Matematica e logica nella storia e nel pensiero contemporaneo

Table of contents :
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CAPITOLO I. SIGNIFICATO, FINALITA' E METODI DELLA STORIA DELLA MATEMATICA E DELLA LOGICA
1. Significato della storia della scienza
2. Fini dello studio della storia delle matematiche
3. Metodi. Argomento del presente volume
CAPITOLO II. MATEMATICHE PREELLENICHE
1. Matematica primitiva
2. Mesopotamia
3. Egitto
4. Fenicia, Cina, India
CAPITOLO III LA MATEMATICA GRECA PRIMA DI EUCLIDE
1. Fonti della matematica pre-euclidea
2. Scuola ionica
3. Scuola Pitagorica
4. Parmenide
5. Zenone
6. Movimenti di pensiero originati dalla Scuola di Elea
7. Il pluralismo di Anassagora e di Empedocle
8. l sofisti
9. Ippocrate e le lunule
10. Democrito
11. Socrate
12. Platone
13. Il problema della duplicazione del cubo
14. Curva d'lppia, trisezione dell'angolo e quadratura del cerchio
CAPITOLO IV LA LOGICA DI ARISTOTELE
1. Il mondo degli universali di Aristotele e i princìpi fondamentali della Logica
2. Concetti, loro estensione e comprensione
3. La definizione
4. Le categorie di Aristotele
5. l giudizi e le regole della conversione
6. Il sillogismo
7. Osservazioni aristoteliche su diverse forme di ragionamento
8. Brevi cenni sulla logica modale
9. Ordinamento di una scienza dimostrativa secondo Aristotele
CAPITOLO V GLI ELEMENTI DI EUCLIDE NELLA CULTURA ELLENISTICA
1. Il mondo ellenistico e le filosofie post-aristoteliche
2. Preliminari sugli Elementi di Euclide e loro contenuto
3. l principi fondamentali degli Elementi di Euclide
4. Il primo libro degli Elementi, in particolare la teoria delle parallele
5. Applicazione delle leggi delle inverse negli Elementi
6. L'angolo di contingenza in Euclide e i prodromi delle geometrie non-archimedee
7. La teoria delle proporzioni
CAPITOLO VI I METODI INFINITESIMALI NELL'ANTICHITA': ARCHIMEDE
1. Aspetti dell'infinito nel pensiero degli Antichi
2. Il metodo d'esaustione
3. Archimede e il metodo d'esaustione
4. Il metodo meccanico di Archimede
5. L'infinito numerico nell' «Arenario»
CAPITOLO VII INTRODUZIONE ALLA GEOMETRIA SUPERIORE: APOLLONIO, EPIGONI
1. Le coniche come sezioni di un cono rotondo con un piano perpendicolare ad una generatrice
2. Le coniche di Apollonio
3. Ulteriori ricerche geometriche nell'era alessandrina
CAPITOLO VIII LA MATEMATICA NEL MONDO ROMANO
1. Filosofia, scienza e diritto
2. Le origini della trigonometria
3. Erone ed una proprietà dei raggi luminosi
4. La teoria degli isoperimetri nell'Antichità
5. Prodromi della geometria proiettiva nell'opera di Pappo
6. L'aritmetica dei Neo-Pitagorici e Neo-Platonici
7. Diofanto Alessandrino
CAPITOLO IX IL TRAMONTO DELLA SCIENZA ANTICA
1. S. Agostino
2. Dossografi ed Enciclopedisti
3. Bizantini
CAPITOLO X MATEMATICA E LOGICA NEL MEDIOEVO
1. Le matematiche indiane ed arabe
2. La matematica nell'alto medioevo in Occidente
3. Leonardo Pisano
4. La logica tradizionale nella filosofia scolastica
5. La questione degli universali
6. Prodromi medioevali della logica trivalente
7. Disquisizioni degli Scolastici sull'infinito matematico
8. Le matematiche nei secoli XIII-XV
CAPITOLO XI RINASCIMENTO MATEMATICO ED ALGEBRISTI
1. Arte e matematica nel Rinascimento
2. Gli Algebristi italiani nel Rinascimento
3. Cenni sullo sviluppo del simbolismo algebrico: contributo di Descartes
4. Il Caso irriducibile e i numeri immaginari
5. Cenni sul Teorema di Ruffini-Abel e sull' opera di Galois
CAPITOLO XII ORIGINI DELLA GEOMETRIA ANALITICA E RAZIONALISMO CARTESIANO. GNOSEOLOGIA VICHIANA
1. l precursori della geometria analitica
2. Cenni sul contributo di P. Fermat alla costruzione della geometria analitica
3. Esigenze filosofiche alle quali risponde la geometria di Cartesio
4. Aspetti della geometria analitica di Cartesio
5. Relazioni fra l'opera di Cartesio e gli ulteriori sviluppi della matematica
6. La logica di Pascal e di Porto Reale
7. Giambattista Vico
CAPITOLO XIII L'ANALISI INFINITESIMALE MODERNA ED IL PENSIERO FILOSOFICO DEI SUOI COSTRUTTORI
1. Commentatori e continuatori dell' opera di Archimede
2. Luca Valerio
3. L'indirizzo della scienza nei secoli XVI e XVII ed il metodo degli indivisibili
4. Gli indivisibili e gli insiemi infiniti nel pensiero di Galileo
5. Fra' Bonaventura Cavalieri
6. Evangelista Torricelli
7. Pietro Mengoli
8. R. Descartes e P. Fermat
9. I. Newton e G. G. Leibniz
10. Cenni sugli ulteriori sviluppi dell'analisi infinitesimale
11. Critica dei principi dell'analisi infinitesimale
TAVOLA MATEMATICI
CAPITOLO XIV DALLE ORIGINI DELLA GEOMETRIA PROIETTIVA AGLI SVILUPPI DEL PROGRAMMA DI ERLAGEN
1. Origini della geometria proiettiva e descrittiva
2. Il principio di dualità sulla sfera
3. Leggi di dualità nella geometria proiettiva
4. Cenni sugli ulteriori sviluppi della geometria proiettiva
5. Il programma di Erlangen e la topologia
6. Iperspazi e geometria algebrica
7. Geometria astratta
CAPITOLO XV CRITICA DEL V° POSTULATO DI EUCLIDE E GEOMETRIE NON-EUCLIDEE
1. Tentativi per dimostrare il V° postulato di Euclide
2. Precursori della geometria non euclidea
3. Somma degli angoli ed area di un poligono
4. l fondatori della geometria non-euclidea
5. Cenno sull'indirizzo metrico differenziale delle geometrie non-euclidee
6. L'indirizzo metrico-proiettivo della geometria non-euclidea
7. Cenni sui problemi riguardanti lo spazio fisico, nella filosofia e nella scienza
CAPITOLO XVI ANALISI COMBINATORIA E CALCOLO DELLE PROBABILITA'
1. Significato, origini, applicazioni dell' analisi combinatoria
2. Cenni storici sul calcolo delle probabilità
3. Alcuni aspetti delle basi e degli sviluppi del calcolo delle probabilità secondo la concezione classica
4. Cenni sulle diverse concezioni della probabilità
CAPITOLO XVII INSIEMI, FUNZIONI, CURVE, GEOMETRIE NON-ARCHIMEDEE
1. La teoria degli insiemi
2. Funzioni e linee
3. Postulati della continuità e geometrie non-archimedee
CAPITOLO XVIII LA LOGICA SIMBOLICA E I FONDAMENTI DELL'ARITMETICA
1. La « characteristica» di Leibniz e i continuatori dell'indirizzo logico leibniziano
2. La logica matematica di G. Peano
3. Le basi dell'aritmetica secondo Peano
4. Considerazioni critiche sul concetto di numero
5. La logica teoretica di Hilbert
6. Cenni su altri indirizzi della logica simbolica
7. Logica matematica e sue applicazioni
CAPITOLO XIX SISTEMI IPOTETICO-DEDUTTIVI. NON CONTRADDITTORIETA', ANTINOMIE
1. La concezione di sistema ipotetico-deduttivo
2. La compatibilità di un sistema di postulati
3. Antinomie e ricerche dirette al loro superamento
CAPITOLO XX PROBLEMI DELLA LOGICA CONTEMPORANEA
1. L'idealismo di B. Croce di fronte alla logica ed alla matematica
2.Le nuove logiche
3. Neo-positivismo e neo-empirismo. Lingua esatta del Carnap
4. Sistema razionale
5. Teorema di Godei sulla non-contraddittorietà dei sistemi. Metamatematica
6. Alcune conseguenze del risultato di Godel sulla non contraddittorietà
7. Il problema dell' esprimibilità in simboli di un sistema razionale
8. Considerazioni generali sui recenti risultati della logica
BIBLIOGRAFIA
INDICE DEI NOMI
INDICE SOMMARIO
ERRATA-CORRIGE

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ETTORE CARRUCCIO

MATEMATICA E LOGICA nella storia e nel pensiero contemporaneo

EDITORE

G H E R O N I

VI. C_lo A1.,,"0 13



1958

TORINO

PROPRIETA

LETTERARIA

Pl"inted in Italy O

1958, Gheroni, Torino

1 18 (A)

-

2000

CAPITOLO I SIGNIFICATO, FINALITA' E METODI DELLA STORIA DELLA MATEMATICA E DELLA LOGICA

§

l.

-

Significato della storia della scienza.

Per chiarire in qual senso viene intesa nel presente volume la storia delle matematiche, che è uno dei rami della storia della scienza, è opportuno dare un breve cenno sul significato di questa ultima disciplina. Da molti ancora la storia della scienza viene considerata come raccolta

erudita

di

risultati

scientifici

raggiunti

nel

corso

dei

secoli, di rivendicazioni di priorità nelle scoperte e nelle inven­ zioni, di dati esteriori riguardanti la vita e le opere degli scien­ ziati,

come

un

museo,

in

sostanza,

di

documenti

e

di

cimeli

scientifici. Anche se questo aspetto della storia della scienza (in generale piuttosto estraneo alla sfera d'interesse del ricercatore)

merita

di esser preso in considerazione, non intendiamo prevalentemente in questo senso la disciplina in esame. Per esprimere in sintesi le opinioni sull'argomento alle quali s'ispireranno le nostre lezioni, diremo che, come per F. Enriques ed E. Bortolotti, per noi la storia della scienza s'identifica con la scienza stessa considerata nel suo divenire, nel pensiero di coloro che l'hanno costruita, e nei suoi rapporti con i diversi aspetti della cultura e della vita umana (1). Il modo d'intendere la storia della scienza sopra indicato, è in armonia con la visione generale della storia umana secondo Giambattista Vico

(2), e s'applica in

particolare alla storia delle matematiche, la quale assume cosi un valore formativo della personalità del matematico tanto ai fini euristici, come ai fini didattici.

§

2.

-

Fini dello studio della storia delle matematiche.

Per quanto concerne i fini eurjstici notiamo che i problemi scientifici in generale, e quelli matematici in particolare, si pre(1) V. per es.: Enriques, 13, con riferimento alla Bibliografia. Analogamente si daranno

le altre indicazioni

(2) V. cap. xn,

§

bibliografiche.

7, del presente volume.

5

sentano nella pienezza del loro significato, proprio quando ven­ gono considerati nella loro storia. L'esigenza della visione storica dei problemi si presenta specialmente nei momenti di crisi e di rinnovamento del pensiero scientifico, come risulterà da molte­ plici esempi nel corso del presente volume. «La visione storica della scienza> disse l'Enriques (3) «appare pertanto una visione dinamica, che dal passato trae norma per rivolgersi all'avvenire; e risponde dunque all'ideale che, consapevolmente o meno, anima gli sforzi dei ricercatori, non fermi ad un presente immobile, ma ognora intenti a superarlo ». Ai fini didattici, la conoscenza della storia della matematica non soltanto permette al docente di fornire complementi culturali agli allievi e di rendere più interessante e più viva l'esposizione delle teorie, ma rende possibile nella Scuola una maggiore con:_ sapevolezza dei processi mediante i quali il pensiero s cò pre o

costruisce il suo mondo matematico. Naturalmente per ovvi motivi di economia di tempo e relativi all'esigenza di non presentare ai giovani processi troppo lontani dalla loro mentalità, non si può e non conviene attuare integral­ mente nell'insegnamento l'ideale di presentare in tutti i suoi det­ tagli la formazione storica delle teorie da esporre. Tuttavia le diverse fasi dello sviluppo della matematica, dalle regole d'origine empirica alla graduale conquista del rigore logico, possono rivi­ vere nell'insegnamento, dalle scuole elementari all'università, non in senso letterale ma nel loro spirito (4), tenendosi presente la corrispondenza, riscontrata dal Vico tra sviluppu della civiltà e sviluppo della persona umana. Sarà di grande giovamento per la formazione intellettuale dello studente, la visione storica, nelle sue grandi linee, dei pro­ blemi matematici da trattare e delle esigenze che hanno influito sulla

costruzione

delle

teorie

razionali:

l'allievo

comprenderà

cosi delle questioni matematiche il significato più autentico, ed abituato a considerare la scienza nel suo divenire, acquisterà la formazione mentale più idonea per contribuire al progresso della scienza stessa.

§

3.

.

Metodi. Argomento del presente volume.

Lo studio della storia della matematica intesa nel senso ora chiarito, dovrà per quanto è possibile effettuarsi direttamente sui documenti e sulle fonti, mirando non tanto a raggiungere una conoscenza erudita, ma a far rivivere i testi interpretandoli e inquadrandoli nel tempo in cui sono stati redatti. L'ampiezza del campo su cui si dovrebbe stendere l'indagine dello storico della matematica, antica e moderna, considerata nel (3) (4)

Enriques, 14, Frajese, 5.

pago

4.

6

suo divenire e nelle sue relazioni con i molteplici aspetti della vita e della cultura, potrebbe sgomentare chi aspira ad intra­ prendere tali ricerche e studi. Mentre è chiaro che nessuno potrà conos'cere nei dettagli la storia della matematica in tutta la sua estensione e sotto tutti i suoi aspetti, nel senso ora precisato, tuttavia lo studioso potrà compiere una sintesi personale delle sue conoscenze in materia, scelte secondo il punto di vista che meglio corrisponde alle sue aspirazioni intellettuali. In particolare la scelta degli argomenti da trattare nel pre­ sente volume è stata effettuata secondo il seguente criterio: rico­ struire lo sviluppo dei motivi fondamentali concettualmente più significativi della ricerca matematica, mirando particolarmente a porre in evidenza il contributo offerto dal pensiero matematico all'evoluzione della logica. Questo piano di lavoro ci permetterà di spaziare attraverso tutta la storia della matematica, dall' Antichità ai nostri giorni, osservando le trasformazioni verificatesi nel corso della storia, nella concezione della struttura di una teoria razionale, fino a porre i delicati problemi spesso vivi e sconcertanti della logica contemporanea. Pur cosi delimitato, il campo delle nostre indagini, è ancora troppo

ampio perchè

ci

sia

possibile

coltivarlo

integralmente.

Tuttavia essendo lo scopo del presente volume essenzialmente formativo, più ,che informativo, si preferisce lasciare qua e là qualche lacuna, pur di dare rilievo agli argomenti considerati fondamentali per la preparazione dei ricercatori futuri nel campo della storia e della filosofia della matematica. A

questo

punto

qualche

studioso

potrebbe

desiderare

una

precisazione relativa a ciò che intendiamo con i termini «mate­ matica» e «logica». Ma osserviamo che i significati dei termini stessi, come vedremo, si sono andati modificando nel corso della storia del pensiero. Quindi una conoscenza adeguata di ciò che è stato inteso dai pensatori con tali termini, può derivare soltanto dalla visione dello sviluppo storico nelle grandi linee della mate­ matica e della logica. Anche la chiara consapevolezza di ciò che si intende con tali termini oggi, richiede, a mio parere, la cono­ scenza dell'evoluzione delle idee in proposito, evoluzione che ap­ punto verrà delineata nel presente volume. Per ora, nei ri�uardi del concetto di matematica. nella storia ed oggi inscindibilmente legato a quello di logica, ci limiteremo a ricordare la

definizione

classica di

matematica che

è stata

ritenuta valida per molti secoli a partire dall'Antichità ed er� ancora accolta da Leibniz

(5), che tuttavia ci forniva elementi

(5) «Mathesis universalis est scientia de quantitate in universum... l, III-53. citato in Enriques. 12, pago 140).

7

(Leibniz.

per superarla. Secondo tale concetto la matematica veniva intesa come scienza della quantità. Più precisamente, Cartesio, ad esempio, nel Discours de la Methode e nelle Regulae ad Direc­ tionem ingenii, ci dice che si riferiscono alla matematica soltanto

quelle speculazioni nelle quali si prende in esame l'ordine e la misura, astrazione fatta dagli oggetti che vengono ordinati o sui quali tali misure vengono effettuate

(6).

Ma questa vecchia e risl,Jettabile concezione non corrisponde ormai completamente all'oggetto di quella scienza che oggi chia­ miamo matematica: la topologia e la teoria dei gruppi, ad esempio non si riferiscono alla quantità ed alla sua misura. Il concetto di matematica ha subito una profonda secolare

evoluzione,

specialmente per effetto

della critica del VO postu­

lato di Euclide con il sorgere delle geometrie non-euclide, per l'affermarsi della teoria degli insiemi infiniti, per la costruzione delle geometrie astratte e per lo sviluppo della logica simbolica. I motivi

di

sviluppo

del

pensiero

matematico

hanno,

come

vedremo, potentemente influito sull'evoluzione della logica con la quale, in un certo senso, la matematica doveva fondersi

(7).

(6) Descartes, voI. VI, pagg. 19-20, voI .X, pagg. 377-378. (7) Sullo sviluppo della logica in relazione con il pensiero matematico, fino al principio del sec. XX, v. Enriques, 2. Sulla storia della logica formale, v. Bochénski, 4. Per orientarsi in generale sulla vasta bibliografia riguardante la storia della matematica mi limito, per motivi di brevità, a cons:gliare la consul­ tazione dei due seguenti scritti dove si trovano indicazioni selezionate che per­ mettono di risalire a numerosi e pregevoli altri lavori: 2, specialmente pagg.

3-8.

8

Enriques, 12; Geymonat,

CAPITOLO

II

MATEMATICHE PREELLENICHE

§ 1. - Matematica primitiva. Le origini della Matematica, considerata nei suoi aspetti pib semplici: numerazione, proprietà elementari delle figure etc., risalgono presumibilmente ai primi albori dell'intelligenza degli uomini primitivi. Ma, mentre è rimasta traccia dell'arte dell'uomo delle caverne, nessun documento è a noi pervenuto che ci consenta di ricostruire il pensiero matematico dei primi esseri umani che abitarono le foreste, le caverne e le palafitte. Una ricostruzione della matematica primitiva è stata tentata indirettamente, per es. dal Brunschvicg (1) il quale ha pensato di poter girare la difficoltà sostituendo alle ricerche (impossibili in questo settore) sulle ere primitive, le osservazioni che si possono compiere ai nostri giorni sulle attuali tribb selvagge. Secondo questo punto di vista l'etnografia eserciterebbe una specie di funzione vicariante rispetto alla storia. Non è nel nostro programma la discussione sull'ipotesi della legittimità di tale procedimento e sulla valutazione dei risultati cosi ottenuti, ma ci limitiamo a segnalare, per chi vuole approfondire la questione, l'opera del Brunschvicg sopra citata con le notizie bibliografiche ivi raccolte.

§ 2. - Mesopotamia. I pib antichi documenti scientifici a noi pervenuti risalgono alle civiltà che fiorirono nella Mesopotamia e sono costituiti dalle de'cine di migliaia di mattonelle di argilla coperte di caratteri cuneiformi, tratte dal suolo di detta regione e conservate in alcuni musei di Europa e di America (2). I testi matematici di maggiore interesse redatti sul1e mattonelle in caratteri cuneiformi, risalgono alla civiltà sumerica, lo sviluppo della quale, a partire da un'imprecisata origine antichissima giunge all'incirca fino al 2100 a.C. Il periodo pib propriamente detto babilonese comincia con il regno di Hammurabi verso il 1800 a.C. e termina con il prevalere degli Assiri. La loro (l) (2)

Brunschvicg. capo I. pago 3 seggo Bortolotti, 13; Cipolla, pago 11 e seggo

9

capitale Ninive cade nel 606 a.C. e risorge la potenza di Babi­ lonia per opera di Nabucodonosor. Nel 528 a.C. la Mesopotamia diviene provincia dell'impero persiano, conquistato a sua volta da Alessandro Magno (330 a.C.). Dopo tale conquista le civiltà orientali e greca esercitano mutue infiuenze (3). Si ritiene che risalga ai Sumeri il primo sistema di nume­ !"azione razionalmente costituito, il sistema sessagesimale, adot­ ta10 poi dai Babilonesi. Troviamo in questo sistema un principio di posizione, con il difetto però che non veniva chiaramente indi­ cato l'ordine di grandezza delle varie unità: la cifra corrispon­ dente all'unità, ad esempio, poteva indicare una qualsiasi potenza positiva o negativa o nulla del 60: l'ordine di grandezza doveva risultare dal contesto. Per quanto concerne le operazioni aritmetiche, sembra che i Babilonesi per l'addizione e la sottrazione si servissero di qualche mezzo meccanico come il pallottoliere. Per la moltipli­ cazione occorreva conoscere i prodotti a due a due delle 59 cifre unitarie; a questo scopo si apprestavano apposite tavole di conti fatti; altre tavole servivano per trovare gli inversi di dati numeri, per eseguire la divisione. Ma i Babilonesi del tempo di Hammu­ rabi non sapevano eseguire la divisione nei casi in cui il divi­ sore conteneva fattori primi diversi da 2, 5, 3 (quelli contenuti in 60). A causa delle complicazioni inerenti all'applicazione del sistema sessagesimale la matematica sumero-babilonese rimase patrimonio esclusivo di una ristretta cerchia d'iniziati che la coltivavano prevalentemente ai fini astronomici ed astrologici (.(). A proposito del calcolo della diagonale di un rettangolo troviamo in una mattonella del tempo di Hammurabi un tentativo di cal­ colo di una radice quadrata da un numero non quadrato perfetto: si tratta però soItanto di un procedimento approssimato. Si è parlato di algebra babilonese, ma tale termine deve assu­ mersi con grande cautela. Si può infatti chiamare equazione algebrica quella di cui è nota preventivamente la radice? Può esistere un problema in cui non ci sono incognite da determi­ nare? Ora nei problemi babilonesi a noi noti non v'erano inco­ gnite per chi proponeva iI problema, che veniva appositamente approntato in modo che le soluzioni fossero valori noti. Si richie­ deva di trovare il procedimento per operare sui dati in modo da giungere ai valori prefissati come soluzioni. Si sono trovati ad esempio 650 sistemi di equazioni babilonesi i quali tutti ammet­ tono le soluzioni x 30, Y 20 (5). «Si noti> osserva iI Bortolotti «che i procedimenti indicati =

=

(3) Bortolotti, 20, pago 553. (4) Bortolotti, 20, pagg. 553-555. Sull'astronomia assiro-babilonese, v. Schia­ parelli: l primordi dell'astronomia presso i Babilonesi, pagg. 41 -89 , I progressi dell'astronomia presso i Babilonesi, pagg. 91-123. (5) Borlolotti, 13.

10

per

la

risoluzione,

sono

concettualmente

validi,

indipendente­

mente dal valore numerico dei dati, ma praticamente effettua­ bili nella matematica sumerica, solo per certi valori di essi, che andavano preventivamente apprestati, in modo da evitare ope­ razioni

non

consentite dal

ristretto

corpo

numerico

a quei

tempi posseduto. Da ciò si vede che la matematica sumerica non era rivolta alla soluzione di problemi occorrenti nella vita pratica, ma solo a divagazione o ad esaltazione dello spirito:.

(6).

Fin dal quarto millennio a.C. i Sumeri risolvevano regolar­ mente i problemi numerici che noi sappiamo ridurre alle equa­ zioni di 10

grado, e

possedevano

regole per la

risoluzione di

problemi che noi chiamiamo di 20 grado, senza però ricorrere al metodo

algebrico

equazioni.

Ma

non

potevano

qual noi

l'intendiamo ed alla teoria delle

le regole sumeriche per i problemi di 20 grado servire

che

per

problemi

appositamente

appre­

stati (7). Il Neugebauer riconosce nei problemi babilonesi rela­ tivi ad un parallelepipedo rettangolo la risoluzione delle equazioni

cubiche.

equazioni

riconducibili, con il

x3 + X2

=

a.

II

I

problemi

procedimento

considerati nostro

babilonese

condurrebbero

simbolismo per

la

alla

ad

forma

risoluzione

·è di

carattere empirico e si svolge mediante tentativi e verifica diretta. La soluzione è stata anche posta in relazione dal Neugebauer con una tavoletta in cui sono calcolate le somme del quadrato e del cubo dei primi 30 numeri. Sulle tavolette assiro-babilonesi si è perfino creduto di trovare equazioni trigonometriche ed esponenziali. Le prime però com­ paiono soltanto per una finzione verbale, in quanto in un problema s'interpreta come cotangente di un angolo il rapporto fra due cateti di un triangolo rettangolo, mentre il matematico babilo­ nese non parla di angolo nè di cotangenti. Si è creduto di trovare nelle tavolette assiro-babilonesi anche la risoluzione di un'equazione esponenziale. Si consideri il capitale di una mina, posto all'interesse del

20 per cento che dopo 5 anni si raddoppia; se il capitale cosi ottenuto si mette a frutto, dopo altri 5 anni si raddoppia ancora e cosi via. Dopo quanti anni si sarà accumulata una data somma? Se si pone il problema sotto forma generale, e si indica con

a il capitale iniziale, con k il capitale accumulato e con n il tempo trascorso, espresso in lustri, si ricava l'equazione k 2na (come fa =

il Neugebauer), la risoluzione della quale equazione si ottiene in base alla teoria dei logaritmi in base 2. Ma, osserva il Borto(6) Bortolotti, 20, pagg. 558-559; Cipolla, pago 23, asserisce invece che la mate­ (come quella egiziana) era rivolta a fini esclusivamente pratici. Mi sembra però meglio fondata la posizione del Bortolotti. (7) Bortolotti, 18. matica assiro-babilonese

11

lotti,

dall'esame

del testo risulta che il matematico babilonese

ha contato sulle dita mentre diceva: in capo ad 1 lustro saranno Mine 2 in capo a

2 lustri

saranno Mine 4

fino a raggiungere la somma stabilita

(8).

«La matematica sumerica ... » concluderemo con il Bortolotti, «coltivata nel ristretto ambiente di ermetiche caste sacerdotali, perdeva il contatto colla vita civile, e degenerava nella cabala e nel misticismo del numero,

quando la civiltà sumerica veniva

sommersa e in parte assorbita dalla babilonese. Ciò avveniva agIi inizi del secondo millennio a.C. Il periodo assiro-babilonese la matematica, periodo di progressiva decadenza»

§

3

.



è, per

(9).

Egitto.

Oltre i riferimenti indiretti di alcuni autori greci, i documenti più importanti della matematica egiziana sono due papiri (10). Uno di essi

è il papiro Rhind (11), redatto dall'amanuense

Ahmes intorno al 1650 a.C. sulla base di un documento che si fa risalire al 1800 a.C. Lo scritto in questione ha il titolo: «Norme per investig·are nella Natura e per conoscere tutto ciò che esiste. ogni mistero ogni segreto ». Veramente le regole elementari di ...•

aritmetica e di geometria ricavate dal papiro Rhind lascierebbero deluso il lettore che si attendesse un contenuto corrispondente al titolo; nel quale tuttavia si nasconde presumibilmente l'aspirazione dell'autore ad

un'interpretazione

matematica

dell'Universo,

che

più volte incontreremo in seguito in forma più progredita nel corso della storia del pensiero. L'altro documento

è iI papiro di Mosca che risale al 1850 a.C.

Gli Egiziani usavano per gli interi una numerazione a base decimale,

e

frazioni

con numeratore

1,

dette

unitarie;

possedevano un simbolo particolare per indicare i una frazione di tipo diverso, come p. esempio

1 52

;

inoltre .Invece

non esisteva

per gli Egiziani come ente numerico, ma come enunciato del problema: dividere 5 in 12 parti uguali; il risultato sarebbe stato posto sotto la forma

3-+12 1

1

.In generale i quozienti venivano

posti sotto forma di somme di frazioni unitarie. A tale scopo venivano costruite apposite tavole di disgregazione per le fra(8) Bortolotti, 20, pagg. 559-560. (9) Bortolotti, 18. (IO) Per indicazioni bibliografiche ed altre notizie sulla ziana v. Bortolotti, 20, pagg. 549-552, e Cipolla, pagg. 15-24. (11) Peet. 12

matematica

egi­

zioni che pitl di frequente ricorrevano nei calcoli. Notiamo che la disgregazione di un quoziente in frazioni unitarie non

è univoca.

Gli Egiziani risolvevano problemi di l° grado con procedi­ menti che da alcuni studiosi sono stati riconosciuti come alge­ brici;

ma

i procedimenti indicati possono considerarsi, secondo

gli studi del Bortolotti,

frutto

di forme primitive

e

universali

di ragionamento comuni a tutti gli uomini di buon senso (12). Secondo diversi autori greci (Erodoto, Erone, Strabone, Proclo) la geometria egiziana, come indica il significato etimologico della parola, ebbe origine da misurazioni di terreni (13). Nei papiri egiziani troviamo regole esatte per la determina­ zione delle aree dei rettangoli e dei volumi dei parallelepipedi rettangoli.

Per l'area del

cerchio

nel

papiro

Rhind

la regola approssimata che consiste nel prendere gli dell'area del attribuire a

quadrato

3t

circoscritto

al

cerchio;

ciò

vien



data

degli

equivale



ad

il valore 3,1605 ...

Per le aree del triangolo e del trapezio i papiri egiziani ci forniscono

regole

di

dubbia

interpretazione.

Nel papiro di Mosca si trova il calcolo del volume di un parti­ colare tronco di piramide, non sembra tuttavia che gli Egiziani conoscessero il relativo risultato di carattere generale. Ivi troviamo anche una regola approssimata per il calcolo dell'area di una superficie che si può interpretare come emisferica: ma siamo ben lontani dalla perfezione razionale raggiunta da Archimede nel suo lavoro sulla superficie della sfera. Indubbiamente la geometria egiziana si

è sviluppata ricevendo

impulso dalle esigenze della tecnica, non soltanto dell'agrimen­ sura, ma anche dell'edilizia, dell'orientamento degli edifici, del­ l'idraulica ecc., ma ci risulta da una testimonianza di Aristotele che la scienza degli Egizi non aveva soltanto carattere pratico:
J(�

(l'origine di tutte le cose da lui identificata

con l'acqua), sia nella formulazione di principi da cui dedurre

(2) Proclo, pago 64 e segg. La traduzione riportata è quella di Frajese, 4, pagg. 2Q e segg.; v. inoltre pagg. 19-25 della stessa opera sul problema delle fonti r. dell'attendibilità del riassunto di Proclo, il contenuto del quale riassunto risa­ lirebbe ad Eudemo discepolo di Aristotele.

(3) Poco prima Proclo aveva detto: « ...dobbiamo ora trattare dell'origine della geometria nel presente periodo. E come infatti disse con iI suo genio Aristotele, le stesse opinioni si presentarono più volte nella storia del genere umano, secondo determinati periodi del Tutto; e non per la prima volta ai nostri tempi o in quelli che noi conosciamo, le scienze hanno assunto l'attuale ordina­ mento, ma anche in altri cicli cosmici (non possiamo dire quanti furono e quanti saranno) con alterna vicenda, dette scienze sono sorte e sono tramontate lt.

(4) Diels, pago 8. (5) Enriques, 12, pago 8.

16

teoremi

geometrici,

e nella generalizzazione. di risultati prece­

dentemente noti. Possiamo

fare

un elenco

dei contributi al

progresso

Secondo ProcIo,

della

(6).

geometria attribuiti a Talete da antichi autori

Talete avrebbe dimostrato che un cerchio

è chiaro in che

vien dimezzato da un suo diametro (ma non

senso, dato il grado di sviluppo della geometria del suo tempo, possa aver dato una tale dimostrazione) sarebbe stato il primo a dire che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali, avrebbe trovato per il primo che gli angoli opposti al vertice sono

uguali,

mentre

Eudemo,

come

riferisce lo

stesso

ProcIo,

attribuisce a Talete il 2° criterio d'uguaglianza di un triangolo di cui si sarebbe servito per determinare la distanza di una nave dalla riva. Secondo Diogene Laerzio

(al principio del III sec.), Panfilo

(vissuto al tempo di Nerone) dice che Talete per il primo iscrisse un

triangolo rettangolo

in

un

semicerchio,

mentre Apollodoro

il logistico attribuisce tale risultato a Pitagora. Diogene Laerzio e Plinio attribuiscono a Talete un metodo per determinare

l'altezza

delle

piramidi,

misurandone

l'ombra

nel momento in cui i corpi e le loro ombre risultano uguali; mentre

Plutarco

attribuisce

a

Talete

una

generalizzazione

di

detto metodo per una inclinazione qualsiasi dei raggi solari, rife­ rendo le seguenti considerazioni come rivolte allo stesso Talete: «Sopra tutto

[il

re

egiziano

Amasi]

ti stima per la misura

delle piramidi che tu esegui senza fatica e senza strumenti, ma piantando il bastone all'estremità dell'ombra che getta la pira­ mide,

dai

due

triangoli

che

provengono mediante

il

contatto

del raggio solare, mostri che l'una ombra ha rispetto all'altra ìo stesso rapporto della piramide al bastone Non

ci

fermeremo

ulteriormente

ricerche degli storici della matematica, geometria di Talete;

».

sulle dotte

ed

ingegnose

intese a ricostruire la

nella quale riconosciamo l'aspirazione, sia

pur imperfettamente e frammentariamente attuata, di sistemare razionalmente

alcune

conoscenze

geometriche.

Alla Scuola ionica fondata da Talete, appartiene il filosofo

(611-545

Anassimandro

a.C.),

il

pensiero

del

quale

s'inserisce

nella trama delle nostre considerazioni, soprattutto perchè a lui

a:n:€IQov come origine di (7). La concezione di Anassimandro dell' à.QX�

si deve l'introduzione del concetto dell' tutte

le

cose

è stata interpretata in due modi diversi che tuttavia non sono inconciliabili: primitiva

è

la

sostanza

primitiva

è

indefinita,

la

sostanza

infinita.

(6) Per un esame critico delle testimonianze relative ai contributi geometrici di

Talete, v. Frajese, 4, pagg. 3-18.

pagg.

157.

250,

299.

352;

Diogene

(7) Enriques e De Santillana.

Si fa riferimento ai seguenti passi:

Laerzio.

1,

pagg.

17 2

I, c. I. 54-55.

n.

3;

I. c. I.

n.

ProcIo,

6; Plutarco.

Questa seconda concezione appare preferibile per diversi motivi, tra l'altro perchè un filosofo della stessa scuola di Anas­ simandro, Anassimene (585-528 oppure 553-499 a.C.), che vedeva nell'aria la sostanza primitiva, usa l'espressione 'tò a:7tELQov &�Q, ha manifestamente il significato d'infinito e dove artELQov non d'indefinito. Vediamo cosi comparire nella filosofia greca il concetto di infinito, che ha un posto di prim'ordine nello sviluppo della matematica (8). Un profondo pensatore ionico, Eraclito d'Efeso (530-470 a.C.) (9) si presenta a noi come il più lontano, tra i filosofi ricordati, dalla mentalità matematica, ma non per questo la sua figura è meno interessante. Egli che vedeva nel fuoco la sostanza primitiva e nel con­ trasto l'origine di tutte le cose, è il filosofo dell'eterno divenire che si compiace di affermazioni riguardanti l'identità di cose contrarie: « La via all'in su e la via all'in giù sono una e la stessa» (10).« Bene e male sono una cosa sola. Infatti i medici che tagliano e bruciano chiedono per ciò un salario» (11). « Nei mede­ simi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo» (12). La sua posizione mentale sembra precorrere la logica ideali­ stica (p. es. di B. Croce) di cui riparleremo in seguito (cap. XX, § 1). Per Eraclito esisteva tuttavia una Ragione suprema, il Logos: < E' saggio ascoltare non me ma la ragione e confessare che tutte le cose sono uno» (13).

§

3.

-

Scuola Pitagorica.

Nella scuola di Pitagora di Samo (580-504 a.C.), fondata nel­ l'Italia meridionale, troviamo per la prima volta il termine mate­ matica ('tà fw(}rlll . Questo suggestivo passo è interessante per noi anche perchè ci mostra che già gli Antichi avevano intuito l'esistenza di elementi inesprimibili nel continuo. L'autore di detto scolio aveva forse intraveduto un risultato di G. Cantor chiarito da Richard e da E. Borel sul quale ritorneremo: Esistono nel continuo geometrico (se non -è un abuso usare qui il verso «esistere> degli elementi che non possono essere definiti (27). Un altro

aspetto

singolare della

scoperta delle

grandezze

incommensurabili è costituito dal fatto che tale scoperta ha un carattere ultrasensibile. Dal punto di vista delle misure fisiche infatti non ha senso chiedersi se gli spigoli di due regoli fisica­ mente dati sono o non sono commensurabili fra loro, perchè ine­ vitabilmente si rimane incerti fra le due alternative:

esiste una

summultipla che entra esattamente nelle due grandezze da misu­ rare; rimane un residuo troppo piccolo perchè possa essere osser­ vato fisicamente. Anzi da un punto di vista fisico più raffinato si potrebbe dire addirittura che non ha senso di parlare di misura esatta

di una grandezza,

e

quindi

meno

ancora

di grandezze

incommensurabili. Forse proprio per il suo carattere ultrasensibile la scoperta delle grandezze inconmmensurabili è apparsa di grande impor­ tanza a Platone. Egli nel Teeteto discorre a lungo intorno agli irrazionali, mettendo in luce i risultati ottenuti dal matematico Teodoro di Cirene, e dallo stesso Teeteto che trattò l'argomento in

modo

più

generale.

E

altrove

considera

vergognosa

l'igno­

ranza di chi crede che tutte le grandezze sono commensurabili (28). La scoperta delle grandezze incommensurabili ha impresso un particolare indirizzo allo sviluppo della matematica classica. La primitiva teoria della misura che, come si è visto, presu­ mibilmente si era affacciata alle menti dei primitivi Pitagorici, dovette essere abbandonata, e, in mancanza di una teoria pura­ mente

aritmetica

degli

irrazionali,

si

rinunciò

al

primato

del

concetto di numero nella matematica e ad una sistematica inter­ pretazione aritmetica delle proprietà geometriche. Si giunse ad una

teoria

geometrica

delle

proporzioni

fra

grandezze,

mira­

bile per rigore e per raffinatezza logica, teoria che si attribuisce ad Eudosso da Cnido (contemporaneo di Platone) accolta nel Vo libro degli Elementi di Euclide. Nell' Antichità classica quindi la geometria fu considerata come una dottrina di carattere più generale della scienza dei numeri, e tutta la matematica venne vista prevalentemente sotto l'aspetto geometrico. Uno spostamento dell'interesse matematico dalla (27) Geymonat. 2, pagg. 292-294. (28) Platone, 9. VII 819. 820 specialmente 820 B.

22

geometria

alla

teoria

dei

numeri

si

manifesterà

come

vedremo

verso

il

tramonto del mondo classico con i Neo-Pitagorici e i Neo-Plato­ con

nici,

Diofanto,

fiorito

verso

300 d.C., e con S. Agosti­

il

(354-430).

no

primato

Il

dell'analisi

numerica

merà vittoriosamente con R. Descartes

sulla

geometria

si

affer­

(1596-1650) ma una teoria

rigorosa, puramente numerica degli irrazionali e in genere dei numeri reali si avrà soltanto con R. Dedekind (1831-1916) ed altri matematici del suo tempo. Oggi ancora le questioni riguardanti il continuo presentano aspetti

suggestivi

cap. XVII,

§

4.

-

§

e

sconcertanti

sui

quali

c'intratterremo

nel

1 del presente volume.

Parmenide.

La

critica

dei

ormai, come si (avente

concetti

fondamentali

della

geometria,

che

è visto non poteva più poggiare sulla monade

dimensioni)

dei

primitivi

Pitagorici,

venne

proseguita

in relazione con ardite vedute filosofiche nella Scuola di Elea (29) dominata dalla figura di Parmenide (nato verso il 500 oppure

515). Egli conobbe Senofane di Colofone (580-488?) di (30) forse infiul

verso il

cui la concezione del Dio unico ed immutabile

sulla visione dell'essere unico ed immutabile della Scuola elea­ tica. Ma un pitagorico, Ameinia di Crotone, fu il maestro di Par­ menide,

il

pensiero

del

quale

si

comprende

più

agevolmente

quando venga considerato come revisione critica delle primitive posizioni

pitagoriche,

rese

insostenibili

dalla

scoperta

degli

irrazionali. Parmenide che non soltanto si dedicò ai profondi problemi del pensiero e dell'essere, ma lasciò anche leggi durature alla sua città, espresse i risultati delle sue meditazioni in un poema, di cui ci sono stati conservati ampi frammenti. L'esordio del poema parmenideo di cui il significato allegorico

è abbastanza chiaro

è il seguente (31).

«Le cavalle che mi portano m'hanno condotto lontano, quanto il

mio

cuore

poteva

desiderare;

perchè

mi

hanno

portato

e

deposto sulla via famosa della Dea, che sola dirige l'uomo che (29) Sulla Scuola di Elea, v. Enriques e De Santillana, l, pagg. 97-120. Da quest'opera ricaviamo le traduzioni dei frammenti di Senofane, di Parmenide e di Platone riportati. (30) Senofane non si limita alla ben nota critica della concezione a - ntropo­ morfica degli Dei, ma solleva la sua mente alla visione di un «Dio unico, il più grande fra gli Dei e gli uomini, che non somiglia agli uomini nè per la forma, nè per il pensiero... ; che tutto intero vede, pensa ed intende ... e senz'affanno governa tutte le cose con la forza del suo spirito... e dimora sempre nello stesso luogo, poichè non gli conviene di andare di qua e di là,. dice Aristotele

(40) «sia acqui­

stata, sia insegnata, deriva sempre da conoscenze anteriori. La

è vero di tutte le scienze: infatti è il procedimento delle matematiche e senza eccezione di

osservazione mostra che ciò questo

tutte le arti '>. Risulta chiaramente da questo passo l'influenza esercitata dal pensiero matematico sulla struttura logica delle teorie razionali secondo la concezione aritotelica. Ora dal concetto stesso del sapere «segue necessariamente» continua Aristotele (41) «che la scienza dimostrativa procede da da principi veri, da principi immediati, più noti che la conclu­ sione, di cui sono la causa ed a cui precedono

'>.

Aristotele ribatte le obiezioni di due tipi di avversari di questa dottrina, secondo i quali:

1) o non vi sono principi e quindi la dimostrazione riesce impossibile dando luogo ad un regresso all'infinito; 2) o il procedimento della dimostrazione

è relativo in quanto

si possa partire indifferentemente dai principi per provare le conclusioni e viceversa.

è forse dovuta a filosofi empiristi antima­

La prima veduta

tf>matici. La seconda, che potrebbe risalire ai Megarici o a Demo­ crito, presenta analogia con le concezioni moderne sull'arbitra­ rietà della scelta dei postulati alla base di una teoria matematica (sistema ipotetico deduttivo: v. cap.

XIX, § 1 del presente volume). è inammis­

Ma nel sistema di Aristotele un simile relativismo

sibile, in quanto la teoria ontologica degli universali, suppone un ordine assoluto di verità su cui si deve modellare la scienza. I principi della scienza sono quindi indimostrabili e sono di diverse specie

1) oQOt

(42).

cioè termini o definizioni, vale a dire assunzioni

di concetti non definiti e definizioni propriamente dette; 2) Supposizioni d'esistenza degli oggetti rappresentati dai termini introdotti;

3)

ÙçLW!l.

Scettici, di

fronte al

dogmatismo degli

Stoici e degli

Epicurei, svolgono una libera critica dei criteri della verità. Il termine «scettico» derivata

O'XÉ:It'tOllaL

(discerno), e trae con sè

!'idea del dubbio metodico. Lo Scetticismo, che non costituisce una scuola, ma piuttosto un movimento di pensiero, risale a Pirrone d'Elide (365-275 a.C.). Arcesilao e Carneade introdussero lo scetticismo nell'Accademia di Platone. Carneade

(venuto

in

qualità

di ambasciatore

a

Roma

nel

155 a.C.) riteneva impossibile ogni dimostrazione, perchè questa darebbe necessariamente luogo ad un «regressum in infinitum» perchè ogni premessa dovrebbe essere dedotta da un'altra pre­ messa, e non esisterebbero premesse da cui prendere le mosse nel ragionamento, perchè le premesse deriverebbero dalle sensa­ zioni

e le

incertezze di

genza. Carneade

queste si

però non

ripercuoterebbero sull'intelli­

si ferma ad

una critica

puramente

distruttiva, ma pur negando l'esistenza di criteri assolutamente certi del vero e del falso, tuttavia attribuisce alla conoscenza un valore probabile;

egli esamina quali sono i criteri che possono

rendere più probabile una conoscenza:

l'evidenza, la coerenza

del ragionamento. (3) Manilio. lib. IV. v. 114. (4) Cicerone, 2, (38); 3, II 95. (5) Lukasiewicz, pagg. 51 e segg. del

presente

Sulle

volume.

(6) Lukasiewicz, pago 77.

67

logiche

polivalenti, v. cap. XX,

§2

Lo scetticismo trovò nel secondo secolo d.C. un assertore in Sesto Empirico, autore di un'opera «adversus mathematicos» (7). Egli riferisce questa sentenza degli antichi scettici: «Coloro che discorrono in modo oscuro, fanno come quelli che per qualche scopo lanciano frecce nelle tenebre ».

§

2.

-

Preliminari sugli Elementi di Euclide e loro contenuto.

L'attività scientifica di Euclide

(8) si svolge in Alessandria

all'inizio del periodo ellenistico intorno al 300 a.C. e va posta in

relazione con il movimento critico di revisione dei principi della geometria che si svolse nell'ambiente dell'Accademia platonica, e si fa risalire specialmente ad Eudosso da Cnido che si ritiene ideatore del metodo di esaustione. Il frutto di detto movimento fu raccolto da Euclide. Di lui sappiamo da ProcIo che era più giovane degli scolari di Platone e più vecchio di Archimede. Diamo un breve sommario Elementa

di

(�'t'OLXEi:a)

degli

argomenti

trattati

negli

Eucilde:

Il primi) libro, contiene i principi fondamentali su cui si basa l'opera triangoli

(termini. (criteri

postulati,

nozioni comuni),

le

d'uguaglianza etc.), proprietà

proprietà delle

dei

perpendi­

colari, teoria delle parallele e somma degli angoli di un triangolo, teoria dell'equivalenza dei poligoni

(teorema di Pitagora e suo

inverso). Nel secondo libro troviamo la cosidetta algebra geometrica cioè l'espressione sotto forma geometrica d'identità algebriche e la risoluzione di equazioni di 2° grado. Il terzo libro contiene le nozioni fondamentali sui cerchi: intersezioni, contatti, angoli inscritti. Nel quarto libro si costruiscono i poligoni regolari di 3, 4, 5, 6. 15 lati. Il quinto libro contiene la teoria generale dei rapporti fra grandezze. Nel sesto libro tale teoria viene applicata alle figure geome­ triche con la teoria della similitudine.

I libri settimo, ottavo, nono, sono dedicati all'aritmetica, alle proprietà dei numeri interi (sull'aritmetica greca v. cap. VIII, § 6 § 7 del presente volume).

Il decimo libro contiene un'elaborata classificazione degli irra(7) Enriques A. (8) L'edizione critica degli Elementi di Euclide è a cura dell'Heiberg; una traduzione

italiana

con

introduzione,

commento

e

indicazioni

bibliografiche

ci

è data dall'Enriques, 3, le traduzioni di passi degli Elementi qui riportate, deri­

vano da quest'ultima edizione, della quale ci varremo anche per il commento. Per notizie sulla vita e sulle opere di Euclide, v. Enriques e De Santillana, 1, pagg. 357-358, 363-373. Interessanti considerazioni di carattere critico sulla struttura c3egli Elementi si trovano in Frajese, 4, pago 55-193.

68

zionali quadratici. Da questa teoria hanno ricevuto impulso le ricerche degli algebristi italiani del sec. XVI, che giungero alla risoluzione delle equazioni di

3° grado.

I libri undicesimo, dodicesimo e tredicesimo sono dedicati alla geometria solida. In particolare nel dodicesimo troviamo appli­ cazioni del metodo di esaustione; equivalenza delle piramidi di ugual base ed altezza, volumi della piramide dei coni e dei cilindri, proporzionalità della sfera al cubo del suo raggio. Nel tredicesimo libro, con la costruzione dei cinque poliedri regolari, che costituiscono il coronamento dell'edificio degli Ele­ menti, Euclide rende omaggio alla visione cosmologica di Platone nel Timeo. Sarebbe

interessante esaminare

criticamente

tutta

l'opera

euclidea, ma per motivi di brevità, ci limiteremo a studiarne sol­ tanto alcuni aspetti che ci appaiono più significativi ai fini dello studio delle relazioni fra matematica e logica.

§

3.

-

l principi fondamentali degli Elementi di Euclide.

prendono il nome di OQOL, aLnllLat'U, 'X.OL'VaL E'V'VoLaL. vengono interpretati di solito come definizioni, ma Gli OQOL molti di essi non possono venir considerati come vere e proprie definizioni, suscettibili di sostituire perfettamente il definito secondo il criterio adottato tanto da Aristotele come dai logici matematici moderni, traduciamo quindi con l'Enriques «termini». Leggiamone i più interessanti per noi.

1.

-

«Punto

è ciò che non ha parti ».

Secondo la testimonianza di Proclo, cosi si può chiamare)

questa definizione

(se

è conforme al criterio di Parmenide secondo

il quale le definizioni negative convengono ai principi. L'Enriques ritiene che con il primo degli OQOL si voglia respingere la conce­ zione dei Pitagorici primitivi relativa al punto monade, ancora dotato di estensione di cui abbiamo parlato a suo tempo. Il Frajese

(9) preferisce porre in relazione il termine consi­

derato con la definizione di unità in Platone: «Il veramente uno bisogna dirlo addirittura senza parti» e con un passo di Aristo­

è indivisi­ è indivisibile per ogni verso, e tuttavia ha un posto, si chiama punto . . Ciò che quantita­ tivamente non è divisibile per nessun verso, si dice punto e unità:

tele:

«L'indivisibile nella quantità si chiama unità, se

bile in ogni verso e non ha posto; ma se

.

questa non ha posto, quello si». Naturalmente la definizione euclidea di

punto ha suscitato

forti critiche: non viene applicata in alcuna dimostrazione degli Elementi. (9) Frajese, 4. pagg. 61-65; Platone. 5, 245a; Aristotele. lI, V. l016b.

69

Osserva il Waismann è dunque un punto? 2. - «Linea

(lO): «un dolore p. es. non ha parti,

».

è una lunghezza senza larghezza

».

Questa definizione è in armonia con la concezione eleatica sugli enti geometrici (11).

nica

fondamentali e risale aUa

ProcIo riferisce un'altra

definizione

scuola

plato­

che si trova in

Aristotele (12) c: dicono che la linea col movimento genera la superficie, come la linea viene generata dal movimento del punto >. 3. - «Estremi di una linea sono punti

>.

