Il papiro Vaticano greco 11
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STUDI

TESTI

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IL

PAPIRO VATICANO GRECO 11 1. ΦΑΒΩΡΙΝΟΤ ΠΕΡΙ ΦΤΓΗ2 2. REGISTRI FONDIARI DELLA MARMARICA A CURA DI

M. NORSA

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G. VITELLI

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1931

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STUDI

TESTI

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IL

PAPIRO VATICANO GRECO 11 1. ΦΑΒΩΡΙΝΟΤ ΠΕΡΙ Φ ΥΓΗΣ 2. REGISTRI FONDIARI DELLA MARMARICA A CURA DI

M. N O R SA

e

G. V IT E L L I

C IT T À D E L V A TIC A N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

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INTRODUZIONE

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I l volumen su papiro, del quale diamo qui la trascrizione e i facsimili, appartiene alla Biblioteca Apostolica Vaticana, dove ha la segnatura ‘ Pap. gr. 11’ . Esso fu trovato in Egitto, non si sa precisamente nè in quale regione nè quando, ma senza dubbio proviene in origine dalla Marinarica, perchè della Marmarica sono i registri fondiari che vi leggiamo sul recto. Nel Eebbraio 1930, su proposta di Monsignor Giovanni Mercati fu acquistato da Sua Santità Pio X I : l ’ illuminata munificenza del Santo Padre ha conservato così all’ Italia il prezioso cimelio, che oltre l ’ampio testo do­ cumentario, ricco di nuovi dati per una regione di cui scarseggiano oltremodo notizie e documenti, ci dà sul verso un’ opera di Eavorino di Arelate nella Gallia Narbonense, noto a noi finora solo per le lodi entusiastiche di Aulo Gellio e di altri contemporanei, per due suoi scrittarelli conservatici fra le opere di Dione Crisostomo, e per brevi e spesso insignificanti altri frammenti. Ringraziamo la benevolenza del Santo Padre che si compiacque di affidare a noi la pubblicazione dei nuovi testi, e ci auguriamo di non aver demeritato della fiducia in noi riposta.

Dal commercio antiquario il volumen pervenne a noi ancora quasi interamente arrotolato: n’ era svolta solo una piccola parte contenente le ultime colonne di scritto che cadevano a pezzi variamente sfaldate, increspate, sciupate. Svolto interamente misurava nella sua lunghezza1* circa metri 2,70 per un’ altezza di cm. 29: abbastanza ben conservato nella parte centrale, sebbene qua e là lo scritto sia sbiadito o interrotto da roditure di tarli e sfal­ dature, è invece molto mal ridotto alle due estremità. In peggiori condizioni sono le prime colonne, che nel ro­ tolo, quale pervenne a noi, erano le più interne; il papiro vi appare più scuro, più corroso e sfaldato, e ridotto tanto sottile e fragile, che ogni tentativo di restauro riesce pericoloso. Quasi altrettanto sciupate, ma per ragioni diverse, sono le colonne finali, sebbene il papiro ivi sia più consistente e di colore più chiaro. Nel papiro arrotolato era volto all’ interno il verso che contiene 25 colonne (più un frammento) di scrittura letteraria, all’ esterno il recto con 11 ampie colonne (e frammenti) di scrittura documentaria. La scrittura do­ cumentaria del recto è di tre mani diverse (m1 =· col. I -I I I , in2 = col. I Y - Y I I I , m3 = col. I X - X I I ) ; e l ’ esame delle as/Jòeg e delle KoAAfjOsig dimostra subito che il volumen non è uscito di fabbrica così come noi l’ abbiamo, ma risulta dall’ unione di tre pezzi2* di rotoli documentari di mani diverse, identici però per qualità del papiro, per formato e contenuto, tre pezzi provenienti dallo scarto dello stesso ufficio statale amministrativo, riuniti qui probabilmente dallo scriba del testo letterario, che volle procurarsi del materiale scrittorio a buon mercato per una copia privata, valendosi del verso bianco di rotoli amministrativi fuori uso. In modo non molto diverso risultano fabbricati anche altri rotoli con testo letterario sul verso, per es. il rotolo del Gnomon dello lòtog Aóyog3) e quello del Commentario al secondo libro di Tucidide.4* In tutti e tre i pezzi riuniti a formare il nostro rotolo le asÀiòsg originarie hanno la stessa ampiezza di circa cm. 21,5 (20 dopo la sovrapposizione) per cm. 29 di altezza. Risultano naturalmente più strette, perchè non intere, le osAlósg tagliate dallo scriba presso alle uoAfojosig fatte da lui, ìioAAìjascg facilmente distinguibili da quelle originarie non solo perchè meno levigate, ma anche perchè il manipolatore del rotolo nell’ unire due pezzi di vo­ lumen documentario ha incollato uno scritto sull’ altro, coprendo parte dell’ ultima colonna del primo pezzo con lo scritto iniziale del pezzo successivo aggiunto. Cosicché nella I Y colonna del testo documentario troviamo coperte dalla KÓAArjoig le sillabe finali dei righi più lunghi, mentre la colonna Y I I I è mutila addirittura della seconda metà, probabilmente tagliata via dallo scriba o da chi per lui ha fabbricato il rotolo, per eliminare qualche guasto del papiro. Sulla metà infatti di questa Y I I I colonna è incollato il terzo pezzo (m3) di rotolo amministrativo. Ben b Nella lunghezza indicata non è compreso il frammento che ci è parso possa appartenere alla col. 26 del testo letterario nel verso e alla XII del testo documentario nel recto. '-) Anzi ‘ quattro pezzi’ , perchè una kollesis non originaria occorro anche nel secondo pezzo fra colonne della stessa mano (IV e V). 3) W. Schubart, Ver Gnomon des Idios Logos, Berlin 1919, p. 3. 4) Pap. Oxyrh. vr, 853 (cfr. 9861.

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INTBODUZIONE

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riconoscibile è anche la κόλληοις non originaria tra la I I I e la I V colonna, dove cessa m1 e comincia m2, anche perchè il papiro del primo pezzo (col. I-III) è più scnro. La scrittura letteraria del verso è una onciale regolare e calligrafica quantunque affrettata, tutta di una sola mano, pur essendo incostante per grandezza, densità e inclinazione. Più grande e meno densa nelle prime colonne va facendosi via via più fitta e più minuta, e si restringono anche gli spazi interlineari nelle colonne successive; sicché, mentre le prime colonne (1-18) hanno 50-46-52 righi, le ultime (19-25) ne hanno da 54 a 60. La massima grandezza della scrittura è nelle colonne 7, 8, 9, che hanno solo 46 righi, la minima nella colonna 20, che ne ha 60, e il passaggio è continuo, progressivo, impercettibile. Oosì pure è continuo, progressivo, impercettibile il mutamento di inclinazione: la scrittura, inclinata a sinistra nelle prime colonne, va diminuendo insensibilmente tale pendenza nelle colonne successive fino a divenire perpendicolare, continuando poi a inclinarsi lievemente a destra nelle ultime colonne (20-25), dove ha anche carattere più corrente.E molto spesso anche nella stessa colonna si può notare nei tratti delle stesse lettere diversità di inclinazione, in parole a breve distanza fra loro. Altrettanta incostanza c’ è nella larghezza delie colonne e dei margini. Hanno una larghezza di cm. 7 -7 x/2 le col. 6, 21, 23 ; di cm. 8 le col. 8, 22, di cm. 8 χ/2-9 le col. 7, 15-17, di cm. 12 la col. 9. Il margine inferiore, che varia da cm. 2 a 2 x/2, è di quasi 3 cm. nella col. 13; lo spazio tra colonna e colonna, che varia da cm. 1,5 a cm. 2, è di oltre 4 cm. tra la col. 9 e la 10. Non c ’ è traccia di annotazioni sticometri che, e ciò, considerate le altre particolarità già accennate, non sorprende, dato che si tratta di una copia fuori commercio, copia privata ed economica in cui tutto rivela la fretta. I l copista ha indubbiamente facilità e sicurezza di scrittura e una certa conoscenza del greco, ma non è in grado di evitare scorrettezze ed errori : non trascrive con precisione pazientemente e scrupolosamente ossérvando lettera per lettera, ma legge la frase dall’esemplare che ha innanzi e la trascrive a memoria: si spiega così la varia ortografia nelle due redazioni del brano (13 38-14 14 e 14 32-15 6) che per svista ha ricopiato due volte, la omissione di parole o d’ interi incisi, lo scambio di preposizioni nei composti, l ’aberrare da una colonna a un’altra nell’esemplare da cui copiava, il trascurare spesso il breve spazio bianco, unica distinzione tra i vari incisi e le varie frasi, spazio bianco che troviamo però talvolta anche dove non dovrebbe essere. Del registro fondiario di villaggi della Marmarica non abbiamo, e si è già detto, se non tre soli pezzi ; nè sappiamo quanto distanti l’uno dall’altro fossero collocati nel rotolo o nei rotoli intogri. Può dunque darsi che in altri luoghi del registro ricorresse indicazione di anni posteriori a quelli che nei frammenti superstiti troviamo ora indicati. Basta ricordare, che solo nel piccolo frammento staccato (= col. X I I % del recto), occorre la datazione dell’ a. 31°, mentre in tutte le altre colonne superstiti non si viene oltre l’ a.30° di Commodo. Ma non per que­ sto è lecito supporre che oltre anni di regno di Commodo si potesse scendere.Evidentemente abbiamo un registro fondiario a base ed a scopo fiscale, e base cronologica per l’apprezzamento fiscale degli immobili è il quinquennio ripetutamente in ogni articolo indicato : ¿g (έτος) έως u {έτους), quinquennio che, se di anni di Commodo non fosse, porterebbe necessariamente l’ indicazione dell’ imperatore che durante quel quinquennio regnava. Non è dubbio perciò che il registro fondiario, anche se non è proprio dell’ a. 31° (= a. 190/9Ρ), non può in nessun modo esser posteriore all’ a. 33° di Commodo (192/principio del 193p, Commodo essendo morto il 31 Dicembre 192p). L ’ età della scrittura letteraria si può fissare con sufficiente sicurezza. Tra le colonne 18 e 19 c’ è uno spazio bianco di circa 13 cm., quanto basterebbe appunto per una colonna di scritto col margine a destra e a sinistra. E in alto si legge: Διάΰτρ[ω]μα εργα[τ]ών Μεοορή άπό a έως λ τον κγ (έτους) Μάρκον

25 Lugiio-23 Agosto 215*.

Αύρηλίου Σεονήρον Αν[τ]ωνίνον ενοεβοϋς οεβαοτον.

έοτί δέ ·

a

La prima ipotesi che si presenta è che questi quattro righi con la data del 23" anno di Caracalla fossero scritti prima della copia letteraria e che lo scriba sia stato costretto a lasciare quello spazio vuoto appunto perchè vi erano già scritti quei quattro righi. Ne deriverebbe la conseguenza che la copia letteraria sia più recente dell’ a. 215p. Ma la κόλληοις, per cui è unito il terzo pezzo di rotolo amministrativo al secondo ed è sovrapposta nel recto la co­ lonna I X alla metà superstite della colonna V i l i , viene a trovarsi immediatamente dopo la colonna 18 del verso. Epperò questi quattro righi con la data del 23° anno di Caracalla si trovano presso al margine sinistro del terzo pezzo di rotolo amministrativo qui incollato. È quindi ovvio pensare che se lo scriba (o chi per lui ha fabbricato il rotolo) avesse trovato già scritti quei quattro righi, molto probabilmente, prima di incollare i due pezzi, avrebbe tagliato via quei pochi centimetri di margine per evitare quell’ importuna interruzione nella parte centrale del rotolo. Dieci centimetri di meno in un papiro che doveva esser lungo, sia pur di poco, ma certo più

