Jean Vigo. Vita e opere del grande regista anarchico

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UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI

P.E. SALES GÓMES

JEAN VIGO 1 Vita e opere del grande regista anarchico

Titolo dell’opera originale Jean Vigo Copyright © Editions du Seuil, 1957 Traduzione dal francese di Daniela Garavini

con 15 fotografie fuori testo

Prima edizione italiana: gennaio 1979 Copyright by

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

A Henri Langlois, Ernest Lindgren e Plinio Sussekind Rocha

Questo libro è stato possibile grazie all'aiuto di Claude Aveline che ci ha lasciato lavorare con tutta libertà negli archivi conservati di Jean Vigo. Alcuni documenti perso­ nali ci sono stati gentilmente trasmessi dalla signora Luce Vigo mentre stavamo redigendo il testo definitivo. Ci hanno dato il loro aiuto, con informazioni o con la trasmissione di documenti, la signorina Antoinette Aubes, Henri Storck, Pierre de Saint-Prix, Gilles Margaritis, Mau­ rice Nicolas, Jean Colin, Jacques Bruel, Georges Caussat, Pierre Merle, Francis Jourdain, Jacques-Louis Nounez, Louis Chavance, Henri Beauvais, Charles Goldblatt, Albert Rièra.

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Capitolo primo

Miguel Almereyda

Eugène Bonaventure de Vigo era figlio di Eugène e ni­ pote di Bonaventure de Vigo, vicario di Andorra nel 1882, il quale, fiero della sua piccola nobiltà di provincia,1 non aveva mai accettato il rapporto tra suo figlio e Aimée Sal­ les, perché lei era una plebea, per quanto famosa in tutta la regione di Perpignano per la sua bellezza. La nascita di un bambino, nel 1883, non gli fece cambiare idea. Eugène, tisico, mori ben presto alla Tour de Carol. Aveva vent'anni. Aimée Salles con il bambino ritornò dai suoi genitori a Perpignano, dove, un anno dopo, incontrò Gabriel Aubès, un giovane fotografo di Séte, che, appena riuscì a trovare una sistemazione, la sposò. Il bambino restò con i genitori di Aimée, mentre la coppia partiva per la Dordogna prima di emigrare a Parigi. Aimée era nervosa e instabile, e la coppia non fu felice. Eugène Bonaventure aveva circa quin­ dici anni quando li raggiunse. L'atmosfera pesante della casa, il nervosismo di Aimée non facilitarono una buona intesa tra il ragazzo e quelli che lui chiamava “mia zia” e “mio zio.” Aubès ne fece un apprendista fotografo e presto l'adolescente visse da solo nella capitale. Conobbe la disoccupazione, la fame e la solitudine, quest’ultima mitigata dalla compagnia degli ambienti anarchici, e il suo nome andò ad aggiungersi agli altri dello schedario di Fouquet, commissario della Terza brigata in­ vestigativa, detta brigata degli anarchici. Tra i libertari egli trovò un grande amico, Fernand Desprès, di poco più gran­ de di lui. Dopo un lungo periodo di disoccupazione, Vigo fu as­ sunto alla ditta Manhès, in rue du Faubourg Saint-Honoré, in qualità di impiegato fotografo. Aveva ottenuto di essere1 1 1 Vigo erano originari della Sardegna ma vivevano dal XIX secolo nella Catalogna francese. Il motto del loro stemma era: “Proteggo il piu debole."

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pagato tutti i sabati c aveva cominciato la sua prima gior­ nata senza un soldo. All’ora di pranzo andava a passeggiare nei giardini delle Tuileries, a guardare gli uccelli che bec­ chettavano. Prima che la settimana fosse finita, il suo af­ fittacamere lo aveva minacciato di non dargli più la chiave se non avesse pagato gli arretrati. Il figlio del padrone, un ragazzino di tredici anni, lo sorprese in lacrime nel labo­ ratorio. Vigo gli confessò la sua disgrazia e il giovane Manhès trovò la soluzione: prese venti franchi dalla cassa del padre. Bisognava soltanto aspettare il sabato per rimetterli a posto. Sfortunatamente la signora Manhès verificò la cas­ sa, interrogò il figlio e sporse denuncia, che fu ritirata do­ po le spiegazioni di Vigo, il quale però dovette cercarsi un altro lavoro. Un giorno, alla fine di maggio del 1900, ven­ nero ad arrestarlo: il tribunale lo aveva perseguito d'uffi­ cio per ricettazione e complicità in furto. La misura era dovuta alla sua scheda di anarchico: fu condannato a due mesi di prigione che scontò alla Petite Roquette. Rispose dapprima con una sfida e cambiò il nome Vigo in un altro in cui uy a la merde," c’è la parola merda: Almereyda. La scelta di questo anagramma è spiegabile con la fede di certi ambienti libertari nel valore rivoluzionario della “parolac­ cia,” e quella, all’inizio del secolo, era ancora tale. Il tutto, Miguel Almereyda, faceva spagnolo e anarchico. Uscito di prigione, Vigo-Almereyda trovò lavoro da Gallay, fotografo al boulevard Saint-Denis, si costruì una bomba per vendicarsi e pubblicò su “Le Libertaire”2 il suo primo articolo, in cui annunciava il gesto che stava pre­ parando. Era esitante di fronte alle reazioni dell’opinione pubblica, che per lui si incarnava di fatto nei consigli di prudenza che sua madre e Gabriel Aubès gli prodigavano e che lo esasperavano. Il che ci valse il suo secondo articolo, Du calme,3 che egli dedicava “A mia zia,” cioè a sua madre e “Al signor Aubès,” che non voleva più chiamare “mio zio." Il corsivista diciassettenne si mostra un po’ villano: ricorda a sua madre e a Aubès le loro avventure di gioventù c conclude con un elogio dell’“orgoglio dell’individuo che si afferma brutale e altero.” Costruì la bomba: un po’ di polvere di magnesio, zolfo per attivare l'esplosione, il tutto in una scatolina di lucido da scarpe avvolta dal fil di ferro e forata per far posto alla miccia. 2 27 gennaio 1901. 3 “Le Libertaire," 9 marzo 1901.