Si noti che qui non vengono prese in esame le

linee illi­

mitate e le linee chiuse. 4. - «Linea

retta

suoi punti

è

quella

che

giace

ugualmente

rispetto

ai

>.

Questa definizione si può interpretare in vari modi (13):

a) Fissati due punti qualsiasi della retta questa non vi si può

adagiare in più modi differenti:

cioè la retta è

perfetta­

mente individuata da due suoi punti. Si potrebbe osservare che allora diventa superfiuo l'assioma 9° spazio alcuno >. Ma sembra molto

due rette non comprendono poco probabile che Euclide

«:

abbia inteso dir questo.

b) Preso un segmento qualsiasi di retta vi sono in tutta l'estensione di questa, segmenti uguali a quello; ma questa pro­ prietà è comune al cerchio ed all'elica cilindrica. Questa pro­ prietà dell'elica è stata rilevata da Apollonio (III sec. a.C.) l'autore del trattato sulle sezioni coniche.

c) La retta è divisa in due parti uguali da ogni suo punto. è comune anche all'elica cilindrica, come osser­

Questa proprietà

vava Apollonio. Omettiamo per brevità altre interpretazioni.

5.

-

c:

Superficie è

ciò

che ha soltanto lunghezza e larghezza

».

Questa definizione richiama il passo di Parmenide sulla super­ ficie senza spessore e fa riscontro alla 2.

6.

-

«:

Estremi di una superficie sono linee

».

Si possono svolgere a questo proposito osservazioni analoghe a quelle esposte per iI termine n. 3. 7.

-

«Superficie piana è quella che giace ugualmente rispetto alle sue rette

>.

Ritroviamo qui le (10) (11) (12) (13)

stesse

oscurità ed

Waismann. pago 111. Aristotele. 6. VI, 6. 1436, 11. Aristotele. 9. I, 4. 409a 4. Amaldi, specialmente pagg. 42-44.

70

ambiguità incontrate

nella 4., e si potrebbero tentare interpretazioni analoghe a quelle date per la definizione di retta (14). Sorvoliamo per motivi di brevità sui termini 8-21, fatta ecce­ zione per la 14.

-

c:

Figura

è cib che è compreso da uno o pitl termini

>.

Qui si manifesta la ripugnanza di Euclide (15) nei riguardi dell'infinito

matematico

attuale, ripugnanza, che

abbiamo

già

riscontrato in Parmenide e in Aristotele. E giungiamo alla 22.

-

-« Tra le figure quadrilatere

latera e rettangola: non equilatera

è il quadrato quella che è equi­ rettangolo quella che è rettangola ma

>.

Ora osserviamo

che ammettere

l'esistenza di un

quadrila­

tero con quattro angoli retti equivale ad ammettere la validità del

V postulato di Euclide.

23. - «Parallele sono le rette di un piano che, prolungate da tutte e due le parti, in nessuna di esse s'incontrano La definizione di parallele come

«:

>.

rette equidistanti ::. rientra nel

quadro dei vani tentativi diretti all'eliminazione del

VO postulato di Euclide. Tale definizione risale a Posidonio, filosofo stoico, capo­ scuola a Rodi dopo il

104 a.C., autore della

antica sulle maree, e a Gemino

pitl

perfetta teoria

(I" secolo a.C.) filosofo della mate­

matica che si occupb dei principi che stanno alla base degli Ele­ menti di Euclide. Detta definizione rende superfluo il postulato Va di Euclide ma nasconde a sua volta un altro postulato equivalente al

Vo: il

luogo geometrico dei punti situati da una banda rispetto ad una retta, ed aventi da questa una distanza assegnata

è ancora una

retta. «La fallacia della definizione complessa::. venne chiaramente messa in evidenza dal Saccheri (1667-1733). Agli

OQOL seguono i postulati (ULnlIlU-rU) e gli assiomi o nozioni €'V'VOLECF

Ma dunque

ACD > BAE,

cioè

AcD > MC .

Analogamente, prolungato fino ad un punto e diviso per metà.

BCG Dalla c:

BC,

(uguale ad

ACD)

è maggiore di

16" si deduce facilmente la

ARC

c.v.d.

17".

In ogni triangolo due angoli, comunque presi, sono minori

di due retti >. Infatti: Sia dato (v. fig. lato

G il segmento AC,

si dimostra che

BC in D.

2) il triangolo ABC. Prolunghiamo il

Avremo per la prop. precedente

AcD > BAC Aggiungendo ad ambo i membri

di questa disuguaglianza l'angolo

ACB otteniamo 75

ACn + AéÌJ

>

BAc + AéÈ

Cioè

BAC + AcB




cioè

GHD + BaH

< 2 retti

Dunque per il V postulato le due rette incontrare dalla parte di rette

AB

e

CD

E' ormai

B

e

D.

AB, CD

si dovranno

Ma ciò è assurdo perchè le due

sono per ipotesi parallele.

facile completare la dimostrazione dell'enunciato.

30. - Proprietà transitiva del parallelismo: «Le parallele ad una stessa retta sono parellele fra loro

».

Si dimostra considerando gli angoli alterni interni uguali e applicando le prop. 29" e 27". Osserva Proclo che da questa proposizione si ricava imme­ diatamente

l'unicità

della

parallela ad

una

retta

data per

un

punto assegnato. Viceversa ammessa tale unicità è facile dimo­ strare per assurdo la prop. 29" che contiene una proposiziopr equivalente al V postulato di Euclide

(la sua

contronominale:

v. § 5 del presente cap.). Risulta

cos1

dimostrata

l'equivalenza

del

V

postulato

di

Euclide e dell'unicità della parallela ad una retta data per un punto assegnato.

31. - «Per un punto dato condurre una linea retta parallela ad una retta data La

».

costruzione

si

basa

sugli

angoli

alterni

interni

uguali.

32. - Somma degIi angoli interni di un triangolo. «Prolungato un lato di qualsiasi triangolo, l'angolo esterno è

uguale ai due interni opposti, ed i tre angoli interni

triangolo sono uguali a due retti

di un

».

ABC (v. fig. 5) prolunghiamo BC flno al D e conduciamo per C la parallela CE alla retta AB. Poniamo:

Dato un triangolo punto

CAB=a, ABC=�, BCA=y, ACD=B, ACE=E, ECD=t A

,

-

8 Fig. 5

78

,

,

,

,

,

,

-- - ----.-.

-

--- - -------

O

Avremo:

a=E �=t a+�=E+t=a a=a+�. a+�+ y =a+ y = 2 retti (1 +�+ y = 2 retti c.v.d.

Eudemo, citato da ProcIo, attribuisce la scoperta di questo teorema ai Pitagorici. Per lunghi secoli si sono susseguiti vani tentativi per dimo­ strare questo teorema senza introdurre un nuovo postulato. Per merito di Saccheri e Legendre, come vedremo meglio in seguito (v. cap. XV, § 2 e 3 del presente volume) si giunse a stabilire che, se in un solo triangolo la somma degli angoli è uguale a due retti, altrettanto accade per qualunque triangolo, e allora è accer­ tata la validità del V postulato. In

sostanza

ammettere

l'esistenza

di

un

solo

triangolo

in

cui la somma degli angoli è uguale a due retti è un postulato equivalente al V di Euclide. Ma su questo argomento ritorneremo a suo tempo.

§

5.

-

Applicazione delle leggi delle inverse negli Elementi.

Un altro motivo per il quale Euclide ha formulato la propo­ sizione 17', per quanto questa non trovi applicazione negli Ele­ menti, secondo il Frajese (23) dipende dall'aspirazione del nostro Geometra (aspirazione riscontrabile anche in altri casi) a comple­ tare il quadrilatero delle proposizioni diretta, inversa, contraria,

contronominale. Per spiegare il significato di questi termini, indichiamo con H (ipotesi) e T (tesi) due proposizioni, con

iI

e

T

le loro rispet­

tive negazioni;

mentre per indicare che da H si deduce T scri­

l-f ----T T

(seguiamo il simbolismo dell'Hilbert). Possiamo

viamo

costruire le seguenti quattro proposizioni composte: diretta

inversa

H----TT

T----TH

contraria

contronominale

H----TT

T----TH

(23) Frajese, 6. Interessanti notizie sulla la legge delle inverse (talora espressa

79

Esprimiamo la proposIZIOne 17" sotto la forma: tagliate da una terza formano un triangolo, angoli interni è

minore di due retti

Se due rette

la somma di due

(da una banda della tra­

sversale). Si vede allora facilmente che se prendiamo come proposizione

diretta la 17, avremo:

come proposizione inversa il postulato V come proposizione contraria la 29

(II teor. delle parall.).

come proposizione contronominale

la

28

(I teor. delle paraU.)

per quanto concerne gli angoli coniugati interni. Notiamo a questo proposito che se è vera la proposizione diretta, non sempre è vera l'inversa, la quale per essere stabilita richiede una dimostrazione apposita od un nuovo postulato. Invece se

è

vera la proposizione diretta è

delle

vera sempre

la

questa legge logica prende il nome di 1" legge

contronominale;

inverse. La si dimostra nel modo seguente. Sia valida per

ipotesi la diretta

H--+T

dovrà valere H o la

II;

inoltre sempre per ipotesi valga la T;

se valesse la H per ipotesi varrebbe anche

la T, ma ciò è assurdo perchè per ipotesi vale la T; si conclude

'r

--+

che

la

che deve valere la H, cioè Osserviamo

inoltre

ii

c.v.d. la

contraria è

contronominale

dell'inversa, quindi se è valida la prima, lo è anche la seconda. Quindi se sono valide la diretta e l'inversa sono valide tutte le proposizioni del quadrilatero. Euclide segue in sostanza lo schema di ragionamento seguito nella dimostrazione generale della prima legge delle inverse, quando dimostra, a partire dal postulato V la proposiZione 29", mentre

per

dimostrare

la

28",

preferisce

ricondursi

alla

27".

La legge di cui sopra, richiama alla mente la II" legge delle inverse:

se su di un determinato soggetto sono state fatte tutte

le ipotesi possibili Hl' H2, ... dalle quali rispettivamente si sono otte­ nute tesi Tlr T2 ... che si escludono a vicenda, sono validi anche i teoremi inversi di quelli dimostrati. Cioè sotto le condizioni consi­ derate, se per ipotesi sono validi i teoremi. si avrà anche

H 1 --+ T 1

H2 --+ T 2'







T 1 --+ H 1 T2 --+ H2 , Infatti, sia valida, per ipotesi, ad esempio •





T,',

dovrà aversi

o Hl o Hz ... perchè si sono fatte tutte le ipotesi possibili. Ma se si avesse Hk

con k:;6i,

dovrebbe per ipotesi valere Tk, ciò che

con riferimento alle classi invece che alle proposizioni) si trovano in Peano. 3. ed. 1903, pagg. 18 e 317. Il Peano non ha trovato tale legge in Aristotele ma in D iog en e Laerzio (VII. 80) che l'attribuisce a Zenone lo stoico. Più chiaramente si trova negli Scolastici, p. es. Alberto Magno. t. 1. p. 249.

80

è assurdo perchè Ti è incompatibile con Tk; dovrà dunque valere

Hi cioè Ti --+ Hi c.v.d. Questo schema di ragionamento viene seguito da Euclide per ricavare dalle prop. 4" e 24" la proposizione 25". (La prop. 4" è il primo criterio di uguaglianza dei triangoli, la 24 dice: «Se due triangoli hanno due lati uguali rispettivamente a due lati, ma gli angoli compresi dalle rette uguali uno maggiore dell'altro, avranno anche la base maggiore della base». La prop. 25 dice: «Se due triangoli hanno due lati rispettivamente uguali a due lati, ed hanno la base maggiore della base, avranno anche un angolo maggiore di un angolo, quelli compresi dalle rette uguali»). Concludiamo che non troviamo negli Elementi gli enunciati e le dimostrazioni delle leggi delle inverse (Euclide non inten­ deva scrivere un trattato di logica), ma di queste leggi troviamo applicazioni negli Elementi stessi. Sui procedimenti logici applicati da Euclide, scrive Procio (24): «

. .. Si ammirano specialmente i suoi Elementi di Geometria per

l'ordine che vi regna, per la scelta dei teoremi e problemi assunti come fondamentali, giacchè egli non ha inseriti tutti quelli che era in grado di dare, ma bensl quelli soltanto che sono capaci di fungere da elementi, e anche per la varietà dei ragionamenti i quali sono condotti in tutti i

modi possibili

e

convincono

ora

partendo dalle cause, ora risalendo dai fatti, ma sono sempre inconfutabili esatti e dotati del carattere più scientifico. Si aggiunga che egli adopera tutti i procedimenti della dialettica: il metodo di divisione per determinare le specie, quello di definizione per i ragionamenti essenziali, l'apodittico nel procedere dai principi alle cose ignote, l'analitico nel procedere inversamente dall'ignoto ai principi. Lo

stesso

trattato ci

presenta anche

esattamente

distinte le varie sorti di proposizioni reciproche, ora più semplici ed ora più complicate, potendo le reciprocità aver luogo o fra il tutto ed il tutto, o fra il tutto ed una parte, o fra questa e quello, o infine fra una parte e una parte. Che diremo poi dei metodi di ricerca, dell'economia e dell'ordine da quello che precede a ciò che segue, della forza con cui è assodato ogni punto?». Secondo A.

Guzzo, Euclide si è reso conto dell'arbitrarietà,

almeno entro certi limiti,

dei

principi fondamentali

posti

dal

geometra alla base della sua costruzione razionale (25).

§

6.

-

L'angolo di contingenza in Euclide e i prodromi delle geo­ metrie non-archimedee.

La definizione euclidea di angolo,

1'8" del libro I, pur non

soddisfacendo alle esigenze della logica aristotelica nè a quelle (24) TI passo trovasi nella traduzione riportata in Loria, 2, pago 189. (25) Considerazioni filosofiche sulla struttura logica degli Elementi di Euclide sono state svolte dal Guzzo, 2, pagg. 15-60.

81 6

moderne, ha il pregio di comprendere gli angoli curvilinei, esclu­ dendo perb gli angoli piatti: «Angolo piano è l'inclinazione reci­ proca di due linee che in un piano hanno un estremo comune, ma non sono per diritto >. Nella definizione successiva si definisce l'angolo rettilineo: «Quando le linee che comprendono l'angolo sono rette, l'angolo si dice rettilineo >. Di regola Euclide si limita a considerare angoli rettilinei, ma una volta nel libro III prop. 16", egli ottiene un interessante risul­ tato relativo all'angolo formato da una circonferenza e dalla sua tangente, che fu poi detto angolo di contingenza da Giordano Ne­ morario nel 1220. Nella proposizione euclidea in questione si dimostra innanzi­ tutto che «Se si innalza una retta perpendicolare in un estremo del diametro di un cerchio, essa cade fuori del cerchio >.

8

E Fig.

6

Consideriamo infatti (v. fig. 6) un cerchio ABC del diametro AB e centro D, e la perpendicolare in A alla retta AB. Ragionando per assurdo supponiamo che detta perpendicolare cada dentro il cerchio in questione, incontrando la circonferenza in un punto C. Otteniamo cosi un triangolo DAC, isoscele perchè DA DC, =

quindi DAC

=

DCA;

ma DAc è per ipotesi retto, quindi dovrà essere

retto anche D CA ; pertanto il triangolo DAC avrebbe due angoli

retti, cib che è assurdo. Si conclude che la perpendicolare consi­ derata cade fuori del cerchio. Successivamente, sempre nella proposizione 16" del libro III Euclide dimostra che

c:

fra la retta [perpendicolare al diametro

in un suo estremo] e la circonferenza non è interposta alcuna altra retta >. Ragionando di nuovo per assurdo, supponiamo che esista una

82

retta AF interposta fra la perpendicolare AE e la circonferenza considerata. Sia H il piede della perpendicolare abbassata da D sulla retta AF. Nel triangolo DHA l'angolo in H è retto per costru­ zione, quindi dovrà essere acuto l'angolo in A. Ne consegue che

AD > DH. Ma indicando con G il punto comune a DH e alla circon­ DG, quindi DG > DH, ma ciò è assurdo perchè DG è una parte di DH. Dunque nessuna retta per il punto ferenza, avremmo AD

=

di tangenza può essere interposta fra la circonferenza e la tangentf' considerata. Infine Euclide dimostra il risultato per noi pitl intere�saJlte, che � il seguente: «L'angolo compreso fra l'arco AGe e la relta

! tangente] AE è minore di qualsiasi angolo rettilineo'. «Infatti, dice Euclide «se vi fosse un angolo rettilineo ... minore dell'angolo compreso fra l'arco CGA e la retta AE, si potrebbe interporre, fra l'arco CGA e la retta AE, una retta che formasse... un angolo minore dell'angolo compreso fra l'arco CGA e la retta AE. Ma non si può interporre alcuna retta. Pertanto nessun angolo [rettilineo] acuto pub essere... minore dell'angolo compreso fra l'arco CGA e la retta AE,. Vediamo cosi profilarsi nel mondo matematico una specie di grandezze dotata di proprietà assai singolari: se angoli rettilinei curvilinei e mistilinei, compresi fra questi gli angoli di contin­ genza, si considerano come grandezze della stessa specie, per tali grandezze non vale il postulato di Archimede: date due grandezze diverse, esiste un multiplo della minore che supera la maggiore, e quindi ammessa la divisibilità di una grandezza) esiste un sotto­ multiplo

della

maggiore pitl

piccolo

della

minore.

Infatti

nel

nostro caso nessun sottomultiplo di un angolo rettilineo è minore dell'angolo di contingenza. Ma dalla sua teoria delle proporzioni, Euclide vuole bandire le grandezze per le quali non avrebbe potuto definire il rapporto, come accadrebbe nel caso di un angolo rettilineo e di un angolo di contingenza; quindi escluse esplicitamente dalle sue considerazioni quelle grandezze per le quali non vale il cosidetto postulato .

Archimede dunque, come osservb il Bortolotti (28), ammette che il suo lemma non esprime una verità necessaria, ma piuttosto, come per Euclide, una condizione da imporsi alle grandezze che costituiscono il campo di validità delle sue teorie;

quindi non

esclude la possibilità dell'esistenza di grandezze per le quali detto lemma non fosse soddisfatto. Archimede accenna cosi impli­ citamente, alla possibilità logica delle grandezze non-archimedee. Sull'angolo

di

contingenza

che

pur

essendo

suscettibile

di

aumenti, diminuzioni, divisioni in parti, tuttavia è sempre minore di un angolo rettilineo, si accesero sottili discussioni (29) di cui forse già si occupb Democrito; e ProcIo nel suo commento alla

8" esita a parlare dell'angolo di contingenza come di un

def.

vero angolo. Attraverso l'Antichità il Medioevo e l'era moderna si prolun­ garono le discussioni sulla natura degli angoli di contingenza: è lecito considerarli come grandezze non-nulle? E' logicamente possi­ bile l'infinitesimo matematico attuale? Vedremo in seguito come attraverso queste considerazioni si giunga

alla

geometria

non-archimedea

(v.

cap.

XVII,

§

3 del

presente VOlume).

§

7.

-

La teoria delle proporzioni.

Le esigenze sorte dalla scoperta delle grandezze incommen­ surabili, avvenuta in seno alla Scuola Pitagorica, come abbiamo (28) Bortolotti, 17. (29) Enriques, 3, lib. I-IV, pagg. 216-220.

veduto, richiesero la costruzione di una nuova teoria delle pro­ porzioni valida anche nel caso in cui si trattasse di grandezze

(30).

incommensurabili

La sistemazione rigorosa di tale teoria che trova posto nel V libro degli Elementi di Euclide, viene attribuita da un anonimo

commentatore di detto libro ad Eudosso da Cnido matematico, astronomo e filosofo contemporaneo ed amico di Platone

(ma

forse un poco suo rivale). L'attribuzione acquista verosimiglianza. per la testimonianza di Archimede dalla quale risulta che doh­ biamo ad Eudosso le dimostrazioni rigorose relative al rapporto fra piramidi e prismi, coni e cilindri, aventi uguali basi ed uguali altezze

(31).

Nella trattazione euclidea della teoria delle proporzioni, la quale

è mirabile per raffinatezza logica, troviamo tuttavia una 3" del lib. V, la quale non sod­

prima definizione di rapporto, la disfa le note esigenze: omogenee Questa

«Rapporto

(ì..6yoç)

di due grandezze

è un certo modo di comportarsi secondo la quantità».

spiegazione ci

dice solo

che il rapporto verrà

definito

soltanto per grandezze omogenee, e si riferisce alla quantità. Della definizione '". che restrinJ;!e alle sole grandezze archi­ medee il campo delle grandezze di cui si studiano i rapporti, abbiamo parlato nel paragrafo precedente. La definizione

5" su cui si basa effettivamente la teoria euclidea

delle proporzioni è la seguente: «Due grandezze A, B si dicono altre due

stare nello stesso rapporto di C, D quando per qualunque coppia di numeri m, n per

la quale si abbia

mA

� nB

si abbia pure rispettivamente: >

mC< nD» Osserviamo che, mentre Euclide non ci fornisce una defini­ zione di

rapporto

secondo le

regole

aristoteliche

(per

genus

proximum et differentiam specificam) dato che non può conside­

3" del libro V, ci dà invece del concetto deflnizione di un nuovo tipo, chiamata dai logici astrazione (32). definizione 5" il concetto di «rapporto» si definisce

rarsi una vera definizione la indicato una moderni per Nella

dicendo che cosa s'intende per

c:

rapporti uguali». Moderni ftlo-

(30) Vailati, 2, pagg. 143 e segg.; sullo stesso argomento con particolare rife­ rimento alla struttura del V libro degli Elementi, v. Frajese, 4, pagg. 115-137; Frajese, 7. (31) Enriques, 8, pago 24. (32) Enriques e De Santillana, l, pago 369-370. Per altre interessanti notizie ;ru.lle definizioni per astrazione V. Enriques, 2, pagg. 144-151.

85

sofl della scienza, come Grassmann, Helmholtz, Mach, Maxwell, Vailati, hanno rilevato l'importanza delle definizioni di questo tipo in flsica e c:

in

economia, quando

temperatura> o il

c:

valore

per es.

si voglia

definire

la

ecc.

>,

Ma secondo le esigenze analizzate dai logici moderni affinchè una certa relazione possa ritenersi un'eguaglianza (rispetto alla quale verrà deflnito il concetto astratto) occorre che questa rela­ zione soddisfl a

=

b, b

=

alle

proprietà riflessiva

a) e transitiva (se a

=

b e b

=

(a

=

a), simmetrica

c, allora a

=

(se

c). Ora, nel

caso dell'uguaglianza dei rapporti, le prime due proprietà risul­ tano immediatamente, mentre la terza viene dimostrata da Euclide, il quale mostra cosi di riconoscere le esigenze sopra indicate della logica moderna. E' istruttivo indagare quali motivi hanno ispirato ad Euclide l'elaborata deflnizione in esame (a prima vista poco naturale). Per

riconoscere

questi

motivi

giova

confrontare

la

deflni­

zione di uguaglianza di rapporti fra grandezze con la definizione di uguaglianza di rapporti fra numeri interi (proporzione), data dallo stesso Euclide (Lib. VII, def. 20):

c:

quattro numeri sono in

proporzione quando il primo ed il terzo di essi si ottengono rispetti­ vamente dal secondo e dal quarto moltiplicandoli per uno stesso numero intero, o dividendoli per uno stesso numero intero, facendo l'una cosa e l'altra

>.

o

Cioè:

a:b=c:d quando: n

a=-b

mentre

n

c=-d.

m

m

Si tratta di spiegare perchè Euclide non ha dato della pro­ porzione fra grandezze una definizione analoga a quest'ultima (che sembra più semplice e naturale). Ricordiamo in primo luogo che i Greci generalmente ritene­ vano di poter ragionare su di una grandezza soltanto quando sapevano costruirla. Ora non sempre si sapeva o si poteva divi­ dere in n parti uguali una grandezza (p. es. un angolo) con i mezzi offerti dagli pensi

ad

esempio

Elementi di

Euclide

(riga e compasso);

alla trisezione dell'angolo.

Pertanto

si

Euclide

dovrebbe cominciare a sostituire la relazione in cui comparirebbe la divisione delle grandezze in parti uguali con quella zialmente

equivalente) in

cui comparissero

grandezze per numeri interi. Si otterrebbe:

A:B=C:D quando

mA = nB

mentre

86

mC = nD

(sostan­

moltiplicazioni di

Ma vi

è un'altra difflcoltà pitl grave da superare: non sempre

valgono per le grandezze relazioni del tipo di quelle due ultime uguaglianze

in

quanto

esistono

grandezze

incommensurabili.

Se prescindiamo dall'altra condizione che Euclide si era im­ posta (quella riguardante la divisibilità delle grandezze in parti uguali)

la

definizione

in esame

equivale

moderno, che quattro grandezze A B quando per ogni numero razionale

CD

a dire, in linguaggio sono

in

proporzione

x:

se A > xB

anche

C > xD

se A=xB

anche

C=xD

se A < xB

anche

C < xD

Prescindendo dal caso in cui vale l'uguaglianza (che

è quello

delle grandezze commensurabili) i numeri razionali x per i quali A>

una

xB e i numeri razionali r per i quali A < x' B, determinano sezione dell'insieme dei numeri razionali, la quale definisce

(per astrazione) il rapporto concezione

di Dedekind

�,

un numero irrazionale secondo la

(33).

La teoria euclidea dei rapporti fra grandezze trova applica­ zione,oltre che nella teoria della similitudine, anche nel metodo di esaustione escogitato dai matematici dell'antichità classica per

rendere rigorosi i procedimenti infinitesimali. (33) Sulla teoria dei numeri reali. da un punto di vista storico-critico, v. En­ 9. specialmente pagg. 338 e segg.

riques,

87

CAPITOLO VI

I METODI INFINITESIMALI NELL'ANTICHITA': ARCHIMEDE

§

l.

-

Aspetti dell'infinito nel pensiero degli Antichi.

Proponendoci ora di esaminare l'espressione più perfetta e più alta del pensiero infinitesimale dei matematici antichi, quale si presenta negli scritti di Archimede, cogliamo l'occasione per dare un rapido sguardo ai molteplici aspetti sotto i quali si deli­ neano i problemi dell'infinito nel mondo antico.

(1) «gli antichi crede­ è limitato e finito, imperfetto

Secondo un'opinione abbastanza diffusa vano che perfetto fosse ciò che

invece l'illimitato e !'infinito », mentre dal pensiero dell'infinito, in particolare dell'infinito matematico attuale, abitualmente rifug­ givano le menti dei Greci. Abbiamo già incontrato dei passi di autori antichi che con­ fermano questo modo di vedere

(2) basta pensare ad esempio

ad un noto frammento di Parmenide sul mondo limitato, considerazioni

di

Aristotele

alla definizione euclidea

sull'infinito

alle

matematico attuale,

ed

(Ha del lib. I) di figura (concepita essen­

zialmente come limitata). Tuttavia non dobbiamo credere che il pensiero greco si limiti ad un atteggiamento negativo nei riguardi dell'infinito. Secondo le interessanti ricerche compiute da R. Mondolfo nella sua opera

L'infinito nel pensiero dei Greci, troviamo una grande ricchezza di atteggiamenti diversi nelle menti dei pensatori greci nei riguardi dei problemi dell'infinito, che vengono considerati sotto molteplici aspetti. Il sentimento

dell'infinito già

poesia greca in Dmero tartareo,

distese

dell'oceano),

stellari) l'immane

s'incontra

alle origini

della

(3) «L'infinità degli spazi (etere, abisso

grandezza

l'immensità delle

forze

del numero naturali

(miriaQ>Q'> A quindi

B-A> Q-Q'=a cioè

B-A>a Quindi non si potrebbe in tal caso rendere B-A minore di una grandezza assegnata piccola ad arbitrio, contro l'ipotesi. Dunque non pub essere Q>Q' •

Analogamente si prova che non pub essere Q.

2 I geniali metodi euristici archimedei, nell'Antichità, per quanto ci è noto, non trovarono continuatori. Nell'indifferenza con cui la scuola di Alessandria accolse tali metodi come pure altre sco­ perte di Archimede,

Enriques e

Santillana

riconoscono,

come

abbiamo già notato, un sintomo di decadenza scientifica. narra

nell'intro­

duzione al Trattato delle spirali lo stesso Archimede

A

questo

proposito è

significativo

(21). Egli

(21) RUfini, 2, pagg. 80-83.

98

quanto

aveva inviata una lista di problemi e di teoremi al suo amico Canone, maestro in Alessandria. Ma Canone morI prima di poter rispondere, e gli altri matematici di Alessandria non si curarono delle questioni poste dallo scienziato siracusano, il quale scrisse: «Sono passati molti anni dopo la morte di Canone, ma io non ho saputo che qualcuno si sia occupato anche di uno solo di quei problemi

>.

Tanto che nessuno degli scienziati d'Alessandria si

accorse che due dei teoremi inviati da Archimede a Canone erano sbagliati, finchè Archimede stesso corresse il suo errore.

§

5.

-

L'infinito numerico nell' « Arenario ».

In un ode di Orazio, dedicata ad Archita di Taranto leggiamo «Te maris et terrae numeroque carentis arenae mensorem cohibent Archyta, pulveris exigui prope litus parva Matinum munera, nec quicquam tibi prodest aerias temptasse domos animoque rotundum percurisse polum morituro

>.

(Horatii,

Carmina I, 28).

In questi versi riscontriamo i due motivi: del calcolo del numero dei granuli d'arena, e della misura delle distanze degli astri (22). Tali motivi sono stati sviluppati scientificamente nell'opera o Arenario di Archimede (23), che nella dedica del

'l'1lJ.tJ.tLTrJç

suo trattato a Gelone, figlio del re di Siracusa, cosI si esprime: «:

Ci sono alcuni,

i quali pensano che il numero di grani di arena

sia infinito, e dico non solo di quelli che stanno intorno a Sira­ cusa e al resto della Sicilia, ma in qualsiasi luogo colto o incolto. Altri poi pensano che tal numero non sia infinito, ma che se ne possa assegnare uno maggiore

>.

A questo proposito Archimede mostra che è possibile espri­ mere, con un numero finito, quanti sono i granuli di arena che riempirebbero l'Universo compreso nella sfera delle stelle fisse. attribuendo all'Universo stesso le dimensioni alle quali si giunge partendo dalla teoria eliocentrica di Aristarco di Samo, che fu detto il Copernico dell'Antichità. Archimede cita un'affermazione di Aristarco secondo la quale la

lunghezza

dell'orbita

della

terra

intorno

al

Sole

sta

alla

distanza delle stelle fisse, come il centro di una sfera qualsiasi sta a tutta la superficie della sfera. (22) Sugli v.

indizi

relativi

al

contributo

di

Archita

a gli

argomenti indicati,

Mondolfo, pagg. 159 162. -

(23) Mondolfo, pagg. 162-166; Geymonat, 2, pagg. 41-42. Sul sistema elio­ centrico di Aristarco di Samo, v. Archimede, 2 (commento di P. Ver Eecke),

pagg. 354-355; Enriques e De Santillana, l, pagg. 299-303.

99

Questa concezione che condurrebbe a portare le stelle fisse a distanza infinita, viene criticata da Archimede secondo il quale non è lecito considerare il rapporto fra un unico punto inesteso ed una superficie costituita d'infiniti punti. Archimede interpreta poi l'affermazione di Aristarco nel modo seguente:

il rapporto fra la Terra, considerata come centro del

mondo, ed il mondo inteso come una sfera avente come raggio la distanza dalla Terra al Sole, è uguale al rapporto fra detto mondo e la sfera delle stelle fisse. Su questa base, e introducendo alcune ipotesi sulle distanze degli astri, Archimede calcola il numero dei granuli d'arena che sarebbero contenuti nella sfera delle stelle fisse, mostrando che tale numero è esprimibile mediante un sistema di numerazione ideato dallo stesso matematico, sistema che consente di espri­ mere numeri comunque grandi, servendosi, in sostanza, di potenze dellO. Possiamo concludere con il

Mondolfo

che la critica sopra

indicata mossa da Archimede «vale a mettere in maggiore evi­ denza il carattere di infinità conferito da Aristarco al raggio della sfera universale. E, del resto, ciò che determina l'atteggiamento critico di Archimede è il suo intento di mostrare che il calcolo matematico, nel suo cammino senza limiti, arriva a superare infi­ nitamente

qualsiasi realtà.

Quindi egli deve escludere l'ipotesi

di una realtà infinita, accolta da Aristarco, e riservare il dominio dell'infinito al pensiero e al calcolo matematico

100

>.

CAPITOLO VII INTRODUZIONE ALLA GEOMETRIA SUPERIORE: APOLLONIO, EPIGONI

§ l. - Le coniche come sezioni di un cono rotondo con un pzano perpendicolare ad una generatrice (l). Abbiamo visto che Menecmo, discepolo di Eudosso si è servito delle sezioni coniche (in particolare di due parabole) per risol­ vere il problema di Delo. A Menecmo si attribuisce l'introduzione di queste curve nel mondo matematico greco. Pappo ci

dà notizia di

trattati sulle

coniche di

Euclide,

Aristeo, Archimede. Questi autori, precedenti ad Apollonio, chiamavano un cono rispettivamente acuto retto od ottuso a seconda che fosse acuto, retto od ottuso l'angolo comune al cono e ad un piano passante per il relativo asse, e in ogni caso conducevano un piano secante perpendicolare

ad una

generatrice del

cono;

ottenevano cosi

come intersezioni della superficie conica e del piano le tre specie di coniche, chiamandole rispettivamente: sezione del cono acuto (poi detta ellisse), sezione del cono retto (poi detta parabola), sezione del cono ottuso

(poi detta iperbole).

è I

N

(l) v. su questo argomento Bortolotti, S, pagg. XIII-XVI. Notizie storiche su di una

teoria delle coniche anteriore

a

quella di Apollonio, ci vengono fornite da

Gemino in un passo conservato da Eutocio nel suo commento ad Apollonio Loria, 2, pago 154).

101

(v.

Da questa generazione spaziale delle coniche si ricavavano come ora verrà mostrato, proprietà di geometria piana, equiva­ lenti alle nostre equazioni cartesiane. Sia

BAC

(v. fig. 1) l'angolo sezione di un cono rotondo con

un piano per l'asse e si abbia

AB=AC.

Si potrà cosi condurre

un piano perpendicolare all'asse che incontra la superficie conica

B

secondo una circonferenza passante per i punti ciamo per un punto E del segmento

AB

e

C.

Condu­

un piano perpendicolare

alla retta AB. Questo piano incontrerà la secondo una linea passante per due punti

superficie del cono ed N della circon­

M

F.

ferenza considerata, e taglierà l'asse del cono in un punto

L

il punto in cui

lela a

BC

per

E

EF

incontra

incontra

BC

AC.

e sia

H

Sia

il punto in cui la paral­

I segmenti (come LM) normali all'asse della conica compresi fra l'asse e la curva, venivano detti ordinatamente applicati al­ l'asse, oppure ordinate della conica corrispondente all'ascissa. Dalla figura si ottiene immediatamente:

BAC è

Nel caso in cui l'angolo

LM2

=

BL . LC.

retto, avremo:

BL= (2. EL LC=EH= y-2 EF Quindi

Ora ponendo:

LM = Y

EF = p

I

I

EL =

x

si ottiene

y2 =2px (I) Questa relazione traduce la prop. 20 del lib. «Nella

parabola

i

quadrati

alle corrispondenti ascisse

>.

delle

ordinate

I di Apollonio:

sono

proporzionali

Per i coni a sezione acuta od ottusa

la ricerca dell'equazione si basQ sul seguente lemma: c:

Se da un punto

due rette

BLC, ELD,

L

qualsiasi del piano dell'angolo

BAC,

escono

parallele a due rette fisse, il rapporto

Le iii, EL . L D dei segmenti costante

>.

intercetti fra il punto

La dimostrazione

L ed i lati dell'angolo è è immediata se consideriamo la fig. 2 102

BAc

per

rapporti

MC

acuto e la fig. 3 per

BL EL

e

LC LD

ottuso, ed osserviamo che i

restano costanti.

Fig. 2

Ponendo ED

=-0

2a, ed indicando con p un segmento costante

che risulta determinato di conseguenza (e s'identifica con EF), avremo:

BL· LC EL. LD

P

---==----=,..- = -

Cioè, ricordando che

BL. LC

a

=

LM2

L� EL· LD Ponendo

LM =

y,

EL =

x, ED

nel caso dell'angolo acuto

LD

nel caso dell'angolo ottuso

LD

=

=

=

2a

si ottiene

E.. a 2a,

-

x

2a + x

Quindi l'equazione della sezione del cono acuto sarà

w

'Il (2a

p

-

)=a

w

cioè y2

=

E.. x (2a a 103

-

)

x

(II);

Mentre l'equazione della sezione del cono ottuso sarà:

(III). Le equazioni (II) e (III) sono le traduzioni analitiche della XXI proposizione del libro I del trattato delle coniche di Apollonio.

B Fig. 3

Ponendo

p -

=

m, le equazioni (I), (II), (III) del presente para­

a grafo si possono riassumere con l'unica equazione

y2

=

2px

+ mx2.

dove m

=

o vale per la sezione del cono retto

m < o vale per la sezione del cono acuto m > o vale per la sezione del cono ottuso

(2)

Se interpretiamo y2 come un'area nota e x come misura di un segmento da determinare le (I), (II), (III) risultano eq uazioni

di

2° grado che sono state risolte sotto forma geometrica negli Ele­ menti di Euclide (II e VI libro) nei problemi detti di applicazione d'area. (2) V. anche Frajese, 4. pago 156 e oiegg.

104

§

2



Le coniche



di Apollonio (3).

Dalle considerazioni del paragrafo precedente hanno origine i tre nomi di parabola ellisse ed iperbole Ionio

introdotti

da

Apol­

(III sec. a.C.) in sostituzione dei vecchi nomi: sezioni del

rono retto, acuto, ottuso (ancora usati da Archimede). Infatti nel caso dell'equazione y2 semplice: da

:n:aQa�aÀÀ6J.lE'Vo'V:

y2 è minore del rettangolo, 2px: Nel caso dell'equazione

EÀÀEL'IjJLç

da cui

2px:

2px si ha un'« applicazione:.

=

:n:a:n:a�oÀ�.

2px - mx2, il quadrato di area y2

ÈMEL:n:O'V yL'VE"CaL:

diviene mancante,

ellisse.

Nel caso dell'equazione tangolo

=

applicato, si ottiene

u:n:EQ�dMEL

y2

=

2px + mx2, y2 è maggiore del ret­

supera, da cui

U:n:EQ�OÀ�,

iperbole (4).

Si deve ad Apollonio la considerazione delle coniche ottenute mediante sezione con un

piano

qualsiasi di

un cono ottenuto

proiettando un cerchio da un punto qualunque.

Coniche di Apollonio, uno dei capolavori del­ 8 libri di cui 7 ci sono pervenuti, 4 nel testo greco, e 3 nella traduzione araba. Il trattato delle

l'era alessandrina constava di

Il trattato delle Coniche ritrovato per merito degli umanistl italiani del Rinascimento, e successivamente tradotto in latino, esercitb notevole influenza su Descartes che annoverava Apollonio tra i matematici antichi zione

per i quali

provava maggiore ammira­

(5). Cib si spiega facilmente, in quanto l'opera di Apollonio

fornendoci relazioni geometriche immediatamente traducibili in termini analitici preannuncia la geometria analitica di Descartes. Oltre le equazioni di coniche sopra riportate, espresse in so­ stanza nelle proposizione

XX e XXI del l° libro, Apollonio ci for­

nisce sotto forma geometrica l'equazione dell'iperbole riferita ai suoi asintoti nella proposizione

XII del II libro. Nel libro III tro­

viamo proprietà dei poli, delle polari e dei fuochi. A questo pro­ posito

Apollonio esprime proprietà delle tangenti atte a carat­

terizzare le curve come inviluppo di tangenti.

Il IV libro è particolarmente dedicato alle posizione reciproche V libro si studiano le normali

ed alle intersezioni delle coniche. Nel

ad una conica uscenti da un punto e si giunge, in sostanza, all'equa­ zione dell'evoluta, ivi si dà una nuova soluzione del prOblema di Delo e si risolvono problemi di massimi e minimi. Il libro

VI è

dedicato alla congruenza ed alla similitudine delle coniche. Nel (3) L'edizione critica delle opere di Apollonio è quella a cura di 1. L. Heiberg, v. Apollonio. 1. Una traduzione in francese con commento ed indicazioni biblio­

è dovuta a P. Ver Eecke: v. Apollonio. 2. Sull'opera di Apollonio v. Bor­ 5. pagg. XVIII-XX; Enriques e De Santillana. l, pagg. 362-363, 377-381. (4) Cfr. Pappo, 2, t. Il. pagg. 503-504. (5) Baillet, t. II. pagg. 481-482. Il passo in questione viene riportato in Descartes, t. X. paio 481.

grafiche tolotti,

105

libro

VII troviamo tra l'altro relazioni sui diametri coniugati delle

coniche. Nel trattato di Apollonio sulle coniche troviamo gran parte delle proprietà metriche oggi note su queste curve (naturalmente mancano, almeno in forma esplicita, le proprietà proiettive);

si

notano tuttavia alcune poche lacune inaspettate: il nostro geome­ tra non parla del fuoco della parabola e della direttrice di una conica. L'opera di Apollonio, l'interesse della quale si accrebbe, quando Keplero scopri che i pianeti descrivono orbite tuisce come osservano Enriques e Santillana, alla moderna geometria superiore

§

3.

-

ellittiche, costi­ un'introduzione

(6).

Ulteriori ricerche geometriche nell'era alessandrina (7).

La matematica classica, giunse al più perfetto grado di matu­ rità con le opere di Euclide, Archimede ed Apollonio. A questo punto dello sviluppo della matematica, ulteriori progressi note­ voli divennero sempre pib. difficili, senza un radicale rinnovamento d'idee quale si avrà nell'era moderna. c:

La

stessa

Santillana

(8)

c:

perfezione dei

modelli:. osservano

Enriques e

il carattere astratto della trattazione rigorosa che

nasconde il cammino del pensiero, diventano cause d'arresto e poi di decadenza:.. Non mancano tuttavia, in questo periodo, risultati interessanti. Tra questi ricordiamo l'introduzione di nuove curve, mediante le quali

è possibile risolvere i problemi classici dell'inserzione di

due medie geometriche tra due segmenti dati e della trisezione dell'angolo: la concoide di Nicomede che si applica ai due problemi e la cissoide di Diocleche si applica al primo di essi (9). Si ritiene che i due geometri ricordati siano vissuti fra il 250 e il 100 a.C. La concoide, costruibile mediante un semplice apparecchio meccanico attribuito allo stesso Nicomede, seondo la geometria analitica, è una curva di 4° ordine avente l'equazione:

mentre la cissoide, del terzo ordine, ha l'equazione 2_



1I-2r-:I: (6) (7) (8) (9)

Enriques e De Santillana. l, Enriques e De Santillana. l. Enriques e De Santillana. l, Pappo nel libro III della sua

pago 380 .. pagg. 382-384. pago 382. Collezione tratta della concoide di Nicomede

ed esamina il problema della duplicazione del cubo intuendo che non è risolubile con riga e compasso. Secondo P. Ver Eecke, il primo a dimostrare rigorosa-

106

Grandi incertezze sussistono sulla cronologia relativa a diversi matematici antichi. Incerto

è il periodo in cui visse Perseo che studib le spirlche,

sezioni di una superficie torica mediante un piano parallelo al­ l'asse di rotazione della circonferenza generante la superficie stessa, ma presumibilmente anche questo geometra appartiene al periodo alessandrino appartenga Zenodoro

(10). Si ritiene che a questo stesso periodo (11) cui dobbiamo la prima sistemazione

a noi nota della teoria degli isoperimetri di cui parleremo a pro­ posito di Pappa (III sec. d.C.) che lascib un'esposizione di detta teoria cercando di perfezionarla. Anche di Erone per il

quale

esiste una complessa questione eroniana, relativa al periodo in cui visse

(12) parleremo in seguito.

Si conviene che il periodo greco alessandrino, di cui ci siamo occupati nei capitoli V, VI, VII termini con la fondazione dell'im­ pero di Augusto, per dar luogo al periodo che P. Tannery dice greco-romano

(13).

mente che i problemi della duplicazione del cubo e della trisezione dell'angolo non sono risolubili con riga e compasso è stato Wantzel, pagg. 366-372. citato in Pappo. 2, pago XVII. Sulla concoide la cissoide e le loro applicazioni ai problemi classici.

V.

Conti. pagg. 343-349, 352-356. 388-390.

(lO) Per altre notizie su Perseo v. Loria. 2, pagg. 415-418. (11) Loria. 2, pagg. 418-420. (12) Secondo Cantor e Hultsch. Erone sarebbe vissuto nel I sec. a.C., secondo il Diels nel I e Il sec. d.C., secondo Tannery, Heiberg e Heath nel III sec. d.C.; V. Enriques e De Santillana. l. pago 386. nota. (13) V. Bortolotti, 20. pago 621.

107

CAPITOLO VIII LA MATEMATICA NEL MONDO ROMANO

§

l

.

.

Filosofia, scienza e diritto.

Muzio Scevola, pontefice massimo, maestro ed amico di Cice­ rone disse una volta: «Tre sono le specie di religione: quella del poeta, quella del filosofo, e quella dello statista. Le due prime sono o futiJi, o superflue, o magari dannose, e convien respingerle. Solo l'ultima va accettata» (1). La mentalità degli statisti di Roma antica che si rivela nel giu­ dizio citato, si estendeva anche alle scienze, di cui generalmente venivano apprezzate nel mondo romano soltanto le applicazioni pratiche, specialmente per quanto si riferiva al governo dei popoli. Come riconosce Virgilio (Eneide, VI, 847-53): «Excudent alii spirantia mollius aera Credo equidem;

vivos ducent de marmore voltus.

Orabunt causas melius coelique meatus Describent radio et surgentia sidera dicent; Tu regere imperio populos, Romane, memento : Hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, Parcere subiectis et debellare superbos». Molto vi sarebbe da dire sui diversi aspetti dello sviluppo della tecnica nel mondo romano, ma non possiamo fermarci sull'argo­ mento alquanto estraneo al nostro programma. Ci limitiamo a ricordare che nell' Architettura di Vitruvio (composta verso la fine del IO sec. a.C.) si trova un esplicito cenno relativo al punto di fuga della prospettiva scenografica, e quindi questo Autore

è uno

dei precursori della geometria descrittiva (2). Per motivi di brevità non ci tratteniamo sulle enciclopedie cii Varrone (116-27 a.C.), Celso (vissuto ai tempi di Augusto e di

Tiberio), Seneca (3 a.C.-65 d.C.), Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) di cui ricordiamo la bella morte incontrata affrontando l'eruzione (1) Enriques e De Santillana,

rOmana,

1, pago 549; su La scienza

'lW quadro della civiltà

v. pagg. 541-607.

(2) Su la tecnica nell'antica Roma e in particolare su Vitruvio, 20, pagg. 623-626.

tolotti,

108

V.

anche Bor­

del Vesuvio con il duplice scopo di portare soccorso alle popola­ zioni colpite e di osservare il grandioso fenomeno naturale. La filosofia nel mondo romano ha innanzi tutto un significato morale ed umano, come per es. in Cicerone

(106-43 a.C.) di cui si

nota l'ecclettismo. Molto notevole

è stata l'infiuenza di Cicerone sulla diffusione

della cultura, sia per quanto concerne la

filosofia propriamente

detta, sia nei riguardi della scienza. Abbiamo riferito a suo tempo i passi di Cicerone sul principio d'inerzia democriteo, e sul prin­ cipio del terzo escluso nelle dottrine epicurea e stoica. Inoltre Copernico dice di essere stato spinto alla costruzione della sua teoria da un riferimento di Cicerone alle idee del pitagorico Iceta sul moto della Terra

(3). Per motivi di brevità non ci tratteniamo De finibus bonorum et malorum

sulle interessanti discussioni nel sulle concezioni

meccaniciste

e teleologiche,

e sulle

notizie

di

carattere astronomico che si trovano nelle opere di Cicerone, per es. nel

Somnium Scipionis.

Cicerone contribui efficacemente alla formazione del linguag­ gio filosofico latino; non troviamo però documenti, nell'antichità classica, di un linguaggio matematico latino, fatta eccezione per quello degli agrimensori romani, l'opera dei quali riguarda pitt la tecnica che la scienza, e le tarde traduzioni di scritti matematici da parte di Apuleio e di Boezio. La filosofia di Epicuro venne espressa in forma poetica e con vigore speculativo da Lucrezio (97-55 a.C.) nel De rerum natura. Il poeta latino, ammira Epicuro come liberatore dell'anima dai terrori della superstizione e della morte, tuttavia non lo segue pedissequamente, ma mostra di aver meditato anche sugli scritti di Empedocle, sulla visione storica di Tucidide e sulla saggezza dello stoico Posidonio. Lucrezio mira a spiegare tutti i fenomeni naturali mediante la teoria atomistica di Epicuro (che rappresenta, come abbiamo notato, un notevole regresso rispetto alla conce­ zione di Democrito). Ma in Lucrezio vi greca:

è soltanto l'eco della scienza è

l'interesse per la spiegazione scientifica dei fenomeni

ormai svanito, come lo era già per Epicuro. L'ostentata indifferenza con la quale Lucrezio espone come ugualmente probabili spiega­ zioni razionali e spiegazioni fantastiche di fenomeni naturali (p. es. le eclissi), colpisce lo scienziato pitt degli errori. Ma Lucrezio aveva di mira non tanto le spiegazioni di detti fenomeni quanto un suo sereno e severo ideale di vita. Il poema

De rerum natura

conservò vivo nei secoli il ricordo della teoria atomistica, che risor­ gerà rinnovata nell'era moderna. Al poema di Lucrezio si associa per analogia e per contrasto il poema astronomico ed astrologico di Manilio

(4) che s'ispira

(3) Maddalena, pago 237. (4) Carruccio, 3. I du e passi di Manilio riportati sono del lib. IV dell'Astro­ nomica, V. 910 e V. 893-895.