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INTRODUZIONE

IX

di in. 2,70, dovevano essere poca cosa. Si potrebbe, è vero, supporre che quei quattro righi fossero stati scritti dopo die il nuovo rotolo risultante da tre pezzi di scritture amministrative era già formato. Ma allora perchè lo scrit­ tore del όιάοτρωμα avrebbe cominciato la sua lista a metà del volumen e non a principio, sciupando così del ma­ teriale scrittorio che, sebbene di qualità scadente, doveva pur avere un certo valore? Non sembri dunque improbabile l ’ ipotesi che quella intestazione datata con l’ anno 23° di Caracalla sia stata scritta dopo la stesura della copia letteraria, nello spazio di una colonna lasciato vuoto dal copista che, avendo aberrato da una colonna ad un’ altra senz’ accorgersene, s’ ingannò poi nella misura dello spazio da la­ sciar vuoto per inserire quella parte di testo che aveva omesso per svista. B si noti che appunto la seconda parte della colonna 18 (r. 30-49) va inserita nella colonna 16 (dopo il r. 26), mentre la colonna 19 si riattacca al r. 29 della 18. Basta supporre che per inserire questo brano 18 30-49, omesso nella colonna 16, lo scriba abbia lasciato qui troppo spazio libero. Accolta questa ipotesi ne verrebbe che la scrittura letteraria fosse anteriore al 215p: non molto anteriore, beninteso, dovendosi pur ammettere fosse passato uno o due decennii perchè registri fondiari degli ultimi anni di Oommodo (1909 circa) potessero essere senza danno tolti dall’ archivio cui erano destinati. A ogni modo, anteriore o posterioreche sia alla scrittura letteraria l’ appunto con la data del 215p, è si­ curo che la copia letteraria non fu scritta se non poco prima o poco dopodi quella data. Col lemma Φαβωρίνου compaiono nell’Antliologion di Stobeo tre luoghi di questo nuovo testo.11 Crià il Freudentlial (Iih. Mus. 35, 408 sq.) aveva notato che uno di questi frammenti Stobeani (quello cioè che ricom­ pare ora nel nostro papiro 19 7-9), per la particella congiuntiva onde esso è introdotto, si presentava non come gnomologia, ma piuttosto come estratto di più ampia trattazione. Oodesto è oramai fuori dubbio, come è fuori dubbio l ’ attribuzione del nuovo testo a Favorino. Col suo nome non avevamo finora che frammenti, ma fin dall’a. 1832 A dolfo Emperius aveva riconosciuto come di lui il Κορινΰιακός tramandatoci fra le opere di Dione Cri­ sostomo (X X X V II), e della medesima provenienza apparve più tardi21 una delle declamazioni Περί τύχης smarritasi anche essa fra le opere di Dione (L X IV ). I l nuovo testo non dà soltanto la sicurezza che ben si era giudicato di quegli scritti falsamente attribuiti a Dione, ma offre, oltre un più ampio contesto per apprezzare Favorino come scrittore, anche notizie, scarse certamente, ma importantissime per la sua biografìa.31 Prescindiamo naturalmente da tutto ciò che è mera possibilità,41 e accenniamo soltanto a quello che ci sembra di potere affermare. Abbiamo intitolato Περί φυγής questo scritto, e diremo in seguito le ragioni che ci hanno indotto a farlo ; dobbiamo intanto dir qui che non solo non v ’ è traccia di un’opera siffatta fra i titoli traman­ datici delle opere di Favorino, ma nessuna notizia ci era giunta che in esilio egli fosse stato. Ora invece è pro­ prio certo che egli fu in esilio non volontario, nè occorre qui citare luoghi che nuovamente dovremo citare ad altro titolo; ed è certo inoltre che il presente scritto fu composto appunto perchè l ’autore, in esilio, voleva for­ nire, a chi venisse a trovarsi nelle medesime condizioni, riflessioni e consigli quali egli, per la serenità d’ animo e per la cultura sua propria, era in grado di dare, mentre non facilmente altri avrebbero potuto altrettanto.51 È difficile non porre in relazione codesto esilio con l ’ essere Favorino caduto in disgrazia dell’ imperatore Adriano. Nè vorremo dire che le parole famose attribuitegli da Filostrato (il quale, del resto, scriveva oltre mezzo secolo più tardi) escludano addirittura una punizione da parte dell’ imperatore: ώς παράδοξα επεχρηΰμφδει, dice Filostrato, τω εαυτόν βίφ τρία ταϋτα · € Γαλάτης ών έλληνίζειν, εύνοϋχος ών μοιχείας κρίνεοϋαι, βαοιλεΐ δε διαφέρεοϋαι καί ζην». Possiamo infatti intendere che il terzo παράδοξον consistesse nell’ avere avuta salva la vita; nè altro valore attribuiremo alle precedenti parole di Filostrato:61 διαφοράς δε αύτώ προς 14δριανόν βαοιλέα γενομένης ο ν δ ε ν ε π α ϋ ε ν . Ma non ci nascondiamo che un po’ più difficile è interpretare in modo analogo le parole che adopera invece Favorino nel Κορινΰιακός (§ 35 ; v. la nota del von Arnim, la cui emendazione di μηννΰαι in μηνίοαι ci sembra eccellente) : πεπιστευκότος μεν γάρ ην, egli dice dell’ imperatore, τιμωρίαν παρά τοϋ ήμαρτηκότος λαβεΐν, άκονοαντος δέ μηνίοαι· δ π ε ρ ε κ ε ί ν ο ς έ π ο ί η ο ε ν . I l nuovo testo propone, dunque, come suole sempre accadere, una nuova άπορία, di cui non intendiamo esagerare l ’ importanza, ma non vogliamo neppure tentare di risolverla con affrettate considerazioni.71 Solo ci sia b Si vodano le note a 17 17, 19 7. 23 41. 2) H. y. Arnim, Leben u. Werke dea Dio p. 159 sq. A. Sonny, Ad Diouem Chr. Analeota p. 119 sqq. Cfr. E. Maas, De biogr. gr. quaeet. tei. (Philol. Untersuch. Ili) p. 133 sqq. Oggi probabilmente il Bergk ( Griech. Literaturgeschichte IV 539 n. 10. 551 n. 44; dubitava, del resto, anche L. Dindorf, Praef. ad Dion. p. v) non insisterebbe più nella sua condanna della attribuzione del Κορινθιακός a Favorino. Qualche dubbio, sembra, rimane ancora al De Budé (Praef. p. vili sq.). s) L ’ eccellente articolo ‘ Favorinus’ di W. Schmid nel Pauly-Wissowa ci dispensa qui dal ripetere le notizie finora note. Doveroso ci sembra ricordare quello che su Favorino molti anni addietro avevano scritto Carlo Ludovico Kayser (nella edizione delle Vitae Sophiet. di Filostrato, Heidelberg 1838) e J. L. Marres (innanzi alla collezione dei frammenti : De Favorini Arelatensis vita etc., Utrecht 1853). 4)' Marres, non senza ragione, suppone che Favorino di Arles sia andato allo studio a Marsiglia, città per studii fiorentissima nei primi secoli di Cr. Nel nuovo testo (10 32 sqq.), volendo, si può trovare un qualche interesse per Marsiglia. s) 1 40 sqq. È questo uno dei pochi luoghi del nuovo testo dove offenda notevolmente la vanità dell’ autore, vanità che eccede ogni limite nel Κορινθιακός. Cfr. E. Norden, Antike Kunetprosa p. 422 sq. 6) Anche V έφείοατο di Cassio Dione (Xiphil.) LXIX 4, 1 sarà da intendere cosi. 7) Tuttavia, in nota e con ogni riserva, accenniamo a quella che ci sembra ora più semplice soluzione. Il Κορινθιακός presuppone Adriano ancora vivo. Le parole immediatamente precedenti quelle riportate qui sopra (πεπιστευκότος μεν γάρ κτλ.) non lasciano dubbio: παρρησίαν δε άγω διπλήν, ενός μεν (βνεκα) τοϋ

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X

INTRODUZIONE

consentito osservare, che anche a giudicare dalle blande parole da Eavorino adoperate per caratterizzare la sua άναγκαία φυγή e la άναγκαία ενδιαίτησις in quella città, alla quale con tanto affettuoso sentimento si dimostra le­ gato, da considerarsene senz’ altro come cittadino,υ bisognerà pur dire che non moltissima filosofia occorreva per consolarsi di un tale esilio e serenamente άσπάζεσϋαι τά παρόντα. Concediamo pure che le parole, a noi non del tutto chiare, delle ultime colonne (25 35 sqq. ; 26 26 sqq.) attestino che egli era κατακεκλεισμένος in un’ isola, non per questo dovremo ammirare molto di più la sua filosofica serenità. Poiché, sebbene i nomi stessi di deportatio e di relegatio in insulam ci lascino sempre tutti e due una impressione dolorosa, non sempre risponde questa al grado di afflittività della pena. Già, del resto, la relegatio (e nel caso di Pavorino non si può parlar d’ altro) è, anche per definizione giuridica, pena senza confronto meno penosa della deportatio ; ed è poi naturale che, se il luogo di confino non era Gyaros o la Corsica di Seneca, sempre più blanda diveniva la pena. Importa quindi moltissimo di conoscere quale fosse quella città a cui Pavorino da tanto affetto si sentiva legato. In quel suo lungo discorso, inteso a dimostrare che nell’ esilio l ’assenza degli amici è cosa di minor gra­ vità della privazione della patria, perchè, essendo ‘ immobile ’ la patria e non essendo tali gli amici, dalla patria rimane l’esule necessariamente lontano, mentre nulla vieta agli amici di venire a visitarlo, leggiamo fra il resto (13 23 sqq.) : ‘ così stando le cose, esiterà forse (όκνήοει) il vero amico a fare un piccolo viaggio per godere della vista dell’amico e procurare all’amico eguale piacere % Non pensarono così gli amici di Giasone, che non esitarono a fargli compagnia in una così nuova ed ardua impresa ; non così gli eroi greci della guerra troiana ; non così Pilade che seguì Oreste etc.; non così Teseo che accompagnò Piritoo persino nell’Ades etc. Θησευς δ’ αν ό κ ν η σ α ί σοι όοκεΐ επ ί Χ ί ο ν εκ Μ ί μ α ν τ ο ς μικράν ϋάλατταν περαιώσασϋαι, dg καί τον Αχέροντα τφ ψίλω έκών ξυνέπλει κτλ. ; ’ (14 39 sqq.). Pavorino era dunque relegato nell’ isola di Ohio, in una cioè delle μακάρων νήσοι (Diod. V 82, 2 ; in tempo antico Eupol. fr. 232,1 A.: Χίος, καλή πόλις), e la città di Ohio è quella di cui egli si considera cittadino.2) Vorremmo anche conoscere la durata di questo blandissimo confino, ma dovremo contentarci di più o meno probabili congetture. Poco probabile ci sembra intanto che a Pavorino sia accaduto più volte di eccitare la collera di Adriano : le notizie che abbiamo saranno da riferire tutte al medesimo dissidio. E, sia per il modo come vi accennano Pilostrato e Cassio Dione (Xifilino), sia perchè il sofista rivale, Polemone, pare avesse partita vinta presso l’ imperatore solo nel 181p, quel dissidio non è certo da collocare nei primi anni del regno di Adriano. Incliniamo anzi a credere, che non prima del 131p, ma forse neppure molto dopo, il filosofo dovesse andare a con­ fino. Le sue parole, nel nuovo testo (11 8 sqq.), ben si accordano con questa ipotesi. Anche prima dell’ esilio, egli dice, la maggior parte della mia vita fu spesa in viaggi per mare e per terra, ava πολλά μέρη γης ; non è per me cosa nuova esser lontano dalla patria, e sarebbe assurdo che troppo mi dolessi ora di tal lontananza, men­ tre sereno e tranquillo, quando ancora vivevano i miei genitori etc., vagai per il mondo. Sarò meno sereno oggi, egli continua, che συν τη λοιπή olida άποδημώ καί το της ανάγκης άμα ισχυρόν προσγέγονεν, e della mia condizione di allora che io ετέρων ηρχον sarò più orgoglioso che non della condizione presente, quando cioè ho appreso ad άρχειν έμαυτον etc.1? Nel 131p Lavorino avrà avuti 45 anni circa, e ad uomo suppergiù di tale età ben si addicono le parole e le considerazioni che abbiamo riportate, parole e considerazioni scritte durante l ’esilio. Questo verosi­ milmente ebbe termine all’avvento di Antonino all’ impero (Luglio 138p), o non molto dopo, e Eavorino si stabilì in Eoma, dove visse rispettato ed onorato per la dottrina e l ’eloquenza, e dove lo conobbe e lo frequentò più tardi Aulo Gellio. In Roma egli era certamente anche dopo il 143p, poiché racconta Gelilo (II 26, 1) di averlo accom­ pagnato ‘ cum ad M. Erontonem consularem pedibus aegrum visum iret ’, dopo cioè che Erontone era stato console. Lo scritto che ora il suolo egizio ci ridona fu dunque composto essendo ancora vivo Adriano, o mentre l ’autore era ancora in esilio. Lo abbiamo intitolato noi Περί φυγής, e nessuna indicazione in proposito ci è stata trasmessa dagli antichi.3) I frammenti Stobeani, che ricorrono nel nuovo testo, hanno (come fu già detto) il semplice lemma Φαβωρίνον, o come altrimenti questa parola si trova corrotta nei codici dell’ Antliologion. Eppure — giova ripe­ terlo — il titolo sembra a noi quasi sicuro, principalmente perchè, come appare anche dal riassunto che soggiun­ giamo, intorno alla φυγή verte tutto il contenuto dell’opuscolo. L ’ attuale colonna 1, che non è il principio ed era preceduta probabilmente da una o due altre colonne, è però ancora parte del proemio. Non possiamo renderci completamente ragione dei primi 30 righi di essa, o ma­ lamente sciupati o addirittura perduti, ma già nel r. 32 abbiamo l ’ esempio tipico di Musonio, che del proprio οννειδύτος, ετέρου δέ τον αγωνοθέτου (cioè, fuori metafora, του άρχοντας, dell’ imperatore Adriano). 1 Corintii avranno abbattuta la atatua di Favorino appena infor­ mati che l ’ imperatore era in collera con lui, ma questa collera non avrà avute immediate conseguenze punitive, vale a dire l ’ esilio. In questo intervallo di tempo fu composta la Corinihiaca, all’ incirca nel 131p; più tardi durante l ’ esilio, il Περί φυγής. Nel proemio della Corinthiaca dice Favorino di esser venuto a Corinto la prima volta circa dieci anni innanzi: quando aveva, dunque, suppergiù un 35 anni, ed era ancora nella età in cui vagava per mare e per terra (11 8 sqq.). 1) 12 6 sqq. ον γάρ oi νόμοι ονδε το μετοίκιον πολίτας η ξένους, άλλ’ ή γνώμη ποιεί· f¡ κ αι α υ τ ό ς θ α ρ ρ ώ ν έμαυτον ου γράμμαοιν αλλά έ ν ν ο ι α τηδε τη πόλει εγγράφω κτλ. E si confrontino anche le parole dei rr. 20 sqq. προς μεν δη τους επιχωρίους κτλ. 2) Che le parole επί Χίου—περαιώοασϋαι non si riferiscano e non possano riferirsi, come pure avevamo sospettato, a nessun episodio della mitologia di Teseo, crediamo ora fermamente, dopo che ce ne ha dato assicurazione la cortesia e la dottrina del Wilamowitz. Ma allora non rimane se non quella interpreta­ zione che abbiamo data e che anche grammaticalmente alla prima si raccomanda: ‘ Teseo non avrebbe esitato a traversare questo poco di mare dal Mimante a Cliio per raggiungere l’ amico; esiterà a farlo l ’ amico mio v e ro ?’ 3) Per le trattazioni analoghe v. A. Giesecke, De philosophorum veterum quae ad exilium spedant sententiia (Lips. 1891).

