Paolo di Tarso e le origini cristiane

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Paolo di Tarso e le origini cristiane

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GIUSEPPE BARBAGLIO

Nato a Crema (Cr.) nel 1 934, ha stu­ diato a Roma, a Gerusalemme, a Ur­ bino, conseguendo la laurea in teolo­ gia, la licentia docendi in scienze bi­ bliche e la laurea in filosofia. Ha insegnato nella Facoltà teologica dell' Italia settentrionale. È autore delle seguenti pubblicazioni :

l) Fede acquisita e fede infusa se­ condo Duns Scoto, Occam e Biel, Bre­ scia 1968; 2) I Salmi (in coli. con L.

Commissari ed E. Galbiati), Brescia 1 972; 3) L'anno della liberazione, Brescia 1974; 4) Il vangelo di Mat­ teo nell'opera « I Vangeli », Assisi 1975; 5) Le lettere di Paolo, voli. I-II, Roma 1980. Inoltre ha curato, insieme con S. Dianich, il Nuovo Di­ zionario di Teologia, Roma 1977 e dirige, presso le Edizioni Dehoniane di Bologna, la collana « La Bibbia nella storia » . Collabora a diverse riviste bibliche.

PAOLO DI TARSO E LE ORIGINI CRISTIANE

Paolo di Tarso da vivo ha imposto nella chiesa apostolica la sua presenza di apostolo inviato direttamente da Cristo al mondo pagano, non senza però riserve, contrasti e contestazio­ ni. Dopo morte, ha conosciuto fedeli seguaci, ammiratori entusiasti e ac­ caniti avversari. Ma è anche rimasto sconosciuto o ignorato in non pochi scritti cristiani delle origini, come i vangeli sinottici, l 'opera giovannea e altri ancora. Perché non finisse mono­ polio degli « eretici », verso la fine del secondo secolo, Ireneo lo ha ri­ vendicato alla grande chiesa. La presente è una ricerca storica, con­ dotta con rigore sulle antiche fonti di informazione e capace, ancor oggi, di suscitare un fecondo confronto con Paolo di Tarso e le sue numerose im­ magini tratteggiate nel cristianesimo delle origini.

della stessa collana

Rinaldo Fabris GESU' DI NAZARETH storia e interpretazione

2a ed. - ril. in covipel - pagg. 412

-

L. 20.000

Ortensio da Spinetoli MATTEO commento al vangelo della chiesa

4a ed. agg iornata - ril. in covipel - pagg. 808 Ortensio da Spineto l i LUCA il vangelo dei poveri

r i l . in covipel - pagg. 776 - L 25.000 Raymond E. Brown LA NASCITA DEL MESSIA secondo Matteo e Luca

ril. in covipel - pagg. 798 - L 27.000

-

L 28.000

GIUSEPPE BARBAGLIO

PAOLO DI TARSO E LE ORIGINI CRISTIANE

CITTADELLA EDITRICE ASSISI

In copertina: «

Gesù e Paolo ..

affresco (part.) del IV sec. Roma, cat. di via D. Compagni. Foto della Pontificia Commiss. di Archeologia Sacra pubblicata su • Jesus • 1983, n. 20.

© by Cittadella Editrice novembre 1985

·

Assisi

A

Carla, mia moglie e ai miei figli, Anna e Francesco

Prefazione

Più volte e con qualifiche talvolta contrastanti si è ten­ tato di definire Paolo di Tarso. Nei tempi moderni, per esempio, F. C. Baur (t 1860), fondatore della celebre scuola storico-critica di Tubinga, lo ha inquadrato storicamente quale antagonista di Pietro e del partito petrino, difensore di una visione universalistica contro il particolarismo degli apostoli di Gerusalemme. All'inizio del nostro secolo, W. Wrede ne ha parlato in termini di «secondo fondatore del cristianesimo ». Nello stesso tempo, A. Schweitzer ha visto in lui soprattutto un mistico, teorico di una mistica cristocentrica. Con disprezzo invece, nell'«Anticristo» Nietzsche lo ha bollato con l'epiteto di « disangelista», cioè annunciatore di una cattiva novella. Valutazioni diverse sul suo conto erano state fatte già nel cristianesimo del I e II secolo: rivelatore privile­ giato del «mistero » di Dio, vale a dire del progetto sal­ vifico divino incentrato in Gesù Cristo (lettere ai Colossesi e agli Efesini); maestro della «sana dottrina� (lettere Pastorali); testimone di Cristo davanti ai popoli (Atti de­ gli Apostoli); il solo vero apostolo, ispiratore della pura religione cristiana dell'amore (Marcione); fatto «a imma­ gine del Paracleto» (gli gnostici); annunciatore di un falso vangelo (giudeo-cristiani tradizionalisti); propagandista del­ l'astinenza sessuale e della verginità (Atti di Paolo); glo­ rioso martire a Roma (Clemente Romano e Ignazio Antio­ cheno). Do vivo, egli ha imposto nella chiesa apostolica la sua de7

terminante presenza di apostolo inviato direttamente da Cristo al mondo pagano, non senza però riserve, contrasti e fiere contestazioni. Dopo morte, ha conosciuto fedeli se­ guaci, ammiratori entusiasti e avversari accaniti; ma è ri­ masto sconosciuto, o comunque ignorato, in non pochi scritti cristiani delle origini, come i vangeli sinottici, l'opera giovannea ed altri ancora. Nel sec. II gli gnostici cristiani e i seguaci di Marcione ne hanno fatto una bandiera gli uni, la loro bandiera gli altri; sul versante opposto, gli ebio­ niti, difensori di una cristologia « povera » (Cristo, sempli­ ce uomo) e fedeli alle prescrizioni giudaiche, lo hanno scomunicato come eretico: il primo eretico della storia cri­ stiana! Ireneo però si è impegnato efficacemente a riven­ dicarne le lettere e la teologia alla grande chiesa, liberan­ do/o dall'ipoteca di segno gnostico e marcionitico e difen­ dendolo dalla ricusazione degli ebioniti. Anche la leggenda popolare si è impossessata della sua straordinaria figura. La presente è una ricerca storica, condotta con rigore sul­ le antiche fonti d'informazione in nostro possesso. Ho così ricostruito, nei limiti del possibile, le tappe della vita di Paolo,, ma anche analizzato il complesso fenomeno del­ la sua re,cezione - persona, lettere e pensiero teologico nel cristianesimo dei primi due secoli. Una delimitazione suggerita dalla constatazione che nella patristica successiva l'apostolo sarà ormai un pacifico possesso, non più pomo della discordia. Mi sono premurato di contestualizzare Paolo nel vasto quadro della èhiesa apostolica e di caratterizzarne la posi­ zione in rapporto agli altri protagonisti: Pietro, Giacomo fratello del Signore, il gruppo degli apostoli gerosolimita­ ni, l'ala aperturista di Stefano e compagni, i numerosi pro­ pagandisti del vangelo cristiano operanti allora in Pale­ stina e nell'impero romano. La sua storia infatti è, in gran parte, lct storia del cristianesimo nascente. Ma non è stato disatteso il contesto più ampio del giudaismo del tempo e del mondo greco-romano del J secolo. L'impostazione storica dell'opera ha richiesto la netta di­ stinzione, in seno all'epistolario paolina, delle sette lettere autentiche (prima lettera ai Tessalonicesi, le due lettere ai Corinzi. lettere ai Galati, ai Filippesi, a Filemone e ai 8

Romani) dalle lettere pseudepigrafiche (seconda lettera ai Tessalonicesi, lettere ai Colossesi e agli Efesini, lettere Pa­ storali), che portano il nome dell'apostolo ma sono, in realtà, il frutto letterario della sua « scuola ». Parimenti, per ricostruire la vicenda di Paolo, solo con avvertito sen­ so critico, sono stati utilizzati gli Atti degli Apostoli 1• Lo studio mi ha portato a rilevare l'esistenza di molte­ plici immagini di Paolo di Tarso, passando da quella da lui stesso offerta nelle sue lettere autentiche alle nume­ rose altre elaborate in ambito cristiano dal 70 al 200 e che ho menzionato sopra. Dal punto di vista dogmatico, si distinguerà tra immagini ortodosse e immagini etero­ dosse, accettando le une e rifiutando le altre, tra il Paolo parte integrante del canone degli scritti del Nuovo Testa­ mento e il Paolo non canonico, riservando al primo la prerogativa di indiscussa autorità nel campo della fede cri­ stiana. Lo storico invece s'interessa ugualmente a tutte, collocando ciascuna nel suo contesto storico e comparan­ dole tra loro. Può così evidenziare l'eccezionale ricchezza di colui che ha suscitato tanti « ritratti », senza però iden­ tificarsi totalmente con questo o con quello. Non senza paradossalità, ma anche" con un'anima di verità, infatti, Harnack ha affermato: « Solo un pagano-cristiano ha com­ preso Paolo, Marcione, il quale però lo ha grossolanamente frainteso » 2• E non potrà che essere fecondo, anche oggi, il confronto critico con lui e le sue numerose immagini tratteggiate nel cristianesimo delle origini. GIUSEPPE BARBAGLIO

1 Un impegno particolare ha richiesto la traduzione dell'epistolario pa� lino e degli altri scritti cristiani antichi analizzati nell'opera. Delle sette lettere paoline autentiche, spesso citate, ho presentato una mia tradu­ zione dal greco, che solo qua e là si discosta da quella pubblicata in Le lettere di Paolo, Roma 1980. I restanti libri del Nuovo Testamento sono stati citati, di regola, secondo la traduzione italiana ufficiale. Per gli altri scritti cristiani ho seguito ora eccellenti traduzioni in commer­ cio, ora ho verificato personalmente sul testo originale versioni non sempre e del tutto soddisfacenti, in pochi casi ho tradotto direttamente; sempre comunque è stata annotata la scelta compiuta. La bibliografia indicata e tutta direttamente controllata è frutto di una selezione che ha inteso privilegiare gli studi più importanti e a me ac­ cessibili. 2 Cf. Lehrbuch, der Dogmengeschichte vol. l, Tiibingen 4 1909, 100.

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Abbreviazioni

AT NT LXX

Antico Testamento Nuovo Testamento Traduzione greca dell'AT, detta dei Settanta

Libri deii"Antico Testamento

Ab Dt Es Ez Gen Ger Is Nm Sal

Abacuc Deuteronomio Esodo Ezechiele Genesi Geremia Isaia Numeri Salmi

Libri del Nuovo Testamento

Ap At Col l Cor 2 Cor Eh Ef Fil Fm Gc Gv lO

Apocalisse Atti degli Apostoli Lettera ai Colossesi Prima lettera ai Corinzi Seconda lettera ai Corinzi Lettera agli Ebrei Lettera agli Efesini Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone Lettera di Giacomo Giovanni

Le Mc Mt l Pt 2Pt Rm l Tm

2Tm l Ts 2Ts Tt

Luca Marco Matteo Prima lettera di Pietro Seconda lettera di Pietro Lettera ai Romani Prima lettera a Timoteo Seconda lettera a Timoteo Prima lettera ai Tessalonicesi Seconda lettera ai Tessalonicesi Lettera a Tito

Principali riviste

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Collane

BZNW Q. D. S. C.

TU

Beihefte zur Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft Quaestiones Disputatae Sources Chrétiennes Texte und Untersuchungen

11

libri del Padri Apostolici

l Clem. 2 Clem.

Prima lettera di Gemente Romano Seconda lettera, pseudepigrafica, di Gemente Romano

Ignazio d'Antiochia: lettere - Eph. alla comunità di Efeso - Magn. alla comunità di Magnesia alla comunità di Filadelfia - Philad. - Polic. a Policarpo - Rom. alla chiesa di Roma - Smirn. alla chiesa di Smirne - Trall. alla comunità di Tralli

Altre abbreviazioni

Fs. PG PL

12

Festschrift (volume in omaggio Patrologia Greca Patrologia Latina

a

uno studioso)

capitolo pri mo

LE FONTI DI INFORMAZIONE

La distanza che ci separa da Paolo è grandissima: quasi duemila anni! Come dunque superare questo abisso e co­ gliere la sua viva realtà, compito proprio di ogni ricerca storica che indaga il passato partendo dal presente? L'u­ nica possibilità è offerta dall'esistenza di attendibili testi­ monianze. In concreto, ci dobbiamo affidare a documenti scritti di quel tempo remoto, capaci di fare da ponte tra l'oggi e l'antichità. La loro funzione può essere esemplar­ mente paragonata a quella del cavo telefonico: se questo mette in comunicazione persone localmente distanti, le testimonianze letterarie rendono possibile il dialogo tra uomini divisi dall a barriera del tempo. Dico dialogo, perché la lettura dei testi non si riduce a puro e semplice ascolto delle voci che vi risuonano. Ancor prima, essa suscita in noi domande, appelli, interrogazio­ ni. Si tratta, in realtà, non di una registrazione a più o meno alta fedeltà meccanica, bensl di un impegnativo confronto tra generazioni diverse. La distanza cronologica infatti è anche distanza culturale e storica. Detto altri­ menti, la soggettività del lettore, che è pure interprete, non può e non deve essere messa tra parentesi. Al contra­ rio, il suo coinvolgimento appare non solo inevitabile, ma anche legittimo in una ricerca storica libera dall'illusoria pretesa positivistica di ricostruire oggettivamente il passa­ to, incasellandolo nel museo dei reperti del tempo andato. Per esprimerci con un'opportuna distinzione di R. Bult13

mann 1, lo storico è chiamato a tenersi libero dai precon­ cetti, non dalle precomprensioni che lo definiscono come uomo della sua epoca: quelli sono veri e propri paraoc­ chi deformanti, queste invece stimolano il confronto. Ora, quali testimonianze storiche abbiamo di Paolo? An­ zitutto, ci sono giunte le sue lettere. Per la verità, delle tredici che nell'intestazione portano il suo nome, soltanto sette sono unanimemente riconosciute autentiche dalla cri­ tica moderna: la prima lettera ai Tessalonicesi, le due lettere ai Corinzi, la lettera ai Galati, la lettera ai Romani, la lettera ai Filippesi, la lettera a Filemone. Le altre sei ( seconda lettera ai Tessalonicesi, lettera ai Colossesi, lette­ ra agli Efesini , due lettere a Timoteo e una a Tito) sono giudicate pseudepigra:fiche. Scritte dopo la sua morte da discepoli non meglio individuati, furono pubblicate sotto la sua autorità di apostolo secondo un procedimento lette­ rario allora in uso. Di fatto, vi risuona la voce della « scuola » paolina e come tali devono essere valutate in sede storica. L'anonima lettera agli Ebrei, poi, attribuita successivamente a Paolo dalla tradizione cristiana, non soltanto non è dell'apostolo, ma neppure può essere inse­ rita nel filone della tradizione paolina. Ovviamente, saranno le sette lettere autentiche di Paolo la principale fonte d'informazione a cui attingere. Egli vi si esprime in prima persona, testimone immediato e diret­ to di se stesso. Non potremmo desiderare di meglio : chi infatti più di lui può essere informato della sua vicenda e del suo pensiero? In breve, ogni altra testimonianza do­ vrà fare i conti con la sua autotestimonianza, integrandola magari ma, certo, non infìrmandola. Tuttavia si deve subito precisare che le lettere di Paolo non sono in grado di darci una documentazione esaurien­ te. Già a un primo esame appare evidente la loro incom­ pletezza, frammentarietà e lacunosità. Sono state scritte nell'ultimo decennio della vita dell'apostolo, cioè negli anni 50; riflettono dunque il periodo della maturità. Le retrospettive, che pure non mancano, sono poche di nut

Cf. lo studio: Ist voraussetzungslose Exegese moglich?, in ben und Verstehen », III, Tilbingen 1960, 142-150. 14

(
(citato da R. Penna, L',,mbietlt(' Ilo;·icn-cultumlc del­ le origini cristiane, Bologna 1984, 207).

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..

Hist. 60, 17, 3 ) A questo punto ovvia appare la deduzio­ ne: nello stesso anno 5 1 /52 Paolo era a Corinto. .

Ma nasce anche l'interrogativo : durante la prima predica­ zione, oppure in una visita successiva? Si ripercuote qui l'alternativa notata sopra a proposito dell'editto di Clau­ dio contro i giudei di Roma: i due riscontri cronologici sono simultanei e inquadrano l'evangelizzazione di Corin­ to, oppure i due fatti sono separati da un decennio e il primo si riferisce alla prima predicazione dell'apostolo nel­ la città dell'istmo, mentre il secondo combina con una visita successiva alla comunità corinzia? Possibilità questa che emerge da un'attenta analisi del capitolo 1 8 degli Atti, che solo apparentemente descrive di seguito l'incon­ tro di Paolo con Aquila e Priscilla, appena giunti da Roma, e la sua traduzione davanti al tribunale di Gallio­ ne. In realtà, a giudizio di G. Liidemann 13, l'autore unireb­ be qui in un solo racconto tradizioni che originariamente riguardavano diversi soggiorni dell'apostolo a Corinto. Ma sembra preferibile evitare questa ricostruzione del tut­ to ipotetica e soggettiva di Liidemann e attenerci alla sola testimonianza credibile degli Atti circa il governatorato di Gallione, durante il quale Paolo evangelizzò la città di Corinto, cioè negli anni 49-5 1 (o anche 50-52 ). Infine, il libro degli Atti afferma che, dopo un biennio di governatorato, Felice fu sostituito da Porzio Festa mentre Paolo era prigioniero a Cesarea (24, 27 ) 14• In quale an­ no? Giuseppe Flavio testimonia che Felice, lasciato l'inca­ rico a Festa, fu accusato dai giudei di Cesarea presso l'imperatore romano, trovando però a Roma il prezioso appoggio del fratello Pallas, che dunque era ancora in auge presso l'imperatore (Ant. 20, 1 82 ) 15• Ora dagli An13

O p. cit., 174-180. L'annotazione degli Atti: « Dopo un b!ennio Felice ebbe pèr succes­ sore Porzio Festa » (24, 27) si riferisce, con tutta probabilità, alla du­ rata del governatorato di Felice e non alla detenzione Ji P:!olo n Cesa­ rea, come invece ritengono alcuni stu d iosi tra cui Jewett. 15 « Dopo che Porzio Festa fu inviato da Nerone a sn.:ccderc a Felice, i capi dei giudei di Cesarea andarono a Roma per accus:\re Felice, che sarebbe stato certamente punito di tutte le sue iniquità commesse con­ tro i giudei se Nerone non avesse mostrato grande condiscender:zl per le suppliche di Pallas, fratello di Felice, che aJlora godeva del più gr�ndc credito presso di lui » . 14

,

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nali di Tacito sappiamo che Pallas cadde in disgrazia immediatamente prima dell'avvelenamento di Britannico, figlio di Claudio, avvenuto durante le feste saturnali che iniziavano il 1 7 dicembre, poco prima che il ragazzo com­ pisse 14 anni (XIII, 1 4- 1 5 ) 16• Da parte sua, Svetonio (Claud. 27 ) afferma che Britannico nacque il secondo an­ no del regno di Claudio, dunque nel 42 17• La sua uccisio­ ne perciò avvenne alla fine del 55 e Pallas cadde in disgrazia poco prima. Si deduce che Felice lasciò a Festa il governatorato della Giudea e venne a Roma nell'estate del 55, appunto quando Pallas, ancora potente, poté in­ tercedere per lui. In conclusione, quanto attiene a noi, è nel 55 che Paolo giunse a Gerusalemme l'ultima volta, vi fu arrestato e quindi rinchiuso in carcere a Cesarea. Se questi sono i dati delle lettere paoline e della prima biografia di Paolo, le conclusioni dedotte dagli studiosi appaiono diversificate. Semplificando, possiamo indicare i seguenti quattro schemi cronologici, diversi per contenuto e soprattutto per metodo. Lo schema classico, tipico della scuola tedesca 18, segue l'indicazione degli Atti nel colloca­ re il concilio di Gerusalemme prima dell'evangelizzazione europea; conclude a datare questa negli anni 49-5 1 in base ai riscontri dell'editto di Claudio, collocato nel 49, e del proconsolato di Gallione del 5 1 /52 ; e assegna perciò il concilio all'anno 48/49. Per il periodo precedente inve­ ce si affida alla testimonianza della lettera ai Galati: la conversione nella prima metà degli anni 30 e, a distanza di tre anni, la prima visita a Gerusalemme. Il periodo efesino della missione paolina, successivo all'evangelizza16 « Et Nero ... demovet Pallantem cura rerum, quis a Claudio imposi­ tus velut arbitrium regni agebat » (n. 14). E poco dopo lo storico ro­ mano parla dell'avvelenamento di Britannico: « .. propinquo die quo quartum decimum aetatis annum Britannicum explebat ... Festis Sa­ turno diebus ... » (n. 15). 17 > 6 (1985) 1-25 propende invece a indicare in Apollo il referente del fronte antipaolino a Corinto. 20 Con tutta probabilità sono gli stessi oppositori combattuti da Paolo nei capitoli precedenti.