109

alla filosofia stoica. Il poeta esprime la sua immensa fiducia· nella ragione umana

che «se quaerit in astris

Nel poema si nota

>.

l'infiuenza delle concezioni astrologiche di origine orientale re)a­ Uve alla corrispondenza fra microcosmo (l'uomo) e macrocosmo (l'Universo). Ed una profonda esigenza gnoseologica, che afftora sotto aspetti diversi nella storia del pensiero, si esprime nei versi del poeta astrologo che si domanda: «Quid mirum noscere mundum si possint homines, quibus est et mundus in ipsis exemplumque Dei quisque est in imagine parva?:.. Il genio latino si manifesta in modo particolare nella costru­

zione del diritto romano, che nelle opere sistematiche si presenta sotto forma di teorie razionali di notevole perfezione logica (5). Il pensiero stoico ha esercitato infiuenza sul diritto romano sia per il contenuto morale, sia per la struttura logica. Tra i ftlosofi stoici del mondo romano ricordiamo Seneca, Epitteto (50-93 d.C.), l'imperatore Marco Aurelio (121-180). Altre correnti di pensiero che hanno avuto origine nel periodo greco-romano ed hanno esercitato infiuenza sullo sviluppo della scienza, sono quelle dei Neo-Pitagorici e dei Neo-Platonici. I

Neo-Pitagorici richiamano in vita le antiche speculazioni

della Scuola Pitagorica sui numeri, e le relative concezioni mi­ stiche. gulo

Ricordiamo tra i

Neo-Pitagorici il

senatore

Nigidio

Fi­

(6). Dei matematici appartenenti a detta corrente parleremo

in seguito. La Scuola Neo-Pitagorica confiuisce nel Neo-Platonismo fondato da Ammonio Sacca discepolo PIotino

(7)

(175-240 d.C.) e sviluppato dal suo

(204-270) uno dei ftlosofi mistici più ricchi di

pensiero. Plotino prende le mosse dalla b�oria delle idee di Platone ma non si appaga della contemplazione di questo mondo d'idee fuori della sua mente, e vuole sollevarsi verso l'Uno assoluto in cui pensiero e pensato coincidono, raggiungibile dall'anima umana solo nell'estasi mistica. L'Uno di PIotino viene considerato anche come infinito. Ma tale infinito non si deve confondere con quello matematico. In queste concezioni si riscontrano intluenze religiose, ebraiche e cristiane. «Lo spirito della tarda età ellenistica:. osserva l'Enriques (8) «allontanandosi dall'atteggiamento classico, si mostra nelle nuove (5) Anche ai nostri giorni, del diritto è stata presa in considerazione la teoria formale,

con

riferimento

alla

logica,

la

metodologia

scientifica

linguaggio: v. p. es. Bobbio, 1. (6) Sul Neo-Pitagorismo, v. Enriques e De Santillana. 1 pago

(7) Sul Neo-Platonismo, v. Enriques (8) Enriques, 12, pago 130.

e

110

De Santillana,

e

l'analisi

551 e 622-623. l, pagg. 623-627.

del

espressioni dell'arte con il senso romantico dell'indefinito. Gli occhi che avevano mirato a ciò che

è chiaro e distinto - al concetto

dell'ordine e della misura - si levano ora fascinati dal mistero, verso l'inconoscibile

>.

La tradizione della scienza ellenistica, in particolare della mate­ matica, si conserva tuttavia nel mondo unificato da Roma

(9) du­

rante il periodo greco-romano che va dalla fondazione dell'impero d'Augusto alla rivoluzione politico-religiosa compiuta da Costantino In tale periOdO troviamo ancora risultati interessanti, che prelu­ dono a sviluppi della matematica moderna, quantunque non si trovino opere di valore comparabile con quello dei trattati di Eu­ clide, Archimede ed Apollonio. Per una decadenza del puro ideale estetico o per una più matura consapevolezza delle esigenze della vita pratica, la mate­ matica si orienta verso le applicazioni.

§

2

-

Le origini della trigonometria

Nel periodo greco-romano raggiunge la sua maturità l'astro­ nomia con l'opera di Tolomeo, che fece le sue osservazioni fra il 127 e il

151 d.C.

Ma già al tempo di Archimede, Aristarco di Samo, il Coper­ nico dell'Antichità, aveva formulato l'ipotesi eliocentrica per il sistema planetario, e Ipparco (II sec. a.C.) lo scopritore del feno· meno della precessione degli equinozi, per quanto ci risulta fu il primo ad intraprendere il calcolo delle corde degli archi circo­ lali. Notiamo che la corda

2x (che sottende un arco 2x) è una 1

funzione di detto arco, mentre sin del seno alla corda di

x

=

un arco verrà

-

2

corda

2x. La sostituzione

compiuta dagli

Indiani e

dagli Arabi. Sempre ai fini astronomici vennero studiate le figure sferiche da Teodosio di Tripoli oa sec. a.C.) e da Menelao, fiorito, sembra, verso la fine del l° sec. d.C. Analogie e divergenze fra geometria del piano e geometria della sfera sono state poste in evidenza appunto da

Menelao,

il quale dimostra che la somma degli angoli interni di un triangolo avente come lati archi di circoli massimi di una sfera

è maggiore

di due àngoli retti. Troviamo cosi nell'Antichità classica un'inter­ pretazione della geometria non-euclidea di Riemann

(11).

(9) Vacca, 13. (lO) Enriques e De Santillana, l, pagg. 388-389. Opere e frammenti di Autori interessanti

nei riguardi

delle origini

della

1 e 2; Menelao; Tolomeo. (ll) Guzzo, 1. 111

trigonometria:

Teodosio

da Tripoli,

/lafiTllul3tLxi] /lEYLO"'tTl Almagesto (12).

Tolomeo sistemò il suo sistema geocentrico nella

auv'ta�Lç. «la

chiomata

poi

da

astronomi

massima» da cui derivò

eH

posteriori

il termine arabo

Il calcolo delle corde venne proseguito da Tolomeo che con il suo teorema sul quadrangolo inscritto diede

con

il

linguaggio

delle

corde

un

in una teorema

circonferenza di

addizione

delle funzioni goniometriche (13). Dice infatti il teorema di Tolomeo:

«La somma dei rettan­

goli dei lati opposti di un quadrilatero inscritto in un cerchio,

è uguale al rettangolo delle diagonali

n

-

».

2d.

Fig. 1

Consideriamo (v. fig.

1) una circonferenza di raggio

quale prendiamo ordinatamente gli archi consecutivi .It

-

2a.

Costruito

il

quadrilatero avente

come

r sulla

2a, 2�,

.It

-

2�,

lati le corde che

sottendono detti archi, e le sue diagonali, avremo applicando

il

teorema di Tolomeo:

2r

.

corda

(2a + 2�)

=

corda

+ corda

Ponendo r

=

2a

. corda

(n:

-

2�)

+

(n: - 2a) . corda 2�

.

1, dividendo i due membri per 4, ricordando che

l - corda

2x

=

sin

x,

si ottiene:

2 sin (a+�)

=

sin

a

cos

� +

(12) Enriques e De Santillana, 1. pago 408. (13) Zappelloni.

112

cos

a sin �.

§

3

Erone ed una lJroprietà dei raggi luminosi

-

(14), che legò il suo nome alla nota for­

Erone d'Alessandria

mula sull'area del triangolo:

A= dove

l' p (p-a) (p-b) (p-c)

p è il semiperimetro abc sono i lati, e fu inventore d'inge­

gnose macchine, come la turbina a vapore, dedusse le leggi della riflessione della luce,

dall'ipotesi che il cammino percorso

dal

raggio luminoso, dall'occhio allo specchio e da questo all'oggetto, sia il minimo possibile. (Si noti che secondo Erone la luce viene emessa dall'occhio) Riportiamo Erone

(15).

la traduzione

dal greco

del

passo originale

di

sull'argomento.

«Poichè infatti è

comunemente

ammesso

da tutti, che la

natura nulla opera invano, nè si affatica invano, se non ammet­ tessimo che la rifiessione avviene con angoli uguali, la natura si affaticherebbe invano con gl'ineguali, ed il raggio visivo invece di arrivare

all'oggetto

per il cammino

più breve,

si dimostre­

rebbe tale da raggiungere l'oggetto stesso per il cammino più lungo.

Infatti

la somma dei segmenti

che dall'occhio condotti

allo specchio e di là all'oggetto formano angoli disuguali, è stata trovata maggiore della somma di quelli che formano angoli uguali. E che questo sia vero si dimostra cosi. Sia infatti specchio, sia

G

[v.

fig.

2]

un segmento

AB

il supporto

il centro visivo, l'oggetto visto

D,

ed

E

di

uno

il punto

dello specchio nel quale il raggio visivo si riflette verso l'oggetto visto;

si congiungano

G

con

E, E

con

D.

Dico che

Se infatti l'uguaglianza non fosse verificata, sia

Z

AEG

=

DEB.

un altro punto

dello specchio nel quale il raggio visivo incidente formi riflet­

e si congiungano G con Z e Z con D. DzE [noi diremmo: sia per fissare le idee GZA > DZE]. Se GZ e ZD formano con AB angoli disuguali, mentre GE ed ED formano con AB angoli uguali, dico che GZ + ZD > > GE + ED. Si conduca infatti la perpendicolare da D su] AB, sia H il piede di detta perpendicolare e si prolunghi il segmento fino a T. E' manifesto che gli angoli in H sono uguali, poichè sono retti. Sia DH HT e si congiungano T con Z e T con E. Questa è la costruzione. Poichè dunque DH HT, ma anche DiÌE THE, ed è comune il lato HE dei due triangoli, anche TE ED sono tendosi angoli disuguali; E' evidente che

=

GiÀ

>

,

=

=

=

,

(14) Erone. Il passo riportato tradotto nel presente paragrafo deriva dal voI. II, l, pagg.

fasc. I, pago 368 e segg. Sulle opere di Erone v. Enriques e De Santillana,

386-388; sulla riflessione della luce secondo Erone v. p. es. Mach, pago 398; Chisini,

2, pago 217. (15) Ronchi, pagg. 27-29. 113 8

uguali i triangoli

HTE DHE,

e i rimanenti angoli sono rispettiva­

mente uguali a quelli che sono opposti ad angoli uguali. Quindi

TE

HT HD e DiÌZ = Tiìz e HZ è comune DHZ e THZ, questi sono uguali, allora TZ = ZD, ed anche i triangoli ZHD e THZ sono uguali . TZ è dunque uguale a ZD. E poichè TE ED si aggiunga il segmento comune EG, dunque GE + ED GE + ET. =

ED.

Inoltre, poichè

=

ai due triangoli

=

=

T

A--��;;"""�--B

G Fig. 2

Quindi +

tutto

dÉD + DEH

il

segmento

GT

GE + ED [in quanto: AEG + ma AEa = DEH = HET, quindi

=

è uguale a due retti;

anche GED + DEH + 1iÈT è uguale a due retti, ed essendo i punti GET allineati GE + ET GT]. E poichè in ogni triangolo la somma =

di due lati comunque presi è maggiore del rimanente, nel triangolo

TZG, TZ + ZG > GT. Ma GT GE + ED. Dunque TZ + ZG > GE + ED. Ma TZ ZD. Dunque ZG + ZD > GE + ED. E GZ, ZD comprendono =

=

angoli

disuguali.

Dunque la somma

di due segmenti che formano angoli disu­

guali è maggiore, della somma di segmenti che formano angoli uguali

».

Ne deriva che l'angolo d'incidenza e l'angolo di riflessione (complementari

degli

angoli

AÈG, BED

considerati

da

Erone)

sono uguali fra loro.

§

4

-

La teoria degli isoperimetri nell' Antichità

I problemi di massimi e minimi presentano notevole impor­ tanza nella storia del pensiero scientiflco sia per le ricerche mate­ matiche che hanno avuto origine da tali prOblemi (analisi infini­ tesimale, questioni esistenziali...) sia per l'aspetto suggestivo con­ ferito a leggi di fisica dal linguaggio dei massimi e minimi (prin114

ClplO di Fermat in ottica, principio di minima azione...) (16) sia, infine per le applicazioni all'ingegneria. Nell'Antichità vennero trattati con procedimenti sintetici da Euclide,

Archimede,

minimi, tuttavia

Apollonio,

sorvolando

svariati problemi

per

motivi

di

di

massimi

brevità sugli

e

altri

problemi di tale natura, ci limiteremo a considerare quelli con­ cernenti la teoria degli isoperimetri. Tale teoria ha lo scopo di stabilire tra le figure di dato peri­ metro soddisfacenti a date condizioni, qual'è quella d'area mas­ sima, oppure tra le figure di data area soddisfacenti a date condi­ zioni qual'è quella di perimetro minimo. Tra i due problemi, come s'intuisce,

esiste

una

stretta

relazione

che

si

pub

esprimere

mediante la seguente

Legge di reciprocitlt (17): la figura F di area massima Stra quelle che hanno lo stesso perimetro p e soddisfano c-erte zioni

C invarianti per una similitudine, coincide con la figura

di contorno minimo fra quelle che hanno la stessa area, e soddi­ sfano le condizioni C. Infatti: figura F'

ragionando per assurdo supponiamo che esista una

di area S e di perimetro p' < p, ed F'

soddisfi

alle

condizioni C. Trasformiamo mediante una similitudine la figura F' fino ad aver portato il suo perimetro al valore p. Allora l'area di F'

cosI aumentata sarà divenuta S' > Smentre iI perimetro sarà

p. Quindi F non avrebbe area massima tra quelle di peripetro p

e soddisfacenti le condizioni C, contro l'ipotesi. F dovrà dunque avere perimetro minimo tra quelle che hanno ugual area e soddi­ sfano le condizioni C. c.v.d. La teoria degli isoperimetri sviluppata da Zenodoro già ricor­ dato è stata di nuovo esposta e perfezionata nella

I1Jv(1ywy�

o Collezione di Pappo (vissuto intorno al 300 d.C.) che raccolse, nella sua preziosa opera, interessanti e svariate argomentazioni matematiche e meccaniche (18). Per motivi di brevità non possiamo eseguire un esame parti­ colareggiato dell'opera di Pappo, ma ci limiteremo ad indicare nel

presente

e nel successivo

paragrafo

alcune

considerazioni

della Collezione particolarmente significative per gli sviluppi della matematica moderna. Leggiamo l'introduzione al VO libro della Collezione dedicato appunto alla teoria degli isoperimetri. «

Dio,

valentissimo

Megezio,

diede

agli

uomini

una

cono­

scenza altissima e perfettissima della scienza e delle matematiche, ma ne distribui una parte anche agli animali irragionevoli. Egli (16) Enriques e

De

Santillana,

2,

pagg.

381-382.

(17) Padoa, 2, pago 153-160; ChI sini, 4. (18) Pappo, 1 e 2. Nell'introduzione di P. Ver Eecke all'ultima edizione indicata troviamo ampie notizie sull'opera di Pappo.

115

provvide

dunque che gli

uomini

ragionevoli

eseguissero ogni

cosa per mezzo di ragionamenti e di dimostrazioni, mentre a cia­ scuno dei rimanenti animali privi di ragione, concesse di ottenere per mezzo di una disposizione naturale, quello che è opportuno e utile aJla vita. E si potrebbe apprendere che questo è stato provveduto

in altre numerosissime specie di animali,

ma non

minimamente nelle api; nelle quali infatti se è mirabile la disci­ plina e l'obbedienza verso le regine, è assai più mirabile la dili­ genza e la pulizia nel raccolto del miele, la sua custodia, la previ­ denza e l'economia. Persuase infatti,

come a me sembra, dagli

dei, a preparare per gli uomini esperti nelle arti liberali un saggio dell'ambrosia, esse non vorrebbero disperderlo nella terra o nel legno o in qualche altra deforme e disordinata materia; ma tra i più dolci fiori della terra raccolti i più belli, preparano da questi le celle destinate ad accogliere il miele, chiamate alveoli, tutte tra loro

equivalenti,

simili ed aderenti aventi la

figura di

un

esagono. Ma vediamo che esse fanno questo, secondo una certa previ­ denza geometrica. Le api di fatto, ritenevano assolutamente di dover comporre e collegare tra loro le figure secondo i lati, in modo che corpi eterogenei, cadendo negli interstizi non guastas­ sero i loro lavori. E tre figure potevano soddisfare a questa condi­ zione, regolari, dico, equilatere ed equiangole: le irregolari non andavano a genio alle api. Dunque il triangolo equilatero, il quadrato e l'esagono, senza supplementi, potevano connettersi secondo lati comuni. Infatti... Dunque, per l'appunto, delle tre figure stesse, che potevano riempire il luogo intorno ad un punto, cioè il triangolo, il qua­ drato e l'esagono, le api saggiamente scelsero il poligono avente maggior numero di angoli, per il dispositivo che avrebbe potuto contenere una maggiore quantità di miele. E

le

api seppero soltanto

questo,

utile per esse,

cioè

che

l'esagono ,è maggiore [per un dato perimetro] del triangolo e del quadrato e pub contenere più miele, a parità di materia impie­ gata per il dispositivo, ma noi che riteniamo di possedere una parte

di

sapienza

maggiore

di

quella

delle

api,

ricercheremo

qualche cosa di più sottile. Infatti delle figure piane aventi ugual perimetro, equilatere ed equiangole, è sempre maggiore quella che ha più angoli, e massima tra tutte il cerchio, quando abbia lo

stesso

perimetro»

(19).

Vediamo ora come viene svolta da Pappo la teoria degli isope­ rimetri. Per quanto riguarda il rigore logico del ragionamento dobbiamo notare in detta trattazione la cosi detta



lacuna tradi-

(19) Per ulteriori indicazioni sulle ricerche relative alle celle api, ruccio. 4. 116

v.

Car­

zionale>. Cioè alcuni dei ragionamenti di Pappo richiedono, per essere completi, che si dimostri o si postuli l'esistenza della figura d'area massima nella classe di figure considerate

(20), ora come è noto anche un insieme limitato di numeri può essere privo di massimo:

si

consideri

ad

esempio

l'insieme

dei

numeri

reali

minori di uno. Più precisamente, esaminiamo il seguente schema di ragio­ namento:

sia m una grandezza appartenente ad un insieme

a;

si assegni un procedimento in virtù del quale ogni elemento di

a diverso da m viene aumentato mentre m rimane inalterato, si conclude che m è il massimo dell'insieme a. La conclusione è cor­ retta se si

è stabilito che l'insieme a ammette un massimo. Altri­

menti il ragionamento è fallace. Come fu notato da O. Perron (, voI. 22, 1913) con un ragionamento di questo tipo si potrebbe dimostrare che il numero 1

è il massimo dei numeri interi, positivi... infatti l'opera­

zione di elevazione al quadrato aumenta tutti i numeri conside­ rati, fatta eccezione per l'l... Nel caso di Pappo l'esistenza del massimo

è intuitiva, e inoltre

come si vede facilmente la si può dimostrare, sulla base del teo­ rema: «Ogni funzione continua f (Xl> X2'" xn) in un campo C finito e continuo ammette un massimo e un minimo > La teoria degli isoperimetri in Pappo

(21). (22) si basa sui due

seguenti lemmi. 1" Lemma. Fra tutti i triangoli di data base e dato perimetro

possiede area massima l'isoscele. Lo si può dimostrare considerando la proprietà di minimo del cammino della luce nel caso in cui, nella fig. 2 del presente capitolo, aD è parallela ad AB, e applicando la legge di reciprocità. 2° Lemma. Siano dati (v. fig. 3) i triangoli

e simili fra loro, e i triangoli fra loro e si abbia:

ABC e BDE isosceli ABC' e BDE' isosceli ma non simili

BC +BE=BC' +BE' Dobbiamo dimostrare che area

(ABC) + area (BDE)

> area

(ABC ) '

+ area

(BDE')

Infatti: notiamo che

C e C' sono sull'asse di AB ed E, E' sono sull'asse di BD

(20) Padoa, 2, pago 130. (21) Enriques, Il, pago 335. (22) Chisini, 2, pagg. 204-209.

117

Essendo BC+BE=BC' +BE' se C' è esterno al triangolo ABC sarà E' interno al triangolo BDE e viceversa. C' ,.

I I

E

Il ' I I \ I • \ I • \ \ •

le" , , \ \ \

I

,79 I

'

o

I

, I , I , I I I I I I I , I I , , I

" " ctl . ' I • I ' I I I I • I Il'

i' I

Cl

Fig. 3

Per fissare le idee supponiamo che sia C' distinguiamo

due

esterno ad ABCI

casi:

r

AB BD

Ci limiteremo per brevità a considerare il primo caso che

è quello che ci serve per lo sviluppo della teoria. Siano Cl e Cl' ipotesi

i simmetrici di C e C'

è A BC=EBD

quindi CIB E sono punti allineati e CIB+BE= CIE inoltre, sempre per ipotesi ABC" =/: E'ED

118

rispetto ad AB. Per

C'i' B E' non sono allineati. Avremo:

quindi

ECi =EB + BC =E'B + BC'

=

E'B + BC'I > E'C'l ;

dunque

ECI,

>

E'C\;

CC' ed EE' si dovrà avere

inoltre essendo parallele le rette

EE'

>

CIC'I

ed anche

EE' Dunque (confrontando randone base ed altezza) area

>

CC'

i due triangoli CC' A, EE' B, conside­

(ABC' ) - area (ABC)

< area

(BDE) - area (BDF ')

quindi area

(ABC')

+ area

(BDE')

< area

(ABC)

+ area

(BDE) (c.v.d.)

Il teorema di Zeno doro venne dimostrato nell'antichità ammet­ tendo implicitamente l'esistenza del massimo fra tutti i poligoni isoperimetrici di

n lati.

Teorema - Fra tutti i poligoni isoperimetrici di simo

n lati, il mas­

è il regolare.

Fig. 4

Sia infatti (v. fig.

') p

=

AIA2." An il poligono d'area massima,

dico che deve essere regolare. Se il poligono dato non fosse equilatero, almeno due lati consecutivi dovrebbero essere disuguali, siano questi lati AIA2 e

A2As. 119

E' facile

(Lemma 1°)

costruire un triangolo che sostituisca

AIA2A3 dando luogo ad un triangolo d'area maggiore. ed abbia

lo stesso perimetro; ma allora il poligono considerato non sarebbe il massimo, contro l'ipotesi. Resta da dimostrare che il poligono che realizza il massimo deve anche essere equiangolo. Nel caso di n

=

4, il risultato

è immediato in quanto si vede

facilmente che un rombo con angoli diversi ha una area minore di quella di un quadrato. Supponiamo quindi n> 4. Dobbiamo stabilire che se il poli­ gono non diversi

è equiangolo vi dovranno essere sempre due angoli

non

consecutivi.

Infatti

supponiamo

che

Allora almeno tutti gli angoli di posto pari e

non

sia

cosi.

quelli di posto

dispari dovranno essere uguali fra loro;

ma inoltre gli angoli

non consecutivi Al e A4 saranno uguali;

essendo questi uno di

posto pari e l'altro di posto dispari tutti gli angoli risulterebbero uguali contro l'ipotesi. Siano

Ar

e

A.

gli angoli non consecutivi disuguali (v. fig. 5).

Sia per fissare le idee

Consideriamo i triangoli e

Essendo i lati del poligono dato tutti uguali sarà

ad

2Ar Ar+1 Ar Ar+1

+

y =

dividiamo ora il segmento tivamente

proporzionali x

X

y

in due parti x e y rispet­ e

2Ar AH

AB -1 AB+1 :

1

Ar-1Ar+1 AB-1AB+1

Costruiamo ora il triangolo isoscele

AH 1 A'r Ar-1

e il triangolo pure isoscele

AB+1 A's A.-1 in cui

A.+1 A'. = A'. A.-1 = Y 120

in cui è

Ora nel poligono dato sostituiamo ai triangoli rispettivamente i triangoli

AB -1 A. AB + 1 A.

_

1 A' B A. + 1

Ar-1

Ar

Ar+ 1

Ar - 1 A' r A" + 1

, ,



Ar-t

,

,

"

"

'

,'

," x

,-

A

r+t

"

,

A·,

Fig. 5

Otteniamo cosi un poligono dello stesso numero di lati, dello

stesso perimetro e d'area maggiore, in quanto per il lemma 2"

la somma delle aree dei triangoli nuovi è maggiore della somma delle aree dei triangoli del poligono dato. Ma cib è contro l'ipo­

tesi;

dunque il poligono è equiangolo.

Abbiamo già dimostrato

che è equilatero; si conclude che il poligono è regolare.

Corollarlo. - Il poligono regolare di n lati ha area minore del

poligono regolare di n + 1 lati che ne abbia lo stesso perimetro.

Pappo dimostra il corollario facendo vedere che l'apotema del­ l'n - gono è minore di quella dell'(n + 1)gono. Ma si pub dimostrare il teorema più semplicemente: diamo un punto

An +

1

pren­

sul lato Al An dell'n-gono. Allora l'n-gono

regolare si pub considerare come un (n + l)gono non regolare il

quale avrà area minore dell'(n + 1) regolare di ugual perimetro.

Proprietà isoperimetrica del cerchio. Il cerchio ha area maggiore di ogni poligono P che ne abbia

lo stesso perimetro p.

Per il teorema di Zenodoro basta dimostrare il teorema nel

caso in cui il poligono è regolare.

121

P abbia perimetro p e apotema a; sia C il cerchio di peri­ metro p e di raggio a' p' sia simile a p. circoscritto a C. di peri­ metro p, apotema a' (v. :fig. 6). •

Avremo: Ora:

a ,= � a p l

.

P=2ap ,

Ma p

(9). Il Guzzo esprime il pensiero

di

dicendo:

S.

Agostino

sull'argomento

«Nessuna

espressione,

nessun segno con cui altri comunichi o significhi il suo concetto, ha potere di farci capire cosa alcuna senza un nostro atto, tutto personale d'intendimento:. Queste

considerazioni

(10). agostiniane

trovano

un'applicazione

immediata all'insegnamento di una qualsiasi determinata teoria matematica, la quale viene appresa dal discente soltanto quando questi

la ricostruisce nella

sua

mente

con

un

atto

personale

del suo pensiero. D'altra parte la teoria agostiniana sui segni si collega con le questioni relative all'analisi del linguaggio, che si presentano al logico matematico moderno che tende ad esprimere in simboli un sistema ipotetico deduttivo. Le ricerche moderne su cui ci intratterremo verso la fine del nostro corso, ci ricondurranno in sostanza per altre vie alla concezione agostiniana del De M agistro. c:

lana

Nel Medioevo> osserveremo con F. Enriques e G. De SantU­

(11) «il pensiero scientifico ebbe a ricominciare il suo svi­

luppo movendo non della

giosa e morale

§

2



già come in

Grecia dalla contemplazione

natura, bensi dal travaglio interiore del!a coscienza reli­ >.

Dossografi ed Enciclopedisti (12).

In ordine

cronologico si presenta più tardi di S. Agostino,

è più di lui legato alla civiltà classica, Proclo Diadoco (420-485) (13), caratteristica figura dell'ultima fase del ciclo di

ma

(7) Agostino, l, cap. X, 23. (8) Sul superamento

della teoria

platonica

della reminiscenza

S. Agostino v. p. es. Agostino, 6, lib. xn, cap. XV, 24. (9) Agostino, l, cap. XI, 38. (IO) Agostino, 2, introduzione di A. Guzzo, pago 10. (11) Enriques e De Santillana, 2, pago 226.

da

parte

di

(12) Per altre notizie sull'argomento, V. p. es. Bortolotti, 20, pagg. 630-631. (13) Enriques e De Santillana, l, specialmente alle pagg. 393, 394, 630, 631.

135

detta civiltà, la fase dei dossograft, cioè dei raccoglitori e

dei

commentatori delle opere lasciate dall'Antichità. Le opere di questi dossografi, anche se contengono solo un pallido riftesso di quella che fu la scienza greca nei suoi momenti di maggiore splendore, sono tuttavia preziose per le notizie che ci tramandano mediante le quali lo storico tenta di ricostruire le vie genialmente percorse dal pensiero matematico e filosofico antico. Ci siamo valsi delle opere dei dossografi specialmente per ricostruire la matematica pre-euclidea nelle sue relazioni con le speculazioni filosofiche. Nella mente di ProcIo, come in altri pensatori del periodo in cui visse, le scienze esatte si mescolano con il misticismo e le scienze occulte. Abbiamo già riportato (v. note del cap. III, § 2) il passo di Proclo che presenta alla nostra mente la visione del sorgere e del tramontare delle civiltà scientifiche secondo una concezione astrologica dei cicli cosmici. Altre considerazioni dei dossograft, attraverso la trascrizione di antichi testi o la rievocazione di miti, ci permettono di rivi­ vere momenti altamente drammatici della storia del pensiero, relativi ai primordi della costruzione razionale della matematica. Ricordiamo lo scolio al XO libro d'Euclide, attribuito appunto a ProcIo, da noi riportato nel § 3 del cap. III, in cui si presenta, con il tragico destino del divulgatore del segreto dell'esistenza delle

grandezze

inconmmensurabili,

il

dramma

angoscioso

del

pensiero greco di fronte all'inesprimibile. Del contributo di Proclo alla critica del VO postulato di Euclide, critica che precorre sotto un certo aspetto il pensiero di Loba­ cefski, daremo notizia nel § 1 del cap. Xvo. Mentre l'Europa del sec. VO veniva attraversata dalle orde barbariche, nella decadenza della cultura, quanto si conservava ancora della scienza classica, veniva tramandato nelle Enciclo­ pedie di Marciano

Capella

(circa 450 d.C.)

di Boezio

(470-524).

Traducendo e commentando parte dell'Organo di Aristotele e del­ l'Isagoge

di Porftrio, Boezio ebbe il merito di far conoscere la

logica greca bivalente nel mondo latino, nella sillogistica e nel calcolo proposizionale (14) pur ricordando l'osservazione aristo­ telica che lascia aperta la porta alla logica trivalente (15). Nel 529 per ordine dell'imperatore Giustiniano venne chiusa la Scuola d'Atene fondata da Platone: un lungo e luminoso periodo di storia del pensiero ebbe cosi termine. I filosofi dell'Accademia, con Simplicio il commentatore di Aristotele, cacciati da Atene si rifugiarono alla corte del re di Persia Cosroe: greca

s'inseriva

efficacemente nel

(14) Diirro (15) Lukasiewicz, pago 760

136

mondo

la tradizione

orientale.

Da

questa

unione

avrebbero

avuto origine importanti sviluppi

futuri

del

pensiero matematico. In Occidente intanto la fiaccola della cultura veniva serbata nei chiostri e all'ombra delle cattedrali:

ricordiamo i compendi

di Cassiodoro (490-585) che visse i suoi ultimi anni in un mona­ stero da lui fondato, e di Isidoro vescovo di Siviglia

(570-636).

All'opera dei monaci benedettini è in gran parte dovuta la conser­ vazione del patrimonio culturale esistente in Occidente nell'alto Medioevo.

§

3

-

Bizantini

(16).

Per quanto concerne la conservazione della scienza antica, dalla quale nel Rinascimento, avrebbe avuto origine la scienza moderna,

dobbiamo ricordare anche la

Scuola di Architettura

di Bisanzio. Le origini di detta scuola sono da porsi in relazione con le difficoltà incontrate nella costruzione della cupola della chiesa di S. Sofia a Costantinopoli nel VIa secolo. Essendosi perduta fra gli ingegneri del tempo la tradizione degli studi matematici, in particolare della statica di Archimede, detta cupola crollò per due volte. Finalmente apertasi una scuola di geometria e di meccanica, gli

architetti

Artemio

di

Tralle,

Isidoro

il

Vecchio

di

Mileto,

Isidoro il Giovine, Metrodoro... che furono studiosi e dotti com­ mentatori dei classici della matematica greca, portarono a buon fine la costruzione. Eutocio d'Ascalona che ci lasciò interessanti commenti delle opere di Archimede e di Apollonio, fu discepolo dell'architetto Isidoro

di Mileto.

Da quest'opera di conservazione della scienza antica, compiuta dagli studiosi Bizantini, deriveranno frutti preziosi per lo sviluppo della matematica, quando si stabiliranno relazioni culturali fra 1

dotti d'Oriente e gli umanisti dell'Europa occidentale, special­

mente in due circostanze storiche: si è concluso con il ritorno

il

Concilio

(di breve durata)

di

Firenze che

della Chiesa di

Costantinopoli all'unità con la Chiesa Cattolica (1439); la caduta dell'Impero Romano d'Oriente conquistato dai Turchi (1453), con la conseguente emigrazione in Italia dei dotti bizantini che porta­ rono con loro mirabili codici greci, atti a far rivivere in ambiente propizio gli aspetti più alti della civiltà antica. (16) Cfr. Bortolotti, 20, pagg. 629-630; Enriques, 12, pago 110.

137

CAPITOLO X MATEMATICA E LOGICA NEL MEDIOEVO

§

l



Le matematiche indiane ed arabe

(l).

Per ricostruire lo sviluppo dell'algebra nel Rinascimento, di importanza fondamentale

nella

matematica

moderna,

occorre

risaUre non soltanto alla matematica greca, ma anche a quella araba e da questa all'indiana. L'India

vanta una delle pitl. antiche civiltà del mondo;

la

sua letteratura che comprende fra i suoi scritti Diti. antichi i Vedas (libri sacri) ed i poemi Mahabarata e Rahamajana conta almeno 25 secoli. Tuttavia non si è ancora potuto stabilire con certezza se la matematica indiana ha avuto uno sviluppo autonomo indi­ pendente dalla scienza greca. L'opera pitl. sciuta

antica

della matematica indiana

da noi cono­

è costituita dai Sulva-Sutras, che secondo alcuni risale

al Vo o VIa sec. a.C., secondo altri all'VIII"; geometriche

ivi troviamo regole

non giustificate razionalmente, per

la costruzione

degli altari, ed anche l'enunciato del teorema di Pitagora, senza perb

una dimostrazione

generale

(2).

Un secondo periodo della matematica indiana (dopo quello dei Sulva-Sutras) si svolge dal Vo al XIIo sec. d.C. La geometria indiana è in genere soltanto una raccolta di regole pratiche di carattere metrico, non sempre esatte. La dimo­ strazione o la spiegazione delle proposizioni geometriche è affi­ data

alla

figura. Per es. la

dimostrazione di

Bhaskara Carya

(n. 1114 d.C.) del teorema di Pitagora si ricava dalla figura se­ guente:

.. 1---...

a

(l) Enriques. 12, pagg. 22-27; Bortolotti, 20, pagg. 634-635; Cipolla, pagg. 113-123. (2) Brunschvicg,

pago

46.

138

dalla quale figura risulta che

a2

=

(b -- C)2 +"

bc --

=

b2 + c2•

2

Gli Indiani, come appare anche dall'argomentazione ora espo­ sta, più che verso la geometria erano orientati verso il calcolo, di cui perfezionarono i metodi, introducendo il sistema di nume­ razione decimale posizionale,

forse da loro inventato. I grandi

numeri che compaiono nelle cosmogonie indiane in cui ricorrono cicli di milioni d'anni, sono da annoverarsi fra i motivi che spin­ sero i matematici indiani ad usare una rappresentazione semplice ed

espressiva

dei

numeri

(3). Questa rappresentazione che è

quella posizionale, in cui si fa uso di nove cifre significative e dello zero, compare in un trattato indiano del IVo o Vo sec. d.C. Allo

sviluppo

dei metodi di calcolo

si accompagna

presso

gli Indiani il senso dello sviluppo formale, che dà luogo all'uso dei numeri negativi: Brahmagupta (n. 598 d.C.) dà regole pratiche per l'addizione dei crediti e dei debiti. introduce un simbolismo algebrico, e risolve le equazioni generali di secondo grado, casi particolari delle quali erano stati risolti da Aryabhata (n. 476 d.C.). Bhaskara Carya scrive un trattato di aritmetica che con­ tiene il calcolo delle radici con un uso disinvolto di queste. Egli a osserva che se nella frazione il denominatore è evanescente, --

b la frazione stessa assume un valore superiore a qualsiasi numero assegnato. Per motivi di brevità non mi trattengo su altri interessanti risultati nel campo dell'aritmetica e dell'algebra noti ai mate­ matici indiani, i quali, nella trigonometria sostituiscono le corde con i seni degli archi. Nell'impero

islamico,

nel

quale

vengono

unificate

genti

di

diversa stirpe si sviluppa una cultura che si deve porre in rela­ zione da una parte con la civiltà indiana,

e dall'altra con la

tradizione ellenistica. A Bagdad, dove si erano rifugiati, dopo il

529, ftlosofi della

Scuola di Atene chiusa da Giustiniano, l'interesse degli Arabi per la cultura ellenistica si manifesta con traduzioni dal greco delle opere di Euclide, Tolomeo, Diofanto, Erone, Archimede, Apollonio. Ma il contributo più importante portato dagli Arabi alla mate­ matica moderna

è costituito dallo sviluppo dell'algebra con la

teoria delle equazioni di primo e secondo grado, travestimento delle dottrine geometriche dei Greci. (3) Enriques e De Santi11ana, 2, pago 245-246.

139

Algebra

(al

giabr) è

parola di orlgme araba che indica il

trasporto di un termine da un membro all'altro dell'equazione con cambiamento di segno, mentre algoritmo deriva dal nome del matematico arabo AI-Khuwarizmi. Ricordiamo i contributi di Nasir Eddin alla critica della teoria delle parallele (su

\'ui

ritornt-remo),

i

procedimenti

di Euclide

infinitesimali

dell'ebreo

Abramo SavasOl"da, e le ricerche di Ohmar Khayyam sulle equa­ zioni di terzo gl'ado risolte mediante intersezioni di coniche, con le quali! mateIllatici arabi risolsero anche il problema di terzo grado dell::t costl'Uzione dell'ettagono regolare (4). Nella storia della filosofia e della scienza nel mondo islamico ricordiamo

Avkenna

(980-1037, vissuto in

Persia), ed

Averroè

(1126-1198, mussulmano di Spagna). Dante ricorda quest'ultimo autore per il suo commento ad Aristotele (Inf. c. IV v. 144). Note­ vole è stata l'inlluenza di Avicenna e di Averroè sul pensiero scolastico

§

2

-

(5).

La matematica nell'alto medioevo in Occidente

All'opera

di

Cassiodoro,

ricordata

nel

(6).

capitolo

precedente,

attraverso gli scritti di Isidoro vescovo di Siviglia (570-636) attinse il Venerabile Beda (675-735), monaco benedettino, storico d'Inghil­ terra, che si occupò anche di calcolo digitale e di problemi rela­ tivi alle feste mohili. Dalla sua scuola usci Alcuino (735-804) che fu incaricato da Carlo Magno di fondare l'Accademia Palatina. Si attribuisce ad Alcnino l'opera Propositiones ad acuendos iuvenes, la quale contiene probh�mi di carattere elementare, ma interes­ santi e curiosi. Ivi troviamo il noto problema di colui che deve attraversare un flume portando all'altra riva un lupo, una capra ed un mazzo di ('avoli, rel�ando con sè una sola di dette cose e senza lasciar

incustoditi il lupo con la capra

o questa con

i

cavoli. Il fatto che un problema di tale natura si trovi insieme, con altri tipicamrnte di carattere matematico, fa pensare ad un ampliamento della concezione tradizionale della matematica intesa come scienza del1a quantità. Vediamo cioè che con Alcuino rien­ trano nel campo ,Iella matematica questioni, sia pure elementari, ma di carattere puramente logico. Il risveglio intellettuale origi­ nato dall'Accademia carolingia ebbe breve durata e termina verso la metà del

IXo Stlcolo con Scoto Eriugena filosofo neo-platonico.

La tradizione culturale continuò Montecassino, Bohbio, Fulda,

a vivere nelle abbazie

di

H. Gallo, Auxerres, Cluny, Aurillac.

Nuovi movim.,mti di pensiero hanno origine intorno al mille. Ricordiamo a que:Jto proposito

il matematico Gerberto, che divenne

(4) Schoy, pagg. 21-40; Carruccio, 6. (5) Nallino, 1 e 2. (6) Enriques, 12, pago 21-22; Bortolotti, 20, pagg. 631-634.

140

papa con

il nome di Silvestro II. Nei suoi scritti troviamo l'im­

piego ancora piuttosto rudimentale delle cifre inllo-arabiche, e la

trattazione,

talora

alquanto

ingenua,

di

alcune

questioni

geometriche. Si deve

a

Gerberto

una

definizione di ango�o

considerato

come regione piana, definizione sostanzialmente d'accordo con il concetto moderno.

§

3

-

Leonardo Pisano

(7).

Una mirabile sintesi della matematica classica e di

quella

indo-arabica ci viene offerta nel sec. XIII da Leonardo Pisano, che aveva viaggiato in Algeria e nei paesi del Le,'ante. A que�to proposito, nella prefazione al Matematico nel 4:

Liber Abbaci compusto dal nostro

1202 leggiamo:

Tutto ciò che si studiava in Egitto, nella Siria, in Grecia,

in Sicilia, in Provenza... coi vari modi propri (li quei luoghi, dove negoziando mi aggirai, con molto studio investigai, e ... dopo avere con molta accuratezza, studiato il modo degli Hindi [l'al­ gebra], istituite delle indagini mie proprie, ed aggiunto quanto ho potuto trarre da Euclide, volli comporre un'opera in quindici capitoli, dove nessuna cosa di rilevanza lasciai senza dimostra­ zioni; e ciò feci aftlnchè la scienza fosse più agevolmente intesa, e la gente latina non ne fosse più a lungo privata

>.

L'esigenza razionale ritorna cosi a riaffermarsi vittoriosa dopo lunghi secoli di decadenza scientifica in Occidente. Il Liber Abbaci raccoglie l'aritmetica araba e il sistema di numerazione decimale basato sulla posizione delle cifre e sullo zero e tratta questioni di analisi diofantea. Importante

per

gli

ulteriori

progressi

dell'algebra

il

capi­

tolo XIV di quest'opera in cui Leonardo trattando dei radicali quadratici e cubici dimostra che questi ultimi non si possono ridurre alle forme classificate da Euclide nel Xo libro degli Elementi. Questi studi, furono secondo E. Bortolotti e

G. Vacca (8), il

punto di partenza verso la risoluzione algebrica delle equazioni di terzo grado da parte degli algebristi italiani del Rinascimento. In quest'ordine

d'idee

è

particolarmente

interes:'lante

una

delle questioni esaminate da Leonardo Pisano in un'operetta dal titolo

Flos. Si tratta di stabilire se la soluzione dell'equazione cubica XS +

2x2 + 10x

=

20

si possa presentare sotto forma razionale o sotto forma di uno degIi irrazionali studiati da Euclide ne! XO libro degli Elementi. (7) Leonardo Pisano; Enriques, 12, pagg. 27-28; Bortolotti, 20, pl·gg. 646-647; Frajese, 4, appendice. (8) Bortolotti, 8, oppure 11; Vacca, 6.

Hl

La conclusione

è negativa. Allora Leonardo pensa di risolvere

l'equazione

modo

in

approssimato

e

fornisce

una

soluzione

straordinariamente vicina alla vera. Non sappiamo con sicurezza come sia stata calcolata detta soluzione. Nella Practica Geometriae

(del 1220) dove si risolvono pro­

blemi concernenti aree e volumi è più evidente che nel Liber

Abbaci l'ispirazione classica da Euclide e dai commenti ad Archi­ mede di

Eutocio

(9).

Notevole l'introduzione, da parte di Leonardo Pisano, del seg­ mento unitario nelle costruzioni geometriche. Questa introduzione, che compare anche negli scritti di Rafael Bombelli sarà uno degli elementi essenziali della geometria cartesiana.

§

4



La

Nella

logica tradizionale nella filosofia scolastica (lO). Scolastica,

in cui trova

una sistemazione

ordinata e

coerente il pensiero filosofico cristiano, si nota un considerevole sviluppo della logica di cui progredisce la tecnica formale. Della logica viene data da S. Tommaso d'Aquino (1227-1274) la seguente definizione:

4:

Ars directiva ipsius actus rationis, per quam scilicet

homo in ipso actu rationis ordinate et faciliter et sine errore procedat» (In Analyt. posto lib. I, lect. I). Una delle migliori trattazioni della logica scolastica d'indirizzo aristotelico è contenuta nelle Summulae logicales di Pietro Ispano divenuto papa con il nome di Giovanni XXI (m. nel 1277)

(11).

Perfezionamenti della logica aristotelica compiuti dagli Scolastici sono stati presi in esame nel cap. IV del presente volume. Ricor­ dando che il calcolo delle proposizioni si era già presentato nella Scuola Stoica (v. cap. III, § 1 del presente volume) indichiamo ora alcuni elementi di detto calcolo come si presentano nella Logica Scolastica. Nelle Summulae Logicales di Pietro Ispano (1-22 e 1-23) le proposizioni risultanti dalle operazioni logiche fondamentali: implicazione materiale, congiunzione logica, disgiunzione logica, vengono

rispettivamente

indicate con i

termini:

conditionalis,

copulativa, disiunctiva e caratterizzate nel modo seguente: «1-22 ...Conditionalis est illa, in qua coniunguntur duae categoricae per hanc coniuctionem "si", ut "si homo currit, homo movetur"; et illa categorica, cui immediate coniungitur haec coniunctio "si" dicitur "antecedens" alia vero "consequens". "Copulativa" est, in qua coniunguntur duae categoricae per hanc coniunctionem "et" ut "Socrates currit et Plato disputat". Disiunctiva est illa in qua co­ niunguntur duae categoricae per hanc coniunctionem "vel" ut "Socrates currit vel Plato disputat"». (9) Carruccio, 7. (0) Enriques. 2. pagg. 46-50. Il passo di G. Occam sotto riportato deriva dall'articolo di G. Vacca 3. (11) Pietro Ispano.

142

«1-23, Ad veritatem conditionalis exigitur, quod antecedens non possit esse veram sine consequente, ut "si homo est animaI est"; unde omnis conditionalis vera est necessaria et omnis con­ ditionalis falsa est impossibilis. Ad falsltatem eius sufficit quod antedecens possit esse vera sine consequente ut "si homo est, album est". Ad veritatem copulativae exigitur utramQue partem esse veram, ut "Deus est et homo animaI est". Ad falsitatem eius sufficit alteram partem esse falsam, ut "homo est animaI et equus est lapis". Ad veritatem disiunctivae exigitur alteram partem esse veram, ut "homo est animaI vel corvus est lapis" et permittitur quod utraque pars ipsius sit vera sed non ita proprie, ut "homo est animaI vel equus est hinnibilis". Ad falsitatem eius exigitur utramque partem esse falsam, ut "homo non est animaI vel equus lapis" >. Un'importante proprietà concernente la negazione la congiun­ zione e la disgiunzione, come ha notato G. Vacca, è stata espressa da G. Occam (morto verso il 1349) nei seguenti termini: «Scien­ dum est etiam quod opposita contradictoria disiunctivae est una copulativa composita contradictoriis ex partium ipsius disiunc­ tivae:. (Tractatua logicae tmtna, Guillermi Ockan, Parisiis 1488, foI. 53 r., col. 1). Questa proprietà si può porre sotto la forma: non (A vel B)

(non A) et (non B)

=

mentre G. Buridano, come è stato osservato da G. Vacca e viene riferito da F. Enriques ci fornisce la proprietà non (A et B)

=

(non A) vel (non B)

Ritroveremo le operazioni logiche considerate e le loro proprietà nella sistemazione del calcolo delle proposizioni di Hilbert (v. cap. XVIII, § 5 del presente volume, particolarmente formule VIII e IX). Gli Scolastici conoscevano la possibilità di dedurre formal­ mente da due proposizioni contraddittorie qualsiasi proposizione: teorema dello Pseudo-Scoto: «ex falso sequitur quodIibet »; un esempio degli Scolastici: «Se Socrate esiste e Socrate non esiste, allora Platone è un asino:l> (12). Dimostreremo facilmente questo teorema con il calcolo delle proposizioni di Hilbert. Raimondo LuBo (1234-1315) viene considerato un precursore della Logica matematica per la sua aspirazione ad un procedi­ mento meccanico tale da permettere di ottenere sistematicamente tutte le deduzioni a partire da principi dati. Secondo Lullo tale aspirazione si attua mediante anelli concetrici girevoli divisi in (12) V. p. es. Bochénski, l, pagg. 81-82. Per una dimostrazione moderna v. 1928, p ag 21, od anche cap. XX, § 5 del presente voI.

p. es. Hilbert e Ackermann, ed

o

143

Come nota I. M. (13) la dottrina di Raimondo Lullo non è soltanto una

parti che rappresentano determinati concetti. Bochénski

curiosità del1a storia della logica ma esercitò influenza sul pensiero di Leibniz.

§ 5

-

La questione degli universali (14).

dibattuta fra gli Scolastici medioevali pone in evidenza di­ versi aspetti del pensiero umano che si riflettono anche ai nostri giorni sui diversi atteggiamenti dei matematici nelle loro medita­ zioni sul significato e sui fondamenti della loro scienza, con parti­ colare riferimento alla teoria degli insiemi infiniti (v. Cap.

XVII

§ 1 del presente volume). Si tratta di stabilire se alle idee universali corrisponde una realtà fuori della mente umana. La questione viene chiaramente posta in un passo di Porfirio

(lsagoge I, 3): «E anzitutto, per ciò

che riguarda i generi e le specie, io eviterò di ricercare se esistano di per sè, ovvero esistano soltanto come pure nozioni dello spirito; e - ammettendo che esistano di per sè - se appartengano alle cose corporee o incorporee;

ed infine se abbiano esistenza separata,

ovvero solo nelle cose sensibili. E' una questione troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo esteso». Mentre i nominalisti come Roscellino negavano la realtà auto­ noma degli universali, che concepivano come puri nomi: «flatus vocis», i realisti, come S. Anselmo d'Aosta

(1033-1109) che invece

s'ispiravano alla teoria delle idee di Platone, affermavano l'esi­ stenza degli universali stessi. Guglielmo d'Occam e Giovanni Buridano, sostennero una dot­ trina, in un certo senso intermedia fra nominalismo e realismo: il

terminismo (cui si avvicina il concettualismo di Abelardo).

Secondo il terminismo i concetti si considerano come segni o termini, rappresentanti le singole cose o le classi di cose esistenti, mentre la logica riguarda appunto le relazioni fra questi segni (scritti, parlati o concettuali). S. Tomaso d'Aquino ammette l'universale «ante rem» come idea divina, «in re» come essenza delle cose, e «post rem» come concetto umano. Mentre S. Tommaso s'ispira prevalentemente al pensiero di Aristotele, S. Bonaventura, attraverso S. Agostino, sente di prefe­ renza

§

6

-

!'influsso

di

Platone.

Prodromi medioevali della logica trivalente.

Mentre la logica bivalente si sviluppava e si diffondeva sia sotto la forma della sillogistica, sia nel calcolo delle proposizioni, (13) Bochénski, 4, pago 319. (14) Enriques, 2, pagg. 48-49. 144

l'osservazione di Aristotele riguardante le proposizioni nè vere nè false, la quale era stata ripresa dagli Epicurei da Boezio e da altri autori (v. Cap. IV § 1, Cap. V § 1, Cap. IX § 2 del presente volume) diede luogo a notevoli sviluppi nella Scolastica. S. Tommaso d'Aquino nel suo commento In libros peri Her­ meneias (15) dà particolare rilievo al punto di vista considerato, che attira l'attenzione anche di altri filosofi medioevali (16). Elementi di particolare interesse riguardanti le nuove logiche emergono dalle riflessioni di G. Occam sul passo di Aristotele sopra ricordato. Secondo l'interpretazione dell'Occam, Aristotele non nega il principio del terzo escluso e tanto meno il principio di non con­ traddizione, ma ammette che certe proposizioni, considerate in sè stesse non sono vere nè false (17). Ritroviamo così la veduta epicurea giudicata c: più scandalosa » da Cicerone (v. Cap. V § 1). G. Occam svolge le sue acute indagini nel campo del calcolo delle proposizioni (v. § 4 del presente cap.) con particolare rife­ rimento all'implicazione materiale, prendendo in esame casi in cui qualcuna delle due proposizioni date (antecedens, consequens) su cui si opera, è nè vera nè falsa. Con particolare chiarezza viene trattato il caso in cui essendo c: antecedens » falso, e «conse­ quens» nè vero nè falso, la «consequentia» è valida (18): «Per praedicta patet quod Philosophus concederet istam consequen­ tiam: Deus scit A fore, igitur A erit, sed diceret antecedens esse simpliciter falsum et consequens nec esse verum nec falsum. Nec est inconveniens, quod ex falso sequatur illud, quod nec est verum nec falsum, sicut ex falso sequitur verum >. Possiamo concludere da quanto precede che G. Occam fu un assertore della logica trivalente? Come nota il Boehner, dobbiamo rispondere negativamente, in quanto la possibilità di proposizioni nè vere nè false, pur presa brillantemente in esame dall'Occam viene in definitiva respinta come risulta dal seguente passo (19) di cui diamo la traduzione: «...l'intendimento del Filosofo è che in tali futuri contingenti nessuna parte della contraddizione è vera o falsa... E perciò direbbe che Dio non conosca di più una parte della contraddizione piuttosto che l'altra, anzi nessuna venga conosciuta da Dio... Tuttavia secondo la verità ed i Teologi si deve dire altrimenti, poichè Dio conosce determinatamente una parte [l'alternativa che si attuerà]. Come poi ciò sia, deve spiegarsi nella teologia ». Dunque per l'Occam non esistono proposizioni (15) Tommaso d'Aquino, 2, pagg. 62-67. (16) Occam, scolastica,

v.

pagg.

ll8-138.