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INTRODUZIONE

XI

esilio giudicò con filosofica indifferenza.1' E subito dopo l ’autore ci si presenta come perfettamente immune dalle passioni che affliggono la comune degli uomini, come in possesso della vera e desiderabile ευθυμία, come in grado di provvedere a se ed essere utile agli altri, non con la parola soltanto, ma col proprio esempio (τφ οίκείω πα­ ραδείγματα). Egli stesso, dunque, può valer come modello ed esempio. E non senza solennità soggiunge: άνακείοεται ήδε ή γραφή κτήμα καί άλλφ ποτέ ανθις, δοτις όμοια τύχη περιπεΰων ούχ ικανός αυτός αντφ πορίζει τά τοιαϋτα κτλ. A questo luogo abbiamo dovuto già accennare (p. I X n. 5), e avremmo potuto aggiungere che esso offende anche perchè ci fa tornare in mente lo κτήμα ές άεί di Tucidide; lo ricordiamo qui di nuovo, perchè dichiarazioni sif­ fatte sono caratteristiche di un proemio, e valgono già per se stesse a dimostrare che argomento dell’opera è ‘ l’ esilio’, con tutte le conseguenze che agli Ιδιώται sembrano e sono dolorosissime: lontananza dalla patria, di­ stacco dai parenti e dagli amici, privazione di cariche e di onori. Sono questi i tre argomenti essenziali della dimostrazione, che costituiscono le tre parti della monografìa. La prima va da col. 6 12 a col. 13 37, la seconda da 13 37 a 16 31 ; alla terza (16 31 sqq.), con l ’esempio di Ulisse, sempre sereno rassegnato e pronto ai voleri della divinità, si riannoda (col. 19 10) la conclusione: nulla di quanto abbiamo ed amiamo è nostro, ma tutto all’ uomo è dato temporaneamente dalla divinità che ha il di­ ritto di richiedere e di ritogliere sempre, in qualunque momento, ciò che per sua bontà ci aveva elargito. Concetto della rassegnazione che risponde al proemio (2 30 sqq.) : come gli attori rappresentano indifferentemente sulla stessa scena e nello stesso giorno un re o un mendicante, secondo le necessità del dramma e la parte loro assegnata dal poeta, così gli uomini sulla terra nel dramma della vita devono accettare serenamente la parte assegnata loro da D io che è άπαντος τοϋδε τοϋ κόομου ποιητής. E vediamo che i valentuomini dall’ esilio e dalla sventura sanno ri­ trarre maggior gloria : Diogene, Eracle, Ulisse. D el primo argomento, privazione della patria, l ’ autore tratta più diffusamente. L ’amor di patria è il primo e il più terribile dei potenti άνταγωνιοταί, che èv τφ τής άρετής οταδίφ fanno impeto (cfr. proemio 4 27-6 12) contro l’ uomo che la sorte chiama alla difficile prova. E gli si fa incontro adorno delle attrattive più splen­ dide, presentandogli il suolo patrio, la terra dove i nostri maggiori presero stanza. E con le parole dell’ esule ti­ pico, Polinice nelle Eenicie di Euripide, sono enumerate le altre cose care di cui l ’esule, insieme con la terra patria, rimane privo : και βωμούς θεών γυμνάοιά θ' οΐοιν ένετράφην Δίρκης θ’ ύδωρ, ών ον δικαίως Απελαθείς ξένην πόλιν ναίω etc. Belle cose, ma non tali da dover affliggere l ’ esiliato. I tre argomenti son ribattuti cominciando dall’ ultimo enunciato: fonti e ginnasi (6 40-7 6), altari e Dei (7 6-46), a cui si aggiungono considerazioni sulle anime dei morti (7 46 -8 35), suolo patrio (8 35-11 48). Fonti e ginnasi ci sono anche altrove e l ’acqua è buona per chi la beva con animo libero e sereno, e così pure gli altari e ciò che rende sacri gli altari, la divi­ nità stessa. Crii Dei infatti sono dappertutto presenti e dànno ascolto all’ uomo onesto e pio qualunque sia il luogo donde egli li preghi, sia il più vicino al cielo sia il più lontano (7 6-46). E così pure per i morti non c’ è lon­ tananza (7 46-8 35). Infatti o uno è convinto che i morti non esistano più, e allora non sono in nessun luogo; o, secondo Omero e Platone, crede alla immortalità delle anime, e allora anche riguardo alla loro dimora deve seguire Omero il quale racconta che ad Ulisse apparvero egualmente nello stesso luogo e la madre morta in Itaca e Achille sepolto in Troia ed Elpenore non ancora sepolto. Eppure, al seppellimento in patria davano molta im­ portanza gli Ateniesi. D el resto, anch’ io amo la patria, afferma Favorino, e non mai volontariamente me ne sarei allontanato ; riflettendo però trovo che essa altro non è se non il luogo dove vissero i nostri maggiori. Se dunque patria è l ’abituale dimora dei nostri maggiori, perchè non si dovrebbe amare la dimora nostra attuale? Molto più deve star a cuore a ciascuno il luogo dove egli stesso vive che non il luogo dove vissero i suoi πρόγονοι. E per questa ragione i miei discendenti dovrebbero considerare come patria questa mia terra d’esilio. Trasmigrazioni ed emigrazioni di popoli nella storia sono la regola: tutti dunque ξένοι e φνγάδες. I pochi che vantano l’autoctonia sono veramente chiacchieroni e vani ; ed è miglior vanto per l ’uomo esser nato dall’uomo che non dalla terra come gl’ infimi insetti. Una sola è la schiatta degli uomini e comune è il padre e la madre, e un solo Dio dette ai mortali κοινάν άλίον μοίραν, come dice l ’ ignoto poeta ; e gli uomini differiscono soltanto per la lingua che parlano. La divinità assegnò il cielo agli alati, il mare ai pesci, la terra agli animali terrestri, ma mentre tutti gli altri animali vivono contenti della κληρουχία loro trasmessa da Dio, gli uomini per smodata ambizione dividono e suddividono la terra, sminuzzando a moneta spicciola il dono di Dio, distinguendo stato da stato, città da città, casa da casa. Le gru meglio di noi intendono questa verità, che tutta la terra è nostra dimora. X è l’ uccello fa guerraall’ uccello per un tratto d’aria, o il pesce combatte col pesce per un tratto di spiaggia o di scoglio : e quelli tra gli uomini che seguono lo stesso principio fanno bene. Se gli Ateniesi abbandonarono la terra e si rifugiarono sulle navi, i Focosi emi-*) *) Φυγήν γάρ, aveva detto Mueonio (p. 41 Hense), πώς αν τις μη ανόητος ών βαρύνοιτο ; E se nostro proposito fosse stato quello di presentare lo scritto di Favorino con un 1 commentario perpetuo molto avremmo dovuto estrarre anche da questo scritto analogo ("Οτι ον κακόν ή φυγή) di Musonio, dal Περί φυγής di Plutarco (che di Favorino fu amicissimo), dall’ or. XIII di Dione Crisostomo eto. Cfr. Giesecke, o. c., e la Consolano di Filisco a Cicerone (Cass. Dion. 38, 18-29). Ma poiché abbiamo ricordato un passo di Musonio, aggiungiamo ora alcuni altri incisi dei quali nello scritto di Favorino si ha come l ’ eco. Per es.... τοΐς μέντοι φίλοις καί νυν αυνείημεν αν, τοΐς γε άληόινοΐς καί ώ ν προοήκει ποιεΐο&αί τινα λόγον.... εΐ δέ τινες πλαστοί καί ονκ άληϋινοί φίλοι slot κτλ. Nulla invece ricaveremmo dal confronto coi capitoli Π ώς τή πατρίδι χρηατέον di Hierokles (ristamp. ap. Arnim, Beri. Klaeaikertexle IV p. 50-52).

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X II

INTRODUZIONE

grarono a Marsiglia, le Amazzoni corsero per tutta la terra, non sarà lecito a noi, non dico già di odiare la pa­ tria, che sarebbe empio, ma di non aggravare l’anima con stolti pesi, desiderando l’ impossibile? Seguono (11 8 12 23) considerazioni personali (cfr. p. X ) che qui come altrove (4 34, 5 14, 6 12, 8 35, 13 1, 14 40 sqq.) s’ in­ trecciano ai varii argomenti addotti a dimostrare la tesi enunciata, e sono una prova di più, se ce n’ è bisogno, dell’ unità di argomento in questo scritto. Con 12 37 s’ inizia la seconda parte. L ’ έπιπόΰηοις degli amici e dei parenti δεύτερον èri έκείνω άγώνιομα προτέϋειται (cfr. 5 35-6 12). Ma a dimostrare vano l’affliggersi per la mancanza degli amici bastano poche parole, basta considerare che l ’ amico è libero di venire a trovar l’esule e che sono amici veri solo coloro che rimangono tali verso l’amico nella sventura. Come nei muechi di frumento il vento spazza via le paglie leggiere e i chicchi pesanti restano, così quando spira la bufera della sventura, i molti amici finti e leggieri si disperdono come le pa­ gliuzze, i pochi veri restano come il buon grano. Questo è illustrato /con considerazioni su vari proverbi, sullo con­ suetudini degli animali (rondini, trochiloi), sempre migliori degli uomini, sugli esempi celebri di amicizia che ci sono attestati dal mito. La terza parte comincia da 16 31 : πλούτου òè καί τιμών-πολύ έλάττων άνδρί άγαΰώ λόγος, poiché sono άλλότρια. Trattavano, è vero, di άλλότρια anche le due parti precedenti, cioè della patria (luoghi) e degli uomini (amici e parenti) : non è nostro in fatti ciò che non è in poter nostro. Ma fra tutti gli άλλότρια sono άλλοτριώτατα le ric­ chezze la gloria gli onori. E anche qui i soliti confronti con la vita degli animali (più ragionevoli dell’ uomo), le solite considerazioni sull’ insaziabilità dell’ ambizione umana, sulla vanità e instabilità degli onori. E quindi il significante aneddoto dello ζώμα che suol donare e riprendere a capriccio il re.... degli Etiopi, e del fascino che su tutti esercita un tal dono. A tutte le ambizioni e avidità si oppono la saggezza e la rassegnazione serena di Ulisse e la necessità per Γ uomo saggio di essere sempre pronto a restituire al Dio ciò che dal D io aveva avuto a pre­ stito: ricchezze, onori, parenti, patria.... il corpo stesso quando sia richiesto. Seguono considerazioni su quanto possano essere fallaci le sentenze umane, provengano pure dai più celebri tribunali, e quanto sia necessario per l’ uomo saggio prevedere gli eventi e tenersi sempre pronto alla rinunzia. Da col. 25 45 ύπερ δε άνδρός ελενϋερίας έςετάζοντι etc. pare cominci un’ argomentazione conclusiva sulla libertà umana che non teme vincoli o co­ strizioni, ma il poco che si conserva così di questa come della col. 26 non ci lascia vedere com ’ era svolta. Furono compresi nella precedente parafrasi anche alcuni particolari di poca importanza, un po’ perchè i let­ tori avessero già qui una indicazione sufficiente della forma in cui Favorino svolge e snoda le sue argomentazioni, un po’ perchè nessun dubbio restasse sulla natura dell’ intero opuscolo. Non è probabile che il titolo stesso non ne indicasse il contenuto; e se troviamo intitolati Περί ιδεών, ΙΙερί ευχών, Περί γήρως altri suoi scritti, è verosi­ mile fosse intitolato Περί φυγής questo che dalla φυγή comincia e nella φυγή finisce. Non possiamo, è vero, esclu­ dere un titolo Musoniano come "Ori ου κακόν ή φυγή, ma nessuno vorrà dire che importi molto codesta differenza puramente formale di intitolazione. Abbiamo già detto che non molto manca innanzi alla attuale colonna 1, diciamo ora che non manca neppur molto dopo la colonna 26. La trattazione dell’argomento ci sembra all’ ingrosso esaurita nelle colonne super­ stiti, e in questa opinione ci conferma anche una considerazione di altro genere. Tutto il testo che presentemente abbiamo comprende almeno 1300 stichoi normali di 15/16 sillabe : un ‘ libro ’ non avrà ecceduto di molto codesta estensione, e di più d’ un libro non sarà stata composta la monografia. Favorino, come resulta anche dal proemio di questo suo scritto, tenne egli stesso in gran conto il suo in­ gegno, la sua dottrina, la sua virtuosità di parlatore e di scrittore: doti che gli procurarono ammirazione incon­ dizionata di alcuni, avversione e malanimo di altri, fra cui forse anche colui che un tempo contro avversari in­ vidiosi lo aveva protetto, l’ imperatore Adriano. Procureremo di non entusiasmarci eccessivamente con gli uni, e di non trovar tutto biasimevole con gli altri. Realmente è cosa degna di ammirazione come egli, Celta della Gallia Narbonense, sia giunto a tanta pa­ dronanza di erudizione greca e romana e a tanta sicurezza nell’ uso della lingua greca: su questo non dovrebbe esserci dissenso. Meno facile è evitare il dissenso, quando si vogliano specificare le sue doti di filosofo divulga­ tore e di scrittore. E proprio noi, editori dell’opera più estesa che di lui rimanga, vorremmo non essere nè par­ ziali nè ingiusti. Cerchiamo, dunque, di liberarci per prima cosa dalla generica antipatia che proviamo verso questi scritti letterari a base prevalentemente rettorica. Non sono essi, è vero, che dànno alla letteratura l ’ im­ pronta specifica e caratteristica del grande e schietto ellenismo. Ma nessuna letteratura, neppur la greca, può esser tutta originale e di alta originalità; e non è giusto condannare a priori e μια ψήφο) tutte queste opere letterarie minorum gentium. A volte il grande talento di scrittore, altre volte la nobiltà e il candore dell’animo, altre volte ancora la squisita e molteplice dottrina, altre volte tutte queste doti insieme valgono a farci dimenticare intera­ mente il peccato originale della maggior parte di codesti prodotti letterari. Dione Crisostomo, Luciano, oseremmo dire anche Plutarco, offrono eloquentissimi esempi del come l ’ una o l’altra di queste doti s’ imponga al nostro giudizio, e ci renda gradita la lettura di scritti che, per il loro contenuto essenziale, saremmo disposti a mettere

