Il cinema tra le arti. Teorie e poetiche
 8870002128, 9788870002126

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Raffaele Milani

Il cinema tra le arti Teorie e poetiche

mucchi editore

Raffaele Milani

Il cinema tra le arti Teorie e poetiche

mucchi editore

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Ringraziamenti

^ingrassamenti Alcune persone meritano dì essere ringraziate, soprattutto se si pen­ sa che questo libro è il risultato di un lavoro condotto nell’ateo di dieci anni e che parti di esso sono già state pubblicate su varie riviste. In primo luogo voglio ricordare Ennio Scolari che subito dopo la laurea mi ha guidato nella ricerca con attenti e utili consigli; che ha sorvegliato, con grande esperienza, i miei iniziali studi. A lui va la mia più profonda riconoscenza cui si aggiunge una memoria densa di affetti che s’accentuano per la sua tragica scomparsa. Non posso poi non menzionare studiosi e colleghi coi quali ho avuto proficui scambi di opinioni su vari aspetti e problemi qui esposti. Sono grato quindi a Giovanni Anceschi per le conversazioni sui complessi aspetti dell’intercodice e per i suggerimenti offertimi; a Edoardo Bruno per aver apprezzato le mie iniziali prove sulle poetiche del film sperimentale, a Guido Fink per i consigli sui rapporti con la cultura artistica nordamericana e per la fiducia verso le mie prime esplorazioni; a Guglielmo Forni per la stima manifestatami e per avermi stimolato alcune riflessioni, qua e là implicite, riguardanti la relazione tra ermeneutica, nuova critica e recenti esperienze artistiche; a Vittorio Fagone per avermi aperto, nei nostri colloqui, un nuovo sguardo analitico sui processi dell’interscambio; a Emilio Mattioli per le preziose indicazioni nel campo intricato della retorica e per aver dato precisi punti di riferimento al mio avventuroso navigare tra le figure della vecchia e della nuova avanguardia. Altri studiosi, di cui sono debi­ tore, vengono citati nelle note di ogni capitolo. Tuttavia voglio ricordare, oltre all’insegnamento di Luciano Anceschi, gli studi di Gillo Dorfles, Dino Formaggio e Emilio Garroni. Non dimentico Paolo Tassinari che mi ha assistito in alcune letture di testi stranieri. Ringrazio poi mia moglie Laura per essere stata, lungo questi anni di ricerche ed elaborazioni, con la sua viva affettuosa presenza, una impareggiabile fonte di incoraggiamento. Sono grato anche a Guido Oldrini e Mario Pazzaglia, per aver esaminato ed apprezzato questo mio studio. Infine desidero esprimere un particolare ringraziamento a Lino Rossi, titolare della Cattedra di Estetica nell’università di Bologna; senza il suo vivo interessamento ed il suo valido sostegno questo lavoro non avrebbe mai visto la luce.

Parte prima

Introduzione

Il libro muove da un particolare complesso di osservazionifon­ dato sulla analisi delfilm sperimentale come punto d'incontro di eterogenee componenti espressive, formali, stilistiche. Molta attenzione è stata dedicata ai processi di intercodificazlone, di collegamento e corrispondenza tra le arti del *900. D'altra parte ciò aderisce ad una situazione (quella attuale) che vede il film uscire dal suo normale statuto cinematografico per appro­ dare ai territori della nuova spettacolarità, inoltre temi e pro­ blemi dell'estetica cinematografica vengono costantemente ricolle­ gati al contesto delle teorie dell'avanguardia e alle soluzioni multimediali allargando così l'iniziale quadro di riferimento. La ricerca, che non vuole essere esaustiva né sistematica ma scoprire, dietro la molteplicità delle prospettive e dei modelli operativi, continue e ricche interrelazioni, si vale anche delle nozioni riguardanti il kitsch, il camp, la fine del moderno, la parcellizzazione dell'estetico, la dematerializzazione, la sineste­ sia. Speciale rilievo è stato poi dato alle poetiche, nel senso anceschiano delle rflessioni degli artisti sul fare dell'arte, sui siste­ mi tecnici, sulle norme operative, la moralità, gli ideali. Il metodo, come si può dedurre dalle considerazioni sopra ri­ cordate, è quello di Luciano Anceschi. Si è analizzato, per exempla, in stretto collegamento con altre vicine discipline ea in una prospettiva di ricognizione storica, la situazione del film sperimentale. E ciò non tanto ai fini di una documentazione o descrizione quanto di un contributo attivo, concreto, atto a indivi­ duare, sul piano intellettuale, i caratteri di una materia ricca e viva quale quella dell'esperimento cinematografico che viene qui preso in esame in mobile rapporto con l'ampio e fruttuoso campo dell’arte contemporanea; campo sempre più preso da vampate extraoggettive, soggettive, da impeti fantastici ed emotivi. La fenomenologia così intesa ci invita ad una particolare articola­ zione del discorso nei due momenti della comprensione e della scelta. Da un lato si ricostruirà l'itinerario molteplice e vario delle motivazioni, delle intenzioni, dei propositi, che sono alla

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base di queste esperienza artistiche, dall'altro si confronterà tale itinerario con le esperienze culturali dell'attualità allo scopo di offrire momenti risignificanti. Si è in tal modo seguito l'insegna­ mento di Anceschi nell'introdurre e far muovere un'estetica che osservi l'arte dal punto di vista di chi la pratica evitando ogni tentativo essenzialistico. E ciò perché comprendere la vita del­ l'arte vuol dire non procurare all'arte limitazioni e costrizioni derivate da ordinamenti ritenuti sicuri, superiori. Ogni capitolo rappresenta una situazione a largo raggio at­ traverso cui passano riferimenti più ampi e complessi. Per esempio il saggio su Maya Deren è il punto d'osservazione dal quale si indaga sul rapporto tra l'avanguardia europea degli anni venti e la postavanguardia americana; Warhol appare come un sistema di relazioni che apre alla performance, al neoprimitivismo cinematografico, alla pittura pop, alfilm d'ar­ tista, al cinema d'ambiente, agli sviluppi strutturali e minimali, all'expanded cinema. Cocteau rappresenta un esemplare collega­ mento che dal Caligari di Wiene conduce ai primi esperimenti americani degli anni trenta e quaranta. Lungo questi scritti poi si scorgono solchi che attraversano i materiali esaminali in senso verticale, mettendo in luce caratteri di volta in volta connessi alla poesia, alla pittura, al teatro, al cinema, alla musica, se­ condo proficui giochi di vicendevoli conlatti. Coincidenze interne ed esterne trovano un punto comune di rife­ rimento nella ricerca smaterializzante verso cui convergono diverse letture della realtà: il filone esoterico-visionario, ilfeno­ meno del delirio realista (dal dadasurrealismo a Warhol e agli strutturali), il percorso critico-razionalista dell'astrattismo (Luigi Veronesi). Le poetiche testimoniano poi nuclei vitali emergenti, tendenze che attraversano orientamenti e settori espressivi al di là delle barriere della specificità e del campo, come d'altronde la trattazione esclude assolutismi definitori e schemi interpretativi. Non si pretende di esaurire in formule l'immensa varietà dell'esperimento cinematografico; al contrario ci è parso significativo, allo scopo di studiare tale fenomeno, seguire la mutevolezza diforme, intenzioni, progetti, stili, proce­ dimenti, ricerche. A ciò ci siamo dedicati con la più ampia disponibilità e apertura, insieme all'idea che per capire l'arte dobbiamo spostarci nello spazio vertiginoso tra le arti. Si precisa, anche se alcuni ampi stralci sono stati pubbli-

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coti su riviste specialise&te («Filmcritica», n. 251, anno 1975; n. 257 anno 1976; n. 268 anno 1976; n. 319-520 anno 1981; n. 545 anno 1984; «Paragone» n. 544 anno 1979), volumi collettivi (Studi in onore di Luciano Anceschi, Mucchi, Modena, 1982), cataloghi (Salvador Dall nel cinema, Pala^rfl dei Diamanti, Ferrara, 1984); che si tratta di un lavoro unitario al quale Fautore si è dedicato a partire dal 1975. Il libro è diviso in due parti: la prima ha un carattere teorico più generale, la seconda riguarda per lo più le poetiche delfilm sperimentale.

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Voler trattare del film sperimentale in un’ampia pro­ spettiva capace di contenere impliciti ed espliciti rapporti con le altri arti, attraverso le idee, i procedi­ menti, le tecniche, e seguendo percorsi di rilevamento teorico, di osservazione critica e di valorizzazione delle poetiche, significa, prima di tutto, chiarire alcuni pro­ blemi riguardanti la situazione della sperimentazione in questo campo, il metodo d’analisi, la nozione d’avan­ guardia, l’eterogeneità del linguaggio cinematografico, i processi di interazione e intercodificazione. Si denomina film sperimentale quel risultato artistico che sorge in connessione con la dimostrazione di alcu­ ne ipotesi di ricerca sul linguaggio in una stretta ricor­ renza di supposte configurazioni e successive verifiche. Il valore di prova, fondamentale in tutte le espressioni, si manifesta qui, su un nuovo apparato tecnologico di visione, come accertamento di aspirazioni dinamiche che favoriscono spostamenti dalla pittura, dalla lettera­ tura, dalla scultura, dal teatro. Poeti e pittori, che ini­ zialmente facevano parte dell’avanguardia storica, av­ viano uno studio radicale sul ritmo e sul movimento, sui procedimenti interni di produzione e trasmissione dell’immagine, oltre ad applicare qui idee e tecniche assolutamente «moderne» precedentemente praticate nei rispettivi campi della espressione. Questa posizione di totale sconvolgimento, quindi di rifiuto della pura innovazione, forma una produzione specializzata aperta alle novità di altre esperienze artistiche, a processi attivi di interazione e, nello stesso tempo, stabilisce di sepa­ rarsi dal cinema come industria del divertimento e del «film d’arte» (con quest’ultimo intrattiene comunque frequenti, profìcui e «contraddittori» contatti). Si aboli­ scono generi, luoghi, impianti retorici, si usa anche il «saccheggio» della stessa cultura. Dai tentativi astratti,

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dadaisti e surrealisti ad oggi, attraverso una fitta rete di scambi e sentieri incrociati, osserviamo delinearsi, a par­ tire da una propensione extra cinematografica, due ten­ denze: la prima, di tipo onirico-contemplativo (CocteauDeren-Markopoulos), la seconda costruita su delirii rea­ listici (Warhol, il film strutturale, alcune esperienze del cinema espanso). L’estasi onirica che ne deriva, fa cessare il soggetto nella simbologia o nel clima estetiz­ zante di un segreto al quale l’artista si affida. L’esoteri­ smo, così sopraggiunto, consiste nell’accedere al segreto e, nel medesimo tempo, nell’offrire un destino. Ma un destino per la sparizione del soggetto; un destino dietro cui scorgere una congiuntura enigmatica che riba­ disca sempre l’altrove di quel personale segreto. Inoltre ciò che è nascosto inevitabilmente ci avvolge a nostra insaputa. Il segreto è chiarezza che non può essere profe­ rita o rivelata. La si può sentire o possedere; è nel linguaggio che si sa il segreto. Qui l’inatteso prende le sembianze della sorpresa. E un qualcosa che giunge inopinatamente, che irrompe dall’esterno; un oggetto attraente e fatale per la sua purezza. Esso provoca un cambiamento repentino o istantaneo nell’ordine delle cose, suscita incantamento, perdita del soggetto il quale 1 Alcuni film del primo cinema underground americano sono stati denominati «trance film»; viene qui rielaborata tale deno­ minazione. Si veda, per tale no­ zione, P. Adams Sitney, Visionary film, Oxford University Press, New York, 1974. A proposito dell’immagine ipnagogica, del rea­ lismo del sogno, rammentiamo che X. Gauthier ha messo in evi­ denza, con parole di Masson e con esempi tratti da Delvaux, Magritte, Labisse, il significato dell immobilità, dello sguardo fìs­ so e del gesto sospeso nelle ope­ re surrealiste. Questi aspetti di congelata atmosfera vengono considerati componenti caratteriz­ zanti il «realismo» dell’immagine

ipnagogica. Tale stato di allucina­ zione viene provocato, per Gau­ thier, dalia cristallizzazione della visione che precede il sonno; ef­ fetto che Masson giudica simile a quello di un film la cui proie­ zione sia stata bloccata («la pit­ tura surrealista deve essere la fotografia a colori di un sogno»). X. Gauthier, Surrealismo e sessuali­ tà (Paris, 1971), Sugarco, Milano, 1983, p. 244. La visione ipnagocica attraversa tutta la tendenza onirica; ritroviamo la componen­ te dell’attesa e della sospensione in vari momenti del cinema della Dcrcn o di Markopoulos.

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si trasforma in oggetto attivo (anche appassionato). Con­ nesse a ciò abbiamo le pratiche alchemiche e le personali ritualizzazioni di vari film-makers. Dietro il risultato visionario, c’è lo sforzo di scoprire un «ritmo dell’ani­ ma», un dinamismo «pneumatico» basato su motivi inte­ riori, spirituali. L’aspetto esoterico 2 non è estraneo neppure alle ope­ re iper-realistiche che sfondano, per eccesso e duplica­ zione, la normale lettura del piano realistico in un appa­ rente assunto di obiettivazione totale. Si elimina il cam­ po di rappresentazione, non si imita la vita ma la si ripresenta. Con queste opere vengono eclissate la metonimia e la metafora lasciando il posto all’invandente presa della simulazione. Il filone della «trascuratezza» iperrealistica fa poi indirettamente e paradossalmente risorgere, pro­ prio attraverso strumenti di duplicazione come il cine­ ma, un atteggiamento neo-auratico. Tale atteggiamento è favorito da una coscienza ridondante dei mezzi ripeti­ tivi. L’estasi è il nucleo di questo atteggiamento neoauratico. Tale atteggiamento è favorito da una coscien­ za ridondante dei mezzi ripetitivi. L’estasi è il nucleo di questo atteggiamento neo-auratico che cancella la pre2 Tra le pubblicazioni di artisti che, legati alle «avanguardie», si propongono l’unione di aspetti esoterico-simbolici e di progetti «eccezionali» sulla vi­ sione e sulla luce, ricordia­ mo Saint-Pol-Roux, Cinema vi­ vente (Paris, 1972), il Cavaliere Azzurro, Bologna, 1984. Si trat­ ta di un percorso divinatorio che, insieme alla conquistata di­ mensione dell’«ideorealtà», mo­ stra esempi e sintomi di una scrittura poetico-immaginaria alla quale appartengono senz’al­ tro indirettamente, le dichiara­ zioni di Jean Cocteau, M. Deren, G. Markopoulos e altri dell’area visionaria. Si rammentano anche i rapporti, per esempio, tra il fu­

turismo italiano e l’esoterismo. Cfr; G. Celant, Futurismo esoterico, «il verri», numero dedicato a bu­ cini e al futurismo, ottobre 1970, n. 33-34; R. Tessati, li mito della macchina. Letteratura e industria del primo novecento italiano, Mursia, Milano, 1973; M. Verdone, Poe­ sia e critica futurista, Feltrinelli, Milano, 1973; M. Verdone, Tea­ tro del tempo futurista, Lerici, Ro­ ma, 1969 (pp 92-96) e, del me­ desimo autore, Cinema e letteratu­ ra del futurismo, Bianco e Nero, Roma, 1969 (pp 19-24).

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senza del soggetto e si diletta con l’oggetto dell’immagi­ ne. Si attua un delirio delle rappresentazioni quotidia­ ne 3 che si avvale, per esempio, sul piano tecnico, anche dell’uso del collage allo scopo di demolire linearità, cau­ salità, ordine. E il collage viene considerato, per esem­ pio, da Jean Duvigneaud un importante aspetto nell’ar­ te del nostro secolo4; noi possiamo estendere questi rap­ porti da Max Jacob e Apollinaire a Pierrot le fou di Jean Lue Godard, fino alle più recenti avanguardie. Die­ tro esse rintracciamo frammenti totalizzanti di rappre­ sentazione assoluta. L’invadente scena del quotidiano, della nostra vita di tutti i giorni (nella società dominata dall’automazione) ha fatto cessare i valori dell’illusione, dello specchio, del verosimile, della prospettiva, pro­ muovendo coinvolgimenti di natura tattile e motoria e conquistando spazi e tempi reali. L’illusorietà e la vir­ tualità erano già state negate dalle proprietà sintetiche adoperate dall’arte futurista. Il territorio della perfor­ mance, che noi congiungiamo con quello di varie espo­ sizioni di cinema espanso o mixed media, caratterizza, secondo i percorsi dell’arte moderna, un intenso avvici­ namento tra arte e vita, addirittura un oltrepassamento della barriera di identificaziones. La performance allora 3 Sui rapporti tra fantastico e quotidiano, nell’ambito di una sociologia della vita quotidiana, si segnala M. Maffesoli, La con­ quista del presente (Paris, 1979), lanua, Roma, 1983. Natural­ mente non si dimentichino le tesi di E. Goffman, G. Bateson e altri. Si ricorda anche U. Eco, Evento come messa in scena e vita come scenografìa in G. Bettetini (a cura di) Forme scenografiche della televisione, F. Angeli, Milano, 1981. Per uno sguardo generale si rinvia a M. woolf, Sociologia della vita quotidiana, L’Espresso, Milano, 1979. Si veda anche G. P. Ghini, La fruizione spettacolare come paradigma della fruizione arti­ stica, in AA.VV. Studi in onore di

Luciano Anceschi, Mucchi, Mode­ na, 1982, pp. 187-202. 4 Cfr. J. Duvigneaud, Sociologia dell'arte, (Paris, 1967), il Mulino, Bologna, 1969. 5 Sulla performance si veda R. Bari Ili, ira presenza e assenza, Bompiani, Milano, 19812, e, sempre del medesimo autore, Culturologia e fenomenologia degli stili, il Mulino, Bologna, 1982, passim.

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può essere intesa come punto comune di ogni prassi artistica od esperienza estetica; inoltre essa riunisce aspetti primari o poveri ad aspetti legati all’ornamento, alla citazione, alla rivisitazione. È Richard Schechner a darci un’immagine chiara dello spirito rappresentativo della vita quotidiana e dell’interazione artistica guardan­ do «attraverso» in modo da scompaginare le categorie critiche o descrittive solitamente utilizzate. Ciò concerne ogni comportamento ordinario e nulla o quasi lo separa dalla «recitazione». Ix> spettacolo della comunicazione si lega alla forma non drammatica della performance, legame che viene reso manifesto dalla stratificazione del vedere come presenza simultanea di tanti livelli o modi di guardare e sperimentare 6. Nell’osservare il fenomeno di interazione artistica vo­ gliamo partire da una condizione speciale che ha i suoi principali riferimenti nella caduta del soggetto e nell’evidenza superlativa dell’oggetto. Jean Baudrillard ha recentemente descritto, sull’onda di un pensiero teso da un lato all’istantaneità dello sguardo, della sfida e della seduzione (contro la comunicazione ritenuta anco­ ra troppo lenta), dall’altro all’inerzia non disgiunta dallo sforzo (o il silenzio non sciolto dal dialogo), i processi di un destino estatico che strappa le cose alla loro qualità «soggettiva» per lasciarle soltanto in balia di un raddoppiamento magico e fatale7*Il . La nostra indagine vuole anche essere una rilettura che si fonda sulla con­ vinzione che alcuni dei maggiori caratteri del film spe­ rimentale, nella loro aperta disposizione intercodice, siano, dopo l’ultima guerra, motivi anticipatori o co6 Cfr. R. Schechner, La teoria del­ d’esperienza, in relazione ad la performance (a cura di Valenti­ aspetti di derealizzazione, si ve­ na Valentini), Bulzoni, Roma, da anche S. Sontag, Sulla fotogra­ 1984 e, del medesimo autore, fia (New Yorit, 1977), Einaudi, Notizie, sesso e teorie della perfor­ Torino 1978. mance, in C. Vicentini (a cura di) 7 Cfr. J. Baudrillard, Le strategie Il teatro nella società dello spettacolo, fatali (Paris, 1983), Feltrinelli, Il Mulino, Bologna, 1983. Sul­ .Milano, 1984. l’idea della spettacolarità della vita sociale e di ogni forma

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munque collegati a questo clima estetico alimentato dal­ la contemplazione di forme pure e vuote e dal godi­ mento dell’eccesso e del ridondante in grado di assorbi­ re delle qualità, qui investite, anche il loro contrario. E la nostra considerazione s’accentra, in relazione a ciò, sulle già menzionate tendenze o forme quella onirico-fantastica e quella del delirio realistico. Sia l’una che l’altra infatti poggiano, muovendo da due diversi punti di vista (quello dell’esasperazione dell’elemento soggettivo e quello della priorità invadente dell’oggetto), sulla qua­ lità propria di un corpo che s’avvolge su se stesso fino alla perdita «radiosa» del senso. Tali aspetti del film sperimentale rispecchiano, con un proprio linguaggio, l’ampia e diffusa condizione sociale che è alla base di uno stato ininterrotto e privo di contenuto; stato se­ gnato dalla vertigine e dallo stereotipo. Si pensi, sempre seguendo le indicazioni di Baudril­ lard, alla moda, alla pubblicità, ma anche all’antitea­ tro e all’antiarte come luoghi della fine dell’illusione per elevare iperrealizzazione, mise en abyme, fascinazione del­ la propria scomparsa. Da questa excentricità delle cose e dalla ridondanza che si irradia da questo fenomeno nasce un immenso sistema di iperdeterminazione e ipertelia che gioca con i dati dell’assenza, dell’indiffe­ renza, dell’istantaneità. La storia non è più reale, vivia­ mo in un tempo dopo la catastrofe, tempo che si mani­ festa estesamente nella dimensione fluttuante delle cose e dei fatti non più concatenati. Assistiamo ad uno spro­ fondamento interstiziale dove ogni evento si apre in tutte le direzioni e interpretazioni, ad una sospensione del mondo che è suspence e allo stesso tempo rallenta­ mento dell’apparizione delle cose 8. L’inerzia, l’escrescenza, l’effetto speciale (connesso alla credibilità e allo spazio cosmico) e il genio dell’og­ getto si ricongiungono alla esacerbazione del vuoto,8 8 Ibidem.

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della fine, dell’illusione, del gioco, della scena. Appare, continua Baudrillard, la comprensiva figura dell’Osceno come scomparsa dell’artificio nell’evidenza del «natura­ le», logica della simultaneità degli effetti inversi, fine di ogni scena (ora più invisibile dell’invisibile), rappresen­ tazione esorbitante di verità. Tutto allora diventa ogget­ to di indagine culturale così come tutto sta diventando arte, condizioni per le quali possiamo nello stesso tem­ po dire che finisce la Cultura e l’Arte. Si cade nella canalizzazione generalizzata o nella artificiosità della natura a cui corrisponde una pratica artistica privata dell’illusione, un’escalation della trasparenza (il teatro nell’antiteatro si trasforma in «forma di psicodramma terapeutico generalizzato»). Siamo nell’estasi spettacola­ re della comunicazione dove vige l’eccessiva vicinanza di tutto, la promiscuità di ogni cosa, la cessazione del­ l’intimità ed interiorità. Siamo in uno schermo assor­ bente, «piattaforma girevole e insensibile di tutte le reti di influenza», dove tuttavia l’oggetto opera secondo una propria strategia ironica in stretto collegamento con l’inconscio ironico delle folle. Dice Baudrillard: «noi registriamo tutto ma non vi crediamo perché noi stessi siamo diventati degli schermi... Alla simulazione noi rispon­ diamo con la simulazione, siamo diventati anche noi dei dispositivi simulatori. Qui... si tratta indifferent profon­ da al principio di realtà conseguente alla perdita di ogni illusio­ ne» 910 . Le superfìci elettroniche sono senza illusione. E ciò ha diretti riferimenti alla massa come oggetto puro nel suo atteggiamento snobistico di non scegliere ma di giocare nell’intercambiabilità dei dati, di usare scaltre sfide ironiche, «d'espulsione gioiosa di tutte le sovrastrutture ingombran­ ti dell’essere della volontà» ,0. Tali aspetti li ritroviamo anche se osserviamo la realtà dalla parte delle esperien­ ze artistiche o delle moderne dimensioni partecipative. Seguendo queste ultime ci troviamo nel campo delle 9 Ibidem p. 77 10 Ibidem p. 84-87.

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recenti sinestesie e della nuova sensibilità. Sappiamo (o immaginiamo immediatamente) quale influenza abbiano gli odierni divertimenti popolari (dalla videomusic ai giochi visivi elettronici) in rapporto alla comunicazione televisiva e alla «riscoperta» della natura, ed anche quali reti essi intreccino con le libere espressioni artistiche. Dietro le moderne sinestesie si nascondono anche com­ plessi procedimenti (artistici) intercodice collegati a quelle da consonanze indirette, impreviste che trovano rispondenza anche in nuovi stati della percezione e che corrispondono alla febbrile attività di una sensibilità pronta, in grado di effettuare simultanee presenze di tipo differente. 11 potenziamento delle facoltà sensoriali agisce, come si è detto, anche ironicamente e non possiamo non ricordare, a questo proposito, i modi ludici del camp così come erano stati per lo più prospettati, al di là di rigidi valori interpretativi, da Susan Sontag intorno al *60; quel clima di divertita e surreale ricomposizione dell’oggetto visto galleggiare da un sistema di riferi­ mento ad un altro. Si costruiscono procedimenti di alte­ razione allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l’apparente dissimulazione della sua natura. Il cinema sperimentale, qui esaminato, contiene un’am­ pia ed eteroclita coscienza dello specchio e dello schermo^ dell’individuo che sparisce nell’esaltazione estatica del­ l’oggetto e contribuisce (il riferimento vale soprattutto per ciò che ho denominato delirio realista) a praticare la liquidazione della metafora attraverso i caratteri di shock, estraneità, sorpresa, istantaneità, irrealtà, banali­ tà. Caratteri che sono, per Baudrillard, quelli della mer­ ce. Egli poi, preferendo Baudelaire a Benjamin, ve­ de nell’opera d’arte moderna la capacità di feticizzare, con effetti straordinari, la vertigine della nullità e della sparizione. L’autonomia del soggetto, la «pulsione di spettacolo», la concatenazione estatica sono componenti molto frequentate nell’arte del ’900 ma, se è anche vero che abbiamo rintracciato vari rapporti con le «strategie fatali», dobbiamo pure precisare che qui si insinuano

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non trascurabili movimenti del soggetto che crea o si offre a concatenazioni imprevedibili e fluttuanti. È ri­ scontrabile, come sostiene Baudrillard, che il significato sia espanso ovunque, dilaghi liberamente e non si at­ tenga ai termini della casualità, tuttavia dietro fazione del caso, del vuoto, del silenzio, troviamo precisi atti intenzionali da parte dell’artista, non soltanto puri con­ catenamenti magici e destinali. Il rialzo meraviglioso degli eventi, il loro congiungersi fatale e prodigioso, non è forse molto simile agli effetti del caso (vuoto, intervallo) giocato, «controllato», messo in campo dal­ l’artista moderno o dalle vecchie e nuove sinestesie? Il soggetto costruisce una strategia dell’oggetto, capace di funzionare autonomamente, al quale ilsoggetto stesso ha scelto di abbandonarsi. Il fatto appunto che il sog­ getto (il giocatore), come afferma Baudrillard, diventi una cosa tra le cose, che le «libere» combinazioni delle parole vivano in un «clima di piccole e continue cata­ strofi, di inattese turbolenze» da cui sorge una straordi­ naria necessità, conferma la nostra opinione. Infatti non solo nelle ultime tendenze, ma anche nell’avanguardia storica, gli artisti hanno pensato e costruito opere «sen­ za senso, sintassi, coerenza» prevedendo, come s’è detto, la sparizione del soggetto; sparizione più o meno delibe­ ratamente attuata dalla pop art in poi e, nel nostro ambi­ to, anticipata dalle precedenti forme oniriche attraverso un maniacale narcisismo ed un’esasperazione del Kitsch. Baudrillard può sostenere inoltre che il caso non esiste (il nostro punto di vista è quello della cultura artistica) perché esso è già stato sperimentato. D’altra parte però gli artisti stessi, muovendo in direzione di questi tre fattori (caso, vuoto, silenzio) hanno proprio voluto di­ mostrare la inesistenza di tali concetti, tanto che hanno là scoperto mondi sconosciuti. È l’esperienza che ha permesso di denominare le «leggi» del silenzio, del vuoto, del caso. Senza di essa probabilmente non parle­ remmo di concatenazioni determinate, di fatalità o de­ stino. La soluzione enigmatica descritta da Baudrillard po­ trebbe anche non essere disgiunta dall’influenza che

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ebbero, su alcuni artisti, motivi alchemici ed esoterici (motivi già ricordati) 11. Abbiamo descritto a grandi linee lo stato del film spe­ rimentale ed i collegamenti che attiva. Ma abbiamo trascurato le indicazioni di metodo. Precisiamo allora che le nostre osservazioni sono state costruite sulla base degli strumenti d’analisi offerti dalla fenomenolo­ gia critica di Luciano Anceschi12. Si è quindi scelto un metodo per il quale il rilievo teorico attinge alla realtà operativa e storica, viene a contatto con le concrete strutture dell’esperienza estetica ed artistica, e mette così in evidenza un complesso movimento di relazioni. Attraverso la «sollecitazione del campo», la rinuncia a soluzioni univoche, l’apertura ad una molteplicità dei modelli operativi, il riscatto teorico delle poetiche, vo­ gliamo mostrare, seguendo le indicazioni di Luciano Anceschi, l’ampio e complesso territorio della speri­ mentazione cinematografica nei suoi progetti, effetti, risultati. L’esame si è svolto nell’intenzione di estendere ai procedimenti intercodice e alle recenti sinestesie quello spirito di sempre più adeguata comprensione aella realtà che caratterizza il metodo della nuova feno­ menologia critica; comprensione che implica anche la trasformazione dei rapporti tra il nostro essere e quello degli oggetti. Questa tensione, che vogliamo plurivoca e plurisistematica, verso la mutevole realtà del film speri11 Sui motivi destinali collegati alla negazione del caso si fa rife­ rimento in particolare alle pp. 134-142. 12 Delle opere di Luciano An­ ceschi si ricordano: Autonomia ed eteronomia dell’arte, Garzanti, Mi­ lano, 19763; Progetto di una siste­ matica dell’arte, Mucchi, Modena, 19833, Fenomenologia della critica, Patron, Bologna, 1974; Le isti­ tuzioni della poesia, Bompiani, Milano, 1968; Il caos, il metodo, Tempi Moderni, Napoli, 1981; Che cos’è la poesia, Clueb, Bolo­

gna, 1982. Sull’estetica di Lucia­ no Anceschi e sulla nuova feno­ menologia critica si vedano: L Rossi, Situazione dell’estetica in Italia, Paravia, Torino, 1976, e, del medesimo autore, Fenomeno­ logia critica e storiografia estetica, Clueb, Bologna, 1983.

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mentale, agisce nel proposito di descrivere e interpreta­ re le novità espressive sempre più incalzanti e radicali partecipando anche al loro chiarimento. Lo stesso An­ ceschi, parlando del rapporto tra poesia e poetica, si spinge a considerare esperienze come quelle della poe­ sia visiva, di Duchamp, Spatola, Sanguined, Balestrini1314 e, a proposito della teoria della «morte dell’arte», ritiene che essa serva alla vita stessa dell’arte, delle sue struttu­ re ,4. Attraverso questa via si individuano percorsi e operazioni teoriche che, in stretto collegamento con le prospettive arte-vita e arte-tecnologia, da un lato tendo­ no al recupero della sensibilità, dall’altro si orientano verso la sinestesia. Insieme all’analisi di un cinema tra le arti si vuole qui approfondire uno speciale contatto tra nuovi stati percettivi e comunicativi (derivati dalla pubblicità, dalla mobilità delle immagini, dalla dimen­ sione metropolitana, dai vari mezzi cu comunicazione); rapporto al quale poi corrisponde progressivamente, nel tempo, un gioco di rimbalzi e rifrazioni a catena sulle poetiche dei movimenti dell’avanguardia e sui programmi innovativi del «film d’arte». Tra le tendenze ed i movimenti vi sono ampie zone sfumate, qua e là, di reciproche integrazioni. Ne risulta un’atmosfera elettri­ ca ed estetizzante su cui appunto nascono, con la cessa­ zione dell’Arte, vecchie e nuove avanguardie in repenti­ na e divorante successione. Nella particolare idea della fine dell’arte 15 le esperienze artistiche ci appaiono in un febbrile stato di consunzione-sparizione-resurrezio­ ne. E vediamo in tali luoghi ri percuotersi, tendenzialmen­ te, quella distanza tra polarizzazione surrealista (sog13 Cfr. L. Anceschi, Il caos, il me­ todo, cit, p. 81. 14 Ibidem, p. 86. 15 Sulla nozione di morte del­ l’arte si vedano: D. Formaggio, La «morte» dell'arte e lEstetica, Il Mulino, Bologna, 1983; G. Vat­ timo, Morte o tramonto dell'arte, in AA.VV, Orizzonti e progetti del­ l'estetica, Pratiche, Parma, 1980;

S. Morawski, Riflessioni sul tema della «morte dell'arte» in «Rivista di Estetica», n.6, 1980.

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gettività) e polarizzazione astrattista (oggettività), «ter­ mini ultimi del caratteristico processo antinomico rileva­ bile dal fondo del Romanticismo», di cui ha trattato Dino Formaggio 1617 *. Del filosofo italiano non dimenti­ chiamo Videa di un «ricominciamento fenomenologico» connesso alla logica negativa della «morte dell’arte». Tut­ tavia percepiamo questi aspetti anche sotto l’impatto del­ le attuali tecnologie, soprattutto di fronte ai fenomeni di costruzione tautologica e ironica dei processi di verità, di eccesso di realtà ,7. Il concetto hegeliano di morte dell’arte — dichiara Gian­ ni Vattimo — si è rivelato profetico anche se, se­ guendo l’insegnamento di Adorno, in un senso strana­ mente pervertito. L’universalizzazione del dominio del­ la informazione può venire intesa come un pervertito compimento dello spirito assoluto. È la nostra vita quo­ tidiana, come generalizzazione della sfera dei mezzi di comunicazione e delle sue rappresentazioni, ad attuare, in qualche modo, l’utopia del ritorno dello spirito pres­ so di sé, della coincidenza tra essere ed autocoscienza tutta spiegata ,8. Lungo questi processi si muove gran parte dell’arte del Novecento che si identifica con le vecchie e le nuove avanguardie. * * * Alcune precisazioni sull’avanguardia, la cui nozione è stata già da tempo avvertita come particolarmente complessa,9. Il termine avanguardia solitamente si riferisce alle pratiche degli sperimentalismi e delle inno­ vazioni sul piano linguistico delle arti anche in rappor16 Cfr. D. Formaggio, cit, pp.

17 Sulla estetica tecnologica si ricordano le teorie di Me Luhan, Buckminster Fuller, Young­ blood. Si veda anche R. Barilli (a cura di), Estetica e società tecno­ logica, Il Mulino, Bologna, 1982. Cfr. G. Vattimo, Morte o tra­ monto dell'arte, cit.

19 Si vedano per esempio, G. Rondolino, Cinquantanni dopo il Congresso di Ea Sarraz, in AA.VV, Cine qua non, Vallecchi, Firenze, 1980, pp. 51-54; o E. Garroni, Esiste e cos'è «[avanguar­ dia cinematografica», «Filmcritica» n. 241, 1974.

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to alle nuove tecnologie e ai nuovi atteggiamenti scien­ tifici. Nei confronti della tradizione classica e accademi­ ca, dove domina una precettistica dell’invenzione, l’avanguardia si pone come dominio sconfinato della libera e totale invenzione, muovendo da persistenze analogiche e attribuendo all’arte il compito di una per­ cezione integrale della realtà 2021 . Si persegue pure un proposito di autenticità in op­ posizione all’inautentico (o dell’inautentico nei con­ fronti della falsa autenticità), della totalità contro l’anomia. E qui gioca una corrispondenza tra interiorità del­ l’uomo ed interiorità del mondo supponendo anche che gli oggetti, la realtà esterna, possiedano una vita pro­ pria; oppure viene fatta agire una ricerca delle relazioni generali ed universali che vanno al di là delle capacità immediate di percezione e conoscenza. Un compito op­ positivo verso la tradizione è qui innegabile anche se deve essere considerata quella particolare pronuncia a favore di un recupero, modificato e aperto ad infinite possibilità, dei materiali fomiti dalla stessa tradizione. L’anti-tradizione si muove poi nell’ambito di una rinun­ cia al conformismo, all’organicità dell’opera, per un silen­ zio dichiarato o nascosto^1. Il momento rivoluzionario (sovvertimento al di fuo­ ri del fine e della funzione) è comunque da sempre legato all’avanguardia e si palesa nel difficile rappor­ to dialettico di arte e vita. L’avanguardia, quale ragione dell’eccezione, della novità, della sorpresa, quale figura del moderno nel suo intreccio con la trasgressione «anar­ chica» e con il rifiuto dell’ordine della forma, mostra origini romantiche. Come avverte Alberto Asor Rosa 20 Sulla nozione e la teoria del­ l’avanguardia, in un’ampia pro­ spettiva storico sociologica, ci riferiamo a R. Poggioli, Teorìa deirarte d’avanguardia, Il Mulino, Bologna, 1962; Avanguardia (voce curata da Alberto Asor Rosa), Enciclopedia Einaudi, Torino, 1977. 21 Sui temi della rinuncia e del

silenzio nell’arte moderna si ve­ da S. Sontag, L’estetica del silen­ zio, in Interpretazioni tendenziose, Einaudi, Torino, 1975.

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gli aspetti antimaterialistici, antinaturalistici, antipsicologistici dell’avanguardia sono un’eredità del romantici­ smo; da un lato si diparte una direzione «negativa» lungo l’asse Schopenhauer-Nietzsche-Bergson e dall’al­ tro una tendenza spiccatamente simbolista22. In stretta connessione con questi motivi troviamo l’esi­ genza di unire l’idea di cambiare il mondo con quel­ la di cambiare la vita, ma questa unione, nel nostro secolo, si comunica attraverso la rinuncia totale a perse­ guire risultati di «qualità». Il rifiuto vale ed opera come unico modo per avviare diverse strategie di «valorizza­ zione», modelli di comportamento e percezione, contro il capolavoro, a favore di elementi gratuiti e arbitrari. Manfred Hardt, proprio per la mutevolezza dei suoi contesti, analizza l’avanguardia abolendo l’idea di vede­ re in essa un continuum senza tempo e senza contorni e privilegiando il legame arte-vita attraverso la discus­ sione che sorge dalle dichiarazioni, dai documenti, dalle opere. L’origine saintsimoniana e fourieriana dà alla avanguardia un’impressione di efficace strumento del progresso sociale; la rende il prodotto di un pensiero romantico-utopistico. La particolare attenzione ai poteri attivi dell’immaginazione e dei sentimenti, sostiene Hardt, porta, ad un primo momento, ad un concetto fortemente legato ad una subordinazione religiosa che le avanguardie successive avrebbero rovesciato. Nella prima fase si mirava ad eliminare la differenza tra arte e vita con il proposito di innalzare la realtà sociale allo stesso livello aell’arte, nella seconda fase si è teso a trasferire l’arte allo stesso livello della realtà sociale, in un processo di desublimazione e distruzione delle for­ me 23. Ciò è dovuto al cambiamento sociale e all’impossi­ bilità di compiere quel «progetto spirituale». Per spo­ starsi su di un piano di autonomia l’arte doveva, para­ dossalmente, immergersi nella società materiale, con at­ 22 Cfr. A. Asor Rosa, Avanguardia, cit, p. 210. 2J Cfr. M. Hardt, Sul/’avanguardia letterraia: concetti, storia e teo­ ria, in «Intersezioni» n. 1, 1984

(in particolare le pp. 49-57).

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teggiamenti contraddittori e plateali, idiosincrasie, ano­ malie. L’avanguardia instaura particolari relazioni (attive e partecipative) tra fruitore e pubblico e nel suo svilup­ po (come già si è detto) non ha maestri né segue parti­ colari ordinamenti. La sua area appare vasta, compren­ de molti movimenti, gruppi, personalità e la sua fattiva presenza si riferisce storicamente alla genesi e allo svi­ luppo di una società industriale di massa. Proprio in relazione con la civiltà industriale e dello spettacolo l’avanguardia entra in contatto con l’attività della moda, della pubblicità, del luogo comune, del Kitsch. La civil­ tà di massa costituisce, per l’arte moderna, la garanzia di un incremento infinito delle proprie possibilità espressive e comunicative e la negazione dell’arte come operazione individuale ed autentica. Allo stesso tempo i nuovi artisti giocano variamente, con la manipolazione e il depistaggio, in modo da salvaguardare la loro auto­ nomia; confermando così il proposito oppositivo e li­ bertario del piano dell’immaginazione. Possiamo affermare infine che questa esperienza (ogni suo gruppo) espone un idioma tutto suo, perso­ nale, privato, segreto, che concerne una particolare sco­ perta*4 dietro la quale si dispiega un linguaggio che prende le distanze sia da quello propriamente scientifi­ co che da quello comune anche se nel secondo vi si immerge quasi completamente. Il suo ermetismo forma­ le e stilistico, caratterizzato dalla concertata mescolanza di provocazione e narcisismo, non vuole uscire dall’oscuri­ tà e dall’ambiguità. Preferisce non rivelarsi. L’ermetismo, in questo senso, è la forma del suo estremismo. 24 Si è già parlato dell’esoterismo ma ora si vuole ricordare che la sua influenza aderisce da un lato ad un atteggiamento este­ tizzante dall’altro ad una visione utopica dell’artista veggente (funzione «sacerdotale»). Aspetti del socialismo utopistico e mo­ tivi simbolisti o tardoromantici convivono. D’altra parte, in evi­

dente contrasto con l’accade­ mia, dobbiamo ricordare che, a partire dai primi dello ’800, di­ versi gruppi d’artisti fondarono società, associazioni, confrater­ nite più o meno segrete.

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Fin qui abbiamo illustrato alcuni dei principali pro­ blemi dell’avanguardia o per meglio dire, usando un’espressione di H. M. Enzensberger, le sue aporie. Tutto ciò viene rispecchiato nel cinema d’avanguardia con l’ulteriore complicazione che qui l’espressione viene ca­ ratterizzata e rappresentata, negli anni Venti, da film innovativi (come quelli di L’Herbier, Dulac, Gance, Ep­ stein) contro i quali si muovevano opere appartenenti a movimenti d’avanguardia (dadaismo, surrealismo, etc.). In queste considerazioni troviamo giustificazione all’elasti­ cità con cui adoperiamo tale termine e la ragione per la quale usiamo spesso l’ampia e ricca nozione cu film sperimentale. * * *

L’avanguardia apre molti territori di esplorazione este­ tica e soprattutto, dipendentemente dalle dinamiche della società industriale e post-industriale, percorsi di attraversamento trasversale, scambi, reciprocità, reversi­ bilità, improvvisi arresti in luoghi non originari. Da un punto di vista ipoteticamente esterno qual è il nostro pensiamo ai caratteri dell’esperienza artistica di questo secolo come ad un’immensa rete di impulsi in continua trasformazione secondo innumerevoli simultanei con­ tatti. Nello stesso tempo, per la posizione che assumia­ mo rispetto al fenomeno (che comunque ci coinvolge) riflettiamo circa i rapporti tra esso (fenomeno), nelle sue determinazioni, e il senso comune, tra aspetti di rilievo estetico e modi di «evidenza» semiotica. Emilio Garroni, partendo dalla relazione tra condizione della temporalità come dimensione della estetica e dimensio­ ne di spazialità quale dimensione della semiotica25, tra la tendenza a cogliere la singolarità, l’«accadere» storico dell’opera d’arte e la tendenza a scoprire di tale opera la 25 Cfr. E. Garroni, Temporalità delfarte «versus» spazialità della semiosi, in «Documenti di lavo­ ro» n. 109, dicembre 1981, Uni­ versità di Urbino (Centro Inter-

nazionale di Semiotica e Linguistica).

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struttura sistematica e acronica, ha preso in esame questi motivi sotto un profilo metodologico ed episte­ mologico. La correlazione temporalità/spazialità è mostrata come una condizione necessaria sia della rappresentazione (sensibile) che di ogni livello e forma della esperienza. In questa nuova situazione Garroni rintraccia anche nella teoria della narratività26 un oggetto comune sia al­ l’estetica che alla semiotica, secondo una riconsiderazione della temporalità nell’arte e nella semiotica. E a qualunque oggetto semiotico ed artistico, costituito da ipotesi o istanze differenti in movimenti di interazione e cumula­ zione, corrisponde poi l’interpretazione-cooperazione che s’instaura tra il lettore e il testo divenuto dialogo. An­ cor più recentemente Garroni, occupandosi dell’arte oggi, ha rilevato come essa si caratterizzi in una rifles­ sione metalinguistica in azione, in un persistente met­ tersi in questione. Questo assunto viene indicato come punto di vista dal quale è possibile osservare le recenti poetiche e pratiche artistiche, spesso «divise tra il delirio e la banalità, il luogo comune e la vocazione mistica, il culto della corporeità e lo spiritualismo, il clamore e il silenzio». Il modo di essere arte oggi è «la non opera a partire dall’opera», il suo essere, nello stesso momento, opera e non opera 27. E ciò avanza poi indirettamente nell’equilibrio degli effetti dei me­ dia come ulteriore e rinnovato stadio percettivo, sen­ soriale in genere, in una tendenza a mescolare i vari linguaggi, a favorire peregrinazioni e reiterazioni det­ tate da veloci, fluttuanti, ricorrenti sperimentalismi. Questi rilievi non possono non ricordarci le sue prece26 Sulla teoria della narratività sono state tenute presenti le se­ guenti pubblicazioni: K. Cohen, Cinema e narrativa, Yale Univer­ sity, 1979), Eri, Torino, 1982; S. Chatman, Storia e discorso (Ithaca, London, 1978), Pratiche, Par­ ma, 1981; G. Prince, Narratologia (Berlin, 1982), Pratiche, Par­ ma, 1984; A. Marchese, Uaffici-

na del racconto, Mondadori, Mila­ no, 1983. 27 Cfr. E. Garroni, Il mettersi in questione de!Parte, in «Figure» n. 1, 1982.

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denti ricerche sull’estetica e la semiotica dove trovia­ mo aspetti utili ai nostri studi28. Il linguaggio cinema­ tografico veniva là inteso non attraverso l’idea di uno «specifico» ma come qualcosa di costitutivamente etero­ geneo ed eteroclito; inoltre l’opera è anche comunica­ zione ed entra in rapporto con l’universo dell’informa­ zione. Nello stesso tempo le immagini non sono viste determinarsi in base a immediatezza e spontaneità, così come la ricezione non viene giudicata passiva ma attiva. All’interno di un’ipotesi di intercodificazione ci appaio­ no punti di sicuro ancoraggio anche i passaggi dal­ l’estrinseco all’intrinseco in funzionale connessione con il messaggio cinematografico nelle sue varie riletture e inter­ pretazioni ed i processi di formulazione-riformulazione. Un altro fondamentale riferimento ci è dato dalla molte­ plicità della nozione di significato in riferimento ad imma­ gini figurative elementari (pienamente sostituibili da segni convenzionali). A parte la aiscussione sullo specifico filmi­ co, la ripresa parziale di certi motivi della teoria di Rudolph Amheim riguardanti diversi piani del­ la semiosi e modelli comuni a più arti, l’analisi del «teatro fotografato» e il giudizio che l’immagine abbia di per sé valenze verbali, timbriche, ritmiche, appaiono elementi recanti l’idea che sussistano interne connessio­ ni tra i campi espressivi, al di fuori delle differenze puramente materiali. Da queste riflessioni emerge il proposito fecondo di una dinamica pragmatica interna­ zionale, l’invito ad un’analisi dell’esperibilità dell’arte riferita ad una «legalità ricorsiva», l’importanza operativa delle varianti interpretative, il valore attivo della conte­ stualità. Garroni ha pure analizzato la nozione di avan28 Emilio Garroni ha trattato questi temi in vari saggi. Ricor­ diamo La crisi semantica delle arti, Officina, Roma, 1964; Semiotica ed estetica, Laterza, Bari, 1968; Progetto di semiotica, Laterza, Ba­ ri, 1972; Ricognizione della semioti­ ca, Officina, Roma, 1978; La filo­ sofia e i rapportifacili/difficili di este­ tica e semiotica in Estetica e linguisti­

ca, il Mulino, Bologna, 1983. Mol­ to utile ai nostro (fiscorso è anche il saggio 11 carattere metaoperativo dettarti e le ricerche visuali, «rilmcritica n. 300, dicembre 1979.