Sugli

scritti

del

Boehner

di

storia

Buytaert.

(17) Occam,

pagg.

61,

llO.

Super I Hbrum Perihermeneais, pagg. ll2-ll3. (19) Occam, pago lll.

(18) Occam,

145 10

della

logica

nè vere nè false, in quanto dato un evento A, Dio sa quale si veri­ ficherà delle due alternative: A sarà, A non sarà. La posizione di G. Occam nei riguardi della logica trivalente ci si presenta quindi analoga a quella di G. Saccheri nei riguardi della geometria non-euclidea (v. Cap. XV § 2 del presente volume). Come iI Saccheri è un precursore delle geometrie non-euclidee avendo dedotto importanti teoremi dalla negazione del Va postu­ lato di Euclide, ma ha finita per affermare l'incondizionata vali­ dità del postulato in esame e della geometria euclidea, cosll'Occam pur avendo dedotta alcune conseguenze dell'ipotesi della triva­ lenza, in definitiva da lui respinta, merita di essere annoverato fra i precursori ma non fra gli assertori delle nuove logiche (v. Cap. XX § 2 del presente volume).

§

7

-

Disquisizioni degli Scolastici sull'infinito matematico

Con gli scolastici si riafferma la distinzione già incontrata nei Neo-Platonici, fra Infinito filosofico (Assoluto, Dio) e infinito matematico. Sulle sottili disquisizioni degli Scolastici relative all'infinito matematico molto vi sarebbe da dire, ma per motivi di brevità ci limiteremo ad indicare soltanto alcune considerazioni di detti filosofi, aventi particolare riferimento alla teoria moderna degli insiemi. Ruggero Bacone (20) (da non confondersi con Francesco Ba­ cone) nell'Opus maius (pubblicato a Londra nel 1233) rileva la possibilità di stabilire una corrispondenza biunivoca (mediante proiezione) fra i punti di un lata di un quadrato e i punti della sua diagonale; ed osserva che una semiretta è uguale ad una altra semiretta contenuta nella prima. Da queste osservazioni R. Bacone crede di poter dedurre che !'infinito matematico non è logicamente possibile. Ad altra conclusione, giungerà nonostante i paradossi, Galileo, come vedremo a suo tempo. Anche S. Tommaso d'Aquino ha più volte affrontato i problemi dell'infinito matematico. Le sue considerazioni più note riguar­ danti tale argomento sono quelle in armonia con la veduta aristo­ telica che respinge l'infinito matematico attuale (21). Ma quando si riferisce alla Mente di Dio, S. Tommaso è d'ac­ cordo con S. Agostino nel riconoscere l'esistenza d'infiniti oggetti della conoscenza divina: «Necesse est dicere quod Deus etiam scientia visionis scit infinita» (22). Un'affermazione relativa alla possibilità di un infinito maggiore di un altro, trovasi nelle opere di S. Tommaso d'Aquino, come fu (20) Bacone, pagg. 66-70, specialmente pagg. 68-70. (21) V. p. es. Tommaso d'Aquino, 3, parso I, q. VII, a. 4. (22) Tommaso d'Aquino, 3, parso I. q. XIV, a. 12. 146

osservato da

G. Vacca (23). Si tratta di insiemi infiniti, che sono Gli esempi indicati dal Dottore si

parti proprie di altri insiemi.

riferiscono però ad insiemi da noi considerati d'ugual (v. cap. XVII,

potenza

§ 1 del presente VOlume).

Altre disquisizioni sull'infinito matematico e sul continuo si trovano nelle opere di Tommaso Bradwardino

§ 8

-

(1290-1349), morto

(24).

arcivescovo di Canterbury

Le matematiche nei secoli XIII-XV

(25).

Giordano Nemorario, forse da identificarsi con il successore di

S. Domenico, come generale dell'Ordine, nella sua Aritmetica

riprende sistema

Nicomaco, di

nell'Algorithmus

numerazione

decimale

demonstratus

ed

il

calcolo

espone

delle

il

frazioni,

altrove spiega mediante esempi la risoluzione delle equazioni di primo e di secondo grado; si occupò anche di geometria elemen­ tare e di statica. Campano da Novara che nel

1280 tradusse dall'arabo in latino

gli Elementi di Euclide, nelle sue note critiche trattò importanti questioni relative all'angolo di contingenza ed alla continuità, si occupò anche degli assiomi dell'aritmetica. Nicola Oresme vescovo di Lisieux

(1323-1382) precursore delle

coordinate cartesiane studia i fenomeni naturali con mezzi mate­ matici, mediante diagrammi che precorrono quelli cartesiani. Egli introduce anche l'uso degli esponenti frazionari, mentre gli espo­

(1484). (26) (1445?-1514?) con la sua opera Summa de Arithmetica, Geometria (Venezia 1494) lasciò una specie di

nenti negativi verranno usati da Chuquet Frate Luca Paciolo

...

enciclopedia della matematica pura ed applicata che s'insegnava ai suoi tempi. Leonardo da Vinci, che fu amico di Frate Luca, disegnò le tavole di un'altra sua opera la Divina proporzione, in cui si tratta della sezione aurea, delle sue applicazioni a diverse questioni geometriche, e di strane considerazioni che potremmo chiamare di mistica della geometria, per analogia con la mistica dei numeri. Luca Paciolo può dirsi giunto al confine fra la matematica medioevale e quella moderna, in quanto egli, esposta la risolu(23) Tommaso

d'Aquino,

1.

QuodIibet nonum,

art.

I:

«Nihil enim prohibet,

illud quod est infinitum per unum modum, superari ab eo quod est infinitum pluribus modis; sicut si esset aliquod corpus infinitum secundum longitudinem finitum

vero

latitudine,

esset

minus

corpore

longitudine

et latitudine

infinito...

infinito enim non est aliquid maius in illo ordine quo est infinitum: sed secundum alium ordinem nihil prohibet aliquid esse aliud maius infinito; sicut numeri pares pt impares simul accepti sunt plures nem€ris paribus 1>.

(24) Enriques, 12, p ag

o

29.

(25) Enriques, 12, pagg. 28-29. (26) Bortolotti, 19, pagg. 27-33.

147

zione delle equazioni dei primi due gradi, e più in generale di quelle aventi

la

forma

x2m + pxm

+q

=

O, manifesta l'aspirazione insCld­

disfatta verso la risoluzione delle equazioni di terzo grado: Capitoli de numero cose e cubo composti [x3 + px + q

numero cubo e

censo [x3 + px2 + q

=

O]

non s' �

=

c:

. .nei .

O] over de

possuto finora

troppo bene formare regola generale... dirai che l'arte ancora a tal caso non ha dato modo, si come ancora non � dato modo al quadr-are del cerchio ».

148

CAPITOLO XI RINASCIMENTO MATEMATICO ED ALGEBRISTI

§ l - Arte e matematica nel Rinascimento (l). Come le opere del Rinascimento artistico e letterario trag­ gono ispirazione

dall'arte e dalla letteratura classica,

ma non

costituiscono una semplice riesumazione del mondo antico, cosi le costruzioni razionali del Rinascimento scientifico, pur basan­ dosi in gran parte sui risultati della scienza antica, rivissuti con spirito nuovo, contengono anche elementi, non riscontrabili nel mondo classico. Mentre per merito degli umanisti veniva ripreso lo studio dei capolavori matematici dell'era alessandrina, l'infiuenza orien­ tale recava il suo contributo al progresso dell'algebra, il numero riprendeva il suo primato sulla geometria, le ricerche d'analisi infinitesimale

venivano promosse

secondo una

visione

dell'infi­

nito matematico che, in armonia con nuove correnti de! pensiero, potentemente attirava le menti dei matematici del Rinascimento; nella prospettiva scienza ed arte s'univano in mirabile sintesi. L'affermarsi del senso della misura e dell'armonia durante il

Rinascimento

favorisce

la formazione

della

mentalità

mate­

matica. Un medesimo spirito si manifesta nell'arte e nella scienza. Gli artisti del Rinascimento furono spesso anche scienziati; tali furono Brunelleschi, Paolo Uccello, L. B. Alberti, Piero della Fran­ cesca, Leonardo da Vinci

(2), che nelle matematiche «trovava

un senso di beatitudine come nella musica e nelle cose certe» Alberto Diirer ... Osserviamo che il Rinascimento scientifico raggiunge la sua più rigogliosa fioritura quando il Rinascimento artistico e lette­ rario si era già esaurito:

in un giorno prossimo a quello della

morte di Michelangelo nasceva Galileo.

§ 2 - Gli Algebristi italiani nel Rinascimento (3). Durante il Cinquecento si raccolgono i frutti di una lunga maturazione

d'idee,

soprattutto

nel campo dell'algebra,

con la

(1) Enriques, 12, pagg. 30-31. (2) Severi, S. (3) L'argomento è stato approfondito negli scritti del Bortolotti, 12. 20. V. anche Vacca, 8; Enriques, 12. pagg. 33-36.

149

risoluzione delle equazioni di terzo e quarto grado, le prime delle quali possono considerarsi le colonne d'Ercole della matematica antica e medioevale, superate le quali entriamo nella matematica moderna. In quel tempo i matematici circondavano di segreto le loro scoperte per valersene nelle pubbliche gare, dall'esito delle quali

poteva

dipendere l'acquisto od

anche

la perdita,

di una

cattedra universitaria. In occasione di una di queste gare N. Tartaglia da Brescia (m. 1559) risolse l'equazione cubica della forma

x8+ px (Noi scriveremmo x3 + px +q

=

=

q

(I)

O, ma allora per evitare i numeri

negativi non si portavano tutti i termini al primo membro).

G. Cardano, matematico, medico e filosofo (1501-1576) desi­ deroso di conoscere la regola per risolvere le equazioni di terzo grado, non senza difficoltà riuscl a farsi comunicare dal Tarta­ glia il risultato in questione, sotto forma di oscure terzine, ma dovette promettere dilltln pubblicarlo. Per quasi sei anni Cardano mantenne la promessa, ma poi venne a conoscenza di detto risultato per altra via: la risoluzione delle equazioni di terzo grado era stata ottenuta, prima che dal Tartaglia, dal matematico bolognese Scipione dal Ferro (1465-1526), il quale l'aveva comunicata al suo genero Annibale della Nave, che a sua volta l'aveva fatta conoscere a Cardano; iI quale, stando cosi le cose, si credette sciolto dalla solenne promessa che aveva fatta al Tartaglia, e pubblicò nel suo risoluzione

dell'equazione

libro «Artis

magnae» la

di 3° grado (I). Ivi inoltre Cardano

insegnò anche a ridurre un'equazione del tipo

y3 + ay2 + by + c =O alla forma

x3+ px+q = O. (Basta porre:

y=x-

a -

)

3 Cardano stesso attribuisce tale trasformazione al suo disce­ polo Ludovico Ferrari. Per risolvere l'equazione x3 + px

=

q basterà interpretare cor­

rettamente le terzine del Tartaglia. A questo scopo scriveremo accanto

ai versi

l'interpretazione espressa con

i

simboli

alge­

brici moderni. c:

Quando che 'l cubo con le cose appresso

Se agguaglia a qualche numero discreto

150

x3+ px

=

q

u-v=q

Trovan dui altri differenti in esso Da poi terrai questo per consueto, che 'Ilor produtto sempre sia eguale, al terzo cubo, delle cose neto, el residuo poi suo generale delli lor lati cubi ben sottratti, varrà la tua cosa principale

v=(~r



x

3,1-

=

vU -

3,1-

vv

Questi trovai, e non con passi tardi Nel millecinquecente', quattro e trenta Con fondamenti ben saldi e gagliardi Nella città dal mare intorno centa:.. La regola di Tartaglia per risolvere l'equazione x 3 + px = q (I) consiste dunque nel trovare due numeri u e v tali che

uv

= (~

u-v=q

r

(III) ,

ponendo:

(II) x

= 3VU -

vil

(IV).

3

Si verifica facilmente che le posizioni (II), (III), (IV) soddisfano identicamente l'equazione (I). Infalti sostituendo l'espressione (IV) nella (I) si ottiene

( SVti - SVil)3 + P ( Yu - VV )= q 8

cioè U-

U-

SVv (8Vti - Vv) + p (avti - Vv) = q v + ( SVti - Vii) (p - 3 Vu VV ) = q

v - 3 SVu

8

8

Questa relazione sarà soddisfatta identicamente ponendo U -

v

=q

3,1-

(II) , P - 3 r U



3,1-

rv

=

O,

cioè U •

v=

(~r

(III)

C.

v. d.

Per completare la risoluzione della (I) basta determinare u e v in base. alle (II) e (III) . Si ottiene (servendosi p. es. dell'equazione ausiliaria):

151

Se, come si fa di solito adesso, l'equazione data è scritta sotto la forma x 3 + px+q=O basta scrivere - q al posto di q e si ottiene

Per quale via gli algebristi italiani del Rinascimento sono giunti alla risoluzione delle equazioni cubiche? Il Bortolotti e il Vacca ritennero (-') che il punto di partenza delle ricerche considerate è stato fornito dagli studi di Leonardo Pisano sulla irriducibilità degli irrazionali cubici alle forme studiate nel X· libro di Euclide. Leonardo osserva che secondo Euclide

Ora non si presenta una analoga riduzione per la somma di due radicali cubici:

Si può cosi presentare naturale la ricerca della equazione alla quale soddisfa l'espressione u + v che potremo indicare con x. Elevando al cubo ambo i membri dell'eguaglianza x = u + v, cioè

si ottiene

cioè x3 = 3 3

ya 2 -

b . x

+ 2a .

Quest'ultima equazione s'identifica con l'equazione generale del tipo: (4) Bortolotti, 8 oppure 11; Vacca, 6.

152

ponendo:

2a=q

q

cioè

a=--, 2

e cioè

q2

pS

b=--4 27

Quindi

Le equazioni di 4° grado venivano risolte dal discepolo di Cardano, Ludovico Ferrari, presumibilmente nel 1540, e questo risultato trovasi pubblicato sul libro «Artis Magnae:. insieme con la regola per risolvere le equazioni di 3° grado. Ricordiamo che Cardano si occupò della risoluzione delle equazioni, non soltanto valendosi dei metodi dell'algebra, ma anche considerando il problema dal punto di vista della valutazione numerica delle radici mediante approssimazioni successive (5). Il procedimento applicato da Cardano per le equazioni di 3' e 4° grado vale per equazioni di grado qualsiasi. Il Cardano vede che c: per iteratas operationes semper propinquius licet accedere:. alle radici cercate.

§ 3 - Cenni sullo sviluppo del simbolismo algebrico: contributo di Descartes Sarebbe interessante delineare con cura l'evoluzione del simbolismo algebrico dalle origini ai nostri giorni, ma per motivi di brevità ci limiteremo a rapidi cenni. Notevole contributo al progresso del simbolismo algebrico venne offerto dagli algebristi italiani del Rinascimento, in particolare da Rafael Bombelli matematico ed ingegnere bolognese del sec. XVIo, nella sua opera L'Algebra (Bologna 1572), di cui una parte, rimasta inedita fu scoperta da E. Bortolotti e pubblicata nel 1929 con una interessante introduzione, alla quale rinviamo per notizie sul simbolismo di Bombelli, e tavole riproducenti alcune pagine del manoscritto originale (6). Un passo decisivo nel perfezionamento del simbolismo algebrico venne compiuto da Descartes. (5) Cardano, 2, cap. 38; 3 in l, voI. IV pago 273. L'importanza della scoperta di Cardano è stata rilevata da Cossali, pagg. 316 e segg. e da Genocchi, pago 166. (6) Bombelli, specialmente pagg. 32-36.

153

Discours de

Descartes critica nel

algebrico in uso prima di lui:

Methode

la

il simbolismo

«on s'est tellement assuieti... a

certaines reigles et a certains chiffres, qu'on en a fait un art confus et obscur, qui embarasse l'esprit au lieu d'une science qui le cuItive» (7). veftiYllfte rappresentati rispetth amente easL Per esempio l'incognita (radice) il suo quadrato e il suo cubo venivano rappresentati rispettivamente così:

C;

Q

R

oppure con i caratteri cossici avremo rispettivamente

'2e, 3', ce, di cui si serviva ancora Descartes nel

1619.

Questi caratteri non esprimevano chiaramente le operazioni eseguite sull'incognita per ottenere il quadrato e il cubo, nè si prestavano per eseguire facilmente i calcoli algebrici. Descartes sostituisce i numeri con le lettere, allo scopo di

(a, b, C, A, B, C, per le incognite, più tardi sostituite stesso Descartes con x, y, z). Le successive potenze di una quantità x vengono rappresentate mediante detta quantità

rendere chiare le operazioni eseguite su queste ultime

..•

per le quantità note, dallo data

presa come base e i relativi esponenti, secondo l'uso attuale

x Quindi il polinomio in caratteri cossici

diventa secondo il simbolismo di Descartes, che è anche il nostro

x + 4X2

--

7x3

(8)

Ma Descartes nel campo dell'algebra non si è limitato a darci un simbolismo adeguato, lucido, maneggevole, ma ci ha anche lasciato

importanti

risultati

sulle

radici

delle

equazioni

briche, raccolti specialmente nel libro IlIO della sua

alge­

Geometrie:

ricordiamo in particolare il metodo per abbassare il grado di una equazione

di

cui si conosce una radice, il modo di far sparire

il termine di grado n -1 in un'equazione di grado n. e soprattutto (7) Descartes. t. VI, pago 18. (8) Adam. pago 53.

154

il celebre teorema di Cartesio sul segno delle radici di un'equazione algebrica di grado n con coefficienti e radici reali. Dice Descartes: «On connoit aussy, de cecy, combien il peut y avoir de vrayes racines, et combien de fausses, en chasque Equation. A scavoir: il y en peut avoir autant le vroyes que les signe + et - s'y trouvent de fois estre changés; et autant de fausses qu'il s'y trouve de fois deux signes +, ou deux signes -, qui s'entresuivent»

(9).

Del contributo di Descartes alla costruzione della geometria analitica

ed

a110

sviluppo

dell'analisi

inftnitesimale

parleremo

nei prossimi due capitoli.

§

4



Il

Caso irriducibile e i numeri immaginari (lO).

La risoluzione delle equazioni di decisivo

delle

matematiche

moderne

3° grado è il primo passo al

di



dei

limiti

della

scienza antica. A partire da questo risultato si iniziano nuovi sviluppi. Cardano

si

accorse

che

proprio

quando

le

tre

radici

del­

l'equazione di terzo grado sono reali, il discriminante dell'equazione è negativo, compaiono cioè, nell'espressione di queste radici reali, valori immaginari. Le radici

sono in tal caso reali perchè

somme di numeri

complessi coniugati. L'immaginario tuttavia non può farsi sparire con operazioni algebriche, ma può eliminarsi esprimendo i numeri complessi sotto

forma

trigonometrica,

come

mostrò

F.

Vieta

(1540-1603) al quale dobbiamo perfezionamenti del simbolismo algebrico e notevoli risultati sulle equazioni. Finchè i numeri immaginari venivano riscontrati soltanto nelle equazioni di che

2° grado, si presentava il caso di simboli privi di senso

comparivano

in

corrispondenza

di

problemi

impossibili.

L'importanza di detti numeri appariva quindi limitata. Diverso invece era il caso in cui l'immaginario si presentava nella riso­ hl2,ione

delle

equazioni

cubiche,

proprio

in

corrispondenza

di

radici reali. L'importanza dei numeri immaginari appariva cos) notevolissima in seguito alle considerazioni di Cardano, il quale osserva:

«R m.

9 non est 3p nec 3m sed quaedam tertia natura

abscondita ». Cioè natura nascosta

c:

y 9- non

è + 3 nè

-

3, ma un ente d'una certa

».

Le regole di calcolo dei numeri complessi venivano fornite da Raffaele Bombelli nella sua Algebra già ricordata. Ulteriori sviluppi delle teorie sono dovute a G. Wallis (16161703) e ad A. De Moivre (1667-1754), Cotes (1628-1716). Ma ancora al tempo di Leibniz l'immaginario aveva in sè qualche cosa di (9) Descartes, t. VI, pago 446. (lO) Gigli. l, pagg. 133 e segg.

155

misterioso: il ftlosofo nel 1702 chiamava il numero immaginario: 4:

Analyseos miraculum, idealis mundi monstrum, pene inter

Ens et non Ens amphibium

».

La piena giustificazione della possibilità logica dei numeri immaginari, cioè della non contradditorietà o coerenza della loro teoria, verrà fornita dalla rappresentazione geometrica del piano complesso di Wessel (1745-1818) (11), Argand (1768-1822) e Gauss

(1777-1855)

e dalla teoria delle coppie, dovuta in certo qual modo

a Gauss ed in forma più chiara a G. R. Hamilton (1805-1865). Mentre

nella

prima

di

queste teorie

il

numero

complesso

viene interpretato come un punto del piano, di cui l'ascissa è la parte reale e l'ordinata è il coefficiente dell'immaginario, nella seconda, i numeri complessi vengono considerati come coppie di numeri reali, che posseggono determinate proprietà. Osserviamo a questo proposito che dal punto di vista didat­ tico, come pure da quello euristico è preferibile per il suo carat­ tere intuitivo l'introduzione dei numeri complessi mediante l'inter­ pretazione geometrica.

Ma dal punto di vista logico è di gran

lunga più soddisfacente la teoria delle coppie, in quanto questa permette di assicurarsi della coerenza complessi,

sulla

base

della

coerenza

della teoria della

teoria

dei numeri dei

numeri

reali. Si ha cosi il vantaggio di non dover ricorrere alla geometria per stabilire la coerenza dell'analisi. Teniamo presente a questo proposito che nella matematica moderna la coerenza delle diverse geometrie viene stabilita sulla base della corenza dell'analisi, e allora se la coerenza di quest'ul­ tima si basasse a sua volta sulla coerenza della geometria si cadrebbe in un circolo vizioso. Nel campo complesso i teoremi dell'algebra presentano una semplicità

ed

eleganza

di

enunciati

che

non

si

riscontra

nel

campo reale. Per

esempio

nel

campo complesso vale il teorema

fonda­

mentale dell'algebra di cui d'Alembert (1717-1783) diede una dimo­ strazione non rigorosa e che Gauss per il primo dimostrò rigo­ rosamente: ogni equazione algebrica di grado n possiede n radici.

§

5

-

Cenni sul Teorema di RUffini-Abel e sull' opera di Galois (12).

Dopo il mirabile sviluppo dell'algebra verificatosi durante il Rinascimento,

sviluppo

culminato nella risoluzione delle equa­

zioni di 3° e 4° grado nel secolo XVI, per più di due secoli i mate­ matici tentarono invano di risolvere algebricamente le equazioni di grado superiore al quarto: sulla natura della questione gettano luce le rifiessioni di Lagrange

(1770) intorno alle equazioni di

(11) WesseI. (12) Notari; Enriques. 12, pagg. 198-207; Carruccio. 11.

156

3° e 4° grado, la risoluzione delle quali venne ivi posta in rela­ zione col gruppo delle sostituzioni e permutazioni di 3 o 4 lettere. Un noto storico della matematica il Montucla, paragonando detto problema ad un nemico che si difende in una fortezza asse­ diata, scriveva

(13):

«Les dehors de la pIace sont enlevés de

toutes parts; mais renfermé dans son dernier reduit, le problème s'y défend en désespéré quel sera le génie heureux qui l'empor­ tera d'assaut, ou le forcera de capituler? La vittoria

>.

sul problema in questione venne

riportata dal

matematico e medico modenese Paolo Ruffini, in un modo ben diverso da quello che era stato perseguito dai matematici durante secoli di ricerche. Proprio

durante

iI

periodo

dall'aprile

1798 all'ottobre 1799,

in cui Paolo Rufflni era stato dimesso dalla sua cattedra univer­ sitaria e bandito da ogni pubblico ufficio, per essersi rifiutato di prestare

un

giuramento

contrario

alla

sua

coscienza,

portata a termine dallo stesso Ruffini la Teoria

veniva

generai e

delle equazioni (Bologna, 1799) in cui si dimostra impossibile la solu­

zione algebrica (cioè mediante operazioni razionali ed estrazioni di radici) delle equazioni generali di grado superiore al quarto. Questo risultato, l'alto interesse del qua.le non è certo dimi­ nuito dal suo carattere negativo, oltrepassava le conosceme e la mentalità dei contemporanei del Rufflni; venne pertanto accolto con molto riserbo dai più grandi matematici del tempo. Una lacuna nella dimostrazione di Ruffini è stata superata da Abel (1802-1829) che ritrovb, a quanto pare indipendentemente dal Rufflni, il risultato in questione. Nelle

dimostrazioni sopra

considerate di

Rufflni e

di

Abel

si applicano i concetti dell'analisi combinatoria, con riferimento alle sostituzioni sopra le radici XI

••••.

Xn dell'equazione data. Que­

st'ordine d'idee è stato approfondito da E. Galois

(1811-1831) il

quale ha stabilito relazioni fondamentali nell'algebra superiore, fra la teoria dei gruppi di sostituzioni e la teoria delle equazioni algebriche, giungendo alla condizione necessaria e sufficiente affln­ chè un'equazione di grado n qualunque sia risolubile per radicali. Galois espose i suoi risultati senza dimostrazioni in un lavoro redatto

nella notte

che

precedette il

duello in cui

il

giovane

matematico trovb la morte. In

un

primo tempo

i

risultati

di

Galois

esposti

in

forma

concisa e molto originali, non furono compresi dai matematici,

(1823-1892). di teoria delle sostituzioni cui abbiamo accen­

vennero finalmente dimostrati da E. Betti Le ricerche

nato, permettono di stabilire un legame vitale fra l'algebra ed un ordine d'idee che di per sè è indipendente dalla quantità, ma

è di carattere puramente logico. (13) Montucla, t. III, pago 18, passo citato dal Bortolotti, l, pago 23.

157

CAPITOLO XII ORIGINI DELLA GEOMETRIA ANALITICA E RAZIONALISMO CARTESIANO. GNOSEOLOGIA VICHIANA

§

l

.

l precursori della geometria analitica

Mentre la primitiva matematica pitagorica si basava sul con· cutto di numero, dopo la scoperta delle grandezze incommensura­ bili, la matematica classica si è svolta, come si è visto, secondo un indirizzo prevalentemente geometrico. Tuttavia

molte

relazioni

geometriche

scoperte

dagli

antichi

sono suscettibili di una traduzione immediata in termini anali­ tici;

ciò accade ad esempio per le relazioni che caratterizzano

le coniche nell'opera di Apollonio, per il quale viene espressa

(1) 25 d.C.) che con le sue coordinate geograflche

particolare stima da Descartes che invece non ricorda Strabone (63 a.C. circa

-

prelude alla geometria analitica, nè N. grammi;

Oresme con i suoi dia­

mentre un accenno di Cartesio a Marino Ghetaldi, che

pure viene ricordato tra

i precursori della geometria analitica,

non sembra testimoniare un'influenza di pensiero. L'interesse

per

il

numero,

riaffermatosi

al

tramonto

della

scienza antica, conduce ai mirabili risultati dell'algebra del Rina­ scimento, che costituiscono la preparazione della sintesi dell'al­ gebra con la geometria, che stava per essere compiuta da parte di P. Fermat e di R. Descartes. I loro tempi erano ormai maturi per un'applicazione dell'al­

gebra alla geometria, che riguardasse non soltanto le dimensioni delle flgure, ma anche le posizioni dei punti, e risolvesse i problemi relativi,

con

quella generalità,

semplicità e

potenza di metodi

caratteristiche dell'algebra, giunta ormai ad un notevole grado

di sviluppo.

§

2

.

Cenni sul contributo di P. Fermat alla costruzione della geometria analitica

L'[sagoge ad Iocos planos et solidos di P. Fermat pubblicata 1674 dopo la Geometrie di Descartes, ma divulgata

postuma nel

(1) Bortolotti, 5. pagg. XXX-XXXI.

158

prima in una cerchia di amici, contiene i principi fondamentali della geometria analitica: la corrispondenza tra punti del piano e coppie di numeri mediante un sistema di assi coordinati, e le

(2). Geometrie di Descartes, che verrà da noi esaminata

equazioni della retta e delle coniche Tuttavia la

più particolarmente, presenta maggiore interesse filosofico del­

l'lsogoge di Fermat, in quanto mentre in questa l'algebra inter­ (3), nella prima si afferma il primato logico del numero sul mondo geometrico (4) capovolgendo, come si è visto, la concezione classica. viene soltanto a titolo di aiuto della geometria

§

3

-

Esigenze filosofiche alle

quali

risponde la geometria

di

Cartesio Ci proponiamo di esaminare brevemente i motivi filosofici che hanno indotto Cartesio a stabilire il primato dell'analisi numerica sulla geometria

(5). Tra questi motivi annoveriamo innanzi tutto

l'aspirazione cartesiana verso le idee chiare e distinte: Descartes ritiene che i concetti dei numeri e delle operazioni su di essi siano più semplici delle nozioni geometriche e perciò logicamente le precedano

(6).

A questo proposito egli scrive a Desargues:

«...il y a bien

plus de gens qui sçavent ce que c'est la Multiplication, Qu'il n'y en a qui sçavent ce que c'est que composition da raisons etc>

(7).

L'esigenza alla quale abbiamo accennato dipende dal primo dei quattro precetti con cui Descartes nel sostituisce composée:. (2) (3) (4) (5)

«ce gran

nombre de

Discours de la Methode

precepts dont la LogiQue est

(8).

Fermat, pago 92.

Boutroux, pagg. 105-109. Enriques, 12, pagg. 43-44. A questo proposito giova ricordare 11 seguente passo relativo alla conce­ zione cartesiana della «Mathesis universalis:. in cui geometria, astronomia, fisica, sono dominate dal numero: «Quod attentius consideranti tandem innotuit, illa omnia tantum, in quibus ordo vel mensura examinatur, ad Mathesim referri, nec interesse utrum in numeris, vel figuris, vel astris vel sonis aliove quovis objecto, talis mensura quaerenda sit, ac proinde gencralem quandam esse debere scientiam, quae id omne explicet, quod circa ordinem et mensuram nulli speciali materiae addictam quaeri potest, eamdemque, non ascititio vocabulo, sed jam inveterato atque usu recepto, Mathesim universalem nominari quoniam in hac continetur illud omne, propter quod aliae scientiae Mathematicae partes appellantur:D. (V. Descartes, t. X, pagg. 377-378). Cfr. Agostino, 3, lib. II, cap. XV (passo riportato nel cap. IX, § 1 del presente volume). (6) Enriques, 12, pago 44. (7) Lettera del 16 giugno 1639; Descartes, t. I, pago 555. (8) Descartes, t. VI, pago 18. I quattro precetti logici del DiscoUTB de la Me­

thode (parte 2» si riassumono cosi: 1) accettare per vero soltanto ciò che è evi­ dente; 2) dividere le difficoltà in parti per meglio risolverle; 3) ordinare i pensieri procedendo dal semplice al complicato; 4) fare ovunque enumerazioni complete.

159

Si tratta del precetto dell'evidenza, dell'intuizione, delle idee chiare e distinte, il quale non soltanto si oppone al principio di autorità per l.'ammissione degli assiomi fondamentali, ma afferma che

anche la deduzione non viene effettuata secondo le regole

di una logica formale, ma mediante una successione

di atti di (9). Ciò spiega perchè Descartes, mentre respinge la

intuizione

logica tradizionale «syllogismorum formae nihil juvant ad re pum veritatem percipiendam»

(lO), non le sostituisce precise regole

per dedurre, come sono ad esempio quelle della logica matematica contemporanea

(regola di

sostituzione

e schema di conclusio­

ne) (11), ma si limita a dare norme generali come quelle conte­ nute nel Discours de l.a Methode e nelle Regulae ad directionem ingenii. Questo punto di vista di Descartes è particolarmente interes­ sante, anche se, anzi proprio perchè, appare lontano dalla menta­ lità logico-matematica contemporanea. Non dobbiamo però credere che tra i pensatori matematici del nostro tempo non si trovi talora efficacemente riaffermato il valore dell'intuizione di fronte all'applicazione di un sistema di regole logiche (12). Vi è poi un altro motivo più sottile ne!la :filosofia cartesiana per ricondurre, per quanto è possibile, la geometria all'algebra: l'irriducibile eterogeneità della res extensa e della res cogitans. Si pone quindi il problema: come può l'estensione venir pensata? La questione, fino a un certo punto, si risolve, osservando con il Brunschvicg (13) che Descartes, interpretando mediante relazioni fra numeri le relazioni geometriche, svincola la matematica dal­ l'osservazione degli oggetti sensibili e dall'immaginazione delle figure; per lui la nozione di quantità non è più astratta mediante l'uso dei sensi, ma è divenuta di carattere puramente intellettuale. Esiste un «Calcul de M. Descartes» rimasto incompleto che mira a costruire un'algebra astratta senza ricorrere a rappresentazioni geometriche. Veramente però Descartes non ha eliminato completamente l'immaginazione dalla sua Geometrie, mettendo in luce la corri­ spondenza tra le quantità x X2 XII e determinati segmenti (non più segmenti, superficie solidi come per gli antichi); ma il passo decisivo per il quale la Geometria cartesiana non è più sempli­ cemente

applicazione

dell'algebra

alla

geometria, ma

vera e

(9) Milhaud, pago 2 «At vero haec intuitus evidentia et certitudo, non ad Bolas sed etiam ad quoslibet discursus requiritur. (Descartes, t. X, pago 369). (10) V. Regutae ad directionem ingenii, Regula XIV, Descartes, t. X, pagg. 439-440 (11) V. p. es. Hilbert e Ackermann, ed. 1949, pago 23. (12) V. p. es. Severi, 3. (13) Brunschvicg, pago 123. Di parere diverso è Laporte nella sua opera Le rationalisme de Descartes, 1, pagg. 126-128. enuntiationes

160

propria riduzione della geometria all'algebra, verrà fatto, secondo il Brunschvicg, da Malebranche (14). Contro questa concezione muove la critica di Leibniz, il quale nota che le equazioni non hanno di per sè significato geometrico: occorre una traduzione per applicarle alle relazioni spaziali; per esempio dicendo che X2 + y2

=

a" è l'equazione di un cerchio, occorre

spiegare il significato di x ed y nella figura, ecc. (15). La conclusione di Leibniz sarà che la n'a pu

�tre changée encore

c:

synthèse des Géomètres

en analyse...

On s'etonnera peut

�tre de ce ce que je dis ici, mais il faut savoir que

[l'algèbre],

l'analyse de Viete et Descartes est plut6t l'analyse des nombres que des lignes, quoiqu'on y réduise la géométrie indirectement, en tant

que toutes les grandeurs peuvent �tre exprimées par

nombres::. (16). La difficoltà inerente nel problema della pensabilità dell'esten­ sione nella filosofia cartesiana si collega con la misteriosa rela­ zione fra anima e corpo (17). Su questo terreno è stato tentato un superamento della difficoltà: l'anima a contatto con il corpo ricaverebbe direttamente da questo la nozione di estensione (18). Questa unione

sostanziale

dell'anima con il corpo rappresenta

nella filosofia di Descartes un elemento irrazionale riconosciuto dallo stesso filosofo (19). Tuttavia sul terreno logico matematico guidati dal pensiero cartesiano si giunge al risultato seguente:

le relazioni logiche

della geometria si traducono in relazioni analitiche: p. es. l'appar­ tenenza di un punto ad una retta si traduce nella condizione che due numeri (coordinate del punto) soddisfino ad un'equazione di primo grado in due variabili e cosi via. Pertanto quando in seguito, lo sviluppo del pensiero mate­ matico moderno giunse alla concezione di una teoria matematica come sistema ipotetico deduttivo basato su postulati arbitrari dal punto di vista strettamente logico, e si pose quindi il problema della non contraddittorietà dei postulati di una geometria, per esempio l'euclidea, la geometria analitica fondata da Descartes ci permetterà di

ricondurre la non

contraddittorietà

di

detta

geometria a quella dell'analisi (20). E' questo uno dei più importanti risultati di cui siamo debi­

tori all'indirizzo cartesiano del pensiero matematico.

(14) Cfr. Brunschvicg. pago 132.

E' di parere diverso il Laporte. 1, pago 127. 3, e rs t er Band, pago 580.

(15) Leibniz, 1, erste Abth, Band II, pago 30; (16) Leibniz, 4, pago 181. (17) Cfr. Brunschvicg, pagg. 1:8-129. (18) Laporte, 2, pagg. 257-289.

III, pago 693; Laporte, 2. V. p. es. Carruccio, 14, specialmente n. 5.

(19) Descartes, t. (20)

161 11

§

4

-

Aspetti deUa geometria analitica di Cartesio

Il primo passo da compiere sulla via della costruzione della «Mathesis

universalis> nella

quale

Cartesio, geometria, astronomia

secondo

e fisica

la concezione

vengono

dominate

di dal

numero, consisteva nella riforma del simbolismo algebrico, per renderlo chiaro, ed espressivo: di questo argomento abbiamo trat­ tato nel capitolo precedente. Un altro passo essenziale nella via della costruzione della geometria qualsiasi

è

costituito

dal!a

proporzione

analitica

mediante

una

espressi mediante simboli

c:

rappresentazione di proporzione

fra

una

segmenti

chiffres>. Questo concetto che verrà

applicato sistematicamente nella Geometrie viene già espresso nel

Discours de la Methode dove a proposito delle proporzioni si dice:

c:

Puis, ayant pris garde que, pour les connoistre, i'aurais

quelque fois, besoin de les considerer chaschune en particulier, et quelque fois seulement, de les retenir, ou de les comprendre plusieurs enaemble, je pensay que, pour les considerer mieux en particulier, ie les devois supposer en des lignes, a cause que ie ne trouvois rien de plus simple, ny que ie piisse plus distinctement representer a mon imagination et a mes sens; mai que, pour les retenir, ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que ie les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible; et que, par ce moyen, i'empreunterois tout le meilleur des l'Analyse Géometrique et de l'Algebre, et corrigerois tous les defaus de l'une par l'autre> (21). Nella Geometrie, introducendo il segmento unità di misura come era stato già fatto da Leonardo Pisano (22) e da Raffaele Bombelli (23), troviamo le costruzioni geometriche delle espres­ sioni algebriche interpretate come relazioni tra segmenti. Cioè essendo ad esempio a la misura di un segmento, a2 e al! venivano rappresentati non come aree o volumi secondo l'uso degli antichi ma ancora come misure di segmenti (24). Notiamo che la rappresentazione di tutte le espressioni alge­ briche mediante linee era necessaria a Descartes in quanto egli non possedeva ancora il principio di continuità, senza il quale l'esistenza di una grandezza doveva esere garantita da una costru­ zione, mentre per noi l'esistenza matematica di una grandezza può essere assicurata da una veduta di continuità (25): si pensi ad esempio alla terza parte di un angolo, di cui ammettiamo l'esistenza,

anche a prescindere dal!a sua effettiva costruzione.

(21) Descartes, t. VI, pago 20. (22) Leonardo Pisano, Practica Geometriae, pagg. 153-155. (23) Bombelli, pago 19. Ivi si mostra che anche nelle operazioni sui segmenti Bombelli

precorre

Cartesio.

(24) Descartes, t. VI, pagg. 369-371 (25) Milhaud, pagg. 7-8.

e

442-444.

162

Su queste basi Descartes costruisce il suo mondo geometrico. Per rappresentare mediante un'equazione le proprietà che carat­

1), egli considera una r sulla quale si prende un punto A come origine delle lun­

terizzano una determinata curva l (vedi fig. retta

ghezze misurate sulla retta stessa. Conduciamo per un punto gene­

C della curva l una retta secondo una direzione fissa, questa r in un punto M, se indichiamo la misura di AM con x e la misura di MC con y, la curva sarà caratterizzata da un'equazione nelle variabili x ed y. Nella Geometrie non si studia sistematicamente l'equazione rico

incontrerà la retta

della retta, ma quando s'incontra un'equazione di primo grado in x ed

y si riconosce che si tratta dell'equazione di una retta. AM che funziona da asse delle ascisse, in genere

La retta

viene scelta in base a considerazioni intrinseche alla curva da rappresentare. c

A

x

M Fig. 1

Dopo di aver considerato le rette e le coniche rappresentate rispettivamente dalle equazioni

di

1" e di

2° grado, Descartes

prosegue definendo le curve di ordine superiore, classificandole a partire dal grado della loro equazione. Sorge cosi un mondo geometrico

illimitato

in

virtù

della

semplice

applicazione

del

meccanismo algebrico; la geometria si presenta in base al metodo considerato non più come una realtà da contemplare quale era per gli antichi, ma come un mondo da costruire con l'attività dello Spirito a partire da elementi più semplici; lo scienziato ha di mira non tanto una raccolta di risultati quanto la costituzione di un metodo (26). Descartes accetta la costruzione delle curve mediante deter­ minati strumenti meccanici, osservando tra l'altro che anche la retta e la circonferenza vengono descritte mediante strumenti, la riga e il compasso, pertanto non vi è motivo di respingere l'uso di strumenti atti a descrivere curve d'ordine superiore (26)

(27).

Geometrie, lib. II (Descartes, t. VI, specialmente pagg. 392-393); Boutroux,

pagg. 104-109; Bompiani, pagg. 313-325.

(27) Descartes, t. VI, pagg. 389-390. 163

Tuttavia Descartes non spinge al di là di ogni limite la sua generalizzazione, in quanto esclude dal suo mondo geometrico certe curve come le spirali, la quadratrice d'!ppia e simili «a cause qu'on les imagine descrites par deux mouvements separés et qui n'ont entre eux aucun rapport qu'on puisse mesurer exac­ tement» (28). Le curve sopra indicate, che Descartes non accetta nella sua geometria sono trascendenti. Così le funzioni trascen­ denti: trigonometriche esponenziali logaritmiche, ecc. non vengono accolte nell'analisi di Descartes, ciò che contribuisce a trattenere il nostro Matematico sulla soglia del calcolo infinitesimale (29).

, , , , ,

p,' - -------

�'

\ " \ " \ , \ ' \ ... \ ... , \ , \ , \ , ... \ ... \ , " \ \ \ \ \

Fig.

2

Nel libro III" della Geometrie vengono risolte mediante inter­ sezioni di curve le equazioni di 3°, 4°, 5°, 6° grado e si trattano i problemi classici della duplicazione del cubo e della trisezione dell'angolo,

ai

quaIi

si

possono

ridurre

tutti i problemi di 3·

grado (30). (28) Descartes, t. VI, pago 390. (29) Vacca, 10. (30) Descartes, t. VI, pagg. 469-473;

v.

164

anche

Conti,

pagg.

335-336

e

385-386.

Descartes ha intuito l'impossibilità di risolvere mediante la riga e il compasso i problemi che conducono ad un'equazione di

3° grado irriducibile nel campo di razionalità dei coefficienti, in­ sieme con altre impossibilità dello stesso genere:

i risultati sul­

l'argomento verranno poi dimostrati nello spirito della geometria cartesiana (31). Nella sua

Geometrie

Descartes

affronta con

successo

un

problema che era stato posto ma non risolto in generale dagli Antichi.

Si tratta del cosidetto problema di Pappo, che si può

enunciare nel modo seguente. Siano date 2n p altre

rette (v. fig. 2). Conduciamo per un punto 2n rette che formino angoli assegnati uguali fra loro con

le rette date. Siano Hl H2••• H2n i vertici di detti angoli. Si deve trovare il luogo geometrico del punto P scelto in modo che si abbia l'uguaglianza tra prodotti di misure di segmenti:

PH1 ... PHn

=

PHn+1 .

.

. PH2n

Nel caso in cui le rette date sono in numero dispari (2n -1) si PH2n con un segmento dato. •••

sostituisce uno dei segmenti PHI

Il problema nel caso di 3 o " rette, che presumibilmente è stato posto e risolto in parte da Aristeo, secondo la testimonianza di Apollonio e di Pappo, è stato trattato da Euclide ed in modo più completo da Apollonio. Descartes dà prova della potenza del suo metodo dando la soluzione

generale

del

problema,

riconoscendo

la

natura

alge­

brica della curva luogo geometrico del punto P, stabilendo il grado della relativa equazione, grado definito però in modo diverso da quello usato attualmente (32). Finora abbiamo considerato la geometria cartesiana del piano, ma esiste un cenno di Descartes anche al metodo per trattare analiticamente i problemi della geometria dello spazio (33). Descartes

proietta

ortogonalmente

una

curva

sghemba

descritta da un punto mobile nello spazio, sopra due piani di riferimento perpendicolari fra loro. La curva sghemba viene cosi rappresentata mediante due linee piane che si possono studiare con i metodi già indicati. Troviamo qui il concetto fondamentale del metodo delle proiezioni ortogonali in geometria descrittiva, detto di Monge. (31) Descartes,

t. VI, pagg. 475-476; cfr. Bompiani.

(32) Descartes, t. VI, pagg. 377-387 e 396-411. V. anche nota di P. Tannery in Descartes, t. VI, pagg. 721-725. Descartes chiama di ordine n quelle curve che noi chiamiamo d'ordine 2n o 2n-1. (33) Descartes, t.

VI, pagg. 440-441 verso la fine del 2° libro della «Geometrie •.

Sulle curve sghembe Descartes tenta di risolvere normale

un

solo problema, quello della

in un punto assegnato della curva. Disgraziatamente nella soluzione di

questo problema Descartes cade in errore v. nota a pago 441 del volume citato.

165

Sulla base di questo cenno cartesiano Clairaut edificherà la geometria analitica dello spazio. Descartes con la

Geometrie aveva assolto

il compito che si era

prefisso secondo la concezione della matematica che aveva guidato il suo cammino, unificando con il suo metodo un vasto dominio del mondo del pensiero. «Pour la methode dont ie me sers tout ce Qui tombe sous la consideration

des

Geometres se

reduit

a

un

mesme

genre

de

problemes, qui est de chercher la valeur des racines de quelque Equation»

(34).

Nella visione del almeno in modo

mondo matematico che riteneva

potenziale

dominare

interamente,

di poter

Descartes,

concludeva cosi la sua Geometria. «Et i' espere que nos neveux me scauront gré, non seulement des choses que i' ay icy expIiquées, mais aussy de celles Que i' ay omises volontairement affin de leur laisser le plaisir de les inventer»

§

5

-

(35).

Relazioni fra l'opera di Cartesio e gli ulteriori sviluppi della matematica

Descartes si

è effettivamente meritata la gratitudine dei suoi

nipoti matematici ai quali ha offerto un linguaggio lucido e potente per esprimere i ragionamenti algebrici ed ha aperto ampi oriz­ zonti alle loro ricerche e vasti cam!)i al loro spirito costruttivo. Tuttavia dallo studio del mondo del pensiero come pure del mondo fisico, dallo studio di quel mondo enigmatico espresso in una

scrittura

cifrata

ci dà la cifra

di

cui

secondo

Descartes

la

matematica

(36) le menti dei nipoti de! sommo Matematico

furono spinte ad oltrepassare in diverse direzioni le frontiere da lui tracciate. Innanzitutto il calcolo infinitesimale di cui Descartes, come abbiamo visto era rimasto sulla soglia, si sviluppò in senso che direi non cartesiano, specialmente per Quanto concerne la teoria degli insiemi infiniti. Ma il lucido simbolismo del calcolo infinitesimale ideato da Leibniz era destinato ad armonizzare perfettamente con il simbo­ lismo

algebrico

unitaria;

di

Descartes

in

una

costruzione

mirabilmente

mentre il simbolismo del calcolo infinitesimale doveva

far parte secondo Leibniz di una scienza più generale «la charac­ teristica universalis», cui anche Descartes sembra talora avere aspirato, quando aveva detto che il suo metodo doveva contenere (34) Descartes, t. VI, pag, 475. (35) Descartes, t. VI, pago 485. (36) Descartes, t. VIII, pagg. 327-328; t. IX 2" parte, pagg. 323-327:

166

art. CCV.

ed esprimere c: prima rationis humanae rudimenta»... c: ad veri­ tates ex quovis subjecto eliciendas» (37). Esiste

tuttavia

una

e

Descartes

la necessità delle

volontà

di

quella

di

differenza

Descartes

Leibniz

essenziale

intorno

verità

alla

fra

la

veduta

logistica

fondamentali

(38).

dipende

Dio che le ha stabilite da tutta l'eternità

di

Per dalla

(39).

La

coerenza di un sistema non basterebbe quindi per garantire la sua verità, il formalismo operatorio non potrebbe garantire la verità di una scienza. Invece secondo Leibniz le verità necessarie sussi­ stono per loro natura, non per una scelta di Dio. Pertanto da queste verità che sarebbero identiche, si costruirebbe un sistema di cui la coerenza garantirebbe la verità. In ogni caso tanto per Descartes come per Leibniz la metodologia si basa su ipotesi metafisiche: sul

«

mentre per il primo la realtà della scienza si basa

cogito» per il secondo la positività dei risultati di una scienza

simbolica

poggia

sulla

concezione

della

razionalità

del

reale.

Anche in altre direzioni non cartesiane doveva avanzare il pensiero matematico: come abbiamo detto, la matematica di De­ scartes

è

essenzialmente

scienza dei

rapporti

fra

grandezze,

metrica. Ebbene, come è noto, nella matematica moderna esistono rami ai quali i concetti metrici sono estranei. In quest'ordine di idee incontriamo innanzitutto la geometria proiettiva che studia non le proprietà metriche delle figure ma le proprietà grafiche, invarianti per proiezione e sezione, nello spirito

del Brouillon

project di Desargues, al quale Descartes seguendo il suo ideale metrico, consigliava invano di servirsi dell'aiuto dell'algebra per rendere più semplici le sue dimostrazioni. Ma mentre da un lato venne costruita con intenti puristici la geometria proiettiva esente da nozioni metriche, d'altra parte le relazioni fra geometria analitica e proiettiva furono vaste e feconde contribuendo efficacemente al progresso di

questi due

rami della matematica. Ancor più lontana dalle nozioni metriche è un altro ramo della geometria moderna:

l'c: analysis situs» secondo il termine

introdotto da Leibniz, o topologia, la quale concerne le proprietà che le figure conservano mentre vengono deformate con conti­ nuità senza duplicazioni o lacerazioni. Ma esiste un importante risultato di Descartes dal quale si (37) Ed anche «hanc methodum omni alia nobis humanitus tradita cognitione utpote aliarum omnium fontem esse,.. (Descartes, t. XI, pago 374). (38) V. su questo argomento: Schrecker, pagg. 336-367. (39) Descartes, t. IX, pago 236, ed anche il passo seguente: «Les verités mathe­

potiorem,

matiques, lesquelles vous nommés eternelles, ont esté establies de Dieu et en depen­ dent entièremant, aussy bien que tout le reste des créatures. C'est en effait parler de Dieu comme d'un Juppiter ou Saturne, et l'assuietir au Stix et aus destinées, que de dire que ces verités sont independantes de lui,. del 15 aprile 1630, Descartes, t. I, pago 145).