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del carisma taumaturgico, visionario ed estatico ( 1 2 , 1 -4 ). Paolo risultava così bocciato, lui che aveva rinnegato l'e­ redità religiosa del giudaismo ed era privo dell'alone di personalità superiore, essendosi presentato ai corinzi come uomo qualunque, esposto ad ogni debolezza, forte solo del nudo annuncio evangelico del crocifisso ( 1 3 , 1 1 ) . Se per l'identikit degli avversari che appaiono sullo sfon­ do della prima lettera ai Corinzi non appare possibile, per mancanza di ulteriori notizie, andare oltre la constatazione del loro antipaolinismo, non c'è dubbio che i rivali attac­ cati nella seconda lettera ai Corinzi fossero di origine giudaica, appunto « ebrei, israeliti e discendenti di Abra­ mo » { 1 1 , 22 ) , gelosi custodi della venerabile tradizione religiosa ed etica del giudaismo che propagandavano in ambiente pagano insieme con l'annuncio cristiano. Per questo è probabile che guardassero a Gerusalemme e alla chiesa-madre come centro di tutto il movimento di Gesù e volessero ricondurre la chiesa paolina di Corinto all'obbe­ dienza e alla sottomissione ai capi storici di Palestina. Non richiedevano invece la circoncisione dei neofiti : lo si deduce dal fatto che Paolo non ne fa parola. Erano dun­ que giudeo-cristiani liberali, capaci di adattarsi alla cultura e alla sensibilità dei destinatari della missione cristiana. Li caratterizzava poi un accentuato carismatismo, assai ap­ prezzato dal mondo greco, amante di tutto ciò che poteva trasfigurare l'uomo e, in qualche modo, divinizzarlo 21 • Al contrario, gli antipaolinisti presenti nelle chiese di Ga­ lazia attribuivano un valore decisivo alla circoncisione che volevano imporre ai credenti galati. Riferendosi a loro, Paolo si esprime con tutta chiarezza: « . . . cercano di co21 Per un approfondimento vedi gli studi di C. K. Barrett, Paul's Op­ ponents in II Corinthians, in NTS 17 ( 1970 s) 233-254; Pseudapostoloi (2 Cor 1 1, 13), in « Mélanges Bibliques en hommage au R. P. B. Ri­ gaux », Gembloux 1970, 377-396; G. Bornkamm, Die Vorgeschichte des sogenannten zweiten Korintherbriefes, in > , IV, Miinchen 1971, 162-194; D. Georgi, Die Gegner des Paulus im 2 Ko­ rintherbrief, Neukirchen-Vluyn 1964; G. Friedrich, Die Gegner der Paulus im 2. Korintherbrief, in > (Paul, apotre de ]ésus.Christ, in « Pau! de Tarse apotre de no tre temps », Roma 1979, 42 [25-60] ). 149

(credenziale) scritta nei vostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini » (2 Cor 3 , 2 ). Né, in sede di valutazione critica, si deve disattendere la sua rinuncia a giocare il ruolo della personalità religiosa eccezionale, la parte del taumaturgo e visionario. Insom­ ma, nessun atteggiamento da superman, capace di abba­ gliare gli ascoltatori e di piegarli a un'adesione entusiasti· ca ma razionalmente non ponderata. Scrive nella seconda lettera ai Corinzi: « Se è proprio necessario vantarsi, è della mia debolezza che voglio vantarmi » ( 1 1 , 30); « Per­ ciò mi compiaccio, per amore di Cristo, delle debolezze, degli oltraggi, delle avversità, delle persecuzioni, delle an­ gustie. Perché quando sono debole, proprio allora sono forte » ( 12, l O ) . Se, i n ultima istanza, l a sua apologia appare funzionale alla difesa della causa del vangelo, si deve però ammettere in Paolo una massimalistica identificazione con il suo vange­ lo. In altre parole, è stato incapace di cogliere la necessa­ ria distanza che separa il messaggio dal messaggero. Di qui la sua estrema sicurezza che tocca i confini del fana­ tismo, il radicalismo di tesi teologiche prive di sfumature, la condanna senza attenuanti degli avversari, l'incapacità di cogliere nel fronte avversario qualsiasi valida ragione o, almeno, la buona fede. La contrapposizione, non il dialogo, e neppure la discussione di diversi punti di vista, è l'ani­ ma della sua risposta. In un solo passo lo vediamo sepa­ rare la sua azione e se stesso dalla causa a cui si è messo a completo servizio e che può fare anche a meno di lui: prigioniero e quindi ridotto all'inattività, venuto a sapere che rivali personali per dispetto moltiplicavano gli sforzi nell'attività propagandistica, confessa ai carissimi filippesi: « Ma che importa? Dopo tutto, in ogni modo, ipocrita­ mente o sinceramente, Cristo viene annunziato. E io ne gioisco; anzi, continuerò a gioirne » ( 1 , 1 8 ). Parimenti gli dobbiamo imputare l'equiparazione degli oppositori a puri e semplici « eretici », cui disconosce persino l'attenuante della buona fede. Certo, questi non erano teneri con lui né comprensivi della sua posizione teologica e missionaria, ma troppo spesso si è lasciato andare all'ingiuria e all'anatema. Ci basti scegliere in un 150

materiale abbondante: « Costoro sono falsi apostoli, ope­ rai fraudolenti, travestiti da apostoli di Cristo. Niente di strano : lo stesso Satana si traveste da angelo luminoso. Perciò non è gran cosa se i suoi servitori si travestono da servitori della "giustizia". La loro fine sarà conforme alle loro opere » ( 2 Cor 1 1 , 1 3-15 ) ; « Se qualcuno vi annun­ zia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia votato alla maledizione divina! » ( Gal l , 9 ) ; « Che vada­ no a farsi castrare quelli che vi sobillano! » ( Gal 5, 1 2 ); « Attenzione ai cani! Attenzione ai cattivi operai! Atten­ zione ai castrati ! » (Fil 3, 2 ). In conclusione, per una valutazione storicamente definita del vasto movimento antipaolinista degli anni 40 e 50 sarà necessario sfrondare la testimonianza interessata di Paolo dagli improperi e dall'unilateralismo proprio di chi è stato parte in causa.

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capitolo decimo

VIA CRUCIS

Scrivendo alle chiese di Galazia, Paolo afferma: « Io por­ to nel mio corpo le stimmate di Gesù » ( 6, 1 7 ). L'espres­ sione plastica sta a indicare le sofferenze della sua esisten­ za di apostolo, attivamente partecipe della passione di Cristo 1• In concreto fin dall'inizio della sua azione mis­ sionaria è stato oggetto dell'ostilità persecutoria e ostra­ cistica di zelanti giudei, più volte ha conosciuto la durez­ za del carcere, tradotto davanti al tribunale di questa o di quella città; infine, a suggello di una vita crocifissa, la morte violenta a Roma. Ma questo è solo un capitolo della sua esistenza travagliata, sia pure il più dramma­ tico e vistoso. Non per nulla gli Atti lo accentuano, allo, scopo di presentare la figura esemplare del testimone coraggioso e del martire pronto a morire per la causa di Cristo. Significative, in proposito, le parole di addio ai capi della chiesa di Efeso, che il primo biografo gli ha messo in bocca: « Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che mi accadrà. So soltanto che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza ai messaggio della grazia di Dio » (20, 22-24). l Cf. i n generale il volumetto d i Ph. Seidensticker, Paolo l'apostolo per­ seguitato di Gesù Cristo, Brescia 1969.

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Più completo invece appare il quadro che emerge dalle lettere. Paolo ha dovuto soffrire molto anche a causa delle sue comunità: incomprensioni, malevole insinua­ zioni, abbandoni, persino aperte ribellioni. Si aggiunga l'handicap di una non meglio precisata malattia che Io ·esponeva al dileggio. Senza dire delle traversie patite nei faticosi e pericolosi viaggi e del duro lavoro richiesto dalla propaganda missionaria e dalla cura pastorale. Damasco, Antiochia di Pisidia, Iconio e Listra, Filippi, Tessalonica e Berea, Corinto, i centri urbani della Ga­ lazia, Efeso, Gerusalemme, Cesarea marittima, Roma sono state altrettante stazioni della sua personale via crucis. Già i primi passi di missionario lo hanno visto vittima designata di un complotto congiunto di giudei .della diaspora damascena e della guarnigione del re na­ bateo Areta IV. Il racconto degli Atti: « . e i giudei fecero un complotto per ucciderlo, ma i loro piani ven­ nero a conoscenza di Saulo. Essi facevano la guardia anche alle porte della città di giorno e di notte per sop­ primerlo; ma i suoi discepoli di notte lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in una cesta » ( 9, 23-25), trova una precisa conferma nella testimonianza del diretto interessato che cosl rievoca l'accaduto: « A Damasco, il governatore del re Areta faceva sorvegliare da guardie la città dei damasceni per catturarmi. Ma fui calato da una fìnestra in un cesto lungo il muro e riuscii a sfuggirgli )) (2 Cor 1 1 , 32-33 ). La campagna evangelizzatrice nel sud-est della penisola anatolica, promossa dalla chiesa di Antiochia di Siria, pur feconda di risultati, si è svolta all'insegna dell'ag­ gressività della diaspora giudaica : cacciati da Antiochia di Pisidia e poi da !conio (At 1 3 , 50 e 1 4, 5-6), Barnaba e Paolo ripararono a Listra, dove quest'ultimo venne duramente colpito da lanci di pietre (At 14, 1 9 ). Pari­ menti avversata dalle sinagoghe ebraiche dei centri del­ la provincia romana di Macedonia risultò l'iniziativa del­ l'apostolo che aveva spostato in Europa il centro della sua propaganda. In particolare, a Filippi fu imprigio­ nato insieme con il collaboratore Sila, mentre a Tessa­ lonica e a Berea tentativi di aggressione di facinorosi, . .

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sobillati dai giudei della diaspora locale, lo costrinsero a lasciare precipitosamente le due città. In proposito la testimonianza esplicita degli Atti ( 1 6, 16 ss; 17, 5-9 . 1 3- 1 4 ) appare sostanzialmente confermata dalla lettera a i Tes­ salonicesi dove Paolo rievoca il suo soggiorno nella città macedone: « Benché in precedenza insultati e mal­ trattati a Filippi, come sapete, il nostro Dio ci infuse coraggio nell'annunciare per voi il vangelo di Dio tra aspre lotte » (2, 2) e poco dopo si dice perseguitato dai giudei (2, 15-16). Neppure a Corinto, affermano gli Atti, ha avuto vita faci­ le: sempre per istigazione della locale sinagoga giudaica, è denunciato al tribunale romano del governatore Gallione ( 1 8, 12-17). Le lettere paoline non ne fanno alcuna men­ zione, ma la notizia del biografo appare storicamente at­ tendibile. In ogni modo, l'incidente non gli ha impedito una prolungata permanenza e una feconda attività missio­ naria nella capitale della provincia romana di Acaia. Durante l'evangelizzazione della regione galata, invece, ha sublto un attacco particolarmente virulento della sua ma­ lattia 2 • Ce ne parla egli stesso scrivendo ai galati e rievo­ cando il recente passato: « Non mi avete fatto alcun tor­ to. Come sapete, fu a causa di una malattia che per la prima volta vi annunziai il vangelo. E non mostraste di­ sprezzo né ribrezzo per il mio corpo malato, benché costi­ tuisse una prova per voi. Mi accoglieste invece come un angelo inviato da Dio, come Cristo Gesù » ( 4, 12 b-1 4 ). Purtroppo non precisa di quale malattia ebbe allora a soffrire. Si spiegano cosl le infinite ipotesi avanzate dagli studiosi : epilessia, isteria, congiuntivite cronica, reuma­ tismo, malaria, nevrastenia, incubi, depressione, sordità, balbuzie, lebbra. Si trattava certo di un'infermità umilian­ te e misteriosa attribuita allora a forze malefiche. Di con­ seguenza, chi ne era colpito passava per uno iettatore da evitare accuratamente e comunque da guardarsene ricor2

Vedi in particolare H. Binder, Die angebliche Krankheit des Paulus, « Theologische Zeitschrift Bas. » 32 ( 1976) 1-13, che però esclude ogni malattia di Paolo, cui riconosce solo una generica debolezza. Cosi infatti interpreta il passo di Gal 4, 13.

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rendo al gesto magico dello sputo per terra a difesa dal malocchio 3 • Per questo è probabile che soffrisse di epiles­ sia, tipica malattia malefica a quel tempo. In forma figurata l'apostolo vi accenna pure nella seconda lettera ai Corinzi: « E perché le rivelazioni straordinarie non fossero per me motivo di orgoglio, mi è stato messo un pungiglione nella carne, un emissario di Satana incari­ cato di schiaffeggiarmi, perché non mi inorgoglissi » ( 12 , 7). A parte l'interpretazione religiosa in chiave mito­ logica, questo passo offre qualche utile precisazione: era un male fisico e doloroso ( « un pungiglione nella carne » ), visibile a tutti, di natura umiliante, duraturo o comunque ricorrente se Paolo afferma di aver pregato invano per esserne guarito ( 12, 8 ). Soprattutto costituiva un serio handicap alla sua azione apostolica 4• Trova cosi conferma l'ipotesi di una epilessia con i suoi alti e bassi. Lo studio­ so M. Dibelius non esita a enumerarlo nell'elenco dei grandi epilettici della storia accanto a Maometto e Do­ stojevskij, ma anche a Cesare, Pietro il Grande e Na­ poleone 5• In ogni modo, non doveva essere una forma grave capace d'intaccarne l'integrità psichica. Le lettere infatti testimoniano la sua elevata capacità intellettuale e la sua indefessa azione mostra che, anche fisicamente, egli conservava una vitalità non comune. Più che altro, ne scapitava l'immagine pubblica della sua persona. Però il periodo più drammatico fu senz'altro il triennio efesino, degli anni 52-55 . Scrivendo ai corinzi, accenna di passaggio a una prima disavventura di cui fu protagonista nella capitale della provincia romana di Asia: « A che mi giova l'aver combattuto per motivi umani contro le belve a Efeso? » ( l Cor 15, 32). Il linguaggio sembra metafori­ co: Paolo deve aver corso un pericolo mortale, non me­ glio decifrabile 6• Più tardi, sempre nella provincia romana 3 Letteralmente il passo citato deve essere cosi tradotto: « Non avete

mostrato disprezzo e non avete sputato (exeptysate) ». S. Paul's Epistle to the Galatians, London-Cam­ bridge 1869, 186-187. Vedi anche lo studio di H. R. Minn, The Thorn that remained. Materials for the Study of St. Paul's Thorn in the Flesh 2 Corinthians XII, vv. 1 -10, Auckland 1972. 5 M. Dibelius - W. G. Kiimmel, Paulus, Berlin 1 95 1 , 39. 6 Cf. A. ]. Malherbe, The Beasts at Ephesus, in JBL 87 ( 1 968) n.go. 4 Cf. ]. B. Lightfoot,

