Il cinema tra le colonne. Storia, metodi e luoghi della critica cinematografica in Italia 8849862318, 9788849862317

Da almeno un secolo, in Italia, coesistono esperienze eterogenee di critica cinematografica, che disegnano un percorso d

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Il cinema tra le colonne. Storia, metodi e luoghi della critica cinematografica in Italia
 8849862318, 9788849862317

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Cinema Focus

DENIS LOTTI

IL CINEMA TRA LE COLONNE Storia, metodi e luoghi

RUBBETTINO

Indice

Premessa

Capitolo 1 Compendio di storia della critica cinematografica italiana Il muto Dalla crisi alla “rinascita”

Neorealismo e dintorni. Dal Dopoguerra sino alla “contestazione” Dagli anni del riflusso al Web

Capitolo 2 Tipologie, stili, metodi e temi Tipologie dei testi della critica cinematografica

Stili

Metodi, temi e schemi

Capitolo 3 I luoghi della critica cinematografica contemporanea Capitolo 4 Antologia minima della critica

cinematografica italiana* La ricezione tra muto e sonoro, metamorfosi dell’interpretazione e

comparazione

Quotidianisti e specializzati Dal Neorealismo al lungo Dopoguerra La forma-recensione odierna tra cartaceo e Web

Bibliografia

Note

Premessa

Il saggio aspira a rappresentare un primo incontro, propedeutico, con la critica cinematografica italiana, tema vastissimo senza perciò voler nutrire ambizioni di completezza. Il percorso proposto è suddiviso in quattro partì e compendia prima di tutto

la storia della critica ai film sviluppatasi nel nostro Paese a partire dal debutto del cinematografo sino ai giorni nostri.

Nel capitolo successivo sono elencati tipologie, stili, metodi e temi della critica tra esperienze legate alla divulgazione e alla specializzazione.

Nella terza parte tenteremo di individuare i luoghi della critica cinematografica contemporanea, dalla carta stampata al Web, tra problematiche e consuetudini, tradizione e novità, vecchi e nuovi media.

L’ultima stanza è dedicata al florilegio che corrisponde a un’antologia minima

di testi critici. Attraverso questi ultimi vogliamo invitare il lettore a un primo approccio con le varie fasi storiche della critica in Italia - dagli anni Dieci del

Novecento agli anni Dieci del secolo attuale - e relativi esempi di stile legati ai

diversi contesti di destinazione. Un grazie va a chi mi ha aiutato nella scelta di argomenti e testi.

Capitolo 1 Compendio di storia della critica cinematografica italiana

11 muto

Gli esordi del cinema e la stampa italiana Il debutto del cinema in Italia è raccontato perlopiù da un giornalismo d’influenza positivista. In quanto conquista scientifica, il medium entra di diritto

tra gli oggetti da esaltare per l’ennesimo risultato del progresso tecnologico. Per ovvie questioni di affinità le prime testimonianze dettagliate sugli aspetti tecnici

del cinematografo sono pubblicate su riviste fotografiche specializzate. Emerge un’attenzione precoce da parte deDa stampa nei confronti del Kinetoscopio di

Edison, annunciato sin dal 1891 - e curiosamente chiamato Kinetografo1 -, cui seguono alcune presentazioni italiane nei primi mesi del 18952. Per quanto riguarda il Cinématographe Lumière il debutto in Italia avviene il 13 marzo 1896,

presso lo studio fotografico Le Lieure del vicolo del Mortaro a Roma1, da lì in poi

l’interesse della stampa per la nuova attrattiva si moltiplica. Testimonianze e primi commenti sul funzionamento del mezzo si trovano sulle pagine di testate di settore quali «Il Bullettino della Società Fotografica Italiana» (Firenze,

1889-1915), la milanese «Progresso Fotografico» (fondata nel 1894 e ancora in attività) e, più tardi, «La Fotografia Artistica» (Torino, 1904-1917), tocca dunque

a esperti di fotografia svelare particolari tecnici e curiosità sul medium al proprio

pubblico, composto da appassionati e professionisti. Non mancano l’appuntamento anche quotidiani nazionali come, appunto, il «Corriere», «Il Messaggero», «La Stampa», tra gli altri. Negli interventi entusiastici vi troviamo non solo le prime descrizioni minuziose del dispositivo, ma si evidenziano gli eventuali ampi effetti sulla collettività, sui costumi, nonché sulle potenzialità di

applicazione nei campi più disparati. Il Cinematografo dei signori Lumière è un ingegnoso apparecchio che permette non solamente di raccogliere [...] tutte le scene animate [...] ma eziandio di riprodurle fedelmente in grandezza naturale proiettandole sopra uno schermo e rendendole così visibili a tutta un’assemblea di spettatori [...]. L’illusione perfetta della vita! Basterebbe ciò per immortalare lo scopritore4.

Una differenza sostanziale di merito si nota soprattutto nell’approccio alle diverse possibili (e immaginabili) prospettive del mezzo. Da un lato, sui periodici fotografici che assecondano finalità divulgative, prevale l’approfondimento di aspetti scientifici dell’invenzione; dall’altro, sui quotidiani, si prevedono le

applicazioni del medium sul versante narrativo 0 espressivo, incluse le potenzialità d’uso sociale. Nel citato artìcolo del «Corsera» dedicato al dispositivo Edison si arriva a vaticinare in modo sornione che «la nuova

invenzione [di] Edison [...] renderebbe inutile andare al teatro»% Per quanto riguarda il Cinématographe può sorprendere come, già nel 1896, un cronista suggerisca di dotare la polizia di una «macchinetta» da presa, sia quale

deterrente per scongiurare disordini legati a manifestazioni di piazza, sia, in

presenza di scontri, per identificare i manifestanti eventualmente responsabili degli stessi".

Nonostante le tante premesse, Brunetta rileva come sia «logico che al fervore di interventi e all’entusiasmo iniziale per la novità della scoperta segua poi, per alcuni anni, in mancanza di una produzione regolare, il silenzio pressoché totale,

0 un’attività sparsa di pure informazioni sulle programmazioni cinematografiche saltuariamente realizzate nelle città»' e ciò si protrae per quasi un decennio, fino,

indicativamente, al 1904. Infatti la fondazione delle riviste di indirizzo cinematografico in Italia è di poco posteriore alla nascita delle prime Case di produzione nazionali.

Il cinema nei periodici: dalle rubriche ai bollettini

Nel primo Novecento - tolti gli aspetti tecnologici dei quali abbiamo accennato - il cinema è avvertito affine alla tradizione del teatro e dello spettacolo, per questo motivo sono perlopiù le riviste di settore a occuparsi di

raccontare i film. Tra i periodici teatrali più importanti troviamo «Il Tirso», che fin dalla sua fondazione (1904) ospita una rubrica fìssa, intitolata II Tirso al cinematografo, dove si raccolgono informazioni sui palinsesti, sui film, sulle

Case cinematografiche*. Ma non basta, e infatti, la nascente industria cinematografica ha bisogno di un forte sostengo da parte della stampa. Per questo prendono il via i bollettini pubblicitari, sovente all’origine delle future riviste cinematografiche. Non è forse un caso che la maggiore concentrazione di

queste testate trovi collocazione a Napoli, Milano e Torino, città che allora accentrano il maggior numero di iniziative produttive. Le riviste nascono dunque sulla scorta delle Case di produzione per sostenere le stesse. Ma dagli iniziali organi pubblicitari sono già alla ricerca progressiva di una propria identità e

autonomia culturale. Lungo il primo decennio del secolo i bollettini documentano dati, date, flussi,■> successi e fallimenti delle imprese cinematografiche. Accanto all’esposizione di dettagli tecnici - ad esempio le caratteristiche delle macchine da presa e da

proiezione, l’annuncio di eventuali evoluzioni, gli annosi problemi legati alla pellicola, i pericoli d’incendio - troviamo anche elementi di economia che affrontano lo sviluppo del mercato. Si tratta cioè di informazioni destinate agli esercenti o ai potenziali imprenditori. Accanto agli elenchi di film e annunci di nuovi titoli, si cominciano a incontrare timidi interventi “critici”, perlopiù note estetiche dedicate a singoli film che «hanno il valore più che di veri e propri

contributi conoscitivi, o di autorevoli riconoscimenti della dignità culturale del

cinema»0. Il 1907 segna la nascita di molte riviste di settore: a Milano appare «La rivista

fono-cinematografica»; a Napoli «H cinematografo», la cui tiratura si attesta sulle trentacinquemila copie ". In generale la funzione del bollettino offre da un

lato la mediazione tra gli interessi dei produttori e degli esercenti - con l’offerta di un servizio informativo sul singolo film, sinossi, qualità, punti di forza -, dall’altro la diffusione pubblicitaria delle case di produzione e delle loro peculiarità.

La mediazione degli intellettuali

A lungo la storiografia del cinema ha collocato alla fine degli anni Venti la nascita della critica cinematografica, in parte perché percepita più vicina agli stereotipi moderni, di sicuro perché dotata di una precisa qualifica professionale. Viceversa

per quel che riguarda le origini della critica, il vuoto sarebbe giustificato «dall’estrema dispersione, improvvisazione e casualità dei primi materiali, dal disinteresse apparente degli intellettuali più rappresentativi, dalla loro marginale

partecipazione ai dibattiti sul cinema e dalla evidente dipendenza, nella maggior parte dei casi, della critica dagli interessi delle case di produzione»“. Bisognerà

aspettare gli anni Cinquanta e Sessanta, durante i quali emergeranno le prime revisioni storiografiche basate su ricerche sistematiche e mirate12. Per quanto riguarda il ruolo nella critica italiana degli intellettuali, appare

chiaro che in un primo tempo essi giungono al cinema in ordine sparso, cercando di dissimulare la vicinanza al nuovo medium. Motivo della cautela deriva dalla

predominanza dell’estetica crociana che, in sostanza, privilegia «il sentimento del soggetto creatore e l’intuizione lirica rispetto alla tecnica»1* cui, invece,

rimandava il cinematografo.

A partire dal 1906 in Italia si assiste ai primi interventi di singoli intellettuali sul cinema, atti a definire l’entità del contenitore, passo che prelude l’analisi del film. Il ruolo presenta numerose incognite: la fruizione cinematografica non li

vede mediatori esclusivi, ma sorta di primi inter pares al fianco di un pubblico vasto. Dunque è una mediazione diversa per numero e occasioni rispetto al

teatro. Nello stesso anno appare su «La Lettura» - indicizzato alla voce

“teatro” - un intervento che, nonostante tutto, attribuisce al cinema il diritto di aspirare alla dignità di arte. L’articolo è intitolato, non senza malizia

metatestuale, Tra le quinte del cinematografo: Una vera arte nuova, sebbene di ambizioni estetiche modestissime abbreviazione e contraffezione d’altri spettacoli, ma insomma nuova e giunta all’ora sua perché i

nostri contemporanei se ne contentano come di tutto ciò che è rapido ed economico. Il cinematografo sta al teatro come il bar sta al caffè di vecchia maniera. Né il teatro, né il caffè rischiano troppo i danni della concorrenza14.

A un anno di distanza Giovanni Papini pubblica in prima pagina su «La Stampa» un intervento ben più articolato e motivato del precedente. Secondo

l’intellettuale il cinema si adegua alle esigenze della vita moderna assecondandola «nella tendenza all’economia. Per un film bastano pochi soldi, poco tempo, poco sforzo», egli pensa che il cinema sia di per sé superiore al

teatro «per la riproduzione, nel tempo, di avvenimenti vasti e complicati che non potrebbero essere riprodotti neppure dai più abili macchinisti... per l’aiuto nello sviluppo dell’immaginazione... oltre che per la capacità di riprodurre grandi avvenimenti reali pochissimi giorni dopo che sono accaduti»1'.

Nello stesso anno il giornalista Oreste Fasolo in II cinematografo... svelato

registra invece la diffusione capillare delle sale cinematografiche, che via via

conquistano il paesaggio urbano modificandolo1". In questa trasformazione dei luoghi condivisi, anche i quotidiani nazionali e locali si adeguano a dare conto del nuovo corso, offrendo altrettanti spazi di diffusione.