167

(lettera al

P. Mersenne

può dedurre la relazione cosi detta di Eulero, che lega i numeri delle faccie

f dei vertici v e degli spigoli s di un poliedro (40). f+v=s+2

Di questa relazione si riconobbe il significato topologico che tra­ scendeva la teoria dei poliedri. Ma più lontane ancora delle teorie sopra ricordate, dal mondo matematico euclidee.

di Descartes, dovevano svilupparsi le geometrie non

Eppure

doveva sorgere

la

prima dimostrazione della

loro legittimità

dalla loro interpretazione analitica

secondo

lo

spirito della geometria cartesiana. A

questo proposito Lobacefski

si esprime in

questo modo

nella sua Pangeometria: «Un semplice colpo d'occhio sulle equa­

(4) che esprimono la dipendenza esistente tra i lati e gli

zioni

angoli dei triangoli rettilinei, è sufficiente per dimostrare che a partire di là, la Pangeometria diviene un metodo analitico che rimpiazza e generalizza i metodi della geometria» (41). Abbiamo cosi visto come anche in quei rami della matematica moderna che teoricamente sono fuori dei confini della matema­ tica cartesiana, esistono vitali addentellati con l'opera di Descartes, che resta un elemento essenziale del pensiero matematico del nostro

tempo,

nell'aspirazione

alle

idee

chiare

e

distinte,

nel

simbolismo e nel linguaggio dell'algebra, nella sintesi di questa con

la geometria, nella costante ricerca e

metodi generali

§

6

-

e nella rifiessione

su

nell'applicazione di

di essi:

La logica di Pascal e di Porto Reale

la

metodologia.

(42).

Le vedute cartesiane sulla logica si riflettono negli scritti di Pascal, il quale esprime le sue idee in proposito con notevole chiarezza nel modo seguente (43): «Cette véritable méthode, qui formerait les démonstrations dans la plus haute excelleme, s'il était possible d'y arriver, consisterait en deux choses principales: ... définir tous les termes et prouver toutes les propositions»; ma «cette méthode... est absolument impossible: que les premiers termes qu'on

car il est évident

voudrait définir en supposeraint

de précedents pour servir à leur esplication, et que de m�me les premières propositions qu'on voudrait prouver en supposeraint d'autres que les précédassent, et ainsi

il est

clair qu'on n'arri­

verait jamais aux premières. Aussi, en poussant les recherches (40) Descartes, t. X, pagg. 257-276 e seguente tavola; in particolare pago 258. V. Natucci. pagg. 287-288. (41) Bonola, 1. pago 83. (42) Enriques. 2, pagg. 72-75. (43) Pascal, pagg. 59-90.

168

de plus en plus on arrive nécessairement à des mots primitifs qu'on ne peut plus défi.nir, et à des principes si clairs, qu'on n'en trouve plus davantage pour servir à leur preuve

>.

Precisato cosi qual'è l'ordine logico più perfetto realizzabile dall'uomo nella costruzione di una scienza razionale, Pascal indica le regole per conseguire detto ideale (44).

«Régles pour les définitions.

-

1) N'entreprendre de défi.nir

aucune des choses tellement connues d'elles-m@me,

Qu'on n'ait

point de termes plus clairs pour les expliquer. «2) N'omettre aucun des termes un peu obscurs ou équivoques sans définition. «3)N'employer dans la défi.nitions des termes que des mots parfaitement connus ou déjà expliqués

«Régles pour les axiomes. cipes

nécessaires

>.

1) N'omettre aucun des prin­

-

sans avoir demandé si on l'accorde,

quelque

clair et évident qu'il puisse @tre. «2) Ne demander en axiomes que des choses parfaitement évidentes

d'elles-m@me

».

«Régles pour les démonstrations.

1)

-

N'entreprendre

de

démontrer aucune des choses qui sont tellement évidents d'elles­ m@me qu'on n'ait rien de plus clair pour la démontrer et prouver

>.

«2) Prouver toutes les propositions un peu obscures, et n'em­ ployer

à

leur

preuve

que

des

axiomes

très-évidents,

ou

des

propositions deja accordées ou démontrées. «3) Substituer toujours mentalement les définitions à la pIace des définis, pour ne pas @tre trompés par l'equivoque des termes que les défi.nitions ont restreint

».

Con le regole predette ci si avvicina ai principi stabiliti dalla critica

della logica

contemporanea,

con

i

quali si

giunge alla

concezione di sistema ipotetico-deduttivo, di cui parleremo a suo tempo (cap. XIX, § 1 del presente vOlume). Il pensiero cartesiano si rispecchia anche nella Logique ou art penser, detta di Porto Reale, attribuita ai contemporanei di

de

Pascal, Arnauld e Nicole.

§

7



Giambattista Vico

Giambattista Vico (1668-1744), pur manifestando la sua ammi­ razione per

Descartes

(45),

presentò

sotto forma di

critica

al

pensiero cartesiano, la prima forma della sua gnoseologia (46), (44) Pascal, pagg. 82-83. (45) V. p. es. De mente heroica, tradotta in Vico, 2, pago 925; Croce, 2, pago 268. (46) C roc e, 2, specialmente alle pagg. 3-5 e 8-9.

169

espressa negli scritti De nostri temporis studiorum ratione (1708),

De antiquissima Italorum sapientia (1710) e nelle relative pole­ miche svoltesi nel quadriennio 1708-1712. Sul principio cartesiano

«cogito ergo sum» fondamento della certezza del pensiero e del­ l'essere, il Vico osserva che uno scettico potrebbe obiettare, che detto principio fornisce coscienza (del particolare o del certo) non scienza (dell'universale o del vero)

(47).

Ora, si domanda il Vico, qual'è invece il criterio che rende possibile la scienza? Egli risponde che la condizione per cono­ scere una cosa è farla, il vero è il fatto stesso: «verum esse ipsum

factum» (48), la conoscenza e l'operazione devono convertirsi fra loro, identificarsi, come in Dio avviene per !'intelletto e la volontà. Per l'uomo, sempre secondo la prima forma della gnoseologia vichiana, la scienza è impossibile, fatta eccezione per le matema­ tiche, considerate sotto l'aspetto geometrico, le quali sono le sole conoscenze possedute dall'uomo in modo identico a quello del sapere divino, non per la loro evidenza, ma perchè le matematiche sono scienze operative, non soltanto nella risoluzione dei problemi ma anche nella dimostrazione dei teoremi:

«geometrica demon­

stramus quia facimus» (49). Nella seconda e definitiva forma della gnoseologia vichiana (50) maturatasi nel decennio successivo al 1712 attraverso studi storici e giuridici, il Vico nei Principi di scienza nuova (nelle tre elabo­ razioni del 1725, 1730, 1744) estese il principio «verum et factum...

convertuntur» a tutto il mondo umano, al mondo della storia, al quale il nostro Autore attribuisce una maggiore realtà di quella del mondo della geometria (51): «Anzi ci avanziamo ad affermare ch'intanto chi medita questa Scienza, egli narri a sè stesso questa Storia ideaI eterna, in quanto essendo questo

mondo di

nazioni

stato certamente fatto dagli

uomini (ch'è 'l primo principio indubitato che se n'è posto qui sopra) e perciò dovendosene ritrovare la guisa, dentro le modi­ flcazioni

della

nostra

medesima

mente

umana

egli

in

quella

prova "dovette, deve, dovrà" esso stesso seI faccia perchè ove avvenga che chi fa le cose, esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l'Istoria. Cosi que�ta Scienza procede appunto, come la Geometria, che, mentre sopra i suoi elementi il costruisce o 'l con­ templa, essa stessa si faccia il mondo delle grandezze;

ma con

tanto più di realità, quanta più ne hanno gli ordini d'intorno alle faccende degli uomini, che non ne hanno punti, linee, superficie (47) De antiquissima Italorum sapientia, lib. I, c. I, III, p. es. in Vico, l, 138-140. (48) Vico, l, pago 131. (49) De nostri temporis studiorum ratione, IV. in Vico. l, pago 85. (50) Croce, 2, specialmente pagg. 28-30. (51) Princip; di scienza nuova, lib. I, Del Metodo, p. es. Vico, 2. pago 489.

pagg.

17 0

e figure: e questo istesso è argomento, che tali pruove sieno d'una spezie divina, e che debbano o leggitore arrecarti un divin pia­ cere; perrocchè in Dio il conoscer e 'l fare è una medesima cosa

».

Il pensiero del Vico elabora un aspetto della concezione mo­ derna delle matematiche intese come costruite dalla mente umana, e quindi vere, come osserva il Vailati, anche se l'esperienza non le confermasse (52). La gnoseologia vichiana nella seconda forma, è inoltre in armo­ nia con la visione attuale della Storia della Scienza (53). (52) Vailati, 1, pagg. 201 e 434; Brusotti, pago 895. (53) Cfr. cap. I, § l del presente volume.

171

CAPITOLO XIII L'ANALISI INFINITESIMALE MODERNA ED IL PENSIERO FILOSOFICO DEI SUOI COSTRUTTORI

§

l

-

Commentatori e continuatori dell' opera di Archimede.

l problemi di carattere inflnitesimale, come abbiamo visto, si

presentarono sotto molteplici aspetti nell' Antichità classica;

e i

procedimenti per affrontare detti problemi, dopo una lunga elabo­ razione critica furono sistemati rigorosamente con il metodo di esaustione attribuito ad Eudosso da Cnido, applicato da Euclide nel XII libro degli Elementi, giunto alla più alta perfezione ed ai più luminosi risultati nelle opere di Archimede, del quale abbiamo anche esaminato il geniale metodo euristico. Dopo Archimede, che già si lamentava dell'indifferenza con la quale i matematici del suo tempo accoglievano i suoi risultati, si manifesta la decadenza, e per lunghi secoli non si notano pro­ gressi degni di rilievo. Nel Rinascimento l'analisi inflnitesimale

(1) riprende il suo svi­

luppo a partire dalle traduzioni, dallo studio e dal commento delle opere

inflnitesimali

di Archimede

note

a

quei tempi,

le

quali

erano soltanto quelle condotte secondo il metodo di esaustione. Le prime traduzioni delle opere di Archimede in latino furono quelle di N. Tartaglia, Maurolico

(1494-1575), Commandino (1509-'75),

i quali proseguono le ricerche del sommo Siracusano nel campo della meccanica: Tartaglia nel suo libro Della travagliata inven­ tione si è occupato del modo di ricuperare una nave affondata e nella Scienza nuova ha lasciato (non senza preoccupazioni di ca­ rattere morale) le prime tavole di tiro per artiglieria; Maurolico e Commandino determinano baricentri di diversi solidi. Ricordiamo che Maurolico, come ha stabilito

G. Vacca, è stato

il primo a riconoscere esplicitamente il principio d'induzione com­

(2), di cui si trovano traccie negli E!ementi di Euclìde (prop. 8& e 9' del lib. IX) e su cui ritorneremo a proposito della sistema-

pleta

(1) Sugli argomenti trattati nel presente capitolo v. ad es. con le relative indi­ Enriques, 12, pago 45-67; Enriques, 2,

cazioni bibliografiche: Castelnuovo, 5; pagg. 51-109; Geymonat, 2, pagg. 57-183.

(2) Zariski, 3, pagg. 170-172.

172

zione dell'aritmetica razionale secondo Peano. Più tardi secondo lo spirito del

metodo di

esaustione archimedeo

lavorò

GuIdi­

no (1577-1643) di cui sopratutto si ricorda il noto teorema, da lui dimostrato, relativo all'area ed al volume di un solido di rota­ zione

(3) teorema che abbiamo già

incontrato senza dimostra­

zione, nell'opera di Pappo.

§

2

-

Luca Valerio

(4).

Luca Valerio (1552-1618) ebbe il merito di trasformare il metodo di esaustione in un principio applicabile a curve e superficie ge­ nerali. Egli dimostra un teorema che, secondo il Chisini, in so­

(5).

stanza esprime la condizione d'integrabiIità di Riemann A

Fig. 1

«Omni figurae circa diametrum in alteram partem deficienti figura

quaedam

circumscribi,

ita

ex ut

parallelogrammis circumscripta

inscribi

superet

potest,

et

inscriptam

altera minori

spacio quantacumque magnitudine proposita:.. Cioè (ved. fig.

1):

Ad ogni figura piana degradante dalle due parti a partire dal dia­ metro si può inscrivere una figura formata da parallelogrammi e circoscriverne un'altra, in modo che la figura circoscritta superi l'inscriUa di una qualsiasi quantità prefissata:.

(piccola quanto

si vuole). (3) Per una dimostrazione moderna del teorema di GuIdino, v. p. es. Levi Civita

e Amaldi, val. I, pagg. 440-441. (4) Chisini, pagg. 100-104. (5) Lasciamo allo studioso il confrontro fra il teorema di Luca Valeria e la condizione d'integrabilità di Riemann che cosi si enuncia: «Condizione neces­ saria e sufficiente affinchè la funzione !(x), limitata in a I-Ib, sia ivi integrabile,

è che suddiviso a I-Ib in n intervalli parziali di massima lunghezza J.I., e detta hl la lunghezza del generico fra essi (i=l, . . .n) , e CI l'oscillazione di !(x) in tale n

intervallo zero

•.

parziale,

la

somma

L i=1

hl CI' quando J.I. --+ O, abbia

. In un altro lemma L. Valerio trasforma in passaggio al limite, il ragionamento per assurdo che ogni volta viene compiuto nel metodo di esaustione: «Si maior vel minor prima ad una maiorem vel minorem secunda, minore excessu vel defectu quantacumque magnitudine proposita nominatam habuerit proportionem, prima ad secundam eandem nominatam habuerit proportionem

».

Questo oscuro enunciato viene cosi interpretato dal Chisini con l'aiuto della relativa dimostrazione: «Se una grandezza An maggiore o minore di una prima gran­ dezza A, differendo da questa A per un eccesso o difetto inferiore a qualunque quantità assegnata, ha un dato rapporto k rispetto ad una grandezza Bn, anche essa maggiore o minore, (variando) insieme con An, di una seconda grandezza B, differendo da questa B, per un eccesso o difetto inferiore a qualunque quantità asse­ gnata: allora la prima grandezza A ha rispetto la seconda gran­ dezza B, lo stesso rapporto k>. In linguaggio moderno: Se per ipotesI

Hm A n n-+co

=

A, Hm

Bn B �nn =

n--+CX)

Hm A n

n Bn n--+

....�= .. k Hm 00

174

e

=

k,

allora si avrà

L. Valerio, valendosi di questi principi, ci fornisce nuove deter­ minazioni di volumi e di baricentri di solidi limitati da piani paral­ leli e da superficie del 2° ordine. Galileo, nonostante le divergenze di opinioni sulla questione copernicana, esistenti tra lui e L. Valerio, lo chiama

c:

il novello

Archimede dei tempi nostri:..

§

3

-

L'indirizzo della scienza nei secoli XVI e XVII ed il metodo degli indivisibili

Il metodo di esaustione, ottimo ai fini del!e dimostrazioni dei risultati raggiunti, non si può dire altrettanto vantaggioso ai fini euristici, e pertanto non poteva soddisfare in modo completo le menti dei matematici dei secoli XVI e XVII, tesi verso la ricerca, sia nel campo del pensiero puro, sia del mondo fisico. Un procedimento che si presta assai

meglio alla ricerca di

nuovi teoremi, trovasi invece nel Metodo di Archimede, dove viene indicato il modo di stabilire l'equivalenza di due figure piane o solide od il loro rapporto confrontando i loro elementi infinite­ simi, e pesandole con una bilancia ideale. Dell'esistenza di un simile procedimento che doveva rIVIvere in una forma più semplice e potente nella geometria degli indivi­ sibili, Torricelli intul l'esistenza presso gli antichi, come risulta da un suo passo c:

(6) di cui segue la traduzione dal latino.

Veramente non oserei affermare che Questa geometria degli

indivisibili sia proprio una nuova scoperta. Crederei piuttosto che gli antichi geometri si siano valsi di questo metodo nel!a scoperta dei teoremi più difficili, quantunque nelle dimostrazioni abbiano preferito un'altra via, sia per occultare il segreto della loro arte, sia per non offrire alcuna occasione di critica agli invidi detrat­ tori. Comunque sia,

è certo che questa geometria costituisce un

mirabile risoarmio di lavoro nelle dimostrazioni, e che stabilisce innumerevoli,

quasi

imperscrutabili

teoremi,

con

brevi,

dirette

affermative dimostrazioni: ciò che non può farsi mediante la dot­ tdna degli antichi. Questa geometria degli indivisibili infatti tra i matematici spineti

è veramente la via Regia, che primo fra tutti

aperse e spianò per il pubblico bene, artefice di mirabili inven­ zioni, Cavalieri:.. Nei pensatori

del cinquecento e del

seicento notiamo una

singolare predilezione per l'infinito matematico attuale che non trova riscontro negli scritti dei matematici dell'era alessandrina. Penso che due elementi d'ordine diverso abbiano contribuito essen­ zialmente a favorire l'indirizzo mentale considerato. Uno tuito

dallo

sviluppo

nel

Rinascimento

della

(6) Cfr. Torricelli. 2, val. I. parte I, pagg. 139-140.

175

è costi­

prospettiva

nella

pittura, con la considerazione dei punti di fuga corrispondenti a punti all'infinito. L'altro elemento riguarda la concezione dell'in­ finito nel Pensiero divino quale si riscontra nella filosofia che si ispira al Cristianesimo specialmente negli scritti di S. Agostino (v. Cap. IX § 1 del presente volume). La decomposizione di una figura in elementi infinitesimi, con­ siderati al fine di giungere alla misura dell'estensione della figura stessa, si presenta nel pensiero di Leonardo da Vinci, espresso nel Codice Atlantico (7):

«Questa tal prova resta persuasiva imagi­

nando esser diviso il circolo in strettissimi paralleli, a modo di sottilissimi capelli in continuo contatto fra loro . .

.

».

Cosi mediante

immagini si preannunciano gl'indivisibili della scuola di Galileo. Nel periodo considerato l'analisi infinitesimale riceve impulso dalle ricerche astronomiche e fisiche di Galileo (1564-1642) e di Keplero (1571-1630), cui dobbiamo alcune applicazioni del metodo degli indivisibili.

§ 4 Gli indivisibili e gli insiemi infi niti -

Le

meditazioni

di

Galileo

nel pensiero

sull'infinito

e

di Galileo (8).

sugli

infinitesimi,

mentre da una parte si collegano con le origini dell'analisi infini­ tesimale nell'era moderna per le loro relazioni con il metodo degli indivisibili di Cavalieri e di Torricelli, dall'altra anticipano le posi­ zioni di Bolzano e di Cantor su predetti argomenti. Ci proponiamo di precisare il significato e i fondamenti dell'affermazione pre­ cedente. La parola indivisibili che si può collegare con il primo degli

OQOl

euclidei (il punto è ciò che non ha parti) ci fa pensare alla

Geometria di Fra' Bonaventura Cavalieri (9); il quale in una let­ tera del 15 dicembre 1621 (10) espone a Galileo un dubbio sui fon­ damenti del proprio metodo degli indivisibili che in quel tempo egli stava costruendo. Galileo quella volta non rispose, ma Cavalieri continuò a 'Ieri vergli numerose lettere manifestando la sua crescente fiducia nel metodo costruito, ed esortandolo a «toccare qualche cosa ancora de]]a dottrina degli indivisibili, come già alcuni anni sono aveva pensiero::. (11). Evidentemente Galileo, come i suoi discepoli ed amici '1ape­ vano, da tempo meditava sugli indivisi bili, ma l'occasione di scri(7) Severi, 5. (8) Carruccio, 8; Capone Braga.

(9) Cavalieri, 1. (lO) Galilei, 1, voI. XIII, pago 81. (11) V. lettera di B. Cavalieri a Galileo scritta da Bologna in data lO Gen­ naio 1634 (Galilei, l, vol. XVI, pago 15). Alcuni pensieri galileiani sull'infinito si trovano raccolti in Galilei, 2, pagg. 243-261.

176

vere sull'argomento gli venne porta da un libro delle esercitazioni fUosofiche di Antonio Rocco filosofo peripatetico

(pubblicato

a

1633) destinato dal suo autore a combattere le posizioni di Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi contrarie alle Venezia nel

teorie di Aristotele. Le interessanit postille che Galileo aggiunse alle mediocri pa­ gine del suo avversario furono pubblicate soltanto nell'edizione na­ zionale

(12).

Ora A. Rocco tra le sue critiche contro il Dialogo sopra i due massimi sistemi osserva che sempre ha «stimato difficile e inintel­ ligibile per non dir falso» il «comunissimo detto Sphaera tangit planum in puncto» e ciò perchè «posta la sfera su di un piano perfettissimo tirata a striscio, segnerebbe una linea, e pur sempre tocca in un punto; ecco che le parti della linea sarebbero punti, e di essi verrebbe ad esser composta: la qual cosa ed in filosofia ed in matematica è stimata falsissima; già che vogliono, ogni quan­ tità continua costare di parti sempre divisibili». Galileo dopo di aver ribattuto in brevi postille queste ed altre osservazioni di Rocco, esamina quindi in modo più esteso la que­ stione e concede che il detto «sphaera tangit planum in puncto» è stato sin qui quasi inintelliggibile, mai però falso. Galileo afferma cbe sussistono entrambe le verità: il continuo consta di varti sembre divisibili, il continuo consta d'indivisibili; anzi siccome il vero è uno, queste due affermazioni devono espri­ mere una medesima realtà, poi dice testualmente «Aprite,

(13):

di grazia, gli occhi a quella luce stata forse celata

fin qui, e scorgete chiaramente che il continuo è divisibile in parti sempre divisibili sol perchè consta d'indivisibili; imperò che se la divisione e suddivisione si ha da poter continuare sempre, bisogna necessariamente che la moltitudine delle parti sia tale che già mai non si possa superare; e sono dunque le parti infinite, altrimenti la divisione si finirebbe; e se sono infinite, bisogna che non siano quante, perchè infiniti quanti compongono un quanto infinito, e noi parliamo di quanti terminati;

e però gli altissimi ed ultimi,

anzi primi componenti del continuo, sono indivisibili infiniti. ... Qui sogliono farsi innanzi i filosofanti, con atti e con po­ tenze, dicendo, le parti del continuo essere infinite in potenza ma sempre finite in atto:

fuga che può essere che essi !'intendano

e vi si quietino, ma io veramente non ne so cavare costrutto ve­ runo; ma forse il sig. Rocco me ne sarà capace. Onde io domando, in Qual modo in una linea lunga quattro palmi siano contenute, quattro parti, cioè quattro linee di un palmo l'una, dico se vi san contenute in atto, o in potenza solamente. Se mi dirà, contenersi (2) Galilei, l, voI. VII, v. specialmente pagg. 682-683. (3) Galilei, l, voI. VII, pago 745-750.

177 12

in potenza solamente, mentre non sono divise e segnate, ed in atto poi quando si tagliano, io pur gli proverò che parti quante nè in atto nè in potenza possono essere infinite nella linea. Im­ però che io domando di bel nuovo, se nell'attuar, col dividerle, le quattro parti, la linea di 4 palmi cresce o scema, o pur non muta grandezza. Credo che mi sarà risposto che ella resta della mede­ sima grandezza, contenga ella le sue parti quante in atto, o abbiale in potenza, non potendo ella contenerne infinite in atto, nè meno le potrà ella contenere in potenza: e cosi parti quante infinite, nè in atto nè in potenza, possono essere nella linea terminata

>.

Notiamo che questa diffidenza ed avversione di Galileo per l'infinito potenziale, su cui ritornerà nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, presenta una singolare analogia mento

con

l'atteggiamento

di

G.

Cantor sullo

stesso argo­

(14).

Galileo si dichiara pronto a scomporre una linea nei suoi

Discorsi e dimostrazion matematche intorno a due nuove scienze dirà a questo proposito con frase molto espres­

infiniti punti; nei

siva «risolver tutta la infinità in un tratto solo> perimetro di un poligono regolare di diviso in

(15).

Come il

n lati risulta attualmente

n parti, cosi in un cerchio, oonsiderato poligono d'infiniti

lati, verranno attuati gl'infiniti punti della circonferenza;

«... il

qual cerchio - dice Galileo (16) - avrà tutti i requisiti di tutti gli altri poligoni ed altri assai più meravigliosi. Il poligono di de' suoi

100 lati eretto sopra un piano, lo tocca con uno

lati, cioè con

la centesima parte del

suo perimetro; il

cerchio postovi nel medesimo modo, lo tocca parimenti con uno de' suoi infiniti lati, cioè, in un punto. Quel poligono, nel voltarsi imprime nel piano in una sua conversione, una linea retta conti­ nuata, composta delle

100 parti del suo ambito; il cerchio in una

sua conversione disegna una linea retta composta degli infiniti suoi punti ed eguale alla sua circonferenza. Altre conseguenze poi ed ammirande le sentirete altra volta (17), dove spero dimo­ strarvi che la strada che si tiene comunemente nel voler compren­ dere i progressi della natura, incammina cosi bene i filosofi suoi verso il termine desiderato, col bandire dalla lor mente gl'infiniti, gl'indivisibili,

i vacui, come concetti vani e perniziosi ed esosi

ad essa natura, come ben incamminerebbe il suo scolaro quel pit­

tore o quel fabbro il quale gli desse per i primi principii il dar

(14) Ca nta r, liche, pago 373.

U ber

die verschiedenen Standtpunkte in Bezug das aktuelle unen-

(15) Galilei, 1, voI. VIII, pago 93; V. Bertolotti, 16, pago 359.

(16) Galilei. l, va l . VII, pagg. 747-749. (17) Infatti Galileo ritornerà con maggiore ampiezza su questi argomenti nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, V. specialmente

Galilei, 1, val. VIII, pago 80-82 e 91-93.

178

bando ai colori, ai pennelli, alle incudini, ai martelli, alle lime, ('ome materia e strumenti inutili, anzi dannosi a simili esercizi>. Galileo continuando nelle sue argomentazioni, nota tra l'altro: «chi con giudizio compone la linea di punti, non ne piglia uno solo, nè due nè mille nè milioni, ma infiniti; si che il conferire divisi­ bilità e quantità è virtù della infinità, la quale è una materia lontanissima dall'esser capace di quelli attributi e condizioni alle quali soggiaciono i nostri numeri o grandezze comprese dal nostro intelletto; là non entra maggioranza, minoranza, nè eQualità, non vi ha luogo nè il pari, nè il dispari; ogni parte (se parte si puO

chiamare) dell'infinito è infinita; si che se bene una linea di cento pialmi è maggiore d'una di un palmo solo, non però i punti di quella sono più dei punti di questa, ma e questi

e quelli

sono

infiniti». Sembra che qui vi sia un'·eco del pensiero di

Anassagora già

ricordato: «Tanto nel grande quanto nel piccolo c'è ugual numero di

particelle... >.

Anche Ruggero Bacone aveva osservato che i

punti di due segmenti diversi si possono porre in corrispondenza biunivoca fra loro, ma da questa osservazione aveva creduto di poter dedurre l'impossibilità logica dell'infinito matematico. Invece Galileo, come vedremo meglio in seguito, non s'arresta di fronte a simili difficoltà, però non risulta che abbia sospettato l'esistenza d'insiemi infiniti di potenza diversa;

tranne che alla

domanda se le parti «quante» nel continuo finito (ad esempio un segmento) son finite o infinite, Salviati (nei Discorsi e dimo­ strazioni

matematiche

intorno

«non esser nè flnite nè infinite «un terzo medio termine»: mero»

a

>:

due

nuove

scienze)

risponde

tra il finito e l'infinito vi sarebbe

«il rispondere ad ogni segnato nu­

(18).

Le vedute gali1eiane sugli indivisibili e l'infinito che si erano affacciate nella polemica di Galileo con il peripatetico A. Rocco vengono riprese ed ampliate con idee geniali nei Discorsi e dimo­ strazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicati a

Leida nel

1638 (19).

Lo spunto vien dato da considerazioni fisiche. Notiamo che per Galileo, come più tardi per G. Cantor, le teorie

matematiche

sugli

infinitesimi

attuali,

loro concezioni sulla struttura della materia

si

collegano

alle

(20). I tre interlocu­

tori del dialogo delle scienze nuove stanno discutendo sulla causa della coesione dei corpi: Salviati formula l'ipotesi che la coesione stessa sia dovuta ai vuoti tra le particelle dei corpi; compare qui la parola «paradossi> a proposito di una questione concernente (18) Galilei, 1, voI. VIII, pago 81. (19) Mieli. (20) Lassvitz; questa opera viene citata in un articolo del Goldbeck. V. inoltre Cantor, pago 373.

179

l'infinito e gl'infinitesimi: dice Salviati: «Orsù; già che si

è messo

mano ai paradossi, veggiamo se in qualche maniera si potesse dimostrare, come in una continua estensione non repugni il potersi ritrovare infiniti vacui» (21). Salviati per dimostrare il suo assunto ricorre all'ingegnosa considerazione meccanica dei due poligoni regolari di n lati con­ centrici ed omotetici solidali tra loro (v. fig. 2). Facciamo rotolare il poligono maggiore sul

prolungamento

di uno dei suoi lati: questi ultimi si adageranno successivamente su detto prolungamento riempiendo un segmento A

S di lunghezza

uguale al perimetro del poligono dato. Intanto i lati del poligono minore si adageranno anch'essi sul prolungamento di un lato di detto poligono, ma lasceranno

n-l intervalli vuoti (l 0, p U etc.).

�-+---4---

D,

���--+--- Et """"--:::-1-.....::::=---- t, Fig. 3

Fig. 2

Salviati n -+

dice Cavalieri. Torricelli fornisce dei paradossi del tipo considerato una confutazione di carattere più generale, fondata sulla considera­ zione del rapporto di due infinitesimi. Nello scritto di Torricelli dal titolo «Delle tangenti delle para­ bole per lineas supplementares» (42) si legge «Che gli indivisi(40) Bortolotti, 9. (41) Cavalieri, Lettera a TorricelIi del 5 aprile 1644 pago 170-171). (42) Torricelli, 2, volo I, parte Il, pagg. 320-321.

189

(Torricelli, 2, volo

III,

bili tutti siano uguali fra di loro, cioè i punti alli punti, le linee in larghezza alle linee e le superficie in profondità alle superficie, è opinione a giudizio mio non solo difficile da provarsi, ma anco falsa. Se siano due circoli concentrici, e dal centro s'intendano tirate tutte le linee a tutti i punti della periferia maggiore, non è dubbio che altrettanti punti faranno i transiti delle linee su la periferia minore e ciascuno di questi sarà tanto minore di cia­ scuno di quelli, quanto il diametro è minore del diametro. Se saranno due parallelogrammi su la medesima base AB, e da tutti i punti della AB siano tirate le infinite parallele ai lati, tanto

nel

parallelogrammo

AC

quanto

nell'AD,

saranno

tutte

le AC insieme prese eguali a tutte le AD insieme prese, ma sono anco uguali di num.

(perchè di qua e di là tante sono le linee

quanti sono i punti in AB); dunque una è uguale ad una, ma sono disugualmente lunghe, adunque benchè indivisibili sono di lar­ ghezza inegtlle e reciproca alle lunghezze ». Rispondendo alle critiche mosse contro il metodo degli indi­ visibili, cosi scriveva Pascal nel 1658: «Tout ce qui est demontré par les veritables regles des indivisibles se démontrera aussi à la rigueur et à la manières des anciens. Et c'est pourquoi je ne ferai aucune difficulté dans la suite d'user se langage» (43). Nella produzione matematica di Torricelli si alternano i lavori eseguiti con il metodo di esaustione degli antichi e quelli condotti secondo

il

condotti

«secundum methodum antiquorum» l'attegiamento di

metodo

degli

indivisibili.

Tuttavia anche

nei lavori

Torricelli nei riguardi dell'infinito matematico è diverso da quello dei matematici dell'era alessandrina. Ciò risulta ad esempio dal passo seguente della memoria torricelliana De infinitis spirali bus di cui diamo la traduzione italiana:

«Un punto mobile su di un

arco finito d'iperbole si avvicina sempre ad un asintoto dell'iper­ bole stessa e la distanza di detto punto da questo asintoto si può rendere tanto piccola quanto si vuole. Questo è segno evidente che questa stessa iperbole viene infine a contatto con l'asintoto, e mai fu dimostrato il contrario. Apollonio infatti dimostra che l'iperbole e un suo asintoto non hanno punti in comune a distanza finita; noi d'altra parte diciamo che le due linee hanno un punto di

contatto

dopo

una distanza

maggiore

di

ogni

distanza

fi­

nita» (44). E' chiaro da quanto precede che Torricelli considera come esistenti nel mondo del pensiero punti all'infinito, dai quali rifuggiva invece il geometra alessandrino. Non ci soffermiamo,

per motivi di brevità, sulla dimostra­

zione torricelliana del risultato che secondo il linguaggio mate­ matico attuale si esprimerebbe nei termini seguenti: Se

yn

=

(43) Cfr. Enriques. 12, pago 52. (44) Cfr. Torricelli. 3, pago 24.

190

kxm

con n ed m interi positivi qualsiasi

y dx n ---- --x dy

m

Torricelli dimostra con il metodo di esaustione questo risultato che si verifica immediatamente con le regole di derivazione attual­ mente in uso; ed osserva inoltre sia pure con linguaggio diverso

y dx

dall'attuale che il rapporto dei due elementi d'area uguale a quello della sottotangente s e dell'ascisse

x dy

x

è

y dx s --- --x x dy (Noi scriveremmo

dy

y

--=-

dx

Questo risultato di

yn

=

)

s

carattere

generale

applicato alle

kxm per cui è stato calcolato il rapporto

y dx

----

x dy

curve

permette di

trovare le tangenti a tutte le curve del tipo considerato (45). A partire da quanto precede, Torricelli implicitamente dimo­ stra la nota formula fondamentale: "

fxa dx

=

_1_ + 1

a

(xa+ 1

_

X

1

a+ 1)

per a razionale positivo o negativo qualsiasi diverso da

-1.

Questa formula dimostrata per alcuni valori interi di a da Cavalieri, estesa da Fermat al caso di a razionale positivo qual­ siasi, da nessuno prima che

da Torricelli è stata stabilita per valori

di a negativi (46). Altri

risultati

di

calcolo

integrale

di

notevole

importanza

dovuti a Torricelli riguardano l'estensione del concetto di inte­ grale a funzioni che hanno punti di infinito nel campo di integra­ zione, od a campi d'integrazione infinitamente estesi (47). (45) Bortolotti, 9. (46) Bortolotti, 15, pagg. 463, 464. (47) Torricelli, 2, volo I, parte I, m em o ri a De solido hllperbolico acuto, pag g . 173-221; volo I, parte II, memoria De infinitis hllperbolis, pagg. 231-274; De infinitis paraboZis, pago 321; Bortolotti, 6 e 7.

191

Consideriamo, motivi

di

con

semplicità)

Torricelli

(mutando

il

avente

equazione

un'iperbole

la

linguaggio xy

per =

2k'

(v. fig.

9) e la superficie S limitata da un ramo dell'iperbole stessa, dagli assi cartesiani di origine O, e dal segmento AB parallelo all'asse y, dove B è un punto dell'iperbole ed A è la proiezione di B sull'asse x.

Fig. 9

Facciamo ruotare la superficie

S intorno all'asse delle y. Si

dimostra che il volume del solido infinitamente lungo cosi otte­ nuto

è uguale ad un cilindro di raggio 2k e altezza VA. Secondo

i principi degli indivisibili curvi si considera il solido sopraindi­ cato come totalità degl'involucri cilindrici aventi per asse l'asse delle ordinate, raggio di base x e altezza y. Gli involucri cilindrici sono di superficie 2

Jt

xy

=

1t(4k2); ciascuno di essi

è quindi d'area

uguale a quella di un cerchio di raggio 2k. Secondo il

principio degli indivisibili

curvi

il

volume

del

solido considerato

è dunque uguale a quello del cilindro di raggio di base 2k e altezza OA. Incoraggiato da questo risultato delle curve xm• y"

=

Torricelli

passò

ali'esame

C" e stabili in quali casi superficie e volumi

di rotazione di solidi di lunghezza infinita risultano finiti, stabi­ lendo cosi le condizioni di esistenza dei relativi integrali estesi ad intervalli infiniti. Altro contributo allo sviluppo dell'analisi ricelli

con

l'introduzione

logaritmiche:

di

curve

è stato dato da Tor­

trascendenti

l'hemiperbola logaritmica

y

=

cex,

esponenziali

e

la spirale loga­

ritmica Q = a . e-b&



La considerazione di quest'ultima curva ci conduce all'esame della memoria torricelliana De

infinitis spirali bus nella quale per

la prima volta nella storia della matematica si rettifica un arco di curva con riga e compasso (48). (48) Torricelli,

2, volo I, parte II, pagg. 349-373; Loria. 1, prima della pubblica­ matematica

zione di questo ultimo scritto era opinione comune fra gli storici della

192

Detta memoria ha per oggetto la trattazione sistematica delle proprietà fondamentali della spirale logaritmica (chiamata geo­ metrica da Torricelli), la rettificazione di un suo arco qualsiasi, la quadratura della superficie limitata dalla curva stessa. Nei risultati torricelliani che ci restano da prendere in esame, le ricerche di analisi infinitesimale si intrecciano con quelle

di

meccanica. I calcoli di aree e di volumi eseguiti in base al metodo degli indivisibili conducono al calcolo di integrali definiti, mentre la considerazione della relazione che lega la velocità allo spazio percorso ha guidato al concetto di integrale indefinito (funzione dell'estremo superiore)

il nostro matematico, il quale ha stabi­

lito in sostanza ciò che noi esprimiamo con la formula t

f

s(t)

v(t) dt.

o

Data la velocità del moto si ottiene lo spazio con una quadra­ tura

(49).

Per ricostruire il pensiero di Torricelli nei riguardi del teo­ rema che stabilisce il carattere inverso delle operazioni di inte­ grazione e di derivazione è opportuno ricordare la terza giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze composti da Galileo in Arcetri nell'ultimo periodo della sua vita.

Ivi

mediante

un diagramma

Galileo rappresenta (v. fig.

come ascissa e la velocità

il moto uniformemente vario

10) ove

il tempo

v come coordinata:

v

=

t è assunto gt.

Se O è l'origine, P il punto del diagramma relativo all'istan­ t, T il punto sull'asse dei tempi di ascissa t, lo spazio percorso dall'istante zero all'istante t è misurato dall'area del triangolo OTP, 1 cioè da g t2• Se si volesse applicare in questo caso particolare

te

--

2 la formula generale data più tardi si scriverebbe t

S

=

f

gt dt.

o

Le ricerche di Galileo furono proseguite da Torricelli nello scritto

De

Motu

Gravium pubblicato nel 1644, e poi negli appunti

inediti che furono ordinati e interpretati da Ettore Bortolotti. che la prima rettificazione ottenuta di una curva fosse quella della parabola semi­

1659 da Nei! da Von Heuraet e da Fermat. V. inoltre 10; Agostini, 1. Sulle vedute di Descartes in proposito, v. § 8 del pre­

cubica, effettuata intorno al Bortolotti,

sente capitolo.

(49) Bortolotti, 15, pagg. 472-474.

193 13

Considerando i due diagrammi dello spazio e della velocità in funzione del tempo, Torricelli ha constatato che le ordinate della curva degli spazi sono proporzionali alle aree racchiuse dalla linea della velocità, mentre le ordinate dei punti della curva della velocità sono i coefficienti

angolari

delle

tangenti

della

curva degli spazi. ---..,._ .. ...

'V'

0

T Fig. lO

Viene cosi verificato da un punto di vista meccanico il carat­ tere

inverso

delle

operazioni

di integrazione

e

di

derivazione

noto sotto il nome di teorema di Barrow pubblicato dal Maestro di Newton nelle Lectiones opticae et geometriae nel 1670. E' da

notarsi che il Barrow sul quale la scuola italiana aveva esercitato una profonda infiuenza cita come suoi precursori Galileo e Tor­ ricelli. Ma !'importanza del risultato indicato poteva venir valutata pienamente solo dopo la scoperta di regole generali facili e spe­ dite per il calcolo delle derivate. In

quest'ordine

di

idee

riguardante

l'interpretazione

cine­

matica dei principi del calcolo, trova posto anche un metodo pro­ posto dal Torricelli per tracciare la tangente ad una curva con­ siderata come

descritta da un punto, il movimento

del

quale

risulti dalla composizione di due moti: la risultante delle velocità dei due moti giace sulla tangente alla curva in quel punto. Il

metodo venne applicato per tracciare

la

tangente

alla

spirale di Archimede, come Torricelli comunicò a Galileo in una lettera del 29 giugno 1641 (50). Galileo rispose approvando. Torri­ celli pubblicò il metodo indicato in uno scolio al suo trattato De Motu e lo applicò alla cicloide (51). (50) TorricelIi, 2, volo

III, pagg. 55-56; Agostini, 2.

(51) Torricelli, 1, pago 121.

194

Una delle teorie che deve a Torricelli i suoi più notevoli pro­ gressi

è quella dei baricentri delle figure, come è stato messo

chiaramente in luce da E. Bortolotti che ha mostrato anche il cammino seguito dal pensiero del nostro matematico per giun­ gere alla relazione fondamentale che caratterizza

la

posizione

del baricentro di una figura dotata di diametro. Il risultato viene comunicato da Torricelli in una lettera a

12 agosto 1645, ed in una a Cavalieri del 1646. Traggo da questa ultima la dimostrazione che tra­ duco dal latino (v. fig. 11). Michelangelo Ricci del

7 aprile

B

F

G

A

...---a--....

Fig. 11

«Sia ABCD una qualsivoglia figura piana di diametro CA [a] e baricentro E. Dico che CE [X] sta ad EA [a

-

X] come tutti

i

rettangoli delle ordinate e delle ascisse prese a partire dal vera

tice C, di cui uno

è DI.IC,

[f

x·f(x) dx

]

stanno a tutti i rettan­

o

goli delle ordinate e delle parti rimanenti del diametro detratte a

le ascisse, di cui uno

è DI. lA

[f

(.a

-

x) f(x) dx

].

o

Si ponga infatti una figura CFGH, simile uguale, similmente posta e coassiale rispetto alla ABCD, e sia O il baricentro di

CFGH.

Si sospenda poi il sistema di ABCD, CFGH come una bilancia nel punto

C, si abbia o non si abbia l'equilibrio. Avremo che: = DI . IC: HL . LC.

mo­

mento DI: momento HL

E questo sempre: dunque complessivamente tutto il momento della figura ABCD sta a tutto il momento della figura CF GH, come

è DI . IC, stanno a tutti i rettangoli di cui è HL . LC. Ma anche CE e CO stanno fra loro come i

tutti i rettangoli di cui uno di cui uno

195

dunque CE starà a CO cioè al segmento EA, come tutti i rettangoli di cui uno è DI . IC stanno a tutti i rettangoli di cui uno è HL . LC cioè DI . lA ».

momenti delle figure; uguale

Ciò significa: a

X

a

(

(a-X)

X

I

t(x) dx

(a

-

x) 1(x) dx.

(j

00/

Da cui componendo si ottiene: a

-

X

I

X

f (x) dx

O a

I f (x) dx O

Si noti che la dimostrazione considerata è immediatamente applicabile anche a figure non aventi diametro, quando si sosti­ tuiscono alle porzioni di diametro, la distanza da un asse o da un piano scelto opportunamente

(52).

Concludendo questa rassegna rapida e non completa dei più importanti risultati di Evangelista Torricelli nel campo dell'ana­ lisi infinitesimale ricordiamo brevemente che a lui dobbiamo l'in­ troduzione del concetto di curva inviluppo di una linee

famiglia

di

(53).

Questo

concetto si

presentò

a Torricelli a proposito

della

risoluzione del problema relativo alla determinazione dp.lla curva tangente alle infinite parabole descritte dai proiettili uscenti da una stessa bocca da fuoco con velocità costante ma con inclina­ zione diversa. La curva inviluppo trovata da Torricelli è, come è noto, una parabola (detta di sicurezza). Mentre Torricelli si proponeva di dare forma organica alle ultime più geniali sue scoperte in un'opera che avrebbe dovuto intitolarsi de lineis novis, il sommo scienziato scompariva dopo breve malattia all'età di

39 anni.

Anche le sfortunate vicende dei suoi manoscritti contribui­ rono a diminuire l'influenza delle geniali scoperte di Torricelli. Tale

influenza

sullo

tuttavia notevolissima.

sviluppo

dell'analisi

infinitesimale

fu

Fra le diverse testimonianze a riguardo

ci limitiamo a riferire quella di Leibniz il quale scriveva a G. Man­ fredi:

«della geometria più sublime furono iniziatori e promo-

(52) Bortolotti, 4 e 15, pagg. 479-486. (53) Marcolongo; Bortolotti, 3.

196

tori,

ed operarono

valorosamente in essa

Cavalieri,

Torricelli;

altri poi, giovandosi dei loro soccorsi si fece più innanzi» (54). G. Castelnuovo nel suo libro « L e origini del calcolo infinite­ simale nell'era moderna» (pag. 107) poneva tra le conclusioni finali del suo lavoro il seguente giudizio: «abbiamo già detto che non esiste un fondatore del calcolo infinitesimale, ma che vari matematici hanno contribuito alla scoperta. Potrebbe chiedere il lettore quali tra i molti si siano più avvicinati alla meta prima di Newton e di Leibniz. Pur avvertendo che un siffatto giudizio

è necessariamente soggettivo,

voglio

qui

segnalare i nomi

di

P. Fermat e di E. Torricelli ».

§

7

-

Pietro Mengoli (55).

(1626-1686), discepolo di Cavalieri e suo successore nella cat­ tedra all'Ateneo bolognese, segue un indirizzo critico nella costru­ zione del calcolo,

proponendosi di fondare su basi rigorose,

i

risultati infinitesimali, senza far uso dell'infinito e dell'infinite­ simo attuali. Egli ha avuto il merito di studiare sistematicamente le serie, di cui casi particolari si erano presentati nelle ricerche di P. A. Ca­ taldi (56) l'ideatore (1625) delle frazioni continue, Torricelli, Gre­ gorio da San Vincenzo (1584-1667). A proposito delle prime ricerche sugli algoritmi infiniti ricordiamo anche J. Wallis, il quale, mediante arditi procedimenti induttivi (estendendo al caso di n fratto, formule stabilite per n intero) diede il valore di

11:

sotto forma

di prodotto infinito: n:

4.4.6.6.8.8....

8

3.3.5.5.7.7....

Mengoli si occupò dala convergenza e della divergenza delle serie stabilendo in proposito alcuni risultati fondamentali. l"ondi­ zione necessaria per la

convergenza di una serie di cui an è il

Hm an O; se le somme parziali di una n-+co positivi sono limitate, la serie è convergente.

termine generico è che serie

a

termini

=

Egli dimostrò la divergenza della serie armonica una quarantina d'anni

prima di

Giacomo Bernoulli

(1654-1705),

viene attribuita erroneamente tale scoperta;

al

quale talora

diede uno sviluppo

(54) Bortolotti, 2; Vacca, Il. (55) Agostini, 3. Ivi, oltre una visione d'insieme sull'argomento, trovansi indi­ cazioni bibliografiche sulle opere del Mengoli e sugli scritti che trattano dei suoi risultati. L'importanza dell'opera di

P. Mengoli è stata posta in luce specialmente

da Enestri:im, Vacca, Agostini.

(56) Bortolotti, 19, pagg. 78-91.

197

in serie dei logaritmi quasi una decina d'anni prima che N. Mer­ cator (1620-1687) fornisse lo sviluppo di log (1 + x), e sommb numerose altre serie. Dobbiamo a Mengoli una definizione di limite con la relativa teoria (57), dalla quale il nostro matematico fu condotto ad una definizione di integrale definito sostanzialmente non diversa da quella di A. Cauchy (1789-1857). A questo proposito Mengoli chiama forma il trapezoide costituito da tutte le ordinate di una curva Y f(x). Divisa in n parti uguali la base del trapezoide (sull'asse delle ascisse) siano Xi ed Xi + 1 le ascisse degli estremi di uno di questi intervalli, mi ed MI rispettivamente iI minimo ed il massimo della funzione nell'intervallo considerato. Abbiamo, secondo il Mengoli tre figure formate da rettangoli, le misure delle quali tendono alla misura della forma. =

Avremo: figura inscripta

figura circumscripta

Sn

=

figura adscripta

(l'n

=

oppure:

(l'n

=

n 1:

Mi (X;+ 1-

n 1:

f(x i) (X;+l - Xi)

n 1:

f(X;+l) (X;+l- x;)

;=0

;=0

;=0

Xi

)

Mengoli dimostra che Hm Sn n-+Q)

- Hm Sn n-+oo

ed essendo

anche (l'n tende al limite comune di sn e di Sn. Ma anche la forma è compresa fra le figure inscripta e circum­ scripta. Traducendo in termini moderni il pensiero di Mengoli diremo che esiste la misura della forma, che è data dal limite delle misure delle figure adscriptae.

(57) Cassina, 6, pagg. 89-101, ivi la concezione del limite secondo Mengoli viene esaminata in modo approfondito.

198

§

8

-

R. Descartes

e

P. Fermat

Esaminiamo ora il contributo recato da Descartes allo sviluppo del

calcolo infinitesimale:

Geometrie un cenno

troviamo nella

sulla possibilità di determinare l'area racchiusa da una curva di data equazione

(58),

mentre invece viene ivi erroneamente

dichiarata impresa sovrumana la rettificazione di una curva (59).

è dovuto, come abbiamo visto

Il primo successo in questo campo ad Evangelista Torricelli.

Affrontando la questione dell'angolo di due curve piane De­ scartes passa a considerare le loro tangenti e quindi le normali ad esse, concentrando poi la sua attenzione su questo problema.

---------- --- -

-; ,

C

,." _

;'

,

,

:

-

E

,

,

l

'

l I

' '

I

,

� �

\.� ''II

I I

. � I I

x.

. ,

I

'J.

CtNDII!e'l1".r4 ., ' ce"h-o �

- - - _

'\

, '

. ,

" ,

, P

- -----:ot: o == : ===�::i::====7-v

Fig. 12

Descartes risolve completamente per le curve algebriche problema della costruzione della normale, dalla

soluzione

il

del

quale deriva in modo immediato la costruzione della tangente. Il procedimento

cartesiano dal

punto di vista geometrico

è il

seguente: Consideriamo (v. fig.

12) una curva data di cui C è un punto

generico. Ci proponiamo di trovare sull'asse delle ascisse, il punto P, tale che la retta CP sia normale alla curva data. Ciò si verifica quando il cerchio di centro P e raggio CP presenta due inter­ sezioni con la curva riunite in C. Il problema si risolve analiti­ camente

(60) a partire dall'equazione (I) f(x,y)

(58) Descartes, voI. VI, pag o 413. (59) Descartes, voI. VI, pago 412. (60) Cfr. Bompiani.