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guardia cinematografica e la validità della sua esistenza rispetto all’avanguardia artistico-letteraria, insistendo sul­ l’aspetto oppositivo piuttosto che innovativo, e mettendo in luce come le due avanguardie (quella cinematografica e quella artistico-letteraria), nonostante la loro differenza genetica, arrivino ad un comune territorio29. Ma è pro­ prio seguendo le pratiche e le poetiche artistiche di que­ sto secolo (specialmente quelle più recenti) che la teoria e la critica possono attestarsi su buone posizioni d’osser­ vazione. E portando l’attenzione ai procedimenti e ai percorsi di trasferimento e sconfinamento sempre più frequenti che riusciamo a comprendere le idee e la logica che ne sono l’origine. Diventa precipuo assistere da vici­ no a questo fenomeno di sbaragliamento degli ordina­ menti, negli spazi delle differenze che stanno per scop­ piare o essere sconvolte, o nei luoghi vuoti che si stanno dilatando per collegamenti sempre più infiltranti30. Tali motivi che comprendono multiformi strutture di senso e che vedono nel cinema l’avvio di connessio­ ni extra testuali3I, sono calati nella ormai nota condi­ zione della teatralizzazione della società, vale a dire nel gioco del raddoppiamento e della ripetizione che carat­ terizza la cultura di questi ultimi anni. E non possiamo 29 Cfr. E. Garroni, Esiste e cos’è l’avanguardia cinematografica, cit. 30 Sul trasferimento artistico si ricordano, tra gli altri, M. Ver­ done, Teatro e cinema: interazione in C. Vicentini (a cura di), cit., pp. 51-61, G. Zosi, Ricerca e sin­ tesi nell'opera di Goffredo Petrassi, ed. Storia e Letteratura, Roma, 1978, pp 103-105 e B. Porena, L’ottavo concerto per orchestra ovvero della pit­ tura astratta, in AA.VV. Goffredo Petrassi, ed. Nuova Consonanza, Roma, 1983. 31 Su questi problemi, varia­ mente e diffusamente esposti da studiosi e da criticai possono tenere presenti, per esempio, le considerazioni di Jurij M. Lot­ man sul cinema-arte sintetica

(complessità di sistemi semiotici eterogenei, pluralità della codifi­ cazione del testo, relativa molte­ plicità dei significati artistici) o quelle di Frank Bockelmann sull’interazione sociale come co­ municazione di massa (in uno stretto rapporto con la dimen­ sione del quotidiano). J. Lot­ man, Introduzione alla semiotica del cinema, (Mosca, 1972-78), Offi­ cina, Roma, 1979, pp. 120-122; F. Bockelmann, Teoria della co­ municazione di massa (Francofor­ te, 1975), Eri, Torino, 1980, pp. 246-260.

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non pensare al lucore spettacolare dell’informazione do­ po aie il cinema, soprattutto con la crisi attuale, ha facilitato enormi dispersioni di immagini, ha promosso il formarsi di un flusso omogeneo e privo di singolarità dei messaggi. Gianfranco Bettetini ha recentemente affermato che esiste uno schiacciamento del genere istituzionale su di un flusso indifferenziato di manifestazioni, segno di una ricerca di nuove modalità di accesso e consumo dei prodotti32. È attorno alla nozione di «messa in scena» che Bettetini vede e analizza l’intreccio di teatro e universo mass-mediologico. Teatro, cinema e televi­ sione vengono considerati come afferenti ad uno stesso principio semiotico, come apparati tecnici e sociali di uno stesso fondamento ordinatore che si può formaliz­ zare nella nozione di messa in scena. Ma essi hanno perduto la loro specificità disgregandosi in zone indiffe­ renziate di omogeneità e reciproca sostituibilità. Questo fenomeno viene visto interagire con la spettacolarizza­ zione dell’esistente, con la crisi del soggetto dell’enun­ ciazione, con l’annullamento della simbolica soggetti­ vità dell’enunciatario. Questi temi sono stati esposti da Bettetini in vari scritti negli ultimi anni comprenden32 Cfr. G. Bettetini, Le comunica­ zioni di massa come teatro senza soggetto, del quotidiano, in C. Vi­ centini fa cura di) cit. Sulle leggi di scambio tra le arti si vedano anche altri interventi della anto­ logia sopra citata. Un vivo inte­ resse suscitano le sue osservazio­ ni sulla poetica delle avanguardie e del cinema di ricerca dove l’ambiguità e l’integrazione fanta­ stica dello spettatore divengono istanze strategiche di un modello di conversazione testuale aperta. Si veda La conversatone audiovisi­ va, Bompiani, Milano, 1984, pp. 128-129. Di Bettetini, per analisi più approfondite di tematiche re­ lative all’organizzazione semioti­ ca della messa in scena c ai siste­

mi di codificazione e intercodificazione, ricordiamo: Produzione del senso e messa in scena, Bompia­ ni, Milano, 1975, La messa in sce­ na del teatro e del cinema, un unico principio di linguaggio e di forme, in E. Lauretta (a cura di) Pirandello e il cinema, Agrigento, Centro Nazionale di Studi Pirandelliani, 1978; Scritture di massa, Rusconi, Milano, 1980; Tempo del senso, Bompiani, Milano, 1979; Convi­ venza pragmatiche tra arte e media, tra estetica e semiotica in Emilio Garroni (a cura di) Estetica e lin­ guistica op. cit.

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do il complesso gioco di modalità di approccio al testo e alle nuove tipologie del consumo 33. L’immagine audiovisi­ va viene analizzata in riferimento all’attivazione di una protesi simbolica del significante immateriale, ai motivi della verosimiglianza e plausibilità34. Resta da vedere se in questa metamorfosi la traduzio­ ne quotidiana dell’esperienza artistica-letteraria, la diffusione dell’estetico, l’evidenza della immediatezza e alcatorietà, il dominio dell’immagine, il nuovo compito dell’arte come storia dell'arte 35, con tutto ciò che compor­ tano, non rechino alle nuove avanguardie soltanto un alibi per l’adattamento puro e semplice al presente. Tuttavia, anche proprio per questa ragione, riteniamo importante spostarci fra i sistemi formali e stilistici, tra i codici, tra le categorie culturali ed i percorsi comuni­ cativi, al fine di comprendere quelle complesse reti di combinazioni che ci suggeriscono rincalzante idea di un’estetica dell’intercodice.

33 Oltre ai testi già citati si veda, dello stesso autore. Le comumcazioni di massa come teatro...., cit., passim. Anche Giorgio Tinazzi, prendendo in esame il cinema come costruzione e processualità, al di fuori dello schema narrativo usuale e della sugge­ stione mimetica, analizzandolo nell’ambito dell’annuUamento ed autoironia, dell’occultamento della riproduzione (per eccesso o per difetto), mette in luce gio­ chi di interferenze poetiche del­ l’attraversamento. Egli vede poi

come sia nelle origini che in al­ cuni momenti del «nuovo cine­ ma» funzionino percezioni se­ conde, aspetti compositivi plurivoci ed elementi virtuali del­ l’immagine. Cfr. G. Tinazzi, La copia originale, Marsilio, Venezia, 1983. 34 Si veda G. Bettetini, La con­ versazione audiovisiva, cit. 35 Su questo tema si veda F. Menna, EJogio del terreno vago, «Rivista di Estetica» n. 14/15, 1983.

Le forme dell’esperimento e la funzione poetica dell’immaginario

Nella storia del cinema si manifesta quasi improvvisa­ mente, dopo la prima guerra mondiale, la presenza, sempre più invadente ed assidua, dei pittori i quali aprono un diverso campo estetico di osservazione ed uno studio particolare della plasticità del movimento. Questo fenomeno è preceduto dall’evidenza con la qua­ le correnti moderniste, come il futurismo e il cubismo, avevano messo in campo i problemi legati alla rappre­ sentazione delle figure in moto, alla molteplicità di vari punti di vista, alla frammentazione dell’oggetto, al dina­ mismo visivo della metropoli. I primi ad avvertire l’esi­ genza di indagare il movimento trasferendo al cinema gli studi nati con la pittura furono gli astrattisti. Essi, ricollegandosi alle citate correnti moderniste, sviluppa­ rono una radicale analisi della struttura del linguaggio cinematografico. L’intervento dell’astrattismo, per iftipo di ricerca e per l’aspetto fortemente innovativo e propositivo che lo caratterizza, si muove, diversamente dal dadismo e anche in parte dal surrealismo, sul piano dell’arte. Alcuni pittori astratti infatti, applicando al ci­ nema esperimenti precedentemente limitati alla pittura, aprono i confini, fino a quel momento piuttosto chiu­ si, tra le forme nel campo estetico e pongono il proble­ ma di una nuova espressione dinamica all’interno del­ l’arte moderna in generale. Nel cinema l’astrattismo non ha tanto posto l’esigenza dell’artisticità del film come singola e compiuta espressione, quanto invece l’importanza di un esperimento teso alla creazione di una forma nuova che partendo dalla pittura giungesse al cinema. Tuttavia l’aspetto costruttivo, di ricerca è cosi profondo da restare estraneo alla cosiddetta avan­ guardia cinematografica (Marcel L’Herbier, Jean Ep­ stein, Germaine Dulac, Louis Delluc, etc.); i risultati della sua acuta indagine non vengono piegati a rinno­

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lx forme dell'esperimento e la funzione poetica dell’immaginario

vare il linguaggio con lo scopo di stupire e coinvolgere migliaia cu persone. L’estraneità rispetto alle tesi del­ l’avanguardia cinematografica porta l’astrattismo a scoprire una diversa concezione del ritmo che in quegli anni veniva usato dai registi innovativi per favorire soltanto una migliore comunicazione narrativa ’. Diversamente dai registi della scuola impressionista francese che, mediante il «montaggio rapido» mostrano collegamenti allusivi, simbolici, suggestivi, gli artisti astratti, dadaisti e oggettualisti, definiscono una nozione di ritmo fondata sul nuovo dinamismo delle immagini e sul rapporto tra composizione cinematografica e com­ posizione musicale. Questa componente ritmica la pos­ siamo estendere anche alle realizzazioni surrealiste e a film come L’uomo con la macchina da presa di Dziga Ver1 Hans Richter sostiene che il problema del cinema astratto non si pone come definizione di una forma d’arte in sé, ma come rapporto tra esso e l’arte mo­ derna: il cinema legato alla pit­ tura si è servito del film come strumento per i problemi in­ contrati nel campo tradizionale delle arti. Cézanne, i futuristi e cubisti, dice Richter, trattarono la forma, il dinamismo del mo­ vimento, la simultaneità, e molti artisti e movimenti seguenti, dal­ l’arte astratta al surrealismo, tro­ varono nel nuovo mezzo un utile completamento. Cfr. H. Rich­ ter, Dalla pittura moderna al cine­ ma moderno, (Venezia, 1964) in G. Rondo li no, Il cinema astratto. Testi e documenti, Tirrenia Stam­ patori, Torino, 1977, pp. 219 e 222. Vedi pure dello stesso au­ tore, Il cinema d’avanguardia in Germania, in AA.VV., Nascita del cinema, Il Saggiatore, Milano, 1960, pp. 33-4. Anche Karel Teige considera il cinema in rapporto alla pittura: il film astratto è la diretta con­

seguenza del futurismo e del cu­ bismo. Cfr. K. Teige, Per una estetica del film (Praga, 1929), in Arte e ideologia 1922-1933, Ei­ naudi, Torino, 1982, pp. 154-156. Standish Lawder, descrivendo come il cinema non contenga progetti recettivi di carattere contemplativo e come l’espres­ sione filmica abbia favorito la base dell’interesse cinetico nel­ l’arte moderna (dal cubismo ai nostri giorni), contribuisce no­ tevolmente a chiarire la impor­ tante partecipazione dei pittori allo sviluppo del linguaggio ci­ nematografico. Egli analizza le relazioni strutturali tra pittura, cinema e fotografia di movi­ mento con riferimenti all’in­ grandimento quale rivelazione di un mondo sconosciuto (Jean Commandon-fisiologo e Kandisky-pittore) e alla fantasia del colore e del moto. Si veda S. Lawder, Il cinema cubista (in par­ ticolare i primi due capitoli), New York 1975, Costa oc No­ lan, Genova, 1983.

I^e forme dell’esperimento e la funzione poetica dell’immaginario

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tov e a Berlin di Walter Ruttmann 2. La ricerca del ritmo appare allora fondamentale nel «cinema di pittori e poeti» che sin dall’inizio si separa dall’aspetto propriamente innovativo e formalistico per tracciare un diverso modo di usare il mezzo sia da un punto di vista estetico che tecnico. Tuttavia, anche se accomunati dallo stesso rifiuto del nesso logico, dall’as­ senza di significati diretti, dallo sviluppo non narrativo, dal rifiuto del simbolismo e del virtuosismo tecnico, tali film attuano separatamente l’idea cinetica. Al di là della fede anti-artistica (dadà e in parte surrealista), dell’inter­ vento sul piano dei contenuti (surrealisti) o delle forme (astrattisti), che in un certo qual modo appaiono ele­ menti condizionanti, il ritmo si mostrerà logico-mate­ matico, scientifico nelle realizzazioni astratte di Eggeling, Richter, Fischinger, Léger, Veronesi; improv­ visato, causale, disgregante nelle opere dadà (Retour à la raison, Entracte, Vormittagsspuk); oggettualista, secondo il principio dell’autonomia degli oggetti («nuovo reali­ smo»), in Ballet mécanique; incoerente, nascendo dai mo­ duli dell’inatteso e dello shock, dalla continua tensione tra il piano razionale e quello dell’inconscio e dall’insor­ genza violenta del sogno come realtà materiale, nel sur­ realismo (Lfo chien andalou e L’dge d'or). In opere poi di incerto riferimento all’uno o all’altro movimento, il rit­ mo è ugualmente presente anche se in maniera meno evidente. Tra queste tuttavia Fibnstudie di Hans Richter e Anemie cinema di Marcel Duchamp si possono consi­ derare come film in cui lo studio del movimento si sviluppa non tanto all’interno della sequenza, per un rapporto di contiguità e differenza, quanto all’interno 2 Dominique Noguez ha consi­ derato questi due films in rap­ porto ai primi esperimenti mu­ sicali di Luigi Russoio. Cfr. D. Noguez, Le cinema aufre­ meni, L’GE, Paris, 1977, p. 32 e 33. La componente ritmica è stata esaminata anche da Karel Teige che ha messo in evidenza come il cinema sperimentale, at­

traverso l’opposizione del film puro contro il film convenzio­ nale considerato «miscuglio inorganico», Gesamtkunstwerk., si fondi principalmente sul ritmo cromaticamente luminoso. K. Teige, Per un'estetica dei film. cit., pp. 156-157.

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dell’inquadratura. Il dinamismo visivo appare quindi come il comune denominatore della produzione speri­ mentale degli anni venti anche se dobbiamo riconosce­ re, come afferma Hans Richter, che il ritmo astratto, l’orchestrazione del tempo, comincia a dissolversi con l’avvento del surrealismo nel quale viene introdotto nuovamente l’argomento letterario 3. Eggeling fu il primo a realizzare compiutamente le for­ me del movimento nel cinema. Il pittore svedese , affer­ ma Laszlo Moholy-Nagy, ha largamente attinto alla complessità della composizione musicale, cioè alla suddivisione e alla scansione del tempo; così facendo egli ha potuto scoprire l’elemento visivo-temporale e la sua opera (Diagonale Symphony} è divenuta l’ÀBC dei feno­ meni del movimento 4. Molti articoli verranno dedicati all’importanza del rit­ mo nel cinema realizzato dai pittori. Anche la rivista «Bauhaus» segue queste ricerche e nel 1929 vi appare un articolo che mette in evidenza il carattere cinemato­ grafico dei film che tendono al ritmo ottico del movi­ mento. Tuttavia qui, se da un lato si intuisce che Berlin di Walter Ruttmann, rispetto ai precedenti film astratti, rappresenta una perdita del valore del ritmo, dall’altro la novità determinata dalla pittura viene analizzata in modo tradizionale (non si comprende il significato del­ l’uso del frammento e lo sviluppo «caotico» delle imma­ gini) 5. Il movimento viene da più parti esaminato in rapporto allo sviluppo dell’epoca meccanica e dilaga contempo­ raneamente nelle ricerche dei nuovi artisti in tutta l’Eu­ ropa influenzando anche settori non specificamente le­ J Cfr. H. Richter cit., p. 229. 4 Cfr. L. Moholy-Nagy, Pittura, fotografìa, film (Monaco, 1925/27) in G. RondoÙno, Laszio Moholy-Nagy, Martano, Tori­ no, 1975, p. 94. 5 Rythme du film, realisation du film (trad, francese) in F. Buache (a cura di), Cinéma indépendant et d'avant-garde à la fin du muet, (La

Sarraz, 1929), Losanna 1979, Documents Cinémathèque Suis­ se, primavera 1980, pp. 53-55.

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gati alla pittura * Hans Richter parte dall’accostamento tra il «grottesco» dei film di Charlie Chaplin e La coraz­ zata Potemkin di Sergej Ejzenstein, ritenuti universal­ mente compresi per l’impiego specifico del mezzo, allo scopo di affermare che la poesia stessa del film, cioè la sua essenza, si fonda sul ritmo 7. L’astrattismo 8, con l’importante contributo artistico di 6 Cfr. M. N. Bandi, Lxr «Sinfonia diagonale» di Viking Eggeling (Pa­ ris, 1927) in G. Rondolino, Il cinema astratto. Testi e documenti, cit. p. 198 e H. Richter, Respon­ sabilità (Berlin 1929), in P. G. Tone, Struttura e forma del cinema tedesco negli anni venti, Mursia, Milano, 1978, p. 45. 7 Cfr. H. Richter, Responsabilità, cit., p. 145. 8 Cfr. G. Rondolino, Storia del cinema d'animazione, Einaudi, To­ rino, 1974, p. 104. Per il proget­ to cinematografico astratto di Survage si veda L. Survage, Il ritmo colorato (Paris, 1914) in G. Rondolino, Il cinema astratto, cit. pp. 185-8. In questo scritto il pittore definisce la nuova arte dinamica un’arte autonoma de­ terminata da tre componenti: la forma visiva astratta, il ritmo e il colore. La componente logi­ co-razionale dell’immagine astratta di Eggeling viene messa in evidenza anche da Pier Gior­ gio Tone che riscontra nell’ope­ razione di Eggeling la scoperta di una cifra nascosta delle cose e la nascita di un’interdipenden­ za ritmica dei segni. P. G. Tone, Arte, cinema, avanguardia, in R. Kurtz, L’espressionismo e ilfilm (a cura di P. G. Tone), Longanesi, Milano, 1981, p. XLII. Per ciò che concerne if peso del futuri­ smo italiano nello sviluppo del cinema astratto Dominique Noguez afferma motivatamente

che nel «Manifesto della cine­ matografia futurista» i futuristi preannunciarono la nozione del «cinema puro» come sinonimo del non narrativo, del non fi­ gurativo (assumendo già l’ambi­ valenza che ritroveremo più tar­ di in Marcel Gromaire, Henry Chomette, René Clair e Germai­ ne Dulac) di poliespressività e di sinfonia. Cfr. D. Noguez, EJoge du cine'ma experimental, Centre Georges Pompidou, Paris, 1979, p. 31. 11 problema della primogenitura del film astratto e del film d’avanguardia, problema al­ quanto sterile, viene dibattuto da Bragaglia e Richter. Per mag­ giore approfondimento si veda­ no gli scritti relativi alla polemi­ ca Bragaglia-Richter e l’articolo La cinematografia astratta è un’in­ venzione italiana (Roma, 1926) di F. T. Marinetti contenuti ora nell’antologia del cinema astrat­ to curata da G. Rondolino, op. cit., pp. 151-184. Per l’influenza che le ricerche astratte o di ci­ nema puro ebbero sullo svilup­ po dell’arte cinetica si veda r. Popper, L’arte cinetica, (Paris, 196/), Einaudi, Torino, 1970, p. 201.

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Léopold Survage, Eggeling e Richter, segna così il pas­ saggio dal quadro al film fornendo gli strumenti teorici e tecnici per scoprire e dar forma ad un linguaggio espressivo autonomo. La complessa elaborazione sulle immagini non appare esterna, spettacolare, ma interna e carica di possibilità per lo sviluppo cinetico. Gianni Rondolino, riferendosi al lavoro dei primi realizzatori di film astratti, vi scorge la traduzione di una intenzio­ ne «globale» in grado di distruggere gli schemi che ancora distinguono le arti e di abbandonarsi nello stes­ so tempo, soprattutto da parte di Richter, al gioco del caso e dell’incontrollato che sarà tipico dell’operazione dadà. Queste considerazioni riflettono da un lato l’analisi at­ tenta di Miklos Bandi a Sinfonia diagonale e dall’altro la nozione di cinema puro elaborata da Teige. La prima mette in luce come, in un’era di grande rivolgimento tecnico, le diverse arti, abolite le barriere che le divido­ no, promuovano un processo sintetico che prevede una totalità organica e uno sviluppo analitico teso a mostra­ re gli elementi primordiali dell’essere9. La seconda con­ sidera il cinema puro avvalendosi del concetto di poe­ sia pura, come «fusione lirica delle luci, delle ombre, dei * Cfr. M. N. Bandi, La «Sinfonia diagonale» di Viking Eggeling in G. Rondolino, Cinema astrat­ to. .., p. 194. Dice inoltre Bandi: «La ’’sinfo­ nia diagonale” è un’espressione della sfera specifica del film e non della sfera della vita este­ riore. In essa si risolve nella ma­ niera più radicale il problema che si sono posti tanti artisti: il movimento nelle arti figurative. Inoltre Eggeling realizza lo stile moderno per eccellenza. Il film come materia è l’incarnazione dello stato movimentato della nostra vita dinamica. I.sso unisce a questo elemento dinamico le forme pure. Nella ’’Sinfonia dia­ gonale* la forma è inseparabile

dal movimento. Come vediamo sempre meglio, la materia non è solo un ’’medium” per delle for­ ze; e le forze non sono sprovvi­ ste di materia; ma forza e mate­ ria sono inseparabili. L’unità di tutti i fenomeni diviene allora evidentissima. Le forme pure non diventano né piatte né pla­ stiche: esse si generano in un gioco costante. L’una si trasfor­ ma nell’altra» (p. 197).

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riflessi e deila oscurità», quindi come poesia fotogenica e dinamica che, esclusa la narrazione, i divi e gli sceno­ grafi, divenga «un gioco di felicità e di luce, un gioco nella felicità e nella luce» 1011 . Ma tale nozione di cinema puro è ancora più complessa se vi si comprendono, oltre alle ricerche di Eggeling e del primo Richter, quelle dada e gli studi del dinamismo visivo metropoli­ tano ritratto in Pallet mécanique di Léger. Rudolf Kurtz definisce il problema dell’assoluto nel film partendo da osservazioni «metafisiche». «L’arte as­ soluta» nasce dalla liberazione dei condizionamenti psi­ cologici, dalla scomparsa di forme naturali e individuali e dall’apertura alle forme matematiche poiché «la mate­ matica è appunto la forma visibile dell’mcondizionatezza»n. Nell’arte assoluta inoltre l’artista non vi appare come il soggetto poiché è stato sostituito dall’«uomo collettivo» come forma storica dell’universale. Essa (ar­ te) non si costruisce su un «arbitrio lirico»; l’arte indivi­ duale viene condannata come «perpetuazione della sin­ gola esperienza psichica». Le opere assolute rendono così inefficace l’organo essenziale di percezione estetica dell’«uomo convenzionale» che viene posto nella condi­ zione di un atteggiamento irrelato. «Gli artisti assoluti — dichiara Kurtz — sono condotti, per questa via, alla necessità di dover consegnare alle loro creazioni una Weltanschauung. In questa situazio­ ne problematica si dovrà parlare delle intenzioni degli artisti piuttosto che della critica estetica. La volontà creatrice si lascia descrivere e illustrare più facilmente di quanto si lasci guidare una diretta ricezione delle opere» 12. La riflessione di Kurtz, applicata all’aspetto moderno dell’arte che comprende artisti come Tatlin, Malevic, El Lissitsky, Mondrian, Schwitters, Arp (nel cinema vengono considerati i film astratti di Eggeling e Richter, Ruttmann, Pallet mécanique di Léger e Entracte 10 K. Teige, Per un'estetica del film, cit., p.l 25. 11 R. Kurtz, Uespressionismo e il film, cit., p. 90. 12 Ibidem, p. 91.

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di Francis Picabia), scopre i temi, che diverranno poi centrali, della sparizione del soggetto, della mancanza di una tradizionale connessione tra le parti, della privazio­ ne della bellezza, nella fruizione come nell’espressione artistica affermando l’importanza del ruolo delle inten­ zioni degli artisti. In Estetica del film di Bela Balàzs ritro­ viamo ancora, alcuni anni dopo, l’idea del film assoluto ed essa viene estesa ad un maggior numero di artisti e tipi di intervento cinematografico. Lo studioso unghe­ rese però, pur rilevando una funzione impersonale e meccanica in questi film, attribuisce valore, diversamente da Kurtz, al processo psichico. «Il film assoluto - afferma Bela Balàzs - vuole essere una forma d’arte a sé, una autonoma visione del mondo. Non lo psichico nel mondo esteriore, ma il mondo esteriore in quello psichico, deve essere mostrato da tali film. Non l’anima quale essa appare nel comportamento, nella parola e nell’azione, cioè una traduzione incompiuta, ma le cose quali esse appaiono nell’anima» ,3. L’acuta indagine condotta da Kurtz sui singoli artisti ci permette di considerare la sua posizione in senso artistico-innovativo. Lo dimostra il fatto che la sua stima per l’opera di Ruttmann (che a quel tempo aveva realiz­ 13 B. Balazs, Estetica del film, (Berlin 1931) Editori Riuniti, Roma, 1975, pp. 110-1. In rapporto a ciò ricordiamo che Kurtz, confrontando le ope­ re di Eggeling e Richter, in cui sono viste oggettivarsi «le forze della moderna, tangibile vita contemporanea ricondotte alla loro forma più semplice», esclu­ da la psicologia perché qui so­ stituita da una «costruzione consapevole, da un attivo lavo­ ro dello spirito». 11 problema psi­ cologico viene invece analizzato aU’intemo del processo di imme­ desimazione dello spettatore nelle forme matematiche; il rifiuto della comunicazione psicologica e del­ l’atto contemplativo non escludo­

no infatti, nell’arte assoluta, la produzione, sotto la soglia coscienziale, di sensazioni che corri­ spondono alle forme matemati­ che. Questa considerazione, no­ nostante sia rivolta ad Eggeling c a Richter, può, a nostro avvi­ so, essere estesa anche a Léger e a Picabia che annullano, come afferma Kurtz, il significato convenzionale sulla base di un procedimento che possiamo giudicare ugualmente fondato su di uno sviluppo ritmico-matematico delle immagini in rap­ porto alla vita empirica. Cfr. R. Kurtz, L’espressiomsmo e il film, cit., pp. 98-9, 109-113.

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zato soltanto film astratti) lo induce a giudicare lo spe­ rimentatore tedesco come il più ricco di prospettive, sotto l’aspetto industriale, tra gli artisti assoluti, perché non spezza, come gli altri, i legami con il mondo quoti­ diano esperibile (constatazione che, per contrasto, oggi ci permette di valutare Ruttmann come il «meno signifi­ cativo» dei realizzatori suoi contemporanei). Ancora in­ teressante ci appare poi lo studio dedicato allo stimolo ottico e alle idee cinetiche attuate da Léger in Pallet mécanique. «Il film di Léger si riconnette, dice Kurtz, per la sua disposizione metafìsica, alla creazione problema­ tica dei tedeschi; solo che egli, invece di applicare la loro espressione all’esatta rappresentazione dei rapporti cinetici, lo trasferisce in una figuratività plastica e tan­ gibile» 14. Con Ballet mécanlque si sviluppano quelle pos­ sibilità dinamiche che la forma cinematografica astratta aveva sperimentato. Il film è strettamente legato alla civiltà delle macchine dal cui funzionamento Léger stesso mutua la concezione del «nuovo realismo» 15. Di­ strutto ormai il soggetto da parte dei pittori, quasi estinta la sceneggiatura descrittiva nei film dell’avan­ guardia, egli pensò di assegnare valore all’oggetto tra­ scurato o all’oggetto svincolato dall’atmosfera in modo 14 R. Kurtz, LSespressionismo e il film, cit., p. 113. 15 Cfr. F. Léger, Intorno al «Bal­ let mécanique» (Paris, 1927) in G. Rondolino, Il cinema astratto cit.. Sul tema della civiltà delle mac­ chine e del suo linguaggio Pao­ lo Bertctto interviene osservan­ do che Léger ha saputo coglie­ re, in Ballet mécanique, il rappor­ to individuo-oggetto come af­ fermazione delroggetto e spari­ zione del soggetto, ma che gli è sfuggita la radicalità teorica le­ gata alla sua operazione artisti­ ca, propriamente incentrata sul­ l’autonomia semantica dell’og­ getto, in quanto incapace di scoprire c rivelare il profondo rapporto esistente tra produtti­

vità tecnologica, subordinazione del soggetto, ritmo dinamico della metropoli. Sempre in rela­ zione al problema della raziona­ lità tecnica Bertetto afferma poi che tutta la ricerca cinematogra­ fica rappresentata dal film astratto o puro e le esperienze sulla nuova visualità condotte da L. Moholy-Nagy, debbono essere considerate «dorme inte­ grate alla modellizzazione tecnologico-produttiva». Cfr. P. Bertetto, ^avanguardia cinemato­ grafica: tecnologia e dialettica del va­ lore, «Filmcritica», 251, 1975, pp. 28-30.

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da stabilire nuovi rapporti allo scopo di personalizzare il frammento. Il programma, elaborato da Léger alla luce della sua ricerca in pittura, consiste nel conferire movimento ad uno o più soggetti per renderli plastici, nel mostrare un avvenimento senza legame con la sua rappresentazione, nel contare sull’effetto. Il particola­ re realismo di Pallet mécanique non può però essere studiato come nuovo modo per entrare nell’area surrea­ listica. Non appare sufficientemente motivato infatti il rapporto anche involontario che Rino Mele stabilisce tra il film di Léger ed il surrealismo sulla base dello scollamento del significante e del significato, dello svuotamento di ogni relazione causale, del distacco tra l’oggetto e la sua funzione ,6. L’esperienza cinemato­ grafica di Léger deve essere considerata esclusivamente entro l’ambito della ricerca oggettualista inizialmente sperimentata nella pittura. L’esigenza di mostrare un complesso dinamismo plastico degli oggetti e il profon­ do legame con la nuova visualità metropolitana porta­ no piuttosto a vedere in Pallet mécanique l’anticipazione dei temi che il film strutturale americano ha sviluppato negli anni settanta. La scena della donna che sale più volte le scale viene esaminata secondo questa relazione da vari critici 16 17 ed anche Mele mette poi in evidenza la fondamentale componente dell’iterazione quando ana­ lizza molto puntualmente tutte le inquadrature all’inter­ no di un sistema strutturale e quando afferma: «L’alter­ nanza, l’oscillazione, la rotazione, il percorrere sezioni di circonferenze (movimento circolare) sono varianti dell’interazione così come la specularità è una variante del raddoppiamento per riflessione. Iterazione e rad16 Cfr. R. Mele, Il nuovo realismo di Fernand Léger, in AA.VV. Slu­ di sul surrealismo, Officina, Ro­ ma, 1977, pp. 286-7. 17 Léger ricorda che la scena ci­ tata voleva soprattutto stupire il pubblico per poi suscitare in­ quietudine e spingere l’avventu­ ra fino alla disperazione (Cfr. F. Léger, Intorno al «Ballet mécani­

que», cit., p. 105). Il rapporto con il film strutturale è stato descritto da M. Debard, Les oculistes de tavenir in AA.VV. Cine­ ma Dadaiste et Surrealiste, Centre Georges Pompidou, Paris, 1976, p. 6.

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doppiamente, studiate nel corso dell’analisi, sono le due costanti sui quali il film è strutturato. Essi e le varianti partecipano di una tensione alla circolarità» 18. Sugli stessi temi tornano S. Lawder 19 e L. Demailly. Lise Demailly ha messo in evidenza la nozione di lavoro artistico in Léger osservando parallelamente il suo Fun­ ctions de la peinture con La structure du texte artistique di Lotman. La esigenza legeriana di un’arte plastica, co­ struita su di una vicinanza armonica di elementi disso­ nanti, e la particolare esposizione dell’oggetto banale, eliminano ogni cenno aprioristico, ogni mito del sog­ getto. Prende così il sopravvento l’idea di un’opera nata nella combinazione di molteplici incontri, su di una rete di fattori iterativi; opera d’arte come texte quindi, sistema che funziona anche attraverso l’influenza deter­ minante delle superfici che circoscrivono le strutture, della delimitazione del campo visivo (dalla cornice ai bordi del rettangolo luminoso dello schermo), delle chiu­ sure dell’immagine che offrono molteplicità di relazioni tra testo e mondo, tra interno ed esterno. Accanto al­ l’opera come modello finito di un mondo infinito osser­ viamo, avverte ancora Demailly, il lavoro oggettualista di Léger fondato sul frammento e sul montaggio in una prospettiva di articolazione arte-società e di arteproduzione. Il frammento ed il montaggio appaiono centrali soprattutto per la scomposizione scenica del­ l’oggetto che il cinema (specialmente quello oggettuali­ sta) favorisce attraverso la trasformazione e moltiplica­ zione della immagine. E un’opera così composta, «di­ stratta» e polisemica, prende forma dalla evidenza inter­ na e vitale di un ritmo apertamente tensivo che sorpre18 R. Mele, Il Nuovo realismo di Fernand Léger, cit., p. 288. 19 Per ciò che concerne il pro­ getto oggettualista quale nuovo modo di leggere il mondo, con­ frontando Léger pittore con Léger cineasta, molto interes­ sante e completo risulta essere il volume già citato di Lawder. Qui viene anche trattata estesa­

mente l’esperienza della sua col­ laborazione alle scene di Lllnhumaine di M. L’Herbier, con rife­ rimenti all’allestimento di Frie­ drich Kiesler per R.U.R. di Ka­ rel Capek e ai disegni di Otto Hunte per Metropolis di F. Lang. Molto dettagliata è poi la parte analitica dedicata a Le Ballet mécanique.

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se ed emozionò anche Ejzenstein 20. Sulla acquisizione del ritmo bisogna ammettere che la poetica di Léger si distacca da quella dei dada-surrealisti; la tradizione del­ l’avanguardia viene qui appresa e riconvertita. Si pensi all’articolo (datato 1922) dal titolo Saggio critico sul valore plastico del film «La Roue» di A. Gance. L’oggettualismo di Léger, di cui l’anatomia del ritmo cinematografico è appunto un aspetto determinante, confluirà nel progetto di un film mai realizzato che prevedeva la aurata di 24 ore e che avrebbe dovuto essere una specie di «inquisizione visiva» sulla vita di una coppia qualunque osservandone il lavoro, la vita intima e amorosa, il silenzio, etc.21. Vediamo allora continuare in questo progetto la «rivincita dei pittori e dei poeti» che l’artista francese, anticipando le future dichiarazioni di Moholy-Nagy, Maya Deren, Stan Brakhage e Jonas Mekas, aveva precedentemente proclama­ to opponendosi al cinema industriale e all’abbondanza di mezzi e di denaro 22. 20 Cfr. L. Demailly, Fernand Lé­ ger: indications pour une théorie du travail artistique, in «Dialectiques», n. 9, 1975. Per ciò che riguarda l’apprezzamento di Eisenstein si ricorda che il regista sovietico vi­ de ballet mécanique a Parigi e fu sorpreso dal constatare che il tipo di montaggio e la struttura erano assai vicini alle sue teorie. Cfr. H. Richter, Dalla pittura moderna al ci­ nema moderno in G. Rondolino, Il cinema astratto, cit., p. 229. 21 Cfr. F. Léger, A probos du ci­ nema, in M. Lnerbier, intelligence du cinéma, Corréa, Paris, 1949, p. 340. Il progetto di Léger ha spinto alcuni critici a stabilire un collegamento tra esso e il ci­ nema di warhol. Cfr. A. Barbera e R. Turigliatto, Leggere il cinema, cit. e R. Milani, Warhol, il cinema della transitorietà, «Paragone», 344, 1978, p. 90. 22 F. Léger, Intorno al «ballet mé­

canique», cit., p. 254. Per l’im­ portanza attribuita alla forza creativa dell’artista si veda an­ che O. Fischinger, Dichiarazio­ ni, in G. Rondolino, Cinema astratto, cit., pp. 260-1. «-Potre­ mo scoprire — dichiara Hans Ri­ chter — che lo sviluppo indipen­ dente del cinema sperimentale sarà non solo utile ma essenzia­ le per la società, una salutare ri­ bellione ad un eccessivo confor­ mismo. Io non mi preoccuperei troppo di voler sapere «chi rica­ va qualcosa» dal cinema speri­ mentale, finché è fatto con amore e con convinzione. La vita penserà a trame le conse­ guenze» H. Richter, Dalla pittura moderna al cinema moderno, cit., p. 239.

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Il problema dello sperimentalismo appare indispensabi­ le se si vogliono comprendere ampiamente queste ma­ nifestazioni. La maggior parte di tali esperienze artisti­ che riceve infatti l’appellativo di «sperimentale». Si trat­ ta di una proprietà connessa alle ricerche sulla luce, all’astrattismo, oggettualismo, dadaismo, surrealismo e in genere all’arte moderna23. Umberto Eco ritiene che la nozione di «sperimentale» sia una caratteristica che distingue l’artista del nostro secolo da quello di epoche precedenti; egli mette in dubbio, nel momento in cui si appresta al fare, tutto ciò che precede quell’atto. L’atteg­ giamento si ricollega a quanto avviene nella scienza dove il metodo sperimentale è sinonimo di un nuovo inizio (si ricomincia tutto da capo)24. L’ambito speri­ mentale del cinema creato, come abbiamo detto, dalle opere di pittori, poeti, ricercatori, viene analizzato anche da Teige che, affrontando il problema di un’este­ tica cinematografica, stabilisce una identità tra il cinema puro e la poesia fotogenica e bioscopica nella conclu­ 2J Sulla utilità e il valore della cinematografia sperimentale si vedano i due saggi di Gianni Rondolino contenuti nell’anto­ logia del cinema astratto poco sopra citata. Rondolino dimo­ stra che, nel momento della cri­ si della tradizione artistica, la visualità contemporanea deve riferirsi da un lato all’astratti­ smo e alle tendenze non figura­ tive e dall’altro al processo di integrazione delle arti mediante un’esperienza estetica totale. Lo sperimentalismo conduce a ri­ sultati che coinvolgono direttamente la natura del mezzo e le sue tecniche. Per ciò che riguar­ da il «cinema dei pittori» non si può, egli dice, non considerarlo cinema; esso fornisce i principi fondamentali di un esame ap­ profondito di funzionamento del senso, della formazione delle «immagini-idee», dei «ritmi-se­

gno», dei «movimenti-pensieri». Anche Karel Teige sostiene in­ direttamente l’importanza del­ l’esperimento affermando che la soluzione della crisi del cinema può essere determinata da uno sfruttamento radicale, in senso artistico, delle possibilità tecni­ che delle invenzioni essendo il film un prodotto dell’ottica e della scienza. L’opinione di Tei­ ge riappare anche negli scritti di Laszlo Moholy-Nagy. Cfr. K. Teige, Per una estetica del film, cit., pp. 105-8. 24 Cfr. U. Eco, La definizione del­ l'arte, Garzanti, Milano, 1978, pp. 243-4.

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sione della lunga evoluzione parallela della pittura e della poesia moderna: da Rembrandt, attraverso Turner, gli impressionisti e i futuristi, a Man Ray; da Rimbaud a Mallarmé, attraverso Apollinare, al poetismo 2526 . Emerge così una particolare componente poetica intesa come elemento determinante del nuovo modo di operare. Ma è in T. W. Adorno che troviamo una complessa esposi­ zione dello sperimentale artistico. Adorno considera l’esperimento nell’arte accanto alla categoria del nuovo e dello shock e precisa che esso ora è caduto, è divenuto ovvio. E cessata quella concezione dell’espe­ rimento che inizialmente era fondata sulla volontà della prova. L’esperimento negli ultimi decenni indica la non prevedibilità del risultato oggettivo da parte del sogget­ to artistico che pratica un metodo. Si afferma l’idea della combinazione quale regressione estetica. L’atteg­ giamento sperimentale vive allora in uno stato di peri­ colo dominato dall’imprevisto. È incerta la posizione del soggetto. Non si sa se resta padrone di se stesso o si getta «in braccio all’eteronomia». In realtà, continua ancora Adorno, non si spoglia della propria soggettivi­ tà per diventare «quell’in sé che altrimenti solo finge di essere». L’esperimento resta connaturato all’arte e vive insieme al gioco la via dialettica della energia e della debolezza, dell’autonomia e dell’eteronomia Il problema è stato recentemente posto in chiave lin­ guistica, facendo riferimento alle sei funzioni del lin­ guaggio enunciate da Jakobson, da Dominique Noguez che aefinisce il film sperimentale un’opera in cui la funzione poetica supera largamente le altre27. In prece­ denza studiosi come Kracauer o Amheim avevano sot25 Cfr. K. Teige, Per un'estetica delfilm, cit. 26 T. W. Adomo, Teoria estetica (Francoforte 1970), Einaudi, To­ rino, 1975, pp. 34-6 e 55-8. 27 D. Noguez, Eloge du cinema experimental, cit., pp. 15-6. «Est ‘expérimental’ tout film où les preoccupations formelles sont au poste de commande:

ainsi pourrait-on formuler d’emblée ce second critère. On entend par ’préoccupation for­ melle’ tout souci lié à l’apparence sensible ou à la structure de l’oeuvre, compte non tenu du sens qu’elle véhicule. La distinction célèbre des six fonctions du langage par Roman Jakobson pourra nous ette ici précieuse.

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tolineato l’importanza del cinema sperimentale. Il primo considera positivamente il nuovo fenomeno cinemato­ grafico per l’uso del montaggio e la rappresentazione dei processi psicologici, ma la nozione di avanguardia che descrive è troppo vaga e generica 28. Il secondo, partendo dall’idea che l’opera d’arte non può essere semplice imitazione della realtà ma trasformazione degli aspetti osservati nelle forme di un determinato mezzo e che essa dipende dalle limitazioni materiali, opera inve­ ce un’importante osservazione sugli aspetti strutturali della visione 29 dando implicitamente valore al cinema On se souvient que Jakobson part du schèma de la communi­ cation verbale la plus simple: un destinateur, après avoir établi et main ten u un contati avec un destinataire, lui adresse un message; ce message passe par un code et désigne un contexte (ou référent). A cnacun de ces six éléments de la communication correspond une fonction linguistique particulière: au contact, par exemple, correspond la fonction «phatique» (de pbatis, bruit), qui n’est autre que l’effort pour établir ou maintenir la communication; au contexte, la fonction ’référentielle* c’est à - dire le fait de designer (nommer, raconter, décrire, montrer) quelque chose d’extérieur au message; au mes­ sage, enfin, la fonction «poèti que», ou fait pour le message de se ’viser’ en quelque sorte narcissiquement lui-méme, d’attirer l’attention sur son apparence et sa structure. Applique-t-on ces propositions au «langage» cinématographique, on pourra définir le film «expérimental» comme un film où la fonction ’poétique’ i’emporte largement sur les autres et notamment sur la fonction ’phatique’ et la fon­ ction ’référentielìe’».

28 S. Kracauer, Film: ritorno alla realtà fisica (New York, 1960), Il Saggiatore, Milano, 1962, pp. 29 R. Amheim, Film come arte, Il Saggiatore, Milano, 1960. Un collegamento tra le teorie di Amheim e il cinema sperimen­ tale può essere praticato consi­ derando lo scritto To Maya Deren. Si veda R. Milani, Il cinema underground americano, D’Anna, Firenze, 1978, p. 16. Si prenda­ no ancora in esame l’importan­ za dei fattori differenziami come fattori formativi e l’interesse di Amheim verso il film astratto. Infine, sui rapporti tra film spe­ rimentale e pittura contempora­ nea (per ciò che riguarda lo spa­ zio-tempo, il simbolismo della luce e soprattutto il movimen­ to) è di fondamentale importan­ za il suo Arte e percezione visiva (1954), Feltrinelli, Milano, 1971, in particolare pp. 300-311 e pas­ sim.

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sperimentale e di ricerca. Ma chi realmente ha rivela­ to il complesso rapporto tra i pittori e il lavoro filmico, alla luce del nuovo clima tecnico della comunicazione artistica, è Walter Benjamin. Il suo confronto tra la figura del pittore-mago e quella dell’operatore cinematografico-chirurgo è davvero esemplare e ci consente di capire che Benjamin aveva analizzato con molta atten­ zione la situazione. «Il mago conserva - egli dice - la distanza tra sé e il paziente; in termini più precisi: la riduce, grazie all’ap­ posizione delle sue mani soltanto di poco e l’accresce — mediante la sua autorità - di molto. Il chirurgo procede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di mol­ to - penetrando nel suo interno — e l’accresce di poco — mediante la cautela con cui la sua mano si muove tra gli organi^. Il mago e il chirurgo si comportano rispetti­ vamente come il pittore e l’operatore. Nel suo lavoro il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore invece penetra profondamente nel tes­ suto dei dati. Le immagini che entrambi ottengono so­ no alquanto diverse. Quella del pittore è totale, quella dell’operatore è multiformemente frammentaria, e le sue parti si ricompongono secondo una legge nuova. Così la rappresentazione filmica della realtà è per l’uo­ mo moderno incomparabilmente più significativa, poi­ ché, precisamente sulla base della sua intensa penetra­ zione mediante l’apparecchiatura, gli offre quell’aspetto, libero daH’appareccniatura, che egli può legittimamente richiedere all’opera d’arte» 30. Scopriamo allora, attraverso la constatazione di uno sviluppo del dinamismo plastico formulato dalle cor­ renti moderniste e dopo aver sondato la diretta o indi­ retta dipendenza di un certo tipo di cinema dalla pittu­ ra, che tale problema esiste all’interno di un più com,0 W. Benjamin, L’opera d’arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (Paris, 1936), Einaudi, Torino, 1966, p. 38.

