate prima di ogni pensiero ... Io concedo che già nella costruzione dell'intelaiatura teorica sono necessarie certe vedute a-priori e che alla base del costi-

tuirsi della nostra conoscenza si trovano sempre vedute di questo tipo. Io credo che, alla fin fine, anche la conoscenza

matematica si basa su di un certo numero di tali vedute intuitive e che perfino per la costruzione della teoria dei numeri abbiamo bisogno di una certa impostazione intuitiva a-priori 10

Kant ha solo esagerato l'ampiezza dell'a-priori, i cui piú modesti confini sono invece esattamente delimitati nel suo programma: se il ragionamento logico deve essere sicuro, questi oggetti devono essere completamente dominabili in tutte le loro parti, e insieme con gli oggetti la loro esibizione, la loro distinzione; il loro susseguirsi e il loro stare l'uno accanto all'altro sono dati in modo immediatamente intuitivo, come qualcosa che non è riducibile ancora a qualcos'altro né richiede una riduzione I1

Le capacità di discernimento e manipolazione elementari di oggetti finiti sopra descritte, una volta tradotte in termini matematici, comprendono quelli che genericamente si chiamano metodi combinatori; una cosa è certa, una caratterizzazione negativa superiore, che questi metodi non possono contemplare il princi-

pio di induzione nella sua completa generalità, altri-

menti nella dimostrazione di non contraddittorietà dell'aritmetica ci sarebbe un evidente circolo vizioso.

Poincaré discute nei dettagli la nuova (1904) proposta di Hilbert 12 riconoscendovi la presenza di « pensieri più profondi » e cogliendone esattamente la stra10 Ibidem, p. 267. 11 Ibidem.

12 Poincaré, Science et Méthode, cit., pp. 179-184.

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Il formalismo matematico

tegia. Intanto lo rassicura che, a differenza di Russell, per Hilbert logica e aritmetica siano considerate come minimo compresenti nei fondamenti. Poi gli sembra piú accettabile il formalismo dove le variabili non denotano oggetti imprecisati, ma solo oggetti concreti ben

definiti: « Hilbert introduce i due oggetti 1 e = e con-

sidera tutte le combinazioni, le combinazioni delle com-

binazioni ecc. » di questi oggetti e solo di questi og. getti. Il suo scopo è quello di definire delle partizioni di questi oggetti in due classi in modo tale da mostrare che, non potendo certe combinazioni appartenere alla classe di quelle che rappresentano i teoremi, la teoria dei numeri risulta non contraddittoria. A Poincaré questo lavoro sembra il tentativo di mostrare la non contraddittorietà dell'aritmetica esattamente secondo le linee da lui già indicate come unica possibilità di attacco alla questione nella polemica con i logicisti. Ma nell'indicare questa unica possibilità per

la dimostrazione di non contraddittorietà, Poincaré

aveva anche segnalato come l'unico tipo di ragionamento legittimo e conclusivo sull'insieme di questi oggetti

concreti che sono le formule fosse qualche forma di induzione; ora nei dettagli del tentativo di Hilbert ha una piacevole conferma della sua indicazione.

La fine del primo lavoro di Hilbert, dove questi

traccia le linee per passare dai casi di formalismi facilmente dominabili col suo metodo a quelli piú impegnativi dell'aritmetica, gli appare incerta e oscura; ha l'impressione che Hilbert si sforzi di evitare di cadere nel circolo vizioso, ed egli rispetta questa attenzione, anche se trionfalmente sa che non sarà possibile sfuggire al destino che ha preannunciato 13 13 Poincaré ha sostanzialmente ragione nel sostenere che non si può fare a meno dell'induzione nei ragionamenti sui sistemi formali;

nel 1922 Hilbert cercherà di rispondergli distinguendo una indu-

53

Il formalismo matematico

Dopo aver considerato anche la posizione di Hilbert, vediamo che il fronte dei formalizzatori è multiforme e sfaccettato. Poincaré era poco interessato a fare distinzioni sottili nel campo degli avversari, ma noi possiamo individuare almeno quattro scuole. Due le potremo chiamare contenutiste, e sono quel la di Frege e quella di Peano; per loro il pensiero matematico non è formale, ma ha un contenuto. Per Frege si tratta del pensiero oggettivo, qualunque cosa esso sia "; per Peano sono le idee della mente. Il linguaggio simbolico ha nel primo caso la funzione di far trasparire questo contenuto oggettivo del pensiero, e lo fa trasparire nel senso che la struttura logica del pensiero è proprio data dalla forma dell'ideografia. Nel secondo caso grazie all'ideografia si guadagna, oltre alla chiarezza etc., anche una espressione perfetta del linguaggio della mente, e c'è sul linguaggio naturale un ulteriore vantaggio che è dato dalla brevità. Couturat invece è un formalista verace, o almeno enuncia i principi del formalismo collegato alla presentazione assiomatica delle teorie. Hilbert è ancora un'altra cosa: il simbolismo non è il pensiero matematico ma ne è una rappresentazio-

ne, una codificazione che ci permette di trattare gli enunciati della matematica solo dal punto di vista della

zione formale da una induzione « contenutistica »; da un punto di vista di strumenti logici si distinguerà poi tra la applicazione dell'induzione a formule qualunque oppure a espressioni combinatorie; distinzione sensata che tuttavia induce alcuni dubbi sulla estensione e sulla caratterizzazione del dominio finitista; nella discussione inter-

verranno negli anni Venti anche Skolem e Weyl; si veda J. van Heijenoort (a cura di), From Frege to Gödel, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1967, in particolare pp. 300, 473 e 480-481.

1 Oltre agli studi già citati, per un approfondimento si veda E. Picardi, On Frege's Notion of « Inhalt», in M.V. Abrusci, E. Casari, M. Mugnai (a cura di), Átti Convegno Storia della Logica, San Gimignano 1982, Bologna, Club, 1983, pp. 307-312.

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Il formalismo matematico

loro struttura sintattica. La formalizzazione è uno stadio preparatorio dello studio matematico. Attraverso di essa le dimostrazioni sono ridotte a oggetto matematico, quindi assoggettate a studio matematico. Questo studio prevede, oltre alle sperate dimostrazioni di non contraddittorietà, una ricca varietà di tematiche, alcune solo annunciate da Hilbert, altre perseguite già dalla sua scuola e poi dalla logica matematica: la questione della risolubilità in linea di principio di ogni problema matematico, la questione della controllabilità a po-

steriori del risultato di una ricerca matematica, e inoltre la

questione relativa ad un criterio di semplicità per le dimostrazioni matematiche, la questione del rapporto tra contenuto e

formalismo in matematica e in logica, e infine la questione della decidibilità di un problema mediante un numero finito di operazioni. Non possiamo dichiararci soddisfatti della as-

somatizzazione della logica, finché non siano state comprese

e chiarite nel loro complesso tutte le questioni di questo genere 15

Cosa succede nella matematica negli anni seguenti, cioè nel corso del nostro secolo? Frege come è noto è

isolato e l'influenza che ha è mediata da, o erroneamente identificata con Russell. La scuola di Peano

scompare: passata la prima ubriacatura, quando Peano imponeva sulle sacre riviste come i « Mathematische

Annalen » i suoi articoli scritti tutti nell'ideografia (e

l'ubriacatura passa anche perché lo stesso Peano in se-

guito cerca di imporre un'altra cosa altrettanto scoc-

ciante per i colleghi, cioè gli articoli scritti in latino

sine flexione), la scena resta occupata dal solo Hilbert;

il quale fino al 1917 non riprende pubblicamente il suo progetto, e poi lo porta avanti negli anni Venti, contro altri interlocutori che non sono piú Poincaré ma gli intuizionisti come Brouwer e Weyl. 15 Hilbert, op. cit., p. 185, corsivo nostro.

55

Il formalismo matematico

Nessuno ha piú il coraggio, come Peano e Russell, di scrivere testi (di matematica o di logica) interamen-

te formalizzati. Né se ne sente il bisogno. I logici si

dedicano ai temi metamatematici indicati da Hilbert, e scoprono le limitazioni dei formalismi. Tutti i progetti fondazionali si rivelano molto piú complessi da approfondire delle iniziali tesi semplificate, e i matematici perdono il contatto con queste ricerche sofisticate. Il neopositivismo per bocca di Carnap diftonde l'idea che non ci siano sistemi logici privilegiati e che la matematica consista nell'esplorare tutte le possibilità dei vari linguaggi, e nel predisporre tali possibilità. Come opinione generale sulla natura della matematica, finisce per prevalere tra i matematici la posizione che sembra meno impegnativa, quella di un formalismo tradizionale solo spruzzato della moderna ter-

minologia sui sistemi formali e di una traccia di hil-

bertismo:

per il matematico medio che vuole solo l'assicurazione che

il suo lavoro ha una base sicura, la scelta piú allettante è

quella di evitare le difficoltà assumendo il programma di Hilbert. Qui uno considera la matematica come un gioco formale e si preoccupa solo della non contraddittorietà ... Questo Pro. gramma Formalista di Hilbert resta per ora l'unica prospettiva assolutamente precisa (il che non vuol dire corretta) 16

È una posizione che sembra implicare meno questioni epistemologiche da demandare ad altri (filosofi), confrontata per esempio a quella di un platonismo coerente, ma non è meno difficile da esporre e sostenere in tutte le sue implicazioni. Lo si vede bene in quello 16 P.J. Cohen, Comments on the Foundations of Set Theory,

in D.S. Scott (a cura di), Axiomatic Set Theory I, (Proc. Symp.

Pure Math.), Providence, American Mathematical Society, 1967,

vol. XIII, parte I, pp. 9-15.

56

Il formalismo matematico

che è forse l'unico tentativo di esposizione sistematica del formalismo post-hilbertiano, dovuto a Curry " Curry vuole esporre la tesi che la matematica è la scienza dei sistemi formali; ma la dizione di scienza dei sistemi formali è subito ambigua. Una interpretazione possibile è che dove si direbbe usualmente che la matematica studia i numeri, le funzioni, gli spazi, piú precisamente si dovrebbe dire che la matematica studia i sistemi formali che parlano dei numeri,... Ma i siste-

mi formali parlano di qualcosa? Scienza dei sistemi formali può voler dire costruzione, o definizione di questi, oppure sviluppo al loro interno delle derivazioni. In Curry sembra che la parola scienza voglia proprio escludere questa interpretazione restrittiva, quindi la matematica non è un testo formale, ma un insieme di considerazioni sui testi formali. Infatti « dobbiamo includere insieme alle proposizioni elementari anche le metaproposizioni .. ... tutte le proposizioni che hanno a che vedere con un sistema formale, o con diversi, o con i sistemi formali in generale devono essere considerate come puramente ma-

tematiche » ma, aggiunge subito, « fintanto che il loro criterio di verità dipende soltanto da considerazioni formali e non da cose estranee » 18.. Se il criterio di validità è pur sempre solo formale, perché « la discriminante primaria del rigore matematico è la definizione di derivabilità di una proposizione elementare, che ab-

biamo visto [nella definizione di sistema formale] ...

ha tutta l'oggettività che uno può desiderare »19 allora uno si aspetterebbe che anche le metateorie dovrebbero essere dei sistemi formali in cui uno tratta o rappre-

senta altri sistemi formali; e le metaproposizioni do-17 H.B. Curry, Outlines of a Formalist Philosophy of Mathematics, Amsterdam, North Holland, 1951. 18 Ibidem, p. 56.

19 Ibidem, p. 57.

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Il formalismo matematico

vrebbero essere proposizioni elementari di un sistema superiore. Ma cosí non è, per Curry non è necessario precisare rigorosamente l'ambito delle metaproposizioni. Sarebbe meglio che esse fossero sempre di tipo co-

struttivo (una caratterizzazione che Curry illustra in modo vago), tuttavia non è strettamente indispensabile, anche perché poi la matematica del lavoro matematico « è raramente pura ». A livello di principi, di definizione della matematica pura, in Curry c'è una contraddizione esplicita: da una parte sta l'affermazione che la matematica rigo-

rosa è costituita dai testi formali che sono le derivazioni in particolari sistemi formali, dall'altra sta l'affer-

mazione che la matematica è il ragionamento sui sistemi formali: le definizioni usuali di questi sono date da definizioni ricorsive, sulla cui base si derivano le con-

clusioni volute circa i sistemi con il metodo della induzione.

Allora, o questa attività la si formalizza, in un sistema dell'aritmetica, il che implica che ci sarà un sistema privilegiato, o almeno un tipo o una classe di sistemi

privilegiati, oppure non la si formalizza, e allora non

si capisce che cosa conferisca oggettività alle dimostra-

zioni matematiche. C'è sempre lo spettro delle preesistenti critiche di

Poincaré, e della sua rivendicazione dell'intuizione. Dopo aver detto che la matematica è quello che per Hilbert è la metamatematica, cioè lo studio con metodi

costruttivi (inclusa l'induzione) dei sistemi formali,

Curry osserva: quanto alla sentenza di Poincaré, che la presenza della induzione matematica dà alla matematica un carattere sintetico apriori, io non la capisco ... Certo c'è una intuizione, ma se uno definisce bene l'intuizione la constatazione diventa tautologica. La questione della natura metafísica di questa intuizione è irri-

levante. A molti di noi sembra che l'intuizione sia un feno-

58

Il formalismo matematico

, linguistico ..., ma se uno vuole associarla al Tempo o all'Assoluto, o ad altra simile idea, il contenuto della

matematica non cambia 20

Il contenuto della matematica: una locuzione che un formalista non potrebbe usare. Perché se nella trattazione dei sistemi formali si separano (per poi ricollegare) le interpretazioni dai sistemi, ci si scontra col fatto che la semantica (tarskiana) è data nella teoria degli insiemi; se si considera la matematica pura solo come la costruzione di sistemi non interpretati, è dif-

ficile sostenere che la matematica è « una scienza, non un gioco » 21 La risposta di Curry è confusa, e si compendia nella affermazione che i sistemi formali consistono di « pro-

posizioni, non formule », non cioè stringhe di segni; ma da nessuna parte è detto come si stabilisca il loro « contenuto »; sono discusse solo diverse possibili interpretazioni, ottenute con una variazione dei domini dei termini; al contrario non sembra possibile una variazione del significato dei predicati, fissato dalle definizioni induttive dei sistemi formali, e non sembra possibile un sistema senza interpretazioni. Il formalismo non evade le questioni filosofiche, al massimo cambia l'orizzonte delle questioni che solleva;

si tratterà di questioni piú sottili e di filosofi meno

vecchi, la teoria del significato invece dell'ontologia, ma non di questioni meno problematiche.

I matematici che assumono oggi la posizione formalista si rendono conto che ha delle lacune non facilmente risolvibili; prevalgono allora di solito a riempitivo delle considerazioni di tipo pragmatico (già presenti in Curry). I piú accorti si rifanno a temi hilber20 Ibidem, pp. 57-58.

21 Ibidem, p. 57.

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Il formalismo matematico

tiani perché si rendono conto che lí almeno c'è una sostanza. Cosi in P. Cohen e A. Robinson, i due logici contemporanei che si sono dichiarati formalisti, il pun-

to di partenza è come in Hilbert la problematica del l'infinito 2 « È l'esistenza delle totalità infinite ... e [il teorema di incompletezza di Gödel che] mostra che le infinità superiori hanno ripercussioni sulla teoria dei numeri, permettendoci di dimostrare affermazioni altrimenti indimostrabili, che rende estremamente difficile sostenere che questo infinito possa semplicemente esse-

re cancellato » 2.Tuttavia

io mi sento obbligato a resistere alla grande tentazione estetica di evitare tutte le circonlocuzioni e di accettare la teoria degli insiemi come una realtà esistente ... (La cosa sensata del formalismo è che ivi) uno si deve preoccupare solo degli ogget-

ti con cui ha un contatto diretto, che in matematica sono le espressioni formali, piuttosto che degli insiemi infiniti 24

La cosa discutibile invece non è tanto il fallimento del Programma di Hilbert, nel senso della impossibilità di ottenere dimostrazioni finitiste di non contraddittorietà: « il Programma di Hilbert non può comunque essere resuscitato », ma non importa, perché le dimostrazioni di non contraddittorietà hanno sempre lasciato un senso di circolarità; « il vero punto debole è il fatto che [la posizione Formalista] deve spiegare come mai gli assiomi puramente formali della teoria 22 Il formalismo continua a riproporsi sotto la spinta della problematica dell'infinito, non per scelta filosofica preliminare; si veda G. Lolli, Il formalismo e l'infinito, in Atti del Convegno « L'infinito nella scienza », Roma, Istituto per l'Enciclopedia Italiana - Istituto Gramsci, gennaio 1986, di prossima pubblicazione.

23 Ibidem; per Hilbert questo fatto, provato in seguito come

corollario del teorema di incompletezza, era inizialmente solo una

certezza pratica.

24 Ibidem. Cohen fa un parallelo con l'operazionismo in fisica.

60

Il formalismo matematico

degli insiemi hanno il successo che hanno ». Cohen per parte sua pensa che da una parte si tratti di estrapolazione dal linguaggio di una matematica piú finitista, e dall'altra che con l'uso si sia sviluppata « una specie di intuizione » che non possono derivarne contraddizioni. « E un lavoro utile, quello di sviluppare la nostra sensazione mistica del perché tali assiomi dovrebbero essere accettati. Qui, naturalmente, dobbiamo abbandonare del tutto il programma scientifico e

ritornare a un livello quasi istintuale ». L'intuizione non riguarda per Cohen il mondo degli insiemi ma quello delle dimostrazioni: noi impariamo a concepire degli schemi di dimostrazione informale di non contraddittorietà, in cui ogni specifico argomento su specifici insiemi viene ricondotto a un discorso sui numeri

interi. Una posizione analoga, con un appello sia pure

non conclusivo a un misto di analisi logiche e considerazioni pragmatiche che salvi i presupposti se non gli esiti del programma hilbertiano, è espressa da Robin-

son: la mia posizione riguardo ai fondamenti della Matematica è basata sui due seguenti punti fermi o principi: i) le totalità infinite non esistono in nessun senso della parola... le frasi che

pretendono di parlarne sono prive di significato; ii) ciono-

nostante, noi dovremmo continuare il business della Matematica « come al solito », cioè ci dovremmo comportare come se le totalità infinite esistessero realmente

La compatibilità tra i due principi si raggiunge con il ricorso ai sistemi formali, sistemi formali con cui si può fingere di parlare di insiemi infiniti; c'è un

modo di pensare che dei sistemi formali parlino di certi argomenti se non si richiede la « interpretabilità diret25 A. Robinson, Formalism 64, in Logic, Methodology and

Philosophy of Science (Proc. Intern. Congress Jerusalem 1964), Amsterdam, North Holland, 1965, pp. 228-246.

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Il formalismo matematico

ta [di ogni termine] della teoria »; quest'ultima condizione, che invero sarebbe difficile da realizzare, non è una condizione necessaria per la accettabilità di una teoria matematica; una condizione necessaria è la con-

sistenza, e poi il fatto che la teoria abbia una utilità nelle scienze naturali. Per Robinson non si può negare la sensazione che

esista una parte non arbitraria nelle regole dell'aritmetica. Sulla base di questa parte « una teoria formale si ottiene poi con la aggiunzione di elementi "ideali"

(non interpretati) alla versione formale della teoria finita interpretata »

Naturalmente la completa formalizzazione della

parte « ideale » è necessaria per il formalista perché egli non può appoggiarsi per la sua introduzione al significato dei termini. Ma non è praticata, perciò le posizioni formaliste che non hanno l'obiettivo della analisi logica hilbertiana si trovano a dover teorizzare la distinzione tra « linea di principio » e « linea pratica ». Per quanto riguarda la scrittura di testi matematici, la formalizzazione non viene usata perché, a difterenza di quello che pensava e faceva Peano, non solo

non se ne vede la necessità, ma di piú si arriva alla

conclusione che è impossibile: « presto abbandonere-

mo la matematica formalizzata ... [perché] non può essere scritta in pratica, e perciò dobbiamo avere fiducia in quello che si potrebbe chiamare il senso comune del matematico »27. Di fronte a questa impossibilità pratica, la possibilità teorica resta interessante, per il logico come per il matematico, solo come una sorta di guida ideale, una garanzia di possibilità di controllo, un insieme di regole precise che dettano degli sche26 Ibidem, P. 232. " N. Bourbaki, Foundations of Mathematics for the Working

Mathematician, in « Journal of Symbolic Logic », 14 (1949), pP. 1-8.

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Il formalismo matematico

mi di esposizione; resta che « il carattere distintivo di un testo matematico è che esso può essere formalizzato », e Bourbaki afferma che nel suo sistema for-

male « io posso costruire l'intera matematica del gior-

no d'oggi ». Bourbaki è un'altra versione, per nulla tormentata, di formalismo.

Per Bourbaki la logica deve servire « a permettere al matematico di dire quello che realmente vuole »; in linea di massima, usualmente il matematico è in grado di farlo benissimo, senza particolari istruzioni o supporti, salvo che in periodi di difficoltosa evoluzione dei concetti e del relativo linguaggio. Quando si sono risolte le oscurità e si è ripristinata la scorrevolezza linguistica, il discorso matematico può riprendere senza

problemi, all'interno di un quadro rinnovato, e se si

vuole codificato: « la logica non è né piú né meno che la grammatica del linguaggio che usiamo, un linguaggio che doveva esistere prima che la grammatica potesse essere costruita » Come grammatica, la logica è l'insieme delle regole a cui fare eventualmente riferimento se si presenta qualche ambiguità o disaccordo, ma di fatto questo non avviene mai (nella matematica, cioè nel trattato di Bourbaki). La logica come scienza poi può essere ignorata, perché le sue ricerche specifiche sono una branca da specialisti. La posizione di Bourbaki presenta il duplice aspetto di accettare senza riserve la logica svalutandola nel

contempo nel modo piú totale: la formalizzazione è 28 Un altro esempio: « le dimostrazioni sono scoperte con l'intuizione, e alla fine sono scritte secondo degli schemi logici. Ma non confondete le due. È lo stesso con la letteratura: grammatica e sintassi non sono letteratura... La logica è l'igiene della matematica, cosí come grammatica e sintassi sono l'igiene del linguaggio... L'assiomatizzazione è la disciplina della mente, come grammatica

e sintassi», S. Lang, The Beauty of Doing Mathematics, Berlin, Springer, 1985, pp. 18-19.

63

Il formalismo matematico

una rappresentazione rigorosa (non stenografica, al con-

trario, tant'è che non si può usare), non è una traduzione astrusa, non è quindi in particolare una traduzione discutibile; non si chiede ad esempio se la logica sia una grammatica corretta, domanda che sarebbe anche legittima e stimolerebbe la riflessione sulla logica; d'altra parte considerandola solo come la grammatica ignora i risultati della logica che dicono che c'è una bella differenza tra i linguaggi formali con le loro limitazioni, e il linguaggio naturale con la sua semantica incorporata, o con la pretesa di avere un riferimento univoco 29 Nel momento in cui Bourbaki dice che tutta la matematica può essere scritta come un testo formale del suo linguaggio, egli a questa matema-

tica dichiara applicabili tutti i risultati limitativi stabiliti in logica; se poi non li applica, mutila di fatto la

matematica. Con l'appello alla grammatica non si può pensare proprio solo al parlare corretto; la grammatica di so-

lito regola un discorso significante; se il significato non c'è, o non c'è ancora, la grammatica è caricata di un peso ben maggiore.