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INTRODUZIONE

X III

da parte. Un po’ dopo di Favorino fu ammirato, e l’ammirazione non è venuta a mancare neppure oggi dopo tanti secoli, Aristide, atticista purissimo, stilista di primo ordine, cesellatore di belle frasi, paziente correttore e limatore dei propri scritti, che non hanno mai traccia di frettolosa improvvisazione o negligenza. Per queste doti non ci lasciamo scoraggiare dalla sua difficile prosa; e pur quando null’altro ci attragga e ci avvinca nelle sue ben meditate scritture, la squisita correttezza formale ci conserva la reverenza e l ’ ammirazione per lo scrittore. Non sembra a noi che Favorino sia proprio, come scrittore, all’altezza dei migliori di quel tempo e di quell ’ indirizzo. Ma, del resto, date le condizioni nelle quali questo nuovo testo ci è giunto, non è possibile, o almeno non è possibile a noi, presentarlo così sicuramente restituito in tutte le sue parti perchè senza pericolo si possa darne giu­ dizio non troppo generico. I copisti, in poco più di mezzo secolo dalla morte di Favorino, avranno tutti fatto del loro meglio per arricchire questo testo di ogni specie di errori, di inesattezze, di omissioni etc. Vediamo bene che cosa ha saputo fare l ’ ultimo di essi che, come abbiamo già detto, non è un ignorante, ma spesso e volentieri si distrae, aberra da colonna a colonna, ripete parole ed incisi, ne omette altri, e non sempre si ricorda di correggere.11 Si aggiunga che i due scritti smarritisi fra le opere di Dione Crisostomo non sono sufficienti a darci una idea esatta della elocuzione di Favorino, sicché si possa con qualche sicurezza o correggere o non correggere nel nuovo testo del retore di Arelate. Ci vorrà del tempo perchè sia fissata definitivamente e sopra solida base stati­ stica la maggiore o minor purezza del suo atticismo,21 perchè si sappia con precisione fino a qual segno egli tolleri ia ti31 ed altro asprezze fonetiche, fino a qual segno le assonanze e le clausole ritmiche di questa sua prosa (che pure è un φρόντισμα, non una improvvisazione orale) si accordino con quelle già osservate in altri suoi scritti, come egli riesca o non riesca a comporre larghi e complessi periodi, quanto uso ed abuso egli si con­ ceda di membretti assonanti ed omioteleutici, di interrogazioni, di ripetizioni, di figure rettoriche in genere. Un qualche studio siffatto per il Κορινϋιακόξ ( = [Di. Chr.] X X X V I I ) fece già E. Xorden nel suo mirabile libro (Die antike Kunstprosa), ma rimane tutto da fare per questo nuovo testo.41 Importa poi soprattutto, con ricerca metodica, stabilire dove e quanto Favorino attinga qui da altri, perchè si vegga che cosa veramente di suo egli abbia ag­ giunto, in argomentazioni che da secoli erano state o accennate o addirittura tipicamente formulate.51 I l giudizio nostro riposa per ora sopra impressioni, e va quindi presentato ed accolto con ogni riserva. Ma quali che siano per essere i resultati di codesti studii e di codeste ricerche, di alcune, anzi di non po­ che pagine del nuovo testo, si giudicherà sempre, crediamo, come si giudica oggi noi, che le diciamo veramente belle per semplicità di pensiero e di form a: poco o nulla ci troveranno da ridire anche coloro che, per natura o per dottrina, sono più sensibili alle veneri della elocuzione e dello stile. Non saranno italiani quei critici che di­ ranno senz’altro puerili alcune argomentazioni ed alcuni aneddoti che noi osiamo dire graziosi: non saranno ita­ liani, se pure non vorranno condannare insieme non pochissima letteratura nostra. Dinanzi a tardi autori, come Favorino, bisogna anche pensare all’abilità stilistica che c’ è voluta, perchè questi spunti, veramente graziosi nei motti e negli scritti originali di Diogene e di altri antichi, non perdessero addirittura ogni grazia per stucchevoli infinite ripetizioni. Sinceramente aggiungiamo che, nella prosa di Favorino, o almeno in quei luoghi che abbiamo qualificato addirittura come 4belli ’, non ci dispiace neppure la composizione ritmica, valutata così ‘ ad orecchio ’. Certo i continui incisi assonanti e ritmicamente analoghi od equivalenti non sono indici della grande prosa, quale anche noi ammiriamo nei grandissimi prosatori dell’ età classica. Ma in somma, Isocrate, anche per noi poco ben di­ sposti verso quella composizione rettorica, è sempre un grande prosatore. Ora non è davvero Isocrate il nostro Favorino, ma di tanto in tanto frammenti della sua prosa riecheggiano non infelicemente tecnica Isocratea, e per efficacia stilistica raggiunta con siffatta tecnica non sfigurano accanto a tratti dei migliori prosatori più o meno contemporanei del secondo secolo. Con questo non intendiamo niente affatto dire che non avesse ragione Demonatte di biasimare le όμιλίαι di Favorino και μάλιστα των εν αύτοίς μελών το έπικεκλαομένον σφοδρά καί άγεννες καί γυναικείον καί φιλοσοφία ήκιστα πρέπον (Lucían. Demon. 7) ; ma la filosofia del suo scritto ora tornato alla luce è filosofia molto alla buona, e Forse avrà avuto (17 26) τηπαρατι&εμενοι anche il papiro onde il nostro copista copiava, ma è una bella étourderie non averlo corretto. Molti errori, del resto, egli stesso ha corretti, come è indicato nelle trascrizioni nostre. 2) Anche tutti i luoghi di Frinico, riguardanti Favoriuo, vanno riesaminati. Ne abbiamo citato qualcuno sporadicamente, quando o il nostro papiro oft'riva la pura forma attica e Frinico rimproverava a Favorino di peccare contro l'atticismo (per es. 14 20 νήες), oppure quando abbiamo inserito noi qualche parola o forma di quelle biasimate dal grammatico. Naturalmente anche questo esame dovrà esser completo e metodico. Abbiamo avuta l’ impressione che specialmente da Senofonte attinga Favorino ; da Senofonte deriverà per es. 1’ ώς άννστόν (7 10: cfr. il nuovo Liddell-Soott s. v. άνυοτός) como pure άπερύξει 18 48 etc. s) Noteremo intanto che specialmente nelle colonne centrali del nuovo testo occorrono spesso iati gravissimi, dei quali soggiungiamo alcuni esempi : 10 32 xfj οικουμένη ονκ άρεσκόμενοι, 38 πελάγει φκισμένοι, 51 εΐαίν δε ο" ου φυγήν, 11 25 νέο) δντι, 29 λοιπή οικία, 15 29 δ ή ουρία, 16 29 sq. φίλον ευροίας, 19 22 δοκεΐ ονχος, 20 12 ϋ·εο'ι ημών e 13 ίλεοί ήμΐν, 60 παράσπονδοι είναι etc. Perciò anche nei nostri supplementi compaiono iati egualmente gravi. 4) Forse è bene anche aggiungere, che pur se il testo di Favorino ci fosse stato trasmesso senza errori e licenze di copisti, e avessimo potuto far noi tutti gli studi metodici di lingua e di stile che reputiamo necessari per avere una solida base alla critica verbale, non precisamente noi saremmo stati in grado di esercitare codesta critica su larga scala, e molte volte non avremmo osato esercitarla, poiché dopo tutto la conoscenza del greco attico che Favorino aveva è certamente maggiore di quella che ci attribuiamo noi, per quanto in qualche singolo luogo anche noi si possa con successo coglierlo in fallo. 5) È notissimo il luogo di Cicerone (Tuse. III 34, 81), ma giova sempre riportarlo : ‘ separatim certae scholae sunt de exsilio, de interitu patriae, de servitute, de debilitate, de caecitate, de omni casu, in quo nomen poni solet calamitatis. haec Graeci in singulas acholas et libros dispertiunt ’ etc.

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X IV

INTRODUZIONE

può anche tollerare un po’ di modulazione e di cantilena, non propriamente forte e virile. Non crediamo noi avessero in tutto e per tutto ragione quei critici di corta vista che, biasimando qualcosa di analogo nella prosa di Seneca, credevano di svalutare così questo grande scrittore; ma le analogie sono evidenti. T'erba modulate col­ locata et effeminate fluentia, sententias modulatas etc. biasima Erontone in Seneca ; nè è molto diverso των μελών το επικεκλαΰμένον che Demonatte biasima in Eavorino. Può darsi che importi qualcosa la provenienza di Eavorino dalla Gallia, e di Seneca dalla Spagna. A noi fa comodo che Quintiliano qualifichi dulcia vitia le manchevolezze stilistiche di Seneca; non saremo biasimati noi che troviamo talvolta ‘ d o lc i’ i vizii analoghi di Eavorino.1* Era i Greci più antichi, anche per queste παραινέοεις aveva trovato giustamente favore la forma letteraria della διατριβή, della quale gli stoico-cinici fissarono il carattere e le movenze; a quale grado di eleganza e di grazia essa potesse giungere, non ci è ignoto, perchè fortunatamente abbiamo le Satire e le Epistole di Orazio. Ma era una forma di letteratura (come vedesi, anche noi in omaggio alla moda evitiamo quanto è possibile le parole ‘ genere letterario ’) difficile ad esser trattata, e richiedeva molto maggior talento che non la predica a distesa sopra identici argomenti di filosofia pratica. Non è perciò da maravigliarsi che i sermones Bionei, con o senza sai nigrum, presto andassero a finire in * sermoni ’, nè diversa sorte attendesse in Persio ed in Giovenale i sermones oraziani. Molto prima di Eavorino si era già spesso sostituita alla διατριβή la predica {òμιλιά si direbbe denominazione dovuta a nostalgico ricordo) ; e mentre sarebbe ingiustizia imputargliene Γ uso, possiamo tuttavia dolerci che non più frequentemente egli dimentichi il tono solenne di predicatore, e solo di rado preferisca esser soltanto semplice e garbato. Ma era difficile appunto esser semplice anche nella predica, e richiedeva qualità che forse a Eavorino celebrato improvvisatore mancavano, pazienza e perseveranza nello sfrondare correggere e limare il' profluvio di esempi, di frasi, di parole che di primo getto gli venivano, talvolta anche sintatticamente scorrette. Non era chiara, da quello che finora si sapeva, la posizione di Eavorino rispetto alla filosofia : ‘ scis enim ’ — sono sue parole riportate da Gellio (X X 1, 9) — ‘ solitum esse me prò disciplina sectae quam colo inquirere potius quam decernere ’. Accademico (cfr. Lue. Eunuch. 7) scettico, dunque; e, infatti, dei suoi scritti filosofici i più importanti sembra fossero i dieci libri Πνρρωνείων λόγων. Plutarco, invece, ce lo presenta come peripatetico; qua e là com­ paiono altre indicazioni diversissime. I moderni ne concludono che era eclettico.21 Molto eclettico, converrà dire oggi, dopo che è tornato alla luce il suo Περί φυγής. Questo soggetto, ed i soggetti affini Περί πατρίδας, ΙΙερι ξένης, Περί φίλων etc., egli trovava già elaborati e rielaborati secondo le dottrine stoico-ciniche; e senza scrupolo se ne ap­ propria il frasario, sicché à volte ci sembra di leggere o Epitteto o qualcosa di analogo. Si può pensare che in diversi tempi della sua vita abbia seguito filosofie diverse; noi crediamo piuttosto che, nonostante il suo prò di­ sciplina sectae quam colo, egli non si sia mai creduto addictus a nessuna scuola. Le parole e il concetto di φιλόΰοφος e φιλοοοφεΐν (i vocaboli non compaiono, ed è cosa notevole, in questo nuovo testo), hanno valore piuttosto di cultura generale, che non di specifica e tanto meno di sistematica filosofìa. Mezzo retore e mezzo filosofo lo ha detto alcuno dei moderni, e la definizione ha avuto fortuna. Oggi, senza rinunziare ai due termini della de­ finizione, ci pare debba esser mutata la proporzione: retore almeno per tre quarti, filosofo forse neppure per un quarto. E però, naturalmente, riscontri col Bhetorum Praeceptor lucianeo si presentano non di rado. Eavorino filosofo non guadagna, dunque, nulla per l ’opera che di lui veniamo ora a conoscere. Essa non giova molto neppure a darci sicura notizia del carattere morale del suo autore. Da opere essenzialmente rettoriche mal si deducono pregi e difetti di carattere dello scrittore : in esse quanto maggiore è Γ ingegno e l ’ abilità stili­ stica, tanto è più facile simulare o dissimulare buoni o pravi sentimenti, bontà o malvagità d’animo. In scritti poi a tipo determinato e fìsso come un Περί φυγής o simili, anche più che in altri, ci sarebbe bisogno di quella οπή τις (cfr. lfì 5) che permettesse di scorgere l’ intimo sentimento di chi scrive belle frasi e nobili sentenze. Que­ ste non mancano davvero nell’opera di Eavorino, e nulla vi occorre di men che corretto e castigato, nulla che menomamente offenda la costumatezza e la buona educazione. Per blando che fosse l ’esilio, egli non poteva non nutrire risentimento verso l’ imperatore, e verso coloro che la collera di Adriano gli avevano procurata. Certa­ mente, la parte di filosofo moralista assunta gli ingiungeva anche di frenare o di nascondere il suo risentimento, ma è tuttavia notevole che nessuna parola amara gli sfugga, contro nessuno. Oi par di capire che anche nella città -1) Non crediamo possano dirsi dulcia i vizii di altri celebrati retori di quel tempo, per es. di Polemone. Non abbiamo il discorso che questi pronunziò nel 131p come delegato da Adriano ai giuochi Olimpici in Atene. Abbiamo anzi di lui due sole declamazioni (ed. Teubneriana di H. Hinck, Lips. 1873); ma queste ci danno il diritto di affermare che preferendo Polemone a Favorino l’ imperatore Adriano non dimostrò davvero buon gusto letterario. Favorino sarebbe stato sempre in grado di far cosa molto più garbata ed.assennata che non abbia potuto fare colui che ha scritto quelle due infelici declamazioni: nè varranno ad in­ firmare la nostra credenza le lodi sperticate che la rettorica eloquenza di Polemone ebbe dai contemporanei. Soggiungiamo qui il giudizio di M. Croiset (Hist. de la littérat. gr. V 553 sq.), per assicurare un po’ noi stessi di non esagerare il disgusto che alla lettura di quelle declamazioni proviamo. ‘ Si curieux que soient ces deux morceaux comme monuments de l’ éloquence du temps, il est impossible aujourd’ hui à un homme de sens de lire sans dégoût des pages où tout l’ effort d’ un esprit singulièrement inventif et exercé n’ aboutit qu’ à de sottes antithèses, à des jeux d’esprit ridicules, à3de fanfaronnades et à des hyperboles enfantines. ’ Nep­ pure nell’elogio di Tersite o della febbre quartana, o in qualsivoglia altra sua declamazione sofistica, è possibile che Favorino, e specialmente il Favorino che co­ nosciamo ora dal Περί φυγής, abbia raggiunto un egual grado di dotta puerilità. 2) Gellio stesso attesta le sue relazioni con Epitteto (XVII 19) ; suoi familiares in Roma erauo uno Stoico ed un Peripatetico (XVIII 1). A qualunque scuola del resto si appartenesse,per far della filosofia morale popolare, bisognava pure οωκρατεΐν e simpatizzare con Stoici e Cinici. Ki cordiamoci quello che dice Luciano del suo Demonatte (per es. ο. 5) : φιλοσοφίας δε είδος ονχ εν άποτεμόμενος, άλλα πολλά ες ταντό καταμίξας κτλ. εφκει δε Σωκράτει μάλλον ωκειώσ&αι, εί και τγ\ του βίου ραστώνη τον Σινωπέα ζηλονν έ'δοξεν κτλ. Cfr. Hobein in 1Χάριτες. Fr. Leo dargébr. ’ p. 211 sq.

