Il film e il risarcimento marxista dell'arte

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UMBERTO BARBARO IL FILM EIL RISARCIMENTO MARKISTA DELL ARTE EDITORI RIUNITI

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risarcimento marxista dell’arte | con un profilo di Luigi Chiarini e una nota di Galvano della Volpe

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EI Lilli Fotogramma grafica di Tito Scalbi

NEL: 63-0589- x

ofilo di Barbaro ta

Ve a bibliografica



Un esempio di coerenza morale, pratica, in quanto rigorosamente intellettuale. Un esempio ben raro. Non c'era per Barbaro un aspetto del pensiero e della cultura, non c'era un problema teorico, ch'egli non sentisse il bisogno di inquadrare e connettere in una visione socialistica scientifica generale: e così la sua coerenza di intellettuale comunista andava ben oltre i particolari problemi di estetica e di critica cinematografica che tanto lo appassionavano: e per questo naturalmente anche i suo senso di questi problemi non era superficiale (come in tanti), conquistato e riconquistato faticosamente e duramente come fu attraverso le risorgenti illusioni romantiche e idealistiche di una cultura molto ricca e filtrata come la sua e però lenta a cedere nei suoi strati più antichi alla critica rivoluzionaria, come in tutti coloro che hanno una cultura non improvvisata. Perciò il suo discorso in genere non stonava mai: e si sentiva che il suo sesto senso d’intellettuale rivoluzionario, formatosi, come ogni sesto senso, attraverso una lunga con-

Sapevole esperienza di pensiero e di azione, non lo abbandonava mai: che si trattasse della « crisi » politica del *56 o del neopositivismo (lo-

gico) o del neocapitalismo o del film italiano stupendo per « pittoricismo » e per decadentismo e tuttavia scambiato da non pochi per un film neorealista: o di quell'altro film italiano e sul quale con lui ci si poteva sfogare tranquilli, in pacifico accordo, sorridendo assieme del candore intellettuale intrepido che vi aveva confezionato un ragù con l’Idiota dostoievskiano, con Charlot e con tutta la letteratura del nomadismo e chi più ne ha ne metta. E così in cento e cento occasioni di cose da lui dette in quel suo discorso sempre sorridente e garbato ma così serio nel fondo e doloroso spesso; o scritte con quella sua sostanziosa chiarezza. Come quando scrive (avviandosi sempre più a superare quell’estetismo idealistico che abbiamo avuto tutti nel sangue per tanto tempo) che « per quella ch'è l’antinomia caratteristica dell’arte,

il realismo dipende più dalla immaginazione raziocinante che dalla fantasia senza freno »; o che (si trattava di un progetto di film del Renzi)

«la sua forma è imperfetta e provvisoria per definizione, giacchè si

tratta del progetto di un’opera futura. Un'opera la cui forma non sarà.

| letteraria, ma essenzialmente visiva ». Ma si rileggano con attenzione | la teoria cinematografica, L’attore creatore, L'attore cine- | «»_»’‘’Pudovkine

|_‘’matografico, Soggetto e sceneggiatura, Poesia del film e si legga ora qui. | il saggio incompiuto, |

quanto

conforto

cui si richiama il titolo del presente volume:

ideologico

e morale

se ne trarrà,

giovani

e vecchi.

E si rileggano le recensioni critiche di film nel volume che seguirà al | presente: non potrà essere che utile e — ancor più — corroborante. Fortuna particolare di tutti coloro che lo hanno frequentato e in | ispecie dei giovani compagni, non pochi, che sono cresciuti alla sua | scuola di teoria e di critica e nel suo esempio (e questo libro e il seguente sono innanzitutto per loro). L'esempio — quello di Umberto | Barbaro — di un intellettuale rivoluzionario completo, che ha volutoe | saputo essere avanti ogni cosa un buon comunista, un leninista: un

| modello di santità laica nell'Europa santimoniosa di oggi.

>

Galvano della Volpe

Raccogliere î più ro,

molti

importanti

scritti sul cinema

difficilmente reperibili e alcuni

tanto rendere un doveroso omaggio

ancora

di Umberto Barba.

inediti,

non

sipraica

a chi dedicò a questi studi anni €

anni di intelligente e appassionato lavoro, quanto fornire un contributo notevole e concreto alla cultura. L’opera di Umberto Barbaro, di cui questo volume raccoglie gli scritti molante anche nei suoi aspetti più Quanti si interessano ai problemi fica avvertono, infatti, che non è

teorici, è particolarmente viva e sticombattivi e critrcamente discutibili. dell’arte e della cultura cinematogradato sbrigarsi di lui, sia pure con

ampi riconoscimenti ed elogi, ma che devono fare i

conti giorno per

giorno. ancora con il suo pensiero per maturare il proprio mercè il suo apporto e magari in polemica con lui, che polemico fu fino all'eccesso, aspro talvolta, ma mai per risentimenti personali sì bene per una profonda moralità, per una fede assoluta nelle sue idee, der un ostinato

spirito giovanile. Barbaro aveva salde convinzioni, cui rimase fedele fino all'ultimo giorno della sua vita, convinzioni che gli derivavano sì dal marxismo,

cui era pervenuto con un continuo travaglio di pensiero, ma anche e prima ancora da uno spontaneo moto dell'animo verso gli umili la cui condizione voleva riscattata in un mondo migliore di uomini veramente liberi, uguali, fratelli. Da queste convinzioni scaturiva coerentemente in lui una particolare visione del film come arte e della funzione educa-

tiva e formativa del cinema, scaturiva quell'impegno che lo portò ad approfondire il linguaggio del film, ad analizzarne i valori estetici e

sociali, ad ampliarne la problematica — cimentandosi con tutte le idee facendo tesoro di ogni esperienza — e a dare, insomma, un contributo essenziale allo sviluppo della cultura cinematografica. La calma, la serenità, l'ottimismo che non l'abbandonarono mai e

che sapeva infondere negli altri (personalmente devo alla sua amicizia questo sostegno in momenti di grande amarezza e delusione) erano il

frutto di una chiara coscienza conquistata faticosamente sui libri e con

una vita dura che lo aveva messo a contatto coi più stridenti aspetti della realtà sociale. Tra l’uno e l’altro momento non v'era soluzione di continuità per lui, che non reagiva passionalmente di fronte alle più assurde e ingiuste condizioni umane, ma voleva scoprirne le cause e rendersi conto di come fosse possibile eliminarle, così come cercava sui

libri e nelle opere d’arte una risposta ai drammatici interrogativi che la vita gli poneva. Tutta la sua attività porta questo segno caratteristico. Rimasto orfano ancora bambino dovette giovanissimo abbandonare la scuola per il lavoro e ciò lo mise in grado di comprendere prestissimo le aspirazioni del popolo e di sentirsi solidale con lui. La fatica quotidiana non solo non gli fece interrompere gli studi, ma anzi acuì quella che è stata,

poi, per tutta la sua vita la sete insaziabiledi letture. Ricordo la soffitta della casa dove abitava, un caotico magazzino di libri più disparati: libri di storia, di filosofia, di critica d’arte e letteraria, di politica ed economia, romanzi e grammatiche delle varie lingue, testi teatrali classici e moderni, settimanali, riviste, ritagli di giornali: insomma, una vera babele di carta stampata, in pile e mucchi disordinati anche per mancanza di scaffalature. Tuitavia si trattava di un disordine apparente: era come il materiale accatastato in un cantiere con cui egli consapevolmente veniva, da solo senza la guida di maestri, costruendo la sua personalità. Bastava aprire uno di quei libri, scompaginato slegato tormentato (Barbaro non era un bibliofilo, non gustava del libro l’aspetto ornamentale) per trovarlo pieno di segni a matita, di appunti, di interrogativi ed esclamativi. Lo aiutava una memoria eccezionale per cui nulla andava perduto, tanto che già avanti con gli anni ricordava

ancora

le prime

letture,

le interminabili

discussioni

che

avevamo

avuto su un autore, una pagina, un'affermazione.

Al cinema cominciò ad interessarsi sistematicamente non ancora trentenne (era nato nel 1902 ad Acireale) nel periodo in cui Emilio Cecchi,

nominato

direttore

artistico

della

Cines,

chiamò

attorno

a sè

un gruppo di giovani d’ingegno. Si era allora nel 1931. Barbaro svolgeva già da anni un'intensa attività giornalistica e letteraria nella quale aveva dato prova di una viva fanasia e di sottile acume critico. Era passato per l’esperienza avanguardistica, esponente di un movimento

da lui battezzato « immaginismo », dando vita a due interessanti rivistine La bilancia e La ruota dentata, e con alcuni lavori (L’inferno, scritto in collaborazione col nosiro comune compagno di ginnasio Bonaventura Grassi, Il bolide, Scalari e vettori, Ancorato al cuore di

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Maria) rappresentati al Teatro degli indipendenti di Bragaglia tra il 1927 e il 1929. Semprein chiave immaginista (uno stravagante umo-

rismo amaramente satirico) aveva scritto alcune novelle raccolte poi nel volume L'essenza del can barbone. Oggetto della sua satira erano 1 borghesi, dai tronfi professori di filosofiaai banchieri dal cranio blindato come una cassaforte, pieno di titoli e di valori, agli artisti falliti, alle ricche mogli infedeli, mentre quasi sullo sfondo di queste esasperate fantasie si muovevano figurette popolari, disegnate a volte con mano felice, sempre con amorevole comprensione. Opere sostanzialmente in-

tellettualistiche nelle quali era facile avvertire alcune tendenze polemiche di quegli anni e soprattutto l’eco delle letture di ogni genere (dalla filosofia alla narrativa straniera, alla psicologia) che egli veniva facendo, ma nelle quali già si sentiva quell’esigenza di comprendere la vita e di rendere questa comprensione nell'arte. Dice lo scultore protagonista del dramma Ancorato al cuore di, Maria: « Ma tu credi che ancora sia il significato dell’arte che mi sfugge... Ah, caro amico, quello che mi sfugge è invece il significato della vita, che mi si vuota e svanisce... ». Il significato della vita, ecco quello che il giovane Barbaro cercava, ecco di che cosa aveva bisogno per costruirsi la visione di un mondo in cui il reale si conciliasse col razionale. E intanto studiava le lingue (il tedesco e il russo specialmente) per accostarsi anche a testi proibiti e legge in originale i grandi narratori russi, gli scrittori della rivoluzione come Maiakovski di cui in seguito tradusse il poema 150.000.000. I risultati di questo travaglio si dovevano avvertire nel suo primo

romanzo Luce fredda, pubblicato presso Carabba nel 1931. È un romanzo sulla piccola borghesia romana di quegli anni condotto con una analisi puntigliosa e penetrante, + risce lo stesso titolo, ma

dove

apparentemente

spietata,

come sugge-

si avverte più che la speranza

zione, per dirla con le parole di uno dei personaggi,

la convin-

« della perfettibilità

del male in bene, della esistenza categorica della morale, indipendente dalle norme e dalle sanzioni esterne, che sa porre a sè i suoi più seri impegni e le più severe sanzioni ». Scritto in uno stile volutamente dimesso, tutto volto ad afferrare il senso degli uomini e delle cose, voleva rappresentare, oltre tutto, una reazione al prezioso formalismo letterario allora dominante. Ma fondamentale per lui, e non solo per quanto riguarda la com-

prensione del cinema di cui già si veniva occupando da qualche anno sulla rivista Cinematografo, fondata e diretta da Blasetti, fu il suo incontro con Pudovkin di cui tradusse nel 1932 il trattatello Il soggetto

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cinematografico, ripubblicato, poi, con altri scritti sulla regia, l'attore e il film sonoro, nel 1935 col titolo Film e fonofilm dalle Edizioni d'Italia e ristampato nel 1950 da Bianco e nero. Questo incontro ideale, per lui, formatosi all’estetica crociana, come tutti noi di quella generazione, e che verso l'estetica crociana dava spesso segni di insofferenza (ma,

sia detto tra parentesi, non gli era facile cavarsela di dosso e doveva per taluni senso fino rivelazione. essere del cinema che

versi rimanerne influenzato per molti anni e in un certo agli ultimi scritti) questo incontro ideale fu addirittura una Ecco come egli stesso ne parla in Poesia del film, che per 1955 esprime il suo pensiero più maturo: « Il mondo del osservavo con grande interesse da qualche tempo e sul quale

avevo già meditato e fatto già, forse, qualche osservazione non banale, mi parve essermi stato, fino a quel punto, sconosciuto ed estraneo; ed ora invece, improvvisamente fattosi mio, mi si svelava tutto, senza più zone d'ombra e mistero: come visto da dentro, quasi da un figlio

d'arte, che vi avesse ogni cosa nota e familiare fin dalla nascita. Ma non fu neanche questa l'impressione più forte: l'impressione più forte era oltre il cinema stesso. Perchè quel discorso piano di Pudovkin scompigliava, e proprio gettava all'aria, tutta una cultura della quale

ero nutrito anch'io,

sebbene

dussi quei saggi con

un entusiasmo

ne fossi, che,

da sempre, mi sembra,

insofferente. Tratraspare

ancora

dalla prefazione, che buttai giù gongolando. Arte a tesi, arte realistica, montaggio. Una grande strada dritta, un modo di intendere l’arte diverso, ed opposto, a quello che dominava incontrastato in Italia e che, proprio per non essere neszimeno filosofia ufficiale ed universitaria, appagava il vago ribellismo individualistico dei miei connazionali ». Anche se nel ricordare l'avvenimento dopo più di venti anni egli ha calcato l'accento sull’anticrocianesimo, sta di fatto che il pensiero di Pudovkin ha avuto su di lui un'enorme influenza e che la figura del grande regista e teorico russo rivestì per lui l'aspetto di un nume tutelare. Basterà ricordare le pagine commosse che gli ha dedicato, l'impressione che ebbe ricevendone una lettera « come se gli avesse

scritto

— sono sue parole — firmando di suo pugno, che so io, Miche-

langelo Buonarroti o Leonardo da Vinci », e l'emozione che provò cono-

scendolo di persona a Varsavia e poi ritrovandolo a Perugia e a Roma. Nel 1950, ripubblicando Film e fonofilm, Barbaro affermava giustamente nella prefazione: « Gli scritti di Pudovkin sono la via maestra per la quale il cinema è giunto alla piena coscienza del suo essere un'arte,

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ed io sono fiero di averla percorsa e di averla additata per primo in Italia ». Ma torniamo agli anni intorno al ’30. Barbaro seguita a svolgere un'intensa

attività

letteraria:

prepara

un

nuovo

romanzo,

collabora

a

riviste e settimanali, tra cui L'Italia letteraria, ma soprattutto è animatore della rivista Occidente, una rivista di cui non è stata messa in luce l’importanza, în quel periodo, per la funzione che ebbe e il contributo che diede alla sprovincializzazione della nostra chiusa cultura letteraria. A mano a mano che si chiariva in lui il significato della vita

e dell’arte il suo impegno si faceva più serio e rigoroso; impegno e rigore pagati di persona, ché gli sarebbe stato facile aprirsi una strada, una brillante carriera, anche con piccole concessioni al fascismo. Egli non fu un militante politico nello stretto senso della parola, ma sul piano della cultura conservò un’intransigenza morale che deve essere additata ad esempio perchè rara tra gli intellettuali. Non un rigo, non una parola si può trovare nei suoi scritti di cui egli stesso abbia dovuto non dico vergognarsi, ma pentirsi. Non uno scritto da nascondere o sul quale tacere. Come ogni uomo che pensa e per il quale il pensiero è viva dialettica, modificò, corresse col tempo talune sue affermazioni; ma di questi mutamenti dette sempre ampia e motivata ragione. Ad avvicinarlo al cinema contribuirono due fattori: l'essere egli un intellettuale che si sentiva legato alle masse popolari e il suo interesse, la sua passione per le arti figurative. Di queste cominciò ad occuparsi ancora ventenne seguendo all'università i corsi di Roberto Longhi, col quale doveva, poi, stringere una salda amicizia e che fu per lui, nel campo della critica d’arte, una guida, un costante punto di riferimento. Poco prima della sua morte nella stanzetta della clinica di S. Antonio, che non posso ricordare senza sentirmi preso da una infinita angoscia, tracciandomi il disegno di una collana di libri sul-

l’arte che doveva dirigere, mi parlò di Longhi con quel calore e quell'ammirazione senza riserva con cui aveva scritto di Pudovkin; e il male e le sofferenze furono per qualche momento dimenticati. Caro, amico, quale gioia sarebbe stata per te e impagabile leggere questo giudizio di Roberto Longhi: « Ma anche per l’arte figurativa in senso stretto, Barbaro continuò attentissimo al muoversi degli studi più liberi e ne diede referti di tanta penetrante esattezza da stupirmi e di cui,

per quanto mi riguardava, gli sono rimasto grato per sempre ». Di critica d’arte seguitò sempre ad occuparsi anche quando gli studi cinematografici erano divenuti la sua principale attività: scrisse diversi

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articoli sulle più importanti Mostre che si venivano facendo, tradusse

del Woellfiin L'avvicinamento all'opera d’arte e nell'immediato dopoguerra pubblicò Le ricche miniere della pittura contemporanea. In collaborazione col Longhi realizzò due documentari d'arte su Carpaccio e

Caravaggio. « Nel corso di quei lavori, scrive Roberto Longhi, furono i fotogrammi in movimento e le modeste carrellate sulle immagini del

Caravaggio, con la loro forza di verità, l'argomento determinante per convincermi dell'urgenza di reintrodurre più comunemente nel discorso critico quel concetto di ’’realismi’’ che l’imperante astrattismo idealistico ci aveva per tanti anni precluso. È dunque al ‘regista’, Barbaro che devo quell’accrescimento di libertà mentale ed amo rendergliene

qui fedele testimonianza ». Ai tempi della Cines e su consiglio di Emilio Cecchi egli tradusse e riassunse il libro di Arnheim, che, come scrisse l’Arnheim stesso, cir-

colava tra gli « iniziati », in fascicolo poligrafato, come il manifesto segreto di una carboneria. Il testo fu poi pubblicato in Bianco e nero nel 1938. Tradusse anche scritti di Eisenstein e Baldzs, accompagnandoli con note informative e critiche precise ed acute, sì che si può affermare, al di fuori di ogni retorico e postumo elogio, essere stata la sua attività il primo, importante, fondamentale impulso che ha portato in Italia i problemi del film sul piano della cultura; fatto notevole non solo per il cinema, ma per la cultura stessa che da quella problematica ne venne arricchita. Strenuo sostenitore del realismo, per una profonda convinzione estetica che coincideva col suo mondo morale, ne affermò criticamente i principi negli scritti e nell'insegnamento, contribuendo a diffonderne quella coscienza i cui frutti si dovevano vedere nella fioritura del

nostro cinema dopo l’ultima guerra.

Per la Cines, oltre a svolgere un’opera di consulenza su soggetti e sceneggiature, realizzò un documentario, Cantieri dell’ Adriatico, testimonianza felice della sua visione cinematografica dei suoi costanti interessi sociali. Dal 1935, anno della sua fondazione, Barbaro fu insegnante al Centro sperimentale. Nessuno più di lui ne aveva i titoli, nessuno avrebbe potuto portarvi più di lui competenza, passione, rigore critico, capacità di insegnamento e di metodo. Al Centro egli dette per molti anni ai suoi allievi il meglio di se stesso. Amava la compagnia dei giovani nei quali aveva un'immensa fiducia, che si manifestava nel più

delicato rispetto della loro personalità. Sin dal primo contatto ne conquistava le simpatie mettendoli subito a loro agio senza far mai pesare

xv

la differenza di età, di esperienza, di cultura; li poneva sullo stesso suo piano con quel modo attento e comprensivo di ascoltarli e quel tono

pacato e semplice nel rispondere, sottolineando gli argomenti con misurati carezzevoli gesti delle mani, quasi a ricordare che alla forza della ragione si convengono i modi civili e non le incomposte maniere della rissa. Insegnava così, con l'esempio, che la dignità dell'uomo risiede nel pensiero, non gioco dialettico ma impegno morale di vita verso gli altri e verso se stessi, e che le idee buone, da chiunque provengano, finiscono sempre per trionfare ed imporsi per loro stessa virtù. Era questo il fascino della sua personalità: i giovani lo avvertivano e si stringevano intorno a lui per attingere chiarezza e forza nel ribollire delle idee e delle passioni: gli volevano bene perchè lo stimavano. Mi sembra ancora di vederlo uscire da una delle aule, circondato da un folto gruppo di allievi, che affettuosamente lo costringevano (ed era grande gioia per lui) a continuare la lezione passeggiando per i

corridoi e 1 cortili. Cercava di rispondere ad ogni domanda, di soddisfare tutte le curiosità, di rendersi conto delle più strane obiezioni, di dissipare qualsiasi dubbio; e se si accendevano discussioni, a volte vivaci per qualche intervento eccessivamente polemico, Barbaro manteneva la sua imperturbabile calma riportando ben presto il dissidio sul piano del sereno dialogo. Nè mutava il tono garbatamente persuasivo

di fronte alle obiezioni più ingenue e avventate; solo chi lo conosceva poteva scorgere nel taglio dei suoi occhi un lampo di ironia che subito sì spegneva in un incoraggiante sorriso. Perchè ai giovani voleva veramente bene, ai giovani perdonava gli errori sempre motivati da generosi impulsi, nei giovani credeva; nè riuscirono mai a scuoterlo le inevitabili delusioni subìte da quanti, usciti dal Centro, si dimenticarono presto di lui e del debito contratto verso il suo insegnamento. E non si doleva neppure che le sue idee riapparissero tante volte con altra

paternità. Le idee sono un patrimonio comune, diceva, e l'importante è che circolino, si facciano strada: proprio quando se ne dimentica l'origine vuol dire che sono diventate di ciascuno e di tutti. Furono anche gli anni del Centro un periodo di intenso lavoro

per Barbaro

e di stretta

collaborazione

tra noi due;

studio

anni,

e

parti-

colarmente i primi passati negli scantinati della scuola professionale di

via Taranto, fervidi e pittoreschi, ricchi di esperienze e di discussioni, anni in cui ancora era difficile stabilire una netta separazione tra insegnanti ed allievi, sia perchè tra questi vi erano personalità di un certo spicco, sia perchè gli insegnanti stessi, a cominciare da me, avevano

NA

e SER

XVI

molto da imparare. In quell’entusiasmo disordinato, fatto di. ricerche e di tentativi, Barbaro rappresentò un punto fermo: dalla nostra collaborazione nacque la rivista e quella collana sui diversi aspetti del film, che doveva in seguito avere tanta fortuna. Nacquero quelle antologie che compilammo insieme (I problemi del film, L'attore, L'arte

dell'attore) nelle quali raccogliemmo l'essenziale dei testi più importanti sulla tecnica e l'estetica del cinema, sulla recitazione. Cominciarono a circolare così tra gli allievi le idee di Pudovkin, di Baldzs, di Eisenstein, di Arnheim, di Stanislavshi, mentre si andavano raccogliendo i film classici (da Intolerance 4 Potiomkin a Der letzte Mann) e si progettavano film didattici di cui Barbaro realizzò quello sulla recitazione cinematografica.

Il risultato di tutto questo lavoro e del suo insegnamento è consacrato nel’ volume Film: soggetto e sceneggiatura edito nella collana di studi di Bianco e nero nel 1939, in un saggio sull’attore cinematografico apparso in un fascicolo del ‘37 della rivista e nello scritto, Il problema della prosa cinematografica, pubblicato nel 1942, sempre in

Bianco e nero. Il pregio del volume, oltre che nella sua grande chiarezza e nell’efficacia delle esemplificazioni tratte anche con singolare pertinenza dalle arti figurative, consiste innanzi tutto nell'aver impostato il problema del film in quello più generale dell’arte. Impostazione rigorosamente critica che Barbaro è stato uno deî primi a sviluppare con tanta ampiezza e organicità. Il suo pensiero, influenzato dall’estetica crociana e dalle teorie sul film di Pudovkin, presenta tuttavia aspetti originali e approfondimenti propri di quella dialettica che come ab-

biamo visto era il fulcro della ‘sua personalità:

l'interesse artistico e

quello sociale. Il primo e più importante capitolo del libro è dedicato al problema

‘estetico. Partendo dal principio dell'unità dell’arte, intesa come processo spirituale, e riaffermando l’inscindibilità di contenuto e forma egli si richiama a quello che il Croce ha definito carattere di totalità per

affermare che l’opera d’arte è « una visione del mondo, nata da complessi fattori storici, che si attua attraverso varie elaborazioni in una visione particolare, ma suggestiva, nella sua pregnanza di universali valori... ». Da ciò ne deriva che è « solo una pratica ed esterna considerazione quella che diversifica l’arte in arti singole, a seconda delle materie e delle tecniche che costituiscono i mezzi della loro fisica pro-

«duzione ». Di qui anche il rigetto delle due posizioni antagonistiche

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(naturalismo e formalismo) che, basandosi sui mezzi espressivi, valutano le arti e le opere in rapporto al « grado di maggiore 0 minore naturalismo ». Mentre la tecnica essendo il « complesso di mezzi specifici di ogni singola opera colla quale essi fanno un corpo perfetto... non può essere separata dalla creazione, estratta dalle opere, codificata, appresa, ripetuta, come vorrebbero i retori e î grammatici, che infuriano anche nel campo della cinematografia ». Il che non vuol dire che non esistano e che non possano indagarsi i limiti che differenziano le arti tra di loro... « purchè si tenga presente che si tratta di limiti puramente estrinsechi che non toccano la vera natura dell’arte ». Sicchè l'evolversi e l’arricchirsi della tecnica e in conseguenza l’evoluzione formale « corrisponde all'evoluzione sociale, politica e filosofica... Giotto è più grande del Vasari, ma la più ricca tecnica di questi corrisponde «a un più moderno pensiero ». Per cui se è giustissimo aver sfatato gli illusori concetti di origini, sviluppo e decadenza dell’arte non è accettabile la tesi crociana che nega la possibilità di una storia dell’arte. Così ogni artista è legato al suo tempo e tra gli artisti si possono trovare parentele ideali, un mondo poetico affine che porta a un impiego simile di mezzi espressivi: da ciò quelle che si chiamano vere e proprie scuole. Da tali considerazioni, per le quali Barbaro si avvale largamente dell’autorità e dei risultati del metodo critico di Roberto Longhi, ne discende che l’arte non solo può esser frutto di collaborazione, ma, ‘almeno in un senso largo e indiretto (quello tra l'artista gentale e la sua scuola e tra l'artista stesso e quanti l'hanno preceduto e di cui egli riflette insegnamenti e influenze) non può non esserlo. E ancora

se si ammette col Croce che « l’arte è una e nella sua attuazione si sceglie, sia pure in seguito ad un complesso di fattori storici, che'si concretano nelle sue intrinseche necessità, i mezzi che le convengono, nulla

st oppone alla fusione di più tecniche ». Mentre il teatro si dibatte nella contraddizione del rapporto testospettacolo (Barbaro nega la possibilità di interpretare i testi e ripro-

durli secondo la tesi del Croce dell’intraducibilità dell’opera d’arte) il

cinematografo elimina questa contraddizione in quanto « è libera e autonoma creazione in tutte le sue fasi, che debbono essere considerate come successive elaborazioni della materia, compiute da un complesso collaborante al conseguimento dell'unità dell’opera ». Ed ecco che indagando non le differenze, ma quanto di comune v'è nelle arti (metodo opposto a quello di Arnheim) Barbaro giunge «ad affermare l’artisticità del film; l’ultimo ostacolo (cioè la presunta

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meccanicità del cinematografo) egli lo rimuove osservando acutamente che non sono « macchine quelle che concorrono alla produzione del

film..., ma sono strumenti: lungi cioè dall'avere automatismo e indipendenza, e lungi dall’asservire quindi a sè ghi uomini che lr manovrino, sono sempre soggetti alla volontà creatrice di essi ». Da questo breve riassunto del suo pensiero risultano chiaramente

quei presupposti a cui rimarrà sempre fedele anche quando, per l’infiuenza degli studi estetici e critici marxisti, taluni concetti mutuati

dall’idealismo e da Croce verranno a cadere o saranno addirittura rovesciati. I cardini della sua teoria resteranno sempre l’unità dell’arte, la possibilità della fusione di più tecniche, la collaborazione creativa e soprattutto il rifiuto di ogni naturalismo e formalismo che svuotano l'arte della sua alta, umana significazione. Passando, poi, alla trattazione del film egli accoghe, approfondisce, e corregge anche, le geniali affermazioni dell'empirico Pudovkin, sistemandole nella sua visione generale dell'estetica. Ed ecco che lo « specifico filmico » acquista un valore di tendenza; il tema o la tesi (quella visione del mondo che è alla base dell’opera d’arte) diviene « l’asse etico della collaborazione, la determinante delle soluzioni dei problemi espressivi del film ». Non si tratta, aggiunge Barbaro, di una tesi da dimostrare come un teorema di matematica giacchè altrimenti i film di propaganda sarebbero tutti capolavori mentre spesso si verifica proprio il contrario. Il'tema deve essere espresso dialetticamente: egli accetta la definizione del film di Eisenstein (che ammirava come grande artista, ma non come teorico cui si dovevano solo alcune affermazioni apodittiche illuminanti): « La rappresentazione di un conflitto in una idea ». Ma al protagonista che incarna l’idea, l'eroe che commuove i pubblici di tutto il mondo, egli preferiva, più modernamente, l’idea incarnata dalla vita di un popolo, mentre l'individuo avrebbe dovuto rappresentare l'elemento di resistenza, il conflitto, evitando così di cadere nell’individualismo borghese e nella rettorica del protagonista romanzesco.

Qui ci si riallaccia all'importanza

Barbaro

dedica un capitolo,

in evidenza quei caratteri «la più formativa, quella tente », arte che postula bilità nei suoi creatori. Di e quella del « lieto fine »

morale e sociale del film, cui

e che sottolinea in continuazione,

mettendo

che fanno del cinema un'arte per il popolo la cui portata sociale ed umana è la più poautocoscienza, impegno morale e responsaqui la netta condanna dei film di evasione immorale e, come egli dice, essenzialmente

XIX

anticristiano; di qui il diprezzo per l'ottimismo imbelle dei film di confezione che presentano come un mondo meraviglioso quello dei locali notturni, delle donne facili, degli ambienti di corte operettistica « e di altrettali porcherie », mentre il suo ottimismo, quello che concilia con la vita reale non può non conciliare anche e soprattutto con la tenacia e con

lo sforzo

che

del vero e del bello,

essa esige per attuarsi secondo

le leggi del buono

e

In base a questi presupposti e in questa luce egli analizza il linguaggio del film rifacendosi sostanzialmente allo schema di Pudovkin , ma arricchendolo di osservazioni ed esemplificazioni tratte dalla sua vasta cultura letteraria e figurativa. Originale è la sua posizione per. quanto riguarda l'attore cinematografico (discende dal considera :e il

film opera collettiva) definito attore creatore rispetto a quello del teatro che è interprete. Mentre questi, infatti, ha un testo che è in sè opera

poetica nella quale i personaggi sono completamente configurati, quello ha una semplice traccia giacchè la sceneggiatura, comunque la si voglia considerare, non è che un momento della creazione. Nel saggio Il problema della prosa cinematografica egli dimostra acutamente come al film, per le sue peculiari caratteristiche, tra le altre quella di avere solo il tempo presente (i fotogrammi non si coniu-

gano ricorda con Baldzs), è negata la possibilità di esprimere concetti

astratti, giudizi, ragionamenti, che come tutti sanno sono la derivazione di un giudizio da un altro. Non solo: « Il film, come ogni linguaggio artistico ha limiti strettissimi nella sua capacità documentaria ». Sicchè « intendendo naturalmente per prosa la non doesia, cioè la non arte, diciamo dunque come conclusione che non può esistere una prosa

cinematografica. Che non è mai esistita... ». E allora, si domanda Barbaro, i film documentari? I film didattici? e risponde: « Alcuni do-

cumentaristi... credendo di illustrare condizioni di vita, metodi di lavoro, e di trarne conclusioni importanti hanno fatto dell’arte. I soli documentari che interessino, i soli film didattici, son quelli ». Nel saggio egli ritorna sul problema del cinema cinematografico e del cinema puro ribadendo « la possibilità della fusione di diù tecniche e la collaborazione artistica », cardini dell’artisticità del film. Dopo la guerra fu commissario e direttore del Centro sperimentale fino al 1948 e direttore di Bianco e nero; nell’anno scolastico 1948-49 consulente della Scuola superiore di cinematografia di Lodz; fu anche fino al 1947 critico cinematografico dell'Unità di Roma; fu per diversi anni ‘critico cinematografico del settimanale Vie nuove.

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13

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È

L'evoluzione del suo pensiero in questo periodo si può trovare nelle dispense delle lezioni tenute in Polonia, I problemi dell'estetica marxista, nel volume Il cinema e l’uomo moderno in cui ha raccolto

Sì È

&

con un’ampia introduzione le relazioni e gli interventi al Convegno internazionale di cinematografia di Perugia del settembre 1949, nel suo libro Poesia del film, pubblicato nel 1955 e nell'intervento al Convegno

sul realismo, tenutosi all'Istituto Gramsci nel gennaio del 1959. Senza contraddire le tesi fondamentali esposte in Soggetto e sceneggiatura, egli ha cercato di conciliare con rigore critico non solo le

istanze marxiste,

ma anche la sua precisa fede politica coi problemi

estetici del film; ha cercato di intendere e conciliare con questi problemi la stessa produzione cinematografica sovietica degli ultimi quindici anni così diversa (e a mio giudizio certo non in meglio, come scrissi in polemica proprio con lui) da quella dei tempi del Potiomkin e della Madre. Egli parlò in proposito di una terza fase del cinema di fronte

a film come Sei ore dopo la fine della guerra di Pyriev dandone una

critica motivazione, senza certo contraddirsi di fronte all’anticinematograficità dell’opera, lui che non aveva mai voluto teorizzare lo specifico

filmico e che aveva

posto. sempre

l'accento sul contenuto

ideologico

s 3° ig p

dell’arte. Sul giudizio nei confronti di Pyriev si potrà dissentire (e 10 dissento e ho sempre dissentito), ma ingiusto sarebbe accusare Barbaro di faziosità politica. A chi allora gli mosse questa sciocca accusa egli rispose seccamente: « Io mi arrogo il privilegio 0, se si preferisce, (...) io considero mio fermo dovere (e non da ieri che è un po’ meno difficile) quello di asseverare e di scrivere, in ogni caso e sempre, ciò che

d hi

quelli, in particolare, al cui giudizio io tengo, sanno benissimo (e per la quale sarà tuttavia una grande e poco probabile fortuna se, per così dire, da questa lacrymarum valle sane a Gesù riporterò le spalle) ».

Mii

d

penso; che è una cosa che tutti coloro che mi conoscono în genere e

Nel volume Il cinema e l’uomo moderno, difendendo la nuova posizione critica di Pudovkin, che aveva rinnegato la schematizzazione del montaggio, egli spiegava che si trattava di uno schema formalistico,

la cui caduta non intaccava i cardini della teoria del grande regista

sovietico basata sui concetti di tema, collaborazione artistica, materiale plastico, asincronismo. Nelle stesse pagine impetuosamente affermava che « partire dal marxismo per porsi il promlema del film significa stu-

diare un fenomeno reale nella complessità dei problemi che tocca, senza preoccupazioni di estetica purezza. Significa certo considerare il film per

quello che è, un fatto artistico. Ma

questo non ci impegna

affatto, da

XXE

qui, a respingere come extra-estetico nessun ordine di riflessioni che esso possa suggerirci, nessun tipo di indagine che esso possa sollecitarci a condurre. Giacchè considerare il film dal punto di vista del pensiero

marxista

significa considerarlo

al di fuori dell’estetica formalistica ».

In quel momento accesamente polemico liquidava sbrigat ivamente con irruente baldanza gli ultimi filosofi idealisti italiani. Ma a quella foga polemica doveva succedere in lui, che non si nascondeva certo i problemi, un più meditato ripensamento. Così nel suo ultimo volume, Poesia del film, egli da una parte tien fermo il concetto dell'unità, dall'altra postula l’inscindibilità dell’ispirazione artistica e della tecnica esecutrice, affermando che « ciò che è comune ‘a tutte le arti è l’atto fantastico, mentre ciò che distingue l'arte in arti singole sono la materia e la tecnica diverse per le diverse arti ». L'atto unitario della creazione artistica, egli esemplif ica, « consta di un procedimento intellettuale, di natura conoscitiva (fantasia-immaginazione), che si realizza e si conclude in un procedi mento tecnico, cioè sulla scelta di una materia e della maniera di trattarla ». Posizione che non sembra superare le residue influenze idealisti che. Comunque egli, in questo scritto, rivaluta lo « specifico filmico » che identifica nel montaggio, il quale « implica e compendia non solo inquadr atura e primo piano, ma anche soggetto e sceneggiatura; nonchè modi di illu- ' minazione e di recitazione e, in una parola, tutta la tecnica cinematografica che è determinata dalla previsione della sua fase ultima, il montaggio stricto sensu ». Ammette che la maggior parte delle opere rico-

nosciute come arte non contraddicono lo specifico; le rare eccezioni con-

fermano la regola. Nell'intervento al Convegno sul realismo ritorna sul problema riaf-

fermando

l’importanza

dei

mezzi

espressivi,

disconosciuti

da

Croce

e

avvertendo che nella elaborazione di un'estetica realistica si pone la esigenza del rinnovo della terminologia derivata dall’idealismo. Anche

questo aspetto è indispensabile per superare il concetto crociano di istituzione-espressione. Siamo, dunque, sempre nella problematica. Po-

lemizza con le tesi di Arnheim e di Emilio Cecchi che sopravva lutano negativamente la natura tecnica del film per affermare la sua convin-. zione che « proprio il suo essere così strettamente legato alla realtà fa del cinema una forma d’arte d’enorme importanza culturale e sociale ».. Da ultimo osserva che « considerando base artistica del film il montaggi o

(e cioè un fatto tecnico) si riconferma anche il valore essenziale della

struttura

nell'opera

d'arte; e la struttura è razionalità ». Ma

la strut-

XXII

tura nel film, come ha insegnato Pudovkin, dipende dalla presenza di una tesi, che dà all'arte quella praticità. e funzionalità implicite nella razionalità. Nello scritto inedito: Risarcimento marxista dell’arte incompiuto e non ancora elaborato definitivamente, perchè lo colse la morte mentre

vi stava lavorando, v’è un notevole sforzo di sistemazione dei problemi dell'estetica in generale e del film in particolare alla luce del marxismo.

Come si vede, nel complesso di questi scritti vi sono arricchimenti e approfondimenti del suo pensiero, un'aperta problematicità che contraddice le asserzioni a volte dogmatiche e î disconoscimenti radicali (come per quanto si attiene all'estetica idealistica di cui non si era completamente liberato); ma quella che potrebbe apparire come contraddizione maggiore è l'asprezza di giudizi sui film nella sua attività di critico militante: un'asprezza da lasciare a volte sconcertati. Qui era in gioco il profondo concetto che aveva del valore morale e sociale del cinema e, direi, di tutta l’arte; un concetto che determinava il suo gusto, al di fuori di ogni ideologia politica. Così amava Manzoni e Caravaggio, Dostoieuski e Leopardi, la Giovanna‘ d'Arco di Dreyer e La madre di Pudovkin ed elogiava nella produzione cinematografica corrente film come Bernadette di King. Amava 1 film italiani neorealisti e più la schiettezza quasi rozza di Rossellini che l’ec-

cessiva cura formale di Visconti, la semplicità toccante di Zavattini e

De Sica che le complessità psicologiche di Antonioni. Ripugnavano alla sua moralità, ma anche al suo gusto, per quanto tecnicamente raffinati fossero,

î film

torbidi,

violenti,

sensuali:

quasi

mai

riusciva

a ve-

derli per intero. Le sue critiche, allora, sempre scritte con uno stile vivo e incisivo, sempre piene di riferimenti culturali pertinenti, a volte piacevolmente argute, divenivano sferzanti fino alla insolenza: espri-

mevano

tutta la rivolta di chi come lui aveva un concetto altissimo

della funzione educativa e sociale del film. Ho dialogato e polemizzato con lui tutta la vita ed è stato questo il miglior fondamento della nostra amicizia. Mi sembra di averlo ancora a fianco, vivo, ad ascoltarmi col suo sorriso smaliziato, ma affettuoso e incoraggiante, se gli dico qui, come sempre, che in tante cose non sono d'accordo con lui, in alcune per divergenze profonde, ma che,

come sembre, ho ancora molto da imparare dai suoi scritti anche là

dove mi costringono a un nuovo ribensamento e a un maggior rigore critico per controbbatterne le tesi. Molto egli ha insegnato a tutti noi, molto può ancora insegnare, con le sue opere e col suo esempio: è

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Erede Rat

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10428,

PRA

FO) SI ie, 1A

XXIIE

un insegnamento

di impegno

morale sia nell'arte che nella vita, un

impegno a battersi rigorosamente per le proprie idee con lo studio e il lavoro nel civile rispetto di tutti gli uomini, anche degli avversari quando abbiano lo stesso nostro impegno e la stessa nostra onestà. E un avversario non comune è certo, per quanti possano dissentire da lui anche sui presupposti ideologici, Umberio Barbaro. La sua ricchezza spirituale egli non ha mai voluto barattarla con gli agi della vita; e allora possiamo dire che veramente poveri sono quelli che pretende vano un simile baratto, quelli che valutavano la sua dritta e inflessibi le personalità morale alla stregua di opportunismi contingenti e, pur stimandolo, lo trovavano scomodo. Egli, infatti, non si piegò mai a nessun conformismo perchè gli era costituzionalmente impossibile fare o dire cose di cui non fosse profondamente convinto. Questo è il patrimonio che ha lasciato a tutti noi; in particola re ai

giovani, in cui vedeva già la promessa

di un mondo

migliore; che i

giovani sappiano conservarlo e ‘arricchirlo col loro lavoro, sì che se ne possa vedere riflessa la luce nelle pagine che scriveranno e nei film di cui saranno artefici.

Luigi Chiarini

Questo, come suol dirsi, aureo libretto, questo « libro straordina- . rio », come lo chiama Hans Richter, è destinato a fornire pezze d’appoggio, in Italia, a qualche balorda presunzione, e a suscitare qualche ironia. La colpa non è dell’autore; è tutta mia che lo presento oggi da noi

per gusto di inattualità e, in parte, con la speranza che esso possa contribuire ad accelerare quel processo di revisione di valori, nel campo della cinematografia italiana, in seguito al quale libri di questo genere diventeranno attuali. Oggi i cinematografari che producono da noi sono quegli stessi che producevano ai tempi di Checchennina e cioè, non solo prima di Pudovkin, mia qualcuno addirittura prima di Griffith; e non si può certo far loro una colpa eccessiva se essi credono, ingenuamente, di non aver nulla da imparare in proposito da nessuno. . I cosiddetti cineasti poi — salvo qualche raro uccello — sono naturalmente dei piccoli intellettuali formatisi in un’atmosfera culturale fatta delle briciole di una filosofia che ha dominato dispoticamente la civiltà italiana

di questi

ultimi

trent'anni

e che,

insieme

con

molti

meriti,

ha

il torto di aver fatto dimenticare agli italiani quel nostro connaturato empirismo che, una volta, ci ha fatto così grandi. Così se i vecchi maestri della cinematografia italiana scambieranno questo libro per una raccolta

di vieti luoghi

comuni,

i giovani

innovatori

lo tacceranno

sen-

z'altro di empirico, e, in quanto tale, lo giudicheranno indegno di qualsiasi considerazione. Habent

sua fata libelli;

e con sincero rammarico,

e questi mi sembrano,

ahimè,

senza malizia

i fati che è lecito prevedere per i saggi che

seguono. Mi sia lecito esemplificare con esperienze personali: mi fu affidato poco tempo fa, per la sceneggiatura, un soggetto ricavato da un romanzo moderno italiano; il soggetto, proposto dall’ufficio competente di una ben nota casa di produzione, era stato sottoposto ed approvato dalle «commissioni amministratrici. Nella discussione col direttore dell’ufficio

P

4

Il film

e il risarcimento

marxista

dell’arte

soggetti, sceneggiature e musiche, io sostenni la mancanza, in quel romanzo, di quello che Pudovkin chiama il tema, e facilmente convinsi il nominato

direttore,

nonché

vecchio

studioso

di

problemi

cinemato-

grafici (quello stesso che aveva proposto e fatto approvare il soggetto), che esso era irrealizzabile. Per una causa analoga ho rifiutato, alla stessa casa ed allo stesso direttore, di sceneggiare un soggetto tratto da una novella e pensato letterariamente: esso era privo infatti di qualsiasi elaborazione sul materiale plastico, e ogni tentativo di sceneggiatura appena possibile lo trasformava quindi al punto da renderlo irriconoscibile. Il soggetto, anch'esso in massima approvato, è rimasto lì, ed io spero che quella casa rinunzi a realizzarlo evitando così di sperperare un'altra

volta inutilmente il denaro degli azionisti e dei sovvenzionatori. Quanto ai giovani innovatori essi sanno benissimo che Pudovkin è autore di film a tesi e di film realistici: secondo i canoni estetici ufficiali del bolscevismo. Che l’arte a tesi sia oratoria e cioè attività pratica e non arte è una cosa che la sanno ormai cisposi e barbieri; e quanto al

realismo c'è purtroppo da deplorare che all’Ennerreffe abbiano idee così poco chiare in fatto di estetica e che, di conseguenza, anche quelle dei nostri intellettuali siano ancora un po’ confuse; certo si è che tra realismo, neo-realismo, realismo magico, Proust, Joyce e Sachlickeit, e magari surrealismo ci sono relazioni abbastanza strette che preoccupano il colto cineasta; però in fatto di cinematografo è ancora lecito dire « realismo!» con una smorfia di disprezzo, con una di quelle smorfie che erano di moda, a questa parola, ai tempi degli avanguardi-

smi eroici, 3 Non c’è dubbio che un'opera d’arte esprima il mondo morale del suo autore: ora alla creazione di un film concorrono varie personalità collaboranti che, per quanto affiatate, possono essere contraddittorie, su qualche punto almeno; è quindi necessario che il mondo morale che dovrà essere espresso in un film sia criticamente cosciente, delimitato, ed

‘espresso in una forma sintetica che possiamo chiamare

tesi o tema;

questa tesi costituirà l’asse morale di un film e gli darà l’organicità necessaria ad ogni opera d’arte. Il cinematografo ci ha mostrato migliaia di volte ristoranti notturni: quasi tutti uguali e ugualmente inutili. Si eccettua quello di A woman of Paris di Charlot, da cui emanava un

tragico senso di orpellata bassezza e di decomposizione : il solo modo in ‘cui sia concepibile un locale simile nel mondo di Charlot. In modo ana. logo — perfettamente coerente alla tesi — era il grande ristorante del film Celoviek v restaranie (noto in Italia sotto il titolo: Il cameriere del

Pudovkin

e la teoria cinematografica

5

Per quanto si riferisce al realismo occorre tener conto che il primo mezzo della realizzazione cinematografica è la fotografia, e che quindi, e del resto solo in un certo senso esteriore, un inevitabile realismo. è in ogni film; ma esso supera se stesso mediante il montaggio che, intenzionalmente

disponendo

i vari

« pezzi », crea

una

realtà

nel caso che il direttore ! sia un artista, tutta arte. Si tenga conto inoltre che Vsevolod Pudovkin ‘mento e, probabilmente,

per educazione,

è,

tutta voluta e,

per

tempera-

tendenzialmente simbolista

(co-

ASI pelli life ae DE RIS SPO ppi PAIA AA

Grand hotel) di Protazanov, tutto popolato di un pubblico che sembrava uscito fuori da un volume di disegni di Georg Grosz, e similmente ancora il glorioso tabarin di Crisi (Pabst). Nei casi citati le scene rappresentate non avevano un valore puramente descrittivo ma intenzionale, e quindi necessario e artisticamente giustificato. Se la parola tesi dispiace si può usare, in suo luogo, mondo morale o unità morale e così ogni scrupolo estetico sarà placato.

me qualcuno che ricordi anche solo i campi di spighe e le statuette di

Sévres del Cadavere vivente — da lui interpretato accanto alla Iacobini e diretto da Ozep — avrà avuto agio di costatare) e che, in uno scritto più recente, egli ha sostenuto la sonorizzazione contrappuntistica e asincronica del film.

Non credo del resto che sia necessario continuare a polemizzare in

profeta sulle sorti di questo libro.

Er

Ù

iti CIO RITI a

i

“a e % CRITICA,

anticipo su questo argomento. Mi auguro soltanto di essere stato cattivo

1 Qui, (n.d.r.).

e in

seguito,

direttore

sta

per

regista,

secondo È

l’uso

del

tempo

Vsevolod Pudovkin ci racconta, in questo suo trattato (Film e fonofilm, trad. pref. note di Umberto Barbaro, Roma, Edizioni d’Italia, 1935), di aver cominciato a prendere interesse al film in seguito agli

esperimenti di Kuliesciov i quali gli rivelarono la natura artistica del cinematografo. Gli esperimenti di Kuliesciov erano straordinariamente interessanti e probativi: raccordato con tre scene diverse (un piatto di minestra, un cadavere, una bambina che gioca) lo stesso primo piano dell’attore Mogiuschin risultava al pubblico ugualmente appropriato ed efficace: e dunque il senso di quell’espressione gli era conferito unicamente dal successivo oggetto dell'attenzione, Per sola virtù di montaggio Kulie-

sciov e Pudovkin, divenuto suo collaboratore, inserirono la figura del campione Capablanca nel film Il giocatore di scacchi e Kuliesciov arrivò a rappresentare una sola figura di donna con fotogrammi impressionati con parti di donne diverse.. I due direttori sovietici scoprivano, o per essere più esatti, riscoprivano il montaggio; e, cosa ben più importante, lo teorizzavano come « base estetica del film » come,

sione cinematografica,

in altri termini, mezzo tipico dell’espres-

Sotto questa insegna doveva

poi muovere

tutta

la gloriosa cinematografia russa. È mediante il montaggio che il cinematografo raggiunse quel supe-. ramento della realtà che è caratteristica di ogni arte: col montaggio, eliminando tutti i passaggi inutili agli effetti narrativi, si creano uno spazio e un tempo ideali che trasfigurano, in una visione soggettiva, la realtà, che il mezzo meccanico della riproduzione fotografica ci dà pressoché come tale. Una cronologia ed una geografia ideali sono quindi possibili anche per il film. Che a buon diritto può dunque considerarsi un'arte alla stregua di tutte le altre. Anzi (e questo, sia pure, per contingenze affatto esteriori) « l’arte che è succeduta e che sopravviverà a tutte le altre arti » !. 1 V,

Pupovxin:

Film

e fonofilm,

p.

209

della

terza

ed.

italiana

(n.d.r.).

Pudovkin

Questa,

e la teoria cinematografica

T

in poche parole, la parte propriamente estetica che è lecito

ricavare dal volume che io ho considerato, traducendolo, inattuale, e

che mi sono augurato e mi auguro possa « contribuire ad accelerare quel processo di revisione di valori, nel campo della cinematografia italiana, in seguito al quale libri di questo genere diverranno attuali ». Credo che .dire di questa felice opericciola che essa è un trattato tecnico assolutamente perfetto, mi pare non sia dire tutto: quello che mi sembra importantissimo sottolineare è che la trattazione, voluta-

mente limitata alle generalità empiriche, non solo permette di approfon-

dirle e di ampliarle, ma lascia spazio e possibilità ad una eventuale estetica teoricamente rigorosa: nessuna delle proposizioni del Pudovkin infatti contraddice la concezione dell’arte che la nostra attuale ed occidentale consapevolezza filosofica ci ha fatto elaborare. Dirò di più: sembra quasi l’autore la presupponga, e la taccia solo per non uscire

dai limiti dell’assunto; e che gli accenni, che ne affiorano qua e là, ab-

biano, nella sua mente, proprio la ordinata organizzazione di un sistema. Si veda, ad esempio, come sostenendo la necessità, per il film, di una zesi, Pudovkin preferisca usare la parola tema, più accettabile

teoricamente in quanto suggerisce l’idea di mondo poetico o di mondo

morale, e lasci intendere implicita l’idea (che ancora oggi in Italia, dopo secoli di esperienze estetiche, sembra non essere entrata in certe zucche presuntuose) che l’arte non è precettistica, ma moralità effi-

ciente ed in atto. Questo è quell’empirismo, che a me sembra una delle nostre più

felici caratteristiche e che io temevo del

Pudovkin:

oggi

ho

il

piacere

si avesse a rimproverare di

costatare

che,

se

un

ai saggi direttore

artistico italiano ha, con bonaria ironia, chiamato il libro « grammatica elementare », c'è stato chi (Iacopo Comin) ha riconosciuto in quell’empirismo la stessa qualità di quello « che ha ispirato il Trattato della

pittura di Leonardo o le idee di Michelangelo nei suoi Dialoghi ». Il

richiamo può sembrare esagerato e non lo è veramente, in quanto qui siamo di fronte ad un volume di una chiarezza cristallina e di una semplicità quale può permettersela solo chi sa di dire cose essenziali e tutte le cose essenziali di un argomento. Ho detto più sopra che Kuliesciov e Pudovkin hanno riscoperto il montaggio: di fatto, come io ho mostrato nelle note a questo libro e

ribadito in qualche articolo, la scoperta dei mezzi tipici del film-arte è

stata fatta in Italia, e la recente « selezione » di \meéchi film, dovuta a Luigi Chiarini e programmata in occasione dei festeggiamenti organiz-

8

Il film e il risarcimento

zati per il quarantesimo mente

dimostrato.

Un

marxista

dell'arte

l’ha efficace-

anniversario del cinematografo,

direttore

W.

D.

di talento,

Griffith,

influenzato

riconosciutamente dagli italiani, ha imposto questi metodi a tutto il mondo, e il romanziere ungherese Béla Balàzs, già nel suo primo libro

sul cinematografo (L'uomo visibile), anteriore agli scritti del Pudovkin, tentava di teorizzare il montaggio. Questo il piccolo bagaglio di

precedenti,

dei

quali

solo

gli

ultimi

due

sono

noti

al Pudovkin

che

| volentieri si riferisce loro.

Le critiche mosse alla teoria del montaggio, alcune delle quali, con maggiore o minore sottigliezza, anche in Italia, le rimproverano di annullare tutti gli altri elementi costitutivi del film; altre, del tutto ester-

sostiene

ne, e non tenenti conto dell’« asincronismo » (che Pudovkin

essere la forma che dovrà assumere il film sonoro e parlato), si basano

sulle difficoltà o impossibilità di tagliare la colonna sonora e sulle esi-

genze industriali dei piani di lavorazione. Credo non sia il caso contraddire queste ultime due ‘considerazioni che non valgono in una discussione elevata. Quanto alla prima, che con più forza di argomenti è stata mossa da Rudolf Arnheim (nel suò bel libro I/ film come arte), essa stessa non regge. L'Arnheim sostiene che le imperfezioni nella riproduzione della realtà del cinemato-

grafo sono quelle che gli rendono possibile la creazione artistica. Ma

questa è la tesi del Pudovkin stesso al quale rimproverare l’Arnheim la considerazione di materiale grezzo di tutto ciò teriore al montaggio è un errore. Non è vero che Pudovkin lore al soggetto, alla sceneggiatura, all’ inquadratura, o alla argomenti sui quali egli si intrattiene lungamente indicando

come fa che è anneghi vafotografia, le buone

regole che debbono presiedere a questi momenti della lavorazione; ma

egli le considera giustamente

in vista del montaggio.

E la discussione

è tanto sottile da sembrarmi oziosa (come lo sarebbe se il libro del-

l’Arnheim

non

fosse

ordinatissimo,

ricco

di

esempi

ben

scelti

e in so-

stanza utilissimo). Materiale grezzo di un romanzo si considerano nella letteratura tutte le stesure successive e cioè tutte le fasi di superamento della realtà. Quando l’Arnheim dice che un cubo inquadrato in linea retta risulterà sullo schermo un quadrato, e che la migliore inquadratura non è detto però che sia quella che lo dimostra senz'altro cubo, non fa in sostanza che riprendere lo stesso esempio di Pudovkin, il quale dice che la ripresa in linea retta di una sigaretta appoggiata al-

l'orlo di un tavolino non darà sullo schermo che la visione di un dischetto

bruno.

E

quando,

proseguendo,

l’Arnheim

cita

un

esempio

Pudovkin

e la teoria cinematografica

pia,

analogo, Charlot che, inquadrato di spalle sembra singhiozzare, e voltatosi risulta poi scuotere uno shaker, non fa che confermare la teo-

rica del montaggio,

l’effetto risultando

due pezzi di pellicola, di cui secondo comicamente delude,

il primo

precisamente provoca

dall'unione

un’aspettativa

dei

che

il

Altro argomento che sta a dimostrare come nel libro del Pudovkin non sono affatto trascurati i precedenti, diciamo così, del montaggio, è il suo concetto del cinematografo come arte collettiva. Per cui se è vero che il creatore del film è l’autore del montaggio e quindi il direttore

artistico, è altrettanto vero che tutti i collaboratori ne sono elementi

insopprimibili ed importantissimi. Delle tesi particolari del Pudovkin si può notare che esse possono tutte servire a sgombrare il campo da pregiudizi e da errori: il concetto di tema da quello assurdo di qualche cretinoschi di intellettuale di cinema puro, quello di asincronismo dalla sciocca concezione teatrale

di film parlato al 100%, quello di cinema senza attori dallo sconcio ed

abbietto divismo con relativi appelli del senso ed al sesso.

Non

resta che augurarsi

che questo

libro,

primo

di una

colle-

zione creata dalle « Edizioni d’Italia », d'accordo colla direzione generale per la cinematografia, faccia intendere, specialmente ai veri giovani che si avvicinano al cinematografo, puri da aspirazioni di facile lucro e di facili contatti con facili femminette, il fascino di questa grande arte fatta per il popolo e che sarà dunque l’arte della nascente civiltà col-

lettivistica.

Evoluzione

dello spettacolo

Il teatro borghese ha fatto perdere allo spettacolo la solenne grandiosità che gli era stata caratteristica in epoche di maggior fiore, quando esso, in perfetta unità tra dramma e rappresentazione, era ancora capace

di attrarre, di commuovere e di elevare intere collettività. Abbandonati gli eroi, i grandi miti, i caratteri, le maschere e tutte le sue tradizionali figurazioni di vicende impoetiche, individuali e prive di ogni risonanza e di ogni significato profondo. L'’intimità chiusa ed asfissiante di un mondo senza intelligenza e senza ideali, il vaniloquio di esseri deformi ‘e senza slanci, l'avventura stanca del piccolo adulteriuzzo, senza passione e senza fatalità, si celebrarono così verbosamente nel teatro bor-

ghese, specchio esemplare di una civiltà, già sul nascere bacata, e innamorata, con ingenua pacchianeria, di se stessa. Dove non erano disgraziatamente giunte, per una nevata famosa, le strambe corse di Napoleone, apportatrici di quella civiltà, l’intellighenzia, cioè la non intelligenza, fu tutta tesa all’imitazione, sfrenata, in quanto barbarica, e tuttavia malsana, della civiltà borghese. E gli uomini di teatro si misero a civettare costà, scompostamente, con quelli occidentali, che avevano già rinnegato, nei nuovi testi e nei nuovi spettacoli, la natura più vera, e con essa ogni grandezza del teatro. Fu dunque in Russia, per opera di un mediconzolo arguto e freddurista impenitente, Cecov, e di un regista fervido e confusionario, Stanislavski, che il teatro giunse al punto più basso di pettegola intimità, di gretto e affastellato realismo e di esibizione autobiografica. E l'occidente en raffolla. Stanislavski

cominciò

col combattere,

donchisciottescamente,

quelli

che egli chiamava i residuati del vecchio teatro classico, cioè quel poco che del vero teatro sopravviveva in quella gran decadenza; e costruì una teoria ed una pratica dello spettacolo, regia e recitazione, che strombazzò, come basate su di un profondo metodo psicologico, in Europa e

in America, dove l’esotismo e l'esiguità mentale di molti gli tributarono immeritate apologie e frenetici applausi: in verità il metodo psicologico nasceva dai grandi insegnamenti dei vecchi comici italiani e li frainten-

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LAST

14

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

deva balordamente; in caccia cioè di una maggiore aderenza alla vita, Stanislavski accentuò, mitizzandolo, misticizzandolo e selvaggiamente idolatrandolo, il lavorìo interiore con cui i migliori attori di occidente integravano tradizionalmente, nelle singole interpretazioni, il loro grande mestiere. E Stanislavski condannò il mestiere come vile meccanicità, inutile o addirittura dannosa. Travisati i termini di una vecchia polemica, sorpassata già teoricamente e praticamente dagli attori occidentali, Stanislavski considerò utile solo una delle funzioni

dell’attore,

il lavorìo

interiore; e questo; lungi dall’intenderlo come elaborazione artistica e attività ricreatrice,

i cui mezzi

e i cui limiti debbono

costantemente

esser

vigilati da un acuto senso critico interpretativo, l’affermò come veridicità sentimentale e psicologica. Le opere teatrali prodotte in quel periodo di angustia intellettuale e morale si prestavano benissimo, per la loro ingenuità drammatica e per la loro assenza di intenzioni, di allusioni e di significati, a questo genere di interpretazioni psicologizzanti; e l’attore fu sottoposto a infinite

chiacchierate preliminari, destinate a placargli le più indiscrete e puerili curiosità circa precedenti e conseguenti di personaggi che, se vere creature d’arte, non avrebbero potuto averne. Queste chiacchierate allo scopo folle di colmare quello che fu detto lo spazio vuoto di ogni lavoro drammatico, spazio vuoto che nelle vere opere di arte non è mai esistito. Il nuovo

verbo

dilagò; e bisogna

riconoscere che coi corradi brandi

e gli sparvieri funzionò ottimamente, i personaggi di quel teatro essendo personalità così mediocri da potersi misurare benissimo con le mezze .canne degli attori che li impersonavano sulla scena: così che questi ultimi, nella frenetica ricerca della verità, della propria verità, furono portati naturalmente a quelle forme di espansione autobiografica, tanto impoetiche e tanto fastidiose, che sono ancora oggi brutta caratteristica

del teatro borghese. Il senso mistico dell’arte, che è proprio dei mezzi artisti e degli pseudoartisti, e la confusione delle piccole menti che faceva religiosamente considerare il teatro come un rito collettivo, ridussero dunque gli attori ad eguagliare in tutto la setta dei tremolanti passionisti; setta che — per chi credesse di conoscere Roma a fondo — è esistita proprio a Roma fino a qualche mese fa e che, stipendiando i suoi adepti tra le servette e i disoccupati, riusciva a indurli al rito della confessione pubblica in una cantina dietro piazza Quadrata. A Roma i tremolanti passionisti sono stati tutti, più o meno, messi in gattabuia,

L'attore

cinematografico

15

saggio provvedimento che, malauguratamente, non è stato ancora preso, come urgerebbe, per i non meno tremolanti attori del teatro borghese. Quando poi si trattava di Shakespeare, od anche solo di Maksim Gorki, le cose si complicavano e denunciavano da se stesse l'assurdità del metodo: la sventatezza era tale che gli attori di Stanislavski, per interpretare Giulio Cesare, furono addirittura spediti a Roma a respirare

inutilmente l’aria dei colli e a fornicare tra i ruderi del Foro, discet-

tando, colla bieca ottusità degli eterni studenti, dei pasti, delle digestioni e della vita sessuale dei non più terribilmente simbolici, malcapitati personaggi scespiriani. Le scene furono, naturalmente, col solito malinteso frenetico amore di verità, affastellate di sconce carabattole,: che, non solo erano spesso del tutto invisibili per il pubblico (come è stato ricordato anche di recente) ! ma che, come è ovvio, non avevano affatto la potenza stimolatrice della fantasia dei vecchi gloriosi tendoni delle prime rappresentazioni di Shakespeare.

In questa specie di retrobottega di rigattieri e di robivecchiari si

Imuovevano gli esseri, nonostante tutto vivi, che scandalosamente irretinenti, scucivano sul pubblico i più incomposti sfoghi autobiograf ici. I grandi personaggi, portati dalle scene dei migliori teatri al lume della miope psicologia positivistica, non potevano risultare che degli abnormi, dei minus habentes: e di qui quell’antropologia criminalistica da palcoscenico che è una delle più cretine pagliacciate della storia del teatro. Il teatro era così giunto al punto più basso della sua decadenza. E cominciò la reazione e il cosiddetto teatro d'avanguardia. Coll'avanguardismo teatrale siamo naturalmente in pieno caos, caos spesso allegro e intelligente, su cui occorrerà presto portare, come oggi è già possibile, qualche lume di critica. I limiti imposti dall’argomento non permettono qui, di questa discriminazione, che l’accenno alle linee più generali che vanno tracciate secondo un antagonismo che, nonostante le molte interferenze, può rivelarsi in quegli anni di fervorosa decaden-

za: da una parte si voleva ritrovare il teatro e le sue leggi tradite, e, in sostanza, con atteggiamenti innovatori e con spirito moderno, tornare

all'antico teatro teatrale. Dall'altra si continuavano a forzare i limiti

naturali

del

teatro

1 V. ‘p. 102.

I.

PupovKin:

cercando Actior

di v

adeguarlo film

(L'attore

al cinematografo. nel

film).

Proprio

Leningrad,

1934,

ti

ich

Il film e il risarcimento

16

niarxista

dell'arte

quell’arte che sarà poi saggiamente definita, per antonomasia, l’antiteatro *. Ad una svolta pericolosa di quel genere di realtà si trovano, in quegli anni non lontani, tutte le arti, molte delle’ quali avevano raggiunto in altre epoche tale un grado di eccellenza che pareva non potessero s0pravvivere se non rinnovandosi e percorrendo nuove strade. Nella produzione che va dal 900 a buona parte del dopoguerra si nota dunque una spiccata insofferenza delle arti ai propri limiti, uno sforzo per superarli da un canto, ed uno sforzo per rientrarci e rimanerci degnamente dall'altro. Molti dei famigerati ismi tanto invisi a chi non ci si

raccapezza non sono che le bandiere di questa o di quella tendenza. Le

arti, in quel periodo, saggiano se stesse, il proprio linguaggio, i propri limiti, ed anche in questo senso si è potuto dire giustamente che l’avanguardismo non è stato altro che una generale indagine tecnica: si vedrà dunque la pittura farsi dinamismo plastico, inseguire valori letterari, musicali o metafisici oppure tentare faticosamente di rintracciare valori

plastici; la musica, già con Wagner e Berlioz fattasi descrittiva, aspirare

a valori pittorici, con Debussy e Ravel, e letterari con Strauss; la scultura farsi bidimensionale o astratta o anche scultopittura con Arkipenko; l’architettura coi suprematisti tendere alla musica, o statuire le leggi del razionalismo ingegneresco; e la poesia, già orgiasticamente coloritissima e musicalissima con D'Annunzio, porsi come immaginazione senza fili con Marinetti per sboccare poi nel vuoto formalismo di

oggi.

È chiaro che la negazione estetica dei limiti tra le arti offriva ec-

cellenti pezze d'appoggio a questi tentativi, spesso nobili e coraggiosi e qualche rara volta anche fruttiferi. La reazione al teatro borghese ebbe inizio dal punto più basso: e ne furono antesignani Meyerhold e Tairov e cioè proprio i due più dotati

discepoli di Stanislavski. Il primo, già fin dal tempo (intorno al ’900)

che si firmava collo pseudonimo hoffmaniano di Dottor Dappertutto, avvertì l’antiartisticità naturalistica e la monca manchevolezza del metodo di Stanislavski e lo squilibrio che derivava negli attori dalla teorica negazione e dalla pratica effettiva mancanza in essi di ogni mestiere: colla testa piena di grullerie e l’animo ricco di rigurgiti sentimentali, in realtà quegli attori famosissimi si muovevano come mazzi

di cavoli. E Meyerhold sostenne subito l'urgenza di una riconquistata 1 S.

A.

Luciani:

L'antiteatro,

Roma,

1928.

e I A PESO PI SO REE RR, fi LE

Sali e tg RENT bos

n CENTODATaeZIE LI UR N RE- VERE

e

L'attore

a

Da#

e,

AM

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TINO.

A eroe

NOAA

e

Ae le

ciro)

tc

cinematografico

17

padronanza, da parte degli attori, del proprio corpo: contro il cosiddetto movimento interiore sostenne il movimento eccentrico facendo sviluppare fino all’acrobazia le possibilità del corpo che considerò, giustamente, il tipico strumento espressivo dell’attore. Si mosse così, in un primo tempo, verso la ripresa della teatralità che in seguito trasgredirà, come fa da tempo, e ancora nella sua attività di oggi, per darsi al teatro cinematografico. Non

meno

di Meyerhold,

Tairov intese l’unilateralità del metodo

di

Stanislavski e la noia mortale delle atmosfere statiche da lui create; ricercando la teatralità e la padronanza del mestiere riportò gli attori verso il puro spettacolo, e sostenne il teatro liberato, cioè il teatro a base ritmica, indipendente, in quanto spettacolo, dal valore letterario dei testi rappresentati. Sboccando così nella danza, finirà anch'egli tuttavia coll’opporre un formalismo inconsistente al malinteso contenutismo di Stanislavski. Mosso da un sano fervore contro il basso psicologismo imperante nei testi rappresentati e con quella lapidaria irriverenza che doveva meritargli tante simpatie, Marinetti, nel 1QII, oppose al teatro in voga lo

spettacolo di varietà, postulando subito un'esigenza posta dal cinematografo:

la partecipazione del pubblico allo spettacolo;

partecipazione

che nel film è interiore, ideale ingresso del pubblico nello schermo. (mescolanza e alternativa, nel film, di oggettività e di soggettività per le variazioni degli angoli di ripresa e delle distanze) mentre nel teatro non può che essere materiale 1. Di questo tentativo del teatro di abolire la distanza fissa dello

spettatore dall’azione scenica si ha nella produzione moderna più di un saggio. Già i primi Rammernti teatri, più o stanza enormemente (e solo la scena) come, ad

piccoli teatri, box-theaters, Kammernspielen e meno d’eccezione, avevano ridotto questa diavevano ancora abolito la ribalta, illuminando esempio, nella rappresentazione, ai Kammern-

spielen di Reinhardt a Monaco, nel 1906, di quello che fu poi giustamente detto il primo dramma espressionistico, Fruelingserwachen di Frank Wedekind. Nella Fanny di G. B. Shaw alcuni attori entrano in scena tra il pubblico, come avverrà poi nei Sei personaggi pirandelliani, mentre il protagonista de // topo di Vasili Cetov Sternberg, alias Bonelli, chiuso in una stanza e dovendo fuggire, se n’esce tranquillamente, attraverso la cosiddetta quarta parete, nella platea. 1 F.

T.

MarINETTI:

Manifesto

dei

teutro

futurista

sintetico,

1915.

18

Il

film

e il

risarcimento

marxista

dell’arte

Uno degli aspetti che più avvicina il teatro borghese, nell’aspirazione almeno, al cinematografo è la concretezza realistica che esso tenta di attingere con ogni mezzo: Santa Giovanna si spoglia così della sua aureola mistica per diventare un’acida seccatrice, e L'uomo del destino appare addirittura una mezza cartuccia borghese che posa a fare il

corso maleducato, rotea gli occhi e mangia pizzutello segnando colle pellette dei chicchi, sulla carta geografica, le fasi della sua fatica fulminea.

Siamo già in un modo

di vedere cinematografico,

in quelle in-

solenti famigliarità e in quelle meschine profanazioni della storia a cui

dovrà abituarci purtroppo il film storico. Prova ne sia che quella famosa scena del pizzutello ha figliato un’infinita sequela di scene analoghe di film: la strategia delle patate di Ciafaiev, quella dei bicchieri dell'abissino di Gibuti ne // grande appello, quella della Corazzata Kongress, quella del secondo Stienka Razin, eccetera, ecceteraccia. | Quanto Pirandello aspirasse all'espressione cinematografica è chiaro

| già nei Sei personaggi che, come è stato detto, nella loto polemica col ‘capocomico più che di autore vanno in cerca di cinematografo: qui si chiede un’aderenza alla realtà ed una rielaborazione di essa mediante l'abbandono delle convenzioni teatrali, e delle unità aristoteliche anzitutto, e si aspira a moltiplicare le azioni, i luoghi, i tempi; non solo, ma ad uomini vivi e in carne ed ossa si contrappongono personaggi ab-

bozzati, fantomatici, che molto guadagnerebbero ad essere ombre.

E

Pirandello teneva infatti enormemente alla riduzione cinematografica del suo capolavoro, nella quale aveva in animo di interpretare la parte

dell’autore.

La tecnica dei quadri, le mutanze bragagliesche, i palcoscenici girevoli tentavano di dotare il teatro di questa sognata e teatralmente

inutile ricchezza di spazi e di tempi. Si pensi a Max Reinhardt (oggi

pessimo regista cinematografico) che nella sua messinscena della pantomima di Hoffmansthal Una notte a Venezia faceva del vero e proprio

cinematografo. « L'eroe della pièce — non avendo assistito allo spettacolo cito da

un libro! — è inseguito dai fantasmi; mentre corre da una stanza all'altra la scena vien sostituita rapidamente; l'inseguimento ha luogo anche fuori della casa e il pubblico vede le stradicciole di Venezia; l’inseguito passa attraverso un ponte, entra in un’altra casa, ed anche co1 P. grad,

M.

1923,

KERGENTSEv: p.

17.

Tvorceskhi

teatr

(Il teatro

creatore),

Moskva-Petro-

L'attore

cinematografico

19

stà vien mostrato agli spettatori. Questi due movimenti, dell’uomo e della scena che cambiano, producono un ritmo eccezionale di caccia e dànno una illusione puramente cinematografica. » Qualche cosa di simile s'era già veduta all'Opera, la, diciamo così,

grande carrellata attraverso la foresta del Parsifal, ed il metodo sarà

portato fino all’esasperazione nei teatri d'avanguardia; sono ben note, in questo senso, la teoria e la pratica di A. G. Bragaglia, le cui origini foto-cinematografiche sono state rievocate anche di recente, Bragaglia che,

nel

giro

di due

ore,

riuscì

a dare,

nel

teatro

degli

Indipendenti,

perfino ventiquattro mwutanze sceniche. Pudovkin nel suo recente trattato su L'attore cinematografico * cita una messinscena de La foresta di Ostrovski e narra come Meyerhold, nel solo primo atto, porti gli attori a spasso letteralmente attraverso un’intera provincia, mentre il regista Oklopkov ha inscenato un lavoro drammatico « sparpagliando piccole scene isolate in ogni lato di tutto l’edificio teatrale, in modo che lo spettatore,

al cambiare

dell’episodio,

doveva

solo voltare

la testa,

a

destra e a sinistra, in avanti e persino all'indietro ». Perché si chiede il Pudovkin non fa costruire delle poltrone girevoli, o perché, piuttosto, insistere nella contraddizione di un’arte coi suoi mezzi specifici, e non servirsi del cinematografo? Nel bragagliesco teatrino degli Indipendenti s'era fatto anche di più nel senso dell’imitazione del cinematografo, per tentare di idealizzare il tempo e lo spazio teatrali: Orio Vergani, nel Vigliacco, materializzò tra due intervalli bui — dissolvenze! — il racconto del suo protagonista, cosa che feci anch'io ne /l bolide ?, drammetto in cui, con un congegno pseudoscientifico alla Wells, si realizzava il valore del tempo; e Pietro Solari in Dimmidolce otteneva simili risultati, misti di realtà e fantasia, mediante l’ingegnosa diavoleria della coda di Belzebù. Il racconto di un pazzo, e il rivivere la propria vita idealmente da parte di un moribondo erano i punti di partenza di quei due curiosi lavori alla cui creazione non era del tutto estraneo Il gabinetto del dottor Caligari. Ma tutte le convenzioni tipiche del teatro erano diventate insop1 Si tratta

2 Si diografo.

del già citato L'attore

ricorda Il

bolide

che

Umberto

(1927),

come

nel film

Barbaro Inferno

(n.d.r.).

è stato (1927),

anche Le

romanziere

fatiche

di

e comme-

Hashtu

(1928),

Scalari e vettori (1928) e Ancorato al cuore di Maria (1928), è stato messo scena al teatro degli Indipendenti di Roma da A. G. Bragaglia (n.d.r.).

in

20

Il

film

© il

risarcimento

marxista

dell'arte

î

portabili nel teatro d'avanguardia:

quella che Pudovkin denunzia fe-

licemente colla frase mormorare urlando, appariva ormai così ridicola che, nel già citato Dimmidolce, Pietro Solari fece volar ceffoni tra due personaggi a causa di una battuta detta a parte; cosicché l’azione drammatica veniva ad interrompersi per un gustoso scambio di battute di questo genere: « Ma scusa, è convenzione del teatro che quando

uno parla a parte, l’altro non senta... ». « Stupido! Questo è teatro d'avanguardia! » Che più? Marinetti, in un suo nuovo manifesto !, sostiene il dramma

di oggetti, tipico dramma

cinematografico, e il fon-

datore del gruppo espressionista der Sturm, Herwath Walden, dichiara addirittura che « la parola non fa che ritardare l’effetto e falsare la realtà che si pretende riprodurre » ? e sostiene che « le emozioni più grandi, i dialoghi sintetici che portano allo scioglimento delle tragedie non si manifestano con parole ». Il teatro dunque reclama il dettaglio e il primo piano. Friedrich Kiesler sente la Débdcle des Theaters e chiede che il teatro « approfondisca le proprie leggi e non diventi una copia del film ».

Ma anche lui nega il valore teatrale della parola, e considera come Tairov, Reinhardt, Meyerhold l’opera scritta come una semplice traccia per il regista e per l'attore 3. « La relazione dell’attore colla pièce può essere solo quella dell'artista di fronte alla natura. » E siamo così già all’attore creatore più che interprete (come era stata già più volte la grandissima Duse) e, in sostanza, all’attore cinematografico. Lo scultore William Wauer, intelligente sostenitore del teatro d’arte fin dal 1906 (Theater als Kunstwerk) arrivò a sostenere non solo che ogni indagine alla Stanislavski sui possibili fatti non narrati dalla pièce, nel

famoso spazio vuoto, è assurda, ma addirittura che la goethiana Margherita « quando è in giardino non deve in carcere » e conclude amaramente che gherita può trovarsi che non abbia già dunque a considerare utile per il teatro

saper niente della Margherita purtroppo oggi « quale Marletto il Faust? ». Si arrivava lo spezzettamento del lavoro

1 F. T. MARINETTI: Manifesto del teatro della sorpresa, 1924. 2 H. WaLpen in Noi, rivista d’arte futurista, anno I, serie II, 1924. 3 F. KiesLeR: Débdcle des Theaters, in Internationale Austellung der Neuer Theaterchenik,

Wien,

1924.

L'attore

dell’attore quale

le esigenze

tore cinematografico,

cinematografico

tecniche

21

della ripresa l’impongono

all'at-

e quasi si presentiva lo spettacolo senza attori.

Enrico Prampolini *! infatti dichiarerà senz'altro: « Io considero l'attore come un elemento inutile all’azione teatrale e pertanto pericoloso all’avvenire del teatro ». Nel 1928 il critico russo A. Piotrovski ? sostiene che «la cinematografizzazione del teatro è un processo effettivo che si può osservare in dozzine di nuove realizzazioni teatrali; ed è un processo che continuerà ». E Meyerhold *, rispondendo ad un referendum sul film sonoro, l'anno seguente dichiarò, con la sua tipica testarda natività: «La tecnica permette oggi di dare all'azione teatrale una dinamica non midi quella

nore

ammissibile

nel film

parlato,

e cioè

un film

che

sia fre-

nato dai dialoghi dei protagonisti. La possibilità mirabile di condurre l’azione attraverso vari paesi, di cambiare il giorno con la notte, ecc.

tutto ciò anche il teatro può effettuarlo comodamente... ».

(I

CRI

Con molta più intelligenza e dottrina Carlo Ludovico Ragghianti considera teatro e cinematografo « manifestazioni di linguaggio formale unitario, conforme ». E stabilisce l’identità « teatro-cinematografo » negando la differenza, per lui solo apparentemente sostanziale, tra lo spettacolo e le arti figurative, il tempo: « Bisogna osservare che una pittura o una scultura non esistono, per lo spettatore, per colui che contempla criticamente (cioè ricostruisce quel processo, quel travaglio di realizzazione formale — che gli appare nella sua compatta e coagulata conclusione — in tutti i suoi elementi) fulmineamente. Con un'occhiata, per quanto magica, non si esaurisce un’opera d’arte in tutta la completa complessità dei suoi rapporti, nella sua storia insomma, che bisogna ritrovare e rideterminare al modo stesso che avvenne per l'artista. Dunque l’opera d’arte deve essere motivata, ripercorsa, svolta, dallo spet; tatore » 4. Io credo che possa bastare questo rapido excursus per il campo teatrale degli ultimi anni, e la parca esemplificazione addotta (che chiunque può, per suo uso e consumo, accrescere all'infinito) per dimostrare la crisi ideale del teatro. Genere di spettacolo caduto ormai E.

PrampoLInI:

L'atmosfera

scenica

futurista.

A. PiorrovsKi: Kino i teatr, in Kino, 1928, n. 6. Cfr. Sovietski Ekran, 1929, n. I. C. L. RAGGHIANTI: Cinematografo e teatro, Pisa, 1937.

22

Il film

e il risarcimento

marxista

in disuso e quasi ovunque soppiantato grafo. Il caso non è nuovo nella storia al romanzo, e si rifletta che L’Orlando come, ai suoi precedenti, Sei personaggi

dell'arte

vittoriosamente dal cinematodell’arte: si pensi al poema e furioso sta ai suoi precedenti in cerca d'autore; come cioè

l'ultima espressione di un genere che satiricamente o drammaticamente si rivolga contro il genere stesso. Alcuni incauti amatori sfruttatori del cinematografo e per i suoi valori, ma per il cesso di crisi del teatro —

del teatro sono oggi diventati amanti e che non apprezzano per le sue possibilità suo successo: dopo aver accelerato il procinematografizzandolo — essi tentano di

spingere alla crisi il cinematografo teatralizzandolo. La ricchezza che il nuovo spettacolo dovrebbe ereditare dal vecchio non è poi che la lues suoi primi infausti tentativi cineasti, gli intellettualuzzi proporla ai riluttanti buoni massimo grado che da solo

psicologistica di di rivaleggiare disoccupati, gli cinematografari basta a chiarire

visati notari,

cui è morto il teatro, nei col cinema. E che siano i esteti della pura forma a è un fatto indicativo al le intenzioni degli improv-

Non prevarranno.

Il cinema

senza

attori

È notorio che la poesia è nata prima della prosa, giacché la poesia è strumento di vita di fronte alla prosa che, della vita, è riflessione: un gruppo di uomini dovendo trascinare una trave, prima di formulare la legge per cui lo sforzo si moltiplica nell'unione sincrona, trova un ritmo vocale che indirizzi lo sforzo collettivo dandogli il tempo; e, in realtà crea così un rudimentale canto. Nel fenomeno eccezionale della nascita recentissima di una nuova arte, il cinematografo, si è verificato lo stesso caso: autentiche opere

d’arte cinematografiche hanno preceduto la creazione di un'estetica del film; e i mezzi tipici che fanno del cinema un'arte sono stati scoperti — in Europa — prima che si considerassero effettivamente tali, prima ancora che si fosse convinti che il cinema originato le già ormai più volte denunciate quelle scoperte che, credute americane da spettano agli italiani e ai francesi, Non è certo senza interesse, ed è anzi

è un'arte. Questo fatto ha confusioni di attribuzione di molti ancora oggi, in realtà altamente istruttiva, la sto

L'attore

ria della faticosa conquista

cinematografico

‘23

di un'estetica cinematografica;

perchè la

nuova arte, proprio per la sua novità, ha opposto tenaci resistenze ai tentativi di sistemazione concettuale, ed ha portato anche i migliori ed i più preparati ad errori gravi ed a flagranti contraddizioni. Non par-

liamo ‘poi degli illustri personaggi a cui le riviste a rotocalco, desiderose di fregiare i propri sommari di nomi illustri, chiedono ancora oggi risposta all’eterno referendum che stabilisca se il cinema sia da considerarsi un’arte o meno: qui le affermazioni sballate, le deduzioni illogiche, le pretenziose idiozie si contano solo con le cifre astronomiche, si ‘ moltiplicano quindicinalmente con progressione geometrica. Scritti del

genere non illustrano di fatto che la boriosa spensieratezza e la sicumera sfrontata di certi intellettuali che, alla più volgare occasione per pavo-

neggiarsi e fare la ruota, si precipitano sulle macchine da scrivere facendone, con dita affusolate e mani curate, crepitare le tastiere. Spiriti curiosi, sagaci e lepidi possono, da quelle logorree, ricavare elementi pittoreschi e preziosi per la storia del costume, anzi del malcostume di certi ambienti letterari o artistici; ma nessuno può cavarne idee utili. Eppure cultura d’argomento e informazione documentata possono aversi oggi con relativa facilità: un recente saggio bibliografico * sul cinema

è già ricco di quaranta fitte pagine, e da quell’indice, compilato da un dotto universitario, restano tuttavia fuori scritti notevolissimi anche se, ironica

consolazione,

s'è intruso

in esso,

con

opere

di scarso

o di nes-

sun valore, addirittura un trattatello di cinematica. Ma più che sui libri e sugli articoli il cinematografo, la sua natura e i suoi problemi vanno studiati sui film; ed è inutile obiettare che anche i critici cinematografici vanno al cinematografo perchè si sa che la maggior parte di loro ci va con lo stesso profitto con cui i bauli fanno il giro del mondo.