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di Asia, con tutta probabilità a Efeso, per poco la sua vita non fu troncata violentemente. Purtroppo, ancora una volta, egli si esprime in termini generici, sen2a specificare la natura e le circostan2e dettagliate della gravissima mie naccia di morte. Confidandosi con la chiesa di Corinto,. non nasconde però la fortissima emozione provata; le sue parole tradiscono il pathos di una persona viva per mira-' colo: « Non vogliamo, certo, fratelli, !asciarvi all'oscuro della drammatica vicenda capitataci in Asia. Siamo stati oppressi oltre misura, al di là delle nostre forze, da dispe­ rare persino della vita. La senten2a capitale pronunciata sulla nostra persona, l'abbiamo avuta perché confidassimo non in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti » ( 2 Cor l , 8-1 0 ). È probabile che l'autore degli Atti vi si riferi..c sca nel cap. 19, ma con un racconto fittizio, teso a evi­ denziare apologeticamente come la predicazione di Paolo minacciasse la religione pagana, in particolare il culto del­ la grande Artemide celebrato nel famoso santuario omo­ nimo. Imputato davanti al tribunale del governatore romano della città e in attesa della sentenza, è dal carcere che scrive alla chiesa di Filippi e all'amico Filemone. Verosi­ milmente siamo ancora a Efeso. Purtroppo non conoscia­ mo i termini esatti della sua causa penale; egli si limita infatti a dire che l'esito è incerto: può essere una con­ danna capitale, ma spera di uscirne assolto ( Fil l , 23-26). Con probabilità, la 2 Cor e Fil si riferiscono alla stessa drammatica esperienza. A queste disavventure si devono abbinare le ferite morali infertegli dalle comunità di Galazia e soprattutto dai cre­ denti di Corinto. Le chiese galate, sobillate da predicatori giudeo-cristiani integralisti, stavano per rinnegare il suo· vangelo della libertà. La crisi di Galazia però, al di là dei gravi problemi di ortodossia, mostra la presenza di risvol­ ti personalistici. Paolo vede nell'apostasia imminente di quei credenti un tradimento della sua persona: lo stanno abbandonando per aderire alla parola dei nuovi venuti. Egli vive addirittura dentro di sé il dramma della gelosia; il triangolo è perfetto: lui, i galati e, come rivali, i giu­ daizzanti. E s1 che lo avevano accolto « come un angelo 1 56

inviato da Dio, come Cristo Gesù » ( 4, 14 ) e si erano dichiarati pronti a cavarsi gli occhi per lui ( 4, 15 h). Ma è finito presto il tempo in cui si ritenevano felici di averlo conosciuto ( 4, 15 a). Ora lo considerano addirittura un nemico; eppure aveva loro annunziato la verità! (4, 16). Più dolorosa ancora è stata la crisi di rapporti con la chiesa di Corinto 7• Le divisioni intestine in « partiti » contrappo­ sti lo riducevano, in pratica, a leader di un gruppuscolo ( 1 Cor 1 , 10-1 6 ), lui il padre della comunità! (4, 1 5 ). Era disistimato, perché incapace di parlare con linguaggio scintillante e perché povero di raffinate speculazioni sul mistero di Dio, dell'uomo e del mondo (2, 1 ss) . In realtà, a Corinto era in atto un processo intentato alle risorse umane della sua persona ( 4, 1 ss). I credenti di quella città amavano le personalità religiose eccezionali e sovru­ mane, mentre egli si era presentato come uomo comune, esposto ad ogni debolezza : « In effetti, io penso che Dio ci ha messi in mostra, noi apostoli, all'ultimo posto, come dei condannati a morte; siamo stati dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi siamo stolti a causa di Cristo, voi invece sapienti in Cristo; noi deboli e voi forti; voi onorati e noi disprezzati. Finora noi siamo, affamati, assetati, nudi, maltrattati, senza stabile dimora,. ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Ci insulta­ no? Benediciamo. Ci perseguitano? Sopportiamo. Ci ca­ lunniano? Rispondiamo amichevolmente. Finora siamo diventati come la spazzatura del mondo, i rifiuti dell'uma­ nità » ( 4, 9-13 ). Per non dire della contestazione mirante a negare il suo carisma apostolico (9, 1 ss). Col trascorrere degli anni, invece di migliorare, i rapporti peggiorarono. Missionari giudeo-cristiani erano giunti a Corinto e gli facevano una concorrenza spietata, trasci­ nandosi dietro la comunità. Ogni suo comportamento finiva per essere male inteso. Cosl se all'ultimo momento cambia il programma dell'annunciata visita, i corinzi lo accusano di essere una banderuola che non tiene fede alla parola data ( 2 Cor l , 12 ss ). Quando scrive con toni duri e imperiosi, non mancano i maligni che vanno dicendo: 1

Cf. A. Schreiber, Die Gemeinde in Korinth, Miinster 1977 . 1 57

« Le lettere hanno peso e forza, ma presente di persona si rivela debole e spregevole è il suo parlare » ( 1 0, 10; cf. anche 1 0, l b). Se rifiuta di farsi mantenere dalla comuni­ tà, si sussurra che non li ama abbastanza ( 1 1 , 1 1 ) e li priva del vanto di provvedere alle necessità dei predicato­ ri del vangelo ( 12, 1 3 ). Neppure la colletta da lui bandita sfugge alle malignità: un astuto modo di sfruttamento! ( 12, 1 6- 1 8 ). Non sono mancate le offese palesi e le sfide aperte. Paolo vi accenna qua e là: « Se poi qualcuno è stato causa di tristezza, non me ha rattristato, ma, fino a un certo punto - non voglio esagerare - tutti voi » (2 Cor 2, 5); « In bre­ ve, se vi ho scritto, non l'ho fatto a motivo dell'offensore né a motivo dell'offeso » (7, 1 2 ) 8• Si può congetturare che l'innominato offensore sia venuto dal di fuori: un missio­ nario giunto a Corinto ed esponente del fronte contrario all'apostolo. Anche sul suo gesto siamo costretti a proce­ dere per semplici ipotesi: offese Paolo a faccia a faccia durante la visita di questi alla comunità, oppure in sua assenza? L'offesa era diretta alla persona dell'apostolo, oppure a un suo collaboratore? Sono interrogativi che non trovano una risposta certa. Tutto porta a credere che si sia trattato di un tentativo di turbare i rapporti dell'a­ postolo con la sua comunità. È certo invece che Paolo ha sofferto, soprattutto, dell'acquiescenza della chiesa corin­ zia, alla quale indirizza un'amarissima epistola, andata perduta: « Vi ho infatti scritto in grande afflizione e con cuore angosciato, tra molte lacrime » (2, 4 ). Ancor più la concorrenza sleale dei rivali, che sfoggiavano il carisma di estatici, visionari e taumaturghi, aveva finito per scalzare alla radice la stima dei corinzi per il lontano apostolo, che si era presentato a Corinto privo di ogni carisma spettacolare. Dell'umiliazione subita a Gerusalemme dalla chiesa giu­ deo-cristiana di Giacomo che gli ha rifiutato la colletta, si è detto; e il capitolo seguente traccerà la storia degli ultimi drammatici eventi culminanti nella morte violenta: 8 Cf. C. K. Barrett, Ho adichesas (2 Cor 7, 12), in {Fs. G. Stlihlin), Wuppertal 1970, 149-157.

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«

Verborum Veritas ,.

tentato linciaggio e cattura nell'area del santuario geroso­ limitano, prigionia prima a Gerusalemme e poi a Cesarea marittima, domicilio coatto e processo a Roma. Ora ci interessa chiarire le sue reazioni. Anzitutto da critiche, insinuazioni, contestazioni e sfide si è difeso sempre con puntigliosa energia. Sa che i galati sono vitti­ me di raggiri e vorrebbe poter essere presente di persona, consapevole che la viva voce è più efficace dello scritto (Gal 4, 20). Comunque spera, per lettera, di fermare il processo di apostasia e di rifiuto della sua persona. Più lunga e ardua è stata la lotta per riconquistare la comunità di Corinto. I credenti della capitale della pro­ vincia romana di Acaia devono riconoscere in lui « il sag­ gio architetto » che ha gettato le fondamenta della chiesa corinzia e valutare i missionari giunti in seguito a Corinto come semplici manovali, tenuti a proseguire l'opera se­ condo il suo progetto ( l Cor 3, 5 4, 15 ). Quanto alla accusa di incapacità di tenere discorsi forbiti e di svelare i misteri di Dio e il senso segreto dell'esistenza umana, risponde che di proposito si è attenuto al nudo annuncio di Cristo crocifisso e aggiunge: « Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio » (2, 5). Quindi, non senza ironia, precisa di essersi dovuto limitare ai dati elementari del messaggio cristiano per inadeguatezza dei corinzi, « bambini dal pun­ to di vista cristiano » ( 3 , 1 -4 ). In realtà, per ispirazione divina egli ha un'approfondita conoscenza del misterioso progetto salvifico di Dio ed è in grado di rivelarlo « nel cerchio dei perfetti », cioè a credenti maturi e animati dallo Spirito ( 2, 6-1 6 ) Comunque l 'unico giudice che ri­ conosce è il Signore Gesù e assurde gli appaiono le pretese dei corinzi di metterlo sotto processo ( 4, 3-5 ). Nella seconda lettera ai Corinzi la sua apologia non ri­ sparmia toni aspri. L'accusa di doppiezza è semplicemente falsa: « Come è vero che Dio è fedele, la nostra parola a voi rivolta non è sì e no nello stesso tempo. Perché il figlio di Dio, Gesù Cristo, che noi abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non è stato sì e no ; al contra­ rio, in lui c'è solo il sì » ( 1 , 1 8- 1 9 ). In procinto di far visita, per l'ultima volta, alla chiesa di Corinto, saprà -

.

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mostrare decisione e forza anche a faccia a faccia, non solo da lontano nella comunicazione epistolare ( 1 0 , 1-1 1 ) . Semplice e chiaro è poi il motivo che lo ha spinto a non farsi mantenere dalla comunità: « Oppure ho commesso una colpa abbassando me stesso per innalzare voi, quando vi predicai gratuitamente il vangelo di Dio? [ . . . ] Com'è vero che la verità di Cristo è in me, nel paese di Acaia non mi sarà impedito questo motivo di vanto! Perché? Per­ ché non vi amo? Lo sa Dio! » ( 1 1 , 7 e 1 0-1 1 ). E più oltre, ironico, dichiara: « Che cosa avete avuto di meno delle altre comunità, se non che io non ho gravato su di voi? Perdonatemi questa ingiustizia » ( 12, 1 3 ) . D'altra parte, il suo disinteresse e il disinteresse del collaboratore Tito escludono ogni intenzione men che onesta nella raccolta di fondi per la chiesa gerosolimitana ( 12, 1 6- 1 8 ). Sa anche passare al contrattacco con parole sarcastiche d'indubbia efficacia oratoria: « Volentieri voi, sapienti come siete, sopportate i folli. Sopportate infatti chi vi asservisce, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi percuote in faccia. Lo dico con vergogna: siamo stati troppo deboli noi! » ( 1 1 , 19-2 1 a). Ma, una volta che la comunità se ne è dissociata dimostrandogli solidarietà, si mostra generoso e magnanimo con l'innominato offensore: « A costui basta il biasimo inflitto dalla comunità. Di conseguenza dovreste ora piuttosto perdonargli e confortarlo, perché non cada in una tristezza troppo grande. Perciò vi esorto a confer­ margli il vostro amore » (2, 6-8). Infine, non solo non nega e neppure attenua l'assenza in lui dei crismi del personaggio religioso straordinario, ma addirittura l'accen­ tua perché, paradossalmente, proprio questa deficienza l'accredita come apostolo di Cristo crocifisso ( cf. i capp. 1 1- 1 3 ) 9• Quest'ultimo capo dell'apologia però ci porta già alla va­ lutazione del suo atteggiamento di fronte alle mille tra­ versie che ne hanno contrassegnato la parabola di missio­ nario e di pastore d'anime. Dalle sue confessioni emerge ·�

Cf. E. Kasemann, Die Legitimitiit des Apostels. Eine Untersuchung :r.u Il Korinther 10-13, in « Das Paulusbild in der ncucrcn dcutschen For­ schung », Darmstadt 1969, 475-521.

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subito un dato incontrovertibile: non ha mancato di co­ raggio; soprattutto non si è mai tirato indietro; niente e nessuno è riuscito a ridurlo al silenzio e alla resa. Se a Filippi è stato insultato e maltrattato, lasciata questa città e giunto a Tessalonica, trova l'audacia (eparresiasametha) per annunciarvi il vangelo « tra aspre lotte » (2, 2 ). Più in generale, nella seconda lettera ai Corinzi dichiara: « Da ogni parte oppressi, ma non schiacciati; disorientati, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattu­ ti, ma non annientati » ( 4, 8-9 ). E ancora, i destinatari della stessa epistola sappiano che egli si è comportato « con grande costanza nelle tribolazioni, nelle avversità, nelle angustie, nelle percosse, nelle prigionie, nelle som­ mosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni [ ... ] nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama » ( 6, 4-5.8). Ha parlato « con grande libertà » (pollei parresiai) ( 3, 1 2 ); non si è mai perduto d'animo (4, 1 . 1 6 ); ha agito coraggiosamente (5, 6.8). Tuttavia nessuna orgo­ gliosa autoesaltazione: « Tale fiduciosa sicurezza (pepoi­ thesis) però noi l'abbiamo in Dio per mezzo di Cristo » ( 3 , 4). I disagi del carcere non lo hanno depresso; ai credenti di Filippi, che gli avevano spedito degli aiuti e procurato la compagnia di Epafrodito, scrive di aver imparato ad esse­ re in tutto autosufficiente (autarches) ( 4, 1 1 ); e aggiunge: « So vivere in povertà e so vivere nell'abbondanza. Ho imparato ad adattarmi a tutte le situazioni, ad essere sazio e a patire la fame, a vivere nella dovizia e nel bisogno » ( 4, 1 2 ). Ma ci stupiscono di più le reiterate affermazioni della gioia che egli prova: « Affiitti, noi che siamo sempre gioiosi » (2 Cor 6, 1 0 ) ; « Il conforto riempie il mio cuore e sono traboccante di gioia in ogni nostra affiizione » ( 7 , 4 ). In particolare, si segnalano qui le sue confessioni di prigioniero ai credenti di Filippi. Se i rivali ne ap­ profittano per moltiplicare gli sforzi missionari e fargli cosi dispetto, egli ne gioisce e continuerà a gioirne, perché in un modo o nell'altro viene proclamato il lieto annuncio cristiano (Fil l , 15-18). Il processo in corso potrebbe concludersi con la condanna a morte; eppure con questa 161

prospettiva vuoi condividere la sua gioia con i filippesi ed essere partecipe della loro (2, 17-1 8). La rottura di sche­ mi mentali consolidati e di costanti abitudini di vita si rivela totale: non di dolore e di panico, ma di gioia è motivo la minaccia di morte. Non solo la previsione del felice superamento di un pericolo mortale (cf. l , 25), ma anche la probabilità di soccombervi è fonte di un senti­ mento gioioso, per sé e per la sua comunità. Non si pensi a tendenze masochistiche: egli gioisce non della sofferenza, ma della propria testimonianza a caro prezzo, in ultima analisi della causa a cui serve con incon­ dizionata dedizione. Ci basti citare, a conferma, queste altre sue parole di prigioniero: « Voglio poi farvi cono­ scere, fratelli, che quanto mi è capitato ha contribuito piuttosto al progresso del vangelo. È diventato cosl no­ torio a quelli del palazzo del governatore e a tutti gli altri che io sono prigioniero per Cristo. E in maggioranza i fratelli, incoraggiati nel Signore dalla mia prigionia, sono sempre più audaci nell'annunciare la parola senza paura » (Fil l , 12-14). Neppure la speranza di una definitiva comu­ nione con Cristo oltre la morte lo spinge a desideràre il martirio. Ai suoi occhi vale di più la prospettiva della liberazione dal carcere e la possibilità di essere di nuovo di aiuto ai filippesi : « Sono preso da questo dilemma: deside­ ro di andarmene per essere con Cristo, e sarebbe senz'altro la cosa migliore; d'altra parte, è più necessario per il vostro bene che io prosegua questa esistenza mortale. E forte di tale convinzione, so che finirò per restare e rimanere pres­ so voi tutti, per il vostro progresso e per la gioia che viene dalla fede » ( 1 , 23-25). La vergognosa e umiliante malattia deve avergli creato un problema, se ha insistito nella preghiera per esserne liberato. Ma, alla fine, ha saputo accettarla, scoprendovi una recondita positività: « In merito tre volte ho suppli­ cato il Signore di allontanarlo [ il pungiglione nella carne ] da me. Ma mi rispose: "Ti basta la mia grazia. La poten­ za si dispiega nella debolezza" » (2 Cor 12, 8-9 ). Siamo cosl giunti al vertice della riflessione religiosa di Paolo impegnato a scoprire il senso della sua via crucis. Agli occhi della sua fede questa assume il valore di epifania 1 62

della potenza di Dio che rifulge nella sua debolezza di uomo comune, malato, esposto, provato e vinto 10• In al­ tre parole, la pochezza del messaggero evidenzia la gran­ dezza e l'efficacia del messaggio. Dunque, nessun culto della personalità del portatore del vangelo, nessuna per­ sonalizzazione della causa di Cristo; solo umile servizio. Non si è frapposto come diaframma tra l'ascoltatore e il lieto annuncio; né ha fatto velo all'intrinseca capacità della parola proclamata di suscitare ascolto e adesione. Nella seconda lettera ai Corinzi tiene a precisare: « Infat­ ti non predichiamo noi stessi, bensl Gesù Cristo come Signore, mentre noi siamo i vostri schiavi per amore di Gesù » ( 4, 5); e poco dopo afferma: « Ma questo tesoro (del carisma apostolico) l'abbiamo in vasi d'argilla, perché appaia che tale potenza straordinaria è di Dio e non viene da noi » ( 4, 7 ). Per questo giunge addirittura a vantarsi della sua debo­ lezza (2 Cor 1 1 , 30), di cui elenca accuratamente le mani­ festazioni più vistose: « Spesso sono stato in pericolo di morte. Cinque volte ho ricevuto dai giudei i trentanove colpi di frusta. Tre volte sono stato battuto con le verghe. Una volta ho subito la lapidazione. Tre . volte ho fatto naufragio. Ho passato un giorno e una notte in balla delle onde profonde del mare. Spesso viaggi, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli in città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli dai falsi fratelli. Fatiche e arduo lavoro, spesso veglie, fame e sete, sovente senza cibo, esposto al freddo e senza di che coprirmi. E oltre tutto il resto, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le co­ munità » ( 2 Cor 1 1 , 23 b-28 ) 11• Anche le iscrizioni dei sovrani orientali e i resoconti degli imperatori romani ci hanrio tramandato simili cataloghi 12 • Ma questi elencava­ no lapidariamente le gesta gloriose e vittoriose dei prataJO

Cf. E. Giittgemanns, Der leidende Apostel und sein Herr. Studien zur paulinischen Christologie, Gè::ittingen 1966. I l Cf. W. Schrage, Leid, Kreuz und Eschaton. Die Peristasenkataloge als Merkmale paulinischer theologia crucis zmd Eschatologie, in EvTh 34 ( 1974) 141-175. 12 Cf. A. Fridrichsen, Zum Stil des paulinischen Peristasenkatalogs 2 Cor .l l, 2 3 ss, in « Symbolae Osloenses >> 7 (1928) 25-29.