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plesso piano di riferimenti. Benjamin ce l’ha esposto spiegandoci che l’attrazione di molti pittori verso la pratica cinematografica nasce dalla modernità della rap­ presentazione filmica, dalla forte capacità di penetrazio­ ne, dall’acuto spirito analitico di conoscenza e che lo stimolo alla prova del nuovo mezzo proviene anche dal tentativo di superare la mancanza, nel campo pittorico, di una ricezione di tipo collettivo improntata alla si­ multaneità, caratteristica comunicativa attuata piena­ mente nel film e fino a quel momento limitata per lo più all’architettura. Questo complesso e ampio confron­ to comprende inoltre aspetti produttivi anti-artistici mostrando la esistenza di un preciso rapporto tra il dadaismo e il cinema. Dopo aver osservato che i dadaisti annientano l’aura e che al rapimento, alla contemplazione di tipo borghese essi oppongono la diversione quale varietà del compor­ tamento sociale, Benjamin afferma: «11 dadaismo cercava di ottenere, con i mezzi della pit­ tura (oppure della letteratura) - quegli effetti che oggi il pubblico crea nel cinema (...) Coi dadaisti (...) l’ope­ ra d’arte diventò un proiettile. Venne proiettato contro l’osservatore. Assunse una qualità tattile. In questo mo­ do ha favorito l’esigenza di cinema, il cui elemento diversivo è in primo luogo di ordine tattile, si fonda cioè sul mutamento dei luoghi dell’azione e dell’inqua­ dratura, che investono gli spettatori a scatti»31. L’interruzione del flusso associativo per l’improvviso mutare delle immagini conduce all’effetto di shock fisi­ co che il film libera in virtù della sua struttura tecnica e che il dadaismo ancora tratteneva nell’effetto di shock 32 Jl Ibidem, p. 42, 43. J2 Ibidem, p. 43. Inoltre, a pro­ posito del cinema come «nuova coscienza» e del valore di antici­ pazione dei mezzi tecnici rispet­ to ai nuovi contenuti e alle nuove forme, si veda lo scritto, del medesimo autore, intitolato Discussione sulla collettività dell'arte in generale, in E. Bruno (a cura

di), Teorie del realismo, Bulzoni, Roma, 1977. Altri rapidi spunti possono eventualmente essere rintracciati in Chaplin, uno sguardo retrospettivo (1929), soprattutto se si pensa ai riferimenti a Soupault e all’idea della risonanza di un mondo espressivo socialmente condizionato.

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morale. Osserviamo che tale situazione è ancora più evidente se pensiamo al cinema sperimentale dei primi anni venti e soprattutto agli stessi film dadà (Retour à la raison^ di Man Ray, Entracte di René Clair e Francis Picabia, Emak, Bakia di Man Ray, Vormittagsspuk di Hans Richter) che traducono pienamente, nel linguag­ gio del cinema, gli effetti di shock e di tattilità, di diversione e di strategia liberante. In opposizione all’in­ cantamento e alla contemplazione, forzatamente intro­ dotti dalla cosiddetta «avanguardia» che, nonostante tut­ to, si mostra arrendevole all’aspetto letterario e teatrale, i film dadaisti accentuano radicalmente questi caratteri. Possiamo sostenere che nel dadà cinematografico «l’in­ conscio ottico», attraverso le qualità della cinepresa, viene utilizzato ancora più compiutamente rispetto agli altri film. Il rapporto che intercorre tra il dadaismo e il cinema è quindi assai complesso aprendo da un lato la problematica relativa alla produzione, da parte dell’arte, di esigenze che l’arte stessa non è in grado di soddisfare in quel particolare momento e favorendo dall’altro l’in­ sieme dei temi riguardanti la relazione tra dadaismo letterario e pittorico, dadaismo cinematografico, svilup­ po dell’espressione nei film. Pier Giorgio Tone ha mes­ so in luce come nel dadaismo l’esclusione della raziona­ lità tecnico-scientifica e dell’ordinamento borghese del­ la vita sfoci nel flusso ritmico-dinamico, nell’energia liberatoria del caso, dell’istinto, del riso e come la prati­ ca cinematografica che ne deriva si mostri fortemente trasgressiva e si ponga come ricerca esplicita del non­ senso 33. Giusi Rapisarda concorda con questa tesi, ma avanza l’ipotesi che non esista un vero e proprio cine­ ma dadà sostenendo che il film deve essere considerato come uno dei tanti media usati dai dadaisti per soffoca­ re l’idea 34. Inoltre il tema della comicità dei loro gags 35 viene da lei analizzato, per ciò che riguarda Entracte, in P. G. Tone, Arte, cinema, avanguardia, cit., p. XLV. J4 G. Rapisarda, Dada al cinema in S. Danesi, Il dadaismo, Fabbri, Milano, 1977, p. 88.

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rapporto alla preminenza di una comicità consueta sul puro stile dadà. Ciononostante possiamo affermare che lo spirito del movimento non vi appare travolto o an­ nientato. All’interno del film riconosciamo, nella paro­ dia della vita stessa, nel ritmo vorticoso delle immagini, la presenza di caratteri spiccatamente dada. Le retour à la raison di Man Ray viene ritenuto da alcuni l’unico film dadà poiché vi possiamo osservare i temi della causalità e dell’indifferenza, il rifiuto dell’opera compiuta, la prospettiva derisoria, il gioco del non­ senso. C’è inoltre in questo film una forma di sottrazio­ ne, di opposizione alla modernità come valore, un uso del laboratorio come spazio soggettivo-artigianale, che è stato particolarmente sottolineato da Paolo Bertetto il quale scopre in questo film gli elementi della pura ne­ gazione dadà, la cosciente disgregazione del fatto artisti­ co, il risoluto abbandono del proposito estetico, il rifiu­ to ostinato e coerente del recupero e della integrazio­ ne 36. Non si può non condividere l’opinione di Bertetto per­ ché ad un’indagine attenta, ogni altro film sperimentale di quegli anni ci appare, ad un primo sguardo, al di fuori di Vormittagsspuk, o strettamente legato ad una corrente artistica o scarsamente riferito ad una propo­ sta (artistica) determinata. Ma gli si può però obiettare che il laboratorio, come spazio soggettivo da cui si sviluppano l’invenzione e la sperimentazione più libere, e il conseguente rifiuto del recupero e dell’integrazione, non sono necessariamente ed esclusivamente limitati al film di Man Ray e che la casualità delle immagini stabi­ lita senza l’intervento della camera non è prerogativa del dadà cinematografico (si pensi solo al metodo di lavoro di Luigi Veronesi che, pur in tutt’altro ambito, utilizza precise tecniche di non impiego della camera senza ricadere nel pericolo tecnologico denunciato da J5 Per un maggiore ampliamen­ to del rapporto tra Cnaplin e l’operazione dada si veda M. Verdone, Le avanguardie storiche del cinema, SEI, Torino, 1977,

pp. 92-6. ** P. Bertetto, L'avanguardia ci­ nematografica: tecnologia e dialettica del valore, cit.

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Bertetto). Inoltre l’efficacia di questo movimento sem­ bra provenire da un panorama artistico molto ampio e differenziato che mescola contemporaneamente l’indifferenza estetica e la sperimentazione. Tuttavia, in un articolo più recente 37, dove confronta e collega tra loro, in modo complesso e articolato, le varie esperien­ ze dadà, Bertetto mostra maggiore apertura. Massimo Cacciari, ponendosi il problema del punto di fuga, scopre che l’autentico dadà come non commercia­ bile, l’A-fìlosofia, la non «arte», dipende dalla «illumina­ zione profana» intesa in senso eminentemente linguistico. Tale «illuminazione profana» avviene quando il feno­ meno deH’inesauribilità e impenetrabilità del quotidiano verrà riconosciuto, anzi quando avremo coscienza dell’«insieme perturbante del dire il dicibile e del mostrarsi dell’impenetrabile». «Dadà, — afferma Cacciari — è allora questo mostrarsi dell’impenetrabile del/nel quotidiano, nel gesto del mero significante. Questo mostrarsi con­ traddice l’utopia del dire assolutamente significante — ma anche quella che l’impenetrabile sia dicibile. L’enig­ matico, il profondo lo sono - allusivamente, allegorica­ mente. Ma è un dire insensato. E questo riconoscimento — che il mostrarsi è autonomo dal dire — libera dal realismo del riso e dalle nostalgie del Montage: illumina profon­ damente lo scabro terreno dei nostro esserci, del nostro vivere qui» 38. Questa osservazione ci riporta ad una pra­ tica artistica die consiste nel mettere in discussione il tentativo di ridurre la pluralità del reale all’unità di un significato adottando «il punto in cui il sì e il no si incontrano». Ed è così anche nel cinema sebbene il materiale sia molto scarso. Nel suo progetto negativo il dadaismo, attraverso l’iter di sottrazione e riduzione e sostenuto da un’intensa e indispensabile ricerca, scopre elementi primari che lo conducono all’esplorazione di un inaspettato universo estetico dal quale non si riparte 37 Cfr. P. Bertetto, intensità e ne gazjone. Sul discorso di Tzara, «Ri­ vista di estetica», 7, primavera 1981. 38 M. Cacciari, Marginalia a Da­

da in A/VVV., Avanguardia, Da­ da, Weimar, Arsenale Cooperati­ va, Assessorato alla Cultura del Comune di Venezia, 1978, p. 28 e 29.

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con propositi costruttivi per una ridefìnizione del cam­ po artistico. Sarà il surrealismo a orientarsi in questo senso ricomponendo le lacerazioni in seno all’arte con un progetto di ricostituzione del valore fondato sul­ l’idea del Sogno e del Meraviglioso. La forza negativa del dadaismo non va disgiunta dal­ l’individuazione di segni e fattori che l’attività di esperi­ mento mette in campo; I’ampia varietà della ricerca in Dadà assicura all’attuazione del non senso una posizio­ ne di totale radicalità. Non si può contestare che il dadaismo, come sostiene Mario Perniola, debba essere letto nello stesso modo di una critica alla cultura, di un rifiuto della logica, ricono­ scendo nel processo creativo come nel processo menta­ le un irriducibile, prezioso atteggiamento antiumanisti­ co, antilluministico, antiteologico, antimodernista e che al surrealismo mancarono proprio i presupposti per un’efficace critica dell’alienazione artistica che possiamo invece là ritrovare, perché gradualmente attratto verso una riconciliazione col mondo 39. Tuttavia l’utile separa­ zione del dadaismo da altre correnti contemporanee, in particolare dal surrealismo, non deve farci dimenti­ care che il terreno dell’esperienza è molto denso e con­ fuso. Alcuni dadaisti continuano ad operare anche all’in­ terno del surrealismo conservando caratteri e modi che solo in parte o poco alla volta si modificano per ade­ guarsi interamente al nuovo gusto. Ciò è evidente nello sviluppo del cinema d’artista dove il problema dell’ap­ partenenza di un film ad un movimento diventa diffici­ le. Possiamo osservare che, soprattutto tra il ’24 e il ’27, l’opera dadà vive mescolata a temi surrealistici. Alain Virmaux si pone il problema dell’attribuzione e, stabilendo che i film astratti di Richter, Eggeling, Ruttmann costituiscono una prima fase predadaista, delinea un percorso che partendo da qui passa per la graduale 39 Cfr. M. Perniola, ^'alienazione artistica, Mursia, Milano, 1971, pp. 204-5.

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rinuncia alla astrazione, determinata dall’ingresso del da­ daismo, e procede verso il recupero del profondo compiu­ to dal surrealismo (fino a quando cioè la pratica dell’incoerenza «forza le porte dell’inconscio»). Oltre a cita­ re Lnirade, Le retour à la raison, Lmak Bakia indicati come dadaisti e, sulla linea di questo movimento, Infla­ tion e Vormittagsspuk, Virmaux si domanda poi se an­ che Ballet mécanique non possa appartenere a quel grup­ po di film che segna il passaggio dall’astratto al dadà 40. Nonostante il film di Léger sia chiaramente legato al­ l’area oggettualista, potremmo eventualmente, sollecita­ ti da questo suggerimento, individuare componenti da­ daiste in rapporto al meccanismo iterativo. Franco Reila, in un recente articolo sul dadaismo» ha appunto evi­ denziato la funzione della pratica iterativa collegata al gioco infantile 41. Ecco allora che l’analisi della ripeti­ zione può condurci ad una possibile riscoperta dadà di Ballet mécanique. «Libertà dadà, dadà, dadà, urlo di colori contratti, groviglio degli opposti e di tutte le contraddi­ zioni, del grottesco e dell’incongnienza; La Vita» 42. Co­ sì finisce il manifesto dadà del 1918 e in queste parole avvertiamo che sono contenuti i programmi dei film dadà. Le sentiamo riecheggiare anche in opere che sono ormai fuori del periodo dadà, nel ’26 e nel ’27. Si pensi a Inflation e Vormittagsspuk di Hans Richter dai quali ormai è completamente scomparsa la presenza di ele­ menti astratti o ad Lmak Bakia di Man Ray dove tro­ viamo ancora forme astratte mescolate a sequenze reali­ stiche. Vi scorgiamo un clima tipico anche se gli autori erano già molto vicini al surrealismo. 11 gioco di anima­ zione degli oggetti di Vormittagsspuk e il movimento incessante, ossessivo, convulso, roteante delle immagini di Lmak Bakia ci ricordano che la casualità disgregante del primo dadà non viene cancellata; essa si modifica, anche sostanzialmente nel tempo, ma il cambiamento 40 Cfr. A. Virmaux, Le film surréaliste (1924-1932) in AA.VV., Cinema dada et surrealiste, cit. pp. 15-6. 41 Cfr. F. Rella, Tzara Tzara

Tzara!... Thustra in S. Danesi, Il dadaismo, cit., p. 53. 42 T. Tzara, Manifesti del dadai­ smo e lampisterie, Einaudi, Tori­ no, 1975, p. 14.

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non è veloce, varia in rapporto alla trasformazione del lavoro degli artisti. Il passaggio dal dadà al surrealismo non avviene mai nelle forme di un rovesciamento radicale di orienta­ mento, ma della progressiva affermazione di una diver­ sità, anche consistente, di progetti e metodi di lavoro che seguono uno sviluppo particolare. Non si tratta tanto di un’evoluzione logica e organica, quanto di una inevitabile, anche profonda, modificazione delle espe­ rienze artistiche 41 *43. Inoltre Breton e altri surrealisti, al­ meno intorno al ’27, tentano di far confluire nel surrea­ lismo una eterogeneità di movimenti, di esperienze, che lo stesso Artaud, ormai esterno al movimento, denun­ ciava 44. E le esperienze artistiche di diversi dadaisti, soprattutto nel cinema, si trovavano in questo disorien­ tante panorama. Se possiamo così individuare un lega­ me profondo tra dadaismo e surrealismo testimoniato anche dalla immissione, forse per la prima volta consa­ pevolmente nell’arte moderna, di elementi «anestetici» (Kitsch) come rileva Gillo Dorfles 45, nello stesso tem­ po ci pare forzata l’opinione di Richter quando afferma che Breton non soltanto prese su di sé l’intera eredità dada, ma la portò anche oltre sviluppandone ampia­ mente la parte teorica e il metodo che includevano anche il sogno, il caso fino all’allucinazione e che «Dadà e Surrealismo sono un’unica esperienza di vita, unitaria, che si estende lungo un arco che va dal 1916 alla metà 41 Sul rapporto tra dadaismo e surrealismo, nei segno di una trasformazione che si attua se­ condo una linea di continuità, si veda M. Ray, Film dada et surrealismo in G. Rondolino, L’wchio tagliato, Martano, Torino, 1972, p. 71j\. Virmaux, Le film surrealiste, cit., e Les surrealiste/ et le cinema, Seghers, Paris, 1976, p. 22. 44 «11 surrealismo è morto per il settarismo imbecille dei suoi adepti. Ciò che di esso rimane è una sorta di massa eterogenea

sulla quale i surrealisti stessi so­ no incapaci di porre un nome». A. Artaud, Nella notte fonda o il bluff surrealista (Paris 192"7), in M. Nadeau, Storia e antologia del surrealismo, Mondadori, Milano, 1972, p. 250. 4J Cfr. G. Dorfles, Il surrealismo e il kitsch, in AA.VV., Studi sul surrealismo, cit., p. 167.

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della seconda guerra mondiale» 46. È vero che Entracte, L’Etoi/e de mer, Un chien andalou obbediscono a movi­ menti originali e profondi e rifiutano di creare, secondo quanto riferisce Robert Desnos 47, l’opera d’arte, ma tra essi c’è una notevole differenza. Diventa allora necessa­ rio considerare da un lato il piano dell’arte, quello pro­ duttivo degli artisti, e dall’altro il piano delle dichiara­ zioni, dei manifesti e dei programmi di gruppo. Si tratta di due componenti tra loro collegate, ma in questo caso separarle mentre le osserviamo ci consente ai esamina­ re meglio la situazione. E poi c’è la presenza concreta dell’artista e del suo lavoro che ci restituisce una diver­ sa immagine di tutta questa esperienza. In una bella lettera di Man Ray ad Hans Richter leggiamo: «Tutte queste parole «dada», «surrealismo» saranno dimentica­ te. Tutto quello che verrà ricordato saranno i nostri nomi, il mio nome, il tuo nome: sono due cose ben differenti, anche se diamo l’impressione di parlare la stessa lingua» 48. Il cinema surrealista ed il gusto surrealista per il cinema modifica il corso del film d’artista, diventando premi­ nenti i concetti di disorientamento, sorpresa, aggressio­ ne, shock, legati al tema dell’inconscio. In Come in un bosco Breton considera il cinema come «il solo mistero assolutamente moderno», un invito al «proibito», un ponte che unisce il giorno alla notte. Gli argomenti di questo mistero sono il desiderio e l’amore; esso è caratterizzato dal potere di «spaesamento» e di «meraviglia»49. In questo senso il film surrealista si distanzia dal cinema astratto e da quello dadaista per l’emergenza di tali caratteri50. Il primo ed unico ad 46 H. Richter, Dada, arte e anti­ arte, Mazzotta, Milano, 1966, pp. 234, 235. Cfr. R. Desnos, Cinema d'avantgarde (1929) in Alain et Odette Virmaux, Les surrealiste^ et le cinema, cit., p. 149, 150. Questi concetti erano già stati anticipati in Le rive et le cinema (1923). Si veda G. Rondolino,

L’occhio tagliato, op. cit. 48 M. Ray, Lettera a voce a Hans Richter, «Filmcritica», 264-5, 1976, p. 177. 49 A. Breton, Come in un bosco (scritto nel 1952), in I. Margoni (a cura di) Breton e il surrealismo, Mondadori, Milano, 1976, p. 571, 576.

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elaborare estesamente un’idea cinematografica che cor­ risponda allo spirito surrealista è Antonin Artaud il quale, rifiutato il cinema, astratto o puro in quanto lontano, dalle esigenze essenziali del film, sostiene che alla base di tutte le emozioni, anche di quelle intellet­ tuali, si trova una sensazione affettiva di ordine nervo­ so che comporta il riconoscimento di una componente elementare contenuta sia in stati di natura reale sia in stati di natura onirica51. Il progetto di cinema che Ar­ taud costruisce su questa base prevede il divoramento della psicologia da parte delle azioni. Questa idea, pen­ sata in rapporto al soggetto del film La coquille et le clergyman, s’afferma come pelle delle cose, derma della realtà. Il cinema «esalta la materia e ce la fa apparire nella sua spiritualità profonda, nelle sue relazioni con lo spirito da cui essa discende» 52. Il cinema ricco di sogni ci restituisce «la sensazione fìsica della vita pura» e trova il suo trionfo nell’humor più eccessivo (qui Ar­ taud si riferisce ai film di Chaplin e Keaton); la realtà sembra «distruggersi da se stessa con un’ironia in cui si sentono gridare gli estremi dello spirito»53. Il cinema gioca con la materia creando situazioni che provengono dal «semplice urto di oggetti, forme, repul­ sioni, attrazioni. Non si separa dalla vita ma ritrova come la disposizione primitiva delle cose» 54. Appaiono così ormai definiti, in questi scritti di Artaud, i caratteri del film surrealista. Considerato un linguaggio allo stes­ so titolo della musica, della pittura e della poesia, il cinema è visto possedere una parte di imprevisto e mistero non condiviso dalle altre arti poiché l’isolamen­ to degli oggetti, il fatto che ogni dettaglio si stacchi dal 50 Contemporaneamente allo sviluppo del cinema surrealista appare (1930) la rivista costrut­ tivista e astrattista «Cercle et carré», risolutamente antisurrea­ lista, fondata e diretta da Michel Seuphor. Nello stesso periodo Theo van Doesburg e Laszlo Moholy-Nagy propongono una serie di ricerche e problemi teo-

rici per un diverso modello di film creativo. 51 Cfr. A. Artaud, Cinema e real­ tà (Paris, 1927), in A. Artaud, A propos du cinema, Liberoscambio, Firenze, 1981, pp. 19-20. 52 Ibidem, p. 21. 53 Ibidem, p. 22. 54 Ibidem, p. 21.

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senso ordinario degli avvenimenti, diventa lo specifico che permette di rivelare ciò che è occulto comunicando una specie di ebbrezza fisica. Artaud, con la sceneggia­ tura di L.a coquìlle et le clergyman, tentato di far rivivere la vita nascosta rendendola plausibile e reale come l’altra, di esprimere le cose del pensiero. La regia di Germaine Dulac distrusse queste potenti intenzioni creando soltanto giochi d’immagini, restituendo alla so­ cietà, attraverso una ricerca del tutto formale nello stile dell’avanguardia, i resti abbelliti di un grande disegno rivoluzionario. Divenuto «bello», privato dello «spirito», il film di Artaud non poteva più trasmettere il mistero. Anche se queste rovine oggi vengono considerate non a torto parti del surrealismo cinematografico, appare innegabile che le idee di Artaud, che avevano perfetta­ mente anticipato e aperto la strada a Un chien andalou e U'dge d'or, siano state poi per varie ragioni relegate al silenzio S5. Il proposito di Artaud di realizzare un film veramente «nuovo» ispirato alle tesi del surrealismo dove l’imprevisto, vale a dire l’aspetto poetico, venisse final­ mente mostrato non cadde nel vuoto. Sulle ceneri di Ua coquìlle et le clergyman sorse Un chien andalou. Qui ritrovia­ mo sviluppati tutti i temi precedentemente trattati da Artaud al di fuori di quello, impossibile da trasferire perché originalissimo, relativo all’espressione di una forza magica e profonda. Bela Balazs commenta così il film di Louis Bunuel e Salvador Dall: «Tutto ciò non ha alcun senso. Ma ha una sua significazione. Una signi­ ficazione che anch’essa non può capirsi ma solo sentire. (Un senso sarebbe già qualche cosa di costruito). La fuga dalla favola inventata, costruita, letteraria, anche 55 II fallimento artistico dei film procura una forte delusione ad Artaud che alcuni anni più tar­ di, contrariamente al tono entu­ siastico dei primi interventi (nel 1933), dirà: «La poesia dunque che può sprigionarsi da tutto questo non è che una poesia eventuale, la poesia di aò che potrebbe essere, e non è dal ci­

nema che bisogna attendersi la restituzione dei Miti dell’uomo e della vita di oggi». A. Artaud, ha vecchiaia precoce del cinema, in A. Artaud, A propos du cinema, cit., p. 59.

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qui porta alla semplice materia grezza. Alla materia grezza dell’anima: al subcosciente»’6. Abolito il virtuo­ sismo delle tecniche Un chien andalou presenta quella violenza delirante e ironica, quell’incocrenza nella nar­ razione, quello stato opaco e denso della realtà del so­ gno che la Dulac aveva soltanto sfiorato. La «materia grezza» viene mostrata con i moduli dell’inatteso e del­ lo shock e serve all’affermazione di un’ampia simbolo­ gia sessuale. Jean Mitry tuttavia ha considerato pre­ valentemente letterarie le immagini del primo film di Bunuel volendo con ciò indicare la tendenza, insita in tale opera, a tradurre i concetti in immagini e a non far scaturire le idee dalle immagini stesse . In realtà que­ sto processo deve piuttosto essere collegato al disprez­ zo per la tecnica e alla preminenza del contenuto come tale, al gusto per l’eccesso, alla brutalità del «realismo surrealista», al rifiuto della verosimiglianza, elementi in­ dipendenti i quali, come precisa Gianni Rondolino, portano, sia in Un chien andalou che in Llàge d’or, al coinvolgimento dello spettatore nei vari gradi della sua esperienza di vita: ideologica, morale, sociale, politica, fantastica, onirica ecc.56 58. Ed è soprattutto in L’dge d’or, 57 capolavoro del surrealismo, che l’irruenza dell’oltraggio e la forza della derisione si compie pienamente. Nello scritto Lldge d’or (secondo manifesto surrealista)59 si di­ chiara la trasgressione alle leggi, la rinuncia di sé da parte deH’artista e l’affermazione di tutte le tendenze nascoste nella necessità di portare alla luce il processo di decomposizione della classe borghese, l’irrealtà e l’in­ sufficienza della concezione dell’amore. Questo pro­ getto politico è strettamente legato al rifiuto del piano 56 B. Balazs, L’estetica del film, cit., p. 116. 57 Cfr. J. Mitry, Storia del cinema sperimentale (Paris, 1967), Maz­ zetta, Milano, 1971, p. 146. 58 Cfr. G. Rondolino, L’occhio tagliato, Martano, Torino, 1972, p. 32. *9 L’dge d'or (Secondo manife­ sto del Surrealismo) (1930), in

P. Waldberg, Surrealismo, Mazzotta, Milano, 1967, pp. 128-9.

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della Bellezza e del convenzionalismo anche se, come si è detto, esiste sempre il pericolo di ricadérvi attraverso il recupero del discorso Sull’Amore, il Meraviglioso, il Fantastico, il Sogno. Il magma onirico dei due film poi, oltre a riflettere una situazione poetica molto più am­ pia, nasce anche da un particolare gusto cinematografi­ co. Dopo aver ricordato che certi frammenti di film non furono che «il divertimento di una rara libertà», che altri furono solo oppressione e incredibile rincretinimento, e che altri ancora erano motivo di esaltazione, il manifesto così continua: «Cosa ricordiamo dunque se non la voce dell’arbitrarietà raccolta in alcune comme­ die di Mack Sennet, quella della sfida in Intervallo, quella dell’amore selvaggio in Ombre bianche, quella della spe­ ranza e della disperazione ambedue illimitate nei films di Chaplin? A parte ciò, niente al di fuori dell’irriducibi­ le richiamo alla rivoluzione della Corazzata Potemkin. Niente al di fuori di Chien andalou e dell’y4g£ d'or che si pongono al di là di tutto ciò che esiste» 60. La predile­ zione per il cinema «di consumo» ha connessioni diret­ te con la pratica del sogno e dell’immaginazione. Sco­ priamo infatti che, come osserva anche Rondolino, «il rapporto che si forma tra l’esplicita esposizione del de­ teriore e l’incursione nell’ignoto, porta ad affermare, in contrasto con il formalismo deD’avanguardia, i temi della banalità e dello sgradevole su di un piano contenutistico-disgregante in cui l’estrinsecazione fìsica di un’esperienza interiore tenta di impiegare i meccanismi della scrittura automatica»61. L’auto-isolamento, nel quale si sono confinati Un chien andalou e L'age d'or, ci porta a pensare che, diversamente dalle altre arti, il progetto surrealista qui si sia compiu­ to interamente. Ed insieme alla realizzazione integrale di questo progetto si è aperto, come inevitabile, auspi­ cabile conseguenza, il campo abissale dell’immaginario. 60 Ibidem, r>. 136. 61 G. Rondolino, Cinema e surrealismo, in AA.VV., Studi sul surrealismo, cit., pp. 383-4. Si ve­ da anche, dello stesso autore,

L’occhio tagliato, cit., la parte introduttiva.

Le forme dcD’cspcrimento e la funzione poetica dcH’immaginario

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La funzione poetica, rinunciando ai suoi privilegi, si diffonde nelle abitudini della vita quotidiana dove le figure vengono agite e distrutte nel medesimo tempo. E si confonde anche con un gusto ed una sensibilità nuo­ ve che hanno il senso della ironia e della falsa identifi­ cazione. Tale funzione viene assorbita in uno sparpa­ gliamento infinito. Essa torna, attraverso il film surrea­ lista (o sperimentale in genere), nella parola viva del­ l’invenzione (privata e collettiva). L’estremismo ha tro­ vato i suoi luoghi d’origine. Il cinema dei pittori e dei poeti ha liberato la fantasia creando nel film la medesi­ ma avventura che è nata nel bisogno tutto terreno della pittura e della poesia.

Il dibattito surrealista, il caso Dall e alcune questioni di retorica dell’immagine

Alla base del cinema surrealista troviamo gli stessi principi che muovono il gioco della poesia e della pittu­ ra: l’affrancamento surrealista dalle convenzioni, l’uso «aberrante» dell’oggetto, il richiamo alla crisi del simbo­ lico, le rovine delridea di Bellezza, il rapporto tra arte e vita. L’affrancamento dalle norme quale momento di avventura-trasgressione viene denominato da Ivos Margoni «defezione del sistema semantico», espressione con cui si indica, all’interno di un procedimento strut­ turale, la defezione del linguaggio poetico affinché si creino sur-significati coincidenti con sur-realtà L Uniti a questo «abbandono» troviamo poi due importanti fe­ nomeni già avvertiti dal critico italiano: l’effetto di flus­ so, di colata (verbale o visiva) ed il «fantastico quotidia­ no» che è da un lato invito surrealista allo stupore, alla sospensione del giudizio, alla duplice sperimentazione di sogno e realtà, dall’altro effetto polisemie©, surplus di significati 12. E ciò ha una tradizione letteraria. Marcel Raymond rileva come la poesia surrealista deri­ vi dall’uso sregolato e passionale di un’immagine quale risultato di «improprietà d’espressioni», incoerenza logi­ ca, incongruità e che tale immagine, procedendo da Baudelaire nella idea di una «corrispondenza universa­ le» passa attraverso Rimbaud, Mallarmé, Saint-Pol Roux, Maeterlink. Dietro questa concezione della poe­ sia che sorge da combinazioni stupefacenti e da nuove possibilità di sintesi, viene vista affacciarsi anche la poetica di Valéry per via della sostituibilità delle cose, 1 Cfr. I. Margoni, Breton e il sur­ realismo, Mondadori, Milano, 1976, p. 31. 1 Ibidem p. 36.

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dell’avvicinamento di forme qualsiasi3. Anche a propo­ sito del sogno il poeta francese aveva già espresso im­ portanti considerazioni. Egli aveva infatti affermato che il sogno è un miscuglio di vero e di falso, che un pensiero, nello stato onirico, non segue l’impressione, ma la sostituisce poiché qui pensare è cozzare contro qualcosa4. I surrealisti potenziano questi motivi con Fimpatto diretto, delirante e sradicante dell’inconscio. Anche Mario Verdone individua una matrice letteraria del surrealismo cinematografico5. I surrealisti rendono più efficienti aspetti tratti dall’immaginario letterario o pittorico ed il cinema surrealista non può non essere vicino alla loro stessa poesia, come ricorda lo stesso Man Ray in Autoritratto quando afferma che la poesia L.'étoile de tner era come la sceneggiatura di un film; ad ogni verso un’immagine chiara e aistinta di un uomo, una donna, un luogo6. Il loro esperimento7 cinematografico è coinvolto immediatamente in questa particolare atmo­ sfera disgregante. Un chien andalou e L'dge d'or esplora­ no ancora di più il campo della diserzione artistica, epistemologica, politica, anche riprendendo i temi del rifiuto della letteratura, della rivolta, dell’humour di­ chiarati in Tratte' du style (1928) di Aragon. Può in tal modo divenire sempre più chiaro che la ribellione sur­ realista di Un chien andalou e soprattutto di L'age d'or si ergeva anche in contrasto con la contemporanea solu­ zione cristiana proposta da Jacques Maritain. 3 Cfr. M. Raymond, Da Baude­ laire al surrealismo, (Paris, 1947), Einaudi, Torino, 1948 3a, pp. 280-283. 4 Cfr. P. Valéry, Studi e frammen­ ti sul sogno, in Varietà, Rizzoli, Milano, 1971, pp. 345, 346, 348. 5 Cfr. M. Verdone, Ee avanguar­ die storiche del cinema, SEI, Tori­ no, 1977 (pp. 40-42). 6 Cfr. M. Ray, Autoritratto, (1963), Mazzetta, Milano, 1981, pp. 224-225. ' Ricordiamo che Man Ray di­

sapprovava il termine «speri­ mentale» e preferiva chiamare questi film individuali o indipen­ denti poiché egli diceva che, una volta prodotto, il film do­ veva considerarsi una realizza­ zione definitiva. Si veda Man Ray Risposta al questionario del^International Experimental Film (1958) in Tutti gli scritti, (a cura di Janus), Feltrinelli, Milano, 1981.

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Dal punto di vista delle tecniche surrealiste si può inol­ tre dire che il fortuito, i processi illogici ed i sistemi decostruttivi del senso vengono in parte sostenuti da stati mentali patologici come Tecolalia (Quanti anni hai? hai?) o come il sintomo di Gesner o delle risposte sfasate (Come ti chiami? Quaranticinque cose) 8. Nel procedimento cinematografico surrealista ricompaiono puntualmente questi elementi ai quali va associato il montaggio così come Adorno l’ha individuato nel discor­ so pittorico e letterario del surrealismo 9. Ed è possibile che sia proprio il montaggio e l’accostamento di mate­ riali visivi diversi 10 a favorire, anche nei film surreali­ sti, elementi di tattilità11. Il montaggio attraversa tecni­ che e campi espressivi diversi. Insieme al frammento e al riciclaggio estetico dei «resti» esso appare come uno degli aspetti più importante nelle arti del ’900. Per ciò che concerne l’oggetto Gabellone ha sottolinea­ to, facendo riferimento all’analisi di Baudrillard, come il suo valore d’uso sia un segno aggiunto che non è nella * Si veda il Manifesto Surreali­ sta del ’24 in Patrick Waldberg Surrealismo, cit. p. 84. 9 Cfr. T. W. Adorno, Riickblickend auf den surrealismus (1956) in T. W. Adorno Noten zur Uteratur I, Suhrkamp Verlag, Frank­ furt am Main, 1968, pp. 155-162. Qui Adorno analizza il significato e la portata del pro­ cedimento artistico del montag­ gio rispetto alla dialettica della libertà soggettiva e alla estranei­ tà del mondo, al mondo tecni­ cizzato e alla coscienza della ne­ gazione. Sull’importanza del montaggio nelle arti del 900 si veda anche Mario Verdone Ci­ nema e letteratura delfuturismo, ed. Bianco e Nero, Roma, 1968, pp. 39-41 e passim. 10 Interessante poi è il rapporto tra le possibilità ludiche dell’in­ fanzia ed il loro complesso re­ cupero all’interno del surreali­

smo. Riferibile a ciò e al tema libero del montaggio troviamo poi l’idea del poema ottenuto con (’«assemblage» gratuito di titoli e frammenti scelti da gior­ nali. Su questi temi si tenga pre­ sente anche lo scritto di Ador­ no citato nella nota precedente. 11 Sulla tattilità in rapporto allo shock delle immagini cinemato­ grafiche c dei processi delle avanguardie artistiche si veda W. Benjamin L’arte nell'epoca del­ la sua riproducibilità tecnica, cit. pp. 43-44^ Per la tattilità dell’immagine (Max Ernst in particola­ re) si veda G. C. Argan 11 subli­ me subliminale di Max Ernst, in AA.VV. Studi sul surrealismo, cit. 1977.

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natura, prima dell’oggetto. L’oggetto viene introdotto nella circolazione della «prodigalità ostensoria» del con­ sumo di prestigio. L’operazione surrealista dell’oggetto può essere letta, per Gabellone, come una rivolta con­ tro la funzionalità degli oggetti. I surrealisti cercano, per il critico italiano, di sorprendere la illusione funzio­ nale allo scopo di creare, nei nuovi spazi, altre catene di investimenti degli oggetti. Si attuerebbe così una strate­ gia neutralizzante o perturbante, un sistema di «riflessi» di cui il consumatore è pur sempre prigioniero; si rag­ giungerebbe una invenzione liberata dalle limitazioni del progetto e dalle determinazioni del prestigio,2. Analizzando la merce, l’oggetto, il simulacro, ricordia­ mo come Baudrillard, in L.a società dei consumi^ affermi appunto che la distruzione, sia sotto la forma violenta e simbolica (happening, potlach, actiong out) sia sotto la forma di sistematica ed istituzionale distruttività, diven­ ti una delle funzioni preponderanti della società postin­ dustriale. Molto utili, ai nostri scopi di ricerca, appaio­ no le pagine sul tirlipot, il gadget, il ludico, la pop art, il kitsch, il medium come messaggio, la fine della tra­ scendenza. In particolare è l’idea di kitsch e della sua logica della destinazione ad interessare la nostra analisi. Creare la valenza debole e derivata vuol dire infatti otte­ nere una illimitata moltiplicazione. Il kitsch oppone alla estetica della bellezza e della originalità un’estetica della simulazione 12 13 che possiamo appunto vedere alla base 12 Cfr. L. Gabellone, Uoggetto surrealista, Einaudi, Torino, 1977, pp. 117 e 118. È al Bau­ drillard di Per una critica dell’eco­ nomia politica che fa esplicito ri­ ferimento Gabellone. Ma questo richiamo al discorso sul simula­ cro e sugli effetti delle relazioni simboliche può riguardare an­ che altri scritti del filosofo fran­ cese come li sistema degli oggetti (1968), Della seduzione (1979), Lm società dei consumi (1970), Lo scambio simbolico e la morte ( 1976); di quest’ultimo in particolare i

paragrafi sul tattile e il digitale e sull’iperrealismo della simulazio­ ne. 15 Cfr. J. Baudrillard, Ltf società dei consumi (Paris, 1970), Il Mu­ lino, Bologna, 1976.

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delle poetiche surrealiste. Accanto al problema degli oggetti e strettamente con­ nesso all’operazione decontestualizzante vi è quello del­ la nominazione e della non unicità del significato. Se prendiamo, come punti di riferimento, i calligrammi di Magritte, ma soprattutto il suo rapporto tra le parole e le immagini in Les mots et les images (1929) o i preleva­ menti degli oggetti (come «nominazione pura») in Duchamp, ci accorgiamo che qui si gioca sul primo, più elementare stadio della costruzione dei messaggi. Pos­ siamo avere in mente, per esempio, i libri per appren­ dere una lingua straniera, i libri per l’infanzia e i giochi enigmistici. Bisogna a questo punto ricordare la tesi di Garroni sulla non unicità della nozione di significato e l’affermazione che esistono esempi di messaggio in cui l’immagine figurativa è sostituibile da segni convenzio­ nali di tipo verbale l4. Tuttavia si può anche osservare, attraverso i lavori «sperimentali» degli artisti citati, che nell’arte si assiste ad uno scollamento tra denominazio­ ne verbale e riconoscimento visivo e che tale separazio­ ne può essere fatta interagire in vari modi. Per esempio il cinema può usare esteticamente una sequenza di im­ magini, un rinvio apparentemente piatto al significato delle cose mostrate. Penso per esempio al film Un homme qui dort di Georges Perec dove l’immagine, in certi punti, vuole riferire esclusivamente il significato ele­ mentare più generale degli oggetti (come in un libro di lingua per principianti). Quelle immagini vengono sì rinviate a sé stesse, ma al loro primo significato «tota­ lizzante». Assistiamo ad un rovesciamento per cui non possiamo che apprendere quell’oggetto (la sua funzione ed il suo significato) in base ad un eccesso di referenzialismo. Quelle cose diventano le cose stesse. Questi aspetti li troviamo in Ballet mécanique ed Entr'acte ma l’uso della realtà si trasferisce, con le dovute modifica­ 14 Cfr. E. Garroni, Semiotica ed estetica, cit. pp. 115-118.

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zioni, anche nei film surrealisti15. Sul procedimento si è soffermato anche Filiberto Menna secondo il quale Ma­ gritte accetta inizialmente la convenzione illusionistica del quadro finestra per poi trasformare l’immagine in una «metafora ossessiva». Magritte viene visto sotto­ porre tutte le conseguenze ad una critica corrosiva con­ dotta all’interno dello stesso codice iconico; da una par­ te nei confronti del segno iconico stesso, staccato dal contesto narrativo e dalla presunta corrispondenza tra segno e cosa (L’usage de la parole, I, 1928/29, La clef des songes, 1936); dall’altra, nei confronti delle catene sintag­ matiche degli enunciati iconici, ossia nei confronti della complessità globale della rappresentazione e della nar­ razione pittorica (La condition humaine, I, 1923). Ciò che conta, per Magritte, c il procedimento intellettuale, il quadro enigma, rebus, test e lo scollamento immagineparola, afferma Menna, è essenziale al tipo di interven­ to. L’esempio di Magritte è molto calzante poiché mette in luce un procedimento sull’immagine reale che ri­ guarda anche l’appropriazione della realtà da parte del cinema surrealista 16. Il surrealismo vive tra le rovine della Bellezza ma que­ sta cura archeologica, unendosi allo spirito del banale, 15 Nella riconciliazione di ele­ menti soggettivi e oggettivi il surrealismo porta la rappresen­ tazione mentale ad una precisio­ ne sempre più oggettiva. Ciò che prevale, nel surrealismo pit­ torico, è una concezione mentalistica in cui la rappresentazione oggettiva deve o può essere fo­ tograficamente adeguata alla rappresentazione interna all’im­ magine e al modello interiore. Molto spesso i suoi procedi­ menti tecnici ricalcano volutamente quelli del naturalismo più aderente alla realtà (Magritte, Dall), ma per avere effetti del tutto antinaturalistici (Si veda Ivos Margoni op. cit. pp. 69-70). Nel cinema surrealista abbiamo

gli stessi procedimenti; non si usano immagini astratte o di­ storte ad arte, ma immagini og­ gettive la cui concatenazione è sconvolgente. Con la differenza che in pittura ciò è legato ad una sola immagine in un solo spazio; nel cinema invece le im­ magini e gli spazi sono molti. 16 Cfr. F. Menna, Ltf trahison des images, in AA.VV. Studi sul sur­ realismo, cit. Si veda anche l’im­ portante analisi di Michel Fou­ cault in Questa non è una pipa (Paris, 1973) Serra e Riva, Mila­ no, 1980.

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scopre un’altra forma di «bellezza». 11 Meraviglioso può essere una maschera, un abile travestimento 1 Per Fer­ dinand Alquié, che recupera positivamente la defezione surrealista, i percorsi immaginari del surrealismo non debbono essere considerati come fuga verso il nulla o l’ignoto, ma come nuovi modi di comprendere le stesse ragioni della coscienza. La derealizzazione e la erotizzazione sono il gesto di riconquista di una ragione nel mondo: un gesto d’amore per il mondo perduto, estra­ neo, separato dalla nostra volontà di esistere ,8. Riflet­ tendo sull’amore e sulla bellezza 19 (con particolare riferi­ 17 M. Perniola, L'alienazione ar­ tistica, Mursia, Milano 1971, pp. 242-243. Mario Perniola dichia­ ra che, contrariamente alle in­ tenzioni di Breton, l’oggetto surrealista non è una meravi­ gliosa eliminazione della realtà alienata, ma una prosecuzione dell’attività artistica. L’esitazione circa la critica radicale c «l’ab­ bandono dell’arte» porta il sur­ realismo alla condizione di una poetica modernista. L’oggetto surrealista conserva lo statuto di opera d’arte. 18 Cfr. F. Alquié, Filosofìa del surrealismo, (Paris, 1955), Rumma, Salerno, 1970, pag. 17. 19 Per un più ampio sviluppo del rapporto tra tematica ses­ suale e surrealismo si veda X. Gautier Surrealismo e sessualità, cit. Qui vengono messi in luce gli aspetti della sessualità nel suo valore trasgressivo in rap­ porto ai temi della perversione e dell’anomalia. L’eros diventa una forza distruttiva che mette in campo una rivoluzione del corpo con cui deturpare ed esorcizzare l’ideale di Bellezza. Esibizionismo, sadomasochi­ smo, necrofilia, feticismo, coprofilia, omosessualità, onani­ smo si mescolano alla celebra­

zione dei miti della donna e del­ l’androgino. Emerge così, nelle opere surrealiste, un rituale allo stesso tempo sacro e profano, devastatore, sudicio e meravi­ glioso. Con questi legami e fu­ sioni viene messa a punto una tecnica di trasferimento delle funzioni che fa corrispondere il momento sessuale a quello operativo-stilistico. Emerge così un Carticolare processo individua­ le nell’uso del ready made, nella deviazione funzionale de­ gli oggetti. Gli oggetti, le figure, le immagini, uniscono tra loro, in bizzarri insiemi, elementi estranei creando così sorpren­ denti magie. Il particolare rilie­ vo dato alla figura femminile è stato, per esempio, collegato al mondo della rappresentazione della natura; qui rintracciamo componenti di costruzione e composizione vicini all’Arcimboldi in Une femme à la cheveleure di André Breton. Si veda, a que­ sto proposito, la parte finale del nostro terzo capitolo dedicata ad alcune questioni di retorica. Non si trascuri poi R. Benayoum, Erotique du Surrealismo Pauvert, Paris, 1965.

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mento al Secondo Manifesto) nel loro collegamento con il causale, il rivelatori©, il sorprendente, Alquié considera vicine l’emozione estetica e quella amorosa. E l’incontro occasionale, precisa il filosofo francese, è valido nel senso che «l’illuminazione succede alla crea­ zione» 20. In tal modo la condanna surrealista della con­ cezione «estetica» della bellezza come contemplazione non è che un proposito di rifondazione della bellezza stessa in base ad una sensibilità seconda. Inoltre, precisa ancora Alquié, come l’attrazione per la follia e il delirio non fa soccombere la ragione, così l’interesse per lo spiritismo e la magia non ha mai sconvolto l’equilibrio dj base del surrealismo. «La beauté surréaliste - afferma Alquié - est done saisi au sein d’une expérience quasi métaphisique. Elle est liée à l’interrogation à l’attente, mais à une interrogation qui ne saurait recevoir. Le réponse, à une attente qui ne saurait étre complète. Elle est un message qui, à la lettre, ne peut étre tout à fait déchiffré. Elle contient tous les espoirs des hommes, promet la réconciliation du subjectif et de l’objectif, du promet la réconciliation du subjectif et du objectif, du réel et de 1’imaginaire.Cependant, elle demeure une sim­ ple promesse. En ce sens, la beauté a le dernier mot. Elle suffit à troubler le monde objectif et ne parvient pas à lui substituer un autre monde. Elle reste au ni­ veau de Fhomme. Ce qu’elle nous libre n’est pas le surnaturel, mais la surréalité» 21. Di conseguenza anche l’adorazione viene vista instaurare, diversamente dall’al di là religioso, un al di là surrealista immanente, immer­ so negli esseri stessi, la cui percezione ci dà il senso della «presenza»22. Sul problema della «crisi di coscienza» aperta dal surrealismo e sull’irruenza di atti violenti e gratuiti Alquié dice che questi aspetti ci portano all’ac­ crescimento del senso dell’esistenza con il solo turba­ mento dell’emozione che nasce in noi. Aliquié cita la 20 F. Alquié, Filosofìa del surreali­ smo, cit. pp. 125-126. 21 F. Alquié, Le surréalisme et la beauté, in AA.VV. Surrealismo e simbolismo, Cedam, Padova,

1965, p. 17. 22 F. Alquié, Filosofia del surreali­ smo, cit, p. 111.

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scena de L,’àge d’or in cui il protagonista butta a terra un cieco con un violento calcio e interpreta questa immagine oltre l’effetto di immediato sconvolgimento e disorientamento. L’assunzione dell’aspetto sadico viene dal filosofo francese riportato al proposito di rivolta totale, contro la vita, contro le contraddizioni stesse dell’esistenza, contro la falsa pietà e contro tutto ciò che reprime il desiderio e l’amore 23. Esiste poi il simbolismo nel movimento surrealista? D simbolismo è qui eretico sia verso la psicoanalisi di cui accetta e allo stesso tempo spezza le sicurezze scientifi­ che, sia verso la cultura esoterica alla quale dichiara di ispirarsi. Su quest’ultimo punto ricordiamo che il sapere ermetico viene inteso e prodigato sul piano delle pratiche artìstiche, ma il surrealismo non farebbe mai dichiarazioni di fede in questo senso; da qui la necessità del gioco di nascondimento nel banale, nel kitsch o nel primitivo sensoriale e la lotta per la disobbedienza. Queste osservazioni non sono state prese in esame da Elémire Zolla che nega valore a tutte le avanguardie e ad ogni sperimentalismo. Sul rapporto che alcuni artisti e movimenti sembrano intrattenere con l’esoterismo lo studioso italiano dice che esiste soltanto cattiva simula­ zione. Anche la relazione tra estasi ed alea, che è pur fondamento di vari procedimenti artistici sperimentali, viene respinta come cosa di nessun valore. Identico giudizio negativo viene dichiarato per il tentativo degli artisti moderni di avvicinarsi alla Cabbaia; la combina­ zione surrealista delle lettere è arbitraria poiché il testo sacro cui si applicano i metodi di trasmutazione e alte­ razione offre risultati che concordano con la tradizione 2Ì Ibidem, p. 79. 24 Cfr. E. Zolla, Il surrealismo e la liquidazione della simbologia, in AA.VV. Surrealismo e simbolismo, cit, pp. 19-42. Diversamente da Zolla Patrick Waldberg afferma che la ricerca surrealista ha con la ricerca alchimista una note­ vole analogia di intenti: la pietra filosofale viene intesa qui come

mezzo che permette alla imma­ ginazione umana di prendere una rivincita su tutto. Si veda P. Waldberg Surrealismo, cit. p. 114.