Un’intervista a Gabriele D’Annunzio del 1908, concessa al giornalista Ettore Janni del «Corriere della Sera», riporta alcune opinioni critiche del poeta sul cinema, con una prospettiva costruttiva e ideale che ne dichiara l’interesse per il

nuovo, quanto larvale, mezzo: Il cinematografo, così gradito al pubblico, è all’anima popolare un’infezione di grossolanità, di bruttezza. E può diventare uno strumento efficacissimo di elevazione del gusto e di pensiero, di rafforzamento estetico e d’istruzione. H cinematografo può molto contro questa mortificante ignoranza1'.

Siamo ovviamente lontani dalla nascita deDa critica propriamente detta, ma invero molto vicini a un approccio estetico che vedrà in D’Annunzio un indiscusso mentore e punto di riferimento per i produttori coevi. Ma pure per

una generazione di cronisti di cinema e per un possibile primitivo indirizzo di gusto e metodo di giudizio sulla qualità del film. Nello stesso 1908 anche Picciotto Canudo, intellettuale legato a D’Annunzio e, tra l’altro, futuro teorico del cinema, rileva nell’esperienza popolare della sala

un valore aggiunto: «tra le meraviglie dell’invenzione moderna n cinematografo appare subito come la suprema [...]. Noi abbiamo creato una nuova dea per

l’olimpo nostro, questa dea è la velocità»,s. Segue la coeva “profezia” sul Novecento di Enrico Thovez «che non sarà per i posteri né quello di Marconi, né quello di D’Annunzio, sarà semplicemente il secolo del cinematografo» 0. Questi e altri interventi, magari più cauti, seppure entusiastici, fanno sì che l’agognata legittimazione artistica divenga possibile. Seguiranno in questo senso discussioni per dare al cinematografo una dignità che lo accosti alle arti tradizionali. Negli

anni a cavallo della Grande Guerra l’affermazione del lungometraggio permette al cinema nuove vie di sperimentazione narrativa, grazie alla dilatazione del

tempo del racconto, e con esse si afferma il fenomeno divistico (ossia del Divafilm), del grande film storico-monumentale che porterà alla consacrazione internazionale il nostro cinema, prima della fase declinante che corrisponde

grossomodo al primo decennio del governo mussoliniano. Inchieste sullo sviluppo del cinema, come quella indetta da «Il Nuovo Giornale» di Firenze nel 1913, coinvolgono intellettuali quali Nino Martoglio, Roberto Bracco, Giuseppe Prezzolini, Walter Grazzini, Fausto Maria Martini, Filippo Tommaso Marinetti2 ’.

Curiosamente, le risposte, pur con le eccezioni prevedibili di Prezzolini e Marinetti, non vedono alcun futuro per il cinematografo e non vi riconoscono alcun serio statuto culturale. Per contro, dalle pagine della «Vita cinematografica», gli scrittori Luciano Zuccoli, Nino Oxilia, Grazia Deledda, Luigi Capuana, rispondono a una sorta di

controinchiesta con un atteggiamento nel complesso assai favorevole, legando al medium la disponibilità di autori teatrali a scrivere per il cinema. La

consacrazione è data da una nuova intervista a D’Annunzio apparsa sul «Corriere della Sera» nel 191421 in occasione della presentazione del kolossal Cabiria, nella quale il poeta considera superato il dilemma legato all’artisticità del cinema,

dando argomenti agli ormai numerosi tentativi di critica, che punteranno su aspetti legati all’estetica. Accanto alle inchieste che contribuiscono a problematizzare il prodotto film quale creazione “d’autore”, concetto ancora assai mobile, legato a una personalità singola, emergono, nel 1913, i primi contributi di

Sebastiano Arturo Luciani grazie ai quali, «per la prima volta, sono posti sul tappeto i problemi della specificità del linguaggio cinematografico e dei suoi legami con le altre arti»22. Ma proprio uno dei versanti più fragili degli studi di

Luciani è quello riferibile all’analisi critica dei film. Brunetta individua alcuni

stereotipi emblematici riguardanti un corpus di critiche comunque notevole: Gli interessi produttivi fanno sì che l’esaltazione e la stroncatura dipendano più dalla logica di scuderia della rivista che dall’interesse effettivo per la qualità del film. Tra le caratteristiche più evidenti la celebrazione iperbolica di tutte le novità, l’accumulazione enfatica di aggettivi come grandioso, straordinario, eccezionale, fantastico, la descrizione letteraria della trama e la generica esaltazione dei caratteri individuali dei singoli quadri, la lunga incomprensione per la dinamica del sistema espressivo in senso cinematografico. Poco importa, in questo contesto, segnalare singoli spunti critici degni di rilievo e ricordare che, dopo Quo vadis?, e soprattutto dopo il lavoro di D’Annunzio in Cabiria, la critica allarga le sue analisi e cerca di far intervenire categorie più sofisticate e pertinenti2 '.

I casi «Apollon» e «In Penombra» In Italia l’analisi estetica del film non emerge in modo significativo almeno fino

ai primi anni di guerra: nemmeno la pubblicazione del Manifesto della

cinematografìa futurista del 1916 riesce a generare nel nostro Paese una pratica analitica innovativa. Un tentativo più compiuto di innovare, se non “fondare”, la critica si ha con l’esperienza della rivista romana «Apollon. Rassegna di arte cinematografica» (1916-1921), diretta da Angelo Piccioli, che punta a operare una

netta separazione tra i problemi estetici da quelli tecnologici e di mercato,

orientando categorie estetiche e critiche sull’oggetto filmico, per inserire quest’ultimo nel complesso sistema generale delle arti. Fin dall’esordio la rivista

ospita contributi eterogenei, da Impressionismo scenico di Luciani a Quel che dovrebbe essere il dramma moderno da cinematografo di Alessandro Rosso24, così come contributi importanti a favore del naturalismo. Ad esempio un intervento epistolare di Émile Zola (Una lettera, n. 6, luglio 1916) e un articolo di

Pietro Solari nel quale condanna la produzione corrente chiedendo una rappresentazione più vicina e alla “realtà”: La natura e il paesaggio entrano in minima parte nei cinedrammi al dì d’oggi, dove in compenso sono molti salotti, molti saloni, molti giardini. Il dramma e il pathos non

sono solo nei drammi - ammesso che ci siano - che rappresentano uomini in frak e donne in décolleté, ma anche in quelli nei quali agiscono i poveri e gli umili, i sani e i forti che con la natura hanno continui contatti2'.

Sul versante teoretico Alfredo Masi, nell’articolo intitolato Un programma, punta a definire il film come opera d’arte, dove per la prima volta, forse, il pubblico è visto come centrale ed «è chiamato a partecipare come forza attiva

allo spettacolo, completandolo con elementi soggettivi a lui propri»2". Grazie al contributo particolare di Masi e Luciani vengono analizzate particolarità del

linguaggio cinematografico, allora inedite in Italia, come luce, ritmo visivo e musicale, montaggio, comparazione tra cinematografo e teatro2'. Su «Apollon dunque realismo e “fantastico” coabitano, e a quest’ultimo è più affine la

posizione di Goffredo Bellonci: La tecnica cinematografica consente l’espressione dei più strani mondi fantastici che la parola o il pennello non potrebbero significare o significherebbero in modo incompleto [...]. Potete far tutto: il cinematografo è un’arte magica, che nei suoi laboratori muta le forme una dall’altra e una nell’altra2*.

La rivista è espressione diretta di letterati i quali, in ultima analisi, si propongono di valorizzare problematiche di estetica cinematografica, altrove soltanto sfiorate e in contesti ben più eterogenei programmaticamente. «Apollon» è importante

per comprendere come si stia approdando anche in Italia a una critica consapevole delle proprie responsabilità di traguardare la produzione cinematografica sempre più complessa e ambiziosa. «In Penombra. Rivista d’arte cinematografica» è un periodico di poco successivo (preceduto dai due soli numeri di «Penombra», editi a cavallo tra 1917

e 1918), diretto da Tomaso Monicelli e diffuso tra il 1918 e il 1919. La pubblicazione è caratterizzata da un taglio raffinato ed elegante che offre spazio a

un confronto di idee proposte da intellettuali e cineasti. Secondo Brunetta «il centro d’interesse sembra essere quello dell’identificazione della figura dell’autore, la rimozione, in quanto extraestetica, secondo il pensiero idealistico, dell’influenza del momento produttivo, la legittimazione del cinema nel sistema

delle arti, e sua potenziale capacità di divenire arte egemone per eccellenza»20. L’attenzione della rivista si sposta anche su un altro elemento centrale nel complesso organismo del cinema, ossia l’attore, motore per dinamiche di consenso popolare, perciò, di vitale importanza.

Ma la predilezione per il versante estetico allontana, in particolare, queste riviste dal monitorare i più ampi e altrettanto importanti interessi economici,

sociali, tecnologici, di mercato cinematografico. Quest’ultimo scollamento dagli aspetti più concreti aiuta, forse, a comprendere come la crisi del primo Dopoguerra aliga impreparata la nostra critica (e con essa la produzione),

incapace di analizzarne i sintomi e, parimenti, individuare una via d’uscita. Le problematiche sono in sostanza create dalla chiusura dei mercati lungo gli anni della guerra mondiale e dal successivo arrivo massiccio in Italia di film statunitensi. Produzioni queste ultime la cui freschezza e novità contribuiscono,

assieme agli eventi, a un cambio di gusto nel pubblico al quale il nostro cinema faticherà a contrapporre una proposta concorrenziale altrettanto valida. Sono essi prodromi del sostanziale fallimento del sistema produttivo nazionale che caratterizza la seconda metà degli anni Venti, cui corrisponde la

chiusura anticipata di quelle riviste di settore che perdono la loro funzione di

guida, ormai anch’esse superate dalle nuove tendenze popolari.

Le riviste popolari: «La cinematografia italiana ed estera» e «La Cine-Fono» Nel gennaio 1908 Gualtiero Fabbri fonda «La cinematografia italiana ed estera», rivista con sede a Torino, città in espansione dal punto di vista produttivo. A

ottobre nasce a Milano «La Cine-Fono» diretta da Francesco Razzi e che presto di trasferisce a Napoli. Sin dagli esordi entrambe le testate si dimostrano combattive, caratterizzate da un taglio discorsivo diretto, colloquiale, talvolta indicando alla produzione cinematografica nazionale possibili consigli da

esperire 0 strade da abbandonare, come scrive il commentatore che si cela dietro lo pseudonimo Ego: Bando ai drammacd stupidi esageratori del bassofondo umano! [...] Sopprimete le pellicole a base di trucco non insegnano nulla, fanno restare a bocca aperta i gonzi, mentre disgustano gli intelligenti [...] non mettiamo più in mostra i precipitatìssimi inseguimenti a finale di scontri e catastrofi visibilmente impossibili, come pure

tagliamo corto ai contorcimenti spasmodici e alle grimaces grottesche ^.

La critica riassume i ricorrenti - e per Ego già ridondanti - temi della finzione propri del primo cinema: dalle attrazioni al film di inseguimenti. Secondo Ego si tratta dunque di abbandonare per prediligere il “reale”, di riprodurlo limitando al massimo l’invenzione favolistica. Il mondo della primitiva critica si diriderà ben

presto, da un lato i teorici e fautori del realismo, dall’altro il fantastico con tutte le sue sfumature e applicazioni Ciononostante oggi appare chiaro che realismo e fantastico non sono entità

inconciliabili, ma espressioni possibili di una dialettica e poetica, che in futuro darà frutti importanti (ovviamente con la stagione del Neorealismo), per quanto riguarda il fantastico in Italia avrà applicazioni discontinue e originali, che non mancheranno di coesistere e contribuire con forza alla costituzione dell’immaginario proposto, ad esempio, dal cinema storico-monumentale. Per questa critica popolare aurorale, ma già militante e ansiosa di intervenire

direttamente in una ipotetica politica dei concetti, è importante presentare il

cinema come uno specchio del reale. Il realismo appare una via utile e forte per

guadagnare un posto di rilievo nel mondo culturale grazie a meriti pedagogico-

morali e sociali Accanto a questo proposito programmatico «La Cine-Fono»11 si fa portatrice dell’istanza della rappresentazione storica, atta a servire un altrettanto ampio fronte didattico, complementare alla tendenza realista. Ossia è un cinema risto quale “scuola popolare”, per istruire le masse. Per questo si caldeggia l’intervento diretto di grandi intellettuali, e tra tutti si cita D’Annunzio, catartico rispetto a un cinema percepito avvilito dai soliti trucchi e canovacci ripetitivi. Della funzione sociale del cinema si fanno carico ariste più

caratterizzate sul piano sociale come «Lux» (1908-1911) mensile napoletano di tendenze socialiste diretto da Gustavo Lombardo, il quale è anche distributore cinematografico e futuro fondatore della Titanus. Secondo Brunetta «lo spirito positivistico e la collocazione ideologica possono cogliersi fin dai titoli degli articoli che spaziano da II cinematografo e la scuola, a Cinematografo e cultura

popolare [...], Il cinematografo e la sua influenza sulla cultura del popolo»2'-. Ma

la prospettiva “culturale” della critica nascente in parallelo va incontro anche

all'annoso progetto di conquista di un pubblico espressione delle classi agiate e colte, perciò la produzione deve fare un salto di qualità rispetto allefèerìes e alle guardie e ladri per guadagnarsi sul campo una difficile legittimazione culturale senza più riserve di sorta.