La impostazione più tipicamente errata del problema del cinematografo è quella che, come primo problema, si pone la ricerca dell’unico autore del film: problema che è sorto proprio quando al cinema si sono avvicinati gli intellettuali, individualistico ed irritabile genus: essi hanno creduto così di far rientrare il cinema

nuovo

formidabile

mezzo

fra le altre arti, posto che questo

d'espressione

s'era conquistato

da sé, cam-

minando spedito con le proprie gambe e senza il sussidio dubbio di così fragili stampelle estetiche. E poichè anche in un così grossolano errore ci sono gradi di approsi Artarpyce GiustI:

Lezioni

NicoLL: di

Film

cinematica,

and

Theatre,

Turin,

1933.

London,

1936,

p. 212;

ARNALDO

24

Il

film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

simazione o di distanza dalla verità — il film è un prodotto collettivo — c’è stato chi ha sostenuto che l’autore del film fosse il regista, e chi addirittura — come ancora oggi Paolo Monelli * — l’autore del soggetto. Attraverso vari tentativi estetici e varie revisioni di essi questo errore ha preso dunque due aspetti: il mito del montaggio, inteso come unico momento creatore del film, e cioè il mito del regista autore, e quello della sceneggiatura particolareggiata fino allo spasimo, fino a prevedere il numero dei fotogrammi di ogni inquadratura, e cioè il mito. del soggettista autore del film. Col regista autore si viene a considerare tutte le fasi anteriori al montaggio non, quali esse sono, già fasi di rielaborazione creativa, ma semplice natura la cui trasfigurazione artistica avrà luogo solo durante il taglio e l’incollatura dei pezzi di pellicola; si equivoca così sulla parola montaggio intendendola operazione materiale e finale e si sbocca nella negazione di ogni possibile valore artistico dell'elemento umano del

film, l'attore. Attori non professionisti e cinema senza attori sono le bandiere

di questa tendenza,

il cui periodo

di maggior

fiore è quello

che va dal 1926-27 ai primi anni del sonoro. La teoria del soggettista-autore ha preso particolare autorità in reazione alla precedente dopo l'avvento del sonoro e del parlato; si è stati originariamente intimiditi dalla colonna sonora che si è considerata assurdamente

non suscettibile di montaggio,

e la pratica necessità di attori

che potessero parlare ha costituito un forte motivo di reazione alla teoria dei non professionisti. Per di più, la sceneggiatura di ferro è stata sostenuta energicamente o dispoticamente imposta dagli industriali produttori e dai direttori di produzione per le garanzie che essa offre naturalmente di una bene organizzata lavorazione, senza imprevisti e senza possibili scarti. Con questa teoria il regista cinematografico è un semplice esecutore che eguaglia in tutto e per tutto il regista teatrale e rinunzia all'arte del film; la camera ridiventa allora un buffo ingegnoso congegno mecca-

nico atto a riprodurre in copia l’arte preesistente degli scrittori e quella degli attori interpreti. Proprio come il grammofono che non crea il canto di Caruso ma lo fissa e lo incide su disco; uno strumento che non può produrre, ma solo riprodurre l’arte. Queste due teorie solo qui appaiono per la prima volta, in questa distinzione netta, mentre fino ad oggi sono state legate da interferenze e

confusioni continue. 1 P.

MonELLI,

in

Cinema,

Roma,

1937.

L'attore

cinematografico

i

25

Solo se si abbandona la inutile ricerca di una materiale unità, di persona fisica, nell’autore del film, si potrà quindi intendere che cosa

sia il cinematografo e che cosa l’arte cinematografica. Il film necessita allora di unità ideale, e quindi i vari. collaboratori alla sua creazione

debbono essere guidati da una conoscenza critica e concettuale del mondo che si dovrà esprimere nella futura opera d’arte !. E, è pur vero che quanto fa del film un'arte è il montaggio, ma il montaggio non

deve essere assurdamente inteso come l’ultima fase della lavorazione,

ma deve iniziarsi fin dalle prime rielaborazioni ‘del soggetto. Di fronte all'attore non professionista, del film di cui sia unico autore il regista, e

di fronte all'attore teatrale, all’avanzo di palcoscenico del film di cui sia

autore il soggettista, può oggi stare, in piena giustificazione estetica, l'attore cinematografico che non interpreta un'opera d’arte preesistente e scritta, come i suoi colleghi della ribalta, né si pone come mera natura, tavolino o albero, di fronte al regista e all'operatore, ma che, in ideale accordo con gli altri collaboratori, contribuisce a creare una futura opera d’arte. Eliminata la teoria dell’unico autore del film cadono le incongruenze e gli errori che ne sono derivati: e, dal grado attuale di concretezza raggiunto volgendosi a considerare il cammino percorso, è doveroso dire che, per contraddittorie che siano state finora le estètiche del film, esse hanno costituito il substrato indispensabile al più retto intendimento della vera natura del cinematografo e al pieno possesso dei suoi eccezionali, unici e insostituibili mezzi espressivi. Oggi sappiamo dunque che i rapporti fra cinema e teatro sono rapporti di differenza più che di somiglianza: e che la differenza sostanziale non è quella più volte indicata, nei suoi vari aspetti, inerente al mestiere: per cui l'attore di teatro è a una distanza fissa dallo spettatore e deve aumentare i gesti, la mimica e l'intonazione della voce per superare questa distanza, mentre l’attore cinematografico deve regolare il suo lavoro tenendo conto dei diversi « campi » captati dall'obiettivo; o per cui l’attore di teatro recita il. lavoro drammatico dal principio alla fine mentre quello cinematografico

è sottoposto alle continue interruzioni e agli spostamenti delle azioni cui lo obbligano i metodi della ripresa cinematografica; e nemmeno quella per cui l'attore teatrale è di fronte a quello ciriematografico più Hor-

spieler che Schauspieler,

per dirla alla teutonica:

1 U. BarBaro: Potenza del e parzialmente in Bianco e nero,

cinema, in Lo 1937, n, 1.

schermo,

ma

è che l’attività

Roma,

n.

12,

1936

P%

oa #

tati le

risata

26

Il film e il risarcimento

marxista

dell'arte

| del primo è di natura interpretativa e quella del secondo creatrice. Così prende senso quanto ha scritto, già nel 1925, Jacques Catelain * che ha sostenuto essere vero attore solo quello cinematografico. La teoria del soggettista sceneggiatore unico autore del film è stata sempre e senza eccezione dannosa al cinematografo; a guardar bene le cose con essa il cinematografo finisce col divenire un accessorio possibile e non indispensabile, un mezzo per la rappresentazione di un genere letterario nuovo e concluso artisticamente in sé, il soggetto cinemato-

grafico: esattamente ricreandosi il rapporto tra opera teatrale scritta e rappresentazione. Con questa teoria il film viene ad essere venduto, mani e piedi legati, al suo peggiore, stravinto e già agonizzante nemico, il teatro. La teoria del cinema senza attori invece ha costituito una fase importantissima e indispensabile nel processo di invenimento d’una valida estetica del film: nel suo attuale superamento, e cioè nella conce-

zione dell'attività dell'attore cinematografico, molti elementi essenziali derivano da quella teoria e senza di essa non avrebbero potuto essere

scoperti ed affermati.

i

°

Anche a voler prescindere dagli stupefacenti risultati ottenuti per quella via dai russi, e in particolare da Eisenstein, da Murnau, in Tabù, e da Blasetti, in 1860, non è possibile negare l’importanza della teorica affermazione di un metodo che, seppure oggi non si può considerare esclusiva, ma solo eccezionale, è tuttavia sempre possibile.

Indispensabile poi senz'altro in particolari casi di film, come documentari romanzati, o di ambienti tali che esigano un'autenticità d’interpreti che gli altri non potrebbero ottenere: film di ambienti tropicali o polari, film di particolari classi lavoratrici, pescatori ad esempio, specialmente quando la storia narrata non s’'impersoni in pochi protagonisti ma sia storia di interesse più generale o di massa.

Inoltre il cinema senza attori è valso ad affermare e ribadire alcuni concetti indispensabili alla pratica degli attori anche professionisti e a quella dei registi nella direzione di essi. Contrapponendo il tipo all'attore si è intesa e dimostrata la grandissima importanza dello studio, attualissimo, nella psicologia e nella medicina, del comporta-

mento psicologico dei vari biotipi. Indagine che, se nel campo scien1 J. n,

16-17;

CATELAIN: p.

17:

L'acteur

« Si l'homme

l'acteur cinématographique ».

in

Cinéma,

n’'aluse

pas

Paris, des mots

1925.

Les

cahiers

un seul est vraiment

du

mois, acteur:

L'attore

cinematografico

tifico è ancora in uno stadio aurorale,

27

nel campo dell’arte, sorretta da

felici e fortunate intuizioni, ha dato sempre risultati brillantissimi. Questa relazione del tipo al ruolo artistico, che s'è tentato di appoggiare

ai recenti lavori della scuola costituzionalistica italiana, a quelli della scuola freudiana e all’esperienza delle arti figurative ®* se non ha ancora fatto svanire l'assurdo e sconcio divismo del sex-appeal ne ha, per lo meno, rivelato la bassa origine così come ha dimostrato la inconsistenza artistica dello stupido mito, d'origine teatrale, dell’attore

dai mille volti. Problemi interessantissimi dal punto di vista sociale sono scatu-

riti da questo primo: le indagini sugli ideali di bellezza di un'epoca, l'influenza del cinema sulla scelta sessuale e quindi sulla razza e sulla formazione costituzionale possibile delle prossime generazioni hanno una specialissima portata; essi non possono essere considerati estranei all'arte del film, e il cinematografaro degno di questo nome non può né deve ignorarli, Il classico,

risultò che uno

ormai,

esperimento

stesso primo

di Pudovkin

e Kuliesciov 2 da

cui

piano raccordato con scene di contenuto

diversissimo sembrava assumere espressioni adeguate caso per caso, ha

confermato la già statuita limitazione delle espressioni umane, la validità per più stati interni di un’unica espressione e quindi l'assurdità teorica, se non pure la pratica inutilità, dei vecchi e nuovi tentativi delle semeiotiche dei sentimenti e dei prontuari degli atteggiamenti e della mimica. Un altro esperimento celebre, quello per cui un viso ridente ed uno serio posti prima o dopo una mano che impugni e punti una pistola determina un atteggiamento da eroe o da vile, integrato da altri consimili, ha permesso di affermare teoricamente e di praticare il cosiddetto montaggio della recitazione. Con esso noi siamo in grado non solo di correggere e rendere più efficace la recitazione degli attori, ma anche di sostitui rla con materiale

visivo

allusivo

della

situazione

e,

in

certi

casi,

addirittura

di

crearla. Questi ultimi punti, di enorme interesse, stabiliscono procedimenti tipici del cinema che in molti casi debbono essere impiegat i, per speciali scene, anche nel lavoro cogli attori professionisti. 1 U. BarBaro: Pende al servizio della supermarionetta, in Quadrivio, Roma. 2 V. PupovkIin: Film e fonofilm.

Il

28

film

e

il

risarcimento

marzista

dell’arte

Chi crede che la via degli esempi divenga breve ed efficace se ne

abbia qui il primo che mi viene alla mente: Luigi Chiarini ed io abbiamo dunque fatto una riedizione del film di Machaty Ballerine cambian-

done radicalmente il soggetto e lo spirito: per sola virtù di montaggio, e senza aggiungere nessuna nuova scena a quelle già esistenti. Stabilito il possibile piano generale del nuovo film, in base alle scene esi-

stenti, abbiamo potuto, con l'anticipo e la posposizione di esse, col variare delle lunghezze, coll’inserimento di dettagli o di visioni estranee

ma attinenti, ottenere gli effetti voluti e con ‘il grado'di intensità neesempio, a dare aditi; cessario alla sequenza narrativa. Così siamo riusc all'incontro del giornalista colla ballerina, dopo la. morte del maestro Ronchetti,

un

diverso

sapore,

ed. alla ‘recitazione. dell'attore una

specie

di ritrosa delicatezza facendo iniziare il film con una passeggiata dei due al Foro Romano, e stabilendo tra loro, che nella prima edizione del film si incontravano per la prima volta, un'amicizia di antica data. Questo è dunque un caso di recitazione corretta dal montaggio. Nello stesso rifacimento del film si possono trovar esempi di recitazione creata del tutto, quella ad esempio della prima amica del giornalista: la variazione qui non è nel grado di intensità o nel tono gene-

rale, ma è proprio sui fatti; l'esempio — naturalmente non per qua-

lità —

è analogo a quello del Pudovkin

che, per fare assumere

certe

espressioni a dei mongoli li ha messi di fronte al loro stregone, e poi

ha montato i loro visi estatici con la pelle di volpe attorno a cui si svolgeva tutta la storia del suo film. Per di più nel citato caso di Ballerine, non s'era girata la scena facendo assumere agli attori con l’artificio l’espressione voluta, ma s’era usato con diverso significato un gruppo di già fissate espressioni. Questi esempi per quello che è il lavoro coi professionisti possono servire di guida nei casi di pratica insufficienza degli attori; ma vi è un terzo aspetto, tipicamente cinematografico, del montaggio della recitazione: quello che consiste nell’ottenere allusivamente i voluti effetti mediante scelta e un’acconcia presentazione di oggetti, di particolari, 0

di azioni, visibili e fotografabili che sostituiscano la recitazione degli

attori.

Questo procedimento, come ha con bell'esempio osservato l’Arnheim !, è proprio anche della letteratura come risulta dal verso dan1 R.

ArnHEeIMm:

Film

als

Kunst,

Berlin,

1932.

L'attore

cinematografico

29

tesco: « Quel giorno più non vi leggemmo avanti ». Nella pratica della lavorazione si suole ricorrere a questo mezzo spessissimo, quando la complessità di sentimenti da esprimere sarebbe difficile a rendersi con la sola mimica: e si tratta, in sostanza, di una particolare applicazione, all'attività dell'attore, del cosiddetto materiale plastico la cui ricerca e la cui scelta, come è noto, è una delle fasi essenziali della elabora-

zione del film. Esso non è nato colla teoria degli attori non professionisti, ma da

essa ha avuto particolare impulso; già nel 1912 possiamo trovarne una buona applicazione ne l’Histoire d'un Pierrot, dove il senso di chiusa prigionia di Pierrot ed il suo desiderio di evasione sono chiaramente dimostrati dal suo dar la libertà al piccione. Questo esempio lontano è stato trasportato saggiamente di peso dalla pantomima (genere tea-

trale che sotto certi aspetti presenta alla recitazione problemi analoghi a qualcuno dei problemi del film) ed in esso non c'è impiego di montaggio, ma solo di scelta di materiale plastico. Il procedimento allusivo del cinematografo porta la straordinaria concretezza delle sue rappresentazioni, s'impone come indispensabile nelle azioni di drammaticità atroce che risulterebbero insopportabili ai nervi di qualsiasi pubblico e, di fatto, antiartistiche. Non si tratta di un freddo e schifiltoso neo-classicismo cinematografico che faccia considerare l’urlo come un’orrenda lacerazione di ben costrutti orecchi, 0, alla vista, brutta trasformazione della bocca in una sconcia caverna nera: si tratta di un procedimento straordinariamente ricco di possibilità e che, nella maggior parte dei casi, conferisce all’emozione del pubblico una natura artistica. Dinanzi alla rappresentazione di Medea che trucida i figli o di Atreo intento a cucinar membra umane, Orazio lanciava il suo incredulus odi già duemila anni fa. E chiunque voglia, col

cinema, vincere quell’incredulità e quel giusto aborrire dalla visione di così orripilanti scene deve servirsi lusivo. Eccone qualche esempio: due rano ai lingotti; esiste tra loro un Un gruppo di loro colleghi di un

del procedimento del montaggio ali operai delle acciaierie di Terni lavosordo rancore per motivi di gelosia. turno di riposo è poco discosto e

mangia. Ad un tratto uno dei due uomini ai lingotti, per effetto degli

alterni fantomatici bagliori della massa ificandescente cui lavorano, crede di scorgere sul viso dell’altro espressioni ‘sarcastiche al suo indirizzo: si distrae dal lavoro e si avvicina alla macchina; ma il lingotto

30

Il film e il risarcimento

l’investe e l’uccide orrendamente.

marxista

dell'arte

Lo strazio della scena è stato reso,

al

momento della catastrofe, dalla mano di uno degli operai in riposo che convulsamente strizza un grappolo d’uva (W. Ruttmann: Acciaio). Nel film di Alexandrov I! circo, per indicare il lancinante dolore

della bella acrobata americana che deve lasciare la Russia e l’uomo che ama e che sembra non la corrisponda, invece del viso di lei che esprima questa interna lacerazione se ne vede il ritratto enorme, in un manifesto che gli imbianchini stracciano con lunghi uncini. Così la morte del cospiratore tradito, nell’Informer di ]. Ford, è data solo dalla visione delle mani che, prima aggrappate alla trave, si allentano abbandonando infine la presa, mentre la colonna sonora

registra l’impressionante stridere delle unghie sul legno nella caduta. Intelligenti pauca. Quanto ho qui ricordato basterà certamente a mostrare a lui, che è il solo che conti, di quanta ricca materia di indagine e di studio e di che molteplice esperienza la teoria e la pratica degli attori non professionisti abbia dotato il cinematografo.

Il mestiere dell'attore cinematografico Si sente spesso dire, ed anche perentoriamente e da persone che avrebbero il dovere di conoscere questi problemi non superficialmente, che la pratica del teatro tradizionale e dei suoi metodi di recitazione

— poniamo della Comédie francaise — può essere dannosa, per l’enfasi a cui abitua, agli attori dello schermo; ma che un tirocinio di palcoscenico e di recitazione teatrale moderna non può che costituire un'ottima propedeutica per il lavoro nel film perché, specialmente nei piccoli

teatri, se non

addirittura

sostanzialmente

lavoro e la tecnica dell'espressione

identici,

i metodi

di

sono simili a quelli del film.

Oramai che conosciamo quei famosi piccoli teatri possiamo considerare patente la natura speciosamente sofistica di questa argomentazione che non può reggere neppure al più distratto esame; sarebbe come

dire che la pittura

non

è un’arte

del movimento

ma

che,

poiché

recentemente ha tentato di attuarsi come dinamismo plastico, è utile, per apprendere la tecnica del montaggio cinematografico, lo studio

dell’opera di Umberto Boccioni, e che ottime sequenze cinematografiche possono dedursi dagli addii, dalle forme uniche della continutà

L'attore

cinematografico

31Ì

dello spazio e da antigrazioso. È chiaro che siamo di fronte all’assu rdo: se il cinema vuol trarre qualche ispirazione dalla pittura, più che da

quella

futuristica,

mandargli

che

col nome

le sovraimpressioni

di compenetrazioni non

può

da cui essa è effettivamente

che

ri-

derivata,

deve rivolgersi alla grande arte, a quella di Caravaggio e di Rembrandt specialmente, e non certo per problemi di montaggio, ma per impostazioni luministiche, Così se il teatro può insegnare qualche cosa al cinemat ografo non sarà certo il metodo di recitazione del periodo del suo maggiore invilimento e del suo arrancare disperato dietro al film, ma la maniera di impostare contrasti drammatici che superino la vicenda umana per assurgere al valore universale; maniera tipica del grande teatro, della tragedia greca, di Shakespeare e di Giordano Bruno e che sarebbe vano cercare nel teatro borghese intimistico e strappa cuore di lui, lei e l’altro. i Quanto alla recitazione cinematografica occorre rassegna rsi a con-

siderarla senza precedenti e quasi senza analogie, cosa che dovrebbe

essere per gli aspiranti dotati forte motivo di fascino. Per comodità e chiarezza possiamo dividere l’attivit à -dell’attore dello schermo in due momenti e aspetti essenziali, che — giova dirlo? — in realtà sono fusi e inseparabili. Ma nella didattic a della recitazione e nel tirocinio che ne è il naturale complemento la distinzione è

possibile e addirittura indispensabile.

L'aspetto tecnico, il mestiere, consiste nella padronanza del mezzo espressivo, il proprio corpo, e nella possibilità di comanda rlo in qualsiasi momento, non piegandolo alle esigenze dei metodi specifici del cinematografo ma potenziandone la possibilità ed il valore proprio con l’impiego di quei mezzi: che l’attore dello schermo deve dunque conoscere altrettanto quanto il regista. Questo primo aspetto naturalmente è importantissim o e insoppri-

mibile, e, per le varie conoscenze e per la mole di fatica e di esercitazione

che

implica,

zione.

non

comporta

i

ispirazione,

lampi

di genio o improvvisa-

L'altro aspetto, quello più propriamente creativo, consiste nel lavorio interiore, nella elaborazione della materia — la parte — in conformità delle esigenze dell’intera opera. Il che non vuol dire certo il sentimentale rivivere della situazione da rappresentare, come alcuni credono ancora, ma l’intendere e il soddisfare la funzione assegnata alla parte nell'unità del futuro film; non frutto dunque di sensibilità o dî

marxista

dell'arte

sentimento, ma di immaginazione creatrice; intesa, non al raggiungi mento di una naturale e quindi bassa e antiartistica veridicità psicologica, ma di una poetica e ideologica espressione. Questo secondo aspetto è quello che fa dell’attore dello schermo

un artista e che lo mette quindi sullo stesso piano di valore degli altri creatori

del film con i quali egli è chiamato

a collaborare;

mentre

è

chiaro che l'equivoco psicologistico in cui sono caduti alcuni uomini di cinematografo, anche di provato valore, e tra questi perfino Pudovkin ! è una triste eredità, come abbiamo già visto, del periodo di peggior decadimento del teatro e, come vedremo più oltre, in sostanza finisce coll’essere una vera e propria negazione, oltre che dell’arte del film, anche di quella dell’attore di cui crede di essere paladina.

Se si chiama qualcuno dei molti problemi inerenti a quello che ho chiamato mestiere dell'attore cinematografico, si vede subito di che importanza e di che portata sia la richiesta di una approfondita conoscenza dei mezzi tipici del cinematografo, e cioè la conoscenza del valore

film film

estetico

del

montaggio,

Si sa infatti

da

tutti

che

la ripresa

di un

non si svolge secondo l'ordine narrativo —- quello nel quale il completo apparirà allo spettatore — per l'esigenza pratica di

raggruppare in un’unica serie di lavoro tutte le scene che hanno luogo in uno stesso ambiente. Quindi la continuità è bandita dall'at-

tività dell’attore cinematografico; non solo, ma, anche nel corpo delle singole scene, l'attore è continuamente interrotto per le variazioni di posizione della macchina da presa e per le variazioni dei « campi »; naturalmente anche le diverse inquadrature, soggiacendo alle esigenze di lavorazione, possono essere girate secondo un ordine che non sia

rea TA

quello in cui dovranno apparire nel film completo e montato.



»

All’oro di zecchino di questa semplice verità si è sentito più volte

baie sE

la e È

Il film e il risarcimento



obiettare dai soliti protetti di S. Genesio che in America, a Hollywood,

mecca del cinema, cuccagna e bengodi dei cinematografari, terra d’'avventura, paradiso delle fanciulle, visione che incanta e chi più ne ha più ne metta, si usa costruire tutte le scene del film fin dall'inizio della lavorazione, in modo che gli attori possano recitare seguendo un

ordine narrativo. Ebbene, quand’anche ciò fosse vero (ed è vero solo

in certi casi di film particolarmente difficili e solo per aver la possibilità di girare raccordi, scene venute male la prima volta, o scene aggiunte dopo il primo montaggio ed una visione del film presso un 1 V,

I. PupovKkin:

Actior

v film,

passim.

VIRA pr

hi

L'attore

ASIA

pi i)

RN

PIRA

pigra

RO

e

rr

pe

cinematografico

33

pubblico che funziona da animale di prova) non si eliminerebbe l’interruzione conseguente alle variazioni di inquadratura e di angolazione nel corpo delle singole scene: e il problema resterebbe spostato ma sostanzialmente immutato. Anche se, come potrebbero ancora insistere i teatranti cocciuti, in America si gira, a volte, con molte macchine da presa. Perché si girano così solo scene molto complesse e macchinose e, in verità, mai allo scopo di non interrompere gli attori nel loro lavoro. Infatti è palmare l’assurdità di credere che si possano in precedenza piazzare tante camere quante sono le inquadrature di una scena, perché quelle destinate a inquadrare i « campi » più corti verrebbero ad essere ri«prese, coi loro operatori, da quelle destinate a captare « campi » più lunghi. Per non dire della difficoltà, per questa via addirittura insormontabile, di illuminazione. E del resto chi muove di queste obiezioni non conosce né il complesso lavoro creativo del film né la storia del cinematografo: altrimenti saprebbe che cosa fanno in quel famoso periodo di incubazione gli attori di Hollywood che, il più delle volte, girano solo dopo qualche anno di pratica di stabilimento, caso capitato proprio a Greta Garbo che pure era arrivata in America con un regista come Stiller e dopo i successi di Gosta Berling® e della Via senza gioia di Pabst. Qual

che notizia sulle scuole di recitazione delle case produttrici americane

cadrebbe qui particolarmente in acconcio, se lo spazio me lo consentisse, e se valesse davvero sprecare tempo e argomenti per confutare idee di persone o non informate o non in buona fede o non capaci di capire. Stabilito dunque incontrovertibilmente che il lavoro dell’attore dello schermo è frazionato in tanti pezzetti quante sono le inquadrature del

futuro film ed è disordinato nei tempi e negli spazi, risulta come ovvio corollario che l'attore, che non sia una marionetta di cui il regista

tiri i fili, dovrà attenersi alle previsioni seguendo un’interiore idealità anche in base alle modificazioni che la pratica della lavotazione ha suggerito e fatto apportare via via a quelle previsioni. | Questa interiore ideale continuità, che l’attore cinematografico deve aver in testa sempre mentre lavora, non è basata sulla verosimiglianza

psicologica, ma deve saldare gli stacchi coll’invenimento di un duplice 1 Il titolo completo

di questo

film è:

La

leggenda

di Gosta

Berling

(n.d.r.).

34

Il film e il risarcimento

marzista

dell’arte

ritmo consonante, quello interno della densità emotiva che dovrà provocare nel pubblico e quello esterno nei movimenti dei suoi gesti e della sua mimica, strettamente dipendenti dagli spazi e dai tempi.

L’attore che sa di realizzare una scena che farà parte di una scena costruita, non a caso, di pezzi brevi, coadiuverà dunque il regista nella

sua necessità di ritmo rapido, stringendo i tempi della sua azione; € viceversa nel caso contrario sapendo che la scena dovrà far parte di una sequenza che debba ottenere nel pubblico una speciale gressione di effetti dovrà essere in grado di rispettare questa

propro-

gressione e, ad esempio, non dare îl massimo là dove debba seguire una più forte emotività: il che, come è chiaro, porta il suo lavoro sulla linea ideologica più che su quella psicologica. Si prenda, ad esempio, un gruppo di scene alternate che debbano essere contate secondo la regola — frequentissima e non propria, come erroneamente si crede, dei film d’avventure — del cosiddetto montaggio alla Griffith; ecco il caso più semplice e più classico: un innocente sta per essere giu-

stiziato mentre la moglie arriva a precipizio per portare la notizia dell’ottenuta grazia e per fare interrompere l’esecuzione; si sa che per ottenere il voluto effetto di sospensione degli animi e di ansia negli spettatori è necessaria una variazione di ritmi; la lentezza di un'azione dev'essere in precisa relazione alla velocità dell'altra, lentezza e velocità ottenute con acceleramento o rallentamento di azioni e conseguenti lunghezze di pezzi di montaggio !. È evidente che questa rapidità e questa lentezza non possono essere quelle del tempo e degli

spazi reali, ma costituiscono un grave insulto alla verità, in vista del raggiungimento di una perfetta consonanza ritmica; quanto più artisticamente

sarà

condotto

questo

scarto,

tanto più si otterrà sul pub-

blico, coll’illusione di un'assoluta verosimiglianza, la tensione voluta. L’attore deve

dunque

genza e, colla bile al regista di pellicola di e tempi nella

sua idealizzazione dei tempi dell’azione, rendere di attuare il montaggio dell’intera sequenza con giusta lunghezza e cioè di idealizzare a sua volta maniera voluta dalle esigenze della narrazione

informare

tutta la sua recitazione a questa esi-

possipezzi spazi e dai

significati di essa. 1 TrmoscENKo:

salienti.

Traduzione

Problemi

di U.

del

Barbaro

montaggio

cinematografico:

in /talia letteraria,

Roma,

ritmo

e

1935, n. 7.

puntì

L'attore

cinematografico

35

In questa complessa operazione come è evidente è tutta l’arte del

film.

Ed ecco, e sia detto qui solo di passaggio, che in questa fase del lavoro dell’attore dello schermo che abbiamo chiamato mestiere, staccandola arbitrariamente e per comodità di esposizione dalla fase più propriamente creativa, questa seconda fase già viene direttamente ad incidere: per questa via il lavoro dell’attore non sbocca nella scimmiesca contraffazione della realtà, naturale, esteriore o psicologica che sia, né la sostituisce colla mediocre cifra teatrale della cosiddetta stilizzazione, ma dà un contributo, organico e indispensabile all’espressione nell’opera, di una unitaria visione del mondo. Questo

primo

punto

essenziale,

conoscenza

dei

mezzi

del

cinema,

non esaurisce il mestiere: perché proprio questa conoscenza insegnerà all'attore come, quanto e perché il gesto, la mimica e la parola utili alla ripresa si differenzino

da quelli della vita quotidiana,

la variazione

della distanza della macchina da presa, la variazione. delle sue posizioni, degli obiettivi costituiscono una differenza continua di punti

di vista dello spettatore; e questa differenza, come abbiamo visto trattando del cinema senza attori, basta a volte perfino a sostituire la

recitazione, L'attore che ignori il valore e il significato degli spostamenti di macchina e della variazione delle inquadrature crederà di dover avere una recitazione costante e non si curerà di come essa apparirà sullo schermo; e il suo apporto espressivo, lungi dal rafforzare l'espressività generale, genererà il senso di un’orribile artificiosità. Il caso più conosciuto in questo senso è la già ricordata stilizzazione teatrale: la maniera di gestire e di muoversi, l'impostazione della voce dell'attore del palcoscenico nascono da un'esigenza di visibilità e di udibilità nei confronti del pubblico che è sempre ad una

distanza fissa e relativamente grande: la stilizzazione teatrale consiste in sostanza nello sbracciarsi e nello strillare per superare quella distanza.

Se si pensa che al cinema dunque questa distanza è continuamente variabile, si vede che è impossibile una stilizzazione predeterminata ed unica ma è necessaria una continua variazione che nella sua coerenza divenga stile. Questa è, dunque, non solo l'esigenza di non andare in tutto o in parte fuori fuoco o fuori campo al variare delle inquadrature, ma nel non andarci con una continuità che renda invisibile il lavorìo tecnico compiuto. Esattamente come in ogni altra creazione artistica. A questo punto mi pare interessante ricordare che Pu-

e ET

36

a Laga Ba

I? film

pra

rt

TE

e il risarcimento

e

(i

marxista

li

e iprieni

dell'arte

dovkin, anche quando negava recisamente l’attore cinematografico, ha intuito con felicissimo acume, la necessità imprescrittibile della conoscenza dei mezzi tipici del cinema per eventuali professionisti: « Un attore, anche dotato di vero talento, e che si lasci ispirare da una scena, non riuscirà a dar mai limiti tali alla sua opera che essa

ne risulti un frammento della lunghezza o del contenuto necessari al montaggio. Questo caso si verificherebbe qualora l'attore avesse una coscienza piena ed assoluta del processo creativo del film come deve averla il direttore artistico ». Eccezione straordinaria che, in verità, deve diventare la regola restando invece eccezionale il caso inverso quello degli attori non

piofessionisti. Ma la conoscenza dei mezzi tipici del cinematografo in realtà non basta all'attore per ottemperare le esigenze della integrata da una perfetta conoscenza e da una del proprio corpo. Per ottenere la quale non v'è costante, continuo e ragionato dello specchio,

lavorazione; essa va assoluta padronanza altro mezzo che l’uso l'esercizio, la pratica

del girare, lo studio sui pezzi realizzati e il continuo riferimento e confronto tra i mezzi impiegati e i risultati ottenuti; oltre che, naturalmente, la pratica di tutti gli sport, delle danze classiche e dei balli moderni. È indubbio che quei teorici che sconsigliano l’uso dello specchio sono indotti a questo errore dalla concezione puerile per cui l’arte si creerebbe in un folgorante istante di divina ispirazione e che, di conseguenza, negano e svalutano quelle continue elaborazioni e rielaborazioni che sono forse il travaglio, e se si vuole, la gioia della creazione, ma che sono soprattutto l’unica via possibile di essa. Meno che mai nel cinematografo è ammissibile il bello e fuggevole istante dello stato di grazia lirica e dell’ispirazione incontrollata per i chiari motivi già esposti, inerenti alla natura plurale della creazione cinematografica. Quando si scriveva e si chiacchierava della lezione estetica del circo

equestre

e del

teatro

di varietà,

in reazione

come

ora

è chiaro,

allo psicologismo del cattivo teatro e per la ripresa dei diritti del buon mestiere, si sosteneva come esemplare la condizione umana dell'artista del

circo,

padronanza

dell’acrobata,

del proprio

l’attore dello schermo.

che,

corpo,

se

sbaglia,

muore.

Ebbene,

e degli spazi e dei tempi

Il motivo,

una

simile

deve

averla

per molti non chiaro, per cui gli

attori del varietà e del circo e le ballerine sono più adatti al cinema che non i migliori attori del teatro va cercato precisamente nella perfetta conoscenza che essi hanno del duplice ritmo di tempo e di spazio

L'attore

e nella possibilità,

faticosamente

cinematografico

acquistata

37

e mantenuta

con

ininter-

rotto esercizio, di padroneggiare il proprio corpo fatto docile e ubbidiente strumento di quel ritmo. Gli attori dello schermo hanno esattamente la stessa esigenza. Ciò che non vuol dire che il cinematografo sia un'arte inferiore, perché, se è vero che gli attori e le ballerine non dànno che l’arabesco, la

vuota forma, la calligrafia e, in sostanza, la pura tecnica (il poeta della pura forma per eccellenza, Paul Valéry, non è stato paragonato più volte, ed anche André Gide, ad un prestigiatore?), l'attore dello schermo, quando è un vero artista, contribuisce alla elaborazione ed alla creazione di una più vera e autentica forma, quella che non è fine a se stessa ma che è determinata dal contenuto. Naturalmente,

non

solo

il mestiere

e l’arte

i due aspetti indicati del mestiere nella pratica zione sono legati da una stretta interdipendenza.

dell’attore,

attività

ma

anche

della

recita-

Vediamo un caso sintomatico e particolarmente interessante: quello del primo piano. Si è detto e si dice costantemente nella pratica del lavoro che i primi e i primissimi piani esigono una particolare attenzione ed uno studio ed un controllo attento delle espressioni. Ve-

diamo quello che qualche anno fa, agli inizi del parlato, scriveva sull'argomento Béla Balazs: « Nel primo piano noi vediamo fisonomie parziali che esprimono tutt'altra cosa da quella espressa nelle fisonomie complete. È inutile che costui aggrotti le sopracciglia o faccia lampeggiare gli occhi: la camera si avvicina maggiormente e vede il mento che trema e che dimostra viltà e debolezza nonostante il superciglio e gli occhi fulminanti. Oppure: un fine sorriso illumina tutto il viso ma le narici e i padiglioni dell'orecchio e la nuca hanno un'’espressione particolare: proiettati isolatamente essi possono esprimere la volgarità e la stoltezza mascherata dal sorriso. Dati che l’espressione generale non riesce a cogliere senza venire ai particolari. Quanto è bella e nobile, in primo piano, la faccia del pope ne La linea generale di S.M. Eisenstein! Ma gli occhi ripresi da soli esprimono l’astuzia e la bassa avidità che si celano sotto le palpebre. Così anche nel viso più

brutto e volgare la camera può cogliere tratti di finezza e di bontà appena percettibili; la camera oltrepassa gli strati della fisonomia e mostra il viso vero che si nasconde dietro ad essa. Oltre il viso che si fa la camera scopre il viso che si ha e che non si può né cambiare né controllare. La vicinanza della camera penetra nelle superfici pic-

cole e incontrollabili del viso e fotografa così il subcosciente.

Il viso

38

Il film e il risarcimento

umano

marxista

dell'arte

visto così da vicino diventa un documento come la scrittura

per il grafologo, con la differenza che la grafologia è un dono non comune ed una scienza, mentre che, per virtù del cinematografo, la microfisonomia è una cosa di tutti. « Fin dai primi saggi di primi piani si è scoperto che in un viso

spesso si può leggere molto di più di quanto non sia dichiaratamente scrittovi. Anche la fisonomia possiede dunque le condizioni per cui si legge tra le righe, tra i lineamenti. « Un capolavoro di Asta Nielsen di molti anni fa. Per precisi :copi di intrigo, ella doveva sedurre un uomo. E l'attrice fingeva l’amore con mimica convincente; però durante quella commedia finiva coll’innamorarsi davvero; e le sue mosse, quelle stesse di prima, e le sue espressioni, quelle stesse di prima, a poco a poco, diventavano sin-

cere.

Si comportava

esattamente

come

prima,

nella sua recitazione

nulla di nuovo era visibile; eppure si capiva che qualche cosa era cambiata. Ma c'è di più: ad un certo punto ella doveva accorgersi che un suo complice l’osservava, nascosto dietro ad una tenda; ed ella allora era costretta a dimostrare che era solo una parte quella che lei recitava, così come poco prima aveva dimostrato di essere sincera.

Il doppio significato di quella mimica si capovolgeva. Anche nel secondo momento ella fingeva e la sua espressione era falsa: ed ora finalmente il falso diventava falso ed ella mentiva di mentire. « ... Per microfisonomia, frutto della camera vicinissima, si vuol indicare il viso nascosto sotto la vivacità mimica sua propria; questo viso originale non si può farselo, ma è il viso che si ha sempre, inevitabilmente... Questa microfisonomia, non è, in sostanza, che il diventar visibile della micropsicologia » 1. Ho riportato per intero questo ampio stralcio del Balàzs perché mi pare che valga la pena di discutere il concetto sottile di microfisonomia da lui creato: esso dà anzitutto una conferma solennissima alla teoria che sostiene l'enorme importanza della scelta del tipo e della rispondenza di esso al ruolo da creare; importanza messa in buona luce già dalla teoria del cinema senza attori. E tuttavia, pure in una così acuta indagine, permane .un residuo di naturalismo psicologico, accoppiato ad una specie di feticismo, miracolistico della macchina da presa quale è stato comune agli sviluppi, nel senso del documentario, dell’avanguardismo cinematografico. Qui basterà citare la camera-oc1 BféLa

BarAzs:

Der

Geist

des

Films,

Halle,

1930.

.

l'attore

cinematografico

39

chio di Dziga Vertov perché a tutti si chiariscano le parentele vicine e lontane di questa tendenza. Ci si potrebbe domandare chi, al lume di questa teoria, dovrebbe interpretare nei film le parti del cattivo, se non il cattivo, chi l'assassino se non l’assassino stesso. infatti, anni fa, Marcel L’Herbier annunciava un film

Ed

ecco

che

« interpretato

dai protagonisti stessi del dramma ». Trovata che, a chi non sia vittima di certi indirizzi artistici di questi ultimi anni, rappresentati, poniamo, da Julien Green o da André Gide, apparirà, più che di veri

artisti, come quelli, degli uffici pubblicitari delle case produttrici ame-

ricane, pronte ad offrire milioni di dollari, che so io? a Iusupof o all'ex re d'Inghilterra perché rivivano sullo schermo il suo tragico delitto l’uno o la sua vicenda da Lubitsch l’altro. E non c'è stato forse un film in America dove, accanto a Beniamino Gigli del « Metropolitan », figurava Don Ciro Vitozzi, il famigerato prete del pro‘ cesso Cuocolo?

Ad un attore professionista noi dobbiamo chiedere che la padronanza del suo fisico si estenda fino al dominio della microfisonomia: padronanza the effettivamente aveva Asta Nielsen, come dimostra bene proprio l'esempio prodotto dal Béla Bal4zs; e che oggi ha, per esempio, Paul Muni, chi ricordi la sua strizzatina d’occhi ad Ann Dvorak, ne Il dottor Socrate, quando inizia la serie delle iniezioni di morfina ai gangsters. Qualche cosa di simile avveniva nei primi piani di Pola Negri, quando nel viso impietrito le si appannavano gli occhi come, direbbe Paul Morand di una sua eroina, acqua limpida in cui si versi qualche goccia di mistrà. Effetto ottenuto dall'attrice con mezzi propri e di cui è solo un pallido surrogato quello che si può ottenere con l'ausilio degli operatori, proiettando cioè sugli occhi una luce diretta. Si pensi a Robinson in Tutta la città ne parla di J. Ford: il

grande attore vi impersonava

due parti, quella di un terribile ban-

dito e quella di un timido impiegato; ebbene, il suo dominio della microfisonomia era tale che egli, che nel corso della storia appariva in un gioco di alterne situazioni e di continue sostituzioni, rivelava al pubblico in ogni momento l’identità effettivamente voluta dalla nar-

razione. Dunque la macchina da presa coglie la più profonda e reale natura

dei soggetti fotografati solo quando

essi non sono attori e non

sanno padroneggiare la propria mimica minore, Ma i veri attori cinematografici lo possono e lo sanno anche in quei minuti aspetti che, impercettibili ad occhio nudo, son colti dal primo piano. Ed anche

i

40

«Il

film e il risarcimento

marxista

dell’arte

questa capacità fa parte del mestiere e non ha riscontri,

né prece-

denti

col mestiere, solo apparentemente affine, degli attori di teatro. I faciloni che si entusiasmano, che non se ne intendono, ma che le cose belle le capiscono anche loro, quelli che vibrano di falsa commozione dinanzi agli spettacoli della natura, che tengono nature mor-

te pompieresche nelle sale da pranzo e marine e tramonti di piazza di Spagna nei salotti stile novecento, certamente son tutti qui a rimproverarmi con calde parole di sopravvalutare il mestiere che non ‘produrre che sterile meccanicità di fronte alla spontaneità, alla turalezza, alla bella natura e al sole mio che sta in fronte a te. Io vorrei convincerli che essi non hanno capito. E spiegare un'assoluta padronanza dei muscoli pellicciai, dei loro ferri del

può nache me-

stiere, in questo caso, deve rendere all'attore impossibili quelle espressioni che, nella realtà, il viso assumerebbe e che nel film in genere ed in particolare nel primo piano è sempre ‘eccessivo e risulta innaturale. Ma perché via con tali contraddittori? È chiaro che due che facciano a pugni sono mossi da uno stesso movente interno: quello di colpire quanto più è possibile l'avversario

e quello di esserne colpito il meno possibile. Ma solo chi attraverso uno studio serio di parate e di entrate è diventato padrone della tecnica del pugilato riuscirà nel suo intento compiendo i gesti più adatti ‘allo scopo, divenuti ormai per lui istintivi. Questo modo di boxare apparirà allo spettatore naturalissimo mentre quello dell'avversario, ignaro delle regole del pugilato, che si scopre continuamente e cne non ha ‘ nessuna secchezza di pugno, apparirà scomposto e innaturale. . Esiste una profonda differenza fra naturalezza artistica e realtà, naturale, allo stesso modo come — diceva Flaubert — esiste un diva-

rio enorme tra i libri facili e quelli scritti facilmente. O è il caso di ricordare ancora l'esempio scolastico delle più fluide strofe dell’Ariosto, scritte e riscritte, tre, quattro e perfino sedici volte?

Creatività dell'attore cinematografico

Non vorrei a questo punto spendere troppe parole per confutare una tendenza della recitazione sostenuta in verità solo dagli incompetenti e dagli esteti della bella natura: quella per cui, come costoro dicono bruttamente, l'attore deve immedesimarsi e investirsi della parte. Preferirei che per tutti fosse sufficiente la satira che del tipo ha

o

pa

L'attore

cinematografico

4l

fatto proprio il cinematografo (che già in XX secolo s'era intelligentemente fatto beffa del teatro) col verame nte Impareggiabile Godfrey, nella scena in cui l'emigrato russo, sbafatore e pagliaccio, dichiara

di non poter fare l'orango perché in quel momen to non sente la parte cosicché alla scena mancherà l’anima: 0 vorrei potermi limitare a qualche

bonario rimbrotto per coloro che in più di duecento anni non hanno trovato il modo o il tempo di leggere, meditare e capire il Paradosso dell’attor comico, libretto perfett issimo; e al gentile invito a lasciar passare qualche altro secolo prima di avventurarsi a trattare di cinematografo. O ricordare ancora i pericoli del metodo loro tanto caro colla citazione dei versi del poeta Gigi Pizzirani che, nel 1913, scrisse una serie di sonetti ispirati al Quo vadis? di Guazzoni. Una comparsa che faceva l'antico romano raccon ta: :.-

€ una

sera

che

stavo

intropeato

co' na sbornia de quelle a commugnone vado lì tra le quinte e pijo Nerone e je fo sbatte er grugno ar tavolato... ... Quello de sotto intanto strilla e urla: Lasseme che te possin'ammazzatte ma nun lo vedi che so un re da burla?.. .

Quanto ho trattato fin qui, sia pure per accenni , dovrebbe aver dunque chiarito a tutti il divario enorme che esiste tra il teatro e il cinema

tografo:

che dunque consiste precisamente nella necessità, per

il teatro, delle unità aristoteliche: poiché quelle leggi anche se non assolutissime poco scarto comportano come possibile. E nella costante idealizzazione di converso, nel cinematografo, degli spazi e dei tempi. Si è visto ancora che la rappresentazione teatral e è un elemento piuttosto ibrido e accessorio; e non necessario all'opera d’arte che gli preesiste; la cui instabilità e la cui labilità ne fanno un’arte piuttosto sui generis. Il film invece è impensabile se non realizzato in ogni sua parte. E l’attore ne è elemento costitutivo integrante, il cui lavoro ha caratteri di definitiva assolutezza e di durevo lezza ignoti alla rappresentazione scenica. Di più sappiamo ancora che il lavoro degli attori di teatro è di natura

interpretativa, mentre quello degli attori dello schermo di na-

tura creativa.

Da quest'ultimo punto mi sembra

opportuno

le mosse per trattare dell’arte dell’attore dello schermo, L'interpretazione,

la ricreazione

spettacolistica

riprendere

di un’opera

d’arte

Il film

42

e il risarcimento

marxista dell’arte

di attipreesistente, implica negli attori di teatro una funzione mista vità creatrice

e di attività critica e, in sostanza,

è —

col suo

diritto

e

sa, per col torto — una vera e propria traduzione. E i traduttori, si come vecchio è parole di gioco il se anche lo più sono dei traditori il cucco. suol perde . Kennst du das Land quando diventa now conosci il bel

per farsi gela miracolosa e quasi indecifrabile pregnanza dell'originale

salità poenericità distratta e stomachevole sentimentalismo e l'univer avviene Tanto e. malumor ale individu tica dell’opera di Goethe diventa l’opera e il o riportan attori gli quando visto abbiamo come nel teatro, Amleto inpersonaggio alla loro psicologia. Da una interpretazione dell’ fare assida meglio di niente c’era (non volta una dedotto ho fatti io re sull’atto i biografic ri particola ‘ stendo a quella rappresentazione) curiosi creca, Danimar di principe del panni i portava nte che non degname

ridendo di riconoscere nel suo mugolare i tormenti della carne, accenti

i ruggiti contro le velatori di sue peregrine singolarità sessuali, mentre non so più quali avano raccont mi tiranni dei ire le e legge della ingiurie sorella dell’apalla rifiutato tabacchi e storie di uno spaccio di sale Giolitti. di so malavito governo dal attore plaudito

e Una poesiolina francese de ta tige détachée pauvre fewille desseché

Leopardi ha avuto la singolare avventura di essere tradotta da Giacomo

con quel che ed è divenuta lungi dal proprio ramo povera foglia frale ta così in tramuta s'è francese ore segue: la piccola espansione dell'aut avveniva ne La lirica e universale visione del mondo. Non altrimenti Eleonora grande la retava l’interp porta chiusa di Marco Praga quando ; Duse. erpretare ma L'arte dell'attore dello schermo non è dunque nell’int

nel creare:

e la sua creazione deve esser armonica di una collettiva

maggior creazione che il film intero. Si coltà critica, un’autocoscienza dei propri produzione di un’opera preesistente ma Le elaborazioni collettive della materia

chiederà quindi all’attore famezzi, volta però non alla rialla creazione di una futura. vanno naturalmente condotte

secondo un criterio non mai psicologico ma ideologico. semA maggior chiarimento di questo concetto del resto ormai assai Gauthier ita Margher nella : esempio qualche plice, spero, valga ancora

a qualsiasi in di Cukor, Greta Garbo si deve trasformare da mondan o per la riservat è si regista Il re. donna nobilitata e purificata dall'amo puquella di one rivelazi a profond va l'effetti morte scena finale della iverosim una o inseguit rezza nuova. È chiaro che se l’attrice avesse

L'attore cinematografico

ce

glianza psicologica avrebbe dato il suo progre ssivo trasformarsi ed avrebbe perduto l’effettiva efficacia della scena della morte in cui quella purezza si rivela non solo agli occhi di quello stupido piccolo americanino di Robert Taylor ma anche a quelli del pubblico commosso.

Viceversa nel film Le belve della città Robin son ci mostra quale errore sia il fare intervenire l'elemento psicol ogico a contrasto di quello ideologico; egli è in quel racconto un polizio tto che si fa ammettere in

una banda di gangsters per scoprirne le fila. Egli un paio di volte nel corso della storia esprime con la straordinari a leggibilità del suo viso un certo rimorso per la sua attività di spia che tradisce la fiducia sia pure di un gangster: ebbene quell’espres sione contrasta col concetto del film che vuol far considerare, come qualche altro film del genere americano, quella come una missione eroica. E tutta l'efficacia del racconto sì perde: i bianchi e i neri del signifi cato si perdono, il pubblico

non 'ha più orientamento:

è scontento,

scopre

la corda della antiart

isticità del film. E, si badi, proprio per un'esp ressione facciale che certamente esprimeva un sentimento psicologicam ente più che giustificabile. A conclusione di questa sommaria analisi dell’attore cinematografi-

co si può dire che, se essa ne resta privata di quelle pseudo-doti che mandano in visibilio i cervelli deboli (iperse nsibilità, sex-appeal, mille volti e simili) ne acquista in cambio la dignità artistica dell’arte.

Dal teatro al cinematografo

In un mio precedente saggio su L'attore cinematografico

(in Bian-

co e nero anno I, n. 5 e, parzialmente, in Le réle intellectuel du ci-

néma, Paris, 1937), dopo aver eliminato il pregiudizio della veridicità psicologica che l’attore dovrebbe attingere, nel suo lavoro, coll’ausilio di quella psicotecnica mistico-iniziatica che qualche pasticci one ha recentemente inventato ad edificazione degli allocchi, e avendo opposto a queste vuote stravaganze il superamento dello stato meramente senti-

mentale per opera dell’immaginazione creatrice, io ho contrap posto al-

l'attore interprete del teatro letterario, e all'attore elemento della messinscena del teatro d'avanguardia, l’attore più propria mente artista: l'attore creatore del cinematografo. Al quale si può rigoros amente giungere — come ho dimostrato — solo rifacendosi al concetto di film

quale arte di collaborazione, resa possibile dall’elaborazione plurale del

mondo poetico, criticamente formulato in precedenza,

della futura ope-

ra: così che svanisce (coll’unico autore soggettista) l'attore interprete,

SURE PETE

ERR

tI

regi-

Reg,

autore

BE

e (coll’unico

i

UA.

del teatro letterario,

sei

la replica cioè dell’attore

sta-montatore) l'attore non professionista. Ho sostenut o quindi che i mezzi esterni (il mestiere) dell’attore ‘cinematografico sono la piena padronanza del proprio fisico e la sicura conoscenza dei metodi del cinematografo (del montaggio in senso lato) e che la creativit à (l’arte) è nella sua potenza d’immaginazione articolante questo duplice complesso di possibilità di espressione. l Quel mio scritto, oltre a censure e a gratuiti dissensi, ha avuto qualche consolante successo di persuasione, per cui credo non inutile partire dai punti fermi in esso stabiliti per gli opportun i particolareggiamenti e sviluppi che sono oggetto delle note che seguono.

BE

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RE

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te:

_

Il film

48

e il risarcimento

marxista

dell'arte

Caldo e fredao Il recente trattato del Pudovkin su L'attore nel film s’inizia con queste assennate parole: « Le polemiche sulle relazioni fra teatro e cinematografo, sulla necessità o meno per il cinematografo di una integrale acquisizione della cultura teatrale, sul problema dell'attore nel teatro e nel film, non sono state, nella maggior parte dei casi, impostate rettamente perché alla base di quelle polemiche non c'è stata un’effettiva e reale comprensione del cinematografo inteso come momento di

sviluppo del teatro ». Ma noi, dal nostro punto di vista e presupponendo un lettore non troppo distratto e non del tutto ignaro delle teorie teatrali della recitazione, possiamo pensare di essere ormai saldamente fermi ad una riva dalla quale. ci si può volgere al tempestoso pelago di tanto concitato contraddire e battagliare, come a cosa che più non ci tocca e per la quale si sono, sia pure non invano, spese troppe imprecise e imperfette parole. Mancanza di sensibilità in Diderot contro entrailles di Mauduit Larive o di Brizard; imitazione — qui trompe la nature elle méme — di Preville, contro la naturalezza di Riccoboni; imitazione del bello e personificabilità del Morrocchesi e del Franceschi contro la spinta del Modena, del Lombardi, del Vestri; alla quale si può opporre qualche più riflettuto frammento del Bonazzi, qualche esercizio dello zio della Ristori (F. A. Bon: Princìpi di arte drammatica rappresentativa, Mi-

lano, 1857), magari qualche timida ideuzza del Gattinelli (Dell’arte rappresentativa, Roma, 1877) e perfino la difficile naturalezza, pendant

della metastasiana difficile facilità, del povero Benvenuto Righi (Pensieri sulla declamazione e recitazione, Roma, 1886); e ancora tecnica dell’ispirazione alla Stanislavski, fino agli annullamenti e sdilinquimenti della Pavlova, e fino al fritto, al core e alla coratella di Bla-

setti.

-che appaiono ormai definitivamente superati da una Antagonismi più moderna riflessione estetica che ha statuito l’arte come « passaggio dal

sentimento

immediato

alla

sua

mediazione

e risoluzione

nell'arte,

dallo stato passionale allo stato contemplativo, dal pratico desiderare, bramare e volere all’estetico conoscere » (B. Croce: Nuovi saggi di

estetica, p. 126, Bari, 1920). E ci accorgiamo così che, mentre un esame superficiale di tante contraddittorie teorie ci può aver fatto, in un primo

momento,

pensare

che

nessuno

dei rari teorici e dei molti

L'attore

creatore

49

attori teorizzanti avesse ragione, e che nessuno sapesse o, in definitiva,

fosse in grado di sostenere, con argomentazioni solide, che cosa sia o in che cosa consista l’arte in genere e quella della recitazione in particolare, un più attento esame, al lume della nuova certezza, ci mostra che, in effetti, tutti in qualche modo lo sapevano; e tutti ci appaiono d’accordo, almeno per una fuggevole affermazione di verità che ha contraddetto il generale tessuto dell’errore. E di rintracciare questa verità risalendo i tempi, attraverso le dottrine più disparate e più distanti, fino,

almeno, ad Aristotele ed al suo concetto di catarsi.

L'attore interprete

Ma se dal quadro generale dell’arte ci facciamo più dappresso a considerare l’attività dell’attore ecco immediatamente sorgere nuovi problemi e riaccendersi le polemiche; che in questi ultimi tempi hanno finito col ridursi ad un’impazzata sparatoria, i partecipanti alla quale non hanno saputo (o mi sembra?) neppure distinguersi nettamente in parti avverse, amici e alleati di qua, oppositori e nemici di là. Chi ha più polvere spara: e preoccupazione di ognuno è stata quella di sballarle

più grosse. Ma qui può assalirci il sospetto che questo nostro considerare insufficiente vaniloquio la recente riflessione estetica e critica dell’attività dell’attore sia un po’ colpa nostra: ché se le nostre idee si facessero in noi più chiare al lume di esse svanirebbero tutte le ombre dell'errore e tutti coloro che hanno riflettuto sul problema noi potremmo metterli.

d'accordo,

almeno sulla parte di verità che ognuno di loro ha affer-

mato. E, come a proposito del sentimento, invece di dare irriflessivamente torto.a tutti, finiremmo col dare a tutti la loro parte di ragione. Bisogna anzitutto tenere per fermo che nessun’opera d’arte è riproducibile se non a condizione di farle perdere il suo originario e assoluto valore, quello per cui essa è appunto arte: la sua forma peculiare, il suo intraducibile linguaggio. Si è perciò detto e ripetuto che i quadri necessitano di visione diretta e che la fotografia ha più nociuto che non giovato alla conoscenza delle arti figurative, che i quadri non si possono copiare né falsificare, e che perfino le repliche dovute alla stessa mano dell’autore sono opere sostanzialmente diverse. Così come le traduzioni che possono essere (Croce) belle e infedeli v brutte e fedeli

50

Il film e il risarcimento marxista

dell'arte

ma che non sono mai riproduzioni dell’originale verso il quale forse il peggior atteggiamento del traduttore è quello della mezza fedeltà a freddo (De Lollis), proprio come nell'amore. Si è negata la possibilità

di illustrazioni grafiche di opere letterarie e di dare quindi con disegno e colore (Croce)la Lalage oraziana dulce ridentem, dulce canentem perchè qualunque disegno o qualunque pittura aggiungerebbe a quel dolce Tidere e cantare un di più, che è spesso un di meno, in tutti i casi, un diverso. E si è detto infine, ed egregiamente, per bocca di un sincero amatore del teatro, Silvio D'Amico (Maschere, Milano, 1921, p. 2109) che « perchè il poeta parli, libero nella sua pienezza, è necessario av-

vicinarsi a lui senza intermediari ». .

Se tanto è vero, come

tutti sanno che è vero,

come

andrà sub

cata l’opera dell’attore? È accettabile la tesi ch'egli riveli ed integri l’opera del poeta drammatico? Bisognerebbe ammettere, sempre col D'Amico (ibidem, p. 109), che il poeta drammatico « non si dà se non attraverso i suoi personaggi, e quindi ammette, anzi presuppone, , almeno come immaginata, una integrazione scenica » e ancora che « quel tanto di suo che l'attore, personalità distinta da quella del poeta, porta inevitabilmente nella sua interpretazione, è un'aggiunta che la

Drammatica si sforza di contenere nelle limitazioni ad essa imposte, è un'impurità a cui essa deve praticamente sottostare ». Dove, mentre da una parte il D'Amico condanna tutta la poesia drammatica, come bisognosa di interpretazione e di integrazione e dunque inespressa e monca, dall'altra condanna anche tutta l’arte, cosiddetta rappresentativa, in quanto affetta da inevitabili impurità. Né giova dire

che anche la musica presuppone la sua creazione e interpretazione, perché basta intendersene un poco per poter leggere lo spartito per sentirsela cantar dentro. La grafia della musica non essendo poi altro che una meno diffusa forma di scrittura che contiene in sé già tutta l’opera: grafia che potrà forse anche in un giorno non lontano esser sostituita da un'altra che, fotografata su di una striscia di celluloide e proiettata, darà senza l'intrusione di alcuna estranea personalità, l'originale e non mediata esecuzione (già qualche anno fa Max Fleischinger ha fatto una

trascrizione del Largo di Hindel che, ridotto su colonna ha dato un saggio di questa futura possibilità). In questo modo dunque noi vediamo dileguarsi il concetto di attore artista, ed abbiamo in sua vece l'interprete, il traduttore. Il cui pratico diritto sarebbe assurdo misconoscerlo e la cui opera, labile e transeunte, non si tramanda ai posteri che per documenti esterni e finisce per valere

L'attore

creatore

51

come atteggiamento critico: come già aveva capito il buon Morandi che ha incluso nella sua antologia della critica la relazione del Bonazzi sulla

rr Ata ne

fo e” CM

interpretazione del Saul da parte del Modena.

messinscena

volumetrica,

teatralità,

a ni ra

Paci

nta pot, dn pae d'a

caec/a nà Ci i

danza,

zione di due Amleti che litigano tra loro, senza che si possa, in nome

di Shakespeare, protestare. Perché si è fatto chiaro che non c’è passaggio dall’Amleto scritto e dal suo stesso autore rappresentato a nes-

pl

di

TR

VE

et

a

analogia, attore sintetico, attore spazio coi nomi di Marinetti, Gordon

Craig, Appia, Bragaglia, Tairov, Meyerhold, Nemirovic-Dancenko, Prampolini; e sa chiamare tutto ciò con un nome comune che indichi teatro liberato (osvobodnoe) come quello di Praga dalla soggezione al testo scritto, teatro (come l’ha definito il Kergentsev) creatore. L'opera scritta può essere dunque magari Giroflé-Girofla, Tairov e i suoi collaboratori a portarla sul piano dell’arte; e il dubbio amletico può come nella messinscena di Vachtangov risolversi nella presenta-

rare

supermarionetta,

La

varietà,

ia

me e i recenti tentativi di teatro moderno traduce facilmente i termini

fe

e un tentativo di dare allo spettacolo un livello artistico e una autonomia, liberandolo dalle impurità della interpretazione: e questo proprio col fare dell’opera letteraria un pretesto. Basta questa considerazione preliminare per trovare una strada giusta a farci intendere e ordinare l’intricato e caotico intrico delle tendenze teatrali d'avanguardia: chi ha qualche familiarità colle recenti for-

REP

ai

ta de tra

Come tale la Duse sembra veramente preludere alle forme più recenti di teatro d'avanguardia, di quel teatro che, scioccamente considerato dagli spensierati borghesi come pazzia di giovanotti sbrigliati e maleducati, rappresenta invece uno sforzo di autocoscienza notevolissimo

ii

Ma ecco spuntar fuori, nel pieno marasma del cosiddetto teatro borghese, Eleonora Duse, che ci fa sospettare che il problema fosse mal posto nel quadro dell’interpretazione e della fedeltà all’opera originaria. Rappresentato da lei, il mediocre teatro di Dumas e di Marco Praga s’eleva, per consentimento generale, sul piano dell’arte. La grande tragica ha dato dunque delle traduzioni che si distanziavano dagli originali letterari al punto da ridurli a semplice pretesto di una nuova, artistica creazione.

AR

e

Verso l'attore creatore

52

Il film

e il risarcimento

suno dei successivi Amleti,

marxista

che hanno

dell'arte

tutt'al più con

lui, vagamente

comune, un soggetto, una materia. Così come non si possono paragonare le varie annunciazioni, e le varie deposizioni delle arti figurative. Il teatro d'avanguardia è dunque venuto naturalmente a riconnettersi

al teatro dell’arte al quale a sua volta può e deve riconnettersi la. nuova forma di spettacolo: il cinematografo. Contro quanto, sia pure prudentemente ha sostenuto il Pudovkin — che il cinematografo debba riallacciarsi al teatro psicologistico di Stanislavski — sta saldamente quanto ha capito, già da tempo, A. G. Bragaglia (Evoluzione del mimo, Milano, 1930) che, proponendosi di

dar qualche araldico blasone di tradizione al film, l’ha riferita al tea. tro della pantomima, rinverdendo perfino di attualità (colla polemica muto-sonoro) la vecchia polemica Angiolini-Noverre, già riesumata, ai suoi tempi dal Rasori (pref. alle Lettere sulla mimica di G. G. Engel).

Morte

del teatro

Ma, l’arte del teatro dell’arte, ahimé, non possiamo che, in qualche modo, immaginarla, dagli informi, se pur attraentissimi, canovacci che ci rimangono e che, proprio perchè presupponevano un'integrazione scenica, non sono arte. E, d’altro canto, la rappresentazione scenica di opere letterarie non ha alcuna, neppure pratica, necessità o utilità da quando esiste la stampa; e nulla ce la fa rimpiangere da quando

na degradato, come negli ultimi singulti, le grandi figurazioni artistiche, al livello dei psicopatici e dei criminali, nel teatro del realismo positivistico. Le molte agonie, le molte facce ippocratiche, le molte morti orripilanti profferteci da Zacconi, dalle tavole del palcoscenico, risul tarono, ai più acuti quali erano, segni di un non trascurabile fenomeno sociale: l'agonia premortale della civiltà demo-individualistica e della sua forma d'arte più cara. D'altro canto lo spettacolo d’avanguardia, lo spettacolo arte-figurativa, troppa ricchezza doveva guadagnare, di mezzi espressivi,

annullandosi

dinanzi

alla nuova forma

d’arte sopravvenuta



colla

quale cercò invano di gareggiare per qualche tempo — il cinematografo: e finì col riadattarsi ai testi scritti. Un tipo dunque di teatro che fa come quell’ipotetico e pazzo scul-

tore che cerca un’imperfezione e uno spazio vuoto

nel michelangio-

sila

(RI

TMT

Regi

nc

wi Mosè, e gli de in testa un vel: l’altro è altrettanto vee di tico, e altrettanto pazzo scultore, che nel Mosè non vede che un bel blocco di marmo a cui si propone di dare una forma da lui immaginata. o Che resta allora? Quetti! ‘rande ed eterna opera di poesia dram-

matica, nelle biblioteche e nello ‘spirito di tutti i galantuomini, e rari documenti

soppiantato

critici e storici dell'evoluzione

trionfalmente

dal film,

di un genere

sopravvive

fortunato cne,

oggi solo

nei paghi

dell’intelligenza e della cultura. Nonostante, diciamo pure, l’esistenza, x) o magari anche il possibile futuro avvento, di qualche glorioso spor stata Giuliano.

SE

Il problema

Arte Unità

e

al

estetico del film

i Dara iP A) TAR

,

del film

dell’arte

Se noi diciamo che un quadro, una sinfonia, una statua, una poesia, un film, un palazzo architettonico sono opere d’arte, riconosci amo in esse, evidentemente, oltre ogni loro differenza esteriore, una comune natura: qualche cosa di intimo e di essenziale, che fa, di cose tanto diverse, una cosa sola: arte. ‘È Che questo comune elemento non sia la fisica materfa è ovvio, non

potendosi certo dire che tela e colori, note, marmo, parole, celluloide, .

mattoni e calce siano materie uguali e nemmeno simili; e altrettant o evidente è il fatto che questo comune elemento non è una -particola re maniera di trattare la materia perchè materie diverse necessita no senza dubbio di diversi trattamenti. L'elemento essenziale di tutte le arti, quello che le accomuna e le fa tali, non è un fatto fisico. Il tanto citato detto di Lessing, per cui Raffaello sarebbe stato un grande pittore anche se non avesse avuto le mani, non è ‘affatto un

iperbolico paradosso che esprima bizzarramente un’ammirazione smaccata, ma è l'affermazione, vivace e assolutamente indubbia, della non

materialità dei fatti artistici. Infatti senza colori, senza pennelli ed anche senza mani, si sarebbe compiuto ugualmente, in Raffaello, quel complicato processo che della sua, come di ogni creazione artistica, è il fattore

essenziale.

Mani,

pennelli,

colori

sono

indispensabili

alla

mate-

riale produzione dei quadri, la cui creazione è presiedut a dalla geniale immaginazione. E tanto vale per ogni creazione artistica e quindi an-

che per i film, se, come ormai tutti convengono, la cinematog rafia è

un'arte

1.

1 Non è quasi necessario aggiungere che il processo creativo non se non per astrazione, disgiungersi dalla esecuzio ne dell’opera.

può mai,

R Ri

N

ST

|

film e

il risarcimento

marxista dell’arte

di AI lume della più moderna riflessione estetica il fattore comune imogni creazione artistica è quel processo spirituale, presieduto dalla e maginazione, per cui una concezione del mondo, nata da complessi, non necessariamente immediati,

precedenti storici, si concreta, attraverso

varie elaborazioni, in una visione particolare, suggestiva, nella sua pregnanza, di universali valori.

In forza dell’identità di questo processo nelle varie manifestazioni artistiche è facile dedurre che l’arte è una; verità niente affatto paradossale, anzi evidente tanto da essere da secoli presente nella coscienza

| di tutta l'umanità, che ha sempre dato il nome di arte a cose tra loro materialmente diversissime. È dunque solo una pratica ed esterna considerazione quella che diversifica l’arte in arti singole, a seconda delle materie e delle tecniche che costituiscono i mezzi della loro fisica produzione.

Limiti

Pali

tra le arti

L)

Il che non vuol dire che non esistano e che non possano indagarsi i limiti che differenziano le arti tra di loro: anzi questa esigenza di co-

sengliere e di circoscrivere quanto c'è. di specifico in ogni arte è tanto Laonuovo un o annunciat fu fa anno qualche che tempi, tita, ai nostri !. coonte e che un saggio con quel titolo è stato pubblicato di recente

il Anche senza scomodare nuovamente Lessing sappiamo tutti che mai Laocoonte scolpito, qualunque sia il suo valore artistico, non potrà tollere), di altissime strida il ciel ferire (clamores horrendos ad sidera sua fula mai placherà non Farnese Toro il che , come quello virgiliano ria impetuosa,

che

il Gallo

Morente

non

rovinerà

mai

al suolo,

che

il

buona pace vibrante Apfoxiòmenos non finirà mai di strigliarsi e che, con di Michedi D'Annunzio, ancorchè nessuno più parli basso, la Notte mai scenderà non e marmoreo sonno suo dal mai langelo non si scuoterà

dal suo giaciglio ai piedi di Giuliano dei Medici; proprio per lo stesso

del motivo per cui il Mosè non rispose al leggendario: perché non parli? suo creatore. Sappiamo che l’Eroica, nata per esaltare Napoleone, non ha portato di quel Fatale, perchè a Beethoven dispiacque che tutt'a un nome il

1932, 1938,

Considerazioni sul romanzo, in Occidente, 1 U. Bagsaro: n. 1; R. ArnHEeIM: Nuovo Laocoonte, in Bianco e nero, n. 1.

Roma, Roma, i

anno anno

I, II,

Soggetto

e sceneggiatura

59

tratto egli si piazzasse una corona sul ciuffo ispirato — rimanendo però

la musica immutata. E si è ‘sostenuto che gli Ugonotti di Meyerbeer si

potrebbero eseguire col titolo: Z Ghibellini di Pisa, cambiando cioè luo80, epoca, ambiente, avvenimenti, personaggi e parole, senza alcun danno per la musica; che il Corale di Lutero potrebbe convenire a qualsiasi culto e perfino che la musica di Jai perdu mon Eurydice, rien n'egale mon malheur potrebbe convenire eccellentemente a fai trouvé mon Eurydice, rien n’egale mon bonheur *. Sappiamo inoltre, e proprio da chi ha negato teoricamente la di-

stinzione e i limiti tra le arti, che la Lalage, che il poeta vide dulce

ridentem, dulce loquentem, non potrà mai in una illustrazione grafica dell’ode oraziana esser determinata e rappresentata solo dalla dolcezza del suo ridere e del suo parlare, ma dovrà assumere qualche forma cor- . porea e visiva ?. E si può convenire sull’impossibilità di riconoscere in un palazzo, o

in qualsiasi altra opera architettonica, l’espressione di un sentimento

particolare: amor filiale, rimorso, odio, desiderio di vendetta. Anche se, per avventura, sapessimo che tali sentimenti hanno albergato nel cuore

dell’artista.

Persino la più distratta osservazione ci porta dunque a concludere che le varie materie e le varie tecniche diversificano le arti singole e stabiliscono limiti tra loro: limiti abbastanza precisi, per i quali può

accettarsi, ancora oggi, la legge formulata da Lessing per cui alcune arti si svolgono nello spazio ed altre nel tempo, e per cui le arti figura-

tive sono coesistenti ed esprimono i corpi mentre la poesia esprime le azioni ed è consecutiva. Purchè si tenga presente che si tratti di limiti puramente estrinsechi

che non toccano la vera natura dell’arte. Questi limiti, a ben considerarli, non sono che la definizione di particolari e specifiche attitudini,

maggiori o minori, alla riproduzione della realtà, sia essa fisica che sen-

timentale o psicologica; quindi,

quando

l’arte era considerata imita-

zione (mimèsi), essi sembravano avere una loro concretezza, e, in quan-

to limiti nella possibile fedeltà di riproduzione, venivano ariche ad es-

sere limiti di valore. Mentre per noi essi rimangono indifferenti alla vera natura dell’arte e del tutto incapaci a fornirci criteri di valutazione. 1 E. ziano

ed.,

HAansLICK:

Il bello

musicale,

a cura

di L.

Rognoni,

10945.

2 BENEDETTO CRocE: di estetica, Bari, 38 ed.

Illustrazioni

grafiche

di opere poetiche,

Milano,

Minu-

in Problemi

SA PZ

PRUNAI

Sf>%

60

Il film

e il risarcimento

marxista

dell’arte

Per cui la recente osservazione del Ragghianti che « una pittura o una scultura non esistono per lo scultore... fulmineamente » e che « l'opera d’arte deve essere motivata, ripercorsa, svolta... e che dunque il tempo, come elemento attivo, come tempo ideale, è presente anche in pittura e scultura... » ! non solo è giusta, ma addirittura ovvia e

pacifica. Graduatoria

tra

le arti

Al canone estetico dell’imitazione ha fatto riscontro un facile metodo critico: quanto più esatta l'imitazione tanto più alta l’opera. E da esso si è vista nascere una graduatoria tra le arti; nella quale, naturalmente, i primi posti spettarono a quelle più ricche di mezzi e quindi più vicine alla realtà nei risultati: il teatro (Aristotele, Hegel) e l’opera (Wagner). E, ancora oggi, il teatro ? o il cinematografo, cioè « l’arte che è succeduta e che sopravviverà a tutte le altre arti » 3.

Capovolgimento

della graduatoria

Ma, come è ben noto, il criterio dell’imitazione è venuto modernamente alleggerendosi in una serie di ripensamenti; scelta dell'oggetto dell'imitazione, scelta di parti belle di più oggetti e così via in modo che l'attributo di bello veniva a spostarsi dalla natura all'arte. Tanto che qualcuno ha affermato che « solo coll’arte Iddio incassa gli interessi della Creazione perchè l’arte gliela ridà più bella » (Hebbel). Sono ben note le vicende storiche di questo concetto, le tendenze al

bello ideale, all’indeterminatezza, all’inespressivo, l’espressione essendo addirittura nella bellezza, per il Winckelmann, l’acqua nel vino. Infine il compito dell’imitazione rimase addirittura alla natura (Wilde) e i paesaggi cominciarono freneticamente a camuffarsi alla Corot. Oggi taluno ha respinto tanto energicamente il vecchio errore della imitazione da rifiutare anche l’imitazione dei sentimenti, e l’espressione che è stata largamente e proficuamente sostenuta come vera matrice del-

l’arte (Croce); di questa teoria alcuni si sono serviti per sostenere una assurda purezza, nella quale le arti, sempre ben distinte tra loro, si sono 1 C. L. RAGGHIANTI: Cinematografo e teatro, Pisa, 1936. S. D'Amico: Il tramonto del grande attore, Milano, Mondadori. 3

V.

PupovKIin:

Film

e fonofilm,

Roma,

Ed.

d’Italia,

1935.

EI

PR

Soggetto

e

sceneggiatura

61

allineate, in ordine di valore, in senso inverso al preceden te e cioè pro‘cedendo con la musica in testa. Costoro come si vede hanno subito malamente approfit tato del giusto e malinteso diritto di sogghignare dei vecchi titoli, commenti e programmi musicali, verbigrazia della Sesta, in cui si spiegava: questo è il cuculo, questo l’usignolo, e del diritto di restare sovrana mente indifferenti al problema se la nuda o la vestita nel celebre quadrone del Tiziano simboleggi l’amor sacro, o viceversa quello profano, o se il controverso soggetto del dipinto non sia Venere che induce Medea a fuggire con Giasone. L'arte, meglio sarebbe dire la non arte, che si è così vagheggiata e prodotta, nella sua aspirazione alla purezza formale, indipendente dalla

riproduzione

della realtà,

ha

finito col diventare

indipendente

di realtà

essa stessa; e, cercando di produrre sensazioni squisite e sottili, eternamente negate ai filistei e ai borghesi, ha dell’arte sopravv alutato l'aspetto sensorio, cioè materiale e antiartistito. Così deliziosi trastulli, le evane-

scenze, la purezza e tutte queste belle cose (les sens trop precis rature ta vague litterature) si configurano ai nostri occhi come una tendenza

tecnicistica, e quindi materialistica, più o meno evidentemente legata alla filosofia positivistica. Cosa che stupirà i poetuzzi e gli estetuzzi di . oggi che quando stanno all’osteria non si accorgono di stare nella storia. Abbiamo riletto, proprio in questi giorni, la tesi di fulmineo acume di De

Lollis,

che considerava

uno

dei Santi Padri

del formalismo,

Baude-

laire, come il poeta del positivismo. « Formalismo teorico positivista » chiama anche lo Schlosser ! l'estetica del Berenson che ha sostenuto la distinzione nelle arti figurative tra illustrazione e decorazione e stabilito che solo nella seconda si affermano quei valori tattili che costituiscono l'essenza della visione artistica. Questa dottrina è stata, almeno parzialmente, seguita, in Italia, da Lionello Venturi, e da Emilio Cecchi e sembra che ormai il Berenson prudentemente la rifiuti e quasi la rinneghi attribue ndone la sua precedente formulazione a un bisogno pratico, particol are, locale e contin-

gente di reagire alle tendenze /etterarie della critica figurati va anglo-

sassone ?. Come se nel pensiero estetico e filosofic o avessero far valere moventi così diplomatici e politici! 1 G.v. SCHLOSSER: Xenia, Bari, Laterza. 2 B. BERENSON: Verrocchio, Leonardo e Lorenzo d’arte, etc., 1933.

di

Credi,

in

diritti da

Bollettino

62

|

Il film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

Le teorie del Berenson furono molto felicemente e opportunamente

messe a riscontro con.le ideologie della « visione a distanza » dei cosiddetti teorici della « pura visibilità » (Fiedler, Hans von Marées, Hildebrandt),

e con

gli

stilistico-formalistici

schemi

del

Woellflin

in cui

il

tecnicismo si appoggia ad una presunta evoluzione storico-artistica.

Queste dottrine e questo largo movimento di idee, alla divulgazione

del quale in Italia hanno contribuito anche Lionello Venturi e il Maran-

goni, sono stati dal Liuzzi, che si è rifatto all’Hanslick, applicati anche

alla musica e dallo Spoerri e da altri alla letteratura *. Tanto giustifica e spiega benissimo certe forme di pseudo-arte modernissima : quella co-

siddetta formalistica in cui la pittura si riduce a disegno, colore tono, la musica a melodia e armonia, la poesia a metrica. Il cinematografo,

superato l'equivoco,

su cui avremo

occasione di

tornare, che lo considera un meccanico e troppo perfetto mezzo per riprodurre la realtà, l’unica volta che è stato difeso e sistematicamente considerato als Kunst ?, è stato valutato da un punto di vista tecnici | stico formalistico di origine psicologica e, in certo qual modo, affine alle tendenze di cui sopra. E la tesi, insostenibile, è stata esposta in maniera intelligente, coerente e brillantissima con una ricca messe di osserva-

zioni alcune delle quali utilissime e addirittura preziose; tanto è vero che, come volevano gli antichi logici, ex falso verum et falsum.

L’Armheim sostiene che i mezzi del cinema lo rendono solo parzialmente adatto alla riproduzione della realtà; imperfezioni tecniche che sono il campo in cui si deve esercitare ed esplicare l’artisticità del regista creatore: esse costituiscono i fattori formativi del film, cioè i precipui strumenti dell’investimento della forma cinematografica. Questi fattori sono: la proiezione dei corpi in superficie, la limitazione della profondità spaziale, la mancanza dei colori, l'abolizione della continuità spaziale e temporale, l'abolizione del mondo sensorio non ottico. Tutte queste imperfezioni, nell’intenzionale impiego, da parte del regista, gli consentono

di attingere,

nel film,

valore

artistico.

Tale teoria, corredata da indagini minuziose e spesso acutissime, ha esercitato ed esercita tuttora una notevole influenza sui giovani, sì

che da essa sono nati i valori differenzianti dell'involuto Spottiswoode e 1 TH.

SPoERRI:

Renaissance

und

Barocco

bei

1922. 2 R.

ARNHEIM:

Film

als

Kunst,

Berlin,

1932.

Ariost

und

Tasso,

Berna,

Soggetto

e sceneggiatura

63.

le recenti variazioni e rielaborazioni del Groll e parzialmente del Rehlinger ?. In sostanza mentre per gli uni e fino ad un certo segno le arti sono tali in quanto riproducono la realtà, fisica o psicolo gica che sia, nono-

stante i loro limiti e in proporzione inversa ad essi, per gli altri esse sono tali proprio a causa di questi limiti e quindi in proporz ione diretta. E il grado di maggiore o minore naturalismo è, in entram be le teorie, in

senso positivo o in senso negativo, il metro critico fondamentale in base al quale è possibile valutare le arti e le opere e stabilire tra loro graduatorie di valore. Matteo Marangoni, che ha voluto volgarizzare la dottrina della pura visibilità, ha infatti dichiarato in tutte lettere l’assurda tesi che quanto più lontana dalla realtà è un'opera più è bella artisticamente. i Le due posizioni sono per noi da rifiutare, perchè, come sappiamo, il grado di naturalismo raggiungibile dalle arti dipende da fattori materiali e tecnici che non ne costituiscono in nessun modo. l'essenza e il valore.

Contenuto

e forma

Le due posizioni antagonistiche di cui si è discorso si superano facilmente coll’affermare quella vecchia verità, tanto spesso ripetuta, che nell’arte contenuto e forma si fondono e forman o un tutto inscindibile.

Tra le difficoltà mosse all’estetica di Croce va ricordato un articolo,

più volte ripubblicato, di Lionello Venturi nel quale il critico torinese paragonava due coppie di opere di soggetto uguale, il Martirio di Santo Stefano di Gustavo Doré e del Francia e la Cacciat a dal Paradiso di Gustavo Doré e di Michelangelo. Il ravvicinamen to di quelle figurazioni, coll’evidente maggior valor artistico di quelle del Francia e del Michelangelo rispetto a quello di Gustavo Doré serviva al Venturi a spezzare una lancia in pro della pura visibilità, sia pure come schema di

comodo ?. Il disegnatore francese sarebbe un illustra tore, i due grandi maestri due decoratori. E al di là della fabula de effectibus egli dopo

aver proposto la fabula de lineis et de coloribu s inclinava a vedere nei 1 G.

GER:

GRoLL:

Film,

die

unentdechte

Der Begriff « filmisch », Marburg,

2 L.

VENTURI:

Pretesti

di critica,

Kunst,

Berlin,

1937;

1939. Milano,

Hoepli,

1929.

Bruno

REHLIN-

e il risarcimento

Il film

64

marxista

dell'arte .

due maggiori artisti quello che Croce ha chiamato il carattere di totalità

| nelle opere d’arte.

È in un senso simile che la non peregrina proposizione che noi ab-

biamo fatto all’opera d’arte —

nata da complessi

una visione del mondo,

fattori storici, che si attua attraverso varie elaborazioni in una visione particolare, ma suggestiva, nella sua pregnanza di universali valori — viene a prendere il suo significato più pieno. La visione particolare sarà il soggetto inteso nel suo senso più stretto: cacciata dal Paradiso, martirio di Santo Stefano. Ma la visione del mondo di Francia e quella d: Michelangelo non ci son date nella illustrazione del Doré tutto intento

al particolare racconto che ci suggerisce. Analogamente possiamo mettere a raffronto due poesie : Dolce

E

e

quieta

Posa

la

chiara

sovra luna,

la

notte

e

senza

vento,

i tetti e in mezro e di

lontan

agli orti

rivela

Serena ogni montagna...

e l’altra: Guarda che bianca luna Guarda che notte azzurra Un'aura non sussurra Non tremola uno stel...

Abbiamo due poeti, uno grandissimo ed uno piccolo piccolo, che dicono la stessa cosa: il soggetto di queste due strofe è quasi identico. Eppure non è chi non senta che, al di là della prima descrizione di quella

quiete

serale,

c'è

il senso

della

terribilità

della

natura

e del

dolore universale.