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esegetica esoterica. L’esito surrealista ed in genere quello delle avanguardie sono, per Zolla, soltanto «ac­ cozzo di rottami», «ebetudine più o meno euforica, truf­ fa calcolata»24. In realtà il simbolismo viene utilizzato dai surrealisti all’interno di una traccia esclusiva e na­ sconde la sua evidenza nel progetto di una più stretta unione tra arte e vita. Il film surrealista, ed anche quello semplicemente ispi­ rato all’immaginario surrealista 25, risente e muove ver­ so aspetti di aperta e diffusa esteticità dell’esistenza, sia dal punto di vista della creazione artistica che da quello della fruizione. Rimane ancora incerto giudicare se si è compiuta, come auspicava Benjamin, l’effettiva adozio­ ne surrealista dell’«illuminazione profana», della rottura interna alla sfera della poesia, dell’ebbrezza per la rivo­ luzione 26 oppure se, come affermano Fortini e Binni, tutte le ipotesi surrealiste di liberazione sono divenute, attraverso i movimenti giovanili e la controcultura, pra­ tica di massa e offerta di schemi culturali per l’ultima società moderna 27. E chiaro comunque che i com porta­ menti mentali e linguistici del Surrealismo penetrano nelle generalità dei nostri contemporanei, soprattutto attraverso la pubblicità e la televisione, la videomusic, 25 Per una nozione più ampia di surrealismo cinematografico si rimanda a P. Hammond (a cura di) The Shadows and its Sha­ dows, British Film Institute, London, 1978; M. Gould (a cu­ ra di) Surrealism and the Cinema, The Tantivy Press, London, 1976; A. Kirou, Le Surrealismo au Cinema, Le Terrain Vague, Paris, 1963. L’ampia concezione del surrealismo cinematografico data da Kirou corrisponde allo spirito del surrealismo. Si consi­ derino le dichiazioni di Man Ray il quale, in consonanza con Ado Kirou, vedeva il surreali­ smo un po’ ovunque. Anche il film più banale può avere dieci minuti interessanti, egli diceva,

ed è proprio quella parte insoli­ ta, al di fuori del rapporto con la vita o con il percorso narrati­ vo, ad interessarlo (M. Ray, Tutti ifilm che ho realiz&sto, Paris, 1965, in Tutti gli scritti, cit. e sempre del medesimo autore Autoritratto, cit. 26 W. Benjamin, Il surrealismo, (1929) in Avanguardia e Rivolu­ zione, Einaudi, Torino, 1973, pp. 23. 25-26. 27 Si veda F. Fortini, L. Binni, Il movimento surrealista, Garzanti, Milano, 1959 (ried. 1977) pp. 56-78.

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l’introduzione totalizzante dello spettacolo. Ed il peso di questa constatazione è ancor più evidente se riflettia­ mo sulla morte della nozione di avanguardia anche per un eccesso di indeterminatezza di tale termine, fermo restando il suo esempio storico28. Non si può non osservare che l’elettrica, sinestetica presenza dell’arte at­ tuale s’inserisce nel flusso di un’esteticità diffusa ed indifferenziata che rappresenta il segno della cultura elettronica, promuovendo quei principi che erano alla base degli sperimentalismi storici, indipendentemente dai giudizi positivi o negativi che possiamo attribuire al fenomeno. Renato Barilli sostiene che l’estensione della «estetica libidica» di Marcuse ed il riscatto ludico-erotico, visti come «estasi materialistica normalizzata», ca­ pillarmente estesa e alla portata di tutti, non solo agli ambienti di avanguardia e di élite, sono processi basilari della civiltà elettronica. In queste manifestazioni si eser­ cita la pienezza dei sensi; Proust, Joyce, Kafka, ecc. non sono più «rari nantes», ma modelli canonici di compor­ tamento ripetibili su vasta scala. Aspetti epifanici, pro­ fondi, valori del comico, del sogno, dell’immaginario, sono effetti psichici democratici, tolti alla cupa atmosfe­ ra di eventi eccezionali 29.

Il lavoro cinematografico di Dal) è prezioso quanto singolare. L’artista spagnolo, oltre a rendere plastica la funzione, ha infatti favorito, con soggetti, progetti, dise­ gni, la creazione di una nuova e complessa immagine del cinema, da lui usato sia come rivoluzionario stru­ mento tecnico che come terreno di un’insinuante e «brutale» espansione della ricchezza immaginativa nata 28 Sulla nozione di avanguardia si rinvia alla nota 20) del nostro 1 capitolo. 29 Cfr. R. Barilli, Tra bresenzp e assenza, cit. e Fenomeno/qgia e culturologia degli stili, cit. I rapporti con la sottocultura ed i movi­ menti giovanili vengono parti­ colarmente indagati in D. Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno

stile innaturale, (1979), ed. Costa & Nolan, Genova 1983. Si ten­ ga presente che sin dai primi anni sessanta, la linea di una nuova sensibilità, costruita sulla pratica di motivi artistici d’avanguardia (surrealisti), era stata affrontata da Susan Sontag (Contro finterpretazione).

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nella pittura. Il cinema si apre all’irrazionale, all’incon­ scio, all’immaginazione priva di legami, senza offrire spiegazioni plausibili, senza costruire un percorso nar­ rativo che garantisca, come nel film espressionista, di un’arbitrarietà, di una licenza che si può ritenere assur­ da e bizzarra. Il cinema, con Dall, scopre un universo ed è un universo in espansione che invade gli orizzonti ed attraversa le arti poiché ovunque domina una fanta­ smagorica strategia paranoico-critica, ricollegandosi alle possibilità dinamiche del nuovo mezzo e attratto diret­ tamente e indirettamente dall’ebbrezza della sperimen­ tazione che aveva preso, già prima di lui, molti altri artisti. Dall vede nel cinema, sin dal 1927, anno del suo articolo sulla fotografia e di quello sul film antiartistico, una forte zona magnetica dove possono «prodigiosa­ mente» confluire elementi antiletterari, antiteatrali, anti­ artistici insieme a componenti fortemente immaginative dettate dal montaggio dissociativo e dall’irruzione tor­ mentata del frammento. Le possibilità caotiche e disgre­ gative che il linguaggio cinematografico, opportuna­ mente potenziato e determinato, avrebbe offerto, la for­ za di potenti e sconvolgenti fatti ideativi e la diffusa sensazione di una oggettività «rassicurante» delle cose mostrate, venivano individuate come principali mo­ menti di una speciale attenzione. L’analisi della sua opera nel campo cinematografico comporta alla critica vari problemi soprattutto perché, se da. un lato egli non è mai stato effettivamente un regista (nel senso che non si è occupato, se non parzial­ mente, dell’aspetto tecnico-realizzativo delle riprese), dall’altro la sua attiva partecipazione alla stesura di sog­ getti, alla ideazione di progetti, alla preparazione di di­ segni, etc., ha valorizzato e reso immediatamente evi­ dente, riconoscibile il suo apporto. Si può dire che la presenza di Dall lasci segni incancellabili. Ed è proprio nel significato pregnante della immagine di Dall e nella efficace traduzione delle sue idee che si intende risolvere tale difficile posizione. A sostegno di questa tesi, che in un certo senso giudica qui la forza immagi­ nativa delle idee superiore alla loro realizzazione (nella

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compiuta concretezza tecnica del film), si può ricordare che sia Dall che Bunuel, quando idearono Un chien an­ dalou, non erano interessati ai modi di ripresa (il loro antitecnicismo come il loro disinteresse o disprezzo per l’avanguardia cinematografica sono noti). Essi cercava­ no soprattutto di travolgere, sfondare il piano tecnico, seppur necessario ed inevitabile, con una sorprendente, prorompente situazione visiva che potesse accostare, aderire, unire direttamente gli eventi irrazionali, incon­ sci, di ciò che veniva mostrato, ad effetti direttamente e potentemente percettivi- Ecco allora che proprio par­ tendo da queste considerazioni possiamo capire quanto particolari e ricchissimi siano i contributi di Dall30. Tali considerazioni allora, insieme ad altri motivi debi­ tamente calcolati ed adeguati ai fatti, ci guidano anche attraverso le possibili analisi del periodo successivo. Dall ha ideato nel 1929 il suo primo film, Un chien andalou, insieme a Luis Bunuel ea ha pure collaborato attivamente ad una buona parte delle riprese. Come ha rilevato Ado Kirou, la partecipazione di Dall a Questo film è stata immensa e la si distingue da quella di Bunuel (favorevole già allora ad una immagine shock rivendicatrice, ad un atto artistico rivoluzionario), so­ prattutto per l’apporto eclatante dell’immagine e per una composizione bien agencée 31. Bunuel riconosce che Lfo chien andalou è frutto di una piena collaborazione tra lui e Dall32 in una settimana di J0 In vari punti degli scritti di Dall si trovano giudizi negativi e provocatori nei confronti del «film d’avanguardia». Come esempio citiamo questo brano tratto da uno scritto del *29: «speriamo che i primi tentativi irrazionali, privi ai senso esteti­ co. .. ci offrano il documento del­ la lunga vita dei peli di un orec­ chio o il documentario di una pietra o quello della vita di una corrente d’aria al “rallentatore”. S. Dall, Rassegna delle tendenza an­ tiartistiche (Sitgès, 1929) in Sì,

Rizzoli 1980, p. 124. 31 Cfr. A. Kirou, Le surréalisme au cinema, cit. pp. 208-209. 32 Cfr. L. Buffucl, Dei miei sospiri estremi, (Paris, 1982), Rizzoli, Milano, 1983, pp. 101-102.

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identificazione totale dove non vi fu la minima contesta­ zione. Egli ricorda che il film nacque dall’incontro di due sogni e fu determinato dalla volontà di aprire le porte all’irrazionale cercando di cogliere soltanto le im­ magini che li colpivano senza cercare di capirne il moti­ vo 33. La cultura di entrambi era quella che si era venu­ ta formando dall’incontro dell’opera simbolica e meta­ forica degli andalusisti e della generazione del ’27 con motivi del movimento surrealista parigino (anche se soltanto dopo le riprese di Un chien andalou essi comin­ ciarono a frequentare il gruppo surrealista). Buhuel c Dall si sentivano surrealisti prima di esserlo effettivamente, Buhuel ci informa die «il surrealismo fu innanzitutto una specie di appello raccolto qua e là (...) da gente che già praticava una forma di espressione istintiva e irrazionale ancor prima di conoscersi (...). Anche Dall ed io, quando lavoravamo a Un chien andalou^ si praticava una specie di scrittura automatica, eravamo dei surrealisti senza etichetta»34. E l’artista spagnolo scrive, già nel ’28, sulle nozioni di realtà e surrealtà citando autori del movi­ mento surrealista 35. Ma, come si è detto, essi trasmette­ vano anche elementi personali o aspetti elaborati dal­ l’avanguardia spagnola. Dall possedeva già una ricca cultura pittorica cresciuta nello studio e nell’interesse per vari artisti tra cui spiccavano Bosch, Bruegel, Ver­ meer, aveva steso nel 1928 il Manifesto Antiartistico Groc e pubblicato scritti di stampo surreale che, esami­ nati oggi, ci restituiscono alcuni caratteri salienti del suo patrimonio immaginativo e della sua pratica artisti­ ca 36; aveva soprattutto cominciato ad elaborare i prin­ cipi della paranoia critica. Tutte queste componenti37 le 33 Ibidem. 34 Ibidem, p. 103. 35 Si veda Realtà e surrealtà (Madrid, 1928) in S. Dall, Sì, cit., pp. 108-114. 36 Si pensi a Poesia (1927), Pesce inseguito da un grappolo d’uva (1928), Ho rinnegato forse# (di­ cembre 1928). 37 Ci viene in mente una osser­

vazione di Juan Ramon Jimenez che ci sembra pertinente: «E1 sobrerrealismo? Un romantici­ smo. Un antiquismo, un medie­ valismo, un renacentismo, un neoclasicismo, un parnasialismo, un naturalismo, un simbo­ lismo, todo abreviado cn barro3uismo, v con qualquier tècnica! e lo suhconciente». J. R. Jime-

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troviamo insieme sviluppate in Un chien andalou dove, se ci applichiamo a ritrovare una iconologia di Dall, rin­ tracciamo per esempio il trucco degli asini putrescen­ ti 38, che ci riporta a quadri come II miele è più dolce del sangue (1926), Apparecchi a mano (1927), Senicitas (1928), oppure la raffigurazione e l’impiegp di oggetti strani come quelli indossati dal ciclista. Felice Troiano ha poi rilevato che in I piaceri illuminati troviamo raffigurati distinti signori in bicicletta che portano sul capo strani oggetti bianchi e che tali oggetti furono poi identificati da Dall come le mandorle zuccherate della Playa Confitera che stuzzicano l'organismo 39. Un altro riferimento va dalla mano piena di formiche del film al foruncolo pieno di formiche de II grande masturbato™. Inoltre la mano moz­ za e l’occhio tagliato, immagini molto sconvolgenti, rientrano nell’amore per un reliquiario privo di san­ tità, depravato, su cui pesa un forte piacere sacrile­ go. Quanto poi l’apporto personale di Bunuel abbia contribuito alla creazione di Un chien andalou ce lo mo­ stra la sua intera attività «registica». Volendo individuare le componenti che sono alla base della poetica buhueliana dobbiamo naturalmente mettere a fuoco la sua formazione artistica nella seconda metà degli anni ven­ ti. Ecco allora che la personalità di Bunuel appare com­ posta dalla ricca mescolanza deH’ultraismo e dell’avan­ guardia spagnola, che si poneva la distruzione della sintassi e la messa in campo di una nuova forma meta­ nez, Esteticay etica estetica, Agui­ lar, Madrid 1967, p. 94. J8 «Fu meraviglioso girare l’epi­ sodio degli asini marciti sui pia­ noforti. lo «truccai» la putrefa­ zione degli asini adoperando grandi barattoli di colla, prodigalmente sparsa su di loro. Poi allargai le loro orbite tagliando­ le con le forbici; spaccai furiosa­ mente anche le loro bocche per­ ché i denti spiccassero meglio e finalmente aggiunsi ad ogni asi­ no un certo numero di mascelle supplementari perché sembras­

sero vomitar fuori ancora me­ glio la loro morte, accompa­ gnandola a quelle altre dentatu­ re abbaglianti, i tasti bianchi dei pianoforti neri. L’effetto com­ plessivo era più lugubre di cin­ quanta bare accumulate le une sulle altre». S. Dall, Ea mia vita segreta, (1942), Longanesi, Mila­ no 1982, p. 196. J9 Cfr. F. Troiano, Surrealismo e psicoanalisi nelle prime opere di Bu­ nuel. Università di Parma, Par­ ma 1984, p. 104-144.

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forica, con l’esperienza di aiuto regista (1928-29), criti­ co cinematografico ( 1927-28), scrittore (tra il 24 e il 27 scrive alcuni racconti dove si possono già rintracciare i temi della dissociazione, della cura per certi segni-sim­ boli, del non senso dei sogni, della passione per l’ento­ mologia). 11 film, come pure il successivo L'age d'or., è un’ironia del bello stile, un attacco alla recitazione sentimentale enfatica dell’epoca, al melodramma in voga. Dall, che aveva promosso il film antiartistico 40, nel dicembre del ’27, così descrive Un chien andatoie, «il nostro film, realiz­ zato al di fuori di qualsiasi intenzione estetica, non ha niente a che vedere con i vari tentativi di quello che viene chiamato il “cinema puro”. Al contrario, la sola cosa importante del film è ciò che in esso accade. Si tratta di una semplice registrazione, constatazione di fatti. La differenza abissale rispetto agli altri film è che tali film sono fatti reali, fatti irrazionali, incoerenti, sen­ za alcuna spiegazione»41. Le associazioni deliranti, l’idea ossessiva, lo stato confu­ sionale, elementi attivi della paranoia critica di Dall, rafforzano le strategie surrealiste dell’incoerente, dello shock, del rivelativo che sono alla base della nuova crisi 40 Sul gusto cinematografico di Dall è importante far notare che egli chiama precursori deirirrazionale Mac Sennet, Henry Langdon e Buster Keaton. Per quanto riguarda l’aspetto comu­ nicativo in La testimonianza foto­ grafica (febbraio 1929) Dall scri­ ve che la fotografìa è fredda, antiartistica, insieme di fram­ menti che approdano ad una to­ talizzazione cognitiva dramma­ tica. Essa inoltre gli appare co­ me il veicolo più sicuro della poesia. Qui, oltre a comprende­ re l’importanza della testimo­ nianza fotografica, dall’opera scientifica al campo del roman­ zo (Nadja di Breton), l’artista spagnolo espone l’idea di spoglie

culturali, un punto di riferimen­ to per un ampio ambito artisti­ co modernista. 41 S. Dall, Un chien andalou (Bar­ cellona, 1929) in 57, cit. p. 161. Circa due anni prima aveva scritto: «il film antiartistico... ri­ fuggendo da qualsiasi concetto di grandioso e di sublime, ci mostra non l’emozione illustra­ tiva dei deliri artistici, ma l’emozione poetica interamente nuova di tutti i fatti più umili e istantanei, impossibili da imma­ ginare e da prevedere prima del cinema». S. Dall, Film-arte, film antiartistico (Madrid, 1927) in Si, cit. p. 70.

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della coscienza. L’attività paranoico-critica è un «metodo spontaneo di conoscenza irrazionale fondato sull’asso­ ciazione interpretativo-critica dei fenomeni deliranti. La presenza di elementi attivi e sistematici non implica l’idea di un pensiero diretto volontariamente, né di qualsiasi compromesso intellettuale, perché, come sap­ piamo, nella paranoia, la struttura attiva e sistematica è consustanziale al fenomeno delirante stesso (...). L’at­ tività paranoico-critica è una forza organizzatrice e pro­ duttrice di casualità oggettiva. L’attività paranoica-critica non considererà più in modo isolato i fenomeni e le immagini surrealiste ma al contrario entro un insieme coerente di rapporti sistematici e significativi (...). Si tratta dell’organizzazione sistematico-interpretativa dei sensazionali materiali di sperimentazione surrealisti, sparsi e narcisisti» 42. Ma sono in gioco anche aspetti del tutto privati e per­ sonali. A volte nell’infanzia, e non solo nell’infanzia, vi sono momenti di grandissimo rilievo emotivo; mo­ menti straordinari, particolari «illuminazioni». Improv­ visamente l’universo, per via di quella visione-sensazio­ ne che sarà sempre viva poi alla memoria, si spalanca in mille direzioni, senza più dividere tra interno ed esterno, coscienza e realtà. Questo passaggio subitaneo ed eccezionale è stato provato anche da Dall che lo ripensa svolgendo la sua teoria della paranoia critica. In questo percorso dell’esperienza iniziatica si rinomina il mondo stesso con un linguaggio altro. Gli oggetti si dividono in «transustanziati» (origine affettiva), aa pro­ iettare, avviluppati (fantasie diurne), macchine (fantasie sperimentali), calco (origine ipnagogica). Siamo sulla soglia di ciò che è certo e di ciò che non lo è, attenti a guardare l’immenso costituirsi dei concetti, delle cose, delle rappresentazioni. Il nostro sguardo è congelato in una estatica sorpresa e sente e governa la dissociazione 4ì S. Dall, La conquista dell'irra­ zionale (Paris, 1935) in Sì, cit, pp. 265-266.

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sradicante di suono, tatto, vista. Come esempio di ciò che si è detto, riportiamo un brano di Dall «All’età di nove anni mi trovo a Figueras, nella mia città natale, quasi nudo, nella sala da pranzo. Appoggio i gomiti sulla tavola e devo simulare il sonno perché una giova­ li. servetta possa osservarmi. Sulla tavola ci sono delle croste di pane che penetrano dolorosamente nella carne del gomito. Il dolore corrisponde ad una specie di estasi lirica che era stata preceduta da un canto di un usigno­ lo. Questo canto mi aveva commosso fino alle lacrime. Subito dopo, sono stato ossessionato in modo vera­ mente delirante dal quadro della Merlettaia di Vermeer di cui era appesa una riproduzione nello studio di mio padre. Dalla porta rimasta socchiusa, scorgevo questa riproduzione e pensavo nello stesso tempo a delle cor­ na di un rinoceronte»43. Il ricordo di Dall può essere rapportato all’applicazione del metodo paranoico e alla «timidezza» del pittore spagnolo nel movimento narcisismo-esibizionismo-enfatismo. Ed ecco che l’esplora­ zione di tutti i luoghi si rovescia in fondo nella paura dell’esterno, nella riduzione ad un solo tipo di memoria ed ad un solo spazio, quello della propria infanzia. L’esperienza paranoica e la sua concezione del mondo, con reciproca influenza di Dall e Lacan, possono essere concepite come elementi di sintassi originale la cui co­ noscenza porta alla comprensione dei valori simbolici dell’arte e dello stile. Nell’arte essa (paranoia)44 significa 4J S. Dall, Diario di un genio, (Pa­ ris, 1965), Serra e Riva, Milano, 1981, p. 128. 44 Sul problema della paranoia critica, in relazione alla tesi di Dall, si veda J. Lacan, De la psychose paranoiaque dans ses rapports avec la personnalité (Paris, 19.32). Vi sono cenni di ciò anche in j. Lacan Scritti (1966), ed. it. Ei­ naudi, Torino, 1974, p. 61. Sulla reciproca influenza di Dall c Lacan si veda P. Schmitt, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con Salvador Dalì, introduzione a

Sì, cit. Per le macchine deside­ ranti ed il loro funzionamento nell’arte si veda G. Deleuze Llanti-edipo (Paris, 1972), Ei­ naudi, Torino, 1975, p. .34. Dice qui il filosofo francese: «Più ge­ neralmente, il metodo di para­ noia critica di Dalì assicura la esplosione di una macchina de­ siderante in un oggetto di pro­ duzione sociale».

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andare oltre, affrontare l’eccesso, il dominio dispotico e narcisistico dell’estraneità capace pure di contenere il delirio della propria derisione. Non è difficile ricordarsi qui delle macchine desideranti descritte da Deleuze. Questa concezione era già appartenente all’idea di film antiartistico. Nell’articolo sulla conquista dell’irrazionale Dall aveva affermato, in consonanza con le tesi di Ar­ taud, che la luce del cinema è allo stesso tempo spiri­ tuale e materiale e che il cinema e il cineasta antiartisti­ ci dovevano essere opposti al cinema e al cineasta arti­ stici. L’artista antiartistico ignora l’arte, filma in «modo puro», ubbidendo unicamente agli imperativi tecnici e all’istin­ to infantile e ilare della sua fantasia sportiva; egli si limita alle emozioni psicologiche elementari, permanen­ ti, standardizzate, e tende così alla soppressione del­ l’aneddoto. Il film antiartistico rifugge da qualsiasi con­ cetto di grandioso, di sublime; esso (a questo proposito Dall cita Man Ray e Léger) nasce dalla fantasia illimita­ ta che scaturisce dalle cose stesse 45. Tale impeto tumultuoso e acutissimo si è sviluppato sotto il segno dell’occhio tagliato. Il taglio dell’occhio ci conduce immediatamente al suo simbolismo e indirettamente alla fisiologia della visione. Questo terribile atto sconvolge i nostri sensi e si riper­ cuote all’interno della coscienza dissestando i piani del­ la percezione visiva e mettendo disordine nei sotterra­ nei della cosmogonia e dell’ermetismo. È come se ve­ nisse sacrilegalmente distrutto il più antico disegno del­ l’occhio che oggi si conserva, quello di Hunain ibn Ishak, dove viene indicata, in un punto interno della pupilla, la sede dello «Spirito Vitale». La dissezione del­ l’occhio, in Un chien andalou, non è altro che la visione stessa fatta a pezzi, il mondo ridotto in frammenti in­ coerenti e deliranti. Il film, come la letteratura e la pittura surrealista, persegue ciò attraverso il montaggio 45 Cfr. S. Dall, Film-arte, film an­ tiartistico, cit, pp. 67-70. Queste riflessioni sul cinema vengono ribadite anche in S. Dall, Un chien andalou cit. pp. 161-162.

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tecnico dei materiali il cui potere, più o meno sistemati­ camente usato dalle avanguardie storiche, consiste proprio nel fare a pezzi la realtà, nello sbranare con rabbia il mondo circostante: cose la cui apparenza, co­ struita dalla seduzione dell’apparato razionale ideologi­ co, sentiamo profondamente falsa. Esse (cose) sono portatrici di immagini ingannevoli per un teatro della rappresentazione. Questi motivi di tecnica difensiva nei confronti del dominio ideologico convivono con timori che accom­ pagnano l’uomo civile. Tra questi Georges Bataille ri­ corda l’orrore dell’occhio, che è misto alla seduzione estrema, e ricorda la forte inquietudine di questa scena, gli «amori sanguinosi tra questi due esseri» (l’occhio e la lama). Sul film, in particolare, Bataille dice che la mancanza di nesso logico fa penetrare così lontano nell’orrore da spingere gli spettatori a restarne affasci­ nati, presi alla gola, senza alcun artificio, come nei films d’avventura46. E noi sappiamo che qui il senso della avventura è totale e grandioso; senza storia né spiega­ zioni, controparte irrazionale di un dilagante potere visivo-descrittivo della società tecnologica. Il senso dell’avventura è poi molto ricco tanto da coin­ volgere il barocchismo estatico e l’esaltazione, elementi tipicamente daliniani che sviluppano un «ideale del ne­ ro» rovesciato il cui peso visibile, materiale, è ben per­ cepibile. L’idea del lutto e della rappresentazione della morte sono momenti costitutivi, per Achille Bonito Oliva, del surrealismo di Dall oltre che di Ernst e Magritte. Egli afferma che nella pittura daliniana revento viene impiegato come strumento barocco di descrizione del tema della morte inteso quale «arresto traumatizzato di ogni pulsione». L’iconografìa dell’orologio è ricolle­ gata alla ossessione della morte. La stessa metafora del linguaggio artistico viene, da questa dominante, distorta 46 G. Bataille, Occhio (Paris, 1929), in Critica dell’occhio, Guaraldi, Rimini 1972, pp. 47-49.

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fino a far debordare la realtà ed il suo creatore. Dalì viene visto trascorrere tutta la vita a combattere il pro­ blema della morte con la propria stupefacente eccentri­ ca vita di dandy; egli rifiuta il quotidiano attraverso comportamenti esemplari, sottratto al corso della storia e gettato nel progetto di scavalcamento continuo della propria opera 47. Tutto ciò, unito ad un recupero «indi­ screto» del museo e del Kitsch 48 e alla funzione apotropaica della morte, lo ritroviamo ovviamente nei suoi films, anche se la cura per l’ornamento e l’ebbrezza della perdita del senso si svolgono su piani di differente osservazione estetica. L’impresa delirante ha segnato all’interno del surreali­ smo il passaggio da un’elucubrazione passiva ad una sistematizzazione attiva, concreta dell’irrazionale for­ nendo da un lato, attraverso un processo narcisistico esibizionistico, il ritorno del soggetto e dall’altro, me­ diante la scenografìa perversa del consumo generalizza­ to e della liturgia simbolica del Kitsch, un continuum moderno, un qualcosa che, come afferma Lino Gabello­ ne, «sta tra il teatro totale, il museo delle cere, il film del terrore, l’illusionismo da music-hall e la «machinerie» sadica, il tutto imperniato su una tematica del dop­ pio, del simulacro e del faux semblant» 49. L’immagina­ rio e l’attività paranoico-critica di Dalì li ritroviamo in tutti gli interventi cinematografici successivi. Essi coin­ volgono il parossismo dell’eros che è opposto all’equili47 A. Bonito Oliva, li linguaggio come comportamento, in AA.VV. Studio sul surrealismo, cit. pp. 115-118. 48 Sul Kitsch surrealista si veda G. Dorfles 11 surrealismo e il Kitsch, in AA.W. Studi sul surrealismo cit. L’argomento del cattivo gusto collegato alla nozione di campo viene affrontato da Maurizio Fagiolo dell’Arco in Salvador Dalì «razionalista arrab­ biato» in AA.VV Studi sul surrea­ lismo, cit. p. 169. In generale si veda G. Dorfles 11 Kitsch, Maz­

zetta, Milano, 1968; A. Moles, Il Kitsch. L'arte della felicità (1971), ed. it, Officina, Roma, 1978; L. Krestovski La laideur dans Part. Le Seuil. Paris, 1947. 49 Cfr. L. Gabellone, L'oggetto surrealista, Einaudi, Torino 1978, p. 97.

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brio e all’armonia poetica e mostrano un corpo disfatto, disarticolato, incoltrollabile, privo di identità e in preda a pulsioni. Dall partecipò inizialmente, con molte idee, al soggetto di L'age d'or (1930) di cui, secondo quanto ricorda Bu­ nuel, qualcosa è rimasto nel film, come la scena nella quale un uomo cammina in un giardino con una pietra sulla testa e passa davanti ad una statua; anch’essa ha una pietra sulla testa50. Dall, dal canto suo, riferisce di aver suggerito la mescolanza di amori violenti e miti cattolici, la raffigurazione di arcivescovi, ossa, ostensori ed altro ancora anche se precisa subito di essere stato affascinato dalla sontuosità religiosa e di non aver avu­ to alcuna intenzione anticlericale come quella dichiarata da Bunuel5I. Tuttavia il film L'age d'or ha avuto una storia tormentata su cui pesa il conflitto tra i due artisti e l’apporto di Dall non può essere considerato molto rilevante. Idee, tentativi, propositi cinematografici attraversano, sulla base delle teorie descritte, di volta in volta arric­ chite e integrate da altre più recenti, tutta la sua opera. Si può dire che un certo desiderio di cinema pervade la sua attività. Si pensi appunto al soggetto di un film con i fratelli Marx (1937), alla sequenza onirica di Spellbound di Alfred Hitchcock (1945) e a quella di Father of the Bride (1950) di Vincente Minnelli, ai due progettati lavori per Walt Disney e al piano di un film intitolato La carriola di carne (1956) descritto dall’autore stesso come un delirio feticista, dominato dalla qualità del pro­ digioso, daH’ordw immobile, incatenato, iperstatico della cine­ presa 52. L’ipotesi interessante e che Dall si voglia porre 50 Cfr. L. Bunuel, Dei miei sospiri estremi, cit, p. 113. 51 Cfr. S. Dall, La mia vita segre­ ta, cit. pp, 227-253. 52 Cfr. S. Dall, Diario di un genio, cit., pp. 94-97. Tra gli scenari di Dall ricordiamo: Rabaouo (non realizzato), Editions des Cahiers Libres, Paris, 1932; Giraffes on Horseback Salade (scenario per i

fratelli Marx), Nex York 1941; trat. it. Parma 1948; ora in M. Verdone (a cura di) Poemi e sce­ nari cinematografici d’avanguardia, cit., pp. 304-305; Moontide, sce­ nario per un film con Jean Ga­ bin.

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contro l’idea di ritmo cinematografico, contro la con­ venzionale e noiosa retorica del movimento di macchi­ na, prevedendo di girare il film con la cinepresa immo­ bile, in modo da dare spazio all’intervento di una certa casualità nell’azione. Questa intenzione ripensata ora, può essere esaminata alla luce di alcuni noti sviluppi successivi del film d’artista (l’operazione pop di Andy Warhol e quella iperrealista di Michael Snow). Il film ai Dall doveva durare un minuto, tempo corrispondente, per l’autore, alla «visione di un uomo accecato dal sole che chiude gli occhi e li comprime dolcemente contro il palmo della mano»53. Tra tutta questa attività merita un’attenzione particolare Impressions de /’Haute Mongolie di cui Dall è l’autore e Jose Montes Bacquier il regista (non si sa nulla o quasi di Uaventure prodigieuse de la Dentellière et du Rhinoceros né di Babaouo). A parte il ricordo del film che ne fa l’auto­ re 54, Impressions... ha subito l’aspetto di una rivincita personale sul tempo e sugli «amici» surrealisti, oppure 53 S. Dall, Diario di un genio, pp. 94-96. «Il mio prossimo film sa­ rà esattamente il contrario di un film sperimentale d’avanguar­ dia, e soprattutto di quello che oggi si qualifica «d’autore», che non significa nient’altro che una servile subordinazione a tutti i luoghi comuni della brutta arte moderna. Racconterò la veridi­ ca storia di una donna paranoi­ ca innamorata di una carriola che successivamente riveste tut­ ti gli attributi della persona amata al cui cadavere è servita come mezzo di trasporto. Final­ mente la carriola si reincarnerà e diventerà carne». Nelle pagine indicate di questo diario trovia­ mo il soggetto del film La car­ riola di carne. Dalla descrizione si ricava l’impressione di un «deli­ rio» che ricorda quello esplosi­ vo dei migliori anni del surreali­ smo.

54 Dall riferisce che alcuni si­ gnori tedeschi lo avevano in­ contrato a New York e gli ave­ vano proposto di girare un film. «Io sono sempre in ebollizione. Allora stavo vivendo un’espe­ rienza straordinaria. Ero andato ad orinare nel water dell’alber­ go e lì avevo trovato una penna stilografica bianca e di metallo, che era da qualche tempo nel pisciatoio, c aveva ricevuto molte innafFiature di acido uri­ co, che l’avevano mezzo corro­ sa. Dissi ai tedeschi: dovete fil­ mare ciò, mettere a fuoco solo la penna, che io girerò lenta­ mente, e registrare la mia voce, ciò che man mano vi dirò. Si misero al lavoro: ora sullo schermo si vedono favolosi pae­ saggi lunari, strani, barbuti, ma­ gici e mi si sente descriverli con esattezza: laghi, montagne, gole. Si vede l’Alta Mongolia. È mi-

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sembra la dimostrazione, a distanza di tanti anni, che una magica inviolata grandezza possa ritornare a vivere. Si possono qui scorgere tra 1 altro cenni a Un chien andalou (un inserto della scena del taglio deirocchio) e indirettamente a Llàge d'or (riprese di minuscoli animali, di piccoli, strani, mostruosi esseri che rammentano gli scorpioni di questo film). Ritorna infatti il clima di una incalzante sperimentazione che ha rinunciato alle soste dell’abitudine e della pigrizia o alla compiacenza favori­ ta dalla celebrità. Impressions... è dedicato a Raymond Roussel e questo legame è subito comprensibile perché lo scrittore fran­ cese, appassionato di Verne e Loti, sceglie, come affer­ ma Renato Barilli, di «costruire la sua casa sull’inauten­ tico, di divenire una sorta di sacerdote del romanzesco allo stato puro, un cultore, un collezionista instancabile degli stereotipi e dei luoghi comuni fornitigli dalla più densa e golosa tradizione narrativa»55. Inoltre Ray­ mond Roussel è, come sarà poi Salvador Dalì dopo la rottura con il movimento surrealista, un artista isolato che resiste ad affiliazioni ed aggregazioni. Le Impres­ sions. .. di Dalì ci fanno allora pensare alla creazione di mondi fittizi, interamente ricostruiti, al di fuori della realtà, come accade negli scritti di Roussel. L’artista spagnolo ha continuato l’avventurosa indagine sulla realtà attraverso metodi e tecniche ossessive. Sul meto­ do paranoico critico (nei suoi aggiornamenti e arricchi­ menti) applicato a Impressions.. .Disogna infatti ricorda­ re che esso ha molti sensi e direzioni. Un aspetto fonda­ mentale che tale opera riprende è l’atteggiamento speri­ mentale della attiva osservazione-contemplazione. Atgliore degli altri miei film, an­ che di Un chien andalou che feci con Bunuel quasi mezzo secolo fa». Dall’intervista con Dalì a cura di Baltasar Porcel (feb­ braio 1977) in Ramon Gomez de la Serna, Dalì, Mondadori, Milano 1978, p. 221. 55 R. Barilli, L'azione e restasi, Feltrinelli, Milano, 1967, p. 242.

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traverso questo atteggiamento i fenomeni naturali di­ ventano straordinari e incredibili per effetto di un mi­ raggio dovuto alla seduzione dell’oggetto sottoposto ad un tempo troppo alto di esposizione. La fissità prolun­ gata produce una «bruciatura delle immagini» favorita dall’occhio stesso che la ritiene. Lo sguardo fisso espo­ ne la mente aH’accecamento e crea libere forme visiona­ rie. C’è uno sfondamento dell’immagine dei luoghi reali nell’apparizione di luoghi ed eventi fantastici. Sulla sce­ na domina la irrazionalità di una coscienza immersa in una lucida psicosi visiva. Si tratta di un allargamentorigonfiamento del potere dei sensi in un «iperrealismo metafisico» (S. Dall). Questo metodo sperimentale, facil­ mente rintracciabile in Impressions..., è stato esposto da Dall in vari scritti (ne ricordiamo i due estremi: da un lato L’asino putrefatto del 1930 e Oggetti psicoatmosfericianamorfici del 1933 e dall’altro Cosa c’è di nuovo! Vela­ squez del 1975) ed appare come la continuazione del­ l’insegnamento di Leonardo, afferma Maurizio Fagiolo dell’Arco 56, citando Breton. Lo scrittore francese aveva messo in luce come Leonardo invitasse a «guardare fissamente le macchie dei vecchi muri, la cenere, le nubi, i ruscelli sino a che dal loro tessuto si delineino battaglie, paesaggi, scene fantastiche» 57. Breton ritene­ va che già Ernst, con la tecnica del frottage, fosse entra­ to in questo procedimento rivelativo della visualità an­ che se riconosceva a Dall l’ampiezza e la profondità visionaria del grande divulgatore. Accanto ed anche all’interno del complesso e variegato procedimento paranoico critico si sviluppa il discorso diacritico relativo alla double image per cui il raddoppia­ mento non sarà recepito solo come allucinazione o mi­ raggio, ma come possibilità di continuare il quadro stesso58. L’immagine doppia è la rappresentazione di un oggetto che, senza la minima modificazione figurati­ 56 Sul problema della «doublé image» si veda anche M. Fagiolo Dell’Arco, cit, pp. 174-1/5. 57 Cfr. A. Breton, Breve storia del surrealismo, Savelli, Milano, 1981

p. 123. Cfr. M. Fagiolo Dell’Arco, Salvador Dati... cit, pp. 174-175.

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va e anatomica, si fa nello stesso tempo rappresenta­ zione di un altro oggetto assolutamente differente (im­ magine di un cavallo che è allo stesso tempo immagine di donna)59. Cosa che ci porta appunto a pensare que­ sto aspetto della paranoia critica come ad una osses­ sione diacritica. E interessante ricordare che già in L’asino putrefatto (1930) Dati, parlando della sistematiz­ zazione della confusione, del discredito totale del mon­ do reale e progettando nuovi minacciosi simulacri per l’inconscio, tratti anche dell’immagine doppia e dell’im­ magine a figurazione multipla. Queste con siderazioni, insieme a quelle sull’estasi, forniscono i dati originari del film60. Impressions... può essere letto anche come una pregnan­ te dichiarazione di poetica del pittore spagnolo, capace di riassumere e concentrare lo spirito cne anima la sua intera opera. 11 piano del film, costruito sul famoso simbolismo paranoico-visionario, è accompagnato da uno stupefacente gioco di sprofondamento nelle dimen­ sioni del piccolo e del molecolare sul quale poi si muo­ ve praticamente un’avventurosa calata nelle cose. A questa angosciosa ricerca, che è frutto del collegamento tra archeologia e futurologia in un insieme fantasticoonirico-delirante corrisponde una breve, accortamente depistante traccia di storia che ci narra della nascita del fungo allucinogeno e di un viaggio nell’Alta Mongolia. La proiezione multipla dell’immagine attraverso l’uso di 59 S. Dall, L'asino putrefatto in Si cit. p. 170. 60 «L’estasi costituisce lo «stato vitale» più fenomenalmente sconvolgente fra i fantasmi e le rappresentazioni psichiche. Ogni immagine, anche, cambia in modo sensazionale. Si direb­ be che nell’estasi ci sia dato ac­ cesso ad un mondo altrettanto lontano dalla realtà quanto quello del sogno. L’estasi è la conseguenza culminante dei so­ gni, è la conseguenza e la verifi­ ca mortale delle immagini della

nostra perversione- L’estasi co­ stituisce uno «stato puro» di esi­ gente e iperestatica lucidità vita­ le, lucidità cieca del desiderio. Il mondo delle immagini provoca­ te dall’estasi è infinito e scono­ sciuto». Da S. Dall, Il fenomeno dell'estasi (1933) in Si, cit, p. 237.

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specchi e l’intento geografico minimale aprono anche il senso di un percorso esplorativo nel cervello, nella mente, nella materia immaginativa. Momenti di piace­ vole e distesa evocazione sorgono dalla bella interazio­ ne con il suono, per lo più la voce di commento del­ l’autore, che sembra appartenere alle immagini stesse. Su di un insolito e straordinario panorama mitico-astrale si svolge poi la lunga, stupefacente battaglia tra i microesseri del Boligraphe. Ecco quindi che ancora una volta Dall ci colpisce per la novità e l’estensione della sua opera, per la prodigiosa capacità di unire l’interno e l’esterno e per l’espressione di un magistrale ed ironico compito alchemico61. L’age (Tor impiega, probabilmente per la prima volta nel cinema sonoro, una particolare forma di discorso narra­ tivo fondato sulla registrazione del pensiero, sullo stile diretto libero, sull’immersione completa in una coscien­ za62. Si tratta di un procedimento che rientra più o meno nel monologo interiore anche se qui, secondo una abile strategia tecnica della voce fuori campo, i due personaggi in realtà dialogano solo mentalmente tra loro. Assistiamo ad una specie di monologo interiore in «corrispondenza biunivoca». Se seguiamo la analisi di 61 Le idee di monarchia, co­ smogonia, rivoluzione nucleare, hanno riferimenti con il voca­ bolario e la cultura esoterica (già ricordata). L’atteggiamento conservatore, sotto la torma di un narcisismo mistico-simbolico, viene mescolato ad uno sca­ vo profondo nella banalità, nel Kitsch, nel paradosso. Per uno studio sull’esoterismo nel sur­ realismo si vedano gli articoli M. Calve si, La tradizione esoterica in Duchamp e nel Surrealismo e M. Fagiolo Dell’Arco Salvador Dalì «razionalista arrabbiato» ambedue contenuti in AA.VV. Studi sul Surrealismo, cit. 62 Per gli aspetti generali della retorica mi sono riferito ai se­

guenti testi: A. Marchese, Dizio­ nario di retorica e stilistica, Mon­ dadori, Milano, 1978; È. Rai­ mondi e L. Bottoni, Teoria della letteratura, Il Mulino, Bologna, 1975; R. Barthes, La retorica an­ tica, (Paris, 1970), Bompiani, Milano 1972; C. Brandi, Teoria generale della critica, Einaudi, To­ rino 1971; H. Lausberg, Elemen­ ti di retorica, Il Mulino, Bologna, 1969; O Ducrot, T. Todorov, Dizionario enciclopedico delle scienza del linguaggio, Milano 1972; E. Mattioli, Studi di poetica e retorica, Mucchi, Modena, 1983.

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Seymour Chatman sulla struttura narrativa nel roman­ zo e nel film, specificamente la parte sul discorso ri­ guardante le storie non narrate 63, ci accorgiamo che in questo film le parole che ascoltiamo e che non vengono pronunciate dalla bocca dei protagonisti, in un mirabile contrasto tra prevedibilità dell’unione del movimento labiale con 1’emissione di suoni ed assenza di tale diret­ to rapporto, non riguardano un commento retrospetti­ vo dell’azione, non possono configurarsi in un dialogo non mediato, né si prestano alla costruzione di un soli­ loquio doppio. Gli autori sembrano aver attuato effica­ cemente un piano antiretorico trasgredendo o aggiran­ do le norme del discorso. Possiamo anzi dire che qui, proprio per i caratteri anti­ narrativi e alogici (fatto esemplare che potrebbe essere rappresentativo, ad esclusione di quello astratto, di qua­ si tutto il cinema sperimentale e d’artista di ispirazione dada c surrealista) il rapporto tra i personaggi viene evidenziato attraverso giochi di simulazione, che attua­ no distrazione nella lettura e disorientamento nella comprensione, di identificazione e percezione. Con ciò si intende appunto mettere in evidenza un comporta­ mento predatorio tendente a saccheggiare le tassono­ mie della retorica, per ingannare, attraverso espressioni fittizie di sincerità e trasparenza, per far nascere falsi giudizi mescolando le carte della dichiarazione. Questo atto di violenta spoliazione è legato, da un lato, al fatto che i surrealisti non assegnavano validità e valore al romanzo, costruzione di un mondo spiegabile, conven­ zionale e arbitrario (il linguaggio è quello della poesia), dall’altro perché è alla nuova creazione poetica come ad un modello artistico che essi guardavano. Tali atti di simulazione sono ancora più forti se si pensa al loro aspetto immediato, diretto, non premeditato e volitivo, ea alla costruzione ironica (vengono dileggiati gli ste6J Cfr. S. Chatman, Storia e di­ scorso, (London, 1978), Pratiche, Parma, 1981.

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reotipi del discorso amoroso fìngendo di ricostruirne il supporto retorico); forme vuote che galleggiano in un libero flusso. Ecco allora che questo uso della voce fuori campo è molto di più del semplice monologo interiore, come già aveva avvertito Ado Kirou64. In L’dge d*or, diversamente da Murder dove Hitchock ap­ plica il monologo interiore poiché vuole che si cono­ scano i pensieri del protagonista, esso funge da agente che ribadisce, con aspetti frammentari ed enfatici insie­ me, attraverso un’astuta ironia, stati emotivi visibilmen­ te percepibili. È la struttura stessa del modello retorico ad essere depotenziato, scarnificato in una operazione disgregante del nucleo narrativo. Eppure, nonostante la negazione retorica, gran parte dei film sperimentali non astratti ristabilisce forme par­ ticolari di comunicazione e persuasione, mescola e ri­ maneggia elementi apparentemente accantonati o di­ menticati. La retorica è anche un campo sterminato nel quale c’è già tutto; bisogna soltanto ricercare le cose 64 A. Kirou, Le surrealisms au ci­ nema, cit. pp. 213-214. «_ la cèle­ bre sequence de l’amour-torture dans le pare. Les inhibitions, les préjugés, les atavismes dressent leurs fantómes par le truchement du lieu precis qui est ennemi. C’est alors que le monolo­ gue intérieur - le dialogue plutót — intervieni. Lya Lys et Modot, incapables de s’aimer dans le pare, éliminent le lieu et devant leurs bouches closes, nous entendons le dialogue “J’ai froid. - Eteins la lumière — Non, laisse”, et un peu plus tard: “As-tu sommeil? — Je veux dormir. - Approche ta téte ici”. — L’oreiller est plus près. — Où se trouve ta main?”, etc., jusqu’à la répétition exaltés des deux mots: “Mon amour, mon amour, mon amour, mon amour_” Leurs expressions suivent exactement les paroles

qu’ils prononcent sans ouvrir la bouche. Ils ne prcssent pas, ils n’imaginent pas qu’ils sont ailleurs, là où ils peuvent s’aimer sans contrainte ils sont ailleurs. Le lieu est vaincu et non seulement le lieu mais le temps aussi, car soudain Lya Lys, vue par Modot, se trouve vieillie de vingt ans, tout en gardant un’attitude et une expression identiaues. Il s’agit non pas seulement aun monologue interieur technique tel que l’entendent nos actuels coupeurs de pellicule en quatre, ce qui ne saurait avoir qu’une piètre valeur purement historique, mais de réalité rendue pré­ sente par le son, réalité qui fait faire aux deux personnages un merveilleux saut immobile, mais reel, dans l’espace et dans le temps, là où ils peuvent s’aimer».