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gonisti. Basti accennare al monumento di Ancyra, eretto ad onore di Augusto. Il catalogo di Paolo è esattamente l'opposto di questi trofei di orgoglio e vanagloria. Egli infatti è un eroe a rovescio: non potente né glorioso, tanto meno trionfante. Il suo posto è tra i vinti. Eppure si vanta, non però per una sospetta apologia di ciò che non è, preferito a ciò che è, o per una strana rivalutazione di quanto è debole, infimo, povero; ma perché, dice, « quando sono debole, proprio allora sono forte » (2 Cor 12, 10). Nella sua azione c'è potenza e grandezza, ma non scaturiscono dalle sue risorse autonome. È invece la po­ tenza di Cristo che abita in lui (2 Cor 12, 9). L'autoelogio dunque è per quanto Cristo ha operato nella sua esistenza apostolica crocifissa: « Ho dunque motivo di vantarmi in Cristo Gesù davanti a Dio. Non oserei infatti parlare se non di quello che Cristo, per condurre i pagani all'obbe­ dienza, ha operato per mezzo mio in parole e opere » ( Rm 15, 1 7-18). Possiamo paragonare il catalogo paolino anche ad analoghi cataloghi di marca stoica, caratterizzati dall'elencazione di sofferenze e traversie capaci di mettere a dura prova il saggio 13 • Solo a prima vista però sembrano uguali al no­ stro; in realtà, il loro senso profondo è diverso. Essi esaltano infatti la grandezza morale e spirituale dell'uomo sapiente che non si lascia travolgere dalle avversità ester­ ne, cui oppone il suo io interiore, inaccessibile e inattac­ cabile, perché difeso nella fortezza dell'autocoscienza. Per Paolo invece non si dà alcun dualismo: la debolezza e l'impotenza colgono tutto il suo essere; egli ne è toccato fino alle radici più profonde della sua persona. Nessuna imperturbabilità dunque, ma reale compromissione di se stesso. La potenza del Signore è presente nella sua esi­ stenza, non per risparmiargli debolezze o impotenze, bensl per dispiegarsi in esse. E se fronteggia con costanza e coraggio tutte le traversie, non è per robustezza del suo spirito, per « virilità » (andreia) direbbero i greci, bensl per la grazia di Dio (cf. l Cor 15, 10). 1 3 Cf. R . Bultmann,

228-232. 164

Der zweite Brief an die Korinther, Gottingen 1976,

E proprio per questo, non nonostante questo, si definisce autentico apostolo di Cristo. Uno stretto rapporto di con­ tinuità unisce infatti Cristo e il suo « inviato » (aposto­ los), l'uno e l'altro caratterizzati dall'antinomia debolezza e potenza 14• Per debolezza Gesù di Nazaret è stato con­ fitto in croce, ma Dio lo ha potentemente risuscitato ed egli ora vive forte della vita di risorto. Così Paolo ha sperimentato nella sua vita apostolica una debolezza radi­ cale, rivivendo la via crucis del suo Signore. Ma la poten­ za divina lo risusciterà e già ora si dispiega in lui a vantaggio dei credenti (2 Cor 1 3 , 4 ). Lapidaria, in propo­ sito, l'affermazione di 2 Cor 4, 1 2 : « Così in noi è all'o­ pera la morte, in voi invece la vita ». Un'ultima doverosa precisazione: anche Paolo era un ca­ rismatico, soggetto di esperienze spirituali straordinarie 15 ; ma, a differenza dei suoi rivali di Corinto, non vi faceva ricorso per accreditarsi, tanto meno per strappare l'ade­ sione al suo messaggio . Per es. così scrive ai corinzi: : The Setting and Signifi­ cance of the Rapture lo Paradise in II Corinthians Xli, 1-10, in NTS 25 ( 1978 s) 204-220. « ts

1 65

ni, delle angustie. Perché quando sono debole, proprio allora sono forte » ( 2 Cor 12, 1 0 ). Si potrà certo discutere di queste sue interpretazioni reli­ giose e magari trovare motivi per definirle razionalizzazio­ ni di un vissuto contradditorio. Ma restano intatti nel loro valore la disponibilità a pagare di persona alti prezzi per la causa del vangelo, il rifiuto d'imporsi come perso­ naggio carismatico superdotato, la critica al culto della personalità. In lui il messaggero non si è sovrapposto al messaggio; piuttosto egli si è identificato con il vangelo, e non senza massimalismo.

166

capitolo undicesimo

TRAGICA FINE

La testimonianza diretta di Paolo, fonte principale di do� cumentazione, cessa con le notizie del cap. 15 della lettera ai Romani, ultimo scritto autentico dell'apostolo, È a Corinto e sta per mettersi in viaggio alla volta di Gerusa. lemme, latore di una generosa colletta per la comunità gerosolimitana e con la mente occupata da angosciantj dubbi e da foschi presagi. Evidentemente gli dovevano essere giunte voci allarmanti dalla città santa, se si racco. manda alle preghiere dei credenti di Roma « affinché dice - riesca a sfuggire in Giudea agli increduli e il soccorso che porto a Gerusalemme sia bene accetto ai "santi" » ( 15, 30-3 1 ). D'altra parte, troppo importante era lo scopo del viaggio perché egli potesse evitarlo: conse­ gnare gli aiuti raccolti nelle sue comunità e ottenere cos} il riconoscimento della chiesa-madre. D'ora in poi dobbiamo affidarci alla testimonianza degli Atti e a informazioni tardive, l'una e le altre da vagliare criticamente. Di fatto, il primo biografo dedica ben nove capitoli agli ultimi drammatici eventi della storia dell'a­ postolo ( 20-28) 1 • A sua disposizione aveva notizie circo­ stanziate sulle località incontrate nell'itinerario da Corinto a Gerusalemme, notizie tratte forse da un giornale di viaggio. Più convenzionale invece appare la descrizione I

Cf. il commento critico di E. Hanchen, Die Apostelgeschichte, Got­ tingen 51965, 514 55.

1 67

dell'avventurosa navigazione da Gerusalemme a Roma. Altri dati particolari si rivelano storicamente attendibili, come la prigionia a Cesarea e a Roma, il linciaggio a Gerusalemme, precisazioni cronologiche, i nomi dei go­ vernatori romani Felice e Pesto. Complessivamente però il racconto degli Atti tradisce precisi intenti edificanti, apo­ logetici e teologici. Paolo è incatenato e processato, ma ingiustamente; la responsabilità cade tutta e solo su giu­ dei fanatici e sulle autorità giudaiche di Gerusalemme, mentre quelle romane riconoscono a più riprese l'innocen­ za dell'imputato. Tutto comunque rientra nella logica di un provvidenziale disegno divino: in questo modo Paolo può testimoniare il vangelo, a parole e con il sangue, in Gerusalemme e nella capitale dell'impero. Si aggiunga una palese esaltazione del personaggio; in altre parole, la cro­ naca cede spesso il passo all'epopea. Rapidi passaggi da una località all'altra e soste più o meno prolungate caratterizzano topograficamente il lungo viaggio dalla Grecia alla Palestina (20, 2 - 2 1 , 16). Nel primo caso l'autore elenca, con minuziosa precisione, i nomi delle città e regioni via via toccate 2• Nel secondo invece indugia sugli incontri con le locali comunità cri­ stiane o con i loro rappresentanti, soprattutto facendo parlare il protagonista e i comprimari ed esprimendo cosl la sua interpretazione dei tragici fatti. Il primo tratto del viaggio porta Paolo da Corinto a Troade attraverso la Macedonia. Alcuni del suo gruppo sono con lui, mentre altri, salpando da Filippi, raggiungo­ no direttamente Troade (20, 2-6). In questa città, vicina all'antica Troia, si ha la prima sosta: l'apostolo partecipa a una riunione della chiesa locale e risuscita un ragazzo morto incidentalmente (20, 7-12 ). Asso, Mitilene, le isole di Chio e Samo, Trogyllion hanno segnato la direttrice del tragitto da Troade a Mileto lungo la costa occidentale della penisola anatolica (20, 1 3- 16). Qui, convocati i capi della chiesa di Efeso, Paolo tiene un discorso che si può definire, a buon diritto, il suo testamento spirituale. Vi riafferma la sua fedeltà alla missione, confessa di essere 2

Cf. ]. L. Vesco , In viaggio con San Paolo, Brescia 1 974, 158 ss.

1 68

alla fine della vita, mette in guardia dai futuri pericoli dell'eresia (20, 17-3 8 ) 3• La rotta da Mileto a Cesarea è segnata dai nomi di Coo, Rodi, Patara, Cipro, Tiro e Tolemaide ( 2 1 , 1-14). A Tiro, sulla costa fenicia, l'aposto­ lo e i suoi accompagnatori si fermano una settimana e i credenti di questa città, divinamente ispirati, lo esortano a non salire a Gerusalemme. Più esplicita la profezia di Agabo che a Cesarea con un gesto simbolico gli predice la prossima prigionia. Paolo però si dice pronto non solo a lasciarsi ammanettare, ma anche a morire in Gerusalemme per la causa di Cristo. Giunto nella città santa e incontrata la chiesa-madre, riu­ nita sotto la presidenza di Giacomo e degli « anziani » , che gli suggeriscono un gesto dimostrativo di attaccamen­ to alla religione giudaica ( 2 1 , 15-27), la situazione im­ provvisamente precipita: tentativo di linciaggio e inter­ vento del tribuna romano Lisia che lo strappa dalle mani dei suoi nemici e lo rinchiude nella caserma romana ( 2 1 , 28 ss. e 22, 22-29 ); comparizione davanti al Sinedrio (22, 30 - 23, 1 1 ); trasferimento a Cesarea, sede del go­ vernatorato romano, per sventare la minaccia di 40 fana­ tici giudei che avevano giurato di sopprimerlo con un colpo di mano (23, 12-35); processo inconcludente al tri­ bunale del procuratore Felice (cap. 24); nuova compari­ zione dell'imputato davanti a Festa, successore di Felice, ma il cittadino romano Paolo fa appello al tribunale del­ l'imperatore (25, 1-12); udienza supplementare al cospetto del re Agrippa II (25, 1 3 - 26, 32). La disinvolta libertà con cui il biografo racconta questa trama appare qui in piena luce. Anzitutto mette sulla bocca del protagonista cinque elaborati discorsi: di fronte alla folla tumultuante di Gerusalemme ( 22, l ss); durante la comparizione davanti al Sinedrio (23, l ss); nel pro­ cesso presieduto prima da Felice ( 24, 1 0 ss) e poi da Festa ( 25, 8 ss ); alla presenza del re Agrippa (25, 24 ss). Paolo difende efficacemente la sua causa ( 24, lO; 26, l ); le sue parole sono un'articolata e ripetuta apologia (22, l ; 25, 8 ; 26, 1 ). Non si è macchiato di alcun crimine contro J

Cf. J. Dupont, Il testamento pastorale di S. Paolo, Milano 1967.

169

la legge mosaica e contro il tempio, tanto meno contro le leggi romane (cf. specialmente 25, 8). D'altra parte, le ac­ cuse del Sinedrio, formulate dal pubblico accusatore Ter­ tullo, non possono esibire alcuna prova a sostegno ( 24, 13 ) A meno che non lo si perseguiti come difensore della speranza d'Israele nella risurrezione dei morti (23, 6 ss; 24, 2 1 ). Quanto poi alla sua adesione al movimento di Gesù, non ha fatto altro che ascoltare sulla via di Dama­ sco la chiamata divina (22, 2 1 ss; 26, 9 ss). La sua conclamata innocenza trova conferma nelle dichia­ razioni degli stessi attori del processo. Il tribuna romano scrive al governatore Felice: « Ho trovato che lo si accu­ sava per questioni relative alla loro legge, ma che in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia » (23, 29). Pesto riferisce al re Agrippa: « Gli accusatori gli si misero attorno, ma non addussero nessuna delle imputazioni criminose che io immaginavo; avevano solo con lui alcune questioni inerenti la loro par­ ticolare religione e riguardanti un certo Gesù morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita [ .. ] lo però mi sono convinto che egli non ha commesso alcuna cosa meritevole di morte » (25, 1 8-19 e 25). Alla fine Agrip­ pa conviene con Pesto: « Quest'uomo non ha fatto nul­ la che meriti la morte o le catene » ( 26, 3 1 ), e aggiun­ ge: « Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato all'imperatore » (26, 32). La stessa com­ ponente farisaica del Sinedrio lo assolve: « Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero? » (23, 9 ). Solo dei giudei fanatici e soprattutto i capi giudaici di Gerusalemme lo vogliono morto, mentre le autorità ro­ mane Io salvano prima dalla furia omicida dei suoi avver­ sari (21 , 31-34), poi dall'aggressione del Sinedrio (23, 10), infine da un complotto (23, 12 ss). Il governato­ re Felice 4 , è vero, spera di ricavare denaro da un possibile .

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4

.

Di lui Tacito ha detto : « Con ogni crudeltà e avidità usò del diritto regale con la mentalità di uno schiavo (ius regium servili ingenio exer­ cuit) » (Hist. 5, 9) citato in E. Lohse, L'ambiente del Nuovo Testa­ mento, Brescia 1980, 48. 170

baratto, ma poi ama discorrere con il prigioniero a pro­ posito della fede cristiana e gli riserva un trattamento di favore ( 24, 22-26). Si direbbe che per poco non si conver­ te! Da parte sua Festo dichiara: « i Romani non usano consegnare una persona, prima che l'accusato sia stato messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall'accusa » ( 25, 1 6 ). La giustizia ro­ mana e l'innocenza di Paolo! Soltanto per compiacere le autorità giudaiche Felice e Festo gli hanno negato la liber­ tà ( 24, 27; 25, 9 ). Di fatto, con i suoi intenti edificanti, apologetici e teolo­ gici il biografo offre un quadro artificiale del processo di Paolo, ricalcato per di più sulla falsariga di quello di Cristo: false accuse; innocenza dell'imputato; ostilità del Sinedrio e del suo presidente, il Sommo Sacerdote; cedi­ mento del governatore romano per calcolo politico; il re Agrippa controfigura del re Erode Antipa. Il tutto narrato secondo i canoni più classici del genere letterario martiro­ logico. Come valutare altrimenti le numerose convenziona­ li messinscene? Tutta la città partecipa al linciaggio ( 2 1 , 3 0 ) e tutta Gerusalemme è sotto sopra ( 2 1 , 3 1 ). Ap­ pena strappato dalle mani degli avversari, sui gradini della caserma romana Paolo ottiene dal tribuno romano di po­ ter parlare alla folla vociante, che al suo cenno ammuto­ lisce e lo ascolta in grande silenzio ( 2 1 , 3 7 - 22, 2 ) 5• Nessun tribuno romano si è mai comportato con tanta condiscendenza come Lisia che prende sotto braccio il nipote di Paolo, un ragazzo venuto a parlargli dell'esisten­ za di un complotto ordito contro lo zio (23, 19). Quasi cinquecento militari ( duecento soldati, settanta cavalieri e duecento ausiliari) sono necessari per scortare il prigionie­ ro a Cesarea (23, 23 ). Il re Agrippa e la sorella Berenice infine si interessano vivamente alla vicenda dell'accusato . In realtà, i soli dati di base meritano una giustificabile credibilità storica: il tentativo di linciaggio; l'intervento ...

s

E. Hanchen ha giustamente notato che questa situazione si dimostra non storica in tutti e tre i fattori considerati: in Paolo che tiene il di­ scorso, nel tribuno che lo permette e nel popolo che l'ascolta (op.

cit., 551).

171

provvidenziale della polizia romana; la detenzione a Cesa­ rea ( 24, 27); l'appello al tribunale dell'imperatore; l'in­ tervento dei procuratori romani Felice e Pesto nell'anno 55. L'attenzione dell'autore degli Atti è principalmente volta a evidenziare il ruolo del protagonista dell'opera, testimone indomito del vangelo. Si veda in proposito 23, 1 1 : « La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: "Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimo­ nianza anche a Roma" » . Anche il racconto del viaggio da Cesarea a Roma (27, l 28, 1 6), compiuto con tutta verosimiglianza nell'inverno del 55/56, appare ricco di dati topografici. Dalla costa palestinese a Mira in Licia (sud-ovest dell'Anatolia) l'im­ barcazione sosta a Sidone e costeggia i mari della Cilicia e della Panfilia. La comitiva salpa poi con un'altra nave che, puntando prima su Cnido e scendendo poi verso l'isola di Creta, di cui supera il capo Salmone a nord est, attracca a Buoni-Porti, vicino alla città di Lasaea, a sud dell'isola cretese. Nuova partenza verso l'Italia, tempesta, naufragio e arrivo sull'isola di Malta. Infine, viaggio per mare toc­ cando i porti di Siracusa, Reggio Calabria, Pozzuoli e via terra attraverso il Foro Appio e la località Tre Taverne. L'autore però si diletta soprattutto a descrivere la tempe­ sta e il naufragio (27, 9-44 ), forse ispirandosi a romanzi ellenistici del tempo a soggetto avventuroso 6 , e dà mas­ simo rilievo al personaggio del protagonista. A Creta, pre­ sagendo mare burrascoso, Paolo mette in guardia dal peri­ colo d'imbarcarsi subito, ma il suo saggio parere viene disatteso (27, 9-1 1 ) . La burrasca che presto sorprende la nave al largo gli darà ragione; in ogni modo egli incorag­ gia i compagni di viaggio : « ... non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, dicendomi: "Non temere Paolo; tu devi 6

Invece P. Pokorny, Die Romfabrt des Apostels Paulus und der an­ tike Roman, in ZNW 64 ( 1973) 233-244 ritiene che il genere lettera­ rio sia quello del romanzo misterico incentrato nella salvezza dalla morte.

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comparire davanti all'imperatore ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione". Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola » ( 27, 22-26 ). Nel mo­ mento più drammatico poi invita a rifocillarsi e di nuovo assicura che nessuno perirà (27, 34 ss). A Malta, dove i naufraghi fortunosamente sono giunti, dimostra appieno il suo carisma di uomo di Dio: è morso da una vipera ma senza alcuna conseguenza, suscitando stupore negli indi­ geni; quindi guarisce il padre del notabile locale Publio e gli altri malati dell'isola (28, 3- 1 0 ). Da Pozzuoli a Roma poi il suo viaggio non ha nulla del trasferimento di un prigioniero : a Pozzuoli resta sette giorni in compagnia dei credenti della città campana (28, 14 ); al Foro Appio e alle Tre Taverne, distanti rispettivamente 66 e 44 km dalla capitale, gli vengono incontro i cristiani di Roma, scortandolo fino alla capitale dell'impero (28, 15). A Roma, più che un imputato in attesa della sentenza, appare un intraprendente missionario cristiano: convoca nel suo domicilio coatto notabili della diaspora giudaica, espone il suo caso e cerca « di persuaderli a proposito di Gesù ». Il suo appello a credere però viene accolto solo da una parte dei presenti; egli dunque si rivolgerà ai pagani che riserveranno al messaggio evangelico migliore accoglienza (28, 23-28 ). L'epilogo dell'opera: « Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento » (28, 30-3 1 ) si rial­ laccia idealmente al prologo costituito dal comando mis­ sionario di Cristo risorto: « .. . mi sarete testimoni a Ge­ rusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra » ( l , 8 ). Da oriente ad occiden­ te, da Gerusalemme a Roma: per merito di Paolo la parabola del messaggio cristiano si è completata. L'autore degli Atti ha così realizzato il suo progetto lette­ rario. Non c'è altro da aggiungere; l'opera appare compiu­ t a . Certo, se avesse fatto lavoro di pura storia, avrebbe 17.3

continuato a narrarci la conclusione del processo e quindi il martirio del protagonista. Che ne fosse al corrente, appare dalle parole messe in bocca a Paolo nel discorso di addio ai capi della chiesa efesina: « Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio. Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio » ( 20, 24-25). Ma quando esattamente l'apostolo morl? Nel 96 Clemen­ te Romano afferma che giunse « fino agli estremi confini dell'occidente » 7, cioè con tutta verosimiglianza in Spa­ gna. Ciò ammesso, si deve concludere che fu prosciolto nel processo romano e sarebbe giocoforza assegnare alla sua morte violenta una data posteriore. Ma la testimo­ nianza della Lettera di Clemente, ripresa e precisata verso il 180 dal Documento Muratoriano, che parla espressa­ mente della « partenza di Paolo dall'Urbe per la Spa­ gna » 8, appare dubbia: risale a una particolare tradizione o fonte, oppure Clemente è stato ispirato unicamente da Rm 15, 22-24.28, in cui Paolo aveva manifestato il pro­ posito di andare in Spagna passando da Roma? Sembra più probabile questa seconda interpretazione 9• In realtà, la prigionia romana dell'apostolo, durata un biennio se­ condo At 28, 30, con probabilità nel 56-58, si concluse con la sua condanna a morte sotto Nerone, non però durante la famosa persecuzione neroniana che è del 64-67 10 • 7 « epi to terma tes dyseòs » (l Clem. 5, 7). 8 « profectio Pauli ab Urbe ad Spaniam proficiscentis » (righe 38-39) ­ Per queste due testimonianze vedi ultimamente A. Moda, Per una bio­ grafia paolina, in « Testimonium Christi » (Fs. ]. Dupont), Brescia 1985, 289 ss. 9 La maggior parte degli studiosi oggi si pronuncia per questa rico­ struzione dei fatti. IO La liberazione di Paolo dalla prigionia romana e conseguentemente un'altra campagna missionaria prima del martirio sono affermazioni fun­ zionali alla tesi dell'autenticità paolina delle lettere pastorali (cf. Euse­ bio, Hist. Ecc!., Il, 2, 22), oppure al preteso viaggio in Spagna (cf. l Clem. 5, 7); come tali si rivelano prive di solida base critica. ...