199

=

O della curva

data. Siano Xo Yo le coordinate di OP = v, CP = 8. Avremo:

(X-V)2

(II) Nell'equazione

+

C. Essendo O l'origine poniamo y2

=

82

(I) si separano i termini di grado parI m

y

da quelli di grado dispari, trasportandoli nei due diversi membri dell'equazione, poi si elevano a quadrato i due membri dell'equa­

y y2 il suo valore ricavato dalla (II). Si ottiene cosi un'equazione (IV) F2n (x) O (al più di grado 2n). Sia E un ulteriore punto in cui il cerchio di centro P e raggio CP incontra la curva data e sia e l'ascissa di E. Se CP è normale alla curva in C, dovrà coincidere E con C. Cioè F2n(x) dovrà essere divisibile per (x - e)2, si dovrà quindi avere zione ottenuta e si ottiene un'equazione (III). Poi si elimina la tra la (II) e la (III), sostituendo nella (III) ad

=

(x

(V)

-

e)2 F2n-2 (x)

=

O

Dopo di avere sviluppato e ordinato la (V) si uguagliano i coeffi­ cienti cosi ottenuti a quelli rispettivamente di ugual grado della (IV). Si ottengono cosi equazioni che determinano la normale

Descartes tangenti ovali

8 e

v, quindi

CP. applica

alla

il

parabola,

suo alle

metodo curve

alla determinazione delle

del

terzo

ordine,

alle

sue

(61) che hanno considerevole importanza nelle ricerche

cartesiane sulle lenti. A questo proposito Descartes risolve uno di quei problemi in cui si tratta di determinare una curva, date le proprietà delle sue tangenti, problemi che conducono ad una equazione differenziale. Il procedimento indicato per la costruzione della normale ad una curva conduce alla risoluzione del problema della determi­ nazione delle tangenti ad una curva algebrica in un suo punto, ma non si applica alle curve trascendenti. P. Fermat contemporaneo di Descartes ideò un metodo diverso per determinare le tangenti alle curve, che sostanzialmente con­ siste nella determinazione del coefficiente angolare della tangente alla curva

y

=

f(x) come derivata della funzione f(x) calcolata (62). Sorse una polemica fra i due mate­

nel punto di tangenza

matici ciascuno dei quali sosteneva che il proprio metodo era il migliore. La polemica non fu sterile perchè condusse ad appli­ cazioni dei metodi rivali che contribuirono al progresso delle ricerche orientate verso la costruzione del calcolo infinitesimale. (61) L'ovale di Cartesio è iI luogo geometrico dei punti P tali che, essendo F ed F' due punti fissi J.tFP + J.t'PF' = costo Si tratta quindi di una generalizzazione dell'ellisse. Altra curva ideata dal nostro matematico è il folium di equazione x8+y"-3axy = O. (62) Castelnuovo, 5, pagg. 56-60.

200

Di P. Fermat merita di essere ricordato anche il

Methodus ad

disquirendam maximam et minimam del 1638 (63). Supponiamo di ricercare il massimo o il minimo di una espres­ sione

f(x). Ivi si sostituisca ad x, x -+- e, e la nuova espressione cosi

ottenuta si uguagli alla primitiva. Veramente l'autore, servendosi del linguaggio di Diofanto usa il verbo «adaequare» che significa «quasi eguagliare».

Si sopprimano quindi i termini uguali nei

due membri, si divida tutto per nenti

ancora

e, si sopprimano i termini conte­ e. Si risolva infine l'equazione cosi ottenuta. E'

chiaro che il procedimento equivale all'annullamento della deri­ vata di

f(x).

Il metodo viene ad esempio applicato alla ricerca del massimo rettangolo, che ha per base ed altezza le due parti in cui può esser diviso un segmento di lunghezza costante. Detto ed

a il segmento x una sua parte, si cerca il massimo di x (a-x). Si pone (x+e) [a-(x-+-e)]

=

x(a-x).

Sviluppando, sopprimendo i termini uguali nei due membri e dividendo per

e si ha O

-x+a-x-e e ponendo

e

=

O,

-2x+ a

=

O

ossia

x

a =

--

2 Riferendoci al diagramma cartesiano della funzione y

=

f(x),

notiamo che Fermat ha riconosciuto come condizione necessaria per l'esistenza del massimo o del minimo, l'esistenza, dove questo si verifica, di una tangente parallela all'asse delle

x, pur ricono­

scendo che nel caso del flesso si può avere una tangente all'asse delle

x senza che si abbia un massimo o un minimo.

E' singolare la circostanza che Descartes risolva genialmente un problema di carattere tipicamente infinitesimale come quello della normale ad una curva, senza ricorrere ad infinitesimi poten­ ziali od attuali, o ad un passaggio al limite vero e proprio, ma con un procedimento puramente algebrico. Questo suo irdirizzo mentale si può porre in relazione con le idee da lui espresse sull'infinito matematico. Dei diversi passi di Descartes sull'argomento scelgo il seguente dei

Principia Philosophiae (64) che esprime molto chiaramente (63) Fermat, t. I. pag 133. (64) Pars I. art. XXVI e XXVII 3, osserviamo che tale possibilità si fonda sullo studio delle ennuple di numeri (reali o complessi) Xl X2

Xn che

•••

determinano un punto delo spazio ad n dimensioni. Tale possi­ bilità logica si basa pertanto sull'analisi. (19) (20) (21) (22)

Eulero. Listing.

V. p. es.: Enriques, 15; Terracini; Enriques. 12, pagg. 287-292. Sull'argomento

ricordo

il

trattato

di

Enriques

e

Chisini,

che

contiene

anche interessanti notizie storiche. Per una visione sintetica dello sviluppo della geometria algebrica, con particolare riferimento ai risultati più recenti v. Severi,

2; v. anche Benedicty. (23) V. p. es. Kant, Esthetique trascendentale, § 3. pago 67.

225 15

Per

quanto

concerne l'intuibilità

dell'iperspazio

ricordiamo

una precisazione di A. Einstein a proposito dello spazio sferico: «Rappresentarsi uno spazio non significa altro, che rappresen­ tarsi un compendio di esperienze spaziali»

(24). Ora in questo

senso nulla ci vieta di rappresentarci le esperienze ideali esegui­ bili nell'iperspazio, p. es. nello spazio a quattro dimensioni (uscita dall'interno di una superficie chiusa senza incontrare la super­ ficie stessa, trasformazione mediante un movimento di un oggetto tridimensionale nel suo simmetrico rispetto ad un piano, ecc.). Di diversa natura spazio

fisico,

è il problema fisico circa la struttura dello

problema

Notiamo che

da trattarsi con l'aiuto dell'esperienza.

è possibile interpretare spazi con più di tre

dimensioni nell'ordinario spazio tridimensionale. Per es. le rette dello spazio ordinario costituiscono una v�rità a quattro dimen­ sioni: basta pensare alle equazioni di una retta: x =lz +p

y=mz+q dove l, p, m, q possono considerarsi le coordinate della retta variabile in una varietà quadridimensionale. Inoltre nella meccanica il tempo può interpretarsi come una quarta dimensione t che determina il punto avvenimento P(x,

y,

z, t), come aveva già visto Lagrange nel campo della meccanica classica

e

come

fu

concepito

da

Minkowski

nella

meccanica

relativistica.

§

7

Geometria



astratta

(25).

Nelle considerazioni precedenti abbiamo preso in esame teorie razionali di uguale struttura logica, ma con diverso contenuto intuitivo.

Esempi di tale natura sono costituiti da un sistema

di proposizioni di geometria proiettiva e dal sistema delle loro duali;

da una teoria di geometria analitica in cui le coordinate

possono interpretarsi come coordinate di punti, oppure di altri enti

geometrici

(Si ricorda l'idea

di

Pllicker).

Altri

esempi

ci

verranno forniti dalle interpretazioni delle geometrie non-euclidee di

cui

tratteremo

nel

prossimo

capitolo.

Una

teoria

razionale

suscettibile di diverse interpretazioni geometriche, prende il nome di geometria astratta. «Appunto con Klein e Lie» scrisse l'Enriques «il concetto (24) Einstein, 47. Anche tarci lo spazio a (25) Enriques,

v.

pago

pago 99; sullo spazio a quattro dimensioni secondo il Poincaré

Minkowski,

0, pagg. 88-90) esamina la possibilità di rappresen­

4 dimensioni. 2, pagg. 138-141.

226

della geometria astratta ha ricevuto un grande sviluppo,

dive­

nendo poi (dopo Segre) un ordinario istrumento di lavoro nelle mani

dei

geometri

italiani

contemporanei.

Infatti

nulla

è

più

fecondo che la moltiplicazione dei nostri poteri intuitivi recata da codesto principio: pare quasi che agli occhi mortali, con cui ci è dato esaminare una figura sotto un certo rapporto si aggiun­ gano mille occhi spirituali per contemplarne tante diverse trasfi­ gurazioni;

mentre l'unità dell'oggetto splende alla ragione arric­

chita, che ci fa passare con semplicità dall'una all'altra forma. Ma l'uso di un siffatto principio, per essere veramente frut­ tuoso,

esige

un

esercizio

sicuro

227

delle

nostre

facoltà

logiche

>.

CAPITOLO XV CRITICA DEL V· POSTULATO DI EUCLIDE E GEOMETRIE NON-EUCLIDEE

§

l

-

Tentativi per dimostrare il V· postulato di Euclide

Ai matematici che seguirono Euclide in ordine di tempo, il suo



postulato

parve

meno

evidente

dei

rimanenti.

Da tale

impressione trassero origine i tentativi di dimostrarlo a partire dai rimanenti postulati ed assiomi, e prendendo per base le prime

28 proposizioni del l° libro degli Elementi, nelle quali, come ab­ biamo osservato, non si fa uso del celebre postulato. Questi tentativi, che hanno inizio ai tempi di Euclide e si prolungarono per un periodo di circa conclusione

dell'impossibilità

di

20 secoli, condussero alla

dimostrare

detto postulato

ed

alla dimostrazione della possibilità logica di geometrie nelle quali non vale il postulato stesso

(1).

Abbiamo già parlato dei tentativi di Posidonio e di Gemino, basati sull'introduzione della definizione di rette parallele come rette equidistanti, nella quale si nasconde un nuovo postulato. Come per questi primi tentativi, cosi per i successivi, notiamo che tutti si riducono alla sostituzione esplicita od implicita del Vo

postulato

con

tentativi stessi

altro

sostanzialmente

presentano

interesse,

equivalente. Pertanto

fra

l'altro, in

i

quanto ci

mostrano appunto una serie di postulati equivalenti al V· di Euclide. Cosi Tolomeo (l'astronomo del

2° sec. d.C.) mostrò che si può

edificare la teoria delle parallele ammettendo il seguente postulato: se per due parallele tagliate da una trasversale la somma degli angoli coniugati interni

è maggiore oppure minore di due retti,

altrettanto accade per qualunque coppia di parallele. Proclo, che ci riferisce le considerazioni di Posidonio e di Tolomeo sulla teoria delle parallele, ci presenta a sua volta un postulato suscettibile di sostituire il VO di Euclide: la distanza di due rette secanti cresce oltre ogni limite mentre la distanza di due parallele si mantiene finita.

nute

(1) Quando non si forniscono altre indicazioni bibliografiche le notizie conte­ nel presente capitolo derivano dagli scritti di Bonola, 1 e 2. V. inoltre

Enriques,

1;

Fano.

229

Un'osservazione di ProcIo in qualche modo precorre il pen­ siero

di

Lobacefski.

ProcIo osserva che,

essendo la somma di

due angoli di un triangolo minore di due retti, esistono rette che tagliate da una trasversale formano angoli coniugati interni la cui somma

è minore di due angoli retti, e s'incontrano da quella di rette formanti con una terza

parte, «ma se per alcune coppie

angoli interni da una stessa parte la cui somma è minore di due angoli retti, accade

esiste un punto

per tutte

le

resta a vedere se ciò

d'incontro,

coppie. Poichè

che vi fosse una certa deficienza

alcuno potrebbe osservare

[da due angoli retti]

per la

quale esse [rette] non s'incontrano, incontrandosi invece tutte le altre per le quali tale deficienza fosse maggiore Qualche

contributo

dei

matematici

greci

».

alla

teoria

delle

è giunto per il tramite del matematico arabo an-Nairizi. latinizzato in Anaritius (lXa sec.).

parallele ci

Nel commento di Anarizio viene nominato un certo Aganis (da alcuni identificato con Gemino) in cui ritroviamo il concetto di Posidonio. Tra i matematici arabi si è occupato delle parallele Nasir Eddin

(1201-1274) che ammette come evidente una proposizione

piuttosto complicata su cui sorvoliamo. Nel Rinascimento l'interesse per i problemi critici riguardanti

Va postulato d'Euclide risorge con la diffusione della conoscenza del commento di Proclo a partire dal 1550. Commandino, Clavio (1537-1612), Cataldi, inventore della fra­ il

zioni continue ed autore della prima opera dedicata alle paral­ lele, G. A. Borelli, autore di un libro sul movimento degli Animali studiato in base a principi meccanici, Giordano Vitale

(1633-1711),

svolsero considerazioni sulle parallele nell'ordine d'idee che ab­ biamo già incontrato negli antichi. L'ultimo di questi autori consi­ derò una figura che doveva acquistare singolare importanza nel­ l'opera di G. Saccheri: si tratta del quadrilatero ABCD in cui per ipotesi gli angoli

A

e

B

sono retti e AD

=

BC.

Un'idea nuova compare nel matematico J. Wallis (già da noi incontrato nella storia del calcolo infinitesimale). Egli dimostra il postulato

va, basandosi sul principio: «Di ogni figura ne esiste

una simile di grandezza arbitraria

».

Ma per dimostrare il postulato

euclideo secondo la concezione di Wallis, basta ammettere che dato un triangolo se ne può costruire un altro con angoli uguali e lati diversi, lunghi quanto si vuole

(2).

Consideriamo infatti due rette a e b tagliate da una trasversale c rispettivamente nei punti A e B (v. fig.

1). Siano

Cl

e



gli angoli

coniugati interni formati da detta trasversale dalla parte di questa dalla quale (2) Per sina, 10.

un

Cl

+




.

Somma degli angoli ed area di un poligono

Ci proponiamo di stabilire alcuni risultati sulla somma degli angoli e sull'area di un poligono, cui abbiamo già accennato a proposito di Saccheri e di Lambert. Daremo cosl qualche esempio delle applicazioni dell'indirizzo elementare nella trattazione delle più semplici questioni geome­ triche indipendenti dal

Vo postulato di Euclide, o nell'ipotesi della

sua negazione.

28 pro­ VO postulato, o quei capi­

Supponiamo premesse alle nostre considerazioni le posizioni di Euclide indipendenti dal

toli di moderni libri di geometria elementare in cui non è ancora stato applicato il celebre postulato od altro equivalente. Quindi nella geometria piana (alla quale ci limiteremo almeno per il momento) rimangono valide le proprietà fondamentali del­ l'uguaglianza delle

figure

(criteri

d'uguaglianza dei

triangoli)

proprietà delle perpendicolari ed oblique, del cerchio (corde, tan­ genti) ecc. I risultati che ora stabiliremo sulla somma degli angoli di

un triangolo risalgono in sostanza al P. Saccheri, ma seguiremo piuttosto per le dimostrazioni il Legendre per semplicità e rapi­ dità di ragionamento. Muoviamo dalla

17" proposizione del l° libro di Euclide che

abbiamo a suo tempo dimostrato:

In ogni triangolo la somma di due angoli comunque presi � sempre minore di due retti. Su questa base è possibile stabilire che:

La somma degli angoli di un triangolo � minore od uguale a due angoli retti. Infatti (v. fig. 2) consideriamo un triangolo ABC e dimostriamo per assurdo che la somma dei suoi angoli non può essere 2R -I- a (R è l'angolo retto, a è positivo non nullo). Per il punto medio E del segmento AC conduciamo una retta

fino ad un punto F tale che BE

=

EF, uniamo C con F.

I due triangoli ABE e FEC sono uguali per il primo criterio

d'uguaglianza, quindi i due triangoli ABC e BCF hanno uguale somma degli angoli interni

(2R + a).

Ma almeno uno degli angoli del triangolo BCF possiede un

angolo minore od uguale alla metà dell'angolo ABC. Applicando di nuovo lo stesso procedimento al triangolo BCF e cosl di seguito per n volte, otterremo infine un triangolo in cui

236

2R + a, ma un angolo è di un angolo comunque piccolo, ad esempio è minore di a. Ma allora la somma dei due angoli rimanenti dovrebb e essere maggiore di 2R contro la 17' prop. di Euclide.

la somma degli angoli interni è sempre

minore

A

Fig. 2

Il ragionamento svolto è valido se si suppone la retta infinita,

perchè noi ammettiamo di poter sempre raddoppiare un segmento; cade in difetto nella geometria sferica, in cui la retta non è infinita e la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di due retti. Con il solito ragionamento in cui il poligono dato si divide in triangoli, si dimostra che in un poligono convesso di n lati la � minore od uguale a (2n - 4) . R.

somma degli angoli

Prende (2n

il nome di deficienza la differenza

(non

negativa)

- 4)R - s dove s è la somma degli angoli del poligono. Se la somma degli angoli di un triangolo � uguale a due retti,

� anche uguale a due retti la somma degli angoli di ciascun trian­ golo ottenuto a partire dal primo per suddivisione mediante rette uscenti da un vertice.

c

8 Fig. 3

Infatti, (v. :fig.

3) sia dato un t riangolo ABC in cui la somma degli ADC,

angoli interni è uguale a due retti; dividiamolo in due triangoli

237

DEG. Se la somma relativa ad ADG fosse minore di due retti,

dato che la somma complessiva degli angoli dei due triangoli dovrebbe essere uguale a 4R, dovrebbe essere maggiore di 2R la somma relativa all'altro, ciò che è assurdo. Un triangolo qualsiasi può dividersi in due triangoli rettangoli, mediante una retta passante per un vertice opportunamente scelto.

Osserviamo infatti che in un triangolo (se la retta è illimitata) almeno due angoli sono acuti. Abbassando l'altezza dal terzo vertice dopo quelli dei due angoli acuti considerati, questa altezza cade internamente al lato opposto, perchè altrimenti si formerebbe un triangolo con un angolo retto ed uno ottuso, ciò che è assurdo. Se in un triangolo la somma dei tre angoli ~ uguale a due retti, può sempre costruirsi un quadrilatero (quadrato) con quattro angoli retti e quattro lati uguali o maggiori d'ogni segmento assegnabile. Infatti: consideriamo un triangolo per il Quale la somma degli

angoli interni è uguale a due retti. Se questo non è rettangolo isoscele possiamo ridurci a questo caso mediante suddivisioni con rette uscenti dai vertici. Riunendo due triangoli di questo genere (v. fig. 4) possiamo ottenere un quadrato. Riunendo quattro di questi quadrati otteniamo un nuovo quadrato di lato doppio e cosi di seguito. I

H

I

I

G

I I I

I I I

I I I

I

I

I

~--------~-------1

I

I

c~: --------:p------~F" I

I

I

I

I I

I I

I

I

I I I I I _______ .JI

A

B

E

Fig. 4

Otteniamo cosi un quadrato di lato tanto grande quanto si vuole. Un quadrilatero del tipo considerato viene diviso da una diagonale in due triangoli rettangoli isosceli di deficienza nulla. Quindi concludiamo: Se esiste un solo triangolO di deficienza nulla, si può costruire

238

un triangolo rettangolo isoscele di deflcienza nulla con lati tanto grandi quanto si vuole. Possiamo ora dimostrare la prima parte del teorema di Sac­ cheri-Legendre: Se la somma degli angoli di un particolare triangolo � uguale a due retti altrettanto accade per qualsiasi triangolo. Dimostriamo dapprima il teorema per un triangolo rettangolo

ABC.

Se per ipotesi esiste un triangolo di deficienza nulla, potremo

costruire un triangolo rettangolo isoscele

AlBI Cl

(v. fig. 5) di defi­

cienza nulla i cui cateti sono maggiori dei cateti del triangolo dato. Allora facciamo coincidere gli angoli retti

CAB

e

C:AtB, dei ABICtI

due triangoli considerati. Essendo nulla la deficienza di altrettando accadrà per

ABIC

e infine per

ABC.

c,

c

Fig. 5

Se il triangolo dato non è rettangolo potremo dividerlo in due triangoli rettangoli, ma per quanto abbiamo dimostrato per ciascuno di questi triangoli rettangoli, la deficienza è nulla, lo sarà dunque (come si vede immediatamente) anche per il trian­ golO dato, c.v.d. Tenendo presente che la somma degli angoli di un triangolo è minore o uguale di due retti, ed il teorema precedente, si ottiene la seconda parte del teorema di Saccheri-Legendre: Se la somma degli angoli di un particolare triangolo � minore di due retti altrettanto accade per qualsiasi triangolo. Infatti se ciò non fosse esisterebbe qualche triangolo per il quale la deficienza è nulla, ed altrettanto dovrebbe accadere per ogni triangolo in particolare per il dato, contro l'ipotesi. Esaminiamo ora le relazioni che intercedono fra deficienza ed area di un poligono.

239

La deficienza di un poligono P di n lati, di cui la somma degli angoli è s, si potrà indicare con

a (P) = (n - 2) Analogamente

per

un

31:

p'

poligono

a (P') = (n' - 2) Ci

proponiamo

compone

di

dimostrare

-S

31:

- s'

che

quando

un

poligono

si

di più altri, la sua deficienza è uguale alla somma delle

deficienze

dei poligoni che lo compongono.

Vogliamo cioè dimostrare che

a (P + P') = a (P) + a (P') divide un Q in due poligoni P e P' passi per i ve rtici di Q

Consideriamo dapprima il caso in cui la retta che certo poligono

Avremo in tal caso:

a (P + P') = (n + n' - 2 - 2)

- (s + s') = a (P) + a (P') .

31:

suddivisione, taglia un lato occorre togliere un angolo piatto da ambe­ due le espressioni che con la loro differenza danno () (P + P' ) ; analogamente si ragiona se la retta taglia due lati (si tolgono due angoli piatti) in ogni caso la deficienza Se invece la retta che opera la

del poligono somma,

() (P + P')

=

a (P) + a (P') .

Notiamo ora che:

1) Poligoni uguali od equicomposti hanno ugual deficienza. 2) Se un poligono è somma di più altri la sua deficienza è somma delle deficienze dei poligoni di cui è costituito. Potremo quindi applicare il criterio generale di proporzio­ nalità e concludere che i poligoni considerati della geometria in

cui

la

deficienza

è positiva,

sono

proporzionali

alla

deficienza. Potremo scrivere

Area di P

=

Q

2



a (P) .

In particolare in un triangolo di angoli

A = Q2 ( 31: -

Il

240

a,

- � - y)

�,

y l'area

(I)

loro

L'area di un triangolo non potrà quindi superare Q2

;re

Tenderà a questo massimo quando a, �, y tenderanno a zero. Non potranno esistere in questa geometria triangoli con angoli uguali ed area diversa, perchè gli angoli determinano l'area: non esistono triangoli simili di dimensioni di.verse. Confrontiamo la formula ottenuta per l'area del triangolo nella nuova geometria con l'area del triangolo sferico.

(II). Se al posto di r scriviamo i Q la (II) si trasforma nella (I). Abbiamo già ricordato questa circostanza a proposito di Lambert. ,

§

4

-

l

fondatori della geometria non-euclidea

Carlo Federico Gauss (1777-855) viene considerato il primo matematico giunto alla concezione chiara di una geometria indi­ pendente dal postulato di Euclide; egli però non pubblicò prima di Lobacefski e di Boliay i risultati raggiunti su tale argomento. per evitare, come egli diceva, «le strida dei beoti» cioè le proteste di coloro che non erano in grado di comprendere il valore della nuova geometria. La vita di Gauss fu dedicata ai vari rami della matematica della fisica, dell'astronomia e della geodesia (divisione della circonferenza in n parti e condizione perchè il problema sia risolubile con riga e compasso, metodo dei minimi quadrati per valutare gli errori di osservazione applicato all'astronomia ed alla geodesia, «disquisitiones generales circa superficies curvas»: fondamenti della geometria differenziale ,concetto di curvatura totale invariante per una superficie flessibile e inestendibile, questioni relative alla meccanica: principio del minimo sforzo, ricerche sul magnetismo...). Egli si occupò anche di problemi pratici di ottica: costruì obbiettivi acromatici stabili principi anche oggi fondamentali in questo campo. Il suo motto era «pauca sed matura». Tuttavia le sue opere comprendono ben 12 volumi. Sulle relazioni tra scienza e tecnica lasciò questo pensiero: la scienza deve essere l'amica della tecnica ma non la schiava, farle doni, non prestarle servizio. Gauss prima di giungere alla geometria non-euclidea tentò, a quanto pare, come Saccheri e Lambert, di dimostrare il Vo postu241 16

lato di

Euclide

con ragionamenti per assurdo.

E' interessante

a questo proposito una sua lettera a Wolfang Bolyai del

1799.

«Quanto a me» scrive Gauss all'amico «i miei lavori sono già molto avanzati, ma la via nella quale sono entrato non conduce al fine che si cerca e che tu affermi avere raggiunto, ma conduce piuttosto a mettere in dubbio l'esattezza della geometria. Sono, è vero, arrivato a parecchie cose che dalla maggior parte degli uomini sarebbero ritenute come una valida dimo­ strazione, ma che ai miei occhi provano, per cosi dire nulla; p. es. se si potesse dimostrare l'esistenza possibile di un triangolo rettilineo la cui area fosse più grande di ogni area data, allora sarei in grado di dimostrare con rigore perfetto tutta la geometria. Quasi tutti, è vero, vorrebbero dare a ciò il titolo di assioma, io no;

potrebbe infatti accadere che per quanto lontani fossero

tra loro i vertici di un triangolo nello spazio, la sua area fosse non di meno sempre inferiore a un limite assegnato». (Si pensi ai risultati stabiliti verso la fine del

§ 3 del presente capitolo).

Ma la certezza della possibilità logica della geometria non­ fu

euclidea

conquistata

da

Gauss

soltanto

attraverso

lunghe

meditazioni. Fino al

1813 troviamo traccia delle esitazioni di Gauss davanti

agli scogli che sbarravano la via al nuovo mondo geometrico. Nel nuova

1816 Gauss aveva sviluppato un sistema di teoremi della geometria

da

lui chiamata anti-euclidea,

ma

forse

non

aveva ancora raggiunto la certezza della sua possibilità logica. Nel

1824 in una lettera al matematico Taurinus (di cui dovremo

parlare) Gauss usa il nome di geometria non-euclidea e constata che tutti i tentativi per trovare in essa una contraddizione sono riusciti vani. Nel

1831 Gauss afferma nettamente che la geometria non­

euclidea nulla ha in sè

di

contradittorio, nonostante l'aspetto

paradossale di molti suoi risultati. Vediamo ora come Gauss definisce le parallele. Consideriamo (v. fig.

6) una retta AM complanare con BN e

non incidente ad essa. AM si dice parallela a EN se ogni retta per A compresa nell'angolo BAM incontra la BN. Si noti la differenza

fra le definizioni di parallele date da Euclide e da Gauss. Gauss dimostra quindi che fissato un certo verso di paralle­ lismo la parallela condotta per un punto A' di AM coincide con AM:

conservazione del parallelismo. Gauss dimostra inoltre la reciprocitèl e la transitivitèl della relazione di parallelismo. Gauss

trovò

o

ritrovò

altri

notevoli

risultati

di

geometria

non-euclidea: non vi sono figure simili di grandezza diversa, p. es. gli angoli di un triangolo equilatero variano con il lato e tendono a zero con il tendere del lato all'infinito. Esiste

per

la

misura

dei

segmenti

242

un'unità

assoluta

che

compare nelle formule come una costante speciale k. P. es. in una lettera di Gauss a Schumacher del 1831 troviamo l'espressione della lunghezza della circonferenza di raggio r sotto la forma

3T.k(ei- e-i-) _

che per k-+� tende al limite 2n:r (come si verifica facilmente appli­ cando la regola di L'Hospital). A

AI

B

N Fig. 6

In generale basta far tendere all'infinito la costante k nelle formule della geometria non euclidea per ritrovare come caso limite

la geometria euclidea.

Dal punto di vista fisico, se fosse valida la geometria non euclidea ma k fosse molto grande non sarebbe possibile decidere mediante l'esperienza quale delle due geometrie è quella che si

applica ai fenomeni fisici. Due giuristi contemporanei di Gauss, Schweikart e Taurinus portarono un notevole contributo alla costruzione della geometria non-euclidea. Ferdinando Carlo Schweikart (1780-1857) pubblicò dapprima un'opera sulle parallele da un punto di vista euclideo; più tardi sviluppò una geometria indipendente dal Vo postulato, e comunicò

nel 1818 i suoi risultati a Gauss, da cui fu lodato in una lettera del 1819.

Ecco alcuni passi particolarmente significativi della comuni­ cazione di Schweikart: geometria

«Esistono due tipi di geometria - una

in senso ristretto - la euclidea;

ed una

geometria

astrale. I triangoli in quest'ultima, hanno la particolarità che la somma

dei loro tre angoli non è uguale a due angoli retti.

Ciò posto, si può rigorosamente dimostrare a) che la somma

dei tre angoli di un triangolo è minore di due angoli retti.

b) Che questa somma è più piccola quanto più è grande

l'area del triangolo. 24 3

c) Che l'altezza di un triangolo rettangolo isoscele, pur cre­ scendo col crescere dei lati, tuttavia non può superare un certo segmento che io chiamo costante. La geometria euclidea vale nell'ipotesi che la costante sia infi­ nitamente grande. Solo allora è vero che la somma dei tre angoli di ogni trian­ golo è uguale a due retti, e ciò si lascia dimostrare facilmente sol­ tanto se si ammette per dato che la costante sia infinitamente grande». Francesco Adolfo Taurinus

(1794-1874) nipote di Schweikart

fu attirato da quest'ultimo allo studio della teoria delle parallele. Mentre Schweikart ebbe un'idea chiara della possibilità della nuova geometria, Taurinus rimase convinto della validità asso­

V postulato (almeno da un punto di vista fisico). Tuttavia Theorie der parallelinien (1825) e Geometriae prima elementa (1826) oltre sviluppi analoghi a quelli di Saccheri e di luta del

nei suoi lavori

Lambert, ritrova la costante k di Gauss. Ritenendo che nello spazio dovrebbero valere ad un tempo tutte le infinite geometrie corri­ spondenti agli infiniti valori di questo parametro, ritiene di dover rigettare questa ipotesi. Ma il risultato più interessante di Taurinus è il seguente: se nelle formule di trigonometria sferica noi sostituiamo al raggio

r

della sfera

r V-l si ottengono nuove relazioni che assumono forma reale se si intro­ ducono le funzioni iperboliche. Le formule cosi ottenute corrispondono all'ipotesi dell'angolo acuto. Quest'intuizione geniale permette a Taurinus di trovare nel modo

più

rapido le formule

della

trigonometria

non-euclidea,

l'area del triangolo, la lunghezza della circonferenza l'area del cerchio, l'area e il volume della sfera. Lobacefski e Bolyai rag­ giunsero più tardi questi risultati solo mediante lungo lavoro. Taurinus ebbe per primo un'idea chiara della posizione intero media della geometria euclidea tra la geometria sferica e quella logaritmico-sferica

(dell'ipotesi cioè

dell'angolo acuto, chiamata

logaritmico-sferica perchè nelle formule di quella trigonometria Taurinus faceva uso di logaritmi). La somma degli angoli di un triangolo poteva cosi variare da zero

(caso del triangolo d'area massima nella geometria

ritmico-sferica) a

loga­

3 angoli piatti nella geometria sferica.

Alcune frasi di Taurinus rendono chiaramente la sua perples­ sità circa il valore dei risultati da lui stesso conseguiti: «:

La questione della vera essenza della geometria logaritmico-

244

sferica, se contenga qualcosa di possibile o sia soltanto immagi­ naria, oltrepassa i limiti degli Elementa (pag. 68). Ma presumo che ciò non sarà senza importanza per la matematica

».

Taurinus pubblicò a sue spese gli Elementa, ne distribul molte copie ad amici e personaggi autorevoli del tempo, ma disgustato dell'indifferenza con cui era stato accolto il suo lavoro (fatta ecce­ zione per Gauss), gettò sul fuoco i volumi che gli erano rimasti. Nicola Ivanovic Lobacefski (1793-1856) fu professore di mate­ matica all'università di Kasan in Russia, dove aveva studiato sotto la direzione di Bartels amico e conterraneo di Gauss. E' difficile poter stabilire con sicurezza quale

è stata l'in­

fluenza di Gauss, sopra Lobacefski, ma lo sviluppo del pensiero di

quest'ultimo

sembra

piuttosto

indipendente

dai più

recenti

progressi della teoria delle parallele ai suoi tempi, mentre sembra più probabile che il geometra russo abbia conosciuto direttamente o indirettamente i risultati di Saccheri e Lambert. Lobacefski (6), premesso un gruppo di teoremi indipendenti dal V postulato di Euclide, e sulla somma degli angoli di un trian­

2 e § 3), considera un fascio di rette di centro A ed BC che non passi per A (fig. 7).

golo (cfr. § una retta

h

A

K.�__

a

B

h

o

c

Fig. 1

D il piede della perpendicolare abbassata da A su BC. AD per A è l'unica rf"tta per A che non incontra BC. Invece nella geometria di Loba­ cefski esistono nel fascio di centro A altre rette che non incon­ trano BC. Le rette secanti e le non secanti vengono separate da Sia

Nella geometria euclidea la perpendicolare ad

due rette h e k, a loro volta non secanti (come si stabilisce facil­ mente). Queste rette h e k vengono dal nostro autore chiamate paral­ lele ed hanno ciascuna un determinato verso di parallelismo (nella figura la h verso destra, la k verso sinistra).

AD (questo è di 90 nella geometria euclidea) chiamato angolo di paral-

Una di queste parallele forma un certo angolo con angolo

(6)

Lobacevkij. 245

lelismo bolo II

è

che

una

AD

funzione

di

lim II

(a)

=

90°

(a)

=



=

a,

indicato

con

il

sim­

(a). a_co

lim II a_co

Lobacefski dimostra le principali proprietà delle nuove paral­ lele (analoghe alle proprietà delle antiche): conservazione, reci­ procità e transitività

cui

abbiamo

già

accennato

a

proposito

di Gauss. Egli riconobbe anche il comportamento asintotico delle nuove parallele che in certo qual modo era stato già stabilito dal Saccheri. La

parte

più

importante

della

«Geometria

immaginaria»

è costituita dalle formule di Trigonometria non-euclidea. sto proposito Lobacefski introduce due nuove figure: (cerchio di raggio infinito) l'orisfera

A que­

l'oriciclo

(sfera di raggio infinito).

è la retta, è il piano, non cosi nella geometria

Nella geometria euclidea il cerchio di raggio infinito e la sfera di raggio infinito non-euclidea.

Lobacefski stabill che sull'orisfera vale la geometria euclidea quando s'interpretino come rette gli oricicli. I risultati più notevoli che Lobacefski deduce dalle sue for­ mule sono i seguenti:

1) Per triangoli con lati infinitesimi alle formule della tri­ gonometria

«immaginaria»

o

non-euclidea

possono

sostituirsi,

a meno d'infinitesimi d'ordine superiore, le formule della trigo­ nometria ordinaria.

2) Se ai lati a b

c di un triangolo della geometria non eucli­

dea sostituiamo i lati immaginari

ia, ib, ic, nelle formule della

trigonometria di Lobacefski otteniamo le formule della trigono­ metria sferica.

3) Se nel piano e nello spazio non-euclideo istituiamo un sistema di coordinate analogo a quello cartesiano, possiamo cal­ colare con i metodi della geometria analitica, lunghezze, aree, volumi. Il pensiero filosofico di Lobacefski intorno allo spazio risulta chiaramente dal seguente passo dei suoi

Nuovi fondamenti della

geometria del 1835. «L'infruttuosità dei tentativi fatti dal tempo di Euclide, per lo spazio di due millenni, svegliò in me il sospetto che nei dati stessi non fosse contenuta la verità che si era voluta dimostrare e che alla sua conferma potessero servire, come nel caso di altre leggi

naturali,

astronomiche

delle

esperienze,

>.

246

ad

esempio delle

osservazioni

Come abbiamo rilevato nel capitolo XII, Lobacefski si è reso conto della non contradittorietà della sua geometria, basandosi su considerazioni analitiche. Egli si è anche occupato della posi­ zione della sua geometria rispetto all'esperienza. Ora è

noto che le formule della geometria non-euclidea si

trasformano in quelle della geometria euclidea quando un certo

parametro k cefski)

(contenuto implicitamente nelle formule di Loba­

tende all'infinito;

ora il geometra russo mediante ricer­

che astronomiche ha potuto stabilire che o k è molto grande o

è addirittura infinito, cioè nel campo sperimentale è valida l'ipo­ tesi euclidea. Mentre Lobacefski mirò soprattutto a costruire un sistema geometrico

sulla

(Giovanni)

Bolyai

del postulato V di Euclide, Janos (1802-1860) ebbe il merito di mettere in evi­

negazione

denza i teoremi e le costruzioni geometriche

indipendenti

da

detto postulato. Nel

1823 Bolyai penetrò la vera natura del problema da lui

affrontato, scoprendo la formula fondamentale che lega l'angolo a proposito

di

A questo proposito Janos scriveva a suo padre Wolfang:

«i

parallelismo

di

Lobacefski)

II(a),

(di

cui abbiamo

parlato

al segmento corrispondente a: a

e-k

=tg� II

(a)

risultati raggiunti prima d'ora mi sembrano un castello di carte di fronte a questa torre

».

Egli allude alla geometria indipendente

V postulato, la quale si presenta al suo pensiero come la

dal

scienza assoluta dello spazio. Ed aggiunge: «dal nulla ho creato un nuovo mondo

>.

Wolfang esortò il figlio a pubblicare i suoi risultati scrivendo: «c'è

qualche verità in ciò, che parecchie cose hanno una sta­

gione, nella quale esse sono trovate allo

stesso

tempo

in

più

luoghi, precisamente come le violette vengono da ogni parte alla luce in primavera

».

Infatti proprio in quell'anno

1829 in cui veniva pubblicata

l'opera di Bolyai, venivano stampate le prime memorie di Loba­ cefski sulla geometria non euclidea. I risultati di Janos Bolyai vennero pubblicati in appendice al I volume di un'opera di suo padre. Il titolo dello scritto di Janos è

il seguente:

Appendix scientiam spatii

absolute

veram exhi­

bens: a veritate aut falsitate Axiomatis XI Euclidei, a priori un­

quam decidenda indipendentem: adjecta ad casum falsitatis qua­ dratura circuli geometrica.

Una copia di quest'opera venne inviata da Wolfang al suo amico Gauss il quale rispose nel

1832 in questo modo: «Se comin-

247

cio col dire che non posso lodare questo lavoro, tu certamente resterai

meravigliato;

ma

non posso

dire

altra

cosa;

lodarlo

sarebbe lodare me stesso; infatti tutto il contenuto dell'opera la via spianata da tuo figlio, i risultati ai quali egli fu condotto, coin­ cidono

quasi interamente con le mie meditazioni,

che

hanno

occupato in parte la mia mente da trenta a trentacinque anni a questa parte. ... Era mia intenzione di scrivere col tempo tutto ciò perchè esso almeno non perisse con me. E' dunque per me una grade­ vole sorpresa vedere che questa fatica può ora essermi rispar­ miata, e sono estremamente contento che sia proprio il figlio del mio vecchio amico, che mi abbia preceduto in modo cosi note­ vole

>.

Wolfang

fu molto soddisfatto di

questa risposta,

non cosi

Janos, il quale sospettò che Gauss volesse appropriarsi della prio­ rità delle sue scoperte, e benchè in seguito si dovesse convincere dell'infondatezza dei suoi sospetti conservò un'avversione ingiu­ sUficata verso il grande matematico. Nella

geometria

non-euclidea

di

Gauss,

Lobacefski,

Bolyai,

veniva esclusa l'ipotesi che abbiamo chiamato con Saccheri del­ l'angolo ottuso; quest'ipotesi veniva scartata perchè si supponeva infinita la retta. La possibilità di una geometria in cui vale l'ipo­ tesi dell'angolo ottuso, la retta non è infinita, la

somma

degli

angoli di un triangolo è maggiore di due angoli retti, è stata sta­ bilita da Bernhard Riemann (1826-1866). L'opera di Riemann per la sua originalità e la sua profondità di pensiero ha un'importanza fondamentale neno sviluppo della matematica moderna. Ci

limiteremo

a

ricordare

la

sua

teoria

delle

funzioni

di

variabile complessa e il concetto di superficie di Riemann o rieman­ niana; la teoria degli integrali definiti trovò una nuova sistema­ zione per opera di Riemann. Ma

noi

dobbiamo

soprattutto occuparci delle

sue ricerche

sui principii della geometria. Una sua memoria del 1854 su questi argomenti costituisce il punto di partenza dela geometria differenziale moderna ed ha preparato il terreno per la costruzione del calcolo differenziale assoluto

ideato

da

Levi

Civita

(1873-1941).

T.

Ricci-Curbastro

(1853-1925)

e

ricostruito

da

Come è noto il calcolo differenziale assoluto è lo strumento algoritmico che venne

impiegato

generale.

248

nella teoria

della

relatività

§

5

-

Cenno sull'indirizzo metrico differenziale delle geometrie non-euclidee

Per comprendere la geometria di Riemann e l'interpretazione di questa geometria e di quella di Lobacefski sopra una superficie a curvatura costante, consideriamo una superficie

S, proponendoci

di fondare una geometria su di essa. Dati due punti A e B di determinato)

r-..

S consideriamo l'arco AB (in generale

che segua il più

breve cammino per andare dal r-..

S. L'arco AB cosi defi-

punto A al punto B senza abbandonare nito si chiama arco di geodetica.

Su di un piano le geodetiche sono rette, su di una superficie sferica circoli massimi. Nella geometria sopra una superficie le geodetiche tengono un posto analogo a quello occupato dalle rette nella geometria piana. Definiamo superficie,

ora

figure

due

figure

dette

uguali

nella

geodeticamente

geometria

sopra

la

uguali.

Due figure tracciate sopra una superficie si dicono geodeti­ camente uguali quando possano farsi corrispondere punto per punto

in

modo

prima figura,

che

la

distanza

tra

due

punti

misurata sulla relativa geodetica

qualsiasi

della

sia uguale alla

distanza tra i due punti corrispondenti ai primi sulla seconda figura, misurata parimente sulla relativa geodetica. Possiamo esprimere in modo più intuitivo di uguaglianza geodetica fra figure:

questo concetto

consideriamo la superficie

su cui abbiamo fondato la nostra geometria come un foglio fies­ sibile e inestendibile:

due figure tracciate su questo foglio sono

geodeticamente uguali se possono venire sovrapposte mediante un movimento della superficie in cui questa si fietta conservando il detto carattere d'inestendibilità. P.

es.

estensione, questo

superficie

cilindrica

può

venir

applicata

senza

duplicazione e rottura sopra una regione piana. In

caso

diranno figure

una

due

figure

geodeticamente

piane

tracciate

sulla

superficie

uguali se si possono

cilindrica

si

distendere sopra

uguali.

Da notarsi che due figure geodeticamente uguali non sono in generale uguali nello spazio nel senso ordinario. Basandoci su questi principi noi potremo costruire una geo­ metria sopra la superficie, che preferiremo riferire ad una regione convenientemente

limitata della

superficie

stessa.

Due superficie trasformabili l'una nell'altra con fiessione senza estensione posseggono la stessa geometria. Ad esempio sulla

superficie

analoga alla geometria piana.

249

cilindrica

vale una

geometria

Una geometria diversa vale sulla superficie sferica dato che la superficie sferica non è applicabile sul piano. La geometria piana e la sferica posseggono però un carat­ comune,

tere

muovere

perchè

tanto la sfera come il piano si possono

liberamente

accade per

su



stessi

altre superficie come

(ciò

che

in

generale

ad esempio l'ellissoide).

non Ciò

significa che esiste un carattere che si conserva invariato su tutta la superficie. Questo carattere

è la curvatura che viene definito da Gauss

nel modo seguente: Consideriamo una superficie F e un punto ciamo per

P su di essa, condu­ P la normale n alla superficie sulla quale scegliamo un

verso positvo; gli infiniti piani passanti per n segano la F secondo infinite

curve:

due

di

queste situate su

due

piani

ortogonali

avranno rispettivamente la massima e la minima curvatura

e

1 --o

1 --

La curvatura totale della superficie è data da

r2 1

K-

Se le sezioni

della superficie

come avviene nella sfera, Ora

è

-

possibile

K

1 -.

hanno curvatura costante

1 =

costruire

1 --,

r

--o

r2

superficie

a

curvatura

costante;

sono possibili tre casi: K>O Per K

=

KO troviamo la sfera e le superficie applicabili sulla superficie sferica. Per K .

I due enunciati della legge empirica del caso e del teorema di Bernoulli, che talora sono stati confusi, sono invece di natura irriducibilmente diversa, e non è possibile dimostrare uno di essi servendosi soltanto dell'altro. Tuttavia esiste un'importante relazione fra detti enunciati:

263

servendosi del teorema di Bernoulli, ammettendo la legge empi­ rica del caso quando l'evento è molto probabile ,quando si ha cioè la cosI detta «certezza pratica» si può dimostrare la legge empirica del caso in tutti gli altri casi. Infatti il teorema di Bernoulli accanto all'evento E di proba­

bilità p, considera l'evento E'

che sia

Per il teorema di Bernoulli la probabilità di E'

vicina ad 1 tanto quanto si vuole, cioè E'

,

si può rendere

è praticamente certo

per n molto grande. Quest'ultima affermazione coincide in sostanza con la legge empirica del caso. Conclude

il

Castelnuovo:

«E' messo cosI in luce, anche in questo caso, il vero carattere della indagine matematica, la quale non può pretendere di dimo­ strare

«a

priori» una legge naturale, bensl di ricondurla ad

un'altra legge empirica che sia più facilmente accettabile». Fra i molti ed importanti ulteriori sviluppi del calcolo delle probabilità ci limitiamo ad indicare la legge esponenziale riguar­ dante la teoria degli errori d'osservazione scoperta da Gauss e

pubblicata nella Theoria motus corporum La

dimostrazione di

Gauss

coelestium del 1809.

molto elegante

e

suggestiva, pur

prestando il fianco ad alcune critiche nei riguardi delle ipotesi esplicite ed implicite su cui si basa, è stata condotta secondo un procedimento funzionale. Si ottiene il risultato seguente: «La probabilità di commettere un errore compreso fra z e z + dz nella misura di una grandezza è espressa dalla formula

_h_ e-h2z2 dz

V�

,

dove h è una costante dipendente dall'accuratezza della misura».

§

4

-

Cenni sulle diverse concezioni della probabilità

La concezione

classica della

probabilità, quale si

nella definizione citata nel paragrafo precedente è

presenta

suscettibile

di critiche. Il Castelnuovo

(8)

considera «poco soddisfacente» il modo

con cui si fa cenno in detta definizione alle cautele occorrenti per

valutare

correttamente

la

probabilità,

quando

si

enuncia

la clausola «purchè tutti i casi siano ugualmente possibili». Egli (8) Castelnuovo, 2, ed. 1926, pagg. 3, 5-9.

264

osserva

che

«se

il

calcolo

delle

probabilità

viene

studiato

in

vista delle applicazioni..., la enumerazione corretta dei casi possi­ bili e favorevoli deve dipendere esclusivamente dalle particolarità fisiche del problema concreto in esame.

E quando sorga qualche

dubbio intorno alla valutazione dei casi ugualmente possibili, la verifica sperimentale fondata sulla legge empirica del caso può fornire un criterio per decidere quale, tra varie ipotesi a priori accttabili, debba realmente essere accolta. Ma è chiaro che se occorresse determinare, con effettive esperienze, una frequenza per pronunziare un giudizio intorno ad una probabilità, il calcolo perderebbe

uno

dei

suoi

scopi

che

consiste

nel

prevedere

la

frequenza partendo dalla probabilità. Realmente la previsione può farsi in molteplici casi, ma con criteri diversi secondo la natura dei problemi». Con queste considerazioni ci si avvicina alla (9) «concezione empirica [della probabilità] basata sul concetto di eventi ripe­ tibili la cui frequenza su un gran numero di prove (per la

«

legge

empirica del caso») dà quasi esattamente e quasi certamente la probabilità». Un'idealizzazione della precedente viene fornita dalla conce­ zione asintotica in cui si considera una successione infi nita di prove e si definisce la probabilità come limite della frequenza. Abbiamo B.

de

infine

Finetti]

che

la

«concezione

considera

la

soggettiva

probabilità

[sostenuta

come

misura

da del

grado di fiducia di un soggetto determinato nell'avverarsi di un evento ». La probabilità cosi definita deve però esser tale da soddi­ sfare una condizione necessaria e sufficiente di coerenza intrin­ seca

(10).

In

quest'ordine

di

idee

la

probabilità

viene

definita

sulla

base di valutazioni che verrebbero eseguite in un ipotetico banco di scommesse:

(11).

«Valutare la probabilità dell'evento E uguale a

p significa,

per chi tiene il supposto banco di scommesse. dichiararsi disposto ad accettare ogni scommessa con un competitore qualunque ctv è libero di fissare a suo piacimento la puntata

tiva)

in

modo

che

il

guadagno

G

S (positiva o nega­

(positivo

o

negativo)

del

competitore risulti

G(E)

=

G( -E)

=

(1-

P

p) S S

(9) La classificazione delle 4 concezioni delle probabilità (classica, emplrlCa. soggettiva) è stata ricavata da De Finetti, 4, pagg. 10-11. I relativi

asintonica,

passi tra virgolette derivano da

detto scritto.

(lO) De Finetti, l, pagg. 258-261. (11) De Finetti, 2, pago 308.

265

nei due casi E e

-

E, e cioè nell'ipotesi che l'evento E si verifichi

o rispettivamente non si verifichi. Un individuo è coerente nel valutare le probabilità di certi eventi se, qualunque gruppo di puntate 8l 82

•••

8n un competitore

faccia su un insieme qualunque di eventi El E2

•••

En fra quelli

che egli ha considerato, non è possibile che il guadagno G del competitore risulti in ogni caso positivo

>.

Sulla base di questa definizione si ritrovano i teoremi fonda­ mentali del calcolo classico delle probabilità. La concezione di probabilità prescelta è da mettersi in rela­ zione con il sistema di postulati da porsi alla base del calcolo delle probabilità. Per un esame approfondito dell'argomento rinvio agli scritti di De Finetti (12). Altre

definizioni

della

probabilità,

legate

all'una

o all'altra

delle diverse vedute già prospettate, scaturiscono dalle correnti contemporanee del pensiero neo-positivista

(13).

Ritroveremo nelle nostre considerazioni il concetto di proba­ bilità in un esempio di grandezze non archimedee (cap. XVII § 3), e nell'interpretazione di talune logiche polivalenti (cap. XX § 2).

(12)

V. specialmente De Finetti, 4

(13) Barone,

pagg.

67-82,

e

relative indicazioni bibliografiche.

