L'espressionismo e il film

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L'espressionismo e il film

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Recuperando un ricco ventaglio di esperienze ac­ quisite nel quadro vasto e articolato della cultura espressionista, Rudolf Kurtz, con L'espressionismo e il film (1926), delinca la portata e i limiti della pratica cinematografica in questione. Interamen­ te calato nell’ottica della testimonianza diretta, il discorso di Kurtz percorre, sul filo di un’interro­ gazione appassionante, i luoghi nodali dell’univer­ so filmico espressionista, scoprendone la nervatu­ ra problematica c contrapponendosi, nello stesso tempo, agli schemi semplicistici di una cultura uf­ ficiale che definisce il cinema come una forma comunicativo-spettacolare esteticamente dequalifica­ ta. Mentre analizza le peculiarità tematiche e i co­ dici stilistici dei più significativi film espressioni­ sti, Kurtz individua così lo statuto teorico de! ci­ nema in quanto medium tecnologico, connettendo strutturalmente le vicende della forma fìlmica alla fenomenologia complessiva delle avanguardie (pittura, scultura, architettura, musica, letteratura) operanti nella Germania della prima metà degli anni '20.

(1884-1960), critico, giornalista c commcdiografo, esordisce a diciannove anni come scrittore, inserendosi attivamente nel clima cultu­ rale della Berlino espressionista. Nel 1915 si ac­ costa al cinema, prima come soggettista e poi co­ me direttore. Expressionisnuis und Film, opera no­ tissima ma mai tradotta in italiano, viene propo­ sta nell’interezza del suo corredo iconografico c nel rispetto grafico dell’originale. Rudolf Kurtz

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In copertina: copertina originale di Paul Leni (1926) GRAFICA ni JOHN ALCORN

CL 013-65018

Lire 14.000 (i.i.)

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L’ ESPRESSIONISMO

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PROPRIETÀ

Longanesi t. Ernst Deutsch mondo e trasuda voluttà da tut­ ti i pori. E dietro a questo, c’è la vita del cassiere: il salòtto buo­ no con la figlia languida, misera e sentimentale, la madre smun­ ta e sfinita dal lavoro, la nonna inferma, ormai ridotta a poca carne indolenzita. E tutta la terribile uniformità della felpa, de­ gli elicrisi, dei centrini bianchi. E tutto l’insulso profumo della ripetitività esistenziale, dell’immutabile, del sempre-uguale. Una fiamma arde nel cervello del cassiere: afferrare per una volta il mondo, per una volta la vita, per una volta lo spasso, la voluttà; afferrare per una volta con tutti e due i pugni, dapper­ tutto, dovunque. Ha rubato, è sparito con i soldi: colpo in fami­ 72

glia, stupore sommesso in banca. E la polizia cattura con aderenti tentacoli di ragno... ma il cassiere va ramingo verso la grande vita. Da qualche parte balena una consapevolezza: la vita non è fuori, ma deve provenire dal Tin temo. Nella notte invernale si svolge una conversazione con uno scheletro fantastico, situato su un albero rattrappito, che ritorna alla vita distendendo i rami co­ me una piovra pigramente avvinghiata. La vita nella sua pienez­ za, la vita nella sua magnificenza. Vizio, puttane, scintillio di lu­ ci: il cassiere in frac* nobile, superiore, la crème, A piene mani il gesto del ricco scialacquatore, che getta soldi intorno a sé - ma il gesto resta vuoto e i soldi nelle tasche del frac. Le donne si chi­ nano su di lui, le schiene si piegano profondamente, morbide mani scivolano sulle sue guance - una debole risata: è questa la vita? Una danza intorno alla cassaforte. Ciò che è in fiore viene corroso, una donna diventa il teschio. E così, frustato dalla sua stessa ombra lungo i margini di un precipizio* egli si ferma alla macchina imperturbabile della carità: l’Esercito della salvezza. Elia è là, una ragazza in uniforme, una creatura esile, avulsa dalla vita* misera, solo rigida penitenza, solo preghiere singhioz­ zate sul banco dei peccatori, É questo vivere? Confessare? Fare penitenza, inginocchiarsi a mani giunte? Egli la segue bramoso: l’unica caritatevole - che lo ha sempre burlato sotto le più dispa­ rate sembianze* il nudo teschio. E lei ha già soffiato il suo nome alla polizia, che già si precipita dentro tra uno squillo di tromba e un girotondo di preghiere - una carabina* il teschio, tutto è so­ lo morte* la maschera penosamente imbellettata della vita La vita? La luce si specchia nell’acciaio: una pressione* un lampo e la Browning ha regolato il conto. Cos’è la vita! Una caccia* che si svolge dal mattino a mezzanotte, aU’anima* alla vera anima im­ mortale. Un tratto pieno di sogno, fra l’avidità e la fine. Martin ha reso molto efficacemente l’intensità della vicenda. I personaggi sono messi in scena sulla base di pochi tratti* ma mol­ to accentuati. 11 ritmo della loro esistenza viene trasposto nel gesti. L’interpretazione è costruttivamente dedotta dalla dinami­ ca dell’azione, per cui la scena risulta inanimata. L’architetto Neppach ha lavorato in bianco e nero: figurini* paesaggi* interni - tutto si basa su un effetto grafico lineare* sull’effetto cinetico di superfìci e linee, sul chiaroscuro. Il cammino nella notte* presso l’albero rinsecchito: un serpente bianco, modellato da superfìci scure; e, in primo piano* un albero massiccio, un gioco di rami allungati. L’operatore Hoffmann ha impostato la fotografia se­ condo criteri pittorici, e ne risulta un insieme di grigio su grigio. 73

Le figure si sono spogliate della loro forma organica: sono parti, elementi formali della concezione scenografica, contribuiscono a strutturare il quadro e vengono lacerate dalle chiazze di luce e dalle strisce dipinte su di esse. Ma questo muovere di esseri urna* ni che valgono soltanto come elementi formali impedisce allo spettatore ogni accesso al film. Quello che egli vede sono solo smorfie e con torci menti, a cui si accompagnano freddezza, fissi­ tà, estraneità. Il film non è stato proiettato. In Giappone pare abbia avuto successo.

GENUINE Il successo di Caligari favorì la nascita di Genuine. Ciò che là era stato tentato, doveva ora essere portato a compimento. L'ar­ chitettura fu affidata a un pittore di classe: Cesar Klein. 11 rap­ porto con il grosso pubblico doveva essere garantito da un’altra celebrità: Fem Andra. Il pittore si assunse la direzione di Genuine. L’espressionismo decorativo di Klein è pura arte applicata. Un disegno da tappe­ to orientale sovraccarico ed eccessivo, invece di una messa in forma di elementi nello spazio. Una rappresentazione che aveva il suo fascino smagliante nel colore venne spogliata, mediante la fo­ tografìa, del suo unico valore vitale determinante. E la misteriosa consonanza che derivava dall’unione di un vecchio fantastico e so­ litario, di una donna irreale, di un negro e di un giovane biondo, questa armonia naufragò di fronte all’ineliminabile naturalismo della protagonista. Gli schizzi di Klein non potevano cambiare questo stato di co­ se, e neppure i suoi costumi, un raffinato miscuglio ispirato allo scherzoso orientalismo di Poiret: veli, corpi floridi e stoffe guar­ nite di ricami misteriosi. Nulla combaciava: rimase una confusa immagine iridescente, neppure sostenuta dalla trama. Carl Mayer ha scritto con conoscenza di causa a proposito dell’espressioni­ smo: « L’azione è volutamente misteriosa; tutte le linee sono de­ terminatamente cancellate. I connotati spirituali delle figure ri­ mangono nell’ombra, gli stessi avvenimenti si dispongono solo come stridente macchia di colore, senza alcuna ricerca di premes­ se psicologiche o intellettuali che facilitino la comprensione ». In un paese sconosciuto vive un uomo stravagante: calvo, di un’eleganza particolare, dagli occhi folli e socchiusi. Vive lonta-

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75 G enuine

no, in una cittadina ai margini del mondo, incapsulato in una grande costruzione di pietra, nella quale non entra mai un'anima. Le alte mura si ergono silenziose nella sera, circondate dal terrò* re della gente, che presagisce qualcosa di misterioso e tratta con cauto sospetto il barbiere, l'unico uomo che varca ogni mattino il pesante portone appena dischiuso. 11 vecchio barbiere non so­ spetta nulla di segreto: egli rade con diuturna diligenza le gialle

Ftg. 35. Genuine

guance del vecchio; un negro gigantesco lo accompagna fuori e lo congeda, e tutto il resto è muto, oscuro, inaccessibile. Un giorno, il barbiere manda in quella casa il suo aiutante, il giovane e trasognato Floriano. Un ragazzo pieno di desiderio pri­ maverile, dall'anima dolce assetata di vita e di avventura. La casa segnerà il suo destino. Il respiro delle alte stanze, orribilmente sfarzose, incombe pesantemente, la calma è piena di mistero: uno spettro vivente del vecchio giallo e calvo. E improvvisamente, da tende guarnite di ricami vistosi, da superftei sparse qua e là, da linee scintillanti di luce, appare una figura indefinita, un fanta­ 76

sma risuscitato, no, un essere umano, una giovane donna, dolce nel mistero, lontana nel desiderio, distaccata nello sguardo. Ella è lo spirito di queste cose, senza patria, senza destino, senza sen­ so, e i suoi occhi misteriosi suggono al giovane il segreto dall’ani­ ma: solo il respiro di questa pelle, il profumo di queste mani, la dolcezza di questa bocca sciolgono ogni volontà. Il sogno lo av­ volge, il mare dei sogni lo lambisce. Un fremito serpeggia lungo il suo corpo, uno sguardo dagli occhi dolci e lontani, il coltello affilato nella sua mano - il rasoio nella sua mano! E il vecchio muore dissangualo sul pavimento con la gola tagliata. Poi, di nuovo un errare tra alberi bagnati, un abbandonarsi nella camera da letto, e di nuovo 1’esistenza nella vecchia casa, che si apre silenziosa davanti al giovane. Qui lei si scioglie dai veli misteriosi, guarniti di ricami: lontana, seducente, crudele con la grazia sensuale di un agile animale feroce; e di nuovo scatta un coltello, un lampo e Genuine, misteriosa, si dissangua sul pavimento, agonizzando c spegnendosi pallida di morte. La gente entra: in un angolo c’è Floriano, timido, biondo, av­ volto dal mistero. 1 suoi occhi vedono solo una cosa, le sue orec­ chie ascoltano solo una cosa. C’è sempre solo una parola che, come un suono spettrale, risuona in ogni stanza: Genuine. Un’im­ magine che tutto giustifica: Genuine. Il cenno di una mano, che rende comprensibile pugnale e veleno: Genuine. Un fascino che toglie il respiro, che soffoca: Genuine. E morire è semplice, per­ ché è morta Genuine. Questo fascino semplice ma forte, che il poeta voleva rappre­ sentare - una creatura estraniata dal mondo in una casa solita­ ria -, è sfumato nel proliferare dell’ornamento. Genuine è un film spettacolare che, nella sua confusione inorganica, offende gli occhi, più che deliziarli. 1 personaggi restano senza contorno, l’azione è nebulosa. Ogni direzione è smarrita. Genuine non pog­ gia su nessun piano: né su quello della realtà quotidiana né su quello dell’arte. Invece di una composizione rigorosa, invece di limitarsi alle forme rare ma molto mosse fornite dal film espres­ sionista, si è realizzata un'opera di stile selvaggio. Gli attori re­ citano trascinati dal ritmo, senza che esista un’atmosfera, che dovrebbe invece condizionarli in modo artistico. E dall’eroina ci si aspetta sempre, in realtà, un’aria da operetta. Genuine è un film espressionista perché l’espressionismo era di moda. Ma, invece di essere un metodo di composizione, esso co­ stituisce, in un certo senso, il contenuto del film. Di fronte a que­ sto paradossale dissidio, il film espressionista sbiadisce. Genuine 77

era la prova ufficiale che questi film non sono un affare. La « con­ giuntura » stava per finire.

DAS HAUS ZUM MOND Karl Heinz Martin ha tratto le conseguenze dal suo primo film, prima di cominciare Das Haus zum Mond. Egli mirava all’effetto, e scrisse con Rudolf Leonhard uno scenario che prevedeva un’azione complicata, fatta di ebbrezza, di voluttà e di morte, mischiando intensivamente spirito e materia, studio e bordello, mistero e realtà. Smussò troppo gli angoli spigolosi, lasciò libero spazio ad attitudini insolite, a oc­ cupazioni misteriose, come l’astrologia c il sonnambulismo, corredò i personaggi di abitudini sorpren­ denti dal punto di vista del conte­ nuto. In questo modo, egli allon­ tanò sostanzialmente il film dalla realtà quotidiana, pensando di po­ ter contare sul seguito del pubbli­ co, se le forme espressive, confor­ memente al contenuto, se ne di­ staccavano anch’esse. Ma si era sbagliato, poiché più equilibrava le dissonanze tra l’aspetto naturale degli interpreti e il taglio costruttivo della rap­ presentazione, più rendeva irrea­ l:ig. 34. Genuine le il racconto, interrompendo co­ sì il compartecipabile rapporto psicologico dei personaggi. Egli si rifugia molto nel decorativo, e anche quando getta risoluta­ mente le didascalie in curve balenanti sulla superficie dello scher­ mo per farsi del tutto chiaro, gli aspetti imponderabili della sua disposizione artistica sono più forti della sua volontà di render­ si comprensibile. Il sofisma più pericoloso era quello di volere realizzare, trami­ te questo procedimento, la disposizione spirituale del pubblico, estrapolando le vicende dai normali avvenimenti umani. Anche se tale via fosse generalmente praticabile, l’azione deve comun­ que scaturire dai caratteri e non apportare dall’esterno nuovi mo­ 78

menti all'intreccio. Das Haus zum Mond è oberato di vicende che, create solo per il gusto dell’interessante o della ventata di originalità a qualsiasi costo, rendono impossibile la comprensi­ bilità. Un astronomo possiede una vecchia casa, detta « alla Lu­ na ». Ai diversi piani abitano strani personaggi: dall'osservato­ rio degli studiosi, sul tetto, passando per un vecchio attore e uno scultore di figure di cera alla E.T.A. Hoffmann, giù fino alla car­ bonaia e al bordello. Lo scultore di figure di cera modella una statua a somiglianza della moglie dell'astronomo e la abbraccia, suscitando il sospetto di una tresca nel marito, che alla finestra vede solo sagome confuse. La moglie dà alla luce una figlia, Lu­ na, e intorno a questa figlia, che crescendo instaura rapporti mi­ stici con la Luna e vaga durante la notte, si svolge la battaglia che porterà con sé la rovina del vecchio, la morte, la pazzia e la distruzione della casa. E su tutto risplende la Luna, dolce e mi­ steriosa, come una guida del destino, i cui raggi hanno instillato irrealtà nel sangue di tutti gli abitanti della casa. Martin non è riuscito a dare ordine a questo suo mondo. 11 ri­ goroso stile espressionista degli interpreti, la linea di condotta della regia, più interessata ai momenti particolarmente intensi che al lusso del l'azione, l'espressionismo annacquato dell’archi­ tettura, portano in conclusione a un insulso compromesso. Tut­ tavia, non si può negare che alcune soluzioni interpretative di Kortner e di Leontine Kuhnberg, e qualche immagine inattesa, ir­ radino la sensazione del mistero che Martin ha fatto aleggiare in questa intricata ballata lunare.