Legittimazione della stampa cinematografica Nelle critiche dedicate a singoli film degli anni Dieci d si trova spesso a fare i

conti con l’improvvisazione del recensore accompagnata a una inclinazione enfatica atta a sottolineare aspetti qualitativi dell’opera sotto esame, sia in positivo sia, viceversa, per le stroncature. È un vizio di forma talmente frequente

da costituire elementi di routine squalificanti per la pratica critica, tranne per le poche eccezioni11. Durante il lungo processo di emandpazione culturale del

cinema, e per favorire la stessa, tra i cronisti che operano nelle riviste settore cresce il bisogno anche di una legittimazione dell’analisi dei film. La nascente

critica cinematografica cominda a problematizzare il proprio ruolo nel mondo. Scrive Guido Di Nardo su «La Vita Cinematografica» nel maggio del 1915: «il posto del critico d’arte non è soltanto nella platea del teatro, ma anche nel

modesto posto del cinematografo»14. Altri problemi della critica primitiva sono dati dai tentativi di affrancamento sindacale dalle Case di produzione. Ad esempio la rivista «La Cine-Fono» rivendica il diritto di autorevolezza e severità

di giudizio critico svincolato da asservimenti di sorta-, a fronte di una categoria

numerosa sparsa in altrettante riviste. In Italia, fino alla fine della prima guerra mondiale, se ne possono contare quasi un centinaio. Nel 1915 «La Vita Cinematografica» esce allo scoperto dichiarando che «la parte commerciale, reclamistica della rivista è perfettamente estranea e separata da quella artistica: perciò è stolto pensare e pretendere che basterà ordinarci 0 intensificare la

pubblicità a pagamento per legarci le mani e metterci nella impossibilità di

dissentire in quello che cercheremo di non approvare»1”. Nel maggio 1916 la polemica sull’asservimento delle riviste di categoria agli interessi dei produttori sembra trovare una soluzione nella nascita di un sindacato della stampa

cinematografica. Ma questo non corrisponde a una liberazione dalla routine composta, ad esempio, dalla celebrazione acritica del fenomeno divistico, assai redditizio in termini di consenso e pubblicità, 0 nella pratica usuale di recensione ai film, ricorrendo alle ormai trite categorie della verisimiglianza, della “bella fotografia”, del quadro animato, cliché «del tutto scisso dalla comprensione di

una possibile esistenza di una grammatica e di una sintassi propriamente

cinematografica» v. Pur tuttavia, nonostante i nobili propositi di autonomia, finalizzati a un’agognata crescite critica, le riviste continuano a dipendere dagli interessi diretti delle Case cinematografiche, le quali ne sfruttano gli spazi

pubblicitari per annunciare la loro produzione.

Il dibattito degli anni Dieci

Nel 1910 debutta a Torino «La Vita Cinematografica» (1910-1934) frale più

importanti e longeve testate di settore. Ospita sin dall’esordio un dibattito dedicato al ruolo della critica nei confronti degli interessi industriali: per la sua longevità costituisce oggi uno degli strumenti di consultazione più ampi disponibili. Il direttore Alfonso A. Cavallaro dichiara la natura ibrida della

testate: da un lato strumento di informazione e pubblicità, dall’altro spazio

aperto all’analisi e ai problemi del cinema, incluso quello estetico, al di fuori di ogni condizionamento da parte dell’industria. Ossia raccoglie le intuizioni emerse nei dibattiti tra intellettuali esterni al cinematografo e le idee possibili di cinema dibattute da cronisti nei primi spazi in riviste di settore come no. La rivista di Cavallaro pare interessata a sviluppare almeno un metodo di fare critica utile sia al dibattito teorico-estetico sia alla produzione. Un processo che avverrà per gradi, dopo un esordio affidato a un clima di entusiasmo che non ammette

digressioni troppo critiche, con un lavoro di stesura delle trame al servizio del mercato, semplici articoli pubblicitari molto agili che forniscono aspetti di informazione basilare, senza interventi di grado problematico complessi.

D’altro canto i grandi periodici, dopo la citata e complessa presa di posizione di Papini su «La Stampa» che oggi appare, con le sue complessità, una sorta di possibile atto fondativo della critica italiana, rimane in stato d’attesa, estremamente diffidente 0 con campagne di retroguardia, ad esempio evidenziando i pericoli del cinematografo come fa la «Gazzetta del popolo» pubblicando un omonimo articolo nel 1908.

Queste posizioni sono destinate a essere travolte dal successo popolare del cinema, ma coesisteranno carsicamente nel dibattito pubblico nazionale. È proprio la «Gazzetta del popolo», fin dal 4 febbraio 1908, che crea una rubrica

cinematografica, affidata a Mario Dell’Olio, per rispondere al «sempre crescente sviluppo dell’industria cinematografica e la speciale predilezione che il pubblico

dimostra di avere per gli spettacoli cinematografici in genere, ci hanno

consigliato di iniziare la presente rubrica che ha lo scopo di trattare tutto quanto alla cinematografia ha attinenza»1* e, dal 1912, inaugura una pagina dedicata interamente al cinema con articoli e pubblicità. Segue il «Giorno» di Napoli, con

il “caso” di Matilde Serao (importante da essere rilevato nel numero d’esordio di «Apollon»), la quale interviene di frequente su film culturalmente rilevanti, ad esempio dal dantesco L’Inferno (1911, Milano Films), al “divistico” Afa l’amor

mio non muore! (1913, FA. “Gloria”), sino allo storico-monumentale Quo vadis? (1913, Cines), e che rispetto al quale testimonia «è uno spettacolo mai vasto. La cinematografia non ha mai creato nulla di simile. Sì, è un mondo quello che la

Cines ha ricostruito. Un mondo d’Una bellezza che incanta e fa fremere e di cui Licia è il gran sole di poesia.»1’. Riferendosi alla performance di Lyda Borelli in

Ma l’amor mio non muore!, Serao scrive: Dice la gente, con impeto di ammirazione: quanto è bella Lyda Borelli! Ma sa bene, la gente, come sia bella la giovane artista piena di talento, come è radiante di beltà? Di quante maniere sia bella, Lyda Borelli, sa la gente? Giacché nulla è più singolarmente mutevole che il volto di questa creatura di eccezione: Lyda Borelli; giacché mai essere umano, mai essere femminile, seppe tramutarsi così profondamente nelle linee, nelle espressioni, tanto che il viso della giovinetta ridanciana, quello della fanciulla pensosa, quello della donna mesta, quello della donna tragicamente dolente, tutti questi visi, e tanto altri, sono in lei, sono sempre in lei, ed è sempre un’altra donna! E mai questo dono portentoso di trasformazione è stato più palpitante che in questa film incomparabile, il cui titolo giustamente sedurrà tutti i cuori sentimentali; Ma l’amor mio non muore, di cui Lyda Borelli è la protagonista, è l’eroina, è tutto! Mai come in questa film, così tenera e così drammatica, così sontuosa e così elegante, la Borelli ha raggiunto tanta verità di fisionomie, tutte diverse, tutte belle, tutte diversamente belle; e chi da domani, al Salone Margherita, andrà e ritornerà, ritornerà certo ad assistere a questo commovente dramma di amore, di ebbrezza e di

dolore; sentirà che le mie parole restano sotto la vibrante verità che si svolgerà

innanzi ai suoi occhi sorpresi»4".

Con questa testimonianza vibrante e partecipata Serao crea una corrispondenza lessicale alle peculiarità recitative simboliche proprie della diva, le stesse che

garantiranno a quesfultima la fortuna intemazionale lungo il decennio.

Negli anni che precedono lo scoppio della Grande Guerra il numero delle testate italiane di riviste specializzate aumenta sensibilmente e va di pari passo con una elefantiaca produzione, come ha osservato Davide Turconi, tra i primi

studiosi a essersi occupato di ordinare i periodici cinematografici. La mole di documentazione non produce valutazioni dei film dell’epoca degne di nota, ma assolve il compito di notiziario, di bollettino, questo al di là del valore storiografico di detti periodici4*. Sulla necessità di avviare una critica cinematografica in Italia, utile ad affinare i gusti del pubblico, se ne parla in contesti diversi dal cinema scritto: lo pubblica Edoardo Boutet sulle pagine dell’autorevole rivista letteraria «La nuova

antologia» nel 191342. Un nuovo intervento è pubblicato sulla «Voce» e riguarda Giuseppe Prezzolini. Nel 1914 egli si augura che il cinema abbandoni al più presto

«la facile lacrimosità e l’ottimismo imbecille per fare strada a un cinema che

faccia conoscere agli italiani il nostro paese, le sue glorie, le sue vergogne, le sue

gioie e i suoi dolori»41. Come rileva Brunetta «Prezzolini vuol mostrare al cinema narrativo una precisa strada da seguire, suggerendo addirittura i temi, l’emigrazione, le industrie lombarde (...) nel quadro del suo nazionalismo, il problema delle terre irredente. Si sollecita in pratica il cinema a “esporre le nostre miserie perché si ripari”»44.

Con l’avvento del lungometraggio (1911), cui segue un generale miglioramento qualitativo della produzione interna, la grandiosità di alcuni film

ambiziosi (i citati L’Inferno, Quo vadis? e, ovviamente, Cabiria') consentono alla critica di poter speculare e a propria volta sviluppare un metodo analitico, rilevando anche altri risvolti, non ultimo quello estetico. Il confronto con il teatro, pressoché improponibile 0 funzionale alla comparazione, ora sembra

possibile in termini di dignità dell’opera d’arte. Ma un’emancipazione profonda della critica italiana rispetto al mercato interno non pare verificarsi. All’avvento massivo del cinema americano (e dei modelli critici importati), alla coeva grave crisi italiana degli anni Venti e alla

relativa sparizione della produzione nazionale (che genera una diaspora di attori, autori, maestranze), segue ima lunga fase di stagnazione anche nella critica, che corrisponde grossomodo a tutto il decennio sino al debutto del sonoro. La stessa storiografia si è di rado occupata di analizzare attentamente la produzione

italiana di questi anni travagliati, così come è stato invece fatto per il decennio a cavallo della prima guerra mondiale, anche se dal punto di vista critico, soprattutto dopo il 1925 e le attività di Pittaluga, non mancano segnali di ripresa per la produzione nazionale sostenuti da nuove testate anche importanti - da

«Kines» a «Lo Schermo», sino a «Cinematografo» di Alessandro Blasettì - e che

consentiranno un primo vero sviluppo metodologico della critica in Italia.