L'affermazione di Bourbaki che tutto il suo trattato potrebbe essere formalizzato non è vanteria né si basa solo su certezza morale, ma sul teorema di com-

pletezza: le derivazioni formali da assiomi esistono sempre se la conclusione è in effetti, e comunque la cosa venga stabilita, una conseguenza logica degli as29 Fissate le regole grammaticali, Bourbaki usa il linguaggio

come un linguaggio naturale, senza porsi problemi sulle assunzioni esistenziali, sull'infinito ad esempio, cioè senza porsi il problema di che cosa si parli. Sul problema dei linguaggi totali formalizzati e del rapporto con il linguaggio naturale si veda G. Lolli, La matematica: i linguaggi e gli oggetti, in C. Mangione (a cura di), Scienza e Filosofia. Saggi in onore di L. Geymonat, Milano, Garzanti, 1985, pp. 213-242.

64

Il formalismo matematico

siomi. Tanto basta, l'esistenza della derivazione, non la sua esibizione, per l'inizio delle indagini logiche e per la giustificazione del formalismo. Ma naturalmente qui c'è un germe di critica, che vedremo svolta piú avanti, e cioè che la dimostrazione rigorosa intesa in questo senso diventa un oggetto evanescente, che non si vede perché non si produce. Se ci si accontenta che « la confidenza nasce allora dalla

certezza della esistenza della dimostrazione, e non dal

suo contenuto o dalla sua struttura » , non si riesce

insieme a sostenere affermazioni più impegnative, come

quella secondo cui « di solito dunque almeno questo si ammette, anche dai critici della logica che negano che questa possa essere usabile per dimostrare nuovi teoremi, ed è che essa ha migliorato la nostra comprensione della struttura della dimostrazione matematica » 31 ». Questo non è tanto vero. Le indagini logiche, rivolte inizialmente alle dimostrazioni di non contrad-

dittorietà, hanno sí individuato alcuni tipi di forme

normali di derivazione, finalizzate per lo piú alla possibilità di applicare ragionamenti induttivi 32 ma la significatività di queste forme rispetto alla dimostrarione matematica è debole. Lo sarà di piú rispetto ai problemi di elaborazione e trasformazione di derivazioni, di estrazione da esse di informazioni e di algoritmi, che costituiscono il contenuto della piú recente rinnovata teoria delle dimostrazioni 3, la quale però risente l'in30 W.L. Scherlis -D.S. Scott, First Steps towards Inferential

Programming, cit., p. 204; Scherlis-Scott qui parlano della confidenza in un programma certificato bene, come vedremo oltre, ma l'analogia è con quello che avviene nella matematica. 31 Ibidem. 32 Un testo in cui è esposta la cosiddetta teoria classica della

dimostrazione è G. Takeuti, Proof Theory, Amsterdam, North Holland, 1975.

33 Stimolata soprattutto da Kreisel in diversi interventi recenti:

What Have We Learnt from Hilbert's Second Problem, in F.E.

65

Il formalismo matematico

fluenza degli sviluppi successivi di cui dobbiamo anco-

ra occuparci.

L'altra branca della logica, la teoria dei modelli, si basa sul teorema di completezza come di un tore-

ma di esistenza di strutture, e tratta le teorie come insiemi chiusi rispetto a certi operatori; le singole derivazioni non giocano alcun ruolo. Negli anni cinquanta anche la metamatematica stessa, dove prevalevano prima metodi costruttivi, piú vicini a una formalizzazione almeno parziale, si libera di tale ipoteca e diventa una teoria matematica senza alcun vincolo o preoccu-

pazione di traduzione formale ». Le teorie-oggetto man• tengono la formalizzazione solo nella scrittura degli as-

siomi e dei teoremi, di cui si deve verificare la appartenenza a un linguaggio fissato; le metateorie sono del

tutto informali.

Forse è stata anche questa scarsità di approfondimenti logici sulla struttura delle dimostrazioni a legittimare alcune teorizzazioni della superfluità dell'uso diretto e concreto delle derivazioni formali. Una volta ridotte a oggetto matematico, le derivazioni sono state Browder (a cura di), Mathematical Developments Arising from Hilbert Problems (Proc. Symp. Pure Mathematics), 1976, vol. XXVIII, pp. 93-130; On the Kind of Data Needed for a Theory of Proofs, in R.O. Gandy - J.M.E. Hyland (a cura di), Logic Colloquium 76, Amsterdam, North Holland, 1977, pp. 111-128; From Foundations to Science; Justifying and Unwinding Proofs (Symp. Set Theory and Foundations, Beograd, 1977), in Receuil des travaux

de lInstitut Mathématique, nova serie, 2 (10), 1977, pp. 63-72; a Kreisel sono anche attribuibili i primi tentativi (anni Cinquanta) di caratterizzare le dimostrazioni costruttive e di ricavarne infor-

mazioni aggiuntive rispetto al puro e semplice enunciato del teorema che dimostrano. 34 Si veda ad esempio A. Robinson, L'application de la Logique

formelle aux mathématiques, in Applications Scientifiques de la Logique Mathématique, Paris, Gauthier-Villars, 1954, pp. 51-64 € A. Mostowski, Quelques observations sur les méthodes non fini-

tistes en métamathématique, in Le Raisonnement en Mathématiques

et en Science Experimentales, Paris, Ed. CNRS, 1958, PP. 19-32.

66

Il formalismo matematico

a lungo prevalentemente un oggetto passivo. Ci si sarebbe potuti chiedere se di piú non potessero diventate prodotto, valori di qualche funzione matematica, e quindi se la loro costruzione ed esibizione non potesse avvenire attraverso mezzi che potenzino quelli usuali. L'organizzazione della matematica in sistemi formali ha garantito solo all'inizio la generabilità sistematica e meccanica di tutti i teoremi di una teoria secondo qualche ordine sintattico esaustivo, come implicito nella definizione di sistema formale: il piano á raisonner citato da Poincare; una possibilità di scarso interesse pratico per la evidente inefficienza del procedimento 35 e il problema è stato momentaneamente accantonato 36

35 Lo rilevava ad esempio A.M. Turing, On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem, in « Procedings of London Mathematical Society », XLII (1936-1937), n. 2, pp. 230-265. 36 Un personaggio che non abbiamo menzionato ma che può essere pensato sempre presente come riferimento è L. Wittgenstein; il fatto è che è estremamente difficile fissare ed esporre il suo pen-

siero; per un tentativo si veda M.A.E. Dummett, Truth and Other

Enigmas, Duckworth, 1978 (trad. it. La verità ed altri enigmi,

Milano, Il Saggiatore, , 1986, capitolo La filosofia della matematica

di L. Wittgenstein). Wittgenstein fa da ponte tra gli argomenti originari di Poincaré contro il logicismo e quelli che vedremo nei prossimi capitoli relativi alla visualizzabilità delle dimostrazioni. L'aritmetica potrebbe essere basata sulla logica se le derivazioni nel calcolo di Russell fossero visualizzabili, ma non lo sono; il processo

di introduzione di abbreviazioni, attraverso le definizioni, rende il

calcolo usabile, ma lo nega; non possiamo eliminare tutte le abbreviazioni e avere ancora una prova, perché l'oggetto risultante non è convincente; e non si può neanche dimostrare logicamente che le due versioni sono equivalenti, per questo occorre un'altra tecnica (come

sosteneva anche Poincaré, l'induzione). Una approfondita contestazio-

ne di tale impostazione è svolta da M. Steiner, Mathematical Knowledge, Ithaca, Cornell University Press, 1975, con efficaci argomenti logici: l'appartenenza essenziale delle definizioni all'arsenale logico, contro l'idea delle abbreviazioni esterne; il tipo di definizione insiemistica del secondo ordine che introduce operazioni (come la moltiplicazione) che non sono mere abbreviazioni di iterazioni di operazioni già date (come l'addizione). Nell'appendice sono discusse anche le idee di Poincaré relative all'uso della induzione matematica.

67

CAPITOLO QUARTO

La formalizzazione in informatica

« Un sistema logico rigoroso in cui formalizzare i ragionamenti sui programmi », è ciò che si propone di offrire un recente libro sulla logica della programmazione'. La ragione per cui « la formalizzazione pare destinata a svolgere un ruolo anche piú importante in informatica che non nella matematica » è che « i calcolatori non possono far girare programmi " informali". Per girare i programmi devono essere sintatticamente assolutamente corretti ». Questo lo abbiamo già osservato, ma il linguaggio completamente formale

è richiesto ora, da chi lo richiede, non per scrivere

dei programmi (tutti sanno che i linguaggi di programmazione hanno questa implacabile assoluta rigidità sin-

tattica), ma per parlare dei programmi, e delle loro proprietà'. Le proprietà relative alle prestazioni di un programma, che hanno a che fare con l'esecuzione del programma, sono di tipo ingegneristico, ma possono coinvolgere ragionamenti astratti di tipo matematico: 1R.L. Constable, M.J. O'Donnell, A Programming Logic, Cambridge, Mass., Winthrop Publishers, 1978, p. vii, corsivo nostro.

2 W.L. Scherlis - D.S. Scott, First Steps towards Inferential Programming, in R.E.A. Mason (a cura di), IFIP 83, New YorkAmsterdam,Elsevior Science Publishers B.V. (North Holland), 1983,p. 204.

3 La correttezza (se un programma produce il risultato voluto, calcola la funzione voluta), la terminazione (se il programma si ferma, o per quali input), la trasformazione (in programmi equivalenti, ma in qualche senso migliori) e lo sviluppo (di programmi soddisfacenti date specifiche) sono alcune delle proprietà prese in considerazione dalla disciplina della analisi e sintesi dei programmi.

69

La formalizzazione in informatica

i programmi sono alla fin fine delle strutture sintattiche, e degli oggetti ben definiti, quindi assoggettabili ad indagine matematica cosí come i linguaggi in cui teoricamente è formalizzata la matematica sono stati assoggettati ad analisi rigorosa dalla metamatematica di origine hilbertiana. Ma perché questi discorsi o queste analisi dovrebbero essere formalizzate? Perché « il linguaggio [per parlare dei programmi] dovrebbe essere naturale e intuitivo ... ma vorremmo anche che il linguaggio e le sue tecniche dimostrative fossero interamente formali » +? In effetti nella analisi dei programmi e nella Intelligenza Artificiale la contrapposizione

tra sostenitori e oppositori dei metodi formali e dei sistemi logici è netta e vivace.

Bisogna fare un passo indietro e ricordare che l'informatica è una disciplina nata con il contributo intenso, affollato e interessato di diverse categorie di ricercatori, dagli ingegneri ai fisici ai costruttori e venditori di macchine e di software; anche dei matematici (i nomi piú importanti per la nascita dei calcolatori e la disciplina della programmazione sono quelli di Turing

e von Neumann) che però hanno agito dapprima, e

con successo, da matematici applicati, piegandosi con coscienza alle esigenze di costruzione dei sistemi, se non alle leggi economiche e alle applicazioni industria-

15. L'informatica non è certo apparsa inizialmente

come una branca della matematica pura. Diverse categorie di persone, con interessi contrastanti, indirizzano lo sviluppo della disciplina. Le bat-

tute e i colpi bassi si sprecano, in entrambe le dire-

zioni:

4 Constable-O'Donnell, op. cit., p. 2.

5 Si veda la biografia di Turing di A. Hodges, Alan Turing:

the Enigma, New York, Simon & Schuster, 1983, per vedere come è capace di lavorare un matematico a un progetto concreto.

70

La formalizzazione in informatica

alla conferenza [sulla affidabilità del software] erano presenti tre gruppi di persone: a) i ragazzi della correttezza,

quelli dei programmi e altri prammatici di tipo ingegneristico, c) i manager dei progetti software. Le tre categorie le ho elencate, secondo i miei criteri, in ordine di grandezza crescente e di qualità decrescente

Coloro che vogliono alzare il livello del rigore nell'informatica continuano a incontrare opposizioni: ho tenuto conferenze a ogni sorta di pubblico sulle tecniche che ci possono aiutare a disegnare i programmi in modo che uno possa dimostrare a-priori che essi soddisfano le loro specifiche. Una delle obiezioni comuni che sale dalla platea è ... molto bello tutto questo per i piccoli esempi matematici ... ma non si applica alla elaborazione dei dati del mondo degli

affari, dove i problemi sono molto piú difficili, perché uno deve sempre lavorare con specifiche imperfette e ambigue?

Nelle resistenze alla matematica è ricorrente la dichiarazione della differenza qualitativa, si dice, tra gli

esempi in miniatura della trattazione matematica, e

quelli lunghi e complicati della vita reale. Se ci sia continuità o no tra i due livelli estremi è uno dei leit-motiv

della disputa. Implicita nella posizione negativa è la

affermazione che uno degli elementi di chiarezza e trasparenza della matematica è dovuta alla brevità, cosa che ritroveremo piú oltre teorizzata in generale.

Gli oppositori dei metodi rigorosi tuttavia non ve-

dono tanto la matematica come una cosa piccola, quan-

to come una cosa gratuita, un divertimento di scarso peso pratico che non ha nulla a che vedere con il lavoro reale di costruzione dei grandi programmi

Nessun programmatore ammetterebbe che i grandi sistemi

produttivi sono solo combinazioni di piccoli algoritmi e pro6 E.W. Dijkstra, Selected Writings on Computing: a Personal Perspective, Berlin, Springer, 1982, р. 123.

7 Ibidem, p. 63.

71

La formalizzazione in informatica

grammi. Toppe, costruzioni ad hoc, cerotti, .. , colla, sputo e sudore, sangue e lacrime, e spazzatura - il colorito gergo del praticone sembra dirci qualcosa sulla natura delle strutture con cui lavora 8

Il programma è un artefatto che cresce con amore e fatica, non un freddo oggetto matematico. E tuttavia ci sono dei problemi: nel giugno del 1962, la prima sonda spaziale americana per Venere (Mariner I) usci dall'orbita e dovette essere distrutta a causa di un errore in uno dei programmi di guida nel suo

calcolatore di bordo. Un enunciato del programma, benché

sintatticamente corretto, aveva un significato diverso da quello che intendeva il programmatore. Anche se pochi bug hanno effetti cosi spettacolari, gli errori nei programmi sono frequen-

ti e influenti°

Quanto piú grandi sono i programmi tanto piú è difficile scoprire gli errori, e facile introdurveli (errori sofisticati di semantica, non solo di disattenzione). Di

solito di fronte a un compito complesso si individuano dei sottosistemi, se ne fissano le specifiche relative e le si passano a gruppi che devono progettare e costruire questi sottosistemi10; « si dà per scontato che, se i sottosistemi soddisfano le loro specifiche e sono connessi nel modo previsto, allora il sistema globale soddisferà le sue specifiche. Quanto piú complicato il sistema, tanto meno probabile è che questo succeda »"

8 R.A. De Millo, R.J. Lipton e A.J. Perlis, Social Processes and Proofs of Theorems and Programs, cit., p. 277. 9 Z. Manna - R.Waldinger, The Logic of Computer Programming, in « IEEE Transactions on Software Engineering », vol. SE-4 (1978), n. 3, pp. 199-229. Bug, insetto, è un termine non tradotto per indicare errori, e debugging l'operazione di scoperta ed eliminazione dei bug. 10 La dimostrabile negazione teorica che un reale sia la combinazione sistematica di programma piccoli programmi trasparenti è quindi negata dalla pratica, solo a scapito della dimostrabilità. # J. McCarthy, Computer Programs for Checking Mathematical

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La formalizzazione in informatica

Non sembra saggio vantarsi di questa situazione come di una superiorità della vita sulla arida matematica: « da un punto di vista logico, questa obiezione [ della imprecisione del mondo reale] è un non senso: se le vostre specifiche sono contraddittorie ... nessun programma riuscirà a soddisfarle. Quanto maggiori sono le ambiguità, tanto piú facile soddisfarle »; la vera obiezione è casomai che quando si fa girare il programma ci si accorge che non dà risultati soddisfacenti; e « come possiamo scoprire se abbiamo fatto correttamente la cosa sbagliata, o se c'è solo una piccola

svista da qualche parte? La domanda è vana finché non si accetta che le specifiche non definiscono - non si accetta che definiscano per definizione - quello che il sistema si supponga che faccia. Bisogna separare la proprietà del rispondere a bisogni dalla garanzia che una cosa ha quella proprietà » 12

Allora da una parte « uno degli obiettivi è quello di rendere possibile dimostrare che i sistemi soddisfa-

no le loro specifiche se i sottosistemi soddisfano le loro e sono connessi nel modo previsto »", dall'altra bisogna sdrammatizzare la contrapposizione: « benché i programmi grandi e avanzati siano certo spettacolari, non si deve dimenticare che poi gran parte del tempo macchina e della energia dei programmatori è realmente quotidianamente spesa su progetti piccoli e a misu-

ra d'uomo »"*; e lo studio rigoroso e sistematico ha fatto sí che oggi noi possediamo metodi molto convincenti, molto pratici e molto effettivi per dimostrare la correttezza di un gran nu-

mero di piccoli programmi. In un certo numero di casi la

Proofs, in J.C.E. Dekker (a cura di), Recursive Function, Theory

(Proc. Symp. Pure Mathematics), pp. 210-227, citazione a p. 220.

12 Dijkstra, op. cit., p. 63.

13 McCarthy, Computer Programs..., cit., p. 220.

14 Dijkstra, op. cit., p. 1.

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La formalizzazione in informatica

nostra abilità non è ristretta a una dimostrazione a-posteriori della correttezza di un programma, ma addirittura include tec niche per costruire programmi che, proprio in virtú del modo in cui sono stati derivati, devono soddisfare i requisiti della dimostrazione 15

Ci si può aspettare qualcosa del genere anche per quelli grandi? Il manager dice di no, ma Dijkstra pensa di sí, innanzi tutto perché diffida del modello dell'esercito cinese, e poi perché pensa che il lavoro che propo-

ne di trattazione rigorosa dei programmi ha proprio come una delle sue funzioni quello di imparare a rendere più corti e meglio comprensibili questi mastodonti intrattabili 16 La scuola della correttezza si può dire che si sia creata ormai il suo spazio. Il primo esempio di verifica

di programmi, o l'idea che si possa e si debba accompagnare la programmazione con un lavoro di questo genere, con una dimostrazione della correttezza, risale a Turing"; poi l'argomento riemerge negli anni Sessan-

ta, in particolare con i contributi di Floyd nel 1967

e di Hoare nel 1969, per quanto riguarda esplicitamente le tecniche per la correttezza.

La matematica per l'analisi dei programmi, inizial

mente non è gran che, quello che è significativo è la disposizione ad applicarla, il punto di vista che sostiene che la matematizzazione è possibile e opportuna anche in questo campo. Gli aiuti mentali disponibili al programmatore umano Sono, di fatto, molto pochi. Essi sono le tecniche della enumerazione, dell'induzione matematica e dell'astrazione, dove il ricorso 15 Ibidem, p. 205. 16 Ibidem, p. 213. 17 F.L. Morris e C.B. Jones, An Early Program Proof by Alan Turing, in « Annals of the History of Computing», 6 (1984), n. 2, pp. 139-143.

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La formalizzazione in injormatica

alla enumerazione deve soddisfare il requisito limitativo molto stringente che il numero di casi da passare in rassegna separatamente deve essere molto, molto piccolo. L'introduzione di opportune astrazioni è la nostra unica risorsa mentale per ridurre il ricorso alla enumerazione, per organizzare e dominare la complessità 18

Naturalmente la matematica è entrata nell'infor-

matica anche attraverso altre strade, valga per tutte la segnalazione della cosiddetta analisi degli algoritmi " Ma bisogna distinguere bene da una parte il problema dell'uso della matematica, in informatica, dall'altra quello della logica, che invece assume un ruolo centrale nella verifica dei programmi. E ancora bisogna distinguere l'uso della logica da quello della formalizzazione. Che ci debba essere qualche affinità e qualche interazione tra la logica e l'informatica è sempre stata una sensazione naturale. A livello di sensazione c'era però anche il rischio di esagerare sulla coincidenza degli obiettivi. In un primo bilancio e prospettiva dei possibili rapporti tra le due discipline, nel 1962 McCarty, pur profetizzando e auspicando un roseo futuro di collaborazione, si preoccupava innanzi tutto di definire la reciproca autonomia. La logica è interessata al modo di rappresentare diversi tipi di informazioni, matematiche e non, in sistemi formali, al problema della conseguenza logica e a

quello della deducibilità; le analogie apparenti, ad

esempio tra struttura dei linguaggi di programmazio18 Dijkstra, op. cit., p. 2. Una volta rotto il ghiaccio poi anche

la matematica piú sofisticata viene applicata nell'informatica teorica,

si veda ad esempio la discussione in G. Longo, Informatica e

logica: metodi di indipendenza e topologici in informatica mate-

matica, in « Teoria », III (1983), n. 2, e Continuous Structures

and Analytic Methods in Computer Science, Ninth Colloquium on Trees in Algebra and Programming, Bordeaux, 1984. 19 Lo stimolo piú efficace è stato dato da D.E. Knuth.

75

La formalizzazione in informatica

ne e formalismi logici, egli li riteneva superficiali; indicava come un compito della logica quello di sviluppare casomai una piú ricca teoria della calcolabilità (rispetto a quella esistente orientata soprattutto verso i teoremi limitativi), quello di proporre nuovi formali-

smi che fossero piú sensibili alla natura e agli esiti della esecuzione effettiva dei calcoli; e il compito di affrontare anche la formalizzazione di aspetti non sintattici e grammaticali, ma di informazione in linguaggio na-

turale

In McCarty c'è l'invito al perfezionamento di nuovi adeguati formalismi; nell'appello alla logica che viene dalla scuola della correttezza, c'è invece la tendenza

implicita o la dichiarazione esplicita di fare ricorso ai sistemi formali già sperimentati dalla logica. Per quel che riguarda la correttezza, la disciplina, o il settore chiamato della verifica dei programmi è cosí descritto in un manuale di teoria della computazione ", supponiamo di avere un dato programma per il calcolatore con una descrizione del suo comportamento [voluto, cioè un pre dicato caratteristico detto di uscita] che descriva le relazioni cui devono soddisfare le variabili del programma al completamento dell'esecuzione (e uno di entrata che definisca le relazioni che devono essere soddisfatte affinché abbia inizio l'ese-

cuzione del programma) ... Il nostro fine è di dimostrare che

20 McCarthy, A Basis for a Mathematical Theory of Computation, cit. Sui rapporti tra logica e informatica si veda anche G. Lolli, Logica e informatica: problemi culturali e problemi didattici, Convegno « Le matematiche nel corso di laurea in scienze dell'informazione », ottobre 1983, Ist. di Matematica, Informatica e Siste-

mistica, Università di Udine. Tali rapporti si sono molto intensificati anche in riferimento a problematiche qui non considerate, diverse da quella deduttiva, in particolare quella della semantica. 21 Z. Manna, Mathematical Theory of Computation, New York, McGraw-Hill, 1974 (trad. it. Teoria matematica della computazione,

Torino, Boringhieri, 1978, pp. 168 ss.).

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La formalizzazione in informatica

il programma è corretto rispetto a tali predicati di entrata e di uscita; cioè, per tutte le esecuzioni del programma con entrate che soddisfino al predicato di entrata, si deve garantire che il programma ha avuto fine e che al completamento dell'esecuzione è stato soddisfatto il predicato di uscita.