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entro il grande piano delle tassonomie. In queste opere infatti il flusso liberamente associativo o dissociativo delle immagini può essere paragonato al flusso di co­ scienza dove prevale l’inconscio: il tempo è nullo, lo spazio è deiscente, i pensieri non hanno direzione, non esiste un intreccio-puzzle. Ma nello stesso tempo sentia­ mo che questo sconvolgimento è come premeditato, ha un metodo nell’antidisciplina. La domanda se esista quindi una figura o una serie di figure in grado di rappresentare modalità espressive dominate dall’incoerenza e dal vuoto incontra molti problemi. Il «flusso di coscienza» che qui vediamo realizzato non adotta prin­ cipi organizzativi e di selezione intenzionale, come la generalizzazione, l’analisi, l’esemplificazione, se non li­ mitatamente; si sviluppano invece gli aspetti più caotici del gioco delle immagini-cose. Lldge d'or, come Un chien andalou e molte altre opere di questo genere, rifugge la linea ermeneutica tradizionale che vuole riferimenti chiari in un ordine giustificato. Inoltre è molto diffìcile individuare deittici che assumano nel testo chiare indi­ cazioni. Nell’ambito della modificazione del senso che tali avan­ guardie promuovono, i meccanismi di transcodifìcazione (ripresa da altri codici) 65, gli interventi sul registro con il lavoro intenzionale sui sottocodici riguardante anche i titoli 66 delle opere, l’applicazione del pastiche, la disgressione, l’ellissi, la dissonanza, il calembour67, 65 Sui percorsi legati alla tran­ scodificazione, alla concezione della poesia come operazione apertamente linguistica, alla ri­ nuncia della funzione poetica e della responsabilità semantica da parte dell’autore, alla nascita di un atto antiretorico capace di recuperare situazioni extralin­ guistiche, all’abbandono dei poli metaforico e metonimico per l’esposizione straniarne dei si­ gnificati si veda anche F. Curi, Metodo, storia, strutture (in parti­ colare il capitolo Poetica dei nuovo

terrore), Paravia, Torino, 1971. 66 Sul problema del processo artistico in rapporto all’attribu­ zione del titolo (alla «nomina­ zione» come momento che rien­ tra nel contesto visivo) e al tra­ passo da un sistema di comuni­ cazione ad un altro, si veda M. Foucault, Questa non è una pipa, cit. Molto interessante, per il nostro discorso, è la nozione di calligramma. Da qui si può capi­ re come la pittura possa consi­ derarsi anche epistemologia. 67 Sul problema del gioco di

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l’atto diacritico 68, l’uso tutto speciale del correlativooggettivo, la metatesi, rafforzano, per la radicalità o distruttività con la quale tali procedimenti vengono im­ pegnati, l’autonomia del linguaggio surrealista. Tra le tante figure che vengono utilizzate e spinte all’estremo in un processo continuo di svuotamento repentino e disgregante, pare abbiano un potere decisivo il parados­ so (in questa luce si assiste al recupero del banale del Kitsch), la paronomasia, l’allitterazione (queste due ulti­ me figure possono farci pensare a stretti rapporti tra poesia sonora e gran parte del film sperimentale), l’en­ fasi, il chiasmo (ordine incrociato degli elementi che compongono due proposizioni o sintagmi visivi tra lo­ ro collegati), l’asindeto, l’anacoluto. L’universo retorico viene messo sottosopra da un impetuoso quanto intelli­ gente vandalismo. A proposito delle varie modalità della ripetizione poi riusciamo a isolarne una che in particolare, secondo Lino Gabellone, appare come il tratto decisivo dell’im­ parole, Renato Barilli dice, rife­ rendosi all’opera di De Chirico con l’intenzione di non far radicalizzare l’enigma in termini di profondità, che l’enigmistica può costituire una palestra straordinaria di applicazione per un buon cultore di figure retori­ che che ve le ritroverebbe tutte, oltre alle più note (metafora, metonimia, sineddoche). Cfr. R. Barilli, De Chirico e il recupero del museo in A A.VV. Studi sul surrea­ lismo, cit. pp. 43-44. Questo compito retorico enigmistico è congiunto ovviamente ad un piano nascosto di velato umori­ smo che può essere sempre le­ gato intimamente al terrore. Ciò vale in genere anche per il me­ todo surrealista, nel senso di far saltare la retorica con l’atto di­ vertito dell’enigmistica. Sul­ l’aspetto trasgressivo del lin­ guaggio artistico in funzione di

una nuova retorica si ricorda poi che X. Gauthier ha opposto alla logica compositiva l’arte co­ me gioco disinteressato e pas­ sione pura, la scrittura automa­ tica quale testuale stesso che s’imbatte nella selva di ana­ grammi, costruzioni ludiche, metatesi (X. Gauthier cit. pp. 247-255). 68 Per l’atto diacritico si pensi alla doppia immagine provvista di metoao messa in evidenza da M. Fagiolo dell’A reo in Salvador Dalì razionalista arrabbiato, cit, pp. 174-175.

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magine surrealista: la diafora. Essa è un trasporto dina­ mico, «quella tensione interna di dérèglement, masche­ rata o rimossa dalla regolazione sintattica, che circola però malgrado tutto e produce i suoi effetti figurali alla superficie del testo»69. La diafora, come figura semanti­ ca che attua la ripetizione nei termini di una transcodi­ ficazione, è infatti molto pertinente. Accanto e median­ te questa figura scopriamo pure che l’ordine «ideologi­ co» della bellezza e della misura viene, nonostante tut­ to, reintrodotto. Si eliminano le cattive «figure», nel­ l’economia generale del linguaggio surrealista, «al fine di omogeneizzare un campo in cui l’eterogeneo, come la figurazione, cercava di infiltrarsi» 70. Ciò è vero anche nel cinema surrealista dove ritroviamo, insieme alla ne­ gazione (almeno in superficie) dell’analogia (ed oltre il generale problema della sineddoche e della metonimia), l’eliminazione apparente delle «scorie». La spersonaliz­ zazione del testo si compone nuovamente in un retico­ lo di relazioni che ridefiniscono semanticamente l’og­ getto: dalla distorsione del senso e dall’occultamento del tema si organizza una decostruzione ordinata per una nuova immagine del Meraviglioso. L’ordine della retorica è stato devastato più per astuti e liberi saccheg­ gi che per deliberate esclusioni. E ciò è ancora più vero se si pensa che l’ambito figura­ le nel quale opera il surrealismo (questa considerazione è ancora più evidente se riferita alla sua espressione cinematografica) si costruisce nell’area moderna del frammento (e implicitamente del montaggio) che sce­ glie l’atopia, il nessun luogo dell’essere alla deriva, la controdescrizione, il rifiuto della illusione e dell’aggetti­ vazione, il riciclaggio dei «resti» semantici. Del fram­ mento che, anche essendo smembramento del discorso e fuga dell’analogia (il riferimento designa particolar­ mente il cinema) attraverso due processi contrari (il 69 l.. Gabellone, L’oggetto surrea­ lista, cit, p. 30. 70 L. Gabellone, cit, pp. 32-33.

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rispetto spettacolarmente banale e la deformazione del­ l’oggetto) prospetta la demolizione come una nuova conquista dell’immaginario71. Genette afferma che oggi l’opera della retorica può ave­ re soltanto un interesse storico e che la sua applicazio­ ne alla nostra letteratura non sarebbe che «sterile ana­ cronismo». La funzione autosignificante della Letteratu­ ra non ha bisogno, continua lo studioso francese, del codice delle figure e la letteratura moderna costruisce la propria retorica nel rifiuto della retorica stessa (il riferi­ mento va alla nozione di terrore usata da Paulhan). Del­ la vecchia retorica non si conserva il contenuto ma «la sua idea paradossale della Letteratura come un ordine fondato sull’ambiguità dei segni, sullo spazio esiguo, ma vertiginoso, che si apre tra due parole di uguale senso, due sensi della medesima parola: due linguaggi del me­ desimo linguaggio»72. Queste considerazioni sostengo­ no la nostra tesi pur muovendosi in un ambito strettamente letterario. Infine un altro elemento che potrebbe avere un certo peso nell’appropriazione soggettiva e demolitoria del discorso surrealista è lo shifter, commutatore o doppio operatore d’incertezza che viene costituito da parole il cui referente si determina solo in rapporto alla situazio­ ne comunicativa. Esso, sempre utilizzato nel nostro ca­ so in termini esacerbati, nasconde un modo contorto di rompere la comunicazione facendo avvolgere lo scri­ vente (le sue parole) nella nebbia imprecisata di una situazione enunciativa sconosciuta. Si tratta di «fughe soggettive d’interlocuzione», secondo un’espressione di Roland Barthes 73. 71 Sulla nozione di analogia e frammento ho fatto riferimento a R. Barthes Barthes di Roland Barthes (Paris 1975), Einaudi Torino, 1980 p. 52 e pp. 107-110. 72 G. Genette, Figure (Paris, 1966), Einaudi, Torino, 1969 p. 202. 73 Per un’ampia trattazione del­

lo shifter si rimanda a R. Jacob­ son, Saggi di linguistica generale (Paris 1963), Feltrinelli, 1974, pp. 149-157.

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Sulle possibilità di trasposizione da un linguaggio ad un altro si precisa che si è tenuto conto del fatto che certe figure operano normalmente sulla soglia della comune percezione e comunicazione umane e che questa «natu­ rale retorica» si cristallizza in differenti forme. Di note­ vole interesse ci pare l’osservazione di Boris A. Uspen­ sky sull’isomorfismo delle arti verbali e visuali7*. In particolare la nozione di rappresentazione entro la rap­ presentazione, di discorso nel discorso, come espedien­ te composizionale (sfondo e figure), e l’idea di vari punti di vista divengono fondamentali alla nostra tesi sulla possibilità e validità del trasferimento. Inoltre se all’abolizione della fissità e della staticità dell’occhio del­ l’osservatore aggiungiamo i moderni contenuti della prossemica, possiamo maggiormente comprendere il ricco e mutuo rapporto opera-fruitore. Anche Cesare Brandi poi ci invita a meditare, con una riflessione sullo spazio pertinente dell’astanza secondo la datità ottica, sulla logica rappresentativa dell’immagine quoti­ diana che è alla base delle nostre percezioni e atti men­ tali. Un oggetto o un’immagine sembrano possedere un’area «privilegiata» che i nostri sensi naturalmente in­ tendono '5. Ci sono utili le sue osservazioni sui giochi di parole, sulla spazieggiatura, sulla asemanticità del tea­ tro di pittura (possiamo considerare l’ampio arco che va dal futurismo russo e italiano, Bauhaus, Dada, Schwitters, Laban-Wigman fino a Cage, agli happenings, alla performance), sull’entità virtuale o sul­ la «fragranza» del nuovo teatro, sulla costruzione della datità fonica della nuova musica. Il cinema in particola­ re, viene visto basarsi sulla fotografìa (non ricalco) del reale ed escludere ogni analogia o modellizzazione sul linguaggio verbale. Il suo codice, dice Brandi, è poli­ morfo. Il cinema vive di un’eterogeneità strutturale, incor­ pora vari mezzi espressivi senza riconoscersi in uno solo. 74 Cfr. B. A. Uspensky, Isomorfisto delle arti verbali e visuali (1972) in E. Raimondi e L. Bot­ toni (a cura di) Teoria della lette­ ratura, cit.

75 Cfr. C. Brandi, Teoria delia cri­ 74 fica, cit.

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Ma è proprio partendo da un lato da queste considera­ zioni e dall’altro dalle opere del cinema sperimentale che possiamo verificare la radicalità delle avanguardie nelfesaltazione e nel compimento dell’intreccio sineste­ tico. Interessante è il discorso relativo al cinema come mescolanza di teatro, racconto, pittura, e all’ipotesi del­ l’ologramma mobile 76. Su quest’ultimo punto possiamo dire che la stessa tecnologia verrebbe ad adempiere l’aspirazione artistica di realizzare varie interne coniu­ gazioni espressive. Tomàs Maldonado afferma che l’intenzione antiretorica (ed ora torniamo direttamente alle tecniche e alle poeti­ che delle avanguardie) nel senso del rifiuto dell’«ornato», non può sottrarsi all’uso di figure poiché esse sono profondamente radicate nel pensiero e nel linguaggio 77. L’aspetto persuasivo inoltre è fondamentale nei proces­ si di cognizione e comunicazione e lo è soprattutto nelle nostre società postindustriali dove, accanto e in qualche rapporto con esso, troviamo l’ordine del di­ scorso. In questo ambito Maldonado sostiene la legitti­ mità (anche se ipotetica) di una retorica visiva nono­ stante molte difficoltà. Sperimentando l’esame critico­ comparativo sul cinema egli indaga induttivamente (at­ traverso la lettura del film Fròken Ju/ie di A. Sjòberg) spostando definizioni accreditate, facendo vari tentativi di applicazione, cercando figure adeguate (nel trasferi­ mento da verbale a visivo si perde la differenza tra figure di parola e figure di pensiero)78. Dice Maldona­ do: «Quanto alle figure retoriche vere e proprie, è stato possibile riscontrarne alcune — anastrofe, chiasmo,ana­ coluto, asindeto e sindeto — che hanno dimostrato un 76 Ibidem p. 265. 77 A questo proposito si veda quanto dimostrano G. Lakoff e M. Johnson in Meteora e vita quotidiana (1980), Espresso Stru­ menti, Roma, 1982. Spunti mol­ to utili si possono trarre anche dal saggio di Marina Sbisà Per una pragmatica della funzione este­ tica in Emilio Garroni (a cura

di) Estetica e linguistica, cit. 78 Cfr. T. Maldonado, Montaggio fìlmico e retorica, (1960-1962) in Avanguardia e razionalità, Einau­ di, Torino, 1974.

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notevole grado di consistenza nel nuovo campo di ap­ plicazione. Solitamente, la sovrabbondanza di figure di questo tipo caratterizza quei film che, appunto come rròken Ju/te, hanno un flusso narrativo fortemente tra­ vagliato dalle manipolazioni di montaggio. La loro scar­ sità, al contrario, caratterizza i film ispirati ad una poe­ tica che è avversa al montaggio. Dobbiamo (sostiene Maldonado) dire però che, in ogni tipo di film appartenente tanto alla prima quanto alla seconda categoria, sono rilevabili, pur con diverse in­ tensità, altre figure retoriche: metafora, metonimia, si­ neddoche, allegoria, allusione, perifrasi, enigma, iperbo­ le, ironia, apostrofe. Possiamo definirle postlinguistiche, in quanto in esse la mediazione verbale gioca un ruolo predominante 79. Questo percorso retorico (ricordo che abbiamo qui evidenziato l’importanza del montaggio in differenti campi artistici) va congiunto agli sforzi di col legare tra loro le varie arti anche sulla base di un esame delle figure. Le considerazioni qui esposte, procedenti dallo sposta­ mento della analisi retorica dal piano linguistico a quel­ lo visivo, nascono anche dall’affermazione jakobsoniana che sia possibile una trasposizione intersemeiotica. So­ no per esempio consentiti i passaggi dall’arte del lin­ guaggio alla musica, danza, cinematografo, pittura, o le trasformazioni di leggende medievali in affreschi, poe­ mi, ec„ Ampi e vari trasferimenti sorgono allora e di­ ventano operativi perché sappiamo che molti tratti «poetici» appartengono alla teoria dei segni in genere, che vi è un terreno comune a tutte le varietà del lin­ guaggio 80. Tuttavia, se da un lato la pratica delle tran79 Ibidem pp. 120-121. Sulla re­ torica cinematografica in parti­ colare sulla figura dell’ellissi, si veda H. Trinon Deux ou trois choses que je sais d’elle... in «Revue d’Esthétique» n. 3/4, 1978. In questo numero vi sono anche interessanti analisi del collage come accostamento di unità eterogenee. Del libro di G. Ge­

nette si veda, per gli aspetti re­ torici, in particolare il cap. Le figure. G. Genette Figure cit_ 8° Cfr. R. Jakobson, Aspetti lin­ guistici della traduzione (1959), Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasia (1956), Linguaggio e poe­ tica, in Saggi di linguistica generale (Paris, ’63), cit, pp. 41-42, 63-64, 182.

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scodifìcazioni si fonda e si sviluppa sui motivi jakobsoniani enunciati, dall’altro, proprio per l’evidenza del­ l’esperimento artistico, ci si allontana da ciò che pare strettamente vincolato a quella possibilità: l’oscillazione tra la direttrice metaforica e quella metonimica. Jakob­ son assolutizza i due poli sostenendo, al di là di un semplice lecito esempio, che i pittori cubisti trasforma­ no l’oggetto in una serie di sineddochi mentre quelli surrealisti reagiscono attraverso una concezione meta­ forica; che il cinema di Griffith ha elaborato una varietà di piani di tipo sineddochico ed un montaggio metoni­ mico mentre Chaplin ha attuato procedimenti fondati su di un montaggio metaforico (uso della dissolven­ za)81. Questa stessa oscillazione tra metafora e metoni­ mia la ritroviamo già in Decadenza del cinema che risale al 1933. Qui lo specifico materiale cinematografico ve­ niva definito come l’oggetto (visivo ed acustico) tra­ sformato in segno. Nel film gli oggetti esistono in quanto ci si avvale della loro funzione di segni. Jakob­ son non dà forse il giusto risalto agli atteggiamenti mentali, di comunicazione interiore; molto interessanti restano invece le parti relative al contrasto visivo-auditivo e al silenzio. Ma particolarmente interessante è qui l’apprezzamento del Jakobson per Uàge d'or, considerato reazione alla routine ultraraffinata, alla tecnica decorativistica, ideale di incompletezza e tracuratezza intenzio­ nale (bozzettismo come mezzo formale). In questo film egli vede un positivo esempio di «dilettantismo» 82. E ciò anticipando quanto verrà sostenuto in seguito da differenti punti di vista 83* . Ecco allora che il piano anti­ 85 retorico degli sperimentalismi, concretato attraverso 81 Ibidem, pp. 41-42. 82 Si veda R. Jakobson Decaden­ za del cinema (1937), in «Cinema & Film» n. 2, 1967 (appare an­ che in G. Brunetta, a cura di) Letteratura e cinema. Zanichelli, Bologna, 1976, pp. 54-56. 85 Si veda lo scritto di Maya Deren Amateur versus professional, in An anagram of Ideas on Art, Form

and Film, «Film culture» n. 39, 1965. Qui si enuncia una teoria del «dilettante», libero di speri­ mentare senza costrizione di natu­ ra ideale o finanziaria. Si ricordi anche l’osservazione di R. Barthes riguardante la figura dell’artista di­ lettante come di colui che incarna forse l’ideale dell’artista antibor­ ghese (Farthes di R. Barthes, cit.).

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uno spirito estetico indifferenziato, s’impadronisce delle funzioni, elimina il primato del poetico, forza le suture collocandosi negli interstizi, tra i generi, gli oggetti, i modi d’espressione, le particolarità; si fa prendere dal raptus del non ordinamento. In questi luoghi l’estetico attua una devastazione nel tentativo, ricco di derisione e autocompiacimento, di neutralizzare ogni forma com­ piuta di discorso. A ciò corrisponde l’espansione del­ l’immaginario quotidiano che, mettendo in atto col lega­ menti tra arte e vita, intrattiene con il piano antiretori­ co costanti legami d’interscambio. Assistiamo così so­ prattutto oggi, e proprio su quella scia, al perturbamen­ to delle transcoaificazioni tramite cui la tecnologia fa interagire gli esiti catturati delle avanguardie con effer­ vescenti produzioni multimediali cercando equilibri fit­ tizi e falsificatori. Tutto ciò era già stato anticipato dalle avanguardie stes­ se o perseguendo vie negative legate al Kitsch o affidan­ dosi a progetti e prospettive costruttive. Il superamento della specificità del mezzo, l’attrazione-seduzione dei nuovi mezzi tecnologici, i giochi impliciti ed espliciti con i codici ed i sottocodici, il potenziamento degli aspetti secondari, il decadimento della funzione poetica in rapporto al progressivo predominio delle tecnologie riproduttive (fotografia, cinema, televisione), la morte del modello lineare della narrazione, l’attraversamento convulsivo, partecipe ed allo stesso tempo estraniarne da parte del fruitore che interviene con intersecamenti molli e difformi, delineano una complicità segreta e casuale tra tecnologia e sperimentalismi; alleanza impre­ vedibile e sfuggente. I fruitori operano con sovrapposi­ zioni rinviando al testo immagini da loro stessi prodot­ te e interagendo con quelle imposte. A volte questa partecipazione è diretta, altre volte è indiretta, ma è sempre suggerita dall’invadente presenza dell’estetico. Inoltre non è tanto il testo a dispiegare questo senso di compiaciuto e aperto godimento, quan­ to un atto, forse un sentimento partecipativo onnicom­ prensivo fondato sulla dissoluzione del testo. I rinvìi ad altri codici (dal film al fumetto, dal libro al videogioco

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ecc.) fanno nascere forme spontanee, di vicinanza sen­ soriale. Non si può qui non ricordare Roland Barthes, la sua teoria del «terzo senso», materia sospensiva e discontinua. Accanto a ciò si consideri il carattere co­ sciente della citazione che si dispone secondo una stra­ tegia ludica di spiazzamento e depistaggio. Sul piano cinematografico il rapporto con l’alogicità e la dissocia­ zione, esplosa con gli artisti dadasurrealisti, può venir indagato attraverso la nozione barthiana di «significanza», capace di bruciare l’analogia e di instaurare altri sensi. Ma il tempo può azzerare l’intento. L’idea di Bar­ thes è forse ora addirittura dilaniata dalla sua stessa diffusione; alla società del significato contro cui reagiva si è sostituita una ideologia del significante. Sullo stile di Bunuel (Uangelo sterminatore), proprio parlando del­ l’eliminazione del significato e della creazione di una linea di congiunzione diretta tra significante e referente (allo scopo di fissare in un’illusione referenziale la pre­ senza viva delle cose) Barthes 84 osserva che Bunuel ha 84 Di Roland Barthes si tenga­ no presenti in particolare i se­ guenti articoli: Diderot, Brecht, Eisenstein, in Cinema, The'orie, Lectures numero speciale di «Revue d’Esthétique», 1973, Semio­ logie et cinema, (propos recueillis par P. Pilard et M. Tardy) in «Image et son», Juillet, 1964. En soriani du cinema, «Communica­ tions» n. 23, 1975 (trad. parz. nell’antologia citata di Barbera e Turigliatto). Caro Antonioni, Bologna, Quaderno della Cinéteca Comunale, 1980. Le proble­ ms de la signification au cinema e Les unites traumatiques au cinema in «Revue intemationale de Fil­ mologie» n. X, 32-33 e n. 34, 1960; Le message photographique in «Communications», I, 1961. Rbétorique de Iimage, in «Com­ munications» n. 4, 1964. L’effet du reel, in «Communications» n. 2, 1968. Le troisieme sens, notes

sur quelques photogrammes de 5. M. Eisenstein, in «Cahiers du Cine­ ma» n. 222, 1970. Sur le cinema (propos recueillis per M. Delahaye e J. Rivette) in «Cahiers du cinéma» n. 147, 1963. Intervista a Roland Barthes, in «Cinema & film» 1966/67. Intervista a Ro­ land Barthes, (a cura di A. Schwarz) in «Fotografìa italiana n. 239 pp. 33-35. Principi e scopi deiranalisi strutturale, «Nuovi Argomenti» n. 2, 1966. Utile al­ le nostre con side razioni appare anche De fOeuvre au Texte, «Re­ vue d'Esthétiaue», n. 3, 1971 trad. it. in P. Madron (a cura di) L'analisi delfilm Pratiche, Parma 1984.

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conseguito un forte effetto di deplezione. È alla carica eversiva di quella significanza (ribadita variamente fino a La chambre) che si deve mirare, non ai suoi deplorevo­ li fraintendimenti. Il rifiuto del senso apre il discorso al possibile tradimento degli sperimentalismi ed al loro parziale o totale esaurimento a causa del potere d’assi­ milazione da parte dell’industria culturale. L’operazione desublimante, l’indistinzione di artefatto e oggetto d’uso, l’effetto effervescente della trasposizione del va­ lore dell’opera dal piano artistico al piano delle pratiche quotidiane del divertimento, producono serie di colpi e contraccolpi a catena. Da un lato si ha il naufragio dell’esperienza estetica nello spazio reale, dall’altro il rifiuto élitario che istituisce separatezza dal mondo del­ le rappresentazioni quotidiane. Gianni Rondolino afferma che nell’opera delle avan­ guardie cinematografiche la demolizione è accompagna­ ta dall’assimilazione in quanto il cinema sperimentale fa propri positivamente e negativamente i linguaggi pro­ cedenti dal teatro, dalla letteratura, dalla pittura, dalla musica. E ciò è ancor più vero se, proseguendo con Rondolino, leghiamo questo fenomeno all’uso delle ro­ vine, dei resti simbolici e funzionali che il cinema ha abbandonato nel suo morire85. Ecco allora che nella grandiosa e paradossale rapresentazione dello spettaco­ lo cinematografico troviamo, attraverso queste opere che si dispongono tra le arti, il piacere di chi scava tra le macerie, l’ebbrezza del vuoto vacillante, la fervida propensione al frammento, il valore dell’interstizio. Questo fenomeno deve essere considerato all’interno della più ampia sperimentazione artistica dove si fa agire una curiosità della lingua che gioca con sinonimia, omonimia, analogia. Ciò in modo che tutto giri senza avere un punto fermo (esso può essere un titolo, un processo ai identificazione, un percorso narrativo, un 8S Cfr. G. Rondolino, Il cinema delle rovine, in «Rivista di esteti­ ca» n. 8, 1981, pp. 36-42.

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personaggio prefissato ecc.) capace di bloccare il moto. Qui la metafora s’avvolge su se stessa in un movimento centrifugo: frammenti del senso si spargono all’infinito. I progetti e gli itinerari dell’avanguardia situano le im­ magini tra la banalità ed il grande artificio retorico, tra le cose e le parole. Si combattono i piani dei signficati che si nascondono dietro le cose ed i piani delle imma­ gini libere dai significati in modo da effettuare abnormi estensioni degli elementi virtuali. Il gusto per l’ipertro­ fia della retorica non può non ricordare, come già Bar­ thes aveva osservato a proposito dell’Arcimboldo, rela­ zioni tra un certo stile barocco e l’estremismo linguisti­ co della «nuova» arte attraverso l’uso del collage, del­ l’enunciato cifrato, della tautologia, della reversibilità, della relativizzazione dello spazio del senso con l’inclu­ sione dello sguardo mobile dello spettatore 86. Ci piace pensare che in questi luoghi un’«attenta gradazione del­ le articolazioni» si attui insieme ad un «colpo di mano», quale risoluta opera di un «visionario».

86 R. Barthes, Arcimboldo, F. M. Ricci, Parma, 1978, pp. 18, 19, 32, 42, 50.

Coniugazioni sinestetiche, il film di pittura e l’opera intercodice di Luigi Veronesi

È soprattutto nelle avanguardie del Novecento che si pone, con sempre maggiore insistenza, il tema della interazione fra i linguaggi artistici. Si pensi al fatto che oggi l’esteso territorio della performance, della video arte e dell’expanded cinema, nonché dell’estetizzazione della vita quotidiana, mette in grande evidenza la diffu­ sione di pratiche interespressive e interartistiche; tro­ viamo forse qui, concretamente, precisi collegamenti tra le avanguardie ed i mezzi di comunicazione di mas­ sa. Giochi ai reciproci scambi, corrispondenze, rapporti tra le arti visive e la letteratura, come si è detto, comin­ ciano all’inizio del Novecento *. Nascono, per esempio, 1 Su questi rapporti tra le arti si vedano L. Pignotti e S. Stefanel­ li, La scrittura verbo-visiva, Espresso Strumenti, Milano 1980; G. Kepes, Il linguaggio del­ la visione, Dedalo, Bari 1971; M. Praz, Mnemosine. Parallelo tra la letteratura e le arti visive, Mondadori, Milano 1971; R. A. Hinde, La comunicazione non verbale, Laterza, Bari, 1974; E. T. Kirby, Total Theatre, New York 1969; M. Kirby, Happenings, De Liona­ to, Milano, 1968; W. Kandinsky e F. Marc, Il Cavaliere Azzurro, De Donato, Bari, 1967; O. Schlemmer, L. Moholy-Nagy, F. Molnar, Il teatro del Bauhaus , Einaudi, Torino, 1975; R. Sche­ chner, La teoria della performance (a cura di Valentina Valentini), Bulzoni, Roma, 1984; G. Youn­ gblood, Expanded Cinema, Dut­ ton, New York, 1970; G. Stefa­ ni, Introduzione alla Semiotica

della musica, Sellerio, Palermo, 1976; H. M. Wingler, Il Bauhaus, Feltrinelli, Milano, 1972; R. Goldberg, Performance, Thames & Hudson, New York, 1979; V. Accame, Il segno poetico. Riferi­ menti per una storia della ricerca poetica-visuale e interdisciplinare, Samedan Munt Press, 1977; H. Heissenbàttel, Per una storia della poesia visiva del XX secolo, in «il verri» n. 16, 1972; M. D’Am­ brosio, Collage e poesia visiva, in «Revue d’Esthètique» n. 3/4, 1978; C. Monti, Edettricbe sineste­ sie e Suono Giallo, rispettivamente in «Alfabeta» n. 20, 1981, e «Al­ fabeta» n. 26/27, 1981. Sui con­ fronti tra le arti attraverso l’analisi delle tecniche si vedano anche, di Karel Teige, Manifesto del poetismo (1928) e Fotomontag­ gio (1932). I saggi sono conte­ nuti nella antologia Arte e ideo­ logia, Einaudi, Torino, 1982.

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una scrittura visiva, una poesia sonora, una musica cro­ matica, una pittura di poesia, etc. e assistiamo a vari tentativi di congiunzione. La storia è lunga c complessa. Citiamo il fatto che Rimbaud prima e Marinetti poi vogliono inventare il colore delle lettere, che musicisti (Scriabin, Schonberg) e pittori (Kandinsky, Laszlo, Hirschfeld Mack) tendono a creare sperimentazioni tota­ li (suono, colore, teatro, etc.). Bisogna inoltre ricordare che tra la fine dell’ottocento e i primi del Novecento gli artisti sono fortemente attratti dalla rivoluzione tec­ nologica e che dietro queste profonde innovazioni, in accordo e in contrasto con esse, si nasconde un grande sviluppo di nuove sensibilità. La poesia e in genere la letteratura iniziano a dar molto rilievo al frammento e ciò comporta uno spiazzamento del lettore che deve costruire altri sistemi di partecipazione istituendo frui­ zioni specializzate; contemporaneamente la poesia vuole diventare un «fatto unico», irripetibile, proprio in oppo­ sizione ai meccanismi ripetitivi della tecnica. Dal punto di vista delle immagini, con la nascita della fotografia e del cinema la pittura abbandona la descrizione e assu­ me aspetti prevalentemente atematici. E interessante notare qui come le arti, nel momento in cui cercano di sfuggire ai meccanismi riproduttivi involvendosi nelle proprie interne strutture (abbandono della descrizione, del racconto, della figura, della chiarezza) procedano, quasi per un’eccessiva spinta centripeta, verso la sine­ stesia. Ma lo sconfinamento sorge anche dall’interesse e dall’uso delle moderne tecnologie che consentono la realizzazione di antiche aspirazioni combinatorie. Dobbiamo ricordare, come afferma Aaron Scharf, che gli artisti che desideravano rifiutare la identità letterale delle cose, preferivano il movimento in sé piuttosto che gli oggetti in movimento2. Dietro i loro accorgimenti visuali scorgiamo le cronofotografìe di Etienne-Jules 2 Cfr. A. Scharf, Arte e fotografìa (1968), Einaudi, Torino 1979, pp. 270-286.

Coniugazioni sinestetiche, l’opera intercodice di Luigi Veronesi 109

Marey (in parte anche le serie fotografiche di Edward Muybridge). Alcune opere di Marcel Duchamp (come Cinque silhouettes...^ 1911 e N// descendant un escalìer, 1911) e di futuristi italiani vengono confrontate da Scharf con le ricerche fotografiche. Ed anche in seguito sempre nuove generazioni di artisti studieranno speciali colle­ gamenti con i processi e gli effetti delle tecniche di riproduzione. Si ha un fenomeno di deterritorializzazione osservabile per esempio nell’uso del collage, del frot­ tage, del ready-made, nei giochi dadà e surrealisti, nel linguaggio transmentale 3. Sempre in questo fenomeno, legato alle vecchie e alle nuove avanguardie, consideria­ mo che elementi interespressivi vengano dati dalla pro­ gressiva autonomia del segno, dalla teatralizzazione del­ la poesia o della pittura, dairautomatismo, dalla gestua­ lità, dall’alcatorietà, da aspetti mentali e concettuali, dal­ la simultaneità. Per riprendere i riferimenti più tecnici esposti poco sopra dobbiamo qui ricordare l’inserimen­ to di lettere con valore più o meno decorativo nel ' Sull'Importanza dei processi transmentali c del futurismo russo in generale si vedano: V. Markov, Storia deifuturismo russo, Einaudi, Torino 1973; M. Bòhming, Lf avanguardie artisti­ che in Russia, De Donato, Bari, 1979; W. Erlich, // formalismo russo, Bompiani, Milano 1966; S. Vitale (a cura di), Per conoscere /'avanguardia russa, Milano 1979; AA.VV., L'avanguardia a Tiflis, Quaderni del Seminario di Ira­ nistica, Uralo-Altaistica e Caucasologia, Università agli Studi di Venezia, Venzia 1982; A. M. Ripellino, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Einaudi, To­ rino 1959; M. Marzaduri (a cura di) Dada russo, Il cavaliere Az­ zurro, Bologna 1984. Si ricorda­ no anche i numeri 33/34 (1970), 29/30 (1983), 31/32 (1983), de «il verri». Sull’avan­ guardia sovietica rinviamo a P.

Dragone, A. Negri, M. Rosei, Arte e rivoluzione. Documenti sulle avanguardie tedesche e sovietiche 191'8-1932. Cuem, Milano, 1973; AA.VV. Russian Art of the Avant-Garde (Theory and Criti­ cism) The Viking Press, New York, 1976; L. Margarotto, L'avanguardia dopo la rivoluzione, Roma, 1976; G. Kraiski (a cura di) Le poetiche russe del Novecento, Bari, Laterza, 1968; M. Calvesi, Il futurismo russo in A A. VV. L’arte moderna vol. XV, Milano, 1967; G. Rapisarda, (a cura di) Cinema e avanguardia in Unione Sovietica, Officina,Roma, 1975.

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cubismo pittorico, il disegno tra le parole o le parole tra le immagini, il libro come portatore di significati extra verbali, l’evasione della poesia dalla pagina all’am­ biente, lo scollamento di parola e immagine (mirabil­ mente rappresentato da Magritte in La parole et la figure, 1922) dove si studiano particolarmente metalinguaggio e linguaggio-oggetto. In seguito, nelle sperimentazioni artistiche dell’ultimo dopoguerra, la ricerca punta sem­ pre di più sul protagonismo del linguaggio stesso (la poesia concreta, il film strutturale, l’expanded cinema, la performance e molte altre esperienze). Si possono considerare vicini a questa prospettiva an­ che la pop art (nelle sue varie accezioni definitorie), per certi aspetti il nouveau roman (A. Robbe Grillet e M. Duras, sia nella scrittura letteraria che in quella filmica) e il nuovo realismo cinematografico (M. Antonioni). Troviamo in queste manifestazioni, collegate aH’ipotesi fenomenologica del «ritorno alle cose stesse», del mo­ mento sospensivo, della rinominazione, della non idea­ lizzazione dell’oggetto4, un lavoro decisamente legato all’analisi del linguaggio. Sui precursori di questa tendenza sinestetica dobbiamo ricordare che, a parte quelli lontani che raggiungono, per estensione temporale e spaziale, anche il teatro No (col gioco «ascoltare l’incenso»), è il simbolismo a darci un’ampia varietà di ricerche e libertà di esperimenti5. E ciò anche in relazione con aspetti del pensiero esoteri­ co. L’avventura extra linguistica tuttavia, per comune concordanza dei critici, viene affrontata fondamental­ mente nei Calligrammi di Apollinaire, nelle parole in li­ bertà di Marinetti e nelle elaborazioni poetico-sonore 4 Vedi anche R. Barilli, Dalloggetto al comportamento (aspetti del ritorno alle cose stesse), Ellegi, Roma, 1971; L’azione e l’estasi, Feltrinelli, Milano, 1967, 5 Su queste anticipazioni ed in favore di un diverso discorso storico sui fondamenti delle avanguardie si vedano V. Acca­ me op. cit. pp. 31-36 e L. Falqui

Massidda, Ascoltare l'incenso, Alinca, Firenze, 1985, passim,

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(I-Gedicht) di Schwitters. Ciò che qui interessa, in una prospettiva di intercodificazione, è la tensione verso rapporti di pittura, musica, poesia, la dissociazione tra significato e significante, il gioco di corrispondenze 6 così come è stato praticato e sviluppato con le avanguardie e dopo di esse. Oltre ad un’ampia riabilitazione, operata da Gillo Dorfles e da molti altri, della «sinestesia letteraria» (analogie metafo­ riche basate su chiari fenomeni di sostituzioni e trasfe­ rimenti intersensoriali in un’ipotesi di costante rappor­ to tra percezione e fruizione7), vogliamo mettere in luce l’importanza del progetto di interazione nel più esteso svolgimento, al di là della sua realizzazione nel­ l’ambito di una singola espressione. In questo campo di relazioni ricordiamo i lavori di B. Bishop, Field, A. W. Rimington, Guido Visconti di Modrone, Unkowsky, W. B. Rossiné, Hirschfeld Mack, Laszlo, O. Fischinger, o in anni recenti, quelli di John e James Witney 8; lavori che risalgono ai primi tentativi di Louis Bertrand Ca­ stel il quale aveva sperimentato un organo a colori (Clavicembalo oculare) cercando di rendere visibile il suono. Le proposte di Scriabin, Schonberg, Kandinsky, i più famosi per ciò che concerne il rapporto suonocolore, costituiscono la base o si svolgono più o meno contemporaneamente ai tentativi (in parte realizzati) dei fratelli Ginna e di L. Survage. Accanto alla relazione suono-colore, oltre al complesso problema della musica 6 Sulla comparazione tra le arti si può considerare anche E. Souriau, La corrispondance des ar­ ts. Elements d’estbétique compares, Paris, 1947. 7 Cfr. G. Dorfles, il divenire delle arti, Einaudi Torino, 1975 (5), pp. 52-54. Sul problema dell’in­ terrelazione artistica, anche se da un punto di vista del tutto singolare, segnaliamo, sempre del medesimo autore, L'interval­ lo perduto, Einaudi, Torino, 1980. 8 Sulle scoperte c sui metodi

che annunciano forme intercodificate si rinvia a F. Popper, L’arte cinetica (1967), Einaudi, Torino, 1970; L. Vergine (a cu­ ra di) L’ultima avanguardia (arte programmata e cinetica 1953/1963), Mazzetta, Milano, 1984; H. M. Wingler, Il Bauhaus, cit., G. Rondolino, Il cinema astratto, Tirrenia, Torino, 1977. Una recentissimo esempio di scrittura intercodicc ci è offerto dal volume di AA. VV. Armoni­ ca, Bulzoni, Roma, 1985.

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per immagini9, assume un rilievo notevole l’opera strutturale sulla cinetica della visione e sulla sua scom­ posizione. Tra Ì più importanti risultati, in grado anche di anticipare l’expanded cinema, annoveriamo i rotori­ lievi di M. Duchamp (Anemie Cinema)., il Mecano di Willy Baumeister, la ricerca ottica ed elettromeccanica di E1 Lisitskij, l’optofono (strumento per la trasforma­ zione della luce in suono) di Raoul Hausman, l’opera visiva Week-end (1930) di W. Ruttmann, il Teatro del Colore di Achille Ricciardo, alcune ricerche luminodi­ namiche di Moholoy-Nagy, Julio Le Pare, Nicolas Shòeffer. Nei processi di contaminazione tra le arti il film speri­ mentale, ponendosi obiettivi extracinematografìci, ricer­ cando potenzialità delle arti figurative o svincolandosi dal dominio del processo ripresa-proiezione, assume un radicale significato di estromissione dei valori tradizio­ nali. Esso (film) opera una disseminazione di piccole e grandi prove in varie direzioni che nascono da una profonda analisi della qualità eteroclita del mezzo. E ciò accade sia operando sui fondamenti del linguaggio ci­ nematografico sia effettuando giochi sulle scorie dei generi. Se il cinema attira l’attenzione viva e partecipe di molti artisti pronti alla ricerca di nuove forme, appa­ re invece, come afferma Sergio Miceli, discorde, saltua­ rio e artistocratico l’interesse dei nuovi musicisti. La musica rappresenta già una complessa rete di riferi­ menti (l’idea similare di ritmo musicale c ritmo visivo, la costruzione di processi nel tempo, l’asemanticità ecc.) ma vogliamo ora esaminare, anche se in minima parte, il diretto impegno di alcuni musicisti al cinema speri­ mentale allo scopo di allargare Ì nostri confronti (negli anni sessanta i musicisti sinestetici saranno già molti soprattutto se si tiene conto degli happenings e delle performances). Nella estetica dei Sei il tentativo di ope­ 9 A proposito del suono delle immagini si veda E. Vueillcrmoz, La musique des images, in AA.VV., L’art cìnématographique, Paris, 1947.

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rare una sintesi di diverse atmosfere (cabaret, musichall, circo) viene visto come una vicinanza della musica colta alla musica da film; scopriamo con Miceli una poetica del collage che ci porta verso i procedimenti sperimentali delle avanguardie ,0. Questi aspetti, insie­ me all’ideazione e realizzazione del balletto Parade, dove Cocteau concepisce una dimensione sonora fatta da ru­ mori in funzione di un rompe-l'oreille, sono anticipazioni di un interesse per il cinema 10 ll. Non possiamo poi di­ menticare la collaborazione di Satie a Entracte, film di costruzione dadaista. La sua partitura, afferma il critico italiano, riflette la estrema frammentazione del film es­ sendo tutta formata da cellule ritmico-armoniche molto concise, ciascuna generatrice di liberi automatismi, ed evitando «interpretazioni» descrittive quanto movimen­ ti onomatopeici; vi sono anche tracce di citazione e provocazione (brani tratti da Chopin). «Entracte» si proietta verso il futuro del cinema dimostrando la pro­ pria sorprendente vitalità e la sua musica, avrebbe rico­ nosciuto più tardi Auric, doveva d’altra parte, com’era pienamente giusto, segnare una data nella storia della musica nel cinema. Oltretutto essa non nasceva isolata ma era la quintessenza di una coerente e complessa visione artistica-» 12. In Le Ballet mécanique invece l’im­ magine subisce una vera e propria «atomizzazione» do­ minata dal ritmo. La musica di Antheil voleva dimo­ strare esplicitamente un nuovo principio di SpazioTempo riferendosi anche al «cubismo» musicale. Tutta­ via il risultato non è proporzionale alle aspettative; Le Ballet mécanique, per Miceli, risulta essere un buon esem­ pio di Kitsch musicale, più conformista e tradizionale di 10 Cfr. S. Miceli, La musica da film, Discanto, Firenze, 1972, pp. 94-95. Sul rapporto tra film sperimentale e musica d’avan­ guardia si vedano in particolare i cap. Vili, IX, X, XI. 11 ibidem, pag. 108. Questo bal­ letto, che è da considerarsi lavoro collettivo, ha avvertito c quasi subito, per Miceli, la presenza

innovativa ed il fascino del ci­ nema al punto da imitarne luci, ritmi, meccanismi ccc. 12 Ibidem p. 117-118.

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quanto possa sembrare dalle premesse dell’autore. Il compositore sceglie la strada della competizione di tipo analogico cadendo nel pleonasmo n. Nei movimenti d’avanguardia il cinema è un polo d’at­ trazione; non è soltanto bizzarra o improvvisa passione per la novità tecnica. Il futurismo, l’astrattismo, il dadai­ smo e il surrealismo, per differenti motivi, allargano la coscienza e la pratica artistica. Il cinema partecipa ad un fenomeno di universalizwziom deifarte. I film o i progetti di film dei pittori e dei poeti (M. Seuphor, F. Picabia, M. Duchamp, V. Eggeling, M. Ray, H. Richter, W. Ruttmann, L. Trauberg, G. Kozincev, V. Majakovskij, V. Kas’janov, K. Malevic, Filila, F. Depero, Saint Pol Roux, S. Dali, J. Cocteau, A. Artuad, R. Magritte, R. Desnos, R. Hausmann, L. Moholy-Nagy, O. Fischinger, P. A. Birot, P. Soupault, B. Péret, F. Léger) non spingono il cinema ad un luogo d’espressione ma gli donano aspetti più liberi al di là delle limitazioni imposte dalle conven­ zioni dell’industria e dalle ragioni della costituenda arte. Ciò può essere osservato nel lavoro visivo, anche com­ plessivo, degli artisti citati e negli scambi e interferenze rilevabili dalla poesia sonora e visiva al corso incoerente e spezzato della parola in letteratura, dall’irregolare gusto compositivo delle opere pittoriche al teatro visivo. Questa situazione accomuna vari paesi e spazia da ri­ flessioni e fondamenti razionalisti (più o meno il Bau­ haus) a progetti esoterici (Steiner, Gurdjieff, Blavat­ sky) ,4. Ricordo infine che l’interesse per il cinema non era limitato agli artisti dei movimenti d’avanguardia ma che A. Schnitzler, R. Musil, J. Roth, H. von Hofman­ nsthal, V. Woolf, J. Joyce e molti altri non solo ne furono attratti ma ne furono contemporaneamente sti­ molati nella stessa ideazione e costruzione di particolari procedure letterarie (nascono pure progetti, tentativi, scenari cinematografici). Fenomeno che farà scaturire 1J Ibidem p. 126. N Sullo sviluppo «armonico intcgrale» si veda R. Steiner, Verso un nuovo stile architettonico, Ed. Antroposofica, Milano, 1979 e

AA.VV., Monte Verità, Electa, Milano, 1978.