RASKOLNIKOV Wiene deriva la nota espressionista di RasWnifaw quasi esclusivamente dalla componente scenografica. Egli lascia alla trama il suo carattere nazionale, che, nella sua mistica e nella sua cupezza, mantiene abbastanza vivo il misterioso. I suoi at­ tori provengono dal complesso teatrale di Stanislavski). L’archi­ tetto Andreev è il classico misto moscovita di raffinatezza e di variopinta arte contadina. 11 romanzo di Dostoevskij si adatta molto bene al modellamen­ to radicale dei personaggi. Uomini che vivono ai margini del mi­ stero, uomini il cui sviluppo viene guidato dal sogno e dai desi­ derio, pazzi, epilettici, fanatici - queste sono le forme spirituali che trovano facilmente la loro evidente realizzazione nelFattività 79

fig. 55.

Raskolnikow

formativa espressionista, nell’irrealtà che scaturisce dal pensiero costruttivo. Lo stile degli interpreti, misurato e capace di sottoli­ neare l'intensità dell’espressione, si inserisce armoniosamente nel­ l'insieme. Questa immagine non molto chiara consegue la sua precisa espressione attraverso l’architettura di Andreev, che risol­ ve il ritmo della rappresentazione in forme docili, creando equili­ bri anche in ciò che è spezzato e lacerato. Una natura sensibile, che della forma ama ciò che e angoloso, sconnesso, rotto, così come i pittori della Germania medioevale amavano i pesanti drappeggi delle loro Madonne. Lo stimolo pittorico è ciò che so­ prattutto lo affascina. Il destino di Raskolnikow appartiene alla letteratura mondiale. «0

Wiene estrapola le grandi lince conduttrici del romanzo, sfuman­ do più duramente le figure nella loro peculiarità. Raskolnikow è il dolce sognatore, la cui fantasia è fatta di pietà, bontà c cupo dinamismo. Avvolto da una dura povertà, circondato dappertutto dalla povertà, acquisisce come simbolo il denaro di una vecchia strozzina, la cui forza vitale risiede nel­ l’oro. Egli la uccide, e la sua scure colpisce anche la sorella che sopraggiunge ignara. Iniziano le psicosi della coscienza, gli incu­ bi della persecuzione, i colpi d’ala della paura. In questo scena­ rio spirituale, in cui l’azione è solo un imperativo dell’anima più misteriosa, si intreccia il destino di una famiglia singolare: il pa­ dre fallito, la madre che vive nell’illusione di una passata rispet­ tabilità, la figlia che si prostituisce per portare a casa soldi alla famiglia. Raskolnikow la ama, e da lei viene la parola decisiva: parlare, espiare. Ed egli confessa. Punto culminante del film è rincontro di Raskolnikow con il giudice istruttore: un incontro casuale, una visita amichevole. Ma la paura si agita sordamente nella sua anima - l’altro sa tutto, e mani impalpabili e morbide si stringono sempre più strettamente alla sua gola.

l-ig. >6.

Raskolnikow

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Wiene lascia che l'azione si svolga nello sfondo. Egli si con­ centra sull'espressione del viso degli interpreti. Le misteriose vi­ cende dell’anima, il martellare della coscienza si concretizzano in visioni materializzate. Il carattere spirituale del film trapela con* tinuamente dall’architettura. Andreev padroneggia il fascino pit­ torico dell’espressionismo, bruscamente curvato, distorto, sem­ pre carico di energia. L’architettura si innalza senza asprezze, con il più cauto ricorso a effetti di luce equilibranti: in tutta la sua irrealtà, nella sua affascinante costruttività pittorica di espres­ sione globale di condizioni spirituali - di povertà e solitudine, estraneità e grande mutevolezza della vita. E, nella scena madre tra Roskolnikow e il giudice istruttore, interpretato in modo magistrale da Pavlov, l’architettura, la re­ gia e la recitazione si connettono in un tutto armonico. L'espres­ sione di Pavlov si riduce a un paio di forti movimenti: il suo vi­ so mostra, accentuato solo nelle sfumature, un ghigno irreale, in cui si mescolano mellifluità e gentilezza; e alla forza della sua espressione corrisponde la febbre della paura di Raskolnikow, interpretata, per così dire, in senso interiore. Si percepisce come il timore gli stringa i polmoni, il respiro diventi sempre più ran­ tolante, l’aria manchi... e ora la confessione deve librarsi libera, poiché un evento casuale frantuma la scena. Essi sono turbati. Questa condizione psichica viene utilizzata in una forma mol­ to seducente ed espressiva. In un angolo della parete c’è un pic­ colo fregio, simile a un ragno. La temperatura del sangue di Ra­ skolnikow sale, i fili del ragno, piedi estensibili del mostro, co­ minciano a muoversi, si ingrandiscono, palpano lungo la larghez­ za del muro: un avvicinarsi, un orribile esistere davanti al quasi svenuto, mentre il giudice istruttore si sposta verso il centro, fa­ cendosi corpo grasso del ragno, sogghignante, immobile, raggian­ te amicizia. Anche se l’allegoria è molto evidente, la cornice ar­ chitettonica risolve armoniosamente l’immagine del ragno, men­ tre lo stile e la conduzione della scena generano passaggi cosi graduati che ne risulta una sensazione omogenea. Questa allegorizzazione non ha nulla a che vedere con l’espressionismo: è una dimostrazione di come si attribuisse all’espressionismo solo l’ec­ cesso della forma, che era capace di assorbire ogni cosa per quanto eterogenea. E interessante, a scopo di confronto, che Joe May abbia realiz­ zato la stessa scena nella prima parte della sua Tragedia d’amo­ re. Per lui non si tratta dell’espressione delle fatalità metafìsiche, ma lo interessa la pena psicologica dell’afflitto, il tormento intri­ 82

so di familiarità del giudice istruttore. Quello che Wiene cerca di ottenere con l’atmosfera scenografica e le tonalità espressioniste, May tenta di lasciarlo vivere allo spettatore in impercettibili tap* pe psicologiche. Egli ha così messo in scena il film più efficace degli ultimi anni.

IL GABINETTO DELLE FIGURE DI CERA Bisogna sempre tenere presente che la volontà pittorica di stile assume facilmente nell'espressionismo l’espressività di tipo sentimentale. Paul Leni, il creatore de // gabinetto delle figure di cera* ha vissuto questo rapporto con una sensibilità straordinaria. Ciò che ne II gabinetto delle figure di cera è espressionista non deve la sua esistenza alla neces* sita di questo atteggiamento, ma è un mezzo espressivo tra gli al­ tri. Leni plasma l'oggetto natura­ le coraggiosamente e con tratti molto chiari, in forme che, nel­ la direzione delle linee e delle superfìci, anticipano l’atmosfera della scena. Egli gonfia le forme e le lascia svanire: in un atto ambientato in Oriente le arabe­ sca in modo sommamente buffo e divertente, e in una parte russa le leviga festosamente alla bizan­ tina - e, in un incredibile susse­ guirsi di scene, che danno a Jack lo Squartatore cornice e profilo, Fig. 37. Emit }unningis rivela una fine sensibilità per l’energia dinamica e la tensione delle forze della scenografìa espressionista. Tuttavia, sebbene elementi propri della struttura­ zione espressionista dell’immagine affiorino dappertutto nel film, all’interno di questo lavoro parleremo solo dell’ultima parte. Ma questa brevissima parte finale è di una tale sicurezza compositiva e di una tale chiarezza sul piano della conduzione scenografica e interpretativa da conseguire un suo posto nella breve storia del film espressionista. 83

Un giovane poeta scrive tre racconti per il proprietario di un baraccone. La prima è la storia di Harun al Raschid e della bel* la moglie di un pasticciere: in essa, la moglie civettuola è note­ volmente più furba del marito impulsivo. Jannings modella il personaggio del califfo, assurdamente dilatato, con barocca gio­ vialità - con una corporeità soggiogante. La seconda storia si di­ pana intorno a un avventuriero assetato di sangue, Ivan il Terri­ bile, con omicidio, veleno e alchimisti, sfociando nell'irrequieta estraneità della follia. E il terzo racconto è semplicemente l'in­ contro della coppia di innamorati con Jack lo Squartatore: una maschera dallo sguardo affascinante, priva di movimenti, dai pas­ si lenti e cauti: la magra figura di Werner Krauss risolta in pura espressione. Questa successione freneticamente serrata - sempre solo il viso immobile e perfettamente calmo di Krauss e due ti­ midi giovani in fuga - si realizza sotto cataclismi spaziali, sotto pareti che si piegano, si dividono, si frantumano - sotto sciabo­ late di luce che sembrano abbattere l'architettura in pezzi stri­ denti. La forma naturale è lasciata da parte senza scrupoli e ven­ gono materializzate, in modo del tutto espressionistico, le dimen­ sioni assoggettate e svincolate di superici e linee, muri e corpi, elementi fìssi e sinuosità: sempre solo la forza che vuole esplode­ re, la componente che incide nello spazio dell'architettura forte­ mente mossa, la voracità delle aperture e la fuga vertiginosa del­ le scale. Leni ha dipinto, per così dire, con la luce questa architettura chiaramente impostata. Distillata da mille fonti diverse, la luce crea sogni febbrili nello spazio, evidenzia ogni curva, corre lun­ go linee spezzate, genera profondità abissali e fa magicamente apparire delle macchie nere su muraglie oblique, che sembrano protendersi verso l’alto. Le possibilità tecniche dell'apparecchio sono sfruttate al massimo; si fanno fotografìe Cuna dentro l’altra e Cuna sopra l’altra, per liberare dai legami convenzionali il va­ lore cinetico delle forme nello spazio ed elevarlo a una sfera me­ tafisica. 11 mezzo e il materiale vengono subordinati a una forte volontà scenografica in un modo così sicuro che il pubblico ha accolto con grande favore queste scene tanto insolite e raffinate. L'espressionismo è giunto a questo successo perché ha subordi­ nato il suo mezzo al fine psicologico. Esso diviene arte applicata. Leni ha sfruttato in modo magistrale questa funzione, creando co­ sì per l’espressionismo una vasta gamma di possibili sbocchi nel film. 84

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fi# .

38.

Il gabinetto delle figure

ELEMENTI ESPRESSIONISTI NEL FILM Si è accennato come il film si sia impadronito dei valori espres­ sivi scenografici dell’espressionismo. Ovunque si dovesse manife­ stare la forma singolare di un’energia frenata e pronta ad agire, ovunque, al di là dell'apparenza, il senso stabile di una situazio­ ne tendesse alla sua realizzazione, là interveniva l’espressionismo. Sia che si dovesse portare a più profonda consapevolezza la com­ mozione suscitata dalla strada di una metropoli, oppure la lonta­ nanza dalla vita di un apparato scenico: la forma espressionista doveva comunicare questo effetto. Vi era già da lungo tempo una certa disponibilità del film a sot­ tomettersi a un’intenzione stilistica consapevole e precisamente ri-

Fìg. 39.