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La morte violenta di Paolo è testimoniata più volte nel­ l'antichità cristiana. Accanto agli Atti (20, 24-25) si deve citare, anzitutto, la Lettera di Clemente Romano ai Corin­ zi, della fine del I sec.: « Per gelosia e discordia 10 bis Paolo mostrò come si consegua il premio della costanza; sette volte in catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell'orien­ te e nell'occidente, consegui nobile gloria per la sua fede; dopo aver insegnato la giustizia a tutto il mondo, giunto fino agli estremi confini dell'occidente e resa testimonian­ za dinanzi ai governanti, si staccò dal mondo e pervenne al luogo santo, divenendo il più grande modello di co­ stanza » (5, 5-7 ) 1 1 • All'inizio del II secolo risale la testimonianza della secon­ da lettera a Timoteo, propria della « scuola » paolina che si nasconde dietro al nome del grande apostolo, cui mette sulle labbra queste parole profetiche: « Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho cambattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede » ( 4, 6-7 ). Nel 200 circa Tertulliano afferma che Paolo ottenne la corona del martirio a Roma con una morte simile a quella di Giovanni Battista, cioè per decapitazione (De prae­ scriptione haeret. 36, 3 ) 12 • Più abbondanti le notizie di Eusebio di Cesarea (t 339) che cita espressamente testi­ monianze anteriori e si rifà di proposito a dati tradiziona­ li. In concreto, riporta quanto scrisse nel 170 circa Dioni­ sio, vescovo di Corinto, alla chiesa di Roma a proposito di Pietro e Paolo: « . dopo aver insegnato assieme in Italia, nel medesimo tempo sostennero il martirio » (Hist. Ecc!. II, 25, 8) 13 • Parimenti si appella all'autorevole di.

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lOb cs Secondo R. E. Brown si indicherebbe qui la causa concreta della morte di Paolo, tradito da giudeo-cristiani di Roma (cf. Antioche and Rome, New York 1983, 124-125, volume fatto in collaborazione con J. O. Meier). 1 1 Abbiamo seguito, non senza scelte personali, le traduzioni di A. Quacquarelli e di G. Corti. 1 2 « . . . ubi Paulus lohannis exitu coronatur ». Anche gli Atti di Paolo e gli Atti di Pietro e Paolo parlano di decapitazione. 1 3 Di questo passo e dei seguenti abbiamo seguito la traduzione di G. Del Ton, Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica e i martiri della Pale­ stino, Roma 1964. 175

chiarazione di Gaio, « uomo ecclesiastico, vissuto ai tempi del vescovo di Roma, Zefirino ( 19 9-2 1 7 ) », che « in un suo scritto contro Proda, capo della setta dei Catarfrigi, parla dei luoghi ave furono deposte le sacre spoglie dei detti Apostoli, e dice: "Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti sul Vaticano e sulla via Ostien� se troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa" » (Hist. Ecc!. II, 25, 6-7 ). Di suo Eusebio aggiunge: « � tradizione che dopo la sua difesa davanti ai giudici, l'A­ postolo Paolo ripartl per il ministero della predicazione, e che poi tornò di nuovo nella città di Roma per terminarvi la vita col martirio » (Hist. Eccl. II, 22, 2 ). Infine si devono menzionare gli Atti di Paolo apocrifo della fine del II sec., e gli Atti di Pietro e Paolo dello Ps. Marcello, apocrifo non anteriore ai secoli IV-V. Il dato tradizionale vi assume abbellimenti leggendari e precisa­ zioni cronologiche ( sotto Nerone) e topografiche. Cosl ne descrivono il martirio gli Atti di Paolo : « In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratto la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola. Quando il carnefice gli spiccò la testa, sugli abiti del soldato sprizzò del latte » 14• Più particolareggiata la descrizione degli Atti di Pietro e Pao­ lo dello Ps. Marcello: « Pietro e Paolo furono allontanati dal cospetto di Nerone 14bis . Paolo fu condotto incatenato sul luogo della decapitazione, a tre miglia dalla città, sotto la scorta di tre soldati di nobile stirpe [ . . . ] . Lo decapitarono presso il fondo delle Acque Salvie, vicino all'albero di pino [ ... ] . Il corpo del beato Pietro fu posto, con gloria e inni, in Vaticano, luogo vicino alla naumachia. Quello invece del beato Paolo fu posto sulla via Ostiense, al secondo miglio della città. Il cammino dei santi apostoli e martiri di Cristo Pietro e Paolo ebbe fine il 29 giu­ gno » 15• In breve, il martirio di Paolo a Roma sotto Nerone appa14

Cf. L. Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento, Il, Torino 1971, 1 129. Atti di Paolo pongono il martirio dell'apostolo sott aux origines de la christologie, 47-57. 252

capitolo quind icesimo

INFLUSSI CULTURALI

Da tempo la ricerca storica si è impegnata a trovare una soddisfacente spiegazione storica della teologia paolina. A questo scopo ha imboccato tre direttrici diverse: confron­ to con l'annuncio di Gesù di Nazaret, inquadramento nel contesto del cristianesimo primitivo, individuazione di in­ fluenti fattori culturali e religiosi dell'ambiente. Ora, i risultati del primo tipo di approccio sono stati decisamen­ te deludenti: come si è detto sopra, nel Gesù storico non possiamo certo scorgere la chiave del pensiero dell'aposto­ lo. F. C. Baur, fondatore e leader della scuola di Tubinga, invece ha giocato la carta della dialettica interna al cri­ stianesimo delle origini, in cui si sono affrontati due « partiti », l'uno in tutto ligio alle osservanze e allo spiri­ to del giudaismo e capeggiato da Pietro e dagli altri apo­ stoli gerosolimitani, l'altro aperto al mondo pagano ed egemonizzato da Paolo. Detto in termini hegeliani, alla « tesi » del particolarismo pettino si è opposto antitetica­ mente l'universalismo paolina. Il vangelo di Paolo dunque si spiega in forza di questa lotta contro la segregazione dell'annuncio evangelico nella cittadella del giudaismo 1• I discepoli di Baur si sono limitati ad apportare qualche 1 Cf. il celebre articolo del 183 1 : Die Christuspartei in der korintbischen Gemeinde. In proposito si veda W. G. Kiimmel, Il Nuovo Testamento. Storia dell'indagine scientifica sul problema neotestamentario, Bologna 1976, 185-192; Idem, Das Neue Testament im 20. ]ahrhtmdert. Ein Forschungbericht, Stuttgart 1970.

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ritocco, per altro non insignificante, al quadro tracciato dal maestro: il fronte antitetico al vangelo paolina non fu rappresentato da Pietro e dagli altri apostoli gerosolimita­ ni, attestati su posizioni intermedie, bensl da una frangia, più o meno consistente, di giudaizzanti estremisti 2• In ogni modo, la scuola di Tubinga non ha pensato minima­ mente a influssi esterni; il cristianesimo primitivo, e in questo lo stesso Paolo, vi appare un fenomeno storico isolato dall'ambiente, una monade autosufficiente priva di porte e di finestre. Ma a cavallo del 1 900 e soprattutto nei primi quindici anni del secolo ventesimo, l'attenzione degli storici si vol­ se alle vive forze religiose e culturali del duplice milieu, greco-pagano e giudaico, delle origini cristiane. Paolo era un giudeo di stretta osservanza, nato però a Tarso, impor­ tante centro di cultura greca e porta aperta sul mondo orientale, e soprattutto ha operato come missionario in alcune metropoli dell'impero romano. Come non pensare che ne sia stato variamente influenzato? Di fatto, la ricer­ ca storica si è inoltrata nel cammino di un fecondo com­ parativismo religionistico. In particolare, si è domandata quale debito egli contrasse verso le culture e le credenze religiose degli ambienti giudaico e greco in cui visse ed operò. È stato, dal punto di vista storico-culturale, citta­ dino di Gerusalemme o di Atene? Un dilemma zoppican­ te, come avremo modo di dire; resta però la constatazione che allora gli studiosi religionisti si contrapposero, per lo più, secondo questa netta alternativa. A favore di un Paolo fortemente ellenizzato si espresse la celebre scuola storico-religiosa rappresentata soprattutto da R. Reitzenstein, W. Heitmiiller e W. Bousset 3 • A loro avviso, il vangelo di Paolo trova la sua spiegazione storica nelle religioni misteriche di marca greco-orientale, nel dualismo gnostico e nel diffuso culto di divinità salvatrici, chiamate Kyrioi (Signori), parimenti di stampo greco-o1 Si veda soprattutto C. Weizsacker, Das apostolische Zeitalter der chri­ stlichen Kirche, Freiburg 1886. Cf. W. G. Ki.immel, Il Nuovo Testa­ mento, 243-251. 3 Cf. W. G. Ki.immel, op. cit., 357-408.

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dentale. Secondo Reitzenstein Paolo è stato un m1st1co e uno gnostico ellenistico: > (stoicheia tou kosmou : 2, 8.20; cf. Gal 4, 3 ) e identifica­ te con gli angeli (2, 1 8 ). Sul piano pratico, si faceva vale­ re il culto di queste potenze cosmiche personificate attra­ verso l'osservanza di uno speciale calendario religioso e l'astinenza da determinati cibi e bevande (2, 16-23 ) : asce­ si e culto necessari all'uomo per poter sfuggire al loro dominio, liberarsi interiormente da questo mondo e ac­ quisire una comprensione autentica di sé come essere sce­ so dai cieli purissimi e destinato a risalirvi, essendo que­ sta la sua vera patria 6• L'autore vi oppone l'affermazione del primato universale e cosmico di Cristo, mediatore di tutta la creazione, anche delle potenze cosmiche, vincitore di quest'ultime e reden­ tore dell'uomo, trasferito dal regno delle tenebre a quello della luce (cf. soprattutto l , 12-20 ) In lui abita la pie­ nezza della divinità (2, 9 ) e si concretizza il contenuto del vero mistero che la predicazione evangelica di Paolo ha disvelato agli occhi dei credenti, affinché giungano a una conoscenza e sapienza (gnosis, epignosis} sophia) alterna­ tive alla « filosofia » dei maestri di errore di Colossi. Il riferimento all'apostolo, in realtà, ha valore strumentale, messo in campo quale patrono d'indiscussa autorità e ga­ rante sovrano della validità della soluzione teologica che l'autore, assumendo numerosi elementi teologici elaborati in ambiente giudaico-ellenistico-cristiano, soprattutto di fattura liturgica (cf. per es. l'inno cristologico di l , 1 5-20 ), e interpretandoli alla luce del pensiero di Paolo, of­ fre ai credenti di Colossi per preservarli dal contagio ,

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6

Sull'eresia di Colossi vedi E. Lohse, op. cit., 186-191.

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gnostico. Siamo dunque davanti non a una pura e semplice ripetizione della teologia paolina, ma a una signifìcativa e feconda variazione, capace di rispondere alle esigenze del tempo e dell'ambiente. In breve, il discepolo di tanto maestro si è dimostrato creativo. In Col la figura di Paolo ha un risalto ·eccezionale. È (p. 88). Di fatto, a parte gli undici apostoli gerosolimitani, di nessun altro l'Epistula Apostolorum si occupa a fondo se non di Paolo, cui riconosce una funzione essenziale nella missione .

333

cr1st1ana nel mondo, strumento divinamente eletto per realizzare il disegno salvifico del Padre. E anche qui appa­ re un'analogia significativa con gli Atti, a cui l'autore dell'apocrifo si è riferito per tratteggiare la figura di Paolo e cosl renderla viva nella sua comunità. 6. Gli apologisti 33

A differenza degli scritti analizzati sopra, in questi autori del II sec. si rileva un'assenza sorprendente e quasi totale del nome di Paolo. Le uniche eccezioni sono un passo di Teofilo di Antiochia che, commentando la parabola del fattore infedele, identifica allegoricamente Paolo con il protagonista del racconto evangelico, e due testi rispetti­ vamente di Atenagora e della Lettera a Diogneto che citano « l'apostolo ». Invece la loro dipendenza dalle let­ tere e dal pensiero di Paolo impone una valutazione di­ versificata: le tracce della tradizione paolina sono minime in Aristide, poco più marcate in Atenagora e in Taziano, sensibili in Giustino e in Teofilo e, infine, sorprendente­ mente profonde nella Lettera a Diogneto, il cui autore può essere senz'altro annoverato tra i paolinisti, testimone di una vasta e significativa recezione della teologia paoli­ na. È probabile che il genere letterario dell'apologia, discor­ so indirizzato ai pagani e impegnato nella difesa e dimo­ strazione di verità religiose generali, come per es. il mo­ noteismo, l'immortalità dell'anima, ecc., sia la causa reale di un'incidenza discontinua e, qua e là, addirittura irrile­ vante della parola di Paolo, originariamente rivolta a co­ munità cristiane e finalizzata alla maturazione della loro fede. Più problematica invece appare l'ipotesi, spesso ric petuta 34 , di pretese riserve mentali nei confronti dell'a­ postolo rivendicato dagli gnostici e da Marcione. Nella sua Apologia, indirizzata ad Adriano ( 1 1 7- 1 38 ) o ad

33

Cfr. in generale E. Dassmann, op. cit., 244-260 e A. Lindemann, op. cit., 350 ss. 34 Cf. W. Bauer, op. cit., 228-229, seguito da W. Schneemelcher, art. cit .

334

Antonino Pio ( 1 38-16 1 ), Aristide 35, polemizzando contro l'idolatria dei pagani, mostra una duplice allusione alla lettera ai Romani. In 3 , 2 si legge: « Avendo ignorato Dio (me eidotes Theon), ( i barbari) furono vittime d'ingan­ no andando dietro agli elementi (stoicheia) e incomincia­ rono ad adorare la creatura invece del loro creatore (se­ besthai ten ktisin para ton ktisonta autous) » (cf. Rm l , 25 ). Rm l , 22 poi trova una chiara risonanza in 8, 2 (greco) : « Dunque i greci che si ritengono sapienti (so­ phoi) in realtà si sono dimostrati stolti (emoranthesan) ». Nella Supplica per i cristiani, scritta tra il 176 e il 178, Atenagora 36 riecheggia la denuncia paolina dell'omoses­ sualità pagana : « ... commettono, maschi con maschi (ar­ senes en arsesi) atti orribili » ( 34, 2 ; cf. Rm l , 27 ) ; ha in comune con Paolo il motivo del culto razionale o spiritua­ le (he logike latreia) ( 1 3, 4; cf. Rm 12, l ); in 16, 3 usa la formula « gli elementi poveri e deboli » ( ta ptocha kai astene stoicheia), testimoniata in Gal 4, 9 . Si tratta co­ munque di semplici risonanze, incapaci di far pensare a una dipendenza letteraria. Nel trattato Della risurrezione dei morti invece possiamo constatare una citazione esplicita . . . « . . . questo corpo cor­ ruttibile e dissipabile (to phtharton touto kai skedaston) deve, secondo l'apostolo (kata ton apostolon ), rivestirsi d'incorruttibilità (endysasthai aphtharsian) » ( 1 8, 5; cf. l Cor 15, 53 ). Un chiaro riferimento a 2 Cor 5 , l O appare poco dopo nella stessa opera di Atenagora: « Ciascuno riceverà la sua giusta ricompensa per quello che ha fatto nel corpo (dia somatos), sia bene che male ( eite agatha eite kaka) » (ibid). Infine, i due scritti di Atenagora ripor­ tano il detto: « Mangiamo e beviamo, perché domani mo­ riamo », presente in l Cor 15, 32 che lo riprende da Is 22, 13 LXX (Supplica per i cristiani 12, 3 e Della risurre­ zione dei morti 19, 3 ). 35

Cf. E . Hennecke, Die Apologie des Aristides, Leipzig 1893; C . Vona, L'Apologia di Aristide, Roma 1950. 36 Cf. P. Gramaglia, Atenagora. Supplica per i cristiani, Torino 1964; W. R. Schoedel, Athenagoras. Legatio and De Resurrectione, Oxford 1972; P. Ubaldi - M. Pellegrino, Atenagora. La Supplica per i cristiani. Della risurrezione dei morti, Torino 1947.