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possibilità di rapidi spostamenti dal punto letterario a Quello visivo, mostrando una nuova complessa figura dell’autore ,5. È tutto un «groviglio multicolore» di in­ fluenze, rapporti, simultanee conquiste. Kandinsky dice che i film sperimentali di Eggeling hanno preso dal suo lavoro 15 l6, Duchamp afferma di aver usato il cinema per l’aspetto ottico e per la casualità 17*. Raoul Hausmann, insisterà sul movimento della luce ,8. Walter Ruttmann, sin dal 1919, sostiene che il carattere specifico della nostra epoca è dovuto al «ritmo» del tempo in cui viviamo. Di fronte allo «smarrimento» delle arti, ipno­ tizzate o rese attive dall’incalzante tecnologia, ci vuole, dichiara l’artista tedesco, un’arte per l’occhio che si di­ stingua, attraverso un ordine temporale-musicale, dalla comune pittura. Ruttmann tende al raggiungimento del ritmo dell’accadere ottico quale diversa espressione (fu­ sione di luce, oscurità, quiete, movimento) e ad una particolare figura d’artista che operi tra la pittura e la musica ,9. Ci sono poi, secondo Eggeling, principi fon­ damentali che, impiegati non dogmaticamente, appaio­ no validi non soltanto per l’arte della pittura, ma anche per la musica, la lingua, la danza, l’architettura, l’arte drammatica. Si perviene all’astrazione come coscienza 15 A tale riguardo diviene im­ portante, per una visione più complessa dei rapporti di tradu­ zione o dei contatti tra la lette­ ratura e il cinema, la lettura del Kinobuch di Kurth Pinthus. Si veda F. Lo Re, II kitsch e fanima (con pref. di Paolo Chiarini), Dedalo, Bari, 1983. Indicativa è l’opinione di Moholy Nagy per il quale il «cinescenario» è me­ diazione di concetto e visione, traduzione di impulsi del cervel­ lo in immagini. 16 Cit. in K. Lippert, hauhaus et cinematographic, in AA..W., Cine­ ma d'avantgarde à la fin du muet, cit.jpag. 43. 17 Cfr. M. Duchamp, Ingegnere del tempo perduto, Multhipla, Mi­

lano, 1979. Per i ricordi cincdadaisti si vedano le pp. 96 e 97. 18 R. Haussmann, Crepuscolo del film, (1930), in G. Rondolino, Il cinema astratto, cit. pp. 210-211. 19 Cfr. gli scritti ai Ruttmann Pittura e tempo (1919) e Principi del cinema sonoro (1929), in r. Bertetto (a cura di) // cinema d'avanguardia, 1910-1930, Marsilio, Venezia, 1983. Nel secon­ do scritto Ruttmann sviluppa i problemi del ritmo alla luce di una utilizzazione del contrasto tra suono e immagine al fine di sviluppare immaginazione e fantasia.

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totale, arte «trascendentale» che non procede dall’ogget­ to naturale ma dai puri rapporti reciproci delle for­ me 20. Richter sostiene che i suoi lavori sono delle «pro­ gettazioni dello spirituale» dove l’arte del movimento procede dall’interno di una cognizione. Lo spazio così creato non è architettonico, ma temporale; la luce co­ struisce, con il mutare di qualità (chiaro-scuro, grandepiccolo), degli spazi di luce che non sono volumetrici ma successione che trasforma in spazio ciò che sarebbe soltanto superficie, linea, punto 21. Malevic parla del cinema sperimentale come di un cinema che si è libera­ to di idee, fenomeni, oggetti e auspica che il cinema dei pittori, con la conseguente costruzione cinetica, tenda verso una nuova essenza dell’arte22. Theo van Doesburg, sin dal 1923, richiama l’attenzione sul cinema come espressione di luce e dinamismo di forme e ag­ giunge che a ciò è legata la scoperta più importante della nostra epoca: il tempo. Il suo «film creativo» è una forma d’arte a sé che si compone di una nuova simulta­ neità di possibilità espressive, ottiche e fonetiche 23. Picabia propone un’anti-narrazione fondata sull’istantaneismo, sulla vertigine dell’invenzione e della sensazio­ ne intensa. Da ciò emerge una consonanza di motivi che appare tanto più forte quanto più proviene da un territorio denso di differenti ricerche individuali. L’esigenza di una nuova dimensione critica24 e la tendenza sinesteti20 Cfr. V. Eggeling, Principi teo­ 2Ì Cfr. T. Van Doesburg, La con­ rici dell’arte del movimento (1926), figurazione del tempso e della luce in P. Berretto (a cura di) 7/ cine­ (1923), ibidem e Cinema come ma d'avanguardia, cit. creazione pura (1929) in G. Ron­ 21 Si vedano gli scritti di Hans dolino, il cinema astratto, cit. Richter Film (1922), Film 24 Un approfondimento del­ (1923), L’anima male addestrata l’astrazione in via essenzialmen­ (1924), Dimensione (1926), La te «cinematic», con particolare sfera peculiare del film (1926), attenzione all’opera di Moholy Nuovi sistemi di creazione cinemato­ Nagy e O. Fischinger, viene grafica (1929), ibidem. svolta da M. Le Grice, Abstract 22 Cfr. K. Maleviè, E le immagini film and beyond, Studio Vista, trionfano sugli schermi, (1925), e London, 1977. Gli artisti ed il cinema (1926), ibidem.

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ca li accomuna nella collettiva fuga dai contesti accade­ mici e tradizionali. Inoltre bisogna ricordare che accan­ to ed insieme a tale tendenza procede il cinema di A. Gance, M. L’Herbier, J. Epstein, Germaine Dulac (la cosiddetta «avanguardia cinematografica») e quello, rap­ presentato dall’incontro tra innovazione ed esperimen­ to, di Dimitri Kirsanoff, Alberto Cavalcanti, Jacques Brunius, Georges Hugnet. Ritornando alle prospettive anche radicali di un’intercodificazione non possiamo dimenticare il lavoro di Luigi Veronesi ed i precedenti tentativi del futurismo italiano. Sappiamo quanto siano importanti gli scritti sul colore in quanto essi, come testi di poetica, operano sull’arte stessa mostrando una ricchezza di esperienza vissuta e contemporaneamente rappresentando un polo necessario della riflessione teo­ rica 25.

Già prima del manifesto simultaneista La pittura dei suoni, rumori, odori firmato da Carlo Carrà nel 1913, il futurismo si era occupato del rapporto suono-colore entro il più ampio anelito all’intersezione di diversi sistemi percettivi. L’interesse per il cinema muove (pri­ ma e dopo il citato manifesto) dalla rivolta letteraria e dall’esperienza del teatro sintetico che iniziano alla sor­ presa, all’alogico, all’eccentrico, all’autonomo, al mon­ taggio congiunto all’analogia 26. Il rapporto suono-colore proviene qui dalla rappresentazione sinestetica di 25 Cfr. L. Anceschi, Intervento, «il verri» n. 22-23, 1981. Questo numero de «il verri», dedicato a Goethe e alla teoria del colore (con scritti di Steiner, Glockner, Heisenberg, Van Gogh, Kan­ dinsky, Albers, Klee, Marc, Troncon) appare, anche per il no­ stro studio, il grande interesse. 26 Si vedano, circa queste com­ ponenti, il «Manifesto tecnico della letteratura futurista» (di­ struzione della sintassi, ricorso all’analogia) il «Manifesto sinte­ tico delle arti» e il secondo Ma­

nifesto del cinema futurista (1938). In generale, sul teatro futurista, si veda M. Verdone, Teatro del tempo futurista, cit; per i manifesti si fa riferimento a L. Scrivo (a cura di) Sintesi delfutu­ rismo, Bulzoni, Roma, 1968. Sul­ lo scambio cinema-letteratura, con incursioni nella pittura e nella grafica, si veda M. Verdo­ ne, Cinema e letteratura delfuturi­ smo, cit. Sulla relazione pitturacinema si veda anche M. Fagio­ lo Dell’Arco, Omaggio a balla, cit. nel libro di Verdone.

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un’epoca dominata dal dinamismo elettrico. Su Quest’ultimo punto lo scritto di Marinetti 1/ tattilismo (1921) appare molto interessante per la caratterizzazio­ ne e lo sviluppo dell’arte moderna (lo aveva giustamen­ te individuato e analizzato Walter Benjamin nel dadai­ smo; il tattilismo come forza che favorisce la scoperta e la valorizzazione di un numero di sensi superiore a quello comunemente conosciuto. L’esigenza, nel cinema, della più grande irrealtà data dal gioco fantasmagorico dei colori e delle forme e dall’as­ senza di significato, in similarità con la musica, è stata auspicata da A. Schonberg27, L. Survage 28, B. Cendrars 29, L. Hirschfeld Mack 30. Tuttavia vogliamo ora concentrare i nostri sforzi analitici ed espositivi sulle ricerche del futurismo, di Moholy-Nagy e di Veronesi. La proposta di quest’ultimo sui rapporti tra suono e colore viene pubblicata nel 1977 31 ma è l’esito di una lunga elaborazione. Questo studio è costruito sulla rela­ zione di frequenza; parte dal Do/violetto e giunge alla conclusione che «nella visualizzazione cromatica dei suoni, gli accordi sono composti dai toni corrisponden­ ti alle note, non mescolate-, ma semplicemente accosta­ te: per sintesi additiva il nostro occhio compie la fusio27 Cfr. A. Schonberg, Lettera ad Emil HertzJta (circa 1913) in P. Bertetto (a cura di), cit. 28 Si veda lo scritto II Ritmo co­ lorato (1914) in G. Rondolino (a cura di) Il cinema astratto, cit. Qui Léopold Survage propone la forma visiva colorata che giudica autonoma allo stesso titolo della musica. Egli fa dipendere la re­ lazione dalle sequenze. Si ha un’analogia tra musica come modo di successione nel tempo di diverse vibrazioni sonore e ritmo colorato come modo di successione nel tempo di vibra­ zioni cromatiche. 29 Cfr. B. Cendrars, La partitura dei colori (1919), in G. Rondoli­ no Il cinema astratto, cit.

30 Di Ludwig Hirschfeld Mack si vedano Giochi di luce colorata ( 1925) e Commento allo spartito dei «Giochi di colori riflessi» (1927) in P. Bertetto (a cura di), cit. Si pone anche, in questi scritti c nei lavo­ ri artistici che essi celano, la ne­ cessità, a cui più volte si è accen­ nato, di giungere ad elementi pri­ mari della rappresentazione ci­ nematografica (movimento della luce in un ritmo temporale ordi­ nato) come nuovo genere d’arte e a partiture che contengono rapporti di suoni e colori. 31 L. Veronesi, Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colo­ re, Istituto Grafico Bertieri, Mi­ lano, 1977 (con interventi di Luigi Rognoni e Paolo Fossati).

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ne con la massima purezza dandoci la sensazione cro­ matica desiderata, nello spazio temporale e con l’inten­ sità richiesta dal parallelo accordo musicale»32. Il mo­ mento di interrelazione rientra nell’attività artistica di Veronesi da molti anni ed i suoi film astratti dei primi anni quaranta, pur senza correlarsi ad un brano musica­ le o disporsi in un ordine di prescrizioni, esprimono fattori di tempo e di composizione che hanno impliciti rapporti con la musica. Nell’opera di Veronesi ritroviamo, in modo non più ingenuo ed emozionale, i contenuti ampiamente speri­ mentali della più varia ricerca astratta sopra esposta. In particolare però, volendo porre dei collegamenti, ci preme soffermarci sulla opera dei fratelli Corra, legati al futurismo ed allo stesso tempo abbastanza autonomi. Non è quindi nostra intenzione trattare di Vita futuri­ sta 33, dei film dell’area futurista Thais, Dramma nelrOlimpo, Il mio cadavere, Il perfido incanto di A. G. Bragaglia, dei progetti di «cinepittura» di Martini, Brecca e 12 Ibidem p. 31. 33 I futuristi, per i motivi già ricordati dell’esplorazione dina­ mica delle forme e per l’entusia­ smo per la civiltà, caratterizzata dall’energia elettrica, non pote­ vano non essere interessati al cinema. Preceduti e favoriti dai complessi plastici mobili, astrat­ ti, da figure in movimento, da un uso ùbero della letteratura e dagli studi fotodinamici di An­ ton Giulio Bragaglia essi cerca­ vano di affermare il principio dell’autonomia estetica di tale nuovo linguaggio. Il film auten­ ticamente futurista è Vita futuriita (estate del 1916), ora disper­ so, di Arnaldo Ginna (coordina­ tore tecnico), Bruno Corra, F. T. Marinetti, Emilio Settimelli, Giacomo Balla. L’opera nacque in seno al gruppo fiorentino de «L’Italia futurista», poco prima del «Manifesto della Cinemato­

grafia Futurista» (11 settembre 1916) e venne realizzato senza sceneggiatura, inventato dall’ap­ porto collettivo. Le scene: 1) Scena al ristorante di Piazzale Michelangelo 2) Il futurista sen­ timentale 3) Come dorme il fu­ turista 4) Caricatura dell’Amleto simbolo del passatismo pessi­ mista 5) Danza dello splendore geometrico 6) Poesia rituale di Remo Chiti 7) Ricerca intro­ spettiva di stati d’animo 8) Balla mostra oggetti e cravatte di le­ gno. Si assisteva a bizzarre per­ formances, tipicamente futuriste, come un assalto alla spada tra Marinetti e Chiti o una di­ scussione coi guantoni tra Mari­ netti e Ungari. Sono state im­ piegate diverse tecniche: effetti stroboscopici e particolari gio­ chi di illuminazione (soprattutto nella quinta parte), riprese dal vero (in esterni) immobilità del-

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Socrate, di Le mani (1932) di E. Trampolini o di La gazza ladra (indicato come esperimento di musica visua­ lizzata) realizzato nel 1934-35 ad opera di Corrado D’Errico. Queste opere precedono nel tempo i lavori di Veronesi ma non hanno influenza sul pittore milanese poiché egli si collega direttamente all’originale spirito sperimentale dei primi artisti astratti e alle ricerche razionaliste e funzionaliste del Bauhaus. Arnaldo Ginna e Bruno Corra (i fratelli Ginanni-Corradini), tra il 1908 ed il 1910, ponevano le basi, attraver­ so quadri astratti e note di lavoro, per uno studio della musica cromatica. Tra il 1910 e il 1912 essi si accosta­ rono al cinema per compiere esperimenti cinepittorici. I colori venivano studiati in relazione al loro significato con vaghi riferimenti al subcosciente e all’interesse teo­ sofico e spiritualistico. Da qui nascono i primi cortome­ traggi astratti (Accordi di colore, Studio di effetti tra quattro colori, Canto di primavera, Les fleurs, L’arcobaleno, La dan­ la camera per la trasmissione di stati d’animo, trucchi ottici, straniamento nei confronti dei personaggi, drammi di oggetti. Più ancora dei film, per lo più perduti o ridotti in frammenti, è alle dichiarazioni, ai documenti e agli scenari che dobbiamo fare riferimento per poter compren­ dere l’importanza storica ai tale movimento. Da questi materiali risulta l’importante significato della poliespressività, della si­ multaneità c della compenetra­ zione del poema cinematografi­ co e della sinfonia visiva. In quest’ambito di ricerche trovia­ mo anche opere futuriste russe. Tra queste ricordiamo soprat­ tutto Dramav kabarè futuristov n. 13 (L’n dramma nel cabaret dei futuristi n. 13) diretto da Vladi­ mir Kas’janov dove appaiono, oltre a Majakovskij, quali inter­ preti, Michael Larionov, Natali-

ja Goncarova, i fratelli Burljuk. 1 principi del futurismo, nella ori­ ginale edizione russa, fornita dal metodo di straniamento di Chlebnikov c dall’atteggiamento di Majakovskij e BurliuK, opera­ no anche più tardi tra i grotte­ schi eccentristi dei Fcks sovieti­ ci (G. Kozincev e L. Trauberg), e in alcuni film di D. Vertov. Sul futurismo cinematografico italiano si vedano M. Verdone, Cinema e letteratura del futurismo, op. cit. e Poemi e scenari cinemato­ grafici d’avanguardia, Officina, Roma 1975.

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za), ora purtroppo introvabili, ottenuti dipingendo di­ rettamente su pellicola e ciò non in funzione ornamen­ tale ma seguendo un elaborato gioco tra il colore, il suono, le forme. Gli scritti Arte dell'avvenire (1911) e Musica cromatica (1912), oltre a testimoniare dell’avvenuta ricerca e della realizzazione di esperimenti in que­ sto campo, ci danno un quadro della loro poetica del­ l’astrazione 34. I Corra poi praticano nella letteratura forme di visualizzazione che li avvicinano a opere di Lucini, Govoni, Altomare, Settimelli, Palazzescni, Fol­ gore, Apollinaire, Soupault e altri. Tuttavia ci preme far rilevare che, negli esperimenti di cinema astratto da loro condotti, la pittura sembrava predisposta e studiata per il linguaggio cinematografico. Fatto che ci informa della loro conoscenza della macchina da presa e della sensibilità per la nuova logica della visione, del movi­ mento, della descrizione. L’idea che vi sia una corri­ spondenza di forme assolute, che caratterizza propria­ mente il linguaggio cinematografico, muove la relazio­ ne accordo (simultaneità)-motivo (successione) alla cui origine troviamo il principio dinamico. 11 dinamismo plastico, oggetto di tante considerazioni, fu motivo di intenso lavoro anche da parte di Anton Giulio Bragaglia il quale anticipa e favorisce le successi­ ve operazioni di Man Ray e Moholy Nagy. Il tentativo di prendere ciò che è indicibile ed inafferrabile attraver­ so l’ausilio di un mezzo meccanico, il proposito di «vo­ ler irrealisticamente ricordare la realtà», contro la «bru­ talità della copia del reale», contro l’istantanea, ci intro­ duce a intenzioni smaterializzanti. La concezione della Fotodinamica si erige sullo studio degli «elementi interstatici, intermovimentali, intermomentali di un gesto». Questa prevalenza dell’intervallo, che ha sintonia con il pensiero di Bergson, fa nascere una «fotografia trascen­ dentale del movimento» e ricerca «l’essenza interiore M Si rinvia agli scritti Paradosso di arie delfavvenire (1910-11), Musica cromatica (1912) c Pittura dell’avvenire (1915), contenuti nel volume sopra citato di Ma-

rio Verdone.

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delle cose», momenti di vertigine visiva. Si afferma una qualità di rifiuto della materialità, attuata tecnicamente con la sfocatura, lo sdoppiamento, la molteplicazione che a partire dall’opera di Bragaglia attraversa quasi tutto il piano delle avanguardie foto-cinematografiche. Come proposta l’idea di fotografìa trascendentale e la «sublimazione dell’incorporeo», fondamenti dell’opera di Bragaglia, ricompariranno per esempio nei film di Maya Deren. Messi a confronto, osserviamo ovviamen­ te una diversa elaborazione tecnica; inoltre se da un lato si analizza il movimento nella staticità della foto­ grafia, dall’altro si indaga la staticità del movimento delle immagini. Vi è, tra i principi, un comune interesse per Gastrologia, la magia, l’esotismo, il profetico, lo spi­ rituale, che conduce ad aspetti mentali; traduce quanto di più oggettivo si possa incontrare. La materializzazio­ ne nasceva, nell’opera di Bragaglia, dall’effetto di irreal­ tà e sospensione, dalla rappresentazione del movimento allo stato puro, come fascio di energia, dall’evanescenza del reale, dall’ossessione e dalla vertigine dell’oggetto 35. Per Maya Deren la perdita di materialità sorgerà da una riflessione interiore, da una personalizzazione della real­ tà, da un’acuta interiorizzazione legata al vissuto. Sul lato invece costruttivo e materiale delle corrispon­ denze riferite ad un’unica riassuntiva espressione astrat­ ta troviamo l’ingegneria della luce elaborata da Laszlo Moholy Nagy. Il progetto dell’artista ungherese di crea35 Su questi problemi si tenga presente A. G. Bragaglia, Fotoainamismo futurista (1912/13), Ei­ naudi, Torino, 1970. Di notevo­ le interesse gli scritti, qui ag­ giunti, di F. Menna, M. Calvcsi, M. Fagiolo, G. C. Argan. u Per gli scritti di Moholy Na­ gy si è fatto riferimento alla rac­ colta, curata da Gianni Rondoli­ no, intitolata ìmszIo Moholy Na­ gy, pittura, fotografia, film, Marta­ no, Torino, 1975. Qui vengono pubblicati anche alcuni scenari. Si segnala anche l’interessante

articolo Produzione - Riproduzione (1922) presente nella antologia, anch’essa curata da Rondolino, Il cinema astratto. Testi e documenti (cit.). Per l’elenco completo de­ gli scritti dell’artista ungherese si rinvia alle indicazioni date da Rondolino nei volumi sopra ci­ tati. Sulla letteratura critica si vedano, oltre a queste due anto­ logie (nella prima c’è un ampio e ricco saggio del curatore con prefazione di G. C. Argan), le seguenti pubblicazioni: M. Ver­ done, ImszJo Moholy Nagy, nel

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re un’arte della visione che passi attraverso materiali, spazi, forze 36, si fonda sulle indicazioni e sulle ipotesi di Raoul Haussmann per una teoria della simultaneità e della coincidenza ottico-acustica. Egli, partendo da una nuova articolazione spaziale dei cubisti, avvia, con il Manifesto sul sistema di forme dinamico-costruttive (1922) e la messa a punto di una macchina dalle superfici riflet­ tenti in costante movimento (esposta nel 1930), un personale metodo di rappresentare la realtà al di fuori di una visione monoculare, un metodo che ha subito attinenza con il cinema. Le tecniche riproduttive diven­ tano strumenti deH’immaginazione ed obbediscono a idee tese ad un punto d’incontro tra le divergenti dire­ zioni del dadaismo e del costruttivismo. Nel lavoro di Moholy Nagy l’esperienza estetica è la sola che, per la sua globalità, realizzi l’integrità anche biologica dell’es­ sere umano; la sua vicinanza all’«avanguardia nasce da un proposito di ricomposizione intellettuale e sociale». L’arte qui si veste di un compito politico. La modernità dell’artista ungherese diventa un modello per chi è co­ sciente della crisi della professione artistica, dell’egemo­ nia industriale, della trasformazione della produzione, del consumo, del sistema di lavoro. Nella sua opera si tende a superare l’antinomia tra tecnica e arte, industria e artigianato, appellandosi ad una riconquistata unità delle diverse facoltà umane. L’arte non è più, per Moholy Nagy, l’espressione di esperienze psichiche sogget­ tive. Razionalismo e funzionalismo sono strettamente legati ad un compito sperimentale per un nuovo rap­ porto di uomo e macchina. Di fronte al cinema come struttura industriale (fabbrica di stereotipi) si pone il Bauhaus, «Bianco e Nero» n. 11, 1962, ripreso ed elaborato nel volume Le avanguardie storiche, cit. pp. 194-211; R. Kostelanez (a cura di) L Moholy Nagy, Al­ lan Lane, The Penguin Press London, 1971; S. Giedion L Moholy Nagy, Institute of Design Catalogue, Chicago, 1945; I I. M. Wingler II Bauhaus, cit.; F.

Bologna, Dalle arti minori alfinaustrial design, Laterza, Bari, 1972.

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cinema sperimentale quale recupero e testimonianza di un momento soggettivo e artigianale. La nuova arte non deve essere diretta a formule imitative della vita ma alla plastica armonica della luce 37. Dietro ciò si cela un ottimismo tecnologico. Moholy Nagy, come poi Benjamin a metà degli anni trenta, comprende la natura, il senso, l’effetto della molteplicità e variabilità dei punti di vista nel linguaggio cinemato­ grafico e scopre legami tra la sensibilità ottica e quella acustica. Entrambi, mettendo in evidenza la diversa na­ tura ed il completamento reciproco di occhio meccani­ co e occhio umano, vedono nascere ed affermarsi un «inconscio ottico» che mostra uno spazio elaborato in­ volontariamente o che espone elementi normalmente non presi in considerazione. Su questi aspetti, a raffor­ zare l’idea di Moholy Nagy come punto di riferimento tra l’arte industriale e il compito sociale dell’artista con­ temporaneo, si sofferma anche Rondolino. Il critico ita­ liano, facendo riferimento alle tesi sostenute da R. Kostelanez e O. Stelzer, ritiene che Moholy Nagy abbia influito, con Malerei, Photographic, Film (scritto nel 1925), sulla stesura del saggio di Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), e con Vi­ sion in Motion (1947) su alcune considerazioni elaborate da Me Luhan nei saggi dei primi anni sessanta (La Galassia Gutemberg, Gli strumenti del comunicare}38. Sempre nell’ambito di uno studio della civiltà della macchina, civiltà che in realtà s’identifica con quella elettrica, sorge il problema del rapporto con il mondo separato e chiuso della metropoli39. C’è una relazione che s’instaura direttamente ed indirettamente tra le tecniche 37 Si veda, in particolare, lo scritto di Moholy Nagy Teatro, circo, varietà, ora in AA. VV. Il Teatro del Baubaus, cit. L’intero volume è di grande interesse poiché illustra un ricco progetto di teatro totale. 38 Si veda l’introduzione di G. Rondolino al volume antologico su L. Moholy Nagy cit., p. 26.

39 Alla relazione tra arte c me­ tropoli, indagata in riferimento ad alcuni temi della postmoder­ nità, la «Rivista di Estetica» ha dedicato, nel 1980, il n. 4.

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d’isolamento dell’oggetto nel cinema e nella letteratura, la cessazione della narrazione, l’evidenza del frammen­ to, l’assorbimento-rappresentazione dei codici percettivi della vita metropolitana. Il rifiuto della narrazione nei film sperimentali degli anni venti, l’effetto di dispersio­ ne e disorientamento, creato dall’autonomia degli og­ getti e dalla casualità del senso, rifluiscono nell’idea di spazio e tempo legato alla città. Con maggiore o minore costruttivismo o dadaismo, appaiono anche scenari (Di­ namica della città, scritto tra il 1921 e il 22 da Moholy Nagy, Benz n. 22 di V. Majakovskij) o film (Ballet méca­ nique, Entr'acte, Vormittagsspuk, Die Symphonic Einer Grosstadt, L'uomo con la macchina da presa} che ci riportano a questa situazione. Robert Musil aveva affermato che un’esperienza fondamentale, nel film, ci è data da quella vita non abituale in cui le cose si mostrano arricchite nell’isolamento ottico e nella particolare condizione simbolica delle immagini40. Claudia Monti ha ricorda­ to 41 che lo scrittore austriaco aveva riflettuto sulla di­ spersione metropolitana quale causa del disgregamento dell’ingenuo oraine narrativo; «in città» tutto diventa non narrativo, si espande in intrichi sterminati e dila­ ganti. Vige qui un rapporto prioritario con l’oggetto, il frammentario, il veloce ed elettrizzante cambiamento fornito dal dinamismo visivo. Moholy Nagy poi, come altri artisti dell’avanguardia storica, anticipa quanto diranno gli autori del cinema underground: che il lavoro del «dilettante», il quale non lavora per il profitto, è stato soffocato dai meccanismi di produzione ma che il suo lavoro può ugualmente fare miracoli agendo semplicemente in modo genuino e coraggioso, ponendosi entro gli spazi della ricerca. In questa avanguardia di artisti «dilettanti» egli cita Picabia, Clair, Léger, Man Ray, Bunuel, Dalì, Cocteau 42. Se si collega questa nuova figura alle considerazioni sull’uso 40 Cfr. R. Musil, Osservazioni su una drammaturgìa del film (1925) in «Cinema e Cinema» n. 34 (see nel n. 35/36). Si tratta di un articolo appar­

so sulla pagina culturale di «Re­ pubblica» il 12/11/1981. 42 Cfr. L. Moholy Nagy, Il cine­ ma (1947) in G. Rondolino LaszJo Moholy Nagy. cit. p. 154.

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artistico del vuoto tra le parole nel foglio bianco o dei «buchi» tra le immagini in movimento (buchi, sul piano percettivo e psicologico, creati dai tagli di montaggio) appare chiaro che essa si situa tra le arti, negli intervalli. Tale figura opera in rapporto ad atti radicali sul lin­ guaggio ed ai conseguenti spostamenti di stato della percezione e favorisce nuove forme di comunicazione e conoscenza. La sperimentazione fa qui crollare le nor­ me concettuali disposte come apparato che garantisce razionalità e senso comune, esplodere Fa priori che condiziona la percezione. Praticamente salta il dominio che cova nell’abitudine all’asservimento di un sistema mentale imposto. La figura artista dilettante, la ricerca di un’espressio­ ne totale, l’idea di giungere all’aspetto primo, genetico, dell’arte, sono argomenti legati variamente a proposi­ zioni di sinestesia in consonanza con un generale spo­ stamento dell’attenzione da aspetti materiali ad aspetti energetici (fenomeni di smaterializzazione nati da diver­ se procedure). La sinestesia 43, a causa delle nuove tec­ nologie e della estetizzazione della vita quotidiana, si congiunge e porta a compimento in questo quadro le ipotesi di McLuhan sull’equilibrio dei sensi (rapporto bilanciato di compensi percettivi provenienti da diversa origine mediale). Si mette in campo così un nuovo piano mentale di interconnessioni con immediati e pro­ ficui scambi sulla base di una sensibilità sempre più attiva ed espansa. Questi interscambi, molto diffusi nel­ l’arte dell’900, sono stati, in tempi recenti, parzialmente esaminati anche da Keith Cohen 44 che, pur analizzando l’influenza e il rapporto tra cinema e romanzo, gioca un 4J Di un certo interesse, anche se relativo a speciali congiun­ zioni, è l’articolo 11 rito ortodosso come sintesi della arti (1918) di Pavel Florensky in P. Florensky La prospettiva rovesciata e altri scritti, Casa del Libro, Roma, 1983. 44 Si veda K. Cohen, Cinema e narrativa (1979), cit., in partico-

lare pp. 198-200.

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più ampio arco di interazioni nel corso del tempo. Ejzenstejn, Vertov, Joyce, Duchamp vengono da Cohen citati e discussi a proposito del rinnovato crollo dei confini artistici. Lo studioso americano avverte che, dalla seconda guerra mondiale, le produzioni interes­ santi sono quelle che rifuggono dalle categorie di gene­ re. La tradizione dell’arte del’900 appare fondamental­ mente contraddistinta dal desiderio di andare oltre i confini della specificità che solitamente le caratterizza. Nella seconda metà degli anni venti e soprattutto nel decennio successivo aveva preso il sopravvento, nel cinema come nella pittura, la rinuncia all’astratti­ smo 45. In quello stesso periodo, nel nostro paese, veni­ va respinta non soltanto la ricerca astratta ma anche la maggior parte delle esperienze artistiche che potessero avere qualche riferimento con l’avanguardia. Dopo la grande, dirompente fase del futurismo gli esperimenti d’arte erano stati progressivamente divorati da un inva­ dente ritorno alla tradizione. Il cinema, nonostante il regime, nella seconda metà degli anni trenta, ne privile­ giasse le qualità comunicative e l’appoggiasse in modo consistente, era fortemente condizionato dal consumo di massa e dall’aspetto politico-celebrativo. Anche se in vari casi mostrò componenti innovative e «favorì» il sorgere di nuove generazioni di registi e critici, il cinema italiano subiva allora un controllo poli­ tico diretto e indiretto che ostacolava la nascita e lo sviluppo del film sperimentale. L’unico artista che alla fine degli anni trenta riprese a percorrere la strada della novità espressiva collegandola alle tesi più avanzate del­ le arti visive fu Luigi Veronesi. Con i suoi film rinasce 45 Si è aggiunta qui l’analisi del film astratto di Luigi Veronesi perché, anche se cronologica­ mente successivo a Le Sang d'un poète di Jean Cocteau, l’esperi­ mento cinematografico dell arti­ sta milanese si collega da un la­ to alle tematiche intercodicc e alle esperienze del Bauhaus, dal­ l’altro ad alcuni temi del futuri­

smo italiano. Dalla particolare posizione della ricerca dell’arti­ sta milanese nasce la ragione di questa anticipazione.

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il progetto della sperimentazione in Italia; il suo inter­ vento s’inserisce con originalità nella storia del film astratto e nello stesso tempo opera un indiretto collega­ mento con quei temi futuristi che possono essere consi­ derati alla base di questo tipo di cinematografia 46. Ma­ rio Verdone precisa che, diversamente dal primo astrat­ tismo pittorico e cinematografico, che traevano ispira­ zione calla musica, nel lavoro di Veronesi il cammino è contrario poiché è dall’opera Variazioni (1936) che na­ sce una composizione di Malipiero (1938) 47. Questo fatto è un segno nello sviluppo delle tematiche dello sperimentalismo interarstistico ed al contempo diviene per noi un richiamo che può essere utilizzato, per estensione, anche alla sua ricerca cinematografica. Si può infatti ritenere che non sia più tanto la musica (come avveniva nei primi interventi intercodice) il rife­ rimento di base quanto la pittura stessa o la materia stessa delfarte secondo un ordine di rapporti razionali e scientifici con il mondo esterno. Alcuni suoi film si 46 Si veda a questo proposito, il «Manifesto della Cinematografia Futurista» dell’11 settembre 1916 (in U. Apollonio, Futuri­ smo, Mazzetta, Milano, 1970, pp. 272) nel quale si invita a conce­ pire un nuovo tipo di cinemato­ grafia legata alia «musica di co­ lori, linee, forme, accozzo di og­ getti e realtà caotizzate» e si «of­ frono nuove ispirazioni alle ri­ cerche dei pittori i quali tendo­ no a forzare i limiti del quadro». Tali esortazioni sono state uti­ lizzate da gran parte dell’avan­ guardia cinematografica degli anni venti; e ciò comprende la tendenza surrealistico-fìgurativa come quella astratta, sia il film assoluto che quello dadaista. Si tenga a mente anche il manife­ sto Pittura dei suoni, rumori ed odori di Carrà (1913), e lo scrit­ to Cromofonia di Enrico Tram­ polini. Si veda anche in partico­

lare, Mario Verdone, 1 film astratti di Luigi Veronesi, in «Bianco e Nero» n. 2, 1965, n. 26. 47 Cfr. M. Verdone, Cinema e letteratura delfuturismo, cit. p. 26. Tra gli scritti di Luigi Veronesi si ricordano in particolare: Del fotomontaggio, (con B. Palla vera), Campo grafico, dicembre 1934; Impariamo a cinematografare (in collaborazione con Alfredo Or­ nano), Poligono, Milano, 1947; Il cinema astratto, Ferrania, 1947; // fotogramma, Ferrania, 1956; Perché continuiamo a fare e ad inse­ gnare artel (conferenza) Cappelli, Bologna, 1977; Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colo­ re, cit; Il fotogramma, premessa a una cartella di fotogrammi, Sie­ mens Data, Milano, 1978.

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ricongiungono ai metodi deila scomposizione struttura­ le di ballet mécanique di Fernand Léger o ai motivi esplorativi della città impiegati da Vertov in L’uomo con la macchina da presa e altri entrano a far parte della storia del film astratto insieme agli studi di Léopold Survage, alle opere di Viking Eggeling (Sinfonia diagonale), Hans Richter (Ritmi 21, 22, 23, 24, 25), Walter Ruttmann (Opus 1, 2, 3, 4) Marcel Duchamp (Anemie Cinema), Oskar Fischinger48 È soprattutto la componente astratta che comunque caratterizza l’intervento ai Vero­ nesi in questo campo. Nei contenuti di tale ricerca sco­ priamo infatti radicarsi la sua operazione cinematogra­ fica mirante al puro movimento filmico e all’armo­ nia ottico-acustica mediante il contrappunto suonoimmagine. D’altra parte non si può trascurare la com­ plessa personalità artistica perché è in essa che trovia­ mo gli elementi che ci consentono di comprendere la ripresa di certi aspetti del cinema sperimentale. Anche se possiamo affermare che la base di tutto il suo lavoro è sempre stata la pittura, osserviamo però pittura, xilo­ grafia, litografìa, scenografìa, architettura, grafica, cine­ matografìa, sono le componenti di un ampio settore di ricerca sperimentato da Veronesi. Dalle pri­ me esposizioni alla Galleria del Milione di Milano nel ’32 e nel ’34 sino ad oggi, passando attraverso la parte­ cipazione a Mostre Mondiali d’arte astratta, l’adesione a gruppi internazionali di artisti ed i premi 49, vediamo svolgersi tutta la sua opera e ci appaiono chiari i riferi­ menti al Bauhaus e al costruttivismo russo. Tali attività si concentrano in un grande progetto ed il pittore milanese diventa cosi, come lo definisce Mario Verdone, un «autentico bauhausiano» 50 la cui persona­ lità emerge come «personificazione coerente dell’artista moderno» teso a conciliare la ricerca «assoluta» con il possibile uso sociale di essa; anche da qui il confronto 48 in un suo scritto nel ’42 Ve­ ronesi ricorda come «opera di assoluto valore artistico» Com­ postone in blu realizzato nel ’32. 49 Luigi Veronesi ricevette un

premio al Pestivai di Knokke Le Zoute nel ’49 per la miglior utilizzazione del colore. 50 M. Verdone, 1 film astratti cit. p. 38.

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tra pittura c cinema. Studio 40, realizzato da Veronesi nel 1940, sperimenta il linguaggio cinematografico nel tentativo di portarvi il movimento che la pittura tiene prigioniero. Il film di Veronesi, insieme a quello succes­ sivo e a quello attualmente in fase di lavorazione, è un grande esempio, del tutto cinematografico, di «pittura in movimento». In tali opere possiamo comprendere l’importanza rivoluzionaria del passaggio dal quadro al­ lo schermo. Mario Verdone afferma che il film astratto realizza, più compiutamente della tela, tutte le possibili­ tà del «divenire» del colore che la pittura astratta aveva scoperto e che tale forma cinematografica ha in comu­ ne con il film assoluto lo stesso criterio generale 51. Il film astratto e il film assoluto, nonostante l’uno sia non rappresentativo, non oggettivo, e l’altro figurativo, realistico, si uniscono nella tendenza a neutralizzare la realtà; di quest’ultimo ne usa le immagini, ma non il significato e la pregnanza oggettuale, anche il «docu­ mentario» (così come viene inteso da Joris Ivens, Dziga Vertov, Robert Flaherty). La rinuncia alla rappresenta­ zione, alla naturalità delle immagini, all’aspetto di rico­ noscibilità dell’oggetto, si lega così allo studio del movi­ mento puro che alcuni film, privi di connessioni narra­ tive, anche se ancora fortemente condizionati dalla con­ cretezza dell’immagine, esprimono. Ciò che accomuna il film astratto e quello assoluto e che porta molti pittori ad usare il linguaggio cinematografico e ad analizzarne le interne strutture è il ritmo. E proprio la novità del mezzo e la straordinaria energia del movimento che induce Veronesi a studiare i rapporti interni, esistenti tra la pittura e il cinema sul piano dell’espressione arti­ stica. Dapprima l’avvicinamento è prudente; egli vuole provarne il funzionamento (vuole piegarlo ad uno sco­ po conoscitivo) e gira una traversata di Milano nel ’38. Poi si ha il passaggio ad una più ampia sperimentazio51 Ibidem pp. 20 c 21.

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ne. L’analisi del ritmo, affrontata per anni nella pittura, viene riproposta nel film comprendendo sia l’aspetto figurativo (soprattutto in una prima fase) che quello puramente astratto. La nozione di ritmo cela un preciso rapporto tra com posizione cinematografica e composi­ zione musicale e, come si è visto poco sopra, può essere considerata fattore determinante in differenti tipi di film sperimentale, da quello astratto a quello surrealista. Dominique Noguez ricorda, a questo proposito, i rap­ porti che intercorrono tra L'uomo con la macchina da presa di Vertov, Berlin... di Ruttmann e i primi esperimenti musicali di Luigi Russoio52. Anche Ester de Miro ha individuato nel canone ritmico il comune denominato­ re della produzione sperimentale degli anni venti che si organizza intorno all’idea centrale di movimento 53. Il cinema astratto mostra l’estensione delle tecniche pitto­ riche al linguaggio cinematografico e afferma il tentati­ vo di creare composizioni geometriche simili a quelle musicali. In tal modo ha indicato le possibilità, fino a quel momento inesplorate, del mezzo scoprendo la ric­ chezza infinita delle soluzioni visive 54. Il ritmo si basa quindi sulla conoscenza delle tecniche e sullo sconfina­ mento in ignoti territori, fuori dai limiti delle singole espressioni d’arte. Studio 40 e Studio 41 sono la prova del significato tutto cinematografico della sua «pittura in movimento» e at­ tuano i motivi sopra indagati. Alcuni hanno usato 52 Cfr. Dominique Noguez, Le ànéma autrement, L'GE, Paris 1977, pp. 32 c 33. 53 Cfr. Ester De Miro, II gergo inquieto (catalogo) Comune di Genova, 1979, p. 82, passim. 54 Hans Richter considera il ci­ nema come una parte dell’arte moderna, come una arte «visibi­ le». Nonostante sensazioni e problemi diversi li dividano, la pittura e il cinema raggiungono, in alcuni casi, situazioni di tota­ le compenetrazione. Certi impe­ gni della pittura moderna, egli

dice, possono essere utilizzati soltanto nel film quale sbocco di alcune delle strade indicate dalla pittura. Arte moderna e film si completano. Cfr. Hans Richter, // cinema d'avanguardia in Germania, in AA.VV. Nascita del cinema, cit.

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l’espressione «pittura in movimento» per escludere da un lato i valori propriamente legati alla pittura e impe­ dire dall’altro il sorgere di valori visivi nel cinema. Bisogna ricordare però che la «pittura su pellicola», nei film di Veronesi, non assume il significato di un rifiuto del cinema ma al contrario si pone proprio come sco­ perta di un universo estetico e linguistico che giace solitamente sotto il meccanismo, senza essere esplorato in profondità. Studio 40 e Studio 41 eslcudono la figura umana, gli oggetti, la realtà del mondo fisico; sono opere non rappresentative, non oggettive, nella quali si è dato vita a delle forme pure. Il film astratto, per Veronesi, si compone di elementi ottici (luce, ombra, colore, forma) che si identificano con la Visione, elementi che corri­ spondono al Movimento ed elementi acustici che sono rappresentati dal Suono. Il suo valore è puramente visi­ vo, al di fuori di qualunque considerazione di ordine direttamente sociale, ed il suono deve essere contrap­ punto all’immagine. L’artista creatore del film astratto (che Veronesi chiama «assoluto») non dovrà imitare la realtà delle cose ma creare una nuova realtà; quella della luce, dell’ombra e del colore che suscita emozioni pure; emozioni che Diderot chiamava «gioie pure» 55. Non manca poi, in alcune note di Veronesi del ’42, un aspetto fortemente innovativo che nasconde un concet­ to di arte come energia e modo di organizzare la vita che era caratteristico dei primi astrattisti. Il film astratto realizza l’armonia ottico-acustica di luci, ombre forme, colori, movimenti, suoni, silenzi in rapporto di tempo e spazio. «I film assoluti, proiettati singoli o simultanea­ mente, nello spazio, su schermi multipli, trasparenti, su piani differenti, su schermi di sostanze gassose-permeabili ai corpi e ai colori, diranno parole nuove agli uomi­ ni» 56. E le immagini così pensate e costruite non ven­ 55 Cit. in Mario Verdone op. cit. p. 22. ’6 Ibidem pp. 22, 23.

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gono inghiottite dalla macchina durante la proiezione. Esse sono state studiate in rapporto al tempo e allo spazio creati dal cinema. Ricordo a questo proposito che Veronesi, quando realizzò Studio 40 e Studio 4 /, era perfettamente a conoscenza delle tecniche cinematogra­ fiche avendole sperimentate nei film precedenti e che pertanto non esiste il sopravvento della natura del mez­ zo, con la sua forma di persuasione psicologica, sulla «striscia» (pellicola) dipinta. È proprio questa coscienza del mezzo cinematografico, che immediamente si pre­ senta come riproposta dell’ardita, avventurosa e radica­ le sperimentazione degli anni dieci, ad avvertirci della novità di un’esplorazione tutta interna ed interstiziale della struttura nel linguaggio cinematografico come lin­ guaggio di «prove artistiche». Paolo Fossati afferma che la natura grafica e coloristica controlla l’azione ma non la sperimenta, né la vive, che vi prevale l’aspetto psicologico; riconosce l’importanza delle ragioni e delle motivazioni rispetto al mezzo e la ricerca di una corrispondenza che svela il gioco di rela­ zioni esistenti tra le parti, ma reputa troppo cinemato­ grafico l’intervento di Veronesi5*. In realtà la vicinanza della musica, ottenuta attraverso l’uso ritmico cinema­ tografico di cadenze, pause, fughe, rallentati, rende que­ sta particolare «organizzazione della pittura in movi­ mento» una straordinaria esperienza ai ricerca. Si apre un nuovo territorio estetico ed artistico che si pone tra la pittura, il cinema e la musica. Assistiamo ad un calco­ lato e prezioso intervento di interazione. Il disegno e il colore sperimentano analiticamente il movimento; ri­ spetto al mezzo, la pittura non appare condizionata o superata dal dinamismo delle immagini offerto dalla macchina. Troviamo un preciso rapporto tra le varie componenti. Il dinamismo cinematografico viene inol­ tre considerato come una parte di un dinamismo più 57 P. Fossati, L'immagine sospesa, Einaudi, Torino, 1971, pp. 192-193.

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generale che è alla base di ogni cosa e che è governato dal numero: «Il film astratto di cui ci occupiano — afferma Veronesi — nasce dalla volontà di staccare com­ pletamente l’immagine da tutti i suoi rapporti con il mondo realistico; nasce dunque, come tutta l’arte astrat­ ta in generale, da un presupposto idealistico che nei casi di massimo rigore pone alla base dell’opera d’arte il numero e le leggi matematiche superiori. Usando soltanto elementi geometrici essenziali, perciò esatta­ mente misurabili e controllabili nelle loro proporzioni e nei loro rapporti, e combinando e sviluppando tali ele­ menti secondo leggi di armonia e contrappunto visivo, i realizzatori di film astratti intendono fare opere in cui la musicalità sia data da soli elementi visivi: forme e colori in movimento e in rapporto tra loro» 58. Il primo film di Veronesi venne girato nel ’38 ed è un documentario sulla città che si sveglia; la traversata di Milano dalle sei alle dieci del mattino. Già nell’idea di questo primo film (purtroppo disperso) appare chiara­ mente l’interesse verso un particolare tipo di lavoro cinematografico e la volontà di appropriarsi di un nuo­ vo mezzo di espressione, di un nuovo linguaggio. Di­ versamente da L’uomo con la macchina da presa di Vertov e da Berlin... di Ruttmann, riferimenti che inevitabilmen­ te affiorano alla nostra memoria, il film di Veronesi non ci presenta, anche se tale componente non era stata trascurata, la prevalenza dell’aspetto formale. In quel momento il pittore voleva ottenere il contenuto docu­ mentario dell’immagine ed esperimentare i meccanismi della ripresa. Inoltre la relazione con il tema della città era totalmen­ te indiretta perché il pittore milanese non aveva ancora visto i film di quei registi; tutt’al più egli ne era a conoscenza attraverso le pubblicazioni specializzate 59. Il ritmo e tutte le operazioni ad esso connesse erano 58 L. Veronesi, Il cinema attratto, cit. 59 Veronesi vide i film del­ l’avanguardia storica soltanto qualche anno più tardi.