Dalla crisi alla “rinascita”

Il dibattito degli anni Venti Per quanto riguarda la produzione cinematografica nazionale, il primo decennio

del regime mussoliniano corrisponde a un’epoca di grandi contraddizioni e, parimenti, grandi opportunità. Da un lato la crisi della produzione di finzione raggiunge il proprio apice: così ITICI (Unione Cinematografica Italiana)

intrapresa privata nazionale collassa in favore della dilagante proposta statunitense. D’altro canto il fascismo sviluppa le attività dell’istituto Luce (1924, L’Unione Cinematografica Educativa) che celebrano attraverso lo strumento del cinegiornale le imprese dello Stato totalitario. Nella seconda metà del decennio

emerge il tentativo di rilancio produttivo interno, assunto dalla nuova Cines di Stefano Pittaluga - figura centrale nell’ambito della distribuzione della produzione estera su scala nazionale - che porta alla nascita del cinema sonoro italiano (La canzone dell’amore, 1930). L’esperienza entra in una seconda fase dopo la morte di Pittaluga (1931) con la breve direzione di Emilio Cecchi,

concludendosi simbolicamente con il rogo degli stabilimenti cinematografici Cines di Via Vejo (1935). Fatti questi ultimi che spingeranno il regime ad assumersi la responsabilità anche della produzione di finzione, favorendo la

nascita degli studi di Cinecittà (1936). Sul versante del cinema scritto, complice la progressiva caduta di pregiudizi elitari nei confronti del medium, a partire seconda metà degli anni Venti si verifica una favorevole convergenza tra intellettuali e la stampa, anche non di settore. Ciò semplifica la costituzione di spazi ordinari e d’eccezione dedicati al cinematografo così come spinge perla

crescita di nuove figure professionali dedicate, ovvero di critici cinematografici organici alle singole testate. Un ruolo che sollecita al contempo l’intervento più 0

meno costante di intellettuali e giornalisti poligrafi. Il fenomeno dilaga anche nella stampa di settore cambiando stilemi e pose, ma pure nelle riviste scientifiche e accademiche. Così come nei settimanali d’attualità, finanche nei

bollettini di società pubbliche e private, organi di stampa che prevedono uno spazio dedicato agli spettacoli cinematografici Un tema centrale per la stampa cinematografica della seconda metà degli anni Venti è n dibattito pro e contro il

sonoro, reso concreto dal film The Jazz Singer (H cantante di Jazz, VSA. 1927, Alan Crosland), elemento polemico che diviene popolare e interessa le masse di spettatori, così come produttori e distributori. A livello simbolico, se Pirandello si oppone per principio al sonoro, altri, come Bontempelli, affermano che il nuovo

corso non cambia nulla all’essenza del cinema. Sino alla definitiva conquista del mercato da parte del nuovo dispositivo “parlato”. La polemica favorisce la nascita di gruppi di opinione, e ben presto si

adunano attorno a riviste che divengono luoghi di dibattito e veicoli di idee e

riforme cinematografiche. Un primo nucleo si crea attorno alle riviste di Blasettì e, in particolare, a «Cinematografo». Questo gruppo si pone problemi di critica,

di teoria, in funzione della pratica registica ricini a una istanza realistica, legata alle esperienze del cinema sovietico. L’ipotesi comune è quella di un contributo alla “rinascita” del cinema italiano di finzione secondo un progetto ideologico, in

relazione col regime fascista. Secondo Brunetta: «nell’arco di tempo che va dall’invenzione del sonoro al 1943, il lavoro critico compie [...] un grande salto qualitativo e quantitativo, sia dal punto di vista della formazione di un diverso grado di professionalità, della nascita di un’attività editoriale regolare, capace di produrre conseguenze sul piano internazionale, sia per il fatto che, in un terreno

ricco di voci e di tendenze, vengono ad assumere un ruolo di guida e un peso determinante alcune figure di critici da cui partono le più forti spinte modificatrici di tutto il sistema»41. Se lungo gli anni Venti Anton Giulio Bragaglia, intellettuale individualista, è

uno dei primi critici che affronta il problema del film sonoro nonché il discorso sui rapporti tra cinema e teatro4 ■, negli stessi anni un gruppo di critici più

eterogeneo e trasversale si riconoscerà attorno a un termine, “Neorealismo”, a proposito della letteratura e del cinema sovietico, come fa Libero Solaroli su «Cinematografo» 0 Blasettì con il film Sole (1929). Tra anni Trenta e Quaranta nella critica letteraria si sviluppa l’ideologia populista accanto a un sostanziale rifiuto delle conquiste espressive delle avanguardie per ritornare nel modo più diretto alle strutture e ai modelli letterari di fine Ottocento, contesto che porta

allo sviluppo concreto dell’idea di Neorealismo ben ancorata a modelli culturali

nazionali.

Il critico come professionista

La fase di ricostruzione dell’industria cinematografica richiede una

ristrutturazione della critica a mezzo stampa. La figura professionale del critico quotidianista nasce dal 1930: i primi esponenti chiamati ad assolvere questo

compito sono nomi che per lungo tempo manterranno un ruolo centrale nella

professione: Mario Gromo per «La Stampa», Filippo Sacchi per il «Corriere della Sera», Piero Gadda Conti per «Il Popolo d’Italia», Mario Intaglietta perla «Gazzetta del Popolo». Essi arrivano alla critica cinematografica attraverso un’esperienza eterogenea giornalistica e letteraria. Non si chiede all’aspirante critico cinematografico quotidianista di possedere una competenza di settore, ma di esercitare il ruolo d’osservatore del cinema come fenomeno culturale e di costume. In effetti le pagine cinematografiche dei quotidiani si occupano potenzialmente di tutto, dal costume all’editoria, dai profili degli attori al pettegolezzo, dalle informazioni economiche alle recensioni ai film. Di lì a poco,

condizionati da questa prospettiva alquanto libera, approdano alla critica

cinematografica Alberto Savinio, Ettore M. Margadonna, Guido Piovene, Enrico Emanuelli, Alberto Moravia ed Eugenio Ferdinando Palmieri, quasi tutti mantengono regolari rubriche cinematografiche su quotidiani e periodici. Il critico “non tecnico” agisce «senza regole e senza attendibilità filologica 0

scientifica, ma riuscendo molte volte a interpretare fenomeni che al critico professionale sfuggivano 0 non apparivano abbastanza gratificanti»4'. Ma oltre ai nomi citati, è consistente l’elenco di intellettuali che occasionalmente praticano

la critica cinematografica negli anni Trenta e Quaranta. Incontriamo dunque Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Giacomo Debenedetti, Emilio Cecchi,

Sebastiano Arturo Luciani, Mario Pannunzio, Leo Longanesi, Ennio Flaiano, Cesare Zavattini e Aldo Palazzeschi. Accanto alla critica sulla stampa d’informazione, viene avviata una

produzione editoriale che investe tutto il fronte dei problemi dello spettacolo,

dalla teoria (spesso saggi esteri tradotti), alla storia, al costume. Si tenta di intercettare sempre nuovi pubblici allargando a interessi trasversali e in contesti più tradizionali con la speranza di traghettarli in sala e formare una nuova

consapevolezza e nuovo gusto estetico che si riversa anche nei contenuti della critica presente su giornali e riviste.

Le teoriche del cinema prendono posto in riviste come «Soiaria» (del 1927, a cui collaborano, tra gli altri, Montale, Bacchelli, Debenedetti, Bragaglia, Gadda, Gromo), «Il Convegno» e «Cine-Convegno» diretti da Enzo Ferrierisu cui scrivono Antonello Gerbi, Carlo Ludovico Ragghianti. Quest’ultimo rivendica alla critica cinematografica la legittimità di mutuare i principi dell’estetìca crociana e i metodi collaudati della critica d’arte. Al quale sembra rispondere Luigi Chiarini su «Quadrivio» liquidando sia il problema dell’artisticità del cinema sia quello

del ruolo della tecnica nel processo creativo. Negli anni Trenta il contributo teorico di Chiarini e Umberto Barbaro appare centrale e riverbera nella frase

attribuita a Emilio Cecchi «cinema legione straniera dell’intelligenza» - straniera rispetto al fascismo - quale luogo di approdo di cultura per giovani intellettuali critici con il clima chiuso dell’autarchia.

Negli anni Trenta il cinema entra anche in testate popolari, tra altri, «Oggi» e «Omnibus», con interventi di Pannunzio e Flaiano, mentre, ad esempio, sul

«Tempo» scrivono Domenico Meccoli e Corrado Tavolini

Le riviste specializzate: «Bianco e Nero», «Cinema», «Fibn» e «Lo Schermo» Tra il 1935 e il 1938 esordiscono quattro riviste destinate a segnare il panorama

della cultura cinematografica: da un lato «Cinema» (1936) e «Bianco e Nero» (1937), dall’altro «Lo Schermo» (1935) e «Film» (1938). Le prime due, più ambiziose, si pongono alla testa di un processo analitico del cinema, profondo e autorevole; le rimanenti si dedicano perlopiù alla trasmissione dell’ideologia e

della propaganda cinematografica fascista. «Bianco e Nero», diretta da Chiarini, con l’appoggio determinante di Barbaro, è l’organo del Centro Sperimentale di Cinematografia, assume un

profilo scientifico, teorico e filosofico in appoggio al proprio lavoro. Dal punto di vista critico «Bianco e Nero» crea una sua scuola che convoglia Francesco Pasinetti e Gianni Puccini, Ugo Casiraghi e Glauco Viazzi. «Film», il cui primo numero esce il 29 gennaio 1938, è un settimanale voluto e sostenuto dal Ministero della Cultura Popolare e dalla Direzione Generale perla Cinematografìa: è la rivista più allineata che accoglie il numero maggiore di

intellettuali fascisti militanti e si pone il problema di raggiungere il grande

pubblico popolare per allontanarlo dalle mitologie del cinema americano in favore della produzione «autarchica». Tra i collaboratori si trovano Palmieri e Giuseppe Marotta e tra quelli saltuari Gianni Puccini e Pasinetti, Chiarini e

Alberto Consiglio, Eugenio Giovannetti e Anton Giulio Bragaglia, Ugo Ojettì, Savinio, Brancati, Zavattini, Alba De Céspedes, Barbaro (che scriverà, proprio su

questa rivista, un artìcolo idealmente fondatìvo intitolato Neo-realismo, il 5 giugno 1943). Dopo 1’8 settembre diventa organo ufficiale cinematografico della Repubblica di Salò. La rivista «Lo Schermo», fondata e diretta da Lando Ferretti nel 1935, non si

rivolge a un pubblico peculiare, eppure esibisce un esplicito carattere di propaganda: in questo senso dedica ampio spazio alla produzione del Luce.

Tra «Bianco e Nero» e «Film» si pone la parabola di «Cinema». La rivista nasce con l’intento divulgativo, prevalentemente di ambito tecnico. La svolta nella fisionomia culturale della rivista avviene sotto la direzione di Vittorio

Mussolini, il quale garantisce una copertura ideologica talvolta a collaboratori

antifascisti che si sviluppa alPintemo della redazione. Lo scopo principale di «Cinema» è mediare le finalità divulgative legate perlopiù a problematiche della tecnica cinematografica con quelli artìstici e spettacolari, ma ciò avviene per gradi. Una fase ulteriore va dal 1941 al 1943 e vede una trasformazione per

l’ingresso di alcuni giovani come Aldo Scagnetti, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Mario Alicata. La critica di «Cinema» inizia a farsi portatrice di nuove esigenze (la poetica neorealista) e a parlare un nuovo linguaggio solo perché

esiste uno spazio di confine contiguo a quello dei «Guf» (Gruppi Universitari Fascisti), che il fascismo pensa di poter gestire e nei confronti del quale cerca di

attuare una costante azione di svuotamento ideologico e di adattamento strategico alle proprie esigenze. La scrittura critica e letteraria ospitata anche in «Cinema» tende a convertirsi in scrittura cinematografica, cosa che di lì a poco accadrà nei fatti, con passaggi di critici dietro la macchina da presa. Il futuro critico dell’«Unità», Ugo Casiraghi, già nel 1943 sulle pagine di «Pattuglia» - mensile dei Guf emiliani - è autore di una importante riflessione

generale riguardante funzioni e doveri della critica: Tutti noi crediamo a quell’aforisma celebre, secondo il quale non dev’essere l’opera ad abbassarsi al pubblico, ma il pubblico stesso si deve elevare a gustare l’opera

d’arte; e perciò anche la critica non deve limitarsi [...] ad un suo nobile compito di propaganda e di chiarificazione, ma deve investire, volta per volta, i problemi decisivi e ulteriori dell'argomento affrontato, in modo che non si corra il pericolo, per la fregola di agire in diffusione, di fermarsi su un piano fissato riguardo alla

profondità4*.