Per fare questo esistono diversi metodi. Nel manuale citato ne sono presentati almeno tre: il metodo

della inducioso aleil di ecododei de delleascrioni asserzioni induttivedia diloro Floyd metodo

Hoare 24 Le diverse tecniche sono talvolta anche diver-

se dichiarazioni metodologiche che riassumono una rivalità che si vede ancora piú chiaramente nella sintesi dei programmi, cioè nella ricerca di una eventuale teoria o metodologia per costruire programmi la cui correttezza sia garantita 25

2 Si tagliano in modo opportuno i diagrammi di flusso inse

rendo delle cosiddette asserzioni induttive che caratterizzano le rela-

zioni tra le variabili in questi punti, e poi si cerca di dimostrare

che dall'insieme delle asserzioni induttive segue logicamente il pre-

dicato di uscita. 23 Una variante del precedente in cui ai punti cruciali del dia-

gramma si assegnano elementi di un insieme bene ordinato, in vista

di dimostrare che nella esecuzione questi punti sono percorsi in ordine decrescente, in modo da garantire che in un numero finito di passi si arrivi al minimo dell'insieme.

24 Per programmi di tipo Algol, per cui si costruiscono per

ogni segmento di programma B delle espressioni del tipo (P}B{@} con il significato inteso che se vale P prima della esecuzione di B deve valere Q dopo la esecuzione; in corrispondenza dei diversi tipi di istruzioni che compongono i programmi e delle possibilità di combinazione di programmi si hanno assiomi e regole corrispondenti per le asserzioni sopra viste, dando luogo a un calcolo logico,

che ricorda facilmente il calcolo dei seguenti, in cui a ogni programma si fa corrispondere una derivazione in tale calcolo; l'idea è di derivare, o mostrare che è derivabile nel calcolo, per ogni programma B,, l'asserzione {P}B{Q} dove P e Q sono rispettivamente i predicati di entrata e uscita per B. 25 Nel libro di Manna sopra citato sono accennati diversi approcci, quelli costruttivi, che procedono per cosí dire riga per riga, e quelli globali, tra cui spicca ad esempio l'approccio evoluzioni-

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La formalizzazione in informatica

La diversità degli approcci metodologici dipende in gran parte dalla concezione del programma e dalla conseguente ampiezza e genere di strumenti matematici o logici da usare. Questi ultimi sono però quasi sempre di tipo formalizzato o tendono a tale modello. Secondo alcuni tale identificazione è un processo inevitabile intrinseco al pensiero rigoroso: alla fine del diciannovesimo secolo e all'inizio del ventesimo la matematica ha subito un processo di formalizzazione e di assiomatizzazione, con l'obiettivo in parte di sfuggire ai paradossi e agli errori logici in cui incappavano le precedenti generazioni di matematici. Un simile processo è in corso nello sviluppo di una teoria logica dei programmi 26

Questa teoria « ha già reso piú precisa la nostra comprensione dei programmi e potrà presto facilitare addirittura la nostra costruzione di programmi ». Ma chi ritiene che tali contributi siano dovuti all'aspetto logico della teoria ha il diritto di chiedere perché la

teoria stessa debba necessariamente subire un processo di formalizzazione. La logica c'entra di sicuro perché

« tutti i metodi hanno una cosa in comune: essi riducono la questione se il programma abbia la proprietà desiderata alla questione se certe formule siano teo27 remi » . La scuola della correttezza usa come suo paradigma una analogia tra programmazione e matematica che identifica il programma con un teorema e la verifica con la dimostrazione. Ma ci possono essere diversi modi di dimostrare

teoremi, o diversi gradi di rigore:

stico (all'inizio il programma soddisfa solo alcune delle condizioni, poi con correzioni e modifiche si cerca di soddisfare un maggior numero di specifiche).

2 Manna-Waldinger, op. cit., p. 200. 27 R.S. Boyer - J.S. Moore, A Computational Logic, New York, Academic Press, 1979, p. 2.

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La formalizzazione in informatica

consideriamo per prima la questione concettuale di come dimo-

strare affermazioni sui programmi. Il concetto di dimostrazio-

ne matematica si è evoluto nei secoli, passando da antichi principi di retorica alle dimostrazioni formali del ventesimo

secolo, ma non c'è un consenso generale su che tipo di dimostrazioni sono appropriate per la programmazione. Devono le dimostrazioni essere espresse nel linguaggio di programmazione stesso, in modo che un programma sia anche una dimostrazione, oppure il programma dovrebbe essere tradotto in un linguaggio matematico convenzionale? Le dimostrazioni dovrebbero essere presentate separatamente dal programma, o iscritte direttamente nel testo del programma? Le dimostrazioni dovrebbero essere verificate a macchina, o approvate da umani? 28

La prova di correttezza può anche essere una prova matematica di tipo infinitistico, ad esempio con uso di

induzioni trasfinite su buoni ordini particolari; può

essere un normale pezzo di matematica non completa-

mente formalizzata. Sono in realtà esempi di quella

metamatematica infinitista che studia oggetti simbolici, ma che vi ragiona sopra nel comune linguaggio matematico e che quindi si richiama solo alla formalizzazio-

ne in linea di principio, se mai vi si richiama. Dijkstra ad esempio non è un formalizzatore spinto. Non che non veda i vantaggi della formalizzazione. Ad esempio ammette che nella stesura di un suo

libro

ho cominciato con la (comprensibile) intenzione di presentare i miei sviluppi di programmi con un pochino piú di apparato

formale di quello che usavo nelle mie lezioni (introduttive), in cui la semantica veniva di solito introdotta intuitivamente e le dimostrazioni di correttezza erano l'usuale mistura di argomenti rigorosi, gestualità ed eloquenza. Nel disporre le basi necessarie per un approccio molto piú formale, ho avuto [due] sorprese. La prima fu che i cosiddetti « trasformatori di predicati » che usavo come mio veicolo, fornivano un mezzo per 28 Constable-O'Donnell, op. cit., p. 3.

79

La formalizzazione in informatica

una definizione diretta della relazione tra stati iniziali e stati finali, senza alcun riferimento a stati intermedi che potevano occorrere durante l'esecuzione del programma ..

Nonostante apprezzi dunque i vantaggi della formalizzazione, Dijkstra si schiera tra quelli che la vedono solo come un rigore spinto un po' piú avanti del parlato 3. « la pratica matematica normale consiste nel fatto che il ragionamento viene spezzato in passi cosí piccoli che essi possono essere fatti "in confidenza" e che una prova piú dettagliata, una giustificazione piú dettagliata potrebbe essere esibita se sfidati a farlo, ma che non dovrebbe essere fatta senza ragione » " Ci si ferma dunque come compromesso su passi piccoli, dove si salta qualcosa ma non troppo; invece nella formalizzazione estrema i passi elementari sono tali che non c'è piú nulla da discutere, sono per definizione non ulteriormente analizzabili. La strada seguita dalla matematica sembra ad alcuni percorribile anche in informatica; non si vede ancora una necessità intrinseca della formalizzazione delle dimostrazioni. La struttura sintatticamente rigida dei programmi, la loro scansione in istruzioni singole, è forse quello che ha suggerito inizialmente e l'uso di formalismi un po' piú spinti del normale, e il modello di dimostrazione della logica simbolica basato su passaggi passo a passo con-

trollabili 3. Se la dimostrazione non è un discorso ma29 E.W. Dijkstra, A Discipline of Programming, Englewood

Cliffs, Prentice-Hall, 1976, p. xiv; pochi matematici danno esempi cosí puntuali dei vantaggi della formalizzazione. 3 Non a caso propone una disciplina della programmazione intermedia tra gli altri due estremi rappresentati dall'arte e dalla scienza, che hanno entrambe i loro sostenitori, e libri che riproducono nel titolo la rispettiva parola-bandiera.

31 Dijkstra, Selected Writings, cit., p. 29. Si confronti sopra con Bourbaki. 32 Cosí nelle tecniche di Hoare ad esempio.

80

La formalizzazione in informatica

tematico astratto, ma si appoggia passo passo al programma, allora la si produce direttamente nella forma di una derivazione di un calcolo logico. Resta un passo ulteriore da fare, ed è la verifica che la derivazione sia corretta. Le derivazioni richiedono solo la verifica locale della corretta applicazione di regole sintattiche, ma la richiedono. Il risultato è però che « ci sono troppe ripetizioni e troppi dettagli noiosi nei ragionamenti sui programmi » " (cosí presentati), e inoltre queste lunghe sequenze di dettagli non hanno neanche un senso complessivo che si possa cogliere a occhio guardandole, anche per-

ché sono troppo lunghe e quindi non intuitive, non

visualizzabili. A questo punto « gli umani non potrebbero farcela senza l'elaborazione automatica » La spiegazione del perché ci si dovrebbe adattare a un simile livello di dettaglio è dunque data dall'ultima alternativa di sopra, riguardante la certificazione delle dimostrazioni, ed è che le verifiche delle dimostrazioni sono affidate ai calcolatori: « c'è stato uno sforzo rilevante recentemente per applicare il rigore matematico al processo di programmazione e per mettere in grado l'accuratezza della macchina di compensare la predisposizione all'errore della mente umana » 35

La soluzione di fare intervenire la macchina viene introdotta come antidoto ai difetti riconosciuti della formalizzazione, la sua lunghezza e quindi le possibilità di errori nascoste nelle lunghe sequenze senza senso; la formalizzazione, inizialmente o da una parte propo-

sta come canone inevitabile di rigore viene poi, o

d'altra parte richiamata in funzione della utilizzazione della macchina (che può solo digerire testi formali). 33 Constable-O'Donnell, op. cit., p. 2. 34 Ibidem. 35 Manna-Waldinger, op. cit., p. 200.

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La formalizzazione in informatica

Il linguaggio dunque deve essere formale perché « è [sí] inteso per la comprensione umana [ma] .. ... lo

vorremmo studiare matematicamente e processare automaticamente ». La logica è da una parte « un fonda-

mento per capire i programmi cosí approfonditamente come si capiscono le equazioni algebriche », e dall'altra « è anche un linguaggio per comunicare argomenti a un calcolatore per una verifica meccanica » 36

In questo argomento l'assunzione implicita è che i

calcoli lunghi e noiosi il calcolatore li fa piú in fretta e piú affidabilmente dell'uomo. È fuori dubbio che la tecnologia ha accorciato lo spazio-tempo necessario per

leggere o elaborare un testo formale; ma se il testo è la versione formale di un ragionamento metateorico, allora in prima istanza questo si è allungato, secondo l'assioma di Poincaré sul processo di formalizzazione; per poi essere riaccorciato (il tempo necessario per ela-

borarlo), da parte della tecnologia. Secondo i critici è proprio la formalizzazione che allunga il ragionamento metateorico, introducendo l'impossibilità per l'uomo di dominarlo (impossibilità che poi come vedremo viene

però estesa anche al calcolatore). E se invece il presupposto dei formalizzatori fosse che indipendentemente dalla formalizzazione c'è già lunghezza e intrattabilità,

allora questo aprirebbe la strada all'altra critica, che proprio le dimostrazioni di correttezza in sé sono una cosa fasulla, brutta, da rifuggire. C'è un doppio movimento, di creazione di una cosa lunga attraverso la derivazione formale, e poi di accor-

ciamento della elaborazione grazie alla tecnologia. Il

calcolatore sarebbe legato solo negativamente alla formalizzazione di origine logicista, come modo per annullare il carattere negativo della lunghezza. Però non 36 Constable-O'Donnell, op. cit., p. vii.

82

La formalizzazione in informatica

potrebbe in ogni modo annullare, al contrario esalterebbe una ulteriore caratteristica negativa, e cioè che in questo procedimento si introduce in generale mancanza di senso, e di trasparenza. Molti adepti della scuola della correttezza,come Dijkstra ad esempio, sono perciò dubbiosi circa la formalizzazione spinta all'estremo per permettere l'elaborazione automatica: « i metodi diventano meno convincenti quanto piú si basano sulla assistenza meccani-

Ca » 37 E anche se « molte di queste tecniche sono

state implementate in sistemi di programmazione sperimentali » 38 tuttavia c'è una sfasatura tra l'ambizio-

ne e i primi risultati. L'ambizione è grande: « suppo-

niamo che fosse pratico ragionare meccanicamente e

con certezza matematica, sui programmi allora ne

seguirebbe un tremendo miglioramento nella affidabilità dei programmi e una susseguente diminuzione nei costi generali di produzione e aggiornamento dei programmi » 39. Ma i risultati onestamente si ammette che sono solo preliminari: « pochi programmi possono oggi essere meccanicamente certificati privi di bug, per la ragione principale di una deficienza di potenza dimostrativa automatica » 4. E non ci si può naturalmente accontentare del piccolo, per non dare ragione agli avversari. Bisogna vedere perciò fino a che punto il programma è realizzabile, quali algoritmi e quali sistemi sono disponibili per la dimostrazione automatica.

Gli informatici si ritrovano a lavorare su un terreno in parte dissodato dai logici. Questi avevano dimostrato che era possibile aspettare l'uscita automatica di teoremi da una macchina. Finché le macchine non 37 Dijkstra, Selected Writings, cit., p. 124. 38 Manna-Waldinger, op. cit., p. 200. 39 Boyer-Moore, op. cit., p. 2. 40 Ibidem, p. xi.

83

La formalizzazione in informatica

c'erano il loro ruolo doveva essere assunto dagli uomi-

ni, e non è da sorprendersi che nei Principia Mathematica ci fossero un mucchio di errori. Però i logici nel frattempo hanno precisato la nozione di macchina, e definito esattamente le macchine a cui pensavano quan-

do parlavano di sistemi formali, di produzione effettiva dei teoremi, di applicazione meccanica delle regole. E cosí ne è venuta da una parte una rigorosa e bella e ricca teoria matematica delle funzioni effettivamente calcolabili; dall'altra una precisazione della idea di calculus ratiocinator, con la dimostrazione che in riferimento a quella nozione di macchine i calcoli effettivamente esistevano. I calcoli erano completi nel senso che tutte e sole le formule logicamente valide erano derivabili meccanicamente nel calcolo. In riferimento a queste macchine, e agli algoritmi definiti dalla teoria logica, era provato che i calcoli potevano sostituire il pensiero, per quel che riguardava le formule logicamente valide; i teoremi logici potevano essere ottenuti come uscita di una macchina programmata con gli assiomi logici e generante nuove formule secondo le regole logiche. Ma questo non era completamente soddisfacente. Già per il calcolo logico la generazione meccanica non si estendeva a una piú forte condizione di decidibilità; non c'era (e non poteva esserci) un algoritmo che di fronte a ogni formula dicesse se questa sarebbe uscita o non sarebbe uscita dalla macchina, e quindi l'unica possibilità era quella di aspettare; c'era un nuovo problema di lunghezza, questa volta di tempi di attesa, anche per le dimostrazioni corte. Aggiungendo assiomi matematici a quelli logici poi le cose cambiano, e in un modo molto complicato, poco uniforme; talvolta aggiungendo assiomi si ottiene la decidibilità, talvolta la si perde. Ad ogni modo si sapeva ad esempio negli anni cinquanta che l'aritmetica 84

La formalizzazione in informatica

della somma era decidibile, che l'aritmetica non lo era, che l'algebra elementare lo era e cosí via Questo sempre in riferimento agli algoritmi teorici, o alle macchine astratte, senza preoccuparsi, nei casi positivi, della complessità delle computazioni. Ma quando arrivano le macchine vere, e sono macchine il cui modello matematico è proprio quello delle macchine astratte, cosi che la differenza tra le due sta solo in questioni pratiche di tempo, di memoria, di costi, ecc., cosa c'è di piú naturale che provare a prenderle e prendere i calcoli e gli algoritmi già esistenti e implementarli su quelle macchine?

41 Per una presentazione dei primi risultati sulle teorie decidibili

si veda A. Tarski, A.Mostowski, R.M. Robinson, Decidable

Theories, Amsterdam, North-Folland, 1953.

85

CAPITOLO QUINTO

La deduzione automatica

I logici saranno un po' lenti a saltare sul treno

della deduzione automatica'; il fatto è che in questo

campo si contrappongono subito due tendenze; la contrapposizione si delinea prima ancora che ci siano i rispettivi prodotti da confrontare, ed ha quindi un chiaro sapore ideologico: l'una tendenza vuole usare i cal-

coli logici esistenti, metterli in funzione e realizzare con essi quello che in teoria si sapeva di poter realizzare, cioè proprio il calculemus leibniziano; un'altra tendenza vi si oppone con varie ragioni, pur volendo

anch'essa usare il calcolatore per attività di tipo dimo-

strativo.

La seconda tendenza fondamentalmente si ritiene

piú ricca e duttile della prima; rifiuta di legarsi a un solo metodo deduttivo fissato e universale, anche se sa che in teoria ne esistono; di quelli esistenti contesterà l'efficienza pratica e la ragionevolezza del loro

porsi come modello di attività dimostrativa; per l'obiettivo di una attività dimostrativa anche originale, di scoperta, sostenuta dal calcolatore proporrà un piú articolato (e a suo dire efficiente) arsenale di metodi. Ma la cosa curiosa è che la polemica è attivata prima che i

calcoli logici abbiano potuto fare la loro prova?

1 Questione di pochi anni, ma significativa. 2 Le due tendenze verranno anche a essere denotate con due sigle diverse, quella di AD (Automated Deduction) la prima, basata comunque su di un calcolo logico generale, e quella di ATP (Automated Theorem Proving) per l'impostazione meno rigida. Un'altra, collegata, dicotomia sarà indicata piú oltre.

87

La deduzione automatica

Nel 1954 Martin Davis implementa l'algoritmo di Presburger per l'aritmetica dell'addizione'; si tratta di un algoritmo aritmetico, con poco di logico, e quindi marginale rispetto alla discussione sulla deduzione automatica, ma deve essere ricordato come prima tra-

sposizione sul calcolatore di un algoritmo inventato dai

logici; del 1957 è invece la Logic Theory Machine, di Newell, Shaw e Simon per la dimostrazione di alcuni dei teoremi di logica proposizionale contenuti nei Prin-

cipia Mathematica. Nonstante l'obiettivo sia questa volta logico, nonstante sia questa la prima implementazione su calcolatori moderni di algoritmi per la dimostrazione di teoremi, l'esperimento non rientra tut-

tavia nella AD perché appunto non fa uso di un forma-

lismo e di un calcolo logico fissi; o almeno rientra, e in realtà dà origine a quel filone che pur concernendo

la dimostrazione di teoremi logic è detto human oriented, in opposizione a quello logico. La AD di orientamento logico assume un formalismo per la rappresentazione e un calcolo per la soluzione dei problemi, sempre lo stesso, messo in funzione ogni volta; quella human oriented si basa su una pluralità di strategie, euristiche dipendenti dal problema, spesso in modo interattivo. Mole delle soluzioni e delle strategie incorporate nella Logic Theory Machine (ad esempio la riduzione 3 Per la storia di questa vicenda si veda la ricostruzione di M. Davis, The Prehistory and Early History of Automated De-

duction, in J. Siekmann- G. Wrightson (a cura di), Automation of Reasoning, vol. I, Springer, New York, 1983, pp. 1-28; quella di D.W. Loveland, Automated Theorem Proving: A Quarter Century Review, in W.W. Bledsoe - D.W. Loveland (a cura di), Automated Theorem Proving: After 25 Years, (Contemporary Mathematics 1. 29), Providence, American Mathematical Society, 1984, pp. 1-45;

e i ricordi di Hao Wang, Computer Theorem Proving and Artifcial Intelligence, ibidem, pp. 49-70, oltre al complesso dei due volumi antologici ora citati.

88

La deduzione automatica

a sottoproblemi) in realtà sono passate in seguito nel bagaglio irrinunciabile della AD; ma all'inizio sembrava che una strategia di ricerca o costruzione della di-

mostrazione che non seguisse la strada in discesa dagli assiomi verso la sperata conclusione contraddicesse un punto essenziale della nozione di calcolo logico. Il successivo esempio di dimostratore automatico,

la Geometry Theorem Proving Machine di Gelernter era ancora basata su di una idea di Minsky di sfruttare il ruolo di guida dei diagrammi geometrici nella ricer-

ca delle dimostrazioni. La strategia era presentata come un esempio di euristica che sfuggiva alle possibilità dei

calcoli logici. La scuola del Mr è quella che a torto

o a ragione appare come nemica della logica, mentre è sostanzialmente nemica dei formalismi e dei calcoli della tradizione dei logici.

Hanno probabilmente giocato i soliti fattori, chiu-

sura professionale, forse mancanza pura e semplice di informazione (ad esempio su tutti i calcoli logici non impostati in avanti, dagli assiomi verso la sperata conclusione, ma come ricerca all'indietro in un tentativo di falsificazione), forse a livello piú serio la sensazione che ci fossero passi non costruttivi nel teorema di completezza che legittimava i calcoli della logica dei predicati, l'idea comunque che quei calcoli non erano nati avendo in mente la possibilità di una implementazione. La convinzione che i metodi della logica non po-

tessero per questi motivi essere efficienti appare in questo stadio aprioristica, se riferita a misure quantitative; non c'erano ancora risultati teorici sui confini inferiori della complessità per legittimare un giudizio di impossibilità pratica; era proprio la rigidità, l'idea

della ricerca sistematica stupida che dava noia e appa-

tiva (giustamente) inefficiente; ma l'argomento è curio-

so, è il primo di una serie di ribaltamenti logici che vedremo: nel momento in cui si vuole realizzare la

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La deduzione automatica

meccanizzazione del ragionamento, si incolpa la logica di essersi troppo identificata con il meccanico, e si sostiene che una implementazione efficiente deve essere

ispirata da qualcosa di piú simile al comportamento umano. Una descrizione piú seria del contrasto sta infatti nella distinzione tra performance mode e simulation mode in Intelligenza Artificiale. Secondo la prima mo-

dalità l'interesse esclusivo sta nelle prestazioni ottenute; nella seconda, si affianca un interesse per l'indagine psicologica sulle facoltà e sul modo di operare dell'essere umano: « bisogna tracciate un netto confine tra il tentativo di compiere con le machine gli stessi com-

piti che eseguono gli esseri umani, e il tentativo di

simulare i processi che di fatto si svolgono nel portare a termine tali compiti » 4. Tuttavia di solito sotto l'interesse psicologico si insinua anche una pretesa, o una ipotesi, e cioè che il modo dell'uomo sia preferibile: il procedimento balbettante, per tentativi dell'uomo in realtà è il piú efficiente; e questa ipotesi si basa sulla esperienza che l'uomo è sempre stato in grado di cortocircuitare ogni procedimento fisso che si potesse immaginare, e trovare delle scorciatoie per problemi specifici. Questa ipotesi però, quando non è una assunzione preconcetta, è poco corroborata e spesso viene ridicolizzata da clamorosi controesempi®. Ne viene co4 A. Newell - H. Simon, GPS, a Program that Simulates Human Thought, ristampato in E.A. Feigenbaum - J. Feldman (a cura di), Computers and Thought, New York, McGraw-Hill, 1963, pp. 279-

29 ; Infatti Newell e Simon, sopra citati, presentano il sistema

GPS che volutamente « confonde nel modo massimo i due approcci con mutuo beneficio», e si chiedono se sia possibile scrivere pro-

grammi che fanno il tipo di manipolazioni che gli esseri umani tanno. • Come quello di Wang, si veda piú oltre. Un argomento contro

l'ipotesi è sviluppato da J. Weizenbaum, Computer Power and

90

La deduzione automatica

munque la strategia, o la parola d'ordine della introduzione di momenti euristici nella ricerca delle soluzioni, perché appare ovvio che il pensiero umano cosciente, o analizzabile (per quello inconscio non lo si sa, per definizione) non procede per passi elementari. I sostenitori del punto di vista logico obietteranno che comunque l'euristica incorporabile nella ricerca è quella di cui si può dimostrare la sensatezza, che l'euristica non è un tirare a indovinare, e quindi rientra nel dominio legittimo della logica. C'è una certa differenza tra il procedere sperimentale della mente di un Poincaré e quello di una mente non educata, dove l'euristica è spesso vero balbettio senza prospettive.