La graziosa strofetta del piccolo Vittorelli si esaurisce nel pettegolio dei due « guarda-guarda », con quel generico « bianca » e la frivolezza

delle rime « azzurra-sussurra » e del tremolio: onomatopeie addirittura per esprimere tremolii

e mormorii che non ci sono; nella scenografia da

piccolo teatrino con colori a grandi contrasti, notte azzurra - bianca luna,

niente di vero o di autentico oltre l’effusioncella del poeta in un mondo di passioncelle, di dispettucci, augelletti, amoretti, ariuccie, tre-

molii, sussurri. Nell’analisi ritmica proposta da Gino 1 Gino FERRETTI: L’'Infinito di Leopardi in Rivista d'Italia, Milano, 1937.

Ferretti dell’Infinito ® leoe la poesia

come

onomatopeia,

Soggetto

pardiano vediamo diventare poche modificazioni; Cara

e sceneggiatura

il primo

sempre

mi

fu

65

verso

decisamente

questa

collina

Vittorelli con

o D'Annunzio: Caro

sempre

mi fu questo

colle ermo.

Stesso soggetto, stessa visione particolare, ma ben diversa visione del mondo: graziosa e leziosa nel Vittorelli, sonora e insincera in D’'Annunzio, sovrumanamente desolata in Leopardi. Dov'è la poesia? Forse nella imifazione, o nella forma? O non piuttosto, come tutti sanno e tutti in fin dei conti dicono, nella somma di questi due precedenti che, si badi, esprimono « tutto l’umano destino,

tutte

le

speranze,

le illusioni,

le gioie,

le grandezze

e le

miserie

umane » 1?

Così noi possiamo convenire che l’analisi data dal Freud del Mosè

di Michelangelo ? ci illumina particolarmente sul soggetto, ci dà il preciso stato d'animo del grande personaggio michelangiolesco, e possiamo anche ammettere che l’analisi formalistica che gli ha opposto

Barna

Occhini ® ci illumina circa il partito plastico trattone da Mi-

chelangelo; ma

la più piena e sottile penetrazione

dell’opera ci dovrà

dare la visione del mondo del suo autore; quella che per altro è nella coscienza di tutti, che usano con un senso assai chiaro l'aggettivo: michelangiolesco. Al di là di quanto il poeta ci racconta e al di là del modo con cui ce lo racconta, al di là, per dirla con Vitruvio, del quod significat c'è il quod significatur. Che è l'essenza vera dell’arte.

La tecnica e i valori formali

Da quanto abbiamo detto resterà sufficientemente approfondito il concetto di tecnica come complesso di mezzi specifici di ogni singola opera colla quale essi fanno un corpo perfetto. La tecnica non può essere 1 B. Croce: I! carattere di totalità nelle opere d'arte, in Nuovi ‘saggi di estetica, Bari, Laterza. ? S. FreuD: Il Mosè di Michelangelo, Roma, Cremonese. 3 BarNnA OccHINI: in L'arte.

660

I

film e il risarcimento

marxista dell'arte

separata dalla creazione, estratta dalle opere, codificata, appresa, ripetuta, come vorrebbero i retori e i grammatici, che già cominciano a infuriare anche nel campo della cinematografia. Ripetendo il fenomeno

ben conosciuto nella poesia che non si costruisce o produce in base a precetti linguistici o metrici. Per portare un esempio del Vossler, che da anni si è applicato a sfatare questi errori rispetto alla linguistica, diciamo che il verso sintatticamente più giusto: Maître

Corbeau

perché

sur

un

arbre,

| perde enormemente di valore rispetto a: | Maîftre

Corbeau

sur

un

arbre

perché

Dove « in virtù di un’inversione sintattica la posizione del corvo appare più alta » !. i Anche la sopravvalutazione della tecnica è da mettere in conto dell'estetica dell’imitazione. In essa la tecnica, volta a fornire mezzi sempre

più adeguati alla riproduzione della realtà, determinerebbe, nel suo progredire in questo senso, un progresso dell'arte. Il Vasari infatti, per il pieno possesso raggiunto ai suoi tempi da parte dei pittori delle conoscenze anatomiche e della prospettiva, cioè di due strumenti atti a dare alla riproduzione pittorica dell’uomo e del mondo una maggior fedeltà, ha potuto credere allo sviluppo progressivo dell’arte, e considerare i suoi contemporanei, e magari anche se stesso,

al culmine della perfezione artistica. Mentre oggi non c’è babbeo che non sappia che Giotto, Stefano, Simone Martini, Giuliano da Rimini e Vitale da Bologna si mangiano a pranzo, a cena e a colazione, come suol dirsi, molti manieristi fiorentini del cinquecento. Nel capovolgimento della teoria è nato il gusto dei primitivi, in taluno, a dire il vero, non altrimenti motivato che da quella che un

tempo appariva primitività e imperfezione tecnica e che col criterio inverso diverrebbe evoluta indifferenza al soggetto. Tanto è vero che molto spesso oggi si confonde la loro grandezza colla balbuzie di qualche moderno babbilano. Mentre la maniera formale di quei primitivi è perfettamente adeguata alla visione trascendente che essi avevano del

divino. 1 K. VossLEr: Laterza. .

Positivismo

e idealismo

nella scienza

del linguaggio,

Bari,

Soggetto

e sceneggiatura

:

67

Non è accettabile la tesi crociana che nega la possibilità di una storia dell’arte pur essendo giustissimo aver sfatato gli illusori concetti di origini, sviluppo, decadenza di essa. Se si accetta che la vera essenza

dell’arte sta nella visione del mondo, nel suo carattere di totalità, bisognerà respingere il criterio individualistico che pretende imporre limiti

monografistici

alla storia artistica e che considera

per di più le opere

come orti conchiusi, indipendenti e come monadi senza finestre; opere

che poi, esse stesse, andrebbero frantumate in parti positive e in parti negative, rifiutando queste e accettando quelle come stille preziose di liricità, nate da una puntualizzata ispirazione o illuminazione.

Il processo di creazione artistica comporta un complesso lavoro di elaborazione attraverso il quale il contenuto esterno, il soggetto e gli

altri fattori pratici, si affinano e si consustanziano colla forma invenuta, che contiene la più profonda realtà spirituale, la significazione più vera : la pienezza del mondo dell’artista. Soggetto, mezzi di espressione e mondo poetico, l'artista non li trova certamente belli e fatti fuori di sé; ma bisogna pur ammettere che essi germinano in lui da tutta una serie di complessi e complicati fattori storici.

Se tanto è vero, comincia ad essere urgente un nuovo esame delle

possibilità di una storia dell’arte; ed accettare che « i poeti, autonomo ognuno e raggiante di propria luce, vogliono esser pur veduti nelle costellazioni in cui naturalmente figurano all’occhio ‘mortale, vogliono essere considerati » 1,

Quando noi diciamo: poeti del dolce stil nuovo, laghisti inglesi, de-

cadenti francesi, romanzieri russi dell'ottocento, oppure pittura del trecento, fiorentina, senese, riminese e, ormai anche, borghese o del NordItalia, non ci rifacciamo a qualche cosa di astratto o di puramente intellettualistico, ma a qualche cosa che già caratterizza e individua gli artisti per certi tratti, anche dal punto di vista più interno, comuni, o per lo meno interdipendenti e connessi. Non sarà certo per caso che nella pit-

tura veneziana prevale il colore e in quella fiorentina il disegno, che la Divina Commedia è scritta in terzine, l’Orlando in ottave o che il Car-

ducci ha vagheggiato una metrica in cui i tempi riprendono valore sull'accentazione. E nemmeno Garrick ha creato una maniera di recitazione che fu detta maniera inglese e che si distingueva benissimo da quella della Comédie Frangaise e da quella della Comédie Italienne; e nem1 K.

VossLER:

Leopardi,

Napoli,

Ricciardi.

-

68.

Il

film e il risarcimento

marxista

dell'arte

meno ancora che esiste nel cinematografo una tendenza per il montaggio alla russa, o per la fotografia all'americana *. La possibilità di ritrovare il linguaggio proprio autore

ha,

nella

cosiddetta

critica

attribuzionistica,

di ogni la

sua

più

singolo palese

manifestazione; mentre l’altro metodo che vuol ignorare il complesso di

precedenti e dati storici porta a tutti gli errori di comprensione e di valutazione, e in particolare a quelli delle attribuzioni sbagliate. Errori, sia detto tra parentesi, niente affatto caratteristici ed esclusivi delle arti figurative (e nemmeno, come si sente dire, della speculazione antiquaria spesso costruita su di esse) ma di tutte le arti. I buoni intenditori sanno

bene, per citare un esempio vicino e il primo che mi venga alla mente, che persino la edizione Le Monnier delle poesie del Foscolo ne portò alcune che non gli spettavano affatto e che furono espunte da Giuseppe Chiarini. Si pensi per le arti figurative all’opera, altissima, di Roberto Longhi, e, per la musica, alle dotte e acute revisioni e scoperte del

Torrefranca. Se chiedete a uno sventato ragazzo di scuola media chi sia l’autore di questi versi: Già vinta dell'Inferno era la pugna E lo Spirto d’Abisso si partia Vuota stringendo la terribil ugna.

egli vi dirà forse che è Dante; e vi dirà magari anche che è Leopardi

l'autore di: ... e quella pace e questo rifulger delle stelle di tra i rami e le foglie al mio irrequieto animo

comparavo...

Mentre queste non sono che le eleganti, e squisite se volete, esercitazioni di Vincenzo Monti e di Corrado Pavolini. Possibili solo per l'indifferenza e il formalismo dei due valenti letterati che le hanno confezionate. Certo il piccolo ginnasiale cne commettesse un così grossolano errore difficilmente ne intenderebbe la portata; come

quei benpensanti che non

si spiegano perchè il Dossena e il, diciamo coraggioso, autore delle Memorie di un fabbricante di quadri antichi, I. F. Ioni, non siano affatto degli artisti; perchè « un falso Ruysdael tanto più sembrerà Ruysdael 1 R. LoncHI:

Officina ferrarese,

Roma,

Edizioni

d'Italia,

1934.

Soggetto

e sceneggiatura

69

tanto meno varrà », nè perchè « un quadro creduto del trecento, e perciò stimato da tutti un capolavoro, perderà buona parte del suo pregio se scoperto posteriore di un secolo alla data che gli si assegnava » !.

Evoluzione delle forme

Non si deve credere che si possa rivestire un contenuto originale di forme già trovate; un’antica sapienza insegna che non si può mettere il vino nuovo nelle vecchie botti, ed è stato più volte contraddetto il ca-

none estetico che proponeva: Sur des pensers nouveaux faisons des vers

antiques. Anche se quel canone, dello Chenier, si è creduto talvolta applicato da veri poeti, il Foscolo ad esempio, la cui poesia fu paragonata (Turri) ad un'anfora greca che contenga un'essenza moderna. Ma l'essenza mo-

derna non può rispettare la fragile beltà della forma antica, come il tem-

po, nella poesia

della Brunamonti,

rispetta quella della tazza etrusca.

Nei nuovissimi ritmi leopardiani la canzone petrarchesca si schiantava e

ricreava totalmente diversa. Così Michelangelo da Caravaggio « con inaudita stravaganza » (Bellori) rifiutava di copiare le antiche statue e di studiare Raffaello, contentandosi di guardare i suoi straordinari zingari,

bari, musici; e i coscienziosi Carracci,

mie, non hanno

colle loro enormi

accade-

certo diritti da far valere di fronte a quel prodigioso

rivoluzionario di genio, L'esperienza e la riflessione estetica ci dimostrano che esiste tuttavia, per materiale e ideale vicinanza, assai di frequente un mondo poetico affine in diversi artisti, e, in conseguenza

di ciò, un simile impiego

di mezzi espressivi; sì che si creano quelle parentele ideali che si conoscono nell’arte e che talvolta prendono addirittura la forma di vere e proprie scuole. Uno stretto legame lega ogni artista al suo tempo,

non in quanto egli ne sia o ne debba essere l’interprete, come spesso si

dice e come spesso si pretende dagli artisti, ma per il suo preludere e. anticipare il tempo prossimo; per questo gli artisti sono, il più delle vol-

te, inattuali, per questo virtù viva spregiam lodiamo questo ancora i poeti son chiamati talvolta vati. 1 PETRACCONE:

Luca

Giordano,

Napoli,

Ricciardi.

estinta,

e per

“70

Il film e il risarcimento marxista

dell'arte

Questo legame col tempo degli artisti determina un evolvere della tecnica: abbiamo visto infatti dai pittura arricchirsi di mezzi atti. ad | quell’evoluzione formale, se è vero tenuto e si ‘adegua perfettamente

primitivi al Vasari il mestiere della ottenere un maggior naturalismo. Ma che la forma è determinata dal conad esso, corrisponde all'evoluzione

sociale, politica e filosofica. Nel caso Giotto è più grande del Vasari, ma la più ricca tecnica di questi corrisponde a un più moderno pensiero : un pensiero, come si sa bene, che dà all'uomo una più importante parte del mondo, mentre ne assegna una molto più limitata al trascendente. Che se poi un grande artista, il Beato Angelico ad esempio, se ne sta fermo alla mitologia cristiana e al mondo medioevale, negli impetuosi albori del rinascimento, egli apparirà quasi un ritardato della tecnica in confronto a Masaccio, a Piero e magari anche al più prossimo Masolino e a quel Paolo Uccello, pazzo per la dolce prospettiva (anche se favoletta, la notizia vasariana, come dice il citato Schlosser, « nasconde un po’ di genuina historia altera ») al punto di dimenticare di andare a dormire con la moglie. E dinanzi al Beato Angelico apparirà rinascimentale persino Giotto. | La personalità geniale ed enorme dell’artista non dovremo dunque più considerarla come una vetta, isolata assurdamente, come in un paesaggio lunare o come un’amba abissina che sembri indipendente da un. sistema di altipiani e di catene, ma come un punto di congiunzione che assomma i suoi precedenti e che si proietta nel futuro dei seguaci e dei successori. Il mito delle partenogenesi artistiche è del tutto illusorio e i Velasquez e i Le Nain e i Rembrandt non sbucano fuori come funghi dopo la pioggia; la recente critica colla scoperta e rivalutazione del primo seicento italiano, per opera di Roberto Longhi, ha mostrato l’anello di congiunzione della pittura, che per tre secoli era stata tutta e solo italiana, col Nord e colla Spagna da dove è passata in Francia, nei peintres de la réalité, fino all'ultima pagina gloriosa dell’impressionismo. In certe recenti polemiche contro l’arte moderna e i pittori infranciosati, non è intesa, mi pare, la necessità, per riallacciarsi alla grande tradizione, di ripercorrere, senza soluzioni di continuità, il cammino. Assai tipico, in questo senso, sembra il caso di Carrà.

Soggetto e sceneggiatura Collaborazione

71

artistica

« Una forte persona artistica » dunque sa crearsi attorno « quella congruenza di aspetti, che diviene pi per diffusione, quasi uno spiro locale » 1, Ì

Questo rapporto tra l’artista geniale e la sua scuola è indubbiamente una forma di collaborazione; e nel promotore naturalmente si

fondono e si sommano lontani insegnamenti e lontane influenze. Un moderno

scrittore,

il Lion 2, ha

sostenuto

una

acuta,

benché

non

sistema-

tica, teoria dell’arte, basata su spazi, tempi, strati e tessuti, che, a parte la bislacca terminologia, conferma in pieno questa tesi. L'arte non solo

può esser frutto di collaborazione,

ma,

almeno

in questo più largo

e indiretto senso, non può non esserlo,

Se tanto è vero viene rimosso uno dei più frequenti ostacoli che si suole opporre al film e che vieterebbe di considerarlo arte e cadono le inutili ricerche, care a certe mentalità oltranzisticamente individualistiche, per definire l’autore del film. Ricerche che, affermando autore il

regista, sboccano nella negazione dei valori fotografici, di recitazione, di soggetto, di dialogo, di scenografia, musica, etc, e non sono Conan giu-

stificabili in alcun modo ?, A questa stregua, non si capisce perché la negazione non debba estendersi all'architettura (nel palazzo Farnese come è noto collaborarono Sangallo e Michelangelo), al teatro, all’opera, ai quadri di Verrocchio e Leonardo e a tutta quella pittura in cui un artista dipingeva le

figure ed un altro il paesaggio e di cui un esempio può essere /l Doge Enrico

Dandolo

e i Crociati nel quale collaborarono Carlo Saraceni e

Giovanni Le Clerc (Palazzo Ducale di Venezia). E non ci venga a dire il Collina che in ogni opera di collaborazione pittorica non si riesce ad identificare le parti spettanti alle due diverse mani; perchè in questo modo egli non fa onore alla sua preparazione e alla sua capacità di critico da un canto, e viene per di più ad affermare, contraddittoriamente alla sua stessa tesi, che in quelle opere si raggiunge una unità inscindibile. Unità che si raggiunge infatti, anche se i critici più acuti e più preparati sanno sempre distinguere i tratti spettanti alle persone artistiche collaboranti. 1 R. LoncHI: Lezioni di storia dell'arte, Bologna, 2 Lion: Il segreto dell’arte, Milano, Bompiani. 3 Cfr. gli scritti di CoLLINA, ConsIGLIO, PAVOLINI,

1934-35. ecc,

ecc.

72

Il film e il risarcimento marxista dell’arte

Contro questi individualisti si può opporre ancora quello che tempo fa scriveva, piuttosto pittorescamente, il Prezzolini ! che un artista non dovrebbe mai dire « ho creato » ma «si è creato in me ». Verità

che affermò anche il Gobetti quando ? intravvide la « storicità dell’immaginazione ».

La fusione

di più tecniche

Non solo l’ideale collaborazione, al di là degli spazi e dei tempi, ma anche l'immediata e diretta di più artisti è possibile per la creazione di un’opera sola. Inoltre se l’arte è una glie, sia pure in seguito ad un complesso cretano nelle sue intrinseche necessità, (Croce), nulla si oppone alla fusione di

e nella sua attuazione si scedi fattori storici, che si coni mezzi che le convengono più tecniche quale si verifica

nella scultura dipinta dei primitivi o nella scultopittura di Arkipenko e, per far esempi meno ostrogoti, nel non nuovo teatro e nel nuovis-

det n"d

simo

cinematografo. E anche su questo punto possiamo citare l'autorità estetica, non certo sospetta di tiepido individualismo e di scarso rigorismo del Croce, il quale, nel suo già citato Intorno alla illustrazione grafica di opere poetiche afferma che poesia e illustrazione grafica possono fondersi e integrarsi a vicenda quando ci sia affinità e stretta collaborazione tra

sel E

poeta e pittore, quando cioè essi tendano ad esprimere un mondo comune.

Parole

e illustrazione

grafica

in quel caso

si completano

e si

arnie dr

i

renga ai ara

integrano a vicenda e fanno un’opera sola.

Foo

SS SÈ

Questo caso per certe arti può considerarsi piuttosto eccezionale, ma per quelle alla cui formazione concorrano più tecniche, come il teatro e il cinematografo, è, e deve essere, la regola. I formalisti, cne hanno distinto le arti per la diversità dei loro mezzi espressivi e tecnici, tendono naturalmente a negare la possibilità della fusione di più tecniche. Ed ecco l’Arnheim farsi a negare, in un suo recente saggio (Nuovo Laocoonte) il film sonoro, per l'impossibilità in

esso della fusione dell'immagine colla parola e con la musica. Impossibi1 G. PrEzzoLINI: 2 Piero GosETTI:

Studi e capricci sui mistici tedeschi, La frusta teatrale, Torino.

Firenze,

La

Voce.

.

I E

Soggeito lità che, secondo

lui, mina

e

EE

e sceneggiatura

tutto il teatro d’opera,

sa

i

MRO

Sig

I

ara

E

x



73 che in un certo senso

costituisce il precedente del fonofilm. Nell'opera la musica prevale sulla parola la quale dunque è inutile e addirittura dannosa, così come nel fonofilm l’immagine prevale sulla parola e sulla musica le quali sono dunque inutili e dannose. L’Arnheim però ammette che, talvolta, una perfetta fusione si è avuta, per esempio, in Wagner, tra parola e musica; il che basta alla nostra tesi, anche se egli si affretta ad aggiungere che però la fusione è una fusione di lirica e drammatica; che sarà pure vero, come è vero che lirica e drammatica si fordono benissimo nella Divina Commedia, nel Faust, nell’Amleto e nel Don Chisciotte senza che questo ci permetta di inferirne alcuna impurità di quei capolavori. Che se poi si volesse cercare una simile fusione sul piano lirico, accettando questa non motivata ripresentazione dei generi già defenestrati (Croce) e che pure qualcuno ha tentato di far riapparire (Gentile), aggiungiamo che, nella canzone, musica e parole si fondono sul piano lirico, come pure sul piano lirico si fondono, se vogliamo prendere un'opera, sia pure essa un po’ sui generis, nel Pierrot Lunaire di Schonberg.

La vera e pretesa impurità

del teatro

Che il teatro sia affetto da ineliminabile impurità ce l’ha dichiarat o in tutte lettere un suo amatore appassionato, Silvio D'Amico, il quale non si rassegna a considerare teatro lo spettacolo il cui valore sia solo figurativo e il testo serva solo come precedente artistico, canovacci o e pretesto; e che d’altro canto non si decide a considerare il teatro un genere letterario compiuto in sè e non biso:noso di alcuna integrazi one scenica.

Il teatro che pretende di interpretare i testi e di riprodurli si dibatte in una contraddizione che la recente estetica ha messo in chiaro definitivamente adeguando gli spettacoli a traduzioni e a variazioni con tutto il

loro torto riconosciuto ed anche, se si vuole, con tutta la loro pratica utilità. C'è chi preferisce leggere / fatti di Enea di Frate Guido da Pisa all’Eneide, ed è innegabile che, a certi bambini, quella lettura può servire come utile propedeutica per l'apprendimento della lingua dell'originale virgiliano. Benchè, diciamo pure, sia poco facile trovare de-

ARA

74

Il film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

gli Amleti rappresentati che stiano a quello scritto, che è il solo Amleto dell’arte, come la prosa del fraticello da Pisa sta al poema virgiliano. Il teatro moderno poi, quello che considera i testi come pretesti per lo spettacolo, a parte qualche glorioso tentativo, sembra non incontrare il gusto dei pubblici impreparati e la sua labilità e i molti inconvenienti

che limitano la sua diffusione, assai bene messi in luce nel primo capitolo de L'attore nel film di Pudovkin, ne fanno spettacoli veramente d'eccezione. Essi vanno considerati come l’abate Galiani voleva sì considerassero le traduzioni, dimenticando che esse son tali, dimenticando cioè l’esistenza di un testo originale. E la riesumazione di questa felice intuizione del prestigioso abatino settecentesco valga a contraddire ancora una volta ‘chi crede che la negazione della possibilità del tradurre

sia frutto cervellotico di una estetica moderna destinata a passare rapidamente. - Il teatro d'avanguardia, che si ricollega alla vecchia e gloriosa com-

media dell’arte per la necessità, insita nello spettacolo di oggi, di rendere la complessità della vita attuale, si è trovato, come io ho mostrato altrove

con una certa copia di esempi, a competere e a rivaleggiare col cinematografo: per fare il che con qualche possibilità di successo deve ricor-

rere a palcoscenici girevoli, ascensori, illuminazioni speciali e infine alla | collaborazione stessa col cinematografo. Il quale naturalmente finirà, se pure non si vuole ancora concedere che il processo è già avvenuto, e sia pure per motivi di pratica utilità, coll’assorbire la più imperfetta forma teatrale. ‘ Che il teatro interprete abbia valore critico non può esser accettato in senso rigoroso; si tratterà tutt'al più di un vago atteggiamento critico

con pretesa artistica; nessuno cercherebbe motivi critici per meglio intendere la Gioconda leonardesca nella poesia che a quel quadro ha dedi-cato una volta D'Annunzio, nella quale si parla di paese irriguo, di essere ambiguo, di anima con le labbra, di labbra con un sorriso esiguo e di altre cose strane che qualcuno può, tutt'al più, scambiare per immagini poetiche, ma non certo per critica. Ma, se anche è pacifico che l’attività critica è fondamentalmente artistica, resta tuttavia sacrosanto che: « Se si potesse ridare in parole

quello che c’è di più profondo in un'opera d'arte, l’arte sarebbe super-

suit

net Ènu

AR

Soggetto

e sceneggiatura

vi

flua, e l’opera in questione se ne sarebbe potuta rimanere non costruita, non scolpita, non dipinta » (Burckhardt).

La

presunta

mectanicità

del cinematografo

La contraddizione in cui si dibatte il teatro alla quale s’è di sopra . accennato, il cinematografo la elimina semplicemente per la sua stessa natura. Esso è immune dagli scogli dell’interpretaz ione ed è libera ed autonoma creazione in tutte le sue fasi, cne debbono essere considerate come successive elaborazioni della materia, compiute da un complesso collaborante al conseguimento dell’unità dell’opera.

Poichè abbiamo visto che niente si oppone ad un’arte in cui più

tecniche convergano e che sia frutto di una plurale creazione, non rimane ormai che eliminare l’ultima e la più grossolana delle obiezioni contro l’arte del film: quella che sostiene che esso si servireb be di mezzi meccanici e tali quindi da non poter mai produrre arte. Questa obiezione nasce dall'equivoco del considerare macchine quelle che concorrono alla produzione del film: macchin a da presa, apparecchi da registrazione sonora, macchinari di stampa e sviluppo. Ma questi invece non sono macchine, sono strumenti : lungi cioè dall’avere automatismo e indipendenza, e lungi dall’asservire quindi a sè gli uomini che li manovrino, sono sempre soggetti alla volontà creatrice di essi.

È chiaro che una punzonatrice

forerà la lamiera a intervalli di

tempo uguali e in cerchi inesorabilmente equidistanti e della stessa grandezza : l'operaio che l’aziona non ha che da spostare una leva per metterla in moto e per arrestarla, e il suo intervento non determi na affatto

la qualità dei buchi. Così come la bullonatrice stampiglia, uno dietro l'altro, una serie di bulloni uguali, indipendentemente dall’int ervento

dell’uomo che la sorveglia. Venti uomini alla stessa macchin a, come è naturale, produrranno un uguale lavoro. Ma venti uomini, muniti di una macchina da presa, che riprendano una stessa scena, daranno risultati diversissimi l’uno dall’altro a seconda delle loro diverse mentalità,

stati d'animo,

prosa non

volontà,

è dunque

capacità

una

espressive,

macchina

intenzioni.

e, se vogliamo,

La

macchina

possiamo

da

meglio

chiamarla camera. Piegata alla creatività dell’uomo la camera, come gli altri strumenti

“im

Il film

76

e il risarcimento

marzista

dell’arte

del film, è dunque in tutto equivalente alla stecca dello scultore e al pen-

nello del pittore, come hanno già detto Giovannetti, Arnheim, Marga6 donna e molti altri*. Alla, piuttosto balorda, idea della meccanicità della produzione cicinenematografica si deve anche l’altro diffuso equivoco per il quale il anche magari o e, industrial un'arte industria, matografo sarebbe una sia un'industria artistica. Queste sono idiozie di chi non sa che cosa arte

e che

crede

ciecamente

che

oeconomicus,

nell’homo

è una

strana

astrazione secondo la quale gli uomini sono esseri unicamente fatti per e produrre e scambiarsi prodotti. Secondo questa materialistica concezion ogni cosa vale, naturalmente, in proporzione all’utile che se ne può ricavare,

misconoscendosi

così

ideali ed i valori

tutti i valori

artistici:

stregua anche il film diviene così un prodotto industriale valutabile alla ricavare. può ne se che profitto il secondo cioè e altri gli tutti di Criterio che genera gravissime confusioni nell’apprezzamento delle mo opere è quello che demanda il giudizio al pubblico. Il quale spessissi nella pubblico il è che e astrazion a quell'altr di migliore è e si dimostra il convinzione dei produttori cinematografici i quali gli attribuiscono i peggior gusto e gli istinti più bassi.

Prodotto industriale era il film nei primissimi tempi della sua sco-

possiede perta quando non aveva affatto l'autonomia espressiva che di oggi e quando era spettacolo più che altro per la meraviglia tecnica delle za persisten della fenomeno del one una così interessante applicazi alla immagini nella retina capace di creare l'illusione del movimento i proiezione di una serie di fotografie. In quanto tale, in quei primissim proiettori di fabbriche stesse dalle anni di vita, il film veniva costruito un come elemento indispensabile allo smercio di essi; e dunque neanche prodotto, ma un sottoprodotto industriale ?.

Che il film sia un’arte e non un prodotto industriale è stato già so-

stenuto efficacemente insisterci.

1 E. R.

oggi,

GIOVANNETTI:

ArnHEIM:

Milano, 2 N. 3 L.

als

Film

altre

Il

cinema

Kunst,



volte ®

e

Berlin,

le

arti 1932;

che

non

giova

meccaniche, E.

LeBepEv: CHIARINI:

Palermo,

MARGADONNA:

Domus. K voprosu o spetsifihie kino, Moskva, in Bianco e nero, anno II, n. 7.

ulteriormente

1935.

Sandron;

Cinema

ieri

e

Soggetto

e sceneggiatura

DI

Potenza del film

Il fattore

sociale

Ogni opera d’arte, nel suo contatto col pubblico acquist a un valore sociale; essa promuove cioè e determina certe correnti effettive e ideologiche, certi sommovimenti di opinioni e di umori, che mai rimangono sterili, ma lievitano potentemente nella massa eteroge nea dei fattori sociali, come anticipazioni ideali della storia prossim a. Si è creduto e si crede tuttavia, e lo si sostiene spesso, che questo aspetto non specificamente formale delle opere sia indipendente dalla loro artisticità, fattore, come

si dice con

termine

crociano,

extraestetico,

occasionale

e pertanto

trascurabile. Polemica vecchia sulla quale non è qui luogo a tornare.

Comunque si voglia e comunque sia, questo element o sociale nell’opera d’arte non può essere in alcun modo dimenti cato da chi desideri considerarla nella sua pienezza e nella integrità della sua risonanza; e appartengano pure questi fattori, piuttosto alla storia della civiltà, alla Geistgeschichte, cne alla storia dell’arte, in quanto precede nti, rendono possibile l'apprendimento del linguaggio particolare dei singoli artisti e

costituiscono la base insopprimibile della comprensione, e quindi anche

dell’apprezzamento estetico, dell’arte: in quanto consegu enti, creano nuclei, malgame, grumi e conguagli che costituiscono i fattori formativi non solo della nuova storia ma anche delle nuove opere d’arte. Forse nessun’altra arte come quella del film permett e di costatare e di valutare il suo aspetto e la sua portata sociale; tanto che si è potuto dire perfino che nel cinema l’arte non è la cosa più importante’ (Béla Bal4zs) e può addirittura passare in secondo piano d'importanza di fronte alla nuova facoltà di vedere, di cui si è dotato il mondo. Nuova civiltà ottica che stupisce i vecchi nelle nuove generazioni; ed arte quindi la cui comprensione ed il cui godimento non è ristretto a classi e a ceti particolari. Arte cioè per il popolo, come si è detto e si è ripetuto più volte.

Questa accessibilità della nuova arte, questa sua popolarità, fa sì

che i suoi sviluppi siano immediatamente compresi ed accettati dal pubblico, e dà quindi alla sua funzione sociale una potenza straordinaria, Il

Il film

78

e il risarcimento

marxista

dell’arte

o per lo meno compito di creare uno spirito nuovo il cinema lo assolve, proprio per le potrebbe assolverlo, con straordinaria naturalezza; e cioè e e la immediffusion larga la sono che stiche caratteri salienti più sue diata

comprensibilità.

La

responsabilità,

in bene

e in male,

delle

ten-

di quanto denze e dei gusti del pubblico grava in misura assai maggiore genere: in film dei solitamente non si creda, sui registi e sugli autori molti dei quali spesso non ne hanno, purtroppo, neppure Il cinema, come è stato detto, è un passaggio dalla magine e dall'immagine al subcosciente dello spettatore. sullo schermo è infatti scelto e disposto, assolutamente lo una inalterabile volontà che determina quello che

il senso. fantasia all’imQuanto appare tutto, secondo spettatore deve

vederlo. vedere, non solo, ma anche e soprattutto, il modo con cui deve

di posto lo Questa volontà, mediante il montaggio, fa cambiare all’altra, scena una da andolo spettatore (H. Richter) non solo trasport così la costringe e scena, stessa della all’altro punto un da ma anche , e annoiato e, spettator uno Se sua visione entro campi predeterminati. a guardarsi solo anche circonda lo che buio dal com'è impossibilitato grafico cui intorno, vuol distrarre la sua attenzione dal racconto cinemato re di particola ile trascurab qualche a poniamo, rsi, assiste, per interessa

le voesso, si trova a cozzare inutilmente contro la precisa e invincibi

non ha lontà del regista che glielo impedisce; egli non può, se il regista indugiarsi a con, momento dato quel in rlo permette o opportun creduto ndo l’esprestemplare gli abiti o le forme della protagonista, trascura film hanno del autori gli se mento; atteggia suo del e viso sione del suo

piano voluto mettere solo quell’espressione in valore, con un primissimo dire, potrebbe si , nemmeno e donna, la più non hanno dato al pubblico ti il viso solo della donna, ma solo il riflesso, su quel viso, dei sentimen

o nell’atinteriori di essa. E lo spettatore, nolente o volente, è ricostrett a in vedendol e, narrata: viene gli che vicenda della corso nel | mosfera e un

dato

modo,

è costretto,

almeno

durante

la

proiezione

del

film,

a

1 giudicarne fatti e personaggi come gli autori hanno voluto. e di Lo spettatore cinematografico non ha la possibilità di giudicare

i di 24 riflettere immediatamente su quanto gli si mostra; il succeders e riprodurr a basta che so vertigino così è secondo minuto al mi fotogram ture il movimento nel suo ritmo reale; il continuo variare delle inquadra

preche possono essere lunghe solo quanto basti per la percezione netta

del guarclude allo spettatore ogni riflessività su ciò che vede, nell’atto e quindi visione a successiv la perdere dare, a meno che egli non voglia anche condannarsi all’incomprensione dell'insieme.

Soggetto e sceneggiatura

Il film è dunque prima di parlare alla sensibile percettività. di film di propaganda scriverebbe o magari

i

79

un'azione diretta sul subcosciente del pubblico e, sua intelligenza critica, si rivolge e tocca la sua Per cui si è costatato più volte che, alla visione ben fatti, il pubblico applaude tesi che non sottoavverserebbe se gli fossero esposte in forma con-

cettuale, Il motivo per cui le sale in cui si proie ttano film di dichiarata ed esplicita Propaganda

sono così spesso disertate va ricercato nel fatto che il pubblico ha un’intuizione, sia pur vaga, dell’impossibilità in cui si troverà di sottrarsi criticamente all'in fluenza ideologica che il film avrà su di lui. È ancora la coscienza di questa mancanza di difesa critica dello

spettatore dalle suggestioni dello scher mo che han fatto più volte definire il cinema stupefacente, oppio, morfina. i Le impression

i con cui il film bersaglia il subcoscien te degli spetta. tori possono essere così violente da sfocia re in azioni subitanee non mediate da riflessività; e la. gran massa dei frequentatori di cinematografi. (molte centinaia di migliaia ogni giorno ) viene a costituire così come un immenso campo arato in cui i cinem atografari gettano a piene mani germi, i cui frutti, immediati o lontani, non possono in alcun caso mancare, Si possono

citare, come riprova, gli applausi che talvol

ta il pubblico, tributa a film il cui contenuto etico e sociale, se esposto criticamente, non condividerebbe, e gli incidenti che a volte i film provocano quando abbiano un fine propagandistico. E, considerando un fenomeno più vasto ed il caso di una Propaganda meno violenta ma più insinuante, si pensi alla trasformazione che il cinem a Opera, quasi inavvertitamente, non solo nei costumi e nelle fogge, ma anche sulle mentalità e sul gu-.

sto, e perfino sulla costituzione fisica delle masse europee. Le molte Grete. Garbo e Jean Harlo

w che passeggiano per le vie di tutto il mondo ne. sono una prova palmare. E, in sostan za, il processo per cui la natura imita l’arte è ‘un processo che col film tocca anche l’uomo e diviene rapidissimo. Nel 1919 uno dei primi intellettuali che si dedicava con passione allo studio

dei problemi del cinema, Louis Delluc, vedeva il mondo di ragazze brune: che assomigliavano alla bella Francesca Bertini, un’attrice, di cui egli diceva che solo popolato

appieno, « quando si saprà che se ne debbono plete » 1, 1 L.

DeLLUC:

Cinéma

et Co.,

Paris, .1925.

più tardi sarà compresa studiare le opere com-

Il film e il risarcimento

80

marxista

dell’arte

campioni della E recentemente il prof. Maggi, che è uno dei validi scuola

costituzionalista

ha

italiana,

stabilito,

e definitivamente,

che

il

del gusto di cui dicinema è la più grande e la più potente fabbrica sponga l'umanità; la quale,

nella scelta sessuale, si orienta verso l'ideale

mente propone. di bellezza che il cinema così efficacemente e così diffusa

mazione del gusto opeTanto che non è audace affermare che la trasfor costituzionali delle gei caratter i ura addiritt na determi cinema dal rata nerazioni prossime !. volte e in vari Proposizioni e considerazioni che sono state più l’attenzione nza abbasta mai modi ripetute, ma sulle quali non si attirerà

di tutte le arti, la dei sociologhi e degli uomini politici. Il film è dunque, è la più potente. più formativa, quella la cui portata sociale ed umana i visioni e suculterior salvo cui, in Lo stato di passività intellettuale ografico, postula cinemat re spettato lo trovarsi a viene ni, cessive riflessio

del film. Necessità la necessità assoluta di un’autocoscienza nei creatori

dal senso di responsabilità che, moralmente, potrebbe essere giustificata

colla cinematografia, di chiunque sia degno del suo lavoro e cne mai, una folla a casaccio su di che è stata definita un'arma, vorrebbe sparare , che origina dalla artistica utto sopratt e anche à necessit ma ; indifesa costatare. di modo presto natura stessa del film come avremo

Tecnica del film

Il miracolismo

della camera

dileguato

e di tecnica, Consci della limitazione dei concetti di arte singola , la sua cinema del ivi espress mezzi i te possiamo esaminare analiticamen

quella preliminare parte, più cosiddetta tecnica; e cominceremo subito da conoscenza degli strumenti nella e propriamente di mestiere, che consist film. del ione produz necessari alla di costatazione profonda Tutti hanno sentito dire più volte, coll’aria

fa certi scherzi » e si e misteriosa, che « spesso la macchina da presa il mistico miracolismo delè moltissimo citato, in Europa e in America, 1 R.

Mace:

La

costituzione

degli

attori

dello

schermo,

Milano.

Soggetto

e sceneggiatura

81,

la camera teorizzato dal, per altro valente, documentarista russo Dziga Vertov, e conosciuto col nome di camera occhio. « Io sono l'occhio della camera! Io l'occhio meccanico! Io, macchina, vi mostro il mondo quale soltanto io posso vederlo! » Si tratta di una teoria che tende a dotare la macchina da presa di autonomia e di impulsi meravigliosi che la renderebbero adatta a co-

gliere aspetti ignoti, imprevisti della realtà e magari anche a rivelare l'essenza profonda e nascosta delle cose. E che trascura la costatazione ovvia che la macchina da presa può scherzare solo con coloro che

non

ne

conoscono

il funzionamento,

che

non

sanno

dominarla

e

quindi sono incapaci di prevedere i risultati del loro impiego di essa. Questo miracolismo non è dunque che un alibi all’incapacità di coloro che l’adoperano senza coscienza delle sue caratteristiche particolari. Allo Stesso modo i ragazzi dicono: mi si è rotto il calamaio, oppure, mi si è spezzata la penna stilografica: invece di dire ho rotto il calamaio, ho fatto cadere e rompere la penna stilografica. E allo stesso modo per cui gli attori cani dicono « non mi viene » di un'espressione difficile, per loro, da inventate e da assumere,

Ma come non esiste nel calamaio autonomia e forza che lo faccia cadere e rompere da sé, così non esiste nella macchina da presa che un

rendimento fotografico proporzionato all'impiego che se ne fa: rendi

mento che è necessario saper prevedere e che tutti i buoni cinematografari sanno benissimo prevedere. È chiaro che, impiegando un dato filtro, io vedrò un vestito, che nella realtà è rosso, apparire bianco, e che, impressionando pellicola avente una data emulsione, io lo vedrò apparire nero. Miracolo stupendo

solo per coloro che ignorano il rendimento fotografico dei colori, l’im-

piego dei filtri e il valore delle diverse emulsioni. Allo stesso modo è chiaro che se io riprenderò una piantina impressionando ogni giorno otto fotogrammi per la durata di tre mesi e poi proietterò i pochi metri di pellicola che ne saranno risultati a cadenza normale vedrò lo spettacolo, nuovo per l'occhio umano, e oltre che inedito forse anche delizioso, del

nascere delle foglie e dello sbocciare dei fiori. Ma questo non ha nulla di miracoloso e di artistico in sè; come in sè non è miracolosa od artistica la ripresa al rallentatore che mostra il volo dolce di una tuffatrice

o di un saltatore che sembrino aver improvvisamente distrutte le leggi della gravità.

Ti

Aa

È

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|’

Fa

film e il risarcimento marzista dell'arte

A questa stregua non dubito si finisca col chiamare miracolosa ed | artistica anche la visione, certo inedita per l'occhio umano, di una colonia di bacilli guardata attraverso l’occhio di vetro di un microscopio. Da questo misticismo rinunziatario origina anche la teoria, già al-

trove da me confutata, per cui la macchina da presa vicinissima al viso "umano coglie oltre ogni evidenza esterna, il carattere dell'individuo: « oltre il viso che si fa, il viso che si ha » (Béla Balazs) e per cui essa è capace di leggere tra le righe, « tra i lineamenti ». Tanto

avverrà

nel lavoro

cogli attori non

professionisti,

e non

con

i veri attori; i quali sono, per definizione, in grado di padroneggiare oltre le azioni e la mimica più grossa anche quella che il Balizs chiama « microfisonomia »: come, per altro, risulta ottimamente dal bell’esem-

pio da lui prodotto in Asta Nielsen. Miracoli simili, che è barbarie chiamare così, li offrono oltre che la macchina da presa, l'apparecchio di registrazione sonora, il proiettore, e ancora, come abbiamo visto, il microscopio e perfino il caleidoscopio

e mille altri strumenti, macchine e giocattoli di cui l'umanità si serve quotidianamente. E ormai sappiamo che essi non sono miracoli se non è una personalità artistica a provocarli prevedendo il risultato degli strumenti

che

adopera.

O

anche,

nel caso

di un

materiale

occasionale,

se

la personalità artistica non interviene a organizzarlo, a fonderlo e a dargli validità e valore estetico, In questo caso la forza creatrice si vale

di uno stimolo esterno, piuttosto che di un altro, così come Leonardo poteva trarre certe sue significanti caricature dalle macchie d’inchiostro. Ma è un miracolo che invano cercherebbero di riprodurre dalle loro pa-

sticciature tutti coloro che, incapaci di scrivere o di disegnare, seminano segni d’inchiostro sull’innocente candore della carta.

Certi

documentaristi

Dell'autonomia miracolosa della camera parlano spesso i produt|

tori, i registi pompieri e, cosa divertente ed istruttiva, i cineasti d’avanguardia e i sostenitori dell’arte pura. Chi abbia qualche pratica di questi curiosi esemplari umani non se ne stupirà troppo: i sostenitori dell’arte pura infatti propugnano una estetica della grazia, dell’ispirazione folgorante e tante altre belle bag-

gianate che possono mettersi a riscontro con le teorie di certo surrealismo che ha considerato l’arte come lo spontaneo prodursi di sogni, il rive-

È

l'ineffabile sensazione di Marcel Proust, nella psicanalisi degli Aragon, dei Soupault, dei Deltheil e nelle graziose illuminazioni di Ungaretti, che trovano imbonitori pronti a dilatarne il piccolo valore poetico anche tra critici in altri campi infallibili. i L'aspetto, apparentemente inverso, per cui si esalta il valore documentario del film nasce da un analogo presupposto di indifferenza, e

dalla incapacità a coglierne gli aspetti più propriainente. artistici: è an-

cora un astrarre dal valore estetico. Dire che il film documenta la realtà è dire una verità tanto limitata e parziale quanto dire che il disegno o la pittura documentano la storia. E sarà anche vero, ma cercare simili documentazioni a far consistere in ciò il valore dei quadri è proprio come cercare le farfalle sotto l’arco di Tito; e si rischierà di scambiare per opere d’arte le carte geografiche, i figurini di moda e le altre carabat-

tole che, riprova per esterno, ma più certa della prova del nove, ingombrano i salotti degli estetuzzi di tutto il mondo. L'indifferenza artistica che abbiamo denunciato porta alla soprav-

valutazione della tecnica, all’intossicazione tecnicistica, e a quel cinematografo che non è riuscito a superare la fase di attrazione. Forma eminentemente primitiva ed ingenua che qualcuno crede e chiama avve-

niristica e che si potrebbe dire, assai meglio, moyenageuse. I più inte-

ressanti e le autentiche personalità dei movimenti d'avanguardia hanno infatti sempre inteso questo carattere balbettante delle loro opere e lo hanno affermato coraggiosamente. « Noi siamo i primitivi di una nuova barbarie » dichiarava Boccioni; e i dadaisti e surrealisti aspirarono sempre

a una

Si è già

tabula

detto

rasa,

che

a un punto

e daccapo.

l’avanguardismo

cinematografico

è stato

una

generale indagine tecnica, una presa di possesso degli strumenti del film, una considerazione stupita dei suoi mezzi miracolosi e degli effetti di divertente attrazione che se ne potevano trarre. Ai primordi del film, subito dopo i documentari della prima pubblica programmazione cinematografica, L’arrivée d’un train, la Sortie des usines, si ebbero infatti i trucchi strabilianti di Georges Méliès e

le sue prime scoperte tecniche.

Avanguardismo e documentarismo sono due aspetti conseguenti della primitività che non ha superato lo stupore per la potenza e ricchezza dei mezzi meccanici del film. Che gli avanguardisti siano una buona

T

larsi autonomo e meraviglioso del subcosciente. È il positivismo, humus,

come abbiamo ricordato, della poesia di Baudelaire che si aggiorna nel-

È La

83

e

sceneggiatura

PIE

e

dai

Soggetto

vai ERI

84

Il film

e il risarcimento

TRENIZRE

ia RSI

marxista

panne 3; Tua:

dell'arte

parte sboccati nel documentario (tipico il caso del Cavalcanti ! ora alla testa dei documentaristi inglesi) ne è una nuova dimostrazione. Occorre inoltre avvertire che non solo quanto il film documenta importa solo come precedente o come conseguente del suo valore arti-

stico, ma che il film, come ogni linguaggio artistico, ha limiti strettissimi alla sua capacità documentaria. Il che non deve stupire e dovrebbe esser tenuto ben presente da coloro che si occupano di film scientifici e di film didattici, Provate a documentare in musica un fatto storico nella sua concretezza. O provate a spiegarci con una sinfonia il funzionamento della caldaia a vapore e del treno. Potrete, nel migliore dei casi, darci la

sinfonia Pacific di Honegger, che fortunatamente ci lascia però del tutto all'oscuro sui misteri del tender e delle sue parti componenti. Il film non è il linguaggio dei concetti proprio perchè arte. E mai si riuscirà con esso a esporre o a dimostrare il principio di ragion sufficiente o quello del terzo escluso. Col che non si vuol certo bandire il documentario dalla produzione;

‘ tutt'altro! Solo si vuol che anche in esso sia in primo pe un valore effettivo ed autentico. L’uomo di Aran non vale tanto per l'illustrazione che ci dà delle condizioni di vita di un certo conglomerato umano, ma per il valore artistico di questa, diciamo pure, documentazione; come converrà chi ricordi il grido del gabbiano quando il bimbo si avvicina incosciente allo

strapiombo sul mare, o le scene straordinarie della faticosa raccolta di terra per le future povere colture:

siamo di fronte ad una visione lirica

sull’isola e suoi abitanti.

La

tecnica

come

creazione

Oltre al primo aspetto della tecnica di cui abbiamo discorso e che potremmo definire la conoscenza degli strumenti, atta a permettere una previsione dei risultati dell'impiego di essa, esiste (solo scolasticamente 1 Alberto Cavalcanti era effettivamente uno dei principali esponenti del documentarismo inglese all’epoca in cui Barbaro scriveva; successivamente però si è dedicato alla regia di film a soggetto (in Gran Bretagna, Brasile e Francia) con

alterna

fortuna

ed

incerta

rigorosità

artistica

(n.d.r.).

SA

Soggetto e sceneggiatura

85

€ per comodità separabile dalla precedente) un particolare impiego dei mezzi a disposizione del regista e dei suoi collaboratori: quell’impiego per cui alle opere che ne risultano noi diamo il nome di arte. Sappiamo già come essa non sia qualche cosa che si aggiunge alle opere come il cacio sulla pastasciutta, ma che fa con esse un corpo unico

e inscindibile. La tecnica non è che il progressivo elaborarsi della mate-

ria fino alla sua finitezza formale e quindi non ha un'esistenza a sè, non può apprendersi o studiarsi, ma si scopre solo nell’esame approfondito delle singole personalità e delle singole creazioni. La tecnica cinematografica dunque come la tecnica di ogni altra arte non esiste che nelle opere e il suo studio si risolve nella estetica, nella critica e nella storia

del film.

i

Esiste certamente una trattatistica che propone una somma delle tecniche particolari e individuali, una specie di tecnica assoluta, ma, come sappiamo dalle altre arti, essa non può tradursi che nella formulazione di leggi assurde che non saranno rispettate e applicate che dagli amanuensi che hanno la natività di pretenderla ad artisti. La pretesa di statuire la tecnica di un’arte non porta che alla passività creativa e alla convenzione elevate a dignità di precetto; e non è dunque che la regolamentazione della non arte. Ipostatizzare e regolamentare le soluzioni già date ai singoli problemi espressivi, pretendendo che esse abbiano vitalità e validità al di fuori del clima in cui esse sono nate, al di fuori del contenuto particolare che hanno espresso e del mondo che hanno suggestivamente evocato, vale per quanto si riferisce al film, come nell’arte della parola, la creazione della grammatica, della sintassi, della metrica e della stilistica : bellissime cose certamente, ma raccolta di regole che nessun vero artista potrà mai applicare. Perchè l’artista, in quanto tale, inventa e crea i propri mezzi espressivi a seconda dei suoi particolari bisogni artistici. Tanto che in questo senso si può dire che la trasgressione e la licenza ‘ poetica sono la vera regola dell’arte; e, dove sembra applicare una regola, la riscopre e riinventa.

Il linguaggio

Come un

bisogno

corretto

il parlare e lo scrivere correttamente e bene è semplicemente di civiltà,

di urbanità,

di chiarezza

e non

ha

niente

a che

fare col valore artistico, così l’esprimersi secondo i precettuzzi creati da

86

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

certi cinematografari, retorici e grammatici in ritardo, non ha niente a che fare coll’arte. Tutt’al più può servire a fare dei film come suol dirsi puliti e che rispondano a certe pratiche e industriali necessità di gradevolezza e di accettabilità da parte del pubblico. Cose che da un punto

di vista puramente industrialistico e commercialistico possono anche avere la loro relativa importanza: ma che non hanno a che fare coll’arte. Ma colla pulizia del film è come per la pulizia in genere: fare il bagno tutte le mattine sta bene, ma certo una signora che si lavi ogni

‘venti minuti vuol dire che fa una brutta professione. Diffidiamo dunque dei film che si dicono puliti. D'altro canto sarebbe assurdo rinunziare, se non per particolari bisogni, a certe recenti conquiste del linguaggio cinematografico e alla potenza e varietà di mezzi di cui esso si è, per opera di certi artisti,

arricchito. Sarebbe leziosaggine, come in certi più o meno insinceri primitivisti d'oggi, o barbarie come in certi inesperti. Leziosaggine che è antiartistico bisogno di stupire, barbarie che, anch'essa, quando è insincera, nasce da un simile bisogno. Stupore e | emozione nuova nascerebbero nel pubblico dal linguaggio antiquato, inarticolato, sciatto. Questi infantilismi e queste balbuzie non hanno niefite a che vedere colla forza espressiva di certe coscienti rinunzie ai valori espressivi conquistati che sono caratteristiche solo delle persona-

lità eccezionali, nelle cui opere ribolle e si preannuncia una nuova visione del mondo, addirittura una nuova civiltà. ‘. Caso, come tutti quelli profondamente geniali, diffuso.



frequente



ti

FRS

RE,

id

a

Il soggetto. La trama

niera pittorica, particolare di un dato artista, o, almeno, di una data

epoca e di una data regione. Maniera pittorica che, senza essere circo-

ne ia, - PEA CE

Seli li LE

en ae eri È

AVO oi A

sui

ITER DEDE V Ven

scendente scena sacra dell’Angelico non ha nessuna affinità con una

potente e violenta figurazione di Andrea del Castagno o del Masaccio: e il solfureo e pirotecnico Battesimo di Cristo del Greco è addirittura agli antipodi del solenne e ieratico Battesimo di Piero. Assai meglio che indicandone il soggetto, noi caratterizziamo un quadro se diamo il nome dell'autore o se, almeno, diciamo che si tratta di un dipinto veneziano del cinquecento 0 toscano del quattrocento. Perchè, in questo modo, noi suggeriamo una abbastanza definibile ma-

CREIET

fatti, una elegante e sofistica madonna ferrarese ha ben poco di comune,

figurativamente e artisticamente, con una solida e vitale madre popolana del Caravaggio, la Madonna di Loreto o la Vergine degli Staffieni; una severa e decisa madonna di Giotto nulla ha di simile a una ritrosa e schifiltosa Madonna Annunciata di Simone Martini; un'aerea e tra-

TETI

Se il film è arte, possiamo pensare giusta l’illazione per cui ogni

soggetto può convenirgli; e ancora; per il confluire nel cinema di più tecniche artistiche, questa forma d’arte sembra essere, più d’ogni altra, libera nella scelta dei suoi soggetti. I quali, certamente, come si è detto sempre e da tutti fino alla noia, prima delle complesse elaborazioni a cui saranno sottoposti, prima della loro realizzazione, non hanno, nè potrebbero avere, alcun valore intrinseco. Esistono forse buoni o cattivi soggetti di possibili romanzi? Buoni o cattivi soggetti pittorici? Se / pro| messi sposi hanno una trama e alcuni episodi somigliantissimi a quelli de La bella fanciulla di Perth, il paragone tra i due romanzi è assurdo, come assurdo è il paragone tra quelle opere delle arti figurative che hanno in comune soggetto e titolo. Certo il peggior modo per classificare un quadro è dire che esso rappresenta l'Annunciazione, il Riposo nella Fuga in Egitto, Giuseppe Ebreo con la moglie di Putifarre. E in-

88

Il film.e

il risarcimento

marxista dell'arte

scrivibile con esattezza, comporta tuttavia una certa definibilità per la

comunanza di ideali artistici e umani che l’hanno storicamente determinata. Esiste una stretta relazione tra gli ideali etici e formali e i soggetti in cui essi sono attuati; per cui vedremo che date epoche scelgono certi temi a preferenza di altri, e quelli che sono effettivamente lontani li trasformano adeguandoli allo spirito dei tempi. Di tutta la Leggenda Aurea e di tutte le storie bibliche, i pittori, che lavorano per commissione ecclesiastica, hanno scelto, in determinate epoche, tipi e temi particolari: e in certi periodi la scelta è stata quasi esclusiva. Si pensi alle particolari storie di Santi di certe figurazioni pittoriche del quattrocento che bene si prestavano a rappresentazioni di costume e di fasto cortese: la caccia del Miracolo di S. Eustachio, la storia di San Giuliano, quella di S. Or-

sola e del Re d'Inghilterra. Si pensi ai crudeli, sensuali e talvolta perfino

grotteschi martiri del seicento, e si intenderà bene che la meraviglia, oltre che dei poeti, era il fine anche dei pittori di quel secolo, coll’orrore per la morte, il pentimento, la fisicità possente dei personaggi divini: Santa Agata dalle mammelle mozze e San Pietro che, in carcere, gliele riattacca, la Maddalena Pentita, la Carità Romana, le macellerie del

Pomarancio a Santo Stefano Rotondo, le angiolesse di Giovanni da San

Giovanni ai Santi Quattro, e l’estasi fisica della Santa Teresa berniniana.

E non è certo per caso che nel seicento nasce la natura morta e che Agostino Tassi, Claude Lorrain e Poussin creano la pittura di paesaggio. Il regista poeteggia già con la scelta degli attori, ha scritto Béla

Balizs; ma anche, e prima, come ha detto Goethe del poeta, con la scelta del soggetto. Fase di lavorazione che non è giusto relegare nel puramente esteriore, pratico e volitivo. C'è una differenza grandissima tra la non esistenza del soggetto e il suo primo, sia pure informe, abbozzo buttato giù alla brava da uno scrittore o da un regista disposto a realizzarlo. Perchè, scusate, una situazione drammatica in campagna e non piuttosto una situazione comica in città? E perchè tra venti o trenta soggetti che un produttore cinematografico dà in lettura a un regista questi sceglie proprio quello che sceglie e non un altro? Se noi leggiamo che

G. W. Pabst ha girato un film intitolato Il dramma di Shangai !, co-

1 G. W. Pabst ha realizzato effettivamente un film il cui titolo originale era Le drame de Shangai. Questo film, diretto da Pabst in Francia nel 1938, non. risulta peraltro che abbia avuto un'edizione italiana, nemmeno, a quanto ci consta, con titolo diverso. È certo che il film, presentato alla censura fa scista nel gennaio del 1939, fu vietato per motivi non conosciuti (n.d.r.).

Soggetto

e sceneggiatura

89

noscendo le precedenti opere di quell’autore, già intravvediamo certi sviluppi della breve trama che ne possiamo leggere in un affrettato notiziario, e, certo senza formulare in precedenza giudizi di valore, tutto ci aspettiamo meno che un esteticamente pittorico Shangai-Express alla

Sternberg. Sviluppi che noi vagamente intravvediamo e che il regista

fin dalla prima intuizione del soggetto o fin dalla sa come dovrà elaborare e condurre a quel grado che è il film realizzato. Un soggetto cinematografico contiene dunque del mondo poetico dell'artista che lo realizzerà; è

prima lettura di esso di ideale completezza

.

una prima definizione dunque buono o cat-

tivo secondo che più o meno si adatta al temperamento e alle possibilità dei suoi futuri realizzatori. Ottimo quando sorge in un clima particolare

nel quale la sua realizzazione sia idealmente possibile. Purtroppo questa esatta valutazione del soggetto non che a film realizzato.

si può

dare

brava lo spirito paganeggiante e nazionalistico a cui la guerra libica

aveva dato un primo impulso ed avvio. In Sferduti nel buio il naturalismo della tradizione meridionale che va da Verga, De Roberto, Capuana (e anche dal San Pantaleone, e magari da Mastriani e Misasi) a

Verdinois,

a Matilde

Serao,

a Di Giacomo

e, appunto,

a Roberto

Brac-

co, si andava facendo più schematico e più sfatto; e doveva dare origine

ad altri film dello stesso carattere, tra i quali Teresa Raquin con Giacinta Pezzana e il celebrato Assunta Spina (con Francesca Bertini). È questo forse un autentico filone aureo per il cinema italiano e lo vediamo riaffiorare ancora oggi nel film Montevergine. Qualche anno dopo in America uno spirito quaccheroide, ricco di

talento, e certamente uno dei migliori tra i primissimi registi, D. W.

Sa

Se riandiamo ai primi tempi della cinematografia italiana, vediamo sorgere negli anni 1912-'14, i primi tre grandi film del mondo: Quo vadis? di Guazzoni, Cabiria di Fosco e Sperduti nel buio di Martoglio. E non è certo difficile riconoscere in essi alcune correnti spirituali di quei lontani tempi. Il primo esprime infatti abbastanza semplicemente la mentalità vagamente democristiana che, dal fermo proposito al non expedit, tutto il resto s'andava sviluppando in Italia in quel periodo. In Cabiria invece, lo abbia scritto o no D’ Annunzio quel soggetto, si cele-

Me"

Vecchi soggetti

101206

Da

Il film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

| Griffith, trasse ispirazioni, dal lungo studio del Quo Vadis? e soprattutto di Cabiria, per il suo Intolerance. In questo film già rumoreggia il | primo tuono della guerra e ribollono confusamente le questioni sociali e religiose, i conflitti del lavoro, il ku-kux-klan, l’alcoolismo, la fede nella | tolleranza e l'orrore per la violenza. E già sembra di presentirvi l'enun-

| ciazione dei gwattordici punti del sorridente muso di cavallo di Wilson. E lo spettacolone all'italiana, la grande decalcomania di Cabiria, di| venta un réportage sensazionale che il potenziamento e il largo impiego e. dei mezzi tipici del cinema rendono fortemente efficace.

Il

Il tema e

tema

il significato

Abbiamo, altra volta, mostrato come il soggetto a film realizzato viene ad assumere, colla sua forma, una significazione più vasta di quella contenuta nei fatti che narra. Questa più vasta risonanza dell’opera |

«

deve essere in germe nel soggetto stesso ed è quanto Pudovkin chiama il tema o la tesi, giustamente avvertendo che « tesi è un concetto estra| neo al concetto dell’arte» *. Non si tratta di un precetto morale

—’dunque ma di una moralità efficiente, che nell'opera verrà attuandosi

—»—»conferendole il suo inconfondibile significato e valore. Accettando la



definizione che dell’arte abbiamo dato più volte, possiamo dire che il

soggetto è la visione particolare, il tema, la concezione del mondo

che

suggerisce. | Nell’indagine critica di un’opera questa concezione del mondo si desume più che dal soggetto, dalla forma mediante la quale esso si è | attuato.

|

Il procedimento

inverso

è dubbio

e pericoloso.

Non

si può

dai « contenuti e dai temi preconizzare l’arte probabile, perchè la vita non predetermina l’arte; mentre per converso, l’arte, oltre a rivelare se medesima e cioè una particolare forma di vita, ricorda anche qualcos'al. 1 V.

PupovKin:

Film

e fonofilm.

Soggetto e sceneggiatura

91

tro che l’attornia, cioè certe preferenze mentali e intellettuali che ven-

gono incontro alle preferenze estetiche » 1,

Anche l’empirico Pudovkin, lo schema:

con il suo sottile intuito, avverte che

I) tema; 2) soggetto; 3) elaborazione cinematografica del soggetto « sì può ricavare solo dall'opera rifinita » e che « il processo può attuarsi in ordine inverso ».

creativo

Io ho tuttavia creduto importante stabilire che « questo tema costituirà l’asse etico della collaborazione » quindi la precedente formu-

lazione di esso, in veste necessariamente concett uale e critica, sarà indispensabile elemento che renderà possibile la collabo razione ; perchè nella pluralità dei temperamenti e delle individualità sia possibile l’inveni‘mento dei fattori etici e stilistici dell’opera. La intenzione più generale,

la visione del mondo che si vuol suggerire verrà ad essere così la deter-

minante delle soluzioni dei problemi espressivi del film.

Non è possibile nascondersi la difficoltà di questo process o e i molti

limiti che esso comporta. Anche perchè ci sia fusione, affiatamento, possibilità di collaborazione tra regista, soggettista, sceneggiatore, scenografo, operatore e attori non ci sono regole. Si tratta di un comune clima ideale, che permetta un comune linguaggio, una comunità di fini, ma-

gari anche sottintesi, per cui le personalità si intenda no e si integrino,

nelle diverse e particolari capacità, e nei singoli apporti inventivi; ogni

soluzione specifica proposta da un collaboratore deve apparire al regi-

sta quella che egli stesso avrebbe suggerita o data se di quel collaboTatore avesse avuto le qualità tecniche. Lo statuire dunque la precedente formulazione di un tema non è

che un suggerimento pratico per facilitare la creazione di un simile cli-

ma umano, unanimistico, si direbbe col Romains; e non va in nessun modo intesa come la fredda e schematica proposi zione di una tesi da dimostrare con tutti i mezzi possibili, come un teorema di matematica. Altrimenti i film di propaganda, quelli per definizione in cui si è bene in precedenza d'accordo su quantosi vuol dire, sarebbero tutti ca-

Lezioni

ecc.,

Op.

cit.

RE

LowncHI:

Sea

1 R.

IA

polavori. Mentre molto spesso si verifica appunto il contrar io.

Il film

92

e il risarcimento

marxista

dell'arte

Marcel Proust ha scritto, una volta, che come l’acqua bolle a 100 gradi la immagine si crea così, naturalmente, solo ad una certa temperatura, Che però non è dato di ottenere con la semplicità con cui si accende il gas sotto la pentola. Una comunione di convinte aspirazioni, un simile livello culturale,

un simile gusto, una formazione comune sono gli elementi migliori che

permettono la creazione della malgama umana necessaria alla creazione del film. Malgama la cui composizione sarà certamente favorita da precedenti accordi sulla finalità della comune opera tra i diversi collaboratori, ma che soprattutto dipende ed è resa possibile dal preesistere di una profonda affinità tra essi.

Preparazione

del film

Spesso si sente deplorare l’improvvisazione a cui è soggetta abitualmente la lavorazione cinematografica, e che dipenderebbe dalla leggerezza e dall’incuria degli autori del film; è una critica assai giusta alla maniera di lavorare che un malinteso industrialismo ha reso comune. Occorre però asserire perentoriamente che, più delle lunghe conferenze di regia, come le si vuol chiamare, che si auspicano e si promuovono, a volte, prima della realizzazione del film, giova la felice composizione della truppa; che sia l'unione di elementi capaci di collaborare e per‘ tanto dotati, oltre che di generiche attitudini e di valentia professionale, di una profonda affinità reciproca e di comuni aspirazioni etiche ed

artistiche. Solo in questo caso, purtroppo assai poco frequente, la definizione

del tema della futura opera potrà essere di effettivo giovamento e potrà far conseguire quella unità stilistica che è il più difficile dei risultati ed il primo che occorre proporsi in un film perché esso ne costituisce, in definitiva, il valore artistico.

Limiti

del

tema

La generica libertà nella scelta dei soggetti è stata qui emendata limitandola alle attitudini a trattarli dei singoli autori; similmente la libertà di tema sarà limitata dalla accettabilità di esso da parte di tutti i collaboratori del film. Il tema deve essere non tanto accettato, e magari

Soggetto

e sceneggiatura

|

93

sentito e profondamente riflettuto, ma, in un certo senso, deve già preesistere, nei collaboratori, come, sia pure non formulata, e magari individualmente non formulabile, concezione del mondo, o Altri limiti del tema non esistono. Quando Pudovk in dichiara che temi di enorme vastità non si prestano, allo stato attuale del cinema, alla creazione di film, sbaglia. Egli porta l’appa rentemente calzantissimo esempio del tema di Intolerance (in ogni tempo e in ogni paese l’in-

tolleranza ha generato il delitto) e sostiene che « l'ampie zza dell’assunto

non permette a questo tema di trasformarsi in film ». | L'osservazione, a primo acchito, pare giustissima; l’idea stessa di ogni tempo e di ogni paese non è contenibile in un metraggio normale, od anche eccezionale, di pellicola. Ma se Pudovk in avesse riflettuto di più sull’insoddisfazione lasciatagli da quel vecchio film, si sarebbe accorto che essa derivava dalla mancata fusione di tanti e così lontani episodi, che apparivano sovrapposti e giustapposti senza continuità arti-

stica, e solo legati da un filo ideologico che, tuttavia, non mancava di

generare orrori

monotonia

e delitti,

da

e confusione.

Babilonia

alla

L’intolleranza Sainte

seminava,

Barthelemy,

fino

ad

nel

film,

un

con-

flitto moderno del lavoro, ma non si vedeva in tutti 1 tempi e in tutti i paesi. L'errore non è stato però quello denunciato dal Pudovkin, cioè la

eccessiva ampiezza tematica, ma quello della disarm onica, strabocchevole sovrabbondanza di visioni particolari scelte per incarna rla; l'errore è dipeso dall’aver voluto attingere universalità dalla quantità.

Se si dice « tutti gli uomini sono... » il compito di un artista non può essere quello di rappresentare tutto, o quanti più uomini gli è possibile, nel modo voluto dal tema: ma di Tappresentar ne uno solo, nella cui umanità si riveli quella di tutti.

Il conflitto

Eisenstein colla mentalità dogmatica e apodittica degli artisti e con quel suo confusionario hegelismo da motociclista, come ebbe a dire una volta un suo arguto critico occidentale, ha definito il film: « La rappre-

sentazione di un conflitto in una idea », definizione di sapore schellin-

‘ghiano-hegeliano che, se mal non ricordo, era già stata data per il dramma da Hebbel e che, comunque, è sostanz ialmente, se non pure

Il film e il risarcimento

94°

marxista

dell'arte

esplicitamente, comune ai suoi drammi e a quelli cosiddetti del. destino

(Grillpartzer).

La definizione indubbiamente ha il merito di dialettizzare il concetto dandogli

di tema

il naturale

suo complemento

evolutivo.

Forma

dram-

matica, cioè dinamica per eccellenza, quella del conflitto, che, nell’antitesi, postula come attinente lo sviluppo narrativo dell’opera.

Quando si costata, nei film, il frequente difetto della troppo netta e perentoria, suddivisione dei personaggi in buoni e cattivi si ha la riprova

della

difficoltà

cui va

incontro

la formulazione

critica del tema,

precedente la realizzazione artistica. Il pericolo di questa, per altro ne-

cessaria,

posizione

ideologica

sta,

come

s'è

visto,

nell’introduzione

di

un elemento razionalistico che dovrebbe guidare la creazione, autonoma

e arazionale per eccellenza, delle opere d’arte. I termini del conflitto drammatico si personificano allora e si tramutano in buoni e cattivi, che si oppongono e si combattono, come nei romanzi popolari e domenicali:

in maniera disumana e antiartistica. L'ufficiale che s'innamora della bella spia, che tanto di frequente

s'incontrano nel cinematografo, sono il bianco ed il nero, i due termini della costante antinomia di bene e di male.

Attualità del conflitto Da quanto abbiamo detto relativamente al tema, inteso come espressione di un mondo e superiore significazione del film, risulta chiaramente la inevitabile attualità, anche oltre ogni apparenza, dei conflitti presentati. Il che vuol dire che anche al cinematografo è possibile descrivere sorridendo la Milano del seicento e alludere, discretamente, ma con forza

di condanna straordinariamente inflessibile, al dominio austriaco in Lombardia. E si può magari anche offrire, ammiccando, la chiave inter-

pretativa delle intenzioni, con un malizioso « così va il mondo, anzi, così andava nel secolo decimosettimo ». Tutto ciò senza cadere nell’oratoria o nella propaganda, Manzoni essendo, come è noto, il primo poeta moderno dell’Italia proprio per la

sua totale assenza di rettorica. L'eroe

Se il protagonista è quello che incarna l’idea, egli viene ad esserne dotato di tutti gli attributi di nobiltà e di grandezza e viene ad assumerne

Soggetto ‘e sceneggiatura

si

95

quei caratteri di enorme individualità ed eroici che tanto riescono graditi ai pubblici di tutto il mondo. | Ma i termini del conflitto potrebbero, più modernamente, capovol-

Gersi: per esempio tutta la vita di un popolo incarna l’idea, e l’individuo,

elemento di stante sono rose che gli stendolo da

resistenza, il conflitto. Gli urti di esso con il mondo circocontinui, e quanto lo circonda è un mare fatto di onde podesi accaniscono contro, come contro uno scoglio isolato, inveogni parte e insensibilmente e sotterraneam ente corrodendo

le basi del convincimento che gli dà la forza di resistere. Finché ad un

tratto lo scoglio si inabissa, grante, e in qualche modo opporsi con tutta la forza zione profonda. Una formula di questo

e l’individuo riconosce Se stesso parte intenecessaria, di quel mondo al quale voleva del suo carattere intero e della sua convin genere naturalmente può nascere là ove

gli interessi dell’autore siano di carattere piuttosto sociale che individuale. E il cinema, per la ricchezza dei suoi mezzi espressivi e per la sua pos-

sibilitàdi analisi minuta e di sintesi potente, è particolarmente adatto

a queste visioni collettive, e alla presentazion e dell’aspetto di una intera civiltà, Mentre il conflitto in cui l'individuo sia quello che incarna l’idea, può facilmente scivolare nell’individualismo borghe se e nella rettorica del protagonista romanzesco, o, se si vuole, cinema tografico.

Il destino

Le stesse cose si possono dire con altre parole. In un recente libriccino tedesco, che credo sia stato anche tradott o in italiano, si sostiene che « il destinoè l’anima del film. Sia esso il destino di una cosa, di un

uomo, di una comunità, di un popolo, di una terra... » 1,

Ed è chiaro che questa incombenza di un destino corrisponde esattamente a quanto, più tradizionalmente, qui abbiamo chiamato tema. E per il concetto di destino valgono la libertà e la limitazione che abbiamo cercato di dare a quello di tema. (1 Kortwitz:

Die

Geheimnisse

des

Spielfilm.

Il film e il risarcimento marxista dell’arte i

+:

de

La second story americani. Un altro modo di dire la stessa cosa è quello usato dagli e una contener deve grafico cinemato soggetto il che I quali sostengono richiede una second story. E un altro ancora quello di Béla Balazs, che Parallele Fabel. funzione coSi tratta in sostanza di un elemento di contrasto, con

universali del racconrale, che suggerisca 0 addirittura dichiari i valori che, in paesi diversi fatto il re to. E non mancherà, credo, di interessa

termini vari e lontanissimi, per spazio e per civiltà, si sia affermato, con e caratteristici, una stessa esigenza.

Requisiti

Lo

specifico

cinematografici

del soggetto

cinematografico

Se si afferma l’esistenza di uno specifico cinematografico si deve il teaintendere in esso solo un valore di tendenza. Come se si sostiene tro teatrale o la pittura dipinta. Pretendere un maggior rigorein queste affermazioni di tendenza significherebbe postulare nuovamente l’esisten-

za di limiti e negare quindi l’unità dell’arte. Abbiamo invece già visto cne, nella sua più alta e più vera essenza, l’arte è una: così che, per poco conformi che siano a certe tendenze i quadri di Leonardo, per letdalla terari che possano essere, nessuno vorrà certo per questo cancellarli

storia della pittura.

Lo statuire quindi,

© che il cinema

i

in assoluto,

che il cinema

è immagine

e visione

è racconto, due proposizioni che, sotto certi riguardi,

possono essere accettate come pratiche indicazioni, non può aver valore esclusivo. Mettendosi per questa via si verrebbe infatti a escludere che caso possano farsi dei buoni film sul piano puramente lirico (che è il

donna di dei migliori documentari), dei film teatrali (ed è il caso de La , dei Duvivier) di bal de Carnet di ancora, più Parigi di Charlot e,

Soggetto

e sceneggiatura

IT

film in cui prevalgono valori formali su quelli di contenuto (alla Ruttmann, alla Sternberg) e così via. Ciononostante cinematografico »,

è ammissibile come

dice

e giusto

il Lebedev,

che o,

si cerchi

come

dice

lo « specifico il Rehlinger,

il

« filmico ». Lo specifico cinematografico è il « montaggio », la possibilità cioè di idealizzare gli spazi ed i tempi della visione. Verità che non è più di

ieri, che fu affermata per la prima volta in forma rigorosa dal Pudovkin e dai russi in genere, e che oggi è divenuta quasi un luogo comune, tanto di frequente la si sente ripetere. Recentissimamente anche da uno svagato Seton Margrave *! che afferma la distinzione degli spazi e dei tempi, in spite of all denial of a film form or formula, essere il principio su cui si basa l’arte cinematografica.

Idealizzazione di tempi e di spazi esiste in verità in ogni opera d’arte,



non nei modi particolari del film. Nel teatro,

ad esempio,

questo processo ha luogo in misura molto più ridotta, attuandosi nel breve numero di tre atti (tre o cinque), o di quadri (sette, dieci, venti) che compongono un singolo spettacolo; contro le sei o settecento volte che il processo si attua in un film (di altrettante inquadrature), cioè di ritmo rapido. Un maggior particolareggiamento dello specifico linguaggio cinematografico, proposto da Béla Balizs, stabilisce che esso si attui per i seguenti fattori: il montaggio; l'inquadratura;

il primo piano, Ma

inquadratura

è un concetto

esclusivo

del film proprio

per il

fatto che esiste il montaggio, e il primo piano (per quanto il Balàzs lo consideri, con brillanti argomenti, fuori dello spazio) non è che una, e sia pure la più importante, delle inquadrature. I tre elementi dunque possono benissimo ridursi ad uno: il primo comprende gli altri due. Dire che il montaggio è « la base estetica del film » non significa

nè sostenere una particolare forma di montaggio e quindi un particolare genere di film e tanto meno, come qualcuno ha sostenuto polemicamente, trascurare, o tenere in conto di materiale grezzo, le fasi di elaborazione 1 S. MARGRAVE:

Come

si scrive

un film, Milano,

Bompiani.

ii.)

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

anteriore al montaggio (come ha scritto, a contraddizione del Pudovkin, l’Arnheim). Infatti anche a prescindere dal fatto che, proprio il Pudovkin, ha scritto un trattato importantissimo sul soggetto e la sceneggiatura, ha teorizzato l’impiego del sonoro, la direzione degli attori occasionali e non professionisti, e più recentemente i compiti dell'attore, Pudovkin

stesso ha avvertito, innumerevoli volte, che il montaggio non va, in un più profondo senso, inteso come pezzi di pellicola. Montaggio è cinematografica, come vedremo senso bene inteso di previsione,

la fase ultima e materiale di incollare i ogni fase di elaborazione della materia meglio trattando della sceneggiatura; nel di ricerca e di invenimento del montag-

gio definitivo.

i

|

Analogamente possiamo affermare che base artistica di una poesia è il suo ritmo, il che non esclude affatto i valori di contenuto esterno ed interno (diciamo pure di soggetto e di tema), i quali però si affermano solo a poesia compiuta, cioè a ritmo definitivamente determinato. Dire che base estetica del film è il montaggio significa che nessuna | artisticità del film è indipendente da esso; come è dire che i programmi

prosastici delle canzoni di Leopardi non sono ancora poesia, ma un momento della elaborazione poetica, importantissimi per noi solo per la esistenza della poesia e privi in sè di valore d’arte; come tutti sanno e immediatamente capiscono. Montaggio è dunque l’arte del film e tutte le fasi della lavorazione, come è stato detto e ripetuto fino alla sazietà e perfino nelle scuole pueris decantatum,

non sono di esso che la previsione.

Cronologia ideale, geografia ideale e perfino anatomia ideale sono le formule più appariscenti dell’impiego del montaggio; formule che dànno maledettamente sui nervi a chi non riesce a considerarle come modi pittoreschi, ma precisi e sottili, per indicare processi che nella pratica avvengono quotidianamente. Perfino il più pompiere dei ‘registi gira un ponte a Verona, puta caso, e lo raccorda con visioni di Firenze e con scene riprese a Roma in un teatro di posa, diciamo di Cinecittà: e fa senza saperlo della geografia ideale; e perfino il più pignolo dei registi, quando gli occorre il dettaglio di una mano da inserire nel corso della recitazione di un'attrice di cui non può più disporre perchè già fuori contratto, si serve della mano simile di un'altra attrice: e attua così

la tanto invisa formula della anatomia ideale. E naturalmente il regista pompiere, che riduce in film la solita commedia alla francese, gli amori di Susanna, le sorprese del divorzio, l’abi-

to verde, il re di chez Maxime, la moglie del fornaio, la mazurca del

Soggetto e sceneggiatura

99

nonno o che so io, realizzerà il suo lavoro con duecento inquadrature invece che con seicento, ma non potrà tuttavia non fare del montaggio.

Il montaggio

di pezzi brevi

!

Al lume di quanto abbiamo detto risulta evidente che il film veramente cinematografico è quello risultante dal montaggio di pezzi brevi. In questo modo noi possiamo includere nel film una varietà e una complessità ricchissima di avvenimenti, di fatti e di suggestioni che rispondano alla complessità della moderna visione del mondo. Il ritmo che ne risulta sarà, grosso modo parlando, un ritmo travolgente. E tutti noi sappiamo che i vecchi film western, a base di cavalcate e di corse, sono più suggestivi e più belli delle scipite commedioline che ci offre da qualche tempo a questa parte l’ America. Tuttavia, si dirà, non basta che il film sia a ritmo travolgente perchè | vieti

sia un

buon film; anzi sembra quasi gli approfondimenti, da parte degli

che

quest’andatura

autori,

della

loro

dinamica materia,

e

provochi, per di più, nel pubblico non uno stato di lirica contemplazione ma una serie di stimoli fisici. Inquietante, anticontemplativo e quindi antiartistico ‘e addirittura

immorale

verrebbe

ad essere giudicato

il film

da questo punto di vista. E noi abbiamo tutta, infatti, una serie di opere cinematografiche di questo genere che meritano così severi attributi;

pensate al finale alla Griffith e al potente stimolo che immette nel pubblico e all’eccitazione che sopravvive quando, come nel film di Barnet Okraina

(La

provincia),

la conclusione

di

quel

finale

non

è la sal-

vezza, ma la morte dell'eroe. La mancata scarica catartica è uno stimolo a reazione nel pubblico e il film, straordinariamente intelligente dal punto di vista propagandistico. Non è vero, in assoluto, che il ritmo rapido precluda i valori plastici e figurativi perchè nel film quei valori si attuano solo attraverso il movimento stesso come avremo occasione di vedere in seguito, Nè dobbiamo per il film ripetere le vuote stravaganze dell’opposizione che qualcuno (Savinio) ha tentato una volta tra la pittura e la musica !. 1 A.

Savinio:

in

Valori

plastici,

Roma.

Il trattamento

& r

{

| La struttura generale del film Previsione del montaggio

narrativo

.

|

Per scenario o trattamento (treatment) s'intende, nel gergo della lavorazione cinematografica, quella elaborazione del soggetto che porta alla disposizione generale della materia: fase evidentemente molto importante e delicata e che, come la composizione del romanzo, determina i valori correntemente detti narrativi. Esso cossispande in qualche modo alla suddivisione in capitoli del romanzo e alla suddivisione in atti e quadri del teatro e, per quanto abbiamo precedentemente detto, si potrebbe definire la previsione del montaggio narrativo del film. Il trattamento, in altri termini, stabilisce la successione degli ambienti di ogni singola scena e i tempi in cui le azioni di ogni singola

scena hanno luogo. Ambienti e tempi che, naturalmente, si susseguiranno secondo la intima logica del lavoro, cioè secondo il ritmo generale che l’opera dovrà, per le sue caratteristiche, avere. È chiaro che la struttura compositiva di un film non dipende dalla semplice successione cronologica degli avvenimenti che si narrano, ma dalle leggi interne del mondo che si esprimerà in questa narrazione. Salta agli occhi di tutti che la disposizione della materia di un film di Pabst o di René Clair non

può essere la stessa di quella di un film di cow-boys o di Far West; e, per fare un esempio facile e banale, è chiaro che la disposizione degli episodi e in genere il racconto del delitto tragico di Raskolnikov non potrebbe svolgersi nell'ordine di un racconto poliziesco anche se la trama, striciu sensu, ne fosse perfettamente la stessa. Dove la preoccupazione è quella di esprimere un mondo, fatti ed episodi si dovranno susseguire e in un ordine che sempre più e meglio ne lumeggi i vari ambienti, così che la storia venga a prendere quel carattere di universale validità che supera l'assunto stesso della narrazione;

dove

invece

lo sforzo

è quello

di divertire e distrarre

il lettore,

sti-

FRE SII PIRO FRASI e i OLI preti SRO E, >

I

RR ORO x

Soggetto

al

HRG

i

e sceneggiatura

10I

molando la sua curiosità e facendolo passare di sorpresa in sorpresa con sempre nuove ed inattese situazioni, il racconto si svolgerà in ordine del tutto diverso.