Neorealismo e dintorni- Dal Dopoguerra sino alla “contestazione”

Critica resistente La generazione critica che debutta nei primi anni del Dopoguerra si è via via formata in modo eterogeneo, dii presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, chi presso la redazione di «Cinema», delle riviste dei «Guf» 0 dei quotidiani e periodici di provincia4 ’. Secondo Brunetta questa nuova generazione di autori raggiunge un’identità collettiva che «dall’acculturazione teorica [...] passa alla trasformazione del lavoro critico in prassi registica, secondo un

programma ben visibile» ’ ". In termini più generali ivi emerge una tendenza nazionale a tutela e promozione della produzione intema. A “difesa” del cinema

italiano viene chiamata in causa una schiera di intellettuali che volentieri curano rubriche di critica ospitate in riviste politiche, letterarie e cinematografiche. Si incontrano, tra altri, i nomi di Elio Vittorini, Italo Calvino, Anna Banti, Franco Fortini, Renato Guttuso, Alberto Moravia, Giacomo Debenedetti, Eugenio

Montale, Vittorio Sereni, Emilio Cecchi, Ennio Flaiano, Carlo Ludovico Ragghianti, Vitaliano Brancati, Carlo Battisti, Sergio Bettìni, ma non mancano interventi di uomini politici come Paimiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano.

Nel contempo, per quanto riguarda il versante teorico, riemergono gli scritti di Chiarini e Barbaro, editi lungo gli anni Trenta. Ma accanto a questi si posiziona la figura di Galvano della Volpe che, pur richiamandosi a Marx, è attento a metodologie critiche europee e americane (ad esempio i formalisti russi,

lo strutturalismo, la semantica, la stilistica). I suoi pur radi contributi sono pubblicati su «Bianco e Nero», «Rivista del cinema italiano» e «Filmcritìca». Della Volpe tende a sostenere l’autonomia e specificità del linguaggio filmico in

opposizione all’intuizione dell’estetica idealista > ossia «la distinzione tra arte,

che procederebbe per “intuizioni sensibili”, e “scienza”, che invece si baserebbe su “astrazioni e concetti”»2.

Nuovi critici professionisti

Dal 1944 al 1948 nascono in Italia più di cento periodici di cinema^ tra rotocalchi popolari e riviste più impegnate, senza che la moltiplicazione degli spazi implichi

un vero e proprio ricambio di firme. In questi ambiti incontriamo il debutto di una generazione di professionisti che diverrà per lungo tempo importante soprattutto per la critica quotidianista: Ugo Casiraghi, Callisto Cosulich, Tullio

Kezich, Morando Morandini e Gian Luigi Rondi Dopo il 1948, la “battaglia” culturale a favore del Neorealismo dà sostanza a una critica organizzata che

intende contribuire alla diffusione di una più matura coscienza cinematografica.

Da questo momento in poi si moltiplicano le iniziative editoriali per la traduzione di classici di teoria e di storia del cinema stranieri, indispensabili nella biblioteca

del nuovo spettatore ideale a cui ci si rivolge, e sono i medesimi testi che affiancano il lavoro del critico sui periodici. L’aspetto più importante è legato ai

riflessi del dibattito politico, nonché alla guerra fredda, nell’ottica degli opposti schieramenti che cristallizza su posizioni stereotipe anche il dibattito nazionale,

assai lontane dalle esperienze dei «Cahiers» 0 di «Positif».

Il dibattito degli anni Cinquanta. I casi «Cinema Nuovo» e «Filmcritica»

Lungo gli anni Cinquanta l’irrigidimento ideologico condiziona le posizioni delle personalità affermate della critica, legate a partiti politici, ciò però consente

l’emergere di nuove generazioni che si faranno largo nei decenni successivi. La coeva nascita di un “canone realista”, per quanto problematico, obbliga spesso i

critici a prese di posizione manichee e «precetti estetici estremamente

normativi» ’4, sino a evocare accuse di “tradimento”, per quanto vaghe, scambiate tra i rispettivi fronti polemici Come sostiene Brunetta «l’individualismo, l’analisi

psicologica, l’allegoria, la dimensione onirica, non hanno diritto di cittadinanza, [ciononostante] i risultati ottenuti [dalla critica nazionale] si possono considerare di assoluto rilievo, anche sul piano intemazionale» L’allontanamento da «Cinema» di Guido Aristarco, allora poco più che trentenne, contribuisce alla decisione di questi di fondare nel 1952 «Cinema Nuovo», risposta - polemica e

forte - a un tentativo di «restaurazione» ’'’. Aristarco propone al lettore un programma che è una sfida: da un lato denunciare quelle che il direttore considera cause nocive alla produzione cinematografica italiana, dall’altro

«sostenere le correnti e gli uomini più vitali»5' per costruire sul piano della critica - a livello metodologico, di revisione e di lotta - una nuova cultura. Perciò

ogni emancipazione da questa posizione fortemente ideologica come il tentativo

di ibridare realismo e intrattenimento è liquidata 0 osteggiataz-\ Attorno a

«Cinema Nuovo» si forma di certo una nuova leva di critici di mestiere, ma pure una generazione di «spettatori critici» - Peraltro Lorenzo Pellizzari, tra i critici

emergenti a partire dal decennio successivo, ritiene che questa nuova via critica sia rivolta a un tipo di lettore «forse più politicizzato che cinefilo, forse più frequentatore di librerie che di sale cinematografiche» dando la misura dell’eterogeneità degli obiettivi preposti. Verso la fine del decennio la rivista

ripiegherà perlopiù su dibattiti che oscillano su questioni di principio (ad

esempio il dibattito pluriennale che prende il via da un intervento di Renzo Renzi

intitolato Sciolti dal “Giuramento’, pubblicato nel 1956) 0 delle polemiche legate al passaggio dal Neorealismo al realismo, nel nome totemico di Visconti' . «Filmcritica» nasce alla fine del 1950 per volere del direttore Edoardo Bruno. Tra le testate di critica cinematografica più longeve, è impegnata sul fronte della

diffusione del concetto di “cinema d’autore”, sul modello dei «Cahiers du

Cinema», ma al di fuori dal manicheismo dell’ideologia. Nonostante nel corso del decennio il comitato di fondazione della rivista - composto da Barbaro, Della Volpe e Roberto Rossellini - la associ alle istanze del Neorealismo, nei fatti «Filmcritica» farà da ponte tra vecchia e nuova critica, dando spazio a visioni eterogenee (Bianchi, Chiarini, Rondi, Lizzani). Visioni che non mancheranno di generare motivi di scontro e di confronto con le visioni tetragone di «Cinema Nuovo», movimentando il panorama critico del decennio. Negli stessi anni si

segnala da un lato un rischio di omologazione 0 di sclerotizzazione critica' ’ dall’altro, però, emerge il tentativo di «Rassegna dei film» di dare cittadinanza

analitica al cinema popolare, senza preconcetti, con un occhio al mercato e all’industria cinematografica. Nel contempo si allarga la frattura «tra autori e

critici da una parte, tra critica specializzata e critica quotidianistica dall’altra»'1. Un ruolo importante nella formazione di una nuova stagione critica l’avrà

anche la Mostra del Cinema di Venezia che tra anni Cinquanta e Sessanta, oltre a

ospitare come da tradizione un laboratorio di visione del presente, apre spazi di revisione di film del passato ampliando il dibattito critico sul cinema. Vanno in questa direzione le retrospettive dedicate al muto (a partire dal 1952), oppure, ad esempio, la “tavola rotonda” dedicata alla storiografia cinematografica che mette a confronto critici e storici e svoltasi al Lido nel 1964"4.

Gli anni Sessanta. La critica sui quotidiani e periodici All’inizio del nuovo decennio si manifesta un avvicendamento sul fronte dei quotidiani. Nuovi critici sostituiscono nomi storici che hanno segnato segmenti temporali più o meno estesi Nel 1955 n decano Mario Gromo lascia a Leo Pestelli

il proprio ruolo alla «Stampa»; al «Corriere» Arturo Lanocita è sostituito dall’italianista Giovanni Grazzini; Ugo Casiraghi comincia a curare la critica sull’edizione nazionale di «L’Unità», l’organo del PCI può vantare sei redazioni

locali con sei diversi critici cinematografici, una vera e propria rete capillare. Per

quanto riguarda i periodici molto seguite sono le rubriche cinematografiche curate da Moravia (su «L’Espresso») e Filippo Sacchi (passato, nel frattempo a scrivere su «Epoca»); Sacchi già importante critico del «Corriere» sin dagli anni

Trenta per molti anni è stato punto di riferimento di schiere di lettori e modello

per molti critici. Anche grazie al rinnovamento delle redazioni - e alla rilocazione dei critici più anziani in una dimensione meno legata al ritmo sostenuto del quotidiano - alcune ricorrenze e stereotipie della critica nazionale (ad esempio l’affezione ai concetti di realismo e verisimiglianza) paiono lasciare spazio a nuovi temi, come «la sperimentazione linguistica»’ 0 la rinnovata attenzione

non pregiudiziale nei confronti del cinema popolare. L’influsso degli apporti teorici di Asor Rosa, Pasolini, Metz, Barthes e Umberto Eco, che prendono piede attorno alla seconda metà del decennio, si risentono nella critica italiana

soprattutto nell’utilizzo degli strumenti propri dell’indagine sociologica e della analisi semiotica applicati all’oggetto filmico. Tra i critici più prolifici del secondo

dopoguerra troviamo il nome di Pietro Bianchi, attivo sin dagli anni Quaranta' '. Nel 1956 partecipa alla fondazione del quotidiano «Il Giorno» del quale diviene critico cinematografico fino al 1975.

Il dibattito negli anni della “contestazione’

La critica politicizzata è militante''' nell’accezione della «pratica filmica» che diviene «pratica rivoluzionaria»"*. Nel totem rivoluzionario dunque si incardina il concetto di cinema politico - almeno a partire dalla seconda metà dei Sessanta - e si lega alle lotte politiche che iniziano a verificarsi in Occidente e, dunque, in Italia. Il cinema diviene uno “strumento” della protesta, a ciò

corrisponde un tipo di cinematografia ideologica che esprime correnti 0 si riferisce a lotte di emancipazione sessuale e razziale e di liberazione individuale. Le posizioni si radicalizzano così come si estremizza un settore del vasto

movimento studentesco e operaio. Molti registi sposano la causa offrendo la propria opera schierandosi e così alcuni critici e periodici di fondazione più 0

meno recente. «Cinema Nuovo» rinnova il proprio ruolo continuando la battaglia in favore del realismo critico e di un cinema che risenta dell’influenza marxiana - nonostante sia esso un medium “borghese” - deve trovare la propria dimensione nel ruolo di guida e servizio sociale. Mentre all’opposto «Filmcritica» si rivolge al cinema di ricerca e di sperimentazione dando valore a questioni di

tipo estetico oltre i didascalismi. «Cinema & Film» riprende linee guida simili

con uno sguardo alle tendenze critico-teoriche francesi coeve. D’altro canto emerge l’esperienza maoista di «Ombre rosse» diretta da Goffredo Fofi, Paolo Bertetto, Gianni Volpi che dà voce al movimento studentesco. Secondo la linea editoriale la critica deve saper guidare in modo arbitrario. Le diatribe si risolvono

in polemiche ideologiche e faziose dove un regista, 0 qualsivoglia un determinato cinema nazionale, sono visti con favore od ostilità per motivi che si allontanano

da questioni squisitamente critiche e si avvicinano alle plaghe della propaganda. Come rileva Bisoni «i film stanno in secondo piano, servono da studi di caso per

urgenze teoriche e politiche di ben altra portata» ”’.

Gli anni Settanta: non solo critica militante Lungo gli anni Settanta la critica italiana si lega ai luoghi, ai collettivi, alle

rassegne organizzate, alle retrospettive. Il bisogno di collettivizzare le esperienze

coinvolge anche il cinema in una forma che tende a rivedere prospettive storiche, teoriche e quindi critiche.