335

Giustino 37 (t 165 circa) per un verso individua nelle Memorie degli Apostoli (ta apomnemoneumata ton apo­ stolon ) , trasmesse per iscritto dai vangeli, e negli Scritti dei Profeti (ta syggrammata ton propheton ) le scritture sacre lette dai credenti durante le loro assemblee ecclesiali (Apol. l , 67). Le lettere di Paolo dunque non sono da lui computate nel novero delle sacre scritture. Le uniche autorità a cui si appella sono le Scritture dell'AT e l'insegnamento evange­ lico (Dialogo con Trifone 35, 3 ) Nessuna meraviglia dun­ que che non citi Paolo e non si riferisca espressamente alle sue lettere. D'altra parte, però, nel Dialogo con Tri­ fone mostra più di un richiamo a passi paolini. Così in 23, 3 parla della fede giustificante di Abramo e interpreta la circoncisione del patriarca come semplice segno della giustificazione: « Infatti lo stesso Abramo da incirconciso (en akrobystiai on) fu giustificato e benedetto ( edzkaiothe kai eulogethe) a causa della fede (dia ten pistin ) con cui credette a Dio, come dichiara la Scrittura; la circoncisione poi la ricevette come segno ( eis semeion) e non come fattore giustificante ( eis dikaiosynen ) , come anche ci for­ zano a confessare le Scritture e i fatti stessi ». Una lettura della testimonianza biblica veterotestamentaria che ricalca da vicino quella di Paolo nel c. 4 della lettera ai Romani (cf. soprattutto vv. 5 e 1 0 ) e in Gal 3, 6-9. L'antitesi tra circoncisione carnale (kata sarka) e circonci­ sione spirituale (pneumatike), presente sostanzialmente in Rm 2, 28-29 e in Col 2, 1 1- 1 2 , ricorre sotto la penna di Giustino in Dia/. 4 3, 2 : « . . non la circoncisione secondo la carne, bensì quella spirituale abbiamo ricevuto [ . ] una circoncisione che noi, che eravamo stati peccatori, ab­ biamo ricevuto a causa della misericordia di Dio per mez. zo del battesimo, e che similmente a tutti è possibile ncevere » . Inoltre Giustino, interpretando l'affermazione del Deute­ ronomio secondo cui la maledizione divina colpisce .

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37 Cf. I. Giordani, San Giustino. Le Apolof!.ie, Roma 1962; I. C. Th. Otto, fustini Philosophi et Martyris Opera, in « Cornns Apologetarum Christianorum saeculi secunJi >>, vol. I, Wiesbaden 1969.

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èrocifissi, precisa che nessuna maledizione è caduta sul messia di Dio (kata tou christou tou Theou), per mezzo del quale Egli salva tutti coloro che hanno commesso azioni degne della maledizione (di' hou sozei pantas tous kataras haxia praxantas) (Dialogo con Trifone 94 , 5 ). E poco dopo cita espressamente Dt 27, 26, citato anche da Gal 3, 10, a dimostrazione che tutto il genere umano è caduto sotto la maledizione divina ( 9 5, l ). Infine, in 96, l riporta alla lettera anche il detto di Dt 2 1 , 23: « Male­ detto chiunque è appeso al legno », citato in Gal 3 , 1 3 , m a l o fa ancora una volta per escludere, probabilmente in modo polemico contro l'interpretazione giudaica, che il testo biblico si riferisca a Gesù crocifisso. Ora, le analo­ gie tematiche con la lettera paolina ai Galati sono eviden­ ti; tuttavia Giustino si guarda bene dal ripetere la para­ dossale dichiarazione di Paolo: « Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge diventando un maledetto per noi » ( Gal 3 , 1 3 ). In ogni modo, abbiamo qui uno svilup­ po del significato soteriologico della croce di Cristo, libe­ ratrice dell'umanità caduta sotto la maledizione divina, che segna una vera e propria recezione della teologia pao­ lina; ma, insieme con l'affermazione della fede giustificante di Abramo, è anche l 'unico theologoumenon paolina pre­ sente in Giustino. Nella sua Oratio ad Graecos, del 1 76, Taziano 38 si ispira, qua e là, a motivi tematici paolini; i suoi riferimenti però sono più che altro allusioni; nessuna citazione esplicita, esattamente come Giustino. In 4, 9 afferma la conoscenza mediata del Creatore a partire dalle creature: « Noi lo (Dio ) conosciamo attraverso la sua opera (dia tes poieseos autou ) e comprendiamo la sua invisibile potenza da ciò che egli ha fatto (tes dynameos autou to aoraton tois poiemasi katalambanometha ) » (cf. Rm l , 20). Il detto di 1 1 , 9 : « Muori al mondo, vivi per Dio » (apothner.ke toi kosmoi, zethi toi theoi) riecheggia un tema della teologia paolina (cf. Rm 6, 1 1 : « Così anche voi consideratevi

38

Cf. R. M. Grant, Tatian and the Bible, in > , I, (TU, 6 3 ) , Bcrlin 1957, 297-306; J . C. Th. Otto, Tatiani Oratio ad Grae­ cos, in « Corpus Apologetarum Christianorum sacculi secundi », VI, Wiesbadcn 1969; U. Ubaldi, Taziano. Il discorso ai Greci, Torino 1 9 2 1 .

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morti al peccato e viventi per Dio in Cristo Gesù » e Col 2 , 20: « Se in realtà voi siete morti con Cristo » ) E poco dopo Taziano mostra di conoscere l'antitesi, cara a Paolo, di schiavitù-libertà: « Siamo diventati schiavi (dou­ loi) noi che eravamo liberi ( eleutheroi) » ( 1 1 , 1 1 a), anche se l'applicazione non è identica. Un'innegabile analogia invece esiste tra la dichiarazione di Taziano in 1 1 , 1 1 h : « Siamo stati venduti a causa del peccato » (dia ten ha­ martian eprathemen) e Rm 7, 1 4 : « . Io sono carnale, venduto come schiavo al peccato (peprammenos hypo ten hamartian) ». Infine, la definizione di Taziano del Logos come opera primogenita del Padre ( ergon pri5totokon tou Patros) (5, 3 ) riprende l'analoga titolatura cristologica del­ l'inno ai Colossesi : Cristo pri5totokos pases ktisei5s ( 1 , 1 5 ). Taziano ha pure scritto De perfectione secundum Servato­ rem, opera a noi non giunta, ma nella quale, secondo la te­ stimonianza di Clemente Alessandrino (Strom. III, 12; PG VIII, 1 1 82), l'apologista, di tendenze encratiste, si di­ spiace che l'apostolo in l Cor 7, 5-6 limiti, agli sposi, l'astinenza dai rapporti sessuali perché non abbiano a soc­ combere alla tentazione satanica dell'incontinenza. Taziano dunque ha conosciuto la l Cor interpretandone un testo. Purtroppo però dobbiamo accontentarci di questa notizia estrinseca di Clemente alessandrino. Di lui infine S. Girolamo, nella Prefazione al Commento alla lettera a Tito, dice che ha rifiutato alcune lettere paoline: « Sed Tatianus, Encratitarum patriarches, qui et ipse nonnullas Pauli epistolas repudiavit » 39• Teofilo di Antiochia 40, fine II sec., a differenza degli apo­ logisti studiati sopra, cita implicitamente Paolo, esatta­ mente l Tm 2, 2 e Rm 13, 7-8, e soprattutto vi si appella come a parola divina, non diversamente dall'insegnamento ...

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39

Cf. PL XXVI, 590. Cf. G. Bardy - ]. Sender, Théopbile d'Antiocbe. Trois livres à Auto­ lycus (S.C., 20), Paris 1948; P. Gramaglia, S. Teofilo d'Antiochia. Tre libri ad Autolico, Torino 1964 (di regola abbiamo seguito questa tradu­ zione); ]. C. Th. Otto, Tbeophili Episcopi Antiocheni Ad Autolycum libri tres, in « Corpus Apologetarum Christianorum saeculi secundi » , vol. VIII; E. Rapisarda, Teofilo di Antiochia, Torino 1937. 40

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profetico ed evangelico. Nella sua opera Tre libri ad Auto­ lico ( 3 , 14) infatti, dopo aver citato Isaia e il vangelo, continua cosl: « La parola di Dio (ho theios logos) ci comanda inoltre di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità (hypotassesthai archais kai exousiais) e di pregare per loro onde poter trascorrere una vita tranquilla e quie­ ta (cf. l Tm 2 , 2 ), insegna a rendere tutto a tutti (apodi­ donai pasin ta panta ) , il rispetto a chi deve essere rispettato (toi ten timen ten timen ) , il timore a chi deve essere temuto (toi ton phobon ton phobon ) , il tributo a chi lo esige (toi ton phoron ton phoron ); in nulla si deve essere debitore a qualcuno se non nell'amare tutti ( medeni meden opheilein be monon to agapan pantas) » (d. Rm 1 3 , 7-8). In l, 14 poi Teofilo sviluppa il tema del giudizio di Dio con chiare reminiscenze a passi paolini, da cui dipende anche letterariamente, non solo tematicamente: « Datti quindi anche tu con amore, se vuoi, alla lettura degli scritti profetici; essi ti guideranno con maggior sicurezza a sfuggire i castighi eterni e a raggiungere i beni eterni di Dio. Colui che ha dato la bocca per parlare, ha formato l'orecchio per udire e ha fatto gli occhi per vedere, esa­ minerà ogni cosa e pronunzierà il suo giusto giudizio dan­ do a ciascuno la retribuzione corrispondente ai meriti; a coloro che pazientemente avranno cercato con buone ope­ re l'immortalità, darà la vita eterna, la gioia, la pace, il riposo e la pienezza dei beni che né occhio vide, né orecchio intese, né il cuore umano sentì mai salire dentro di sé (cf. l Cor 2, 9); per gli increduli invece, e per quelli che disprezzano la verità senza lasciarsi da essa persuade­ re, per quelli che si affidano all'iniquità, dopo essersi im­ mischiati in adulteri, dissolutezze, pederastie, cupidigie e nefande idolatrie, per tutti questi vi sarà collera (orge) e indignazione (thymos), oppressione (thlipsis) e ansietà (stenochoria); alla fine saranno dati in possesso del fuoco eterno » (cf. Rm 2, 6-9 ). Un'allusione a l Cor 1 5, 53 si trova in l, 7: « E quando sarai spoglio della condizione mortale e ti rivestirai del­ l'immortalità . . . » (cf. la contrapposizione t o thneton /ten aphtharsian ). 339

Non manca però l'uso di concetti paolini . inseriti in un quadro mentale non paolina, come quando Teofilo in 2, 27 afferma: « Allo stesso modo che l'uomo disobbe­ dendo si era attirato la morte, così, obbedendo alla volon­ tà di Dio, chi vuole può procurarsi la vita eterna » (cf. Rm 5, 1 9 : « Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo l'umanità è diventata peccatrice, così per l'obbe­ dienza di uno solo l'umanità diventa giusta » ) . Certo, nella sua opera Teofilo non menziona mai Paolo; tuttavia S. Girolamo ci ha trasmesso questo suo commen­ to alla parabola del fattore infedele (Le 1 6 , 1-6 ) : « Teofilo, settimo successore di s. Pietro nella chiesa di Antiochia, così commenta: L'uomo ricco che aveva un fattore è Dio onnipotente, che nessuno supera in ricchez­ ze. Il suo fattore è stato Paolo che, educato ai piedi di Gamaliele dal quale ha appreso le Sacre Scritture, ha ricevuto l'amministrazione della legge di Dio. Ma poiché si era messo a perseguitare, legare, uccidere i credenti in Cristo e a dissipare tutte le sostanze (substantiam ) del suo Signore, fu da lui colto di sorpresa: "Saulo Saulo, perché mi perseguiti? Dura cosa è per te recalcitrare contro il pungolo" (Atti 9, 4 ). Disse allora Paolo in cuor suo: Che cosa farò ora? Io che sono stato maestro e fattore, mi vedo costretto ad essere discepolo e operaio. Non ho for­ ze per lavorare la terra. Vedo infatti che tutti i precetti della legge, che erano inerenti alla terra, sono distrutti e che la legge e i profeti sono terminati con Giovanni Bat­ tista. Ho vergogna di mendicare perché colui che è stato maestro dei giudei si vede ora costretto a predicare la dottrina della fede e della salvezza (fidei et salutis) dai gentili e dal discepolo Anania. Farò quindi ciò che vedo che mi sarà utile perché, quando sarò mandato via dalla fattoria, i cristiani mi ricevano a casa loro. Incominciò così a insegnare a coloro che erano prima stati nella legge e avevano creduto in Cristo così da ritenere di essere stati giustificati nella legge, che era stata abolita e che ciò che prima era stato un gu::td8gno doveva essere ri tenuto uno sterco (Fil 3 , 8 ). Chiamò poi due tra i molti debitori: per primo cnlui che cloveva al Signore cento barili d'olio. cioè quanti furono chiamati (congregati) dai gentili ed hanno 340

bisogno della grande misericordia di Dio; dal numero cen­ to, che è pieno e perfetto, fece scrivere cinquanta che è propriamente un numero da penitenti, secondo il giubileo e secondo la parabola del vangelo in cui a uno si perdo­ nano cinquecento denari e a un altro cinquanta (Le 7, 4 1-42 ). Per secondo chiamò poi il popolo dei giudei che si era alimentato con il grano dei comandamenti di Dio e gli doveva cento denari, e lo obbligò perché da cento passasse a ottanta, cioè che credesse nella risurre­ zione del Signore, che è continuata nel numero dell'ottavo giorno e si compierà con otto decadi (de octo compleretur decadis ), per passare dal sabato al primo giorno dopo il sabato. Per questo motivo è lodato dal Signore: perché aveva agito bene e, per la sua salvezza, era passato dalla austerità della legge alla clemenza (clementia) del vangelo. Se poi domandate perché ( Paolo) sia chiamato fattore d'i­ niquità in quella legge che è di Dio, (vi rispondo) che il fattore era iniquo perché egli che offriva bene (la Scrittu­ ra) non era giusto nella divisione che faceva, credendo nel Padre ma perseguitando il Figlio; possedendo Dio onni­ potente ma negando lo Spirito Santo. Paolo, apostolo, trasgredendo la legge, fu dunque più prudente dei figli della luce i quali, trattenendosi nella osservanza della leg­ ge, perdettero Cristo, che è la vera luce di Dio Padre » 4 1 • La Lettera a Diogneto 42 , del 200 circa, nata forse ad Alessandria d'Egitto 43 , ma da altri ritenuta di origine a­ siatica 44, pur non ricorrendo di regola a citazioni esplicite e senza nominare Paolo, a cui però si riferisce indicandolo come l'apostolo, mostra una profonda conoscenza e rece­ zione del pensiero paolino, soprattutto in campo antropo-

41 Ep. 121 (ad Algasiam), quaest. 6; cf. M. G. Mara, Paolo di Tarso e il suo epistolario, 8-1 1 e 71-74. 42 Cf. A. Lindemann, Paulinische Theologie im Brief an DioP,net, in A. M. Ritter (a cura di), > und « Gnosis » in der Schrift an Diognet, in ZKG 90 ( 1979) 41-62; K. Wengst, Schrift an Diognet, in > , II, Darmst�dt 1984, 281 ss. ; S. Zin­ cone, A Diogneto, Roma 1977 (spec. pp. 32-36), di regola abbiamo se­ guito questa traduzione. 43 Cosl Marrou, op. cit., e Wengst, Schrift an Diognet, 309. 44 Cf. S. Zincone, op. cit., 27. 341

logico-soteriologico. Si può concordare con il giudizio di Lindemann: « La teologia di Diogneto è dunque non solo formalmente, ma anche ed essenzialmente determinata da Paolo » 45• Il confronto con Aristide per es. appare illu­ minante. In realtà, mentre quest'ultimo fa un discorso generale sulla religione, la lettera a Diogneto presenta anzitutto i contenuti della fede cristiana. Lo sconosciuto scrittore di fine secolo si ispira a Paolo nel motivo apocalittico-sapienziale del mistero di Dio, proget­ to salvifico ora rivelato all'umanità: « Finché mantenne e custodi nel mistero ( en mysterioi) il suo saggio disegno (ten sophen autou boulen ) 46, sembrava che ci trascurasse e non si desse pensiero di noi; ma quando, per mezzo del suo Figlio diletto (agapetos pais), rivelò e manifestò (a­ pekalypsen/ephanerosen) quanto era stato preparato fin dall'inizio (ta ex arches hetoimasmena) (cf. Rm 16, 26-27 ; l Cor 2, 7-10; Ef 3, 4-9 ; Col l , 26), ci concesse al tempo stesso di fruire dei suoi benefici, di vederli e conoscerli >> (8, 1 0-1 1 ) 47• A Ef 4, 22-24 invece si richiama il tema dell'uomo nuovo, a immagine dell'uomo creato da Dio nell'Eden (2, l ). L'antropologia paolina comunque, incentrata nella catego­ ria « carne » e nell'antitesi carne-spirito, sta certo sullo sfondo di 5, 8 : « Sono nella carne, ma non vivono secon­ do la carne (en sarki tygchanousin, all'ou kata sarka zosin) » ( cf 2 Cor 10, 3 ; Rm 8, 1 2-1 3 ). Da parte sua 6, 5 : « La carne odia l'anima e la combatte (polemei) » mostra una certa analogia con Gal 5 , 17, dove però i termini antitetici sono carne e spirito. Descrivendo poi la condizione paradossale dei credenti caratterizzata da polarità contrapposte, la Lettera a Dio­ gneto riprende quanto Paolo aveva affermato della vita apostolica incarnata nella sua persona: « Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo (en ouranoi politeuon.

45

Art. cit., 347. Anche gli Atti degli Apostoli indicano il disegno di Dio con il so­ stantivo boule (2, 23; 4, 28; 13, 36; 20, 27). 47 Sempre in tema, si aggiunga che l'espressione theosebeias mysterion (4, 6) si presenta analoga alla fonnula di l Tm 3, 16: to tes eusebeias mysterion. S. Zincone, op. cit., 33 segnala i seguenti altri passi in cui ricorre il tema del mysterion: 7, 1-2; 8, 10-11 ; 11, 2.5. 46

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tai: cf. Fil 3, 20) [ . ] . Amano tutti e da tutti sono perse­ guitati (agaposin pantas kai hypo panton diokontai,· cf. l Cor 4, 1 2 ). Non sono conosciuti, eppure vengono con­ dannati; sono uccisi e tuttavia sono vivificati ( thanatoun­ tai kai zoopoiountai: cf. 2 Cor 6, 9 ). Sono poveri e arric­ chiscono molti; mancano di tutto e di tutto abbondano (hysterountai kai en pasin perisseuousin : cf. 2 Cor 6, l O). Sono disprezzati, ma nel disprezzo acquistano glo­ ria (atimountai kai en tais atimiais doxazontai: cf. l Cor 4, 1 0 ; 2 Cor 6, 8). Vengono bestemmiati e al tempo stes­ so si rende testimonianza alla loro giustizia. Vengono ol­ traggiati e benedicono (loidorountai kai eulogousin : cf. l Cor 4, 12); sono insultati e invece rendono onore. Ben­ ché compiano il bene, vengono puniti come malfattori, benché puniti, gioiscono, come se ricevessero la vita (kola­ zoumenoi chairousin hos zoopoioumenoi: cf. 2 Cor 6, 1 0 ) » . La dipendenza, anche letteraria, di questo brano (5, 9.1 116) da l Cor 4, 10-12 e 2 Cor 6, 8- 10 appare evidente. Il motivo deuteropaolino dell'imitazione di Dio (Ef 5, l ), sviluppato in chiave etica, sta al centro del passo 10, 4-7 : « Se lo amerai, imiterai la sua bontà; non meravigliarti che un uomo possa diventare imitatore di Dio (mimetes Theou) ». E continua precisando che chi opprime il pros­ simo « non può imitare Dio, perché questi atteggiamenti sono estranei alla sua grandezza. Invece imita Dio chi prende su di sé il fardello del prossimo ( ostis to tou plesiou anadechetai baros: cf. Gal 6, 2 ); allora comincerai a parlare dei misteri di Dio, perché Dio abita nei cieli ( en ouranois politeutai: cf. Fil 3, 20) » . Di straordinario interesse, comunque, è il c. 10, in cui la Lettera a Diogneto non si limita a richiamare questo o quel singolo passo dell'apostolo, ma fa proprio il nucleo centrale della soteriologia paolina, espressa soprattutto nella prima parte della lettera ai Romani. Lo schema teo­ logico soggiacente è quello dei due tempi in cui si divide la storia dell'umanità, soggetta prima, per magnanimità e tolleranza divina, alla tirannia del peccato e alla conse­ guente impotenza umana di camminare sui sentieri del bene e verso il traguardo della salvezza, poi redenta dal­ l'iniziativa di amore di Dio. In breve, pessimismo della ..