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IX TR O D U ZIO X E

XV

dove era confinato non tutti fossero eccessivamente lieti di averlo fra loro (11 44 sqq.); ma con molta disinvol­ tura egli vi accenna senza ombra di rancore. Era un uomo di mondo, che avrà conosciuto anche direttamente la filosofia o quella che si diceva filosofìa di Aristippo, ma dotto come era anche di letteratura romana ben co­ nosceva e apprezzava Γ Aristippo di Orazio : personamque tulit non inconcinnus utramque. I l 4giusto mezzo ’ si pre­ sta facilmente allo scherno, e non lo ha risparmiato neppure il Manzoni ; ma incontestabilmente nelle solite con­ tingenze della vita è buona teoria e ottima pratica: la proclama, e pare Γ abbia anche seguita Favorino, che la compendia in poche parole μη άνάνδρως η πάλιν αν μανικώς (2 11). Le parole entusiastiche di G elilo1’ ci portano a considerare Favorino come eruditissimo di erudizione greca e romana, e tale lo attestano anche parecchi frammenti di altre sue opere. Ma in questo nuovo testo non c’ è davvero sfoggio di erudizione più riposta di quella che costituiva la παιδεία comune del tempo. Gli è che, pur non avendo carattere di improvvisazione oratoria, questo Περί φυγής non deve esser costato all’ autore nè molto πόνος nè molto ίδρώς (cfr. 12 47 sq.). Un uomo della sua erudizione non aveva certo bisogno di ricorrere a libri per snocciolare quelle lunghe serie di nomi, di aneddoti, di allusioni storiche e mitiche, che ogni scolaro di rettorica aveva sempre pronte. Non occorreva nè eccezionale educazione letteraria nè 4divina ’ memoria (Geli. X I I I 25, 5) per parafrasare lunghe serie di versi omerici, o per inserire a tempo e luogo parole, emistichi, versi interi o di Omero o di Pindaro o di Sofocle, o soprattutto di Euripide. Ben pochi sono i particolari o aneddotici o storici che non sieno noti da altra fonte, anzi da altre fonti; e se 22 33 sqq. qualcosa di veramente nuovo ci è presen­ tato, questo non vale tanto a dimostrare che Favorino ricorresse qui ad erudizione riposta e squisita, quanto a ri­ cordarci ancora una volta come è frammentaria la conoscenza nostra dell’ antichità. Naturalmente, non si può affermare o negar nulla con piena sicurezza in questo genere di considerazioni : ma è verosimile che molti lettori finiscano col credere quello che crediamo noi : Favorino cita e riporta a memoria tutto quello che cita e riporta, e trarre illazioni sicure dal suo modo di citare sarebbe pericoloso. Può darsi, ma non è molto probabile, che in terra d’esilio a qualche privazione egli dovesse rassegnarsi, ma Ohio non era terra di barbari ignoranti ; e pare del resto che vi si trasferisse συν τη λοιπή οικία (11 29). Piuttosto, egli avrà riserbata tutta la sua elegante erudi­ zione per altri scritti che solo letterati ed eruditi avrebbero letti: in un trattatello rettorico, destinato al grosso pubblico colto, gli sarà parso sufficiente quello che qui ha fatto, e come lo ha fatto, anche per la forma qua e là non castigata. Certo un servus litteratus come il Tirone di Marco Tullio avrebbe contribuito la sua parte alla correttezza anche di una tale opera. Ma anche se Favorino aveva già allora con sè Autolekythos, questi, se non fraintendiamo quello che di lui ci riferiscono, era piuttosto idoneo coi suoi barbarismi a corrompere miseramente l ’ attica loquela del padrone che non a correggerne le inesattezze. Questo opuscolo di Favorino deve avere avuto una notevole diffusione. Non tocca a noi di congetturare, così per incidenza, donde avesse Stobeo i frammenti di altre opere Favoriniane che troviamo accolti nel suo Anthologion, ma non possiamo esimerci da qualche congettura riguardante i frammenti di questo opuscolo Περί φυ­ γής, che Stobeo riporta, come abbiamo già detto, col semplice lemma Φαβωρίνου. Certamente buona parte dell’Anthologion non è frutto di letture dirette di Stobeo, ma deriva da altri florilegi, per quanto non si sia in grado di dire nò quanti nè quali. Per il frammento 82 Marres intanto non vi può esser dubbio. Se Stobeo avesse fatto lui l ’estratto dall’opera di Favorino, non avrebbe posto nel suo capitolo Περί πλούτον tutto il frammento, del quale solo le prime parole (ονδείς γονν — ώνπερ βούλεται = 17 17-18) riguardano la ricchezza, e tutto il resto (τον δε ενϋνμείσϋαι — τοΐς οίκείοις κακοις = 23 41-48) con la ricchezza non ha che fare. Sentenze Favoriniane erano state già estratte e redatte a florilegio, e passando da florilegio a florilegio erano state male aggruppate. La pre­ senza, dunque, di quei due o tre frammenti nello Stobeo, non importa neppure che questo testo fosse ancora letto nel quinto secolo; importa ad ogni modo che non solo vivente l’autore l’opuscolo avesse una notevole diffusione, e fosse compreso tra i libri meritevoli di esser compilati per i florilegii; e non si può non ricordare che non sembra godessero di tal favore nè Luciano, per esempio, nè Aristide, dei quali nessun excerptum contengono le raccolte stobeane, mentre pur vi figura ad esempio Dione Crisostomo. Maggiore importanza ha il fatto che il nostro papiro proviene dall’ Egitto, dove si è trovata gran copia di testi greci classici e non classici, e mai nulla di questi Atticisti più o meno puri del secondo secolo.2’ E forse oggi non sembrerà più troppo avventurosa la congettura Φ[αβω]ρίνου in quell’ indice di 4desiderata ’ librari pubbli­ cati in Aegyptus I I (1921) p. 17 sqq.3’ Non è una copia del commercio librario questa che ci giunge ora, ma ad ogni modo è indice sicuro che almeno alcuni decennii dopo la sua morte o nella Marmarica o nell’ Egitto in genere si leggeva e si desiderava di leggere l ’opuscolo di Favorino. 1) E presso Gelilo (XX 1, 20): ‘ Sextus Caecilius ’ aioa>OTio>{am[ . . . ]

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]vzo*x]ενησομενοισηαντηιαιτιαικαι

σιοτρατωτωιπηιονεπομενωνκαιμηνκα [. ]

πολυδικα [ · .

. . . . . . ,]εμηναναγκαιανενδιαιτησινπατριδα

καιτωνεντηιαντψπολειατααειατωνμεν

» [»]. [.]α,τασαπα»'τα[.. ]υ£ενονστεκαίφυ [.....»..]

ταιπατριδαουτεαιγνπτονφυγηνπροο^μην |

15

. ,]* ιζεντασπο/£ΐα

δετωνπνγμαιων[ * »]ιητικοσαραμυϋ·οοην

ονα

το^ο»»εσει.[ c. 10 11. ]νοιεπιτοντωι*[ . . . . ] . . ,νοντοιον

αλλαγαρκακειναοοχειμωνεκ&ρακησελαυ

C. 9 11. ]^αρτοικαί/ίυ.ι·καί«[.. . . ,],τ ε λ ε σ τ ε

. [» ♦]£ωα»>[.. . . . . *]νειαανϋρωπο)δεοντιουκαλονμη

νειωσπερημασητυχηαλλοναλλαχο&ι

20

[»\ρνιοδεουτεπυγ μαι[* *»]ον[μ]εαλλωιορνι

. « ανί}ρωπο[, » . » , . . ] ειδαυδιατοντοπρ. . τηνγη. . ,κίοτε

ϋτυπερμερουσαεροοδιαφε[*\ε[»\αι[»\νδεμην

ρονετερων[* · ·]ντ[*. . . πειναλλαπασαντψ’γηνοικεινωσ[ · . .]»ων//ι;τερακαί 25

τοπαναλληλαιαμ » *ασφιοινειναιταντα χειμωνοοτεκαΐ’& ερουσενδιαιτηματατο

c. 10 11. ].σίστεκαίε[»]·(5. »ε[,]

*[·]*α λ α ζον[

ρωναδελφωνοντνραννιδααλλαμιαν οικιανδιανεμομενων αιδεγερανοι

ενβοιασενσουσοιστοισπερσικοισβαρβαρονστεεσελΡ.ηνωνοιαδη

20

λατεοοατοιωνικοναπανκαιδωριονκαιπε

τοιαιειεο [. ]ονσαρχα[ . . , *]αντονγενοσαναφερωνκαιοληστηοπα

καιαρκαδαστονσξ[· ]μδαρδανωιεσφρνγιανκαιερετριειστονσεξ

15

τωαρίστοΑαίτω»'(?ευπερακρίω)'π[, »]

αντουω κ [ , .

ποιειν

5

. . . . . . ,]ρωενηαντοστισοικειηενηοιπρογονοι

τρ.φ. .τ>?ί'αυ[. « .]ow®·

£T9wA[.]i>aW^[. .^υΐ’/είε^εί^ε

τηοεντηαντουπατριδιδιοικεινοιεταιαλλα

25

μηνκαιαν&ρωηωνο[ *]τοιοντονεμειοησαν

πα·. . ,κα.ΐμητ [ , . ,]ημαααμερα εισμονν[, ,]α ν[·]ρ ω π ί ισ&ε

τοτηναρετηνονκαφαιρησ [« ]μαί αϋ·ηναιοι

οσ[....]το «ο«’[..]α/1.ίο[.]/]osiντοισΰεοισκαιξενοφωντον 15

[ . . . . . . ♦ ]υτανλακεδαιμονιοιεφ[* . . . . . . . |

>

40

* ,]φαντιαν

α ρεστιν[,]ατισετι

χ ρ [ .] .τ α σ υ ν [ , . . ,]σαυτω ικαταδικησ[,]νομααισ

ρασϋαικαιμηνκαιπολιαο\σ\αιεχυιεναν |τοι j

χυνεταιοπο [ . . ]ετονυενϋανατοηζημκοϋεντα

τοιουτονπαραδειγματαπωσγαρανουκε·&ε

σοφ ω τατονει[*. . }οϋεοσαπεφηνεντονδεψνγηί

λησαιδημοσενφρονωνεγλιπειντηνπα

κλεινοτατονδικαίοτατονδεαριστειδηναντοι

τριδακαιπροσετιγεαυτοχειριακατασκαψαι

ct[. ·]ταψηφισαμενοιεμαρτνρησανωστ [. ]οντε 45

ωσαϋηναιημενεινωσΰηβαιοιπροδι

φυ{* ]ηιουτεπα?,ίναί?νομηοντεατψια.οντετι

δοντεστηνκοινηντωνελλψωνελεν&ε

μηιουτεαδικιαονδεδουλιαοντεπλοντοσηπενια

ριανορϋνιστοιστειχεσινουγαρχρητοο

αγαΰαηκακα

νοματονονειδουσαισχννομενουσαισχρο

αισαγαϋηηδεειστομηδεονκακηικαιπαλιναυ

τεροιστωεργωφανηναιουτεγαροιμενον

[. ]μενμετειη>νωμοσννησαισχρατεκαιλνπη

τεσπαντί ε\σαγα&οιουτεοιφευγοντεσπονη

50

αλλαημεντουτ |ο\νειστοδεονχρη

[. ]αονγαρτοτεγρητιρωτονειδεναιανϋροιπονσ

ροι επειουκεντοστιχωνηαρετηουδε

[«. ]τασκαιεπιπολντανταισταισξνμφοραιστρα

εκτοσορωνηκακιαονδεενεκκλησιαη

φεντασοταντισεπιγενηταιτηστυχηαμεταβο

ενδικαστηριωιτατοιανταδιακρενετσιπολ

ληοψεγαρτοισωφρονησομεν σλλακαιηνικα

λουγαρτοιαξίονηντοδίκοζεινειοιδικασται

ενπραγονμεν

55

τ η τ ετρνπημενηιτεκαιατρνπητωικακι

εκπολλονχρηταδειναπροβ?.ε

πεινκαίπροαδοκανπροστετηνεφοδοναυτων

ανκαιαρετηνδιενεμοναλλαγαρτουτογε

παρεσκενα[* ]ϋαι

εξευρεινραδαμανϋνσμενισωσεναδου

προτον [. ]ειμωνοσσυσκεναζ ομενουσκαιτην

δυί’αται,οιδεναριωπαγωδικασταιονδυ

20. Stj e 29. ottotao : Se e onoioo prima della correzione. 22. 8 0 /j.iaeie : aveva cominciato Sox-. 40. Yale qualcosa la diple ( > ) in margine ?

7. 23. 25. 38.