Chi tra i logici aveva avuto l'intuizione di proporre, per la AD, uno dei procedimenti già presenti nella letteratura logica, proprio uno di quelli usati per la dimostrazione dell'esistenza di regole deduttive complete, era stato W.V. Quine nel 1955"; egli si riferiva ai metodi impliciti nel teorema di Herbrand. Ma il suo intervento non solo non richiamò allora l'attenzione, viene ancora adesso ignorato. Nel 1957 la stessa idea Human Reason, London, Pelican Books, 1984, pp. 165 ss. Questo

non vuol dire che sia vero il contrario; è vero che si dovrebbe cercare di non confondere analisi logica e analisi psicologica; i

sostenitori dei metodi human oriented si ispirano dichiaratamente

alla psicologia; Newell e Simon, op. cit., si rifanno infatti alla

vicenda della teoria psicologica che, dominata una volta dall'associazionismo e dalla idea di un flusso meccanicistico di associazioni, vide introdurre da parte della scuola di Wurzburg l'idea dei compiti (Aufgabe) come cartelli indicatori della direzione del pensiero.

1W.V. Quine, A Proof-procedure for Quantification Theory,

in « Journal of Symbolic Logic », 20 (1955), pp. 141-149. 8 Anche nelle ricostruzioni storiche sopra citate, come quella di M. Davis; la cosa confessiamo ci è del tutto incomprensibile, forse rientra in lotte accademiche. Di Quine sarebbe da ricordare addirittura il lavoro precedente: A Method of Generating Parts of

Arithmetic Without Use of Intuitive Logic, in « Bull. AMS »,

40 (1934), п. 10, рр. 753-761.

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La deduzione automatica

di riferirsi ai metodi di Herbrand fu rilanciata, pare indipendentemente, da A. Robinson

Subito dopo, si ebbe l'exploit di Hao Wang che

nel 1958-59 scrisse una serie di programmi che culminarono nella dimostrazione di tutti i circa 350 teoremi del calcolo dei predicati con identità dei Principia Mathematica, in circa 8 minuti di calcolo. Wang lavorava

con sistemi di tipo Gentzen, senza euristica, e cosí pure Gilmore (1959), che sperimentava con le tavole di Beth.

L'impatto di Wang è spettacolare, e scuote lo scetticismo prevalente sulla efficienza dei calcoli logici. Di lí si imbocca la strada vincente, a partire dal 1960 con Davis e Putnam da una parte, e Prawitz dall'altra, per

culminare pochi anni piú tardi in un nuovo calcolo, il calcolo della risoluzione di J.A. Robinson. Questa vi-

cenda è interessante perché mostra come sotto lo stimolo di esigenze concrete di efficienza si riesca a inventare qualcosa di nuovo anche nel campo dei sistemi formali, e nello stesso tempo come questo qualcosa di nuovo possa benissimo appoggiarsi a intuizioni e risultati precedenti, che non sono da buttare via, ma devono solo essere opportunamente raffinati. Inoltre si vede bene la scoperta dell'emergere (o del nascondersi) della complessità computazionale.

La strada seguita è un recupero di varie idee di Skolem e di Herbrand ° un dato enunciato del primo ordine viene trasformato in un insieme di clausole senza quantificatori (congiunzioni di disgiunzioni di

9. A. Robinson, Proving a Theorem (as Done by Man, Logician or Machine), Summaries of Talks at the Summer School in Logic, Cornell, Univ. Microfilms, Ann Arbor, Mich., 1957, pp. 350-352. 10 Davis ha confessato la sua responsabilità nell'aver erroneamente imposto il solo nome di Herbrand, quando il vero anticipatore è Skolem, ma adesso è difficile modificare una terminologia diffusa (universo di Herbrand, termini di Herbrand...).

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La deduzione automatica

formule atomiche o di loro negazioni). Questo insieme è soddisfacibile se e solo se l'enunciato dato lo è; tale insieme di clausole poi risulta soddisfacibile se lo è l'insieme che si ottiene sostituendo in tutti i modi possi-

bili alle variabili i termini chiusi del linguaggio, ope-

razione che produce in generale un insieme infinito di enunciati da trattare solo dal punto di vista della logica proposizionale (connettivi e tavole di verità), in vista di provarne la insoddisfacibilità. Si ha cosí una riduzione alla logica proposizionale, ottenuta al prezzo della generazione di un insieme infinito di enunciati. A questa impostazione si arriva, nel contesto della AD, solo nel 1960, con Davis e Putnam. Si presentano ora due problemi:

i) la sostituzione dei termini, e

in) la verifica vero-funzionale della consistenza, che in base al teorema di compattezza si compie sui sottin-

siemi finiti via via piú ampi. Si sa che il numero delle possibili interpretazioni

è una funzione esponenziale del numero di atomi dell'enunciato, ma accanto a questo, che i logici si aspettavano essere l'ostacolo principale, quando si passa all'algoritmo se ne scopre uno altrettanto critico, riguardante la sostituzione dei termini chiusi nelle clausole. Il metodo di fare sistematicamente tutte le sostituzioni possibili, e ogni volta la verifica vero-funzionale dell'insieme finito cosi ottenuto non è praticamente per-

corribile; ma anche a causa, e questo ci è voluto un po' per capirlo, della inutilità di molte sostituzioni. Davis e Putnam avevano dato un metodo per ridurre

la pesantezza della verifica vero-funzionale. Il metodo di Davis e Putnam trasforma successivamente insiemi

di clausole in altri piú semplici (con meno letterali, ecc.) e insoddisfacibili se quelli originari lo sono. Ma

non affronta il problema delle sostituzioni. Fu Prawitz il primo a cercare di determinare in via preliminare le

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La deduzione automatica

condizioni, cioè le sostituzioni opportune, che darebbe-

ro una contraddizione; nel suo metodo si ottengono sostanzialmente dei sistemi di equazioni.

Nel 1963 Davis, pur conservando il metodo di

Davis e Putnam per la verifica vero-funzionale, indicò la possibilità di collegare nelle, ed eliminare dalle varie clausole i letterali che con opportune sostituzioni di-

ventavano l'uno la negazione dell'altro (linkaggio). Ispirandosi a Davis, J.A. Robinson nel 1963-65 propose infine la sua regola di risoluzione che evita del tutto il problema della verifica vero-funzionale e imposta un calcolo deduttivo sulle clausole con variabili, con una sola regola detta di risoluzione.

Il calcolo è completo, nel senso che un insieme di

clausole è insoddisfacibile se e solo se la clausola vuota

è derivabile da esso (per risoluzione). Ma la coperta tirata da una parte scopre dall'altra; il prezzo pagato è adesso quello della generazione per risoluzione di troppe clausole ridondanti e inutili. La dimensione della ricerca è ancora praticamente intrattabile, nonostante la possibilità di eseguire con le macchine attuali

dieci alla quarta passi deduttivi al secondo, e la prospettiva di avvicinarsi a dieci alla nona. Incomincia allora l'esplorazione dei raffinamenti della risoluzione: un'esplosione di attività e di ricerche, di proposte che si incalzano a raffica finché nel giro

di pochi anni, all'inizio degli anni Settanta si può dire

che l'argomento è concluso, con successo (nel senso che

si ritiene di aver spremuto tutto quello che si poteva

spremere da questa impostazione) e la ricerca si esau-

risce. I raffinamenti consistono o in restrizioni, cioè im-

pedimento alla generazione di certe clausole, o in stra-

tegie sull'ordine da seguire nella loro generazione"

11 Per una presentazione del calcolo della risoluzione e degli

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La deduzione automatica

I raffinamenti piú efficienti perdono in generale la completezza, ma la conservano su classi particolari di for-

mule; tra le piú significative di queste classi, per cui esistono raffinamenti completi e soddisfacenti, c'è la classe delle formule di Horn, su cui si basa la program-

mazione logica 12

Non sembrava esserci ragione perché questa situazione

[di progresso] non potesse continuare indefinitamente, finché l'intera Matematica non sarebbe stata conquistata. La tranquil

lità fu sconvolta dalla stridente critica di altri lavoratori di Intelligenza Artificiale, specialmente quelli del Mr. Essi argomentavano che questo lavoro, su quelle che essi chiamano

« procedure di dimostrazione uniformi», non avrebbe conquistato tutta la matematica, ma un suo sottinsieme molto

banale. Per generare dimostrazioni di teoremi interessanti, non banali occorreva l'uso di sofisticata conoscenza relativa al dominio, di cui non c'era alcuna traccia in nessuno dei dimostratori della famiglia della Risoluzione 13

La polemica continua dunque, ma non è vero che « all'attacco dapprima fu fatta resistenza poi gradualmente ci si arrese », che « lo sviluppo di dimostratori su Risoluzione è cessato, a parte alcuni punti di resistenza isolata ... » 14. Lo sviluppo di dimostratori su risoluzione è rallentato perché c'è la fondata sensazio-

ne di aver raggiunto il massimo, ovvero il punto dei rendimenti decrescenti, ma questo non vuol dire che svariati raffinamenti si veda J.A. Robinson, Logic: Form and Function, Edinburgh, Edinburgh University Press, 1979; C.-L.

Chang, R. Lee, Symbolic Logic and Mechanical Theorem Proving,

New York, Academic Press, 1973; D.W. Loveland, Automated Theorem Proving: A Logical Basis, Amsterdam, North Holland, 1978. 12 R. Kowalski, Logic for Problem Solving, Amsterdam, North

Holland, 1979.

13 A. Bundy, The Computer Modelling of Mathematical Reason-

ing, Ver York, Academic Press, 1983, P. 10.

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La deduzione automatica

sia cessata la utilizzazione sistematica dei dimostratori

esistenti; anzi si è appena incominciato a usarli. Si

pensi appunto al travolgente sviluppo della programmazione logica, basata sulla risoluzione, alle sue svariate applicazioni, al progetto giapponese della quinta generazione 15

Ma le rinnovate critiche antilogiche si basano ora anche su alcuni risultati teorici della teoria della complessità computazionale. Da quando si è incominciato ad avere la possibilità di implementare gli algoritmi, è emersa nella teoria della calcolabilità una distinzione

piú fine di quella drastica tra problema decidibile e

problema non decidibile. Si è definita una discriminante di fattibilità all'interno stesso del decidibile, sia pure una fattibilità ancora teorica, basata sulla grossa distinzione tra tempo esponenziale e tempo polinomiale di

calcolo. I risultati che riguardano i problemi logici, gli algoritmi cioè per le teorie decidibili, sono soprattutto di tipo negativo. La complessità dei problemi (cioè di qualsiasi possibile algoritmo per risolverli) ha un con-

fine inferiore che è esponenziale o doppiamente esponenziale 16. Questo è il caso ad esempio della teoria di cui forse piú affascinante è il carattere decidibile, quella dell'algebra, e quindi della geometria, elementare. Per il calcolo dei predicati, per il calcolo proposiziona15 Per la storia della programmazione logica si veda J.A. Robinson, Logic Programming-Past, Present and Future, in New Generation Computing, OHMSHA Springer, 1983, pp. 107-124. E interessante ricordare che ancora alla metà degli anni Sessanta il primo tentativo realizzato di vera programmazione dichiarativa (il sistema ABSYS di Foster e Ted Elcock) non si basava neanche esso sul calcolo dei predicati.

16 Si veda l'esposizione e rassegna di M.O. Rabin, Decidable Theories, in J. Barwise (a cura di),Handbook of Mathematical Logic, Amsterdam, North Holland, 1978, pp. 595-629.

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La deduzione automatica

le addirittura, il problema è aperto 17 , con prevalente sensazione negativa.

I risultati negativi sono spesso richiamati nelle di-

scussioni sull'uso di dimostratori o verificatori automa-

tici in informatica. Molti lo citano sia pure di sfuggita; ad esempio Dijkstra, nell'esprimere il suo scetticismo sulla assistenza meccanica, aggiunge: « io temo che l'esplosione combinatoria presto sarà un ostacolo

alla loro applicazione, e quindi ne ridurrà molto il significato »

Altri sono piú definitivi: « i confini inferiori sulla

lunghezza delle derivazioni formali di teoremi matematici sono immensi, e non c'è motivo di credere che tali derivazioni per programmi sarebbero piú corte » I Ma altri ancora hanno una risposta opposta altrettanto drastica: « queste restrizioni metamatematiche [della complessità] non sono naturalmente un impe-

dimento alla dimostrazione meccanica piú di quello

che lo sono per la dimostrazione umana » 20

La programmazione logica infatti, realizzata con linguaggi di tipo PROLOG, funziona eccome; il che significa che in pratica, su classi definite ma non ristrette di formule, la risoluzione non è cosí inefficiente. E vero che, per ridurre la complessità, nei sistemi realizzati si sono introdotte semplificazioni (nell'algo-

ritmo di unificazione) teoricamente inaccettabili perché

17 M.R. Garey - D.S. Johnson, Computers and Intractability, San Francisco, W H. Freeman, 1979. 18 Dijkstra, Selected Writings on Computing..., cit., p. 124. 19 R.A. De Millo, R.J. Lipton e A.J. Perlis, Social Processes and Proofs of Theorems and Programs, cit., p. 276; per De Millo, Lipton e Perlis questo è l'argomento definitivo che « verificatori completamente automatici sono fuori questione ».

29 R.S. Boyer - J.S. Moore, A Computational Logic, cit., P. 6, attribuiscono l'osservazione a una autorità dell'Intelligenza Artiftciale come Nils Nilsson.

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La deduzione automatica

distruggono la completezza del calcolo; ma il risultato è ampiamente soddisfacente 2

È sempre bene poi ricordare che « le limitazioni su quello che siamo stati capaci di far fare ai calcolatori finora derivano molto di piú dalla nostra insufficienza come programmatori che non dalle limitazioni

intrinseche delle macchine » . I costruttori e gli utilizzatori di dimostratori automatici sanno benissimo che la funzione attiva del programmatore non è in discussione; i perfezionamenti sono rivolti proprio a trovare dei modi in cui il programmatore possa dirigere la ricerca compiuta dalla macchina 23 2, con indicazioni strategiche essenziali, senza perdersi nei dettagli. La situazione attuale della dimostrazione automatica è dunque correttamente descrivibile come una integrazione non polemica degli approcci logico e uma-

I dimostratori logici generali hanno provato la no loro utilità, come punto di appoggio e di riferimento, anche agli scettici:

21 Non è raro che un algoritmo funzioni, sui casi che si presentano normalmente, meglio di quella che è la sua complessità teorica; anche per il metodo del simplesso in programmazione lineare vale la stessa cosa. L'esito dipende dalla distribuzione dei casi peggiori, su cui è valutata la complessità.

22 McCarthy, A Basis.., cit., p. 33.

23 La superiorità della programmazione dichiarativa sulla programmazione imperativa sta proprio nel liberare il programmatore dalla necessità di concepire e prevedere le singole tappe del calcolo

della macchina, concentrandosi invece sulle relazioni logiche in gioco. Ma un totale disinteresse da parte del programmatore del modo in cui il sistema cerca la risposta indurrebbe la paventata esplosione combinatoria; d'altra parte un suo eccessivo coinvolgimento falserebbe lo spirito della programmazione dichiarativa; per

una breve presentazione di questa tematica si veda G. Lolli, La programmazione logica e la deduzione automatica, Convegno su

Logica Matematica e Informatica, Pordenone, Metamorphosis, otto-

bre 1984.

24 Sono significative anche le sfumature terminologiche; oggi si

parla di automated reasoning, definendolo come « la scrittura di

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La deduzione automatica

anche se sembra improbabile che i metodi generali per il calcolo dei predicati del primo ordine saranno in grado di pro-

durre dimostrazioni di risultati significativi nella parte della matematica assiomatizzabile in questo calcolo ... lo sviluppo di questi metodi generali provvederà [però] una misura di cosa deve essere lasciato alla euristica dipendente dal dominio 25

Dalla esperienza concreta dovrebbe scaturire una visione svincolata da termini di riferimento obsoleti, come la lunghezza pura e semplice, che era uno spauracchio quando si pensava di non poterla evitare, e di doverla domare a pura forza. Fin dall'inizio, qualcuno aveva anticipato che il calcolatore avrebbe indotto un nuovo stile di dimostrazione: « la verifica di dimostrazioni matematiche è potenzialmente una delle piú interessanti e utili applicazioni dei calcolatori ... i calcolatori possono verificare non solo le dimostrazioni di nuovi teoremi matematici ma anche dimostrazioni che complessi sistemi e programmi soddisfano le loro spe26 cifiche » , Tra le condizioni che apparivano necessarie, oltre allo sviluppo di tecniche specifiche di verifica, due riguardavano proprio problemi di formalizzazione: la prima è che le dimostrazioni siano verificabili (checkable) mediante calcolatore; altrimenti c'è troppo spazio e opportunità per wishful thinking. La seconda è che la dimostrazione che il sistema soddisfa le specifiche non deve essere un compito piú grosso della progettazione del sistema stesso. C'è ra-

gione di sperare [1961] che questi requisiti possano essere

soddisfatti, e che il peso principale del lavoro possa essere scaricato sul calcolatore 27 programmi che assistano nella risoluzione di problemi e nella risposta a questioni che richiedono ragionamento », in testi tuttavia cen-

trati sul calcolo della Risoluzione, come in L. Wos, R. Overbeek, E. Lusk e J. Boyle, Automated Reasoning, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1984. 25 McCarthy, A Basis.., cit., p. 68. 26 McCarthy, Computer Programs for Checking Mathematical

Proofs, cit., p.p. 219. 2 Ibidem, 220.

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La deduzione automatica

Ma il requisito della dimensione non è un requi-

sito da soddisfare prima dell'affidamento al calcolatore:

esso è soddisfacibile se e in quanto risolto con l'uso del calcolatore. Lo slogan controcorrente di McCarthy era che il calcolatore abbrevia le dimostrazioni (non solo il tempo per leggerle o scriverle); le abbrevia proprio nel senso di permettere quel tipo di dimostrazione piú umana che invoca Dijkstra, oltre a dare piú affidamento per i lunghi compiti di routine. Secondo McCarthy le dimostrazioni da far verificare al calcolatore possono essere piú corte e piú facili da scrivere delle dimostrazioni informali accettabili dai matematici. La ragione è che al calcolatore può essere richiesto di fare molto maggior lavoro per verificare i singoli passi di quello che un agente umano è disposto a [in

grado di] fare, e questo permette un minor numero di passi, ciascuno piú [implicitamente] lungo ... Noi ci raffiguriamo l'uso della verifica automatica delle dimostrazioni in matematica come segue: il matematico dispone già di formalizzazioni del suo ramo della matematica, e il calcolatore ha immagazzi-

nato in sé i teoremi già dimostrati. Inoltre, c'è un certo nu-

mero di tecniche incorporate in programmi per generare dimo strazioni. Il matematico esprime la sua idea di come una dimostrazione può essere costruita combinando queste tecniche in un programma. Il calcolatore esegue il programma, che può dimostrare il teorema, può generare informazione che guiderà un successivo altro tentativo, può indicare uno sbaglio elementare, oppure può risultare di nessun aiuto 28

Questo in generale, e sia per dimostrazioni di teoremi matematici che di correttezza di programmi. Piú in particolare, per le dimostrazioni matematiche, per esemplificare meglio il concetto, McCarthy illustra alcune ipotesi, o strade da seguire, per « ridurre il lavoro inerente alla scrittura di una dimostrazione a spese di un piú intenso lavoro di verifica da parte del calcola28 Ibidem.

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La deduzione automatica

tore ». In generale « l'insieme dei teoremi non è decidibile, per cui noi non possiamo determinare direttamente se un enunciato è un teorema. Tuttavia, avendo la giusta informazione addizionale, proprio l'informa-

zione che un matematico cerca di scoprire quando indaga una congettura, allora riusciamo a determinare che

l'enunciato è un teorema ... ». I settori piú importanti della matematica sono indecidibili, o sono decidibili solo a un costo esorbitante, però qualcuno decidibile

c'è, e

altre parti decidibili della matematica saranno isolate quando si vedrà che merita scoprirlo. Nei lavori matematici si incontrano frasi come « il lettore potrà verificare facilmente che ...», e « segue con calcoli algebrici dalle equazioni (3) e (4) che. .. ». Noi vorremmo considerare tali frasi come appelli a procedure di decisione che l'autore assume il lettore abbia a disposizione. Se assumiamo questo modo di vedere, allora le dimostrazioni possono essere considerate rigorose, e addirittura formali, una volta sia ben chiarito quali procedure di decisione si suppone che il lettore possegga ... Può essere possibile isolare il riferimento agli assiomi, per esempio l'induzione, ,che estendono i sottosistemi decidibili a un sistema indecidibile. Una dimostrazione che consistesse di appelli a procedure di decisione per formule elementari, ancorché complicate, sparpagliate con alcune applicazioni delle regole di inferenza, poniamo l'induzione matematica, potrebbe essere piuttosto compatta 2

Poi McCarthy illustra altre possibilità: affidare al

verificatore anche la generazione di alcuni segmenti di dimostrazione, sfruttare metodi metamatematici per cambiare ad esempio il predicato di derivabilità, esplorare sistematicamente diverse alternative di trasformazioni di formule, e cosí via: « la combinazione di tecniche di verifica con euristiche di invenzione permetterà ai matematici di sperimentare idee di dimostrazioni che 29 Ibidem, p. 221.

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La deduzione automatica

sono ancora piuttosto vaghe, e potrà accelerare la ricerca matematica » Per fare questo, tra le varie cose che McCarthy ri-

tiene debbano essere sviluppate ci sono « nuovi tipi di sistemi formali che permettano dimostrazioni corte », perché i sistemi usuali, in cui le dimostrazioni sono le ben note catene di passi elementari « se sono buoni per indagare i fondamenti della matematica e della logica, perché vi si vede facilmente quello che è ottenuto a ogni passo», non lo sono piú necessaria-

mente con i nuovi obiettivi.

La concezione di nuovi sistemi formali mira a eli-

minare la eccessiva lunghezza e mancanza di perspicui-

tà in vista di due obiettivi, quello appunto di impedire l'eccessivo spreco di risorse da una parte, e quello di ottenere un nuovo concetto di dimostrazione formalizzata ma anche comprensibile e trasparente, anzi in cui tali caratteristiche sono esaltate proprio dall'uso del calcolatore. La verifica automatica è dunque qualcosa di molto piú fine e ambizioso che non lo sfruttamento intensivo della tecnologia; e in questa direzione si sono mossi coloro che hanno cercato di realizzare le indicazioni di McCarthy. La scommessa è quella di incorporare nei dimostratori logici strategie dimostrative dipendenti dal dominio matematico specifico; si va nella direzione di insegnare alle macchine a fare vera matematica originale, cioè verso l'Intelligenza Artificiale. Nella corrente ricerca sulla analisi automatica dei programmi, un approccio comune [finora] per superare la mancanza di sufficiente potenza dimostrativa automatica è stato quello

di richiedere che l'utente diriga un programma di verifica di dimostrazioni. Vale a dire, all'utente è richiesto di costruire una derivazione formale usando solo le piú semplici regole di 30 Ibidem.