Rovesciamento

del racconto

Il romanzo giallo è stato definito piuttosto argutamente « un ro-

manzo sione

scritto a rovescio »; ed è chiarissimo il motivo di questa inver-

narrativa;

sospeso, zione

si vuole

che

il racconto

tenga

incerto e desideroso di giungere

del caso raccontatogli

dall’esterno;

il lettore

costantemente

allo svolgimento quindi

e alla solu-

lo s’inizia partendo

dal

punto culminante, il delitto, più o meno misterioso. Le prime scene del racconto stimolano potentemente la curiosità del lettore e gli pongono una specie di indovinello o di sciarada che verrà via via risolvendosi nel corso delle indagini sul caso. Indagini che sono condotte, coerentemente alla prima inversione cronologica, dosando le informazioni e facendo cioè fortemente partecipare il lettore, identificato col detective, alla soluzione del problema. Tutto lo studio sta nella disposizione di queste

informazioni,

nel caso

degli indizi,

così da

ridursi

tutto il valere

di un

romanzo del genere nella buona disposizione: della materia, nella esatta previsione degli effetti sul lettore nella buona e cioè crescente progres-

sione di emotività o per lo meno di curiosità. La immediatezza di successo di un romanzo, ed anche di un film, è data da una simile previsione degli effetti di emozione e di sorpresa sul pubblico. « Fate che essi ridano, piangano, aspettino » è la formula di Griffith, riferita dal Margrave, per il film di successo. E non solo dal film, noi sappiamo da tempo che la tecnica dell’immediato successo sta

tutta nella sospensione degli animi del pubblico, ottenuta con qualsiasi

mezzo, diffuso brani e Un tecnica

ma di cui, come abbiamo visto, il mezzo più elementare e più è l'inversione del racconto e la informazione desiderata offerta a a frammenti. esempio molto curioso e gradevole di dichiarato impiego di una del genere, il cui ricordo credo potrà interessare in questi tempi,

in cui la letteratura cosiddetta gialla si è diffusa in tutto il mondo, come fino a qualche anno fa lo era nei paesi anglo-sassoni, ci è offerta dal ro-

tnanzo di Cernyscevski Che fare? scritto, come è noto, nel 1863. Quel curioso eretico dell'economia politica che fu Cernyscevski e che scriveva un romanzo mosso unicamente da preoccupazioni sociali, ricorse ad un

102

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

espediente assai strano per assicurare al suo libro popolarità e diffusione : nel capitolo primo, intitolato Un imbecille egli narra di un tipo che si tira un colpo di pistola e si getta nella Neva: la gente passa e commenta: un suicida, un imbecille e così via; a quel primo capitolo segue una

prefazione, che spiega come i fatti, precedentemente narrati, dovessero in realtà giungere assai più tardi nel corso della narrazione, ma che l’autore ha preferito metterli come prima scena del suo libro per incuriosire il lettore e invogliarlo a leggere. In seguito infatti si viene a sapere che quel suicida non ha che simulato la sua uccisione, e tutte le cose si mettono a posto a maggior gloria dello strambo ed esasperato nihilismo dello scrittore. i

Questa tecnica del romanzo giallo è portata all’esasperazione collo stimolo della curiosità del lettore per la ricerca dell'assassino. Si è avuto, credo per la prima volta per opera di Agata Christie, il caso stupefacente per cui l’autore del delitto narrato nel romanzo è lo stesso autore del libro: finzione certamente molto divertente ed insospettata. E si è detto anche che il colmo, il non plus ultra del romanzo poliziesco, sarebbe quello in cui autore del delitto fosse il lettore del ro-

manzo, caso che gli specialisti, mi sembra, considerano assurdo. Eppure non è affatto un caso assurdo, ma potrebbe benissimo essere scritto un racconto il cui assunto sia questa accusa al lettore. Tu, cne perdi il tuo tempo a leggere romanzi vuoti, sei responsabile di questo e di quello,

cioè di un

modo

di essere e di vivere,

e sei quindi

tu il vero

colpevole della storia che io ti narro e del delitto che vi si racconta. Naturalmente un racconto di questo genere verrebbe a perdere

il

carattere di facilità e di spensieratezza che si richiede alla letteratura gia/la, e, proprio per la sua postazione etica e per la sua problematicità, sfocierebbe naturalmente nel romanzo letterario. E infatti delitti di cui sia autore in questo senso il lettore sono alcuni celebri della letteratura, non

ultimo tra questi proprio il già citato, di Dostoievski, Delitto e castigo; e, in un certo senso, il delitto del romanzo di de Marchi Il cappello del prete che è uno dei primi e dei migliori polizieschi italiani. Si legga quanto hanno scritto su questo tipo di letteratura, tanto istruttivo, dal punto di vista sociale, Paul Morand, Thomas Mann e il critico polacco Baczinski che na dedicato al problema uno studio curioso intitolato Sangue sul Parnaso.

Un esempio, piuttosto brillante del film 4 rovescio, cioè del film fatto con la tecnica del giallo (il teatro si era già lasciato tentare da queste esperienze, cfr. O. Vergani: // vigliacco, P. Solari: Dimmidolce,

Soggetto e sceneggiatura

©

103 À

U. Barbaro: /! bolide) si è avuto nel film, di Willy Forst con Pola Ne-

gri, Mazurca tragica; e una ma meno psicologicamente Conflit. i

ripresa, abbastanza efficace esteriormente fine, se ne è avuta col film francese.

Difficoltà dell'inversione narrativa nel film L'inversione narrativa di cui abbiamo discorso si ottiene nel film con

facilità materializzando

visivamente,

tra due

dissolvenze

lunghe,

il rac-

conto-chiave che il detective, o chi per lui, dà alla fine della storia da lui ricostruita: questa però, che sembra tipica forma di idealizzazione del

tempo e dello spazio cinematografico, nel gretto realismo teatralistico che domina oggi il film, sembra non più bene accetta dal pubblico, e

maniera antiquata e sorpassata. Si tratta evidentemente di questioni di moda che niente hanno a che fare coll’effettivo valore dei film: notiamo tuttavia la tendenza a trasformare la chiusa tipo del romanzo poliziesco filmato. Non è più il poli-

ziotto che racconta e ricostruisce i fatti denunziando l'assassino, ma è

questi che si rivela con un atto inconsulto, una fuga o una nuova azione

criminosa. Un esempio, anche letterariamente piuttosto fine, di questa chiusa si ha ne L'affaire Saint-Fiacre di Georges Simenon !,

Il trattamento

e il successo

Da quanto precede si arguisce che gran parte del successo immediato di un’opera dipende dalla disposizione della materia, la quale determina i cosiddetti effetti. Ma noi sappiamo che le personalità degli autentici artisti rifuggono, in genere, dalla ricerca degli effetti. Si può ricordare in proposito il severo giudizio di Manzoni sugli scrittori francesi: ils

visent à l'éffet, il y visent toujours. E quale altezza ‘di poesia non raggiunge, nel suo capolavoro, il Manzoni per la sua costante rinunzia agli 1 Il

da

Jean

Maigret

citato

romanzo

Delannoy e il caso

col

di

Simenon

titolo:

Saint-Fiacre

è

Maigret (n.d.r.).

stato

et

portato

l'affaire

sullo

schermo

Saint-Fiacre,

in

nel

1959

italiano: ;

Hc

Il film e il risarcimento marxisto dell'arte

effetti. Certo le enfasi di taluni episodi, quello della sciagurata Geltrude ad esempio, o di alcune digressioni, le grida o la peste di Milano, potrebbero, al lume di qualsiasi precettistica compositiva, esser considerate assurde

ed erronee;

ma

non c’è lettore serio dei Promessi

non avverta che proprio in esse si celebra, nezza, l’arte del Manzoni. Se si continuasse nell’esemplificazione pacifico che sorpresa ed emozione bruta ‘che spartire con il valore artistico e che

sposi che

forse nella sua maggiore piei letteraria sarebbe per ognuno non hanno, molto o poco, a solo una mediocre e deteriore

valutazione può appoggiare su di essi la qualità dell’opera.

Il divertimento e il film di confezione È dunque un fatto che non può non stupire che per lo più i trattatisti, e in particolare quelli americani, 3'indugino così insistentemente sul

problema degli effetti e della previsione di essi. Uno dei trattati più celebrati d'America ® dichiara senz'altro che « il più importante tra tutti i

uomini problemi dell’artista » è quello della tecnica narrativa. « Tutti gli — vi è scritto — e le loro mogli, vanno al cinematografo per essere intrattenuti, scossi ed eccitati emotivamente in maniera piacevole »: dunque l'offerta di visioni emotive e lo stimolo delle emozioni del pubblico sono il maggior compito dell'artista, sia egli lo scrittore, il regista o l'attore. « Nove su dieci dei soggetti cne vengono bocciati a Hollywood

contengono qualche errore nella trattazione emotiva. Può esserci errore nel disegno di una emozione,

o può esserci il racconto di eventi atti a

| produrre nello spettatore sensazioni spiacevoli. E certamente sono assai

‘pochi coloro che son nati con una sensibilità tale che li renda capaci di intuire questi aspetti della natura umana indipendentemente dall’osser-

vazione metodica e dall’analisi. » Se le cose stessero effettivamente così il problema della produzione

artistica si ridurrebbe a un problema di maggiore o minore conoscenza della psicologia collettiva, conoscenza che si crede facilmente acquisibile coll’osservazione metodica e con l’analisi. Vediamo pure i risultati di queste indagini, la cui puerilità e la cui dubbia utilità sono evidenti. « Nello scrivere per il cinematografo pia-

i tures,

1 Watter B. New York,

Pirkin 1930.

and

Wirriam

U.

MARSTAN:

The

Art

of Sound

Pic-

Soggetto

e sceneggiatura

105

cere e dolore debbono essere combinati in modo che non ci sia del primo, tanto da fare una saccarina, nè, del secondo , una dose così eccessiva da sboccare nel morboso. » « L'effetto finale di un film a lieto fine è più potente di quanto non lo siano gli effetti delle success ive situazioni piacevoli o dolorose che portano a quella soluzione. È quindi possibile mettere molte situazioni dolorose nella prima parte del nostro racconto e dare al suo complesso un effetto piacevole, coll’ag giunta di un lieto fine. D'altra parte, se il racconto ha un finale triste, voi dovete abilmente cullarvi negli elementi piacevoli, che precedono la chiusa in quella situazione dolorosa, perchè il film piaccia nella sua interezza agli spettatori e perchè essi possano raccomandarlo ai loro amici. Un finale triste non può essere la conclusione di una serie di situazioni dolorose... « Bisognerà insomma che il racconto sia condott o in modo che il pubblico senta che la soluzione prospettatagli era l’unica soluzione possibile, date le circostanze; se ci sarà questa logica egli approverà il vostro

»

racconto.

Quanto

poco

questa

teoria possa

dare

buoni

risultati è ovvio:

si

tratta di una formulazione di regole così primitiva e grossolana a cui

appare inadeguata perfino la parola, sempre fuori di posto quando si tratta di cose d’arte, psicologia; questa meravi gliosa pseudo-scienza avendo, infatti, assai più vasti e più profondi orizzonti.

L'applicazione di simili formulette genera il cosiddetto film divertente che alcuni hanno chiamato felicemente: film di confezione. Che

cosa pretende dare la confezione in serie di abiti? Abiti che stiano bene a tutti, precisamente cioè quegli abiti che non stanno bene a nessuno anche se, circostanze particolari, nel caso circost anze economiche, obbligano tutti a portarli. Se si vuol continuare a restare nella povera metafora, si possono applicare allegramente al film i precetti che sono le leggi sacre dei sartori della confezione ; una buona stoffa mal tagliata dà un rattivo vestito, mentre una mediocre stoffetta, perfettamente confe-

zionata,

dà un abito superbo. E siamo così già sboccati in quel forma-

lismo di bassa lega che, nel fim, ha il suo più perfett o rappresentante in Lubitsch; il regista classico per darci quello che i tedeschi chiamano:

Nichts in Seidenpapier, con una definizione che ‘convie ne perfettamente oltre che alla produzione di Lubitsch, a quella di qualche suo fatiscente imitatore italiano di cui è inutile ricordare il nome e a quella ameri-

cana

in genere.

Punto

di vista questo

non

nuovo

nè originale

tra le

Il film

è il risarcimento marrista

dell'arte

con vivacità ‘persone ragionevoli e che è stato recentemente riaffermato da G. W.

Pabst.

Il film divertente

e sua immoralità

oltre che antiartisticità

celebre detI film facili uccidono, si potrebbe dire parafrasando un inteso infatti va to di Flaubert. Il divertimento che i film facili offrono cosa? che Da e. straniar ere, distogli e, nel senso etimologico: divertir suggestione Dalla vita, dalla vera vita. E in che modo? Colla lontani. e ci sori e meravigliosi mondi fantasti

di illuA

of the Usine des Réves ha chiamato Erenburg il film, Substitute Traume n l’Altma Oppio Dream l'ha detto Hugo von Hoffmanstahl, re sulla fabrik ha ripetuto recentemente il Groll. Ed ecco quindi conveni

parole caratstessa definizione del cattivo film, e persino con le ‘stesse tendenze: opposte e ssime diversi di e paesi diversi di terizzarlo, uomini n e un giovane un giornalista cinematografico di sinistra come l’Altma un grande poeta nazista (Groll), un romanziere comunista (Erenburg) e

‘austriaco,

d’annunziano

Nessuna

e pieno

di spiriti araldici

(Hoffmanstahl) !.

izzare definizione può infatti essere più felice per caratter

il film di confezione. Che cos'è il sogno?

Una fantastica, apparente-

la quale, come mente insensata, e per di più bidimensionale, visione, dei cardini uno facesse ne Freud che prima Goethe, già aveva intuito , placando le della psicanalisi, serve a ricostruire l'equilibrio psichico e le ciliegie che insoddisfazioni della veglia. Il bambino sogna di mangiar

non ha potuto mangiare durante il giorno.

È

che è lecito chiaE questa è la più profonda motivazione di quello parte dei maggior della e imbecill ismo l'ottim nte, tianame mare, marinet non solo perchè e o illusori film di confezione; ottimismo imbecille perchè della concreti e reali valori dei ltazione coll’esa comune di non ha niente questo senso, oltre vita, ma che anzi nega, di fatto, quei valori. È in la vita, oppoche imbecille, anche criminale: perchè calunnia e svaluta

altro della nendole il mondo dei sogni e delle chimere che sono ben

poesia.

E che Sospende la vita è l’efficace rèclame di certi romanzi gialli.

GunTtER GRoLL: Film 1 Georges ALtMAN: Ca c'est du cinéma, Paris, 1931; Die Traumfabrik, die unentdeckte Kunst, Minchen, 1937; ILia ERENBURG: for Dreams, in London Berlino, 1931; Huco von HoFFMANSTAHL: Substitutes Mercury, 1923, pp. 178-180.

Soggetto e sceneggiatura

107

cosa dunque di diverso dall’oppio, dalla morfina, dagli stupefacenti? Il divertente cinematografico e romanzesco non è che il dispiegarsi poveramente fantastico di un mondo assurdamente meraviglioso che, nei confronti della svalutata vita, non può che cercare di farsi sempre più largo e maggior posto a detrimento della vita reale, che se ne fa tanto più grigia, tanto più faticosa, tanto più dura. Meraviglioso mondo vuol dire mondo di locali notturni, di marsine, di decolletés, di donne facili, di ambienti di corte operettistica e di altretta li porcherie. L’'ottimismo imbecille di quei film è dunque in proporzione inversa al reale ottimismo che non può che concili are con la vita reale e cioè anche e soprattutto con la tenacia e con lo sforzo che essa esige per attuarsi secondo le leggi del buono e.del vero e del bello. In questo senso

non sarà certo troppo acuto il giudizio di chi conside rasse, ad esempio, Carnet

de bal (regia: Duvivier) un film deprimente in cui si esprima una filosofia scettica della vita. Senza essere un capolavoro quel film, che attinge i suoi effetti da una recitazione quasi sempre anticinematografica e da una certa fissità teatrale « a ‘quadri » (del genere, per intenderci, di quella che qualche anno or sono rese popolare il dramma di Gantillon, Maya), proprio presentando certi aspetti marginali e tristi dell’esistenza, mostrava l'aspirazione a una migliore umanità. Così non siamo sicurissimi che l'episodio del sindaco , in quel film, che in una primitiva stesura culminava coll’arrivo di un figlio di questi e con una solenne brutale bastonatura, abbia allegge rito il presunto pessimismo del film col sapore comico e bonario che nella seconda stesura gli si è conferito. Anzi l'episodio fa così uno sgrade vole spicco tra gli altri, e, accentuando il carattere di slegamento che al film veniva dalla macchinosità del carnet e dalla teatralità, vela di artificiosità e di falsità

anche gli altri momenti del racconto.

Mentre una più forte aspirazione a una diversa maniera di vivere ‘ sarebbe stata suggerita al pubblico da una più cospicua organicità e da una anche più desolata visione degli ambien ti rappresentati. Il lieto fine

Pochi hanno riflettuto, mi pare, che il lieto fine è essenzialmente anticristiano; chè se in terra si attuasse la felicità ed il bene non sarebbe necessario sanare l’imperfezione inesist ente, nell'aldilà. Come esempio altissimo di cristiana accort ezza morale possiamo

Il

108

e il risarcimento

film

marxista

dell'arte

alice

ponuovamente prendere I promessi sposi. Tutto quello che Manzoni che « Iddio ico giansenist col e rientrato ismo volterrian teva, col suo atterra

suscita »,

concedere

alla

felicità

era

terrena,

quel

suo

co-

ca 1

ul;

Lf Lal bialt i,

(Manstante spogliare di ogni appannaggio statuario ed eroico il male dei zoni non amava la bellezza esteriore, ma solo la ferrea coscienza ridicolo o, soprattutt reso, , buoni); e il male nel libro è stato immiserito face vestito da prete. Per ogni serio lettore è infatti Don Abbondio la di cia irriducibile del male. E nonostante la prolifica felicità coniugale il Geltrude, e ato l’Innomin Rodrigo, Don e Renzo e Lucia, nonostant chi non romanzo non può dirsi a lieto fine: perchè c'è chi persevera, . capisce, non si converte, non si redime: Don Abbondio, cristiana. mente profonda e nte sentitame dunque ne Conclusio La legittimità del lieto o triste fine riposa dunque anch'essa sulla impegno, visione del mondo dell'autore: 0, anche nel film di nessun

nell’esigenza di una soluzione catartica del mondo narrativo proposto. Un tipo di finale piuttosto che un altro non può dunque prospet-

dr

AIR RE CARICO NENTIdii 1)

e

ra, se non per il tarsi indipendentemente dai bisogni intimi dell’ope quefilm di confezione. Il quale è nettamente in antitesi col film d’arte: definiper è, quello originale, o linguaggi sto è creazione autonoma di accettate e zione, replica all'infinito di forme già trovate, sperimentate, più largo al adatte e bili comprensi facili e quindi anche particolarmente del passività la sta d’arte film del tà all’attivi fronte di Così pubblico. film industria. Il film

di confezione

è poi,

come

si è visto,

eminentemente

immo-

civili, agli rale e si dovrebbe dargli la stessa caccia che si dà, nei paesi stupefacenti.

Lo stupefacente

come

medicina

Quell’astrazione di cui sempre discorrono i produttori, che preten-

ma un dono conoscerla, il gusto del pubblico non è concetto estetico azione semplice dato psicologico. E, estranea restando ogni preoccup artistica,

possiamo

riconoscere,

in casi particolari

ed

eccezionali,

anche

anauna certa funzione del film cosiddetto divertente. Funzione in tutto come trati somminis sono quando loga a quella dell'oppio e della morfina medicinali. detto Il film divertente diventa allora quello che acutamente ha ». e spiritual anismo dell’org ifesa Béla Bal4zs « un’autod

Soggetto

e sceneggiatura

109

L'interessante funzione sociale del film divertente è dunque

di un ricreatore di equilibri, precisamente come il sogno. Argomenti

di questo genere interesseranno naturalmente

quella

più i so-

ciologhi che non i critici e tuttavia è attraente osservare che spesso film in cui si descrivano scene di violenza, di rapina e di sangue non tanto

generano,

come

certi semplici moralisti credono,

emulazione

per i

tristi

eroi di quelle storie, quanto piuttosto scaricano fantasticamente certe deviate tendenze, più o meno sotterranee, del pubblico. È nota la tesi di André Breton che fa derivare il romanzo nero (Maturin Radcliff ecc.) inglese dal bisogno di un compenso psichico, per quel popolo, dei

mancati spargimenti di sangue della Rivoluzione francese!

Questa funzione sociale del cattivo film, sulla quale sarebbe interessante portare maggior luce di ricerca, non va tuttavia esagerata. E solo fino ad un certo punto essa va portata a scusa della mediocrità e della falsità del film a larga diffusione;

ma

se si riflette che le insoddisfazioni

che il film viene a placare fantasticamente sono le normali matrici dello slancio vitale, cioè della riflessione e dell’azione, si deve concluder e che

la fioritura di tali film non deve dipendere da motivi industriali, ma deve essere promossa unicamente, quando ne sia il caso, da una respon-

sabile coscienza sociale e politica.

Orientamento

del pubblico

L'antagonismo tra film d’arte e film a successo non è necessaria mente eterno. Il film è una forma di spettacolo popolare ed è un’arte per il popolo e colla quale sono a contatto continuo e quotidian o i più larghi strati della popolazione. In questo senso la sua funzione culturale ed etica è immensa, perchè da un frequente contatto con le opere d'arte non può nascere che un affinamento del gusto, una prepara-

zione, una capacità a comprendere, Che, in questo caso, non sarà limitata ad una schiera ristretta di intenditori, ma a enormi masse,

Si può quindi contare su una molto più larga comprensione da parte del pubblico di quanto generalmente non si mostri di credere e soprattutto su di un suo pronto adeguamento a più alti prodotti. Soltanto che i film necessitano di una speciale presentazione che faccia avvertito lo spettatore di quanto gli verrà offerto e del modo con cui quanto gli si offre dovrà essere guardato.

110

;

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

L'insuccesso di certi film d’intenzione artistica dipende il più delle

del volte dal fatto che il pubblico, disorientato, assiste ad uno spettacolo disposiquesta in e trovare; di aspettava si che tutto diverso da quello vede, zione d'animo, non solo non è in grado di apprezzare l’opera che

ma facilmente se ne indigna. Facendo la solita facile analogia colla letteratura immaginiamo che, finite le sue ore di lavoro, e sentendosi

un rostanco, un impiegato o una dattilografa compri in una libreria di un pacchetto il dà gli errore, per commesso, il : manzetto divertente si dialtro cliente; così che, quando comodamente sdraiato il nostro e certament che si meraviglio mondi dei nirvana spone a godersi il facile il libro gli offrirà, dallo scartocciato pacchetto vien fuori La Divina allo Commedia. Il povero lettore che non si disponeva in quell’ora poegrande del altezze alle innalzarsi per necessario lavoro al e sforzo enormema ne sarà indignatissimo e, pur sapendo di aver guadagnato

‘mente nel cambio, non leggerà neppure una riga: prenderà il cappello ed andrà al cinematografo.

Il materiale plastico

Invenimento e scelta degli elementi visivi Sulla prima fase di trattamento del soggetto cinematografico,

oltre

al.già esaminato compito della disposizione generale della materia e la conseguente diegmatica definizione dei tempi e degli spazi, incombe

il compito non meno impegnativo e importante, che si suole caratterizzare come la scelta del materiale plastico. Esso consiste nell’invenimento di un materiale visivo e quindi fotografabile nel quale si attui il soggetto stesso nei suoi sviluppi e nella sua significazione. Lavoro anche questo strettamente connesso con tutti gli altri relativi alla generale alcun ideazione e creazione del film, e che naturalmente non può in

modo essere isolato e esser considerato a sè. Come buoni esempi di felice impiego di materiale plastico Pudovkin ha indicato quello di alcuni vecchi film americani di Griffith e di

Henry King. Sono infatti indimenticabili i calzettini di lana del bimbo

Soggetto e sceneggiatura

i

si

111

nell'episodio contemporaneo di Intolerance e il fucile di Tol'able David; $

a quei lontani esempi si possono trovare tuttavi a buoni precedenti nei film italiani e francesi di qualche anno prima, come ormai non è più un mistero per nessuno. Si pensi al matrimonio dinanzi al quasi metafisico manichino nell’Histoire d'un Pierrot, e alla più primitiva e trasparente gabbia di piccioni, nello stesso film che fu prodotto a Roma nel 1913: si veda ancora l'elemento plastico costan temente felice nel vecchio Sperduti nel buio, la cui importanza, dopo una prima rivalutazione, nel 1932, si va definitivamente assodando nella storia della protocinematografia. La forza espressiva della felice scelta del materia le plastico, alla

quale ha dato- naturalmente il più grande impulso il film muto, deriva dalla straordinaria evidenza con cui i fattori visivi si fanno eloquenti, se bene impiegati,

ad illustrare gli stati d’animo

dei personaggi,

gli am-

bienti in cui essi vivono ed anche il corso generale degli avvenimenti, e

quindi determinare addirittura la poesia del film. Il film muto ha attinto infatti, per sola virtù delle immagini, un livello artistico assai alto nei suoi migliori esempi: così che si è potuto considerare il sonoro come un elemento perturbatore, più che di arricchimento e di potenziamento, Da un portoncino di un vicolo malfamato esce un uomo: una mano femminile sporge da una finestrella e lo richiama battendolo sulla spalla con il bastone che l’uomo ha eviden temente dimenticato nella casa. L'uomo fa per prendere il bastone, ma la mano scherzosamente lo ritrae; e quando finalmente egli riesce ad afferrare il bastone per il manico esso si allunga sfoderando la lama di cui era animato. La potenza evocatrice di questa scena appare evidente anche alla sola de-

scrizione letteraria: la quale tuttavia non ci dà ancora quanto c’è nel-

W.

Pabst

cole I Si R e

di G.

ie RideN

1 E il titolo della versione francese di Dreigroschenoper tratto da The Beggar's Opera di John Gay (n.d.r.).

è ua: VER

da attorno, si avvicina alla biglietteria, ordina un biglietto: mentre lo

attende si aggrappa con entrambe le mani alle sbarre dello sportello con un gesto caratteristico e non equivocabile, Il pubblico traduce imme-

Be

l'immagine di ironia pungente e non ci dà soprattutto l'emozione estetica che è naturalmente tutta nell'aspetto figurat ivo dell’inquadratura (L’opera des quatr sous) ?, Nella stazione di un paesino americano entra Charlot; egli si guar-

ET

Il film

112

e u risarcimento

Se ica

RARE PEA AI RZ

e

oi

ai

er

dell'arte

marxista

diatamente: un forzato recentemente evaso dal carcere in cui ha lungamente soggiornato... (Il pellegrino). In un locale notturno entrano Menjou ed Edna Purviance: le scriminature sono diritte, le chiome troppo ingommate, le marsine hanno perduto il pelo e cominciano a lustrarsi; un giovanotto dalla faccia equi-

voca e patibolare prende un caffelatte accanto ad una vecchia signora

che ha da tempo oltrepassato l’età sinodale; alla domanda ingenua della Purviance, discreto ed eloquente gesto di Menjou (Una donna di Parigi). Qui tutto è evidente e tutto risponde alla funzione, non solo di descrivere, ma anche e soprattutto di giudicare l’ambiente in cui Menjou va a mangiare tartufi cotti allo sciampagna. E l’elegantissimo non è proposto

a modello alla folla, ma è addirittura il vilain della storia, come il locale di artificiali delizie, ma

notturno non è un paradiso sezza e di corruzione. Quando

l’uomo

un luogo di bas-

il banchiere avventuroso

dalla marsina impeccabile,

che vive di speculazione borsistica, si reca in cucina a costatare de visu, da esperto buongustaio, che tutto sia in ordine nella preparazione del

suo perfetto e raffinato pasto, i cuochi gli presenteranno, toltala da un

cartoccetto a imbuto, una beccaccia frolla a puntino che egli annusa esta-

siato. Ma appena il cliente è uscito i cuochi si turano il naso al puzzo di

decomposizione della beccaccia, Ed ecco che il materiale plastico diviene significato e metafora: guasti e putridi si estasiano solo al putridume quei degenerati esponenti di un mondo parassitario in decomposizione. (Occorre ricordare che in quei tempi, spesso anche in materia demago€ gica e antiartistica, i « bei vestiti indicavano i cattivi sentimenti » cistorie delle cattivo o personaggi il era d’Arcy, Roy tipo e, l’eleganton nematografiche. L’elegantone doveva trovare poi in Lubitsch il suo San Giorgio.) Nello stesso film (Una donna di Parigi) si può ancora ricordare il nastro

del

telegrafo,

massaggiatrice,

la

il colletto

Vie

parisienne,

alla

i bombons,

diplomatica

nel

il sassofonino,

cassetto

in casa

la

della

donna; e la collana, il tacco da scarpe, il biglietto di banca; nella sequenza più volte ricordata del bisticcio tra i In un recente film francese con Stroheim. dore, si avvicina alla finestra e l’apre; torna sudore e, di nuovo alla finestra, la richiude mente detto che il calore era così soffocante

due amanti. ‘Un tale si asciuga il sual tavolino, si asciuga il rabbiosamente. Ottimada render preferibile la

finestra chiusa alla finestra aperta. Per una simile situazione nel film Il grande appello si mostrava un enorme ventilatore e nella successiva

Soggetto

e sceneggiatura

113

inquadratura l’uomo sul letto intento ad asciugarsi il sudore; il risultato non era quello voluto perchè il grande ventilatore, isolato nella inquadratura, suggeriva piuttosto idea di fresco che di caldo ed era una suggestione tanto più forte, che il successivo atto dell’uomo di

asciugarsi il sudore non bastava a cancellarla.

Per un'idea simile — caldo siccità — soluzione molto semplice ed efficace in Nostro pane quotidiano (Vidor): un cane ansimante e con

la lingua di fuori.

Nelle varie riduzioni dei Miserabili tutti ricordano il valore che vi prendevano i candelabri rubati da Valjean e donatigli poi dal prete. La visione di quei candelabri, in dati momenti della storia, alludeva chia- -

ramente

per facile associazione

d’idea agli stati d’animo

del prota-

gonista. Abbiamo visto che in alcuni casi, particolarmente felici, il materiale plastico ha implicito in sè un giudizio: come nel peggiorativo morale della letteratura; quello ad esempio che il De Marchi aveva ereditato dal Manzoni — l’arma con cui l'industriale uccide la moglie (Demetrio Pianelli) è: quell’arnesaccio. E per esempio: i canarini del gangster « zio » di Sylvia Sidney, ne Le vie della città (Mamoulian) denunziano un sentimentalismo che è debolezza nervosa e ci chiariscono perfettamente l’ironica valutazione psichica dei terribili e crudeli criminali del film che il regista viene così a umanizzare, impiccolire, ridicolizzare con tutti quei soprammobili, quei gatti e quegli uccelli vivi o impagliati; con lo stesso distacco con cui Faulkner ha definito il suo piccolo tremendo e miserevole Popeye. E magari anche con un pizzico in più di europeismo e di comprensiva ironia. Queste metafore visive non necessitano assolutamente di un così complesso doppio fondo: la loro gloriosa cinematograficità basta a portarle sul piano del valore artistico, e può nobilitare qualunque espressione, anche contenutisticamente banale. Una ragazza di strada si presta ad offrire ad un suo conoscente del milieu un falso alibi (Alibi): il commissario che la interroga sospetta che la deposizione non risponda alla verità ma non insiste, e solo quando la donna sta per uscire le chiede se ella sappia che l’inchiesta è relativa a un omicidio. La ragazza non dice nulla ed esce. Fuori dalla porta, preoccupata dall'idea di farsi complice di favoreggiamento di un omicida, pensa di rientrare e di confessare al commissario

di aver testimoniato

il falso,

ma

dopo

un attimo

di esitazione,

114

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

si allontana. Questo concetto, di per sè non profondo né peregrino, è tradotto cinematograficamente con grande efficacia colla visione della sola maniglia della porta, che, uscita la donna si abbassa e, dopo un attimo, torna a posto. Un esempio del genere, ‘che ormai è divenuto vieto ed ha visto quindi scadere la forza della trovata originale, è il portacenere pieno di | mozziconi che indica il passare del tempo e il nervosismo del personaggio in attesa. Un caso particolare e molto interessante di scelta del materiale pla-

stico è quello delle azioni indirette. Molti esempi ne forniscono i film di Capra, e, tra i primi, il vecchio e stupefacente La donna del miracolo : si ricordi la dichiarazione alla ragazza fatta dal cieco coll’aiuto del pupazzetto del numero ventriloquio; i singhiozzi della donna che rovesciandosi sul divano fa cadere e mettere in azione il giocattolo « xilofono » e

così via. Bello, in Proibito (Capra), l'episodio del colpo di rivoltella ‘attraverso la porta col giornalista ricattatore che, colpito, si aggrappa ai ‘fili delle tende e fa scattare la stora.

Le azioni indirette si usano per lo più nel caso di scene di visa e di raccapriccio e ottengono un’efficacia che la diretta presentazione dell'avvenimento raramente raggiunge. Memorabili la caduta dei meloni, in luogo della donna colpita, nella bottega della spia a Salonicco in Made-

moiselle Docteur (Pabst), il rimbalzare delle palle di gomma, mentre la radio trasmette un coro di voci bianche, provocato dall’uccisione, a colpi di mattone, in Quai des brumes !, il mettersi in moto e suonare del pianino, per l’uomo scaraventatovi contro, in 14 luglio ?, la replica della stessa trovata in Pepé le Moko 3, il grappolo d'uva strizzato dall’operaio di Terni alla vista della mortale sciagura (Acciaio), e l'elenco po-

trebbe continuare e comprendere il più recente modello del genere: il perfetto arabesco del ruzzolare della moneta sfuggita dalle mani del coolie ucciso nel Dramma di Shangai (Pabst). Fin qui esempi di azioni indirette che alludono a scene di grande drammaticità;

rattere;

ma

esse

possono

e basti l'esempio

convenire

di Angelo

anche

(Lubitsch):

a fatti di diverso

nella

cucina

ca-

di una

1 Quai des brumes è stato presentato in Italia col titolo: /! porto delle nebbie (n.d.r.). 2 L'autore ha tradotto letteralmente il titolo (14 Jwillet) del noto film di | René Clair che ha circolato in Italia come: Per le vie di Parigi (n.d.r.).

3 Pepé le Moko ba avuto in Italia il titolo: Il bandito della Casbah (n.d.r.).

Soggetto

e sceneggiatura

115

casa signorile durante un pranzo in cui c'è un invitato tornano-i piatti della pietanza: uno vuoto, l’altro con la carne intatta, il terzo con la cotoletta tagliuzzata in quadratini uguali. Non si vede il pranzo imbarazzante ma si rivelano allusivamente i comportamenti e gli stati d'animo dei tre protagonisti. Un caso di visione indiretta, anch’esso per lo più impiegato in scene drammatiche, è l'ombra che si è vista più di una volta in scene di delitti o di duelli; ed un caso che ha qualche affinità è il dettaglio in luogo dell’intero, come nel più volte ripetuto esempio della mano del colpito che s’irrigidisce (Perdizione di S. Roberts). Nel film di Bunuel Un chien andalou si vede a un certo punto il particolare di una mano che sporge oltre una porta e che è tutta nereggiante di

‘formiche;

fortissimo esempio

che traduce

bandonato da più giorni.

l’idea di un cadavere

ab-

Rientrano nel caso del materiale plastico anche le azioni che ab-

biano un valore descrittivo di stati interni: esempio primitivo ma di grande evidenza quello citato da Pudovkin: vogliamo dire che un “uomo è un malvagio e lo facciamo vedere che senza scopo, ma' per sciocca brutalità prende a sassate un gattino, Un esempio del genere ‘assai bello era dato di vedere nel film Hordubal (Fric): per presentare

il carattere di un giovane operaio lo si mostrava intento a perforare una

roccia

che

doveva

esser minata;

quando

la tromba

annunciava

che la miccia era accesa e tutta la squadra si allontanava correndo

per mettersi al riparo dallo scoppio, il giovane, visto un ragazzo in pericolo, si precipitava ad acciuffarlo e metterlo in salvo sotto un riparo; e così il regista ci dava, in forma evidente e drammatica, la presentazione di un carattere generoso, impulsivo e virile.

Tanto

basta

a mostrare

quanto

ricerca del materiale plastico fetti di grande persuasività.

interessante

e come

da esso si possano

e complessa

sia la

ricavare ef-

ee

Teano

;

esercitazione

dro

una

i

in

cor

plastico,

E

materiale

x

del

I

la scelta

ia

buona

di

Molto

di un allievo del Centro sperimentale di cinematografia, per caratterizzare un certo tipo di donna: è mezzogiorno, il sole invade la stanza, la donna si sveglia, si stiracchia pigramente, sbadiglia, prende una sigaretta e l’accende al lumino della Madonna. i

La sceneggiatura

Definizioni

Si può definire la sceneggiatura come un sistematico e ordinato tentativo di prevedere il futuro film in tutti i suoi particolari; previsione

che,

praticamente,

si concreta

in uno

scritto

che

contiene

la de-

scrizione, scena per scena e inquadratura per inquadratura, delle azio‘ni, i dialoghi, l'indicazione dei rumori e della musica d’accompagnamento, e la soluzione di tutti i problemi tecnici e artistici che si pre-

senteranno durante la realizzazione del film. Della fase scritta di elaborazione della materia del soggetto, la sceneggiatura è la più complessa e completa. Ma non si deve credere, per questo carattere di apparente compiutezza, che si possa considerare la sceneggiatura come l'atto spirituale della creazione del film, indipendentemente dalla sua materiale produzione; perchè il film è tale solo in quanto è realizzato, e la sua precedente descrizione letteraria, per quanto minuziosa, particolareggiata ed esatta non può in alcun modo sostituirlo. Non può sostituire il film nemmeno la sceneggiatura de-

dotta a posteriori dall’opera già realizzata, allo stesso modo e per la stessa ragione per cui nessuna descrizione letteraria di un quadro o di una sinfonia possono sostituire, come abbiamo già visto, la musica o il dipinto.

Pro e contro la sceneggiatura

una una

Da quanto si è detto si capisce benissimo che la sceneggiatura è fase della lavorazione cinematografica alla quale certuni dànno enorme importanza, mentre altri la considerano operazione del

tutto inutile. L'importanza della sceneggiatura, che non è possibile misconoscere, viene da esigenze di ordine pratico. Pudovkin la fa nascere

Soggetto

e sceneggiatura

117

dal bisogno contingente di dare un ordine alla ripresa che, per esigenze di lavorazione, non può quasi mai attuarsi seguendo l'ordine cronologico della storia narrata nel soggetto. Eisenstein considera la sce-

neggiatura

uno schema privo di vita e vuoto che dovrebbe

tura bandirsi matografica *. base ad uno no, sul luogo sceneggiatura

la lavorazione,

addirit-

dalla lavorazione per cedere il posto alla novella cinePabst, dal canto suo, ha talvolta girato film solo in scenario (trattamento), improvvisando, giorno per giordelle riprese, le soluzioni tecniche che abitualmente la offre. Blasetti trasforma la sceneggiatura nel corso del-

adattandola alle nuove esigenze artistiche che il pro-

cedere della ripresa viene via via ponendo: e così fanno, con la dovuta misura, tutti i registi seri e ragionevoli. Dire che la sceneggiatura è inutile o che essa è indispensabile è dunque assurdo, come è assurdo proporsi il problema, se un romanzo. debba scriversi di getto o secondo un piano ordinato dei diversi capitoli che lo comporranno. Questo spiega perchè là ove i fattori economici prevalgono sulle esigenze artistiche, si sostenga e si caldeggila cosiddetta sceneggiatura

di ferro della quale, per necessità, il regista e i suoi collaboratori non'. vengono ad essere che i materiali esecutori. Ripetendo così per il cinema la caratteristica interpretativa del teatro, con vecchi e nuovi insopprimibili inconvenienti; e rinunziando alla intima ed esclusiva creatività del film e quindi anche alla sua effettiva supremazia sulle ale forme di spettacolo. E dunque chiaro che la sceneggiatura ha un’importanza prevalentemente pratica e, tra gli elementi che ne consigliano l’uso, non va

dimenticato quello che nasce dalla specifica caratteristica della produzione cinematografica:

Dramma,

canovaccio

la collaborazione.

e sceneggiatura

Se si vuol ad ogni costo riferirsi al teatro, bisogna tenere per fermo che la sceneggiatura è e deve essere assai più affine ad un canovaccio di commedia a braccio piuttosto che ad un dramma letterario. Un concetto che io stesso ho avuto occasione di illustrare da tempo e che re1 S. letterazia,

M.

EisENsTEIN:

1935

e in

La

CHiarini

sceneggiatura, e BarBaro:

trad.

Problemi

di

U.

del film,

BarBARO, Roma,

in

Italia

1939.

| assai dubbia premessa) il dramma

è immer ein Buch und ist im Buche

| vollendet.

Bruno Rehlinger nel suo citato saggio sul concetto « filmico » * dice che la sceneggiatura potrebbe assomigliarsi alla partitura di un pà | pezzo di musica perchè entrambe sono le astrazioni di due manifesta-

| zioni concrete: il film e la musica. Ma anch'egli vede le differenze esi| stenti tra queste due manifestazioni; differenza evidente in quanto la partitura contiene già tutta l’arte del pezzo musicale e la sceneggiatura non contiene nulla dell’arte del futuro film. Più rettamente infine lo scrittore tedesco conclude che la sceneg| giatura può esser considerata alla stessa stregua delle note di regia dei

“mettinscena del teatro.

La sceneggiatura

e i problemi della ripresa

7 L'angolazione | Come è noto la sceneggiatura nella sua forma completa consta di una serie di numeretti ognuno dei quali è seguito da indicazioni tecniche e dalla descrizione degli oggetti, delle persone e delle azioni del futuro

L'angolazione

dine

dalla

sizione

della macchina

1 B. DieBoLp: Film und Drama, in Neue Rundschaù, ? Bruno REHLINGER: Der Begriff « filmisch », 1939.

1932,

da presa PP.

404-410.

ti

L

Ù

x

è

Fra


film è data da Luigi Chiarini nel suo saggio La musica nel film. | Un buon impiego della musica si è avuto in ‘alcuni film italiani per

| opera di Malipiero, Rieti, Veretti, Longo. Nella fantasiosa rievocazione da parte di Cristina del ballo (Carnet del bal) la musica, col formarsi della frase melodica, rendeva le note in| terne del personaggio, lo sforzo del ricostruire il primo sprazzo del ricordo e infine la libera corsa fantastica della rievocazione trasfigurante.

iuti.-Ma duo darà concretezza allo studio di essi sarà solo Lina | cizio della critica rigorosa delle Serre esistenti e, possibilmente, la

Esempi

di sceneggiature

Avventura a mezzanotte (It's Love I'm After, Soggetto di Maurice Vanline. Sceneggiatura di Casey Robinson. Regia di Archie Mayo.

Esterni notturni

I. (c. L) Visione New York.

notturna

di

(Per sovrimpressione)

Un manifesto, che annuncia” una recita dell’attore Basil

| Underwood, di di).

avanza

(sino a

2. (c. L) Visione notturna di Filadelfia. — Appare (per sovrimpressione) il manifesto come nella inquadratura precedente.

3. (c. 1.) Visione notturna di Chicago (movimento di carrello laterale). — Appare (per sovrimpressione) il manifesto come nella inquadratura precedente,

4. (c.

L)

Visione

Los Angeles.

notturna

di

1936)

RR

TR SONORO

EE n TRI SCE

Il film e il risarcimento

164

5. (c. l.) Esterno di un teatro. La folla si diverte, poichè è la fine dell’anno, (movimento

di carrello aereo

Th peri

marxista

dell’arte

Voci che si scambiano gli auguri; grida, risate, rumori naturali.

sino ad inquadrare...) Un

manifesto,

attaccato

al

muro del teatro, che cia la recita di Basil

annunUnder-

wood in meo ».

e

« Giulietta

Ro-

(dissolvenza incrociata). Interno del teatro 6. (p. p.) — Basil, nel costume di Romeo,

recita:

BASIL

— Oh, mio amore, mia sposa, la morte ha succhiato il miele del tuo fiato, ma niun potere ha ancora sulla tua bellezza. 7. (dp. p.) — Joyce, nel costume di Giulietta, è immobile E

sul catafalco, come morta.

BasiL

i

8. (c. 1.) — Dal fondo della platea si vede il palcoscenico su cui si svolge l’ultimo quadro di «Giulietta e Romeo». Basil è in piedi presso il ca-

SS

6 i È: “i

ì

tafalco Joyce. i;

su

cui

è

(fuori campo)

—— Vinta ancora nonsei: sulle tue labbra e sulle tue gote vermiglie è ancora l’insegna della tua bellezza.

adagiata

« Un palco.

BASIL — E lungi è ancora il pallido vessillo della morte.

9. (dp. m.) — Un palco, Marcia ed Enrico, appoggiati al parapetto. Marcia ascolta la voce di Basil con espressione

molto patetica.

;

bii

È

Basi (fuori campo) — O gentile Giulietta, perchè

sei così bella ancora? Forse che la morte si è innamorata di te?

EA,

Soggetto

Enrico prende Marcia. IO.

la mano

e sceneggiatura

di

(c. m.) (dall’alto) — Basil si china su Joyce.

BASIL



II.

(f. n.) — Marcia ha una | espressione sempre più afflitta ed estatica.

12.

.165

(pf. m.)

(dall'alto) —

Basil.

Forse che l’odiato mostro ti

tiene

qui

al

buio

per

farti sua

amante?

BasiL (fuori campo) — per tema di ciò io rimarrò qui con te...

Ia: (d. d.) — Marcia ascolta rapita.

— E mai da della buia notte

questo palazzo ripartirò...

Basil (fuori campo) — Qui, qui rimarrò coi vermi, che sono ormai le tue damigelle, e qui troverò il mio eterno riposo...

14. (f. m.) — Basil.

— E

15. (P. m.) — Mr. West e Zia Ella, seduti nel palco, dietro Enrico e Marcia. Zia Ella

dorme,

qui scuoterò il giogo del-

le infauste stelle...

BASIL (fuori campo) — ... da questa carne

stanca!

Mr. West la scuote.

ELLA — È una meraviglia! speare è così esaltante!

Shake-

Mr. WEST —

Seguita

a

non russare.

ma

dormire,

Ella,

ELLA



Sei

sei mio

16.

(p.

m.)

co;

dietro,

— Marcia Mr.

ed Enri-

West

e

Zia

disgustante, fratello.

anche

se

i

Ella. A Laici

1

il

| fazzoletto, Enrico si china a raccoglierlo. Marcia si protende in avanti, verso il palcoscenico, come attratta dalla voce di Basil. 1°)

Basir

(fuori campo)

— Braccia, il vostro ultimo amplesso; e voi labbra, porte dei sospiri... BASIL — ...Suggellate con questo de

cio il patto eterno con la morte che incalza. Bacia Joyce poi si alza, lo ‘sguardo in direzione del palco di Marcia. Joyce, sussurra denti stretti aprendo un occhio:

Jorce — La tua Giulietta è qui, tesoro, e non sul palco.. — ...Pezzo di salame!

(p. d.) — Joyce. (p. m.) — Basil si rialza. . (pf. m.) — Digges, il cameriere di Basil, e Madlein, la

cameriera di Joyce, nascosti dietro una quinta osservano la scena che si svolge sul palcoscenico,

DIGGES —

2

Siamo

alle solite.

e: m.) — Palcoscenico. Basil

è in piedi presso il catafalco e stringe in una mano la fialetta del veleno.

BASIL

— Su,

amaro

nocchiero,

su,

guida sgradevole; tu, spietato pilota, corri qui subito, guida fra ie rocce marine la mia barca stanca e insicura!

22. (f. .) — Marcia ha una espressione addoloratissima | poichè partecipa vivamente alla

tragica

vicenda

svolge sulla scena.

che

si BasiL —

23.

(d. m.) — Basil beve il veleno, barcolla.

24.(f. d.) — n. 22).

Marcia

(come È

al

(. m.) — Basil si china baciare Joyce.

amore!

BASIL (fuori campo)

i

...le tue droghe fan presto.

a

26. (). d.) — Basile Joyce; questa sussurra con ira:

BASIL — Con

JorcE — Ci

dentro. Basil le dà un morso,

al mio

BASIL 1 i — Oh, onesto farmacista...

— 25.

(fuori campo) Ecco,

un bacio io muoio.

fosse

della

stricnina

Nì i

E

poi...

27 (f. i.)— si abbandona a terra morto.

28. (c. m.) — Palcoscenico. Dal fondo

della

scena

avanza

Frate Lorenzo.

FRATE — Ahimè, ahimè, qual sangue LE

è mai questo che imbratta la soglia: di questo cupo sepolcro? E

queste spade sanguinose e abbandonate, così inverosimili in

Giunge presso il catafalco e

scorge Basil disteso a terra. Voltandosi, si accorge di un

altro corpo giacente al suolo.

29.

(P. m.) — Joyce si ridesta e muove lentamente le mani.

questo luogo di pace!

DI

— Romeo?! Come è pallido! — Chi anche? ride?

Anche

tu, Pa

FRATE (fuori campo) — Oh, qual ora infelice è colpa di questo caso lamentevole?

1

Il film e il risarcimento

30. (p.

m.) — Frate Lorenzo guarda in direzione di Joyce.

dell’arte

marxista

FRATE — Oh!

ZL (p. m.) — Joyce apre gli occhi e chiede:

la fanciulla

Joyce

si muove!

frate,

— Oh, buon mio signore?

il

dov'è

32. (p. m.) — Enrico e Marcia;

quest’ultima si alza con aria

affranta.

MARCIA

e per me

— Egli è morto finita! ENRICO — Dove

Marcia raccoglie e risponde con

è

vai?

il, mantello aria traso-

gnata :

MARCIA



sa!

lo

Chi

l’uscita

Aspettami

al

del teatro.

Jovce (fuori campo) — ...Chè io ben dovrei essere.

33» (p. m.) — Joyce seduta sul catafalco

dice

ricordo

dove

JorcE

al Frate:

— Va’, vattene via perchè io

non verrò. Scende dal catafalco, si china su Basil (panoramica in basso) gli mette una mano sul

viso.

Basil

sussurra

2

denti stretti:

Joyce gli si abbandona sopra; Basil sussurra sempre più irritato:

BASIL

— Leva quella mano dalla mia faccia; così non mi vedono.

BASIL

— così

Non non

mi coprire, mi

vedono.

ho detto:

OE I

RI

La

| Soggetto è sceneggiatura

e

RPSA

Jorce

34



Zitto, scemo!

(d. m.) — Digges e Madlein, nascosti dietro una quinta (come al n. 20).

MADLEIN Sta — Incredibile! Due persone che si amano, agire così bassaA mente! x Dicces . SI — Meglio chiamare ‘il direttore: temo che finisca male.

si allontana di corsa,

35. (. m.) —

Joyce prende la

fiala del veleno e, accorgen-

dosi che è vuota,

si china

a baciare

quale sussurra:

esclama : * Jorce — Oh, crudele, bevesti tutto, 3

Basil,

e non

una

aiutare labbra.

Giulietta,

goccia

lasciasti

Bacierò

per

le tue

il

BasiL

ga,

— Hai mangiato della cipolla! Jorce

— Forse del veleno è rimasto

su di esse... BASIL

x

— Peggio di cipolla, è aglio! Jorce — Sì, sì, dopo faremo i conti, porco! UnA voce (fuori campo) — Dov’ è? Conducimi,

gazzo,

ra-

Jorce

— Del rumore! Allora spiccia-

moci.

ei guarda alfa;

scorge il

pugnale di Basil, lo prende ‘e l’appunta sul petto. de

4

JorcE — O lama generosa,

tua

guaina,

qui

qui è la

arrugginisci

e

fammi morire,

EI (o.

mi)



Joyce

cade

sul

‘corpo di Basil. (c. I. - macchina piazzata sul

palcoscenico) no] applaude.



La

platea

Applausi.

. (c. I. - la macchina è piaz-. zata în fondo alla platea) — Gli spettatori, di spalle, applaudono; il velario si chiu— de. ; 39. (c. m.) (come al n. 36) Basil si rialza.

Applausi.

— BASIL

— Alla grazia della dolce Giulietta! Arriva il direttore, allarmato,

Joyce grida:

Joyce — Se un’altra volta mi dai dei pizzichi...

Il direttore tenta di calmarla.

Joyce — Sì, sì, prendetevela con lui: lui ha cominciato, e se non credete, qui ho un livido.

o. (c. .) — La platea BETA (come al n. 37).

| 41. (p. m.) — Il direttore, Basil

n ii

-

|

i

e

DIRETTORE — Basil, Basil, ma non sentite? Il pubblico applaude!

Da

BASIL — Ehm?

PIE

Joyce ride ironicamente.’



Rie o Sar NS — Povero illuso, crede che sia

per lui! S'avvia per ringraziare,

ma

Basil l’afferra per un brac-

cio; ella si ribella e tenta di ; picchiarlo,

42. (c. L.) (come al n. 38) — Il velario si apre, appare Basil che s’inchina al pubblico.

43

(9. m.) — Direttore e Joyce. Entra in campo Basil, che di-

Applausi.

DIRETTORE

e

— Ora tocca a voi, presto. |

i

ce con ironia:

BASIL —

È Presto,

dimentichino!

cara,

prima

che ti -;

ì

Joyce

è°

— Se leggessi nel mio pensiero

non saresti così allegro!

(f. è.) — Joyce appare sul palcoscenico e s’inchina al pubblico. 46.

È

DE G90E DA peste Joyce fa per uscire sul palcoscenico, Basil le fa uno sgambetto,

Applausi.

RR

(d. m.) — Mister West, Zia Ella ed Enrico applaudono. Mr. West infila il soprabito, mentre Enrico borbotta.

ENRICO — Vorrei manca.

sapere

fe pi che: mi 0 ta

ELLA

— Nulla, mio caro, ed è proprio quello che vi manca.

-

4

Mr. WEST

— Già,

non

nulla

gli manca

proprio

è

ed

quello

che

gli

manca. #

ELLA —

Avete tutto

può

gazzo

ciò che

desiderare.

un

Oh,

avessi venti anni di meno,

ra-

se e se

sapessi ciò che so ora, non guarderei indietro alla mia vita come

a una cosa sprecata!

Mr. WEST —

Come, come? Non gli man-

ca nulla ed è proprio quello ciò che gli manca? Che cos'è? Un rebus? SR 47. (d. mi) — Joyce sul palcoscenico ringrazia il pubblico.

Applausi.

Il fu Mattia Pascal (1937) Luigi Pirandello.

di , Armand Salacrou. Sceneggiatura di Pierre Chenal, Christian Stengel

|. Dal romanzo

| Regìa di Pierre Chenal.

Cimitero Miragno | 75-76. (f. i. - movimento di carrello - inq. dall'alto in basi

va

50).

Mattia,

che

ha

potuto

Suono.

col

suo denaro comprare un abi-

to nero per portare il lutto di sua madre, si dirige verso

Terne — e ai

Bas

LOR ELESSE AAA prati Malga:

de RIA

AE di

Soggetto

la tomba

di questa:

=orrTw-

e sceneggiatura

173

ha dei

fiori in mano. Uno spettacolo inatteso gli si presenta: la

fossa dove riposa sua madre è aperta, un becchino finisce di scavare la terra. Mattia, avvicinandosi, con il suo mazzo di fiori:

MATTIA —

Che

state facendo

tomba? Il becchino, additando sulla croce il nome della Vedova Pascal:

a questa

BeccHINO —

La

fossa

per il figlio.

MATTIA

— Tl figlio? BeccHINO — Sì, è morto anche tia Pascal.

lui:

Mat-

MATTIA



Che

te pazzo? sono

state

dicendo?

Mattia

Ma

sie-

Pascal!...

ma

io!

BeccHINO «— Voi?

MATTIA (urlando) — Sono io! sono Pascal sono io!

io!

Mattia

Il becchino si ferma di sca-

vare, posa la sua pala e guardando fissamente Mattia:

BECCHINO

— Non sta bene, signore, scherzare con la morte. State at-

tento che porta disgrazia.

Si fa il segno della croce e si rimette

a lavorare.

Mattia,

non comprendendo

l'errore di cui è vittima, si riprende, e sforzandosi di ridere : i

«Gli

BECCHINO — Sì, ho fatto male a scherzare. Ecco, per voi, prendete.

dà dieci lire.

77. (c. m. - nello stesso tempo che per il n. 80).

L’ubbriaco che ha incontrato

Mattia, prima della sua par-

tenza per Monte Carlo e che si era nascosto fino allora dietro una tomba, scruta il viso di Mattia in preda ad una inquietudine mortale. | 78-79. (Come al n. 75 e 76). Mattia al becchino:

MATTIA — E di che è morto

quel...

quell’uomo che... ne avete detto il nome ora... Lo conoscevate?

Indicando la tomba: BeccHINO — Mattia Pascal? No. Eh, se dovessi conoscere tutta la gente

che seppellisco! S'è levata la vita, questo: è andato ad affogarsi... era sparito da qualche giorno... La pena; eh... a causa

della madre, che è qua... disgraziato... — ... Guardate: riva.

eccolo che ar-

| Si sente del rumore. MATTIA sa Chi? BeccHINO



Mattia si volta. (raccordo sul movimento).

Poe

TO VS

È

A siena:

i

i:

bra

PS

Fi e

MERSÌ

Ae

Eh,

lui:

Mattia Pascal.

(e. L) — Becchinodal dorso, Mattia di profilo. Mattia si volta.

Il convoglio

funebre entra nel cimitero. Romilda e la Ved. Pescatore, in gran lutto, il viso bagnato di lacrime, camminano in testa al corteo, subito dopo il carro funebre. La bara è co-

perta di corone splendide ed una folla numerosa segue il convoglio. Mattia ha appena

il tempo di nascondersi dietro una pietra tombale. (come al n. 77). — L’ubbria-

co osserva Mattia, trema per tutte le membra. 81.

(c. l - inq. dall'alto). La bara viene calata

nella

fossa. Il prete officia... Si riconosce, oltre a Romilda

e alla Ved.

Pescatore, la zia

Scolastica, che si tiene in di-

sparte, la vecchia serva della Signora Pascal, Pomino, il direttore del giornale ed il suo redattore e gli altri che

erano presenti il giorno del banchetto,

i

PRETE — Requiem ei, Domine.

È aeternam,

dona i

Coro —

82. (c. m. - seguito n. 84).

Mattia, nascosto dietro una tomba, osserva la scena senza essere veduto.

RR

x

LAS

Ae PINE] OP

Et lux perpetua

luceat ei.

PRETE i — Requiescat in pace. Coro — Amen.

e

Ur

Ci

Il film e il risarcimento marzista dell'urte

176 _

*

0

83. (c. m. - leggera inq. dal basso). Il Direttore del Piccolo Eco di

Miragno

che

non

aveva

disprezzo per Mattia quando questi era. vivo, pronuncia sulla sua tomba un discorso magniloquente:

DIRETTORE DEL GIORNALE — Che giorni... che giorni di tremenda costernazione e d’ine-

narrabile angoscia per la desolata famiglia! Noi t'amavamo. E ti stimavamo per la bontà dell’animo... per la giovialità del carat| a

tere... e per quella natural modestia, che t'aveva permesso di sopportare senza avvilimento e

| con rassegnazione gli avversi fatil Oh, tu, amico dei libri e degli insetti! Emerito bibliotecario... delicato entomologista... le far-

perso

falle che tanto amasti verranno tutte a posarsi su questa tomba! Dormi in pace, o Mattia... col

cuore lacerato ti diamo l’ultimo saluto, l’ultimo addio. Si vede

nel piano

indietro

Romilda che sviene; sua maare la sostiene.

Le

didascalie

Ai tempi —

vicini, ma,

in fondo,

lontanissimi —

del film muto,

grande problema dei soggettisti, degli sceneggiatori, dei registi e degli attori era quello di raggiungere una forma narrativa comprensibile per

il pubblico. La mancanza della parola preoccupava. tutti; e giustamente, se pure sempre meno per il progressivo e continuo potenziarsi del linguaggio cinematografico. D'altro canto, quelli che ogni volta invece di sciogliere lo spago di un pacchetto gli dànno una buona sforbiciata si sentono l’animo di Alessandro il Macedone, quelli che, abbagliati di se stessi e del nulla si autodefiniscono concreti realizzatori: tutti questi della conquista di un linguaggio cinematografico se ne in tutti i film.

passione, incatenati alla ruota del vizio, avviluppati nelle spire di un

destino raccapricciante : « Tramonto. Si schiudono all'anima le vie del sogno. Sua Maestà il capriccio » (ne La casa di vetro - sogg.: Luciano Doria; regìa : Gennaro Righelli, 1920; cfr. R. May, Sceneggiature italiane del 1920, in Bianco e nero, anno IV, n. 3).

Tali eroi non potevano rinunziare a nessun costo alle battute magniloquenti e alle risposte vibranti di sferzante ironia dei personaggi

o RESA LE CuLe Aero it

infatti, senza risparmio,

Così l’azione narrativa cinematografica era lardellata ovunque di squarci di prosa aulica, in cui l'errore di ortografia di prammatica serviva forse anch'esso, inconsapevolmente, ad ovviare i bisogni della massa degli spettatori, non scuotendo, con inconsuetudini grafiche, il. loro dolce letargo. Chi sentiva l’inutilità, il vuoto, la pesantezza di tutte quelle parole intruse tra le immagini? Si descrivevano allora, coi termini de La farfalla e de L’ amore illustrato gli stati d’ animo aggrovigliatissimi dei protagonisti, regolarmente travolti nel gorgo della .

cai

scalie. E le seminavano

IU

infischiavano ed avevano in tasca bella e pronta la soluzione: le dida-

dell'arte

marxista

Il film e il risarcimento

18000

di Carolina Invernizio e di Pierre Decourcelle, da cui le trasferivano di peso riduttori e sceneggiatori : — —

i Elena, Elena! Non mi ami più? Sei sazia di me Elena? Sì, Vattene!

— Barbara, . maledetta! Chi è il tuo nuovo amante? — Signore, i0 vi disprezzo. — Pietà, Elena, pietà! Ho abbandonato mia moglie. Io ti bramo (cfr. E. F. Palmieri,

Vecchio cinema italiano, p. 104).

E, a consolazione del pubblico,

e a scanso di equivoci,

era indi-

spensabile, ogni tanto, il palloccoloso commento di qualche aforisma edificante, di qualche sciropposa massima morale, buoni semmai a far passare di contrabbando situazioni e scene che potessero dar sui nervi ai funzionari del ministero degli interni e alle persone timorate di Dio: Sciagurato! Il sangue macchia e non lava.

Talvolta le didascalie erano figurate e pupazzettate, specie nei film

comici, e ricche di freddure non infrequentemente grassocce : Figlio di un canile!

dice, ad un certo punto della riduzione italiana di Vita da cani (1919), Charlot al suo grazioso fox, con spirito e finezza esemplari. Qualche altra volta erano giochi di parole: Lo

sconsolato

console

del

Rio

e qualche altra addirittura versetti: Star da te non so lontano e ti seguo in aeroplano benché qui non faccia caldo ti saluto, Reginaldo.

:

In certi specialissimi casi gli autori erano letterati illustri e allora le didascalie erano incorniciate di arabeschi, greche ed encarpi o incise, come quelle dannunziane di Cabiria, imperituramente, nel duro e freddo candore venato del finto marmo: Chi canta più le guerre puniche?

Il problema

della prosa

cinematografica

181

Ma il più delle volte i riduttori e i compilatori di titoli erano letterati da strapazzo o andati a male, di quelli che in ogni stagione si gettano all’arrembaggio del cinema, asolando attorno ai registi e ai produttori, colla speranza di giungere, attraverso i titoli e i dialoghi alla pacchia dei soggetti e delle sceneggiature. Semiletterati, cioè analfabeti. È spero

mi sia concesso,

nonostante

il desiderio

che ho di offrire docu-

menti di quanto scrivo, risparmiarmi lo sforzo mnemonico del riesumare qualche nome di gente che non ne ha, né merita di averne. Era dunque più che legittima l’avversione, da parte dei più intelligenti, alle didascalie; e generoso e nobile il tentativo, da parte di alcuni registi, di limitarle o addirittura di sopprimerle. Va ricordato, in questo senso, il film di Friedrich Walter Murnau, Der letzte Mann (1926) pubblicato da noi col titolo L'ultima risata, che regista e sceneggiatore (Karl Mayer) realizzarono senza una sola didascalia; è senza una sola

didascalia fu il film di Mario Camerini,

almeno

per lunghissime se-

quenze, Rotaie, prodotto nel 1929, in un momento di fervore e di ricerca che purtroppo non s'è più ripetuto in quel regista. Opportune ed eccellenti istanze di cinema cinematografico. La didascalia, si diceva, interrompe l’azione; e dunque guasta il ritmo delle immagini;

introduce,

con

la parola,

un elemento

eterogeneo

che costituisce una diminutio capitis, una confessione di inferiorità espressiva rispetto alle altre arti, una prova addirittura della non artisticità del film. La didascalia insomma, elemento di accatto, asserve il cinema alla letteratura e ne esplicita l’inferiorità. Così ragionavano i

teorici del film, che aspiravano ad un cinema cinematografico, anzi al cinema puro. Puro da ogni intrusione di mezzi non specifici del film tra cui perfino la musica d’accompagnamento. La purezza del film divenne, di queste estetiche, un punto canonico, anzi — direi — addi-

rittura un punto cardinale, con tanto di cappello, che i veri aficionados prendevano, appunto vedendo rosso, al solo apparire di una didascalia, e saltando sulle poltrone, come punti a sangue nei magnanimi

lombi,

Storie di forzati evasi Figurarsi che impressione dovette fare Pudovkin, che, nel 1926, non solo dedicava una seria attenzione ed un paio di capitoletti del suo

trattato alle didascalie, ma ne teorizzava l’uso, sosteneva la possibilità

182

Il

film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

e la necessità di un impiego ritmico di esse e l'utilità, in certi casi, di

lettere di diversa grandezza :

;

Aiuto! Aiuto! dt) Sempre in quel volume (Film e fonofilm) Pudovkin faceva un'osservazione ancor più stupefacente, e che io voglio prendere come punto

di partenza per quanto mi preme dire sulla prosa cinematografica: « L'opinione comune sulla funzione e sull’utilità delle didascalie esplicative va corretta. Le didascalie esplicative dànno allo spettatore, in una forma breve e chiara, le spiegazioni necessarie alla comprensione dell’azione. E suppliscono quindi utilmente una parte di essa, la cui presentazione appesantirebbe l’azione stessa » (ibidem). Alla giusta osservazione segue, immancabile, un esempio felice, tratto dal film americano The Leather Pushers (1924): « In quel film

c'è una didascalia, tre forzati, evasi dal vicino carcere... Naturalmente in luogo della didascalia si sarebbe potuto benissimo far vedere la fuga, ma poichè per l’autore, non la fuga, ma i forzati avevano importanza, l'episodio della fuga, sostanzialmente inutile, è stato sostituito da una didascalia esplicativa ».

E qui mi par già di vedere qualcuno dei miei cari alunni sollevare la testolina ondulata e giudiziosa dalle sudate carte (del bridge) e surcontrare con energia che ci sono ben altri forzati evasi nella storia del film, e che mi toccherà fare i conti con loro. E che è per lo meno strano che io, proprio io, mi faccia mettere nel sacco con tanta facilità, dimenticando Zanzara, l’indimenticabile Zanzara evaso da Sing-Sing nel 1923 ! E via, miei giovani amici, lo sappiamo tutti a memoria quel pezzo di Charlot,

ed io sono stato probabilmente

il primo a citarlo come esem-

plare. Quando egli, in veste di pastore, dichiara la sua evasione di fresca data, con gli atteggiamenti strambamente cautelosi attorno alla stazion-

cina; colle corsette, le frenatine, le sterzate e le virate di bordo, quando si crede inseguito; col superstizioso terrore e lo scongiuro propiziatorio quando, per scegliere a caso il paese dove recarsi appuntando, senza guardare, lo spillo sul quadro delle partenze, trova che il cieco e crudele destino sembra lo voglia rispedire a Sing-Sing; collo stupendo abbrancarsi stancamente alle sbarre della biglietteria e col chiarire il senso di

quell’atto a chi non l’avesse notato (solennissima lezione!) accentandolo

Il problema della prosa cinematografica

183

artisticamente col ritrarsene spaventato, come da un gesto troppo rivelatore e compromettente; coll’accingersi a viaggiare clandestinamente benché provvisto di regolare biglietto e infine con quel rassegnato tendere

i polsi uniti allo sceriffo che viene ad ossequiarlo alla stazione (Il pellegrino).

Ebbene che? Qui è chiaro che la fuga di Zanzara si configura in immagini che non sono mera informazione ma costituiscono il contesto stesso dell’opera. Ed è perciò un caso del tutto diverso da quello citato di sopra dichiaratamente detto; esplicativo. In quello la notizia, questi tre personaggi che vedete sono tre forzati recentemente evasi da un

vicino carcere, era una semplice informazione necessaria allo sviluppo. dell’azione, era un tessuto connettivo destinato a sorreggere la restante azione alla quale era demandata propriamente la rappresentazione artistica; qui invece, nel caso di Zanzara, la spiegazione era parte essa stessa del fatto artistico. A meno di non essere poeti puri, cioè non poeti, non si può rifiutare l’esistenza di simili ponti di passaggio nell'arte. Come Paul Valéry che piuttosto si farebbe scannare che scrivere mai: la mar-

chesa uscì di casa alle cinque.

Ancora del cinema cinematografico Vediamo. L’ostracismo assoluto alla didascalia, anche se come indirizzo artistico è apprezzabile, non può essere sorretto da una sana estetica. Perchè sappiamo bene che, attraverso qualunque mezzo, messo in opera per libera elezione da un artista, si attua (quando si attua) l’opera di poesia. E se è vero come ci dice, oltre che l’esperienza di Pudovkin, quella di ogni serio spettatore di cinema, che le didascalie possono avere una funzione ritmica, secondo la loro lunghezza e distribuzione nel corso del film, o una funzione emotiva magari col variare della grandezza delle lettere, non mi pare logico, in nome di un’assurda purezza del film,

rinunziarci;

ma

se noi

teorizzassimo

la necessità

di questa

ri-

“nunzia in nome del cinema cinematografico e del cinema puro saremmo costretti a negare la possibilità della fusione di più tecniche e la colla-

borazione artistica, cioè proprio quello che mi sono sfiatato a dimostrare che sono i cardini dell’artisticità del film, Altra volta, mi sia lecita l’autocitazione, scrivevo: « Se si afferma l’esistenza di uno specifico cinematografico si deve intendere che esso ha solo una pratica

[adiana

184

Il film

e

il risarcimento

marxista

dell’arte

portata e solo un valore di tendenza. Così quando si sostiene il teatro teatrale o la pittura dipinta. Pretendere un maggior rigore in queste affermazioni di tendenza significherebbe nuovamente postulare l’esistenza di limiti tra le arti e negare quindi che l’arte è una. Abbiamo invece già visto che nella più alta e vera essenza l’arte è una: così che, per poco conformi che siano a certe tendenze i quadri di Leonardo,

per letterari che possano essere, nessuno vorrà certo, per questo, can-

cellarli dalla storia della pittura » (Film: soggetto e sceneggiatura). È perciò che io, invece di sbracciarmi a distinguere il cinema dalle altre arti e di tentare di costruirne una estetica autonoma (errore con-

tinuamente ricorrente in certi scrittori) mi sono preso la briga di dimo-

strare che il film, proprio perché è un'arte, non è affatto diverso dalle altre.

Il che non esclude, ma

anzi implica,

le indagini sui mezzi specifici

ed esclusivi di cui esso dispone; ma non certo per combattere negli artisti nessuna preferenza di mezzi, essendo ovvio che non sono i mezzi a determinare la qualità delle opere.

Una posizione questa che, oltre ad essere la sola giusta, ha anche il vantaggio realtà; non era umano fare anche La tragedia

Dalla

di non obbligare alla politica dello struzzo di fronte alla obbliga cioè a misconoscere il film sonoro e parlato, come errassero molti, e come stoltamente qualcuno persevera a dopo, diciamo a caso: Fortunale sulla scogliera, Proibito, della miniera, La bestia umana.

didascalia alla didascalia

Ma tutto questo discorso non tocca ancora il punto che è quello di discutere della possibilità o meno della prosa cinematografica. Se è veramente indispensabile, come abbiamo visto, usare le didascalie quale elemento esplicativo, se ne possono dedurre alcune considerazioni forse

non banali circa il linguaggio cinematografico. È ben vero, lo abbiamo visto, che la condizione di forzati evasi si ha fatto Charlot, con delle immagini, ma zione — come prosa — non c’era che la didascalia viene dunque ad un tratto ad guaggio cinematografico, il quale non può

poteva dare benissimo, come per darla come pura informadidascalia. Quell’antiartistica illuminarci sul valore del line non può essere « linguaggio

di concetti. E mai si riuscirà con esso a dimostrare il principio di ragion sufficiente o quello del terzo escluso » (Film:

giatura).

soggetto

e sceneg-

bere n ne

TIRO

i ao i Aa

BIO

Si

Li]

Il problema della prosa cinematografica

Si può fare, si può.

Non

con

linguaggio

cinematografico,

Pi

un

185

ragionamento?

I quadri non si possono coniugare La riflessione estetica moderna che ha contraddetto giustamente, . ci siamo appellati ad essa or ora, il princi pio di distinzione tra le arti, tra quelle che si attuano nello spazio e quelle che si svolgono nel tempo,

e che ha sostenuto che un tempo ideale esiste anche nelle arti

della visione, sia come tempo evocato e sugger ito, sia ancora e soprattutto come tempo svolgentesi nel ritmo compos itivo delle immagini che è necessario ripercorrere nella contemplaz ione e nella valutazione dell'opera stessa, non nega tuttavia, né potreb be farlo, che il quadro non dà che l'attualità di fatto: la visione del presen te. Gli scomparti di

un polittico possono, naturalmente, svolgersi, contenutisticamente, in successione temporale, ma questa concretezza dei diversi momenti risulta solo dalla loro reciproca posizione. Il cinematografo, che ha dato alla vision e il movimento, esprime oltre che

i corpi,

anche

le azioni

di

una

successione

tempor

ale: ma esprime la presenza delle azioni, la loro attualità. Béla Bal4zs l’na affermato definitivamente colla frase lapida ria: « I quadri non si possono coniugare », Sembra dunque per lo meno azzardata la convinzione di Alberto Consiglio che sostiene che « le cinéma est capabl e d’assumer la fonction la plus élevée du langage verbal et qui jusqu' ici était à celui-ci exsclusivement réseruée: la pensée philosophique » (in Le réle intellectuel du cinéma, Soc. des Nations, 1937, p. 169). Ve l’immaginate un ragionamento filosof ico in cui tutti i verbi stiano al presente indicativo? Il semplice giudizio non può essere dato dal film. Non possiamo dire tre forzati evasi dal carcere, dobbiamo rappresentare artisticamente questa loro condizione di evasi (Charlot-Zan zara); e siamo dunque proprio come il giureconsulto Aquilio contro cui si scagliava giustamente Cicerone, nella sua 7 Opica per aver questi definito la riviera come un luogo

in cui giocano le onde, quo fluctus alluderet. Ma questo, tuona il avvoc

vecchio

atone,

è come

voler definire l'adolescenza flos

aetatis e la vecchiaia occasus vitae. La definizione, si sa, non deve essere me-

taforica.

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

186

Il giudizio ipotetico, formulato da Kant, non si può esprimere cinematograficamente.

Proviamo

un

po’

a dire,

non

sole è caldo si suda? Tanto meno si potrà dare il ragionamento,

metaforicamente,

che, come

se il

tutti sanno,

è la derivazione di un giudizio da un altro. E meno ancora potremo i tedeschi esprimere il tipico derivato del se, il congiuntivo, quello che chiamano il Modus der Gedanken. Come esprimerò cinematograficamente con lo stornelluccio petroliniano: Se

fossi

sarei

un

Fortunello

po’

più bello...

Aut semel aut iterum medium generaliter esto: negato al Il periodo ipotetico, tormento dei ginnasiali, è dunque Fosse ento. ragionam ogni nza, consegue di e, linguaggio cinematografico sono tutti mai possibile quel ragionamento deduttivo (in cui i verbi la necessità al presente indicativo) che si chiama il sillogisma? Ahimé

che il di prendere la minore o la maggiore premessa in senso generale, ce esto, io perentor suo col impone ci latinaccio dei versetti mnemonici

sei un cinemalo nega. Tutti i cinematografari sono intelligenti — Tu tutti i tografaro — Tu sei intelligente. E come facciamo a mostrare radice. una c'è albero un c'è Ovunque ancora: O cinematografari? miAncora Pudovkin: « Una famiglia è caduta nella più estrema ovunque lavoro; trovare possono figlia la né padre il seria perché né e cerca di rifiuti. Spesso un amico va a trovare la disperata ragazza

di sostenerla con parole consolatrici... Questo è un esempio tipico Non ne... trattazio di povertà di e grafico cinemato valore di mancanza un amico vi si trovano che visite e dialoghi. Espressioni come spesso lità di un va a trovarla e ovunque rifiuti mostrano l'assoluta impossibi grafica nesso tra l'elaborazione del soggetto e la futura forma cinemato come servire casi, dei migliore nel può, ciò che dovrà assumere. Tutto

ione cinemateria per le didascalie, ma în nessun caso per la realizzaz e volte, parecchi ente naturalm dire matografica. La parola spesso vuol

visita alla mentre mostrare quattro o cinque volte l’amico che va a far e di quel ragazza è cosa tale da sembrare assurda perfino all'autor (Film e fonosoggetto. Lo stesso dicasi per la frase ovunque rifiuti »

film). E lo stesso: questa formula:

« Il suo (di Intolerance) tema può essere definito da In tutti i tempi e presso tutti i popoli,

dalle lontanis-

ici

sime epoche fino ai nostri giorni, è regnata tra gli uomini l'intolleranza, e l'intolleranza ha come conseguenza immediata il delitto... Questo è

a

187

"n

Il problema della prosa cinematografica

È

ZONE

tità di materiale non circoscrivibile » (Film e fonofilm ). Lasciamo andare che lo Spesso si è visto in parecchi film più di una volta e, in certi casi, anche con trovate eccellen ti: la soluzione ne è stata artistica. « Se si dice tutti gli uomini sono... il compito dell'artista non può essere quello di Tappresentare tutti, o quanti più

EI O

un tema di enorme ampiezza e solo il fatto che esso si estenda & butti i tempi e a tutti i popoli implica, come conseguenza logica, una quan-

uomini gli è possibile nel modo voluto dal tema: ma di rappresentarne uno solo, nella cui umanità si riveli quella di tutti » (Film: soggetto e

sceneggiatura). Naturalmente: ma siamo ancora al flos aetatis o all’occa sus vitae. E senza stare qui a insegnare pubblicamente quel geloso segreto pro-

fessionale che è dato dalle trovatine con cui si può tradurre la parola

Spesso,

diciamo

lo è la generalità.

che,

se l’iterazione

è impossibile,

a maggior

Il linguaggio dei concetti lo relegheremo dunque dascalie e nei dialoghi.

ragione

davvero nelle di-

Altre parolette

vietati

al

cinema

»

(Una

woode,

sono

a

base

di

parallelismo

e di

contrasto

e di

varie

combi-

nazioni di parallelismo e di contrasto? La risposta è sempre la stessa. E sospendiamo questa analisi di intraducibilità cinemato grafica del lin1 Raymonp anno

II,

n.

6,

zioni di Bianco

J. SportIswooDE: 1938

Una grammatica

e successivamente

e nero.

in volume

del film, in Bianco

a sè stante

sempre

per

e nero, le edi-

DA

sat bici %:pa! LOR E Pd ei CRV

sono

vieni

letteraria

Pr ii) na

descrizione

Lo

della

A,

l'ossatura

grammatica del film) *, Ed analizza particolarmente il come. Il come negato al film? Ma se le più tipiche forme di montaggio elencate dal Pudovkin, dal Timoscenko, dall’Arnheim, dallo Spottis-

ni Î=

pe deb

Allo stesso modo che Pudovkin si sofferma sullo spesso, l’ovunque e il tutti, Raymond Spottiswoode — l’involuto ma mai banale Spottiswoode — fa con altre importantissime parolette : « Prima di, dopo, tra, dietro, come, diverso da... tutti questi termini che formano

Pie a II SO Rai

O

I ri TRI a TR IE REALI IO RIRIVATTA EE SAI . N DI Me

Il film

188

i

e il risarcimento

marxista

dell’arte

guaggio concettuale perché il lettore ha già perfettamente capito e già trae le sue deduzioni.

Il cinema e

la realtà

« ... il film, come ogni linguaggio artistico, ha limiti strettissimi

nella sua capacità documentaria » (Film: soggetto e sceneggiatura). Questa è una tesi che può trovare molti contraddittori. Ma come, il cinema non solo non può riprodurre quella concreta realtà spirituale che è il pensiero, ma non può nemmeno riprodurre la realtà materiale? C'è da stupirsi che ci si stupisca. Ma non sappiamo almeno dal-

l’Arnheim che quelli che egli chiama i fattori formativi dell’artisticità del film sono le sue limitazioni a riprodurre la realtà? Non elenca ed

esamina egli, con un gusto un po’ positivistico, ma che è quanto dire un gusto di studioso serio ed onesto: riduzione in superficie della profondità spaziale, eliminazione dei colori, limitazione del campo visivo, abolizione della continuità spaziale e temporale, abolizione del mondo sensibile non ottico? È vero che un inevitabile realismo è alla base di ogni film per il

fatto che alla base del film è la camera oscura. Ma la camera oscura è magia naturalis. Una magia alla quale ci converrà ben presto più seriamente

iniziarci.

Documentario

e didattico, ovvero Jouhandeau

capovolto

Intendendo naturalmente per prosa la non poesia, cioè la non arte, diciamo dunque come conclusione che non può esistere una prosa cine-

matografica. Che non è mai esistita. E spero che nessuno vorrà obiettarmi che non è vero che qualunque pezzaccio di pellicola impressionata sia arte, perchè io questo non l’ho detto; e spero non ci sia bisogno di spiegare.

E allora i film documentari? I film didattici? Jouhandeau faceva prosa senza saperlo e con molta meraviglia quando glielo dissero. Alcuni documentaristi hanno fatto qualche cosa

di simile. Credendo di illustrare condizioni di vita, metodi di lavoro,

e di trarne conclusioni importanti hanno fatto dell’arte. I soli documentari che interessino; e i soli didattici, sono quelli.