Si hanno ripensamenti di riviste blasonate come «Bianco e Nero» che diviene

spazio di approfondimento spesso monografico, in una prospettiva storiografica,

ma pure laboratorio di idee. La rivista del CSC riproduce atti di Convegno 0 resoconti di dibattiti tra critici e accademici, che nel frattempo cominciano a

occupare spazi universitari istituzionalizzati, espressione di diverse generazioni di critici e studiosi. Tra altri Chiarini, Mario Verdone, Aristarco, Gianni Rondolino, Gian Piero Brunetta, danno il via a nuove esperienze di analisi e di

studio legati alla disciplina accademica che include oltre alla storia anche la critica del cinema. Il cinema è, cioè, materia di interesse di studio e comincia ad avere un passato di tutto rispetto che va rivisto, rivalutato, ripensato, riscritto. Lungo il decennio si registrano le attività dei cine-club distribuiti nelle città più importanti della penisola, questa pratica cinéphile favorisce la nascita di un

gusto peculiare che proietta strutture ideologiche non solo sul cinema impegnato,

ma anche sulle grandi produzioni internazionali 0 di consumo. Alcune tendenze critiche di questa fase fanno incontrare l’immaginario cinefilo con quello più

popolare («Cinema Nuovo») ibridando semiotica con teoria dei mass-media. Agli inizi del decennio successivo si verifica un paradosso che vede il cinema

in sala entrare in crisi per problematiche legate alla diffusione del medium televisivo, mentre la letteratura dedicata al cinematografo conosce un grande

sviluppo e con essa circolano i “saperi del cinema” e si innestano nell’analisi approfondita, semiologica delle forme del cinema, in rapporto «con la

televisione, la serialità, l’intertestualità, la citazione, il remake» '’.

Dagli anni del riflusso al Web

Altri schermi, altra critica Gli anni Ottanta sono caratterizzati dalla crisi non solo delle sale

cinematografiche, ma anche della critica quotidianista. Gli spazi critici nei giornali sono stati surclassati da quelli relativi al costume, al colore, legati allo

star system oltre che a una mera promozione dei film in una sorta di spazio pubblicitario talvolta camuffato. Altro problema rilevato, ad esempio da Grazzini', rispetto a un supposto nuovo corso iniziato nella prima metà degli anni Settanta, è proprio l’incremento esponenziale dell’offerta cinematografica, la

quale obbliga la riduzione degli spazi critici nei quotidiani. Le recensioni perciò si

esauriscono in brevi note o schede occupate in gran parte solo dai crediti. Brunetta rileva che «già nella seconda metà degli anni Settanta con la crescita dell’attenzione da parte dei giornali nei confronti della televisione rispetto al

cinema si cominciano ad avvertire i primi sintomi e segni di crisi di identità»".

Per quanto riguarda le riviste, con il nuovo decennio inizia l’esperienza di «Segnocinema», bimestrale guidato ancor oggi da Mario Calderale, che da organo di informazione legato all’esperienza di un cinefonim locale si apre a una platea nazionale. Nel corso del tempo il format della rivista prevede, oltre ad

alcune rubriche fisse, una parte dedicata a dossier monografici di approfondimento teorico-storiografica, un’altra sezione, invece, raccoglie recensioni di singoli film, perlopiù estese. Attorno alle riviste critiche spesso si sviluppa un laboratorio nel quale si

confrontano punti di vista eterogenei, cinefili, accademici, teorici e di pratica analitica perlopiù legati alla politica degli autori e a un cinema culturalmente rilevante. Campi di azione che di volta in volta offrono spunti per analisi dedicate

a questioni produttive, teoriche o di flussi culturali e spettatorialL Il caso «Ciak», mensile fondato nel 1985, e in un primo tempo emanazione

del settimanale «TV Sorrisi e Canzoni», affronta tematiche legate al divismo,

cronaca rosa e mondana, a particolari fenomeni glamour, sommando a essi brevi dossier dedicati a film 0 autori, garantendo spazio a recensioni formalizzate in schede più 0 meno estese, oltre a redigere un bollettino pubblicitario delle uscite

in sala senza discriminazioni “qualitative” di sorta: tutto quel che è candidato a passare per la sala - con l’esclusione del sommerso rappresentato, ad esempio,

dal cinema pornografico - viene catalogato dal periodico. Diretto dal 1997 al 2019 da Piera Detassis, «Ciak» si rivolge a un pubblico popolare e tendenzialmente

giovanile, e non a caso «cerca di perimetrare un gusto light, che guarda al cinema di grande consumo [...] e contemporaneamente osserva con rispetto e sacralizzazione l’area cinephile»'. Dal 1986 dà vita a un premio dedicato al

cinema italiano, il “Ciak d’oro”, che diviene nel tempo un appuntamento

importante al pari di altri premi assegnati da festival e rappresentanti sindacali di categoria. Nei primi anni Novanta tra le esperienze più significative si possono ricordare «Duel», poi «Duellanti», fondata da Gianni Canova, critico e storico del

cinema - curatore, tra il molto altro, della popolare Garzantina Cinema'4, valido

strumento di divulgazione dei saperi del cinema -, che a partire dal grande schermo estende l’analisi critica ad aspetti massmediologici collegandoli alle altre

arti. Più trasversale ma rappresentativo di un successo duraturo è l’esperienza longeva dell’unico settimanale di critica cinematografica italiano «FilmTv». La rivista, diretta dal 2017 da Giulio Sangiorgio, nasce nel 1993 e offre oltre alle

notizie del palinsesto televisivo nazionale il diario delle uscite in sala, dando spazio a interventi critici, a dossier, ad approfondimenti. «FilmTv» così, come ad esempio, «Cinefonim», storica rivista fondata nel 1961 da bollettino legato alla

FIC (Federazione Italiana del Cinefonim), sviluppano rispettivamente un sito internet che diviene collettore di testi critici e approfondimenti già pubblicati sull’edizione cartacea, a lungo andare si tramutano in una sorta di portale dedicato al cinema. Esperimento di successo che prende una strada propria,

talvolta - come nel caso di Filmtv.it - sino a separarsi dall’omonima testata per questioni di proprietà editoriale. Una fase apicale di un rinnovato interesse popolare nei confronti della critica cinematografica è rappresentata dal successo dei dizionari dei film, n format

raffinato nel tempo da critici di lungo corso come Morando Morandini così come da Paolo Mereghetti nell’elaborazione dei rispettivi dizionari - previsti in

edizioni seriali, aggiornate con cadenza annuale 0 biennale - propongono brevissime analisi di film ospitate in volumi cartacei corposi. Queste peculiari edizioni, sviluppatesi a partire dalla metà dell’ultimo decennio del secolo,

rappresentano una sostanziale inversione di tendenza rispetto a una critica generalmente in affanno. Tra gli anni Novanta e il nuovo millennio i tomi raggiungono dimensioni sempre più enciclopediche come nel caso di II Mereghetti. Alcuni dizionari offrono una edizione in cd-rom, in forma di database dinamico, 0 creando un primo ponte con il Web, estendendo alla rete la pubblicazione delle recensioni, a lungo ospitate sul portale MyMovies.it (come ad esempio per Morandini e Farinotti). Nel contempo cresce il dibattito sulla manifesta irrilevanza della critica contemporanea, richiamata dai critici stessi le

cui cause paiono essere molteplici. Ad esempio taluni studiosi - tra i quali, in particolare Roy Menarmi, accademico nonché critico attivo tra i più importanti della sua generazione, molto attento alle trasformazioni in atto -, riscontrano un

possibile causa della sostanziale eclissi della critica nel processo di rilocazione e rimediazione del cinema, già dimostrato da Casotti \ Ma la rilocazione dei film in

televisione (in programmi come Fuori Orario') e su supporti Home Video (VHS, DVD), dà vita a un processo, attivo sin dagli anni Ottanta e Novanta, che è da considerare anche nella prospettiva di un precedente importante rispetto all’avvento e ai consumi potenzialmente on-demand permessi dal Web '.

Nuovi schermi, nuova critica?

Il Web di per sé muta rapidamente per forme e modalità comunicative. Dette

forme e modalità si presentano più 0 meno spontanee 0 indotte, facendo emergere - 0 lasciando spegnere - determinate esperienze che potevano ospitare

incidentalmente dialoghi critici sui film". Ad esempio le chat di gruppo (IRC) associate a Web-community specifiche e, successivamente, a forum ospitati

presso siti di cinema (0 proiezioni telematiche di riviste e quotidiani nazionali), 0 a portali generatori di blog (Blogger, Wordpress) che danno facoltà di

relazionarsi in comunità. Essi divengono spazi adibiti al confronto pubblico spontaneo, in tempo reale 0 in differita, oggi surclassati od omogeneizzati da social network e contesti dialogici assai eterogenei, ma sempre più strutturati, sorta di sedicesimo di Internet. Tra essi, come rileva Bisoni, talvolta emergono

attori culturali (blogger e youtuber spesso non salariati) «che producono e trasmettono saperi»* dedicati al cinema, rivolgendosi a un pubblico più 0 meno

circoscritto e spesso assai modesto, esponendo temi e approfondimenti originali e divulgando informazioni inedite. A esse si affianca l’esperienza delle videorecensioni 0 videoessays frutto di passione, ma pure di ricerca sviluppatasi

in ambito studentesco - medio 0 universitario - produzioni audiovisive ospitate su piattaforme come YouTube e Vimeo. Altro strumento polimorfico reso possibile dal Web sono i database dinamici'5 che uniscono testi critici, immagini e clip (talvolta solo gif) legati al singolo film più 0 meno recente. Accanto a un dato titolo si possono infatti fruire

recensioni (anche d’epoca riprodotte da riviste e quotidiani, 0 tratte da volumi)

che dialogano idealmente a documenti e materiale collaterale come interviste, apparati di immagini epost degli utenti, ossia commenti di corredo 0 recensioni. Nel contempo l’utente comune - blogger cinefilo, 0 meno - è sollecitato a sperimentare inediti innesti tra pratica della visione cinematografica (film disponibili nella loro interezza 0 frammentati) e quella della lettura critica. In alcuni casi al pubblico è offerta la possibilità di fruire bina e l’altra esperienza nel

medesimo slot 0 in schede facilmente raggiungibili da link giustapposti. Sono perlopiù i portali di cinema (Imdb.com, MyMories.it) a essersi trasformati per primi in terminali di raccolta di video e documenti testuali così eterogenei. Sin

dagli esordi si presentano quali contenitori di dati e immagini, grazie ai quali ria ria si somma in un unico insieme collegato ciò che nacque separato e

appartenente a media differenti, ossia cinema e critica**. Il decennio 2010-2020 segna il riemergere anche di una critica più strutturata, che, nonostante il dilagare del corrispettivo dilettante 0 spontaneo, ha trovato nel Web uno spazio d’elezione, mostrando come il contesto critico

italiano telematico sia oggi «attraversato da una grande vivacità»*1. Esso trova riscontro soprattutto nelle riviste online, nei portali ufficiali, cui corrispondono le

relative proiezioni 0 finestre dedicate sui social network (ad esempio su “pagine”

e “gruppi” ospitati su Facebook). Il ritorno alla critica riguarda anche docenti universitari di cinema sul versante della stampa tradizionale (ad esempio

Emiliano Morreale su «L’Espresso»), ma trova lustro nella nascita di una testata

come «Fata Morgana Web», emanazione telematica della omonima rivista accademica. Diretta da Roberto De Gaetano - studioso da sempre attento ai

rapporti analitici tra cinema, teoria e critica*- -, «Fata Morgana Web» mette in connessione saperi teorici e critici e dà spazio a sguardi di giovani studiosi e di critici e accademici affermati, divenendo un luogo che apre al dibattito e lo divulga con possibilità di intervento da parte degli utenti. Tra i molti altri casi citabili, Cinefilia Ritrovata*1, sito coordinato da Roy Menarmi, collegato alle attività della Cineteca di Bologna e del festival II Cinema

Ritrovato, rappresenta un laboratorio che coinvolge altrettanti studenti, corsisti,

docenti in una prospettiva di riscoperta dinamica del cinema del passato. Grazie alla diffusione del Web anche l’oggetto filmico - dal più recente al più

remoto - conosce una nuova circuitazione tramite i sistemi di connessione, fissa e mobile, sempre più potenti e stabili. Potenzialità che consente con agio lo streaming, l’accesso alle piattaforme di file sharing - legali e non -, così come il video on-demand, le library online e prèt-à-porter. In sostanza hub come Netflix,

Amazon Prime Video e altri, oggi permettono al critico, al cinefilo, e ovviamente al fruitore occasionale di accedere al singolo film attraverso dispositivi di ogni

formato, dal computer allo smartphone, a casa come in viaggio.