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La deduzione automatica

inferenza, come modus ponens, esemplificazione di variabili, sostituzioni di uguali ad uguali. Il programma verificatore garantisce la correttezza della derivazione formale 31

Rispetto a questa pratica « noi abbiamo trovato i programmi verificatori troppo frustranti da usare perché richiedono troppa direzione » 32 La costruzione passo passo della derivazione, con la verifica successiva (di cosa? solo che non ci si è sbagliati per stanchezza o per volontà a fare quel compito mostruoso?) non sembra giustamente una cosa esaltante. McCarthy pensava che l'utente dovesse gestire le regole più impor-

tanti, non quelle banali. D'altra parte « un altro approccio per superare la deficienza di potenza dimostrativa automatica è quel-

lo di usare un dimostratore debole, e di introdurre

assiomi liberamente. Spesso questi assiomi sono chia-

mati"lemmi" ), ma la loro caratteristica è che di so-

lito non sono dimostrati. Mentre l'uso di un verificatore è solo frustrante, l'introduzione arbitraria degli assiomi è deplorevole ». Quelli che lo fanno si difendono dicendo che si tratta di fatti ovvi, oppure che comunque qualche assioma bisogna introdurlo per forza. Una ragione per cui i ricercatori si sono trovati nella ne-

cessità di fare ricorso così arbitrariamente ai lemmi, è che nei loro sistemi di dimostrazione automatica essi non hanno implementato il principio dell'induzione matematica. Siccome l'induzione matematica è una regola fondamentale di inferenza

per il dominio di oggetti su cui lavorano i programmatori, è

sorprendente che qualcuno possa implementare un dimostratore automatico per la verifica dei programmi che non sia in grado di fare dei ragionamenti induttivi 33

31 Boyer-Moore, op. cit., p. xi. 32 Ibidem. 33 Ibidem.

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La deduzione automatica

E questo fa invece il dimostratore di Boyer-Moore,

perfezionato negli anni: « questo libro verte su come dimostrare teoremi piú che sulle dimostrazioni di singoli teoremi. Noi diamo delle risposte a domande del tipo: quando si dovrebbe usare l'induzione, come si inventa un appropriato ragionamento induttivo, quan*, il tutto do conviene espandere una definizione .. incorporato in un sistema di logica, che ha avuto notevoli successi 35

Con un simile sistema si possono incominciare a verificare meccanicamente anche le dimostrazioni informali: la comunicazione matematica oggi usa una notazione informale e lascia molti passi alla immaginazione del lettore. Trascrivendo le frasi della dimostrazione in una notazione formale, è

talvolta possibile usare i dimostratori automatici odierni per colmare le lacune lasciate tra i passi espliciti e così verificare meccanicamente alcune delle dimostrazioni pubblicate informal; 36

La verifica meccanica delle dimostrazioni è dunque una possibilità non solo teorica ma anche pratica; certo noi dubitiamo che gli odierni dimostratori meccanici potrebbero essere facilmente usati per verificare teoremi alla frontiera della matematica. La meno ambiziosa motivazione che sta dietro la maggior parte della ricerca 'sulla dimostrazione automatica - certo dietro alla nostra - è quella di meccanizzare le dimostrazioni spesso terra terra e noiose che hanno a

3 Ibidem, p. 1.

35 Tra i teoremi dimostrati ci sono il teorema di Wilson, la

legge di reciprocità quadratica, l'esistenza di funzioni ricorsive non

primitive ricorsive, la completezza e l'insolubilità del LISP puro. 36 R.S. Boyer - J.S. Moore, Proof Checking the RSA Public Key

Encryption Algorithm, in « American Mathematical Monthly », 91 (1984), pp. 181-189. In questo articolo Boyer-Moore descrivono la verifica meccanica della dimostrazione della invertibilità dell'algoritmo di Rivest, Shamir e Adleman, un argomento di importanza cruciale nella moderna crittografia.

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La deduzione automatica

che fare con la programmazione. Il nostro dimostratore è stato usato per dimostrare migliaia di teoremi relativi alla correttez-

za di diversi programmi, a protocolli di comunicazione e alla

sicurezza. A causa dell'alto costo dei bug nel software, del crescente impatto del software rispetto al poco costo dei micro-

processori e alla natura relativamente povera della maggior parte delle dimostrazioni di correttezza, noi ci aspettiamo di vedere imporsi, entro i prossimi dieci anni, l'uso commerciale di dimostratori automatici e di logica formale nello sviluppo del software. La costruzione di un dimostratore automatico che faccia avanzare le frontiere della matematica invece deve ancora aspettare un nuovo Gödel o un nuovo Herbrand 37

31 Ibidem, p. 189. Tale ambiziosa aspettativa non è in verità

cosí urgente. Piuttosto nell'Intelligenza Artificiale si sente l'esigenza di una piú sicura padronanza della logica quotidiana. A differenza

di quello che pensava e raccomandava Peano infatti, sono ora i problemi posti dai linguaggi e dalle situazioni naturali che rappresentano la sfida tra uomo e macchina. La logica torna a essere definita genericamente come studio della nozione di conseguenza (cosa segue da John ama Mary e Mary è bionda) e non come studio

delle teorie matematiche. I programmi parlano in gran parte di

John e Mary. La formalizzazione dei linguaggi naturali (impredicativi, d'ordine superiore, contraddittori?) ha qui la sua ragion d'essere

e i suoi criteri, che rinnovano quelli che la filosofia analitica ta risalire a Frege e Wittgenstein. L'argomento meriterebbe un libro a parte.

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CAPITOLO SESTO

La dimostrazione sul tovagliolo

Le risposte su cui pare assestata la ricerca nel campo dei ragionatori automatici, quelle che abbiamo espo-

sto alla fine del capitolo precedente, tengono conto degli ostacoli pratici e teorici per orientarsi, con successo, verso una realizzazione accettabile di un progetto ritenuto fondamentalmente sensato; non sono tut-

tavia risposte tali da tappare la bocca e mettere fine alle polemiche. Sul versante filosofico, la scoperta della intrattabilità esponenziale delle teorie matematiche di base, e la sospetta intrattabilità della logica del primo ordine, sono state considerate un argomento contro la nozione

stessa di logica, intesa come impegno implicito nella definizione di essere razionale ad accettare un sistema corretto e completo di regole deduttive1 La complessità falsifica la affermazione di Quine che « le verità logiche, almeno quelle semplici, vanno da sé; chiunque assentirebbe ad esse senza esitazione se richiesto »'; d'altra parte « le ricerche sperimentali degli psicologi suggeriscono la presenza costante di strategie euristiche apparentemente sub-ottimali nel ragio-

namento intuitivo quotidiano, piuttosto che quella di procedure formalmente corrette ». Poiché 1 Questa è chiamata « tesi di Quine » da C. Cherniak, Compu-

tational Complexity and the Universal Acceptance of Logic, in « The Journal of Philosophy », LXXXI (1984), pp. 739-758.

2 Citato da Cherniak, op. cit.

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un frammento sorprendentemente piccolo e fondamentale del-

le capacità deduttive del soggetto ideale sembra richiedere, solo per un insieme finito di casi semplici, risorse maggiori di quelle disponibili in un calcolatore ideale grande come l'intero universo ... ecco che l'euristica quick but dirty messa in luce dalla ricerca psicologica può darsi che sia alla fine non sciatteria irrazionale ma l'unico bilanciamento velocità-affidabilità disponibile per evitare l'intrattabilità.

Le tendenze dell'Intelligenza Artificiale (di orientamento psicologistico) confermerebbero questa tesi 3 suggerirebbero che « in larga misura, nel ragionamento umano (o di qualsiasi agente) l'unico modo per evitare la paralisi pratica è quello di non usare sistemi deduttivi metateoricamente adeguati ».

Questo non è un argomento contro la logica, o

contro l'uso della logica nel ragionamento e nella definizione di razionalità. Come dice Cherniak stesso, l'intrattabilità reale o sospettata è quella dei sistemi

gici completi; non è il calcolo logico che allunga la ricerca e la verifica, ma (forse) la formalizzazione in sistemi completi. Si delinea l'opportunità di una plura-

lità di sistemi parziali, ciascuno completo su di una

classe ristretta di problemi, e su di questa auspicabilmente efficiente. Questa opportunità è riconosciuta sia teoricamente che nella pratica da chi lavora sul ragionamento automatico, come abbiamo visto. La restrizione alle clausole di Horn nella programmazione logica è un esempio lampante; e i metodi euristici implementati nella Intelligenza Artificiale ne forniscono

un altro.

Nessuno per risolvere un problema si affida a me-

todi che sa essere scorretti in riferimento al tipo di 3 Cherniak cita a questo proposito A. Newell e H. Simon,

Computer Science as Empirical Inquiry, in « Communications ACM », 19 (1976), pp. 113-126, oltre al piú complesso esempio delle dimostrazioni probabilistiche di M. Rabin.

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La dimostrazione sul tovagliolo

problema che vuole risolvere; al massimo usa metodi che sa o teme che non siano corretti in generale ma che sa o spera che siano corretti rispetto al suo tipo di problema. E se solo lo spera si darà da fare finché non lo avrà anche dimostrato. Quando si fa riferimento alla Intelligenza Artificiale e alla sua concordanza o attenzione per certe osservazioni della ricerca psicologica, sembra che ci si dimentichi che gli algoritmi che si predispongono non sono mai rivolti alla soluzione di un singolo caso, ma a una classe di problemi simili; e per definizione i programmi che ne risultano sono procedure che vanno ripetute, quindi che devono incorporare una certa generalità; non sono soluzioni ingegnose di un solo rompicapo. Come tali sono sempre dei metodi che materializzano una soluzione generale di una

classe infinita, se pur delimitata di problemi, quindi

sono un calcolo logico, anche se parziale. Se funzionano, sono dei calcoli logici completi rispetto a una classe

di problemi.

C'è invece spesso la tentazione, partendo da considerazioni come quelle di sopra, di descrivere uno scenario in cui pur di arrivare alla conclusione il soggetto è disposto a cercare qualunque scorciatoia, anche coscientemente scorretta: la lunghezza uccide cosí la logica, che l'ha generata. Se si studiano esempi nel campo in cui il ragionamento svolge un ruolo importante, quello della matematica, si vede invece che la lunghezza è sí una preoccupazione, ma da superare e risolvere con un approfondimento del ragionamento. La crescita mostruosa della dimostrazione della classificazione dei gruppi finiti semplici non ha provocato, quando era in corso, la reazione dell'abbandono della ricerca di una dimostrazione, ma, una volta che questa è stata ottenuta, la critica e la re-

visione della stessa in vista dell'ottenimento di una

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prova piú breve e perspicua e significativa * La formalizzazione nel campo della analisi dei programmi continua tuttavia a essere una manna per tutti coloro che manifestano riserve e insofferenza per il rigore logico. La formalizzazione, e l'automazione della verifica, sono l'esagerazione che mette in luce, secondo

gli oppositori, difetti e illusioni profonde. De Millo come abbiamo visto° pensa che per ragioni di complessità il verificatore automatico non ci sarà mai, quindi la sua polemica non è rivolta contro questo, anche quando ne parla, ma in generale alle di-

mostrazioni di correttezza, alla idea che si debba dimostrare la correttezza secondo quello che di solito si intende per dimostrazione; gli argomenti sono però co-

struiti intorno all'ipotesi estrema: supponiamo pure che un verificatore automatico potesse essere

costruito. Supponiamo inoltre che i programmatori venissero in qualche modo ad avere fede in esso .. .. si lasciassero convin-

cere dei vantaggi di alimentare con i loro programmi le fauci di un verificatore. Lo scenario immaginato da un patito della verifica si presenta cosí: il programmatore inserisce il suo pacchetto di 300 righe nel verificatore. Alcune ore dopo ritorna e trova che il suo verificatore da 20.000 righe ha dato la risposta VERIFIED ... E supponiamo anche che il messaggio non risulti come conseguenza di un difetto da parte del sistema di verifica. Che cosa sa allora il programmatore? Egli sa che il suo programma è formalmente, logicamente, provabilmente, certificatamente corretto. Egli non sa tuttavia in quale

misura esso è affidabile, degno di fiducia, safe; non sa entro quali

4 L'argomento è ripreso oltre; sulla revisione della dimostrazione della classificazione dei gruppi finiti semplici si veda D. Gorenstein, Classifying the Finite Simple Groups, in « Bulletin AMS », 14 (1986), рр. 1-98. 5 Nel seguito per brevità citeremo solo il nome di De Millo

e non anche degli altri autori, Lipton e Perlis, del fortunato e discusso intervento, Social Processes and Proofs of Theorems and Programs, cit., pp. 271-280.

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limiti funziona; non sa cosa succede se supera questi limiti. E tuttavia egli ha questo mistico timbro di approvazione...

Una dimostrazione rigorosa, ottenuta per giunta per cosí dire gratis, a cosa potrebbe servire? Forse a dare la certezza assoluta? Comunque il timbro di approvazione verrebbe ottenuto a scapito di altre cose desiderabili; ma la sicurezza assoluta perseguita dai verifica-

tori, è illusoria quanto, per De Millo, pericolosa:

« programmi scritti in modo pulito e ordinato in vista del loro assoggettamento alla verifica saranno partico-

larmente vulnerabili all'effetto Titanic [l'effetto per

cui la gravità del fallimento è direttamente proporzionale alla convinzione del progettista che il sistema non

può fallire] »

Ora la ricerca della certezza assoluta non è l'obiet-

tivo dei verificatori:

un approccio alternativo [alla illusoria verifica fatta empiricamente facendo girare i programmi su dati di prova] è quello di provare matematicamente che nel programma non possono

occorrere bug. Benché piú difficile da applicare che non i test, tale dimostrazione matematica tenterebbe di conferire una certezza assoluta che il programma è invero corretto ... [ma] noi non potremo mai essere assolutamente certi che un programma è corretto ,

e per svariati motivi. I primi hanno a che fare con errori che dipendono dal passaggio dall'astratto al concre6 De Millo, op. cit., p. 277.

7 Ibidem. Con orrore si commenta: « già se ne vedono alcuni

effetti. Nelle loro note su EUCLID alcuni dei verificazionisti di

avanguardia dicono che "siccome ci aspettiamo che tutti i program-

mi EUCLID saranno verificati, non abbiamo contemplato nulla di speciale per trattare le eccezioni... Runtime software error non dovrebbero occorrere in programmi verificati". Non dovrebbero occorrere!?!... ». 8 Z. Manna - R. Waldinger, The Logic of Computer Program-

ming, cit., p. 201.

STUDIORE,

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BIBLIOTECA

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to, e alle limitazioni fisiche dei calcolatori (fenomeni di overflow); poi ci sono gli effetti collaterali, per cui quando un programma gira si possono alterare entità non menzionate nelle istruzioni; per di piú c'è il fatto che già dalla partenza non siamo sicuri che le specifiche corrispondano alle vere intenzioni; su di un piano piú teorico, nessun verificatore può funzionare per tutti i programmi (teorema di incompletezza), in particolare

non si può applicare a se stesso; infine a sua volta il verificatore è soggetto al rischio di bug né piú né meno

che gli altri programmi. Qui si parla di verificatore indipendentemente dal fatto che sia una macchina o un uomo, ma solo del fatto che produce una dimostrazio-

ne matematica

Con tutto ciò, « queste limitazioni non implicano che non abbia senso sviluppare dei sistemi di verifica » O; anche se il sistema ha dei bug ad esempio, può servire a scoprirne altri in altri sistemi: « un sistema piuttosto grande (che presumibilmente perciò aveva in sé qualche bug) scritto da uno studente per verificare dimostrazioni matematiche, fu in grado di scoprire diversi errori nei Principia Matematica di Whitehead e Russell, che pure è una pietra miliare della logica ma-

tematica » 11

Avere un sistema di verifica è sempre utile, e meglio che niente; se non altro perché è piú facile concentrarsi su di esso solo, per eventuali correzioni, che non ogni volta riesaminare un nuovo programma. Ma ? I bug di un dimostratore umano potrebbero essere un riferimento errato a risultati supposti noti, o una tendenza sistematica a commettere errori di calcolo. 10 Manna-Waldinger, op. cit., p. 209. 11 Ibidem. Qui c'è una parentela con il discorso sulla non drammaticità della eventuale inconsistenza di una teoria matematica; il sistema di Frege dimostrato contraddittorio da Russell ha svolto una fondamentale funzione nella analisi logica.

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certo i vantaggi migliori sono dati da effetti generali di carattere logico 12

L'obiettivo dei formalizzatori non è la certezza assoluta (figuriamoci gli informatici se non sanno quanto precaria sia la precisione e l'infallibilità nella impresa di programmazione e formalizzazione), ma sí una dimostrazione di correttezza, e la perseguono attraverso la matematica. Con aggettivi come assoluto e perfetto De Millo cerca di tacciare di irrealtà il loro obiettivo per poterlo eliminare. Il motivo è che la correttezza dovrebbe semplicemente sparire come concetto e come preoccupazione della comunità informatica, ed essere sostituita da un altro concetto: « gli aderenti della verifica dovrebbero ridefinire i loro sforzi verso l'affidabilità piuttosto che la verificabilità Come fanno gli ingegneri a creare strutture affidabili? essi hanno una visione realistica e matura di cosa significa archersilea in particolare, una cosa che certo non signi-

La nozione piú ampia di affidabilità, con la sua implicita conoscenza di come un programma funziona, su quali dati gira meglio, quali trucchi ha incorporato e cosí via non è certamente da buttare, e su questo De Millo raccoglie ampi consensi. Ma « se l'affidabilità è

il criterio che guida e tira, mentre la verifica, fatta dopo che un programma gigantesco è stato completato

da mani differenti è virtualmente impossibile... questa non è una scusa per non produrre software che sia

dimostrabilmente corretto » I La scusa è che perse12 Manna-Waldinger, op. cit., p. 207, portano come esempio i linguaggi da laboratorio, tipo EUCLID, LUCID e altri (citati sopra da De Millo!) in cui, siccome sono stati costruiti per rendere piú agevole la verifica, come effetto collaterale anche la trasparenza e

la comprensione dei singoli programmi è di molto superiore a quelli usuali.

13 De Millo,

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guendo un obiettivo impossibile si devia dalla ricerca giusta, si sprecano risorse ecc.; c'è ovviamente anche una battaglia per accaparrarsi finanziamenti e posizioni

di potere.

Ma è difficile sottrarsi al fascino e alla autorevolezza della matematica; non si può teorizzare che bisogna buttare via la matematica e limitarsi a fare i praticoni, almeno non nel rispettabile mondo della ricerca. Verificatori e oppositori della verifica, tutti si rifanno infine alla matematica, ma che sia una matematica che le-

gittima la loro impostazione. Allora si gira la frittata imputando agli avversari un tradimento del « vero »

spirito della matematica. L'attacco si svolge attribuendo ad essi un obiettivo di assolutezza irraggiungibile, e dicendo che essi lo vogliono raggiungere in verità non con la matematica ma con la formalizzazione, o che con-

fondono matematica e formalizzazione. La prova che i verificatori perseguono la perfezione è data dal loro ricorso al rigore e alla automazione. Perché altrimenti

lo farebbero? E la critica è implicita negli esiti del loro stesso lavoro, che invece di raggiungere la perfezione si impantana nelle sabbie mobili della formalizzazione. Per sostenere la loro tesi De Millo, Lipton e Perlis sono però costretti a sparare grosso, al di là delle usuali critiche alle esasperazioni della formalizzazione come caricatura della matematica. Vi sono costretti da una parte perché la caricatura ha ora una realtà materiale nella verifica automatica, e non è quindi solo un sogno di anime belle, dall'altra perché essi sanno forse che la distinzione non è cosí semplice. Piú che non ai tempi di Poincaré c'è oggi un livello di rigore nella matematica che anche se non si esprime in un linguaggio formale tuttavia ha le sue regole e le sue pretese forti, che molto si avvicinano a una forma-

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lizzazione, ed è questo che rende plausibile, per quello che lo è, la posizione della formalizzazione in linea di

principio.

È impossibile attaccare a fondo la formalizzazione

senza attaccare in qualche modo la struttura logica della

matematica: per essere giusti con la matematica, il suo livello di precisione è cresciuto a grandi balzi dall'inizio del secolo. Il campo della geometria algebrica ne è un esempio, e questo miglioramento non ha quasi nulla a che fare con la storia della logica matematica e della formalizzazione logica. Per citare un esempic

banale di precisione (che è con noi da molto tempo, ma ha richiesto un limpido pensiero quando ha avuto origine) si considerino le dimostrazioni di convergenza per serie infinite. Si

devono fare molte manipolazioni, e ogni studente ha fatto l'esperienza di ritrovarsi con qualche segno sbagliato. Ritornare sulle formule finché non si localizza il segno mancante è esattamente la stessa cosa del debugging di un programma. Gran parte del linguaggio dell'algebra, del calcolo e della ana-

lisi piú avanzata è un linguaggio formale, e le dimostrazioni si fanno imparando le regole della formalizzazione ... e molta, molta piú matematica è stata formalizzata in questo senso: si pensi alle larghe porzioni di topologia algebrica, che richiedo-

no un pesante arsenale formale, ora spesso espresso nella teoria

delle categorie. I matematici sono in grado di dimostrare

importanti teoremi, con l'aiuto di queste formalizzazioni, impensabili cento anni fa. Il punto è che la difficoltà delle astrazioni ha costretto i matematici veri, in carne e ossa, a introdurre, quelli che non possono che essere chiamati metodi for

Per confutare questa realtà occorre prendere una posizione piú sottile, un ardito rovesciamento di parti che imputi ai sostenitori del rigore, proprio in quanto sostenitori del rigore, un travisamento della vera natura della matematica. Occorre sostenere che la matematica non ha nulla a che fare con il rigore e la sicu15 Ibidem, p. 204.

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rezza, ma è simile nella prassi e nei risultati alle pratiche ingegneristiche. « Non c'è nessun modo di dedurre

logicamente che i ponti stanno su o che gli aeroplani volano ...», perché lo scopo della matematica non è quello di raggiungere simili conclusioni. La matematica non è attrezzata per produrre dimostrazioni di correttezza nel senso che i verificatori chiedono. De Millo parla della matematica come di qualcosa che produce gli stessi artefatti della ingegneria: può produrre dei ponti, non la « prova » che i ponti stanno su. Se ci si perde a inseguire la prova, non si costruiscono i ponti. La visione monolitica della verificazione è cieca rispetto ai benefici che potrebbero risultare dalla accettazione di uno standard di correttezza simile a quello per le reali dimostrazioni matematiche o uno standard di affidabilità simile a quello delle reali strutture ingegneristiche. La richiesta di funziona-

mento entro limiti di economicità, la disposizione a incanalare l'innovazione riciclando progetti di successo, la fiducia nel fun-

zionamento della comunità dei pari - tutti i meccanismi che rendono veramente effettive l'ingegneristica e la matematica sono oscurati dalla inane ricerca della perfetta verificabilità.