88-93, 377-380; cap.

266

XX, § 3, del presente volume.

CAPITOLO XVII INSIEMI, FUNZIONI, CURVE, GEOMETRIE NON· ARCHIMEDEE

§

l

La

-

teoria degli insiemi (l).

Nel corso della storia della matematica il problema dell'infi­ nito matematico attuale si

è presentato più volte e sotto diversi

aspetti, come abbiamo avuto occasione di constatare. Mentre, come

abbiamo

visto, la

sistemazione

rigorosa del

calcolo infinitesimale compiuta da Cauchy e dai continuatori della sua

opera, sembrava

aver

bandito dalla

matematica l'infinito

attuale, in senso ben diverso si dirige il pensiero di B. Bolzano che tende a rimuovere le apparenti contraddizioni relative agli insiemi d'inflniti elementi.

è soprattutto opera (1845-1918) che con le sue memorie pubblicate

Ma la teoria moderna degli insiemi inflniti di Giorgio Cantor fra il

1878 e il 1883, apri nuove vie all'intelletto umano, costruendo

un sistema di conoscenze della più alta importanza per il pro­ gresso della logica, e per le relazioni fra detta teoria e l'analisi. Ci proponiamo di ricostruire rapidamente alcuni dei più sug­ gestivi aspetti della teoria degli insiemi, che si occupa special­ mente della possibilità e dell'impossibilità

di stabilire una corri­

spondenza biunivoca fra insiemi diversi. Con

i termini

«ente:.,

c:

elemento>,

c:

oggetto

s'indica

»,

un

concetto primitivo che non si presta ad essere deflnito a partire da

concetti

« insieme>

più che

semplici; viene

altrettanto si può dire

assunto

come

come sinonimi «classe>, «aggregato>

concetto

del

termine

primitivo

ed

ha

(2).

Per indicare che un oggetto e appartiene ad un insieme I, si

di G. Peano:

scrive, secondo la notazione e A

proposito

del

concetto

E

I.

d'insieme

si

presenta

una

(1) V. p. es. Enriques, 2, pagg. 151·160. (2) V. p. es. Sierpinsk, pago 1 e segg.; Vitali e Sansone, parte I, pago 1 Severi, l, pagg. 92-97.

267

grave

e

segg.;

questione

di

carattere

critico:

quando

un

insieme

pub

consi­

derarsi come esistente (nel mondo del pensiero logico)? Su questo punto le mentalità dei matematici si dividono in due grandi gruppi, che potremo indicare con i termini «idea­ listi» e «empiristi» che si presentano tuttavia con diverse sfuma­ ture. Per una precisazione dei due punti di vista ricordati, rinviamo al dialogo dell'idealista e dell'empirista di Paul Du Bois-Reymond contenuto

nella

sua

Die allgemeine Functionentheorie

(Tubin­

ga 1882). Notiamo che idealisti ed empiristi sono rispettivamente gli eredi spirituali dei realisti e dei nominalisti da noi incontrati a proposito della controversia medioevale degli unive:rsp.li. Una questione strettamente legata con la precedente consiste nel precisare le relazioni fra esistenza di un insieme ed esistenza degli elementi che lo costituiscono. L. Geymonat (3) che compie un'approfondita

analisi

della

questione,

presenta

tre

posizioni

mentali possibili sull'argomento, che conducono a diversi sistemi di regole (sintassi) con cui operare sul verbo «esistere».

«Prima soluzione. Conveniamo di chiamare esistente un in­ sieme, solo quando ogni suo elemento possiede una esistenza ben determinata, cioè quando esiste una definizione esatta (enuncia­ bile con un numero finito di parole) per ogni

suo elemento ...».

Questa soluzione risponde alla mentalità empiristica.

«Seconda soluzione. Conveniamo di poter parlare (sotto deter­ minate condizioni)

di

esistenza di

un

insieme, anche se non si

danno regole precise per costruire effettivamente ogni elemento dell'insieme;

conveniamo inoltre di accettare il principio ... con­

cludere... dalla esistenza di un insieme ad una certa esistenza (in senso generalizzato) di tutti i suoi elementi».

Questa soluzione

risponde alla mentalità idealista. Si pub anche prendere in esame una posizione intermedia.

«Terza soluzione. Conveniamo come nella soluzione prece­ dente di poter parlare (sotto determinate condizioni che qui per brevità non staremo ad analizzare) di esistenza di un insieme anche se non si danno regole precise per costruire effettivamente ogni elemento dell'insieme;

conveniamo perb... di non poter dedurre

dall'esistenza dell'insieme l'esistenza di ogni suo elemento». Queste diverse soluzioni acquistano particolare rilievo quando si applicano all'insieme dei numeri reali (in cui esistono elementi, come vedremo, che non si possono definire con un numero finito di simboli o segni linguistici), e quando si pongano in relazione con il postulato di Zermelo di cui riparleremo. Prescindendo per ora dalle questioni cui abbiamo accennato nel presente paragrafo, ricostruiamo alcuni dei risultati più sug(3) Geymonat, 2, pagg. 291-305, specialmente pagg. 298-299.

268

gestivi della teoria classica degli insiemi secondo le vedute di G. Cantor. Due insiemi si dicono della stessa potenza o di ugual numero cardinale infinito, se è possibile stabilire una corrispondenza biuni­ voca fra gli elementi degli insiemi stessi. Come

è stato osservato già da Galileo può accadere che gli

elementi di un insieme infinito si possano porre in corrispondenza biunivoca con gli elementi che costituiscono una parte dell'insieme stesso (si ricordi il caso dei numeri interi e dei loro quadrati). Quindi per gli insiemi infiniti non valgono gli assiomi della disu­ guaglianza:

un insieme ed una sua

parte

posson avere

ugual

potenza. Anzi: Dedekind assume come definizione d'insieme infinito la proprietà di potersi

porre in corrispondenza biunivoca con una

sua parte propria. Il concetto astratto di potenza di un insieme s'identifica con

numero cardinale infinito (F. Severi). N due insiemi, m ed n siano i loro numeri cardinali infiniti. Esaminiamo diversi casi possibili: 1) M ed N si possono porre in corrispondenza biunivoca: scriveremo m n; 2) M si quello di

Siano M ed

=

può porre in corrispondenza biunivoca con una parte di N, ed M non si può porre in corrispondenza biunivoca con N; scriveremo

m


n; 4) M si può porre in corrispondenza N si può porre in corrispondenza

biunivoca con una parte di N ed

biunivoca con una parte di M: in questo caso, si dimostrerà che è anche possibile stabilire una corrispondenza biunivoca fra M ed

N, cioè

m

=

n. In ciò consiste il teorema di Cantor-Bernstein (4).

L'enunciato e la dimostrazione valgono per insiemi qualsiasi e non fanno riferimento ad immagini d'insiemi particolari, tut­ tavia, per aiutare l'intuizione può giovare una figura in cui gli insiemi M ed

N sono rappresentati da segmenti (insiemi di punti)

e le corrispondenze vengono realizzate mediante proiezioni

(v.

1). Per ipotesi una corrispondenza che chiameremo a fa corri­ spondere ad M una parte NI di N, mentre una corrispondenza � fa corrispondere ad N una parte MI di M. A partire da a e da � vogliamo costruire una corrispondenza l' fra M ed N. A tale scopo osserviamo che in virtù della corrispondenza �, ad N1 corrisponde fig.

una parte M2 di M. In definitiva, la trasformazione

a



ci permette di stabilire una

corrispondenza fra M ed M2• Il nostro intento sarebbe raggiunto (4) Nella trattazione relativa al teorema di Cantor Bernstein seguo Geymonat, 2,

pagg.

espressa Peano,

212-213,

in

fatta

simboli,

eccezione

con

per

interessanti

l'aggiunta

della

considerazioni

6.

269

figura.

Una

dimostrazione

critiche

è

data

stata

dal

se sapessimo stabilire una corrispondenza fra è già data la corrispondenza fra

Ml

N.

ed

M

Mlr

ed

in quanto

Poniamo:

M-Ml=C. E' dunque nota la corrispondenza fra

A+B+C

A

ed

vogliamo costruire la corrispondenza fra

A+B -I- C

/...

M2

\

"

A + B.

\

\

N A,'

I ,r

' \

')

" 1 1 ..

..

"

..

>

,

'

'

.... ,

,

\�1

1 I I

1 1 .. ," I I ,'

ed

..

..

...:-,. : ..

.. ..

........

........

"

..

,.,

.. ,

"

"

Fig. l

A denza

questo Il



scopo osserviamo

siccome ad

A+B+C

che

in

virtù

corrisponde

A,

della ad

sponderanno rispettivamente, sempre in virtù di

Ai Bl Ci' condo

Il

corrispon­

A, B, C, Il

�,

corri­

tre insiemi

A. Cosi ad Ai Bi Ci corrisponderanno se­ Az B2 Cz contenuti in Al e cosi via. Indi­ l'eventuale parte comune a tutti gli insiemi AI che

contenuti in



tre insiemi

chiamo con D

potrebbe anche essere un insieme vuoto. Avremo:

M

=

A + B + C

=

B + C + Bi + Ci + B2 + C2 + .

.

. + D

La corrispondenza cercata viene attuata nel modo seguente:

B C

� � 270

B Ci

Bi � Bi Ci += C2 B2 += B2 C2 += Cs

D

+=

D

Il teorema risulta cosi dimostrato. Dalle considerazioni precedenti non viene escluso il caso di insiemi M ed N inconfrontabili, per i quali cioè non sia possibile stabilire quale dei tre casi si verifica: m n, m < n, m> n (tri­ =

cotomia). Tuttavia non sono stati dati esempi d'insiemi inconfrontabili. Un insieme si dice

numerabile quando può porsi in corri­

spondenza biunivoca con la serie naturale dei numeri. Osserviamo che un insieme infinito, contenuto in un insieme numerabile, è numerabile. Infatti sia l l'insieme infinito contenuto nell'insieme numerabile l '. Quest'ultimo si può, per ipotesi, porre in corrispondenza biunivoca con la serie naturale dei numeri; gli ele­ menti di l' saranno quindi rappresentabili con

al a2 ... an

•••

Percor­

rendo detta successione dobbiamo incontrare un primo elemento di l, un secondo elemento di l... e cosi via all'infinito. L'insieme l risulta quindi numerabile.

Teorema. L'insieme dei numeri razionali ha la potenza del numerabile. Dimostriamo dapprima il risultato per i numeri razionali posi­ tivi. Consideriamo tutte le frazioni

p --

irriducibili

(p e q non mi-

q p nori di uno). Chiamiamo altezza del numero frazionario --, la

somma

q

p + q. Ordiniamo i numeri razionali considerati in aggre­

gati di altezza crescente, dove gli elementi di ciascun aggregato di data altezza sono in numero finito. I numeri razionali di uguale altezza verranno ordinati secondo valori crescenti. Si ot­ terrà cosi una successione

al a2 as ... di numeri razionali positivi

in corrispondenza con la serie naturale dei numeri. Se vogliamo ordinare i numeri razionali relativi, compreso lo zero, basterà considerare la successione:

271

Teorema. L'insieme dei numeri algebrici reali ha la potenza del numerabile (5). Tutti i numeri algebrici si ottengono come radici delle equa­

ao> O:

zioni algebriche a coefficienti interi, con

(I) Chiamiamo altezza di un numero algebrico radice dell'equa­ zione (I) il valore intero e positivo

Per un dato valore di

h, essendo h somma di numeri interi

positivi, questi potranno esser scelti in un numero finito di modi, ed anche la distribuzione dei segni di

ao

•••

an può avvenire in un h corrisponde quindi

numero finito di modi. Ad un dato valore di

un aggregato di equazioni in numero finito; ciascuna equazione ha un numero finito di radici. Pertanto i numeri algebrici po­ tranno ordinarsi in modo che quelli di altezza minore precedano quelli di altezza maggiore, e i numeri algebrici di data altezza (in numero finito) si ordineranno secondo valori assoluti crescenti, e a parità di valore assoluto facendo precedertad esempio i nega­ tivi. In questo modo si può stabilire una corrispondenza biunivoca fra numeri algebrici reali e numeri naturali, c.v.d.

Teorema. Esistono numeri trascendenti. Consideriamo infatti la successione dei numeri algebrici co­ struita secondo il teorema precedente, dove detti numeri sono stati scritti sotto forma di numeri decimali, adottando nel caso della doppia forma di scrittura, con infiniti zeri o con infiniti nove, una di esse, p. es. la prima. E' facile definire un nuovo numero N che non è alcuno dei numeri algebrici della successione costruita. Per ottenere !'intento basterà definire N prendendo ad arbitrio la parte intera, la prima cifra decimale diversa da cifra

decimale del

decimale diversa da

primo numero algebrico... nove

e dall'ennesima

9 e dalla prima

l'ennesima cifra

cifra decimale dello

ennesimo numero algebrico... (E, facile fornire una precisazione della legge in base alla quale si determinano le cifre di N). Il numero N non sarà il primo numero algebrico perchè ne differisce per la prima cifra decimale, ... non sarà l'ennesimo perchè ne differisce per l'ennesima cifra decimale ... non sarà alcuno dei numeri algebrici, sarà un numero trascendente c.v.d. All'esistenza dei numeri trascendenti alludeva Cartesio in un passo che abbiamo trascritto (cap. XIV,

§

8). Tale esistenza fu

(5) Calò, pagg. 521-532; per la dimostrazione di Liouville v. pagg. 517-521.

272

dimostrata la prima volta da Liouville (Comptcs rendus »,1844) che si è valso dell'espressione di numeri in frazione continua. Dalle ricerche del Cantor sulle proprietà dell'insieme dei numeri alge­ brici deriva la dimostrazione riportata in cui si segue in sostanza l'esposizione del Klein. Nel 1874 il Cantor dimostrò il seguente

Teorema: L'insieme dei numeri reali ha una potenza mag­ giore di quella del numerabile. Il teorema vale già per l'insieme l di numeri reali compresi in un certo intervallo, p. es. fra O e 1. Osserviamo innanzitutto che l'insieme dei numeri naturali si può porre in corrispondenza biunivoca con una parte di l (p. es. l'insieme degli inversi dei numeri naturali). Resta da dimostrare che non è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca fra l e la serie naturale dei

numeri.

A

questo scopo ragioniamo per

assurdo: supponiamo di essere riusciti a stabilire una corrispon­ denza biunivoca fra l e la serie dei numeri naturali. Nella successione cosi ottenuta degli elementi di l, i numeri reali vengano scritti sotto forma decimale, evitando le successioni d'infiniti nove nelle cifre decimali, per ottenere che ogni numero venga rappresentato in una sola maniera:

O, 011 012

°1"

O, 021 022

°2"

Definiamo ora un numero O, bI b2 ... bn ... che ha la prima cifra bI diversa da an e da 9, b. diversa da a22 e da 9, e cosi di seguito all'infinito (per es. se ann

=

O bn

=

1, se anll > O, bll.= O). Questo

numero non coincide con alcuno dei numeri

della successione

considerata, la quale dunque non comprende tutti i numeri reali compresi fra O e 1 contro l'ipotesi. L'insieme dei numeri reali compresi fra O e 1 non è nume­ rabile, ma possiede una potenza maggiore c.v.d. La potenza dell'insieme dei numeri reali compresi fra O e 1 prende il nome di potenza del continuo. La potenza dei punti di un segmento è uguale a quella del continuo, in quanto è possibile stabilire, come è noto dalla geo­ metria elementare, una corrispondenza biunivoca fra numeri reali

!l73 18

compresi fra

O e 1 e punti di un segmento (preso come unità di è

misura). Ugual potenza hanno i punti di una retta, in quanto

possibile stabilire una corrispondenza biunivoca fra punti di un segmento e punti di una retta mediante un'opportuna proiezione (v. fig.

2) (6). A

o

c

Fig. 2

Spezziamo il segmento dato nei due segmenti uguali, non ap­ stessa retta, AB e BC, proiettiamoli dal punto D del segmento AC sopra la retta per B perpendicolare ad DB. Mediante detta proiezione ad ogni punto P di AB o di BC

partenenti alla medio

corrisponde un punto p'

della detta perpendicolare e viceversa.

Ad ogni punto della retta corrisponde un numero reale rela­ tivo da cui risulta che l'insieme di tutti questi ha la potenza del continuo. Il

Cantor nel

1877 ha dimostrato che il continuo lineare, il

continuo superficiale, il continuo a tre dimensioni hanno la potenza del continuo. In particolare dimostriamo il seguente Teorema. La potenza dell'insieme dei punti di un quadrato

è

uguale a quella dell'insieme dei punti di un suo lato.

(7) con­ ABCD, di cui riferiamo i punti ad un sistema di riferimento nel quale AB è l'asse delle x, AD l'asse delle y, AB è l'unità di misura. Conducendo la dimostrazione seguendo Waismann

sideriamo un quadrato

Nella rappresentazione dei numeri reali sotto forma decimale per avere al solito, un solo modo di scrivere le cifre, escludiamo le successioni d'infiniti zeri. Ad un punto

Q del quadrato corrispondono le sue coordinate:

(6) Geymonat, 2. pago 279. (7) Waismann. pagg. 225-229.

274

Possiamo far corrispondere a Q

il punto P del lato AB di

ascissa

Viceversa ad ogni punto P del lato AB si fa corrispondere un

punto Q del quadrato, eseguendo il passaggio inverso.

Vi è però un inconveniente da eliminare. Sia ad es. t

=

0,330303 ...

Applicando il procedimento precedente si otterrebbe

x = 0,300 ... Y = 0,333 '" La x difficoltà

bl b2

•••

risulterebbe

scritta sotto la forma non ammessa.

si supera interpretando con il Koenig, come al

La

a2 ...

le cifre o i gruppi di cifre costituiti da una cifra signifi­

cativa e dagli eventuali zeri che la precedono. Nell'esempio indicato si avrebbe

t

=

O,

I.�I L�II0311031 ai

bi

a2





.

b2

x = O. 303..... y = 0, 303..... La corrispondenza studiata è biunivoca ma discontinua. Per rendercene conto consideriamo iI

valore t

= 0,5 che secondo

quanto si è convenuto verrà scritto sotto la forma t = 0,4999 ...

1

A questo valore t corrisponde un punto Q ( --, 1). Avvicinia2 moci al valore di t considerato mediante la successione che ha

1

come limite --:

2

0,5111...

0,5011...

0,5001...

I punti del quadrato corrispondenti ai valori di t di questa suc-

1

cessione non tendono a Q ma ad un punto R( -- , O). Da ciò risulta che la corrispondenza non è continua.

275

2

Stabilita la corrispondenza biunivoca fra punti del quadrato e punti del suo lato è facile estendere il risultato alla corrispon­ denza fra i punti del cubo e quelli del suo spigolo, e al caso di insiemi continui di un numero diverso di dimensioni. Si constata cosl che il carattere di un insieme di punti di avere una o più dimensioni non riguarda la potenza dell'insieme, ma l'ordine con cui detti punti sono

stati

vedeva

ordine

nello

spazio

innanzi tutto

ricerche del Poincaré

un

presi.

(8).

Già

Leibniz

Secondo

le

e di Menger e Urysonn il numero delle

dimensioni di una figura ha un carattere topologico (9). Ritorniamo all'insieme dei numeri reali. Già a proposito dello scolio al X libro di Euclide sul tragico destino del divulgatore del segreto degli irrazionali, abbiamo osservato che gli antichi ave­ vano intuito l'esistenza di un quid inesprimibile nel continuo. Una idea somigliante si presenta in forma più chiara in Cartesio come abbiamo notato a suo tempo. Abbiamo infine ii teorema di Cantor chiarito da Richard e da Borel

«:

Esistono nel continuo geome­

trico (se non è un abuso usare qui il verbo " esistere") degli ele­ menti che non possono venir definiti» (10). Infatti consideriamo un sistema di segni linguistici di una lingua determinata, in numero finito (lettere, accenti, segni d'in­ terpunzione,

etc.)

e le combinazioni con ripetizione

di

questi

segni, ad uno ad uno, a due a due, ... ad n ad n . L'insieme di queste ..

combinazioni possiede la potenza del numerabile. Moltissime di queste combinazioni di segni saranno prive di senso,

ma

fra

quelle dotate di senso potremo distinguere quelle che sono defi­ nizioni di numeri reali. Alcune di queste definizioni determine­ ranno lo stesso numero reale. Ma !'insieme numeri

non

potrà

avere

potenza

definizioni che è parte di un insieme numerabile.

Si conclude

infinito

maggiore

di

dell'insieme

questi delle

numerabile ed è quindi

quindi che !'insieme dei numeri reali

definibili od esprimibili è numerabile. Ma sappiamo da un teo­ rema di Cantor che l'insieme dei numeri reali ha la potenza del continuo

maggiore

di

quella

del

numerabile.

Dunque

esistono

numeri reali che non appartengono all'insieme dei numeri espri­ mibili. Sulla

base

delle

considerazioni

sopra

sviluppate B. Levi

osserva che (11) «partendo dall'aggregato dei numeri razionali, si possono bensl generare alcuni numeri reali ma non l'aggre­

gato dei numeri reali. Se per comodità ci limitiamo a parlare del metodo delle sezioni di Dedekind... la nozione di "sezione" è (8) Sierpinski. pago 72. (9) Poincaré. 2, pagg. 69-75; 4, pagg. 65 e segg. Waismann. pagg. 234-235. (lO) Geymonat. 2. pagg. 292-294. L'inciso tra parentesi è del Borel e si collega

con

la

questione

dell'esistenza

degli

insiemi

cui

abbiamo

già

accennato.

(11) Levi, 3, pagg. 64-67. Nello scritto citato vengono anche sviluppate inte­ ressanti

considerazioni

sul

postulato

di

Zermelo.

276

un'intuizione

a

identificabile,

s�

nel

modo

più

semplice

con

quella di "punto di una retta euclidea "...

In ogni teoria matematica [continua B. Levi] si suppongono taluni aggregati, per ciascuno dei quali si postula la possibilità di scegliere

(fissare) arbitrariamente elementi. con atto di pen­

siero unico, non scomponibile o riduttibile ad altri più semplici. Ho chiamato i suddetti aggregati gli aggregati primi della teoria

trattata, e dico che essi definiscono il dominio deduttivo in cui si svolge detta teoria. Cosi... il dominio deduttivo della geometria elementare è definito dallo spazio, aggregato primo di punti, la maggior parte delle teorie aritmetiche si svolgono nel dominio

deduttivo definito dall'aggregato primo dei numeri interi.. l'ordinaria analisi ha necessariamente come dominio

.

Invece

deduttivo

quello in cui è primo l'aggregato dei numeri reali: tuttavia esiste una parte di tale analisi:

(ad es. il calcolo delle variazioni o più

generalmente il calcolo funzionale)

che non può essere conte­

nuta in questo dominio e che suppone, come aggregato primo, anche

l'aggregato

delle

funzioni

qualche condizione restrittiva) Abiamo

incontrato

(eventualmente

limitato

da

».

insiemi

numerabili

via

via

più

ampi:

numeri interi, numcri razionali, numeri algebrici, numeri espri­ mibili. Fra la potenza del numerabile e la potenza del continuo esi­ ste una potenza intermedia? Esistono cioè

insiemi

di potenza

superiore a quella del numerabile e inferiore a quella del con­ tinuo? Questo problema detto del continuo che è considerato dal Sierpinski come uno dei problemi più importanti e più difficili della teoria degli insiemi, non è stato finora risolto

(12).

E' invece facile dimostrare il

Teorema. Dato un insieme è sempre possibile costruirne uno di potenza superiore. La

è una generalizzazione di quella riguar­

dimostrazione

dante la non numerabiIità del continuo. Sia l l'insieme dato. Una funzione dell'insieme l è definita nel modo seguente: ad ogni elemento

x dell'insieme

l corrisponde un

elemento y. Chiamo f tale funzione. Dico che l'insieme F di tali funzioni f è di potenza superiore a quella dell'insieme l. Infatti, risulta in modo immediato che si può stabilire una corrispon­ denza biunivoca fra l e una parte di F. Per dimostrare che l ed F non hanno uguale potenza, supponiamo (dimostrazione per

assurdo) di poter far corrispondere al ogni elemento certa

funzione f x(x)

di F.

Dimostreremo che si

può

x di

l una

costruire,

contro l'ipotesi, una funzione che non è alcuna delle funzioni f x considerate.

Formiamo

(2) Sierpinski.

pago

infatti

una

87.

277

funzione

Ql

(x) nel modo

seguente:

in corrispondenza di ogni

possibile,

anche

ragionando su

x

sia diversa da

insiemi

qualsiasi,

fx

(x).

stabilire

(E' una

lJ.l(x). Prendiamo due oggetti 7, ed il cerchio; se f:.(x) = 7, rp(x) è il cerchio, se fx (x) # 7, q:(x) = 7). La funzione lJ.l(x) costruita è certamente diversa da ciascuna delle f.,. Quindi non si è potuta stabilire una corrispondenza biu­ nivoca fra elementi x di I e funzioni fx di F. c.v.d. precisa

regola

diversi:

per

costituire

la

per esempio il numero

Finora

abbiamo

ragionato

dei

numeri

cardinali

infiniti.

Daremo adesso qualche notizia sugli ordinali transfiniti. Un insieme si dice ordinato quando fra i suoi elementi esiste una relazione espressa dalle voci dei verbi precedere e seguire tale che:

1)

Dati due elementi a e b dell'insieme si può stabilire se

a precede bob precede a; si deve sempre (nel caso d'insiemi ordinati) presentare uno di questi casi e l'uno esclude l'altro; se a precede b si dice che b segue a.

2)

Se a precede b e b precede c allora a precede c.

Si dice che due insiemi sono simili o che appartengono allo stesso tipo ordinale, se i loro elementi si possono riferire in una corrispondenza

biunivoca

ordinata

che

muta

mento a che precede b in un elemento a'

un

generico

ele­

che precede bi.

Un insieme ordinato si dice bene ordinato, quando ogni sua parte possiede un primo elemento. «Il concetto di tipo ordinale di un insieme bene ordinato di infiniti elementi s'identifica colla nozione di numero ordinale infinito:. (F. Severi). Due insiemi d'infiniti elementi aventi ugual potenza, possono avere diverso tipo ordinale (p. es. numeri interi e numeri razio­ nali ordinati in ordine crescente hanno diverso tipo ordinale). Gasi consimili non si verificano per gli insiemi finiti. Prendiamo ora in esame la costruzione Cantor.

1 2 dove

00

dei

transfiniti

di

Consideriamo la successione: . ... .

00

rappresenta l'infinito numerico attuale della serie natu­

rale. Possiamo considerare inoltre la successione:

e cosi si può continuare giungendo ad I

transfiniti

considerati

sono

002,

003, •••

suscettibili

0)0)

...

di

un'espressiva

immagine geometrica (l3) almeno fino alle potenze di (13) Enriques, 9, pago 270.

278

00

con espo-

nente finito. Consideriamo i punti di una retta aventi come ascisse numeri interi; proiettiamo questa retta in modo che il suo punto all'infinito corrisponda ad un punto a distanza finita su di una altra retta. Avrò cosi su di un segmento finito s una successione di

2...

punti corrispondenti ad 1,

00.

Costruendo

sul

prolunga­

mento di s una successione di punti congruente alla precedente, otterrò le immagini di

00

+1

00

+2

..•

200, e cosi via.

Al punto all'infinito della retta corrisponderà ora

Con una

002•

nuova proiezione potrò portare al finito l'immagine di

002

e cosi

di seguito... Ritornando al concetto del buon ordinamento osserviamo che i numeri reali presi in ordine crescente non sono bene ordinati (p. es. i numeri reali maggiori di

uno

non

hanno

un

primo

elemento). Tuttavia

E.

Zermelo, basandosi su di un postulato

enunciato nel 1904 e noto sotto il suo nome,

è

da

lui

riuscito a dimo­

strare che si può bene ordinare il continuo. Il postulato in que­ stione (14), che ha dato luogo ad interessanti ed elevate discus­ sioni nei riguardi della sua ammissibilità, si enuncia nel modo seguente:

«Per

ogni insieme M di cui gli

elementi

sono

gli

insiemi P non vuoti, e senza elementi comuni due a due, esiste almeno un insieme

N

che contiene un elemento ed uno solo di

ciascun insieme P che appartiene ad M». Questo postulato dice in sostanza che ha senso ed

è

possi­

bile eseguire infinite scelte senza assegnare una regola secondo la quale tali scelte devono essere eseguite. Il postulato di Zermelo ha trovato consensi fra i matematici di tendenze realiste

(cfr. cap. X,

§

5), si applica non soltanto

nella teoria degli insiemi ma anche nell'analisi, tuttavia non stato

accettato

da tutti i matematici:

già

prima

che

è

Zermelo

enunciasse il suo postulato, G. Peano si era pronunciato contro il principio delle infinite scelte. Si distingue cosi una matematica zermeliana da una mate­ matica non zermeliana, o, se si preferisce, peaniana. La

suggestiva teoria

paradossi

dell'infinito

degli

insiemi di

(specialmente

delle disuguaglianze) ma

non

li

G.

Cantor rimuove

elimina

completamente

Sconcertanti antinomie si presenteranno ancora alle menti matematici:

i

quelli relativi agli assiomi (15). dei

ne riparleremo nei prossimi capitoli.

(14) Enriques, 9, pago 271-272; Sierpinski, pagg. 103

2, pagg. 215-216 e 301-305. (15) Enriques, 12, pagg. 244.

!TIonat,

279

e

segg.; Cassina, 7; Gey­

§

2

-

Funzioni e linee

(16).

I Greci che avevano definito con Euclide la linea come «una lunghezza senza larghezza» già conoscevano

un certo numero

di linee algebriche e trascendenti, da noi incontrate nella storia della matematica antica. Il campo delle linee conosciute si allarga immensamente con il sorgere della geometria analitica di Fermat e di Descartes, ed ivi in sostanza si forma il concetto di funzione: venne poi introdotto da Leibniz nel

detto termine

1692.

Ai tempi di Eulero, che defini la funzione come «espressione di calcolo» si credeva che mentre ad ogni funzione

(formata

mediante operazioni algebriche o trascendenti elementari)

cor­

rispondeva una linea, non corrispondesse viceversa ad ogni linea (arbitrariamente tracciata)

una funzione;

si riteneva quindi il

concetto di linea più generale di quello di funzione. Poi sotto l'influenza delle serie di Fourier

(1807) si genera­

lizzò il concetto di funzione, espresso infine da Dirichlet sotto la forma seguente: «funzione di una variabile x, in un certo campo, è una quantità

y che assuma per ogni valore della x un valore

ben determinato». Ci si accorse allora che non a tutte le funzioni corrispondeva

come

diagramma

una

linea

nel

senso

intuitivo

della parola. Ma come precisare il concetto intuitivo di linea? E' chiaro che

una

tale

precisazione

arbitrario. Verso il nizione

che

presenta

sempre

qualche

elemento

1880 venne proposta da C. Jordan una defi­

sembrava

corrispondere

abbastanza

bene

all'idea

intuitiva di curva. In sostanza in tale definizione si considera una curva come descritta da un punto animato da un continuo. Più precisamente, la curva piana

movimento

è il luogo dei punti

definiti dane equazioni parametriche: x

=

q>

(t)

Y

=

""

(t)

dove q> e "" devono essere funzioni continue ad un solo valore. La definizione di curva di Jordan venne in un primo tempo accettata nel

da

tutti

i

matematici,

ma

con

meraviglia

generale

1890, Peano mostrò che poteva esistere una curva conforme

alla definizione di Jordan, ma tale da riempire completamente un quadrato. Indichiamo la costruzione della curva di Peano con le sem­ plificazioni proposte da Hilbert. (16) Enriques, 12, pagg. 238-241; Waismann, pago 209-236. Sul significato topo­ logico del numero di dimensioni di uno spazio, V. Poincaré, 2, pagg. 69-75, 4, pagg. 65 e segg.

280

Dividiamo un quadrato dato in 4 quadrati uguali unendo i punti di mezzo dei suoi lati, eseguiamo la stessa operazione sui quadrati ottenuti e cosi di seguito indefinitamente. Il quadrato dato risulterà cosi diviso in 4, 16, 64... (2n)2 In

altrettante

parti

dividiamo

il

22"

=

tempo

quadratini.

durante

il

quale

vogliamo far descrivere al punto l'intera superficie. Per un n generico stabiliamo una corrispondenza fra ciascun intervallino di

tempo e

ciascun

quadratino.

I

quadratini

dovranno

essere

presi in un certo ordine in modo che vengano raggiunti tutti ad uno ad uno, una volta sola, e due successivi abbiano sempre un lato comune. Per un n generico la linea che approssima la

curva di Peano è data dalla spezzata che unisce i centri dei qua­ dratini presi nell'ordine stabilito. Facendo tendere n all'infinito, la spezzata per definizione tende alla curva di Peano. Indichiamo nelle figure 3 l'ordine dei quadratini e le rela­ tive spezzate per n

=

4 ed n

=

16 da cui risulta la legge di for­

mazione delle spezzate in questione per i successivi valori di n.

1

13 12

11

13

14

9

10

2

3

8

7

1

4

S

&

16

3

4

2

1"" l

1111111'"

'I

4 Fig. 3

La curva di Peano gode delle seguenti proprietà: 1) Ad ogni valore di t, o ad ogni punto del segmento che facciamo corrispondere all'intervallo di tempo durante il quale la curva considerata descrive il quadrato, corrisponde un punto del

quadrato.

Infatti:

vallini ottenuti nelle di

intervallini

se t cade sempre all'interno degli inter­ successive divisioni,

di cui il

successivo

a

questa successione

è sempre interno al prece­

dente, corrisponde nel quadrato una successione di quadratini con analoga proprietà i quali determinano al limite un punto Q del quadrato corrispondente a t. Se t cade in uno degli estremi comuni a due inetrvallini, procediamo come nel caso precedente con la differenza che invece di un semplice intervallino si con­ sidereranno le coppie d'intervallini separati da t. A queste coppie 281

d'intervallini corrisponderanno coppie di quadratini con un lato in comune, i quali al limite definiranno anche nel caso consi­ derato il punto corrispondente a t. Nel senso da t a spondenza

Q la corri­

è univoca.

2) La curva raggiunge tutti i punti del quadrato; cioè ad Q del quadrato corrisponde almeno un valore t. Se il punto Q considerato si trova sempre all'interno dei quadra­ tini delle suddivisioni, il valore t corrispondente a Q si trova con un procedimento inverso a quello seguito per trovar Q dato t. Se invece Q si trova su di un lato o su di un vertice di uno dei ogni punto

quadratini della suddivisione, osserviamo che i due o i quattro quadratini

contigui

cui

Q appartiene, generalmente non corri­

spondono ad intervallini consecutivi relativi a t. Si verranno cosi a determinare più valori di t corrispondenti a a t

la

corrispondenza

non è

univoca.

Q. Nel senso da Q è dunque in­

La curva

trecciata.

3) Se riferiamo ad un sistema di assi x ed y la curva di Peano, le equazioni parametriche saranno della forma x

y

=

=

Ip(t),

'I\'(t), dove, dalla costruzione stessa della curva, risulta che

(jl(t) e 'I\'(t) sono funzioni continue. Si conclude che la curva di Peano pur riempiendo il qua­ drato soddisfa alla definizione di Jordan. interessante

E'

confrontare

le

due

corrispondenze

che

abbiamo esaminato fra punti di un quadrato e punti di un seg­ mento: tinua,

la corrispondenza di Cantor la

corrispondenza

di Peano

è biunivoca ma non è con­ è continua, univoca in un

senso, ma non biunivoca. Si potrebbe in un terzo modo stabilire una corrispondenza ad un tempo biunivoca e continua fra punti

Q di un quadrato

e i valori di un parametro t? E' stato dimostrato che

è impossibile. Seguiamo la dimostra­

zione dello Jiirgens. Ragioniamo per assurdo. Supponiamo (vedi fig.

4) di aver stabilito una corrispondenza biunivoca e continua Q1 e a Q2

fra i punti di un quadrato e i punti di un segmento. A punti

del

quadrato,

corrispondano

rispettivamente

i

valori

t1

e t2 del parametro. Se passiamo da

Q1 a Q2 seguendo una curva continua C, il

parametro passerà con continuità da tI valori fra t1 e

a t2 attraverso tutti i

t2• Altrettanto accadrà se si passa da Q1 a Q2 secondo

un altro cammino continuo C '. Pertanto ad un valore di t compreso fra t1 e t2 corrisponderanno due punti del quadrato, uno sulla curva c e un altro su c

'.

La corrispondenza dunque non

è biu­

nivoca c.v.d. Altri casi singolari si presentano nei riguardi della tangente a curve

continue,

ed in corrispondenza

zioni continue.

282

della

derivata

di fun­

Se una funzione

è derivabile è anche continua

(infatti

se

6.y. è una quantità determinata e finita allora Hm 6. Hm y 6.x O). Ma è vero l'inverso? Si credette un tempo che tim �y 6.x

Ilz -+ o = /l:r:

Ilz -+ o

_

=

......

O l..1 X

tutte le funzioni continue fossero derivabili. Ma si è stabilito che ciò

non

è

B. Bolzano

vero.

Un

risultato

sull'argomento

è

stato

dato

da

(17).

a,

C'

�Q

2

Fig. 4

Particolarmente interessante è il caso di curve ovunque con­ tinue ed ovunque prive di tangente. Un esempio di curve siffatte è stato fornito da Weierstrass;

mentre un esempio più semplice

è stato dato da H. von Koch di cui daremo notizia. Consideriamo

un

segmento

AB

(v.

fig.

mediante i punti C e D.

5)

e

dividiamolo

in

tre

parti

uguali

E

A

D

c Fig. 5

Costruiamo sulla base CD un triangolo equilatero CDE, soppri­ miamo

quindi

segmenti AC,

CD. Eseguiamo analoga operazione sui quattro CE, ED, BD e cosi via. La curva che si ottiene

al limite proseguendo indefinitamente le operazioni indicate sarà

quella cercata. Infatti, come risulta dalla costruzione, (17) Severi, 4.

283

la curva

che viene approssimata mediante spezzate sempre continue, sarà continua, ma si vede facilmente che non ha tangenti. Per fissare le idee vediamo se la curva ammette tangenti in A. Conduciamo una retta che unisce A ad un altro punto P della curva, avvici­ niamo quindi P

ad A seguendo la curva;

la congiungente

AP

oscillerà sempre fra le posizioni estreme AB ed AE, senza tendere ad una posizione limite. Analoghi risultati si hanno per gli altri punti della curva la quale, pur essendo continua, risulta in ogni suo punto priva di tangenti

§

3

.

(18).

Postulati della continuità e geometrie non-archimedee (19).

Le riflessioni dirette all'approfondimento delle basi del cal­ colo infinitesimale hanno condotto i matematici a costruire teorie dei numeri reali, quale ad esempio quella di R. Dedekind

(1831-1916)

che si collega direttamente, come abbiamo visto, con la defini­ zione euclidea di rapporti uguali. In armonia con la predetta teoria dei numeri reali trovasi il postulato della continuità sotto la forma di Dedekind. «

Se un segmento di retta AB

è diviso in due parti, in guisa che:

1) ogni punto del segmento AB appartenga ad una delle due parti;

2) l'estremo A appartenga alla prima parte e B alla seconda; 3) un punto qualunque della prima parte preceda un punto qualunque della seconda, nell'ordine AB del segmento: esiste un punto

C del segmento AB (che può

appartenere

all'una o all'altra parte), tale che ogni punto di AB che precede

C

appartiene alla prima parte, ed ogni punto di AB che consegue a

C appartiene alla seconda parte della divisione stabilita ». Il postulato ora enunciato può essere posto sotto una forma analoga in cui si sostituiscono ai punti i segmenti aventi una origine comune e gli estremi nei punti considerati. Sul postulato della continuità di Dedekind si basano molte dimostrazioni tempo

moderne

di

che nell' Antichità

esistenza

le

(abbiamo

dimostrazioni di

osservato

a

suo

esistenza si basa­

vano invece su di una costruzione effettiva). Con la teoria dei numeri reali di

G. Cantor è invece in armonia

(8) Indicazioni bibliografiche slÙl'argomento trovansi in Pascal, pagg. 98-103. (19) Dedekind; Vitali; Enriques. 9. Gli enunciati tra virgolette del presente paragrafo derivano dall'articolo citato

G. Vitali. Sui monosenii di Levi Civita e sulle interpretazioni dei numeri non­ archimedei, v. art. di Enriques sopra citato. rispettivamente alla pago 373 e 377-383. di

284

il postulato della continuità sotto la forma seguente, detta appunto di

Cantor: «Se due classi di segmenti di retta sono tali che:

1)

nessun

segmento

della

prima

classe

sia

maggiore

di

qualche segmento della seconda;

2) preftssato un segmento

(J

piccolo a piacere esistano un

segmento della prima e uno della seconda classe la cui diffe­ renza sia minore di

(J;

esiste un segmento che non è minore di alcun segmento della prima classe nè maggiore di alcuno della seconda Il

postulato si può

enunciare

».

in modo analogo riferendosi

opportunamente a punti estremi di segmenti. Si potrebbe essere tentati di credere che i due postulati siano sostanzialmente differenza

equivalenti,

sostanziale:

dal

ma

invece

postulato di

esiste

tra

Dedekind

questi è

una

possibile

dedurre il postulato di Archimede, invece � possibile costruire una classe di grandezze tale da soddisfare il postulato di Cantor ma non quello di Archimede. Ammesso il postulato di Dedekind dimostriamo dunque con lo Stoltz, il seguente Teorema. «Dati due segmenti esiste sempre un multiplo del­ l'uno

maggiore

Siano

dell'altro

».

AB e AC i due segmenti che pensiamo riportati su di

una stessa retta con un estremo in comune, secondo lo stesso verso, e sia

AB < AC (v. fig. 6). K

H I

A

I

I

I

A

X

B

"

A

I

I Y

M

"

I c

Fig. 6

Dobbiamo dimostrare che esiste un intero n tale che

nAB> AC. Supponiamo che ciò non sia vero. Allora esisteranno, com­

AC, dei segmenti AH (anche con H diverso A) tali che per nessun n si abbia n . AH > AC; esisteranno d'altra parte dei punti K (almeno l'estremo C) tali che n . AK > AC.

presi nel segmento da

Questa ripartizione dei punti H e K, soddisfa le condizioni del

M tale che i punti AM appartengano alla prima classe e i punti di MC alla seconda.

postulato di Dedekind, esisterà quindi un punto di

285

Prendiamo in MC (nella seconda classe) un punto Y tale che MY < AM. Il punto medio X di AY cadrà quindi in AM e apparterrà alla prima classe. Si potrà trovare un n tale che

n · AY > AC ma AY

=

2AX, si conclude: 2nAX> AC

ciò che è assurdo perchè X appartiene alla prima classe. Formiamo ora un Cantor,

insieme di

grandezze,

continuo

secondo

ma non-archimedeo.

Consideriamo, con il Veronese (1854-1917) un sistema d'infinite rette parallele succedentisi ad intervalli costanti (v. fig. 7).

A I

p Fig. 7

Ordiniamo

i punti

appartenenti

a

dette

rette

nel

modo

seguente: se il punto A si trova su di una retta più alta di quella su cui si trova B, A precede B; se due punti C e D appartengono alla stessa retta e C è a sinistra di D, allora C precede D. L'insieme dei punti delle rette considerate risulta cosi ordi­ nato come l'insieme dei punti di una linea aperta, e in esso è possibile definire la congruenza di segmenti finiti o infiniti, in quanto è

possibile sovrapporre il sistema a sè stesso con una

traslazione del piano portando un punto in un altro qualsiasi. Il sistema cosi costituito soddisfa dunque ai postulati dell'ordine, della

congruenza,

ed

inoltre

come

risulta

immediatamente,

a

quello di Cantor; invece non soddisfa al postulato di Archimede; neppure

soddisfa

al

postulato di

Dedekind

(perchè

altrimenti

soddisferebbe anche quello di Archimede). Si dimostra anche che i due postulati di Cantor e di Archi­ mede

equivalgono

logicamente

al

postulato

di

Dedekind,

ma

sorvoliamo per brevità su tale dimostrazione. Esaminato cosi uno degli esempi più semplici di continuo non-archimedeo,

osserviamo

che

gli

sviluppi

di

pensiero

che

conducono alle grandezze non-archimedee sono molteplici e le loro origini risalgono all' Antichità in cui abbiamo riscontrato i

286

risultati di Euclide relativi all'angolo di contingenza, e le rifles­ sioni di Archimede relative al postulato che porta il suo nome. Le riflessioni sull'angolo di contingenza (proseguite da Gior­ dano Nemorario e da Campano), secondo l'indirizzo del calcolo infinitesimale,

condussero

N ewton

a

paragonare

detti

angoli

mediante le derivate d'ordine superiore delle funzioni di cui le curve in questione sono diagrammi. Ma da un altro punto di vista, gli angoli di contingenza considerati accanto agli angoli retti­ linei ci dànno elementi di una classe di grandezze non-archimedee. Sono state costituite teorie

di numeri non-archimedei, come

i corpi di numeri di Veronese e i monosenii di Levi-Civita. Interpretazioni

dei

numeri

non

archimedei

sono

costituite

oltre che dagli angoli di due curve cui abbiamo già accennato, dagli

ordini d'infinito di Du Bois Reymond e da certi casi di

probabilità nel continuo. Per quanto concerne l'ordine d'infinito ricordiamo che date

f(t) e II' (t) crescenti oltre ogni limite, ad esempio t � 00 , si possono avere tre casi:

due funzioni per

Hm

f(�_

t�QO qJ(t)

=

00

.

hm

,

f(t)

---

cast (# O)

=

t�QO ep(t)

nel primo caso l'ordine d'infinito di f

lim

,

f(t)

t�QOqJ(t)

=

O

è maggiore dell'ordine di

infinito di 11', nel secondo uguale, nel terzo minore.

a lt + ao, a2t2 + alt + ao,... si misurano

Gli infiniti delle funzioni

rispettivamente con i numeri 1, 2... La 1 -- ,

costante

ao

si

può

considerare

d'ordine

O, le funzioni

1 --

... d'ordine negativo

1,

-

- -

2... Ma

t2

t

et t�QO tn tim

---

=

00

qualunque sia n, quindi l'ordine d'infinito di

et

può considerarsi un

numero non archimedeo. Per quanto riguarda l'esempio tratto dal calcolo delle pro­ babilità, supponiamo di far cadere un punto P all'interno di un quadrato,

e che date ivi due aree

equivalenti,

o due linee di

ugual lunghezza, siano ugualmente probabili le cadute di P in esse. Ciò posto consideriamo la probabilità che P cada in un luogo costituito da

una superficie

S con contorno incluso e da una

lintla, senza punti in comune. Questa probabilità si può espri­ mere mediante un numero della forma a+bll dove

O < a < 1 ed 'I è un infinitesimo attuale. 287

CAPITOLO XVIII LA LOGICA SIMBOLICA E I FONDAMENTI DELL'ARITMETICA

§

l

-

La

«

characteristica» di Leibniz e i continuatori dell'indi­

rizzo logico leibniziano

(1) fra

La logica simbolica pur avendo avuto dei precursori i

quali

si annovera Raimondo Lullo,

origini sostanzialmente a

si

fa risalire per

le sue

Leibniz.

L'uso di un adeguato simbolismo,

characteristica universalis,

atto ad esprimere le relazioni logiche, avrebbe dovuto, secondo

calculus ratiocinator applicabile a tutti gli ordini di conoscenza razionale.

il sogno di Leibniz, costituire la base di un'algebra logica In

un

progetto

controversiarum

d'enciclopedia

humanarum,

Leibniz

seu

scrive:

Methodo

«De

iudice

infallibilitatis

et

quomodo effici possit, ut omnes nostri errores sint tantum errores calculi, et per examina quaedam facile possint justificari» Cioè dovuto

delle

controversie umane

divenire

giudice,

i

nostri

la

characteristica

errori

sarebbero

(2).

avrebbe

ridotti

ad

errori di calcolo, facilmente correggibili con un attento esame. Quando due filosofi avessero avuto da risolvere una contro­ versia, avrebbe dovuto bastare a questo fine un calcolo: «Quo facto, quando orientur controversiae, non magis dispu­ tatione opus erit inter duos philosophos, quam inter duos compu­ tistas.

Sufficiet

enim

calamos

in

manus

sumere sedereque

(accito si

placet

amico)

dicere, calcu­

L'aspirazione di Leibniz alla costruzione della

characteristica

abbacos et sibi mutuo lemus!»

ad

(3).

soltanto in parte è stata da lui attuata:

abbiamo già incontrato

la più felice realizzazione di tale idea nel simbolismo del calcolo differenziale ed integrale.

Altri risultati,

riguardano

operazioni

logiche propriamente dette (4) proprietà del segno di negazione, (1) Sui precedenti storici della logica simbolica v. Enriques, 2 pago 91; ivi si citano, sulla base di quanto scrive Couturat, Filodemo nell'Antichità, Raimondo Lullo, Dalgarno (1661), Wilkins (1668); sulla characteristica di Leibniz mente pagg. 96-98. V. inoltre Bochenski, 4.

(2) Couturat, pago 98. (3) Loc. cito in (2). (4) Cfr. Vacca, 2.

288

V.

special­

identità del segno di deduzione tra le classi e tra le proposizioni, analogie

alcune

tra relazioni logiche e proposizioni

sulla

divi­

sibilità dei numeri interi, uso dei così detti cerchi d'Eulero etc. Le ricerche di logica formal e di Leibniz occupano un posto importante nel quadro degli aspetti fondamentali della sua filo­

(5): aspirazione (criticata dal Locke) a costruire la scienza base delle proposizioni identiche, proposito di risolvere

sofia sulla

ogni concetto nei suoi elementi semplici, ricerca di criteri per la coerenza di un sistema, teoria della monadi. Non

possiamo

purtroppo

trattenerci

su

questi

interessanti

argomenti. L'idea

di

Leibniz

di

trovare

i

concetti

semplici

che

costi­

tuiscono gli elementi della conoscenza, viene ripresa da Lambert, che abbiamo già incontrato fra i precursori della geometria non­ euclidea; di J.

A.

al pensiero logico leibniziano s'ispirano anche gli scritti (1740) e di altri pensatori di quel tempo (6).

Segner

L'idea di sostituire il l inguaggio ordinario con un più perfetto simbolismo

sembra,

indipendente­

mente, nei logici matematici inglesi del sec. XIX:

logico

ricompare,

a

quanto

A. De Morgan

(1806-1876), G. Boole (1815-1864), W. S. Jevons (1835-1882), C. S. (1839-1914) mentre con gli sviluppi di E. Schroder si riprende contatto, con Leibniz (7). Pcirce

§ 2

-

La logica matematica di G. Peano

(8).

Pur riconoscendo l'interesse che verrebbe offerto dall'esposi­ zione dettagliata dello sviluppo delle idee e del simbolismo della logica negli autori nominati, ritengo tuttavia più conforme agli scopi formativi del nostro corso passare senz'altro ad una delle

G. Peano (1858-1932), il quale comincia ad occuparsi di logica simbolica

più perfette formulazioni della logica simbolica, quella di nel H.

suo

Calcolo

Grassmann,

tiva (Torino,

geometrico

preceduto

secondo

1'Ausdehnungslehre

dalle operazioni

della

logica

di

dedut­

1888).