Nonostante la manifesta moltiplicazione delle occasioni di fruizione e degli spazi di confronto, per De Gaetano siamo viceversa in presenza di un

indebolimento «simbolico e pratico»*4 della critica e del suo esercizio, che pone una questione cruciale della pratica dell’analisi cinematografica e delle sue

forme. Un punto di vista dirimente, utile anche per una prospettiva storiografica

del prossimo futuro.

Capitolo 2

Tipologie, stili, metodi e temi

Tipologie dei testi della critica cinematografica

Critica cinematografica, un termine polivalente Con la locuzione critica cinematografica si può idealmente richiamare un

articolo di giornale, unformat giornalistico, un mestiere (sovente non salariato o «aleatorio»1) o «un’istituzione culturale»1 che è anche «fenomeno culturale»1, poiché è oggetto di studi storiografici e di insegnamento all’università. Parimenti lessico e nomenclatura riferiti all’ampio settore in oggetto soffrono di eccessiva genericità; più spesso, dato l’uso comune, con critica cinematografica si designa

un singolo testo che si rivolge a «questo o quel film, questo o quel cinema, questa o quella produzione»4 con una propria identità, o meglio «fisionomia»1. Può essere nel caso un testo che oscilla dàUaforma-saggio allaforma-recensione,

dalla nota informativa a uso promozionale al post pubblicato sui social network, sino a una avvertenza di minima entità (ad esempio un esile riassunto della trama, con resoconto del cast, legati a un giudizio espresso in voti, asterischi, stelline). H termine può giungere ad abbracciare esperienze mediali diverse che si

estendono sino alla pratica orale (la presentazione di film dinanzi al pubblico in sala, la rubrica critica del radio o telegiornale)", cui si aggiungono la più recente

forma della video-recensione pubblicata su Internet', o il più raro “critofilm”: un film che analizza per mezzo della forma cinematografica un altro film, secondo la lezione di Carlo Ludovico Ragghienti.

Oltre alla definizione plurale (o «ambigua»)0 di testo enucleata da Casetti, per

Risoni si possono individuare altre tre aree principali concettuali che definiscono

che cosa sia critica cinematografica. Innanzitutto un insieme, ossia una qualsivoglia idea di critica che rinvia all’insieme di testi affini, a «discorsi simili

tra loro»troviamo in secondo luogo una norma, un discrimine che permette un collegamento con ciò che non è critica cinematografica, ad esempio, un saggio

teorico, storico, così come dalla nota tecnica, di costume, o pubblicitaria, ovviamente legata al medesimo orizzonte argomentativo. In ultima battuta troviamo una istanza: ossia ciò che definisce regole, itinerari per produrre

“discorsi critici’, per quanto mutabile nel tempo.

Una vocazione proteiforme

Sin dagli esordi primonovecenteschi una parte della stampa cinematografica tenta di emanciparsi dagli stereotipi propri della mera promozione commerciale per costruire un approccio critico. Quest’ultima è una pratica che tenta di slegarsi

da eventuali ricatti, a propria volta connessi ai proventi pubblicitari devoluti alle riviste di settore medesime. Su questa spinta nuova emergono, da principio, alcuni schemi testuali debitori della critica teatrale o d’arte, espressione di quel

che De Gaetano definisce essere «un prodotto della modernità»11 owerossia un figlio legittimo del xix secolo. La lenta emersione deDa critica

cinematografica - intesa come altro dalla semplice nota informativa tipica del

boDettino - giunge con un ritardo di circa un ventennio rispetto al debutto del cinematografo medesimo14. In questo complesso contesto anche la critica cinematografica italiana affiora più o meno organicamente, nonostante qualche

precursore importante, aD’incirca nel periodo tra le due guerre mondiali Oltre al dato storiografico, sibillino e di sostanza a un tempo, oggi come aUora la critica legata al cinema non è associabile a una disciplina che le corrisponda. Almeno non in modo rigoroso come per altri contesti culturalmente affini (teatro, spettacolo, arti). Per disciplina si intende un ambito di conoscenze e nonne che prevedano un campo di azione comune, o accomunabfie, a un insieme riconosdbUe e riconosciuto, condiviso da una comunità (più o meno numerosa, più o meno tale).

Nel dettaglio i confini deDa critica cinematografica sono da sempre labili poiché a quest’ultima appartiene una vocazione proteiforme capace, di volta in volta, di assumere e rivelare aspetti o atteggiamenti diversi, in una parola: individuali. A partire da ciò il problema generale si trasmette anche al ruolo di critico cinematografico, considerando che quel che è definito (o definibile) critica cinematografica non corrisponde a un criterio universale. Sovente, al contrario, essa si riferisce a un talento o a un bagaglio culturale - inteso quale sinergia

estetica, teorica e storica - che viene utilizzato dal critico per poter speculare sul singolo film, sul cinema in generale o, ad esempio, per veicolare una peculiare idea programmatica di cinema. È soprattutto grazie a una complessa connessione

composta di competenze ed esperienze che D critico può procedere ad analizzare

l’oggetto filmico deDa sua propria dissertazione. Per De Gaetano, ad esempio, «la critica, oltre a tirar fuori daD’opera l’universalità deD’idea, costruisce una periodizzazione delle forme, un continuum (anche con le sue fratture) deDa tradizione. Si apre cioè aDo stesso tempo ad una dimensione sincronica (teoria) e

diacronica (prospettiva storica)»”.

A parere di alcune ipotesi lungo D secondo Dopoguerra la critica perde via via prestigio culturale e ciò accadrebbe nel momento in cui essa si distacca datia teoria14. In quegli stessi anni la critica cinematografica (in particolare l’esperienza dei quotidianisti) diviene oggetto di studio e rivalutazione in seno aDe Università,

ma nel contempo la pratica medesima occupa un ruolo sempre più marginale nel mondo deD’informazione”, eccezioni a parte.

Quale lessico per la critica cinematografica? Per ogni disciplina esiste - in potenza - una letteratura che si esprime per mezzo

di un dato linguaggio formalizzato, proprio deDa ricerca; d’altro canto, a quest’ultimo corrisponde un lessico complementare rivolto invece aDa pratica

divulgativa. A entrambi corrisponde un insieme di segni condivisi che «la critica

cinematografica ha saputo costruire»’ ', ossia «un discorso il cui perimetro

“istituzionale’ si muove [...] tra saperi accademici e pratiche giornalistiche»’'. Sul versante deDa ricerca specializzata (sovente contermine a queDa accademica) troviamo tecnicismi e nomenclatura codificati, che la letteratura

divulgativa e giornalistica parafrasa rendendoti disponibili al pubblico potenzialmente più vasto e composito1*. Questo processo di traduzione non significa un automatico impoverimento dei concetti, ma è al contempo un adeguamento di gergo, oltre che di stile, appropriato al contesto di riferimento o

al contenitore editoriale ospitante. Da un lato troviamo una critica cinematografica specializzata, rivolta a un pubblico edotto composto da cultori, studiosi e appassionati, iniziato a un lessico altrettanto specialistico; al contempo persiste una critica di tendenza popolare che si rivolge anche a chi esperto non è. Secondo Risoni «l’insieme dei critici cinematografici è [...] una società di

discorso in cui i saperi sono largamente accessibili»"5 e che dà a essa un ruolo riconoscibile e riconosciuto. Più in generale per De Gaetano D punto focale proprio del e discorso della critica» vige nel «tenere insieme» gli orizzonti accademici e giornalistici, ossia le due principati prospettive definibili in «sguardo al presente in divenire e sguardo riflessivo e prospettico»1’.

Tra critica specializzata e divulgativa

Ai due macro-insiemi, da un lato la critica specializzata dall'altro la critica a vocazione divulgativa, corrispondono rispettivamente uno o più spazi di

espressione e diffusione. Abbiamo già inteso che la prima è diffusa su periodici di settore (dichiarati sin dada testata, es. «Cinefonim», «Filmcritica», «Segnocinema») ed è caratterizzata da un approccio analitico, di approfondimento tematico; viceversa la critica di tendenza più divulgativa condivide lo spazio espressivo della stampa

generatista, ovverosia non di settore, perciò può occuparsi degli aspetti più diversi, popolari come non, esistendo tanto sulla carta stampata quanto in brevi appendici di radio (es. la rubrica del Giornale radio Rai a cura di Raba Richerme) e telegiornali (es. Vincenzo Mollica al Tgi, Anna Praderio al Tgs) o - ben più raro - di programmi di approfondimento critico sia radiofonici (Hollywood Party, Radiotre) sia televisivi come Fuoriorario a cura di Enrico Ghezzi (Raitre), o la rubrica televisiva settimanale, importante anche in termini di durata,

Weekend al cinema di Stefano Masi (trasmesso sul canale tematico RaiNews24). Da ultimo i rapporti tra le due tendenze possono essere talvolta legati ad approcci di tipo politico (tendenza più evidente in epoche passate, ma non

completamente estinta) che marcano distanze e divisioni tra fazioni talvolta

radicali41.

Quale tipologia di recensione?

Le pratiche di scrittura legate al cinema e ai film sono molteplici, ma la formarecensione rimane tra le più diffuse. Quel che si intende performa-recensione

corrisponde (tendenzialmente) a una struttura tri o quadripartita44. Tale struttura va incontro aDa curiosità del lettore cercando di assolvere a

singoli - quanto facoltativi - compiti nonché ad aspettative di ordine interpretativo che l’utente, secondo tradizione, si attende di riscontrare nel testo critico medesimo. Non sempre la struttura - che è da intendersi eventuale, specie

in un ambito che è il trionfo del libero arbitrio - viene rispettata daD’estensore

deDa recensione. Ciò può accadere per le questioni più disparate, così come per

motivi stilistici (rispetto aDe scelte del singolo critico o aDe caratteristiche del film al centro deD’attenzione), di struttura (altresì diformat), o di spazio (per

quanto riguarda l’aspetto editoriale tradizionale), che nefla carta stampata, in genere, è assai ridotto. QueDa deDo spazio sempre più esiguo della critica pubblicata sui media cartacei è una problematica riferibDe ai quotidiani ma non solo, e verificatasi in modo evidente negli ultimi decenni. Assai diverso è invece,

come vedremo, l’approccio deDa critica professionistica che si pubblica sul Web4’. Per recensione, nota Risoni, «si intende un formato di scrittura di tradizione giornalistica costituita da una breve analisi, da un giudizio, da

un commento, accompagnati da sinossi di un film uscito o in uscita nelle

sale» ’ 4, e che può essere caratterizzata da una «discorsività

“conversarionale”»*'. A tutt’oggi, sia suDa carta stampata che sul Web, così come a margine dei

radiogiomali e telegiornali, la recensione è il testo dedicato al cinema più facilmente diffondibile accanto agM spot pubblicitari, ai trailer, ai post e aDe stories sui social network, è cioè contermine a forme comunicative altrettanto

effimere legate ad attività di promozione, o di invito aDa visione, del singolo film (in sala così come sulle piattaforme Netflix, Amazon Prime Video e Disney+), ben sapendo che la proiezione in sala è un evento altrettanto transitorio, ossia da cogliere al volo. Ad esempio, la recensione - lunga o breve che sia - pubblicata su

portati Web, od ospitata neDe edizioni online di «Corriere» e «Repubblica» (ad accesso libero così come netie versioni digitali a pagamento), si presta a una lettura veloce da un qualunque dispositivo mobile. In un tempo relativamente