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dentro di me, dice Veronesi,da tanto tempo; è un con­ cetto base. Il suo primo film viene, dallo stesso pittore, considerato esperienza di lettura esclusivamente documentaria; si tratterebbe di una prova con il mezzo cinematografico. L’idea dinamica e la prova debbono ricollegarsi al feno­ meno di tutto il primo cinema sperimentale e d’artista caratterizzato come si è già detto dal bisogno dei pittori di studiare le possibilità espressive delle recenti conqui­ ste tecniche. 11 film permetteva un ritmo che «la pittura poteva soltanto suggerire». Tuttavia, afferma Veronesi, il cinema non ha influenzato la pittura; l’evoluzione della pittura è indipendente dal cinema. Nel secondo film, Caratteri, che s’accentra sul motivo del dinamismo delle immagini in movimento, (tema particolarmente caro alle avanguardie cinematografiche degli anni venti), assistiamo ad un rigoroso gioco con le lettere, le vocali. I caratteri tipografici vengono avvi­ cinati, disposti in modi prestabiliti nello spazio secondo la grandezza, o allontanati alternando effetti di compo­ sizione e scomposizione. In tale film l’autore sperimenta la complessità del ritmo mediante l’uso del montaggio rapido e dimostra di essersi completamente impadroni­ to delle tecniche cinematografiche. Il terzo film, VisoColore, utilizza ricerche teatrali che in quel momento Veronesi stava conducendo; si tratta di uno studio delle variazioni nell’espressione dell’attore in base alle modi­ ficazioni della luce e del colore. Il film doveva sempli­ cemente verificare i risultati dell'esperimento. Tuttavia esso supera i limiti della semplice descrizione confi­ gurandosi forse come un’anticipazione del film struttu­ rale americano degli anni settanta. Viso-Colore infatti, indipendentemente dal soggetto e dal problema della sperimentazione e osservazione, è strettamente legato ad un fatto artistico e può essere considerato come un momento di congiunzione tra i film sopra ricordati ed il primo esempio di tale operazione minimale-reiterativa che viene solitamente individuato nella scena della donna che sale le scale in Pallet mécanique di Fernand Léger 60. A prescindere dai tagli causati dal progressivo

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deterioramento di parti della pellicola il film ci mostra una tecnica molto elaborata di reiterazione di gesti e movimenti, un’approfbndita ricerca sulle possibilità stesse del mezzo, uno studio attento del linguaggio. Scopriamo cosi, se consideriamo i successivi Studio 40 e Studio 41, interamente astratti e dipinti a mano, che nell’opera cinematografica di Veronesi abbiamo, da un lato, il rifiuto della cinepresa come apparecchiatura (so­ stituita dal «montaggio in pellicola») e, dall’altro, l’uso ampio e articolato di essa. Ma è proprio dalla coscienza di un approfondimento delle ragioni e motivazioni della pittura rispetto al film che scaturisce questo duplice risultato caratterizzante il lavoro cinematografico di Veronesi. L’organizzazione della pittura in movimento, per ciò che riguarda in particolare Studio 40 e Studio 4 7, rimane nel suo segno razionale. Il ritmo si rivela attraverso la «sceneggiatura in pellicola», tecnica che consente lo sviluppo, foto­ gramma per fotogramma, di un discorso pittorico. In tal modo Veronesi mostra di aver scoperto possibilità e modi quasi del tutto inesplorati rendendo più ricco e più magico il linguaggio del cinema. Non è alle ricerche tardo futuriste di Trampolini per il film astratto Mani (1932) o al film di musica visualizza­ ta La gazza ladra di Corrado D’Enrico (1934-35) che attinge l’esperimento cinematografico di Luigi Verone­ si, ma alle radici del progetto intercodice e al suo pro­ gressivo specifico consolidarsi nel Bauhaus. In questa situazione di originale ripensamento critico, che vede la figura dell’artista-artigiano unirsi a quella dell’arteficetecnologo e che stabilisce un momento pluricostitutivo 60 Diventa ancor più interes­ sante, sotto questa luce, rilegge­ re le sue No/tf di cinema, del ’42: «Il movimento anch’csso deve essere come una realizzazione di puri movimenti cinematografici; di fuori delle leggi fisiche dei movimenti reali, quelli cinema­ tografici agiranno liberamente nel tempo e nello spazio. Movi­

menti continui, alternati, com­ penetrati, rallentati, accellerati, potenziati dal montaggio, saran­ no la base cinetica del linguag­ gio ottico».

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dell’opera visiva, troviamo il complesso lavoro dell’arti­ sta milanese 61. Un elemento fondamentale che ci conduce dalla prova cinematografica alla pittura, dalla musica al teatro della luce, dalla grafica alla progettazione, e che caratterizza frequenti attraversamenti, ci è offerta poi dalla interpre­ tazione che egli fa del rapporto suono-colore. Questo studio lo possiamo analizzare in certe prove di luce nel teatro, nei film astratti e soprattutto nei «rotoli» di musica-colore, da considerarsi il punto centrale di que­ sta ricepa62. Si tratta della continuazione del vecchio progetto suono-colore, nato all’inizio del cinema quan­ do gli artisti lo avevano eletto come «luogo di moltepli­ ci interazioni». Possiamo indirettamente sentire riecheg­ giare le ricerche di Hans Stoltenberg, Alexandre Làszló, Duncan Grant, dei fratelli Corra, di Ludwig Hirschfeld Mack, Achille Ricciardo, e prima ancora di Baimbrige Bishop, A. W. Rimington, W. Baranoff-Rossiné63. La via tracciata da Veronesi rimane ancora uno dei più 61 II riferimento all’attività di Moholy Nagy è di notevole im­ portanza. Centrale appare l’at­ tenzione verso il fotogramma. Luigi Veronesi, in una nota sul­ la fotografia, riferisce la defini­ zione del fotogramma che .Mo­ holy Nagy diede nel ’36: «Il fo­ togramma, cioè l’immagine lu­ minosa ottenuta senza macchi­ na fotografica, è il segreto della fotografia. In esso si rivela la ca­ ratteristica unica del procedi­ mento fotografico che permette di fissare immagini di luce e ombra su una superficie sensibi­ le senza l’aiuto di alcun appa­ recchio. 11 fotogramma apre nuove prospettive su un lin­ guaggio visivo finora compietamente sconosciuto e governato da leggi proprie. Nella lotta per giungere a un nuovo modo di vedere le cose, il fotogramma è un’arma del tutto materializza­

ta». I) fotogramma allora non è una semplice descrizione, il ri­ sultato tecnico di un documen­ to umano o di una situazione oggettuale. 62 Sul problema dei collega­ menti strutturali che uniscono suono e colore si veda L. Vero­ nesi, Suono colore, cit. 63 Per questi esperimenti si ve­ da B. Hein e W. Herzogenrath, Film als Filmi 1910 bis beute, Stoccarda, 1977; AA.VV. Film as Film. Formal Experiment in Film 1910-1975, Londra, 1979; M. Verdone, Ee avanguardie storiche del cinema, cit., M. Verdone, Cinema e letteratura delfuturismo, cit., G. Ron­ dolino, Storia del cinema d'animazione, Einaudi, 'forino, 1974 (sempre del medesimo autore 11 cinema astratto cit.); K. Popper, Carte cinetica, cit. ; Catalogo della Mostra dell’Arte Programmata e Cinetica (a cura di I x:a Vergine), cit.

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importanti segnali della forma intercodica la quale, pro­ prio in questi ultimi anni, con lo sviluppo della tecnolo­ gia, ripropone, con sempre maggior forza , la sua validi­ tà disponendosi per il futuro. E proprio dalla lettura della sua opera che possiamo trarre idee, intenzioni, progetti in grado di fare uscire dall’isolamento un espe­ rimento ed un progetto non mai pienamente accolto.

Parte seconda

Cocteau e il cinema di poesia

I film di Jean Cocteau debbono essere considerati all’in­ terno della sua più ampia produzione artistica e nella complessa concezione estetica che ne è alla base. Temi ricorrenti come il sogno ad occhi aperti, il ritorno al momento intuitivo e fantastico dell’infanzia, lo stato di solitudine, il sentimento dell’antico, sono gli elementi della sua pratica lirica, della sua continua ricerca di distanza e differenziazione rispetto all’abituale e alla avanguardia nell’arte. Ciò che maggiormente colpisce il fruitore è la soggezione di questi materiali poetici ad un processo di incantamento, ad una forma di «realismo superiore», come lo chiama Georges Charensol Esiste cioè una dimensione ipnotica, di rapimento, di estasi allegorica, che sorge dall’intenzione, da parte dell’auto­ re, di raggiungere i lidi segreti della poesia, quei lati oscuri e misteriosi che sono la parte più intima e nasco­ sta del creatore d’arte. L’espressione poetica allora di­ viene un’emanazione auratica, una rivelazione, attraver­ so particolari segni-simboli, di motivi ermetici12. La scelta cinematografica di Cocteau, oltre ad essere arricchita da un gusto e da una sensibilità raffinati, 1 Cfr. G. Charensol, Jean Cocteau et le cinématographe, in «Cahiers Jean Cocteau», n. 3, Gallimard, Paris, 1972, p. 10. Sulla poetica di Jean Cocteau si vedano L Crowson, The Aesthetics of Jean Cocteau, The University Press of New England, 1978 e J. Jacques Kimm, Jean Cocteau, I’bomme et le miroir, La Table Ronde, Paris, 1968; su Jean Cocteau cineasta si vedano, tra l’altro, i numeri speciali di L’«Avant Scène Ciné­ ma», n. 12, 1956; «La Revue du Cinéma, image et son», 1972, e

«Cinéma 83», 1983. 2 In Italia la trascrizione cine­ matografica di questi segni poe­ tici (Le Sang d'un poète) attirano l’attenzione di Enrico Prampolini che, ribadendo l’idea cocteauiana della tecnica come veicolo della poesia, elogia l’apertura di nuove esperienze cinematogra­ fiche favorite dallo scrittore francese. Le Sang d’un poète, sag­ gio di cinepoesia atteso invano, dice Prampolini, da Epstein, Dulac, Ruttmann, Buhuel, ha saputo sondare profondità psi-

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risente di questa «ansiosa influenza» che abbandona consuetudini vecchie e nuove (l’avanguardia) per porsi in una zona pericolosa, rischiosa, luogo privilegiato del dominio del «geniale» 3. Con questi motivi egli promuo­ ve la difesa del cinema povero dei nuovi registi-artisti contro l’industria hollywoodiana; dirige anche il «Festi­ val du Film maudit» a Biarritz nel 1949. Il «bel film», per Cocteau, deve avere rapporti interni con la confes­ sione e mostrarsi un incidente poetico provocato e gui­ dato. Deve apparire «un incidente, uno sgambetto al dogma e sono certi film che disprezzano le regole, que­ sti film eretici, questi film maledetti, cui la cineteca francese è la custode, che noi esigiamo di difendere» 4. Scopriamo qui un legame con lo stato di pericolo per­ manente nel quale la poesia deve rimanere per affer­ chiche, sorprendere gli animi, creare uno speciale stato sonnambolico che si sposta mirabil­ mente tra paradossi, segreti, in­ cubi. L’atmosfera enigmatica ed esasperata, dovuta al contrasto di azione poetica e realtà intro­ spettiva, determina, afferma an­ cora Trampolini, un doloroso smarrimento «psichico e visivo» che assurge alla dimensione del mito. Cfr. E. Trampolini Le Sang d'un poète, (1932) in M. Verdone, Poemi e scenari delFavanguardia cinematografica, Offi­ cina, Roma, 1975. 3 Cocteau amava il cinema, ne fu attratto come Apoljinairc, Cendrars, Max Jacob. Il cine­ ma, come ricorda Henri Lan­ glois era poi presente nel suo lavoro letterario (Le Cab de Bonne Espérance, Plain Chant, Opera, Le Grand Ecart) e Le Sang dun poète può essere inteso co­ me «la reproduction sur ecran dune suite damages nées du cinema dans la cosmogonie du poète» (Henri Langlois, Jean Cocteau et le cine­ ma, in «Cahiers Jean Cocteau»,

op. cit. p. 29). Già nel 1919, per la rubrica «Carte bianche», di «Taris Midi», Cocteau scriveva: «Se il teatro è l’arte delle grandi linee, in cui il gesto e la voce sostituiscono ciò che il pubblico non potrebbe seguire negli oc­ chi del commediante, il cinema­ tografo è l’arte delle sfumature, in cui l’attore, sgravato del te­ sto, trova una libertà e una re­ sponsabilità sconosciute fino ad oggi» (cfr. Mario Verdone, Gli intellettuali e il cinema, Bulzoni, Roma, 1982, pp. 59-60). Nel 1926 in Secret profissionel, il poe­ ta francese, parlando della diffi­ coltà dell’arte e del suo ricono­ scimento cita anche il cinema come una delle «trappole nelle quali l’uomo tenta di captare la poe­ sia» (cfr. Mario Verdone, ibi­ dem, pp. 65-66). 4 J. Cocteau, Del cinema, (Taris, 1973) (a cura di A. Bernard e C. Gauteur), Il Formichiere, Mila­ no 1979, pag. 35.

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marsi come tale. Una poesia quindi che deve appartene­ re al banco degli accusati e non a quello degli accusato­ ri, che deve palesare un continuo proposito di distanza dall'abitudine e dalle norme. Ed ecco infatti Cocteau appoggiare il nuovo cinema, i film sperimentali della seconda generazione, la nouvelle vague. Bisogna guar­ darsi dalla grande industria, avvertiva Cocteau, per di­ fendere l’autonomia creativa degli autori e la libertà di espressione; la salvezza può essere trovata nell’uso del 16 mm (che permette invenzione, improvvisazione, li­ bertà di azione, elementi prodigiosi cu costruzione dal nulla) e nella povertà di mezzi. Da qui la funzione del mecenate, di colui che si pone nell’ombra dove lavora­ no gli artisti che egli ama, e la concezione della cinepre­ sa come stilografica con la quale ognuno potrà «tradur­ re la propria anima nello stile visuale» che desidera5. Cocteau diviene il punto di riferimento per la ricerca e la sperimentazione nel cinema d’autore «Di bello c’è solo il naufragio, la disubbidienza alle regole morte, l’incidente, gli errori, se l’uomo è abbastanza forte per santificarli e renderli esemplari. Un errore cessa di esse­ re un errore se colui che sbaglia lo cambia in quello che Baudelaire chiamava «l’espressione più recente della Bellezza». Il difficile per un’opera è che questa espres­ sione recente della Bellezza sconvolge le abitudini, cam­ bia le regole del gioco e somiglia, al primo colpo d’oc­ chio, alla laidezza, a una specie di testa di Medusa» 6. Il suo insegnamento verrà seguito da vari autori della «seconda avanguardia». Importante è il risultato della combinazione teatro-cine­ ma, al di là delle tesi, allora molto propagandate, del riscatto del linguaggio cinematografico da quello teatra­ le. Per Cocteau è necessario che il cinema ed il teatro «si tengano per mano». È soprattutto in Lw parents ferribles che viene risolto l’interscambio cinema e teatro in 5 Ibidem, pp. 22, 23, 42-45, 90. 6 Ibidem, p. 124.

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modo radicale filmando una commedia in modo tale che essa si tramuti «naturalmente» in cinematografo. In effetti questa magia del cambiamento ci esalta. Dice Cocteau: «Il cinema ed il teatro si voltano la schiena. Al teatro, regnano gli attori. L’autore appartiene a loro. Al cinema, loro ci appartengono. Ecco perché ho fatto il tentativo di L’Aquila e quello dei Parenti terribili} in L’Aquila ho voluto deteatralizzare una commedia e, senza cambiare una riga, presentarla al pubblico sotto una nuova angolazione. Ritengo che sarebbe folle di­ chiarare il divorzio fra due grandi forme d’espressione. L’essenziale, se l’autore di una pièce la trasporta sullo schermo, è che la trasporti intatta» Mentre in L’Aquila a due teste ho voluto fare un film teatrale con parole, gesti, azioni teatrali, in 1 parenti terribili ho voluto «de­ teatralizzare» una commedia, sorprenderla attraverso il buco della serratura, variare le angolazioni fino a farne un film» 7. Sul rapporto cinema-teatro Bazin cita 1 parenti terribili come opera nella quale il realismo non porta il dramma allo stesso livello del cinema, non abolisce la ribalta. Cocteau, per il critico francese, è cosciente della relazio­ ne tra le convenzioni tragiche ed il lavoro cinematogra­ fico. Se anche il dramma è apparentemente uno dei più realisti, Cocteau cineasta ha capito, dice Bazin, che non bisognava aggiungere nulla alla scenografia; che il cine­ ma non deve servire a moltiplicarla ma ad intensificar­ la. La vera unità di tempo e di luogo viene introdotta qui dalla macchina da presa grazie alla sua mobilità. È proprio attraverso il cinema che il prodotto teatrale può esprimersi liberamente ed è per questo fatto che Les parents terribles diviene «una tragedia d’appartamen­ to, in cui una porta che si socchiude può assumere maggior significato di un monologo su un letto». Coc­ teau non tradisce la sua opera, resta fedele allo spirito 7 Ibidem pp. 23 e 106.

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del dramma, rispettandone tanto meglio le servitù es­ senziali in quanto sa discernerle dalle contingenze acci­ dentali. 11 cinema agisce solo come rivelatore che fa apparire completamente certi dettagli che la scena la­ sciava in bianco. L’assetto del decoupage, una volta risol­ to quello della scenografia, viene da Cocteau pensato ingegnosamente facendo in modo che lo spettatore pro­ vi la sensazione di una presenza totale dell’avvenimento «per virtù, dice ancora Bazin, di una rapidità diabolica dello sguardo che, per la prima volta, ci sembra sposare il ritmo puro dell’attenzione». Pur restando fedele al decoupage classico Cocteau gli conferisce un significato originale utilizzando solo inquadrature che partono dal punto di vita dello spettatore testimone. Si ottiene così l’impiego estetico delia «macchina da presa soggettiva», attraverso il quale il dramma ridiventa spettacolo. Coc­ teau ha detto che il cinema era un avvenimento visto dal buco della serratura. Della serratura resta qui «l’im­ pressione della violazione di domicilio, la quasi oscenità del vedere» (Bazin). In quest’azione di «spionaggio» della realtà assistiamo all’esplosione dello stesso effetto di realismo. Precisa Bazin: «Cocteau si riallacciava così al principio stesso dei rapporti tra lo spettatore ed il palcoscenico. Mentre il cinema gli permetteva di cogliere il dramma da mol­ teplici punti di vista, egli sceglieva deliberatamente di non servirsi che di quello dello spettatore, solo denomi­ natore comune al palcoscenico ed allo schermo. Così Cocteau conserva alla sua opera l’essenziale del suo carattere teatrale. Invece di tentare, al seguito di tanti altri, di dissolverla nel cinema, utilizza al contrario le risorse della macchina da presa per denunciare, sot­ tolineare, confermare le strutture sceniche ed i loro corollari psicologici8. L’apporto specifico del cinema po­ trebbe essere definito in questo caso solo come un 8 A. Bazin, Che cos'è il cinema, (Paris, 1958) Garzanti, Milano, 1973, p. 157-161.

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sovrappiù di teatralità». È proprio la situazione spinta all’estremo, l’eccesso (di teatralità, realismo, dialoghi), l’atto di sottrazione-rivela­ zione a creare in Les parents terribles, quella condizione di elementi insoluti ed anche paradossali che qualifica in genere lo stile cocteauiano. Cocteau, quando pensava al pubblico del cinema, pen­ sava al pubblico «infantile» e ciò perché era proprio alla ingenuità e alla fantasia dell’infanzia che egli voleva portare i suoi film rendendoli affascinanti; voleva che la comunicazione cinematografica facesse sorgere una ipo­ tesi collettiva. Il poeta francese, a proposito di La Belle et la Bete (ma tali osservazioni valgono anche per tutta la sua opera cinematografica), dice: «da quando lavoro a La Belle et la Bete scopro che il cinema, è un mondo simile all’infanzia, e mi rivedo in una di quelle camere da malato nelle quali tagliavo delle figure allo scopo di ricrearne delle altre e di incollarle in certi album». O ancora «Accontentiamoci di imitare i bambini che co­ noscono il segreto di maneggiare i giochetti da quattro soldi in modo tale che diventino i più bei giochi del mondo» 9. Ma il lavoro di Cocteau nasconde un aspetto anti-razionale già annunciato, quello del mistero. Nelle opere di «Poèsie critique» (Ef coq et l'arlequin, Bappel à fordre, Le Mystère late, La Difftculté d'etre, Journal d'un ìnconnu, per esempio) egli stigmatizza la frivolezza pericolosa dell’uomo moderno, il suo conformismo e le sue false verità 10 che fanno perdere il senso del mistero. Il poeta francese cerca il segreto profondo dell’arte; quel segreto che si scontra con il «poetico», l’intellettuale, fattori che producono un’epoca dettata dalla spersonalizzazio­ ne e dal rifiuto dello «spirito di creazione». E questa concezione, legata ad un sapere ermetico, ad una «espe­ rienza alchemica» (come la chiama Cocteau) sorregge opere dove gli avvenimenti procedono da soli senza 9 J. Cocteau, Del cinema, pp. 85 e 92. 10 Cocteau fa suo, per tutta la vita, il motto di Radiguet: «Il ne faut jamais contredire le gran public,

il faui coni redire l'avantgarde», in quanto l’avanguardia diventa nuovo accademismo e conformismo anticonformista.

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tuttavia perdere ogni controllo come capita nel sogno, poiché qui vi si celebrano «le nozze del cosciente e dell’incoscienza che mettono al mondo questo mostro terribile e delizioso che si chiama Poesia». La ricerca di un sapere profondo, nascosto, è alla base della poetica cocteauiana e tale investigazione non esclude un «pericoloso» impegno per il quale la poesia cinematografica nasce c si sviluppa sulla traduzione di un’iniziazione orfica. E proprio sull’aspetto dell’iniziazio­ ne che punta il lavoro cinematografico di Cocteau pre­ sentandosi con un’andatura da cerimoniale il cui com­ pito è quello di vincere l’impossibile. Il procedere lento e notturno delle immagini obbedisce, dichiara il poeta francese, ad una voce profonda che sembra assomiglia­ re al caso ma che in realtà è una parola misteriosa capace di guidare l’artista dentro e fuori di lui nel mon­ do H. C’è una forza interiore, una ispirazione innata che rifiuta di essere soggiogata ^intelligence, al controllo cosciente. È rincontro con Picasso, Stravinsky, Satie, Radiguet, che porta Cocteau a pensare l’arte una mis­ sione, un sacerdozio. Da qui il compito di invisibilità del poeta che deve ritrarsi dal mondo per mostrare le qualità di rarità, mistero, aristocrazia, nell’idea che l’arte non si possa insegnare perché cosa molto particolare e personale 11 12. C’è una linea visionaria che attraversa tut­ ta l’opera di Cocteau e che vede in Rappel à l’ordre una sua prima definizione. Per il nostro interesse cinemato­ grafico questa linea si costruisce una sua prima defini­ zione lungo la trilogia Le Sang d'un poete, Orphèe, Le testament aOrphée e si collega al principio della poesia quale creatrice d’arte nella suddivisione di poesie de ro­ man, poésie critique, poesie graphique, poesie cinématographique. Arthur B. Evans indaga la linea iniziatica attraverso i tre film ricordati partendo dalla distinzione-contrappo­ sizione di narrative-film e film-poem allo scopo di en­ 11 Cfr. W. Fifield, (entretiens) Jean Cocteau par Jean Cocteau, Stock, Paris, 1973, p.14-15. 12 Ibidem, p. 144-145.

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trare nel vocabolario visuale del poeta francese. L’ele­ mento predominante del film-poem viene connesso esternamente ad un atto che lega l’io ad una corrispon­ denza mitica in modo da trascendere il significato lette­ rale e mostrare un linguaggio determinato da un pro­ cesso di espansione semantica. L’indagine sul vocabola­ rio esoterico viene condotta sui contenuti dell’ispirazio­ ne, della descrizione attraverso le immagini, della rice­ zione, soprattutto esplorando le metafore della morte e dell’angelismo. Interessante e giustificata appare poi la relazione che egli fa tra le allegorie ricorrenti in questi film e l’influenza dell’oppio. Tuttavia è particolarmente suWidentità orfica che s’accentra l’attenzione. Il tema del­ l’arte come missione, l’uso di certi significati simbolici come lo specchio e l’angelo, la ripresa del mito di Or­ feo, il narcisismo vengono esplorati secondo vari aspet­ ti per giungere a interessanti collegamenti. A Rilke vie­ ne poi fatta risalire l’idea dell’angelo Heurtebise e del mito di Orfeo ,3. Appare quindi ovvio che, per un auto­ re che ha sempre pensato alla poesia come ad una specie di «chiostro laico», anche la figura del cineasta si trasformi radicalmente. «Non sono un cineasta — affer­ ma Cocteau — Sono un poeta che usa la macchina da presa come un veicolo adatto a permettere a tutti di sognare insieme lo stesso sogno, un sogno che non è un sogno di sonno, ma il sogno sognato da svegli che non è altro che il realismo irreale, il più vero del vero, del quale si vedrà un giorno che fu il segno distintivo della nostra epoca» ,4. L’autore francese, che possiamo considerare figura completa, «moderna», in quanto pittore, poeta, roman­ 13 Cfr. A. B. Evans, Jean Cocteau and His Films of Orphic Identity, Associated University Press, London, 1977. Una particolare indagine simbolica di tre iniziali immagini «occulte» di Le Sang d’un poète (il ritratto animato, la statua parlante, lo specchio fata­ to) con la ricostruzione della lo­ ro provenienza letteraria, psico­

logica, sociale, viene svolta da T. Ziolkowski in Disenchanted Images. A Literary Iconohgy, Prin­ ceton, 1977. Si veda anche E. Kushner, Le Mythe d’Orphée dans la Littérature Franfaise Contemporaine, Paris, Nizct, 1961, c J. Brosse, Orphée theatre et cinema, Bordas, Paris, 1973. 14 Jean Cocteau, cit., p. 125.

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ziere, saggista, drammaturgo, giornalista, autore di film e di balletti (capace cioè di giocare sui vari registri della espressione e della comunicazione artistica) 15*parla di un realismo più vero del vero. Di quale realismo si tratta allora se non di una sua profonda, metafisica alterazione? Tutta l’opera di Cocteau, per Micheline Meunier, è «insexué, glacial et métaphisique, méme si la métaphisique n’est pour lui que le prolongement du physique, ce qui lui fait inverser la phrase de Descartes et dire “je suis, done je pen se”» ,6. Per ottenere la «verità» il poeta deve mostrare il contrario della realtà che deve essere preli­ minarmente falsata nella prospettiva di un eterno pre­ sente. L’idea di immobilità temporale e il desiderio di stabilire una verità più vera, profonda, richiama ad un simbolismo particolare trasmesso anche dall’uso dei mi­ ti greci. Questo clima, legato al simbolismo pittorico, non è sfuggito a Philippe Jullian che ritrova un’atmo­ sfera preraffaellita in Les Chevaliers de la Table Ronde, ri­ ferimento ai pastiches di W. Morris nei disegni di Coc­ teau del medesimo periodo, e, prima ancora, l’emblema­ tica figura della sfinge in La macchina infernale 17. Nelle indicazioni al testo di Le Sang d’un poète si legge: «Tout poème est un blason. Ilfaut le dechijfrer» 18. Cocteau dedica le allegorie di questo film alla memoria di Pisanello, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Andrea del Casta­ gno «peintres de blason et d’enigme». Il suo simbolismo è quello «eletto» della pittura simbolista o del classicismo; rifugge dall’ermeneutica moderna, preferisce le sem­ bianze dell’al legoria. Le figure e le situazioni della complessa mitologia coc15 Sulla coscienza di una pratica poliespressiva si veda William rifiela (a cura di), cit. p. 43. Si pensi quanti sono gli scrittori cineasti (Robbe Grillet, Pasolini, Marguente Duras e molti altri). Si apre da qui un dibattito mol­ to complesso sulla eteroclita fi­ gura dell’«artista» contempora­ neo.

16 M. Meunier, Presence de Jean Cocteau ou Le Sang d’un poète, Emmanuel Vitte, Lyon, 1964, p. 48. *7 Cfr. P. Jullian, Esthetes et Magicìens, Perrin, Paris, 1969, pp. 74-75. 18 J. Cocteau, Ee Sang d’un poète, Editions du Rocher, Monaco, 1957, p. 25.

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teauiana nella trilogia Le Sang d’un poète, Orphée, Le Te­ stament d’Orphée non ci distolgono dal fascino che eser­ cita su di noi il raffinato gusto eclettico che troviamo nella storia, vissuta da eroi immaginari, di L’Aigle a deux tétes, nello stile alla Vermeer (nella casa) o alla Gustave Dorè (nel castello) di La Belle et la Bete, nell’atmosfera, per metà E1 Greco e per l’altra metà Goya, di Ruy Bias, o nell’eccesso di realismo (capace di creare un impatto insolito, eccentrico, straordinario) di Les enfants terribles. Afferenze barocche ed estetizzanti sono gfi elementi di una poetica «indisciplinata» che vive dell’utilità della disobbedienza, della vivacità del paradosso e della con­ traddizione; «je suìs un tnensonge qui dit toujours la vérité» oppure «l’elégance consiste à ne pas étonner», diceva Coc­ teau, anche se poi le sue opere a volte effettuano pro­ prio quel principio che il poeta francese giudicava nega­ tivo. In consonanza con i modi di certe asserzioni di Walter Pater e Oscar Wilde leggiamo: «La beauté, dans l’art, est irne astuce qui l’étemise. Elle voyage, elle tombe en route, elle feconde les esprits. I^es artistes lui foumissent le véhicul. Ils ne la connaissent pas. C’est par eux et en dehors d’eux qu’elle s’acharne. Veulent-ils la capter de force, ils n’en produisent que l’artifice» ,9; im­ pressioni simili dominano altre brillanti osservazioni sulla morale e sullo stile per le quali gli spiriti e le anime vivono senza sintassi morale, liberi nel proprio stile interiore la cui preminente qualità consiste nel dire cose complicate nel modo più semplice. Il capolavoro, per Cocteau, nasce quando l’opera mostra d’essere un fenomeno naturale come le macchie delle farfalle, le nervature delle foglie, le striscie della zebra o della tigre 19 20; quando essa riesce a trasmettere «la profonda realtà dell’irrealismo». I suoi film vengono, dall’autore stesso, definiti «realisti» 21 volendo con ciò affermare che essi appartengono all’idea del «vero» goethiano, a 19 J. Cocteau, La dijficulté d’etre, L’GE, Paris, 1964, p. 144. 20 R. Pillaudin, Jean Cocteau tourne son dernier film (Journal du Testament d’Orphée) La Table

Ronde, Paris, 1960, p. 135. 21 «Le Sang d’un poète, film nel senso in cui l’intende Chaplin, è un documentario realista di av­ venimenti irreali. Lo stile vi è

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quel linguaggio della «verità interiore» che si afferma qualora il fatto cinematografico entri nell’ordine del «merveilleux direct» quando il meraviglioso, per un equi­ librio tra immaginazione e tecnica, arriva ad una tale semplicità da essere posto ad un livello «infantile» 22. Cocteau opera attraverso un «realisme de mistère»23, una realtà sumaturale, ieratica, di tipo «religioso», che trova diretti collegamenti con la tragedia greca. Sotto rocchio della camera i miti riprendono vita e trionfano. Ma il metodo deve essere attuale, «nuovo», e Cocteau ricorre al trucco, all’artificiale, alla falsità simbolica, al kitsch, per giungere a ciò che ritiene «vero» amore, «vera» morte. Questa eterogenea mescolanza di figure, situazioni, questo assemblage di cose così lontane e disparate non manca di suscitare l’ammirazione anche in chi, come Robert Bresson, ha una concezione del cinema molto differente 24. Il poeta francese ha inventa­ to il «cinematografo» come scrittura di luce (encre de lumière) rischiosa ed avventurosa, la quale affonda nel­ la sua poesia e nei suoi romanzi. Nel film riappaiono gli stessi temi ma essi hanno una vita diversa, quella della immaginazione viva e palpitante; poesia di cinema allora da non confondere con poesia al cinema. Tale condizione si costruisce su di una struttura magica che sceglie Méliès in opposizione a Lumière, «per i diritti dell’im­ maginazione piuttosto che per i doveri dell’osservazio­ ne» 25. È appunto l’espressione di un realismo «subii più importante dell’aneddoto, e io stile delle immagini autorizza ognuno a farne il proprio torna­ conto, a simbolizzare secondo il proprio spirito, poiché Freud ha ragione ai dire, nella prefazione del Joueur, che un artista non ha bisogno di aver pensato a certe cose perché queste cose diven­ gano in seguito l’oggetto princi­ pale della sua opera». J. Cocteau, Del cinema, cit., p. 90. 22 J. Cocteau, Entretiens sur le cine'matographe (a cura di André Bernard e Claude Gauter), Bel-

fond, Paris, 1973. 23 Cfr. J. Louis Bory, C camme cinema, e camme Cocteau, in «Cahiers jean Cocteau» n. 3, cit. p. 22. 24 Cfr. R. Bresson, Témoignage, in «Cahiers Cocteau» n. 3, cit., p. 23. “ Cfr. J. L. Bory, C camme cinéma e camme Cocteau, cit. Molti critici hanno seguito la linea MélièsCocteau. Tra questi, con parti­ colare riferimento all’avanguar­ dia americana della seconda ge­ nerazione, ricordo Parker Tyìer,

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me» che attinge alla fatica del fare e al paziente lavoro dell’artista-artigiano. Operosità che vuole dispensare la bellezza senza però apparire vuota, esteriore, intelligen­ te; pratica che s’incarica di dare vita artistica anche agli errori. Dichiara Cocteau nel 1960 a proposito de Le Testament d’Orphée (ma questa osservazione può essere utilizzata anche retrospettivamente): «Più un film è ir­ reale, più esige realismo al fine di convincere. Il reali­ smo propriamente detto è aiutato dalle abitudini, adatte a riempire i vuoti e a correggere gli errori. Solo, se l’opera è fatta espressamente di errori, è indispensabile santificarli, cioè renderli incontestabili a tal punto che diventino esemplari. Fare degli errori così sublimi che cessino di essere errori. La lezione mi viene da Picasso che sempre di più s’incarica di santificare gli errori, di dare loro un tale rilievo che l’opera evita di essere una brutta copia della natura, ma mostra il volto di una razza e di un regno superiore, governati dall’uomo» 26. Queste osservazioni ci introducono da un lato al clima sperimentale del «cinema dei pittori e dei poeti» dall’al­ tro a confronti con alcune tesi di Rudolph Arnheim. In effetti Cocteau sottolinea l’importanza dì un linguaggio liberato da norme e soprattutto, con l’idea dell’eccezio­ nale quale carattere propulsore d’arte, afferma, in modi del tutto personali, il valore e la funzione di quei fattori che Arnheim chiama «differenzianti». Per ciò che con­ cerne poi il movimento eteroclitico delle avanguardie The Three Faces of the Film, Bar­ nes- Yaseloff. New York, 1960. 26 J. Cocteau, Del cinema, cit. p. 123. Alcune affermazioni del poeta francese sull’uso artistico degli errori: «Le Sang d’un poète est una collection de solécismes subli­ mes» (da Jean Louis Bory, C camme cinema, e comme Cocteau, cit., p. 20). «Les innombrables fautes du sang d’un poète fin is sent pour lui imprimer une certaine allure» (da Jean Cocteau, Le Sang d’un poète, cit. p. 13). «Je crois, du reste, que le succès

permanent de ce film, vient de mes fautes et de la possibi lite que je laisse aux spectateur suc­ cesses de s’y introduire et d’y jouer un ròle» (da Jean Cocteau, Lntretiens sur le cinématographe, cit.).

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dove sono i pittori ed i poeti appunto a scoprire e a valorizzare negli anni venti, nei confronti del cinema narrativo, divistico e d’evasione, le possibilità della im­ maginazione sperimentando nuove qualità tecnico-e­ spressive del mezzo, Cocteau rappresenta un caso sin­ golare non appartenendo esplicitamente a gruppi o ten­ denze. Egli tuttavia appartiene a quella linea che, attra­ verso tutta la storia del cinema, segna il superamento delle differenze tra le arti nell’esperimento di un lin­ guaggio comune, frutto della giustapposizione di ele­ menti fino a quel punto separati. Ciò è vero fino a Cornell, Warhol, Snow, e comprende anche ricerche particolari come quelle di Moholy-Nagy e Luigi Vero­ nesi. D’altronde ricordo che Cocteau passò al cinema prove­ nendo solo in parte dal territorio letterario. Il poeta francese afferma infatti che nell’esperimento cinemato­ grafico si trattò soprattutto di un passaggio che proce­ deva dal disegno, per le qualità di messa in scena che esso e la pittura impongono27. L’importanza dell’opera di Cocteau è anche quella di tentare la dura prova di un artista completo affrontando diversi piani espressivi, giocando un complesso sistema di interrelazioni media­ te 28, utilizzando materiali e forme anche non contigui, valorizzando il banale per riscoprire l’archetipo. Ciò può condurci, con le dovute e calcolate differenze, ai luoghi di Pasolini, Duras, Robbe Grillet e altri. La singolarità di Cocteau è allora un «tradimento» delle avanguardie, delle novità che esse conquistano, oppure evidenzia una variata appartenenza al «moderno». Biso­ gna dire che, al di là della falsa dicotomia tra moderno 27 Cfr. J. Cocteau, Entretiens sur te cinematographs, cit. p. 15. 28 Per René Gilson Cocteau parla la poesia attraverso vari linguaggi, generi, maniere. Una comunanza di metodo e scrittu­ ra si stabilisce tra tutti i mezzi di espressione di cui il poeta francese fa uso e, per ciascuno di essi, egli adegua e stabilisce

rapporti di indipendenza e spe­ cificità del mezzo. Si veda René Gilson, Jean Cocteau, Seghers, Paris, 1964-69, p. 101.

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e post-moderno, la sua opera si può definire espressio­ ne del «moderno» 29 se a tale termine attribuiamo, co­ me significato prevalente, quello determinato dalla ca­ duta delle norme, dall’autonoma libertà creativa, dal­ l’uso di possibilità poliespressive, dalla rilettura del clas­ sicismo. Il campo surrealista non si erge allora come sede del suo lavoro artistico. Lo stesso poeta francese ha più volte precisato la propria distanza dal surreali­ smo ed il fatto, per esempio, che L,e Sang d'un poète «appartiene ad una minoranza che si oppone lungo i secoli alla maggioranza». Qui viene ribadito l’impegno dell’andare controcorrente ad ogni costo. André Fraigneau ricorda che, per lo scrittore francese, la creazione poetica si manifesta come un continuo «malinteso» ar­ ricchito di molteplici poteri d’espressione ed il poeta come colui che svela la dimensione nascosta del mon­ do, la realtà che è fatta Bellezza allo stato puro 30. La sua opposizione al surrealismo, come nuovo accademi­ smo, fa negare a Cocteau il ricorso ai sogni e ai simboli 29 Si tratta tuttavia di un «mo­ derno anomalo». Cocteau, come De Chirico e Dalì, appartiene ad una zona franca che sta oltre la distinzione tra moderno e postmoderno. Sul postmoderno si veda: J. F. Lyotard, La condi­ zione postmoderna (1979), trad. it. Feltrinelli, Milano, 1981. L. Hassan, The Dismemberment of Otfeus, University of Wisconsin Press, 1972 (1982). Numero speciale di «Aut Aut» Suit'imma­ gine postmoderna, n. 179-180 (1980). Numero speciale di «Ri­ vista di Estetica» n. 4, 1980 (Arte e metropoli), «Alfabeta» n. 22 e alcuni successivi; P. Carravetta e P. Spedicato, Postmo­ derno e letteratura, Bompiani, Mi­ lano 1984; R. Barilli, ira presen­ za e assenza, Milano, Bom­ piani, 19812; R. Smith, Supermannerism. New Attitude in Post­ modern Architecture (New York

1977), trad. it. Laterza, 1982; A. Bran zi, Moderno, postmoderno, mil­ lenario, Studio Forma, Alchymia, Milano, 1980, P. Portoghesi, Postmodern, Electa, Milano, 1982; A A. VV. Immagini del postmoderno, Cluvia, Venezia, 1983, G. Forni, Il superamento del moderno, Cappelli, Bologna 1984. 30 Cfr. A. Fraigneau, Cocteau par lui mime, Editions du Seuil, Pa­ ris, 1957, pp. 6-7. Sulle temati­ che surrealiste e simboliste si veda J. Decok, Surréalisme et simbolismo en Jean Cocteau, «L’Avant Scène Cinéma», 138-39, 1975.

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per favorire il sogno ad occhi aperti, il sonnambuli­ smo 31 o la figura classica del dormiente, in modo da far «vivre la poesie d’une vie directe». Le Sang d'un poète deve divenire «un véhicule à la poesie». All’epoca di questo film «seul de cette minorité, j’evitais - afferma Cocteau — les manifestations volontaires de l’inconscient, au bénéfice d’une sorte de semisommeil cù je labyrinthais. Je ne m’attachais qu’au relief et au detail d’images sortant de la grand nuit du corps humain. Je les adoptais, séance tenante, comme les scenes documentaires d’un autre règne». Le Sang d'un poète non è ricorso né ai sogni né ai simboli. «En ce qui concerne les premiers il en imite plutót le mécanisme et, par une certaine relàche de l’esprit, semblable au sommeil, laisse les sou­ venirs se nouer, manoeuvrer, extravaguer à leur guise. Jl L’idea cocteauiana del son­ nambulismo ha avuto buone ac­ coglienze negli USA ed ha in­ fluenzato il cinema under­ ground. Susan Sontag, in Contro l’interpretazione (1964), si riferi­ sce più volte a Cocteau. Nella parte su Vivre sa vie la Sontag confronta il cinema di Godard con quello di Cocteau mettendo in luce come allo scrittore fran­ cese interessi soprattutto mostra­ re il fatto magico, la realtà del­ l’incantamento, la non narrazio­ ne della poesia di cinema. Ma è soprattutto nello scritto Stile spirituale nelfilm di Robert Bresson che troviamo una interessante e più ampia osservazione. Molto particolare è qui la tesi di un Bresson (espressione di un’arte della riflessione) somigliante a Cocteau, un «Cocteau ascetico, spogliato della sensualità, un Cocteau senza poesia». Lo sco­ po è lo stesso, avverte la Sontag: «creare un’immagine dello stile spirituale». Ma la sensibilità è diversa. Lo stile spirituale degli eroi di Cocteau tende al narcisi­

smo, quello degli eroi di Bres­ son è una forma di autocoscien­ za. 11 film poi da un lato proce­ de al ridondante e al decorativo, dall’altro alla riduzione. Cocteau e «un chiaro esempio della sen­ sibilità omosessuale, che è una delle principali tradizioni del­ l’arte moderna: romantica e in­ sieme brillante, languidamente attratta dalla bellezza naturale eppure sempre intenta ad ador­ narsi con ricercatezza ed artifi­ cio. La sensibilità di Bresson è — invece — antiromantica e solen­ ne, impegnata a respingere i fa­ cili piaceri della bellezza fisica e dell’artificio per un piacere più duraturo, più esemplare, più sin­ cero» (Contro l’interpretazione, Mondadori, Milano, 1967, pag. 270). Ecco allora che l’aspetto omosessuale e l’uso del decorati­ vo, insieme al sonnambulismo, appaiono ancor più chiaramente come componenti che hanno for­ temente inciso sul cinema speri­ mentale americano sin dagli anni quaranta (si considerino, circa tali rapporti, le tesi di Parker Tyler).

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Pour les seconds, il y répugne, et leur substitue des actes ou allégories de ces actes sur lequels puisse symboliser le spectateur, si bon lui semble» 32. L’atmosfera sonnolenta, la libertà di combinazione dei ricordi, delle immagini e la loro condizione enigmatica si congiungo­ no nella qualità del meraviglioso che non deve confon­ dersi con quella della prestidigitazione 33. La poesia rimane la soglia del segreto, l’elemento che dà priorità al contenuto interiore nel senso che la fanta­ sia pretende di essere più reale del mondo materiale 34. Cocteau dona una particolare interpretazione a motivi che potrebbero apparire surrealisti. I contenuti di immaginazione, la nozione di sogno e meraviglioso, l’idea dell’amore vengono infatti svilup­ pati obbedendo a quel criterio della rivelazione esoteri­ ca, a quell’estetizzante potere della voce interiore che si pone all’interno di uno spiritualismo laico radicale e personalizzato. La dialettica dell’amore che s’esprime nei film di Cocteau, avverte René Gilson, è platonica: la passione, oggetto e soggetto del suo «cinématographe», la passione elei poeta e lo sguardo del poeta sulla pas­ sione, scoppia o si supera nella mistica o nell’ascesi; essa diventa quindi l’Assoluto, desiderio di contempla­ zione dell’idea, unione eterna o unione in un’altra tem­ poralità, in uno spazio dove si mostra l’inverso della vita, l’inverso del visibile 35. L’arte trasferisce i contenu­ ti dell’anima che riposano nell’ombra e nel silenzio, nel lato oscuro e notturno delle cose, dove la poesia si configura come «religion sans espoir» 36; ancora qui le sue intuizioni cercano conferma riferendosi all’opera di Pi­ casso e De Chirico. In ciò differisce dal surrealismo; nel }2 J. Cocteau, Le Sang d'un poète, cit, dalla prefazione. n Cfr. J. Cocteau, La diffìculté d’etre, cit, p. 49. 34 Questa realtà, già adottata in Le Sang d’un poète, viene così riassunta da Gilson; «Fuir les fées, le poétique, le fantastique spectacuiaire et savamment truqué, Ics brumes et les flous de

l’irréalisme de convention, pour mieux atteindrc la féérie, la poésie, les prodiges enfin reconnaissables par la rigueur, l’ordre, l’invention des éléments, la beauté, de lignes simples ou de baroque maitrisé, l’harmonie et les rythmes parfaits». (René Gil­ son, Jean Cocteau, cit., p. 51). 55 Ibidem, p. 103.

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proporre un segreto profondo dell’arte, un progetto di invisibilità per la poesia 37. Inoltre, accanto a questi te­ mi della passione e dell’ascesi, troviamo un altro ele­ mento fortemente determinato: la nostalgia per il passa­ to, la febbre archeologica, il desiderio di ripristinare narrazioni mitologiche. «Pour Jean Cocteau — avverte Fraigneau — le travail de Partiste ressemble à celui de l’archéologue. Tout homme est une nuit (abrite une nuit), le travail de Partiste est de mettre cette nuit en plein jour.. Jean Cocteau apollinien et classique. L’attitude romantique, Pivresse dionysiaque, lui sont étrangeres» 38. Questo senso dell’antico è nello stesso tempo vero e falso, costituito sia di chiare iconografie che di paccottiglia subculturale. La mesco­ lanza di «sacro» e profano accentua i caratteri (anche effettistici) del gioco contraddittorio, i soli, per Cocteau, capaci di restituirci la dispersione e lo smembramento della nostra epoca. Il ricorso all’arte classica, il compia­ cimento per tutto ciò che assume l’aspetto di magia, incanto, miracolo, l’amore per l’eccesso ed il barocco, l’unione di un raffinato piacere simbolista al gusto per l’arcaico, la tensione «sublime», comjpongono una «tene­ brosa liturgia» dominata dal tema della morte. È proprio la particolare atmosfera «neoclassica» ad al­ lontanarci dal territorio propriamente surrealista. Lo prova tutta la poetica di Cocteau e lo dimostra pure Le Sang d’un poète essendo, come afferma Gilson, il primo matrimonio del cinema con la Grecia antica39. D’al­ tronde, già sin dalla fine degli anni dieci, Cocteau aveva precisato la sua concezione sull’arte e la poesia in Le Coq et l’arlequin (1918) definendo il proprio lavoro nel­ 16 Ibidem, p. 104. }7 «Le róle de Partiste sera done de créer un organisme ayant une vie propre puissé dans la sienne, et non pas desti­ nò à surprendre, à plaire ou à déplaire, mais à étre assez actif pour exciter des sens secrets ne réagissant qu’à certains signes qui répresentent la beauté pour

les uns, la laideur et la difformité pour les autres. Tout le reste ne sera que pittoresque et fanta­ sie, deux termes halissables dans le règne de la création artistique». Da Clair obscur (1954), cit. in André Fraigneau, Cocteau par lui meme, cit p. 120. *8 Ibidem, p. 8. J9 Cfr. René Gilson, cit., 71.