Al

| Il problema della prosa cinematografica

©

189

C'è qualcuno che ancora se ne meraviglia? Ma la

non sono poesia? Un discorso che vorremmo fare realtà e la scienza prestissimo nei due

capitoli che seguono di questo soggetto; di cui il primo sarà dedicato © al film di fronte alla realtà e tratterà del docume ntario, delle sue possibilità

e dei suoi modi, e il secondo, dedicato al della scienza, dell’insegnamento e della poesia. In didattico, tratterà. fine in una sezion-. cina particolare,

, d’arte.

tratteremo della lettura cinematografica delle opere ;

I

Terza fase del cinema. Ecco un'espressione che ha avuto una certa

fortuna e che ha dato luogo a discussioni e a dibattiti, di cui qualche saggio può leggersi anche nella rassegna della stampa di questo stes-

so fascicolo di Bianco e nero. E si può star certi, quando si tratta della fortuna delle frasi, che essa dipende sempre da una qualche effettiva e sentita nuova situazione, da uno stato d'animo diffuso, se pur tuttavia incapace di definire e formulare con precisione la propria esigenza. E tale sembra essere la situazione odierna dell’arte del film, palesemente in cerca di nuove vie. L'espressione ferza fase, che io ho adottato e diffuso, non è mia:

qualche

anno

fa la usò mwuendlich,

in vivace

discussione

con me,

quel

l’Aldo Philipson che, traducendo Una grammatica del film dello Spottiswoode si firmava Aldo Filippino, per motivi razziali e — lui della

razza dei profeti e di fresco convertito al cattolicesimo — per devozione a San Filippo Neri. Per terza fase egli intendeva e preconizzava una cinematografia a carattere non realistico, agiografica ed edificante, una

cinematografia insomma banditrice del verbo cristiano; compito che male, secondo lui, avrebbe potuto assolversi col dinamismo e le spezzature drammatiche del montaggio, ma piuttosto con lente e quasi statiche figurazioni offerte alla contemplazione estatica dei fedeli e dei can-

didati alla fede. Qualche cosa, esemplificava il Filippino, che stesse al film di montaggio emotivo come, nel quattrocento, l'opera del Beato

Angelico rispetto alle nuove dirompenti impetuosità di Masaccio. Il Filippino, abbastanza conscio della posizione storica del grande pittore che citava e che effettivamente talvolta restò fermo a modi espressivi non più seguiti ai suoi tempi, considerava le creazioni ‘figurative rinascimentali quasi un’empia, inquietante stortura, riflesso di una stortura ancor più grande e generale: l'affermarsi di una nuova concezione del ‘mondo e di una nuova posizione, in esso, dell’uomo. E insomma: col-

Il film e il risarcimento

marxista

dell'arte

pic

eil

194

l'autorità del grande Fra Giovanni, propugnava un cinema che risolvesse l’antinomia dialettica: strumento meccanico per riprodurre la realtà in movimento, nuovo linguaggio artistico articolantesi nella sintassi del montaggio, per sboccare in un quid tertium che, in definitiva, se io l'ho bene inteso, non poteva essere, al limite, che la proiezione fissa, la lanterna magica. Era una ripresa, complicata di vari motivi e appena un po’ rammodernata della vecchia diffidenza cattolica contro la nuova arte del film; diffidenza che non s’esprimeva più in querimonie e predicozzi contro l’immoralità degli spettacoli al buio, ma che, già nel 1917, iro| nizzava con la prosa saporosa del Chesterton l’eccessiva rapidità di certi film; proprio i western, quelli in cui, se pur balbettante, compare il nuovo linguaggio espressivo del montaggio. « Nessun uomo al mondo, sebbene rapido di movimenti, e in nessun locale, sebbene selvaggio, e in nessuna montagna, sebbene rocciosa, può muoversi, per nessuna ragione, con tanta celerità. L'uomo può essere il più veloce di tutti nel Cafiion del Cane Rosso, ma io mi faccio sparare se c’è mai stato uomo al mondo che sia stato colpito o ucciso con la rapidità con cui lo si è abitualmente nei film americani... I vei-

coli, nei film, vanno ad una velocità eccessiva non solo per i regolamenti sulla circolazione di New York o di Londra, ma addirittura per le leggi dello spazio e del tempo. È la natura che pone, nel nervo ottico

e nelle cellule del cervello, un limite di velocità oltrepassando il quale non si va in galera, ma al manicomio, » ‘ Così argomentava Chesterton e non è improbabile che il suo brillante sermone abbia avuto qualche influenza sulla profezia del Filippino. i Sulla quale sinteticissimamente: a parte la definizione critica, piuttosto scolastica, dell’ Angelico come ritardato della tecnica, che ha, nei

manuali e nel discorso corrente, valore puramente indicativo e in cui il chicco innegabile e indubbio di vero comporta tante riserve da potersene, volendo, abbastanza agevolmente capovolgere il senso; e, a parte l’affermazione implicita in tutto il discorso di una dialettica evolutiva delle forme artistiche, su cui vedi oltre, ma che comunque è problematica quanto mai e, almeno come previsione, illegittima sempre (potrebbe semmai dedursi solo a posteriori, dalla storia), a parte tutto

ciò: perchè il cinema potesse atteggiarsi nelle sue opere come il Filippino avrebbe voluto, sarebbe stato necessario cne forti persone artistiche del mondo cinematografico fossero prese da una crisi religiosa simile #

Ancora

della

terza

fase

ovverosia

dell'arte

del film

195

a quella che attraversava lui stesso in quel difficile momento politico e per un complesso di cause, tra le quali quelle esterne non erano forse meno forti di quelle interne. Che così non sarebbe stato, concessa anche l'eventualità di qual. che sporadica ondata di misticismo postbellico, io antivedevo chiaramente e sostenevo: e così non fu e cadde l'arzigogolato, dotto e ingegnoso preconio, che il mio caro amico faceva, di un fantasticato e quanto mai problematico angelico regista. Restituito

a Cesare

quello

che

è di

Cesare,

e chiedendo

venia

al

lettore per il preambolo, vorrei permettermi ancora di sgannare pubblicamente quegli spiritosi maligni, secondo i quali io avrei strologata l'espressione terza fase del cinema per disperazione, non sapendo dove sbattere la testa per definire criticamente un mediocre film sovietico, Alle sei di sera dopo la guerra, del quale, per tifosa faziosità, non avrei saputo rassegnarmi a dire tutto il male che merita: a scusa delle lentezze, in esso, di un montaggio a blocchi interminabili e a scusa dell'enormità, stravagante e indigesta, del dialogo in versi e rime. Ora a me preme mettere in chiaro, non solo e non tanto il fatto personale che io mi arrogo il privilegio — 0, se si preferisce, che io considero mio fermo dovere (e non da ieri, che è un po’ meno difficile) quello di asseverare e di scrivere, in ogni caso e sempre, ciò che penso; che è una cosa che tutti coloro che mi conoscono in genere e quelli, in particolare, al cui giudizio io tengo, sanno benissimo (e per la quale sarà tuttavia una grande e poco probabile fortuna se, per così dire, da questa lacrymarum valle sane a Gesù riporterò le spalle) — a me preme mettere in chiaro piuttosto che Pirev è indubbiamente uno dei più promettenti registi della nuova cinematografia sovietica e che il suo film in questione, Alle sei di sera dopo la guerra, è effettivamente un tentativo pieno di interesse da più punti di vista, sul quale non è improbabile convenga, prima o poi, tornare a riflettere; anche perchè, come appunto ebbi a scrivere, è un esempio tipico, se pure non certo il più valido, di quella nuova tendenza del cinema che io ho chiamato,

ta,

con le parole del Filippino, terza fase.

Tendenza che, dato lo sproporzionato cancan e carnasciale critico che ha provocato l’espressione, credo dovrà continuare a chiamarsi così. E poco male. l

Prima però di nuovamente e più diffusamente entrare in argomento

mi affretto a ripetere, per sbrattare il terreno dall’inciampo di erronei

È

196

Il

film

e il risarcimento

marxista

dell’arte

luoghi comuni e a scanso di possibili equivoci, che nei fatti dell’arte quello che conta sono le opere e la che, esclusive, irriproducibili; che parlarsi di clima, di tempo, di comodo e gli schemi sono sempre

loro artisticità; che le opere sono uniper esse solo con grande cautela può tendenza; che gli aggruppamenti di ingannevoli e pericolosi; che, infine,

per i fatti dell’arte non è sempre lecito appellarsi a evoluzioni, sviluppo, progressività: e neanche, quindi, a fasi e tanto meno poi a fasi prossime. Stando al quia del cinematografo e del film: quando noi diciamo che, nei primi anni dell'invenzione di Lumière, il cinema era impiegato come un apparato interessante e curioso atto a riprodurre la realtà in movimento, da questa prisca e antiartistica fase dobbiamo escludere

già l’Arroseur arrosé della prima visione cinematografica in pubblico, per la ripresa del quale la realtà era stata precedentemente e intenzionalmente preordinata: ed Erwin Porter, almeno per il dettaglio grande di quel pistolone Smith (The great train robbery) che tanto atterrì il pubblico contro cui sembrava puntatsi, e tutta, o quasi, l’opera di Méliès e di Zecca e di Rénault e chissà quanti altri ancora autori ed opere. E se a quella primitiva fase ne opponiamo una seconda, più propriamente artistica, nella quale il montaggio dà forma alla realtà, cioè la*riforma e la trasforma, dobbiamo pure ammettere che, accanto a l’Incrociatore Potiomkin e alla Fine di San Pietroburgo si sono intruse non solo le più disgustose commedie, trapiantate di peso dal teatro e riprese in campo totale (cioè nel campo che corrisponde a quello visivo e reale dello spettatore dal palcoscenico), ma anche i più noiosi e pretenziosi documentari, arretranti e degradanti l'ormai già grande arte del film alla difformità preartistica dei più inelaborati prodotti della sua, diciamo pure, prima fase. Ragionando in forma e fuori da ogni pratico classificare dovrebbe perciò dirsi che una terza fase del cinema non è mai esistita né potrà mai esistere: perché non ne sono esistite mai né una prima né una seconda. Film sì ne sono esistiti: ed alcuni di essi autentiche opere d’arte. Tanto avrebbe potuto oppormi la critica cinematografica, almeno

quella più seriosa; e non l’ha fatto, pigerrima com'è diffusamente, e paga, nella pletora dei peggiori, delle quattro paghe pubblicitarie per il lesso stopposo dei soffietti, nonché del conformismo, tizzante ieri e volgarmente contenutistico oggi.

futilmente este-

Ancora

della

terza fase ovverosia

dell’arte

del film

197

Chiedersi, senza assurde pretensioni ad una critica maieutica, se e

quanto sia possibile e giusto auspicare per il cinema una terza fase, si-

gnificherà, in definitiva, auspicare una maggiore, meglio: una più diffusa artisticità dei film; e magari anche cercarne qualche confortant e indizio in qualcuna delle opere recenti. Ed è lampante che il preludio di queste battute, intese a ricondurre a termini più modernamente (oserei dire: più civilmente) comprensivi dell’intero fenomeno artistico il problema, ne postula un totale ripensamento. Che dovrà prender le mosse da un nuovo tentativo per intendere i rapporti dell’opera d’arte col tempo in cui-essa nasce; e, in altri termini, da un nuovo tentativo per storicizzare la fantasia. Si dovranno allora ribadire i concetti diffusi per cui l’arte non è un fatto volgarmente decorativo da un canto e che, d'altro canto, il suo compito non è divulgativo o didascalico; per imboccare la giusta via

che propone alla critica di cogliere la peculiarità formale delle singole

opere, e discendere poi, dalla loro forma perfetta e finita, alla concezione, sempre e necessariamente nuova, del mondo che in essa si esprime. Sempre e hecessariamente nuova, cioè fruttificata da germi lontanissimi,

e distanti,

e diversi,

ma

anzitutto

e soprattutto

costantemente

in

antitesi e in opposizione allo spirito del tempo. Contraddicendo così l’ultima e autorevole voce critica della scuola viennese (Dvorak) che sostiene la storia dell’arte come storia dello spirito. Ogni periodo storico, cioè ogni sistema di produzione col relativo sistema sociale, determina una serie di contraddizioni che, per gli individui che ci vivono, possono risolversi per due vie: in modo autoplastico, cioè col plasmarsi e formarsi dell’individuo stesso, sotto l’impulso delle circostanze esterne, alle quali egli si sforza di adeguarsi per la soddisfazione dei suoi diretti e immediati impulsi vitali e bisogni, dai quali si fa dunque, in foto, zoologicamente determinare; o in modo alloplastico, cioè riformando e trasformando l’ambiente per la soddisfazione di impulsi mediati, nuovi, più complessi e profondi. I due processi, di trasformazione di noi stessi e del mondo, sono inscindibili e complementari: essi costituiscono l’intero processo vitale; il processo

della

vita

cioè della creazione.

e dell’arte,

o, ‘se si vuole,

della

vita

come

arte:

Un processo comune a tutti gli uomini che sono tutti, in misura di-.

versa, artisti. Ma che si differenziano a seconda del prevalere dell’una o dell'altra di queste due forme di vita. Gli artisti propriamente detti essendo — occorre dirlo? — gli inadattabili all'ambiente, gli insoddisfatti,

198

Il film e il risarcimento» marxista nell'arte

i riottosi: quelli che per poter vivere debbono riformare e trasformare il mondo. Gli artisti, ricchi di grandi energie inappagate e, nel loro ambiente storico, inappagabili, vivono una vita che pone loro esigenze nuove che essi esprimono nelle loro opere. La loro vita perciò non è

soltanto più emotiva di quella degli altri, ma è anche più ricca e infinitamente più attiva: pur apparendo agli altri assai spesso straniata, contemplativa, sognante; e ciò solo perchè minormente interessata e determinata da bisogni animali, alimentari, erotici o mondani che siano: perchè volta a più alti bisogni. Così gli straniamenti, le assenze e le vacanze, gli ozi virgiliani, e tutta l'apparente inattività degli artisti, si ri-

vela — a chi ci rifletta — come l’attività per eccellenza: il motore primo di tutte le cose. È ingiusta quindi e ingiustificabile la richiesta di una vita personale simile a quella di tutti gli altri ai geni, a coloro cioè che hanno, anche per designazione etimologica, il compito di generare una nuova

vita; la richiesta che essi abbiano ad modi di tutti, finchè — almeno! — dato, con le opere, con l’arte, prove Giacchè si chiedono così dei risultati,

adeguarsi al mondo di tutti, ai delle loro genialità non abbiano riconosciutamente inoppugnabili. per concedere il diritto a quelle

forme e a quei modi di vita che sono le condizioni dei risultati richiesti : fesi, per tal via, inattingibili. | L’antagonismo di un artista al suo tempo è la molla e la spinta della sua creatività, è la ragione essenziale dell’originalità e dell’inattualità della sua opera. Per cui Cocteau potè suggerire agli artisti di coltivare quanto essi costatano non piace al pubblico, come pegno della propria | originalità. Se ne deduce che l’arte non è espressione di una determinata epoca storica, bensì preludio ed annuncio di un’epoca prossima e nuova. Della quale è fattore primo; giacchè l’arte non ha tanto il compito di esprimere quanto quello di creare tempi nuovi. Una tesi questa che io ho reiteratamente propugnata e che mi sembra trovi qui una nuova e più

motivata conferma. Inattuale sempre, in quanto anticipatrice, l'ape d’arte, man mano che diviene comprensibile ai più, man mano che largamente se ne apprende il linguaggio, unico ed esclusivo, man mano cioè che se ne spreme il sugo e il sale, agisce come elemento essenziale al sorgere e allo svilupparsi di stati d'animo e di pensiero, stimola e genera turbamenti e agitazioni, propone trasformazioni radicali e profonde e insomma: dà ta

Ancora

della

terza fase ovverosia

dell'arte del film

199

suggerimenti, prima o poi, e sempre più vastamente accolti, di nuove forme di arte e di vita. ; Perciò i poeti sono stati detti vati, cioè vaticinatori e anticipat ori, ed anche geni, cioè generatori e creatori. E si sono chiamati anche, gli artisti, per la loro inattualità e per la loro inadattabilità, insofferenza e antagonismo al mondo circostante, — quasi abnormi o minus habentes — àddirittura pazzi o degenerati. Genio è follia, genio è sregolatezza e simili sono le formule ben note del vecchio positivismo, tuttora ricorrenti con frequenza nel linguaggi o corrente. E il positivismo ebbe, almeno, il merito di osservare oggettivamente la realtà anche se ne trasse deduzioni che oggi non appagano più nessuno. E le formule della pazzia e della degenerazione, al postutto, bene riconoscono e denunciano, naturalmente fraintendendole, le singolarità ed eccentricità degli artisti: gli eroici furori di Bruno e ìa pazzia

di

Erasmo.

Fraintendendoli,

cioè

considerandoli

coi

paraocchi

di

una mediocre e poco filosofica consequenzialità; ripagando calunnios amente, e quasi a dispetto, il giusto disprezzo e sdegno che gli artisti hanno sempre professato per i borghesi, le barbe e le pance, cioè per gli adattamenti, i compensi e i ripieghi di tutti coloro che prendono il mondo com’è o come viene, che accettano tutta quanta l’ingiustizia del mondo, che tanto è sempre andato così; di tutti i rinunciat ari del carpe diem, tira a campà o pensa alla salute che dir si voglia. La pazzia degli artisti va intesa diversamente dalla pazzia comune e reale. Questa è sempre e soltanto demenza, cioè qualche cosa di meno, quella qualche cosa, e non poco, di più, della cosiddetta normalità. Un di più per il quale non si deve, pena il ridicolo, avere indulgenza , ma solo e semplicemente comprensione e ammirazione : giacchè quella pazzia, quegli eroici furori, quel di più consistono poi proprio nella rinuncia, per l'interesse di tutti, a prestabiliti equilibri, nella rottura di prestabilite armonie, in vista di nuovi, e più alti e più degni, equilibri e armonie. Altruistica ed eroica rinuncia. Per cni un artista ha scritto nel suo diario che nella fornace ardente della vita entrano pochi: gli altri stanno fuori e si scaldano.

n

SRI”

Psicologicamente il processo dell’arte è determinato da un eccesso di energie che, originariamente diretto ad un fine pratico, ne vien distolto da più avanzate forme di vita; tanto da apparire, nel suo esplicarsi gra-

Me

re”

LI TOTALE OVALI OSS GREATER RE OA SORE SACRI I SET ale I SI CASRNIIN 99

Il film

200

dell'arte

marxista

e il risarcimento

tuito e fine a se stesso, un processo che nelle sue rudimentali e originarie forme può osservarsi persino negli animali. Il gatto domestico, poichè l’ambiente gli offre cibo in sufficienza, esentandolo dalla necessità di procacciarselo colla caccia, si trova in pos-

sesso di una carica di energia superflua che egli spende nel gioco. Strana cosa che sia possibile, nel gatto, il gioco: e gioco — se si riflette — straordinario; giacchè il gattino di casa, facendo ruzzolare e sobbalzare il gomitolo e inseguendolo e adunghiandolo, singolarmente riproduce — trasfigurate e idealizzate — le situazioni e i momenti della caccia.

Quella caccia resa inutile da tempo per lui dalla continua e regolare domestica presenza del cibo. Allo stesso modo l’uccellino che Antonio Gramsci allevò in carcere,

si dava, quando egli gli porgeva da mangiare qualche mosca in una scatoletta di fiammiferi, ad una danza sfrenata. Gioco e danza del tutto inutili in apparenza; ma che certo non sono inutili,

e che scaricano una tensione energetica che, se non si espli-

casse in qualche modo, risulterebbe dannosa o addirittura distruttiva e mortale per l’organismo stesso. Attività distolta sì dal suo fine originario,

ma

non

fortuita e gratuita;

ed anzi volta

a soddisfare

un nuovo

e più complesso bisogno. Entro questi termini si può allora intendere, psicologicamente, il senso e il valore del fatto artistico come fatto economico. E si può anche

comprendere,

e accettare,

per quel

tanto

di verità

che

contiene,

la

tesi freudiana che fa dell’arte una sublimazione di istinti. Purché non

si guardi con occhi miopi ed ingenui e non si faccia apparire l'artista, colla pezza d'appoggio freudiana, una specie di mezzo impotente che, non potendo fare l’amore, canta l’amore. Rinunciando, non per svogliatezza, ma per appetiti più forti e smisurati, alla loro immediata e diretta soddisfazione, occasionale e senza scelta (« ogni lasciata è persa »), l'artista propone a sé e agli altri nuove soddisfazioni di nuovi bisogni di vita, sempre più lontani dalle

forme di primitivo appagamento, sempre più elevati o, se si vuole, ‘sem-

pre più sublimati. i Ecco così chiarirsi un aspetto, più volte costatato, ma dei più discussi e controversi dei fatti ‘artistici: la loro apparente gratuità da un

canto

e la loro,

più

che

utilità,

necessità,

dall’altro;

ecco

come

il

poeta, logicamente considerato determinante più che determinato, viene nel suo gratuito gioco e nel suo intenzionale e volitivo perseguire un

fine, ad attingerne uno diverso. Viene a sua volta ad essere necessitato.

i

UR

a

mr

Ancora

della

i

terza

fase

ia

ovverosia

dell'arte

del film

201

Si risolve così l'opposizione tra gratuità e inutilità dell’arte contro neces-

sità, essenzialità, importanza e funzione sociale,

La funzione sociale degli artisti è sicuramente da avamposti, da battistrada, da avanguardie intese a qualche cosa verso cui tutta la collettività procede. Così considerati gli artisti — pur nella loro singolarità — non potranno mai più esser detti individu alisti chiusi entro stupide torri d'avorio, Come non si dirà disumano colui che, esentandosi per necessità dal bisogno e dal desiderio di assister e uno per uno tutti i derelitti in cui si imbatte, opera, solo e con altri, per creare nella società le condizioni favorevoli alla redenzione di tutti. (Senza dire poi che le torri d’avorio il più delle volte non sono altro che le carceri, materiali o morali, delle varie reazioni). Sfatato il mito della torre d’avorio, svaniscono gli individualismi e i solipsismi che si sogliono attribuire agli artisti: l'universalità e la socialità dell’arte restando chiarita dall'azione che l’opera esercita sul mondo circostante rinnovandolo e ricreandolo. Nuovi bisogni e forme nuove di eterni bisogni dell'individuo artista o di un gruppo d’individui, spiegano il carattere particolare dell’arte, ma presto quei bisogni diventano bisogni di tutti e sembrano assumere valore universale. L'arte può dunque ben dirsi una visione del mondo che nella sua particolare concretezza espressiva si fa suggeritrice di universa li valori. La visione particolare, la concretezza sta nel soggetto e nel tema che l’autore si pone e si propone di sostenere, nella favola che raccont a, nella morale che

ne

deduce;

è il contenuto

esterno,

il contenuto

cosciente

e libero,

dal

quale egli giunge ad una pura forma, che sgorga dalla sua immaginazione e dalla quale si deduce un suggerimento di vita nuova. È la distinzione di Vitruvio tra ciò che l’opera d’arte significa e ciò che vien

significato da essa; distinzione che si può chiamare con altri e più moderni termini.

Così si spiega come di fatto Dostoievski sia uno dei più progressivi artisti di tutti i tempi, mentre per le sue intenzioni anche le sue opere volessero essere e fossero dichiaratamente reaziona rie. E perchè l’anarchico principe Kropotkin pensasse che non sarebbe ro mai state lette in Europa dove invece furono guida spirituale e anticipatrice di intere generazioni, i Ecco qual è il valore che nell’arte ha la forma; ed ecco l’assurdità

del giudicare le opere dalle loro intenzioni, volontarie o velleistiche che

dir si voglia, cioè dal loro contenuto esterno. Esse vanno invece valutate dalla forma, dal loro esclusivo linguaggio che esprime suggestivamente

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Il film e îl risarcimento marxista dell'arte

00

e per immagini il loro contenuto profondo, latente e sotterraneo. Così come

la musica

di Gliick può valere tanto per la perdita disperata di

Euridice quanto per il suo felice ritrovamento: L’'arabesco musicale, la decorazione essendo non vuoto ghiribizzo ma la più profonda determinazione dell’insegnamento dell'artista.

Che cosa sarà dunque la non arte: il conato abortito verso l’arte o la mascherata che si spaccia per arte e che arte non è? Da quanto ho. | detto fino ad ora credo che possa risultare ben chiaro: sarà indubbia- . mente la volontà di appagare vecchi e non nuovi bisogni, sarà la sug-

gestione l’aiuto e l'invito ad adeguarsi alle esigenze. Non suscitare reazioni ma promuovere passività e supinità. Non destare a vita nuova ma

rendere men duro l’adeguarsi ‘alla vecchia; non

guarire ma

convi-

vere con la malattia e i malanni. E poichè tutta la storia e tutta la

cultura e in una parola tutto l’ambiente premono in questo senso: la , facile pseudo-arte, l’arte immorale, l’arte retriva, l’arte soporifera

‘questo sarà la non arte. Sarà l’arte, la pseudo-arte, attenta al pubblico, ai bisogni, ai desideri del pubblico: non alle sue giuste aspirazioni e rivendicazioni, non

chiarimento delle sue vaghe aspirazioni a un meglio, ma invito a sopportare e a sognare, L’arte invece non può essere che elemento propulsore : mai retriva, mai immorale, mai facile.

Tea

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PERSEHi Ci

Tir

O

dog

Secondo Galvano Della Volpe (Il verosimile filmico ed altri scritti di estetica, Roma, 1934, ed. '’Filmcritica’’), « chi volesse fare il punto, come si dice, della complessiva situazione della coscienza estetica marxista attuale, in Italia e fuori, dovrebbe imparz ialmente concludere che quella coscienza si trova ancora in una laborio sa ricerca e ancora lontana da una sistemazione vera e propria » e che «i risultati più positivi sono stati raggiunti da una pratica (critico-lette raria) che manca ancora di una teoria sicura ». Alla fondazione di una estetica scientifica e materialistica può aprire l’accesso un’inflessibil e critica antiromantica; e lo scopo di questo volume, che raccoglie scritti e saggi di un quinquennio,

l'Autore lo indica nello sviluppo e nell’abbozzo « delle ragioni, o di

alcune ragioni, di un’estetica dei mezzi espress ivi, in quanto conclusione dell’estetica marxista ». Giacché, se è doveroso o necessario reagire alla tendenza ancor diffusa di stabilire delle gerarch ie o scale di valori espres-

sivi o artistici e se, insomma, « la partita delle arti è pari », bisogna riconoscere una diversità o pluralità di « valori espressivi, dovuta ai

relativi mezzi, e ammettere quindi, per le arti, una pacifica convivenza di eguali ». Galvano Della Volpe pone quindi, con giusta recisione, il carattere conoscitivo dell’arte; affermando che, divers amente, ne vien meno il

carattere

di

scorsiva,

o intellettuale che si dica, della stessa univers alità,

universalità:

e sostiene

poi

che

« la natura

ideologica,

di- i

non pre-

giudica affatto la peculiarità dell’opera d’arte, come tale, quando sia congiunta

con le condizioni tecniche (semantiche), proprie dell’opera d'arte. Onde l’opera d’arte parla all'universo come la filosofia o la scienza, ma coi suoi metodi e i suoi mezzi, parole, linee, ecc. ». Con tale dimostrazione si può soddisfare l'aspir azione, fallita al Croce, di

restaurare

e difendere

la

classicità

contro

soddisfare

l'istanza

marxista

d’altro

canto,

« Come

potrebbero,

infatti,

riflettersi

il romanticismo.

della

nell'opera

E

socialità

d’arte

la

si può,

dell’arte.

socialità,

la storia, l’esperienza con le loro inevitabili distinz ioni, coi loro nessi indi-

;

206 ‘ scutibilmente

Il film empirici,

e il risarcimento se

non

marxista

mediante

dell’arte

intellettualità,

la

costitutiva

dell’artisticità stessa? » Solo qui è la possibilità di mostrare la pienezza umana, conoscitiva e pratica, dell’arte, la sua concreta socialità e storicità. A a Queste le tesi essenziali della ghiotta anticipazione di un'estetic

marxista, organicamente sistemata, che il Della Volpe ci promette. Esse si trovano già in nuce, negli scritti precedenti dell’A.; particolar-

mente in Crisi critica dell'estetica romantica (1941) e in Logica come scienza positiva (1951); e lasciano già bastantemente intendere la linea del loro prossimo sviluppo e della loro più piena e argomentata formulazione nell’annunciato e imminente Gusto materialista (Milano, Mondel‘ dadori). Esse sorgono e si appoggiano su di una generale revisione

la storia della filosofia, nella quale

lotta del materialismo dizionali

si alterano;

(sanamente

molte

contro l’idealismo),

Piatone,

e naturalmente

costante

intesa come

delle prospettive

e a fortiori

Plotino,

trare-

Vico trocedono enormemente di fronte ad Aristotele, così come anche di e il Bruno degli eroici furori (cioè del raptus mistico dell’artista) anche come così i; aristotelic tori commenta stessi agli e fronte a Galileo va la Hegel, di fronte al Kant più aristotelico. Lessing poi, che considera

Poetica di Aristotele infallibile come gli elementi di Euclide, e che ten-

a protava, nel Laocoonte, di segnare limiti tra le. arti, e cioè abbozzav te prio un'estetica dei mezzi espressivi, si risolleva di molto. Finalmen per vamente, qualitati to trasforma s'intende filosofia di stesso il concetto la grande

svolta del marxismo-leninismo;

i luoghi classici del quale,

nei

pohticonfronti dell’arte (dall’introduzione Per la critica dell'economia alle preca, alle lettere di Engels, specie quella a Minna Kautsky, fino i gnanti proposizioni di Malenkov concernenti la necessità di includere di queta fondamen solide le cono costituis tipico) nel i metaforic processi sta' impalcatura generale di un nuovo e compiuto edificio estetico. A quest’edificio estetico, com'è naturale, ha fornito tutta la sua spericca problematica la grande arte del nostro tempo, l’arte del film;

cie negli scritti di Pudovkin, che il Della Volpe considera giustamente

« caso unico » per « aver raggiunto l'eccellenza nell'arte e nella filosofia dell’arte a un tempo ». Non è possibile in questa sede, e nello spazio che questa sede può dare a simili argomenti, render conto particolareggiato di questo ampio squadernarsi della filosofia, scompigliata nelle sue simmetrie e nelle sue

cristallizzazioni

tradizionali;

questioni singole qui trattate

e neanche

solo

dar

Bisogna però segnalare

cenno

delle

almeno,

molte

assieme

Il verosimile filmico

207

alle acute osservazioni e riserve all'estetica di Luk4cs (pp. 119 e seguenti), il limpido esame della posiz ione di Antonio Gramsci di front e all’estetica crociana, che ne chiarisce il progressivo allontanamento, fino. al totale ripudio. Messa a punto assai opportuna, perchè molto spess o

qualche

frase

di Gramsci,

staccata

dal

contesto,

è stata

e continua ad essere, in buona o in mala fede, messa a profitto, a contraddizione del suo stesso complessivo pensiero (PP. 75 e segg.). Dei due compiti urgenti di un'estetic a marxista, che possa dirsi tale: restituire i valori di razionalità, e quindi di praticità, all'arte; e nuovamente distinguere l’arte dalle altre forme dell’attività intellettuale, a me sembra che il denso volum etto di Galvano Della Volpe assol va egregiamente il primo. Infatti egli risarcisce assai bene il concetto di arte dei suoi classici attributi di razionalità e di chiarezza. Forse qui avrebbe potuto ulteriormente socco rrerlo il film; giacchè per l’arte del film, collet

tiva e destinata a larghissime collettività , questi

attributi sono assolutamente essenziali e ne esplicitan o la generale imprescindibilità per l’arte in genere. Già nella prefazione , del.1932, all'edizione italiana dei primi scritti di Pudovkin, si avvertiva a chiarimento e a giustificazione ‘ dell'esigenza di una tesi nel film, l’incomunicabilità ‘di sentimento e di immagine e quindi la necessità, nei collaboratori, di una autocoscienza.

critica del contenuto

della futura opera,

cioè di una

fesi che renda possibile la elaborazione plurale della materia e la creazione artistica collettiva; con la formula, tante volte ripetuta, per cui «la tesi è l’asse della collaborazione ». i Proposizioni che io credo possano trovare giustificazione in quella distinzione di fantasia e immaginazi one chie chi scrive ha proposto, richiamangdosi non tanto al De Sancti s, e ancor meno alla scuola di Coleridge, ma alle due ‘fantasie di uno dei più profondi ed illuminanti scrit-

ti di Lenin;

distinzione

che

il Della

Volpe

qui respi

nge e confuta (Pp. 101-102). Il secondo compito, ricost ituita l’unità di scienza e di arte, è quello di nuovamente distinguerle : ed esso è assolto dal Della Volpe. con un rinnovato ricorso alla disti nzione dei mezzi espressivi, dei pro-.

cedimenti tecnici. Una identità di conte nuto si differenzi

erebbe per l’impiego di singoli modi di espressione, esclusivi, non dell’arte, ma proprio. delle singole arti. E qui si resta perple ssi, dinanzi al pericolo del risorgere delle estetiche precettistiche e normative. Pericolo che mi sembra il Della Volpe avverta; egli lascia ai più sprovveduti la ripe-

tizione, per sentito

dire,

delle

teorie

dei formalisti russi,

e si tiene

ben.

marxista

e il risarcimento

Il film

:

208

dell’arte

razionalità da fermo al concetto di tecnica come razionalità, di quella cui, in definitiva, dipende ogni forma artistica finita. à delA mio avviso non è tanto da abbandonare il concetto dell'unit di valore dell’arte, quanto piuttosto quello (crociano) dell'uguaglianza esse. Proprio la le arti, dell’insussistenza di una scala di valori tra di può poggiare cui su elementi gli sono dell’arte à praticit la e razionalità questa

scala

testa

in

di valori

pace dei tradizionalisti,

alla

naturalmente,

quale,

e con

buona

si trova il film.

del primo Non si può passare sotto silenzio la pubblicazione recente

per volume della Biblioteca dello spettacolo diretta da Luigi Chiarini l'editore

Laterza

di Bari,

la Poetica

del

cinquecento

di Galvano

Volpe tanto più che quest'opera, non solo comprende Poetica di Aristotele e i commenti che, nel cinquecento, cuni nostri umanisti,

pia introduzione

Della

il testo della ne dettero al-

Castelvetro, Robortello e Vettori, ma anche un'am-

di Galvano

Della Volpe,

che già nel definire brava-

entra nel mente la posizione e l’importanza, storica dei testi riferiti, specie dite, approfon vivo delle questioni teoriche, che, organicamente

, nei suoi tratti nei confronti del problema estetico, vengono a delineare dell’arte, una moderna e ca scientifi ne concezio una i, essenzial princìpi e nuce. in estetica attualissima — materialistica — ad un Ad onta della vastità dei suoi riferimenti, molti dei quali moderne, ricerche dalle to settore di studio totalmente obliato e trascura — assai quest'opera si lascia agevolmente collocare al suo giusto posto ismo con preminente — nella cultura contemporanea: in netto antagon ismo ideala frondosissima fioritura estetica degli epigoni del romantic ha fatto listico. Secondo il Della Volpe, la visione idealistica dell’arte nestessa una in ando, accomun e dendo d'ogni erba un fascio compren e l'originale Boileau, tipo astratto, ismo razional il a, sbrigativ gazione razionalismo

aristotelico,

il positivismo

e il naturalismo,

il materialismo

emente, meccanico e il materialismo storico; opponendosi così pervicac ma prenon solo al sorgere di un'estetica modernamente materialistica, fatti dei amento apprezz cludendo altresì la possibilità di un concreto le mandare e giudicare o dogmatic un ad critica la o riducend dell’arte e , di coopere, incapace sempre di avvinghiarne l'essenza più profonda osi, glierne il valore razionale, cioè in definitiva il significato; riducend per superstizioso timore della letteratura e della rettorica, a riconosci

mento di valori fatti solo di consenso ammirato,

purezza,

unicamente

con

un

punto

esclamativo.

esprimibile, in piena

Il verosimile

filmico

209

La postulazione di una astratta unità dell’arte, con la conseguente svalutazione delle regole e della tecnica, coll’esclusione dogmatica, non solo della necessità, ma pur anche della possibilità di ogni distinzione e

specificazione, l’avvolge tutta nella gran notte dell’incomprensione mistica, in cui tutti i gatti son grigi; e sarà così l’arte « entusiasmo, furore, ispirazione, raptus, contemplazione o intuizione pura, indiscriminazione insomma ». Concezione che da Platone si tramanda invariata sino a Croce ed ai suoi, coll’aggravante dell’accentuazione mistica che quelle metafisiche hanno assunto col romanticismo e mantenuto ovunque; l’arte per affermare la propria autonomia ha dovuto porsi come metastorica e irrazionale, perchè il sopravvivere in lei del concetto l’annullerebbe

come arte. Secondo

i il Della

Volpe

si può,

in Aristotele

e nei suoi commentari

cinquecenteschi, specie nelle parti che più fedelmente interpretano il pensiero della Poetica, trovare il seme per una piena e motivata refuta-

zione delle estetiche romantico-idealistiche. A cominciare dal gran « tema d’obbligo » della catarsi. Mentre questa,

infatti,

nell’antico platonismo

era esclusivamente

purificazione

etico-mistica, escludente l’arte, e nei moderni idealisti è « purificazione assoluta » operata dall’autonomia della sovrana arte — cioè, in entram-

bi i casi, un concetto negativo — in Aristotele essa è positiva, in quanto « comporta, senza equivoco, soltanto la chiarificazione razionale-intellettuale » e, in sostanza, « consiste nel piacere derivante dai sentimenti di pietà e di terrore, purificati dalla ragione dei loro eccessi e ridotti in maniera utile per la virtù ». L'istanza, così sentita dall’estetica moderna di razionalità e di pratica finalità nell'arte, che tanto fortemente è stata riproposta ai nostri giorni dalle ricerche sulla ‘natura dell’arte del film (alla cui base è il montaggio, cioè la razionale struttura; e che, in quanto arte di colla-

borazione, necessita di un asse ideologico, di una tesi che questa collaborazione renda possibile; e la cui pratica finalità e responsabilità morale sono il corollario ineliminabile della sua origine razionale) è posta dunque fortissimamente fin dal primo approccio ad Aristotele e al suo concetto di catarsi. Per quanto si riferisce ai rapporti tra arte e storia, Galvano Della Volpe indica come particolarmente istruttivo « il concetto aristotelico della coerenza poetica, secondo cui le vicende tragiche, per esser tali, si debbono svolgere le une dalle altre secondo verosimiglianza: ossia secondo il rapporto necessario e verosimile (cioè: causale) di antecedenti

210

i

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

e conseguenti ». Ma la coerenza non può essere che logica e razionale, ed è contraddizione in termini la coerenza fantastica degli idealisti: « giacchè la fantasia, per se stessa, nell'accezione gnoseologica del termine, è sinonimo del contrario della coerenza e dell’unità, essendo si-

nonimo di quel che di discreto o discontinuo o isolato ch'è proprio del molteplice che sono le immagini come tali, che sono appunto alogiche e acritiche, ossia slegate e incoerenti se non hanno qualche significato che le unifichi ». Anche la metafora è « intellettualità, nesso, genere, concetto » ed essa ci svela la differenza tra poesia e non poesia, quest’ultima nascendo

dall’errore poetico, cioè dalla mancanza

di conseguenza.

Giustissime,

secondo Aristotele, sono le censure d’irrazionalità e malvagità quando

| irrazionalità e malvagità siano adoperate senza nessuna interna necessità che le giuntifichi,

Infine — e qui è il punto più problematico — ristabilita e reintegrata l’arte dei suoi valori essenziali di razionalità e quindi di praticità, ‘ che cosa la distinguerà dalla storia e dalla scienza? L'aspetto tecnico, rispondeil Della Volpe; che non solo distinguerà l’arte dalle forme di

pensiero concettuale, ma distinguerà anche l’arte nella specificità delle arti singole, caratterizzata ciascuna dall'impiego di un proprio ed esclu| sivo linguaggio. Qui, sebbene il Della Volpe esplicitamente mostri di volersene guardare, si annidano forse nuovamente pericolosi formalismi, i pericoli delle estetiche normative, delle regole, precetti e simili. Ma, a giudicar di ciò con piena legittimità, non basta questa densissima aestetica in nuce: converrà intendere meglio, come forse ci sarà

dato dalla trattazione distesa del problema dell’arte, che il Della Volpe

annuncia di prossima pubblicazione col titolo di Gusto materialista. Che, per la pregnante anticipazione che ce ne ha dato questa introduzione alla Poetica del cinquecento, attendiamo con impaziente curiosità.

Nel grave sragionare e sconnettere dei primi, dibattiti

sull’artisticità

o meno

del

film,

ingenui e immaturi,

i sostenitori

della

prima

tesi,

giusta, ma per i tempi e per i mediocri film di quei tempi, abbastanza audace

e spericolata,

davano

subito nel soverchio,

proclamando

il film

decima musa o settima arte (Canudo), antiteatro (Luciani), arte muta, anzi, del silenzio e persino e addirittura arte sordo-muta' (Artuffo); e, naturalmente,

rompevano

il coperchio,

come

suol

dirsi

asserendo

non

solo che il film è un’arte, ma che è un’arte del tutto differente dalle altre. Motivo per cui, concludevano i più decisi consequenziari, il film necessita di un'estetica autonoma. Quando, un bel po’ più tardi, io scesi in lizza su questo terreno sdrucciolevole,

eravamo

ancora

lì, all'estetica

autonoma.

A me

sembrò

allora urgente applicarmi con pazienza a ragionare in forma, e mi sembrò di argomentar bene (e, con buona pace, lo credo tuttavia), proponendo il dilemma: o il film è sostanzialmente identico a ciò che chiamiamo, e che sappiamo essere, arte, oppure ne è sostanzialmente diverso; nel primo caso si può parlare di arte del film, nel secondo no. Questione di semplice buon senso, agevolmente coonestato, col calepino liceale di logica alla mano, dalla tradizionale autorità del latinorum: quidquid valet de genere valet etiam de specie. Un terzo caso non

potendo

darsi,

io mi sono

quindi

sforzato di sostenere

e dimostrare

la verità del primo corno del dilemma: il film, pur disponendo, come ogni arte, di un suo intrinseco e particolare linguaggio, è sostanzialmente

identico

alle altre

arti,

cioè

è un’arte.

E,

in una

attività

critica

e teorica di qualche ampiezza, ho sempre riferito il cinema alle arti precedenti, non solo in funzione comparativa di qualità, ma anche in funzione didascalica e illustrativa, per meglio chiarirne i procedimenti intrinseci e persino quello più specificamente cinematografico, il montaggio; montaggio che, per certe sue forme e per certi suoi effetti di sospensione ho messo a raffronto con la stramba e geniale costruzione del romanzo di Cernyscevski Che fare? e, in genere, e con maggior approfondimento, con l’Infinito di Giacomo Leopardi. Questa era, per

214

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

altro, la via già indicata giustamente da S. M. Eisenstein che, trattando del montaggio, lo riferiva a Dickens. Così posto il problema, cadeva automaticamente il compito ambizioso che s'erano posti, e su cui s'erano inutilmente affaticati i primi

baldanzosi teorici del film: quello di strologare una estetica autonoma ed esclusiva della nuova arte. E ne discendeva, come corollario immediato, l'utilità della definizione dello specifico cinematografico sì, ma anche la limitazione della validità estetica di esso, la necessità certo di enucleare il modo o i modi tipici del film, coll’immediato metter sul chi vive però che una maggiore o minore applicazione di esso non

può in nessun caso esser considerata un metro valido, e tanto meno il metro unico, in base al quale misurare criticamente l’artisticità dei singoli film. La confutazione dei limiti lessinghiani era già stata fatta solennemente e da tempo, venendo dal pulpito crociano, e non fu quindi difficile vanificare il concetto di specificità delle arti singole, anche nei confronti del film; e considerare, quindi, il cinema cinematografico non più che una tendenza artistica: anche se quella alla quale andavano ,tutte le mie simpatie e, cosa ben più importante, quella che aveva dato un maggior numero di opere, tra le non molte, per le quali il film s’era meritata la qualifica di arte. Nulla di meno, ma neanche nulla di più. Cosicché, considerando anticinematografici i film di Charlot, per la scarsa importanza che in essi ha il montaggio, io non mi sognai nemmeno di negarne l’alta qualità artistica, così come sostenevo per chia-

rezza, con un esempio di più scandalosa enormità, e pertanto palmare, « nessuno vorrà cancellare dalla storia della pittura Leonardo, per letterari che possano essere i suoi quadri ». Questa maniera di vedere il problema non mi sembrò necessitare revisioni e tanto meno ripudi, nemmeno quando avvertii che l’arte del film, con un più pieno impiego del sonoro e del parlato, prendeva ‘a battere strade nuove, debordando oltre ii propri limiti tradizionali ed

entrando, forse, in una terza fase. Ma ora, in alcuni suoi scritti recenti, Guido Aristarco ripropone il problema e chiede una revisione dei metodi della critica cinematografic4; chiede una critica adeguata comprensivamente alle nuove espressioni artistiche,

una critica che non neghi il valore di film come

Zvaw il terri-

bile o di Enrico V, di Les enfants du paradis o di Miciurin, per il fatto di considerarli anticinematografici, cioè trasgredienti lo specifico filmico, il montaggio rapido.

Il cinema di fronte alla realtà

215

La questione, riproposta a tanti anni di distanza dalla sua retta soluzione, quando nessuna critica appena appena decente, a mia conoscenza almeno, era caduta nell'errore di misurare quelle opere, od altre, col metro della cinematograficità, e per di più con l’intrusione, tra film

di alto livello,

di sguaiate

raffazzonature

e pasticciate

cinema-

tografiche, come ad esempio l’infelice e reazionario Amleto di Laurence Olivier, non poteva risultare che una questione di lana caprina e non poteva

che provocare

qualche

moto

di impazienza;

che

ribadendo

le

vecchie soluzioni, poté facilmente mostrare che esse erano abbastanza larghe per conservare validità anche

di fronte alla costatata,

e salutata,

evoluzione del cinema (mediante il definitivo acquisto del sonoro e del colore) ed anche del film (per quel tanto che è possibile parlare di evoluzione in campo artistico) attraverso un gruppo di opere dapprima, e

di una decisa corrente in seguito, di stile ben diverso da quello delle opere assieme alle quali e dalle quali erario nate le già riferite soluzioni del problema. Per vivace che possa essere stata la mia reazione, io non ho mancato di dare alla polemica quello che mi pareva potesse essere un contributo veramente positivo. Confortato da fermissime convinzioni, e

civettando ancora colla somma autorità del latinaccio dei vecchi logici, io riprendevo il filo dell’argomentazione precedente. L’assiomatico quidquid valet de genere valet etiam de specie è servito a dedurne una riduzione a termini giusti, anche se minimi, della teoria dello specifico cinematografico. Ma di converso, quidquid repugnat generi repugnat etiam speciei; per cui, invertendo e permutando, con trapassi logici accettabili, io consigliavo di considerare problema urgente, non tanto quello

di rivedere le bucce alla critica cinematografica ancora legata al mito della cinematograficità, critica quanto mai spensierata e della quale pertanto è inutile darsi pensiero, ma quello di rivedere le bucce all'estetica idealistica,

ancora

dominante

in Italia,

che,

sebbene

nel problema

dei

limiti e dello specifico delle arti abbia visto chiaro, rimane in genere del tutto insoddisfacente nei confronti delle arti tradizionali, ed è soprattutto incapace (nonostante le sbrigative e marginali affermazioni — una prefazioncella, una letterina — di Gentile e di Croce) di giustificare il film come arte, per una serie di contraddizioni che non consentono. E, anticipando di buon grado qualche risultato delle mie ricerche e del mio più impegnativo lavoro in corso, io ho elencato quelle contraddizioni, quel ripugnare della specie cinematografo al genere arte; all’arte

rientri

i

216

Il film

e il risarcimento

marxista

dell’arte

ove essa sia, naturalmente, intesa alla maniera degli idealisti, vuoi secondo la filosofia delle quattro PROSA vuoi secondo quella dell’atto




meritato,

È di A i È

piacere che l’Aristarco, cui io avevo fatto l'appunto di dar troppo peso, nella sua Antologia *, alle dichiarazioni di Croce e di Gentile sul cinema, nel suo ultimo volume, Storia delle teoriche del film * afferma che l'estetica idealistica non vale per il film; e anche Luigi Chiarini accenna recentemente a staccarsi dalle sue vecchie posizioni, dichiarando

3

che « il film inteso come arte non rientra agevolmente negli schemi della

ma

con

un

silenzioso fin de non

recevoir.

Tuttavia

vedo

con

Li

ve fed

I MESN n Fre

LI METE

VOIR

‘estetica idealistica »; nella quale invece tenta ancora di contenerio Carlo } Ludovico Ragghianti. È un sintomo che può essere considerato come arra sicura di un ; prossimo radicale approfondimento della cultura cinematografica italiana, per altro già solida e ricca, che porterà a un pieno e motivato ripudio dell’estetica idealistica e alla fondazione di una. filosofia dell’arte, non solo conseguente in tutti i suoi postulati e consona alle ca| ratteristiche dei vecchi e dei nuovi film, ma consona soprattutto alle esigenze profonde di una concezione del mondo che, per essere la sola filosoficamente e scientificamente valida, e la sola confermata dalla realtà sempre, è anche la più alta e la più umanamente degna. 1 Guipo 2 Guino

Aristarco: Aristarco:

L'arte Storia

del film, Bompiani, Milano, 1950. delle teoriche del film, Einaudi, Torino,

1951.

Il cinema

di fronte alla realtà

217

Questo è il compito urgente al cui assol vimento tutti i cineasti migliori son chiamati a collaborare, e al quale io mi riprometto di apportare presto molto di più che non i contri buti parziali e le note fuggevoli che gli ho potuto finora dedicare. | : Frattanto invece la proposta dell’A ristarco ha singolarmente nnverdito la discussione sullo specifico filmico, che si è accesa anche in una inchiesta-

referendum e con apporti talvolta interessanti

e notevoli. Tra questi, più degli altri interessante e notevole è l'ampio saggio di Luigi Chiarini Spettacolo e film (estra tto da Belfagor, 1952) non sole per l’ autorità dell’ autore e della sede, ma per la novità della posizione che si connette con la situazione dell’ultima cinematografia e da essa fa discendere le sue conclusioni. Cosicchè ormai non sembra quasi più lecito sottrarsi

al compito

di rivedere

nuovi elementi venuti in campo.

tutto

il problema,

in base

ai

Prima di entrare nel vivo della questione, può essere utile considerare il problema nella sua interezza, partendo ab ovo. Cioè prima di riconsiderare lo specifico di un’arte singola, nel nostro caso l’arte del film, riconsiderare lo specifico dell’ar te rispetto alle altre attività intellettuali. Giacchè se noi dichiariamo che l’arte è un'attività intellettuale che riflette la realtà sociale di una data epoca, che la determina

e che le conferisce

uno spiccato colorito di classe, attivit à

che reagisce a sua volta sulla realtà stessa, contribuendo , in misura maggiore o minore, a determinare la realtà prossima a tempi nuovi, se diciamo tutto questo, che è certissimamente vero, defini amo alcuni caratteri dell’arte, non però quelli specifici, sebbene quelli che essa ha in comune con le altre attività intellettuali, la filosofia, ad esempi o, o

il diritto.

Il carattere specifico dell’arte le viene dalla sua matrice,

fantasia,

intendendo

con

questa

affatto

una

parola

la

sititesi

di

due

essa,

al

che è la

elementi, la fantasia propriamente detta e l'immaginazi one. L’arte, l’attività di fantasia-immaginazione, è dunque un'att ività intellettuale di natura conoscitiva ,

ma

non

è

attività

astratta;

contrario, si realizza, o per meglio dire propriamen te consiste, nel dare una forma particolare a una data materia, creand o così un oggetto concreto, che è la singola opera. In questo processo la fantasia ha quella funzione, che è stata detta dionisiaca, che consiste nel saggiare largamente e incontrollatamente la realtà, o un’irrealità posta come possibi le; e l'immaginazione di contro, che è stata detta

apollinea,

ha

la funzione

di freno

dell’arte;

per essa

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

218.

e, della realtà l'artista si pone dinanzi alla sua opera come critico le artisti verosimi di senso o possibile, nel captata dalla fantasia (reale e) assopremess date a coerente dire solo vuòl le camente e qui verosimi

ne parziali cia e combina quegli aspetti che, per essere tipici, pur essendo

0, per dirla con altre rappresentazioni, la riflettono nella sua interezza,

parole, più e meglio incarnano la giusta idea di questa realtà.

dei più Tutto questo è da tempo nella coscienza comune, anche ca, dicendo che iperboli e ingenua forma in no esprimo lo che , semplici esprime l'essenza della l’arte coglie l'aspetto eterno delle cose, che essa anche nella coscienza ente oscuram essere doveva questo tutto realtà. E alla sua concedizione contrad di Benedetto Croce, quando con velata

Li

Oso dire oscurazione estetica, parlò di un carattere di totalità dell’arte. dall'attività condistinta lirica, e va soggetti e creazion una perchè mente

ricadendo si annulla cettuale e dalle attività etica e pratica, nelle quali come e dove possa spiega si non Croce, per l’arte è quale nega, si e va, non si capisce definiti in che, totalità, attingere questo carattere di

i nemmeno che cosa possa essere. La costatazione dell’esistenza di un doppio momento

nella atti-

posto con serietà vità creatrice di arte è comune a tutti coloro che hanno tempo e nello spazio il problema estetico, personalità anche lontane nel convinzione. Qui bae talvolta anche opposte per temperamento e per sterà ricordare

Bielinski,

Dobroliubov

e,

tra

i nostri,

Francesco

De

Sanctis. momenti dell’attiOccorre tener presente che la distinzione in due la creazione artiessendo vità artistica non ha significato cronologico, gli

le unità di tutti stica un atto contraddistinto invece dall’indissolubi , uno presieduto momenti due sono Non ono. presied esso ad che i element due momenti sono neanche e ione, maginaz dalla fantasia e l’altro dall’im parte più propriala uono disting che quelli vi successi te cronologicamen sembrare puramente esemente creativa del processo, da quella che può

, una ispirazione cutiva e materiale. Non esistono cioè, nell'atto creativo questa guidata ra, dall'alt artistica da una parte e una tecnica esecutrice da quella:

l'unae l’altra invece costituiscono

una stretta unità, un atto

ive elaborazioni e solo. Tanto si può osservare considerando le success imento della consegu al i anterior Opera, stessa le varie stesure di una bozzetti preparatori vari i esempio ad o guardin (Si va. definiti forma quadro; esse non costidi un quadro, o le varie redazioni di uno stesso

imantesi alla forma tuiscono una successione progressivamente appross diversa dalle altre, è fasi definitiva ed ultima, ma ognuna di queste

Il cinema

di fronte alla realtà

219

precedenti e successive, ed ognuna è compiu ta in sè, anche se, naturalmente, dal punto di vista artistico, può essere riuscita o mancata).

Analizzando

e dissociando quest'atto unitario per intend erlo ap-

pieno e per comodità espositiva, diremo che esso mento intellettuale, di natura conoscitiva, che si in un procedimento tecnico, cioè sulla scelta di maniera di trattarla. Ne possiamo concludere che ciò che è comun e

fantastico,

consta di un procedirealizza e si conclude una materia e della a tutte le arti è l’atto

mentre ciò che distingue l’arte in arti singole sono la

materia e la tecnica, diverse per le diverse arti. Lo specifico delle diverse arti è dunque dato dalla materia e dalla tecnica in cui s’incarna l’atto creativ o. In ogni singola arte, considerata in un dato tempo, è facile costatare il prevalere di alcuni modi particolari di trattare la materia, modi che convengono particolarmente alle esigen ze (contenuti e problemi) di quel tempo; che in quel tempo sono specif iche e che si chiamano soli-

tamente gli stili. E in ogni stile, specifico di un dato tempo, c’è

lo stile specifico di ogni singolo artista e, nel complesso dell’opera di ogni artista, c'è lo stile specifico di ogni singol a creazione, In tutte queste specificazioni la specificazio ne massima, quella della singola opera, equivale alla generalizzazione massima: il riconoscimento infatti di un modo

unico,

esclusivo ed inconfondibile,

di. un’ope

ra coincide col riconoscimento in essa della qualità artistica. Questo è perciò l’unico specifico che la critica deve saper cogliere e

mettere in luce: il suo derivare ed esprimere una precisa e valida idea della realtà;

giacchè la sua esistenza o non esistenza significa esistenza o non esistenza di arte.

Tutte le altre specificazioni risultano nuovamente indifferenti, in ultima analisi, al valore artistico. Se un artista adopera una materi a

invece che un’altra (il marmo o la creta, il bronzo o l’avorio, l’oro o .il legno, o Ja cera, uno scultore) se egli tratta questa materia con la tecnica che .le è specifica oppure valend osi anche di altre tecniche (per esempio se colorisce le sue statue) se segue lo stile del suo tempo (neo| classicismo, puta caso, o impressionismo) se questo stile è quello che è sembrato tradizionalmente convenire alla materia scelta (poniamo: stile impressionistico per la scultura in cera) e così via, tutti questi fatti, frutti di preferenze particolari dell'artista, non valgono che ad indicare queste preferenze. i

L'impiego o meno dei mezzi specifici.di una singola arte, la speci-

an

ORE I, SRI RE MR PODI e I ERO (0° a A PRINT e ad nea

Ta, RIE

dell’arte

marxista

e il risarcimento

Il film

220

e

entrambe produrre ficità o la non specificità, sono tendenze che possono non hanno divalore di giudizio un di effetti agli critica, sede in arte; e, il modo con mai è non , nell'arte conta che ritti da accampare. Quello fa dell’arte, se si cui si giunge a un risultato, ma il risultato stesso. Si non figurativa che fa, con sculture dipinte, musiche imitative, pittura

restando neltenda alle condizioni della musica; e, a maggior ragione, se si fa, dell’arte, fa Si l'ambito dei mezzi specifici delle singole arti.

si può fare facendo prevalere questo o quello tra i mezzi specifici: la linea al colore del bianco e nero e quadri a colori, si può sottomettere del film, o il colore alla linea e così via. E, per restare nel problema si possono

fare

film

anticinematografici

come

quelli

di Charlot,

o film

La fine di San in cui il montaggio abbia un valore predominante, come su quello, come stravinca ne recitazio la cui in film o rgo Pietrobu Sciuscià e così via. un adagio Il discorso sta diventando lungo, e le cose lunghe, dice questo è un popolare, diventano serpi, Si può terminare tanto più che concludere serpente che si morde la coda. Voglio dire, possiamo ormai tamente : con quanto già sapevamo in partenza, forse un po’ più agguerri essa non che ca, tecnicisti ità normativ una da che l’arte non nasce mai il singolo artista che tecnica, dalla o materia dalla ata determin mai è la spinta della proè sempre libero di scegliere o di inventare, secondo ne. pria ispirazio Anche

Pudovkin,

come

è noto,

assieme

a

Kuliesciov,

è partito,

cinematonelle sue ricerche estetiche, dalla definizione dello specifico Nella memografico, e lo ha giustamente identificato col montaggio. Festival cineranda discussione tra i cineasti sovietici in occasione del la sua posizione; riveduto ha Pudovkin 1934, del Mosca di ico matograf esempi di film di egli aveva colle sue opere dato stupendi e memorabili montaggio,

e,

naturalmente,

come

spessissimo

avviene

sti, egli inclinò in un primo tempo a considerare la l’unica valida, senza vedere che una considerazione direttamente al formalismo, o, per dirla con termini a dar valore di teoria estetica ad una poetica. Messo così nuovamente entro i suoi giusti limiti

ai

teorici

arti-

sua maniera come del genere portava più chiari, portava

e il concetto di specifico filmico si potrebbe chiedere:

teorici il problema

ma allora a che

pro dibattere ancora di un simile argomento? di una L'interesse nasce, se ben si riflette, dal fatto che la scelta atto un detto, già è si come sono, non trattarla materia e ‘del modo di con l'atto creaisolato e posteriore all’ispirazione, ma fanno con essa,

Il cinema

di fronte

alla realtà

i

221

tivo fantastico, una cosa sola. Non è per caso che un artista sceglie una materia, non è per caso che la tratta in quel dato modo, non è per caso che la sua opera prende quella particolare ed unica forma: tutto ciò fa parte della creazione ed è inseparabile da essa. Perciò la critica che ricompie lo stesso atto creativo, ma partendo dai dati esterni dell’opera, non può ignorare il senso che ha quella special e materia, quella speciale tecnica, quella speciale forma; al contrario, la critica, attraverso l’analisi formale può scoprire la validità della rappre sentazione e l’idea che essa contiene, può rompre l’os de la forme et sugcer la substantifique moelle, il contenuto dell’opera. L'analisi formale , attraverso, per così dire, i cerchi concentrici delle varie specificazioni , giunge al significato profondo. Esemplare in questo senso la miglior critica attribuzionistica, | che, senza pretenderla a teoria, ha dato recent emente risultati di straor- . dinaria importanza. Ed anche qui si deve tener presente che l’atto critico è anch'esso unitario, anche se per comodi tà espositiva si parla di approssimazione e di cerchi concentrici (questa è una pittura, puta

caso,

del

primo

seicento,

romana,

di

un

pittore

accademico,

ma

in-

fluenzato dai nuovi fatti del secolo etc. etc. ergo: è il tale). L'importanza delle indagini sullo specifico non dipende solo dal

fatto che non si può scindere l’atto creativo, ma anche dalla costata-

zione, fatta dall’esperienza, che la maggior parte delle opere universalmente riconosciute come arte non contraddicon o lo specifico; e quelle che lo contraddicono pur essendo autentiche opere d’arte, nella media Statistica risultano in numero tanto minore da costituire l'eccezione, anche se talora splendida, che conferma la regola. E anche questa verità è conosciuta e affermata dal buon senso comune che dichiara ammi-

rativamente:

« Questo è un vero pittore » dinanzi a chi è fedele allo

specifico. Solo un artigiano abile, intelligente mai raggiunto le vette dell’arte come Giorgio questa coscienza comune e dar la baia all’« gli occhi socchiusi » e guardando a distanza

tre! »

dinanzi

a

Caravaggio

pittorello bolognese di allusioni

come

e

a

del seicento,

e di misteri

(insomma,

Renoir,

e

e divertente, che non ha De Chirico, può irridere esteta fesso » che, « con s’estasia « C'est un peinnon

dinanzi

i cui frondosi paesaggetti diremmo

noi,

sono

a

Grimaldi,

sono

pieni

letterari)

quasi

quelli di Boeklin, per non dire di quelli dello stesso De Chirico.

Possiamo ora rimettere sul tappeto la questione dello specifico cinematografico. Specifico del film non è il fatto, certo singolare, di essere frutto di una collaborazione, né il fatto conseguente di necessitare di una

|

A

‘n

n film e il risarcimento

5]

marxista

aell'arte

comune autocoscienza ideologica della tesi nei vari collaboratori; giac-

chè queste caratteristiche sono comuni alle arti, occasionalmente (la pittura, il romanzo, l'architettura) o necessariamente (tutte le forme dello spettacolo teatrale) di collaborazione; né può esser considerato speci-

fico del film un certo « inevitabile realismo della macchina da presa »,

giacché questa l’ha ereditato dalla fotografia; resta il montaggio, il quale implica e compendia, non solo inquadratura primo piano, ma anche soggetto e sceneggiatura; nonché modi di illuminazione e di recitazione

e, in una

parola,

tutta

la tecnica

cinematografica

che

è deter-

minata dalla previsione della sua fase ultima, il montaggio stricto sensu. Ma,

montaggio

si potrebbe

è comune

obiettare:

in questo

al romanzo

stesso scritto si dice che

il

e alla poesia, e d'altro canto esso

è sicuramente comune al dramma e alla sinfonia e a molte diverse arti e generi d’arte. Ed è vero. Ma, a ben riflettere, il montaggio, cioè l’« idealizzazione del tempo e dello spazio » è un fenomeno che a teatro si verifica (a parte la teoria delle tre unità, specifico del teatro, poi

abbandonato) sempre scarsissimamente, tre o cinque volte, quanti sono di solito gli atti, o quindici o venti, quanti sono al massimo i quadri.

Non è un procedimento nuovo, ma nuova è la sua frequenza nello spettacolo cinematografico. Questa frequenza di cambiamento dell’an« golo visuale e dell’ampiezza del campo visivo, non solo con spostamenti di luogo, ma anche nell’ambitodi una stessa scena, questa possibilità

di vedere, non solo materialmente, da punti di vista diversi, soggettivi dei diversi personaggi (« Giulietta con gli occhi di Romeo e Romeo: con

quelli di Giulietta ») sono le novità esclusive del film. Una tale libertà di scelta di punti di vista era ignota ed è tuttora impossibile allo spettacolo guardato attraverso il boccascena sul palcoscenico. Ma, si dirà ancora, questa varietà di punti di vista è possibile, anzi abituale, nel romanzo e nei generi letterari narrativi, dove è possibile, quando l’autore lo ritenga opportuno, abbandonare l’oggettività della

terza persona per la soggettività della prima,

mediante monologhi

e

introduzione di lettere di diari e simili. Ma, anche qui, come sempre è il numero possibile di queste idealizzazioni del tempo e dello spazio che varia. In certi romanzi di qualche anno fa come Les faux monnayeurs o Counterpoint o La turbina di Ciapek Cud, dove queste variazioni sono relativamente numerose la costruzione è certamente determi-

nata dall'influenza del cinematografo. E, a questo proposito, si può ri-

cordare come attinente all'argomento che Gide, nel Journal des Faux Monnayeurs, dice che il cinema ha esentato il romanzo dall'obbligo delle

Il cinema di fronte alla realtà

223

cinematografico è il montaggio di pezzi brevi non si vuol signifi

care che ogni film debba avere il ritmo travol gente di una sequenza cinematografica dove ogni inquadratura sia al di sotto del metro o del mezzo metro, come ad esempio la scena degli zigani del,locale notturno

ne Il cadavere

vivente di Ozep

e Pudovkin

(la media

delle inquadra-

ture va dai sei ai venti metri, salvo l’uso dei carrelli e delle panoramiche

che, naturalmente,

dànno inquadrature assai più lunghe):

di pezzi brevi vuol dire anzitutto che le hanno una particolare frequenza che è del Che significa l'affermazione che i film tografici? Che la struttura generale di essi

montaggio

variazioni di angolo visuale film e solo del film. di Charlot sono anticinemali avvicina alla struttura di

altre forme d’arte; ma essi sono pur sempre dei film e ciò vuol dire che le variazioni di tempo e di spazio vi sono tuttavi a in misura infinitamente maggio re che non in quelle, o in altre, precedenti forme d’arte, Montaggio di pezzi brevi va inteso dunque anzitutto rispetto alla composizione delle precedenti forme d’arte castruite con procedimenti

ne Ti

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cedo

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MITSRA I(Gue

Raro a ri Lei au fed ti a È " to sure

ma, semmai, tornare alle sue specifiche tre unità.

Ciò che qui frattanto importa mettere in chiaro è il fatto che nel film le variazioni di cui abbiamo parlato sono così frequenti e numerose da determinare un vero e proprio salto qualitativo, e differenziano cioè sostanzialmente la composizione di un lavoro teatrale o di un romanzo dalla sceneggiatura (che poté esser definita « un catalogo dei pezzi di montaggio del futuro film »). Bisognerà dunque avvertire che quando si dice che lo specifico

fanti 1 SE]

analoghi a dozzine: Goethe diceva a Schill er che al teatro « convengono » caratteri e azioni e al roman zo personaggi e descrizioni; al che un critico (Wolf Dohrn, Die kunstlerisch e Darstellung als Problem der Aestetiz, Hamburg u. Leipzig, 1907) obiettava che se si dovesse accettare questa massima si avrebbero perdite irreparabili a cominciare dal Faust dello stesso Goethe. (Il che prova, una volta di più, che gli artisti, tra l’altro, hanno il pieno diritto di essere i Padri Zappata delle loro stesse teorie). Anton Giulio Bragaglia, che fu sostenitore del teatro teatrale, in- © tendeva per teatralità azione e mutanze sceniche (altrettanto avevano fatto in Russia Meyerhold ‘e il primo Oklopk ov); ma d’altro canto c'è stato chi ha sostenuto, non senza acume, che se è stato inventato il cinematografo il teatro non deve cercare di assimilarne i metodi (Pudovkin)

Lia

descrizioni, gli smaglianti pezzi forti del viscon te di Chateaubriand, che Aragon definì efficacemente con sbrigativa volgarità un emmerdeur. Casi

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224



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Il film

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e il risarcimento

i

SL

Si

di

marxista

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bo t,

i

ron

dell’arte

o di pezzi che possono presentare qualche analogia coi film. Il montaggi durata, brevi dà la possibilità di inserire in un'opera, anche di breve sarà tica caratteris specifica sua e realtà; di porzione una vastissima film è dundunque quella di impiegare questa possibilità : specifico del

que proprio il montaggio di prezzi brevi, non solo in rapporto altre arti brevi, ma in assoluto.

alle

sia Luigi Chiarini, nel suo scritto citato, dice che « là ove il cinema esisteivi un’opera, esempio per o, spettacol uno e usato per riprodurr , di ranno inquadrature, pezzi di pellicole e unione, cioè montaggio filspecifico di caso questo in parlare potrà si non che ma questi pezzi,

mico ». E perchè mai? Si potrà parlare di specifico filmico, dato che

di arte lo specifico filmico è il montaggio. Non si potrà parlare invece non procaso quel in presa, da macchina la perchè rafica, cinematog te e comduce, ma riproduce passivamente un fatto artistico preesisten rafica; cinematog creazione della fini ai inato predeterm non e sé in piuto per rino grammofo un come usata è perchè la macchina da presa vi mai arrivato è nessuno e cantanti; dei e musicisti dei l’arte produrre

di arte, a parlare di un'arte grammofonica, Si potrà però anche parlare cantanti. dei stra, dell'orche re, composito del naturalmente: dell’arte Allo stesso modo non parleremo di arte di fronte ad un disegno

tuttavia ‘ingegneresco di macchine: disegno ad eseguire il quale saranno disegno. del specifici mezzi i stati impiegati Tenuto per fermo che lo specifico filmico è il montaggio di pezzi tecnici . brevi, quali variazioni ha portato in esso l'evoluzione dei mezzi della ripresa?

All’avvento del sonoro è del parlato era talmente diffusa e certa

si la convinzione che specificità e artisticità fanno una cosa sola che pensò subito che i nuovi mezzi « allentando » il ritmo delle immagini tà per adeguarle al ritmo della parola avrebbero fatto svanire l’artistici parare del film. Una convinzione che indusse alcuni cineasti sovietici a Eisenla botta lanciando il « Manifesto dell’asincronismo » (Pudovkin,

stein, Alexandrov) e successivamente (Eisenstein) a sostenere che spe-

à che cifica del film è l’espressione del monologo interiore. Possibilit ale, commerci grafia cinemato nella anche ente parzialm sono impiegate mentre un'applicazione integrale non è stata mai nemmeno tentata (salvo che, in malo modo, per il monologo interiore, in un film americano tratto da un lavoro di O'Neill Strano interludio). Che il sonoro e il parlato, minando il concetto di montaggio, dovessero far svanire

l’artisticità del film è stata convinzione

di molti,

tra i quali anche

Il cinema l’Arnheim,

che

non

si è mai

di fronte ricreduto

alla realtà su

questo

. 225 punto,

occupa più di film. Ora

sul

rallentamento

del

ritmo

cinematografico,

e che

prodotto

non dal

si so-

noro e dal parlato, occprre fare qualche osservazione. Per adeguare il ritmo dell'immagine a quello della parola il passo del film, nella macchina da presa e di conseguenza in quella da proiezione, si è accelerato (da sedici fotogrammi a ventiquattro al secondo), determinando anzitutto un rallentamento nel movimento entro il fotogramma; questo rallentamento ha a che fare col montaggio solo indirettamente. D'altro

canto le scene dialogate comportano

un rallentamento effettivo nel mon-

taggio, cioè ne allungano i pezzi perchè una scena muta di dialogo, comprese le didascalie con le battute è certo più corta della stessa scena parlata. Ma l'allungamento dei pezzi di montaggio è dovuto soprattutto \ al fatto che nel film parlato si è ammessa e applicata la possibilità di dare ai dialoghi quell’importanza e quell’ampiezza che ormai possono

avere.

D'altro canto però bisogna riflettere a quanto diceva Pudovkin delle didascalie ed estenderlo alla parola parlata. La didascalia, diceva Pudovkin, spesso vi permette di sostituire con poche parole una lunga scena (si ricordi l'esempio: tre forzati evasi dal vicino carcere è una

didascalia che dura qualche secondo; se a noi interessa l'informazione

nuda e cruda ciò basta e sarebbe errore oltranzistico mostrare la scena dell'evasione che avrà una durata cento volte maggiore della didascalia). Altrettanto avviene per la parola parlata, la quale può consentire dunque di accelerare il ritmo tutte le volte che sostituisce la visione di una azione a carattere puramente informativo ed esplicativo. Ciò che dunque ha portato il sonoro e il parlato di essenziale agli effetti del nostro cinema, non di concepire

è tanto l’allentamento, quanto la variazione; la necessità un diverso modo di costruire il film, un diverso tipo di

montaggio, in cui entrano e giocano tre nuovi elementi: la musica, la parola, i rumori. o Ancora: questo tipo di costruzione è divenuto più impegnativo e ancor più, se è possibile, viene a qualificarsi come il mezzo essenziale e tipico dell’espressione cinematografica. È diventato un montaggio più montaggio di prima, per così dire. Non solo perchè si è arricchito di nuovi fattori, ma perchè il film ne è divenuto una forma d’arte più complessa; una forma d’arte che assomma in sè i metodi di ancora altre arti: da forma essenzialmente visiva il film coll’avvento del sonoro e del parlato si è avvicinato alle forme del teatro e della musica arti del

.

226

Il film

movimento taggio l'ha Anche apprensioni

e il risarcimento

marxista

dell'arte

per eccellenza. Lungi dal perdere la sua importanza il mondunque aumentata. ; l'affermarsi del mezzo colore nel film ha provocato le stesse di allentamento e quindi di invilimento del montaggio; non

foss’altro per la necessità di non strapazzare oltre misura la vista degli spettatori con variazioni cromatiche troppo repentine. Ma anche il colore ha offerto nuove possibilità di montaggio. Ed è vero che il colore ha riportato il film verso le arti della visione, ma della visione in mo-

vimento.

i

Un esempio di montaggio del colore, già abbastanza vecchio, è quello di I giardino dell'oblio che, a parte la cretineria della trama mistico-erotica (si tratta di un frate d’un convento dell’Africa, se ben ricordo Boyer, che s'innamora,

non senza rodimento

di rimorsi, d'una affasc'-

nante e svenevole straniera, Marlene Dietrich) aveva ben risolto le difficoltà del montaggio dei colori, e l'aveva risolte dando a tutto il film un tono fondamentale (giallo-ocra: tonache dei frati, sabbia del deserto

e così via), cosa che costituì, per quei tempi relativamente lontani, un successo formale notevole. Con ben altro impegno morale e artistico ha riinventato e applicato una soluzione tecnica analoga il recente film sovietico (tratto da un romanzo di Agiaev) Lontano da Mosca che fonde colori, visione generale, azione e parte sonora in un'unità bellissima.

Nemmeno

il colore, e i nuovi problemi che ne son derivati, hanno

alterato la situazione generale del film, nei confronti dello specifico di quest'arte. Il cosiddetto panfocus degli operatori — di cui tutti ricordano al.cuni celebri esempi nel film di De Santis, operatore Portalupi, Now c'è pace tra gli ulivi — pone problemi complessi e porta notevoli variazioni, stavolta nel settore della inquadratura, ma per l’interdipendenza delle inquadrature, anche nel montaggio. È chiaro che la vecchia inquadratura che lasciava degradare la nettezza dell’immagine nei piani prospettici di fondo del fotogramma fino a una leggera sfocatura, otteneva il risultato di concentrare, istintivamente e automaticamente, l’attenzione dello spettatore sull'azione essenziale. Ora con il panfocus lo spettatore deve dirigere da sè il suo sguardo e scegliere il punto su cui concentrare l’attenzione, seguendo e' svolgendo nell’interno del fotogramma, una linea di movimento ideale (del tutto analoga al movimento interno della pittura, che, tra parentesi, servì una volta al Ragghianti per

ribadire la negazione estetica dei limiti lessinghiani, affermando l'esistenza di un tempo anche nelle arti della visione). Movimento ideale che

Il cinema

di fronte

alla realtà

227

nel film si deve combinare ritmicamente e significativamente, col movimento delle persone e delle cose nell’interno del fotogramma, e col movimento del montaggio che viene ad assumerne così nuovi e complicati impegni. Il panfocus ci dà così un avant-gotit dello stereoscopico, che indubbiamente presenterà problemi analoghi. Se dunque per il sonoro e il parlato il film si è allontanato dalle arti della visione statica, per avvicinarsi alla letteratura, al teatro e alla

musica, arti del movimento, per il panfocus e per il colore ha nuova-

mente arricchito e potenziato i suoi valori e le sue possibilità figurative. Nell’uno e nell’altro caso il suo elemento fondamentale, il montaggio, è divenuto più complesso, impegnato cioè a fondere nuove e diverse tecniche, che nel film confluiscono, ma che possono esplicarsi solo in funzione e a previsione del montaggio stesso.

Queste riflessioni, che mi pare non fossero state ancora fatte, sulla. evoluzione degli strumenti tecnici del film, possono servire a chiarire come

questo

complesso

di fatti nuovi

abbia

non

ridotto,

ma

accresciu-

to i problemi — ma quindi anche le possibilità — del montaggio; che era e resta lo specifico filmico, . Assieme all’evoluzione degli strumenti, la storia in generale ha camminato e, in alcuni paesi, ha galoppato meravigliosamente e, mentre lo specifico filmico rimaneva lo stesso, i compiti dei cineasti varia: vano profondamente. Che è la cosa che più importa e che vedremo più oltre. Nel suo saggio già citato due volte,

Luigi Chiarini

parte da pre-

messe assai dissimili da quelle suesposte. Per lui, come già s'è intravisto

a proposito della riproduzione cinematografica di opere musicali, specifico filmico e artisticità del film fanno tutt'uno. E, per usare le sue

stesse parole: concetto

(di

« Innanzi tutto è opportuno affermare la validità di tale

specifico

filmico),

che

non

contraddice

quello

dell’unità

dell’arte, purchè si tenga ben fermo che non si tratta di regole cristalliz-

zate, ma proprio dell’indagine critica sulle singole opere, un concetto che ci viene dunque dall’esperienza e che si può approfondire, svolgere, ma non contraddire. Non ci sono regole per la creazione artistica e perciò stante, anche per il film, purchè si resti nell’ambito di quello specifico linguaggio e conseguentemente di quella tecnica artistica » (p. 133). Lo specifico cinematografico fu un tempo il montaggio: ma non il montaggio di pezzi lunghi o brevi ma il « montaggio in funzione espressiva ». E « l’equivoco di certa critica consiste nel considerare come va-

228.

Il film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

lido solo un determinato tipo di montaggio: ferma alla pratica del muto, e da questa influenzata, codesta critica stenta a intendere le nuove forme dovute all'avvento del sonoro che ha disteso, per così dire, il ritmo del visivo adeguandolo a quello della parola, ma nello stesso tempo ha arric-

chito l’immagine filmica del nuovo rapporto visivo-suono, Il concetto di specifico filmico si è arricchito senza contraddirsi » (p. 133). Per intendere questa evoluzione del concetto di specifico filmico, Chiarini propone una distinzione tra spettacolo e film avvertendo, bene inteso, che «i confini tra spettacolo cinematografico e film non sono così netti » e che non è sua intenzione « portare semplicisticamente una

simile distinzione, ma additare un filo conduttore » che gli sembra « indicare chiaramente lo svolgersi naturale del film verso una forma che nasce dalla possibilità, unica del film, di elaborare creativamente la realtà ». i In che consiste questa distinzione posta dal Chiarini? Per brevità e per comodità enunciativa egli si vale dei termini con cui ha sintetiz-

zato questa antitesi Cesare Zavattini, al Congresso cinematografia di Perugia: « Méliès o Lumière? ».

internazionale

di

« Nel primo caso si può parlare di continuità o di identità tra il teatro come spettacolo visuale e il cinema; la camera si inserisce come un ritrovato tecnico che offre al regista maggiori possibilità nel suo lavoro creativo permettendogli di infrangere l’unità di tempo e di luogo, di spaziare con libertà quasi assoluta e raggiungere effetti visuali impensati; tutto il mondo reale può servire di scena a quello irreale, fantastico, toccare vertici mai raggiunti per i possibili trucchi che la

ripresa cinematografica consente. Qui la camera opera su di una finzione: una vicenda precostituita, sia essa quella di un testo letterario poetico che ha già in sé una validità artistica, sia un canovaccio, un

abbozzo, una sceneggiatura: gli attori o dei tifi in funzione di attori, che raffigurano dei personaggi fantastici per cui quello che si offre all'occhio di vetro è già trasfigurazione della realtà » (p. 130). Così da un lato « la camera è venuta rispondendo ad una esigenza

molto antica per cui si è naturalmente inserità nella storia dello spettacolo »; ma dall’altro, essa « ha agito a sua volta sull'uomo, scoprendogli la possibilità di rappresentazione di un mondo del tutto nuovo »: « quello che lo circonda ». Così nasce il documentario « il puro film, il film come antispettacolo, se alla base dello spettacolo poniamo la finzione, non la trasfigurazione che è propria del film, e, a fondamento di questa, l'autentica realtà » (p. 137).

Il cinema

di fronte

alla

realtà

229

Lo specifico filmico di oggi, anzi di domani (Chiarini indica una via che, secondo lui, si apre e che si svolgerà più pienamente in avvenire) è dunque il documentarismo: « Per esso il film compie ancora un

passo avanti sulla via del distacco dallo spettacolo e, consegue ntemente, della totale emancipazione dei suoi nessi colla letteratur a, il teatro, le arti figurative e qualsiasi altra forma di elaborazione letteraria (soggetto trattamento sceneggiatura) per trovare la sua naturale materia nella realtà » (p. 139). E,

in

sostanza,

«il

concetto

di

specifico

filmico,

che

ha

una

sua

legittimità in quanto ci viene dall’esperienza (le opere cinematog rafiche), non lo si deve intendere cristallizzato come una legge scientific a, ma d'altra parte non lo si può negare o ammettere la possibilità di un’opera che lo contraddica » (p. 142). Fin qui il Chiarini.

A me pare di aver nuovamente e meglio dimostrato, nelle pagine che precedono, come e perché lo .specifico cinematografico non possa

condizionare la qualità artistica delle opere. E fino a un certo punto, Chiarini sembra condividere questa giusta posizione; là ove ammette che lo spettacolo possa essere arte; lo spettacolo che, secondo lui, è l’opposto di film, cioè del cinema cinematografico: « Se lo spettacolo è bello, il film sarà un'originale opera d’arte » e aggiunge « e vane saranno le discussioni intorno alla teatralità o cinematograficità che sia » (p. 137). Ma questa tesi non contraddice, non è agli antipodi da quella riportata

di sopra?

Chiarini ammette che fino a ieri specifico del film fosse il montaggio; ma aggiunge una specificazione: « Montaggio non di pezzi brevi o lunghi, ma montaggio in funzione espressiva », che evidente mente vuol dire montaggio impegnato a produrre arte. E anche qui io credo che quello che ho sostenuto di sopra possa sgannare il- Chiarini e dissipare gli equivoci: montaggio vuol dire, in definitiva, intuizione del-

l’intero

film,

composizione,

e,

come

abbiamo

visto,

esso

diviene

spe-

cifico del film solo per il fatto di essere di pezzi brevi, nel senso illustrato di sopra. Mentre la composizione in funzione espressiva è comune a tutte le arti, cioè non è specifica di nessuna di esse. Che lo specifico di un’arte singola possa evolvere senza contraddirsi (ed io aggiungerei: anche contraddicendosi) mi pare giusto e inoppugnabile; basti un esempio, tra i molti che potrebbero prodursi: per i cinquecentisti toscani specifico della pittura era il disegno prospetti co e quel mito ha alimentato la grande arte di quel tempo; ad esso è suc-

Il film e il rifarcimento

230

marxista

dell’urte

ceduto il mito della luce, che ‘ha caratterizzato tutta la pittura valida a una evoda Caravaggio a Renoir. Nulla osta dunque, in ii luzione anche dello specifico cinematografico. Ma c'è stata poi davvero questa evoluzione? La nuova proprietà caratteristica che Chiarini propone nasce direttamente dallo strumento

principale di quest'arte: la macchina da presa. In questo senso Chiarini è molto esplicito e attribuisce alla macchina da presa un'azione sull'uomo; è la macchina da presa che ha insegnato all'uomo come essa vuol sé stessa, Qui condo il

essere impiegata; essa ha caratteristiche tali che può, di per postularne una piena messa in opera. ancora non sono d'accordo e non riesco a vedere come, seChiarini, si sarebbe svolto questo processo. Uno degli assiomi,

fino ad ora, dell’artisticità del filmè stata la negazione dell’automati-

smo della macchina da presa, la sua considerazione non come di una « macchina » cioè una fabbricatrice automatica di prodotti di serie e uguali, ma come di uno strumento artistico. La posizione contraria ha sempre, coerentemente, negato l’artisticità del film affermando che x esso non è che una riproduzione meccanica della realtà. Al Chiarini è l’Arnheim ha, con paziente applicazione, elencato tutta che " arcinoto

una serie di fattori differenzianti una riproduzione meccanica impossi-

bile da una riproduzione cinematografica; e a Chiarini è arcinoto che, a parte'le conclusioni teoriche, è gran merito dell’Armheim di aver, attraverso questa impossibilità, permesso di dedurre. che il linguaggio del

cinema è sempre e comunque un linguaggio artistico.

E che cosa avrebbe insegnato la macchina da presa all'uomo? A | « elaborare creativamente la realtà? ». E quando mai l’uomo ha aspet-

tato la macchina da presa per imparare a elaborare creativamente la

realtà, cioè a fare dell’arte? Un pittore che si ponga col suo cavalletto, dinanzi a sua madre o dinanzi ad un paesaggio per ritrarli, non elabora creativamente la realtà? Fa qualche cosa di diverso forse da quello che fa un operatore cinematografico che si ponga dinanzi a quella vecchia donna o dinanzi a quel paesaggio con la sua macchina da

presa? Come

processo creativo no certo; il processo è analogo e con-

siste, come si è accennato sopra, a ispirare ai due artisti un modo particolare di impiegare i loro specifici strumenti (pennelli e colori, macchina da presa). Cogliere la realtà circostante non è specifico di nes-

sun’arte, ma di tutte le arti.

:

Partito dalla distinzione che sopra, Chiarini nega l’importanza del soggetto, del trattamento, della sceneggiatura e plaude ad analoghe

Il cinema di fronte alla realtà

231

dichiarazioni di Cesare Zavattini che scrive: « Bisogna essere coerenti e bruciare finalmente sulla piazza i soggetti buoni e cattivi. La macchina da presa non farà più l’innaturale acrobazia del guardare le proprie spalle, ma sarà tutta aperta a quello che si sta svolgendo davanti. Essa racconta spesso ancora oggi ciò che è già stato raccontato, mentre

l'arte deve raccontare una sola ‘volta, e proprio nel momento in cui s'incontra col suo oggetto... Di preordinato deve esserci soltanto ciò

che noi siamo; ed ecco perchè il soggetto sarà sostituito dall'uomo nella sua interezza, pronto e nello stesso tempo disarmato di fronte ai fatti come un inviato speciale... Io ho una fiducia tale nella intellegibilità delle argomentazioni poetiche, morali e sociali della realtà, e nelle

possibilità di comunicazione, che la realtà è il massimo spettacolo che

vorrei realizzare ». Questo accanimento contro i soggetti e tisti e sceneggiatori Chiarini e Zavattini) nessuna artisticità deve precedere l’opera anch'io una volta ho tenuto per valida per

| le sceneggiature (dei soggetnasce dalla convinzione che della. camera, una tesi che breve tempo, e che mi deri-

vava da un non pieno intendimento dell'estensione del concetto di mon-

taggio in senso estetico. Da tempo però ho capito che il montaggio deve essere considerato come l'intuizione dell'intero film, e che il montaggio domina ogni fase della lavorazione che è determinata da questa unitaria ‘e generale idea del film; e che tutte le fasi della lavorazione del film sono creative e, come vedremo meglio, compiute ciascuna in sé. Così come viene formulata da Chiarini e da Zavattini la negazione dell’importanza del soggetto e della sceneggiatura è inaccettabile.