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La vittima prescelta era il giudice che lo aveva mandato in tribunale, ma temendo di colpire degli innocenti, Almereyda lasciò la bomba innescata in un vespasiano di place Voltaire e si mise di guardia a venti metri. Non esplose neppure, c il giovane anarchico fuggi indispettito. Un giorno Fouquet lo convocò per testimoniare su un compagno che era stato arrestato per un affare di esplosivi. In modo del tutto casuale lo interrogò anche su una col­ lezione di bombe che teneva in un armadio a muro. Di fronte alla scatolina di lucido da scarpe, l'occhio acuto del poliziotto colse in Almereyda un attimo di esitazione. Fou­ quet minacciò il giovane fino a ricevere piena confessione. Il 26 giugno 1901, in tribunale, il chimico ufficiale Gi­ rard dichiarò che l’esplosivo contenuto nella scatola era sconosciuto e di una forza incomparabile. Almereyda, sof­ focato dall’emozione e pieno di orgoglio, non disse niente, non spiegò niente e si vide condannato a un anno di pri­ gione, che scontò quasi interamente in isolamento, in cella di punizione, nella penombra e nel silenzio. Almereyda non avrebbe mai più dimenticato i guardiani che facevano finta di allontanarsi per sorprendere i ragazzi mentre tentavano di parlarsi, e li picchiavano con grossi mazzi di chiavi usati come tirapugni. Un secondino di nome Comua passava si­ lenziosamente davanti agli spioncini aperti nelle porte delle celle e di li sputava in faccia ai ragazzi che gli si avvici­ navano. L’imprigionamento di Almereyda non era passato inos­ servato. Laurent Tailhade ne aveva parlato in un articolo, Fernand Desprès aveva chiesto aiuto a un giovane pittore anarchico, Francis Jourdain, il quale, a sua volta, aveva avvertito Séverine, la vedova di Jules Vallès. Insieme, con­ dussero una campagna di articoli e di pressioni per otte­ nere la grazia per Almereyda. Ci riuscirono soltanto un mese prima della fine della pena e andarono nella prigione a cercare il giovane che apparve loro come “un piccolo ribelle povero e generoso, intelligente, pieno di coraggio e di buon umore.”4 Tuttavia, scrive ancora Jourdain, "aveva un'aria triste quel ragazzo tisico che finalmente io e Fer­ nand [Desprès] vedemmo uscire, dopo aver camminato avanti e indietro davanti alla prigione. Era smorto come l'alba che ci teneva compagnia... Giunti a Montmartre e rassicurati dalla fermezza del suo passo, permettemmo al 4 Francis Jourdain. Une enfance, in “Cinéclub,” Parigi, n. 5. febbraio

1949.