οισ.τουσαγαϋουσκνβερνητασ

κατηγορονντα prima della correzione. πάντων : * *ντων prima della correzione. αλλα prima della correzione. ayvrov : aveva cominciato αμ.

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ΦΑΒΩΡΙΝΟΥ ΠΕΡΙ ΦΥΓΗΣ 23 1-57 - 24 1-57 (trasor. a)

14 23 1

c. 25 11. »

]μιανεγωι

* « » · *ριντε» σηιητωνκακω[*

5

10

,]υριοδρομου

. . * * . » * *]αφνωπροσπε

σονσαευϋνπρωρ[*

« » ,]λλακανετεροντινα

ειδηαυμφοραπ[,

* * «]επτω κοταω σπερετε

5

10

> . . . ,]λν*ηνκαιαγαπη

» « *]ωσαμινονηνκακειιηνσνν

μενωικαταφαγεινηεκτοιοντωνγαμων τεκναποιησασϋαιω απερταποωταεντυχω α

ορανεντωτονπ[* *]ασπαραδειγματικαιγαρ

παιδοτροφησαντι

ησηνανσψ&αρτηκαιφορητηκνμασινπαν

ειχομεντισουτωσαπειρατοστωναν&ρωπι

«]ιπαισικα[,\εξομοιων

τώ εε[ «]μ ητονστραγω δονσ

ωνμ [. ]ταβολωνεστινοσουπολλοιστοιουτοισ

ξυλω νσυνπεπηγ [* « ,]τ η ,επρονοιαικαι

15

ε[» » * ».] ενονμονονε[,]τισκαϋησιοδονε

σ.οφαλιακαικαρ*[* ,]ιαδιαφ ερ[.]ιανϋρω

· [ · · · · . ]ουγαρωηαι [ *]δεωσονφη aμονοντο

ποσαν&ρωποναλ * [* ]ανπαλινδρομουντά

σ[*. *]ρουνγενοσξυμφορωνενπλεοναλλα κ[·

· · ]οτεταρτονκαιτριτονκαιδεντερσνκαι · *

αντοτοπρωτον

«]

**τοχρυσοννγενονσιναμημονοσοουνηαγχισ

τοι

ανδευπλοουσανκαιπλησιστιονειδησαγα[*]

20

[*]ροφοιστνχαισεχρησαντο καιγαρον |δυ|ων

λομενηνδιοσουρωιε . ε[*. ]. νηκαιτηνσαντο[, ]

μ εικρωπρ οαϋενεπεμνη οϋηνϋεωνπαι

τύχηνμηκαταφρονη [* ,]σ/ιεχριαν τ.

ό[* ]σησανοιδεγγονοιοτανταλοσεκεινοσει

· *«

τιναπονακουεισηκαιεναδονειδεσδιγων τα

ποτεπνενματιϋεοντασε »*οτ* * αιτοσκα

ί& εωνξννσιτοσηοτιτυοσηοσισνφοσ οπη

25

λενσαντοστριτοσαποδιοαηνκαιγυναικαεκ

φοσνπεραντλονγενομενονσυνκατεδνσον

τω νεναλιω νηγαγετοα[, ]λατ ονυιονπροω

ηαφειδωστοισιστιοισχρησαμενο · στοπνευ

ραααπ\ολλων\λεσενκαιενγηρακαιενπενι

μακαταπρνμνονλαβρονεμπεσονανταν

ατησπατριδοσυποτοΰνεχβρωνηλαννετο

δρουσκατατονμενονδρονεξηραξ [.

αλλαμηνονδεουιωνο[,\αυτωεπαρκεινεδυ

« ·]α«

ανεχ\ε \τισεν\α\νϋαδηκαιταμεγαλακαιτα

30

νατοεφευγενγαρκ[.

,]ου[. *]σαλλασοιβονλει

ανηκισταγιγνεταισφαλματαενμενγαρ

τονδευτερουητριτονγεν[, ]νσεπιμνησϋ·ω

χειμωνικαιφοβωιητονισ[· ] · νεξε

οσαρπηδωνδιοσυιοσην[*]αιαπεϋνησκεννε

» * * *\ριψαα

οσετεροιδεεγηρωνα[*]νειασ[ι> ■>~\εινοσο

ε[. »]κειλεντοσκαφοσητοτελευταιο[, ]σανι

ανεστιοσκαιαπολισαφροδιτησνιοσην

35

καιεφυγεντονπατεραεπιτωνωμωνε

δοστινοσηαμψορεωσεφροντισενωιπροσ

χωντοντησαψρ[, ]δειτηα ερωμένον

αναπαυομενοσεσαιγιαλονεκκολυμβη

καιυιοναμαεφελκομενοσσυδεασκραι

σαι ενδευποαγιαισκαιεντνχειαισοιαν

οσωνπολειτησπολεωσηναυτοσλεγεια

Ί}ρ »ποιυποαμεριμνιa «πολλακισαναν

χειμακακησ[ >]εριαργαλησουδεποτεαβλησ

δροιωσπερταμεγαλαδενδραπροριζαανα

40

τοιαυταησιοδεοδυρηι [* * * *]γανακτεισκαι

τουσελατ'τω αγαϋακεκ[.]ημ ε;’ουσενδετοισ

τωννεωνκαταλεγεισοτισεεκμενποιμε

κακοισεστονσμαλλονδ [· ]στνχονντασεανδε παλινεντοισαγα'&οισεστονπερεχοΐ’ηεντοισ

διονδεκαιπνκ [» * *]δησυιοσωνοσονδεεισοι δενουδεειε/ίεν9εροι[, ]ηναρχηνεγενοντο

[.] ονταχρηενμεντοι[, .] γαϋοισαφ [«}οανεσ

νοσποιητηναπεδειξανεκδεαδοξουαιμΐ·

45

κακοισεστοενδεεατεροναποβλεπησαιει

ó-] |[* ìoì] nel r. 25 sq. Per il supplemento αθανασίας cfr. 21 8. Diod. IV 10, 7 καί τούτο πράξαντα (Heraldes) τεύξεσθαι τής αθανασίας. 8, 1 οΐ δια το μέγεθος έπαϋλον ήν ή αθανασία. Cfr. anche 3 32 sqq. Ha rimane da spiegare a che titolo sieno citati qui questi per­ sonaggi, come sia in qualche senso caratteristica di Empedocle la αρετή (la sua condotta politica?), e perchè Mucina sia detto στρατηγός, so è, come pare, lo Scevola di Porsenna e non altro Muoio consolare stoico. a. 28 e 29. εταίροι e καταγρονησιεν p. Per la forma delPottativo cfr. 20 23 sq. (απαίτησα:εν). Possibile anche il potenziale del pas­ sato κατεφρόνηααν (cfr. 8 37), o la correzione sarebbe allora rimasta imperfetta. Per επαινούμενοι cfr. 3 18 sq. (trascr. a). 32 sqq. των πατρίδων plur. indica che non precedeva il nome di Musonio soltanto (cfr. per es. Plut. Mor. p. 605 D πλείονες άλλοι των πατρίδων έκπεσόντες. Di. Chr. X X X I150. XXXII 48. 92 e tc ); perciò abbiamo aggiunto καί e supplito κατεφρόνηα[αν. 32. Τνρ]ρηνός Μ. : efr. Mnsonii reliquiae ed. House, p. XXVI. All’ esilio di Musonio si accenna anche 23 37. 41. ευθυμείτε p. In seguito l. προσκέψασ\θαι o sim.

2 - 5 . εξ[ιδιάζεσ]θαι : cfr. Pluyu. p. 119 Lob. (Favor, fr. 93 Marree). 7. sqq. Suppergiù il senso deve essere quale dai nostri supple­ menti risulta : gl’ infiniti μήτ’ έπιδέχεσθαι κτλ. sono paralleli a τοϋ μή τινας — νομίζειν κτλ. (1 49 — 2 2 sqq.). 12. Qui e non infrequentemente altrove occorrono piccoli spazii senza traccia d’ inchiostro, ma anche senza che si possa esser sicuri non ci fosse originariamente qualche lettera. Tale è ii caso dell’ ή che abbiamo segnato come aggiunto da noi, ma non è escluso ci fosse già nel papiro. — Quanto al senso, è proba­ bile ohe qui s’ intenda biasimare (non diversamente da quello che spesso fanno Tacito ed altri) l ’ inutile imprudenza politica. 14. l'orso Σωκράτης [«c « ν]ος ■Cfr. 24 22. 33. Teles p. 15, 11 II’ , etc. 15 sq. Plat. Crit. 44 B sqq. 45 C. 1O forse εξιέν]α[ί] ? ’ (Immisch). 2 2 sqq. Gli uomini sono come gli attori di un dramma : cfr. Epici. Man. c. 17. Teles ap. Stob. IV 44, 82 H. Lue. Neoyom. 16 sq. Hobein a Max. Tyr. p. 1, 7 etc. Così, dunque, già Socrate, se soggetto di ενόμιζεν (nel r. 22) è Σωκράτης. 2 4 . ποιητή: il poeta del dramma (ofr. 45 sq.). Altrimenti r. 49 sq. 34. Πέλ.οπος ακ. : Hom. B 101 sqq. e schol. 3 5 . χρνσοϋν κφ διον: per es. Eur. Or. 812 sqq. 995 sqq. e schol. 37. ράκια: p. es. di Telefo (Nauck FTG- p. 579 sq!). —αμφιοχομε\νοι p. 39 sqq. ή ν-βρ οτώ ν : Eur, Fr. 157 -f- 158 Nk%

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ΦΑΒΩΡΙΝΟΥ ΠΕΡΙ ΦΥΓΗΣ 2 43-51 - 3 1-50 - 4 1-45 (trascr. b) τε δ πλούτος οϋτε οι

45

« Άλέου τον πολυχρύσου όόμ\οι\ »,

φαλλήνων καί τώ ν πέριξ νήσο)ν βασιλεύων

ούτε μην το Ταντάλου η Ααβδάκου γένος ούτε

καί την Πηνελόπην έχων καί τον οίκον ολό­

ή πενία και φυγή, άλλα του μύ&ου και τού ποιη-

κληρον ουδενδς κρεάτω ν τώ ν νησιωτών

τοΰ

45

‘ αυτούς δε άναγκαϊον άλλοτε άλλας τύχας

λαβεν δκνών επί Τροίαν αυτούς ξυστρατεύ-

ύποκρίνασ&αι, μέχρις άν το δράμα διεξέλ&ωσι.

50

ημείς δε άγανακτήσομεν εν τφ του βίου δρά-

σασ&αΐ' καί μην καί εν ταύτη τή παρατάξει ουκ

ματι πει&όμενοι τ ω άπαντος τονδε τού κόσμου

άγα&δς τά πολέμια ενομίσ&η, τότε δ’ ούν ά ν-

ποιητή &εφ, εάν ποτέ μεν άρχοντας ποτέ

εφάνη διαφέρων την άρετήν άνήρ, δτε να υ-

50

δε φυγάδας, ποτέ δε πλουσίους αν&ις δε πένη-

3 1

[τας κελεΰη ημάς ύπό\κρίν[αα]&αι ; κα[ί

4

ε]ν

per i rr. 1-3 ν. trascrizione α : notiamo qui nel

\μεν τάϊς άρχαίς τε καί δ\υναστείαις δντες

[σ\ιν

[ανρ]σ[α καί βέβαι]α τά παρόντα ήγον-

μενο[ι], εν

(5[έ

[*]**.[«. ,]μεν[ο]ς. τις ά ρ’ ούτω ς ευδρομού-

5

σης αυτφ τής νεώ ς Φοϊνιξ ή Φαίαξ έμ­ πορος εύρώ στω ς γνώ μ ης έχει ώ ς Ό δ υ σ ­ σεύς

άλλον σχήματο[ς καί σ\κενήν κο,ί π ρ οσω -

’Ίω ν ή Σικελιώτης άνήρ παντοίων δψ ων

' ο]ί δε αυτοί είναι έν-

αυτφ πλη&ούσης τής τραπέξης ούτω ς ευ-

10

. ω [ . . . . . ] .ους ε ξ εμβρύω ν

καίσ[αρα]ς καί άρχ[οντ]ας άν[έατ]ηααν,

|εν|

λων πλήϋει καί δυνάμει τοσούτον ΐσχυσεν δσον έκέϊνος τούς εταίρους ά πο-

τα μετ[α]βαλλόμενοι. ουδέ γάρ εν τοϊς άγώσιν

βαλών ; τις δ' έν άρχή καί δυναστεία ούτω ς τώ ν

[τους] Οίνομάους καί Π α ν-

έχ&ρών έκράτηαεν ώ ς εκείνος πτω χεύω ν

15

δίονα\ς\ ϋποκ[ρι]νόμε[νο]ι όντω ς νικώσιν, αλλά καί

ot[ etc.