Quanto poi all’aspirazione di Zavattini di « realizzare come mas-

simo spettacolo la realtà » egli può star tranquillo, giacché questo spettacolo la realtà lo realizza naturalmente di per sé stessa. Soltanto non tutti hanno gli occhi di artista di Zavattini per intenderne « le argomentazioni poetiche, morali e sociali » che essa offre agli artisti, il cui compito è quello di farsene mediatori per coloro che habent ocwlos et non videbunt. Che questa mediazione si attui con la penna e il calamaio 0 con la macchina da presa o con l’uno e l’altro mezzo è del tutto indif-

; ferente. La realtà tutti l'hanno sotto gli occhi, tutti ne partecipano e sono essi stessi realtà. Ma se le questioni dell’arte fossero quali Zavattini ce le vien favoleggiando,

lo spettatore,

invece di andare

al cinema,

po-

trebbe starsene tranquillamente alla finestra a contemplare i passanti o contemplare la realtà attraverso un buco nel muro, come il protagoI)

232

Il

film

e il risarcimento

marxista

deli arte

nista del delizioso romanzetto di Guerrazzi o come quello di un celebre romanzo di Barbusse. Ora io non nego che i ragazzini, al mare, che spiano dalle fessure della loro cabina balneare quanto succede nella cabina accanto non siano mossi,

in fondo,

da un desiderio di conoscenza

che nella scuola sonnecchia : ma le belle bagnanti che essi vanno spiando sono certo meno istruttive delle beautyfool bathing girls di Mac Sennett; e, fuori di scherzo, voglio dire che la lezione della realtà può certo diret-

tamente venire dalla realtà stessa, ma che tutto ciò non ha a che fare coll’arte; giacchè specifico dell’arte (di quella vera e non della pseudo-

arte vuoto gioco) è proprio nell’esprimere quell’insegnamento che ogni artista ne trae per comunicarlo al suo pubblico. Che se poi un uomo è disarmato, come Zavattini vuol immaginare siano gli inviati speciali, e abdica al suo compito e lo demanda assurdamente alla macchina da presa, è probabile che succeda quello che succede troppo spesso agli inviati speciali cinematografici che della

realtà ci frak che destinati zione di | sembra

mostrano solo quegli aspetti che sappiamo: gente in tuba e sorride mostrando denti di cavallo e denti d’oro e firma trattati a diventar pezzi di carta prestissimo, campi di corse, presentamodelli di stagione, campioni olimpionici e altre cose, che

valgano la pena di essere mostrate perché

diverse dalla realtà

quotidiana: una realtà marginale ed eccezionale, e cioè frammenti di realtà che tuttavia servono a nascondere la realtà stessa, servono a men-

tire. È purtroppo una costatazione di tutti i giorni alle visioni dei giornali cinematografici di attualità. Questa teoria (che né Zavattini né Chiarini hanno mai messo in

pratica fino ad ora) si avvicina alla pratica e alla teoria di Dziga Vertov (citato indirettamente da Chiarini quando chiama la macchina da presa occhio di vetro), che era uno sviluppo oltranzista, e frainteso, della teo-. ria del montaggio cinematografico come specifico filmico. Due sono gli equivoci in cui è caduto Dziga Vertov: il primo consisteva nell’attri-

buire un miracolismo alla macchina da presa che, per sua virtù, avrebbe

la facoltà di scoprire il mondo, di cogliere automaticamente la vera essenza delle cose. L'intervento umano su questa realtà cinematograficamente ripresa ha luogo nel montaggio, inteso come operazione finale di congiunzione delle diverse inquadrature. Ora è ben vero che la macchina da presa, l’occhio di vetro, può cogliere anche ciò che a

occhio nudo non si può vedere, per esempio estremo, col rallentatore 0 coll’acceleratore, la traiettoria di un proiettile d'arma da fuoco o i movimenti di una pianta che cresce o di un fiore che sboccia; o ancora,

Il cinema

di fronte

alla realtà

i

233

secondo la felice espressione di Béla Balazs « sotto il viso che si

fa il viso che si ha »; e ammesso pure, per assurda ipotesi, che simili, o similmente riposti, aspetti della realtà ne costituiscan o l'essenza profonda, 0, per meglio dire, una fedele caratterizzazione, resta il fatto che questi.

aspetti prima di esser colti dalla macchina da presa e dal suo occhio di vetro debbono esser visti dall'occhio mortal e dell'operatore o del regista; visti, previsti e scelti come degli elemen ti capaci di caratterizzare la realtà nella sua interezza. Perciò l'operatore dirige la sua macchina su

quegli aspetti e non su di altri, perciò aziona il rallentatore o l’acceleratore, perciò sceglie un punto di vista e non un altro, un tipo di

illuminazione e non un altro. E, ammesso pure che regista e operatore non compiano preventivamente quel lavoro e girino alla diavola, impressionando chilometri e chilometri di pellico la, al momento del montaggio dovranno pur ordinare e selezionare il materiale, tutta quella pellicola impressionata, e lo faranno con quei criteri che avrebbero presieduto il lavoro abituale e, ragionevolmente, preliminare. Soggetto e

sceneggiatura

potranno

non

essere

materialmente

scritti,

ma

esiste-

Tanno sempre fusi nell’atto del montaggio. È un bel pezzo che è stato scritto che la sceneg giatura è la previsione del montaggio e che essa nasce da una esigen za soprattutto pratica di buon lavoro ordinato e condotto senza inutile dispendio di tempo e

di energie.

importanza,

Il che,

naturalmente,

né esclude

non

ne

diminuisce

che la sceneggiatura

possa

affatto

l'essenziale

costituire

un

«

gehere » letterario, che, per certi versi, si può dire già nato, anche prima

che i dialoghi arricchissero i valori letterari del film. Tanto è vero che le didascalie di Cabiria, oltre a esser pubblicate in opuscolo nel 1914, sono entrate nel corpus dell’opera omnia di D'Annu nzio; e tanto è vero che proprio Chiarini ha pubblicato numerose sceneggiature, ed anche quella di La terra trema di Luchino Visconti, da lui stesso citato come

il film che più si avvicina all'antispettacolo, a quel suo ideale di futuro

film, totalmente autonomo. Giacché non è da ieri che si sa che le sceneggiature possono avere carattere di compiu tezza artistica, poniamo il caso della bellissima sceneggiatura di Gherasimov 7! maestro, e possono non averne, così come avviene degli appunt i ed abbozzi scritti da Rossellini per i suoi film: come esistono comme die scritte e canovacci

per commedie a braccio; come possono avere e posson o non avere valore

artistico i bozzetti preparatori per un quadro o per un affresco. Si po-

trebbero,

in proposito,

ricordare

certi bozzettoni

di Rubens,

per grandi

Il film e il risarcimento marxista dell’arte

234

allievi e dei colaffreschi, destinati all'esecuzione ed elaborazione degli

iature. laboratori, i quali sì avvicinano particolarmente alle scenegg dell’artiTanto Chiarini quanto Zavattini insistono sulla posizione come potrebbe Ma . indifeso e to disarma court, tout mo dell’uo anzi sta, quando il metodo che esserlo un artista che lavori-come essi propongono,

€ che, in fondo, egli dovrebbe applicare è precisamente un programma, della realtà?

già un concetto

rifletterci presuppone

a ben

Programma

che verache si avvicina ai procedimenti, ultraprogrammatici di Zola,

trinches de vie, mente descriveva dal vero e nell'atto pezzi di realtà, . (Ma perciò romanzi suoi nei , montava che poi inseriva, e direi quasi, giustamente,

detto,

è stato

Zola

che

è stato

grande

veramente

quando

ha trasgredito i suoi programmi). in cui « l’itineCome diceva Béla Balazs, in certi film di viaggio, natura, quello che c'è rario sostituisce lo scenario » o in certi film di le che guarda e di innaturale è proprio l’esistenza di un uomo invisibi i quali vengono natura, della e realtà della nascosti aspetti quegli toglie di favola ». sapore un « autori, degli one a prendere, contro ogni intenzi il secondo Questo programma e questo metodo portano a chiarire di Za- , anche è no, o temente coscien equivoco di Dziga Vertov, che,

individuali vattini e di Chiarini. Questo errore nasce dalla insofferenza stica verso

una

delle caratteristiche

del cinema:

quella di essere arte

chilometri e chidi collaborazione. È il regista che gira, a suo piacere,

Uno dei canoni del. lometri di pellicola, e poi li monta a suo piacere. ca del valore sogl’esteti modo, l'estetica idealistica si salva in questo so una creazione anch’es ormai diviene film il e .salva è e dell’art gettivo autore. unico suo il individuale, ha trovato finalmente

o con miE una teoria che è stata tentata più volte, con maggiore

nore

da Corrado

abilità,

néma, festava,

Auriol, in

una

Pavolini,

e da Attilio Ricgio, conferenza,

la

dal direttore

della

il quale ultimo

speranza

che

la

Revue

du

Ci-

io ricordo mani-

tecnica

arrivi

a darci

una penna stilomacchine da presa di cui ci si possa servire come di Vertov, la cui Dziga da , esempio per a, praticat fu che Teoria grafica. ari naturaliparticol di scopio caleido produzione Cine-Verità risultò un

Walstici la cui fusione veniva ad assumere un aspetto surreale. Anche si facendo metodo, questo ter Ruttmann, in un primo periodo, seguì viattacchi certi di lezze piacevo scoperte subito prender la mano dalle

alternanze stusivi e sonori, da certe cadenze ritmiche, ottenute con e da certe nze consona certe da diate di pezzi lunghi e di pezzi brevi, pezzi di mondei za lunghez dalla nato determi ritmo il tra anze discord

Il cinema

di fronte alla realtà

235

taggio e quello del movimento interno dei personaggi, nel fotogramma, deducendo il montaggio dalla musica di accompagnamento (col proce-

dimento in uso nei disegni animati) e ci dette così il vuoto formalismo della Sinfonia di una grande città e di Melodie del mondo prima, e poi

gli

sconcerti,

tanto

cari

a Emilio

Cecchi

che

li tenne

a battesimo,

di

Acciaio; per precipitare poi, aiutante di una ninfa egeria di Hitler, Leni Riefensthal, nella ignominia della propaganda nazista. i “Quanto al Grierson, egli è tanto poco disarmato di fronte alla realtà, che i suoi documentari, e quelli di tutto il suo gruppo, furono di esplicita e dichiarata propaganda delle poste inglesi prima, e poi di altre cose che ancora di più interessano il governo inglese. Chiarini sopravvaluta Grierson e lo chiama in causa ad appoggi o delle sue tesi; ma anche le analoghe tesi del Grierson dérivano da quelle di Dziga Vertov e sono, per di più, esposte in modo superficiale confuso e scon-

clusionato:

senza

la volontà

di rigore

teorico

che

anima

il Chiarini

e

senza la vaghezza poetica di Zavattini. Il recente caso del film francese Farrebique nato da tentenz e e programmi simili, è da citare solo come spauracchio, data la sua nullità

artistica.

1

Quanto

alla tesi dell’artisticità

10 a contestarla,

dopo

aver,

dieci

del

anni

documentario, fa,

sostenuto

non (in uno

sarò

certo

studio

su

la prosa cinematografica in Bianco e Nero 1943) che la impossi bilità del film a riprodurre la realtà come tale, ne fa un linguag gio artistico come la musica, per cui esso 0 è arte o è conato fallito verso

‘l’arte e non mai altro; e per sostenere, di conseguenza,

l'identità tra film

d'arte e documentario. Ma a parte questa tesi, del resto inoppug nabile, e, che io mi sappia, non mai messa in discussione da nessuno , come è mai possibile pensare che i grandi documentari sovietici, che Chiarini

cita, nascano

disarmati

uno di questi,

associando

senza preordinazione,

e indifesi

come

lo Zguridi,

inviati

da registi messi di fronte alla realtà

speciali?

Non

ha dovuto condizionare i

la forte luce delle lampade,

necessaria

ricorda

Chiarini

che

riflessi di certi pesci,

alle riprese,

con

la

somministrazione del cibo? O gli è forse sfuggito — a lui che segue

attentamente la bibliografia del film — il solo studio, forse, « nella gran platea delle noiose e inutili drammaturgie del film », il solo studio serio La drammaturgia nel film scientifico-popolare di Zdan dove i metodi :

este ae

Il film e il risarcimento marxista dell’arte

dg6

di preparazione minuziosissima di quei bellissimi film sono descritti e. teoricamente giustificati? È ben chiaro che Chiarini ha sacrosantamente ragione quando combatte il film di evasione, ma egli estende questo concetto in maniera del

tutto ingiustificata, a mio parere, quando considera tutti i film spettacolari come evasione della realtà « in quanto partecipazione degli spet-

tatori » alla loro finzione; « che tale resta con qualsiasi stile ». Mentre il film « autonomo » sarebbe distacco e riflessione sulla vita. Mi pare che l'errore stia nel rimanere sul piano esteriore dei mezzi e dei metodi: a questioni cioè di atelier e di opposte tendenze artistiche, come se ne son sempre avute, ma che, in sede teorica, non hanno mai approdato

a nulla: esterni a studio o dal vero? (è un referendum promosso, già nel 1928, dal nostro Solaroli) attori professionisti o non professionisti (primo periodo del film sovietico) sceneggiatura di ferro (tendenza dei commerciali) o novella cinematografica (primo Eisenstein)? Guardando

sembra

più a fondo

poter individuare

sulle posizioni

di Zavattini

Zavattini, soprattutto, in quanto romanziere,

rilutta, nonostante alcuni

felici congeniali incontri, nella pratica, e nonostante sime

collaborazioni,

una

posizione

e di Chiarini

il nucleo centrale che li porta al sofisma.

alla creazione

collettiva

del film;

alcune riuscitistanto

è vero

spesso ha dichiarato di voler ormai realizzare da sé i suoi soggetti. simile

si trova,

praticamente,

anche

Luchino

che

In

Visconti.

Credo che Chiarini senta piuttosto l’esigenza di teorizzare la sua preferenza per il realismo. Egli sente che non si tratta di una semplice tendenza, ma di qualche cosa che trascende le questioni di gusto, e che merita di conquistare una validità universale: sente, credo, che il realismo si identifica con Parte e vorrebbe dirlo con rigore teorico. Si capisce, almeno io credo di capire, che il Chiarini sta per romperla definitivamente con le concezioni idealistiche e che la sua esperienza

lo sospinge verso l'istanza dignità di un contenuto di dall'altro. È chiarissimo, sopravvivenze idealistiche

di restituire al film, e all'arte in generale, la idee, da un verso, e della pratica funzionalità per me, che a questo tende Chiarini. Però le lo impacciano e gli fanno contrapporre « ter-

mini d’arte » e « termini di politica, ovvero di educazione sociale o addirittura di propaganda »; gli fanno sostenere che « l'illuminazione del neo-realismo italiano » consiste nell’esser stato « al di fuori di presupposti ideologici e educativi » e così via. Credo, tutto sommato, che il grande merito di questo scritto note-

Il cinema

di fronte alla realtà

237

vole dél Chiarini consista proprio nel tentati vo di dare autorità estetica, cioè di eonfermare in sede teorica, e consacr are, non solo il grande

valore del neo-realismo

italiano,

ma

il realismo come

arte e l’arte come

realismo. Una sempre e profonda coscienza teorica è indubb iamente urgente @ gioverà, non solo ad elevare il tono della critica, ma gioverà anche agli artisti che, da un’autocoscienza dei propri compiti non potranno che essere artisticamente avvantaggiati. Ed è un compito che anche il Chiarini sa bene quale sia quando scrive che « dalla realtà non ci si può estraniare » ma che bisogna « comprenderla e modificarla, creando un mondo nuovo e migliore ». Sul che siamo perfettamente d’accordo

e non si può che applaudire.

Una maggiore coscienza, dicevo, servirà alla critica e agli artisti; a quella armandola ideologicamente e rilevan dole il carattere classista dei nemici del realismo, che già Chiarini identifica tra coloro che « hanno paura della realtà »; agli artisti servirà a dar coscienza del proprio compito, la coscienza e la fierezza di contribuire al grande processo sto-. rico in corso di trasformazione della realtà, che segnerà ovunque la piena emancipazione umana, il trapasso dal regno della necessità a

quello della libertà. Non la magra soddisfazione di aver divertito, esi-

larato

o

estasiato

degli

sfaccendati

aver lavorato per un’umanità

imbecilli,

migliore.

ma

quello,

altissimo,

di

PENSAIERE ENTE ion

La vacca di Mirone, che esercitò l’acume critico del Goethe, era

scolpita con tanta verità che il pastorello ingannato sonava il corno per ricondurla alla mandria e che il vitellino tentava inutilmente di suggerne latte dalla fredda mammella. Zeusi e Parrasio , nella loro famosissima gara,.che occupò tante grosse penne, da quella di Plinio a quelle ancora di Goethe e di Edgar Poe, dipinsero l'uno delle ciliegie su cui volavano i passeri a beccarle, l’altro una tavola con sopra una tenda, dipinta così che il collega gli chiese di rimuoverla per mostrarne la

pittura che egli credeva celasse. E vinse Parrasio, perché se uno aveva

‘ingannato gli uccelletti, l’altro aveva ingannato l'artefic e. E così via; gli aneddoti del genere sono molti, nell’Antologia Palatin a e negli scrittori

successivi,

e si assomigliano

tutti;

essi

traducono

in moneta

spic-

ciola e corrente la concezione dell’arte come imitazi one, che fu dei greci e che spesso ricorre, anche modernamente, in particolari momenti della riflessione estetica. A quella concezione presa alla lettera, e forse ancora di più a quegli aneddoti, possono ricondursi, ad esempio, molti

fraintendimenti odierni del realismo, e in particolare quell’es tetica da

musée Grévin che lo confonde col naturalismo. Per tradurre in moneta spicciola e corrente la modern a teoria dell’arte come rispecchiamento dialettico e « a zig zag » (Lenin) della realtà nel suo movimento, in uno specchio « che è in movime nto esso stesso » (Lenin), cioè la concezione dell’arte come realismo, io proporrei un più nuovo e straordinario aneddoto. Un aneddoto della storia del film, che proprio mi pare possa prendersi come punto di partenza per una retta interpretazione e comprensione del concetto di realism o ; comprensione che sembra tanto più urgente, in quanto non accenna a decrescere, ma anzi ad aumentare, sia per ampiezza sia per intensità, il

furore di entusiasmo che ha salutato in tutto il mondo i più alti prodotti dell'attività artistica italiana contemporanea, i film neo-real isti. E nella memoria di tutti, come uno dei più bei squarci di grande

arte cinematografica, la drammatica scena dell’Incrociatore Potiomkin

Il film e il risarcimento

242

marxista

lell'arte

di S. M. Eisenstein, che descrive i marinai ammutinati,

chiamati

a

rapporto sulla tolda della nave e costretti ivi sotto un tendone, acciocchè non possano vicendevolmente sostenersi e incoraggiarsi e acquistare coscienza del loro numero, tanto soverchiante e capace di aver ragione

facilmente di coloro che. vorrebbero ricondurli all’obbedienza. . Qualche anno dopo la realizzazione del film, un marinaio del « Po-

tiomkin », che aveva partecipato alla rivolta ed era poi emigrato in Svizzera, scrisse ad Eisenstein una lettera traboccante di ammirato entusiasmo per la scrupolosa ricostruzione dell’ambiente e dei fatti di quella memorabile gesta. In particolare, l’ex-marinaio ricofdava la scena sulla

tolda della nave e del tendone, sotto il quale diceva di essere stato anche lui, per la straordinaria fedeltà della ricostruzione. Ebbene — fatto quanto mai interessante e stupendo — l'episodio della tenda il regista non l’aveva desunto da nessuna fonte scritta né da alcun referto verbale di testimoni, ma l'aveva inventato di sana pianta.

L’aneddoto è indubbiamente molto significativo e si può interpretarlo in due modi: o prendendo per buono il ricordo dell’ex-marinaio, ammettendo (come non c'è ragione di non fare) la verità dell’episodio, oppure supponendo che la suggestione dell'opera d’arte abbia, colla sua. verosimiglianza, agito sullo spettatore in modo da fargli credere di aver vissuto un fatto che non ha mai avuto luogo in realtà. Ma le due interpretazioni, per ciò che concerne l’opera d’arte, hanno lo stesso senso e, quasi, lo stesso valore. Che l’aneddoto conserverebbe anche se fosse esso

stesso

inventato,

cosa

non

del tutto

impossibile

se si pensa

a chi

lo riferisce (Jean Cocteau). E, del resto, son forse aneddoti veri quello

della vacca di Mirone o quello della gara tra Zeusi e Parrasio?

Si tratta anzitutto di riesaminare il problema delle opere d'arte basate su di una ricostruzione storica. Al Convegno internazionale di cinematografia di Perugia, nel 1949, Convegno che ha costituito forse il primo punto fermo, in Italia, per la definizione del realismo nella accezione dell'estetica viva, fu ancora necessario chiarire, in polemica con George Auriol, la possibilità del realismo della ricostruzione storica, quando essa sia sul piano dell’arte. Dimostrando che la ricostruzione storica, quando è sul piano dell’arte, è densa di problematica

attuale, cioè realistica come un fedele rispecchiamento della realtà con»

temporanea. Allora, a Perugia, ci si stupiva ancora che io dicessi che. Giovanna d'Arco di Dreyer è un film realista e che io ricordassi che i sovietici hanno immediatamente posto, e considerano tuttora, primo esempio di realismo socialista cinematografico la geniale ricostruzione:

La poesia

del film

ossia la parte

dell’immaginazione

243

storica, da parte dei fratelli Vasiliev, delle gesta eroiche di Ciapaiev. Così come si stupiva che io parlassi, appoggiandomi a Béla Bal4zs, del realismo

della

favola,

che

poco

dopo

doveva

avere

la bellissima

con-

ferma del film di Zavattini e De Sica Miracolo a Milano. Tesi ostiche

a coloro che confondono il realismo con l'estetica del musée Grevin.

Eppure il realismo della produzione artistica che ha per soggetto

fatti della storia prossima o remota, o fatti ambientati in un periodo storico determinato, può sostenersi agevolmente riallacci andosi al capolavoro della nostra narrativa, ai Promessi Sposi, e alla giustificazione teorica data dall'autore dei componimenti misti di storia e di immaginazione, Forse che non s’è mai sentito parlare di un realismo del Manzoni? I problemi che si poneva il Manzoni non erano quelli, del tutto subordinati, della ricostruzione ideale di un particolare momento storico della Lombardia

nel seicento;

erano

anche,

e anzitutto,

i problemi

vivi

del suo tempo: nella Lombardia soggetta agli spagnoli, e nella bassezza morale dei pochi italiani legati ad essi, egli raffigurava i caratteri tipici della Lombardia del suo tempo, ‘soggetta agli austriaci, e la bassezza dei pochi italiani legati ad essi. E, perchè anche il più grosso palato sen-

tisse il sale delle sue parole, egli ne faceva avvertito il lettore con la sot-

tile ironia della celebre uscita:

« Così va il mondo,

anzi così andava

nel secolo decimosettimo! ». Questa contemporaneità del romanzo del

Manzoni non si limitava certo all'aspetto strettamente politico indicato di sopra, ma quello era il più trasparente: tanto che il conte Alessandro Manzoni veniva ad esserne conseguentemente considerato un di quei capi un po’ pericolosi...

La contemporanea

attualità dei problemi di un’opera d’arte mista

di storia e di immaginazione non va però intesa, come qualcuno tende

a fare, quale un camuffamento della realtà di oggi che si vesta e mascheri dei costumi e del costume di quella di ieri: non costituis ce mai un forzamento e un travisamento della realtà storica. Ed è proprio l’immaginazione, quando essa nasce sul terreno di una informaz ione storica

minuziosa e sicura, che enuclea, dalla complessità e innumerevolezza dei dati storicamente

accertati,

quelli che sono

essenziali

e determinanti.

L’immaginazione si sviluppa allora in una linea precisa che dà, ai suoi

prodotti, alle sue invenzioni, un carattere di coerenza assolu ta coi dati storicamente sicuri, e quella verosimiglianza, che può essere assunta come elemento essenziale della creazione artistica, e che spesso non è neppur dato distinguere dalla verità.

Il film e il risarcimento

244

marxista

dell'arte

La coscienza di questa non esigua parte della immaginazione spiega come

sia potuto

sorgere,

e come

debba

risolversi

non

idealisticamente,

il problema se la storia sia una scienza od un'arte. E, per tornare ad Eisenstein, spiega come egli, respirando il clima arroventato del 1905 e l'atmosfera della nave « Potiomkin », abbia potuto inventare l’epi-

sodio della tenda: tutto ciò che egli sapeva dell’incrociatore, degli uffi-

ciali, dei marinai lo portava a quell’invenzione, necessaria,

unica e inso-

stituibile chiusa di una certa fase del suo racconto: ma quella necessità scoartistica, quel suo raggiungimento artistico, che cos'era se non la perta dell'elemento tipico di quella realtà?

A ben riflettere, il primo stupore dinanzi all’aneddoto cade. Eisen-

stein non fantasticava vuotamente, ma indovinava il passato, così come si può indovinare il futuro: facendo cioè dell’arte. Per analogia si può dire: come nel gioco degli scacchi tutti i precedenti rendono una mossa delinevitabile, e quella mossa determina la prevedibile, futura mossa

l'avversario. L’aneddoto del tendone del « Potiomkin » non chiarisce e illumina

soltanto il realismo delle ricostruzioni storico-artistiche, ma il realismo tout court. La capacità dell’immaginazione a cogliere gli aspetti tipici della realtà è particolarmente abbagliante quando si tratta di una loncontana realtà: ma il processo è identico quando si tratta della realtà temporanea. Il sugo della storia sta dunque nel suo definire e chiarire

la parte dell’immaginazione.

*

Saggio di estetica cinematografica

SERI

ES

EA

Le A

I

E

Prefazione

Le conoscenze sul film, che, già dalla caduta del fascismo, sono patrimonio comune dei migliori tra i cineasti, gli intenditori e gli amatori di film, nonchè di ogni persona modernamente attenta, costituiscono indubbiamente, per coloro che non le hanno ripudiate, e che, meglio ancora, tendono a svilupparle, nella giusta direzione, una cultura cinematografica solida e avanzata. Della vastità di questo diffuso interesse e di questa seria conoscenza del film e dei suoi problemi testimonia la bibliografia italiana d’argomento, che opportunamente sfrondata

da tutto l'inevitabile ciarpame di pubblicazioni commercialistiche, più

o meno pubblicitarie e apologetiche di dive, di divi e di registi, e di | pubblicazioni tendenziose e reazionarie, può dimostrare come in questo campo,

in Italia, non

si sia rimasti

indietro,

ma

si sia, anzi, più avanti

di altri paesi. E, fatto assai notevole, sebbene il complesso essenziale di queste conoscenze e teorie stridesse enormemente col clima fascista, nel quale è nato, esso riuscì a conquistare un consenso quasi unanime e un accordo quasi pacifico; le discussioni e le polemiche per raggiungerli furono abbastanza sbrigative e piane, le voci discordanti essendo, per la verità e salvo qualche rara eccezione, così fievoli da non poter, spesso, i nemmeno essere udite, Non più dunque, né discussioni nè dispareri su tutta una serie di questioni che, altrove, si pongono ancora oggi periodicamente e si

dibattono all’infinito, quasi problemi insolubili tipo moto perpetuo o

quadratura del circolo. Chi da noi chiede più se il film sia un’arte 0° meno? Chi considera più il cinema come un mezzo meccanico per riprodurre

la

realtà?

Chi

crede

ancora

che

di

arte

si tratti,

sì,

ma

di

‘un’arte assolutamente nuova, nel senso di sostanzialmente diversa dalle altre? Chi crede di conseguenza ancora che il film necessiti di un’estetica autonoma? Chi considera il film creazione individuale e si pone il

Il film e il risarcimento marxista dell'arte

250

problema della ricerca del suo autore? Chi ignora il senso e l’impor-

tanza del linguaggio cinematografico e dei suoi elementi essenziali? Il primo piano, l'inquadratura, il montaggio, che tutti li comprende e compendia?

Fatto caratteristico non trascurabile è ancora che questo settore importante della cultura nazionale non ha tratti di angusta limitazione

provinciale,

come

altri, ma

si è nutrito di apporti assai vari e prove-

| nienti dai più lontani e spesso ideologicamente opposti centri di indagine, dall'Unione Sovietica, dagli Stati Uniti e dalla Francia, così come

dall'America latina e dai paesi di nuova democrazia, dalla Cina come dalla Germania e dall'Inghilterra: ogni contributo, appena notevole, e persino taluni quasi irrilevanti, sono stati, secondo le esigenze della ricerca, presi in considerazione ed hanno contribuito a questa, dunque, veramente vasta e solida cultura cinematografica; che, sistemando gli apporti esterni, rielaborandoli e fondendoli con quelli originali, ha assunto e mantenuto uno spiccato carattere nazionale, così come uno spiccato carattere nazionale ha avuto, nel secondo dopoguerra, la migliore produzione. dei film italiani. | La costituzione e la diffusione di questa cultura non è stata, na-

turalmente, opera di un singolo studioso, ma, dopo qualche brillante indagine individuale, di un gruppo di ricercatori attorno alla scuola

statale di cinematografia, mentale di cinematografia, cepiti, ha avuto il merito, la cultura cinematografica blemi

essenziali,

e che,

sorta nel 1935, col nome di Centro speriche, scuola e seminario modernamente conappunto, di informare, orientare, consolidare italiana, impostandone e risolvendone i pro-

nello

stesso

tempo,

ha

fornito

alla

cinemato-

grafia italiana, floridamente rinata alla caduta del fascismo, i suoi quadri migliori, tanto artistici che tecnici:

i meglio preparati professional.

mente, e, in genere, i meglio orientati come generale visione del mondo. Una funzione che il Centro sperimentale di cinematografia, perduta quell’indipendenza che aveva saputo mantenere persino in momenti di più violenta reazione fascista, ha trasmesso alle erganizzazioni dei Circoli del cinema e alla stampa specializzata che ancora assicurano una certa continuità a quell’insegnamento e assolvendo largamente almeno i compiti divulgativi, e, talvolta, anche apportando contributi

originali e nuovi. L’interessamento della stampa periodica non specializzata, per il cinema, l’attenzione all'arte del film di personalità di cerchie culturali assai, spesso, distanti, i nuovi libri. che ormai anche editori di primo

Risarcimento

marxista

dell'arte

2510

piano vanno pubblicando su questioni cinematografiche, l’interesse anche degli ambienti universitari e il numero rilevante di tesi di laurea su problemi del film, dalla prima, credo, più che vent'anni or sono, di Francesco Pasinetti, relatore il prof. Fiocco all’Università di Pa-

dova,

alla

recentissima,

sulle

origini

del

realismo

cinematografico

ita-

liano, di Roberto Manetti, all’Università di Firenze, relatore Roberto Longhi, dimostrano quanto sia popolare ed amata in Italia l’arte del film. L'accordo, quasi unanime, bene inteso dei migliori, sui molti e non sempre facilissimi problemi del film, ha fatto talvolta credere che non ci fosse più nulla da fare in questo campo, che si potesse andarsen e finalmente a letto a riposare in santa pace e godere il frutto del lavoro compiuto: quasi che quello del film fosse un capitolo chiuso, una volta per tutte, e che né sviluppi tecnici nuovi (colore, stereoscopia, televisione) né creazioni originali, nuovi film e nuovi indirizzi, potessero presentare sorprese, suscitare difficoltà e problemi nuovi e costringe re a ritorni e a ripensamenti. Non che non ci siano stati tentativi per uscire da terreni così profondamente arati; ma il più delle volte il tentativo di uscirne ha significato proprio un uscire dal seminato, come suol dirsi, un perdersi cioè

nelle stravaganze e negli errori. Né bisogna, per altro, nascondere il

fatto

che,

forza

contro

parallelamente i migliori

ad

un'aggressione

film italiani recenti,

condotta

dall'alto

i film neo-realisti,

ed

in

si è veri-

ficato, dapprima con qualche timidezza poi con maggior decisione e frequenza, il tentativo di una revisione delle posizioni teoriche già affermate e, talvolta, il tentativo di un loro totale capovolgimento. Vale la pena, se non di esaminare particolarmente e diffusamente ' queste scissioni nella compagine della cultura cinematografica italiana già affermata, almeno di cunsiderarle un poco, non fosse ‘altro che per trovarne il comune denominatore, che può consentire di respingerle in blocco, e per non farsene ostacolare nel passo avanti che è necessari o e urgente compiere. Le posizioni, nei confronti del cinema, di un gruppo di intellettuali tradizionali, Emilio Cecchi, Alberto Moravia, Cesare Brandi, Mario Soldati, non sono nuove, anche se qualcuno di questi scrittori si sente in ‘ obbligo di ribadirle ogni tanto: sono posizioni di scrittori che non hanno capito molto del cinema. e che, paghi di essere legati alla produzio ne cinematografica, fanno del cinema conformistico e commercialistico; essi disprezzano il film'e il loro disprezzo non è, in verità, che un alibi

e il risarcimento

Il film

252

alla loro per loro rante la pena di

marxista

dell'arte

attività di cineasti nel migliore dei casi mestieranti. Il film è un comodo guadagnapane, così come lo fu altra volta, duprima guerra mondiale, per i letterati italiani. Non vale la esaminare le sfumature e le gradazioni di questo disprezzo, di

queste altezzose negazioni dell’arte del film. Esse consistono tutte nel considerare, ancora oggi, dopo Chaplin e Eisenstein, dopo Roma città aperta, esordi: insieme per le

e Il ritorno di Vasili Bortnikov il film ciò che esso fu ai suoi un complesso di congegni più o meno perfezionati per mettere spettacoli di attrazione più o meno piacevolmente confezionati, masse incolte. Salvo a parlare qualche volta di arte, astretti da

impegni di produzione, ma con un linguaggio da bollettino pubblicitario che dovrebbe salvare la faccia, valere cioè come strizzatina d'occhio al

lettore a farlo avvertito che chi scrive non crede a una parola di ciò che è costretto a sostenere. Non diverso era l'atteggiamento di D’Annunzio, che considerava il cinema come un complesso di truccherie. Che

Mario

Soldati,

con

lo pseudonimo

di Pallavera,

abbia

scritto

sul cinema un volumetto di sciatta superficialissima informazione e che si compiaccia di ripetere che il film non è un'arte, ma una malattia, per

la quale ha inventato uno scherzoso nome pseudo-scientifico, morbus philmicus, non può certo interessare nessuna persona seria (Franco

Ventiquattr’ore in uno studio cinematografico, Milano, Pallavera, Corticelli, ed. 1935; settimanale Quadrivio, 1935); 0 che Emilio Cecchi riferisca la risposta di Benedetto Croce alla sua domanda circa il cinema che «a quella fusione di dramma o racconto e di immagini visive non gli pareva potersi negare prima qualità d’arte » e che egli

si era meravigliato perché il cinema è tutt'al più un'arte minore, giacché a differenza delle arti vere, « la realtà empirica, apparecchiata acconciamente e truccata, essa medesima fornisce la sostanza del linguaggio espressivo; costituisca, per così dire, il repertorio o il dizionario di una sorta di rozzo linguaggio ideografico (Emilio Cecchi in Mercurio,

1947):

Roma,

1946,

n.

22;

in

Bianco

e

Nero,

nuova

serie,

ottobre

che Cecchi condivida le opinioni di Cesare Brandi e plauda

al

libro di questi Carmine o della pittura (Enrico Scialoia editore, Roma,

1945) dove oltre al goffo e frivolo tentativo condotto senza una preparazione profonda di conciliare crocianesimo ed esistenzialismo si liquida il cinema come arte affermando ‘che il cinema porta solo « la cruda indubitabile documentazione sull’esistente » che « ibrido e ambiguo per sua natura, non può sollevarsi dalla sfera pratica » resta per suo metodo

« oratorio » che persino Corrado Alvaro faccia di ogni erba un fascio

Risarcimenio

€ per negare

i deteriori prodotti

marzista

dell’avte

253

di certa letteratura e di certi film si

lasci andare all’affermazione del « contributo delle arti meccanic he alla stupidità umana » (in Bianco e Nero, ottobre 1947) o che Moravia non tralasci alcuna occasione per rifriggere che il cinema non è un'arte,

che egli non crede all'arte fatta a quattro mani, cioè alla collaborazione artistica, e che vi abbia persino scritto un brutto romanzo (Il disprezzo) per affermare tesi assai banali sul mestiere dello sceneggi atore cinematografico (Milano, Bompiani, 1954) e sul costume del modo

di farlo non ha importanza e non può necessitare di confutazioni. Se si riflette che negare il cinema come arte non dispiace al pub-

blico ignaro che non chiede al cinema che un frivolo divertimento, senza alcun impegno intellettuale e morale; che questa negazione non dispiace certo agli industriali e ai commercianti di film che tendono sempre, per ragioni di cassetta, a mantenere al film il carattere di deleteria altrazione: non dispiace ai governi reazionari che questo tipo di film promuovono con ogni mezzo e in particolare non dispiaceva al governo fascista che per incrementare i film di divertimento e di evasione creò una speciale legge (legge Alfieri): non dispiace, anzi piace moltis-

simo al governo democristiano che per promuovere una produzione di

intrattenimento ha riesumato la legge Alfieri e spende annualmente dieci miliardi perchè la produzione cinematografica italiana sia di questo tipo; consente agli autori succitati di dirigere uffici soggetti di case di produzione governative, di partecipare a commissioni di cosiddett a autocensura, di produrre film di nessun impegno come quelli soliti (salvo poi a produrne di più impegnativi, magari di propaganda imperiali stica: come D'Annunzio con Cabiria alimentava l'imperialismo degli stranieri e le tardive avventure libiche così Camerini creava i presupposti di una esaltazione dell’aggressione fascista all’ Abissinia con Il grande appello). All'assurdità palese della negazione del film come arte da parte di certi signori che ci mangiano sopra, quando in nessuna parte del mondo e in nessun campo dell’arte si possono vantare opere dell’alto livello di quello raggiunto dai migliori film del mondo non c'è da opporre ragionamenti; il giudizio che si può dare di quella tesi e di quella attività è solo un severo giudizio morale. Restando

invece

nel campo

della

teoria

dato qualche primo sintomo di reazione,

del film

può

essere

ricor-

in Italia, alle più salde con-

cezioni diffuse : alla fine di aprile del 1948 George Auriol, direttore della prima e della seconda serie della Revue du Cinéma, tenne al liceo

11 film

254

e il risarcimento

dell'arte

marxista

Righi di Roma, per iniziativa del Circolo romano del cinema, una conferenza sul tema Cinematografia italiana e cinematografia francese nella quale (cfr. U. B.: Occhio o stilografica, in Vie Nuove, a. III, n. 19, 9 maggio 1948) sosteneva che il cinema italiano, nella sua migliore espressione, il realismo, si riallaccia »alla tendenza di Dziga

Vertov della Camera occhio, mentre il cinema francese tende piuttosto alla Camera stilò, cioè alla macchina da presa usata come una penna stilografica, tende a riconquistare all'individuo il film: a fare della

creazione cinematografica una creazione soggettiva come la poesia. Lo stesso Auriol l’anno successivo, al Convegno internazionale di cinematografia di Perugia volle opporre al realismo il film storico (come Giovanna d'Arco) e il film d’evasione (come Tabù di Murnau) (cfr. U. B.: Il cinema e l’uomo moderno, Milano, Edizioni Sociali). Un altro tipico tentativo di stravolgere le idee sul film è il tentativo, o

tentazione,

la

cui

qualcuno

ha

di

ceduto,

prendere

per

solide

le

istanze provenienti dal mondo della cultura cinematografica, poste dalla cosiddetta filmologia. Ma questa scienza, anzi questo complesso di scienze,

considera il film da tutti i possibili punti

artistico,

quello

meno

cioè che

dal punto

rispetto

al livello

di vista, meno

di vista specifico

che da

e perciò

essenziale. Nella considerazione filmologica ciò che fino ad ora ha prevalso, particolarmente in Francia, è il punto di vista psicologico, con

evidente

giunto

dagli

regresso

ampiamente criticata e non ha avuto un seguito assai scarso e intellettuali lontane dal cinema che l'eterna considerazione che,

internazionalmente

Nell'URSS

studi cinematografici.

la filmologia

già

rag-

è stata

avuto alcun seguito; in Italia essa ha quasi totalmente circoscritto a cerchie e dai suoi reali problemi. Né si vuole sia pure nei due paesi di più avanzata

cultura e produzione cinematografica, la filmologia non ha: attecchito basti a farla condannare in blocco e a persuadere dell’inanità delle sue faticose

ricerche della

filmologia,

per

altro,

non

necessitano

di confu-

tazioni teoriche: la loro vanità si fa evidente solo che si pensi, per assurdo, a condurre indagini simili per un'altra arte, poniamo la pit-

tura; nello studio della pittura nessuno si sogna infatti di far rientrare la chimica dei colori, il daltonismo, i metodi di una sua possibile cura, la fabbrica delle tavolette di compensato, la tessitura delle tele, e nem-

meno gli effetti fisiologici e psicologici dei quadri sui soggetti normali ed abnormi. Non è per queste vie che gli studi d’arte in genere, né quelli di cinema in particolare, potranno progredire.

Risarcimento

marxista

dell'arte

255

Un tentativo, relativamente recente, di riproporre il problema dello specifico filmico 0 del cinema cinematografico, come punto di partenza

per una revisione critica non ha avuto, né così come è stato presentato poteva avere (sebbene sistemato con abbondanza di inchieste, referendum e simili) altro risultato che quello di chiarire la futilità del tornare a mettere sul tappeto questioni che da anni avevano trovato argomentate e ben esemplificate risposte, tutt'ora solide, perché abba-

stanza

larghe

per essere comprensive

dei casi singoli ed anche

nuovi sviluppi della produzione e della critica cinematografica tutte le possibili eccezioni confermatrici della regola).

Un

altro ritorno strano,

dei (con

in sostanza sulla stessa linea, è anche

quello di Cesare Zavattini che, spintovi dal naturale desiderio di difendere e anzi di portare oltre la posizione di quel neo-realismo cinematografico che egli stesso ha tanto alimentato, ha accettato il dilemma, forse involontariamente capzioso, posto dall’Auriol tra camera-occhio e camera-stilò, e mentre qualcuno (Attilio Riccio. p.es., che poi ha preferito tacere e badare a far massa con la produzione di film con case noleggiatrici americane) aveva aderito alla teoria della macchina da presa come penna stilografica, e ve lo portava il suo ritardato liberalismo ultra individualistico, Zavattini ha ripreso la tesi della camera-oc chio 1; non che nel cinema italiano abbia avuto peso la pratica né la teoria di Dziga Vertov, ma così fu chiamato dall'Auriol. Zavattini si è fatto sostenitore della « realtà colta di sorpresa » dalla macchina da presa senza alcunché di intermediario che possa falsarne la fedele ed automatica registrazione della realtà quotidiana. Il caso di Dziga Vertov (di cui probabilmente avremo occasione di riparlare) sbocca nell’arbitrio del montaggio e del tecnicismo: Zavattini con la sua proposta risbocca in quel Farrebique ou les quatre saisons (che a Venezia nel 1947 qual.

che critico scambiò per un capolavoro) che Auriol presentò come modello di camera-stilò. ta;

Anche Luigi Chiarini ha recentemente abbandonato alcune delle posizioni a fare accettare le quali aveva contribuito efficacemente; egli sostiene con meno oltranzismo alcune. posizioni di Zavattini.

Anche Chiarini si lascia sedurre dallo specifico filmico, ma si invi-

schia in contraddizioni, si lascia allettare dal miracolismo della macchina 1 È assunta,

appena Zavattini

solo esempio:

il caso lanciò

di rammentare l’idea

del

Amore in città. (n.d.r.)

che,

coerentemente

film-inchiesta

di

cui

si

con ebbe

la posizione tuttavia

un

‘| 256

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arle

da presa e pensa che questo attribuire poteri miracolosi ad una macchina possa essere una posizione molto avanzata ed addirittura marxista, respinge il film come arte di collaborazione e fa degli elementi col. laboranti degli esecutori, respinge la tesi e la degrada a propaganda €, in sostanza, e con la consueta abilità di scrittore e col solito spirito

pungente, ripropone sbagliati ritorni a posizioni sbagliate. Né l’Aristarco,

sebbene

a conclusione

della sua antologia L'arte del

film egli ponga come posizioni della cultura di fronte al cinema e come pezzi extra, Croce e Gentile, né il Chiarini si rendono conto che i

ritorni

da loro proposti sono ritorni a posizioni idealistiche. Che, anzi, tanto l’uno quanto l’altro, affermano la verità che il cinema non può accon-

.ciarsi alla tesi dell’idealismo. Chi invece propugna con energia questo ritorno è, oltre ai collaboratori dello Spettatore Italiano, C. L. Rag-

ghianti. Carlo Ludovico Ragghianti conclude una sua recente raccolta di scritti sul cinematografo ® con l'affermazione che a certi interrogativi che il cinema pone si potrà dare risposta quando gli studi sul film saranno approfonditi: quando, egli dice, si saprà meglio che cosa è il cinematografo. Un’esigenza che egli tenta, già con questi suoi saggi, di | avviare sommettendo le varie teoriche cinematografiche alla filosofia idealistica e alla sua ultima formulazione rilevante che è l'estetica crociana. Tentativo che è esattamente contrario di quello che va fatto: invece di forzare in senso idealistico Pudovkin, invece di appiccicare

una etichetta crociana alle più serie indagini, a teorie cinematografiche italiane, bisognerà fare il contrario: proprio liberare queste ricerche dalle sopravvivenze idealistiche.

Questi ritorni, queste incertezze, queste storture dicono chiaramente «che sarebbe un grave errore credere che veramente non ci sia più niente da fare in questo campo. Giacché in verità c'è da fare moltis‘simo. Infatti, a guardarla dappresso, questa cultura cinematografica italiana, certo la più avanzata, compatta e originale dei paesi occidentali, appoggiata a una solida base storica e filologica, abbastanza ben ordinata in complesso nelle carte e nelle menti dei suoi numerosi inten.ditori, resta, tuttavia, senza capo né coda. L’accezione di questa espressione scherzosa che mi permetto di

mota

1 C. L. RAGGHIANTI: 1 a p. 252.

Cinema

arte

figurativa,

Einaudi

ed.

Torino,

1952,

Risarcimento

marxista

dell'arte

i

257

adoperare, sine ira et studio, senza cioè voler con essa offendere nes: suno, vuol esser questa: tutte queste cogniz ioni e riflessioni, sebbene non c'è dubbio costituiscano un tutto organico e modernamente valido, non vanno troppo al di là di quelle che, per la letteratura, si chiamavano

poetiche; costituiscono una poetica non ancora saldam ente incastonata

in una estetica sistematica, che sia, a sua volta, parte di una moderna e valida concezione del mondo: e questo sarebb e il capo. D'altro canto (non senza almeno la gloriosa eccezione di quella produzione che si è convenuto chiamare neo-realismo italiano) esse scarsamente promuovono e stimolano particolari indirizzi e tipi di creazi one. E questa sarebbe la coda, | In sostanza, tutte queste cognizioni mancano ancora, a mio avviso, di una solida base teorica da un canto e dall’altro di una costante e con-

tinua pratica funzionalità. Non è

difficile spiegare

il perché

di tutte queste

deficienze

della cultura cinematografica italiana; essa è nata e si è sviluppata in un periodo assai triste della vita italiana, dal 1930 (anno in cui apparvero su L'Italia Letteraria le prime traduzioni da Pudovk in, da dove li

traduceva in francese La Revue du Cinéma) al 1048, anno in cui il

Centro sperimentale soggiacque all'influenza clerica le; e in quegli anni il pensiero cinematografico fu in qualcuno pensat o coscientemente fino in fondo, fu cioè cosciente del suo esser connes so e del suo nascere e

derivare da una generale visione del mondo; ma poiché questa visione del mondo era assolutamente antitetica al fascismo al potere, questo

legame fu tenuto nascosto e la sua piena integr azione teorica scientemente trascurata. Questa è la spiegazione storica all'attuale caratteristica situazione della cultura cinematografica italiana; e questo suo mancare di capo ha certamente, almenoin parte, influito anche sulla mancanza di coda, ha avuto, cioè, ottime conseguenze pratiche, ma

non quelle che meritava. A questa motivazione storica va aggiunto il peso della cultura italiana

più autorevole, tutta orientata in senso tardiv amente, ma brillantemente, idealistico, che per di più con tipica contraddizione, si qualificava, e forse anche nella parte più sana credev a di essere, anti-

fascista. Giustificare più profondamente, dal punto di vista teorico, le affermazioni e le conquiste della cultura cinematograf ica italiana,

avrebbe significato fare i conti con le estetic he precedenti, promuovere un totale ripensamento dei problemi dell’ar te e della vita. Un'azione

2° 0]

Il film

258

e il risarcimento

marxista dell'arte

a compiere la quale i tempi non erano maturi per l’Italia, né, forse, le spalle e le teste, su di esse, dei campioni della muova arte. Una mia polemica recente con Guido Aristarco e con Glauco cultura Viazzi * ha già indicato questo stadio caratteristico della chiaindicato anche ha ed descritto; sopra qui cinematografica italiana

ramente il compito aperto a tutti moi che ci occupiamo di cinema. Questi compiti per il cineasta moderno sono, a mio avviso (cfr. la mia conferenza alla settimana ottobre 1951): « Indicare

di cultura cinematografica di Perugia, 15 motivatamente come la cultura cinemato-

grafica italiana possa e debba integrarsi e completarsi divenendo più sistematica concezione estetica incastonata in una valida e moderna con-

cezione del mondo da un canto, e, dall'altro, entrare sempre più nelle coscienze e penetrare nel gusto del pubblico e di conseguenza penetrare cinematoe influire sempre più nella pratica attività della produzione i grafica ». ‘Tentare di colmare queste lacune della cultura cinematografica italiana è l'assunto di questo studio, che non è quindi dedicato ai soli cispecialisti, ma anche e soprattutto al pubblico dei frequentatori di guarda sì come veramente insegnare nema, ai quali vorrebbe poter

un film. Assolvere

questo

compito

debordare

significherebbe

certamente

i

un’azione di profonda

limiti della teoria intesa all’antica e compiere

portata in pro di massimi interessi dell'umanità, né io pretendo di assolvere in foto questo compito. Solo spero di dare alle ricerche un

avvio, quanto più posso gagliardo nella giusta direzione, magari anche

solo con qualche colpo di spillo ai palloni gonfiati della cultura, feti-

cizzati

e mummificati e indicare ai giovani,

che ancora sono tali, una

strada ‘ampia e valida, tutta piena di avvenire.

1 U.

Barsaro:

L'arte

del film;

in Filmeritica,

n.

3,

febbraio

1951.

L'attuale momento di stasi e di stagnazione, o addirittura di regresso, delle ricerche teoriche sul film, fino a ieri sviluppatesi in Italia con così vigoroso rigoglio, ha fatto supporre a qualcuno che esse abbiano ormai esaurito il loro compito, liquidato ogni problematica; così che una ragionevole attività, in questo campo, dovrebbe ormai circoscriversi alla sistemazione storica delle vecchie opere e alla penetrazione critica delle nuove. Supposizione quanto mai stravagante ed errata, che non tiene conto del fatto che, se è vero che le ricerche, condotte fino ad oggi, hanno notevolmente illuminato il problema del film

nei riguardi dei suoi mezzi espressivi, esse sono rimaste piuttosto nella sfera delle poetiche che non in quella dell'estetica vera e propria rag-

giunta solo sporadicamente e singolarmente. D'altro canto, non si può certo dire che i complessi e infiniti problemi che il film suscita, e specialmente quelli inerenti alla sua sempre più rilevante e vistosa po| tenza formatrice e trasformatrice della massa immane dei suoi spetta-

tori, i problemi inerenti all'importanza, sempre più grande, che il film

ha sulla vita dei popoli di tutta la terra, siano stati organicamente studiati: quando essi non sono stati respinti in blocco, come problemi ‘secondari e non pertinenti, come,

in sostanza, alieni ed estranei al campo

specifico nel quale vanno circoscritte queste ricerche, che, giacché il film è incontestabilmente un’arte, non può non essere il campo dell’estetica.

La potenza del film risulta, anche ad una osservazione superficiale,

assai maggiore sia per estensione che per durevolezza della sua influenza,

di quella delle altre forme di spettacolo e di tutte le altre arti tradizio-

nali; la sua importanza è così molteplice e grande che trascorre e deborda di tanto il concetto tradizionale di arte, da farne sospettare impossibile la totale risoluzione nell’estetica; per cui, a volte, è sorta spon-

tanea l'affermazione che, nei riguardi del film, l’arte non è nemmeno la cosa più importante, di fronte al suo aver determinato una più acuita

capacità visiva negli uomini, al suo avere creato una nuova civiltà ottica

260

Il

film

e

sl

risarcimento

marxista

dell'arte

come ha scritto una volta Béla Balàzs !; cioè diremo,

con più inte-

rezza, di fronte alla complessità della sua molteplice e profonda azione sugli spettatori, e, in altri termini, di fronte alla sua significazione e responsabilità sociale. Ma è poi esatto dire che l’arte passa in seconda linea di fronte alla significazione e alla responsabilità sociale e a tutta la complessa problematica del film? Meglio sarà, fin da ora, postulare, salvo a meglio mostrarlo in seguito, che tutti i problemi del film rientrano in un nuovo,

più approfondito e più pieno concetto dell’arte, in una nuova filosofia dell’arte o estetica. Alla cui nascita il film non è estraneo, ma alla

quale anzi ha dato un valide, un decisivo impulso. Certo questa nuova estetica aveva anticipazioni, riente. La sua questo scritto | Scuola statale | sparsi,

già, molto prima del film, avuto parziali, ma folgoranti ma non ancora da noi una trattazione organica ed esaufondazione oggi non sembra più potersi procrastinare e che rielabora un mio corso teorico tenuto nel 1048-49 alla di cinematografia in Polonia, ed una serie di miei scritti

ne vuol essere un primo

modesto

tentativo.

Tutto ciò non contraddice la tesi, da me sostenuta più volte, che il cinema non necessita di un'estetica autonoma e particolare giacché qui non è questione di una estetica del film, il cui compito sia quello di giustificare il film come arte e di specificarlo come arte autonoma, ma quello di rinnovare e approfondire il concetto stesso di arte, meglio

intendendo, e più pienamente, non solo i film, ma anche le opere delle arti tradizionali; di una estetica generale, dal punto di vista del film, cioè di quell’arte singola che, ponendola con più forza ed urgenza, ne ha esplicitato l'istanza. Istanza non soddisfatta dunque dalle estetiche generali e neanche da quelle dedicate al film, nonostante qualche saggio, denso ed esemplare, che fa bello spicco, nel mare magno della bi-

bliografia

cinematografica ?; una

bibliografia

così

ricca,

che

non

è

quasi

nelle possibilità umane padroneggiarla. Il presupposto, da cui ogni cosciente e valida riflessione e azione deve modernamente prendere le mosse, dell’esistenza di già individuate 1 « Also nicht nur eine neue Kunst hat sich hier entwickelt. Sondern, was viel wichtiger ist — eine menschliche Fahigheit als Mòglichkeit und Basis dieser Kunst

iberhaupt!

» (BéLa

BaLAzs:

Der

Geist

des

Films,

pp.

5-6,

Halle,

1930).

2 Scritti essenziali sull'arte del film sono quelli di Béla Balàzs, di Pudovkin e di pochissimi altri. Di quelli citati nella Storia delle teoriche del film di Guido Aristarco (Torino, 1951) parecchi possono essere espunti senza alcun danno e sostituiti con quelli di V. Zdan e di Galvano Della Volpe. A

Risarcimento

marxista

dell’arte

-

261

| e formulate leggi oggettive dello sviluppo della natura e delle società, confermate dalla storia, ci consente di ripensare tutto intero, nella sua poliedricità, il problema del film; e questo generale ripensa mento, contro ogni avventata presunzione e immediata, esteriore apparen za, comporterà una semplificazione dell’attuale intricato groviglio di problemi mal posti e di soluzioni sbagliate che s’abbarbicano attorno al film, con la

fertilità delle male erbe.

Definire che cosa sia, quando e come sia nato e che cosa sia di‘ventato oggi, il cinematografo, può sembrare un compito espositivo, ricapitolatorio e manualistico: una serie di dati scientifici, della chimica, della fisica, dell'ottica, della meccanica di precisio ne e la creazione, da essi, di un complesso di apparecchi, da un canto; e, dall'altro, una serie di prodotti dell'impiego di questi apparecchi, prodotti sempre più

progrediti,

che,

a un

dato

punto

del loro

sviluppo,

hanno

ricono-

sciutamente acquisito caratteri d’arte. Fatti storici già bastantemente accertati e documentati. i Eppure anche a voler solo tentare, esenti ed immuni da ogni prurito di polemica e di disputa, qualche preliminare definizi one, ci si accorge di essere di fronte a una materia controversa: anche indipendentemente dalle questioni estetiche e dalla definizione del film, la stessa sua origine è oggetto di polemiche interminabili, non solo e non tanto per quelle che possono essere le questioni di priorità e la parte da

attribuire

all'invenzione,

ai fratelli Lumière,

ai fratelli Skladanowski,

a

Edison o chi altro sia. Persino l’atto ufficiale di nascita del cinema, che esso sia nato colla prima pubblica programmazione a Parigi nel 1895, al Grand Café des Capucines, è una verità che urta le convinz ioni, e i

nervi, di parecchi e studiosissimi ricercatori.

Le origini del cinema vanno poste come ben altro problem a che non sia quello dell'essere stato Tizio o Caio il primo a impiega r l’emulsione su di un supporto di celluloide o la croce di Malta: ma come un problema rompicapo, quasi quello dell’uovo e della gallina, che involve ben più grosse questioni e impegna tutta una concezione del mondo: si

pone come il problema della primalità,

o meno, dello spirituale. E ap-

plicarsi poi a risolvere la questione non sarà poi tanto ozioso, se, pur così da lontano, ci porta drittamente al cuore del problema. Sono stati spesso ricordati i poveri, e diciamolo pure, piuttosto equivoci natali del film, come spettacolo di attrazione, da baracca di fiera, tra giochi di prestigio, caroselli, musei degli orrori e di statue di cera. Origine più che modesta, anche se parallela alle ricerche scientif i-

FER X

3

:

o

i

e

PRE

MRI

TRIE

RTLA

oa

II

0)!

Nata

di

e

film

Il

il risarcimento

dell’arte

marxista

e

262

che sul trotto dei cavalli o sul volo degli uccelli,

n

| truffaldina,

di trucco,

sue possibilità

sedicente

future,

magico,

nella

persino

ma

e magari anche un po’ non

misconosciuto,

sua

importanza

nelle

solo

commerciale

del suo. più qualificato inventore. Si sa che le proiezioni di Reynaud

ebbero luogo al Musée

vevano

immediatamente

Grévin

Houdin,

del Teatro Robert

e che del cinematographe

interessarsi

Georges

M. Thomas,

Méliès,

do-

Lumière

direttore

direttore del Musée

allora

Grévin e

M. Lallemand, direttore delle Folies Bergère, ospiti eletti del Lumière

per una seduta privata, nel 1895, dei suoi primi filmetti; e che quegli spettatori gli fecero immediate offerte per la concessione dello sfruttamento commerciale dell'invenzione, offerte, per quei tempi, colossali: diecimila franchi il primo, ventimila il secondo, cinquantamila il terzo.

Piaccia o non piaccia !, questi furono i primi a interessarsi del cinema-

tografo,

o

che, poco dopo,

doveva attrarre nella sua orbita Sarah

Bern-

O

hardt, Réjane, la Duse e D'Annunzio, Saint-Saéns, Pizzetti, Bjorn Bjòrnson, Hemman, Boter, Karl Hauptmann, Showns Schelof, Wege-

; i i

ner e Asta Nielsen. Origini modeste e sviluppo impetuosamente rapido: ma, appena giunto al suo imprevedibile stadio di diffusione e di importanza, riconosciuto come arte e proclamato definitivamente la più importante delle arti 3, il cinema, come un qualsiasi risalito, fattosi largo in una nobile, ristretta e chiusa compagnia, quella delle arti tradizionali, s'è affrettato alla ricerca di palle araldiche, per la sua corona e di quarti di

È

nobiltà: inventandoli naturalmente, con l’aiuto, non solo di pubblicisti

i

mu:

| :

DG

instancabili e indefessi poligrafi, fattisi settatori del nuovo potere,

ma

anche di ricercatori adorni di filosofica preparazione.

_ E ne è sortita la stravagante audacia dell’affermazione, che gode tutt'ora di un qualche credito, per cui il film è antico quanto l’umanità 3. Questa sentenza non è un'uscita meramente bizzarra e paradossale,

messa in testa ad uno zibaldone di fotografie di film; né uno scherzo del

genere di quelli di cui si compiacciono gli scolaretti, per cui Petronio, andato a farsi fotografare, si sentì rispondere che erano spiacenti di non poterlo servire perché la macchina fotografica aspettava ancora il bi

" CAS Ci U;

1 Non

piace,

o pare

come si vedrà oltre.

di scherzo,

questa

verità

non

persuade

Ragghianti,

>

2 Lenin cfr. Bonc BruiEvic, Lenin i Rino, in Kinofront, 1927, nn. 13-14. 3 « Der Film ist so alt wie der Menschheit » Josern Grecor, Das Zeitalteer des Film. Vienna w.n., 1932.

ESRI PREMINONARA Cera

Risarcimento

marxista

dell'arte

263

suo inventore. È un'affermazione che la preten de a verità scientifica e filosofica; una tesi che ha la sua paleontologi a, la sua filologia, la sua teorica giustificazione, Ed è, manco a dirlo, una frottola, proprio come appare d'acchito, anche al più indotto osserva tore. ‘ Il palinsesto

cinematografico,

il proto-film,

anzi

l'Ur-Film

(perché

sospetto che questa frottola sia di origine tedesca , e, se non lo è, bene si attaglia al gusto di certa pseudo-scienza tedesca) risale a circa 20.000

anni or sono; a quelle rozze e suggestive figurazioni di bisonti e di cin-

ghiali che son graffite nei cavernicoli di Santill ana presso Altamira, nel nord della Spagna. Secondo una diffusa interpretazione, cinghiali e bisonti vi sarebbero raffigurati in movime nto: le numerose zampe anteriori e posteriori, in qualcuno di essi, stareb bero a significare il movimento delle bestie, essendo situate in diversi punti dello spazio corrispondenti ai diversi momenti del loro muover si. Da questo araldico ed emblematico bisonte o cinghiale prendono le mosse, per giungere al film moderno, innumerevoli trattati cinematografici e numerose storie del film !, Ora ciò che stupisce immediatamente, appena si rifletta su quelle antiche immagini, è la supposizione che i loro primitivi autori volessero riprodurre il movimento delle bestie e avessero una capacità di concepirne ed eseguir ne la rappresentazione simbolica mediante ripetizioni, in vari punti dello spazio, degli arti della bestia. La soluzione che essi avrebbero dato corrisponde, in pieno, a quella che, 20.000 anni dopo, dovevano dare alcuni campioni del di-

namismo plastico, i futuristi italiani: per esempio Giacomo Balla col suo quadro La signora del cagnolino, che è, se non erro, del 1913, dove,

come si ricorda, il cagnolino dovrebbe risulta re in moto per ill fatto di avere numerose gambette sia posteri ori che anteriori, e dove anche il guinzaglio per la stessa ragione è divenu to una serie di guinzagli. Credo che la soluzione così proposta da Balla per il dinamismo

Plastico prima delle soluzioni astrattistiche delle linee-fo rza,. derivasse dal fotodinamismo di A. G. Bragaglia. Il fotodinamism o, come dice uno stornel

lo malthusiano, deriva dalla sfocatura delle fotografie mosse; e l'esigenza del dinamismo blastico dal cinematograf o. È strano che ‘i Pittori, e per di più futuristi, abbiano atteso il cinematografo per porsi

il problema del dinamismo plastico e per trovarne una soluzione, quando

1 FrancESco PAasiNETTI: Storia del cinema; S. A. Luciani: Il cinema e le arti, Siena, Ticci, 1942, vedi II cap. / disegni animati nell'antichità e l'ho ripetuto inflessivamente anch'io in Ricordo di S. A. Luciani, in Filmcritica,

anno

I, n.

2,

Roma,

1951.

Il

264

film

e

il risarcimento

marxista

dell’arte

il problema e la soluzione sarebbero stati trovati da uomini dell'età preistorica 20.000 anni prima! Ma l’interpretazione dei graffiti di Altamira appare ancor più sorprendente quando si costata che quel tipo di riproduzione del movimento non si ritrova mai più, né altrove né successivamente; quando

si costata che quelli che vengono presentati come i successivi protofilm, nelle varie storie della cinematografia, che vanno così allegra-

mente romanzandone le origini e la preistoria, non presentano mai analoghe soluzioni del problema del movimento. Le, spesso citate, immagini dell’età del bronzo, circa duemila anni avanti Cristo, le lastre di roccia

del movimento

Kivik

a Schonen,

in Svezia,

rappresentano

una

serie di figurette, tutte aventi un regolare numero di gambe, in cui, si dice, il movimento risulta dalla reiterazione della stessa pittura: la stessa persona, o la stessa bestia, sempre ripetute danno l'impressione del suo muoversi !. Altrettanto varrebbe per la costruzione del tempio nelle figurazioni sepolcrali egiziane, o, nei rilievi capitolini, la tomba iliada, dove sono narrate le storie di Briseide, dell’ira di Achille e delle divine quadrella di Apollo, dal primo canto dell'Iliade. Ma non ci vuol molto ad accorgersi che, nella costruzione del tem-

pio egizio, non si tratta affatto della stessa persona che muore ma di una squadra di schiavi rilievi capitolini, dove figurano non figure in di una stessa storia e

al lavoro (come è naturale e logico) e che, nei ci sono in più scene gli stessi personaggi, si rafmovimento, ma una serie di momenti successivi dove, perciò, si ritrovano gli stessi personaggi.

L'arte figurativa si è largamente servita di questa puntualizzazione di momenti salienti di una storia da raccontare in una ordinata successione

di quadri o di affreschi. E valgano per tutti le storie di Cristo di Giotto _

nella cappella dell'Arena a Padova. Si tratta,

in sostanza,

di una

serie di affreschi

o di quadri

ranti diversi episodi e momenti di una storia. Ma se questo modo di raccontare un avvenimento, dolo

in

una

serie

di momenti,

è comunissima

nelle

arti

raffigu-

puntualizzanfigurative,

in

tutta la storia di queste si ignora totalmente la soluzione della ripeti-

zione di una persona, di un arto o di una bestia per simboleggiarne il miovimento: con l'esclusione della signora del cagnolino o di certi di1 « Die

gleiche

Person,

oder

dass

gleiche

Tier,

werdenne

immer

kolt, um denn Eindruck des bewegung hervorzirufen », RUDOLF OERTELL: spiegel, ein Brevier au der Wel des Films (Wien, 1941, p. 16).

wieder-

Film

Risarcimento

marzisia

dell’arte

265

segni recenti come quelli ad esempio del Corriere storie della Checca, di Fortunello o del capitan o Cocò La singolarità, anzi l’unicità del caso dei bisonti Altamira non ha dato da pensare a coloro che l’nanno

dei piccoli nelle Ricò. o dei cinghiali di così spesso e così

recisamente affermata? È strano che non si sia diffusamente rilevata la

retta interpretazione di quelle antiche figure dalle molteplici gambe; nemmeno dopo che essa è stata ripetuta, e proprio su di una rivista cinematografica, con opportuno corredo di referen ze scientifiche ?. Si tratta di pitture sovrapposte, le prime delle quali emergono parzialmente sotto le ultime. Fino a questo segno dunque è giunta la smania di nobilitare il cinematografo: ma essa, più o meno nascostamente, ci rivela tutto un modo stravolto di pensare, come vedrem o più oltre. Per ora basta aver indicato e documentato come questa paleontologia della preistoria cinematografica non sia che una stramp alata ed errata fantasticheria. Una appena maggior giustificazione possono avere, come precedente del cinematografo, l’antichissimo gioco cinese delle ombre e le leggiadre leggende circa la sua origine. Mentre, natura lmente, è giusto citare i

versi di Luciano che descrivono il fenomeno della persistenza delle im-

magini sulla retina come una delle tappe essenzi ali verso l’invenzione del cinema: e così le successive intuizioni e invenzioni di Daniele Barbaro, di Leonardo, di Padre Kirker, di Agripp a, di Giovan Battista della Porta e così di seguito, dalla lantern a magica alla fotografia e ai primi apparecchi da ripresa e da proiezione. Si tratta di precedenti di fatto e indispensabili; ma allo stesso modo che la ruota è un precedente indispensabile dell'automobile. E dall’an tichissima invenzione della ruota non abbiamo ancora sentito dedurre che l'automobile esiste dacchè esiste l’uomo. 1 Cfr.

ANTONIO

FORNARI:

Saper

vedere

i ‘documentari

in

Cinema. « ... infatti le immagini dei bisonti e dei cinghial i, a cui si riferisce il Pasinetti, appaiono a volte con quattro zampe anterior i e quattro posteriori, disposte in modo assai simile a come, in certi moderni disegni umoristici o quadri futuristici, si pretende indicare il movimento riproducendo più volte susseguente mente la parte che compie azione dinamica. Ma per le pitture delle caverne di Altamira le cose stanno in modo diverso. Le quattro zampe anteriori e posteriori dipendono dal

fatto

che

i nostri

antichissimi

antenati

sovrapposero ad una antica pittura, probabilmente deteriorata, un'altra senza preoccuparsi di cancellare le gambe dell'animale sottostante (EmrL CaRTILHAC et HENRI BREUIL, La Caverne d'Altamire

à Santillanne,

Monaco,

1906,

p.

90,

tav.

XIV).

»

Il film

266

e il risarcimento

marxista dell'arte

Dopo questo spaccio dell’Ur-Film occorre dileguare anche l'Uresso saTrieb, il preteso, l’ancestrale bisogno del cinematografo da cui Dimoderna. forma sua nella nato ente rebbe lentamente e faticosam afferleguare cioè le pretese giustificazioni teoriche della sbalorditiva un’aspimazione del film vecchio quanto l’umanità. Dire che il film è preso ha che za stravagan un’altra è ! ità dell'uman aeterno razione ab zioni e piede ed è sostenuta con copia di argomentazioni e di considera i, per di conclusioni da molti. Anzitutto da alcuni studiosi di psicanalis

i quali il cinematografo è un bisogno latente dell'uomo, come il bisogno di volare, sostenuto come tale dallo stesso Freud ?. Il cinema s'identificherebbe, secondo alcuni psicanalisti, con il so-

ne delgno e sarebbe quindi una manifestazione, una diretta espressio proiettare a e zarsi esterioriz a l'inconscio umano, tendente, da sempre, safuori di sé le proprie fantasmagorie, i propri film psichici. Il film bisogno rebbe dunque, propriamente, il linguaggio dell'inconscio. E il

eterno, nell'uomo, del cinematografo, dimostrato dai vecchi graffiti, ed anche dalle scritture ideografiche, avrebbe urtato contro una censura

questa psichica subendone una costante repressione. In conseguenza di una trovato avrebbe tendenza questa e, repression questa di e censura sostituuna mediante parziale soddisfazione, appagandosi di ripiego, : trazione, in una espressione non diretta, ma mediata dalla coscienza o sformando quindi il linguaggio diretto delle immagini in moviment

nel linguaggio concettuale e trasformando

pertanto la scrittura ideo-

il bigrafica in scrittura alfabetica. Il bisogno del cinematografo, e sogno di esternare i propri film psichici, perdurante, oltre e nonostant o spettacol di forme varie generato gli appagamenti sostitutivi, avrebbe chiamare sogliono si che artistiche, cosiddette zioni, manifesta e quelle e il dad'avanguardia, come il futurismo, l’astrattismo, il surrealismo delle cioè detto, ente propriam rafo, cinematog daismo. La scoperta del

apparature e dei mezzi tecnici adeguati ad esternare i frutti del lavoro

bionirico dell'inconscio, ha finalmente appagato questo antichissimo film, il più quanto appaga, lo meglio e più tanto E . sogno dell’uomo allontanandosi dall'espressione logico-concettuale, ed anzi rigorosamente nte escludendola, e rinunziando a riflettere la realtà esterna, direttame

Man 4 Petr put

n

dae a th jb

1 « Eine

alte Sehnsucht

der Menschheit », RUDOLF

p. 15. 2 G. Prstranera e A. Montani: 1946, D. 1.

Psicanalisi del cinema

OERTELI.:

Op.

cit.,

puro in Psicanalisi,

Risarcimento

marxista

dell'arte

267

esteriorizza il lavoro onirico dell'inconscio, producendo film puri. Film che, contro quanto si può supporre, avranno, sebbene così antiletterari, la loro comprensibilità; avranno la comprensibilità dell’arte, alogica sempre e, in particolare, nella musica.

A prescindere per ora dalle conseguenze cui porta questa interpre-

tazione

dell’Ur-Trieb

cinematografico,

che implica

una

concezione

er-

rata, sebbene diffusa, dell’arte come fatto irrazionale e che porta a propugnare

uno speciale tipo di film piuttosto che un altro, il film astratto piuttosto che il film realistico, la confutazione di queste tesi brillanti è Bià stata fatta ottimamente e con particolare acume; confutazione alla

quale non resta da aggiungere che le prove materiali di questo latente,

eterno bisogno sono svanite, per quanto detto fin’ora.

Anche se le affermazioni dei due scrittori sono coerenti con la dot-

trina psicanalitica, è impossibile attribuire all’inco nscio un linguaggio. « Qui — scrive il Secondari — la personificazione dell’inconscio (omologa alle personificazioni delle entità obiettive presso gli animisti) non

potrebbe essere più drastica: l'inconscio viene praticamente assunto come titolare dell’invenzione, della manutenzione e dell'impiego del cinematografo... Senonché il cinematografo non è nato, né è alimentato

dal bisogno dell'inconscio di conquistare nuovi schemi per le sue fantasmagorie, più di quel che l’addestramento dei cani sia nato e sia alimentato da uh bisogno che abbiano i cani di andare a caccia con uomini armati di fucile. All’opposto, nell’un caso e nell’altr o, è la coscienza dell’uomo che, postasi in posizione dialettica verso la natura, si è ra-

zionalmente prevalsa sia delle brute esigenze automat iche dei cani (che

non si concretano nel ’’bisogno di andare a caccia con uomini armati di fucile’’) sia delle brute esigenze dell’inconscio (che #on si concretano ’’nel bisogno ‘del cinematografo’) per consegui re dei tipi di realizzazioni le quali trascendono infinitamente sia quelle brute esigenze

e sia i loro modestissimi titolari. La bruta esigenza dell'inc onscio della quale l’uomo, nella fattispecie, si è prevalso, è quella di ’’sognare’’ ad

occhi aperti, anche quando il soggetto è allo stato di veglia. Ed è questa la medesima esigenza (dell'inconscio) della quale l’uomo si prevale in ogni sua attività estetica. La coscienza costring e l'inconscio a ’’sognare'' in un certo modo, e contestualmente contemp la le immagini che l’inconscio esibisce e ne modella l’espressione.

« ...Pavlov ha dimostrato l’identità fra l’inibizione e il sonno: una

inibizione totale dà il sonno totale — quello che noi chiamiamo ordinariamente '’sonno’’ —; un’inibizione parziale dà un sonno parziale, cir-

Il film

268

e il risarcimento

dell’arte

marxista

i

coscritto ai centri inibiti: ma questo è anch'esso un ’’sonno’’, un sonno locale vero e proprio. Quindi anche allo stato di veglia, una quota dell'organismo giace in stato di sonno: e questa quota abbraccia, di istante in istante, quel tantum di fibre centrali che giacciono in stato di inibizione. Il che è come dire che, nell’uomo di oggi, nel quale la stessa o flutpsicanalisi ha scoperto moltissimi nuclei di inibizione, costante inibita, temente permanen è nervosi centri dei tuante, una grossa quota ossia giace in stato di sonno. Ebbene, la finalità obiettiva dei sogni ad occhi aperti è quella di difendere e agevolare questo sonno parziale,

annebbiando le stimolazioni che potrebbero o interromperlo, o ridurlo,

aperti o vietarne l’automatico estendimento. Ed infatti i sogni ad occhi apun simamente evidentis o consenton — ogia — nella loro fenomenol pagamento onirico di quegli impulsi che, altrimenti, avrebbero l’effie ad ‘ cacia di costringere il soggetto a destare quella zona che dorme agire *. » Due inoppugnabili corollari derivano da queste acute, ed argute, osservazioni del Secondari: che l’artisticità del film, come di ogni altra arte, sta proprio nei limiti che l’uomo mette all’attività dell’inconscio è una stesso; e l’altra che « l’inconscio dell’uomo contemporaneo non storia, entità eterna, ma un prodotto contingente della realtà e della passibile di illimitata redenzione da parte della coscienza » ?. Questa perentoria refutazione basta, motivata com'è, a farla ac-

cettare come definitiva; certo essa necessita di approfondimenti,

nella

considerazione del film come arte: e questi le verranno, credo, dal gela nerale contesto di questo libro. Essa basta ad usura a raddrizzare capovolta

concezione

di un cinematografo,

preesistente,

come

tendenza,

al cinematografo stesso, cioè all'invenzione dei mezzi tecnici che lo hanno reso possibile. Ma questa tesi, oltre all'appoggio dei documenti

storici, come abbiamo visto falsamente interpretati, e oltre alla giustifi-

cazione psicologico-scientifica datane dalla psicanalisi (proprio, come s'è visto per gli aspetti più criticabili e meno giusti della dottrina) può essere, ed è stata, sostenuta, in base alla filosofia idealistica, e crociana in particolare. Il che è evidente per Ragghianti, che sta al guia dei fatti

reali e ne dà un’interpretazione « mitologica ». « Ho l'impressione — scrive Carlo Ludovico

anno

1 RosErTo SECONDARI: I, n. 1, ottobre 1047. 2 Ibidem.

Psicanalisi

e cinema,

in

Bianco

Ragghianti — e nero,

nuova

che. serie,

Risarcimento

marxista

dell’arte

269

questa o altra rappresentazione un po’ mitolo gica dell'origine del cinema, dal gioco o dall'esigenza scientifica della produzione, siano ancora ben lontane da una rappresentazione storica vera e propria... La storia della visione cinematografica e cioè di quella forma originaria della intuizione-espressione che si configura come un’espressione figurativa

avente per carattere peculiare l’oggettivazione del fattore tempo, è molto

più antica e coincide,

come

ho mostrato altre volte, con la storia del teatro come spettacolo... Ma è poi vero che, anche nella forma più moderna, di succes

sione di immagini in movimento, fissate per mezzo della pellicola e proiettate per mezzo di speciali ordigni, abbia una origine meramente naturalistica o edonistica (gioco?)... una distinzione indispensabile si dovrà fare tra visione cinematograf ica, e cioè il fattore produttivo, artistico o non artistico che sia consid erato, e fissazione e riproduzione della visione cinematografica. È subito chiaro, in questo modo, che pellicola, macchina da ripresa, macchina da proiezione, e insomma tutta la complessa ricerca tecnica non può essere un precedente ma un conseguente dell’originario interesse o proble ma... Ragionando diversamente si dovrebbe concludere, per esempio, sull’anteriorità ideale della fecnica della pittura ad olio sull'arte o la visione di Jan van Eyck o di Antone

llo da Messina !. » i Il Ragghianti vuol qui evidentemente sostenere che i fatti artistici non son fatti meccanici o materiali; che « non

è quasi necessario aggiungere che il processo creativo non può mai, se non per astrazione, disgiungersi dall’esecuzione dell’opera » nel quale esso, più che concludersi, propriamente consiste. Le affermazioni del Ragghianti invece parton o dalla posizione crociana per cui i fatti artistici sono solamente spirituali, il processo intuizione-espressione è tutto e solamente un proces so interiore e soggettivo, totalmente concluso in sé e affatto indipendente dalla sua materiale esteriorizzazione ed estrinsecazione che non è cheil bisogno di fissare « il ricordo ». Tanto secondaria ed esteriore è questa estrinsecazione che essa può anche non aver luogo senza in alcun modo menomare la interezza, la compiutezza dell’opera d’arte. Questa tesi, che è tra le più oltranzistiche e strambe del Croce, è una di quelle in cui più si fa lampante il sofisma fondamentale, il tallone di Achille della sua estetica, quell’impo-

stazione filosofica che parte dal pensiero per giunge re all’essere, che ne

‘darebbe il prodotto.

A questa proposizione si aggancia la tesi del Rag-

1 C. L. RAGGHIANTI:

Cinema

arte figurativa,

Torino,

1952,

P. 53.

Il film

dr

e il risarcimento

marxista dell'arte

di Van Eyck 0 di ghianti che sostiene sia nata prima la pittura ad olio, estrinsecazione e e material sua la Antonello, che la sua tecnica, cioè » che gli interesse o a problem come almeno « ografo cinemat prima il

apparecchi necessari a realizzarlo, nti non vuol Che questa tesi sia coerente alla filosofia del Ragghia

assunta come uno dei dire che non sia assurda, e può anche essere poi dal cinematografo se Che ca. idealisti punti in cui fa acqua la barca ad olio, quanto si ritorna ad esaminare il problema della pittura e che la pittura sostener a equivale ografo dice il Ragghianti del cinemat

solo alla sua tecniad olio di Van Eyck e di Antonello è anteriore non e esecuzione: material sua della ca, ma persino alla creazione dei mezzi e dei pennelli creazion alla ura addiritt e anterior la pittura ad olio sarebbe e dell'olio. Raffaello sarebbe Anche senza mani, senza colori e senza pennelli i strumenti si material questi senza anche perchè pittore, grande stato che è proprio e spiritual processo to sarebbe compiuto in lui quel complica ai mezzi amente adeguat sorto sarebbe esso ed e artistich delle creazioni

materiali di cui avrebbe potuto disporre:

avrebbe dipinto coi monche-

se non avesse dipinto, rini, con tizzoni e carboni o con altro sia. Ma, il senso comune, ma per iana lapaliss Verità pittore. stato sarebbe non a dal pensiero ideacapovolt mondo del ne insostenibile in una concezio listico. (cioè un comSembra giusto, invece, distinguere il cinematografo

il Ragghianti plesso di. apparature tecniche) dal film, come ha proposto da vicino. più po’ un ed altri prima di lui *, una distinzione che vedremo

vamente che le date Per ora ci basta avere, come spero, chiarito definiti prima programmala ufficiali: quelle proprio sono ografo del cinemat e 1895 segna dicembr 28 il Parigi a es zione pubblica‘al Café des Capucin dopo nascerà, come anni molti Non grafo. cinemato del nascita di l’atto

vedremo,

l’arte del film.