Lo scoiattolo

conoscibile. Merita notare che, in Germania, il primo film stilisti­ co realizzato in modo coerente fu paradossalmente messo in sce­ na da Ernst Lubitsch: Lcr^coiattolo, tratto da uno scenario di Hanns Kràly. Lubitsch ci aveva sovente espresso l’intenzione di inscenare questa commedia, consapevolmente distaccata dalla vita, in base a un grottesco solo idealmente sostenuto, li pittore Ernst Stern ha conseguentemente attuato i suggerimenti di Lubitsch: le

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forme derivano il loro contenuto vitale dal l'ambiente balcanico, parodisticamente politicante, e si enfatizzano in un panciuto Mon­ tenegro, mentre gli armati si deformano in proporzioni gigante­ sche: tutto è fondato su ventri obesi, su ampie rotondità. L’espres­ sione è cercata ai di là della realtà, e l’architettura anticipa l’effet­ to finale dell'ironia; sul militarismo, sullo sfarzo balcanico e sui costumi orientali. La scena qui riprodotta, con le sue rotondi­ tà da parata e con la piccola architettura dentellata della fortezza, illustra chiaramente l’intenzione. Ma era un esperimento, e il pub­ blico non recepì l'ironia del film. Comunque, l’idea del film stilizzato si era messa in marcia. Murnau, che ne L'ultimo uomo, interpretato da Jannings, ha pro­ dotto un evidente capolavoro stilizzato, ha tentato di creare, nel suo film di vampiri Nosferatu, la terribile impressione dell'atmo­ sfera spirituale con elementi che, forse, non sono ancora espressio­ nismo consapevole, ma che appaiono simili alle sue forme. Questa raccapricciante avventura, che Henrik Galeen ha elaborato con sicurezza dal punto di vista dello scenario, e nella quale agiscono reciprocamente visioni intersecantisi, con topi, vascelli pestilen­ ziali, sanguisughe, sotterranei oscuri, carri neri con cavalli demo­ niaci veloci come il lampo, si sottrae a priori alla riproduzione na­ turalistica. Murnau sottolinea il carattere irreale, inscena visioni piene di stile e raggiunge l’effetto di quel terrore che le forme na­ turali non sono capaci di dare. Elementi stilistici del film espressionista penetrano in tutta la moderna letteratura cinematografica. Va detto, prima di tutto, che perfino I Nibelunghi di Fritz Lang utilizzano parti del « film asso­ luto ». Il sogno di Crimilde è firmato da Walter Ruttmann, del quale è perfino superfluo parlare. La lotta deH'ucccllo nero e di quello bianco è ridotta a forme molto semplici e pure. Si può an­ cora parlare di una forma naturale, nel migliore dei casi, solo più in una debole rassomiglianza formale. Il chiaro e lo scuro ondeg­ gianti vengono percepiti in modo nebuloso come se somigliassero a uccelli. La superfìcie decorativa è costruita nella sua gradazione cromatica, nel suo movimento ritmicamente ordinato - senza ricer­ care corrispondenze nel mondo organico. Anche Paul Wegener si è fatto aiutare da Ruttmann per il suo Lebende Buddhas, Così si trovano tracce dell'espressionismo in parecchi film con intento « letterario ». Si ricordi la seconda versione del Golem di Wegener, che si è sviluppata in questa comunanza spirituale. We­ gener aveva una chiara idea stilistica del suo pesante, massiccio Golem, e la riduzione dei gesti, realizzata molto limpidamente li87

Fig. 40.

La scala di servizio

alitando l’energia dell’espressione a poche forme poderose, sembra già quasi espressionismo. E Pòlzig affida questa disposizione spi* rituale a un’architettura ardita e mirabile, che si orienta solo sul* la fluidità delle linee, la forza della materialità e l’energia scatena* ta dell’espressione. La città del Golem di Pòlzig non ha nulla del* l’aspetto di un centro abitato medioevale e tutto di un sogno goti­ co: la distribuzione delle masse concretizza una consapevolezza architettonica saldamente determinata dalla tensione energetica e dalla connessione, le forti linee dei muri proseguono in torri dalle vigorose armonie ritmiche, la ripidità delle superfìci, le ardite cur­ ve dei tracciati, la caduta e la salita delle linee realizzano un’archi­ tettura ritmicamente sentita. Si può individuare l’elemento espressionista ovunque il regista tende a superare il puro trattenimento. Ne La scala di servizio di Jessner, vi è una scena che rappresenta un isolato momento d’amo­ re in una via laterale. L’architettura non è sicuramente espressioni­ smo, ma non è pensabile senza di esso. Il modo di distribuire la luce, che divide il quadro in superfìci frammentarie e arbitrarie, il tendere delle mura a congiungersi o a separarsi, per quanto ri­ sultino attenuati, non rinnegano la propria origine. E, nella messa in scena, Jessner ha visibilmente cercato di trasporre nel film la forma della strutturazione scenica espressionista. L’espressione psi­ cologica degli atteggiamenti si riduce a gesti forti e misurati; inve­

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ce di espletare interamente l’espressione, egli si serve di allusioni, e genera poi ancora momenti di concentrazione nella vigorosa esplosione creativa. Molto similmente si comportano, nell’impostazione architetto­ nica, i film realizzati più tardi da Karl Grune, soprattutto La stra­ da. Certo, si dà solo il film stilizzato, senza ricercare forme espressioniste. Ma l’immagine della strada, nonostante il suo avvicina’ mento alla forma « naturale », si sforza di conseguire, attraverso la distribuzione della luce, l’articolazione spaziale peculiare del­ l’espressionismo. Le facciate sì lacerano irregolarmente, oscure om­ bre aprono buchi nelle case, chiari globi di luce gonfiano l’atmosfe­ ra arti fidai mente luminosa, e così si ottiene un’intensità irreale del sentimento della notte, la cui espressione risiede al di là dei mezzi naturalistici. Sono forme di un atteggiamento artistico che, diffì­ cilmente utilizzabile nel suo rigore, come mezzo scenografico ha arricchito il film di una fondamentale sfumatura espressiva. E que­ sto è l’essenziale. L’espressionismo è diventato per il film moder­ no un espediente per evocare otticamente effetti che si trovano al di là del fotografabile. E in questo arricchimento delle forme espressive si realizza una parte essenziale dell’evoluzione artisti­ ca del film in genere.

Lig. -fl.

Legating; Raumialel

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L’ARTE ASSOLUTA Il problema dell’assoluto è una questione della metafìsica. Tale questione è simile al problema della legge, come l'asserzione più universale. A partire da Kant, la filosofia tedesca capisce chiaramente la via da seguire per giungere a una soluzione. Il problema è univoca* mente circoscritto nell’apriorismo, nel giudizio che precede ogni esperienza, che si presenta con una pretesa di generale validità e necessità. L’assoluto si dimostra adatto alla certezza della mate* matica. Di contro a questa critica della conoscenza si pone lo psicologi* smo, che ricerca la garanzia dell’assoluto, di ciò che è immediata* mente certo, neH'«_espericnza », nell’acquisizione di rappresenta­ zioni. £ sintomatico della situazione epocale il fatto che, nell’in­ tero campo della spiritualità moderna, il fronte avverso allo psico­ logismo sia sempre più compatto. Grandi successi di pubblico, come // tramonto dell’occidente di Spengler, che al posto di un evoluzionismo psicologico fonda una metafìsica della storia, non sono meno indicativi, a questo proposito, delle tirature, sorpren­ denti per un’opera speculativa, dell’Epis/o/o ai Romani di Karl Barth, che. nella forma più decisa e provocatoria, pone recisamen­ te fine all’« esperienza religiosa ». Nel campo dell’arte, questo atteggiamento spirituale si è creato una valvola nell'espressionismo. Ciò che in esso veniva soprattut­ to respinto era l’esperienza psicologica, il dominio del fatto vissu­ to. Al suo posto emerge la costruzione, basata su una volontà con­ sapevole e metafìsicamente determinata. Ma l'espressionismo assu­ me dall’oggetto naturale le forme individuali, l’unicità ottica. Se davvero ci si determina nel senso della liberazione dai condiziona­ menti psicologici, devono essere cancellate anche le ultime remi­ niscenze delle forme naturali individuali, e devono restare soltan­ to le forme matematiche: poiché la matematica è, appunto, la for­ ma visibile dell’incondizionatezza. Questa è la posizione dell’« arte assoluta ». Essa rifiuta di edifi­ care le sue opere su un « arbitrio lirico ». Il suo soggetto non è più l'artista che crea nel proprio studio, bensì « l’uomo colletti­ vo » come forma storica dell’universale. L’arte individuale si con­ danna in quanto « perpetuazione della singola esperienza psi­ chica ». Si rinuncia, in modo definitivo, alla comprensione psicologica. L’uomo « convenzionale » si pone di fronte a queste opere in un

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atteggiamento irrelato, poiché esse hanno reso inefficace il suo or­ gano essenziale di percezione artistica. Gli artisti assoluti sono con­ dotti, per questa via, alla necessità di dover consegnare alle loro creazioni una Weltanschauung.

Fig. 42. Tallin: Contrari lieto

In questa situazione problematica, si dovrà parlare delle inten­ zioni degli artisti, piuttosto che della critica estetica. La volontà creatrice si lascia descrivere e illustrare più facilmente di quanto si lasci guidare una diretta ricezione delle opere. In Russia, Tatlin, l’inventore dell’* arte meccanica », com'è chiamata programmaticamente nel l’Europa occidentale, parte da un ordinamento consapevole dello spazio tridimensionale. Lo spa­

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zio è l’informe, « un recipiente senza dimensioni » (Maleviè), che riceve forme, determinatezza e ordine solamente grazie all’imposizione di « segni distintivi ». Il rapporto di queste forme nello spa­ zio conferisce a quest’ultimo, per servirci di un’espressione tratta dalla fìsica, una tensione. La lo­ ro « con formazione e misura con­ ferisce allo spazio una determina­ ta tensione... mutando i segni di­ stintivi. modifichiamo la tensio­ ne dello spazio, che viene costrui­ to dal vuoto stesso » ( Lisicki j). Partendo da questa concezione fondamentale, Tatlin costruisce i suoi « controrilievi », superici e linee essenziali, la cui misura, for­ ma, colore, materialità interagisco­ no, generando così, armonicamen­ te o disarmonicamente, uno spa­ zio originale. Il pittore russo Maleviò si fer­ ma alla superfìcie. 11 mondo feno­ Fig. 43. Male vii: menico è ricondotto a mere superCostruzione suprematists fìci matematiche. Chiaro e scuro, direzione e dimensione organizzano il quadro, come un campo di battaglia è organizzato dai movimenti strategici. « L’arte della pittura non è la capacità di creare una costruzione fondata sul rapporto di forme e colori o sulla base del piacere estetico nei con­ fronti dell’elegante bellezza della composizione; piuttosto, l’arte è radicalmente fondata sull’importanza, la velocità e la direzione del movimento. » Piet Mondrian (Olanda) trova precipuamente nei quadrati e nei rettangoli la condizione armonica, la felicità di un completo equi­ librio psichico, la statica finalmente raggiunta. Curandosi sola­ mente della superfìcie pura, rifiutando la < tensione » dello spa­ zio, queste forme matematiche, chiaramente abbracciabili con lo sguardo ed equilibrate sul piano del materiale cromatico, tendono all’eliminazione delle antitesi. I problemi del comune atteggia­ mento universale devono essere risolti coscientemente. Il rifiuto di ogni travestimento realistico, sia pure in favore del più personale mondo rappresentativo dell’artista, caratterizza le opere di Kurt Schwitters, da lui stesso definite « Merz ». Qualun92

M eidner: Mozzetto per La strada

que possa essere la disposizione d'animo nei suoi confronti, si deve ammettere la coerenza del suo radicalismo. « Metz » esprime una condizione spirituale con i mezzi che l’artista ritiene, per Fappunto, più appropriati. Effetti finali, giochi formali, accordi ritmici, che sono strettamente connessi al l’interno di una sfera estetica generale, si producono in modo casuale. Forme tecniche e matema­ tiche, materiali e dipinti entrano in mutuo rapporto: carte da gio* co. tagliate da un disco tondo, che porta appeso alla catena, per

Fig. 44.

Mondrian.* Composizione

così dire, un piccolo satellite, superfìci con luci applicate, liste gui­ da; talvolta una ruota comincia a muoversi, rotoli di filo si svolgo­ no e una serratura riceve ancora un pesante accento (fig. 45). Che cosa si concretizza a questo punto? Una condizione psichica, una situazione fluttuante, sensazioni di movimento, contraddittorie e positive, alterazioni dell’equilibrio, vengono spazialmente « purifi­ cate », condotte a un armonico denominatore. Secondo gli stessi principi, Schwitters ha prodotto poesia, la poe­ sia « Merz ». Suono, significato, sentimenti concomitanti vengo­ no rifiutati in quanto elementi soggettivi. Soltanto l’esistenza dei 95

raggruppamenti di lettere è universalmente valida e definitiva. « La poesia coerente valuta lettere e gruppi di lettere in contrapposi­ zione reciproca » (Schwitters). La poesia, per così dire, dà ordine allo spazio spirituale attraverso raggruppamenti di lettere, che en­ trano reciprocamente in rappor­ to ed esistono in quanto costitui­ scono questo elementare comples­ so ritmico, e non altrimenti. Men­ tre Schwitters si sottrae definiti­ vamente a ogni possibilità di cade­ re, per via di somiglianza, nella sfera della comunicazione lingui­ stica convenzionale, il principio assoluto, nelle poesie di Hans Arp, appare più attenuato, e di conse­ guenza esse sono più facilmente comprensibili - sebbene ci si deb­ ba guardare dal fare corrispon­ dere la forma linguistica di Arp 45. Schwitters: Merzbild airintenzione, come se si trattas­ se di una normale comunicazione fra esseri umani. Una poesia, tratta dal volume di Arp Einzaht, Mehrzahl - Riibezahl, comincia così: L'ospite Innamorato

11 loro martello di gomma colpisce il mare il nero generale in basso. Con i galloni lo adornano come una quinta ruota nella fossa comune.