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natura e ottimismo della grazia. La citazione può iniziare da 8, 7 : « Egli infatti, signore e creatore di tutto, autore e ordinatore di ogni cosa, mostrò verso gli uomini non solo amore, ma anche grandezza d'animo (ou monon phi­ lanthropos egeneto, alla kai makrothymos) » ( cf. Rm 2, 4 ), e continuare in 10, 1-6: « Egli dunque, avendo già pre­ disposto tutto in se stesso insieme con il Figlio, permise che, nel periodo precedente ( alla realizzazione del suo disegno), ci lasciassimo trascinare, a nostro piacimento, da impulsi disordinati e ci facessimo fuorviare dai piaceri e dalle passioni (pherestai hedonais kai epithumiais apago­ menous: Tt 3 , 3 ), non certo perché si rallegrasse dei no­ stri peccati, ma perché li tollerava (anechomenos: cf. Rm 3, 26: en anochei). Non approvava quel periodo di ini­ quità, ma preparava l'era attuale della giustizia, affinché, mentre in quel tempo le nostre opere dimostravano che eravamo indegni della vita, ne fossimo ora stimati degni in virtù della bontà (chrestotes) divina e manifestassimo chiaramente l'impossibilità di entrare nel regno di Dio con le nostre sole forze, mentre lo possiamo con la poten­ za (dynamis) divina. Quando la nostra iniquità giunse al culmine (pepleroto ) , fu del tutto chiaro che la sua ri­ compensa era il castigo e si attendeva la morte ( cf. Rm 6, 23 ). Venne il tempo stabilito da Dio (ho kairos: cf. Gal 4, 4) per la manifestazione della sua bontà e potenza (phanerosai ten heautou chrestoteta kai dynamin: cf. Tt 3, 4 ) - o straordinaria benevolenza e amore di Dio! (hy­ perballouse philanthropia kai agape tou Theou ) -. Non ci odiò, non ci respinse né serbò rancore, ma dette prova di grandezza d 'animo e di tolleranza (emakrothymcsen kai enescheto ); mosso da compassione ( eleon ) , prese su di sé i nostri peccati, dette il proprio Figlio per il nostro riscat­ to (ton idion hyion apedoto lytron hyper hcmon : cf. Rm 8, 3 2 ) : ( sacrificò ) il santo per gli iniqui (ton hagion hJ'per anomon : cf. Rm 5 , 6), l'innocente per i mahagi, il giusto per gli ingiusti, l'incorruttibile per i corruttibili, l'immor­ tale per i mortali. Che altro infatti avrebbe potuto annul­ lare i nostri peccati, se non la sua giustizia ? In che pote­ vamo essere giustificati noi, iniqui ed empi (cf. Rm 4 , 5 ), se non nel Figlio di Dio ? (en tini dikaiothenai dynaton ·

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tous anomous hemas kai asebeis, e en monoi toi h'Vioi tou Theou: cf. Rm 3 , 25-26; 5 , 6-1 0 ; Gal 2 , 1 7 ). O dolce riscatto, o opera impersàutabile, o benefici insperati: l'i­ niquità di molti (anomia men pollon) è stata annullata da un solo giusto ( en dikaioi beni), la giustizia di uno solo ( dikaiosynen de henos) ha giustificato molti iniqui (pol­ lous anomous dikaiosei: cf. Rm 5, 1 8 ss). Dopo aver dimo­ strato nel passato l'impossibilità (to adynaton) per la nostra natura di raggiungere la vita, e aver mostrato (deixas) nel presente (nyn) . che il Salvatore può salvare anche l'impos­ sibile (ton sotera dynaton sozein kai ta adynata), ha volu­ to in questo modo che noi avessimo fiducia (pisteuein hemas) nella sua bontà ( tei chrestoteti autou ) , lo conside­ rassimo sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita, e non ci angustias­ simo per il vestito e il cibo » . Infine, la Lettera a Diogneto in 1 2 , 5 contiene anche una citazione esplicita dell'apostolo, appunto di l Cor 8, l : « L'apostolo ( ho apostolos ) , avendo presente questo si­ gnificato e biasimando la conoscenza (gnosis) che si sforza di arrivare alla vita ( eis zoen) senza la guida della verità afferma: "La conoscenza gonfia, mentre l'amore edifica (be �nosis physioi, be de agape oikodomei: cf. l Cor 8 , l )" ». Ed anche la spiegazione di questo detto richiama un passo paolino, precisamente l Cor 8 , 2 : « Infatti chi ritiene di sapere qualcosa senza la vera conoscenza, a cui la vita rende testimonianza, non sa nulla » ( 1 2 , 6 ) . Per concludere, non sembra esagerata la valutazione con­ clusiva dello studio di Lindemann: « Finora, prescinden­ do da Col e Ef, la sua recezione di Paolo si pone a un livello sconosciuto in autori cristiani » 48• 7. Silenzi intenzionali o casuali ?

Non pochi, tanto meno trascurabili, sono gli scritti delle origini cristiane in cui Paolo - personaggio, epistolario e teologia - appare del tutto assente. Alla semplice consta48

Art. cit., 350.

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tazione però deve subito seguire la ricerca delle cause di tale silenzio. Sono ipotizzabili i seguenti motivi: non se ne pada perché sconosciuto, oppure perché volutamente trascurato o addirittua per una sorta di damnatio nominis. Detto altrimenti, siamo davanti a scritti non paolini o a documenti antipaolini? Né va trascurato, in sede valutati­ va, il fatto che le attestazioni letterarie di questo o di quell'autore ci sono giunte solo parzialmente; in tal caso il silenzio appare relativo, limitato cioè alle opere conser­ vate, e non esclude la possibilità che nei libri andati per­ duti le cose fossero diverse 49 • Nella valutazione poi si deve tener presente il luogo di origine: le testimonianze analizzate sopra ci dicono che nella provincia romana di Asia (Efeso, Colossi, Smirne), in Grecia (Corinto, Filippi e Tessalonica) e a Roma la pre­ senza di Paolo e la conoscenza delle sue lettere e del suo pensiero erano una costante in questo periodo, mentre ad Antiochia di Siria e ad Alessandria d'Egitto la tradizione paolina appare sporadica. Ne consegue che il silenzio di uno scrittore vissuto nelle chiese che conservavano viva la memoria del grande apostolo, difficilmente può essere ad­ debitato a mancanza di conoscenza, mentre questa sembra la spiegazione più plausibile del silenzio riscontrabile in aree cristiane non costantemente segnate dalla tradizione paolina, come la Siria. Non intendiamo, infine, tracciare una netta demarcazione tra gli scritti che qui menzioneremo e analizzeremo e quelli di cui si è detto sopra. Qualche accenno o ripresa di motivi paolini di carattere generale ed episodico non potrà certo essere motivo sufficiente per inserire questo o quel libro nel filone della tradizione paolina. D'altra par­ te, qualche apologista del sec. II, presentato sopra, come Aristide per es., potrebbe, a rigore, rientrare tra gli scrit­ tori che tacciono di Paolo. Non l'abbiamo fatto per non 49 Si è visto infatti sopra che Teofilo di Antiochia, il quale nella sua Apologia non menziona mai Paolo, in un'opera a noi non pervenuta e a cui fa riferimento Girolamo, ha interpretato allegoricamente il fattore infedele della parabola lucana vedendovi una profezia dell'apo­ stolo. Cosl per Taziano.

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smembrare in maniera troppo analitica raggruppamenti di scritti omogenei per genere letterario. La lettera agli Ebrei 50, scritto omiletico originariamente anonimo, composto poco prima del 70, molto presto inse­ rito nell'epistolario paolina, forse in base al postscritto epistolare che, in qualche modo, richiama gli analoghi brani conclusivi delle lettere dell'apostolo 51 , tradisce la mano di una personalità autonoma, teologicamente ricca e originale, ma anche del tutto estranea alla tradizione pao­ lina. Certo, non mancano alcune analogie tematiche e let­ terarie con l'epistolario di Paolo. Per es., il motivo allego­ rico del latte e del cibo solido, nutrimenti rispettivamente del bambino e dell'adulto, è presente parimenti in l Cor 3, 1-3 e in Eb 5, 12-14. Il tema di Cristo risorto che intercede presso Dio a favore dei credenti, è testimoniato sia in Paolo (Rm 8, 34) sia in Eb ( 7 , 25). Con Rm l , 17 e Gal 3, 1 1 , la lettera agli Ebrei è il solo scritto neotestamentario che cita espressamente il famoso passo di Ab 2, 4 (LXX), in cui si afferma uno strettissimo legame tra fede, giustizia e vita. Tanto in Paolo quanto in Eb la fede ha un rilievo eccezionale. Inoltre anche la lettera agli Ebrei proclama la fine dell'economia salvifica imperniata sulla legge mosaica (cf. per es. il cap. 7 ). Infine, il peccato (he hamartia, al singolare), inteso come forza schiavizzante l'uomo, può essere annoverato tra gli aspetti di somiglianza (Eb 3, 1 3 parla di « seduzione del peccato » ; cf. Rm 7 , 1 1 : « II peccato mi sedusse » ) . Eppure siamo indotti a dar ragione a Schroger quando afferma che ne vestigium quidem paulinismi è riscontrabi­ le in Eb 52• In realtà, Paolo e la lettera agli Ebrei sono due mondi teologici distinti e autonomi. In particolare, estranea a Paolo è la concezione dualistica di Eb che vede nel mondo celeste e nel mondo terrestre la realtà e l'om50

Cf. E. Dassmann, op. cit., 57-68; A. Lindemann, op. cit., 233 ss.; soprattutto F. Schroger, Der Hebriierbrief - paulinisch?, in « Kontinuitat und Einheit » (Fs. f. Mussner), Freiburg 1981, 21 1-222. 51 Vedi soprattutto la menzione del « nostro fratello Timoteo », di cui si annuncia la visita (Eb 13, 23), un motivo personalistico che ri­ chiama passi paolini analoghi (cf. l Cor 16, 10-1 1 ; 4, 17). 5 1 Art. cit., 215-216.

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bra (skia) (cf. 8, 5 ; 10, l ; vedi anche Còl 2 , 1 7 ). La legge mosaica a cui l'evento di Cristo ha posto fine, per Eh è l'insieme degli ordinamenti cultuali e rituali, incapa­ ci di santificare veramente l'uomo peccatore. L'antitesi paolina fede-opere della legge è assente. La fede poi in Eh appare come la nota caratterizzante i credenti in quanto sono in cammino verso il riposo eterno, mentre in Paolo è la decisione fondamentale della persona che aderisce all'i­ niziativa divina di grazia in Cristo e ottiene cosl in dono la giustificazione 53 • Le analogie tematiche accentiate sopra sono dovute non a contatti, tanto meno a dipendenze, bensl fanno parte del patrimonio comune della tradizione cristiana. · Eh non mostra di conoscere né l'esistenza né il contenuto dell'epistolario paolina. Possiamo dunque concludere che la lettera agli Ebrei è estranea al fenomeno della recezione di Paolo. D'altra parte, nessun antipaolinismo. Accanto a Paolo e al paoli­ nismo e à Giovanni e alla teologia giovannea, Eh forma il terzo distinto polo teologico del NT 54• L'estraneità alla tradizione paolina dei van?,eli di Marco e di Maùeo 55, il primo sorto a cavallo del 70, il secondo di origine siriaca e databile negli anni 80, è un fatto certo per Marco e molto probabile per Matteo. Certo, come Paolo, Marco sottolinea con particolare forza il tema del­ l'euaf!.gelion incentrato in Cristo (cf. l , 1 . 15; 8 , 35; 1 0 , 29; 16, 15, tutti passi redazionali) e propone narrati­ vamente una theologia crucis che l'apostolo ha sviluppato, con ben diversa strumentazione concettuale, nella l Cor. Ma nessuna dipendenza, né tematica, tanto meno lettera­ ria, dall'epistolario e dal pensiero paolina è riscontrabile nel suo vangelo. A prima vista, il tema della « giustizia » ( dikaiosyne) e del compimento della legge divina, già manifestata al Si­ nai mediante Mosè e ultimamente rivelata in tutto il suo 53 In proposito E. D11ssmann,

op. cit., 66 parla di un processo di monoteizzazione (Eh 1 1 , 6), intellettualizzazione (Eh 1 1 , 1 .3 ) ed eti­ cizzazione della fede. 54 Co�l Ph. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Literatur, Berlin 1 975, 245. 55 Cf. E. Dassmann, op. cit., 102-106; A. Lindemann, op. cit., 149-158.

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rigore da Gesù messia, tema centrale nel vangelo di Mt, potrebbe apparire antitetico alla teologia paolina della « fine della legge » decretata dall'evento di Cristo ( Rm 10, 4 ), dell'antitesi opere della legge - fede e della giu­ stificazione sola fide. Si vedano i seguenti passi redazionali matteani : « Non pensate che io sia venuto ad annullare la legge e l'insegnamento dei profeti; non son venuto per annullarli, ma per completarli. Ve l'assicuro, finché cielo e terra saranno, neppure una virgola della legge verrà tolta, almeno sino alla fine del mondo. Perciò chi trasgredisce anche uno· solo dei più piccoli comandamenti e questo insegna agli altri, sarà il più piccolo nel regno dei cieli. Chi invece li osserva e cosi insegna agli altri, sarà grande nel regno dei cieli. Vi dichiaro che se la vostra giustizia ( dikaiosyne, intesa come obbedienza al volere di Dio) non supera l'osservanza dei maestri della legge e dei farisei, non entrerete nel regho dei cieli » (5, 17-20); « Da questi due comandamenti (dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo) dipendono tutta la legge di Mosè e l'insegna­ mento dei profeti » ( 22 , 40; cf. anche la regola d'oro in 7, 12). Ma, più che contro Paolo, Matteo propone il suo pro­ gramma di vita, consistente nell'obbedienza sincera e in­ tegrale al volere di Dio ( = giustizia), contro le manifesta­ zioni pratiche di lassismo e, teoricamente, contro correnti anomistiche ed entusiastiche che intendevano l'esistenza cristiana in termini di carismatismo estremo e di tauma­ turgismo ( cf. 7 , 2 1-23 ) 56• Anzi, il fronte avversario del primo evangelista appare simile a quello combattuto dal­ l'apostolo nella chiesa corinzia. Resta però sempre vero che Paolo fu male interpretato, appunto in senso anomi­ stico, come appare dalla lettera ai Romani, in cui egli risponde ad obiezioni di tal genere: « Dunque che dire­ mo? Dobbiamo rimanere soggetti al peccato affinché ab­ bondi la grazia? Non sia mai ! » ( 6, 1-2 a); « Che dire dunque? Dobbiamo peccare perché non siamo sotto il dominio della legge, ma sotto quello della grazia? Non sia 56

Cf. G. Barth, Dar Geretzerverrtandnir der evangelirten Matthiiur, in Ueberlieferung und Auslegung im Matthiius-Evangelium », Neukirchen 21961 , 54-154. «

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mai! » (6, 15). Quindi si può ipotizzare pure ;t che Mat­ teo, soprattutto in 5, 17-20, abbia di mira un paolinismo divulgato e mal compreso dai suoi avversari. Ma ci sem­ bra probabile che il primo evangelista sia da annoverare più tra gli scritti semplicemente non paolini che non tra gli antipaolinisti. Invece una critica a Paolo, esattamente alla sua tesi della giustificazione sola fide, con più convincenti argomenti si può affermare a proposito della lettera di Giacomo 58, scritto di accentuato carattere giudeo-cristiano, databile anteriormente all'anno 70 e localizzabile a Gerusalem­ me 59• In concreto, ci si riferisce al passo 2, 20-24: « Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere (be pistis choris ton ergon) è senza valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere ( ex ergon ), quando offri Isacco, suo figlio, sull'altare? Vedi che la fede cooperava (synergei) con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compi la Scrit­ tura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. Vede­ te che l'uomo viene giustificato (dikaioutai) in base alle opere e non soltanto in base alla fede ( ex ergon, ouk ek pisteos monon) » . L'autore intende manifestamente op­ porsi alla scissione tra fede e opere (v. 20; cf. v. 26) e sostenere il loro sinergismo (v. 22 : synergei). Ne conse­ gue che la giustificazione dell'uomo non potrà realizzarsi sola fide, bensl in forza delle opere (v. 24): un versetto che, nella sua formulazione, si oppone diametralmente alle affermazioni paoline, in particolare a Rm 3 , 28: « Rite­ niamo infatti che ogni uomo è giustificato (dikaiousthai) per mezzo della fede (pistei), indipendentemente dalle o­ pere della legge (choris ergon nomou) ». D'altra parte, sia Giacomo che Paolo ricorrono al caso esemplare di Abra­ mo e ambedue citano il testo-chiave di Gen 1 5 , 6 : 57 ss

Così A . Lindemann, op. cit., 248-249. Cf. E. Dassmann, op. cit., 108 ss.; A. Lindemann, op. cit. 240-252; soprattutto lo studio monografico di R. Penna, La giustificazione in Paolo e in Giacomo, in RivBib 30 ( 1982) 337-362 e il commento di F. Mussner, Der Jakobusbrie/, Freiburg 1964, 12-19 e 140-157. 59 Così F. Mussner, op. cit., 12-23. Ma altri esegeti propendono per una data pitl tardiva. 350