1 Luici

CHIARINI: Cinque

capitoli

sul

film,

Edizioni

italiane,

Roma,

194!.

|

Lo storicismo fu il pensiero del secolo XIX: e contro la scarsezza

di coscienza storica precedente asseverò il corso continuo dell'evoluzione storica, perenne e insensibile divenire, passo passo, per l’accumularsi lento di successive conquiste, con passaggi mai bruschi e inavvertibili : la storia un perpetuarsi mobile, una gradual ità perenne, un flusso continuo, insensibile e inavvertibile come un processo biologico, la gesta+ zione e la nascita e lo svilupparsi di un essere, il generare e il crescere di un albero o di una pianta: un continuo sommar si e svolgersi di cause e di effetti. Così, in una certa orbita di pensier o, non esistono epoche di transizione e dire che noi viviamo una di quelle epoche significa guardare assurdamente il proprio tempo con occhio di posteri, giudicare dissenatamente in anticipo ciò che può dire, semmai, solo il senno di poi, post festum, apres coup; significa, insomma, contenersi con que-

gli armigeri da operetta che dicevano « noialtri cavalieri del Medioevo » o come quel povero diavolo che andava tristemente escogitando: « Penso che m'è d’uopo partire per la guerra dei trent'anni ». Ciò non toglie che le epoche di transizione esistan o e che abbiano caratteri particolari che le contraddistinguono dalle altre. Ne trattano

le opere storiche più ponderose e ne trattano i manuali scolastici. Almeno questi ultimi sono nella memoria di tutti, coi loro capitoletti dedicati

alla caduta dell'Impero romano di occidente o al passaggio dal Medioevo all’Età moderna. Classificazioni empiri che — si dice — schemi di comodo, mnemonici e didascalici. E sia pure. Ma è un fatto che quelle grandi puntualizzazioni, quelle epoche di transizione, pur nei manuali scolastici, nei quali la storia, sull'esempio dei grossi tomi

degli specialisti, che davano fino a ieri alle cosidde tte grandi personalità un peso preponderante sul corso degli avveni menti, ridotti per

lo più a fatti d’arme e a successioni dinasti che, stino dei popoli, di nemesi e di ananke, perfino nei gativi manualetti « ad uso delle scuole e delle punti chiave, quei momenti cruciali dell’umanità,

favoleggiando di depiù superficiali e sbripersone colte », quei riescono a dare ai di-

SAL

pia

aio

e il risarcimento

Il film

272

dell'arte

marxista

scenti un vago sentore di ciò che è veramente, nell’oscura fermentazione della storia, il morire di un'epoca e di una civiltà e il nascere di una nuova. In quei periodi, l'angusto orizzonte, in cui sembravano imprigionate le vicende degli uomini, si slarga improvvisamente: non è più questione soltanto di dinastie e di fatti d'arme, ma di scoperte, di invenzioni, di scienze, di arte, di cultura. Sembra che tutta una nobile fioritura sgorghi ad un tratto da una sotterranea e misteriosa gestazione di interminabili epoche prive d'ogni splendore che non sia quello del sinistro guizzare e lampeggiare delle armi. , ‘Tutto ciò è vagamente nella coscienza anche dei più ignari, almeno

come pigro e sonnolento ricordo di qualche brandello di culturetta scolastica, da manuale, sale. Ma il problema può appagarsi della passate a scaldare le mente,

se

pur

addirittura considerato risposta che panche di

confusamente,

da tavola sinottica, di storia univernella sua interezza e concretezza, non può offrire il ricordo delle ore di noia scuola, e per giunta di scuole, general.

intuite

come

bugiarde.

Esso

coinvolge

dei quali tutta una serie di altri problemi intersecantisi, la soluzione la stosolo non concepire, costituisce addirittura un modo nuovo di costala proprio cardine è cui di filosofia una tutta; ria, ma la vita di rivotazione di quelle epoche intense e fortunose che sono i periodi li chia‘ luzione sociale, o, come li definisce la coscienza empirica, come ma l’uomo comune, i periodi di transizione. quel A intendere questi periodi di transizione occorrerà deporre

in verbalismo che porta nella mente l'errore che sia cosa facile ridurre

immane comtermini ed espressioni semplici e palpabili l’intricato ed che sia cosa credenza nella induce e storia plesso della natura e della intreccio agevole il vedersi sott'occhio il multiforme e complicatissimo che, a e teatrino; da spettacolo uno in come delle cause e degli effetti perchè non dirla in modo più spiccio, « oblitera il senso dei problemi

vede che denominazioni » !.

cicli Il divenire storico, modernamente inteso, si attua attraverso storici che sono caratterizzati da propri particolari ordinamenti sociali, da

una

particolare

struttura

economica,

che

tutto

il pensiero

e tutta

dato stadio l'arte dell’epoca legittimano, giustificano, esaltano. A un tra lo conflitto un e contrasto un determina dell'evoluzione storica si 1 AntoNIO

1945.

CHiono:

La

concezione

materialistica

della

storia, Bari,

Laterza,

Risarcimento

marxista

dell'arte

273

sviluppo delle forze produttive e l'ordinamento economico della società in seno alla quale esse sono sorte; e, in seguito a questo conflitto,

si attua una trasformazione della struttura economica della società che

comporta il sorgere di nuove ideologie, di una nuova arte, di un nuovo pensiero, di nuovi ordinamenti giuridici, di nuove filosofie. | Periodi di transizione sono questi intensi periodi di trasforma zione e di rivoluzione sociale. Il comparire, pur nei manuali scolastici, di speciali capitoli dedicati alla cultura e alle arti, è la costatazione, tradizionale, che con un nuovo mondo nasce anche una nuova cultura, causa per una parte e, per una ancor più vasta, conseguenza di queste grandi

svolte della storia.

;

"Questo capovolgimento della comune concezione del ruolo delle idee nel divenire storico costituisce il primo nucleo di una concezion e del mondo in cui ha trovato definitiva risposta la questione — sollevata,

ma lasciata insoluta o insoddisfacentemente risolta dalla storia della filosofia, fino a ieri — del rapporto tra pensiero ed essere, tra soggetto ed oggetto. Dove il soggetto, per il fatto stesso di conoscersi, si trasforma, e mentre trasforma se stesso, determina le premesse per la

trasformazione, e di fatto trasforma anche l'oggetto. E ne nasce quella sigla indissolubile, quella consustanzialità di pensiero e di azione, per cui il pensiero vale in quanto, e per quel tanto, che riesce ad essere

attivo

nella

pratica effettuale che non

solo lo coonesta

e conferma,

ma

anche, a sua volta, lo arricchisce di tutti i dati della esperienz a. La pratica attività è essa stessa filosofia, come la filosofia, quando è veramente tale, è anche pratica attività... Il cinema nasce nell’ultimo periodo di rivoluzione sociale: nasce al’ tramonto, relativamente roseo, se pur non senza abbondante foschia, di quel diciannovesimo secolo che, qualche anno dopo, doveva buscarsi l'epiteto, ingiusto e immeritato di stupido. Nasce nel 1895,

ufficialmente,

con la prima pubblica

programmazione

dei filmetti di

Lumière. E fu una nascita che implicò una lunga gestazione, cioè a dire, compendiò in un duplice apparecchio, da ripresa e da proiezione, tutta una lunga serie di tentativi, di ricerche, di invenzioni e di scoperte; che vanno da Marey a Lumière. Nasce dunque il cinematografo in un’epoca di transizione, come una di quelle « invenzioni e scoperte » che nei manuali di storia hanno un capitolo intero dedicato loro per indicare il finire di un'epoca e il nascere di una nuova. E che sappiamo oggi non essere altro che il complesso di nuovi mezzi della produzione materiale destinati ad entrare in

274

Il film e il risarcimento

marzista

dell'arte

conflitto coi rapporti di produzione e a determinare l'alterarsi di questi rapporti, il sorgere di rapporti nuovi, di una nuova struttura economica, nuova base di una nuova cultura. Non è il caso di elericare la lunga serie delle altre invenzioni e sco-

perte di questo introibo alla nostra epoca fortunosa; tanto più che il loro primo apparire è ancora vivo nel ricordo dei più anziani, che ne hanno visto coi propri occhi le prime applicazioni:

l'automobile, l'aero-

plano, il telefono, il telegrafo, la radio, la televisione. È il periodo in .

cui la fisica viene rivoluzionata da Planck, De Broglie scopre la teoria dei quanti, che, attraverso Fermi e gli altri, apre la via alla fisica nu-

cleare e all'energia atomica che, escluso che un pazzo e criminale impiego di essa possa distruggere interamente il nostro pianeta, sembra destinata a integrare, anzi a sostituire, tutte le altre forme di energia note finoad oggi e quindi a dare il colpo di grazia definitivo alle tra-

ballanti intelaiature del vecchio edificio sociale. Il cinematografo nasce dunque in un'epoca di profondo rivolgi. mento sociale, di contraddizioni, di conflitti: nell'epoca in cui il capitalismo passa

alla fase del monopolio,

in cui si abolisce

la concorrenza

e il capitale industriale si fonde al capitale bancario creando il capitale finanziario, nell’epoca dell’imperialismo. In un'epoca di difesa

forsennata del vecchio contro il nuovo. E si svolge e si sviluppa suc‘ cessivamente, nella nostra epoca che è l’epoca dell’imperialismo e del socialismo conviventi. Il suo prossimo avvenire è quello del socialismo che

con

nuove

forme

di lotta,

probabilmente

non

più

cruenta,

porterà

alla liquidazione delle residue sopravvivenze del vecchio ordinamento sociale in tutto il mondo e al graduale passaggio dal socialismo al co-

munismo. Potrà a qualcuno sembrare fuori di luogo questa precisazione; potrà sembrare una premessa e una’ presa di posizione di natura politica epperò sostanzialmente estranea, non pertinente, all'argomento che è il film. Ma essa invece è importantissima e indispensabile proprio

a definire la vera natura dell'oggetto della nostra discussione, il film. (Si

sono avute infatti ovunque discussioni e polemiche sulla natura.

del film: se esso sia un’arte o meno, o non forse un prodotto industria-

le, o qualche cosa di intermedio, un’arte industriale o un'industria artistica. Stabilito essere in un’epoca di rivoluzione sociale dalla quale deve nascere una nuova cultura, noi possiamo rispondere a questa domanda,

vuoi

mettendoci

mettendoci

dal punto

dal punto

di vista

di vista della nuova.

della vecchia

La

vecchia

cultura,

vuoi

civiltà era la

Risarcimento civiltà della società

marxista

divisa in classi,

dell'arte

275

la civiltà della divisione

del lavoro,

e la cultura che le corrispondeva tendeva a suddividere il fare umano in compartimenti stagni incomunicabili; un'attività si qualificava per la sua purezza, cioè proprio per essere quella attività ben distinta e senza

alcune residuo di altre attività. L'arte per esempio, che non ha bisogno dell'aggettivo pura,

perchè

la sua nafura

stessa comporta

questa

rezza; ogni residuo di diverse attività, pratica finalità o contenuto cettuale vanno a suo detrimento, la negano come arte.

pucon-

AI problema circa la natura del film è stato facile rispondere che il film è un'arte e che il suo aspetto industriale sta nell’arte del film come l'industria e il commercio dei tubetti di colore sta alla pittura. Ed an-

che nella terminologia è un'arte » 1,

si è distinto:

« Il cinema E

è un'industria,

Le apparature cinematografiche, il complesso correnti a produrre film, sono una sintesi di varie fisico-chimico-meccanica di precisione. Per effetto persistenza delle immagini sulla retina per cui una fisse a una data velocità e con intervalli intermedi

il film

degli strumenti ocscoperte di natura della legge della serie di proiezioni che ne assicurano

la nettezza, dànno l'impressione del movimento; per effetto della tra-

sformazione delle vibrazioni sonore in variazioni di area o di intensità

luminosa e viceversa, riproduce suoni e rumori; per effetto della compo-

sizione dei colori li scompone e ricomponendoli li riproduce. Questi complessi apparecchi sono stati creati coll’intento di riprodurre la realtà e si sono evoluti e perfezionati nel senso di una sempre più piena ed esatta riproduzione. Su questa natura scientifica meccanica si sono sempre basati e si basano tuttora i sopravviventi ritardatari, che negano al film la qualità d’arte considerando il cinema un processo per una mec-

canica riproduzione della realtà.

È un complesso di strumenti di meccanica di precisione, di ottica, di fisica e chimica superiori, che costituiscono uno dei molti strumenti, invenzioni e scoperte che mettono in conflitto la società. Questi strumenti e il loro impiego sono un’industria nei paesi capitalistici, ma sono in realtà al di fuori di questi, macchine, che possono

servire a una causa come a un'altra.

Come tale, il cinema, considerato nel complesso delle sue apparature è al di fuori del rapporto struttura-sovrastruttura, né è un quid tertium che non può esistere; è « indifferente alla classe » ?: il 1 Lurci CHIARINI: Cinque capitoli sul film, cit. 2 Cfr. I. V. SraLIN: Il marxismo e la linguistica.

276

II film

e il risarcimento

marxista

dell'arte

cinema è come la lingua, o come gli strumenti di produzione, a disposizione di chi l’adopera. Entra invece a far parte della ideologia il film, cioè i prodotti di questa apparatura. La discussione se il film sia o non sia un'arte ha carattere di classe. Gli elementi più retrivi hanno sempre voluto negare al film il carattere d’arte, hanno sempre storto il naso dinanzi a questo spettacolo

immorale al buio, per servette e soldatini e poi hanno tentato di disto-

glierlo dalla sua strada giusta, dal cammino e dalla funzione assegnatagli dalla storia. Che meraviglia che il film sia considerato un’industria e che si producano film con criteri industriali? Nel mondo capitalistico ogni valore diventa merce, ogni lavoratore diviene macchina. Anche la editoria è un'industria. Ma la scoperta dei caratteri mobili fu la scoperta di uno di quei tali strumenti di cui sopra. E il teatro non è forse un’industria? Si veda la polemica di Gramsci contro l’industrializzazione del teatro (Letteratura e vita nazionale, Torino, 1950, p. 288 e segg.). «Senza dubbio, dice Marx, la stampa esiste anche come mestiere e allora non è cosa che riguarda lo scrittore ma il tipografo e l'editore » (Cfr. Marx, Scritti politici giovanili, pp. 121, trad. da L. Firpo, Torino, 1950). La discussione se il film sia arte o industria è stata,

secondo

che ci

dice il Lebedev, una lunga discussione in Russia. E il Lebedev la risolve, non senza ragione dicendo che il film è un'arte. Una soluzione simile s'è avuta anche da noi e generalmente è stato risposto che il cinema è un'arte e che le sue apparature non sono macchine ma « strumenti »: essi sono lungi cioè dall’avere automatismo e indipendenza, e lungi quindi dall’asservire a sé gli uomini che li manovrano, sono sempre soggetti alla volontà creatrice di essi. « È chiaro che una punzonatrice forerà una lamiera a intervalli di tempo uguali e in cerchi inesorabilmente equidistanti e della stessa grandezza; l'operaio che l’aziona non ha che da spostare una leva per metterla

in

moto

e per

arrestarla,

e il suo

intervento

non

determina

affatto la qualità dei buchi, Così come la bullonatrice stampiglia, uno dietro l’altro, una serie di bulloni uguali, indipendentemente dall’intervento dell’uomo che la sorveglia. Venti uomini ad una stessa macchina, come è naturale produrranno un uguale lavoro. Ma venti uomini muniti

Risarcimento

marxista

dell'arte

277

di una macchina da presa, che riprendano la stessa scena, daranno risultati diversissimi l’uno dall’altro a seconda delle loro diverse mentalità, stati d'animo, volontà, capacità espressive, intenzioni. La macchina da presa non è dunque una macchina e, se vogliamo, possiamo chiamarla camera ». È già stato dimostrato con grande minuzia di analisi e copia di

esempio dall’Arnheim (Film als Kunst) che il cinematografo non solo

non è una macchina per riprodurre la realtà, ma che questa riproduzione non è affatto una riproduzione perfetta; che esistono una serie di limitazioni nella possibilità di questa riproduzione. Secondo l’ Arnheim, è l'impiego artistico di queste limitazioni quello che caratterizza e qualifica i cineasti come artisti. Questa tesi brillante ha avuto una singolare anticipazione nel nostro S. A. Luciani !.

Per intendersi il cinematografo è nato proprio come un trucco ottico. Si andava a vedere delle fotografie in movimento. L'interesse non stava

tanto,

all’inizio,

in ciò che

si vedeva,

ma

nella

meraviglia

per il

trucco. Tanto è vero che, all’inizio dello sfruttamento dello spettacolo cinematografico i film erano una specie di sottoprodotto, che si vendeva come accessorio degli apparecchi di proiezione (cfr. Emil Attenloh: Zur Soziologie des Kino, die Kino-Unternehmung und die Sozialen

Schichten ihrer Besucher, Iena, Eugen Diederichs, 1914).

L'interesse era dunque veder uscire gli operai dalle officine Lumière: non perchè interessassero quegli operai, o veder mangiare la pappa al piccolo Lumière; non perchè interessasse il piccolo, i suoi odi o la sua

psicologia,

o

vedere

arrivo

del

treno

alla

stazione;

non

perchè

interessasse quell’arrivo; ma per il fatto che operai, pupo, treno, si muovevano. L'opposizione tentata da Zavattini Lumière-Méliès (al Congresso internazionale di cinematografia di Perugia del 1949)? è un'opposizione basata su di una fantasticheria. Lumière non si preoccupava di fare dei documenti. Ed anche la rudimentale scena comica

L’arroseur arrosé è un film per modo di dire. Che ci sia una scena

arrangiata, predisposta e recitata (seppure rudimentalmente) non ne fa un'opera d’arte intenzionale. Cioè solo subordinatamente le immagini 1 S. A. Luciani in L'antiteatro, « ... queste pretese deficienze del cinematografo non crediamo invece che siano caratteristiche essenziali, sulle quali bisogna cercare di costruire quello che non è stato fatto finora che parzial-’ mente: un'eredità vera e propria ». ? U. BarBaro: Il cinema e l'uomo moderno, Edizioni di cultura sociale, 1950.

278

F y 2 d

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

che si vedevano in movimento avevano una storiella che poteva far ridere: il fatto di muovere al riso era un elemento subordinato al fatto del meravigliare con l’immagine in movimento, Méliès alla meraviglia del movimento aggiunse una serie di altre meraviglie, scoprendo la possibilità di una

serie di trucchi,

sparizioni,

marcia

indietro,

accelera-

tore e così via. Che cos’erano dunque quegli antichi film? Conato mancato verso l’arte, o meglio involontario e mancato conato verso l’arte? Era arte (perchè l’arte, naturalmente, nel suo concetto include anche la non arte) che, per il meccanismo della società, si degrada a È

vi

merce.

Questo problema

dell’industria e dell’arte del film va dunque

così

approfondito: il complesso delle apparature cinematografiche, e dei macchinari necessari a produrre film, costituisce uno dei nuovi mezzi di

5 ;

produzione che si sono messi in conflitto coi rapporti di produzione della società capitalistica ed in alcuni paesi li hanno spazzati via indifferenti del punto di vista della classe. Questi mezzi di produzione sono stati e sono ancora, nei paesi capitalistici, in mano alla classe borghese la quale li ha adoperati e li adopera.

ida

N s

i

È A

a 7

Coloro che hanno negato che il cinema sia un'industria, ed io tra quelli, affermando che le apparature del cinema sono strumenti artistici e non macchine, hanno per residuo di mentalità idealistica, considerato il problema della classe, astrattamente: hanno tentato una definizione di validità generale, facendo astrazione dalla storia e dalla lotta di classe. L’argomentazione per cui i prodotti del cinema, in quanto prodotti artistici, non hanno il carattere dei prodotti delle macchine, non sono produzione in serie ma sono unici e irripetibili, è l’affermazione di una mezza verità. In quanto macchinario, invece, le apparature del cinema saranno considerate nel loro rapporto dialettico con la base, cioè colla struttura economica della società. Essa assieme a tutte le altre forze di produzione costituisce una unità dialettica con la base.

Base e forze di produzione sono i due aspetti della produzione. I prodotti del cinema, quando esso è in mano dei capitalisti, hanno

un carattere di difesa della classe da un canto e di specializzazione dall’altro; entrambi questi caratteri tendono a degradare il film a prodotto

d

di serie: da un canto perchè la ripetizione di effetti controllati come

1 ! kr

efficaci assicura il successo del film, cioè il guadagno, dall'altro, perchè un meccanismo creato una volta per tutte, allo scopo di divertire e distogliere il pubblico dalla visione della realtà, costituisce di per se stesso una difesa di classe.

di

TRI GLIELE

Se il cinema, considerato nei suoi macchinari e dal punto di vista sociale, è quanto si è detto fino ad ora, i suoi prodotti, i film, sono qualche cosa di essenzialmente diverso; sono opere d’arte, o diciamo più esattamente e meglio, sono fatti artistici, includendo rosì, in questo concetto, anche quei film che non attingono la qualità artistica, ma che, tuttavia, sono un, sia pur sterile e abortito, conato verso l’arte, e

Né il luogo di origine né la tecnica specifica di quella data e particolare forma d’arte né l'imitazione o l'influenza delle opere precedenti, anche spinta fino al plagio, né la biografia e la psicologia dell'artista, né quel-

la. del suo tempo e del gruppo sociale cui egli appartiene, né le sue idee

‘generali né quelle morali e sociali, neanche se egli ha voluto colla

ETERO PEAS La ORE SE VII De

fatti artistici, il loro linguaggio è un linguaggio artistico, i film sono parte della sovrastruttura. Nel pensiero marxista, l’arte è un aspetto della produzione intellettuale di una data epoca, parte della ideologia corrispondente a un'epoca data. In quanto tale l'arte è condizionata dalla struttura, dalla base, cioè dai rapporti di produzione. L’estetica marxista si oppone dunque e nega la serie delle estetiche precedenti che, per vizio d’origine, per derivare, più o meno direttamente, dal pensiero idealistico, considerano le forme e i prodotti della attività intellettuale, e tra questi soprattutto l’arte e le opere d’arte, come fatti autonomi e soggettivi; quasi fenomeni a sé stanti, avulsi dal tempo, dallo spazio e da tutte assolutamente le condizioni della loro . genesi, del loro nascere. L’opera d’arte è, in questo modo di pensare, una vera e propria monade senza finestre, chiusa nella sua « insularità ».

&

gua, e pertanto fuori dal rapporto struttura-sovrastruttura, i film sono

SL BRA ipo N

persino i film commerciali, che possono, anche deliberatamente e inten| zionalmente, prescindere dal valore artistico o opporsi addirittura ad esso e ripudiarlo, ma che tuttavia restano opere d’arte mancate. Se le apparature del cinema sono come le macchine e come la lin-

280

Il

film

e il risarcimento

marxista

dell’arte

sua opera diffonderle, o ne ha fatto la tesi che essa doveva dimostrare per immagini, né la finalità pratica che egli si è proposto colla sua opera né la portata pratica che la sua opera ha effettivamente avuto: nulla di tutto ciò interessa l’estetica idealistica, almeno nella sua forma più conseguente e moderna, che è l’estetica di Croce e dei suoi maggiori seguaci, Vossler, Schlosser, Flora.

Tutto ciò che abbiamo elencato e quanto ancora si potrebbe aggiungere circa le opere estetica. L’arte non è logico, ma categoria o in quanto tali, né le attuate,

d’arte è ricerca e preoccupazione di natura che intuizione, espressione, e non in senso grado dello spirito. Le idee non vi hanno pratiche finalità in quanto si siano più o

tutto risolvendosi,

nell’arte,

in forma.

In sede

extra psicovalore meno

artistica non

ha:

senso altro che l’arte stessa. L'atto critico è il riconoscimento o la negazione dell’esistenza o meno della qualità artistica: poesia da una parte, non poesia dall'altra, senza alcun passaggio, grado o approssimazione, dall'una all’altra, senza scala o graduatorie di valore. Ore rotundo e grandi punti esclamativi dinanzi al fatto artistico e null'altro; cioè contemplazione estatica. E ripudio per la non poesia, che si riconoscerà

come

tale

in

quanto

distinta

da

essa,

fatto

ancora

concet-

tuale non « calato in forma » e atto pratico che resta sempre un impoetico tacchino anche se si è parato delle penne del pavone del grado

superiore dello spirito, dell’arte. Questa estetica la cui forma ultima, sistematica e conseguente, quanto limpida e chiara, rappresenta l’estremo punto delle posizioni idealistiche i cui precedenti non è difficile rintracciare nella storia del pensiero estetico, di cui il Croce stesso ha dato una succosa, sebbene tendenziosa

epitome

storica,

fu

una

teoria

che

ebbe

una

risonanza

im-

mensa, non solo in Italia (si veda almeno il volume del Castellino del 1923, se non erro, che è una completa bibliografia fino allora sul Croce e che comprende un numero ‘inverosimile di opere, numero ancora enormemente accresciutosi da allora fino alla morte recente — 1952 — dell’illustre filosofo). Le adesioni a questo modo di pensare furono molte e a volte clamorose, si pensi a quella del grande critico Vossler

e a quella del grande filosofo von Schlosser. In Italia, il pensiero crociano dominò quasi incontrastato, se è ben vero che a divulgarlo pensarono gli « idealisti militanti » tipo Prezzolini e qualche altro sprovvisto giovinotto della Voce e ad estefiderlo ai diversi campi dell’arte, furono Parente per la musica e Venturi e Ragghianti per le arti figurative, Levi per l'architettura. Ma in Italia, maggiori personalità critiche

Risarcimento

marxista

dell’arte

281

come De Lollis per la poesia e Roberto Longhi per le arti figurative e in parte anche Torrefranca per la musica, chi più chi meno, ne resta-

rono in buona parte e fino a un certo punto estranei, renitenti e riottosi. Il punto vero della teoria crociana era il fatto che questa bella e coerente estetica, che a conti fatti sembra scendere più dalle Lettere virgiliane del padre Bettinelli della compagnia di Gesù, dal Principio poetico di Edgar Poe, dai paradossi intelli genti delle Intenzioni di Oscar Wilde e dagli scritti di critica e di estetica di Baudelaire che non dalla Critica del giudizio o dalla Fenomenologia e dall'Estetica di Hegel, questa bella chiara e facile teoria dell’arte falliva regolarmente nelle applicazioni critiche: scambiava Gustavo Balsa mo Crivelli ‘per un grande poeta, per il suo Boccaccino, o Neera, Verdinois e Clarice Tartufari per degli artisti; metteva Pietro Paolo Parzanese (quello di « rataplan sono un vecchio sergente / e so dirvi che voce ha il cannone ») più in su di Giovan

ni Pascoli, limitava come angusto il genio di Manzoni,

frantumava in episodi e caratteri i due più grandi capolavori dell'umanità come la Divina Commedia (episodio di Francesca) e il Faust (il pedante Wagner), intendeva sì Francesco Gaeta, ma non Saba, né Montale; destava in tutti gli intenditori i più gravi sospetti. Con questa sua estetica apodittica del sì e del no, o delle « quat-

tro parole », estetica da luoghi scelti e da framme nti, Croce si

è trovato a costruire, come è logico, la filosof ia adeguata all'arte o alla pseudo-arte contemporanea, l'estetica del framm entismo, del chimismo lirico; si è adeguata all’arte dell’immaginifico D'Annunzio, del turbo-

lento

Marinetti,

dello

stentato

Ungaretti.

Tutta

una

letteratura: per

la quale il filosofo napoletano nutriva è vero la più grande antipatia, ma di cui era in realtà il vero e il solo giustificatore . Tanto è vero che egli, non

meno che essi, è espressione di una stessa epoca e dell’ideolog

ia di una determinata classe in essa. Questa nosizione « suo malgrado », come nelle farse napoletane che egli ha tanto utilmente e con tanto amore studiato, si è ripetuta per la politica. Destino di contraddizioni, in cui con tuttala straordinaria vis filosofica, arguzia, intelligenza, spregiudicatezza e perfino timore meridionale di « essere fatto fesso » si è invischiato il filosofo napoletano in tutta la sua vita. Il filosofo, che

aderì assai brevemente, con uno scritto sul Giorna le d’Italia,

al fascismo, ma che poi tenne sempre. una posizione coerentemente antifascista e si comportò in questo senso con esemplare fermezza e coraggio, non si rese conto di essere « suo malgrado » un eccellente strumento che la libertà giusnaturalistica borghese non metteva al riparo dall'essere,

282

i

Il film

e

il

risarcimento

marxista

dell'arte

della società nel gioco della lotta di classe e delle forze antagonistiche e proprio, , borghese classe della italiana, un utile strumento in difesa precideclino nel ca, egemoni a borghesi la che fascismo in sostanza, del

passaggio alla pitoso dal goo alla seconda guerra mondiale e nel suo le vecchie mare a gettato fase imperialistica, avendo affrettatamente . violenza la con re instaura ideologie, finì col promuovere ed

poteva più Ormai il fascismo, fase estrema dell’imperialismo, non difesa di inte| apertamente dichiarare le sue basse finalità di egoistica filosofi ufficiali del naziressi. Filosofi come Chamberlain o Spengler, i furono così efficaci non Croce, da attaccati emente fascismo, costant

della cultura come Croce stesso che con l'autorità di grande dittatore italiana stroncava tutti i libri marxisti.

si fosse atSe avesse più attentamente studiato il marxismo e non economico bastò tentato a negarlo sbrigativamente (dove sul terreno inteso meglio la posiPlechanov per rivedergli le bucce) egli avrebbe

zione in cui si trovava e la paradossalità di essa. abbia avuto i Tutto ciò non toglie che anche politicamente egli essere antiad lui da o imparat ha one suoi meriti. Più di una generazi fascista. relativamente Tutto ciò non esclude che l’opera di Benedetto Croce,

alla cultura a tutto un modo di pensare anteriore, abbia assai giovato italiana; persino che, criticamente

intesa, possa eccellentemente

valere

marxista in Italia. come punto di partenza per la diffusione del pensiero

la stessa posizione Il marxismo italiano deve avere di fronte a Croce Hegel come benisad critica che il materialismo storico ebbe di fronte simo ha detto Gramsci. più a fondo sì da Giovanni Gentile s'impegnò nella lotta politica di aver tentato colpa la e errori ili perdonab ‘pagare colla vita i suoi non

la sua posizione di dare un contenuto dottrinario alla barbarie fascista; e fa sue una utilizza egli è diversa da quella di Croce: più largamente

stravolge nuovamente in serie di verità del marxismo, che naturalmente serve a niente, è, in non d’arte l’opera Croce per Se co. senso idealisti se stesso, per Gena fondo, un prodotto mostruosamente isolato e fine

risonanza che tile, autore di una Filosofia dell’arte che non ha avuto la

e idealistica, l’arte forse le spettava come punto estremo della posizion soggettivamente avè va, soggetti è assoluta soggettività. L'opera d'arte,

tante Divine vicinata; per cui essa è soggettività di soggettività; esistono cità dei suoi moltepli nella svanisce d’arte l'opera che così e, commedi

| Risarcimento

lettori-contemplatori,

che,

marxista

dell’arte

283

legge

ndola e contemplandola, la ricreano a modo loro. L'originale soggettività è inaffe rrabile, cioè inesistente. Così, al limite, si rivelano abbastanza eloqu entemente,

e persuasivamente, l'assurdità, l’inutilità, di questi profon di e arzigogolati modi di consid

erare l’arte, che o diviene propri o ciò che si è energicamente neche fosse, un inutile gioco, o che addirittura svanisce nella infinità delle sue possibili riletture gato

e ricreazioni. La posizione opposta, prima o indip endentemente dal marxismo di fronte all’arte, è stata sostenuta dai deterministi, dai positivisti e dai | seguaci del materialismo meccanico. Il più noto, e più interessante a causa della posizione decisa, tra tutti questi , è indubbiamente il Taine, la cui Philosophie de l'art Testa nonos tante tutto piena di osservazioni acute, e la cui capacità di spaziare per i campi dell’arte è indubbiamente notevole, anche se porta talvol ta a genericità che sono esattamente il contrario della critica, che è individuazione e, come l’etimologia stessa

vuole, distinzione. Questa mancanza di distinzione non è tanto nelle esemplificazioni, nelle caratterizza zioni dei singoli autori o delle singole opere, ma è proprio una pecca della teoria, che è in so-

stanza una generica sociologia dell’arte che non risolve il problema Specificità dell’arte rispetto agli altri prodot ti intellettuali di una epoca, come è stato presto notato ed è stato presto osservato per pio dal Lanson (quello che Taine non Ci spiega è perchè, in una

della stessa esemstessa

epoca, uno diventa Shakespeare e un altro ciabattino). Questa debolezza del Taine intendere non tiene come un Stata, se

è indubbia; ma la falla più grande è nel modo di la storia del Taine, che è un modo del tutto antiquato, che alcun conto della differenziazione della società, che considera tutto indifferenziato, senza la distinzione classista che pure era pur vagamente, sentita dagli storici france si della Restaura-

zione, Mignet, Thierry, Guizot. i È un grosso errore quello di considerare la concezione marxista dell’arte come una vecchia posizione positi vistica alla Taine, 0 comunque come una posizi

one non nuova in quanto già teoriz zata e affermata da altre estetiche. Bisogna appro fondire il concetto di sovrastrut-

tura e la specificazione dell’arte in esso, non contentarsi

dell’osservazione superficiale per cui essa sembra consis tere nel semplice riconoscimento

del legame dell’arte col tempo che l’ha prodotta e teorizzata. La differenza implicita in questa prima e per ora incompleta definizione dell’arte, e le definizioni apparentemente affini, è enorme. La definizione marxi

sta non solo è più completa e più chiara, ma è anche qualitativa-

Il film

n: 7

e il risarcimento

marxista

dell'arte

fanno cadere l'accento mente diversa dalle altre definizioni che pure prodotta. La responl’ha che tempo il e l’arte tra ti principale sabilità di dendosi in esteriore

sui rappor teorici che, crequesto superficiale giudizio tocca ad alcuni smo solo l’aspetto marxi del colto hanno ti, marxis fede buona logia; hanno intere ne hanno appreso una generica fraseo

positivismo: cosa che è certo pretato il marxismo come una specie di lo è per quello dialettico. vera per il materialismo meccanico, ma non appoggiati ed hanno sono si essi Nelle loro ricerche e nelle loro teorie, po’ rive-

, che, appena un fatto ricorso al sociologismo positivisteggiante per marxismo. Dimenticando duto nella terminologia, hanno gabellato positivisti e i materialisti mecin quale conto Marx ed Engels tenevano i quel Dihring, « per il quale canici, nel numero dei quali è proprio scritto

col quale Engels ha Hegel non è mai esistito », polemizzando 2 de. profon più opere una delle sue solo zione e queste storture teoriche, non

Questi errori di valuta alti prodotti dell'umanità, condannano all’incomprensione di uno dei più reazionari e retrivi critici ai e teorici l’arte, ma dànno buon gioco ai e non solo sul terreno tere, combat per armi tante altret che se ne fanno dell'estetica, il marxismo.

tore e introduttore Giorgio Plechanov, che è stato il primo tradut indubbi, come meriti di di Marx in Russia, e che ha un complesso la sua prima con e sti» populi « i quello di aver polemizzato con ),

di marxisti russi » (Lenin attività « educato un’intera generazione (I problemi fondamentali he teoric ha poi tentato in una serie di opere ) del

marxismo,

una deduzione

Il

materialismo

storico

e le

arti,

e

L'arte

dei princìpi estetici della filosofia di Marx.

la

Ma

società

se, nel

polemizzare con Croce, settore dell'economia egli poté vittoriosamente ato, nel pur

con

le molte

verità

parziali

che,

naturalmente,

ha

afferm

oltre una gretta sociologia complesso della sua estetica non è andato borghese, tipo Taine. quella da le dissimi verità in troppo non dell’arte, generale incapacipiù quella in rientra che Incomprensione grave, arlo, nei suoi sviluppi leninisti, tà a intendere il marxismo e ad applic che ha fatto di Plechanov, storici, i per la soluzione dei nuovi compit

tutti i suoi innegabili mecon tutta la sua preparazione, ed anche con co propagandista delriti, un menscevico prima (1905), un opportunisti antibolscevico

e infine un la guerra imperialistica in seguito (1914) (1918). appoggiare il sistema con Plechanov si è sforzato di corroborare e simativi e generici; appros assai olari partic studi con e semplificazioni

vir t

Risarcimento

assai

errati.

poco

persuasivi

Valga

come

quindi

esempio

marxista

e talvolta

dell'arte

anche

285

del

il suo fraintendimento

tutto cervellotici

di Cernyscevski

(cfr. Sovietskaia Kniga, marzo 1949, pp. 76-77) e anche la sua considerazione del minuetto « come espressione armonica della psicologia di una classe improduttiva e corrotta », mentre, come è stato osservato e più volte ripetuto, il minuetto ha una origine assai anteriore a quella attribuitagli, ed è, agli esordi, un ballo contadinesco. Errori tanto più gravi in quanto presentati polemicamente a sostegno di una teoria; presentati come esempl ari, essi non fanno che gettare ombre e dubbi sulla teoria stessa. Tipica del Plechanov è la posizione nei confronti della logica formale che è stata criticata acutamente da Kedrov. Anche Bucharin, che prima del suo tradim ento trotzkista si era applicato a forme di divulgazioni della teoria marxista, ha, tra queste, un saggio

di « sociologia » intitolato La teoria del materi alismo storico, dove un capitolo è interamente dedicato all'art e. Su questo libro, in genere, e sul

capitolo dedicato all’arte, si legga il giudiz io definitivo di Antonio Gramsci (cfr. Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1949, p. 165): « Nel capitolo dedicato all'arte si afferma che anche le più recenti opere sull’estetica pongono la identità di forma e contenuto. Questo può essere assunto come uno degli esempi più vistosi per incapacità critica di stabilire la storia dei concetti e di identificare il reale significato dei concetti a seconda delle diverse teorie. Infatti l’identificazione di conten uto e forma è affermata dall’estetica idealistica (Croce) ma su presup posti ideologici e con terminologia idealistica. Contenuto e forma non hanno quindi il significato cheil Saggio suppone. Che contenuto e forma si identifichino significa

che, nell’arte, il contenuto non è l’astratto soggetto, cioè l'intri

go romanzesco e la particolare massa dei sentimenti generici, ma l’arte Stessa, una categoria filosofica, un momen to distinto dello spirito, ecc. Né quindi forma significa tecnica come il Saggio suppone... ». A proposito del paragrafo dedicato, nello stesso libro, al Prometeo di Goethe, Gramsci mostrandone tutta la vuotezza, conclude che questo genere di giudizi è destinato «a diffamare una teoria e a suscitare un modo superficiale di trattare le questioni ». Quando Gramsci,

nel fondo

del. suo carcere,

scriveva

queste

cose, non

sapeva

dell'at

tività di Bucharin, quale doveva in seguito rivelar si; e oggi se non si vuol proprio cedere alla tentazione di pensare che quella diffamazione del marxismo abbia potuto, addirittura, non essere involontaria, si deve

e

Il

286

film

e

il risarcimento

marxista

dell’arte

x

sdruccioletuttavia riflettere quanto siano facili i passaggi per la china deviazione al vole che va dall’incomprensione, alla deviazione e dalla frazionismo e al tradimento. ancora mecTanto può bastare per il sociologismo e il materialismo

o che nei primi canico e positivisteggiante, fraintendimento del marxism in buona fede, lecito, è più non ora che ma le, tempi era quasi inevitabi

se si è in buona a nessuno, come non è lecito attaccare il marxismo, è certo la sola non questa Ma smo. positivi col fede, confondendolo dimento, coforma di incomprensione del marxismo. Un altro frainten Loria, Achille e ineffabil oso presuntu il quali i tra mune a molti scrittori (e si ricordino i ne produzio della forme le are consider fa che quello è

come, addichiarimenti e approfondimenti di Stalin) come strumenti e

dedurre da strurittura, un singolo strumento, e la risibile pretesa di menti singoli la necessità di certe determinate forme d'arte. uttura e Questo modo d’intendere il rapporto tra struttura e sovrastr i madornal più ai luogo dà tra strumento singolo ed espressione artistica

passivo strafalcioni. Quante volte non è stata ripetuta e messa in conto al gotico o romanic stile dallo o passaggi del one spiegazi la o marxism | del la forza di con l'invenzione del collare da bardatura, che ha potenziato

sorprendentetrazione e di lavoro degli animali da tiro? Affermazione del significato mente balorda, di uno pseudomarxismo incomprensivo Un'’afferstesso dell'espressione « mezzi della produzione materiale ». piuttosto di remazione altrettanto balorda e cervellotica è stata fatta per qualche temcente, da un giovane critico italiano che si pavoneggiò

lui, colle sue po, spacciandosi per marxista e che ora è passato anche icomunismo, all’ant , culturale armi spuntate e col suo esiguo bagaglio

di ignoranza, tal Guglielmo Peirce; costui, piena la testa di confusione e in un suo poneva, si che a problem sia teorica che dei dati storici del studio,

forse

rimasto

inedito,

su

Cézanne,

ha

dichiarato

che

l'origine

a dell’impressionismo e del plenairismo pittorico è data dalla compars prepacolore di tubetti dei e creazion la o permess dello stagno, che ha o nelle rato; perché i tubetti si possono comodamente portare in tasca, delle e storica ne situazio la tutta Di apposite cassette, in campagna.

a del Cavarie mediazioni che portano dalla grande rivoluzione realistic nulla; a sapere vuol né sa, non ravaggio a Manet e a Monet, il Peirce tutti i di pittura della storia della momenti felici più dei spiegare uno : paesi, gli basta lo stagno e i tubetti Lefranc!

del Quello stesso critico ha cercato di spiegare una caratteristica

impressionistici, resto non esclusiva e neanche troppo tipica, dei quadri

Risarcimento

con

la legge

economica

della

marzista

domanda

dell'arte

287

e dell'offerta:

ed

ha

sostenuto

che la piccola dimensione di quei quadri dipend eva dalla piccolezza delle abitazioni borghesi, cui erano destinati, mentre nell'epoca del feudalesimo i quadri erano grandi perché destinat i e commissionati per le chiese, i grandi palazzi e i castelli. Senza tener conto fra l’altro che gli impressionisti erano disprezzati ed esecrati dai borghesi, che si guardavano bene dal comprare i loro quadri. E quante volte non si è ripetuta la semplicistica affermazione che

l'impressionismo è un'espressione dell'ideologia borghes e, misconoscendo il valore di innovazione,

contenutistica e formale

di quel grande

mo-

vimento pittorico? E soprattutto sconoscendo la storia e il gusto della borghesia francese che, in quel tempo, aveva come ideali pittorici i

Couture, i Bouguerrau e i Meissonnier, e non certo i Monet, Sisley, Pissarro, Renoir e Cézanne. 1 Questi esempi (e i moltissimi, che purtroppo potrebb ero agevolmenfe aggiungersi) non intaccano menomamente la teoria e sono qui riportati coll’intento non solo di indurre a guardar si da un modo sempli-

cistico di intendere

il marxismo

e le sue applicazioni,

ma

anche e

soprattutto dagli avversari della giusta teoria; essi infatti mostrano di credere che il marxismo stia nelle sue deviazioni, hanno tutto l’interesse ad aggrapparsi a distorte immagini del marxismo per assai facilmente polemizzare con esse gabellandole per marxismo. È un modo sleale di chi avendo torto e sapendolo non ha altra arma polemica che il sotter-

fugio, l'espediente e l’inganno.

Sono indubbiamente molte le correnti estetiche che legano l’arte al tempo in cui essa è nata: particolarmente nella storia delle arti figurative questa esigenza ha preso corpo nelle opere e negli studi di molti storici e teorici. Il problema si è posto agli storici in vario modo, derivando ad

esempio dalla necessità di una divisione in periodi della storia dell’arte. La divisione per secoli, adottata da Adolfo Venturi per la. sua monu-

mentale

Storia

dell’arte

italiana,

è certamente

la

più

ovvia,

ima

non

spiega, anzi addirittura sconosce del tutto, l’importanza del proble ma

di distinguere le epoche artistiche e le relative trasfor mazioni. Gotico, rinascimento, barocco, rococò, rimangono concetti campati in aria, espressioni puramente descrittive ma non motivat e storicamente,

Un'altra partizione semplicistica

è quella che oppone

le genera-

Il

288

film

e

risarcimento

il

marxista

dell'arte

zioni artistiche, figli contro padri (Pinder), ma essa non. spiega nulla

artistica in delle cause e delle forme dell'evoluzione storica generale e particolare. Un tentativo più approfondito e che ha avuto una larga influenza quello dello sugli studi di storia dell’arte degli ultimi tempi è stato enucleare e per indagini reiterate da che, Woellflin storico svizzero H.

cogliere le cause della trasformazione degli stili, ha dedotto una serie

da questi di concetti fondamentali (Grundbegriffe) della storia dell’arte; delle derivano le applicazioni alla letteratura dello Spoerri e la teoria ricerche, queste In Frank]. P. di fasi di sviluppo (Entiwiklungsphasen) teoche valgono più come concrete analisi storico-artistiche, che come che storici periodi diversi dei rie, è dato, come misura dell’arte, l’uomo za. somiglian sua a a creandol in essa si esprime, Anche Alois Riegel, buon filologo dell’arte, anche e principal del primi, i tra re, conoscito serio e i, industrial forme mente nelle sue ne, per barocco, ha cercato una misura, legata al tempo: di produzio

ha le opere d’arte, e per risolvere i problemi dello stile (Stilfragen); ed

di vocreduto di trovarla introducendo nella storia artistica il concetto lontà artistica delle diverse epoche (Kunstwollen). Così Ortega y Gasset, partendo dalla costatazione della periodicità

delle

crisi storiche,

ha

offerto

agli storici

un

criterio che

qualcuno

Pinder,

Dagobert

na provato ad applicare all'arte. Infine Max

Dvorak,

coi suoi seguaci

Brickmann,

la storia Frey, ha teorizzato ed esemplificato nelle sue numerose opere epoche. diverse delle spirito dello storia come dell’arte astraSenza continuare a moltiplicare gli esempi e le citazioni, e e indiamente implicit che filosofie e sorpassat e vecchie le per zion fatta e le altre rettamente, od anche coscientemente, hanno ispirato queste grande del fu che — mo positivis dal vanno che e affini teorie estetiche, ndo del Cavalcanselle, del Morelli e del Frizzoni, ma anche degenera

ramtutto nelle strampalerie del Patrizi — a qualche sua particolare modernata _

sottospecie, come nella storia dei valori tattili del Berenson

al kantismo

della

terna

dei teorici

della

pura

visibilità

Fiedler,

Hil-

tico di debrandt, Hans von Marées — e all’hegelismo un po’ semplicis così come Dvorak e dei suoi — bisogna riconoscere che queste estetiche, dal pel'estetica marxista, connettono tutte e fanno dipendere l'arte riodo storico in cui essa è prodotta. Ma tutte' queste correnti estetiche, prive come sono di un rigoroso stracanone di interpretazione storica, pur nella molteplicità, talvolta

ZAR

Risarcimento

marxista

dell'arte

289

bocchevole ed ammirevole, dei materiali padrone ggiati, rimangono inesatte e infelici nel definire le situazioni storiche in generale e perfino le loro espressioni artistiche. E, quel che è peggio, dal punto di vista della teoria (ma partendo dalle premesse da cui partono non potrebbe essere dliversamente) rimangono tronche e mute quando si tratta di spiegare che cosa siano, alla resa dei conti, e come si siano formati quella particolare psicologia, individuale e sociale, quel particolare uomo, quella particolare volontà artistica, quel particolare spirito. Per spiegare le ideologie in genere e l’arte in esse, non basta l’uomo, l’uomo magro del trecento o l’uomo grasso del seicento , per spiegare il gotico e il barocco; e come non bastano la magrez za e la grassezza, non bastano nemmeno la forma del suo cranio o le circonvoluzioni del cervello in esso, a spiegare la sua psicologia individ uale; come a spiegare la psicologia sociale non è possibile intendere la società come un tutto indifferenziato, finché la società è divisa in classi antagonistiche o diflerenziate in generazione; e non bastano né la volontà , il complesso dei sentimenti o delle idee, il suo spirito. Il marxismo offre la possibilità di porre concretament e e di risolvere scientificamente questo problema che resta aperto e misterioso per

tutte le estetiche precedenti che legano l’arte al tempo; ci permette di

considerare il mondo delle idee e dell’arte in partico lare, non astrattamente, come qualche cosa di campato in aria in eternità e in assolutezza ma nelle sue radici più profondamente immerse nella vita reale, fino cioè ai modi della produzione materiale. Tutta la produzione intellettuale, tutte le forme di conoscenza, al lume del marxis mo appaiono non più avulse dalla realtà, autonome e fini a se stesse; giacché la consapevolezza della loro origine ci illumina anche sulla natura delle loro finalità; ci spiega quali siano i bisogni che esse appagano e soddisfano.

Questi bisogni sono, nella loro più semplice espressione: quello di rin-

saldare, giustificare e celebrare la struttura da cui nascono . Le varie forme della conoscenza generano il lavoro (la pratica organizzazione dei nuovi mezzi di produzione e la affermano: organiz zazione tecnica), regolano i rapporti sociali mediante norme giuridiche (diritto) e mediante

norme morali (etica), coordinano coerenti giustificazioni della realtà in

sistemi e teorie generali dell'essere (filosofia) e del conoscere (gnoseologia); e celebrano infine colla fantasia e per immagini, e criticano e condannano, i modi della struttura e la vita sociale, nonché le altre forme sovrastrutturali che ne discendono (arte). Che le diverse forme della produzione intellettuale siano dipendenti

Il film e il risarcimento

290

marxista

dell’arte

dal fattore economico, non vuol dire che il rapporto tra struttura e sovrastruttura sia diretto e immediato; al contrario questo rapporto si

attua attraverso una serie di trapassi e di mediazioni assai complessi. Bisogna

naturalmente

tenerne

conto e studiarli attentamente

caso per

caso, giacché essi, per lo meno, velano e rendono difficile riconoscere la lontana origine;

trascurarli significa senz'altro condannarsi

all’incom-

prensione dei fatti intellettuali nella loro ricchezza e complessità. Incomprensioni di cui alcuni esempi di malinteso marxismo citati di sopra sono conseguenza infallibile e tipica.

Gli essenziali trapassi e mediazioni sono stati sintetizzati con concisa chiarezza dal Politzer (Cours de Philosophie, Paris, 1948, p. 226): « La storia è opera degli uomini. L’azione che produce la storia è determinata dalla volontà. Questa volontà è espressione delle loro idee. Le idee sono espressione delle condizioni sociali nelle quali essi vivono. Le condizioni sociali determinano le classi e le loro lotte. Le

classi sono determinate dalle condizioni economiche ». Dire che l’arte celebra e esalta, o critica e avversa, la struttura non vuol dire che essa lo faccia direttamente e sempre coscientemente. Ciò avviene attraverso il regime politico e la coscienza sociale che ne consegue. La coscienza sociale è spesso in ritardo rispetto allo sviluppo economico perchè le ideologie hanno la tendenza a credersi e ad atteggiarsi come esistenti sub specie aeternitatis; anche per il fatto pratico che i portatori delle passate ideologie, gli intellettuali del passato, difendono ovviamente le loro posizioni pratiche, e quindi le loro idee. Perciò,

come

dice

Gramsci

(Il materialismo

storico ‘e la filosofia

di

Benedetto Croce, p. III), « è osservazione ovvia che il mondo delle ideologie è, nel suo complesso, più arretrato che non i rapporti tecnici di produzione ». Scrive ancora Gramsci (ibidem, p. 96): « La pretesa di presentare e di esporre ogni fluttuazione della politica e della ideologia come un'espressione immediata della struttura, deve essere combattuta teori-

camente come

un infantilismo primitivo,

e praticamente

deve essere

combattuta con la testimonianza autentica di Marx, scrittore di opere politiche e storiche. Per questo aspetto sono importanti specialmente Il 18 Brumaio e gli scritti sulla Questione orientale ed anche altro come: Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, La guerra civile in Francia e minori ». In sostanza il ritardo della ideologia sulla base è stato spesso af-

Risarcimento

marxista

dell'arte

291

fermato da Marx, giacché « le tradizioni di tutte le generazi oni passate pesano assai gravemente sul cervello degli uomini » (18 Brumaio). Sulle opere d’arte in particolare si esercita, assai potentemente, la influenza delle opere maggiori del passato, la cui autorità è tanto più grande quanto più alto è il livello qualitativo che hanno raggiunto. Tanto che I. Burkhardt poté dire che, se non ci fosse stato Giotto, Ian Steen sarebbe stato diverso e probabilmente minore, | Valgano come esempi due casi citati dallo stesso Marx: « Per quanto poco eroica sia la società borghese, per metterla al mondo però sono stati necessari l’eroismo, l'abnegazione, il terrore, la guerra civile e la guerra dei popoli. E i suoi gladiatori avevano trovato, nelle austere. tradizioni classiche della Repubblica romana, gli ideali e le forme artistiche, le illusioni di cui avevano bisogno per dissimulare a sé stessi il carattere grettamente borghese delle loro lotte, e per mantenere le loro passioni all'altezza della grande tragedia storica. Così, in un'altra tappa dell'evoluzione, un secolo prima, Cromwel l e il popolo

inglese avevano preso a prestito dal vecchio testamento le parole, le

passioni e le illusioni per la loro rivoluzione borghese , Raggiunto lo scopo reale, condotta a termine la trasformazione della società inglese, Locke dette lo sfratto ad Habakuk ». Per questo non è dunque priva di qualche verità l'affermazione che l’arte nasce anche dàll’arte. Determinata dunque dalla base talvolta essa

subisce,

anche

fortissima,

l'influenza

dell’arte

passata,

che

interpreta, utilizza ed elabora a modo suo. In generale si assiste a ripetizioni, variazioni e sviluppi della cosiddetta tecnica. Le tecniche, intese come complesso di norme, sono le-

gate strettamente ai cicli artistici, e la famosa ragione della loro trasformazione

(le cause

della trasformazione

degli stili tanto affannosa-

mente cercata dagli storici dell’arte) sta precisamente nel crollo della sovrastruttura trascinata dal franare della base nei periodi di trasformazione storica o di rivoluzione sociale. Al mito della prospettiva, della

profondità,

del volume

manierismo, mo detto di perdura: il così grande l'accademia, e non chiara

succede il grande mito della luce. Ma, per quanto abbiasopra, l’autorità delle vecchie opere, dei vecchi capolavori, livello raggiunto dagli artisti figurativi del Rinascimento è che tutto l’ottocento borghese è ancora dominato dalcioè dalla ripetizione dei loro moduli. E resta sottomessa la vera grande tradizione pittorica che va da Caravaggio

a Cézanne.

e della anatomia,

:

dopo il suo decadere nel

Il film

292

e

ii risarcimento

marxista

dell'arte

Così Chenier poté teorizzare la composizione

di versi antichi su

| pensieri nuovi; che, a parte il fatto che i suoi pensieri non erano affatto

nuovi,

non

è mai

possibile.

A

meno

di rimanere,

come

lui,

un

assai discutibile poeta, o di fare quello che fece David che, appunto, dopo aver dipinto la morte di Marat, ha poi, con la stessa tecnica,

fatto quadri apologetici di Napoleone. E questa è ancora una riprova dell’assurdità di giudicare del con-

tenuto di un’opera d’arte, dalle tendenze tecniche e direi dagli stili. Nell'esercizio della critica che si esercita sempre caso per caso € non per classi e per genericità, che è sempre concreta, individuante, discriminante, bisogna tener conto di tutte queste forze e delle loro combinazioni. Tutto ciò non altera affatto la verità dell’affermazione fondamentale (« l’arte come forma della sovrastruttura è condizionata dalla base ») ma crea spostamenti e sproporzioni non lievi e la nasconde all'indagine non sufficientemente approfondita, sia dal punto di vista storico che da quello propriamente artistico. Per l’autorità delle opere del passato si pensi che l’arte, tra le forme della sovrastruttura, è quella che, meno delle altre, si è esplicata come autocoscienza,

Un altro aspetto fondamentale dei rapporti tra la struttura e la sovrastruttura è la loro interazione. Non bisogna credere che le idee, in quanto determinate dalla base, abbiano nella storia una funzione passiva od anche solo secondaria : questa sottovalutazione del fattore ideologico è una interpretazione unilaterale e monca della teoria marxista, e ne costituisce una vera e proha scritpria falsificazione. Nella sua ben nota lettera a Block, Engels

to: « Secondo la concezione materialistica della storia, il fattore determi-

nante della storia è, in ultima analisi, la produzione e la riproduzione della vita reale. Né Marx nè io abbiamo mai detto di più. Se, in seguito, qualcuno sforza ciò fino a dire che il fattore economico è il solo determinante, egli trasforma questa proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i vari aspetti della sovrastruttura... esercitano anch'essi la loro azione nel corso delle lotte storiche e ne determinano, in modo talvolta preponderante, la forma. C'è un rapporto di azione e di reazione tra tutti questi fattori, tra i quali il processo economico finisce per aprirsi una via, a'forza, attraverso la quantità infinita dei casi ». x Non è possibile non vedere la grandissima importanza di questa

Risarcimento

marxista

dell’arte

293

proposizione che stabilisce chiaramente che esiste un rapporto di interazione tra la struttura e la sovrastruttura e che dà alle idee il giusto posto nel corso delle lotte storiche. Lo stesso punto di vista è stato ripetuto da Engels nella lettera del

27 ottobre 1890, ad Hainz Starkenburg.

In questa, egli cita un lam-

| pante esempio di reazione della sovrastruttura sulla struttura : « La base del diritto di successione, supponendo l’eguaglianza dello stato di sviluppo della famiglia, è una base economica. Tuttavia sarebbe difficile dimostrare che, in Inghilterra, per esempio, la libertà assoluta di far testamento, e la sua limitazione in Francia, non hanno in tutti i loro aspetti particolari che delle basi economiche. D'altro canto, per una parte molto importante, entrambe reagiscono sull'econ omia per il fatto che influenzano la ripartizione delle ricchezze ». Nella stessa lettera allo Starkenburg, Engels conclude: « Lo sviluppo politico, giuridico, filosofico, letterario, artistico, ecc. si basa sullo sviluppo economico, Non è vero, poiché la situazione economica

è la base, che essa sia la sola attiva e che tutto il resto non sia che

azione passiva. C'è, al contrario, azione e reazione sulla base economica, che prevale, in ultima analisi ». Un'altra monca e falsa interpretazione del materialismo è quella per cui esso, oltre a negare la forza e l'importanza delle idee (che come abbiamo visto non è affatto vero) nega anche l'importanza delle grandi personalità della storia. È chiaro che questa interpretazione è del tutto | sbagliata: nessuno si è mai sognato di negare l’importanza di Napoleone; o quella di Marx e di Engels, o quella di Lenin e di Stalin. Questo problema è stato già chiarito (e questo è uno dei suoi pochi effettivi grandi meriti) da Plechanov (La funzione della dersonalità nella storia). Sul problema della « funzione attiva della sovrastruttura » Stalin ha portato grande luce col suo scritto fondamentale 7/ marxism o: e la linguistica: « La

sovrastruttura

è un prodotto

della

base;

ma

ciò non

significa

che essa rifletta semplicemente la base, che essa sia passiva, neutrale,

indifferente alla sorte della sua base, alla sorte delle classi, al carattere del sistema. Al contrario, non appena sorge, essa diviene una forza eccezionalmente attiva, che aiuta energicamente la sua base ad assumere una forma e a consolidarsi facendo quanto è in suo potere per aiutare il nuovo sistema a distruggere e liquidare la vecchia base e le vecchie classi. « Né potrebbe essere altrimenti. La sovrastruttura viene dalla base

e

è St

La

FIT

Il film e il risarcimento

294

marxista

dell'arte

creata precisamente perché possa servirla, perché possa attivamente aiutarla ad assumere una forma e a consolidarsi, perché possa attiva‘mente contribuire alla liquidazione della base antica, decrepita, assieme alla sua vecchia sovrastruttura. Basta che la sovrastruttura rinunci alla sua funzione ausiliaria, basta che la sovrastruttura passi da una

posizione di attiva difesa della sua base a un atteggiamento di indifferenza verso di essa, a un atteggiamento eguale

verso tutte le classi,

perché essa perda il suo valore e cessi di essere una sovrastruttura » ti Dire

che

l’arte

è parte

della

sovrastruttura

di

una

data epoca

significa dunque che essa è determinata dalle condizioni della struttura

economica di quest'epoca, che ne è una espressione intellettuale particolare; ma un'espressione più o meno mediata e che, in generale, si attua attraverso una serie assai ricca e complessa di mediazioni; così determinata, l’arte è però, come la restante sovrastruttura, la sua determinante ed esercita sulla base un'azione spesso assai potente. Dietro le forme ideologiche e le loro competizioni (giacché anche in seno alla sovrastruttura di un dato periodo storico vi è sempre, più o meno acuto, un conflitto) si trovano le classi e la lotta di classe. Una cosa che è stata affermata già acutamente da Cernyscevski, che faceva dipendere il pensiero umano, oltre che dalla storia, dalle classi sociali perché « si pensa diversamente in un palazzo e in una capanna ».

In uno stesso ciclo storico le diverse idee e le diverse manifestazioni

artistiche, hanno sempre, magari inconscio, un carattere di classe; tanto che si possono legittimamente raggruppare in due correnti principali: la classe al potere che, nella sovrastruttura, serve e tende ad affermare e a consolidare e, nell'arte, ad esaltare la struttura esistente, liquidando i residui della passata ideologia e della passata struttura; l’altra che la critica, la combatte e tende a rovesciarla. La lotta delle diverse correnti artistiche, dei nuovi stili contro i vecchi, delle nuove forme contro le vecchie, può, in definitiva, riportarsi quasi sempre a questo antagonismo, non’ sempre cosciente negli autori, ma più profondo e sostanziale. Per quanto si riferisce al film, bisogna tener conto che la sua produzione ha luogo in due mondi ormai ben diversi: in una società ancora divisa in classi, nell'Europa occidentale e in America e in una

società senza classi, nell'URSS, la Cina e i paesi di nuova democrazia. 1952,

1 I. V. Sratin: pp. II-I2.

Il marrismo

e la linguistica,

Edizioni

Rinascita,

Roma,

| Risarcimento marxista dell'arte | Differenza sostanziale

| base

e profonda

che

è necessario

tener

ferma

come

nella valutazione critica. ice Quanto abbiamo detto fino ad ora dell’arte vale per tutte le forme della

sovrastruttura e non caratterizza ancora né distingue l’arte in ciò

che essa ha di specifico e di esclusivo rispetto alle altre forme intellet-

tuali. Come le altre forme di attività intellettuale l’arte nasce dalla realtà

| °‘’

e si applica a conoscerla e a trasformarla.

Ma non lo fa mediante

0/0

azioni o riflessione diretta: lo fa attraverso le determi nazioni che ab0° biamo indicato ed altre che vedremo in seguito, mediante immagini e | organizzazione d'immagini: lo fa in forma fantasti ca. Questo è il suo

We

particolare modo di essere. Il modo particolare dell’arte, quello che la distingue dalle altre attività intellettuali, è dato dalla sua matrice: la ‘fantasia.

4

Karl Marx più volte parlando di arte ha parlato di fantasia, per esempio nella Zur Kritik, della fantasia dei greci che‘ha creato l’epica. E Lenin ha parlato della « necessaria fantasia » criticando coloro che, per essere concreti, intendono la concretezza come assenza di cuore

e di fantasia tanto necessari a concepire una vita futura e migliore e a trovare

i mezzi per trasformare in questo senso il mondo.

« Dalla viva contemplazione al pensiero astratto e da questo alla

conopratica: questo è il cammino per la conoscenza della realtà, la Gospolitetradi, Filosofskie (Lenin: » oggettiva. realtà della scenza tisdat, 1947, pp. 146-147). ‘E, in genere, anche il senso comune sa che cos'è la fantasia e proconsidera l’arte e la differenza dalle altre attività spirituali come dotto della fantasia.

Ma che cos'è la fantasia? Una risposta, per noi insoddisfacente, a questa domanda ci è data dall’estetica crociana. Fantasia o intuizione non sono facoltà umane, ma un grado dello spirito: esse fanno tutt'uno coll’espressione, sono cioè forma, cioè arte. Noi non possiamo far nostra questa posizione perché la negazione del concetto di Spirito, o Idea assoluta, è appunto la base della nostra concreta filosofia, che considera il mondo reale proprio come

reale,

non

crede

alla

soggettività,

cioè

alla

del

irrealtà

mondo

i

reale.

Anche la psicologia definisce la fantasia. Per la psicologia, la fantasia fa parte di quella sezione dedicata al conoscere ed è una attività rappresentativa, tra la memoria e l'associazione, che crea combinazioni

nuove come

di elementi noti, che crea immagini.

è stata talvolta,

paradossalmente

Così che essa potrebbe,

definirsi:

ricordo

di cose non

esistenti e di fatti non avvenuti. Come in un celeberrimo verso di Manzoni: « Delle non nate cose Daniel si ricordò ».

Risarcimento

marxista

dell’arte

297

Bisogna riflettere che il marxismo ha messo in stato di crisi la psicologia: 0, per lo meno, ha acuito le crisi periodi che in cui essa si dibatte da tempo. Quando l’uomo era conside rato creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio, aveva un suo senso ed una sua coerenza intendere la psicologia come scienza dell'an ima, cioè studio degli elementi della vita interiore. Più modernamente , la psicologia degli elementi è stata respinta ‘dal cosiddetto behavo urismo, cioè da una nuova scuola della psicologia borghese, che conside ra il comportamento umano solo nei confronti di due fattori: stimolo e reazione. Il marxismo considera la psicologia come una scienza concreta, che

deve

abbandonare

sostanze

e

forme

superstiziose,

per

diventare

una

scienza, per fissarsi sulla realtà oggettiva. « La psiche va considerata come una caratteristica proprietà di una materia particolarmente organizzata, come il prodotto di una attività nervosa superiore, come funzione dell’intelletto umano », dice lo studios o sovietico Iakovlev. Il passo avanti del behavourismo non basta: nella. descrizione dello stimolo e della reazione, nonché delle molle che la determinano, occorre introdurre un criterio scientifico; criterio scientifico che partirà anzitutto dalla premessa che non esiste un uomo astratto, uguale a se stesso in eterno; né quindi esistono eterni dati della coscienza. Ma esiste soltanto l’uomo storico e una coscienza sociale che costituiscono i gradini, i momenti successivi della storia dell'um anità; e che prima degli uomini ci sono gli animali che costituiscono momenti successivi della storia dell'evoluzione. La psicologia e il suo oggetto non sono dunque qualcosa di immutabile, ma qualcosa che è in continua trasfor mazione sul ritmo del perpetuo movimento della realtà. Bisogna intende re che l'uomo si cambia, biologicamente e psicologicamente,

cioè cambiano anche,

nei diversi

momenti dell'umanità, gli stimoli e le reazion i e i loro reciproci rapporti. Bisognerà in sostanza storicizzare anche la psicologia; un punto di vista dal quale ‘va considerata anche la psicanal isi, come è già stato dimostrato altrove. Sotto questo punto di vista non va taciuto che la scienza psicologica sovietica ha come proprio oggetto, come oggetto delle sue indagini e ricerche un oggetto già radicalmente diverso da quello della psicologia borghese. L'uomo del socialismo, l’uomo sovietic o è già per molti tratti sostanzialmente diverso dall’uomo della società divisa in classi: e questa

trasformazione dell’uomo, dall'antico lupo per gli altri uomini, all'uomo

totalmente

umano,

vivente

non

più nel regno della necessità,

ma

nel

te

Il film e il risarcimento

298

marxista

dell’arte

regno della libertà, è una trasformazione in atto e che si svolge con

una celerità di ritmo stupefacente, inverosimile e incredibile per le belve umane che hanno ereditato la belluinità e i metodi belluini dei nazifascisti; per le belve della guerra atomica, al napalm o batteriologica. Il concetto di uomo immutato e immutabile è uno degli assiomi

delle vecchie ideologie ed ha oggi una precisa funzione nella lotta di classe: quella di disarmare l'avversario. Voi avete ragione in teoria, ma per ottenere quello che voi volete bisognerebbe cambiare la natura umana. Invece da chie mondo è mondo le cose sono andate sempre così, l’uomo è sempre lo stesso. Il che è molto comodo per chi ha interesse a conservare un ordine di cose che gli conferisce privilegi economici. Tutt'al più, consente qualche personaggio avanzato (1), si dovrebbe promuovere anzitutto una riforma dell’uomo, una rivoluzione morale,

che è un invito a disarmare, perché invece — è ben chiaro — il cam-

biamento della natura umana non può attuarsi che col cambiamento delle strutture sociali, col cambiamento delle istituzioni. La tesi dell'uomo immutabile e quella della riforma morale sono elaborate dalla filosofia e dalla psicologia borghesi come difesa di classe. Senza pretendere di risolvere quei complessi problemi che si connettono alle tesi suesposte, si può tuttavia fin da ora proporre che,

a meglio intendere che cosa sia la fantasia,

si debba

anzitutto spo-

gliarla di quella misteriosa e poco persuasiva caratteristica che le si attribuisce di attività gratuita, diciamo così, cioè priva di qualsiasi nei cessità e finalità. Per

chiarire

che

cosa

sia la fantasia,

si può

risalire

alla

sua

più

lontana origine, guardando, come Lenin consigliava, tra l’altro, nei suoi quaderni filosofici, alla vita degli animali. Ciò ci permetterà forse meglio di definirla e ci proporrà una risposta alla domanda: è essa un'attività effettivamente gratuita e disinteressatae fine a se stessa, o nasce da qualche non ben chiarito concreto bisogno dell’individuo che la esplica? È o non è disinteressato il canto degli uccelli, il gioco del gattino : domestico? Domanda non oziosa perché se effettivamente la fantasia risulta non essere fine a se stessa, neanche il suo prodotto, l’arte, potrebbe esserlo. Il gatto domestico, il gatto che vive nella casa dell’uomo, lo s1 vede spesso compiere qualche cosa di straordinario: se egli cattura un topolino, invece di ucciderlo e di mangiarlo, gioca con esso; se il gomitolo della massaia ruzzola a terra egli ci gioca come gioca col to-

_

Risarcimento

polino.

Strana

cosa

che

marxista

sia possibile

dell’arte

nel gatto

299

una

attivit

à come il gioco. E, se si riflette, un gioco veramente incredibile : giacché il gattino

di casa, facendo ruzzolare e sobbalzare il gomitolo, e inseguendolo e adunghiandolo, riproduce, nel modo più singolare e fedele, si sarebbe

quasi

tentati

di

dire,

trasfigurandole

e idealizzandole,

le situaz

ioni e i momenti della caccia. Tanto che quasi quasi questo può far venire alla mente una vecchia definizione dell’a rte: « Trasfigurazione della realtà ». Antonio Gramsci in una delle sue stupen de lettere dal carcere rac-

conta di aver allevato un uccellino. Quand o si vedeva porgere il cibo prima di mangiarlo, l’uccellino« si dava ad una danza sfrenata », Ed anche qui

non è curiosa questa disinteressata attività dell’uccellino, quest'azione che può essere definita « danza »? Che cosa sono questo gioco, che trasfigura la realtà della caccia e

questa danza sfrenata? Conviene guardare da vicino queste attività

che hanno tutta l’aria di essere una lontana origine dei fatti artistici. Sono, attività gratuite e disinteressate solo in apparenza. Perchè tanto il gatto quanto l’uccellino, hanno una energia destinata ad esplicarsi nella caccia del cibo. Ma il gatto domest ico e l’uccellino addomesticato non ne hanno più alcun bisogno per procacciarsi il cibo; la

caccia

è per loro resa inutile dalla continua,

domestica

e regolare som-

ministrazione di cibo. E allora le trasfi gurazioni della caccia e della danza non sono che le forme, attraverso le quali si scarica una tensione energetica che, se non si esplicasse in qualche modo, risulterebbe dannosa, o addirittura distruttiva e mortal e, per l'organismo. Gli amori

dei gatti, sui tetti delle nostre case, sono fatti di soffi, di

miagolii, di lamenti; essi riproducono, trasfigurand ole, le fasi della lotta tra maschi in certe altre condizioni di vita passat a, necessarie alla specie, per il possesso delle femmine. Quel gioco, quella danza, quella finta lotta sono un'energia attiva, distolta, da nuove e superiori condizioni di vita, dal proprio fine naturale, e costituiscono un'azione, non fortuita né gratuita, « mista di associazione d’idee e di ricordo », di avveniment i che forse non sono

mai

stati di quel gattino,

domestico

e nato in condizioni

di domesticità,

ma dalla specie quando essa era in una fase di vita primitiva. È la vista del cibo che provoca sommovimenti e movimenti nella gola dell’uccellino (« l’acquolina in bocca ») che si vanno poi artico-

lando in canto, e che si complicano con nuovi bisogn i, necessità e nuovi

appagamenti

di essi, come il richiamo sessuale e che altro sia.

Il film

300

e il risarcimento

marxista

dell’arte

menti, La somiglianza di situazioni genera somiglianza di atteggia za conoscen di forma prima una ed riproduzione gratuita della realtà; forma (anche Croce diceva, con poetica parola, che la fantasia è una

« aurorale di conoscenza »).

In questo senso si può forse ricercare meglio

il nascere di quella

e che misteriosa attività che negli esseri superiori si chiama fantasia produce l’arte. ione Anche il processo associativo, che nell'uomo si chiama associaz critico to rezzamen nell’app e e creazion nella ha parte d’idee e che tanta delle

opere

d’arte,

studiato

nella sua

origine,

come

memoria

biologica,

grande va legato e connesso con le condizioni storiche. In questo senso

co, luce hanno portato a tutto un ordine, non solo fisiologico e psicologi sovietico o scienziat grande del di problemi, le ricerche e le scoperte

parentesi, Pavlov, sui riflessi condizionati (una teoria che, sia detto tra n che Pudovki sovietici: registi interessò subito i due primi e più grandi ed cervello, del smo meccani Il ario, document film un dedicò ad essi nota Eisenstein, che se ne occupò a lungo, come dice in una sua autobiografica).

Tutto il comportamento umano è condizionato dalla storia; anche

che la fantasia, dunque, che non è pertanto una categoria dello Spirito. della nata condizio naturale forma una ma arte, cioè e produce forma storia. i o Si può a questo punto ricordare quanto ha scritto in proposit o): « Certo Feuerbach (cit. da Lenin in Materialismo ed empiriocriticism perché la i progetti della fantasia sono anch’essi prodotti della natura, è, in fin forza dell’immaginazione, similmente alle altre forme umane

della dei conti per la sua stessa natura e per le sue origini una forza

natura ». più Una forza della natura che l’uomo nel corso della storia sempre natura. della forze altre le come dirigere, e meglio riesce a dominare e a immeSicché la fantasia, da energia diretta a soddisfare un bisogno acompless più e più sempre e fine, diato e pratico, .distolta da questo e dalle sociale, e ale individu vita di forme dalle nata condizio mente

forze di produzione che le determinano,

si trasforma in energia che

re (per mentre prende coscienza del mondo, in una sua forma particola . immagini), prende coscienza del suo esplicarsi e del suo produrre degli e peso del e ne produzio sua della valore del a Prende coscienz fantaeffetti di essa. Diviene quello che noi chiamiamo comunemente do valutan e do conoscen che, fantasia La sia: cioè la matrice dell’arte.

Risarcimento

marxista

dell’arte

301

la propria importanza, nei migliori riesce ad allearsi alla volontà, facendosi responsabilità, autodirigendosi ed indirizz andosi. Da forza irrazionale quale essa appariva, la fantasia tende a farsi sempre più autoscienza e razionalità; tende a mettersi alle dipendenze della volontà, primo mobile, nel pensiero marxista, di ogni attività umana. Da attività irrazionale diviene un modo della conoscenza: cioè,

da

cosa

în sé (non

nel senso

kantiano,

ma

nel senso

del materialismo)

diventa cosa per noi. Che è la definizione data da Engels della cono-

scenza. In questo allearsi alla volontà nell’impiego che noi ne facciamo consiste il suo divenire forma di conoscenza. Altrimen ti, per la contraddizione che non consente, sarebbe scarica incontrollata. Se consideriamo dappresso la fantasia ci accorgiamo che essa sembra risultare dalla somma di due momenti, che non possono distinguersi nettamente, localizzarsi o considerarsi rigorosamente successivi nel tempo, confusi e indissolubilmente legati come appaion o all’osservazione e che rispondono effettivamente a due impulsi diversi, a due bisogni diversi. Nella stessa definizione, se pure provvis oria e insoddisfacente della fantasia, « un'attività distolta dal suo fine naturale, che si scarica come ricordo, di avvenimenti magari non visti, e come associazione che dà un ordine nuovo ad elementi noti » c'è il senso di due diverse attività che si oppongono cumulandosi in una terza. Da ricordi mitologici, qualcuno ha chiamato questi due momenti, dionisiaco e apollineo (Nietzsche). Ora se noi ci soffermiamo a consi-

derare l’attività fantastica,

i suoi modi

di esplicazione,

vediamo

che essa

è frutto di un libero espandersi, come un rompere gli argini delle prestabilite simmetrie dell’esistenza per riversarsi sulla realtà, sulle cose, senza guida alcuna, come un’acqua impetuosa straripa nte dal suo letto, che addirittura rompe gli argini e le dighe, prende un libero contatto con le cose, si riversa disinteressatamente su di esse, come per penetrare, come per identificarsi con esse; e si moltiplica, si differenzia. È come uno scatenarsi degli elementi della personalità; le tendenze dell’indivi-

duo,

guidate

dalla ragione,

represse dalla vita civile e sociale,

canalizzati e ordinati, straripano. Non è un'azione in senso stretto, è un equivalente

i bisogni

di sogno,

una

assoluta libertà senza limiti e senza controlli di nessun genere. I surrealisti hanno parlato di scrittura automatica e la loro pseudoarte,

come vedremo meglio in seguito, si arresta a questa prima fase di « libera espressione del subcosciente », come più o meno freudianamente capita loro di dire.

Il film e il risarcimento

302

marxista

dell'arte

Questa attività incontrollata è indubbiamentela prima, necessaria parte dell'attività fantastica. Essa è stata bene definita da Nietzsche come dionisiaca, e bene è stata messa così sotto il segno di Bacco e dell’ebrezza. Sebbene una distinzione simile l'abbia fatta anche De Sanctis, use-

remo in senso inverso i termini da lui adoperati e potremo chiamare

questa prima parte dell'attività fantastica fantasia strictu sensu. È lei la responsabile della formula dell’arte per l’arte, proprio per il suo libero e gratuito modo di espandersi. Essa è, nonostante e con tutta la sua

incontrollata

la realtà, ma

libertà

e licenza,

un

modo

di entrare

in contatto

con

con quella realtà che essa può abbracciare, e che, anzi,

non abbraccia, né in verità conosce, proprio perché le passa sopra come l’acqua, la sfiora, magari penetra nei dettagli di essa, ma non la percepisce come intero, come unità. I personaggi che essa inventa, 0 che anche coglie nella realtà, non sono realistici, sono fantasmi; anche quelli

che sono veri prendono l’aspetto fantomatico delle ombre perché non sono caratteristici e tipici. Il secondo aspetto è stato detto, in modo analogo, apollineo, e bene

giacché Apollo, nella mitologia greco-romana, è l’Iddio della musica e dell'armonia. Questo secondo momento, che chiameremo dell’immaginazione è il rientrare in sé, ricchi del materiale fantastico accumulato per dargli forma. È questa la parte più propriamente creativa del processo fantastico: in questo atto si traduce in immagini.

Abbiamo fino ad ora esaminato una serie di fattori formativi, se pure non assolutamente determinanti, dell’opera d’arte: dicendo che l’arte è una forma della sovrastruttura che reagisce con maggiore o mi-

nore forza sulla struttura stessa, che essa è una forma aurorale di co-

noscenza generata dalla sintesi di fantasia e di immaginazione e legata così al fattore conoscitivo da una parte e alla volontà dall'altra; che si

presenta con spiccati caratteri di classe e che la sua evoluzione è ciclica

in quanto legata alle sorti transeunti della struttura da cui nasce, sebbene possa oltrepassarne la durata, e che la sua possibile periodizzazione

in storia è determinata da questo suo carattere di classe; carattere che

essa manterrà finché esisterà una società divisa in classi ma che essa ha già perduto là, come nell’URSS, dove le classi non esistono più; che la sintesi di fantasia e immaginazione determina, nelle opere create senza autocoscienza critica, più o meno distanti e anche opposti, un contenuto esterno e un contenuto profondo e che il giudizio sull'opera

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Risarcimento

marxista

dell’arte

deve esser dato dalla penetrazione di questo può cogliersi solo attraverso l’analisi formale realismo è non una forma d'arte ma l’arte, tutte le manifestazioni che allontanan o l’arte

che non conoscono,

303

contenuto profondo, che dell’opera singola; che il mentre sono pseudoarte dalla realtà, cioè quelle

riflettendola, la realtà e non opera no,

per ciò stesso, ed anche solo per ciò, alla sua trasformazione, ma creano combinazioni, più o meno gradevoli, che pongono l’arte come fine a se stessa , cioè inutile, o come fonte di piacere, gioco o che altro sia. Questo concetto dell’arte è già abbastanza lontano da quello proposto dai mezzo-marxisti e materialisti meccanici, che schematizzavano il rapporto struttura-sovrastruttura

e,

come

ha

scritto

una volta il Freville, credevano si potesse passare dalla struttura alla sovrastruttura come si sale in cima alla torre Eiffel, prendendo un ascensore. Il fatto

artistico, che è uno dei più complessi, compo rta tutta la

serie delle mediazioni che abbiamo visto ed i fattori determinanti che abbiamo esami-

nato,

i quali,

in

ultima

istanza,

come

diceva

Engels,

si riduc

ono tutti alla storia, e, per quanto sappiamo della storia, si riducono al fattore economico. Altri fattori, che hanno anch'essi lo Stesso carattere, di ridursi in ultima

istanza alla storia, sono quelli che esami neremo in

questo capitolo. ; Già messi in luce dalla critica e dalla storia dell’arte a tendenza Materialistica (parliamo qui di materialis mo meccanico, cioè della critica del Semperer o del Grimm, per restar e nelle arti figurative che, prima del cinema, ci forniscono la più ricca serie di esempi, sia perché il cinema può anch'esso essere considerato, almeno fino a un certo punto del suo sviluppo, fino all'avvento del sonoro , un fatto figura

tivo, sia perché esso effettivamente è anche oggi ed è stato nella maggior parte dei suoi migliori prodotti — il che non vuol dire debba restarlo sempre — un fatto artistico in cui l'elemento figurativo è preponderante); già messi in luce dalla critica materialisti ca dunque sono i concetti di materia e di tecnica nei quali unicamente questa critica vedeva i fattori

specificanti e determinanti il valore e la qualità artistica. Questo conè agli antipo

cetto

di

del nostro:

noi infatti

non ‘cons

ideriamo questi elementi come determinanti esclusivi e assolu ti dei fatti artistici, ma

crediamo al contrario che all'espressione della realtà, flette, siano indifferenti, a statua sia di bronzo o di

i mezzi e il modo con cui un artista giunge giunge alla conoscenza della realtà che ririgore, al risultato della sua opera. Che una argento o d'oro non determina il valore di

304

Il film e il risarcimento

marxista

dell'arte

non il quella statua; a meno che di essa prendiamo in considerazione iamo cioè suo valore artistico ma il valore della sua materia, la consider la materia come un pezzo di marmo 0 d’oro o d'avorio. Questo vale per che con cui l’opera è realizzata, ma vale anche per la materia oggettiva un di su pera una ti rappresen quadro un essa riproduce; il fatto che sa bene si valore; suo il a determin non battaglia di scena una o piatto boccette di Moda tutti che una natura morta di Cézanne o una fila di di Meissonbattaglia di scene grandi delle più di molto valgono randi che non nier, puta caso, o, puta caso, dei carnai di Sartorio; due pittori estesenso in ima quest’ult intesa tecnica, qualità di certo mancavano

riore.

une È ben chiaro che più pittori che si propongano di dipingere

ritrarre ad stesso paesaggio con gli stessi mezzi tecnici, che vogliano da mezzi e materia da cioè olio uno stesso paesaggio, che partano imi. diversiss quadri eseguono eguali l’indicaPerché dire pittura ad olio su tela non esaurisce certo pitciascun in sarà, ci esterna, tecnica questa a oltre zione « tecnica »: , di disegnare e tore, una particolare maniera di colorire e di dipingere di comporre di colorire, un particolare modo di armonizzare i colori, della pittura tecnica una esiste Non via. così e quadro, del gli elementi maniere che diverse di serie una ma in sé (né di nessuna altra arte) e così via) musicali o letterari (0 pittorici miti certi a ndono corrispo della stessa a nell'orbit e società, e che sono propri di determinate epoche visto, due è si come più, lo per sono, ci epoca, società di una stessa

elementi contrastanti, che corrispondono alla divisione in classi.

interne ed È assurda la pretesa di statuire norme e regole tecniche, Le regolamenarte. produrre per e applicarl basti che credere e esterne, tazioni tecniche nascono

semmai

a posteriori,

come

un mezzo

per inten-

hanno accetdere le opere. Le regole fisse e immutabili che certi artisti nascevano ma d’arte, regole tato e adottato per le loro opere non erano

iconografiche da bisogni di diverso ordine: per esempio le caratteristiche

canoni figurativi dei personaggi divini, destinati al culto, hanno creato primi tempi, nei solo non questi e ili; e iconografici, fissi e inderogab forma nei mama anche come applicazione dei princìpi della controri angioli era nuali del Posevino e così via. La lunghezza delle ali degli sedere. il copriva esempio, ad perché, regola

che determiÈ verissimo che talvolta sono i materiali più esterni figuelemento come profitto a mette , xilografia nano le tecniche: una

mosaici risultano dalla rativo o astrattivo, le fibre del legno; i colori dei

Risarcimento

unione

delle diverse

marxista

dell'arte

« tessere » colorate e prendono

305

quel caratteristico

aspetto sfaccettato, i colori trasparenti delle vetrate che determinano in

certi affreschi campiture di colori pianamente e ugualme nte distesi, che sarà una tecnica che ritornerà in certa pittura moderni ssima, ben lon-

tana dalle larghe

pennellate

del colore veneto,

grasso e coulante,

il cal-

ligrafismo e l’allungamento di certe figurazioni proviene probabilmente dalla miniatura e la necessità di riempire i vivagni sforzand o le figure e colmarne gli spazi da illuminare, e così via si potrebbe continuare a lungo cogli esempi. È chiaro che ogni forma di tecnicismo genera il formalis mo. La

forma,

in questo

e fortunate, riduce tibile, ad un vero che la conoscenza | certi ritrovati, di

modo

di intendere

l’arte,

che

è una

delle meno

felici

l’arte ai valori di un tecnicismo, apprendibile e repee proprio artigianato. La forma non sarebbe altro e l'applicazione di certi artifici, di certe regole, di certi precetti, o addirittura di certi trucchi. Questa

è una concezione dell’arte che ne misconosce ogni creativit à ed ogni

effettivo valore. La forma è un complesso di regole, la cui applicazione serve a dar forma (nel senso di bellezza) a un dato contenuto. Queste regole, che per la letteratura sono codificate nei manuali di rettorica o di

‘ arte del dire, o di stilistica che dir si voglia,

e che ancora

recentemente

si usavano nelle scuole occidentali, sono costruite ancora sul modello programmatico e formale delle scuole dei gesuiti. È interessante notare che per una curiosa sopravvivenza (0, come tecnicamente si dice, per una superstizione di parola; cioè per il sopravvivere di una stessa parola con un significato nuovo) la parola rettorica ha preso un significato deteriore e dispregiativo che all'origine non aveva affatto: oggi rettorica vuol dire vuota e tronfia forma priva di contenuto. Ed è il significato che la storia giustamente conferisce alla

parola per la valutazione dei risultati effettivi delle opere fatte in base ad esse rettoriche. Del genere di queste rettoriche sono i manuali che ancora si adot-

tano nelle varie scuole di pittura, di musica e di architet tura; li vediamo con maggior frequenza ricomparire nelle scuole cinemato grafiche,

come

drammaturgia

del film, come

si recita nel film, come

si fotografa e

così via. Con più frequente parvenza di diritto, in quanto la complessità delle apparature tecniche del film, che si debbono pur conoscere per adoperarle, ci induce a sopravvalutare la tecnica con tutte le confusioni di termini e di idee che questa espressione comport a; Questo formalismo tecnicistico è la base di tutte le « accadem ie »

Il film

306

e il risarcimento

marxista

dell’arte

e nasce dall’erroneo concetto che si possano estrarre e codificare per ogni singola arte i particolari mezzi espressivi e suggerire i modi del miglior loro impiego possibile. Significa credere che possano, questi mezzi tecnici o come un po’ meglio si dice questi mezzi espressivi, | avere valore e validità assoluta; mentre che essi sono nati in climi par-

ticolari di particolari artisti, e perciò possono magari riprendersi ma mai riprodursi come tali.