Ouesto modo disinvolto di parlare delle reali dimostrazioni matematiche non può però passare senza commento; né De Millo pensa di farlo, perché questo è invero il punto cruciale, in cui bisogna spiegare che con dimostrazione reale non si intende quello che normalmente si intende, o quello che una errata filosofia della matematica ha reso luogo comune. Il discorso si sposta allora sulla natura della matematica.

« In matematica, il fine è quello di accrescere la fiducia nella correttezza di un teorema, ed è vero che uno degli artifici che i matematici potrebbero in teoria usare per raggiungere questo scopo è una lunga catena

di passaggi formali. Ma in pratica essi non lo fanno.

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Ouello a cui si appoggiano è una dimostrazione, un animale ben diverso » È una dimostrazione qualcosa di veramente molto

diverso da una catena deduttiva formale? Per De Millo sí, « noi crediamo che, in ultima analisi, è un processo sociale quello che determina se i matematici hanno fiducia in un teorema » 17 Con questa formula i nostri autori vanno ad arricchire, in modo originale, una recente tendenza in filosofia della matematica che si propone di rivitalizzare e rinnovare l'immagine e la natura della matematica 18 La matematica è un processo che cresce soprattutto attraverso una serie di congetture, esperimenti, errori, correzioni. La parte significativa della matematica è in tale processo, non nei prodotti finiti, se mai ci possono essere. La dimostrazione allora, cioè quell'oggetto se non formalizzato però rigidamente strutturato che è considerato centrale nella matematica, come etichetta di validità di un teorema, non è cosí importante. « Una dimostrazione è solo un passo nella direzione della ac16 De Millo, op. cit., p. 271. 17 Ibidem.

18 I rappresentanti piú noti della tendenza sono Davis e Hersh, autori del fortunato volume The Mathematical Experience, Boston, Birkhaüser, 1980, oltre che di altri interventi, ma vi confluiscono diversi filoni che le danno un carattere non del tutto omogeneo,

Lakatos, empiristi... Si veda G.Lolli, La dimostrazione in matematica: analisi di un dibattito, in « Boll. UMI » (6), 1-A (1982),

pp. 197-216. La tendenza si può comunque chiamare empirica, in mancanza di un nome migliore, per il denominatore comune rappresentato dalla sfiducia o dalla opposizione agli aspetti logici, razionali della matematica.

L'appello di De Millo alla comunità dei pari si ritrova in

Ph. Kitcher, The Nature of Mathematical Knowledge, Oxford, Oxford University Press, 1984, che vuole spiegare « la conoscenza degli individui ricollegandola alla conoscenza delle loro comunità

[e radicandola] nella conoscenza delle autorità delle precedenti

comunità », in una catena che si ferma poi alla percezione sensibile,

p. 5.

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cettazione di un risultato », e questo perché le dimostrazioni possono essere sbagliate; anzi in generale lo sono, o verrebbe a mancare lo spunto per la prosecuzione del lavoro, che normalmente consiste nella correzione o rielaborazione di una precedente dimostrazione approssimata. Ma « il punto non è che i matematici fanno errori, questo va da sé. Il punto è che gli errori dei matematici sono corretti non attraverso la logica simbolica formale, ma da altri matematici »". Come lavora un matematico? Una dimostrazione non è un oggetto astratto con esistenza indipendente, ma un messaggio; quando un matematico ha elaborato una dimostrazione, corre dai colleghi nella stanza accanto e la racconta per vedere se l'accettano e si convincono; se trova una buona

risposta, scrive una traccia di dimostrazione, poi la manda in giro, e gli arrivano correzioni, e consigli; intanto il suo risultato gira per il mondo, tra i colleghi, e se suona bene, se sembra plausibile gli altri cominciano a usarlo, magari solo perché è annunciato su di una rivista di prestigio, o viene da una sede, o da una persona affidabile; in questo caso il teorema diventa parte di un tessuto di altri risultati che vengono inseriti in un contesto, utilizzati, ampliati. Questo è il processo sociale che le dimostrazioni semplicemente so-

stengono, o puntellano. Non esiste una relazione piú profonda tra dimostrazione e verità; per provarlo, l'argomento principale degli empirici, a parte il riferimento alla fenomenologia della ricerca, è quello della incommensurabilità tra informale e formale: se la specifica del programma è, 19 Ibidem, p. 272. Davis-Hersh ripetono gli argomenti di Lakatos che vede la crescita della matematica come una continua ripresa e variazione su precedenti dimostrazioni, inevitabilmente quindi og.

getti sempre incompleti e difettosi, su cui non si finisce mai di tornare.

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come è, informale, e il programma formale, e ci deve

essere una transizione, « la transizione stessa deve essere necessariamente informale » 20• Analogamente per i

rapporti tra un problema e la derivazione della soluzione o della risposta. Ci sono due conseguenze di questa visione: « la prima è che una dimostrazione in sé non aumenta significativamente il nostro grado di confidenza nella pro-

babile verità di un risultato ... una seconda è che di-

mostrazioni che consistono soltanto di calcoli non sono necessariamente corrette », come prova ampiamente l'esperienza; i calcoli lunghi mal si prestano alla sopra descritta attività dialogica. La critica dalla scuola della verifica dei programmi non potrebbe essere allora piú totale; perché per essa non è possibile produrre se non dimostrazioni di questo tipo, lunghe e calcolistiche. Precisamente, le verifiche" sono lunghe e involute, ma di basso profilo, ed è questo che è sbagliato con esse. La verifica di anche un programma minuscolo può andare avanti per una dozzina di pagine, e non c'è un barlume di luce, o un momen20 De Millo, Lipton e Perlis, op. cit., citano Barkley Rosser che cita Descartes per questo argomento. Per curiosità, lo si ritrova anche in Poincaré: « per amore della dimostrazione una definizione matematica viene sostituita agli oggetti reali, e resta da provare che la realtà concreta soddisfa la definizione. Ma questa è una verità sperimentale, non riguarda la matematica stabilirla », e aggiunge che « è stata una grande conquista aver separato le due cose » (intervento al Congresso di Parigi del 1900, cit.). ScherlisScott, op. cit., p. 208, a loro volta gli oppongono l'obiezione classica, che « la formalizzazione ha a che fare con il modo in cui i passi di una derivazione si incastrano tra loro; mentre la compren-

sione informale di come viene emergendo la soluzione del problema originale si nasconde nella scelta dei passi della sequenza ». Manna e Waldinger, op. cit., invece considerano l'osservazione pertinente

solo alla possibilità di non raggiungere il risultato voluto, nel caso di formalizzazione non adeguata. 21 Le verifiche sono intese in una delle accezioni della scuola,

cioè pur sempre, a prescindere dal formalismo, come successioni di espressioni o affermazioni intersparse con le istruzioni.

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to di spirito in nessuna di quelle pagine. Nessuno si precipiterà mai nell'ufficio di un collega sventolando una verifica di programma. Nessuno farà mai uno schizzo di verifica sul tovagliolo di una trattoria. Nessuno mai la leggerà 22

Le dimostrazioni relative ai programmi possono solo essere di questo tipo logico, lo dicono anche i verificatori, e la confidenza non è aumentata dalla logica; al contrario, ammessa l'equazione logica = formalizzazione =lunghi calcoli, la formalizzazione ha oscurato il vero carattere, di messaggio, della dimostrazione matematica aggiungendo due difetti disastrosi: il primo è che la formalizzazione inibisce il processo sociale di accettazione sopra descritto, per il suo carattere difficilmente leggibile, per la sua rigidità; il secondo, che rafforza il primo, è che la formalizzazione allunga e quindi aumenta la possibilità di errori; errori però sterili, perché non correggibili dagli uomini che nei lunghi cal-

coli si perdono, e la cui attività mentale non è quella di scoprire bug. Nel caso delle dimostrazioni non formalizzate resta almeno una dimensione umana di sorvegliabilità, pur se il modello a cui ci si ispira è quello logico. Tale modello introduce invero guasti anche nella matematica corrente, perché sposta i criteri di una matematica valida da quelli dialogici sociali a quelli logici; ma è possibile contrastarlo. Quando invece le dimostrazioni si presentano solo come un corpo estraneo aggiunto che non si può neanche ispezionare siamo fuori della matematica.

De Millo cita una frase di Ph. Davis secondo cui

l'unica descrizione completa di un programma è il programma stesso, non la documentazione aggiuntiva. La analogia corretta tra programmazione e matematica è 2 De Millo, op. cit., p. 276.

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allora secondo De Millo non quella dei verificatori, ma quella che stabilisce un legame tra due cose vive, tra un programma la scrittura, o meglio la costruzione del programma) e una dimostrazione, identificando invece i momenti della verifica da una parte e della derivazione formale dall'altra, entrambi ugualmente negativi, entrambi fuori dallo spirito della vera matematica.

La risposta classica, quella che celebra i vantaggi della esistenza in linea di principio della dimostrazione formalizzata, è in verità una risposta debole. Quello che infatti gli antiformalizzatori vogliono escludere è proprio la fede istantanea in un oggetto impenetrabile, senza il lavorio di crescita che vi si può fare sopra. E vero che il sapere che la dimostrazione c'è, senza dominarla, è frustrante ». Bisogna però indagare se questo

è veramente e inevitabilmente il caso con la formalizzazione 24 Ma certo il caso della dimostrazione automatica sembra il limite estremo della sottrazione di una dimostrazione al controllo e alla ispezione da parte dell'agente umano. 23 « Ricordo un teorema che avevo dimostrato ma che pure non

riuscivo a vedere perché fosse vero. Mi ha angustiato per anni e anni... [Nella dimostrazione] dovevo spezzare un gruppo in gruppi solubili e ciclici, c'erano un mucchio di induzioni... ogni singola parte doveva incastrarsi per miracolo... , Continuavo a pensare che se uno solo dei legami di questa catena saltava... tutta la costruzione sarebbe crollata. Siccome non la capivo, poteva non essere aftatto verd.... Cinque o sei anni dopo, ho capito perché doveva essere vera. Allora ho trovato un'altra dimostrazione... Con tecniche differenti, risultava molto chiaro perché doveva essere vera»,

da An Interview with Michael Ariyah, in « The Mathematical

Intelligencer », (1984), n. 6, pp. 9-19. L'intervista contiene altre 24 Un certo lavoro di controllo e revisione resta da fare anche

con le derivazioni formali, addirittura con quelle automatiche, come accennano sopra Manna-Waldinger a proposito della concentrazione degli sforzi sul programma singolo del verificatore; l'argomento sarà discusso nell'ultimo capitolo.

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Gli argomenti degli empirici e antiformalizzatori tuttavia si ingarbugliano e si contraddicono proprio su

quelli che dovrebbero essere i loro punti di forza. Ci sono due tipi di dimostrazioni infatti che essi portano a sostegno della tesi sul carattere sperimentale della matematica, due tipi di dimostrazioni anomale, accettate dal mondo matematico ma con disagio. Il primo tipo è quello, del tutto recente, delle dimostrazioni di lunghezza esorbitante, l'altro quello delle dimostrazioni assistite da calcolatore 25

In entrambi i casi gli empirici si rifanno a dichia-

razioni a caldo dei matematici per provare come la certezza non possa essere garantita dalla dimostrazione, da una dimostrazione, e come debbano per forza intervenire elementi di tipo non razionale nella accettazio-

ne di un risultato. Ma in entrambi i casi gli esempi di dimostrazione

su cui si appoggiano sono dimostrazioni in cui gli aspet-

ti che disturbano la visione pacifica tradizionale sono legati ad elementi che dovrebbero essere tipici della formalizzazione, lunghezza e non dominabilità; uno si aspetterebbe allora che tali dimostrazioni fossero prese ad esempio di come non fare matematica, piuttosto che come rivelatori della vera natura sociale e sperimentale della stessa.

L'esempio piú clamoroso di dimostrazione mostruosa è quello della classificazione dei gruppi finiti:

allo stato presente, la determinazione di tutti i gruppi semplici finiti è quasi completa. Tale asserzione è naturalmente presuntuosa, se non senza senso, dal momento che uno non parla di teoremi come « quasi provati ». Ma il definitivo teo. rema che stabilirà la classificazione dei gruppi semplici è di-

verso da ogni altro nella storia della matematica; infatti la 25 Si veda la discussione relativa in Davis-Hersh, op. cit., che appare inconcludente e contraddittoria.

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La dimostrazione sul tovagliolo

dimostrazione completa, quando sarà finita, occuperà piú di 5.000 pagine di rivista

Ora sembra al di là della capacità umana presentare con assoluta accuratezza un argomento ben ragionato di centinaia di pagine. E non parlo degli inevitabili errori tipografici, o della base complessiva concettuale della dimostrazione, ma di argomenti

«locali » che non sono corretti - una formulazione impre-

cisa, una lacuna, quello che volete - che possono essere riparati al momento, ma è l'esistenza di questi errori « temporanei » che è sconcertante, a dir poco. Essi sollevano la questione di fondo: se gli argomenti sono spesso ad hoc, come fa uno ad essere sicuro che il « crivello » non ha lasciato passare una configurazione che porta a ancora un altro gruppo semplice?

La risposta sta solo nel controllare e ricontrolla-

re, rivedendo continuamente la dimostrazione, e finirà che mentre altri andranno avanti « alcuni fedeli dovanno restare indietro dedicandosi solo a controllare la prova » 7

Le dimostrazioni esorbitanti però, lungi dal pro-

vare che la matematica deve essere un fatto collaborativo e di continua discussione e revisione (perché uno da solo non ce la fa), illustrano esattamente il fenomeno opposto. Si potrebbe in verità obiettare che la comparsa di queste dimostrazioni lunghe deriva da forme di collaborazione e comunicazione tra i ricercatori che

danno origine alle dimostrazioni multiple, e che non potevano darsi in una comunità piú ristretta e sparpagliata e abituata a un lavoro individuale. È un fatto sociale cioè che ha favorito la genesi di tali dimostra3 D. Gorenstein, citato da Davis-Hersh, op. cit., p. 388. 7 Ibidem, p. 388. I matematici come si vede e come è ben noto considerano la attività di revisione delle dimostrazioni una

attività subordinata, di retroguardia, quando è proprio soltanto una verifica per eliminare errori.

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zioni, non sono queste che provano che la matematica si esaurisce in un fatto sociale. L'altro esempio è la dimostrazione assistita da calcolatore: quando un teorema è stato dimostrato con l'aiuto di un calcolatore, è impossibile dare una esposizione della dimostrazione che soddisfi i requisiti tradizionali - cioè che un lettore sufficientemente paziente sarebbe in grado di trovare la sua strada

nei meandri della dimostrazione e verificare che è corretta. Anche se uno stampasse tutti i programmi e tutti gli insiemi di dati usati ... non ci può essere la sicurezza che un nastro

non è stato perforato o letto male. Inoltre ogni calcolatore mo-

derno ha oscuri difetti nel suo software e hardware - che

cosí raramente causano errori che restano non scoperti per anni - e ogni calcolatore è passibile di guasti momentanei. Sono rari, ma alcuni sono probabilmente occorsi durante i calcoli qui riportati ... Tuttavia il calcolo in effetti consiste nel cercare un piccolo numero di aghi in un pagliaio a sei dimensioni: quasi tutti i calcoli hanno a che vedere con parti del pagliaio che di fatto non contengono aghi, e un errore in quella parte non avrà effetto sul risultato finale. Nonostante la possibilità di errori, io perciò penso quasi certo che [il risultato sia giusto] ...Ad ogni modo, l'unico modo di verificare questi risultati... è di attaccare il problema in modo del tutto indipendente, con una macchina diversa. Questo corrisponde esattamente alla situazione nella maggior parte delle scienze sperimentali 28

La conclusione finale può suonar bene a De Millo, ma si tratta in realtà di due posizioni molto diverse; chi usa questi ultimi argomenti per avvicinare la matematica alle scienze sperimentali in un certo senso va contro chi nega che il calcolatore possa essere assoggettato a processi sociali di controllo; però l'argomen28 Cosí il matematico H.P.F. Swinnerton-Dyer commenta un

proprio lavoro nel 1971, citato da Yu. I. Manin, A Course in

Mathematical Logic, Berlin,Springer, 1977, nel paragrafo Digression: Proof, pp. 48-51, che consigliamo di leggere tutto direttamente.

124

La dimostrazione sul tovagliolo

to è curioso perché introduce un altro aspetto, quello cioè del calcolatore che invece di esaltare il carattere logico e ferreo viene rovesciato, per il suo carattere di macchina fallibile, in un elemento empirico. Di fronte al calcolatore gli antiformalizzatori ribadiscono che una prova non visualizzabile non è una prova; che se anche dalle verifiche automatiche uscisse una risposta questa non avrebbe senso perché non sarebbe controllabile. La critica classica che la formalizzazione allunga, che potrebbe essere battuta in breccia

ora dalla possibilità di usare i calcolatori, viene perciò

rafforzata e resa piú pregnante, e cioè messa nella forma

che la formalizzazione inibisce il processo sociale di accettazione. La utilizzazione di un calcolatore rafforza questo aspetto perché nasconde ulteriormente all'uomo le cose: essa porta all'estremo il carattere non visualizzabile, non umano, delle derivazioni formali, nel senso che addirittura adesso tutto (o una parte essenziale) si

svolge dietro delle reali quinte invalicabili, o dentro una scatola nera. È vero che il calcolatore realizza le dimostrazioni lunghe, cosi lunghe che un uomo non

avrebbe potuto farle, tipiche della formalizzazione; ma parallelamente si esalta il loro carattere oscuro e incontrollabile. D'altra parte la dimostrazione eseguita da un calcolatore ha un elemento materiale, empirico, di uso di strumenti, che potrebbe avere il suo fascino per una impostazione naturalistica della matematica. Si avrebbe una specie di contrappasso per cui la formalizzazione spinta, la logica estrema, si trasforma nell'empiria. Sarebbe la prova che non è possibile non fare entrare un elemento precario, fallibile, nelle dimostrazioni. Ma solo come argomento retorico ad hominem si potrebbe usare una simile visione, perché di fatto quello di cui si sta parlando non è dimostrazione; va rifiutata come cosa senza senso, non assoggettabile al pro-

125

La dimostrazione sul tovagliolo

cesso sociale di discussione degli uomini in carne e

ossa. Allora invece il contrappasso agisce nel senso opposto: la celebrata natura empirica del calcolo mecca-

nico diventa la prova che la formalizzazione non vieta né si sottrae alla manipolazione tipicamente umana (oltre adesso ad essere realmente possibile). La discussione si è molto piú precisata dopo la dimostrazione del teorema dei quattro colori e le discussioni che ne sono seguite.

126

CAPITOLO SETTIMO

Il teorema dei quattro colori

La dimostrazione assistita da calcolatore del teorema dei quattro colori, d'ora in avanti 4CT, annunciata nel 1976, ha dato luogo a una vivace discussione sulla natura della dimostrazione matematica; per qualche motivo ha avuto un impatto piú spettacolare sulla opinione pubblica degli esempi preesistenti come di quelli successivi'. La dimostrazione di 4CT merita di essere conosciuta per la bellezza e complessità della sua struttura generale e non, come succede in una sorta di mania collettiva, alla ricerca del fatale errore?

Il problema dei quattro colori chiede se sia possibile colorare ogni carta geografica con quattro colori ' Non ha mai colpito eccessivamente la fantasia il fatto che i

calcolatori si usassero per lo studio dei grandi numeri. Ma anche

dopo 4CT ci sono state altre dimostrazioni assistite (in modo essen-

ziale) dal calcolatore che hanno suscitato meno attenzione, pur essendo di matematica pura, addirittura nel campo della analisi

funzionale; si veda ad esempio J.P. Eckmann, H. Koch e P. Wittwer,A Computer-Assisted Proof of Universality of Area-

Preserving Maps, in « Memoirs of the AMS», 47 (1984), n. 289. 2 Al punto che gli autori K. Appel e W. Haken hanno dovuto scrivere The Four Color Proof Suffices, in « The Mathematical Intelligencer », 7 (1986), pp. 10-20, per spiegare la razionalità della

dimostrazione e la natura irrilevante degli errori che vi si sono scoperti e corretti. Si veda anche il precedente K. Appel e W. Faken, Il teorema dei quattro colori, in « Le Scienze », n. 113, gennaio 1978, ristampato in G. Lolli e C. Mangione (a cura di), Matematica e calcolatore, in « Quaderni Le Scienze », 1984, n. 14,

Pp. 71-81.

Nella dimostrazione il calcolatore è usato per un lavoro siste-

matico esaustivo, ma nella costruzione della dimostrazione è anche stato usato per una sorta di ricerca sperimentale.

127

Il teorema dei quattro colori

in modo che regioni con confini in comune (si intende per confine piú di un punto) non abbiano mai il medesimo colore. Il problema fu posto nel 1853 da F. Guthrie e le idee guida per una possibile dimostrazione positiva furono messe giú da A.B. Kempe nel 1879. Si introducono i concetti di carta normale (una in cui nessuna regione contiene altre regioni e in cui non

ci sono mai piú di tre regioni che concorrono in un unico punto); si dimostra che se esistesse una carta pen-

tacromatica, cioè una carta per cui il numero minimo

di colori necessario è cinque, ne esisterebbe anche una normale, e poi una minimale, cioè con un numero mi-

nimo di regioni. Per dimostrare che questo (e quindi la carta pentacromatica) è impossibile, si osserva che

la carta normale minimale dovrebbe avere almeno una regione con cinque o meno regioni adiacenti; tali regioni danno luogo a delle configurazioni che, si pensa, sono riducibili; eseguendo la riduzione si ottiene una mappa con un minor numero di regioni, contro la supposta minimalità. Questa è l'impostazione di Kempe che si è rivelata sensata e corretta; non cosí la sua trattazione delle regioni con cinque confinanti, che restava il punto in sospeso della dimostrazione.

Saltando la storia intermedia, Appel e Haken ce l'hanno fatta con un lavoro (la prima volta) di 1200 ore macchina, e per far questo hanno dovuto però sfruttare altri concetti, già introdotti da altri matematici (Birkhoft, Heesch, ecc.). Anche con il calcolatore

infatti non si potevano esaminare tutte le possibili configurazioni, il tempo sarebbe stato dell'ordine della vita dell'universo. La dimostrazione che una configurazione è riducibile è fatta dal calcolatore, che genera tutte le possibili colorazioni della configurazione e per ciascuna di queste esegue la riduzione. Ma preliminarmente occorre determinare un insieme inevitabile di configurazioni riducibili, o meglio sperabilmente riducibili. Un

128

Il teorema dei quattro colori

insieme inevitabile è un insieme di configurazioni tale che ogni carta minimale normale ne deve contenere almeno una. La procedura di riducibilità applicata a tale insieme mostrerà poi se e che sono riducibili. La riducibilità mostra allora che tali configurazioni non possono apparire in una carta pentacromatica normale mi-

nimale, in quanto da essa si passerebbe a una carta con meno regioni.

Il contributo di Appel e Haken riguarda soprattutto il perfezionamento del metodo per trovare insiemi

inevitabili di configurazioni. La ricerca coinvolge considerazioni probabilistiche, cioà si è seguita l'idea di de-

terminare, ed eliminare, certi tipi di insiemi di confi-

gurazioni che « non pongono ostacoli alla riduzione »; questo è un test per cui se una configurazione non lo supera allora è quasi certamente non riducibile, mentre se lo supera può esserlo o non; alcuni di questi ostacoli sono stati individuati statisticamente; alcune delle relative dimostrazioni non hanno mai soddisfatto del tutto. Ma l'importante è l'insieme finale: « abbiamo usato un calcolatore per sviluppare le tecniche che producevano tali insiemi inevitabili di configurazioni proba-

bilmente riducibili e, nel corso di questo lavoro, ab-

biamo imparato a descrivere un procedimento che produce un insieme inevitabile di configurazioni riducibili a mano. Nella costruzione abbiamo introdotto costanti modifiche per eliminare configurazioni probabilmente riducibili ma che non riuscivamo a dimostrare essere

riducibili „3 Il risultato finale è una, anzi piú procedure per generare insiemi inevitabili tali che i possibili errori che si possono immaginare sono tali da suggerire immediatamente la correzione necessaria 3 The Four Color Proof Suffices, cit., P. 13.