ridotto, infatti, si vengono a raccogliere informazioni essenziali su crediti, genere e durata, seguiti da una trama, per quanto scarna, oltre a un giudizio di gusto essenziale che, in funzione deDa brevità, sacrifica in parte (o talvolta del tutto) l’aspetto analitico. H lettore si trova dinanzi a un testo spesso essenziale che però non esclude un giudizio di valore, magari formulato in altrettanto sbrigativa voti o simboli grafici (es. le citate stelline). Quando la critica è più estesa - magari impaginata nel taglio basso deDa sezione dedicata agli spettacoli - allora riesce a offrire elementi più complessi rispetto al singolo voto numerico o alla chiosa laconica. Elementi cioè ben più utili al lettore per guidarlo a scegliere la proiezione in sala, magari incuriosito da argomenti, ragionamenti, suggestioni che l’estensore è riuscito a suscitare. Come

già anticipato spesso la critica si riduce a una minima segnalazione, magari

riquadrata aD’intemo di un box (disposto su una spalla, se in un quotidiano) o in una rivista, così come può corrispondere a un link digressivo presente netia home di un portale Internet o di un post sui social network. Che cosa non è la recensione? La recensione non è «semplicemente una

forma di meta-discorso che si esaurisce netia critica di un oggetto-film» bensì funziona come «enunciazione» la quale dichiara conoscenze legate «ai saperi del cinema»4”. Dunque la recensione si pone a metà tra le forme accademiche detie

analisi fìlmografiche e quelle più “basse9, men che divulgative, ospitate datia stampa e dai canati telematici anche non strettamente focalizzati sul cinema. Le appartiene perciò una «autonomia» su più fronti. Pur con le dovute cautele si

può trovare soprattutto una differenza di forma tra una recensione specializzata e una divulgativa. Anche tra le recensioni esistono alcune differenze perlopiù

decretate daDe finalità, dal contesto, oltre che dal pubblico destinatario del testo

critico. Le recensioni specializzate solitamente hanno necessità e obiettivi diversi, altri, dalla critica quotidianista, più orientata, generalmente, a intessere un rapporto diretto con fl lettore attraverso forme anche cotioquiali, o relative a un giudizio di gusto (magari non troppo eufemistico), che la specializzazione viceversa preferisce temperare. Almeno netia forma se non nella eventualità deDa

severità del giudizio di valore la quale, comunque, emerge.

NeD’ambito dello stile la critica quotidianista si mantiene pressoché immutata, se consideriamo quale campione gli ultimi trentanni4', e ciò

corrisponde al formato deDa dispositìo. Focus. Critica cinematografica è un termine dal significato polivalente e dai confini labili. La critica cinematografica può corrispondere a un testo che rimanda di volta in volta aDa forma-saggio, aDa recensione, ati’interv-ento pubblicitario, alla breve nota, atiìntervento orale (es. presentazione) sino al “critofìlm’’. Il mestiere del critico utilizza una struttura ideale ma che è adattabile aDe convenienze e aDe possibilità e che sempre più si riconosce nella necessità di sintesi, dati gli spazi a disposizione sempre più angusti. Diversi, invece, sono gli approcci della critica ospitata sul Web

dove una medesima necessità di sintesi si rapporta al tempo medio di lettura da parte deD’utente ideale, ma in realtà gioca su una disponibilità di spazio, che è

potenzialmente illimitata. Esiste una critica cinematografica specializzata e una di tendenza popolare. La critica cinematografica quotidianista quanto quella specializzata può esprimere un’analisi e un giudizio su un dato film attraverso la

forma-recensione. Quest’ultima, rispettando talvolta alcuni schemi strutturali tradizionali, tenta di andare incontro al lettore fornendogli possibili chiavi di lettura

di ordine interpretativo. Più in generale essa si suddivide in una struttura formale che prevede una breve sinossi del film in oggetto, seguita da una analisi, da un giudizio e

da un commento conclusivo. Laforma-recensione trova spazio tanto sulla carta stampata quanto su Internet

Stili

Alcune differenze tra critica quotidianista e critica specializzata Tra le varianti della forma-recensione più utilizzate dalla critica cinematografica

italiana, gli studi di settore rimandano, senza troppe peculiarità, a una struttura

utilizzata principalmente da Filippo Sacchi. Detta costruzione è indicizzata in uno schema che Pezzetta ha sintetizzato in: - cappello introduttivo con eventuali note di colore, considerazioni personali, agganci all’attualità;

-

esposizione della trama; analisi del contenuto;

- giudizio sul film (con eventuali valutazioni sugli attori, la fotografia, la

musica, ecc...):X.

Lo schema a propria volta rimanda al modello della dispositio e riguarda, in sostanza, l’ordinamento dei contenuti dei discorsi, debitore della tradizione della

retorica classica formalizzata da Cicerone.

Se in tutta evidenza all’esordio spetta cominciare il discorso, la parte centrale comprende la narratio (l’esposizione dei fatti) e la confirmatio (l’insieme degli argomenti), infine laperoratio, sorta di riepilogo, ha il compito di tirare le fila-1. L’esordio tende a stabilire anche il taglio della recensione e di conseguenza il

rapporto gerarchico tra chi scrive e chi legge (se confidenziale, serioso, tra pari o meno). Esso può avere agganci di ogni genere e tema, dai fatti dell’attualità sino a quelli della storia. La parte centrale (narratio e confirmatio) espone i fatti (riassunto della trama) e ospita parimenti gli argomenti propri del critico,

talvolta le due sezioni sono separate anche graficamente per rendere riconoscibile la sezione della sinossi (ad esempio con il corpo del testo ridotto rispetto al resto, oppure tradotto in corsivo). Alla conclusione (peroratio) spetta il compito ideale di portare il lettore dal pathos alla ragione, a riassumere la tesi ed enfatizzarla, o concluderla con una battuta a effetto. Non esiste una regola: il tono sovente si confà al registro proprio del film, di concerto l’epilogo della

recensione potrebbe tendere a un’impressione di ciò che è la caratteristica più importante del soggetto. Nell’ambito specialistico o accademico il linguaggio e la forma sono meno sottoposti a vincoli non avendo limiti di spazio e disponendo di maggiore libertà.

Si potrebbe intendere che se tra critica accademica e quotidianista non c’è troppa differenza almeno sostanziale, viceversa le divergenze sono evidenti a livello di forma e di stile, in una parola Velocutio. L’elocutio è connesso alla dispositio proprio nella ricerca dello stile adatto al soggetto: se aulico, ordinario o

tecnico, ossia quel che segna il solco tra critica popolare, cinefila"' e accademica.

Secondo Bisoni le differenze tra critica quotidianista e specializzata «riguardano sia il linguaggio sia i concetti»1:: da un lato la tradizione critica precedente, dall’altro il dialogo con i saperi del cinema storici e teorici. Al contrario il

recensore popolare tende ad argomentare senza attribuire un ruolo prioritario alla teoria del cinema per non rendere troppo complesso od ostile il discorso critico. L’ipotetico recensore quotidianista si afferma, perlopiù, per un proprio stile, per la scelta di un lessico più o meno tecnico o accessibile, spinto sino al rifiuto parziale o totale della specializzazione. Altrettanto spesso utilizza una

terminologia presa a prestito da altri ambiti (ad esempio metafore derivanti dal mondo calcistico, politico, medico...), attraverso la quale cerca di «essere più

persuasivo»11 nei confronti del lettore. Con quest’ultimo instaura un rapporto

tendenzialmente confidenziale, di guida estetico-esegetica, basato sulla fiducia. L’autore che pubblica su riviste accademiche, o di critica specializzata legate al cinema, utilizza senza particolari remore la nomenclatura tecnica in uso alle

maestranze, il lessico della semiologia, la terminologia di uso corrente in ambito dello studio accademico (non esente da particolari mode o tendenze culturali del momento) o citazioni da studiosi di altri campi (storici, filosofi, psicologi, sociologi) che si sono adoperati allo studio del cinema senza porsi problemi di

accesso rispetto al proprio pubblico di riferimento. Il critico quotidianista, viceversa, suole divenire una sorta di filtro traduttore

sia rispetto alla lettura del film offrendo chiavi interpretative facilitanti, sia

riguardo a una terminologia adeguata all’ideale lettore di riferimento, al target del periodico: un lessico tendenzialmente comprensibile, variando gradualmente

di volta in volta e sempre rispetto alla testata che ospita il testo in oggetto, sia

essa quotidiano, una rivista generalista o tematica, altra dall’argomento cinematografico. Focus. Lo schema più utilizzato per la forma-recensione prevede una quadripartizione in: introduzione, sinossi, analisi e giudizio che rimanda all’antico modello della dispositio. Se questa struttura si può riscontrare sia nella recensione quotidianista che in quella specializzata, la differenza tra i due approcci avviene per mezzo della scelta formale e stilistica (elocutio) e di lessico accessibile da un lato, e tecnico dall’altro.

Metodi, temi e schemi

Metodi e problematiche propri della critica

I diversi metodi di analisi filmica spesso si riferiscono ad altrettante discipline e filosofie. Ad esempio prendono in considerazione semiologia, psicoanalisi,

sociologia, oppure «elementi significativi come lo stile, la poetica del regista (...) l’appartenenza a un genere, a una cinematografia nazionale [...], alla classicità o [al] postmoderno»11.

Secondo David BordweDu la critica funziona come una pratica di problem solving cui corrisponde la risoluzione di almeno quattro problematiche ulteriori. Appropriatezza: nel caso di una rivalutazione dell’opera di un autore o di un film

minore, in questo tipo di giustificazione esiste la questione dell’appropriatezza. Corrispondenza: l’interpretazione deve essere supportata da prove, ossia una corrispondenza tra analisi e unità testuali. Originalità: deve esprimersi per

mezzo di metodi nuovi facendo luce su peculiarità fino ad allora non indagate da

altri critici. Plausibilità: rende credibile il discorso critico attraverso la verisimiglianza. A queste, seguono tipologie di significato die evocano significati referenziali, ossia riferimenti spaziali e di causalità percepibili senza sforzo da parte dello spettatore cui segue un significato esplicito che costituisce «il

processo di comprensione del film». Un significato implicito riguarda elementi simbolici non così evidenti. Un significato sintomatico evidenzia quel che di involontario traspare dal film1'. Ma a maggior ragione, come tutti i fenomeni culturali, così come sostiene Pezzotta, i metodi «hanno una storia: nascono, fioriscono e passano di moda» tendono a rispecchiare, bene o male, l’epoca cui

appartengono. L’analisi metodologica di volta in volta può adottare alcuni elementi significativi per costruire le argomentazioni. Tra essi possiamo rilevare: la costruzione dell’intreccio, i personaggi, la scenografia o lo stile che sia esso «un

movimento della macchina da presa o un particolare tipo di montaggio»1'. Esiste una analisi di tipo accademico, sovente comparativa"', che mette al confronto un dato film in relazione alla filmografia del medesimo autore o di altri registi.

Anche un dettaglio (ad esempio una inquadratura o una sequenza), se ritenuto

particolarmente significativo dal critico, diviene una parte per il tutto, esso diviene esemplare per un dato movimento estetico, politico o presago di

cambiamenti stilistici in ambito cinematografico o di messaggi di tipo sociale. Si tratta di un giudizio di valore - cinematografico o assoluto - il quale si emancipa

dal singolo oggetto filmico e che talvolta lo trascende aumentando meriti o deformando peculiarità per piegarli alla pratica della speculazione. I metodi qualora corrispondano a varie discipline non si escludono a vicenda, ma possono

essere integrati dal critico edotto11.

Temi Per temi si intende gruppi di significati ridondanti; tra altri, si individuano «il

rapporto tra realtà e finzione, alienazione, incomunicabilità»4 '. Il critico può recensire un film paragonandolo a un’opera dello stesso autore,

a un genere (per affinità o per contrasto), a una data epoca (passata o coeva al titolo in oggetto), alla produzione nazionale cui appartiene il film o al confronto con altre produzioni nazionali.

Alcuni film vengono analizzati attraverso temi ricorrenti riconducibili al regista. Infatti se a un dato regista appartiene una tematica ricorrente (es. incomunicabilità, ambientazione newyorkese, azione, erotismo), quello stesso

tema potrà essere usato quale chiave per accedere al film oggetto dell’analisi in

essere. Ad esempio un tema importante è quello della riflessività, o auto riflessività