,

« Abramo credette a Dio e gli fu accreditato a giustiZia » (Gc 2, 23 e Rm 4, 3 .9 .22; Gal 3, 6), ma in direzioni opposte: per Giacomo il patriarca è prototipo dei giu­ stificati a causa delle opere, lui pronto a sacrificare il figlio (v. 2 1 ), o meglio per la sua fede sostanziata dalle opere (v. 23 ) ; Paolo invece ne fa il padre dei giustificati sola fide (Rm 4). Si dirà, e giustamente, che fede e opere non hanno lo stesso significato per Giacomo e per Paolo. Il primo infat­ ti finisce per ridurre la fede non vivificata dalle opere a credenza puramente intellettuale, di cui persino i demoni possono vantare il possesso (v. 1 9 ), e non specifica mai, a differenza di Paolo, le opere con il genitivo « della leg­ ge », anzi le intende come operatività propria dei creden­ ti. Per Paolo invece, credere costituisce la decisione fon­ damentale della persona che accetta l'iniziativa di grazia di Dio mediata da Cristo e rivelata nella predicazione evangelica, mentre le « opere della legge » sono i titoli di gloria dei giudei che esibiscono la circoncisione e le loro osservanze. Si potrà addirittura, non senza qualche ragione, sostenere che il sinergismo fede-opere di Giacomo corri­ sponde, in ultima analisi, a quanto Paolo afferma in Gal 5, 6: « In Cristo Gesù infatti né la circoncisione né l'in­ circoncisione conta qualcosa, ma solo la fede operante mediante l'amore ». Tutto vero, eppure non ci sembra possibile aderire alla posizione di quanti si schierano a favore di un sostanziale accordo tra Giacomo e Paolo ed escludono una vera e propria opposizione 60 • Nell'ardore della polemica è troppo facile travisare la tesi dell'avversario per poterla meglio combattere. Ci pare probabile che Giacomo si opponga alla teologia paolina della giustificazione sola fide, presen­ tando in maniera caricaturale la fede giustificante afferma­ ta dall'apostolo 61 • 60 Antesignano è stato S. Agostino: > (ibid.; cf. Rm 7, 12} l3bis . Ultimamente, la nostra documentazione gnostica si è assai arricchita con le scoperte di Nag Hammadi: a partire dal 1945, sono venuti alla luce 46 scritti gnostici, alcuni in doppia o triplice copia, 40 dei quali finora sconosciuti, riuniti in 1 3 codici 14• Si tratta di testi vergati in copto e risalenti al IV secolo, ma la datazione degli originali greci, di cui sono una traduzione, è più antica, dalla metà del II sec. all'inizio del III. Il problema della recezione di Paolo da parte dello gnosticismo cristiano del II sec. trova qui una base allargata e vastissima di indagine, capace di completare i dati finora emersi dalle testimonianze indi­ rette di Ireneo e di Ippolito e dalle testimonianze dirette, ma limitate, degli Estratti di Teodoto e della Lettera a Flora di Tolomeo e da alcuni brani di Eracleone. La nostra attenzione, naturalmente, verterà su quegli scritti di Nag Hammadi che testimoniano un influsso più o me­ no notevole di Paolo, delle sue lettere e della sua teologia . Si tratta, per lo più, di testi d'impronta valentiniana,. Ubis S. Girolamo (PL 26, 333A: prologo al commento alla lettera ai Ga­ lati) nomina come suo predecessore nel commentare la lettera ai Galati un certo Alessandro, di cui non ci è stata però trasmessa l'opera esege­ tica. Da parte sua, Tertulliano parla di un Alessandro gnostico (cf. De carne Christi, 16-17). È probabile che si tratti della stessa persona. Se cosi è, come Io gnostico Eracleone è stato il primo commentatore del vangelo di Giovanni, cosi sarebbe pure gnostico il primo commento a una lettera paolina. 14 Vedi la breve presentazione di L. Moraldi, Testi gnostici, Torino 1982, 61-102 (con bibl.).

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quali la Lettèra a Regina, il Trattato Tripartito, il Vange­ lo di Verità, H Vangelo di Filippo e il Testimonio di Verità. In altre opere gnostico-cristiane di Nag Hammadi invece, il silenzio su Paolo è pari a quello per es., della Seconda Lettera di Clemente 15• Due scritti di Nag Hammadi 16 portano il nome di Paolo: la Preghiera dell'apostolo Paolo e l'Apocalisse di Paolo. Ciò però non dimostra ancora una particolare « simpatia » paolina da parte di questi autori gnostici; infatti nella biblioteca di Nag Hammadi non mancano opere messe sotto il patrocinio di altri apostoli, come Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo, Tommaso. Per nome Paolo è menzio­ nato solo altre tre volte, rispettivamente in Esegesi del­ l'Anima (p. 1 3 1 , 2), negli Insegnamenti di Silvano (p. 108 , 3 0), nella Lettera a Regina, dove il nome proprio è abbinato al titolo di apostolo (p. 45, 24). Meno numerosi sono i passi in cui vi si fa espresso riferimento all'« apo­ stolo » (cf. Lettera a Regina p. 45, 24), al « grande apo­ stolo » (cf. Natura degli Arconti p. 86, 2 1 ). Al contrario, diffuse sono le citazioni implicite, ricchi i riferimenti a formulari e motivi paolini, innumerevoli le consonanze e le allusioni. Le lettere paoline citate o variamente richia­ mate sono Rm, 1-2 Cor, Gal, Fil, Col, Ef, l Ts (ed Eh). Le lettere pastorali invece appaiono escluse o comunque disattese. Nessun esclusivismo però: i testi gnostici di Nag Hammadi, come del resto quelli analizzati sopra, ac­ cettano, insieme con le Scritture dell'AT, un po' tutti gli scritti apostolici. Grosso modo, si può stilare la seguente classifica dei preferiti: Paolo al primo posto, poi il quarto vangelo, quindi i sinottici. La recezione paolina vi appare selettiva 17 , limitata ad al­ cuni, eppure importanti, temi della teologia paolina e deu­ teropaolina (Col-Ef), come la risurrezione a immagine di Cristo, uomo celeste antitetico all'Adamo terrestre; il bat15

Così E. Dassmann, art. cit., 138. l 6 Dell'intera biblioteca di Nag I-lammadi abbiamo l'edizione curnta

da ]. M. Robinson, The Nag Hammadi Librarv in English, Leiden 1977. 1 7 In realtà, sempre la recezione di Paolo nella storia è stata selettiva, come ha nota to E. Dassma nn , Paolo apostolo, in « Di7.ionario P) (Panarion 42, 3 ). Ireneo afferma : « Si salveranno solo le anime che avranno appreso la sua dottrina, essendo impensabile che il corpo, preso dalla terra, partecipi alla salvezza » (Adv. Haer. I, 27, 3 ) . Secondo Tertulliano « presso il dio di Marcione la carne non risorge » (Adv. Mare. I, 24, 3 ). Al dualismo teologico corrisponde, coerentemente, il dua­ lismo cristologico o messianico. Marcione afferma che due sono i Cristi, l'uno preannunciato nell'AT e promesso dal dio creatore, l'altro « apparso » in Gesù di Nazaret, invia­ to a rivelare il dio ignoto e straniero e a compiere la redenzione dell'umanità perduta. In breve, un Cristo giu­ daico e un Cristo cristiano, il primo « destinato dal crea­ tore al popolo solamente, per riunirlo dalla diaspora >) , il secondo « introdotto dal dio migliore per la liberazione di tutto il genere umano » (Adv. Mare. III, 2 1 , l ; cf. IV, 384

6, 3 ) ; introdotto « all'ithprovviso » (Adv. Mare. III, 2, l ); un « Cristo che non era stato mai annunziato », opposto al Cristo « che era sempre stato predetto » (Adv. Mare. III, l , 2). Brevemente: « Lui, che era nuovo, volle venire in modo nuovo » (Adv. Mare. III, 4, l ). In con­ creto, assumendo Le 3, che per Marcione costituisce l'ini­ zio del vangelo, avendo egli espunto i primi due capitoli dedicati al racconto della generazione e della nascita del Cristo, l'una e l'altra rifiutate, l'eretico può indicare la data dell'apparizione del Cristo del dio buono: l'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio (Adv. Mare. IV, 7, l ). A lui poi Marcione assegna « il proposito di ogni umiltà e di ogni pazienza e di ogni mansuetudine » (Adv. Mare. III, 1 7 , 4) e riconosce la missione di annunciare « un nuovo regno », « un regno celeste » (Adv. Mare. III, 24, 13 ). Tertulliano continua: « Nella sua prima venuta si è fatto avanti opponendosi al creatore, distruggendo la sua Legge e i suoi Profeti, nella sua seconda venuta, invece, procederà contro Cristo, contestandogli il regno » (Adv. Mare. III, 5, 5). Infine, il polemista africano rim­ provera a Marcione l'invenzione « di una putativa corpo­ reità di Cristo », l'affermazione che « Cristo fu un fan­ tasma », apparso « nel fantasma di una carne » (Adv. Mare. III, 1 1 , l ; 8, l ; 9, 1 ). Si deve però dire che, no­ nostante questo docetismo, Marcione non è giunto a nega­ re la realtà della morte in croce. Più sintetica la testimonianza di Epifanio: « Dice poi che Cristo è disceso dal cielo, mandato dal Padre invisibile e innominabile per salvare le anime e per redarguire il dio dei Giudei, della legge e dei profeti e di queste cose » (Panarion 42, 4, 2 ). A sua volta Ireneo scrive: « Dice poi che Gesù, inviato dal Padre, che è al di sopra del Dio creatore del mondo, venne in Giudea al tempo del preside Ponzio Pilato, che era procuratore di Tiberio Cesare, si manifestò in figura umana a quelli che erano in Giudea, abolì i profeti e la Legge e tutte le opere del Dio che ha creato il mondo, che egli chiama Kosmokrator » (Adv. Haer. I, 27, 2 ). Infine, sempre con coerenza, Marcione stabilisce una netta antitesi tra le sacre scritture che testimoniano la presenza 385

delle due divinità e dei due messia e le realtà contrappo­ ste legge-vangelo e creazione-redenzione. A detta di Ter­ tulliano, Marcione legge questa sua antitesi scdtturistica tra Antico e Nuovo Testamento nel famoso passo allego­ rico di Gal 4, 21-3 1 su Agar e Sara, simboli dei due contrapposti Testamenti della Legge e del vangelo (cf. Adv. Mare. V, 4, 8 ) In concreto, Marcione rifiuta tutti i libri dell'AT, espressioni del dio creatore e della legge. Degli scritti cristiani, in uso nella chiesa del tempo, opera una rigorosa selezione, mantenendo solo il vangelo di Lu­ ca e dieci lettere di Paolo, che costituiscono, a suo avviso,. il NT, le uniche sacre scritture cristiane. Non solo, ritiene di dover sottoporre il testo evangelico lucano e le dieci lettere paoline riconosciute a un processo di restituzione alla loro forma originaria e autentica, essendo stati in passato corrotti qua e là da infiltrazioni giudaistiche e legalistiche. Ecco la testimonianza di Ireneo: « Perciò Marcione e i suoi seguaci si sono messi a mutilare le Scritture: alcune non le riconoscono affatto, il Vangelo di Luca e le lettere di Paolo li mutilano, dicendo che sono autentici solo gli scritti che essi hanno così ridotto » (Adv. Haer. III, 12, 1 2 ); « Inoltre, mutilando il Vangelo secondo Luca e togliendo tutto ciò che è stato scritto sulla generazione del Signore e molte parti dell'insegnamento che si ricava dai discorsi del Signore - quelle in cui è scritto con la massima chiarezza che il Signore riconosce come suo Pa­ dre il creatore di questo mondo - ha persuaso i suoi discepoli che è più veritiero degli apostoli che hanno trasmesso il Vangelo. Egli però non trasmette loro il Vangelo, ma una piccola parte del Vangelo. Similmente ha mutilato anche le lettere dell'apostolo Paolo, togliendo tutti i passi in cui l'Apostolo parla chiarissimamente del Signore nostro Gesù Cristo, e tutto ciò che l'Apostolo ha insegnato citando i passi profetici che preannunciano la venuta del Signore » (Adv. Haer. I, 27, 2). Tertulliano sa anche ricorrere a paragoni arguti: « Chi è tanto topo del Ponto, roditore, come colui che ha rosic­ chiato i Vangeli? » (Adv. Mare. l, l , 5 ). Del vangelo di Luca Marcione, annota ancora il suo critico, « ha eroso .

386

tutte le affermazioni contrarie alla sua convinzione, quelle che concordavano con il creatore, come se fossero state inserite dai difensori di: esso, mentre conservò quelle che favorivano la sua interpretazione » (Adv. Mare. IV, 6, 2). Tertulliano gli addebita di aver mutilato non solo il terzo vangelo (Adv. Mare. IV, 2, 4 ), ma anche, nel numero, le lettere paoline come i vangeli (Adv. Mare. V, l , 9 ). Più precisa la attestazione di Epifania : « Costui infatti ha soltanto il vangelo secondo Luca, mutilato dell'inizio a motivo del concepimento del Salvatore e della sua venuta nella carne. Quel corruttore di se stesso piuttosto che àel vangelo non solo eliminò l'inizio, ma anche molte parole della verità tagliò via alla fine e nel mezzo, aggiun­ gendone altre a ciò che sta scritto. Usa quindi solo questa forma del vangelo secondo Luca. Vi aggiunge anche dieci epistole del santo apostolo, le sole che egli usa, non però tutto ciò che vi è scritto, ma detraendo alcuni capitoli e altri mutando [ .. ] . Ora le epistole da lui accettate sono: prima la lettera ai Galati, seconda la lettera ai Corinzi, terza la seconda lettera ai Corinzi, quarta la lettera ai Romani, quinta la lettera ai Tessalonicesi, sesta la seconda lettera ai Tessalonicesi, settima la lettera agli Efesini, ot­ tava la lettera ai Colossesi, nona la lettera a Filemone, decima la lettera ai Filippesi. Possiede anche parti della lettera detta ai Laodicesi » (Panarion 42, 9, 1-4). A proposito di quest'ultima affermazione di Epifania, si deve registrare la testimonianza correttrice di Tertulliano: Marcione chiama lettera ai Laodicesi l'epistola agli Efesi­ ni: « Secondo la verità della Chiesa, noi siamo convinti che questa epistola sia stata inviata agli Efesini, non ai Laodicesi; ma Marcione una volta tanto ha voluto inter­ polare persino il titolo » (Adv. Mare. V, 17, l ). Legger­ mente diverso è anche l'ordine di numerazione delle lette­ re paoline accettate da Marcione secondo la testimonianza di Tertulliano che nel libro V della sua opera polemica le analizza così : Gal, 1-2 Cor, Rm, 1-2 Ts, Ef (o Laodicesi ), Col, Fil, Fm. La bibbia di Marcione e della sua chiesa era dunque costituita dallo euaggelion (il vangelo di Luca depurato, meglio il vangelo di Paolo, scritto dal suo discepolo) e .

387

dall'apostolikon (le dieci lettere paoline riconosciute). Se­ condo Tertulliano l'eretico vi aveva premesso la sua opera Antitesi: « Ogni affermazione e ogni costruzio­ ne dell'empio e sacrilego Marcione ora noi sfidiamo a confronto col suo stesso vangelo, vangelo che ha fatto suo interpolandolo. E, per dargli attendibilità, gli ha inventato una specie di dote, un'opera intitolata Antitesi grazie alle sue opposte contraddizioni e messa insieme al fine di se­ parare la Legge dal Vangelo, in quanto divide le due divinità, opposte come le antitesi, l'una di un documento (o piuttosto, come più concretamente, di un Testamento) l'altra dell'altro, per assicurare, anche cosl, che si deve credere al suo vangelo sulla base dell'antitesi » (Adv. Mare. IV, l , 1 ). Il tutto formava la magna charta del marcionismo, contro il quale la chiesa tradizionale non si limitò a lanciare l 'anatema, ma positivamente si sentl sol­ lecitata a definire il proprio canone scritturistico, per altro già in fase di formazione. In particolare, nel corpus paoli­ no fu confermato l'inserimento delle lettere pastorali e d;lla lettera agli Ebrei, escluse dali 'apostolikon di Mar­ ctone. Quale « critico e restauratore dei testi biblici », come lo chiama Harnack 46, Marcione procedette non secondo cri­ teri scientifici, ma aprioristicamente in base al suo sistema ideologico, come hanno avuto buon gioco di fargli notare gli avversari Tertulliano e Ireneo. Il rifiuto dell'AT è netto e totale, mentre per le scritture cristiane egli ha pro­ ceduto selezionando gli scritti e depurando quelli scelti. Di fatto, per Marcione il canone scritturistico è esclusivamen­ te neotestamentario, unicamente paolino. In particolare, in campo neotestamentario ha fatto opera di espunzione di libri e di passi « adulterati » in senso giudaistico e legali­ stico; poche le aggiunte e non più numerosi i cambiamen­ ti . Qualche esempio : in Gal 4 , 4 ha eliminato le precisa­ zioni « nato da una donna, nato sotto la legge »; in Gal l , 7 ha aggiunto l'espressione « il mio vangelo », che ap­ pare in Rm 2, 16, per dire che non esiste altro vangelo se non quello di Paolo, vergato dalla mano di Luca; in l Cor 46

Op. cit., 32 ss.

388

3 , 1 3 ha cambiato l'attivo « ... e Dio lo annienterà », contrario alla sua concezione del Dio buono che non giu­ dica e non condanna, nel passivo « . e sarà annienta­ to » 47. Disinvolto appare anche il metodo interpretativo di Mar­ cione che legge, Cieero pro domo sua, diversi passi paolini (e lucani). Cosi, per es., gli altri (hoi loipoi) che mercanteggiano la parola di Dio, menzionati da Pao­ lo in 2 Cor 2, 17, sono semplicemente gli apostoli48 ; il mondo a cui Paolo si dice crocifisso in Gal 6, 14 è per Marcione il Signore del mondo (Adv. Mare. V, 4, 15); Rm 7, 7 appare cosl commentato da Marcione: « Lex, id est deus legis seduxit » (Adv. Mare. V, 1 3 , 1 3-14 ); dal­ l'affermazione di Col l , 15 : Cristo è immagine del Dio invisibile, Marcione deduce l'esistenza di due divinità, la visibile e l'invisibile (Adv. Mare. V, 19, 3 ). La preferenza di Marcione per la lettera ai Galati è testi­ moniata con chiarezza da Tertulliano: « Principalis adver­ sus Judaismum epistula », che contiene « et legis destruc­ tionem et evangelii aedifìcationem » (Adv. Mare. V, 2, l e 2 ). Non c'è dubbio, Marcione ha voluto essere il fedele di­ scepolo di Paolo 49 e l'interprete autentico del messaggio paolina. Un paolinismo, il suo, massimalistico ed esclusi­ vo, ma anche di parte. In pratica, egli ha fatto propria l'an­ titesi fondamentale dell'apostolo vangelo-legge, si è appro­ priato della concezione antropologica di Paolo, secondo cui l'umanità è 1853/VI, 332: aus dem Nag-Hammadi-Codex IX. Bine Uebersetzung, in Zf\'W

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capitolo ventunesimo LA LEGGENDA

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I NDICI

Indice Bibliografico

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Indice delle Fonti citate

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Indice degli Autori citati

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Indice generale

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