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l’ambito di un «classicismo di shock» in opposizione agli accademici come ai «modernisti». Nella seconda metà degli anni venti poi egli crea una poesia che da un lato, attingendo alla mitologia classica, riespone temi (le stelle, gli angeli, le statue ecc.) ormai in disuso e dall’al­ tro eleva materiali più comuni e banali (i ciclisti della domenica, i marinai ecc.). Ecco allora che la sua poetica, determinata precisamente in una situazione di neoclas­ sicismo e manierismo di ritorno favorisce collegamenti con la metafisica italiana, ed è in questo territorio este­ tico che Cocteau trova maggiori approdi. Lo stesso Cocteau scrive, nel dicembre del ’27, la Mystère late dedicato alla concezione metafisica di De Chirico40. Qui lo scrittore francese adatta e adegua l’universo di De Chirico; lo analizza e lo interpreta secondo la sua personale visione probabilmente anche alterandolo. Tuttavia egli attinge da questa volontà di abitare la profondità, frequentare la magia del mistero, attraversare l’impenetrabile, provare un’arte visionaria di fronte alla inesistenza del mondo41. Anche il poeta francese gioca, e lo abbiamo già in parte ricordato, in un clima simbo­ lista, dove il classicismo diventa una narrazione fanta­ stica, «fiabesca». Le nozioni di tempo, nostalgia, aspirazione al sublime, che sono i segni del classicismo nella cultura simbolista, soprattutto la versione amplificata, variata dello stupore e del momento contemplativo, hanno indicativamente un senso anche per Cocteau. Si può stabilire un rappor­ to di vicinanza tra la sua poetica e quella di De Chirico. Altri motivi «metafisici» possono essere individuati nel­ la malinconia narcisistica quale stato poetico, nelle at40 Cocteau riprende alcuni mo­ tivi del Mystère late nel saggio Des Beaux Art consideri comme un assassinai del 1932. Pubblicherà poi nel 1934 la poesia Mythologie con l’illustrazione di due lito­ grafìe di De Chirico. *• Scrive De Chirico in «Valori Plastici» nel 1919: «L’opera d’arte metafìsica è quanto al­

l’aspetto serena: dà però l’im­ pressione che qualcosa di nuovo debba accadere in quella stessa serenità e che altri segni, oltre quelli già palesi, debbano suben­ trare sul quadrato della tela. Ta­ le è il sintomo della profondità abitata». Cit. in Massimo Carrà (a cura di) Metafisica, Mazzetta, Milano, 1968, p. 150.

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mosfere enigmatiche che rinviano alla «cultura» simbo­ lista e ad una certa interpretazione del pensiero di Nie­ tzsche 42, nell’incanto sonnambolico, in una certa «tau­ tologia del mistero». Le Sang d’un poète 43 respira in que­ st’aria medicata e notturna e rappresenta, da un punto di vista non solo cinematografico, uno dei più alti pro­ dotti di questa concezione. In Le mystere late Cocteau espone le sue idee sull’arte derivandole da De Chirico, il solo artista con il quale si sente di condividere una grande celebrata solitudine, un modo di vedere il mondo e praticare l’arte che da un lato si scontra con l’impressionismo (ritenuto sterile e pittoresco) e dall’altro con il surrealismo (troppo vinco­ lato al «simbolismo» del sogno). Questo scritto di «poésie critique» segna, tra la scoperta dell’oppio e la cura disintossicante del ’29, dopo la poesia L’Ange Heurtebise (figura centrale della sua mitologia) e la lettera a Mari­ tain, un momento fondamentale della sua poetica. Poco prima di girare Le Sang d’un poète Cocteau aveva scritto e presentato La l/oix humaine. Qui, nonostante la forma apparentemente diretta possa sembrare sviante rispetto a quella manieristica ed esoterica, possiamo rintracciare curiose affinità nella frammentazione del linguaggio. La voix humaine mette a fuoco una serie di interventi espressivi e linguistici sulla struttura espositiva (conti­ nue interruzioni, spaccature, frammenti, indicazioni di spostamento del personaggio, attenzione ai dettagli) che ci riportano a tecniche di montaggio cinematografico. Questi due riferimenti, il simbolismo metafisico e la scomposizione narrativa, possono allora considerarsi al­ la base del lavoro di Le Sang d’un poète 44. In Le Mystère 42 Sull’influenza del filosofo te­ desco si veda Micheline Meu­ nier, Cocteau et Nietzsche, Grassieu, Paris, 1971. 43 Ci si può domandare se Coc­ teau, pensando al titolo di que­ sto film, non abbia tenuto con­ to direttamente di alcune opere di De Chirico come Li ricom­ pensa del Poeta (1913), Il Sogno del

Poeta (1914) Il Destino del Poe­ ta (1914), II Tormento del Poeta (1914), Il Filosofo e il Poeta. 44 Si ricorda che Le Sang d’un poète non fu la prima esperienza cinematografica di Cocteau. Nel 1925 infatti egli girò allo Studio des Cicognes un primo film, di cui non rimane ora nessuna traccia, caratterizzato da un divertente

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late Cocteau interpreta De Chirico secondo i temi che più gli appartengono: morte, teatralità, spaesamento, esattezza formale, santificazione della realtà, aspetto oracolare. Cocteau traduce De Chirico nel suo sistema, in quel­ l’universo teatrale dove la scelta stilistica è quella del­ l’esattezza e della chiarezza del mistero, in modo che nasca una corrispondenza tra la pittura e l’anima; qui l’arte, pur restando laica e immanente, accede al mistero del mondo e favorisce una via particolare al «sacro». L’auratica sacralità dell’opera che Cocteau legge in De Chirico e dalla quale egli si sente tutto preso, viene collegata alla pittura dei «primitivi» e ad effetti contigui di spaesamento, effrazione, sorpresa. E De Chirico si trasforma in quanto, sostituendo alle «rappresentazioni dei miracoli» i «miracoli che vengono da lui solo», egli diviene «pittore religioso privo di fede», pittore di mi­ steri. Ma è soprattutto sull’aspetto etico-estetico che si fonda l’interpretazione di Cocteau per affermare l’originalità dell’artista nei confronti del senso comune. «Ritengo che l’arte rifletta la morale e che non sia possibile rinnovarsi senza condurre una vita pericolosa e che offra occasioni di maldicenza» 45. De Chirico non abbellisce, fogge il de­ corativo ed il preziosismo; «nella sua opera - dice Cocteau — non scorgo un solo dettaglio che possa apparire inno­ cente agli occhi dei giudici- Egli testimonia che esiste una verità dell’anima che esclude ogni elemento pittoresco, assieme al retroterra in cui si trova alimento» 46. La metafìsica affascina il poeta francese per il sorriso ango­ scioso, per la serenità in cui cala un’oscura presenza. Ma di quale verità si tratta se lo stato dell’incidente, del caso, del crimine avventura l’arte nella novità di un luogo inaspettato? Si tratta di una verità particolare (lo spaesamento e il meraviglioso sono i suoi effetti) da récit ispirato a Chariot. Per maggiori notizie si veda Jean Cocteau, Entretiens sur le cinématographe, cit, pp. 28, 29, 96, 97. 4’J. Cocteau, Il mistero laico,

(Paris, 1928) Lerici, Cosenza, 1979, p. 35. 46 Ibidem, pp. 29 e 31.

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cui scaturisce «Poltre realismo» 47 nell’arte rappresentare le cose sorprendenti nascoste sotto il velo dell’abitudine e che non sappiamo più vedere, «la poesia imita una realtà di cui il nostro mondo possiede soltanto l’intuizione»48. Anche la rievocazione dei miti ed il senso dell’antico passano attraverso questo inevitabile e consapevole «Kitsch revivalistico» dove la mescolanza di antico e moderno, l’impiego misto di vero e falso, il gioco di grandezza e miniatura si trovano insieme 49. Al centro di tutto ciò risiede una cura dilatata, «distrat­ ta» frammentaria sulla quale interagiscono fattori per­ 47 «Le circostanze sorprenden­ ti in cui (De Chirico) colloca una casa, un uovo, un guanto di gomma, una testa di gesso, ri­ muovono il velo dell’abitudine, fanno cadere questi oggetti dal cielo come un aviatore caduto tra i selvaggi. De Chirico dona all’oggetto il valore di feticcio». Ibidem p. 61. 4* Ibidem p. 53. Il tema del «ve­ ro realismo» apre implicitamen­ te il rapporto, già discusso, con il surrealismo. Si vuole ora pre­ cisare la distanza del «neoclassi­ cismo» di Cocteau dal movi­ mento surrealista ricorrendo proprio ad alcune sue osserva­ zioni sulla pittura di De Chirico, al fine di eliminare ambiguità ancora presenti: «... i quadri di De Chirico nulla prendono in prestito dal sogno. Piuttosto le sue tele sembrano dormire e non sognare affatto ... L’uomo che dorme e non sogna, o che sogna troppo profondamente per ricordare i suoi sogni, mi commuove molto... Il meglio di un sogno svanisce a) mattino. Resta la sensazione di un corpo, il fantasma di una peripezia, il ricordo di un ricordo, l’ombra di un oggetto scomparso ... D sogno confonde il regno uma­

no, ma non lo accresce... Mi congratulo con De Chirico per­ ché compone con i procedi­ menti del sonno invece di co­ piare dal sonno». Ibidem pag. 68-69. Segnalo anche la bella in­ troduzione di Alberto fioatto. In queste pagine ho trovato ele­ menti che mi hanno guidato nel confronto Cocteau-De Chirico. L’approfondimento dei temi della pittura metafisica è stato condotto attraverso il volume di Maurizio Calvesi, La metafìsi­ ca schiarita, Feltrinelli, Milano, 1982. 49 Un certo gusto per accosta­ menti «spaesanti», secondo una derivazione metafisica, possono essere rintracciati in alcune ope­ re di Cocteau. Si pensi, per esempio, ad alcune figure ed in­ contri di oggetti nel teatro e nelle poesie dello scrittore fran­ cese. Per quanto riguarda poi il Kitsch barocco, cuce Cocteau: «Di L’Aquila a due teste si è detto che era il trionfo del catti­ vo gusto. Certamente. Non si gotrebbe dir meglio. Christian érard e Wakhévich hanno vo­ luto dipingere il cattivo gusto dei sovrani. Siamo dopo i Gon­ court, Mallarmé, Manet; gli im­ pressionisti scoprono le giappo-

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cettivi, conoscitivi, di sensibilità, e dove non si voglio­ no inserire elementi con funzione precisamente simbo­ lica. Alla coscienza di questa eterogeneità, estraneità, incongruità dei fattori che compongono il gioco della sua arte si unisce il convincimento di una integrità fatta di confessioni, calcoli, «criminali» affezioni; nella cura amorevole dei propri segreti, del nascosto regno della morte e della notte. Il film entra in rapporto con tale sistema cocteauiano anche indirettamente come quando il poeta parla dei cavalli bianchi di Ben Hur o del fatto che all’origine dei paesaggi ammobiliati di De Chirico «ci deve essere qualche film comico americano» so. E il suo cinématographe, soprattutto Le Sang d’un poète, Orphée, Le Testament d’Orphée, ha consonanza con i temi di Le Mystère late. Il film, dichiara Cocteau, riferendosi in seguito a Orphée, è quindi «un film poliziesco che si bagna da una parte nel mito e dall’altro nel soprannatu­ rale. Ho sempre amato questa bruma, questa penombra nella quale finiscono gli enigmi» 51. E a proposito della morte e della resurrezione in Le Testament d’Orphée egli usa il termine phoenixologie, inventato da Dall, per indi­ care il compito della sofferenza del poeta 52. Siamo di nuovo tornati al tema dominante della poesia lungo un percorso tautologico del mistero. Essa (poesia) si mani­ festa attraverso l’incoscienza, in opposizione al «poeti­ co» che è costituito di coscienza, e cura la propria pericolosità e invisibilità a beneficio dell’enigma. Si apre la via ad un «realismo» di tipo metafisico che, nel film, dopo essere stato studiato sul piano delle tecniche e dell’andamento lento inteso come ritmo, è di ordine confessionale, intimo e si comunica attraverso la traccia neserie. Le regine e Je grandi at­ trici vi si ispirano. LAquila, ol­ tre alla sala delle feste copiata dalla pagoda del principe di Galles, a Bath, mostra il cric à brac degli atelier di Marie Bashkirtserf e di Sarah Bernardt» (Jean Cocteau, Del cinema, cit. p. 103). 50 J. Cocteau, Il mistero laico, cit.,

n. 75. 51 J. Cocteau, Del cinema, cit. pp. 107-108. ” Cfr. Roger Pii laudin, Jean Cocteau toume son dernier film, cit., pp. 83-84.

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sonno-sogno-ipnosi. Il film attua quel realismo partico­ lare che sorprende la vita attraverso il buco di una serratura s3. Questo impatto diretto con la realtà è me­ diato dalla belìezxfl che è costituita di rapporti e si fonda su una verità metafisica dove si affollano equilibri, squi­ libri, tentennamenti, slanci, interruzioni, meandri la cui proprietà è di essere inimitabile e il cui insieme compo­ ne un numero meraviglioso; la bellezza non è, per Coc­ teau, qualcosa a parte ma fa scaturire l’eccezionale come documentario dell’immaginazione 54. La poesia, ricorda Jacques Rivette, è ciò che non passa di moda, che non è legata ad una maniera né aa uno stile, ma ad una povertà trasformata in ricchezza, ad una claudicazione divenuta danza. 11 poeta, prima di tutto, deve reinventare la semplicità, il realismo e Coc­ teau reinventa il documentario 55. Da ciò nasce la di­ stinzione cocteauiana tra cinéma, che riguarda la distra­ zione ed il divertimento, e cinematography che si manife­ sta mezzo d’espressione personale e veicolo del pensie­ ro. Non bisogna tradurre in immagini ma seguire, anche utilizzando il caso, una poésie cinématographique che s’aggiunga alla poesia di teatro, di romanzo, alla poesia grafica o coreografica56. Ciò che veramente unisce le poesie ed i film di Cocteau 57 è il fatto che il comune stato di poesia nasce e si sviluppa nel culto delle imma­ gini e nella costruzione di un cerimoniale, di un rito iniziatico che ha per oggetto la trasmissione di un se53 «Una macchina da presa è l’occhio più indiscreto del mon­ do. L’arte del regista è quindi un’arte di buchi di serrature. È attraverso il buco di serratura che ci fa sorprendere la vita». (Jean Cocteau, Del cinema, cit, o. 77. Cfr. Ibidem, pp. 28 e 31. 55 Cit. in René Gilson. Jean Coc­ teau, cit., p. 159. 56 Cfr. Jean Cocteau, Entretiens sur le cinématographe, cit, p. 13. 51 Nei lavori cinematografici di Cocteau rintracciamo lo stesso

gusto e molti dei temi dominan­ ti che animano le sue poesie. Se scegliamo la produzione della seconda metà degli anni venti in rapporto alla formazione dei motivi che ispireranno Le Sang d’un poète, constatiamo allora precise componenti che antici­ pano e determinano il clima di questa opera. Tra queste indi­ chiamo il richiamo nostalgico a divinità e miti greci (anche at­ traverso oggetti simbolici come statue, drappi, cavalli, lance, co­ lonne, ccc.), la devozione per i

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greto. Questa componente ermetica è rivelata appunto dalle immagini stesse, dai dettagli, dai ritmi lenti, spez­ zati o continui, dai tagli compositivi che ci riportano all’interno delle singole inquadrature ed ai loro rapporti interni. A rinforzare questa prassi poetica ricordiamo che Cocteau è contrario al «pleonasmo poetico o musi­ cale», nega il ribadire, attraverso un testo letto o attra­ verso un brano sonoro, ciò che le immagini già affer­ mano. Con l’intenzione di dare maggiore forza e più presenza alla musica Cocteau impiega un «synchronisme accidentel» favorito da un gioco di spostamenti dei brani musicali rispetto alla scena del film e dall’uso del contrasto58. Kafka pensava che il cinema impedisse di guardare poi­ ché la velocità dei movimenti ed il rapido mutare delle immagini ci costringono continuamente a passar oltre. Lo sguardo — per lo scrittore ceco — non si impadroni­ sce delle immagini, al contrario queste si impadronisco­ no dello sguardo e allargano la coscienza. «Il cinema mette l’uniforme all’occhio che finora era svestito»59. Cocteau supera questa osservazione trovando anche in tale espressione (quella cinematografica) un lato della sensibilità poetica. Dietro frammenti di immagini che scorrono in velocità, sotto lacerti di realtà (che siano frutto dell’invenzione o di una trasposizione materiale non importa) animati dalla luce mobile di una macchi­ na, egli scopre che il cinema può tradurre in uno stile visuale profonde emozioni; l’universo dell’anima gioca segretamente con figure fantasmiche in movimento. C’è un Io capace di liberare lo sguardo dall’imbrigliamento in superficie per condurlo oltre i limiti, nei luoghi sot­ temi del sonno e del sonnambu­ lismo, il significato attivo della metamorfosi, la creazione della figura dell’angelo Heurtebise, il pensiero della morte, la seduzio­ ne di eterogenee raccolte, la magia come emanazione di un mistero, la tecnica dell’accosta­ mento per estraneità. Si vedano per esempio le poesie Par /ui-

ménte, Joueurs dormant à l’Hombre, L’Ange heurtebise, Prairie légère. 58 Cfr. J. Cocteau, Entretiens sur le cinématographe, cit. pag. 50-52. 59 Citato nella introduzione di Guido Aristarco al volume: S. Kracauer, Film come ritorno alla realtà fisica, cit. pp. 13-14.

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terranei della poesia. Non è il romanzo, all’interno del auale vediamo fluire la vita, con le sue grandi cascate ai realtà, ad attirare l’attenzione del poeta francese. Non è nemmeno una possibile intuizione di differenza solo di grado «non di essenza», tra romanzo e film, differen­ za che diverrà fondamentale nelle con siderazioni di S. Kracauer 60, a piegare il gusto di Cocteau verso il cine­ ma. E la dimensione mentale, interiore, ad affascinarlo; l’esistenza di un «cinema di poesia» che, proprio per i caratteri della poesia stessa, si pone al di là del soggetto narrante, della sua mobilità e trasformazione, della pos­ sibile trascrizione temporale e spaziale di modi affettivi, mentali ecc. poiché tutto ciò è là già contenuto. Il «pedi­ namento» cocteauiano non si allinea con l’idea che il cinema sia soprattutto continuità materiale con scarso potere evocativo. Si va oltre la tesi che appartiene a Grierson e a Zavattini, al realismo rappresentato, in direzione della realtà delle immagini61, non verso le immagini della realtà. Ricordo comunque che c’è un’altra via, non percorsa da Cocteau, che fa esplodere in una «sostanza gassosa» (come direbbe Deleuze) l’impatto realistico attraverso un eccesso di materialità (Léger, Warhol, Snow e altri). Ma anche quest’ultima non coincide con la via indicata da Kracauer che, proprio di fronte a fenomeni di que­ sto genere, non cogliendo l’ardita impresa «fenomeno­ logica» e la potenzialità del frammento e del molecola­ re, ritiene l’ostinata ripetizione della scena in cui vedia­ mo una donna salire le scale (ballet mécanique) una scomparsa alla vista, una caduta nella immaterialità. Senza con ciò comprendere che quella polverizzazione nell’immaterialità determina un’altra forma di percezio­ ne, un’altra dimensione temporale e che la reazione comune nei confronti del cinema non è selettiva; essa prende incondizionatamente tutto quello che viene mo­ 60 Cfr. S. Kracauer, cit., cap. XIII. 61 Sul rapporto poesia e film nell’opera di Cocteau si veda anche K. G. Simon, Jean Cocteau

oder Die Poesie in Fi/m, Berlin, 1958.

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strato dal cinema come fosse vero. Anche la via cocteauiana ha un ideale dematerializzante (che ritroveremo in Maya Deren, Gregory Markopoulos e altri); l’esperiemento cinematografico diventa qui il luogo esoterico dove osservazioni sui fenomeni natu­ rali ed artistici, ripensati e potenziati, possono offrire aspetti percettivi e mentali imprevedibili. La rievocazione dei miti arricchisce inoltre l’universo delle immagini. Con il passare degli anni la mitologia non è più soltanto greca; diventa francese, tedesca, occidentale*flxr Chevalier de la Table Ronde, Renaud et Armide, LEtemel Retour, Tristan et Yseult, La Dame à la Lio­ corno, La Belle et la Bete). L’ampia nozione di poesia trova fondamento allora in una cultura che possiamo chiamare esoterico-immaginifica. I film traggono da qui quell’animato flusso di sensazioni e visioni e quella fa­ scinazione rituale ed oracolare che li sorreggono. Essi vivono nell’avventura dello sguardo, nella densa verti­ gine di vicinanza e lontananza, di visibile e occulto. La luce dell’opera di Cocteau oltrepassa i propri limiti e si espone all’accecamento.

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1. I film di Maya Deren appartengono a quell’epoca cinematografica, definita «seconda avanguardia» (decen­ nio di transizione tra gli anni ’40-’50), con la quale si indicano esperienze cinematografiche di difficile collo­ cazione critica e alla quale corrisponde un gruppo di giovani registi che, sebbene ci sembrino influenzati dal­ l’avanguardia cinematografica europea dell’anteguerra, mostrano pochi segni di tale presunta affinità Anche per I^ewis Jacobs non esistono sintomi di discendenza euro­ pea che possano compromettere l’originalità dell’avan­ guardia cinematografica americana *. In realtà i riferimenti esistono ma ad un livello appunto indiretto e su un piano di profonda rielaborazione. Durante gli anni ’40 il succes­ so di alcune opere europee stimola questi gio­ vani registi a creare centri di diffusione del cinema d’avanguardia nelle città di New York e San Francisco. Il documentarismo di Dziga Vertov, il surrealismo di L. Bunuel e di Cocteau (Le Sang d*un poète, dopo aver ricevuto severi giudizi in Europa, trovò negli Stati Uni­ ti notevole accoglienza), l’astrattismo cinematografico sono le tendenze con cui si devono confrontare le pri­ me opere di autori americani come Maya Deren, Curtis Harrington, Kenneth Anger, Willard Maas, James Broughton, Sidney Peterson le quali, seppur correlate ad esse per la rottura della narrazione tradizionale, per la struttura a episodio, ne se allontanano per una specie di fìlmica dedizione all’angoscia e all’esperienza. Si pos­ sono individuare le condizioni, comuni alla maggior 1 Cfr. L. Jacobs, L,’avventurosa storia del cinema americano; Einau­ di Torino, pag. 626.

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parte delle opere di questi autori, generatrici di un cli­ ma predisposto alla ricerca sessuale ossessiva, allo sfogo autobiografico, e produttore di «immagini sentite» cioè di immagini identificantisi con le sensazioni, nel rifiuto della dimensione teatrale o letteraria e nell’antinaturalismo della macchina da presa. Tale dimensione si propo­ ne la costruzione emozionale, la descrizione di uno sta­ to soggettivo con uno stile oggettivo, Fuso di personag­ gi come tipi astratti generalizzati. Al Finterno di questo genere possiamo isolare, su indi­ cazione di Adams Sidney, un tipo particolare di film introiettivo, il «trance film», i cui caratteri si riassumo­ no nell’impiego di uno spazio fluido lineare, nello stato onirico, nell’uso di un solo protagonista (sovente Fauto­ re stesso) creando l’andatura rituale di uno «psicodram­ ma da camera». Questa forma di «teatralizzazione fami­ liare» delle angosce si oggettiva nella volontà di piegare la m.d.p. alla imitazione aell’attività della mente. Dietro a ciò riconosciamo anche il rifiuto di ogni simbologia psicoanalitica. Anais Nin ricorda che la Deren era os­ sessionata (viene usata l’espressione «psicosi isterica») dall’idea di impiegare azioni simboliche e sostiene che tale pregiudizio verso la psicologia derivava dal conflit­ to tra la regista americana ed il padre psichiatra 2. La prima produzione della Deren fa parte indubbia­ mente del «trance film», esperienza visionaria la cui azione viene rappresentata rial sogno, l’attore dal son­ nambulo isolato-dissociato dagli oggetti e le cui origini sono attribuite da Parker Tyler e Adams Sitney a Le Sang d'un poète di Cocteau e a Dos Kabinett des Dr. Caliga­ ri di R. Wiene considerato l’archetipo 3. Gli «psico­ drammi da camera» hanno comunque precedenti ameri­ cani in The last moment di Paul Fejos, The tell-tale heart di C. Klein e Lot in Sodom di Watson e Webber. Il cinema della Deren, pur non mostrando tracce di 2 A. Nin, Il Diario, vol. IV, Bompiani, Milano, 1981, pp. 434-437. } Cfr. P. Adams Sitney, Visiona­ ry Film, cit., pag. 21. Per una

più ampia esposizione dell’estasi si veda la nota 1) del nostro primo capitolo.

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evidente contaminazione, può essere comunque oggetto di studio per una indagine su accostamenti, rilevamenti, adiacenze ideologiche e stilistiche con l’avanguardia eu­ ropea. Da questa ricerca emergono relazioni con il Coc­ teau di Le Sang d'un poète e il purismo visivo della Dulac. Adams Sitney ha sviluppato la prima relazione e fonda il riferimento al cinema cocteauiano, che coinvolge an­ che gli altri autori del «trance-film», sull’uso, comune a entrambi i registi, di coordinate cinematografiche com­ prendenti, da un lato, il tema della deambulazione sonnambolica, della mente priva di orientamento, dall’altro il tema del mito e del rituale. Emerge una generale relazione di somiglianza tra i due autori, in particolare tra Le Sang d'un poète e Ritual in Trasfigured Time, traen­ do dal mito di Pigmalione e dal metodo illusionistico della macchina da presa gli elementi sviluppabili di una collazione coerente. Lo stato ipnotico, il narcisismo fìl­ mico e l’uso feticistico della macchina da presa sono i riferimenti comuni, essendo essi la base degli psico­ drammi da camera, ma il confronto si dilata tramite consistenti legami orientati verso la ricerca di una fu­ sione delle arti (poesia e film per Cocteau, danza e film per la Deren) che diventa il soggetto di un rituale trasfigurato e trasfigurante. L’innamoramento della sta­ tua è il motivo conduttore di molti film della seconda avanguardia 4 e descrive l’inclinazione verso un’arte er­ mafrodita dove alla trasmissione sessuale perversa è stata aggiunta l’accentuazione dell’originaria atmosfera torbida e sonnolenta che la pervadeva5. Nella prima cinematografìa dereniana tutto ciò passa attraverso il filtro di un’interpretazione lucida e ossessi4 La maggior parte dei films appartenenti alla «seconda avanguardia» si muove in un’area mitica particolare. Ri­ cordo Narcissus ai Willard Maas e Marie Menken e i film di Gre-

’ J. Mitry e A. Kirou hanno espresso giudizi negativi nei confronti ai questi cineasti ame­

ricani e del loro ispiratore Jean Cocteau, inquadrando le loro opere in un ambito di squallido estetismo omosessuale. Si veda: J. Mitry, Storia del cinema speri­ mentale; p. 269-280 e A. Kirou, Ltf surréalisme au cinéma; p. 200.

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va della personalità-protagonista che tende a moltipli­ carsi e sdoppiarsi (come in Meshes of the Afternoon) con un rigore ed una logica costruttiva che prevede un’estensione «scientifica» dei suoi momenti creativi. Si avrebbe qui una inversione classica come rifiuto del richiamo dionisiaco esistente in molte forme d’arte con­ temporanea 6. Sitney usa il termine greco «sparagmos» per indicare lo stato di lacerazione cui sono sottoposte, in definitiva, quelle opere che adottano tematiche pro­ priamente rituali o che impiegano tropi cinematografici relativi a tali tematiche 7. I film della Deren, seppure coinvolti in tale processo di smembramento, esulano da quell’ambito di progressivo rapido annullamento per trovare l’equilibrio nella conformità di una «logica compositiva». Ritornando a Cocteau possiamo accennare ad altri punti di contatto tra la poetica di Le Sang d’un poète e quella espressa dalla Deren in Meshes..., At Land-e Ritual... la visione del film come sopresa di una condizione poeti­ ca e ritrovamento di una similarità del metodo cinema­ tografico e del metodo poetico, il rifiuto di una denomi­ nazione surrealista o psicoanalitica per i propri film 8. Il cinema come esperienza mitologica interiore, la ricerca di una atmosfera priva di gravità, la fluttuazione di libere associazioni, la distinzione tra due tipi di cinema per cui si attribuisce ad uno libertà creativa e all’altro mere esigenze commerciali (la separazione fra «cinema dilettante» e «cinema industriale» messa in luce da Maya Deren corrisponde a quella cocteauiana fra cine­ matografia e cinema), l’insistenza sulla povertà dei mez­ zi di ripresa come incentivo all’attività artistica (salta 6 Cfr. P. Adams Sitney, cit., p. 46. 7 Ibidem pag. 81. 8 Cfr. P. Adams Sitney, cit., I e Il cap. per ciò che concerne la poetica della Deren. Per quanto riguarda Cocteau: Cfr. J. Coc­ teau, Le Sang d'un poète, cit. An­ che Anaìs Nin ha trovato un’in­ fluenza cocteauiana ma ha av­

vertito pure la strana sensazione «materialistica ed insieme sim­ bolica» che emana dall’opera dell’artista americana. (A. Nin, cit., p. 82 e p. 181).

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subito alla mente che anche Arnheim vedeva nelle li­ mitazioni e negli errori tecnici validi stimoli produttori d’arte). Nonostante questa trama di riferimenti e analogie la Deren non rimane irretita nella dimensione «alla deri­ va» creata da Cocteau (anche se il rallentamento del ritmo psichico lo favorisce) e ad uno sguardo attento emergono i contrasti, le divergenze che la rendono in­ dipendente malgrado la stima da lei stessa dimostrata verso l’impiego cocteauiano della forma come un tut­ to 9. Se abbiamo intravisto una influenza cocteauiana, essa però si dilegua per l’accentuazione dell’aspetto co­ struttivo, l’approfondimento del tema magico e rituale in chiave «scientifica» e l’uso particolare del concetto di «classicismo» applicato alle produzioni cinematografi­ che. La divergenza sostanziale emerge chiaramente quando si prende in esame il diverso impiego del ritmo filmico. Un’andatura sonnolenta dà il ritmo a Le Sang d’un poète, che si svolge con un uso magico del montaggio scandi­ to da un progredire per stanze-episodi. Tutto il film è tenuto fra le pareti della mente; nasce e vive in un’aria «malata» (solo la sequenza iniziale e quella finale hanno legami con la realtà esterna). La materia viene sbriciola­ ta a tal punto dalla lentezza del ritmo e dall’ambientazione polverosa da suscitare in noi l’idea di una sceno­ grafica della mente, dei desideri repressi. Sin dal primo film di Maya Deren, invece, il montaggio di pezzi brevi crea un ritmo dinamico da cui scaturisce, sulla base di uno stato eventico materiale, un linguag­ gio articolato e «simbolico». Mentre Cocteau, con Le Sang d’un poète, realizzava un trance-film ante litteram basandosi sulla scenografia e suH’illusionismo della macchina da presa, la Deren giungeva ad una forma di sonnambulismo cinematografico procedendo dall’ester9 Cfr. M. Deren, An Anagram of Ideas on Art form and Film in «Film Culture» n. 39, Winter 1965, p. 51.

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no verso l’interno, interiorizzando la materialità degli oggetti, rendendo scenografica la realtà, non la mente. L’uso della realtà che viene depurata, smaterializzata, esorcizzata dal montaggio creativo dereniano chiarisce la differenza tra i due autori. 11 confronto tra due brani, uno di Cocteau, l’altro della Deren, metterà fine alle ultime perplessità: «Or, Le Sang d'un poète n’est qu’une descente en soi-méme, une manière de employer le mécanisme du réve sans dormir, une bugie maladroite, souvent éteinte par quelque souffle, promenée dans la nuit du corps humain. Les actes s’y enchainent comme ils le veulent, sous un contróle si faible qu’on ne saurait l’attribuer à l’esprit. Plutòt à une manière de sonnolence aidant à l’éclosion de souvenirs libres de se combiner, de se mouer, de se déformer jusqu’à prendre corps à notre insù et à nous devenir une énigme» ,0. Se questa condizione di estasi ipnotica invita a riflettere su colle­ gamenti e affinità con il cinema della Deren, compren­ diamo subito che la somiglianza è soltanto apparente che la relazione è priva di spessore. Le parole della Deren su Meshes of the Afternoon chiari­ scono il dissenso intuito: «This is concerned with inte­ rior experiences of an individual... it reproduces the way in which the subconscious of an individual will develop, interpret and elaborate an apparently simple and casual incident into a critical emotional experien­ ce» 10 11. La modificazione, l’elaborazione di un incidente casuale in un’esperienza emozionale critica, questo pas­ saggio fondamentale della costruzione cinematografica dereniana, assume il valore di elemento differenziante, l’aspetto di versante che divide rigorosamente la cine­ matografia della Deren da quella di Cocteau. Appena usciti da questo confronto ricadiamo però in un altro perché l’uso dereniano del ritmo visivo fa affluire alla nostra mente le ombre del purovisibilismo 10 J. Cocteau, Le diffìculté d’etre dt. pag. 49. 11 M. Deren, Meshes of the After­ noon in «Film Culture», cit. p. 1.

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di Germanine Dulac (della sua poetica). Con l’abbandono all’iniziativa delle immagini, al flusso della visione, con la considerazione che l’immagine è più poetica e filosofica della ragione, la Dulac pone l’accento sulla non letterarietà cinematografica aspiran­ do alla realizzazione di un film che sia pura forma e, contro la tradizione, sviluppi una concezione fondata sul metodo della libera associazione. Questo primo im­ patto con la poetica della Dulac mette in evidenza con­ tatti per niente trascurabili. L’aspirazione della Dulac a realizzare un film che sia «pura forma» trova forse una consistente analogia nella futura concezione dereniana la quale, collocando il film in un ambito essenzialmente visivo 12 vede nell’«idea» del film la sua «forma» (il concetto di «forma» verrà discusso nella seconda parte di questo capitolo). Inoltre un’altra affinità di carattere generale proviene dall’in­ crocio di due tendenze; la prima, elaborata dalla Dulac, concerne la creazione della sonorità visuale, della magia del ritmo visivo risultante dalla ripresa della realtà grezza, quotidiana, e tendente al miracolismo fìlmico, la seconda, approntata dalla Deren, riguarda la trasforma­ zione graduale delle immagini rappresentanti la realtà materiale attraverso l’uso di un procedere visuale antinaturalistico e onirico. Come punto di incontro di tali prospettive emerge quindi la ricerca di una progressiva smaterializzazione. Dice la Dulac «Il alla guérir demo­ tion au-delà des cadres humaines dans tout ce qui existe au sein de la nature, dans l’invisible, dans l’imponderable, dans le mouvement abstrait» 13 e ancora: «L’action cinématografique ne doit pas se borner à la personne 12 «The film is necessarily, then, conceived in visual rather that in literary or dramaturgic terms. It is not a story which is broken down into illustrative scenes or a play with many scenes chan­ ges. It consist, on the contrary, of the precise visual images and their relationship in succession, in the way that a poem consists

precisely of those specific words for which no others could be substituted». M. Deren, Flaming by Eyes. Notes on «individuai» and «industriai» film in «Film Cultu­ re» cit. p. 37. 13 G. Dulac. Le cinema d’avant garde in M. L’Herbier, Intelligence du cinema. Edition Corréa, Paris, 1949, p. 347.

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humaine, mais s’etendre au-delà d’elle dans le domainc de la nature et du réve» ,4. Queste adiacenze di creazione e di realizzazione, che si concentrano nella concordanza di «idealismo filmico» e «purovisibilismo ritmico», possono trovare uno schema ndra 1968; G. Youngblood, Expan­ ded cinema, Dutton, New York 1970; D. Curtis, Experimental ci­ nema, Studio Vista, Londra

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nema americano (quella dei nuovi autori citati sopra), ma l’esperimento non termina. Soprattutto perché l’esperimento vive tra i confini delle arti. Inoltre esso trae energia dal lucore dell’industria del divertimento che osserva e ritrasmette espungendone modi, finalità, miti, gerarchie. Di essa viene lasciato solo uno scheletro delirante. Si ha un effetto di falsa persuasione di ritor­ no, di rivelazione ludica della fascinazione. Assistiamo al potenziamento di questi apparati culturali ironici e ideativi già appartenenti all’avanguardia storica (rappor­ ti con l’industria culturale, le nuove analogie, le recenti tecnologie) anche se molte di queste ricerche sono irre­ tite in una piatta aderenza imitativa; non riescono ad effettuare un vero e proprio gioco di distanziamento. Tuttavia è la video arte che ora, come tendenza, pare aver sostituito il cinema sperimentale. Essa, già nella seconda metà degli anni sessanta, concorreva a determi­ nare una parte delle opere din amico-visive. L’esplora­ zione video si sviluppa in concomitanza con l’expanded cinema che, a metà degli anni settanta, si è fusa sempre più con la performance (mancano denaro e attrezzature tecniche per farne un vero e proprio settore spedalizza­ to) e con la new-wave (qui l’uso del video è già attivo), formazione composta da Amos Poe, Erich Mitchell, Vivienne Dick, Beth Scott B, Bechy Johson, Jom Otterness, James Naree. In quest’ultimo gruppo si riprendono dai primi under­ 1971; A. Leonardi, Occhio mio dio, cit. ;J. Mitry, Storie del cinema sperimentale, cit.; P. Adams Sit­ ney, Visionary film, cit. ; Amos Vogel, Film as a subversive Ari. Random House, New York 1974; G. Markopoulos, Caos, phaos, Feltrinelli, Milano, 1976; Quaderni della Mostra del Cine­ ma di Pesaro, 1972; R. Tomasino, New American Cinema, Glaux Roma, 1970; R. Sklar, Cineamecica, (1975), Feltrinelli, Milano 1982; AA.VV, Amerikansk Experiment Film 1939-1978)

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ground degli anni sessanta certi motivi di autocitazione» contaminazione, non identificazione, lo stile «primitivo» ed un’atmosfera divertita e derisoria; ma Perfetto gene­ rale non è mai molto forte. La video espressione va intesa come un ampio fenome­ no che riunisce esempi molto diversi tra loro. Alcuni cineasti underground (come Scott Bartlett ed Ed Emshwiller) creano video di notevole interesse. Essa (espressione) realizza un coinvolgimento elettrocreativo molto intenso attraverso la manipolazione tecnologica dei dati. Il video ha ereditato, in molte sue applicazioni sperimentali, grazie anche allo sfruttamento della sua ampia gamma tecnologica, l’intento del cinema espanso volendo praticare la comunicazione come scambio di immagini. Dal film strutturale all’expanded cinema, dal cinema psichico degli anni cinquanta all’underground propriamente detto, scaturisce, per diverse opposizioni, una concentrazione visuale denominata «metafisica» che rovescia i termini narrativi ed esistenziali L’im­ menso mare di impersonalità, causalità, estemporaneità, spiritualità, materialità, che avevano inizialmente mosso tutte queste ricerche, ha invaso ora lo stile operativo della videoespressione. Galleggiamo in una sostanza gassosa, sospesi tra infini­ te opposizioni da cui siamo separati per via di continui spostamenti e per l’assenza di presunte deliberazioni. Il rifiuto di scelte o concettualizzazioni fondanti si evince anche dall’effetto «allucinatorie» di arresto del mondo, di passaggio delle linee di velocità, che Deleuze ha messo in evidenza ponendosi il problema dell’enunciazione del film strutturale. «E questo - dice il filosofo francese — il terzo stato della immagine, l’immagine gassosa, al di là del solido e del liquido; pervenire a un’«altra» perce­ zione, che è anche l’elemento genetico di ogni percezio­ ne. La coscienza-cinepresa si eleva ad una determinazio­ ne non più formale e materiale, ma genetica e differen­ ziale. Siamo passati da una definizione reale ad una definizione genetica della percezione» 2. Scopriamo che questo stato è lo stato del video, lo stato dei «parametri molecolari», della sparizione della materia attraverso in­

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terni procedimenti e stili. Dietro l’inganno della comu­ nicazione diretta si sbriciola la realtà di ciò che viene trasmesso. Il generico effetto realistico è lo strumento dell’artificio. La video espressione è il luogo dell’invisibilità e della visibilità; negli interstizi delle convenzioni narrative, istituite nuovamente per le rappresentazioni più plateali, rifluisce l’ondata di quei fattori che aveva­ no dato vita alla sperimentazione cinematografica. In sempre nuovi gorghi elettronici infittisce la ricerca che si apre ormai volontariamente alle contaminazioni ed ai contatti più diversi (tecnici e formali). 1 prodromi di questa febbrile ricerca li troviamo, in tempi recenti, nel cinema sperimentale, soprattutto nor­ damericano. In questi ultimi anni si è infatti sviluppato, tra l’estetico e l’artistico, ed in un clima di evanescenza del moderno, parallelamente alle esperienze del silenzio e dell’indifferenza, il gusto della citazione e del ripristi­ no di valori eclettici e ornamentali. Di fronte all’impersonalità e all’impoverimento narrativo, alla caduta del «racconto», si rafforzano, sul lato molteplice della vi­ deoespressione, intenti decodificatori che procedono li­ beramente ed in modo trasversale su vari piani interdi­ sciplinari. Un gioco plurivoco e ricchissimo di sovrap­ posizioni ed intrecci culturali favorisce una fìtta mesco­ lanza di stili e temi, tempi e luoghi, modernismi e neo­ accademie. Ecco animarsi contatti di memorie pittori­ che e cinematografiche, di riferimenti teatrali e televisi­ 2 G. Deleuze, L’immagine-movimento, cit. p. 107. Sulle relazioni tra pratiche artistiche e psicoa­ nalisi ricordiamo ancora Deleu­ ze per l’evidenza da lui data al­ l’idea di corpo, superfìcie, schi­ zofrenia, nomadismo {Logica del senso (1969), Feltrinelli, Milano, 1975). Si veda poi, per le nozio­ ni di macchine desideranti, cor­ po senza organi, le sintesi libere di comunicazioni e flussi e l’ap­ plicazione della shizoanalisi al­ l’arte e alla scienza (tutti ele­ menti nei quali possiamo trova­

re qualche attinenza con il no­ stro discorso) L'Antiedipo (scrit­ to insieme a Felix Guattari) (1972) Einaudi, To, 1975, Ine­ rente al nostro discorso appare anche (scritto con Claire Fer­ net) Conversazioni, (Paris, 1977) Feltrinelli, Milano, 1980.

I ).il pruno underground alla videoespressione

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vi, richiami storici, culturali, di costume ed espressioni più intime e personali. E ciò vale sia per il fruitore che per l’artista. Nel clima odierno, risultato di un falso ritorno all’ordine e di nuovi atteggiamenti nei confronti della realtà, vediamo che le ipotetiche tracce di sviluppo non sono più lineari, orizzontali o verticali, ma spezza­ te, frastagliate, curvilinee, a spirale; inoltre esse si inter­ secano più volte. A questo fenomeno si deve aggiunge­ re la catena trasversale di piccoli atti di infrazione (se­ condo il modello di Guattari e Deleuze) che si intrec­ ciano gli uni con gli altri. Da ciò deriva il fatto che fimmaginazione scatta in funzione di una gigantesca memoria visiva, uditiva, tattile; si avvertono segnali i quali, una volta individuati, ci conducono per identifi­ cazioni, emozioni ed ammiccamenti ad un universo sensoriale sempre più complesso ed esteso. Qui concor­ rono, con molte invasioni e reciproci scambi, l’industria culturale e l’anticultura. Ciò è attualmente riscontrabile in vari campi artistici. Il cinema aveva sempre fatto interagire aspetti «essenzialisti» e «manieristi»; non ha mai rinunciato al capriccioso, al bizzarro, all’affascinan­ te. Inoltre la sua stessa collocazione tra i linguaggi o tra la narrazione e la rappresentazione (storica e di costu­ me) mostra da un lato la «fedeltà» alla realtà, dall’altro il piacere teatrale del travestimento. Il gusto dell’ornarsi è unito alla funzione della memoria (gioco simultaneo di citazioni e somiglianze); insieme pulsano in un eclet­ tismo anche dispersivo dei segnali comprendente l’iro­ nico ed il ludico. Tuttavia è per lo più la produzione cinematografica delle «vecchie e delle nuove avanguar­ die», parte del più ampio campo cinematografico, ad interessarci poiché è qui che ritracciamo, per la prima volta, evidenti e coscienti dei propri legami con le altre arti, i motivi sopra ricordati. Sui motivi di novità e di apertura avviati da queste opere comprendiamo subito, con le dovute differenze tecniche, quanto la recente videoarte attinga direttamente e indirettamente da quel­ le esperienze. Nuova sensorialità, smaterializzazione e tradimento del realismo, esplorazione dell’industria cul­ turale, uso dell’immaginario cinematografico, ricerca sui

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linguaggi, tattilità, soggettività, stile «personale», valore del corpo, impiego degli errori in chiave artistica, rivalutazione strutturale del tempo, smembramento, distor­ sione e soprapposizione delle immagini, diversità e al­ ternativa, meditazione zen, installazione, vagabondaggio creativo e percettivo; tutti questi motivi sono stati chia­ ramente esplorati dal cinema underground americano. Inoltre, come si è detto, è all’interno e nelle immediate vicinanze di tale cinema che si rivela, in stretta connes­ sione con le altre arti, la tendenza ad una ampia artico­ lazione della figura dell’artista che diventa pittore, foto­ grafo, film-maker, poeta, musicista, attore. Il film-make­ r-attore ci porta al terreno della performance, la instal­ lazione video all’expanded cinema in una inevitabile circolarità, tra le rovine incantante dell’ordine delle arti. Si dice, ed anche a ragione, che nel video l’uso artistico intervenga sulla natura stessa dell’immagine, che qui il risultato nasca da un’estrema originalità. Ma bisogna capire che, proprio con le prove del cinema marginale, il cinema era già uscito dai limiti dello specifico (inqua­ dratura, montaggio, angolazione ecc.) 3. Laurie Ander­ son, Anthony Ramos, Fabrizio Plessi, Marina Abramovic-Ulay, Bob Wilson, Ed Emshwiller, Gary Hill, E. Rankus, Dara Birbaum, Ellen e Lynda Kahn, Michael Smith, Vito Acconci, Peter d’Agostino, Wolf Kostel, Bruce Nauman, Kounellis, Joan Jonas, Gina Pane, Ro­ bert Ashley, S. Gorewitz e molti altri estendono vecchi propositi. Germano Celant parla della manipolazione ottica (so­ prattutto con il sintetizzatore e il miscelatore cromati­ co), dell’intensificazione del momento partecipativo, della gestualità, dell’assenza del dramma, come fattori determinanti dell’attuale linguaggio visuale 4. E ciò in dipendenza e in autonomia dal territorio delle avan­ guardie o delle tecnologie di massa o in rapporto con J Si veda, tra gli altri, anche M. M. Cazzano, iZa videoarte alla ri­ cerca di un nuovo linguaggio, «Cine­ ma Nuovo», febbraio 1984. 4 Cfr. G. Celant, Offmedia, Deda-

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Indice

7

13 35 65

107

143 145 171

199 231

257 285

Parte la Problemi di teorie e poetiche Le forme deiresperimento e la funzione poetica dell’immaginario Il dibattito surrealista, il caso Dall e alcune questioni di retorica dell’immagine Coniugazioni sinestetiche, il film di pittura e l’opera intercodice di Luigi Veronesi Parte 2* Cocteau e il cinema di poesia Maya Deren e l’ideale della smaterializzazione Markopoulos: cinema come oggettivazione del pensiero «sublime» Dal primo underground alla videoespressione Warhol e la vertigine della simulazione realistica

Percorsi 9 / Estetica

Raffaele Milani è nato a Bologna nel 1949. Si è laurea­ to in pedagogia con Ennio Scolari ed attualmente è ri­ cercatore di estetica all’università di Bologna. Nel 1978 ha pubblicato un volume su II cinema underground ame­ ricano presso l’editore D’Anna. Suoi saggi sono comparsi in “Alfabeta”, “Cinema e Cinema”, “D’Ars”, “Film­ critica”, “il Verri”, “Nuova Antologia”, “Paragone” e in volumi miscellanei.

Questo libro è il punto d’arrivo di una ricerca iniziata nel 1974 di cui sono già state pubblicate alcune antici­ pazioni in diverse sedi. L’analisi delle varie componenti del film sperimentale condotta con l’uso di una articolata strumentazione con­ cettuale (Kitsch, camp, fine del moderno, parcellizzazio­ ne dell’estetico, dematerializzazione, sinestesia) tende a co»stituire una rete di collegamenti fra poesia, pittura, teatro, cinema, musica. Cinema astratto, film olografico, poetiche dell’avanguar­ dia, videoespressione, ridondanza degli effetti vengono così studiati secondo le suggestioni dell’estetica interco­ dice, di una estetica cioè che privilegia il rapporto fra le arti come strumento di comprensione dell’arte contem­ poranea.

ISBN 88-7000-074-5

Prezzo dei due volumi L. 30.000