Il Peano dichiarando di ispirarsi all'opera di Schroder, Der Operationskreis der Logikkalculs

(Leipzig,

1877) osserva di aver

mutato i simboli di quest'ultimo autore che potevano produrre confusione fra i segni della logica e quelli dell'aritmetica: i segni di

Peano

,,-...,

'-../,

segni di Schroder

A, O, �, X, -1-, Al , 0,

-

sostituiscono rispettivamente i

1

"'''''I)

(5) Enriques, 2, pago 85-105, 192-193. (6) Enriques, 2, pagg. 110-112. (7) Sulla storia della logica simbolica V. p. es. Enriques, 2, pagg. 174-176. Levi, 4. Bochenski l, 2, 3, 4; Church, l, 2. (8) Peano, 3 e 5, 4 pagg. III-Ve 1-7. Sull'opera di Peano v. Cassina, 2, 3, 9.

�89 19

Diamo qualche notizia sul calcolo delle classi secondo Peano. Consideriamo un sistema di enti (p. es. numeri reali) e indi­ chiamo con A, B, ... delle classi di questo sistema. Con

la

scrittura

A =B

indichiamo

l'identità

di

due

classi.

Per es. «numero razionale» =«numero che si può sviluppare in frazione continua finita ». Con la scrittura A

"B

"e . .. oppure ABe indicheremo la mas­

sima classe contenuta nelle classi A, B, C, ... cioè la classe formata da tutti gli enti che sono ad un tempo A e B e e ... Il segno si

legge «e »;

l'operazione

in

questione

si

dice

logica o moltiplicazione logica. Es. «multiplo di 6» di 2:.

"

congiunzione �

« multiplo

«multiplo di 3 ».

"

La scrittura A

'-"

B ,-" e ..., disgiunzione o somma logica indica

la minima classe che contiene le classi A B C, cioè la classe formata dagli enti che sono o A, o B, o e ... Il segno «Numero

razionale» =«numero

Figure

schematiche

del

intero'"

tipo

di

'-" ::sI

legge «o». P. es.

'-" «numero

quelle

disegnate

fratto».

per

illu­

strare la somma e il prodotto logico, non sono necessarie ma possono essere utili per chiarire concetti e formule del calcolo delle

classi.

Il segno

- A o A indica la classe formata da tutti gli enti

che non sono A. Per es. -«razionale» Il segno

O

'co

«irrazionale ».

� indica tutto il sistema di enti considerati, mentre

indica il nulla, la classe vuota, successivamente indicata con 1\. A

=

AB = AB =

O O

significa: non vi sono A

O

significa: non esistono enti che sono A e contempo­

significa: nessun A è B

raneamente non sono B:

ciò significa ogni A è B.

Valgono per il calcolo delle classi le seguenti identità fonda-

290

mentali che sono evidentf di per sè, alcune di esse sono dedr cibili dalle rimanenti prese come assiomi:

t.

AB

l'

A,-"B

2.

A (Be)

ABe

2'

A '-" (B '-" e) = A '-" B '-" e

3.

AA

(9)

3'

A '-" A = A

4.

A (B '-" e) - AB '-" Ae

4'

A '-" (Be) = (A '-" B) (A '-" e)

5.

A� - A

5'

A '-" O = A

6.

AO - O

6'

A '-" � = @

7.

-(-A)

8.

-(AB)

9.

A,-... -A = O

lO.

=

=

BA =

A

=

=

=

B,-"A

A

(-A) '-" (-B)

-

9'

A,-,,-A = @

lO'

-O=@

(A '-" B) = ( - A),-... (- B)

8'

-@=O

è B, in tal caso si scrive anche B > A. di una classe variabile X e su altre classi consi­

A < B significa che ogni A

Se si opera su

derate come fisse, mecliante i segni classe variabile che s'indica con

,-... '-"

f(X).

-. si ottiene una nuova

f(X) si dice sotto forma separata quando viene espressa sotto la forma

f(X)

=

pX

QX

'-"

Q sono indipendenti da X. Ogni funzione logica f(X) si può sempre porre sotto la forma

dove P e

separata indicata. Infatti

se A è indipendente da

X si può sempre scrivere:

A = AX '-" AX (9) La formula (3) non venne riconosciuta come valida nella filosofia di V_ A. 0868-1956) secondo il quale si ha invece (come in algebra):

Pastore

a

. a = a2

e più in generale:

a . a . .. a 2 1 n

=

an

an significa che ci troviamo di fronte ad un sistema di n enti. dei quali è a, e consideriamo di questo sistema solo quello che è a e non è alcuno degli altri n-l. benchè sia in relazione con essi. Per gli sviluppi di tale conce­ dove uno

zione. v. Pastore.

291

Inoltre

x= �x'-../ OX Si constata poi che la somma di due espressioni separate e il prodotto di due espressioni separate sono ancora espressioni separate. Inoltre la negazione di un'espressione separata è ancora un'espressione separata:

Si conclude che è valida la tesi.

Passiamo al calcolo delle proposizioni. Una relazione fra enti determinati costituisce, secondo il Peano una proposizione cate­ gorica la quale è vera o falsa. Invece una relazione che contiene variabili ed è verificata da certi enti ma non da certi altri viene

detta proposizione condizionale. P. es.

è una proposizione con­

dizionale

è invece categorica la proposizione: «l'equazione X2 - 3x + 2 ha per radici 1 e 2 Se

a

=

0,

».

è una relazione o proposizione condizionale « x

: a »

indica

la classe formata da tutti gli enti per cui è vera la proposizione Se la proposizione

a.

contiene più variabili x, y allora (x, y. . . )

:a

indica la classe formata da tutti gli enti (x, y... ) per cui è vera

a.

a

Talora per semplificare la scrittura sottintenderemo il segno (x, y. . .) quando si considerano come variabili tutte le lettere che compaiono nella formula. Anche per le proposizioni si possono definire operazioni ana­ loghe a quelle definite per le classi.

Si hanno per le proposizioni del tipo A = B e A < B, A > B le seguenti identità: (I)

(A - B)

(II)

(A < B)

-

(AB

(III)

(A > B)

-

(B < A)

(IV)

(A = B)

-

(A > B)

(B

=

A)

=

O)

r-.

(A < B) .

Le identità (I) e (III) dicono che «Ogni equazione logica si trasforma in un'altra uguale ove si scambino i due membri, ed i segni

=

< > che li uniscono in

=

>
(x), esiste una funzione logica predicativa equi­ (x).

zione logica valente a

Nonostante

!'interessante difesa

svolta da Whitehead e Russell

di quest'assioma che viene

(9) in cui si prende in esame anche

il principio degli indiscernibili di Leibniz, e gli ottimi risultati t'Ile se ne traggono per la deduzione della matematica classica senza

cadere

nelle

antinomie

note,

molti

matematici

rimasero

perplessi od ostili nei riguardi dell'assioma stesso, il quale non

è evidente, e lascia adito al dubbio di poter condurre a nuove antinomie. Il carattere artificioso dell'assioma in esame ha indotto Weyl a scrivere addirittura: «Russell, con l'assioma della riducibilità, ha portato la ragione a farsi karakiri ». Lo stesso Russell fini per

(8) Traduzione da Whitehead e Russell, pago 57. (9) Whitehead e Russell, pagg. 58·62.

318

abbandonare l'assioma della riducibilità come inessenziale per ii suo sistema (10). Taluni logici, riprendendo un'idea di Peano, ritengono che per la costruzione rigorosa della matematica basti la teoria dei tipi, senza i gradi e l'assioma della riducibilità. Peano aveva osservato che le antinomie sintattiche non evi­ tabili con la teoria dei tipi, non riguardano i concetti ma la loro espressione, e pertanto tali antinomie non interessano diretta­ mente la matematica e perciò il matematico può non tenerne conto. Sulla delicata e grave questione riferisco testualmente quanto scrive L. Gevmonat: «Tengo ad affermare con chiarezza che oggi questo

modo di

vedere

è

assolutamente

inaccettabile. Peano

poteva, ben a ragione, accontentarsi della spiegazione ora rife­ rita, perchè egli pensava che la lingua simbolica, in cui può venir espressa la matematica, sia incapace di esprimere quel commento, quelle affermazioni intorno alle espressioni, cui si attribuisce il nome di «sintassi lica

della

».

Peano poteva pensare che la lingua simbo­

matematica

sia incapace

di

esprimere

le

antinomie

sintattiche, e perciò risulti non disturbata da esse. Ma la situa­ zione è radicalmente mutata dal 1932. In tale anno infatti il logico­ matematico vienne Kurt GodeI, seguito poi da Rudolf Carnap. ha dimostrato - in una importante nota, pubblicata sui Monatshefte fiir Mathematik und Physik che, sotto certe condizioni assai -

poco restrittive, la sintesi di una lingua formalizzata può venir tradotta in proposizioni aritmetiche, sicchè se tale lingua con­ tiene una aritmetica essa può esprimere anche la propria sintassi. Dunque una lingua formalizzata può, diversamente da quel che immaginava Peano, esprimere anche le antinomie sintattiche e quindi non deve ritenersi immune da esse

».

Tuttavia la concezione secondo la quale le antinomie sintat­ tiche influendo soltanto sull'espressione, possono venir trascurate, si riaffaccia nella recente terza edizione (1949) a cura di Ackermann dei Grundzuge mann (11).

der

theoretischen

Logik

di

Hilbert

ed

Acker­

La via della teoria dei tipi per superare le antinomie non fu seguita da tutti i logici matematici del nostro tempo:

secondo

B. Levi non esistono nella logica antinomie propriamente dette,

mentre le apparenti antinomie nascondono in ogni caso qualche (10) Barone, pago 16. (11) «Die Paradoxien dieser zweiten Art, Ilir die die Bezeichnung "seman­ tische Paradoxien" gebriiuchlich ist, treffen also gar nicht unseren Kalkiil, da dieser nicht imstande ist, ihren rein logischen Charakter zum Ausdruck zu bringen. Vielmehr mussten wir zu der teil weisen Formalisierung inhaltliche Gedanken­ giinge zu Hilfe nehmen. Wir brauchen daher fiir unseren Priidikatenkalkiil keine Konsequenzen aus den Widerspriichen der letzten Art zu zieben und wollen daher auch nicht niiher auf sie eingehen li> (op. cit., pago 128).

319

·

infrazione contro la logica tradizionale

la quale non necessità

di correzione (12). Da questo punto di vista B. Levi esamina le più notevoli anti­ nomie mettendo in luce le origini delle contraddizioni ed indicando le cautele da usarsi per evitare le contraddizioni stesse. A tal fine

B. Levi osserva che non è lecito identificare sen­

z'altro una classe con un elemento, ma una classe può essere assoggettata ad un procedimento di elementazione

(13). Con que­

st'ultimo termine s'indica ogni operazione che faccia corrispon­ dere ad una classe un individuo

(che rappresenta in qualche

modo la classe stessa considerata come un tutto). dimento, secondo B. Levi, non

Tale proce­

è sempre lo stesso, nè si può appli­

care a qualsiasi classe; talora si esprime con «!'idea di»;

«pos­

siamo noi dire che siano determinate le proprietà del risultato dell'operazione "!'idea di" applicata ad un aggregato qualsiasi? Se per es. a a"

è un aggregato costituito d'un sol elemento "l'idea di è la stessa cosa che !'individuo a o è cosa diversa? E' questo

il principio di una serie risolvere caso per caso:

d'indeterminazioni

che

si

dovrebbero

si può tentare una soluzione generale:

l'antinomia di Russell mostra che

il

tentativo deve necessaria­

mente riuscir vano... Ricordiamo anzitutto in che cosa essa con­ sista: Consideriamo l'aggregato E degli individui. che si ottengono elementando aggregati che non contengono sè stessi elementati: si chiede: elementando E si ottiene un individuo di E o un indi­ viduo non appartenente ad E? Comunque s! risponda si cade in contraddizione. L'origine della contraddizione sta in questo che s'immagina fissato un procedimento d'elementazione e si ammette che tale procedimento si applichi ad ogni aggregato, in particolare ad E: ma la contraddizione cade se E non !lUÒ e!ementarsi con quel procedimento

».

Anzi comunque si fissi il procedimento di elemen­

tazione questo non si può applicare ad E. Dell'antinomia di Richard, B. Levi presenta una forma diversa da quella già considerata nel presente §, ma sostanzialmente equi­ valente ai fini delle nostre considerazioni. Il superamento dell'anti­ nomia si ottiene, secondo B. Levi, distinguendo opportunamente fra idea primitiva e idea definita, ed osservando che non è lecito definire una totalità che contiene numeri i quali vengono definiti mediante la totalità stessa. Se ne deduce che l'insieme considerato nell'antinomia

di Richard

è

un'idea primitiva,

ma questa idea

primitiva e le altre che compaiono nell'antinomia stessa risultano

(12) Levi. 6. (13) Sul procedimento dallo

scritto

citato

sono

ed il superamento secondo B. Levi Richard, v. specialmente Levi, l, pagg. 187-216;

di elementazione

delle antinomie di Russell

e

di

tratti

i passi riportati tra virgolette su gli argomenti

predetti.

320

legate da postulati contraddittori.

« Ora

non può certo essere argo­

mento di meraviglia che risultino contraddittorie idee primitive cui

si

imponga

di

soddisfare

postulati

scelti

senza

opportune

cautele. Quel che rendeva ripugnante la contraddizione era l'appa­ renza che le sole idee cui si aveva ricorso per costruirla fossero quelle

della logica

l'aritmetica...

comune insieme

con le idee

Per quanto concerne la'ntinomia del Bugiardo osserva che in sè stesse

primitive del­

'>.

(14),

B. Levi

la logica non si occupa della verità delle proposizioni «riguarda la forma non la sostanza dei giudizi». Più

precisamente:

le

proposizioni

si dividono in

due classi:

delle

vere e delle false. La logica non può eseguire in senso assoluto tale classificazione, ma soltanto «le proposizioni si ordinano in sistemi tali che, assegnata la classe cui

appartiene

la proposizione

(

implicazione.

Dai principi formalizzati dall'Heyting non si può dedurre il principio del terzo escluso, e nemmeno la sua negazione. Nella logica dei predicati formalizzata dall'Heyting, vale

la

proposizione (si tenga anche presente il simbolismo dell'Hilbert):

(Ex) 1- A ( ) ! x

::>

-I j (x) A (x) i ;

non vale invece l'implicazione inversa:

-I I (x) A ( ) I x

::>

(Ex) 1-'

A

(x) I .

Quest'ultimo risultato pone in evidenza differenze fra logica classica e logica intuizionista. Secondo il Kolmogoroff il calcolo delle proposizioni degli intui­ zionisti si può interpretare come un calcolo di problemi. Nell'originale ricostruzione

intuizionistica della

326

matematica,

presentano particolare rilievo le teorie degli insiemi, dei numeri reali e delle funzioni.

(10) 1930 le nuove logiche polivalenti si affermano del l niti­ vamente nel mondo del pensiero. Una di queste è la logica triva­ Con le meditate ed ardite costruzioni di J. Lukasiewicz

intorno al

lente, in cui i valori logici delle proposizioni sono tre, che si possono indicare con i simboli

1,

1 --

, O, interpretabili rispettivamente

2

come: certamente vero, dubbio, certamente falso. Lukasiewicz fu guidato a questa concezione dall'idea dell'indeterminazione degli avvenimenti futuri, e dalla logica modale (v. cap.

IV § 8 del pre­

sente vOlume). Nella logica trivalente, come nel sistema degli intuizionisti, non è valido il principio del terzo escluso; si hanno invece i postulati seguenti:

«a) Ogni proposizione significativa nella logica a 3 valori ha sempre il valore

1 oppure

1 --

oppure

O.

2 b) Ogni proposizione non può avere insieme 2 o più valori

».

Si suole scegliere come funzioni proposizionali principali nella logica trivalente, funzioni che sono una generalizzazione di quelle già considerate nella logica bivalente; cioè, se nelle matrici che definiscono le funzioni considerate nella logica trivalente, si sopprimono le linee relative ai

valori

1 --, si ottengono le matrici

2

corrispondenti della logica bivalente (v. cap.

XVIII, § 6 del pre-

sente volume). Tale generalizzazione può farsi

in diversi

modi, fra

i quali

(Np) la disgiunzione (Apq) !'implicazione materiale (Cpq):

indichiamo i seguenti, per la negazione la

congiunzione

P INP

----I- I

O 1 1 -2 I 2 I O i I

I l

I

logica

Apq 1 1 2 O

(0) Lukasiewicz;

1

(Kpq)

l

- O 2

Kpq

1 1 1 1 1 --- -2 2 1 O 2

l

l

1 2 O

--

dall'articolo

polivalenti riportati fra virgolette

l !2

O

l !2 O 1 --2 O

---

I

1

1 2 O

passi

1 --

2

O

--_._-

1

1 O 2 O O

del Belletti derivano i nel presente paragrafo.

327

Cpq

sulle

-1- O 2

l 2l_ l l

logiche

Si possono costruire altre logiche in cui i valori sono in nu­ mero maggiore di tre. Le logiche polivalenti acquistano significati di particolare inte­ resse quando vengano poste in relazione con il calcolo delle proba­

bilità e la logica delle modalità, trovano applicazione nella fisica del nostro tempo e nella filosofia del diritto (11). Sono sorte elevate e sottili discussioni sul significato filosofico da attribuire alle logiche non aristoteliche. Per motivi di brevità ci limitiamo a riferire sull'argomento il pensiero di F. Severi, il quale, con riferimento al risultato del GodeI (di cui tratteremo al

§ " del presente cap.) osserva quanto segue (12). «Non resta dunque che appagarsi, nella verifica delle compa­ tibilità, di quello che Enriques chiamava carattere relativo dell'ac­ certamento, cioè in ultima analisi la sua riduzione alla compatibi­ lità del reale, quale ci danno i sensi o !'intuizione. Lo stesso criterio, ossia il postulato squisitamente superlogico della compatibilità a priori del reale, occorre per comprendere e verificare la compatibilità degli assiomi delle nuove logiche pen­ sate come strutture simboliche (distributive o no) di proposizioni. Se esse devono essere capite da un uomo sano di mente che ne segua o ne ascolti l'esposizione, il giudizio su di esse non potrà fondarsi che sulla logica comune, la quale è poi la logica classica, i cui principi discendono appunto dalla realtà intuitiva. Le nuove logiche, a volerle chiamare con il loro vero nome, senza «épater le bourgeois» non sono perciò che capitoli della moderna algebra o algebra astratta;

e le asserzioni che in esse

possono non valere il principio di contraddizione o quello del terzo escluso, sono espressioni di teoremi algebrici, che, lasciati in di­ sparte gli

eufemismi, dobbiamo

finire col

capire mercè

stessa logica i cui principi valgono da millenni

quella

».

II Severi pone anche in rilievo un importante risultato otte­ nuto dal Moisil sulla logica trivalente, risultato che appare ricco di significato filosofico (13): ...« come le geometrie "non" son tra loro

interdipendenti

(si ricordino le

immagini

delle geometrie

non-euclidee nell'ordinaria geometrIa) lo stesso accade delle varie logiche, nei rapporti con la logica classica. II Moisil stesso ottenne nel campo

logico un

teorema analogo a quello di

Beltrami nel

campo geometrico; e cioè un'immagine della logica trivalente di Lukasiewicz sulla logica classica per guisa che ogni proposizione della prima trova la sua interpretazione in due proposizioni della seconda». La posizione difesa dal Severi che ammette l'esistenza di una logica tale da consentirci di comprendere i fondamenti delle varie (11) v. p. es. Reichenbach, 1, 2; Bobbio, 2. (12) Severi, 3, pago 37. (13) Severi, 4, pago 238.

328

logiche particolari e giudicare della loro validità, anche oggi pre­ senta una forte attrattiva per molti pensatori. Tuttavia dobbiamo osservare che nessuna dimostrazione logica potrà stabilire l'esistenza di una tale logica suprema. Infatti la dimostrazione considerata qualora vi fosse, presupporrebbe pro­ prio quella logica di cui si vorrebbe dimostrare l'esistenza. Per­ tanto l'esistenza della logica suprema può essere ammessa soltanto in base all'intuizione.

§

3

-

Neo-positit,ismo

e

neo-emplrlsmo.

Lingua esatta del

Car­

nap (14) Il positivismo di A. Comte H. Spencer

(1820-1903),

(1798-1857), G. Stuart Mill (1806-1873), (1838-1916) ammetteva nel mondo

E. Mach

della scienza soltanto i fatti materiali

(fisici, biologici, naturali­

stici). Tuttavia nei quadri concettuali del postivismo ottocentesco, trovavano ancora posto le verità universali e necessarie che hanno invece perso ogni senso per i neo-positivisti del nostro tempo. Vecchi

e nuovi

positivisti considerano

il

metodo empirico

come criterio di verità, ma mentre i positivisti dell'ottocento divi­ «il fatto è è umana »); i neo-positivisti abbandonano

nizz'avano in un certo senso il fatto (diceva Ardigò: divino, la spiegazione

ìa metafisica del fatto, mettendo l'accento sulla trama logica del­ l'interpretazione

dell'esperienza,

il significato e il valore

di un

enunciato sono connessi al metodo per la sua verifica; non esiste fisicamente ciò che per principio non può essere osservato o mi­ surato. La scienza diviene essenzialmente metodologia. Strettamente legato al neo-positivismo

è

il

neo-empirismo.

Mentre il primo riguarda soprattutto le ricerche sul mondo fisico il secondo conduce ad acute indagini sulle basi e sul significato della matematica. Il punto di partenza della corrente neo-empirista si può cosi formulare con L. Geymonat: «non s'ha da parlare di pensiero dove questo pensiero non si sia chiaramente espresso in un discorso o in un'altra maniera qualsiasi ». Da questa

posizione

si

giunge

naturalmente a considerare

essenziale nella filosofia l'analisi del linguaggio identificato con il pensiero,

mentre

assume

potente

rilievo

la

costruzione delle

nuove logiche. In quest'ordine d'idee assume particolare importanza la conce­ zione seguente: con il termine lingua esatta

(15) «si intende se-

(14) Sul pensiero filosofico neo-positivista p neo-empirista monat, 1 specialmente pagg. 6-8; Waismann (sulle concezioni concernenti

la struttura delle teorie pagg. 225-244; Barone; Carruccio, 21.

matematiche);

(15) Geymonat. l, pagg. 128-129.

329

p. es.: Gey­ neo-empiristiche

v.

Abbagnano;

Severi.

4,

condo Carnap, l'insieme delle figure formate da un numero finito di elementi (i cosi detti segni linguistici), la cui forma e le cui combinazioni certe

e trasformazioni,

convenzoni base

(o

sono

stabilite con

regole sin tattiche

della

esattezza da lingua

consi­

derata)». Una teoria matematica può esatta di Carnap.

considerarsi

In che cosa differiscono

il

come una sistema

lingua

ipotetico­

deduttivo del Pieri dalla lingua esatta di Carnap? Nella concezione del sistema ipotetico-deduttivo si parla di postulati arbitrariamente scelti posti alla base del sistema, ma le regole

per dedurre

le conseguenze sono quelle di

una

logica,

considerata unica ed universale. Nella concezione del Carnap in­ vece ogni sistema ha le sue regole logiche o sintattiche. Come tra la scienza dimostrativa di Aristotele e il sistema ipotetico-deduttivo del Pieri, nella storia del pensiero stanno le geometrie non-eucli­ dee, cosi tra il sistema ipotetico-deduttivo e la lingua esatta stanno le logiche non aristoteliche o non crisippiche. Secondo L. Geymonat, il pensiero del quale s'ispira alla cor­ rente del Circolo di Vienna

(16)

«Compito del logico non

è

di aver

fede nell'una o nell'altra convenzione, ma di costruirle tutte, di svolgerle una dopo l'altra come strumenti della nostra libertà. In logica non vi

è

imperativo categorico, come ha detto molto bene

Carnap: .. In der Logik gibt es keine Mora! ..». Quali proposizioni di una lingua esatta L avranno senso per il neo-empirista?

Avranno

senso

in L soltanto

i

postulati,

le

loro conseguenze in quanto vere in L e le negazioni degli uni e delle altre in quanto false in L (17). Nei riguardi delle antinomie il neo-positivista assume un atteg­ giamento particolare assai diverso da quello dei logici matematici finora considerati. Egli interpreta le antinomie come

«proposi­

zioni indecise ... per le quali la struttura logica della lingua non ci permette di decidere nè una risposta positiva nè una risposta ne­ gativa» (18). Osservo tuttavia che esiste una profonda differenza fra propo­ sizioni indecise ed antinomie. In una lingua esatta L una proposizione

P è

indecisa quando

P

P

e

non appartengono ad L. Invece

in L esistono antinomie se in L si possono dedurre P e P. Anche il logico che non condivide tutte le posizioni filosofiche del neo-positivismo e del neo-empirismo non può far a meno di apprezzare le ricerche promosse da dette correnti che traggono origine dal Tractatus Logico-P hilosophicus (ediz. inglese-tedesca,

(16) Geymonat, 3, pagg. 130-13l. (17) Waismann. pagg. 178. 286,

287.

(18) Geymonat. 3. pagg. 130-131.

330

con prefazione di B. Russell, Londra

1922) di L. Wittgenstein (19) (20).

ideatore del Wiener Kreis (Circolo di Vienna)

Importanza notevolissima nel pensiero logico moderno pre­ senta un risultato di K. GodeI, raggiunto nell'ambiente del Circolo di Vienna, risultato di cui parleremo nel § 5 del presente capitolo.

§ 4

-

Sistema razionale

(21)

La concezione della lingua esatta del Carnap si basa essen­ zialmente su due capisaldi:

1) tenuta presente la costruzione di

nuove logiche, si presenta l'esigenza di precisare per ogni lingua esatta le regole logiche per dedurre dai postulati i teoremi;

2) il

pensiero razionale s'identifica con l'insieme dei segni mediante i quali viene espresso. Ritengo ora che

non si

possa

fare

a meno

(piaccia o

non

piaccia) di tener conto della prima esigenza; in quanto sono state ormai costruite logiche diverse da quella tradizionale, e quindi, per ogni teoria che si voglia sviluppare logicamente occorre precisare di volta in volta quali sono le regole per dedurre. Ad esempio, si ritengono legittime le dimostrazioni per assurdo? (Sl, secondo la logica tradizionale; no, secondo la logica degli intuizionisti). Si ritiene lecito operare su classi contenenti attualmente infiniti ele­ menti?

(No, secondo Aristotele;

sl, secondo Cantar);

e cosi via.

Il riconoscimento dell'esigenza di precisare di volta in volta le regole per dedurre da applicare in una data teoria, lascia perb, impregiudicata

la

questione dell'esistenza o meno della

logica

suprema. N on risulta invece giustificata da quanto precede la validità del 2° punto, che come vedremo (nel

§ 7 del presente capitolo) non

potrà essere accettato da noi. Tuttavia lasciando per ora impregiu­ dicata anche la questione della possibilità di esprimere integral­ mente in simboli una teoria, formuliamo la seguente nozione di

sistema razionale

alla

quale faremo d'ora

innanzi riferimento

nelle nostre considerazioni. Un sistema razionale

è costituito da m postulati in numero

finito p, P2 ... Pm e dai teoremi che ne derivano applicando n re­ gole per dedurre, anche queste in numero finito rl r2 .... rn• .

(19) Wittgenstein.

(20) Studi

1 e 2.

punto di partenza il movimento di pensiero originato dal Wiener Krei�. sono stati promossi dal e

ricerche di filosofia delle scienze, aventi come

pubblicazione

d'mporlanti

scritti, fra i quali ricordiamo: Abbagnano ... Persico; Abbagnano ... De

Fin etti ; Atti

«Centro

metodologico

di

Torino,.

cui

dobbiamo

la

del Congresso di studi metodologici, Torino, 1954; Casari. (21) Carruccio, 20 e 21.

331

§

5

-

Teorema di Godei sulla non-contraddittorietà dei

sistemi.

Metamatematica Ritornando ora al problema della non contraddittorietà o coe­ renza dei sistemi razionali notiamo che un giudizio sulla compa­ tibilità di un sistema di postulati matematici può basarsi, secondo l'Enriques, sull'esperienza fisica o psicologica, sull'intuizione, su di una dimostrazione logica, attribuendosi solo a quest'ultima H valore di prova rigorosa; ma il valore di tale prova viene conside­ rato relativo, perchè la compatibilità di un sistema si deduce dalla compatibilità

di

un altro

sistema

(non

si

dimostra

diretta­

mente) (22). Ora, ci si domanda, è possibile superare il carattere relativo attribuito dall'Enriques alla dimostrazione logica della compatibi­ lità di un sistema di postulati? In uno scritto del 1908, B. Levi

(23)

ha stabilito !'impossibilità di dimostrare la non-contraddittorietà delle leggi logiche, e successivamente uno sconcertante risultato del GodeI di carattere più generale pubblicato nel 1931 ha dato una risposta nettamente negativa alla precedente domanda (24). Detto risultato del GodeI si può con il Waismann

(25) enun­

ciare nel modo seguente: «è impossibile raggiungere la dimostra­ zione della non contraddittorietà di un sistema logico-matematico servendosi dei soli mezzi offerti da questo sistema

».

Il GodeI, nella sua memoria del 1931 presenta la dimostrazione del suo teorema sotto due forme: la prima di queste breve e sug­ gestiva si può riferire ad un qualunque sistema razionale e pre­ senta qualche analogia con i paradossi del Bugiardo e di Richard, come osserva lo stesso Autore; la seconda il pensiero fondamen­ tale della quale era stato delineato nella prima, viene svolta detta­ gliatamente, si riferisce al sistema P fondato sui cinque assiomi dell'aritmetica di Peano e su quelli alla base dei Principia Mathe­ matica di A. N. Whitehead e B. Russell, mentre accenna alle appli­ cazioni agli altri sistemi, ma presenta ancora qualche lacuna, rHe­ vata dall' Autore stesso. Al ragionamento del GodeI che è stato ripreso e perfezionato (22) Enriques. (23) «Possono

6 (ed. 1926). cap. III. § 18. pagg. 113-115. le

leggi

logiche

condurre

a

contraddizioni?

Non

è

agevole

l'ammetterlo, ma è pure impossibile il dimostrarne l'impossibilità. perchè una tal dimostrazione dovrebbe poggiare sulle regole della logica, ed ammetterebbe quindi ch'esse

siano

compatibili:

se

con

una

certa

combinazione

di

queste

regole

si

potesse concludere per l'impossibilità della contraddizione, non rimarrebbe esclusa la

possibilità

che

con

un'altra

combinazione

si

potesse

in

avvenire

incontrare

la contraddizione. perchè non si avrebbe in ciò che una nuova contraddizione, e la conclusione finale sarebbe per la incompatibilità dei postulati della logica •. (Levi, 1, pagg. 187-216). (24) GodeI; Waismann. pagg. 142-144; Carruccio. (25) Waismann, pago 142.

332

9.

da altri logici matematici

(26) sono state mosse diverse obiezioni,

(27).

p. es. dal Carnap

Tuttavia ai fini dei successivi sviluppi delle nostre conside­ razioni riteniamo sufficiente un semplice ragionamento basato sul teorema dello Pseudo-Scoto (v. cap.

X, § 4) teorema che si dimo­

stra immediatamente in base al caJcolo delle proposizioni di Hilbert (v. cap. XVIII, §

5) osservando che

(A & A)

B

--+

è un'espressione sempre vera per B qualsiasi, e si ammette l'ante­ cedente dell'implicazione materiale considerata. Possiamo

ora

dimostrare

il

seguente

teorema

(28). Non �

dimostrabile la non contraddittorietà di un sistema razionale ser­ vendosi soltanto dei mezzi offerti dal sistema stesso. Infatti, supponiamo di essere riusciti a dimostrare con mezzi

S, con una catena di dedu­ S stesso è non contraddittorio. Ma affinchè una dimostrazione in S .,gia valida occorre già sa­ pere che il sistema S è non contraddittorio, perchè se lo fosse, sarebbe dimostrabile in S qualunque proposizione (in particolare che S è non contraddittorio). offerti soltanto dal sistema razionale

zioni formalmente perfette che

Ma se ciò che si vuoI dimostrare è proprio la non contraddit­ torietà di

S, risulta dimostrato che una dimostrazione di non S con mezzi offerti dal sistema S è sempre

contraddittorietà di

viziata di circolo, e quindi impossibile. Si può aggiungere che la dimostrazione in senso aS501uto della non contraddittorietà di

S è impossibile.

Infatti, supponiamo di essere riusciti a dimostrare la coerenza di

S con mezzi offerti da un altro sistema T; questa dimostrazione

raggiungerebbe effettivamente il suo scopo, se si potesse dimostrare la eoerenza di T; ma ciò non

è possibile con i mezzi offerti da T;

si dovrebbe quindi ricorrere ad un altro sistema U, e cosi via. Sia

(26) V. p. es. indicazioni bibliografiche sull'argomento in Church, 2. (27) «Il ragionamento del GodeI è stato critcato... dal Carnap. il quale ha sostenuto che esso non è accettabile, in quanto si basa sul fatto che siano prescritti in

partenza tutti metodi

dimostrativi plausibili.

dimostrativi

da ammettere,

ed esclude tuttavia metodi

(da Lombardo Radice).

(28) Questa dimostrazione trovasi in sostanza alla fine del § 3 della nota di 9. Notizie sulle discussioni sorte a proposito delle dimostrazioni del teorema del GodeI, si trovano nella conferenza di Carruccio, 17, pagg. 99-101, specialmente note 8 e 9. E' stato osservato che mentre nel ragionamento del GodeI si stabilisce che la dimostrazione di non-contraddittorietà di S. non esiste in S, nella dimostrazione qui svolta si stabilisce che anche se esistesse sarebbe priva di valore. Ai nostri Carruccio,

fini si ritiene sufficiente quest'ultimo risultato. Sul Casari,

teorema

di

GodeI

inquadrato

nella

pago 88.

333

metamatematica,

v.

anche,

p. es.

che in questo procedimento si incontrino sempre nuovi sistemi, sia che nella successione S, T, U. . si ricada in qualche sistema già ..

incontrato nella successione stessa, la dimostrazione

della coe­

renza di S non può arrivare ad una conclusione definitiva, ma tale coerenza può soltanto venir stabilita, se si vuole, mediante un po­ stulato, in base all'esperienza fisica o psicologica od all'intuizione. Il teorema di GodeI è uno dei più suggestivi risultati della nuova disciplina, detta metamatematica, che consiste nella teoria della dimostrazione matematica.

§

6

Alcune con....eguenze del risultato di Godel sulla non con·



traddittorietà Due possibilità si presentano alla mente del matematico in

possesso del risultato fondamentale del GodeI sopra considerato. La prima di queste possibilità è la seguente: esi s t e almeno un sistema razionale l:l coerente, tale che, dato un altro sistema S qualsiasi, o questo è contraddittorio, oppure, se è coerente. la sua coerenza è

dimostrabile, ammessa

la coerenza di

l:!.

E'

quasi

superfluo illustrare l'importanza che avrebbe il sistema l:1I qua­ lora esistesse, ai fini della risoluzione di molte fondamentali que­ stioni matematiche. (Qualcuno potrebbe forse pensare che l:1 si. identificasse con un sistema basato su assiomi logici, o con una generalissima teoria degli insiemi...). Qualora

questa possibilità

si verificasse, il risultato del GodeI avrebbe una portata limitata, in quanto pur non potendosi dimostrare la coerenza di un sistema

S con mezzi intrinseci ad S stesso detta coerenza si potrebbe de­ ,

durre da un unico sistema privilegiato �11 che si spererebbe dotato di un alto grado di evidenza nei riguardi della sua coerenza. Ma abbiamo anche una seconda possibilità: un sistema l:l do­ tato delle proprietà sopra enunciate non esiste. Recenti ricerche conducono a quest'ultima

alternativa

mettendo in evidenza la vasta portata del teorema di Gi)del.

(29)

Per dimostrare un'altra conseguenza del risultato del GodeI nel campo dei numeri reali, premettiamo tre definizioni. la

definizione.

-

Chiameremo ben definito un numero reale del

quale è possibile calcolare valori con una approssimazione pre­ fissata. Sono quindi ben definiti i numeri per i quali è possibile calco­ lare le successive ridotte del loro sviluppo in frazione continua, i numeri espressi mediante sviluppo in serie convergente, oppure mediante numero decimale illimitato di cui si sanno calcolare le successive cifre, etc.

(29) Carruccio. 17. § 5.

334

2a definizione.

-

Chiamiamo ultrarazionale un numero reale del

quale non si può dimostrare che è razionale nè che è irrazionale. Dimostreremo fra poco che tali numeri esistono e che quindi la definizione è lecita.

3" definizione.

-

Un sistema razionale

S

si dice completamente

noto quando partendo dai postulati e dalle regole per dedurre che sono alla sua base, sappiamo ricavare successivamente ad uno ad uno i teoremi del sistema. Per i sistemi completamente noti, anche

se esistono diversi

ordini secondo i quali si possono ricavare i teoremi, deve essere possibile fissare un ordine secondo il quale ogni teorema del siste­ ma viene successivamente raggiunto con un numero finito di pas­ saggi logici. Pertanto se un sistema razionale completamente noto contiene infiniti teoremi è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca fra numeri naturali e proposizioni del sistema stesso (30).

Teorema.

-

Esistono numeri

ben

definiti ultrarazionali (31).

Infatti: consideriamo l'insieme delle formule che esprimono i postulati ed i teoremi di un sistema razionale

S

completamente

noto, contenente infiniti teoremi, formule poste in corrispondenza biunivoca con la serie naturale dei numeri, secondo l'osservazione precedente. Ad ogni proposizione

t, t1 ... tn

•••

che non sia in contraddizione con una delle precedenti, facciamo corrisponder,e versi da zero

(i quali possono anche essere presi per semplicità uguali fra loro). Formiamo ora la frazione continua: a

+ ai

1

_

1

+ -a2

+

(30) Carruccio, 16. (31) Carruccio, 9.

335

Se s'incontrasse nella successione dei teoremi di S un teorema in contraddizione con uno dei precedenti, s'interrompa la succes­ sione arrestandosi al termine aro corrispondente all'ultimo teorema del sistema S che non dà luogo ad esplicita contraddizione. La frazione cc,ntinua sarà uguale in ogni caso ad un numero reale ben definito, razionale, se la successione è limitata, irrazionale nel caso contrario. Se il sistema S è contraddittorio ciò dovrà stabilirsi con un numero finito di passaggi logici. Ma se S è non contraddittorio non si potrà dimostrare la sua non contradditorietà, nè preve­ dere quindi che la successione a, al . . . an sarà illimitata e che il

numero

espresso

dalla

frazione

continua

considerata

risul­

terà irrazionale. Neppure si potrà dimostrare che il numero in questione è razionale, perchè ciò equivarrebbe a dire che S è contraddittorio, contro quanto abbiamo supposto. Esistono dunque numeri ben definiti ultrarazionali. Sull'interpretazione di questo risultato sono sorte discussioni su cui non mi soffermo (32).

Osservazione.

-

Per

alcuni numeri reali ben definiti nono­

stante le ricerche effettuate dai matematici non si è finora dimo­ strato che sono razionali e neppure che sono irrazionali. Ciò è accaduto p.

es. per la costante di Eulero.

Potrebbe darsi che

qualcuno di detti numeri fosse uItrarazlonale. Con procedimenti analoghi si dimostra che esistono numeri ben definiti per i quali non si può dimostrare che sono uguali e neppure che sono disuguali, esistono serie certamente conver­

genti o divergenti, per le quali tuttavia non è possibile dimostrare quale dei due casi effettivamente si verifica, e si presentano altri innumerevoli

casi

analoghi

sui

quali

non

ci

soffermiamo

per

ragioni di brevità. I risultati precedenti dimostrano che la matematica non si

può esaurire in un unico sistema razionale, in quanto, dato un qualsiasi sistema S esistono sempre delle affermazioni indecise in S (cioè indimostrabili insieme con la propria contradditoria), p. es. la non coniradditorietà di S con le sue conseguenze (33).

(32) Carruccio. 17, § 5. (33) V. p. es. Waismann. ca p

.

IX; Carrucr-1o, 15

336

e

20.

§

7

-

Il problema dell' esprimibilità m simboli di un sistema ra­ zionale

Dai

(34)

tentativi

di

Leibniz,

costruire un'ideografia che

ai

quali

abbiamo

esprimesse in

accennato,

simboli

le

di

relazioni

logiche (characteristica universalis) ai sistemi di Peano, di Whi­ tehead e Russell di Hilbert... gli sviluppi della matematica moderna sono orientati verso la traduzione in simboli delle teorie razionali. Sorge ora a questo proposito un problema:

è possibile tra­

durre integralmente in simboli un sistema razionale? Oppure in ogni pensiero razionale vi è sempre un «quid > inespresso e ine­ sprimibile mediante qualsiasi sistema di simboli? Sorvolando per motivi di brevità sui precedenti della que­ stione fra i quali presentano particolare interesse osservazioni di Beppo Levi e di L. Geymonat, mi limito a sottolineare l'attua­ lità della questione stessa che riguarda le basi del neo-empirismo del circolo

di

senso lato)

sembra escludere la possibilità dell'esistenza di un

«

Vienna,

che identificando pensiero e parola

(in

quid:. nel pensiero che non trova la sua espressione nel lin­

guaggio. Consideriamo una qualsiasi combinazione C (con ripetizione) di m simboli ad n ad n, e indaghiamo se C può esprimere le proposizioni primitive e le regole per dedurre alla base di un determinato sistema razionale

S, note le quali proposizioni e

regole si sanno ricavare ad una ad una le espressioni simboliche dei teoremi t k, di S. Dico che la combinazione C di simboli considerata è sempre suscettibile di più interpretazioni logiche diverse, che dànno luogo a successioni diverse di teoremi, esprimibili mediante diverse suc­ cessioni di combinazioni di simboli. Infatti: un essere ragionevole M esprima mediante la combi­ nazione C di simboli, con tutta la perfezione possibile, le propo­

sizioni primitive e le regole per dedurre di un sistema razionale S,

che è nella sua mente, del quale sistema fa anche parte una suc­ cessione di teoremi tk non priva di elementi. M presenti la combi­ nazione C all'attenzione di un altro essere ragionevole D, aftlnchè quest'ultimo, compreso il significato di C, ne ricavi ad uno ad uno i teoremi t k



Si noti che non si presuppone una «lingua prima:.

(uso la terminologia di L. Geymonat) comune ad M e a D, già stabilita prima che M presenti la combinazione C all'attenzione di (34) La questione viene trattata più ampiamente nell'articolo di Carruccio, 13; ivi si citano anche i passi di Levi e di Geymonat che riguardano la question� in esame; v. anche Severi, 3, pago 36. Le combinazioni di simboli, considerate nel seguito del prea ente paragrafo, si pensano

costituite da elementi presi in un determinato ordine

337 22

.

D;

ma proprio in base alla combinazione

C di simboli, si deve

fondare il linguaggio che caratterizza il sistema S. In una simìl)'e situazione non resta a D che tentare tra le diverse

possibili, un'interpretazione del significato della

nazione

C.

combi­

Posto infatti che tra queste interpretazioni esista quella se­ condo il pensiero di M, la quale dà luogo alla ricostruzione de] sistema

S, questa interpretazione certo non è la sola, ma esiste C

ad esempio quella (più ovvia) secondo la quale i simboli di cui

è costituita rappresentano semplicemente un insieme di oggetti D,

del pensiero, presentati in un certo ordine all'attenzione di

che egli deve limitarsi a contemplare, senza compiere su di essi alcuna operazione; per cui secondo questa interpretazione risul­ terebbe priva di elementi la successione delle espressioni simbo­ dei teoremi del sistema costruito da D sulla base di C.

liche

Considerato quindi che un sistema razionale

S è nella mente

di M ben definito, in quanto egli conosce il modo di trovare le espressioni dei successivi teoremi, mentre invece l'espressione di

S mediante ]a combinazione C è sempre suscettibile di interpre­ tazioni diverse, che dànno luogo a diverse successioni di simboli esprimenti teoremi, si conclude che l'espressione non

traduce

sistema

integralmente la

conoscenza

che

C in simboli di S M

possiede

Osserviamo

che

l'argomentazione

svolta

prova

l'inesprimi­

bilità di un sistema razionale mediante un simbolismo, quando

de]

S.

per

simbolismo si intenda

una

anche

qualsiasi lingua esatta

nel senso precisato dal Carnap. Le

considerazioni

svolte

sul

problema

dell'esprimibilità

riconducono in sostanza alla posizione di S. Agostino nel

ci

De Ma­

gistro

(35).

§

Considerazioni generali sui recenti risultati della logica (36)

8



Non si può negare che per molti la prima impressione fronte ai risultati della logica contemporanea

di

è quasi di sgomento.

Ma come, si dirà forse, proprio nella matematica che vanta I.a più perfetta forma di espressione de] pensiero razionale si nasconde l'inesprimibile? Nella

scienza

dimostrativa

per

eccellenza

si

annida

l'indi­

mostrabile? Queste considerazioni vogliono forse minare alla base tutta la matematica? Si manifesta cosi un sentimento analogo a quello che ha per(35) V. cap. IX, § 1 del presente volume. (36) Carruccio, lO, pagg. 53-54.

338

vaso i circoli pitagorici di fronte alla scoperta delle grandezze incommensurabili ed alla teoria degli irrazionali. Ma una rifiessione più approfondita può forse dissipare, al­ meno in parte, il nostro sgomento. Il risultato ottenuto intorno all'impossibilità di esprimere inte­ gralmente in simboli un sistema razionale S, e di trasmetterlo mediante

segni dal mio all'altrui pensiero, non impedisce che

nella mia

mente esista una teoria razionale la quale non può

porsi in corrispondenza biunivoca con dati sensibili quali sono i segni di un linguaggio, mentre tale teoria deve in ogni mente svilupparsi come personale conquista. Questa conclusione presenta notevole importanza dal punto di vista didattico, in quanto mette in luce l'esigenza secondo la

quale la matematica in definitiva deve essere insegnata secondo il metodo detto

maieutico» da Socrate, COllegato da Platone

c:

con la teoria della reminiscenza, metodo che acquista nuovo signi­ ficato e nuovo rilip,vo nella filosofia di S. Agostino. Il professore di matematica non potrà, secondo quest'ordine d'idee,

trasmettere dalla propria mente a quella dell'allievo

la

conoscenza di un sistema razionale, ma il compito del docente consisterà invece nell'ottenere che il discepolo ricostruisca nella sua mente, con la sua attività personale, il sistema stesso. I risultati relativi all'indimostrabilità della non contraddito­ rietà più

di un sistema profonda

di

razionale

quella

mettono

riguardante

in luce

la

un'impossibilità

duplicazione

del

cubo,

la trisezione dell'angolo, la quadratura del cerchio. Mentre relativa

l'impossibilità

all'impiego

di

di

risolvere

determinati

i

predetti

strumenti,

problemi

l'impossibilità

era di

dimostrare la non contradditorietà di un sistema razionale non contradditorio,

e

di

risolvere

determinate

questioni

di analisi,

riguarda addirittura l'impiego ed i limiti della ragione umana. Pertanto queste considerazioni ci conducono verso le fron­ tiere del mondo controllato dalla nostra logica e ci permettono d'intravedere le regioni oltre quel confine. Ma sorge a questo punto una questione:

esiste veramente,

sia pure nel mondo del pensiero, qualche regione al di là di ciò che

è

effettivamente

conquistabile

mediante

la

nostra

logica?

Questa domanda si collega con la questione di stabilire che cosa ha un senso in matematica, più precisamente, che cosa ha un senso in un determinato sistema razionale S (37). Ponendoci

dal

punto

di

vista

della

logica

contemporanea

possiamo dire che occorre dare una « sintassi dell'aver senso» cioè stabilire con quali regole si deve usare il termine «aver senso». Abbiamo già indicato qual'è (37) Carruccio, 17. § 3.

339

la sintassi dell'aver senso per

i neo-emp iristi :

hanno un senso in un sistema soltanto i postu­

le loro conseguenze e le negazioni degli uni e delle altre.

lati,

Nulla ci

vieta

di accettare

questo modo d'intendere l'aver

Ma una volta accettata questa «sintassi:. occorre

senso.

tarne tutte le conseguenze;

accet­

essendo imp ossibile

in particolare,

il sistema razionale S

dimostrare effettivamente l'affermazione:

non è contraddittorio, non avrà senso di p arl are di sistemi razio­ .

nali non contraddittori, nè sarà lecito di trattare di un numero reale ben definito, p. dimostrato se è

es., la costante

potrebbe annidarsi un non-senso, campo al

quale

di Eulero.

razionale o irrazionale,

perchì'>.

e cost via.

si p otrebbe estendere

la

prima

di aver

tali numeri

in

Ma la vastità

del

neo-empirista

critica

non Dotrebbe cost ituire la sua debole."z!'? Dove il matematico sarebbe al sicuro dai non sensi, ouando non gli fosse lecito parlare di sistemi razionali non contraddittori? Sembra quindi opp ortuno adottare una sintassl dell'aver senso meno restrittiva, p. es. la seguente:

11 n .

non

possibile per la mente umflna.

�tl'lhilirp.

('"n

un

numero

finito di passaggi logici oual'è 1'eveptllf11ità che si verifica. Jn

Q uest'ordine di idee si !)otrphhe tOl'JHU'P con

una cons'a­

nevol ezza nuova alJa concezione den'ohhip.ttivit� rlPll� JlHlteJllfltica. lA.

Quale

non sarebbe

perb

costitUitA

soltl'lnto

rl�ll'flritmptica e

dalla geometria euclidea c'Ome nell'AntichHà. ma da tutti i sistemi ra7innaH coerenti. Il riconoscimento della non-contT�r'lr'litorietà iii 11nfl. nl'lrte di ollPsti T';ptà n"crei

slstemi, da cui si potrehbe ricflvarp, la. nnn-contradrlitto­ di

al tri

,

dovrebbe avvenire mer'li"ntp un

di re un atto

Atto extra-Jo�ico.

di fede.

Dopo la rapida corsa attraverso Ja storia dena matematica e dena logica (inscindibiJmente legate tra loro)

siamo giunti

a

p orre vivi e sconcertanti problemi òel nensiero contemporaneo

,

che ap rono sempre più vasti orizzonti alla mente del ricercatore.

340

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(.) La presente bibliogra.fia, cui si fa costante riferimento nelle note a piè di pagina, non può raccogliere tutti gl'innumerevoli scritti riguardanti le matematiche e la logica, e neppure è stata redatta con la pretesa di eseguire una scelta dei lavori più pregevoli, ma è da intendersi come una documentazione degli scritti tenuti presenti durante la r·edazione del presente volume. Tra questi scritti occupano un posto particolare nella mia mente quelli dei miei venerati Maestri scomparsi, Federico Enriques, Ettore Bortolotti, Giovanni Vacca. Con profonda dolente nostalgia, il mio pensiero si volge alla memoria di Emma la mia sposa, che mi fu vicina con l'intelligenza e con il cuore, dandomi un aiuto prezioso nel curare le prime due edizioni litografate del presente lavoTo, valen­ dosi della sensibilitd e delle conoscenze acquistate nell'analoga collaborazione precedentemente prestata a suo Padre Ettore Bortolotti. All'ordinamento della presente bibliografia, alla compilazione dell'indice dei nomi ed alla revisione delle bozze di siampa, ha collaborato mio figlio Enea.

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