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nostro amico di accompagnarci da un compagno che do­ vevamo aiutare a traslocare. Miguel crollò sotto il peso di un armadio, fu preso da una specie di sincope, e ritornò in sé davanti a un cappuccino per scoprire un Fargue scin­ tillante che con un'aria serissima puntava su di lui la mac­ china fotografica da cui non si separava mai c nella quale non inscriva mai la pellicola."' Sévcrine portò Almereyda in campagna, da dove un me­ se dopo tornò in piena forma. Trovò lavoro dal fotogralo Gcrshcll, al boulevard des Capucincs, c ben presto il suo nome ricomparve su "Le Libertaire’** in calce a un mani­ festo antimilitarista insieme a quelli di Sebastien Faure, Pierre Monatte, Fernand Desprès, Victor Meric, Francis Jourdain e altri. All’inizio di ottobre, Almereyda fu testimone delI *ag ­ gressione a un bambino sorpreso a rubare dei pezzi di le­ gno. Con i nervi ancora scossi dalla sua recente esperienza col potere degli adulti, intervenne brutalmente e scrisse an­ che un breve articolo che piacque a Matha. del “Libcrtaire.” Ormai vi collaborava regolarmente e, all’inizio del 1903, Almereyda era diventato uno dei redattori più attivi dell'organo anarchico. In marzo lasciò la ditta Gcrshcll e il mestiere di fotografo per dedicarsi completamente alla mi­ litanza e al giornalismo. Conobbe allora la miseria più nera. Un giorno che si slava dando da fare per organizzare una riunione alle Socictés Savantes, era svenuto per la fame nella sede della Camera del lavoro, benché avesse in tasca la somma ne­ cessaria per l'affitto della sala. Nella primavera del 1903, Almereyda conobbe l’amore grazie all'incontro con Emily Clèro, una giovane militante più grande di lui di qualche anno, che, per seguirlo, aveva lasciato il suo compagno. Philippe Auguste, scultore in le­ gno, dal quale aveva avuto molli figli quasi lutti morti in tenera età. Uno dei sopravvissuti era stato vitiima di un terribile incidente: la madre l’aveva lasciato cadere da una finestra. Francis Jourdain ricorda Emily come una donna molto chiusa, di una resistenza rara e probabilmente di non grande sensibilità. Con il suo sorriso appena abboz­ zalo, che nascondeva, sua unica civetteria, bruiti dentini non sviluppali che superavano appena il livello delle gen‘ “l.cs Lrltres Nouvellcs,” n. I. 1955. * 19 settembre 1902.

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give, Emily aveva per Almereyda c per la causa una de­ vozione discreta, mai spettacolare, ma sicura. All'epoca Almereyda era fortemente influenzato dalla tendenza anarco-individualista. Il pensiero di un Julien Grave o di un Kropotkin gli sembrava accademico. D'al­ tronde. non si soffermò sulla discussione delle idee c ben presto la sua preoccupazione esclusiva divenne l'azione antimilitarista. Nel giugno 1904, l'anarchico olandese Domela Nieu­ wenhuis organizzò ad Amsterdam un congresso interna­ zionale antimilitarista. Grazie a una pubblica sottoscrizio­ ne,’ una folta delegazione francese potè recarsi in Olanda. Ne faceva parte anche Almereyda che fu una delle princi­ pali figure del congresso: una delle sue proposte servi da base per la proclamazione della nuova Associazione inter­ nazionale antimilitarista. PAIA. Almereyda credeva di aver trovato li lo strumento della rivoluzione e fu l'animatore della sezione francese dell * AIA. che comprendeva soprattutto anarchici c sindacalisti, ancora molto vicini fra loro, ma di cui facevano parte an­ che scrittori di tendenze libertarie e alcuni socialisti. Un primo congresso nazionale si sarebbe presto tenuto a SaintEtienne. Una sera di aprile, dopo una delle innumerevoli riunio­ ni di propaganda per il congresso, Almereyda e alcuni suoi amici, tra cui Francis Jourdain, si erano attardati a discu­ tere ancora dopo la riunione e l'avevano praticamente con­ tinuata per strada accompagnando Miguel fino alla porta di casa. “Salite a vedere il mio ultimo piccolo?" chiese Alnicreyda ai suoi amici che replicarono con un tono di diver­ tito rimprovero: "Ancora un altro?" Almereyda aveva la mania dei gatti c aveva già riempito la sua unica stanza, una mansarda, di un gran numero di gatti randagi affamati e malcodoranti. Francis Jourdain lo rimproverava spesso di viziare con le sue bestie l'aria della piccola stanza e soprattutto di sacrificar loro una parte ilclla magre razioni di cui disponeva per sé ed Emily. Ma pur imprecando contro Almereyda, erano saliti tutti a ve­ dere il nuovo pensionante. Pieni di stupore, fu un bambino che essi trovarono nelle 7 La sottoscrizione frutto 1003 franchi c 25.1 due contributi più grossi, di cinque franchi, erano di Elie Faure e di Leon Bluni, Cfr. Cumpiahiliit-sur la campatine preparatore dtt Cunzrès d’Amsterdam, in "Le Libcrtairc." 17 luglio 1904.