In questi versi, a dire il vero inaspettatamente, sono contenuti elementi e associazioni molto convenzionali. Rima, ritmo, strofa, provengono senz’altro dalla tradizione consueta. L'associazione ge­ nerale-galloni-fossa comune è una chiara reminiscenza della guerra mondiale; adornare e quinta ruota sono, invece, presumibili indi­ zi della critica dello scrittore. L'inclinazione a trovare l’armonia fra determinate rappresentazioni che, in quanto elementi formali, realizzano l'idea, sembra un’intenzione estetica. Occorre liberarsi dagli schemi rappresentativi mitteleuropei per conquistare una ta­ le posizione. Hans Richter osserva giustamente: « Ciò che Arp

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I if> 4b. Mun Ray: Champs dclideux

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crea, a vederlo stampato, è sì, lo ammetto, sconcertante, ma a un negro apparirebbe anche bizzarra la sua radiografia ». £ inammis­ sibile porsi la questione secondo il senso: si ha soltanto l’intenzio­ ne di concretizzare un sentimento cosmico in modo costruttivo, con elementi formali puntualmente definiti. Nel film, questo programma è stato realizzato da Viking Egge­ ling, morto di recente, e da Hans Richter. Racconto, azione, avve­ nimento compaiono raramente nel film assoluto, come anche l’uo­ mo comune in generale. Con la fondamentale esclusione della na­ tura, viene eliminato tutto ciò che ricorda il mondo storico in ge­ nere. Le forme geometriche elementari entrano reciprocamente in rapporto, e in questo ordinamento si sviluppano i drammi dello spirito. 1 francesi Léger e Picabia hanno preso un’altra strada. Essi ado­ perano forme concrete e astratte, ma ne annullano il significato convenzionale e le impiegano esclusivamente come forme espressi­ ve delle loro intenzioni artistiche. Con un gesto sempre piacevole, costringono l’oggetto naturale a presentarsi come la sua propria parodia. L’americano Man Ray ha affrontato in modo molto risoluto il compito di esprimere i rapporti cinetici delle forme attraverso gra­ dazioni di luce. Egli fotografa: senza lente e macchina fotografi­ ca. La luce agisce su lastra o su carta, e anche il processo di rea­ lizzazione della stampa viene eseguito sotto controllo. Fra la sor­ gente luminosa e la « base » si pongono le forme, i cui rapporti, così come li percepisce l’artista, vengono depurati attraverso gra­ dazioni della luce. L’elemento formale, matematicamente rigido, si fa fluido; ogni sfumatura luminosa significa un rafforzamento o un indebolimento. Egli intitola una fotografia Champs délicieux, e rie­ sce a rendere sufficientemente chiara questa sensazione naturale mediante il dosaggio della luce, efficace in tutti i casi. Quindi, in maniera del tutto differente rispetto all’uso del colore, la forma co­ struttiva, grazie all’inesauribile possibilità di controllo della luce, viene, per così dire, messa in musica. E fuori di dubbio che l’arte assoluta, nonostante il suo rifiuto delle possibilità della comunicazione psicologica, esercita sul pub­ blico effetti di volta in volta differenti. Soltanto, non si tratta di un atto contemplativo che, in assoluta purezza, riprende le forme nel loro reciproco rapportarsi, ma si verifica un processo psichico ab­ bastanza noto dalla psicofisica: lo spettatore si immedesima nelle forme matematiche e, grazie a ciò, produce sensazioni corrispon­ denti. Il processo si compie necessariamente e sotto la soglia co98

I rx 47

Huns Richter

Rhylhnni* IM2>

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scienziate: le linee e i rapporti formali elementari guidano la sensazione lungo i loro tracciati, con i loro movimenti e mediante le loro gradazioni luminose; cosicché ne risulta un contrasto psichi­ co che corrisponde alla lotta, all’accordo, alla riconciliazione di quei rapporti di forme. E con ciò l’opera assoluta è senza dubbio inserita nella convenzione psicologica della massa. Questi processi molto elementari ricevono colorazioni ancora più intense grazie al­ le sensazioni concomitanti, che si presentano nello spettatore in seguito a ricordi, ad associazioni con esperienze analoghe tratte dalla vita concreta. In fondo all’arte assoluta si trova quindi, allo stadio attuale, un effetto psicologico simile a quello dell’arte tradizionale. Soltanto, esso non si produce attraverso i processi differenziati della psiche completamente sviluppata, bensì mediante il semplice condiziona­ mento naturale del nesso psicofisico. E il livello spirituale sul quale può essersi sviluppato, in modo quasi biologico, il ritmo primor­ diale, attraverso le sensazioni fisiche del polso e del battito cardia­ co, e grazie alla successione naturale delle più primitive prestazio­ ni lavorative. Il fatto che questo impoverimento degli elementi for­ mali produca un depauperamento della vita spirituale, non è ri­ conducibile a ciò che è assiomatico, ma allo stato attuale dell’arte assoluta. Inoltre, non si solleva alcuna obiezione sul fatto che questo mon­ do espressivo abbia dato i suoi frutti in primo luogo nell'arte ap­ plicata. Nell’arte industriale, l’attività psichica del fruitore è ri­ dotta al minimo: l’arte applicata è fondamentalmente priva di Weltanschauung. Noi troviamo reminiscenze dell’arte assoluta nel­ le forme gradevoli e ritmicamente disposte dei disegni su tessuti e delle applicazioni. (1 fascino decorativo avvince per primo l’osser­ vatore. E così si è verificato il caso paradossale che un mondo espressivo fondamentalmente filosofico abbia trovato la sua dif­ fusione nel regno levigato, superficialmente piacevole e cromaticamente animato dell’arte applicata.

VIKING EGGELING Il creatore del film assoluto, Viking Eggeling, è morto pochi me­ si fa. Si noti fm da principio, per controbattere un’obiezione tanto frequente quanto ingenua, che egli non è giunto alle sue forme espressive semplificate per mancanza di talento. Suoi quadri di un periodo precedente sono esposti in grandi musei, e io stesso ho po-

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I: Uncini fi

HorizontalA ertìkal Orchestra

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tuto apprezzarlo, in molte occasioni, come intenditore di notevole gusto. Eggeling ha creduto fanaticamente nella sua opera, è stato un uomo che ha parlato dell’arte senza sentimentalità, in modo logi­ co e sobrio, e sempre con cognizione di causa. Era pervenuto alla sua forma espressiva in modo prettamente sperimentale. Dalle ri­ cerche sul rapporto tra forma e composizione, giunse a conferire alle sue forme un’espressione sempre più limpida: i soggetti natu­ rali divennero sempre più semplici, e il carattere armonico dei lo­ ro elementi costitutivi - alberi, montagne, facciate di edifìci - ri­ saltò sempre più nitido. Il loro atteggiamento reciproco, l'accordo e il contrasto delle tendenze cinetiche da loro indirizzate, divenne per lui. in modo sempre più esclusivo, il problema centrale. Con il senso di chiarezza che lo caratterizzava, egli percepì quanto fos­ sero collegate all’oggetto naturale sensazioni della vita quotidiana che si trovavano al di là della loro funzione estetica: una monta­ gna non viene percepita come una superfìcie obliquamente innal­ zata, bensì sentita come « montagna », con tutte le implicazioni at­ tuali. Queste reminiscenze fluttuanti gli scompigliarono la funzio­ ne puramente artistica delle forme all’interno della composizione: egli giunse a staccare la scorza oggettiva e a valorizzare, nella sua purezza matematica, la superfìcie obliquamente innalzala - an­ che se, originariamente, dietro a questo procedimento c’era una montagna. Eggeling progettò composizioni su rotoli di carta. Elementi sem­ plici nel loro reciproco comportamento. Ellissi allungate in rap­ porto a piccoli cerchi. Rettangoli slanciati in rapporto a cubi com­ patti. Una diagonale in rapporto a una verticale. Considerando queste composizioni su rotoli, che sviluppano le forme partendo dalla consapevolezza di una sistematica omogeneità, egli ne per­ cepì fortemente la connessione ritmica. E poiché il quadro è privo della dimensione temporale, Eggeling passò al film, inteso come supporto del suo proposito compositivo. A questo sviluppo corrisponde la riflessione teoretica. Eggeling si rivolge all’atteggiamento spirituale universale: ciò che vuole esprimere è il movimento interiore degli uomini, nella sua forma più schietta e con mezzi che rinunciano a ogni reminiscenza av­ venturosa o sentimentale, e che vogliono solamente suscitare l’ef­ fetto di un’esistenza semplice e nettamente precisata, nella quale elementi formali si pongano in rapporto dinamico con altri ele­ menti formali. Hans Richter, il compagno di viaggio di Eggeling, fornisce di

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lui questo profilo: « Ricercando gli elementi dell’immagine, egli trovò nella sintesi delle forze d'attrazione e repulsione, nel rappor­ to di contrasti e analogie, il principio fondamentale dell’attività formativa. La possibilità di impiegare anche Luna di seguito al­ l’altra, cioè di variare ritmicamente, anche nel tempo, queste espe­ rienze acquisite sull’immagine statica, lo portò, nel 1919, a stende­ re i primi abbozzi di un film ». L’opera di Eggeling è determina­ ta essenzialmente dalla linea. Sottili fasci di linee si congiungono ad angolo retto con un elemento principale, si dilatano, si contrag­ gono reciprocamente, scorrono e scivolano. Tali procedimenti non sono da considerare come un gioco della fantasia, bensì corrispon­ dono a ritmi numericamente definiti. Attraverso un raggruppamen­ to di forme più complesse, Eggeling perviene a grandi composizio­

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ni, alle quali corrispondono procedimenti molto polifonici e ritmi­ ci. La finezza della composizione spirituale si manifesta nei gio­ chi raffinati di piccoli fasci di linee, nel loro movimento melodicamente considerato, nel dissolvimento di grandi forme in un det­ taglio carico di significato e vibrante in modo ritmicamente ri­ goroso. Ma ciò che è necessario esprimere è la forza dinamica della vita stessa, a vantaggio della quale Eggeling individuò la più chiara e incontestabile manifestazione nel gioco regolarmente ordinato del­ le forme. E quanto più rigorose e astratte divenivano le sue com­ posizioni filmiche, tanto più egli sperava di giungere, al di là della casualità del mondo organico, nel territorio delle forme definitive e del loro movimento elementare, che è l'atteggiamento costituti­ vo del mondo vivente.

HANS RICHTER Le riflessioni logiche, che derivarono dallo studio dei mezzi figu­ rativi efficaci e portarono al consolidamento del film assoluto da parte di Eggeling, fondano, nella più consapevole chiarezza, i la­ vori di Hans Richter. L’irrazionale ne è escluso per principio: l’arte è l’organizzazione delle forze stesse che agiscono nella vita, espresse nei rapporti delle forme più semplici. Si tratta di repri­ mere la dinamica disordinata della sensitività, per conseguire sa­ gaci disposizioni di altezze e profondità, di punti deboli e punti for­ ti, con i mezzi delle dimensioni prestabilite e della luce. Egli con­ trappone questa opera d’arte, che è derivata dalla logica dinamica, alla creazione psicologica del suo tempo. « Possiamo non acconten­ tarci di cartoline illustrate - non trovare l’andamento scontato di scene d'amore con un effetto finale ben .studiato - al posto della disposizione abituale di gambe, braccia, teste in salotti di lusso e corti principesche... vedere solo movimento, movimento organiz­ zato - e questo sveglia, desta opposizione, desta riflessi (?), ma forse - anche piacere. » Il film di Richter procede secondo un calcolo rigorosamente lo­ gico; con la qual cosa non si dice assolutamente che l'energia, che ispira la logica e le fa da sostanza, sia calcolata: essa è piuttosto d’origine creativo-spirituale. « Per film io intendo un ritmo ottico, rappresentato con i mezzi della tecnica fotografica: ambedue con­ siderati come materiale di una fantasia che crea in base alla com­ ponente elementare e normale delle nostre funzioni sensorie. » Si 104

4 Fig. 52. Richter: Rhythmus 1921 ♦ Fig. 55. Richter: Rhythmus 1923

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tratta dell’originaria funzione ritmica del movimento, che, in tutte le manifestazioni del corpo, dello spirito, della creatività, si ripre­ senta come la più semplice armonia. Lo schema riprodotto forni­ sce una più profonda conoscenza della formazione dei suoi film. Gli clementi formali entrano nell’« azione » del film in proporzio* ni esattamente calcolate. Il loro sviluppo e la loro scomparsa, il loro incremento e la loro diminuzione sono sottratti a ogni arbi­ trio e si succedono in tempi numericamente definiti. Anzi, il film appare esclusivamente come una loro il lust razione: esso si com­ porta come la sostanza chimica nei confronti della sua formula. Il colore rappresenta la nuova dimensione della luce, e compare sol­ tanto nella sua efficacia sostanziale: non si attribuisce alcuna im­ portanza ai suoi accordi, alle sue sensazioni concomitanti, ai suoi valori decorativi. Non si tratta di quadri: si rappresentano rappor­ ti di tensione, per i quali anche il colore può fare da supporto. Poiché deriva da un’ampia concezione di base, il film si costruisce su singole « frasi ». Questi temi arricchiscono un semplice rappor­ to formale grazie a nuovi elementi, portandoli a contrasti e armo­ nie, a conflitti e soluzioni. L’asse della composizione è definito dal passaggio dal pesante al leggero, attraverso uno stadio intermedio, oppure dagli equivalenti, come vengono chiamati caso per caso, se­ condo la loro manifestazione fisica. Il film di Richter qui riprodotto illustra solamente i temi prin­ cipali. I collegamenti e i passaggi, in quanto fenomeni temporali, si sottraggono alla riproduzione grafica. Occorre ricordare ancora una volta che il colore non si adatta ad alcuna funzione decorati­ va, ma compare esclusivamente nella sua essenzialità. Un quadrato luminoso è contrapposto a un rettangolo, armoni­ camente bilanciato nei suoi rapporti lineari. Il film continua il mo­ vimento di queste forme: tre parallele rosse guizzano verso l’al­ to, cominciano a giostrare, creandosi al di sotto un equilibrio di­ namico in una forma vibrante c sottile. 1 colori cambiano: il bian­ co assume la funzione dominante e trasmette la sua energia a una nuova forma, mentre, con una perfetta coerenza, i luminosi giochi di lince si concludono nel bianco. Così si esaurisce il primo tema. La seconda frase prosegue il movimento in maniera notevolmen­ te più ricca. Simmetrie di linee parallele rosse, di diversa impor­ tanza, agiscono su un quadrato bianco e una curva più esile vi ap­ pone una nota vibrante; l'accrescimento delia curva, la variazione cromatica, la modificazione dimensionale delle superfici presenta­ no un movimento veloce e variabile, che, giunto a un apice sotto­ lineato con energia, si risolve oscillando in un gioco totale ma. 106

nella sua importanza, cromaticamente sfumato di linee orizzonta­ li e verticali, sviluppandosi in una forma finale vigorosa e, si può dire, riccamente orchestrata. Devono essere le forze della moderna, tangibile vita contempo­ ranea, ricondotte alla loro forma più semplice, a oggettivarsi in queste composizioni. Mentre Eggeling opera prevalentemente con le linee, Richter si serve delle superfici, alle quali si aggiungono le linee solo come mezzi di equilibrio. Queste forme sono l’espres­ sione assoluta dei fenomeni che, in quanto elementi, agiscono nel gioco di forze della vita. La psicologìa è totalmente esclusa, sosti­ tuita da una costruzione consapevole, da un attivo lavoro dello spi­ rito. « Ciò che oggi prospera sotto il nome di sensibilità è una passiva sottomissione airincontrollabile. » Cent’anni dopo, que­ st'affermazione suona come riformulazione di una romantica mas­ sima dì Novalis: « La vita degli dei è matematica ».