4 Ibidem, p. 19.

129

Il teorema dei quattro colori

È stato Tymoczko a sollevare per primo una riserva sulla dimostrazione del teorema dei quattro colori .

quale ragione abbiamo per dire che 4CT non è veramente un teorema, o che i matematici non hanno veramente prodotto una sua dimostrazione? Questa: che nessun matematico ha

visto una dimostrazione di 4CI, né una dimostrazione che esso ha una dimostrazione, ed è molto poco probabile che mai la vedrà. Quale ragione c'è allora per accettare 4CT come dimo-

strato? I matematici sanno che esso ha una dimostrazione secondo i piú rigorosi canoni della dimostrazione formale - un

calcolatore glielo ha assicurato. Calcolatori moderni ad alte prestazioni sono stati usati per verificare alcuni passaggi cruciali in un argomento per gli altri aspetti matematicamente accettabile, e altri calcolatori sono stati usati per controllare il lavoro del primo. Allora, la risposta alla domanda se 4CT sia stato dimostrato dipende da come si valuta il ruolo dei calcolatori in matematica. Anche le valutazioni piú naturali sollevano seri problemi filosofici. Secondo tale valutazione, luso dei calcolatori in matematica come nel caso di 4CT in-

troduce esperimenti empirici in matematica. Sia che noi accettiamo o no di considerare dimostrato 4CT, dobbiamo ammettere che la attuale dimostrazione non è una dimostrazione tra-

dizionale, non è una deduzione a-priori di un enunciato da

delle premesse. Si presenta come una dimostrazione in cui c'è una lacuna, che è riempita con i risultati di un ben congegnato esperimento. Questo fatto attribuisce a 4CT lo stato di prima proposizione matematica che è conosciuta a-posteriori (non che

sia falsa o dubbia, ma conosciuta in un modo particolare) e solleva di nuovo il problema filosofico della distinzione tra la matematica e le scienze naturali?.

5 T. Tymoczko, The Four-Color Problem and Its Philosophical

Significance, in « The Journal of Philosophy », 76 (1979), pp. 57-83.

6 Attenzione alla sottile distinzione: i matematici sanno che

esiste una dimostrazione perché glielo ha assicurato un calcolatore;

l'esistenza dalla dimostrazione non viene messa in dubbio e ciò nonostante si pone il quesito se 4CT possa essere ammesso nel corpo della matematica.

7 Tymoczko, op. cit., pp. 57-58.

130

Il teorema dei quattro colori

Tymoczko ci tiene a sottolineare che si tratta di

una questione filosofica:

la questione matematica può essere considerata completamen-

te risolta. Non è mia intenzione interferire con il diritto dei

matematici a determinare quello che è e quello che non è un teorema. Voglio suggerire però che, se accettiamo 4C1 come

un teorema, allora siamo vincolati a modificare il senso di

« teorema », o piú precisamente, il senso del soggiacente concetto di « dimostrazione » 8

Tymoczko non dà una definizione di dimostrazione ma ne elenca tre caratteristiche essenziali: le dimostrazioni sono convincenti, sono visualizzabili 9 sono formalizzabili. La prima caratterizzazione da sola è, bontà sua, insoddisfacente, le altre due ne sarebbero una specificazione possibile. La visualizzabilità intanto è essenziale: « una dimostrazione è una costruzione che può essere esaminata,

ripassata, verificata da un agente razionale ... ». Poi

subito aggiunge a scanso di equivoci che « spesso diciamo che una prova deve essere perspicua, o capace di essere controllata a mano » e insiste sul fatto che 10 anche nel caso delle dimostrazioni piú lunghe mate-

matici in carne e ossa l'hanno letta dal principio alla fine, o hanno cercato di farlo sia pure con un senso finale di insoddisfazione. « Il matematico coglie la di-

mostrazione nella sua interezza, ed è con tale atto che viene a conoscere il risultato ... Dire che le dimostrazioni possono essere controllate significa dire che possono ottenere l'imprimatur da parte dei membri della comunità matematica »" 8 Ibidem.

° Traduciamo cosí surveyable, e qualche volta anche controlla-

bili, dove sia chia so la solubirende in coppi li a dichidispari di Feit e Thompson.

11 Tymoczko, op. cit., pp. 59-60.

131

Il teorema dei quattro colori

E in ragione della loro visualizzabilità che ai teoremi ma-

tematici si concede [non solo l'accettazione da parte dei mem-

bri della comunità, ma anche] da parte di alcuni filosofi un tipo di certezza non ottenibile in altre scienze. I teoremi matematici sono conoscenze a-priori.

La formalizzabilità è invece qualcosa che offre solo una spiegazione del perché le dimostrazioni sono con-

vincenti. O si propone di offrirla. Le dimostrazioni

sono convincenti perché sono formalizzabili, si dice: la maggior parte dei matematici è convinta che tutte le dimostrazioni accettabili sono formalizzabili, e le dimostrazioni formali portano con sé una certa oggettività, di qui la fiducia: « la formalizzabilità idealizza la visualizzabilità, la scompone in reiterazioni finite di schemi visualizzabili ». I due concetti funzionano insieme, ma sono concetti diversi, che hanno origini diverse, e non coincidono estensionalmente (come prova la posizione degli intuizionisti). Cosí una dimostrazione formale può essere considerata esistente anche se non la si visualizza. Deve esserci però almeno una prova visualizzabile della sua esistenza. Questo però non si verifica nel caso di 4CT. Se è dubbio in generale che una dimostrazione formale possa essere riconosciuta come tale senza essere visualizzabile, 4CT mette una barriera tra i due concetti perché non è visualizzabile in linea di principio. L'appello a quello che dice il calcolatore, sia che noi lo

consideriamo come parte integrante della dimostrazione, sia che lo consideriamo come una parte esplicitamente non dimo strativa della conoscenza matematica, è in ultima analisi un resoconto di un esperimento riuscito. Esso aiuta a stabilire 4CT (meglio, l'esistenza di una dimostrazione di 4CT) su basi che sono in parte empiriche 12 12 Tymoczko, op. cit., p. 63.

132

Il teorema dei quattro colori

L'elemento empirico sta nel fatto che l'unica cosa che si può fare per colmare le lacune non è di farselo

da soli con buona volontà, o di andare a vedere in un libro la parte mancante, ma di portare « l'evidenza che un calcolatore una volta ha compiuto i passi mancanti » 13

Tymoczko per spiegarsi in maniera piú pregnante ricorre a una analogia, quella del marziano Simon che arrivato sulla Terra enuncia una serie di teoremi nuovi senza dimostrazione, e si instaura una situazione di rispetto per le sue competenze per cui « lo dice Simon » diventa il lasciapassare e la legittimazione di nuove verità matematiche. Per Tymoczko la logica del « lo dice

Simon » sarebbe una estensione della matematica para-

gonabile a quella del « lo dice il calcolatore ». D'altra parte si può dire che esiste una prova formale, molti lo dicono, accettando il calcolatore. In conclusione si può descrivere la situazione, invero curiosa, dicendo che la dimostrazione convince, ha convinto, ed è formale, ma non c'è una prova che la dimostrazione esiste. C'è al suo posto l'appello al calcolatore. L'appello al calcolatore consiste di diversi passi di

cui i piú importanti per Tymoczko sono due: la prova

che ogni configurazione in un certo insieme è riducibile se una macchina con tali e tali caratteristiche programmata in tale e tale modo produce una risposta affermativa, e l'affermazione che questo è successo. La seconda parte è il resoconto di un esperimento. Nelle scienze però esperimento non vuol dire accadimento contingente; se si vuole generalizzare al di là del caso singolo bisogna essere sicuri che ogni macchina con tali e tali caratteristiche programmata in tale e tale modo produrrà risposta aftermativa; bisogna quindi provare in sostanza che « il calcolatore fa quello che 13 Ibidem, p. 71.

133

Il teorema dei quattro colori

si suppone debba fare » esattamente come il microsco-

pio elettronico fa quello che si suppone faccia. Il calcolatore significa come minimo ogni calcolatore; ma questo è un fatto ingegneristico, fisico, include cioè la conoscenza e l'appello ai criteri e alle leggi di costruzio-

ne e funzionamento dei calcolatori, che sono leggi fisiche. E poi oltre a seguire l'esecuzione del programma, bisogna vedere se il programma fa quello che è supposto fare cioè se è corretto rispetto all'algoritmo; la problematica della correttezza per Tymoczko è in una fase ancora arretrata, e non dà affidamento di tipo piú che approssimativo: tutta la scienza è in gran parte empirica. In sostanza non si può seguire e avere presente cosa fa il calcolatore durante le sue esecuzioni. Allora interviene la previsione che la cosa possa diventare così complessa, con macchine che si modificano ecc., che non si possa piú risalire alla strada che ha percorso il calcolatore, e di qui la equiparazione con la logica del « lo dice Simon ».

Le risposte non si sono fatte attendere: « Tymoczko ha, io credo, completamente falsato il ruolo della

visualizzabilità per quel che concerne la dimostrazione. La visualizzabilità non è necessaria perché senza di essa la dimostrazione non è una dimostrazione (o è una dimostrazione in un nuovo senso), ma perché senza visualizzabilità noi non sembriamo in grado di verificare che una dimostrazione è corretta » 1.. Essa è una caratteristica accidentale, che molte dimostrazioni hanno e che

ci auguriamo che abbiano, per convincerci della loro

correttezza. In particolare possiamo cercare di potenzia14 P. Teller, Computer Proof, in « The Journal of Philosophy », 77 (1980), рр. 797-803.

134

Il teorema dei quattro colori

re i metodi che abbiamo per verificare le dimostrazio-

ni, e « una variazione nei metodi di cui disponiamo

per visualizzare è una variazione nei metodi di verifica, non una variazione nella nostra nozione delle cose da verificare ». Essendo un metodo di verifica, la visualizzabilità è una cosa soggettiva e varia da matematico a matemati-

co: ciascuno ricorre ai supporti che gli servono, da carta e matita a lavagne e cosí via. I limiti di quello che un matematico è capace di visualizzare dipendono

in parte dagli strumenti che usa. Ma questo non ha

nulla a che vedere con la « natura della dimostrazione, bensí con la natura della verifica delle dimostrazioni ». E l'uso del calcolatore in 4CT appare come una estensione dei nostri metodi di verifica. Che dire dei casi piú complicati, quando la dimostrazione è proprio elaborata completamente dal calcolatore e non riusciamo a ricostruire la strada seguita? Niente di essenzialmente diverso: se un calcolatore è programmato per seguire gli stessi metodi di dimostrazione che noi usiamo, la dimostrazione che produce è una dimostrazione nel nostro senso; preoccupazioni possono concernere la correttezza, ma allora ricadiamo nel caso

precedente. Il fatto che io non sono in grado di seguire una

dimostrazione complessa prodotta da un buon matematico non mostra che tale dimostrazione è una dimostrazione in un senso

diverso della parola dalle dimostrazioni che io posso seguire. Allo stesso modo il fatto che nessun matematico sia in grado di seguire una dimostrazione prodotta da un calcolatore non mostra che una tale dimostrazione prodotta da calcolatore sia una cosa nuova in qualche nuovo senso 15

Come si dice e si vedrà ancora (e già lo abbiamo in-

contrato con le questioni di complessità), c'è una risposta immediata a tutti gli attacchi che indicano re15 Ibidem, p. 800.

135

Il teorema dei quattro colori

strizioni o peculiarità delle macchine e dei procedimenti automatici, ed è l'argomento che lo stesso non si può

escludere per l'agente umano. Ovviamente qui c'è il problema di intendersi su cosa è l'uomo. I confronti vanno fatti tra macchine reali e uomini in carne e ossa, o tra macchine ideali e razionalità umana, non in modo incrociato. L'occhio che visualizza invece delle volte è

l'occhio fisico, delle volte l'occhio della mente 16

C'è un modo completamente diverso di rispondere

a Tymoczko che il calcolatore, con il tipo di evidenza che fornisce, non comporta uno stravolgimento della tradizionale nozione di dimostrazione, ed è di trovare « inaccettabile la sua pretesa che questa [evidenza in

qualche modo empirica] sia in qualche modo una novità » 17

La definizione di empirico deve essere ben delimitata se non si vuole che si sovrapponga ad altre nozioni che rientrano genericamente nel non razionale. Defletsen-Luker negano ad esempio che sia accettabile il parallelo fatto da Tymoczko tra « lo dice il calcolatore » e « lo dice Simon »; questo secondo è un appello all'autorità e non ha nulla di empirico, qualunque sia il soggetto di « lo dice ». Essi si appuntano soprattutto sulla affermazione di Tymoczko che una dimostrazione è un ragionamento « che non ha bisogno di nulla oltre a se stesso per essere convincente » caratterizzazione avanzata per esaltare il ruolo della visualizzabilità, come giustificazione tutta interna. Essi provano

a prenderla sul serio, alla lettera, e concludono che

questa idea e quella di visualizzabilità non coincidono: Luker, The Four-Color Theorem and

Mathematical Proof, in « The Journal of Philosophy », 77 (1980), pp. 803-820. 18 Tymockzo, op. cit., p. 59.

136

Il teorema dei quattro colori

portano esempi più vecchi, di dimostrazioni corte e visualizzabili, in cui si introduce qualche sorta di appoggio empirico esterno. Di fatto secondo loro è sempre cosí e l'idea di un ragionamento che non ha bisogno di nulla non regge. A loro sostegno citano affermazioni ed esempi di altri matematici che si sono interessati della questione e hanno in realtà anticipato Tymoczko. Cerutti e Davis ad esempio I avevano presentato una dimostrazione automatica, originale, di un teorema di Pappo di Alessandria, e avevano osservato che con questo tipo di dimostrazione si può ora dire che una « dimostrazione matematica ha molti tratti in comune con un esperimento fisico »»; il loro argomento era che per assicurarsi della assenza di errori si deve far girare il programma piú volte, si deve ispezionare

il programma, si devono invitare altri a farlo girare e

a ispezionarlo, finché non si comincia ad avere fiducia in quello che è stato fatto. Da questi esempi tratti dalle dimostrazioni assistite da calcolatore la scuola empirica passa poi a estendere la conclusione a tutte le dimostrazioni, non solo a quelle di lunghezza esorbitante, anche a quelle banali: « l'aritmetica dei grandi numeri può essere eseguita solo con affidabilità decrescente ... la somma di 12,345 e di 54,321 non è 66,666. Non è un numero. È una distribuzione di probabilità di possibili risposte, tra cui 66,666 è la favorita » 2 Ma Defletsen-Luker cercarono di introdurre alcune distinzioni piú sottili nella discussione del ruolo dell'empiria; in particolare ritengono che si debba distinguere tra le situazioni in cui considerazioni empiriche 19 E. Cerutti e Ph. J. Davis, Formac Meets Pappus, in « Ame-

rican Mathematical Monthly », 76 (1969), pp. 895-904. 20 Ibidem, pp. 903-904.

2 Ph. J. Davis, Fidelity in Mathematical Discourse: Is One

137

Il teorema dei quattro colori

sono di fatto parte integrante dell'argomentazione dalle

situazioni in cui considerazioni empiriche sono invocate per sostenere che quello che è una dimostrazione lo è veramente.

Ora questo secondo aspetto è secondo loro sempre presente, indipendentemente dalla lunghezza o visualizzabilità della dimostrazione. Essi riprendono un esem-

pio di Tymoczko e discutono la prova di Gauss della somma dei primi cento numeri: una volta organizzati i numeri in colonnine con n e 101-n associati si vede lo schema che dice che il risultato è 101 x 50; ma questa moltiplicazione, o la somma iterata, è secondo DefletsenLuker un episodio sostanziale di calcolo sulla confidenza nel quale non possiamo non interrogarci. Posto che questo aspetto di empiria c'è sempre, la visualizzabilità non lo elimina; perché quando un membro della comunità matematica riporta di aver visualizzato una dimostrazione, scatta un elemento di fiducia che è di tipo non razionale, paragonabile a quello del « dice Simon ». Per capire dove si nasconde l'elemento empirico, e se sia possibile un argomento che non si appoggia a nulla assolutamente di esterno, Defletsen-Luker rilevano e raccomandano la necessità di verificare cose molto diverse tra loro: a) che l'algoritmo soggiacente è matematicamente

corretto;

b) che il programma è una corretta implementazione dell'algoritmo;

c) che la macchina esegue correttamente il programma; d) che il risultato riportato è stato davvero otte-

nuto. and One Really Two?, in « American Mathematical Monthly», 79 (1972), рр. 252-263.

138

Il teorema dei qualiro colori

Da questo si vede che, anche volendo ammettere un elemento empirico, di natura da precisare, questo non esclude un aspetto logico, o comunque non empirico, e che non tutto si risolve in empiria. Ancora piú netta è la contestazione lungo queste linee fatta da Swart ». Anch'egli vuole rifiutare questo status che sarebbe attribuito a 4CT, intermedio tra la congettura e il teorema in senso tradizionale. Grazie alla sua approfondita conoscenza professionale del cam-

po, egli è in grado anzitutto di muovere contestazioni puntuali alla presentazione della dimostrazione, fatta da Tymoczko, che non sono cavilli, perché è importante vedere dove si nasconde la essenzialità del calcolatore e dove eventualmente la criticabilità, che c'è e che è stata espressa; perché non è vero innanzi tutto che l'uso del calcolatore inibisce la critica. Al contrario, Swart è in grado di informare che a quella data è disponibile una dimostrazione diversa, anche se pure essa fa uso essenziale del calcolatore, ma una dimostrazione basata su una diversa concezione, diversa procedura

e programma completamente indipendente, tra l'altro che richiede molto meno tempo (50 ore di macchina), e originata dalla insoddisfazione per alcuni aspetti cruciali della dimostrazione di Haken e Appel. « La vera ragione per cui quelli di noi che hanno lavorato sui test di riducibilità sono soddisfatti dei risultati di Haken, Appel e Koch è che tali risultati sono stati in larga misura controllati e confermati con l'uso di programmi completamente differenti su macchine differenti »23. Cosí « Swart argomenta in modo convincente che le dimostrazioni assistite da calcolatori possono essere assoggettate ai "processi sociali"", che è 2 E.R. Swart, The Philosophical Implications of the Four-Color

Problem, in « American Mathematical Monthly», 87 (1980),

697-707. PP. 23 Ibidem, p. 698.

139

Il teorema dei quattro colori

invece proprio quello che De Millo, Lipton e Perlis negavano potesse succedere » 24

Posto che il processo sociale di controllo c'è ed è lo stesso dal punto di vista formale, esistono differenze sostanziali dovute alla lunghezza, al carattere nasco-

sto ecc.? Anche su questo punto Swart contesta Tymoczko; innanzi tutto su cosa si deve controllare e verificare e su chi o cosa fa questa verifica. Incominciamo dagli errori che devono eventualmente essere scoperti. Ebbene è facile sostenere che anche in questo tipo di produzione dapprima e di ve. rifica poi della dimostrazione, anche gli uomini sbagliano, anzi piú facilmente, perché gli esseri umani si stancano, la loro attenzione vaga e sono troppo predisposti a sviste di vario tipo; una dimostrazione controllata a mano può [lei sí] giustamente essere detta comportare un « insieme complesso di fattori empirici ». I calco-

latori non si stancano e quasi mai introducono errori nella implementazione valida di un algoritmo logicamente impec-

cabile 25

Dunque l'argomento sugli errori si può rovesciare,

perché dipende da una ambiguità sul soggetto della ve-

rifica; se quando si parla di esseri umani in grado di fare la verifica delle prove informali corte, si intendono gli uomini in carne e ossa, allora troppo facilmente ci si dimentica di questo fattore; ci sono esempi facili da esibire anche di allucinazioni collettive. Se si 2A W.L. Scherlis - D.S. Scott, cit., 1983, p. 207. 25 Swart, op. cit., p. 700. L'argomento non è peregrino. Anche Teller a proposito degli esperimenti, oppone a Tymoczko che non c'è differenza sostanziale tra il tipo di fallibilità che si può attribuire a un calcolatore e quello che si può attribuire agli umani. Se quando si mette l'accento sugli esperimenti si vuole indicare qualcosa che è precario e insicuro nel carattere della sua risposta, ad esempio perché in un esperimento possono introdursi errori, approssimazioni, perché fare una differenza quando anche gli uomini

possono sbagliare? Teller, op. cit., p. 802.

140

Il teorema dei quattro colori

intende la ragione umana, allora siamo a un livello occulto, chi lo dice che questa ragione è uguale per tutti?

Ed è infinita o avrebbe limiti finiti, e quali? Ma un punto cruciale è anche la natura degli errori. Se si parla di sviste che fanno sí che ci si discosti da una linea logicamente corretta, allora l'unico problema è quello di trovare il modo di scoprire le sviste con la massima accuratezza possibile, e trovare l'agente piú adatto a farle saltare fuori, che potrebbe anche essere un agente non umano. Se non si tratta di questo

tipo di sviste materiali, allora si sta parlando di errori logici, quindi si presuppone che ci sia una misura di correttezza logica, qualunque essa sia.

Nel caso di una dimostrazione lunga o occultata

dentro una macchina, gli errori di questo secondo tipo, logici, se ci sono, sono nel programma, e questi sono controllabili al di fuori della macchina, o indipendentemente dal fatto che il programma si faccia girare o no. Tymoczko non sa valutare bene lo stato dell'arte nel set-

tore della verifica della correttezza dei programmi. Il ramo

dell'informatica che tratta la garanzia che l'implementazione di un particolare algoritmo in un particolare linguaggio evoluto raggiunge lo scopo che ci si propone è oggi altamente sofisticato e ben compreso. Alcuni dei piú recenti linguaggi evoluti, come il Pascal, che usano una parsificazione top-down ed evitano i comandi GO TO, praticamente forzano il programmatore a implementare algoritmi in una maniera logicamente impeccabile 26

Dunque da questo punto di vista, degli errori che sono, se ci sono, errori logici, la dimostrazione assisti-

ta da calcolatore non presenta una situazione essenzial-

mente differente da quella delle dimostrazioni in cui i calcolatori non intervengono per nulla. 26 Ibidem, p. 703.