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braccia di un’Emily un pò * pallida. Ancora il giorno prima Emily era uscita con loro e come sempre era tornata a casa dopo le lunghe discussioni al caffè. Il bambino era nato qualche ora dopo, senza che un solo grido della madre svegliasse i vicini. Non diversamente dai suoi amici, nessuno nel palazzo aveva notato che Emily era incinta. Passata la sorpresa, l'evento apparve talmente strano che tutti scop­ piarono a ridere. Il discreto arrivo al mondo di Jean Vigo il 26 aprile 1905, a Parigi, in rue Polonceau, figlio di genitori sottoalimentati, in una piccola mansarda sporca e piena di gatti scheletrici, fu considerato un "miracolo di genere co­ mico."89 Almereyda era felice della sua paternità ed Emily decisa a continuare a seguire Miguel dappertutto. Ma durante i viaggi di lui per la preparazione del congresso, Emily si rassegnò a restare a casa con il neonato, però non a Parigi. Il bambino era stato soprannominato Nono, dal nome dell'eroe di una storia per bambini di Jean Grave. Gli era stata trovata una balia volontaria nella persona di Janine Champol, una rivoluzionaria piena di ricordi della Comune e ammiratrice di Almereyda. La signora Blanc, portinaia e donna assennata, moglie di un militante sindacalista, si oc­ cupava anch'essa un po' di Nonò. Tuttavia sia lei che Ja­ nine non potevano disporre di tutto il loro tempo, e la coppia Almereyda, non potendo lasciare il bambino solo a casa con i gatti, se lo trascinava dietro un po' dovunque. “Spesso," racconta Francis Jourdain,’ “nelle assemblee si sentivano gli strilli acuti del piccolo affamato. E Miguel, dalla tribuna, pur continuando ad analizzare la situazione politica o a rispondere agli argomenti di chi lo contrad­ diceva, tirava fuori dalla tasca un biberon e lo passava a un compagno che lo faceva arrivare all’interessato." “Altre sere, era nel fumo coscienziosamente alimentalo dalle pipe di rumorosi propagandisti, che il povero Jean ‘riposava,’ in rue Polonceau. Quando lo scoppio delle no­ stre voci lo svegliava, il padre, senza smettere di gestico­ lare, si avvicinava al lettino, imprimendogli dal fondo un movimento a dondolo che faceva riaddormentare il picci­ no. A mezzanotte morivamo di sete, andavamo a prendere una birra al bar Pioch, sul boulevard Barbès. Piovesse o nevicasse, Nonò veniva tirato su dalla culla, avvolto in una coperta c portato in braccio dalla madre. Emily era stan­ 8 Francis Jourdain, ari. cit.

9 Ibidem.

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chissima, ma non lasciava trasparire nulla, aspettando pa­ zientemente che noi trovassimo la soluzione della questio­ ne sociale.” Al congresso di Saint-Etienne, nel luglio 1905, Almercyda fece conoscenza con Gustave Hervé, un giovane profes­ sore di storia del liceo di Sens e ardente militante anti­ militarista. Tre mesi dopo essi facevano affiggere sui muri di Parigi il "manifesto rosso,” firmato dai membri del co­ mitato dirigente dcll’AIA eletto a Saint-Etienne, in cui si invitavano i futuri soldati a rispondere con 1* insurrezione alla mobilitazione. Tradotti in Corte d'assise furono con­ dannati il 30 dicembre. Accanto a un discorso socialista rivoluzionario di Hervé, la dichiarazione molto coraggiosa di Almereyda non nascondeva tuttavia una confusione e una povertà ideologica certe. Priva di direzione, VAIA era destinata a scomparire. Al­ cuni militanti attribuivano questa sconfitta al fatto che "nelle sezioni dell'AIA gli anarchici sono marciti al con­ tatto con i collettivisti." Nella prigione di Clairvaux l'anarchico Almereyda e il collettivista Hervé si intendevano sempre meglio. La cul­ tura storica di Hervc apriva ad Almereyda orizzonti sco­ nosciuti. Hervé, da parte sua, scopriva in Almereyda un ardore rivoluzionario che, ai suoi occhi, era terribilmente assente nel Partito socialista. Furono tutti liberati da un'amnistia il 14 luglio 1906, e alla fine di quello stesso anno, per iniziativa di Almereyda e del suo compagno Eugène Merle, veniva fondato il set­ timanale “La Guerre Sociale." Su loro richiesta, Gustave Hervé ne divenne in qualche modo il direttore. Gli altri redattori costituivano un sapiente dosaggio di anarchia, so­ cialismo e sindacalismo. Ma non è questo il luogo per rac­ contare particolareggiatamente la ricca storia de “La Guer­ re Sociale." Il governo Clemenceau era in quel periodo la bestia ne­ ra dei rivoluzionari. A forza di odiarlo, "La Guerre Socia­ le" arrivò fino al punto di scrivere a caratteri cubitali: "Ab­ basso la Repubblica! Se i vecchi partiti monarchici aves­ sero un po’ di polso, potrebbero spazzar via la cricca re­ pubblicana che ci governa, e nessuno di noi alzerebbe un dito per difenderla.”10 Maurras, Pujo c i loro amici tendevano l’orecchio. I gruppi de "L’Action Frangaisc” e de “La Guerre Sociale" 10 17 aprile 1907.