WALTER RUTTMANN Gli scopritori del film assoluto mettono in rilievo la scientifici­ tà del loro metodo, il fondamento matematico del loro lavoro. Con Walter Ruttmann è entrato nel gruppo un temperamento quasi giornalistico. II colore assume una funzione dominante, il reperto­ rio delle forme si accresce notevolmente, la linea ondulata svol­ ge un ruolo di primo piano, il ritmo dei movimenti si adegua a im­ pulsi istantanei: guizza, fluttua, si ingrossa incessantemente nei suoi film. Il movimento è inesauribile e sempre stupefacente: le sensazioni corrispondenti sono suscitate con tale intensità che lo spettatore non si rende neppure conto che si tratta solo di forme inorganiche. Il colore si presenta come un'attrattiva particolarmente stimo­ lante. Ruttmann opera con una tavolozza straordinariamente ricca, che ha una nuova, accattivante gradazione cromatica per ogni sfu­ matura del movimento. Tonalità sentimentali aspre, gioiose, sere­ ne si conformano all'andamento delle curve, aU’awentarsi e al ri­ trarsi fulmineo dei suoi quadrati e rettangoli. Si ha la sensazione che queste immagini organicamente fluttuanti si divorino, si ag­ groviglino, precipitino l’una sull’altra come se lottassero, si ab­ braccino come se si amassero: si sviluppa un dramma di forme po­ licrome, che estorce addirittura la reazione psichica. Quanto sia grande la ricchezza espressiva di queste forme cromaticamente mosse, risulta del tutto evidente dal fatto che Ruttmann ha ottenu-

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4 fig. 54. Kuitmunn; Motive

fig.

55. Hiehter: | Rhythmus 1923

to successi notevoli con un film di pubblicità industriale di que­ sto tipo. La forte attrattiva dei film di Ruttmann sta negli stimoli psi­ cologici , che ne rendono possibile l'ininterrotta efficacia. Le sue composizioni sono vissute drammaticamente e hanno come attori forme matematiche, che contengono, in grande abbondanza, remi* ni sceme organiche. Egli rinuncia alla regia rigorosamente co­ struttiva degli altri autori: la sua dinamica non è sviluppata, ma viene vissuta. Le superfìci curve vibrano armonicamente, Fawentarsi dei corpi sorprende, le modificazioni formali avvincono: tub to si sussegue senza tregua e lo spettatore è trascinato in un tur­ bine di movimento, è coinvolto in una consonanza cromatica pie­ na di atmosfera, che non lo abbandona mai. 1 quadrati e i rettan­ goli sprizzano fuori, si moltiplicano, scompaiono, affiorano in pun­ ti imprevisti dello spazio, si scambiano vicendevolmente le loro energie nel modo più sbalorditivo; la risonanza psichica è prodot­ ta come se ci si servisse di un motore a scoppio. Poi, movimenti ondulati, ora morbidi ora impetuosi, assediano di nuovo l'immagi­ ne: si frantumano in forme diverse e si armonizzano gli uni con gli altri; le sfumature cromatiche, dosate fino nel dettaglio più de­ licato, instillano nel cuore dello spettatore eleganza e dolcezza, en­ tusiasmo ed emozione. L'efficacia di Ruttmann è così irresistibile che egli è stato spesso indotto a inserire scene tipiche del suo stile in lungometraggi con­ venzionali. Si tratta solitamente di esprimere, in una forma meta­ foricamente efficace e sottratta al mondo quotidiano, avvenimenti che stanno al di là del visibile e cui appartiene un carattere irrea­ le. Ruttmann non tende a esprimere le forze vitali in forme mate­ maticamente determinate e atemporali; egli considera Fimmedesimazìone, il fascino decorativo, l'efficacia psicologica. Ma proprio questa mobilità dei principi lo rende, visto sotto il profilo indu­ striale, il più ricco di prospettive fra i realizzatori di film assoluti, perché il ponte verso il mondo quotidiano esperibile, definitiva­ mente spezzato dagli altri, nei suoi film è rimasto intatto, se non visibilmente, almeno al livello di sensazione.

FERNAND LÉGER All'inizio di questo capitolo, si è ulteriormente ricordato che Lé­ ger è uno dei grandi pittori francesi. Anzi, è perfino riconosciuto come tale. Nelle questioni di principio, Léger concorda con Egge109

ling e Richter, con i quali ha fatto lega. Con il loro manifestarsi, le forme concretizzano soltanto un atteggiamento spirituale dell’arti­ sta. Ma Léger si riserva le più grandi libertà nella scelta dei mez­ zi; egli adopera materiali organici, tecnici e matematici: le sue rap­ presentazioni dinamiche non temono le sensazioni concomitanti che si collegano agli oggetti familiari. Così il suo film si costruisce un mondo straordinario di mezzi per concretizzare l’« azione » che è, a dire il vero, un’elaborazione costruttiva dell’artista, per rappre­ sentare l’andamento dinamico delle forme. Per lui conta soltanto l’intensità del movimento, che si dispiega in ogni forma, nella strut­ tura matematica come nell’elemento della vita empirica. « Il corso della vita è talmente affannato che tutto è divenuto agitato e mobi­ le. Prevale un ritmo così dinamico che la porzione di vita còlta dal­ la terrazza di un caffè è diventata un vero e proprio spettacolo, den­ tro il quale si contrastano e si toccano reciprocamente le compo­ nenti più disparate. » L’espressione di questa tensione di forze, la rappresentazione di questi rapporti delle forme, i loro ritmi - que­ sto è il film di Léger. Secondo la struttura dell'opera, egli prende le mosse in modo costruttivo dalle possibilità che gli fornisce la macchina da presa. Queste modalità formative della macchina da presa ricavate dai suoi mezzi rappresentano la componente decisiva. Solo sulla loro base si realizza il film. « Il romanzo cinematografico corrisponde a un errore fondamentale, che deriva dall’origine letteraria e dalla disposizione spirituale della maggior parte dei registi. Nonostante il loro indiscutibile talento, restano indecisi tra lo scenario, come semplice mezzo, e l’immagine mobile, come scopo effettivo. Essi confondono continuamente l’uno con l’altra e invertono la succes­ sione. » Léger vuole ritornare al punto di partenza dell’immagine filmica. Il suo film è l’espressione plastica di un artista trascinato dalla rapidità del movimento moderno, dal dinamismo della vita universale. Entrano in scena due bellissime gambe, sogno prima­ verile di ogni giovane, ma sono imitazioni, che si dispongono in un dispositivo di controllo e ridicolizzano l’intera sessualità. Im­ buti, stoviglie, rulli, bottiglie fluiscono sul quadro, vi si rovescia­ no, ruotano, si ordinano, si moltiplicano in modo assurdo, riem­ piono lo spazio con un movimento fulmineo, penetrano fra gruppi cinetici organici come un intermezzo esplosivo. Improvvisamente emerge un volto, un paio di occhi espressivi, qualcosa che colpisce in qualche parte il sentimento - e già, grazie alle facezie della macchina da presa e al ritmo rapido dei corpi roteanti, esso, in quanto elemento statico, puramente decorativo, viene assolutamenI IO

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>0/60. Ballet niècanique

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Ballet mccaniquc

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te compromesso. Appare una col­ lana di perle, bella, immobile: sot­ to di essa c'è, in maniera simile, un collare in caratteri maiuscoli. Elementi matematici attraversano la superfìcie, si riposano su di es­ sa, si colorano perfino - ma un cappello di paglia può anche esse­ re un polo statico nel flusso dei fenomeni, se si trova disteso nella sua grandezza ornata da un na­ stro, oppure se subentra una natu­ ra morta contraddittoria, con su­ perici. ombre, disposizioni spazia­ Fig. 63. Léger: li matematiche. E, come se si trat­ Ballet mécanique tasse dell'annullamento di tutte le leggi naturali o della soluzione affrettata dei propositi umani me­ diante una celia metafìsica, improvvisamente una donna anziana sale su per una scala, saluta cortesemente con un cenno, raggiunge la meta e, di colpo, si trova di nuovo all’inizio; tende solerte a salire, saluta gentilmente, è giunta su mandando un sospiro di sollievo e, instancabile, comincia nuovamente a salire, a fare cen­ no; è arrivata in cima e già sale di nuovo, cominciando penosa­ mente ad andare su, accennando... e di nuovo: giù, su, giù. su, giù, accennando, sorridendo, dapprima lieta, su, giù... la pellicola e giuntata una dozzina di volte. è una sottile derisione dell'esistenza tangibile e ottica, e una di­ mostrazione evidente della funzione dell'arte assoluta, trasporre in forme significative e definitive questa realtà molto problematica, e sviluppare chiaramente questo gioco di forze, così come viene concepito in modo non offuscato dalle vicende del mondo quoti­ diano. Ciò che accade nel film è forma espressiva di valori dina­ mici. L’eternità, parodiata in una donna anziana; la rotazione di piatti, frammenti di macchine, cubi, superici, il cozzare reciproco di elementi organici ambigui, come l’elegante cappello di paglia con costruzioni geometriche: questo rappresenta un atteggiamento uguale a quello del film assoluto tedesco, espresso però con altri mezzi. È il piacevole tono discorsivo del francese, la « splendente chiarezza dei Galli » di Kcrr, la componente che conferisce a que­ sti film la bella fluidità del gioco elegante, senza privarli della lo­ ro seria fisionomia artistica, è in gioco l'organizzazione del dia-

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gramma visivo basata sullo stimolo ottico, per realizzare le ordina* te idee cinetiche dell’artista. Léger si sente costretto a questo ra­ pidissimo del creare dalla concorrenza della stessa vita moderna. Egli combatte per la vittoria della creatività umana sulla monu­ mentale architettura cinetica della vita di tutti i giorni: una batta­ glia che è persa, se si utilizzano i mezzi conformemente alla vita stessa - una battaglia che si può vincere, se si deducono i mezzi dalla coscienza artistica e si considera la realtà quotidiana solo come « materiale plastico ». Cosi il film di Léger si riconnette, nel­ la sua disposizione metafisica, alla creazione problematica dei te­ deschi; solo che egli, invece di applicare la loro espressione al­ l'esatta rappresentazione dei rapporti cinetici, la trasferisce in una figuratività plastica e tangibile. Nonostante si rinunci alla lusinga psicologica, non vi è nulla di figurativo o di colorato per il mero piacere del decorativo. La concezione rimane rigorosa nella sua pu­ rezza. Ma il carattere nazionale francese, nelle sue manifestazioni più rappresentative, è appunto stile, levità, fascino: il che si può rifiutare o accettare, ma, in un senso più profondo, sarà piacevole per chiunque lo desideri, a seconda del suo temperamento, fre­ quentare un grande circo metafìsico.