εα[

C. 15 11.

τε τοϊς άλλοις καί εν τού[τφ

εάν

η,

? ].ς?ερ[* .τά]ς δυσ27

το στάδιον

τω ν συμφορών ή εκ [τών ε]νπραγιών περι-

τες καί δη τούτο άμα έπιλέγουσι, δτι ταύτα

ουδέ άργυρογν[ώμω\ν άγα&δς έδόκει, φυγά[ς δε

30 —]

[τα]

εν Πίση τά επώ νυμα τού μεγάλου Δ ιός, δι’ a το σούτον μεν πόνον τοσούτον δε χρόνον

[τοσού -]

[τον] δέ ιδρώτα έξανάλωααν, ώ ν χρήν ά γω ­

ε»τ^νε[. . t * καί τών] εν Σ ινώ π η καί «*[ — ]

ν ίζεσϋαι μεμνημένους μή μάτην σφίαιν

[,]* μ ονώ ν, άλλα καί τώ ν απανταχού γή[ς\

άνηλωμένα ή ' τούτο μοι δοκώ καί αυτός προς

[εν]κλεέατερος έγένετο εν πενία καί φυγή

35

εμαυτδν εν τφ παρόντι ώ σπερ έτερος έτέ­ ρφ παρακελεύσασ&αί τε καί ύπομνήσαι, δτι

πάν[τω]ν [ενδεό\μενος' τούτο δε Η ρακλής οί­ κοι μεν άν&ρωπος καί Ά μ φ ιτρύω νος υιός

αύταί τοι πάρεισιν al συμφοραί καί αί τής τύχης

ένομίζετο, έπεί δε έ[λ\αννόμένος ν π ' Ε νρ υ σ -

μεταβολαί, προς

&έως παντοίοις μεν ϋηρίοις συνεπλέκετο

τού ψυχήν καί έπαιδοτρίβεις, τούτο μεν π α -

παντοίοις δ' άν&ρώποις ώμίλει τά δε έσχα­

40

ας εκ παίδων ήσκεις την σεαυ-

λαιών έργω ν τε καί λόγων ές άρετήν φερόν-

τα τφ σώματι νπέμενεν, τηνικαύτα νιος

τω ν μα&ήσει, τούτο δε τώ ν κα&’ ημάς άξιω ν

Διάς ένομίσ&η καί ά&άνατον το κλέος έκτή-

λόγου άνδρών ξυνουσία · καί μήν καί χ ώ ­

σατο. άλλά μην καί Ό δυ σσ εύς, υπέρ ον καί Ό μ η -

ρας επί πλεΐστον 'Ελλάδος τε καί βαρβάρου

ρος ώ ς

άνδρός σοφού γενομένον τον η μ , * * jaj

λόγον πεποίηται, τής μεν Τϋάκης καί Κ ε -

43. Άλέου - δόμοι : clausola di un. trimetro ((οΐδ’ είσίν) Άλέον ?) Eu­ ripideo (della Auge o del Telefo; cfr. fr. 696, 4 Nk2). 47. μέχρις : μέχρι prima della correzione p. 3 8. 10. 27.

δπερ γάρ τοϊς ά&λη[ταΐς έσιο]ύσιν εις

οι τε φίλοι καί ξννή&εις τά τε άλλα έποτρύνον-

μικρφ πρόσ&εν επεμνήσϋην, οίκοι μεν

40

[— καί κύ]ντερο[ν άλλο ποτ έ]τλης » ; δτι

π[ανσοφ]ωτάτονς ο\νκ\ έλάττω δόξαν εκ

[ποι]ησαμένους. τοΰτ[ο με]ν γάρ Διογένης, ου

35

· « τέτλ[α&]ι δη, κραδί-

per i rr. 19-26 y. trascrizione a.

π[ραγίας ου χαλεπώτερον ή] τάς ευπραγίας φέ-

ρ^[ς, άπο βλέπω ν εις τούς των] παλαιών άνδρών

30

εν τή αυτού οικία ; ποΐός τις ούτω ς άγα&δς έτέρφ ξύμβουλος ώ ς εκείνος αυτός αΰτφ έν

rr. 15-20 ν. trascrizione a

25

$υ[μ]ε[Γ]τ[αί] ώς εκείνος έν τφ λιμφ ; τις δέ φί­

[(3ο#εν]] κατά τάς νπ[6\κρίσεις παντοια σχήμα­

επί τής σκηνής

22

εν τω ναυαγίω ; τις δε Συβαρίτης ή

δαίμονες, [δτι εκείνου α\πεστερημένοι

δο&εν, ώ σπερ

15

4

δνσπραγία\ις καί φυγαϊς κακο­

πεϊον μεταβέβ[ληνται

10

αγίαις μεν εχρήτο, λιμφ δε διεφ&είρετο

r. 2 κ]ατεκέκλιτο, 3 γυναικός νόμ ω

[οι πλεϊστοι ευτυχείς] και εν δαίμονες εί-

5

εδόκει, άλλα καί δειλίας δόξαν εν τοϊς 'Αχαιούς έ-

6 . -]ποστερημενοι p. of δε αυτοί se. ηγούνται da ricavare dal precedente contesto. άν[έστ]ηααν : ma può equivalere a κατέστησαν ? μικρφ πρόσ&εν: probabilmente nei righi 30 sqq. della prima colonna (v. la nota 1 32). Cfr. 24 20 sq. 28-30. Ad indicare il senso proponiamo: φυγά[ς δε τών] | εν τη νέ[α μονή καί] εν Σινώπη, καί ου [τού-]\[των] μόνων, άλλα κτλ. Del resto con tutto questo luogo (rr. 23-50) cfr. Muson. p. 43, 15 sqq. 47, 10 sqq. H. 28. Con άργυρογνώμων (non dubitiamo di aver restituito bene così) l’ autore, che ha naturalmente simpatia per Diogene, adopera un felice eufemismo per accennare alla storiella (H. Diels, Featschrift f . Zeller p. 3 sqq.) del παραχάραξον το νόμισμα. 32 ‘Ηρακλής κτλ.: cfr. Epict. Diss. II 16, 44. Cfr. anche la nota a 1 24 sqq. e Max. Tyr. 6. 8.

έφόδφ, δψει τε καί άκοή καί μνήμη τώ ν έν

45

έκάστη καίπερ έκαστάτω χώ ρα γενομένων,

34. γυμναζόμενος ύπ’ Evo. Epict. Diss. I li 22, 57. 40 sq. τον-λόγον: paro che intenda ‘ l'Odissea’ , ma la parola è per noi enigmatica. Forse τον ήμισυν \ (του ) λόγου ? Per il se­ guente πεποίηται cfr. ad es. Stob. IV 29, 53 p. 724, 12 Hense. 46. Cfr. Hom. ω 116. 119. 46 sq. ξυνοτρατευ\σασ&αι p. Cfr. 9 44. 47 sq. Hom. A 339 sqq. (cfr. 349 sqq. e 358 sqq.). 4 -6

sqq. Si riferiscono a noti luoghi dell’ Odissea (dei libri

μ, a etc.). 8. δψων pare si sia voluto correggere (v. trascriz. a). 17 sq. Hom. υ 18. Fra κραδιηι (sic p ) e ντερο la lacuna è di al­ meno nove lettere ; forse vi era dittografia del και. 39. Preferiremmo μεν ( τών). 41 . τούτο δε : τοισγ[»] p. 45. εκαστηίυπερεκαστησχωρασ p, che si può interpretare anche come correzione di υπέρ in και. E certamente καί έκαστάτω χώρα, sta­ rebbe molto megliò di καίπερ ; ma come spiegare allora la cor­ ruttela in υπέρ ?

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19

ΦΑΒΩΡΙΝΟΥ ΠΕΡΙ ΦΥΓΗΣ 4 46-50 - 5 1-50 - 6 1-45 (trascr. b) [ω]ν

των, ΐδον τοίνυν πάρεοτιν η κυρία προ­

κλέους,

θεσμία, ον < πεντήκοντα μ ηνώ ν Πίνδαρον

50 5

1

5

» κατά τον

« άμέρα εκκαιδεκάτα », Π έλοπος

του τίνος παντοίου θροϋ καταφρονησαν-

[.„]νοι>[,] . . « . » . [ — . . * ] υπό #εο[5] τε

τα έφ1 έαυτώ μόνω χρή τάς ελπίδας έχον-

[..] , χ , „ , . * , ν [τη] δ' [έ\κεΐ διατεθει-

τα γυμνή τή ψυχή ύφ1 ήλίω λαμπρώ καί

10





ει τ[ί\ οοι ’ καί

επί τούτοις άνιασόμεθα. καί πρώ την τοι

νω ν ώφελία μεγαλαυχείς άνταγωνισ-

καλώ την τ ή ς πατρίδος ε π ιθ υ μ ία ν αυτή

ταί καί πολλοί καί γνώριμοι, καί ον χρή

γάρ εύ οίδα ότι ήμιν καλλωπιειται πολλοίς

15

μάτι, ώ σπερ άντί π[ασ]ών τω ν ά νθ ρ ω -

πρόγονοι ημών εξέτι πα\λ]αιτ[άτο]υ νό­

|κ[α]2 [*»]

μφ

χαλεπωτέραν έθέλουσιν άποδεικνν-

θείς ξ[έ]νην π[όλιν ναίω δι1 όσσων όμμα] έχων δακρυρ[οοϋν]. ί> τ[αϋτα ό τον] Ε ν -



ριπίδου Πολυνείκης λέγει προς την μ η -

25 —





τέρα, αλλά, ώ Π[ολύ]νεικες, πρό[ς σέ τ]οι ήδη ποιήσομαι τους λόγους,

]δειας τε καί αυτε­

[φ μέν τ]ήν

πατρίδα τηνεπιτουφιλει]. παρ]έχει

ξουσίου νομής π[ερι]πό[θ]ητος ελεύθε­ ρία. αυται γάρ δπασαι προς μίαν την

καί οίκ[εϊν\ άλύπως, μέν[ειν χρή] καί

τον π α θόντος ψυχήν άνθιστάμεναι

επαμύνειν αυτή καί μήποτ\ε έκ]όν-

30

ταπεινοΰν έθέλουσιν καί καταβάλλειν

τα εκλιπεϊν άπελασϋέντα δε καί διω χ θέντα , ώ σπερ ό σάς πολίτης Π ίνδα ­

αυτήν καί ύποσκελίζειν, ανίας τινϊ

« εν δίκα τε καί παρά δίκαν »,

ξννά γχη δέουσαι καθ'1 έκάατην τε καί ξν μ -

ρός φησιν,

πασαι διαλαμβάνουσαι. ον γάρ έθέλουσιν

μ ήτε κλαίειν έν τοις τ ή ς μητρός κόλ-

α γώ νω ν νόμφ προς άλλήλας διαλαγ-

ποις ώ σπερ τα παιδία, μηδ"1 οϋν λάθρα

35

χάνειν, άλλα κατά μιας ψυχή ς ξυνιστάμεναι έπιβουλεύουσιν

φοβούμενον εντός τειχών παριέναι

« ώ στε ξιφήρη χεϊρα έχειν δι’ α στεω ς » ,

· καί ό πολύς

όχλος οντος τώ ν θ εα τώ ν αυταϊς συλλαμ-

μηδε μην στρατιά έλάσαι έπί την

βάνει άνωθεν επικροτώ ν τε καί παρα-

πατρίδα, ήν αυτός φής φιλτάτην είναι

κελεύων, ατε δή ξυντρόφοις τισίν καί

βροτοις, μηδε τ ω άδελφφ μονομα-

40

ξυνήθεσιν ουσαις. ά.λ/λ ουδέν τι χρή ταϊς

1

θεώ [ν γυμνάσιά θ ’ ο]ΐσιν έν[ετράφην] Δίρκ[ης θ ’ ϋ\δω[ρ, ώ ν ου δικαίως άπελα-]

per i ir. 16-33 ν. trascrizione a.

6

. *]ιοικι{* « . . . «]τα.(, « ?]

τίζονσιν καί νυν την φυγήν αυτήν

ειν

50

έπεχέαντ[ο,

.ες τέ[λος έγ]χ[ώριοι εγ]ένοντ[ο" « καί βωμούς] 20

τε άλλας άπάσας ξυντυχίας έπιφο[ρ]-

45

tjv’ οι

πειράσθαι νπερβα[λ\έσθαι τ ω φρονή-

μων\ καί ορμ ώ ν καί δρέξεω ν, αΐ δη τάς

40

καί ενπρεπεστάτοις σχήμασιν προβαλλομένη πατρώόν τε έδαφος καί γή[ν,

πείων δό ξω ν τε καί επιθυμιώ ν

ρο

κάνει αυχμηρά έγκαρτερήσαι. μεγάλα γάρ τά άθλα πρόκειται ευδαιμονίας, εί μηδε

νπ\οστελλόμενον

* ,ενοισ[ι] τη τω ν πάλαι π ό ­

καταφρονεΐν αϊντ]ώ ν, αλλά τουναντίον

15

ον λόγων ό α γ ώ ν κρότου δε καί συριγμοϋ

η τίνος Ίδαίου Δάκτυλον νόμο) προς παν

νίζεσθαι

10

[ε]ν τω τή[ς] αρετής σταδίφ, έργων

καί επαίνων καί σκωμμάτων καί τοιού-

\μέ\νη ώ ρα γν[μ]ν[ό]ν άποδνντα διαγω -

5

[ε]π[2 τ]ήν νίκην έρχεται, άλ.λ’ έν Ή ρ α ­

ες μίαν ταύτην μελέτην αρετής ξνντελονν-

χεϊν βω μ ώ ν τ ε ένεκα καί ϋδατος καί

εκείνων σπουδαΐς τε καί θορύβοις κατα-

γυμνασίων, άλλα καρτερεΐν τ ή ανάγκη

πλ.αγέντα ύπεϊξαι. συ γάρ επί σκηνής

καί άσπάαασθαι τα παρόντα, καί γάρ έν

ονδ1 εν Διονύσου ό αγώ ν, ένθα δ πλείστονς

Ά ρ γ ε ι βωμοί θ εώ ν καί, δ τών βω μ ώ ν ίε-

[άναρτώμεν]ος κλαίοντας ή [γελ\ώντας άπό

ρώ τατόν έστιν, οί θεοί αυτοί καί ή τώ ν

45

[τον όχλου] τή εκείνων σπουδή έπιβατεύ49.