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avrebbero presto (atto la piu ampia conoscenza tra loro alla prigione della Sante. I costanti appelli alla ribellione rivolti ai soldati val­ sero a "La Guerre Sociale” una pioggia di condanne. Al­ mereyda, da parte sua, nell’aprile del 1908 fu condannato a due anni di prigione per il suo elogio deirammulinamcnto del XVII battaglione di linea a Narbonne, e a un altro anno per un articolo sulla spedizione in Marocco, per non par­ lare di alcune settimane supplementari avute in tribunale per ingiurie a Clemenceau. I carcerali, che continuavano a esigere dalle autorità un trattamento adeguato alla loro qualità di "prigionieri po­ litici," erano arrivati a rivendicare il diritto di restare nel­ l'ora di visita soli nella loro cella con i parenti c gli amici. Dopo molte insistenze e ripetute lettere di Almereyda, tra­ smesse dall’amministrazione, Clemenceau aveva finito per dare l’autorizzazione per il padre, la madre c la moglie legittima, aveva precisalo legittima, capendo assai bene di che cosa si trattava. Fu desolante, perché nessuno era in regola con le leggi. Almereyda scrisse una nuova lunga let­ tera a Clemenceau per spiegargli che negli ambienti rivo­ luzionari non si dava alcuna importanza alle cerimonie le­ gali c per sottoporgli il suo caso personale, di uno che vi­ veva da molto tempo con una compagna da cui aveva avu­ to un figlio. Inoltre, non aveva potuto trattenersi dal riu­ nire nella lettera tutte le argomentazioni anarchiche in fa­ vore della libera unione. Sembra che leggendola il capo del governo sbottasse: “È troppo! Mi prende per il c...!” ma che finisse per accettarla, con un'unica condizione tuttavia: "Ricevano pure le loro donne, e va bene! Ma attenzione! Esigo che almeno siano sempre le stesse!” Almereyda era contentissimo e non soltanto per la sua vita coniugale che talvolta in tutta discrezione continuava nella sua cella, ma per i momenti di intimità di essa. Festeggiò il Natale con Emily e Nono che aveva già più di tre anni e che ricevette li i suoi regali. Clemenceau era anche alle prese con i monarchici la cui attività cresceva di giorno in giorno. A un certo punto lutti gli uomini più vicini a Maurras e Daudet, cioè Pujo. Real del Sarte e Plateau si ritrovarono chiusi alla Sanie. Face­ vano vita in comune con i rivoluzionari e stavano pren­ dendo in considerazione la possibilità di un accordo tra l’estrema destra c l’estrema sinistra nella lotta contro il governo repubblicano. Miguel Almereyda restò in carcere lino all’agosto del 14

1909. Benché la sua salute si fosse fatta malferma, appena liberato, si buttò con passione nella campagna a favore di Francisco Ferrer, il maestro che era stato condannato a morte a Barcellona. Per qualche giorno “La Guerre Socia­ le" divenne quotidiano e Almereyda ebbe una parte impor­ tante nelle manifestazioni che si conclusero con l'organiz­ zazione di un gigantesco corteo di 500000 persone guidate da Jaurès. Di fronte alla constatazione di quanto i gruppi fossero stati sorpassati dagli avvenimenti, per Hervé e Almereyda si fece pressante la necessità di un'organizzazione rivolu­ zionaria. Ideologicamente essi erano già passati dall’anti­ militarismo al militarismo rivoluzionario. Ritenevano or­ mai che non bisognasse più distogliere il soldato dal suo mestiere, ma conquistarlo alle idee rivoluzionarie. Per mesi Almereyda sondò le diverse tendenze in vista della creazione di un Partito rivoluzionario, prima di but­ tarsi nell" affare * Liabeuf."" che fu lui a gestire. Il giorno che il giovane calzolaio venne ghigliottinato, alcune decine di migliaia di persone guidate da Almereyda premevano alle due de) mattino contro le transenne poste all'incrocio Saint-Jacques gridando: "Assassini! Assassini!" Si sentiro­ no dei colpi di pistola e un ispettore della brigata antianarchici fini ucciso. A fianco di Almereyda c'era un com­ pagno di origine russa, Kibal'ciè, che in seguito diventerà Victor Serge. Per un articolo in difesa di Liabeuf, Hervé fu pesan­ temente condannato e Almereyda rimase solo a dirigere il giornale. Stressato, mandò Nonò per qualche tempo da Ga­ briel Aubès che aveva messo su un negozio di fotografo a Montpellier. Lo aiutava una nipote che si affezionò mol­ lissimo a Jean e che spesso, in seguito, chiese di tenere con sé il bambino, per il quale i soggiorni nel Mezzogiorno erano delle vere e proprie cure. Il ritmo agitato di vita di Almereyda e di Emily minava la loro salute e quella del loro figlio. Nell'ottobre del 1910, lo sciopero delle ferrovie diede grandi possibilità d'azione al gruppo de “La Guerre Socia­ le," che creò una organizzazione di lotta con lo scopo di centralizzare il sabotaggio. Almereyda e Merle raggiunsero molto presto Hervé nel braccio dei politici della Sante, do­ ve proseguirono il lavoro di rettifica della loro ideologia e 11 Ingiustamente accusato di essere uno sfruttatore di prostitute, Liabeul aveva ucciso un agente della buon costume.