FRANCIS PICABIA I modi di combattere per una tendenza dello spirito cambiano con i temperamenti. Questo Francis Picabia è un tipo a posto e tutto d’un pezzo, con una profonda avversione per la frase, per ogni cosa immobile e convenzionale, e con una radicale simpatia per tutto ciò che distrugge la realtà quotidiana, al fine di tenere desta la necessaria curiosità metafìsica. Un uomo privo di enfasi: perfino i suoi veleni si traducono in una conversazione contrasse­ gnata da ironia, raffinatezza e da una sottigliezza spirituale che si rende fulmineamente conto di ogni possibilità. Egli non si prefig­ ge affatto grandi obiettivi: gli va a genio tutto ciò che toglie il pia­ cere della realtà al comune mortale, che mette sottosopra, che ha un aspetto personale. La sua attività naturale è il bluff, anzitutto perché gli permette di scuotere i cardini deirequilibrio borghese. Egli è talmente innamorato dei suoi metodi che può anche per­ dere di vista l’intenzione, ricavando la sua eccentrica ginnastica solamente dal piacere dell’emozione astratta. Egli incomincia, for­ se, un appello solennemente appropriato:

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Siete tutti messi in stato d’accusa: alzatevi! Si può parlare con voi solo se state in piedi... Vi siete di nuovo messi tutti a sedere? Tanto meglio, allora mi ascolterete con accresciuta attenzione. In tutti i casi, essi hanno una guida: questo è anche il film di Picabia. Forme organiche e matematiche non fanno per lui alcu­ na differenza. La dinamica del suo sentimento della vita si traspo­ ne in un’immagine follemente mossa di corpi che entrano in rap­ porti sempre nuovi e sorprendenti; ed egli non è abbastanza siste­ matico per spingere fino alla parodia di se stessa ogni sensazione concomitante, ogni reminiscenza della vita quotidiana. Bene, essi devono considerare una lampada nient’altro che una lampada, an­ che se essa, neH’ambito del quadro, è solo una piccola, immobile piramide posta su una solida base, dalla quale spunta un becco. Qualcosa di inclinato, con alcune rotondità, che, urtando contro un cubo, suscita tensioni molto singolari. Egli ha dato forma decora­ tiva a uno dei Balletti svedesi, Relàche, e in quel caso l’intero re­ gistro dell’universo formale sembra rielaborato: uno sfondo di for­ me tondeggianti, ora chiaro ora scuro, che genera molteplici stimo­ li ottici; mentre i costumi, graduati sul piano cromatico e figura­ tivo, si intersecano nei loro valori. In questa scenografia, tanto piena di mobilità quanto il senso del balletto stesso, si è sviluppato qualcosa che risuona, che non è afferrabile nella luce, che dilata lo spazio oltre le sue dimensioni naturali. Certo, nient’affatto sistematico. Il suo film ha perfino un’azione: le avventure di un corteo funebre. Ma queste avventure scaturisco­ no dalla macchina da presa: sono rallentamenti e accelerazioni che si svolgono in una gradazione sorprendente. Solamente il movimen­ to è legato a un avvenimento in qualche modo registrabile, che colpisce il senso vitale dello spettatore: la comicità si genera dai ricordi della consueta realtà di un corteo funebre che, secondo le tendenze del tempo, si prende, per così dire, in giro. Fra questi procedimenti si inseriscono invenzioni che, per così dire, scompon­ gono in un fascio di raggi il dinamismo del moderno sentimento del mondo: uno vuole assolutamente sparare e, a un certo punto, viene egli stesso ucciso. Ma è solo un gesto metafìsico, perché in definitiva anche le armi sono solo corpi che, generando movimen­ to, agiscono o qua o là; e gli uomini che vogliono sparare sono certamente comici, se si dà un’occhiata all’intero dispositivo del mirare, del cercare il bersaglio, del puntare e del premere il gril­ letto. E, strutturato al suo interno, sempre il poderoso ritmo della

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metropoli, risolto in forme ora astratte ora organiche, parodia le forze della vita stessa: una piccola barchetta di carta si libra lenta’ mente sul mare di case di Parigi « Sono la melodia del movimento, entusiasticamente afferrata, la sua modulazione, le sue accelerazio­ ni e le sue interruzioni , che prendono forma dallo spirito e dai mez­ zi della cinematografia. Di tutti quelli che hanno creato film asso­ luti, Picabia è al tempo stesso il meno conseguente e il più risolu* to. Egli può essere spiritoso in un senso molto borghese, ma allo­ ra c’è ugualmente sotto la parodia dell’arguzia stessa. È, appunto, l’intenzione metafisica che balena dappertutto; e, se si scorrono con lo sguardo i suoi quadri, disegni, messaggi, si sente lo spirito sublimato del movimento, si avverte, in ogni salto mortale, l’asse irremovibile di questo vasto mondo roteante: la fede nell’arte.

/•ig. 64.

Reinwnn: Mozzetto per Caligari

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STILE DEL FILM ESPRESSIONISTA Il film espressionista è un organismo altamente elaborato, che rappresenta una particolare messa in forma della realtà. Questa forma non si può conseguire incorporando architetture esprcssioniste o modalità espressive di recitazione in un film fatto in un mo­ do qualsiasi. Il film espressionista è, al contrario, il risultato di un'attività formativa omogenea, che concerne in modo uniforme tutte le componenti filmiche e le trasforma secondo la sua logica. è anzitutto dubbio che si possa parlare di uno stile del film espressionista. Il concetto di stile scompare solitamente nell’am­ bito di privati modi di vedere: vale, per così dire, come legittima­ zione di una personalità altamente problematica. Qui stile deve essere usato nel senso che esso richiede da un punto di vista este­ tico, come espressione dell’uniformità all’insegna della quale la realtà viene compresa e rappresentata dall’artista. Nella misura in cui l’espressionismo rappresenta una ben caratterizzata attitudine spirituale di questo tipo, si può parlare del suo stile. Il mancato adeguamento a questo stile produce nel film il dilet­ tantismo. La penosa sensazione lasciata dietro di sé da Genuine deriva dal fatto che i protagonisti agiscono in modo completamen­ te naturalistico e che l’architetto impronta le scenografie agli stili più disparati; si realizza così un conglomerato che diffonde dap­ pertutto inquietudine, mentre lo stile è, in senso proprio, armonia nell'eccitazione. Il cinema, come il teatro, non permette di trasfor­ mare gli interpreti in elementi dell’architettura. Il tentativo di ri­ suscitare le antiche maschere sceniche non è riuscito allo stesso Goethe nelle sue messe in scena weimariane di Terenzio. E ogni tentativo analogo sarà sempre votato all’insuccesso, poiché i pro­ cessi emotivi, che sono il punto d’arrivo del procedimento teatrale o cinematografico, contengono ancora troppi elementi intellettuali psicologicamente differenziati per sopportare l’uniformarsi del viso o del gesto a un’espressione univoca. Forse, questa radicalissima e sistematica soluzione si rende possibile nel balletto, che possiede la capacità di ridurre la vita della figura volteggiante a processi pura­ mente ottici e di abbandonarsi alla musica. Ma l’armonia delle parti è un presupposto indispensabile del­ l'efficacia del film, e se il regista intende realizzare una rappresen­ tazione espressionista, deve perseguire questa forma in tutti i det­ tagli. Dove si incontrino serie difficoltà, dovrà operare passaggi,

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adattamenti, attenuazioni. Se non si rispetta questa coerenza inter­ na, il film si annebbia e non si stabilisce il contatto con lo spetta­ tore, poiché nessun tono adottato viene perseguito radicalmente. Gli elementi espressionisti nel film non forniscono alcuna garan­ zia stilistica - ai contrario, si tratta di un materiale esplosivo co­ si efficace che disperde facilmente la forza creatrice del regista e in­ frange irrimediabilmente il quadro del film.

LA REGIA Nel film il regista costituisce il centro naturale in cui le energie si raccolgono e ricevono direzione e riferimento. Egli è il garante del l’unità. Nelle sue mani riposa il sistema di sottolineature, omis­ sioni, tonalità, coloriture, regolazioni ritmiche, accentuazioni, che determinano lo spirito e la struttura del film. Questa preponderanza del regista conferisce al film una nota di unità* che procede oltre la collaborazione dei singoli fattori. L’espressionismo rappresenta per il film un tale spiegamento di energia visibile* di sorpresa, di pienezza tematica, che non diven­ ta facilmente percepibile la mano che ordina gli elementi secondo le loro determinazioni. Nell’analisi ci si dovrà soffermare su det­ tagli folgoranti: si può solamente spiegare con quali mezzi il re­ gista realizza la forma espressionista e in che misura égli li incor­ pora, soltanto come elementi scenografici, nel registro formale. Robert Wiene si è accostato al Caligari con l’entusiasmo di un uomo che vuole conquistare una terra sconosciuta. Egli ha cercato di attenuare la contraddizione fra i due supporti radicalmente op­ posti del film, la forma insuperabilmente naturalistica degli inter­ preti e la forma fondamentalmente artistica dell’architettura* me­ diante il retrocedere degli interpreti e mediante il loro adattamen­ to alla scenografia. Ma questo dissidio* che avrebbe potuto diven­ tare pericoloso per il destino del film, fu superato in modo del tut­ to positivo grazie alla potenza formativa di Krauss e Veidt* che giocano magistralmente su una concezione metafisica. 11 primo piano è mantenuto da loro così fortemente in movimento che gli altri personaggi possono, secondo le indicazioni della regia, esse­ re relegati in un’atmosfera priva di colore. Dentro di essa, Wiene stabilisce gradazioni, crea equilibri attraverso i costumi e i com­ portamenti. In Genuine mancano i forti interpreti, e Wiene tenta di stabilire l’unità di uomo e paesaggio, di interprete e architettu­ 117

ra, mediante la parità di entrambi i fattori: gli interpreti si muo­ vono secondo un'espressione corporea espressionista: il gesto ren­ de percettibile un intenso movimento nello spazio, mentre la fisio­ nomia tende verso qualcosa di statuario, di tipico - ma l’intenzio­ ne formativa viene aggrovigliata dal caos stilistico dell’insieme, e l’espressione, nella misura in cui, come accade in Gronau, costitui­ sce una riuscita nel particolare, rimane isolata e slegata dal tutto. In Raskolnikow, Robert Wiene segue nuovamente la sua inclina­ zione a lasciar parlare l’atmosfera della scena, a smorzare gli inter­ preti e a fare affidamento sulla prevalenza dell’architettura e del­ l'impressione visiva. Il regista si regola sull’immagine filmica già definita: ponendosi dal punto di vista della scenografia, egli vuole raggiungere un massimo di espressione, frenando l’interprete, la cui corporeità è un ostacolo per l’unità degli elementi del qua­ dro, trascurando le esplosioni troppo naturalistiche e preferen­ do ricercare un’espressione neutrale, piuttosto che un’originali­ tà basata su forme poderose ma costruite secondo intenzioni di­ verse dalle sue. Nella direzione degli attori, la regia di Wiene si compiace di adattarsi: ma egli è anche sufficientemente risolu­ to da armonizzare personalità di interpreti veramente spicca­ te con la sua universale intenzione spirituale, senza indebolirle. Al contrario, l’atmosfera d’insieme stilisticamente perfetta stimola poderosamente a una grande attività formativa valida sul piano stilistico. Karl Heinz Martin, radicalmente opposto nella valutazione dei mezzi, si presenta consapevolmente come direttore di attori. Egli non mette in scena partendo dall’architettura scenografica: suppor­ to della sua intenzione spirituale è in primo luogo l’interprete, sul quale deve concentrarsi la forma artistica dell’insieme, per poi in­ fluenzare uniformemente tutti gli altri fattori del film. Martin è più rigoroso, ma anche meno efficace sul piano cinematografico. Ri­ nuncia agli effetti sicuri, fa passare in secondo piano la scenogra­ fia, la luce, l’inquadratura. La volontà espressionista si manifesta anzitutto negli interpreti, che si trovano aprioristicamente inseriti in un nuovo livello di esistenza e divengono creazioni del regista: l’uomo grasso si fa archetipo della corpulenza come tale, luci di­ pinte sussultano luminose sul suo corpo informe per caratterizzar­ lo, con ogni certezza, come pura forma. Il cassiere è divenuto in­ teramente espressione stilistica: magro, pallido in modo irreale, la­ cerato dalla luce che gli si incolla addosso, con una barba arida e cespugliosa: la visione di un frodatore, vittima di una tara menta­ le congenita. Inserite in un normale quadro di esistenza, simili fì118

gure sono assurdamente caricaturali; ma il normale quadro di esi­ stenza è una novità di avantieri, dei tempi del Biedermeìer e della diligenza. Invece» il modo della rappresentazione e il fun­ zionamento di questi personaggi formati in maniera costrutti­ va si muovono in questa esistenza artisticamente perfetta: le sfu­ mature spariscono, le in formazioni psicologiche indietreggiano.

Fin. 65»

Raskolnikow

un motivo acutamente accentuato si oppone duramente a un al­ tro: è una battaglia di allusioni pungenti. Il tutto è diretto da un'ef­ ficace e costante energia spirituale» che» per così dire» modula Fazione secondo una concezione ritmica, mette in luce personaggi e situazioni a seconda del bisogno, genera ora un tumulto improvvi­ so, ora una quiete altrettanto repentina: una regia che concerne essenzialmente il movimento della vita in quanto spiegamento del­ la sua forza intrinseca ed elementare. In Das Haus zutn Mond, lo stile registico di Martin si è attenuato. Dopo un'esperienza infrut­ tuosa, egli vuole trovare un contatto con il pubblico. L'immagine non ha subito modificazioni di sostanziale importanza nella sua

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struttura spirituale. I personaggi, più uomini vivi che forme architettoniche, consumano ancora in un istante esperienze di vita delle più condensate, dei gesti compaiono improv­ visamente. motivati solo dalla loro intensità, il non-reale si impone nuovamente, determi­ nando il film. Tuttavia, il bisogno di rendere comprensibile al pubblico il comportamento dei personaggi induce Martin a inserire se­ quenze interpretate in modo normale: ma egli non si sottrae alla dicotomia secondo cui isole di conversazione camuffate in modo borghe­ se sono introdotte in forme strettamente espressioniste. Poiché la direzione spirituale della regia è immutata, solo i mezzi sono at­ tenuati. Se talvolta gli riesce di conseguire un'impressione visiva facilmente ricordabile, il pubblico si ribella, perché non capisce la motivazione di questa forma espressiva e av­ verte oscuramente l’incoerenza dello stile. È una contraddizione interna che un personag­ gio rappresenti talora un elemento formale, talora un normale cittadino della terra che ci è familiare. Martin sa che nell’arte pura l’oggetto natu­ rale è possibile solo in quanto espressione e forma. È facile al cinema coinvolgere gli spet­ tatori nelle tonalità affettive di una scenogra­ fia espressionista, ma non è possibile portarli a rinunciare a riconoscere nei personaggi una figura a loro prossima e in tutti i casi loro pa­ ri. E più Martin elabora con energia il senso della sua intenzione formativa, più perde con­ tatto con la sfera d’azione del film.