Un’accademia pittorica insegnerà anzitutto il disegno, cercherà regole per una bene equilibrata composizione, insegnerà i mezzi per dar volume ai corpi, l'anatomia umana e animale, le regole della prospettiva e così via. Col risultato che Vasari,

ad esempio,

o Daniele

da Vol-

terra hanno il disegno di Michelangelo, i colori di Raffaello, conoscono

la prospettiva che Giotto non conosceva, sanno dar peso e volume ai corpi come certo non faceva Simone Martini; e tuttavia sono proprio delle

nullità

in confronto

a Simone

a Giotto,

Martini,

a Raffaello

o a

Michelangelo, Il fatto è che quei modi tecnici nascevano da particolari mondi poetici che si esprimevano attraverso quella e non altra forma, esprimevano il contenuto profondo, giacché il contenuto esterno (annunciazione, madonna, dormitio virginis o che altro sia) era lo stesso nei diversi artisti. ; Accettiamo per buona la qualifica tradizionale di « eclettici » per i Carracci, che sappiamo tutti (anche senza la difesa del Bodmer) sono stati, e in particolare Ludovico, talvolta, dei veri artisti. Ma ecco che i Carracci, che disegnavaro, colorivano con i mezzi tecnici di diversi pittori di diverse tendenze ed epoche, son rimasti al disotto di tutti loro; le tecniche si escludono a vicenda e quando si sommano danno la

vuotezza dell’accademia.

i

Tipico e caratteristico è il caso di Gabriele D'Annunzio, gioia di tutti i retori. Ogni opera di D'Annunzio è un repertorio noiosamente completo e sovrabbondante di tutti i mezzi espressivi della poesia, di tutti i tempi e di tutte le rettoriche; rettoriche, arti poetiche, stilistiche e manuali del bel comporre sono saccheggiati a fondo. E D'Annunzio ha finito e conclusa la sua non bella vita, confinato nel satraprismo della

gabbia dorata della villa a Gardone che gli donò il fascismo ricono-

scente del suo precursore. In una stravaganza confinante con la pazzia, cne mescolava le forme di vita e di pseudoarte ‘con tutti gli atteggiamenti retrivi e retrogradi: dal naturalismo all’astrattismo, dal misticismo alla pornografia. Sopravvissuto perché nessuno, oltre la stretta ‘cerchia degli specialisti, leggeva già più le sue opere, come nessuno

Risarcimento

probabilmente,

marxista

dell’arte

307

leggerà mai più se non due o tre brani e una mezza

dozzina di poesie dove egli è stato, per eccezione, veramente poeta. La drammaturgia, dalle rità aristoteliche ai precetti degli ultimi retori, quelli della cinematografia e del « come si scenegg ia un film », hanno statuito le regole dei nodi drammatici, delle progres sioni degli effetti, dei punti culminanti e degli scioglimenti. Regole assurde: anche quella che può sembrare la più ovvia e accettabile delle regole, quella di conseguenza e congruenza nella serie dei fatti e di uno scioglimento che ne sia la conseguenza inevitabile e non venga dall’est erno, da un antiartistico deus ex machina, non ha legittimità assoluta . Tanto è vero che questo deus ex machina è proprio lo scioglitore dei nodi drammatici di alcune tra le più alte opere d'arte che l'umanità abbia prodotte:

il teatro greco e i poemi omerici.

|

Niente dunque norme estetiche: l'estetica normativa non può che regolamentare la non arte, in quanto è la regolamentazione del formalismo. Un altro elemento, che senza essere determinante, ha la sua importanza tra gli elementi che concorrono alla creazione dell’ope ra d’arte, dopo il fattore fempo che abbiamo già esaminato, è il fattore spazio: il fattore geografico. A proposito di questo fattore Stalin scrive (in

Materialismo

storico

e dialettico):

« L'ambiente

geografico

è incon-

testabilmente una delle condizioni permanenti e necessarie dello sviluppo della società e naturalmente influisce su questo sviluppo acceler andone o ritardandone il corso. Ma la sua influenza non è un'infl uenza determinante, perché i cambiamenti e lo sviluppo della società sono di gran lunga più rapidi che i cambiamenti e lo sviluppo. dell’am biente Reografico. In tremila anni sono potuti tramontare uno dopo l’altro in Europa tre ordinamenti sociali differenti: la comunità primitiv a, il regime schiavistico, il regime feudale, e nell'Europa oriental e, sul territorio dell'URSS, sono cambiati persino quattro ordinamenti sociali. Ebbene nello stesso periodo le condizioni geagrafiche dell'Eu ropa, o non sono cambiate per niente, o sono cambiate così poco che la geografia non ne parla neppure. Affinché cambiamenti di una certa im-

portanza si verifichino nell'ambiente geografico, sono necessari milioni

di anni, mentre per i mutamenti, sia pure i più importanti, del regime sociale degli uomini bastano soltanto alcune centinaia o un paio di migliaia di anni. .« Ma da questo consegue che l’ambiente geografico non può essere la causa principale, la causa determinante dello sviluppo sociale,

308

Il film

e

il

risarcimento

marxista

dell'arte

perché ciò che rimane immutato durante decine di migliaia di anni non può essere la causa principale dello sviluppo di ciò che è soggetto a cambiamenti radicali nel corso di centinaia di anni ». Dire che esiste un senso italiano della forma (Woellflin) cioè legare

il senso della forma di un dato popolo alla geografia, significa pensare come uno dei fattori determinanti del fatto artistico una serie di fattori

naturali, paesaggio, clima, aria, acqua ecc. Dal sole e dalla luce d'Italia, nonché dai suoi pittoreschi paesaggi nascerebbe la pittura italiana, coi suoi colori, colla sua luce, con in una parola il suo senso della forma.

Da paesaggi nordici e nebbiosi nascerebbe una pittura del tutto diversa.

Ove questo fosse vero, e non solo in un modo del tutto accessorio

e secondario, non si capirebbe perché in California o in Georgia che sono più o meno sotto lo stesso parallelo dell’Italia, non sia nata una piti tura simile alla pittura italiana. Per il cinema: talvolta si è cercato di spiegare la fotografia degli operatori come una semplice e diretta conseguenza della luce, del sole italiani. E certamente, all’aperto, la luce del sole è quella che è, ed

ha certamente la sua parte nel risultato di quella fotografia. Ma questo non ci spiega perché « mai si è visto piovere tanto in Italia come nei

suoi film realistici »; non ci spiega perché, ad esempio, l'operatore Terzano abbia una così bella fotografia contrastata ed affettata (vedi p.e. Acciaio di Ruttman e Terzano) e invece Arata una fotografia realistica, lampante, morbida e luminosa (vedi ad esempio Cantieri dell’ Adriatico, girato tutto a luce naturale). Perché la fotografia di Portalupi sia così

ricercata e preziosa (vedi i documentari di Paolucci Portofino, Cinque Terre, Casa Verdi e Non c'è così concreta la fotografia di spetta di formalismo quella Cielo sulla palude di Genina).

pace tra gli ulivi di De Santis) perché Tonti (Ossessione di Visconti) e così sodi Aldo (La terra trema di Visconti 0 Altrettanto valga per il sole del Messico.

La bellezza della fotografia di un ottimo operatore come Figueroa si spiega più che con il sole messicano, con il grande precedente di Lampi sul Messico dell'operatore sovietico Tissé e di Eisensterm.

Bisogna dunque dare al fattore geografico una parte assai più ristretta di quella che tenderebbe a dargli la concezione positivistica. Bisogna poi, tanto più, guardarsi dal considerare la psicologia dei popoli come frutto di questo fattore geografico e farneticare di differenze razziali. Esiste una sola ed unica razza umana, le differenze e l’ineguale sviluppo dei diversi agglomerati umani dipendono da quel complesso di fattori veramente determinanti che sono la storia, come da noi intesa,

Risarcimento

marzistà

dell’arte

309

e cioè intendendone la teoria secondo le leggi dell'evoluzione quale è stata formulata da Marx. Fuori da questa umanità comune non è che la belluinità nella sono precipitati i fascisti e i nazisti e tutti i retrogradi che per rabili interessi falsano la storia e la scienza e si degradano ad un di ferocia ignoto a tutte le bestie cosiddette feroci. È alla storia che va ricondotto il concetto geografico, ed è al

che va, in questo senso,

ricondotto il fattore spazio.

Per esempio,

sociale quale miselivello tempo se noi

contrapponiamo il senso italiano della forma figurata e il senso orientale della decorazione, diamo indubbiamente una indicazione che non è fantasiosa e arbitraria, ma che risponde ad una verità storicamente costatata. E allora dobbiamo chiederci perché l’uomo e l’individuo hanno un'importanza preponderante nella pittura e nella scultura italiana, mentre la pura e astratta decorazione ne ha tanta nell’arte orientale, ed araba in particolare, cosicché arabesco è appunto l’indicazione di particolari fregi. Forse che ciò dipende da circostanze naturali, climatiche o che so io? No certamente, o solo secondariamente (l’uso per esempio di certe foglie piuttosto che di certe altre per certi fregi): quel senso della forma è nato in circostanze storiche, assai complesse se ci si riferisce all'Italia e alla figuratività della forma italiana; ma, per gli arabi, di quel senso potentemente astrattivo si può puntualizzare. l’origine in un preciso momento, in un preciso avvenimento: la setta degli iconoclasti e il divieto di raffigurare immagini destinate al culto. È questo fatto storico che, nel volgere del tempo, ha determinato certe « congruenze » di atteggiamento mentale, certo modo di sentire, certo

gusto,

che

possono

sembrare,

dall’esterno,

un

modo

locale

di sentire.

Così la pittura italiana prende caratteri particolari nelle diverse regioni: è sicuro che sia solo l’aria della laguna che dà a Venezia quel modo di dipingere e che a Firenze siano i contrasti delle fazioni o l’aria dei colli a. dare quel modo di disegnare? È pur chiaro che se le strutture sociali cambiano, con celerità tanto

maggiore dei cambiamenti geografici, che non possono pertanto pensarsi come determinanti di essi, colla stessa celerità cambiano anche gli stili artistici. L'importanza del fattore geografico dunque, senza che essa possa essere in foto esclusa, va ridotta a termini più consentanei, e soprattutto va considerata nel suo divenire storico, ovverosia, che è poi un diverso modo di dire la stessa cosa, come una delle mediazioni attra-

verso le quali si attua il rapporto struttura-sovrastruttura.

Il film e il risarcimento marxista deil'arie

310

La storia dunque,

e perciò il fattore economico,

e solo subordina-

tamente e ridotta essa stessa al termine storia, la geografia, determinano un senso particolarmente locale della forma, un senso nazionale della

forma. Questo senso nazionale della forma è proprio dei veri artisti che, tutti,

si esprimono

in una

nazionale

forma

(anche

se per esempio, seri-

vono in una lingua straniera: Il dottor Antonio col suo modesto, generico ma forte ideale mazziniano di indipendenza nazionale, è, sebbene scritto in inglese, di forma tipicamente nazionale italiana, assai più italiana che non, poniamo,

i romanzi

di Elio Vittorini, che nascono da una

teoria e da una pratica cosmopolitica, che, di fatto, li mette, in gran parte, fuori dell’arte). La questione nazionale, contro quanto calunniosamente si è detto

del marxismo, è al centro ancora oggi dei problemi della politica comu-

nista, nella sua concretezza; ed è invece un ideale che se pure fu quello della borghesia nel periodo in cui essa era progressiva è stato precipitosamente gettato a mare dalla borghesia stessa, quando la difesa dei suoi interessi di classe, l’ha costretta, come'la costringe oggi (coi piani Marshall e i patti atlantici) a rinunciare a « una parte » della indipendenza nazionale per un interesse, cosiddetto europeo, che non è che il camuffamento di un interesse imperialistico di un solo grande paese al servizio del quale la borghesia degli altri paesi si assoggetta. La lingua e la letteratura e l’arte sono senza dubbio il principale fattore di nazionalità (esso ad esempio è più forte in Polonia che in Cecoslovacchia, perché in Polonia ci son stati più grandi poeti nazionali,

ma

che

non

la Cecoslovacchia

ha

potuto

salvarsi

ed

esistere

ancora

oggi,

finalmente oggi, come nazione, per la sua costante e continua, accanita e testarda difesa della lingua). Attraverso il potenziamento delle singole nazionalità (anche scrivendo per la prima volta delle lingue fino allora soltanto parlate, danno impulso alla loro poesia, rintracciando gli antichi epos, le antiche loro leggende) si articola e si dispiega in tutta la sua potenza valorizzatrice il grande Stato plurinazionale dell'URSS. Il intacca

menomamente,

ma

anzi

rafforza

questo

Stato

nella

sua unità. Il potenziamento delle singole nazionalità non le induce ad essere centrifughe, ma anzi all'opposto, centripete, il loro rafforzamento è rafforzamento di tutta l'Unione. Analogamente su scala internazionale, il rafforzamento delle singole nazionalità è la via più diretta per giungere all’internazionale. Non è qui il caso di soffermarsi sulla questione della lingua. Ciò che è interessante vedere è come sia stato liquidato il residuo idealistico

Risarcimento

marxista

dell’arte

311

sopravvivente in quella forma di marxismo volgarizzato e immiserito e frainteso che costituiva la base linguista della teoria di Marr: che statuiva l'appartenenza della lingua alla sovrastruttura. Si postulava con ciò automaticamente quella identità lingua-arte e estetica « come linguistica generale » (Croce) che è propria della estetica idealisti ca più recente. Chi non parla la tua lingua è un balbettante barbaro, come erano tutti gli stranieri per i greci, è un essere che non ha sostantiv i, né nomi, è un nemets (tedesco) come erano i tedeschi per gli slavi. Che cosa s'intende per forma nazionale? Che vuol dire che il realismo socialista è socialista nel contenuto e nazionale nella forma? Vuol dire che la forma nazionale è adeguata e conseguente alla realtà nazionale che descrive, la forma nazionale è la forma tipica del realismo, legata ai fatti, alle tecniche, ai miti dei popoli. Ogni grande poeta porta un contributo a questa forma nazionale, che in lui si specifica

diventando la sua propria forma.

Ma si dirà, questa forma nazionale, che non è la lingua, che cos'è? E restando nelle arti figurative: è forse l’astrazione lineare dei mistici

del

’200,

dei

gotici

tardivi

del

quattrocento,

Pisanello,

Paolo

Uccello,

è la linea irrealistica di Botticelli, il ritmo lineare di Raffaello , la linea serpentina dei manieristi e il disegno degli accademici e dei neo-classici?

O è la grande

forza individuante,

concretizzante,

discriminante,

specifi-

cante, il grande realismo di Cimabue, Giotto, Masaccio, Piero, Carpac-

cio, Giorgione, Tiziano, Caravaggio? A ben osservarle queste due grandi correnti pittoriche, che dialetticamente si oppongono nella tradizione Pittorica italiana, corrispondono alla lotta di classe delle diverse epoche. Non ci sembra dubbio che l’astrattismo della prima linea è proprio dei momenti di declino della classe egemonica, mentre il realismo della seconda corrisponde alla forza viva nazionale delle classi ascendenti.

Questo realismo è la vera grande tradizione italiana. Tanto è vero che

la pittura di Lucca, Pisa, Firenze del ’200 è simile alla pittura bizantina ed ha parentele in tutto il mondo, larghissime e persino (come è stato osservato dallo storico di esse, il Siren) con la pittura cinese; che la pittura dei ritardari del quattrocento è stata definita gotico internazionale (dove gotico, che vuol dire francese, è una invenzio ne del Courajol che ha inventato l'espressione, vuol significare in effetti « medioevale » o moyenageu) e internazionale, che noi oggi diremmo cosmopolita, indica appunto questo suo non-nazionale aspetto formale; che il manierismo, analogamente, attraverso il Primaticcio e la scuola di Fon-

-

312

Il film e il risarcimento

marxista

dell’arte

tainebleau, si trasferisce di peso in Francia da dove gira per tutto il mondo; così come sono straccamente e stucchevolmente simili in tutto il mondo l’accademismo e il neo-classicismo.

Questo che, pur con tutto il carico di verità che possiede resta tuttavia

uno

schema

(che

comporta

le

sue

zioni e che è una sinossi schematizzata

ed

ecce-

della pittura italiana),

contraddizioni

vuol

suggerire, con tutte le riserve e cautele necessarie e con non il consueto grano di sale ma con la carrettata di sale che è necessaria in questo tipo di analisi, che l’arte della classe ascendente è il realismo nazionale e che l’arte della classe in declino (che il più delle volte non è arte) è l’irrealismo cosmopolitico. Nella sua purezza il fenomeno è evidente nell’arte e nella pseudoarte di oggi (anche perché la società

borghese è nemica dello sviluppo artistico) ma si può rintracciare agevolmente a ritroso nel corso della storia, con maggiori o minori contaminazioni e contraddizioni che sarà compito urgente mettere a fuoco, con più approfonditi e specifici studi riscrivendo, da un punto di vista socialista, tutta la storia dell’arte. Dicendo nazionale si dice dunque popolare. C'è un rapporto di continuo passaggio o interazione tra la poesia d’arte e la poesia popo-

lare; è la poesia d’arte che si trasforma, popolarizzandosi, in artigianato, che perde la sua creatività diventando ripetizione di moduli, sigle, simboli, ma, nelle mani del popolo, conserva così ed eredita la ‘tecnica e generalizza il senso locale (geografico) della forma. E a quest'arte popolare che si rifanno poi gli artisti professionisti, gli intellettuali tecnici quando decade la loro forza d'ispirazione, la loro forza creativa. Questa forza creativa talvolta l’hanno proprio gli artisti popolari, dialettali, per lo più, che assurgono a grandi poeti nazionali. Quando languiva nelle strette del neoclassicismo l’arte italiana, sorse la grande poesia popolare di Porta e quella del Belli. Io ho già da tempo proposto che la terna dei poeti dell'ultimo ottocento, consacrati dalla borghesia,

Carducci,

dalla grande

terna

Pascoli,

D'Annunzio,

dei poeti popolari,

sia d’ora in avanti sostituita

Belli,

Porta,

Salvatore

di Gia-

como (o Viviani). Poeti come questi sono di un formato e di un calibro veramente internazionale, anche se non sono stati tradotti in tutte le lingue come i cosmopolitici D'Annunzio, prefascista, e Pitigrilli spia dell’Ovra. Un altro fattore che si tenne per determinante e che certo non è se non subordinatamente un fattore concorrente, diciamo così, è il fattore personalità dell'artista, la biografia, il temperamento e così via; -

Risarcimento

marxista

dell’arte

FIS

nel senso di biografia si può comprendere anche il fattore psicol

ogico, ed anche se si vuole quella psicologia del profondo come ama autodefinirsi la psicanalisi. Abbiamo già detto precedentemente che il materiale storico non nega l’importanza delle personalità, specie delle grandi personalità della storia; e pertanto non la nega, né potreb be, nell’arte. Ma, se si intende l’arte, come noi la intendiamo, cioè non come un gioco, uno spasso soggettivo, indivi duale, ma bensì come una forza, non certo la più trascurabile nel gioco delle forze della vita e della storia (che è tutt'uno) si capisce che il sorger e di un’opera d’arte nella. storia non è dovuta a un mero caso: essa ha adempiuto una particolare funzione che non si è scelta ma che era la risultante di una serie di fattori per cui

essa

diveniva

necessaria.

Essa

nasce,

come

abbiamo

visto,

in ultima analisi, dalla necessità economica. Se per ipotesi noi sopprimiamo il caso particolare del grande artista che ha realizzato quell’opera (che nasce evidentemente per caso) probabilme nte quell’opera sarebbe stata realizzata da un altro, Si pensi a quanto ha scritto Engels a questo proposito (Lettera a Starkenburg, Freville, P. 47): « Sono gli uomini che fanno la storia, ma fino ad ora l'hanno fatta non secondo la volontà collettiva

di un piano generale, nemmeno in una societ à data e ben

delimitata. I loro sforzi si contrecarrent ed è proprio perciò che regna, in ogni società di questo tipo, la necessità, compl etata ed espressa dal caso. La

necessità che si afferma qui attraverso tutti i casi è ancora,

in fin dei conti, la necessità economica. Abbordiamo ora la questione di quelli che si chiamano grandi uomini. È evide ntemente un caso che il tale grande uomo sorga, e precisamente lui, in quel momento preciso e in quel determinato paese. Ma se noi lo sopprimiamo, resta la necessità di un suo succedaneo e questo succedaneo's i troverà tant bien que mal, ma alla fine si troverà. Fu un caso che Napoleone, precisamente quel

corso, fosse stato il dittatore milita re di cui aveva bisogno la repubblica francese, esaurita dalla sua guerra ; ma in mancanza di un Napo-

leone,

un altro avrebbe

fatto che l’uomo

eseguito il suo compito,

si è trovato ogni volta che

ciò è dimostrato

è stato necessario:

dal

Cesare,

Augusto, Cromwell ecc. Se Marx ha scoper to la concezione materialistica della storia, Thierry, Mignet, Guizot, tutti gli storici inglesi prima del

1850, dimostrano che ci si tendeva e la scoper ta della stessa concez

ione da parte di Morgan è la prova che il tempo era maturo per essa e che essa doveva essere scoperta ». La situazione economica pone certi compit i, ed è ben certo che

3li

Il film

e il risarcimento

marxissa

uetll'arte

in un essere dotato in misura particolare di quella qualità umana che chiamiamo fantasia è stimolata, in essa, e portata ad esaltare quei compiti con essa; certamente se egli invece di una maggior dose di fantasia avesse una maggior dose di volontà pratica forse agirebbe diversamente, cercherebbe di risolvere certi compiti direttamente nella azione (0 se avesse, come Marx, acquistato la coscienza che altrettanto valida filosofia era l’azione politica e organizzativa, che in quel momento era l’azione più importante, avrebbe magari cessato di scrivere opere di filosofia e abbandonato quelle già scritte alla critica roditrice dei topi). Questa tesi del temperamento, a dire il vero, tende a risol. un versi in una tautologia: se è stato un grande artista è perché aveva

fortissimo temperamento

artistico, e questo spiega perché le sue sono

grandi opere d’arte. Che è una bella tautologia da affiancare a quelle che i vecchi manuali di logica esemplificavano coll’oppio che fa dormire perché possiede una virtù dormitiva, Che cosa e che genere di indagini possiamo fare su questo temperamento artistico? Dimostrare con molti esifatti, documentati dalla biografia di un artista, che il temperamento non che però sempre : interessare certamente può che ricerca steva è una la si creda di essenziale utilità, giacché l’esistenza di quel temperamento artistico è dimostrata definitivamente, inconfutabilmente e pienamente, dalle opere. Si potrà forse cercare di studiare come quel temperamento è nato e come si è rafforzato e sviluppato. Come è nato: ma abbiamo già detto che una dose di fantasia, più o meno grande, è comune a tutti gli uomini, che tutti, in maggiore o minore misura sono artisti, creatori di opere d’arte, e tutti sono in grado di gustare le opere d’arte. Se come abbiamo detto la fantasia è una energia distolta dal suo diretto e immediato fine, possiamo vedere come si sia distolta da quel fine; ed in uno sforzo di sceverare il reale dal romanzesco, dal compiacimento erotico, possiamo magari anche accettare qualche indagine sulla psicologia del profondo. Potremmo forse (ma lascio ad altri la responsabilità

‘ dell’affermarlo con più scientifica certezza di quanto io stesso non sia in grado di farlo) che la vita sia la risultante della dialettica di due opposti

princìpi eros e destruo, per adottare e seguire la immaginosa terminologia di quel bizzarro scienziato-artista che fu Freud, e che la fantasia sia un'attività distolta dal suo fine o un’attività (distruttiva?) sublimata.

Può anche darsi. Certo questa terminologia pseudoscientifica può assai facilmente indurre in equivoci e in errori. E certo noi non riusciamo gran che a intendere meglio l’opera di Dostoievski per il fatto

Risarcimento

marxista

dell’arte

315.

di aver letto in Freud, che egli odiava suo padre, che quando il vecchio ribaldo padre fu ucciso dai suoi contadini, Dostoie vski se ne sentì come

responsabile e fu preso da attacchi di « mal sacré », attacchi che scom-

parvero dopo la condanna, la tragica pagliacciata della esecuzione inter-

rotta e la Siberia. Chi spiegherebbe con il temperamento di Rossellini un film come

Roma città aperta? Tanto e così pungente realismo , tanta forza di infles-

sibile verità,

tanta

abnegazione

e spirito di sacrificio,

l'aver

visto dove

erano gli uomini più degni dell’Italia, in uno dei più degni, nel più degno e più grande momento della storia naziona le italiana, come si spiegherebbero con un carattere esitante, ipersens ibile, nervoso, contrad-

dittorio, furbo e calcolatore come quello di Rossellini? E tanta umana

pietà e carità di patria quanta se ne esprime in Paisà come si conciliano con gli episodi della sua vita, gioia e bazza dei giornali a rotocalco? Non è il meglio che si possa dire che noi abbiamo alta ammirazione per l’opera di Rossellini, da Roma città aperta fino a Germania anno zero? A spiegare la quale ci basta la conosce nza della situazione italiana ed europea, e i giornaletti a rotocalco non portano che note stridenti, discordanti, quanto mai fastidiose e inopportune.

Perché possa incontrare il favore delle moltitudini, il film dispone

di un mezzo semplice, già largamente sperime ntato dalla letteratura popolare, e che fu immediatamente impiegato dalla prima produzione cinematografica: quello di andare incontro alle aspirazioni delle grandi masse e, grosso modo, presentare i poveri come buoni e i ricchi come cattivi. Nei paesi in cui il capitalismo era più avventuroso e, di conseguenza, meno dotato di una coscienza di classe, questo tipo di film dilagò. D'altro canto non si deve neanche credere che questo tipo di film fosse veramente contrario, profondamente e sostanz ialmente contrario

agli interessi della classe

dominante,

fosse cioè una

concreta

interpreta-

sociale,

cioè

zione dei reali bisogni del popolo e l'indicazione al popolo della sola e vera via da seguire per il proprio riscatto. Era, sulle orme del romanzo popolare dal quale ‘derivava direttamente, una produzione che, dalla Tappresentazione, più o meno verace e viva della intollerabilità della

condizione

pauperale,

derivava

l’idea

di

una

pace

l’idea

utopistica e ingannevole di un possibile accordo tra le classi: quella prospettiva di un accordo tra le classi che, natural mente, tende a mantenere l'ordinamento sociale tale quale esso è costituito, tutt'al più coi correttivi che la bontà e la beneficienza di uomini, fatti migliori

È

316

Il film

marxista

e il risarcimento

dell'arte

diseredate. dalla coscienza e dalla conoscenza, potrà riversare sulle classi

risparmio, Questa morale sociale delle briciole che, senza lesina e senza poveri sui mense laute loro dalle cadere i ricchi epuloni lasceranno s, la lazzari, è la vecchissima morale del quod superest date pauperibu arrigenerosità di colmo che, Hugo, Victor di Booz morale del saggio potessero vava a raccomandare faitez tomber exprès les epis, perché raccoglierle le povere spigolatrici che seguivano i suoi carri stracarichi di granaglie. ogia Varrebbe la pena di utilizzare tutto il sarcasmo dell’Ideol e equivalent loro il contro e Bauer fratelli dei critica la tedesca contro

letterario I misteri di Parigi di Eugène Sue; e si badi, non è soltanto

Eugène

Sue, ma persino il grande Victor Hugo e il grande Zola, i cui

limiti come artisti dipendono proprio non solo da questa loro non chiara di classe,

concezione

della lotta

concezione

del realismo,

ma

dalla

loro non

chiara,

che oscilla tra il naturalismo

anzi errata,

del documento,

organidella tranche de vie, e l'ideale piccolo-borghese di una società privileil povero, il e ricco il convivere lascia che camente conciliata, giato e il diseredato, e che non sospetta nemmeno far sopravvivere l’ingiustizia ideale onesto e sinceramente

sociale. sentito,

quanto ciò significhi

E che era tuttavia, era il massimo cui,

in loro, un con le loro

forze, potevano arrivare, nella loro incomprensione profonda. È ben chiaro che un tal modo di concepire la miseria, e di proporre

in la soluzione della cosiddetta questione sociale, in definitiva si risolve sistema un in cioè o: riformism chiama si ente quello che più modernam

l’ordine che propone di risolvere gli antagonismi sociali senza toccare , riingiustizie ti appariscen più le narrie costituito, e semmai, nell’elimi solvendosi in un consolidamento di esso ordine attraverso la rassegna-

zione che prospetta per i diseredati.

- Se per il romanzo popolare della fine del secolo scorso era possibile

rafo, ammettere la buona fede degli autori, nei primi anni del cinematog tinge si o riformism questo socialiste, lotte cioè dopo cinquant'anni di espressione, come' e o tradiment del colori dei te decisamen più sempre . piuttosto cosciente che ignara, degli interessi della classe dominante che aliQuesto rifigurarsi sublime d’en bas, nel cosiddetto milieu e tipo, dal delimenterà tanta letteratura borghese dello stesso genere e parlati in scritti Carco, di romanzi ai sse Montparna de zioso Boubou

in argot, è una decisa antitesi al realismo: è una forma di evasione diseredati ai guarda si sociale: l'esotismo quello che può chiamarsi agli come ai selvaggi della Papuasia, o come ai pellirosse, proprio come

Risarcimento

marxista

dell’arte

.

317

apaches (il cui nome passa dai pellirosse d'America ai teppisti del milieu parigino, come Chateaubriand guardava ad Athala o ai selvaggi del

Mechechebè. Questo esotismo è naturalmente gratificato delle necessarie accentuazioni;

gli

uomini

non

sono

quelli

che

sono,

magari

buoni

da

una

parte e cattivi dall'altra, ma sono angeli da una parte -e demoni dall’altra. Ci fu un grande artista in Russia, Fiodor Dostoievski, che per temperamento, per misticismo, per slavofilia, era portato ad una simile

concezione « organica » della società, a una simile concezione della pace

e della giustizia sociale, portato a negare la legittimità della lotta sociale, portato a predicare l'abbraccio evangelico e la rassegnazi one; anche per lui il bene da una parte e il male dall'altra e anche per lui da una parte gli angeli, i poveri diavoli, e dall'altra i demoni, i ricchi prepotenti. Non per niente egli, che era un grande artista, si proponeva di scrivere (con Delitto e castigo) qualche cosa che assomiglia sse ai Mi-

steri di Parigi, i Misteri di Pietroburgo. Ora non c’è dubbio (si leggano

le mediocrità del Giornale di uno scrittore) che ideologic amente Dostoievski non sta molto più in su di Eugène Sue: soltanto che Dostoievski, in quanto vero artista, attinge talvolta il livello del realismo e, in quanto tale, riesce ad essere un vero artista rivoluzionario per chi sappia leggerlo. Questo tipo di letteratura ha più o meno messo in opera, scoperto o reinventato le regole eterne del « successo », cioè le regole per catturare l’attenzione del lettore, per tenerla sveglia, per dare al pubblico una serie di impressioni e di emozioni secondo una certa progressività fino alla fine del libro. Sono regole che possono dedursi anche dal romanzo di Etiopia (Gli amori di Cimodocea) del IV secolo e che si riscontrano in tutta la letteratura domenicale e popolare nelle sue

varie trasformazioni e nei suoi vari aggiornamenti. Quelle regole che,

come abbiamo visto, sono non la regolamentazione della possibile arte, ma la regolamentazione della sicura e immancabile non arte, Qui non è luogo a ripeterle. Quello che interessa sapere è che queste regole partono anzitutto dal presupposto di stimolare e di parlare alla fantasia del pubblico (cioè a quella prima parte della attività fantastica che noi chiamiamo fantasia distinguendola dall’immaginazione ). Per

quello che sappiamo della fantasia dobbiamo dire che questa fantasia è

dunque esteriorizzante, qualche cosa che fa uscire da se stesso lo spet| tatore (sono esteriorizzanti meccanici gli stupefacenti, barbiturici , oppio,

.

Il film e il risarcimento

318

morfina, da

eroina,

se stesso,

che

ecc.) qualche —

come

marxista

dell’arte

cosa che allontana da tutta la realtà e

si suol

dire



diverte,

distrae.

lo

Allora,

spettatore, distolto, divertito, distratto, esteriorizzato, entra in un mondo favoloso (perché sia favoloso basterà che sia lontano: quindi i soggetti dei romanzi e dei film popolari saranno i soggetti storici, i soggetti eso-

tici, le storie del milieu). Si tratta di passare da una immagine all'altra.

senza nessun legame, passare di meraviglia in meraviglia (Questo primo elemento di successo del film di confezione è quello che nel gergo cinematografico si chiama un soggetto « spettacolare »; che vuol dire spettacolare? che fa spettacolo, cioè addirittura, etimologicamente, che « fa vedere », fa vedere cose non viste — non importa se non esistenti).

Subordinatamente, questo fare « spettacolo » può aversi con mondi fantastici, da mille e una notte, tipo Ladro di Bagdad: questo mezzo

nel film è assai poco usato e tra i vari tentativi si può ricordare come riuscito, relativamente, il primo Ladro di Bagdad con Douglas Fairbanks, ma diremmo non tanto per la sua fantasiosità, per il tappeto volante,

piccola

bensì per un complesso di altri fattori, esotismo,

May

Wong

in « puntino » (cache-sexe);

erotismo —

lo stesso tappeto

la

vo-

lante entusiasmava un po’ per la tempestività con cui arrivava, un po' e soprattutto per l’altro motivo di stupefazione: l'ammirazione per il virtuosismo tecnico.

Una parte della sovrastruttura ha dunque il compito di esaltare nella fantasia la sua struttura stessa, un compito apologetico che sì esplica e si traduce anche nella forma di una lotta accanita contro i residui del passato, della passata struttura e della passata sovrastruttura, per il miglioramento e il rafforzamento del nuovo ordine appena

instaurato, per il miglioramento delle sue istituzioni, nonchè uomini stessi che le creano, le organizzano e le sviluppano.

degli

Tutta l’attività intellettuale è orientata in questo senso nei diversi campi e settori specifici in forme specificamente diverse; per quanto

si riferisce all'arte e agli artisti avviene che essi siano in questi loro

compiti confortati da estetiche e da filosofie dell’arte che proprio questi

compiti assegnano loro con l'autorità della teoria. Il pensiero filosofico e il pensiero estetico spiegano il modo e spiegano i fatti artistici senza difficoltà né contraddizioni irrisolvibili, perché è il mondo reale stesso

che determina e condiziona quel modo di pensare: sicché quel modo di pensare, che spesso si pone come indipendente e che non tien conto ‘delle sue lontane origini e radici, si trova ad avere la confortante conferma della realtà che lo legittima.

|

Risarcimento

marxista

dell’arte

319

Similmente l'artista può pensare di avere dalla parte sua la verità : la sua immaginazione sintetica gli offre una concezione del mondo che

ha tutta la forza della verità: egli può guardare la realtà nel suo movimento e rifletterla nelle sue opere senza paura di mancare ai suoi com+ piti,

se è cosciente di questi compiti, o senza temere di invischiarsi nelle contraddizioni delle realtà e di essere lui stesso sconsolatamente sconclusionato e contraddittorio. : La sua concezione del mondo gli fornirà la tesi dell’opera, una tesi a dimostrare la giustezza della quale tutta la realtà è a sua disposi-

zione,

cosicché

egli

non

ha, a dimostrazione della sua tesi, e a renderla persuasiva in ogni suo aspetto, ed efficac e, che da riflettere fedel-

mente questa realtà.

Sebbene la realtà sia contraddittoria, la condizione e la legge del suo movimento consiste nel superare costantemente, nella sintesi superiore, le sue antinomie. È ben vero che la realtà non può essere tutta riflessa in un’opera d’arte, me la tesi, l’idea, consentirà all'arti

sta di cogliere nei contrasti e nel movimento di essa quegli aspetti,

che, per essere tipici, la riflettono nella sua interezza.

È questo, si potrebbe dire, il segreto professionale (se non fosse spesso un processo inconscio)

per cui un’opera d’arte che pure racconta casi particolari, o descrive oggetti e cose particolari, ha sempre quel carattere di totalità che gli si è sempre attribuito ed anche da Croce. Questo carattere di totalità non potrebbe venire al caso isolato se esso non fosse tipico, cioè se esso, lungi dall’essere l’eccezione, non costitu isse la regola, non fosse tipico di una situazione, di una condizione umana. Osservazioni non nuove anzi assai di sovent e ripetute, ma che solo in una sistemazione organica dei problemi dell’arte prendono la loro effettiva importanza. Per esempio, un modo di dire la stessa cosa è dire

che l’arte non bada alle apparenze, ma coglie la vera essenza

delle cose: il fatto che l'oggetto e l’aneddoto superino se stessi li fa quasi porre sotto il segno della rivelazione di una loro misteriosa essenza, quasi sub specie aeternitatis; ma non è certo sotto questa specie che la rappresentazione artistica è valida, anche se lo sembra;la sua validità ha la durata di un dato ciclo storico e cioè è valida per quel modo di pensare che, pur essendo contingente, si pone come verità assoluta; il senso di verità che le varie filosofie tendon o quasi sempre a connettere a quello di assolutezza, genera l’idea che il succo di verità spremuto dai fatti e dalle cose raccontate e descritte, sia l'eterna essenza di esse. Perchè si ha così scarsamente la coscien za e si rilutta così tenace-

Il film e il risarcimento

329

marxista dell'arte

si attribuisce almente all'idea di questa labilità del valore artistico e il pensiero l’arte un valore eterno? Perché a quel dato ciclo storico del fatto vità soggetti te apparen della re coincide stesso è legato e questo o conferisce alartistico coll’apparente oggettività del pensiero filosofic | l’arte quella parvenza di assoluta validità.

la circoTipico nell'arte non sarà solo il personaggio, ma anche di classica one definizi la secondo agisce, stanza in cui egli si muove ed Engels. che PietranChi prende come esempio il film di Luchino Visconti, convincerà si ne, Ossessio o, realistic per o geli e Auriol hanno spacciat la trama rielabora perché tanto non affatto: è lo non esso che nte facilme suona sempre liberamente quella di un romanzo americano (Il postino

italiano; ma due volte di Cain) e la trasferisce di peso'in un ambiente perché quella trama

è legata a condizioni che né nel tempo,

né nello

per riscuospazio corrispondono alle cose d'Italia. Uccidere il marito

assai raro in Italia: è tere un premio di assicurazione, ecco un delitto o di cronaca del fattacci un ka, Tarnows della ben vero che è il delitto

scalpore e che ha IgIO, che fece ai suoi tempi e per molto tempo grande trattava di Vesi e film: un e ricavarn di interessato Visconti che pensò

era una non nezia sì, ma della Venezia degli stranieri e la protagonista e adorna di erratico rene dal russa so più se contessa o granduchessa

Un tipo di vagabondo non so più quanti altri caratteri di eccezionalità. chiamare autostop, to che viaggia a piedi, o con quello che si è convenu trovatolo ci si acvolta una e e, eccezion in Italia si può trovare per cheggiante, ma di anarchi letario sottopro un di tratta si non che corge ia del buonincontro, un borghese letterato, un Baldini in cerca dell’Ital un

Panzini

con

tanto

di lanterna

di Diogene,

o uno

studentello

intelli-

figurativa chiesetta gente e squattrinato che va cercando seoperte d’arte letario. sottopro se anche operaio, un per chiesetta: mai dal libro di PuLuchino Visconti è un uomo serio e riflessivo: esemplare esemgattino, del one l’uccisi film dovkin ha tradotto nel suo malvagità di un stupida la are dimostr per plastico, e material di pio te marito, che ha personaggio: ma quando nel suo film un innocen non con una sassata ma e uccide, grasso, essere di torto solo il semmai dànno sui nervi ultracon una doppietta, un gatto perché i suoi miagolii

one che un essensibili della moglie, egli risulta piuttosto un bonacci sere stupidamente malvagio.

massacrante la donna Quando alla fine di una giornata di lavoro e leggendo la Domenica ate spalanc amente sguaiat gambe le con mangia

Risarcimento

del corriere,

quel particolare

marxista

è un pezzo

dell’arte

321

di indubbia

realtà.

Ma

sono

questi, e qualche altro, eccellenti particolari naturalistici, in contrasto

col generale schematismo convenzionale di tutta l’opera. Questa realtà può essere bella o brutta, essa può sempre essere mostrata perchè conferma l’idea; che cosa vuol dire conferm a l’idea? Vuol dire che la tesi, l’idea, non è nell'opera enunciata, ma incarnata nei personaggi, nell'ambiente, nell'azione. La fantasia parla alla fantasia e la stimola verso l’azione, in una direzione data. Questo è il rifluire sulla struttura dell’azione della sovrastruttura. Quando si parla di arte non si può stabilire una suite di questo genere: questo aneddoto esprime l’idea; attraverso questo aneddot o l'intelligenza del pubblico percepisce questa idea e la sua giustezz a; da ora in poi guarda anche lui la realtà dal punto di vista di questa idea € agisce di conseguenza. Il processo è meno cosciente: allo stato puro (che in fondo è però un’astrazione) la fantasia parla alla fantasia, la volontà viene ad averne indicati dei compiti precisi (quasi senza la

mediazione dell’intelligenza, e talvolta però con la mediazione dell’in-

telligenza); lo spettatore è indotto a certe azioni. E allora dove va a finire il valore catartico, rasserenante delle opere d’arte? Il rasserenante contemplare? La catarsi si ha ugualmente, cioè lo spettator e, dal piano del sentimento, passa a quello della fantasia che filtra gli effetti

dell’opera d’arte fino all’intelligenza e fino alla volontà. Dove si ricon-

giungerà col sentimento, già condizionato da queste esperien ze. Come si esprime l’idea? Essa si può esprimere per simboli ritmici come nell’arte italiana del duecento, o nell'arte cinese di cui si occupa il Siren; o in quella bizantina; allora diventa una ideografia come la scrittura cinese e giapponese, diventa una calligrafia: l’idea viene

enunciata e comunicata (e naturalmente occorre un accordo, una intesa, col lettore o contemplatore). L'arte diviene così astratta e tende

alle condizioni dell’arabesco, alle condizioni della musica, tende al frammento, al chimismo lirico; è tutta distaccata dalla realtà (è cioè misticismo, o mistificazione; spiritualità o corruzione, e sarà sentito misticismo nella pittura del ‘200 e corruzione nel manierismo). Nella civiltà lineare è implicita una grande raffinatezza, la quale

finisce

col

valere

per

sé,

col

diventare,

arte

per

l’arte,

gioco,

tecni-

cismo o che so io. È l’arte della classe in declino che già si distoglie

dalla realtà. Allora la sua esaltazione dei valori della classe sta nell’'affinamento della materia preziosa (più grossolanamente oro, argento, pie-

FREIRE

III

>

Il film e il risarcimento

322 tre preziose,

ETERO

più

finemente

in

un

RTRT

marxista

raffinamento

dell'arte tecnico,

oro

su

oro,

e

simili). Qualche cosa di simile si verifica tanto nella pittura italiana del duecento, quanto nell’arte letteraria (vedi De Sanctis, vedi Olski ecc.). È la caratteristica di una età che matura ma superata corre inesora-

bilmente verso la decrepitezza. Perciò interessano le somiglianze di questo periodo col manierismo. Ma quando la classe egemonica è in declino, la classe ascendente, nella sovrastruttura non esalta i valori della struttura dell’ordine costituito. Allora si verifica che la struttura diviene fradicia e franante, le contraddizioni non vi si risolvono più nel movimento e lo sviluppo non

può più essere contenuto nelle vecchie doghe delle vecchie botti che già accennano a cedere e a schiantarsi. La classe egemonica non ha più la funzione propulsiva e progressiva, non riesce più a utilizzare e incanalare e asservire le nuove forze della produzione: le contraddizioni si moltiplicano, le ingiustizie sociali si fanno palesi, serpeggia il malcontento, la reazione, l’aperta ribellione: le vecchie ideologie non dànno

più risposte che possano accettarsi come valide, non dicono più perchè

‘i fatti si svolgano a quel modo, non indicano più i mezzi per risanare il corpo sociale ammalato; alle crisi economiche inevitabili corrispondono

sconcerti e crisi morali di ogni genere. La classe sente la sua precarietà

e parte alla difesa dei suoi interessi, che non coincidono più con quelli della maggioranza, che prendono forma e sostanza di odiosi privilegi; i migliori, i transfughi della classe si rifugiano nella classe antagonista e

ascendente esponendosi al vituperio, alla calunnia, alla lotta senza quartiere, alla vendetta della classe di origine. La sovrastruttura sente

mancarsi la terra sotto i piedi, per così dire, mentre la classe antagonistica si rafforza. È allora che la classe egemonica getta precipitosamente a mare le sue vecchie ideologie, e, per quanto concerne l’arte, si af-

fretta a proclamarne l’autonomia. Questa sedicente autonomia che viene affermata

in tutti i tempi,

dagli esteti della classe

in declino,

è la ma-

schera di un servizio di natura diverso che la classe chiede all’arte, non più l'esaltazione della classe, impossibile esaltazione di un mondo scre-

ditato, di una realtà screditata, e precisamente -quello di straniare l’attenzione del suo pubblico dalla visione della realtà: sorgono allora quei movimenti irrealistici, supercalligrafici, raffinatissimi in cui l’arte si pone come fine a se stessa, e la lotta per la sua indipendenza (la quale poi, nella sostanza, non è che un più duro e men degno servire). L’arte? Ma l’arte allora non è più arte, non è poesia, ma prosa (se

Risarcimento

marxista

dell’arte

LS

con queste parole vogliamo indicare, come vogliamo, la presenza e l’as-

senza di qualità artistiche). Il formalismo diviene imperante e l'estetica lo teorizza , lo inquadra in visioni generali del mondo. Si entra in un periodo di grave decadenza. La realtà ovunque contraddice e rivela l'insufficienza della struttura, insufficienza che diviene, caso per caso, sempre più stridente, sempre più ingiusta, sempre più disumana. Gli artisti dunque non esplicano più la loro attività nella pienezza della intesa fantasia-immaginazione. La fantasia prende, a scapito dell'immaginazione, un posto preponderante nella confezione dei prodotti, bisognerà ormai dunque dire non più artistici ma pseudoartistici; invilita la funzione dell’immaginazione e spenta, l’arte diviene mero tecnicismo (Camées è il titolo di una raccolta di versi di Gauthier che teorizzò l’arte per l’arte nella sua forma moderna; cammei, cioè difficile artigianato), vuoto virtuosismo, abilità. Questa abilità diviene ipertrofica, una vera e propria intossicazione tecnicistica avvele na i prodotti anche di coloro che sono ignari di quello che fanno e della funzione essenzialmente retriva che compiono. Sorgono

accademismi,

bizantinismi,

priva

del

freno

dell’immagi-

nazione la poesia si pone allora come fine « la meravig lia », come nella pseudopoesia del seicento italiano; e questa pseudoa rte si fa sempre più strampalata (« nel padellon del ciel dolce frittata »), sorgono momiventi

avanguardistici,

che,

fatto

sintomatico,

non

servono

che

a

mantenere ancora in vita vecchie forme di ordine sociale, cosicché sono proprio essi, gli avanguardisti, i veri passatisti. (Il valore che si suol

riconoscere

loro di « generale

indagine

scrissi altra volta per l’avanguardismo conferma di quanto sopra.) Semplificando, si può dire che la tasia e immaginazione è caratteristica monica nella sua fase di decadenza,

sola fantasia, o di sola immaginazione.

sui mezzi

tecnici », come

io

cinematografico,

non è che una : dissociazione della sintesi di fandelle condizioni della classe egele opere sono allora o frutto di

Si ha da una parte un vuoto tecnicismo, dall'altra un naturalismo pessimistico, una costante insistenza sui temi della disperazione, della

morte, della inutilità del tutto. I due aspetti si equivalgono, cosicché

molto spesso si è sentito dire da spiriti amanti del paradosso che Visconti è formalista, ad esempio. Le due tendenze in sostanza sono la tendenza

alla

evasione (escapismo)

senso per lo più pessimistico.

e

la

distorsione

della

realtà,

in

e

film

Il

324

il risarcimento

marxista

dell’arte

soNaturalmente gli intellettuali il più delle volte non sanno né si classe della e subaltern funzioni le per commessi i essere di gnano affatto della egemonica. Perché funzioni subalterne? Perché a questo stadio antistoun’azione esercita ttura sovrastru dente struttura, la corrispon

è rica, tenta di impedire, per dire così, il fatale andare delle cose; stuun'azione to soprattut e anche un'azione moralmente ignobile, ma pida perché vana. È però subalterna rispetto ad altre forme di azione, che non appartengono alle attività sovrastrutturali e intellettuali. spesso Questo mancare della coscienza di ciò che fa spiega perché

strano l'intellettuale viene raffigurato come un essere fuori del mondo,

che la e distratto, incapace nelle cose del mondo. È un personaggio dal letteratura stessa ha ritratto, dalla più alta alla più popolare, », barbone « col colloquio in già Faust a chiede « pedante Wagner » che ma al povero « albatros » baudelairiano che sa volare a grandi altezze che

appare

ridicolo,

costretto a incerti passi sulla tolda della nave,

allo

di scienziato Paganel, che, per distrazione, studia una lingua invece nuvole. un’altra. Tutti troppo in alto, tutti tra le D'altro canto nel periodo di declino della classe egemonica, la egemoclasse antagonistica che nasce alla storia e lotta per la propria nia

è immediatamente

portata

a rivolgersi

alla realtà;

in essa

del nuovo ordine si affiancano agli artisti i quali ormai si nuovo alla realtà perché tutto ciò che di negativo appare alla causa. Sorge così il realismo critico. ‘Per realismo critico si dovrà dunque intendere quella (ormai già vera arte e non più pseudoarte) che è propria nascente. Perché questa è arte e quella no? Perché questa segno della sintesi di fantasia e di immaginazione, mentre conato

rimasto

a metà,

è solo

i teorici

rivolgono di in essa serve forma d'arte della società nasce sotto il quella è un

fantasia.

passaggio Quando la classe ascendente è giunta al potere si ha il che può realismo quel a o court, tout realismo al critico dal realismo

celebra, qualificarsi dal nome della classe giunta all’egemonia e che esso

e si dirà dunque realismo borghese e realismo socialista. LS processo A questo punto è necessario mettere in chiaro che questo e situazion una ad legato è ma eterno è dell'evoluzione artistica non mondo tradel parte gran una in già e te transeun a anch'ess storica, in classi. montata: è legato infatti all'esistenza di una società divisa si è già essa quale classi, in divisa società della L'eliminazione

avuta nell’URSS,

determina una serie di trasformazioni della società

in genere che influiscono non solo sulle singole opere d’arte, ma anche

Risarcimento

marxista

dell’arte

325

sul modo della creazione artistica. In genere l'instaurazione e la

progressiva edificazione di una società socialista compo rtano importanti e radi-

cali cambiamenti nell'attività umana, di cui il più importante è «la sostituzione del processo spontaneo con un processo cosciente di edificazione della struttura ». La sovrastruttura viene ad assumere compiti nuovi. L'artista e l’intellettuale della società socialista da commesso,

o meno

ignaro,

per le funzioni subalterne

più

diviene un lavoratore e un

cosciente creatore che collabora alla edificazione di una società e di una umanit miglio

re. à Ciò vuol dire che nella produzione artistica dell’epoca del socialismo cade la contraddizione così frequente nell’arte precedente tra contenuto esterno e contenuto profondo. Ed è per questo che spesso le opere dell’arte sovietica sono considerate « bassamente propagandistiche » e gli artisti « impegnati » e così via. Ma questi artisti sono veramente e liberamente dei costruttori, per loro elezione, mentre quelli oc-

cidentali sono ingaggiati « senza saperlo ».

Forse che la società socialista, fin dalle sue prime fasi elimina di colpo ogni suo contrasto ed ogni contraddizio ne interna? No di certo. Ciò significherebbe che la società socialista arresta il fatale andare della storia mentre al contrario essa lo accelera prodig iosamente. Proprio dalla costatazione che la società socialista non ha arrest ato il corso della storia né fatto svanire la dialettica Zdanov ha preso l'avvio nel suo memorabile intervento alla riunione dei filosofi sovieti ci a proposito della Sforia della filosofia di Aleksandrov: « La nostra filosofia sovietica ci deve mostrare come agisce la dialettica nelle condiz ioni della società socialista. Ecco un campo di ricerche che non è stato ancora arato da nessun filosofo. E tuttavia è già da molto tempo che il nostro partito ha trovato e messo a servizio del socialismo la forma partic olare per la scoperta e per il superamento delle contraddizioni nella società socialista. Questa forma

particolare

di

lotta

tra il vecchio

e il nuovo,

tra ciò che

muore e ‘ciò

che nasce nella società sovietica, si chiama critica e autocritica. Nella so-

cietà socialista la lotta tra l'antico e il nuovo

e, di conseguenza,

l’evolu

zione da uno stadio inferiore a uno stadio superi ore non si produce sotto la forma di lotta di classi antagonistiche e non produce cataclismi come nei paesi capitalistici, ma sotto forma di critica e di autocritica. Critica ed autocritica sono la vera forza motrice della società sovietica ». Queste parole di Zdanov ci aiutano a comprender e come gli artisti ‘ sovietici possono superare le contraddizioni contenuto-forma, contenuto esterno-contenuto profondo, mediante cioè l’autocoscienza dei propri

Il film e il risarcimento dinriito dell'arte

altissimi compiti, attraverso la critica e l’autocritica. Autocoscienza che viene loro dal generale ordinamento del loro paese socialista dove la.

elimi- | sovrastruttura ha compiti nuovi, quale quelli di coscientemente DU produdi rapporti e ne produzio della forze nare le contraddizioni tra i sovrazione, cioè di eliminare la miseria e l'ingiustizia sociale, dove la

sensu, struttura ‘non è più ristretta nelle mani degli intellettuali strictu

nel senso teorico della parola, perchè tutto il popolo vi partecipa, ogni

ad uomo, un uomo nuovo, più umano e « completo », dove già si tende cp manuale. lavoro e ale intellettu eliminare le differenze tra lavoro

Pudovkin

e la teoria cinematografica

Sotto questo titolo pubblichiamo due dei primi scritti in cui l’autore sinteticamente espone i capisaldi dell'estetica cinemato grafica cui si è fermamente attenuto nelle sue elaborazioni successive, natural mente di volta in volta advguandola all’approfondimento del proprio pensiero critico e allo sviluppo dei mezzi di espressione tipici del cinematografo. Il primo è la prefazione alla prima edizione del Soggetto cinematografico (contenente i due primi saggi di Film e Fonofilm). di Pudovkin (1932) riportata integralmente nella seconda (Edizioni d'Italia,

Roma,

1935)

ed anche nella terza edizione

di Film e fonofilm. Il secondo è la recensione, zo aprile 1935, allo stesso Film e fonofilm.

L'attore Pubblicato

in

Bianco

in Bianco

e nero,

e nero,

e nero,

Roma,

1950)

sull'Italia letteraria del

cinematografico anno

L'attore Pubblicato

(Bianco

apparsa

1937,

N.

5.

n.

3.

creatore

anno

Soggetto

I,

II,

1938,

e. sceneggiatura

È il testo su cui si sono formate diverse generazioni di autori e di

critici cinematografici. Apparso per la prima volta (col titolo: Film: soggetto e sceneggiatura) in un numero speciale di Bianco e nero (anno III, n. 7) è stato subito dopo pubblicato in volume. Nel 1947 ha visto la luce la terza ristampa, ormai anch'essa esaurita, per le Edizioni dell'Ateneo, Roma. Se ne riporta qui il testo

quale

risulta

appunto

dalla

terza

edizione,

sostanzialmente

conforme

alla seconda, mentre rispetto alla prima, presenta l'aggiunta dei primi pitoli (che erano stati oggetto di saggi separati). Alla terza edizione, aveva premesso una prefazione che riteniamo utile trascrivere qui di « Un libro come questo, che non è in sostanza che un corso di lezioni

anni

or

sono,

al Centro

sperimentale

parsi senza un'accurata revisione:

ma

di

cinematografia,

un'accurata

non

dovrebbe

tre cal’autore seguito: tenute, ristam-

revisione vorrebbe dire una

330 stesura del tutto nuova: che eliminasse le sproporzioni, le ripetizioni e le affermazioni e valutazioni troppo perentorie e date spesso senza il sussidio delle necessarie

referenze

teoriche.

Stesura

vorrebbe

nuova

dire

ancora

ripensamento

di tutta la materia e di tutti i problemi trattati, e, se non variazione o addirittura rovesciamento di qualche posizione, accettazione diversa, Vorrebbe dire, insomma, lavoro enorme: un lavoro che forse può rivolgersi più utilmente ad altri fini. Lascio dunque così come è detto e come è apparso per la prima volta, limitandomi a qualche lieve correzione di forma; colla speranza che coloro cui può interessare vogliano seguire quanto, sugli argomenti trattati, ho scritto posteriormente e vado tuttavia scrivendo ».

Il problema Pubblicato

in Bianco

della prosa cinematografica

e nero,

anno

VI,

1942, n. 8

Ancora della terza fase ovverosia dell’arte del film Quest'articolo è apparso, (nuova serie), 1947, n. I.

per la prima

volta,

in Bianco

e nero,

anno

da

Il verosimile filmico e poi ristampata in Poesia del film,

Recensione apparsa nell’Unità di Roma > Roma, 1955.

Il cinema di fronte alla realtà Pubblicato e poi

ristampato

nella Rivista in Poesia

del cinema del

film,

italiano,

Roma,

anno

II, n. 6, giugno

1953,

1955.

La poesia del film ossia la parte dell’immaginazione Questo breve ma denso scritto di estetica è apparso, col titolo La vacca, la tenda e il tendone, sull'Unità di Roma del 13 aprile 1954. Lo pubblichiamo. col nuovo titolo che lo stesso autore ha ritenuto di dargli riportandolo in Poesia del film, Roma, 1955.

331

Risarcimento

marxista

dell’arte

Del trattato che l’autore aveva concepito da vari anni e intorno al quale stava lavorando, quando il male inesorabile lo ha stroncato, presentiamo solo la parte dedicata all'esposizione di una teoria generale dell’arte, per la sux

forma

meno

provvisoria

e lacunosa.

Il testo

doveva

articolarsi,

come

risulta

.'a

alcuni appunti dell'autore, in una prefazione e undici o dodici capitoli; gli ultimi avrebbero dovuto affrontare i problemi specifici del film. Ne sono rimasti schemi, abbozzi, scalette ricchi senza dubbio di intuizione e spunti acuti e originali, ma la frammentarietà (e talora l’occasionalità) del materiale, che sarebbe risultato spesso indecifrabile per il lettore, ne hanno sconsigliato la pubblicazione. L'autore avrebbe forse riesaminato e riveduto alcuni punti della stessa parte generale qui pubblicata rigorosamente nella stesura datane la Barbaro, e noi la presentiamo come documento di una ricerca in atto con tutte le caratteristiche connesse a un testo di tal natura.

Achard

Marcel,

161.

Agiaev Nikolai Nikolaievic, 226. Agrippa Marco Vispanio, Aldo G.R., 308. Aleksandrov F., 325.

265.

Alessandro il Macedone, 179. Alexandrov Grigori, 30, 157, 224.

158,

Alighieri Dante, 68, 133. Altman Georges, 106. Alvaro Corrado, 252. Amar,

87. 52.

Antonello

269,

da

Messina,

Antonioni M., Appia Adolfo, Aquilio, 185.

XXII. 51.

Aragon Louis,

83, 223.

Arata Ariosto

V.,

Giacomo,

Barbaro

Daniele,

Barnet

Gustavo,

281.

265.

308. 4o.

213.

Attenloh Emil, 277. Augusto Cesare Ottaviano, 313. Auriol George, 234, 242, 253-255, 320.

Henri, Boris,

232.

99.

Barthelemy Sainte, 93. Baudelaire Pierre Charles, 128,

Ludovico,

263.

Crivelli

Barbusse 270.

Aristarco Guido, 214, 216, 217, 256, 258, 260 n. Aristotele, 49, 60, 206, 208-210. Arkipenko, 16, 72. Arnheim Rudolf, XIV, XVI, XVII, XXI, 8, 28, 58, n., 62, 72, 73, 76, 98, 120, 137, 158, 187, 188, 225, 230, 277. Artsybascev Michail, 155. Artuffo,

Balla

Balsamo

Barbaro Umberto, VII-XX, XXIII, 6, 19 N., 25 n., 27 n., 34 n., 58 n., 84.n., 103, -117 n.; 156, 158 n., 254, 258 n., 277 n.

159.

Andrea del Castagno, Angiolini Alessandro,

Baczinski, 102. Balàzs Béla, XIV, XVI, XIX, 8, 37-39. 77. 82, 88, 96, 97, 108, 123, 131, 138, 142, 147, 148, I5I, I6I, 185, 233, 234, 243, 260. Baldini Baldo, 320.

61,

281.

Bauer fratelli, 316. Beato Angelico (Giovanni da le) fra, 70, 87, 193, 194. Beethoven Ludwig van, 58. Bell Marie, 136. Belli

Gioacchino,

Louis

Fieso-

312,

Bellori, 69. Berenson Bernard, Berlioz

Dai

6r,

Hector,

288, 16.

Bernhardt Sarah, 262. Bertini Francesca, 79, 89. Bettinelli. padre; 281.

Bielinski

Vissarion,

Bjòrnson

Bjornstjerne,

Blasetti

Alessandro,

II7,

143,

145,

218.

146,

262.

XI,

26,

48,

336 Bloch Joseph, 292. Boccioni Umberto, Bodmer, 306. Boeklin Arnold, Boileau Nicolas

Augusto, 48, 51. 17.

208.

48.

262.

Botticelli

Sandro,

311.

Bouguerrau, 287. Boyer Charles, 226. Bracco Roberto, 89. Bragaglia Anton Giulio, 51,

Carpaccio Vittore, Carrà Carlo, 70.

83.

221. Despréaux,

Bon Francesco Bonazzi Luigi, Bonelli Luigi, Boter,

30,

52,

157,

223,

Brandi

Cesare,

Breton

André,

XI,

19,

263.

251,

252.

109.

Breuil Henri, 265 n. Brickmann, 288. Brizard Jean Baptiste,

48.

Bruegel Pieter (il vecchio), 128. Bruggen

Ter,

134.

Bruievic Bonc, 262 n. Brunamonti, 69. Bruno Giordano, 31, Buchanan

Bucharin Bunuel

Andrew,

71,

Burckhardt

285.

Cain

James,

Camerini

75,

291.

120,

121,

Carlo, 134.

141.

Ricciotto,

“XXII,

181,

286,

292,

316.

3II.

Carducci Giosuè,

67, 312.

69,

311.

306.

306.

Cartilhac Emil, 265 n. Caruso Enrico, 24. Caserini Mario, 142. Castellino, 280. Castelvetro Ludovico, 208. Catelain Jacques, 26. Cavalcanselle, 288. Cavalcanti Alberto, 84, 132. Cecchi Emilio, X, XIV, XXI, 61, 157, 251, 252. Cecov Anton, 13. Gavrilovie, Cernyscevski Nikolai IOI, 214, 285, 294. ., Cesare Caio Giulio, 313. Cézanne Paul, 286, 287, 292, 304. Chamberlain, 282. E Chaplin Charlie, VII, 4, 9, 96, III, 123, 129, 156, 180, 182, 184, 185, 214, 220, 223, 252. de Francois René, Chateaubriand 121, 223, 317. j

145, 146, 172.

Chénier André, 60, 292. Chesterston Gilbert Keith, 194. Chiarini Giuseppe, 68. Chiarini Luigi, XXIII, 7, 28, 76 u., 117 n., 162, 208, 216, 217, 224, 255.

256,

270

n.,

275

Christie Agata,

160.

da,

XIV,

230,

Dn.

Chiodo Antonio, 272 N. Chomette Henri, 154.

102.

Cicerone Marco Tullio, 185. Cimabue Giovanni, 311. Clair René, 100, 114, 129, 132,

31, 69, 87, 146, 221,

Carco,

253.

213.

Capra Frank, 114, 1SI. Capuana Luigi, 89. Caravaggio Michelangelo

Ludovico,

227-237,

320.

Mario,

Campogalliani Cantalamessa, Canudo

XII, 7, 58.

306.

I.,

famiglia,

Carracci

Chenal Pierre,

115.

Buonarroti Michelangelo, 63-65,

206.

119.

Nikolai, Luis,

199,

Carracci

XIV,

Clasio, 157. Cocteau Jean, 198, 242. Cohl Emile, 156. Coleridge Samuel Tailor,

Collina,

153;

#

71.

207.

3

337. Comin Iacopo, 7. Consiglio Alberto, 71 n., 185. Corot Jean Baptiste Camille, 60. Courajol, 311. Couture,

Craig Croce

Dohrn

59 n., 60,

63, 64,

XXI,

65 n.,

Cud

Ciapek,

291,

72,

252, 311,

42,

74. 89, 233. 306, 312.

252,

253,

Giovanni

Della Volpe Galvano, 270 n. Delluc Louis, 79. De

Mino,

Dossena,

262,

Lollis Cesare,

50,

Battista,

VII,

144, 281,

61,

121,

Dickens

Charles,

Diderot

Denis,

214. 48,

118.

64.

179.

1Izo. Fiodor,

XXII,

102,

Carl Theodore, 120, 147, 242.

Karl

Eugen,

Alexandre

XXII,

Ewald

125,

284.

fils,

sr.

André,

Eleonora,

20,

130,

42,

Duvivier Julien, 96, Dvorak Ann, 39. Dvorak

Edison

Max,

197,

Thomas

Eisenstein

51,

107,

132,

262.

128,

261.

Michailovic,

26, 37, 93, 117,

138, 149, 158, 160, 214, 224, 242, 244, 252, 300, 308. Engel G.G., 52. 265.

281.

151.

288.

Alva,

Serghei

XVI, XVIII,

201,

317.

145, 158, 159.

Duse

205-210;

Del Rio Dolores, r4r. Deltheil, 83. De Marchi Emilio, 102, EI3: De Roberto Federico, 89. | De Sanctis Francesco, 207, 218, 322. De Santis Giuseppe, 226, 308. De Sica Vittorio, XXII, 243. Diamant-Berger Henri, 135.

312.

68.

315.

Dumas Dupont

D'Arcy Roy, riz. David Jacques Louis, 292. De Broglie Louis, 274. Debussy Achille Claude, 16. De Chirico Giorgio, 221. Decourcelle Pierre, 180. Delannoy Jean, 103 n. Porta

Doro

Diihring

65,

63,

Luciano,

Dreyer 128,

151.

Dagobert, 288. ‘D'Amico Silvio, 50, 60 n., 73. Danieleda Volterra, 306. D'Annunzio Gabriele, 16, 58,

Della

Doria

314,

313.

222.

George,

80,

223.

Gustavo,

Dostoievski Oliver,

226.

Salvatore,

Wolf,

Doré

73: 205, 209, 215, 216, 218, 256, 280-282, 284, 285, 300, 319. Cromwell

Marlene,

Giacomo

Disney Walt, 156, 157. Dobroliubov Nikolai, 218.

287.

Gordon, si. Benedetto, XVI-XVIII,

48-50,

Cukor

Dietrich Di

XIV,

128,

236,

Engels Friedrich, 206, 284, 292, 293, 301, 303, 313, 320. Epstein Jean, 132, 153. Erasmo da Rotterdam, 199. Erenburg Ilia, 106. Eschilo, 118. Esopo, 157. Euclide,

Eyck

206,

van Jan,

269,

270.

302, Fairbanks Douglas, 318. Faistauer Anton, 122.

Faulkner William, Fejos Paul, 132. Fermi Enrico, 274. Ferretti Gino, 64.

113.

338 Feuerbach Feyder

Ludwig,

Jacques,

Giotto di Bondone, XVII, 66, 70, 37,

300.

264,

132.

Fiedler Konrad, 62,288. Figueroa Gàbriel, 308. Filippino Aldo vedi Philipson Fiocco, 2S5I. Firpo L., 276. Flaubert Gustave, 40, 106. Fleischinger Max, 50. Flora Francesco, 280. Ford John, 30, 39. Fornari

Antonio,

265

Aldo.

33,

241,

88,

106,

I2I,

285.

Gogol Nikolai Vasilievic, 133. Gorki Maksim, 15. Gramsci Antonio, 200, 207, 276, 282,

106,

125,

63,

266,

285, Grassi Grasso

290, 299. Bonaventura, X. Giovanni, 141.

Greco El (Domenico Teotocopulo), 87. Green Julien, 39. Gregor Joseph, 262 n. Grierson John, 235. Griffith David Wark, 3, 8, 34. 90, 99, IOI, IIO, 147. Grillpartzer

42.

123.

Wolfang, 42,

223,

Grimaldi, Grimm, Groll

79.

Garrick David, 67. Gattinelli Gaetano, 48. Gauthier Teophil, 323. Gay John, rti n. Genina Augusto, 308. Gentile Giovanni, 72, 215, 216,

Franz,

94.

221. 303.

Gunther,

63,

106.

. Grosz Georg, 5. Guazzoni Enrico, 89. Guerrazzi Francesco Domenico, 4I, 232. Guido da Pisa frate, 73. Guizot Frangois Pierre, 283, 313.

107.

Greta,

88.

Giuliano da Rimini, 66. Giuliano de’ Medici, 58. Giusti Arnaldo, 32 n.

Goethe

Gaeta Francesco, 281. Galiani abate, 74. Galilei Galileo, 206. Gance Abel, 132. Gantillon,

3II.

Gobetti Piero, 72. Goddard Paulette,

n.

Franceschi Enrico L., 48. Francia (Francesco Raibolini), 64.

Garbo

306,

Gluck Christoph Willibald, 202.

Forzano Gioachino, 145. Fosco Piero, 89, 142. Foscolo Ugo, 68, 69.

Frankl P., 288. Freud Sigmund, 65, 314, 315. Freville, 303, 313. Frey Willy, 288. Fric Mac, II5. Frizzoni, 288.

29I,

Giovannetti E., 76. Giovanni da San Giovanni,

Handel George Frederick, 50. 256,

282.

Gherasimov Serghei, 233. Gide André, 37, 39, 222. Gigli Beniamino, 39. Giolitti Giovanni, 42.

| Giorgione Il (Giorgio Barbarelli), 311.

Hanslick Eduard, 59 n., 62. Harlow Jean, 79. Hauptmann Karl, 262. Hebbel

Friedrich,

Hegel Friedrich, 284. Hemman, 262.

60,

60,

93.

206,

281,

282.

339

Lessing Gotthold Ephraim,

Hesperia, 147. Hildebrandt, 62, 288. Hitler Adolf, 235. Hoffmanstah]

Hugo

Honegger Arthur, Hugo Victor, 316. Iacobini Maria, Iakovlev, 296. Ibsen

Henril:,

von,

18,

106.

84.

5.

Levi, 280. L'Herbier Marcel, Lion, 71. Liuzzi,

62.

Locke

John,

Lombardi

190.

Ioni I.F., 68. Iusupof, 39. Al,

145.

Luciano,

Henry,

XXII,

206.

Lutero

Kuliesciov

6,

Fontaine

Lev,

265.

II_Y,

n.,

n.,

213,

261,

262,

158

Martin,

207. 196, 228, 59.

Mamoulian Rouben, 113, 143, Manaras Aeos, 131, 132 n. Manet Edouard, 286.

:

Jean

7, de,

27,

220.

Manetti Roberto, 25. Mann Thomas, 102. Manzoni Alessandro, XXII,

157.

Lallemand M., 262. Lambert C., 158 n. Lanson Gustave, 283. Nikolai,

104,

76 n., 97,

293,

296,

298,

Leonardo da Vinci, 96, 184, 214. Leopardi Giacomo, 68, 98, 214.

300.

XII,

7, 71,

108,

Marangoni

276.

° Le Clerc Giovanni, 71, Léger Fernand, 155, 156. Le Nain, 70. Lenin Vladimir Ilic, 207, 241, 262 n., 284,

112,

Machaty Gustav, 28. Maggi R., 80. Maiakovski Vladimir, XI. Malenkov Gheorghi, 206. Malipiero G. Francesco, 161.

rio.

padre,

Lebedev

105,

265.

Luk4cs Gyòrgy, Lumière fratelli, 273, 277.

18 n., sr. 20.

Kirker Atanasio Kortwitz, 95 n, Kropotkin, 201.

La

39,

285.

3 Kergentsev P.M., Kiesler Friedrich, King

Ernst,

Luciani S.A., 16 263 n., 277.

Kant Immanuel, 186, Kautsky Minna, 206. Kedrov,

48.

121.

Jouhandeau, 188. Jouvet Louis, 136. Joyce James, 4.

_

2091.

Francesco,

Lubitsch Jolson

39.

Longhi Roberto, XIII, XIV, XVII, 68, 70, 7I n., QI n., 134, 251, 281. Longo, 162. Loria Achille, 286. Lorrain Claude, 88,

118.

Invernizio Carolina,

57-59,

206.

82,

Marat

42,

65,

I2I,

Matteo,

Jean

Paul,

243,

94,

103,

28I,

296.

62, 63. 292.

Marées Hans von, 62, 288. Marey

Etienne

Margadonna

Jules,

Ettore,

273.

76.

Margrave Seton, 97, roI, 160. . Marinetti 146,

XXII,

113,

159.

Marr,

Emilio,

16,

17,

20,

281. 311.

Marstan

William

U.,

104

n.

s1,

340 Martini

Martoglio

Simone,

66,

Nino,

89.

87,

Negri

306.

Marx Karl, 276, 284, 290, 292, 296, 309. 313, 314. Masaccio (Tommaso Guidi), 70, 87,

193; 3II. Masolino da

Panicale,

277,

19-21,

Gustavo,

Mogiuschin, Monelli

48,

Paolo,

5I.

24. 286,

287.

Luigi,

51,

322.

O’Neill Eugene,

304.

Flacco,

Ortega

y Gasset, Fiodor,

288. 19.

5,

155,

G.W.,5,

33,

160, 88,

223. Ioo,

I06,

26,

292,

Francesco,

Petraccone,

293,

313. i

251,

263

n.

Patrizi, 288. Pavlov Ivan, 267, 300. Pavlova Tatiana, 48. Pavolini Corrado, 68; 7I n., 234. | Peirce Guglielmo, 286. Pezzana

58,

160, 224.

29.

Nikolai,

Pasinetti 265 n.

Muni Paul, 39. Murnau F.W. pseud. di Pumpe, 132, 135, 18I, 254. 13,

131,

Orazio

Ozep

n.

Parrasio, 241, 242. Parzanese Pietro Paolo, 281. Pascoli Giovanni, 281, 3II.

Moravia Alberto, 251, 253. Morelli, 288. Morgan, 313. Morrocchesi Antonio, 48.

Napoleone I, Neera, 281.

23 n., 131.

Paolucci, 308. Parente, 280.

Montale Eugenio, 281. Montani A., 266 n. Monti Vincenzo, 68. Morand Paul, 39, 102. Morandi

51.

193.

III N., 114, II17, 132, 134, 135. Paganel, 324. Pallavèra Franco vedi Soldati Mario. Palmieri E.F., 180. Panzini Alfredo, 320. Paolo Uccello, 70, 311.

6.

Claude,

san,

Nicoll Allardyce,

Pabst

89.

Modena

Filippo

Ostrovski

241.

Misasi,

Monet

262,

112, 151.

Meyerbeer Giacomo, 59. Meyerhold Vsevolod, 16, 17, 5I, 223. Mignet Francois, 283, 313. Mirone,

Neri

Olski,

228, .

Adolphe,

103.

Occhini Barna, 65, 125. Oertell Rudolf, 264 n., 266 Oklopkov Nikolai, 19, 223. Olivier Laurence, 215.

278.

Menjou

39,

Nielsen Asta, 38, 39, 82, 262. Nietzsche Friedrich, 30I, 302. Noverre Jean Georges, 52.

70.

Mastriani, 89. Mauduit-Larive Jean, 48. May Joe, 144. May .Renato, 179. Mayer Karl, 181. Mayo Archie, 163. Meissonier, 287, 304. Méliès Georges, 83, 196,

Pola,

Negroni Baldassarre, 147. Nemirovic-Dancenko Vasili,

Philipson Piero

69.

Giacinta,

della

Aldo,

89.

193,

Francesca,

194, 70,

195. 87;

311.

341 Pietranera G., 266 n. Pietrangeli Antonio, 320. Pinder, 288. Piotrovski Pirandello

A.,

Rasori, Ravel

18,

130,

x58:

Pisanello Il (Antonio Pisano), Pissaro

Camille,

i73.

311.

287.

206,

Plechanov

Renoir

200,

Gheorghi,

282,

284,

293. Plinio il vecchio, 241. Plotino, 206. Poe Edgar Allan, 241, 281. Politzer, 290. Pomarancio (C. Roncalli), 88. Porta Carlo, 312. Portalupi Pietro, 226, 308. | Porter

Edwin,

Posevino, Poussin

G.,

Primaticcio

XVIII-XX,

N.,

19,

20,

115,

II6,

181-183,

220,

223,

225,

27,

127,

186, 256,

300, 320. Purviance Edna, 112. Pytiev, XX, 195.

Ragghianti 216,

280.

226,

Carlo 256,

142.

Riefensthal

Ristori

Leni,

235.

Gennaro,

179.

48.

Adelaide,

Roberts

48.

Stephen,

115.

Robinson

Casey,

163.

Robinson

Edward,

39,

146.

Ruttmann

92. b..i--XEXIO; 32,

35,

1-9, 36,

48,

137,

155,

187,

158,

206,

207,

257,

Ludovico, 262

n.,

Walter,

234, 308. Ruysdael Jacob,

311.

XXII,

260

43. 208.

Romains Jules, gi. Rossellini Roberto, XXII, Rubens Pier Paolo, 233. Rubino, 157.

52, 60 n., 74, 90, 9I, 93, 97, 98, TIO, 160,

287.

Righi Benvenuto,

280.

Francesco,

Protazanov L.A., s. Proust Marcel, 4, 83, Pudovkin Vsevolod

XVI,

229,

Righelli

88.

72,

221,

Renzi Renzo, VII. Reynaud Emile, 262. Riccio Attilio, 234, 255. Riccoboni Luigi, 48. Richter Hans, 3, 78, 128, Riegel Alois, 288. Rieti Vittorio, 162.

304.

Prezzolini

186. Auguste,

Robertello Francesco, Rognoni L., 59 n.

Praga Marco, 42, 51. Prampolini Enrico, 21, 51, Preville, 48.

15

285,

196.

Nicolas,

Réjane Gabrielle, 262. Rembrandt, 31, 70.

Rénault,

Pitkin Walter B., 104 n. Pitigrilli, 312. Pizzetti Ildebrando, 262. Pizzirani Gigi, 4r. Planck Max, 274. Platone,

16.

Rehlinger Bruno, 63, 97, 118. Reinhardt Max, 17, 18, 20.

21.

Luigi,

52. Maurice,

n,,

21, 60, 268-270,

30,

97,

233,

3I5.

127,

128,

68.

Saba Umberto, 281. Sachlickeit, 4. Saint-Saéns Charles Camille, Salacrou Armand, 172. Sampieri G.V., 156. Sangallo Antonio da, 71. Sanzio 306,

Raffaello, 3II.

Saraceni

Carlo,

Sartorio,

304.

57,

609,

262.

134,

270,

71.

Savinio Alberto, 99. Schelof Schowns, 262. Schiller Johann Chistoph von,

223.

342

Schénberg

Arnold,

Schubert

Franz,

Schiifftan

Matilde,

3II,

89. 15,

31,

51»

261.

Solari

19,

102.

20,

Soupault, 83. Spengler, 282. Spoerri Th., 62, 288. Spottiswoode Raymond

20,

62,

137,

Starkenburg Steen

52.

Barbara,

Ian,

151.

Hainz,

(pittore),

Stengel

Christian,

135,

66.

172.

89, 97,

I50.

Luigi.

Mauritz,

Strauss Richard, Stroheim

Erich

Sue Eugene,

33.

von,

3II.

Giuseppe,

83,

281.

Diego,

Adolfo,

126,

112.

70, 306.

70. 287,

Orio,

19,

Andrea

Dziga,

39,

280.

102.

del, 81,

71.

232,

234,

235.

254. : Vestri Luigi, 48. Vettori, 208. Viazzi Glauco, 258. ‘. Vico Giambattista, 206. Vidor King, 113, 158. Visconti Luchino, XXII, 233.

236,

308, 320, 323.

16.

316, 317.

61,

Venturi Lionello, 61-63, Ver Meer Jan, 148. Verdinois, 89, 281. Veretti Antonio, 162. Verga Giovanni, 89. Vergani

Sternberg Vasili Cetov vedi Bonelli Stiller

Venturi

Vertov

Sternberg Joseph von,

: 187.

308. 68, 281.

‘ Verrocchio

293.

201.

Stefano

Vecellio,

Velasquez

J.,

193.

48,

SI.

34. n.,.137,

Vachtangov E.B., 51. Valéry Paul, 37, 183. Vanline Maurice, 163. Vasari Giorgio, XVII, 66, Vassiliev G. e S., 243.

Stalin I.V., 275 n., 286, 293. 294 D., 307. i Stanislavski Konstantin, XVI, 1317,

20,

308,

Tissé Eduard, 308. Timoscenko Semion,

Ungaretti

Solaroli Libero, 236. Soldati. Mario, 251, 252.

Stanwyck

284. 17,

43.

Massimo,

Tonti Aldo, Torrefranca, Turri, 69.

103.

287. fratelli,

187,

Robert,

Tiziano

17.

Sisley Alfred, Skladanowski

‘ 140,

283, 16,

Thierry Amédée, 283, 313. Thomas M., 262. Tibor, 157.

32I.

Pietro,

Alexandr,

Terzano

268.

267,

William, 283.

Georges,

Siren,

Hippolyte,

Taylor

135.

Shaw George Bernard, Sidney Sylvia, 113. Simenon

Taine Tairov

Tartufari Clarice, 281. Tassi Agostino, 88.

161.

Secondari Roberto, Semperer, 303. Sennett Mac, 232. Serao

122,

73.

Eugen,

Shakespeare 131, 165,

70,

61,

Schlosser Giulio von, 123, 124, 280.

Vitale da Bologna, | Vitozzi

Ciro

don,

66. 39.

Woellflin Heinrich,

XIV,

62,

da

Zavattini Cesare, XXII, 228, 232, 234-236, 243, 255, 277. Zdan V., 235, 260 n., 325. Zecca Ferdinand, 196.

231,

288, 308,.

Zactoli; Renate, s2.

Zeusi, 241, 242. Zguridi Alexandr,

235.

Zola Emile, 234, 316.

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