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constatarono che le attività della destra nazionalista erano diventale pericolose. Liberato nel marzo 1911, Almereyda creò le “Giovani guardie rivoluzionarie.” La polizia avrebbe presto cono­ sciuto il loro coraggio tanto che, trentanni dopo, Lépine nelle sue memorie le ricordava ancora. Compiendo una decisa marcia indietro rispetto al loro ottimismo libertario, Almereyda e i suoi amici erano ar­ rivali al punto di voler organizzare lutto e intraprendere con coerenza e costanza un'opera di controspionaggio. Co­ minciarono con lo smascherare come poliziotto un ammi­ nistratore del “Libcrlaire," poi scoprirono che un militante sindacalista, Lucien Métivier, era un informatore. Lo con­ vocarono e qualche ora dopo, alla presenza dei rappresen­ tanti di molli giornali, i redattori de “La Guerre Sociale,” costituitisi in tribunale rivoluzionario, giudicarono la spia. Costui confessò e si venne a sapere ira lo stupore generale che era stato reclutalo da Clemenceau in persona. 11 giorno dopo lutla la stampa criticava i governi da Clemenceau a Caillaux, ultimo nel tempo, per i metodi quanto meno dubbi usati per tener lesta alla classe operaia. Caillaux rispose facendo invadere “La Guerre Sociale," ma Almereyda e Merle erano partiti per Bruxelles dove li ac­ colse il loro amico Victor Serge, (che si chiamava ancora Kibal'éié). Erano entrambi molto cambiati dal tempo del loro ultimo incontro. Almereyda, che stava diventando sempre più "realista," trovò un Victor pieno di velleità tolstoiane c lo prese violentemente in giro. Kibal’cic gli rispose in tutta tranquillità: "Resterai soltanto un arrivista, siete parliti con il piede sbagliato.” Al che Almereyda esa­ sperato replicò: “Non capisci niente di Parigi, caro mio. Butta via i tuoi romanzi russi. A Parigi la rivoluzione ha bisogno di soldi. Al processo per sequestro e violazione di domicilio, che si svolse in agosto, Almereyda provò che Mctivicr era un agente provocatore e che aveva lancialo una bomba contro la casa di un giornalista di "La Patrie,” e tutto il gruppo di “La Guerre Sociale” venne assolto con le felicitazioni della giuria. Almereyda continuò la sua instancabile campagna per la riconciliazione di tutti i rivoluzionari (comunisti, liber’* Vk :« Su«,i.. Mérnoire * d'im re\nlmìiniuuirt: 1901-1941. Parigi. Edi­ tions dii Seuil, 1951 (Ir. it. Memorie di tm rivoluzionario 1901-1941. Firenze. La Nuova Italia. 1976).

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i ari, seguaci di Guesde e anche di Jaurès), con tempo ranca­ li iciile però rinasceva il conflitto tra "La Guerre Sociale" e i sindacalisti rivoluzionari. Alla fine del 1911, in uno scontro con la polizia, Almci cyda ricevette una sciabolata sulla testa che lo costrinse a letto per una settimana e, appena alzatosi, dovette di nuovo tornare a letto per una nefrite. Si alzò per preparare un numero speciale a otto pagine di "La Guerre Sociale," pieno di lettere di personalità a Gustave Hervé, ancora in prigione. L'area dei simpatizzanti di "La Guerre Sociale" si era notevolmente allargata. Comprendeva gli anarchici» i sindacalisti, l'estrema sinistra socialista rappresentata per l'occasione da Vincent Aurìol, fino alla destra socialista di Marcel Sembat, passando per Guesde e Jaurès. E venivano (piasi lambiti gli ambienti radicali. "La Guerre Sociale," che continuava la sua campagna per l'accordo tra i rivoluzionari, cominciava però a sotto­ lineare il valore dell’idea di repubblica. Scivolava insomma dalla sinistra sociale alla sinistra politica, come è spesso accaduto in Francia. La rottura tra "La Guerre Sociale" e la maggioranza degli anarchici si compì nell'ottobre 1912 e in dicembre Almereyda dava la sua adesione al Partito socialista. I suoi amici Merle e Emile Dulac e le sue “giovani guardie" lo seguirono. All’inizio del 1913, Almereyda guidò le Giovani Guardie in una serie di interventi, spazzando via dal Quartiere La­ tino i partigiani della monarchia, i "Camelots du Roi." I politici e i professori socialisti e radicali erano stupefatti e contenti di poter tenere tranquillamente comizi e conferen­ ze nel Quartiere Latino. E Almereyda ritrovava negli am­ bienti della borghesia illuminata della capitale il prestigio perduto negli ambienti libertari e sindacali. Il successo ot­ tenuto dal gruppo di "La Guerre Sociale," che aveva fatto passare la tiratura del giornale da 15000 copie nel 1908 a 50000, aveva fatto impressione; Almereyda era considerato uno dei migliori segretari di redazione della stampa pari­ gina, c questa fama gli valse» a lui come a Merle, l’invito a collaborare al settimanale di politica intemazionale "Le Courrier Européen,” di cui Charles Paix-Séailles si prepa­ rava a lanciare la nuova serie. Nel marzo 1913, Hervé an­ nunciava con parole commosse il congedo suo, di Alme­ reyda e di Merle» da "La Guerre Sociale." I due amici coltivavano nuove relazioni c si prepara­ vano a realizzare un vecchio progetto: un settimanale sa17