141

Il teorema dei quattro colori

Di piú il programma è un oggetto di solito molto piú corto dei suoi calcoli e, se si vuole, proprio visua-

lizzabile, ad ogni modo assoggettabile a tutte le discussioni a cui si possono assoggettare le dimostrazioni corte: si può modificare, modulare, e considerare separatamente nei suoi vari pezzi. Questo lavoro non va visto come una antitesi tra formalizzazione e controllo so-

ciale, ma come una utile interazione. In effetti visualizzabilità e formalizzazione non sono cose definitive, ma interagenti. Si può sostenere che se la dimostrazio-

ne di 4CT non si può visualizzare non è perché è formalizzata, ma perché è troppo poco formalizzata. Una buona formalizzazione è qualcosa a cui si arriva per gradi scomponendo le varie parti della dimostrazione in moduli che si possano trattare separatamente, e poi controllare, e collegare al resto. Non è una lunga catena indiscriminata. Questo lavoro di modularizzazione e formalizzazione è una parte integrante della compren-

sione, oltre che della scrittura e della verifica di una prova, e tra l'altro si può sostenere che se non si è

ancora a un punto soddisfacente con 4CT è perché non si è fatto uso ottimale proprio del calcolatore (seguono

indicazioni e suggerimenti molto precisi): « ci sono

certi passi che potrebbero essere presi nella direzione di una formalizzazione della dimostrazione, che la renderebbero abbastanza facilmente visualizzabile »" ma peraltro di solito si formalizza solo fino al punto in cui ci si convince che ciò è possibile, e allora perché non accettare lo stesso per 4CT? In definitiva la lezione è che l'uso del calcolatore introduce uno stadio nuovo dove la formalizzazione si

può mostrare nella sua utilità. Prima si trattava soltanto di una esistenza in linea di principio, appunto

perché le dimostrazioni formalizzate erano troppo lun2 Ibidem, p. 704.

142

Il teorema dei quattro colori

ghe. Adesso con il calcolatore possono davvero essere portate a vita reale, esistono concretamente come og-

getto e sono studiabili, e perfezionabili attraverso il loro programma, che in generale è conciso.

Per evitare ambiguità si noti che non si vuol dire

che prima esistevano come oggetto matematico e ora come oggetto fisico, altrimenti si ricadrebbe nel discorso sull'empiria; si vuol dire che adesso hanno una rappresentazione attraverso il loro programma che ne riduce la complessità, o ancora: invece della semplice dimostrazione metamatematica di esistenza c'è il programma che le genera.

Se le controdeduzioni di Swart sono accolte cosa

si può concludere? Solo che non esiste materia del con-

tendere? Non sembra; alcuni problemi sollevati sono importanti; ad esempio anche Swart affronta la discussione sulla natura della dimostrazione, sul concetto di a-priori. La questione ha riferimento con quella del sog-

getto, individuale o universale, della attività dimostrativa. Secondo Swart nella definizione di Tymoczko di

a-priori sono mescolate due cose: da una parte si dice che si tratta di verità con validità universale e neces-

saria, e dall'altra di verità indipendenti dalle impressioni dei sensi (con preferenza per questa seconda). Per Swart le due nozioni non coincidono. Nella loro identificazione c'è, come anche Teller ha osservato, una confusione tra verità e modo come noi veniamo a conoscerla. La acquisizione della conoscenza presenta una complessa casistica: i teoremi matematici, o le loro dimostrazioni si possono catalogare in varie classi a seconda di come si può eseguire la ve-

rifica, ad esempio: i) nella testa; i) con carta e matita o equivalenti; ii) come prima ma solo a prezzo di enorme fatica; iv) con metodi che trascendono la verifica

143

Il teorema dei quattro colori

manuale. I confini non sono ben definiti, e non sono neanche fissi; un teorema classificato in una classe si può muovere (all'insú). La primalità di certi numeri si

può verificare in modo da essere in (i) o in (i), per altri si è già in (iv); sono i primi a-priori e i secondi

a-posteriori?

E che dire di quei risultati di tipo (ii) dove però

un matematico può scegliere di sforzarsi di farlo rientrare in (ii) e un altro invece usa una macchina e lo fa rientrare in (iv)? Siamo piú sicuri in genere con il secondo tipo di verifica 28 Ci sono poi altrettanti, speculari, problemi con la definizione di a-posteriori che dovrebbe caratterizzare le scienze empiriche. Le verità a-posteriori richiedono esperimenti perché non sono necessariamente vere in tutti i mondi possibili, e infatti gli esperimenti per queste verità vertono su qualità fisiche; invece se anche si fanno esperimenti per verificare verità che sono a-

priori, ebbene questi esperimenti sono su numeri e simboli logici, qualcosa di molto diverso " 28 Swart, op. cit., pp. 688-689. Anche Appel e Haken paiono

sostanzialmente d'accordo: « molti matematici hanno l'impressione che un'argomentazione sia debole quando non può essere control-

lata, tutta o in parte, direttamente. Da questo punto di vista, la verifica di risultati come i nostri, attraverso programmi indipendenti, non è tanto convincente quanto sarebbe un controllo con

carta e matita delle dimostrazioni. Le dimostrazioni tradizionali dei teoremi matematici sono ragionevolmente brevi e perfettamente teoriche -quanto piú potente è la teoria, tanto piú elegante è la dimostrazione - e ricontrollarle a mano è normalmente il metodo migliore. Ma, anche quando il controllo a mano è possibile, se le dimostrazioni sono lunghe e piene di calcoli, è difficile credere che il controllo con carta e matita escluderà ogni possibilità di errore.

Inoltre, quando i calcoli sono sufficientemente di routine, come

nella nostra dimostrazione, è probabilmente piú efficiente controllare programmi per mezzo di una macchina che non per mezzo di calcoli eseguiti con carta e matita », Il teorema dei quattro colori,

cit.,29p. 80.

Anche Teller ha sollevato questo punto a proposito del con-

144

Il teorema dei quattro colori

Swart allora propone di sostituire la definizione di a-priori di Tymoczko con un'altra: una verità la cui validità in linea di principio può essere stabilita senza ricorso all'esperimento sensibile del mondo fisico; cosí non è almeno in disaccordo con l'idea della sua validità universale e necessaria della definizione tradizionale; fa pensare comunque a un essere senziente, ma con un cervello molto grande per gli scopi che si prefigge, che possono variare, non limitato perciò una volta per tutte, e che non fa esperimenti, ma fa tutto nella sua testa. Con questa definizione non si presuppone che di fatto un tale essere esista, né tantomeno che possa essere identificato con uno dei comuni mortali; quindi essa non esime noi dal fare esperimenti per conoscere verità che pure sono a-priori; si dà cosí conto anche della attività di tipo sperimentale del matematico-concalcolatore senza con questo modificare il concetto di verità matematica.

Ma i problemi non si risolvono con le definizioni, e il problema comunque non è quello di trovare una definizione soddisfacente di a-priori ma di capire cosa

è la matematica; tutte le risposte a Tymoczko insistono sulla differenza, sul non fare confusione tra ve-

cetto stesso di esperimento come caratteristica essenziale e defini-

toria delle scienze della natura. Chiamasi cosí nelle scienze qualcosa, una parte della ricerca complessiva, che determina un fatto spazio-temporale, e non si vede come attribuire questo esito a un

calcolo fatto da un calcolatore. I movimenti fisici implicati non

sono diversi da quelli che esegue una matita sulla carta, ma il calcolo non si identifica con quella produzione fisica di macchie; si

veda Teller, op. cit., p. 802. Non dimentichiamo poi che come i

fisici non accetterebbero come verità a-posteriori i risultati di esperimenti non adeguatamente verificati, cosí i matematici non accettano come verità a-priori risultati di dimostrazioni inadeguatamente

controllabili, e non si risolve il problema di renderle tali, cioè

adeguatamente controllabili cambiando il loro nome in a-posteriori.

145

Il teorema dei quattro colori

rità matematica e conoscenza di una verità matema-

tica .Il calcolatore non porterebbe nulla di nuovo 30

rispetto alla prima nozione, perché questa sarebbe già fondata sulla nozione di macchina (si tratti di a-priori

o di empiria).

Cosa è questo cervello adeguatamente grande? È

stato tirato in ballo per farci stare dentro le dimo-

strazioni che per quanto ne sappiamo stanno solo in una macchina. Le macchine quindi sono equiparate al cervello, per quel che riguarda le prestazioni logiche; l'equiparazione è possibile se si suppone che le dimostrazioni formali siano delle vere dimostrazioni, non delle rappresentazioni, o codifiche, o caricature delle stesse. Questo vuol dire che la razionalità delle prove viene a essere identificata con il processo meccanico. Niente da spaventarsi, lo sapevamo già, in teoria. Ma adesso che si viene alle macchine reali c'è una differenza. Finché ci si riferiva a macchine ideali si trattava sempre solo di una definizione equivalente di logica. La definizione precisa di conseguenza logica è stata elaborata per rendere ragione del carattere a-priori della matematica, o della sua validità universale, del fatto che i risultati della matematica non sono legati a fatti contingenti, non hanno vincoli spazio-temporali, insomma per spiegare lo stato speciale della conoscen-

za scientifica. E la logica che fa il carattere a-priori della matematica, non la visualizzabilità delle dimo-

strazioni 31

Le macchine astratte sono il concetto che permette una definizione rigorosa di conseguenza logica. Esse

permettono anche di parlare di una crescita poten30 Una piú ampia discussione della nozione di a-priori in questo

contesto si trova in Ph. Kitcher, The Nature of Mathematical Knowledge, Oxford, Oxford University Press, 1984. 31 Le critiche a Tymoczko, e a De Millo-Lipton-Perlis, sembrano

146

Il teorema dei quattro colori

ziale, quindi del cervellone di Swart finito ma non

limitato, perché non c'è una differenza sostanziale tra macchine piccole e macchine grandi, come invece ci può essere tra singolo uomo e razionalità.

La universalità e validità della logica è garantita e non va oltre quella dei processi generativi mecca-

nici. Se diciamo che un risultato ottenuto da una macchina è pienamente accettabile anche se nessun

uomo sarà mai in grado di ripeterlo, stiamo solo

dicendo che nessun essere umano può pretendere di essere l'incarnazione completa della razionalità. E diciamo che le macchine non sono scatole nere ma del tutto trasparenti. O stavamo dicendo. Perché andava tutto bene finché le macchine reali erano delle approssimazioni, limitate e inadeguate, di quelle ideali, cosí come ogni singola intelligenza si può pensare approssimazione della razionalità. Se invece le macchine che ammettiamo nella definizione di logica sono quelle reali, se le macchine ideali

diventano la estrapolazione di quelle reali, e non

queste una approssimazione di quelle ideali, le cose cambiano un po'. Con macchine reali stiamo comunque parlando non di oggetti concreti che si comprano dal rappresentante,

con un marchio di fabbrica, ma degli oggetti di una teoria fisica 32. la teoria fisica che controlla l'architettura dei calcolatori. La macchina non è piú un concetto iniziale, fatto si può dire di niente, ma un concetto costruito all'interno di una teoria. Non sono conclusive almeno nel mostrare la eccessiva sbrigatività della loro posizione. D'altra parte se la rivalutazione dell'empiria vuole limitare gli enunciati accettabili a quelli che hanno un contenuto e un riferimento spazio-temporale individuale, allora è tutto il pensiero scientifico che viene messo in discussione. 32 Defletsen-Luker, op. cit., parlano della necessità di assicurarsi che una macchina qualunque, priva di difetti di costruzione e agente

147

Il teorema dei quattro colori

ancora scatole nere, ma per vederci dentro ci vogliono gli occhiali di una teoria fisica. La teoria è pur sempre prodotta dalla stessa ragione umana, ma quest'ultima ha fatto un passo indietro, e si è messa sullo sfondo. Mentre il modello astratto di macchina della teoria della calcolabilità si situa a livello di matematica pura, ovvero a livello di meccanica macroscopica 33 )le macchine reali come oggetto della teoria fisica possono coinvolgere le risultanze della meccanica quantista, o di quello che ci riserverà il futuro 34

Il tentativo di dare una definizione precisa di logica, che trascenda i singoli cervelli, finisce per far dipendere la logica stessa dalla fisica. La situazione è

curiosa se la avviciniamo a una possibile circolarità che sembra presentarsi per la direzione presa dalle scienze cognitive: dalla soggettività del cervello, attraverso il riduzionismo fisico, e attraverso la fisica quanin condizioni non perturbate, esegua correttamente i dettati del programma. E si rifanno in questo al paragone con le teorie atomiche che parlano del comportamento degli atomi in generale, non

di questo o quell'atomo.

33 L'Intelligenza Artificiale è fondata sulla ipotesi che « modelli

computazionali della mente (e di tutto quello che la mente comporta) basati sulla meccanica non quantista siano possibili in via di principio », D.R. Hofstadter - D.C. Dennett, The Mind's I, cit.

Le macchine di Turing, in quanto distinte dal loro insieme di

istruzioni, o in quanto supporto dello stesso, sono concepite come ubbidienti certe leggi fisiche, quali la finitezza dell'ammontare di informazione codificabile in un sistema finito, e la finitezza della velocità di propagazione dell'informazione (nessuna azione a distanza) # Allo stato attuale della ricerca non si può ancora dire se una nozione di calcolabilità basata su macchine rispettanti le leggi della meccanica quantista debba risultare diversa da quella classica e

falsificare la tesi di Church. Gli studi in questa direzione sono però intensi, si vedano ad esempio i fascicoli 3 e 4 dell'« Inter-

national Journal of Theoretical Physics », 21 (1982), dedicati all'argomento. Si veda anche P. Odifreddi,Church's Thesis, di prossima pubblicazione.

148

Il teorema dei quattro colori

tista, si ritorna a una posizione determinante dell'os-

servatore: « la meccanica quantista come è usualmente messa accorda uno stato casuale privilegiato a certi sistemi noti come"osservatori" ., senza dettagliare specificatamente cosa sono gli osservatori (in particolare senza precisare se la coscienza sia un ingrediente essenziale dello stato di osservatore) » 35 La coscienza, la soggettività come ingredienti essenziali dell'osservatore non sono però accettabili alla

stragrande maggioranza dei fisici, i quali in effetti si sforzano di darne una interpretazione non soggettiva. Tra le interpretazioni più diffuse c' quella dei many

worlds, proposta da Hugh Everett III nel 1957 3

secondo tale interpretazione i sistemi non saltano in modo discontinuo in uno stato, sotto l'azione di osservazione; c'è una superposizione dei vari stati la quale evolve per cos dire regolarmente, con i diversi rami che si prolungano ciascuno nel suo universo.

Mail motivo per cui abbiamo ricordato queste

nozioni non è che si possa dire già adesso che hanno

una diretta attinenza al nostro problema. Vogliamo solo segnalare le possibili implicazioni di una dipendenza della logica dalla fisica. Queste non consistono tanto nella introduzione di elementi empirici (di dub-

bia definizione), ma nella fissazione di un contesto popolato di molti e corposi vincoli per il pensiero. Anche la meccanica classica non ne era esente, ma i vincoli che poneva o postulava avevano una aura di stabilità e definitività che non disturbava la definizione della logica. Con la meccanica quantista non si può dire con sicurezza altrettanto, né ad esempio con

35 Hofstadter-Dennett, op. cit., p. 43. 36 Si veda B.S. Dewitt - N. Graham, The Many-Worlds Inter-

pretations of Quantum Mechanics, Princeton, Princeton University Press, 1973, e l'ampia discussione in Hofstadter-Dennett, op. cit.,

pp. 43 ss.

149

Il teorema dei quattro colori

la genetica, la quale anch'essa può avanzare il diritto di ricordare alcune condizioni inevitabili della natura

umana. Può ricordare ad esempio che gli errori di

copiatura nella trasmissione genetica sono il motore della evoluzione, e nulla ci permette di escludere che non avverrà, o non sia già avvenuto qualcosa di questo genere che influenza quelle che siamo abituati a chiamare capacità razionali. Nelle scienze moderne è venuta meno in generale

lidea di una universalità legata al tempo assoluto; su questo si inserisce poi il contenuto dei concetti

alternativi. Il problema dell'osservatore nella meccanica quantista è simile a quello del soggetto razionale in logica, nel senso che non si tratta in ogni caso di soggettività individuale, però ci costringe a concepire soggetti ed eventi in modo non tradizionale. I concetti relativi sono ancora in formazione; ad esempio nella interpretazione su ricordata gli eventi e gli esseri hanno piú dimensioni, sono fasci di sviluppi. Di piú per ora non riusciamo a stirare i concetti a cui siamo abituati. In definitiva la logica non è una cosa vuota, una premessa di metodo priva di contenuto; non lo è mai stata ma, da troppo tempo abituati alla stabilità concettuale, ancora non abbiamo preso atto che le nuove teorie scientifiche non forniscono solo informazioni su cose lontane, sul big bang o sulle molecole, ma anche su quali sono i concetti necessari per pensare.

150

INDICI

Indice dei nomi

Abrusci, M. V.., 29, 50, 54

Appel, K., 127-129, 139, 144

Atiyah, M., 121

Babbage, Ch., 17 Barone, F., 20 Barwise, J.K.,, 96 Benacerraf, P., 49

Bernays, P., 10 Beth, E.W., 92 Birkhoft, G.D.,128 Bledsoe, W.W., 88 Boole,G., 29, 37 Bourbaki, N., 62-64, 80

17

Bowden, B.B.,

Boyer, R.S., 78, 83, 97, 103, 104 Boyle, J., 99 Braffort,P., 10 Browder, F.E., 66 Brouwer, L.E., 49, 55 Bundy, A., 95

BuraliFiori, S: 16, 23.25

Davis, M., 88, 91-94

Davis,Ph.J., 6, 9, 12, 117, 118, 121-123, 137

De Condillac, E.B., 19, 20 Dekker, J.C.E., 73

De Millo, R.A., 5, 8, 72, 97, 110,

111, 113, 114,116, 117, 119

121, 124, 140, 146 Dennett, D.C., 11, 148, 149

Descartes, R.,119 Defletsen, M., 136-138, 147

Dewitt, B.S.,149 Dijkstra, E.W., 71, 73-75, 79, 80, 83, 97, 100 Dummett, M.A.E., 27, 67

Block, 7., 36. 127 Elcock,

, 28, 36 Eulero, L. Everett Ill, H., 149

Buzzetti, D.,

Feterman, S., 25 Feigenbaum, E.A., 90

Cantini, A., 25 Cantor, G., 14, 24

Feldman, J., 90 Ferriani, M., 36

Carnap,, R., 8, 15, 49, 56

Casari, E., 54 Casini, P. 20 Cassina, U, 41 Cerutti, 137 Chang, C.-L., 95

Feit, W., 131

Floyd, R.W., 74, 77 Foster, J.M., 96

Frege, G.,

30-34, 36-39,

41, 42, 45, 48, 49, 54, 105, 112

Gandy, R.O., 66 108 Garey, M.R., 97 Gelernter, H., 89 Comte, A., 28 Geymonat, L., 6 Conrad, J., 9 Gilmore, P.C., 92 , R.L., 69, 70, 79, 81, 82 Gödel, K., 7, 60, 105 Couturat, L., 16, 23, 24, 42, 47.49, Goldstine, H.H., 17 Gorenstein, D.,110, 123 Сигу, Н.В., 6, 57-59

Graham, N., 149

D'Alembert, J.B., 20 Dalla Chiara, M., 29

Hadamard, J., 25

Guthrie, F.,, 128

153

Indice dei nomi

Haken,W.,, 127-129, 139, 144 Hankel, H., 27 Heesch, H.,.128 Herbrand, J., 91, 92, 105 Hersh, R., 6, 9, 12, 117, 118, 122 Hilbert, D., '8, 17, 18, 27-30, 33,

34, 49, 50, 52-56, 59, 60 Hirschberg, D., 10 Hoare, C.A.R.,, 74, 77, 80 Hodges, A., 70 Hofstadter, D.R., 11, 148, 149

Hyland, IM.E., 66

Husseri, E., 27, 31, 36

Jevons, S., 17, 27 Johnson, D.S.,97

C.B., 74 jones, Tourdain,, Р.Е.B., 31-33, 35-37

Kant, I., 52

Kempe, A.B., 128 Kitcher, Ph.,, 117, 146

Knuth, D.E.,75 Koch, H., 127

Koch, J., 139 Kowalski, R., Kreisel, G., 25, 66

Lackey, D.,,44

Lakatos, 1.,117, 118

Nilsson, N., 97 Odifreddi, P., 148

O Donnell, M.J., 69, 70, 79, 81, 82

Overbeek, R., 99

Parkinson, G.H.R., 6 Pascal, B., 17 Peano, G., 6, 7, 9, 12-14, 21, 24,

27, 29, 38-43, 45, 46,48, 25, 54-56,62, 105

Perlis, A.J., 5, 8, 72, 97, 110, 114,

119, 140, 146

Picardi, E., 36, 54

Poincaré, H., 5-7, 13-19, 21-25, 27, 29-32, 34, 38, 42, 43, 45-50, 52-

55, 59, 67, 68, 82, 114, 119

Post, E., D., 92, Prawitz, 93

Putnam, H., 49, 92-94

Quine, W.V., 91, 107 Rabin, M.O., 96, 108 Randell, B.,, 17 , 42 Richard, J. Robinson, A., 60-62, 66, 92 Robinson, J.A., 92,94-96 Robinson, R.M., 85 Rosser, B., 119

Russel, 3, 33, 36, 62, 12. 33, Lang, S., 63 43-46, 53, 55, Lee, R.,95 Leibniz, G.W., 6, 7, 9, 19, 40, 43

W.L., 10, 65, 69, 113, Lipton, R.J., 5, 8, 72, 97, 110, Scherlis, , 140 114, 119, 140, 146

119,

Schilpp, P.A., 7 Lolli, G., 10, 12, 60, 64, 76, 98, Schröder, E., 29, 37, 41 Scott, D.S.,10,56, 65, 69, 113, Longo, G., 75 119, 140 Loveland, D.W., 88, 95 Luker,_ M., 136-138, 147 Lusk,E., 99 Siekmann, J., 88 Mangione, C., 6, 10, 27, 64, 127 Simon, H., 88, 90, 91, 108 Manin, Ju. I., 124 Skolem, Th., 54, Manna, Z., 72, 76-78, 81, 83, 111- Sluga, H.D., 13, 27, 32, 34 Steiner, M.,, 67 113, 119, 121 Mason, R.E.A., 10, 69 Stuart Mill, J., 24 Suini Con. 30, 149. 143 125, 147 McCarthy, J., 10, 72, 73, 75, 76, 98, 100-103

, 124

Moore, J.S., 78, 83, 97, 103, 104 Morris, F.L., Takeuti, G., 65 Mostowski, A.,, 66, 85 Tarski, A., 85 Mugnai, M., 6, 54 Teller, P.,, 134, 140, 143-145 Terracini, A., 41 Newell, A., 88, 90, 91, 108 Thompson, J., 131

154

Indice dei nomi Wang, H., 25, 88, 90, 92 Turing, A.M., 67, 70, 74, 148 Trmoczko, T.,130-134, 136-141, Webb, C.J., 50 143, 145, 146

Vailati, G., 28

van Heijenoort, J., 37, 54 von Neumann, J.,49, 70

Weizenbaum, J., 90

Weyl, H., 54, 55

Whitehead, A.N., 16, 43, 112

Wittaker, P., 127

Wittgenstein, L., 67, 105 Woodhouse, R., 20

Waldinger, R.,, 72, 78, 81, 83, Wos, L., 99 Wrightson, G., 88 111-113, 119, 121

SODIDRUg SKISNANAS

BIBLIOTECA

UNISERSTTE DEGLIOTUDI

339415 Deon 155

Indice del volume

Introduzione

I. Quella favolosa macchina di Chicago

p. 5 13

II. Le ideografie di Frege e di Peano

27

III. Il formalismo matematico

47

IV. La formalizzazione in informatica

69

V. La deduzione automatica

87

VI. La dimostrazione sul tovagliolo

107

VII. Il teorema dei quattro colori

127

Indice dei nomi

153