LO SCENARIO Non è assolutamente chiara l’importan­ za dello scenario per il film. Manca una ri­ cerca estetica di carattere fondamentale, e co-

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Fig. 66. Ruttmann: Moli ve

sì ogni opinione personale può avere libero corso. Senza voler di­ scutere nei particolari, si può constatare che attraverso lo scena­ rio viene, per così dire, definito il sistema spirituale di coordinate del film. Vi sono annotati il punto di partenza degli elementi for­ mali, dal complesso scenico fino ai minimi particolari, la propor­ zione degli sviluppi spirituali, la colorazione del mondo sentimen­ tale. Il regista diventa libero so­ lo nel momento dell’individuazio­ ne, della disposizione del perso­ naggio e dell’azione nel quadro, ed è esclusivamente libero solo in queste direzioni, a meno che non voglia intromettersi nello sce­ nario - cosa che, tuttavia, non ri­ guarda il regista, bensì lo sce­ narista. Il normale scenario non può quindi diventare il fondamento del film espressionista, poiché il suo sviluppo è influenzato in modo decisivo da mezzi psicologici. Il film espressionista presuppone in­ vece, come condizione della sua esistenza, una sfera di vita che Fig, 67, Werner Kraus* è fondamentalmente diversa da quella del mondo vissuto. Lo sce­ nario filmico espressionista dovrà recare con sé questa distanza rispetto all’esistenza quotidiana, ammesso che debba conseguire un risultato che gli sia adeguato. I mezzi per conseguire questi presupposti variano. Generalmen­ te, il misterioso si impone quale atmosfera dello scenario: come la forma più accessibile del distacco dalla vita quotidiana. Lo strano allo stato bruto è il surrogato più corrente per un’elevazione del­ l’esistenza a un’altezza in cui le esperienze quotidiane perdono il loro tono e appaiono solo come senso, forma e destino. Il vero e proprio creatore dello scenario filmico espressionista - in Germania ce n’è uno solo -, Carl Mayer, è partito da questo presupposto spirituale con il manoscritto di Caligari (redatto insie­ me a Hans Janowitz), Caligari è un destino fuori del comune, un'esperienza delirante. L’autore legittima la propria posizione da­ vanti al pubblico presentandola come l’allucinazione di un pazzo. Tuttavia Mayer, per il quale il modo di esprimersi espressionista è

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più di una scenografìa, si libera presto di questo compromesso, il soggetto perde la sua avventurosità meccanica, rimane nell’ambito di un vissuto che si motiva da se stesso, ed è una pura forza poetica a sollevarlo a una plaga metafìsica. Ora la condizione bor­ ghese perde i suoi contorni abituali: i personaggi diventano forme di un’intenzione compositiva. L’avvenimento esteriore si smorza, si trasforma in tensione dinamica; l’economia dell’azione fornisce la possibilità di risolverla in relazioni ritmiche sempre più sottili. Questa disposizione spirituale dà allo scenario di Mayer la sua fi­ sionomia esteriore: egli scrive le sue frasi in base a un effetto dina­ mico; con la sua prosa elaborata in modo personale, egli suggeri­ sce al regista le proprie idee sull’intensità espressiva, lo sottomet­ te, attraverso ripetizioni, capovolgimenti sintattici, concatenamen­ ti ritmici delle parole, a una disposizione spirituale fondamental­ mente identica. Una scena, tratta da uno scenario di Mayer che è stato pubblicato, Sylvester, può illustrare questo spiegamento della tensione energetica, questa trasformazione dell’uomo in una forma spirituale all’interno dello spazio fìlmico: Nella Konditorei

L’immagine si schiarisce lievemente. Totale: Vapore. Fumo. Luce torbida. Si strimpella il piano­ forte. E! Mentre entrano sempre nuovi clienti: i camerieri corrono at­ traverso il chiasso di tutti quelli che ridono e degli ubriachi. E! Al banco. L’uomo. Lavora. Per molti. Ma! Più grande: Ha appena servito una tavolata. E per un secondo si fa aria: adesso getta uno sguardo all’indietro verso la porta. Come se aspettasse qualcosa. E! Ora! All’improvviso. Fa un cenno a un cameriere. Poi: Esce. Velocemente. Verso il fondo.

Risulta chiaro l’intento artistico di sfuggire alia temporalità per conseguire un assoluto. A livello puramente emotivo. Lupu Pick, il regista del film, dice in una prefazione: « Quando lessi lo sce­ nario, fui colpito dall’eternità dei motivi ». Al regista è chiaro an­ che il rifiuto della psicologia: il mare e la grande città assumo­ 122

no funzioni metatìsiche non in quanto scena dell’azione, ma come mezzi dell’attività formativa; il loro compito è « di costituire il sottofondo e il retroterra sinfonico contro il quale si staglia il de­ stino individuale» che diviene così la manifestazione più evidente del concetto dominante ». Le dichiarazioni di Pick sono tanto più interessanti in quanto, a questo punto, si chiarisce un proces-

Fig. 68.

Il gabinetto delle figure di cera

so eccezionalmente significativo: Patteggiamento espressionista di un’opera, peraltro lucidamente percepito, viene spiegato con mez­ zi psicologici. Risulta dimostrato che Mayer vuole costruire la di­ namica di un frammento di mondo chiaramente recepito, mentre Pick sposta l’accento dalla costruzione al l’interpretazione: il ritmo è certamente essenziale, ma si esprime nelle relazioni psichiche dei personaggi. Questi due mondi contrapposti, dominio del mo­ vimento e dominio dell’anima, confluiscono in una sola frase, quan­ do Pick spiega l’intenzione del « gioco di luci » di produrre « l’eter­ no susseguirsi di luce e ombra nei rapporti psichici tra gli uomini ». 123

In questo atteggiamento spirituale, Pick ha messo in scena il film: mentre rende sensibile l'intenzione metafìsica dell’autore, median­ te un'elaborazione psicologica dei personaggi stilisticamente per­ fetta, cerca di realizzare i presupposti ritmici con l’inserimento combinato del mare e della metropoli. Tuttavia, nella forma fìlmi­ ca si manifesta un'evidente contraddizione. Non è certo strettamen­ te indispensabile ricavare uno scenario di taglio espressionista da questo atteggiamento spirituale. Ma se un’azione, che si fonda esclusivamente sui rapporti ritmici degli elementi formali come se ne ricevesse tutti i propri impulsi vitali, viene inserita in un conte­ sto psicologico-borghese, l’accento si sposta necessariamente sui processi psichici. Tuttavia, poiché lo scenario, nella sua intenzione originaria, è elaborato in base a valori dinamici, poiché l’azione esteriore passa dunque in secondo piano di fronte a queste esigen­ ze, poiché i processi psichici sono elementari e sommari - e devo­ no proprio essere sommari a causa della loro dimensione profon­ da -, la realizzazione del film in chiave psicologica fallisce in quan­ to si scontra con l’insuffìcienza dello scenario, incontestabile in questo senso. Un autore espressionista e un regista psicologico, sia pure così stilisticamente dotato, non possono accordarsi senza un compromesso. Tutto dipende da questo compromesso. Poiché il sentimento universale e l’intenzione stilistica, nella misura in cui traspaiono nello scenario cinematografico, sono molto vicini al modo di espri­ mersi espressionista. In proposito sono significativi alcuni testi di Henrik Galeen, uno scenarista psicologico degno di nota. Egli ha collaborato alla prima versione del Golem, e da lui derivano Nosferatu e // gabinetto delle figure di cera. Galeen ordina il suo mondo sulla base di un senso stilistico molto chiaro, e crea una sfera di esistenza spirituale in cui i personaggi vivono secondo una propria legge, pur sollecitando sempre « comprensione » e « sim­ patia ». Ma spesso, nei suoi scenari, desta sorpresa un passaggio che si chiarisce solo attraverso la costruzione gestuale, attraverso una riorganizzazione ritmica del quadro, attraverso il ricorso a strumenti formali lontani dalla natura. E perciò il suo nome non può mancare in questo contesto.

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Fig, 69.

Reimann: Figurini per Caligari

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L’ A T T O R E Nel film espressionista, l’interprete è posto di fronte a un’esigen­ za decisiva. Egli deve distruggere la mediazione che gli garantisce la comunione con il pubblico: invece del linguaggio del quotidiano manipolato in modo artistico, invece di una forma espressiva in­ tensificata di un vissuto comune, egli deve fornire una costruzio­ ne in cui il linguaggio, il tono, il gesto siano elementi della sua vo­ lontà formativa. Si deve inizialmente notare che l’interpretazione espressionista si è degradata fino a divenire un luogo d'elezione per dilettanti. Si è vista aumentare quella spavalderìa decorativa che Alfred Kerr ha consegnato a un ironico disprezzo come « iperconcisione espressio­ nista ». Per quanto siano efficaci i veleni mortali che ora Kerr secerne per respingere l’immagine tutta esteriore del mondo, tipica dell’espressionismo teatrale, mi sembra tuttavia che questo grande autore, che noi nominiamo con perfetta riconoscenza per tutto quello che abbiamo appreso da lui e attraverso di lui, si lasci con­ durre da un umano scetticismo a contestare troppo perentoria­ mente l’atteggiamento spirituale dell'espressionismo. L’interprete, che ha trovato nell’universo formale dell’espressio­ nismo un modello espressivo a lui congeniale, deve sviluppare i suoi mezzi in funzione di un ideale completamente nuovo. Certo, non c’è in genere alcuna interpretazione naturalistica, perché l’at­ tore trasforma il modello naturale per integrarlo in modo signifi­ cativo e pertinente nella sua sfera individuale. Tuttavia, una cosa è trasformare la vita esperibile in una dimensione spirituale me­ diante un ordine stilisticamente perfetto, e un’altra cosa è esprime­ re questa realtà esperibile fondandosi su una volontà costruttiva non curante di un normale riscontro con il reale. Inoltre, ci vuole qualche rinuncia a forme espressive efficaci ma convenzionali, qualche controllo, qualche atteggiamento psicologicamente in­ spiegabile. In Caligari, Werner Krauss sembra essere intuitivamente dotato di mezzi e di forma. Egli è l’attore che, senza fatica apparente, su­ pera l’incongnienza tra processo coscienziale e manifestazione cor­ porea, operante nella forma del personaggio espressionista. Il suo linguaggio gestuale si è adattato all’/iabàus spirituale: nella sua im­ mediatezza, nella sua subitanea esistenza, nelle sue imprevedibili­ tà, si realizza un elemento spirituale che, per cosi dire, costruisce in modo creativo la necessità dell’espressione, anziché vedersela imposta in modo meramente emozionale. Il Caligari di Krauss è 126

proprio la dimostrazione dell'interpretazione espressionista, alme­ no quando essa non vuole abbandonare il quadro dell’efficacia sce­ nica: cercando di riprodurre nell'aspetto esteriore le diritte, rigide forme dcll’architettura e optando, sui piano espressivo, per un at­ teggiamento controllato e impenetrabile, per una sobria mobilità che, nel momento in cui viene messa in opera, consegue un’estre­ ma intensità - con un linguaggio gestuale che ripete le cadute obli­ que, le spaccature improvvise, le curve sinuose del suo mondo circostante. È il gioco di una ricchezza inventiva e non di una li­ mitatezza naturale, poiché il registro psicologico dell’attore è così evidente che questa forma di espressione allude soprattutto al ten­ tativo di risolvere con nuovi mezzi un problema atemporale. Che questi nuovi mezzi siano regolati secondo una nuova con­ sapevolezza. risulta specialmente chiaro nell’ultima parte de II gerbinelto delle figure di cera, che Krauss domina incarnando lack lo Squartatore. Qui non si tratta più di un avvenimento: qui viene

Hg. 70.

Metti tier: Figurini par La strada

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messo in movimento un personaggio costruttivamente organizza­ to; i movimenti raggiungono i valori dinamici dell’architettura e culminano nell’espressione immobile, quasi matematizzata, del vi­ so: un’esistenza che, attraverso l’angoscia psichica dei due prota­ gonisti, agisce accentuatamente fuori del tempo. In genere, l’espressionismo non è stile: si deve tenere particolar­ mente presente questo fatto nel giudizio critico sui film. Però, più diventa chiara la consapevolezza stilistica del mezzo formati­ vo dell’interprete, più egli è accessibile alle forme dell'espressio­ nismo. Un attore della statura straordinaria di Emil Jannings non si accontenta affatto di conseguire soltanto un massimo nell’arte dell’interpretazione psicologica: il suo « ultimo uomo », come stu­ dio psicologico di un carattere, sarebbe rimasto irrigidito in un’im­ mobile monotonia. Ma egli ha raggiunto questo profondo effetto perché l’impostazione del personaggio è metafisica, oltre la sfera del vissuto quotidiano e alla ricerca di una risposta definitiva al problema della fatalità. Certo, il dettaglio psicologico dell’inter­ pretazione si impone con forza; ma la scena dell’ubriachezza del vecchio va ben al di là di questo: si tratta della riorganizzazione costruttiva di una forma di esistenza, e solo l'infallibile fine sen­ sibilità dell’interprete si oppone allo schema espressivo espressio­ nista, allo scopo di salvaguardare il contatto con il pubblico. Come Harun al Raschid ne // gabinetto delle figure di cera, la dualità stessa dell’interpretazione raggiunge addirittura il suo punto criti­ co, le intenzioni del regista oscillano fra stili differenti e l’effetto si basa ora sulla stravaganza psicologica, ora sull’aspetto del perso­ naggio, inteso come elemento formale efficace e propulsorio del film. E così l’interprete non risiede in alcuna dimensione nella qua­ le si senta a suo agio: né sulla terra né in cielo. Conrad Veidt è stato plasmato in modo quasi determinante dal film espressionista. Attore di una capacità di adattamento non usuale, si è momentaneamente impegnato a fondo nel problema centrale dell’interpretazione espressionista. Il suo Cesare, in Cali­ gari, si adatta risolutamente allo stile del film. L’espressione si li­ mita alla più sobria interiorità, gli accenti sono distribuiti con un’arte così consapevole, (’esistenza della figura è integrata nel­ l’azione con tanta comprensione compositiva quale si può spie­ gare solo in base a un analogo orientamento generale del sen­ so della vita. Torna soprattutto utile a Veidt il suo aspetto este­ riore, che, nella sua severa intellettualità, è sempre permeato dal fascino dell’anomalo: benché, proprio gli allettamenti legati al suo aspetto lo abbiano spesso condotto fuori strada, quando mancava