ùrico. Fu Paix-Scailles a fornir loro i mezzi per lanciare nel novembre 1913 “Le Bonnet Rouge" e a incoraggiarli a tra­ sformarlo in quotidiano, come doveva avvenire il 24 marzo 1914. Almereyda ne diventava redattore capo e Merle se­ gretario generale. La redazione era completata da un grup­ po di giovani, quasi tutti vecchi compagni: Victor Méric, Goldsky, Dolié, Maurice Foumier, Fanny Clar, Raphael Di­ ligent. Fin dal primo numero il denaro raccolto era stato speso e, racconta Foumier,’1 solo grazie all'“eccezionale dedizione degli amici e collaboratori, il giornale potè con­ tinuare a uscire." La cosa fu possibile anche grazie al lea­ der radicale Joseph Caillaux che diede il suo appoggio al giornale, che aveva preso le difese di sua moglie sotto pro­ cesso in assise per aver ucciso il direttore del “Figaro." Di fronte alla crisi europea, Almereyda, a corto di idee, ricopia gli editoriali di Hervé. Il 31 luglio “Le Bonnet Rou­ ge" riproduce un articolo dal titolo // militarismo rix>oluzionario dove le loro formulazioni acquistano un signifi­ calo nuovo: “Oggi, come nel 1793, oggi come ai tempi delle guerre ad oltranza che sfociarono nella Comune, il nostro patriottismo rivoluzionario sarà, se il caso lo permetterà, la grande risorsa, la suprema salvaguardia della patria in pericolo.” “Le Bonnet Rouge,” come pure “La Guerre Sociale.” si erano lanciati all'attacco della stampa sindacale e sociali­ sta che con le loro oscillazioni rappresentavano il volto francese della disfatta dei movimento operaio europeo di fronte alla guerra. Quando Jaurès fu assassinato, Almereyda era al Café du Croissant con Nonò, che giocava con il figlio del padrone. All'inizio delle ostilità gli articoli di Almereyda non diver­ gevano affatto dal coro della stampa francese. Al momento della dichiarazione di guerra, egli aveva ottenuto dal mi­ nistro Malvy la non applicazione del protocollo B, una fa­ migerata lista di sospetti che avrebbero dovuto essere ar­ restati in caso di mobilitazione. Tra i due uomini si era creato un legame, e forse anche una certa amicizia. Quando le vendite del “Bonnet Rouge" diminuirono, Malvy accordò ad Almereyda delle sovvenzioni con i fondi segreti del mi­ nistero degli Interni. Dopo la battaglia della Marna, però, ci fu un brusco cambiamento di tono negli articoli di Almereyda. Aveva 13 Maurice Fournier, Mietici Almereyda. f.’Affaire du Bonnet Roune, Parigi, cd. Lang, Blanchong c Cie. 1917.