Π ίνδ α ρ ο ν



Π έλοπ ος

: i . Β α κ χ ν λ ίδ η ν (7, 2; Schroeder Prot. Pind. I li 46 sq.). : p. es. Bacchyl. VII δΐ Π έ λ ο π ο ς Φ ρ ν γ ίο υ κ λ ε ιν ο ΐς ά έ ϋ λ ο ις . 50. Cfr. Strab. V ili 354 sq. Diod. V 64, 5 etc. S - IO. α ν τ ί π [ α ο ] ώ ν : gli ά ν τ α γ ω ν ι ο τ α ί da cercare di υπ ερ β α λ έσ & α ι rφ φ ρ ο ν ή μ α τ ι sono l ’amor di patria, della famiglia ,degli amici; vinti che sieno ε ν τ ω τ ή ς α ρ ε τ ή ς σ τ α δ ί φ (6 4), sono vinti an­ che tutti gli ά ν τ α γ ω ν ι ο τ α ί minori ( δ ό ξ α ι, ε π ιϋ υ μ ία ι eto.). 11 sq. Piuttosto che supplire ad es. κ[α]< [ρ υ ]\ μ ώ ν , preferiamo sup­ porre che lo scriba avesse scritto due volte κ α ι ό ρ μ ω ν . 13 sq. ε π ι φ ο ρ τ ί ζ ο υ σ ι ν : cfr. anche Br. OIssen, P a p y r u s b r ie fe p. 184. 38 sqq. ‘ La legano con qualche stretta di dolore e l’ assalgono tutte insieme e ad una ad una ’ . Ma ξ υ ν ά γ χ η sorprende: forse σ υ ν ο χ ή ? 41. ά γ ώ ν ω ν ν ό μ φ κ τ λ . : cfr. Krause, G y m n a stik u . A g o n ie tik d er S e l len en p. 849 sq. Pauly-Wiss. I 349 sq. 41 sq. Per l ’ uso di δ ια λ α γ χ ά ν ε ιν v. Indice. 50. έ ν Δ ι ο ν ύ σ ο υ (cfr. Demosth. 5, 7. Max. Tyr. p. 1, 7. 11, 13. 17, 1 Hob. etc.) opposto ad ε ν Ή ρ α κ λ έ ο υ ς (6 3). β — 1. [ά ν α ρ τ ώ μ ε ν \ ο ς sembra preferibile ad [ε π α γ ό μ εν \ ο ς. 5. κ ρ ο τ ο ν τ ε e 7 sq. κ α τ α φ ρ ο ν η ο α ο \ τ α p . 17 sq. > > cpvJ..arr(J)'VTatat.Os b

n

yag

30

35

av Ttç T(!acpfj yJ..waaav :weaJ..).a,. ~t. xaÌ rot O 1JeÒç ,u{av pèv roiç V'fjxroiç iwrQ{Oa à.né~Bt~B rijv #aÀa-rrav, lva os c:o'iç nr'Y)VOiç ròv oveav6v, roi; ~è a XB(!f1a{av cpVf1tV exel -rijv . yfjv àacpaUç OXYJfla vno#dç' ovgavrp c:s ògocpwaac; X al wxsav(p retxtaaç, [àn]é1'stp,s1'. oZ pèv oiJJ, ogvctç uaì lxfJvsç cpvJ.aTTOVfJt rijv nacà rov Lltòç naea~o#siaay X.À'Yj(!OVXlav, xaì rà aJ..}.a oè -rà XBQCJa'ia anavra Cera. avfJQWoè vnò nJ..sovs;laç -rijv Y1JV Ota?Jép,oYTat, xaraxsg,uar{,ovre; rijv TOV {}sov ~weeàv xaì btoetCovrsç neòç àÀAJ·jÀovç, ngòç f.J.ÈV 'Aalav re uaì Evewn'fjv xaì AtfJVrJV nor:a,uo'iç,

7Wt

43. Probabilmente vot-dCovaw αν-

,ρ ο ι, ώ σπερ τά μεγάλ.α δένδρα π ρό(ρ)ριζα άνα-

παρεοκευάσθαι, οΐα τούς ά γαθούς κυβερνήτας

τρέπονται. τό (ν) μεν δή εύθυμ είσθα ι έθ έλιοντα χρή έν μεν το ίς ά γα θοϊς αφοράν ές











]ιων δίκην

τους έλάττω α γα θά κεκτημένους, έν δέ τοίς







__



]μιαν εγώ

κακοίς ές τούς μάλλον δυστυχοϋντας

45

· έάν δέ

πάλιν έν το ίς ά γα θ ο ϊς ές τό ύπερέχον, ή εν τ ο ι ;

ση ή τώ ν κακώ[ν τρικυμία ] άφνω προσπε-

κακοίς ές τό ένδεέστερον άποβλέπης, άίεί

σοϋσα ευθύ πρώρ[αν βα).εΐ\ν ή καί πλΑγιον ά-

λύπηση καί φ θονήσεις, έστί δέ λύπη μέν α­

νατρέψαι το σκάφος, άλ.λ.ά κ&ν έτερόν τινα

νία επί τοίς οίκείοις κακοίς, φθόνος δέ δδύ-

ίδ η (ς) συμφορά π[εριπ]επτωκότα, ώ σπερ έτέ­

νη έπί τοίς άλλ.οτρίοις ά γ α θ ο ϊς . καί ου τοΰτο

50

λέγω ώ ς χρή το ίς άλλήλων κακοίς έφήδε-

ϊδών καί προς (σ)α υ τόν ήξειν τον εκεί χειμώ-

σθα ι ' άνήμερον γάρ ' άλλ’ δτι τά ς άνθρωπείας

να προσδόκα, εί δε καί καταδυθεϊσαν ϊδοις,

τύχας κοινός χρή νομίζοντας τώ ϊσ φ του

τότε δή, τότε πα[ο\εϊχε τό σαυτοϋ άναγκαϊον

άναγκαίου επικουφίζ εσθα ι

ή σή ναϋς φθαρτή καί

« φορητή κύμασιν παν-

τοδαπών άνέμω[ν ρ\ιπαϊσι ξύλ.ων συμπεπηγ[υϊα]

55

» καί ε ξ όμοιων

τά αυτού δεινά ο’ί ηται, έν τώ μακρώ βίω

24 1-3 ν. trascrizione

εις λιμένα καταφυγόντα, μίμησαι καί τοϋ[το'] άν δ' εύπλοοϋσαν καί πλησίστιον ιδης

« άγα[λ-]

36 sq. Nel noto oracolo giambico (άνδρών δε πάντων Σωκράτης σοφώτατος), provocato da Cherefoute (Pauly-Wissowa III 2028 ; Hendess p. 107), non da Socrate stesso; perciò μη παρόντα. 37. ουκ : avrebbe dovuto invooe scrivere μη. Ma cfr. a !7 36. 40 sq. αιαχυνεται p : preferiremmo αίαχυνεΐται. 45 e 46. μονή (cfr. Diog. in n. a 11 1 sq.) e Άδεια : νομή e αδικία p. E in seguito ούτε δουλεία G. Mercati: ονδεδουλεια p. 49. Nella lacuna: (καλή τε καί ήδεϊα, ή δε μετ’ αγνωμοσύνης). 50. Lacuna, della quale non si può determinare l'ampiezza. 53-57. Cfr. ad es. Galen. Protr. 8 (p. 9, 27 sq. ICaibel). 54. εκ π. : v. 23 8. Xcn. Cyrop. V 4, 49. Haase a Xen. Itep. Lac. 12, 2.

2 3 - 5 sq. Gl’ infiniti dipenderanno da un δύναται o sim. nella la­ cuna dei primi righi di questa colonna, oppure dal πριν del r. 3. 7 . ίδη (ς) : είδη p ; 9. αυτόν p, forse da mantenere (αυτόν). 10. καταδυοδειοαν (sic) p : κατακλνοΰεΧοαν ì 13 sq. Cfr. Pind. fr. 88. 15. Ci parrebbe di intendere : αυμπεπηγυΐα (τη τε συνδέσει καί τώ μεγέϋει μόνον τής έτέρας διαφέρει), τή δέ προνοία κτλ.

20 sq. Cfr. Hom. ε 176. Hymn. Α ρ . Pytb. 249. 21 sqq. ‘ Per influenza di essa non disprezzare la sorte tua finché sei εν τή του βίου θαλάττη ; la τύχη è mutevole, e anche col vento in poppa si può naufragare. ’ Dunque επ’ έ[κε\ίνη ? 28 sqq. Se la parola αυτάνδρους è anche essa compresa, come non crediamo improbabile, nella citazione Menandrea, i versi sa­ ranno stati : αυτάνδρους ποτέ |5 - w εξήραξε κάνεχαίτιαεν

a.

]*ου μόνο[ν]

τυφλόν, [άλ/.ά καί άνοσίως] μι[άν]αντα τό μ η-

πος άνΰρώπου. άλλλ εάν παλινδρομουντά τινα Ιδης, έχεις παράδειγμα ασφαλείας· κ&ν

ποις δυατυχέστερον άν ευροι, έπεί πάσά τοι κακών υπερβολή, κ&ν πάνυ έκαστος

(— ) τή δε προνοία καί

άσφαλ.εία καί καρτερία διαφέρει ά νθρω ­

· ουδείς γάρ ούτω ς

δυστυχής άν γένοιτο δς συ ζ η τ ώ ν εν άνθρώ -

δράν εν τ ώ του πέλ.ας πα ρα δείγμ α τι. καί γάρ

20

· εν δ1 ευπραγίαις καί ευτυχίαις οί άν­

προ τού χειμώνας συσκευαζ ομένους καί τήν

ραν ναϋν εκ πο[λ.λοϋ] χειμαζομένην προ-

15

έ[πώ\κειλεν τό σκάφος, ή τό τελευταϊον σανί-

όντας και επί πολύ ταύταις τα ΐς ξυμφοραίς (σ )τρ α -

[ . , ] « * ,π ρ ιντε*[ C. 9 11. ο]ύριοδρομού-

10

ά νεχ α ίτισ εν». ένθα δή καί τά μεγάλα καί τά άνήκεστα γίγνεται σφάλματα, εν μεν γάρ

εύπραγοϋμεν εκ πολλ.οϋ χοή τα δεινά πρυβλέ-

5

« αυτάν­

« έξή ο α ξ[ε κ]αί

α γαθά ή κακά, άλλά ή μεν τούτω ν εις το δέον χρη-

λή

23 1

ποτέ πνεύματι {λέοντας έ σ θ ’ δτε καί τό σκά­ φος ύπέραντλ,ον γενόμενον συγκατέδυσεν,

[ή] μεν μ ετ’ ευγνωμοσύνης

55

[όλιλοία]

χύνεται, οπότε τον μεν θανάτω ζη μ ιω θέντα

μή, ούτε άδεια ούτε δουλεία, ούτε πλούτος ή πενία

50

», ε.ε[. *]ινη καί τήν σαυτοϋ

5

τρώον λ[έχος. τού δ ’ αν λ έγ]οι[θ’} δ Τηρεύς οίκτρότερ\ος τόν εαυτού ( υιόν καταφαγών, έτι δέ ό Θυέστης οϋ μόνον τά εαυτού) τέκν]α [κ]αταφαγών, άλ-

28. πρυμνον, 29. μενονδρον, 30. ανεχετιαενανϋαδη dapprima p. 30. Per άναχαιτίζειν cfr. Timoth. Pers. 18. 33. [άπορ^οίψας : cfr. 25 21. 35. Possibile anche, e forse preferibile, έ[ξώ]κειλεν. 39 sq. C’era parso di dover leggere αναν\δροι, ma non soddisfa. 41-48. τόν — οίκείοις κακοίς — Favor, fr. 82 Marree (Stob. IY 311 125 Hense) : 41 e 47 μέν e 47 φθονήσεις om., 41 sq. ΰέλοντα, 42 etc. εις sempre, 44 sq. èàv δέ γε ή έν τοίς άγαθοϊς Stob. 47. λυπήση Stob. : λυπήσει ρ. 49. αλλοτριΐ* * * *]oto p, forse perchè c’ era un guasto del papiro, oppure lo scriba aveva ripetuto per errore alcune lettere. Ma v. Stob. II 7 p. 92, 7 (e Wachsmuth a p. 96, 7 sqq.). 57 sq. βίο) |έ[λαττοϋται ? -οϋαΰαι εϊωϋεν ? ο sim.

2 4 - 1 sqq. Del primo rigo rimane solo la lettera iniziale («[- ; v. a 23 57), e poche sillabe dei rr. 2-3 (»ουμονο[*] alla fine del r. 3). Nel r. 4 pare si tratti di Edipo, e nel r. 5 è no­ minato Tereo. La connessione con la colonna precedente po­ trebbe esser questa : ‘ i nostri mali, per terribili che ci ap­ paiano, il tempo li allevia (χρόνος μαλάσσει è la solita conso­ lazione); ma che cosa sono poi essi in paragone degli orrori che accompagnano i nomi di Edipo e di Tereo f ’ . 4 sq. μητρφον λέχος (ovv. λέκτρον) deriverà da un testo poetico. 6 sq. Ci è sembrato indispensabile inserire la menzione di Tieste, al quale (e non più a Tereo) vanno riferiti i particolari del mito accennati nei rr. 7 sqq.

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31

ΦΑΒΩΡΙΝΟΥ 1ΙΕΡΙ ΦΥΓΗΣ 24 7-57 - 25 1-49 (trascr. b) 7

cè μεν έδίδαξαν,

λά καί αίσχ[ύνας] την [έαυτσϋ\ λοιπήν καί αγαπη­

ριν

τήν ϋ υ γα τέρ α ' ώ ς άμ(ε)ινον ήν κάκείνψ συν τοις άδελφοΐς επί τή ς αυτής τρα πέζης παραϋε-

10

τέκνα ποιήσασθαι ώ σπερ τα πρώ τα ευτυχώς

ενόμισαν είναι μ αϋητήν, καϋ’ ον εκείνος τό

παιδοτροφ ήσαντι. τ ί δέ ; εΐ μή τους τραγωδούς

παν κυβερνά προς τό σοι ήδύ ή προς τό σοι δί­

εϊχομεν, τις όντω ς άπείρατος τώ ν άνϋρωπεί-

καιον φαινόμενού’ ά ποβλέπω ν άλλα καί τό ώ ς

55

φορον, ώ σπερ ά γα ϋός κυβερνήτης πρές τό

,[»··*♦]· ου γάρ, ώ ' Η σίοδε, ώ ς συ φής, μόνον το

τή νηΐ καί πάσι τοις πλέσυσι σωτήριον

25 1-19 ν. trascrizione 20

νεώ ς έ ξ ω κατ[ά τώ ν το]ΰ Ταρτάρου β υϋ ώ ν, ώ ς τή

μικρώ πρόσϋεν έπεμνήσϋην, ϋ ε ώ ν π α ί-

κοινή σωτ[ηρ(α καταιτ]ιωμένους σου ‘ εάν δέ πειϋόμένος ε[ύγνωμόνως] έχης, καλώς καί άπταίστω ς

25

τόν τοϋ βίου δ[ρόμον έξίαννσας τή εκείνου πρό­ νοια επιβήση [εις τόν] λιμένα άκλυστον ευδαι­

ο Σίσυφος *