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Salome < Die drei Sadduzaer : Schizzi di mtunu di Alektundru kksier

di una guida sicura. Ma quando, come in Caligari, la funzione e intenzione formativa lo tutelano, ci sorprende la chiara forma del­ la sua presenza: un sentimento, che solitamente trova la sua manifestazione esteriore in singhiozzi o in un crollo, si semplifica in una fissità dello sguardo, un gesto impercettibile della mano, un

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Il gabineiio delle figure di cera

irrigidimento del corpo. Si tratta proprio della realizzazione di una concezione chiaramente individuata e consapevolmente orga­ nizzata, È questo distanziamento dalla vita quotidiana che contrassegna interprete espressionista. Naturalmente interviene sempre la sen­ sibilità scenica, poiché l’interprete, tanto nel teatro quanto nel ci­ nema, non è un elemento formale matematizzato, bensì presuppo­ ne il pubblico e la sua comprensione. In Von Morgans bis Mìtternacht, Ernst Deutsch ha tentato questo salto definitivo dalle di­ mensioni naturali: il suo cassiere porta il costume, la maschera, il

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trucco luminoso non come un’uniforme espressionista, ma come lato visibile della sua vita coscienziale. Ogni gesto, ogni espressio­ ne si fonda su questo atteggiamento: il comportamento reale del­ l’uomo sofferente non influenza in alcun punto la sua attività crea­ trice; è solamente essenziale che ogni sfumatura compaia in mo­ do compositivo al posto che le spetta nel mondo circostante. Egli è così sottomesso alla volontà stilistica che spesso, invece di una figura vivente, sembra agire l’ineluttabilità di un automa. Altri­ menti, all’improvviso, il talento originario di questo significativo attore rispunterebbe inaspettato e, mediante un gesto o uno sguar­ do, farebbe esplodere il quadro del film. L’espressionismo deve infatti incorrere in una fase critica, dal momento che rientra nei suoi elementi formali un materiale viven­ te che conserva il suo senso convenzionale. Perché, laddove la vita entra in contatto con la vita, scaturiscono vive sorgenti che vogliono agire come un’esplosione naturale. Questo è uno degli aspetti. L’altro aspetto consiste nel fatto che l’interprete non si può staccare dalla platea e si instaura involontariamente una con­ nessione psichica che impronta di sé la forma e il modo dell’espres­ sione. Questo non è conforme ai principi, questo sfugge alla defi­ nizione rigorosa del teatro - ma il fuoco non ha altri limiti che Dio.

L’ ARCHITETTO La forma espressionista è penetrata nel film con l’elemento sce­ nografico. L’architettura può stabilire i presupposti spirituali degli avvenimenti che si svolgono in essa. Il suo stile è determinante per l’atteggiamento spirituale del film. Come si è detto, l’origine di Caligari deriva dall’ispirazione de­ gli architetti Warm, Ròhrig e Reimann. Se si considerano i loro schizzi, si rileva, come prima impressione, quanto disinvoltamente le rigide forme espressioniste si adattano all’esigenza psicologica del film. L’elemento decorativo, eliminato nella pura opera d’arte, assume una funzione mediatrice nei confronti del pubblico. Tutte le forme familiari dell’espressionismo sono presenti. Le verticali si tendono diagonalmente, le case confinano ad angoli obli­ qui, le superfìci si modificano in romboidi, le tendenze dinamiche elementari dell’architettura consueta, espresse mediante verticali e orizzontali, si sono trasformate in un caos di forme spezzate, il mo­ vimento si è reso autonomo: questi tetti sghembi, queste superfì132

ci inclinale, questi muri irrigiditi obliquamente verso il cielo, han­ no il significato di uno svincolarsi. Un movimento inizia, abban­ dona la sua traiettoria naturale, viene intercettato da un altro, condotto oltre, di nuovo curvato e spezzato. Tra tutto questo agisce la magia della luce, lo scatenarsi del chiaro e dello scuro, costruen­ do, disgiungendo, sottolineando, distruggendo. « La scenografia filmica deve diventare grafica. » La definizione dell'organizzazione spaziale attraverso la luce, attraverso linee e superfìci cariche di contenuto affettivo, è il senso dell'architettura di Caligari Di conseguenza, l'ornamento assume la sua funzione di sostegno: esso articola le superfìci, e le sue figure misteriose con­ ducono 1’anima su falsi sentieri. Il fotografo assume un ruolo rimarchevole. Hameister, che ha gi­ rato Caligari, si adatta abilmente alla funzione specificamente ar­ chitettonica della luce. E Carl Freund, il più significativo operato­ re tedesco, lavora con la luce, considerandola come il valore de­ cisivo per la formazione dello spazio. Anche se finora non ha gi­ rato alcun film, propriamente parlando, espressionista, si avverte in tutti i suoi film come sia stato conquistato dalla potenza ordina­ trice della luce. Walter Reimann ha risolto in una formulazione assai chiara l'essenza dell’architettura espressionista. Lo spazio spirituale del film è individuato con serietà appassionata, e di qui si modellano il paesaggio e la strada, il muro e la travatura. In Caligari, il suo fantasma che si aggira sui timpani delle case si plasma in rappor­ to al progetto formativo dell’intero film, e lo stesso avviene con i suoi figurini. Si avverte subito la fedeltà ai propri principi, se si confrontano i suoi figurini con gli schizzi elaborati da Ludwig Meidner per La strada di Grune. Meidner traspone la dinamica brutale della strada notturna di una grande città in una visione lu­ minosa, nella quale i mezzi pittorici ripartiscono gli accenti. 1 suoi figurini per questo film sono individui autonomamente considera­ ti, che vengono invero prodotti dallo spirito dell'insieme, ma che affermano la loro vita anche al di fuori del quadro. Il significativo film « di strada » di Grune si attiene, nella realizzazione scenica, ai medesimi mezzi formativi, mentre i registi dell’espressionismo si distaccano dall'esperienza vissuta del mondo - verso una nuova creazione che muove da un progetto puntiglioso. Neppach sta in rapporto con questi architetti, come Martin con Wiene. Egli compie con serietà la riduzione al modo di esprimer­ si espressionista. Egli elude tutte le mediazioni psicologiche, li qua­ dro è ripartito secondo rigidi prìncipi, il chiaro e lo scuro sono do133

sari secondo una sensibilità ritmica, il carattere della composizio­ ne viene in ogni caso tutelato. 11 suo schizzo si impone brutalmen­ te come spazio e determinazione di un’azione che, per così dire, prolunga l’idea compositiva mediante elementi formali mobili. Non si preoccupa affatto di cercare approcci con il pubblico. I mezzi sono esclusivamente derivati dalla coscienza artistica: i suoi bian­ chi e i suoi scuri sono irreali; mai la luce ha avuto l'aspetto di questa macchia vistosa, mai c’è stato un equivalente di queste si­ nuosità. Le sedie, le porte, i tavoli dell’interno piccolo-borghese sono forme animate, che oscillano sul medesimo ritmo dello svol­ gimento loro incorporato: linee bianche, talvolta forti, talvolta de­ boli, sottolineano vigorosamente questo carattere dinamico. L’in­ gresso di una banca scatena forze esplosive - accentuate dal concetto di capitale - e la scala si lacera in irrequiete masse lumi­ nose, che prorompono sui personaggi e ne riflettono il movimento. Il pubblico della corsa dei sei giorni è lacerato da linee luminose che, come chiazze e linee bianche, trascinano nel loro volo i volti e l’abbigliamento: la dinemica di questo atrio consumato dal mo­ vimento ha ossessionato il pubblico, che ne diviene, a sua volta, veicolo, puro elemento espressivo della sua brutale e inebriante melodia. Le scenografie di Neppach per Von Morgens bis Mitternacht so­ no rimaste senza effetto. Infatti, gli elementi che riempiono il qua­ dro della rappresentazione ne condividono la tensione critica. Fin­ ché l’architetto crea attenendosi strettamente alla sua volontà, fin­ ché organizza lo spazio in base alla sua concezione, scava fra sé e il pubblico il solco che lo rende sterile. Se, invece, egli si attiene alle forme espressioniste come a puri mezzi espressivi che posso­ no essere integrati nello stile di un'architettura mediante transizio­ ni, ritocchi, accenti decorativi, ne derivano possibilità parziali che, pur non fondando l’espressionismo cinematografico, accrescono utilmente il registro delle forme espressive.

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I tjt. 72. Polzin: Lu ciuà del Golem

LIMITI DEL FILM ESPRESSIONISTA La difficoltà di portare avanti il film espressionista non sta in una mutevole costellazione esterna, bensì nelle sue stesse premesse. Infatti non c'è dubbio che, fatta eccezione per il sorprendente successo di Caligari, il film espressionista non ha trovato riscontro presso il pubblico. Per giungere a un giudizio di fondo, dobbiamo considerare la funzione originaria assegnata al cinema nel grande bilancio del* l’economia energetica umana. Che il film abbia uno specifico si­ gnificato nel registro del soddisfacimento dei bisogni umani è di­ mostrato molto chiaramente dal successo che ha conseguito nel mondo in trent’anni. Se esso fosse solo una forma particolarmente popolare e meno costosa della scena, avrebbe da tempo annientato il teatro, e non possederebbe un raggio d’azione più ampio di quel­ lo che la scena consegue nel migliore dei casi. Già una rapida in­ chiesta dimostra che, per quello che riguarda il film, si tratta di un effetto completamente diverso sulla società, di un fenomeno di massa a colorazione individuale. Il successo del cinema è motivato dal suo inserimento in un’esi­ genza biologica sommamente generalizzata. Il quotidiano dispen­ dio energetico, la sistematica demolizione delle cellule, richiede, durante le pause serali del lavoro, il passaggio alla loro ricostru­ zione, che si compie durante il sonno. Questo processo rigenera­ tivo esige uno stato di distensione spirituale, che abitualmente vie­ ne accompagnato da una sensazione di vuoto. Qui si inserisce il film. Esso produce nuove condizioni per il rinnovamento fisiologi­ co, lascia all'uomo la sua atmosfera passiva e gli trasmette però la sensazione di un essere-impegnato spirituale, di un'eccitazione la quale può essere ottenuta così agevolmente che non vengono affat­ to richieste, o vengono richieste solo in minima parte, prestazioni spirituali. II cinema provoca le necessarie sensazioni di tensione che rimuovono la coscienza del vuoto e della noia, senza portare con sé una rilevante perturbazione dell’equilibrio. La facile appercezione del film è dunque un presupposto fonda­ mentale del medesimo. Lo spettatore deve poter inglobare agevol­ mente nella sua immagine del mondo i contenuti di esperienza vei­ colati dal film, senza che questo atto richieda una qualunque for­ ma di attività spirituale. Il film espressionista si oppone per princi­ pio a questa richiesta, poiché il nuovo ordinamento degli elementi 136

formali ricava piuttosto il senso della sua realizzazione da un'in­ tenzione metafisica. L'altro veicolo consueto dell'anima umana, la psicologia, è, per così dire, messo fuori uso, perché si tratta anzi­ tutto non di un capire, ma di un comprendere. Non di empatia, ma di cognizione. Il film espressionista era fin dall'inizio incline a concessioni. Es­ so ha cercato ponti per unire i mondi separati del film e del pub* blico e, soddisfatto infine di ciò, per rendere psicologicamente com­ prensibili i mezzi espressionisti. Il gabinetto del dottor Caligari pro­ duce una vasta gamma di fattori che generano atmosfera, e in più realizza una piattaforma comune tra l'arte e il pubblico: l'azione è la creazione folle di un pazzo che, seguendo una necessità natura­ le, vive il mondo come deformazione e smorfia. Questo significa già ammettere che il film espressionista, nella sua purezza, deve ri­ manere incomprensibìle allo spettatore. La sua forma artistica ri­ chiede perciò un commento, una giustificazione. Tale tendenza pro­ segue in tutti i film di questo genere, che vivono di sogno e di ca­ pacità occulte. Come arte pura, il film espressionista non è duratu­ ro, e i primi ad averlo constatato sono i suoi stessi scopritori. Punto cruciale di questa crisi della comprensione è l'uomo nel film. L'artista può raffigurare nel film l'uomo che agisce, comun­ que la cosa lo richieda, può mutarne completamente la for­ ma naturale, ricostituirlo radicalmente: visto dalla platea, esso ri­ mane « l'uomo », con il quale si identifica lo spettatore. Comun­ que l'uomo si esterna nel film: nel momento in cui non esprime più l’anima dello spettatore, si spezza il contatto, cessa la com­ prensione e l’interesse. Lo spettatore è fondamentalmente predi­ sposto ad ammettere ancora come possibili le più audaci esaltazio­ ni dello spirito. Deve solo essere possibile, nell'ambito della sua sfera rappresentativa, che un uomo possa in generale agire in quel modo, affinché egli possa percepire come « reale » Fazione del film. Se non sussiste questa congruenza, il film resta come un corpo estraneo non assimilabile ed è privo di significato per il pubblico. Questa è una chance del film assoluto. Esso esclude per princi­ pio la possibilità di un confronto degli elementi formali, dei « sup­ porti dell'azione » cinematografica, con il pubblico in sala. L'og­ getto naturale è neutralizzato e spogliato di tutte le sensazioni con­ comitanti. Linee e su per tic i parlano come componenti spaziali: compare un oggetto naturale: è un elemento nello spazio, e il suo astratto valore d'uso è assolutamente privo di significato. Un piat­ to non è più un utensile nel quale si mangia, bensì un disco ro­ tondo, appena incavato, che si comporta nello spazio nei modi più 137

disparati. Non se ne coglie affatto il valore d’uso. E senza dubbio chiaro, attraverso il processo dello spostamento nella sfera del « capire ». che con ciò si richiede un’eccezionale attività da parte dello spettatore, anche se vengono visualizzate solo forze molto elementari. E di qui tutte le conseguenze.

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