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visitato i campi di battaglia e nei suoi articoli di impres­ sioni, non scriveva più di barbari e di crucchi, o dell’eroisnio dei soldati francesi, parlava soltanto dei cadaveri dei giovani e degli orrori della guerra. Il primo gennaio 1915. tracciando un bilancio dell'anno trascorso, Almereyda seri * veva: “Hai risvegliato in ognuno di noi bestialità ancestrali c suscitato mostri.” Nello stesso tempo era divenuto chiaro che 1' Union So­ irée non reggeva più e che si poneva il problema di sapere se la guerra sarebbe stata diretta da destra o da sinistra. Il governo in carica era orientato a sinistra, ma le forze po­ litiche nazionaliste, militariste e clericali non intendevano perdere una occasione come questa. “Le Bonnet Rouge” adottò una linea di “difesa repubblicana”: lodare il parla­ mento, il governo e i generali “non gesuiti,” come Sarrail, antico difensore di Dreyfus, lottare contro l'influenza cle­ ricale, criticare Barrès e "L’Echo de Paris” e anche natu­ ralmente “L’Action Fran?aise.” Molti parlamentari co­ minciarono a collaborare al “Bonnet Rouge.” Si era aperto un ventaglio che andava dalla sinistra del Partito radicale, con Ferdinand Buisson e Edouard Herriot, fino alla destra c al centro del Partito socialista, con Marcel Cachin e Jean Longuet, il nipote di Marx. Quando nell'agosto 1915 Sarrail fu designato al coman­ do del l'armata orientale, a Salonicco, Almereyda diede grande importanza alla sua nomina. “Le Bonnet Rouge," tramite Paix-Séailles, ricevette una documentazione confi­ denziale per una campagna di stampa sulle necessità mi­ litari in Oriente. E anche in seguito, e più di una volta, Almereyda riceverà documenti per nuove campagne di stampa. Egli li custodiva, utilizzati o meno che fossero, nella cassaforte del giornale. “Le Bonnet Rouge” cominciava ad attaccare alcuni membri del governo, come Millerand, e il suo anticlerica­ lismo era in continuo e quotidiano aumento. E difficile in quell’epoca individuare nel giornale di Almereyda una li­ nea politica coerente. I suoi articoli erano diventati bre­ vissimi e rimaneva a lungo senza scrivere. Era occupato ad altro. Per far fronte al bisogno di soldi del giornale c anche a quello suo personale, che diventavano rilevanti, Almerey­ da dovette impegnarsi nelle operazioni più svariate. Una delle prime campagne del “Bonnet Rouge” era sta­ la quella contro l’alcoolismo, e ora sul giornale si difen­ deva l'assenzio minacciato da una legge. Il giornale aveva cominciato a ricevere sovvenzioni dalla ditta Pemod e da 19

un sindacato di venditori di bibite, attraverso l’agenzia pubblicitaria di Marion, che talvolta accordava ad Alme­ reyda anticipi di un certo rilievo. Buona parte di quelle sovvenzioni veniva usata da Almereyda per soddisfare i suoi bisogni personali. In effetti, dopo esser diventato direttore di un giornale introdotto negli ambienti della politica e degli affari della borghesia radicale (ambiente di "gaudenti tarati i cui costumi ricor­ dano quelli del Direttorio,"’* si lamentava una volta il pu­ dibondo Hervé), la vita privata di Almereyda era cambiata ancor più profondamente della sua vita politica. Attraverso i documenti è possibile seguire le tappe di quest'ultima, ma la documentazione delle biblioteche non può fornirci sulla sua vita privata poco d’altro che gli echi di feroci cam­ pagne, il cui controllo esigerebbe un lavoro di indagine molto delicato. Per parlare soltanto dei tre temi costan­ temente cari alla penna dei suoi avversari — le macchine, le case, le amanti — il loro numero c la loro marca cambia in continuazione: Monniot ci parla di "tre amanti costose, tre residenze e tre macchine,Daudet, quanto a lui, parla di due famiglie, di un palazzo privato, di una villa a SainlCloud e delle "cinque o sci macchine che Almereyda pos­ sedeva.’’14 *16 In ogni modo nel 1915 il suo vecchio amico Francis Jourdain smise di frequentarlo. “Cessai di vedere Miguel, un po' sconcertante. Direttore di un quotidiano, aveva una macchina, un palazzo, dei tirapiedi e amanti costoso."17* Uscito di prigione, Kibal'ciò andò a trovarlo al “Bonnet Rouge" c lo trovò nel suo “ufficio di redazione-bomboniera in stile Impero sui Grands Boulevards, più elegante, più Rastignac che mai." Come quasi tutti i rivoluzionari, an­ ch’egli smise presto di vedere Almereyda, che faceva, come essi ironicamente dicevano, "alta politica nei bassi retro­ scena dell’alta finanza."1* Probabilmente il racconto di Daudet. senza tener conto dei deliri sulle macchine e dell’esagerazione sul palazzo, è il più vicino alla realtà. Seguendo la moda del mondo in cui si era inserito, Almereyda aveva installato la sua aman14 Prefazione a Mo crimes. Parigi. Editions de “La Guerre Sociale.” s.d. (ma 1912). Ai ami Monmoi. Le mystére de Frcsites. Parigi. 1919. 16 Deposizione di Daudet al processo Malvy, in ’La Revue des Causes Cclebrcs.” 17 I’ram is JovkbAlx. ari. cil. 1,1 VictorSrRtiF., op. rii.

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ir ufficiale. Emilienne Brévcnnes, in un appartamento di Montmartre e affittato a Saint-Cloud una villa per sé c per la sua famiglia, cioè Emily e Nonò. Emily faceva la sua \ ita. Il bambino vedeva appena i suoi genitori, travolti dalragitazione delle loro vite, e restava per la maggior parte